vi- V i 25 JAN, 1908 Anno XXVI. Fascicolo 1° (1° trimestre 1907). BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XXVI — 1007 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Via della Pace N. 36 1907 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO Rendiconti. PAG. Consiglio direttivo ili Elenco dei Presidenti dalla fondazione della Società. ... iv Elenco dei soci onorari e perpetui IV Elenco dei soci residenti in Italia v Elenco dei soci residenti all’estero xn Elenco dei cambi xm Resoconto dell’adunanza tenuta in Roma il 24 marzo 1907 . xix Appendice: Portis A. — È dimostrata la contemporaneità dell’uomc paleolitico coll’ elefante antico, l’ippopotamo ed un ri- noceronte in Italia? XX Vili Franchi S. — Sulla scoperta di roccie nefritiche nella Liguria orientale xxx Verri A. e Clerici E. — Escursione a Tivoli. . . . xxxiv Memorie. Verri A. — Una sezione geologica del Monte Verde ... 1 Checchi a-Rispoli G. — Un crostaceo dell’eocene medio dei dintorni di l taglieria in prov. di Palermo 25 Silvestri A. — Considerazioni paleontologiche e morfologiche sui generi Operculina, Heterostegina , Cycloclypeus ... 29 Portis A. — Di due notevoli avanzi di carnivori fossili dei terreni tufacei di Roma 63 De Angelis d’Ossat G. — I noduli silico-mangano ferrosi nei dintorni di Roma 88 Sequenza L. — Nuovi resti di mammiferi pontici di Gravitelli presso Messina 89 Bellini R. — A proposito di alcune discussioni sull'origine dei conglomerati oligomiocenici della Collina di Torino ... 123 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Irol. XXVI — 1907 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Via della Pace N. 35 1907 Gli Autori sono responsabili delle opinioni manifestate nei loro lavori. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881 Consiglio direttivo per l’anno 1907 Presidente Viee-Presideiite . . . Segretario Tesoriere-Economo . Archivista Yice-Segretarì . . . . Federico Sacco (Torino). 1907. Alessandro Portis (Roma). 1907. Enrico Clerici (Roma). 1907-1909. Giovanni Aichino. 1906-1908. Camillo Crema (Roma). 1907-1909. Alfredo Bordi (Roma). 1907. Alessandro Roccati (Torino). 1907. Consiglieri ! Annibale Tommasi (Pavia) . . 1 Gaetano Rovereto (Genova) > Alberto Fucini (Pisa) . . . . \ Ettore Mattirolo (Roma) . 1 Giorgio Spezia (Torino). . . f j Augusto Statuti (Roma) . . ( | Vittorio Matteucci (Resina). I 1 Giovanni di Stefano (Palermo) ; I Francesco Bassani (Napoli) . ( Dante Pantanelli (Modena) . ( , Carlo de Stefani (Firenze) . ] 1 Niccolò Pellati (Roma). . . 1905-907. 1906-908. 1097-909. 1907. Commissione per le pubblicazioni . . Il Presidente Il Segretario Il Tesoriere (prò tempore ). Commissione del bi- lancio Mario Cermenati Gioacchino De Angelis d’Ossat. Antonio Verri 1907. Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologico. IV ELENCO DEI PRESIDENTI — ELENCO DEI SOCI 1881-82. 1883. 1884. 1885. 1886. 1887. 1888. 1889. 1890. 1 89 1 . 1892. 1893. 1894. Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi. Giuseppe Meneghini Giovanni Capellini Antonio Stoppani Achille De Zigno Giovanni Capellini Igino Cocchi Giuseppe Scarabelli Giovanni Capellini Torquato Taramelli Gaet. G. Gemmellaro Giovanni Omboni Arturo Issel Giovanni Capellini 1895. Igino Cocchi 1896. Carlo De Stefani 1897. Dante Pantanelli 1898. Francesco Bassani 1899. Mario Canavari 1900. Niccolò Pellati 1901. Carlo Fabrizio Parona 1902 Giovanni Capellini 1903. Antonio Verri 1904 Romolo Meli 1905. Torquato Taramelli 1906. Lucio Mazzuoli Elenco dei Soci per Tanno 1907 S. A. R. Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi Acclamato socio onorario per deliberazione unanime nell’adu- nanza generale del 16 settembre 1900 in Acqui. Soci perjDetuii. 1. Quintino Sella (morto a Biella il 14 marzo 1884). Fu uno dei tre fonditori della Società; venne, per il primo, annoverato tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell'adunanza generale tenutasi dalla Società il 1 4 settembre 1885 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il i° marzo 1885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testamento la somma di Lire 25,000; venne iscritto fra i soci perpetui per deliberazione unanime nel- l'adunanza generale del 14 settembre 1885 in Arezzo. 3. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato sodo perpetuo nell'adu- nanza generale di Savona il 15 settembre 1887. 4. Felice Giordano (morto. a Vallombrosa il 16 luglio 1892). Fu uno dei tre fondatori della Società; venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell'adunanza generale di Taormina il 2 ottobre 1891. 5. Giovanni Capellini, senatore del Regno. E uno dei tre fondatori della Società: venne iscritto tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell'adunanza generale di Taormina il 2 ottobre 1891. ELENCO DEI SOCI V Soci residenti in Italia. (Il millesimo che precede indica il primo anno d’associazione; l'asterisco indica i soci a vita). 1894. Aichino ing. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. 1898. Air aghi prof. Carlo. Magenta (Robecco sul Naviglio). 1899. Aldinio prof. Pasquale. R. Scuola normale. Lagonegro (Basilicata). 1904. Aloisi dott. Piero. Museo mineralogico R. Università. Pisa. 1891. Ambrosioni sac. prof. Michelangelo. Merate (Como). 1903. Ammana ing. Federigo. Abbadia S. Salvatore (Siena). 1907. Anelli dott. Mario. Via Farini, 94. Parma. 1892. Angelelli ing. Ettore. Via Bonella, 9. Roma. 1886. Antonelli prof, don Giuseppe. Via del Biscione, 95. Roma. 1896. io Arcangeli prof. cav. Giovanni. R. Orto botanico. Pisa. 1902. Audenino prof. Lodovico. R. Liceo. Chieri (Torino). 1 88 1 . Baldacci ing. cav. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. 1905. Baraffael ing. Angelo. Piazza Nicola Amore, 6. Napoli. 1890. Baratta dott. Mario. Voghera (Pavia). 1884. * Bargagìi cav. Piero. Via de’ Bardi, palazzo Tempi. Firenze. 1881. Bassani prof. cav. Francesco. R. Università. Napoli. 1901. Bellini dott. Raffaele. R. Scuola tecnica. Chivasso. (Torino). 1906. Bentivoglio conte prof. Tito. Canal Chiaro, 46. Modena. 1883. Berti dott. Giovanni. Via Castiglione, 30. Bologna. 1897. 20 Bettolìi dott. Andrea. Piazza Museo, 6. Brescia. 1900. Bianchi prof. ing. Aristide. Chieri (Torino). 1898. Biblioteca civica. Bergamo. 1907. Bibolini ing. Aldo. R. Ufficio minerario. Caltanissetta. 1892. Bonarelli prof, conte Guido. Gubbio (Umbria). 1885. Bonetti prof, don Filippo. Via Agonale, 3. Roma. 1907. Bonomini dott. sac. Celestino. Concesio (Brescia). 1904. Bordi prof. Alfredo. Via Cavour, 358. Roma. 1897. Bortolotti-Baldanqi prof. Emma. Viale Po, io. Roma. 1893. Botto Micca dott. prof. Luigi. R Scuola tecnica. Ven- timiglia. 1897. 30 Brambilla prof, don Giovanni , Arciprete. Cingia dei Botti (Cremona). VI ELENCO DEI SOCI I 885. 1905. 1884. 1891. 1889. 1897. 1898. 1883. 1905. 1881. 40 1899. I9°3* 1883. 1896. 1896. 1882. 1890. i895- 1900. 1901. 50 1005. 1882. 1903. 1 882. 1906. 1886. 1881. * 1899. t895- 1902. 60 1881. Brugnatelli prof. Luigi. Museo mineralogico, R. Uni- versità. Pavia. Brunati dott. Roberto. Erba per Albese (Como). Bruno prof. cav. Carlo. R. Istituto tecnico. Mondovì. Bucca prof. Lorenzo. R. Università. Catania. Cacciamali prof. Giovanni Battista. R. Liceo. Brescia. Caetani (dei principi) ing. Gelasio. Palazzo Caetani. Via Botteghe oscure. Roma Caffi dott. sac. Enrico. Piazza Cavour, io. Bergamo. Canavari prof. Mario. Museo geologico, R. Università. Pisa. Caneva prof. dott. Giorgio. Piazza Eremitani. Padova. Capacci ing cav. Celso. Via Vaifonda, 5. Firenze. Capeder prof. Giuseppe. R. Liceo. Fermo. Cappelli march, dott. Giovanni Battista. Via del Ba- buino, 51. Roma. Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata. Carniccio prof. comm. Antonio. R. Università. Roma. Castoldi ing. Alberto , deputato al Parlamento. Diret- tore Miniere Montevecchio. Guspini (Cagliari). Cattaneo ing. comm. Roberto Via Ospedale, 51. To- rino. Cermenati prof. Mario. Via Cavour, 238. Roma. Cerulli Irelli dott Serafino. Teramo. Checchia-Rispoli dott. Giuseppe. Museo geologico, R. Uni- versità. Palermo. Chiabrera dott. conte Cesare. Acqui. Chigi princ. don Francesco. Palazzo Chigi. Roma. Chigi Zondadari march. Bonaventura , senatore del Re- gno. Siena. Ciampi ing. Adolfo. Direttore Miniera Castelnuovo dei Sabbioni (Arezzo). Ciofalo prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo). Ciofi dott. Gino. Fuori Barriera Aretina, 26. Firenze. Clerici ing. cav. Enrico. Via del Boccaccio, 21. Roma. Cocchi prof. comm. Igino. Via de’ Pinti, 51. Firenze. Colomba dott. Luigi. R. Museo mineralogico. Palazzo Carignano. Torino. Conedera ing. Raimondo. Massa Marittima (Grosseto). Corio prof. Francesco. Istituto Tecnico, Spezia. Cortese ing. Emilio. Corso Firenze, 25. Genova. ELENCO DEI SOCI VII 1890. Corti prof. Benedetto. R. Collegio Rotondi. Gorla Mi- nore (Milano). 1906. Craven ing. H. Robert. Miniera Libiola (Sestri Levante). 1895. Crema ing. dott. Camillo. R. Ufficio Geologico. Roma. 1895. D’ Achiardi prof. Giovanni. R. Museo mineralogico. Pisa. 1900.* Dainelli dott. Giotto. Via La Marmora, 12. Firenze. 1902. Dal Lago dott. cav. Domenico. Valdagno (Vicenza). 1899. Dal Pia\ dott. Giorgio. Museo geologico, R. Università. Padova. 1893. De Alessandri dott. Giulio. Museo civico. Milano. 1883. 7° De Amicis prof. Giovanni Augusto. Casale Monferrato. 1891. De Angelis d’Ossat prof. cav. Gioacchino. R. Università. Roma. 1907. De Castro ing. cav. Calogero. Via Roma, 14. Carrara. 1907. De Ferrari ing. Carlo. Piazza S. Lorenzo, 17. Genova. 1881. De Ferrari ing. cav. Paolo Emilio. Capo del distretto minerario. Via Carmine, 2. Torino. 1883. De Gregorio Brunaccini dott. march. Antonio. Molo, 128. Palermo. 1886. Del Bene ing. Luigi. Corso Garibaldi, 39. Spoleto. 1 900. Del Campana dott. Domenico. R. Museo geologico. Piazza S. Marco, 2. Firenze. 1886. Dell' Erba ing. prof. Luigi. R. Scuola Applicazione In- gegneri. Napoli. 1892. De Lorenzo prof. Giuseppe. Museo geologico, R. Univer- sità. Catania. 1890.* 80 Dell’Oro comm .Luigi (di Giosuè). Via Silvio Pellico, 12. Milano. 1881. Del Prato prof. Alberto. R. Università. Parma. 1899. * Dei-Zanna dott. Pietro. Poggibonsi (Siena). 1900. De Marchi dott. Marco. Borgonuovo, 23. Milano. 1882. Demarchi ing. comm. Lamberto. Corso V. E., 154. Roma. 1892. De Pretto dott. Olinto. Schio (Vicenza). 1889. Dervieux sac. Ermanno. Via Massena, 34. Torino. 1881. De Stefani prof. cav. Carlo. Piazza S. Marco, 2. Firenze. 1899. De Stefano prof. Giuseppe. R. Scuola Tecnica. Sore- sina (Cremona). 1905. Di Franco dott. Salvatore. R. Università. Catania. 1883. 90 Di Rovasenda cav. Luigi. Sciolze (Torino). Vili ELENCO DEI SOCI 1885. Di Stefano prof. cav. Giovanni. R. Università. Pa- lermo. 1896. Dompè ing. cav. Luigi. Piazza G. Meli, 5. Palermo. 1903. Eliotipia Calzolari e Ferrario. Viale Monforte, 14. Milano. 1905. Fabiani dott. Ramiro. Museo geologico, R. Università. Padova. 1905. Falconi Adolfo. Posta. Bologna. 1902. Fantappiè prof. Liberto. Via Mazzini, 4. Viterbo. 1894.* Ferraris ing. comm. Erminio, Direttore della miniera di Monteponi (Iglesias). 1906. Ferrerò dott. Luigi. Piazza Gran Madre di Dio, 8. Torino. 1904. Fermai ing. Ferruccio. Poggibonsi (Siena). 1905. 100 Feruglio dott. Giuseppe. Viale Venezia, 4. Udine. 1894. Fino prof. Vincenzo. Via Arsenale, 33. Torino. 1897. Flores prof. Edoardo. R. Scuola normale femminile U. Bassi. Bologna. 1901. Forma Ernesto. R. Museo geologico, Palazzo Carignano, Torino. 1881. Fornasini dott. cav. Carlo. Via Dame, 24. Bologna. 1892. Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico. Roma. 1905. Frenguelli Gioacchim>. Piazza S. Giovanni in Baterano, 6. Roma. 1890. Fucini dott. Alberto. R. Museo geologico. Pisa. 1898. Galdieri dott. Agostino. Museo Geologico. R. Università. Napoli. 1891. Galli prof. cav. don Ignazio, direttore dell'Osservatorio fisico-meteorologico. V elletri. 1907. 110 Gardella cav. Lorenzo. Casarza Uigure (Sestri Uevante). 1891. Gianotti prof. Giovanni. R. Scuola normale. Vercelli. 1903. Gortani dott. Michele. Tolmezzo (Udine). 1887. Go$f ing. Giustiniano. Via Galliera, 14. Bologna. 1892. Greco prof. Benedetto. R. Uiceo. Cuneo. 1881. Issel prof. comm. Arturo. Via Brignole-De Ferrari, 16. Genova. 1906. Jensch Federico. Grand Hotel. Sestri Uevante. 1883. Lais prof. sac. Giuseppe. Vicolo del Malpasso, 1 1. Roma. 1889. Lanino ing. comm. Giuseppe. Via Cernaia, 24. Torino. 1884. Lattes ing. comm. Oreste. Via Nazionale, 96. Roma. 1905. 120 Lorenzi prof. Arrigo. Via Cassignacco, 36. Udine. ELENCO DEI SOCI IX 1 88 1 . Lotti ing. Bernardino. R. Ufficio geologico. Roma. 1905. Lovisato prof. Domenico. R. Università. Cagliari. 1896. Lupi don Alessandro. Via dell’Anima, 30. Roma. 1905. Maddalena ing. dott. Leonzio. Schio (Vicenza). 1899. Manasse dott. Ernesto. R. Università. Siena. 1899. Maravelli dott. Giuseppe. Cagli (Pesaro). 1905. Marcantonio dott. Ireneo. Lanciano per Mozzagrogna (Chieti). 1895. Marengo ing. Paolo. Direttore miniere Boccheggiano (Grosseto). 1886. Mariani prof. Ernesto. Museo civico. Milano. 1899. 130 Mariani dott. Mario. Camerino (Macerata). 1894. Marinelli prof. Olinto. R. Istituto Studi Superiori. Firenze. 1900. Martelli dott. Alessandro. Museo geologico, Piazza S. Marco. Firenze. 1896. Martore prof. Michele. Ringo, 171. Messina. 1892. Matteucci prof. comm. Vittorio. Direttore del R. Osser- vatorio Vesuviano. Resina (Napoli). 1881.* Mattirolo ing. cav. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma- 1881. Ma\\uoli ing. comm. Lucio. Via S. Susanna, 9. Roma. 1881. Meli prof. cav. Romolo. Via del Teatro Valle, 51. Roma. 1883. Mercalli prof. sac. Giuseppe. R. Liceo Vittorio Ema- nuele. Napoli. 1899. Merciai dott. Giuseppe. Via della Faggiola, 3. Pisa. 1890. 140 Meschinelli dott. Luigi. Vicenza. 1906. Migliorini Carlo. Viale P. Amedeo, 13. Firenze. 1897. Millosevich prof. Federico. R. Università. Sassari. 1907. Monetti ing. Luigi. R. Scuola Mineraria. Agordo (Bel- luno). 1900. Monti dott. Achille. Via Pusterla, 3. Pavia. 1895. Mor andini ing. Bernardino. Massa Marittima (Grosseto). 1895. Moretti ing. Guido. Brembate di Sotto (Bergamo). 1889. Morini prof. Fausto. Orto botanico, R. Università. Bo- logna. 1887. Moschetti ing. Claudio. Ufficio d’Arte. Saluzzo. 1904. Napoli dott. p. Ferdinando. Via Chiavari, 6.. Roma. 1897. 1 50 Nelli dott. Bindo.W ia Pellegrino, 18. Firenze. 1883. Neviani prof. Antonio. R. Liceo E. Q. Visconti. Roma. 1881.* Niccoli ing. comm. Enrico. Via Mario Pagano, 23. Mi- lano. 1881. Nicolis cav. Enrico. Corte Quaranta. Verona. X ELENCO DEI SOCI 1888. Novarese ing. Vittorio. R. Ufficio geologico. Roma. 1881. Omboni prof. comm. Giovanni. R. Università. Padova. 1901. Pagani prof. Umberto. Via Belzoni, 108 a. Padova. 1881. Pantanelli prof. cav. Dante. R. Università. Modena. 1906. Parma cap. cav. Augusto. Sestri Levante. 1881. Parona prof. cav. Carlo Fabrizio. R. Museo geologico. Palazzo Carignano. Torino. 1892. 160 Patroni prof. Carlo. R. Istituto Tecnico. Arezzo. 1881.* Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. 1881. Pellati ing. comm. Niccolò. Ispettore capo delle Miniere. Via S. Susanna, 9. Roma. 1899. Pelloux capitano Alberto. Villa Caterina. Bordighera 1893. Peola prof. Paolo. R. Liceo. Aosta. 1903. Perrone cav. Eugenio , Via Cola di Rienzo, 133. Roma. 1902. Piana cav. Giuseppe. Badia Polesine (Rovigo). 1901. Picasso ing. prof. Vittorio Emanuele. Via Arcivesco- vado, 1. Torino. 1891. Platani a- Platani a prof. Gaetano. R. Liceo. Acireale. 1899. Pompei ing. Augusto. R. Ufficio minerario. Iglesias. 1895. 170 Porro ing. Cesare. Carato Lario (Como). 1898. Portis prof. comm. Alessandro. Museo geologico, R. Uni- versità. Roma. 1901. Prever dott. Pietro. R. Museo geologico. Palazzo Cari- gnano. Torino. 1906. Raffaelli don Gian Carlo. Bargone. (Sestri Levante). 1883. Ragnini cav. dott. Romolo. Maggiore medico. Via Con- solato, 11. Torino. 1903. Raimondi ing. Luigi. Miniere solfuree Trezza. Cesena. 1899. Reichenbach ing. Arno. Scafa di S. Valentino (Chieti). 1900. Repossi dott. Emilio. Museo civico di storia naturale. Milano. 1907. Riboni ing. Pietro. R. Ufficio minerario. Vicenza. 1886. Ricciardi prof. comm. Leonardo. Preside del R. Isti- tuto Nautico. Napoli. 1894. 180 Ridoni ing. Ercole. Miniera di Montecatini in Val di Cecina. 1883. Riva Palaci generale Giovanni, Via Bonsignori, 5. Torino. 1898. Roccati prof. Alessandro. R. Politecnico, Castello del Valentino. Torino. ELENCO DEI SOCI XI 1890. Roncalli dott. conte Alessandro. Piazza Lorenzo Ma- scheroni, 3. Bergamo alta. 1903. Rosati dott. Aristide. R. Università, Museo mineralogico. Roma. 1895. * Rosselli ing. cav. Emanuele. Via del Fosso, 1. Livorno. 1892. Rovereto march, dott. Gaetano. Via S. Agnese, 1. Genova. 1892. Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (Como). 1885. Sacco dott. prof. cav. Federico. R. Politecnico, Castello del Valentino. Torino. 1881. Salmojraghi ing. prof. cav. Francesco. Piazza Castello, 17. Milano. 1 904. 1 90 Sangiorgi prof. Domenico. R. Università. Parma. 1890. Scacchi ing. prof. Eugenio. Via Monte Oliveto, 44. Na- poli. 1902. Segattini dott. Paolo. Pastrengo (Verona) 1881. Segrè ing. cav. Claudio. Corso V. Emanuele, 229. Roma. 1900. Seguendo Luigi fu Giuseppe. Messina. 1894. Sella ing. Erminio. Biella. 1882. * Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi, 4. Bologna. 1904. Silvestri prof. Alfredo. R. Liceo. Spoleto. 1882. Spezia prof. cav. Giorgio. R. Museo mineralogico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1896. Spire k ing. Vincenzo. Santa Fiora per il Siele (Grosseto). 1882.200 Statuti ing. cav. Augusto. Corso V. Emanuele, 284. Roma. 1891. Stella ing. Augusto. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. Strilver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. 1898. Tacconi dott. Emilio. Museo geologico, R. Università. Pavia. 1896. Tagiuri dott. Clemente Corrado. Via Roma, 34. Livorno. 1881. Taramelli prof. comm. Torquato. R. Università. Pavia. 1907. Taricco ing. Michele. R. Ufficio Minerario. Iglesias. 1891. Taschero dott. Federico. Mondovì. 1881. Tittoni avv. comm. Tommaso. Senatore del Regno e Ministro degli Esteri. Via Rasella, 155. Roma. 1889. Toldo prof. Giovanni. R. Liceo. Lodi. 1881. 210 Tornatasi prof. Annibaie. R. Università. Pavia. 1898. Tonini dott. Lorenzo. Seravezza (Lucca). 1905. Tomolo dott. Antonio. Via S. Martino, 8. Pisa. 1883. Toso ing. cav. Pietro. Via de’ Serragli, 13. Firenze. XII ELENCO DEI SOCI 1890. Trabucco prof. Giacomo. R. Istituto tecnico Galileo Galilei. Firenze. 1901. Trentanove dott. Giorgio Morando. Luco di Mugello (Borgo S. Lorenzo, Firenze). 1882. Tuccimei prof. cav. Giuseppe. Via Tor Sanguigna, 13. Roma. 1882.* Turche ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. 1906. Ufficio sperimentale delle Ferrovie dello Stato. Roma. 1896. Ugolini dott. Pietro Riccardo. Museo geologico, R. Uni- versità. Pisa. 1881. 220 Ugelli prof. cav. Gustavo. Via S. Egidio, io. Firenze. 1882. Verri generale comm. Antonio. Via Aureliana, 53. Roma. 1893. V massa de Regny dott. prof. Paolo Eugenio. R. Istituto superiore agrario. Perugia. 1903. Viola ing. prof. cav. Carlo. R. Università. Parma. 1882. Virgilio prof. Francesco. R. Museo geologico. Palazzo Carignano. Torino. 1906. W angenheim ing. von Giinther. Direttore miniere. Ra- gusa. 1902. Zamara nob. colonnello Giuseppe. Corso C. Alberto, 23. Brescia. 1881.227 Ze\i ing. cav. Pietro. R. Ufficio geologico. Roma. Soci residenti all’estero. 1897. 228 Bartesago Ch., Avignon (Francia). 1887. Charlon ing E. Rue Pierre Duprèt, 25. Marsiglia. 1898. 230 Dannenberg prof. Arturo, Kgl. technische Hochschule. Aachen (Prussia renana). 1901.* De Dorlodot chan. prof. Henri. Rue de Bériot, 44. Louvain (Belgio). 1893. Deecke prof. Wilhelm. Freiburg, Baden (Germania). 1905. De la Cru^j'Dia\ ing. Emiliano. Calle de Balmes, 88. Barcelona (Spagna). 1881.* Delaire ing. chev. Alexis. Boulevard St. Germain, 238. Paris. 1881. Delgado cav. Joaquim Philippe Nery. llua do Arco a Jesus, 1 1 9. Lisbona. 1895. De Pian ing. cav. Luigi. Via Dionisio Arepaghito 1. Atene. ELENCO DEI CAMBI XIII 1899. Hassert doct. Kurt. Università!:. Bismarkstrasse, 30. Kòln am Rhein (Germania). 1881. * Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenny. University. Cambridge (Inghilterra). 1890.* Johnston-Lavis dr. Henry. Beaulieu (Alpes Maritimes, Francia). 1884. *240 Levat ing. David. Boulevard Malesherbes 174. Paris. 1882. * Levi bar. Adolfo Scander. Nizza (Alpi Marittime). 1906. Lugeon prof. Maurice. Université. Lausanne (Suisse). 1903. Margerie(de) prof. Emmanuel. RueFleurus44.Paris(VI'). 1881.* Mayer Eymar prof. Carlo. Scuola politecnica. Zurigo. 1903. Monaci Pietro. Miniera Karaburnn. c/o C. Whittall. Smirne (Turchia). 1902. Oppenheim doct. Paul. Sternstrasse, 19. Gross-Lichter- felde-West (Berlin). 1881.* Pèlagaud doct. Elisée. Chàteau de la Pinède, Antibe (Alpes Maritimes, Francia). 1895. Salomon doct. Wilhelm. Universitat. Heidelberg (Baden). 1886* 249 Stephanescu prof. Gregorio. Universitat. Bukarest (Ru- menia). Elenco (lei cambi (*) Italia. Catania. — R. Accademia Gioenia di sciente, lettere, ecc. a) . Atti fanno LXIX, 1892-93). b) . Bollettino delle sedute [fase. XXX, 1892]. Roma. — R. Accademia dei Lincei. (Via Lungara). a) . Rendiconti della classe di se. fis. mat. e nat. [serie 3% voi. VII, 1882]. b ) . Rendiconti delle sedute solenni [1892] id. — R. Comitato geologico d’Italia. (Via S. Susanna 1 A). a) . Bollettino [voi. I, 1870J. b) . Mem. descritt. della carta geol. d’Italia [voi. I, i886[. (■) Di ogni pubblicazione è indicato da qual vohime od anno comincia la serie posseduta dalla Società. XIV ELENCO DEI CAMBI c) . Mem. per servire alla descr. della carta geol. d’Italia [voi. I, 1871]. d) . Carte geologiche diverse. Roma — Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, a). Pubblicazioni varie. id. ' — Società geografica italiana. (Via Plebiscito 102). a) . Bollettino [serie 2% voi. VII, 1882J. b) . Memorie [voi. V, 1895]. id. — Società Ingegneri ed Architetti. (Via Muratte, 70). a) . Bullettino [anno I, 1893]. b) . Memorie [anno I, i88ój. Austria-Ungheria. Budapest. — K. Ungarische Geologiche Anstalt. (Stefania - ut. 14). a) . Mittheilungen aus dem Jahrbuche [Bd. I, 1872]. b ) . Jahresbericht [ 1 883 J. c) . Fòldtani Kòzlòny [Kòt. XV, 1885]. d) . Pubblicazioni diverse. id. — Société Hongroise de Géographie. (Sàndor-Utcza 8. sz.). a) . Bulletin (Fòldrajzi Kòzlemények) [Tom. XXXI, 1903]. b) . Abrégé du Bulletin. [id.]. Cracovia. — Académie des Sciences (Akad. d. Wissenschaften). a). Bulletin International (Anzeiger) [1889]. Iglò. — Magyarors\àgi Kà rpà tegyesiilet. (Ungarischer Karpathen- Verein). a). Jahrbuch [voi. XVII, 1890J. Wien. — K. k. Geologiche Reichsanstalt. (Rasumofski- gasse 23). a) . Verhandlungen [Jahrg. 1880]. b) . Jahrbuch [Bd. XXX, 1880]. id. — K. k. Naturhistorisches Hofmuseum. a). Annalen [Bd. I, 1886]. id — Paldontologisches institut der k. k. Universitdt (I., Franzensring). a). Beitriige zur Paliiontologie und Geologie Osterreich- Ungarns und des Orients [Bd. XI, 1897I. ELENCO DEI CAMBI XV Belgio. Bruxelles. — Sociétè Royale malacologique de Belgique. a). Annales [voi. XVI, 1 88 1 J. id. — Société Belge de Geologie, de Paléontologie et d' Hydrologie. (Palais du Cinquantenaire). a). Bulletin [voi. I, 1887]. Liège. — Société géologique de Belgique. a). Annales [voi. IX, 1881 1. Francia. Bordeaux. — Société Linnéenne de Bordeaux. (Rue des Trois- Conils; Athénée). a). Actes [voi. XXXVI, 1882]. Havre. — Société géologique de Normandie. (Hotel de ville). a). Bulletin [t. XX, 1900). Lille. — Société géologique du Nord. (Rue Brule-Maison, 159). a). Annales [voi. XXXII, 1903]. Paris. — Société de Spéléologie. (Rue de Lille, 34). a). Bulletin (Spelunca) [t. I, 1895J. id. — Société géologique de France. (Rue Serpente, 28). a). Bulletin |ser. 3*, voi. X, 1881J. Germania. Berlino. — Deutsche geologiche Gesellschaft. a). Zeitschrift [Bd. 35, 1883J. id. — K. preuss. geolog. Landesanstalt und Bergakademie. (Invalidenstrasse, 44). a). Jahrbuch [Bd. I, 1880I. Bonn. — Niederrheinische Gesellschaft. a) . Sitzungsberichte [i895[. b ) . Verhandlungen(d.naturhistorischenVereins) [LUI, 1896!. Freiburg. — Naturforschen.de Gesellschaft. a). Berichte | Bd. IV, 1 888 1. Gran Bretagna. Dublino. — Royal Dublin Society. a) . Scientific proceedings [N. S., voi. IV, 1885J. b) . Scient. transactions [ser. II, voi. Ili, 1885]. XVI ELENCO DEI CAMBI Edinburgo. — Edinburgh Geological Society. a). Transactions [voi. VII, 1894J. Glasgow. — Geological Survey. a). Memoirs [1905]. Londra. — Geological Society. a) . Quarterly Journal [voi. XXXVIII, n° 149, 1 882 1. b ) . Geological literature |n° 1, 1 894J. Portogallo. Lisbona. — Direcedo dos trabalhos geologicos (Rua do Arco a Jesus, 1 1 3, 20). a) . Communica^óes [t. I, 1883]. b ) . Mémoires [alcune], Rumenia. Bukarest. — Biuroulu geologica. a). Anuarulu [voi. I, >882; serie chiusa], id. — Museulu de Geologia si de Paleontologia, a). Anuarulu [anno 1894I. Jassy. — Università de Jassy. a). Annales scientifiques [t. I, 1900]. Russia. Helsingfors. — Commission géologique de Finlande. a). Bulletin [n° 6, 1897] Novo-Alexandria — Annuaire géologique et minèralogique de la Russie [voi. I, 1896]. Pietroburgo. — Gomitò géologique. (Institut des mines). a) . Bulletin [t. I, 1882]. b) . Mémoires [voi I, 1 883 J. c) . Bibliothèque géologique de la Russie [t. VI, 1885]. d) . Travaux de la section géologique du Cabinet de sa Majesté [voi. I, 1 895 1. id. — Russische K. Mineralogische Gesellscliaft. a) . Verhandlungen [Bd. 32, 1 896). b) . Materialien zur Geologie Russland [Bd. 18, 1897]. Pietroburgo. — Société Impériale des Naturalistes. a) . Comptes-rendus des séances [voi. XXVI, 1885]. b) . Travaux de la section de Géologie et de Minéralogie [voi. XIX, 1888]. ELENCO DEI CAMBI XVII Svezia e Norvegia. Stoccolma. — Geologiska foreningen i Stockholm. a). Fòrhandlingar [Bd XII, 1890]. id. — K. Svenska Vetenskaps Akademien. a) . Arkiv fòr Kemi, Mineralogi och Geologi [Bd. 2, 1905]. b ) Arkiv fòr Zoologi [Bd. 3, 1906J. c) . Arkiv fòr Botanik [Bd. 5, 1905]. IJpsala. — Geological lnstitution of thè University of Upsala (Bibliothèque de l’Université R.). a). Bulletin [voi. I, 1892). Africa. Cape Town. — Geological Commission Departement of Agri- colture. a). Annual report [i°? 1896). Johannesburg. — Geological Society of South Africa. a) . Transactions [voi. VI, 1904]. b) . Proceedings [anno 1905]. America. Baltimore. — Maryland Geological Survey. a). Reports [voi. I, 1897]. Buenos-Ayres. — Tnstituto geografico Argentino. a). Boletin [t. X, 1889]. Cleveland. — Geological Society of America. a). Bulletin [voi. I, 1890]. Columbus. — Geological Survey of Ohio. a). Bulletin [4® serie, n° 1, 1903]. Lima. — Cuerpo de Ingenieros de Minas del Perù. a). Boletin [num. 1, 1902). Messico. — Instituto geologico de México. (5/ Ciprés, 2728). a). Boletin [num. 12, 1 889 1. id. — Sociedad geologica, a). Boletin [Tomo I, 1905]. Montevideo. — Museo Nacional. a). Anales [t. I, 1894]. Ottawa (Canada). — Mines branch. Department of thè Interior, a). Reports. 11 XVIII ELENCO DEI CAMBI Parà. — Museu Paraense de Historia Naturai e Ethnograph (Caixa postai n° 399). a). Boletim [voi. I, 1896]. Rolla. — Bureau of Geology and Mines. State of Missouri Sào Paulo. — Museo Paulista. (Caixa do Correio, 500). a). Revista publicada par H. v. Ihering. [voi. I, 1895]. Washington. — United States Geological Survey. a) . Bulletin [n° 34, 1883]. b) . Annual reports [sixth ann. 184]. c) Monographs [voi. I, 1882J. d) . Minerai resources [anno 1886]. Wisconsin. — University of Wisconsin. a). Bulletin - science series - [voi. I, 1894]. Asia (Indie). Calcutta. — Geological Survey of India. a) . Memoirs [voi. IV, 1865]. b ) . Palaeontologia indica [ser. iR, voi I|. c) . Records [voi. I-XXX, serie interrotta!. d) . Pubblicazioni diverse. Asia (Giappone). Tokio. — Geological Society. a). The Journal [voi. Vili, 1901]. id. — Gollege of Science Imperiai University, a) The Journal [voi. XVI, 1901 1. Australia. Melbourne. — Australasian Institute of Mining Engineers. a) . Transactions [voi. IV, 1897]. b) . Proceedings [anno 1 898 ]. id. — Royal Society of Victoria. a) . Transactions [voi. I. 1 888 1. b) . Proceedings [voi I, n. s., 1889). Sydney. — Geological Survey of New South Wales. a) . Records [voi. IV, 1894J. b) . Memoirs [1894]. c) . Annual report [ 1 S94J. d) . Minerai Resources [n° 1, 1 898]. EESOCONTO DELL’ADUNANZA GENEEALE INYEENALE tenuta in Roma il 24 marzo 1007 Presidenza Sacco. L’adunanza ha luogo alle ore 10 nella sala della Biblioteca del E. Ufficio Geologico, gentilmente concessa. Yi prendono parte: il presidente Sacco; il vice presidente Portis; i consi- glieri Pantanelli, Pellati, Eovereto ; il tesoriere Aichino ; l’ar- chivista Crema; i soci Baldacci, De Angelis d’Ossat, Franchi, Lattes, Lotti, Mazzuoli, Napoli, Neviani, Novarese, Eosati, Segrè, Stella, Verri, Zamara, Zezi ed il segretario Clerici. Scusano l’assenza i consiglieri Bassani, De Stefani, Fucini, Matteucci, Mattirolo, Spezia, Tommasi ed i soci Angelelli, Cerulli-Irelli, Frenguelli, Meli, Parma, Parona, Eoccati. Il presidente Sacco apre la seduta salutando i presenti e ringraziandoli di essere intervenuti all’adunanza. Si danno per letti i verbali delle adunanze tenute a Sestri Levante nel settembre 1906, già pubblicati nel Bollettino; non essendovi osservazioni il Presidente li dichiara approvati. Con dispiacere il Presidente dà notizia dei soci defunti: d. Carlo Fabani morto il 24 ottobre 1906; prof. Mariano Bar- gellini morto il 27 dicembre 1906 ed il prof. Pasquale Franco morto il 30 gennaio 1907, che saranno commemorati nell’adu- nanza estiva. Il Presidente partecipa che nel giugno di questo anno avranno luogo in Bologna solenni onoranze alla memoria di Ulisse Aldrovandi ricorrendo il terzo centenario della sua morte ed il Consiglio ha deliberato che la Società, accogliendo 1 in- vito fattole, vi prenda parte facendovisi rappresentare dal socio perpetuo senatore Capellini. L’Assemblea approva ad unanimità. XX RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE Il Consiglio ha pure deciso che la Società intervenga al VI Congresso Geografico Italiano, come già partecipò a quelli precedenti; e intervenga pure al III Congresso internazionale del Petrolio a Bucarest ove, insieme a questioni d’indole eco- nomica e commerciale, saranno trattati importanti argomenti di geologia pura ed applicata. Nel settembre di questo anno la Società Geologica di Londra, fondata nel 1807, celebrerà il suo centenario con adunanze ed escursioni, e la nostra Società è stata pure invitata a parteci- parvi. Il Consiglio, grato di questa prova di simpatia, fa voti di prosperità per la Società consorella, accoglie l’invito e pro- pone che la nostra Società vi si faccia rappresentare. L’Assemblea approva ad unanimità tutte le proposte e delega al presidente la scelta dei rappresentanti. Il Comitato ordinatore della Società Italiana per il progresso delle Scienze, in conformità degli accordi presi nel Congresso dei Naturalisti Italiani a Milano nello scorso anno, dovendo organizzare la sezione T di Mineralogia, Geologia e Paleonto- logia, ha pregato la nostra Società di assumerne l’incarico insieme ai professori Issel ed Artini, quali membri del Comitato ordinatore, e al prof. Viola quale residente in Parma sede del Congresso. Il Presidente, riassumendo i nobili scopi che si pro- pone la costituenda Società, esorta i soci a voler contribuire alla diffusione e volgarizzazione delle scienze geologiche ade- rendo a quel Congresso e presentandovi brevi comunicazioni, pos- sibilmente d’interesse generale, concernenti sia lavori originali, sia riassunti sintetici di lavori altrui. Informa che il Consiglio per la costituzione della detta sezione avrebbe deciso di affi- darsi all’opera di una Commissione composta dei soci Del Prato, Pantanelli, Sangiorgi e Uzielli. L’Asse'mblea approva. Il Presidente informa che S. A. R. il Duca degli Abruzzi, socio onorario della nostra Società, nel suo recente viaggio al Euwenzori chiamò a far parte della spedizione il nostro consocio Roccatj incaricandolo particolarmente della parte geologica delle RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXI esplorazioni. Del copioso ed importante materiale raccolto, S. A. E. volle fare dono al Museo geo-mineralogico del K. Politecnico di Torino perchè, affidato ad un istituto pubblico, potesse riuscire di maggiore vantaggio della scienza: ha inoltre concesso che le primizie dello studio, già bene avviato, del materiale, siano presentate alla nostra Società nella prossima Adunanza estiva e pubblicate nel nostro Bollettino. Perciò il Consiglio ha de- liberato di proporre alla Società che essa esterni la sua grati- tudine a S. A. R. il Duca degli Abruzzi, riservandosi, quando la proposta fosse approvata, di concretarne le modalità. L’Assemblea approva per acclamazione. Dopo ciò il Presidente fa sapere che il Consiglio ha nomi- nato i soci Bordi e Roccati nella carica di vice-segretari pel 1907; e comunica i nomi di due soci che, a termini del Regolamento, devono essere radiati per morosità. L’Assemblea prende atto. Quindi si leggono le proposte di nuovi soci : 1. Anelli dott. Mario, a Parma, proposto dai soci Sangiorgi e Clerici. 2. Bartesago C., ad Avignone (Francia), proposto dai soci Sacco e Roccati. 3. Bonomini dott. Celestino, a Concesio, proposto dai soci Cacciamali e Zamara. 4. Taricco ing. Michele, a Iglesias, proposto dai soci Sacco e Matti rolo. L’Assemblea approva ad unanimità. Fra le varie domande di cambio pervenute alla Società il Consiglio sarebbe di avviso di accogliere quella fatta dairUni- versità di California. L’Assemblea approva. Il tesoriere Aichino presenta i bilanci preventivi 1907 e consuntivi 1906 per l’amministrazione sociale e per quella del legato Molon, coi relativi incartamenti. Rende conto delle varie partite e confronta i risultati del consuntivo cogli stanziamenti preventivati pel 1906, riscuotendo il plauso dell’Assemblea. XXII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE I detti bilanci sono riassunti come segue: Bilancio consuntivo della Società. Anno 1906. Entrate dal 1° gennaio al 31 dicembre 1906 L. 5 322,33 Spese » » » 4 910,03 Eccedenza entrate L. 412,30 Cassa al 1° gennaio 1906 » 747,25 Eccedenza attiva al 31 dicembre 1906 L. 1159,55 Bilancio consuntivo dell’Amministrazione del legato Molon. Anno 1906. Entrate dal 1° gennaio al 31 dicembre 1906 L. 680 — Spese » » » 32 — Eccedenza entrate L. 648 — Cassa al 1° gennaio 1906 » 3 142,77 Eccedenza attiva al 31 dicembre 1906 » 3 790,77 Bilancio preventivo della Società. Anno 1907. Entrate. 1. Tasse sociali . . . L. 3000 — 2. Interessi del legato Molon » 318,75 3. Interessi diversi. . » 903,75 4. Vendita bollettini . » 200 — 5. Concorso del Mini- stero di A. I. e C. sull’esercizio 1906- 1907 » 500 — 6. Vendita distintivi so- ciali » 16,50 Spese. 1. Stampa del Bollet- tino L. 3200 — 2. Contribuzione per tavole ed altre il- lustrazioni . . . » 800 — 3. Distribuzione del Bollettino ed altre spese postali . . » 300 — 4. Spese di cancelleria, circolari, marche da bollo, ecc. . . » 200 — 5. Tassa di manomorta » 27,52 6. Rimborso spese di viaggi al Segreta- rio e Tesoriere . » 180 — 7. Per aiuti al Segre- tario » 35 — 8. Spese diverse ed e- ventilali .... » 196.48 Totale entrate L. 4939 — Totale spese L. 4939 — RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXIII Bilancio preventivo dell’ Amministrazione del Entrate. 1. Residuo attivo al 1° gennaio 1907 . L. 3 780,77 2. Interessi del legato Molon » 637,50 Totale L. 4 428,27 }gato Molon. Anno 1907. Spese. 1. Tassa di manomorta. L. 32 — 2. Residuo attivo al 31 dicembre 1907. » 4 396,27 Totale L. 4 428,27 Messo in discussione il bilancio preventivo del 1907 il socio Lattes dice che a suo parere non si può stabilire, nè approvare un preventivo se prima non è approvato il consuntivo, perchè quello è subordinato alle risultanze di questo; non sarebbe alieno a fare una proposta in questo senso. Il socio Neviani dice che se il socio Lattes mantenesse la proposta alla quale ha accennato, essa dovrebbe seguire una speciale procedura poiché sarebbe diretta a modificare lo Statuto. Infatti per l’art. 8 solo nell’adunanza ordinaria estiva si appro- vano i bilanci e si adottano le deliberazioni concernenti l’am- ministrazione della Società. Dopo breve scambio di schiarimenti al quale prendono parte anche il consigliere Pantanelli, il tesoriere Aichino ed il Se- gretario, il socio Lattes recede dalla sua proposta raccoman- dando però che insieme all’avviso di convocazione dell’adunanza invernale venga distribuito non soltanto il bilancio preventivo coi soli risultati finali del consuntivo, ma il consuntivo stesso particolareggiato. Il Presidente trova utile l’innovazione, ne propone l’ado- zione e l’Assemblea l’approva. Senza altre osservazioni sono pure approvati i bilanci pre- ventivi 1907 della Società e del legato Molon. Dovendosi provvedere, a termini dell’art. 12 del Regolamento, alla costituzione della Commissione del Bilancio, l’Assemblea ad unanimità conferma pel 1907 i commissari uscenti Cermenati, De Angelis d’Ossat e Verri. XXIV RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE Il Presidente propone che l’adunanza estiva si tenga a Torino nella prima metà di settembre e tratteggia le linee prin- cipali del programma che potrebbe comprendere: il primo giorno, quello di apertura, dedicato a Torino ed ai suoi Musei, il se- condo giorno per l’anfiteatro morenico di Rivoli, e l’esame delle varie pietre verdi che vi affiorano, il terzo giorno per il Mio- cene di Superga, il quarto per l’Oligocene e l’Eocene di Gassino, il quinto e sesto giorno per i ghiacciai, le morene recenti ed i terreni alpini dell’alta Valle d’Aosta; vi potrebbero susseguire brevi gite suppletive a volontà, sia alpinistiche, sia geologiche (gruppo del M. Bianco, Piccolo o Gran S. Bernardo, serie ter- ziaria di Val Scrivia, ecc.), sia mineralogiche (Brosso e Traver- sella), sia paleontologiche (Sciolze, Astigiana, Stazzano, ecc.). L’Assemblea approva ad unanimità. Il Segretario presenta l’elenco degli omaggi pervenuti alla Società dopo l’adunanza di Sestri Levante: Anderson C. N.: A preliminari/ list of fossi! Mastodon and mammouth remains in Illinois and laica. — Udden J. A.: On thè proboscidean fossils of tlie pleistocene deposits in Illinois and loica (Augustaua library i ublications n. 5). Rock Island, 111. 8°. 1905. Bassani F. e Galdieri A.: Sulla caduta dei projetti vesuviani in Ottajano durante Veruzione dell’aprile 1900. 8°. Napoli, 1906. Colomba I-.: Baritina di Traversella e di Brosso. 8° Roma, 1906. De Angelis d’Ossat A.: A propos des Observations sur quelques travaux relatifs au genre Lepidocyclina par M. Robert Douvillé. 8°. Paris, 1906. Heim A.: Geologische Begutachtung der Greinabahn. 8°. Zurich, 1906. — Ueber die nordóstlichen Lappen des Tessinermassives. — Die vermein- tliche « Geivòlbeumbiegung des Norclfliìgels der Glarnerdoppel falle » sùdlich voni Klausenpass, eine Selbstlcorrektur. 8°. Zurich, 1906. Meli R.: Escursioni geologiche eseguite coti gli allievi ingegneri della R. Scuola di Applicazione di Roma nell’anno scolastico 1905-1900. 8". Roma, 1906. Mercalli G.: La grande eruzione vesuviana dell' aprile 1906. 8°. Firenze, 1906. — Alcuni risultati ottenuti dallo studio del terremoto calabrese dell’8 set- tembre 1905. 8°. Napoli, 1906. MlLLOSEVlC F. : Appunti di Mineralogia Sarda. Il giacimento di Azzur- rite del Castello dif Borirei, presso Mara, con alcune osservazioni sulla formazione dei carbonati di rame naturali. 8°. Roma, 1906. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXV PALERMO A.: Agli uomini ed alla Scienza. Rivelazioni. 8°. Buenos Aires, 1906. Raffaelli G. C.: Le nubi temporalesche. 8°. Genova, 1901. — Gli Osservatorii di Monte Renna e di Santo Stefano d’Aveto. 8°. Ge- nova, 1904. Ricciardi L.: Il Vulcanismo nella Mitologia e nella Scienza. 8°. Na- poli, 1907. SACCO F. : Réunion extraordinaire de la Société Ge'ologigue de France en Italie à Turin et à Genes en 1905. 8°. Paris, 1906. Società Italiana di Scienze Naturali in Milano: Indice gene- rale dei lavori pubblicati dalla sua fondazione a tutto settembre 1906. 8°. Milano, 1906. Toniolo A. R. : Cavità di disfacimento meteorico nel Verrucano del Monte Pisano. 8°. Firenze, 1906. — Riscontri su recenti oscillazioni dei Ghiacciai dei Gruppi Sorapiss e Cristallo nelle Alpi cadorine (Autunno 1905). 8°. Firenze, 1906. Trener G. B. : Geologiche Anfnahme ivi nordlichen Abhang der Presa- nellagruppe. 8°. Wien, 1906. Poscia il Segretario legge il titolo delle memorie e note pre- sentate dai soci per la stampa nel Bollettino: Seguenza L., Nuovi resti di mammiferi politici (10 gen- naio 1907). Silvestri A., Considerazioni paleontologiche e morfologiche sui generi Operculina , Heterostegina, Cyloclypeus (11 gennaio 1907). Checchia-Rispoli G., Sopra un crostaceo clell’eocene medio dei dintorni di Bagheria in prov. di Palermo (16 marzo 1907). Pagani IL, Linea di faglia e terremoti del Pesarese (18 marzo 1907). De Angelis d’Ossat G., I noduli-silico-mangano- ferrosi nei dintorni eli Poma (22 marzo 1907). Il socio Verri nel presentare il manoscritto di una nota in- titolata: Una sezione nel Monte Verde, dice: L’anno 1905 accennai ad una sezione della Collina di Villa S. Carlo, la quale mi mostrava un periodo di erosione, inter- posto tra l’espandimento del tufo lionato litoide del Vulcano Laziale ed i depositi con molluschi d’acqua dolce del Monte Verde. Poiché quella sezione, interessantissima per la storia tisica del territorio romano, deve essere distrutta, ho sollecitato i col- XXVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE leghi De Angelis e Napoli a fissarne il ricordo colla fotografìa che presento. Nella occasione comunico una Nota, colla quale mi sono studiato di porre in rilievo le condizioni delle forma- zioni del Monte Verde rispetto a quelle delle colline adiacenti. Nelle ricerche intraprese a tale scopo, ho trovato, incastrata in un banco delle ghiaie con elementi trachitici, una roccia con- tenente molti e belli cristalli di augite, la quale spiegherebbe la presenza di questo minerale nelle sabbie di Malagrotta, de- scritte recentemente dal collega Clerici. Più ho veduto che la massa delle ghiaie con elementi trachitici, cavate presso la pia- nura del Tevere al piede delle colline del forte Portuense, posa direttamente sopra marne plioceniche contenenti Pteropodi. Nella Nota stessa riferisco di questi travamenti, i quali credo nuovi, colle considerazioni che l’insieme delle cose mi suggerisce, circa gli avvenimenti geologici della Campagna di Poma. Per deli- neare quegli avvenimenti abbiamo il non piccolo risultato di poter affermare che, dopo la scesa, nel bacino di Roma, delle ghiaie con elementi trachitici ed augitici, al nord del bacino stagna- rono acque non più adatte alla vita marina, mentre al sud la- gune salmastre si estendevano sulla contrada del Monte Verde. Possiamo quindi seguire passo passo il progressivo allontana- mento del mare, e stabilirne i rapporti colle manifestazioni del vulcanismo. Il vice presidente Poktis presenta il manoscritto di una nota intitolata: Di due notevoli avanzi di carnivori fossili dai terreni tufacei di Roma, e ne riassume il contenuto mostrando il ma- scellare di Ursus, e le fotografìe del cranio di Felis illustrati nella nota stessa. Dipoi fa una comunicazione colla quale conclude non essere ancora dimostrata in Italia la contemporaneità dell’uomo paleo- litico coll’elefante antico, l’ippopotamo e il rinoceronte (’). Il socio Franchi presenta ed illustra una collezione di nefriti di giacimenti della Liguria orientale mandata al R. Ufficio geo- logico dal prof. Kalkowski (2). P) Vedi a pag xxviii. (2) Vedi a pag. xxx. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXVII Il Presidente in considerazione della importante scoperta di roccie nefritiche in Liguria, facendosi interprete dei desideri dell’assemblea, prega il socio Franchi di dare nella sua comuni- cazione un ampio riassunto del lavoro del Kalkowski. Il socio Verri propone che l’indomani si faccia una escur- sione sociale a Tivoli e ne svolge il programma. Essendo esaurito l’ordine del giorno, la seduta è tolta alle 11,45. Il Segretario Enrico Clerici. APPENDICE AL VERBALE I. È DIMOSTRATA LA CONTEMPORANEITÀ DELL’UOMO PALEOLITICO COLL’ELEFANTE ANTICO, L’IPPOPOTAMO ED UN RINOCERONTE IN ITALIA? Comunicazione del dott. Alessandro Portis A moltiplicate riprese, insistentemente, da autori diversi, venne annunziata la scoperta in particolari località italiane di documenti comprovanti che l’uomo paleolitico aveva coesistito coWElephas antiquus Pale., 1 ' Hippopotamus amphibius Limi, od anche Pentlandi Cuv. ed il Bhinoceros Merchi Kaup et Jaeg. od anche tichorhinus Piseli., senza contare altri grandi animali estinti o migrati ; ed aveva lasciato le proprie vestigia commiste nello stesso deposito con le ossa di detti mammiferi. Ultimamente (*) ciò è stato affermato per Capri. Nessuno degli affermati rinvenimenti ebbe la fortuna di reg gere davanti ad una logica discussione condotta su di un critico e freddo esame dei dettagli del giacimento in cui, da un solo osservatore si affermavano rinvenute le tracce della umana in- dustria nella detta associazione: nessuno di essi potè finora venir (') Cerio, Bellini, Pigolóni, Materiali paietnologici dell’isola di Capri. Parma, Bollett. d. Paletnologia ital., voi. 32, 1906, pag. 1-16. — Co- lini G. A., Le scoperte archeologiche del Dott. C. Rosa nella valle della Vibrata e la civiltà primitiva degli Abruzzi e delle Marche. Parma, Boll. Paletnol. ital., voi. 32, 1906, pag. 117-173, 181-268, con Carta, figg. e tavv., particolarmente pag. 218-222 e pag. 162-153. — De Biasio A., L’epoca chelleana nell'isola di Capri, Riv. ital. se. nat., Siena, voi. 26, 1906, pag. 25-32, con 4 figg. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXIX accettato come certo da naturalisti critici, specie geologi, nella interpretazione loro data dai paletnologi. Io sono stato uno degli ultimi a rifiutarla insistentemente per tutti i casi che potei esa- minare. Il caso di Capri non si sottrae disgraziatamente esso nep- pure alla comune dolorosa sorte. Neppur pel medesimo non puossi, non posso accettare la invocata associazione; e non si può accettare perchè essa è recisamente, in sole cinque pagine della sua lettera, due volte negata dallo inventore, descrittore principale della scoperta: il Cerio; colle parole sue stesse che testualmente trascrivo « questa argilla, alla cui superficie » furono trovati gli oggetti paleolitici, ed in tutto il suo spes- » sore ossa fossili » ('). Queste per una prima volta; e per la seconda (2) dice invece: « Gli avanzi della industria umana » rinvenuti alla sua superfìcie, le ossa di giganteschi vertebrati » riscontrati nella sua massa, sottostanti tutti a materiali vul- » canici dimostrano che ». Io non saprei formulare più recisa affermazione della non coesistenza nello stesso giacimento degli avanzi della umana industria colle ossa dei giganteschi vertebrati che colle due frasi trascritte dal testo del dott. Cerio! (*) (*) Cerio Ignazio, pubblio, cit., a pag. 5. (2) Cerio Ignazio, pubblio, cit., a pag. 7. XXX RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE IL SULLA SCOPERTA DI ROCCIE NEFRITICHE ISELLA LIGURIA ORIENTALE Comunicazione dell’ing. S. Franchi Il prof. Ernesto Kalkowski di Dresda, illustre petrografo, da noi tutti conosciuto di nome, ha intrapreso fra il 1900 e il 1906 lo studio delle roccie ofiolitiche affioranti nell’Eocene della Liguria orientale, e pubblicherà fra breve un ampio la- voro, in cui si occuperà oltre che dei rapporti reciproci delle diverse roccie basiche fra loro, anche di quelli rispetto alla for- mazione scistosa che le comprende, e della loro età. Nel corso del suo studio il Kalkowski è stato condotto alla scoperta di numerosi giacimenti di roccie nefritiche, ed egli, visto il grande interesse che presenta tale scoperta dal doppio punto di vista petrografia e paletnologico, credette opportuno dare notizia di essa in un lavoro a parte, che venne pubbli- cato nello Zeitsclirift der deutschen geologischen Gesellschaft (Jahrgang 1906, Heft 3). Il prof. Kalkowski ebbe il gentile pensiero di mandare una collezione di una ventina di campioni dei principali tipi di nefriti da lui scoperti, al R. Comitato geologico, e volle fare le cose da signore, mandandoli segati e lucidati, il che accresce di molto il valore della bella collezione. Certo di fare loro cosa grata, col permesso del Capo ufficio, io presento ai colleglli questa primizia petrografica. Come vedrete non si tratta delle belle ne- friti della Siberia, della China e della Nuova Zelanda, d’un bel verde vivo e traslucide, cioè di nefriti nobili; esse invece hanno tinte bigiastre, o bigio- verdastre o bigio-bluastre, ed i cam- pioni che vedete non presentano traslucentezza apprezzabile. Il prof. Kalkowski nel suo interessantissimo e diligente studio, citato sopra, fatto con serena cura, espone con una semplicità e RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXXI modestia che distinguono gli uomini di alto merito, come quasi per caso egli sia giunto a scoprire le nefriti ed il loro modo di giacimento, solo dopo diversi anni che percorreva a scopo di studio le regioni dove esse esistevano, fermandosi non di rado sopra masse di tali roccie senza sospettarne la natura. E veramente esse sono assai poco caratteristiche di aspetto, e senza il carattere della tenacità non si potrebbero in cam- pagna distinguere da molti tipi di serpentine e di saussuriti. Questo fatto appunto il Kalkowski adduce a parziale giu- stificazione propria e dei geologi italiani che avevano studiato la regione, senza scoprirvi quella interessante roccia anfibolica, che pure non vi è rara. Dopo che un campione, da lui ritenuto saussurite, raccolto sulla spiaggia di Sestri, fu dal suo preparatore dichiarato ana- logo ad alcune nefriti siberiane, e da lui stesso riconosciuto al microscopio come nefrite, tornò in Italia per cercarne il giaci- mento e lo trovò sulle indicazioni, avute da un vecchio mina- tore, dell’esistenza di masse rocciose durissime, dette carcaro, che nella miniera di Li biola si troverebbero nella serpentina prima di raggiungere le masse minerali. Allora il Kalkowski cercò e trovò i primi giacimenti di nefrite nella massa serpen- tinosa presso il passo S. Domenico a N. 0. di Sestri, e nel- l’anno seguente quelli del Monte Bianco, del M. Pu, della Casa Bonelli (sotto M. Teghin) a Libiola, a Gallinaria, sulla strada da Sestri a Spezia (km. 73,5 e 74), a Mottarana, presso Levanto e presso Monterosso; in tutto nove giacimenti in posto con 22 masse distinte. Esse costituiscono noduli più o meno grandi (fra 1 dcm. e m. 1,50) inclusi nelle serpentine, che ne sarebbero costantemente le roccie madri, ed in cui si sarebbero svilup- pate per nefritizzazione delle medesime, per un fenomeno di dinamo-metamorfismo che sarebbe sempre, secondo Kalkowski, in rapporto ad importanti ed estese fratture. Comunque sia di questo concetto genetico, di cui aspettiamo la documentazione nel grande lavoro sulla geologia della Liguria orientale che promette il Kalkowski, non meno che quella del fatto nuovo che egli afferma, che cioè la diabase, nelle sue forme vetrosa, spilitica, variolitica, porfiritica e granulare si intruda nelle masse, preesistenti e intimamente associate, della XXXII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE serpentina e dell’enfotide, metamorfosando anche gli scisti, sta il fatto che i giacimenti di nefrite scoperti sono delle masse isolate nella serpentina. Nel suo lavoro Kalkowski dà delle diligenti diagnosi pe trografiche e riferisce pesi specifici e analisi chimiche, eseguite dal dott. 0. Mann di una nefrite, del Carcaro, che anziché at- tinolite è pirossenite compatta, ecc. Oltre all’attinoto in elementi minuti ed a struttura feltrata, che è il costituente essenziale delle nefriti, si trovano in quelle liguri: clorite, diopside, diallagio, granato, epidoto, clinozoi- site, picotite, ossidi e solfuri metallici. L’autore distingue molti tipi di nefriti, che dice roccie, e che io credo si potrebbero forse denominare perciò nefrititi , in base ad elementi accessori im- portanti (nefriti cloritiche, dialagiche, calcitiche, a diopside), al colore (grigio-bluastre, grigio-verdastre, azzurre, ecc). Nei cam- pioni che avete davanti alcuni tipi si potrebbero scambiare per serpentine, talora con vene d’asbesto, altri per eufotidi saussu- ritizzate ; invece il costituente essenziale è sempre l’anfibolo, per cui il Kalkowski parla di nefritizmsione delle serpentine e delle vene di crisotilo, e considera il diallagio come un relitto della roccia, serpentina diallagica, primitiva. Chi parla ed alcuni suoi colleglli trovarono molti giacimenti di gicideititi e di cloromelanititi associati sempre con eclogiti, nelle Alpi e nella Liguria occidentale, e chi scrive descrisse pure una roccia nefritoide di valle Grana, costituita da attinoto e clorite, che potrebbe trovare posto colle nefriti cloritiche del Kalkowski (*), ed ebbe a notare che roccie nefritoidi si potreb- bero dire molte forme di roccie a glaucofane ad elementi minuti ed a tessitura feltrata le quali delle nefriti posseggono pure la grande tenacità ; esse si potrebbero chiamare glaucofaniti ne- fritoidi. Di queste sono costituiti alcuni bei manufatti delle ca- verne liguri (2). (') Sopra alcuni giacimenti di roccie giadeiticlie nelle alpi occidentali e nell’ Appennino ligure (Boll. R. Com. geo!, it., anno 1900, N. 2, p. 149). (2) Vedasi il mio lavoro: I giacimenti alpini ed appenninici di roc- cie giadeitiche ed i manufatti di alcune stazioni neolitiche italiane. (Atti del Congresso internazionale, di scienze storiche. Roma 1909. Voi. V7, Sezione IV: Archeologia). RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXXIII La interessante scoperta dei giacimenti di nefriti fatta dal Kalkowski oltre che completare la lacuna che rimaneva dopo la scoperta dei giacimenti di giadeiti alpini ed appenninici, ci addita la via e ci lascia una fondata speranza per la scoperta, anche nelle regioni liguri-alpine occidentali, di altri giacimenti di nefriti, fra cui forse qualche tipo, meno dissimile di queste liguri, dalle belle nefriti orientali. ni ESCURSIONE A TIVOLI Relazione sommaria di A. Verri ed E. Clerici I colleglli Canevari e Cortese, incaricati di rilevare i terreni secondari dei dintorni di Tivoli, l’anno 1881 rendevano conto del loro studio nel Bollettino del R. Comitato geologico. L’anno 1888 l’Ufficio geologico pubblicava la Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe, la quale comprende anche i monti Tiburtini. L’importanza delle formazioni componenti quei monti, l’avere letto nella pubblicazione di Canevari e Cortese che le roccie Basiche vi si presentano fossilifere, l’attrattiva di godere un paesaggio pittoresco abbellito dalla celebre cascata dell’Aniene, invogliarono i soci convenuti all’adunanza invernale di fare una escursione a Tivoli: escursione che prometteva di riuscire istrut- tiva, mercè gli studi suindicati. Presero parte alla escursione: il presidente Sacco e la sua gentile signora, i soci Clerici, Neviani, Pantanelli, Rovereto, Verri e Zamara. I fossili raccolti nella escursione furono esaminati dal prof. Pa- roma che di buon grado accolse il nostro desiderio di procurare la determinazione di quelli il cui stato di conservazione meglio lo permettesse. II programma comprendeva: a) passeggiata sulla strada da Tivoli a Quintiliolo, dalla quale si gode altresì il panorama meraviglioso della Città, della Cascata principale e delle Casca- tene, nelle quali l’acqua precipita divisa in ruscelli dopo avere mosse le macchine degli opifìci; b) passeggiata sulla mulattiera che, passando per Casale S. Angelo, s’addentra nella insella- tura tra il Colle Lecinone ed i Colli Piano, Rampino, Lucco; c) visita alla grande Cascata. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXXV Dalla gola detta del Torello, per la quale il Tevere esce dalle vallate dell’Umbria, alla gola dove l’Aniene sbocca nella Campagna romana, le catene ultime del Subapennino mostrano — nelle linee generali — frammenti d’una grande anticlinale spac- cata, di cui il ramo est elevato compone la montagna, la de- pressione del ramo ovest è la causa della costituzione della val- lata tiberina. Per tale disposizione ad ovest sono scoperte le formazioni secondarie più basse: il Lias inferiore e qualche affio- ramento di Uetico come per es. presso Palombara e Marcel lina; alle loro testate tronche sono addossati sedimenti pliocenici ma- rini e salmastri, e vari depositi quaternari. In alcuni punti delle pendici si vede ancora la roccia bucherellata dai litodomi del mare pliocenico. Uno dei frammenti più grossi della grande anticlinale è il monte Gennaro, ed un lembo di questo frammento sono i monti di Tivoli. La sezione dei monti prossimi a Tivoli, sulla destra dell’Aniene, presenta quindi disposizione uniclinale nei terreni secondari. Gli strati del Lias medio e superiore, del Titanico, addossati al Lias inferiore, inclinano verso la valle interna del- l’Aniene. Di solito, tra le roccie massiccie del Lias inferiore fortemente rialzate, e le formazioni soprapposte, sta una zona nella quale gli strati sono assai più tormentati, perchè da una parte spinti ad elevarsi dalla pressione d’una grande massa rigida, dall’altra caricati potentemente dalle formazioni superiori. Naturalmente gli strati più tormentati devono essere quelli del Lias medio. Il Lias superiore composto da roccie marnose, e quindi di na- tura più plastica, modera il tormento delle masse titoniche sopra- stanti, le quali sono anche meno gravate di carico. Non di rado accade che, e per scorrimento facilitato dall’intermezzo plastico, e per la coercizione minore sentita dalle masse superiori, taluna * di queste venga a contatto col Lias inferiore, simulando trasgres- sioni. Anche nella nostra breve gita si ebbe occasione di vedere questi fatti. La Carta geologica, nella planimetria e nelle sezioni, segna composti dalle roccie massiccie del Lias inferiore i Colli Lecinone e Sterpare ; addossato ad esso il Lias medio del Colle di S. An- XXXVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE tonio e del Colle Lacco; segue una zona stretta di Lias supe- riore, e poi il Titonico che forma i Colli Piano e Rampino. La balza della strada che va alla Madonna di Quintiliolo, tagliata negli strati del Lias medio, presenta sezioni bellissime di contorsioni straordinarie, che dicono quanto tormento abbia subito quella massa, nei movimenti pei quali furono sollevate queste montagne. Presso S. Antonio la roccia costituita da calcare marnoso bigio verdastro alternato con strati un po’ argillosi contiene resti limonitizzati di ammoniti. Vi raccogliemmo i fossili seguenti : Terebratula Unite ri Cat. Koninckella fornicata Can. (Leptaena). Phylloceras Nilssoni Héb. JRhacophyllites libertus Gemili. » eximius Hauer (?) Harpoceras sp. Delle zonale di calcare interposto sono gremite di articoli di crinoidi riferibili a: Pentacrinus jurensis Quenst. Peni, pentagonalis Goldf. Miller icrinus liutisti tanni Roem. La mulattiera che, passando pel Casale S. Angelo, prosegue nell’insellatura tra il Colle Lecinone ed i Colli Piano, Rampino, Lucco, cammina per lo più sulle roccie del Lias superiore: calcaree marnose e marne grigio-verdognole con fucoidi. 11 piano imper- • limabile delle marne liasiche, trattenendo le acque assorbite dai calcari titonici, determina la scaturagine di sorgenti tutte le volte che l’acqua può raccogliersi in pieghe degli strati marnosi: due fonti sono segnate pure sulla Carta topografica. Nella insellatura che divide il displuvio tra le due fonti, il Lias superiore ed il Titonico vengono a contatto o quasi del Lias inferiore. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXXVII Nel tratto della mulattiera, che attraversa la piega del terreno sopra Casale S. Angelo, tra le quote 425 e 450 vedemmo alcuni lembi di marne grigie contenenti alla parte detritica superficiale molte concrezioni calcaree o noduletti calcarei più o meno in- duriti da farle rassomigliare, per (mesto particolare, a formazioni terziarie ; mentre per altri riguardi sembrerebbe che apparten- gano alle marne del Lias superiore, le quali sono in posto a circa quota 525 un 400 metri più avanti. Poco sopra il Casale S. Angelo, e prima di giungere al primo lontanile nel calcare cereo-compatto del Lias medio si raccolsero alcuni campioni con fossili, e cioè: Atractites italicus Micheli Atractites orthoceropsis Mgh. secondo Fucini). Phylloceras sp. Harpoceras sp. Cidaris Terrenzii Parona. Lungo la mulattiera s’incontrò un piccolo banco di materie vulcaniche, aventi l’aspetto di rigetti piovuti là originalmente. Infatti non contengono detriti dei vicini calcari, che probabil- mente non vi mancherebbero se si trattasse di materiali prove- nienti dal dilavamento di materie cadute sui monti circostanti. È costituito da lapillo minuto, più o meno alterato, di colore bruno a verdiccio, che non offre caratteri appariscenti coi quali si possa dedurre il posto occupato nella serie stratigrafica dei prodotti del Vulcano Laziale. Vi si possono isolare molti cri- stalletti di augite verde-bottiglia spesso dotati di pleocroismo appena sensibile, con faccie rugose ed irti di punte alle estre- mità; nonché alquanta apatite in piccoli cristalli e loro fram- menti, limpidissimi o con qualche inclusione del colore dell’augite. Quel tufo contiene anche poca biotite per lo più alterata, poca magnetite, melanite, residui vetrosi e molti prodotti d’alterazione giallastri. Ammassi di terre vulcaniche furono veduti pure lungo la strada di Quintiliolo, ma qui mescolate a frammenti di roccie calcaree, epperciò indicanti trasporto operato dalle acque correnti di rigetti piovuti sopra ai monti. XXXVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE Al primo fontanile la mulattiera passa su strati di calcare marnoso cenerognolo, superficialmente disfatti, impregnati d’acqua e ridotti simili ad argilla. Vi trovammo: Posidonotnya Bronni Goldf. Un piccolo Pecten Un piccolo Aptychus lamelloso. Al secondo fontanile sono visibili i calcari marnosi cenero- gnoli e verdicci e quelli rossi con fucoidi ed ammoniti. Si rac- colse : Una Lima (Plagiostoma) sp., nel calcare marnoso ver- diccio con Posidonotnya Bronni Goldf. Bhacopìiyllites lariensis Menegh., nel calcare rosso Cidaris Terrenzii Parona, nei crostoni calcarei pieni di criuoidi e di detriti di altri fossili. In conformità dei dati delle osservazioni i fossili determi- nati dal prof. Parona rappresentano due orizzonti : la parte superiore del Lias medio (domeriano di Bonarelli) passante gra- datamente alla parte inferiore del Lias superiore e più preci- samente alla zona con Posidonotnya Bronni. Già Canavari e Cortese, senza imbattersi in questa forma, avevano notato la somiglianza dei calcari marnosi cenerognoli e verdicci con quelli con Pos. Bronni dei dintorni di Spezia e della Catena metallifera. La nostra escursione, col ritrovamento di essa, ha confermato la giustezza delle loro deduzioni. Inoltre il Parona li ha riconosciuti identici a q nel li che nel Bresciano costituiscono appunto gli strati con Pos. Bronni. Interessante è altresì il rinvenimento del Cidaris Terrenzii Par., trovato dal Parona fin dal 1883 tra i fossili del Lias medio dell’Appennino centrale e più tardi anche nel Lias medio di Gozzano. Quanto alla Lima ed al Pecten il prof. Parona crede appartengano probabilmente a forme non ancora conosciute, ma gli esemplari non sono sufficientemente conservati per arrischiare diagnosi e nomi nuovi. Come la cascata del Velino nella Valnerina, come le cascate del Liri, la cascata dell’Aniene pare sia da attribuire al rial- RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXXIX zamento nel piano della valle operato da acque incrostanti, nel tempo della grande attività vulcanica. Egualmente che in quelle del Velino e del Liri, la roccia incassante l’Aniene alla cascata è composta da incrostazioni mammellohari attorno piante, e da altri depositi di natura analoga. Egualmente che nelle incro- stazioni zonate mammellonari della Valnerina, della valle del Liri, ed anche dei Parioli presso Roma, pure in quelle del- l’Aniene si videro le caratteristiche impronte ovoidali, che da alcuni si credono dovute a larve di friganidi, ma la cui ori- gine non fu ancora discussa in modo esauriente. Le parti sab- biose e marnose intercalate alle incrostazioni, tuttora in forma- zione, contengono gusci di foraminifere e molti resti silicei di spongiari. . * ... -I «fc. . ^ V..'. UNA SEZIONE NATURALE NEL MONTE VERDE Nota del M. Generale A. Verri Per la prima volta, nella letteratura geologica della Cam- pagna di Roma, trovo descritte le formazioni del Monte Verde dal von Buch. Parla egli del tufo lionato litoide là cavato per costruzioni, e lo indioa coperto dal tufo che si estende sul Gia- nicolo, nel quale tufo dice che appaiono i segni di deposito sotto un’acqua agitata da movimento ondoso. Reputa pure il tufo litoide una deposizione subacquea, bensì in acque più tranquille, e lo giudica composto da tre strati distinti per colore più ac- ceso o più scuro. Dice essere il tufo del Monte Verde una roccia del tutto simile a quella del Campidoglio e dell’Aven- tino (*). Il Terrigi pubblicò la sezione della cava di tufo aperta nella vigna dei Cinque Camini, presso Vigna Pia. Pone sopra al tufo litoide un banco di tufo fangoso, e sopra questo una formazione alluvionale. Distingue nel tufo litoide più banchi ; dice che non offrono neppure le tracce di rimescolamenti ope- rati dalle acque ; conclude per considerarli il risultato delle eru- zioni di prodotti vulcanici diversi, emessi allo stato pastoso da bocche non lontane, con eruzioni succedutesi ad intervalli bre- vissimi di tempo (2). Il Clerici descrisse il calcare argilloso e la marna argillosa del Monte Verde, ne pubblicò una sezione dettagliata, coi fos- sili raccolti nei diversi banchi soprastanti al tufo litoide; con- cludendo per giudicarli quali depositi fluvio-lacustri post-plioce- C) Geognostische Uebersicht der Gegend von Eom. Berlin 1801. (2) Le formazioni vulcaniche del Bacino romano considerate nella loro fisica costituzione e giacitura. Atti. R. Acc. Line., 1881. 2 A. VERRI ilici, addossati ad una scarpata a testate tronche delle sedi- mentazioni plioceniche marine. Reputò di trasporto accidentale alcune valve di Cardimi edule assai logorate, trovate nelle ghiaie della collina che sta davanti alla stazione di S. Paolo (*). Il Portis descrisse le formazioni della Vigna di S. Carlo, notando pur esso dettagliatamente la sedimentazione soprastante al tufo litoide. Per le valve di Cardimi trovate dal Clerici, per un campione di ghiaie contenente frammenti di Pecteu, per abbondantissimi frantumi di Lithothamniuni pliocaenicum inclusi nel calcare argilloso, giudicò di origine marina i depositi so- prastanti al tufo litoide, e questo tufo quale prodotto di rigetti vulcanici accumulati sott’acqua, che doveva essere marina, ma può essere divenuta di poi continentale (*). Il Tellini disegnò la formazione della collina di S. Carlo, e delle colline prossime, come composta dal tufo litoide sopra al quale stanno depositi di acque dolci del Quaternario (3). Il Sabatini rilevò una sezione della collina che sta davanti alla Stazione di S. Paolo, segnando sopra al tufo litoide depo- siti con fossili d’acqua dolce (4). Il De Angelis, per lo studio delle acque sotterranee del Monte Verde, prese a base la Carta geologica del Tellini e di- segnò varie sezioni. In esse si vede la parte ad occidente com- posta da marne di stagno, ghiaie, sabbioni di duna; la parte ad oriente composta dal tufo litoide che passa ad un tufo omo- geneo stratificato, sopra al quale posano ghiaie sabbiose calca- ree e silicee, argille marnose e marne, sabbie silicee, travertini. Le formazioni orientali sono addossate ad una scarpata con testate di strati tronchi di quelle occidentali (5). (*) Sopra alcune formazioni quaternarie dei dintorni di Noma. Boll. R. Coni. geol. 1885. — Sopra una sezione geologica presso Noma — Sulla Corbicula fluminalis nei dintorni di Noma e sui fossili che l’accompa- gnano. Boll. soc. geol., 1888. (2) Contribuzioni alla storia fisica del bacino di Noma, e studi sopra l’estensione da darsi al Pliocene superiore. Torino, L. Roux, voi. I, 1893. (3) Carta geologica dei dintorni di Noma (regione alla destra del Te- vere). Roma, 1893. (4) Vulcano Laziale (Memorie descrittive della Carta geologica d'Italia pubblicata dal N. Ufficio geologico), 1900. (5) I veli acquiferi di Monte Verde. Boll. Soc. lag. Ardi, it., 1900. DNA SEZIONE NATURALE NEL MONTE VERDE Poiché da tanti studiosi sono stati descritti cosi dettagliata- mente i terreni del Monte Verde, il presentarne oggi una sezione, la quale ripete che sopra al tufo lionato litoide posano depositi con molluschi di acqua dolce, che quel tufo e questi depositi sono addossati ad una scarpata di roccie d’origine marina, può portare ancora un contributo utile alla conoscenza della strut- tura fisica della Campagna di Roma? Sarebbe sfoggio intem- pestivo di erudizione l’esporre i quadri degli avvenimenti, che modellarono questa Campagna, abbozzati dal Breislak, dal von Buch, dal Brocchi, dal Ponzi, fondatori della geologia romana. Per la risposta al quesito parto dalla sintesi delle cognizioni acquisite sulla materia, tracciata dal Clerici nel 1886, la quale non ebbe varianti sostanziali sino al 1893 (1). Il riassunto di quella sintesi è: Quando avvennero le eru- zioni dei vulcani Laziali e Sabatini, un bacino lacustre molto esteso occupava la Campagna di Roma. Nei periodi geologici Diluviale ed Alluvionale dovevano immettersi in quel bacino cor- renti ampie ed impetuose, come lo mostrano le ghiaie del Monte Sacro, della Rebibbia, di Tor di Quinto. 11 lento e successivo elevarsi del suolo, il riempimento prodotto dalla deposizione dei tufi vulcanici, l’essere scemata la quantità delle acque che vi affluivano, trasformarono il bacino lacustre in fluviale. Le dif- ferenze di aspetto, che mostrano i tufi vulcanici, devono attri- buirsi alla qualità dei materiali ed alle condizioni speciali in cui si deposero: i prodotti incoerenti eruttati caddero in parte su terra asciutta, impastati qualche volta dalle acque diluviali che accompagnano le grandi eruzioni formarono correnti fangose; parte caddero nel grande bacino lacustre; parte ne cadde in mare producendo tufi analoghi ai precedenti, ma contenenti fos- sili marini. Nel 1893 abbozzai la disposizione, dirò stratigrafica, delle rocce tufacee e pozzolaniche principali, composte dalle eruzioni del Vulcano Laziale, specialmente nel settore NO: complesso di tufi grigi ecc., interpolati tra i sedimenti del bacino di acqua dolce esistente al principio delle eruzioni — pozzolana rossa tipica — pozzolana grigio-scura — grande espandimento di tufo (*) (*) I fossili quaternari del stiolo di Roma. Boll. R. Coin. geol., 1886 4 A. VERRI lionato litoide (1), pozzolana grigio-chiara e rossiccia, la cui eru zione seguì immediatamente quella del tufo suddetto. Il Clerici, venuto colle proprie osservazioni a risultati analoghi, riassu- mendone le conclusioni, aggiunse nelle formazioni vulcaniche principali il conglomerato interposto, con caratteri molto co- stanti, tra la pozzolana rossa e la grigio-scura: aggiunta op- portuna per non perdere l’orientamento in terreni formati da rigetti vulcanici, su territorio per la maggior parte in erosione; quindi in circostanze che possono far mancare eventualmente alcun membro della serie. Con ricerche continue vi intercalò giacimenti diatomeiferi, dimostranti i rigetti dei vulcani essere piovuti quando il mare era ritirato dai dintorni di Roma. L’anno 1894 il Clerici rilevò la serie dei tufi che, generati dai vulcani Sabatini, coprono il territorio al nord di Roma sulla destra del Tevere. L’anno 1898 avvertii, che la pozzolana grigio-scura a volte parzialmente si colora in violaceo, onde risparmiare ad altri l’errore preso da me nel 1893 di indicarne qualche giacimento quale pozzolana rossa tipica. Inoltre affermai il convincimento che il tufo lionato litoide, e la pozzolana grigio-chiara o ros- siccia soprastante siano prodotti di una medesima eruzione. Negli anni 1905, 1906 le ricerche mie sul Bacino al nord di Roma, quelle del Clerici sulle contrade ad ovest hanno con- dotto, tra altro, ad inserire nella serie stratigrafica romana l’o- rizzonte delle ghiaie di calcari, piromache e rocce trachitiche, la cui importanza vedremo che va sempre più delineandosi. Questi gli elementi della serie che interessano più diretta- mente il soggetto. Una scala stratigrafica è il fondamento per (') Nella annotazione a pag. 56 del voi. XII del Bollettino avvertii, che non comprendeva nel grande espandimento di questo tufo alcuni tufi del segmento orientale del rilievo vulcanico, che pure hanno con esso molta rassomiglianza. Non può farmi specie se si trovano in altri luoghi giacimenti simili ; e neppure se qualcuno dei giacimenti isolati, riferiti in quel primo assai difficile studio al grande espandimento solo in base ai caratteri litologici, fossero riconosciuti quali prodotti di altre eruzioni : sarebbero incidenti che niente scemano l’importanza di questo orizzonte, grandissima in qualunque aspetto si guardi. Nella pag. 582 del volume citato leggesi il mio pensiero in riguardo, né per ora ho motivi di cambiarlo. UNA SEZIONE NATURALE NEL MONTE VERDE 5 le applicazioni pratiche della geologia, è l’alfabeto per leggere la storia fìsica elei paese ; ma, in un territorio composto da ri- getti vulcanici e depositi varii di acqua dolce, dove perciò si ripetono facilmente rocce tra loro somiglianti, l’adoperarla con criteri tratti da piccolo campo di osservazioni può talvolta far prendere equivoci, e far nascere confusioni. Dalle ricerche fatte per tentar d’impostare la serie del Vul- cano Laziale, vidi anch’io che al principio delle sue eruzioni una idrografia lacustre era succeduta alla marina nella Cam- pagna di Roma; vidi che, colla eruzione della pozzolana rossa, ebbe fine l’idrografia propriamente detta lacustre, e principio la sistemazione fluviale. Su una campagna tanto vasta e po- chissimo elevata, con fiumi che vi portavano giornalmente un venti milioni di metri cubi d’acqua, ed anche trecento milioni nelle piene, con vulcani che vi facevano piovere masse di ri- getti, era naturale che qua e là nascessero impaludamenti, non ostante l’inalveamento dei collettori : ma la somma delle osser- vazioni mi portava a concludere che, quando avvenne il gran- dioso espandimento di tufo lionato litoide, l’Aniene ed il Tevere avevano un corso ben stabilito. Dal modo come si trova espansa la massa fangosa di quel tufo venne la deduzione, che aveva riempito le valli, e le acque dei fiumi avevano inondato le terre più basse : gli strati con materie affinate, che terminano le masse caotiche del tufo lionato giacenti nelle vallate, appoggiavano la deduzione. Andando avanti, m’apparivano riscavate le valli dell’Aniene e del Tevere; eppoi d’un tratto la scena cambiava, e mi si presentava una sedimentazione d’acqua dolce dentro queste valli, e sui rilievi che le costeggiano, sino ad una quarantina di metri sopra la pianura attuale: la quale sedimentazione attestava un lungo bacino lacustre, esteso dal tronco inferiore dell’Aniene al mare, formato da acque che si erano elevate gradatamente. Ac- cennai sino da allora a cause possibili di tale ristagno delle acque, ed appresso due volte son tornato a parlarne (1). (l) Note per la storia del Vulcano Laziale. Boll. soc. geol., 1893. Rapporti tra il Vulcano Laziale e quello di Bracciano. Boll. soc. geol., 1903. Il Bacino al nord di Roma. Boll. soc. geol., 1905. 6 A. VERRI Vedo dal Bleicher, dall’Indes, dal Meli, dal Clerici descritti dettagliatamente i depositi di Grotta delle Gioie, Monte Sacro, Monte Verde, i quali mi vengono a questo bacino lacustre ('). Il Bleicher li attribuiva alle fiumane straordinarie d’un periodo Diluviano; gli altri li hanno considerati quali depositi di un bacino lacustre, esistente da prima della formazione del tufo lionato litoide; od almeno nato dalle inondazioni dei fiumi, cui l’espandimento del tufo litoide aveva intercettato il corso, col- mando le valli. Veramente le sezioni naturali studiate presenta- vano la massa di questo tufo terminata da stratificazione su- bacquea, eppoi un succedersi di sedimenti con molluschi d’acqua dolce. Capisco che il fatto stesso del trovarsi depositi d’acqua dolce qua e là, sopra ognuna delle formazioni della serie, abbia dovuto consigliare prudente riserbo sul punto della mia sintesi, dove pongo un lungo periodo di sistemazione fluviale tra due grandi bacini lacustri. Alquanto maggiori sono le differenze, se confronto il mio modo di vedere il processo genetico della Campagna di Roma colle ve- dute del Portis (*). Il compendio di queste vedute, per le linee principali attinenti all’argomento, è: La costituzione geologica della riva sinistra del Tevere rispecchia fedelmente quella di destra, dovendosi dare importanza solo accidentale alle variazioni di carattere litolo- (*) Bleicher, Essai d’une mnnographie géologique du Monte Sacre'. Bull. soc. d’hist. nat. de Colmar, 1861; ed altri scritti sulla geologia dei dintorni di Roma. Indes, Sur la formation des tufs, et sur une caverne à ossements des environs de Home. Bull. soc. géol. de France, 1869. Id., Sur la formation des tufs des environs de Home. Bull. soc. géol. de France, 1870. Meli, Notizie ed osservazioni sui resti organici rinvenuti nei tufi leu- citici della provincia di Roma. Boll. R. Coni, geol , 1881. Id., Ulteriori notizie ed osservazioni sui resti fossili rinvenuti nei tufi vulcanici della provincia di Roma. Boll. R. Com. geol., 1882. Id., Sopra alcune ossa fossili rinvenute nelle ghiaie alluvionali presso la via Nomentana al terzo chilometro da Roma. Boll. R. Com geol., 1886. Clerici, Op. citate; Sopra i resti di Castoro finora rinvenuti nei dintorni di Roma. Boll. R. Com. geol., 1887. (2) Op. citata. UNA SEZIONE NATURALE NEL MONTE VERDE 7 gico ed organico; le quali dipendono dall’essere avvenuta la formazione in regione di estuario ricevente correnti torrentizie, ed avente cause che determinavano la deposizione chimica del calcare. Dopo la deposizione delle argille a Pteropodi una serie di oscillazioni, con sollevamento del fondo marino, mutò le con- dizioni di altezza e temperatura delle acque. Vulcani attivi non lontani già avevano disseminato i loro rigetti, sin da quando si depositavano quelle argille. Per un primo parossismo vulca- nico caddero rigetti in tanta copia nel mare, o su fondo vicino allo specchio d’acqua, da formare banchi di tufi stratificati. Suc- cessero depressioni, con ritorno di acque marine sopra alcuni dei punti emersi. Per l’interrimento operato dalle materie im- messe nel mare, per spostamenti parziali delle zolle in cui è rotto il terreno, il bacino romano fu ridotto ad uno spazio fra- stagliato, dove si formavano contemporaneamente sedimenti ma- rini, depositi lacustri e fluviali : da ciò le varietà che si vedono nei tufi, ancorché prodotti dalla medesima eruzione, in una se- conda fase di parossismi manifestatisi in questo periodo. Col- mato quasi completamente il bacino dalle materie eruttate, vi rimasero conche chiuse, nelle quali le acque da salmastre di- vennero dolci; le acque continentali si spansero sul territorio, stratificando i prodotti d’un terzo parossismo vulcanico; poi il Tevere stabilì il corso sull’altipiano posto a secco. L’Apennino non basta a spiegare i banchi ghiaiosi: doveva esservi ad oc- cidente un territorio con forti pendenze (la Tirrenide), poi di- sceso sotto al mare col sollevarsi dell’Apennino. Per la presenza di questo territorio, per depressioni nel bacino di Roma dopo il primo parossismo eruttivo, venne il trasporto e lo spandimento delle ghiaie più antiche; altro abbassamento nel bacino, durante la seconda fase di parossismi eruttivi, favorì un nuovo trasporto di ghiaie ed il loro spandersi sotto le acque litorali (1). I tufi litoidi del Monte Verde furono composti da rigetti caduti den- tro una fossa apertasi nel secondo parossismo vulcanico; i cal- cari argillosi, le marne, le ghiaie, le sabbie in un periodo di p) Il De Stefani invece opinò che la prima origine delle ghiaie del bacino romano sia marina, ma che siano state tolte da scogliere cal- caree, esistenti nell’ambiente dei colli circostanti a Roma (Gli strati subterrestri della Cava Mazzantial Pontemolle. Rend. R. Acc. Lincei, 1904). 8 A. VERRI oscillazioni ascendenti e discendenti, compreso tra il secondo ed il terzo parossismo. Adunque vi sarebbero tre opinioni circa il processo genetico della parte di Campagna Romana, compresa tra PAniene, il Te- vere ed il rilievo montuoso del Vulcano Laziale, sino al tempo dei sedimenti del Monte Verde. Ne segno le linee fondamentali tralasciando quelle accessorie; le quali variano in relazione al come ciascuno dei tanti scrittori calcolava la successione delle manifestazioni vulcaniche, intendeva le forme di quelle manife- stazioni, apprezzava la natura degli avvenimenti contemporanei. I.a Proseguimento di sedimentazioni d’un estuario marino, colle modificazioni inerenti al processo d’interrimento ed alle oscil- lazioni del suolo. II/ Trasformazione d’un estuario marino in bacino lacustre, e proseguimento di sedimentazioni in questo, pur modificato man mano dalle azioni endogene ed esogene. Ili/ Trasformazione d’un estuario marino in bacino lacustre, tra- sformazione di questo in bacino fluviale, eppoi ritorno d’un grande bacino lacustre sulle zone meno elevate del bacino flu- viale. Non mi propongo la critica delle opinioni altrui, piuttosto sento il bisogno di meditarle, per vedere dove debba correg- gere le mie; nè entro nella discussione sul periodo geologico cui siano da riferire le varie formazioni, non piacendomi parlare di cose sulle quali hoc unum scio quod nihil scio. È soltanto og- getto della comunicazione portare speciali ragioni, le quali oggi mi persuadono sempre più che, quando il Vulcano Laziale eruttò il tufo lionato litoide, le valli dell’Aniene e del Tevere erano scavate; e principalmente che, tra lo spandi mento di questo UNA SEZIONE NATURALE NEL MONTE VERDE 9 tufo ecl il principio del ristagno di acque, pel quale si deposero le argille, i travertini, le sabbie, le ghiaie del Monte Verde, e di conseguenza degli altri luoghi nominati, passò un tempo durante il quale i due fiumi avevano ristabilito, nelle vallate at- tuali, il corso interrotto da quell'espandimento. La sezione naturale che presento fu già accennata nella pag. 232 del voi. XXIV del Bollettino, ma in modo il meno adatto a porla in rilievo. L’ombra perpetua che l’avvolge, per essere esposta a pretto nord, certamente non fu rischiarata da quella infelice descrizione. Per questo difetto, perchè quello stupendo caposalclo della storia fìsica della Campagna di Roma è condannato alla distruzione, pregai i colleglli De Angelis e Napoli di fissarne il ricordo colla fotografia. Poiché le condi- zioni di luce in cui si trova la sezione sono tali, che nemmeno colla fotografia si può sperare una riproduzione chiara da inse- rire nel Bollettino, ho pregato la signorina Matilde Lansel di prenderne dal vero in un bozzetto le linee caratteristiche. Rin- grazio i gentili collaboratori di aver soddisfatto il mio desiderio. La sponda destra della pianura tiberina, da Roma allo sbocco del fosso di Papa Leone, comprende il Monte Gianicolo, il Monte Verde, i Colli di Santa Passera. La sezione 0. E., tra il fosso di Pozzo Pantaleo e la Stazione di Trastevere, presenta ad est sino a circa quota 45 una pila di strati di sabbie giallicce o grigie, alternate con falde marnose : le marne, almeno quelle della parte superiore, contengono concrezioni calcaree. Questi sedimenti, riferiti dal Teliini al Pliocene marino, formano la parte inferiore delle sponde nella valletta del fosso di Pozzo Pantaleo, cogli strati inclinati verso S. 0., ma mostrandosi presso a poco oriz- zontale il piano superiore; verso il piano del Tevere gli strati terminano con testate tronche ('). Su essi posano in discordanza sabbie gialle con ghiaie dis- seminate, letti di ghiaie alternati con letti di sabbie, banchi di ghiaie miste a sabbie. Le ghiaie sono di piromaca e di rocce calcaree, tra cui calcari e brecce nummulitiche che oggi si tro- vano in posto sui monti a nord ovest ; oltre a ciò contengono (>) Per la spiegazione delle figure vedasi in fine. H) A. VERRI elementi di rocce trackitiche e di andesiti augitiche (*). La sponda destra della valletta di Pozzo Pantaleo, davanti alla Officina dei fuochi artificiali, fa vedere bene la struttura del complesso sabbioso-ghiaioso; il quale finisce là con un banco di sabbia grosso più di un metro. Non mi sembra che tale complesso possa scin- dersi per la sua genesi in più piani; epperciò a me pare che Sezione I. ovest est sul Gianicolo manchino le sabbie gialle fossilifere, le quali alla Farnesina si sovrappongono alle sabbie grigie, o turchine che si vogliano chiamare. Sopra al deposito sabbioso-ghiaioso vengono marne più o meno sabbiose bianche e giallastre con molte concrezioni cal- caree, le quali passano ad argille sabbiose e sabbie argillose scure con concrezioni calcaree e ghiaietto di piromaca. Sopra queste vengono tufi leucitici grigi e marrone, con letti e lenti di frammenti di pomice bianca. La sezione 0. E. dei Colli di S. Passera, passante tra le cave di ghiaia aperte al piede est delle colline del forte Portuense, mostra dalla parte del Tevere, a poca altezza sul piano di cam- pagna (circa q. 20), nella cava nord le sabbie gialle associate (') Nelle ghiaie della valle del fosso Affoga l’Asino ho trovata in- castrata, verso la parte inferiore del banco, una roccia ricca di augiti. Questa spiega la presenza dell’augite nelle sabbie di Malagrotta ecc. notata dal Clerici ( Osservazioni sui sedimenti del Monte Mario anteriori alla formazione del tufo granulare. Itemi. R. Acc. Lincei, 1905. — 1 Ielle sabbie fossilifere di Malagrotta sulla via Aurelia. Rend. R. Acc. Lincei, 1906R UNA SEZIONE NATURALE NEL MONTE VERDE 11 alle ghiaie, nella cava sud marne contenenti Pteropodi; gli strati delle marne inclinano leggermente verso S.O. Sopra ven- gono grossi banchi delle ghiaie con elementi trachitici. Sopra al deposito sabbioso-ghiaioso stanno marne grigie con qualche valva di Cardium edule, marne sabbiose giallastre con valve di Ostrea edulis. Seguono argille sabbiose scure con concrezioni calcaree e poche ghiaietti di piromaca. Sopra esse vengono tufi Sezione li. ovest est leucitici grigi e marrone, letti e lenti di pezzetti di pomice bianca. È notevole che qua pare manchino eziandio le sabbie grigie plioceniche. È altresì notevole che la grossezza dei banchi ghiaiosi aumenta procedendo verso la pianura del Tevere, mentre di- minuisce la potenza delle sabbie: la medesima cosa si Arede nelle valli di Affoga l’Asino e della Magliana. Premesso che, nelle ricerche sul Miocene Umbro, ho trovato i giacimenti più ricchi di Pteropodi nelle marne interposte tra banchi di arenarie grigie e giallastre, e quindi in condizione di fondo, che per- metteva una sedimentazione consimile a quella della zona in- feriore della pendice del Gialliccio; che qua il deposito sab- bioso-ghiaioso avvenne quando il sollevamento già aveva rial- zato il letto marino, e coll’interrimento concorreva a far avan- zare la spiaggia tanto, che le sabbie mescolate alle ghiaie potevano essere lavate dal moto ondoso ; premesso che con- sidero i banchi ghiaiosi, compresi qua ed altrove nei depositi pliocenici e pleistocenici, quale risultato della messa allo sco- perto di rilievi rocciosi pel sollevarsi del terreno, e dello sgre- tolamento delle rocce inerente a tali mosse, accenno come in- tendo la natura delle cose che produsse le disposizioni rilevate. 12 A. VERRI Il sollevamento mise a nudo nelle contrade di Bracciano — sullo spazio di quel lago e dei crateri spenti di Campagnano — rocce calcaree, od almeno ammassi di rottami calcarei già depositati nel mare pliocenico; le azioni vulcaniche fecero traboccare in quei luoghi magma felspatici ed augitici : tutte queste rocce re- starono scoperte sino alle esplosioni, che formarono coi rigetti detritici i tufi più antichi. Le ghiaie provenienti dal disfacimento di esse trasportate al mare, pel moto ondoso, erano spante e fatte scendere nel declivio del letto marino, dove si soprap- ponevano alle varietà dei sedimenti preesistenti. Intanto che arrivavano nuove ghiaie e scendevano ad ammassarsi sulle te- state delle precedenti, le sabbie mosse dalle onde coprivano le ghiaie più vicine al lido, rendevano la spiaggia sottile, la tra- sformavano in arenile; dove spinte dal vento elevavano le dune. Cordoni litorali separavano dal mare largo bacini lagunari; pel sollevamento continuato, per gl’insabbiamenti irregolari delle dune, si costituivano sull’arenile stagni lacustri e palustri. Nelle colline del forte Portuense la potenza del deposito ghiaioso-sabbioso, e del deposito salmastro-palustre, è in totale di circa 25 metri. Alla base ghiaie e sabbie lavate, quindi un deposito che fu soggetto a continuo moto ondoso; sopra marne che testimoniano bacino tranquillo, con acque profonde una ven- tina di metri. A profondità di più che 20 metri si formerebbero sabbie lavate? a spiegare la laguna, qua succeduta alla spiaggia, basta il riparo del cordone litorale dalle onde del mare aperto? Ne dubito, e credo che abbisogni porre nel calcolo altresi la maniera come avveniva il sollevamento. Sotto il Casale S. Gia- como, presso S. M* di Galera, le marne con Cardami edule stanno più elevate (q. 70 circa) di quelle del forte Portuense: ma la differente altitudine potrebbe dipendere soltanto dal de- clivio naturale del letto marino, il cui interrimento procedeva contemporaneamente al sollevamento. Però, se consideriamo che ad est passa la rottura, dalla quale dipoi l’energia endogena si fece strada nel Vulcano Laziale, mi sembra potersi ammettere che, nel sollevarsi della contrada, contrapponevasi alla eleva- zione verso N. 0. alquanto abbassamento verso S. E.: cosi, in- tanto che il cordone litorale separava dal mare largo la laguna, una depressione faceva crescere in questa l’altezza dell’acqua. UNA SEZIONE NATURALE NEL MONTE VERDE 13 Poiché sulle alture a destra del Tevere, sino alla via Trion- fale, le ghiaie con elementi trachitici sono coperte dai tufi vul- canici, con poco intermezzo di terre non aventi più carattere di formazioni marine — nella valle dellTnferno sono coperte da sabbie che possono essere di arenili o di dune — sul Gianicolo tra le ghiaie ed i tufi stanno vari metri di marne sabbiose gial- lastre, passanti ad un’argilla sabbiosa scura con concrezioni calcaree, indicando perciò un deposito subacqueo — sui Colli di S. Passera, tra le ghiaie ed i tufi stanno sedimenti salmastri, eppoi le argille sabbiose e le sabbie argillose scure del Gia- nicolo — derivano logiche le conclusioni : che dopo il trasporto delle ghiaie con elementi trachitici, mentre nel bacino al nord di Koma stagnavano acque non più adatte alla fauna marina, la contrada del Monte Verde fu coperta da acque salmastre; che quando vi piovvero i primi rigetti, i quali composero là i tufi, anche le acque salmastre si erano ritirate più verso oc- cidente. Una successione di formazioni, analoga a quelle descritte, è stata notata a sud ovest dal Clerici presso al Casale della Pisana nella valle della Magliana, a Malagrotta nella valle di Galera; a sud est dal Clerici e dal Portis nella valle di Ma- lafede ('). Tra Ponte Galera e la Magliana io notai, che marne con fossili marini sono pur anche interposte tra i depositi ghiaiosi, ed in questi il Clerici ora ha trovate ghiaie trachitiche. Invece al nord, nella valle della Crescenza da Tor Vergara al Casale dell’Inviolatella, nella valle di Acquatraversa dal fosso delle Macchie a Casa Galli, trovai che le ghiaie con elementi trachitici stanno sopra ai depositi salmastri, o di spiaggia pas- santi a salmastri. Sicché il loro orizzonte disegna chiaro come avveniva l’allontanarsi progressivo del mare, sino alle colline costeggiane i fossi di Galera e Malafede, prima che incomin- ciassero le pioggie dei rigetti detritici lanciati dai crateri Sa- batini e Laziali. (*) (*) Clerici, op. citate, Sopra i terreni di Decima presso Doma. Boll, soc. geol., 1897. Portis, Contribuzioni alla storia fisica del Bacino di Doma. Boll, soc. geol., 1900. 14 A. VERRI Le colline a sinistra del Tevere, tra le valli delTAlmone (oggi trivialmente chiamato Acquatacelo) e della Valchetta, pro- spicienti la sponda di destra sopra indicata, comprendono tutte le formazioni più importanti emesse dal cono antico del Vul- cano Laziale. Il Clerici ha distrigato il viluppo di quelle del primo periodo lacustre-vulcanico, componenti in parte la collina del forte Ostiense ed i Monti della Creta: parlarne sarebbe ri- petere cose già stampate in questo Bollettino (*). Esporrò i tratti caratteristici della sezione 0. E. delle colline dove passa la via delle Sette Chiese, tra S. Paolo e la via Ardeatina, perchè al- cune dalle formazioni interessano direttamente la struttura del Monte Verde, situato di fronte a quelle colline. Sezione III. ovest est Il conglomerato delle rupi che terminano i Colli di S. Paolo si estende scoperto sino a Torre Marancia, dove va sotto ad un banco non grosso di tufo lionato litoide, interponendosi altri ri- getti tra le due rocce. Sopra al conglomerato composto preva- lentemente da granelli piccoli di lapillo, ne viene un altro con elementi più grossi : questo, nelle colline di Grotta Perfetta, mo- strasi composto da materiali scoriacei voluminosi, pezzi e massi di lave diverse, tra cui quella con grosse leuciti che sta nel conglomerato del Tavolato. Pare che l’esplosione, la quale lan- ciò questo conglomerato grossolano, sia avvenuta dopo che quello fino aveva subito corrosione ovvero spostamenti per mosse del terreno. Sopra alla superficie del conglomerato grossolano viene una falda di argilla grigia, eppoi alcune falde di detriti di P) Sopra un giacimento di diatomee al Monte del Finocchio o della Creta presso Tordi Valle. Boll. soc. geol. it., 1893. V. Sezioni sulla via dalle Tre Fontane a Ponte Fratta. UNA SEZIONE NATURALE NEL MONTE VERDE 15 rocce vulcaniche: in complesso circa un metro di depositi su- bacquei, indicanti essersi prodotto in quel luogo un breve rista- gno di acque. Seguono rigetti piovuti all’asciutto; sopra questi incomincia la pozzolana grigio-scura con una zona alta circa 0.60, che presto ingrossa sino a formare un banco di vari metri. Poi, sopra altri rigetti diversi, viene un banco non grosso del tufo lionato litoide; sopra questo, senza interposizione di altre materie, viene la pozzolana grigia e rossiccia. Il banco del tufo litoide a poca distanza ingrossa tanto da permettere di cavarlo per fabbriche, accennando disuguaglianze preesistenti nel ter- reno; qua, come negli altri luoghi, dove il tufo lionato litoide giace in posizioni elevate rispetto alle valli dell’Aniene e del Tevere, manca il cosi detto tufo omogeneo di cui dirò appresso. Nelle grandi cave aperte alla fine del vicolo delle Statue la zona dei rigetti, interposta tra la pozzolana rossa e la grigio- scura, è ridotta a grossezza minima: tenuto conto della potenza grande dei due conglomerati nelle vicinanze immediate, e della grossezza che conserva il banco del conglomerato alle cave della Caffarella ed altre lontane, crederei attribuire tale assottiglia- mento a processo erosivo. Per semplicità ho disegnato con linee rette i piani delle for- mazioni sottostanti al conglomerato delle rupi di S. Paolo, ma la sezione delle colline costeggianti la via delle Tre Fontane, la sezione naturale della collina di Grotta Perfetta davanti alla con- fluenza della valletta del fontanile Amelia, accennano a dislo- camenti ; la troncatura loro ad ovest è congetturata dalla sezione delle colline di Ponte Fratta. Nella valle della marrana del- l’Annunziatella la pozzolana rossa affiora a quota 20 circa, e molte cave in gallerie oggi chiuse, tra i Colli di S. Paolo e Tor Maran- cia, indicano che in questo tratto il piano della pozzolana rossa deve conservarsi elevato. Le ghiaiette e la valva di Pectunculus notata dal Portis, incorporate nella parte inferiore del conglo- merato di S. Paolo accennano a trasporti operati da acqua in una valle preesistente; la preesistenza di questa valle è mostrata altresì dal fatto che, uello scavo del Collettore, il conglomerato proseguiva a trovarsi sotto quota 4. Circa alla prima origine del tronco della vallata del Tevere a sud di Pontemolle, precisai il mio pensiero nella pag. 173 del voi. XXII del Bollettino. 1G A. VERRI A sud della rupe dei Colli di S. Paolo si addossa a quel conglomerato, con potenza di alcuni metri, una formazione di argille grigie contenenti concrezioni calcaree. Il Portis ha illu- strata la ricca e rara fauna trovatavi nello scavo del Collet- tore (*). La sezione disegnata dall’A., la quale io aveva veduta sul luogo durante gli scavi, le condizioni del giacimento che si vede in posto, mostrano che il deposito stagnale si formò in un bacino scavato in parte nel conglomerato della rupe. La sezione 0. E., tra il fosso di Papa Leone e la stazione di S. Paolo, presenta il Monte Verde composto da due complessi distinti di formazioni. La parte occidentale ha composizione eguale a quella mostrata dalle sezioni del Grianicolo e dei Colli di S. Passera (*). Per disegnare questa parte, oltre alle osserva- zioni dirette sui terreni, ho fatta la proporzione delle altitudini cui si presentano le formazioni nelle due sezioni laterali che la inquadrano. Per disegnarne la parte orientale, il terreno porge molti dati. A fianco della strada che dalla Stazione di Trastevere conduce al Monte Verde, si vede il tufo lionato litoide addossato ad una scarpata degli strati marini del Grianicolo. Da là alle cave di V. Croci il tufo s’incastra in una sinuosità della sponda della vallata tiberina, corrispondente allo sbocco della valletta del fosso di Pozzo Pantaleo, occupando un segmento la cui corda è lunga circa 2300 metri, la saetta è circa 750 metri. Nelle cave di S. Carlo è stato trovato che il tufo, a circa quota 10, posa sopra un letto di sabbie di materie vulcaniche miste a ghiaiette di calcari e piromache, delle quali ghiaiette il tufo ne incorpora parecchie nella parte inferiore; davanti al caval- cavia di accesso all’Ospizio di Vigna Pia dalla strada della Mu- gliano, si vede che il piano inferiore del tufo scende presso a (1) Di una formazione stagnale presso la Basilica Ostiense di Roma, e degli avanzi fossili vertebrati in essa rinvenuti. Boll. soc. geol., 1900. (2) Avverto che, subito dopo la valletta a sud delle cavedi ghiaia, la struttura dei Colli di S. Passera mostra nella pendice verso il Tevere un cambiamento rilevante. Fra altro vi si nota una grossa massa di tufo grigio con ghiaie calcari disseminate, che credo prodotto da rimaneggia- mento di materie vulcaniche. TWA SEZIONE NATURALE NEL MONTE VERDE 17 poco al livello delle acque ordinarie del Tevere. Nella gran massa del tufo lionato litoide, alta almeno 20 metri, distinguo tre zone, che si succedono senza intermezzo di altri materiali. In basso un tufo brecciforme simile a quello di Torre Marancia, ma più compatto; sopra un tufo brecciforme, il quale assomiglia alla pozzolana che copre il tufo litoide nelle adiacenze della via Ardeatina, meno compatto del tufo inferiore, ma avente una compattezza che manca in quella pozzolana. La zona superiore, la cui linea di divisione dal tufo brecciforme a volte è un poco incerta, a volte decisissima, componesi di vari metri d’un tufo molto compatto, costruito da elementi provenienti dal disfaci- # Sezione IV. ovest est mento dei tufi brecciformi. Questo tufo è stato chiamato omo- geneo: mi sembra più proprio dirlo raffinato , perchè composto dalle materie del tufo brecciforme ridotte a pasta fina, inclu- dente pezzettini grossi qualche millimetro. Il tufo raffinato ha inclusioni di materiali grossolani a volte informi, a volte di- sposte a strati. Nella parte superiore la stratificazione, e le al- ternanze di materie fine e grossolane divengono più regolari ; oltre a ciò appare evidente il processo stratigrafico, essendo gli strati raffinati composti di veli sottili, ora con superfìcie piana, ora con superficie ondulata; secondo che la deposizione avveniva in acque tranquille o increspate: questa struttura a veli succes- sivi non appare netta nella parte inferiore del tufo raffinato (’). Mi sembra che tutte queste circostanze dimostrino che, nella località del Monte Verde, sopra al tufo lionato litoide ed alla (x) I tufi lionati litoidi del Ponte Mammolo sono in condizioni ana- loghe. ’ 2 18 A. VERRI pozzolana ad esso assodata, si era costituito un bacino lacustre; che per tale ristagno si formò la zona del tufo raffinato, a spese del dilavamento del tufo lionato litoide e della pozzolana superiore, dai quali rigetti era rimasta coperta la campagna: la grande omogeneità nel materiale minuto e grossolano, che compone la zona del tufo raffinato, mi fa pensare che quel ri- stagno non ebbe gran lunga durata. Sulla destra del Tevere si ripete nel Monte del Truglio un addossamento di tufo lionato litoide. 11 tufo del Truglio contiene anche delle scorie nere, ma per gli altri caratteri non pare che debba essere separato da quello del Monte Verde. Nel tufo del Truglio manca la zona raffinata, mentre sopra ad esso stanno altri materiali vulcanici ed un grosso deposito di argille con concrezioni calcaree: una sedimentazione simile a quella superiore dei Monte Verde. Perciò non crederei sia da escludere il caso che, nell’espandimento dei rigetti, che formarono il tufo lionato litoide, un loro ammas- sarsi verso il Truglio abbia tenuto in collo le acque, nelle quali si depose il tufo raffinato del Monte Verde: è cosa che meri- terebbe di essere studiata. Sopra al tufo lionato litoide del Monte Verde posano i se- dimenti calcareo-argillosi ricchi di fossili terrestri e di acqua dolce, e sopra essi vengono sabbie fine terrose con concrezioni calcaree; poi letti e banchi di ghiaie di calcari e piromache, sabbie lavate; infine, sulla collinetta davanti alla stazione di S. Paolo, alcuni strati di argille chiare e scure. Materie vul- caniche abbondano su tutto il sedimento, con trasformazione più o meno avanzata in argille e sabbie. Nelle sabbie meritano menzione speciale le sabbie lavate della Villa S. Carlo, disposte con struttura bellissima, che chiamerò di ondeggiamento , perchè disegna il succedersi di asportazioni e riempimenti prodotti dal movimento ondoso delle acque: anche sopra queste sabbie viene una sedimentazione contenente materie argillose, che indica il passaggio del bacino allo stato palustre. Non è il caso che mi fermi di più sui dettagli di tale deposito lacustre, già illustrato con competenza maggiore da tanti studiosi: mi occuperò piut- tosto di descrivere, il meglio che possa, la posa del deposito sul tufo lionato sottostante. UNA' SEZIONE NATURALE NEL MONTE VERDE 19 Come lo mostra la stessa Carta d’Italia nel foglio 150, tav. IV, S. 0., la pendice della collina di Villa S. Carlo dei Catenari, dalla parte del fosso di Pozzo Pantaleo, tra i tagli a piombo delle cave di tufo litoide, ha un tratto lungo circa 250 metri nel cpiale scende declive sino alla valletta. La estre- mità sud di questo tratto, composta da materie di scarico delle Sezione V. cave, faceva credere a prima vista che tale fosse la formazione di tutto il declivio: invece l’estremità nord mostrò la sezione naturale E.O. disegnata. Ad una scarpata del tufo litoide ta- gliata da erosione, che aveva asportato la zona del tufo raf- finato, scarpata che scende al piano della valletta di Pozzo Pantaleo (q. 20 circa) e prosegue sotto, si addossano con stra- tificazione orizzontale argille con falde travertinose e sabbie ter- rose. Tra il tufo in posto e le argille sta un letto irregolare di frammenti del tufo litoide, pezzi di questo tufo sono inclusi nelle argille vicino al piano di posa. Sopra le argille e le sabbie terrose, le quali proseguono in alto dove termina la scarpata ripida, viene un letto di ghiaiette di calcari e piromache, eppoi 20 A. VERRI la sabbia lavata disposta a struttura di ondeggiamento. Le ar- gille e le sabbie terrose sono ricche di molluschi ; nella loro parte bassa (1 a 3 metri sopra il piano della vailetta), senza farvi accurate ricerche per le quali non ho attitudine, ho rac- colto conchiglie di Pisidiutn, Helix , Carychium, Vertigo, Pla- norbis, Bythinia , Hydrobia, Succinea , Limnaea. Qua il piano di contatto mostra intera la scarpata della valle, esistente prima della sedimentazione lacustre di Monte Verde. Le corrosioni naturali, e più che queste i lavori per l’estrazione Sezione VI. sud nord dei tufi, hanno distrutte le sezioni analoghe che dovevano ripe- tersi in altri punti, ma non tanto da farne sparire ogni segno. Nel taglio della strada privata con obbligo di pedaggio pel transito dei carri, che allaccia la via di Monte Verde colla strada Por- tuense, si vede sotto ai depositi lacustri la superficie del tufo litoide molto frastagliata, ed un tratto di scarpata prodotta da corrosione. Anche di questa interessante sezione naturale, con- dannata pur essa alla distruzione, inserisco un bozzetto preso dal vero dalla signorina Lansel. La vailetta del fosso di Pozzo Pantaleo sbocca nella pia- nura tiberina tra la collina che sta davanti alla Stazione di S. Paolo, e la collina dell’Ospizio di Vigna Pia. Nella estre- UNA SEZIONE NATURALE NEL MONTE VERDE 21 raità sud della prima collina i depositi lacustri posano sopra un declivio prodotto da erosione, che ha asportato tutto il tufo raffinato, e tra il tufo e le argille lacustri sta un letto di fram- menti del tufo. Nella estremità nord della seconda, il banco del tufo raffinato è molto ridotto di grossezza, tra la sua superficie superiore frastagliata e le argille lacustri s’interpone un am- masso di sabbie, ghiaiette calcari, pezzi del tufo litoide. Sicché appare tra le due colline una valle scavata da prima del pe- riodo lacustre, nel quale fu riempita dai suoi depositi. Nel gi- rone delle grandi cave aperte vicino alla via Portuense, davanti Vigna Pia, si vede pure un declivio prodotto da logoramento del tufo; ma per questo luogo accenno il fatto, senza dargli im- portanza, perchè sopra alla parte logorata non stanno i se- dimenti lacustri originali, ma terre che contengono rottami fìttili. Àncora nella valle deH’Aniene si hanno segni di erosione della grande massa del tufo lionato litoide, alta circa 25 metri, anteriormente ai depositi lacustri che lo coprono. Ne ho notati sulle balze tufacee di Pietralata; nel girone della cava, ora in esercizio presso la Sedia del Diavolo, ad una estremità si con- serva il tufo raffinato, nel resto manca ed il piano superiore del tufo litoide è molto frastagliato e sta molti metri più basso. Il lembo di argille con molluschi di acqua dolce, il quale sta al piede sud-ovest della collina della Grotta delle Gioie, che considerai distaccato dalla massa lacustre superiore, è probabile che sia un sedimento in posto al piano della valle dell’Aniene, simile a quello del Monte Verde; ma le condizioni del terreno rendono difficile accertare lo stato delle cose (’). Il Bleicher pur esso descriveva, tra i ponti Nomentano e Salario, punti dove il tufo litoide affouillé, creusé en poches, è coperto da miscuglio confuso di rottami di tufo, ghiaie, pezzi di argilla bruna, sabbie, argille: egli attribuiva ciò alle fiumane di un periodo Diluviano, producenti ora interrimento ora corrosione (2). (') V. in proposito Boll. soc. geol. it., voi. XXII. pag. 170. (2) Sur un petit dent d’Elephas antiquus trouvé dans le diluvium des environs de Home, et remeignements sur ce diluvium. Bull, de la soc. géol. de France, 1865. 22 A. VERRI Da quanto ho detto in questa circostanza ed in altre occa- sioni. si comprende, che io riferisco al periodo dei depositi la- custri soprastanti al tufo litoide del Monte Verde gran parte delle formazioni fluvio-lacustri di Pontemolle; quelle che stanno sopra ai travertini ed ai tufi grigi antichi, al tufo litoide nelle adiacenze del Ponte Nomentano; le formazioni lacustri del Truglio, dell’Osteria di Mezzavia sulla strada Ostiense, le quali si trovano soprapposte al tufo lionato litoide; infine propendo a riferirvi la formazione stagnale addossata al conglomerato dei Colli di S. Paolo, sembrandomi deposito distinto da quelli dei bacini acquosi della contrada, formati nel tempo delle grandi eruzioni del cono antico Laziale. Nei depositi di questo ultimo bacino lacustre, che si hanno presso Pontemolle e presso i ponti Salario e Nomentano, sta un banco di tufo con pomici bianche, i cui rigetti mi sembrano ve- nuti dai crateri Sabatini. Nei depositi del Monte Verde non ho veduto banchi originali di tufo, ed il molto materiale vulcanico, contenuto nelle argille e nelle sabbie, m’è sembrato proveniente da rimaneggiamento di rigetti piovuti in tempi anteriori, i cui banchi si trovano a posto in tutte le località circostanti. Invece al Truglio sotto alle argille lacustri sta un banco di tufo grigio leucitico, che sembrerebbe prodotto originalmente da eruzioni. Ad ogni modo, se non si può escludere assolutamente, che siano piovuti rigetti del Vulcano Laziale sul bacino lacustre del Monte Verde, è permesso affermare che dovevano essere cessate quelle grandi eruzioni, le quali avevano elevato il piano della Cam- pagna di Roma con masse potentissime di tufi e pozzolane. Qualora le osservazioni e ragioni esposte abbiano virtù da convincere, viene naturale la conseguenza: essere della più alta importanza, per la storia fisica della Campagna di Roma, il ri- cercare quali siano state le cause, per cui un territorio dove era stabilita una idrografia fluviale, con piano delle valli ad altitudine poco differente dell’attuale, sia stato ridotto al punto che, nelle sue vallate e sui colli adiacenti, l’acqua siasi ele- vata in maniera, da lasciare depositi lacustri copiosi sino al- l’altezza di una quarantina di metri sopra al livello odierno del Tevere. UNA SEZIONE NATURALE NEL MONTE VERDE 23 Nel 1893 scrissi: «Vi sono ancora da risolvere assai pro- blemi, per giungere alla sintesi completa di azioni tanto com- plesse»; le parole medesime ripetei nel 1905. Con esse chiudo, augurando ai valenti studiosi della Geologia romana, ed anche ad un vecchio laureato nella Università di Roma, di concorrere efficacemente alla loro soluzione, col portarvi dati utili, colla discussione serena e cortese. [ras. pres il 24 marzo 1906 - ult. bozze 30 maggio 1907]. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 1. Marne con Pteropodi, sabbie fine grigie e giallicce intercalate con falde marnose. (Pliocene: sedimenti di mare largo). 2. Sabbie gialle e ghiaie di spiaggia con elementi trachitici ed au- gi ti ci. 3. Marne più o meno sabbiose con fauna salmastra. 4. Argille sabbiose e sabbie argillose scure o marrone (mescolanza di sabbie di duna con fanghi palustri). 5. Tufi vulcanici composti dalle eruzioni più antiche di rigetti de- tritici, piovuti sopra gli arenili, le dune, le paludi nella regione a de- stra del Tevere; su bacino d’acqua dolce nella regione a sinistra. (Può darsi che sulla destra del Tevere ci sia qualche banco meno antico di quelli della sinistra). 6. Pozzolana rossa tipica del Vulcano Laziale. 7. Insabbiamenti ed inghiaiamenti antichi nella vallata del Tevere per trasporti dei torrenti laterali e del fiume. (Nella sezione III sono congetturati dalPincorporamento di ghiaie nella parte inferiore del con- glomerato di S. Paolo). 8. Conglomerati di lapillo, scorie, ecc., interposti tra la pozzolana rossa tipica e la pozzolana grigio-scura. 9. Pozzolana di colore grigio-scuro, tavolta bruno-violaceo eruttata dal Vulcano Laziale. 10. Tufo lionato litoide del Vulcano Laziale, e pozzolana grigio-chiara o rossiccia ad esso immediatamente soprapposta. 11. Argille, calcari travertinosi, sabbie terrose del Monte Verde. 12. Sabbie lavate e ghiaie del Monte Verde; sopra esse fanghi pa- lustri. 24 A. VERRI La parte bianca nella sezione IV segna materie di scarico per sco- perta di cave del tufo, ecc. Le grosse linee nere, nella Sezione III, se- gnano zone di rigetti vulcanici diversi interpolati tra le eruzioni prin- cipali, e trasformati più o meno in terre argillose e sabbiose. Onde permettere di farsi subito un’idea chiara sulla struttura delle sponde di destra e sinistra della pianura tiberina, le sezioni I, II, III, IV sono disegnate con le scale uguali e si staccano da uno stesso piano di livello. Nella III, affine di comprendervi i tratti caratteristici delle formazioni vulcaniche, ho soppresso quei tratti intermedi che non hanno importanza, perché mostrerebbero soltanto la continuazione in lunghezza di taluna formazione. Nelle sezioni I, II, IV la pianura del Tevere in- comincia subito a destra della figura; nella sezione III incomincia su- bito a sinistra: la pianura é larga in questo tronco circa 1500 metri, l’asse della valle ha direzione circa N. 20.° E. SOPRA UN CROSTACEO DELL’EOCENE MEDIO DEI DINTORNI DI BAGHERIA IN PROVINCIA DI PALERMO Nota del dott. G. Checchia-Rispoli (Tav. I) Darò in un lavoro di prossima pubblicazione lo studio geo- logico e paleontologico esteso della importante formazione eoce- nica dei dintorni di Bagheria in provincia di Palermo, in- sieme con quello di gran parte dei terreni eocenici del lato Nord-occidentale della Sicilia. In detto lavoro è fatta la descri- zione dei foraminiferi, i quali del resto si possono dire gli unici che predominano nella suddetta formazione del Palermitano: qui descrivo i resti dell’interessante brachiuro notevole per le sue dimensioni. La località donde proviene il crostaceo che forma l’oggetto di questa Nota paleontologica è posta sulla strada rotabile che conduce da Bagheria all’ex-feudo dell’Accia, presso il Ponte di Castronuovo, in contrada Corvino. Esso è conservato nelle col- lezioni del Museo geologico dell’Università di Palermo. I fossili che accompagnano il crostaceo (in un calcare bianco e bianco-ceruleo), oltre ad alcuni modelli di gasteropodi e di lamellibranchi, sono i seguenti: Orbitolites complanata Lmk., Alveolina gigantea Cheecbia, Alv. ellipsoidalis Schwg., Alv. oblonga d’Orb., Alv. Zitteli Cheecbia, Floscutina pasticillata Schwg., FI. decipiens Schwg., Nummulites complanata Lmk., N. discorbina Scholth., N. biarritzensis d’Arch., N. Tchihatcheffi d’Arclu, N. subcliscorbina de la H., N. Guettardi d’Arch. et H., N. laevigata Brug., N. crassa Boubée, N. lenticólaris Eich. et Moli., N. Molli d’Arch., N. subgarganica Teli., Orthophragmina Fratti Michl. sp., 0. sella d’Arch. sp., ecc., i quali provano che il calcare in questione appartiene al Luteziano medio. Ciò premesso, passo alla descrizione del crostaceo. 3 26 G. CHECCHIA-RISPOLI Galenopsis Ristori i n. sp. Dimensioni : Larghezza del cefalotorace „ . . . mm. 130 Lunghezza » » 100 » dei margini latero-anteriori » 47 » » latero-posteriori » 61 » del margine posteriore » 56 Larghezza della fronte » 24 » » e delle cavità orbitali . . » 46^ Guscio di grandi dimensioni, poco arcuato ed anteriormente molto declive. La regione frontale è stretta, raggiungendo appena il quinto della larghezza totale del cefalotorace: essa inoltre è piegata in basso. Il margine frontale è diviso in quattro apofìsi, di cui le esterne di forma triangolare, più appuntite e meno sporgenti delle interne, le quali sono inoltre più robuste. Gli spazi inte- rapofì salii sono concavi e quasi eguali fra di loro. Le cavità orbitali sono grandissime, arrotondate e misurano un diametro di 11 mm. Esse internamente sono limitate dalle apofìsi esterne ed esternamente da una depressione dei margini latero-anteriori. Inferiormente il contorno orbitale termina verso la bocca con una grande sporgenza dentiforme. I margini latero-anteriori sono corti ed arcuati. Essi sono ornati di tre denti, di cui il primo è molto più sporgente degli altri, più robusto, conico ed appuntito: il secondo ed il terzo sono più corti e più ottusi. Lo spazio compreso tra di essi è concavo. I margini latero-posteriori sono più lunghi degli an- teriori, più spessi ed arrotondati : essi vanno restringendosi gra- datamente nella parte posteriore e si confondono in una dolce curva col margine posteriore, che è leggermente convesso. Quantunque resemplare in istruì io non sia che un modello, pure lascia scorgere anteriormente i lobi frontali, molto larghi, poco sporgenti e divisi da un solco poco profondo che s’allarga posteriormente svanendo subito. Sul modello non vi è altra indicazione di regione che i due rilievi falciformi che distinguono la regione uro-gastrica dalla SOPRA UN CROSTACEO DELL’EOCENE MEDIO 27 cardiaca, la quale è molto depressa. In quest’ultima regione si notano tre tubercoli disposti a triangolo isoscele: gli ante- riori più sporgenti del posteriore. Sul modello inoltre si scorge qualche irregolare e leggera depressione insignificante. Il guscio conservato in pochi punti lascia scorgere la finis- sima punteggiatura che lo orna. Inferiormente le regioni pterigostomie sono larghe, molto gonfie e divise in lobi : esse, acuminate posteriormente, vanno slargandosi a poco a poco, si curvano fortemente verso la parte anteriore e presso il peristoma si gonfiano e si restringono. Le branchiostegiti hanno quasi la stessa larghezza del pterigostomio e sono limitate verso il peristoma da un’ampia curva. La sutura branchiostega- pterigoidea che distingue le due regioni è molto rilevata. Sterno. — La faccia inferiore dello stesso esemplare permette di osservare quasi completamente lo sterno, che solo in una parte è ricoperto da un frammento d’addome. Solco sternale, largo e profondissimo. Le prime tre sterniti (proto-deuto-mesosternite) sono saldate in un’unica placca di forma subtriangolare, la quale presenta nel mezzo un profondissimo solco triangolare, molto, scavato posteriormente, che si continua sulle altre sterniti. I due articoli che formano la quarta sternite (tetartosternite) sono di forma subquadrangolare: essa è la più grande di tutte, le altre che le succedono si vanno man mano rimpicciolendo. Le varie sterniti sono separate fra di loro per mezzo di solchi strettissimi e curvilinei. Le episterniti, incompletamente conservate, sono di forma triangolare. Addome. — Di questo organo non esistono che due soli segmenti incompleti, di forma rettangolare e che ricoprono quasi interamente la quinta e la sesta sternite: la sutura fra questi due segmenti è rettilinea. Per l’ampiezza del solco ster- nale e per lo sviluppo dei segmenti si può a buon diritto ri- tenere che l’esemplare in esame sia un individuo femmina. Sistema appendicolare-locomotorio. — Di questo sistema sono conservate appena le coxopoditi brevi e cuboidi dell’ultimo paio dei toracopodi. Osservazioni. — Le grandissime dimensioni, il grande sviluppo delle cavità orbitali, la conformazione del margine frontale, 28 CHECCHIA-RISPOLI oltre ai caratteri della forma, sono sufficienti a caratterizzare la specie in esame e a tenerla distinta dalle sue congeneri. Tra le molte specie appartenenti al gen. Galenopsis Milne- Edw., quella che per le sue dimensioni sembrerebbe avvicinarsi alla specie in esame è il Galenopsis Gervillianus Milne-Edw.f1). Ma da un confronto tra le due specie risulta che il G. Gervil- lianus se ne distingue innanzi tutto per la forma, la quale è molto più rettangolare, per i margini latero posteriori che si portano quasi direttamente indietro e lo scudo perciò posterior- mente si restringe molto di meno che in G. Bistorii, dove i margini latero-posteriori si confondono largamente con quello posteriore. Nella specie del Milne-Edwards inoltre le cavità orbitali sono molto più piccole che nella nostra, e poi sui margini la- tero-anteriori, oltre al dente laterale posteriore, non v’è traccia alcuna di altri denti, mentre nel G. Bistorii, tra l’angolo esterno dell’orbita e il dente posteriore, ve ne sono altri due. Mancano infine nell’esemplare in esame le due grandi de- pressioni irregolari ed increspate nella regione gastrica, laddove vi sono invece due rilievi e la presenza di tre tubercoli, che mancano nel G. Gervillianus. Museo di Geologia della R. Università di Palermo. [ms. pres. il 20 marzo 1907 - ult. bozze 7 maggio 1907]. (’) Milne-Edwards A., Monographie des Crostacea fossile s de la fa- mille des Cancériens in Annales des Sciences Kahtrelles, Zoologie et Pa- leontologie, sèrie V, tom. Ili, pag. 320, tav. \ I fig. 1, la, IO, 18G5. SPIEGAZIONE DELLA T. VOLA 1. Fig. 1. Galenopsis Bistorii Checchia. Grami, rat. Visto superiormente Loc. Nei calcari bianchi del Feudo forvino (Baglieria). Eocene medio. Fig. 2. Galenopsis Bistorii Checchia. Visto di fronte. >11. Soc. Geol. Ital. voi. XXVI (1907). (Checchia) Tav. I ELIOT CALZOLARI* FERRANO VILANC CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE E MORFOLOGICHE SUI GENERI OPERCULINA , HETEROSTEGINA, CYCLOCLYPEUS Nota del dott. A. Silvestri (Tav. II) L’argomento che mi prefiggo di trattare non è nuovo, già vari autori, come D’Orbigny, Carpenter, Carter, Brady, Zittel, Telimi, Fornasini, Chapman, ecc., eransene interessati, benché in vario grado e sotto diversi aspetti, e recentemente se ne sono occupati piuttosto a fondo il prof. H. Douvillé (*), il dot- tore R. J. Schubert (2), ed il prof. J. Boussac (3). Pur non di manco, trovandomi al caso, mercè le mie proprie ricerche ed il gentile contributo in materiale da studio dei professori S. Bru- sina e F. Sacco, e del cav. L. Di Rovasenda, ai quali ne sono assai grato, di poter offrire un’interessante serie italiana di nuovi e vecchi fatti, stimo non del tutto inopportuna l’illustrazione gra- fica e descrittiva di questi, a conferma, schiarimento, ed emen- damento di quanto da altri è stato osservato e commentato. Il primo dei generi il quale sottoporrò ad esame è VOper- culina, e lo farò per mezzo della sua specie principale, la Operculina complanata (Defrance) (tav. I, fig. 1, 2 e 3) che intendo nei limiti di questa sinonimia (*) : « Operculites tenuissimus » Allioni, 1757; Oryctographiae Pedemontanae, pag. 78, nnm. 3. O Les Foraminifères dans le ter tiair e de Bornéo. Bull. Soc. Géol. France, ser. 4a, voi. V, pag. 435-464, fig. 1 e 2, tav. XIV. Paris, 1905. (2) Heteroclypeus, eìne Uebergangsform ewischen Heterostegina und Cycloclypeus. Centi-albi. Min. etc., anno 1906, pag. 640-641. Berlin, 1906. (3) Développement et Morphologie de quelques Foraminifères de Pria- bona. Bull. Soc. Géol. France, ser. 4°, voi. VI, pag. 88-97, tav. I - III. Paris, 1906. (4) Non ho messo tra questi sinonimi P « Operculum minimum » del Bianchi (Plancus, 1739; Conchis. min. not., pag. 18, tav. Ili, fig. I:A, 30 A. SILVESTRI Lenticulites complanata Defrance, 1822; Dici. Se. Nat., voi. XXV, pag. 453. — Basterot, 1825; Mém. Géol. env. Bordeaux, parte la, pag. 18. Operculina complanata (Basterot). — D’Orbigny, 1826: Ann. Se. Nat., voi. VII, pag. 281, num. 1, tav. XIV, tig. 7-10. — D’Or- bigny, 1826; Modèles, num. 80. — Bronn. 1853-56; Le- thaea Geogn., ediz. 3a, voi. Ili, pag. 208, tav. XXXV. 2, fig. 7 a-d. — Parker et Jones, 1857; Ann. and Mag. Nat. Hist., ser. 2a, voi. XIX, pag. 285, tav. XI, fig. 3 e 4. — Carpenter, 1859; Phil. Trans., voi. CXLIX, pag. 12-30, tav. IV; tav. V, fig. 1-12; tav. VI, fig. 1-4. — Jones et Parker, 1860; Quark Journ. Geol. Soc., voi. XVI, quadro di pag. 302, num. 149. — Schwager, 1877; Boll. R. Comit. Geol. Ita!., voi. Vili, pag. 25, fig. 22. — Seguenza, 1880; Mem. R. Acc. Lincei, Cl. Se. fis., mat., nat., ser. 3\ voi. VI, pag. 45, 56 e 63. — Moebius, 1880; Forum. Mauritius, pag. 101. — Basset, 1883; Ann. Soc. Se. Nat. Charente Inf., num. 21, pag. 162, fig. 80. — Zittel, 1876; Handbucli Palaeont., voi. I, pag. 96, fig. 36. — Zittel, 1883 ; Traile Paléont., trad. Barrois, voi. I, parte la, pag. 97, fig. 38. — De Stefani. 1883; Mem. R. Acc. Line., Cl. Se. fis.. mat., nat., ser. 3a, voi. XVIII, pag. 92. — Neviani, 1889; Boll. Soc. Geol. It., voi. Vili, pag. 138. — Sacco, 1889; Boll. Soc. Geol. It , voi. Vili, (1890), pag. 309, num. 620. — Sacco, 1896; Boll. Soc. Geol. It., voi. XIV (1895', pag. 204. — De Stefani e Nelli, 1899’; Rendic. R. Acc. Lincei, Cl. Se. fis., mat., nat., serie 5a, voi. Vili, sem. 2°, pag. 47. Planulina pyramidum Ehrenberg, 1838; Abhandl. Ak. Wiss. Berlin, pag. 115, tav. IV, fig. 7. — Ehrenberg, 1854; Mikrogeo- logie, tav. XXIII, fig. 38. Operculina complanata Michelotti, 1841; Mem. Mat. e Fis. Soc. It. Se. Modena, voi. XXII, Mem. Fisica, pag. 285, num. 1, tav. II, fig. 1 a-b (’). Operculina complanata D’Orbigny. — Sismonda, 1842; Synopsis meth. Anim. inveri. Pedem. foss., pag. 9. — Reuss, 1845-46; iu Geinitz: Grundr. Verstein., pag. 665, tav. XXIV, fig. 4L — B. C. — 1760; id., « Editio altera», id. id.) quantunque ve l'abbiano compreso Brady, Woodward, ecc., essendo stato riconosciuto dal Forna- sini per un opercolo di Cyclostoma elegans Muller (1887; Boll. Soc. Geol. It., voi. VI, pag. 44, num. 12). (>) Scrive il Michelotti: « Distinguesi questa specie per la curva se- milunare che descrivono le sue concamerazioni, iter il piccolo spazio che passa fra loro, e per la mancanza d’umbilico da ambe le parti ». Però nel 1861 la mette in sinonimia dell’O. complanata d'Orb., assieme alla sua O. taurinensi s. CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 31 Michelotti, 1861; Natuurk. Verhand. Holland. Maatsch. We- tensch. Haarlem, ser. 2a, voi. XV, pag. 20. — Bronn, 1871; Itàliens Tertiàr-Gebilde, pag. 11. — Sismonda, 1871 ; Mem. Acc. R. Se. Turili, ser. 2a, voi. XXV, pag. 269, num. 2. — Seguenza, 1873; Boll. R. Comit. Geol. It., voi. IV, pag. 244. — Locarti, 1877; Ann. Agric. Lyon, ser. 4a, voi. IX, pag. 231, tav. V, fig. 6 e 7. — Fuclis, 1878; Sitzungsb. k. Ak. Wiss. Wien, math.-naturw. CI., voi. LXXVII, pag. 473. Operculina ammonta Leymerie, 1814; Mém. Soe. Géol. France, ser. 2a, voi. I (1846), pag. 359, tav. XIII, tig. lla-b. — Bronn, 1853-56; Lethaea Geogn., ediz. 3a. voi. Ili, pag. 209, tav. XXXVa, fig. 8 a-b. — Sismonda, 1871; Mém. Ac. R. Se. Turili, ser. 2a, voi. XXV, pag. 269, num. 1. — Hantken, 1875; A magy. kir. foldt. int. évkònyve, voi. IV (1876), pag. 70, tav. XII, fig. 1 e 2. — Hantken, 1875; Mittheil. Jahrb. k. ung. geol. Anst., voi. IV (1881), pag. 80, tav. XII, fig. 1 e 2. — Ciofalo, 1878; Atti Acc. Gioenia, ser. 3a, voi. XII, pag. 119. — Teliini, 1890; Boll. Soc. Geol. It., voi. IX, pag. 400, tav. XII, fig. 23,24. — Ciofalo, 1890; Atti Acc. Gioenia, ser. 4a, voi. II, pag. 2 e 3, estr. — Fritei, 1886; Foss. carnet, terr. sedim. tert., tav. VII, fig. 53-55. — Mariani, 1892; Ann. R. Ist. Tecnico Udine, ser. 2a, anno X, pag. 13. — Di Rovasenda, 1893; Boll. Soc. Geol. lt., voi. XI (1892), pag. 420. — Marinelli, 1895 ; Boll. Soc. Geol. It., voi. XIII (1894), pag. 205. — Sacco, 1896; Boll. Soc. Geol. It., voi. XIV (1895), pag. 204. — De Lo- renzo, 1898; Boll. Soc. Geol. It., voi. XVII, pag. 673. — Schubert, 1900; Verhandl. k. k. geol. Reielisanst., pag. 83. — Marinelli, 1902; Descr. geol. dint. Tarcento in Friuli , pag. 183. — Martelli, 1902; Palaeont. Italica, voi. Vili, pag. 88. — Martelli, 1902; Atti R. Acc. Lincei, Rendic. Cl. Se. fis., mat., nat., ser. 5a, voi. XI, seni. 1°, pag. 334. — H. Douvillé, 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4a, voi. V, pag. 27, 42. — Maury et Caziot, 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4a, voi. V, pag. 588. — Ristori, 1905; Mem. Soc. It. Se., ser. 3a, voi. XIII, pag. 396. — Prever, 1905; Boll. Soc. Geol. It., voi. XXIV, pag. 676. — Prever, 1906; Atti R. Acc. Se. Torino, voi. XLI, pag. 11, 13 e 15 estr. — Checchia-Rispoli, 1906; Rendic. R. Acc. Lincei, Cl. Se. fis., mat. nat., ser. 5a. voi. XV, sem. 2°, pag. 326. Operculina Taurinensis Michelotti, 1847; Natuurk. Verhand. Holland. Maatsch. Wetensch. Haarlem, ser. 2a, voi. III, parte 2a, pag. 17, num. 1, tav. I, fig. 4 (Operculina Taurinia). — Sismonda, 1847 ; Synopsis meth. Anim. invert. Pedem. foss., pag. 7. 32 A. SILVESTRI Operculina complanata (Defrance). — Rntimeyer, 1850; No»v. Meni. Soc. Helvet. Se. Nat., voi. XI, mem. 2a, pag. 108, tav. IV, fig. 56. — T. Wright, 1855; Ann. and Mag. Nat. Hist., ser. 2", voi. XV, pag. 75, tav. VII, fig. 4 a-b. — Parker et Jones, 1861; Ann. and Mag. Nat. Hist., ser. 3a, voi. Vili, pag. 229. — Carpenter, 1862; Introd. Foravi., pag. 247, tav. XVII. — Parker et Jones, 1863; Ann. and Mag. Nat. Hist., ser. 3a, voi. XII, pag. 207, noni. 36; pag. 435, num. 36; pag. 440, num. 15. — Parker, Jones, et Brady, 1865; Ann. and Mag. Mat. Hist., ser. 3a, voi. XVI, pag. 32, tav. Ili, fig. 93. — Jones, Parker, et Brady, 1866-1897 ; Monogr. Forarn. Crag., pag. 362; Appendix I, num. 94; Append. II, num. 93; tav. II, fig. 49 e 50. — Jones, 1882; Calai. Foss. Foravi. Brit. 3Ius., pag. 22, 36, 40, 53, 69, 73, 80 e 94. — Brady, 1884; Rep. Challenger, voi. IX, pag. 743, tav. C XII, fig. 3, 4, 5 e 8. — Woodward et Thomas, 1885; 13. th. Ann. Report Geol. and Nat. Hist. Survey of Minnesota for 1884, pag. 175, tav. IV, fig. 35. — Giimbel, 1885; Geol. Bayern, voi. I, parte 2% pag. 421, fig. 266, 28. — Egger, 1893; Abhandl. k. bayer. Ak. Wiss., II Cl., voi. XVIII, pag. 435, tav. XX, fig. 40-42. — De Amicis, 1893; Boll. Soc. Geol. It., voi. XII, pag. 464. — Woodward et Tho- mas, 1893: Final Report. Geol. and Nat. Hist. Survey of Minnesota, voi. Ili (1895), pag. 45, tav. E , fig. 37 e 39. — A. Silvestri, 1896; Atti e Rendic. Acc. Se. Acireale, voi. VII (1895), pag. 56.— Dezelic, 1896; Glasnik Hrvats. Naradow. Drustva, voi. IX, pag. 93. — Issel, 1897 ; Compendio di Geologia , parte 2a, pag. 447 e 450. — A. Silvestri, 1899; Mem. Pont. Acc. N. Lincei, voi. XV, pag. 349. — Newton et Holland, 1902; Journ. Coll. Se. Imp. Univ. Tokyo, pag. 13, tav. I, fig. 3 e 5; tav. Ili, fig. 3. — Lister, 1903; « Fora- minifera » in Lancaster: Zoology, pag. 126, fig. 55. — Mil- lett, 1904; Journ. R. Micr. Soc., pag. 605. — H. Douvillé, 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4a, voi. V, pag. 17, 27. — A. Silvestri, 1905; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LVIII (1904-1905), pag. 125. — A. Silvestri, 1905; Atti Pontif. Acc N. Lincei, anno LIX (1905-1906), pag. 40 e 46. — A. Silvestri, 1905; Riv. It. Paleont., anno XI, pag. 142 e 145. — Prever, 1905; Atti R. Acc. Se. Torino, voi. XL, pag. 11 estr. — Prever, 1905; Boll. Soc. Geol. It., voi. XXIV, pag. 677. — Chapman, 1905; Proc. Linn. Soc. New. South Wales, parte 2\ pag. 268 e 271. — Prever, 1906; Atti R. Acc. Se. Torino, voi. XLI. pag 10 e 15 estr. — Pariseli, 1906; Mem. R. Acc. Se. Torino, ser. 2a, voi. LVI, pag. 88, tav. II, fig. 26. CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 33 Operculina arabica Carter, 1852; Ann. and Mag. Nat. Hist. ser.. 2a, voi. X, pag. 161-176, tav. IV, fig. 1-9. — Carter, 1853; Journ. Bombay Branch R. Asiatic Soc., voi. IV, pag. 437, tav. XVIII. — Carter, 1861; Ann. and Mag. Nat. Hist., ser. 3% voi. Vili, pag. 229. — Jones, 1883 -, Microgr. Dict., pag. 555, tav. XXIV, fig. 23-26. Planulina? Euryteca Ehrenberg, 1854; Milcrogeologie, tav. XXII, fig. 44. Planulina Hexas Ehrenberg, 1854; Milcrogeologie, tav. XXII, fig. 45. Planulina? umbilicata Ehrenberg, 1854; Milcrogeologie, tav. XXII, fig. 47. Planulina ? ampia Ehrenberg, 1854; Milcrogeologie, tav. XXII, fig. 48. Planulina ? involuta Ehrenberg, 1854; Milcrogeologie, tav. XXII, fig. 49. Planulina ? ampliata Ehrenberg, 1854, Milcrogeologie, tav. XXII, fig. 50. Planulina ampliata Ehrenberg, 1854; Milcrogeologie, tav . XXIV, fig. 54; tav. XXV, fig. R II. Planulina ampliata ? Ehrenberg, 1854; Milcrogeologie, tav. XXIV, fig. 60. Operculina Carpenter, 1862; The Microscope, ediz. 3a, pag. 523, tav. VII, fig. 2. Operculina Studeri Kaufman, 1867 ; Geol. lìeschreib. des Pilatus, pag. 151, tav. IX, fig. 1 e 2. Operculina marginata Kaufman, 1867; Geol. Beschreib. des Pilatus, pag. 152, tav. IX, fig. 4. Operculina sublaevis Giimbel, 1868; Abhandl. k. bayer. Ak. Wiss., II Cl., voi. X, pag. 665, tav. II, fig. 113. Operculina libyca Schwager, 1883; Palaeontographica, voi. XXX, fase. 6°, pag. 142, tav. XXIX, fig. 2 a, d, e, f, g, li. — (Cfr. libyca) Teliini, 1890; Boll. Soc. Geol. It., voi. IX, pag. 398, tav. XIII, fig. 17. — (?) Marinelli, 1902; Descr. geol. dint. Tarcento in Friuli , pag. 183. — (Cfr. libyca ) Prever, 1905; Boll. Soc. Geol. It., voi. XXIV, pag. 677. Operculina py rami cluni (Ehrenberg.). — Schwager, 1883; Palaeontogra- phica, voi. XXX, fase. 6°, pag. 143, tav. XXIX, fig. 4 a, c, d, f, g. — Prever, 1905; Rendic. R. Ist. Lomb. Se. e Lett., ser. 2a, voi. XXXV1II, pag. 479. — Prever, 1905; Boll. Soc. Geol. It., voi. XXIV, pag. 677. — Prever, 1906 ; Atti R. Acc. Se. Torino, voi. XLI, pag. 11, estr. Operculina Terrigii Teliini, 1890; Boll. Soc. Geol. It., voi. IX, pag. 399, tav. XIII, fig. 19. Operculina subcomplanata Teliini? — Tellini, 1890; Boll. Soc. Geol. It., voi. IX, pag. 400. — (Tellini) Verri ed Artini, 1893; Ren- dic. R. Ist. Lomb., ser. 2a, voi. XXVI, fase. 16p, pag. 4 estr. — Verri ed Artini, 1894; Giorn. Minerai. Crist. e Pe- trogr. Sansoni, voi. IV, fase. 4°, pag. 5 estr. — De Lorenzo, 1898; Boll. Soc. Geol. It., voi. XVII, pag. 673. Operculina diomedea Tellini, 1890; Boll. Soc. Geol. It., voi. IX, pag. 401, tav. XII, fig. 17-18. — Marinelli, 1902; Descr. geol. dint. Par- cento in Friuli, pag. 183, tav. V, fig. 9. A. SILVESTRI 34 Operculina sp. Blanckenhorn, 1890; Zeitschr. deutsch. geol. Gesellsch., pag. 339, tav. XVII, fìg. 2 e 3. Operculina complanata Giimbel. — Trabucco, 1894; Proc. Verb. Soc. Tose. Se. Nat., voi. IX, pag. 185. Operculina complanata (Detrance), var. canalifera D’Archiac.-Chapman, 1900; Geol. Mag., n. s., dee. 4a, voi. VI I, pag. 314, tav. XIII, fig. 3 a, 4 a; tav. XIV, fìg. 12. Operculina Tellinii Marinelli, 1902; Descr. geol. dint. Tar cento in Friuli, pag. 181, tav. V, fig. 10. Operculina Preveri Parisch, 1906; Mena. R. Acc. Se. Torino, ser. 2a, voi. LVI, pag. 89, tav. II, fig. 28 e 29. Il genere Operculina rimonta al 1826, e devesi al D’Or- bigny (1), il quale assegnandolo alla sezione seconda della sua famiglia degli Elicostegi, lo fece conoscere per mezzo della se- guente concisa descrizione e della figura d’una specie, precisa- mente la complanata , da lui per errore ritenuta del Basterot (2) mentre devesi al Defra nee: « Coquille libre, régni idre, déprimée; spire régulicre , égale- ment apparente de cliaque còte ; ouverture en fente (3) contee Vavant dernier tour de spire » (*). Tra gli autori che ne trattarono successivamente, le migliori illustrazioni di questo genere, sono a mio avviso quelle del Carpenter (:‘) e dello Zitte! (6), da cui si ricavano per esso i con- notati di: « Conchiglia discoide, rotonda od ovale nel contorno, distin- guibile dalle Nummuliti, con le quali ha intime relazioni, a C) Ann. Se. Nat , voi. VII, pag. 281. (2) E strano che quest’errore si sia perpetuato fino a tempi recenti, ma più ancora che il D’Orbigny abbia dato la paternità del genere più comprensivo (Lenticulina) da cui derivò il suo, allo stesso Basterot, essendo invece del Lamarck (1804; Ann. Mus. Paris, voi. V, pag. 186), e che nel 1819 (Cours élém. Paléont. et Geol., voi. II, pag. 197, § 1443) dia il genere Operculina come « perdu », cioè soltanto fossile, mentre in precedenza (1826) ne aveva segnalato l 'habitat recente presso le coste del Madagascar e della Tasmania. (3) Detta « triangulaire » nel 1819 ( Cours élém. Paléont. et Géol., voi. II, pag. 197, § 1443). (*) Loc. cit., pag. 281. (5) 1862; Introd. Forum., pag. 247, 249, 253, 261, tav. XVII, fig. 12, e, e, e. (fi) 1876; Handbuch. Palaeont., voi. I, pag. 96, fig. 36. — 1883; Traité de Paléont., trad. Barrois, voi. I, parte la, pag. 97, fìg. 38. CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 35 causa della sua straordinaria compressione, il piccolo numero delle logge, il loro rapido accrescersi, e l’avviluppo di esse li- mitato alle prime, per cui le successive resultano prive di pro- lungamenti laterali, e del tutto visibili dai due lati del nicchio, un po’ rigonfio al centro a cagione dell’avviluppo accennato. Spesso su tali lati i setti interni presentansi in rilievo, ed al- lora le pareti esterne delle logge assumono una certa concavità, per la quale vengono ad avvicinarsi tra loro nel senso dello spessore dello stesso nicchio. » Struttura di questo resultante da una spirale piana (*) di 3 a 6 giri, che rapidamente si allargano, divisi da setti radiali, un po’ curvi all’indietro, in logge nel numero di circa 75 negli esemplari microsferici a completo sviluppo, in numero sempre inferiore nei megalosferici. La loggia iniziale è sferica, le suc- cessive sono arcuate ed aumentano regolarmente e rapidamente di grandezza con l’ampliarsi della spirale. La comunicazione d’ogni loggia con le adiacenti è stabilita mediante una fes- sura semilunare, prodotta dalla non adesione del piede d’ogni segmento alla lamina spirale; omotipico a tale fessura è l’ori- fizio esterno. » Pareti apparentemente perforate da canaletti verticali (2), salvo che al centro della conchiglia e sui setti, dove trovansi spesso degli accumuli papilliformi di sostanza calcarea compatta. Cordone dorsale del piano mediano costituito anch’esso di so- stanza calcarea omogenea, ma traversato da numerosi canali più larghi, anastomosati, intrecciati tra loro, e disposti in fascio pa- rallelo alla spira. Due lamelle calcaree compatte formano i setti, forati soltanto qua e là con grossi pori ; però in mezzo ad esse (J) È noto che la formula generale di questa spirale piana detta concospirale, é data dall’equazione: dove per a = - si ha una spirale logaritmica. Nella Operculina P — 1 complanata si verifica questo caso. (2) Lo Zittel ritiene siano dei veri canaletti; io non credo esistano in tutti i casi, almeno nelle forme adulte, dove però possono esser si- mulati, o sostituiti, da fibrosità trasversali delle pareti del nicchio. 36 A. SILVESTRI esiste un sistema di canali ramificati, che s’originano con due grossi tronchi, i quali partono dal piede d’ogni segmento e si diramano nei canali spirali dorsali ». Dall’eocene parisiano della regione Caviggione presso Gas- sino (Torino) proviene l’individuo di cui nella fig. 1 (tav. II) riproduco la sezione principale, il quale indubbiamente spetta a forma microsferica del genere ora descritto, ed alla specie complanata del Defrance, intesa come resulta dalla precedente sinonimia, mentre quello analogamente riprodotto nella fig. 3 (ibid.), trovato nel calcare oligocenico tongriano esistente a SE. della località detta Talamonchi, presso la via della Libbia, nel territorio d’Anghiari (Arezzo), benché dello stesso tipo di con- figurazione e quindi dell’istessa specie, apparisce megalosferico. Però in entrambi notiamo che le camere sono larghe e poco numerose in confronto a quelle della forma miocenica di Bor- deaux figurata dal D’Orbignv nel 1826 ( loc.cit . nella sinonim.), e che si può considerare come tipica, essendo la più e meglio conosciuta della specie, per cui costituiscono una varietà di questa, ma coesistente nello stesso terreno e luogo; come ne fa fede lo Zittel per mezzo della fig. 36 pubblicata la prima volta nel 1876 ( 0 . complanata (Bast.), loc. cit. nella sinonim.). Inoltre osserviamo che nel primo di essi, fig. 1, la conchiglia è stata riparata poco dopo costituitasi, ed alla riparazione, la quale co- mincia dalla 19a loggia, compresa l’iniziale, si manifesta subito la tendenza del nicchio a modificare la propria struttura con la formazione di setti secondari, già riscontrata dal Carpenter, che l’illustra col disegno e così ne parla: « Frequenti y a septum , instead of passing continuosly from thè inner to thè outher margin of thè whorl, stops short without reaching thè latter , and bends backwards to join thè last-formed septum ; ancl sometimes a se- cond septum unites itself to thè first, in thè sanie manner » ('). La variazione ricordata, di cui pur io detti nel 1905 una figura ricavata da esemplare tongriano della suddetta località di Talamonchi, proponendo di chiamarla Operculina complanata var. carpcnteri (2), è di sicuro in stretto rapporto con l’altra (1) 1862; Introd. Foravi., pag. 253, fig. XXXIX. (2) Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LVIII (1904-1905), pag. 125, fig. 1. CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 37 frequentissima nel deposito sabbioso littoraneo dell’elveziano medio inferiore (*), di Croce Berton sulla strada tra Basis- sero e Superga (Torino), dove la specie complanata è estre- mamente abbondante; forma riprodotta in sezione col sussidio della fig. 4, tav. II. Quest’ultima, cui già accennò il Telimi (2), è così descritta da H. Douvillé che pur la raccolse, ma nel mio- cene di Biarritz, e di Abbesse presso Dax: «présente cles amorces de cloisons transversales prenant naissance sur la partie convexe des cloisons principales; mais ces cloisons restent ici très courtes, et ne se développent pas » (3) ; da essa, che stimo utile distinguere in var. heterostegina dell’O. complanata, si giunge alla struttura delle vere Heterosteginae (fig. 5, tav. II) col sem- plice prolungarsi delle suddivisioni trasversali dei setti, le quali vi possono essere più o meno sviluppate, fino a toccare il setto successivo. Tantoché lo Zittel, cui si deve, per quanto è a mia conoscenza, la prima figura della ora detta var. Jieterostegina, che ricavò dal miocene (calcare della Leitha) di Nussdorf in Germania (4), e lo Chapmau, il quale pochi anni or sono ne pubblicò un esemplare proveniente dall’esterno delTAtoll di Fu- nafuti (Isole delle Lagune) (5), l’attribuirono senz’altro, il primo (*) Secondo il prof. Sacco, che me l’ha favorito. Esso consta di sabbie che sono una vera cava d’O. complanata (Defi-.), e le quali pas- sano anche localmente a lenti ghiaiose e ciottolose; contiene i seguenti fossili : Quinqueloculina cfr. costata D’Orbigny; in forma allungata e prov- veduta di costole robuste ma basse; assai logora; rarissima. Quinqueloculina cfr. vulyaris D’Orbigny ; molto sciupata alla super- fìcie; rarissima. Cristellaria cfr. cultrata (Montfort); rarissima. Opcrculina complanata (Defrance); in due forme diverse, l’una dai segmenti fitti, l’altra dai segmenti radi ; entrambe facenti spesso passaggio ad Heterostegina (var. heterostegina) ; estremamente abbondante. Miogypsina irregularis (Michelotti); rarissima. Miogypsina globulina (Michelotti); rara. (2) V. : Operculina diomedea, Tellini, 1890; Boll. Soc. Geol. It.,vol. IX, pag. 401. (3) 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4a, voi. V, pag. 456. (4) 1876; Handbuch. Palaeont., voi. I, pag. 102, fig. 42. (5) 1901; Journ. Linn. Soc., Zool., voi. XXVIII, pag. 18, tav. Ili, fi g. 6. 38 A. SILVESTRI alla Heterostegina costata D’Orb., ed il secondo invece alla H. depressa D’Orb. (M. Attribuzione, secondo il mio modo di ve- dere, inesatta, poiché, per quanto la var. heterostegina sia un’ Operculina complanata che si avvia a divenire Heterostegina , non è ancora una Heterostegina completa. Tutte le Operculine che ho finora ricordato e riprodotto (fig. 1, 3 e 4, tav. II), danno delle sezioni longitudinali per- pendicolari al piano di simmetria, conformi a quella dimostrata dalla fig. 2, tav. II, riguardante individuo microsferico dell’o- ligocene tongriano delle vicinanze di Talamonchi nell’Anghia- rese (v. sopra), e da cui ricavasi come l’involuzione del nicchio si limiti in dette Operculine ai primi segmenti, alle prime logge. E questo carattere sembra abbastanza costante nell’O. compla- nata di varie provenienze, sia dessa micro, ovvero megalosfe- rica; incostante invece resultami l’altro concernente il numero dei giri della spirale, ma più ancora quello dei setti e delle camere in rapporto ad essi, cui ne segue la varia larghezza delle medesime camere : fatto quest’ultimo, già precedentemente accennato, e del quale le figure 8, tav. XIY, del D’Orbigny (?), 36 è, pag. 96, dello Zitte! (3), forniscono, confrontate, eccellente prova ed esempio. Tali incostanze non consentono a mio avviso di scindere YO. complanata, come fu intesa da questi autori, e come hanno fatto altri, in più specie; però con ciò non intendo negare che si possano istituire almeno due varietà principali: la prima assai compressa e dai setti fìtti, da attribuirsi, secondo quanto sopra ho indicato, al tipo della specie; la seconda dai setti radi, cui darei per base di confronto il disegno ricordato dello Zittel, e chiamerei var. zitteli. Altre distinzioni secondarie, ma aventi pur queste carattere di varietà, sono anche possibili, e da farsi tenendo conto delle (*) Viceversa poi il Teliini in merito alla sua Operculina diomedea ( loc . cit. nella nota a pag. 37), mise tra i caratteri che la distinguono dal- VO. complanata, quello negativo derivante dalla mancanza de « gli accenni a setti longitudinali che nella 0. subcomplanata (la complanata A) e nella omologa (la complanata B) rivelano il legame con il gen. Hete- rostegina». Quasi come che il carattere positivo di quegli accenni fosse co- stante nella 0. complanata, mentre non lo è. (t) 1826; Ann. Se. Nat., voi. VII. (3) 1876; Handbuch. Palaeont., voi. I. CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 39 papille o tubercoli alla superficie del nicchio, di solito abbon- danti al centro e sulle linee settali, nonché del rilievo dei setti sulla stessa superficie. Quali esempi del primo caso citerò le 0. granulosa Michelotti, 0. granulata Gttmbel, 0. granosa Hantken, 0. Hardiei D’Archiac e Haime, 0. gaimardi D’Orb., 0. Pre- veri var. elegans Pariseli, ecc., che per me significano la stessa cosa, ossia 0. complanata var. granulosa (Michelotti), la quale differisce dalla specie soltanto « per le piccole (o grandi) gra- nulazioni, di cui è guarnita la sua superficie esterna» Q) ; e quali esempi del secondo YO. costata D’Orb., YO. ammonea Leymerie figurata dall’Hantken (?), ecc., cioè la var. costata (D’Orb.) del l’O. complanata (3), « pourvue de cótes sur les sutures des loges». Distinzioni di ancor minore importanza sono da farsi in or- dine all’aumento più o meno rapido in spessore delle logge, che hanno dato origine alla 0. madascariensìs D’Orb. ed 0. sublaevis Giimbel, ecc., ma su queste che mi porterebbero troppo lungi dagli argomenti di maggiore interesse, preferisco sorvolare; ed in particolare poi perchè, eccezione fattane delle var. typica- granulosa e fitteli -granulosa, che nell’eocene ed oligocene so- stituiscono spesso la forma tipica e la fitteli, le altre varietà sembra abbiano pochissimo interesse dal punto di vista geologico. Preferisco dir qualcosa sugli habitat dell’ 0. complanata , i quali, in relazione alla sinonimia esposta in principio, mi risultano come segue: Nel Cretaceo (Senoniano) del NE. del Minnesota e della provincia di Meeker, e del South Chicago nell’I llinois (N. America). NeH’EocENE (Suessoniano?) di Monte Tilia presso Leonessa (Abruzzi). (l; 1841 ; Mena. Mar. e Fis. Soc. It. Se. Modena, voi. XXII, Mera, di Fisica, pag. 286, tav. II, fig. 2. C) 1875; Mittheil. Jahrb. k. ung. geol. Ansi., voi. IV, pag. 80, tav. XIT, fig. 1-2. (3) 1826; Ann. Se. Nat., voi. VII, pag. 281, num. 2.— 1849-1810; Prodrome Paléont. stratigr., voi. II. — Fornasini, 1903; Boll. Soc. Geol. It., voi. XXII, pag. 395, tav. XIV, fig. 1 (del D’Orbigny). 40 A. SILVESTRI ( Suessoniano) di (frequente) El-Guss-Abu-Said, di (id.) Gebel Tuir nell’Oasi Chargeh, delia (id.)' discesa della Valle del Nilo tra Esneh e Risgat, delle vicinanze (meno frequente) di Nekeb- el-Farudj e del (id.) Ckaraskaf a N. di Dacliel, nel Deserto Libico. Tra (abbondante) Wadi Baba e Wadi Shellal, e del (fre- quente) Jebel Krer, nel Sinai. ( Parisiano ) dei Carpazi. Di Kressenberg e Gotzreuther-Gra- ben, nelle Alpi Bavaresi. Delle Prealpi Svizzere. Dei dintorni di Nizza, e presso Montfort in Francia. Dei Pirenei. Di contrada Caviggione presso Gassino (Torino); di (rara) Volpine, Ottelio di Buttrio, Rio di Lavaria, Roggia presso C. Morgaute, Billerio, M. Bernadia, Rio Zimor e Stella, nel Friuli; di Grantola presso Verona; di (rara) Mosciano e Villamagna (Firenze), e di altre località della Toscana; del bacino del Trasimeno (Perugia); di (rara) Salona presso Spalato (Dalmazia). Delle (frequente) Pi- ramidi di Gysek, del Mokattam, e delle Catacombe di Tebe, in Egitto; deH’Autilibano nella Siria. Di Borneo. (Parisiano e bartoniano) della (rara) Fontana Vecchia di Vieste, S. Francesco di Vieste, dei dintorni di Vieste, di Torre Sansone, del Semaforo di Monte Saraceno, e dei dintorni di Mat- tinata, nel Promontorio Garganico. (Bartoniano) della Còte des Basques e dei dintorni di Biarritz in Francia; di Beaulieu nelle Alpi Marittime. Di Pietra de’ Giorgi nell’Oltrepò Pavese. Della Fontana Vecchia di Vieste nel Promontorio Garganico. Della conca fra Grotteria e Platè in Calabria; di Capo S. Andrea presso Taormina (Messina) ; delle contrade Rocca e (mediocremente comune) Impalastro nei din- torni di Termini-Imerese (Palermo). (Eocene in genere) dell’Inghilterra e dell’India. Nell’OLIGOCENE (Priaboniano) di Priabona nel Vicentino; della (abbondante) Madonna del Monte presso Vicenza. Di (frequentissima) Ofen e Budakeszi nell’Ungheria. ('Tornano) della Valle di Non superiore nel Tirolo meridio- nale. Della Còte des Basques e del Porto di Biarritz in Fran- cia. Di Schio ed altre località del Vicentino; di Beiforte, (co- mune) Dego, (id.) Grognardo, (id.) Carcare, e Millesimo, in Pie- monte; di (rara) Sestola nell’Appennino Modenese; delle (fre- CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 41 quelite) vicinanze eli Talamonchi (Anghiari) nella provincia d’A- rezzo; di (piuttosto comune) Vasciano presso Todi ; di Genzano e Rocca di Cambio nell’ Appennino Aquilano; del Vallone dei Pitrulli presso Lacedonia; di sotto il Castello di Lagonegro nella Basilicata ; delle (piuttosto frequente) vicinanze della sta- zione ferroviaria di Castel Madama nel Lazio; di (comune) Antonimina e tra S. Jejunio ed i Piani di Melia, nella provin- cia di Reggio Calabria. Nel Miocene (Aquitanicmo) di (piuttosto frequente) sotto Monte Pendente, presso Scandriglia nella Sabina; di (id. id.) presso la. stazione ferroviaria di Vicovaro nel Lazio ; del Piemonte, di Schio ed altre località del Vicentino ; del (rara) territorio di Stilo nella provincia di Reggio-Calabria. (Aquitanicmo od elveziano) della costa occidentale dell’Isola dello Spirito Santo nelle Nuove Ebridi. (Langhiano?) di (rarissima) Guardavalle nella provincia di Reggio Calabria. ( Elveziano ?) della Giamaica. Di Muddy Creek (Victoria) nel- l’America Settentrionale. (Elveziano) di Lagus presso Saucat (Gironda), Dax, e (ab- bondante) presso Bordeaux, in Francia. Della Villa Rovasenda presso Sciolze nella provincia di Torino, e delle Colline di To- rino ; di Cominella presso Voghera; di Calvaruso nella Catena Peloritana (Messina). (Tortoniano) delle isole di Formosa e Riu-Kiu. Nel Pliocene (Piacenziano) di (rara) Trinité-Victor nel Nizzardo; di Castel- larquato nel Piacentino; di (rara) Staggia presso Siena. Recente abbonda nelle zone tropicali e subtropicali dell’Oceano Paci- fico, del littorale ai 55 o 73 m. di profondità, diffondendosi pure, ma sempre con minor frequenza fino ai 768 m. ; in particolare trovasi presso le Isole Filippine, Amboina (dai 55 ai 101 m. di prof.), e la Nuova Zelanda. Esiste poi nelle acque basse del- l’Arcipelago Malese ; è frequente nel Mar Arabico, presso le Isole Laccadive, e rara presso Maurizio (dai 65 ai 137 m.); si trova anche vicino alla costa SE. dell’Arabia; abbonda nel Mar 4 42 A. SILVESTRI Fosso ; è mediocremente comune nel Mar Egeo presso Syra (prof, di 165 m.), rara ivi presso Candia (prof, di 658 m.); è rara pure in vicinanza alle coste croato dalmate dell’Adriatico, nei paraggi di Crkvenic e Babak ; trovasi eziandio in qualche plaga dell’Atlantico. In conclusione è essenzialmente forma delle acque poco pro- fonde, e dei mari tropicali e subtropicali, esistendo per eccezione in quelli temperati. La distribuzione stratigrafica della specie, come s’è veduto, va dal cretaceo superiore all’età attuale, però dopo aver subito un massimo di diffusione e di sviluppo dall’eocene medio al mio- cene medio inclusivamente; diminuisce e declina assai dal plio- cene in poi, e nei mari attuali, temperati o freddi, è quasi sempre sostituita dalla gracile e sua probabile varietà, detta Operculina amrnonoides (Gronovius). In quanto al genere Operculina nel suo complesso, esso fa pure la sua prima comparsa nel cretaceo, ma nella serie infe- riore: il Cornuel, sotto il nome di angularis, ne descrive una specie del neocomiano dell’ « Halite- Marne» in Francia (‘). Oltre n\Y habitat del cretaceo superiore citato per la specie com- planata, ricordo poi che VO. cretacea descritta dal Heuss come proveniente dalla creta di Maastricht (?) ; 1’ 0. complanata (Defr.), var. granulosa Leym., trovata dal Woodward e dal Thomas as- (M 1848: Mém. Soc. Géol. Franco, ser. 2", voi. Ili, meni. 3a, pag. 256, tav. II, fig. 20-22. C!) 1861 ; Sitzungsb. k. Ak. Wiss. Wien, voi. XLIV (1862), pag. 309, tav. II, tig. 1. In questo stesso luogo il Reuss (pag. 308, tav. I, iig. 10-12) tratta anche di certa Amphistegina fleuriausi da lui trovata comune nella creta di Maastricht, dov’era stata già segnalata sotto tal nome dal D’Orbigny, autore della specie (1826; Ann. Se. Nat , voi. VII, pag. 304, num. 7. — A.fleuriausana, 1850; Prodrome Géol. stratigr.,v ol. II, pag. 283, num. 1414), e la quale sull’esempio del Brady si é voluta identificare all’O. compia- nata, mentre dalla figura inedita del D’Orbigny, pubblicata ultimamente dal Fornasini (1903; Rendic. R. Acc. Se. Bologna, n. s, voi. VII (1902- 1903), pag. 142 e 144, tav. II. fig. 7) resulta proprio Amphistegina Cui però non pare debba identificarsi la forma omonima eenomaniana e senoniana dell’Egger (1899; Abhandl. k. bayer. Ak. Wiss. Il CI., voi. XXI, pag. 176, tav. XXI, fig. 31-38), dotata più dell’aspetto di Ro- talina anziché di quello di Nununulitina. CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 43 sieme alla specie stessa nel senoniano dell’America settentrio- nale ('); YO. cretacea Keuss, del cenomaniano e senoniano delle Alpi Bavaresi, rinvenutavi dall’Egger (2) ; e la forma di que- st’nltima medesima località ed età, illustrata pure dall’Egger quale « 0. complanata D’Orb., var. granulosa Leymerie » (3), per quanto forse inesattamente, sono tutte e senza dubbio delle Oper- culine. Il genere si è poi continuato dal cretaceo attraverso i suc- cessivi periodi: relativamente scarso od almeno di limitata di- spersione al principio del terziario, come la specie complanata, ha raggiunto notevole sviluppo e dispersione nelTeocene medio e superiore, nell’oligocene, e nel miocene inferiore e medio, so- pratutto del bacino mediterraneo ; declinando di poi tino nel- l’età attuale, dove le forme più caratteristiche trovansi abbon- danti unicamente nei mari tropicali o subtropicali, a profondità inferiore ai 55 metri. E ciò pur diffondendosi orizzontalmente sin dentro il circolo polare artico, e verticalmente fino ab 658 metri. * * * Il secondo dei generi da prendere in considerazione, ossia Y Heterostegina, offre come specie importante la Heterostegina depressa D’Orbigny (tav. II, fig. 5) sotto il qual nome comprendo tutte le forme qui significate, e le somiglianti: Heterostegina depressa D’Orbigny, 1826; Ann. Se. Nat., voi. VII, pag. 305, num. 2, tav. XVII, fig. 5-7. — D’Orbigny, 1826; Modèles, num. 99. — Terrigi, 1882; Trans. R. Acc. Lincei, ser. 3*, voi. VI (1881-82), pag. 256. — Brady, 1884 ; Rep. Challen- (!) 1893; Final Rep. Geol. and Nat. Hist. Survey Minnesota, voi. Ili (1895), pag. 45, tav. E , fig. 38. (2) 1889; Abhandl. k. bayer. Ak. Wiss., II Cl., voi. XXI, pag. 175, tav. XIX, fig. 31-32. (3) 1889; ibid.} pag. 175, tav. XIX, fig. 33-34. 44 A. SILVESTRI ger, voi. IX, pag. 746, tav. CXII, fig. 14-20. — Terrigi, 1889; Mem. R. Acc. Lincei, ser. 4a, voi. VI, pag. 122, tav. X, fig. 1. — Egger, 1893; Ahhandl. bayer. Ak. Wiss., II Cl., voi. XVIII, pag. 433, tav. XX, fig. 34-35. — De Ainicis, 1893; Boll Soc. Geol. It., voi. XII, pag. 465. — Goès, 1896; Bull. Mus. Comp. Zool. Harward, voi XXIX, num. 1, pag. 79. — Jones et Chapman, 1900; in Andrews: Monogr. Clxristmas Jsland, pag. 229, tav. XX, fig. 1 ; pag. 232, 235, 237, 239, 240, 241, 244, 245, 247, 248, 252, 253, 254, 255. 257, 260, 262, 263. — Chapman, 1900; Geol. Mag., dee. 4a, voi. VII, pag. 315, tav. XIII. fig. 7 a. — Chapman, 1900; Journ. Linn. Soc., Zool., voi. XXVIII, pag. 18, tav. Ili, fig. 6 e 7. — Chapman 1901 ; Journ. Linn. Soc., Zool., voi. XXVIII, pag. 18 ('); pag. 205; pag. 382, num. 97; pag. 387, num. 34; pag. 407, num. 272; pag. 412. — Chapman, 1902; Geol. Mag., n. s.. dee. 4n, voi. IX, pag. 10, tav. IV, fig. 1; pag. 110. — Chapman, 1902; Proceed. Zool. Soc. London, voi. 1, pag. 233. — Chapman, 1902; The Fora- minifera, pag. 243, tav. XIII, fig- L — Lister 1903; Fo- raminifera, in Lancaster: Zoology, pag. 128, fig. 66. — Millet, 1904: Journ. R. Micr. Soc., pag. 606. — Chapman, 1905: Proc. Zool. Soc. London, voi. V, pag. 48. — Chapman, 1905; Proc. Linn. Soc. New South Wales, parte 2n, pag. 266 e 271.— A. Silvestri, 1 905; Riv. It. Paleont., anno XI, pag. 145. Heterostegina suborbicularis D’Orbigny, var. A D’Orbigny, 1826; Ann. Se. Nat., voi. VII, pag. 305, num. 1. — Fornasini, 1903; Boll. Soc. Geol. It., voi. XXII. pag. 396, tav. XIV, fig. 5-6 (del D’Orbigny). Heterostegina antillarum D’Orbigny, 1839 ; Foram. Cuba , pag. 121, tav. V II, fig. 24-25. Heterostegina reticulata Riitimeyer, 1860; Ceber Schiceiz . Nummulitentcrr., pag. 109. tav. IV, fig. 61. — Giimbel. 1868; Ahhandl. k. bayer. Ak. Wiss., II Ch, voi. X, pag. 662, tav. II, fig. 110. — Hantken, 1872; Mittheil. Jahrb. k. ung. geol. Anst , voi. II (1873), pag. 224. — Seguenza, 1873; Boll. R. Comit. Geol. It.., voi. IV, pag. 237-238. — Hantken, 1875; Mittheil. Jahrb. k. ung. geol. Anst., voi. IV, pag. 81, tav. XTI, fig. 3. — (Haeterostegina reticulata) Schwager, 1878; Boll. R. Comit. Geol. It., voi. Vili, pag. 25, tavola, fig. 23. — Ciofalo, 1878; Atti Ace. Gioenia, ser. 3a, voi. XII, pag. 119. — Ciofalo, 1879; Atti XII Congresso Scienz. It., Palermo 1875, (*) (*) In questa pagina dello Chapman sono citate le fig. 6 o 7 della tav. Ili annessa al suo lavoro, perù esso riguardano ì'Operculina com- planata var. heterostegina (vedasi a pag. 37). CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 45 pag. 152-153. — Uhlig, 1886; Jahrb. k. k. Geol. Reichsanst., voi. XXXVI, pag. 148-149, 155, 158, 201. — Ciofalo, 1890; Atti Acc. Gioenia, ser. 4a, voi. II, pag. 2 estr. — H. Douvillé, 1905; Boll. Soc. Geol. 1 1., ser. 4a, voi. V, pag. 437 e 441. Heterostegina Grotriani Heuss, 1866; Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien, math.- natunv. CI., voi. XXV, pag. 164, tav. IV. fig. 18. (*). Heterostegina helvetica Kaufmann, 1867; Geol. Beschreib. des Pilatus , pag. 153, tav. IX, fig. 6-10. Heterostegina papyracea Seguenza, 1880; Mem. R. Acc. Lincei, Cl. Se. fis. mat. nat., ser. 3\ voi. VI, pag. 90, tav. IX, fig. 4, 4 a. — De Stefani, 1883; Mem. R. Acc. Lincei, Cl. Se. fis. mat. nat., ser. 3a, voi. XVIII, pag. 142 e 145. Heterostegina papyracea Seguenza, var. gigantea Seg., 1880; Mem. R. Acc. Lincei, Cl. Se. fis. mat. nat., ser. 3a, voi. VI, pag. 56, tav. VII, fig. 2. Heterostegina curva Mòbius, 1880; Beitr. Meeresfauna Insel Mauritius, pag. 105, tav. XII, fig. 1-6. — Egger, 1893; Abhandl. k. bayer. Akad. Wiss., II Cl., voi. XVIII, pag. 434, tav. XX, fig. 26-31. Heterostegina depressa D’Orbigny, var. simplex D’Orb. — Goès, 1882 ; Kongl. Svenka Vetensk.-Ak. Handlingar, voi. XIX, pag.117, tav. Vili, fig. 303. Heterostegina sp. Tellini, 1890; Boll. Soc. Geol. It., voi. IX, pag. 401. Heterostegina sp. Di Rovasenda, 1893 ; Boll. Soc. Geol. It., voi. XI (1882;, pag. 420. Il genere Heterostegina fu pure istituito nel 1826 dal D’Or- bigny, che, nella sua classificazione, lo comprese tra gli Ento- mostegi, e dalle di lui descrizioni e figure (relative alla specie depressa), si desume trattarsi d’una conchiglia dalla forma d’O- perculina , ma dotata di « Divisions toutes transversales aux loges, visibles égalcment sur chaque còte de la coquille; ouver- ture contre le retour de la spire » (?). 0) La forma del Reuss cosi ricordata potrebbe anche essere la sud- detta varietà dell'O. complanata, essendoché né dalla figura dell’autore, né dal testo può rilevarsi quanto siano sviluppati i setti secondari. Dice soltanto che « Die Unterabtheilung der Kammern ist an der Aussenseite des Gehàuses nicht sichtbar ; am Querbruche erlcennt man jedoch, dass die Zahl der Quersepta sehr gering ist ». ( Loc . cit., pag. 164). (!) 1826; Ann. Se. Nat., voi. VII, pag. 305. 46 A. SILVESTRI Però notizie descrittive più complete l’autore fornì solo suc- cessivamente ed in questi termini : « Coquille suborbiculaire, libre, inequilatera] e, toujours plus bombée cVun cote que de Vautre, très comprimée, s'enroulant ni spire embrassante ou non. Loges notnbreuses, arquées, entières vers le centre ombilical, mais divisées en compartiments sur la moitié de leur largeur, vers la partie dorsale, par un grand nombre de cloisons transversales, apparentes des deux cótés de la coquille. Ouverture unique contre le retour de la spire, un peu plus du còte le moins bombe » (1). Ancor migliore è l'illustrazione resultante dalle seguenti frasi del Carpenter, il quale accuratamente studiò anche le Eterostegine: ' « Heterostegina bears precisely thè sanie relation to Oper- cultna that Orbiculina bears to Peneroplis ; tlie subdivi- sion of thè principali chambers into a row of chamberlets, by partitions extending transversely frani ecidi septum to thè next , being thè essential character of difference in eacli case » (?). E « To Heterostegina thè relationship of Operculina is extre- mely intimate ; nothing more being required than thè subdivision of its chambers into chamberlets, to convert thè latter into thè former » (3). Inoltre possiamo aggiungere con lo Zitte! : « Le système canali fère présente un cor don dorsal et des canaux sep- taux cornine dans le cgenre Operculina » (4). La conchiglia operculiniforme, proveniente dall’eocene pari- siano delle cave Defilippi presso Gassino (Torino), di cui do il disegno della sezione secondo il piano di simmetria nella fig. 5, tav. II, è quindi una Heterostegina, che non esito ad attri- buire alla specie depressa D’Orbigny, come sopra l’ho intesa; e per quanto ho già detto, tra essa e l’ Operculina complanata (fig. 1, tav. II), trova posto la var. heterostegina di quest’ul- tima (fig. 4, ibid.). Anzi se si esamina attentamente detta fig. 5, si osservano qua e là dei setti secondari incompleti, i quali ci ricordano perfettamente gli altri della fig. 4, e conse- (') 1839; Forum. Cuba, pag. 122. (*, 1862; Introd. l oram., pag. 291. (3) Ibidem, pag. 261. (4) 1883; Traile de Paleont., trad. Barrois, voi. 1, parte 1% pag. 103. CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 47 guentemente ci- confermano la derivazione di Beterostcgina da Operculina. Dunque, ed in senso lato, Beterostcgina non è che una forma particolare di’ Operculina, in cui alla costruzione fon- damentale di questo genere aggiungonsi i setti secondari. Dato questo, da ogni varietà (V Operculina (') può originarsi una equivalente varietà d 'Beterostcgina, e come p. es. esistono Eterostegine (fig. 5, tav. II) provenienti da Operculine dai setti fìtti (fig. 4, ibid.), cosi ne esistono altre (le piccole Ete- rostegine al centro delle fig. 8 e 9, ibid.) derivanti da Opercu- line dai setti radi (fig. 1 e 3, ibid.) ; è ovvio aggiungere che dànno Eterostegine tanto le Operculine microsferiche quanto le megalosferiche, e pertanto anche le Eterostegine sono dimorfe. In modo analogo a quello con cui da Operculina compla- nata (fig. 1 e 3, tav. II) si passa ad Beterostcgina depressa (fig. 5, ibid.) attraverso alla var. heterostegina della prima, da quest’ultima si passa a Cycloclypeus carpenteri (fig. 13, ibid.) attraverso alla sua var. cycloclypeus (fig. 8 e 9) (?); ossia per semplici variazioni di struttura, determinate più AaXV habitat geografico che dal geologico (:ì). I setti primari che nel tipo di struttura d’Eterostegina dalla periferia convergono al centro (fig. 5), si rendono a mano a mano sempre più aperti ed avvol- genti (fig. 8 e 9), per cui i secondari, originariamente normali ai primi, a questi sostituisconsi nella posizione, e le camere, dapprima disposte su raggi curvi e divise trasversalmente in piccole celle, assumono andamento ciclico, mantenendo dette di- (*) (*) Per queste varietà vedasi a pag. 38. (?) Non tutti accetteranno questa derivazione per quanto riferiscesi alla specie, ma debbo ricordare che, come risulta dalle sinonimie esposte e dall’altra la quale esporrò tra breve, il mio concetto di specie nei Rizopodi reticolari è piuttosto ampio (3) Data tale variabilità più nello spazio che nel tempo, é giusti- ficato il suddetto concetto ampio di specie, ed affinchè le ricerche sui Rizopodi reticolari possano riuscire veramente utili per la stratigrafia, necessita appurare l’importanza della variabilità stessa, e, se é possibile, rimontando dall’attualità all’antico, rintracciarne le cause (temperatura, profondità, salsedine, ecc.). È per questo che nella presente nota tratto contemporaneamente di forme fossili e recenti, mirando dessa a stabi- lire il valore stratigrafico nelle variazioni del tipo morfologico Oper- culina. 48 A. SILVESTRI visioni, che alla loro volta si sistemano lungo i raggi d’nna serie d’anelli concentrici (fig. 12 e 13, tav. II), e quindi in senso perpendicolare alla loro precedente situazione. E che il fatto stia proprio così, senz’altre complicazioni, ossia senza che si determinino variazioni nella struttura dei nicchi nel senso del piano normale a quello di simmetria, ce lo signi- fica la sezione longitudinale corrispondente de 11 ’ Heterostegina depressa , confrontata con la simile della sua var. cycloclypeus : ambedue, e salvo il prolungamento di quest’ultima da entrambi i lati della camera iniziale, sono identiche, e corrispondono alle figure 10 e 11 dell’annessa tav. Il, ricavate da esemplari della varietà in discorso, ottenuti dal calcare a Lepidocicline a SE. di Talamonchi nell’Anghiarese (Arezzo), il quale ora ritengo sia tongriano ('). Ma sospendiamo qui questa partita, per occuparci della distri- buzione geologica e geografica del V Heterostegina depressa , la quale può riassumersi così : Nell’EocENE ( Suessoniano) della (rarissima) Oasi Farafra in Egitto; di (rara) Jebel Krer nel Sinai. (Parisiano) di (rarissima) Tempotok presso Bintot, nell’Isola di Borneo. Di (frequente) Aditimi, Kressenberg, Hammer, Gbtz- reuther-Graben, Roll-Graben, Holl-Graben, Bergen, Bocksleiten presso Tolz, nelle Alpi Bavaresi. Delle (frequente) cave Defi- lippi, e della (id.) regione Caviggione, presso Gassino (Torino) ; di (frequentissima) fuori Porta S. Gregorio e del (id.) Castel di Pietro, a Verona. (Parisiano e bartoniano) della (comune) regione Piano Grande e del (id.) Colle Alto di Caramanico, nel Gruppo della Majella (Abruzzi). (Bartoniano) dei (rara) dintorni della Cala dei Turchi nel- l’Isola Capiara (Isole Tremiti). Della Piana dei Greci ; e delle contrade Rocca, (frequente) Impalastro, e Mazzarino, e del Bur rone Trepietre, presso Termini-Imerese (Palermo). (■) Quando descrissi per la prima volta questa varietà (1905; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LV1II (1904-1905), pag. 126) sotto il nome d 'Heterostegina cycloclypeus, attribuii la formazione che la contiene all'a- quitaniano. CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 49 Nell’OlilGOCENE (Priaboniano) di Ofen, Bndakeszi, Mogyorós, Tokod, in Unghe- ria; di (frequentissima) Wola Luzanska e di (rara) Szalowa, nei Carpazi della Galizia occidentale. Di Priabona nel Vicentino. ( Tongriano ) dei dintorni di Sollingen in Germania. Delle (mediocremente comune) vicinanze della stazione ferroviaria di Castel Madama nel Lazio ; di (comune) Vasciano presso Todi (Umbria). Della (frequente) Isola Cbristmas nell’Oceano Indiano. Nel Miocene « (Aquitanìano) della (rara) Villa Sacco nei Colli Torinesi (Pie- monte); e di (rarissima) Stilo nella provincia di Reggio-Calabria. (Aquitanicino od elveziano) della (frequente) Costa occiden- tale dell’Isola dello Spirito Santo nelle Nuove Ebridi; e dell’I- sola Christmas nell’Oceano Indiano. (Elveziano) di (comune) Ambutì, Benestare, contrada Pioca presso Gerace, Malochia, Falcò, Crudeli, S.a Barbara, e Monte- leone, nella provincia di Reggio-Calabria; di (frequente) Malta. (Tortonihno) di (abbondante) Pulcinella presso il villaggio di Pioppi (Monteleone), Caravizzi presso Jonadi, e Vena di Mezzo, in Calabria. ( Miocene in genere) di (abbondantissima) Wadi Dara, ad E. dei colli del Mar Rosso in Egitto. Nel Pliocene (Zancleano) di Palo presso Civitavecchia. (Piacenziano) di (rarissima) Trinité- Victor nel Nizzardo. Recente tra le isole del Pacifico meridionale, a prof, da 11 a 1133 m.; nelle scogliere coralligene delle Isole Sandwich, a prof, di 73 m. Nelle Isole delle Lagune e al di fuori dell’ Atoll di Funafuti : è rarissima a N. di Pava, a prof, di 29 m.; frequente a S. di Fuafatu, a prof, di 46 m. ; comunissima a N. e NW. di Pava, a prof, di 59, 60, 64 e 66 m.; comunissima a W. e presso Tu- tanga, a prof, di 64, 91 e 110 in.; comunissima presso Funa- manu a prof, di 274 m.; comune nelle vicinanze di Tutanga a prof, di 366 in.; comune a S. di Funafatu a prof, di 110 in.; rarissima allTsola Fongafale ed all’estremità S. dell’Isola Fu- nafala; frequente negli Isolotti Avalau e Fualopa; è comune poi dentro la laguna dell’AtolI di Funafuti, a prof, dai 13 50 A. SILVESTRI ai 48 m. Resulta frequente presso Nares Harbour nelle Isole dell’Ammiragliato, a prof, dai 29 ai 46 m.; trovasi nel Mar Cinese meridionale, nelle acque basse dell’Arcipelago Indiano, ed è rara presso Timor a prof, di 4078 m. Mediocremente co- mune nel Mare Arabico presso le Isole Laccadive, a prof, non superiore ai 2264 m., si rinviene pure nelle spiagge di Ceylan, delle Isole Secelle, del Madagascar, e presso Maurizio (prof, di 137 m.). Esiste a prof, di 55 m. nel Mar Rosso. Nell’Oceano Atlantico meridionale trovasi tra le Isole del Capo Verde, a prof, di 18, 20, e 1097 m., presso l’Isola di S. Elena, al largo di Fernambuco, e fra le Antille. Riassumendo, è specie propria di mari tropicali e subtropicali, ma di acque non eccessivamente basse, ed abita a preferenza presso le scogliere coralligene. L ' Heterostegina depressa apparisce dunque e, com’è logico, in seguito a quanto ho esposto, un po’ meno antica dell’Oper- culina complanata dalla quale deriva, e, scarsa al principio dell’eocene, si diffonde e si sviluppa completamente nell’eocene medio e superiore, oligocene, e miocene inferiore e medio; dopo della quale ultima età si rende sempre più rara, rimpiccolisce, e si localizza nei paraggi tropicali e subtropicali dei mari at- tuali, presso le isole coralligene, a prof, dagli 11 ai 1097 m. (eccezionalmente sino ai 4078 ni.), pur essendo frequente sol- tanto dai 59 ai 366 m. La dispersione del genere resulta press’a poco la medesima della specie depressa ; non comincia neppur esso avanti Teo- cene, nè estendesi attualmente in latitudine più fredda di quella delle Indie Occidentali, od in zone batometriche oltre ai 4078 m. E veniamo finalmente all’ultimo dei generi di cui intendo occuparmi, il Cycloclypeus ; di questo l’unica specie ben nota è il Cycloclypeus carpenteri Brady (tav. II, fig 13 e lt) da comprendersi in questi limiti : Cycloclypeus Carpenter, 1856; Phil. Trans., voi. CXLVI, pag. 555, tav. XXX, lig. 1-3. — Bronn, 1859; Klassen Orda. Thier- lìeichs, voi. I, pag. 71, tav. VII, tig. 3. — Carpenter, 1862; Introd. Foram., pag. 292, tav. XIX, fig. 2. — Carpenter, 1862; CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 51 The Microscope , ediz. 3a, pag. 258, tav. VII, fig 1. — Schwa- ger, 1877 ; Boll. R. Comit. Geol. It., voi. Vili, pag. 26, tavola, fig. 76. — Haeckel, 1878; Protistenreich, pag. 37 , fig. 22. — Haeckel, 1879; Regne cles Protistes, pag. 43, fig. 22. — Car- penter, 1879; Ency. Brit., ediz. 5a, voi. IX, «Forum.». pag. 382, fig. 29. — Blitsclili, 1880; in Bronn: Klassen Ordn. Thier-Reichs, tav. VI, fig. 3. C ycloclypeus communis Martin, 1879-80; Tertiarsch. Java, pag. 154, tav. XXVII, fig. 1-2. — Martin, 1880; Niederland. Arch. Zool., voi. V, tav. XIII, fig. 1-2. — Schlumberger, 1902; Sanimi. Geol. Reichs-Mus. Leiden, ser. la, voi. VI, parte 3a, pag. 250. — H. Douvillé, 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4a, voi. V, pag. 445 e 446. Cyclocìypeus Guembelianus Brady, 1881 ; Quart. Jonrn. Micr. Se., n. s., voi. XXL pag. 66. — Brady, 1884; Rep. Challenger, voi. IX, pag. 751, tav. CXI, fig. 8 a-b. — Chapman, 1895; Proceed. Zool. Soc. London, voi. V, pag. 48. — Verbeek et Fennema, 1896; Fescr. Géol. Java et Madoura, voi. I, tav. IX, fig. 127. Cyclocìypeus Carpenteri Brady, 1881; Quart. Journ. Micr. Se., n. s., voi. XXI, pag. 67. — Brady, 1884; Rep. Challenger, voi. IX, pag. 752. — Lister, 1895; Phil. Trans., voi. CLXXXVI B, pag. 437, 438, tav. IX, fig. 52-54. — Martin, 1896; Jaarb. Mijn. Ned. Oost-Ind , pag. 53-54. — Chapman, 1901; Journ. Linn. Soc., Zool.. voi. XXVIII, pag. 22, tav. lì, fig. 6-7; tav. Ili, fig. 1-5; pag. 390, 391, 392, 407 (num. 273), pag. 412 e 414. Chapman, 1902; The Foraminifera, pag. 38, fig. 24; pag. 246, tav. XIV, fig. D-E. — A. Sil- vestri, 1905; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LVI1I (1805- 1906), pag. 78. Cyclocìypeus guembelianus Brady, va r. papillosa A. Silvestri, 1896; Atti eRendic. Acc.Sc. Lett.Arti Acireale, n.s., voi. VII (1895-1896), pag. 57, num. 46. La sinonimia della specie carpenteria la meglio come ho detto, conosciuta, è poco ricca, ma ancor più scarse sono le nostre co- noscenze sugli altri componenti del genere, di cui ancora poco si sa, quindi, nel complesso circa le forme cui può dar origine; nè la distribuzione geografica e la geologica possono di conse- guenza dirsi ben schiarite. Il genere stesso, fondato dal Car- penter nel 1856 su alcuni grandi esemplari ( C. carpenteri Brady) « dredged by Sir Edward JBelcher from a considerane depth of water off' thè coast of Borneo » ('), fu poi illustrato dal (') Phil. Trans., voi. CXLVI, pag. 555. 52 A. SILVESTRI Carter sopra forme fossili della costa SE. dell’Arabia, di nuovo dal Carpenter su esemplari recenti, quindi dal Martin sopra fos- sili di Giava, dal Brady e dallo Chapman su esemplari recenti ; altri autori lo descrivono, come l’Haeckel, lo Sckwager, ecc., ma probabilmente soltanto sulla fede dei primi, tranne forse lo Zittel, sul quale ultimo dovrò ritornare. Le descrizioni più com- plete sembranmi quelle del Carpenter, del Brady, e dello Chapman, che ne pubblicò bellissime fotografie; ad esse rimando il let- tore, perchè se le riferissi mi porterebbero via troppo spazio, essendo lunghe, e mi limito a ricordare quanto di quel che scrisse il Carpenter fa al caso mio: « thè relation of chaniberlets (in Heterostegina ) is exactly thè sanie as that whieh exists in Cycloclypeus pe- riplieral fragments of these tivo organisms coitici not he distin- guished from eacìi other; ad tlie tendency of thè latter stages of cgrowth in Heterostegina is tlio change in thè mode of increase, by tlie lateral extention of thè groiving margin, front thè spirai to thè cyclical » ('). Lo Zittel conferma poi che nel Cycloclypeus « les cloisons ainsi que les niurailles des logcs sont traversées en outre d'un systcme canalifère interscptal très complexe » (5), il quale però non è sostanzialmente diverso da quello d’ Heterostegina, di cui è una semplice modificazione, come semplice modificazione tV Hete- rostegina è il Cycloclypeus. Fatto quest’ultimo rivelato, oltreché dalle surriferite osservazioni del Carpenter, e panni luminosa- mente, dalle fig. 8 e 9, tav. II, relative alla mia var. cyclo- clypeus del V Heterostegina depressa , già citate. Se queste figure, sezioni secondo il piano di simmetria, le confrontiamo con la sezione corrispondente, ed in questo caso equatoriale, del Cy- cloclypeus carpenteri Brady, recente del Mare Adriatico (coste croato-dalmate), fig. 13, della tav. II (3), osserviamo che nel (■) 1862; Introd. Foravi., pag. 297. (*) 1883; Traile de Paléont., voi. I, parte la, pag. 103. (3) Pubblicando oggi per la prima volta questa forma sommariamente indicata nel 1896 col nome di Cycloclypeus guembelianus Brady, var. pa- pillosa n. (loc. cit. nella sinonim.), stimo utile farne conoscere l’aspetto del fianco, fig. A, e d’uno dei lati maggiori, fig. 14, tav. II. In questo si notano CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 53 Cycloclypeus tutti i setti principali àe\Y Heterostegina si sono disposti in circoli concentrici, i secondari radialmente, e la parte centrale, trattandosi d’esemplare megalosferico, si è convertita in una grossa camera irregolarmente tondeggiante, ma, sembra per distruzione delle prime logge. Tali logge, presenti in altri Cycloclypeus carpenteria secondo le fotografie dello Cbapman avrebbero i connotati riprodotti nell’unita fig. C, che ricordano l’apparato embrionale e le logge seriali iniziali in certe Ortho- phragminae, come la pratti (Michelin), qui pure disegnate nella fig. B, ricavata dallo Schlumberger(1903 ; Bull. Soc. Géol. Trance, ser. 48, voi. Ili, pag. 275, fig. A). Una riprova della derivazione di Cycloclypeus da Hetero- stegina, per il tramite della var. cycloclypeus di quest’ultima, ce la fornisce un’altra delle suddette fotografie, riguardante però forma microsferica, e consiste in « an interesting resemblance in its commencenient to Heterostegina » (x); riprova interes- sante, poiché conferma un fatto il quale è stato osservato pure in vari altri Rizopodi reticolari, ossia che i nicchi microsferici mostrano nella parte iniziale i caratteri di una o più forme da sul mammellone centrale quelle grosse papille che mi fecero distinguere la varietà. Il colore del nicchio nella forma in discorso é bruniccio, l’espan- sione marginale ondulata. (') Chapman, 1901; Journ. Liun. Soc., Zool., voi. XXVIII, pag. 27, tav. Ili, fig. 2. — È strano che già nel 1896 Delage et Hérouard, abbiano, per loro interpretazione della fig. 8 a, tav. CXI, del Brady (1884 ;Rep. Chal- lenger, voi. IX), potuto asserire che « Cycloclypeus (Corpenter) est une grande coquille lenticulaire, contenant dans son pian e'quatorial une seule conche de loges d’abord spirales, puis circulaires » (Tratte de Zool. concrète, voi. I, pag. 151, fig. 226), avvicinandosi cosi molto alla verità. Fig. A. Fig. B. Fig. C. X-55 X 30 X 16 54 A. SILVESTRI cui derivano, e pertanto sembra di trovare in essi la verifica della legge di Fritz Miiller. Gli habitat del Cyclodypeus carpenteri mi resultano come passo a dire, ma sui fossili debbo fare delle riserve, essen- doché non sono affatto sicuro della sinonimia premessa: Nell’EocENE (« early Tertiary epoch ») (') del SE. dell’Arabia. Nell’OLIGOCENE di (comune) Giava. Nel Miocene (Aquitaniano) della riviera Djaing a Borneo, e di (raro) Teweh nel settentrione della stessa Isola. Recente neirOceano Pacifico: al di fuori deH’Atoll di Funafuti nelle Isole delle Lagune, comune a prof, dai 55 ai 219 m., comunis- simo dai 91 ai 110 m., raro o rarissimo dai 219 ai 366 m.; attorno all’Atoll suddetto, mediocremente frequente al largo di Tutanga a prof, di 110 m.. comunissimo dai 91 ai 110 m.. comune dai 147 ai 366 m., e pure comune a S. di Fuafatu a prof, di 110 m., comune ad 0. di Tutanga a prof, di 64 m., raro a S. di Fuafatu a prof, di 64 m., rarissimo a NW. di Pava a prof, di 64 m., frequente a S. di Fuafala a prof, di 73 m., frequente anche a Funamanu ai 64 m. di prof. Esiste presso Tongatabu nelle Isole degli Amici, ed al largo di Kan- davu nelle Figi a prof, di 384 m. Trovasi presso le Isole Sa- lomone, nel Mar Cinese meridionale, ed anche presso Borneo, \ e vicino al Banco di Maeclesfield. E rarissimo nel Mar Ara- bico in vicinanza delle Isole Laccadive, ma trovasi pure nei paraggi di Maurizio. Eccezionalmente rinviensi pure, però assai raro, presso Crkvenic, nella zona littoranea. delle coste croato- dalmate. Preferisce dunque i mari tropicali e subtropicali, dov’è ab- bondante dai 91 ai 110 m., pur essendo frequente dai 91 ai 366 m., e distribuito verticalmente dai 54 a circa i 400 m., e cioè nelle acque non eccessivamente basse. Resulta però accan- tonato nelle sabbie delle Isole coralligene del Pacifico e del- (') Carpcnter, 1862; lntrod. Foram., pag. 297. CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 55 l’Oceano Indiano, per cui è singolare la sua presenza nell’A- driatico. La dispersione geografica del genere Cycloclypeus e la me- desima della specie carpenteria altrettanto ripeto per la strati- grafica, che va, come s’è veduto, daH’eocene (sottopiano non precisato) al miocene inferiore inclusivamente ; perciò esso re- sulta al pari dell’ Heterostegina, più recente dell’ Operculina. Dal miocene inferiore all’età attuale, dove, sebbene localizzato in poche plaghe di alcuni mari, sembra raggiunga il pieno svi- luppo, esiste una lacuna, la quale non può spiegarsi se non ammettendo che la ristrettezza delle sue aree di diffusione sia esistita anche nel passato, oppure che taluni Cycloclypeus si siano determinati con altro nome. Quest’ultima ipotesi è più pro- babile ancora per l’eocene e l’oligocene, e ne vedremo tra breve il fondamento. Riassumendo i fatti esposti non ci sarà difficile trarne qualche conseguenza d’ordine stratigrafìco : Operculina è distribuita dal cretaceo (neocomiano) all’età at- tuale ; è comune dall’eocene medio al miocene medio inclusi- vamente; nei mari attuali abita le acque basse dei tropicali e subtropicali, dov’è frequente nel littorale scendendo fino ai 55 ni.; però può giungervi fino ai 768 m. Heterostegina va dall’eocene inferiore all’età attuale, essendo comune dall’eocene medio al miocene medio, sempre inclusi- vamente ; abita i mari tropicali e subtropicali, e vi giunge fino ai 4078, però non è comune in essi, che dai 59 ai 366 m. Cycloclypeus estendesi probabilmente dall’eocene medio o superiore all’età attuale, ma sempre poco diffuso, e presentasi in pieno sviluppo nei mari recenti delle regioni tropicali e sub- tropicali; comune dai 91 ai 366 m., la sua distribuzione ver- ticale è compresa dai 54 ai 400 m. ; per eccezione trovasi anche in mari temperati. Se ne desume che: i tre generi presi a considerare non hanno, come molti altri dei Rizopodi, un valore geologico ben defi- nito, poiché tutt’al più, se rappresentati da esemplari numerosi e grandi, ci indicano la preesistenza di mare tropicale o sub- tropicale dell’eocene medio o superiore, o dell’oligocene, o del miocene inferiore oppur medio. La presenza poi di Operculina 56 A. SILVESTRI da sola ci significa acque assai*basse, d 1 Heterostegina e Cyclo- clypeus assieme od isolatamente, acque meno basse o di media profondità; e questo trattandosi di generi tutti appartenti al benthos, ed alla zona neritica. Dal punto di vista strettamente zoologico, i tre generi in discorso non dovrebbero mantenersi, essendo con probabilità He- terostegina e Cycloclypeus variazioni d ‘Operculina determinate dall’ambiente nello spazio piuttosto che nel tempo; ci torna però comodo conservarli, per distinguere rapidamente la forma, ma bisogna andar molto cauti a crearne dei nuovi per le forme di passaggio dall’uno all’altro, quando si possa fare altrimenti. Non approvo quindi l’istituzione del termine Heteroclypeus, col quale lo Schubert designa la mia var. cycloclypeus del Y Heterostegina depressa, nel caso che già abbiamo considerato, d’ Heterostegina sp., in un caso qualsiasi. Mi pare si debba evitare d’ingombrare più di quanto, purtroppo, già noi sia, la nomenclatura dei Eizo- podi reticolari: la paleontologia non è scienza atfatto a sè, ma di sussidio alla geologia, però il geologo non è uno specialista in paleontologia, per cui da nomi diversi, può ritenere si tratti di forme affatto diverse, ed applicando tali criteri ristretti, giun- gere a resultati stratigrafici erronei, separando quel che invece va riunito. Il dott. Schubert è stato forse indotto a creare un nome nuovo dalla recente istituzione dello Spiroclypcus per parte del prof. H. Douvillé, ma per questi è stata una necessità perchè la forma finale di Spiroclypeus non si sa ancora con esattezza qual sia, benché si possa prevedere all’incirca qual debba essere. E schia- rirò meglio questo concetto: le Operculine (fig. 1, 3 e 4, tav. II) ed Eterostegine (fig. 5, 8 e 9, ibid.) delle quali ho trattato finora, hanno la conchiglia involuta soltanto nei primi passi della sua spira, come vedesi nelle fig. 2 e 10 (ibid.), ma son- vene altre dove tale involuzione è molto aumentata, per cui in esse il profilo trasversale apparisce assai più rigonfio al centro, e la sezione normale al piano di simmetria, longitudinale o tra- sversale, offre caratteri ben diversi dai soliti. Cioè, in poche parole, la costruzione del nicchio (fig. 6, ibid.) si svolge in due piani ortogonali, mentre prima interessava quasi affatto un piano solo (fig. 2, ibid.). Questa complicazione meritava, sì, d’esser CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 57 distinta : quand’è avvenuta in Operculina, si è detta ora Assi- lina (') ed ora Nummulitcs (?), se appena iniziatasi, diversa- mente si è chiamata Nummulites; quando poi si è manifestata in Heterostegina, si è cominciato col considerarla quale varietà col nome d’ Heterostegina margaritata dallo Schlumberger (3), partito cui mi attengo anch’io per la forma assai prossima a quest’ultima, proveniente dall’oligocene tongriano della Bandita della Barbolana presso le Tavernelle, nel territorio d’Anghiari (Arezzo), e riprodotta in sezione longitudinale con le fig. 6 (esemplare microsferico) e 7 (es. megalosferico) della tav. II, dicendola H. anghiarensis (4); quindi è stato proposto per essa da H. Douvillé il nome di Spiroclypeus (5). Però questo non è l’equivalente di un ultimo termine evolutivo, come p. es. Nmn- mulites propriamente detta, sibbene corrisponde ad un penultimo termine; ma mancando la conoscenza precisa di tale ultimo ter- mine, il Douvillé ha fatto benissimo a creare temporaneamente un nome nuovo, per fissare lì per lì la conoscenza d’un fatto nuovo. Lo Scliubert, no, perchè l’ultimo termine evolutivo d 'Heterostegina (}) Di solito si é detta Assilina se si è presentata su spirale d’Ar- chimede, come A. depressa D’Orb., A. radiolata D’Orb., A. spira (De Roissy), A. pr aespira H. Douvillé, ecc. ; Nummulites, qualora su spirale logaritmica, come N. operculiniformis Teliini, Gumbelia operculiniformis (Teliini) Parisoh (1906; Mera. R. Acc. Se. Torino, ser. 2a, voi. LVI, pag. 86, tav. II, fig. 12 e 13), ecc. Le quali ultime forme, e salvo veri- fica mediante la sezione meridiana, sono da considerarsi tutt’al più quali Assiline, ma non come Nummuliti. (2) Come sopra. (3) 1902; Sanimi. Geol. Reichs-Mus. Leiden, ser. 1% voi. VI, parte 3a, pag. 252, tav. VII, fig- 4. (4) Sembra differisca dalla H margaritata per avere pilastri rudi- mentali, e non ben sviluppati come in questa, avviluppo delle camere meno avanzato e meno eccentrico, ma delle mie sezioni la riprodotta nella fig. 7 è incompleta ai margini, l’altra della fig. 6 non passa esat- tamente pel centro della microsfera iniziale, per cui non sono esatta- mente confrontabili con l’unica sezione megalosferica su cui lo Schlum- berger fondò la sua specie. Tanto questa, quanto la mia, non si distinguono nelle sezioni mediane dell’.#. depressa D’Orb. (5) Il Boussac propone di limitar questo genere « aux Hétérostégines à spire embrassante et à lame spirale subdivise'e dans la région du bouton » (1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4% voi. VI, pag. 96), ossia nel senso della normale all’asse d’avvolgimento del nicchio. 5 58 A. SILVESTRI a camere non avviluppanti, ben c’è noto sotto la denominazione di Cycloclypeus, ed il passaggio tra l’uno e l’altro tipo di strut- tura non costituisce un tipo nuovo, essendo la semplice somma dei due. Lo Schubert mi potrebbe osservare che alle forme bi- morfe si sono assegnati nel passato, e si sogliono assegnare nomi generici o sottogenerici distinti da quelli delle forme da cui hanno ed alle quali danno origine, ma ciò uon vuol dire che sia ben fatto quando non ve n’è bisogno, come nel caso contemplato: questo secondo il mio modo di vedere ('). Tenendo presenti i generi, o, meglio, i cosiddetti generi Spi- roclypeus ed Assilina , il genere Nummulites, e quanto sopra ho esposto su Operculina, Heterostegina e Cycloclypeus, ne vien fuori ia filogenia d’un gruppo morfologico importante, che com- prendo nella famiglia delle Nummulitinae ; essa è rappresenta- bile schematicamente così : Operculina Assilina - Nummulites (2) 1 Operculina var. heterostegina 1 1 Heterostegina Heterostegina 1 margaritata 1 H. anghiarensis Heterostegina var. spiroclypeus | Spiroclypeus 1 1 Heterostegina 1 Spiroclypeus var. cycloclypeus 1 var. orbitoclypeus 1 1 Cycloclypeus 1 Orbitoclypeus (') L’egregio dott. Schubert mi perdonerà di queste osservazioni, poiché sa bene come io lo stimi, e come esse abbiano carattere puramente oggettivo. Anch’io ho sulla coscienza qualche genere male istituito, ma a suo tempo lo passerò in sinonimia! (•) Se questa filogenia é vera i generi Assilina e Nummulites non possono essere più antichi, ma se mai contemporanei de\V Operculina , ed il Nummulites , più complesso, dovrebbe aver avuto sviluppo note- vole solo dopo la comparsa dell’Operculina, come sembra sia accaduto CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 59 Chiamo Heterostegina var. spiroclypeus, le Eterostegine del tipo della depressa rappresentata dal Carpenter nel 1862 con la fìg. 1 della tav. XIX ('), e dall’altra riprodotta dallo Chapman nel 1901, mediante la fìg. 7 della tav. Ili (2) ; tipo che signi- fica il primo passaggio da Heterostegina a Cycloclypeus da una parte, a Spiroclypeus dall’altra ; dico poi Orbitoclypeus un ge- nere il quale significa l’ultima fase evolutiva di Spiroclypeus , e che dovrebbe esser già conosciuto sotto altro nome e compreso tra le Orbitoidinae, perchè dai caratteri di Cycloclypeus ai cui lati sviluppansi cellette analoghe, omologhe od identiche a quelle di componenti di tale famiglia, potrebbe esser stato attribuito tanto ad Orthophragmina (si osservi il contorno delle cellette cicliche nelle fìg. 9 e 13 della tav. II) (3) quanto a Lepido - cyclina (si osservi quello delle simili cellette nella fìg. 8, ibid.) discoidale o lenticolare. E, per affinità di forma, qualcosa di simile non è improbabile sia accaduto anche per Cycloclypeus . La separazione Orbitoclypeus dalle Orbitoidine sarà possibile allorché si conosceranno meglio le origini di queste (4); per ora in realtà. Nummuliti cretacee sono in tal caso possibili, ma in forme poco evolute, e simili quindi alle forme di regresso del genere quando venne a declinare, ossia alle Nummuliti dell’oligocene tongriano. Però non è improbabile che sotto i nomi generaci di’ Assilina e Nummulites si comprendano forme di diversa origine, come p. es. per Assilina da- vano a supporre le forme del tipo madaraszi (Hantken), giustamente riunite dal Boussae nel suo nuovo genere Fellatispira, ed in allora la filogenia suddetta e le relative conseguenze diverrebbero assai com- plesse. (*) Introd. Foravi. — Corrisponde anche alla fig. 258, pag. 528, in : The Microscope, ediz. 3a, 1862. (2) Journ. Linn. Soc., Zool., voi. XXVIII, pag. 18 : H. depressa D’Orb. (3) La fig. 9 mostra pure come anche nel Cycloclypeus esista la fa- coltà di rigenerare le parti accidentalmente rotte del nicchio, detta ri- formismo dal Fornasini. — La somiglianza delle cellette equatoriali di Cycloclypeus con quelle d’ Orthophragmina non era sfuggita all’acume d’un Carpenter, ed in vero egli cosi ne scrive : « The dispositions and con - nections of thè chamberlets of thè median layer in Orbitoides (alludeva ad Orthophragmina) seems to correspond very closely with those which prevail in Cycloclypeus» (1862; The Microscope , ediz. 3", pag. 530). (4) È facile sia una forma d’ Orbitoclypeus 1’ « Orbitoides (Discocy- clina) aspera» del Giimbel (1868; Abhandl. k. bayer Ak. W., II Cl., voi. X, pag. 698, tav. Ili, fig. 13, 14, 33 e 34). 60 A. SILVESTRI si sa che derivano da forme spiralate, alcune delle quali potreb- bero essere delle Miogipsine, altre converrà andarle a cercare nelle formazioni cretacee. La filogenia suddetta trova riscontri, analogie ed affinità con quelle d’altri gruppi tassinomici, e ne darò qualche esempio, tanto per mostrare il concatenamento che esiste tra le forme ap- parentemente anche le più disparate dei Rizopodi reticolari; in queste due serie: (Orbitolitinae) Tener oplis (Nummulitinae) corrisponde a Operculina Orìrìculina Heterostegina Sorites » Cycìoclypeus Allo stesso livello di Sorites e Cycìoclypeus, il più ele- vato nell’organizzazione delle forme delle due serie, stanno pure : Broeckina , Praesorites , Sorites, Marginopora, Orbitolites; Omphalocyclus, Linderina, Cycìoclypeus ; Orbitoclypeus , Orbitoi- des, Lepidocyclina, Orthopìiragmina ; Keramosphaera, Gypsina, Baculogypsina ; Loftusia , Parker ia, Bradya ; Cyclopsina ; Orbi- tolina; Dictyoconus ; Chapmania. A livello d’organizzazione più basso immediatamente, tro- viamo : Spirocyclina, Ballotta, Meandropsina ; Orbiculina, Biscospi- rina ; Heterostegina, Spiroclypeus ; Miogypsina ; Scìnvagerina, Fusulina, Alveolina; Lituonella. A livello successivamente inferiore : Haplopliragmium, Cyclammina ; Oplitalmidium, Peneroplis; Cristellaria ; Pullenia, Hastigerina ; PoVy stornella, Arnphistegina, Operculina, Assilina, Pellatispira, Nummulites. A livello più basso ancora:' Ammodiscus ; Spirillina ; Cornuspira. Ed in quest’ultimo dovremo trovare la forma stipite delle Nummulitine, che non può essere molto diversa da Cornuspira, ed è perciò che Eeuss e Costa presero per Operai! ine, rispetti- CONSIDERAZIONI PALEONTOLOGICHE ECC. 61 vamente le loro specie involvens (') e carinata (2), riconosciute poi quali Cornuspire. Ma la distinzione tra detta forma stipite e le Cornuspire non sarà facile, poiché, esistendo, dovrà risie- dere principalmente nella tessitura del nicchio; ricerche accu- rate tra i fossili mesozoici e paleozoici attribuiti al genere Cor- nuspira, ce ne daranno contezza. [ras. pres. il 10 gennaio 1907 - ult. bozze 7 maggio 1907]. O 1850; Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien, voi. I, pag. 370, tav. XLYI, fig. 20. (2) 1856 ; Atti Acc. Pontan., voi. VII, pag. 209, tav. XVII, fig. 15 A-B. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II. Fig. 1 : Operculina complanata (Defrance), var. sitteli n. ; se- zione mediana di forma B (dal parisiano della re- gione Caviggione presso Gassino, prov. di Torino) . X 24 » 2: Operculina complanata (Defrance); sezione longitudinale di forma B (dal tongriano delle vicinanze di Tala- monchi, nel territorio d’Anghiari, prov. d’Arezzo). X 24 » 3 : Operculina complanata (Defrance), var. zitteli n. ; se- zione mediana di forma A (dal tongriano delle vi- cinanze di Talamonchi, nel territorio d’Anghiari, prov. d’Arezzo) X 24 » 4 : Operculina complanata (Defrance), var. lieterostegina n. ; sezione mediana di forma B (dall’elveziano di Croce Berton, sulla strada tra Baldissero e Superga, prov. di Torino) X 24 » 5: Heterostegina depressa D’Orbigny; sezione mediana di forma B (dal parisiano delle cave Defilippi presso Gassino, prov. di Torino) X 24 » 6: Heterostegina anghiarensis n. sp.; sezione longitudinale di forma B (dal tongriano della Bandita della Bar- bolana, presso le Tavernelle, nel territorio d’An- ghiari, prov. d’Arezzo) X 24 Fig. 7 : Heterostegina anghiarensis n. sp. ; sezione longitudinale di forma A (dal tongriano della Bandita della Bar- bolana, presso le Tavernelle, nel territorio d’An- ghiari, prov. d’ Arezzo) X 24 » 8-9: Heterostegina depressa D'Orbigny, var. cycloclypeus n.; sezione mediana di forma B (dal tongriano delle vicinanze di Talamonchi, nel territorio d’Anghiari, prov. d’ Arezzo) . X 37 » 10-11: Heterostegina depressa D’Orbigny, var. cycloclypeus n. ; sezione longitudinale di forma B (dal tongriano delle vicinanze di Talamonchi, nel territorio d’An- ghiari, prov. d’Arezzo) X 37 » 12: Heterostegina depressa D’Orbigny, var. cycloclypeus n.; veduta per trasparenza (dal tongriano delle vici- nanze di Talamonchi, nel territorio d’Anghiari, prov. d’Arezzo) X 37 » 13: Cycloclypeus carpenteri Brady ; sezione equatoriale di forma A (dal littorale croato-dalmato del Mar Adria- tico, presso Crkvenic) X 40 » 14: Cycloclypeus carpenteri Brady; veduto da una faccia (dal littorale croato-dalmato del Mar Adriatico, presso Crkvenic) X 34 f Boll. Soo. Geol. Ital. voi. XXVI (1907). Smhk***! s 3Ì?è25*lSI»t 81LVESTRI FOT. (Silvestri) Tav. IL ELIOT CALZCLAKI » FEKKARIO -MILANO DI DUE NOTEVOLI AVANZI DI CARNIVORI FOSSILI DAI TERRENI TUFACEI DI ROMA Nota del dott. Alessandro Portis (Tavole III e IV) Già dall’autunno del 1904 mi fu dato assicurare alle colle- zioni dell’Istituto Geologico universitario il cranio di un grosso felino rinvenuto nello scavare le sabbie ricchissime di materiali vulcanici che venivano sfruttate lungo l’Aniene, in quella loca- lità, detta dei « campi fiscali » alla base del Monte Sacro, dalla quale potei procurare tante altre bellezze paleontologiche. Il cranio, se abbastanza buono per se stesso in quanto non venne troppo sformato e rotto durante la sua (che chiameremo) petrificazione, è invece poco completo per ciò che ha riguardo alle parti appendicolari. Cosi: in primo luogo, lo ebbi privo di mandibola. E poi: manca di tutti gli incisivi, dei premolari pe- nultimo e antepenultimo, nonché dell’unico molare vero d’ambo i lati. Rimangono così presenti solo i due canini (il sinistro man- cante d’oltre un centimetro di sua lunghezza di corona) ed i due ferini; dei quali, per contro, solo il sinistro perfetto; mentre il de- stro è ridotto a due frammenti rappresentanti, insieme, parte del lobo interno e del lobo anteriore. Le misure che potei ricavare da questo cranio in confronto con quello di una non troppo adulta leonessa, di cui possiede il nostro Istituto, per comparazione, l’intero scheletro, sono le seguenti : 64 A. PORTIS Fossile Leonessa Lunghezza rettilinea, dal margine alveolare incisivo al mm. mm. margine inferiore mediano del foramen magnum . . Lunghezza rettilinea, dal margine alveolare incisivo alla 212 242 estrema apofisi mediana parieto-occipital-superiore . Diametro trasversale, alla massima sporgenza di ambo 251 277 le arcate zigomatiche Diametro trasversale, toccando posteriormente il mar- 151 177 gine dei ferini Diametro trasversale, in corrispondenza della metà lun- 87 106 ghezza (antero-post.) dei canini, dall’esterno . . . Lunghezza, dal margine alveolare incisivo alla estremità 42 77 posteriore mediana (cavità boccale) dei mascellari . Lunghezza, dal margine alveolare incisivo alla incisione 66 80 posteriore mediana fra i palatini Lunghezza, dal margine alveolare incisivo al margine 115? 126 inferiore della cavità nasale Lunghezza, dal margine alveolare incisivo al margine 8 13 superiore mediano della cavità nasale Lunghezza, dal margine alveolare incisivo alla estremità 53 60 posteriore delle ossa nasali 112 123 Massimo diametro antero-posteriore della cavità nasale. Massimo diametro trasverso (in coincidenza dell'angolo 47 55 inferiore esterno delle ossa nasali) delle cavità nasali. Lunghezza media, dal mediano margine alveolare inci- 38 47 sivo da ciascuna estremità posteriore del mascellare. Larghezza frontale rettilinea, fra le apofisi postorbitali 106 134 dei frontali Distanza, dal margine posteriore del canino al margine 81 85 anteriore del ferino Lunghezza antero-posteriore del canino destro, alla base 36 46 della corona (smalto) Massima grossezza trasversa del canino destro, alla base 17 21 della corona (smalto) Lunghezza verticale del canino destro, alla base della 12,5 15 corona (smalto), faccia esterna Diametro trasverso complessivo della serie alveolare 35 44 incisiva Dal margine alveolare anteriore dello anterior premo- 26,5 38,4 lare a quello posteriore del posteriore 53,5 62 Lunghezza antero-posteriore del ferino sinistro . . . 28 31 Massima sua larghezza in rispondenza del lobo interno. 14 16 Lunghezza del lobo anteriore esterno 7 8 1 CARNIVORI FOSSILI DI ROMA 65 Fossile beonessa min. mm. Lunghezza della cuspide mediana 10,6 11,8 Diametro trasverso, alla base della cuspide mediana . 9,5 12,5 Lunghezza dello scalpello o lobo posteriore .... Massimo diametro antero-posteriore della cavità intra 10,5 11,5 zigomatica 65 69 Massimo diametro trasverso della cavità intra zigomatica. Minima distanza fra le facce esterne laterali del cranio 57 64 al disopra delle pareti sfenopterigoidee 14 22 Risulta dalle suesposte misure comparative ciò che risulta dalla ispezione dettagliata dei duecranii; come, a parte la mi- nor mole assoluta del fossile, questo sia relativamente più lungo e sottile di quello del Leone. Risulta che nel fossile si abbiano denti più allungati e più taglienti; che l’apertura nasale sia più stretta ed allungata; e più portata allo indietro la estremità frontale dei nasali, cosicché questa si trova alquanto allo indie- tro della linea congiungente gli estremi processi posteriori dei mascellari. Volendo tentar di definire a quale specie di felino appar- tener possa questo cranio, dobbiamo subito escludere per la mole assoluta il leone e la tigre: poi per gli enunciati rapporti di forma dell’apertura nasale esterna escluderemo di nuovo il leone, come torneremo ad escluderlo per i rapporti comparativi di al- lungamento allo indietro messi in luce dal Fabrini e poi dal Boule (*) fra i nasali ed i mascellari. Resta così il nostro fossile (x) Il Fabrini nel suo lavoro: Su alcuni felini del Pliocene italiano, (inserito nei Rendic. d. Cl. d. Se. fis., mat. e nat. d. R. Aec. d. Lincei, voi. 1°, 2° sem., pag. 257-263, Roma, 1892) a pag. 261-262 dà appunto una serie di caratteri differenziali fra: leone, tigre, leopardo e Felis arvernensis desunti direttamente dallo esame della forma dei rapporti fra ossa in- termascellari, mascellari, nasali e frontali ; e la, in essi, aprentesi fossa nasale. Questi caratteri risultarono, per conseguenti comparazioni, costanti e applicabili; cosi che, in quest’anno 1906, il Bose li ripetè, fissandoli con maggior dettaglio e con illustrazione iconografica, nel primo volume dei suoi Annales de Paleontologie editi dal Masson di Parigi, e nel suo la- voro Les Grands chats des cavernes a pag 69-95 e intercalatevi, fig. 1-12, senza contare le tav. 4-7. 66 A. PORTIS molto strettamente legato al tigre (già escluso per mole) ma poi eziandio al leopardo. Ed il Fabrini nello accennato lavoro ci dimostra che il più grande felino fossile dell’Alvernia, il Felis arvernensis Croiz. et Job. offre grandissima affinità di dettaglio col tigre, dal quale si distacca per mole, e poi col leopardo. Il Trouessart (*) nell’ultima edizione del suo catalogo, accet- tando le specifiche del Fabrini pone appunto a pag. 353 il F. arvernensis Croiz. et Job. nella seconda sezione del genere Felis, nella sezione cioè Leopardus Gray assieme all’Orca, al l’ lincia ed anche al Pardus o Panthera facendo così cadere tante oramai inutili discussioni di affinità e di mole. Così risulterebbe che il F. arvernensis c un leopardo fossile e forse il più grosso che abbia mai esistito tanto fra i passati (fossili) che i presenti. A questa conclusione mi acconcerò tanto più facilmente in quanto che la ricerca in proposito fatta sulle descrizioni critiche origi- nali degli anteriori autori quali: Cuvier, Blainville (?) e Croizet et Jobert, portando sopratutto su mandibole senza cranio, per lo più; mentre io non avevo a disposizione che il cranio senza mandibole, mi ha convinto che non avrei ricavato nulla di buono e di utile per la conoscenza della specie (3). (') Trouessart E. L., Catalogus mammalium tavi viventium quam fos- silium. Nova Eclitio, Berolini, 8°, 1897-1905. (*) Blainville D. (de), Oste'ographie, t. 2me, 1839-1864, Carnassiers, Mo- nogr. Felis, pag. 90 153-184, partic. pag. 116, p. 119-128, p. 162, p. 176. (3) Il Trouessart, (edizione citata) a pag. 355, pone in serie fra le va- rietà e forme e sinonimi della vivente specie F. pardus Linn. anche il F. antiqua Cuv. Sulle descrizioni del Cuvier, essendo stati descritti avanzi come di F. antiqua provenienti dalla Caverna delle Fate dall’Is- sel (Issel Arturo, Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria, Roma, Mem. d. Cl. d. Se. fis., mat. e nat. della R. Acc. d. Lincei, sex-. 3a, voi. 2°, Seduta 2 die. 1876 e 3 febb. 1877, estr. in 4°, di pag. 68 e 5 tav., a pag. 53 65, e tav. 4, fig. 1-3) e dall’Acconci come provenienti dalla Ca- verna di Cucigliana (Acconci Luigi, Sopra una caverna fossilifera sco- perta a Cucigliana (Monti Pisani), Atti d. Soc. tose, di Se. nat. res. in Pisa. Memorie, voi. 5, 1880, pag. 109-166, tav. 4-7; a pag. 144-145, tav. 7, flg. 4), ne risulterebbe che colà noi dovremmo o ricercare o trovai-e in più giovani depositi i discendenti del F. arvernensis Croiz. et Job. fos- sile in Valle tiberina, in Valdarno ed in Val di Magra. Ma stando uni- camente alla lettux-a e visione delle memorie su i-icordate e relative li- gure, pare a me che la fauna di Cucigliana debba considerarsi assai più CARNIVORI FOSSILI DI ROMA 67 Accettando adunque che il mio cranio sia di F. arvernensis , cioè di un leopardo il cui cranio eguagli, come abbiamo veduto dalle misure comparative suesposte, i 7 ottavi di quello di un leone (femmina, non adulta), non ne viene di conseguenza che io introduca una novità nella lista dei mammiferi fossili dei nostri terreni pliocenico-superiori (Siciliano), tutt’altro. Senza allonta- narmi tino ad Oli vola in Val di Magra, e tino al Valdarno dove la nostra specie è conosciuta da un pezzo, basta che io accenni come dessa sia stata fatta conoscere, fin dal 1896, dalla valle del Tevere presso Perugia, per opera del Tuccimei (’). Anzi, ri- ferendomi alla sua memoria, lo scheletro della specie verrebbe vecchia di quella della Caverna della Fate e per se stessa abbastanza vicina a quella del Siciliano di Roma, come si desume dalla constatata presenza in essa dello Elephas antiquus Falc. Ed allora la mandibola data come di F. antiqua Cuv., se non é di F. leo Linn. (individuo di minor mole), come ne ho forte sospetto, potrebbe passare sotto la denominazione di F. arvernensis e farla rappresentare in un punto di più del continente italiano. Quanto poi alle ossa della Caverna delle Fate il mio sospetto che non si tratti di avanzi leopardini ma piuttosto leonini od anche addi- rittura non di felino, che si era destato dalla ispezione della figura 3 (la mandibola destra) alquanto manierata, ha dovuto modificarsi davanti l’osservazione diretta della mandibola sinistra originale citata dallo Issel, pag. 54, come alquanto più difettosa della destra figurata, ma che fa parte delle nostre collezioni e la sua diretta comparazione colla cor- rispondente branca della leonessa che come ho detto più su, possiede il nostro museo. Ho potuto invero constatare si tratti di un felino con di- mensioni assolute e relative, notevolmente inferiori anche a quelle di un piccolo individuo adulto anche femmineo leonino e che possono atta- gliarsi a quelle leopardine. Dato quindi che risulta dalle parole dell’Is- sel che gli ossami della Caverna delle Fate non hanno nulla che fare dal punto di vista cronologico cogli avanzi dell’umana industria (sto- viglie grossolane) coi quali vennero a ritrovarsi materialmente com- misti, dato che risulta dalla stessa esposizione dell’Issel che il leopardo, vuoi sotto il nome di F. antiqua che di F.leopardus fossilis (Lartet), sarebbe stato più di una volta rinvenuto nelle caverne fossilifere delle Alpi marittime, come lo si rinvenne nei Pirenei ed a Gibilterra; mi pare che, fino a prova contraria, possiamo accettare di vedere nella specie stessa il continuatore in limitata serie di tempi posteriori al Siciliano su parte dell’antica area di diffusione del F. arvernensis Croiz. et Job. (') Tuccimei G., Resti di F. arvernensis nel Pliocene della Villa Spinola presso Perugia. Roma, 4°, 1896, Mera. d. Pontif. Accad. d. N. Lincei, voi. 12, pag. 285-307, tav. 7a. 68 A. PORTIS accresciuto nella valle del Tevere fino a comprendere, oltre al cranio di cui vengo di far menzione, del ramo mandibolare sì destro che sinistro coi loro molari e canini, di un canino supe- riore destro, del terzo incisivo superiore, di 13 vertebre più o meno frammentarie appartenenti a tutte le regioni dalla cervi- cale alla coccigea ed infine dai due femori anch’essi parecchio frammentarii. Parrebbe che io dovessi felicitarmi di tale notevole aggiunta; e lo farei se non mi tormentasse un dubbio anzi dubbi parecchi sulla vera appartenenza dei resti accuratamente descritti dal Tuccimei al Felis arvernensis Croiz. et Job., o non piuttosto a qualche esemplare di Felis leo Linn. Infatti egli ci dice ripetutamente che le dimensioni dello esemplare vecchio di Perugia che egli descrive stanno assai vicine (benché leggermente sotto) a quelle del leone e del tigre e sono alquanto superiori in dettaglio a quelle dei pezzi tipici dell’Alvernia sui quali venne fondata la specie. Alcune delle sue misure vennero da me riscontrate esser uguali, talor supe- riori a quelle che io ricavai sul mio cranio recente, apposita- mente macerato di una non troppo adulta leonessa. Di più, se le figure date dal Tuccimei sono esatte, ed il processo fotografico col quale vennero eseguite non ne lascia dubbio, io, riferendomi ai dettagli differenziali di forma e spe- cialmente di configurazione del margine inferiore (della branca mandibolare) dati dal Fabrini (‘) e riprodotti poi in parole e figure dal Boule (7) io mi troverei estremamente imbarazzato nel definire se la mandibola riprodotta (fig. 1) dal Tuccimei non fosse piuttosto leonina anziché tigri na. È vero che risulta dal concorde testo del Fabrini e del Boule che il Felis arvernensis congiunge ad un cranio essenzialmente tigrino o pardino una mandibola a margine inferiore di carattere essenzialmente leo- nino; ma i denti che la guerniscono sono per concorde dichia- razione dei due autori essenzialmente tigrini o pardini, mentre nello esemplare di Villa Spinola a me risultano essenzialmente leonini. Quindi io sarei più propenso ad avvicinar l’esemplare di Villa Spinola, stando sempre soltanto alla illustrazione fat- (') Fabrini E., I. c., p. 261. (?) Boule M., I. c , pag. 72-3, fig. 7-8 e pag. 94. CARNIVORI FOSSILI DI ROMA 69 tane clal Tuccimei, piuttosto ad un leone che ad un leopardo, quale dovrebb’essere, secondo le descrizioni, il Felis arvernensis Croiz. et Job. Ad aggiungere forza ai miei sospetti sta il fatto che: prima che nei terreni tufaceo-sedimentarii (appartenenti al piano « Siciliano ») di Roma si rinvenisse il teschio che vengo di at- tribuire al Felis arvernensis, già eransi ritrovati in quegli stes- sissimi terreni altri avanzi che dopo varie vicende di determi- nazione dovettero infine venir riconosciuti come di Felis leo Limi. E cito ad esempio il famoso Hyperfelis Verneuili il quale raccolto dal ricercatore benemerito degli avanzi accumulatisi nella cosidetta Caverna al Monte delle Gioie : il frère Indes, e da lui descritto appunto sotto il nome di Hyperfelis Verneuili (’) credendolo tipo di un nuovo genere, e da lui figurato, venne ben presto per opera del Gervais (2) riconosciuto come apparte- nente al Felis leo (magari spelaeus ), come risulta dalla discussione in proposito nella sua Zoologie et Fai. générales ; e come venne ripetuto dallo stesso Gervais nel 1872 (3). Tale conclusione venne infatti ricordata anche dal Clerici nella sua nota del 1888 (4). D’altro lato io stesso ricordai nel 1896 (5) in quali circostanze io avessi nel 1889 esplorato il pozzo naturale alla stazione fer- C) Indes fr.. Lettre sur la formation des tufes des environs de Pome et sur une caverne à ossements, Bull, della Soc. géol. de Franco, 2me sér., t. 26, séance 6 nov. 1808, p. 11-28, Paris, 8°, 1869. a pag. 22, cf. : Indes fr., Paleontologie quaternaire de la Campagne Pomaine, in Matériaux pour l’Hist. prim. et natifr. de l’homme, 8me année, 2me sér., tome 3, 1872, dé- cembre, pag. 553-563 avec pianelle 12me, Toulouse, 8°, 1872, vedi pag. 559- 563 à pag. 560. (2) Gervais P., Zoologie et Paleontologie générales , Première sèrie, avec atlas de 50 pls, Paris, A. Bertrand éd., 4°, 1867-69, (a pag. 251). (3) Gervais P., Coup d’oeil sur les mammifères fossiles d’ Italie, Boll. Soc. géol. de France, 2me sér., tome 29, pag. 92-103, Paris, 8°, 1871-72, (a pag. 95). (4) Clerici E., Sopra alcune specie di felini della caverna al Monte delle Gioie presso Poma , Boll. d. R. Comit. geol., voi. 19, pag. 149-167, tav. 4a, Roma, 8°, 1888 (a pag. 152). (5) Portis A., Contribuzione alla storia fisica del bacino di Poma e studi sopra l’estensione da darsi al pliocene superiore , voi. 2°, Torino (Roux e Frassati edit.) 4°, 1896, a pag. 3-8, 76-84 e fig. 9 bis, a pag. 112, n. 130. 70 A. PORTIS roviaria di Palombara Marcellina, otturato naturalmente dalla sedimentazione in esso dei tufi vulcanici che si sedimentarono anche attorno al suo orifizio: e come nella terra rossa soggia- cente al tufo io abbia trovato parecchi ossami di diversi e grandi mammiferi fra i quali appunto quelli di un grande felino che ritenni come Felis leo spelaea rappresentato da esemplare grandissimo. Nel 1898 poi procurai dalle cave D’Alessandri a Melafumo (Pontemolle, Roma) un magnifico dente ultimo premo- lare superiore (ferino) destro, grandissimo; che devesi pur riferire al Felis leo spelaea. La mia esitanza quindi ad accettare gli avanzi anterior- mente dati quali di F. arvernensis, come appartenenti sicura- mente a quella specie appariva ben giustificata. Ora, che ho da- vanti il bello e caratteristico cranio dei Campi Fiscali al Monte Sacro, tale esitanza non credo abbia più ragione di sussistere ; ed aggiungo quindi (sotto il numero 132 delTelenco dei grandi animali fossili dei nostri terreni del « Siciliano », inserito a pag. 112 del mio indicato studio) anche il Felis arvernensis Croiz. et Job. (*). (') Non dirò cose inaspettate o nuove, ma solo confermo o modifico od infirmo a seconda del caso, anteriori informazioni. Da quanto sopra, risulterebbe confermata una volta di più la coesistenza nei terreni tufacei del Siciliano di Roma e attorno a Roma di un grosso felide del taglio del Felis leo Linn. ( spelaea Goldf.), con altro men grande felino che or vien attribuito al F. arvernensis. Ma lo stesso fatto venne per le stampe reso di pubblica ragione fin dal 1817 dal Padre G. B. Pianciani per Ma- gognano a 8 miglia da Viterbo, eziandio per terreni tufacei. Il Pianciani nella sua memoria: Delle Ossa fossili di Magognano nel territorio di Vi- terbo, estratto di 14 pagine ed una tavola dagli Opuscoli scientifici di Bologna (voi. 1, pag. 345-356, tav. 16) descrive e figura, dopo aver par- lato dell’associazione con elefanti numerosi, bovidi, uccelli e chiocciole, come di forte leone (fig. 1) un frammento di mandibola destra (che ora, grazie allo antico Museo Kircheriatio, fa parte delle nostre collezioni) por- tante il ferino ben conservato ed, alquanto guasto anteriormente, il penul- timo premolare: il frammento che tutti gli autori che in seguito lo esa- minarono ritennero egualmente spettasse al leone. Ma il Pianciani mostra eziandio, oltre ad altri pezzi su cui qui non é il caso di insistere, disegnato (fig. 4) altro pezzo di mandibola di meno grosso felino di cui dice, a pag. 6 (rispettiv. pag. 348), sia inventore (e possessore?) il sig. conte Gentili. Ora nella tavola (o nei pezzi originali) caduta sotto gli occhi del Cuvier CARNIVORI FOSSILI DI ROMA 71 Cosi i Felis di questi terreni verrebbero presentemente a sommare a quattro che sarebbero: Felis leo Linn. ( spelaea ) Goldf. Felis arvernensis Croiz. et Job. Felis lynx Linn. Felis catus ferus Linn. Tanto per i Felis. Ma anche in altre famiglie di carnivori mi è stato dato di arricchire le nostre raccolte di avanzi fossili. E per adesso non voglio ricordare che quella degli Ursidi. Così, nella primavera del 1906 grazie alla illuminata cortesia dei RR. PP. Barnabiti, messi in avvertenza dall’uno di essi, il mio allievo dott. F. Napoli, scavandosi a Monte Verde (Vigna S. Carlo) le sabbie a copiosi elementi vulcanici intercalate ai tufi quest} riconobbe (Cuvier, Osa. foss., 4me édit., tome 7me, 1836, pag. 462) che « parmi des os d’Eléphants et d’autres grands herbivores, se sont trouvées des portions de màchoire de deux Felis dont il donne les figures. Il y en a une de la taille d’un lion et une autre de celle de la panthére ». Ed i sigg. Croizet et Jobert, pubblicando nel 1828 le loro Recherches sur les ossements fossiles du département du Puy-de-Dome, insistettero sul fatto e, dopo aver accennato al rinvenimento (dans les brèches osseuses de Nice regardées par M. Cuvier aussi anciennes que les terrains d’al- luvions où sont ensevelis les débris de Mastodontes, d’Eléphants, de Rhi- noceros, etc.) della F. antiqua ayant à peu prés les proportions du pan- thère, continuano a pag. 197, ripetendo: « Enfin, dans les additions du 5e volume des Reclierclies , nous voyons eneore qu’on a trouvé en Italie, à Magognano, territoire de Viterbe, des portions de màchoire de deux felis, une de la taille du lion, et une autre de celle du panthére ». Tutto ciò prima di venire alla diagnosi delle specie di felini alverniati e di sta- bilire per conseguenza la loro specie F. arvernensis, essa pure del taglio di una forte pantera; tenendola distinta dalla F. antiqua Cuv., perché (pag. 203) « les molaires du F. antiqua occupant dans la màchoire un espace de 0,080, qui n’est que de 0,058 dans le nòtre (F. arvernensis) », precisamente come sulla mandibola di cosidetta F. antiqua della Caverna delle Fate sopra segnalata. Ora qui vi ha certo un errore: la enorme lunghezza di 0,080 non si ravvisa certo su tutte le mandibole di leone; potrà tutto al più riscontrarsi su qualche gigantesco esemplare della razza spelaea , mentre dicono ancora Croizet et Jobert, pag. 202 « dans le lion et le tigre l’épaisseur occupé par les molaires se tient entre 0,062 et 0,067 » (e sulla mia leonessa si riscontra appunto in 0,064) mentre quella di 0,058 é abbastanza comune sulla mandibola dei leopardi. Ciò induce facilmente alla ipotesi che nella F. antiqua Cuv. si siano considerate ossa 72 A. PORTIS ed ai travertini, venne fuori un intiero ramo mandibolare munito di denti che, subito recato in Museo, si rivelò come orsino. Si tratta di un ramo sinistro che, per la parte ossea, si può dire integro; della lunghezza estrema di mm. 239, che mostra gli alveoli dai quali sono sfuggiti i denti incisivi primo a terzo, il canino, il preantepenultimo premolare e l’ultimo molare. Sono presenti invece ed in posto: l’ultimo premolare ed i molari an- tepenultimo e penultimo in una serie continua di tre denti avente allo avanti un diastema sul quale non è possibile riscontrare traccia degli alveoli per i premolari penultimo ed antepenul- timo. La piccola mole dell’esemplare, appartenuto ad un individuo a dentizione adulta perfettamente sviluppata per nulla ancora travisata dall’usura (probabilmente femmina), il suo carattere slan- ciato che si rivela così bene nella parte ossea, che nella guer- nizione di denti (dei quali in seguito) mi fecero pensare al- l’ TJrsus arvernensis Croiz. et Job., altrimenti detto U. Etruscus Cuv. Ma le concordi descrizioni e figure del Cuvier (*), del e di leone e di leopardo e che fra esse quindi occorra, a seconda dei giacimenti, sceverare quelli di leopardo sotto il nome (per fossili), di F. ar- vernensis Croiz. et Job. A questo modo, il nome di F eh s arvernensis potrà venir attribuito agli avanzi del meno grande felide constatato a Ma- gognano, dove, assai prima che a Roma, sarà stata constatata l’associa- zione dentro ai tufi: F. spelaea Goldf., e F. arvernensis Croiz. et Jobert. Aggiungo per notizia: che nelle collezioni del nostro Istituto Geolo- gico universitario, grazie sempre al Museo Ivircheriano, conservasi pure la più che metà posteriore delPoriginale rappresentato (provenienza an- cora da Magognano) dal Pianciani, tig. 2, tav. 16. Questo dente è riferi- bile, come quelli della tig. 1, al F. leo spelaea ed è il penultimo premolare superiox-e di destra. Combina perfettamente in tutti i suoi caratteri si da farlo confondere pei caratteri di mole-, guisa di conservazione, ecc. con l’individuo e col deposito che fornirono il ferino, pur superiore e pure destro da me procurato, per acquisto nel 1898, dalle Cave d’Alessandri a Pontemolle. Come sia avvenuto poi che dell’originale del Pianciani (tig. 1), manchi il terzo inferiore col bordo mandibolare e dell’originale (fig. 2), manchi la radice col lobo anteriore é cosa facilmente spiegabile colle molte vicende cui andarono soggetti quei pezzi prima di trovar la sede naturale adatta alla loro amorosa conservazione nelle collezioni del nostro Museo. (*) Cuvier G., Oss. foss., 4me éd., 1836, Texte 8°, voi. 7, pag. 306-307, Atlas, 4°, pi. 183, lig. 8. CARNIVORI FOSSILI DI ROMA 73 Blainville (*), del Gandry (*), del Gervais (3), del Depéret (4), e di altri che tutti affermano e dimostrano la contemporanea pre- senza dei quattro premolari tanto superiormente che inferior- mente; la differenza di conformazione dei denti presenti ed una lieve differenza nel profilo generale dello intiero osso mi dis- suasero ben presto da ciò, persuadendomi a piazzare il fossile, anziché nella sezione Helarctos, piuttosto in quella Ursus p. d. Questa dovrebbe comprendere, secondo il Trouessart aggior- nato fino al presente (5), tra l’altre, le specie ZJ. spelaeus Ro- senin et Cuv., ZJ. priscus Cuv. e U. arctos Linn. Dovrei scar- tare subito la seconda troppo indefinita e malsicura e nel di- lemma tra lo spelaeus e V arctos la mole del primo e la presenza sul mio esemplare del preantepenultimo premolare dovrebbero obbligarmi a scartare anche il primo e determinare il mio esemplare senz’altro come appartenente alla specie terza od ZJ. arctos. La cosa non è pero così semplice e tassativa come appare dai testi. All’atto pratico della determinazione si incontrano delle anomalie che rendono assai dubitativa una determinazione portante su di un unico oggetto come qui è il caso. In primo luogo non è poi tanto vero che il preantepenultimo premolare sia così costantemente caduco nell’ U. spelaeus come da tutti viene affermato. Io ho visto in parecchi musei della Germania dove si aveva abbondanza di materiale di ZI. spelaeus che molte volte non solo persiste il detto dente assai a lungo nell’adulto ma che talor persistono assai a lungo anche traccie dell’alveolo per lo antepenultimo é persino del penultimo. Questa la ragione del- l’insistenza a conservarsi del sinonimo ZI. arctoideus Blumb; e nel pochissimo materiale che ho nel nostro Istituto a disposi- zione liavvi appunto una mandibola, ramo destro, ben sana pro- (’) Blainville D., (de) Ostéograpliie, voi. 2, Monogr. Ursus (K), Texte 4°, pag. 61 64, Atlas, pi. 13, 14, 15. (2) Gaudry A., Enchainements du monde Animai dans les temps géo- logiques, lcr voi. Mammifér. tert., Paris (Savy èd.) 8°, 1878, pag. 214. (3) Gervais P., Zool et pai. Frante, 2rae éd„ 1859, Texte 4°, p. 205-206. (4) Depéret Ch., Animaux pliocène s du Roassillon, Mém. paléont. d. 1. Soc. géol. de France, Mém. n. 3, Paris, 4°, 1890, pag. 34-40, pi. 3. (5) Trouessart, l. c., pag. 238-247 (a pag. 239-240). 6 7t A. PORTIS veniente dalla Grotta delle Fate nel Finalese (Liguria) deter- minata come JJ. spelaeus che mostra, ad un centimetro indietro dal margine posteriore dell’alveolo del canino il punto ove venne recentemente troncata la corona lasciandone la radice ancora infitta nell’alveolo per detto premolare. In questo ramo mandi- bolare noi abbiamo dimensioni generali (e particolari pei denti) alquanto superiori a quelle del fossile di Roma, dimensioni che però starebbero assai male di fronte a quelle enormi raggiunte dalla comune degli individui di U. spelaeus. La difficoltà si potrebbe agevolmente girare collocando appunto l’esemplare della Caverna delle Fate nella specie U. arctos salvo alcune ecce- zioni a cui vengo in seguito. Ma in Museo conservo eziandio alquanto materiale di indi- vidui e giovanissimo, e giovane, e vecchio e vecchissimo di TJ. spelaeus (o determinati tali credo a più forte ragione) pro- venienti dalla Grotta Cola (sul monte Aurunzo) presso Petrella di Cappadocia (Avezzano). Vi ha fra questo: un ramo mandi- bolare sinistro di individuo giovane tanto, che la lunghezza estrema sua non raggiunge che min. 182, cinque centimetri e mezzo adunque meno della mandibola romana di Monte Verde. Come giovanissimo, questo ramo è in piena muta dei denti; i denti molari grossissimi molto più che non quelli del ramo di Monte Verde sono: il primo già totalmente fuori e sopra l’alveolo, il secondo già quasi tutto fuori ed il terzo ancor pro- fondamente infossato nello alveolo sotto Capotisi coronoide. Degli altri denti, il primo incisivo è caduto casualmente, il se- condo si è già quasi tutto liberato dallo alveolo, il terzo non ne spunta che per un terzo avendo però già obbligato a cadere il canino da latte ancor ben lontano dal venir poi rimpiazzato col definitivo che allo stato di germe quasi unicamente ancora per la corona giace ancor profondamente nascosto nella man- dibola donde lo smascherai incidendone la faccia interna. Ma appresso allo alveolo ancora aperto e libero pel canino da latte noi troviamo, a 7 millimetri dal suo margine posteriore sul diastema, una piccolissima impressione alveoliforme che si potrebbe interpretare attribuendola al preantepen ultimo premolare presente nella dentizione infantile caduca; una seconda poi, a 3 millimetri indietro da quell’altra depressione alveoliforme CARNIVORI FOSSILI DI ROMA 75 ma alquanto maggiore che si può dare allo antepenultimo pre- molare. Poi a circa un centimetro indietro da quella: terzo al- veolo, questa volta un vero alveolo, attribuibile al penultimo ed infine a diretto contatto con esso, l’alveolo dal quale finisce di uscir l’ultimo premolare grossissimo in confronto di quello della mandibola di Monte Verde, medio in grossezza in confronto della comune di simile dente per V TJrsus spelaeus Rosenm. Dunque : assodato che in regola generale i tre anteriori pre- molari sono ordinariamente caduchi per l’ Ursus spelaeus Rosenm. ; mentre, sempre come regola generale, non sono tali nell’ Ursus arctos che l’antepenultimo ed il penultimo; assodato che nel caso speciale la mole del fossile e le proporzioni dei denti per se ed in rapporto allo apparecchio osseo che li sostiene non si accordano a permettere il riferimento del fossile stesso all’ Ursus spelaeus Rosenm., non ci resterebbe altro che riferirlo all’ Ursus arctos Linn. Ricordando perciò quanto più sopra è detto dei caratteri di leggerezza e piccolezza tanto dell’osso complessivamente quanto delle sue parti, i denti sovratutto; osservo che, mentre nello Ursus arctos Linn. è un fatto comune quello della non caducità del premolare preantepenultimo, esistono per questa specie europea tante e tanto costanti variazioni sia di pelame che di costitu- zione più o meno leggera e slanciata dello scheletro e dei denti che della mole; da rinvenirsi costantemente, nelle descrizioni e monografie speciali del genere, dubbi sulla più o meno auten- tica esistenza o di variazioni costanti e varietà nella specie Ursus arctos Linn. addirittura fino a specie distinte da quella principale. Ed invero, stando solo alle descrizioni e alla tavola 7n della monografia del Blainville; mentre, pel solo profilo, la nostra mandibola si scosta notevolmente da quella dell’ « Ours brun elancé de Pologne » la di cui lunghezza massima è desunta dalla figura in inni. 246, il cui margine inferiore è addirittura scafoide(1); e poi solo un po’ di meno da quella dell’ «0. brun de^Pologne » dalla lunghezza massima in mm. 222 dove tal (x) Secondo il tipo fissato nel genere Metarctos dal Gaudry A. (Ani- viaux fossiles et Géoìogie de l’ Attigue, Paris, 4°, 1862. Texte, pag. 37-42, Atlas, pi. 7, fig. 1-2). 76 A. PORTIS carattere è un po’ meno accentuato ma per contro si ha esa- geratissima la sporgenza indietro ed in basso dell’angolo po- stero-interno della mandibola, angolo che non è in tal guisa sviluppato nel nostro fossile. Per lo stesso particolare della spe- ciale sporgenza e sviluppo dell’angolo postero-interno, differisce pure il nostro fossile dall’ « 0. bruii des Asturies » dalla lun- ghezza massima in mm, 201 pur avvicinandovisi assai pel resto del profilo particolarmente dal lato anteriore o simfìssario. (La figura della mandibola di questo orso delle Asturie ci mostra che dessa era dotata non solo del preantepenultimo e dell’ul- timo premolare ma ancora del penultimo). Procedendo nella comparazione, il nostro fossile si avvicina poi sempre di più al profilo dell’ « Ours brun des Alpes » (a 186 mm. di lunghezza massima) e raggiunge il massimo di concor- danza coll’ « Ours brun de Norvège » (di 195 mm.) nei quali ultimi due noi troviamo appunto uno sviluppo dell’angolo o sporgenza post-infero-interna pari a quella che noi abbiamo riscontrata sul fossile (*). Veniamo ai denti : riducendo le misure a quelle che si pos- sano effettivamente raccogliere sopra il fossile in esame, l’ho comparato con una mandibola giovane dello stesso lato (nel prospetto comparativo che segue segnata: N. 2) di Ursus spe- larti* di Grotta Cola di cui parlo più su; con quella (N. 1) del lato opposto raccolta nella Caverna della Fate in Liguria aneli’cssa già ricordata (?), terzo, con frammento (N. 3) di man- dibola di U. spelaeus della caverna dell’Herm (Ariège), pure destro; quarto, con una mandibola ancora destra (N. 4) di U. spe- laeus della Caverna Wipustek presso Blansko (3); quinto, con (' Tanto la mandibola dell’ « Ours brun des Alpes» che quella del— l’« 0. brun de Nòrvége» non presentano nella figura traccia alcuna della persistenza del premolare penultimo. (?) La mandibola della Caverna delle Fate si avvicina, pel suo mar- gine inferiore, assai più scafoide, e per la persistenza del premolare pre- antepenultimo alla figura dell’« Ours brun de Pologne » della tavola so- praricordata del Blainville (della lunghezza massima mm. 222 contro a min. 239 della nostra). O Questa é considerevole; non è però ancora da annoverarsi fra le più grandi che io mi conosca della specie. Essa è disgraziatamente privata del ferino od antepenultimo vero molare. CARNIVORI POSSILI DI ROMA 77 un ramo mandibolare sinistro (N. 5) di TJrsus thibetanus F. Cuv. o forse meglio di TJ. (Rélarctos) malayanus Raffi, vivente ('); e sesto finalmente con simile ramo (N. 6) di Thalassarctos mari- tinms Desm. (il comune orso bianco) appartenente a questo Museo. Eccole in millimetri: Fossile di m. Verde 1 2 3 4 6 6 Lunghezza massima della mandibola dal margine anteriore incisivo al po- mm. mm. mm. mm. mm. mm. mm. steriore del condilo . . Distanza dal bordo ante- riore dell’alveolo canino al posteriore del molare 239,0 271,0 181,0 309,0 200,0 249,0 ultimo Distanza dal bordo alveo- lare post, del premol. preantepenultimo allo 154,0 167,0 ? 186,0 119,0 149,0 ant. del premol. ultimo. Distanza dal margine an- teriore alveolare canino al posteriore del canino 24,0 41,0 ?16,0 26,8 43,3 stesso Distanza dal margine po- steriore alveol. canino allo anteriore del pre- 26,0 26.0 ? 33,5 31,6 21,0 25,3 mol. preantepenultimo. Distanza dal margine po- steriore alveol. canino allo anteriore del pre- 4,0 8,0 4,0 2,0 4,0 molare ultimo .... Distanza dal margine po- steriore alveol. canino allo anteriore del mola- 32,0 52,0 22,0 55,0 53,0 30,8 53,0 re antepenultimo . . 44,0 68,0 37,6 72,0 67,0 44,0 68,3 (^Appartenente allo Istit. Zool. Univ., gentilmente favoritami dal suo direttore Prof. Carniccio. Avverto a proposito di essa che espri- mendo l’incertezza di sua appartenenza fra l’ TJrsus thibetanus ed il ma- layanus intendo dire fra le due buone specie rispettivamente stabilite da Federico Cuvier e dal Raffles; appunto perchè si sa che l’Hodgson chiama col nome di malayanus la specie tibetana di F. Cuvier. 78 A. PORTIS Fossile di (I). Verde 1 2 3 i 4 5 6 Distanza dal margine po- steriore alveol. canino allo anteriore del mo- mm. mm. mm. mm. mm. mm. mm. lare penultimo . . . Distanza dal margine po- steriore alveol. canino allo anteriore del mo- 71,0 93,0 63,5 103,5 98,5 66,5 080, lare ultimo. . . . Distanza dal margine an- teriore alveol. dell’ul- timo premolare allo ant. 100,0 121.0 97,0 129,0 S5,o 110,0 del mol. antepenultimo. Distanza dal margine an- teriore alveol. dell'ul- timo premolare allo ant. 18,0 15,5 17,0 18,0 15,0 13,0 16,6 del molare penultimo . Distanza dal margine an- teriore alveol. dell’ul- timo premolare allo an- 39,0 40,0 41,0 48,8 46,0 35,0 38,0 tenore del mol. ultimo. Distanza dal margine an- teriore alveol. dell'ul- timo premolare al po- 67,0 69,0 75,0 77,0 56,0 18,5 steriore del mol. ultimo. Lunghezza antero-poste- riore effettiva dell’ulti- 90,0 93,0 ?96,0 115,0 69,0 73, 6j 1 mo premolare, massima. Massima grossezza del 13,0 14,7 15,0 16,2 16,5 12,5 14.5! medesimo Massima lunghezza ante- ro-post. dell’antepenul- 9,0 9,7 10,1 11,5 11,0 6,0 7,0 timo molare .... Massima lunghezza ante- ro-post. del lobo anter. del medesimo misurato 27,0 27,0 30,0 32,0 22,0 22,0 sul lato interno . . . Massima lunghezza ante- ro-post. del lobo post, del medesimo misurato 14,5 15,0 16,0 21,0 13,0 12,2 sul lato interno . . . 11,0 10,2 11,4 11,0 1 7,0 9,0 CARNIVORI FOSSILI DI ROMA 79 Fossile di (II. Verde 1 2 3 4 5 6 Massima grossezza del me- desimo sul lobo ante- mm. mm. mm. mm. mm. mm. mm. riore Massima grossezza del me- desimo sul lobo poste- 10,0 10,5 11,7 12,3 7,7 8,6 riore Minima larghezza al colle 13,0 13,0 16,0 15,0 — 8,5 9,0 fra i due lobi .... Massima lunghezza ante- ro-post. del penultimo 8,7 10,0 10,0 11,5 7,0 7,2 molare Massima lunghezza ante- ro-post. del lobo ante- riore del medesimo mi- 29,0 27,0 31,2 32,0 31,0 20,0 20,8 surata sul lato int. Massima lunghezza ante- ro-post. del lobo poste- riore del medesimo mi- 13,5 14,0 15,0 19,2 15,7 12,0 13,5 stirata sul lato int. Minima larghezza al colle 14,0 12,0 14,0 13,0 14,7 8,0 6,2 fra i due lobi. . . . Massima grossezza sul 14,3 14,0 15,7 16,0 15,5 9,0 9,3 lobo anteriore. . . . Massima grossezza sul 15,5 10,4 18,0 19,0 17,5 11,0 11,5 lobo posteriore . . . Dal margine posteriore canino al margine po- steriore alveolare mo- 17,0 17,1 18,0 19,2 19,0 10,0 10,0 lare ultimo 120,0 146,0 — — 157,0 99,0 126,5 Date materialmente le sovrastanti misure ho invano tentato di ricavar qualche legge differenziale dallo stabilimento e dalla risoluzione di proporzioni su ciascuno degli esemplari presi in esame (’) fra le dimensioni longitudinali della intera mandibola o di tutta o parte della serie dentaria con parti sempre minori della stessa serie; e con tutto ciò non posso esimermi dal notare (*) (*) 0 meglio sui soli quattro sufficientemente completi e adatti, quali sono il fossile ed i numeri 1, 4, 5. 80 A. PORTIS che nella mandibola fossile noi abbiamo l’impressione sui denti conservati di un notevole allungamento e rilievo marcato delle sporgenze (cuspidi, pareti, etc.) congiunto a marcata ristrettezza del dente stesso. In dettaglio io formulerei il particolare aspetto del fossile a questo modo: Il diastema corrente dal canino al- l’ultimo premolare, per la caducità del penultimo e antepenul- timo premolare (’), appare nel fossile estremamente raccorciato; Molto lungo e stretto appare l’ultimo premolare; ma su di esso, mentre è notevolmente sviluppata la cuspide principale od esterna, essa appare assai più tagliente, più portata verso l’avanti e l’esterno del dente e quasi unica, pochissimo essendo svilup- pate le rappresentanze tubercolari della parete interna e tutto al più accennate in un lieve tubercolo o talloncino postero-in- terno a ditferenza di quanto scorgesi tanto sul comune Ursus arctos che sull’ Ursus spelaeus, sui quali vi ha un certo sfoggio di essa particolarmente manifestato: con un tubercolo antero-in- terno, un maggiore medio-interno quasi all’altezza della cuspide principale ed un poco sviluppato tubercolo postero-interno cor- rispondente al presso che unico notato sul fossile. 11 molare vero antepenultimo appare allungatissimo e stroz- zato trasversalmente circa ai tre quinti di sua lunghezza; il corpo più lungo anteriore appare a sua volta suddiviso in due parti: una di un quinto di lunghezza anteriore, come una cuspide trasversa alla direzione del dente; l’altra distinta in un mas- siccio tubercolo o cuspide esterna più elevata della più sottile e ristretta parete interna, a sua volta distinta in quattro o cin- que tubercoletti messi in fila l’un dopo l’altro. La parte po- steriore, nettamente separata dalla più lunga anteriore descritta, con un colle obliquo dallo indietro ed esterno in avanti e in- terno, consta essa pure di un ancor più massiccio e largo tu- (') Ricordato che qui avevamo un preantepenultimo sviluppatissimo mentre in parecchi orsi bruni d’Europa abbiamo bensì presente ma meno sviluppato tal dente; e sovente presente e assai sviluppato il penultimo (come mi potei anche accertare ultimamente sopra un cranio assai com- pleto di orso bruno di Polonia esistente in Firenze nella ricca collezione Regalia la di cui mandibola misurava, al modo che ho preso le misure sovrastanti, 245 min. di lunghezza) e che tal dente è assai costantemente assente nello Ursus spelaeus. CARNIVORI FOSSILI DI ROMA 81 bercolo esterno e di una parete interna scindibile manifesta- mente in tre tubercoletti messi in fila e sempre più elevantisi dallo avanti allo indietro ('). (x) Questo molare, che potremmo anche chiamare il ferino inferiore, of- fre, come vedemmo per l’ultimo premolare sovradescritto e vediamo in se- guito per gli ulteriori molari, un carattere di semplicità e di primitività che riscontriamo ad un certo punto nel Thalassarctos maritimus Desm. e nell’ Ursus (Helarctos) maìayanus Raffi, fra i viventi; ma che riscontriamo sempre più marcato a misura che andiamo a compararlo con residui orsini di sempre più profondi piani geologici cosi da ricordare l’ Ursus od Ursavus primaevvs Gaill.ed il Cephalogale o Hyaenarctos od Ursavus brevhirinus Hofman e il Pseudarctos bavaricus Schlosser. Confronta perciò : 1° Hofman A., Ueber einige Sàugethier reste aus der Braunkohle ron Voitsberg und Stejeregg bei Wies, Steiermark, in Jahrbuch der k. k. Geol. Rei- chsanst., voi. 37, 1887, pag. 207-218, tav. 10-12, a pag. 208-210, tav. 10, figg. 1,4, 5,6; 2° Hofman A , Beitraege sur miocaenen Sàugethierfauna der Steiermark in Jahrb. d. k. k. Geol. Reichsanst., voi. 42, 1892, pa- gine 63-76, tav. 2-3, a pag. 64-68, tav, 2, tig. 1*3; 3° Schlosser Max, Ueber die Bàren und bàrenàhnlichen Formen des europàischen Tertiàrs. Cassel, Stuttgart, Palaeontographica, voi. 46, 1899, pag. 95-147, tav. 13-14, a pag. 99, 100, 101, 103-105, 117-121, tav, 13, fig. 17, 18, 20, 22, 23; e 4° Gaillard CI., A propos de l'ours miocène de la Grève Saint Alban (Isére). Lyon, 8°, 1899, extrait de 16 pages avec 9 figures; quest’ultimo come sintesi delle precedenti informazioni date dallo stesso Gaillard. Per quanto poi si riferisce ad un’opinione sintetica sulla presenza di orsi o loro antenati (Hyaenarctos o Ursavus) miocenici in Italia, noi ce la possiamo procurare ripassando in rassegna, fra gli autori che si occuparono del carnivoro di Montebamboli, principalmente le note se- guenti: 1° Meneghini G., Descrizione dei resti di due fiere trovati nelle li- gniti mioceniche di Montebamboli , Atti Soc. ital. Se. Natur. Milano, voi. 4, 1862, pag. 17-33, tav. 1-2 (Amphicyon Laurillardi) Menegh., non Pomel, a pag. 29-32, tav. 2); 2° Forsyth Major C. J., La faune des Vertebr'es de Monte Bamboli (Maremmes de la Toscane). Atti Soc. ital. Se. Natur. Milano, voi. 15, 1873, pag. 290-303 (cosi detto Amphicyon dal Meneghini o Hyaenarctos dal Gervais: a pag. 295-297); 3° Weithofer A., Alcune os- servazioni sulla fauna delle ligniti di Casteani e di Montebamboli (To- scana) ; Boll. d. Comit. geol. ital., Roma, voi. 19, 1888, pag. 363-368, (L’ Amphicyon Laurillardi Pom. del Meneghini divenuto Hyaenarctos anthracitis Weith., a pag. 367-368); 4° Weithofer A., Ueber die tertiàren Landsaugethiere Italiens, Jahrbuch d. k. k. geol. Reichsanst., voi. 39, 1889, Wien, pag. 55-82 (per il Hyaenarctos anthracitis Weith, pag. 57, 60-62, con attribuzione del giacimento di Montebamboli piuttosto al pliocene che al miocene, pag. 63-64). 82 A. PORTIS Il molare penultimo, meno evidentemente strozzato dal colle obliquo ai tre quinti di sua lunghezza, consta, per ciascuna delle due parti principali, di forme tubercolari molto massiccie e con- fuse occupanti la maggior area medio-esterna del dente; e di una parete esterna (oppostamente a quanto osservai pel dente antepenultimo) elevantesi un po’ di più di quel che avveniva per la regione medio-esterna; e divise, ciascuna delle due parti, in tre tubercoletti di cui il medio è il più sviluppato sì in lun- ghezza che in altezza. Il molare ultimo, che non è materialmente presente sul fos- sile è rappresentato col solo alveolo il quale però appare sem- pre più allungato e ristretto che non sull’ ET. arctos, ed ancor più che sullo U. spelaeus, ed esageratamente di più che sul Tha- lassarctos maritimus Desm. Così in complesso, noi abbiamo sull’esame dei denti di que- sta mandibola l’impressione di una guernizione più sviluppata in lunghezza che in larghezza e più tagliente e quasi porcina. Avrà trovato questo carattere la sua necessaria corrispondenza nello apparecchio dentario superiore? Fino a questo punto pos- siamo a priori rispondere in modo affermativo. Ma alla conse- guente domanda se tale carattere debba considerarsi come in- dividuale oppure come persistente tanto da autorizzare su di esso una distinzione di varietà od addirittura specifica mancano gli elementi per una adeguata risposta, tanto più quando noi già conosciamo dalla letteratura le variazioni anche sufficien- temente costanti che si riscontrano sul comune U. arctos già segnalate; e grazie alle quali già Blainville distingueva 1’ « Ours bruu de Pologne» dall’ «Ours bruii élancé de Pologne ». E nello stesso tempo giova notare che dalla tavola 12a (Dentizione) ac- compagnante detta monografìa del Blainville risulterebbe che i dettagli che vengo di rilevare sui denti del fossile trovano molto maggior corrispondenza sul vivo del Tlialassarctos mari- timus che non dell’?/, arctos come pure dalla tavola 15 (arsi antiqui) che i nostri caratteri tornano ad aver corrispondenza su quelli di mandibole disegnate: una quale di U. arctoidcus dal Blumenbach, un’altra data come di U. priscus dal Ouvier. Ora è vero che l’ U. arctoidcus , dalla comune degli autori posteriori, diventò poscia sinonimo dell’?/, spelaeus; ma che in- CARNIVORI FOSSILI DI ROMA 83 vece la maggior parte del materiale dapprima determinato come U. priscus tentò sottrarsi alla sorte di finire in perfetta sino- nimia con altre specie fossili e viventi; ed ancora il Trouessart lo ricorda nella sua ultima edizione a pag. 239 come buona specie, mantenuta non solo, ma avente abbracciato in sinonimia ancora molto materiale che dapprima era stato attribuito allo americano Ursus o Danis horribilis o ferox , cioè il rinomato Grizzly dei cacciatori americani. Messo sull’avviso da questa relazione, ho potuto cercare e trovare nei recenti cataloghi che: l’ Ursus horribilis Ord. è an- cora oggidì ammesso come rappresentato tanto allo stato vivente in America che fossile in Europa ('); e che a pag. 166 del ca- talogo del Lydekker è appunto segnalato in tal condizione e portante in sinonimia l’ Ursus priscus di Cuvier e Goldfuss. Ri- sulta di più, dallo elenco dei pezzi che il Lydekker pone in serie al detto appellativo, che molti provengono : ora dai pantani più o meno torbificati dell’Irlanda, ora (ciò che è per noi più concludente) pei pezzi inglesi, dal cosidetto pleistocene di Grays nella contea di Essex, o di Ilford nella stessa contea, od ancora dalla Caverna delle Ginestre di Gibilterra. Ma credo di aver altrove (2)‘ a sufficienza dimostrato come molto del cosidetto pleistocene degli Inglesi, ed in particolare appunto i depositi alluvionali così classificati di Grays e di Ilford, come pure molto del materiale proveniente dai depositi profondi sia della Caverna di Kent, che della Caverna delle Ginestre (Genista Cave) ed altre di Gibilterra debbano essere ascritti invece al Siciliano assieme ai materiali sedimentario- tufacei del nostro bacino romano coi quali offrono tanta re- lazione di produzione e di contenuto faunistico in mammiferi superiori. Prima di stringere le conclusioni ritenni doveroso il rive- dere, anziché le descrizioni e figure originali del Goldfuss sul C) Vedi: Catalogue of thè fossi l Mammalia in thè British Museum (Naturai History) by Richard Lydekker, Part I (1885) cont — carni- vora London, 8°, pag. 1-268, w. woodcts. (2) Portis A., Contribuzioni alla storia fìsica del Bacino di Roma e studii, ecc., voi. 2°, Torino-Roina, Roux e Frassati edit., 4°, 1906 vedi sovratutto pag. 90-150. 84 A. PORTIS suo Ursus priscus della Caverna di Gaylenreuth (10 individui di esso contro 870 di U. Spelaeus nella stessa caverna) negli Ada Leop. Carol. Accad. Nat. Curiosorum, voi. 10, 1822, almeno la discussione e rifigurazione critica per opera del Cuvier G. Ossements fossiles, 4me édit. in 8°, 1834-36, voi. 7, pag. 242, 262-271, 308 atlas in 4°, pi. 189, -fig. 5-6 (corrispondenti a voi. 4, tav. 27 bis fig. 5-6 della seconda edizione) e la discus- sione e figurazione critica eziandio del Blainville Ostéographie , voi. 2°, 1839-1864 Monographie K, Genre Ursus , pag. 59-61, tav. 14 et 15 ( Ursus priscus ex Cuvier). Da tali descrizioni e riassunti critici comparativi e dalle figure, malgrado che presso Timo e l’altro autore esse non siano che ad un terzo del vero, risulterebbero abbastanza bene le analogie tra i caratteri che ho cercato di mettere in evidenza nella mandibola e denti di Monte Verde e la mandibola e denti del cosidetto Ursus pri- scus di Gaylenreuth. Posta così la questione non rimane che a definirla in base alla legge di priorità. E chiaro che V Ursus priscus, malgrado l’opinione del Trouessart, è da considerarsi secondo la più razio- nale dimostrazione del Blainville, come identico coll’ £7. horri- bilis; e se noi avremo a parlare di pezzi fossili riconosciuti come appartenenti o attribuibili ad una specie conosciuta come vi- vente, noi non li denomineremo col nome sotto cui vennero de- scritti quando non erano attribuiti alla specie vivente, nome che abbandoneremo per adottare quello della specie vivente anche se, come qui non è il caso, la specie vivente fosse stata solo po- steriormente se non conosciuta almeno denominata. Così la mandibola di Monte Verde, che prima cercai di tener lontana daH’C7r.sws priscus G. Cuv., viene momentaneamente a ricader in questa specie; ma perchè dessa tutta quanta non ab- bracciava che esemplari dapprima non saputi e più tardi rico- nosciuti appartenenti ad una specie vivente ; così, cadendo tutta quanta la cosidetta specie Ursus priscus Golf. Cuv. nella sino- nimia dell’ Ursus horribilis Ord., ne viene di conseguenza che i singoli esemplari che la costituirono o verranno a costituirla verranno per forza naturale degli eventi a far parte della specie Ursus horribilis Ord. provengano essi da Gaylenreuth, o da Roma, o dall’Inghilterra, o dalla Spagna, o dalla Francia. CARNIVORI FOSSILI DI ROMA 85 La conclusione a cui sono condotto è ora facile a scorgersi. La mandibola fossile orsina della Vigna San Carlo apparter- rebbe quindi, secondo me, all’Ursws orribilis o ferox; a questa specip che, discesa forse direttamente dal pliocenico Hdarctos od TJrsus etruscus del Cuvier, altrimenti detto U. arvernensis da Croizet et Jobert, si propagò durante la deposizione dei se- dimenti del piano siciliano necessariamente verso l’occidente europeo invadendo così le regioni littorali atlantiche dall’estre- mità meridionale della Spagna a quella settentrionale delle isole britanniche (4); e, scacciata col mutar delle condizioni di rela- zione fra arida e sommersa che determinarono il passaggio dai tempi siciliani ai tempi del vero diluvio; invase, non sap- piamo con quali mezzi, l’America settentrionale, dove ancor si mantiene e dove non la andremo a cercare più oltre. Pago del risultato ottenuto il quale porterà di necessaria conseguenza la progressiva comprensione dell’ Là priscus G. Cuv. nell’ U. horribilis Ord., non tacerò come, se non frequenti nei nostri terreni, gli avanzi di orso non vengono oggi per la prima volta segnalati dai medesimi. Chi trascorra la complicatissima nostra bibliografia geologica e paleontologica, trova talor accen- nati resti orsini come rinvenuti nei nostri terreni; ed ultima- mente il Meli (*) ed il Clerici (3) accennarono ad anteriori dati del Ceselli, del Ponzi e dell’Indes; e descrissero a nuovo vecchi e nuovi pezzi, nessuno però dei quali poteva giungere alla im- portanza sistematica di quello che fece oggetto della precedente descrizione. I dati ultimamente raccolti dal Meli e dal Clerici li apprezzai e discussi a suo tempo tanto nel primo volume (4) che nel secondo (5) delle mie Contribuzioni] ed a quanto allora scrissi, rinvio. Ma> da quelle risulta che, quand’anche si potrà (') Si noti che P U. etruscus od arvernensis è stato segnalato oltreché in Italia ed in Alvernia, eziando nel Rossiglione e nel Redcrag inglese. (2) Meli R., Comunicazioni alla Soc. Geol. Ital. su rinvenimenti di Ossa fossili nelle ghiaie di Ponte Molle, Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. 8°, 1889, a pag. 40-48. (3) Clerici E., L’Ursus spelaeus nei dintorni di Poma, Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. 11, 1892, pag. 105-110, con fig. C) Portis A., Contribuzioni, etc., voi. 1°, 1893, pag. 196. (5) Portis A., Contribuzioni, etc., voi. 2°, 1896, pag. 67. 86 A. PORTIS posteriormente dimostrare che resti orsini anteriormente cono- sciuti appartengano in realtà all’fj. spelaeus , non ne verrà perciò scemata la pliocenicità del terreno da cui derivano; e, dal pre- sente mio studio risulterà che: a detta specie, una seconda si abbia da aggiungere, la quale nulla anch’essa toglie alla plio- cenicità del terreno; mentre, per se stessa, pare coincidere con una specie attualmente vivente nell’America settentrionale e, come più primitiva, più direttamente derivabile da specie co- nosciute fossili in giacimenti appartenenti, se non al miocene, almeno al vero pliocene inferiore. Roma, 26 novembre 1906. In dicembre 1906 è stato pubblicato il volume 60 della Palaeontograpbycal Society di Londra, la di cui prima memoria porta il titolo: The pleistocene Bears, hy S. IL Beynolds ('). Peccato che essa non sia ancor completa; e che, nelle 35 pa- gine ed 8 tavole che la rappresentano in quel volume, essa, non parli che dell’f/rsws arctos. Anche parlando solo di quella specie, non può il Reynolds fare a meno di metterla in com- parazione sovratutto coll’ Ursus spelaeus liosenm e coll’ 7Trsus horribilis (ferox) Ord. Per quanto potei ricavare da simili de- scrizioni, figure e comparazioni, niente si opporrebbe alle deter- minazioni e deduzioni fatte sul ramo mandibolare orsino di Roma: tanto più dopo aver consultato posticipatamente, su indicazione bibliografica ottenuta dalla memoria del Reynolds, la nota del Busk (2) su alcuni dettagli nella dentizione degli orsi fossili. [ma. pres. il 24 marzo 1907 - ult. bozze 13 maggio 1907]. (*) Monograph of thè British pleistocene Mammalia, voi. 2°, part 2‘, The Bears by Sidney H. Reynolds, pag. 1-35, pi. 1-8, London, Palaeon- tographical Society, LX, 1906. (2) Busk George, Observations on certain points iti thè dentition of fossil Bears appear io afford good diagnostic characters and on thè relations of Ursus priscus, Goldf. to Ursus ferox, London, Quart. Journ. Geol. Soc., voi. 23, 1867, pag. 342. I. Soc. Geol. Ital. voi. XXVI C' 907). (For-tis) Tav. III. Carnivori fossili di Rema ELIO T. CAL2LU.AKIH hEKKARlO-MILPNO euor. CALZOLAIO H MrKKAKIO- MILANO CARNIVORI FOSSILI DI ROMA 87 Fi g. 1. » 2. » 3. » 4. » 5. » 6. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE III E IV. — Il teschio di Felis arvernensis dei Campi fiscali veduto dalla faccia superiore; a '/2 grandezza naturale. — Il medesimo veduto dalla faccia inferiore; a V2. — Il medesimo veduto dal lato sinistro; V2. — Il medesimo veduto dalla faccia anteriore a l/2. — La mandibola di Ursus horribilis di Monte Verde veduta in- tiera dalla faccia interna; a */3 grandezza naturale. — Porzione anteriore della stessa, veduta dalla faccia superiore; in grandezza naturale. I NODULI SI LI CO-MANGANO-FERRO SI NEI DINTORNI DI ROMA Comunicazione del prof. G. De Angelis d’Ossat A proposito della Nota del socio G. Tuccimei dal titolo: Sulla presenza del manganese nei dintorni di Roma (Boll. soc. geol. ital., voi. XXX (1906), fase. 3.°, pag. 857 e segg.) ri- cordo, in quanto alla priorità dell’osservazione, i seguenti lavori: 1900. Clerici Enrico, Sulle sabbie di Bravetta presso Roma (Boll. soc. geol. ital., voi. XIX, fase. 3.°, pag. 723 e 724), Roma 1900. 1901. De Angelis d’Ossat Gioacchino, La geologia agricola e le rocce delle provinole di Roma e Perugia (Boll. Naturalista, ann. XXI. Estr., pag. 26 e 27), Siena 1901. Rispetto all’entità del fatto, porto a conoscenza i seguenti dati analitici del eli. prof. F. Mi Uose vi eh, ricavati col miglior ma- teriale, raccolto precisamente nel deposito sulla strada di Boccea: «I noduli contengono: Fe r= 8,38% Mn — 10,28%. » Inoltre: silice, silicato di alluminio idrato, calce, potassa, ecc. » Il ferro trovasi certamente allo stato di sesquiossido idrato ». Osservo che i noduli della località citata, e di pochissime altre, sono i più ricchi in manganese, rispetto ai casi numero- sissimi, in cui predomina il ferro. Laonde, a ragione, i geologi li chiamarono : noduli ocracei , nuclei limonitici , ecc., anche aven- dovi riconosciuto la presenza del manganese — compagno quasi inseparabile del ferro — anteriormente ai saggi qualitativi del Tuccimei. [rns. pres. il 22 marzo 1907 - ult. bozze 10 aprile 19071. NUOVI RESTI DI MAMMIFERI PÙNTICI DI GRAVITELLI PRESSO MESSINA Memoria del socio Luigi Seguenza (Tav. V, VI e VII) Nel 1902 ho pubblicato in questo stesso Bollettino uno stu- dio sui Mammiferi fossili da me rinvenuti a Gravitela presso Messina, nell’ultimo gruppo di strati del Miocene ossia nel Piano Pontico, determinazione stratigrafica che la presenza dei detti Mammiferi ha perfettamente confermato, essendo state tra essi riconosciute alcune specie del giacimento classico di Pikermi in Grecia e dei numerosi giacimenti ad esso sincroni di Europa e d’Asia. In quella occasione descrissi minutamente la stratigrafia di quella località, dimostrando che la detta serie di strati, per il rinvenimento dei resti di Mammiferi, doveva venire interpretata stratigraficamente in modo diverso da quello che si era adottato sino allora. Infatti, tenuto conto che in tutta la provincia come a Graviteli], i gessi, i calcari concrezionati ed i tripoli si rin- vengono allo stesso livello di tutta la estesa zona zolfifera si- ciliana e che al di sotto di essi a Graviteli!, oltre uno strato di argille con molluschi marini, sta lo strato di argille palustri con molluschi, pesci e soprattutto con Mammiferi sicuramente pon- tini, bisogna assumere le argille marine, i tripoli, i calcari con- crezionati ed i gessi come tutti appartenenti al piano Pontico e non al Tor tornano, al Sarmaziano ed al Messiniano come si era ritenuto sin oggi. Il nome di Messiniano fu adottato ad in- dicare, oltre ai vari strati del vero Pontico , anche le marne bianche o giallastre a foraminiferi ( Zancleano di G. Seguenza, volgarmente dette Trubi nella regione zolfifera siciliana) che sono certamente plioceniche, quindi non può essere, come si usa da qualcuno, adottato quale sinonimo di Pontico, per indicare quel gruppo di strati fluvio-lacustri, lacunari, palustri, di estua- 7 L. SEGUENZA 90 rio e marini che stanno a testimoniare gli svariati mutamenti della topografia mediterranea avvenuti sulla fine del periodo Miocenico e prima della trasgressione marina del principio del Pliocene della quale le marne a foraminiferi sono certamente nella nostra regione un testimone indiscutibile ('). La località di Gravitelli ha certamente un’importanza pa- leontologica grandissima, visto che in essa ho potuto riconoscere una fauna mammologica quasi del tutto nuova per l’Italia; però per potere intraprendere ivi una serie di ricerche metodiche, come è stato praticato per Pikermi, M. Léberon e recentemente a Muraglia in Persia, si richiede una spesa non indifferente; è necessario quindi accontentarsi di sorvegliare pazientemente gli scavi che ivi si praticano per l’industria dei laterizi e rac- cogliere i pochi resti che a grandi intervalli vengono alla luce. La causa di questa rarità è anche dovuta al fatto che trovan- dosi lo strato di argilla a Mammiferi il più profondo di tutti, ne viene di conseguenza che non sempre i cavatori lo raggiun- gono con i loro scavi accontentandosi dell’argilla degli strati più alti. Seguendo questa attiva sorveglianza sugli scavi, ho avuto la fortuna di procurarmi, in mezzo ad una quantità di frantumi assolutamente indeterminabili, alcuni resti, che descrivo in que- sta memoria, i quali confermano le determinazioni di alcune specie già da me descritte e comprovano la presenza di un’altra specie di Pikermi per la prima volta da me raccolte in questa (*) (*) Sono lieto che il prof. L. Nicotra, in un suo recente lavoro ( Come siasi fatta l’Italia. Saggio di Paleogeografia del Bel Paese , Memorie delI’Aecademia dei Zelanti, ser. Ili, voi. IV, Acireale 1905-906) condi- vida due mie opinioni espresse in due pubblicazioni che egli certamente non conosceva né era obbligato a conoscere, vertendo i suoi studi su ben altri rami delle Scienze naturali. La prima é che i Mammiferi Pon- tici sono più pliocenici che miocenici, opinione già espressa da altri e da me confermata con lo studio della fauna di Gravitelli (9, pag. 146); l’altra che la immediata sovrapposizione concordante di argille marine alle argille lacustri con Mammiferi Pomici rappresenta il preciso mo- mento della frattura che formò o allargò lo Stretto di Messina (Se- guenza L. / Giacimenti di Salgemma di Sicilia e la loro età geologica. Atti della R. Accad. Peloritana, voi. XIX, 1904-905, fase. II, pag. 93, Messina 1905). MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITELLI 91 località, avvalorando le conclusioni stratigrafiche alle quali ero già pervenuto con la precitata pubblicazione. Tutto il materiale che descrivo trovasi, insieme a quello già illustrato precedentemente, nelle collezioni del Museo Geologico Provinciale di Messina aggregato a questo Istituto. Messina, Istituto di Geologia della R. Università. BIBLIOGRAFIA 1. Clerici E., Cenno sommario delle riunioni ed escursioni fatte dalla Società Geologica Italiana nel settembre 1904. — Boll, della Soc. Geolog. Ital., voi. XXIII, fase. 3°, pa- gine clvii-clxv. Roma 1904. 2. Falconer H. and Cautley P. I., Fauna antiqua sivalensis JBeing thè fossil zoologi) of thè Sitvalih Hills in tlie North of India. London 1845-49. 3. Gaudry A., Note sur les carnassiers fossiles de Pileermi (Grece). Bull. Soc. Geol. de France, 2èn,e sér., t. XVIII, pa- gine 527-538, pi. X-XI. Paris 1861. 4. — Animaux fossiles et geologie del’ Attigue. Paris 1862-67. 5. — Animaux fossiles du Mont Léberon (Vaucluse). Pa- ris 1873. 6. Gaudry A. et Lartet. Mémoire sur les fouilles pale'ontologi- ques entreprises sous les auspices de V Académie. — Comptes rendus de l’Acad., séance du 4 aoùt 1856. Paris 1856. 7. Murchison Ch., Description of tlie plates of thè « Fauna an- tiqua sivalensis » from notes and memoranda by H. Falconer. London 1868. 8. Ristori G., Le scimmie fossili italiane. Boll, del R. Comit. Geol. d’It., anno 1890, fase. 5-6 e 7-8. Roma 1890. 9. Sequenza L., I vertebrati fossili della Provincia di Mes- sina. P. II. Mammiferi e geologia del Piano Politico. Boll, della Soc. Geol. Ital., voi. XXI, fase. I, pagine 115-175, tav. V-VII. Roma 1902. 92 L. SEGUENZA Semnopitecus monspessulaiium Gervais. (Tav. V, fig. 1-12). 1902. Semnopitecus monspessulanum - Seguenza L., 10, pag. 147, tav. V, fig. 26-36 (*). Iu una visita fatta a Gravitelli nel settembre 1904 insieme ai Proff. Meli e Clerici, ci venne offerto dai cavatori una ma- scellina inferiore di destra di Semnopitecus e due denti di Hip- popotamus. La prima restò presso di me e fa parte delle colle- zioni di questo Istituto, gli altri due resti furono conservati dai predetti colleglli quale ricordo della escursione, e del detto ma- teriale fa cenno il Clerici nella Relazione delle escursioni in Sicilia in occasione dell’adunanza estiva della nostra Società a Catania (1, pag. clviii). La mascella di Semnopitecus doveva, all’atto del rinveni- mento, essere completa, poiché sull’argilhi in cui era infìssa si vedono le impronte del canino, dei due premolari e dei tre molari. Però il secondo premolare ed il primo molare mancano, come pure manca tutto l’osso della mascella, meno un fram- mento assai danneggiato su cui è infìsso il terzo molare. Avevo già illustrato della stessa località vari denti di que- sta specie (1. c.). L’individuo, cui appartennero i denti che ora esamino, doveva essere più piccolo di quello cui appartenne il terzo molare inferiore di destra da me allora illustrato (9, pa- gine 148, tav. Y, fig. 26-28). Dall’accurato esame che farò di questo materiale si vedrà che esso collima per i caratteri con quello già noto. Il canino (tav. V, fig. 1-3) è acuminato, manca della base della corona; dal lato interno ha la caratteristica scanalatura verticale e si osserva in parte il cercine sporgente alla base della corona dal lato posteriore; la radice manca. .(*) Per le specie da me altra volta descritte rimando all’opera citata ove ho riunito la sinonimia. MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITELLI 93 Il primo premolare (tav. Y, fig. 4-6) è monocuspide con un tallone posteriore tagliente trasversalmente; lo smalto sul lato anteriore esterno scende molto in basso, mentre si arresta in alto sul lato interno e sul lato posteriore esterno. Sulla parete interna della cuspide principale esiste una forte piega verticale che arriva sin quasi all’apice; da questo lato sporge alla base della corona un collaretto ben marcato. I fittoni della radice mancano; si vede però che dovevano esisterne due divisi sin dall’origine. Avendo potuto ottenere in gesso l’impronta perfettissima di tutti i denti rimasta nell’argilla, ho potuto facilmente esami- nare la forma dei due denti che, come dissi in principio, man- cano. Ho visto quindi che il secondo premolare è acuto, trian- golare dal lato esterno e quindi al tutto somigliante al primo premolare teste descritto, e solo se ne differisce per essere leg- germente più tozzo. Il primo molare è egualissimo al secondo che vado a descrivere; soltanto è alquanto più piccolo di questo. Il secondo molare (tav. Y, fig. 7-9) è quadricuspide. Le due paia di cuspidi sono unite da creste trasversali a due spioventi as- sai inclinati. Ai lati anteriore e posteriore del dente sonvi due piastrine di rinforzo delle quali la posteriore è meglio marcata. I quattro tubercoli sono simmetricamente appaiati a due a due; il primo paio è poco più piccolo del secondo. La radice è rotta, costituita da due fittoni, appiattiti dal lato anteriore e poste- riore, che corrispondono alle due paia di tubercoli; un solco mediano verticale corrisponde su ogni fittone alla divisione dei due tubercoli ai quali è attaccato. Il terzo molare (tav. V, fig. 10-12) è a quattro cuspidi ap- paiate come nel molare già descritto; anteriormente ha una sottile piastrina di rinforzo e posteriormente un tallone che è un vero quinto tubercolo separato, sul lato esterno, sino alla base, dagli altri due tubercoli; esso sta sulla linea mediana poco spostato verso il lato esterno. I quattro apici principali sono appaiati come nel secondo e nel primo molare, ed hanno gli stessi caratteri accertati per quei denti ; la radice infissa nel frammento di mascella non può essere esaminata. 94 L. SEGUENZA Dimensioni : 1° p. m. 2’ p. m. I" m. 2° m. 3° m. Lungh. ant.-post. alla base della corona .... Largii, mass, alla base del mm. 6 Ve 0 U 6 7, 6 7, 8 7, l.° paio di tuberc. . . . Largh. mass, alla base del » — — 4 Yg 5 .7, 57< 2.° paio di tuberc. . . . Alt. mass della corona-lato » — — 5 6 6 esterno (') . . . » 7 5 4 1 2 5 V, 572 Alt. del tuberc. posteriore » — — 4 11 canino rotto ha alla base i diametri in mm. 6X4 7? e l’altezza del frammento è di mm. 9. Uno dei caratteri più importanti che fanno distinguere questa specie dal Mesopitecus pentélicus Wagner, è l’avere i lati interno ed esterno della corona dei molari a pareti verti- cali; e tale carattere è ben visibile in questi due molari ed anche in quello mancante del quale ho il modello in gesso; in essi le pareti interna ed esterna sono perfettamente verticali salvo che in prossimità dell’apice ove s’incurvano lievemente verso la linea mediana del dente. Dal calco ottenuto in gesso ho potuto rilevare esattamente la posizione dei denti sulla mascella, la quale avendo lasciato nell’argilla l’impronta intera dell’osso e dei relativi denti in posto, è da escludersi qualsiasi spostamento dell’originaria po- sizione. Le cuspidi del primo e secondo premolare e del primo molare stanno su di un. piano; su altro piano parallelo al primo e più alto di mm. 1 1 2 stanno le apici del secondo molare; ed ancora su di un piano parallelo ai due primi ma più alto di mm. 1 V2 stanno le cuspidi del terzo molare. I denti stanno al- lineati su tre linee parallele; su una prima linea sta il canino, il primo e secondo premolare ed il primo molare in modo che la base esterna della corona di questi quattro denti, traccia una lievissima curva; su una linea parallela alla prima sta il se- condo molare in modo che la bisettrice antero-posteriore della corona viene a coincidere con la linea passante per le due cu- (') Il secondo premolare ha la corona smussata dall’uso, quindi ri- sulta più breve del primo premolare. MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITELLI 95 spidi anteriore e posteriore esterna del primo molare; il terzo molare lia la sua bisettrice antero posteriore coincidente con la linea passante per le due cuspidi esterne del secondo molare. Da ciò ne viene che gli ultimi tre denti formano tre gradini e gli ultimi due sono spostati in fuori dalla linea degli altri. Tale disposizione non frequente, ma qualche volta osservata in altre scimmie viventi e fossili, può attribuirsi allo stato non completamente adulto dell’individuo, od anche ad anomalia esclusivamente individuale; ma potrebbe anche essere attribuita a carattere specifico di questa specie di cui sinora non si co- noscono che pochi denti sciolti. Questo è certo, che la simmetria di posizione nell’aggrup- pamento dei tubercoli nei molari, la spiccata autonomia del tal- lone o quinto tubercolo nel terzo molare inferiore e la verticalità delle pareti interna ed esterna nei molari, caratteri già studiati dal Gaudry, confermati dal Ristori (8, pag. 194) per distin- guere Semnopìtecus monspessulanum da Mesopitecus pentelicus e da me già accertati nel materiale precedentemente illustrato (9, pag. 147, tav. V, fig. 26-3G), ora vengono riconfermati in modo abbastanza chiaro dai denti teste descritti, facendo definitiva- mente accettare Gravitelli come località di Semnopitecus monspes- sulanum, Gervais. Ictitherinm Orbignyi Gaudry (Gaudry et Lartet sp.) (Tav. V, fig. 13-36). 1859. Viverra Orbignyi - Gaudry et Lartet, 6. 1861. Thalassiciis Orbignyi - Gaudry, 3, pag. 533, tav. X, fig. 3. 1862. Ictitherium Orbignyi - Gaudry, 4, pag. 74, tav. XI. 1873. » » - Gaudry, 5, pag. 21, tav. II, fig. 11. In mezzo al materiale che si è man mano aggiunto a quello già esistente in questo Istituto, proveniente dal piano Pontico di Gravitelli, è importantissima la presenza di vari denti ap- partenenti ad unico individuo, come è da presumersi per averli rinvenuti tutti attaccati ad un frammento di argilla ed infissi nelle rispettive mascelle, che, come avviene per la maggior parte delle ossa di questa località, andarono in frantumi al menomo tentativo di estrazione praticato per scoprire del tutto i denti. 96 L. SEGUENZA Si deve a ciò se la serie dentaria delle due branche di mascella è incompleta e se ne andarono disperse le altre due - branche che assai probabilmente accompagnavano in posto i resti che pervennero sino a me. La presenza di denti ferini caratteristici fanno facilmente riconoscere trattarsi di un carnivoro di piccola taglia apparte- nente al genere Ictitherium da me già rinvenuto, in Italia per la prima volta, nello strato della valle di Gravitelli (9, pag. 151, tav. Y, fìg. 1-12). I denti in esame spettano in parte alla mascella inferiore destra e stavano attaccati all'argilla insieme alla parte supe- riore dell:osso mascellare e nell’ordine originario di posizione, il che facilitò oltremodo il riconoscimento del rispettivo posto di ognuno di essi nella bocca dell’animale, cosa alquanto dif- ficile se raccolti isolatamente, specie per il primo, secondo e terzo premolare che essendo somigliantissimi tra loro, come si vedrà in seguito, ed anche simili ai denti corrispondenti della mascella superiore, l’identificazione del loro posto riesce quasi impossi- bile se staccati dalla mascella. II resto dei denti in numero di tre appartengono alla mascella superiore destra, riconoscibili per la forma ed inclinazione della corona e per la rispettiva posizione di talloni e tubercoli accessori. Della mascella inferiore destra mancano gl’incisivi, il canino ed il primo premolare. Il secondo e terzo premolare (tav. Y, fig. 22-27) sono egualissimi salvo che per le dimensioni; hanno forma triangolare, appiattita trasversalmente, lievemente conici nella linea mediana, con bordo quasi tagliente sul lato anteriore e conico per erosione dell’uso sul lato posteriore; un inturgi- damento contorna il margine inferiore della corona sui lati in- terno ed esterno, minore però su quest’ultimo; il limite inferiore dello smalto sul Iato interno ed esterno è lievemente bilobato. La cuspide principale ha la forma di un triangolo isoscele, il cui lato ineguale corrisponde al bordo anteriore del dente ed è lie- vemente convesso. Sul lato anteriore alla base del cono princi- pale, si osserva un conetto piccolo, ben distinto ed inclinato in avanti. Dal lato posteriore esiste un altro conetto a ino’ tli tal- lone poco più grande del primo, inclinato anch’esso in avanti e quindi addossato al cono principale ed intimamente fuso con MAMMIFERI PONTICI DI GRAYITELLI 97 la base di esso; al lato posteriore della base di questo conetto si osserva un inturgidamento. Nel secondo premolare questo co- netto è poco appariscente, rudimentale ed in parte asportato dall’uso. Il conetto posteriore ed il sottostante inturgidamento, sono smussati dall’uso anche nel terzo premolare, mentre la cu- spide principale ed il conetto anteriore in entrambi i denti sono immuni da erosione. Tutta la corona è lievemente incurvata verso l’interno della bocca. La radice manca, ma dai due fori ben visibili si può arguire che essa era divisa in due distinti fittoni come si vede anche dall’attacco di essi alla corona stessa. Il quarto premolare destro inferiore (tav. Y, fìg. 19-21) ha molta affinità con i già descritti; ne differisce però per essere più lungo nel diametro antero-posteriore e più largo nel dia- metro trasversale, pur avendo quasi la medesima altezza. È co- stituito da una cuspide principale eguale a quella del secondo e terzo premolare, ma alquanto meno appiattita; il margine an- teriore è tagliente mentre il posteriore è leggermente levigato dall’uso. Al cono principale si addossano due conetti basali; di essi l’anteriore è al tutto eguale al conetto analogo degli altri due premolari, il posteriore è alquanto più grosso e meno inti- mamente saldato alla cuspide principale; ha il margine posteriore fortemente arcuato e l’apice smussato dall’uso mostra un forellino ovale. L’apice principal e ed il conetto anteriore non sono usati. L’inturgidameuto alla base della corona è simile a quello degli altri due premolari, solo che è slargato alquanto al lato interno della base del tallone posteriore ove finisce con un bordo leggermente prominente. La radice sebbene manchi, dai due frammenti esistenti si vede chiaro che era anch’essa a due fittoni. Sul lato esterno della cuspide principale, verso la base, al di sopra del già accennato inturgidamento, si scorgono poche scanalature che concorrono verso il vertice arrestandosi a circa mezza altezza e che pur essendo ben visibili, sono superficiali e irregolari. Il primo molare o dente ferino inferiore di destra (tav. V, fìg. 16-18) differisce radicalmente dai premolari già descritti. Sul lato anteriore della corona sporge una prominenza bicuspide ad apici divergenti con la solita fossetta al lato interno cor- 98 L. SEGUENZA rispondente ad un solco del lato esterno lungo la linea di con- tatto dei due lobi, dando all’assieme la forma tanto caratteri- stica del dente ferino inferiore di buona parte di carnivori. I due margini convergenti dei due lobi sono taglienti mentre il margine anteriore del primo lobo ed il posteriore del secondo lobo sono quasi cilindrici. Dal lato posteriore della parte bicuspide della corona si ad- dossa una cuspide conica saldata con la precedente sino a mezza altezza. Questo conetto doveva essere certamente assai più alto di quanto non si osservi ora che è dalla parte poste- riore assai smussato dall’uso come tutto il resto della parte po- steriore della corona. La parte posteriore del dente è formata da un basso tallone anch’esso in gran parte asportato dall’uso; esso è separato dal resto della corona alla quale è solo legato per la base. Manca un inturgidamento attorno a detta base; solo il margine inferiore anteriore esterno è contornato per breve tratto da un collaretto tagliente simile a quello che con- torna tutto il margine interno del quarto premolare superiore. Una profonda depressione è scavata dall’uso tra il tallone, il cono posteriore e la punta bicuspide. Della radice non esiste traccia, perchè la base della corona è rotta, solo si può vedere che un fittone appiattito corrispon- deva all’apice bicuspide. Il secondo molare inferiore di destra (tav. V, fig. 13-15) è rudimentale. La sua sezione alla base della corona è quasi triangolare; sulle tre estremità sporgono tre conetti e sul lato più lungo tra due di essine sporge un quarto; sono tutti brevi, tondeggianti, poco acuminati, smussati lievemente dall’uso. La radice è rotta. Della dentatura della branca della mascella superiore di destra si conservano il terzo e quarto premolare ed il primo molare. Il terzo premolare superiore di destra (tav. V, fig. 34-36) ha molta somiglianza col secondo e terzo premolare inferiore, però è più alto che largo, più acuminato, con lievi depressioni verticali parallele ai due margini anteriore e posteriore; i co- netti basali anteriore e posteriore sono appena visibili; il mar- gine anteriore è smussato leggermente dall’uso mentre nei pre- molari inferiori è il margine posteriore che presenta l’erosione MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITELO 99 dell’uso. L’apice è intatto. Il bordo inferiore dello smalto è ip- turgidato leggermente più sul lato interno che sul lato esterno. La radice, pur mancando completamente, ha lasciato sufficiente traccia dei suoi due fittoni. Il quarto premolare superiore di destra (tav. Y, fig. 31-33) è costituito da una parte bifida appiattita nella quale il lobo posteriore è più basso del lobo anteriore; quest’ultimo è più tozzo e meno smussato dall’uso, inclinato all’indietro, percorso da una scanalatura verticale sulla faccia interna, alla parte an- teriore inferiore di esso esiste un conetto accessorio piccolissimo formato da un inturgidamento della base della corona. Sul lato interno della parte anteriore della corona si attacca un forte tallone a base quasi triangolare separato dal resto del dente da una profonda valle. Sul lato interno della parte biloba della corona, la base è circondata da un collaretto prominente leggermente increspato. 11 margine inferiore dello smalto è un poco inturgidato. La radice si divide in tre fittoni; due più piccoli corrispon- denti al tallone ed al conetto accessorio sono rotti e solo ne resta traccia; l’altro fittone assai più grande, appiattito, trian- golare, corrisponde alla cuspide bifida. Il primo molare superiore di destra (tav. V, fig. 28-30) è rudimentale, a corona bassa, poco sporgente, depressa nel mezzo, con bordi poco sporgenti, a base triangolare; su di un lato è rotto. In esso dente si ha una branca di radice breve ed appiattita. Come per la maggior parte dei denti fossili raccolti nello strato di Gravitelli, lo smalto si è annerito durante il processo di fossilizzazione, forse a causa della prossimità della lignite. Dimensioni : diam. ant -post. diam. trasv. alt. mass, della 2.° p. m. inf. dest. mm. 5 7, 9 1 -1 / , 5 7, 3.° p. m. » » 6 7, 3 5 7, 4.° p. m. » . » 8 7, 3 5 7, l.° m. » » 107, 5 7, 6 7, 2.° m. » » 5 7i 4 2 V 3.° p. m. sup. dest. » 5 7 , 3 V ° i 2 6 4.° p. m. » » 11 47 6 7, l.° m. » » — — 2 100 L. SEGUENZA Dalla dettagliata descrizione si rileva facilmente che i denti in esame vanno riferiti, come accennai in principio, al genere Ictitherium di Gaudry. Di questo genere sono state riconosciute allo stato fossile tre specie: robustoni, lappar ionum , Orbignyi. Nella località di Gravitelli io ho rinvenuto una quasi intera dentatura superiore di Ictitherium hipparionum (9, pag. 151, tav. Y, fìg. 1-12) che conferma perfettamente l’opinione del Gaudry il quale, nell’istituire detta specie con riserva (4, pag. 68) su pochi resti rinvenuti a Pikermi, disse ritenere possibile resi- stenza di un Ictitherium di maggiore mole dell’/cL robustum. Tale esatta opinione venne maggiormente avvalorata dal fatto che l’esemplare da me allora trovato a Gravitelli ha dimensioni maggiori dei resti già raccolti dal Gaudry a Pikermi. Lo stesso dubbio sorse per una forma d 'Ictitherium assai più piccola dell’icL robustum che il Gaudry chiamò Ict. Orbi- gnyi. Se non che, mentre la sola conoscenza della dentatura di Ict. hipparionum lo fece separare dal robustum, tra questo e V Ict. Orbignyi , oltre la costante differenza di dimensioni, furono rilevati alcuni caratteri scheletrici che li separano cer- tamente. Infatti per la dentatura si è constatato nell’ Ict. Orbignyi che i premolari hanno apice più acuto; il dente ferino inferiore ha un tallone alto quasi quanto il resto del dente; il secondo molare inferiore ha due radici, caratteri tutti che allontanano questa specie dall’/cL robustum e quindi anche dall’ Ict. hip- parionum. Negli esemplari di Gravitelli quasi tutti questi caratteri diffe- renziali, oltre alle dimensioni, si osservano perfettamente ed inol- tre se ne constata uno assai importante che, mentre fa meglio accertare la specie, avvalora l’opinione del Gaudry sulle abi- tudini di questo carnivoro. Secondo il detto autore la cuspide dei premolari ed il cono anteriore dei denti ferini superiori non presenta la caratteristica smussatura prodotta dalla tritu- razione di ossa come si osserva negli altri Ictitherium e nelle Iene, sebbene i denti siano in vari punti profondamente corrosi dall’uso; ciò fa arguire che questa specie si nutriva di sola carne e, in mancanza di questa, anche di insetti come mostrano i suoi premolari inferiori e superiori più acuminati ed esili. Un esame accurato dei denti da me descritti mostra che l’erosione MAMMIFERI PONTICI DI GRA VITELLI 101 si manifesta solo sul margine posteriore nei premolari infe- riori e sul margine anteriore, nei premolari superiori, mai sul- l’apice. Per tutte le ragioni predette ritengo di dovere riferire l’in- dividuo di Gravitelli ad Ictitherium Orbignyi Gaudry. Il rinvenimento di questa specie, nuova per l’Italia, e si- nora sicuramente nota solo nei classici giacimenti di Pikermi e Samos, oltre a qualche frammento di osso dal Gaudry rac- colto a Monte Léberon e riferito con dubbio ad essa, ba rile- vante interesse paleontologico e stratigrafico. Dal lato paleon- tologico serve a confermare l’autonomia della specie presentando a Gravitelli le stesse differenze caratteristiche osservate dal Gaudry a Pikermi che la separano dalle altre due specie dello stesso genere ; dal lato stratigrafico conferma ancora di più la politicità delle argille di Gravitelli essendo il genere Ictitherium , del quale questa è la seconda specie da me ivi rinvenuta, esclu- sivo dell’orizzonte di Pikermi sicuramente Politico. Sus erymantliius Poth et Wagner (Tav. V, fi g. 87-48). 1902. Sus erymantliius - Seguenza L., 9, pag. 159, tav. VI, fig. 12-16. Il numero dei denti di questa specie, già discreto allorché illustrai i resti di Gravitelli nella mia precedente memoria (1. c.), si è accresciuto notevolmente confermando per questa località la presenza di tale specie. Ecco la descrizione del nuovo materiale raccolto. Un frammento di mascella inferiore di sinistra (tav. Y, fig. 37-38) di individuo assai giovane, è munita del terzo e del quarto premolare di latte. Il terzo premolare ba la sezione ver- ticale antero-posteriore triangolare ed anche la base della co- rona è a sezione triangolare; il dente è costituito da una cu- spide principale mediana, lievemente conica che ai lati anteriore e posteriore finisce in due margini appiattiti e taglienti ; di essi il posteriore è smussato dall’uso; una piastra di rinforzo sporge anteriormente e posteriormente; quivi dalla parte interna è terminata da un vero tallone smussato dall’uso. Lo smalto 102 L. SEGUENZA sul bordo inferiore del lato interno ed esterno si prolunga in due lobi. Sul lato esterno la corona è circondata alla base da un collaretto largo, poco rilevato, che segue l’ondulazione del margine inferiore della corona. Il quarto premolare è lungo quasi tre volte la sua larghezza. Esso è costituito da sei cuspidi principali divise in tre paia da due profonde valli trasversali che s’incrociano con una lieve depressione longitudinale che separa le tre cuspidi del lato in- terno dalle tre del lato esterno in modo che restano assai stret- tamente appaiate. Nelle valli trasversali sulla linea mediana del dente stanno dei brevi tubercoli accessori addossati ad ogni paio di colline; allo sbocco interno delle valli trasverse si osservano delle in- crespature che danno luogo a vari tubercoletti accessori; sul lato posteriore della corona sporge una forte e complessa piastra di rinforzo. Le sei cuspidi e i tubercoli di rinforzo sono smussati dall’uso. La radice ha tre fittoni corrispondenti alle tre colline esterne e due, di cui la posteriore larga ed appiattita, corri- spondono alle colline del lato interno e si biforcano sotto la se- conda cuspide divergendo verso i lati anteriore e posteriore. Il frammento di mascella, sebbene ben conservato, nulla ci può dire sull’osso completo, essendo assai breve, solo su di esso si osservano, oltre ai due denti predetti, i due fori della radice del secondo premolare. Dalla stessa località provengono vari denti che apparten- gono probabilmente ad unico individuo ad arguire dal fatto che vennero trovati ammassati insieme a parte del cranio ridotto in minuti frammenti assolutamente inservibili e per avere tutti i denti raggiunto eguale stadio di sviluppo e di erosione. I denti in esame sono : un terzo molare superiore sinistro ed un frammento del secondo molare dello stesso lato attaccato al precedente; un primo, secondo e frammento del terzo molare inferiore di destra insieme riuniti su un frammento dell’osso mascellare ; un secondo molare inferiore di sinistra ; un quarto premolare inferiore di destra ed il dente omologo di sinistra; due incisivi. II terzo premolare superiore sinistro (tav. V, fig. 43-44) è un dente con la corona assai complessa; la sezione di essa MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITELLI 103 alla base è a triangolo scaleno di cui il lato più lungo corri- sponde al lato esterno ; la maggiore larghezza trasversale è all’altezza della piastra di rinforzo anteriore. La corona è co- stituita da quattro mammelloni principali dei quali il più grosso è l’anteriore esterno, e da un tallone posteriore complesso che sta sulla linea delle due colline interne. Sul lato anteriore esi- ste una forte piastra di rinforzo che termina dal lato interno con un tubercolo accessorio. Sulla linea mediana del dente sonvi vari tubercoli accessori intimamente saldati con le colline prin- cipali. Allo sbocco interno della depressione trasversa che se- para le due paia di cuspidi esiste un forte tubercolo accessorio complesso ; mentre altro simile ma assai più piccolo si trova allo sbocco esterno. Altri due tubercoli accessori stanno sulle estremità della depressione che separa il secondo paio di cuspidi dal tallone posteriore; quello del lato esterno è più grosso del- l’opposto. Le cuspidi principali, quasi tutti i tubercoli accessori e la piastra anteriore sono smussati dall’uso, ma non tanto da im- pedire l’esame della complessa struttura della corona. L’erosione si manifesta sulle varie colline secondo piani paralleli fra loro ed inclinati all’indietro. Dimensioni : Lungh. ant.-post. mediana mm. 35 » » dal lato esterno .... » 34 » » dal lato interno .... » 31 Altezza della prima collina esterna .... » 11 » » seconda » » .... » 10*/2 » del tallone sul lato posteriore ... » 10‘/? Largii.- trasv. alla base del l.°paiodi colline » 24 1/\ » » » del 2.° » » 20 y? Del secondo molare superiore sinistro che ho trovato attaccato al dente precedentemente descritto, non esiste che la parte po- steriore ; essa consta di una forte piastra di rinforzo e di parte delle due colline posteriori; il tutto è profondamente smussato dall’uso in modo da non potere distinguere la struttura origi- 104 L. SEGUENZA naria della corona. La radice manca; dal lato inferiore della corona si osservano i due fori corrispondenti alle due branche posteriori di essa. Dimensioni : Largii, trasv. alla base del 2.° paio di colline mm. 20 V2 Altezza mass, della corona erosa .... » 6 l/ì I tre molari primo, secondo e terzo inferiore di destra in- sieme attaccati ad un frammento di mascella (tav. V, fìg. 45-46) sono profondamente smussati dall’uso in modo da non potersi scorgere nè le colline, nè i tubercoli accessori ; per di più il terzo molare manca della metà posteriore ed il primo molare della parte anteriore interna. Nulla posso dire della struttura della corona di questi tre denti, ma dal margine di smalto esistente si scorge facilmente la posizione delle quattro colline principali. La sezione alla base della corona è nei tre denti rettangolare più o meno al- lungata; la radice è a quattro fìttoni. Non posso estendere tali osservazioni al terzo molare del quale manca la metà posteriore. II secondo molare inferiore di sinistra è egualissimo nella forma e nelle dimensioni al dente omologo di destra. Dimensioni : l.° m. 2.° m. 3.° in. Lungh. ant.-post mm. 16 7, 23 — Largii, trasv. alla base del l.° p. di colline » — 16 1 2 19 » » » del 2.° » » 13 72 ld 1 2 — Altezza mass, dal lato esterno ...» 4 6 7 » » » interno ...» 2 5 6 Il quarto premolare di destra (tav. V, fìg. 47-48) e di sinistra sono tra loro egualissimi. La corona differisce da quella dei molari ed è costituita da una cuspide principale che sta al cen- tro, tozza, conica, a cui si addossa un forte tallone posteriore ed una piastra di rinforzo, ed altro tallone simile ma più pic- colo anteriormente. Il cono principale e il tallone posteriore smussati dall’uso dànno una sezione a forma di 8. La radice MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITELLI 105 è a tre fìttoni di cui due posteriori ed uno anteriore; lo smalto al margine inferiore della corona si divide in vari lobi. Le di- mensioni sono eguali per entrambi i denti. Dimensioni : Lungh. ant.-post. alla base -della corona mm. 18 Largii, trasv. mass. » » » 13 Altezza mass, della corona .... » 8 1i2 Gl’incisivi sono smussati profondamente dall’uso; tale smus- satura è fortemente inclinata il che mi fa ritenere che essi ap- partengano alla mascella inferiore. Dato come esatto tale rife- rimento riesce facile riconoscere nell’uno a sezione triangolare e a radice appiattita il primo incisivo di sinistra e nell’altro con radice tozza a sezione quasi ellittica, il secondo incisivo dello stesso lato. Il primo incisivo (tav. V, fig. 39-40) mostra ancora sul lato esterno una parte della corona die man mano si assottiglia verso l’interno per l’usura della masticazione; la radice è quasi dritta, lievemente incurvata verso l’interno della bocca, lieve- mente appiattita e percorsa da due depressioni longitudinali ; l’ultima estremità è rotta. Il secondo incisivo ha rotta l’estremità esterna della corona; da ciò che ne resta si vede che l’usura della masticazione ha prodotto una sezione ellittica; tale smussatura è quasi parallela alla linea verticale del dente; la radice è forte e più lunga di quella del dente precedente, incurvata verso l’interno della bocca e inarcata lievemente verso sinistra; questo lato è leggermente appiattito; l’estremità della radice erotta. Dimensioni : Altezza presumibile del dente mm. » del frammento esistente » Diametri massimi della radice » l.° ine. 2.° ine. 55 61 45 52 12X7 13X10 La complessa struttura dei denti che ben può constatarsi so- prattutto nel terzo molare superiore descritto in cui l’erosione 8 106 L. SEGUENZA non è giunta al punto da cancellare la traccia delle colline e dei numerosi tubercoli, mi fa sempre più convinto della presenza di Sus erymanthius nelle argille ponticlie di Gravitelli, ove conserva sempre, almeno nel materiale sinora raccolto, tra cui esemplari adulti, quelle dimensioni medie che lo fanno distin- guere dal Sus major che secondo Zittel e secondo Gaudry non è altro che una razza della stessa specie ma a dimensioni mag- giori corrispondendo in tutti gli altri caratteri al Sus eryman- thius. li ippopotami^ sivalensis Falconer et Cautley. (Tav. V, fig.- 49-54; tav. VI, fig. 1-22; e tav. VII, fig. 1-16). 1902. Hippopotamus (Hexu protodon) sivalensis - Seguenza L., 9, pag. 161, tav. VII. Di questa specie asiatica per la prima volta da me trovata in Europa nel giacimento importantissimo di Gravitelli presso Messina e che rappresenta il più antico Ippopotamo fossile sin ora conosciuto, ho accumulato man mano nuovi materiali che tendono sempre più a confermare la presenza di H. sivalensis in questa località. Di recente ebbi la mascella superiore di un individuo adulto che al solito, sia per l’incuria dei cavatori, sia per la fragilità della parte ossea, era già ridotto in un mucchio di frantumi irriconoscibili mentre la maggior parte dei denti erano stati dispersi. Di questo fossile rimane intero un piccolo frammento ante- riore della mascella superiore destra con infissivi alcuni pezzi del primo e secondo premolare ed il canino; conservo inoltre alcuni denti staccati senza radice; il resto è assolutamente ir- riconoscibile. Il predetto frammento di mascella ha molta analogia con la parte omologa dei crani illustrati da Falconer e Cautley (2.). Il primo e secondo premolare infissi su di esso non sono rico- noscibili che per la presenza della base della corona; essi di- stano l’uno dall’altro di min. 15. Da ciò che resta del primo premolare si arguisce che esso era monocuspide con radice a MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITELI,! 107 due fittoni ; il secondo premolare è molto più complesso, ma il numero delle cuspidi è imprecisabile come lo è egualmente il numero delle branche della radice. Al di sopra di questi denti nelTosso mascellare sta infisso il canino che è fortemente dan- neggiato. I due premolari predetti e conseguentemente il canino stanno su d’una linea divergente dalla linea antero-posteriore del cranio. Il canino superiore di sinistra (tav. VI, fig. 11) con pazienza potè essere ricostruito più completamente dell’omologo di destra non mancando che pochi frammenti vicino alla base. Questi due canini hanno la solita sezione irregolarmente triangolare e sono somigliantissimi a quello da me altra volta illustrato (9, pag. 164, tav. VII, fig. 13-14); sulla faccia posteriore di essi si osserva il solito solco profondissimo, mentre altri solchi superficiali stanno sulle altre due faccie; lo smalto è rugoso, striato longi- tudinalmente e con strie di accrescimento trasversali; poco sopra la base si osserva un rigonfiamento che li circonda entrambi, dovuto certamente ad un arresto dell’accrescimento; di tali ri- gonfiamenti, alcuni assai più piccoli e poco rilevati, si osservano a varie altezze ed uno molto più prominente circonda i denti vicino l’apice. L’estremità dei due canini ha una superficie d’e- rosione prodotta dall’uso che li smussa molto obliquamente sul lato esterno. Questi due denti sono poco curvi e verosimilmente l’usura li ha accorciati alquanto ad arguirne dal loro spessore in rapporto all’altezza; ciò fa dedurre che l’animale cui appar- tenevano era molto adulto. Le dimensioni sono eguali per tutti e due i canini: Dimensioni: Diametro massimo trasversale mm. 56 Spessore antero-posteriore sul lato interno . » 50 » » » » esterno . » 46 » dal solco mediano al lato esterno » 29 Altezza massima (lato interno) .... » 120 Allo stesso individuo appartengono un primo molare supe- riore di destra, un frammento del dente omologo di sinistra 108 L. SEGUENZA riunito al secondo molare dello stesso lato. A detta dei cava- tori, i due molari conservati dai proff. Meli e Clerici (vedi pag. 92) furono raccolti insieme al teschio da me accennato ed è presumibile che appartenessero alla stessa dentatura. Il primo molare superiore di destra (tav. VI, fig. 9-10) è a quattro cuspidi appaiate simmetricamente a due a due, se- parate trasversalmente da una valle profonda interrotta nella parte mediana dai margini inferiori delle colline che vengono fra loro a contatto al centro della corona. La depressione lon- gitudinale che divide le due estremità di ogni paio di colline non è visibile per l’erosione. Le colline sono acute, triangolari, con una depressione verticale sul lato anteriore ed altra sul lato posteriore; il lato che è a contatto con la collina del lato opposto dello stesso paio è appiattito, in modo che le due col- line combaciano perfettamente sino a certa altezza. Attorno alla base della corona si svolge un largo collaretto dentellato e spor- gente che comincia al margine anteriore interno della prima collina interna, gira attorno ai lati anteriore esterno e poste- riore e circonda il lato interno della collina posteriore interna terminando allo sbocco della valle trasversale; nel lato poste- riore il collaretto s’innalza in modo da formare una larga piastra di rinforzo saliente, resta nudo quindi il margine inferiore interno della prima collina del lato sinistro. Tutto lo smalto è rugoso per una increspatura verticale, meno che vicino alle estremità delle colline; la corona è profondamente smussata daH’uso; la radice a quattro fittoni è rotta. Il frammento del dente omologo di sinistra, che riconosco per la perfetta somiglianza dei caratteri e della smussatura egualissima naturalmente inclinata in senso opposto, è costituito dal solo secondo paio di colline. Unito ad esso ho trovato il secondo molare superiore di si- nistra (tav. VI, tìg. 7-8), che è assai più completo perchè non ancora profondamente intaccato dall’uso; le quattro colline ed il cercine alla base della corona poco meno accentuato, sono egua- lissimi a quelli del primo molare di destra ed al frammento di sinistra già descritti. Essendo intatti gli apici, ho potuto ve- dere che i lati combacianti delle due colline di ogni paio sono MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITELLI 109 piani e verticali sino a cine terzi dell’altezza, quindi pur re- stando pianeggianti, divergono separandosi; nella depressione formatasi si osserva una piccola cresta trasversa, acuta, irrego- larmente inclinata e a due spioventi. Tanto questo che gli altri due denti hanno la sezione della base alquanto asimmetrica. Dimensioni : Lungh. ant.-post. mediana alla base della corona l.° m. ì nini. 41 !.° m. 44 » » sul lato esterno » » 41 42 » » sul lato interno » » 39 41 Largii. massim. al l.° paio di colline » » 45 44 » » al 2.° » » » 40 V, 38 Altezza della collina più alta . . . . » 26 31 » » più bassa. . . . . . » 13 27 Un altro frammento di mascella inferiore di destra appar- tenente ad un giovane individuo ad arguirne dalle piccole di- mensioni dell’osso mascellare comunque variamente frantumato e dalla dentatura, porta infìsso il primo molare e nell’alveolo giace il secondo molare non ancora emerso al di sopra del bordo dell’alveolo (tav. VI, fìg 1-3). Sulla parte anteriore del frammento si osserva il posto occupato dal quarto premolare. Da quel poco che si può dedurre dal breve frammento di ma- scella, si arguisce che essa s’incurva lievemente verso l’alto e s’inarca alquanto verso il lato esterno. Il primo molare ha sezione quasi rettangolare alla base; è costituito da quattro colline appaiate simmetricamente, acute, qualcuna lievemente curva, divise da una profonda valle tra- sversale e da altra stretta che separa appena i vertici delle colline; sui lati anteriore e posteriore sporgono alla base della corona due piastre di rinforzo rugose e pieghettate che sono la continuazione del solito collaretto marginale che circonda il se- condo paio di cuspidi mentre manca sul lato interno ed esterno del primo paio. Il dente è appena smussato dall’uso e la radice è a quattro lunghi fittoni. 110 L. SEGUENZA Il primo molare è al tutto simile a quello descritto per l’altro individuo, solo che, essendo incastrato nell’osso mascel- lare, non se ne possono esaminare i caratteri in dettaglio. Dimensioni : 1° m. 2° in Diametro mass, ant.-post. alla base . . mm. 40'/ 1 2 46 » trasver. al l.° paio di colline » 26 34 » » al 2.° » » 28 35 Altezza della collina anteriore interna . » 277, — » » posteriore interna. » 25 — » » anteriore esterna . » — 31 1 » » posteriore esterna . » — 30 Fu raccolta contemporanente l’estremità di un canino infe- riore di sinistra di un giovane individuo esso è a sezione irre- golarmente ellittica; la superficie è striata longitudinalmente e i lati interno ed esterno sono percorsi nello stesso senso da strette depressioni; una più profonda si scorge sul lato interno. Il dente è incurvato verso la faccia interna ed inarcato sul lato sinistro; l’apice è profondamente ed irregolarmente smussato dal- l’uso che ha prodotto una superficie concava molto inclinata verso l’interno della bocca ed altra superficie inclinata nello stesso senso sul lato sinistro dell’estremità del dente e facente con la prima un lievissimo angolo. Dimensioni : Altezza massima del frammento . . nini. 54 Diametri massimi » 24 72 Xl9 Tra le varie ossa d’ippopotamo che possiedo, esistono tre vertebre, delle quali due sono rappresentate dal solo corpo assai danneggiato e frantumato, come accade quasi sempre per tutte le ossa provenienti da questa località, ed una più completa (tav. VI, fig. 4-6). Essa ha il corpo più largo che lungo; la faccia anteriore ha il margine inferiore e superiore rialzati in modo da formare lungo la linea mediana trasversale una sella ben marcata; il margine inferiore di questa faccia è diviso in MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITELO 111 due lobi leggermente prominenti. La doccia ben marcata che corre tra le due apofisi trasverse sul lato inferiore del corpo della vertebra è interrotta nella linea mediana antero-posteriore da una cresta verticale più prominente verso il lato posteriore ; la faccia posteriore è più larga dell’anteriore e concava a su- perficie leggermente scabrosa per rugosità radiali. Le apofisi spinose mancano perchè rotte; di esse si vede il punto di attacco sul corpo della vertebra. Le apofisi trasverse sono anch’esse rotte, esistono invece le apofisi articolari ; manca anche il ponticello osseo (arco anteriore) che chiude i forami intervertebrali o arteriali; essi forami sono abbastanza larghi ed a sezione quasi ellittica; mancando le apofisi spinose, del largo forame midollare non si osserva che la parte addossata al corpo della vertebra. Confrontando questa vertebra con quelle di H.sivaìensis il- lustrate da Falconer e Cautley (tav. 63, fìg. 12), se ne vede subito l’intima affinità; una sola differenza si marca tra la ver- tebra di Gravitelli e quelle della stessa posizione anatomica di Siwalik, cioè che la prima non presenta tanto prominente quanto gli esemplari dell’India la cresta verticale sporgente che inter- rompe la doccia del lato inferiore del corpo; quando si pensa però che dei due esemplari di terza vertebra cervicale illustrati dai predetti autori, l'uno presenta tale cresta assai più prominente che nell’altro, non deve certamente impressionare tale lieve dif- ferenza di un carattere, già tanto variabile tra individui della stessa località, tra individui di località così lontane, tanto più poi considerando che non abbiamo materiale abbondante per conoscere se tale carattere è costante in tutti gli individui della specie vissuta a Gravitelli, come pure se la marcata prominenza di detta cresta è persistente in tutti gli individui di Siwalik mentre nei due individui figurati si trova ben netta differenza. Per i vari caratteri descritti io non dubito dal riferire que- sta vertebra alle cervicali di un Ippopotamo, e per la speciale struttura della faccia anteriore di essa, credo che possa ritenersi la terza vertebra cervicale anche perchè somigliantissima alle terze vertebre cervicali illustrate da Falconer e Cautley (2, tav. LXIII, fig. 12, 12 a, 12 ò; 7, pag. 83). Per questa mede- 112 L. SEGUENZA sima ragione e perchè trovata insieme a numerosi denti che io ritengo appartenenti a H. sivalensis , la riferisco a questa specie. Dimensioni: Diametri masssimi della faccia anteriore . . » » della faccia posteriore » » del forame alteriate . . Lunghezza antero-posteriore mediana . . . » » sul lato superiore » » sul lato inferiore Larghezza massima tra le apofisi articolari mm. 54X 57 » 55 X 74 » 10X14 » 40 » 46 » 44 » 128 In una delle altre due vertebre fortemente danneggiate si os- serva più spiccatamente la cresta saliente di cui ho teste parlato. Le numerose rotture, la mancanza di tutte le apofisi e quindi anche dei forami, impedisce ogni determinazione della posizione anatomica di queste due vertebre e delle misure di esse, pur facendo riconóscere dall’assieme del corpo di esse che bisogna riferirle alla stessa specie della prima, fors’anche allo stesso in- dividuo essendo state raccolte insieme. Avevo quasi terminato questa nota allorché mi pervenne del nuovo ed importante materiale appartenente a questa specie e che credo utile di descrivere. Credo utilissimo in primo luogo di descrivere alcuni denti di latte di individuo giovanissimo, che sono in parte hcn con- servati e presentano dei caratteri interessantissimi per il fatto che non esistono di questa specie figure e descrizioni per i denti appartenenti alla posizione ed all’età di questi pochi resti da me recentemente avuti. Il secondo premolare di sinistra (tav. VI, fig. 19-20) ap- piattito, triangolare, acuto, leggermente curvato verso l’interno della bocca, con margine anteriore e posteriore tagliente e leg- germente dentellato. 11 margine inferiore interno ed esterno dello smalto è bilobo circondato da cercine poco rilevato. Sul lato po- steriore della corona si osserva una scabrosità formata di nu- merose e minute prominenze. Lo smalto è rugoso, la radice a due fittoni è rotta. MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITELLI 113 Dimensioni : Lunghezza antero-posteriore alla base mm. 25 Larghezza trasversale alla base . . » 11 Altezza dal margine inf. dello smalto » 15 Lunghezza del lato anteriore . . » 22 » » posteriore . . » 28 Il terzo premolare di sinistra (tav. VI, fig. 16) è infisso su di un frammento di osso dell’alveolo ed è completo. Il dente omologo di destra (tav. VI, fig. 14-15) è isolato e manca dei due fìttoni della radice. Questi due denti sono tra loro egualis- simi. La corona consta di una cuspide centrale conica, acumi- nata, con margine tagliente sul lato anteriore. Sul lato posteriore della corona stanno due robusti conetti appaiati come le colline dei molari adulti; di tali conetti l’interno è più grosso dell’e- sterno. Sul lato anteriore della corona addossata alla cuspide principale sta una cuspide accessoria, triangolare, appiattita, nel senso antero-posteriore e tagliente sui lati interno ed esterno; una lieve piega sporge longitudinalmente sul lato anteriore di questa cuspide in modo da darle una sezione basale triangolare. Sui lati anteriore e posteriore della corona sorge una piastra di rinforzo; la posteriore si prolunga a forma di collaretto sui lati delle collinette posteriori. Sul lato inferiore esterno della cuspide accessoria anteriore sporge un altro breve conetto accessorio. La base della corona ha una sezione in forma di 8 e sul punto mediano interno ed esterno del margine inferiore lo smalto si arresta molto più in alto dei lati anteriore e posteriore. Dimensioni : Lunghezza ant.-post. alla base della corona Larghezza trasversale alla base delle colline post, » » alla base del cono principal » » alla base della cuspide antei Altezza massima del dente comprese le radici Lunghezza massima delle radici Diametro medio d'elle medesime delle colline post, della cuspide ant. » » » » mm. 26 » 13 e » 10 ’. » 12 7. » 40 » 25 » nxio la » 13 » 10 » 11 114 L. SEGUENZA Lo smalto è rugoso; la cuspide principale e le due colline posteriori sono smussate dall’uso. La cuspide anteriore è acuta e intatta. Lo smalto alla base della corona si divide in due lobi. La radice è a due fìttoni cilindrici e poco divergenti. Il quarto premolare inferiore di destra e di sinistra è fran- tumato in modo da non potere essere ricostruito, mancando numerosi frammenti; da quello che resta, però, si riconosce su- bito la solita forma del quarto premolare di latte che ricorda perfettamente quella dei molari persistenti. Questi due denti sono a quattro cuspidi acute e appaiate a due a due con gli apici molto vicini e con profonda valle trasversale che ne di- vide le due paia. Hanno la solita piastra di rinforzo anteriore e posteriore dentellata e prominente. La sola misura che si può ottenere stante lo stato frammentario di detti denti è l’altezza delle colline posteriori in min. 20. Ho avuto dalla stessa località quasi contemporaneamente ai denti predetti, un secondo premolare di individuo molto adulto (tav. VI, fìg. 17-18) ad arguirne dalle dimensioni e dal- l’usura della corona. Esso è costituito da una corona irregolar- mente piramidata con pieghe salienti sui lati anteriore e poste- riore. 11 bordo posteriore è ondulato; il margine inferiore dello smalto è bilobo sui due lati della corona e circondato da largo cercine che rimonta alquanto ad angolo acuto verso l’apice del dente sui lati interno ed esterno. Lo smalto è. levigato dall’uso e solo nei punti dove ne è stato esente si mostra rugoso come in tutti gli altri denti da me descritti. La radice è rotta ma si vede che constava di due grossi fìttoni. Dimensioni : Altezza massima della corona min. 37 Lunghezza antero-posteriore alla base ... » 39 Larghezza trasversale alla base » 24 Insieme ai denti già descritti ho avuto numerosi fram- menti di ossa; di essi quelli clic poterono essere identificati per essere meno danneggiati degli altri, sebbene mai completi da MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITE!, LI 115 poterne avere le esatte dimensioni, sono in numero assai me- schino. Il più interessante fra tutti è un frammento di omoplata di sinistra (tav. YI, fig. 12-13); di esso possiedo solamente l’e- stremità inferiore con la cavità articolare; manca tutta la placca ossea che forma il resto dell’osso. Nel frammento esistente è completa la cavità glenoide con tutto il suo bordo; essa è mag- giormente inarcata sul diametro aliterò -posteriore che su quello trasverso, essendo i due lati anteriore e posteriore assai più prominenti degli altri due; la parte posteriore è più espansa dell’anteriore, verso la quale va a restringersi gradatamente terminando sul lato anteriore con un bordo prominente. Il bordo che circonda la cavità predetta è assottigliato e tagliente, meno che sul lato anteriore ove è leggermente ingrossato in rapporto al resto. L’apofìsi coracoide, come il resto dell’osso manca. Dimensioni : Diametro antero-posteriore della cavità glenoide . mm. 82 » trasversale della medesima » 77 Profondità della medesima in rapporto ai bordi anteriore e posteriore » 19 Fra le altre ossa determinabili bo potuto riconoscere: L’estremità superiore di un radio (tav. V, fig. 53-54) ; essa è abbastanza ben conservata e le superficie articolari sono in- tatte; i massimi diametri dell’articolazione sono di mm. 73 X 52. Altro frammento di radio appartenente per le sue maggiori dimensioni ad un individuo più adulto, è riferibile all’estremità inferiore di quest’osso (tav. V, fig. 49-50) ed ha perfettamente conservate le superficie articolari. Un osso uncinato (tav. Y, fig. 51-52) completo e ben con- servato, ha le seguenti dimensioni : Spessore massimo verticale . . Lunghezza antero-posteriore . . Larghezza trasversale . . . . . . mm. 43 . . » 79 . . » 63 116 L. SEGUENZA Possiedo da ultimo il frammento anteriore di un metacarpo (tav. VI, fig. 21-22) del quale ho potuto ottenere le misure se- guenti: Spessore verticale della diafìsi mm, 20 » trasverso » » 42 » verticale dell’epifisi » 42 » trasverso » » 38 Sebbene per la forma e per i caratteri queste ossa corri- spondano esattamente a quelle di Ippopotamo, ed a Gravitei li non si siano trovati resti di altra specie di questo genere, in circa mezzo secolo di ricerche, all’infuori di quelli di H. sivalensis, al quale ritengo si debbano riferire questi pochi frammenti di ossa, pure credo che non si possano instituire, almeno per ora, data la scarsezza del materiale scheletrico, confronti tra lo scheletro della forma di Gravi telli e quello della forma di Siwalik e delle altre specie note d’ippopotamo. Il materiale che meglio di ogni altro serve a confermare la determinazione di questa specie di Graviteli è quello pervenu- tomi l’ultimo. Si tratta infatti della dentatura inferiore di un individuo che pur non essendo molto adulto, ad arguirne dal- l’essere il terzo molare appena intaccato dall’uso, pure è giunto al suo massimo sviluppo come dimostrano gli enormi canini che possiede. Al solito i denti sono isolati e variamente danneggiati, il che non impedì di ricomporne la maggior parte completamente; essi sono accompagnati da un cumulo di frammenti ossei del cranio, assolutamente inutili perchè ridotti a tale stato di de- cadimento da polverizzarsi al semplice toccarli e quindi non adatti alla ricostruzione del pezzo cui appartenevano. Mi si as- sicurò dagli operai che la mascella era intera e che si disfece al menomo tentativo di estrazione; ciò non toglie che per la poca cura avuta nel raccogliere i denti, che di solito non si alterano alla fossilizzazione, questi si frantumassero ed andassero in parte dispersi. Fra quelli pervenuti sino a me, riconosco il terzo molare in- feriore di sinistra (tav. VII, fig. 1-2) e di destra, quest’ultimo alquanto danneggiato. Questi denti hanno al pari degli altri da MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITELLI 117 me descritti la corona a struttura quadricuspide, a colline acu- minate, coniche, appaiate trasversalmente; ad esse si aggiunge posteriormente una quinta collina o tallone posteriore isolato sui > cui lati stanno due tubercoletti accessori all’imbocco della valle i trasversa che divide la quinta collina dal secondo paio di cuspidi. La collina posteriore è piazzata sulla linea mediana antero-po- steriore della corona con lieve spostamento verso il lato interno. Lo smalto al solito è rugoso e la base della corona è circondata, specie dal lato esterno, da un cercine rilevato. I fittoni della radice sono cinque, lunghi, robusti e corrispondenti alle cinque colline. Dimensioni : Lungh. mass, ant.-post. alla base della corona, mm. 63 Largh. trasv. del 1° paio di coll. » . » 34 » » del 2° » » » » 35 » » del tallone post. » . » 26 Altezza mass, della cor. alla la coll, ester. . » 33 » » del dente compresa la radice . » 77 Sono completi il secondo molare di sinistra (tav. VII, fig. 1-2) ed il primo di destra (tav. VII, fig. 3-4) della mascella inferiore; il secondo di destra è rotto ed il primo di sinistra manca. I detti molari sono quadricuspidi con la solita struttura; solo dif- feriscono tra loro per le dimensioni e per essere il primo più eroso del secondo ancli’esso smussato dall’uso. Dimensioni : 2° i.° Lungh. mass, ant.-post. alla base della corona mm. 50 41 Largh. mass, trasv. al 1° paio di coll. » 35 29 » » » al 2° » » » 39 32 Lungh. mass, della radice . . . » 46 — La corona essendo smussata dall’uso non se ne può avere l’altezza; però è la prima collina del lato esterno che ha subito meno l’erosione come nel terzo molare. Tra i vari premolari pervenutimi, tre poterono essere rico- sstruiti quasi completamente con i frammenti e sono tutti e tre 118 L. SEGUENZA monocuspidi. L’uno è il 4° premolare inferiore di destra (tav. VII, fig. 9-10); esso è conico, più tozzo sul lato posteriore circondato alla base della corona da largo cercine che sul lato posteriore si protende a formare una piastra di rinforzo; sulla faccia in- terna si osservano alcuni tubercoletti accessori. Gli altri due denti che io riferisco al 3° premolare di destra (tav. VII, fig. 7-8) ed al 2° premolare di sinistra (tav. VII, fig. 5-6) e come il già descritto appartenenti alla mascella inferiore, sono triangolari, alquanto appiattiti sulle due faccie interna ed esterna mentre hanno la parte posteriore più tozza ed ornata specie sulla faccia interna da vari tubercoli accessori e da una leggiera flessuosità sul margine. In questi tre denti l’usura si manifesta special- mente sui due margini anteriore e posteriore e nei due ultimi denti anche sull’apice che quindi ne è smussata. La radice è formata da due poderosi fìttoni. Dimensioni: Altezza mass, della corona mm. Diametro mass, trasv. alla base della cor. (lato post.) » Diametro ant.-post. » p. m. 3." p. m. 2.° p. m 38 39 38 29 26 27 36 — — I canini inferiori di questo individuo sono magnifici; ap- piattiti, ricurvi e leggermente contorti sono solcati sul lato in- terno da numerosi solchi paralleli di cui due più profondi degli altri. Sul lato esterno lo smalto è liscio a meno di una lievis- sima striatura di accrescimento e di un solco mediano longitu- dinale, poco profondo ma ben marcato. Sul lato posteriore, verso l’apice, il dente è corroso dall’uso per una lunghezza di circa un terzo di tutta la sua lunghezza; tale superficie di erosione è liscia ed inclinata verso la bocca (tav. VII, fig. 11-12). Dimensioni: Distanza tra le due estremità (lato esterno) mm. 275 Sviluppo della curva dal lato esterno » 420 Diametro massimo ant.-post. » 62 » » trasv. » 32 MAMMIFERI PONTICI DI GRAVITELO 119 Possiedo in ultimo dello stesso individuo sei incisivi varia- mente danneggiati; di essi però mi è impossibile potere rista- bilire la posizione con sicurezza. Essi appartengono a tre forme ben distinte che naturalmente rappresentano le tre diverse po- sizioni pur avendo vari caratteri comuni tra loro. Due di essi sono più sottili degli altri, quasi dritti e cilindrici, a sezione leggermente ellittica, che io ritengo siano i primi incisivi (tav. VII, fig. 13). Due altri a sezione ellittica, ricurvi e un poco più grossi dei primi, credo siano i secondi incisivi (tav. VII, fig. 16). Gli ultimi due infine sono più grossi di tutti arcuati e contorti fortemente, con una scanalatura sulle due faccie che sarebbero i terzi incisivi (tav. VII, fig. 14-15). La struttura esteriore di questi denti differisce radicalmente da quella dei canini, es- sendo a superficie liscia o leggermente striata nel senso della lunghezza, mai rugosa. L’estremità di tutti i canini è smussata da una superficie di erosione fortemente inclinata. Dimensioni : fig. 13 fig. 14 fig. 16 Lunghezza dei frammenti mm. 165 145 130 Diametri massimi quasi uni- formi per tutta la lungh. » 20 X 23 25 X 19 24 X 20 Il rinvenimento di quest’ultimo materiale, tanto importante, nel mentre aumenta le conoscenze su questa specie di Gravitelli, completa la serie dentaria sin ora mancante di alcune unità, ci dà le dimensioni di esse, e ci conferma sempre più l’esattezza della determinazione di questo Ippopotamo come Hippopotamus sivalensis. [ma. pres. il 20 gennaio 1907 - ult. bozze 22 maggio 1907]. 120 L. SEGUENZA SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA V. Fig. 1-12. Semnopitecus monspessulanum Gervais (grandezza naturale). Denti della mascella inferiore di destra: fig. 1, 2, 3 - canino (lato est., int., sup. mast.) » 4, 5, 6 - primo premolare ( » » » 7, 8, 9 - secondo molare ( » » ) » 10, 11, 12 -terzo molare ( » '» ) Fig. 13-36. Ictitlierium Orbignyi Gaudry (grandezza naturale). Denti della mascella inferiore di destra: fig. 13, 14, 15 - secondo molare (lato est., int., sup. mast.) » 16, 17, 18 - primo molare ( » » ) » 19, 20, 21 - quarto premolare ( » » » 22, 23, 24 - terzo premolare ( » » ) » 25, 26, 27 - secondo premolare ( » » Denti della mascella superiore di destra : fig. 28, 29, 30 -primo molare (lato est., int., sup. mast.) » 31, 32, 33 - quarto premolare ( » » ) » 34, 35, 36 - terzo premolare ( » » ) Fig. 37-48. Sus eriinanthius Roth et Wagner: fig. 37 -Frammento di mascella inferiore sinistra col 3.° e 4.° premolare di latte (lato esterno) gran- dezza nat. » 38 - lo stesso (superficie masticante) grand, nat. » 39, 40 -primo incisivo infer. di sinistra (di lato e di fronte) % della grand, nat. » 41, 42 - secondo incisivo inf. di sinistra (di lato e di fronte) l/t della grand, nat. » 43, 44 - terzo molare superiore sinistro (lato ester. e su- per. mast.) V2 della grand, nat. » 45, 46 - primo, secondo e terzo molare inf. di destra (lato inter. e sup. mast.) ‘/2 della grand, nat » 47, 48 - quarto premolare inf. di destra (lato inter. e sup.) ’/2 della grand, nat. MAMMIFERI RONFICI DI GRAVITELO 121 Fig. 49-51. Uippopotamus sivalensis Fai con e r et Cautley : lig. 49, 50 - estremità inferiore di un radio ('/3 grand, nat.). » 51, 52 -osso uncinato ('/2 grand, nat.). » 53, 54 estremità superiore di un radio (V3 grand, nat.). SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VI. Fig. 1-22. Hippopotamus sivalensis Falconer et Cantley: fig. 1, 2, 3 -frammento di mascella col primo molare ed il secondo molare non ancora spuntato (lato esterno, superficie masticante, lato interno (V2 grand, nat.). » 4, 5, 6 - terza vertebra cervicale (lato inferiore, po- steriore, anteriore) ('/2 grand, nat.). CO t>-~ - secondo molare superiore di sinistra (lato esterno, superficie masticante) (l/2 grand, nat.). » 9, 10 - primo molare superiore di destra (lato est., superficie masticante) (V2 grand, nat.). » 11 - canino superiore di sinistra d’ individuo adulto (Vo grand, nat.). » 12, 13 - frammento di omoplata di sinistra ( V3 grand, nat.). » 14, 15 - terzo premolare ìli latte di destra- lato ester. » 16 e sup. mast. ('/2 grand, nat.). - terzo premolare di latte di sinistra - lato int. (V2 grand, nat.). » 17, 18 - secondo premolare - lato inter. e sup. mast. (V2 grand, nat.). » 19, 20 - secondo premolare di latte - lato inter. e sup. mast. ('/2 grand, nat.). » 21, 22 - estremità anteriore di metacarpo ('/2 grand, nat.). 9 L. SEQUENZA SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VII. Hippopotamus sivalensis Falconer et Cautley: fig. 1,2 -secondo e terzo molare inf. di sinistra - lato inter. ed ester. ('/2 grand, nat.). » 3, 4- primo molare inf. di destra - lato ester. e sup. mast. ('/2 grand, nat.). » 5, 6 - secondo premolare inf. di sinistra - lato ester. e sup. mast. ('/2 grand, nat.). » 7, 8 - terzo premolare inf. di destra - lato int. e sup. mast. (V2 grand, nat.). » 9, 10 - quarto premolare inf. di destra - lato est. e sup. mast. (% grand, nat.). » 11, 12- canino inf. di sinistra visto dal lato int. e di sopra ('/a grand, nat.). » 13, 14, 15, 16 - incisivi. oli. Soc. Geol. Ital. voi. XXVI (1907). (Seguenza) Tav. V. * vfii & A A 13 1(5 ^9 22 " 14 1- 20 10 18 Tr 2-1 27 *> ak sf 28 31 34 30 33 30 *2^ 4 di 5 7 £4 8 ^ il ELIOT CALZOLARI RFERR/ RIO MILANO fSeguenzaJ Tav, VI. Boll. Soc. Geol. Ital. voi, XXVI (1907). EUOT CALZOLAKI h AeKKARfO MILANO Boll. Soc. Geol. Ital. voi. XXVI 0907). (Seguenza) Tav, VII. CLIO r CALZOLAK» H PBWKARIO -MILANO A PROPOSITO DI ALCUNE DISCUSSIONI SULL’ORIGINE DEI CONGLOMERATI OLIGO-MIOCENICI DELLE COLLINE DI TORINO Nota del dott. Raffaello Bellini In ini mio recente studio sul miocene medio delle colline di Torino (*) ho cercato dimostrare come ai vari piani del ter- reno debba attribuirsi significato cronologico e che l’elveziano mostra diverse facies corrispondenti a zone batimetriche diffe- renti. Trattando poi della fauna dei molluschi ho asserito avere questa i caratteri di clima caldo, non però tropicale, e quindi la grave obbiezione mossa all’ipotesi del Gastaldi viene di molto ad attenuarsi. In seguito alla pubblicazione del mio lavoro e degli studi d’altri autori sul classico bacino terziario ligure-piemontese, il dott. G. Rovereto fa note le sue idee riguardanti alcuni con- cetti od affermazioni sull’argomento (2); siccome non accetta anche alcune mie idee, pur dichiarando lodevolissimo e serio il metodo da me seguito, cosi, mentre gli sono grato per avermi offerto l’occasione di insistere ancora su quanto ho pubblicato, intendo chiarire qualche punto e ritornare per poco ancora sul- l’origine dei conglomerati oligo-miocenici della collina torinese. Tra le varie ipotesi emesse a questo riguardo quella del Virgilio, fondata sulle esperienze del Reycr, è stata forse la meno accettata ; hanno invece trovato convinti e numerosi fau- (') Bellini R., Le varie FACIES del miocene medio nelle Colline di Torino. Boll. Soc. Geolog. Ital., XXIV (1905), n. 2. (2) Rovereto G., Di alcuni recenti studi sulla serie dei terreni neo- genici del bacino ligure-piemontese. Atti Soc. Ligust. Se. Natili-, e Geogr., voi. XVII, 1906. 124 R. BELLINI tori quella del Gastaldi, che crede il trasporto dovuto a zattere di ghiaccio fondenti al contatto di più calda temperatura, e l’altra, accettata anche dal doti. Rovereto, clic la presenza nella collina torinese dei conglomerati oligo miocenici ad elementi alpini ed appenninici debbasi a depositi torrenziali-littoranei, prodotti dalle poderose correnti scendenti dalle valli solcanti la catena alpina e l’ossatura appenninica. Nel succitato mio lavoro ho accettato l’ipotesi del Gastaldi, integrata con quella dei depositi torrenziali, ed ho accennato alle più decisive prove per la sua conferma, dedotte dalla osser- vazione dei seguenti fatti : a) L’accumulo in gran numero in posti limitati di blocchi e ciottoli, inclusi nelle marne e nelle sabbie. b) La mancanza o la eccessiva scarsezza di fossili nei luoghi dove i conglomerati abbondano (perchè nei siti dove le zattere di ghiaccio fondevano non era possibile la vita d’esseri di clima caldo o temperato). c) L’osservazione di quanto ancor oggidì avviene od avvenne in altre epoche geologiche. L’opposizione principale alla ipotesi del Gastaldi è quella riguardante la fauna, che, essendo ritenuta di clima tropicale, non poteva vivere in un ambiente freddo per i ghiacci galleg- gianti. Tale difficoltà è accampata anche dal dott. Rovereto. Certo l’opposizione sarebbe valida se i motivi su cui si fonda fossero indiscussi. Però bisogna osservare che il tipo comples- sivo della fauna miocenica media piemontese non è tropicale ed i ghiacci potevano benìssimo galleggiare in un mare racchiu- dente viventi d’ambiente caldo. E non è di clima tropicale la fauna come non lo è la flora. 11 Peola infatti (‘) ha dimostrato che nessuna delle specie ve- getali del miocene piemontese è di tipo tropicale. E il dott. Rovereto afferma che per ammettere l’ipotesi del Gastaldi occorrono prove ben sicure; il trasporto dei blocchi erratici è più facilmente ammissibile come provenienti da una ripa rocciosa esistita su di un’area sprofondata per opera del (') Peola P., Flora dell1 Elveeiano torinese, lliv. lt. (li Paleontologia, anno V, fase. I, Bologna 1899. CONGLOMERATI OLIGO-MIOCENICI DI TORINO 125 sinclinale situato a nord della collina e conseguente dal solle- vamento anticlinalico di questa. Infine più che di ghiacci gal- leggianti, scrive sempre il dott. Rovereto, si dovrebbe parlare di fronti di ghiacciai immerse in mare e immettenti nella zona di mare basso il loro carico roccioso; complesso di fenomeni che si verifica però solo in mari freddi e aventi faune a caratteri ben diversi dalla nostra miocenica. Nell’ipotesi del Gastaldi è considerata la condizione che le fronti dei ghiacciai raggiungessero il mare ed al contatto di più calda temperatura si staccassero frammenti più o meno grossi, vere zattere di ghiaccio, che venissero poi alla lor volta a fondere, lasciando cadere al fondo delle acque il carico roc- cioso. E siccome nei punti dove le zattere fondevano le acque erano raffreddate, così la vita in quei punti era quasi impos- sibile, per esseri d’ambiente caldo. Che il fatto poi dei ghiacciai raggiungenti il mare si veri- fichi solo nei mari freddi non è più ammissibile per le osser- vazioni moderne; di ciò nel mio lavoro ho trattato. Quelle di Darwin, Eyres, Stoppani, Maury non possono essere trascurate. E neanche quelle di Hochstetter e di Desor, che rife- riscono come nella Nuova Zelanda i ghiacciai scendano al mare tra una vegetazione del tutto tropicale. La fauna poi dei molluschi di questa terra e rassomigliantissima a quella del miocene medio piemontese ed i generi tipici in questo lo sono egualmente nella fauna zelandese. La gran proporzione dei molluschi miocenici sono di clima caldo, misti a poche forme tropicali e ad altre artiche ( Lima- cine, , Trophon, Astarte, ecc.); egualmente avverasi nella fauna attuale della Nuova Zelanda, costituita, in ordine d’abbondanza, di elementi caldi, tropicali ed antartici. Altre considerazioni su tale soggetto, estese anche a comprendere altri terreni, trove- ranno svolgimento in un ulteriore mio lavoro. Da tuttociò credo che risulti abbastanza provato come Tipo- tesi del geologo torinese debba ancor oggi, e forse oggi più che prima, aver peso e valore nello studio delTimportante bacino terziario piemontese; però non deve ad essa attribuirsi un’im- portanza esclusiva, ma è necessario integrarla coll’ipotesi delle correnti torrenziali. Se per un buon numero d’anni fu trascu- 126 R. BELLINI rata o non accettata, attualmente, noti alcuni fatti e circostanze (ìctus les poudingues de la Superya camme vraisemblablement effectué par les ylaces flottantes (2). Ma con ciò non intendo concludere in favore dell’accetta- zione assoluta dell’ipotesi del Gastaldi; penso solamente che delle varie spiegazioni proposte a riguardo dell’origine dei con- glomerati oligo-miocenici delle colline di Torino, quella che io ho accettato ed ho cercato di maggiormente provare non è con- traddetta da alcun fatto; anzi siccome alcune osservazioni attuali la rendono più verosimile, essa è la meno lontana dall’essere accolta come teoria. [ins. pres. il 2 aprile 1907 - ult. bozze 21 maggio 1907J. (‘) De Alessandri G., App. di geol. e paleontol. sui dint. d’ Acqui. Atti Soc. It. Se. Nat., XXXIX, 1901. (2) Dollfus G. F., in Comp.-Rend. des Excursions Réun. extraord. de la Soc. Ge'ol. de France en Italie en 1905. Bull. Soe. Géol. France, 4e sèrie, tome f>e, p. 867. esplicative, risorge e si riafferma. L’accetta il De Alessandri (') ed anche il Dollfus considera le transport des yros blocs alpins 25 JAN. 1908 * Dal contratto con la Tipografìa Cuggiani. Le pagine di corpo 8 in più di ’/«. di pagina per le note, e di una pagina di testo per ogni foglio di stampa, saranno pagate in ragione di una lira ciascuna. Le tabelle in più di una per ogni tre fogli di stampa, coste- ranno L. 1,55 per pagina. Ciascun foglio di composizione dovrà essere stampato nel ter- mine di tre mesi dalla consegna delle prime bozze, detratto il tempo in cui esse bozze rimarranno presso la tipografìa per le varie correzioni; trascorso il qual termine sarà corrisposto un compenso di L. 3,50 per mese e per foglio. I soci avranno una prima bozza in colonna, ed una seconda impaginata. Le correzioni straordinarie si pagheranno in ragione di una lira per pagina. Gli estratti per conto degli autori sono regolati dalla seguente tariffa : Per ogni 50 copie con copertina muta: per 1 foglio di stampa, L. 4; per */* foglio, L. 2; per x/4 di foglio, L. 1. Prezzo della copertina stampata, sino a 100 copie, L. 2,50. AVVERTENZE PER I SOCI Dal Regolamento per le pubblicazioni. Art. 2.° Non si accettano le memorie che siano puri lavori di compilazione, e quelle che abbiano carattere esclusivamente o prevalentemente polemico. Art. 4.° a) Le Comunicazioni da stamparsi coi verbali non potranno oltrepassare due pagine di stampa ciascuna se si tratta di note originali, nè mezza pagina se di osservazioni in risposta ad altra comunicazione o di presentazioni di opere stampate. Gli autori rimetteranno seduta stante i manoscritti delle loro comunicazioni. I Soci che hanno preso parte a discussioni e de- siderano ne sia fatta menzione nel verbale, dovranno in gior- nata consegnare al Segretario le loro osservazioni scritte. Per le comunicazioni non sono inviate bozze agli autori. Le modificazioni od aggiunte, che questi facessero ulteriormente per- venire al Segretario, verranno inserite nei verbali sotto forma di note a pie’ pagina con la data di presentazione. b> I titoli delle memorie non verranno inseriti nei verbali, se ni momento della stampa di questi non sarà pervenuto alla Segreteria il relativo manoscritto. Art. 7.° I manoscritti dovranno essere in fogli dello stesso formato, scritti da una sola parte, in caratteri intelligibili, senza di che la presidenza potrà respingerli. Art. 8.° I lavori incompleti sia nel manoscritto, sia nelle ta- vole non possono esser presi in considerazione per la stampa. Art. 9.° Se le memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa stabilito anno per anno dal Consiglio, la spesa ecce dente sarà tutta a carico dell’autore, anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. IO.1’ Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine in corpo 8 e per le tabelle; così pure le spese straordi- narie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composizioni annullate. Art. 17.° Gli estratti che spettano agli autori avranno fron- tispizio e copertina stampata, se la memoria raggiungerà un fo- glio di stampa; altrimenti avranno copertina semplice. Art. 20.° Gli estratti si spediscono in assegno. Finito ili stampare il 25 maggio 1907. Il Bollettino della Società Geologica Italiana si stampa in fascicoli trimestrali. Il Presidente responsabile : Federico Sacco. Anno XXVI. Fascicolo 2° (2° e 3° trimestre 1907). BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XXVI — 1007 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIAN1 Via della Pace N. 36 1907 AVVERTENZE PER I SOCI Dal Regolamento per le pubblicazioni. Art. 2.° Non si accettano le memorie che siano puri lavori di compilazione, e quelle che abbiano carattere esclusivamente o prevalentemente polemico. Art. 4.° a) Le Comunicazioni da stamparsi coi verbali non potranno oltrepassare due pagine di stampa ciascuna se si tratta di note originali, ne mezza pagina se di osservazioni in risposta ad altra comunicazione o di presentazioni di opere stampate. Gli autori rimetteranno seduta stante i manoscritti delle loro comunicazioni. I soci che hanno preso parte a discussioni e de- siderano ne sia fatta menzione nel verbale, dovranno in gior- nata consegnare al Segretario le loro osservazioni scritte. Per le comunicazioni non sono inviate bozze agli autori. Le modificazioni od aggiunte, che questi facessero ulteriormente per- venire al Segretario, verranno inserite nei verbali sotto forma di note a pie’ pagina con la data di presentazione. b) 1 titoli delle memorie non verranno inseriti nei verbali, se al momento della stampa di questi non sarà pervenuto alla Segreteria il relativo manoscritto. Art. 7.° I manoscritti dovranno essere in fogli dello stesso formato, scritti da una sola parte, in caratteri intelligibili, senza di che la presidenza potrà respingerli. Art. 8.° I lavori incompleti sia nel manoscritto, sia nelle ta- vole non possono esser presi in considerazione per la stampa. Art. 9.° Se le memorie oltrepasseranno il numero dei fogli di stampa stabilito anno per anno dal Consiglio, la spesa ecce- dente sarà tutta a carico dell’autore, anche per la parte relativa agli estratti concessi gratuitamente dalla Società. Art. 10.° Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine in corpo 8 e perle tabelle: così pure le spese straordi- narie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composizioni annullate. Art. 17.° Gli estratti che spettano agli autori avranno fron- tispizio e copertina stampata, se la memoria raggiungerà un fo- glio di stampa: altrimenti avranno copertina semplice. Art. 20.° Gli estratti si spediscono in assegno. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI ternate nel settembre 1907 Adunanza inaugurale dell’ 8 settembre in Torino. Presidenza del prof. F. Sacco. L’adunanza ha luogo alle ore 10 nella sala delle lezioni di geologia e paleontologia a pian terreno del Palazzo Carignano. Sono presenti, oltre il presidente Sacco, il vice-presidente Por- tis, i consiglieri Di Stefano, Rovereto, Tommasi, l’archivista ■Crema, i soci Ambrosionj, Baratta, Bentivoglio, Bibolini, Bruno, Caffi, Cardinali, Cerulli-Irelli, Checchia, Ciofi, Colomba, Cortese, De Alessandri, De Ferrari, De Pretto, Deryieux, Di Franco, Di Rovasenda, Falzoni, Fino, Forma, Gortani, Issel, Lattes, Maddalena, Mattirolo, Monetti, Niccoli, Novarese, Parona, Peola, Prever, Reichenbach, Riva-Palazzi, Roccati, Tonini, Toso, Vinassa de Regny, Zamara ed il segre- tario Clerici ('). C) Alle adunanze ed alle escui’sioni del Congresso presero parte complessivamente 55 soci ed una ventina di non soci. Ai soci furono distribuite le seguenti pubblicazioni: Torino e dintorni, Pubblicazione illustrata dell' Associazione « Pro Torino ». Torino, 1905. — Superga, Guida illustrata, Pubblicazione del Comitato «Pro Superga». Torino, 1904, ambedue offerte dal Municipio di Toi-ino. La Vallee d’Aoste, Guide-souvenir (illustrata). Turin, 1906, offerta dall Associazione Valdostana per il movimento dei foi’astieri. Sacco F., Anfiteatro morenico di Rivoli, grande carta geologica a co- lori 1 a 25000. Torino, 1886, offerta dall’autore. Prever P. L., Sulla costituzione dell’anfiteatro morenico di Rivoli in rap- porto con le successive fasi glaciali. Torino, 1907, dono dell'autore. Baretti M., Cenno biografico del professore Bartolomeo Gastaldi. To- rino, 1879, dono della vedova Baretti. I giacimenti di antracite nelle Alpi occidentali italiane. Mera, descr. della carta geol. d’Italia, voi. XII, Roma, 1903, offerto dal E. Ufficio Geo- logico. IV XLII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Assistono alla seduta ring. comm. Enrico Bonelli, rappre- sentante il Sindaco di Torino, il cav. avv. Provvido Montani, rappresentante il Prefetto, Pon. senatore D’Ovidjo, rappresen- tante della R. Accademia delle Scienze e del E. Politecnico ed altri invitati. Il presidente Sacco, dopo un cordiale saluto ai soci inter- venuti al Congresso, rivolge singolarmente parole di ringrazia- mento al rappresentante del Sindaco di Torino per le varie cortesie usate, per le guide e per la tessera di libero accesso ai musei offerte ai congressisti; al rappresentante del Rettore della Uni- versità, rappresentanza che è lieto vedere personificata dal tanto stimato ed amato consocio prof. Parona, ricordando che il con- gresso siede appunto in un’aula universitaria; al rappresentante del Governo; al Presidente della E. Accademia delle Scienze di Torino, che nella persona dell’illustre senatore prof. D’Ovidio, rappresenta pure il nuovo Politecnico di Torino di cui oggi è il capo, riunendo veramente assieme Scienza ed Applicazione. Manda pure ringraziamenti alla sezione torinese del Club Al- pino Italiano la cui presidenza ha aperto ai congressisti la Ve- detta del Monte dei Cappuccini; ed infine saluta la rappresen- tanza del R. Ufficio Geologico Italiano, la cui attività e le cui ricerche così bene si intrecciano con quelle della Società Geo- logica. L’iug. comm. E. Bonelli rappresentante del Sindaco pro- nuncia il seguente discorso: Signori, L’Ulmo Signor Sindaco per impegni precedentemente assunti non può tenere personalmente il cortese invito fattogli da questo On. Consesso, ed ha dato a me il gradito incarico di rappre- sentarlo e farmi interprete dei suoi ringraziamenti. Sono lieto di poter così porgere a quest’eletta radunanza di illustri Scienziati un saluto riverente ed il benvenuto della Città di Torino, la quale in questo momento sente altamente dell’onore di essere stata designata a sede dell’attuale congresso. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI XLIII Torino die nella sua 'Università e nella sua Scuola d’ Appli- cazione per gl’ ingegneri ebbe a professori gli insignì geologi Angelo Sismonda, Quintino Sella e Bartolomeo Gastaldi, la cui scuola è così degnamente continuata dai chiarissimi profes- sori Parona e Sacco, assiste con vivo interessamento e con in- tima soddisfazione ai lavori che si svolgeranno in queste sedate, e ne trae i più lieti auspici che da essi non solo avranno grande vantaggio i cultori della scienza geologica, ma anche ed in gran copia coloro che si applicano all’ingegneria. La luce che può arrecare la Geologia in tutto quanto ha relazione coll’esercizio delle miniere, colle bonifiche, colla ricerca di acqua potabile, col tracciamento delle strade, dei canali e delle gallerie, è di somma importanza; ma pur troppo questa importanza è oggidì ancora molto trascurata con gravissimo danno della riuscita nei grandiosi lavori della moderna inge- gneria. Nella vita pratica mentre gli studi geologici hanno fatto, per virtù dei loro cultori, un immenso progresso, i loro risultati, non so se più per modestia del geologo che per trascuranza degli altri, non poterono ancora imporsi in giusta misura alle scienze sorelle; ed io sono convinto che se da questo illuminato con- gresso potrà derivare una maggior considerazione alla scienza geologica nei rapporti con l’ingegneria, quello sarà un grandis- simo passo che, per l’economia generale delle industrie, avranno fatto gli studi geologici, perchè molti errori gravissimi e molti lavori inutili verranno, nelle opere pubbliche, evitati se i rela- tivi progetti saranno sottoposti al preventivo esame del geo- logo. Portando pertanto a voi, signori, il saluto della Città di Torino e felicitandomi con voi che indirizzate, con nuovi e sempre più ardui cimenti, le migliori vostre energie, la serenità della mente e la robustezza dell’intelletto a lavori tanto severi e difficili, vi porgo un augurio: quello cioè che non soltanto la vostra scienza cammini a passi da gigante nella grande strada del progresso, ma che essa trovi sul suo cammino quelle oasi che dànno maggior lena per le fatiche e che incitano a prose- guire con rinnovato entusiasmo e perseverante fede. Applausi. XLIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Il socio prof. Parona rappresentante del Rettore dice : Ho l’onore di rappresentare il Rettore dell’Università, as- sente da Torino, e di portare il suo saluto alla Società Geolo- gica Italiana. Il Rettore è lietissimo di sapere che la Società si aduna presso l’Istituto Geologico universitario, in questo sto- rico palazzo, ora sede dei ricchissimi musei di storia naturale, che sono ornamento cospicuo della città e degni di così impor tante centro di studi. Con vivo compiacimento assisto all’inau- gurarsi dei vostri lavori in questa Scuola di Geologia, nella quale appresero i primi elementi della nostra scienza parecchi consoci, che prendono parte attiva alla vita scientifica del nostro soda- lizio, a decoro della Società stessa e dell’Università nostra, la quale si onora dei suoi antichi allievi, che ne tengono alto il buon nome. Il rappresentante del Sindaco ha parlato con molta efficacia dell’importanza della Geologia come Scienza applicata; applaudo alle sue parole, alle quali dà un particolare significato la sua esperienza di valente insegnante e di esperto professionista. Io aggiungerò 1’augurio, che la Società Geologica Italiana abbia vita sempre più prospera, affinchè possa sempre più largamente cooperare allo studio del suolo italiano, al progresso delle scienze geologiche ed alla diffusione delle cognizioni geologiche, poco apprezzate perchè troppo poco conosciute. In ventisei anni di vita la Società Geologica Italiana ha fatto assai per questa sua missione, alla quale attende ed attenderà in nobile gara colle Società straniere consorelle, con assiduo lavoro, con discussioni calme o vivaci, sempre serene e cortesi. Interprete dei senti- menti del Rettore, io vi rinnovo il suo saluto, assicurandovi che egli volge il suo pensiero a voi, ai vostri lavori, alle vostre gite con molta simpatia, della quale ne avete una prova anche nel fatto, che delegò a suo rappresentante un vostro collega. L’on. senatore prof. D’Ovidio parla specialmente come pre- sidente dell’Accademia delle Scienze, accennando come le Acca- demie siano migliori della loro fama giacché, pur funzionando talora da moderatori nelle ricerche e nelle conclusioni scienti- fiche, molto contribuiscono al reale progresso della Scienza col RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI XLV dar modo alle giovani energie di affermarsi in pubblico ; nel caso attuale l’Accaderaia delle Scienze di Torino si allieta del convegno dei geologi italiani in questa città ripromettendosene importanti risultati per la migliore conoscenza della geologia piemontese. Il generale Riva-Palazzi si associa alle idee ed ai voti espressi dall’egregia rappresentante del Municipio e dai prece- denti oratori, nell’interesse dell’esercito ai cui studi in pace e alle cui operazioni in guerra è di somma importanza la cono- scenza delle condizioni del terreno, su cui deve muovere, vivere e combattere. Tale conoscenza non può acquistarsi che col con- corso della Geologia la quale pone in luce i caratteri del suolo, sia per ciò che riflette la direzione e conformazione dei rilievi orografici, sia per ciò che riguarda l’idrografia superficiale e sotterranea, la natura e la disposizione delle roccie. Ogni dimo- strazione sarebbe in questo luogo e in questa circostanza su- perflua; basterà qui accennare come nell’esercito, malgrado dif- ficoltà di varia natura, la utilità del fondamento scientifico per gli studi geografici e topografici, propugnata dal preopinante fin dal 1884 nella Rivista Militare e nel volume IV (1885) della Società Geologica Italiana, è ormai entrata nelle convinzioni della maggioranza degli studiosi. Infatti su tale base scientifica è ormai fondato l’insegnamento della geografia e topografia mi- litare alla Scuola di Guerra da molti anni, e tale indirizzo è pure seguito più o. meno estesamente in altri istituti militari, ed all’Istituto Geografico di Firenze, dove i topografi rilevatori acquistano le necessarie cognizioni assistendo alle lezioni di geo- grafia presso l’Istituto di Studi superiori. E molte pubblicazioni di monografie di importanti regioni vennero già fatte da uffi- ciali e dalla Scuola di Guerra, tra le quali è importante per lo scopo didattico quella fatta dal generale Porro per servir di guida agli ufficiali allievi di detto Istituto. Malgrado ciò e malgrado i 28 anni passati da che nell’eser- cito si è cominciato a seguire il nuovo indirizzo, mancano ancora gli elementi necessari alla decisa e precisa sua applicazione per mancanza di preparazione nelle scuole secondarie, per insuffi- cienza di materiali scientifici e di opportuno coordinamento. XLVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Per questo riguardo devesi fare appello all’opera dei geologi, ed è da desiderarsi una sollecita pubblicazione della carta geo- logica del nostro paese, anche nell’interesse stesso della scienza. Per vero dire l’opera dei geologi non fu del tutto estranea al- l’invocato sussidio; che oltre agli scritti dell’illustre prof. Tara- melli, in relazione all’influenza della natura geologica sui caratteri del terreno, ed all’appoggio da lui dato alla modesta propaganda fatta dal preopinante, devesi citare l’importante pubblicazione del prof. Fischer, La Penisola Italiana, con larga collabora- zione per la parte geologica dell’egregio socio ing. Novarese. Molti altri soci furono larghi di aiuti e di consigli a me ed agli ufficiali incaricati dell’insegnamento della geografia mili- tare, ed a quelli che di questi studi si interessano; ma è tempo ormai di propugnare che tale indirizzo scientifico sia esteso al- l’insegnamento della geografia nelle scuole del Pegno, il che non potrà avvenire, che con un maggior concorso della Geologia nella preparazione degli elementi che essa deve fornire e con una appropriata scelta degli insegnanti che devonsi per tali scuole reclutare. Il presidente Sacco dopo qualche parola di risposta e di rin- graziamento ai precedenti oratori, legge un applaudito discorso inaugurale sulla Funzione pratica della Geologia (’). Si dà per letto il verbale dell’adunanza del 24 marzo 1907 pubblicato nel 1° fase., voi. XXVI, del Bollettino e non essen- dovi osservazioni in proposito il Presidente lo dichiara approvato. Il Segretario legge le proposte di nuovi soci: 1. Bavagli dottoressa Maria, a Firenze, proposta dai soci De Stefani e Dainelli. 2. Chelussi dott. Italo, a Siena, proposto dai soci Sacco e Paroma. 3. Gemmellaro dott. Mariano, a Palermo, proposto dai soci Di Stefano e Checchia. 4. Negri dott. Giovanni, a Torino, proposto dai soci Parona e Prcver. (l) Pubblicato a pag. lxxi. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI XLVII 5. Nievo dott. capitano Ippolito, a Torino, proposto dai soci Parona e Prem. 6. Principi dott. Paolo, a Perugia, proposto dai soci De Ste- fani e Vinassa. 7. Stefanini dott. Giuseppe, a Firenze, proposto dai soci De Stefani e Dainelli. 8. Stegagno dott. Giuseppe, a Padova, proposto dai soci Sacco e Rovereto. L’assemblea approva ad unanimità. I nuovi soci Gemmellaro e Negri prendono parte all’adu- nanza. II Segretario informa che aderiscono al congresso o scusano l’assenza i consiglieri Bassani, Fucini, Matteucci, Pantanelli, Spezia, Statuti, Taramelli, il tesoriere Aichino, i soci Airaghi, Baldacci, Bucca, Cacciamali, Capellini, Dal Piaz, Dainelli, Frenguelli, Galdieri, Marinelli, Martelli, Mazzuoli, Nevianj, Parma, Sequenza, Stella, Viola, Zezi. Il presidente Sacco ricorda come la Società, nell’adunanza invernale, avesse deliberato, lasciando alla Presidenza il con- cretarne le modalità, un omaggio a S. A. R. il Duca degli Abruzzi in segno di riconoscenza per il grande impulso dato alle ricerche geologiche nel viaggio al Ruwenzori chiamando a far parte della spedizione il nostro consocio Roccati e per aver poi concesso che le primizie dello studio del materiale raccolto fossero pubblicate nel nostro Bollettino. Presenta, custodito in un elegante cofa- netto, un blocco di diorite labradoritica raccolto dal Roccati sulla più alta vetta del Ruwenzori che fosse libera da’ ghiacci. Al blocco, che ha presso a poco la forma di tronco di piramide (vedasi tavola), è fissata, con un cordone argenteo, una targa d’ar- gento dorato sulla cpiale è inciso l’emblema sociale e la iscrizione: A SUA ALTEZZA REALE LUIGI DI SAVOIA DUCA DEGLI ABRUZZI LA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA SULLA ROCCIA CRISTALLINA DEL RUWENZORI DA LUI CONQUISTATO ALLA SCIENZA L’ANNO MCMVI PORGE PLAUSO ED OMAGGIO. XLVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Si sperava die S. A. R. potesse presenziare la nostra riu- nione; ma impegnato nell’Italia meridionale colla squadra per la preparazione delle grandi manovre navali, Egli ha esternato, con telegramma, il suo rincrescimento di non potere intervenire al congresso, come sarebbe stato suo desiderio (*). L’assemblea applaude vivamente ed approva poi l’invio dei seguenti telegrammi : Duca Abruzzi — Napoli Società Geologica Italiana invia suo glorioso socio onorario plauso reverente omaggio dolente non poterlo fare personalmente Presidente Sacco. Ministro Agricoltura Società Geologica Italiana inaugurando XXVI congresso invia ri- spettoso saluto E. V. confidando continuerà ambito appoggio ed inco- raggiamento studi geologici Presidente Sacco. Senatore Giovanni Capellini — Porto Venere Colleglli Società Geologica Italiana qui convenuti XXVI congresso inviano affettuoso saluto al benemerito illustre socio fondatore Presidente Sacco. Si delibera pure un ringraziamento al Direttore dell’Istituto geografico militare per avere inviato al Congresso un saggio di carte topografiche' ed ^isometriche della regione piemontese; ed altro al Presidente della Società Astronomica italiana in risposta a gentile lettera di auguri e di fraterni saluti. Il presidente Sacco riferisce che, in conformità della deli- berazione dell’assemblea invernale, la Società prese parte alle onoranze ad Ulisse Aldrovaudi, che ebbero luogo a Bologna nel giugno scorso e vi fu rappresentata dal socio perpetuo senatore Capellini. Per mostrare quanto fosse grande l’ammirazione della nostra Società pel grande naturalista, credette opportuno di pre- C) A manovre navali terminate e precisamente il 25 ottobre, il Presidente col v. segretario Roccati presentarono a S. A. R., nel suo palazzo in Torino, il ricordo offerto dalla Società. 11 Principe l’aggradi assai, esternando sentimenti di gratitudine verso la Società per il gen- tile pensiero cosi felicemente concretato. c sz D. d E u. O u. BLOCCO DIORIT1CO DELLA VETTA DEL RUWENZORI COLLA TARGA AUREA SU CUI LA S. G. I. PORSE IL SUO PLAUSO A S. A. R. IL DUCA DEGLI ABRUZZI IN RICORDO DELLA GLORIOSA SPEDIZIONE SCIENTIFICA NELL’AFRICA CENTRALE Boll. Soc. geol. ital. Voi. XXVI 1907. ; m amÀ one .tatù imoraiur tributate ai 11 lisse hch ibrovar.ri. me ni' Centenario bella aia morte, memore che all’ ^ fbreuanbi l borato il priora uso, nel ia». bella parola iSìolocpa, e afe i sua JlWunr metallùum, pubblicato neliens, e quasi un primo trattato bi (&rolÌijia; mentre br%a a rappresentarla l’unico superstite ber suoi ^tre fondatori, T illustre suo JILnxlro perpetuerai. Senatore vjs hC&ionanni ClapefLiui.i o^c^fìosa bi ricordare rfie essa hi fondata appunto nella patria bi .quel Clranbe, durante il HUn^nesso ^eeWar liherna|icmalè , .tenutosi in ihioema nel settembre bel ioti, nella quale occasione i Cleomi bi norie parti rii monta inaugurarono là triluna ^tbnruanbi , ammirandovi i preziosi materiali scientiHri re Odiosamente conservati nell Istituto molaico universitario. Fausta Sacco pinxit ( 2/3 del vero ) E. Forma phot. PERGAMENA PRESENTATA PEL III.0 CENTENARIO ALDROVANDIANO IN BOLOGNA RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI XLIX sentare al Comitato delle onoranze, a nome della Società, un indirizzo su pergamena ('). Una relazione delle onoranze è stata latta dal socio Gortani ed i soci potranno leggerla negli atti di questo congresso (2). Presenta intanto la riproduzione fotografica della pergamena (vedasi tavola). Al VI Congresso geografico italiano che ebbe luogo in Ve- nezia nel maggio scorso la Società fu rappresentata dal socio Marinelli il quale ha inviato una dettagliata relazione in pro- posito, che sarà pubblicata nel Bollettino (3). La rappresentanza della nostra Società alla celebrazione del centenario della Società Geologica di Londra è stata affidata al consocio prof. Thomas Mac Kenny Hughes, che ha accettato ringraziando dell’onorevole incarico. La Presidenza manderà poi al momento opportuno una lettera con auguri e coll’espressione dei sensi di simpatia alla Società consorella. Infine il Presidente rammenta che i congressisti sono invitati per le ore 11.30' ad un ricevimento nel Palazzo Municipale e perciò sospende la seduta che sarà ripresa alle ore 21. * ❖ ❖ Dopo la seduta inaugurale i soci si recarono al Palazzo Muni- cipale dove ebbe luogo un ricevimento in loro onore ed ammirarono la splendida aula del Consiglio e le grandiose sale. Il commen- datore Bonelli, come rappresentante del Sindaco, e parecchi membri della Giunta fecero gli onori di casa, ed intanto ven- nero offerti dolci e rinfreschi. Il presidente Sacco ed il com- mendatore Bonelli si scambiarono ringraziamenti ed auguri a nome rispettivamente della Società e del Municipio, dopo di che, verso mezzogiorno, si sciolse il gradito convegno. Nel pomeriggio, verso le ore 14, i soci convennero nuova- mente nel Palazzo Carignano per visitarvi i musei di zoologia, di mineralogia e di geologia. Si intrattennero specialmente nel (‘) Il lavoro artistico fu gentilmente eseguito dalla signorina Fausta Sacco figliuola del Presidente. (2) Vedasi a pag. cui. (3) Vedasi a pag. ovili. L RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI museo geologico, ammirando le ricche ed ordinate collezioni paleontologiche, mentre il direttore prof. Paronà forniva a tutti notizie e schiarimenti. Il dott. Colomba fu di guida nel museo di mineralogia, ove con grande interesse si videro anche gli ap- parecchi che servirono al prof. Spezia per le sue brillanti espe- rienze sulla produzione artificiale del quarzo cristallizzato. Poscia i soci si sparsero per la città, alcuni salendo sulla Mole Antonelliana per godere il meraviglioso panorama, la maggior parte recandosi poi al Borgo e al Castello medioevali. Alle ore 17.30' i soci si riunirono nel Castello del Valentino, dove, visitati gli splendidi saloni, si esaminarono le ricchissime collezioni litologiche e mineralogiche che occupano mezza ala del Castello. Quindi ebbe luogo l’inaugurazione della collezione lito- logica del Ruwenzori donata da S. A. R. il Duca degli Abruzzi al Museo geologico del R. Politecnico di Torino. Caduto il velo coprente la vetrina di tale collezione, disse poche parole il presi- dente Sacco rilevando l’importanza scientifica della raccolta fatta con molto disagio nel centro dell’Africa ed elogiando l’attività del suo valente raccoglitore ed illustratore il socio Roccati. Questi distribuì ai colleglli la sua relazione sommaria sullo studio litologico del materiale e mostrò i più importanti cam- pioni collegando le notizie intorno ai medesimi colla narrazione di alcuni episodi della spedizione alla (piale prese parte come naturalista. Verso sera la simpatica riunione ebbe termine con un vermouth offerto dal Presidente. Seduta pomeridiana dell’8 settembre. Presidenza del prof. F. Sacco. La seduta è aperta alle 21 nella stessa sala del mattino. Sono presenti il presidente Sacco, il vice-presidente Portis, i consiglieri Di Stefano, Rovereto, Tommasi, l’archivista Crema, i soci Baratta, Bentivoglio, Caffi, Cardinali, Cerulli-Irelli, Checchi a, Colomba, De Alessandri, De Pretto, Dervieux, Di Franco, Calzoni, Ferrerò, Fino, Forma, Gemmellaro, Gor- RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LI tani, Lattes, Maddalena, E. Mariani, Matti rodo, Novarese, Pa- rona, Peola, Prever, Riva-Palazzi, Roccati, Yinassa de Regny ed il segretario Clerici. Si procede alla commemorazione dei soci defunti ed il Se- gretario legge le necrologie del comm. ing. Nicola Pellati e del comm. ing. Lamberto Demarchi compilate dal socio Bal- dacci: quella del dott. Benedetto Corti compilata dal socio Tarameli i; quella del prof. Pasquale Franco redatta dal socio Scacchi, quella del rev. Carlo Fabani compilata dal socio Neviani e quella del prof. Mariano Bargellini inviata dal socio Pantanelli ('). Il Presidente annunzia, con dispiacere, un’altra grave per- dita per la Società nella persona del socio ing. Giuseppe Lanino, membro dell’ispettorato centrale delle ferrovie dello Stato, morto in Bardonecchia l’8 agosto e ne ricorda i grandi meriti (2). Aggiunge poi brevi notizie in memoria del socio prof. Carlo Mayer Eymar di Zurigo, riserbandosi di redigerne la necrologia. Infine, poiché la Società tiene il suo congresso in Torino, ed oggi ricorre il secondo anniversario della morte di Martino Barbiti, che per molti anni vi insegnò Geologia in questa stessa aula del Congresso e per oltre un ventennio studiò la costitu- zione geologica delle Alpi circostanti, dà un cenno sul com- pianto geologo piemontese ricordandone i lavori (3). Il Segretario riferisce che essendo esaurita l’ultima edizione dello Statuto e dei Regolamenti sociali il Consiglio ha deliberato di farne una nuova edizione ■ aggiornata, da distribuirsi a tutti i soci. In questa occasione il Consiglio ha ritenuto opportuno di ritoccare alcuni articoli del Regolamento pel premio Molon e di ciò si domanda l’approvazione dell’assemblea. Al primo articolo vengono soppresse due linee ove dicevasi dell’ammontare annuo della rendita, poiché ora esso è cambiato e varierà ancora in avvenire. (*) Queste necrologie sono pubblicate rispettivamente a pag. cxiv, cxvin, cxx, cxxm, cxxvi e cxxvm. (2) Vedasi la necrologia a pag. cxxix. (3) Vedasi a pag. cxxxi. LII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI L’art. 3° come ora è redatto trovasi in contradizione colla disposizione testamentaria secondo la quale una commissione di tre membri pure eletti dal Consiglio direttivo « giudicherà le memorie da premiarsi a maggioranza di voti»; perciò alle pa- role: « si discuterà e si approverà il rapporto della Commissione aggiudicatrice », dell’attuale art. 3° si sostituisce: «si procla- merà il risultato del concorso secondo le decisioni della Com- missione aggiudicatrice ». L’art. 7°, che era di carattere transitorio, resta soppresso. All’art. successivo, che prende il n. 7, si sopprime l’inciso: « previo accordo con gli eredi del donatore ». L’assemblea approva ad unanimità. 11 Segretario presenta una lettera del socio Sequenza colla quale illustra la proposta che la Società faccia voti a S. E. il Ministro della Guerra perchè voglia abolire la esistente proi- bizione della vendita e dell’uso in campagna di alcuni fogli della carta topografica d’Italia; divieto che, mentre nuli rag- giunge lo scopo di impedire la divulgazione di dettagli strate- gici, perchè tali fogli furono già messi in vendita prima della proibizione, riesce di grande ostacolo al progresso degli studi geologici perchè viene a privare di un mezzo di prima neces- sità per le ricerche e per gli studi stessi. Il socio Kiva-Palazzi dice che alcuni fogli al 25000 vengono concessi ad ufficiali, ma con speciali garanzie; proporrebbe che la Presidenza della Società fornisse la necessaria garanzia pei soci che hanno bisogno di tali carte. 11 socio Novarese fa notare che anche l’Ufficio geologico incontra molte difficoltà per avere le tavolette occorrenti ai propri lavori. Il Segretario fa osservare che la questione fu già discussa in altra adunanza senza alcun risultato pratico ('). Dopo altre osservazioni dei soci Baratta, Crema e Gortani, l’assemblea approva la proposta del socio Vinassa che, siccome la questione fu inutilmente trattata in altri congressi, venga portata alla Commissione d’inchiesta sull’esercito. {*) Vedasi Bollettino, voi. XXIV, pag liv, e voi. XXV, pag. XXVIII. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LUI L’archivista Crema anche a nome di altri soci fa notare che nella lunga lista degli enti e delle persone alle quali l’Istituto Geografico Militare concede una riduzione di prezzo sulle sue pubblicazioni non è compresa la nostra Società. Constandogli che tale concessione si otterrebbe senza difficoltà, crede che la Presidenza potrebbe richiederla, e ne fa formale proposta. Pro- pone pure che analogo trattamento di favore sia chiesto al Mi- nistero di Agricoltura, Industria e Commercio per le pubblica- zioni dell’Ufficio Geologico. Dopo alcune osservazioni del presidente Sacco e dei soci Baratta e Yinassa ed una breve replica dell’archivista Crema, l’assemblea approva entrambe le proposte. Il segretario Clerici dice che in una recente escursione al Vesuvio avendo visitato il IL Osservatorio ne riportò la più penosa impressione per lo stato dell’edificio che manca di un qualsiasi laboratorio scientifico, per la povertà degli strumenti e delle raccolte. Gli stranieri, naturalisti o semplici turisti, pur sempre persone di una certa coltura, che numerosi visitano l’os- servatorio devono farsi un concetto poco lusinghiero dei nostri istituti scientifici governativi . Propone che la Società emetta un voto, od esprima una raccomandazione, affinchè l’Osserva- torio sia posto in condizioni da potere vantaggiosamente servire ai progressi della Scienza. Il socio Baratta fa sapere che la Società sismologica ha deciso di dotare, a proprie spese, l’osservatorio di tre sismografi. Il socio Gortani vorrebbe che il Governo concedesse almeno i mezzi per pubblicare le osservazioni e gli studi che il diret- tore Matteucci disse di aver fatti. Dopo queste osservazioni l’assemblea approva la raccoman- dazione proposta dal segretario Clerici. Quindi il presidente Sacco, colla scorta di due grandi carte geologiche murali, illustra il programma delle escursioni del giorno 9 a Pianezza, Casellette ed Avigliana; del giorno 10 a Superga ed a Baldissero, e del giorno Ila Gassino. La seduta è tolta alle 23. LI V RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI % * ❖ Alle ore 6.15' del giorno 9 si parti da Torino in tram per Pianezza, onde visitare l’importante e grandiosa sezione fluvio- glaciale della Dora Riparia e il gigantesco masso erratico Ga- staldi. Quindi si attraversò una parte dell’anfiteatro morenico di Rivoli. Presso Casellette si sostò al grande masso erratico di Ser- pentina che la Socicté Géologique de France nel 1905 dedicò al professore Sacco inaugurando la lapide relativa. A Casellette si videro le cave di Magnesite e si raccolsero svariati campioni di Lherzolite, Eufotide, Serpentina, Magnesite ed Opale. Alle ore 13 si era ad Avigliana a pranzo. Poi si salì all’antico Ca- stello esaminando la rupe prasinitica che presenta belle liscia- ture e striature glaciali e trattenendosi lassù ad ammirare il grandioso panorama dell’anfiteatro morenico. Fatto il giro del lago grande, si ripartì per Torino in ferrovia (*). ❖ * * Il giorno 10 ebbe luogo l’escursione a Superga ed a Bal- dissero. Partiti in tram alle 7.40', si salì a Superga colla fu- nicolare. Si visitò dapprima la basilica e le tombe di Casa Savoia, e poscia dirigendoci verso Baldissero, si passò ad esaminare parecchie sezioni degli orizzonti Aquitaniano, Langhiano ed El- veziano, raccogliendo parecchi fossili nelle stratificazioni marnose ad arenacee e discutendo sulla origine degli interessanti conglo- merati. Ritornati a Superga, si pranzò, discendendo poi a Torino colla funicolare verso le 20 (?). Adunanza del IO settembre. La seduta è aperta alle 21,15 nella stessa sala del Palazzo Carignano. Sono presenti il presidente Sacco, il vice-presidente Portis, i consiglieri Di Stefano e Tommasi, l’archivista Crema, i soci (*) Per la relazione dettagliata dell'escursione vedasi a pag. cxxxv. (!) Per la relazione di questa escursione vedasi a pag. cxlv. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LV Ambrosioni, Bentivoglio, Bibolini, Caffi, Cardinali, Cerulli- Irelli, Checchia, Ciofi, Cortese, Dervieux, Di Franco, Fal- zoni, Forma, Franchi, Gemmellaro, Gortani, Maddalena, Ma- riani, Mattirolo, Negri, Niccoli, Novarese, Parona, Preyer, Riva-Palazzi, Tonini, Toso, Vinassa de Regny, Zamara e il segretario Clerici. Il Presidente presenta i telegrammi pervenuti in risposta: Presidente Società Geologica Castello Valentino — Torino. Ringrazio dolente non avere potuto intervenire perché trattenuto Napoli colla scpiadra. Luigi di Savoia. Professore Sacco, presidente Congresso Società Geologica Ita- liana — Torino. Ringrazio saluto che ricambio Lei Colleglli auguro lavori Congresso riescano giovevoli non meno precedenti progresso scienza geologica ita- liana ed assicuro mio grande interessamento appoggio questo Ministero loro studi. Cocco Ortu. Professore Sacco, presidente Congresso Società Geologica Ita- liana — Torino. Commosso gentile ricordo colleglli dilettissimi ricambio affettuo- sissimi saluti augurando successo interessantissime escursioni Lei duce valoroso, seguirolli pensiero regioni visitate 1856, 1862. Capellini. Il Segretario a nome del tesoriere Aichino presenta e mette a disposizione di chi volesse esaminarlo l’incartamento relativo al Bilancio consuntivo del 1906 della Società e dell’ Ammini- strazione del legato Molon, i cui prospetti riassuntivi seguenti furono già distribuiti a tutti i soci: Amministrazione del legato Molon. Attivo. Interessi rendita con- solidata . . . L. 680 — Cassa al 1° gennaio 1906 .... » 3142,77 Passivo. Tassa di manomorta. L. 32 — Cassa al 31 dicembre 1906 .... » 3790,77 Totale . . . L. 3 822,77 Totale . . . L. 3 822,77 LVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Bilancio consuntivo dell’anno 11)06. Attivo. 1. Tasse sociali . . L. 3 005 — 2. Interessi del legato Molon .... » 340 — 3. Interessi diversi . » 996,83 4. Vendita di Bollet- tini » 446 — 5. Sussidio del Mini- stero di Agric. Ind. e Comm. » EOO — 6. Vendita distintivi sociali .... » 34,50 Totale . . . L. 5 322,33 Partite di giro. Rimborsi da soci . » 568,50 Deposito per Ca- sella postale. . » 10 — Cassa al 1° gennaio 1906 » 747,25 Totale . . . L. 6 448,08 Passivo. 1. Stampa del Bol- • lettino . . . L. 3 484,60 2. Contributo spese tavole e altre illustrazioni » 677,34 4, Spese postali . . » 323,62 5. Spese di cancel- leria, circolari, marche da bollo. » 231,25 6. Tassa di mano- morta. . . . » 27,52 7. Rimborso spese viaggi al Se- gretario ed al Tesoriere . . » 41 90 8 Per aiuti al Segre- tario .... » 24 — 9. Spese diverse ed eventuali . . » 99,80 Totale . . . L. 4 910,03 Partite di giro. Spese per conto soci .... 568,50 Deposito per Ca- sella postale . » 10 Avanzo al 31 dicem- bre 1906. . . » 1 159,55 Totale . . . L. 6 448,08 Il Segretario legge la seguente relazione della Commissione del Bilancio: I sottoscritti Commissari del Bilancio, avendo esaminato attenta- mente i bilanci consuntivi per l’anno 1906 della Società Geologica Ita- liana e dell’Amministrazione del Legato Molon, con tutti i documenti relativi, sono lieti di dichiarare di averne riscontrata la perfetta rego- larità contabile. E volentieri colgono questa opportunità per segnalare ai Colleglli l’intelligenza e l’amore, con cui il novello Tesoriere-economo, in- RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LVII gegnere G. Aichino, disimpegna la delicata, laboriosa ed importante mansione. Roma, 25 giugno 1907. A. Verri. Gioacchino De Angelis d’Ossat. Mario Cermenati. Senza discussione c con distinte votazioni ambedue i bilanci vengono approvati all’unanimità. Per acclamazione l’assemblea approva l’invio di un tele- gramma al tesoriere Ingegnere Giovanni Aichino Ufficio geologico — Roma Colleglli Società Geologica fanno plauso operosità tesoriere inviano ringraziamenti cordiali saluti. Presidente Sacco. L’archivista Crema rende conto all’assemblea di alcuni prov- vedimenti, adottati dietro sua proposta dal Consiglio, per una migliore sistemazione della biblioteca sociale come l’acquisto di scaffali ecc. e la formazione di un nuovo catalogo a schede. An- nunzia inoltre che a diminuire la mole dell’archivio il Consiglio ha deliberato: a) che le bozze di stampa licenziate dagli autori e quelle col visto del Presidente per la stampa si distruggeranno d’ora innanzi dopo l’adunanza immediatamente successiva alla pubbli- cazione del fascicolo del Bollettino al quale si riferiscono; b) che lo stesso si farà per i manoscritti che fossero even- tualmente rimandati dagli autori unitamente alle bozze, nonché per gli originali delle tavole non richiesti dagli autori; c) che la corrispondenza relativa agli affari di ordinaria amministrazione, salvo quelle eccezioni che fossero ritenute op- portune a giudizio dell’archivista, verrà distrutta dopo un pe- riodo di due anni; (I) che per la conservazione dei documenti contabili si seguiranno le disposizioni di legge e le consuetudini delle so- cietà affini alla nostra. V LVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI L’Archivista infine segnala alla riconoscenza dell’assemblea lo zelo spiegato dal suo predecessore prof. Neviani per la con- servazione e la sistemazione dell’archivio e della biblioteca. L’assemblea applaude e delibera di inviare il seguente tele- gramma: Professore Antonio Neviani Liceo Visconti — Roma Colleghi Società Geologica riconoscenti operosità vantaggio sociale inviano fraterni saluti. Presidente. Sacco. Dovendosi procedere alle elezioni del vice-presidente e di quattro consiglieri il Presidente nomina scrutatori i soci Ce- rulli-Irelli e Falzoni e consegna loro le schede raccolte. Il Segretario legge l’elenco delle memorie e note presentate dai soci per essere pubblicate nel Bollettino: Bellini IL, A proposito di alcune discussioni sull’origine dei conglomerati oligo-miocenici delle colline di Torino (2 aprile 1907). Capeder G., Sulla esistenza di una componente orizzontale nei movimenti di emersione delle coste Picene sull’ Adriatico (7 maggio 1907). Nelli IL, Formazione calcarea dello scoglio Troia, litorale livornese (24 maggio 1907). Nelli IL, Il Miocene del Monte Titano (24 maggio 1907). Portis A., A proposito di avanzi elefantini recentemente scoperti nella valle del Po (1° luglio 1907). Cacciamali G. IL, Sulle glaciazioni quaternarie (10 luglio 1907). Roccati A., Nell' Uganda c nella catena del Ruuenzori - Relazione preliminare, stille osservazioni geologiche fatte durante la spedizione di S. A. R. il Duca degli Abruzzi (14 luglio 1907). Colomba L., Sul vulcanismo di Fort Portai (25 luglio 1907). Del Campana I)., Fossili della Dolomia principale della Valle del Brenta (8 agosto 1907). Ta ramerei T., Della utilizzazione dei laghi e dei piani la- custri di alta montagna per sopperire alle magre dei nostri fiumi (7 settembre 1907). RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LIX Sacco F., Gli Abruzzi (8 settembre 1907). Stefanini GL, Conoclipeidi e Cassidulidi conoclipei formi (8 settembre 1907). Peola P., Impronte vegetali del Carbonifero dell’ Illinois (S. TJ. d’ America) (9 settembre 1907). 11 socio Prever preannunzia una sua memoria: I terreni quaternari della valle del Po dalle Alpi Marittime alla Sesia. Il Segretario presenta l’elenco degli omaggi pervenuti alla Società dopo l’adunanza invernale: Alpi Giulie, Rassegna bimestrale della Società Alpina delle Giulie, anno XII, (alcuni num.) 8°. Trieste, 1907. Associazione mineraria sarda, Resoconti delle riunioni, anno XII, (alcuni num.). Autran E.: Les parcs nationaux argentina. 8°. Buenos Aires, 1907 (Mi- nist. Agricult.). Bassani F.: Di una piccola bocca nel fondo della Solfatara di Pozzuoli, con alcune considerazioni sulla opportunità di uno studio sistematico di questo cratere e dei lenti movimenti del suolo presso il Serapeo. 8°. Napoli, 1907. Bassani F. e Chistoni C.: Delazione sulla opportunità di uno studio sistematico della Solfatara e dei lenti movimenti del suolo presso il Serapeo di Pozzuoli e sui mezzi più opportuni per attuarlo. 8°. Na- poli, 1907. Bassani F. e Galdieri A.: Sui vetri forati di Ottaiano nella eruzione vesuviana dell’aprile 1906. 8°. Napoli, 1907. Bellini R. : Etudes de Malacologie napolitaine. 8°. Bruxelles, 1907. Boletin del Ministerio de Agricultura. 8°. Buenos-Aires, 1907, (t. VII, n. 3). Braun G.: Ueber Erosionsfiguren aus dem nòrdlichen Appennin. 8°. Kd- nigsberg, 1907. Ciofalo M.: Sulla posizione delle rocce a Lepidocicline nel territorio di Termini- liner ese. 8°. Palermo, 1907. Colomba L. : Osservazioni cristallografiche su minerali di Brosso e Tra * versella. 8°. Roma, 1906. — Apofillite di Traversella. 4°. Roma, 1907. — Osservazioni mineralogiche sui giacimenti auriferi di Brusson (Valle d’Aosta). 8°. Torino, 1907. Couturat L.: Per la lingua internazionale. 8° Coulommiers, 1906. Herniksen G.: Sundry Geologica 1 Próblems. 8°. Cbristiania, 1907. Issel A.: Le nuove incisioni rupestri alpine illustrate da C. Bicknell. 8°. Parma, 1903. LX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Issel A.: Terminologia geografica relativa alla configurazione orizzon- tale della terra emersa, a / mare e alle profondità marine. 8°. Ge- nova, 1904. — Saggio di un nuovo ordinamento sistematico degli alvei e delle rive marine. 8°. Genova, 1905. — Escursion géologique dans les environs de Génes. 8°. Genova, 1905. — Il concetto della direzione nei corsi d’acqua. 8°. Firenze, 1907. — L’apprezzamento dei colori nelle scienze naturali. 8°. Milano, 1907. Johnston Lavis: Sur une piate-forme néolitique à Beaulieu ( Alpes - Maritimes). 8°. Monaco, 190G. - — Notes on thè Eruption of Vesuvius Aprii 1906. L’Appennino Centrale, Bollettino bimestrale del Club escursionisti di Jesi e della Sezione di Jesi del C. A. I., IV, n. 2. 8°. Jesi, 1907. Levat M. D. : Notice géologique et minóre sur le bassin cuprifere du Kouclou-osiaii (Congo Francois). 8°. Paris, 1907. Madonna Verona fase. I. 8°, Verona 1907 (contiene anche Nicolis E., Salone di paleontologia del Museo civico di Verona). Millosevich F. : Appunti di Mineralogia Sarda,- Ematite di Padia. 8°. Roma, 1907. — Le rocce vulcaniche del territorio di Sassari e Porto Torres (Sardegna) . 8°. Roma, 1907. Nicolis E.: Studio preventivo dello studio generale sulla circolazione interna delle acque nei terreni costituiti da materiali di trasporto nel Veneto occidentale (Legione veronese e finitime). 8°. Perugia, 1905. — Acque ascendenti e salienti la riviera veronese del Garda. 8°. Mi- lano, 1907. — Di un fenomeno carsico collegato all’idrologia delle colline calcari presso Verona. 8°. Perugia, 1907. — Geologia applicata agli estimi del nuovo catasto (provincia, di Verona). 8n. Verona, 1907. Passerini N.: Contributo allo studio della composizione delle ceneri e dei lapilli eruttati dal Vesuvio durante il periodo d’ attività dell’a- prile 1906. 8°. Firenze, 1906. Raffaelli G. C.: La pioggia in Liguria. 8°. Milano, 1907. — La pioggia in vai Scrivia e in vai Trebbia, contributo alla Climato- logia dell’ Appennino Settentrionale. 8°. Genova, 1907. Ricciardi L. : L’unità delle energie cosmiche. 8°. Napoli, 1907. Scalia S. : Il Postpliocene dell'Etna. 4". Catania, 1907. South Australia (Northern Territory): Officiai Contributions to thè palaeontologia of South Australia, by R. Etiieridge jun and Record of Northern Territory borine) operations li. Y. L. Brown; gouv. geologist. 4°. Adelaide, 1907. Toniolo A. R. : Osservazioni e riscontri sui ghiacciai del gruppo della Marmolada (autunno 1906). 8". Pavia, 1907. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI' LXI V ASHINGTON H. S : The Rowan comagmatic region. 8°. Washington, 1906. Zentrale fur Bergwesen G. m. b H. zu Frankfurt ah Main, Bericht iiber das fiinfste Geschafts-jahr 1906. 4°. Frankfurt ani M., 1907. Il socio Franchi esprime anzitutto il rammarico di non potere, causa l’inattesa lentezza del lavoro litografico, presentare ai Colleglli la carta geologica delle Alpi occidentali al 400,000 promessa nella riunione invernale dal compianto Direttore N. Pel- lati e ne mostra un esemplare coi contorni geologici in nero e colla leggenda. Accenna in seguito alla divisione in zone tettonico- strati grafiche della catena alpina, ed enumera quelle che sono attraversate dalla Valle d’Aosta: 1° La zona diorito-kinzigitica Ivrea-Verbano, rappresentata dalle roccie diorito-noritiche d’Ivrea. 2" La zona permo-triasica Montaldo-Ceresito-Sessera-Scopello- Rimella-Campello-Finero (calcari triasici, scisti e porfidi di Mon- taldo-Dora e del Lago Nero. 3° Il massiccio Dora-Val di Lanzo che si attraversa fra Montaldo e i pressi di Verrès. 4° La zona delle Pietre verdi continua lungo la valle, da questa località fin oltre Villencuve, malgrado le suddivisioni di essa e le compli- cazioni appena ci si scosta dalla valle principale verso setten- trione e verso mezzogiorno. Il socio Novarese, che studiò la regione tra Aosta e Ville- ncuve, espone come lungo la valle principale appaiano costipate le nne contro le altre le fasce di calcescisti e rocce verdi che avvolgono a N. i massicci del Mont Mary e della Dent-Blanche ed a S. quelli del Gran Paradiso, del Mont Emilius e del Gran Nomenon. L’ing. Franchi riprende la parola trattando della zona degli gneis minuti e micascisti. detta del Gran S. Bernardo; della sinclinale di Pietre verdi in essa inclusa in Valle Grisanche, sinclinale che attraversa la valle ad Avise, ed entra poscia ad illustrare un grande profilo murale schematico fra il Monte Grand’Assaly ed il Colle del Gigante. Egli espone le principali questioni che a quel profilo si riferiscono: quella dell’età delle Pietre verdi, degli scisti addossantisi al Mont Chétif e della sin- clinale di Val Veni. Esprime la convinzione di potere, nelle brevi gite, dimostrare ai Colleglli clic vi è identità fra la zona sincli- nale cristallina basica di Courmayeur e la famosa zona delle lxii RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Pietre verdi, ed esprime l’augurio che la presenza di valenti ricercatori e studiosi di fossili possa contribuire a togliere alcuni dei dubbi ai quali egli ha accennato sull’età degli scisti del Chétif e di Val Veni. Il Presidente ringrazia l’ing. Franchi per la lucida espo- sizione e per avere accettato insieme al collega Stella, di gui- dare i congressisti nelle escursioni alpine dei giorni successivi. L’assemblea applaude. Di poi essendosi compiuto lo spoglio delle schede il Presi- dente proclama l’esito della votazione: Votanti 70. Vice-presidente pel 1908: Di Stefano prof. Giovanni con voti Gl. Consiglieri pel triennio 1908-1910: Parona prof. Carlo Fabrizio con voti 59 Baldacci ing. Luigi » 45 Canavari prof. Mario » 45 Neyiani prof. Antonio » 43 Ottenne poi maggiori voti per l’elezione a consigliere il socio Colomba (10 voti). 11 Presidente prega il socio Roccati di volere redigere pel Bollettino la relazione della escursione di Pianezza- A vigliana ; il socio Prever quella delle gite di Superga-Baldissero e di Gassino; il socio Franchi quella delle escursioni nell’alta Valle d’Aosta, ed avutane l’accettazione dell’incarico li ringrazia a nome della Società. Infine il Presidente ricorda che in Parma avrà luogo il Congresso indetto dal Comitato ordinatore della Società Italiana per il progresso delle scienze, e augurando il migliore esito al Congresso medesimo, spera che molti soci vi interverranno. La seduta è tolta alle 22,30', RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LXIII * * * Alle 7.15' del giorno 11 si partì alla volta di Gassino ('). Nella valle del Rio Maggiore si videro marne e conglo- merati fortemente inclinati, talvolta quasi verticali: si visitò una cava ove i conglomerati oligocenici sono estratti per farne pietrisco. Cava di pietrisco nei conglomerati oligocenici. (Da una fotografìa del doti. G. Ciofi). Poco oltre si raccolsero Nummuliti ed Ortofragmine negli strati sabbiosi di passaggio dall’Oligocene all’Eocene. Ancora più avanti si raggiunse il calcare eocenico molto fossilifero detto di Gassino e se ne esaminò una cava. Il proprietario signor Vaudetti colla sua gentile famiglia fece ai congressisti la più lieta accoglienza. (>) La relazione della escursione ai dintorni di Gassino trovasi a pag. cxlix. LXIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Dopo la colazione, fatta al Pedaggio di Bussolino, si visitarono le cave Defilippi interessanti la parte più antica della formazione eocenica di Gassino, raccogliendovi buona mèsse di fossili. Verso le 16 con vetture si andò a Chivasso donde si partì alle 18,50' in Veduta di parte della cava del Calcare eocenico. f/)a una fotografia del doti. II. Ciofi). ferrovia per Aosta, ove si giunse alle 23,30'. Malgrado l’ora tarda molte gentili persone si trovarono alla stazione a ricevere i congres- sisti: l’avv. Ridof.fi rappresentante il Sotto Prefetto, il cav. Viola con alcuni assessori e consiglieri, il sig. Amedeo Chiuminatti rap- presentante del Club Alpino; diversi membri dell’Associazione Valdostana pel movimento dei forestieri col notaio cav. Ottavio RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LXV Donnet, il rag. Emilio Vietti ed il segretario prof. Lucat che ci accompagnarono all 1 Hotel Suisse, ove si era stabilito di pernot- tare. La benemerita Associazione Valdostana volle pure offrire un ricco rinfresco. * * * 12 settembre. — Alle 6 partenza da Aosta per Courmayeur; alcuni in vettura, altri in automobile ('). Lungo la strada è un Frattura ''nei micascisti della zona del Gran S. Bernardo con superfici levigate i i ghiacciai, attraversata dalla strada poco a monte di Liverogne. (Da una fotografìa delting. S. Franchi). succedersi continuo di meravigliose vedute. Si fa una prima fer- mata presso Sarre per visitare una cava di calcescisto della zona delle Pietre verdi. A Liverogne si vedono gneiss e mica- (') Per la relazione scientifica delle escursioni nell’alta Valle d’Aosta vedasi a pag. clvi. LXVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI scisti della zona del Gran S. Bernardo; ad Avise calcescisti, gessi e calcari cristallini in sinclinale. A Derby si fece lina più lunga fermata per esaminare e raccogliere campioni degli scisti filladici del Carbonifero con lenti di antracite e per gra- L’orrido di Pré-Saint-Didier. fDa una fotografia del doti. Af. Gortani). dire una degustazione di vini del paese cortesemente offerta dal rev. Aimonod parroco di Derby e contracambiare i gentili saluti del Sindaco Ottavio Donnei. A Pré-Saint-Didier si scese per visitare la sorgente termale, che alimenta un elegante e rinomato stabilimento balneario, e l’orrido, profonda incisione nei calcescisti della zona a be- lemniti della limile. Il Sindaco Cyprien Savoye venne a salii- RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LXVII tarci ed i signori cav. Orset e Luigi Plassier, proprietari di quello stabilimento, offrirono uno squisito rinfresco. A mezzogiorno si arrivò a Courmayeur; il Sindaco cav. uff. Laurent Savoye aveva mandato incontro a salutarci l’assessore Clusse e la banda comunale. All’ Hotel dii Mont Blanc, ove si scese, il proprietario cav. Donnei offrì un vermouth d’onore. Dopo la colazione i colleglli Cerulli-Irelli, Cjofi e Falzoni si staccarono dalla comitiva col proposito di salire al Colle del Gigante (1), pernottare al rifugio Torino e di ritrovarci insieme rindomani al lago di Combal. La comitiva, della quale facevano pure parte la signora Cor- tese e la signorina Teresita Parona, si avviò intanto a La Saxe osservando i porfidi laminati e i calcari galeniferi del trias ; quindi risalì la morena di sinistra del ghiacciaio della Brenva, traversò il ghiaccio, superò la morena di destra e ridiscese allo Chalet de Purtud donde fece ritorno a Courmayeur, osser- vando presso N. D. de la Guérison scisti giuresi piritiferi, e belle superfici arrotondate e con striature glaciali. * * * Il giorno 13, di buon mattino, la comitiva si divise in due gruppi. Un gruppo guidato dall’ing. Franchi, si recò in auto- mobile all’Ospizio del Piccolo S. Bernardo, osservando per via i calcescisti, i calcari cristallini, le breccie poligeniche e una lente di prasinite, poi gessi e carniole e i terreni antracitiferi filli- tiferi del Carbonifero. L’altro gruppo, col Presidente, e sotto la guida dell’ing. Stella, seguì il programma prestabilito, salì al Colle di Chécoury vedendo carniole ed alternanze di scisti mi- cacei passanti a calcescisti, quindi i calcari dolomitici ed il loro contatto coi porfidi laminati di M. Chétif. Nel rimanente del lungo cammino il tempo piovoso non permise che poche osservazioni isolate. La colazione anziché all’aperto al lago di Combai, dovette farsi al riparo all’Arp Vieille d’en Bas, ove il cav. Donnei in persona aveva fatto approntare ogni cosa in (') Vedasi la relazione a pag. clxxxviii. LX Vili RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI modo superiore ad ogni elogio. Quivi si riunirono anclie i col- leghi di ritorno dal Colle del Gigante. Dopo la colazione il gruppo si suddivise ancora ; una parte discese direttamente per la Val Veni a Courmayeur, l’altra col Presidente ed il Segretario si recarono ancora al ghiacciaio del Miage specialmente per ammirare il grazioso laghetto intermo- renico sulle cui torbide acque galleggiano numerosi blocchi di ghiaccio, veri iceberg in miniatura. Adunanza del 13 settembre a Courmayeur. Presidenza del prof. F. Sacco. La seduta c aperta alle ore 18.15' in una sala de\V Hotel du Moni Piane a Larzey frazione di Courmayeur. Sono presenti il presidente Sacco, il vice presidente Portis, i consiglieri Di Stefano e Tommasi, l’archivista Crema, i soci Ambkosioni, Benti voglio, Pisolini, Pruno, Cardinali, Cerulli- I selli, Ciofi, Colomba, Cortese, I)e Alessandri, Deryieux, Di Franco, Falzoni, Gemmellaro, Gortani, Lotti, Maddalena, Mariani E., Monetti, Negri, Parona, Stella, Tonini, Vinassa de Eegny ed il segretario Clerici. 11 presidente Sacco giustifica di aver anticipato l’ora della adunanza per aderire alla richiesta di parecchi soci i quali desiderano partire subito dopo il pranzo, visto clic il cattivo tempo non permette di eseguire alcune escursioni supplementari progettate. 11 Segretario legge le proposte di nuovi soci: 1. Artini prof. Ettore, a Milano, proposto dai soci Sacco e Parona. 2. Roccati don Matteo, a Torino, proposto dai soci Sacco e Colomba. 3. Schmidt prof. Carlo, a Pasilea, proposto dai soci Stella e Mariani. L’assemblea approva ad unanimità. LXIX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Il nuovo socio prof. Artini, che ci ha onorato colla sua dotta compagnia in tutte le escursioni precedenti, prende parte alla seduta ed e accolto con unanime applauso. Egli ringrazia il Presidente ed i Colleghi per la festosa accoglienza fattagli. Il presidente Sacco domanda se alcuno desideri schiarimenti sulle cose vedute o se abbia comunicazioni in proposito da fare. Ringrazia i colleglli che numerosi hanno partecipato al Congresso e quelli che lo resero più utile colle loro spiegazioni ed osser- vazioni; invia pure un ringraziamento alle autorità e a tutte quelle gentili persone che hanno in ogni modo contribuito alla buona riuscita delle riunioni, ricordando specialmente le tante cortesie ricevute nella regione valdostana, ad Aosta, La Salle, Pré-S.- Didier e Courmayeur, ed infine accenna all’opera modesta ma preziosa dei segretari Clerici e Roecati. Il socio Mariani propone, e l’assemblea approva unanime, un plauso al Presidente per l’interessante programma c per l’operosità con cui lo ha sviluppato in ogni sua parte con piena soddisfazione di tutti i soci. Il socio Tommasi manda un saluto ai Colleglli assenti. Il socio Parona, fra gli applausi, propone un ringraziamento ai colleglli Franchi e Stella per la loro valida opera nelle due ultime escursioni. Essendo esaurito l’ordine del giorno, il Presidente toglie la seduta alle 18,45' dichiarando chiuso il Congresso. ❖ * * Dopo la seduta e chiuso il Congresso, la numerosa comitiva si riunì a pranzo nel grande salone deWHótel du Mont Blanc, e fu maggiormente allietata dalla presenza del cav. Donnet che aveva accettato il nostro invito. Cordialità e brio come sempre. Numerosi i brindisi: applau- ditissimo il cav. Donnet, al quale, per quanto abbia brindato il nostro Presidente con caldi ringraziamenti a nome della So- cietà, non sapremmo in modo adeguato esprimere la nostra ri- conoscenza per quanto fece per la buona riuscita delle nostre escursioni. LXX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Il tempo sfavorevole fece abbandonare i progetti già con- cretati di escursioni supplementari. Ebbero luogo soltanto quella in Val di Cogne (*) e quella a Erosso e Traversala (?). Alcuni soci partirono nella notte, la maggior parte al mat- tino successivo. Alcuni altri col Presidente ed il Segretario, poiché il tempo era migliorato, rimandarono la partenza al po- meriggio per vedere meglio alcune cose dei dintorni, visitare lo stabilimento balneare-solfureo della Saxe, e risalire la Val Ferret osservandone gli imponenti ghiacciai e raccogliendo campioni di roccie. Il Segretario Enrico Clerici. (') Vedasi a pag. cxcii. (2) Vedasi a pag. cxciv. APPENDICE LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA Discorso Presidenziale del prof. Federico Sacco Nel periodo turbinoso ed utilitario in cui oggi viviamo, ben spesso sentiamo gettata in faccia alla Scienza l’accusa di esser troppo astratta, poco pratica, insomma troppo poco utile alla Società. Orbene, siccome a tale critica non sfugge neppure la Scienza geologica che noi coltiviamo, e l’accusa non solo è assoluta- mente infondata ma anche affatto contraria al vero, così sem- brami sia dover nostro ribatterla, ciò che del resto è cosa fa- cile ed anzi ci porta naturalmente a mostrare la pratica utilità dei tanti e svariati rami della Geologia. D’altronde basta gettare un fugace sguardo all 'indietro, cioè allo sviluppo passato dell’Umanità, per tosto constatare quanto stretto sia il nesso fra i materiali ed i fenomeni naturali della Crosta terrestre ed i gradi e modi dell’evoluzione umana. Sappiamo infatti che l’uomo preistorico, ben spesso abitatore delle cavernosità del terreno o dei cosidetti rifugi sotto roccia, oppure di rozzi scavi da lui fatti in roccie tenere, utilizzò essen- zialmente i materiali litoidei per i vari bisogni della vita (donde il nome giustamente attribuitogli di uomo delia pietra), dapprima usando esso tali materiali grezzi, nel periodo paleolitico, poi li- sciati e lavorati, nel periodo neolitico, mentre intanto svariate argille fornivano fin d’allora all’uomo primitivo gli elementi pri- mi per diverse suppellettili necessarie ai suoi vari bisogni domestici. Più tardi l’uomo preistorico, che ben spesso continuò a vi- vere nelle rozze abitazioni naturali sovraccennate, ricercando con cura nel terreno, potè ricavarne diversi metalli che, semplici LXXII F. SACCO od in leghe, gli riescirono tanto utili nelle svariate loro appli- cazioni da caratterizzare due grandi periodi della preistoria umana, cioè il periodo del bronzo ed il periodo del ferro. Sono cioè essenzialmente materiali litoidi e minerali che segnarono le successive fasi del progresso umano nella Prei- storia. Se poi entriamo nel regno della Storia, quali sono i resti ma- teriali più insigni che ci lasciarono le antiche civiltà asiatiche e circummediterranee? Essenzialmente monumenti costituiti di vari materiali litoidi scavati in diverse regioni e variamente messi in opera, nonché oggetti di marmo, di granito e di me- talli diversi artisticamente lavorati, ccc., e persino grandiose escavazioni fatte in varie roccie, come i famosi templi sotter- ranei dell’Indochina, dell’India, dell’Egitto, le Catacombe ed altri diversi Ipogei. Nei tempi successivi, senza che l’uomo quasi se ne accor- gesse, quale e quanta influenza ebbero ed hanno speciali con- dizioni geologiche delle varie regioni terrestri, sul modo di co- strurre, sull’agricoltura, sul commercio, sulle industrie, sulle ma- nifestazioni artistiche, insomma, sullo sviluppo umano in genere nelle singole regioni della Terra! Basti ricordare come esempi disparatissimi le sorgenti acquee ed il salgemma per l’alimen- tazione, i materiali litoidi per l’edilizia, il petrolio per l’illumi- nazione, il ferro ed il carbon fossile per le industrie e la loco- mozione, ecc. ecc. Se oggi gli svariati mezzi di trasporto, immensamente molti- plicati e facilitati, pur non eliminando la maggior parte delle influenze geologiche generali, hanno in vario grado diminuite le differenze esistenti fra regioni e regioni, specialmente rispetto ai materiali naturali da costruzione, da ornamentazione, ecc., non ne hanno perciò tolto affatto l’importanza, ma solo l’hanno trasformata, rendendola più complessa ed estendendone il raggio; anzi i mille nuovi bisogni delle società moderne, le sempre nuove forme ed attività delle industrie, ccc., richiedono di dover ricorrere ancor più sovente e più intensamente che non prima, sia agli svariati elementi che stanno racchiusi nella crosta ter- restre, sia alle grandiose forze, alle svariate riserve della na- tura geologica, oppure richiedono nuove o più estese e più ap- LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA LXXIII profondite conoscenze e ricerche nei tanti e svariati campi della Geologia, per poterne ricavare utili applicazioni all’agricoltura, alle industrie, all’edilizia, alle costruzioni stradali ed idrauliche, all’igiene, all’arte militare, ecc. Ed è tanto sentito questo bisogno di sempre maggior dif- fusione e miglior conoscenza della Geologia applicata che da qualche anno, oltre alle mille parziali pubblicazioni di carattere geologico applicativo, vanno sorgendo persino apposite Riviste come: lo « Zeitschrift fiir praktische Geologie », il « Giornale di Geologia pratica», 1’ « Economie Geology », ecc.; si tengono speciali Congressi di Geologia applicata, come quello recente di Liegi; ed oltre agli Ingegneri di Miniere, si costituì in questi ultimi anni una nuova categoria di Ingegneri, cioè col grado e diploma di Ingegneri-geologi, come nelle Facoltà di Scienze dell’Università di Licge (1900) e presso la Scuola mi- neraria di Hainaut (1904), ambedue nel Belgio, paese che è certo dei più avanzati nella civiltà. Quivi anzi vediamo che il « Service géologiquc de Belgique », oltre al minuto rilevamento geologico del paese, costituisce anche una specie di un « Bu- reaux de renseignements » per ricerche sia scientifiche, sia ap- plicative (per miniere, fondazioni, derivazioni acquee, cave, pozzi, tunnel, ecc.), sia bibliografiche. Ed allora si constata praticamente che Geologia pura e Geologia applicata si aiutano reciprocamente, che anzi quest’ultima in fondo non è general- mente che una Geologia minuta, dettagliata, fatta spesso con mezzi migliori e più costosi (tagli, sondaggi, gallerie, ecc.) del solito, per uno scopo speciale che interessa particolarmente qualche ramo della Società. Non è qui il caso di esporre, neppure in brevq, le principali relazioni che passano fra i vari rami della Scienza geologica e numerose branche dell’attività umana, giacché occorrerebbero all’uopo parecchi volumi che costituerebbero un vero Trattato di Geologia applicata, opera pur necessaria ed interessante che non esiste ancora; ma per darne almeno un’idea, possiamo in- dicarne schematicamente i punti principali, a guisa quasi di indice dei capitoli di tale Trattato. Per tale sommaria esposizione seguirò l’ordine che sembra più naturale nello studio della Terra, cioè considerandone dap- VI I.XXIV F. SACCO prima l’involucro atmosferico, poi la forma superficiale, quindi esaminandone le acque esterne ed interne, ciò che porta natu- ralmente a cenni di Geotermica e di Endogenia, chiudendo il sommario coll’argomento della Costituzione della Crosta ter- restre. Noi viviamo al fondo di un vero Oceano atmosferico di cui sentiamo e subiamo le continue variazioni di movimento, di pressione, di umidità, di temperatura, ecc. Quel ramo di scienza, l’A reologia, che se ne occupa, presenta vari lati di carattere pratico. Anzitutto lo studio delle leggi generali che regolano le correnti atmosferiche, intimamente connesse colla forma dei ri- lievi terrestri e con altri fenomeni geologici, permette già in molti casi di segnalare quelle tempeste, quei cicloni, ecc., che riescono tanto più dannosi alle costruzioni ed alle persone, quanto meno sono preveduti. Se oggi la navigazione a vapore, avendo sostituito in gran parte la navigazione a vela, ha di- minuito alquanto l’importanza della conoscenza delle correnti atmosferiche per la locomozione acquea, non l’ha però tolta af- fatto, tanto più ora che si fanno tanti sforzi per la locomo- zione aerea. Inoltre sarà bene non dimenticare in proposito che la velocità del vento cresce rapidamente coll’altezza, per cui è probabile che praticamente tale locomozione debba essenzial- mente limitarsi ad una zona di 50 o 100 metri sul suolo. Ricordisi anche l’interesse pratico dell’aerodinamica in rela- zione colla stabilità delle costruzioni, specialmente in certe lo- calità soggette a venti molto forti. In molte regioni, dove solivi venti un po’ costanti, i molini a vento, e meccanismi consimili, possono rendere utili servigi, più di quanto ora non si ricavi, trattandosi di una forza naturale finoggi generalmente un po’ troppo trascurata. Non è poi da dimenticarsi che l’atmosfera rap- presenta il mezzo assorbente, nonché il veicolo ed il distribu- tore, sotto forma di nevicate, pioggie, ecc. di quell’elemento di prima importanza che è l’acqua. Nò sono da trascurarsi quelle complesse e continue azioni, fisico-chi mico-organiche, prodotte dall’ atmosfera, da cui derivano importanti alterazioni, LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA LXX V come argillificazioni, idratazioni, disaggregazioni, deflazioni, ecc., non solo sulle roccie in posto, ma naturalmente anche sui ma- teriali messi in opera nelle costruzioni, nei monumenti, ecc., nonché in generale sul suolo, in modo da influire in alto grado sulla na- tura e quindi sul rendimento del terreno agrario. Infine in diretta relazione coi movimenti atmosferici sono gl’importanti depositi eolici, dune e simili, assai più estesi sulla Terra di quanto gene- ralmente si pensi, spesso purtroppo mobili, invadenti, e quindi gravemente e vastamente dannosi, ma di cui si può talora otte- nere il fissaggio sia con metodi meccanici, sia con speciali pian- tamenti forestali. Passando alla Geomorfologia, siccome l’attuale rilievo ter- restre, o paesaggio topografico, rappresenta una forma oroidrogra- fica di equilibrio momentaneo, la risultanza attuale di un lun- ghissimo, complicato e continuo processo, cioè sia del dinamismo endogeno (direi sollevante) che plasma irregolarmente la crosta terrestre, sia di quello esogeno (direi erodente) che tende invece a livellarla, sia dalla natura, resistenza, posizione, ecc., dei materiali che la costituiscono, è evidente che quando l’uomo rompe detto equilibrio, talora alquanto instabile, con tagli, scavi, deviazioni e costruzioni, deve tener conto di tali grandiose forze, di tali elementi litologici, idrologici, tettonici, ecc., se vuol evi- tare danni che possono anche essere gravissimi, e viceversa ri- cavare in tutti i modi dalle mille risorse del terreno i massimi vantaggi possibili. E inoltre da ricordarsi quanta importanza abbia la forma della superficie terrestre per la Climatologia e quindi l’abitalità delle varie regioni della terra, sulla distribuzione e fissazione delle razze umane, nonché sulle vie principali di sviluppo del- l’uomo sulla Terra, specialmente in rapporto colle grandi linee orogeniche, dirette prevalentemente da Est ad Ovest nel mondo antico, da Nord a Sud nel nuovo mondo; per l’Agricoltura, spe- cialmente in rapporto ai grandi bassipiani ed alla natura e col- tura loro, all’irrigazione, ecc. ; per lo sviluppo del Commercio, particolarmente in relazione coll’articolazione delle coste, posi- zione e forma degli stretti e degli istmi, andamento e forma delle valli, altezza dei colli, importanza e direzione dei fiumi, ecc.; LXXVI P. SACCO per l’Idraulica e l’Idrologia applicata; per l’Arte militare, (in rapporto alle difficoltàod alle risorse del terreno, allo studio ra- zionale della Geografia, ecc.); nonché per la Topografia, l 'Inge- gneria, ecc. (*). Quanto ai Bacini lacustri (qualunque sia la loro origine geologica), è noto come, oltre alla loro influenza sulla Clima- tologia e come buoni centri di Piscicoltura, essi compiano una funzione assai utile come moderatori delle piene, come regolatori oltre che chiarificatori o depuratori dei corsi acquei che ne fuoriescono, come serbatoi naturali preziosi per l’irrigazione, o per ricavarne forza motrice e talora anche per alimentazione (come p. e. il lago di Michigan per Chicago, il lago di Zurigo rispetto a questa città e vari bacini artificiali come quello del Gorzente per Genova, quello di S. Etienne ecc.), tanto che l’uomo va ora qua ora là ampliando o, come si dice, invasando detti Serbatoi naturali, oltre a costruirne molti artificialmente, per immagazzinare le acque superficiali. Le gigantesche opere che si fecero in questi ultimi anni nell’alto Egitto e nell’America del Nord sono splendidi esempi di questo genere di Geoidro- logia applicata. Ma se sono trascurati gli studi geologici fon- damentali per tali opere, ne possono derivare, invece di bene- fici, grandi catastrofi, come quella del bacino di Habra (Orano) nel 1881. Quando poi, compiuto il loro regolare ciclo evolutivo, detti Bacini acquei passano allo stato di regioni paludose, l’uomo accelerandone l’evoluzione naturale con sapienti drenaggi, le bonifica, cioè le trasforma in ubertose pianure. Il prosciuga- mento del lago di Fucino rappresenta uno dei migliori esempi recenti di questa accelerazione artificiale del processo evolutivo delle conche lacustri. Infine, riguardo alla Limnologia, è da ricordare come le sue leggi riguardanti l’alluvionamento delle conche, nonché la depurazione, la temperatura delle acque, ecc., siano da tenersi in gran conto ora che si tende a moltiplicare i bacini artificiali in montagna. (') Vedi per esempi italiani in: Sacco F., Geologia applicala dell' Ap- pennino, 1904, specialmente i Capitoli di Geomorfologia, Antropogeo- grafia e Geodologia. ^ LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA LXX VII Quanto alle Conche marine, che pel Geologo rappresentano nel tempo stesso il grandioso cimitero degli erosi continenti ed il gigantesco laboratorio per la formazione dei continenti futuri, praticamente esse rappresentano l'importante funzione di econo- mico mezzo di comunicazione fra le varie parti della Terra, facilitando così in modo straordinario il commercio in genere. Se ora consideriamo l’elemento acqueo che circola sopra e dentro la crosta terrestre, tosto rileviamo l’enorme importanza della sua funzione pratica, sia esso allo stato solido (neve e ghiaccio), sia specialmente allo stato liquido. Infatti la Glacio- logia ci ha dimostrato che i ghiacciai, anticamente considerati come plaghe pericolose od inutili, viceversa rappresentano un benefico fattore geologico di primo ordine, non solo perchè hanno anticamente modificato la plastica terrestre in modo assai favorevole all’uomo per l’abitabilità e per l’agricoltura, smus- sando molte asperità, deponendo estesi e fertili accumuli pia- neggianti o dolcemente ondulati ecc., ma anche perchè oggi i ghiacciai alpini, assieme ai nevati, costituiscono una importante fase del ciclo dinamico dell’elemento acqueo, cioè compiono l’uf- ficio di accumulatori di forza, di condensatori e regolatori del- l’energia idraulica, nonché anche per l’ irrigazione, coll’alimen- tazione estiva dei corsi acquei che scendono al piano; inoltre le nevi invernali rappresentano pel suolo delle regioni basse un prezioso mantello protettore contro l’intenso freddo esterno, contro l’irradiamento e contro i troppo forti sbalzi di temperatura, am- manto che cangiasi poi in uniforme e regolare distributore d’acqua al sottostante terreno agrario. L’uomo da qualche tempo imita in piccola scala la natura, sia distribuendo nell’estate per vario scopo il ghiaccio preso ai ghiacciai alpini e circumpolari, sia conservando per lungo tempo in questo elemento grandi quantità di carni fresche, come i grandiosi depositi glaciali del quaternario antico ci hanno tramandati in buono stato di conservazione resti di mammouth, di rinoceronti, ecc., vissuti sulla Terra in periodi preistorici. Tale fatto ci richiama naturalmente a ricordare, in via incidentale, come da qualche tempo l’uomo utilizzi anche talora come an- tisettico il materiale torboso che da centinaia di migliaia di LXXVIII F. SACCO anni funge da naturale conservatore dei resti vegetali ed ani- mali caduti e racchiusi nelle Torbiere. Invece l’uomo finora non seppe ancora utilizzare quel prezioso materiale conservatore che c la resina, la quale, fossilizzando come ambra, ci ha traman- dato coi più delicati dettagli, e quasi perfettamente conservati, gran numero dei minuti e gracili esseri che vissero sulla Terra molti periodi geologici prima dell’attuale. Lo studio dell’acqua, elemento importantissimo dal punto di vista scientifico e pratico, sia essa superficiale, sia sotterranea quando funziona da cosidetto sangue della terra, costituisce la Geoidrologia, di cui numerosissimi e vari sono i rami appli- cativi, specialmente, oltre che per l’abitalità in genere, per l’a- gricoltura, l’industria ed il commercio, l’igiene (1). Noi infatti, seguendo il complesso ciclo circolatorio dell’ elemento acqueo, possiamo dapprima considerarlo quando, evaporato da quelle immense caldaie naturali che sono i bacini marini (specialm- ente quelli equatoriali) e variamente trasportato dalle correnti atmosferiche, viene poi a precipitare particolarmente su quei grandiosi condensatori naturali che sono i rilievi continentali, rappresentando cosi allora, non solo un prezioso fattore clima- tologico, agricolo, ecc., ma, col suo peso e colle azioni ad esso inerenti, un enorme accumulo di energia potenziale che l’uomo può in parte svariatamente utilizzare, come viceversa può es- serne grandemente danneggiato, ciò anche dipendendo in qualche misura dalle sue cognizioni ed attuazioni di Geoidrologia ap- plicata. — E notevole che tale energia potenziale, equivalente al lavoro che l’acqua può sviluppare per gravità, rappresenta insomma, quasi come il carbon fossile, l’utilizzazione naturale del calore solare, che l’uomo invece finora non seppe ancora direttamente imprigionare a suo vantaggio. Ben nota è l’opera, generalmente nefasta, delle cosidette acque selvaggie superficiali, opera di dissoluzione, di dilava- mento, di esportazione del terreno vegetale, di erosione, di incisione, di franamenti, ecc.; opera contro cui ben poco ser- vono, data la vastità del male, le parziali regolarizzazioni, le (') Per es. italiani: Sacco F., Geologia applicata dell' Appennino, 1904. LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA LXXIX briglie, le dighe artificiali, e simili palliativi più o meno locali, occorrendo invece essenzialmente il rimboschimento come rime- dio generale ed efficace. Infatti il terreno coperto di vegeta- zione non solo meglio assorbe il calore solare e Io diffonde più uniformemente, ma serve anche da parziale regolatore climato- logico e quindi da moderatore idrologico, impedendo le improv- vise piene e le . disastrose innondazioni ; giacche esso condensa più regolarmente i vapori dell’atmosfera, ritiene gran parte del- l’acqua di pioggia, ne ritarda l’evaporazione, ne rallenta e re- golarizza il deflusso, oltre a fornire meglio le zone acquifere sotterranee e quindi le preziose sorgenti, mentre colla parte radicale cementa e trattiene il terreno superficiale, agrologica- mente il più importante. Più intimi e più noti diventano i legami tra Geologia ed Idrologia ed i loro multipli rami applicativi quando si tratta dello studio dei torrenti e dei fiumi (Potamologia) per opere di regolarizzazione (con briglie, dighe, canali, argini, ripari di- versi, ecc.), di bacini di raccoglimento, di deviazione, di distri- buzione, di derivazione a vario scopo (per irrigazione, per forza motrice, ecc.), di bonifica (con drenaggi, canali, colmate, ecc.), di canalizzazione, ecc. Certamente molto grande è l’importanza di un corso acqueo sia come agente dinamico naturale, erodente, livellante e depo- sitante, sia come motore meccanico, il cosidetto carbon bianco, utilizzato in cento modi diversi, sia come benefico fattore agri- colo, coll’irrigazione, sia come economico mezzo di comunica- zione e quindi di commercio. Ciò ci spiega il suo grande valore antropogeografico, tanto che vediamo p. es. il Piume giallo, il Gange, l’Eufrate, il Nilo, il Tevere, ecc. rappresentare altret- tante zone di grandiose civiltà antiche, come ancor oggi i corsi acquei, cogli annessi canali artificiali, rappresentano spesso nei continenti importanti arterie della circolazione e del commercio mondiale; ecco infatti le principali città nascere, crescere e pro- sperare lungo i fiumi, mentre numerosi centri minori di abita- zione raggruppansi specialmente attorno alle sorgenti, preziosi elementi di alimentazione. Ma devesi considerare che anche i corsi acquei presentano un lento ciclo evolutivo che comincia da un primo stadio, direi, LXXX F. SACCO infantile, di idrografia incerta, vagante, a parziale tipo di acque selvaggie; passa poi gradualmente ad un secondo stadio, giova- nile, di erosioni retrograde, di captazioni, di incisioni a tipo torrenziale; quindi in un terzo stadio, di maturità o regolarità, il corso acqueo assume un regime più costante, un profilo di equilibrio quasi stabile (donde il nome di fiume stabilito), di rela- tivo adattamento, per pareggio tra l’erosione e la deiezione, o tra erosione e potenza del letto fluviale, solo più con oscillazioni intorno ad uno stato medio di equilibrio tra un letto massimo di piena ed un letto minimo di magra; finché in un quarto ed ultimo stadio, di vecchiaia o di quasi livellamento o spiana- mento, si ritorna al regime lentamente divagante, spesso innon- dante, ma a tipo prevalentemente di palude. Queste fasi evolu- tive naturalmente non solo variano col tempo, per graduata successione, ma anche nelle varie parti di uno stesso corso acqueo. Ciò posto è sempre cosa grave, spesso pericolosa, sempre degna di accurati studi preventivi generali e conqdessi, il voler interrompere, modificare, accelerare o ritardare od altrimenti tentare di far variare queste supreme leggi generali della Geo- idrologia. Quindi, allorché l’uomo vuole, p. es., troppo presto o troppo strettamente arginare i fiumi, specialmente per godere larghe aree agricole, oppure se vuole sistemare, correggere cor- renti acquee, o costrurre serbatoi acquei di vario scopo, egli deve ben guardarsi dal voler troppo contrastare alle grandiose forze della natura, ed essenzialmente non deve trascurare, come spesso purtroppo avviene, di tenere nel debito conto le fonda- mentali leggi geoidrologiche sovraccennate. Possiamo bensì, anzi dobbiamo, correggere a nostro vantaggio le correnti acquee, (senza però contrastare troppo al loro andamento naturale), c così promuovere od accelerare la sistemazione del regime idro- grafico di una regione, come si fece e si va facendo in Val di Chiana, nel Ferrarese, nel Grossetano, ecc., gradatamente bonificando, ma non volere in troppo breve tempo costituire un nuovo regime affatto artificiale. In caso diverso, siccome non si violano imponentemente le leggi della natura, si può creare, per noi o pei nostri nepoti, uno stato di cose gravemente peri- coloso; come è avvenuto ad es. nella grande pianura padana, LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA LXXXI dove, per il troppo intenso e prematuro arginamento che vi si volle istituire in questi ultimi secoli, si cagionò il rialzamento degli alvei del Po, dell’Adige, eòe. sul piano circostante; donde è derivato l’arresto del naturale colmataggio padano, si costi- tuì una continua minaccia di innondazioni vaste e disastrose in corrispondenza ad ogni periodo di lunghe pioggie, e ne seguì l’obbligo di continuare a rialzare e rinforzare le arginature, senza con ciò poter riescire ad impedire che talora tali gravi innondazioni siansi sgraziatamente verificate, come nella rotta di Polesella (1872) e di Legnano (1882), e che si verifichino purtroppo ancora nell’avvenire. Meglio è in certi casi limitare le arginature attorno ai centri abitati (come fecero, p. es., i nostri antichi Terramaricoli in va- rie parti della regione padana, gli antichi Batavi in Olanda, ecc.), permettendo temporanei ritorni delle acque di innondazione e quindi di alluvionamento e di proficuo colmataggio; ciò si può anche ottenere, in certo qual modo, coll’ arginare solo essen- zialmente l’ampio alveo delle piene, limitando e moderando le innondazioni periodiche. Invece con eccessivi e prematuri ar- ginamenti si va spesso incontro a gravissimi disastri di cose e di persone, tanto più che non devesi dimenticare che il deposito del limo (che è quasi elemento fondamentale del terreno vege- tale nella massima parte delle pianure terrestri) è appunto in gran parte un prodotto delle acque di innondazione. D’altronde le innondazioni un po’ regolarizzate, direi, non sono sempre tanto temibili, come generalmente si crede; vediamo infatti quale immenso utile ricavino da migliaia d’anni gli Egiziani dalle innondazioni del Nilo, di cui anzi le piene periodiche rappre- sentano la maggior ricchezza dell’Egitto, cosicché già Erodoto di- ceva che « l’Egitto è dono del Nilo ». Nel processo erosivo dei corsi acquei sono specialmente in- teressanti dal punto di vista applicativo quei rinserramenti (forre, gorgie, gole, ecc.) e quei salti (cascate, cateratte, ecc.) che hanno quasi sempre una causa litologica o tettonica, e che l’uomo giustamente va sempre più utilizzando per forza motrice e sue varie trasformazioni. Se in tale processo la forza erosiva dei corsi acquei tende continuatamente ad approfondirne gli alvei, nel processo se- LXXXII F. SACCO guente (nel tempo o nello spazio) (li accumulazione, i fiumi tendono invece a depositare e quindi ad innalzare il loro letto; tale attività di alluvionamento, se giustamente interpretata e ben regolata, può venire utilizzata dall’uomo con opportune correzioni, sia per colmataggi di bonifica e di risanamento di regioni paludose o maremmane (come si accennò per la Val di Chiana, pel Grossetano, ecc.), sia per distribuzione di depositi limacciosi o torbide di innondazione fertilizzanti (come in Egitto), sia per conquistare all’agricoltura regioni di dominio parzial- mente marino (come in Olanda), specialmente alla periferia dei delta, ecc. Riguardo a tale fenomeno di alluvionamento, che verificasi per lo più, od in modo meglio spiccato, nella parte terminale dei corsi acquei, è a ricordarsi come il loro sfociamento presenti per lo più un ciclo evolutivo naturale con due fasi principali, ambedue importanti per l’uomo; cioè una prima fase, o di Estuario, assai favorevole al commercio, come mostrano per esempio Londra, Havre, Anversa, Brema, Amburgo, Buenos- Ayres, Montevideo, ecc., ed una seconda fase, o di Delta, che per la loro forma pianeggiante e la loro fertilità costituirono spesso importanti centri di civiltà, come il delta del Gange, del Nilo, ecc. Invece la loro fase intermedia, di maremma, pa- ludi, ecc. è quella meno utile anzi spesso dannosa all’uomo, che deve quindi in molti casi cercare di accelerarne l’evolu- zione col favorire le forze naturali della natura, utilizzando a suo favore le leggi geoidrologiche riguardanti tale trasforma- zione. Chiudiamo questo capitolo col ricordare come, seguendo ap- punto i criteri sovraccennati, cioè con previe accurate indagini geoidrologiche, siansi compiuti in questi ultimi anni gigante- schi lavori di Ingegneria idraulica; cosi p. es. il Serbatoio di Assonali in Egitto, primo lavoro moderno di una serie di altri non meno grandiosi che si compiranno per la regolarizzazione dell’immenso bacino imbrifero del Nilo ; come con analoghi cri- teri si eseguirono in questo ultimo ventennio grandiose opere idrauliche negli Stati Uniti d’America, ed altre gigantesche stanno ora eseguendosi dal governo di tali Stati, colla spesa di oltre 9 miliardi, per bonifiche, irrigazioni, ecc. (per mezzo di LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA LXXXIII conche, dighe, canali, serbatoi, deviazioni di filimi, ecc.) nelle regioni del Colorado, della Valle del Fiume Salato, dell’Arizona, dello Wyoming, di Nevada, di Idaho, ecc. in modo p. e. che regioni ora aride e disabitate potranno alimentare molti milioni di persone; basta dare un’occhiata alle splendide pubblicazioni dell’« United Stated Geological Survey » dal 1889 ad oggi per comprendere quanta importanza venga giustamente data alla Geoidrologia come base fondamentale di tali giganteschi lavori idraulici. Dell’importanza delle acque lacustri ho già accennato sopra trattando dei Bacini continentali c del loro prezioso ufficio di raccoglitori o moderatori naturali delle acque, tanto che oggi si tende a moltiplicarli artificialmente per scopo agricolo ed industriale. Passando all’Oceanografia, ricordiamo l’interesse che ha la salinità delle acque marine da cui l’uomo trae, per mezzo di saline naturali ed artificiali, una parte utilissima della sua ali- mentazione. Ricordiamo l’importanza delle correnti marine, sia sulla climatologia terrestre, sia sulla navigazione (il famoso Gulf-stream ce ne porge uno splendido esempio), nonché sul trasporto e deposito dei materiali sabbiosi lungo le coste e loro insenature, spesso influendo esso sulle loro trasformazioni, tanto che devesi talora intervenire per impedire insabbiamenti dan- nosi. Quest’ultimo caso vediamo p. es. nelle Lagune venete dove l’uomo, per speciale necessità di cose, con dighe, anche su- bacquee, con deviazioni ed arginature di corsi continentali, ecc., cerca di impedire od almeno ritardare più che sia possibile la naturale trasformazione della regione lagunare in regione conti- nentale, affinchè Venezia non subisca tanto presto la sorte di Pisa, Ravenna, Adria, ecc. Nè si può tacere sulla grande in- fluenza di vario genere che le oscillazioni di marea hanno sulla utilizzazione maggiore o minore delle linee di costa. Di massima importanza è lo studio di quel movimento d’al- talena od ondoso che presso spiaggia mutasi in moto di trasla- zione con enormi effetti meccanici, tanto più che all’acqua spesso aggiungesi allora, a guisa di mitraglia, l’elemento sab- bioso-ghiaioso del litorale. Riguardo a tale azione dinamica è LXXXIV F. SACCO necessario che per le varie regioni si conosca non solo la pres- sione media in kg. per in. q., ma specialmente la pressione massima (che può essere più che decupla della prima) corri- corrispondente ai periodi di tempesta; perchè appunto a que- st’ultima sono dovute essenzialmente i gravi danni fatti dalle mareggiate ai porti (vedi p. e. la parziale distruzione del Molo Galliera del porto di Genova nel novembre del 1898), alle dighe e ad altre varie costruzioni lungo le coste'. Da ciò deriva la necessità, sia del renorme peso e volume dei blocchi artificiali di coronamento dei moli, sia dell’affondarli alquanto e non solo sovrapporli alla diga (il che ne facilita lo spostamento), e tante altre regole riguardanti le costruzioni portuarie, i vari metodi di difesa delle coste, ecc. Ciò richiede naturalmente cognizioni sia di litologia e di tettonica delle regioni costiere (in rapporto alle azioni non solo fisiche ma anche chimiche (ielle acque marine), sia sulla natura dei Bradisismi a cui possono essere soggette tali regioni, sia sulle locali modalità di abrasione o di deposito litoranei, sia sui venti predominanti, sulle azioni di flusso e riflusso di marea, sull’andamento delle correnti littoranee, sulla profondità del- l’azione delle onde, sulla lama d’onda, sulla risacca, ece. Alcune di tali azioni naturali, svariate e complesse possono essere ta- lora utilizzate per imbonire le spiaggie con pennelli opportuna- mente collocati, con scogliere artificiali e simili, come d’altra parte esse possono anche frustrare affatto tali costose opere, come si verificò p. e. lungo la spiaggia di Chiavari. .Per avere un’idea della grandiosità delle erosioni marine ricordiamo p. e. l’isola d’Helgoland già vasta e fiorente nel secolo XI ed ora ridotta a misera isoletta, la graduale scom- parsa delle isole Frisie nel Mar del Nord, l’arrotondamento costiero del vecchio continente africano, ecc. E circa 1 km. c. di materiale dei littorali che viene annualmente eroso dalle acque marine, opera deleteria a cui l’uomo può talora oppor- tunamente contrastare, ma con minor facilità ed utilità clic non all’azione abrasiva dei fiumi sui continenti, azione calcolata ad oltre 10 km. c. di materiale all’anno, ma che in gran parte va poi a bonificare le regioni palustri-maremmane e ad estendere le regioni littoranee. A questo proposito possiamo ricordare la LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA LXXXV grandiosa lotta secolare ingaggiata, in generale vittoriosamente, dagli Olandesi contro il mare, proteggendo i loro immensi bassi polders con gigantesche dighe, producendovi un continuo dre- naggio artificiale ed estendendo cosi di continuo la loro terra coltivabile. Non posso chiudere questo cenno sul l’Oceanografìa senza ri- cordare che l’uomo, il quale tanto e con così svariati metodi usufruisce delle diverse forze della natura, dovrà presto o tardi riuscire ad utilizzare anche la gigantesca azione meccanica rap- presentata dai movimenti delle acque marine, tanto più che pre- sentasi il problema con varii aspetti nelle diverse regioni, con o senza maree, a spiaggia dolce o dirupata, con movimenti di fran- gente o profondi, ecc., per modo che la genialità delle invenzioni meccaniche, gli svariati metodi di accumulazione, le molteplici trasformazioni, applicazioni e trasmissioni elettriche, ecc., lasciano sperare che anche la forza idraulica del mare possa venire par- zialmente utilizzata a vantaggio deH’umanità. Le ricerche di Idrologia sotterranea, una volta empiriche ed invece ora fondate sopra una serie di dati geologici (cioè lito- logici, stratigrafici, ecc.), aprirono tutto un nuovo e fecondo campo all’attività ed alle crescenti necessità deH’uomo, che può così ora con mano assai sicura andare a cercare e ritrarre dal fin- terno della crosta terrestre (con incisioni, gallerie, pozzi, trivel- lazioni anche profondissime o pozzi artesiani, ecc.), una parte delle profonde riserve di quel prezioso elemento acqueo che gli diventa sempre più necessario per alimentazione, nonché spesso anche per irrigazione e per forza motrice. Noi siamo ancora lungi dal possedere in generale quelle utili carte geoidrologiche, cioè indicanti con differenti curve di livello le diverse zone ac- quifere sotterranee, ciò che si è già tatto in alcune speciali regioni; tuttavia le cognizioni che già possediamo sul modo di penetrazione dell’acqua nella litosfera, sulla varia penetrabilità e permeabilità dei terreni, sul modo di comportarsi e di circo- lare delle acque sotterranee nelle diverse roccie, anche secondo del loro andamento stratigrafico, del loro stato, ecc., nonché sulle azioni fisiche e chimiche compiute dalle acque sotterranee, formano già un corpo di dottrina: La Science hydrologique, come LXXXVI F. SACCO l’indica nel suo recente trattato l’ing. geol. R. D’Andrimont, che molto facilita le importanti ricerche di Idrologia sotter- ranea. Aggiungasi come, strettamente collegate colle acque sotter- ranee, siano in generale le frane; per cui sia il ricercarne le cause, sia lo stabilirne le opere preventive o quelle di conso- lidamento, richiedono cognizioni fondamentali di geologia, anche perchè possedendo tali cognizioni più cautamente l’uomo di- sturberebbe (con tagli in falda, trincee, disboscamenti) quell’e- quilibrio che esiste nella massa terrestre superficiale e che, rotto inconsultamente, tanto più se trattasi di equilibrio alquanto instabile, produce spesso frane anche gravissime, come p. es. quella di Elm in Svizzera (1881), dove un’escavazione prolun- gata e mal collocata negli schisti produsse lo scorrimento disa- stroso di circa 10 milioni di metri cubi di materiale dal fianco al fondo della vallata. Ora poi che la questione delle acque potabili si presenta giustamente come uno dei problemi più urgenti che incombono alle comunità per la loro alimentazione idrica, sono diventate di massima importanza tutte le cognizioni di Idrologia, sia pel bacino imbrifero in generale ed il suo regime pluviometrico, sia per l’origine, la natura, il regime, le variazioni attuali e fu- ture, ecc., delle sorgenti (fra cui inoltre moltissime minerali sono largamente usate in Terapeutica), sia per la posizione, anda- mento, oscillazioni e natura delle acque sotterranee, sia per la costituzione litologica (e quindi fisico-chimica) e stratigrafica del terreno in cui esse scorrono, sia eventualmente per il loro immagazzinamento o per il loro aumento o la loro filtrazione o purificazione meccanico -batteriologica più o meno naturale (come p. e. il Bacino a filtro semi-artificiale di Uddevalle in Isvezia), sia pel modo di emungerle, captarle e condurle spesso attraverso terreni svariati, sia per la loro protezione contro la contaminazione di origine esterna, sia per le tante questioni giuridiche che possono sorgere da tali opere di prese acquee; studi e ricerche che in parte vennero ora facilitate o poste su più sicura base per mezzo di esperienze fatte con materie co- loranti (Uranina, Fluorescina, ecc.), o con bacterii od anche mediante dirette ricerche di Speleologia nei terreni calcarei. LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA LXXXVII E ciò è ormai tanto riconosciuto che, p. e., i recenti Trat- tati di Igiene, specialmente per le acque potabili, ma anche per molte altre questioni (posizione dei cimiteri, fognature, boni- fiche di terreni palustri, ecc.) inerenti al suolo od al sottosuolo, pongono a fondamento generale una estesa e profonda esposi- zione di Geologia. Basti ricordare al riguardo come sianvi pa- recchie gravi malattie (come tifo, colera, ecc.) che sono appunto denominate malattie del suolo, perchè gli studi epidemiologici hanno dimostrato lo stretto rapporto che esiste tra il terreno (sua natura, permeabilità, ricchezza o povertà d’acqua, ecc.) e lo sviluppo di dette malattie. Del resto la necessità degli studi geologici nelle questioni riguardanti le acque potabili, è ormai riconosciuta anche ufficialmente dalla maggior parte dei governi civili ; anzi il governo della Repubblica Francese con circolare del 10 dicembre 1900 diretta dal Presidente del Consiglio ai Prefetti, circa i progetti riguardanti le acque potabili nei co- muni di Francia, determina tassativamente che l’esame geologico debba precedere le altre ricerche, chimiche, batteriologiche, ecc., e solo quando la relazione del geologo risulti favorevole, si passi agli altri studi. Nè dal puro punto di vista costruttivo è meno importante l’argomento delle acque sotterranee come purtroppo hanno pro- vato diverse gallerie ferroviarie fatte attraverso i terreni cristal- lini delle Alpi (come p. e. quella di Tenda, del Sempione, ecc.) ed anche attraverso terreni giovani, alluvionali o morenici (come p. e. la Galleria di Mondovì, quella di Gattico sulla Santhià- Arona, ecc.), sovente l’elemento acqueo essendo il peggior nemico che l’uomo possa incontrare in tali escavazioni sotterranee; inoltre il presumibile suo quantitativo, maggiore o minore, può influire sul sistema (inglese o belga) da adottarsi in dette esca- vazioni di gallerie e talora anche sul tracciato generale da seguirsi in modo da evitare possibilmente i passaggi attraverso alle zone troppo ricche d’acqua od i poco profondi sottopas- saggi alle zone molto acquifere. L’argomento di queste escavazioni profonde ci conduce natural- mente ad accennare all’importante questione della Geotermica, strettamente connessa con vari fattori, come Orografia, Idrografia LXXXVIII F. SACCO superficiale e sotterranea, Litologia, Tettonica, eco., variando assai la conducibilità termica sia nelle varie roccie, sia nella stessa roccia secondo la sua stratigrafia, il suo stato compatto o fessurato, sano od alterato, la sua posizione, l’essere umida od asciutta, sem- plice o metallifera, attraversata da acque di origine esogena od endogena, ecc., ecc. Nè l’importanza di questi studi geotermici è solo tecnica e quindi economica, ma anche igienica e quindi altamente sociale. È fatto curioso come l’uomo, che pur cerca trarre l’utile da ogni cosa, abbia generalmente trascurato questa profonda sor- gente di calore se non gli viene portata naturalmente a mano da sorgenti termali e sovente neppure in tale provvida occa- sione. Esistono infatti solo pochi casi di tal genere, come per es. quello del Bruckraann che utilizzò per riscaldamento l’acqua tepida di un pozzo artesiano nel Wurtemberg. Ma credo che l’esempio potrà in avvenire essere proficuamente imitato, special- mente in certe regioni pseudovulcaniche o circumvulcaniche aventi temperature elevate a profondità non molto grande. Anche la maggior parte dei fenomeni che entrano nel campo della Vulcanologia, pur rappresentando forze meccaniche ed agenti termici spesso di straordinaria grandiosità, non furono in generale, nè saranno facilmente anche in avvenire, imprigio- nati daH’nomo al suo servizio, in causa appunto della loro enorme potenza irregolare; quindi sono specialmente i fenomeni minori, pseudovulcanici o circumvulcanici, clic meglio si prestano alle pratiche applicazioni. Così ricordiamo le mille svariate sor- genti termali, tanto utilizzate in Terapeutica e talora anche per altri usi, come la Bollente di Acqui; le emanazioni di vapor acqueo caldo, come nelle famose Stufe di Nerone presso Napoli, nella Solfatara di Pozzuoli, nella grotta di Monsummano in Toscana, ecc., essenzialmente di uso terapeutico; così pure alcuni pseudo-geyser della California, alcune ausoles (soffioni -sai se) dell’America centrale, ecc.; nè sono talora inutili le emanazioni endogene sottomarine, essendosi, p. es., usate quelle di Santorino per nettare la carena dei bastimenti. Specialmente interessanti sono i Soffioni boraciferi, da cui estraesi l’acido borico; ed in particolare notevoli sono quelli LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA LXXXIX del Volterrano per la loro abbondanza, nonché sia' pel fatto che dal 1827 Lardare! ne imprigionò i vapori per scaldare e saturare le acque boracifere, sia per la creazione, direi, di nuovi soffioni con opportune trivellazioni profonde; in ambo i casi l’uomo costrinse la natura a servire ai suoi scopi, essenzialmente utilizzando il calore interno e facendo cosi sorgere, come a Lardarello, un fiorente paesello dove era vi prima arida landa; inoltre recentemente il Gcinori-Conti riuscì, con speciali disposi- zioni, ad utilizzare i soffioni come produttori di energia cinetica. Qualcosa di consimile si ottenne in altri casi, finora un po’ isolati, ma che potrebbero moltiplicarsi, così utilizzando per illuminazione e riscaldamento alcune emanazioni di Idrocarburi delle così dette Fontane ardenti dell’Appennino, di alcune Salse del Caucaso, delle Sorgenti di fuoco della Cina, ecc., oppure raccogliendo a vario scopo alcune importanti emanazioni di ani- dride carbonica delle regioni circumvulcaniche, come si sta facendo in alcuni punti del I’Eifel, della Wetsfalia, dell’Alvernia, senza parlare poi delle grandiose utilizzazioni di Nafta, Pe- trolio, ecc., che spesso accompagnano le indicate emanazioni pseudo- vulcaniche. Se poco possiamo dire di pratico circa al Vulcanismo vero, ricordiamo tuttavia che coll’intelligente e continua osservazione dei centri endogeni più dannosi per speciale ubicazione, studian- done le palpitazioni, i fremiti, i cosidetti segni precursori, ecc., e collegando tali osservazioni, talora si riesce, e certamente sempre meglio si riuscirà in avvenire, a prevedere i parossismi più intensi e diminuirne così alquanto gli effetti disastrosi, tanto più se si vorranno seguire quelle regole speciali di edilizia vulcano- logica che vennero finora quasi completamente trascurate. Ricor- diamo ad ogni modo come le amplissime colate di ceneri che spargonsi nel raggio di varie diecine di kil. attorno ai centri vulcanici, per i principi (specialmente alcali) che contengono, rappresentino spesso, alterandosi, utilissimi elementi per l’Agri- coltura; come altri prodotti endogeni consolidandosi possano talora costituire (in forma di tufi, basalti, lave, ecc.) ottimi materiali da costruzione. Ricordiamo anche l’utilità di quei re- sidui oro-idrografici del vulcanismo che sono i crateri-laghi, e di quei resti pseudo-vulcanici che sono le Solfatare o Fumarole colle VII xc P. SACCO loro svariate emanazioni in parte utilizzabili, sia direttamente sia per i loro svariati prodotti di sublimazione. Per cui i danni momentanei delle eruzioni vengono talvolta alquanto risarciti in seguito da benefizi di vario genere. Nò è da dimenticare che al Vulcanismo noi dobbiamo una quantità di isolette sper- dute in mezzo agli Oceani (come le Azzorre, le Canarie, le Isole di Capo Verde, le Mascarene, le Kerguele, le Hawai, le Gala- pagos, le Aleutine, miriadi di isole polinesiche, ecc.), dove rap- presentano per l’uomo o zone di abitazione od almeno prezioso rifugio nella vastità dei mari, talora facilitando assai il com- mercio attraverso le immense distese oceaniche. Quanto alla Sismologia talora possono servire le osservazioni accurate e sistematiche in proposito per poter avvertire gli sva- riati segni precursori dei Terremoti e quindi, segnalandoli, dimi- nuirne alquanto i disastrosi effetti, specialmente riguardo alle persone. Ma assai più importante dal punto di vista pratico è il compito del geologo, sia nello stabilire le zone terrestri più inten- samente soggette a Terremoti (regioni sismiche) e quindi più frequentemente danneggiate, sia nel dettare per queste regioni speciali leggi di edilizia sismologica riguardanti l’ubicazione dei nuovi edilizi, le regole da seguirsi per la loro orientazione, fondazione e costruzione, il loro ricoprimento, ecc. Purtroppo l’incuria e l’imprevidenza umana faranno si che per lungo tempo ancora si continueranno a costruire nella maggior parte delle regioni sismiche edifizi alti, orientati senza regola, anche in pendìo e su terreni sciolti poggianti su roccie compatte, con fon- dazioni poco approfondite, con cattivi materiali da costruzione e da cementazione, magari a volte, con mediocri concatenazioni delle varie parti, con molte opere a sbalzo, stuccature, corni- cioni, con tetti pesanti, ecc. Salvo poi a lamentare ad ogni Terremoto i disastrosi suoi effetti, in gran parte invece evitabili e quindi indirettamente causati dall’uomo stesso. Fra gli studi di Sismologia applicata hanno pure interesse quelli riguardanti i movimenti lenti del suolo o Bradisismi, tanto più quando trattasi di grandiose opere di idraulica, come indigamenti littoranei, bonifiche, lavori portuari, ecc., poiché LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA XCI possono i Bradisismi negativi o positivi anche distruggere o va- riamente frustrare nei loro effetti costose opere artificiali, come infatti vediamo oggi sottomare costruzioni continentali romane, e viceversa altrove opere portuarie e simili danneggiate od anche rese inutili per lenta emersione. « Passando ora a quel ramo della Geologia che si occupa della costituzione della crosta terrestre, cioè alla Litologia o Petro- grafia, ne è tanto nota l’importanza pratica per costruzione, ornamentazione, pavimentazione, ecc., che generalmente quando si parla di Geologia applicata credesi che essa si riferisca ap- punto solo ai materiali naturali da costruzione. Questi infatti riescono utilissimi all’uomo in cento modi diversi, di cui la sola enumerazione ci porterebbe troppo a lungo. Ricordiamo tuttavia alcuni esempi principali: Le roccie quarzitiche usate per pietra da costruzione, per pavimentazione se straterellate (bar gioirne), per materiali refrat- tari (Quarzite, Tripoli), per vetreria, per pietra molare (Limno- quarzite cavernosa), per pietra ornamentale (Diaspri, Agate, Opale); oltre agli usi preistorici, che pur furono tanto impor- tanti, nei primi periodi dell’evoluzione umana, e di cui rimase, direi quasi, un ultimo ricordo nella pietra focaia delle antiche armi da fuoco. Svariati ScJiisti tanto utili quando compatti, calcariferi, come le Ardesie, o cristallini come le Filladi, e viceversa diversi schisti altrettanto pericolosi per fondazioni, costruzioni stradali od idra- uliche, gallerie, ecc., quando allo stato di Argilloschisti spap- polagli. Gli Gneiss che nelle loro diverse varietà e forme sono, essen- zialmente come pietra da taglio, di uso esteso ed importantis- simo, per marciapiedi, rivestimenti di parapetti, balconi, giadini, colonne, basamenti, coperture da tetti nelle varietà lastroidi, e per tante altre parti ed opere costruttive. Il Granito, colle sue varie qualità e tinte e che coll’affine Sienite costituisce uno splendido, resistente ed utile materiale da costruzione ornamentale, in quadro od in colonne, usato anche per marciapiedi, rotaie, rivestimenti, basamenti, stipiti, macine, pietrisco, ecc. XCII F. SACCO Le Dioriti che assieme a diverse Pietre verdi (come Diabasi, Eufotidi o Gabbri, Llierzoliti o Pendoliti, Serpentine, ecc.), sono frequentemente usate come buon pietrisco, talora anche come pietra ornamentale (tanto più se commiste a calcare, come la Of calce ) o pietra da macina; spesso tali roccie verdi sono anche assai utili per essere metallifere. I diversi Porfidi, rossi e verdi, che servono spesso come bellissimo materiale ornamentale. Anche le varie roccie vulcaniche . antiche o recenti e sotto varie forme, vengono utilizzate in estesissime regioni terrestri per costruzione, per decorazione, per pavimentazione e persino come coperture di tetti (quelle lastroidi), per pietrisco, per macine, come materiale refrattario, e per altri usi diversi, come le pomici, le ossidiane, ecc. E come si può in breve anche solo accennare i cento usi svariati a cui servono gli svariatissimi Calcari di varia origine? Sia come materiali da costruzione, semplice od ornamentale, (p. e. calcari compatti, grossolani ed impuri, travertini, ecc. ) ; sia come marmi od alabastri di infinite sorta (e di cui oggi l’Italia tiene il primato), sia come materiale da calce e da cemento; sia come pietrisco, sia come materiale litografico, sia talora come emendamento agricolo (il cosidetto chaulage) specialmente efficace per cereali ed in terreni argillosi; quasi in ogni caso co- stituendo il Calcare per l’uomo un elemento naturale di prima importanza, specialmente per le costruzioni e per lo sviluppo dell’arte edilizia. Pure utile assai riesce il Gesso, sparso in diversi piani della crosta terrestre, e che con svariate trasformazioni serve tanto da umile materiale cementante, o modellante od anche costruttivo, (pianto da materiale decorativo ed anche artistico sotto forma di alabastro, di volpinite, di stuccature ornamentali, ecc., ser- vendo talora anche per emendamento agrario, specialmente nella coltura dellè leguminose foraggiere. Nè sono meno importanti per altri caratteri di utilità le roccie fosfatiche, preziose per fornire un elemento concimante di prim’ordine ; le lenti di Salgemma , usato per alimentazione e per vari scopi ed industrie, talora (come a Stassfnrt) essendo commisto con altri sali di grande utilità agricola ed industriale; le ini- LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA xeni portanti roccie solfifere, una delle formazioni minerarie più pro- ficue in Italia; le diverse roccie ferrifere del massimo interesse per l’estrazione del ferro, elemento tanto importante, fin dai tempi preistorici e sempre più in seguito, come base diretta od indiretta di quasi tutte le industrie, recentemente poi venendo esso collegato così utilmente col cemento da costituire quasi un nuovo elemento e modo di costruzione. Ciò richiama la me- moria sul fatto che non solo la terra agisce come un grande magnete, forse per contenere grandi masse di ferro nel suo interno, ma che molte roccie della crosta terrestre (specialmente pietre verdi, porfiriti, basalti, ecc .), contenendo minerali ma- gnetici, presentano uno spiccato magnetismo terrestre, tanto da poter esser causa di errori e di gravi conseguenze in osserva- zioni fatte colla bussola per certi studi, rilievi o tracciati, spe- cialmente di gallerie. Parecchi capitoli dovrebbero poi dedicarsi alla Geologia ap- plicata alla ricerca dei Carboni fossili, di ogni età e di ogni co- stituzione fisico-chimica, che furono e sono tuttora di così nota importanza ed utilità aH’uomo come forza calorifica, motrice, ecc., tanto da costituire per esso uno degli elementi più possenti per il suo sviluppo industriale e commerciale in ogni regione della Terra ed in quasi ogni suo ramo di lavoro e di lotta. Nè la ricerca e l’escavàzione del Petrolio e di altri Idrocar- buri come gli Asfalti, ecc. (così utili per illuminazione, riscal- damento, forza motrice, pavimentazione, ecc.), richiedono minori cognizioni geologiche, essendo ben noto lo stretto nesso che ne collega l’origine, la posizione, ecc., colla natura ed in parte coll’età e l’andamento stratigrafico (fratture od anticlinali, ecc.) della roccia incassante. Se ora passiamo alle roccie clastiche vi troviamo una quan- tità di utilissimi elementi naturali. Così le Breccie che, sciolte, costituiscono, come detrito di falda, tipiche formazioni assorbenti e quindi preziose riserve di acqua da cui derivano infinite sor- genti, mentre che cementate e di varia origine formano buon materiale da costruzione e talora anche da ornamentazione. I Conglomerati di ogni qualità che dalle antiche e cristalline Anageniti vanno sino ai più recenti Ceppi, Puddinghe, ecc., spesso usati come materiale costruttivo e che ora l’uomo imita artifi- XCIV F. SACCO cialmente col bèton o calcetruzzo; questi depositi alluvionali ad elementi sciolti (utilizzati per ciottolati, pietrisco, ecc.) costi- tuiscono formazioni idrovore per eccellenza. Le Arenarie, ottimo materiale da costruzione, da pavimen- tazione, da mola e sovente anche da ornamentazione, assai pre- gevole, perchè a causa della stratificazione, dell’acqua di cava e della grana ne riesce assai facile l’escavazione e la lavora- zione anche minuta ; notisi che a questo tipo litologico collegasi una lunga e svariata serie di roccie che dalle antiche Quarziti, Grovacche, Arhosi e Buntersandstein, ci porta attraverso la Pie- traforte, le Psammiti , ecc., al Macigno, alla Molassa , ecc., finché cogli elementi disciolti ci dà la Sabbia tanto utile sia per ottenere le malte, sia per vetrerie e materiali refrattari, sia come filtro e grandiosa riserva delle acque sotterranee, specialmente di quelle dette suballuvionali, sia come correttivo agricolo nei terreni troppo argillosi, quindi troppo compatti ed impermeabili all’aria ed all’acqua. Nè devesi dimenticare che mentre in certe regioni le sabbie alluvionali, ricche in materiali preziosi (oro, pie- tre preziose, ecc.) costituiscono formazioni meta di avide ricerche, altrove invece, come sabbie mobili, costituiscono gravissimi incon- venienti a vari lavori di ingegneria, come gallerie, pozzi, ecc., richiedendo speciali metodi di lavorazione; donde gli speciali studi fatti da geologi ed ingegneri, specialmente belgi, francesi ed americani, nelle cosiddette sables boulants, quasi altrettanto pe- ricolose come le argiles fìuantes (vedi il recente Étude scien- tifiqiic du Boulant , nel Bull. Soc. Belge de Géol., de Paléont. et d’Hydrol., 1901-02). Quanto alle Alarne, che con infinite varietà tanta parte costituiscono specialmente del Terziario, se assai calcaree possono usarsi nell’industria delle calci e dei cementi idraulici, se invece prevalentemente argillose si utilizzano spesso come le argille. In molti casi ne riesce proficuo l’uso come emendamento agrario, il cosiddetto marnage , per la sua doppia azione chimica e mec- canica, specialmente consigliabile per culture pratensi ed a cereali, e che per esempio diede così buoni risultati nelle an- tiche lande e brughiere del Norfolkshire. E che dire delle infinite qualità di Argille di svariata ori- gine e dei loro molteplici usi? Eicordiamo almeno il caolino LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA XCV che ci dà le porcellane e diversi materiali refrattari; l’argilla plastica o figulina da cui traggonsi comuni stoviglie che furono e sono sempre tanto utili all’uomo dall’epoca preistorica al giorno d’oggi, oltre a fornirci la materia per un interessante ramo di lavorazione artistica, quello della ceramica; le argille grossolane ed impure, ma non meno importanti per ottenerne ogni sorta di laterizi (dai mattoni alle tegole, alle pianelle per pavimenta- zione, ai tubi, ecc.), nonché materiali ornamentali svariatissimi, cosidetti in terracotta; le argille, spesso usate modestamente e poveramente per cattiva cementazione di opere murarie; la sgrassante argilla smettica o da folloni; le coloranti argille ocracee o boli; nè bisogna dimenticare che l’argilla, iu forma di limo, è uno degli elementi fondamentali del terreno vege- tale e che inoltre essa sotto varie forme, a varie profondità ed in ripetute zone nei terreni, specialmente in quelli più recenti, costituisce per la sua poca permeabilità sia utili sostegni di falde acquee sotterranee, sia opportuni veli protettivi delle me- desime. Riguardo alle roccie piroclastiche esse ci dànno coi Tufi di varia sorta un materiale da costruzione che, se generalmente non è fra i più duraturi, è però ottimo per leggerezza, poro- sità, buona presa colla calce, facile escavazione, facile lavora- bilità, ecc., mentre allo stato disaggregato esso costituisce, come la pozzolana, eccellente materiale per malte e per cementi; in ogni caso costituiscono quasi sempre queste formazioni, vere zone di assorbimento delle acque di pioggia e quindi di preziosa riserva per sorgenti. Grandissima fu l’influenza che esercitarono, e tuttora eser- citano, i materiali naturali da costruzione ed ornamentazione sui vari modi di svolgersi e di esplicarsi dell’edilizia, dell’archi- tettura, nelle varie regioni della Terra a seconda delle roccie più abbondanti nelle regioni stesse; basti ricordare p. es. il Piemonte per il grande uso di graniti bianchi e rossi e di gneiss svariati, la Liguria per le ardesie (lavagne) ed i bian- chi marini, la Brettagna e la Normandia per gli schisti pa- leozoici, Parigi pei calcari eocenici giallastri, la Toscana pel Macigno grigiastro, il Cantone di Berna per la cosiddetta Mo- lassa, le regioni francesi del Puy-de-Pome, di Drome, dell’Ar- XCVI F. SACCO dèche, ecc., pei basalti, andesiti, ecc. di tinta bruna; Napoli per i vari tufi; lioma per tufi giallo-bruni ed il travertino bian- castro; la Lombardia, le Fiandre, ecc., per l’argilla, base di svariati laterizi. Nò devesi anche dimenticare che la fine grana e la bellezza dei Marmi della Grecia e dell’Italia molto in- fluirono sullo sviluppo artistico in queste due regioni. Giustamente quindi l’ing. De Caruillis scriveva pochi anni fa « l’abbondanza e la buona qualità dei materiali edilizi costi- » tuiscono i primi fattori di civiltà, giacche colla loro presenza » facilitano la costruzione delle opere monumentali e rendono » possibile uno sviluppo edilizio che corre sempre di pari passo » col progresso economico del paese ». Nel Capitolo della Geo- logia economica del mio lavoro: Geologia applicata dell' Appen- nino, 1904, sono indicati numerosi esempi italiani del rapporto fra i terreni, i loro prodotti, ecc., e lo sviluppo nonché le varie branche dell’attività umana. Infine l’argomento dei materiali naturali da costruzione non può chiudersi senza ricordare come di vera Litologia appli- cata sia Tesarne, per ogni singola roccia, dei suoi vari requi- siti costruttivi inerenti alla loro costituzione e struttura, posi- zione, ecc., donde risultano naturalmente proprietà diverse per cui le roccie soddisfano più o meno ai bisogni della costruzione; cosi . ricordiamo: la densità, la permeabilità all’acqua ed ai gaz, l’im- bibizione, la durezza, la tenacità, la gelività, la refrattarietà, la dilatabilità termica, l’alterabilità chimico-fisica ; la resistenza alla compressione, alla trazione, alla flessione, ecc.; la durevo- lezza o resistenza ai vari agenti chimici, fisici, ed organici; la logorabilità al carreggio; la conduttività termica; il colercele sue variazioni col tempo; l’aderenza o coesione coi materiali cementanti; i metodi di estrazione, cioè sia quelli di ricerca e scelta delle cave, sia di attacco ed esercizio nelle cave stesse scoperte o sotterranee, sino alla lavorazione del materiale esca- vato ed i suoi migliori modi di conservazione, quando messo in opera. Anche l’esame al microscopio può esser giovevole per riconoscere certi intimi ed importanti caratteri dei materiali li- toidi da utilizzarsi in qualche modo. Inoltre sovente riesce assai utile l’esame del vario modo di comportarsi delle singole roccie, sia al momento dell’escavazione LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA XCVII meccanica od a mano, sia in seguito, ciò che c diventato ormai di massima importanza nelle costruzioni ferroviarie per le fre- quenti gallerie che spesso richiedono, per molte roccie, speciali metodi di escavazione e di rivestimento, trascurando i quali si va sovente incontro a gravissimi inconvenienti, come pur troppo si ò verificato in quest’ultimo trentennio in Italia, dove nelle Gallerie ferroviarie dei Giovi, del Borgallo, ecc. ed in tante altre opere d’arte analoghe, si sprecarono molte diecine di milioni, oltre a gravi perdite di tempo ed a varii danni connessi, ap- punto per essersi trascurati i fondamentali dati geologici. In riguardo ai materiali utili costituenti la crosta terrestre non basta conoscerne la natura e le varie qualità; per poterli trovare ed utilizzare noi dobbiamo necessariamente anche cono- scerne sia il modo di presentarsi, ciò che costituisce la Tetto- nica, o architettura della Litosfera, sia la loro genesi e la loro posizione cronologica e quindi stratigrafica nella serie formante la crosta terrestre, ciò che costituisce la Geologia stratigrafica o storica o cronologica; di questa è aiuto efficacissimo la Pa- leontologia, Scienza praticamente assai più utile di quanto par- rebbe, come ebbe anche ad esporre recentemente il Benier nella sua nota « De l’emploi de la Paléontologie en Géologie ap- pliquée », 1906. D’altronde queste due grandi branche della Geologia, cioè Tettonica e Geologia cronologica, che possono parzialmente sin- tetizzarsi in apposite utilissime carte geologiche e relative se- zioni (troppo spesso trascurate o non capite e quindi non uti- lizzate da chi deve fare lavori sul terreno), riescono anche di massima utilità in una svariata serie di opere di Ingegneria, come trivellazioni, fondazioni di edilizi e di opere d’arte svariate, derivazioni di forze idrauliche o di acque di irrigazione, costruzioni stradali o ferroviarie (particolarmente se con tagli in falda, trincee e gallerie, dove richieggonsi speciali cognizioni di geo- logia), drenaggi, consolidamenti di terreni, costruzioni di bacini di ritenuta, ricerca, captazione e conduttura di acque sotter- ranee, per cui sono anche fondamèntali le cognizioni di Geo- idrologia, ecc. XCVIII F. SACCO Purtroppo però tra Geologia ed Ingegneria non vi è ancora generalmente quel nesso che pur deve esistere tra scienza e pra- tica a maggior beneficio dell’umanità. Oltre ai materiali da costruzione non possiamo dimenticare che, sparsi nella crosta terrestre, in forma sedimentaria o filo- niana, vi è una numerosa serie di svariati Minerali di grande importanza industriale o commerciale. Basti ricordare in pro- posito, per avere un’idea di questa ricchezza naturale rinchiusa nella Litosfera terrestre, che la produzione mineraria del Globo è annualmente di oltre 200 milioni di lire pel Zinco ed altret- tanto pel Piombo, di quasi 300 milioni per lo Stagno, di circa 800 milioni pel Rame, di un 200 milioni pel Platino, di circa un miliardo ed 800 milioni per l’Oro e l’Argento, di circa 4 mi- liardi pel Ferro, di 250 milioni di Salgemma, di circa 1 mi- liardo in diverse Pietre preziose, di quasi 10 miliardi di Carbon fossile, oltre a 200 milioni per altri vari minerali (Nichelio, Antimonio, Manganese, Molibdeno, Zolfo, Talco, ecc.). Sono quindi una ventina di miliardi che i minerali rendono annual- mente, in modo da rappresentare un formidabile capitale che l’uomo può adoperare tanto più utilmente, quanto più i suoi me- todi di ricerca e di escavazione sono basati, sia su conoscenze fondamentali di Geologia generale, sia sopra quel complesso di speciali cognizioni che costituiscono la Geologia mineraria o Geomontaiiistiea. Nò sono trascurabili i minerali liquidi, come il Petrolio (per la cui ricerca ò nota l’importanza delle cono- scenze stratigrafiche e litologiche), che rende annualmente circa 3 miliardi di lire. Pure di grande importanza sono i minerali sciolti nelle acque, specialmente quando essi, venendo a giorno sotto la forma di infinite sorgenti (ferruginose, saline, magnesiache, alcaline, sol- forose, boracifere, acidule, ecc.), costituiscono altrettanti centri di utilizzazioni industriali o di cure terapeutiche, con annessovi un enorme movimento commerciale d’ogni genere. Infatti tali acque minerali originano spesso importanti centri d’abitazione umana, sviluppantisi prosperamente attorno a queste cosidette stazioni balnearie o simili, quasi nello stesso modo che molte regioni minerarie fecero sorgere, anche rapidissimamente in caso LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA XCIX di fortunate scoperte, vere Città, od almeno grandi accentramenti umani, come p. es., nelle ricche regioni carbonifere, in certe zone petrolifere del Caucaso e dell’America del Sud, nelle note regioni aurifere del Transvaal, ecc.; e così dicasi di molti altri casi analoghi più o meno importanti. La ricerca, la captazione e la preservazione delle acque ter- mominerali rappresenta veramente un importante capitolo di Geologia applicata, tantoché il De Launay vi consacrò recen- temente un voluminoso Trattato. Vi è poi un’infinità di materiali minerali o litoidi che trag- gonsi dal terreno per svariate industrie chimiche e minerarie, per vetreria, per ceramica, per usi refrattari, per tintoria, per pittura, per illuminazione, per gioielleria, per medicina, ecc., materiali che hanno più o meno importanza e che talvolta l’acquistano di tratto (come p. es. il Torio, la cui produzione acquistò in poco tempo il valore di 10 milioni annui) in rapporto a qual- che nuovo uso. Ma anche indipendentemente dall’utilità costruttiva, mine- raria o simile che può influire molto sopra speciali centri di abitazione (p. es. in Italia: Carrara pei marmi, Lavagna pel- le ardesie, Ma^sa Marittima pel rame, ecc.), la natura litologica del suolo ha, per cause complesse, ed anche assai varie da luogo a luogo, notevolissima influenza sullo sviluppo dell’uomo sulla superficie terrestre; così, p. es., il dott. Almagià nella sua accurata memoria sopra la « Distribuzione della popolazione in Sicilia, secondo la costituzione geologica del suolo », 1907, con- clude che in Sicilia possono considerarsi come fittamente po- polate le breccie conchigliari, le lave, le sabbie ed i calcari concrezionari ; discretamente popolati i calcari in genere, i ter- reni alluvionali, le dolomie, i graniti, le arenarie, i conglome- rati, gli schisti ed i tufi : invece scarsamente popolati i gessi, le argille, le marne. Sovente infatti la densità della popolazione sulla Terra corrisponde a qualche speciale fattore geologico, è cioè connessa colla Geoagrologia, colla Geoidrologia o colla Geo- montanistica. Infine non posso chiudere questi rapidissimi cenni di Geo- logia applicata senza ricordare come il terreno agrario, forma- c F. SACCO zione essenziale pel nutrimento dell’uomo, pur dipendendo molto dall’umificazione, che è un processo in gran parte organico o meglio chimico-microbico, tuttavia ha come base fondamentale ed originaria il materiale roccioso più o meno profondamente alterato, sia esso di origine locale (cioè per modificazioni chi- mico-fisiche in sita della roccia sottostante) come la laterite, sia di trasporto (acqueo, glaciale, eolico) dopo disaggregazione della roccia originale più o meno lontana (come il lehra, il loess, il terreno morenico, ecc.), sia di origine endogena (come le ceneri vulcaniche, i tufi, ecc.). Orbene questo materiale, originalmente litoide, più o meno decomposto, ha un’importanza massima sia per la costituzione chimica sia per quella fisica (donde la coesione, la conduttività calorifica, l’igroscopicità, la permeabilità, ecc.) del terreno colti- vabile; questo infatti consta di due elementi essenziali, cioè di quello chimicamente attivo, cioè che contiene le materie assimi- labili dalle piante, e di quello pseudoinerte, come p. es. la sabbia, ma che viceversa agisce fisicamente come dividente, rendendo cosi il terreno permeabile all’acqua ed all’aria, facilitandovi gli scambi, le svariate azioni chimico-biologiche, ecc. Da ciò la grande utilità di conoscere la natura litologica originaria ed attuale del terreno agrario, potendosene così più facilmente riconoscere la natura chimico-fisica, cioè i compo- nenti principali (p. es. sabbia, argilla, calcare, ecc.), gli ele- menti di fertilità (fosfati, sali potassici, ecc.) o di nocumento (come depositi ferruginosi, di sai marino, ecc.), e quindi de- durne i bisogni, gli eventuali emendamenti fisici o chimici, i più utili ingrassi, fra cui sonvi molti minerali come fosfati, sol- fati e carbonati potassici, sali vari, ecc., riuscendone poi anche facilitato il compito dell’Agronometria cioè dell’Estimo agrario. Complesso di cognizioni che costituiscono la Geoagrologia. Esempi italiani in proposito si possono trovare in: Parona, Il Terreno, 1898; Sacco, Geologia applicata dell’ Appennino, 1904 e nel recente lavoro del Nicolis sopra la Geologia applicata agli estimi del nuovo Catasto, 1907, dal quale risulta nel modo più chiaro e più pratico l’intimo nesso esistente tra la natura geo- logica del terreno ed il suo valore culturale. LA FUNZIONE PRATICA DELLA GEOLOGIA CI Infatti, per quanto siavi ancora assai da studiare in questo argomento molto complesso, sappiamo p. es. che vi sono piante calcicole, altre silicicole, ecc. ; cioè alcune preferiscono le sabbie silicee, come certi pini, betule, ecc.; altre sviluppansi sui ter- reni argillosi, come le querele; altre sui terreni arenacei 6 grani- tici, come abeti, faggi, castagni ; altre su terreni calcarei, come certi aceri, quercie, certi pruni, spesso gli olivi; cosicché per una stessa essenza arborea, secondo il terreno gneissico od ar- gilloscistoso od arenaceo, ecc., cangia enormemente la produzione annua del legname. Sappiamo che, riguardo alla vite, cangiano le qualità del vino in rapporto alla natura del terreno; se questo è ferrifero ne aumenta il colore, se è silicifero gli dà uno spe- ciale aroma, se calciterò ne accresce il grado alcoolico, se ar- gilloso gli dà un po’ d’aspro e di sapor terroso, ecc. Ben cono- sciamo quanto varino i prodotti agrari (legname, vino, frumento, fieno, ecc.), secondo le qualità del terreno, appunto perchè va- riano i bisogni nelle diverse culture ; così, p. es., occorrendo spe- cialmente i composti azotati per le praterie ed i vari cereali, quelli fosfatici per il mais e la canna da zucchero, quelli potas- sici per le leguminose, ecc. Sappiamo che vi sono roccie sterili, come le Pietre verdi in genere, ed altre per lo più fertili come le marne e vari terreni vulcanici ; altre, come quelle torbifere, sono alquanto improprie alla coltura per troppa acidità fche però neutralizzasi con espandimenti marnosi o calcarei) e troppa umidità, da correggersi con drenaggi. Ecco perchè nei paesi più avanzati (come Germania, Francia, Ungheria, Stati Uniti, Giappone), si costruirono e si vanno co- struendo carte geoagrologiche, che, se ben fatte (cioè se inclu- denti dati geologici, idrologici, meteorologici ed agronomici) e possibilmente collegate con esperienze culturali, e se razional- mente interpretate (non solo per la natura del terreno, ma anche per la sua permeabilità, le possibili bonificazioni, ecc.), possono riuscire di massima utilità all’agricoltore e quindi di grande bene- ficio generale, risultandone una cultura più economica e più pro- duttiva dell’attuale. Tanto più è ciò conveniente ora che l’Agri- coltura subisce in diverso modo una vera evoluzione, ora che sterminate terre vergini dell’America, della Russia, ecc. vengono a far concorrenza alle vecchie ed esauste terre d’Europa; per CII F. SACCO cui è necessario non solo modificare i sistemi di coltivazione ma usufruire di tutte le cognizioni utili al riguardo, fra cui quelle geologiche, meglio specializzando le coltivazioni, adat- tandole alle varie qualità di terreni, utilizzando meglio le ri- sorse naturali di questi, migliorandoli ed emendandoli con tutti quei mezzi che suggerisce l’Agrogeologia o Geologia agraria o Geoagronomia., sia coi cosidetti marnage, chaulaye, limondge, ecc., sia con concimi minerali, sia con consolidamenti di terreni, sia con drenaggi, sia con irrigazioni (anche per mezzo di emungi- menti artificiali), sia con varie sorta di bonifiche ed altre opere di Geoidrologia applicata. Ma è oramai tempo di chiudere questi cenni sintetici sulla funzione pratica della Geologia e li chiuderò ricordando che siccome l’uomo, secondo un giusto detto, non vive di solo pane, così la Geologia non gli riesce solo di somma utilità pratica, ma, rappresentando essa la Scienza della Terra nel passato e nel presente, facendo conoscere i diversi mondi organici che in successive evoluzioni precedettero quello attuale, e strettamente connettendosi con tutte le Scienze fìsiche, chimiche e biologiche, nonché colla Cosmologia e l’Astronomia, largamente ed intensa- mente illumina il pensiero umano, elevandolo ai più sublimi concetti della Filosofìa naturale. RELAZIONE DELLE FESTE ALDROVANDIANE A BOLOGNA (12 e 13 Giugno 1907) per il dott. M. Gortani Il comitato eletto dalla città di Bologna per le onoranze a Ulisse A klro vandi nel III centenario dalla morte di lui, fissò per la commemorazione il 12 giugno di quest’anno. Il ritardo biennale (poiché la tercentenaria ricorrenza cadde il 4 mag- gio 1905) fu dovuto a complesse e varie circostanze; ma con il giorno prescelto si vollero appositamente unite in una sola data la proclamazione della riacquistata libertà bolognese e la fondazione dell’antichissimo Studio, con l’omaggio mondiale al sommo scienziato. E le onoranze furono degne della città e dello Studio; furono manifestazione solenne di universale consenso, concorde tributo di venerazione all’erudito indagatore delle cose naturali. Nel pomeriggio dell’ll giugno, i 73 delegati e rappresen- tanti italiani e stranieri furon riuniti dal comitato in un’adu- nanza preparatoria allUirchiginnasio, per affiatarsi scambievol- mente e prendere gli accordi per la giornata successiva. La sera ai delegati, alle autorità e agli invitati il municipio diede un ricevimento nella residenza comunale. La commemorazione fu tenuta il 12 giugno, dalle 10 alle 13, nella grande sala di lettura dell’Archiginnasio. Nel luogo severo e magnifico, pieno di sacri ricordi e di gloriose memorie, il banco di fondo era occupato dai membri del comitato, dalle principali autorità, dai delegati delle università italiane e stra- niere con le toghe accademiche. Seguivano le altre rappresen- tanze, un grandissimo stuolo di invitati, e all’opposta estremità della sala più di trecento studenti coi loro berretti goliardici multicolori. CIV M. GORTANI Primo sorse a parlare il prof. Capellini, accennando ai lavori compiuti dal comitato per le onoranze, che egli era stato chia- mato a presiedere, e riepilogando le fortunose vicende passate dalle collezioni dell’Aldrovandi. L’on. Tanari, prosindaco di Bo- logna, portò quindi il saluto della città; il rettore prof. Puntoni in un latino classicamente forbito comunicò il plauso e l’appoggio dell’ateneo, « cuius proprium videtur homines optime de doctrina studiisque meritos constantius meminisse quam saepius comme- morare»; recò infine l’omaggio e il saluto del governo l’on. Sa- narelli, sottosegretario all’Agricoltura e rappresentante i ministri dell’Agricoltura e della Pubblica Istruzione. Alla tribuna, domi- nata dal prezioso gonfalone dell’università, si succedettero poi, per ordine alfabetico di paese, i delegati e rappresentanti delle università e accademie scientifiche, recando gli indirizzi di cui eran latori. Secondo ciò che era stato convenuto il giorno prima, per ogni nazione parlò un solo rappresentante: Brusina (in ita- liano) per la Croazia, Pélissier (in francese e in italiano) per la Francia, Fergusson (in inglese) per l’Inghilterra, Borcea (in francese) per la Rnmenia, Wieland (in inglese) per gli Stati Uniti, Schiick (in bell’italiano) per la Svezia, Entz (in latino) per 1 Ungheria, Eichter (in francese) per la Transilvania, Mat- tinilo da ultimo per l’Italia. Dopo le allocuzioni dei delegati, il prof. Emilio Costa lesse il poderoso discorso commemorativo, tracciando con mano sicura le condizioni dello Studio bolognese nella seconda metà del secolo XVI, e studiando il rinnovamento scientifico che allora fu in esso iniziato, sprigionandone luce e gloria imperitura, e la parte essenziale che in queste lotte acerbe, tenaci e feconde ebbe Ulisse Aldrovandi. Terminato il discorso, il conte Luigi Aldrovandi, discendente della famiglia del chiaro filosofo, ringraziò con belle e commosse parole. La. cerimonia fini con lo scoprimento, nel loggiato a terreno, di una lapide com- memorativa ricordante che «Ulisse Aldrovandi — in questo' Archiginnasio — nuovamente allora edificato — si confermò principe de’ fisici — e fece gloriosa la cattedra — dalla quale per XL anni — diffuse — la sua onniscienza della natura ». Il breve discorso inaugurale fu tenuto dal prof. Pavesi, in nome di tutti gli scienziati italiani. FESTE ALDROVANDIANE CV Chiuse la giornata una visita ai musei e istituti universitari, e una rappresentazione di gala al Teatro Comunale. Ma la più degna e doverosa fra tutte le onoranze rese a Ulisse Aldrovandi fu la ricostituzione del museo che egli aveva legato alla sua Bologna. Sono commoventi le parole del suo testamento che riguardano la conservazione del materiale radu- nato con tante fatiche, e di cui pare quasi che egli prevedesse l’inconsulta dispersione: «... et fra li sopraintendenti protettori, et censori eleggo ITllustrissimo Signor Legato di Bologna, o Go- vernatore prò tempore, et ITllustrissimo Monsignor Arcivescovo della Città nostra prò tempore, li quali Signori supplico avere a cuore, che nò cosa alcuna fia mai deteriorata, nò alienata, nò trasportata, nè fuori del Museo, nò fuori della Città, a fine dell’onor mio, et che tali mie opere si pongano sotto il mio nome, et che si veda d’impetrare una scomunica Papale a quello, che togliesse qualche cosa... » (1). Eppure tutto questo non valse; e, compiuta la dispersione, bisognò arrivare fino al 1881 prima che Giovanni Capellini, volendo riannodare le tradizioni della scuola geologica bolognese a Ulisse Aldrovandi, potesse inau- gurare nel suo Istituto quella tribuna che, iniziata nel 1860, fu il primo nucleo del museo oggi ricostituito. Accanto a tali reliquie geologiche ora si ammirano l’erbario e i legni disegnati ed incisi che Oreste Mattirolo era riuscito a collocare in degna sede nel 1807; i cimeli che si poterono scoprire nell’Istituto di zoologia, dove Carlo Emery ne aveva. già separata una parte dalle collezioni generali; infine tutti i manoscritti che erano conservati nella biblioteca universitaria e che occupano una serie di scafte lunga oltre quaranta metri. Tutto questo materiale, già ricchissimo di per sè, e pure una frazione soltanto di ciò che l’Aldrovandi raccolse, fu collocato nella grande sala del palazzo dell’Istituto delle scienze già in- titolata a Benedetto XIV; e la mattina del 13 giugno il museo fu inaugurato in modo solenne. In tale occasione, a tutti i de- legati fu distribuita una splendida medaglia commemorativa. C) Testamento di U. Aldrovandi. — In G. Fantuzzi, Memorie della vita di Ulisse Aldrovandi medico e fdosofo bolognese. Bologna, 1774, pag. 83. Vili evi M. GORTANI Ognuno ebbe inoltre una copia delle pubblicazioni fatte per cura del comitato: la guida di Bologna; la guida (appositamente ri- fatta) del museo geologico; i discorsi pronunciati nella comme- morazione solenne; il catalogo ragionato dei manoscritti aldro- vandiani; un volume di studi sulla vita e le opere del filosofo; da ultimo un primo fascicolo del Chartularium Stuelli bono- niensis e un primo volume di studi e memorie, pubblicati da una apposita commissione per la storia dell’Università di Bo- logna, che il comitato volle istituita nel nome dell’Aldrovandi. Con questo, le cerimonie e le onoranze eran finite. Nel po- meriggio, visitato il museo dell’ VI II centenario dello Studio, il prof. Pullè volle inaugurato con la visita degli ospiti il museo ove egli raccolse un copioso materiale per l’illustrazione etno- grafica, artistica e letteraria dell’India. Una lunga fila di vet- ture condusse poi i delegati all’istituto ortopedico Rizzoli in S. Michele in Bosco, dove l’amministrazione provinciale offrì un ricevimento. Ultima riunione fu il pranzo che in onore degli intervenuti diede la sera all 'Hotel Bruii il municipio di Bo- logna. Il grato ricordo che in tutti lasciarono le feste Aldrovandiane è la prova migliore della piena riuscita di esse e della perfe- zione clic ai più minuti particolari seppe dare il comitato, sotto la direzione dell’infaticabile suo presidente. E quando si guardi anche alle aride cifre, un’altra constatazione può farsi, lieta e lusinghiera: cioè il sommo onore in che gli scienziati di tutto il mondo mostrarono di tenere l’opera innovatrice del natura- lista bolognese non solo, ma pure tutte le gloriose tradizioni della scienza italiana. Lo dicono le 175 università e accademie che aderirono alla commemorazione, e di cui un centinaio in- viarono delegati o si fecero rappresentare; lo dicono i cinquanta e più indirizzi pervenuti al comitato, di cui parecchi artistica- mente miniati su pergamena, come quelli delle università di Upsala, Parma e Torino e della Società nostra; lo dicono le entusiaste parole dei rappresentanti esteri, fra cui basta citare quelle pronunciate con voce tonante dallo Schiick per le uni- versità e accademie svedesi: «Quando l’Europa, avvolta ancora nella notte del Medip Evo, sognava, fu l’Italia il primo paese che ridestò la scienza dormiente e divenne così madre della PESTE ALDROVAN DIANE CVII nuova civiltà. E fu un figlio del vostro paese che dagli studi metafisici attraverso le forme della scienza esatta gettò lo sguardo indagatore sulle arcane leggi della natura... ». Con tali auspici, tanto meglio augurante ci appare l’indirizzo della Società di scienze naturali di Jekaterinburg, che riunendo le origini dello Studio bolognese alla commemorazione Aldrovandiana, sintetizza così il suo voto: 1088 — 1907 00 . IL VI CONGRESSO GEOGRAFICO ITALIANO Preg.mo Sig. Presidente, Mi credo in dovere di mandarle una brevissima relazione dei lavori del VI Congresso Geografico Italiano al quale par- tecipai come rappresentante della Società Geologica Italiana. Il Congresso ebbe luogo nell’ultima settimana dello scorso maggio e fu assai notevole per le questioni trattate e le comu- nicazioni presentate, nonché per il numero degli intervenuti. Questi infatti furono parte notevole degli aderenti, i quali rag- giunsero il numero di 670. Pochi però i geologi; ricordo di aver veduto solo il prof. Uzielli dell’Università di Parma, i dott. Dai- nelli e Martelli dell’Istituto di Studi Superiori di Firenze, ed il dott. Mario Baratta. Tuttavia parecchie delle relazioni di temi e delle memorie discusse nella sezione scientifica (il Congresso, secondo la con- suetudine, era diviso in quattro sezioni: scientifica, economica, didattica e storica) possono avere interesse per i consoci; ne ricorderò alcune. Un primo gruppo si riferisce a questioni relative allo studio delle anomalie della gravità alla superficie terrestre. Intorno a questo argomento, che merita senza dubbio l’attenzione dei geo- logi, non si ebbero però tanto comunicazioni di fatti nuovi, quanto l’espressione di desideri perche venissero intraprese nuove ricerche. Soltanto il tenente di vascello Alessio riferì di deter- minazioni eseguite durante il viaggio di circumnavigazione della R. Nave Calabria, la quale del resto fece pure varie osserva- zioni oceanografiche e di altra natura. Invece il prof. I)c Marchi insistè specialmente perchè si facessero nuove misure di gravità nel Veneto (ed in ciò trovò l’assenso del Congresso che approvò un corrispondente voto), il dott. Martelli considerò in via gene- rale i possibili vantaggi che gli studi sismologici e quelli sui lenti movimenti del suolo possono trarre dalla geodesia c spe- cialmente dalle determinazioni gravimetriche. Anche il sotto- CIX IL VI CONGRESSO GEOGRAFICO ITALIANO scritto in una relazione riguardante lo studio geografico della Colonia Eritrea, indicò una parte di quel territorio come regione clic specialmente poteva prestarsi ad osservazioni di fisica ter- restre e ricordò come nulla si fosse fatto dopo le poche misure di gravità della nave austriaca Pola. Una breve comunicazione del dott. Baratta riguardò poi la distribuzione geografica dei terremoti in Sicilia e Calabria. Assai notevoli furono alcune comunicazioni relative allo studio dei mari e della laguna; l’argomento non fu però considerato da alcuno con speciale riguardo all’interesse della geologia. Lo stesso dicasi per le poche comunicazioni su fiumi e laghi. Una relazione del dott. Dainelli per l’organizzazione dello studio dei ghiacciai in Italia., portò al voto che il Club Alpino Italiano richiami in vita la Commissione per lo studio dei ghiac- ciai che aveva istituita anni sono e che poi aveva lasciato morire. Parecchie furono le memorie e comunicazioni relative alla mor- fologia terrestre. Generalmente furono soltanto presentate o suc- cintamente riassunte, per cui non torna agevole farsi un concetto del loro valore. Noterò fra le altre una dell’Almagià sulle frane dell’Appennino settentrionale, una del Bruzzo sui « calanchi », una del Crino sopra una frana siciliana (presso Cattolica Eraclea), che si vuole in relazione con una salsa, un’altra dello stesso sopra le dune agrigentine, una del Revelli sulla influenza della costituzione geologica sul paesaggio dei dintorni di Palermo. Lo stesso Revelli si occupò poi dell’isola di Capo Passero e della recente sommersione della vicina costa. Il dott. Dainelli, anche a nome mio, espose riassuntivamente i risultati di un nostro viaggio in Eritrea (settembre 1905-gen- naio 1906), fermandosi specialmente sulla parte geologica e morfologica. Tanto nella sezione scientifica, quanto in quella didattica furono trattate parecchie questioni relativamente a bibliografie, carte geografiche e simili. Dirò di alcune. Fu anzitutto approvato un piano di bibliografia geografica della regione italiana proposto da L. F. De Magistris. Le carte dell’Istituto Geografico Militare furono poi oggetto di una relazione ufficiale per parte del prof. Attilio Mori, che riferì sopra i lavori dell’ultimo triennio e, fra altro, mostrò i saggi ex O. MARINELLI dei primi fogli di una nuova carta d’Italia al 200 mila, in pre- parazione. Il dott. Tomolo trattò poi della opportunità che nei nuovi rilievi al 25 mila sieno curate alcune particolarità di speciale interesse scientifico, finora rappresentate in modo insufficiente (forme di alta montagna, elevazione dei fondi delle valli, ghiac- ciai, limiti di vegetazione, culture, cavità, punti a cui si rife- riscono le quote). Il prof. Errerà d’altro canto sollevò la que- stione delle famose proibizioni allo smercio di alcune tavolette e quadranti, questione della quale si interessò e credo si inte- ressi vivamente la nostra Società Geologica. Naturalmente si concluse, nè poteva essere altrimenti, con un voto nel quale si deliberò che per cura del Comitato Permanente dei Congressi « sia quanto più presto è possibile concordata un’azione comune col Club Alpino Italiano e con tutti i corpi scientifici e tecnici interessati, per ottenere che sia revocato il recente divieto di vendita di una parte delle tavolette e dei quadranti dell’ Isti- tuto Geografico Militare». Lo stesso prof. Errerà svolse un’altra relazione della quale conviene qui far cenno: sulla convenienza cioè di ordinare un archivio fotografico della regione italiana in servigio degli studi geografici. Anche la geologia trarrebbe non indifferente bene- ficio da una tale istituzione. 11 Touring Club, nel quale molti confidavano, non osò assumersi il peso finanziario di questo archivio, nel mentre la Società Fotografica Italiana potè offrire solo un locale, per cui il Congresso dovè limitarsi ad affermare « la necessità di una raccolta di rappresentazioni fotografiche dei fenomeni geografici dell’Italia, tanto naturali quanto antro- pici » e di rimettere al Comitato Permanente lo studio dei modi onde giungere all’attuazione dell’impresa, affidando infine ad una commissione il compito di definire lo schema di programma particolareggiato dell’archivio. Ai pochi cenni qui dati su alcuni degli argomenti trattati al Congresso, aggiungerò come, sebbene non interessanti diret- tamente la geologia, fossero notevoli due sedute della sezione didattica dedicate alla discussione dell’ordinamento della geo- grafia nelle scuole superiori c medie, e nella sezione storica il voto proposto dal prof. Rambaldi di una società liamusiana IL VI CONGRESSO GEOGRAFICO ITALIANO CXI per la raccolta e studio del materiale relativo alla storia della geografia e della cartografia. Questa società era già costituita prima che si sciogliesse il Congresso. Anche la sezione econo- mica trattò molte questioni degne di attenzione, specialmente notevoli quelle sull’emigrazione e sul commercio di Venezia. L’istituto dei Congressi Geografici Italiani, che risale al 1892, sembra sia risultato rafforzato a Venezia, non solo per la felice riuscita di quella riunione, ma anche per la riforma dello sta- tuto che là fu discussa ed approvata. È intesa a rendere più attivo il Comitato Permanente, organo di continuità fra un con- gresso ed il successivo. Il punto sostanziale della riforma con- sistente nella distinzione di associati ai congressi, che pagano una tassa annua di lire 5, e di aderenti che s’inscrivono con- gresso per congresso con una quota di lire 10. Ne risulta for- mata dai primi una specie di società per i congressi,, che elegge il Comitato Permanente (alcuni membri sono però tali per l’ufficio clic occupano), incaricato, come per il passato, di dar corso ai voti dei congressi e di preparare i futuri.. La riforma ha carat- tere di esperimento, ma non dubitiamo della sua riuscita. Durante il Congresso furono fatte due escursioni, le quali, sebbene avessero più importanza per dare un’idea della pisci- coltura e della agricoltura della costa veneta e del problema della navigazione interna, interessarono anche coloro che ama- vano formarsi un concetto complessivo delle condizioni morfo- logiche e fisiche della laguna. In una prima gita, con un rimor- chiatore espressamente adattato, si raggiunse per i canali in- terni il Po, ritornando poi con carrozze a Loreo e quindi in ferrovia a Chioggia. In una seconda, in vaporino, si arrivò alla Piave Vecchia (ora corsa dal Sile) e si visitò la « valle » da pesca del Cavallino, indi Torcello e Barano. Nella prima delle due escursioni si navigò fra terreni bonificati col sistema dei « polders » olandesi, talora sotto il livello del mare, e si tra- versarono poi nel ritorno le dune della Foce dell’Adige. Altre dune si osservarono presso la Piave Vecchia. Non è qui il caso di parlare dei solenni festeggiamenti che ebbero luogo in occasione del Congresso, nè delle mostre di ma- teriale geografico e cartografico messe assieme dalla Biblioteca Marciana, dall’Archivio di Stato, dal Museo Correr e dalla Fon- CXII O. MARINELLI dazione Cenerini Stampalia. Fra il ricco materiale esposto, molto senza dubbio può avere un grande valore per lo studio delle moderne trasformazioni idrografiche del bassopiano veneto, ma la maggior parte interessa più che altro la storia della geografia e della cartografia. Numerosissime furono le pubblicazioni offerte in dono ai Con- gressisti dal Comitato Esecutivo del Congresso, da ministeri, da società scientifiche, da periodici, ecc. Ne noterò alcune nelle quali sono considerati argomenti che hanno attinenza con la geologia. Anzitutto ricordo il volumetto Venezia . offerto dal Comitato Esecutivo, ove sono alcune note geografiche del Vaccari, ed un capitoletto dedicato alla laguna, del prof. E. De Toni; poi il fascicolo illustrato: L’Istituto Geografico Militare ed i suoi la- vori, offerto dalla direzione dell’Istituto stesso. Questo donò pure una carta al 100 mila della Laguna ed i due rilievi al 10 mila del cono vesuviano, eseguiti prima e dopo l’eruzione dell’aprile 1906. Su tali importanti rilievi, opera diligente del topografo Fiechter, disse brevemente al Congresso il dott. Baratta e trattò poi più diffusamente nel fascicolo di agosto della Rivista Geo- grafica Italiana. Notevole assai anche il dono dell’Istituto Idro- grafico della R. Marina, consistente in una Carta del delta Ra- dano, nella quale è rappresentato lo stato della spiaggia in epoche varie a cominciare dall’anno 1300 ed a finire con i rilievi del 1905. Ricordo anche un opuscolo, estratto dall’ « Ate- neo Veneto », del Bullo: Il lento c progressivo abbassamento del suolo della Venezia marittima; le Istruzioni per lo studio della Colonia Eritrea, pubblicate per cura della Società di Studi Geografici e Coloniali e di quella di Antropologia di Firenze, nelle quali un capitolo è dedicato alla geologia (l)ainelli c Ma- rinelli), la Bibliografia della Colonia Eritrea dal 1SU1 al luna, edita dalla « Rivista Geografica Italiana » (Dainelli, Marinelli c Mori), ove sono considerati anche gli scritti relativi a geologia, morfologia terrestre, vulcani, terremoti, ecc. Nel complesso, come accennai da principio, il Congresso geo- grafico di Venezia ebbe una indiscutibile importanza c per il numero dei partecipanti c per il lavoro condotto a termine. Ciò corrispose alla preparazione diligente ed ottima sotto ogni ri- IL Vr CONGRESSO GEOGRAFICO ITALIANO CXII1 guardo dovuta specialmente alla infaticabile operosità dei segre- tari proff. Rambaldi, Lanzoni e De Toni. Il Congresso poi, assai più di quanto sia solito avvenire, interessò la pubblica opinione. Le accoglienze avute a Venezia e le ampie relazioni della stampa locale lo dimostrano. Se ad altro non servissero, queste riunioni giovano a richiamare l’attenzione del pubblico su un ordine di studi in generale negletto. Noi però crediamo che il Congresso di Venezia, come i precedenti, abbia avuto qualche utilità anche per le discussioni, per lo scambio di idee fra studiosi, per le amicizie e relazioni fatte o rinnovate; confidiamo pure che alcuni almeno dei voti formulati sieno per avere qualche attuazione c qualche seguito prima ancora che i geografi, fra tre anni, si riuniscano nuovamente. Sarà a Palermo, poiché questa città è stata scelta a sede del VII Congresso Geografico Italiano. Pieve di Zoldo, 16 settembre 1907. Devino Giunto Marinelli. NICOLA P PILLATI Il 19 giugno 1907 dopo breve ma fiera malattia mancò ai vivi il nostro antico e benemerito socio, il comm. ing. Nicola Pellàti, Ispettore Capo del Corpo Leale delle Miniere. Riassumere in brevi parole una vita interamente consacrata ad assiduo e coscienzioso lavoro è certo arduo compito, ma a ciò mi incoraggia la lunga consuetudine che per ragioni di uf- ficio ebbi con lui, il deferente affetto che a lui mi legava c il desiderio di recare un ultimo reverente tributo alla sua memoria. Nicola Pellati nacque a Gamalero (Alessandria) il 21 aprile 1835 e, compiuti brillantemente gli studi classici ed universi- tari ed ottenuta la Laurea in Ingegneria a Torino, entrò nel- l’agosto 1859 nel R. Corpo delle Miniere, e venne mandato a compiere gli studi speciali, che per i funzionari di questo Corpo NICOLA PELLATI CXV si richiedono, alla Scuola Superiore delle Miniere di Parigi. Rientrato in Italia dopo importanti viaggi di istruzione in Francia, Belgio, Inghilterra e Germania, durante i quali egli volse sem- pre lo sguardo oltreché alle questioni tecniche e industriali anche a quelle di indole geologica, intraprese il suo regolare servizio nel R. Corpo delle Miniere, e vi percorse rapidamente, assai più di quanto oggi possa farsi, tutti i gradi raggiun- gendo il sommo della carriera in età ancora fresca come suc- cessore del compianto Comm. Giordano, così tragicamente scom- parso nel 1892. Prima di raggiungere il grado di Ispettore, egli fu a capo dei Distretti Minerari di Torino, di Belluno, di Igle- sias, diresse la Scuola mineraria e lo stabilimento metallurgico governativo di Agordo e la Scuola mineraria di Iglesias, indi fu capo del Distretto di Genova e finalmente di quello di Ancona. Oltre alla suprema direzione dei servizi del R. Corpo delle Mi- niere egli ebbe nel 1892 ad assumere anche quella del servizio della Carta geologica del Regno in grande scala, e quantunque per i molteplici e gravosi doveri della sua carica e per ardue missioni che frequentemente venivangli affidate dal Governo, egli avesse dovuto per lungo periodo tralasciare le dirette in- dagini geologiche, pure fino dall’inizio della sua carriera, nelle svariate località che per ragioni di ufficio ebbe ad abitare o a visitare, sempre, seguendo il nobile esempio dei suoi amici e maestri Sella e Giordano, volle rendersi conto della struttura geologica e delle questioni ad esse attinenti, e in molti casi ne andava fissando sia in carte speciali sia nei suoi taccuini i tratti principali. In conseguenza di questa sua preparazione egli potè in breve volger di tempo mettersi al corrente di ogni ramo del servizio geologico, e seppe valersi delle attitudini del suo personale per indirizzarle a conseguire i migliori risultati e dare al servizio quell’indirizzo scientifico e pratico insieme che deve essere la caratteristica di un’opera compiuta a spese dello Stato e nell’interesse di questo, del quale fu in ogni occasione strenuo e coscienziosissimo sostenitore. Chi scrive ebbe più volte occasione di vedere svariate no- tizie geologiche da lui raccolte, prima di entrare a dirigere il servizio geologico, sulle regioni italiane dove lo conducevano doveri d’ufficio, quali la Valle d’Aosta, la Liguria, le Alpi Ve- CXVI NICOLA PELLATI nete, la Romagna, la Sardegna, la Sicilia, ed è veramente da rimpiangere che il Pollati non avesse avuto tempo ed agio di coordinarle e pubblicarle a suo tempo, poiché quegli sparsi ap- punti testimoniano di un acuto e ben diretto spirito di osser- vazione e di una scrupolosa ricerca della verità, e avrebbero potuto portare non pochi lumi sulla costituzione geologica di quelle regioni. Ili altre occasioni dovrà esser ricordata la sua opera come Direttore del Servizio geologico, e ora occorre solo di accen- nare brevemente all’azione da lui esplicata nella nostra Società. Socio del nostro Sodalizio dalla sua fondazione, legato in deferente ed affettuosa amicizia con molti degli insigni uomini che ne furono successivamente alla presidenza, egli ebbe sempre a cuore le sorti della Società, e volle tenacemente che un’ar- monia di intenti e di vedute regnasse fra la Società stessa c il Servizio della Carta geologica, in modo clic le forze dei due Istituti non si disperdessero in polemiche, così spesso sterili di utili risultati, ma concorressero e cooperassero d’amore c d’ac- cordo al progresso degli studi geologici del nostro Paese. La Società lo elesse più volte a suo consigliere e nel 1D00 lo ebbe per suo Presidente. Tutti ricordiamo con quanto affetto egli si occupò in quel periodo, pur essendo oberato da molteplici e gravi occupazioni, delle sorti della Società. Durante la sua presidenza potò compiersi la così geniale escursione alle Isole Eolie, per la (inalo, valendosi delle sue alte relazioni, egli fu in grado di ottenere dal Ministero della Marina le più grandi facilita- zioni e il trasporto dei partecipanti alla gita alle Isole Lipari su una nave della marina da guerra : nello stesso anno ebbe luogo la memorabile riunione estiva della Società ad Acqui in cui fu eletto a Socio d’onore S. A. il Duca degli Abruzzi, e alla quale vollero intervenire alte personalità come il Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Saracco, Senatori e Deputati; in questa occasione gli intervenuti, oltre a poter compiere interes- santi ed istruttive escursioni, furono ricevuti ed ospitati con si- gnorile cortesia dal Pellati e dalla sua gentile Signora e fami- glia nella loro amena villa di Strevi. Al Pellati si deve la iniziativa della disposizione per la quale il Presidente della Società entra a far parte prò tempore NICOLA PELLAI' I CXVII del E. Comitato geologico, a lui dobbiamo serbare gratitudine Per aver in ogni occasione propugnate le sorti della Società presso il Ministero, in modo clic la sua opera fu costantemente feconda di buoni risultati per l’andamento del Sodalizio. Nel pai lare ora dell uomo eminente, che troppo crudamente ci fu rapito, si affollano alla mia mente i ricordi del suo in- tei essameli to per ogni problema scientifico, del desiderio in lui dominante che anche nelle discipline geologiche il nostro Paese non dovesse esser secondo a nessun altro, della cura con la quale si teneva al giorno di tutti i problemi interessanti la geo- logia del nostro Paese, della sua noncuranza per ogni disagio, tanto che fino agli ultimi tempi egli volle costantemente, con ardore giovanile, rendersi conto de visu dei progressi del rile- vamento geologico specialmente nelle regioni alpine, compien- dovi quasi ogni anno lunghe e faticose escursioni. L’ultima gita geologica fu da lui compiuta con l’ing. Zaccagna e con me nelle Alpi Liguri nel settembre dello scorso anno, e nulla dav- vero faceva pur lontanamente prevedere che quella forte e vi- vace fibra dovesse essere in cosi breve volger di tempo fiaccata dal male. Nè si deve tacere di altre doti in lui preclare, come gli intendimenti di stretta giustizia e di fermezza mai trascendenti in durezza e la ponderata equanimità con cui seppe reggere il suo personale, nel quale, come è naturale, talvolta le di- vergenze di vedute scientifiche avrebbero potuto portare ad at- triti personali e a discordie nocevoli al buon andamento dei servizi a lui affidati. Quantunque in così lungo periodo di tempo interamente consacrato al servizio dello Stato qualche inevita- bile amarezza lo abbia turbato, pure l’Amministrazione tenne sempre in altissimo conto le sue attitudini, e oltre al Ministero di Agricoltura, dal quale direttamente dipendeva, gli affidarono difficili e importanti missioni quello dei Lavori Pubblici, delle Fi- nanze, ecc. Alle sue cure fu principalmente dovuto se il R. Corpo delle Miniere e il Servizio della Carta geologica poterono de- gnamente figurare nelle Esposizioni universali, fra cui quella di Parigi del 1900, quella di S. Louis, e altre, nelle quali i Servizi da lui dipendenti ottennero le più alte ricompense. CXVIII LAMBERTO DEMARCHI Oltre alle Commissioni permanenti del Ministero delle Fi- nanze, al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, alla Commis- sione Superiore Metrica e a tante altre, egli fu dal 1892 fino all’epoca della sua morte membro del Comitato geologico, e i nostri soci che appartengono a questo alto consesso ben cono- scono quale attiva ed assidua cura egli vi abbia costantemente spiegata. Alte onorificenze vennero a rimeritare in parte le sue fa- tiche e fra le più importanti ricordiamo la Gran Croce della Corona d’Italia, la Commenda dei Ss. Maurizio e Lazzaro e quella della Legion d’Onore di Francia. Ed ora che di tante attività, di una vita interamente con- sacrata ad incessante lavoro, di cosi alte doti d’animo e di mente non resta più che il nobilissimo esempio e la memoria, vadano alla desolata vedova e ai figli, che tanto amò, le più sincere condoglianze della nostra Società, nella quale rimar- ranno vivi e imperituri il ricordo e la gratitudine per l’opera da lui compiuta a prò della Scienza in generale e del nostro Sodalizio in particolare. L. Baldacci. 1 LAMBERTO DEMARCHI 11 17 giugno, non molte ore prima della morte dell’Ispettore Capo, Comm. Pellati, si spegneva a Roma il comm. ing. Lam- berto Demarchi, ingegnere capo di la classe nel IL Corpo delle Miniere, socio del nostro Sodalizio dai suoi primordi, cioè fino dal 1882. Era nato ad Asti il 29 dicembre 1841 e dal 1867 era en- trato a far parte del R. Corpo delle Miniere. Inviato alla Scuola Superiore delle Miniere di Parigi non potè terminarvi il suo corso di studi per la sopravvenuta guerra franco-prussiana nel 1870, c si trasferì per tale scopo alla Scuola delle Miniere di Liegi. Preso quindi regolare servizio, ebbe a reggere per breve tempo il Distretto Minerario di Caltauissetta, fu a. Girgeuti come LAMBERTO DEMARCHI CXIX direttore di quell’istituto Tecnico governativo, e dal 1872 in poi fu trasferito a Roma e preposto al Distretto Minerario, percor- rendovi la sua lunga ma pur troppo non rapida carriera, e ri- manendovi fino alla sua morte. Ebbe dal Governo numerosi e delicati incarichi e principale fra questi fu la direzione di una divisione della Direzione ge- nerale di Statistica, posto che occupò con grande zelo e atti- vità per vari anni, portandovi a compimento la importante serie di volumi della Statistica industriale delle provincie del Regno, lavoro utilissimo, redatto con quella scrupolosa diligenza e co- scienza, che era una delle sue doti caratteristiche. All’epoca della Esposizione generale di Parigi del 1878, egli vi fu segre- tario generale della Sezione Italiana, posto di fiducia, di alta responsabilità e delicatezza, nel quale incarico meritò, oltre al plauso del nostro Governo, anche un’alta onorificenza dal Go- verno Francese. Anche nell’ordinamento della Sezione Italiana nella Esposizione universale di Parigi del 1900 ebbe parte * precipua. Il Demarchi non fu invero geologo militante nello stretto senso della parola ; ma provvisto di solida cultura geologica, fu sempre acuto osservatore di ogni particolarità della struttura geologica in relazione agli incarichi che gli venivano conferiti, sia per il suo diretto servizio, sia per quello di altri Ministeri che, come quello dei Lavori Pubblici, si valsero frequentemente della sua opera, affidandogli importanti missioni. Delle sue atti- tudini alle osservazioni d’indole geologico-mineraria fa fede l’im- portante lavoro « Sui prodotti minerali della provincia di Roma », che, quantunque risalga per la sua pubblicazione al 1882, può essere ancora utilmente consultato e può fornire copia di inte- ressanti notizie, anche d’indole geologica. Fu membro del Consiglio Forestale e di quello del Catasto, della Commissione per i valori doganali, ed oltre ad aver fatto parte di numerose Commissioni per questioni d’indole geologico- costruttiva per conto del Ministero dei Lavori Pubblici, era stato chiamato da qualche anno a far parte anche di quella di sil- vicoltura per il bacino delle sorgenti del Seie, dalle quali ha origine il grande acquedotto pugliese. cxx BENEDETTO CORTI Fu socio operosissimo della Società degli Ingegneri c Archi- tetti italiani, che lo volle anche a suo Presidente, e in riguardo alla nostra Società, quantunque la molteplicità delle sue man- sioni gli impedisse spesso di prender parte alle riunioni ed escur- sioni estive, egli se ne interessò sempre vivamente e non mancò mai alle riunioni invernali. Uomo di grande cultura tecnica e scientifica della quale non faceva pompa, quasi cercando di nasconderla sotto una im- pareggiabile modestia, fu veramente amato da quanti lo conob- bero, superiori, uguali ed inferiori. - Colpito già da lungo tempo da insidiosa malattia, di cui forse troppo trascurò i sintomi e gli assalti, egli volle, nono- stante i consigli dei parenti ed amici, convalescente e ancor febbricitante, prendere attiva parte al Congresso tenuto in Roma dalla Associazione dei materiali da costruzione e alla escur- sione del 3 giugno di questa Associazione, dopo la quale fu irreparabilmente assalito da un violento attacco del male clic lo trasse alla tomba, lasciando nella desolazione la sua famiglia col profondo rimpianto dei colleglli e di quanti ebbero la for- tuna di conoscerlo e di apprezzarne le elevate virtù. L. Baldacci. BENEDETTO COB, TI Benedetto Corti nacque in Como nel 1808, percorse gli studi secondari in parte in seminario; studiò a Pavia, prima nella facoltà di Lettere, poi in quella di Scienze Naturali; nelle quali si laureò nel 1890. Fu ufficiale degli alpini assai animoso e con lo stesso entusiasmo si diede poi al sacerdozio, al quale lo inclinavano la sua indole religiosa e l’educazione della madre, rimasta vedova con quel solo figliuolo. Era un lavoratore instan- cabile e si era reso assai pratico, specie nello studio dei fora- miniferi e delle diatonico. Si occupò altresì di altre classi di fossili e pubblicò una buona illustrazione di una Cannula neo- BENEDETTO CORTI CXXI comiana di Campora, presso Como. Scriveva con facilità e spesso con eloquenza, di geologia e di alpinismo e si dedicava con ardore all’insegnamento, riuscendo efficace e simpatico agli al- lievi; perchè il suo carattere era buono e pronto a fare del bene ad altri. Insegnava da parecchi anni nel Collegio Rotondi di Gorla Minore e forse la soverchia fatica della vociferazione affrettò il male di petto, che lo spense in pochi mesi in età an- cora giovane e bene promettente per la scienza, alla quale egli portava un amore sincero. T. Taramelli. ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI. 1. Breve nota sul quaternario ed i terreni recenti della Valsassina e alta Briama. — Boll. Soc. Geol. It., voi. IX, fase. 2°, 1890. 2. Congerie erratica di Valle Venina. — Corriere della Domenica. Como, Tip. Cavalieri, 1891. 3. La mancanza di diatomee fossili in alcune argille e marne calcari del bacino di Bionico. — Como, Tip. Cavalieri, 1891. 4. Ricerche micropaleontologiche sulle argille del deposito lacustro-gla- ciale del Lago di Pescarenico. — Boll. Scientifico Pavia, anno XIII, n. 3 e 4, 1891. 5. Sulle diatomee del Lago di Pala in Valle Malenco. — Boll. Scientifico Pavia, anno XIII, 1891. 6. Sulle diatomee del lago di Paschiavo. — Boll. Scientifico Pavia, anno XIII, 1891. 7. Sui fossili della Majolica di Campora, presso Como. Nota preven- tiva. — Rendic. R. Ist. Lomb. Se. e Lett., serie 2a, voi. XXV, fase. 6°, 1892. 8. Foraminiferi e diatomee fossili del pliocene di Castenedolo. — Rendic. R. ist. Lomb. Se. e Lett., ser. 2a, voi. XXV, fase. 16° e 16°, 1892. 9. Sulla marna di Pianico. Osservazioni geologiche e micropaleontolo- giche. — Rendic. R. Ist. Lomb. Se. e Lett., ser. 2a, voi. XXV, fase. 12°, 1892. 10. Sulle diatomee del Lago di Varese. (In collaborazione col D. Angelo Fiorentini ). — Boll. Scientifico Pavia, anno XIV, fase. 1°, 1892. 11. Sulle torbe glaciali del Ticino e dell’Olona. Ricerche micropaleonto- logiche. — Boll. Scientifico Pavia, anno XIV, fase. 1° e 2°, 1892. 12. Il Terreno quaternario di Valle Intelvi. — Corriere della Domenica, agosfo 1892. Como, Tip. Cavalieri. 13. Ricerche micropaleontologiche sulle argille del deposito lacustro- gla- ciale del Lago di Pescarenico. — Boll. Soc. Geol, It., voi. X, 1892. IX CXXI1 BENEDETTO CORTI 14. I terrazzi dell’ Olona. — Corriere della Domenica, agosto 1892, pag. 14. Como, Tip. Cavalieri. 15. Foraminiferi e radiolari fossili delle sabbie gialle plioceniche della collina fra Spicchio e Limite sulla sponda destra dell’Arno. — Boll. Scientifico Pavia, anno XIV, con una tavola, 1892. 16. Foraminiferi e diaiomee fossili delle sabbie gialle plioceniche della Folla d’induno. — Boll. Soc. Geol. It., voi. XI, 1893. 17. Osservazioni strati grafiche e paleontologiche sulla regione compresa tra i due rami del Lago di Como e limitata a sud dai laghi della Bnanza. — Boll. Soc. Geol. It., voi. XI, 1893. Con carta geo- logica. 18. Sopra una marmitta dei giganti in valle di Cosia. — Boll. Club Al pino I tal. , 1893. 19. Sul deposito villa franchiano di Castelnovate, presso Somma Lom- barda. — Rendic. R. Ist. Lomb. Se. e Lett., ser. 2a, voi. XXVI, fase. 13°, 1893. 20. Diatomee delle Acque Albule. — Boll. Scientifico Pavia, anno XV, 1893. 21. Appunti stratigrafici sul miocene comense. Nota preventiva. — Boll. Scientifico Pavia, anno XV, 1893. 22. Diatomee di alcuni depositi quaternari di Lombardia. — Boll. Scien- tifico Pavia, anno XV, fase. 3°, 1893. 23. Di alcuni depositi quaternari di Lombardia. — Rendic. R. Ist. Lomb., ser. 2a, voi. XXVI, fase. 17°, 1893. 24. Sopra due nuove specie di fossili infraliassici. — Boll. Scientifico Pavia, voi. XV, 1894. 25 Foraminiferi e diatomee fossili del pliocene di Castenedolo. — Rendic. II. Ist. Lomb. Se. e Lett., ser. 2a, voi. XXVII, fase. 4° e 7°, 1894. 26. Sul bacino lignitico di Lombardia. — Boll. Scientifico Pavia, anno XVI, fase. 3°, 1894. 27. Sulla fauna a foraminiferi dei lembi pliocenici prealpini di Lom- bardia. Parte I e IL — Rendic. R. Ist. Lomb. Se. e Lett., ser. 2a, voi. XXVI 1, fase. 4° e 17°, 1894. 28. Sulla fauna giurese e cretacea di Campora presso Como. — Rendic. R. Ist. Lomb., ser. 2a, voi. XX VÌI, fase. 8°, 1894. 29. Il paesaggio lombardo e la geologia, pag. 42. — Tip. Vescovile del- l’Oratorio, Como, 1895. 30. Ricerche micropaleontologiche sul deposito glaciale di Rei, Val Ve- gezzo. — Rendic. R. Ist. Lomb. Se. e Lett., ser. 2a, voi. XXVIII, 1895. 31. Sul la fauna a Radiolarie dei noduli selciosi della Majolica di Cam- pora. — Rendic. R. Ist. Lomb., ser. 2a, voi. XXIX, 1896, 32. Sul deposito vii! afranchi ano di Fossano in Piemonte. — Rendic. R. Ist. Lomb. Se. e Lett., ser. 2a, voi. XXIX, 1896. 33. Sulla scoperta di avanzi fossili di « Are termi s marmota » e di « Ta lpa europaea » nel terrazzo morenico di Craglio sopra Como. — Atti Soc. It. Se. Nat., voi. XXXV, 1896. PASQUALE FRANCO CXXIII 34. Diatomee del lago di Montorfano. — Rendie. R. Ist. Lomb. Se. e Lctt., ser. 2a,' voi. XXIX, 1896. 35. Sulle diatomee dei laghi della Brianza e del Segrino. — Rendie. R. Ist. Lomb. Se. e Lett., ser. 2a, voi. XXXIII, 1900. 36. Ricerche micropaleontologiche nel materiale estratto dal pozzo di Bagnacavallo. — Rendie. R. Ist. Lomb. Se. e Lett., ser. 2a, voi. XXXVI, 1903. PASQUALE FRANCO Nacque in Lecce il 23 maggio 1852 da Gregorio, proprie- tario, e dalla nobile Giuseppa Perrone. Morì improvvisamente in Napoli nelle prime ore del 30 gennaio di questo anno 1007, cioè nell’età di 55 anni. Giovanetto frequentò il R. Liceo-Ginnasio « Palmieri » di Lecce e nell’anno 1869, a soli 17 anni, conseguì brillantemente la licenza liceale. Venuto in Napoli seguì i corsi universitari come studente della Facoltà di Scienze Naturali, avendo per maestri i proff. G. Albini, G. Antonelli, V. Cesati, A. Costa, S. De Luca, G. Giordano, G. Guiscardi, P. Panceri ed A. Scaccili. Subito si fece notare per il suo vivace ingegno e per il trasporto alle scienze naturali ; specialmente poi ebbe amore per la mine- ralogia e per la geologia. Il prof. Guiscardi, apprezzando le di lui disposizioni, lo volle avere, fin dal dicembre 1871, come aiuto alla cattedra di Mineralogia applicata nella R. Scuola per gli Ingegneri di Napoli, dove restò in tale qualità fino al 1877. Nella fine dell’anno 1875 compì i corsi e ne dette prova col superare in modo distinto tutti gli esami speciali allora richiesti. Il predetto prof. Guiscardi, avendo riconosciuto il valore del giovane naturalista e la sua maturità nel l’educazione scientifica, lo volle coadiutore alla cattedra di Geologia della R. Università di Napoli, dove restò in tale ufficio dal novembre 1875 fino a tutto l’anno 1889. Dopo aver compiuto i corsi speciali, come s’è detto, nel 1875, egli volle darsi subito all’insegnamento. S’espose perciò agli esami per conseguire il pareggiamento in mineralogia ed ottenne nell'ottobre 1881 la libera docenza in CXXIV PASQUALE FRANCO questa scienza nell’Università napolitana, impartendo con grande diligenza ed interessamento le sue lezioni fino al giorno della sua morte. Volle poi il titolo dottorale, e nel novembre 1883 consegui brillantemente la laurea in Scienze Naturali. Nell’aprile dell’anno 1886 risultò per concorso Titolare di U classe in Storia Naturale nel R. Liceo Umberto I di Napoli, conservando il suo ufficio per tutto il resto della sua vita. Dopo la morte del pro- fessore G. Guiscardi, avvenuta il di 11 dicembre 1885, egli venne incaricato, pel successivo anno scolastico 1886-87, del- l’insegnamento della geologia nella R. Università di Napoli e, per supplire l'insegnamento di mineralogia e geologia restato vacante nella R. Scuola di Agricoltura in Portici, venne inca- ricato dal 1886 fino al 1889 deH’insegnamento di queste disci- pline. La sua passione per sapere lo spinse pure a seguire gli studi medici e, senza lasciare l’insegnamento, ritornò studente, superò gli esami speciali, e nel novembre 1886 conseguì la laurea di dottore in medicina e chirurgia. Apparteneva alla Società Geologica Italiana daH’auno 1889. Era pure socio della Società di Naturalisti in Napoli. Il Franco fu uomo dotato di molto ingegno, lavoratore instan- cabile e dedito esclusivamente allo studio delle scienze speri- mentali. Dopo le ore dedicate all’insegnamento o passate in bi- blioteca rientrava in casa e vi restava fino alFindomani occupato quasi esclusivamente per lo studio e le ricerche scientifiche. Avea perciò formato a sue spese una copiosa raccolta di libri riguardanti principalmente le scienze naturali, le matematiche e le scienze mediche; avea inoltre acquistato vari istrumenti scientifici e possedeva una raccolta di minerali. In una camera della sua abitazióne avea poi formato un piccolo laboratorio chimico. I lavori da lui pubblicati sono all’incirca una quarantina. Nel 1880 diede alla luce una prima memoria sullo studio mi- croscopico delle rocce, e nel seguente anno la descrizione dello scudo cefalico di un trilobite rinvenuto a Razzano. Successiva- mente dette alle stampe vari altri lavori riguardanti osserva- zioni chimiche e cristallografiche sopra minerali già noti, alter- nandoli con quelli relativi alla geologia c petrografia. Gran parte però delle sue pubblicazioni furono dedicate al Vesuvio, studiato PASQUALE FRANCO CXXV sia dal lato storico che nei suoi prodotti e non mancò di riferire sulle escursioni da lui fatte a questo vulcano, alcune di esse in compagnia del dott. Ag. Galdieri. Si occupò anche del turbine che funestò nel 1897 la città di Oria. Nel 1883 dette pure alle stampe un libro d’istituzione, intitolato: Elementi di Minerà logia e Geologia. Questi lavori gli procurarono lusinghieri giu- dizi nei vari concorsi per cattedre universitarie di mineralogia ai quali prese parte: in quello ultimamente bandito per la cat- tedra di Pavia risultò secondo con 45 punti su 50. I titoli delle sue pubblicazioni sono riportati nel seguente elenco : 1. Contribuzioni allo studio microscopico delie rocce. — Rcndie. Acc. Se., Napoli, 1880. 2. Di un trilobite rinvenuto negli scisti di Pazzano e dell’età di questi. — Rendic. id. id., 1881. 3. Sulla presenza del moliddeno in una tormalina dell' Elba. — Kcnd. id. id., 1883. 4. Memorie per servire alla carta geologica del M. Somma. — Read. id. id., 1883. 5. Elementi di Mineralogia e Geologia. — Napoli, 1883. 0. Cristalli di acido urico nella Caliphylla. Nota inserita in una me- moria del prof. Trinchese. — Rend. id. id., 1883. 7. Il Terremoto d’Ischia del 1883, in unione col prof. Guiscardi. — Rend. id. id., 1885. 8. Di alcuni fossili del calcare giurese di Vis ciano. — Rend. id. id., 1885. 9. Il Vesuvio ai tempi di Spartaco e di Strabone. — Atti Accad. Pon- taniana, 1886. 10. Quale fu la causa che demolì la parte meridionale del cratere del Somma. — Atti Soc. it. Se. Nat., 1888. 11. Sull’origine dei noduli di fosforite del Capo di Letica. — Rend. Ac- cad. Se., Napoli, 1888. 12. Di una pirosseneandesite della regione vesuviana. — Rend. id. id., 1888. 13. Fonolite trasportata dalla lava del Vesuvio. — Bull. Soc. di Nat., Napoli, 1889. li. I massi rigettati dal Monte Somma detti lava a breccia. — Atti Ac- cad. Se., Napoli, 1889. 15. Sull’ idocrasia del Vesuvio. Nota preliminare. — Bull. Soc. di Nat., Napoli, 1889. 16. SulVanalcime del Monte Somma. — Giornale di Mineralogia, Mi- lano, 1892. 17. Studi sull’ Idocrasia del Vesuvio. — Boll. Soc. geol. it., ed in rias- sunto: Giornale di Mineralogia, Milano, 1893. cxxvi CARLO FABANI 18. Discorso in onore di Galilei. — Napoli, 1893. 19. Biografia di Arcangelo Scacchi.— Giornale di Mineralogia, Milano, 1893. 20. Sull’Aftalosa del Vesuvio. — Giornale di Mineralogia, Milano, 1891. 21. Sulle costanti geometriche dell' ortoclasio del Vesuvio e sulle costanti ottiche della Mizzonite. — Giornale di Mineralogia, Milano, 1895. 22. Note mineralogiche. — Rend. Acc. Se., Napoli, 1895. 23. L’eruzione del Vesuvio del 1895 (insieme ad A. Galdieri). — Boll. Soc. alp. merid., 1895. 24. Relazione di escursioni fatte al Vesuvio ( insieme ad Ag. Galdieri). — Boll. Soc. alp. merid., 1895. 25. Sulla struttura lamellare della Leucite. — Boll. Soc. Natnr , Napoli, 1896. 26. Determinazione di minerali in sezioni microscopiche. — Boll. id. id., 1896. 27. La lava vesuviana di luglio 1895. — Boll. id. id., 1897. 28. Il meccanismo delle eruzioni e l’influenza della luna. — Napoli, 1897. 29. Analisi chimica e, spettroscopica di sublimazioni vesuviane. — Rend. Acc. Se., Napoli, 1897. 30. Il turbine d'Oria. — Napoli, 1897. 31. Sulle fiamme recentemente osservate al Vesuvio. — Boll. Soc. Natur., Napoli, 1898. 32. Ancora del Vesuvio ai tempi di Spartaco e di Strabo ne. — Boll. Soc. geol. it., 1898. 33. Se il cono del Vesuvio esistesse prima del 79. — Boll. Soc. geol. it., 1899. 31. Il Piperno e il tufo di Piano. — Boll. Soc. Natur., Napoli, 1900. 35. Baritina della provincia di Caserta. — Boll. Soc. geol. it., 1900. 36. Studii sul nitrato baritico. — Boll. Soc. Natur., Napoli, 1902. 37. L’attività vulcanica nella Campania secondo la tradizione c la sto- ria. — Boll. Soc. Natur., Napoli, 1902. E. Scacchi. CARLO FABANI Don Carlo Fabani mancò ai vivi alle ore 15 del 24 ottobre dello scorso anno, nella ancor verde età di 48 anni ('). Indi- rizzato dalla sua famiglia agli studi sacerdotali, compi il suo alunnato nel Seminario di Como, ed ordinato prete nel 1881, diresse subito la parrocchia di Valle di Morbegno, ove rimase, amato e stimato da tutti, sinché visse. (') Nacque in Morbegno (Sondrio) il 18 Marzo 1858. CARLO FAR ANI CXXVII Gli ascetici stadi non distolsero il Fabani da quelli natura listici ai quali sin dall’infanzia si sentiva inclinato. Appassio- nato cacciatore ed alpinista, percorse gran parte delle Alpi e Prealpi lombarde non solo per soddisfare la sua passione vena- toria, ma -anche per osservare, per studiare direttamente quel gran libro aperto della natura, che purtroppo è ancor chiuso ai più. Ed il Fabani, che aveva in sè stoffa di naturalista, conobbe minutamente la flora e la fauna del suo paese, riunendo pazien- temente prezioso materiale, che ci auguriamo venga assicurato alla scienza; osservò le condizioni geologiche dei suoi monti; tenne conto dei molteplici fenomeni di fisica terrestre che ad ogni momento gli si paravano dinnanzi ; indagò sui rapporti fra gli organismi e l’ambiente. Di tutte queste osservazioni, di tutti questi suoi studi, ne abbiamo testimonianza negli innu- merevoli articoli cbe pubblicò in svariati periodici. Il Fabani dedicò anche molta parte della sua esistenza a speculazioni filosofiche, procurando di sviscerare i più grandi problemi sull’origine del mondo e della vita. Pubblicò in propo- sito opere voluminose, alcune delle quali ebbero ripetute edi- zioni, che gli procurarono larghi encomi ed elezioni a membro di varie accademie; S. S. lo volle nominare cameriere segreto sopranumerario. Desideroso di stare al corrente degli studi, appartenne ad un buon numero di Società scientifiche. Nel nostro sodalizio fu accolto, a proposta dei soci Statuti e Neviani, nell’adunanza del 25 ottobre 1896 in Poma. Al perduto consocio, all’uomo pio, integro, studioso, esem- plare, il nostro sincero compianto. A. Neviani. MARIANO HA UGELLI NI Mariano Bargellini nacque alla Tinaja, piccolo borgo sul- l'Arno, presso Empoli, nel 1831. Fu alunno della Scuola Normale Superiore di Pisa in lettere e ne usci il 1858. Nel 59 fu volon- tario in un reggimento di artiglieria; nello stesso anno andò insegnante a Genova e poi fu nominato professore di Storia e Geografia a Pistoia; nel 1867 a Siena dove due anni dopo passò all’insegnamento delle lettere italiane che conservò fino al giorno nel quale si ritirò dall’insegnamento, nel 1893. Tornò alla Ti- naia dove cessò di vivere nel 1906. Di Genova pubblicò una storia assai apprezzata, come pure diversi studi critici di storia letteraria. Nato e cresciuto in campagna non potè adattarsi alla vita di città e abitò sempre in qualche modesta villetta, a volte non vicina alle porte di Siena; cacciatore appassionato, alternava i giorni liberi dall’insegnamento tra la caccia e la ricerca dei fossili, acquistando una singolare perizia sul loro riconoscimento, come sulla stratigrafia della Toscana. Appartenne alla nostra Società dal primo anno della sua fondazione. Di carattere mite, piacevole nel conversare, modestissimo, nulla chiese, nulla cercò e la pensione lo trovò ancora titolare di terza classe dopo 34 anni d’insegnamento. Le non laute rendite consumò in articoli venatori e in libri, ed essendo riuscito a me e a I)e Stefani disporlo a raccogliere i materiali per un dizionario geologico, reso a lui facile dalla cognizione delle principali lingue viventi, non potemmo persua- derne la pubblicazione. Studiava moltissimo, ma per se; solo i suoi scolari c i pochissimi intimi ebbero agio di apprezzarne la vasta coltura, l’alto criterio e il sottilissimo ingegno. Dante Pantane eli. GIUSEPPE LANINO Tra gli uomini che più fortemente ebbero a lottare contro gravissime difficoltà di natura geologica e vittoriosamente le superarono, certo dobbiamo annoverare l’ing. Giuseppe Lanino. Non è qui il luogo di parlare di Lui come eminente Diret- tore della Società delle Ferrovie meridionali, come valente Diret- tore dei trasporti per la liete adriatica, come invocato arbitro in parecchie gravi questioni (per esempio in quella insorta pel Gottardo tra l’Impresa e la Società concessionaria, in quelle tra il Governo e le relative Imprese circa la rete Calabro-Si- cula, circa la costruzione della Galleria succursale dei Giovi e per la costruzione dell’ultima Stazione di Genova), come pre- zioso membro di importantissime commissioni, per esempio quella incaricata di studiare il problema del Porto di Genova, quella cxxx GIUSEPPE LANINO pel nuovo valico appennino, quella per l’ordinamento dell’azienda ferroviaria dello Stato, ecc. Qui ricordiamo di Lui specialmente l’ingegnere principe nelle costruzioni ferroviarie. Fu egli il primo clic, nell’anno 1802, studiò e compilò in soli cinque mesi il progetto della ferrovia Parma-Spezia, linea apertasi all’esercizio solo una trentina d’anni dopo. Il Lanino, oltre agli studi ed all’esecuzione della linea ferroviaria Pesaro-Aquila, compilò il progetto della Sulmona- Roma, della Termoli-Campobasso, della Rocchetta S. A. -Gonza, della Rocchetta S. A.-Melfi-Potenza, ecc. Ma l’opera in cui meglio potè esplicarsi e rifulgere l’ingegno, l’attività ed anche il carattere di Giuseppe Lanino fu la costru- zione delle difficilissime gallerie della linea Foggia-Napoli. Egli riuscì a vincere ed attraversare felicemente quei pessimi terreni argillosi escogitando nuovi metodi di avanzamento, adottando il cosidetto sistema in cunetta, ecc., come egli così bene illustrò nell’importante suo lavoro intitolato: Le Gallerie della traversata dell’ Appennino nella linea Foggia-Napoli, Roma, 1875; lavoro in cui, oltre alla parte tecnica, è pure descritta la natura dei terreni, i loro fenomeni, le difficoltà che essi presentarono e come si poterono superare; anzi vi è anche allegata una speciale Carta geologica della complicata regione appenninica Foggia- Benevento, chiaramente da tutto ciò emergendo quanto in Lui Scienza ed Applicazione pratica procedessero congiunte. Giuseppe Lanino, nostro consocio da circa un ventennio, fu uomo di ingegno elevato e versatile, di mente pronta, lucida e serena, di squisita modestia, di carattere indipendente, lavo- ratore indefesso, rottissimo, ossequente del dovere sino allo scru- polo, sereno nei suoi giudizi, apprezzatissimo quindi da quanti ebbero la ventura di conoscerlo. Nacque l’il giugno 1832 a Torino, quantunque per famiglia fosse piuttosto bici lese ; l’8 agosto 1907 si spense in Bardonecchia la sua vita tanto operosa e tanto proficua. Alla sua memoria venerata vada, con quello dei Tecnici, il saluto riverente dei Geologi italiani. Federigo Sacco. MARTINO B A RETTI Nell’occasione che la Società Geologica Italiana tiene il suo Congresso in Torino e precisamente nel secondo anniversario della morte del prof. Martino Baretti che vi insegnò Geologia per molti anni, studiando per più di un ventennio la costitu- zione geologica delle circostanti Alpi e specialmente della Valle d’Aosta, che i Congressisti avranno appunto occasione di visitare nella seconda parte delle escursioni sociali, sembra opportuno e doveroso dare un cenno sul compianto Geologo piemontese che fu pure membro della Società Geologica Italiana. Martino Garetti nacque il 2o novembre 1841 in Torino ma di famiglia oriunda canavese, per cui fin da giovinetto ebbe occa- sione di percorrere le prealpi canavesane ed acquistarvi quella tendenza agli studi di geologia alpina clic costituirono l’essenza della sua vita scientifica. Il Baretti conseguì nel 1866 la laurea in Scienze Naturali a pieni voti con lode nell’Università di Bologna, presentando CXXXII MARTINO BARETTI in tale occasione una interessante dissertazione sui Ghiacciai an- tichi e moderni, che ben preludiava alla sua futura attività scien- tifica e che fu pubblicata con un sussidio ministeriale. Nel 18(57 ebbe la cattedra di Professore di Scienze Naturali nel R. Istituto tecnico di Bari, dove rimase quattro anni, occupandosi anche di Geologia pugliese, finché nel 1871 ottenne di essere traslocato all’Istituto tecnico di Torino, al quale appartenne, come dotto insegnante di Geologia e Mineralogia, sino alla sua morte, pubbli- cando anche, nel 1876, due pregiati volumi di Appunti per il, corso di Mineralogia e Geologia nel R. Istituto Industriale e Professionale di Torino. Alpinista valente il Baretti, specialmente tra il 1865 ed il 1886, esplorò gran parte delle Alpi Cozie, Graie e Perniine, eseguendovi anche diverse prime ascensioni; e questo amore per le Alpi egli esplicò non solo in montagna, ma anche e dot- tamente con numerosi ed interessanti scritti, conferenze, di- scorsi, ecc. nei suoi successivi uffici di Segretario generale del C. A. I., dal 1871 al 1874, e di Redattore delle pubblicazioni del C. A. I., dal 1874 al 1878, venendo infine portato alla vicepresidenza del C. A. I. nel triennio 1882-84, mentre intanto il Club Alpino francese e quello di Londra lo nominavano loro socio onorario. Ma nel Baretti questi studi alpinistici si intrecciavano mira- bilmente con quelli geologici che egli faceva sotto la guida di Bartolomeo Gastaldi, tanto clic alla morte di questo eminente Geologo, egli potè ottenere la Cattedra di Geologia all’Università di Torino e l’annessa Direzione del Museo geologico, cariche già coperte dal suo grande Maestro e che egli occupò per molti anni. Non è qui il caso di trattare dell’opera scientifica del Ga- retti, opera d’altronde che rappresenta essenzialmente la conti- nuazione ed estensione di quella del Gastaldi per la Geologia alpina; sembra invece più opportuno darne senz’altro l’elenco, assai copioso, special mente compreso tra il 1866 ed il 1884, solo segnalando in modo particolare come suo lavoro riassuntivo finale, quasi il suo testamento scientifico, l’importante opera sulla Geologia della Provincia di Torino pubblicata nel 1893. La morte l’incolse quasi improvvisamente, a. solo 64 anni, l’8 settembre 1905, a Forno Ri vara nel suo diletto Canavese. MARTINO BARETTI CXXXIII ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI. 1. I Ghiacciai antichi e moderni. Dissertazione per esame di Laurea in Scienze Naturali, presentata e letta all’Università di Bologna, addi 27 maggio 1866. — 4°. Torino, 1866. Stamperia dei Compo- sitori-tipografi. 2. Alcune osservazioni sulla Geologia delle Alpi Graie. — 4°. (Mem. Acc. Scienze Istituto di Bologna. Tomo VI-1867). 3. Studi sicl Gruppo del Gran Paradiso. — 8°. 1868 (Boll, del C. A. I., voi. II). Con schizzo topografico. 4. Note litologiche. — 8°. Modena, 1869 (Annuario della Società dei Naturalisti in Modena, anno IV). 5. L’Industria mineraria italiana. Lettura fatta alla Camera di Com- mercio di Bari il 12 maggio 1869. — 16°. Milano, 1871. Ed. E. Treves. 6. Cenno orografico sul gruppo della Poche d'Ambin ( Alpi Cozie, ver- sante italiano) — 8° Boll C. A. I., voi. V. 1872, e Boll. R. Coni, geol. ital., voi. III. 7. Otto giorni nel Dclfmato. — 8°. 1873 (Boll. C. A. I., voi. VI). Con 4 tavole colorate. 8. Bicordi alpini del 1873. — 8°. 1874 (Boll. C. A. L, voi. Vili). Con 2 tavole e 2 figure. 9. Notice géologique et minerai ogigue de la Vallee d’ Aoste. — 16°. To- rino, 1876. Imp. Roux et Favaie (in: A.'Gorret et C. Bich, Guide de la Vallee d’ Aoste). 10. Fenomeni che gli Alpinisti possono studiare sui ghiacciai. 2a Confe- renza alpina. — 16°. Torino, 1876. Stamp. Gazzetta del Popolo. Con 4 tavole. 11. Morene recenti e Morene antiche. 6” Conferenza alpina. — 16°. To- rino, 1876. Stamp. Gazzetta del Popolo. Con 3 tavole. 12. La Collina di Rivoli. — 8°. 1875 (Boll. C. A. I., voi. IX). 13. Per rupi e ghiacciai (per Val di Susa e per Val d’Aosta). — 8°. 1875 (Boll. C. A. I., voi. IX). Con 2 tavole e diverse figure. 14. Per Valsoana e Valchiusella ad Ivrea. — 8°. Torino, 1876. Tip. G. Candeletti. 15. Geologia delle Alpi Graie. — 8°. Torino, 1876. Tip. G. Candeletti. 16. Studi geologici sul Gruppo del Gran Paradiso. — 4°. 1877 (Mem. della R. Acc. dei Lincei, serie 3", voi. I). Con 7 tavole colorate. 17. Le Moni Blanc par Ch. Durier. Cenno bibliografico. — 8°. 1878 (Boll. C. A. I., n. 32). 18. Il Gruppo del Gran Paradiso, versante Sud-Est. — 8°. 1878 (Boll. C. A. I., il. 35). 19. Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi piemontesi, durante la cam- pagna del 1877. — 4°. 1878 (Mera, della R. Acc. dei Lincei, serie 3", voi. II). Con 1 tavola colorata. CXXXIV MARTINO BARETTI 20. Cenno biografico del Prof. Bartolomeo Gastaldi. — 8°. 1879 (Ann. della R. Università di Torino). 21. Studi geologici sulle Alpi Graie settentrionali. — 4°. 1879 (Meni, della R. Acc. dei Lincei, serie 8a, voi. III). Con 8 tavole colorate. 22. La Catena del Monte Bianco dal Colle del Baraccome o Fortin. — 8°. 1879 (Boll. C. A. I., n. 40). 23. Il Ghiacciaio del Miage. — 4°. 1880 (Mem. R. Acc. Scienze di To- rino, serie II, tomo XXXII). Con 2 tavole colorate. 24. Il Lago del Rutor (Alpi Graie Settentrionali. — 8°. 1880 (Boll. C. A. I., n. 41). Con 4 tavole colorate. 25. 1 Giacimenti antracitiferi di Valle d'Aosta. — 8°. 1880 (Annali del R. Istituto Ind. e Profess. di Torino, voi. VIII, anno IX). Con 2 tavole. 20. Lettre ù M. Bernard sur les conditions géologiques du tra jet du Cliemin de fer Aoste — Chamounin. 1880 (Turili. Fr. Casanova edit). 27. Resti fossili di Rinoceronte nel territorio di Dosino. Due comunica- zioni. — 8U. 1880 (Atti R. Acc. Scienze di Torino, voi. XV). Con una tavola, 28. Resti fossili di Mastodonte nel territorio d’Asti — 8". 1881 (Atti R. Acc. Scienze di Torino, voi. XVI). 29. Relazione sulle condizioni geologiche del Versante destro della Valle della Dora Riparia tra Cliiomonte e Salbertrand — 8°. Torino, 1881. Tip. Camilla e Bertolero. Con 7 tavole colorate. 30. Apercu géologique sur la Chaine du Alont Blanc. — 8°. Turili, 1881. Tip. Candeletti. Con 3 tavole colorate. 31. Il Monte Bianco Italiano. — 8°. 1882 (Boll. C. A. I., n. 49). Con 2 ligure. 32. L’Italia nella Storia della Geologia. — 8°. 1883 (Annali del R. Isti- tuto Ind. e Profess. di Torino, voi XI). 33. In collaborazione con F. Sacco. Jl Margozzolo. — 8°. 1884 (Boll. C. A. I., il. 51). Con due carte geologiche, una tavola di sezioni geo- logiche e 2 tavole fototip. 34. Sulle condizioni geologiche dei terreni attraversati dalla Galleria dei Giovi. — 4°. Torino, 1887. Tip. L. Roux e C. Con Appendice. 35. Geologia della Provincia di Torino. — 8°. Torino, 1893. Tip. F. Ca- sanova. Con Atlante di 7 Carte colorate e 27 profili colorati. 36. I Giacimenti metalliferi in rapporto colla natura litologica e retò delle, formazioni. — 8°. 1900 (Rassegna mineraria, voi. XII). \ Federico Sacco. ESCURSIONE A PIANEZZA, CASELLETTE ED AVIGLIANA (9 Settembre 1907) Relazione del dott. A. Roccati Presero parte all’escursione i soci seguenti: Ambrosioni, Ar- tini, Bentiyoglio, Bibolini, Caffi, Cerulei, Checchia, Clerici, Colomba, Cortese, Crema, De Alessandri, Di Rovasenda, Di Ste- fano, Dervieux, De Pretto, Di Franco, Falzoni, Fino, Forma, Gemmellaro, Gortani, Maddalena, Mariani, Monetti, Negri, Niccoli, Prever, Portis, Parona, Roccati, Sacco, Tommasi, Tonini, Vinassa. Zamara. Facevano pure parte della comitiva la sig/1* Cortese, le dottoresse Giuseppina ’Osimo ed Irene Provale, le Sig.'"' Tere- sita Parona, Fausta e Giovanna Sacco, Virginia e Lucia Ta- lucchi ed i Sig-.r‘ ing. Segre, Giulio Parona e Mario Sacco, non appartenenti alla Società. Partiti da Torino con il tram a vapore alle ore (3 V4, i congres- sisti giunsero a Pianezza verso le ore 7, osservando già presso l’arrivo il potente limo giallastro che ammanta la morena antica di Pianezza, limo che poterono ancora meglio esaminare poco dopo uscendo dal paese in profonde escavazioni fatte per laterizi. Subito si recarono a visitare la splendida e tipica serie fluvio- glaciale messa allo scoperto per un’altezza di circa 35 metri dalla profonda incisione praticata dalla Dora Riparia nel suo fianco sinistro, e vi poterono constatare il graduale passaggio dal conglo- merato fluviale, sottostante, stratificato e compatto, alla sovrap- posta formazione glaciale, ove, nell’accumulo caotico di roccie molteplici, che formano ciottoli e massi di dimensioni variabilis- sime, sono numerosi i ciottoli striati specialmente di serpentino. Si passò quindi alla visita dell’enorme masso erratico che giace nell’interno dell’abitato e che è conosciuto nella regione con il nome di Hocco di Pianezza, ma dai cultori di Scienze Na- turali con il nome di Masso Gastaldi, in onore del grande CXXXVI A. ROCCATI geologo, fondatore della Glaciologia piemontese, che per primo mise in evidenza la natura erratica di questo masso roccioso ('). La parola enorme applicata al Masso Gastaldi non è esagerata, quando si pensi che esso, costituito da eufotide, misura circa 30 metri nel suo diametro massimo e si innalza di 14 metri sul livello del suolo. La sommità è occupata da una modesta cappelletta, restaurata nel 1906 in occasione delle feste per il secondo centenario della liberazione di Torino dall’assedio dei Francesi di La Feuillade, ed a cui si accede per una scaletta in parte scavata nel masso. Dall’alto di questo, grazie al bel tempo, i congressisti pote- rono ammirare oltre alle propaggini della catena alpina, il suc- cedersi delle colline dell’anfiteatro morenico, sopra lina delle quali, a sud, si innalza il castello di Rivoli. 11 prof. Sacco, innanzi alla lapide, che per iniziativa del Club Alpino Italiano, ricorda, incastrata nel masso, le benevo- lenze scientifiche dello illustre Geologo piemontese, rievocò la figura del dotto professore dell’Ateneo torinese, mandando alla sua memoria un riverente saluto a nome della Società Geolo- gica Italiana. Saliti in vettura, i Congressisti si incamminarono per la strada di Alpignano-Casellette, che in qualche punto incide l’antica morena e si poterono ammirare, oltre a parecchi massi erratici, le diverse cinture moreniche che si succedono daH’esterno all’interno dell’Anfiteatro di Rivoli. A poca distanza da Cascllette si giunse al grandioso masso erratico di Serpentina che l’II settembre 1905 la Société Géo- logique de France volle con gentile e riconoscente pensiero (?), su proposta del glacialista David Martin, approvata per accla- mazione, dedicare al prof. Sacco, che allora, come oggi, guidava i Geologi nella visita dell’Anfiteatro morenico della Dora Riparia, di cui egli fu uno dei primi illustratori (3). (') Appunti sulla Geologia del Piemonte. Torino, Marzorati, 1853. (*) Compte.s Rendi» s des Kxcursions de la Péunion extra or dinaire de la Société Gènio piqué de France en Italie co 1901). (Bull Soc. Géol. do France, 4e sèrie, tomo V, 1906). (3) L’Anfiteatro morenico dì Pirati, (carta geologica alla scala di 1 a 25000. 1886). ESCURSIONE PIANEZZA, CASELLETTE, AVIGLIANA CXXXVII Il Masso Sacco , di forma tondeggiante, misura circa 14 metri nel diametro maggiore e si innalza di circa 7 metri, a poca distanza dalla strada. Una gradita sorpresa aspettava i Geologi congressisti ed in particolar modo il Presidente; per iniziativa di alcuni ammira- ratori ed amici del prof. Sacco era stata collocata una lapide marmorea per ricordare il voto dei Colleglli francesi e se ne era riservata l’ inaugurazione all’occasione della visita della So- cietà, durante il suo annuale Congresso. Al comparire delle vetture, che sostarono e da cui scesero i Geologi, cadde il drappo che ricopriva l’iscrizione ed il dott. Roc- cati, a nome dei promotori del modesto ricordo, pronunziava le seguenti parole: Egregi Colleghi! Due anni or sono, in questo stesso luogo, io univa il mio applauso a quello dei Geologi francesi, i quali, ricordando quanto il prof. Sacco avesse contribuito alla illustrazione del meravi- glioso Anfiteatro morenico della Dora Riparia, unanimi gli dedi- cavano questo masso erratico. Oggi io rinnovo l’applauso e sono sicuro che non meno dei Colleglli francesi, i Geologi italiani, che del prof. Sacco sono tutti ammiratori ed amici, con me si uniranno riconfermando così il voto unanime d’allora. (Applausi). Riuniti alcuni amici, volemmo che un’iscrizione ricordasse l’omaggio francese al nostro attuale Presidente, e non credemmo che un’occasione migliore potesse presentarsi perla inaugurazione, di quella del nostro annuale Congresso, che da ogni parte d’Italia ci ha qui radunati, sotto la sapiente guida di colui che vogliamo onorare, ad ammirare questo lembo così interessante delle no- stre Alpi. I vostri applausi hanno chiaramente indicato che non ab- biamo errato, quando, sicuri d’interpretare i vostri sentimenti, vi abbiamo voluto associare in quest’omaggio al nostro Presidente. Per parte mia sono lieto di aver la fortuna di essere stato scelto a presentare al prof. Sacco questo ricordo che non potrà se non essergli gradito, quale segno del come i suoi colleglli sanno apprezzare la sua opera scientifica, che abbraccia non x CXXXVIII A. ROCCATI solo la Paleontologia, ma la Glaciologia, la Stratigrafia e si può dire ogni ramo della nostra Scienza sia pura che applicata. Al prof. Sacco, modello a noi giovani di attività instanca- bile, conoscitore profondo della Geologia non solo del nostro Piemonte, ma dell’Italia tutta, vada il nostro cordiale saluto Masso Sacco. (Da una fotoyra/ìa del doti. M. Gortani). ammirativo che forse offenderà la sua grande modestia, ma che ei permette di affermargli tutta la nostra devota affezione. Possa egli ancora per molti anni guidare presso questo masso, mèta solita di una delle nostre gite scolastiche annuali, gli al- lievi ingegneri del Politecnico di Torino, ed essere pur così ser- bato alla nostra Società di cui è membro cosi attivo e a noi tutti caro. Ad multos annosi Il prof. Sacco, commosso, ringrazia gli amici che vollero ricordato in modo duraturo la sua modesta opera nello studiare rAutiteatro morenico della Dora Biparia, interessante regione ESCURSIONE PIANEZZA, CASELLETTE, AVIGLIANA CXXXIX che ebbe la sua giusta interpretazione, mezzo secolo fa, per opera del Gastaldi e che dopo di lui attrasse ancora l’attività scien- tifica di parecchi colleglli ed è lieto di citare a questo proposito il dott. Prever il quale di recente ha pubblicato sull’argomento una interessante memoria ('). Pensa inoltre che nell’avvenire si procederà sempre più nella minuta analisi dell’Anfiteatro di Ri- voli, suddividendolo nei suoi numerosi cerchi, che egli già delineo nella cartina di una sua antica Nota (2), fors’anche indicandoli con nomi speciali, come altri ha già fatto altrove. Infine di- chiara di esser lieto della dedica del Masso, non per sè, che si sente indegno di tanto omaggio, ma perchè rappresenta un mezzo per tutelare e conservare insigni testimoni di grandiosi fenomeni geologici passati, preziose reliquie che invece vengono a poco a poco inconsultamente distrutte; egli si augura quindi che con- simili conservazioni si vadano eseguendo in tante altre regioni italiane ricche non solo di molti tesori artistici dichiarati monu- menti nazionali, ma di non meno numerosi ed importanti tesori naturali che ben meritano analoga tutela. I congressisti applaudono e si congratulano con il Presidente, soffermandosi sotto la lapide, la cui iscrizione è del seguente tenore : A FEDERICO SACCO ILLUSTRATORE DELL’ANFITEATRO MORENICO DI RIVOLI LA SOCIÉTÉ GÉOLOGIQUE DE TRANCE L’il SETTEMBRE 1905 NELLA SUA RIUNIONE STRAORDINARIA IN ITALIA QUESTO MASSO ERRATICO DEDICAVA LA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA DURANTE IL SUO CONGRESSO IN PIEMONTE IL 9 SETTEMBRE 1907 A RICORDO DEL VOTO DEI COLLEGHI FRANCESI QUESTA LAPIDE INAUGURAVA (*) (*) Prever L. P., Sulla costituzione dell’ anfiteatro morenico di Rivoli. Meni. R. Acc. Se. Torino, 1907. (2) Sacco F., L’Anfiteatro morenico di Rivoli. Boll. Coni. Geol. 1 1., voi. XVIII, 1887 (carta geol. alla scala di 1 a 100000> A. ROCCATI CXL Dopo fatte alcune fotografie del Masso Sacco e degli inter- venuti, si risali in vettura giungendo in breve al Comune di Casellette. Di qui, seguendo a piedi le falde del Monte Musmè tra terreni di frana e di morena, si arrivò alle vicine cave di Magnesite, ove si poterono ammirare e perfettamente esaminare nelle profonde sezioni artificiali i bellissimi fenomeni di meta- morfismo locale, studiato dal Baretti (') e più recentemente dal dott. Piolti (?), per cui sotto l’azione combinata dell’acqua, del- l’anidride carbonica dell’atmosfera e degli acidi umici prodotti dalla vegetazione, le roccie in posto, Lherzolite ed Eufotide, si alterano segregando opale, magnesite ed altri minerali ma- gnesi feri. I minerali di Casellette vengono scavati ed utilizzati per parecchie applicazioni: l’opale per materiali refrattari; la ma- gnesite per la preparazione del solfato di magnesio e per un tipo speciale di piastrelle da pavimento, per ottenere le quali la magnesite cotta, ridotta in polvere e mescolata con segatura di legno, viene sottoposta a fortissima compressione. Furono raccolti dai congressisti abbondanti esemplari di Eu- fotide, Serpentina e dei minerali delle cave, fra cui più ammi- rate certe bellissime opali; parecchie fotografie furono prese del curioso reticolato con cui l’opale e la magnesite si presentano nella roccia alterata. Tornando al paese si potè osservare la Lherzolite ed i suoi prodotti di alterazione, facendo anche qui ampia raccolta di campioni. Risaliti nelle vetture, si percorse la strada Casellette-Avi- gliana la quale, contornando per lungo tratto la morena che cinge il versante meridionale della montagna, si svolge in una re- gione di rigogliosa vegetazione con castagneti ed ubertosi campi che contrastano con la parete arida e rocciosa del M. Musine al di sopra del rivestimento morenico. In parecchi punti della via alcuni congressisti si fermarono a raccogliere ciottoli glaciali striati, molto numerosi in tutta la (') Baretti M., Studi neologia sul Gruppo del Gran Paradiso. Meni. R. Acc. Lincei. 1877. (2) Piolti G., Sull'origine della Magnesite di Casellette. Meni. R. Acc. Se. Torino, 1897. CX LI ESCURSIONE PIANEZZA, CASELLETTE, AVIGLIANA zona, e ad ammirare il tipico paesaggio glaciale che di con- tinuo si svolge in modo che difficilmente altrove si può ritro- vare l’eguale. Attraversata la grande pianura dell’Anfiteatro della Dora e passata questa sul ponte in ferro, si giunse alle 13 ad Avi- gliana per il pranzo. Cava di magnesite presso Casellette. (Da una fotografia del dott. Af. Gortanì). Dopo il pranzo, servito inappuntabilmente dall’Albergo della Posta, allo spumeggiare del moscato, pronunziò applaudite pa- role il dott. Gortani che, parlando a nome dei giovani, ringraziò il prof. Sacco per averli attratti da ogni parte d’Italia ad am- mirare le bellezze geologiche del Piemonte. Analoghi sentimenti espresse il prof. Di Stefano compiacen- dosi del programma delle escursioni così bene ideato ed ordinato, mandando poi un saluto alle signore e signorine che colla nota gentile della loro presenza vollero concorrere a dar maggiore attrattiva alla bellissima giornata. Il prof. Sacco rispose ringra- CXLII X. ROCCATI ziando delle affettuose espressioni avute a suo riguardo dagli oratori. Nel pomeriggio, dopo visitati gli antichi edifizi medioevali che esistono in paese, i congressisti salirono all’antico castello di Avigliana. Seguendo la ripida erta poterono osservare le roccie prasiuitiche arrotondate dall’antico ghiaccio, che in molti punti lasciò pure traccia del suo passaggio in numerose e profonde striature. Dall’alto dei ruderi del castello, che costituisce un meravi- glioso belvedere geologico, poterono, seguendo le chiare spiega- zioni del prof. Sacco, ammirare l’incantevole panorama di tutto l’Anfiteatro morenico; della valle di Susa con a destra la tor- reggiale massa della sacra di S. Michele e più lontano, a si- nistra, avvolto in parte nella nebbia, la massa imponente del Rocciamelone ; del piano inferiore d’arresto principale dell’antico ghiacciaio e della completa cintura morenica esterna; dei terrazzi glaciali numerosi e regolari verso il M. Coni e lungo le falde orientali del gruppo della Ciabergia; dei laghi intermorenici di Trana e d’Avigliana, ecc. Discesi dal castello, i congressisti attraversarono il piano torboso che segna un’antica area lacustre ; poterono esaminare gli affioramenti di Serpentina e fecero finalmente in parte il giro del lago di Avigliana, osservandovi le circuenti collinette moreniche con grandiosi massi di gneiss ghiandone, di pietre verdi, ecc., ammirandone da ogni lato l’incantevole paesaggio e riportando così ben gradevole impressione di questa regione dove scienza, bellezze naturali, arte e storia formano un così mirabile intreccio. Tornati in paese i congressisti ripartirono verso le sette in ferrovia per Torino. DIATOMEE DELLA FARINA CALCAREA RACCOLTA PRESSO IL LAGO DI AVIGLIANA Comunicazione dell’ing. Enrico Clerici L’escursione sociale del 9 settembre 1907 ebbe termine con una piacevole passeggiata intorno al grazioso lago grande di Avigliana, dalla base della rupe prasinitica su cui è il diruto castello fino ai Cappuccini, sempre sul morenico tipico. Presso l’emissario ci soffermammo perchè la nostra atten- zione fu richiamata dalla grande quantità di spoglie di molluschi giacenti al fondo di quel rivoletto le cui limpide acque lascia- vano vedere non meno numerosi e belli esemplari vivi delle stesse specie, in particolare Anodonta, Unio, Limnaea, Vivipara. L’emissario si dirige in una bassura a fondo torboso; ed il suolo lì attorno è costituito da un materiale biancastro d’aspetto marnoso del quale raccolsi campioni come materiale di confronto. Fa viva effervescenza cogli acidi essendo quasi per intero for- mato da calcare polverulento: scarsissima è la parte argillosa nonché quella sabbiosa grossolana. Più abbondanti vi sono dei CXLIV E. CLERICI rimasugli nerastri di vegetali non interamente disfatti. Contiene pure gusci completamente imbiancati e di aspetto fossile: Val- vaia piscinalis Muli, e valve di un piccolo Pisidium. Eliminate le impurità grossolane ed il calcare, restano ab- bondanti diatomee. Riporto qui appresso l’elenco delle prime cinquanta forme che mi si sono presentate alla determinazione e che perciò contiene le più vistose o le più frequenti le quali insieme stabiliscono la fisionomia dei preparati fatti con esse: fisionomia che in parte apparisce anche dalla unita fotomicro- grafia (ingrandimento lineare appositamente molto denso. Amphora ovaìis Kiitz. Cymbella Ehrenbergi Kiitz. » lanceolata Ehr. » cymbiformis Ehr. » cistula Hempr. » affini s Kiitz. Encyonema prostratavi Ralfs. » caespitosuni Kiitz. Stauroneis phoenicenteron Ehr. Mastogloia Sviithi Thw. Navicala major Kiitz. » viridis Kiitz. » legumen Eh r. » oblonga Kiitz. » vulpina Kiitz. » gastrum Ehr. » dicephala W. Sin. » tuscula Ehr. » elliptica Kiitz. » formosa Greg. » cuspidata Kiitz. » limosa Kiitz. » iridis Ehr. » amphigomphus Ehr. Vleurosigma attenuatum W. Sm. 122) di un preparato eseguito Gomphonema capitatimi Ehr. » acuminatavi Ehr. » » v&r.subtileEhr. » vibrio Ehr. Achnanthidiuvi flexellum Bréb. Cocconeis placentula Ehr. . Epithemia Hyndmanni W. Sm. » granulata Kiitz. » zebra Kiitz. » argus Kiitz. » sorex Kiitz. » gibba Kiitz. Synedra capitata Ehr. » longissima W. Sin. » subaequalis Griin. Fr agitar ia mutabilis W. Sin. » construens Ehr. Cyviutopleura solea W. Sm. » elliptica W. Sm. Hantzschia amphyoxis Ehr. Surirella biseriata Bréb. Campylodiscus hibernicus Ehr. Melosira arenaria Muore. Cyclotella meneghiniana Kiitz. » compia Ehr. Come era da prevedere, insieme alle diatomee vi si trovano pure molte spicule di potamospongie ed oltre alle grandi spicule acerate semplici, sono presenti «incile piccole spinose delle gem- male della Spongilla lacustris Johnst. e gli am fidiseli i della Ephydatia fluviatilis Johnst. ESCURSIONI SUI COLLI DI TORINO fatte dalla società geologica italiana NEL SETTEMBRE 1907 Resoconto sommario del dott. P. L. Prever 10 settembre. Escursione a Superga e a Haldissero. Partiti in numerosa comitiva da Torino alle ore 7,40, in pochi minuti si raggiunse la stazione di Sassi, dalla quale s’iniziò in funicolare la salita a Superga, per visitarvi l’interessante serie miocenica, che ivi si sviluppa più che altrove, presentando una ricca varietà di facies. Oltre al magnifico panorama, variabile di minuto in minuto e sempre più ampio sui colli circostanti e sulla pianura, però ingombra ancora dalla leggiera nebbia mattutina, i Congressisti poterono vedere dei bellissimi spaccati, lungo la strada della ferrovia, nei quali si poteva scorgere nitidamente l’alternanza delle marne colle sabbie e con abbondanti conglomerati. Questi ultimi erano poi quelli che eccitavano maggiormente l’interesse degli osservatori per la estrema variabilità in volume degli ele- menti che li compongono, per i massi talora enormi che con- tengono e per la facies pseudo morenica che alle volte mostrano. Giunti a Superga i Congressisti visitarono la basilica e le tombe della Casa Savoia; in seguito si iniziò a piedi la gita a Baldissero. Fatti pochi metri sulla strada provinciale che da Superga conduce a Baldissero, si prese per una pittoresca mu- lattiera, alquanto ripida in principio e certo meno comoda della via abbandonata, ma che offre in compenso un grande interesse dal lato geologico. In molti punti si poterono ammirare delle bellissime sezioni naturali e dei tagli nelle marne e nei conglo- merati. Così, dietro il Bric del Duca, fu possibile esaminare in una cava di pietrisco, aperta nel conglomerato, un taglio alto una die- CXLVI P. L. PREVEll cina di metri e osservare la natura litologica dei ciottoli nonché le loro dimensioni. Il Presidente, prof. Sacco, che aveva orga- nizzata e dirigeva la gita, dava spiegazioni lungo il percorso e andava indicando i luoghi in cui era tacile rinvenire qualche tossile. Nelle marne del Brio Palouch cominciarono a rinvenirsi dei molluschi tra cui Solenomya Doderlemi May., Limatulella langhiana Saec., Balantium pedemontanum May., Vaginella depressa Daud., Bathysiphon taurinensi Sacc., ecc. Questi fos- sili si trovano principalmente nel primo orizzonte (inferiore) di marne dure a facies di Sclilier di Bric Palouch, scendendo verso vai Ceppi, e nel secondo, poco più oltre, sovrapposto al primo e separate da esso da strati marnosi o sabbiosociottolosi, con una potenza variabile da 28 a 80 metri. Sempre seguendo la mulattiera, ad un certo punto si ritornò indietro per raggiungere nuovamente la provinciale, abbando- nata avanti, riattraversando i due orizzonti marnosi a facies di Schlier; poco prima di raggiungerla si rinvennero delle marne fogliettate, dure, grigio-cenerognole, spesso bluastre, soggiacenti ai due orizzonti ora ricordati e ricche di Filliti e anche di Mol- luschi tra cui abbondanti esemplari di Ancillaria. Poco oltre sulla strada provinciale, ritornando a ripassare sui due orizzonti a facies di Schlier, si raccolse qualche altro fossile. Specialmente nell’orizzonte superiore presso Bric Pilo- netto si rinvennero delle Orhitoidi tra cui Lepidocyclina mar- ginata Micht., Lep. Tournoueri Lem. et Bouv., Miogypsina irregularis Micht., Miog. complanata Schiumi)., e si constatò come esso talvolta diventi arenaceo, o per lo meno contenga intercalati fra gli strati marnosi degli strati arenacei; anzi è appunto in questi strati arenacei che si rinvengono i Forami- niferi, oltre i quali si trova pure qualche Brioeoo. Proseguendo oltre la strada mulattiera, che separa il Bric Pilonetto dai dossi collinosi più verso Baldissero, in una formazione marnoso-sab- biosa nella località che alcuni chiamano ancora Bric Pilonetto, altri Croce o Bric Berton, e quei del luogo: Rive Berton, si rinvennero molti fossili più o meno ben conservati e riferi- bili a Foraminiferi, Corollari, Echinodermi . Brioeoi, Molluschi, Crostacei, Pesci, Lithothamnium. Tra i Foraminiferi noto: Lepi- docyclina marginata Micht., Lep. Tournoueri Lem. et Pouv., ESCURSIONE SUI COLLI DI TORINO CXI.VII Miogypsina irregularis Micht., Miog. taurinensis Prev., Miog . Dervieuxi Prev., Miog. burdigalensis Gtimb. Fu fatto osservare ai Congressisti, che negli strati inferiori delle Rive Berton si trovano le Lepidociclinc assieme alle Mio- gipsine, mentre in quelli superiori le prime sono scomparse e non si rinvengono più che Miogipsine, del tipo specialmente di Miog. taurinensis Prev., e Miog. Dervieuxi Prev., accompagnate da numerose Operculine. Quivi precisamente secondo alcuni pas- serebbe la linea di divisione fra il Langhiano e l’Elveziano. Scendendo ancora si giunse nella località segnata, sulla tavoletta di Stato maggiore (Chieri), col nome di Croce Berton e si notò un orizzonte sabbioso-arenaceo, il quale, a cagione della differente resistenza che offrono i diversi strati all’azione del vento, presenta dei bizzarri effetti d’erosione. Tale orizzonte si trova su tutta la collina di Torino, ma in generale è poco po- tente; talvolta è misto a ghiaietta, talora contiene dei massi grossi; gli strati sabbiosi da cui risulta costituito sono, da luogo a luogo, più o meno fortemente cementati, tanto da passare tal- volta ad arenarie. Questo orizzonte assomiglia un po’ al Serra- valliano per l’aspetto e la costituzione; ne differisce però per la posizione stratigrafica e per i fossili, fisso riposa sopra un banco a grossi Pccten burdigalensis, ed è zeppo di Operculine. Da questa località si giunse in breve, e poco dopo le 12 a Baldissero, ove si fece colazione, servita da un eccellente ap- petito. Terminata questa si visitò il giacimento, di Baldissero, così noto per la copia dei suoi fossili, fra i quali citerò; tra i Corallari: Balanophyllia bifurcata, Enallopsammia Scillae, Isis peloritana, Rhipidogyra Michelottii, Trochocyathus pigra- midatus, Tr. elegans, Tr. sublaevis, Tr. ponderosus, Tr. revo- lutus, ec.c.; tra gli Echinodermi: Oidaris melitensis, Cid. fra- gilis, Cid. avenionensis , Cid. rosaria, Arbacina parva, Bris- sopsis intermcdius, Br. Borsoni, Scliizastcr Scillae, ecc. ; tra i Molluschi: Aturia Aturi, Tritonium appenninicum, Ranella marginata, Pleurotoma rotata , Bathytoma cataphracta, Peridi- psaccus eburnoidcs, Bary spira glandi formis, Atldeta ficulina , Cassidaria miolaevigata, Naticina catena, Chclyconus ponde- rosus, Ch. taurinensis, Lhytoconus antiquus, Strombus noclosus, Zonaria fabagina, Solarium corocollatus, Tenebra acuminata, CXLVIII P- L. PREVER br G O § Vaudetti. Il signor Vaudetti però, gentilmente ac- cettando il nostro invito, ci volle onorare colla ) Pel Carbonifero vedasi il volume XII delle memorie descrittive della Carta geologica d’Italia: Sui giacimenti di antracite delle Alpi; e per l’estensione e lo sviluppo della zona permo-carbonifera vedasi la carta geologica al 400.000 dello Alpi occidentali. CLXVI S. FRANCHI mente verso la base, numerosissime intercalazioni di breccie ad elementi dolomitici, e subordinatamente micascisti (talora bio- titici) quarziti micacee, e gneiss minuti. Localmente poi, presso il colle del Piccolo S. Bernardo nei calcescisti si intercalano fra il Monte Lancebranlette e il passo di Breuil, a nord della Punta M.‘ Percó Colle della Seigne Pyramides Calcaires 2844 2512 2092 Fig. 3. — Colle della Seigne e Pyramides Calcaires. Dal Mont Fortin. Miravidi, numerose masse di roccie verdi : eufotidi e porti riti diabasiche più o meno uralitizzate e prasiniti zzate, prasiniti e serpentine. Oltre che nella regione di contine (valloni Breuil e Versoyen) sono altre piccole lenti di prasiniti delle quali una potente di 7 ad 8 m. si esaminò, prendendone campioni, attraver- sante la strada del Piccolo S. Bernardo, un 500 m. prima del punto di quota 1841, indicato sulla carta al 50,000 dell’l. G. M. La natura sua di prasinite a struttura occellare, caratteristica delle prasiniti più tipiche, è riconoscibile macroscopicamente, e ESCURSIONI IN VALLE D’AOSTA CLXVII la sua inserzione fra calcescisti era molto chiara, vedendosene nettamente i limiti. Conviene ora soffermarci alquanto sulle breccie cui ho accen- nato sopra, perchè esse hanno una importanza grandissima nella geologia non solo della zona delle pietre verdi, ma di tutte le Alpi occidentali ed anche forse delle Alpi elvetiche. E noto infatti che il Lias nella regione brianzonese è sovente rappresentato da breccie ad elementi dolomitici poligenici, cioè provenienti da banchi diversi per tinta e struttura, differenti quindi da quelle frequenti nel Trias medio, le quali rappresen- tano la fratturazione e la ricementazione in posto di uno o più banchi di calcari dolomitici. Sono le Brèches du Telégraph di di W. Kilian, pure sviluppate in Moriana ed in Tarantasia ('), dove rappresentano insieme a scisti ardesiaci il Lias cosidetto a facies brianzonese. Poco ad oriente di Bourg St. Maurice, in queirultima regione, agli scisti ardesiaci si sostituiscono calcari cristallini e calce- scisti con pietre verdi, mostrandoci così il passaggio laterale del Lias a facies brianzonese al Lias a facies breccioide-cristal- lina, facies che poi si mantiene attraverso tutta l’alta Valle d’Aosta ed in Isvizzera. Notevolissimo è il fatto che a S.-O. della valle d’Aosta i terreni secondari, all’esterno della zona permo-carbonifera inte- ralpina, come risulta dalla carta geologica francese ad 1.000.000 e risulterà da quella al 400.000, in corso di stampa, del R. Uf- ficio geologico, sono terreni a facies ordinaria con forme cri- stalline solo localmente sviluppate. Specialmente il Lias è co- stituito da calcari e scisti calcari nelle valli Gesso e Stura di Cuneo, aventi alla base gli strati da Arietites Buldandi ed a Griphea arcuata ( facies dauphinois dei geologi francesi), invece esso è costituito da breccie nel Brianzonese, ed in Savoia da breccie e da calcari ( facies brianzonese). Il Lias è invece costituito da calcari cristallini, calcescisti con breccie dal confine della Savoia, ad E. di Bourg St. Maurice, (') Kilian W. e Révil J., Marbres et br'eclies liasiqiies de Villette en Tarentaise. Comptes-rendiis d. l’Assoc. Frang d. l’Avanc. d. Sciences, Congrés de Lyon, 1906. CLXVIII S. FRANCHI attraverso la Valle d’Aosta, alla Valle del Rodano. Presso Moutiers nelle breccie furono trovate griphee e molte belemniti; e al Colle della Seigne. in un banco di breccie, chi scrive trovò qualche esem- plare di belemnite, e lo stesso fossile fu trovato abbondante nella zona di calcescisti che presso il Piccolo S. Bernardo confina ■M.< Brouillard M.’ Blanc de Courmayeur Aiguille Noire de Pétéret MA Maudit Fig. 4. — Fauteil des Alleroands e Aiguille Noire de Pétéi'et. Saleudo da V. Veni al Colle di Chécoury. col Trias, ivi sporadicamente rappresentato da carinole e da gessi. Le breccie intercalate coi calcescisti e calcari cristallini sono ad elementi grandi, medi ed anche minuti, a cemento cristal- lino o no, con patine lucenti micacee attorno ai ciottoli, a strut- tura massiccia o zonata, fino a mostrar passaggi, per diminu- 1 1 • • • I •](* ziouc di elementi dolomitici rispetto al cemento cristallino, a calcescisti o calcari cristallini con elementi di dolomite inclusi. Al Mont Brisé, sopra Dolomie, i calcari dolomitici chiari, caratteri- ESCURSIONI IN VALLE D’AOSTA CLXIX stici del Trias superiore in tutte le Alpi occidentali (1), sono rico- perti immediatamente da breccie dolomitiche, di cui poi centinaia di banchi si vedono intercalati alle falde della Tote de l’Arp ed oltre il colle omonimo fino alla costa settentrionale del Mont Favre, come assai facilmente si osserva percorrendo la mulattiera militare pel Mont Fortin (Q. Come dissi altri banchi di breccie inserite nei calcescisti sono al Colle della Seigne ed altre si addossano alle Pyramides calcaires (Trias medio in anticlinale coricata con un nocciolo di Trias inferiore) sul lato meridionale di essa. Così una enorme zona sinclinale di Lias a facies breccioso- cristallina con pietre verdi si estende dal Colle della Seigne al Piccolo S. Bernardo, coll’ampiezza trasversalmente all’anda- mento di essa di 8 a 9 km. Questa facies di Lias che qui nella Valle d’Aosta è esterna alla grande zona pernio-carbonifera, più a S.-E. si sviluppa invece all’interno di essa. Breccie identiche a quelle della zona di Courmayeur si tro- vano nei calcescisti del Moncenisio, dei dintorni di Bardonecchia e sono sviluppatissime nelle valli Maira, Grana, Valloriate, Stura di Cuneo, Gesso e Vermenagna, colà pure associate a calcescisti, a calcari cristallini (passanti localmente a calcari dolomitici) ed a pietre verdi di tutti i tipi (3). Banchi e lenti di breccie analoghe, generalmente più minute, stanno in valle Grana, poco al disopra dei calcari cristallino-micacei, associati a calcescisti nei quali chi scrive rinvenne arietiti, belemniti e corallarì. Ho detto che le breccie dolomitiche hanno importanza anche per le Alpi elvetiche. Alcuni geologi difatti (Kilian e Lory) hanno emessa l’ipotesi che una delle falde di ricoprimento delle prealpi romande, quella della breccia del Chiablese, abbia le sue radici in questa zona di Courmayeur, ed altri geologi senza però O In questa osservazione mi trovai d’accordo con W. Kilian e P. Lory che videro meco nell’agosto i dintorni di Courmayeur. (2) E allo scopo di far vedere ai colleglli quei fatti molto chiari che chi scrive aveva progettato di sostituire pel giorno 13 alla gita dell’Arpvieille quella del Mont Fortin. (3) Franchi S., Sull’età mesozoica della zona delle pietre verdi. Boll. R. C. Geologico, 1898; Id., Ancora sull’età della zona delle pietre verdi, id., id., 1904. XII I CLXX s. FRANCHI addurre argomenti in appoggio accettarono tale concetto che espressero anche in profili schematici d’insieme (K. Schmidt). Io credo di non fare cosa sgradita se cercherò di mettere i colleglli al corrente della questione dell’età delle pietre verdi, purtroppo non ancora completamente sopita, quantunque per la M.‘ Rouge •2951 Fauteuil des AUemands Aiguille Noire de Pétéret 3773 Fig. 5. — Aiguille Noire de Pétéret e Fauteuil des AUemands. Dalla vetta del Mont Chétif. grandissima maggioranza di quelli che si occupano di geologia alpina, definitivamente risolta da alcuni anni. I calcescisti e le breccie di molte delle regioni anzi citate delle Alpi Cozie e Marittime, appartengono per consenso di tutti alla zona o formazione delle pietre verdi, come per tutti appar- tengono ad essa i calcescisti da noi veduti a Sarre c ad Avise e quelli con erinoidi di Villcneuve. Invece, secondo alcuni, non apparterrebbero più a quella formazione le roccie cristalline Ha- ESCURSIONI IN VALLE D’AOSTA clxxi siche comprese nella sinclinale triasica di Courmayeur, nè i banchi fossiliferi di Valle Grana, Ecco la divergenza, ecco il nodo della questione per quanto concerne la Valle d’Aosta. E malgrado che il tempo abbia di- sturbato alquanto le sue gite la Società ha raccolto gli elementi per formarsi un giudizio sulla tanto dibattuta questione. I col- leglli tutti che esaminarono le roccie costituenti la forra di Pré-St. Didier, quelli che coll’ing. Stella osservarono la for- mazione che si è attraversata il giorno 13 prima di raggiun- gere gli Chàlets del l’ Arpvieille ed esaminarono i detriti nei dintorni di questi chfilets, ed i col leghi che esaminarono con chi scrive le roccie attraversate salendo alla Thuile e sopra alla Golette, alla Tete du Chargeur e presso il confine al Colle del Piccolo S. Bernardo sono in grado, io credo, di giudicare se quelle roccie siano o no identiche, od almeno di tipo assai si- mile a quelle di Sarre ed Avise, se cioè esse si possano più giustamente ritenere come calcari cristallini e calcescisti anziché quali calcari e scisti ordinari. Quelli poi fra i colleghi che il 13 fecero la gita del Piccolo S. Bernardo oltre alla lente di pra- sinite, vista in posto intercalata, videro, fra i ricoveri n. 2 e n. 3, la grande quantità di blocchi di roccie verdi nella mo- rena laterale destra del Vallone di Breuil, laddove sono nume- rose lenti di quelle roccie, intercalate nei calcesciti. Calcari cri- stallini, calcescisti, breccie poligeniche ad elementi dolomitici, micascisti, quarziti micacee e vari tipi di pietre verdi sono i tipi litologici, tanto della sinclinale Basica di Courmayeur come della zona o meglio formazione delle pietre verdi delle Alpi Marittime, Cozie, Graje e Pennine, come sono in parte quelli dei Biindner sciite fer dei geologi svizzeri, già da lungo tempo ritenuti in gran parte secondari. Il ritenerle cronologicamente distinte porterebbe necessariamente ad ammettere due forma- zioni aventi la costituzione litologica della famosa zona delle pietre verdi, delle quali una sarebbe arcaica, l’altra secondaria. Ciò non costituirebbe ancora una impossibilità è vero, ma solo una grande improbabilità. Ma che questo fatto non si verifichi è poi dimostrato chia- ramente dall’osservazione che laddove i calcescisti con pietre verdi che sono dimostrati secondari o dai fossili che compren- CLXXII S. FRANCHI dono (Valle Grana, C. Dojetto), o dai loro rapporti di sincli- nali in mezzo al Trias a facies ordinaria (Sinclinale della Gri- vola) o dai loro passaggi insensibili a questo terreno (Alpi Cozie M.1 Blanc de Courmayeur Aiguille Noire de Pétéret 4709 3773 Fig. G. — Il Monte Bianco di Courmayeur coi ghiacciai di Brouillard e di Fresnay. Dalla mulattiera del Mont Fortin. e Marittime), vengono a contatto con grandi masse rocciose della zona delle pietre verdi, sulla cui essenza non havvi discussione, le due formazioni si rivelano come una stessa cosa, per l’assenza di un possibile limite fra loro c per la continuità fra Turni e ESCURSIONI IN VALLE D’AOSTA CLXXIII l’altra. Si rivelano cioè come parti di un solo tutto, omogeneo ed inscindibile. 11 Prof. E. Artini, da me pregato di voler fare un esame comparativo dei calcescisti veduti a Sarre, nella sinclinale di Avise e sulla strada del Piccolo San Bernardo, afferma di averli trovati « petrograficamente identici ». Egli riconobbe inoltre che la masserella di roccia verde che assieme ai colleglli vedemmo intercalata nei calcescisti dell’ultima località « è una prasinite classica, prevalentemente cloritica ». Così la Società viene a ri- conoscere una identità affermata dal Baretti prima quindi da me nel lavoro del 1898 sull’età mesozoica della zona delle pietre verdi, identità che porta alla conseguenza dell’età secondaria della famosa ed estesissima zona. È inoltre utile aggiungere che i calcescisti includenti la prasinite suddetta corrispondono a quelli in cui si trovano belemniti più in alto sulla stessa strada del Piccolo San Bernardo, come pure i calcescisti includenti le numerose masse di roccie verdi del Vallone di Breuil corrispon- dono a quelli nei quali si trovarono molte belemniti presso le Alpi Verney (1). 3.° Veniamo alla terza zona del nostro profilo. Tra il Pian de Chécoury ed il vallone omonimo parte dei colleghi hanno osservato il limite fra la formazione gessoso-carniolica del Trias medio e una formazione filladico-calcescistosa, alla cui base stanno dei calcari cristallini a crinoidi (con inserzioni di banchi di quarziti e di baritina) poggianti direttamente sulle roccie porfiriche del M. Chétif. Nel presentare ai colleglli il profilo attraverso a quella regione la sera del 10 settembre, io avevo esposto il dubbio che rimaneva sull’età di quella formazione scistosa, se cioè^essa dovesse ritenersi come rappresentante la parte inferiore del Trias medio, od invece come equivalente della formazione scistosa Val Veni-Val Ferret. I soli fossili trovati alla base di essa sono crinoidi, finora indeterminabili, ed i banchi che li includono corrispondono esattamente a quelli della Saxe e del Trou des Romains, sui quali scrisse lo Stellai2). f1) Vedansi i profili in Nuove località con fossili mesozoici, ecc. ecc. (~) Stella A., Sul giacimento piombo-bar itico di regione Trou des Romains sopra Courmageur. Rassegna mineraria, voi. XVI, n. 17, p. 281- 284. 1902. CLXXIV S. FRANCHI In alcune gite eseguite, dopo le escursioni della Società, al Monte La Saxe, al colle Chécoury, nel vallone di Chapy ed in quello di Sécheron mi sono convinto, in base ad osserva- zioni stratigrafiche, che, allo stesso modo che gli scisti si ve- dono al Monte La Saxe girare attorno ai porfidi, collegando i calcari galeniferi e pi riti feri del contatto presso i bagni con quelli pure galeniferi, piritiferi, baritiferi e cinabriferi (') di Chapy, gli scisti di Val Veni e quelli delC olle Chécoury deb- bono formare una anticlinale che avvolge i porfidi del M. Chétif, i quali verso S.-O. terminano a cuneo in mezzo ad essi. Cosi stando le cose, il contatto del Trias lungo la linea Val- lone Chapy-V. Chécoury deve essere un contatto meccanico anor- male per cui il Trias in anticlinale rotta viene in ricoprimento sugli scisti basici. Che così debba avvenire lo mostrano i due fatti seguenti: l.° Che la Testa Bernarda nel contrafforte dei Monti La Saxe è costituita da porfidi laminati, pure affioranti in anticlinale in mezzo ad un’aureola di calcari cristallini a crinoidi, (5) come quelli di Chécoury, i quali a loro volta sono avvolti dagli scisti scuri lucenti di Val Ferret. Analogamente deve accadere per la massa della Saxe, e quindi per quella del Chétif; 2.° Che il grande banco dolomitico che culmina alla Tote Tronche, dal lato del vallone di Anilina termina brusca mente fra calcescisti tipici, i quali così sottostanno e ricoprono il Trias, venendo a contatto diretto, col ramo inferiore, cogli scisti di V. Ferret. Presso l’Alpe Sécheron superiore una sottile zona di Trias affiora fra una grande massa isoclinale di calce- scisti, rovesciati sugli scisti di V. Ferret. Questi fatti non si possono spiegare che con delle pieghe rotte. ed imbricate per spinte verso il massiccio granitico-crista bino. Nella salita al Colle di Chécoury, il mattino del 13, una (') Nei calcari cristallini a crinoidi presso Chapy oltre ai minerali citati dallo Stella trovai in qualche campione delle mosche di cinabro associate alla blenda. (?) L’Ing. Stella (S. c.) li trovò pure mineralizzati (barite, galena, blenda, pirite) come quelli del Trou des Romains; anzi osservò la mi- mineralizzazione in una ristretta zona che partendo da Testa Bernarda va oltre il confine svizzero. ESCURSIONI IN VALLE D’AOSTA CLXXV parte dei colleglli potè vedere, a destra entrando nel vallone di (pici nome, dei banchi di carinole alternanti con banchi calce- scistosi corrispondenti all’incirca al limite meridionale della for- mazione scistosa in parola. Al disopra della Goletta, da non con- fondersi colla frazione di La Thuile, lungo la trincea della nuova strada consorziale, essi poterono poi esaminare con l’ing. Stella la natura della zona scistosa, che sovente è costituita da una alternanza di straterelli sottili, pieghettati, contorti e con piccoli salti, di calcari cristallini e di veri calcescisti, non molto dis- simili da quelli della grande sinclinale. Però gli spuntoni di essi che sono in alto dei prati di Ché- coury presentano tale identità cogli scisti di Val Veni, nei quali d’altronde sono in diversi punti tipi calcescistosi molto schietti, che la corrispondenza delle formazioni nei due lati del Chétif non mi sembra dubbia. Havvi pure il carattere comune di fre- quenti venuzze quarzo-calcitiche che sono particolarmente fre- quenti nella massa scistosa del M. Fréty, delle quali si esami- narono frammenti il giorno 12 salendo alla Brenva. 4.° Un quarto elemento del nostro profilo è costituito dalla tanto caratteristica massa rocciosa M. Chétif-M. La Saxe. I colleglli visitarono nel pomeriggio del giorno 12 i porfidi del M. La Saxe, fra i quali essi notarono delle varietà diversamente laminate, e videro pure tipi veramente tegulari. Basti accennare il fatto che sono in essi aperte cave per lastre da ricoprire i tetti. Nella loro parte superiore sono sovente chiari ed afanitici con frattura porcellanica in modo da poter esser confusi con quarziti. Guardando la massa porfirica nel taglio della Dora si vedono frequentemente delle parti a struttura massiccia grani- toide incluse nel porfido laminato, col quale presentano rapide transizioni, sicché le due roccie si manifestano come due forme separatesi per liquazione da uno stesso magma. Debbo all’inge- gnere Aichino due analisi del granito e del porfido dalle quali risulta che le due roccie hanno lo stesso tenore in silice ma differiscono sensibilmente nei tenori di allumina, ferro, manga- nese, calce, soda c potassa. Non sarà inutile trascrivere le due analisi dell’ing. Aichino: « CLXXVI S. FRANCHI Granito Porfido Si O2 72,19 71,93 A1203 12,11 15,47 Fe O3 corrispondente al ferro totale. 2,77 3,58 Mn3(F . . 3,11 — Ca 0 0,70 1,85 MgO 0,35 0,52 K* 0 4,06 1,88 Na2 0 4,34 4,55 Perdita al fuoco 0,44 0,49 Totali 100,07 100,27 Una di dette masse granitiche fu vista dai colleglli fra i porfidi laminati presso al contatto coi calcari a crinoidi a Fra Neiron, e molti blocchi di graniti, ben distinti da quelli del M. Bianco, si videro nel pomeriggio del 12 alle falde del M. La Saxe, oltre la borgata omonima. Nella fig. 1 è rappresentato il dorso del M. €hétif nella sua parte totalmente eruttiva, visto da Courmayeur. Tutta la super- ficie, non escluso il pan di zucchero terminale, presenta le forme caratteristiche della levigazione dei ghiacciai, la quale non riuscì a nascondere le traccie di due grandi fratture parallele della massa porfirica e certe ondulazioni corrispondenti a quelle della scistosità dei porfidi (’). Nel profilo del quale si parla furono indicate schematica- mente poche masse di tali roccie granitoidi, ma esse sono in realtà molto fitte. In alcuni punti furono notate diverse piccole masse di granito separate e avviluppate da zone di porfidi scistosi, potenti meno di un metro. Lupare e Mrazéc riconobbero che questi porfidi hanno costituzione poco differente da quelli che orlano la massa granitica in Val Ferret, e chi scrive notò che le forme più massiccio dei porfidi del Chétif sono molto simili (') Il grande ghiacciaio della valle, che a Borgofranco, aU’uBcita di essa aveva uno spessore di 650 ni. circa, aveva presso Entréves uno spessore di oltre 1150 metri. ESCURSIONI IN VALLE D'AOSTA CLXXVII nell’aspetto ai porfidi che si mostrano al limite della massa granitica ad occidente del M. Fréty, formandovi un’orlatura come della valle Ferret svizzera. 5.° Un quinto importante elemento del profilo è la forma- zione calcareo-scistosa, V. Veni-V. Ferret, che la Società esaminò il 12, andando verso Entrèves, dopo i porfidi. Dopò i calcari piritiferi e galeniferi scuri del contatto, dai quali esce la sor- gente solforosa dei bagni a 18° di temperatura, si sviluppa una grande massa di scisti lucenti poco calcariferi, sovente arenacei, nerastri, che impallidiscono colla lunga esposizione all’aria, e sovente riccamente piritiferi. Da essi escono, sopra la strada da noi percorsa, sorgenti incrostanti, fredde, che danno luogo a piccoli depositi travertinosi. Guardando nel contrafforte del Chétif la sezione naturale di tale massa scistosa, questa si vede viva- mente arricciata, però senza che vi si notino vere pieghe. Lo stesso fatto fu osservato dalla Società alle falde del M. Fréty, dove alternano ripetutamente zone scistose e zone calcari mar- nose e marmoree. Chi scrive fece osservare al colleglli la sin- golare disposizione tettonica per la quale i graniti si mostrano in rupi formanti un ciglio in alto sotto il Pavillon du Fréty, in sovrapposizione, con pendenza di non più di 30°, alla for- mazione scistoso-calcarea che si immerge chiaramente sotto al monte, cioè sotto i graniti, come dianzi si immergevano sotto i porfidi. È la nota disposizione a fungo della sinclinale V. Veni- V. Ferret in questo tratto, disposizione già riconosciuta fin dai tempi di A. Favre, in armonia colla disposizione a ventaglio della massa cristallino-granitica del M. Bianco. Si mostrarono pure ad alcuni dei colleglli, ad 0. del Fréty, dei punti dove cogli scisti della base sono lenti di calcari a patina bruna {robe de caputiti ), e calcari dolomitici pure scuri, di cui gli analoghi stanno sotto a scisti presentanti traccie di fossili presso Pétéret (crinoidi, bivalvi, sifonee (?) ecc.), i quali potrebbero rappresentare un orizzonte del Trias superiore (Re- tico (?) (’). In alcuni punti (Pétéret) sono alla base a contatto (>) Il prof. Parona, al quale ho mostrato diversi campioni di questo ristretto affioramento di Pétéret, compreso quello colle supposte sifonee, mi scrive che nulla trova di determinabile macroscopicamente. Credo utile trascrivere letteralmente una parte della sua cartolina in cui parla CLXXVIII S. FRANCHI colle roccie porfìrico-granitoidi strati quarzitici e calcari con ele- menti breccioidi di roccie cristalline, i quali strati potrebbero forse corrispondere al grès singultir di A. Favre. Duparc e Mrazec nella loro carta geologica del M. Bianco indicano un po’ di car- bonifero al M. Fréty, il quale forse corrisponde a queste roccie clastiche. Io dubito però che la loro età sia tanto antica, i cal- cari bigi stratificati che si incontrano sotto il Pavillon du Fréty essendo certamente Basici, poiché presentano belemniti. Nel procedere verso il ghiacciaio della Brenva la Società ebbe campo di esaminare nella morena, dalla quale da una cinquantina d’anni il ghiacciaio si va man mano ritraendo, la enorme varietà di roccie granitoidi, olocristalliue, porfiroidi, massiccie, zonate o laminate, che costituiscono il bacino del ghiacciaio. Si notarono blocchi con antibolo (l’arkesina di Ju- rinc) e filoni di api iti. Dallo Chalet del ghiacciaio i soci, sotto la guida di Pé- tigax Joseph e Brocherel Joseph, gloriose guide che accompa- gnarono il Duca degli Abruzzi nelle varie sue spedizioni, risali- rono alquanto il ciglio della morena sinistra e poscia intrapresero la traversata del ghiacciaio. Disgraziatamente il tempo rannu- volato che aveva già tolta la vista del Monte Bianco e delle superbe cuspidi che l’attorniano, impedì di godere il fascino della traversata, che terminò sotto la pioggia, dalla risalita della mo- rena di destra agli Chalet de Purtud (fig. I), di cui impedì di apprezzare la calma incantevole, e a N. D. de la Guérison. Ivi presso si osservarono le due zone calcari in parte marnose e ric- camente piritifere, in parte marmoree inserite fra gli scisti lucenti. delle lamine sottili di quei calcari: «Prevalgono le sezioni di steli e di articoli di crinoidi e sono abbondanti le spicule di spugne; ve ne sono di semplici e grandi, simili a quelle delle pietre da coti valsesiane, e di più piccole formanti maglie triangolari e più spesso quadrangolari (Craticularia ?). Osservai anche qualche raro foraminifero (Nodosaria ?) e sezioni di frammenti di gusci di bivalvi. In complesso ebbi l’impres- sione come di roccia giurassica (giuro-liassica) piuttostochè triasica ». Queste osservazioni confermano che la massima parte degli scisti V. Veni-V. Ferret sono giuraliassici. Resta sempre a decidersi l’orizzonte al quale appartengono le dolomiti scure che stanno in modo non con- tinuo, ma in molti punti alla base di quelle formazioni scistoso-calcaree nella regione Frèty-Brenva-Pétéret. ESCURSIONI IN VALLE D’AOSTA CLXXIX In una di quelle, presso la strada, si osservarono splendide su- perficie arrotondate, con striature glaciali conservatissime, quindi riattraversando gli scisti si ritornò all’Hòtel du Mont Blanc, col triste presentimento della brutta giornata clic si avrebbe avuto il domani. Nella convinzione clie il tempo non avrebbe potuto rimet- tersi a bello pel giorno seguente, la sera stessa si decise di rinunziare alla variante pel Colle dell’Arp c pel Monte Portili, da me proposta il giorno 10; e siccome d’altra parte si pre- vedeva che sarebbe con ogni probabilità mancata alla gita del programma la vista del panorama del gruppo, il che aveva costi- tuito una delle ragioni per la scelta di quell’itinerario, una parte dei colleglli mostrò di preferire a quella una gita al Piccolo S. Bernardo, dal punto di vista puramente geologico non meno interessante, e che poteva essere fatta in vettura od in auto- mobile, con colazione all’Ospizio, senza rischio di essere even- tualmente vittime del cattivo tempo. Una parte invece, fra cui il Presidente, anche in vista di impegni presi, sosteneva il partito di fare il 13 la gita ufficiale, riservando al 14 la gita facoltativa al Piccolo S. Bernardo. Ma poiché alcuni non avrebbero potuto rimanere nella valle il giorno 14, si decise di dividerci in due squadre di cui una avrebbe fatto la gita del programma sotto la direzione del- l’ing. Stella, l’altra quella del Piccolo S. Bernardo in auto- mobile guidata da chi scrive. Ecco la relazione rimessami dal collega Stella della gita da lui diretta: « La escursione da Courmayeur per il Colle di Chécoury al Lago di Combai aveva per iscopo di attraversare i terreni in- terposti fra i calcescisti della zona di Courmayeur e il mas- siccio gncissico e granitico del M. Bianco, lungo un itinerario che desse modo di godere l’imponente panorama della grandiosa catena. Ma il tempo, caliginoso in principio dell’escursione e di poi anche piovoso, guastò alquanto il nostro programma. CLXXX S. FRANCHI Uscimmo dalla frazione Dolonne, e, dopo esserci soffermati sulla destra della Dora a una fornace che produce calce e gesso da materiali scavati ivi presso nel vallone di Chécoury, bruciando antracite della Umile, prendemmo la salita per la nuova strada consorziale che sale a Chécoury. Lungo questa si ebbe campo di esaminare numerosi tagli freschi obliqui all’andamento della formazione triasiea, con sviluppo di carinole e quarziti, e con al- ternanze di scisti micacei e fi Undici, passanti talora a calcescisti nella tratta superiore; mentre si avvistavano a intervalli nel fianco opposto del vallone gli affioramenti franosi di calcari, carinole e gessi biancheggianti, intramezzati di scisti neri car- bouiosi. Oltre Pian Chécoury i banchi raddrizzati di calcari dolo- mitici che dominano la strada fino a Pra Neiron furono da parte nostra oggetto di attento esame, nella speranza che ci offris- sero qualche fossile; ma le nostre ricerche non furono coronate da felice risultato (‘). Giunti al ripiano di Pra Neiron ci si presentò evidente in quei dirupi brulli e arrotondati il contatto concordante fra i banchi calcareo-dolomitici e quelli dei porfidi laminati della massa del M. Chétif. Li attraversammo lungo il sentiero del colle di Chécoury, oltre il quale riappariscono i gessi colle roccie ooncomitanti. La nebbia impedendo la vista delle cime a fianco delle quali si camminava dovemmo limitarci all’esame delle roccie da esse cadute e di rari spuntoni di roccia in posto. Fra quelle si no- tarono le breccie ad elementi dolomitici che in banchi innume- revoli sono intercalate fra calcescisti e calcari cristallini. Ma da questo punto la lunghezza del cammino che dovemmo percorrere a mezza costa per raggiungere la discesa verso il Lago di Combai non fu compensata nè dal panorama che sa- rebbe stato grandioso, nè dalla mèsse di osservazioni che sareb- bero state interessanti, a causa della pioggia insistente, accom- pagnata da nebbia quasi continua. (*) (*) In mezzo a tali calcari, sovente a crinoidi, si inseriscono sottili banchi di quarziti e di baritina come in (lucili del vallone di Cliapy. ESCURSIONI IN VALLE D’AOSTA CLXXXI I rari intervalli, in cui questa si diradava un poco, basta- rono appena a farci intravedere la massa del colosso alpino nello stagliato sperone delle fantastiche guglie di Pétéret (fig. 2 c 3); e poi al fondo di Val Veni il grandioso sbocco del ghiacciaio del Miage coi freschi e completi cordoni morenici del .Tardili du Miage, in mezzo al quale brillavano le acque verdiccie di un laghetto intermorenico chiuso a monte da una parete di ghiaccio vivo; infine sopra il sentiero le balze altissime della Tete d’Arp mostranti la immensa fila dei suoi calcescisti e breccie. La refezione preparata al riparo dal cav. Donnet, con pre- mure e sollecitudini, di cui gli siamo gratissimi, nell’Arp Vieille d’en Bas, migliorò le condizioni e l’umore della comitiva, ma non quelle del tempo. Usciti dalle alpi appena potemmo intravedere il ripiano col- mato del Lago di Combai, e scendemmo frettolosamente a pren- dere la via mulattiera di Val Veni. Alcuni soci più coraggiosi, col Presidente ed il Segretario, si spinsero fino allo specchio del laghetto del Miage; pochi altri deviarono dal ponte della Vi- sailJe fino alla porta del Ghiacciaio di Miage; i più scesero direttamente a Courmayeur. Ove tutti ci ritrovammo colla con- vinzione che una regione come questa meritasse non solo un tempo più clemente, ma anche una visita meno affrettata ». * * * A titolo di compenso della mancata vista del panorama del gruppo del M. Bianco si è pensato di riprodurre alcune fotografie eseguite da chi scrive allorquando nel 1000 studiava la regione. La fig. 3 è una veduta del Colle della Seigne presa dal Mont Fortin soprastante all’Arpvieille. 11 colle è in gran parte aperto nelle due facies di Lias breccioso-cristallina e calcareo- scistosa le quali, pel terminare deiranticlinale delle Pyramidcs calcaires che le divide più ad oriente, vengono a trovarsi a contatto. Tutta la massa fra le Pyramides Calcaires e la vetta del M.1 Percé è in calceschisti con intercalazioni di breccie e di calcari cristallini. CLXXXII S. FRANCHI La fìg. 4 rappresenta di prospetto l’Aiguille Noi re de Pé- téret ed il Fauteuil des Allemands, presa stando sotto il Colle di Chécoury. Essa mostra due delle diaclasi principali della massa granitica che sovente la dividono in romboedri. Due altre dia- clasi si posson vedere osservando di profilo la stessa massa rocciosa, nella figura 5. Dietro la punta apparisce la cima ne- vosa del M. Bianco di Courmayeur. La figura 6 rappresenta il Monte Bianco di Courmayeur coi ghiacciai che ne scendono di Bruii lard (a sinistra) e di Fresnay (a destra). L’infelice riproduzione non dà che una idea grosso- lanamente approssimata dell’imponenza di questo frammento di panorama, che si gode dalla mulattiera del Mont Portili sopra l’Arpvieille. In quella ristretta zona sono il Colle Emilio Bey, la punta Luigi Amedeo, il Monte Blanc de Courmayeur, l’Ai- guille Bianche de Pétéret, Les Dames Anglaises, l’Aiguille Noire de Pétéret e l’Innominata, tutti nomi che ricordano molte delle più belle imprese dell’Alpinismo. Tutta la massa rocciosa è in granito, eccetto una zona più scura che sta a monte del piccolo ghiacciaio del Chàtelet, interposta fra i due maggiori suindicati, e la parte alta del crinale a sinistra del Monte Blanc di Cour- mayeur, la quale come quasi tutto il contrafforte del Monte Bruil- lard di cui una ristretta striscia entra nella fotografia a sinistra, sono in gneiss e micascisti, con intercalazioni di anfiboliti e di qualche masserella di serpentina. La prima tavola annessa riproduce una fotografia presa dalla vetta del Monte Chétif ; rappresenta il ghiacciaio della Brenva colle vette del Monte Bianco e Mont Maudit, colla Pierre à Moni in e parte delle morene laterali. In essa si vede nettamente la candida polvere di ghiaccio prodotta dalle cadute di lembi di ghiacciaio, frequenti nelle giornate calde, dal ciglio superiore del l’arrotondato spuntone roccioso, detto perciò Pierre à Moulin. Tutto l’alto vallone è scavato nel granito (protogino) massiccio o laminato. In apliti portìroidi è la parte periferica presso il contatto colla formazione secondaria di Val Veni. La figura del- l’altra tavola rappresenta il vallone ed il ghiacciaio del Miage presi dal Mont Portili. La valle è scavata in una massa di roccie gneissiche, ripetutamente ripiegate, comprendenti diverse sincli- nali di Carbonifero, in alcuni punti fossilifero. Proprio sotto il ESCURSIONI IN VALLE D’AOSTA CLXXXIII Colle del Miage io vidi negli gneiss oltre ad intercalazioni di masse porfiriche, un lembo sinclinale ristretto di calcari marmorei con crinoidi, con ogni probabilità appartenenti al Trias. Nelle pagine precedenti ebbi occasione di parlare di alcuni dei fatti osservati dalla comitiva del Piccolo S. Bernardo nella gita del giorno 13, ne compierò ora brevemente la narra- zione. Comodamente seduti nell’ottima Fìat che per tre mesi aveva fatto il servizio con due viaggi al giorno fra Aosta e Courmayeur, per diversi incidenti si lasciò questo abitato verso le 8, con una brezza piccante risalente la valle, di non lieto presagio, la quale congiunta alla velocità dell’automobile ci faceva stringere nei pastrani e nei loden. Le nebbie basse, velanti il gruppo del M. Bianco fin quasi' al Fróty, ci tolsero di godere lo splendido panorama che si ha dagli ultimi svolti della magnifica strada della Tliuile, svolgentesi in ampi zig-zag fra i pini, prima di passare il piccolo tunnel aperto nei calcescisti. Passato il tunnel il paesaggio è molto limitato ma ridente, mostrandoci a sinistra la Dora profondamente incassata sotto rupi presentanti le testate dei banchi di roccie calcareo-cristal- liue ricoperte da pini c da larici. Senza scendere si vedono chia- ramente i banchi di calcescisti dei tipi soliti, pendenti verso S.-S.-E. di 30-40° risalire verso il crinale del Crammont. Rego- larità di pendenza e di direzione si osservano pure a distanza lungo la Dora della Tliuile che quivi scorre pressoché in dire- zione degli strati. Si attraversa la forra che precede La Tliuile sulla strada scavata in trincea in rupi dove alternano calcescisti calcari cristallini e breccie poligeniche, e si scende dall’automo- bile a quell’abitato. A poca distanza, dietro il cimitero, si vedono gessi e camicie sovrapporsi alle roccic predette, che costituiscono la maggior parte della grande testata che sta a tergo del villaggio; si dà uno sguardo alle zone di Carbonifero dove sono i banchi di antra- cite delle concessioni Cretaz e Pois de Golette; si notano i cor- doni morenici di sinistra del ghiacciaio del Rnitor, la cui fronte si indovina fra le nebbie in fondo al vallone, dove biancheggia una delle note cascate. Clxxxiv S FRANCHI Salendo alla frazione Golette si osservano numerosi blocchi di anageniti a cemento cristallino, analoghe a quelle vedute a Derby, e risaliti in automobile, si vedono sotto l’abitato di Go- lette i monticoli gessosi ivi scavati, che stanno fra il Carboni- fero e gli scisti calcareo cristallini, che riattraversiamo fin oltre a Pont-Serrand, la cui forra è in essi aperta. Poco dopo il ponte si entra nel terreno antracitifero, all’altro lato della Dora di Verney, donde si vedono le grandi pareti calcescistose inclinate del Mont Belle-Face, meravigliosamente isoclinali colle testate che si vedono affiorare nei valloni che trasversalmente alla ca- tena incidono la grande zona calcescistosa, anche a grande di- stanza, come nei contrafforti del Mont Colmet e del gruppo della Grande Rochère al di là di Pré-Saint Didier. La strada si svolge in seguito in una regione ondulata a struttura carsica, con fondo di gessi e carinole, delle quali si prendono campioni, facendo una breve fermata; quindi rientra nei calcescisti, presso il contatto dei quali si fa un’altra fermata per esaminare la piccola massa di prasinite di cui è stato detto precedentemente. Ricordo che presso il contatto i calcescisti sono verdicci ed alternano con calcari cristallini in banchi sottili. Intanto la nuvolaglia si fa più densa e una rada piogge- rella incomincia. Dopo breve tratto di strada bisognerebbe stac- carsi dalla carrozzabile e girare a nord della Téte du Chargeur per raggiungere le Alpi Verney, dove furono trovate molte he lemniti nei calcescisti (*). Interpellati alcuni dei colleglli in pro- posito risposero in modo significativo, sporgendo il capo dal tetto dell’automobile e guardando le dense nubi, sicché io dissi allo chauff'eur : avanti. Un collega ad un certo punto esclamò: « È così bello fare la geologia in automobile! ». Ma un altro rispose pronto: « Si, quando fu già fatta da altri a piedi ». Alla Téte du Chargeur osserviamo una massa di carinole ad- dossate, come alla Thuile, sulle roccie calcareo-cristalline, poscia, per lungo tratto l’antica morena del vallone di Breuil, con enorme quantità di blocchi di pietre verdi di mille varietà, quindi i (') Franchi S., Nuove località con fossili mesozoici nella zona delle pietre verdi, ecc. Boll. R. Coni. geni, i t anno 1899. ESCURSIONI IN VALLE D’AOSTA CLXXXV calcescisti scuri fogliacei negli zig-zag precedenti il Ricovero n. 3; ed ivi presso, nei medesimi calcari cristallini micacei chiari e calcari dolomitici giallognoli al contatto colla zona sottile ges- soso carniolica che li separa dall’antracitifero, il cui detrito la ricopre in gran parte. In questa zona di contatto corre la strada fin oltre l’Ospizio, e la cipollinica colonna di Giove, portante ora un S. Bernardo, poggia su calcescisti scuri, a poche diecine di metri in direzione fossiliferi, alternanti con calcari cristallini chiari della base del lias. Giunti all’Ospizio mi feci premura di presentare i colleglli al Rettore di esso, venerando Abate Chanoux, naturalista colto e al corrente della geologia della regione. Egli si disse « lietis- simo di vedere riuniti al suo Ospizio tanti valenti cultori delle scienze geologiche, onore d’Italia » e volle additare a noi, come già fece a tanti altri, le vicine località dove sono più abbon- danti le filliti del Carbonifero, poco oltre il confine. Nel recar- vici si potè osservare al primo risvolto della discesa della strada, alla destra di essa, il contatto delle carniole coi calcescisti bigi e chiari' alternanti, e a sinistra della medesima strada la massa di gessi con poche carniole che confina col Carbonifero fossi- lifero. La pioviggina persistente impedì di salire un po’ alla roccia in posto, tuttavia nel detrito di falda i colleghi raccol- sero buon numero di impronte, fra cui qualcuna bella di Sigil- larla. Dopo la colazione, persistendo la uggiosa pioggerella, fatta una breve visita al giardino alpino Chanousia, guidati dal dott. Lino Vaccari, che vi prodiga da anni le sue cure intelli- genti, i colleglli partirono in automobile, rinunciando definiti- vamente a vedere le località con belemniti, e chi scrive rimase all’Ospizio per l’eventualità di dovere accompagnare in quei dintorni la seconda comitiva, che avrebbe dovuto salire il giorno seguente. Altri descriverà la chiusura del Congresso fattasi il 13 sera all’ Hotel Mont-Blanc. Chi scrive il 14 mattina verso le 7 */« vedendo il tempo rischiararsi, mosse all’incontro della seconda comitiva. Giunto presso il Ricovero n. 3, dove i calcescisti in posto formano a sinistra il ciglio della strada, vide in essi alcune belemniti, di XIII CLXXXVI S. FRANCHI cui una lasciò in posto fra il 5° ed il 6° palo telegrafico a partire dalla colonna di Giove, segnando fortemente in rosso la roccia attorno. Però quando egli giunse al Ricovero n. 2 gli fu telefonicamente comunicato il telegramma, allora giunto all’O- spizio, con cui il Presidente lo avvertiva che si era rinunciato alla gita, deliberazione questa spiegabile, perchè presa la sera dopo aver subito un pomeriggio piovoso, mentre il maltempo continuava. Riassumendo i fatti osservati nella gita al Piccolo S. 13er- nardo avremo: 1. ° Disposizione isoelinale in serie rovesciata del Carboni- fero medio fossilifero, del Trias medio sporadicamente rappre- sentato da carinole e da gessi e dei calcescisti con belemniti, con intercalazioni di banchi dolomitici e di calcari cristallini, micacei chiari e di lenti di pietre verdi (prasiniti viste in posto, eufotidi e serpentine nel morenico). 2. ° Lacuna corrispondente al Carbonifero superiore, al Trias inferiore (solo rappresentato nella sinclinale trasgressiva della Touriasse) e forse a parte del medio. Coordinando poi questi fatti con parte di quelli osservati nella gita dell’Arpvieille, dove in qualche punto si toccò il contatto fra calcescisti con breccie e le roccie tipiche del Trias, se ne deduce l’esistenza di una grande sinclinale di calcescisti con pietre verdi, fra il Trias ordinario della Thuile e quello di Dolomie, del Lago Combai e della anticlinale completa delle pi/ ra n i id es ca Ica i rcs. Ricordo che banchi di breccie contengono belemniti al Colle della Seigne. Gli scisti e calcari Rasici di Chécourv e di V. Veni sono rappresentati presso quel Colle da una zona ristretta in- terposta fra l’anticlinale delle Pyramides e certi scisti speciali e le roccie gneissiche del massiccio cristallino. Al termine di questa relazione, un po’ disordinata, per la necessità di coinnestare il poco visto con quanto avrei deside- rato far vedere, io credo di interpretare il pensiero di tutti i nostri colleglli che presero parte alle gite in Val d’Aosta, ringraziando pubblicamente le autorità ed i cittadini che ci furono larghi di cortesie e di premure. Boll. 800, Geol. Italiana Voi. XXVI (1907). M. Maudit Pierre mouli liklOX CAi.*DLAXMi FtftIMRIO'MILANO Aiguille Bianche de Pótóret Lea Dames Anglaises j M. Blano da Courmayeu Morena di destra Ghiacciaio della Brenva visto dal Mont Chétif Boll. Soc. Geol. Italiana Voi. XXVI (1907), Tete Carrée Col de Miage Aiguille de Miage Dòme du Goutè FRANCHI FOT, Pilli t CMLZOLAKI l* HfcKKrtNlO-frtli.ANO Vallone e ghiacciaio del Miage BOLL. DELLA SOC. GEOL. ITALIANA, voi. XXVI. PROFILO SCHEMATICO TRA IL M.TE GRAND' ASSALY ED IL COLLE DEL GIGANTE Adunanza generale, Sett. 1907 Grand’ Assaly 3174 M.1 Freduaz M.' Terre Noire Dora di Verney M.' Belleface M.,e Favre M.« Chétif V. Bellecombe i La Touriasse 2809 V.“ de Joula Tète de l’ Arp 23+3 Pian Chécouri N. • J 1 ì 27/50 M. Bianco C. duGdant Entrèves M.1 Fréty N. D. de la Guérison Aiguilles de Pétéret 3773 ; La Vierge Li vrllo ih'l mori EH Ghiacciai. Scisti e calcari del Giuralias a facies dauphinoise ILI metamorfosato. LEGGENDA I S9 al Calcari dolomitici (cd), gessi (g), carniole (cg), sc'st* neri (se), del Trias medio a facies ordinaria; ■SÉBÉHÉI calcari dolomitici e scisti al contatto coi porfidi di fIz M." Fréty (Trias sup.re). Quarziti (qz). mo . dL Morene. Detriti. Calcescisti (cs), calcari cristallini (ex), breccie (br), micascisti (ms), con pietre verdi (pr, S), del Lias iis hr a ^ac‘es cristallino-breccioide. ita i Porfidi della Brenva (p), porfidi laminati dei M.11 Chétif e Saxe (pi), con passaggi a forme gra- nitoci (gr). IffiI Scisti, filladi e gneiss minuti psammitici più o meno carboniosi con banchi di antracite (A) e con flora del Carbonifero medio. Anageniti, scisti anagenitici e puddinghe a ce- mento cristallino con intercalazioni di scisti antra- citici. ()nm 1 Gneiss minuti e micascisti della zona del Gran S. Bernardo. Granito (protogino) gr, talora fortemente lami- nato (grl). CLXXXVII ESCURSIONI IN VALLE D’AOSTA Ma speciali ringraziamenti è doveroso sian resi al notaio cav. Ottavio Donnet per tutto quanto fece onde rendere gradito il nostro soggiorno nella bella valle, e per alleggerire il disagio della gita dell’Arpvieille. La nostra riconoscenza non si disgiun- gerà dal ricordo, quantunque non la si sia vista sotto la miglior luce, della grande, della bellissima valle d’Aosta, alla quale auguriamo che sia offerto il mezzo di assurgere a nuova, più feconda e più florida vita. ESCURSIONE AL COLLE DEL GIGANTE 12-13 SETTEMBRE 1907 Relazione del dott.. S. Cerulli-Irelli Ammirata ed entusiasta dei colossi alpini che sempre più maestosi ed imponenti appaiono a chi da Aosta sale a Cour- mayeur, una piccola comitiva, composta dei soci Falzoni, Ciofi e Cerulli-Irelli, non sapendo sottrarsi al fascino, che l’alta mon- tagna esercita sullo spirito di chi ne vive abitualmente lontano, giunta a Courmayeur, decide di compiere l’ascensione del Colle del Gigante (3365 m.). L’ing. Stella, che vivamente ringrazio, anche a nome dei colleglli, per le notizie geologiche e le indicazioni forniteci, ci aveva la sera innanzi, mentre in un oscuro scompartimento di seconda classe si percorreva lentamente la ferrovia da Chi- vasso ad Aosta, iustillato il desiderio della gita, coll’assicu- rarci che dal Colle del Gigante il panorama del gruppo del M. Bianco è uno dei più belli e completi, mentre l’esistenza del Rifugio albergo Torino alla sommità del Colle, ne rende assai più agevole l’ascensione. Con tale attraente prospettiva alle 3 circa del pomeriggio del 12 settembre, facendo forse troppa affidanza sulla clemenza del tempo, a dir vero non molto promettente, preso congedo dai colleglli, che in buon numero si avviano al ghiacciaio della Brenva, partiamo in compagnia della brava guida Glarey, col programma di salire a pernottare al Rifugio Torino, fare l’indo- mani mattina per tempo una punta sul Glacier du Géant, e quindi ridiscendere rapidamente per trovarci a colazione coi colleglli al Lac du Combal. Uscendo a nord dell’abitato di Courmayeur, hi strada che si percorre, dopo un breve tratto pianeggiante su fresche pra- terie, è una buona mulattiera, che attraverso terreni morenici. ESCURSIONE AL COLLE DEL GIGANTE CLXXXIX egualmente coperti da prati, sale lentamente verso gli ultimi casolari della valle alla base del M. Fréty. Di qui si inerpica su per una costa d’abeti in risvolti abbastanza ripidi, per riu- scire nuovamente all’aperto su lunghi pascoli, da cui l’occhio spazia pieno di ammirazione sulle eccelse guglie e sugli impo- nenti letti di ghiaccio, che formano sfondo quanto mai pittore- scamente superbo alla valle di Courmayeur, e fra cui torreggia fiero e selvaggio il Dente del Gigante. Ma la bellezza del pano- rama è purtroppo menomata dal cinereo ammanto di nubi che vela non poche delle vette più alte. Oltrepassati i terreni morenici, la mulattiera si è venuta svolgendo attraverso l’alternanza di calcari e scisti della zona giurese Val Veni-Val Ferret, i cui strati si immergono contro monte, e attraverso essa si continua a salire il M. Fréty* finche in due ore da Courmayeur raggiungiamo il Pavillon (2173 in.), un rifugio alpino posto alla sommità del Monte da cui prende nome, ma da qualche anno scoperchiato e in gran parte distrutto da un fulmine. Passiamo oltre senza fermarci, la via lunga c l’ora tarda sospingendoci a guadagnar l’erta più difficile prima che la notte si avanzi. L’alternanza di scisti e calcari notata si spinge fin quasi sotto al Pavillon, mentre questo è già im- basato sul Protogino, che qui affetta una disposizione a gros- solani banchi disposti con certo parallelismo al contatto colla zona giurese. Ma alla roccia in posto succedono ben presto le morene dei contigui ghiacciai (protogino in tutte le sue varietà) che si percorrono per circa 300 metri di altezza. Dal Pavillon intanto la via si è fatta assai più ripida, e in larghi risvolti su pendìi di zolle guadagna l’erta. ,Si raggiunge, che quasi annotta, la capanna mulattiera, dove ha termine la via che per- corrono i muli, e dove sul loro dorso vengono portati i neces- sari rifornimenti di viveri e legna per il Rifugio Torino. La capanna è posta alla base delle roccie, dette le Porte del Gigante, sempre protogino, spesso alquanto scompaginato, che, succeduto alla zona morenica, già prima di giungere alla capanna mulattiera, ora forma tutte le masse rocciose che affio- rano in questa parte del massiccio. Dopo un brevissimo alt, che per il cammino fatto vorremmo più lungo, ma per il quale il bravo NGlarey, a causa dell’ora cxc S. CERULLI-IRELLI tarda, non ci concede il permesso, attacchiamo con buona lena la parte più difficile della nostra ascensione. La pioggia clic ci ha tormentato per circa un’ora, è cessata, e si cammina meglio, pur nell’oscurità che va rendendosi sempre maggiore. Salendo una serie di gradini, sui quali numerose traccie indicano chia- ramente la via, superiamo senza gravi difficoltà le Porte del Gigante, le quali formano la costola che si interpone fra il ghiacciaio di Toula ad ovest e il piccolo ghiacciaio di M. Fréty ad est. Intanto il buio è già completo e si accende la lan- terna: al lume fioco di essa, che ci rischiara appena e solo il breve tratto di via che calchiamo, la salita sembra più faticosa, mentre dopo parecchie ore di cammino il desiderio di raggiun- gere la mèta si fa sempre più acuto. Tuttavia il bravo Glarey ci lusinga e noi fidenti ci arrampichiamo, superando con valentia alcuni passi più scabrosi. Finalmente, poco dopo lt- otto, un’ombra sempre più distinta si disegna nell’oscurità : è il Rifugio Torino (3220 m.), che a circa 5 ore da Courmayeur raggiungiamo, lieti di trovarvi il desiderato ospitale ristoro, e pieni di fiducia nel favore del tempo per il mattino seguente. Ma quale dura delusione all’alba dell’indomani! Una nebbia fittissima avvolge tutto il monte, e la mancanza di vento ci toglie ogni speranza che essa possa venir spazzata via. Nella notte c caduta anche un po’ di neve e la temperatura si è notevolmente abbassata. Attendiamo circa un’ora indecisi sul da fare, ma il tempo non muta, e dopo esserci arrampicati fino all’altra ca- panna, posta una cinquantina di metri più in alto sulla spia- nata che forma la vetta, ed aver constatato la inutilità di pro- cedere innanzi, a malincuore si riprende la via del ritorno. Per buon tratto essa è la stessa della salita e la si compie avvolti sempre nella nebbia, che non ci lascia veder nulla. Sopra al Pavillon di M. Fréty deviamo ad ovest, discendendo rapida- mente il monte attraverso pendii erbosi, in direzione della base del ghiacciaio della lfrenva, l’imponente ghiacciaio che come ampia candida fiumana scende dall’alto, limitato da due rego- larissime morene laterali. Di qui risaliti sulla via carrozzabile sotto il Santuario di N. 1). du Pender o de Guérison, di dove è veramente imponente la veduta sulla catena del M. Fianco, colla formidabile Aiguille ESCURSIONE AL COLLE DEL GIGANTE CXCI Noi re de Pétéret che incombe vicinissima, si prosegue per l’amena foresta di Saint-Nicolas, per sboccare dopo breve tempo nella conca pittoresca della Val Veni, dalle verdi distese di pascoli e di foreste. In circa 40 minuti raggiungiamo la cantina della Visaille (m. 1(353) dove ci si ferma a prendere un piccolo ri- storo: traversiamo quindi il piano di Hognan passando sulla sinistra della Dora. Appare di qui assai pittoresco il Jardin du Miage, un gruppo isolato di pini, che prende vita nel terreno morenico sul ghiacciaio del Miage a 2007 in. La strada in se- guito, abbandonate le praterie, sale ad immettersi in una lunga e stretta burnì compresa fra le falde inferiori della sponda destra della valle e la morena destra del Miage, e la si percorre sotto una pioggerella noiosa ed insistente che la rende ancor più lunga e faticosa. Al suo termine, che è quasi già il tocco, si sbocca alfine al Lac du Combai (m. 1940), sbarrato a valle da un’am- pia e robusta diga. Ma la colazione V. . . i colleghi dove sono? Cerchiamo invano, invano si chiama, e non è lieta la prospettiva di dover tornare indietro senza toccar cibo. Fortunatamente l’ansietà del rimaner digiuni dura ben poco, clic dall’alto dell’Arpvieille escono il nostro infaticabile Presidente, il segretario Clerici, e Gortani e Vinassa ed altri, i quali ci corrono festanti e premurosi incontro per accompagnarci al desco, che l’inclemenza del tempo aveva impedito di imbandire all’aperto. La sera tutti insieme torniamo a Courmayeur lieti della gita fatta, solo dolenti che il tempo maledettamente contrario ci abbia vietato di godere dall’alto della montagna il panorama, che ci avevan detto tanto bello e grandioso ! ESCURSIONE SUPPLEMENTARE IN VAL DI COGNE Relazione del dott. M. Gortani La sera del 13 settembre, di ritorno dal lago di Combai, il prof. Vinassa de Regny ed io partivamo in vettura per Ayma- ville. A noi si era unito il dott. De Alessandri, che doveva però proseguire direttamente per Aosta. La pioggia continua,, che ci accompagnò fino ad Aymaville, era cessata la mattina dopo; ma ci lasciò appena il tempo di ammirare lo sbocco della valle di Cogne e i castelli pittoreschi che ne guardano il passo. Costretti subito dopo a osservare sol- tanto le particolarità più vicine, raccolti campioni dei talco- scisti e cloritoscisti che lungo la strada erano succeduti ai cal- cescisti dominanti in principio, volgemmo la nostra attenzione alla magnifica forra della Grand Eyvia, alle bellissime caldaie di giganti che il torrente si è scavato nel fondo, alle numerose e pittoresche cascate del torrente stesso e dei suoi tributari, e alle forme di erosione, talvolta bizzarre, delle due rive. Una rupe sporgente fra Vieyes ed Epinal, fra le tante altre, si slancia verso il torrente così da simulare il principio dell’arco di un ponte grandioso. Ai due lati della valle, i depositi morenici nascondevano spesso la roccia sottostante; nelle morene i massi gneissici an- golosi del Gran Paradiso si univano spesso a ciottoli serpenti- nosi tipicamente levigati e striati. Tracce di arrotondamento c di erosione glaciale apparivano freschissime lungo tutta la valle, come in tutte quelle percorse durante il Congresso. Ci giunse inaspettato l’allargamento della valle dove si stende il terrazzo morenico di Cretaz, di Cogne e dell’annessa campagna. Qui final- mente il tempo si fece migliore, la nebbia si alzò, e potemmo godere ammirati la superba veduta del ghiacciaio della Tribo- lazione e delle vette soprastanti. ESCURSIONE SUPPLEMENTARE IN VAL DI COGNE CXCIII Mèta della nostra escursione era la punta Creja; e la salita fu gradevole e facile. Come risultato geologico, ebbe particolare interesse per noi l’evidenza con la quale ci apparve, in questo punto, la contemporaneità dei calcescisti e delle pietre verdi, che senza dubbio qui appartengono alla medesima zona, come sostiene fermamente l’ing. Franchi. Ad esempio, salendo da Cogne per il versante delle miniere Larsine e'Liconi, si vedono suc- cedere alle pietre verdi masse di calcoscisti micacei; poi calcari dolomitici; quindi di nuovo pietre verdi, ricche di minerali se- condari (serpentina, olivina, calcite, tremolite, ecc.) e con ma- gnetite, che è sparsa abbondantemente nella roccia ed è qua e là concentrata in lenti o ammassi più o meno estesi. Seguono micascisti, spesso granatiferi, eppoi di nuovo ancora la prasinite e le altre pietre verdi che l’accompagnano. Da osservazioni più minute ci distoglieva il magnifico pa- norama dei monti circostanti, dalla piramide della Grivola che ricorda il Cervino c dal suo circo nevoso mirabilmente tipico e netto, ai circhi, alle vette e ai ghiacciai imponenti del Gran Pa- radiso. ESCURSIONE AI GIACIMENTI DI B ROSSO E TRAVERSELLA (14 e 15 Settembre 1007) Relazione del doti. L. Colomba Il giorno 13 settembre, in compagnia dei soci Ambrosioni, Di Franco e Maddalena, lasciammo Courmayeur diretti a Brosso ed a TraverselJa allo scopo di visitare le miniere ivi esistenti, degne di nota sia per la loro grande ricchezza mineralogica e mineraria, sia perchè costituiscono uno dei più begli esempi di formazioni di contatto che si osservino nelle Alpi piemontesi; a Brosso trovammo il prof. G. Boeris dell’Università bolognese ed il sig. Alessandro .Ferretti aiutante ingegnere nel li. Corpo delle miniere, i quali si unirono a noi nelle nos'tre visite. Nella mattinata del 14 scendemmo alle miniere di Brosso, appartenenti alla Ditta Sclopis; queste miniere si trovano nel piccolo vallone del rio Assa, a circa mezz’altezza fra la cresta della morena su cui si trova Brosso ed il piano cairn vesano. Quivi fummo ricevuti con somma cortesia dall’ing. Grece diret- tore delle miniere, e sotto la sua intelligente guida visitammo la galleria di S. Maria che è una delle più importanti fra quelle attualmente coltivate. Risaliti poscia a Brosso ci recammo la sera stessa a Traversella, un poco assottigliati di numero, e nella mattinata del 15 fummo a visitare le classiche miniere di Traversella dove fummo ricevuti con una cortesia veramente squisita dal sig. Elter, rappresentante la Società anonima delle miniere stesse, e dal sig. Giovannetti, e sotto la guida del sig. Quaranta, addetto alle miniere, visitammo la grande gal- leria che è nota col nome di Ribasso Mongenet e che attraversa si può dire in tutta la sua potenza il giacimento inferiore. Queste visite successive ci diedero modo di farci un’idea ben chiara del modo di presentarsi dei due gruppi di giaci- ESCURSIONE A GROSSO E TRAVERSELLA cxcv nienti, delle analogie che li collegano e delle differenze che li distinguono. E noto come i giacimenti di Brosso e di Traversella siano stati fino a poco tempo fa considerati come indipendenti gli uni dagli altri e come l’idea predominante nei vari autori che, come Gróddek, Euchs e De Launay, Bonacossa se ne occuparono, fosse che tanto gli uni quanto gli altri dipendessero da manifesta- zioni di indole puramente filoniana, essendo esclusa ogni rela- zione di genesi colla grande massa dioritica che emerge attra- verso ai micaschisti ed agii gneiss, lungo la catena divisoria fra le valli della Chiusella e della Dora Baltea. L ing. Novarese invece, partendo dal carattere nettamente in- trusivo della predetta roccia e dal fatto che i giacimenti si tro- vano collocati nel suo immediato contatto, ammise che essi rappre- sentino una vera formazione di contatto e che si siano originati durante la sua intrusione attraverso ai micaschisti ed agli gneiss preesistenti in seguito ad una serie di manifestazioni vulcaniche secondarie di carattere pneumatoidatogenico ed essenzialmente rappresentate da emanazioni gassose e da acque termo-minerali. Per quanto riguarda poi il diretto meccanismo dei depositi egli accolse tanto per i giacimenti di Brosso, quanto per quelli di Traversella, il concetto già emesso da Bonacossa che i mi- nerali metalliferi, cioè, abbiano occupato una serie di lenti dif- fuse nella massa dei micaschisti ed inizialmente occupate da calcari cristallini i quali sarebbero stati o asportati o più o meno protondamente modificati durante il fenomeno metallifero. La ipotesi di Novarese è certamente sufficiente per spiegare tutto quanto venne fino ad ora osservato a Brosso ed a Traver- sella e la sua esattezza emerge subito anche da un esame su- perficiale dei giacimenti in questione; ed anzi se si considerano le diverse posizioni che i due gruppi di giacimenti presentano rispetto alla massa intrusiva della diorite, si possono spiegare le sensibili differenze che si osservano nel tipo della loro mine- ralizzazione. È noto, in particolar modo per gli studi di G. Struever, come i giacimenti di Brosso e di Traversella siano molto ricchi in minerali ; non tutte le specie presenti hanno però ugnale im- portanza perchè, mentre alcune sono puramente da considerarsi CXCVI L. COLOMBA come prodotti di alterazione, altre invece sono eccezionalmente rare oppure sembrano doversi riferire a fenomeni posteriori; per cui se si considerano solo le specie che per la grande dif- fusione mostrano una notevole importanza, si osserva che esse sono rappresentate a Brosso dalla pirite e dalla ematite ed a Traversella, nei giacimenti inferiori, lo sono invece dalla ma- gnetite in modo assai prevalente e secondariamente dalla pirite la quale, pur essendo ancora molto diffusa, è però assai meno abbondante che non a Brosso (’). A Monteacuto poi ed a Pian del Gallo, nei giacimenti su- periori di Traversella, i quali occupano la parte più elevata del vallone percorso dal Bersella, si osserva clic la pirite diviene rara e tende a scomparire, per cui si può dire che l’unico mi- nerale metallifero veramente importante è costituito dalla ma- gnetite. In quanto alla ganga essa è generalmente rappresentata in modo principale da carbonati che possono essere costituiti da calcite, da dolomite o da siderite; meno frequente ò il quarzo e meno ancora il serpentino che solo si presenta in piccole masse localizzato in alcuni punti sui giacimenti di Traversella. Come ha fatto notare il Bonacossa e come del resto si può facilmente constatare visitando le miniere di Brosso, si nota che nella zona occupata da esse, la massa dei micaschisti è attra- versata da una serie di faglie pressoché parallele, essendo la presenza dei minerali metalliferi limitata a quelle lenti che sono attraversate dalle dette faglie. Queste lenti poi, a seconda dei casi, appariscono ripiene di pirite oppure di ematite od anche da una miscela di due mi- nerali; in casi meno frequenti esse sono occupate da un calcare ferrifero più o meno potentemente impregnato di pirite. A Traversella ed a Monteacuto invece il tipo dei giacimenti è molto differente; poiché tanto in un sito quanto nell’altro i depositi metalliferi occupano una serie di lenti che sono ad im- (l) A Traversella è pure molto diffusa la calcopirite che costituisce un minerale utilizzabile; esso però presenta rispetto al giacimento un andamento del tutto speciale che con tutta probabilità lascia supporre che la sua origine dipenda da fenomeni posteriori a quelli a cui sono dovuti gli altri minerali. ESCURSIONE A BROSSO E TRAVERSELLA CXCVII mediato contatto con la massa dioritica e ad essi sono commiste alcune speciali formazioni rappresentate da miscele di silicati tra cui prevalgono il granato, l’antibolo, il pirosseno e l’epidoto, come si osserva ad esempio nella cosiddetta porta del ferro a Traversella. In questi giacimenti il tipo più comune del deposito si pre- senta sotto forma di strati alternanti chiari e scuri rappresen- tati i primi da dolomite o calcite ed i secondi da magnetite associata a quantità variabili di siderite e di clorite: a questi depositi alternanti si sostituiscono in alcuni punti delle strisele di calcari molto ferriferi spesso passanti direttamente a siderite ed impregnati da abbondante pirite. Queste differenze di tipo fra i giacimenti di Brosso e di Jiaversella si possono spiegare tenendo conto delle varie fasi per cui dovette passare il fenomeno metallifero che accompagnò 1 intrusione della diorite; invero quando questo movimento di in- trusione ascendente si iniziò, dovettero manifestarsi nella massa dei micaschisti numerose fenditure attraverso alle (piali si fecero strada i prodotti gassosi e le acque termo-minerali che accom- pagnavano il fenomeno di intrusione e che giungendo a contatto con le lenti di calcare attraversate dalle fenditure stesse ne asportarono il calcare depositando al loro posto gli attuali mi- nciali ; continuando poscia il sollevamento della diorite avvenne un rigetto laterale nella massa dei micaschisti per modo che questi si dislocarono lungo le antiche litoclasi che si cambia- rono per conseguenza in faglie. Durante la intrusione della diorite dovette però anche av- venire che la massa della roccia sollevatesi venisse diretta- mente a contatto con altre lenti calcaree le quali dovettero quindi anche subire un’intensa azione chimica. Risulta da ciò come sia logico ammettere la comparsa, nel- 1 aureola di contatto della diorite con la massa dei micaschisti, di due serie di giacimenti dipendenti rispettivamente dalle due fasi del fenomeno, e siccome nei tempi posteriori alla intru- sione dioritica venne asportato tutto il cappello di micaschisti che copriva la diorite, per modo che questa venne messa allo scoperto, ne risulta che attualmente i giacimenti dipendenti esclu- sivamente dalla prima fase debbono occupare la parte più pe- CXCVIII L. COLOMBA riferica dell’aureola di contatto mentre quelli originatisi nella seconda fase debbono comparire nelle immediate vicinanze della massa diori fica. E questo precisamente si osserva nel complesso dei depo- siti metalliferi connessi alla intrusione della diorite di Traver- sala. Infatti per quanto riguarda i giacimenti originatisi nel- rimmediato contatto della diorite, tale è appunto il tipo dei depositi di Traversella e di Monteacuto e Pian del Gallo, giacimenti che, per quanto collocati tutti in diretto contatto * colla diorite, sono indipendenti l’uno dall’altro; e se essi man- cano dalla parte di Brosso, ciò può dipendere dal fatto che le potenti formazioni moreniche che in tale località ricoprono i micaschisti e la diorite, li nascondano, almeno per ora, alle nostre ricerche. Ed anzi tracce di formazioni analoghe a quelle di Tra- versella sono in questo ultimo tempo state osservate a Brosso in quei punti dove le gallerie si approssimano maggiormente alla massa dioritica ; invero si sono in questi punti osservate delle lenti molto ricche in granati ed in altri silicati, affini nel- l’aspetto complessivo a quelle che costituiscono la porta del ferro a Traversella. Per quanto riguarda i giacimenti periferici dipendenti dalle manifestazioni svoltesi nella prima fase, un esempio caratteri- stico lo si ha appunto nei depositi del Brosso cosi ricchi di faglie e di dislocazioni : e se si volesse obbiettare che esso è l’unico, si potrebbe rispondere clic non mancano tracce di altri giacimenti di tipo molto simile a quello di Brosso e collocati al pari di questo ad una certa distanza dalla massa dioritica ; tali sarebbero ad esempio il giacimento di Tavagnasco, molto ricco, per quanto se ne sa, in pirite e quello, meno noto ancora, che affiora alla Pinacrosa, sopra Traversella sul versante opposto del vallone del rio Bersella, di tipo pure molto affine a quello di Tavagnasco. Per quanto riguarda il diretto modo nel quale avvennero i depositi sembra che per quelli di Traversella sia molto più lo- gico ammettere una origine prevalentemente per via umida. Invero, a parte il fatto che riuscirebbe difficile di spiegare la formazione dei silicati della porta del ferro a spese di calcari preesistenti senza invocare l’intervento di acque silicee, non po- CXCIX ESCURSIONE A BROSSO E TRAVERSERÒ? tendosi ammettere che il silicio sia giunto allo stato di fluoruro perchè fra i minerali di Traversella mancano si può dire del tutto quelli fluoriferi come la fluorite, la datolite, il topazio e la tormalina, il tipo dei depositi a strati alternanti, così simile a quello delle soriate, è certamente molto più facile a spiegarsi mediante un deposito per via umida che non in seguito a fe- nomeni pneumatolitici, e ciò si manifesta più probabile ancora quando si esamini l’intima struttura di questi strati alternanti, poiché si osserva in tal caso come gli strati scuri ricchi in ma- gnetite appariscano costituiti da una zona mediana formata da siderite sul cui bordo si osserva un orlo più o meno potente di magnetite, la quale segue in ogni modo l’andamento delle interne bande di siderite, per cui si può ammettere che la ma- gnetite si sia formata a spese di siderite preesistente. Invece a Brosso si possono con maggiore probabilità invo- care dei veri fenomeni pneumatolitici, poiché tanto la forma- zione della pirite quanto quella della ematite si possono spie- gare con maggiore facilità ricorrendo a reazioni fra composti allo stato gassoso che non a fenomeni idatogenici ; invero basterebbe- ammettere che nelle litoclasi apertesi sotto la spinta del solle- vamento della massa dioritica circolassero del vapore d’acqua, dell’idrogeno solforato e del cloruro ferrico pure allo stato di va- pore, per spiegare non soltanto la comparsa della pirite e del- l’ematite, ma anche la più o meno avanzata trasformazione in siderite dei calcari preesistenti. Prima di terminare questo riassunto di quanto si può osser- vare nei giacimenti di Brosso e Traversella credo bene di dare un breve cenno riguardante sia i metodi impiegati nella csca- vaziane del minerale, sia le varie operazioni alle quali viene sottoposto il detto minerale. A Brosso il metodo di escavazione è molto semplice; quando una galleria giunge a contatto con una lente piritosa essa viene spinta gradatamente avanti, ma in pari tempo vengono pure sca- vate a determinati intervalli piccole gallerie laterali che si pro- lungano fino a quando si giunge a contatto con lo sterile; poscia queste gallerie laterali vengono colmate col materiale sterile ed altre vengono scavate negli intervalli prima lasciati intatti; e cc L. COLOMBA questo successivo progresso di escavazione viene prolungato fino a quando tutto il minerale utile della lente è asportato. fi minerale dopo tolto dalle gallerie viene mediante un piano inclinato portato agli stabilimenti di macinazione e di arricchi- mento che trovansi a Val Cava, cioè al fondo del vallone oc- cupato dalle miniere; e di qui, (piando è convenientemente arric- chito è mediante un teleforo a fune continua portato alla stazione di Montaldo Dora e di lì a Torino dove è impiegato esclusiva- mente per la fabbricazione dell’acido solforico. A Traversella dopo il lungo periodo di abbandono in cui vennero lasciati i giacimenti, l’escavazioue delle gallerie non si è ancora potuta iniziare, essendo stato fino ad ora solamente possibile di ripulire alcune delle più importanti gallerie e di compiere sondaggi. Nello stabilimento annesso alle miniere ferve però il lavoro per porre tutto il macchinario in condizione di poter funzionare e noi potemmo visitarlo sotto la guida del- l’ing. Nordenstein. 11 minerale portato mediante alcuni binari Decauville passa dapprima in alcuni potenti frantumatori ; di qui passa in un mu- lino tipo Grondai di dove, purificato della parte meno densa c costituita esclusivamente dalla ganga, passa ad una batteria di separatori magnetici Grondai i quali hanno per scopo di separare tutta la magnetite; poscia la parte che rimane passa in un nuovo mulino cilindrico Grondai dove viene resa più fine ancora e dopo esser passata ancora una volta sotto ad un separatore magnetico, è portata in un separatore Elmores che ha per scopo di dividere la pirite dalla calcopirite. In tal modo si ottengono del tutto separati i tre principali minerali metalliferi, cioè la magnetite, la pirite e la calcopirite. NELL’ UGANDA E NELLA CATENA DEL RUWENZORI RELAZIONE PRELIMINARE SULLE OSSERVAZIONI GEOLOGICHE FATTE DURANTE LA SPEDIZIONE DI S. A. R. IL DUCA DEGLI ABRUZZI nell’anno 1906 dal prof. Alessandro Roccati S. A. R. il Principe Luigi di Savoia, Duca degli Abruzzi, volle benevolmente concedermi che prima della pubblicazione ufficiale delle osservazioni geologiche fatte durante la sua spe- dizione dello scorso anno nell’Uganda e nella Catena del Ruwen- zori, io ne dessi un riassunto sommario ai Colleghi della Società Geologica Italiana radunati in Torino per l’annuale Congresso. Questo è lo scopo della presente nota che offro ai Colleglli, sicuro di far loro cosa gradita, poiché tanto già si sono interes- sati all’impresa dell’Augusto Principe, che la nostra Società si onora di annoverare fra i suoi soci. Mi sia permesso in quest’occasione, che non potrei trovare migliorg, di rinnovare, davanti a voi, l’espressione della mia profonda riconoscenza all’Augusto Capo della spedizione che si degnò di associare alla sua gloriosa e ardita impresa la mia modesta persona, dandomi occasione di visitare regioni cosi alta- mente interessanti e mettendo a mia disposizione tutti i mezzi per facilitare le osservazioni, le quali, oso sperare, non saranno completamente prive di risultati per la Scienza Geologica. Dalla mia mente non potrà scomparire il vivo e continuo ricordo dei mesi passati nel centro dell’Africa in mezzo a quelle regioni che così larga ed interessante mèsse riservano ancora alla scienza nostra, ma specialmente scolpito nel mio cuore du- rerà il perenne sentimento di gratitudine e di ammirazione verso il Principe, in questa impresa, come sempre, modello di conce- 10 128 A. ROCCATI zione geniale, incomparabile nell’organizzare, guidare material- mente e moralmente quella impresa di cui Egli fu il capo sa- piente, intrepido ed instancabile, veramente la mente e l’azione. Per brevità e chiarezza questa nota sarà divisa in due Ca- pitoli ; l’uno riguardante l’Uganda, comprendendovi la regione che si estende da Entebbe, sul Lago Vittoria, a Fort Portai, ca- pitale del regno di Toro e sede del governatore della provincia occidentale, e oltre fino a Ibanda ai piedi del massiccio mon- tuoso; l’altro la Catena del Ruwenzori propriamente detta, se- guendo quest’ordine: Uganda: Arcaico. Paleozoico, Formazioni recenti, Tettonica, Fenomeni erosivi, Vulcanismo. Gruppo del Ruwenzori : Litologia, Tettonica, Glaciazione antica e recente, Fenomeni erosivi. I. Uganda. Nel nostro viaggio di oltre 300 km. da Entebbe a Fort Portai e da questo a Ibanda, all’imbocco della Valle del Mobuku la quale ci portò nel cuore del massiccio montuoso del Ruwenzori, seguimmo una via in parte nuova per le osservazioni geologiche, e che ci fece attraversare da E a 0 tutta la colonia inglese del Protettorato dell’Uganda. Le condizioni del viaggio non permi- sero in questa zona, che è tutta una successione di piccoli ri- lievi separati da avvallamenti per lo più occupati da paludi, ricerche minute come mi furono possibili nel gruppo montuoso la cui esplorazione era la mèta vera della spedizione, ma ad ogni modo non dubito che i dati raccolti abbiano anch’essi la loro importanza, per quanto necessariamente incompleti ed im- perfetti. nell’uganda e nella catena del ruwenzori 129 Arcaico. — I terreni arcaici formano il substratum di tutta la regione, e si può dire die solamente per un tratto relativa- mente breve noi li abbiamo abbandonati. Infatti già sulla sponda occidentale del Lago Vittoria, nei dintorni di Entebbe, al disotto del rivestimento della tipica e caratteristica formazione dell’mm- stone di cui parlerò in seguito, compariscono le roccie arcaiche rappresentate da gneiss, micaschisti e quarziti che, più o meno ricoperte àaWironstone, ma in parecchi punti messe a nudo dai fenomeni erosivi, si seguono fino a Mitiana per circa 70 km. Quivi compariscono le roccie paleozoiche che ricoprono le for- mazioni arcaiche e che, pur esse ammantate (\&\V ironstone, for- mano il terreno superficiale fin presso a Kasiba per un’esten- sione di circa 80 km.; le formazioni paleozoiche sono in alcuni punti interrotte da zone ove affiora l’arcaico con graniti a grossa grana associati a quarziti, di cui una varietà ricchissima in tor- malina nera. A pochi chilometri prima di Kasiba si rientra nell’arcaico rappresentato da una catena granitica diretta presso a poco in direzione N-S e che noi attraversammo in tutta la sua larghezza da Kasiba a Mujongo. Passata questa zona granitica si ritrovano i gneiss, micaschisti e quarziti, seguitando poi queste formazioni fino ai piedi del Kuwenzori; le roccie arcaiche affiorano quasi ovunque alla su- perficie del suolo, più o meno ricoperte però da un manto a spes- sore variabile di laterite; presso Fort Portai la formazione gneis- sica è invece parzialmente ricoperta dai tufi che costituiscono la caratteristica del vulcanismo della regione di Toro. I gneiss . sono a struttura schistosa ben evidente, oppure, di- ventando meno apparente la schistosità, "dònno passaggio a va- rietà di tipo granitoide. Per la grossezza dei componenti sono per lo più macromeri e caratterizzati da due fatti notevoli : 1° l’abbondanza straordinaria di minerali ferriferi, magnetite e ematite; 2° l’abbondanza del microclino che diventa un compo- nente essenziale e che anzi in molti punti tende a sostituire com- pletamente l’ortosio. La mica è solo di rado moscovite; per lo più biotite ; talvolta le due varietà unite. 130 A. ROCCATI Nei micaschisti predomina la muscovite, essendo quelli a biotite affatto accidentali, e anche qui si rileva l’abbondanza dei minerali ferriferi indicati per il gneiss. L’alterazione di questi minerali, sotto l’azione degli agenti atmosferici, spiega la rubcfazione più o meno intensa che è uno dei caratteri normali di queste roccie, specialmente nelle loro parti superficiali. La decomposizione dei gneiss dà poi origine alla laterite che ovunque ricopre il terreno di un manto di argilla rossa, la cui abbondanza forma pure una delle caratteristiche assolute del paesaggio. Il granito che costituisce la grande zona fra Kasiba e Mu- jongo, mantiene in tutta la sua estensione un tipo costante, ma- cromero, con cristalli porfirici di ortosio perfettamente idiomorfi che raggiungono fin 5 e più cm. nella direzione di allungamento, e la cui forma prismatica non è alterata se non da un costante, leggero arrotondamento degli spigoli. Si tratta di granito a biotite molto ricco in quarzo e con debole coesione fra i componenti, per cui facile ne è lo sgretolamento ; conseguenza del quale è il trovarsi abbondantissimi nella ghiaia della strada tali cri- stalli di ortosio, insieme a ciottolini o frammenti di quarzo. Nel granito che ho detto affiorare fra gli schisti paleozoici la struttura, per quanto ancora macromera, non è però così ac- centuata, mancando i grandi cristalli porfirici di ortosio. E di più roccia il cui stato di conservazione contrasta con l’altera- zione generalmente profonda del primo; uno di tali graniti rac- colto presso la località di Kijemula contiene dei noduli di tor- malina in fibre a struttura raggiata. L’alterazione del granito, come quella del gneiss, origina la laterite; in una sezione naturale della zona granitica potei osser- vare molto distintamente i diversi passaggi nella trasformazione della roccia: alla profondità di circa dieci metri vi era il granito relativamente sano, alla superficie del taglio la laterite e fra questi due termini estremi tutta una graduazione, per cui ad esempio sopra la roccia sana si scorgeva una zona di circa un metro ove l’aspetto granulare macroscopico del granito era evi- dente, come evidenti e col contorno ben segnato erano i grossi cristalli idiomorfi di ortosio. Appena toccata però, la roccia si riduceva in una fine polvere rossa essendo gli elementi feldspa- nell’uganda e nella catena del ruwenzori 131 tici completamente trasformati in caolino, con tipico fenomeno quindi di psendomorfosi. Tutta la regione granitica è intersecata da frequenti dicchi di roccie filoniane che più abbondanti però appaiono nel versante occidentale; raccolsi così esemplari di diorite , diabase , pegmatite e microgranito, roccie tutte che contrastano per la loro freschezza con l’alterazione profonda del granito in cui sono situate; abbon- dante ovunque ò pure il quarzo granulare che forma vene, filoni ed anche banchi di notevole potenza. Nella zona tra Entebbe e la catena granitica mi sono sem- brate invece rare le roccie intrusive nei gneiss e micaschisti, poiché solo in qualche punto raccolsi della pegmatite, che s’in- contra pure insinuata fra le formazioni del paleozoico. Il gneiss che s’incontra nei dintorni di Fort Portai è un tipo a biotite con struttura granitoide, caratterizzato dalla pre- senza di abbondante microclino e molto ricco in magnetite e ematite. Questa stessa roccia, salvo poche modificazioni di strut- ture, come ad esempio schistosità più evidente e regolare, s’in- contra largamente diffusa nei contrafforti e nelle parti meno elevate della catena del Ruwenzori; è infatti tale gneiss che localmente associato a quarziti, micaschisti a muscovite e biotite, e in qualche punto talcoscliisto, incontrammo nel viaggio alle falde della montagna da Fort Portai a Ibanda. Nel distretto di Toro grandiosi dicchi di diabase sembrano intersecare la zona gneissica; di questi uno affiora sul fondo e sulle sponde del torrente Mpanga, che scorre alla base della collina su cui sorgono gli edifizi governativi di Fort Portai; quivi è evidente la intrusione della diabase nel gneiss, che si ritrova a circa metà della breve e erta collina, ove affiora in mezzo alla laterite. Un altro grandioso dicco, che la strada attra- versa per circa un chilometro in direzione N-S, esiste presso il primo campo dopo Fort Portai, Duwona; esso forma la super- ficie del suolo e alcuni piccoli rilievi a forma conica presso la strada. Caratteri notevoli della diabase di Duwona sono la gros- sezza dei suoi componenti, che ne fa una roccia a evidente struttura macromera, e la presenza di abbondante iperstene. Una altra diabase forma un accumulo di blocchi posti sopra la late- 132 A. ROCCATI rite, alla sommità della collina su cui sorge il palazzo del Re Kasagama a Toro. Tutte le diabasi incontrate in Uganda, come pure quelle che avrò occasione di menzionare come esistenti nella parte interna del Ruwenzori, mancano sempre del pigmento cloritoso che così frequentemente inquina le roccie di questo tipo; tutte poi sono ricche di ilmenite ed alcune anche di quarzo e di cromite. Paleozoico. — Il Paleozoico forma, nelle regioni da noi attraversate, una zona relativamente poco estesa in confronto della formazione arcaica su cui poggia, poiché, come già ho accennato precedentemente, esso è localizzato fra la zona gra- nitica di Kasiba e Mitiana, spingendosi forse ancora oltre questa località verso Bweya, per un’estensione di circa 80 km. In tutta la zona ove affiora, il paleozoico è rappresentato da arenarie a tipo variabile per compattezza e composizione, avendosene alcune esclusivamente costituite da granuli quarzosi uniti da cemento siliceo, altre con discreta quantità di feldspato più o meno caolinizzato e che dànno passaggio alle arcosi; quarziti, breccie quarzifere e sciasti vari micacei o talcosi con facies ben distinto dalle analoghe roccie arcaiche. L’esame mi- croscopico degli sciasti rivela la loro origine clastica e la pro- venienza dalla disgregazione delle roccie cristalline. Tutte queste roccie sono profondamente Tubefatte e dànno per alterazione superficiale anche qui della laterite; ove l’alterazione non è molto progredita, oppure ove la denudazione le spogliò del manto di laterite, la loro stratificazione appare ben evidente. La natura e composizione di queste roccie rispondono assolu- tamente a quelle di formazioni analoghe descritte da vari autori per il Congo e l’Africa australe; la mancanza però assoluta di fossili nella zona attraversata impedisce purtroppo una deter- minazione cronologica precisa, per cui mi limito ora a riferirli al paleozoico, aspettando che studi ulteriori, che non potranno mancare in una regione di così alto interesse, possa permettere una classificazione più precisa. Quello che voglio ancora notare è la mancanza assoluta di formazioni calcaree in tutta la zona sia arcaica che paleozoica, e anzi la decalcificazione di tutte le formazioni clastiche che nell’uganda e nella catena del ruwenzori 183 solo di rado, ed ancora debolmente, danno effervescenza nel trattamento con acido cloridrico. Gli schisti e arenarie da me riferiti genericamente al paleo- zoico fanno indubbiamente parte di quella che l’Elliot chiama serie di Karagive e lo Stuhlmann Ur scine ferformation. Per un buon tratto della loro estensione le formazioni pa- leozoiche sono ricoperte à&W ironstone che già dissi sovrastare alle roccie arcaiche nelle vicinanze del Lago Vittoria. Questa sovrapposizione dell’ironstone sopra gli schisti si può osservare in parecchi punti, ma ò specialmente evidente nella località di Kijemula, ove salendo la collina su cui sta il villaggio indi- geno, si seguono le stratificazioni orizzontali degli schisti fin a qualche diecina di metri dalla sommità, ove s’incontra l’ironstone. Formazioni recenti. — Queste sono rappresentate essen- zialmente da \Y ironstone e dalla laterite. L’ ironstone, di cui già ebbi a far menzione, è una delle for- mazioni caratteristiche della regione del Lago Vittoria. Già sulla sponda orientale, ma poi in modo tipico nella sponda occiden- tale intorno a Entebbe e avanti fino, si può dire, alla zona granitica, il terreno è ricoperto da una limonite concrezionata, talora pisolitica, vacuolare, sempre però ben dura, di color rosso’ vivo a bruno scuro, che forma un mantello più o meno potente sulle roccie in posto e che in certi punti, come nei dintorni di Mitiana, raggiunge una potenza straordinaria. Questa formazione è da autori inglesi indicata con il nome di ironstone che io ho adottato, poiché risponde bene alla composizione; essa fornisce in gran parte il materiale da costruzione per le abitazioni a tipo europeo che vedemmo a Entebbe, e più oltre alla missione cattolica di Mitiana. Questo materiale concrezionato, che contiene fino il 55 °/0 di sesquiossido di ferro unito ad argilla ed altre impurità, io ritengo che rappresenti l’antico fondo del Lago Vittoria e segnerebbe quindi colla sua presenza i limiti occupati in altri tempi da questo vero mare interno dell’Africa. Infatti l’ironstone cessaholla zona granitica e non si ritrova più che affatto localmente verso Fort Portai, e più propriamente nei dintorni di Botiti, ove potrebbe rappresentare, per analogia, antiche formazioni del Lago Alberto. 134 A. ROCCATI So bene che qualche autore ne vuole spiegare l’origine da una speciale trasformazione nell’alterazione delle roecie gneissiche, ma in questo caso non si spiegherebbe la localizzazione della formazione e la sua mancanza in regioni identiche a quelle ove esiste, sia per natura della roccia che per le condizioni climatiche. È vero che nella laterite s’incontrano accumuli, talora abbastanza potenti, di limonite che, come vedremo vengono utilizzati dagli indigeni nella metallurgia del ferro, ma questi accumuli non possono in alcun modo per aspetto e potenza esser paragonati all’ironstone tipico della regione circostante al Lago Vittoria. La limonite sarebbe dovuta al precipitare in seno alla massa liquida dei numerosi sali di ferro, che dovevano esser portati al lago primitivo dai corsi d’acqua in esso sboccanti, e prove- nienti dagli abbondanti minerali ferriferi (magnetite, ilmenite, ematite) che, come abbiam visto, esistono nelle roccie arcaiche. Quest’opinione mi pare avvalorata anche dalla presenza di nume- rosi frammenti e ciottoli che si trovano impigliati nell’ironstone; questi ciottoli, a dimensioni variabilissime, sono per lo più di quarzo; raramente ne osservai di gneiss o di schisti paleozoici. Questa scarsezza del resto si capisce se si pensa che dovettero essere appunto queste roccie a dare il materiale detritico che forma i sedimenti del Lago; da esse dovette provenire l’argilla che nell’ironstone accompagna l’ossido di ferro, mentre il quarzo, sia quello componente delle roccie che quello dei banchi di quarzite, doveva necessariamente mantenersi inalterato solo ridu- ceudosi a frammenti più o meno voluminosi e più o meno ro- tolati, a seconda della durata del fenomeno di fluitazione. L’ar- gilla nell’ironstone varia molto di proporzioni; in alcuni punti è quasi mancante ed il materiale si presenta come pura limonite compatta, localmente a lucentezza submetallica; altrove prevale ed anche il materiale perde della sua coesione, diventando più friabile. Noterò infine che osservai sovente nella limonite concre- zionata delle cavità che sembrano indicare la preesistenza di de- triti vegetali; questi avrebbero concorso alla formazione dell’iron- stone che potrebbe allora aver origine analoga alla limonite delle torbiere. La presenza nell’ironstone di frammenti e ciottoli ni quar- zosi è talora così abbondante da dar luogo ad un vero conglo- merato o breccia a cemento limouitico; presso Bujongolo si in- NELL’UGANDA E NELLA CATENA DEL RUWENZORI 135 contrano in tale giacitura dei ciottoli di selce giallastra o bruna, compatta o concrezionata, con aspetto di calcedonio oppure di diaspro, e che provengono dal disfacimento di roccie che non ho però osservato in posto. L’esame dei frammenti diasproidi non ha rivelato l’esistenza di spoglie di organismi microscopici. Anche il paesaggio della regione ove esiste Vironstone prende un aspetto speciale ; invece della successione di rilievi a dorso arrotondato che formano normalmente tutto il paese attraversato, si hanno colline di forma allungata, pianeggianti alle sommità, divise le ime dalle altre da profonde incisioni o da ampi avval- lamenti e che danno un tipico esempio di frammenti di altipiano. Nei dintorni di Entebbe e di Mitiana tale aspetto dei rilievi è affatto caratteristico. La laterite è il materiale superficiale che ovunque s’incontra sino alle falde del Ruwenzori. Tranne nella regione dell’iron- stone, essa forma un manto a spessore variabile che ricopre le roccie, sia arcaiche che paleozoiche, eccetto nei punti ove esse furono denudate dai fenomeni di erosione. Presenta essenzialmente due tipi: l’uno è costituito esclusi- vamente da un’argilla rosso-viva, senza traccia di ciottolini o frammenti quarzosi e forma ampi depositi senza stratificazione che occupano le depressioni e formano molti dei rilievi arroton- dati della regione; per diecine di chilometri non s’incontra altra formazione alla superficie del suolo. Contiene una percentuale di ferro molto alta e, in certi punti, abbondante ematite mi- cacea, la quale, in seguito alla cernita naturale esercitata dalle acque meteoriche, viene a raccogliersi nelle depressioni, oppure forma alla superficie del suolo straterelli luccicanti alla luce del sole, specialmente evidenti dopo la pioggia. Raccolsi in una depressione del suolo presso Bweya una certa quantità di questo materiale rimaneggiato dall’acqua piovana, nel quale le lami- nette metalliche formano circa 1/5 del peso totale. In mezzo alla laterite s’incontrano masse concrezionate di limonite molto compatta, a lucentezza sovente submetallica e che provengono senza dubbio dalla concentrazione del ferro contenuto nella laterite, per mezzo delle acque di infiltrazione. Queste concrezioni vengono ricercate dagli indigeni ed utilizzate 136 A. ROCCATI con metodi ingegnosi di riduzione per ricavarne ferro, usato nella fabbricazione di strumenti d’agricoltura, coltelli, punte di lancia e di freccia, ecc. L’argilla rossa è pure usata dagli indigeni per fabbricare cocci o vasi; a Fort Portai serve alla preparatone di mattoni che, disseccati al sole, sono usati negli edilizi europei. il secondo tipo di laterite differisce dal primo per l’abbon- danza, in certi luoghi veramente straordinaria, di granuli e fram- mentini di quarzo. Per me questo secondo ti po rappresenta il prodotto in posto non rimaneggiato dell’alterazione delle roccie gneissiche e granitiche sotto l’azione degli agenti atmosferici; il primo tipo indicato deve invece aver subito rimaneggiamento per azione delle acque meteoriche ed in molti punti deve rap- presentare vere formazioni alluvionali antiche fortemente rube- fatte. Così nei dintorni di Fort Portai l’argilla rossa forma un potente mantello che ricopre i gneiss ed in cui non è raro il vedere impigliati grandi massi di roccie gneissiche e grani- tiche, che presentano traccie di rotolamento più o meno evi- dente. Nelle depressioni fra i dorsi coperti da laterite dei dintorni di Fort Portai esistono formazioni di argilla gialla molto plastica dotata di una certa stratificazione e che viene usitata nella fab- bricazione di mattoni ed altri laterizi ; i missionari di Fort Portai hanno edificato un forno per la cottura a legno di mattoni e tegole, ottenendo buonissimi risultati. L’argilla gialla in questione serve, battuta, per fare il rivestimento delle vie nella zona europea della città. L’argilla gialla contiene intercalati strati poco potenti di un’altra varietà eminentemente plastica, di colore bianco-latteo, con numerosi ciottolini di quarzo; questa varietà si presta meno della prima alla fabbricazione dei laterizi, e sembra costituita da caolino quasi puro; viene usata dagli indigeni come mate- riale refrattario. Queste argille non diedero mai traccio di fossili o di avanzi dell’attività umana; esse sono inglobate nella late- rite e contengono spesso disseminati blocchi di roccie cristalline; questo fatto potei verificare nella proprietà dei missionari di Fort Portai, ove l’argilla contiene massi di diabase. NELL’UGANDA E NELLA CATENA DEL RUWENZORI 137 Tettonica. — Purtroppo l’abbondante vegetazione erbacea ed il potente manto di laterite e di limonite, che abbiam visto ovunque ricoprire la regione, non mi permisero molte osservazioni stratigrafiche nell’Uganda. Ad ogni modo le formazioni quar- zoso-gneissiche dei dintorni di Putiti sembrano aver direzione prevalente E-NE, con pendenze localmente molto forti ; altrove queste formazioni paiono orizzontali; presso Entebbe, sulle sponde del lago, le stesse formazioni hanno direzione S. Osservazioni migliori potei compiere nella zona degli schisti paleozoici; questi hanno in certi siti stratificazione orizzontale, come nei dintorni di Kijemula, oppure sono raddrizzati, come potei verificare in una sezione naturale sulle sponde di una pa- lude prima di entrare nella zona granitica. Sembra quindi che si debba ritenere esservi discordanza fra le formazioni arcaiche e le paleozoiche. Erosione. — I fenomeni di erosione sono notevoli e carat- teristici in tutta la zona attraversata. La forma a dorsi arroton- dati dominante e quella a frammenti di altipiano, con sezione trapezoide, sovente singolarmente regolare, della zona dell’iron- stone è conseguenza evidentemente dell’azione erosiva delle acque, che vengono ad accumulare nelle depressioni i materiali della degradazione, i quali altrove sono trasportati al lago dalle cor- renti fluviali. In svariati punti l’azione delle acque ha liberato le roccie dal manto di laterite, prodotta dalla loro alterazione in posto e così affiorano alla superficie del suolo i gneiss, graniti e altre roccie dando una ottima pavimentazione naturale alla strada carovaniera, ma nello stesso tempo permettendo il proseguirsi della degradazione sulle roccie dapprima protette dalla laterite. Un curioso fenomeno conseguente all’erosione è l’arrotonda mento delle roccie cristalline che assumono un caratteristico aspetto di rochcs moutonnées, tale da richiamare la memoria ai paesaggi glaciali delle nostre contrade. Evidentemente qui il glacialismo non entra affatto, ma la rassomiglianza è com- pleta. Sono dorsi o grandi massi, che di continuo lavati e morsi dagli agenti atmosferici, si sgretolano alla superficie, mentre pure 138 A. ROCCATI di continuo sono asportati i prodotti dell’alterazione e dello sgre- tolamento, senza che l’azione del gelo e disgelo, che colà non esiste, venga a portare la frantumazione solita nelle analoghe formazioni dei nostri paesi. Sovente la roccia presenta all’esterno come una crosta, a spessore variabile di pochi centimetri fino a mezzo metro, formata dalla roccia alterata e con poca aderenza con la parte sottostante; anzi non è raro che l’aderenza fra le due parti venga a mancare affatto, e la parte alterata forma dei lastroni posati sulla sottostante relativamente sana, da cui la divide uno strato di limonite. Le roccie resistono variamente alla degradazione meteorica; 10 sgretolarsi dividendosi a lastre è comune nei gneiss e questo in rapporto con la struttura schistosa che facilita la divisione; 11 fenomeno si manifesta però anche nei graniti. La superficie delle roccie presenta poi sempre una speciale rugosità dovuta allo sporgere del quarzo che resiste all’alterazione, mentre la parte feldspatica si decompone e viene asportata dall’acqua. Nella zona granitica questo sporgere alla superfìcie, oltreché per il quarzo, si osserva pure molto bene per i grossi cristalli porfìrici di ortosio, che resistono più della parte feldspatica granulare della massa della roccia. La mancanza del gelo e disgelo e l’unica azione superficiale spiega questi modi di degradazione e di erosione; mancano quindi gli accumuli di detriti caratteristici delle zone cristalline nostrali. Soltanto alcune sommità di colline presentano accumuli caotici di roccie disgregate in posto e nella formazione dei quali ritengo che il fenomeno, oltre aH'azione dell’acqua, possa esser coadiuvato da fenomeni di disseccamento durante la calda sta- gione asciutta. La zona granitica oltre al fenomeno di arrotondamento della roccia presenta pure un caratteristico tipo di erosione; si ha cioè il dividersi del granito in grossi blocchi in forma di paral- lelepipedi, talora di una regolarità singolare, e che, resistendo maggiormente alla degradazione, vengono a. sporgere alla super- fìcie ed anche ad essere completamente isolati, staccati dalla massa sottostante. Questi massi in forma di prismi, cubi, obe- lischi dànno alla regione un interessante e curioso aspetto; so- vente sono accatastati gli uni sugli altri con veri miracoli di nell’uganda e nella catena del ruwenzori 139 equilibrio, oppure sono rotolati giù ai piedi della collina ove si erano formati, e, simulando massi erratici, concorrono a dare alla regione l’aspetto pseudo-glaciale a cui accennavo sopra. Il punto più bello della catena granitica per l’osservazione del fenomeno è sul suo estremo versante occidentale presso il campo di Mujongo, ove il fianco della montagna è cosparso da centi- naia di tali massi, alcuni dei quali, ripeto, di una regolarità singolare di forma. In alcuni siti, come a Kaibo e nei dintorni di Fort Portai, si possono osservare grandi massi isolati, o accumuli di massi, poggianti sulla sommità di rilievi collinosi il cui materiale costi- tuente è tutto laterite. Questi massi nelle località indicate sono di diabase; la roccia è ben sana e solo presenta alle superficie il caratteristico aspetto rugoso- vacuolare conseguenza della di- versa resistenza dei componenti agli agenti meteorici. Anche in questo caso si può ammettere l’origine da fenomeni di erosione, seppure non si tratti di fenomeni di trasporto, come indicherò nella mia relazione definitiva. Vulcanismo. — In tutta la regione d’Uganda da noi attra- versata, da Entebbe a Fort Portai, non esistono formazioni vulca- niche recenti; così pure non osservammo formazioni di tale origine nella catena del Euwenzori, tranne l’esistenza di un dicco di basalto insinuato nel gneiss nella località di Kichuchu, come indicherò in appresso trattando del massiccio montuoso. Il vulcanismo recente è invece ampiamente sviluppato nella regione di Toro ai piedi del fianco orientale della catena del Ruwenzori, ove deve indicare la presenza di una o più linee di trattura in relazione con quella grandiosa che originò la linea di depressione che comprende i laghi Nyassa, Tanganyika, Kivu, Alberto Edoardo, Valle del Semliki e Lago Alberto, e che concorse all’isolamento della catena del Ruwenzori. Tali manifestazioni vulcaniche sono rappresentate da nume- rose sorgenti termali e specialmente dall’esistenza di parecchi coni vulcanici intorno Fort Portai. Di questi antichi crateri una bella serie che forma una catena che corre presso a poco in direzione N-S a pochi km. a ovest di Fort Portai io ebbi occasione di esplorare visitandone la maggior parte. 140 A. ROCCATI Formano tali crateri una serie di rilievi generalmente col- legati gli uni agli altri da selle più o meno depresse o affatto isolati, e che non si innalzano sovente che di poche diecine di metri al disopra del livello del suolo. In alcuni la forma conica è perfetta e l’interno è occupato da un lago cratere, in due casi di forma affatto circolare; tre dei crateri da me visitati non hanno il cono ma si aprono alla superficie del suolo for- mando come imbuti; uno è occupato da un lago perfettamente circolare. Il diametro oscilla da una ventina di metri fino a almeno cento e più; uno dei monti ha il cratere diviso inter- namente da una serra rocciosa in due cavità occupate da laghi. Il materiale costituente è un tufo la cui natura dimostra evidentemente un’origine subacquea; questo materiale ha strati- ficazione ben evidente e regolare ed è caratterizzata dalla pre- senza di numerosi inclusi o di roccia vulcanica o di roccie cristalline: gneiss, quarzite, granito, diabase, diorite, i cui tipi corrispondono in parte a quelli della regione di Toro o alle for- mazioni del Ruweuzori, ed in parte a roccie da me non incon- trate in posto. Questi inclusi sono a dimensioni variabili dalla grossezza di una nocciuola o meno, fino a massi di parecchi metri di diametro; alcuni, rari, presentano la superficie esterna rivestita da una vernice lucida come in seguito a fusione; per lo più però non dimostrano alterazione di sorta. Il tufo ha colore grigio, talora rossastro; la parte più esterna presenta una consistenza maggiore degli strati più profondi e questo in conseguenza di una cementazione operata da sostanza calcarea; alcuni tipi poi hanno struttura pisolitica, essendo formati dall’agglutinamento di sferette grosse come piselli o poco più. 1 minerali costituenti dei tufi sono tutti profondamente alte- rati, tranne la biotite che si presenta in bellissime lamine a contorno esagonale: di questi tufi e della loro alterazione si occupa il mio collega ed amico dott. L. Colomba. Mi contenterò quindi di aggiungere che le formazioni tufacee non costituiscono soltanto i monti craterici, ma ricoprono anche il suolo per una grande estensione nella regione circostante. Così seguitando la strada carovaniera che da Fort Portai va al Lago Alberto, e che c quella clic porta alla catena dei piccoli nell’uganda e nella catena del ruwenzori 141 vulcani, dopo circa 3 km. dal Forte il gneiss formante il terreno superficiale viene ad esser ricoperto da tufo a facies identico a quello dei crateri, e che oltre la catena vulcanica si prosegue per una distanza che non potei verificare. Anche qui l’infiltrazione calcarea ha indurito la parte superficiale formando una crosta di circa 10 cm., al disotto della quale il materiale è incoerente. Una volta queste formazioni tufacee dovevano esser molto più estese che non ora, ma poi dovettero essere distrutte ed aspor- tate dalle acque meteoriche non restandone più che lembi più o meno estesi. I)i questi alcuni s’incontrano lungo le vie tra Butiti e Fort Portai; di più la sommità della collina ove sor- gono gli edifizi del governatore è ricoperta, al disopra del mantello di argilla rossa, da uno strato di tufo potente circa 20 cm. e molto ricco di avanzi vegetali. Noterò infine come tutta la regione di Toro e Butiti sia ricca di sorgenti minerali e termali, e vada soggetta a frequenti terremoti. II. Ruwenzori. La catena del Ruwenzori si estende in direzione N-NE a S-SO per circa 80 chilometri, tra i due laghi Alberto e Alberto Edoardo. Mentre il versante settentrionale si abbassa gradata- mente verso il Lago Alberto, a sud invece la catena precipita rapidamente sul Lago Alberto-Edoardo ed è appunto nella parte meridionale che sorgono le vette principali, che raggiungono le massime altezze nella Punta Margherita (5125 m.) e nella Punta Alessandra (5105 in.). Le cime nevose del Ruwenzori formano sei gruppi ben indivi- dualizzati e separati da profondi valloni e colli che si abbassano alla media altezza di 4300 m.; questi gruppi furono da S. A. R. dedicati a Baker, Stanley, Speke, Eruin, Gessi e Thomson. Quest’ultimo nome fu però dalla Società Geografica di Londra sostituito con quello di Luigi di Savoia in omaggio all’Augusto Capo della Spedizione. 142 A. ROCCATI Per la posizione di questi monti, come delle altre località che menzionerò in seguito nella presente nota, rimando il lettore alla Carta Topografica, annessa alla Relazione di S. A. R. il Duca degli Abruzzi, pubblicata nel Bollettino della Società Geografica Italiana (fase. Il, 1907, pag. 99-127). Parecchie valli sia dal versante orientale che occidentale si inoltrano nella zona delle nevi perpetue, e fra queste (sul versante orientale) quella del fiume Mobuku, che fu appunto quella percorsa dalla Spedizione. Si è lungo tutta questa valle che ho potuto compiere osservazioni geologiche, come anche nella quasi totalità delle sue diramazioni nella parte più elevata; passando sul versante occidentale le osservazioni furono conti- nuate nei monti Baker, Stanley e Luigi di Savoia; cosicché mi lusingo di portare un non indifferente contributo alla Geologia di una notevole parte della zona più interna ed elevata della Catena. Per i monti Speke, Emin e Gessi le mie indicazioni saranno forzatamente molto meno minute non avéndo avuto fra le mani se non che il materiale raccolto da S. A. R. e dalle guide che lo accompagnarono nel l’esplorazione di questi monti. Seguendo il metodo adottato per l’Uganda, indicherò prima la struttura litologica della zona esplorata, passando poscia alla tettonica, alla glaciazione antica e recente, parlando per ultimo dei fenomeni di erosione. Litologia. — La successione delle roccie, che tutte sono rife- ribili all’Arcaico, è regolare; si hanno nella parte inferiore della montagna dei gneiss che si spingono, alternando con micaschisti, fino a circa 3500 m.; viene poi una zona di micaschisti a cui fanno seguito Pietre Verdi ( anfholoschisti , dioriteschisti, anfibo- lia, dioriti e diabasi ), che formano in gran parte la zona cen- trale e costituiscono le vette principali del massiccio. Gneiss, micaschisti e roccie annesse. La valle del Mobuku si apre negli gneiss che ne formano i due versanti nel piano di I banda; sul versante destro, presso lo sbocco della valle, si osserva però una zona ristretta nella quale alla formazione gneissica si associano talcoschisti e micaschisti minuti accom- pagnati da banchi di quarzite granulare o compatta. nell’uganda e nella catena del ruwenzori 143 Avanzando nella valle i gneiss presso Bikunga scompariscono sotto l’ampio manto morenico delle formazioni glaciali antiche che si appoggiano sul versante destro; sul versante sinistro invece proseguono ancora per un tratto che non potei precisare le formazioni gneissiche. Al piano di Kichucku (3000 m.) ricompariscono i gneiss associati a micaschisti ; quest’associazione si segue fino al piano di Buamba (3500 m.) ove cessando i gneiss, diventano esclusivi i micaschisti che non si abbandonano più fino alla zona delle pietre verdi, la quale sul versante destro si incontra circa verso i 4000 m. Sul versante sinistro invece, già più in basso devono affiorare le roccie anfiboliche; così a Bujongolo (3798 m.) luogo ove la spedizione stabili il suo campo generale fra i micaschisti del versante destro, la parete di sinistra invece, alle falde del Monte Cagni, è di anfibolosckisto, che sembra discendere fino al piano di Buamba. Nella parte meridionale del Ruwenzori le formazioni micacee- gneissiche si spingono più in alto e vengono, in associazione con le roccie verdi, a costituire il gruppo Luigi di Savoia, ove ad esempio di gneiss è la cima Stairs (4590 m.). La valle del Mahoma che si diparte dal Monte Luigi di Savoia, mi è parsa tutta incisa nelle formazioni gneissiche. Il gneiss dominante nella zona inferiore della Valle Mobuku è una varietà aschistosità netta e profonda struttura cataclastica; la composizione mineralogica è analoga a quella del gneiss che ho indicato come formante il terreno nei dintorni di Fort Portai; è cioè un gneiss a biotite con abbondante microclino, che sembra sostituire l’ortosio, e che contiene pure abbondante magnetite. Seguono o si associano a questo gneiss altre varietà carat- terizzate o dalla presenza di due miche, biotite e muscovite, oppure di orneblenda. che, dopo aver formata una varietà a biotite e anfibolo, dà poi luogo ad un tipico gneiss ad orneblenda che s’incontra presso Bihunga. Una varietà, che non ha però grande sviluppo, contiene tale quantità di ematite micacea, associata alla biotite, da potersi chiamare gneiss a ematite. In questa roccia il sesquiossido di ferro forma pure un pigmento rosso che inquina tutta la massa e le imparte un color rosso caratteristico. il 144 A. ROCCATI Tutti i gneiss della zona Ibanda-Bihunga sono caratterizzati dall’abbondanza di minerali metallici opachi, specialmente ma- gnetite e ilmenite. Il gneiss del piano di Kichuclm differisce notevolmente da quello incontrato nelle zone inferiori ; esso è infatti cosi ricco di biotite da prendere una tinta scura, quasi nera e mentre il microclino vi è poco abbondante, prevale un feldspato triclino molto basico, riferibile a andesina o labrado- rite; come accessori caratteristici contiene della tormalina nera in cristalli emimorfi, e cromite granulare oltre ad abbondante rutilo. Al piano di Kichuchu si associano al gneiss, con il quale sono regolarmente intercalati, i micaschisti con i due tipi costanti che ritroveremo in tutta la zona superiore ed anche sul versante occidentale del Monte Baker. Uno è molto compatto, a grana minuta, formato da laminette di muscovite con granuli di quarzo e rari elementi feldspatici; l’altro, molto meno coerente, risulta da grandi lamine fogliacee di muscovite bianca argentea, asso- ciata a lamine minori di biotite e poco quarzo granulare. Nel- l’una e nell’altra varietà abbondano cristallini tozzi, emimorfi di tormalina nera analoga a quella del gneiss ed il cui dicroismo in lamine sottili è bruno-violetto. Pure abbondanti sono i mine- rali metallici: magnetite, ematite, cromite e ilmenite la cui fre- quenza e presenza costante formano veramente una caratteristica di tutte le roccie del Kuwenzori. Al piano di Buamba si hanno nuovamente i gneiss e mica- schisti associati ; il tipo di gneiss però ritorna ad essere quello a biotite già trovato a Ibanda; i micaschisti invece sono simili \ a quelli di Kichuchu. E notevole il fatto che a Buamba com- pariscono le roccie anfiboliche, che stanno sotto la formazione micaceo-gneissica. Da questo punto non s’incontrano più, almeno nella parete destra della valle, se non che i micaschisti con i due soliti tipi associati, la varietà minuta formando banchi a spessore varia- bile alternanti con quella fogliacea, i cui banchi hanno local- mente notevole potenza. Così ò ad esempio a Bujongolo, ove meglio potei studiare la formazione ed osservare bene nei banchi micacei i fenomeni di pieghettature e contorsioni, testimoni delle potenti azioni meccaniche a cui queste roccie furono sottoposte. nell’uganda e nella catena del ruwenzori 145 Nei dintorni di Bujongolo alcuni dei banchi di micaschisto mi- nuto danno passaggio al gneiss per la comparsa, fra i granuli di quarzo, di altri, discretamente abbondanti, di ortosio e pla- gioclasio riferibile all’andesina. Elementi accessori dei micaschisti della zona superiore sono, con la solita tormalina, granati rosei molto minuti e cromite; continua pur sempre la ilmenite che in alcuni banchi diventa di un’abbondanza affatto straordinaria; non di rado poi si os- servano fra le stratificazioni piccole zone occupate da cristalli prismatici allungati di sillimanite e cianite. A poca distanza da Bujongolo comparisce al disotto della formazione micaschistosa Vanfboloschisto, che è poi la roccia dominante in tutta la zona elevata; anzi è da ritenersi che la parte superiore della valle Mobuku sia scavata appunto nel con- tatto fra queste due roccie. In tutta la regione dei gneiss e micaschisti, da Ibanda a Bujongolo, abbonda il quarzo associato a queste roccie formando banchi e lenti di potenza molto variabile; lo stesso quarzo forma pure comunemente filoni e vene che intersecano le roccie stra tifìcate. Numerose poi sono le roccie a tipo filoniano; già presso Ibanda, sul versante destro della valle i gneiss sono attraversati da un potente dicco di pegmatite\ roccia analoga, ma a grana più minuta, si ritrova nella stessa giacitura presso Bihunga. Al piano di Kichuchu è degno di menzione specialissima la presenza di filoni di basalto, che costituiscono l’unica manife- stazione di vulcanismo recente nella zona del Euwenzori da me esplorata. Questo basalto si presenta insinuato nel gneiss e forma tre filoni posti a poca distanza l’uno dall’altro; il maggiore ha una potenza di circa 2 metri nel punto ove affiora presso il suolo e si va restringendo verso l’alto dividendosi in digitazioni che si perdono nella massa gneissica; il secondo è posto vicino al primo ed auch’esso termina in digitazioni; il terzo è più a monte una trentina di metri e non ha che una potenza di pochi cen- timetri. Quale sia l’età di questi basalti non potrei dire con sicurezza ; certo è che essi sono di aspetto freschissimo e pro- babilmente la loro comparsa si connette ai fenomeni di disio- 146 A. ROCCATt cazione che si verificarono nel groppo montuoso, e quindi anche alle formazioni eruttive che abbiamo viste abbondanti nella re- gione di Toro, ai piedi della catena del Buwenzori. Sopra il piano di Kichuchu, ove ripiglia la terribile zona dei muschi, dei tronchi abbattuti dal tempo e del fango for- manti un intreccio che maschera ogni affioramento di roccia, potei, in mezzo alla densa melma, osservare ancora la presenza in posto del basalto, che deve qui formare nel gneiss un altro dicco della cui potenza però non saprei nulla asserire con certezza. Il basalto di Kichuchu è una roccia afanitica, nera, molto dura e pesante, che però sotto l’urto del martello si divide in parallelepipedi abbastanza regolari con frequentemente sulle faccie di rottura una patina silicea, bianca e sottile. L’esame microscopico della roccia rivela una massa fondamentale for- mata da magnetite, aghi di orneblenda e granuli di augite; in questo magma stanno disseminati cristalli colonnari di labrado- rite, grani di augite sempre geminata, e rari individui di oli- vina. Sembra nella roccia mancare affatto la parte vetrosa, avendosi quindi un tipo riferibile ai basalti olocristallini. Al piano di Buamba verificai l’esistenza di un dicco di diabase normale attraversante i gneiss del versante destro; ca- rattere notevole di questa diabase si è che l’elemento metallico opaco vi è rappresentato esclusivamente da cromite. Le roccie verdi devono essere le formazioni esclusive dei Monti Baker e Stanley ed hanno pure notevole sviluppo nel Monte Luigi di Savoia. Nell’ampia zona formata da questi tre monti e da me visitata, presentano un tipo molto costante rap- presentato da un anfboloscìdsto con passaggio a diori teschi sto. a cui si associano localmente, e per lo più in zone limitate, roccie granatifere, anfboliti compatte, epidositi, dioriti, diabasi e in due punti calcare cristallino. V anfboloscìdsto, che è la roccia dominante e si può dire la vera costituente della parte centrale del Ruwenzori, si presenta con struttura schistosa più o meno evidente, micromera od affatto afanitica, di tinta verde-scura a nera e con composizione mine- ralogica interessante. La roccia è infatti costituita essenzialmente da orneblenda, in minuti e tozzi prismetti, sovente perfettamente terminati, con frequenti geminati c sempre disposti regolarmente nell’uganda e nella catena del ruwenzori 147 nel senso della schistosità. Negli interstizi più o meno ampi la- sciati dall’intreccio dell’anfibolo, esiste del quarzo fìnissimamente granulare con molto subordinatamente (tanto da talora mancare affatto) granuli di ortosio e di plagioclasi: albite, oligoclase e andesina, quest’ultima prevalente sulle altre due varietà. L’aumentare appunto degli elementi feldspatici ed il loro prevalere sopra il quarzo modifica alquanto la composizione della roccia che si potrebbe allora chiamare con il nome di diorite- scliisto ; l’orneblenda è però sempre l’elemento dominante e non è possibile stabilire una distinzione assoluta fra i due tipi di roccia. Talora all’orneblenda si associa della biotite avendosi un anfìboloschisto micaceo, che forma però banchi di estensione li- mitata. I diversi tipi della roccia schistosa anfibolica sono sempre ricchissimi di ilmenite lamellare che in alcuni punti raggiunge un’abbondanza singolare tanto da gremire la roccia. Come per i micaschisti, questa ricchezza di ilmenite nelle roccie anfibo- liche forma una delle caratteristiche delle formazioni del Eu- wenzori. Pure notevole è l’abbondanza dell’ epidoto che oltre al tro- varsi disseminato, ma molto irregolarmente, nella roccia, forma banchi, vene, filoni e lenti talvolta di straordinaria potenza. Volendo ora indicare le diverse associazioni di roccie verdi credo più opportuno per chiarezza di esposizione l’esaminare separatamente i diversi monti. Monte Baker. — Sembra nella sua totalità costituito dal- V anfìboloschisto con passaggio al dioritescliisto e aN anfìbolo- schisto micaceo. Associati alle roccie schistose sopra indicate si hanno i se- guenti tipi: Diorite quarzifera, che però si allontana dalla diorite nor- male non solo per la presenza di quarzo, ma anche per la strut- tura; infatti si osserva che l’orneblenda è in grossi prismi fibrosi, sovente macroscopici, intrecciati, mentre negli interstizi, analo- gamente a quanto notai per l’anfiboloschisto, sono accentrati i minerali chiari, sempre minutamente granulari. Notevole poi il fatto che l’elemento feldspatico è sempre riferibile a labradorite o andesina. 148 A. ROCCATI Anfbolite, compatta, afanitica, costituita si può dire esclu- si vomente da prismetti di orneblenda. Questa roccia forma il Picco Edoardo (4873 m.), il più elevato del Monte Baker; su questa vetta sono numerose le fulguriti. Sul versante occidentale del Monte Baker si osserva a circa 4400 m. il contatto delle roccie anfiboliche con i micaschisti, che su questo versante raggiungono quindi un limite superiore a quello del versante orientale. Il tipo di micaschisto è perfet- tamente identico a quello incontrato nella Valle Mobuku, vi si notano non solo i cristalli di tormalina e di granato, ma persino le spalmature di cristalli aghiformi di sillimanite e cianite che si possono osservare pure sul versante E a Bihunga, Buamba e Bu- jongolo. Alle falde del ghiacciaio Edoardo notai le seguenti roccie: Calcare cristallino in rapporto con banchi poco potenti di cloriteschisto; epidosite compatta e anfiboloschisto granatifero. Nella parete finalmente del Monte Baker che limita a sinistra il profondo vallone che divide il Baker stesso dal Monte Stanley devono esistere dicchi di diabase, di cui una varietà a iperstene. Infatti frequenti massi di tali roccie esistono nel detrito di falda e nel materiale che precipita giù dal ghiacciaio Edoardo. In tutto il monte sono abbondanti i filoni e banchi di quarzo, alcuni dei quali della potenza di parecchi metri; filoni di epidoto granulare o prismatico sovente associato a quarzo e ortosio in geminati di Baveno; filoncini di calcite spatica, sola o associata a clorite ; lenticelle e druse di pirite, calcopirite e i Immite. Ricordo finalmente un piccolo filone di galena con ganga di calcite clic affiora sulla Punta Wollaston (4659 m.). Monte Stanley. — Roccia dominante vi è il solito anfibo- loschisto con caratteristica l’abbondanza dell’epidoto, che forma stratificazioni, banchi e lenti, alcune delle quali di straordinarie dimensioni; una osservata alla base del ghiacciaio Elena ha nell’asse maggiore una lunghezza certamente non inferiore a 10 m. All’anfìboloschisto si associano le seguenti roccie: Anfibolite compatta con tipo analogo a quello del Picco Edoardo. Anfiboloschisto granatifero, che forma parecchi banchi fra cui uno, alla base del ghiacciaio Elena, notevole per la gros- sezza dei granati. nell’uganda e nella catena del ruwenzori 149 Diorite a labradorite ; è questa la roccia che forma la Punta Alessandra e probabilmente anche la Punta Margherita, cioè le due più alte della catena del Ruwenzori. È roccia a tipo di diorite normale, ma in cui il feldspato è quasi esclusivamente labradorite. Questa diorite, sulla Punta Alessandra, presenta nu- merose fulguriti. Epidosite, di cui una varietà ricca in calcite granulare, affiora presso la Punta Alessandra. Ovunque nella roccia del Monte Stanley si osserva dissemi- nata nella massa della pirite che forma anche piccoli geodi, lenti, filoncini; altrove sono minerali di rame: calcopirite e te- traedrite con abbondante malachite. Frequenti druse delle roccie anfiboliche contengono epidoto prismatico, quarzo e albite cristal- lizzati ed ilmenite lenticolare. Monte Luigi di Savoia. — In questo monte, che costituisce il gruppo nevoso più meridionale della catena, non si hanno più esclusivamente le roccie anfiboliche come nei monti Baker e Stanley; anzi nelle parti esplorate dominano piuttosto le roccie gneissiche associate alle anfiboliche con numerose roccie filoniane. Sul versante E N-E il contatto fra i due tipi di roccie è segnato da un grande banco di calcare cristallino con formazioni di contatto costituite da grossi cristalli di anfibolo, pirite, cal- copirite, sfeno e ortosio in geminati di Baveno. La Punta Sella, maggiore del gruppo (4659 m.), è costituita dal l’affiorare di un dicco di diabase fra le roccie gneissico-anfi- boliche; questa vetta è pure ricca di fulguriti. La Punta Stairs è invece di gneiss a due miche con struttura cataclastica e con tipo analogo a quello osservato a Ibanda, cioè nella parte più bassa della catena. In tale gneiss ritengo sia scavata la valle Mahoma, che si diparte dal Monte Luigi di Savoia in direzione E. Oltre alla diabase già indicata sono associate alle roccie schistose le seguenti : Diorite, a tipo normale; aplite, granito tormalinifero e peg- matite; di quest’ultima un dicco di grande potenza s’incontra sotto la Punta Stairs. Essa ha elementi affatto macroscopici con cristalli di microclino, bianco o roseo, che raggiungono le dimen- sioni di 10 X 15 cm. Vi abbondano grossi cristalli rombodo- 150 A. ROCCATI decaedrici di granato e voluminosi cristalli prismatici a termi- nazioni emimorfìche di tormalina nera. Anche nel Monte Luigi di Savoia sono frequenti i banchi di quarzo ed in alcuni punti di epidosite. Per gli altri monti si avrebbe, in base agli esemplari di roccia portati da S. A. IL il Duca degli Abruzzi, che ne fece da solo l’esplorazione, la composizione litologica seguente: Monte Spere. — Gneiss a biotite ricco di quarzo, molto duro e compatto, associato ad anfìboloschislo con banchi di quarzo e filoni di aplite. Monte Emin. — Diorite macromera, analoga a quella del Monte Stanley. Monte Gessi. — Anfibolosclùsto con banchi di quarzo. Tettonica. — Il fenomeno tettonico che delinea il massiccio del Ruwenzori e che anzi lo individualizza nettamente è rappresen- tato da due grandi zone di fratture; una occidentale, gigantesca, che originò la valle del Semliki ed isolò completamente ad ovest l’enorme zolla che forma il gruppo montuoso. La valle del Semliki fa parte della frattura die partendo dal Lago Nyassa si prosegue nei laghi Tanganyika, Kivu, Alberto Edoardo e Alberto e che corre parallela all’altra grande frattura dell’Africa orientale, nota col nome di Great Rift Yalley. L’altra zona di frattura, ad oriente, è meno accentuata ; ma è bene delineata dalla serie di vulcani, a cui appartengono quelli dei dintorni di Fort Portai da me visitati. In rapporto con queste zone principali di fratture, altre se ne notano nella parte interna del massiccio del Ruwenzori e che presentano due direzioni ben distinte, una da ovest ad est, l’altra da sud a nord. I)i queste linee interne di frattura quelle in direzione ovest-est, cioè normali alle linee principali, sembrano esser state la causa originale di alcune valli, come quella del Mobuku (almeno nella sua parte superiore), quella del Bujuku, ccc. Quelle con direzione sud-nord, con andamento cioè parallelo alle direzioni principali, hanno minor importanza e devono aver contribuito alla formazione dei profondi e caratteristici valloni che limitano e individualizzano i gruppi nevosi. Di tale origine devono, fra altri, essere gli avvallamenti fra i Monti Stanley e 151 nell’uganda e nella catena del ruwenzori Baker, Emin e Gessi e quelli stretti e profondi che si osservano nel Monte Baker. L’andamento stratigrafico è nel complesso abbastaza regolare; all’ingresso della Valle Mobuku i fenomeni di degradazione me- teorica e l’abbondante vegetazione erbacea non permettono di distinguere nettamente la posizione degli strati; in qualche punto però del piano di Ibanda è evidente nel gneiss la pendenza a E SE. Dopo il piano di Ibanda le formazioni moreniche masche- rano la roccia in posto, ma al piano di Kichuchu e oltre fino a Bujongolo la stratificazione è in parecchi punti molto evidente, e sempre gli strati hanno pendenza E-SE. Nel gruppo Baker questa pendenza nel complesso si mantiene ed è ben visibile ad esempio nei grandi banchi che formano la Punta Cagni. Nel gruppo Luigi di Savoia si ritrova la pendenza a E-SE con tendenza verso S, che si accentua fin ad aversi nettamente pen- denza in tale direzione; nel gruppo Stanley alla pendenza SPI tende a sostituirsi quella 0 o NO; aggiungerò che lo Stuhlmann indica appunto sul versante occidentale, per il quale affrontò il Ruwenzori, la pendenza degli strati a O-NO. Ovunque poi le pendenze sono molto forti fin a raggiungere e oltrepassare i 60°. Dalle osservazioni stratigrafiche sopra indicate abbiamo la conseguenza che il Ruwenzori deve essere considerato come un elissoide di sollevamento con pendenza a ovest nel versante occidentale, a est nell’orientale, passando a sud nel meridionale. La presenza di quest’elissoide di sollevamento, in unione al fenomeno delle grandi fratture sovraccennate e all’esistenza nella parte centrale delle roccie anfìboliche, resistenti alla degrada- zione meteorica, ci darebbe la spiegazione dell’origine della catena del Ruwenzori e delle alte vette che ne formano la parte più interna. Glaciazione antica. — Fenomeno geologico di notevole im- portanza è l’enorme sviluppo che ebbero i ghiacciai nella catena del Ruwenzori durante il periodo glaciale. Senza discutere qui quale sia l’origine più probabile dei grandi massi (molti provenienti indubbiamente da roccie dalla parte interna della catena) che si osservano in quantità dissemi- 152 A. ROCCATI nati nel piano di Ibanda e che sempre eccitarono la curiosità dei nostri predecessori nella valle Mobuku, mi limiterò a dire per ora, che ritengo poco probabile la loro diretta origine da trasporto glaciale. Le prime prove invece evidenti dell’azione glaciale antica le osservai alla base del rilievo su cui sorge Bihunga, ove esi- stono formazioni di non dubbia origine morenica; queste dareb- bero un minimo limite del punto ove si spinsero i ghiacciai a circa 1500 m., mentre attualmente non si spingono al disotto di 4100 m. Nè voglio con questo escludere che i ghiacciai abbiano potuto avanzarsi molto più, come anzi cercherò di dimostrare nella mia relazione definitiva. Bihunga, assai probabilmente, giace su una antica morena frontale che sbarrava la valle e che fu poscia ampiamente incisa dal torrente Mobuku; da questa località la strada da noi seguita fino a Nakitawa si svolge continuamente sopra una enorme mo- rena, che dovette risultare dalla riunione della morena destra del ghiacciaio che scendeva per la valle Mobuku con quella sinistra del ghiacciaio che, scendendo dal Monte Luigi di Savoia, occupò la valle Mahoma. Anzi il lago che esiste a sud-ovest di Nakitawa, il quale fu generalmente ritenuto per un lago-cratere, non è altro che un lago di sbarramento intermorenico, compreso appunto fra le antiche morene del Mobuku e del Mahoma. Questo lago, le cui dimensioni sono di circa 500 X 300 m., non ha emissario visibile e solo accidentalmente, in periodi di piena, versa l’eccesso delle sue acque nel Mahoma. Osservando il fianco sinistro della valle Mobuku prima di giungere a Nakitawa, si constata facilmente 1’esistenza di un’altra enorme morena parallela a quella su cui corre la strada ed appoggiata al versante opposto della montagna; essa rappre- senta la morena sinistra del ghiacciaio scendente nella valle Mobuku dopo la sua congiunzione con quello che occupava la valle Bujuku, in cui si radunavano i ghiacciai dei Monti Stanley, Speke, Emin e Gessi. Tanto la, morena di destra che quella di sinistra sono rico- perte da fitta vegetazione, ma la sinistra fu in parecchi punti profondamente incisa dalle acque selvaggio che ne misero a nudo il materiale, costruendo localmente alcuni tipici fungili di pietra. nell’uganda e nella catena del ruwenzori 153 Il torrente scorre a qualche centinaio di metri più in basso fra le due morene, che hanno fianchi ripidissimi e terminano con una cresta, la quale in alcuni punti non ha più di un metro di larghezza. Nella valle Bujuku le morene non sembrano spingersi avanti per un lungo tratto dopo la congiunzione dei fiumi Bujuku e Mobuku presso Nakitawa, ma il passaggio del ghiacciaio vi è reso manifesto dalla levigazione e arrotondamento delle roccie. Inoltre, lo sperone, stato poi inciso dal torrente Mikasabira, deve esser dovuto alla riunione della morena sinistra del Mobuku con quella destra del Bujuku. Proseguendo da Nakitawa verso Kichuchu la strada continua prima sul vertice poi sul fianco della morena; questa si abban- dona al piano di Kichuchu per superare la parete rocciosa nella quale esistono le formazioni basaltiche; in seguito la si riprende, seguitandola fino al piano di Buamba. Lungo tutta la estensione della morena s’incontrano frequenti massi erratici, alcuni dei quali, come quelli del campo di Nakitawa, raggiungono le dimen- sioni di almeno 20 X 10 in. Tali massi sono prevalentemente di roccie gneissiche; frammenti invece di roccie anfiboliche si incontrano nel materiale minuto. Il piano di Buamba presenta pure numerosi massi erratici, parecchi dei quali si osservano ancora lungo il ripido pendìo che da questa località porta a Bujongolo. Dopo Bujongolo non esistono più formazioni moreniche, ma il passaggio del ghiacciaio è nettamente indicato dalla forte levigazione delle pareti e dell’arrotondamento della roccia. Anzi nel piano fangoso, che sta avanti alla fronte attuale del ghiac- ciaio Mobuku, si osservano tipici esempi di roches moutonnées, mentre sulla parete di destra si possono osservare striature di indubbia origine glaciale. La morena coperta da foresta di senecio che si estende da- vanti al ghiacciaio Mobuku non credo sia da attribuirsi a gla- ciazione antica, ma rappresenta piuttosto una morena frontale costruita dal ghiacciaio in un’epoca relativamente recente. Salendo da Bujongolo verso il Monte Luigi di Savoia si riscontrano pure evidenti traccie del passaggio del ghiacciaio Edoardo, scendente dal Baker. Esso non lasciò formazioni mo- reniche, ma levigò ed arrotondò fortemente le roccie ; nella parte 154 A. ROCCATI più alta, cioè presso il colle Freshfield, quest’azione del ghiac- ciaio sulle roccie più che a glaciazione antica potrebbe forse esser semplicemente dovuta ad un avanzamento più recente, ana- logo a quello che costruì la morena di fronte al Mobuku. Prove evidenti di glaciazione antica si ritrovano sul versante occidentale; il vallone compreso tra i monti Stanley e Baker dovette esser occupato da un ghiacciaio, proveniente dalla riu- nione degli attuali Savoia, Elena e Semper, il quale levigò ed arrotondò le roccie, lasciando anche formazioni moreniche, che concorsero in parte a formare i due laghi che caratterizzano tale vallone. 1 ghiacciai dello Stanley, unendosi con quello Edoardo del Baker e forse anche con quelli del Monte Luigi di Savoia, do- vettero avanzarsi nella depressione compresa fra questi tre monti ed abbiamo la solita prova del loro passaggio nell’arrotonda- mento e levigazione delle roccie. Fin dove si siano spinti i ghiacciai sul versante occidentale ci è impossibile precisare. Nel Monte Luigi di Savoia i ghiacciai dovettero unirsi e scendere lungo la valle del Mahoma venendo a raggiungere il ghiacciaio Mobuku presso Nakitawa nel modo che ho indicato sopra. Una prova di questo fatto abbiamo pure nella natura di parecchi massi erratici che sono di rocce provenienti dal Monte Luigi di Savoia, come quelli di pegmatite e di granito torma- linifero. La valle Mahoma non fu però da noi esplorata e di essa soltanto posso dire che, osservandola dal ghiacciaio Sella, vi si vedono nella parte superiore roccie evidentemente levigate ed arrotondate. Glaciazione recente. — Non esistono attualmente nel gruppo del Ruwenzori ghiacciai di primo ordine, ma i ghiacciai che s’in- contrauo nei sei gruppi della parte interna e che, secondo i cal- coli di S. A. li. il Duca degli Abruzzi che visitò tutti i picchi nevosi, si trovano racchiusi in un cerchio di circa 7 km. di raggio, vanno riferiti a quello che fu chiamato tipo equatoriale. Si tratta cioè di calotte glaciali, talvolta di grande spessore, clic ricoprono più o meno completamente le vette e da cui spor- gono spuntoni rocciosi, alcuni privi affatto di ghiaccio, che costi- tuiscono le cime principali. Queste calotte mandano verso il basso nell’uganda e nella catena del ruwenzori 1BB delle digitazioni che si spingono negli avvallamenti non oltre- passando che di rado e di poco il livello delle nevi perpetue, che le osservazioni dell’Augusto Capo della spedizione pongono fra i 4450 e 4500 ni. I ghiacciai che si spingono più in basso, e ciò per condizioni topografiche speciali, sono quelli del Mo- biliai e il Semper nel Monte Baker, che scendono rispettivamente a 4170 e 4269 metri. Questi due ghiacciai inoltre dovettero in tempo relativamente recente spingersi alquanto più in basso come lo dimostrano le formazioni moreniche che si osservano alla loro fronte. Tranne nel ghiacciaio Savoia del Monte Stanley, non osser- vammo morene laterali, che però sembrano esser ben sviluppate nei ghiacciai del versante occidentale del detto Monte Stanley; sono invece ben sviluppate in parecchi ghiacciai le morene frontali. Data la posizione dei ghiacciai non esistono bacini racco- glitori della neve, ma questa cadendo su tutta la superficie del ghiacciaio vi passa direttamente allo stato di ghiaccio, questa trasformazione è rapida, date le condizioni atmosferiche della regione, ove anche sulle più alte vette si hanno durante il giorno temperature relativamente elevate -+- 6° e 7°, il che porta anche ad una rapida abrasione del ghiaccio. Una delle caratteristiche dei ghiacciai del Ruwenzori è la presenza di enormi cornici da cui pendono numerosissime e vo- luminose stalattiti di ghiaccio che vengono a formar loro un valido sostegno. Queste stalattiti si spiegano facilmente pensando alle condizioni meteorologiche a cui accennava sopra e che por- tano a rapidi cambiamenti di temperatura, non solo tra il giorno e la notte, ma anche nei diversi momenti della giornata a se- condo dello stato del cielo. Un altro fenomeno notevole osservato in diversi punti è che l’acqua che sgorga alla fronte dei ghiacciai non presenta mai quell’aspetto melmoso che nelle stesse condizioni hanno le acque dei ghiacciai alpini. L’acqua invece e perfettamente limpida, il che potrebbe essere una prova che la progressione, e quindi l’erosione sul fondo, è, almeno attualmente, ben piccola cosa. Del resto tutti i ghiacciai del Ruwenzori sono in via di forte ritiro; di questo fanno fede le formazioni moreniche di recente 1F6 A. ROCCATI abbandonate a cui accennava sopra; le ampie zone di roccie levigate ai fianchi e alla fronte dei ghiacciai, zone non ancora invase dai muschi e licheni, la cui abbondanza è così caratte- ristica anche nelle regioni più elevate della catena, e che pre- sentano ancora quel colore biancastro così sovente osservabile alla superficie delle roccie di recente liberate dal manto di neve o di ghiaccio che prima le ricopriva. Fenomeni erosivi. — Nella parte inferiore della catena del Ruwenzori, come in modo splendido si osserva su i due versanti della valle Mobuku al piano di I banda, i fenomeni di erosione si manifestano in modo analogo a quello indicato per le re- gioni gneissiche e granitiche d’Uganda. Anche qui. mancando il potente fattore del gelo e disgelo, l’azione degli agenti me- teorici si esercita alla superficie della roccia attaccando lenta- mente i minerali componenti, i cui prodotti d’alterazione ven- gono poi di continuo lavati ed asportati dalle acque selvaggie. Ne risulta di conseguenza quella forma arrotondata di pseudo roches moutonnées che a prima impressione si potrebbe ritenere quasi di origine glaciale, ma che un esame accurato fa esclu- dere, assistendosi al dividersi della roccia in lastroni superficiali ove l’alterazione è maggiore e che asportati lasciano una nuova zona relativamente sana, su cui l’azione dell’atmosfera riprende il suo ininterrotto lavoro. Nuovamente si vedono a sporgere alla superficie i componenti più resistenti, per cui la roccia as- sume un caratteristico aspetto rugoso, vacuolare, mentre alle falde dei monti si accumula il manto di laterite, su cui si svi- luppa potente la vegetazione erbacea. La zona delle formazioni moreniche è ricoperta da lussu- reggiante vegetazione a tipo tropicale, specialmente arborea; è naturale che questa protegga il terreno sottostante dall’azione erosiva; non mancano però in questa zona gli scoscendimenti e le incisioni profonde praticate dalle acque superficiali, a cui sono dovuti i funghi di pietra ai quali accennai parlando del glacialismo. Verso i 3000 m. il clima costantemente umido origina la tipica zona dei muschi e del fango che costituisce una delle caratteristiche meno piacevoli della catena del Ruwenzori. Da 157 nell’uganda e nella Catena del ruwenzori quest’altezza senza interruzione, si può dire, fino ai ghiacciai il terreno è ovunque ricoperto da uno strato torboso-melmoso che non di rado raggiunge e oltrepassa il mezzo metro di spes- sore. Su questo substrato si sviluppa una potente vegetazione di muschi, che ricoprono, in unione ai licheni, come di un fan- tastico mantello le sporgenze rocciose, i massi erratici e special- mente i tronchi degli alberi, sia vivi che abbattuti dal tempo, e che da secoli si vengono accumulando alla superficie del suolo, concorrendo a rendere più lento e penoso il cammino in questa regione, il cui paesaggio costituisce un quadro d’indimenticabile aspetto. Lo strato superficiale di fango e detriti vegetali, su cui l’acqua non scorre che in parte minima mentre la maggior parte ne viene assorbita come da una gigantesca spugna, forma un rivestimento protettore alle roccie che quando si possono scor- gere al disotto, appaiono relativamente sane, sottratte che sono in gran parte ai fenomeni erosivi. Fuori della zona melmosa ripiglia l’azione superficiale degli agenti meteorici, la quale però dev’essere lenta come sembra di- mostrare l’abbondante vegetazione di licheni crostosi che rico- prono le roccie; la natura di queste poi, costituite come abbiam visto in gran parte da antibolo e quarzo, spiega anche la minore azione della degradazione atmosferica, che può esercitarsi meglio nella zona dei gneiss e micaschisti. Di nuovo si può osservare il caratteristico sporgere alla su- perficie della roccia degli elementi più resistenti; questo fatto è specialmente evidente nei banchi di anfiboloschisto granatifero, nei quali i grossi cristalli di granato vengono a sporgere super- ficialmente con un aspetto quasi variolitico. Il fenomeno è poi tipico nella zona dei micaschisti nel versante occidentale del Monte Baker; quivi al micaschisto è associato abbondante quarzo in lenti, vene e sottili stratificazioni, che ovunque si vedono sporgere alla superficie del suolo talvolta per fin 5 e più cm. Nelle zone più elevate finalmente all’azione alteratrice e erosiva dell’atmosfera viene ad aggiungersi quella potentissima del gelo e disgelo; si hanno allora lunghe distese di terreno coperte da detriti incoerenti, caotici, mobili analogamente a quanto si verifica sulle vette e sui dorsi più elevati delle nostre 158 A. ROCCATI montagne, con le quali la rassomiglianza, che nelle zone infe- riori era minore, diventa qui tipica. Come conclusione si può dire che se in altri tempi l’azione distruttrice degli agenti dinamici e chimici dovette esser molto grande, essa attualmente appare ridotta ai suoi minimi termini e ciò in grazia dei vegetali che con il loro enorme, straordi- nario sviluppo formano ovunque un potente manto che protegge le roccie sottostanti. Torino, Gabinetto di Geologia del R. Politecnico. [ms. pres. il 14 luglio 1907 - ult. bozze 8 ugosto 1907]. A PEOPOSITO DI AVANZI ELEFANTINI .RECENTEMENTE SCOPERTI NELLA VALLE DEL PO Nota del dott. Alessandro Portis Intervenuto nel settembre 1906 al Congresso dei Naturalisti a Milano, mi occupai, come ne avevo interesse, dello esame dei resti elefantini raccolti nelle collezioni di quel Civico Museo ; e, senza alcun preconcetto, a freddo lume di critica, non riescii a determinare, neppur uno dei denti di provenienza della valle del Po in qualunque tempo raccolto e che si trovasse conser- Yato in quelle collezioni, come appartenibile allo stadio di evo- luzione che vien comunemente appellato Eleplias primigenius Blumb. Qualcuno trovai avvicinategli ma raggiungente a mala pena lo stadio fatto conoscere dal Pohlig sotto il nome di Eie- phas trogontherii, stadio che il Pohlig eleva fino alla impor- tanza di specie particolare; e che io, invece, dopo averne as- siduissimamente studiata la monografia a’ suoi tempi pubblicata e completata dal Pohlig stesso, in contraddittorio col materiale 'espressamente raccolto nel mio Istituto dalle provenienze che ritenni più adatte, non potei mai ammettere che come una mo- dalità di variazione evolutiva ancora compresa dentro ai limiti di variabilità della specie chiamata Elephas antiquus Falc.; o se vogliamo (seguendo la legge di priorità nella denominazione di una specie risultante dalla unione di due specie primitiva- mente stata distinta) anche definita: Eìeplias meridionalis Nesti. A questo risultato dei miei studi accenno incidentalmente in nota a pie’ di pagina nel mio recente lavoro sui bovidi fossili principalmente di Poma che si sta stampando a Pisa nel 13° vo- lume della Palaeontographia italica. In tale occasione mi venne presentato in esame dal pro- fessore Mariani un bel dente (oltre al resto) mascellare (cioè 12 160 A. PORTIS superiore, quindi non mandibolare, ossia inferiore) elefantino fos- sile di recente provenienza dalle vicinanze di Milano. Il risul- tato della mia ispezione lo espressi subito al prof. Mariani dicendogli: non potevo riconoscere su quel dente altra specie che VE. antiquus Fate. Quaranta giorni dopo, trovandomi a Torino in visita presso il prof. Parona, egli mi presentava in esame, oltre al resto, un bel dente mandibolare (ossia inferiore) elefantino fossile di re- cente provenienza dalle vicinanze di Torino o meglio di Mon- calieri; e del quale egli aveva data comunicazione al Congresso di Milauo, in una seduta alla quale io non avevo potuto assi- stere. Dopo accurata, volutamente diffidentissima ispezione del fossile, espressi al prof. Parona il mio parere sul medesimo dicendogli: esser io ben lieto di vedermi costretto a riconoscere su quel dente la specie Eleplias primìgenius Blumb, e che anzi il mio contento veniva accresciuto dal fatto che il fossile era stato levato dal terreno pressoché colle mani dello stesso pro- fessore Parona in contraddittorio con persone serie attendenti a ben altre occupazioni: che tal fatto e la mia determinazione ser- vivano a levarmi dal capo tutti i dubbi che io avevo esposti a suo tempo sulla non sicura provenienza piemontese del dentino elefantino che era stato oggetto nel 1898 del mio studio: Di al- cuni avanzi elefantini fossili scoperti presso Torino (Boll. Soc. geol. ital., 17°, pag. 34-120 con tav.); e che, da me ricono- sciuto non potersi attribuire che allo stadio evolutivo denomi- nato specificamente E. primìgenius Blum., rimaneva per me in- certo, stante il suo assoluto isolamento qual rappresentante della specie in mezzo a tanto altro materiale delle stesse vicinanze attribuibile soltanto allo stadio evolutivo detto E. antiquus Pale.: E rimaneva incerto storicamente per i dubbi sulla sua provenienza (evocati sovratutto dal Falconer) piemontese od estera. Che quindi, 10 ero ben felice che il dente mandibolare di Testona che mi si mostrava fosse di E. primìgenius; che, come tale, avvalorasse la provenienza (supposta inesatta ripetutamente dal Falconer), piemontese del dente mandibolare di La Loggia e che come tale mi permettesse di ripetere una volta di più, con leggeris- sima addizione, il mio ritornello già tante volte ripetuto dopo 11 1898 e tanto più dopo il 1902, quando scrissi (Di un dente AVANZI ELEFANTINI DELLA VALLE DEL PO 161 anomalo di elefante fossile e della presenza dell’Elephas pri- migenius in Italia (Boll. Soc. geol. ital., voi. 21, 1902, pag. 93-114, tav. 4n) a pag. Ili asserendo « recisamente che l’Elephas primi- genius è rarissimo in Italia, mancante in tutta l’Italia media e meridionale, mentre nella superiore non è finora rappresentato che da un unico pioniere smarrito , quello da cui proviene il dente di La Loggia presso Torino , da me illustrato nel 1898 ». E la addizione porta a sostituire alla frase sottolineata la seguente: « che da due unici casi mutuamente confermantisi, quello da cui proviene il dente di La Loggia presso Torino da me illustrato nel 1898 e quello da cui provengono i denti di Testona presso To- rino, illustrati dal Parona nel 1906-907 ». Ed attesi stampate le illustrazioni tanto degli avanzi di Mi- lano che degli avanzi di Testona (Torino). Mi sono pervenute in giugno 1907 entrambe contemporaneamente da Milano. L’ima (Parona) negli Atti del Congresso dei Naturalisti a Milano, pag. 240-245, tav. 4a; l’altra (Mariani) negli Atti della Soc. ital. di Scienze naturali, voi. 46°, pag. 31-57, tav. la. Ora che entrambe sono stampate e fisse, posso dire su ciascuna e com- parativamente l’una all’altra la mia impressione oggettiva. Mi attendevo su per giù il testo e la determinazione esposti dal Parona nella sua comunicazione. Non posso a meno che accet- tare la attribuzione fatta da lui del dente mandibolare elefan- tino di Testona allo stadio evolutivo portante lo specifico nome di Elephas primigenius Blumb. Solo mi rincresce, essendo in perfetto accordo sul soggetto col mio amico e collega prof. Pa- rona che egli non se ue valga; e che, a pag. 242, mi scappi nella frase: «E nota la discussione, che io non intendo ria- prire, fattasi recentemente sulla presenza e diffusione in Italia dell’.E7. primigenius etc. », a me allusiva, ma su questo rincre- scimento puramente oggettivo verrò in seguito. E passo all’altra comunicazione, quella del Mariani. Questa non la presumevo re- datta nei termini in cui la ebbi a constatare. Constatai infatti che l’autore, col descrivere quale mandibolare, e quindi infe- riore, un dente mascellare, e quindi superiore, elefantino; ave- vasi preparato una serie di preconcetti i quali fatalmente lo portarono ad una determinazione inaccettabile. Che il dente sia mascellare anziché mandibolare lo può subito dichiarare chiunque 162 A. PORTIS compari le sue bellissime figure con dei denti elefantini levati deliberatamente e scientemente tanto da mandibola che da ma- scella come io ho fatto; o, per chi non sia nella possibilità di ciò fare, chiunque compari le sue bellissime eliotipie con le al- trettanto e forse più belle eliotipie (eseguite nello stesso stabi- limento industriale) che accompagnano la comunicazione del Parona. Messo in sodo questo primo scolio, il qualcuno che forse vorrebbe attribuire quel dente allo E. antiquus Falc. e nel quale sono felice di riconoscermi, si svela e dice: insisto nella mia determinazione fatta a rigor di metodo ed alla quale non volevo venire, ma alla quale dovetti venire per forza di argo- menti e per forza di prove. E poiché son venuto a tal deter- minazione solo perchè costrettovi, conosco e ricordo gli argo- menti che avvalorano la mia determinazione e mi impediscono di accettarne un’altra. E sono: 1. ° Il fatto dell 'essere il dente mascellare anziché mandibolare porta ad un maggiore stivamento delle lamine di smalto una contro l’altra, quindi ad una maggior somiglianza di una corona di dente mascellare di E. antiquus Falc., ad una corona di mandibolare di E. primigenius Blumb. Ma si compari quel dente di Milano con un dente mascellare di Mammuth extra italiano, come io ho fatto, ed ogni illusione cade istantaneamente. 2. ° Il fatto di aver materialmente contate tracce di 23 la- mine di smalto (oltre il tallone posteriore rappresentato da un sol digitello) in un dente mascellare ultimo non vuol dire che quel dente offrisse alla numerazione dei pratici in siffatte ri- cerche 23 lamine effettive. Da quel numero possono essere sot- tratte: anteriormente ossia distalmente, una o due unità da at- tribuirsi al tallone anteriore (come è probabile in un dente così profondamente intaccato dall’usura quale è quello in esame); ed altrettante possono esser sottratte posteriormente, ossia pros- simalmente al tallone prossimale, in unione al solo digitello che come tale considerò l’autore. Così il tallone prossimale o posteriore diventerà un tallone a fiocco, fatto comune sì in denti mascellari che mandibolari tanto di E. antiquus che di primi- genius; così il numero di 23, diminuito di 3 diventerà 20; nu- mero che sta di una unità sotto l’estremo numero di lamine sin AVANZI ELEFANTINI DELLA VALLE DEL PO 163 qui conosciuto, oltre i talloni, nell’ultimo dente deW Elephas an- tiquus; e numero che, se anche non venisse diminuito al modo e per le ragioni che vengo di dire e rimanesse 23, avrebbe per sola conseguenza di portare il caso speciale al grado di una ano- malia in più; di cui tanti esempi si vedono, senza permettere che, per ciò solo, il dente dovesse venire espulso dallo stadio speci- fico El. antiquus. A conforto di questo argomento dirò che ho procurato recentemente alle nostre collezioni un enorme dente di El. primigenius difettoso per distacco effettivo di lamine e non dei soli talloni tanto avanti che in dietro, di provenienza da Lippstadt in Vestfalia. Ora questo dente difettoso , conta an- • eora nel suo residuo, accertate in contraddittorio dal Poldig, dal Krantz e poi da me (e il conteggio risultò sempre conforme), nientemeno che 27 lamine effettive ben sviluppate e riconosci- bili a tutti, e perciò lo acquistai a caro prezzo benché difettoso. Dunque anche questo dente avrebbe avuto, se intero, un numero di lamine ben superiore a quello che gli autori e descrittori che fecero le leggi organiche nelle quali avrebbero dovuto ada- giarsi specie di organismi da gran tempo estinte e che quindi si sottrassero alla osservanza del giudizio. Quindi noi lo dovremmo espellere dalla specie El. primigenius. Blumb., in cui il limite mas- simo per le lamine deH’ultimo dente così superiore che inferiore è appunto fissato al numero 27. Ma e poi, mi deciderò a creare una specie apposita per questo solo fatto, che può ben più be- nevolmente esser tassato come una anomalia in più, come altri individui possono offrirne in meno? 3. ° Richiamo l’attenzione dei lettori spassionati della me- moria del Mariani sulla misura in linea retta che risulta dalla divisione di 320 mm. fra 23 elementi lamellari completi (un cemento, più due spessori di smalto, più uno spessore di avorio). Risulta a ciascun elemento lamellare una lunghezza antero po- steriore di 14 millimetri; che è molto comune per gli elementi lamellari costituenti colla loro associazione denti ultimi, tanto più mascellari, di El. antiquus. Falc. 4. ° Richiamo l’attenzione dei lettori stessi sulla lunghezza che spetta a ciascun elemento interessato dalla usura, dalla ri- partizione dei 235 mm. di lunghezza antero posteriore della faccia di usura fra 15 elementi interessatine. A me risultarono: centi- 164 A. PORTIS metri 1,566... anche qui abbiamo ima dimensione molto co- mune, ecc. ecc. 5. ° Il fatto di aver considerato come dente inferiore un dente in realtà superiore servì a far passare come sufficiente la lar- ghezza relativa del dente per un simile organo inferiore di El. primigenius , mentre non avrebbe potuto apparir sufficiente per un simile organo superiore di Elcplias primigenius. 6. ° Risulta dalla semplice ispezione della Fig. 3 del Ma- riani (a poco più di un terzo del vero, come egli ci fa notare) ciò che a me risultò dalla ispezione dell’originale; che cioè lo smalto delle lamine è molto spesso (lungo in senso antero po- steriore del dente piazzato in alveolo): ossia esso è come direbbe il Pohlig, marcatamente pachiganale; e tanto marcatamente da superar di molto gli estremi in pachiganalità appartenenti an- cora allo stadio El. primigenius ; ma di trovarsi, per questo rap- porto, al di sopra della comune fra le pertinenze allo stadio El. antiquus. Falc. 7. ° Rimettendo di fronte l’una all’altra le due recenti tavole del Parona e del Mariani; risulta, a qualunque sistematico os- servatore, evidente: che i due denti non possono appartenere allo stesso lato mandibolare come affermano i due testi; che nemanco possono appartener come simmetrici a due branche mandibolari opposte; ma che invece, dato che l’uno sia man- dibolare; l’altro, se mandibolare, sarebbe deforme. Ma che in- vece è molto più concordante per forma, angolo della corona colla parte ancora inusa, figura della corona usa, colla comune dei denti mascellari. 8. ° Mantenendo di fronte l’una all’altra le due dette tavole, e dato quanto precede sotto al N. 7, non è chi non veda come, in conseguenza della differenza di forma e d’andamento delle lamine funzionanti, della differenza di spessore degli smalti a due a due componenti le singole lamine, che i due denti (dati i criterii di distinzione invocati sovratutto ultimamente dal Pohlig) non possono appartenere, nemanco come uno mandibolare e l’altro mascellare, allo stesso stadio evolutivo distinto collo stesso nome specifico. 9. ° Son per lo meno trentanni che, per naturale inclinazione, bazzico preferibilmente fra ossami più o meno integri, di grandi AVANZI ELEFANTINI DELLA VALLE DEL PO 165 e piccoli vertebrati fossili dopo essermici preparato con lungo e paziente esercizio sistematico di osteologia comparata durato molti anni allo avanti e tutto il trentennio poi. Con tuttociò non mi arrischio (tanto diffido del puro intuito) ancora adesso a dichia- rare che un femore perfettamente sano ed integro appartenga all’-Z?. antiquus, se non dopo averlo io stesso tolto allo scheletro che, col suo teschio munito di denti, mi permetta, per la deter- minazione in base ai medesimi, fatta, di giustificarlo per tale. Io non posso quindi che ammirare la sicurezza d’occhio colla quale il Mariani attribuisce allo El. primi genius un femore molto difettoso come egli stesso dichiara a pag. 32 in base a com- parazione con altri femori altrettanto e più difettosi che egli presume ma non ha la prova appartengano a quella specie. Ma gli chiedo venia se non solo non mi posso accostare alla sua opinione ma gliene intacco la base dicendo: a mio parere, fon- dato sui rinvenimenti fin qui avvenuti in valle del Po, è molto più probabile che gli ossami da lui invocati qual termine di com- parazione appartengano allo El. antiquus anziché allo El. pri- migenia Blurnb. E non voglio più oltre abusare della pazienza dei miei pa- zienti lettori; e per conseguenza abbandono la discussione sul lavoro del Mariani e torno alla comunicazione del Parona, e torno al rincrescimento provato leggendo le sue parole: è nota la discussione che non intendo riaprire, ecc. ecc. Esprimo il mio rincrescimento pubblicamente allo autore di quella frase con una domanda che pubblicamente gli rivolgo, ed è questa: come fa- ranno due individui che siano di opinione diversa ad intendersi se non dichiareranno pubblicamente tutto il loro sentimento e se non metteranno in piazza successivamente e gentilmente tutti gli argomenti che ciascuno dei cortesi avversarii ritiene costrin- gentilo a mantenere la sua opinione? I cortesi avversarii, mai personali nemici per una espres- sione vivace uscita dalla penna di una delle parti, forse non riesciranno mai, loro due, ad intendersi. Sarà il pubblico più o meno competente che, udita l’una e l’altra parte, avvicinerà con un ponte due scogli nella loro rispettiva opinione immobili o che si credono tali. Così per parte mia ho fatto nella recente di- 166 A. PORTIS scussione sulla presenza e diffusione in Italia dello El. primi - genius Blumb. Grato sempre a tutti quei che mi offrivano modo di entrare in materia ho sempre oggettivamente trattato, senza mai risa- lirne alla persona autore, gli argomenti che venivano portati contro le mie opinioni. Li ho oggettivamente criticati se ne era il caso, e ne ho fatto prezioso tesoro in tutti i dati nuovi o buoni che sotto qualunque forma mi venivano offerti; come, successivamente, ho sfoderato quel tanto di argomenti oggettivi che credevo necessario a perseverare in tutta od in parte della mia opinione. Sarò stato talvolta un po’ vivace ed incisivo nelle espressioni, nello stile. Chi non è andato più oltre in serii ar- gomenti scientifici nei quali si abbia ad esprimere successiva- mente sempre nuovi dati mi gitti addosso la prima pietra. Ma io mantenni e mantengo il mio metodo; ed invoco cor- tesi avversarli che mi contraddicano ragionevolmente, e mi per- mettano di replicare ragionevolmente. Così: i miei studi sugli elefanti fossili italiani condotti sul materiale abbondantissimo che trovai e poi raccolsi nel Museo di Roma mi permisero di cominciare ad esprimere nel 1893 in- cidentalmente l’idea della non distinguibilità specifica assoluta dello stadio evolutivo El. meridionalis Nesti, dall’altro detto: El. antiquus Falc. La continuazione dello studio in quel senso e la fortunata comparsa della monografìa del Pohlig, che studiai con amore, digerii e tutta mi assimilai, mi permise di sentire e poter redigere i capitoli che tutti richiamo e che ancor adesso confermo, solo deplorando che nessuno abbia in essi trovato argo- menti per confutarli e combatterli apertamente, capitoli che per ordine di data espressi coi titoli: Soppressione del diluviale-gla- ciale. Il glaciale è una facies del pliocene — Proposta di sop- pressione del Diluviale — Valle Padana — Il glaciale, episodio del Pliocene (*) e poi: L’Elefante di Riofreddo — Elephas meridionalis od Elephas antiquus? — Conclusioni per l’età del terreno (*) e (') Portis A., Contribuzioni alla storia fisica del Bacino di Roma e studii sopra l’estensione da darsi al pliocene superiore, voi. I, colle parti la a 3a. Torino-Roma (Roux edit.), 4°, 1903, a pag. 190-194. (2) Portis A., Contribuzioni , ecc., voi. II, colle parti 4a a 5* Torino- Roma (Roux edit.), 4°, 1906, a pag. 2f-4-274. AVANZI ELEFANTINI BELLA VALLE DEL PO 167 poi: Intermezzo: Elefante di Torino, conclusioni per la Valle Pa- dana, ecc. (*). Interviene qualche obbiezione, ed io spiego bre- vemente i miei risultati nelle: Anomalie riscontrate sullo atlante di un elefante fossile dei dintorni di Roma (2): Continuano le obbiezioni indirette; ed eccomi a dover rientrare in materia cogli studi: Di alcune specie di mammiferi del pliocene superiore e dell’età del deposito lignitico di Leffe (3). Ma questo mio studio occasionale è preceduto dall’altro: Di alcuni avanzi elefantini fos- sili scoperti presso Torino (4). E questa mia ricerca essenzial- mente sul dente di El. primigenius di La Loggia trova la sua remota origine nello studio dello Stella (le cui risultanze non ho mai potuto accettare perchè le ritenevo mancanti di base positiva) portante il titolo: Sui terreni quaternari della Valle del Po in rapporto alla carta geologica d’Italia (R). Si fa silenzio generale sul duplice argomento; ed io, pur pubblicando nel 1900 la parte sesta delle mie Contribuzioni alla storia fìsica del bacino di Roma (c), poco ho da aggiungere in capitolo elefanti, molto in capitolo: Estensione da darsi al Pliocene superiore. Ma ecco una critica non sufficientemente studiata dei motivi addotti a documento delle mie passate deduzioni mi rimette in campagna a scrivere: Di un dente anomalo di elefante fossile e della pre- senza dell’ Elepìias primigenius in Italia (7). Ed, insistendosi su affermazioni non sufficientemente documentate, od essendomi state rivolte sotto qualsiasi forma novelle obbiezioni o richieste di schiarimenti e di informazioni, eccomi allora tornato in campo C) Contribuzioni , ecc., voi. II, pag. 299-309. (2) Rivista italiana di Paleontologia, voi. II, 1896, pag. 326-332, con figure. (3) Boll. Soc. geol. ital., voi. XVII, 1898, pag. 244-251. C) Boll. Soc. geol. ital., voi. XVII. 1898, pag. 94-120, tav. 1R. (5) Boll. Comit. geol. ital., voi. XXVI, 1895, pag. 108-136. (6) Portis A., Contribuzioni, ecc., parte 6a, Roma (Cuggiani edit.), 8°, 1907, pag. 1-112, con figure intercalate. Consta di due studi diversi dal titolo : 1° Osservazioni stratigrafiche a proposito di alcune lave delle vicinanze di Poma ; e 2° Di una formazione stagnale presso la Basilica Ostiense di Poma e degli avanzi fossili vertebrali in essa rinvenuti. En- trambi inserti nello stesso voi. XIX del Boll, della Soc. geol. ital., 1900, il primo da pag. 65 a 110, il secondo da pag. 179 a 240. (7) Boll. d. Soc. geol. ital., voi. XXT, 1902, pag. 93-114, tav..4\ 168 A. PORTIS con sempre più brevi risposte, eolie noticine e colle allora sempre più recise affermazioni portanti il titolo: Ancora delle specie elefantine fossili in Italia (*) e poi: Ancora e sempre delle specie elefantine fossili in Italia (*). Mancata materia ai miei contraddittori per nuove interroga- zioni, mancò a me per nuove risposte e nuove informazioni. Così potei tranquillamente riesporre come accettate le mie con- clusioni col mio lavoro: Studi e rilievi geologici del suolo di Roma ad illustrazione specialmente del Foro Romano (3). Ma intanto non perdetti d’occhio l’altro lato della questione o meglio l’altra questione intimamente connessa a quella della specie elefantina; quella cioè della interpretazione dei terreni superficiali della, sovratutto alta, Valle del Po e della loro at- tribuzione piuttosto al diluviale che al pliocene od al glaciale. Se prima avevo salutato con gioia l’apparizione dello studio dello Stella più sopra citato (.4), e studiatolo con amore, e fattovi libe- ramente le mie osservazioni ed obbiezioni come ad un lavoro che, col fatto della sua pubblicazione, affrontava la critica spas- sionata di chi poteva interessarsi alle questioni e fatti esposti o toccati; in seguito, con altrettanto interesse, lessi e studiai non solo la pubblicazione del Geinitz (ed anche del Freck) inserta nella Lethaea Geognostica (Letliaea caenozoica) citata ultima- mente dal Paroua; ma anche le, per noi italiani, più da vicino interessanti illustrazioni; la del Viglino A. e Capeder G. dal titolo: Comunicazione preliminare sul loess piemontese (5) alla quale non mossi appunto attendendo più completa esplicazione da parte degli autori, esplicazioni che vennero in parte nella 2* dal titolo: Capeder G. Sulla struttura dello anfiteatro morenico di Rivoli in rapporto alle diverse fasi glaciali (fi). Ho fatto tesoro delle informazioni fornitemi da quei due la- vori ai quali trovai che fornivano rispettivamente analoga ri- (') Boll. d. Soc. geol. ital., voi. XXII, 1903, pag 143-146. (2) Boll. d. Soc. geol. ital., voi. XXII, 1903, pag. 446-448. (3) Atti d. Soc. ital. di Se. nat., Milano, voi. XLI1I, 1904, pagine 383-421. C) Boll. Comit. geol. ital., voi. XXVI, 1895, pag. 108-136. (5) Boll. Soc. geol. ital., voi. XVII, 1896, pag. 81-84. (i;) Boll. Soc. geol. ital., voi. XXIII, 1904, pag. 4-18. AVANZI ELEFANTINI DELLA VALLE DEL PO 169 sposta favorevole alle mie opinioni le tante volte espresse, (non mai infirmate con fatti e ragioni esaurienti e che quindi non avevo agio di ripetere) le note: l.° di Novarese V. Il quater- nario della Valle del Pellice (Alpi Cozie) (*) e sovratutto la im- portantissima 2* Sacco F. Il piacenziano sotto Torino (2). Questo considerai: il coronamento del mio edifizio induttivo e deduttivo, la prova materiale fornitami inaspettatamente, regalatami colle proprie mani e colle proprie investigazioni dal mio allievo che a Torino continuava per proprio conto e con proprio metodo le mie ricerche. Glie ne feci motto a Torino nel 1905, in occasione della riu- nione colà, della Società Geologica Francese; nel senso di rin- graziarlo di avermi fornita la prova non potersi più, colla sua recente scoperta, altrimenti considerare il ceppo che passa sotto Torino in altra guisa che come V illa fr (incidano nel suo linguaggio, che come siciliano nel mio: di avermi così fornita la prova che il glaciale (una o più glaciazioni che si vogliano riconoscere) ri- maneva tutto compreso dentro ai limiti del Pliocene, dallo astiano ~ piacenziano -+- astiano, al siciliano superiore. Tale felice risultato al quale non facevano intoppo nel 1886-1891-1893 secondo il Pohlig, le presunte radici dello stadio evolutivo detto El. primigenius Blumb, nel genuino pliocene valdarnese, non trovava intoppo fino all’anno passato nella accertata presenza dello stadio El. antiquus Falc. negli strati superiori di quel ceppo: Ed in tal senso scrissi la nota a pie’ di pagina che si leggerà nel mio studio sui bovidi fossili dei dintorni di Roma, e della Valle Padana, allorché sarà pubbli- cato il volume 13°, ora in composizione, della Palaeontographia italica, come non trova intoppo ora che, grazie al Parona, è ac- certato che lo stadio El. primigenius si trova in quel pliocene elevato ben oltre i 300 metri ad ammantellare (3) ben più an- (1) Boll. Comit. geol. ital., voi. XXVII, 1896, pag. 367-394. (2) Boll. geol. ital., voi. XXIII, 1904, pag. 497-503. (3) Questa benda pliocenica avevo io ravvisata nello autunno 1883 rilevando geologicamente la collina di Torino sulla antica Carta degli Stati Sardi al 50000 per la carta geologica che fu poi presentata dal Baretti alla esposizione nazionale di Torino del 1884. Questa, che si con- serva, in uno degli originali, nello Istituto Geologico di Torino, può venir 170 A. PORT1S tiche formazioni sul versante meridionale (e speriamo ben presto anche sul settentrionale) della Collina di Torino (*). Grazie al suo rinvenimento, nemanco impedimento dà più la scoperta, or di- ventata attendibile, di altro avanzo dello stesso stadio El. pri- migenius dal ceppo, che, or più che mai, mi credo autorizzato a riferire al Siciliano, di La Loggia (sei chilometri di distanza longitudinale fra l’uno e l’altro, cento metri soltanto di distanza verticale). Se scarsi avanzi di El. primigenius si trovano ac- canto ad abbondanti residui di El. antiquus nei Crags e nel Forest Bed inglesi; perchè scarsi avanzi di El. primigenius non si avranno analogamente a rinvenire accanto a più copiosi re- per ciò consultata. E vi si troverà aver io spinto il limite superiore al- timetricamente) del mantello pliocenico, venendo da oriente, fin sotto Pecetto alla località San Sebastiano quindi alla altezza sullo attuale specchio del mare di metri 360 o poco più. Si vedrà che, per l’avvenuto denudamento del mantello pliocenico sul versante meridionale della col- lina, denudamento che io dovetti ritener generale, io dovetti ad occi- dente di San Sebastiano, discendere col mio limite superiore del pliocene, discender molto rapidamente verso Sud e quindi verso zone della col- lina sempre più basse e smarrirlo poi a occidente in terreni coltivati sotto S. Bartolomeo e sotto la Villa Radicati alla quota di m. 235 sol- tanto. Ma ciò che io non potei vedere allora, me lo fa oggi vedere il Pa- roma, che cioè: il mio limite avrebbe dovuto imperturbabilmente conti- nuare a girare sul versante meridionale della collina conservando pi-esso a poco la sua quota di elevazione. Cosi, con meno di 3 chilometri di ulteriore andamento, avrebbe raggiunto e compreso anche il rimasuglio conservatosi nella incisione del torrente Camasco-Alberoni a Cascina Benissone e poi avrebbe potuto andarsi a raccordare girando il fianco occidentale della collina, col pliocene elevato che confido non tarderanno a rinvenire sul versante settentrionale della stessa collina i miei studiosi colleghi e collaboratori (nella conoscenza del nostro suolo) che si occu- pano a Torino; si da giungere ben presto al relitto di Verrua ed a quello di Crescentino. Con ciò il rimasuglio di Cascina Benissone alla quota 330 metri rimane per me pliocenico con tutte le conseguenze che più su, in riguardo allo El. primigenius, ne faccio derivare. (x) Cosi varrà a stabilirsi e fissarsi, poi man mano a distendersi, anche sulla destra della grande Valle Padana la continuità della benda pliocenica che noi già abbiamo imparato a seguire ininterrottamente sulla sua sinistra, seguendo il piede meridionale e rispettivamente orien- tale delle Alpi settentrionali e rispettivamente occidentali, dalle Giulie alle Marittime, con un limite superiore constatabile fra i 500 ed i 1000 metri di elevazione sull’attuale specchio del mare. AVANZI ELEFANTINI DELLA VALLE DEL PO 171 sidui di El. antiquus nelle rappresentanze italiane dei Crags inglesi? in cpielle rappresentanze che troviamo fissate nel ceppo di Torino, che il Sacco potrà ben seguitar a chiamar a sua volontà o Diluviano o Villafranchiano; ma che io, in base ai risultati dei suoi studi ed anche un pochino dei miei, in base ai fossili in esso rinvenuti, chiamerò d’or innanzi con tanta maggior fermezza: Pliocene superiore, e Siciliano. Cosi risponderò al mio buon amico e collega Parona dicen- dogli: che una questione una volta posta e che ha portato per conseguenza una discussione ad armi cortesi non deve per volontà umana rimanere insoluta. Potrà rimanere sospesa quante volte verranno a mancar elementi appropriati a risolverla ed individui atti a farli valere; ma quando questi tornino a pre- sentarsi, non sarebbe dignitoso che un geologo od un paleonto- logo appassionati della scienza che coltivano ne sfuggissero il tentativo di discussione per un non bene inteso rispetto alla persona. Dal cozzo delle opinioni scaturisce la verità: tale fu la sentenza con cui il presidente di un congresso internazionale, al quale assistevo nel 1882, chiuse una violenta discussione fra il Pasteur ed il Koch; discussione che lasciò quei sommi mo- mentaneamente nelle loro precise antiche opinioni, li lasciò amici od avversari allo stesso punto di prima; ma lasciò neH’uditorio profonde tracce di conoscenze amplissime acquisite ad un tratto da due che lavoravano, senza saperselo, in perfetta correlazione, in perfetto complemento Puno all’opera dell’altro. Ed ho finito. [ms. pres. il 1° luglio 1907 - tilt, bozze 23 agosto 1907]. FORMAZIONE CALCAREA DELLO SCOGLIO TROIA (LITORALE LIVORNESE) Nota del dott. B. Nelli Secondo le indicazioni del prof. Cocchi in schedis con data 20 febbraio 1863 lo scoglio Troia trovasi a sud del Romito a cinque miglia da Castiglioncello e più precisamente rimane di- rimpetto alla foce del Fortullino. Della sua formazione calcarea abbiamo nel Museo di Firenze diversi esemplari. Il dott. Bal- dasseroni che ha visitato ultimamente quella località non ha potuto trovar tracce di calcari, i quali potrebbero essere stati asportati dal mare, invece oggi resulta costituita interamente da serpentina. Pur tuttavia mi ha indotto a questo breve studio la perfetta somiglianza di questi calcari con quelli di Casti- glioncello e con tutti quelli che si trovano qua e là presso il litorale livornese, dove il prof. De Stefani ne trovò un piccolo lembo quasi sotto il già Hotel Savoia fra Ardenza ed Anti- gnano, e forse al Poggetto presso Ardenza di terra, e che com- pariscono anche a Montignoso, come pure nelle vicinanze di Castiglioncello e Rosignano. Questa formazione calcarea a struttura poco compatta, di co- lore bianco in certi punti un po’ tendente al giallastro, resulta costituita da un insieme d’ impronte e di nuclei, spettanti a Ga- steropodi e Lamellibranchi, unitamente ai quali si notano fram- menti di chele di un crostaceo. La roccia presenta aspetto si- mile ad una panchina, però diversa da quella postpliocenica per essere calcarea quasi interamente e minutamente organoge- nica, non sabbiosa c clastica. A prima vista la si potrebbe rife- rire ad epoca recente, considerando anche che alcune delle specie che vi si trovano sono tuttora viventi nei nostri mari, oppure al pliocene per la presenza di specie plioceniche. Però se si FORMAZIONE CALCAREA DELLO SCOGLIO TROIA 173 vuol tener conto della perfetta somiglianza litologica di questo calcare con quelli di Rosignano, Popogna, Cafaggio, con quelli che compariscono lungo l’Ardenza e con quelli, parimente elve- ziani, che il prof. De Stefani trovò, come ho detto, non lungi da Livorno, non si può non riconoscere che si tratti piuttosto di una formazione sincrona. Le specie determinate sono le seguenti: 1. Cardium oblongum (Chemnitz) Chnelin. Si estende dal miocene al postpliocene. 2. Cardium echinatum L. Si estende dal miocene al postpliocene. 3. Cytherea erycina L. La nostra forma corrisponde a quella del bacino di Vienna, (Hornes, pag. 156) (') non a quella di Sacco ( C . erycina L. an var. erycinoides Lk.) (2). 4. Cytherea rudis Poli. Si estende dal miocene al postpliocene ed è tuttora vivente. 5. Dosinia exoleta L. Si estende dal miocene al postpliocene ed è tuttora vivente. \ E indicata nell’elveziano del bacino della Svizzera, del Por- togallo, di Vienna, etc. (Hornes, pag. 145). 6. Corbula gibba Olivi. Si estende dall’eocene al postpliocene ed è tuttora vivente. \ E indicata nei bacini elveziani del Portogallo, della Sviz- zera, di Vienna, di Baviera, etc. (Hornes, pag. 35). 7. Trochus patulus Br. Si estende dal miocene medio al pliocene. 8. Callianassa sp. Diversi frammenti di chele specificamente indeterminabili. Il genere si estende dal cretaceo al postpliocene ed è tut- tora vivente. Alcune fra queste specie, come la Dosinia exoleta Lin., la Cytherea rudis Poli, la Corbida gibba Olivi, si trovano non solo nei calcari del miocene medio dei monti livornesi e del (*) 1870. Hornes, Foss. Moli, des Tertiaer-Bekens von Wien. (*) 1900. Sacco, Moli. terr. terz. Pieni. Lig., parte XXVIII, pag. 16, tav. Ili, fig. 6, 7, 8, 9. 174 B. NELLI litorale, ma anche nelle argille marnose cenerognole di Popogna e Cafaggio, che compariscono al disopra di questi calcari e che giustamente il dott. Trentanove riferisce al tortoniano, mentre riferisce all’elveziano i sottostanti calcari (’). Fra le poche specie, che io ho potuto determinare, due sole possono forse darci un criterio per la determinazione dell’età di questa formazione calcarea, come la Cytherea erycina L. ed il Trochus patulus Br., specie assai comuni del miocene medio. Tenuto conto della perfetta somiglianza dei nostri calcari con quelli dei monti livornesi, tenuto conto che le specie sono di facies non molto profonda e che alcune di esse sono molto co- muni nei bacini dell’elveziano, mi pare che a questo si possa riferire la roccia calcarea raccolta dal Cocchi. [ras. pres. il 24 maggio 1907 - ult. bozze 21 agosto 1907]. (') 1901. Trentanove G., Il miocene medio di Popogna e Cafaggio. (Boll. Soc. geol. it., voi. XX, fase. 4, pag. 550). LINEA DI FAGLIA E TERREMOTI DEL PESARESE Nota del dott. Umberto Pagani Da varii anni (cioè quando neppur potevasi prevedere l’opera del De Bollore ('), che conferma nel fenomeno orogenetico la causa dei moti sismici e ne definisce la sede più attiva nelle geosinclinali più giovani) io andavo accumulando materiale pel- ano studio sulle cause dei terremoti pesaresi, raffrontati nelle loro analogie sismiche e tettoniche, con quelli classici della Ca- labria; anzi, più precisamente, dei dintorni di Cosenza il sito , dove nel tempo più breve si può imparare a conoscere questo feno- meno per propria esperienza (2). Anzitutto : Quali e quanti sono stati in quest’ ultimi tempi i terremoti registrati in serie regolare, che hanno scosso la costa pesarese o quella limitrofa , e la Calabria Citeriore? Escludendo quelli anteriori al 1887 (anno dal quale datano le prime notizie ufficiali e non saltuarie sui terremoti italiani) (3), si possono stabilire i seguenti 2 prospetti: (4) C) Montessus de BalloreF., Les tremblements de terre, Paris, Colin, 1906. (2) Pasanisi, Testo di geografia, Roma, 1905. (3) Mando vivi ringraziamenti ai chiarissimi signori : prof. L. Palazzo, direttore del R. Ufficio Centrale di Meteorologia in Roma, che mise a mia disposizione tutto il materiale bibliografico e documentario del- l’Ufficio; all’ing. Enrico Niccoli, che mi fu largo di notizie; all’ing. Pie- tro Zezi, direttore del R. Ufficio geologico, che mi permise la consul- tazione della ricchissima biblioteca dell’ Ufficio. (4) Vedi per il periodo del 1887 a tutto il 1894 il Supplemento al Bollettino Meteorico, quotidiano, dell’Ufficio centrale di Meteorologia di Roma; dal 1° gennaio 1895 a tutto il 1897 le Notizie dei terremoti av- venuti in Italia, annuali, pubblicato dallo stesso Ufficio. Per il periodo successivo fino ad oggi, vedi il Bollettino della Società sismologica italiana. 13 c*-l o Si 4-3 re u I-1 a> ® c o ° s » I re 5 o ir *= . G n. CL < ■ 05 CO 05 1- ^ « ó co *- 05 05» sa. ._r o "» c « = ° E o 05 C < = "E Cd H— o c co Ll. 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PAGANI Scorrendo la serie dei terremoti marchigiani, registrati re- golarmente in questi 15 anni, si scorge in modo evidente, che la loro grande maggioranza assoluta ha la sua sede sul littorale, e che un numero esiguo ha la sua sede nell’ interno. Se una grande copia di notizie sugli anni precedenti, rac- colte nelle cronache, nelle storie, in documenti svariati, etc. etc., dal Serpieri ('), dal Cancani (®), e dal Baratta (3), non ce lo confermasse, basterebbe a dircelo la presente statistica. Inoltre, dall’andamento delle curve isosismiche della zona littoranea rilevasi che esse s’allungano in ellissi aventi l’asse a breve distanza dalla spiaggia, sotto l’Adriatico, e che a rigore di termini non si può parlare di indipendenza di centri sismici ben distinti lungo questa grande zona littoranea. Invece, nella Calabria citeriore (dove, per altro, i sismi sono tanto frequenti che nessuno quasi li avverte se non sono di grado elevato) si nota la tendenza alla delimitazione di almeno tre zone principali, l’nna situata al bordo orientale e setten- trionale del massiccio silano, l’altra nel Vallo del Orati (4) : la terza, non bene definita, nella catena costiera. Mi conforta vedere queste mie ricerche collimare con quelle del prof. G. Agamennone (5), uno dei fondatori della Scuola Si- smologica italiana, e con quelle del dott. M. Baratta (6), il mi- (l) Serpieri P., Studi vari sulla natura e periodicità dei terremoti marchigiani e romagnoli. (s) Cancani A., Il terremoto Adriatico marchigiano del 21 settem- bre 1897 (nel Boll. Soc. Sism. It.\ Modena, 1897. (3) Baratta M., Sul terremoto di Sinigaglia del 21 settembre 1897, (nel Boll. Soc. Geolog. It., Voi. XVI, 275, Roma, 1897. O Distinguesi in Calabria Citeriore, con il nome di Vallo dei Grati, la larga e quasi meridiana valle, che comprende tutto il medio bacino del F. Crati, da Cosenza ai comuni albanesi di Spezzano albanese, Lun- gro etc. e poco del bacino superiore; valle in parte tettonica ed in parte d’erosione. Noto per analogia toponomastica il prossimo Vallo di Diano (Prov. di Salerno). (5) Agamennone G., 11 Terremoto nel Vallo Cosentino del ìì dicevi lire 1887 (negli: Annali dell’ Uff. Cent, di Meteorologia e Geodinamica, Roma, 1888). ( 6 ) Baratta M, op. cit. : / Terremoti d'Italia, Torino, 1901 e Carta sismica d'Italia in 4 fogli, Voghera, 1901. LINEA DI FAGLIA E TERREMOTI DEL PESARESE 179 gliore rappresentante della geografia sismica del nostro paese, oggigiorno. Fissata per tal modo lungo la linea costiera del Pesarese la sede dei terremoti, che infestano questa plaga, è utile cer- care nella tettonica del sottosuolo l’origine di essi; analoga- mente a quanto si è verificato nell’altra classica zona sismica del territorio di Cosenza, nella quale si riscontrò la più stretta dipendenza fra la nota faglia, percorrente la valle del Grati, e lo stato sismico del suolo. E, siccome non si può capire la struttura delle colline pe- saresi senza metterla in correlazione con quella del paese cir- costante, per ampio raggio all’ ingiro, così presento la descri- zione di tre sezioni geologiche quasi parallele e trasversali alla direzione dell’Appenuino ; di cui la seconda, la più importante, interessa appunto l’alta costa di Fiorenznola, presso Pesaro, che per il suo scendere a picco sul mare, viene chiamata per an- tonomasia « Le ripe » . Delle due prime sezioni espongo anche una figura riassun- tiva, basandomi sulle mie ricerche personali e sugli studi pre- cedenti del Cardinali ('), dello Scarabelli (2), del Niccoli (3) e sulla Carta Geologica (al 1 : 1.000.000), di tutta l’Italia, pub- blicata dal R. Ufficio Geologico nel 1889. La Ia sezione va dai monti a S. O. di Fossato di Vico (tronco ferroviario Falconara-Roma) al M. Conero di Ancona; la IP dalle falde del M. Carpegna (Montefeltro) alle colline di Fio- renzuola (pr. Pesaro); la IIP, non rappresentata con disegno, va dal Monte Fumaiolo (pr. Bagno di Romagna) alla Madonna del Monte, collina che domina Cesena. (') Cardinali F., Cenni geologici sui dintorni di Pesavo, Pesaro, 1880. O Scarabelli G., Descrizione della Carta geologica del versante setten- trionale dell’ Appennino fruii Montone e la Foglia, Forlì, 1890; kl., Guida del viaggiatore geologo nella regione appenninica , etc. et,c., Mi- lano, Ed. Ci velli , 1870. C) Traverso S. e Niccoli E., Sull’esistenza d’un massiccio di rocce cristalline nel bacino dell’Adriatico. (Atti Soc. Lig. di Se. Nat. o Geo- grafiche, Genova, 1896). 180 U. PAGANI Ia Sezione (cfr. fig. 1). Notisi che il miocene è in trasgressione sul cretaceo (fe- nomeno molto comune e quasi generale nel versante adriatico dell’Appennino medio e settentrionale) ('); che le due estremità del profilo formano due anticlinali (aventi per base, i terreni più antichi, giuraliassico e cretaceo); che di queste due anti- clinali, la più orientale, quella di M. Conero, è bassa e fu dimezzata da una potente faglia, verso il mare; che fra le due elevasi una terza anticlinale, molto più prossima all’occidentale, con cui ha comune la serie delle formazioni geologiche. i giura-lias pliocene • i+V+Cl confcl.pltoc. J filladi , d'età incerta quaternario Fig. 1. — Sezione trasversale dell’Appennino Marcliegiano. Fra le tre anticlinali sono due sinclinali: l’una stretta, tuttora occupata da un’alta valle fluviale con fondo miocenico, l’altra quasi interamente colmata dai sedimenti marini o salmastri del cenp- zoico e da un sottile strato quaternario non lungi dal M. Conero. Di modo che, questa parte dell’Appennino svela una tale tettonica, clic lo si può ascrivere al sistema orografico delle cordigliere , cioè delle zone corrugate, a molti assi di solleva- mento, fra loro più e meno paralleli (2). (’) Vedi fra gli altri lavori quelli di: De Angelis d’Ossat G., Le sorgenti di Petrolio a Tocco di Casalina. (Rassegna Min., Torino 1899; Scarabelli G., Descrizione della carta geo- logica, op. cit. — Sopra alcuni fossili, etc., con figura riassuntiva della tet- tonica del paese fra Ancona ed il fiume Selice pr. Bologna. (Boll. Soc. Geol., Roma, 1897); Pagani U., Sorgenti di Petrolio nel Bolognese. (Ras- segna Min., Torino, 1900). (2) Questo mio modo di vedere sulla tettonica di M. Oonero, è con- sono con quello, fugacemente accennato, da G. Bonarelli, nella sua Comunicazione preliminare sulla Carta geologica del M- Conero, pr. An- cona. (Boll. Soc. Geol. it., Roma, 1895). LINEA DI FAGLIA E TERREMOTI DEL PESARESE 181 IP Sezione (cfr. fig. 2). Si noti die l’anticlinale, corrispondente al M. Carpegna, non scende con le sue formazioni visibili, a verun piano del giu- raliassico, ma si ferma al cretaceo; la qual cosa potrebbe in- dicare tanto un minore sforzo del corrugamento, quanto una fossa del mare cretaceo ovvero un abbassamento per faglie (le quali sono piuttosto comuni nella parte periferica del Carpegna). Si noti pure che l’anticlinale medio — secondo ogni probabilità è la stessa di M. Suavino — si è molto spostata verso N. E. e coi suoi membri visibili non giunge neppure al livello del Fig, 2. — Sezione trasversale deU’ Appennino Maroliegiano (per (indicazione dei terreni ved. fig. 1). mesozoico superiore, ma si ferma, come la terza anticlinale (dei (colli di Fiorenzuola) al Tortoniano. Anche dell’anticlinale delle « Kipe » una faglia ha sprofon- dato sotto l’Adriatico, la gamba orientale, nello stesso modo che abbiamo visto per il M. Conero. Modernamente, molte di queste anticlinali, al pari di altre delle* terre fortemente corrugate, devono interpretarsi come ellis- soidi molto allungate, dispostesi in fila Cuna presso l’altra, se- condo una direzione assiale del sollevamento. La loro forma- zione si spiega, vuoi ammettendo che lo sforzo tettonico del corrugamento possa non essere stato uguale per tutta una linea di piega, vuoi considerando l’ infinita varietà dello spessore e della composizione litologica, e quindi anche del valore del coefficiente di tenacità delle formazioni sedimentarie, da luogo a luogo, anche vicini. Nel nostro caso, tanto il M. Ardizzo, che si eleva a picco sul mare alla destra del fiume Foglia (confronta la cartina ^iso- metrica della figura 3), quanto i monti di Fiorenzuola, che 182 U. PAGANI dominano l’Adriatico dall’altezza dei 200-250 m. delle loro « Ripe ». Sono gli avanzi, anzi la metà di due elissoidi, poste in serie lineare e spezzate da una faglia (probabilmente al prin- cipio del quaternario), la quale ne ha sommerso sotto l’Adriatico, l’altra gamba. sc/'sf/ argH/osi Fig. 3. — Monte Ardizzo. Sezione e ipsometria (curve equidistanti di 25 m.). La loro forma e la loro posizione, caratteristiche, che rom- pono la monotonia della spiaggia adriatica, al Nord di Falco- nara, avevano già eccitato la curiosità dei naturalisti del se- colo passato: uno dei quali, il Passeri fin d’allora notava che il M. Ardizzo è la « metà di se stesso » ('). Tn quest ultimo cinquantennio i monti di Fiorenzuola furono studiati geologicamente dallo Scarabelli (2), che non ne conobbe pero la tettonica ellissoidiea, e dal Cardinali (:|), clic ne diede O Passeri G. B., Storia dei fossili dell’Agro Pesarese, Pesaro, 1775. (*) Scarabelli G., Carta geologica, cit. (3) Cardinali F., op. cit. LINEA DI PAGLIA E TERREMOTI DEL PESARESE 183 una piccola sezione geologica (la Pesavo a Cattolica, lungo il mare delineandovi un anticlinale con asse N. E., S. 0. ; e spe- cialmente dal Niccoli ('), che fissò la sua attenzione sui fran- genti sottomarini delle Gahiccc, die trovansi non lungi dalla Cattolica « ravvisandovi uno spuntone triassico della fascia me- sozoica sedimentaria, che doveva cingere il massiccio continen- tale, cristallino dell’ina sprofondata ». Dell’elissoide di Monte Ardizzo, che sorge isolato più di quello delle Gabicce, do uno schizzo isoipsometrico (cfr. la fig. 3) ed una sezione geologica, schematica, da me rilevata secondo l’asse maggiore lungo il mare. Mi sembra che dopo d’avere atten- tamente esaminato tutti questi documenti, non vi sia bisogno di spiegazioni ulteriori per confermare nella faglia summento- vata la genesi della forma attuale del colle. Il riconoscimento di questa faglia e di quella delle « Pipe » che ritengo coincidere con quella del M. Conero, fa accarezzare l’ idea di vedervi il limite appenninico della suddetta « Adria cristallina » scomparsa, che ha lasciato i suoi elementi nel cal- care miocenico di S. Marino, come riconobbe il Salmojraghi (2), i suoi ciottoli entro gli strati solfiferi delle miniere di Romagna (dove furono trovati dal Niccoli) (3), e nel conglomerato cristal- li Niccoli E., op. cit. (2) Salmojraghi, Osservazioni mineralogiche sul calcare miocenico di S. Marino, etc. (Rendic. R. Ist. di Scienze e Lettere, serie 2a, voi. 36°, fase. 12-13, Milano, 1903). Il chiaro A. a pag. 727 di detto volume, par- lando degli elementi cristallini inclusi nel calcare miocenico di S. Ma- rino, dice: « le torbide, che nel mare miocenico si frammischiarono al cal- » care di S. Marino e lo resero arenaceo, non provengono dalla regione » delle Alpi, perchè vi mancano i pirosseni e Vorneblenda». E più in- nanzi conclude (cito le parole testuali del rendiconto dell'adunanza del R. Istituto del 28 maggio 1903, pubblicato nel Boll. Uff. del Minist. d’Istr. Pubbl., 1903 e steso, credo, dall’A. medesimo) che «i minerali trovati » dall’ A. nella parte arenacea del calcare di S. Marino potrebbero » costituire un’altra prova dell’esistenza nell’epoca terziaria, nell’area ora » occupata dall’ Adriatico, della terra che fu detta Adria». In quanto alle attuali sabbie del F. Mai-ecchia (Rimini), FA. non le ritiene dovute alla detta terra ipotetica Adria, ma derivate dalle formazioni appenni- niche ed in piccola parte dalle deiezioni padane. (3) Niccoli, op. cit. 184 U. PAGANI lino pliocenico del M. Lare (come riconobbero il Cardinali (') e lo Scarabelli) (2) e probabilmente nella famosa rena terebrante ■rossa (3) di tutto il litorale marchigiano e riminese, già nota ai tempi di Plinio, la sabbia prodotta dalla frantumazione di qualche suo spuntone sottomarino. Mi duole di non essere più in grado di presentare qui il modesto disegno, schizzato dal vero, delle «Ripe» da me esibito all’attenzione dei Congressisti del Congr. d. Naturai. It., a Mi- lano, nello scorso anno 1906; al quale avevo posto accanto, per un confronto opportuno, la fotografia della costa, alla destra del fiume Grati, in Calabria (pr. Cosenza) : costa prodotta dalla classica faglia che è la cagione della sismicità del paese e che fu bene rilevata dal Cortese (4). Do tuttavia sulla traccia di questo accurato osservatore, una sezione geologica schematica, trasversale alla linea di essa faglia, nel luogo corrispondente alla citata fotografia; che pongo in confronto con le due già viste dell’Appennino Marchigiano (cfr. fig. 4). Per incidenza pongo qui in risalto il fatto: che presso Cosenza la faglia calabrese, eminentemente sismica, interrompe, (') Cardinali, op. cit. (2) Scarabelli, op. cit. (3) A proposito di questa rena terebrante rossa, che ha ormai una letteratura, mi si permetta di notare che per quanto il Salmojragbi (op. cit.) ed il prof. Artini ( Intorno alla composizione minerale di due sabbie del litorale Adriatico. Rend. Ist. Lonib. Scienze e Lettere, Mi- lano, 1896), la credano dovuta alle sabbie padane trasportatevi dalla nota corrente litoranea Adriatica, nonohé spinte dalle traversie e dalle bore verso sud, tuttavia G. Marinelli nega il trasporto delle sabbie fluviali del Po oltre Porto Corsini e riferisce che detta corrente è ben debole prima del promontorio di M. Conero (v. G. Marinelli, L’accre- scimento del delta del Po. Riv. Geog. It., Roma, 1898, ed A. Cialdi, Sul moto ondoso del mare. Roma, 1886) tanto che «cambia di direzione ad ogni vento che spiri contrario ». Inoltre, il trovarsi essa sabbia loca- lizzata quasi affatto sulle coste marchigiane, troppo lungi dal Po, con- ferma la sua origine prossima e la comunanza del suo locale deposi- tarsi, colle torbide dei torrenti appenninici, le quali distribuisconsi presso le foci « dalla spiaggia da Ravenna ad Ancona » (secondo il Cialdi) «... per i venti sciroccali e di levante ». (') Cortese E., Descriz. geologica della Calabria. (Mem. d. Carta Geol. d’Italia, voi. X, 1900). LINEA DI FAGLIA E TERREMOTI DEL PESARESE 185 circa nel sno mezzo, una sinclinale, mentre quella adriatica delle coste marchigiane, pure sismica, rompe due anticlinali. Ma sul luogo delle faglie nelle pieghe tettoniche — dal punto di vista sismologico qual’è il nostro — conviene essere ben guar- dinghi. Che infatti la stessa faglia calabrese, spostatasi dal Nord di Cosenza, verso l’occidente, la ritroviamo poi nelle mi- niere di Salgemma di Lungro, interrompere Vanticlinale (me- sozoica e terziaria). E, siccome Lungro è compreso in altra area di potente sismicità, ne consegue che, almeno in Calabria, le faglie d’anticlinale e di sinclinale, possono essere, indifferen- temente, origine e via di propagazione dei forti terremoti, sempre quando i terreni ch’esse tagliano, non siano tettonicamente equi- librati in modo stabile. Fig. 4. — Sezione del Vallo del Orati. ( per V indicazione dei terreni ved. flg. // Le conclusioni generiche per ciò, del Montessus de Bal- lorc (*), verrebbero ad essere modificate a norma di questi casi speciali; a meno che le geosinclinali mesozoiche « les bandes les plus mobiles de la surface terrestre », nelle quali l’autore dice rinchiudersi « à eux seuls, à deux ou trois exceptions douteuses, près toutes les re'gions seismi ques, qui par conscquent les caracté- risent » siano solo quelle maggiori, abbraccianti intere regioni geografiche. Naturalmente, come la faglia del Crati ha abbassato presso Cosenza i sedimenti pliocenici e postpliocenici della sinistra del fiume, cosi questa, delle « Ripe » deve avere sommerso e forse perturbato, con gli strati sottoposti, auche il pliocene ed il postpliocene, che probabilmente fasciavano a N. E. i monti di Fiorenzuola: poiché si trovano terrazze quaternarie in luoghi prossimi, cioè nel promontorio di Riccione (a N. di Cattolica), C) Montessus de Ballore, op. cit. 186 U. PAGANI ai margini di quell’estuario colmato che è la bassa valle del Faglia. Dove prosegue la faglia e con (piale direzione e con quale potenza ? Il Niccoli (’) credette già che detta faglia seguisse presso a poco il percorso dell’attuale via Emilia, per le Romagne; ma lo Scarabelli, coi risultati della trivellazione d’un pozzo arte- siano in Imola, lo convinse che almeno fin là, gli strati plio- cenici e quaternari non sono affatto disturbati (*). D’altra parte la summenzionata IIla Sezione dell’Appennino, dal M. Fumaiolo [pr. Bagno di Romagna] alla Madonna del Monte (pr. Cesena) che mi limito a descrivere, senza offrirne ai lettori un apposito disegno, ci offre le seguenti serie di membri: III'1 Sezione. Le quote più elevate sono rappresentate in superficie da formazioni eoceniche; a cui, digradando verso il piano cesellate seguono i termini consueti del miocene inferiore e superiore in questa alternanza (sempre in superficie): 1° mioc. inf.; 2° mioc. slip.; 3° mioc. inf.; 4° mioc. sup.; 5° mioc. medio e superiore; 6° alluvioni attuali. I termini elencati ai numeri 2° e 4° sono in sinclinale, quelli elencati ai numeri 1°, 3° e 5° in anticli- nale. Trattasi però di anticlinali e di sinclinali di poca en- tità ed evidenza, all’infuori della prima anticlinale (coincidente con l’asse di sollevamento appenninico principale) e dell’ultima (coincidente con il rilievo della Madonna del Monte). Rilevo clic la zona miocenica toccata dalla sezione è disturbata da faglie, che fanno sentire il loro effetto nell’andamento delle ricerche minerarie per lo zolfo e piuttosto contorta, in modo che nella parte centrale ed occidentale vi si scorge evidente il solo anticlinale del crinale appenninico; mentre poi termina sopra Cesena con il sommo dell’altra anticlinale miocenica (*) Niccoli, op. cit. (?) Scarabelli, Osservazioni geologiche e tettoniche fatte in Imola in occasione d’un pozzo artesiano, Tmola, 18{)t>. LINEA DI PAGLIA E TERREMOTI DEL PESARESE 187 (non è evidente che essa sia un elissoide), la di cui gamba orientale scompare sotto la coltre alluvionale della pianura ro- magnola. Dopo Cesena, cioè al N. di essa sezione, fino alla punta dei Colli di Bologna, nessun contrafforte appenninico viene a digra- dare nella pianura, il quale non sia orlato da una banda di forma- zioni pliocenica e quaternaria antica, sedimentate e sovrappo- stesi in concordanza regolare. Esclusa, perciò, l’idea d’una faglia, scorrente al piede delle colline lungo l’attuale Via Emilia o presso a poco, cerchiamo se essa o se l’anticlinale suddetta o se l’una e l’altra insieme possano proseguire verso il settentrione, riallacciandosi, se mai, allo zoccolo del gruppo M. Berici-Colli Euganei. Sarebbe questo ipotetico allacciamento delle Alpi con l’Ap- pennino, la linea divisoria delle due aree di sprofondamento che il Fischer (*) vede, l’una nella cerchia interna alpina e l’altra verso ed entro l’Adriatico? Già il nostro Taramelli, pel primo, aveva emessa l’ipotesi di questi sprofondamenti ; e vari anni fa (?), anche quella di rapporti di non molto profonda continuità di terreni, ante- riori al (piaternario , fra l’area Euganea e le Romagne. Nè aveva mancato di rilevare l’eguaglianza di direzione della frat- tura Schio-Vicenza con quella delle rughe appenniniche. La faglia pesarese, che vedemmo non toccare il sommo del- l’anticlinale di Cesena, potrebbe romperne molto ad E. ed in profondità la gamba orientale, ovvero trovarsene molto lungi in mezzo alla pianura. Debbo peraltro notare l’ insufficienza dei dati offerti dalle trivellazioni padane e della pianura romagnola in proposito. Tutto considerato, propendo per la prima di queste due ipotesi; la quale è anche confortata dall’allinearsi dei centri sismici ro- magnoli e dall’allungarsi delle loro isosiste dal piede dei Monti di Romagna verso i Monti del Veneto, nonché dalle anomalie della gravità e del magnetismo terrestre nella zona in discorso; (') Fischer T., La penisola italiana , Torino, 1902. (2) Taramelli T., La valle del Po nell’epoca piaternaria. (Atti Con- gresso Geogr. Tt. in Genova, Genova, 1904); Id. Geolof/ia delle Provincie venete. (Mera. Acc. Lincei, Roma, 1882). 188 U. PAGANI anomalie che sono state, più che altro, intravviste ed attendono ancora d’essere studiate in un modo più esauriente. Oggi, che tutto ci conduce a fare vieppiù stringere le rela- zioni, che corrono fra queste anomalie gravimetriche e magne- tiche e l’andamento delle faglie sismiche (coni’ é la faglia, che forma oggetto della comunicazione presente) faccio voti che questo mio studio modesto valga almeno a suscitare in qualche dotto mio ascoltatore o lettore, un novello eccitamento a queste desiderate ricerche : dalle quali attende nuova luce una gran pagina oscura della Geologia italiana. [ms. pres. il 18 marzo 1907 - ult. bozze 3 settembre 1907]. SULLA ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE NEI MOVIMENTI DI EMERSIONE DELLE COSTE PICENE SULL’ADRIATICO Nota del dott. Giuseppe Capeder L’estate scorsa stavo occupandomi delle terrazze interne e delle linee di spiaggia che si osservano sulle rocce mioceniche della Sardegna, innalzate a 400 e più metri sul livello del mare ('). Speravo di poter condurre a termine l’importante pro- blema che quelle terrazze hanno aperto circa i movimenti cui andò necessariamente soggetta la Sardegna dal terziario, ricer- cando più estese prove della invasione marina, studiando l’età delle terrazze e coll’aiuto dei fossili quella dei sedimenti discor- danti che colà avrei in alcuni luoghi osservato. Pur troppo un inaspettato trasferimento a Fermo mi toglieva dal campo dei miei studi dandomi agio, se non altro, di godere la vista della spiaggia Adriatica! Così mi venne fatto di considerare tutti i giorni quella infinita serie di colline plioceniche che dalle falde dell’Appennino Mar- chigiano si spingono al mare, ove restano troncate bruscamente da belli terrazzi e linee di spiaggia scavatevi da un più antico mare. E percorrendo la lunga distesa della uniforme spiaggia Adriatica dal Chienti al Tronto e studiando la distribuzione dei terrazzi che ora stanno a picco sul mare, ora spaziano ampia re- gione, cercando di tentare anche per essi una cronologia relativa e di trovare una ragione a tanta varietà e disordine apparente nella loro ubicazione, venni rilevando e convincendomi a grado a grado della esistenza per lo meno, di due componenti nei raovi- (*) (*) Sulla esistenza di antiche linee di spiaggia, ecc., Boll. Soc. geol. it. voi. XXV. 190 G. CAPEDER menti di emersione che avvennero ed avvengono su queste coste Adriatiche italiane. È noto che gli Autori non accennarono mai finora alla esi- stenza di due componenti nei lenti movimenti del suolo ('), ma solamente al movimento verticale, per la difficoltà che già si in- contra in qualche caso di rilevare anche solo una sommersione od una emersione, specie se recente e pel caso di movimenti uniformi su grande estensione, per l’impossibilità di rilevare, quand’anche esistente, qualsiasi altra componente che non abbia la direzione della verticale, perchè solamente all’attuale livello del mare, che riteniamo invariabile o per meglio dire equabilmente variabile, possiamo riferirci per comparare le oscillazioni delle terre. Però, come è noto, in generale i movimenti verticali sono tutt’altro che uniformi ed è perciò evidente che se tale irregolarità interessa il movimento di sommersione o di emersione, essa dovrà anche ve- rificarsi per le componenti che hanno un’altra direzione, se pure esistono. Allora, come pei movimenti verticali, dei quali possiamo almeno averne contezza dalle variazioni di livello di più punti senza riferirci all’iniziale livello del mare, così potremo verifi- care l’esistenza di componenti che abbiano un’altra direzione dalla verticale, scegliendo come punti di riferimento quelli che presentano le maggiori variazioni di intensità di dette compo- nenti. Questo pei movimenti attuali. Per gli antichi, la direzione dei terrazzi esistenti su coste uniformi ci fornirà la guida migliore per questo studio, perchè potremo riferire quella direzione all’attuale linea di spiaggia come punto di paragone e di partenza, specie se potremo, come per la spiaggia Adriatica, stabilire con certezza l’età geologica- mente recente delle terrazze e pure l’uniformità (*) presente, delle antiche linee di spiaggia. (') Il prof. Parona però, nel suo splendido Trattato di Geologia , pa- gina 295, accenna chiaramente alla esistenza di una componente orizzon- tale nei lenti movimenti del suolo colle seguenti parole: « Ma non si esclude che essi (bradisismi) possano essere determinati da pressioni laterali; anzi è piuttosto da ritenere che di solito la verticalità del movimento sia più apparente che reale e che i bradisismi siano la risultante di azioni che agiscano tangenzialmente rispetto alla superficie terrestre ». (*) Potrebbe qui domandarsi come si può stabilire la condizione an- tica dello coste Se ciò non è sempre possibile specialmente quando la 191 ESISTENZA DI. UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECC. In qualunque movimento di emersione dunque, la cui dire- zione vera secondo me è sempre ben lontana dalla verticale, sarà possibile quando ne sia accertato il verso, tener conto di due componenti, delle quali runa abbia la direzione della verticale e l’altra abbia la direzione della orizzontale. Per tener conto della componente verticale si dovranno osser- vare i soliti fatti, cioè le spiaggie sollevate, gli scogli dirimpetto a coste scoscese, i cordoni litorali paralleli alla costa piana ed uniforme, i contorni dolci e regolari della linea costiera priva di bassifondi, la formazione delle paludi nei corsi inferiori dei fiumi, la presenza di terreni deltoidi, l’apparizione di scogli, 1 emersione degli antichi, la forma delle conche di erosione ma- rina, ecc., ecc. La componente orizzontale invece non potrà essere rilevata che ben più difficilmente e solo calcolata in valore relativo dallo spostamento orizzontale delle terrazze cronologicamente equiva- lenti o dallo spostamento recente di almeno tre punti di cono- sciuta posizione relativa ed opportunamente scelti, non essendo autorizzati di poter considerare la posizione di alcun punto della superfìcie terrestre a cui riferirci, come geograficamente inva- riabile, almeno per questo genere di ricerche. Nè perciò ci potrà riuscire meno interessante il rilevare l’esistenza di questa com- ponente, perchè potremo conoscere il senso vero dei lenti movi- menti di emersione e potremo dedurne le conseguenze conco- mitanti le quali non mancano di avere una grande importanza geologica. erosione ha cancellato ogni antica morfologia, nel caso presente é pos- sibile entro certi limiti asserire che le coste Adriatiche anche verso la fine del pliocene dovevano essere simili alle attuali, perché noi oggi vediamo le colline plioceniche discendere con sorprendente uniformità al mare ove son troncate dai terrazzi che ci rappresentano un disturbo quaternario al persistente ed uniforme movimento di emersione. Questa località perciò si presenta particolarmente favorevole a questo studio e per la esistenza di una strada nazionale litorale, che oltre ad essere essa stessa di buon indizio facilita l’osservazione di qualunque punto della costa e per la regolarità nella distribuzione dei sedimenti e per la morfologia interna che permette di scorgere a grandi distanze i punti trigonometrici. 14 192 G. CAPEDER Oggidì uoi siamo in possesso di carte topografiche in grande scala, ove una triangolazione trigonometrica esattissima ci pone in grado di poter rilevare con precisione i cambiamenti even- tuali, anche piccoli, nella posizione relativa di singoli punti e di potere perciò apprezzare con sufficiente sicurezza la esistenza di questa componente orizzontale nei lenti movimenti recenti del suolo, anche dopo un breve periodo di anni. Non nego però che immense difficoltà non sorgano per siffatte ricerche e mi limi- terò qui di accennare che lo spostamento dei punti può farsi indipendentemente dai movimenti del suolo, semplicemente per scivolamento lento degli strati superficiali. Da cui la necessità di estendere vieppiù queste osservazioni. Ad ogni modo le numerose prove della esistenza vera di questa componente mi confortano a sostenere la mia tesi, anche perchè dessa componente mi risultò sempre diretta verso l’asse del continente alle zone di corrugamento mentre, al postutto, i lenti scivolamenti dovrebbero essere in massa diretti secondo la pendenza, al mare. Le carte adoperate molto recenti, renderebbero necessarie mi- surazioni esattissime, ma non possedendo gli strumenti adatti ad una misurazione geodetica di angoli, ho dovuto ricorrere ad espedienti diversi, coi quali se non ho potuto eseguire esatte misurazioni, ho potuto però rilevare quanto mi interessava con sufficiente evidenza. Per tener conto della componente orizzontale nei lenti movi- menti del suolo si potrà perciò: 1. ° .Rilevare la direzione dello spostamento relativo di punti trigonometrici assai lontani ed ove le terrazze antiche indicano grandi differenze di intensità nelle oscillazioni del suolo. 2. ° Precisare la direzione di tronchi di strada rettilinei o di linee ferroviarie e rilevarla sul terreno. 3. ° Studiare l’andamento delle strade antiche di litorale pa- ragonandolo colla linea di spiaggia attuale e col loro livello nei vari punti. 4. ° Studiare la direzione e la potenza dei terrazzi litorali antichi corrispondenti riferendosi all’attuale linea di spiaggia sulle coste uniformi. ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECC. 193 Ikoae della esistenza di un movimento generale di emersione SULLE SPI AGGI E AdRIATICHE. Importa, prima di intraprendere lo studio della componente orizzontale nei movimenti di emersione avvenuti, di accertare in- tanto la esistenza di una componente verticale negativa su queste coste. Le prove di antiche emersioni sono troppo evidenti perchè debbano essere prese in minuta discussione. Difatti i sedimenti pliocenici sollevati a centinaia di metri e resistenza di depositi di spiaggia probabilmente quaternari sulle attuali coste, sollevati a 50, 60, e 70 m., nonché i bellissimi terrazzi in più punti ad- dossati e la costa ora aperta, ora strapiombante, ci dimostrano il forte sollevamento avvenuto in tempi geologicamente recenti. Ma sembra che questo movimento verticale tuttora duri più o meno evidente su tutta questa costa Picena, mentre più a Nord, a Pano, Pesaro, Ravenna, Venezia e più a Sud, a Manfredonia, Gallipoli e sulle rive del lago di Lesina (*) è noto che si sareb- bero osservati movimenti verticali positivi, cioè sommersioni (2) a lato del guadagno continuo della terraferma dovuto all’azione dei fiumi. (‘) Issel A , Le oscillazioni lente del suolo. Genova, 1883. I bradi- sismi d’Italia, secondo i più recenti studi. Roma, 1896. Compendio di geologia, parte I, Torino, 1896. (2) E da notarsi però che quivi le osservazioni interessano luoghi su terreni deltoidi e che sono state fondate sul livello di antichi piani stradali o di pavimenti che ora si trovano più bassi delle acque del- l’Adriatico. Tali movimenti perciò probabilmente sono dovuti all’asset- tamento di quei depositi alluvionali. Infatti il Belloni cita l’esempio del pavimento di un teatro etrusco presso Adria che risale a 2500 anni prima del 1661, anno in cui fu scoperto. Ebbene se lungo tutto il litorale Adria- tico si fosse manifestato un movimento discendente di 15 era. per secolo come si ammette per Ravenna e Venezia, Adria ed il pavimento di quel teatro dovrebbero trovarsi sotto le acque del mare, invece essi sono a più metri sul livello delle acque in alta marea. Così pure alle Pietre Nere (Lesina) si sarebbe osservato un movimento di emersione. 194 G. CAPEDER Le prove che io adduco per indicare in questo tratto di lito- rale una recente emersione, sono le seguenti: l.° La morfologia della spiaggia, piana, sabbiosa, uniforme, più o meno estesa, limitata da una costa ora a picco, ora lavorata a terrazzi, con solchi e antiche linee di spiaggia, fig. 1. Fig. 1. — Terrazze di Pedaso e scogli con linee di erosione dimostranti la rapida emersione di questa costa. 2. ° I cordoni litorali recenti emersi e giacenti lungo tutta questa costa a più metri sul livello attuale c lontani dal lido ove 10, ove 50 e 100 metri e contenenti valve di molluschi e altri resti identici a quelli gettati anche attualmente dalle onde. 3. ° Gli scogli che or qua or là (Pedaso, fig. 1, Cupramarit- tima, Grottammare), sorgono dalle acque; alcuni di essi si trovano ora solcati da linee ad un livello cui ormai non giungono che le onde di grande tempesta. 4. ° I massi enormi gettati nel 1860 all’epoca della costru- zione della linea ferrata a livello di Pedaso, per difendere il muraglione di sostegno. Quei massi buttati cosi a caso l’uno sull’altro e solamente in questa località, dovevano essere battuti continuamente dalle onde, perchè quelli più credibili costituiti da arenarie plioceniche, portano profonde linee di erosione oriz- ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECC. 106 zontali e marmitte che si sono evidentemente formate dopo che sono stati posti a riparo del muraglione, mentre esse ora si tro- vano ad un altezza rispetto al livello del mare cui non giun- gono le più forti ondate con mare tempestoso e ad una di- stanza dalla linea delle acque ove di qualche decimetro ('), ove di qualche metro, ove di dieci e più. Su questi stessi massi si vedono strie e incisioni e marmitte non orizzontali ma oblique e perfino rivolte in basso : esse evi- dentemente si sono formate quando quei massi erano in posto come gli altri numerosi scogli che emergono dalle acque in detta località, fig. 1. Altri massi quivi ammucchiati, non presentano alcuna particolarità perchè costituiti di una grossolana ma tena- cissima puddinga. 5.° La posizione degli antichi centri Palmensi e Cuprensi, rilevataci dai ruderi e dagli abbondanti resti di cocci, anelli, armi Ile, fibule (2); che risalgono al V secolo avanti Cristo e si trovano sempre sulle colline prospicienti le ripide balze che oggi stanno sul mare. Quivi erano gli antichissimi centri di Castrum Truentinum (Civitella del Tronto), Cuprei e Fammi (Grottam- mare), Castrum Maranum (Cupra Marittima) fig. 2, Castellimi Firmanorum (Torre di Palme), Palma, Novana, Cluentum, ecc. (3). Questi antichissimi centri doveano essere città marittime ed il mare che oggi si trova anche a 60 e più metri in basso, dovea essere ben più alto nel secolo XII o XI av. Cristo, cui (') La costa di Pedaso sembra essersi fortemente sollevata nel pe- riodo di pochi mesi, perché all’epoca in cui io visitai la prima volta la località, or sono circa 10 mesi, il mare bagnava i primi massi della su citata scogliera artificiale ; ora invece una piccola spiaggia sabbiosa sta loro dinanzi. Il fenomeno deve essere attribuito sopratutto all’insab- biamento, ma parrai in questo caso che l’insabbiamento sia in dipendenza anche della emersione della costa, perché quei massi presentano alla base nelle strie le tracce della recente erosione, strie che io vidi bagnate allora dalle acque del mare. Né sarà forse fuor di luogo aggiungere che una leggera scossa sismica é stata avvertita nel marzo di quest’anno. (') Speranza G., Il Piceno dalle origini alla fine d’ogni sua autonomia sotto Augusto, 2 voi., 1900, Cardi Luigi, Ascoli Piceno, pag. 129; Co- lucci, Antichità Picene, t. Ili, 1783, Macerata. (3) Speranza G., Op. cit., 1900; Brandimarte, Plinio Seniore illu- strato, 1815, Mordacchini Carlo, Roma. 196 G. CAPEDER risalgono quei centri e cui risale la costruzione prima dei loro porti (l). Difatti si hanno traccie di antichissime strade che doveano un tempo unire Castrimi Novum con Castrimi Truentinum, Cupra e Fammi, Castrimi Maranum, Campofilonum con Firmimi pas- sando per Palma dietro al Castellimi Firmano rum, su per le col- line (2) ed ove oggi non ne sarebbe possibile la costruzione per essere ormai incisi quei colli da profondissimi burroni, mentre a quei tempi essi non doveano essere che semplici lievi ondu- lazioni del terreno. Lo Speranza (3) infatti cita il T. Cantatone, presso Grottam- mare, oggi fosso di S. Lucia, che a recente memoria dei vecchi, formava una piccola valle facile al passo, dove ora non pre- senta che un profondo burrone. Tutto ciò dimostra il rapido sol- levarsi di questa costa, perchè l’erosione dei torrenti come è noto, è in istretto rapporto col livello di sbocco. L’esistenza dell’antica strada, forse piana come oggi è la lito- ranea, che correva su quelle colline, sarebbe anche confermata da documenti antichi. Infatti presso Grottammare nella contrada di S. Paterniano al di là del fosso Cantalone, esisteva una chiesa abbattuta nel 1840 come risulta dall’Arch. municipale. Essa era stata fondata su altra più antica ed ampia, dove le carte me- dioevali ci segnano ivi esistente una Curtes di S. Paterniano (4), appartenente nel 1040 al vescovo di Fermo con le altre contrade del Castello Carrello, di Carpineto, Villa Grande, tutte colle- gate dalla antichissima strada che conduceva a Fermo. Questa strada dovette man mano essere abbandonata, a misura che i torrenti incidevano il terreno e sostituita con altra più litoranea e di più facile mantenimento. Intanto la costa Adriatica che andava via via emergendo, obbligò le popolazioni Umbre dell’antico Piceno a discendere le balze sulle- quali aveano posto lor dimora, per esercitarvi ope- razioni marinare e le obbligò a riparare artificialmente all’iu- (') Speranza G., Guida di Grottammare , p. 27, 1889, Nisi, Ripa- tran sone. (*) Speranza G., Op. cit , pag. 165 e 201, 190), voi. 1. (3) Speranza G., Op. cit, pag. 92, 1900. ( ') Speranza G., Op. cit., pag. 92, voi. I. ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECC. 197 terrimento dei porti naturali che loro offrivano quei seni di Cupra e di Palma, prima battuti dalle onde. Risale infatti pro- babilmente a prima del 1000 dell’èra volgare la costruzione di un tempio sulle balze di Grottammare (') e di un porto per opera di quelle primitive popolazioni. Il tempio che dovea essere dominante sullo scoglio, era dedi- cato alla Dea Cupra, ed oggi se ne vedono gli avanzi nell’at- tuale chiesa di S. Martino, che io però non credo edificata sul- l’antico tempio, ma nel cui interno ancora esistono fra l’altro decorazioni del secolo Vili dell’èra volgare (2), ed una lapide, che ricorda che l’imperatore Adriano rifece il tempio di Cupra colla sua munificenza. Senonchè il Lancellotti, il Catalani, il Colucci (3), vollero dimostrare che Cupra non era quivi, ma a 4 Km. al Nord in contrada Civita di Marano , ora Cuprama- rittima. Qui infatti esistono ruderi imponentissimi che ci fanno fede di una cospicua colonia obbligata a stabilirsi sull’erta roccia, certamente a ragione del mare che a quell’epoca dovea battere su quelle coste e flagellarle, come ne sono ancor oggi evidente segno le grotte, le insenature, le linee, mentre la Cupra moderna sta in basso, a livello della ferrovia. 6.° I porti antichissimi ora emersi e interrati di Cupra e di Castellimi Firmanorum. Il porto di Capra (4), dovea essere frequentatissimo nell’epoca preromana; ne fanno fede il tempio della Dea Cupra già citato e la strada antica, ora Cuprense (5) che collegava Cupra ad altri centri verso l’Appennino. C) Speranza G., Op. cit., pag. 82, voi. I (Regesto archiv. Fermano, Doc. XLVI, 1030). (2) Speranza G., Op. cit., 1900, pag. 82, voi. I. (3) Catalani, Origini ed antichità Fermane ; Colncei G., Lettere apolo- getiche in comprova dell’esistenza di Cupr amarittima nelle contrade della Civita di Marano, Macerata, 1774; lei , Cupr amarittima antica città picena, illustrata, Macerata, 1779, Chiappini e Cortesi ; Id., Cupr amarittima illu- strata, in Antichità picene, voi. Ili, 1783. (4) Mascaretti G. B., Breve memoria sull’antico molo di Grottammare, 1865, Jaffei, Ripatransone. (5) Bruti L. F , N. 335 opuscoli, Antichità picene; Memoria V, 1846, Via Cuprense ; 1837-1863, Jaffei, Ripatransone. 198 G. CAPEDER Oggi di quel porto non ne restano che pochi ruderi, perchè i moli furono in gran parte distrutti per la costruzione della ferrovia (1). (') Lo Speranza nel già citato volume II Piceno dalle origini alla fine d’ogni sua autonomia, voi. I, pag. 81, ecco come descrive i resti dell’antico porto di Cupra presso Gi’ottammare: « D’altra parte il Tesino, oltre all’essere una foce non ancora oc- cupata, presentava allora per la sua posizione topografica una superio- rità su ogni altro maggior fiume più importante dal Gargano ad An- cona come rifugio marittimo. Infatti traguardando dal mare il tratto di lido che per oltre due Km. dalla punta dell’Aso al Nord corre fino alla destra del Tesino, si ha una serie di colline più o meno repenti verso mare a formazione geologica speciale. La sommità di quelle, sotto un piccolo strato coltivabile composto di detriti calcarei, presenta fino alla base una specie di puddinga, ossia ciottoli ed arene che cementati da filtrazioni calcaree, formano un breccione più o meno compatto e duro. Questo sistema geologico evidentemente prodotto dalle alluvioni glaciali, protendendosi allora verso il mare più che ora non sia, veniva flagel- lato siffattamente dalle onde, che minando la base delle colline facevano precipitare massi e macerie e cernendone la parte più disgregabile la- sciavano intatti o nascosti a fior d’acqua quei massi, che pel conglome- rato più aderente potevano resistere all’urto come ancor oggi se ne ha esempio lungo tutto quel litorale. Particolarmente poi alla base Nord- Est del monte, ove ora sorge Grottammare, esistono ancora gli avanzi di un piccolo promontorio che va insinuandosi a guisa di segmento di cerchio per oltre un Km. fino alla foce del Tesino. Questo seno ora interrotto per frane e detriti del monte stratificati sul lido, appiè di esso, era in antico occupato dal mare, che volgendo verso l’interno alla foce sinistra del fiume per qualche altro centinaio di m. fin dove è l’attuale molino, ne formava un vasto seno attissimo a ricovero dalle tempeste. Ma ciò che a tale scopo rendeva questo fiume molto superiore agli altri si era che il promontorio sopra accennato congiungeA^asi alla base, quasi in prosecuzione, con due grandi massi l’uno vicino all’altro nella stessa direzione E. S. E. Quei massi prodottisi forse per frane posteriori alle precedenti invasioni Liguro-Polasgiche, proteggevano la difesa del seno suddescritto per altri più che 60 m.. dentro il mare, dai venti del N. E., ossia da queU’Awsfer detto da Orazio: Dux inquieti turbidus Adriae. Detti massi furon distrutti nel 1860, per la costruzione della ferrovia cui erano di ostacolo, ma fino al cadere del passato secolo (XIX) e sui primordi del presente, ancora davano ricovero a palischermi da pesca, perché il mare distante ora più che 100 ni. non aveA^a tutto ancora interrato . . .», pag. 113: « Gli Umbri certamente furono quelli che nelle vicinanze del tempio di Cupra costruirono in prosecuzione e quasi a contatto dei due grandi massi Piccuto e S. Nicola , sopra rammen- ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECC. 199 Ora, questo porto dovette essere incominciato dalle popola- zioni Umbre (*) dell’antico Piceno, ed a misura che avveniva l’ interrimento pel sollevarsi della costa, ingrandito c protratto, e ciò a cagione dell’importanza della località, della mancanza di altri porti- naturali prossimi c dell’ importanza del vicino Santuario che faceva accorrere le popolazioni deH’Appennino. Secondo il Mascaretti (2), il porto di Capra non sarebbe opera degli antichi Piceni, ma daterebbe solo dall’anno 1299 èra volg., per opera della città di Fermo e cita un documento. In tal caso questa costa sarebbe andata soggetta ad una più rapida emersione, essendo oggi i resti del molo completamente a secco ed elevati sul mare. Il porto poi del Castellimi Firmanorwn (3), si trovava ove oggi è Torre di Palma. Quivi esistono ruderi preromani e romani, che dimostrano il rapido sollevarsi di questa costa. Di questo porto, rimangono antichi resti di muraglioni, c do- cumenti, pei quali ultimi mi piace portare senz’altro la descri- zione che ne fa il Colucci (4), che ebbe a studiarli sotto ben differente aspetto da quello che io fo presentemente. «Quasi due miglia discosto dalle foci dell’Ete e più di tre dal porto di Fermo, nel territorio del castello detto Torre di Palma , lungo la strada marittima, propriamente sul lido, sor- tati (Mascaretti Giambernardino, Memoria sul sasso di 8. Nicola a mare, Ripatransone, 1863), a schermo dei venti Nordici, una scogliera artifi- ciale di grandi e piccoli blocchi dello stesso breccione o puddinga pro- pria di quei massi del monte soprastante e degli altri limitrofi. Nessuno può dubitare al solo guardarla anche oggi, dell’essere essa dovuta non alla natura, ma assolutamente all’arte, quantunque in gran parte sia rimasta interrita ed in minima parte se ne scorgano gli avanzi fuor d’acqua ». (') Anonimo Tennacriano, Memoria storica di Grottammare, 1782, Sartori, Loreto; Polidori E., Obbiezioni contro la Cup ra marittima illu- strata dallo abate Colucci , 1782. Sartori, Loreto; Id., Opposizione, 1783, Cerquetti, Osimo; Rosa Concezio, Necropoli di Grottammare, Ardi, per PAntropol., voi. Ili, 1873. (2) Memorie storiche di Grottammare, 1841, pag. 16, datici. Ripatran- sone. (3) Speranza G., Op. cit ., pag. 161, 1900; Polidori E., Obbiezioni, ecc., 1872; Colucci, Antichità Picene, 1783. O Antichità Picene, 1783. pag. 118, Macerata. 200 G. CAPEDER gono due alte colline come due scogli. Dentro a questi, che custodiscono in certa maniera l’ingresso, si apre un largo seno, ricettacolo di acque in altri tempi (') nelle quali il mare sulle lor falde colle onde batteva. Questo seno intorno intorno è difeso da alte colline, che lasciando soltanto nel mezzo un largo spazio profondo e piano, ivi riceve ai giorni nostri le acque che vi depo- sitano le circostanti colline, le quali adunate servono per uso di un molino che a capo di quel seno vedesi fabbricato. Est specus, dirò con Virgilio, exesi in latere montis, etc. Egli è poi più am- mirabile questo sito, perchè non vi ha parte all’intorno che non sia riparata dalle colline; vi saranno altri porti formati dalla natura, ma tutti non avranno una perfetta corona di monti che li difenda anche verso l’ingresso ... Il nome che oggi si dà a questo luogo è Fosso Cognòlo, perchè difatti altro non è restato elio un fosso. Or io qui dico, che fosse l’antico Navale Fermano, piuttosto che altrove. ... Io vi trovo anche dei ruderi di strut- tura antichissima, segni incontrastabili di antiche Fabbriche. Tra sì grande rivoluzione accaduta di certissimo in quel sito, appariscono nondimeno contrassegni indelebili di Fabbriche an- tiche negli avanzi di certi muraglioni che ivi si vedono. Re- stano molti passi indietro e propriamente in quella parte che sta sopra, ma contigua a quel molino a grano che sorge in mezzo di quella bassura. Veduti in lontananza sembrano rozzi macigni di pietra. Osservati per altro vicino, come lo sono stati da me veduti, che per tale effetto mi rampicai su per quel- l’erta pendice, divenuta oggi quasi inaccessibile, si vedrà che sono antichissimi muraglioni ivi fabbricati e costrutti ». (')«Nonpuò dubitarsi che il mare arrivasse entro il fosso Cognòlo. Imperocché poco gli é distante (oggi invece ne dista 500 m. circa) e con mia sorpresa osservai che ora rimangono in secco alcuni pietroni poco lungi dal detto. Nella state più volte mi vi sono bagnato e non mi azzardava andar loro dietro perché vi era un uomo di acqua. Sono stato assicurato da chi ha fatto l’osservazione che il mare quasi in ogni anno per un palmo si ritira nella spiaggia di Torre di Palma. Di ciò poi ci convincono quelle lunghe liti sostenute dalla Comune di detto Ca- stello colla città di Fermo che voleva impadronirsi dei derelitti del maro. Si cessò di litigare l’anno 1782 e si fece uno Strumento di concordia fra lo due comunità ». ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECO. 20 1 Dice poscia che nelle carte del Secolo XVI si nota a quel luogo un Porto col nome di Cognòlo. Ed infine conclude : «Nè per le sole carte geografiche noi sappiamo che ivi in altri tempi vi fosse un porto. Vi è anche la tradizione costante e l’opinione universale nei marinai di quel litorale, i quali asseriscono co- stantemente che ivi fosse un porto e che sito più proprio non si poteva desiderare nei tempi che il mare occupando lido mag- giore ('), veniva tutto a comprenderlo, penetrandolo nell’ interno suo seno » . Il Brandimarte (2) nota quivi: «una corona di grossi Archi (non citati dal Colucci), a somiglianza di quelli che servono di condotto alle acque. Restavano pochi passi lungi dal fosso Co- gnòlo e sotto il colle che avrebbe formato il Corno settentrio- nale dell’Ostio. Nell’anno 1806 ve ne trovai cinque e benché fossero la maggior parte sotto terra, pure sporgevano al di fuori per l’altezza di dieci palmi. Dai ruderi osservai che questi suc- cessivamente giungevano fino al fosso ed un contadino mi disse che alcuni erano stati da lui demoliti con le mine, perche non aveva potuto in altra maniera atterrarli e che aveva avuto or- dine dal padrone di gettarli tutti a terra, volendo servirsi di tal materiale per fare le mura di un giardino. Infatti vi ritornai nel 1807 e non ve li ritrovai e senza alcun utile si distrug- gono i monumenti antichi pei giardini». Io invece porterò l’attenzione sopra un’antica torre romana, costruita forse a servizio del porto quivi esistente e che ora colla sua posizione attesta che il mare da quell’epoca rapida- mente si ritirò. Essa torre sta oggi al limite estremo di una ripida balza, incisa sotto da profonde grotte e linee di spiaggia. Ora è evi- dente che quella torre non potè essere costruita in quella critica posizione, così da recar meraviglia come oggi si trovi ancora a sfidare le ingiurie del tempo poiché è scalzata dalla parte del mare sino alle fondamenta. Evidentemente il mare più alto a (') « Non solamente la tradizione é universale nei marinai di tutto il litorale della Marca Fermana, ma ancora degli abitanti dei paesi col- locati nei Mediterranei. Il fosso Cognòlo presentemente chiamasi in Al- talena col vocabolo di Porto Cognòlo e cosi in Lapedona ». (2) Plinio Seniore , ecc., Op. cit., 1815, pag. 153. 202 G. CAPEDER quell’epoca, batteva sulle rocce che formano la base della torre e scavò quelle profonde conche, poi andò via via ritirandosi, ed oggi noi ne vediamo le vestigia ancor palesi. Che poi il porto di Cognòlo fosse il Castellimi Firmanorum ci è dimostrato da molti altri fatti che non è qui luogo di ac- cennare, solo dirò che questo porto sembra sia stato posseduto dalla colonia Romana condotta a Fermo, sin dall’anno 488 di Roma (1). 7. ° La posizione dell’antica chiesa di S. Maria a Mare. Essa fu fondata nel 1188 ed il Brandimarte (s) dice (1815) che si trova alle foci dell’ Ete, piccolo torrente delle Marche, ad V3 di miglio dalle rive dell’Adriatico e ad un miglio dal Porto di Fermo. Oggi tale chiesa è invece più lontana dal mare per lo meno del doppio. E vero che questa non sarebbe una buona prova di una emersione perchè l’interrimento può essere indipendente dal movimento verticale, però occorre aggiungere che l’ Ete è corso d’acqua di poco conto e che l’apparente estendersi della spiaggia si debba a vera emersione piuttosto che all’accumularsi di materiali alluvionali. Il Catalani poi (3) ed altri, parlando anche delle origini di Porto S. Giorgio o Castel S. Giorgio , dicono che forse questo era il Castrimi Firmanum , ma non si hanno documenti; ad ogni modo la tradizione ne deriva l’origine da capanne di pe- scatori costruite sulle falde del colle che domina la località e che dovevano essere a quell’epoca bagnate dalle acque del mare; anche ciò conferma l’emersione quivi avvenuta. 8. ° La natura geologica delle rocce che formano letto ai tor- renti e ai fiumi. Ora queste rocce non sono punto formate da alluvioni come dovrebbe essere se la costa si sommergesse (4) ma da arenarie e 0) Brandimarte Fr. Antonio, Plinio Seniore illustrato nella descri- zione del Piceno, Roma, 1815, pag. 159 e seg. (2) Plinio Seniore, ecc., 1815, pag. 223 e seg. 0) Catalani, Orìgini ed antichità Fermane ; Mecclii Filippo, La fon- dazione dell’antico Navale di Fermo, 1884, Sgariglia, Foligno. 0) Il prof. Issel nel recente lavoro su Torriglia, Boll. Soc. Geol. 1 1 ., 1906, voi. XXV, p. 7, in nota, cita un fatto fin qui ignorato e che con- ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECC. 203 sabbie plioceniche; esse presentano bellissime sezioni sul fianco di tutti i torrenti al loro sbocco e perfino emergono dall’alveo ove sono meno credibili. Presso la foce di qualche torrentaccio anche si vedono emergere dalle onde scogli di sabbie cementate del pliocene, mentre le alluvioni antiche solo stanno a coprire molto in alto i fianchi di quasi tutte le valli. 11 letto scavato nella roccia in posto a foce e la conseguente piccola potenza dei delta, dimostrano la energica emersione di queste coste. 9.° La linea seguita dalla strada nazionale litorale Aprutina. Avrò più tardi da richiamare l’attenzione sul tronco di strada che corre fra Torre di Palme e la Pompejana di Fermo; frat- tanto ora la sua direzione dimostra all’evidenza l’energico movi- mento di emersione effettuatosi in questo punto dalla costruzione di questa antica strada romana ('). Essa corre piana e retta, ma presso Torre di Palme piega verso l’ interno, alzandosi alquanto nel suo livello, per poi ab- bassarsi di nuovo e diventare retta e parallela al precedente tronco. Una estesa spiaggia di 1 Km. si trova attualmente in corrispondenza di questo rapido incurvarsi della strada. Chi portandosi oggidì nella località si faccia a considerare questa curva, non potrà a meno di esprimere meraviglia e di doman- darsi il perchè di quella curva verso l’interno e di quella sa- lita, quando sarebbe stato più facile, anche dal lato della co- struzione, di continuare in retta con tanto spazio, da Torre di Palme a Porto S. Giorgio e non di addossare la strada al ri- pido declivio di una collina, come del resto è delle altre strade costruite in seguito su questa spiaggia, per uso di alcune fra- zioni del comune di Porto S. Giorgio e per la linea ferrata. La ragione sta secondo me nel fatto che quando si è costruita l’antica strada, il mare forse giungeva sino al piede delle rupi di Torre di Palme e la strada forse allora era diritta e piana e seguiva il litorale. Ma poi per effetto di movimenti di emer- ferma la sommersione cui tuttora sono soggette le coste del golfo di Genova: «i depositi allindali del Bisagno e della Polcevera a piccolo numero di Km. a monte della foce giacciono colla loro base al di sotto del livello marino ». (') Bernabei, Boll. Ist. Archeól., Gennaio, 1888. 204 G. CAPEDER sione che sembrano essersi verificati più intensi in detta loca- lità, come ne farebbero fede gli antichi terrazzi, la strada fu per questo tratto maggiormente sollevata sino a 23 m., piegata verso l’interno e allontanata dal lido di 1 Km. per l’accuniularsi dei cordoni litorali, mentre sopra e sotto essa non dista che di 30 o 40 m. dal lido mantenendosi alla quota di 6 metri. Giova ri- cordare che in questo tratto di litorale non danno a mare che insignificanti corsi d’acqua. 10.° L’attuale testimonianza di vecchi del paese di Porto S. Giorgio, che non ammettono dubbi sul lento ritirarsi del mare da questa spiaggia. Prove della esistenza di una componente orizzontale NEL MOVIMENTO DI EMERSIONE DELLA SPIAGGIA ADRIATICA. Queste prove, come già dissi, io le ho rilevate cercando di darmi ragione della diversa apparenza dei terrazzi da un punto all’altro della costa e poi dallo spostamento di certi punti verso il continente rispetto ad altri che relativamente si sono mossi di meno. Supponiamo che una costa a pendìo uniforme sia sollecitata da un movimento di emersione nel quale coesistano due com- ponenti: l’una verticale dal basso all’alto, l’altra orizzontale di- retta alle zone di corrugamento, e che questo movimento risul- tante non abbia dappertutto lo stesso valore, o la medesima direzione perchè non hanno la stessa intensità le due compo- nenti. Se il movimento di emersione non ha dappertutto lo stesso valore, nella zona limite fra le due regioni nelle quali detto movimento si esplica con diversa intensità, noi potremo evi- dentemente meglio che altrove rilevare l’esistenza delle due componenti in una differenza di livello nei terrazzi crouologi- camente equivalenti per la componente verticale, ed in uno spostamento di essi verso il continente per la componente oriz- zontale. Cosi clic questi terrazzi dovranno necessariamente nei 205 ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECC. limiti fra dette zone, assumere una caratteristica apparenza a ventaglio coi rami convergenti diretti al mare e verso il punto di minore intensità del movimento, ove pure si dovranno con- fondere e sovrapporre. Attraverso a questo ventaglio dovrà farsi dunque il passaggio dalle zone a rapido e intenso movimento a quelle di sollevamento assai più lento e queste dovranno pure essere precedute da una spiaggia limitata, mentre quelle da una spiaggia assai più estesa e piana. È evidente poi che nelle zone / w a rapido sollevamento i terrazzi più interni dovranno essere al- tresì più alti sul mare come più antichi e maggiormente spinti e sollevati, i più esterni più bassi come più giovani, mentre nei punti di convergenza dei terrazzi essi dovranno ridursi non solo di numero e di potenza, ma altresì di quota come appartenenti a zone di sollevamento lento e però meno spinti; essi potranno anche ridursi in numero perfino ad uno solo ove il movimento sarà lentissimo, ed il loro gradino dovrà in tal caso acquistare notevolmente di potenza avendo la forza erosiva del mare avuto tempo di quivi esplicare più a lungo la sua azione: esso avrà poi l’età degli altri presi complessivamente convergendovi l’ori- gine cosi come vi convergono le loro direzioni. Il gradino di quest’unico terrazzo sarà sovente strapiombante sul mare, il suo profilo sarà angoloso, si troverà inciso a più livelli da profondi solchi, grotte e cavità che vi rappresentano altrettante soste più prolungate, a differenza grande dei terrazzi numerosi invece delle vicine regioni a relativamente rapida emersione, ove essi spaziando larghissima parte si dovranno presentare a dolci curve e a spia- nate regolari e divisi da gradini poco potenti. Se il movimento di emersione si esplica invece che con di- versa intensità, con una diversa inclinazione nelle varie zone e ciò generalmente per ragioni persistenti interiori, allora in quella zona nella quale prevarrà nel movimento di emersione la com- ponente verticale i terrazzi dovranno farsi numerosi e spingersi assai alti, mentre nell’altra zona nella quale prevale la compo- nente orizzontale i terrazzi dovranno confondersi in uno solo e così mentre la spiaggia dovrà estendersi e farsi piana ove pre- vale la componente verticale, dovrà ridursi a causa della ener- gica erosione del mare ove prevale la orizzontale, ed il pas- saggio dall’una all’altra zona si farà ancora attraverso al già 20G G CAPEDER accennato ventaglio di terrazzi. Si avranno dunque gli stessi risultati di prima, per cui una stessa morfologia essendo pro- dotta da cause diverse, come dalla diversa intensità del movi- mento di emersione da zona a zona, o dalla diversa incli- nazione di esso movimento, è probabile che alla spiegazione completa della attuale ubicazione dei terrazzi debbano essere considerate entrambe le cause, così come si debbono entrambe considerare a mio parere, pei movimenti attuali. Anche la linea dell’attuale spiaggia che è diritta ed uni- forme può indicare se il movimento di emersione si è al caso operato solamente in senso verticale o non piuttosto secondo la risultante con una componente orizzontale. Infatti se esistesse la sola componente verticale, la linea di spiaggia dovrebbe farsi convessa e maggiormente estendersi in corrispondenza delle zone di maggior sollevamento e diventare concava nelle altre; se in- vece sembra che in dette zone essa linea ben poco risenta dei movimenti del suolo ciò deve significare che tale movimento è obliquo all’orizzonte, poiché in questo solo caso essa può man- tenersi pressoché invariata nonostante notevoli spostamenti di masse. Ma é naturale che abbiano invece a risentire di tali movimenti le direzioni dei terrazzi rispetto alla linea di spiaggia, le quali direzioni non potranno mantenersi ad essa paralleli; c questo fatto secondo me é un’altra buona prova che dimostra la direzione obliqua nel movimento di emersione; l’esistenza cioè di due componenti. Su questa costa infatti erta, unita ed inconseguente, frap- posta ('), noi potremo osservare una linea ininterrotta di ter- razzi e di gradini, ma questa linea è tutt’altro che formata di terrazzi regolarmente distribuiti, poiché essi ora si allontanano dal mare divergendo e suddividendosi, ora si avvicinano e si fondono in uno solo. Così a Porto S. Elpidio si osserva un solo terrazzo di circa 70 m. di potenza; da questo paese fra il Tenna e Torre di Palme i terrazzi invece si fanno meno potenti ma numerosi, allontanandosi dal mare per spingersi nell’interno sino a raggiungere al M. Capodarco l’altezza di più che 150 ni.; poi ritornano a convergere e a fondersi in un solo gradino da (') I)c Marchi, Trattato di, geografia fisica, pag. 494. ) ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECC. 207 Torre di Palme fino a Pedaso: gradino potente più elle 100 m. e che si fa in molti luoghi perfino strapiombante sul mare e lascia solo una spiaggia ristretta di pochi metri. Esso si vede inciso a più livelli da solchi e grotte e tronca così il lento de- clivio delle colline plioceniche che quivi sembrano prendere ori- gine e che limontano con una linea continua ed ininterrotta verso P Appennino senza l’accenno ad ogni altro più piccolo ter- razzo. Oltre Pedaso i terrazzi coi rispettivi gradini tornano ad insinuarsi verso l’interno, sollevandosi d’assai e prendendo il pro- filo di una curva dolcemente sinuosa. La spiaggia di rimpetto si allarga e non è più possibile di osservarvi nettamente l’ori- gine delle colline plioceniche dai terrazzi litorali, perchè essi anzi si spingono nell’interno fino alla notevole altezza di 400 m. (Montefiore dell’Aso) e alla grande distanza di 5 Km. dal mare. A Gupramarittima tornano gli sparsi terrazzi a convergere ed a fondersi in un solo gradino assai potente, per darci più oltre le magnifiche balze di Grottammare. Questa particolare morfologia dei terrazzi e dei gradini e la loro direzione non -ha alcun rapporto coll’attuale linea di spiaggia che come è noto, decorre quivi quasi secondo una linea retta non interrotta da seni o sporgenze, prescindendo natural- mente dalle trascurabili formazioni deltoidi positive. È evidente perciò che per conciliare tutti questi fatti oc- corra ammettere una emersione di diversa intensità nelle di- verse zone o di diversa inclinazione, e sempre tale che essa abbia a compiersi non già secondo la verticale, ma più o meno obliquamente. Perche è chiaro che se questo movimento fosse avvenuto secondo la sola direzione della verticale, non questo potrebbe essere l’andamento dei terrazzi nè della spiaggia bassa e sabbiosa, perchè i terrazzi dovrebbero in ogni caso essere pa- ralleli ad essa linea, la quale pure dovrebbe risentirne dai mo- vimenti verticali. Nei limiti poi di una regione a rapido con una a lento movimento il passaggio dovrebbe compiersi in senso inverso a quello che si osserva, e cioè con terrazzi divergenti verso quella zona ma spostati verso mare, per la maggiore emersione di quel tratto di costa ed il conseguente inoltrarsi della linea di spiaggia che così dovrebbe coi terrazzi farsi con- vessa. Invece qui, come ho detto, la spiaggia è diritta, anzi in 15 208 G. CAPEDER qualche ponto perfino leggermente concava in corrispondenza ■ dei luoghi che hanno subito un maggiore sollevamento ed i ter- razzi ora sono paralleli e vicini ad essa spiaggia, ora si inol- trano invece verso terra descrivendo ampie curve che rivolgono la loro concavità al mare. Solamente dunque supponendo che il movimento di emer- sione di questa costa avvenga parallelamente al piano di im- mersione delle rocce è possibile di spiegare una cotale stabilità della linea di spiaggia, dirimpetto alla straordinaria irregolarità nella direzione e nel numero dei terrazzi, perchè solamente così è compatibile, col movimento che si compie or più or meno in- tenso, or più or meno inclinato all’orizzonte, la coesistenza di una spiaggia diritta con un solo gradino strapiombante sul mare potente anche 100 in., o con una serie numerosa di terrazze ad anfiteatro che si spingono assai alte e lontane e formano ampie curve appoggiandosi e fondendosi alle estremità col precedente ed unico gradino litorale. Ma per conoscere la vera direzione ed il valore assoluto di questo movimento è evidente che bisognerebbe potersi riferire ad un punto fisso; ciò ho già detto che è solo possibile in certi limiti per una componente, la verticale ritenendo il livello del mare invariabile, mentre per l’altra componente la orizzontale, ho pur detto ed è chiaro che solamente si potrà averne un in- dizio della esistenza, mancando per essa sempre qualsiasi punto stabile di paragone. * * * Dimostrata cosi l’esistenza di una componente orizzontale nei movimenti antichi di emersione di questa costa, si presenta na- turale ora il desiderio di conoscere se anche attualmente avven- gano spostamenti orizzontali di masse: come s’è visto ne avven- gono attualmente di verticali. Per ciò io non ho trovato mezzo migliore che quello di stu- diare sotto tale punto di vista l’andamento delle antiche strade di litorale o di tronchi rettilinei di linee ferroviarie c la posi- zione relativa di punti trigonometrici. ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECC. 209 Ho portato poco prima l’attenzione sopra quel tronco di strada nazionale che corre fra Torre di Palme e Porto S. Giorgio, per dimostrare il recente sollevamento specialmente di questa parte della costa. Quelle medesime osservazioni possono ora es- sere anche tratte per dimostrare che il movimento di emersione non si è operato solamente secondo la verticale, ma secondo una risultante con la componente orizzontale. Infatti, come si è veduto, in questo tratto non solo il piano stradale va sol- levandosi senza ragione alcuna dalla quota di m. 23 per tor- nare a ridiscendere a m. 6 costeggiando i terrazzi che in questo punto si internano e mantenendovisi parallela, ma va pure al- lontanandosi dal mare tino alla distanza di 1 Km., facendosi concava, mentre la spiaggia quivi si fa leggermente convessa. Ho già fatto rimarcare che non è possibile darsi ragione di detta curva con allungamento del percorso, quando oggi sarebbe più facile e meno dispendioso di continuarla diritta come è della linea ferrata, se non supponendo uno spostamento maggiore di questo tronco di strada in senso verticale, con che il suo livello avrebbe ora raggiunta la massima quota di m. 23 ed in senso orizzontale, con che essa ora si vede curvata e spostata verso l’interno. Anche in altri punti l’andamento di questa antica strada indica col suo decorso attuale uno spostamento nei due sensi verticale ed orizzontale dalla primitiva posizione. Ma è difficile poter stabilire ovunque con sicurezza a quale delle due compo- nenti si debba una tale irregolarità, specialmente anche a ca- gione delle molteplici altre cause che possono col volgere degli anni portare perturbazione nel livello e nella direzione delle antiche strade. Piuttosto riesce di maggiore sicurezza il rilievo dei punti trigonometrici. Questo lavoro dovrebbe essere fatto con l uso di un teodolite o di altro strumento di precisione che io, come già dissi, non solo non posseggo ma non sono neppure nella possi- bilità di avere in qualsiasi modo, essendo confinato in una me schinissima residenza. Ad altri dunque più di me fortunato un cotale studio accurato. Siccome però è della massima importanza l’osservare se non altro la esistenza di uno spostamento orizzontale di punti la di cui 210 G. CAPEDER posizione fu già determinata con precisione da una supposta esatta triangolazione, ho pensato come eseguire detta verifica- zione senza l’uso di alcun strumento geodetico. È noto quanto risalti evidente fra tre punti di uno stesso piano verticale, un qualsiasi minimo spostamento laterale di uno di essi, quando disponendoci sopra un estremo, o su quello di mezzo, o su qualunque altro punto del piano, ci facciamo ad osservare opportunamente gli altri, anche se essi non fossero tutti precisamente su una stessa orizzontale giacente nel piano. Ma è chiaro che, se facilmente riusciremo così a rilevare il movimento di uno dei punti, non saremo poi però in grado di dire quale dei tre si sia spostato, nè in qual verso, occorren- dovi per ciò l’osservazione di almeno quattro punti disposti sullo stesso piano verticale, o misure di angoli fra i quattro punti se essi non fossero nello stesso piano. La difficoltà però di trovare sulle carte quattro punti trigonometrici che sieno sullo stesso piano e l’impossibilità di scorgerli generalmente sul ter- reno per avere essi quasi sempre quote ben diverse e incom- patibili con la visuale rispetto alla loro relativa distanza, ha fatto sì che io abbia dovuto accontentarmi nella maggior parte dei casi di soli tre punti. Anzi in certe zone essendo più inte- ressante lo studio, perchè i terrazzi antichi mi indicavano ener- gici movimenti, ho dovuto anche accontentarmi di soli due punti trigonometrici, clic io mirava disponendomi in quella località sul terreno, dalla quale la carta topografica indicava passare al piano verticale dei due punti scelti e procurando tuttavia la maggior vicinanza possibile ad un punto trigonometrico, per rendere minori gli eventuali errori di rilievo nelle carte topo- grafiche e di ritrovamento sul terreno. Le carte adoperate procuratemi dal chiamo prof. Paroma e che qui sentitamente ringrazio, sono al 50000, rilevate dall’I- stituto Geografico Militare d’Italia nel 1894. Sono passati perciò solamente 12 anni dalla pubblicazione della carta, ma è pro- babile che la triangolazione risalga a parecchi anni innanzi. Comunque sia, io ho quasi sempre rilevato una lieve e qualche volta una notevole discordanza fra la posizione dei punti trigo- nometrici sulla carta e sul terreno, specialmente (piando la linea di mira era parallela e prossima alla attuale linea di spiaggia ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECC. 211 ed invece una discordanza minore e qualche volta una buona coincidenza quando la linea di mira ne era perpendicolare, o pur essendo parallela era molto lontana dalla spiaggia. Per rendere poi evidente ogni più piccolo spostamento e minori gli errori, ho procurato di scegliere i tre punti visi- bili fra loro, i più lontani e di mirare da quello che maggior- mente distava dagli altri due, onde fossero ingranditi gli spo- stamenti. Tale metodo mi si è dimostrato di una grande sen- sibilità, precisione e semplicità per la determinazione di ogni anche minimo movimento orizzontale di punti e però a mio pa- rere ottimo, per rilevare l’esistenza e anche in certo qual modo l’ intensità relativa nelle varie direzioni della componente oriz- zontale nei movimenti del suolo. Anche con l’uso di strumenti, io consiglierei perciò di valersi sempre, per questo studio, di segnali trigonometrici disposti in fila sullo stesso piano verticale. Anzi nei nuovi rilievi sarebbe deside- rabile che fossero indicate sulle carte e sul terreno in varie dire- zioni, ma specialmente presso le coste, serie di punti trigonome- trici visibili fra loro e disposti sullo stesso piano verticale, dei quali fossero altresì segnate con esattezza le rispettive quote. Al- lora sarà veramente possibile anche dopo pochi anni, uno studio più profondo ed esatto dei movimenti orizzontali relativi del suolo, perchè non vi sarà alcun dubbio sulla esattezza delle indicazioni nelle carte, e sarà permessa di conseguenza una buona conoscenza della direzione vera nella quale avvengono le lente oscillazioni. Questa opportuna scelta dei punti trigonometrici e la cura di ri- portarli con esattezza sulle carte, mentre gioverebbe assai alla scienza, sarebbe altresì di una insignificante spesa, quando essi fossero compresi fra quelli della generale triangolazione. Non mi resta ora che di riportare le osservazioni eseguite, per la qual cosa mi varrò, per rendere più breve e più chiara la espo- sizione, di un quadro e di una piccola carta. Sul quadro compaiono i segnali trigonometrici interessati e le loro rispettive quote nonché relative distanze. Il nome del punto di mira seguito dal segno A, significa che esso è pure punto trigonometrico, altrimenti esso è un punto opportunamente scelto per il quale passa il piano verti- cale determinato dai due segnali trigonometrici presi di mira e la di cui posizione ho sempre indicata nella cartina. Su questo quadro Punto di mira c5 O ) della così detta crosta terrestre, mentre una oscillazione verticale dei con- tinenti, oltreché un disturbo profondo nell’equilibrio, come s’é visto, dovrebbe interessare anche gli strati profondi i quali, nonostante la loro altissima temperatura, é dimostrato che sono costituiti da rocce tutte solide, poiché in nessuno dei loro strati esse possono raggiungere la temperatura di fusione rispondente alla pressione ivi dominante. E perciò esse devono essere dotate di molta rigidità, il che sarebbe in contrapposto colla grande mobilità relativa invece, dimostrataci dalle pieghe delle roccie sedimentarie che formano la parte più esteriore del nostro globo. I movimenti orogenetici di conseguenza debbono essere affatto indipendenti dalle interne condizioni fìsiche. Però é noto che quasi ogni epoca della storia della terra sia contrassegnata da una notevole trasgressione e per con- seguenza dalla mancanza in generale della sedimentazione, che lascia una lacuna fra i depositi marini di due epoche. È pure noto, che corrispondendo in generale le trasgressioni alla repentina comparsa o scomparsa di nuovi esseri o a loro pro- fonde modificazioni, si sono scelte opportunamente queste lacune quali limiti per segnare i confini della età dei diversi terreni. Orbene se, ferma l’idea della persistenza delle aree continen- tali, non fosse avvenuto che il solo e semplice movimento delle masse sedimentarie alle zone di corrugamento, noi oggi dovremo evidentemente trovare una certa continuità nel fenomeno della avvenuta sedimentazione e non lacune; inoltre le trasgressioni non potrebbero dimostrarci quelle oscillazioni, né avere quel valore, nè interessare rocce di età così diversa come in realtà si osserva. Se poi si considera quell’altro fatto con cui le tra- sgressioni sembra abbiano in ogni epoca avuto più o meno una importanza generale, e che i vari periodi del corrugamento oro- genico sembra abbiano interessato tutto il globo, viene spon- tanea l’idea che se esse trasgressioni non ebbero per le ragioni (’) Suess Ed., L’aspetto della terra, traci. P. E. Vinassa de Rcgny, 1894-1897, Pisa, pag. 104; « Gilbert, ritiene per l’America occidentale che il movimento verticale abbia un’origine più profonda e l’orizzontale ne abbia una più superficiale ». 220 G. CAPEDER prima esposte, l’estensione (piale noi oggi saremmo dall’ampiezza dei depositi indotti ad attribuire, esse nonostante realmente avven- nero, ma furono probabilmente dovute ad oscillazioni del livello del mare. Mentre se dovessimo ammettere oscillazioni verticali dei continenti, dovremmo dire che l’ampiezza delle trasgressioni è andata sempre diminuendo nelle successive epoche geologiche, perchè ora troviamo generalmente i depositi addossati regolar- mente e come embricati a partire dai più antichi che formano quasi il nucleo delle masse montuose. Per cui, senza voler ne- gare che i nuclei continentali non possano veramente compiere a periodi oscillazioni verticali limitate, pure questo fatto del- l’addossarsi dei depositi ad un nucleo di rocce primitive ci sembrerebbe in questo caso molto strano, anche pei conside- revoli movimenti clic ad essi dovremmo attribuire, mentre al contrario tutto ciò apparirebbe invece una conseguenza neces- saria quando per spiegarlo ammettessimo col Suess per ogni reale trasgressione una reale ma limitata variazione del livello del mare. Allora le singole trasgressioni potrebbero anche aver avuto eguale valore approssimativo, ma poiché i sedimenti anche più antichi c profondi, sono continuamente spinti dalle forze tangenziali alle zone di corrugamento, essi avrebbero potuto portare oltre i limiti della trasgressione i superiori più recenti, i quali a lor volta sollevandosi e piegandosi avrebbero assunto quella speciale morfologia e disposizione embricata che ora ge- neralmente si osserva in qualunque zona orogenica. Per qual ragione infatti il mare che già potè invadere tutto un conti- nente sembra aver rispettato certe zone a quota magari più bassa e aver perduto poi terreno ad ogni nuova invasione? Benché i continenti, giusta l’asserzione del Dana, si siano accresciuti per addizioni successive ai loro margini con zone di corrugamento di più in più recenti, ciò non vuol dire che essi siano andati acquistando notevolmente in superficie dalle prime epoche alla nostra, perchè, come già dissi, ne verrebbero alterate quelle leggi di equilibrio fra le masse continentali ed ocea- niche; mentre le montagne, le stesse fosse oceaniche, le tra- sgressioni, sono fenomeni al tutto superficiali e dipendenti perciò da forze la cui origine deve essere pure al tutto superficiale ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECO. 221 essendo essi completamente trascurabili rispetto al volume totale della terra. È vero che l’ipotesi della oscillazione, anche fra discreti li- miti del livello del mare, non è libera da difficoltà, special- mente per poter spiegare le cause di detta variazione, però, ferma sempre l’idea della persistenza dei nuclei continentali, essa variazione facilmente potrebbe avere origine da un corni- A gamento superficiale dei fondi oceanici per effetto delle masse sedimentarie, corrugamento che per la teoria isostatica propa- gandosi poi attraverso ai sedimenti verso le masse continentali, sarebbe sufficiente per spiegare in limiti discreti le oscillazioni del livello dei mari, causa delle trasgressioni. Un sollevamento del livello dei mari non implicherebbe neanche una trasgres- sione generale su tutto il globo, perchè essendo altresì come abbiamo visto, i sedimenti or più or meno sollecitati alle zone di piegamento, essi ne risentirebbero di tale variazione in grado assai diverso da un luogo ad un altro. Dunque i bradisismi sono dovuti a reali movimenti delle terre, ma anche il livello del mare è probabile che contemporaneamente sia soggetto ad oscillazioni che forse sono dovute, come ho detto, in parte a variazioni della capacità dei bacini oceanici, indotte da movi- menti orogenetici nei sedimenti sommersi. Tutti questi movimenti tangenziali rispetto alla superfìcie terrestre, andrebbero negli strati trasmettendosi e propagandosi in un modo assai simile a quello che avviene nella massa dei ghiacciai, per cui ogni particella vi partecipa scivolando la sua parte su quelle sottoposte, così che la velocità massima la si ritroverebbe negli strati superiori ed essa andrebbe lentamente morendo nei profondi. Ciò sarebbe anche confermato dalla os- servazione delle rocce nelle zone a piegamento, ove le antiche e più profonde si trovano intensamente piegate ed a ridosso si vedono altre pieghe più recenti o sedimenti più giovani che costituiscono fascio o zone concentriche, pur essendo ogni ter- reno in generale più piegato verso l’esterno della formazione, come si osserva, ad es. per l’Appennino, della creta e del trias rispetto all’eoeene, al miocene, al pliocene, i quali ultimi ap- 222 G. CAPEDER pena corrugati, coprono coll’uniforme loro manto gli altri sedi - menti più antichi. Essendo le pieghe in una stessa zona assai più pronunciate negli strati superficiali che nei profondi sembra che la spinta via via col sovrapporsi di nuovi sedimenti cessi di interessare gli strati profondi già piegati, che vengono cosi a comportarsi come pilastri solidi e vada invece spostandosi ai più recenti e super- ficiali che si addossano a quelli in altre pieghe. Questa forza ci apparisce in tal modo evidentemente ancora : di origine affatto esteriore, diretta dalle aree della sedimentazione alle aree di denudazione ed indipendente dalle condizioni interiori del nostro globo e forse anche indipendente dalla invocata contrazione del nucleo. Anche la distribuzione irregolare e capricciosa di alcuni sedi- menti, le enormi differenze di quota cui ora essi si trovano, sono altrettanti fatti che ritrovano una naturale spiegazione in questa modalità di movimento degli strati sedimentari. Così la morfo- logia delle colline plioceniche Marchigiane che raggiungono una grande altezza a pochi chilometri dal mare (Fermo 319 m., Mon- terubbiauo 463, Montefiore 411, Ripatransone 494) per abbassarsi notevolmente più oltre verso l’Appennino, (Magliano 287, Pon- zano 248, Montottone 277, M. Rinaldo 486), dimostra che questa disposizione a bacino, è dovuta alle spinte tangenziali dirette al continente, la cui azione superficiale maggiormente si sarebbe esplicata sugli strati più vicini che non sui lontani, come av- viene quando sospingendo un tappeto esso si solleva maggior- mente ove c applicata la spinta. L’esistenza di una componente orizzontale nei movimenti del suolo dà inoltre modo di porgere una spiegazione più naturale della formazione dei terrazzi litorali. Riesce infatti per lo meno strano, che un movimento verticale del suolo abbia a compiersi con quella intermittenza necessaria alla solita spiegazione dei terrazzi. Una unica forza invece presiede ai movimenti del suolo c la sua azione è continuamente efficace e diretta, come abbiamo visto, alle zone di piegamento. Però questa spinta, benché forse anche soggetta a lunghe intermittenze, trasmettendosi attraverso a sedimenti più o meno flessibili dovrà propagarsi irregolarmente, ora prendendo di essa la prevalenza una componente verticale ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECC. 223 con che gli strati si sollevano, ora una componente orizzontale con clie essi si avanzano alle zone di piegamento. Egli è dunque evidente che la forza erosiva del mare dovrà intaccare a più gradini una costa soggetta ad un tale movimento di emersione, che in fin dei conti si risolve in un movimento oscillatorio. I terrazzi perciò verranno a corrispondere ai periodi durante i ■quali prevalse nel movimento di emersione la componente ver- ticale, i gradini ai periodi durante i quali prevalse la compo- nente orizzontale; la mancanza di terrazzi sopra una costa emersa, ci potrà invece indicare la persistenza per un tempo assai lungo di regolari movimenti secondo una direzione determinata. Se poi le oscillazioni di una costa hanno grande valore è evidente che, senza implicare il generale movimento delle masse alle zone di piegamento, potremo spiegare anche le sommersioni, poiché in un dato momento la spinta orogenetica potrà risol- verei in una componente verticale con che si avrà un generale sollevamento, per poi propagarsi oltre quel movimento, nel qual caso si avrà un relativo generale abbassamento. Per cui anche alcune sommersioni verrebbero così ad essere una modalità della propagazione del movimento orogenetico ed avrebbero poca im- portanza relativa. Ad ogni modo però, volendo ammettere un raffreddamento progressivo della terra, è evidente, che anche e specialmente ad altre cause dovremo attribuire la maggior parte degli sprofondamenti, delle fratture e> forse anche di alcune di- slocazioni e dovremo senz’altro per esse concludere col Suess, che un sollevamento assoluto dei continenti non si verifica in nes- sun punto della terra, ma che, per effetto della contrazione del globo, tutti i punti della superficie terrestre debbono tendere ad abbassarsi, salvo nelle zone di piegamento. Tutte le emersioni os- servate allora, non sarebbero dovute a reale sollevamento del con- 7 » .... finente, ma al solo movimento degli strati superficiali portati obliquamente dalle forze orogenetiche, a compensare il discarico prodotto sulle aree emerse dalle forze esogene. Cercherò di meglio dimostrare questi miei concetti di oroge- nesi un’altra volta ; frattanto ora non voglio mancare di fare rilevare la spiccato parallelismo che si osserva, in particolare per le nostre coste Adriatiche, fra la spiaggia attuale, le linee 16 224 G. CAPEDER del corrugamento Appennino e le linee di eguale anomalia di gravità (1). Queste ultime sono particolarmente istruttive perchè dimo- strano come è distribuita la materia sotto ai continenti e sotto ai bacini marini od alle depressioni e dimostrano come le masse si mantengano in equilibrio a dispetto della irregolare morfo- logia esterna, del corrugamento orogenico e dei bradisismi. In- fatti la penisola montuosa manifesta un difetto di gravità, mentre il bacino Adriatico un eccesso di gravità, per cui avendo gli strati subacquei un’attrazione maggiore per la maggiore densità delle parti interne, ne viene più che compensata l’attrazione molto minore esercitata dallo strato d’acqua, donde altresi una spinta diretta dal mare al continente, alla quale certamente devesi la direzione del corrugamento orogenico e l’oscillazione delle spiaggie. Interessanti a questo proposito sono anche le linee isana- basi che il De Geer tracciò per la Scandinavia nell’ Europa e pel Labrador nell’America del Nord; le quali linee, che passano per i punti che hanno subito nel quaternario eguale solleva- mento, si dimostrano spiccatamente parallele fra loro ed al mag- giore asse delle due penisole. Ma esse non hanno alcun rap- porto colla linea litorale attuale, dimostrando così che i solle- vamenti non interessano tutto il blocco continentale, ma hanno origine nelle sole rocce sedimentarie sommerse. Infatti la linea di costa attuale taglia irregolarmente le isanabasi, così come potrebbe essere pel litorale Adriatico, per cui essa sembra nei vari tratti sollecitata da movimenti di emersione diversissimi. Ora, se (questi movimenti di emersione si fossero compiuti solo in senso verticale, noi dovremmo osservarvi una maggiore coin- cidenza fra l’andamento del litorale e delle isanabasi, men- tre una cotale morfologia e specialmente l' inclinazione dei ter- razzi, che seguono linee ascendenti verso l’interno indicando quivi un sollevamento maggiore, solo si può spiegare colla sup- posizione che anche quei movimenti si compiano tangenzial- mente, per cui quelle coste non vengono a risentirne il menomo effetto e solo esse si vedono oggi plasmate dalle forze esogene (l) De Marchi, Trattato di geografìa fìsica, pag. 44. ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECO. 225 modificatrici della linea costiera. E ciò a dimostrare che la mo- dalità studiata nel fenomeno emersivo di queste coste Picene, deve avere una importanza generale. La esistenza di una componente orizzontale nei movimenti del suolo ci può dare anche ragione di parecchi altri fatti se non altro strani e che cioè il ritirarsi della linea di costa e il conseguente avanzarsi del mare, non sempre possono essere prova di una sommersione; poiché se in un movimento di emersione la componente orizzontale ha grande valore sulla verticale e la costa è facilmente erodibile, può sembrare che essa si sommerga, mentre in realtà il movimento vero è precisamente contrario e così non sempre ove la spiaggia si avanza ed il mare sembra ritirarsi havvi emersione, specialmente se l’osservazione viene fatta presso lo sbocco di grandi fiumi o su terreni deltoidi in generale. Infine, poiché non è possibile disgiungere il movimento di emersione che interessa lunghi tratti di litorale dal movimento capace di piegare gli strati e sollevare le montagne, è evi- dente che le linee delle emersioni dovranno avere un certo qual parallelismo colle zone orogeniche recenti, dimostrandosi così ancora unica la causa dei due fenomeni. Ciò appare evidente 226 G. CAPEDER dalla cartina qui annessa, fig. 3, sulla quale ho segnato i prin- cipali caratteri delle zone costiere che ci possono interessare. A compilarla mi souo valso delle opere del Suess, del Fuchs, del Sacco, del De Marchi, dell’Hugues, del Mercalli (J), ecc. Ebbene non può mancare di riuscire sorprendente la coincidenza, che non può essere fortuita, fra le linee delle emersioni, le linee del recente corrugamento, le linee vulcaniche, le linee sismiche, le linee di eguale continentalità e le sommersioni, i massicci antichi, la mancanza di vulcani e di zone sismiche, la esistenza di fratture e di bacini di sprofondamento. Infatti, i paesi costieri dell’O. Pacifico sono tutti in via di emersione, perchè limitati de zone orogeniche recenti secondo una linea pressoché continua e con una cintura tutta quanta vulcanica. Fanno eccezione due sole aree ristrette: Callao nel Sud America, che si sommerge per cause affatto locali e la costa meridionale della Cina, che per altro non è zona di re- cente corrugamento. Così lungo la Cordigliera delle Ande sulle coste della Patagonia, del Chili, della Bolivia, dell’Equador, della N. Granata, del Guatemala si hanno prove indiscutibili (2) di energiche emersioni ; lo stesso lungo le Rocciose, Sierra Madre, Sierra Nevada, Alpi dell’Alaska, sulle coste del Messico, della California (3) di Vancouver, dell’Alaska, delle isole Aleutine. Nell’Asia il Camsciatka, le Curili, le I. Giapponesi, la Corea, le coste settentrionali della Cina, la Manciuria, l’Arcipelago In- diano, Giava, Sumatra, la Nuova Guinea, sono tutte zone oro- geniche recenti ed aree altresì di esteso ed energico solleva- mento. Così la costa meridionale dell’Australia, la Tasmania, la N. Zelanda. questa coincidenza non cessa di verificarsi anche per le altre zone orogeniche recenti, come risulta dalla cartina an- (') Suess E., L’aspetto della terra, 1894-97, trad. P. E. Vinassa de Regny, Pisa; Fuchs Iv., Les volcans et les treinblements de terre , Paris, 1878; Sacco F., Essai sur VOrogénie de la Terre, 1895; Id., Les lois fonda- mentales de VOrogénie de la Terre, Turili, 1906; De Marchi, Trattato di Geografia Fisica ; Hugues L., Corso di Geografia Fisica, 1882; Mer- calli G., I vulcani attivi della terra, Hoepli, Milano, 1907. (!) Wagner H , Das bolivianische Litoral, Geogr. Mittheil., 1876; Reiss, Sinken die Anden? Verhandl. Geogr. Soc., Berlin, voi. VII. (3) Geographische Mittheiluugen, 1876. ESISTENZA DI UNA COMPONENTE ORIZZONTALE, ECC. 227 liessa. Infatti la linea del recente corrugamento della N. Si- beria O è pure una linea di estesa emersione. Così pure quella del Mediterraneo coll’Atlante nel Marocco, nell’Algeria, nella Tripolitania ; così le emersioni delle coste meridionali della Spagna, delle occidentali della Sicilia e della Calabria (2), delle orientali delle Marche nell’Italia, delle occidentali dell’ Anatolia, del Kurdestan, della Siria, della Cilicia (3), dell’Asia Minore, le coste del M. Nero, ecc. Esistono poi qua e Là sollevamenti che sembrano avere rap- porto anche con le zone antiche di corrugamento e che ci ac- cennano quasi ad un risveglio postglaciale delle forze orogene- tiche, come quelli delle coste orientali dell’ America nel La- brador, nonché delle coste occidentali della Groenlandia (4), delle orientali del Giappone, Corea, India, M. Eosso, Australia e Ma- dagascar e nell’Europa della Scandinavia, Finlandia e Scozia. Le sommersioni invece sembrano interessare più specialmente le coste che formano limite ai massicci antichi, come si può osservare per le coste occidentali Americane ove prevalgono le sommersioni, notandosi la sola eccezione del già citato Labrador che però è zona di corrugamento antico e di una ristretta area, lungo la foce del Eio de La Piata e tra Pio de Janeiro e Eio Grande do Sul. Anzi questa emersione sarebbe assai dubbia, perchè le osservazioni furono fatte esclusivamente sulle così dette Sambaquis (5), che sono accumulazioni di conchiglie, ora lontane dal mare, resti di pasti di popoli primitivi molto simili ai Kjolckcn-mòddings delle isole danesi. (') Hugues A. E., Nordenskiòld e le spedizioni polari svedesi dal 1858 al 1879. (2) Issel A., Le oscillazioni del suolo o Bradisismi, 1883, Genova; Id., J bradisismi d’Italia secondo i più recenti studi , 1896, Roma; Id., Compendio di Geologia , Torino, 1896; Mercalli G., Le lente oscillazioni del suolo; De Lorenzo G., Studi di Geol. nell' App. Meridionale, Mem. R. Acc. Napoli, 1896. (3) Favre et Mandrot, Voyage eri Cilicie, Boll. Soc. Géog., Paris, 1878. (4) Hngues A. E., Nordenskiòld e le spedizioni polari svedesi dal 1858 al 1879. (5) G. S. de Capanema, Die Sambaquis oder MuschelMgel Brasilien r Geographische Mittheilungen, 1874. 228 G. CAPEDER Così si sommerge il limite costiero dell’antico massiccio Africano, la Siria, l’Egitto nel Mediterraneo, il massiccio In- diano, gran parte del Massiccio Caledoniano dell’Europa (’), il Massiccio della Groenlandia fino alla lat. di 73°, ove su- bentra verso Nord una emersione, ma in corrispondenza delle zone antiche di corrugamento. Non è dunque possibile non rimarcare questa impressionante concordanza delle emersioni colle linee del l’ultima corrugazione orogenica e delle sommersioni coi massicci antichi e stabilire come conseguenza che le emersioni che interessano estese linee costiere, si debbono a quelle medesime forze tangenziali che danno origine al corrugamento orogenico e ne sono l’esplica- zione, per cui esse non ci rappresentano che una componente del vero movimento diretto alle zone di corrugamento, compo- nente che sola è facilmente rilevabile per poter essere riferita ad un livello equabilmente variabile ed universale qual’è il li- vello del mare, mentre le sommersioni si debbono in gran parte, al lento sprofondarsi, che dobbiamo ritenere continuo e generale di tutte le rocce che costituiscono la crosta esteriore della terra per la sua lenta contrazione; abbassamento che naturalmente solo dev’essere ben manifesto e più spiccato sulle aree conti- nentali ed ove non siano zone di corrugamento che potrebbero, a volte, quando si rendano attive, per la constatata intermit- tenza delle forze orogenetiche, elidere, mascherare o rendere al tutto spiccatamente negativo un cotale movimento positivo. Per cui panni giustificata e dimostrata l’asserzione che: il movimento di gran lunga predominante alla superficie e sidle linee costiere delle zone orogeniche recenti di tutta la terra sia un apparente, perchè relativo, movimento di emersione quasi mai verticale , e che: il movimento predominante sidle linee co- stiere dei massicci antichi , sia invece un movimento di sommer- sione, assoluto, verticale, positivo. [ma. pres. il 7 maggio 1907 - ult. bozze 17 settembre 1907]. (') Gerard, Soulèvement et depressioni f sur les cdtes de la France, Boll. Soc. Géog., Paris, 1875; Kloden, Petermanu’s Mittlieilungen, 1871; De- lesse, Les oscillations des cdtes de France, Bull. Soc. Géog., Paris, 1879; Reclus, La terre. SULLE GLACIAZIONI QUATERNARIE Nota del prof. G. B. Cacciamali È noto coinè il Penck abbia constatato che durante il qua- ternario si avrebbero avute quattro epoche glaciali, e come egli abbia di conseguenza, ed anche per altre considerazioni, divisi i tempi quaternari nel modo seguente: Postglaciale: fase di foresta. Glaciale Wurmiano: fase di tundra. Interglaciale post-Rissiano : fase di steppa (nuovo loess) — fase di foresta. Glaciale Rissiano: fase di tundra. Interglaciale post-Mindeliano : fase di steppa (antico loess) fase di foresta. Glaciale Mindeliano : fase di tundra. Interglaciale post-Gunziano. Glaciale Galiziano. Giova aggiungere altresì come i gliiacciamenti Mindeliano (2. ) e Rissiano (3.°) sarebbero stati più importanti del Gunziano (l.°) e del Wurmiano (4.°); il Mindeliano poi più del Rissiano, ed anche l’interglaciale post-Mindeliano più lungo dell intergla- ciale post-Rissiano. Allo scopo di riscontrare le testimonianze di detti quattro ghiacciamene nell’anfiteatro morenico sellino, ho compiute, du- rante le ferie scolastiche dello scorso anno, numerose esplora- zioni in questa regione, dove si trova, come si sa, una gran cerchia morenica (principale) con molte cerehie minori, delle quali alcune interne ed altre esterne rispetto alla principale. Ora, e da fatti morfografici, come il profilo delle colline mo- reniche, e da fatti petrografici, come il grado di alterazione 230 G. B. CACCIAMALI delle morene stesse, mi risultò che le cerehie interne, la prin- cipale e le esterne debbono rispettivamente spettare a tre ghiac- ciamenti distinti ; e di più riscontrai qua e là alcune traccie di altro ghiacciamento più antico. Restavano così stabilite nella regione sebina quattro epoche glaciali ; risultandomi in oltre che la l.a e la 4.u di queste vi debbono esser state meno im- portanti delle altre due, e la 3.a meno importante della 2.a, non. esitai più a stabilire la seguente identificazione : Gunziane le scarse traccie d’un ghiacciamento più antico. Mindeliane le cerehie esterne appiattite e potentemente fer- rettizzate e conglomerate. Rissiana la cerehia principale, più spiccata e con minore ferrettizzazione e conglomerazione. Wurmiane le piccole cerehie interne, fresche e non ferret- ti zzate nò conglomerate. Potei inoltre determinare, sotto forma di depositi lacustri (argille cinerine o giallognole con strato superficiale nerastra di alterazione), un interglaciale Mindel-Rissiano ed un intergla- ciale Riss-Wurmiano; mi riuscì di stabilire ancora che la mas- sima parte dei terrazzi e delle alluvioni della plaga va riferita al nominato Riss-Wurmiano od interglaciale 3.°; e mi si mani- festò infine con evidenza che unico lago con unico emissario non dovette esservi che nel post-glaciale, mentre durante gli inter- glaciali dovettero esservi due bacini distinti, rispettivamente con sbocco all’Oglio ed all’anfiteatro. I)i tutti questi risultati dava relazione, sul principio del corrente anno, e in una nota preventiva comunicata al R. Isti- tuto Lombardo, e in una memoria letta all’Ateneo di Brescia. Senonchè, ritornando più tardi sull’esame dei fatti da me os- servati nella regione sebina, mi si presentarono alla mente nuove evidenti corrispondenze di alcuni di questi con altri altrove con- statati dal Penck; e sono appunto tali ulteriori mie considera- zioni che formano oggetto precipuo della presente nota. Il Penck aveva dunque potuto seguire, in tutti i particolari r le avanzate ed i ritiri, le oscillazioni e le soste dei ghiacciai nel Wurmiano e nel post-Wurmiano; ed aveva anche potuta stabilire, per ognuna di tali fasi, nonché per l’interglaciale SULLE GLACIAZIONI QUATERNARIE 231 post-Rissiano e pel glaciale Rissiano, l’altezza del livello delle nevi, come dallo specchietto seguente: Fase attuale altezza nevi 2600 m. Sosta di Dauu » 2300 » Sosta di Gschnitz » 2000 » Avanzata di Buelil (quasi una 5.a epoca glaciale) » 1600 » Oscillazione di Achen » 1900 » Glaciale 4.° o Wurmiano (2.a fase) .... » 1400 » Oscillazione di Laufen » 1600 » Glaciale 4.° o Wurmiano (l.a fase) ...» 1400 » Interglaciale 3.° o Ri ss- Wurmiano .... » 3000 » Glaciale 3.° o Rissiano » 1300 » Ed io aveva potuto individuare nell’anfiteatro sellino nove cerehie moreniche del 4.° ghiacciamento. riunibili in quattro evidentissimi gruppi: le indicava con numeri progressivi se- condo il loro ordine topografico, cominciando cioè da quella che si appoggia sull’orlo interno della cerchia principale o Rissiana e che costituisce il l.° gruppo, venendo poi alle quattro di Bor- gonato o del 2.° gruppo, indi alle due di Timoline o del 3.° gruppo, e finendo colle due che costeggiano il lago e che formano il 4° gruppo. Ma ciò che non rilevai allora e che mi interessa far notare ora è questo: l.° Che il grado di freschezza di tali morene non va insensibilmente aumentando dalla l.a alla 9.a cerchia, come accadrebbe se la successione topografica di queste corri- spondesse a successione cronologica; abbiamo invece due soli gradi di freschezza e tra loro nettamente distinti, cioè: morene relativamente meno fresche (primi tre gruppi di cerehie), e mo- rene freschissime (quarto gruppo); ciò dinota tra quelle del primo grado e quelle del secondo una più considerevole di- stanza di tempo. — 2.° Che le cerehie del terzo gruppo sono di tutte le più demolite, tanto che più a stento si possono ri- costrurre; e ciò fa sospettare sieno state, dopo la loro deposi- zione, attraversate ed oltrepassate dal ghiacciaio avanzante. Orbene, tali nuove constatazioni mi conducono a ricostruire la cronologia delle nostre nove cerehie del 4.° ghiacciamento 232 G. B. CACCIAMALI col seguente succedersi di fasi, che appieno concordano con quelle stabilite dal Penck pel Wurmiano e post-Wurmiano d’Ol- tr’Alpe, ed alle quali non si può esitare di identificarle: nella \À/'vtA iv CAÓ icukT 1IÌ i r\d eti< CriCW-tvOivio M C'ìOX ©vCO sua prima fase il ghiacciaio Wurmiano si sarebbe spinto fin contro la cerchia Rissiana, lasciandovi le morene che diremo di Torbiato; poi avrebbe indietreggiato (oscillazione di Laufen), costruendo le cerehie di Timoline; si sarebbe indi spinto di nuovo in avanti, lasciando le cerehie di Borgonato; in una grande successiva ritirata (oscillazione di Achen) la sua fronte non doveva giungere nella plaga dell’attuale anfiteatro; ma SULLE GLACIAZIONI QUATERNARIE 233 dopo, per nuova ripresa (avanzata di Buelil), deve aver nuo- vamente raggiunta detta plaga, costruendovi le due cerehie che diremo lacuali; quanto infine alle successive soste di Gschnitz e di Dami, le traccie moreniche di queste dovranno ricercarsi a nord del lago nella V. Camonica. * * * A complemento di tali nuove mie considerazioni panni non inutile dare uno sguardo riassuntivo generale sulla periodicità de’ fenomeni quaternari, e fare un tentativo di cronologia as- soluta, basandola su alcuni particolari dei tempi Wurmiani. Delle alternative, ormai dimostrate, fra clima oceanico e con- tinentale, clima caldo, dolce, subartico ed artico, fase di foresta, di steppa e di tundra, ecc., con relative migrazioni faunistiche bisogna tener stretto conto nello studio del quaternario : ecco per esempio VElephas antiquus ed il Rìdnoceros Merlai, propri del clima caldo della foresta deirinterglaciale 2.°, eclissarsi poi, e ritornare col clima dolce della foresta dell’interglaciale 3.°; ecco VE. primigenius ed il Ti. thyeorliinus, propri del clima artico del glaciale Rissiano, scomparire poi, e ripresentarsi nel gla- ciale Wurmiano; ed ecco il cervo e la renna (prima rispetti- vamente associati ai pachidermi nudi ed a quelli villosi, e poi da soli) alternarsi e caratterizzare gli alterni stadi climatici. Quanto all’uomo, abbiamo dall’interglaciale 2.° all’intergla- ciale 3.° il dolicocefalo Homo necmderthalensis ed il brachi- cefalo H. Krapinensis; a questi due si sovrappone nell’inter- glaciale 3.° il dolicocefalo H. eurafricanus (Sergi); nel Wur- miano le prime due forme sono estinte ; e nel postglaciale molto avanzato, alla terza (già ditfereuziatasi nelle due varietà medi- terranea e baltica ), se ne associa una quarta, il brachicefalo H. eurasicus (Sergi) od H. Alpinus. Le note età archeologiche del Mortillet avrebbero poi le seguenti tipiche corrispondenze: colla fase di foresta del 2. in- terglaciale la Chelleana — colla fase di tundra del Rissiano la Musteriana — colla fase di steppa del 3." interglaciale la Solu- t roana — colla avanzata glaciale, di Buehl la Maddaleniana e col postglaciale la Turassiana, la Neolitica e la Metallica. 234 G. B. CACCIAMALI Se non può esser troppo facile rintracciare tutti i partico- lari dei periodi interglaciali, tanto che ci possiamo contentare delle due loro fasi generali caratteristiche, di foresta prima, e di steppa poi, riesce invece in maggior numero di casi relativa- mente meglio la ricostruzione d’ogni anche lieve mutamento nei tempi che seguono l’ultimo periodo glaciale, con possibilità quindi anche di tentare dei calcoli sulla durata assoluta dei vari loro stadi. Ecco ad esempio la stazione preistorica di Schweizerbild, la quale coi suoi 4 metri di depositi ci mostra le più minute particolarità del quaternario recente, e cioè: dapprima ghiaje alluvionali riferibili alla fase di Aclien, poi strati con fauna di tundra artica (avanzata di Buehl) e di steppa subartica, e con oggetti maddaleniani, indi strati con fauna di transizione tra la steppa e la foresta e con oggetti turassiani, ed infine strati con fauna di foresta e con oggetti neolitici, ed humus con fauna domestica attuale; tutto ciò secondo le determina- zioni di Ntiesch e di Nehring, mentre il Penck non ammette- rebbe la steppa e farebbe salire la tundra a tutto il Maddale- niano e scendere la foresta a tutto il Turassiano. Comunque, secondo i calcoli del Niiesch, il minimo tempo trascorso dalla fine del Maddaleniano nello Schweizerbild sa- rebbe di 16 mila anni e la durata del Maddaleniano di 8 mila; dobbiamo aggiungere almeno 10 mila anni per l’oscillazione di Aclien, e 16 mila per la seconda avanzata Wurmiana, l’oscil- lazione di Laufen e la prima avanzata Wurmiana : totale 50 mila anni. Ed ammettendo questa cifra per post-Wurmiano e Wur- miano, dobbiamo ammettere almeno 60 mila per post-Rissiano e Rissiano, 80 mila per post-Mindeliano e Mindeliano, e 50 mila per post-Gunziano e Galiziano: totale 240 mila anni, cifra che coincide esattamente con quella adottata dal Mortillet per la durata complessiva dell’èra quaternaria, alla quale il Lubbock e l’Heim attribuirebbero invece soltanto 100 mila anni. [ras. pres. il 10 luglio 1907 - ult. bozze 3 ottobre 1907]. DELLA UTILIZZAZIONE DEI LAGHI E DEI PIANI LACUSTRI DI ALTA MONTAGNA PER SOPPERIRE ALLE MAGRE DEI NOSTRI FIUMI Nota del prof. Torquato Taramelli Sono a centinaia nelle nostre montagne i laghetti alpini; nell’alto Appennino del pari numerosi e talora non meno pit- toreschi che nelle Alpi. Più numerosi ancora sono quei pianori, lunghi talora oltre un chilometro, che rappresentano dei laghi, in parte ricolmati dall’interrimento, spesso preistorico, in parte prosciugati per la incisione operata dell’emissario, sia nelle mo- rene, sia nelle frane e talora nella roccia in posto, facienti ar- gine allo scomparso allagamento. Ora che l’industria prova una sete inestinguibile e gli inge- gneri scrutano con occhio sagace ogni valle per procurare a quella sete sempre più abbondante provviste di forza motrice, spesso avviene che, a calcoli fatti, la costruzione di una diga in muratura, sufficientemente robusta e di tale altezza da trat- tenere la quantità d’acqua bastevole per le magre, si presenti troppo costosa ; oppure non se ne preveda abbastanza sicura la impostazione sul fondo ed ai lati. In parecchi casi ebbi a la- mentare l’abbandono di progetti, che mi erano parsi plausibili; in qualche caso, per imprevisti accidenti, che forse un’accurata osservazione del geologo avrebbe potuto sospettare, robustissime e colossali dighe in muratura vennero frustrate da dispersioni e fughe subalvee. Pei quali casi mi venni sempre più persua- dendo che si dovesse pensare, per la chiusa dei laghi o pianori alpini, a dighe in terra piuttosto che in muratura. In una recente gita nella Valle Fontana, confluente nell’Adda sulla destra, presso a Chiaro, ad est di Sondrio, dove si vorrebbe riconvertire in lago un pianoro presso a 1500 m. per trarne note- 236 T. TARAMELLI vole sviluppo di energia elettrica, mi posi a pensare con qualche maggiore attenzione all’importante problema e fui condotto ad un’idea, che sottopongo ai tecnici assai sommessamente; potendo essere che fossi prevenuto o che in pratica si prevedessero dif- ficoltà, che io non abbia considerate. Di solito, accostandoci a quei laghetti o piani lacustri, ai piedi del rilievo che ha causato il lago esistente o scomparso, vedonsi zampillare delle sorgenti. Se il lago fu completamente interrato, si trovano bensì una o più sorgenti al limite a valle del piano che lo ha sostituito ; ma, a dimostrare clic non tutta l’acqua montana rinasce a quelle sorgenti, dalla diga naturale, formata di morene o di frane o da talus di deiezione laterali, si scorge sempre che l’acqua travena; talora persino la roccia in posto non è sufficiente ad impedire tali dispersioni. Aumen- tando con una diga la profondità del lago o tentando di rico- struirlo, a questa perdita di acqua non si ripara; anzi per la pressione creata od aumentata tale perdita inevitabilmente si accresce. Ne segue che dovrebbe tornare molto utile un dre- naggio della barriera naturale e del piano lacuale, anche nel caso e specialmente nel caso che una diga ricreasse il lago o ne aumentasse l’altezza, se esso tuttora esiste. Consideriamo separatamente i due casi, della creazione del lago e dell’ampliamento del lago esistente; però vedremo che in realtà i due casi si riducono ad uno solo. Dovendosi in una valle montana ridurre a lago un piano, che pel passato fu allagato, a me pare che convenga imitare la natura, la quale non si è accontentata di sbarrare in vario modo le valli, ma ne ha in molti casi approfondato quei tratti che per tale sbarramento si ridussero a lago, sia colla forza delle acque cadenti, sia colla erosione esercitata sul fondo dagli scomparsi ghiacciai. Conviene pertanto scavare il piano lacustre al suo limite a valle, anche allo scopo di ottenerne per dre- naggio quanta più acqua esso possa dare, imbevuto come è dalle filtrazioni a monte e sui lati; ed interrare altresì con profonda incisione o con una galleria l’ostacolo naturale, per drenare pur questo, preparando lo scaricatore del futuro lago, che con- verrà sempre scaricare dal fondo, sia per utilizzarne tutto il volume, sia per poterlo periodicamente spurgare. Evidentemente, LAGHI E PIANI LACUSTRI DI ALTA MONTAGNA 237 il più naturale impiego del materiale scavato sarà la costruzione di una diga in terra, in corrispondenza della quale la scavata trincea si convertirà in galleria, quando già non si fosse con galleria attraversata la diga naturale, sostegno della diga arti- ficiale costruita per completarne o ritornarne l’ufficio. Precisa- mente, il materiale fino, fangoso, scavato dal piano lacustre servirà a costruire la porzione a monte della diga in terra, ren- dendola così meno permeabile; mentre che le deiezioni grosso- lane e quanto si può raccogliere di detrito a breve distanza, e lo sterro della trincea e della galleria già praticata, servi- ranno a costruirne la porzione a valle. Sulle proporzioni della diga in terra non sarà il caso di attenersi ad un minimo; poiché vi sarà sempre un’enorme economia in confronto colla costru- zione di una diga in muratura di altezza equivalente. Essendosi provvisto al drenaggio della diga naturale sottostante o che serve di appoggio a valle alla diga in terra, le eventuali dispersioni di questa diga saranno del pari raccolte. Se il lavoro sarà fatto accuratamente, queste dispersioni attraverso la diga in terra sa- ranno scarse ed in ogni caso si potranno raccogliere e convo- gliare allo scaricatore, che parte dal fondo del lago. La forma e la posizione delle paratoie, le particolarità della diga in terra, l’estensione da assegnarsi allo scavo del fondo lacuale, la posizione dello sfioratore, la direzione, posizione e pendenza della galleria, saranno convenientemente studiate caso per caso; ma come concetto generale, mi sembra che si possa accettare l’idea di creare o dirò meglio di ricreare il lago, in parte scavandone il fondo per usufruire il fango escavato a co- struire la diga in terra, che deve completare la chiusura del bacino. Nel caso che si debba con una diga in terra aumentare la capacità di un lago montano già esistente, se si intende utiliz- zarne tutto il volume con una galleria che parta dal fondo di esso, evidentemente occorre anzitutto di vuotarlo con un sifone o con una profonda trincea nella diga naturale e siamo presso a poco ricondotti nel caso precedente. Anche in questo caso con- verrà profittare della fanghiglia del lago, temporaneamente vuo- tato, per costruire la porzione meno permeabile della diga, e sarà tanto volume guadagnato per il lago da ampliarsi. Se non 238 T. TARAMELLI erro, la costruzione delle dighe in terra, combinata colla riesca- vazione del bacino a monte della diga e col drenaggio dell’osta- colo naturale, al quale la diga si appoggia, porge la migliore soluzione del problema, che ora si impone, di risparmiare le acque di piena per le epoche di magra, a vantaggio dell’industria e dell’agricoltura nazionale. A proteggere poi questi bacini lacustri, dall’arte ricreati od ampliati, converrà inoltre arrestare le deiezioni a monte con robuste traverse e combattere la franosità dei versanti coll’esten- dere e conservare le foreste, aumentando al tempo stesso questo capitale sicuro, che matura il suo frutto alla luce del sole nella solenne e tacita tranquillità alpina. Un paese, che conserva i suoi boschi e le sue acque, è davvero conscio dei suoi più vitali interessi e dà prova di sagacia e di previdenza. Gli esempi non mancano; qualche vantaggio già si ottenne, specie nella Valtel- lina anche per iniziativa del Club Alpino e conviene non stan- carsi di ripeterlo, vincendo la tema di essere tacciati di vana querimonia. Nè le foreste arresteranno le piene straordinarie, nè i laghi artificialmente creati od ampliati toglieranno del tutto il danno delle magre eccezionali ; ma è fuori di dubbio che i serbatoi saranno tanto più a lungo proficui quanto meglio le foreste saranno preservate ed estese. I provvedimenti fore- stali sono cosi strettamente congiunti colle opere di idraulica e di edilizia da richiedere il più oculato e pertinace proposito, nelle pubbliche amministrazioni, di promuovere gli uni e le altre di conserva; acciò non avvenga che mancando gli uni, il van- taggio delle opere stesse sia scarso e passeggero. [ms. pres. il 7 settembre 1907 - ult. bozze 19 ottobre 1907]. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO NELLA REPUBLICA DI S. MARINO Memoria del dott. Bindo Nelli (Tav. Vili, IX e X) Molti geologi si sono occupati della formazione calcarea del Monte Titano e più e diverse opinioni sono state espresse intorno all’età di esso in base a studi stratigrafici e paleontologici, qualche volta non completi o in parte errati. Nel Museo di Paleontologia degli Studi Superiori di Firenze esisteva da gran tempo la collezione dei fossili del Monte Titano, raccolti dal compianto Manzoni e da esso in parte studiati ed illustrati e poi riesaminati in parte dal Fuchs, per cui, posta a mia disposizione dal prof. De Stefani tale collezione, mi sono accinto a questo lavoro paleontologico, che avviai man mano dal 1904. Della formazione calcarea del Monte Titano si è occupato in questi ultimi anni specialmente il prof. Capellini (1901) ('), il quale ci offre una estesa bibliografia sulla regione, dimodoché volendo fare un po’ di storia dei diversi geologi che in ordine di tempo hanno avuto occasione direttamente o indirettamente di studiarla, procurerò dire solo quanto è assolutamente indi- spensabile e di esser breve quanto più mi sarà possibile. Il primo che si occupò di questa formazione calcarea fu il Passeri nel 1753 (2) e nel 1775 (3) con una monografia, che (*) (*) 1901. Capellini G., Balenottera miocenica del Monte Titano, Re- puhlica di S. Marino (Mena, letta alla R. Acc. d. Se. dell’Ist. di Bologna nella sess. del 24 marzo 1904, pag. 25). (2) 1753. Passeri, Della storia dei fossili dell’agro pesarese e d’altri luoghi vicini. (3) 1775, Bologna. Passeri, idem (Discorsi 6 del sig. abate Giambat- tista Passeri da Pesaro, ecc.). 17 240 B. NELLI è una ripetizione della prima, ma alquanto ampliata; in en- trambi dà qualche notizia sulla costituzione litologica di questo calcare. Nel 1814 G. Brocchi (*) considera tale formazione come subappennina ed avrebbe, erroneamente dice: « per base quella marna turchina che è il materiale di quasi tutte le colline conchigliacee della Romagna e della Toscana». Molti anni dopo, nel 1851, G. Scarabelli Gommi Flamini (2), dopo l’esame di pochi fossili conclude esattamente che: « l’are- naria di S. Marino debba essere un membro della formazione miocenica ». Egli aggiunse allora al suo lavoro una carta geo- logica della regione. Il prof. Capellini in due pubblicazioni del 1868 (3) e 1869 (4) faceva cenno a quelle scogliere a briozoi del Monte Titano e delle altre simili nella valle della Marecchia, da lui vedute. Nel 1870 Scarabelli (5) riunisce il calcare di S. Marino al calcare nummulitico, attribuendolo meno esattamente all’eocene. Nel 1873 A. Manzoni (6) in un suo lavoro paleontologico e stratigrafico sul Monte Titano, dopo l’esame della lunga serie di fossili, da me ora studiata, conclude per ritenere la forma- zione di questo monte come appartenente al Miocene inf. ed all’Eocene slip. Dopo di lui nel 1874 Th. Fuchs (7), confrontando gli strati terziarii di Malta con quelli corrispondenti del Monte Titano, Dego, Carcare e Beiforte, dice che questo piano corrisponde al O 1814. Brocchi, Conch. foss. subap. con osservai, geoì. sugli Ap- pennini e sul suolo adiacente, voi. I, pag. 58, 75. Milano, Stainp. reale. (2) 1851. Scarabelli, Studi geologici sul territorio della licp. di S. Ma- rino, fatti nel 1848 (p. 10). (3) 1868. Capellini. Giacimenti petroleiferi di Valacchia e loro rap- porti coi terr. terz. dell’ Italia centrale (Mem. dell’Acc. d. Se. di Bologna, serie 2a, tomo IX, pag. 36, 37). (4) 1869. Capellini, Cenni geol. sulle valli dell’Ufita, del Calore e del Ccrvaro (Mem dell’Acc. d. Se. di Bologna, serie 2", tomo IX, pag. 19). (5) 1870. Scarabelli, Guida del geologo viaggiatore. (6) 1873. Manzoni A, Il Monte Titano (Territorio d. Rep. di S. Ma- rino), i suoi fossili, la sua età ed il suo modo d’origine (Boll. R. Coni, geol. d’Italia, n° 1 e 2, pag. 5). (7) 1874. Fuchs, L’età degli strati terziarii di Malta (Estr. dai Rend. dell’I. Acc. d. Se., voi. LXX, parte la, pag. 373. Vienna, giugno 1874). IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 241 Bormidiano, equivalente alla più antica molassa marina (oligo- cene) di Svizzera e Baviera, alTarenaria a Pectunculi dei geo- logi ungheresi e probabilmente anche agli strati di Lotzka (Aqui- taniano di Mayer). Ancora il Fuchs nello stesso anno (1874) (*), visitando il Museo di Bologna e vista la stessa nostra raccolta dei fossili del Monte Titano, fatta dal Manzoni dice che « quel deposito singolare gli sembra un equivalente dei terreni di Schio e dell’Aquitaniano delTEuropa centrale ». Lo stesso geologo un anno appresso, nel 1875 (2), ritiene gli strati del Monte Titano corrispondenti alle formazioni terziarie di Dego, Carcare, Beiforte (Bormidiano di Sismonda), agli strati di Schio nel Vicentino, cioè ancora al miocene inf. Nel 1876 il Capellini (3) dice che « il calcare a cellepora che costituisce il monte di S. Marino e le rupi di Uffogliano, Scorticata ed altre parecchie della valle della Marecchia, uni- tamente alle marne sabbiose e molasse giallastre, che si trovano subordinate o associate, costituiscono il piano elvezianodi Mayer», determinando per ciò esattamente questi calcari, che egli poi paragona con quello di Leitha presso Vienna. Nel 1878 ancora il Capellini (4) considera, incidentalmente, nello stesso modo il calcare di S. Marino. Nel 1880 Scarabelli (5), rettificando quanto aveva detto prima sul calcare di S. Marino, accettando le idee del Manzoni, ret- tificate dal Fuchs, lo pone nel miocene inf. (') 1874. Fuchs, Relazione d’un viaggio geologico in Italia del dot- tore Th. Fuclis (Estr. d. Verhandl. d. k. k. geolog. Reichsanstalt, n° 9, 1874, Wien) (nel Boll. d. R. Com. geol. d’Italia, voi. V, n° 7 e 8, pag. 226. Appelius per la traduzione). (2) 1875. Fuchs, I membri della formazione terz. nel versante seti, dell’ Appennino fra Ancona e Bologna (Estr. d. Rend. dell’Acc. di Scienze di Vienna, fase, di febbraio) (nel Boll. d. R. Com. geol. d'Italia, voi. VI, pag. 245. Traduzione di A. Manzoni). (3) 1876. Capellini, Sui terreni terziari di una parte del versante sett. dell’ Appennino (Estr. dalla serie III, tomo VI delle Mem. dell’Acc. d. Se. dell’Ist. di Bologna e letta nella sessione del 16 marzo). C) 1878. Capellini, Della Pietra Leccese e di alcuni suoi fossili (Mem. dell’Àcc. delle Se. dell’Ist. di Bologna, serie III, tomo IX, pag. 247). (5) 1880. Scarabelli, Descrizione della Carta Geologica del versante sett. dell’ Appennino fra il Montone e la Foglia (Monografia statistica, economica, amministrativa della prov. di Forli). 212 B. NELLI Nello stesso anno in nn lavoro del Lawley (*) si trova una lettera a questi indirizzata dal Manzoni, il quale pone la for- mazione calcarea del Monte Titano nel Miocene medio, anziché nel miocene inf. come prima aveva ritenuto. Nel 1881 il prof. De Stefani (2) dice che i calcari a briozoi di S. Marino, come quelli di Scorticata, ecc., dovrebbero essere attribuiti al miocene superiore anziché al miocene inferiore o al miocene medio. Nello stesso anno il Fuchs (3), dopo aver determinato alcuni dei fossili del calcare di S. Marino e di altre località del Bo- lognese, conclude che si possa con sicurezza affermare per quelle località, incluso il Monte Titano, la corrispondenza alla sabbia serpentinosa di Torino, oppure in altro termine al primo piano Mediterraneo del Bacino di Vienna. Nel 1883 il Simonelli (4) riferisce invece la formazione di S. Marino al Tortoniano. Di diversa opinione è poi il De Stefani (1893) (5), il quale ritiene per elveziano i calcari a Cellepora, ecc., a denti di pesci, cioè alla zona litorale e delle laminarie del miocene medio, mentre ritiene più antichi gli strati di Schio. Nel 1895 il Fuchs (c) diversamente osserva che «gli strati a Cellepora del Monte Titano sembrano secondo i loro fossili appartenere al miocene inferiore e cioè agli orizzonti degli strati di Schio ». (') 1880. Lawley R., Dente fossile della molassa miocenica del Monte Titano (Atti della Soc. tose, di S. Nat., voi. V, pag. 167). (*) 1881. De Stefani, Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono V Appennino settentrionale (Atti d. Soc. tose. d. Se. Nat., voi. V, pag. 241). (3) 1881. Fuchs, Ueber die miocànen Pecten-Arten aus der nórdlichen Appenninen in der Sammlung des Herrn dr. A. Manzoni (Verhandl. der k. k. geologischen Reichsanstalt Sitzung am 22 November, n° 16, pag. 321). (■*) 1883. Simonelli, Il monte della Verna ed i suoi fossili (Boll. d. Soc. Geol. It., Voi. II, 1883, pag. 235). (5) 1893. De Stefani, Les terr. tert. sup. du bassin de la Médit., tab., pag. 32 (Extrait des Ann. de la Soc. Géol. de Belge, I, t. XVIII, Mé- moires, 1891). (B) 1895. Fuchs, Notizen. Ann. d. k. k. Natur. Hofmuscmns. Band X, H 2, s. 61. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 243 Nello stesso anno G. De Augelis d’Ossat ('), dopo avere ac- cennato ai diversi pareri che fino allora erano stati espressi dai geologi intorno all’età della formazione calcarea del Monte Ti- tano, conclude doversi questa considerare come appartenente al- l’elveziano, confermando così per essa il riferimento cronologico del De Stefani. Nel 1898 Scarabelli (1 2) credeva poter conservare nel miocene inf. (bormidiano) il calcare, secondo lui, a polipai di S. Marino, poiché contenendosi in esso, come gli sembrava, delle vere nummn- liti non gli pareva fosse il caso di doverlo portare più in alto nella scala delle formazioni geologiche, come alcuni avrebbero voluto. Un anno appresso il prof. Sacco (3) per quei pochi dati paleon- tologici che si possedevano, col Manzoni, col Fuchs, con lo Sca- rabelli ritiene tongriano il calcare di S. Marino come le forma- zioni calcaree di Bismantova, S. Leo, Pennabilli, Sasso di Si- mone, Monte della Penna o della Verna, ecc. Nel 1900 il prof. Trabucco (4) giustamente osserva che le nummuliti, che si credeva facessero parte delle formazioni cal- caree della Verna, del Sasso di Simone, come pure del Monte Titano, devono escludersi, come risulta da numerose sezioni e che si tratta invece di sezioni di Operculina, che hanno certa- mente indotto in errore il Manzoni, che le considerò per Num- muliti. Questi calcari ad Operculina sono, secondo Trabucco, identici a quelli dei calcari langhiani dell’Alto Monferrato (Acqui, Visone, ecc.). Nel 1901 G. De Alessandri (5) nelle località indicate nella descrizione dei fossili cita ancora il Monte Titano, come facente parte dell’Oligocene. (1) 1895. De Angelis d’Ossat G., Addizioni alla ittiofauna fossile del Monte Titano (Riv. It. di Pai., Anno I, 31 dicembre, fase. VI, pag. 250). (2) 1898. Scarabelli, Sopra alcuni fossili raccolti nei colli fiancheg- gianti il fiume Santerno nelle vicinanze d’Imola (Boll. Soc. Geol. It., voi. XVI, fase. 2°, pag. 208, tav. Vili). (3) 1899. Sacco F., L’ Appennino settentrionale (Boll. Soc. geol. it., voi. XVIII, pag. 383, 386). (4) 1900. Trabucco G., Fossili, stratigrafia ed età dei terreni del Ca- sentino (Boll. Soc. geol. it., voi. XIX, fase. 3°, pag. 711). (5) 1901. De Alessandri G., Appunti di geologia e pai. sui dintorni di Acqui (pag. 72) 244 B. NELLI Nello stesso anno il prof. Capellini nella descrizione di una balenottera miocenica del Monte Titano (loc. cit.), dopo avere esaminato quanto dai diversi geologi e paleontologi era stato detto sull’età della regione, conclude che « per il piano crono- logico, al quale si deve definitivamente riferire l’arenaria cal- carea di quel monte, ci si debba contentare di dire: Miocene medio; aspettando ancora che meglio si definisca se Elveziano e Langhiano (in parte) si abbiano a ritenere per facies diverse di uno stesso orizzonte cronologico e se lo stesso si possa ripetere per Langhiano (in parte) e Acquitaniano. Più tardi il Sacco (') riferì pure questi terreni al Miocene (Elveziano). Ultimamente il prof. Trabucco mentre, dopo aver completato lo studio dei miei fossili, mi accingevo a pubblicare la nota preventiva (2), pubblicava una nota (:!) sulla regione da lui vi- sitata qualche mese prima, colla quale esattamente riferisce il calcare del Monte Titano all’elveziano. Litologia ed origine della formazione calcarea del Monte Titano. — Della litologia ed origine di questa formazione cal- carea, che riposa sopra le marne dell’eocene sup., più o meno in generale è stato trattato dai diversi geologi che se ne sono occupati, in special modo però da Francesco Salmoiraghi nel 1903 con un suo studio speciale sulla costituzione mineralogica di quel calcare (4). Questo risulta più o meno compatto, più o meno granoso, in certi punti spatizzato, di colore biancastro, giallo-chiaro e tendente al grigio. Questa roccia, come risulta dall’aspetto esterno (') 1904. Sacco F., L’ Appennino settentrionale e centrale. (2) 1906. Nelli B., IL miocene del Monte Titano nella Bep. di S. Ma- rino (R. Acc. d. Lincei, voi. XV, fase. 11, Seduta del 2 dicembre). (3) 1906. Trabucco G., Fossili, stratigrafia ed età dei terreni della Bep. di S. Marino (Processi veri), d. Soc. Tose. di. Se. Nat, Adunanza dell’ll novembre). (4) 1903. Salmoiraghi F., Osservazioni mineralogiche sul cale. mioc. di S. Marino (Monte Titano) con riferimento all’ipotesi dell' Adria ed alla provenienza delle sabbie adriatiche (Nota letta nell’ad. d. 28 maggio nel R. Ist. Lombardo di scienze e lettere). IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 245 e dalle sezioni, principalmente è costituita da briozoi, special- mente da una Smittia (?) molto simile ad una Cellepora, prima ritenuta un Porites. Questi briozoi colle loro colonie venivano ad avvolgere in una fitta maglia calcarea i corpi d’origine orga- nica (Molluschi, fra i quali predominano in gran copia i Pet- tini, numerosi Echini e Foraminifere in quantità), come pure corpi d’origine inorganica (tolti a formazioni circostanti), che ve- nivano ad accumularsi nel fondo del mare miocenico. Dall’esame della roccia apparisce manifesto che le nullipore mancano af- fatto; la presenza poi di abbondanti rappresentanti del Nekton, Cetacei (*) e Squali, l’abbondanza degli Echini, dei Brachiopodi e dei Pectinidi indicano una certa profondità di mare. Se consideriamo poi l’aspetto, come la costituzione pretta- mente d’origine organica della roccia, si riscontra una grande somiglianza col calcare della Verna, di Uffogliano, Rompestrella, della Pescia romana, delle Vene del Tevere, Sasso di Simone, Pietra Bismantova, ecc. ecc., che come il Monte Titano costi- tuivano quelle scogliere a briozoi del mare del miocene medio e che insieme al calcare di Acqui e coi calcari equivalenti, coi calcari ad Ampliistegina di Subiaco ed equivalenti, si forma- vano a profondità alquanto maggiore della plaga delle lami- narie, minore di quella corallina. Nel seguente quadro sinottico riunisco le specie fossili che trovansi nel calcare del Monte Titano. (!) Vedi in proposito i lavori del Capellini, loc. cit. 246 B. NELLI Quadro sinottico dei fossili miocenici del Monte Titano. NOME DELLE SPECIE o a .2 '3 o t o Foraminiferi : 1. Frondicularia sp 2. Orbulina universa D’Orb 3. Globigerina sp 4. Anomalina ? sp 6. Miogypsina cfr. irregularis (Michelotti). Corallarii: 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. Balanophyllia sp Ecliinidi : Cidaris avenoniensis Desmoul. » n. sp. (Stefanini in schedis) Psammechinus Manzonii sp. n. Echvnocyamus pyriformis Ag. Clypeaster erassicostatvs Ag. . » Capellina sp. n. . . Scutella Airaghii sp. n. . . . Echinolampas angulatus Mérian » Stefaninii sp. n. Pliolampas Silvestri Airaghi . » titanensis sp. n. . Linthia Locardi Tourn. . . » Lorioli Airaghi . . . Schizaster Scillae (Desmoul.) Agass Pericosmus cfr. callosus Manzoni . » pedernontanus De Alessandri » spatangoides De Loriol . Spatangus Manzonii Simonelli . . Vivente IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 247 NOME DELLE SPECIE 25. Trachispatangus Peroni Cotteau . 26. » » sp. n 27. Eupatagus Sanmarinensis sp. n. 28. » sp. n. ? Briozoari : » 29. Terebripora sp 30. Vibraculina sp 31. Membranipora aperta Bk. . . . 32. Menbranipora irregularis D’Orb. 33. Smittia ? sp. n 34. Cribrilina radiata Moli. . . . 35. Myriozoum truncatum Pallas . . 36. Eschùra Hellerii Manzoni . . . 37. Retepora cellulosa Busk. . . . 38. Hornera frondiculata Lamark . 39. Idmonea sp 40. Domopora cfr. striatula (Busk) . Bradi iopodi : 41. Terebratula Costae Seguenza . . 42. » sp. ind Anellidi : 43. Serpula subnummulus sp. n. . . Gasteropodi: 44. Cassis mamillaris Grat. . . 45. » miolaevigata Sacco . Laiuellibranclii : 46. Pecten persimpliculus Sacco 47. » Northamptoni Micht. 248 B. NELLI NOME DELLE SPECIE Eocene Oligocene Langhiano O fl *3 O > T—t w Tortoniano Pliocene Vivente 48. Pecten Haveri Micht 49. » scabrellus Lk 50. » » var. sanmarinensis - Fuchs .... — — — — — — 51. » Gentoni Fontannes 52. » Malvinae Dub -4- Hr- 53. » revolutus Micht H- -4- -4- 54. » Fuchsii Font -4- -4- -4- 55. » lonqolaevis Sacco -+■ -4- 56. » Clarae Viola -4- 57. » restitutensis Font -4- -4- 58. Spondylus Manzonii sp. n 59. Ostrea digitalina Eicinv -4- -4- -4- 60. Venus miocenica Micht -4- H- -4- • • 61. » tavroverrucosa Sacco Vertebrati -Pesci : 62. Oxyrhina Pesorii Ag — f~ -e- —4— —4— ? 63. OcLontaspis contortedins Ag -+■ -4- -4- 64. Galeocerdo aduncus Ag — -4- — t— -4- -4- 65. » latidens » H- -4— -t- hh -4- -4— 66. Hemipristis Serra Ag ? HK -4- ? 67. Carcharodon megalodon Ag -4- H- -4- — t- 68. Sargus Oiveni Sismonda -f- -4- -4- 69. Sphaerodus cinctus Ag — t— Età. — Ora, se teniamo conto non solo della costituzione litologica del calcare, ma principalmente dei fossili, che sono appunto propri del miocene medio e specialmente del langhiano e dell’elveziano, anzi di quest’ultimo sottopiano, salvo qualche Echino attribuito al langhiano, risulta sempre più all’evidenza che il calcare di S. Marino si è depositato in una zona inter- IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 249 media fra quella dalle laminarie e quella coralligena. Esso risponde all’elveziano di Mayer, di mare alquanto profondo quando a questo sottopiano si dia un significato prettamente di facies litologica e paleontologica. Se si volesse invece dare alle divisioni del miocene medio un significato strettamente cronologico si dovrebbe equiparare il calcare di S. Marino all 'aquitaniano, cioè alla base del nostro \ miocene medio. E però da constatarsi che le stesse specie si trovano tanto in quest’elveziano degli strati più alti del Mio- cene medio italiano quanto in quelli più bassi, e ciò conferme- rebbe l’opione del De Stefani che ritiene elveziano, langhiauo, tortoniano, messiniano primo di Mayer, zancleano inf. di Se- guenza come rappresentanti solo zone di diversa profondità. Non si avrebbero criteri precisi per determinare l’età, se qualche distinzione non si potesse ora tentare fra gli strati più antichi e più recenti del miocene medio, nel quale, come diceva il prof. De Stefani (*), « on pourra plus tard établir scientifi- quement des distinctions elitre les couches les plus anciennes et les plus récents; mais ce sera pour toutes les zones susdites », (cioè langhiauo, elveziano, tortoniano, ecc.), « et par des crite- riums tout à fait différents des actuels ». Infatti è a considerare la presenza del Pecten Clarae, del P. scrabrellus var. sanmarinensis, di qualche Echino prossimo a specie oligoceniche, non ancora trovati negli strati più alti, di qualche altro che è anche dell’oligocene, e questi forse ci potranno dare un criterio per distinguere gli strati elveziani inferiori o aquitaniani nel senso dei geologi francesi da quelli dell’elveziano superiore. Passo ora alla descrizione delle specie, nella sinonimia delle quali premetto che terrò separata quella che riguarda S. Marino. Delle specie indicate dal Manzoni non tutte possono ritrovarsi in modo sicuro ed altre mancano affatto tra i fossili che io ho preso in esame. P) 1893. De Stefani, Les ferr. tert. sup., etc , loc. cit., pag. 67. 250 B. NELLI Foraminiferi. Frondicularia sp. Esemplari di piccole ma differenti dimensioni, parzialmente conservati, per cui resta impossibile una sicura determinazione specifica. Orbulina universa D’Orb. Molte e semplicissime forme monosferiche con tutta proba- bilità riferibili a questa comunissima specie, la quale dall’epoca terziaria si spinge fino all’epoca attuale. Globigerina sp. Non ho nelle sezioni esemplari completi, ma nel loro insieme sembrano molto probabilmente riferibili alla comune Globigerina bulloides D’Orb. Ànoiiialiiia? sp. Loc. S. Marino: 1873. Nummulites planulata (non D’Orb.) Manzoni. Il Monte Titano, ecc., (loc. cit., pag. 10, 23). Per quanto la determinazione delle foraminifere nelle sezioni sottili riesca difficile e qualche volta fallace, pure non posso non segnalare la corrispondenza di una piccola foraminifera nel cal- care di S. Marino colle Anom aline, data la forma generale e lo sviluppo troppo limitato per le non del tutto microscopiche Operculine. L’esemplare da me osservato apparisce in sezione costituito da tre giri di spira con passo a lieve accrescimento e setti radi ed arcuati. Nessun dato posso aggiungere sui caratteri esterni. Dovrei far qui menzione d’una forma congenere parzialmente conservata nella preparazione, la quale, in confronto con questa ora citata, presenta setti alquanto più piccoli, pur non differendo molto nella forma generale. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 251 Queste due forme le avvicinai altra volta (') alla Operculina De Stefani Trab., ed all’O. langhiann Trab. (2), che pure sem- j brano Anomaline ; ma la cattiva conservazione non permettono la determinazione specifica e nemmeno in modo sicuro quella generica. Sono queste le foraminifere che impropriamente erano rite- nute per Nummulites, delle quali Nummuliti non trovasi alcuna traccia. Miogypsina cfr. irregularis (Michelotti). Della specie non ho potuto vedere la conchiglia. Nella sezione apparisce abbastanza chiaramente la forma e disposizione delle logge, per cui sembra in certo qual modo paragonabile alla specie del Michelotti ( Nummulites irregularis). Essa è molto' abbondante nell’elveziano del bacino terziario del Piemonte (3) e viene indicata dal Sacco nelle colline di Torino, in molte località delle medesime, come a Villadeati (4), ecc. Meno abbondante nell’aquitaniano viene indicata presso Villa Sacco e colline di Torino (Schlumberger) (5). Corallarii. Balanopbyllia sp. Un solo esemplare rappresentato da un polipaio peduncolato, I conico, fortemente ricurvo. Il peduncolo si presenta strozzato irregolarmente. Costole numerose, poco sporgenti, appianate, disuguali. Calice ellittico, poco profondo. La columella ed i tra- mezzi non son ben conservati, per cui il nostro esemplare non I è specificamente determinabile. (!) 1906. Nelli, Il mioc. del Monte Titano (loc. cit., pag. 742). (2) 1900. Trabucco. Foss. strat. ed età dei terr. del Casentino (Boll. Soc. geol. it., voi. XIX, pag. 714, 715). (3) 1906. Sacco, Sur la valeur stratigrafique de s Lepidocyclina et des Miogypsina (Extr. d. Bull, de la Soc. géol. de France, 4e sèrie, tome V, pag. 882. C) 1901. Sacco, Sur les couches à orbitoides du Piémont (Extr. du bull. Soc. géol. de Trance, 4e sèrie, tome I, pag. 188). (5) 1900. Schlumberger C., Note sur le genre Miogypsina (Bull. Soc. 1 géol. de France, 3- sèrie, tome 28, pag. 329). 252 B. NELLI Echinidi. Cidaris avenoniensis Desmoul. 1891. Cidaris avenoniensis J. W. Gregory, The Maltese foss. Echinoidea (Trans, of thè Roy. Society of Edinburg, voi. XXXVTr parte III, n° 22, pag. 587) (cum syn.). 1891. Cidaris avenoniensis Cotteau, Peron et Gauthier, Échinoides foss. de V Algerie (fase. 10°, pag. 243). 1896. Cidaris avenoniensis Mazzetti, Catal. degli Echin. foss. della col- lezione Mazzetti (Estr. dall'Acc. di Se., Lettere ed Arti di Modena, voi. XI, serie li (Sez. di Se.), pag. 9). 1901. Cidaris avenoniensis Airaghi C., Echinidi t erti arii del Piemonte e della Liguria (Paleontographia italica, voi. VII, pag. 166. tav. XIX, fig. 1-8) (cum syn.). 1904. Cidaris avenoniensis Airaghi, Echinodermi miocenici dei dintorni di S. Maria Tiberina (Umbria) (Estr. dagli Atti della R. Acc. di Se. di Torino, voi. XL, Adunanza 20 novembre, pag. 6) (cum syn.). Loc. S. Marino: 1873. Cidaris avenoniensis Manzoni, Il Monte Titano, etc. (loc. cit., pag. 8, 17). Riferisco alla specie due esemplari non interi, ciascuno co- stituito dalla zona interambulacrale, ai lati della quale si mo- strano con evidenza le zone porifere. Per la grande somiglianza che presenta questa specie col Cidaris melitensis Forbes, a prima vista parrebbero i nostri esemplari riferibili a questa specie; se ne distinguono però per le maggiori dimensioni, presentando uno 38 mm. in altezza, l’altro circa 40 mm., per avere scrobi- cole molto più sviluppate, circoli scrobicolari molto più apparenti ed ovali anziché circolari, per mostrare nella parte mediana interambulacrale una distinta sutura fra le piastre, la quale apparisce fra le granulazioni come una depressione a zig-zag. Aggiungo a questi esemplari diversi radioli non interi, ma che mostrano distintamente i caratteri della specie. Sono di forma cilindrica, ingrossati alla base, affilati alPestremità, ornati di granuli più o meno rotondi, di diverse dimensioni, disposti piuttosto irregolarmente; qualche volta però, come apparisce in IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 253 uno dei nostri esemplari, questi granuli possono riunirsi gli uni così presso agli altri in guisa da formare quasi delle coste rego- larmente longitudinali, separati da solchi superficiali molto stretti. Queste coste sono costituite da granuli molto piccoli, i giù grossi trovansi ai lati del radiolo, ed alcuni, essendo alquanto subco- nici, e più o meno acuminati, vengono a formare come delle spinosità. Un altro radiolo che sembra certo appartenere a questa specie, rappresentato da un piccolo frammento, mostra verso l’estremità, corrispondente alla sua parte superiore, un’espansione imbutiforme con una corona di digitazioni. Questo carattere, secondo il Manzoni (loc. cit.), non avrebbe alcun valore specifico, ma sarebbe piuttosto dovuto a trasformazione « causata da un processo anchilotico ed esotico sviluppatosi nel capo articolare di un radiolo di una Cidaris qualunque ». È certo che nel nostro esemplare, come in quello della stessa specie descritto e figurato dal Simonelli, come quest’autore fa osservare, l’espansione a cam- pana e le digitazioni non appartengono al capo articolare del radiolo ma alla parte opposta, ed in questo caso almeno deve ritenersi questa forma speciale non per effetto di deformazione, ma come un buon carattere specifico, come risulta anche dal confronto di molti radioli di Cidaris fossili e viventi. Alcuni nostri esemplari presentano ben conservato il colletto, che è leggermente compresso, come pure il bottone, che è piut- tosto sviluppato, assai ristretto verso la superficie articolare. L’anello mostrasi sempre poco saliente. La specie viene indicata in molte località del miocene medio: colli di Torino, S. Giorgio di Rosignano, Serravai le Seri via (Ai- raghi); nelle sabbie della Melosa presso Chiusi ( C . caryophylla Simonelli) ('), a Montese e a loia (Mazzetti) (?), a Bonifacio in Corsica (Locard e Cotteau) (3), isola di Pianosa (Simonelli) (4), (1) 1883. Simonelli, II Monte della Terna ed i suoi fossili (loc. cit., pag. 274). (2) 1885. Mazzetti e Pantanelli, Cenno monografico intorno alla fauna fossile di Montese (Atti Soc. Nat. di Modena, serie III, voi. IV, p. 60). (3) 1889. Locard et Cotteau, Descr. de la Faune ieri, de la Corse, pag. 231. (<) 1877. Simonelli, Terreni fossili dell’isola di Pianosa (Boll. d. Com. geol. it., serie II, voi. X, p. 233). 254 B. NELLI Monte S. Michele in Sardegna (Cotteau) (*), isola di Malta (Gre- gory). All’estero è indicata in molte località del miocene medio del Portogallo, della Francia, della Svizzera e dell’Algeria. Cidaris Scarabellii Stefanini n. sp. (Tav. X, fig. 4, 5). Loc. S. Marino: 1906. Cidaris melitensis (non Forbes) - Nelli, Il miocene del Monte Ti- tano, etc. (loc. cit., pag. 741). Diversi esemplari in buono stato di conservazione. Per la loro forma come per l’aspetto degli ambulacri, delle zone pori- fere, dell’aree scrobicolari e dei tubercoli presentano grandi analogie col Ciclaris melitensis Forbes, cui li ho prima riferiti. Il dott. Stefanini, il quale da qualche tempo si occupa di Echini terziari e che mi ha voluto aiutare di qualche suo con- siglio in questo mio lavoro nella parte riguardante gli Echini, mi ha fatto notare, ed io ho potuto riconoscere, che le forme in questione differiscono dal C. melitensis per avere zone miliarie più larghe, piane e non già solcate, e per essere i tubercoli imperforati. La specie verrà trattata dal dott. Stefanini in un suo prossimo lavoro. Psammechinus Manzonii n. sp. (Tav. IX, fig. 5, 6, 7, 8). ? 1873. Psammechinus parvus (non Micht.) - Manzoni, Il Monte Titano, ecc. (loc. cit., pag. 8, 18). Ritengo per nuova specie moltissimi esemplari, due dei quali, i migliori, presentano le seguenti dimensioni: Altezza mm. 4,6; 7,7. Diametro » 7,7; 9,6. Gli altri esemplari presentano dimensioni consimili, quindi sono tutti assai piccoli. (') 1875, Cotteau, Descr. des Échinides miocènes de Sardaignc (Ména. Soc. géol. de Franco. Paléontologie. Ména., n° 13, pag. 7). IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 255 Forma circolare subemisferica, superiormente alquanto de- pressa, inferiormente quasi piana, arrotondita sui margini. Zone porifere molto strette, specialmente alle due estremità, quasi superficiali, costituite da pori rotondi, disposti a paia oblique; un paio per ogni piastrina porifera, tre paia in corrispondenza di ogni piastra ambulacrale e disposte pressoché ad arco. Aree ambulacrali strette alla sommità, s’allargano verso la parte mediana ed inferiormente vanno restringendosi, meno però che ver-so la sommità. Lateralmente alla zona interporifera, a contatto colla zona porifera, mostransi due serie longitudinali di tubercoli circolari abbastanza sviluppati, che nei migliori esemplari appariscono evidentemente in numero di 12 per serie. Nell’area compresa fra queste due file di tubercoli si distinguono dei tubercoli secondari, ineguali, irregolarmente disposti, accom- pagnati da granuli, coi quali si confondono. Zone interambulacrali quasi il doppio più larghe delle ambu- lacrali, guarnite parimente di una doppia serie di tubercoli prin- cipali un poco più grossi di quelli ambulacrali, posti quasi al centro delle piastre. Questi tubercoli, in numero eguale a quelli degli ambulacrali, presentano come questi identica disposizione, avendo ciascuna piastra interambulacrale, come ciascuna piastra ambulacrale, un solo tubercolo principale; per ciò essi non sono gli uni agli altri contrapposti ed ognuno della serie trovasi di fronte allo spazio fra i tubercoli della fila opposta. I tubercoli secondari, assai piccoli, si distinguono nettamente da quelli principali, coi quali si trovano sempre uniti con un certo ordine, presentando ciascun tubercolo principale lateral- mente e su una stessa linea alquanto obliqua due o tre tubercoli secondari. Fra queste linee di tubercoli trovansi delle granula- zioni, le quali principalmente nella parte inferiore del guscio, mostrano distintamente identica disposizione. Peristoma grande, circolare. Periprocto più piccolo del pe- ristoma e come questo di forma circolare. Bapporti e differenze. — Assai prossima a questa specie per forma è lo Psammechinus affmis Fuchs (’), il quale però Q) 1880. Fuchs, Tert. Echiniden aus Persien (Sitzungsberichte dei- kais. Akad. d. Wissenschaften. Mathematisch. Natunvissenschaftliche Classe. LXXXI Band, IV Heft. Pag. 99, fig. 6-16). 18 256 B. NELLI differisce per presentare i tubercoli secondarii regolarmente di- sposti in circolo ed irraggianti intorno ai tubercoli principali. Anche lo Psanimechinus calarensis Cotteau (’) si accosta alla nostra specie; la quale però differisce perchè le zone arnbula- crali non mostrano tubercoli secondari disposti in due file inter- mediarie. Le zone interambulacrali mostrano tubercoli secondari che, per quanto riuniti in file, poco regolari, come nella specie del Cotteau, pure trovansi in ordine alquanto diverso ed i granuli sono più regolarmente disposti. Qualche analogia per forma e dimensioni, come pure per la disposizione dei tubercoli secondari nelle zone ambulacrali, dove sono in ordine sparso ed ineguali, presenta collo Ps. sardiniensis Cotteau (*); però i tubercoli secondari delle zone interambula- crali invece di essere sparsi sono riuniti ai tubercoli principali nel modo sopra descritto. Per questa disposizione regolare dei tubercoli secondari degrinterambulacri, come pure per forma e per dimensioni, i nostri esemplari potrebbero essere paragonabili con una forma del bartoniano, qual’è lo Ps. biarritzensis Cot- teau (3); ma in questa i tubercoli secondari interambulacrali si trovano disposti in modo da costituire nel loro insieme quattro file longitudinali. In quanto al riferimento generico mi pare che non sia dubbio : che la nostra specie debba essere riferita al gen. Psammechinus Agass., nella quale appunto costituiscono carattere essenziale i pori trigemini disposti ad arco. Per quanto la nostra specie pre- senti piccole dimensioni e zone porifere leggermente depresse, non può certo esser riferita al gen. Arbacina Pomel, perchè i pori sono assai più obliqui ed i tubercoli interambulacrali sprov visti di quelle piccole incisioni, che accompagnano spesso i tu- bercoli delle Arbacine. t1) 1895. Cotteau, Description des échin. rmoc. de la Sardaiyne, pag. 11, tav. I, fig. 8-11; (Meni, de la Soc. géol. de France, tome V, 1 fase. II, mèra. n° 13). (*) Cotteau, idem, pag. 12, tav. I, fig. 12-15. (3) 1863. Cotteau, Échin. foss. des Vyrenées (Bull. Soc. géol. de France, pag. 62, pi. I, fig. 5-7). IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 257 Ecliinocyanius pyriformis A g. (Tav. IX, fig. 11, 12, 13). Loc. S. Marino: 1873. Ecliinocyanius Studeri (non Sistnonda) - Manzoni, Il Monte Ti- tano, etc. (loc. cit., pag. 10, 20). Di questa specie abbiamo tre esemplari, uno dei quali in buono stato di conservazione. Forma di piccole dimensioni ovale. Faccia superiore alquanto rigonfia, ristretta in avanti, più ampia posteriormente. Faccia inferiore quasi piana, leggermente de- pressa intorno al peristoma. Sommità ambulacrale quasi centrale. Aree ambulacrali superficiali, larghe e brevi. Zone porifere con pori tondeggianti, disposti a paia, non congiunti da solco. Pe- ristoma subcircolare, relativamente sviluppato; periprocto piccolo circolare, situato quasi a metà della distanza fra il peristoma ed il margine. Nell’apparecchio apicale si distinguono abbastanza bene i quattro pori genitali e fra questi il poro acquifero. Riferisco i miei esemplari all’ Ecliinocyanius pyriformis A g., anziché alla specie affine E. Studeri Sismonda (1), più che per la forma, la quale è alquanto variabile e simile nelle due specie, per la posizione del periprocto, che nella prima specie trovasi nella parte mediana fra il peristoma e il margine, nella seconda invece in prossimità del margine. Airaghi ritiene sinonima dell’i?. Studeri VE. pyriformis De Alessandri (2), che giustamente il Capeder (3) considera in- vece come buona specie. Viene indicata nel tongriano di Sassello (Airaghi, pag. 177) (4), nel miocene di S. Gavino a Mare (Capeder, pag. 521), nell’el- veziano di Rosignano, Vignale (De Alessandri, pag. 80). (*) (*) 1842. Sismonda Emilio, Monografia degli Echinidi fossili del Piemonte (Mem. R. Acc. delle Se. di Torino, serie II, voi IV, pag. 44, tav. II, fig. 8, 9). (2) 1899. De Alessandri G., La Pietra da Cantoni di Bosignano e di Vignole (Mem. del Museo civico di St. Nat. di Milano e Soc. it. di Se. Nat., tomo VII (II della Nuova Serie), fase. I, pag. 79, tav. II, fig. 8, 8 a). (3) 1906. Capeder G., Fibularidi miocenici di S. Gavino a Mare (Boll. Soc. geol. it., voi. XXV, pag. 521). (4) 1901. Airaghi C., Ech. terz. Pieni. Lig. (loc. cit.). 258 B. NELLI All’estero viene indicata nel miocene medio della Garonna, Dordogna, C'annel, Montmiral, Bordeaux e Bruxelles (Desores, pag. 218) ('). Clypeaster Capellinii n. sp. (Tav. IX. tìg. 1. 2). Loc. S. Marino: 1873. Clypeaster scututn (non Lbe) - Manzoni (prò parte). Il Monte Ti- tano, etc. (loc. cit., pag. 8, 18). Loe. diversa: 1904. Clypeaster laganoides Airaghi, JEchinodermi miocenici dei dintorni di S. Maria Tiberina (Umbria) (loc. cit., pag. 9, tav. V, iig. 5, 6). Di questa nuova specie abbiamo diversi esemplari in assai buono stato di conservazione. In uno dei migliori esemplari le dimensioni sono le seguenti: Diametro antero-posteriore mm, 76, » trasversale . . » 67, Altezza » lo, Spessore del margine . . » 4. Gli altri esemplari presentano dimensioni a queste molto approssimative. Descrizione. — Forma quasi pentagonale, con margine stretto, quasi acuto, presentando 3 o 5 mm. al massimo di spessore, marcatamente sinuoso con angoli arrotonditi, ristretta indietro; la larghezza maggiore trovasi in corrispondenza degli ambulacri anteriori pari. Faccia superiore compressa fin presso la metà del margine; la regione ambulacrale si eleva assai bruscamente di 15 mm. o circa, in modo da formare una stretta convessità mediana. Faccia inferiore leggermente concava fin presso il pe ristoma, dove la concavità repentinamente si accentua in cor- rispondenza della convessità mediana della faccia superiore. Dal peristoma di forma pentagonale, dagli angoli del pen- tagono, irraggiano cinque solchi piuttosto profondi che arrivano 0 1856. Desor E., Synopsis des Écliinides fossiles. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 259 fino al margine: un solco impari diretto in avanti verso la parte ristretta ed arrotondita e due solchi pari in corrispondenza par rimente degli angoli arrotonditi, situati pressoché in fronte agli ambulacri pari. Sommità apicale subcentrale. Piastra madreporica pentago- nale. In uno dei nostri esemplari meglio conservati si mostrano nettamente i pori genitali, rotondi, in numero di 5, situati sugli angoli della piastra madreporica in corrispondenza delle zone interambulacrnli; nel medesimo sono anche ben visibili tre dei pori neurali. Aree ambulacrali petaloidi, tutte della stessa lunghezza, piut- tosto rigonfie, strette ed acuminate verso la sommità apicale, più larghe al centro, poco aperte nella parte inferiore. Le zone porifere molto strette in alto vengono gradatamente facendosi • sempre più larghe verso la parte inferiore ed all’estremità ap- pariscono chiuse. Esse sono più basse di quelle interporifere; presso gli apici ambulacrali però si trovano allo stesso livello. I pori esterni fin verso la metà della zona conservano una forma pressoché circolare, quindi assumono una forma oblunga stret- tamente ovale, quasi lineare; i pori interni conservano sempre forma circolare. Le due serie di pori sono riunite insieme da solchi lineari, poco profondi, obliqui, essendo i pori interni si- tuati più in alto di quelli corrispondenti esterni. Zone interpo- rifere alquanto rigonfie, larghe quasi il doppio di una zona pori- fera. In uno dei nostri esemplari si mostrano in una zona inter- porifera ben conservate le piastrine interporifere, ciascuna delle quali presenta cinque o sei tubercoli. Zone interambulacrali molto strette in alto e quivi quasi pianeggianti, larghe in basso e quivi leggermente rigonfie. Tubercoli papillari piccoli, più grossi nella parte inferiore che nella parte superiore. Periprocto arrotondito, situato a circa 5 mm. dal margine. Rapporti e differenze. — La nostra specie per la sua forma generale e per alcuni caratteri presenta grande analogia col Clypeaster laganoides Agass. ('), dal quale però differisce per (i) 1863. Michelin, Mori og rapiti e des Clypcastres fossiles Hardonin (Mémoives de la Soc. géolog. de France, pag. 141, pi. XXXVI, tig. 1 a-i). 260 B. NELLI avere un contorno più marcatamente sinuoso con angoli arroton- diti più accentuati; per avere l’estremità apicale strettamente con- vessa, mentre nell’altra specie è quasi pianeggiante; per avere la parte inferiore concava anziché piana, per avere gli ambulacri più elevati che grinterambulacri mentre nell’altra specie è l’opposto; infine per avere gli ambulacri una forma petaloide meno ampia, mentre nell’altra le zone porifere presentano un’ampia curvatura. Ai nostri esemplari per taluni caratteri, come per la forma degli ambulacri, per la curvatura delle zone porifere, per le loro dimensioni e per il loro aspetto, può venir paragonato il Chjp. scutum Lbe (*), ed a questo furono appunto riferiti dal Manzoni; però ne differiscono per avere l’estremità apicale più strettamente convessa, per avere nella parte inferiore una concavità maggiore, i margini più stretti e quasi acuti ed il loro contorno più sinuoso, per cui spiccano molto più gli angoli arrotonditi. Alla nostra specie corrisponde, come risulta dalle figure d’Airaghi, il Clyp. laganoides del miocene di Tocerano, il quale, come sembra, ha forma identica, nella parte apicale presenta una stretta convessità e gli ambulacri mostrano caratteri non diversi. Clypeaster crassicostatus Agass. Loc. S. Marino: 1873. Clypeaster scutum (non Lbe) - Manzoni (prò parte), Il Monte Ti - tano, etc. (loc. cit., pag. 8). Loc. diverse : 1901. Clypeaster crassicostatus Airaghi, Echinidi terziari del Piemonte e della Liguria, Palaentographia italica, voi. VII, pag. 183, tav. XX (II), tig. 5; tav. XXII (IV), iig. 6 (cum syn.). 1904. Clypeaster crassicostatus Airaghi, Echin. mioc. dei dint. di S. Maria Tiberina, pag. 8 (loc. cit.). Della specie possediamo diversi esemplari, alcuni dei quali non interi ed in cattivo stato di conservazione; tre interi ed in (') 1868. Laube, Ein Beitrag zur Kenntniss der Echinodermen des Vicentinisclien Tertiàrgebietes, pag. 18, tav. Ili, fig. 2 (Besonders Abge* druckt aus dem XXIX Bande der Denkschriften der Mateniatisch-Na- turwissenschaftlichen Classe der Kaiserlichen Akademie der Wissen- schaften). IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 261 buono stato presentano chiaramente tutti i caratteri distintivi della specie. Per quanto sia questa abbastanza conosciuta, credo necessario dare una breve descrizione dei nostri esemplari per meglio distin- guerli dagli altri, che io ho distinto come appartenenti ad una nuova specie (Clypeaster Capellina), che dal Manzoni venivano tutt’insieme riuniti come Clyp. sentimi Laube. Descrizione. — Forma subpentagonale, oblunga, poco sinuosa, angolosa in avanti, ristretta posteriormente, alquanto rigonfia ai margini. Faccia superiore alta sulla parte mediana, faccia inferiore pianeggiante verso i bordi, leggermente concava intorno al peri- stoma, dal quale irraggiano cinque solchi che raggiungono quasi il margine. Sommità apicale subcentrale con piastra madreporica pen- tagonale. Piastre genitali con pori ben visibili e rotondi, piastre neu- rali con fori abbastanza visibili per quanto più piccoli. Ambulacri molto lunghi, quasi uguali, rigonfi, digitiformi, aperti inferiormente. Zone porifere larghe, leggermente depresse; zone interporifere rigonfie, più larghe delle zone porifere. Aree interambulacrali leggermente rigonfie verso la parte apicale, nel resto pianeggianti. Tubercoli papillari circondati da fossette profonde. Peri- stoma profondo e subpentagonale; periprocto rotondo e marginale. Per quanto a prima vista i nostri esemplari presentino molte analogie con quelli che io ho determinato come nuova specie; però ben se ne distinguono per la forma più allungata e meno angolosa, per la turgidezza del margine, per gli ambulacri più aperti inferiormente, per la faccia inferiore pianeggiante anziché concava. La specie fu già indicata a S. Marino (Manzoni). È comune nel miocene medio dei colli torinesi ed è indicata pure nel miocene di Tocerano presso S. Maria Tiberina (Airaghi). AlPestero è indicata nel miocene d’Austria e d’Ungheria (Laube) ('). (*) (*) 187!. Laube, Die Echin. der oesterr.-ung. oberen Tertiaerablage- rungen, pag. 9. 262 B. NELLI Saltella Ài raglili n. sp. (Tav. X, fig. 14). Dimensioni : Diametro antero-posteriore cm. 9.06, » trasversale . . » 7,8, Spessore marginale . . nini. 4,4. Tre esemplari, imo dei quali in buono stato di conservazione, del quale non vedesi che la sua parte superiore, essendo nella sua parte inferiore unito alla roccia, dalla quale non si è po- tuto liberare. Forma subpentagonale, subtroncata posteriormente. Faccia superiore alquanto rigonfia, leggermente conica nella sua parte mediana, depressa e sottile lungo il margine. Sommità arnbu- lacrale quasi centrale, leggermente spostata all'indietro. Aree ambnlacrali marcatamente petaloidee, larghe, quasi eguali tra loro, aventi una lunghezza di mm. 18 ed una larghezza mas- sima di mm. 9, per cui, come apparisce da queste dimensioni, le zone ambnlacrali, rispetto allo spazio compreso fra la som- mità ed il margine, occupano uno spazio assai minore della metà. Zone porifere larghe, arrotondate all’estremità con pori disu- guali, stretti e oblunghi quelli situati sul lato esterno, rotondi quelli situati sul lato interno. Gli uni agli altri sono riuniti da un piccolo solco obliquo, essendo i pori disposti per paia obliqui. Zone interporifere larghe quanto le due zone porifere riunite, un poco acute verso l’ap’ce e leggermente convesse. I tubercoli piccolissimi sono appena visibili. Niente si può dire dell’ap- parecchio apicale, essendo in quel punto il nostro esemplare alquanto guasto. Rapporti e differenze. — Per tutti questi caratteri la forma descritta, per quanto non si sia potuto esaminare la sua faccia inferiore e quindi la posizione del periproeto, si avvicina alla Scutella Fanjasii Defrance. Come in questa gli ambulacri sono marcatamente petaloidi, le zone porifere molto larghe ed egual- mente arrotondate all’estremità; ne differisce però, oltreché per la forma non subcircolare, ma pentagonale, per la larghezza IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 263 maggiore delle zone interporifere e per gli ambulacri assai più corti. Per la brevità di questi ambulacri, per la loro forma, come per la speciale forma subconica della parte mediana della faccia superiore, può essere avvicinata alla Scutella striatula De Serr., oppure può essere paragonata ad una forma non molto dissimile dal miocene medio di Malta, dal Wright indicata col nome di Scutella striatula De Serr., da Lambert col nome di Se. sub- rotoncla Lem., da Airaghi (*) giustamente ritenuta specie nuova col nome di Se. melitensis. Dalla Se. striatula differisce per non presentare gli ambulacri sul margine esterno nessuna traccia di stri atura e dalla specie di Airaghi per le zone interporifere alquanto più larghe. Da entrambi differisce per la forma sub- pentagonale, così caratteristica nella nostra specie e che net- tamente la distingue da tutte le affini. Ecliinolampas angulatus Mérian. Loc. S. Marino: 1880. Ecliinolampas depressa (non Gray) - Manzoni, Echinodermi fossili della Mollassa serpentinosa e supplemento agli Echinodermi dello Schlier delle colline di Bologna , pag. 4, tav. I, fig. 4. 15 (Besonders Abgedruckt aus dem XLII. Bande der Denk- sckriften der Mathematisch. Naturwissenschaftlichen Classe der Kaiser!. Akad. der Wissenschaften). Loc. diverse: 1899. Ecliinolampas angulatus Ugolini, Sopra alcuni fossili dello Schlier del Monte Cedrone ( Umbria ) ^Boll. Soc geol. it-, voi. XYI1I, fase. 3°, pag. 4). 1901. Ecliinolampas angulatus Airaghi, Echinidi ierz. d. Pieni., etc. (loc. cit.), pag. 195, 196, tav. XXVIII (V), fig. 3. 1904. Ecliinolampas angulatus Airaghi, Echin. mioc. d. dint. di S. Maria Tiberina (loc. cit..), pag. 12, fig. 19, 20. Della specie abbiamo un gran numero d’esemplari, alcuni dei quali in buono stato di conservazione. Forme ovali, di dimensioni assai variabili, poiché da piccoli individui, il più piccolo dei quali misura mm. 35 nel suo dia- (‘) 1902. Airaghi C., Echinofauna oligocenica della Conca Benacense (Boll. Soc. geol. it., voi. XXI, fase. II, pag. 377, tav. XV, fig. 1). 264 B. NELLI metro antero-posteriore, min. 29 in larghezza, si passa gradata- mente a individui assai grandi, fra i quali uno presenta cm. 10 nel diametro antero-posteriore e 9 in larghezza. Tutti più o meno sono ristretti nella loro parte posteriore e talvolta quivi mostrano un rostro molto ben distinto più o meno acuminato. La faccia superiore più o meno appiattita in alcuni, in altri diventa più o meno convessa e talvolta quasi conica. Faccia inferiore alquanto incavata nel centro. In alcuni esemplari, in quelli meglio conservati, le aree interambulacrali di questa faccia mostransi assai gibbose in special modo presso il margine che in tal modo risulta più o meno rigonfio. Sommità ambulacrale quasi centrale, di poco spostata in avanti. L’apparecchio genitale nei nostri esemplari non è troppo ben conservato; mostra però in generale assai distintamente i quattro pori genitali. Aree ambulacrali molto strette, appena petaloidee, disuguali, l’anteriore impari relativamente corta, le anteriori pari molto divergenti, le posteriori meno. Zone porifere ineguali, legger- mente depresse; esse non arrivano al margine, ma percorrono la faccia superiore fino a circa due terzi. Zone interporifere strette. Peristoma infossato, subcentrale, pentagonale. Periprocto ovale, trasversale, situato vicino al margine, terminante indietro nel rigonfiamento dell’area interambulacrale impari. Tubercoli piccoli, serrati. De Loriol (*), e così pure Airaghi (2), ritengono V Echinolampas depressa Manzoni (non Gray) come specie diversa dell’iC. an- gulatus Mérian. De Loriol fa osservare (pag. 16) che quella forma è differente per la sua regione posteriore molto meno bruscamente ristretta e per mostrare un rostro molto meno accen- tuato, per i suoi ambulacri relativamente più larghi, per la sua faccia inferiore più uniformemente incavata dal bordo al peri- stoma. (*) 1882. De Loriol, Descr. des Échin. des environs de Camerino (Mém. de la Soc. de pliys. et d’hist. nat. de Genève, T. XXVIII, N. 3). H 1001. Airaghi, loc. cit., pag. 196. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 265 . A me non sembrano questi caratteri tali che possano net- tamente distinguere VE. depressa Manzoni dall’i?. anguìatus, tanto più che nei nostri numerosi esemplari di S. Marino si notano tali variazioni, ma graduali, che taluni parrebbero a prima vista riferibili a specie diverse. Le forme più piccole si presentano più ovali, più ristrette po- steriormente e quivi per conseguenza un rostro molto accentuato del tipo appunto delle forme descritte e figurate dal De Loriol. Da queste si passa poi gradatamente a forme presso a poco circolari negl’individui grandi, i quali sempre mostrano in modo evidente, ma meno acuto il rostro della parte posteriore. La faccia inferiore non è identica in tutti gl’individui, poiché il rigonfiamento delle piastre interambulacrali si mostra solo negli esemplari meglio conservati, mentre negli altri apparisce più o meno irregolare e talvolta al posto del rigonfiamento ap- parisce una concavità identica a quella che distinguerebbe la forma della molassa serpentinosa dall’altra di Camerino, e così dalla nostra. Se si confrontano poi le zone porifere, la loro ineguaglianza nelle due forme è corrispondente; la larghezza degli ambulacri poi non si può ritenere differente, essendo essa alquanto varia- bile, come risulta dai nostri esemplari, dove ambulacri stretti mostransi in forme piccole e viceversa. La specie viene indicata nel miocene di Yignaccia presso Piedebovigliana, Campobono, S. Ilario e dintorni di Camerino (De Loriol, pag. 16). È indicata anche a Santa Maria Yigliana, Montese, come pure a S. Marino (E. depressa Manzoni, pag. 5), nell’elveziano di Rosignano, pure nel miocene tra Santa Maria Tiberina e C. Dogana, Dogana, M. Cedrone e Tocerano (Airaghi). Ecliinolampas Stefaninii n. sp. (Tav. IX, fig. 9, 9 a). Loc. S. Marino: 1873. Conoclypeus plagiosoinus Manzoni, II Monte Titano, etc. (loc. cit., pag. 8). 1901. Ecliinolampas plagiosoinus De Alessandri, App. di geol. e pai., ecc. (loc. cit., pag. 112). 266 B. NELLI Dimension i : Diametro antero posteriore cm. 10,5, » trasversale . . » 8,9, Altezza » 8,3. Della specie abbiamo molti esemplari di diverse dimensioni, piuttosto grandi. Forme subpentagonali. Faccia superiore piut- tosto subconica, alta. Sommità ambulacrale subcentrale, più o meno spostata in avanti. Aree ambulacrali diritte, larghe, aperte, pressoché eguali in lunghezza, le anteriori pari più divergenti di quelle posteriori. Zone porifere ineguali, non arrivano al mar- gine e percorrono la faccia superiore fino oltre due terzi. I pori ambulacrali esterni di ciascuna zona si allungano in una fessura trasversa, mediante la quale si congiungono ai pori interni, che nei migliori esemplari appariscono evidentemente di forma ro- tonda. Faccia inferiore alquanto concava. Questa concavità esten- dendosi fino al margine, lo rende assai stretto ed acuto. Peristoraa quasi centrale, pentagonale. La piastra centrale come pure il peri- procto non sono conservati. Tubercoli piccoli, scrobicolati, serrati. La nostra specie per la forma marcatamente convessa supe- riormente, quasi conica, concava inferiormente, pel margine sub- pentagono, presenta così grandi analogie coll’ Heieroclypeus sub- pentagonalis Gregory, da potere essere a prima vista quasi confuso con questo. Differisce però nell’aspetto delle zone porifere, le quali a differenza non presentano eguale lunghezza e si arrestano assai prima di raggiungere il margine. E questo uno dei carat- teri essenziali del gen. Echinolampas. L’ Hcteroclypeus subpentagonalis Gregory, che Laube prima, fidandosi deH’identificazione di Wright, aveva ritenuto per Co- noclypeus plagiosomus Ag., è giustamente una specie nuova, alla quale vanno riferite in tutto o in parte le forme di Malta ed in parte forse quelle di Montese, ritenute per Conoclypeus co- noideus Mazzetti (non Lamark), così pure il Conoclypeus pla- giosomus Wright di Malta è specie diversa, come V Hcteroclypeus liemisfcricus Gregory (';. (') 1891. Gregory J. W., The Maliche fossil Echinoidea and their evidence on tlie correlation of thè Malfa se JRocJcs (Transactions of thè R. Society of thè Edinburg, voi. XXXVI, part. Ili, n° 22, pag. 599). IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 267 Le nostre forme di S. Marino, che, per le loro zone porifere ineguali, si differenziano così bene dalla specie di Gregory {H. subpentagonali s), potrebbero forse corrispondere i\W Echino- lampas plagiosomus Ag., specie dagli autori molto confusa, la forma di Agassiz non essendo mai stata figurata. Non avendo potuto avere il lavoro di Agassiz, dove la specie è stata descritta, nè avendo potuto vedere la forma tipica, con- fronto i miei esemplari con la forma di Corsica, che il dott. Ste- fanini ha gentilmente avuta in comunicazione dal sig. Péron, forma che il Cotteau determinò e descrisse come Conoclypeus plagiosomus Ag. I nostri esemplari gli corrispondono per le dimensioni, per la convessità della faccia superiore, per l’aspetto delle aree ambulacrali e delle zone porifere; ne differiscono però per essere un poco più marcatamente subpentagonali, per avere la faccia superiore più alta e alquanto più strettamente convessa verso l’apice, per cui apparisce maggiormente subconica, per avere inoltre la sommità ambulacrale non centrale. Echinolampas Stefaninii n. sp., var. oblonga. (Tav. X, fig. 2, 2 a, 3). Dimensioni approssimative di due esemplari: Diametro antero-posteriore min. 92; 90, » trasversale . . » 70; 76, Altezza » 33; 33. \ E da notarsi come dalla forma tipica subpentagonale alta e subconica si passa gradatamente a forme più depresse, oblunghe ed ovali, per cui non credo che possano essere distinte come specie diverse. Pliolampas Silvestri Airaghi. 1904. Pliolampas Silvestri Airaghi, Echinodermi mioc. dei dintorni di S. Maria Tiberina (loo. cit., pag. 11, fig. 1 -4). Alcuni esemplari, i quali, per quanto veramente in non troppo buono stato di conservazione, presentano abbastanza distinta- mente i caratteri della specie. 268 B. NELLI Forma rotondeggiante, leggermente rostrata, non molto ri- gonfia. Sommità apicale eccentrica in avanti. Ambulacri peta- loidei, aperti, alquanto convessi. Ambulacri posteriori un poco più lunghi degli anteriori ed assai meno divergenti. Zone pori- fere relativamente assai larghe con pori distinti a paia oblique, ben visibili ed ineguali, irregolari, allungati gli esterni, arroton- diti gl’interni, riuniti gli uni agli altri da un solco poco ap- parente. Zone interporifere larghe quanto una zona porifera. Tubercoli molto piccoli, abbondanti, sparsi. Il peristoma nei nostri esemplari è malamente conservato. Periprocto marginale, ovale, allungato, longitudinale. L’apparecchio apicale non è conservato. Questa specie, come fa osservare Airaghi, è paragonabile al Pliolampas vassali Wright. Viene indicata nel miocene di Do- gana dei dintorni di S. Maria Tiberina. Pliolampas titauensis n. sp. (Tav. IX, fig. 10, 10 a, 10 b). Ritengo per nuova specie cinque esemplari, due dei quali in ottimo stato di conservazione. Questi presentano rispettiva- mente le seguenti dimensioni: Diametro antero-posteriore mm. 41,6; 41, » trasversale . . » 29,4; 33,2, Altezza » 21; 21,7. Essi presentano forma oblunga, subcilindrica, anteriormente arrotondita ma alquanto ristretta nella parte posteriore, dove si mostra leggermente subrostrata con angolosità molto ottusa. Faccia sup. rigonfia, subdepressa alla sommità; faccia inf. arrotondita nei margini ed incavata al centro. Sommità apicale eccentrica in avanti. Aree ambulacrali subpetaloidi presentan- dosi molto aperte alla loro estremità e quasi diritte; sono pure ineguali, essendo le aree ambulacrali posteriori più lunghe delle altre. Zone porifere non molto larghe, composte di pori ben visi- bili, ineguali, disposti a paia oblique, gli esterni virgolai! allun- gati, gl’interni arrotonditi, gli uni agli altri riuniti per mezzo di un solco sottile e superficiale. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 269 Queste zone porifere, larghe alla loro estremità, sono eguali in lunghezza ed alla loro estremità i pori allungati diventano come gl’interni circolari. Zone interporifere presso la sommità assai strette, quivi presentando una larghezza quasi minore a quella di una zona porifera, vanno poi facendosi sempre più larghe verso l’estremità, la quale perciò resulta evidentemente aperta. Tubercoli semplici non dentellati, molto piccoli, abbon- danti, serrati, sparsi, scrobicolati. Peristoma alquanto eccentrico in avanti, subpentagonale, munito di floscelli poco apparenti. Periprocto marginale, ovale, marcatamente allungato, situato all’estremità della parte rostrata, quindi nella parte posteriore piu sporgente. Apparecchio apicale provvisto di una grande piastra madre- porica. In uno dei nostri esemplari si vede beD distinto uno dei tre 0 quattro pori genitali che si trovano nei Pliolampas. Nel me- desimo, per quanto non molto distintamente, si possono vedere 1 cinque pori genitali. Rapporti e differenze. — Questa nuova specie presenta una forma perfettamente identica a quella del Pliolampas Passali Wright (— Echinolampas Corsicus Cotteau) ('); ne differisce però per la forma dei suoi ambulacri, che nella forma di Bonifacio sono molto più petaloidi per quanto aperti. Un’altra differenza assai caratteristica si è che nella nostra forma gii ambulacri posteriori sono molto più lunghi e parimente più lungo è l’am- bulacro impari. In quanto al riferimento generico mi sembra non dubbio che le nostre forme debbano essere riferite al gen. Pliolampas, piut- tosto che al genere, a questo molto vicino, Echinanthus. Infatti le zone porifere della nostra forma sono larghe come nei Plio- lampas e non già affilate alla loro estremità come negli Echi- nanthus. In quest’ultimo genere poi il periprocto, per quanto longi- tudinale ed ovale, non è mai tanto allungato. (') 1877. Cotteau in Locard, Faune des terr. tert. de la Corse, loc. cit., pag. 282, tav. XI, fig. 1-5. 270 B. NELLI Liiithia Locardi Tournouer. 1877. Linthia Locardi Cotteau G. in Locarci, Faune des terr. tert. moy. de la Corse, pag. 288 (cimi syn.). 1895. Linthia Locardi Cotteau, Descr. des e'chin. mioc. de la Sardaigne (loc. cit., pag. 39). 1896. Linthia Locardi Mazzetti G., Catal. degli Echin. foss. della coll. Mazzetti, pag. 26. Loc. S. Marino: 1880. Linthia Locardi Manzoni, Echin. foss. della Molassa serpentinosa, pag. 6 (loc. cit.). Della specie abbiamo moltissimi esemplari, alcuni dei quali assai ben conservati, in modo che mostrano distintamente i ca- ratteri della specie, che non descrivo perchè abbastanza cono- sciuta. Fu già indicata a S. Marino (Manzoni). Trovasi nel miocene medio di Salto nel Castagneto dei Cinghi, a S. Maria Vigliana e Santa Maura (Mazzetti), nel miocene medio della Corsica, a Santa Manza (Cotteau), e cosi pure in quello della Sardegna, a Santa Lucia a sud di Cagliari, presso Pozzomaggiore (Cotteau). Nel Museo di Firenze abbiamo diversi esemplari della Serra dei Guidoni. All’estero viene indicata in Francia nel miocene di Les Baux (Bouch es- d u-Rhòne) . Linthia Lorioli Airaghi. 1899. Liiithia Ljorioli Airaghi, Echinidi del bacino della Bormida (Boll. Soc. geol. it., voi. XV11I, pag. 166, tav. VII, lig. 3a, b ). Riferisco alla specie quattro esemplari, due dei quali però incertamente per il loro cattivo stato di conservazione. In questi esemplari non si mostrano traccie di fasciole, nè i pori genitali, i quali, a quanto pare, non sono visibili neppure nella forma tipica, per cui resta sempre un po' incerto se debba riferirsi al gen. Pericosmus oppure al gen. Linthia; tuttavia mi rimetterò anch’io all’autorità di De Loriol che esaminò la forma tipica. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 271 La specie essendo stata esattamente descritta dall’Airaghi, darò solo sommariamente di essa quei caratteri che, specialmente da uno dei miei esemplari, appariscono ben distinti. Forma tanto lunga quanto larga, anteriormente tondeggiante, posteriormente ristretta, troncata. Sommità ambulacrale quasi centrale. Ambulacri relativamente lunghi, larghi e profondi, gli anteriori diritti, i posteriori più corti e meno divergenti. Zone porifere costituite da pori esterni oblunghi e da pori interni rotondi; spazio porifero più largo dello spazio interporifero. Solco anteriore molto profondo presso il margine, dove si presenta perciò una profonda insenatura. Peristoma trasversale labiato; il periprocto non è conservato. La specie è indicata nel tongriano di Carcare (Airaghi). Schizaster Scillae Desmoul. 1901. Schizaster Scillae Airaghi, Echin. terz. Pieni. Lig. (loc. cit., pag. 204) (curn syn.). Diversi esemplari, i quali, per quanto in cattivo stato di conservazione, per la loro forma come per l’aspetto degli am- bulacri sembrano certamente riferibili a questa specie. È assai comune nell’elveziano, dove viene citata a Baldis- sero, Pian dei Boschi, Kosignano, Vignale (Airaghi). Viene pure indicata nel miocene medio della Sardegna (*), della Corsica, di Malta (2), ecc. Trovasi pure nel tongriano (3), nel tortoniano e si estende fino al pliocene. Pericosmus cfr. callosus Manzoni. Della specie abbiamo tre esemplari, i quali, per il loro cattivo stato di conservazione, per essere più o meno deformati, non sono determinabili in modo sicuro. Uno di questi mostra tuttavia abbastanza distintamente i caratteri della specie. C) 1895. Cotteau, Descript, des Échin. miocènes de la Sardaigne (loc. cit., pag. 42). (*) 1877. Cotteau, Descr. des terr. tert. moy. de la Corse (loc. cit., pag. 295). (3) 1899. Airaghi, Ecliin. del Bac. della Bormida (Boll. Soc. Geol. it, voi. XVIII, pag. 173). 19 272 B. NELLI Forma conico, alquanto elevata; aree ambulacrali piuttosto larghe ed escavate, chiuse alla loro estremità. Le anteriori un poco più lunghe delle posteriori, disposte ad angolo aperto. Spazii interambulacrali sporgenti. Superficie inferiore pianeg- giante. Non vcdesi il periprocto, nè il peristoma. Secondo il dott. Stefanini, il quale attualmente si occupa di Echini terziari appartenenti al nostro Museo di Firenze, si devono distinguere nel Pericosmus ccillosus Manzoni le forme coniche ed elevate da quelle depresse e dilatate, le quali costituiscono specie a sè e ben diversa dalPaltra. Il Manzoni indica la specie nello Scldier delle colline di Bo- logna, della quale località abbiamo nel Museo di Firenze diversi buoni esemplari. Pericosmus pedemontanus De Alessandri. 1901. Pericosmus pedemontanus De Aless., Airaghi, Echin. ierz. Pieni, e Lig., loc. cit., pag. 208, tav. XXVI, fig. 3 (cum syn.). Dimensioni di uno dei migliori esemplari: Diametro antero-posteriore mm. 66,5, » trasversale . . » 64,8, Altezza » 86,5. Della specie abbiamo diversi esemplari, i quali sono in cat- tivo stato di conservazione, essendo alquanto deformati, non pre- sentando nè peristoma, nè periprocto, nè tracce di fasciole, tut- tavia per molti altri caratteri, che si mostrano evidenti, sembrano con sicurezza determinabili. Esemplari cordi formi con incavo anteriore fortemente mar- cato; faccia superiore rigonfia e faccia inferiore pianeggiante. Solco anteriore largo, svasato, non molto profondo, fortemente escavato di fronte all’ambito. Aree ambulacrali pari, piuttosto lunghe ed escavate, chiuse alla loro estremità, disuguali, le ante- riori più lunghe delle posteriori. Zone porifere costituite da una doppia fila di pori, ben visi- bili, gli esterni subvirgolari, gl’interni rotondi, gli uni agli altri riuniti da un solco. Zone interpoli fere larghe quanto lo spazia di una zona porifera. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 273 Aree interambulacrali strette presso l’apice ambulacrale, in- torno al quale, come si vede nell’esemplare meglio conservato, si mostrano alquanto prominenti. La specie viene indicata nell’elveziano di Pino Torinese e Ozzano (Airaghi), a Cellamonte (De Alessandri). Pericosmus spatangoides (Des.) De Loriol. 1876. Pericosmus spatangoides Botto-Micca L., Contribuzione allo studio degli Echinidi terziari del Piemonte (Boll. Soc. geol. it., voi. XV, pag. 363). 1899. Pericosmus spatangoides Airaghi C., Echinidi del Bacino delta Bormida (loc. cit., voi. XVIII, pag. 173, tav. VII, fig. 6 a,b,c). 1901. Pericosmus spatangoides Airaghi C , Echin. terz. Piem. Big. (loc. cit., pag. 206). 1901. Pericosmus spatangoides De Alessandri, Appunti, etc. (loc. cit., pag. 211). Della specie non abbiamo che un solo esemplare in ottimo stato di conservazione. In tati i suoi caratteri, per quanto di forma un poco più circolare, corrisponde perfettamente alla forma eocenica figurata e descritta dal De Loriol (*). Nel miocene è indicata nel tongriano di Carcare e nell’aqui- taniano di Eavanasco (Airaghi). Porse trovasi anche nel miocene del Vicentino se vero è che il Macropneustes pulvinatus Laube (non d’Archiach) sia veramente sinonimo di questa specie, come il De Loriol ritiene. Spatangus Manzonii Simonelli. A questa specie riferisco diversi esemplari per compressione ed erosione più o meno deformati; pure a giudicare dalla loro forma e dall’aspetto speciale degli ambulacri mi sembra non dubbia questa determinazione. Airaghi ritiene questa specie del Simonelli sinonima dello Sp. austriacus Laube (2), il dott. Stefanini, come potrà dimostrare (!) 1875. De Loriol, Descript, des Échinides tertiaires de la Suisse (Mém. Soc. paléont. Suisse, voi. II, pag. 112). (2) 1901. Airaghi, Echin. terz. Pieni., (loc. cit., pag. 216). 274 B. NELLI in un suo prossimo lavoro su Echini terziarii, crede possa rite- nersi come buona specie. Fu indicata alla Verna, nelle sabbie della Melosa presso Chiusi (Simonelli), èd io la indicai già nel macigno della Por- retta insieme ad altre località del miocene medio d’Italia (J). Trachyspatangus Peroni Cotteau. 1887. Macropneustes Peroni Cotteau, Descript, de la faune des terr. tert., de la Corse, pag. 323, tav. XV, fig. 4, 5. 1895. Trachyspatangus Peroni Cotteau, Descript, des Échin. mioc. de Sardaigne (loc. cit., pag. 51). Loc. S. Marino: 1873. Macropneustes Meneghini Manzoni, Il Monte Titano, i suoi fos- sili, ecc. (loc. cit., pag. 10, 21). 1T06. Eypsospatangus Peroni Nelli, Il mioc. del Monte Titano, ecc., (loc. cit., pag. 742). Della specie abbiamo diversi esemplari, alcuni dei quali in buono stato, che per forma e per tutti gli altri caratteri cor- rispondono perfettamente alla forma tipica. Molti altri dei nostri esemplari hanno forma più o meno oblunga, per cui parrebbero a prima vista separabili da questa specie, ma, come ho notato, da esemplari di forma circolare si passa gradatamente a forme ellittiche così che pare certamente che tale ditferenza di forma non sia da ritenersi come carattere di varietà, ma piuttosto dovuta ad una deformazione, causata da pressione. Cotteau considerò prima la sua forma come un Macropneustes; ma poi che furono distinti in questo genere diversi tipi la ri- ferì al gen. Trachyspatangus, per quanto nei suoi esemplari non si conoscesse la forma del periprocto nè la sua posizione. 1 nostri esemplari non sono meglio conservati, per cui, riferendoli al gen. Trachyspatangus, mi rimetto completamente all’autorità del Cotteau. (') 1903. Nelli, Foss. mioc. del macigno di Torretta (Boll. Soc geol. it., voi. XXII, pag. 196). IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 275 Trachyspatangus sp. (Tav. X, tig. 1). Un solo esemplare, rappresentato da una parte della faccia superiore, circa la metà. È mediocremente rigonfia a contorno pressoché circolare, per cui si può arguire la forma rotonda, o quasi, dell’esemplare completo. Sommità apicale un poco eccen- trica in avanti. Area ambulacrale anteriore e posteriore super- ficiali, lunghe, larghe, aperte alla loro estremità. Ambulacro anteriore molto divergente dalla sommità apicale, quello poste- riore meno divergente, molto più lungo e più flessuoso. Zone porifere formate di pori ovali, trasversi, uniti da un solco. I pori della fila esterna appariscono un poco più lunghi degli altri. Zone interporifere all’incirca larghe quanto le due zone pori- fere riunite. Tubercoli ineguali, numerosi, sparsi, mammellonati, perforati, dentellati intorno al margine mammellonare, scrobi- colati, molto più abbondanti verso la periferia che verso la som- mità ambulacrale. Fra questi tubercoli si mostrano numerosi granuli sparsi. Fasciola peripetale stretta e sinuosa. Si mostra con evidenza fra l’ambulacro anteriore e posteriore. Verso l’estre- mità dell’ambulacro anteriore aderisce alla zona porifera con direzione verso la sommità ambulacrale, quindi se ne allontana per un breve tratto e piega poi nuovamente verso la sommità ambulacrale per torcersi subito in direzione dell’ambulacro po- steriore secondo una linea retta, in direzione obliqua, che si estende fin presso il detto ambulacro. Quivi piega bruscamente per breve tratto verso il margine in direzione pressoché paral- lela airambulacro, torna poi nuovamente a piegare verso l’am- bulacro e se ne perde quindi la traccia al disotto di una Mem- branopora. Quest’esemplare, per quanto molto incompleto, nell’insieme presenta una certa somiglianza col Trachyspatangus Peroni Cot- teau (') così per la forma come per l’aspetto degli ambulacri ; questi però sono meno diritti ed i tubercoli si mostrano più fìtti alla periferia che non verso la sommità ambulacrale. (‘) 1877. Locarci et Cotteau, Descr. de la Faune, ete., loc. cit., pag. 322, tav. XV, fig. 4, 5. 276 B. NELLI Altra rimarchevole differenza consiste nell’andamento speciale della fasciola, la quale, essendo così sinuosa, a zig-zag, differenzia in modo caratteristico la nostra specie da tutte quelle conosciute; l’esemplare però è troppo incompleto per poterne fare una specie nuova. Eupatagus sanmarinensis n. sp. (Tav. IX, fig. 3). TJn solo esemplare, non intero, grande, presentando rico- struito circa le seguenti dimensioni: Diametro antero -posteriore crn. 13, » trasversale . . » 9, Spessore min. 31. Forma oblunga, piuttosto depressa, a quanto sembra da tutto l’insieme, alquanto arrotondita in avanti, un poco ristretta po- steriormente e quasi acuminata. Faccia superiore leggermente rigonfia, non molto declive verso i bordi. Faccia inferiore quasi piana. Il peristoma non è visibile. Sommità apicale eccentrica in avanti. Essendo il nostro esemplare in parte mancante nella sua parte anteriore non si vede il solco anteriore. Aree ambulacrali strette, piuttosto lunghe, superficiali, ineguali, le anteriori diritte e molto divergenti, quasi trasverse, facendo un angolo molto ottuso, più corte di quelle posteriori, che sono parimente diritte, ma molto meno divergenti, contenendo un angolo acuto. Zone porifere costituite da pori subcircolari, uniti da un solco. Zone interporifere approssima- tivamente larghe quanto le due zone porifere riunite insieme. Le due aree interambulacrali, contenute fra i due ambulacri anteriori e posteriori, sono leggermente rigonfie verso l’apice, alquanto depresse e quasi incavate nella parte mediana fin presso il margine. Anteriormente e posteriormente le aree interambu- lacrali si presentano convesse nella loro parte mediana. La zona interambulacrale posteriore più stretta di quella anteriore per la sua marcata e stretta convessità apparisce quasi carenata. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 277 I tubercoli, piccoli e perforati con mammelloni poco distinti, mostrano coll’aiuto della lente tracce di dentellature. Essi sono irregolarmente disposti e si mostrano anteriormente poco nume- rosi presso gli ambulacri, più numerosi negl’interambulacri late- rali, nello stesso modo situati presso gli ambulacri. L’area in- terambulacrale posteriore manca assolutamente di tubercoli e non vi si notano che delle piccole granulazioni, le quali si mostrano pure negli altri interambulacri. Della fasciola peripetale si vede, per quanto non distinta- mente, qualche traccia dalla parte completa del nostro esem- plare. Questa specie non è paragonabile con alcuna di quelle mio- ceniche che si conoscono. Per la sua forma e per la lunghezza degli ambulacri presenta qualche analogia coll 'Eupatagus Vc- ronensis Agassiz (') dell’eocene superiore; gli ambulacri però diversificano molto per il loro aspetto. Eupatagus n. sp. ? (Tav. IX, fig. 4). Diversi esemplari in molto cattivo stato di conservazione, per cui non è possibile poterli con sicurezza specificare; però da quei caratteri che si mostrano abbastanza evidentemente sono con. probabilità da ritenersi come nuova specie. Per questa ra- gione darò di essi una sommaria descrizione. Forma oblunga, ellittica. Sommità ambulacrale eccentrica in avanti. L’area ambulacrale impari non è affatto visibile, degli ambulacri anteriori e posteriori in uno dei nostri esemplari si mostra abbastanza distintamente uno solo anteriore ed uno po- steriore. Quello anteriore è più corto del posteriore, quest’ultimo è alquanto flessuoso alla sua estremità. Zone porifere più larghe delle zone interporifere, composte da pori ovali, allungati, uniti da un solco profondo. Area inte- rambulacrale posteriore provvista di tubercoli. Questi mostrano p) 1878. Dames, Die EcMniden der vicentinischen and veronischen Terliaerablagerungen (Palaeontographia, 25 Band, S 77, taf. X, fig. 4, taf. XI, fig 1). 278 B. NELLI tracce di dentellature e di mammelloni e si mostrano distinta- mente neH’interambulacro pari laterale, dove si presentano piut- tosto regolarmente disposti in file le ime alle altre pressoché parallele, e ciascuna fila essendo costituita da due linee curve colle convessità rivolte verso il margine del guscio e che s’in- contrano nella parte quasi mediana deH’interambulacro. Questi tubercoli sono limitati dalla fasciola peripetale, di cui nel nostro esemplare si vede con evidenza la traccia. Questa forma non sembra paragonabile con alcuna delle specie conosciute; solo per la regolare disposizione dei suoi tubercoli potrebbe avvicinarsi al tipo dell 'Eupatagus Konincki Wright del miocene di Malta (1). Briozoari. Tenebri pora sp. Sulla parte supcriore d’un esemplare di Traci typatagus si mostrano le aperture cellulari e tracce di stoloni ramificati di questo briozoo perforante. Per il suo cattivo stato di conserva- zione non è specificatamente determinabile. Yibraculina sp. Sopra un radiolo di Cidaris si mostra un frustolo, sul quale si vedono distintamente le aperture degli zoeci di forma sub- circolare o alquanto allungata. Gli zoeci meglio conservati mo- strano il peristoma leggermente rilevato ed un accenno di tubo- latura. Debbo notare la somiglianza che presenta il nostro esem- plare colla Vibraculina Seguenziana Neviani, del postpliocene di Spilinga (?), ma per il suo stato di conservazione non credo poterlo determinare con sicurezza. (*) (*) 1864. Wright, On thè Fossil Echinidae of Malta, pag. 487, PI. XXII, fig. 5 a, 5 c (Proceedings of ilio Geological Society). (2) 1901. Neviani A., Brìozoi neogenici delle Calabrie (Palaentographia italica, voi. VI, pag. 150). IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 279 Membranipora aperta Bk. Riferisco alla specie un buon esemplare, il quale presenta una tessitura sottile ed elegante e nelle parti meglio conservate appariscono in modo evidente gli aviculari disposti negli angoli di congiunzione degli orli cellulari. . La specie viene indicata nel pliocene di Gastrocaro e nel Crag d’Inghilterra (Manzoni) (1). Membranipora irregularis d’Orb. Riferisco alla specie un buon esemplare. Viene indicata nel miocene medio (elv. tort.) di Benestare (Seg.) nel pliocene e postpliocene (Neviani) (?). Smittia sp. ? Loc. Monte Titano: 1873. Forites ramosa (non Catullo) - Manzoni, Il Monte Titano, etc., pag. 10 (loc. cit.). 1893. Cellepora De Stefani, Les terr. tert. sup. du bass. de la Mediter- ranée (loc. cit., tableau de terr. du Miocène moyen de V Ap- pennini septentrional). Colonia in masse calcaree mammellonate e irregolarmente ramificate, talora ragguardevoli e in parte silicizzate. Cellule distese in strati concentrici di forma ovale più o meno allungata, riunite ora quasi in serie lineari ed in parte le line alle altre sovrapposte, come appariscono in quelle parti de’ miei esemplari che sono meglio conservate, ora invece riu- nite in modo affatto irregolare. Superficie liscia, piana o leg- germente rigonfia. Gli orifìzi non sono sempre visibili per com- pleta calcificazione delle cellule, quando si mostrano la loro forma è subcircolare, talora circolare. Nelle cellule meglio con- servate apparisce spesso intorno all’orifizio un leggero rilievo e al disotto un solco. Si mostrano qua e là le ovicellule, le quali O 1875. Manzoni, I Briozoi del Pliocene antico di Castrocaro, pag. 9. 0 1901. Neviani A, loc. cit., pag. 155. 280 B. NELLI sono globose e piuttosto prominenti. Le avicularie non sono con- servate. È notevole la grande somiglianza che assumono le cellule di questa specie con quelle di Cellepora quando, scoperte ester- namente dall’erosione, mostrano la parte interna e per conse- guenza delle grandi aperture, corrispondenti alle cavità cellulari, alle quali si uniscono aperture più piccole rispondenti alle aper- ture boccali e alle ovicellule. Volendo paragonare la nostra specie si potrebbe avvicinare alla Lepralia cuculiata Busck. (1), che è una Smittia, tanto per la forma degli zoeci quanto per quella dell’orifìzio; però la superficie dei nostri zoeci non presenta punteggiature nè per- forazioni. In quanto alla determinazione del genere non abbiamo buoni esemplari per una sicura determinazione, probabilmente mi pare che possa riferirsi ad una Smittia, la quale presenta appunto il peristoma elevato e forma un orifizio secondario solcato in fronte. Cribrilina radiata Moli. Zoeci di forma rombo-ovoidale costituenti squamette incro- stanti. Bocca più o meno arrotondata. Sopra alcuni di questi zoeci si vedono abbastanza distintamente le costoline irraggianti. Per questi caratteri i nostri esemplari potrebbero riferirsi alla var. rarecostata Keuss (Cellepora), ma non essendo in troppo buono stato di conservazione, ed essendo la specie assai varia- bile, non si può dire con certezza. La specie viene indicata nell’elveziano di Ambutì, Malochia, Monteleone (Seguenza), cosi pure nel tortoniano di Vena di Mezzo e Pulcinella ai Pioppi presso Monteleone (De Stefani), Punta di S. Rena, Tono sopra Rombiolo (Neviani) (*). Viene pure indicata in molte località plioceniche e postplio- ceniche. È tuttora vivente in tutti i mari e fossile fin dal cre- taceo (specie e varietà). (') 1875. Manzoni, loc. cit., pag. 31, tav. IV, iig. 47. (5) 1901. Neviani A , loc. cit., pag. 170. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 281 Myriozoum trimcatum Pallas. Loc. Monte Titano: 1873. Myriozoon truncatum Manzoni, II Monte Titano, ecc. (loc. cit., pag. 8, 15). 1875. Myriozoon truncatum Manzoni, I briozoi del pliocene antico di Castrocaro, pag. 4. Di questa specie si vedono diversi frammenti nella roccia, uno di questi in migliore stato di conservazione è rappresentato da un tronco dicotomo, alla superficie del quale si mostrano con evidenza le aperture delle cavità cellulari e fra questi i pori vibracellari. La specie viene indicata fossile fin dall’oligocene ('). Nel miocene medio viene indicata nelPelveziano di Ambutì (Se- guenza), cosi pure nel Tortoniano a Punta di S. Arena, Caria sopra Tropea (De Stefani), in diverse località plioceniche e post- plioceniche (2). È tuttora vivente nel Mediterraneo, Adriatico ed altri mari, e nell’Atlantico (3). Smittia Hellerii (Manzoni), Il nostro esemplare è assai ben conservato. La forma delle cellule è rombo-ovoidale, sono depresse ed intorno al margine presentano una serie di pori. Apertura subrotonda, ampia rela- tivamente alle dimensioni degli zoeci. In uno di questi sotto l’apertura si vede abbastanza distintamente l’apertura dell’oecia. Per tutti questi caratteri, per quanto nulla si possa dire della forma delle oecie, che non son conservate, credo poter riferire senza dubbio il nostro esemplare alla detta specie del Manzoni, che viene indicata nelle colline di Torino (4). (*) 1905. Neviani A, Briozoi fossili di Carrubare (Boll. Soc. geol. it , voi. XXIII, pag. 530). C) 1901. Neviani A., loc. cit., pag. 189. (3) 1889-1893. Carus, Prodromus Faunae Mediterrancae, voi. II, pag. 33 . (4) 1870. Manzoni, Briozoi fossili italiani. Quarta contribuzione, pag. 18. (Aus dem LXI Bde d. Sitzb. d. k. Akad. d. Wissensch. 1 Abth. Marz-Heft) 282 B. NELLI Retepora cellulosa Busk. Diversi esemplari i quali mostrano il lato esterno ed un esemplare mostrante il lato interno. La specie viene indicata nell’elveziano di Ambutì e Bene- stare (Seguenza) (*) nei calcari attribuiti al mio-pliocene di Pi- scopio (Cortese) (2), nel pliocene di Reggio e Cannitello (Man- zoni) (3), ed in altre località del pliocene. Viene pure indicata nel post-pliocene ed è tuttora vivente nel Mediterraneo, nell’Atlan- tico e nei mari boreali (4). Hornera frondiculata Lamarck. Di questa specie appariscono nella roccia diversi frammenti di rami irregolari. Uno dei miei esemplari mostra con evidenza i pori allungati della faccia posteriore ed intorno a questi ap- pariscono tracce di strie; altro esemplare mostra i pori circolari della faccia anteriore. La specie viene indicata nel tortoniano ed elveziano della provincia di Reggio (Seguenza, pag. 84), in molte località plio- ceniche e postplioceniche ed è tuttora vivente nel Mediterraneo, Adriatico ed altri mari (5). Idmonea sp. Alcuni frammenti di rami mal conservati e per ciò speci- ficatamente non determinabili. (') 1879. Seguenza, Formazioni terziarie nella prov. di Reggio, pag. 84. (?) 1895. Cortese E., Descrizione geologica della Calabria. Memorie descrittive della carta geologica d’Italia, voi. IX, pag. 152. (3) 1870. Manzoni, loc. cit., pag. 19. (4) 1889-1893. Carus, loc. cit., pag. 17. (5) 1901. Neviani, loc. cit., pag. 225. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 283 Domopora cfr. striatula Busk. (Tav. IX, fig. 14). Potrebbe esser riferito a questa specie (!) un esemplare non ben conservato di polizoario avente forma eli disco. Nella sua parte superiore è ornato di coste ineguali per spessore e per forma, irregolarmente disposte ed irraggianti. I tubi cellulari, dei quali resultano costituite le coste, non sono visibili, pure in alcune parti si mostrano abbastanza distintamente le aper- ture cellulari. La parte inferiore del disco non presenta stipite ed è liscia. Brachiopodi. Tenebratala Costae Seguenza. (Tav. Vili, fig. 4, 4a, 46, 5). 1851. Terebratula biplicata Costa, Fauna del Regno di Napoli, Brachio- podi (pag. 16, tav. V, fig. 1, 2). 1864. Terebratula sinuosa Davidson (pars), On line of thè geology of thè Maltese islands, etc. (pag. 6, fig. 4 e 7). 1870. Terebratula sinuosa Davidson (pars). On it. tert. bradi . (pag. 7, tav. XVIII, fig. 3). 1871. Terebratula Costae Seguenza, Studii paleontologici sui Brachiopodi terziarii dell’Italia meridionale (Estr. dal Boll, malacol. it., pag. 71). 1900. Terebratula Costae Kelli, Foss. mioc. dell’ Appennino aquilano (Boll. Soc. geol. it., voi. XIX, fase. II, pag. 414). 1902. Terebratula sinuosa var. pedemontana (non Lk.) Sacco, I Brachio- podi dei terr. terz. del Pieni e Lig. (pag. 15, tav. Ili, fig. 14). Loc. S. Marino: 1873. Terebratula bisinuata (non Lamk.) Manzoni, Il Monte Titano, ecc. (loc. cit., pag. 7). Diversi esemplari della specie, due dei quali ben conservati mostrano distintamente i caratteri seguenti. (D 1859. Busk G., A monograph of thè fossil Polyzoa of thè Crag , pag. 117, tav. XVIII, fig. 5. 284 B. NELLI Valva dorsale quasi pentagonale con due pieghe assai rile- vate, rotondate e divergenti che raggiungono i due terzi della lunghezza vaivare al disotto dell’umbone. Lateralmente sono limitate da una depressione piuttosto profonda, concava e larga. Valva ventrale con una grossa e rotonda piega mediana che si estende dall’apice fino al bordo inferiore, opposta al solco centrale della valva dorsale. Questa piega è ai lati limitata da un solco piuttosto profondo corrispondente alla costa della valva dorsale; i due solchi arrivano quasi all’umbone ed oltrepassano al margine frontale la piega mediana. Ai lati della valva ven- trale si mostra una piega non molto rilevata, ma ben distinta, corrispondente alla depressione della valva dorsale. Linea com- messurale quasi diritta in principio sotto l’apice, diventa quindi leggermente convessa per breve tratto verso la valva dorsale ed ai lati concava; alla fronte presenta due pieghe corrispon- denti alle due della valva dorsale. Umbone poco sporgente con forame di grandezza mediocre pressoché circolare. Deltidio largo ed alquanto concavo. Riferisco alla Terebratula Costae un esemplare del monte Cap- puccini del miocene torinese, figurato dal Sacco come T. pede- montana, che egli ritiene per varietà della T. sinuosa. Questo esem- plare (tav. Ili, fìg. 14), per la sua forma trasversa, marcata- mente pentagonale e per avere sul lato dorsale due distinte pieghe molto rilevate e divergenti, apparisce assai diverso dalla T. pedemontana, cui è riferito, la quale ha forma piuttosto ovata e sul lato dorsale pieghe meno rilevate e più ravvicinate. La specie trovasi nel miocene medio, e secondo Seguenza nel zancleano inferiore. Trovasi a Malta, ad Acaja presso Lecce (Seguenza), a Monte Cappuccini del miocene torinese (Sacco). In- dicai pure la specie nel calcare d’Ofena nell’Appennino aquilano. Terebratula sp. ind. Un esemplare che per il suo cattivo stato di conservazione non oso specificare. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 285 Anellidi. Serpula subnummulus sp. n. (Tav. X, fig. 10, 11, 12, 13). Diversi esemplari, aventi forma di piccoli diselli piani o leggermente subconici, alcuni dei quali mostrano la parte in- terna delle spire. Dimensioni alquanto variabili : uno degli esemplari più pic- coli presenta un diametro di min. 7, uno dei più grandi un diametro di 14 nini. Il tubo presenta da 3 a 6 avvolgimenti in spira stretta, gli uni agli altri aderenti e disposti in guisa che in alcuni esemplari la spira apparisce in un solo piano, in altri invece su piani diversi, ma sempre gli uni agli altri così riavvicinati che queste forme non assumono mai grande rilievo. Alcune volte il tubo, come si vede in un esemplare che mostra la parte interna, si presenta in massa intrigata. In uno dei migliori esemplari la superfìcie del guscio mostrasi ornata da pieghette trasversali poco salienti e flessuose, che indicano le linee di accresci- mento. Rapporti e differenze. — Questa forma per la disposizione dei suoi avvolgimenti, quando questi si mostrano sullo stesso piano, come per l’aspetto esterno del guscio, presenta una grande somiglianza col Vermetus nummulus Koenen ('), che, come osserva giustamente Rovereto (2), deve essere ritenuto per una Serpula. Nelle nostre forme mancano però quelle costoline longitudinali che adornano la specie di Koenen e le dimensioni di questa sono assai minori. (!) 1891. Koenen, J)as Norcldeutsclie Unter-Oligocàn und seine Mol- luslcen-Fauna. Lieferung III, Taf. LI, fig. 10 a, b, c, s. 734 (Abbandl. zur geolog. Specialkarte von Preussen und den Tiiriugischen Staaten; Band X, Heft 3). (2) 1904. Rovereto, Studi monografici sugli anellidi fossili. (Palaeon- togvaphia italica, voi. X, pag. 17, pag. 8). 286 B. NELLI Una certa analogia mostra pure la nostra specie colla Ser- enici discóhelix Seguenza (’), alla quale si accosta per le dimen- sioni, per forma e speciale avvolgimento del tubo. Questo come in quella specie in uno dei miei esemplari meglio conservati presenta l’ultimo avvolgimento un po’ ango- loso, quasi quadrangolare, ma non si rialza come l’altro al di- sopra del piano degli altri, ma si trova invece al disotto, il che apparisce anche da altri esemplari. In quanto poi al riferimento generico di questa forma non è dubbio che essa sia da riferirsi al gen. Serpula, poiché, avendo fatto la sezione di un tubo, ho potuto riscontrare che esso è costituito da due strati anziché da tre, come mostrasi in quello dei Yermeti; inoltre nella parte interna dei tubi non si presen- tano lamelle, le quali in generale si presentano sempre negli altri. Gasteropodi. Cassis mamillaris Grat, 1840. Cassis mamillaris Grateloup, Conchyliologie fossile des terrains ter- tiaires du Bassin de l’Adour (tomo I, tav. XXXIV, fig. 4, 19). 1890. Cassis mamillaris var. pedemontana Sacco, I molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria (parte VII, pag. 13, tav. I, fig. 6, 7). ? 1904. Cassis mamillaris var. Bellardi (Micht.), Sacco, loc.cit. (parte XXX, pag. 96, tav. XX, fig. 1). Loc. S. Marino. 1873. Cassis Manzoni, Il Monte Titano, ecc. (loc. cit., pag. 12). Riferisco a questa specie tre esemplari, i quali, per quanto modelli in non troppo buono stato di conservazione, mostrano nell’insieme abbastanza nettamente i caratteri che la distinguono. Sono paragonabili specialmente alla forma media del Sacco, rap- presentata dalla fig. 7 a, 7 b. Trattandosi certamente di forme giovanili, questi esemplari del Sacco presentano dimensioni assai minori. (*) (*) 1897. Seguenza, Formazioni terziarie nella prov. di Peggio, pag. 78, tav. Vili, fig. 5. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 287 I nostri esemplari presentano forma subovata, trigona e spira corta. Mancano quasi del tutto i primi anfratti. L’ultimo anfratto, angoloso superiormente, mostra quasi tutt’ intorno una serie di tubercoli assai rilevati. Al disotto, circa a due terzi dell’altezza dell'anfratto, si vedono tracce d’una seconda serie di tubercoli. La superficie dell’anfratto è ornata di pieghe longitudinali, rego- larmente disposte, le quali in special modo in uno dei nostri esemplari appariscono abbastanza evidentemente da un lato presso l’apertura boccale. Mancano i nostri esemplari del labbro esterno, e del labbro interno non si vede che una porzione, dalla quale resulta espanso e crasso. La varietà pedemontana del Sacco, secondo me, corrisponde, per avere la conchiglia la superficie ornata di pieghe longitu- dinali, alla forma tipica descritta e figurata da Grateloup. Pro- babilmente le è sinonima la Cassis Bellardii Micht. (’), che il Sacco ritiene come varietà della specie. Viene indicata dal Sacco nell’elveziano di Albugnano, Bal- dissero e colline di Torino. All’estero la specie era conosciuta nel bacino dell’Adour, come pure nel bacino di Vienna (Hornes)(2). Cassis miolaevigata Sacco. 1890. Semicassis miolaevigata Sacco, Moli. terr. terz. Pieni. Lig. (parte VII, pag. 26, tav. I, fig. 23, 24). 1890. Semicassis miolaevigata var. miostriata Sacco (loc. cit., pag. 27, tav. I, fig. 25). 1890. Semicassis miolaevigata var. miogloboicles Sacco (loc. cit., pag. 28, tav. I, fig. 26). 1904. Semicassis miolaevigata var. miostriata subv. binisulcata Sacco (parte XXX, pag. 97, tav. XX, fig. 5). Della specie non abbiamo che un solo esemplare. Il Sacco ha ben distinto la forma miocenica dalla vivente Cassis su- b-uron Lam., per cui accetto per la forma in esame, che com- bina in tutto, il nome assegnatole dal Sacco. Questi la indica nelTelveziano dei colli torinesi e nel langhiano, da lui detto (>) 1847. Michelotti G., Dcscription des fossiles des terrains miocènes de V Italie septentrioncde, pag. 216. (*) 1856. Hòrnes, Foss. Moli. d. Wiener -Pedi. (pag. 174, 175). 20 288 B. NELLI elveziano, di Seiolze. All’estero, sempre nel miocene medio, viene indicata a Cocella nel Portogallo (Pereira da Costa) (‘), nel circondario di Bordeaux e Dax, in Volinia, Podolia, Po- lonia, Galizia, Transilvauia, Ungheria. È assai comune nel ba- cino di Vienna (Hornes, loc. cit., pag. 178). Lamellibranchi. Pecten persimplictrlus Sacco. (Tav. Vili, fig. 6). 1897. Chlamys tauroperstriata var. persimplicula Sacco, Moli. terr. terz., ecc. (parte XXVI, pag. 8, tav. I, fig. 27, 28). Diametro limbo-ventrale . . . rum. 25,8 » antero-posteriore . . » 20,2. Riferisco a questa specie una valva sinistra di forma sub- orbicolare, inequi laterale, leggermente convessa nella parte me- diana, con ambone piuttosto acuto. Coste raggianti, diritte in numero di 38, subrotonde, strette, liscie, poco rilevate, alquanto più prominenti ed un po’ ingros- sate verso il margine della conchiglia, dove presentano qualche leggera nodosità. Alcune delle coste che trovatisi ai lati, dove si mostrano alquanto più stipate che al centro, si biforcano a poca distanza dal rumbone. Gli spazi intercostali larghi quanto le coste sono come queste parimente lisci. In questa valva non è conservata che la sola orecchietta posteriore, la quale rela- tivamente alle dimensioni dell’esemplare, è assai sviluppata ed ornata di 5 sottili e poco prominenti costoline raggianti e di- ritte. Margine cardinale obliquo e diritto. Rapporti e differenze. — Questa forma che il Sacco ritiene come varietà della sua specie Ch. tauroperstriata presenta grande analogia col P. multistriatus Poli del pliocene e tuttora vivente, forma alla quale quella specie del Sacco, come l’au- (') 1866. Pereira da Costa, Gastéropodes des dèpdts tertiaires dii Portugal, pag. 128. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 289 tore stesso del resto fa osservare, è così prossima che ci si trova nell’incertezza se debba essere o no considerata come specie di- versa oppure come semplice varietà, tanto più che nelle forme tortoniane di Montegibbio l’autore potè constatare un bellissimo passaggio tra la C. tauroperstriata e la C. multistriata. Non avendo termini di confronto non posso affermare, come a me parrebbe, che il P. Tauroperstriatus sia realmente una varietà del P. multistriatus Poli, ma certo è che la var. persimplicula Sacco della C. tauroperstriata deve essere ritenuta come specie a se per diversi caratteri differenziali, cosa che del resto fa notare anche lo stesso Sacco, il quale dice che la varietà sem- brerebbe distinta dalla C. tauroperstriata se non fosse collegata con essa dalla var. semplicula Sacco. A mio parere da quella specie, come dal tipo del gruppo di queste forme di Pettinidi (P. multistriatus ) differisce per mostrare le coste molto più semplici, per esser queste solamente bipartite e le più non di- vise, mentre nelle altre forme le coste non si presentano mai intere e le più sono non solo bipartite, ma anche tripartite, e per essere queste divisioni molto apparenti, queste coste si mo- strano come riunite in fascetti di due e tre e nel loro insieme sono molto più numerose che nella nostra specie. Questa viene indicata ueH’elveziano dei colli torinesi, frequente a Baldissero (Sacco). Pecten Nortliaiiiptoiii Micht. 1900. Pecten Northamptoni Micht. Nelli, Foss. mioc. App. aq., loc. cit., pag. 401. 1906. Aequipecten Martella R. Ugolini, Monografia dei Pectinidi neo- genici della Sardegna (Palaeontographia italica, voi. XII, pag. 178, tav. XI (II), fìg. 3). 1906. Aequipecten Northamptoni Ugolini, pag. 174. Loc. S. Marino : 1881. Pecten Bianconi Fuchs, Ueber die mioc. Pecten-Arten, ece., loc. cit., pag. 319 (prò parte). Della specie abbiamo diversi esemplari, alcuni dei quali in assai buono stato di conservazione mostrano distintamente le spinosità che adornano la superfìcie esterna del guscio. 290 B. NELLI La specie, così comune nel miocene medio, si trova sempre unita al P. Hciveri, col quale facilmente si confonde per la sua grande somiglianza. Nella mia nota sovrindicata avevo appunto riferito in parte il P. Bianconi Fuclis di S. Marino all :Haveri in base agli originali esistenti nel gabinetto. Questa specie, se- condo quanto risulta dalla forma del Michelotti, come dalle figure del Sacco, per quanto non presenti grandi differenze, si distingue per avere coste solcate verso l’apice e per avere gra- inibizioni regolarmente disposte. Alle località dette aggiungo quelle indicate da Oppenheim: S. Libera di Malo, Castelcucco e Castelcies presso Possogno, Gremulo presso Thiene, Creazzo (var. oblitaquensis Sacco), S. Pi- lato a ponente di Bassano (1). Pecten Maveri Miclit. 1900. Pecten Baveri Micht. Nelli, Foss. mioc. App. ag loc. cit., pag. 398. Loc. S. Marino : 1873. Pecten Baveri Manzoni, Il Monte Titano (Territorio della Rep. di S. Marino), ecc., loc. cit., pag. 13. 1881. Pecten Bianconi Fuclis, Uéb. mioc. Pccten-Arten, loc. cit., pag. 319 (prò parte). 1901. Pecten Haveri De Alessandri, Appunti di geo l e pai. dei dintorni di Acqui, pag. 104. Della specie abbiamo pochi esemplari, alcuni dei quali rap- presentati da giovani individui. Corrispondono assai bene alle forme dei colli torinesi, illustrati dal Michelotti e meglio dal Sacco, per cui non possono esser confusi colla specie anzidetta. Come già ebbi occasione di notare, la specie è comune nel miocene medio di molte località italiane. A quelle dette sono da aggiungere: Serra dei Guidoni presso Bologna, della quale località ho avuto occasione di osservare un buon esemplare, appartenente ai Museo di Firenze; S. Giorgio di Bassano, della quale possediamo diversi esemplari; Tarzo presso Vittorio in Val Mareno ; Dos Santos presso Bassano (J). (L 1903. Oppenheim P., Ueber die Ueberkippung roti S. Orso, das l'er- tirir des Pretto und Fauna wie Stellung der Schioschichten (Zeitschrift der Deutschen geologisclien Gesellschaft, 55 Bd., 1 Heft, pag. 153). (2) 1903. Oppenheim, Ueber die Ueberkippung, ecc. (loc. cit., pag. 154). IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 291 Pecten scabrellus Lk. Loc. S. Marino: 1881. Pecten sanmarinensis Fuchs, Ueber die mioc. Pecten- Arten, ecc., loc. cit., pag. 318 (prò parte). Più d’un centinaio d’esemplari di variabili dimensioni, pre- sentando un’altezza che dai 10 min. passa gradatamente ai 27. Furono già studiati dal Fuchs, che li determinò come specie nuova, paragonandoli al P. elegans Andr. ; però questo, come resulta dalla descrizione e dalla figura di Hòrnes ( Tertìar-Be - ckens voti Wien, loc. cit., tav. 64, fig. 6) è forma assai diversa, presentando coste assai più larghe e in minor numero. I nostri esemplari invece per il loro aspetto, per il numero delle coste che varia da lo a 18, per gli ornamenti di queste, che negli esemplari meglio conservati mostrano sulle strie longitudinali tracce assai evidenti di scaglie trasversali, e cosi per gl’identici ornamenti degli spazi intercostali, sono riferibili al P. scabrellus. Riferisco alla forma tipica molti esemplari, mentre terrò di- stinte le forme più oblique come varietà. Il P. bollenensis (Mayer), che il Sacco (parte XXIV, pag. 27, loc. cit.) considera come una varietà dello scabrellus, lo ritengo anch’io come rappresentante lo stato giovanile di questa specie, per cui accetto pienamente l’opinione del Sacco. Anche negli esemplari di S. Marino ho trovato forme rispondenti al P. bol- lenensis ed allo scabrellus. Avendo avuto occasione d’esaminare molti esemplari pliocenici e miocenici esistenti nel Museo di Firenze mi sono persuaso che i piccoli esemplari, cioè le forme giovanili, corrispondono al P. bollenensis per mancanza di strie longitudinali sulle coste ed i grandi esemplari, mentre si con- servano all’apice tipici bollenensis , presso il mantello diventano tipici scabrellus. Il P. Lomnickii Hilber (‘), come risulta dalla descrizione e dalla figura, è forma analoga al P. scabrellus, cui corrisponde per il numero e forma delle coste, per la divisione di queste e per l’aspetto degli spazi intercostali ornati da rughe trasversali. (’) 1882. Hilber, Neue nnd ivenig belcannte Conchylien, ecc. (loc. cit., pag. 25, tav. Ili, fig. 8). 292 B. NELLI Hilber confronta la sua forma col P. élegans Andrz. e P. Su- zensis Font. Dalla prima a mio parere discosta, come apparisce dalla figura di Hórnes (tav. 64, fig. 6) per mostrare questa specie le coste assai meno prominenti, più larghe e più rotonde ; alla seconda invece corrisponde per il numero delle coste, come per le divisioni di esse. Il P. Suzensis Font. (Bassin de Yisau, pi. I, fig. 5, pag. 89) per l’angolosità delle sue coste è forma che si avvicina più al Yopercularis che allo scabrellus. In conseguenza di ciò ritengo si possa considerare il P. Lomnickii tutto al più come una va- rietà dello scabrellus. Altra specie assai prossima e forse sinonima del P. scabrellus è il P. Hilberi Mikhailovski, come risulta dalla descrizione, cor- rispondendo per il numero delle coste e per l’aspetto di queste e degli spazi intercostali ornati di costoline secondarie e di un siste- ma di lamelle e solchi concentrici; però l’esemplare figurato, non troppo bello nè troppo chiaro, lascia qualche incertezza (’). Indicai già la specie nell’Appennino aquilano, nel calcare di Ofena, in quello di Muterà presso Ascoli e di Muro Lucano in Basilicata, come pure in molte altre località del miocene medio d’Italia (2). Nel Museo di Firenze trovasi anche un esemplare della specie di Pietra Leccese ed un altro del Macigno di Porretta, che non indicai nella mia nota su questa località (3). Citai anche la specie nel calcare a Liti ioti lamnium di Dulcigno (Montenegro) (4). Trovasi nel Miocene medio della Francia (5) e della Corsica (6). E comune nel Pliocene ed è tuttora vivente. (') 1903. Mickhailovski G., Beschreibung der Fauna von Toma- kowlca ( Die Mediterran-Ablagerungen von Tomakowka, pag. 201, tav. I, fig. 13, 14). (2) 1900. Nelli, Foss. mioc. App. aq. (loc. cit., pag. 392). (3) 1903. Nelli, Foss. mioc. del Macigno di Porretta (Boll. Soc. geol. it.). C) 1904. Nelli, Il mioc. medio di Dulcigno, e Pisctulj nel Mon- tenegro (Boll. Soc. geol. it., voi. XXIII, fase. I, pag. 153). (5) 1825. Basterot, Pass. tert. S. O. France , p. 73. 1835. Dujardin, Couches du sol en Touraine (Ména. Soc. géol. frang., II, pag. 270). 1873. Fischer et Tournouer, Inv. foss. M. Lcberon, pag. 115. (6) 1877. Locarci, Descr. faune terr. tert. moy. de Corse, pag. 142. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 293 Pecten scabrellus Lk. var. sanmarinensis Fuclis. (Tav. Vili, fig. 7, 8, 9, 10). Loc. S. Marino: 1881. Federi sanmarinensis Fuchs (loc. cit., pag. 318). Molti esemplari inequilaterali, alquanto di forma scalena. Differiscono dalla forma tipica per la loro marcata inequilate- ralità, mentre combinano per la somma di tutti gli altri ca- ratteri. Per deferenza dell’illustre paleontologo ho conservato per questa varietà il nome, nel quale il Fuchs aveva riunito le due forme da me distinte. Pecten Gentoni Fontannes. (Tav. Vili, fig. 11, 12). 1878. Peden Celestini (non Mayer) Fontannes, Etudes stratigrafiques, ecc., Ili, bassin de Visan, pag. 94, pi. Ili, fig. 4. ? 1878. Peden Escoflìerae Fontannes, Idem, pag. 95, pi. V, fig. 1. 1880. Peden Gentoni Fontannes, Idem, VI, bassin de Crest, pag. 12. 1897. Aequipeden multiscabrellus Sacco, Moli. terr. terz., ecc. (loc. cit.), parte XXIV, pag. 29, tav. Vili, fig. 38, 39, 40, 41. Conchiglia suborbicolare, equilaterale, inequivalve. Alcuni dei nostri esemplari per essere molto convessi sono da riferirsi a valve destre, altri meno convessi a valve sinistre. Coste raggianti in numero da 18 a 20, subrotondate, gracili, non molto elevate, separate da stretti interstizi, qualche volta più stretti delle coste. Non sono striate o le strie longitudinali mostransi solamente al margine della conchiglia. Gli spazi in- tercostali mostransi ornati da rugosità trasversali più o meno apparenti. Orecchiette piccole radialmente striate. Per questi caratteri ritengo indubbiamente poter riferire le nostre forme al P. multiscabrellus Sacco, che credo sinonimo del P. Gentoni Fontannes. Il P. Escoffierae Font., come lo stesso autore ci dice, è forma molto prossima al Gentoni. Infatti le 294 B. NELLI differenze fra fona e l’altra specie, come risulta anche dall’os- servazione dei nostri esemplari, sono di così poca entità e così graduali da un individuo all’altro da far ritenere che in realtà si tratti di un’unica specie. Il Sacco ritiene il P. Gentoni affine al taurolaevìs , bolle- nensis , etc. Quest’ultimo, come abbiamo già dimostrato, deve esser considerato come forma giovanile dello scabrellus, l’altro presenta le coste più largamente arrotondate. Per l’aspetto spe- ciale delle coste, per essere appunto strette e alquanto angolose, si può ritenere torse il P. Gentoni come il rappresentante mio- cenico del pliocenico P. opercularis. L Issel, studiando il P. Gentoni del Finalese, nota che questo non e identico al tipo di Visan, perchè più obliquo, per cui lo indica come varietà col nome di Paretiana (*). Questa sta al P. Gentoni , come il Sanmarinensis al tipico P. scabrellus. A Monte Titano il P. Gentoni è assai raro. Pecten Mal vi mie Dub. Loc. S. Marino: 1881. Pecten Malvinae Dub. Fuchs, Ueber die mioc. Pecten- Arten, ecc. (loc. cit., pag. 319). 1893. Pecten Malvinae De Stefani C., Les terr. tert. sup. du bassin de ìa Mediterranée. (Tableau des terrains, ecc., loc. cit.). Questa specie è molto abbondante nel calcare di S. Marino. Molti dei nostri esemplari sono provvisti di guscio così che non può esservi alcun dubbio circa la loro identificazione; del resto essi furono anche determinati dal Fuchs, il quale dice che queste forme si accordano molto bene con quelle tipiche del Dubois e di Steinabrun del bacino di Vienna. Indicai già la specie in molte località del miocene medio (2), essendo essa comunissima nelle plaghe langhiane, elveziane, tortoniane d’Italia. (') 1886. Issel, Calai, dei fossili di Pietra Finalese (Boll. R. Coni, geol., pag. 36, tav. II, fig. 2, 3). (2) 1900. Nelli, Foss. mioc. App. aq. (loc. cit., pag. 101). IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 295 Alle località dette aggiungo S. Maria Vigliana nel Bolo- gnese, di cui nel Museo di Firenze possediamo un esemplare proveniente dalla melassa. È comune anclie nel calcare a Li- thothamnium di Dulcigno (Montenegro) (D. Pecten revolutus Micht. 1857. Pecten (Janira) medius Meneghini, Palcont. de Vile de Sardaigne pag. 574. 1878. Pecten Paulensis Fontannes, Études stratigr. et palcont., ecc. Bassin de Visan (loc. cit.), pag. 84, pi. II, fig. 2. 1897. Pecten revolutus Micht. Sacco, Moli. terr. terz. Pieni. Lig. (loc. cit.), parte XXIV, pag. 63, tav. XX, lig. 10-15. 1897. Pecten revolutus var. per glabra Sacco, (loc. cit.), tav. XX, fig. 16. 1897. Pecten revolutus var. pertransversa Sacco, (loc. cit.), tav. XX, fig. 17. 1897. Pecten pseudobenedicta Sacco, (loc. cit.), tav. XX, fig. 18. 1900. Pecten revolutus Nelli, Foss. mioc. App. ag., loc. cit., pag. 391. 1902. Pecten Paulensis Font., Depéret Ch. et Roman F., Monograpliie des Pectinidc's neogènes de VEurope et des regions voisines (Ména, de la Soc. géol. de France. Paleontologie, tome X, fase. I, pag. 45, pi. V, fig. 7). 1903. Pecten Paulensis Font., Ugolini R, Pettinidi nuovi o poco noti dei terreni terziari italiani. (Riv.it. di Pai., 1° luglio, fase. Ili, pag. 90, tav. VI, fig. 3 a, 3 b). 1904. Pecten revolutus Sacco, loc. cit., parte XXX, pag. 146. Loc. S. Marino: 1881. Janira revoluta Micht. Fuchs, Ueber die mioednen Pecten- Arten, ecc., (loc. cit., pag. 320). Della specie abbiamo diversi esemplari, alcuni dei quali in buono stato di conservazione e con entrambi le valve; delle valve sinistre però poco si vede, perchè per essere piuttosto incavate verso l’umbone ed anche in parte per compressione subita nella massa calcarea, si trovano sempre fortemente ade- renti alla parte interna delle valve destre. Alcuni dei nostri esemplari corrispondono alla forma tipica, altri invece per avere la superfìcie quasi liscia, potrebbero essere paragonati alla var. perglabra, Sacco, altri poi per essere le vali e (‘) 1904. Nelli, Il mioc. medio di Dulcigno e Pisctulj (loc. cit., pag. 153). 296 B. NELLI allungate in senso trasversale potrebbero paragonarsi alla var. 2>er transversa Sacco. Questi caratteri non sembrano avere valore specifico, ma sono piuttosto dipendenti dal diverso stato di conservazione, inquan- tochè, come apparisce dai nostri esemplari, le coste sono più o meno rilevate o del tutto mancanti a seconda che sono più o meno logorate, nello stesso tempo le valve compariscono più o meno spostate o allungate in senso trasversale a seconda della compressione subita, il che verificasi molto sovente nei depositi calcari, specialmente se compatti. La specie è abbastanza conosciuta, per cui non credo neces- sario descriverla nuovamente. Il Fontannes col nome di P. Paulensis ha descritto e figu- rato una forma la quale è, a mio parere, rispondente al tipico P. revolutus Michelotti. Avendola paragonata colle nostre forme e con quelle tipiche figurate dal Sacco, non ne differisce nè per la forma nè per gli altri caratteri esterni della conchiglia. La valva destra infatti, che è la sola stata figurata dal Fontannes, presenta turgidezza identica, identica è la curvatura dell’umbone e nello stesso tempo le coste si fanno più strette e più curve dal lato deH’orecchietta. La valva sinistra, per quanto non sia stata figurata, secondo quanto risulta dalla descrizione per la forma e numero delle coste non differisce dalla analoga della specie del Michelotti, figurata dal Sacco (tav. XX, fig. 11 b , 13). L’Ugolini ha figu- rato questa valva d’un esemplare di Capo S. Marco in Sardegna, dalla quale le analogie risultano molto evidenti. La specie fu già da me indicata nel langhiano dell’Appen- nino aquilano insieme ad altre località mioceniche indicate dal Sacco, alle quali si devono aggiungere le colline di Acqui. In Sardegna fu indicata a Capo S. Marco (P. medius Meneghini) e nel calcare di S. Michele. Viene indicata altresì nell’Elveziano di Ambutì, Benestare, Malochia, Monteleone (7. calabra Se- guenza) ('), a Vignale (Casa delle Coste e Casa dei Merli) (Ales- (') 1879. Seguenza, Le formazioni terziarie delia prov. di Reggio Calabria (Reale Ace. d. Lincei, pag. 75). 297 IL MIOCENE DEL MONTE TITANO sandri) ('), nel calcare di Acqui (Trabucco) (1 2). Il Fuchs lo in- dica nella molassa di Serra dei Guidoni e S. Maria Vigliana nel Bolognese. All’estero indicai la specie nel miocene medio di Dulcigno. Trovasi pure nel miocene medio della Francia, nel bacino di Visan, nella molassa marnosa della Provenza e sopratutto del Belfinato (P. Paulensis Fontannes), nel bacino del Rodano e forse nel bacino di Crest (P. Paulensis Depéret), in Spagna ad Altafulla nella prov. di Barcellona ed in Algeria (Depéret, J>ag. 48). Pecten Fuchsi Fontannes. (Boll. Soc. geol. it., voi. XIX (1900) tav. IV, fig. 1). 1878. Pecten Fuchsi Fontannes, Études stratigr. et paléont., ecc., Bassin de Visan (loc. cit.), pag. 93, pi. IH, fig- 3. 1897. Pecten cfr. subarcuatus (Tourn.) Sacco, Moli. terr. terz., ecc. (loc. cit.), parte XXIV, pag. 64, tav. XX, fig. 25). 1897. Pecten Fuchsi Font. var. perflabellata Sacco (idem), tav. XX, fig. 23, pag. 64. 1900. Pecten Manzonii Fuchs Nelli, Foss. mioc. App. aq., (loc. cit.); pag. 397, tav. IV, fig. 1 a, 1 b. 1902. Pecten Fuchsi Font. Depéret et Roman, Monografie des Pectinidés, (loc. cit), tome X, fase. I, pag. Il, pi. I, fig- 5) 6, 7, 8, 9, 10. 1905. Pecten Fuchsi Font. Depéret et Roman (idem), tome XIII, fase. 2, pag. 77. Loc. S. Marino: 1881. Pecten Manzonii Fuchs, Ueber die mioc. Pecten- Arten, etc., (loc. cit., pag. 320). Della specie abbiamo diversi esemplari, alcuni rappresentati da valve destre ed altri da valve sinistre, delle quali tre mo- strano la parte interna, e due non intere, assai distintamente la superficie esterna. Nella mia nota sovrindicata avevo già avuto occasione di •osservare la grande somiglianza del P. Puclisi Font, col P. Man- (1) 1897. Alessandri, La pietra da Cantoni di Rosignano e di Vi- gnale (Museo civico di St. Nat. di Milano e Soc. it. d. Se. Nat.; Mem., tomo VI, fase. I, pag. 60, tav. I, fig. 22). . (2) 1891. Trabucco, Vera posizione del calcare di Acqui , pag. lo. 298 B. NELLI zonii Fuchs, nome die io aveva proposto per la forma delle colline torinesi, essendo assai incerto che si trattasse della specie del Tournouer, la quale non era mai stata descritta nè figurata. Ora questa specie essendo stata illustrata da Depcret e Roman, e da questi ancora essendo stato meglio illustrato il P. Fuchsi Font., le piccole differenze fra l’ima e l’altra specie, che sono equivalenti fra loro e solo abitanti in bacini diversi, resultano bastantemente. La forma dei colli torinesi, come pure la nostra dell’Appennino aquilano sono diverse dal P. subarcuatus, il quale presenta la valva destra meno ricurva, la valva sinistra profondamente concava anziché quasi piana, le coste della valva destra separate da spazii piani anziché concavi. Depéret e Roman pongono in sinonimia della specie il P. Styriacus Hilber ed il P. cristato-costatus Sacco, considerando il primo come una varietà regionale ed il secondo come una varietà estrema del tipo. Il P. Fuchsi var. arcuatoidcs Sacco per avere le coste assai più larghe sembra una specie differente dalla forma del bacino di Vi sa n. Il P. Fuchsi è comune nell’Elveziano, verso la base, tuttavia si eleva tino al Tortoniano. Nel bacino occidentale del Medi- terraneo trovasi in Spagna, nei dintorni di Barcellona, in Francia, in Italia, oltreché nell’ Appennino aquilano e nei colli torinesi a Serra valle. Pecten longolaevis Sacco. (Tav. X, tig. 7, 8, 9). 1870. Pecten substriaius (non D’Orb.) Hornes (prò parte) Die fossiìen Mollusken des tertiaer. Bechens von Wien (pag. 408, tav. LXIV, tig. 2 a, b). 1897. Chlamys gloriamaris var. longolaevis Sacco, Moli. tcrr. terz., ecc., (parte XXVI, pag. 6, tav. I, tig. 8) (valva sinistra). 1897. Chlamys gloriamaris var. pervaricostata Sacco, idem (tav. I,fig.9, 10). 1897. Chlamys gloriamaris var. elaticostata Sacco, idem (tav. I, tig. 11), (valva sinistra). 1900. Pecten longolaevis Sacco, Nelli, Fossili miocenici dell' Appennino aquilano (Boll. Soc. geol. it., voi. XIX, fase. II, pag. 391) (valva sinistra). 1906. Chlamys gloriamaris (non Dub.) - Ugolini, Monografìa dei Pctiinidi ncog. della Sardegna, loc. cit., pag. 161, tav. X (I), fig. 2. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 299 1906. Chlamys subalpina Ugolini, Sopra alcuni pettinidi di tenerli mio- cenici italiani (Boll. Soe. geol. it., voi. XX\ , iasc. Ili, pag. 787, tig. 1) (forma giovanile). Loc. S. Marino: 1881. Pecten cfr. nimius Font. Fuchs, TJeber die miocdnen Pecten-Arten aus des nòrdliclien Apcnninen in der Sammlung des Herrn Dv. A. Manzoni (Verhandl. der k. k. geolog. Reichsanstalt, n° 16, pag. 319). 1881. Pecten sp. cfr. Justianus Font. Fuchs, idem (pag. 319). Della specie abbiamo diversi esemplari quasi tutti rappre- sentati da valve destre. Gli esemplari grandi furono dal Fuchs confrontati col P. nimius Fontannes. Quelli di piccole dimen- sioni sono riferibili a individui giovani, alcuni dal Fuchs furono ritenuti per specie prossima al P. nimius ed altro esemplare tu paragonato col P. Justianus Font., il quale però a mio parere differisce assai per mostrare coste più grosse, più rade e più angolose. La nostra specie presenta conchiglia oblunga, ovale, poco rigonfia, con angolo apicale assai acuto, inequilaterale, inequi- valve. La valva destra è leggermente più convessa della sinistra. Essa è ornata di numerose coste longitudinali, irraggianti, supe- riormente convesse, nei lati alquanto angolose, grosse e sottili, le une alle altre alternantesi piuttosto irregolarmente. 11 numero di queste coste è alquanto variabile; in uno dei nostri migliori esemplari ne ho contate 45, comprese quelle situate negl’mter- stizii fra le coste principali. Sia sul lato anteriore che sul po- steriore della valva destrale coste appariscono sottili e stipate; nella parte mediana diventano invece più grosse e si mostrano circa dall’ ambone al margine della conchiglia divise in 2 o 3 costoline. Nelle coste bipartite le due costoline mostrano qualche volta grossezza diversa e la costolina più fine trovasi inego- larmente disposta o verso il lato anteriore o verso il lato poste- riore della conchiglia. Nelle coste tripartite le costoline o sono pressoché di eguale grossezza oppure la costa mediana e la piu grossa. I solchi che le separano sono molto più superficiali deg ì spazi intercostali. Quest’ultimi, più larghi di quelli che trovansi fra le coste sottili ai lati della conchiglia, mostrano quasi sempre delle intercoste più o meno sottili, le quali si estendono fin quasi 300 B. NELLI all'apice della valva. Nei solchi fra le coste divisionarie, come pure negl’interstizi, i quali appariscono piuttosto profondi, non concavi, ma quasi piani, coll’aiuto della lente si vedono molto chiaramente delle strie trasversali ed oblique che s’incrociano, formando nel loro insieme un reticolato caratteristico, identico appunto a quel guillochage , che il Fontannes descrive per il suo P. nimius (1). » La valva sinistra differisce alquanto dalla valva destra per la maggiore grossezza delle coste, le quali mostransi intere, qualche volta riunite in coppie. Negl’interstizi si mostrano delle strie trasversali, oblique, le quali però non costituiscono un re- ticolato. Nei nostri esemplari le orecchiette mancano del tutto o in gran parte; da quanto però abbiamo potuto osservare, l’anteriore è molto più sviluppata della posteriore, provvista d’una infos- satura by ssale profonda. A queste forme il P. nimius Font., a dire il vero, si accosta moltissimo per l’aspetto e disposizione delle coste e per il par- ticolare reticolato degl’interstizi. Secondo però quanto risulta dalla forma del bacino di Visan, almeno da quanto si può rile- vare da un disegno, le coste sembrano più regolarmente convesse tanto nella valva destra che nella sinistra. Inoltre gl’interstizi, anziché lineari come nei nostri esemplari, appariscono assai larghi e profondi. Indicai già la specie a Monte Luco ncll’Appenniuo aquilano. Il Sacco la indica nell’Elveziano dei colli torinesi e monregalesi. Trovasi anche nel bacino di Vienna a Ganderndorf, Burgschlei- nitz (Hornes). Le altre località del bacino di Vienna, secondo Hilber, sono per altri esemplari riferibili al P. gloriamaris Dubois, inesattamente riuniti da Hornes alla forma figurata. Rapporti e differenze. — Le nostre forme e così quelle iden- tificate dal Sacco per P. gloriamaris Dub., sono rispondenti a quella del bacino di Vienna, erroneamente figurata da Hornes come P. substriatus d’Orb. Nella mia nota sopracitata ebbi già occasione d’osservare come il P. gloriamaris (Dub.) var. longo- (L 1878. Fontannes, Jitudes strat. et pai. de la periode ieri, dans le bassin du Elione, III. Le bassin de Visan, pag. 98. 301 IL MIOCENE DEL MONTE TITANO laevis Sacco (tav. I, fig. 8), si differenziasse marcatamente dalla gpecic del Dubois, tantoché io proposi per quella forma come per la mia corrispondente di Monte Luco, che io avevo preso in esame, il nome di P. longolacvis, conservando, per deferenza al Sacco, per la specie il nome da questi dato ad una varietà. Ora nell’esame accurato delle forme del Piemonte, illustrate dal ' Sacco, insieme a quelle d’Aquila e S. Marino, in seguito ad ulteriori confronti sono venuto nella persuasione che la var. lon- golaevis Sacco del P. gloriamaris deve considerarsi piuttosto come la valva sinistra della stessa forma del bacino di Vienna p. substriatus (non d’Orb.) Hòrnes), e così pure che la var. per- varicostata del Sacco sia piuttosto da ritenersi per la valva destra della stessa specie. Per quanto per la forma generale della con- chiglia, come per la divisione delle coste e per la presenza di costoline secondarie negl’interstizi il P. gloriamaris del miocene di Volinia, Podolia e Galizia abbia una certa analogia colle nostre forme, pure ne differisce anche per diversi caratteri. Se- condo la descrizione di Hilber (V presenta dimensioni minori e diverso è il numero delle coste. Queste nella valva destra sono sempre più regolarmente biforcate, in numero minore e più uni- formi; anche gl’interspazi sono più regolari. Nelle nostre forme, come anche risulta manifesto dalla figura del Sacco (tav. I, fig. 8), la valva sinistra, a differenza della sua corrispondente della specie del Dubois, ha coste piu glosse e meno numerose e non sempre si trovano negl interstizi costo- line secondarie. Avendo visto e stabilito, come dai confronti ci resulta, che le nostre forme insieme a quelle del Sacco e a quella fìguiata del bacino di Vienna non sono il P. gloriamaris , come già per la forma detta di Hornes aveva illustrato l’ Hilber, resta ora a vedere se è accettabile per le forme in questione il nome di P. substriatus D’Orb., adottato da Hornes. D’Orbigny propose il nome di P. substriatus per il P. striatus Sow. (non Mailer) del Crag pliocenico d’Inghilterra. Se si con- frontano le nostre forme col P. substriatus del Pliocene del (‘) 1882. Hilber, Neuc und ivenig bekannte Conchylien nus dem ostga- lizischen Miocàn, pag. 26. ou^ B. NELLI Belgio e dell’ Inghilterra, inesattamente, secondo me, riunite dal Wood (*) e dal Nyst (2) al vivente P. pusio o multistriatus Poli, per quanto presentino una certa analogia, le differenze resultano ben manifeste. Nella valva destra della nostra specie le coste appariscono più stipate perchè gl’interstizi sono più stretti e mostrano inter- coste assai numerose. Di queste intercoste non vien fatta men- zione nella valva analoga della forma descritta dal Lawley ( P. Striatus), come pure da Nyst e Wood, e come apparisce anche dalle stesse figure gli spazi intercostali più larghi sono privi d’intercoste. La valva sinistra della nostra specie, come anche risulta dalla figura del Sacco (tav. I, fig. 8), presenta coste molto più larghe e meno numerose della rispondente valva del P. sub- striatus. Questa invece, come dalle forme tipiche di Nyst e Wood si può verificare, per avere le coste strette e stipate e Per il loro aspetto si accorda forse più alla forma del P. glo- riamaris. Escluso anche il nome di P. substriatus D’Orb. per le forme in questione, resta a vedersi se possa essere adottato qualche altro nome. Il P. nimius, come abbiamo veduto, per quanto molto affine, sembra diverso, come del resto anche il Fontannes ha dimostrato, confrontandolo col P. substriatus figurato da Hornes, a meno che, esaminando esemplari originali del P. nimius Font., non si trovasse che rispondano ai nostri meglio della figura. LI P. Reissi di Mayer, indicato in sinonimia da Hornes, è diverso perchè presenta coste solamente biforcate e negl’inter- stizi non trovansi intercoste. Il P. multistriatus Poli, vivente tuttora nel Mediterraneo, e forma prossima alla nostra. La forma della conchiglia è pres- soché identica e le coste presentano analoga divisione, essendo bipartite e tripartite. Queste differiscono però dalle coste della (') 1850-1856. Wood, A monograph of thè Crag mollusco, tvith dcscri- ptions of shells frorn thè upper tertiaries of thè british isles (voi. II, Bivalves-Palaeontographical Society, pag. 63). (*) 1843. Nyst, Description des coquilles et des Polypiers fossilcs des terrains tertiaires de la Belgigue, pag. 301. 303 IL MIOCENE DEL MONTE TITANO forma in questione per essere molto più irregolari, più roton- deggianti e sottili su entrambi le valve. Negl’interstizi poi non si trova mai quel traliccio o guillochuge cosi caratteiistico delle nostre forme. In tal modo resta dimostrato che nessuno dei nomi da noi preso in considerazione è adattato alla nostra forma, per cui torno a proporre per questa il nome di P. longolaevis Sacco, come quello che è il primo proposto, nome che io a\eio già adottato per una valva sinistra della specie, per la forma di Monte Luco nell’Appennino aquilano e per l’altra del Sacco dell’Elveziano dei colli torinesi. Pecten Clarae Viola. 1900. Chlamys Clarae Viola, Sopra alcuni pettini del calcare a piccole nummuliti dei dintorni di Subiaco in provincia di Roma (Boll. R. Com. geol. d’Italia, n° 3, pag. 249, tav. V, fig. I, li, III, IV). Loc. S. Marino: 1881. Pecten sp. Fuchs, Ueb. die mioc. Pecten Arten, ecc. (loc. cit., pag. 319). Due esemplari, uno rappresentato da una sola valva, 1 altro da ambedue le valve, studiati già dal Fuchs e confrontati col suo Pecten Zitteli (loc. cit., pag. 319). Conchiglia leggermente inequilaterale ed inequivalve. Coste in numero di 18, subrotonde, ornate di una triplice serie di scaglie trasversali o granulosità molto simili a quelle del P. Ha- veri Micht., le quali nel loro insieme costituiscono tre costoline secondarie, che mostransi circa alla metà della conchiglia fino al margine. Le granulazioni situate lungo la parte mediana delle coste, essendo più rilevate ed alquanto più larghe di quelle laterali, formano una costolina secondaria rilevata in modo che le coste appariscono leggermente angolose. Gli spazi intercostali poco più stretti delle coste presentano nei nostri esemplari qualche traccia di granulazioni. Le orec- chiette sono quasi del tratto mancanti in essi, ma tuttavia per 21 304 B. NELLI i sovrastati caratteri non può esservi alcun dubbio nella deter- minazione. Il Viola indica la specie nel calcare dei dintorni di Subiaco* Ebbi già occasione di osservare in una mia nota sul « Lan- gliiano di Rocca di Mezzo » (l) come la specie di Viola pre- senti analogie col P. Haveri Micht., cui corrisponde anche per il numero delle coste. Ciò apparisce anche dai nostri esemplari di S. Marino ; però debbo riconoscere, per quanto le coste pre- sentino come nella specie del Michelotti una triplice granula- zione, che sono poi più angolose e presso il margine della con- chiglia piuttosto prominenti, anziché pianeggianti. La nostra forma oltreché mostrare colle specie eoceniche quelle relazioni, che già furono indicate dal Viola, è assai affine al P. substriatus D’Archiac dell’eocene della Tunisia (Locard) (*), dal quale però differisce per un numero minore di coste e per l’aspetto diverso delle squame. La forma descritta e figurata dal Locard é forse diversa dalla tipica del nummulitico dei dintorni di Bayonne e di Dax (3)r la quale presenta un numero assai maggiore di coste. I nostri esemplari mostrano a prima vista per la forma della conchiglia, delle coste e per la loro ornamentazione grande somi- glianza col P. Zitteli Fuchs del Miocene dell’oasi Sinali d’E- gitto (4). Da questa specie però, come osserva lo stesso Fuchs, differiscono per un numero maggiore di coste, essendo nella nostra specie in numero di 18, mentre nell’altra sono 14. Inoltre poi é da notarsi, come risulta dalle figure stesse del Fuchs (tav. II, fig. 1-12), che in questa gli spazi intercostali sono assai più larghi che nelle forme di S. Marino e Subiaco. La comunanza di tale specie in queste due località é una prova della loro corrispondenza cronologica. (') 1901. Nelli, Boll. Soc. geol. it., voi. XX, pag. 319. (2) 1889. Locard A., Exploration scientifique de la Tunisie. Descrip - tion des móllusques foss. d. terr. tert. inf. de la Tunisie, pag. 52, tav. X, fig. 3 a, 4a. (3) 1889. D'Arcliiac, Ména. Soc. géol. de Franco, tomo 2°, serie 2", pag. 434, tav. XII, fig. 14a, 15, 16a. (4) 1883. Fuchs, Beilrage zar Kenntniss der Miocaen fauna Aegy- ptens und der libyschen Wuste (Palaeontographica, 30 Bd., pag. 41). I IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 305 E probabile che il Pecten ( Clamys) Zitteli Fuchs della mis- sione d’ Andalusia 0 possa essere riunita alla nostra forma; trattandosi però d’un cattivo esemplare, almeno da quanto risulta dalla figura (pi. XXXIII, fig. 9) non si può dire in modo as- soluto. Pecten restitutensis Fontannes. 1884. Pecten restitutensis Font., Sur une des causes de la variation dans les temps des faunes malacologiques, à propos de la filiation de Pecten restitutensis et latissimus (Bull. Soc. géol. de France, 3e sèrie, tome 12, pag. 357). 1897. Macroclilamys latissima var. praecedens Sacco (an M. restitutensis (Font.) var.) Sacco, Moli. terr. terz., ecc. (loc. cit.), parte XXIV, pag. 33, tav. X, fig. 7, 8, 9, 10. 1906. Lyropecten nodosiformis (non Serr.) - Ugolini, Monografìa dei Pet- tinidi neog., ecc. (loc. cit., pag. 184. tav. X (I), fig. 7, 8. Loc. S. Marino: 1873. Pecten forma nova (Tridacnaeformis) Manzoni, Il Monte Titano, ecc , pag. 6. 1881. Pecten latissimus Brocchi - Fuchs, Ueber die mioc. Pecten- Arten, ecc., (loc. cit., pag. 319). Della specie abbiamo 7 esemplari, i quali per quanto non interi, pure in assai buono stato di conservazione, perchè non possa nascere alcun dubbio circa la loro determinazione. Ire di questi presentano in modo evidente le nodosità apicali, per cui sono certamente da ritenersi per valve sinistre. Tutti mostrano coste larghe e depresse in numero di 4 o 5, decrescenti rapi- damente in larghezza dal centro verso l’estremità; alcune valve, quelle meglio conservate, mostrano ad un terzo dell’apice dei solchi longitudinali. Tanto nella parte anteriore che nella po- steriore, lateralmente a queste coste principali, appariscono co- stoline più strette, poco rilevate, separate da spazi intercostali molto stretti, per cui risultano come riunite in due fasci late- (') 1889. Mission d’Andalousie, Etudes relatives au tremblement de terre du 25 décembre 1884 et à la costitution géologique du sol ébranlé par les secousses. Directeur de la Mission: M. Fouqué (Mémoiies pié- sentés par divers savants à l'Academie de Sciences de 1 Institut Na- tional de France, tome XXX, n" 2, pag. 709;. 306 B. NELLI rali. La marcata turgidezza e Finequilatera] ità delle valve, come apparisce da alcuni dei nostri esemplari meglio conservati, le nodosità apicali, il forte spessore del guscio e le dimensioni, differiscono le nostre forme dal P. latissimus Brocchi, forma molto più piatta, più inequilaterale ed assai più grande. Per ciò i nostri esemplari devono necessariamente esser riferiti al P. restitutensis Font., al quale corrispondono pure le forme del- l’elveziano dei colli torinesi, descritte e figurate dal Sacco col nome di var. praecedens. Al P. restitutensis deve avvicinarsi il P. Ponzii Meli (non Gemmellaro), come il Meli fa osservare con una sua nota su questa specie ('); la quale però, come risulta dalla descrizione e figura della specie (2), differisce dalla forma del Fonfannes per mostrare nelle coste e negli interstizi costicine ben marcate e non già obliterate. Questo carattere, secondo Fontannes, è proprio anche del P. latissimus Brocchi, cui il P. restitutensis si avvicina, quindi, secondo il Meli, sarebbe la sua forma in- termedia fra questi due tipi « da considerarsi come discendente dal P. restitutensis , del quale potrebbe formare una bella va- rietà, qualora non si volesse mantenere la primitiva mia deno- minazione pel riguardo che il nome di P. Ponzii fu preceden- temente imposto dal prof. G. G. Gemmellaro ad una forma del lias di Sicilia». In seguito a queste osservazioni a me sembra che la forma del Meli a costoline bene sviluppate, sia negl’in- terstizi come sulle coste, non presenti veramente differenze tali da poter esser considerata come specie diversa, ma tutto al più come semplice varietà. Che si tratti poi della stessa specie siamo tanto più indotti a crederlo perchè molto probabilmente, come fa osservare il Meli, la roccia calcarea bianchiccia grossolana del P. Ponzii, che tro- vasi nel Museo geologico dell’Università di Boma, non appar- tiene al giacimento pliocenico dei dintorni di Civitavecchia, se- condo la località indicata nel cartellino, poiché quel calcare invece è sabbioso, con Lithothamnium e giallognolo e quivi il (') 1899. Meli R., Osservazioni sui Peclen Ponzii (Boll. Soc. geol. i t., voi. XVIII, pag. 330, 331). (!) Meli R., Sopra una nuova forma di Pecten dei depositi plioce- nici di Civitavecchia (Roma, L. Cecchini. Con tavola). IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 307 Meli non ha potuto trovare nè un campione, nè un frammento che accennasse al P. Vomii. Il Fontannes considerò prima (1881) (') il P. restitutensis come una varietà del P. latissimus Brocchi, in seguito (1884) la ritenne come una specie a sè, diverso dall’altro pliocenico fondandosi per tale determinazione anche siiH’opinione del Fuchs, il quale, da lui interrogato, dice che nel bacino di Vienna si distingue il P. latissimus, appartenente alle sabbie, ed il resti- tutensis appartenente ai calcari. Il Sacco (1897) non crede che i caratteri che differiscono la prima dalla seconda possano avere un’importanza specifica (pag. 34). 10 ritengo che la forma miocenica, per quanto vicina alla specie del Brocchi, possa distinguersi da questa che associata all’altra nel miocene doveva in seguito raggiungere da sola il pliocene. L’aver trovato il P. restitutensis nel calcare di S. Marino conferma quanto fu osservato dal Fontannes e dal Fuchs, che la forma è caratteristica dei depositi calcarei. Nel Museo geologico di Firenze abbiamo un buon esemplare della specie proveniente dal calcare del Sasso di Simone. 11 -Sacco indica la varietà nell’elveziano dei colli torinesi, Albugnano, Rosignano. Il Fontannes la indica nella molassa calcare di S. Restitut (Dròme). Il Fuchs nel calcare del bacino di Vienna. Spoudylus Manzonii sp. n. (Tav. Vili, fig. 1, 2, 3). Della specie abbiamo due esemplari. Uno di questi presenta entrambi le valve. Le sue dimensioni sono le seguenti . Diametro umbo-palleale . . . mm. 122 » antero-posteriore . . » 105. (i) 1881. Fontannes, Les mollusques pliocènes de la vallee da Elione et du Roussillon, tome II, pag. 186. 308 B. NELLI Un altro esemplare, il migliore per lo stato di conservazione della superficie esterna del guscio, è rappresentato dalla sola valva destra. Le sue dimensioni sono le seguenti : Diametro umbo-palleale . . . mm. 116 » antero-posteriore . . » 82. Descrizione. — Conchiglia ovale, oblunga, inequilaterale, subobliqua, dal lato umbonale alquanto rigonfia ed assai ricurva, al margine arrotondita. La superficie esterna è ricoperta di coste longitudinali, le quali, non molto rilevate e stipate, sono divise da solchi quasi piani. Tutte mostratisi ornate d’asperità ineguali, talora da assumere quasi la forma di vere e proprie spine ot- tuse. Sulla valva destra o inferiore, per quanto un po’ confu- samente, si possono notare sei coste principali, inequidistanti, le quali, più che per la loro grossezza, risultano per le loro asperità maggiori angolose di forma variabile ed irregolare. Nella parte centrale fra una costa principale e l’altra si trovano delle coste secondarie, le quali si distinguono per le loro aspe- rità minori. Fra queste coste secondarie e le principali trovansi delle costoline minori in numero variabile da cinque a sei. Pre- sentano una certa irregolarità, alcune essendo più rilevate sulla superficie della conchiglia ed altre meno, alcune conservandosi intere dall’apice al margine ed altre evidentemente bipartite. Queste coste secondarie mostrano piccole nodosità, le quali tal- volta si fanno assai acute in forma di piccole spine. La valva sinistra, come ho potuto esaminare nell’esemplare con entrambi le valve, ha parimente la superficie ornata di coste rugose; le coste principali però sembrano meno distinte ed in special modo sul lato anteriore le asperità sono distribuite molto irregolarmente e per ciò da questo lato non sono discernibili le coste principali, ma tutte sono più uniformi. Queste riappari- scono poi abbastanza evidentemente nella parte posteriore. La nostra forma presenta grandi analogie con lo Spondylus concentricus Brn. (‘), però si differenzia per avere la valva si- nistra tutte le coste provviste di asperità e specialmente per (*) (*) Sacco, Moli. terr. terz. Fieni. Lig., parte XXV, tav. Ili, fig. 4, 5, 6, 7, 8, pag. 6. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 309 essere la valva inferiore ornata di coste e non già di rughe lamelliformi concentriche. Per quanto in assai cattivo stato di conservazione credo senza dubbio poter riferire alla nostra specie un esemplare di Sasso di Simone, esistente nel Museo di Firenze. Ostrea digitalina Eichw. 1879. Cubitostrea frondosa (non De Serr.) - Sacco, Moli. terr. terz. Pieni. Lig., parte XXI II, pag. 12, tav. Ili, fig. 38, 39. 1897. Cubitostrea frondosa var caudata (Miinst.) Sacco, idem, pag. 13, lig. 40, 41, 42, 44. 1897. Cubitostrea frondosa var. dertocaudata Sacco, idem, fig. 45, 46. 1879. Cubitostrea frondosa var. percaudata Sacco, idem, fig. 47, 48, 49. 1879. Cubitostrea frondosa var. subfimbriata Sacco, idem, fig. 60, 51. 1879. Cubitostrea frondosa var. colligens Sacco, idem, fig. 52. Due esemplari della specie, uno dei quali con entrambi le valve riunite, con la valva sinistra molto ben conservata. Sacco confonde YO. digitalina Eichw. co\YO. frondosa De Serr. e viceversa. Infatti nell’O. frondosa (non De Serr.) Sacco tro- vansi riunite forme riferibili all’ 0. digitalina Eichw., sia per l’aspetto generale della conchiglia, sia per la disposizione e conformazione speciale delle pieghe, dalla quale è tratto il nome alla specie. L’esemplare invece che il Sacco determina per 0. cf. digitata Eichw. (digitalina anct.) per la sua forma diritta e per mostrare le pieghe più larghe ed in numero assai minore sulla superficie della conchiglia corrisponde all’O. perpiniana Fontannes (*), la quale, secondo molti autori, sarebbe sinonima dell’O. frondosa De Serr., ed il Fontannes stesso fa osservare che il nome di 0. frondosa dovrebbe essere probabilmente rife- ribile alla var. Golonjoni dell’O. perpiniana. A mio parere YO. frondosa De Serr. e YO. perpiniaria Font, si corrispondono per- fettamente; in ogni modo però la specie del De Serres rimane incerta, perchè non se ne conosce la località e, come osserva anche il Fontannes (2), l’autore fa tali confusioni stratigrafiche (’) 1879-1882. Fontannes, Moli, plioc. de la Vallèe du Elione, etc., tome II, pag. 224, pi. XVI, fig. 3-5. (5) 1878. Fontannes, Études stratigr. et paléont. du péri ode tertiaire dans le bassin du Elione. IV. Les terr. néog. du plateau du Cucuron (pag. 45). mo B. NELLI che non permettono dedurre nemmeno il livello della mede- sima. Forma prossima all’ 0- digitalina è PO. ongulata Nyst che Hornes (*) pone appunto in sinonimia; però ne differisce al- quanto per la sua forma più regolare e diritta e per l’aspetto delle pieghe, che, per quanto disposte simmetricamente in serie concentriche, nell’insieme assumono piuttosto la forma di vere e proprie coste, che percorrono longitudinalmente la superficie della conchiglia. Il Sacco ritiene che il nome di 0. digitalina Dub. debba esser cambiato con quello di 0. digitata , adottato per il primo da Eichwald, ma poi da lui stesso rifiutato. Per le ragioni sovresposte poi è chiaro come YO. frondosa sia ben differente e non sinonima dell’ 0. digitalina, come Hornes reputava. Il Sacco indica la specie nell'elveziano dei colli torinesi; M. Vailassa, Oramala in Val Stafferà, S. Raffaele, Baldissero e Sciolze (langhiano). La indica pure nel tortoniano di Monte- gibbio e nel pliocene. All’estero viene indicata nel miocene medio del bacino del Rodano, della Loira e del Danubio (Font.). Trovasi nel bacino di Vienna ed in molte altre località mioceniche della Slavonia, Transilvania, Ungheria, Galizia, Baviera (Hornes). Ebbi già occasione di citare la specie nel miocene medio del Monte- negro (5). Venus miocenica Michelotti. 1847. Venus miocenica Michelotti, Descr. foss. dei terr. mioc. dell’Italia sett., pag. 121, tav. IV, fig. 19. 1862. Venus Aglaurae Doderlein, Giac. terr. mioc. Italia cent., pag. 14. 1900. Omphaloclathrum miocenicum Sacco, Moli. terr. terz., ecc. (loc. cit.), parte XXVIII, pag. 26, tav. VII, fig. 1, 2, 8, 4, 5. Dimensioni approssimative di due valve: Lunghezza .... min, 52 ; 66 Altezza » 4o ; o3. (') 1870. Hornes, Foss. Moli. Tert. lìcclc. v. Wien i pag. 417). (?) 1904. Nelli, Mioc. medio di Dulcigno, etc. (loc. cit., pag. 156). IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 311 Due valve destre della specie, le quali, per le loro cattive condizioni di conservazione, non mostrano con troppa evidenza tutti i loro caratteri. Una valva sinistra di dimensioni assai minori non in migliore stato delle precedenti. Forma ovato-el- littica, inequilaterale, colla superficie ornata di lamelle concen- triche, rilevate e divise da solchi piuttosto larghi e poco pro- fondi, intersecati da sottili costoline radiali. Per le dimensioni maggiori i nostri esemplari differiscono dalla forma tipica figu- rata dal Michelotti, rappresentante un giovane individuo e dalle forme figurate dal Sacco, le quali però sono già abbastanza grandi. Il Sacco pone in sinonimia della Yenus miocenica la Venus Aglaurae (non Brongn.) Hornes, la quale però si distingue per avere una forma più circolare. 11 Rovereto la distingue col nome nuovo di V. ambigua presentando la Venus Aglaurae di Hòrnes e degli autori forma diversa da quella tipica di Brongniart, la quale appare inequilaterale e quasi rettangolare. Fuchs (1870) e Francher (1886) avevano prima del Rove- reto (1900) (') fatto notare tale differenza, che viene accettata anche dal Dainelli (1901) (2). La forma che Rovereto ritiene come V. Aglaurae Brongn. (non auct.) sembra piuttosto vicina alla V. miocenica, cui si ac- costa per la sua forma quasi ellittica e per essere le coste se- parate da spazi intercostali piuttosto larghi. Nella Venus Aglaurae Brongn. le coste ricoprono così fitta- mente la superficie della conchiglia che gl intervalli sono molto ridotti. Colla nostra specie è forse sinonima la Corbis bellu- nensis di Vinassa de Regny (3). Il Sacco indica la specie nell’elveziano di Sciolze, cioè lan- ghiano, nel tortoniano di Sant’Agata e Montegibbio (pag. 26). fi) 1900. Rovereto, Illustrazioni dei moli. foss. tongriani, pag. 106. (2) 1901. Dainelli, Il mioc. inf. del Monte Promina in Dalmazia (Palaeontographia italica, voi. VII, pag. 263). (3) 1906. Vinassa de Regny, Moli, delle glauconie bellunesi (Boll. Soe. geol. it., voi. XV, pag. 199, tav. IV, fig. 4). 312 B. NELLI Tenus tauroyerrucosa Sacco. Un esemplare con ambedue le valve, la sinistra mostra ab- bastanza distintamente i suoi caratteri. Ha forma trigona, tra- sversalmente breve, con superficie ornata da coste concentriche, piuttosto regolari, strette, separate da spazi intercostali brevi e poco profondi. La sommità non è ben conservata. Il nostro esemplare, per la sua forma speciale, qualora fosse in migliori condizioni di conservazione, potrebbe esser riferito alla var. sub fascicolata Sacco (1). La specie, come pure le varietà, sono indicate nell’elveziano dei colli torinesi. VERTEBRATI. PESCI. Fani. Lamnida.e. Oxyrhina Deso rii Ag. 1895. Oxyrhina Desorii De Alessandri G., Pesci terziarii del Piemonte e della Liguria (Estr. d. R. Acc. d. Se. di Torino, pag. 42). 1901. Oxyrhina Desorii De Alessandri, Appunti di geol. e pai., ecc. (loc. cit., pag. 76). Loc. S. Marino : 1873. Oxyrhina Desorii Manzoni, Il Monte Titano, ecc. (loc. cit., pag. 6). 1880. Oxyrhina Desorii Scarabelli, Descr. della carta geol , ecc. (loc. cit., pag. 43). 1895 Oxyrhina Desorii De Angelis G., Addiz'oni all’ittiofauna fossile del Monte Titano (loc. cit., pag. 252). Della specie abbiamo diversi denti, tutti in buonissimo stato di conservazione, però mancanti in tutto o in parte della radice. Alcuni di questi denti per la loro forma speciale, netta ed acuta, (*) (*) 1900. Sacco, Moli. terr. terz. Pieni. Lig., parte XXVIII, pag. 29, tav VII, fig 30, 31. IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 313 a punta flessuosa, e per avere la faccia anteriore piana e la posteriore marcatamente convessa, specialmente alla base, sono certamente della simfisi. Abbiamo inoltre alcuni denti laterali, i quali si distinguono nettamente da quelli della simfisi per essere molto alti ed un poco obliqui. Sono forse riferibili alla stessa specie due vertebre, le cui superfìci interne concave sono percosse da numerosi solchi cir- colari concentrici. La specie è assai comune nell’Eocene superiore, nel Miocene e si spinge forse fino al principio del Pliocene, se i denti plio- cenici riferiti a questa specie non sono piuttosto spettanti alla vivente 0. Spallane anii Bonap., secondo l’opinione del prof. Bas- sani f1) e del De Alessandri (loc. cit.). Fam. Odontaspidae. Odontaspis contortidens Ag. Loc. S. Marino: 1873. Lavina contortidens Ag. Manzoni, Il Monte Titano, ecc. (loc. cit., pag. 6). 1880. Lavina ( Odontaspis ) contortidens Scarabelli, Descr. della carta geol., ecc. (loc. cit., pag. 43). 1895. Lavina contortidens De Angelis, Add. all’ittiofauna, ecc. (loc. cit., pag. 252). 190L. Lavina contortidens De Alessandri, App. di geol. pai., ecc. (loc.'cit., pag. 74). Della specie abbiamo diversi denti, i quali per il loro aspetto svelto, per essere subcilindrici alla base ed elegantemente fles- suosi sono caratteristici del genere e della specie. Quasi tutti mancano di radici per cui mancano quei denti- celli secondari, che trovansi ai lati alla base del dente prin- cipale. La corona contorta termina in una punta aguzza rivolta all’infuori. La faccia esterna quasi piana presenta fino a due terzi dell’altezza della corona, e più, margini taglienti. (i) Bassani F , La ittiofauna del calcare eocenico di Gassino in Pie- monte (Atti R. Acc. Se. fis. e nat. di Napoli, serie II, voi. IX, pag. 19). 314 B. NELLI Faccia interna convessa percorsa da pieghette in forma di piccole vene, nettamente distinte alla base dello smalto e meno in alto dove spariscono. La specie fu già indicata a S. Marino. \ E assai comune nel miocene ed anche nel pliocene. Fani. Galeidae. Galeocerdo aduncus A g. Due denti della specie caratterizzati per avere un cono prin- cipale curvo ed assai inclinato verso la parte posteriore, den- tellato sul margine. Parte posteriore distinta per i suoi dentelli più grossi e sporgenti. La specie è piuttosto comune nel Miocene. Trovasi pure nell’Eocene e nel Pliocene. Galeocerdo latidens Ag. Un solo dente in ottimo stato di conservazione, il quale per avere una base assai allungata a confronto dell’altezza, per l’aspetto speciale del cono e dei dentelli, è senza dubbio rife- ribile a questa specie. Trovasi nell’Eocene e nel Miocene. Fam. Carcharidae. Hemipristis Serra Ag. Loc. S. Marino: 1895. Hemipristis Serra De Alessandri, Pesci terziari del Piemonte e della Liguria (Estr. d. R. Acc. d. Se. di Torino, pag. 18). 1901. Hemipristis Serra De Alessandri, Appunti di geol., ecc. (loc. cit.t pag. 79). Della specie abbiamo un solo dente, il quale per essere largo alla base, appiattito e piramidale, piuttosto ricurvo all’estremità, sembra appartenere alla mascella superiore. I dentelli, i quali mostransi al margine, mancano in punta. Nel nostro esemplare IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 315 non veclesi che la faccia esterna uniformemente rigonfia, l’interna essendo incastrata nella roccia. La specie fu già indicata a S. Marino (De Alessandri). V E abbastanza comune nel Miocene ed anche nel Pliocene. Carcharodon megalodon Ag. Loc. S. Marino: 1873. Carcharodon megalodon Manzoni, Il Monte Titano, ecc., (loc. cit., pag. 4). 1880. Carcharodon megalodon Scarabelli, Descr. d. carta geol., ecc. (loc. cit., pag. 42). 1901. Carcharodon megalodon De Alessandri, Appunti di geol. e pai., ecc. (loc. cit., pag. 72). Un solo dente quasi intero e due frammenti di dente. Per il loro aspetto e per la regolare dentellatura del margine sono certamente riferibili a questa specie. Essa è comune nel Miocene d’Italia. Fam. Sparidae. Gen. Sargus Cuvier. (1817. Bègne animai, voi. II, pag. 272). Sargus Oweni Sismonda. Capitodus subtruncatus auct. (prò parte). 1846. Trigonodon Otceni Sismonda E., Pesci fossili del Piemonte, pag. 21, tav. I, fig. 14-16. 1846. Capitodus subtruncatus Miinster G, (prò parte) Beitr. Petrefact., pt. VII, p. 13, pi. I, fig. 2; pi. II, fig. 1-8 (non ibid., pt. V (1842), p. 68, pi. VI, fig. 17). 1849. Sargus incisivus Gervais P., Zool. et Pale'ont. frang., pag. 514, tav. 69. fig. 14-16. 1858. Sargus Sioni Ronault M., Note sur les vertébrés foss. des terrains sédimentaires de VOuest de la France (Comptes rendns Acc. Se., t. XLVII, pag. 100; 19 juillet). 1875. Sargus Sioni Sauvage H. E., Notes sur les poissons fossilcs, Bull. Soc. géol. de France, 3e sèrie, tav. Ili, pag. 613, tav. XXII, fig. 3 4,. 316 B. NELLI 1876. Capitodus subtruncatus Lawlcy, Nuovi studi sopra ai pesci ed altri vertebrati fossili delle colline toscane , pag. 55, tav. II, fig. 13-15. 1879. Sargus Sioni Bassani F., Ricerche sui fossili del miocene medio di Gahard (Atti d. Soc. Veneto-TrentiDa di Se. Mat., voi. VI, fase. I, pag. 9, tav. V, fig. 13, 14). 1879. Sargus incisivus Bassani F., ibid., pag. 8, tav. V, fig. 9-12. 1882. Sargus Sioni Sauvage H. E., (Mém. Soc. Se. Nat. Saóne et-Loire, voi. IV, pag. 63). 1890. Sargus Oweni Sacco F., Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte, (Boll. Soc. geol. it., voi. IX, pag. 296). 1895. Sargus (Trigonodon) Oweni Bassani F., (Atti R. Acc. Se. Napoli, voi. Vili, n° 7, pag. 6, fig. 3). 1900. Sargus incisivus Seguenza L., Pesci fossili della provincia di Mes- sina (Boll. Soc. geol. it., voi. XIX, fase. Ili, pag. 515, tav. VI, fig. 38, 39). 1901. Trigonodon Oweni Smith A. Woodward, Catalogne of thè fossil fisches in thè British museum (parte IV, pag. 531). 1901. Sargus incisivus Smith, ibidem, pag. 530. Loc. S. Marino: 1895. Sargus Oweni De Alessandri, Pesci terz. Pieni. Lig. (loc. cit., pag. 28, tav. I, fig. 27 a, b, c, d). 1895. Sargus incisivus De Alessandri (ibid., pag. 289, tav. I, fig. 28, 28 a). 1895. Sargus (Trigonodon) Oweni De Angelis, Addizioni all’ ittiofauna, ecc. (loc. cit., pag. 253, 254). 1895. Sargus titanicus Cocchi, (in schedis. Museo di Firenze). Della specie possediamo solamente cinque denti incisivi, uno dei quali mostra distintamente delle pieghette alla base della faccia esterna. Probabilmente sono anche da riferirsi alla specie alcuni di quei denti emisferici, che ho riunito sotto la denomi- nazione di Spliaerodus cinctus Ag. Debbo notare che i denti mascellari dei gen. Spaerodus, CJirysophrys, Sargus e Pagrus presentano in generale la me- desima forma. Una differenza nella dentatura di questi diversi generi si riscontra nei denti incisivi, i quali nel Sargus sono foggiati a scalpello, nella Chrysophrys conici e tozzi, a larga punta, al disopra deiranello basale colla faccia esterna marca- tamente ponvessa e faccia interna quasi pianeggiante. Questi denti somigliano in gran parte agl’incisivi di Spliaerodus , in <{uesti però la punta si presenta più regolarmente conica. Nel IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 317 Pagnis i denti incisivi, che sono parimente conici, si distin- guono per la loro forma svelta, allungata ed acuta. Tenendo conto di tali differenze sembrami certamente rife- ribile al gen. Pagnis lo Sphaerodus parvus Ag. (loc. cit., Atlas 2, fig. 18, 18' (denti incisivi). A questa specie, che per le ragioni dette, deve chiamarsi Pagnis parvus Ag., corrisponde il P. Me- neghini Bassani del miocene di Chiavon (‘ . Dal Sargus Oiveni Sismonda non differiscono, secondo me, il Sargus incisivus Gervais ed il Sargus Sioni Ronault, i cui denti incisivi presentano identica forma a quella dei denti cor- rispondenti del Sargus Oweni , essendo come questi convessi sul lato esterno e alquanto concavi sul lato interno. Quelle pliche verticali che si trovano sul lato interno dell’incisivo di Sargus Sioni di Ronault trovansi anche in quello di Sargus Oweni Sismonda. Quel piccolo rilievo che trovasi nell’incisivo del Sar- gus incisivus di Gervais, nella parte inferiore tia la corona e la radice non è un carattere tale da poterlo distinguere da quello corrispondente di Sargus Oweni, nel quale invece si osserva un solco trasversale. La mancanza del ìilievo, al posto del quale si può avere un solco, come pure la mancanza delle pliche, invece delle quali si possono notare una o più stiie, di- pende specialmente dallo stato di conservazione. Il Lawley riferisce a Capitodus subtruncatus Miinster alcuni denti incisivi della specie della pietra lenticolaie di S. Fiediano presso Parlascio e d’Orciano presso la Casa Nuova. Il Capitodus subtruncatus Miinster, come risulta dalla con- formazione speciale dei suoi denti, è un Cyprinoide e non già uno Sparoide (2) ; più tardi sbagliava il Miinster, confondendo nella medesima specie denti di Sparoidi, riferibili a Sargus. Per questa ragione gli autori, e fra questi il Lawley, hanno potuto confondere denti di Sargus nel Capitodus subtruncatus Miinster, che in parte è sinonimo del Sargus Oiveni Sismonda, ed in parte va tenuto distinto come specie a sè e come un Cy- prinoide. Q) 1889. Bassani F., Ricerche sui pesci fossili di Chiavon, pag. 69, tav. XV, fig. 1 (Atti d. R. Acc. Se. Fis. e Matem. di Napoli, serie 2 , voi. III). (?) Zittel K. A., Handh. Palaeont., voi. Ili, pag. 282, fig. 29-. 318 B. NELLI Nell’incertezza se la specie doveva essere riferita al gen. Sar- gus di Cuvier (1817) o se si dovesse mantenere il gen. Trigo- nodon di Sisrnonda (1846) ho voluto esaminare la questione, j Il gen. Sargus di Cuvier è caratterizzato per avere una sola specie di denti a scalpello sul margine della mascella sulla simfisi e due o più serie di denti molari rotondi. Il gen. Tri- gonodon è conosciuto solamente per i denti frontali tronchi come quelli del Sargo, ma, secondo il Woodward, più larghi e forse in un solo paio. L’essere più larghi dipende dall’appartenere questi denti a individui più adulti o per essere i più anteriori sulla simfisi; la loro disposizione poi in un solo paio è sola- mente ipotetica, non avendo esemplari fossili completi. Ritengo per ciò il gen. Trigonodon sinonimo del gen. Sargus, come prima di me aveva ritenuto De Alessandri. La specie è stata già citata nelle arenarie mioceniche della Rep. di S. Marino (S. incisivus De Alessandri). E abbastanza comune nel Miocene ed anche nel Pliocene. Gen. Shpaerodus Ag. (1843). Shpaerodus cinctus Ag. 1875. Chrysophrys Laivley Gervais, Journ. de Zool., voi. IV, n° 6, pag. 517. 1900. Chrysophrys cincta Seguenza, loc. cit., pag. 514. 1907. Chrysophrys cincta Bassoli G. G., I pesci terziari della regione emi- liana (Riv. it. di Paleontologia, fase. I, pag. 41). Loc. S. Marino: 1873. Sphaerodus cinctus Manzoni, Il Monte Titano, ecc. (loc. cit., pag. 6). 1880. Sphaerodus cinctus Scarabelli, Descr. d. carta geol , ecc. (loc. cit., pag. 43). 1895. Sphaerodus cinctus De Angelis d’Ossat, Add. alla ittiof., ecc. (loc. cit., pag. 252). 1901. Chrysophrys cincta De Alessandri, Appunti, ecc. (loc. cit., pag. 82). Della specie abbiamo molti denti assai ben conservati, cor- rispondenti in tutto a quelli della forma tipica di Agassiz del calcare del miocene della Stiria. Per la maggior parte si pre- sentano tutti regolarmente emisferici, più o meno alti, con un IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 319 diametro variabile da mm. 3,3, come risulta da uno dei più piccoli esemplari, a mm. 14,8, come da uno dei più grandi. Alla base, quelli meglio conservati presentano in leggero ri- lievo, degli anelli circolari striati circolarmente e con sottili e numerose pieghette verticali. Oltre a questi denti emisferici abbiamo alcuni denti conici, incisivi, i quali misurano un’altezza variabile da mm. 7 a 7'/s ed un diametro da mm. 6 a 7. Fra i denti che noi possediamo non trovasi nessuno di quei denti a forma ovale con una depressione nel centro che caratterizzano le Chrysophrys in genere, e la Gli. Agassi zi Sismonda del miocene del Piemonte, alla quale in parte, secondo De Ales- sandri Q), deve riferirsi la Gli. miocenica Bassani del miocene medio di Galiard. È questa una vera Chrysophrys. Infatti, con- frontando colle mascelle della Chrysophrys tuttora vivente {Gli. aurata Lin.) le due mascelle a dentatura quasi completa, deno- minate Sphaerodus cinctus Ag. del pliocene presso le saline di Volterra, studiate e descritte dal Lawley, delle quali nel museo di Firenze possediamo i modelli, risulta che la Chrysophrys si caratterizza dallo Sphaerodus per avere su ogni mascella due denti ellittici alquanto schiacciati. Questi denti, due su cinquanta circa sul mascellare sup. ed inf., mostransi assai più grandi di quelli emisferici. Grande somiglianza presentano pure specialmente i denti molari di Sphaerodus cinctus con quelli di Pagrus ( Pagrus vulgaris C. V.) vivente nel Mediterraneo. In questo però, oltreché essere molto più piccoli, come molto più piccole sono sempre le mascelle, presentano posizione alquanto diversa, poiché tanto nella mascella superiore che nell’inferiore, oltre la doppia serie di denti grossi, trovansi presso la simfìsi, e lungo il margine interno, numerosi e piccoli denti irregolarmente disposti. A gassi z (1843) studiando denti isolati a forma emisferica intuì che dovessero appartenere ad un genere della famiglia dei Pycnodonti e costituì il gen. Sphaerodus (2). Nell’incertezza che potessero appartenere alla famiglia dei Lepidoidi, i denti dei quali sono simili, fa notare come Owen aveva potuto osser- (') 1895. De Alessandri G., Pesci terz. Pieni. Lig. (toc. cit., pag. 27). (2) 1843. Agassiz L., Redi, sur les poissons foss., tome II, pag. 209. 22 320 B. NELLI servare la differenza di struttura fra i denti di Sphaerodus e quelli di Lepidotus ('). Iu seguito (1875) Roberto Lawley (2) ebbe la fortuna di rinvenire due mascelle complete, i cui denti rispondono in tutto a quelli di Sph. cinctus di Agassiz e così potè stabilire meglio anche il genere. Però il Gervais nell’incertezza se la specie del Lawley debba essere riunita allo Sphaerodus cinctus Ag., che secondo lui è pure una Chrysophrys , la distingue col nome di Ch. Lawley, riunendo in tal modo il gen. Sphaerodus ed il gen. Chrysophrys. Nel 1876 Delfortrie (3), considerando l’affinità fra le due mascelle fossili del Volterrano ed i Pagrus ritiene che debbano essere riferite a questo genere. In generale poi dagli autori è stato confuso il gen. Sphae- rodus col gen. Chrysophrys . per cui, escluso per le forme in questione il gen. Pagrus, che per i caratteri sopra detti è dif- ferente, era necessario indagare se questi due generi potevano o no tenersi separati. Io li ritengo diversi appunto per la pre- senza nella Chrysophrys e mancanza nello Sphaerodus dei denti ellittici posteriori e confermo il gen. Sphaerodus, benché per la grande affinità delle apparenze lo attribuisca, come la Chry- sophrys, alla famiglia degli Sparidae. La specie è assai comune nel miocene ed anche nel pliocene. [ms. prcs. il 24 maggio 1907 - ult. bozze 5 novembre 1907]. (') 1845. Owen, Odontography, voi. II, atlas, pi. 31, 32, 33. (2) 1875. Lawley R., Osservazioni sopra una mascella fossile del gen. « Sphaerodus » rinvenuta nel pliocene toscano del Volterrano (Atti Soc. Tose. (1. Se. Nat. di Pisa, voi. II, fase. l.°). 1875. Lawley R , Obs. sur une machoire fossile provenant du genre « Sphaerodus », etc. ( Journ . de Zoologie par Paul Gervais, tome IV, »° 6, pag. 511). (3) 1876. Delfortrie M. E., Éclaircissements sur une machoire foss. provenant du pliocène toscan de Volterrano attriti né par M. Robert Lmi'ley au genre «Sphaerodus». IL MIOCENE DEL MONTE TITANO 321 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tavola Vili. Mg. » I. Spondylus Manzonii sp. n. (valva sinistra). 2 » » (valva destra). 3. » » (in profilo). 4, 4 a, 4 b, 5. Terebratula Costae Seguenza. 6. Pecten persimpliculus Sacco (valva sinistra). 7, 8, 9. Pecten scabrellus Lk. var. sanmarinensis Fnchs (valve destre). 10. Pecten scabrellus Lk. var. sanmarinensis Fnchs (valva sinistra). II. » Gentoni Fontannes (valva destia). 12 » » » (valva sinistra). 13. Clypeaster Capellini sp. n. (in profilo). 14. Saltella Airaghi sp. n. (in profilo). Tavola IX. Fig. L 2. Clypeaster Capellini sp. n. » 3. Eupatagus sanmarinensis sp. n. » 4. » sp. n.? » 5, 6. 7, 8. Psammechinus Manzonii sp. n. » 9, 9 a. Echinolampas Stefaninii sp. n. (foima suite » 10, 10 a, 10 0. Pliólampas titanensis sp. n. » il, 12, 13. EcMnocyamus pyriformis Ag. » 14. Domopora cfr. striatala (Bnsk). 322 IL NELLI Tavola X. Fig. 1. Trachyspatangus sp. » 2, 2 a, 3. Echinolampas Stefaninii sp. ». vai-, oblonga. » 4, 5. Cidaris Scarabellii sp. n. » 6. Pecten Clarae Viola. » 7, 8. Pecten longolaevis Sacco (valve destre). >:> 9. » » » (valva sinistra). » 10, 11, 12, 13. Serpula subnummulus sp. n. » 14. Saltella Airagliii sp. ». » 16. Clypeaster Capellina sp. n. ^ ■ P- Le fotografie sono state eseguite co» prisma e perciò nelle tavole una valva destra apparisce sinistra e viceversa. Boll. Soc. Geol. Ital. voi. XXVI (1907). (Nelli) Tav. Vili. 61 IOT CAL?m A»l H FFPl#AIVin-MIL«NO 4 7 (Nelli) Tav.lX. etior CALZOLARI R f-hKRAKIO -MILANO (Nelli) Tav. X. ELIO r CALZOL ANI H HeKNANlO -MILANO ! IMPRONTE VEGETALI DEL CARBONIFERO DELL’ILLINOIS (STATI UNITI D’AMERICA) Nota del prof. Paolo Peola (Tav. XI) Un minatore valdostano, sig. Francesco Bonin di Challant, di ritorno dall’America, mi offriva ima dozzina di bei esemplari di impronte vegetali che mi assicurava aver egli stesso raccolto lungo il letto del Mesonrover nella contea di Moris nell’ Illinois. Ogni esemplare è dato dall’impronta del vegetale e dalla sua con- troimpronta, e sovrapposte le due parti, si ottengono ciottoli elis- soidali, levigati ed arrotondati per azione del trasporto fluviale, di grossezza variabile da quella di un bell’uovo di gallina a quella di un pugno, e sono costituiti da un’arenaria compatta o stratificata a sottili straterelli, di color grigio rossastro ester- namente, nerastri internamente. Tali campioni furono acquistati dal Museo geologico della R. Università di Torino, dove si con- servano. La flora carbonifera dell’Ulinois fu già studiata dal Lesque- reux nel 1866 in Enumeration of thè fossil Plants foimd in thè Coni Measures of Illinois, with descriptions of nato species (Geol. Survey of Illinois, voi. II), nel 1870 in Iìeport on tlie fossil Plants of thè Illinois Coni fields (Geol. Survey of Illinois, voi. IV), e nel 1880 e 1884 insieme ad altre flore carbonifere degli Stati Uniti d’America in Description of thè Coni Flora of thè carboniferoas formation in Pennsylvania and throughout thè United States (Geol. Survey of Pennsylvania, voi. I, II e III). Nè altri studi più recenti pare siano stati fatti, poiché, avendo interpellato sulla bibliografia della flora carbonifera deU’lllinois, il sig. Edward W. Berry, assistente in Paleontologia presso il laboratorio geologico di Baltimora, che già mi aveva onorato 332 P. PEOLA è propria del Cairn, ed il gen. TJlodendron del Calia e del Westfaliano inferiore. Ora, secondo gli autori, il precarbonifero americano corri- sponderebbe al Calai europeo, l’antracitifero al Westfaliano in- feriore ed il bituminoso al Westfaliano superiore. L’aver i fos- sili di Mesonrover una grande identità con quelli di Hazon Creek, clie dal Lesquereux vengono ascritti agli strati inferiori del bituminoso od al Westfaliano superiore, l’avervi qui avanzi di Cardiopteris ed TJlodendron propri del Cairn e del Westfa- liano inferiore, Tessere i fossili inclusi in arenaria che si trova alla base del Westfaliano fa ritenere come corrispondente al vero l’inscrizione di Mesonrover al Westfaliano, cioè alla base del mesocarbonico. [ms. pres. il 9 settembre 1907 - alt. bozze 10 novembre 1907]. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XI Fig. 1. Pecopteris vestita Lesq. » 2. » S troupi Lesq. » 3. » venulosa Lesq. » 4, n. 1. » arborescms Schloth. » » n. 3. Cardiopteris polimorpha Goepp, » » n. 4. Pecopteris venulosa Lesq. » 5. Ueuropteris Loschii Brong. » G. » plicata Stern. » 7. » vermicularis Lesq. » 8. » hirsuta Lesq. » 9. » decipiens Lesq. » 10. » oblongifolia Lesq. » 11. Annidarla sphenophylloides v. i » 12. TJlodendron Mansfieldi Lesq. Boll. Soo. Geol. Ital. voi. XXVI (1907). E. FORMA FOT. (Paola) Tav. XI. EllOt CAUi?OLAr!l* FfKIWmiE -MILANO SUL VULCANISMO DEI DINTORNI DI FORT PORTAR Nota del dott. L. Colomba Durante la traversata da Entebbe al gruppo del Ruwenzori, la spedizione di S. A. R. il Duca degli Abruzzi, visitò le re- gioni di Toro, collocate alle falde orientali del predetto gruppo c degne di nota per la presenza di numerose vestigia riferibili a manifestazioni vulcaniche del tutto spente oggidì, ma dotate di un tipo molto caratteristico; colà il mio amico dott. Ales- sandro Roccati potè fare un’abbondante raccolta di materiale di cui con vero disinteresse e con squisito sentimento di colle- ganza volle, col consenso di S. A. R. il Duca degli Abruzzi, affidare a me lo studio, del che rendo ad ambedue vive grazie. In attesa che nella relazione della fortunata spedizione ven- gano pubblicate per intero le osservazioni da me compiute su questo interessante materiale, credo bene di presentare alla So- cietà Geologica questa nota preventiva nella quale riassumerò brevemente i principali risultati delle mie ricerche. L’esistenza alla base del massiccio del Ruwenzori di una serie di manifestazioni vulcaniche fu constatata da quanti ebbero occasione di visitare quelle regioni ; in modo speciale fu accer- tata lungo il fianco meridionale ed orientale del massiccio, vale a dire dalle parti rivolte verso il lago Alberto Edoardo e verso P Uganda (‘). (') [Ij Scott Elliot, Naturalist in Mid Africa , London 1896; [IIJ Scott Elliot e Gregory; On thè Geology of Mount Ruwenzori, ecc; Quart. Journ. of. Geol. Soc., LI, (1895); [III] Ferguson, Geologica! Notes from Tangamka Northwards. Geol. Magaz., Vili, 1901; [IV] Garstin, Report upon thè Bussiti of thè Upper Nile, Cairo, 190 1; [V] DahnéDetcliffe, Surveys and studics in Uganda^ Geograph. Journ., 1905; [VI] Woodvards, Rrecis 334 L. COLOMBA Non tutti gli autori però che si occuparono di queste mani- festazioni vulcaniche ebbero agio di osservarle nelle regioni di Toro; infatti quelle compiute da Ferguson (III), Frehsfield (Vili), Moore (VII) riguardano le regioni poste a sud ed a sud-est del Ruwenzori, nei dintorni di Katvè e di Fort Georges lungo le spiaggie del lago Alberto Edoardo; gli altri autori invece prima citati od estesero le loro ricerche a tutta In zona compresa fra sud e nord-est del Kuwenzori lungo il versante rivolto verso l’ Uganda, oppure si occuparono in modo speciale di Toro e di Fort Portai. Da tutti questi lavori emerge un fatto costante ed è il tipo eminentemente uniforme assunto dalle manifestazioni vulcaniche svoltesi nelle predette località; invero tutti gli autori a cui ho prima accennato, sono concordi nell’affermare che i depositi vul- canici esistenti nella zona compresa fra Fort Georges e Fort Portai sono esclusivamente costituiti da tufi; solo Scott Elliot (11) accenna alla presenza nei dintorni di Katvò, di un basalto olivinico. L’esame del materiale raccolto da Koccati conferma piena- mente queste conclusioni, e non soltanto per ciò che riguarda i depositi che formano la pianura di Toro ma pur anche per quanto riguarda quelli che direttamente concorrono a formare i numerosi conetti vulcanici esistenti nella detta località e spe- cialmente nelle vicinanze di Fort Portai. Notevole è poi il fatto della presenza, nei materiali che for- mano i detti tufi vulcanici, di grossi massi inclusi riferibili a rocce differenti delle quali alcune non si possono per nulla identificare con rocce la cui presenza in posto nel massiccio del Kuwenzori sia stata determinata o da Koccati oppure dagli altri autori che prima di lui studiarono le predette località dal lato litologico. 11 materiale costituente i coni vulcanici visitati da Koccati, sebbene presenti a tutta piuma l’aspetto di una roccia cristal- nf formation concerning thè Uganda Protectorate; [VII] Moore, TheMoun- tains of Monn\ [ V 1 1 1 j Frehsfield, Toirards Rmveneori, Alpine Journ. 1906 ; [ IX | Dawe, An arcentn of 1 ìuiremori. Journ. of thè Africa» Society, XVIII, 1906. VULCANISMO DEI DINTORNI DI FORT PORTAL 335 lina, è esclusivamente formato da un tufo molto compatto il quale mantiene un tipo sensibilmente uniforme nei vari coni visitati. Quando è sano presenta l’aspetto di una roccia amig- daloide formata da una massa fondamentale di tinta grigia vio- letta scura, nella quale sono visibili lamine di biotite le cui dimensioni variano da un esemplare all’altro ; le amigdale, sempre molto piccole, sono ripiene di aragonite in cristalli aciculari e di calcedonia ed opale. Al microscopio si osserva che la massa fondamentale è costituita da due distinte parti di cui l’una risulta da un in- treccio di cristalli prismatici di calcite o da plaghe spatiche dello stesso minerale, mentre l’altra è rappresentata da una sostanza brunastra, translucida, spesso torbida; disseminati in quésta massa si osservano numerosissimi ottaedri di magnetite, frequenti lamine di biotite, rara augite e cristalli prismatici di calcite porti ri cani ente diffusi e che talvolta presentano una ben netta fiuidalità intorno alle lamine di biotite ed ai cristalli di augite. Trattando questo tufo compatto con acido cloridrico scom- pare dapprima tutta la calcite, e la massa diviene friabile; con- tinuando poscia l’azione dell’acido si nota che il liquido si co- lora intensamente in verde giallastro avendosi pure separazione di silice gelatinosa; in pari tempo la massa assume una tinta biancastra e risulta essenzialmente costituita da silice, nella quale spiccano nettamente le lamine di biotite ed i cristalli di augite e di magnetite, i quali ultimi però scompariscono com- pletamente quando si prolunghi convenientemente l’azione del- l’acido cloridrico. Ciò indica come in questo tufo, oltre al carbonato calcico, esista un’altra sostanza cementante la quale deve essere costi- tuita da un vetro molto facilmente decomponibile dall’acido cloridrico e la cui composizione deve essere quella' di un sili- cato ferroso molto analogo a quello che sotto il nome di sidero- melano comparisce nei tufi palagonitici. Quando il tufo compatto si presenta alterato si nota una sensibile diminuzione nella sua durezza; in pari tempo la tinta complessiva passa al bruno rossastro, essendo questa variazione di colore dovuta ad una più o meno avanzata alterazione del 23 336 L. COLOMBA silicato ferroso con separazione di silice e di ematite a sua volta parzialmente alterata in limonite. I tufi che formano parte della pianura di Toro e di Fort Portai presentano un aspetto nettamente stratificato; in essi si osservano sensibili differenze di colore a seconda che si tratti di frammenti che provengano da strati più profondi o da strati più superficiali, essendo quelli più compatti e di tinta rossa- stra, 'mentre questi sono bianco grigiastri e più porosi ed in- coerenti. Tanto gli uni quanto gli altri danno viva effervescenza in presenza all’acido cloridrico, ottenendosi poscia come residuo un agglomerato del tutto incoerente di frammenti che rivestono in generale la forma di sfere o di elissoidi, colorati in bianco grigiastro, associati a numerose lamine di biotite; si ha pure, sebbene in proporzione molto minore che non nei tufi compatti, separazione di silice gelatinosa. Osservando al microscopio questi tufi, quando non presen- tano frammenti di rocce estranee, lasciano vedere gli stessi mi- nerali che si hanno nei tufi compatti che costituiscono i coni vulcanici, ad eccezione dei cristalli porfirici di calcite. Si os- serva poi come ogni granulo od ogni lamina dei detti minerali apparisca rivestita da un involucro tondeggiante di una so- stanza biancastra prevalentemente costituita da silice, essendo poi i granuli cementati gli uni cogli altri mediante calcite; il che spiega la forma che presentano i detti granuli quando rimangono isolati dopo eliminato il carbonato calcico. Nelle zone più profonde dove il colore dei tufi tende al rosso, si nota che questa tinta è dovuta ad ematite che sotto forma di pagliuzze o di polvere è disseminata nella massa della sostanza biancastra che riveste i frammenti. Da questi caratteri risulta che la differenza essenziale che si osserva fra questi tufi stratificati e quelli compatti sopra de- scritti, si è che in quelli la sostanza vetrosa sembra essere in massima parte sostituita da silice; però il fatto che in quelli inferiori questa silice è inquinata da ematite, analogamente a quanto si nota nei tufi compatti quando sono parzialmente al- terati, lascia supporre che anche in essi si avesse un cemento vetroso il quale sia stato più o meno profondamente decomposto; VULCANISMO DEI DINTORNI DI FORT PORTAR odi ed anzi il fatto che per trattamento con acido cloridrico si ot- tiene pure da essi separazione di silice gelatinosa, permette di -stabilire che questa sostanza vetrosa deve in quantità più o meno grande essere ancora presente nei tufi stessi. Molto frequenti sono in questi tufi gli inclusi di rocce ete- rogenee, aventi dimensioni molto variabili che possono da quelle di un grano di sabbia giungere fino a quelle di massi aventi un volume di più metri cubi. Quando si tratta di piccoli frammenti si nota che essi hanno lo stesso modo di presentarsi degli altri minerali disseminati nei tufi stessi, essendo al pari di essi avvolti da patine di silice; i grossi massi appariscono disseminati qua e là senza ordine e sempre mantengono i loro spigoli vivi. Le rocce che costitui- scono questi inclusi sono varie, però negli esemplari raccolti da toccati prevalgono gli gneiss che dalle sue osservazioni sareb- bero le rocce più sviluppate nelle regioni meno elevate del Ruwenzori. Questi gneiss presentano un tipo molto variabile sia per quanto riguarda la loro struttura la quale è più o meno schistosa, sia per quanto si riferisce alla composizione mine- ralogica. Si hanno in effetto alcuni gneiss veramente tipici nei quali la mica ò rappresentata da biotite ed il feldspato è esclusi- vamente ortosio in cristalli che non presentano tracce di gemina- zioni ; in altri invece la mica è parzialmente o totalmente so- stituita da orneblenda avendosi quindi gneiss micaceo-anfibolici o nettamente anfìbolici. In alcuni di essi poi l’ortosio è per la massima parte sosti- tuito da plagioclasi poligeminati che possono essere rappresentati o da oligoclasio oppure da termini basici riferibili all’andesina ed anche alla labradorite ed all’anortite. Confrontando questi gneiss con quelli studiati da Roecati si nota come se ne abbiano nei tufi di Toro alcuni del tutto nuovi specialmente fra quelli anfìbolici; degno di nota è poi il fatto della completa mancanza di inclusi riferibili agli gneiss a mi- croclimi che sono, secondo gli studi di Roccati, così frequenti e caratteristici nella catena del Ruwenzori. Oltre agli gneiss si osservano pure inclusi di diabasi; una di queste è perfettamente simile a quella che sotto torma di 338 L. COLOMBA grandi massi apparisce allo stato erratico nelle argille di Toro e nelle pianure delI’Uganda, ma die non fu tino ad ora osser- vata in posto. Un’altra che sembra del tutto ignota fino ad ora è a grana molto fine in modo da assumere quasi l’aspetto di un basalto olocristallino. Altri inclusi sono poi direttamente riferibili a rocce tipiche per il Ruwenzori; tali sono gli inclusi di diorite, di anfìbo- liti, di anfiboloschisti e di pegmatite perfettamente equivalenti in ogni loro carattere a rocce osservate da Roccati e da lui studiate. Accenno in ultimo ancora ad inclusi i quali risultano costi- tuiti dal tufo compatto che forma i coni vulcanici. I caratteri principali che presentano questi tufi stratificati sono certamente quelli di un deposito subacqueo; ed in questo le conclusioni che io ho tratto concordano perfettamente con quanto Gregory (II) osservò nei tufi di Katvè analoghi pure per la presenza di un cemento vetroso. La zona in cui si deposero questi tufi dovette essere costi- tuita da una grande fossa lacustre appartenente indubbiamente ad un prolungamento dell’attuale lago Alberto Edoardo; fatto questo che risulta evidente quando si consideri che il predetto lago con le sue diramazioni indicate con i nomi di Ruisamba e Kufurru si spinge lungo il fianco sud-est del Ruwenzori attra- verso a formazioni tufacee, come quelle del Katvè e di Fort Georges, del tutto paragonabili, come già dissi, a quelle di Toro. Ed anzi questo prolungamento poteva costituire l'allaccia- mento, dalla parte dell’Uganda, fra il lago Alberto Edoardo ed il lago Alberto, nello stesso modo in cui, secondo David (*), i due laghi erano allacciati mediante l’attuale valle del Semlichi dalla parte del Congo. E poiché David ammette che l’attuale forte dislivello esistente fra il lago Alberto Edoardo ed il lago Alberto, dipenda da una grande dislocazione avvenuta posteriormente ai fenomeni oroge- nici che determinarono la comparsa del Ruwenzori, potrebbe supporsi che i fenomeni vulcanici che si manifestarono alla base di questo gruppo sul versante dell’Uganda, siansi svolti appunto quando si compiè tale dislocazione, il che concorderebbe con (') Conferenza tenuta al Cairo nel 1903. VULCANISMO DEI DINTORNI DI FORT PORTAL 330 quanto pare accertato che il Ruwenzori fosse cioè, in temiti non molto lontani, circondato da tutte le parti da un grande lago. La mancanza completa poi di rocce cristalline indica come molto probabilmente tutto il vulcanismo che agì fra Katvè e Fort Portai, sia dipeso da vulcani di fango il cui materiale in parte concorse a formare i numerosi coni vulcanici che si ergono nelle predette località ed in parte determinò la formazione degli attuali tufi stratificati. Un’altra questione certamente molto interessante è quella che riguarda la provenienza dei grossi massi inclusi nei detti tufi stratificati; su di essa però non insisto per il momento essendo necessario per discuterla che siano completamente termi- nati i lavori di Roccati sulla geologia del Ruwenzori. In ultimo, a proposito sempre del vulcanismo del Regno di Toro, aggiungo ancora come, sebbene esso apparisca attualmente completamente estinto, al pari di quanto fu osservato da altri autori nelle regioni di Katvè, si abbiano però nelle regioni visi- tate dalla spedizione di S. A. R. il Duca degli Abruzzi, nu- merose acque termo-minerali e frequenti scosse di terremoto. [in 8. pres. il 25 luglio 1307 - ult. bozze 22 agosto 1007]. SUL PECTEN ME DI US LAM. CITATO DA l'HILIl’Pl E SCACCHI TRA I FOSSILI DELLA REGIONE FLEGREA Nota del dott. Raffaello Bellini In due miei studi sui molluschi neogenici della regione vul- canica napoletana (') ho avuto occasione di riferire la citazione fatta dal Philippi (2), che la riferisce dallo Scacchi ed è ripor- tata dal Lyell (3), dell’esistenza del Pccten medius Lam., nel- l’aggregato d’elementi vulcanici della spiaggia presso Pozzuoli (4) e nel giacimento della stessa natura nella valletta di Mezzavia nell’isola d’Ischia. L’importanza della citazione è data dal fatto che il Pccten medius Lam. (5) è una specie esotica, mentre tutti i molluschi dei tufi e degli aggregati delle regioni flegrea e vesuviana vivono ancora nel golfo di Napoli ed in quello di Baia, ad eccezione di due forme che non ho più rinvenuto nella fauna vivente (6). La specie in discorso non è citata da Scacchi nelle Notizie geologiche sulle conchiglie fossili d’ Ischia, ecc. (7), e d’altra parte (*) (*) Bellini R., Notizie sulle formaz. fossili f. neog. recenti della reg. vulcan. napolet. c malacof. del M. Somma, in Boll. Soc. di Naturai, in Napoli, 1903; Id., La faune des mollusques fossiles néogcnes du périmctre du golf e de Naples, in Anna). Soc. Royale Zool. de Belgique, Bruxelles, 1903. (2) Philippi R. A., Enumeratìo molluscorum Siciliae, voi. Il, p. 270, 1841. (3) Lyell C., A Manual of dementar]) Geology, 5"“ edit., p. 118, London, 1855. P) Nella località detta La Starza tra Pozzuoli ed il Monte Nuovo, a quasi 25 m. d’altezza; il giacimento non è oggi più accessibile. (5) Lamarck, Itisi . Nat. An. S. Veri., 2m« édit. augni, par Deshayes et Mi Ine Edwards, voi. VII, p. 130, 1836. (6) Semicassis inarimensis, Bellini, Bue nuovi molluschi fossili della marna d’Ischia, ecc., in Boll. Soc. Zoolog. Ita!., voi. I, pp. 149-162, Roma, 1900; della marna d’ Ischia e Radula vesuviana ; Id., Notizie sulle formaz. fossilifere, ecc., p. 15; dei massi erratici del M. Somma. (7) In Memorie mineralogiche e geologiche, t. 1, Napoli, 1841. SUL PECTEN MEDIUS LAM. 341 l’asserzione del Philippi, che del resto era un buon conoscitore di specie viventi e terziarie, dichiarante aver egli raccolto il Pecten medius insieme a Scacchi, merita d’esser chiarita. Nè sino ad ora io l’ho mai potuto. Nella raccolta dei fossili della regione vulcanica napoletana, esistente nel li. Museo Geo- logico di Napoli e da me per diversi anni studiata e determi- nata, non figura alcuna forma che possa riferirsi alla specie di Lamarck; vi abbondano l’affine Pecten jacobaeus e diversi d’altri gruppi ; ma del Pecten medius nessuna traccia, sebbene la col- lezione suddetta contenga il materiale raccolto, almeno in gran parte, da Philippi, Scacchi, Costa e Guiscardi. In queste scorse vacanze, ripassando le determinazioni della raccolta di molluschi del barone Castriota-Scanderbeg (‘), ho avuto l’opportunità di poter risolvere il dubbio, perchè tra molti Pecten jacobaeus del sabbione di Pozzuoli, raccolti in parte dal suddetto collezionista ed in parte a lui donati dal prof. Gui- scardi (come risulta dal cartellino), ho trovato una valva ben conservata, che a primo aspetto è diversa da quelle del P. ja- cobaeus ed i cui caratteri corrispondendo anche con una certa fedeltà alla diagnosi lamarckiana, possono prestarsi ad una identificazione con la forma esotica, alla quale la diagnosi sud- detta è applicata (2). Infatti la conchiglia della suddetta collezione mostra carat- teri intermedi tra il Pecten maximus L., che è atlantico, ed il P. jacobaeus L., del Mediterraneo; sebbene sviluppata essa non mostra quasi le strie longitudinali, che al contrario sono bene impresse nelle suddette due specie; dippiù i raggi sono quasi piani (carattere del P. medius ), essendo rotondati quelli del maximus ed angolosi quelli del jacobaeus. Il numero delle coste è di 17. (') Il Barone Alfonso Castriota-Scanderbeg mori immaturamente in Napoli il 23 ottobre 1901 ed a me lasciava in legato la sua collezione e la biblioteca. La sua perdita fu grave perchè egli, competentissimo nella conoscenza dei molluschi mediterranei e terziari, aveva in lavoro importanti studi. (2) P. testa inaequivàlvi , superne planulata ; radiis roduntato-pìa- nulatis; striis longitudinalibus subnudis (Lam., op. di.'). 342 R. BELLINI Affini al P. medius, perchè anch’esse intermedie tra il maxi- mus ed il jacobaeus, sono due altre forme, vale a dire il P. in- terniedius Monterosato, ed il P. Planariae Simonelli. Il primo (') per la grandezza, per il numero delle coste e per gli altri ca- ratteri sembra veramente vicinissimo alla forma fossile di Poz- zuoli; abita diversi punti dell’Adriatico e del Tirreno, nella zona delle laminarie, e non si conosce fossile. Forse è stato con- fuso, come del resto anche il P. Planariae (2j, col P. maximus, fossile dall’elveziano in poi e vivente nell’Atlantico settentrio- nale ed in pochi punti del Mediterraneo occidentale. Comunis- simo nel pliocene e vivente è anche il P. jacobaeus. In conclusione a me sembra poter escludere assolutamente l’esistenza del P. medius tra i fossili di Pozzuoli ed ammettere invece, oltre il P. jacobaeus, anche il P. intermedius Monte- rosato, che filogeneticamente è una derivazione del jacobaeus, come questo ed il P. Planariae sono discendenti dal P. maxi- mus, che già viveva nel mare miocenico. [ms. pres. il 25 ottobre 1907 - ult. bozze 21 novembre 1907]. ('; Monterosato A., Me vision de quelques peclen des mers d' Europe, Jonrn. Concliyl., 1889, n° 3. (?) Meli IL. Sulla «Vola Planariae » Simonelli (Peclen) fosti, nei terr. plioc. e quatern. dei dint. di Poma. Boll. Soc. Zool. 1 1 al . , fase. 7° ed 8°, ser. II, voi. VI, anno XIV, Roma, 1905. 2E> JAN. 1303 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE FASCICOLO h?e rj diconti. PAO. Resoconto delle adunanze generali tenute nel settembre 1907: Adunanza inaugurale dell’8 settembre in Torino (con 2 tavole). xli Discorso del comm. E. Bonelli xlii Discorso del prof. Parona xliv Discorso del generale Riva-Palazzi xlii Adunanza pomeridiana dell’8 settembre L Adunanza del 10 settembre Liv Elezioni sociali lxii Adunanza del 18 settembre a Courmayeur lxviii Appendice: Sacco F. — La funzione pratica della Geologia, di- scorso presidenziale lxxi Gortani M. — Relazione delle feste Aldrovandiane a Bob gna (12 e 13 giugno 1907) CHI Marinelli 0 — Il VI Congresso Geografico Italiano. cviii Necrologie: Nicola Pellati CXIV Lamberto Demarchi cxvill Benedetto Corti cxx Pasquale Franco CXXIII Carlo Fabani CXXVI Mariano Bargellini CXXVIII Giuseppe Lanino cxxix Martino Barelli cxxxi Roccati A. — Escursione a Pianezza , Casellette ed Ari- glinna (9 settembre 1907) (con 2 ligure) CXXXV Clerici E. — Diatomeé della farina calcarea raccolta presso il lago di Avigliana (con 1 figura) .... CXLIII Prever P L. — Escursioni sui Colli di Torino'- 10 settembre, Escursione a Su /> erg a e a Baldissero con 1 figura) CXLV 11 settembre, Escursione nei dintorni di Gassino (con 1 figura) cxlix Franchi S. — Escursioni in Valle d’Aosta (12- 13 set- tembre 1007) (con 6 fig., 2 tav. ed un profilo a colori) CLVII Cerulli-Irelli G. — Escursione al Colle del Gigante, 12-13 settembre 1907 CLXXXViu Gortani M. — Escursione supplementare inVal di Cogne. cxcil Colomba L. — Escursione ai giacimenti di Crosso e Traversella CXCIV Memorie. Roccati A. — Nell1 Uganda e nella catena del Rutoenzori, Relazione preliminare sulle osservazioni geologiche fatte durante la spedizione di S. A R. il Duca degli Abruzzi nell’anno 1906 127 Forti s A. — A proposito di avanzi elefantini recentemente scoperti nella valle del Po . . . 159 Nelli B. — Formazione calcarea dello scoglio Troia ( lito- rale livornese) 172 PAGANI U. — Linea di faglia e terremoti nel Pesarese (con 4 tìK'ire) 175 Capeder G. Sulla esistenza ili una componente orizzontale nei movimenti di emersione delle coste Picene nell’A- driatico (con 3 figure) 189 Cacciamali G. B. — Sulle glaciazioni quaternarie (con 1 figura) 229 Taramelli T. — Della utilizzazione dei laghi e dei piani lacustri di alta montagna per sopperire alle magre dei nos ri fiumi 235 Nelli B. — Il Miocene del Monte 'Titano nella Republica di S. Marino (con 3 tav.) 239 Peola P . — Impronte vegetali del Carbonifero dell’ Illinois (S. U. d'America) (con 1 tav.) 323 Colomba !.. — Sul vulcanismo di Fort Portai . . . . 333 Bellini. — Sul Pectein medius Lam. citato da Philippi e Scacchi tra i fossili della regione Flegrea 340 Finito *li stampare il 9 dicembre 1907. Il Bollettino della Società Geologica Italiana sì stampa in fascicoli trimestrali. 1 1 Presidente responsabile : Federico Sacco. 7DEC.190P Anno XXVI. Fascicolo 3° (4° trimestre 1907). f' BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XXVI — 1907 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIAN1 Via della Pace N. 35 BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Volami finora pubblicati. Voi. . I. (1882) 2 fase. 260 pag. 4 tavole. » II. (1883) 3 » 314 » 6 » » III. (1884) 2 » 188 » 1 tavola. » IV. (1885) un voi. 528 » 18 tav. e 3 carte geologiche a colori. » V. (1886) 3 fase. 516 » 11 » » VI. (1887) 4 » 570 » 18 » e una carta geologica a colori » VII. (1888) 3 » 430 » 14 » » » » » » Vili. (1889) 3 » 600 » 3 » » » » » » IX. (1890) 3 » 826 » 25 » » » » » » X. (1891) 5 » 1023 » 21 » e 2 carte geologiche a colori. » XI. (1892) 3 » 702 » 11 » » XII. (1893) 4 » 892 » 7 » » XIII. (1894) 3 » 317 » 5 » » XIV. (1895) 2 » 324 » 7 » » XV. (1896) 5 » 802 » 17 » » XVI. (1897) 2 » 370 » 9 » » XVII. (1898) 3 » clii-275 pag., 4 tav. e una carta geol. a colori » XVIII. (1899) 3 » lxxv-515 pag., 9 tav. e una carta geol. a colori. » XIX. (1900) 3 » cxl-752 pag., 11 tav. e una carta geol. a colori. » XX. (1901) 3 » clxxxvi-694 pag., 12 tav. e 3 carte geol. a colori. » » » 1 » Appendice. Prospetti ed indici relativi ai voi. I-XX (1882-1901), pag. iv-127 e tre tavole. » XXL (1902) 3 » clxvi-584 pag. e 18 tavole. » XXII. (1903) 3 » clviii-582 pag., 12 tav. e 2 carte geol. a colori. » XXIII. (1904) 3 » clxxxiv-566 pag. e 13 tavole. » XXIV. (1905) 2 » cv-728 pag., 15 tav. e una carta geol. a colori. » XXV. (1906) 3 » xcn-902 pag. e 17 tavole. » XXVI. (1907) 3 » cc-606 pag., 23 tav. e una carta geol. a colori. (ili autori sono responsabili delle opinioni manifestate nei loro lavori. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI Memoria del dott. Giuseppe Stefanini (Tav. XII e XIII; I. Un tempo il gen. Conoclypeus Agass. era considerato come appartenente ai Cassidnlidi e molto affine agli Echinolampas, dai quali si distingueva per la forma elevata, la faccia inferiore piana, i petali lunghi, dritti, uguali, aperti. Zittel O e inseguito De Loriol Q descrissero e figurarono l’apparato masticatorio dei Conoclypeus, dal primo di essi scoperto in posto, sulla taccia inferiore interna del guscio di un esemplare di C. conoideus Agass. Inoltre il De Loriol riconobbe che alla presenza di ma- scelle si accompagnava l’assenza di veri fillodi, e chiamò pseudo- fillodi le parti peribuccali degli ambulacri dei Conoclypeus , si- mulanti tali organi, ma da essi ben distinte, per essere costituite, secondo il De Loriol, da due file semplici di pori, una per parte, senza pori sdoppiati e senza « placche supplementari ». \ edremo appresso come queste osservazioni non siano esattissime ; ma è certo che la struttura della regione peribuccale dei Conoclypeus è nettamente distinta da quella dei Cassidnlidi con floscello. Così la famiglia dei Conoclipeidi, fondata subito da Zittel, fu, ad opera del De Loriol, ben delimitata rispetto a quella dei (ì) [Zittel, Handbuch der Palaeontologìe, Munchen und Leipzig, 1876-1880, pag. 512 e 515, fig. 369, 376. m T)e Loriol, Monographie des cchin. conten. dans les couches numm. de VEgypte. Mém.’de la Soc. de Phy, et Hist. Nat. de Genève XXXVII, 1880, p 75 e segg., t. II, f. 16. - Anche una figura di Quens edt (Echt- niden 1875, t. LXXXI. f. 5) rappresenta la parte interna del peiistoma di un' C. conoideus-, ina, forse per la incompleta conservazione di quel- l’esemplare, l’esistenza delle mascelle sfuggi a questo e ad ogni altio osservatore, prima di Zittel. 24 344 G. STEFANINI Cassklulidi, per la presenza di mascelle, per la forma longitu- dinale del periprocto e, in parte almeno, per la diversa struttura della regione peribuccale. Ma la nuova caratterizzazione del gen. Conoclypeus distrusse parzialmente l’antica, e alcune delle forme elevate, a faccia in- feriore piatta e petali aperti furono respinte, per l’assenza di mascelle, tra i Cassidulidi. In origine, infatti, quel genere con- teneva, oltre varie specie di altri terreni, tre specie del miocene: C. plagiosomus Agass. di Martigues, C. Lucae Des. di Alicante e C. semiglobus Lamk. di Narrosse. Le prime due furono ben presto riunite col nome di C. plagiosomus , e, non ostante il parere contrario del Pomel (M, la fusione è stata generalmente accettata. Nel gen. Conoclypeus le specie mioceniche rimasero così due sole; ma tosto, dietro alla scoperta dello Zittel e agli studi del De Loriol, si riconobbe che esse non corrispondevano ai caratteri più importanti del genere cui erano state ascritte, e insieme ad alcune altre, cretacee ed oligoceniche, furono tolte da esso. L’una, C. plagiosomus, fu indicata subito dallo stesso De Loriol come un Eclùnolampas Gray; l’altra, 0. semiglobus, fu la prima delle tre specie, poste dal Pomel come tipi del suo gen. Hypsoclypus. Il gen. Conoclypeus divenne così molto omogeneo, anche sotto l’aspetto cronologico, e non contenne più che specie eoce- niche tino al 1900, quando l’Airaghi (*) descrisse un C. Vigna- farii del miocene sardo, prendendo come tipo un esemplare ben conservato, ma non tale da permettere il riscontro esatto dei caratteri generici principali : all’esame accurato, esso si ri- vela però, per alcuni caratteri secondari, un vero Cassidulide (3). Conviene infatti osservare, che il periprocto ovale-trasversale, l’assenza delle mascelle e la diversa struttura della regione pe- ribuccale se sono i più importanti, non sono però i soli carat- teri che servano a distinguere dai Conoclipeidi i Cassidulidi conoclipeiformi. Già nel 1880 il De Loriol faceva rimarcare che i carelli dei Conoclypeus sono uguali fra loro e limitano un (’) Pomel, Descr. des échinocl. fossiles de V Algerie. Alger, 1887, p. 168. Airaghi, Di alcuni Conoclijìeidi. Bull. Soc. Geol. lt., XIX, 1000, p. 174, t. I, f. 1-2. (3) Vedi appresso, pag. 340 e 306. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 345 peristoma circolare e non pentagonale: al contrario, nei Cassi- dulidi il carello posteriore impari è frequentemente alquanto diverso dagli altri, ordinariamente più sviluppato e più ottuso, ed anche il paio posteriore può differire alcun poco dall’ante- riore, per il suo minore sviluppo: per ciò la bocca assume una forma ellittico-trasversale mucronata (1). Inoltre, quantunque gli autori che hanno parlato di questi Cassidulidi conoclipeiformi - sogliauo descriverli come provvisti di ambulacri subpetaloidi, aperti, a zone porifere uguali, sta il fatto che le zone porifere di questi petali sono generalmente un poco disuguali per lun- ghezza e per forma: negli ambulacri anteriori pari la zona po- rifera anteriore è più corta e più diritta della posteriore ; il con- trario succede negli ambulacri posteriori, e non di rado si ha una certa disuguaglianza di lunghezza e di forma anche nelle zone porifere dell’ambulacro impari. Questa asimmetria dei pe- tali la quale, anche sotto il punto di vista della evoluzione ge- nerale del tipo, ha la sua importanza, rappresentando una più spiccata tendenza alla simmetria bilaterale dell’individuo, non si osserva mai, che io sappia, nei Conoclypeus, i quali, in una parola, tendono assai più a conservare la simmetria raggiata; si osserva invece molto distinta in parecchi generi di Cassidu- lidi, e particolarmente negli Ecliinolampas. Ciò è stato impli- citamente riconosciuto dal Cotteau (2), dai sigg. Cotteau, Peron e Gauthier (3), e più recentemente dal Lambert (4), ma soprat- tutto dal Pomel (5), che considera una tale disuguaglianza delle (') La forma di pentagono regolare o di pentagono dilatato tra- sversalmente, che viene spesso indicata come propria dei peristomi ri- spettivamente dei Conoclipeidi e dei Cassidulidi, é da riferirsi piuttosto che al peristoma, alla regione peristomale, e lo scambio è dovuto al fatto che la parte adorale degli ambulacri, depressa intorno alla bocca, é spesso coperta, insieme con questa, dalla roccia ; ne risultano così le predette forme stellate, che sono per ciò solo apparentemente tali. (2) Cotteau, Descript, des échin. mioc. de la Sardaigne. Mém. de la Soc. Géol. de France, Paléontologie, V, 1895, p. 31. (*) Cotteau, Peron e Gauthier, Écliinides fossiles de V Algerie, 1891. (4) Lambert, Ètude sur les écliinides de la molasse de Vence. Ann. de la Soc. de Lett. Se. et Arts des Alpes-Marit., XX, 1906, p. 33. (5) Pomel, Échin. fossiles de V Algerie, loc. cit., 2 fase., 1 livr., 1885. Généralités, p. xxv. 34G G. STEFANINI zone porifere, specialmente nel petalo impari, come peculiare del genere Echinolampas. Io però lio creduto non inutile insi- stere alquanto su questi, che dirò « caratteri secondari » e porli in maggiore evidenza; infatti, in base ad essi si può più age- volmente riconoscere, anche prescindendo dal periprocto, dalle mascelle e dal floscello, che possono essere mal conservati, come nel caso del C. Pignatarii , un Cassidulide conoclipeiforme da un Conoclipeide. La famiglia dei Conoclipeidi, collocata da Zittel nel sottor- dine tìnatìiostomata, tra i Conulidi e i Clipeastridi, fu posta invece dal Pomel (*), come tribù, nella sottofamiglia dei Cli- peastri (s. 1.) tra i Clipeastridi veri e propri e i Cassid alidi. Queste vedute, non essendo state accolte quelle di Duncan (z), che pose il gen. Conoclypeus nell'ord. Holectypoida (~ Galeritidae pars, Auctor.), lontano dal suo prossimo parente Oviclypeus Dam. e dai Cassida lidi, furono accettate dal Cotteau (3j il quale conservò quel genere a capo di una famiglia speciale — Conoclypeidae — che egli, come il Pomel, collocava quasi anello di congiunzione fra Cassidulidi e Clipeastridi. Il concetto di Zittel sembra invece aver prevalso nella classificazione del Bernard (4) che, a detta del- l’autore stesso, è ispirata alle vedute del Munier-Chalmas. Dopo quanto tarò appresso notare sulla struttura della regione peri- buccale di questi echini, la questione della posizione tassonomica dei Conoclipeidi dovrà forse essere ripresa, e nuovamente di- scussa. Certo è, che le loro affinità con gli Echinantidi, cioè coi Cassidulidi con floscello, ai quali sono ravvicinati soprattutto per i caratteri dell’apice, vengono a diminuire ulteriormente, mentre aumentano di assai quelle coi Cassidulidi senza floscello e coi Conulidi. Malauguratamente io non sono riuscito a trovare C) Pomel, Glassifìcation me'thod. et Genera des échin. vir. et, fossi Ics. Alger, 1883, p. 67. (2) Duncan, A revision of thè Genera and yreat Groups of Echi- noidea. Journ. Limi. Soc. Zoo]., XXIII, 1889, p. 140. C) Cotteau, Falconi. Francaise. Terr. tert., Eocène. Éclnnides. Paris, 1889-94, t. II, p. 190. C) Bernard, E tè meni s de Paleontologie, Paris, 1895, pag. 290. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 347 dati bibliografici sufficienti nè materiale adattato per illustrare la regione peribuccale (rosetta buccale di Desor) dei Clipeastridi; ciò che avrebbe permesso dei confronti forse molto istruttivi. IL ' Ma veniamo ai Cassidulidi conoclipciformi. Riconosciuto dal De Loriol che il C.plagiosomus è un Cassidulide ( Echinolampas ), questa specie subi varie vicende. Fu considerata dapprima come Palaeolampas Bell, dal Gregory (') e dal Gauthier (2); poi nuo- vamente come Echinolampas dal Cotteau (3). Recentemente nuovi tentativi per togliernela, e ascriverla al gen. Conolampas furono fatti daH’Airaghi (4) ma il De Alessandri (5) aveva già ribattuto questa opinione. L’Airagbi non dice se il suo gen. Conolampas corrisponde al C. Agassiz o al C. Pomel. Di questi due generi, da tenersi distinti l’uno dall’altro, il primo, che è stato conser- vato, ha fillodi molto ampi e largamente sviluppati e differisce anche per altri caratteri dall’_E'. plagiosomus : il secondo era già stato da tempo e giustamente incluso in un coi Palaeolampas Bell, negli Echinolampas , dal De Loriol e dal Cotteau. Infatti ai primi tentativi per separare le forme elevate da quelle schiac- ciate di Echinolampas, il Cotteau ed altri (6) risposero dimostrando l’esistenza, fra i due tipi, di forme intermedie assai numerose, tra le quali si possono citare ad esempio E. oranensis Poni., E. Pou- yannei Cott., Per. et Gauth., E. amplus Fuchs, ecc., le une alte, con orli arrotondati, l’altra bassa, con orli taglienti. Così anche le specie a guscio elevato ed orli taglienti rimasero a far parte (•) Gregory, The maltese foss. Echin. Trans, roy. Soc. of Ediùburgh, XXXVI, p. Ili, n° 22, 1891, pag. 599. (2) Gauthier in Annuaire Ge'ol. Univers., t. Vili, fase. 4, Paris, 1893, pag. 809. (3) Cotteau, Descr. Eoli. Sarei. (I. c.). (4) Airaghi, Echinod. miocen. di S. Maria Tiberina (Umbria). Atti R. Acc. di Se. di Torino, XL, 1904, pag. 12. (5) De Alessandri, Appunti di Geol. e Paleont. sui dintorni di Acqui. Atti Soc. It. Se. Nat., 1901, pag. 112. (6) Cotteau, Pai. fr. (1. c.), voi. II, pag. 179. — Cotteau, Peron et Gauthier, Eoli. foss. de l’Alej. (1 e.). 348 G. STEFANINI del gen. Ecldnolampas, e, tra esse, VE. playiosomus, che, in grazia appunto alla sua forma, ne accolse ospitalmente nel suo seno parecchie altre. 11 C. semialobus, divenuto uno dei tipi del gen. Hypsoclypus Pom. ('), non è stato meno tormentato. Avendo il Pomel (2) stesso osservato che esso si allontanava per alcuni caratteri (insigni- ficanti anziché no) dagli altri tipi del genere, il Cotteau (3) vi fermò l’attenzione, credette — come già il De Loriol — di ri- conoscervi delle grandi affinità coi Conoclipeidi e, mentre pas- sava gli altri Hypsoclypus al gen. Echinolampas, costituì quello come tipo di un nuovo genere e, in base alla surriferita osser- vazione del Pomel, ma poco conformemente alle regole di no- menclatura, cambiò l’antico nome in quello di Hetcroclypeus. Questo genere fu collocato dal suo autore fra i Conoclipeidi : ma studi importanti del Munier-Chalmas, eseguiti al Laboratorio della Sorbona tra il 1891 e il 1893, e, a quanto sembra, non mai venuti alla luce (*)> dimostrarono tosto, che V H. semiylobus era privo di apparato masticatorio. Avuta cognizione di ciò, il Cotteau (5) si affrettò nel 1895 a passare il gen. Heteroclypcus dai Conoclipeidi ai Cassidulidi, accogliendo al tempo stesso due nuove specie del Gregory, aventi per tipi due echini, ambedue distratti daH’if. playiosomus , e cioè Hetcroclypeus liemisphac - ricus (Wright) Greg. e II. subpentayonalis (Lbe) Greg. Malaugu- ratamente però, nell’effettuare questo passaggio, il Cotteau di- menticò di notare, ora che le differenze basate sulla presunta esistenza di un apparecchio masticatorio più non potevansi in- vocare, quali differenze passassero fra cotesto e gli altri generi della famiglia, nella (piale esso veniva incluso. Lo avrebbe forse (') Pomel, Cl. metti. (1. c.), p. 63. C) Pomel, lieti, foss. Alg. (1. c.), p. 163. (3) Cotteau, Pai. fr. (1. e ), p. 194. (4) Le ricerche che a questo proposito ha compiuto per me con gen- tile premura il sig. Peron, sia alla Soeicté Géologique de France, sia alla Sorbona, sono riuscite del tutto vane, come quelle fatte da me stesso sui periodici scientifici ove il Munier-Chalmas sedeva pubblicare i suoi lavori. (s) Cotteau, Descr. ech. mioc. Sani. (1. c.), p. 30. 349 CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI fatto nel t. Ili della Paleontologie Frangaise, Terrains tertiaires, che doveva contenere appunto gli echini miocenici, se la morte non avesse disgraziatamente troncato per sempre la pubblica- zione di quest’ultimo, tanto atteso frutto della grande e sapiente attività di lui. Questo passaggio da una famiglia all’altra sembra sia si ug- gito agli autori italiani, e particolarmente all’Airaghi, che ha seguitato a creare nuovi Heteroclypeus e a chiamarli Conocli- peidi ('), senza pensare neppur lui, ed è naturale, data quella prima svista, a limitare il genere rispetto agli Echinolampas o almeno a confrontare le nuove specie con le forme più alte e più ad essi vicine di Echinolampas. Intanto però fino dal 1893, in una recensione, che il Cotteau deve aver conosciuto troppo tardi, il sig. Gauthier Q) esprimeva l’opinione, che il nome Heteroclypeus, dopo l’indicata scopeita del Munier-Chalmas, dovesse essere abolito, e sostituito da Hypso- clypus Pom., che aveva la precedenza, ed era, in origine almeno, fondato sullo stesso tipo, o da un nome nuovo. L’osservazione del Gauthier era in sostanza giusta, poiché il vero tipo del gen. Hypsoclypus è la specie indicata per la prima dall autoic di esso, cioè V H. semiglóbus , senza contare che le altre sono rientiate in generi già noti precedentemente; e d’altra parte, come ho già osservato, e come, prima di me, ha fatto notare il Lambert ('), le differenze invocate dal Pomel stesso c dal Cotteau tia Hcte- roclypcus ed Hypsoclypus sono ben poco importanti : perciò, se il genere ha ragione di sussistere, questo nome deve, a prefe- renza dell’altro, essergli conservato. III. Ricollocato dal Lambert VII. semiglóbus nel gen. Hypsoclypus e reintegrate in questo quasi tutte le specie che il Cotteau ne aveva distratto, le difficoltà della delimitazione di queste forme (') Airaghi, Di alcuni Conoclipeidi (1. c.). (?) Gauthier, in Ann. Gcol. Univers. (1. c.), P- 198 e 809. (3) Lambert, Etude, ecc. (1. c.), p. 32. 350 G. STEFANINI rispetto agli Echinolampas rimanevano immutate, data la dia- gnosi che ne aveva pubblicata il Pomel. Secondo la quale, gli Hypsoclypus sarebbero stati caratterizzati dalla forma conica, base piatta, petali lunghi, dritti, aperti; caratteri che il Cotteau dimostrò già, come si è detto, insufficienti a separare da soli un genere dal gen. Echinolampas. Il Pomel (') aggiunge e il Lam- bert ripete che le zone porifere di quelli echini sono formate di pori rotondi coniugati; ma dubito assai della cosa. Infatti le specie appresso descritte hanno tutte i pori esterni più o meno allungati e virgolari : solo negli esemplari la cui superficie è alquando consunta, i pori appariscono tutti ugualmente circolari. Può darsi che questo abbia indotto in errore il Pomel ; se pure la sua indicazione non ha solo un significato relativo, in con- fronto cioè coi Conoclypcus, ai quali gli Hypsoclypus venivano dal Pomel ravvicinati e nei quali i pori esterni assumono la forma di fessure lineari molto allungate. La necessità di separare più nettamente gli Echinolampas e gli Hypsoclypus non è sfuggita all’acume del Lambert, il quale, nell’atto stesso di riprendere il genere del Pomel, si dà a ricercare dei validi caratteri differenziali fra i due generi, sebbene essi gli sembrino cosi intuitivamente distinti, da ritenere, che « lorsqu’on est en présence des individus rapportés à l’un ou à l’autre, le premier venu n’hcsiterait pas à les separer ». Il Lambert crede aver trovato un tale carattere differenziale nel floscello, o per meglio dire nei fillodi, che coi carelli (2) lo costituiscono. Avendo osservato che il Desor, primo ad usare il nome di fillodio (3), lo ha imperfettamente definito, donde errori e confusioni di apprezzamento da parte degli autori successivi, si propone di indagare che cosa veramente debba intendersi con ( l) Pomel, Eoli. foss. de l’Alg. (1. c.). Généralite's , pag. xxv. (?) Credo opportuno tradurre con la parola carello il nome bourreìet, che gli autori francesi adoperano per indicare quei rigonfiamenti spe- ciali, che in alcuni generi di echini, particolarmente nei Cassidulidi, si osservano in corrispondenza degli anambulaeri, nella loro parte più pros- sima al peristoma. Il nome è già stato adoperato in questo senso dal- l’Ab. Mazzetti nei suoi lavori sugli echini miocenici del Modenese. (:ij Desor, Synopsis des échinides fossilcs, Paris, 1858, pag. 247. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 351 tal nome. S. Lovén (') definisce il fillodio come « la parte di ciascun ambulacro contigua allo stoma, spesso distinta da una superficie alquanto espansa, sempre dalla presenza di pori grandi e cospicui ». Una tale definizione gli permette di usare questo nome e quello di floscello, riserbati dagli autori ad una parte dei Cassidulidi, anche per le corrispondenti parti degli Spatan- gidi. E sarebbe veramente desiderabile che queste parti, le quali hanno funzioni ben definite, uguali in ambedue le famiglie, cor- rispondenti cioè ad un’unica differenziazione di forma e di fun- zione dei pedicelli, avessero a comune un nome, diremo cosi ge- nerico, ad indicarle. Ma l’adottare a questo scopo i nomi di fil- lodi e di floscello, che il Desor propose per uno speciale tipo di conformazione di questi organi, vicino ma non del tutto uguale, come vedremo, a quello che si osserva negli Spatangidi, ed al- largarne così il significato, oggi soprattutto che essi sono stati largamente adoperati dal Desor stesso e da altri, per molti anni, come caratteri tassonomici importanti, mi sembra determinazione poco opportuna ed anche alquanto arbitraria. Io penso adunque che il floscello sia, come intese il Desor, appannaggio esclusivo dei Cassidulidi, caratteristico anzi di una parte di essi, che il Desor stesso riunì, col nome di Echinantidi, in una tribù a se. Ed anche il Lambert basa appunto sopra tale fondamento il suo ragionare. Secondo il quale, deve darsi il nome di fillodi alla parte peribuccale degli ambulacri, quando i pori non solo vi si trovano sdoppiati, ma migrano « verso il centro o l’estremità interna delle placche » e così verso la parte me- diana dell’ambulacro, mentre la linea porifera esterna si contrae; tenendo da questo distinto il caso, nel quale si ha sdoppiamento, ma non spostamento dei pori. In quest’ultimo caso non si avrebbe un vero floscello. Partendo da queste premesse, il Lambert osserva, che al- cune delle specie a guscio alto, come E. plagiosomus ed IL lie- misphaericus (2) hanno veri floscelli con fillodi, e apparten- (*) (*) Lovén, Oh Pburfalesia. Koen. Svenska "V eteskap. — Akad. Hand- lingar, XIX, 1881, p. 144. (2) Relativamente a questa specie il sig. Lambert fa una curiosa confusione. Mentre a pag. 31 del suo citato lavoro, afferma che 1 H. herni- sphaeficus, avendo dei veri fillodi, dev’essere ravvicinato all’#, plagio- 352 G. STEFANINI gono per ciò al gen. Echinolampas, e precisamente a quello dei gruppi, in cui il genere è da lui diviso ('), che chiama Scu- tolampas. Altre specie avrebbero al contrario solo dei pori sdop- piati, ma non veri fillodi, intorno alla bocca: sarebbero le specie scniiglobus, doma e latus, che egli riconduce al gen. Hypsoclypus . Dirò subito che il lodevole tentativo del sig. Lambert non mi sembra riuscito felicemente. La ricostruzione della definizione dei fillodi, secondo il probabile concetto che ne aveva il Desor, è fatta dal Lambert con la diligenza a lui consueta; ma siamo in materia così poco sicura, trattandosi in certo modo di ricer- care i concetti non espressi o male espressi di un autore, che non sarebbe forse difficile, in base sempre alle diagnosi date dal Desor, ottenere anche risultati assai diversi. Così, ad esempio, il Lambert ritiene, e giustamente, lo sdoppiamento dei pori in- dispensabile, sebbene non sufficiente di per se solo a costituire i fillodi. Ma non sono forse veri e propri fillodi, secondo tutti gli autori, dal Desor al Cotteau, dal Pomel al Duncan, le espan- sioni peribuccali dei Cassidulus, che pure il Desor (?) riteneva c designava come costituite da serie semplici di pori unigemini e « prive di pori addizionali », cioè senza sdoppiamenti di sorta? A conforto della sua tesi, il Lambert aggiunge che, quando vi ha sdoppiamento di pori senza spostamenti, come negli Hypso- clypus, non si può parlare di veri fillodi, essendo una tale con- formazione a un dipresso quella stessa che si osserva in certi Conulidi, che nessuno, naturalmente, ha mai pensato a consi- derare come provvisti di fillodi. Questo ravvicinamento, poco giustificato a parer mio, esige un esame della struttura delle Humus e all’-ET. oranensis, che anche secondo lui é pure un Echinolampas , a pag. 38 dice invece che esso coincide con VH. doma, che da lui stesso è considerato come sprovvisto di veri fillodi : evidentemente si tratta di una semplice svista, e la prima versione é la vera, nell’intenzione delfau ture; infatti vedremo appresso che VE. Pipi alar li (— H. hemisphaericus) è provvisto di fillodi dilatati e bene sviluppati. Però le relazioni fra questa specie e VH. doma, a parte la differenza dei fillodi, che non sono in grado di verificare, sono in realtà strettissime. (') Della opportunità di dare un nome ai sottogeneri il Cotteau era poco convinto, ed io condivido pienamente la sua opinione in proposito. (!) Desor, Syn. (1. c.), p. 289. V. anche appresso, pagg. 358, 359. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 353 parti peribuccali degli ambulacri in diverse famiglie di echini, c particolarmente nei Conulidi e nei Cassidulidi ; esame del quale brevemente mi occuperò nelle pagine che seguono (‘). Nei Conulidi le placche ambulaceli sono frequentemente disposte in triadi , cioè in gruppetti, composti ciascuno di tre placche primarie: di queste, la più vicina al peristoma è una placca intera, giunge cioè dalla sutura laterale alla sutura me- diana, e prende il nome di placca intera adorale; la terza, pure intera, ha nome placca intera aborale ; la seconda invece, inter- posta fra queste due, è una semiplacca, cioè una piccola placca, che non raggiunge ambedue le suture (2). Nelle triadi e in tutti gli aggruppamenti di placche, che si possono osservare in questa famiglia, la semiplacca si appoggia da un lato alla sutura la- terale, mentre dall’altra termina a forma di cuneo, senza giun- gere a toccare la sutura mediana. In grazia di tale loro posi- zione, in certo modo esterna, rispetto all’ambulacro, chiamerò questo tipo di semiplacche, semiplacche esterne. La disposizione in triadi è un ricordo delle così dette placche composte, o meglio secondarie, degli Echinidi, dove la complessità e spesso molto maggiore, potendosi avere anche pentadi, ecc.; anzi, le triadi sono dalla generalità degli autori considerate addirittura alla stessa stregua delle placche composte. Nei Conulidi, quando un aggruppamento c’è, il numero, la disposizione e 1 alternanza delle placche primarie di ciascun gruppo, sono invero assai va- riabili a seconda delle regioni del guscio e dei vari generi e (') In questi esami tralascio per brevità la descrizione delle placche peristomali e delle due o tre placche immediatamente successive, le quali ultime diversificano spesso per la disposizione dalle altre; a questo pro- posito io non avrei potuto far di meglio che ripetere i risultati degli studi di Lovén, e qualunque confronto coi Cassidulidi sarebbe stato molto incompleto, non avendo potuto osservare tali placche nei miei esemplari. Del resto, non ostante la loro importanza, coteste placche non influiscono molto sulla struttura generale dei fillodi e parti analoghe. (2) Il De Loriol chiama queste placche rispettivamente primaria inferiore, primaria superiore e semiplacca. Questa nomenclatura, con- trapponendo placche primarie a semiplacca, sembrerebbe quasi sottin- tendere che la semiplacca non fosse una placca primaria; preferisco pei ciò la nomenclatura di Lovén, più precisa, e che, anche cronologica- mente, ha la precedenza. 351 G. STEFANINI specie (’); ma poco o punto soggette a variabilità individuali, e d ordinario molto regolari e riportabili sempre al tipo fonda- mentale della triade. Spesso questi gruppi di placche composte hanno negli ambulacri una grande estensione, giungendo fin quasi al polo aborale, ove le placche di neoformazione sono tutte costantemente intere; in alcuni generi però hanno invece uno sviluppo minore (e in tal caso si trovano solo al polo adorale) o nullo (s). I pori, di solito visibilmente geminati, possono essere in serie semplici ovvero pluriseriati (3). Quando sussiste, la dispo- sizione scalata, cioè, in definitiva, lo sdoppiamento dei pori, de- riva da ciò, che la semiplacca è perforata più in dentro della placca intera adorale, la intera aborale più in dentro della semi- placca. A questa disposizione assai semplice (archi primordiali), può, nel seguito dello sviluppo, venire a sostituirsene una più com- plicata (archi secondari) in seguito ad altri e più notevoli^po- stamenti dei pori verso il centro delle placche. Specialmente quando le placche composte sono limitate ad un breve spazio intorno al peristoma, Tessere esse fornite di pori scalati o pluri- seriati, coincidendo col loro raffittirsi e costiparsi che si osserva nella regione peribuccale di quasi tutti gli echini, specialmente gnatostomi, può indurre un certo disordine nei pori e una ap- parente somiglianza coi fillodi. I Conoclipeidi hanno avuto, per quel che riguarda il peri- stoma e la regione adiacente, un primo sapiente illustratore nel prof. IJ. He Loriol (4). Già abbiamo accennato che egli descrisse, (’y Holectypus macropygus Des., v. Do Loriol, Faune crétac. du Portugal Commiss. Trav. Geol. Portugal, voi. II, f. 2, 1888, p. 78, t. XII f. 7 ; Holectypus, Discoidea, Échinoconus, etc , v. Lovén, Études sur les échinoidées. Koen. Svenska Vetenskap-Akad. Haudlingar, XI, 1872, pag. 19, t. XIV, XV. Vedi anche tav. XII, fig. 7. (2) Pygaster, Pileus, ecc., v. Lovén, Oh a recent forvi of thè Echi- noconidae Biliang fili Koen. Svenska Vet.-Ak., Handl., XIII, Afd. IV, 10, 1887; \\ right, Monograph lirit. foss. Echin. ool. forni., London, 1857-1878. (3) Il accordo col Duncan ( Révision , 1. c., p. 300) credo conveniente sostituire alla più comune locuzione hi, tri, plurigeminato, l’altra bi, >i, pluriseriato potendosi avere, ad esempio, placche con tre pori ge- mini disposti in due sole serie. (4) Do Loriol, Mon. couch. numm. Eg. (1. c.), p. 77, t. II, f. 16. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 355 col nome di pseudofillodio, la disposizione dei pori e delle placche arabulacrali intorno alla bocca del Conoclypeus conoideus, fa- cendo notare come, secondo le sne osservazioni, esso differisca sotto questo aspetto dai Cassidulidi con floscello, per essere il Conoclypeus privo « di pori sdoppiati e di placche supplemen- tari ». Dalla figura che io presento ('), come da quella del Desor (*) e da quelle dello stesso De Loriol, apparisce che, se per sdoppiamento deve intendersi, come io ritengo, la disposi- zione dei pori, semplici o geminati, non in una linea semplice, ma in più linee, più o meno regolari, più o meno ravvicinate, anche i Conoclypeus hanno pori leggermente sdoppiati. Questo sdoppiamento è però, ed io stesso l’ho potuto constatare, sol- tanto superficiale; cioè, mentre nella faccia interna i pori, sem- plici, sono su di una linea sola, appariscono alla superficie esterna alquanto sdoppiati ed alternanti. Ciò trova un riscontro in quanto accade nel floscello di certi Cassidulidi (ad es. Echi- nolampas ), come diremo appresso (3). Inoltre, mentre il De Loriol, esaminando una superficie interna del guscio, non ha potuto riconoscervi « placche supplementari », cioè semiplacche, di sorta, il Duncan (4) ha figurato e descritto una struttura assai degna di nota, da lui osservata nella porzione peribuccale dell’ambula- cro di un altro Conoclypeus, il C. Duncani Cott. (~ yalerus Dune, non Schaf hauti). Fino a qualche distanza dal margine orale si ve- dono qui delle piccolissime semiplacche esterne (pi. addizionali di Duncan e Sladen) interporsi tra due placche intere in vere e pro- prie triadi; più oltre le semiplacche alternano regolarmente una sì ed una no con le placche intere; finalmente, più presso ancora alla bocca, possono aversi perfino due semiplacche per ogni placca intera. Però la disposizione e l’alternanza appaiono piuttosto va- riabili ed irregolari. Ad ogni placca o semiplacca corrisponde un poro semplice, che si apre sulla sutura adorale. La somiglianza coi Connlidi è qui solo parziale e limitata alle triadi ; mentre la (') Tav. XII, fig. 4. (2) Desor, Syn. (1. c.), p. 319, t. XXXIII, f. 7. (3) Vedi pag. 358. (4) Duncan and Sladen, Monogr. foss. Eehin. West. Sind. Palaeont. Indica: Meni. Geolog. Survey of India, ser. XIV, voi. I, 3. f. Ili, 1881, p. 131, t. XXIV, f. 6. G. STEFANINI 356 disposizione alterna non sembra aver riscontro, se non eccezional- mente, in quella famiglia; per le parti poi più vicine alla bocca, dove si hanno due semiplacche per ogni placca intera, è molto dubbio se regga il confronto con l’analoga disposizione, osservata da Lo vén (') nelle placche del polo aborale di Echinoneus. Non ostante le differenze notevolissime, riscontrate dai due citati osser- vatori nella struttura della regione adiacente al peristoma in queste due specie, un carattere fondamentale rimane loro comune, e si può estendere senza esitazione a tutti i Conoclipeidi : in questa famiglia le placche, intere o no, sono tutte a contatto con la su- tura laterale, e quindi, in ogni modo, il De Loriol aveva ben ragione, come vedremo meglio in seguito, di separare anche sotto questo punto di vista i Conoclipeidi dai Cassidulidi con tìoscello. • Nei Oolliritidi sembra si abbia una disposizione delle placche in semplice serie (2), almeno fuori della regione adorale. Gli Ecbinoneidi invece hanno una disposizione delle placche in triadi, che si può riportare in tutto a quella dei Conulidi: anche qui le placche primarie hanno disposizione alquanto di- versa, a seconda delle regioni, ma riferibile generalmente al tipo fondamentale delle triadi, ed anche qui i pori possono essere in linee semplici (3) o scalate (4). Finalmente veniamo ai Cassidulidi. Il Desor li distinse in due tribù principali: quella dei Caratomidi, assai affine agli Ecbi- noneidi, e senza tìoscello; e quella degli Echinantidi, caratteriz- zata dalla presenza del tìoscello. Quanto ai Cassidulidi privi di tìoscello, io non oso genera- lizzare troppo, avendo a mia disposizione pochi dati in propo- sito. Dirò soltanto che gli ambulacri Ae\Y Amblypygus subro- tundus Dune, et Slad., che viene incluso in questo gruppo, secondo le figure di Duncan (•’), sono costituiti da triadi regolari, con se- C) Lovén, Études (1. c.), p. 19, t. IX, f. 3. (?) Collyrites; v. Lovén, Études (I. c.), p. 49, t. XXIII. (3) Echinoneus; v. Lovén, Études (I. c.ì, p. 18, t.. IX. (4) Pyrìna incisa Lor.; v. De Loriol, Faune cr. Port. (1. e.), p. 78, t. XII, f. 7 h. Pyrìna Parryi Hall; v. Clark, The mesoz. cc.hin. of thè Un. It. Bull, li. I. Geol. Surv., ii° 97, 1893, t. XXIV, f. 15. (s) Duncan and Sladen, Mori. Ech. West Sind (1. c.), fase. Ili, p. 110, t.. XXVI, f. 6, 7, 8. CONOCLIPEIPI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 3B7 miplacche esterne assai larghe nella parte petaloidea, molto pic- cole e triangolari nella parte extrapetala e peribuecale. La struttura dei fillodi, appannaggio della seconda sezione in cui son divisi i Cassidulidi, è assai diversa da tutte le pre- cedenti. Le placche della regione aborale e dell’ambito sono qui tutte quante intere; solo nella regione immediatamente vicina allo stoma le placche intere alternano con semiplacche cunei- formi. Queste sono però nettamente distinte dalle semi placche esterne delle triadi sopra esaminate, avendo la base sulla su- tura mediana e terminando dalla parte opposta in punta, prima di raggiungere la sutura esterna. Il De Loriol (') indicò questo fatto come « sdoppiamento delle placche » e « intercalazione di placche supplementari », ma non mi sembrano i termini più ap- propriati: non so come si possa parlare di sdoppiamento in un simile caso, e d’altro canto il chiamare coteste placche « sup- plementari » — come fanno anche Duncan e Sladen — equi- varrebbe ad anticipare un giudizio sulla loro origine e natura, per me ancora incerte (*). Preferisco adunque chiamarle, in grazia della loro posizione rispetto all’ambulacro, semiplacche in- terne, e distinguerle cosi dalle semiplacche esterne sopra defi- nite. Le semiplacche dei Cassidulidi con floscello alternano assai irregolarmente con le placche intere: ove un qualche ordine si può discernere, sembra che corrisponda anche qui una semiplacca a due placche intere; ma quest’ordine è continuamente turbato, potendosi non di rado notare l’assenza della semiplacca dove dovrebbe trovarsi, oppure la presenza di due semiplacche in- terne, l’una più lunga e l’altra più corta, contigue. Ordinaria- mente le semiplacche più vicine allo stoma sono strettissime e vanno facendosi più larghe a mano a mano che se ne allon- tanano. Una tale struttura è naturalmente in diretta relazione con la disposizione dei pori nel fillodio. Questi sono semplici, e si aprono sulle suture adorali, per regola sempre presso l’e- stremità esterna delle placche e semiplacche. I pori delle placche intere corrispondono così ad una linea esterna, che può essere (') De Loriol, Monogr. eoli. numm. Eg. (1. c.), p. 77 e segg. (*) Non credo opportuno neppure adottare il nome di pi. interca- lari, per evitare ogni confusione con le placche intercalari che compa- iono negli apparati apicali di tipo disgiunto (Munier-Chalmas in Bernard). 35s G. STEFANINI o no contratta, a seconda che le placche sono nel fillodio più o meno costipate, e per ciò in relazione anche con l’età; quelli delle semiplacche costituiscono una linea interna di pori più radi e meno numerosi dei primi e più o meno visibilmente alternanti con essi: la linea interna, per il graduale aumentare di lar- ghezza delle semiplacche, tende presto a convergere con la linea esterna e al punto di convergenza cessano le semiplacche e ter- mina il fillodio. La presenza di due semiplacche accoste e di lunghezza diversa, che si verifica qua e là, sporadicamente, cor- risponde al comparire di pori sparsi irregolarmente tra la linea esterna e l’interna. Lo sdoppiamento dei pori è dunque, in questo caso, strettamente connesso con la presenza di semiplacche in- terne; il comparire di placche con due pori o di pori che si aprano verso il mezzo e non all’estremità esterna delle placche è un fatto puramente eccezionale. Osservando i fillodi dal lato interno del guscio, i pori, semplici e posti sulle suture, possono apparire disposti in linee semplici e senza sdoppiamento alcuno (]). Dalle mie osservazioni risulterebbe altresì, che dal lato interno le semiplacche non sono visibili; ma non oso generalizzare il ri- sultato deH’esame di un solo esemplare, la cui conservazione, pur essendo buona, non è però perfetta (2). La struttura che abbiamo sopra descritta è stata osservata da Lovén nel Cassici ulus Eugeniae Lov., e nel C. paci ficus Agass. (3) ; da Duncan e Sladen (4) ne\V Echinanthus pumilus Dune, et SI., nell’ Echinol ’ampas discoideus D’Arch., nell’ 2?. nummuliticus Dune, et SI. (noni, emend.) in Phylloclypeus sp. ; da me stesso infine, ne\Y Echinolampas Montesiensis (Mazz.) Stef. (5), una di quelle specie di Cassidulidi conoclipeiformi, che sono il principale og- getto di questo studio. DaH’esame di vari buoni esemplari di « m (*) De Loriol, Echinod. tert. clu Portugal. Direct, des Trav. Géol. du Portugal, 1896, p. 39, t. XI, fig. 4, 4 a. Vedi auche la fig. 3 della tav. XII di questa memoria, dove è figurata la faccia interna del peri- stoma di un Echinolampas di Malta. (2) Tav. XIII, fig. 6. (3) Lovén. Etudes (1. c.), p. 17, t. VII, f. 66, 67. (<) Duncan and Sladen, Mon. ech. W. Sind (1. c.), fase. I, p. 13, t. Ili, f. 9-11; fase. IV, p. 262, t. XLI, f. 5; fase. Ili, p. 169, t. XXX, f. 15; fase. II, p. 54, t. XII, f. 8. (5) Pag. 370, tav. XIII, fig. 3, 4, 5. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 359 tale specie sono desunte principalmente le notizie sovra esposte sulla struttura dei fillodi. Speciale menzione dev’esser fatta del Botryopygus Mortoti deH’Urgoniano svizzero, nel quale il De Loriol (') ha osservato una struttura molto singolare della regione peribuccale. Quivi gli ambulacri sono costituiti di sole semiplacche, poste in quattro serie, due di semiplacche esterne e due di semi placche interne. Le une e le altre sono perforate al loro lembo esterno; si ori- ginano così due linee di pori per parte. Le placche intere man- cano totalmente. Produce inoltre una certa meraviglia il trovare fra gli echini provvisti di semiplacche e di pori sdoppiati anche dei Cassi - c lulus , mentre il Desor riteneva questo genere munito di fillodi, ma senza pori addizionali. Anche il Clark (*) descrive varie specie di questo genere e ne rappresenta i fillodi, che dalle figure apparirebbero composti di tutte placche intere, talune con un solo poro, esterno, le altre con due pori, uno esterno e l’altro vicino alla linea mediana. Questi fatti potranno dare, a chi abbia agio e materiale adattato, argomento di nuovi studi ; non mi sembra però che bastino ad infirmare menomamente le mie . conclusioni, relative alla struttura tipica e fondamentale dei fillodi, conclusioni basate su tanti generi diversi, tipicamente e notoriamente provvisti di vero fioscello. Interessante sarebbe ricercare l’origine filogenetica della, strut- tura dei fillodi; alla quale non si avvicina, ch’io sappia, se non quella riscontrata in certi generi di Palechinidi ( Palaechinus pars, Olygoporus). Una tale ricerca non mi è concesso effettuare, nè sarebbe questo il luogo adatto per compierla : probabilmente il solo studio comparativo di individui di diverse età potrebbe recare qualche luce in proposito : ed io credo opportuno notare qui che negli individui giovani di Cassidulidi ( Cassicìulus ) non si nota alcuna traccia di fioscello nè di sdoppiamento di pori e le placche sono tutte intere, anche presso lo stoma (3). Ma sia (*) De Loriol, Ecliinologie liélveticjue. Descript, des ours foss. de la Suisse. II. Crétacé. 1873, p. 226, t. XXII, f. 3. Questa specie, come si sa, manca anche di carelli ed é quindi priva di vero fioscello. (2) Clark, The mesoz. echinod. of thè Un. St. Bull. U. S. Geol. Surv., n° 97, 1893, t. XXIX, XXX, XXXI, XXXII, XXXV. (3) Lovén, Études, (1. c.) f. 61. 25 360 G. STEFANINI die la struttura dei fillodi debba riportarsi veramente a quella de^li ambulacri dei Palechinidi, come parrebbero confermare le osservazioni sopra accennate, relative al B. Mortoti, sia che essa debba considerarsi al tutto indipendente da quella in triadi, come diverse sono, almeno in parte, le cause che nell’uno e nell’altro caso producono il costiparsi delle placche intorno al peristoma; sia finalmente che essa possa essere ascritta ad una successiva evoluzione e trasformazione della disposizione in triadi, sotto l’influenza delle cambiate condizioni, in cui le compressioni si producono e della differenziazione delle funzioni ; comunque, una tale struttura, presa a sè e considerata dal punto di vista morfologico, panni al tutto e nettamente distinta da ogni altra, e particolarmente da quella che si osserva, ad es., nei Conulidi. E mi sembra strano che il Lovcn, che attribuisce tanta im- portanza alla sopra accennata struttura degli ambulacri di certi Palechinidi, non faccia poi alcuna distinzione a questo proposito, tra i fillodi da un lato e la disposizione in triadi dall’altro; tino al punto da indicare i Cassidulidi — ai quali, del resto, nel suo stu- dio è accennato solo incidentalmente — come « caratterizzati dai loro fillodi e dall’alternanza nella regione boccale di placche am- bulacrali intere e semiplacche che ricordano presso a poco quelle degli Echinati, Echinoconidi ed Echinoneidi ». Ora, riassumendo le precedenti osservazioni, noi troviamo invece che i Conulidi e affini — a parte gli Echinidi, che hanno non di rado una strut- tura assai più complicata, sebbene dello stesso tipo — sono spesso distinti dall’alternanza più o meno diffusa ed estesa di placche intere con semiplacche esterne: le semiplacche sono disposte regolarmente, in modo vario secondo le regioni, ma ordinaria- mente riconducibile alla tipica struttura delle triadi e fisso per ciascuna regione, conformemente a schemi caratteristici. Nei Cas- sidulidi al contrario gli ambulacri presentano spesso localizzata intorno alla bocca una speciale disposizione delle placche, detta fillodio: i fillodi sono caratterizzati dall’alternanza di placche intere con semiplacche interne; le semiplacche sono disposte in modo assai irregolare e difficilmente riconducibile ad una strut- tura fondu mentale, che, in ogni modo, sarebbe simile ma inversa a quelle delle triadi. Nei Conulidi lo sdoppiamento, quando esiste, è dovuto alla migrazione di una parte dei pori verso CONOCLIPEIDI E CASSIDUL1DI CONOCLIPEIFOEMI 361 l’interno delle placche e verso la sutura mediana, secondo uno schema generalmente assai regolare: nei Cassidulidi con fillodi lo sdoppiamento dei pori è essenziale, e dovuto alla migrazione verso la sutura mediana, non dei pori, ma dell’estremità stessa delle placche, sulle quali i pori conservano normalmente la po- sizione esterna: l’irregolarità nella disposizione delle placche si riflette su una certa irregolarità nella disposizione dei pori. Nei Conulidi infine i pori, geminati, conservano presso a poco le stesse dimensioni sì aH’ambito come nei pressi immediati del peristoma; nei Cassidulidi con fillodi i pori estrapetali, apparentemente o realmente semplici, sono all’ambito molto sottili, e si fanno più grandi e cospicui nel fillodio. D’altro lato i fillodi, esclusivamente propri dei Cassidulidi, si distinguono nettamente dalle parti omologhe delle specie ap- partenenti a quelle famiglie, che il Duncan, seguito da Lovén e dal Bernard, raggruppa sotto l’appellativo di Spatangidi (Spa- tangidi s. s., Brissidi ed Echinospatangidi ); in questi, infatti, le parti peribuccali degli ambulacri sono costituite esclusivamente da placche intere, e manca ogni sdoppiamento di pori. Stabilito così qual’è la costante struttura dei fillodi, e quanto è profonda la differenza fra essi e le parti analoghe degli echini appartenenti alle altre famiglie, riesce evidente che le variazioni dell’aspetto esterno di essi perdono molto del loro valore, se non sono in relazione con variazioni concomitanti cd essenziali della struttura stessa. Il fatto, osservato dal Lambert, che si possano avere fillodi dilatati, con linea porifera esterna contratta e linea interna migrata verso la linea mediana, e fillodi stretti, quasi a forma di V, con linea porifera esterna presso a poco diritta e linea interna appressata alla esterna, si spiega agevolmente considerando, che basta che la lunghezza delle semiplacche, la quale è verosimilmente in rapporto inverso con la pressione subita dalle placche ambulacrali per il dilatarsi del peristoma, aumenti alquanto, perchè le due linee di pori si trovino ravvicinate: la stessa causa, cioè una pressione meno forte, può produrre anche una diminuzione di curvatura nella linea esterna. Inoltre non è improbabile che queste differenze di curvatura delle linee di pori possano, in certi casi, essere più apparenti che reali: o, G. STEFANINI iiG2 per meglio dire, pare che nella stessa specie gli esemplari con servati con tutta la loro superficie, possano avere linea esterna poco contratta e linea interna appressata, mentre gli esemplari che hanno superficie un poco consunta mostrano una contrazione maggiore: questo ho osservato nei miei esemplari di Echino- lampas Montèsiensis, e si trova anche riprodotto nelle figure ('). E chiaro, adunque, che si tratta di caratteri assai incerti, e, per di più, basati su variazioni di misura, inadatti, adunque, a distinguere da soli un genere. Del resto, la separazione dei generi Echinolampas e Hypso- clypus fatta dal Lambert in base alla presenza o all’assenza di quelli che egli ritiene veri fillodi, o piuttosto, dopo quanto ho detto, in base alla forma dei fillodi, parla assai sfavorevolmente a tale distinzione; poiché, lungi dal risolvere il problema, che il Lambert si era in origine proposto, della separazione delle specie conocli peiformi dagli Echinolampas, ne aggrava sempre più le difficoltà, lanciando in due generi diversi forme molto simili. Cosi ad es. V Echinolampas Pignatarii (=r Heteroclypeus hemisphaericus) e V Hypsoclypus doma , due specie in tutti i loro caratteri vicinissime, quasi coincidenti, e diverse solo per la forma dei fillodi, vengono ad essere artificialmente allontanate, se si ascrivono a due generi diversi. Pur riconoscendo adunque la legittimità del desiderio di se- parare dagli Echinolampas le specie conoclipeiformi, pur am- mettendo che queste abbiano un aspetto tutto speciale, che le contradistingue, io non saprei accogliere una tale separazione, finche essa non sia fatta in base a caratteri più nettamente di- stinti ; caratteri clic io non ho saputo trovare. Per ora, diciamo pure provvisoriamente, io considero tali specie come Echino- lampas. IV. Come si vede, io non ho la pretesa, che sarebbe temeraria, di risolvere con questi miei appunti una così intricata questione; ho inteso solo di riassumerla e mostrare clic il sig. Lambert, pur avendole fatto fare un notevole passo innanzi, a parer mio (>) Tav. XIII, fig. 4 e ù. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 363 non l’ha esaurita: essa è ancora aperta ed abbisogna di nuovi studi c di nuovi dati. Io ho procurato di presentarne alcuni. Ma il più necessario ed essenziale di tali dati sarebbe la pub- blicazione di chiare figure, illustranti con esattezza dei buoni esemplari, possibilmente i tipi, delle specie in questione. Del- YK plagiosomus fino ad oggi, che per la squisita cortesia del sig. Peron, posso pubblicarne una io, non avevamo alcuna figura, tutte quelle pubblicate con tal nome essendo poi state ricono- sciute come rappresentanti specie diverse : ma anche il bell’e- semplare del Peron ha il floscello in non perfetto stato di con- servazione, talché questa parte così importante non può essere con frutto rappresentata. Il C. scmiglóbus fu insufficientemente figurato dal Grateloup (’), in modo che il profilo e i dettagli, specialmente della bocca, non sono visibili. La fotografìa di Airaghi (8) mi lascia ancora qualche dubbio sull’identità del suo esemplare con la specie, cui egli lo ha ascritto: di più, anche qui il peristoma non è figurato. Perfino gli Hypsoclypus d’Algeria, tanto importanti per la questione, non sono illustrati da alcuna figura speciale che dimostri la struttura, e, a rigore, neppure la forma dei loro fillodi. Non mi resta dunque che esprimere l’augurio, che nuovi studi permettano presto di risolvere questa questione. Io intanto, lieto di aver portato ad essa il mio contributo, sento il dovere di porgere le debite grazie al mio illustre maestro prof. C. De Ste- fani, che mi ha aiutato e diretto coi suoi consigli, nonché al sig. Peron e al prof. M. Canavari, che mi hanno gentilmente inviato in comunicazione il primo un bell’esemplare di E. pla- giosomus, il secondo un altro esemplare, che ho descritto come tipo dell’iA Ugolinii. Echinolampas plagiosomus (Agass.) De Loriol 1880. (Tav. XII, fig. 1). 1840. Conoclypeus plagiosomus Agassiz. Catal. Sgst. Ectyp. foss. Alus. neoc., p. 5. (') Grateloup, Mém. de geo-zoologie sur les ours. fossiles des env. de Dax. Act. Soe. Linn. eie Bordeaux, Vili, 1836, pag. 53, t. II, f. 4. (2) Airaghi, Echin. mioc. della Sardegna. Atti Soc. It. Se. Nat., XLIV, 1906, p. 214, f. 1, 2. 361 G. STEFANINI 1877. Conoclypeus plagiosomus Cotteau in Locarci. Descr. faune terr. tert. de ìa Corse, p. 279. 1895. Echinolampas plagiosomus Cotteau. Descr. c'chin. mioc. Sardaignc Meni. Soc. Geol. Fr. Paléont. V, p. 31. Dimensioni : Lunghezza Larghezza Altezza Petalo impari. Lunghezza Larghezza . . . . . . Lunghezza della zona porifera destra » » » » sinistra Larghezza di una zona porifera . . Larghezza della zona interporifera . Distanza dell’apice dal margine anteriore . Distanza della bocca dal margine anteriore mm. 90 » 85 » 41 » 47 » 8,5 » 47 » 40 » 1 » 6,5 » 43 » 42. Descrizione. — Specie di mediocri dimensioni, con guscio emisferico, a contorno confusamente subpentagonale, leggermente angoloso in corrispondenza della linea posteriore di placche degli interambulacri posteriori pari, e alquanto retratto indietro. Fac- cia superiore uniformemente convessa, un poco più rigonfia verso il mezzo dell’anambulacro impari. In corrispondenza dell’apice, che è subcentrale, debolmente spostato in avanti, si ha un ma- mellone saliente per il rigonfiarsi, non molto sentito, degli in- terambulacri. Il bottone apicale, inciso torno torno, nou è però rilevato. Pareti abrupte, orli angolosi. Faccia inferiore sensibil- mente piana, debolissimamente e gradatamente depressa intorno al peristóma, con due rigonfiamenti in corrispondenza delle an- golosità sopra indicate. Zone ambulaerali petaloidee. Petali lunghi, stretti, dritti, leggermente asimmetrici, costituiti di zone porifere strette, quasi diritte, poco divergenti, separate da zone interporifere larghe 5 o 6 volte una zona porifera. 1 petali sono a un dipresso uguali tra loro in lunghezza e larghezza: le zone porifere invece sono alquanto diverse, essendo nel petalo impari la destra più lunga della sinistra, nei petali pari anteriori P anteriore più corta e CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 365 meno curva della posteriore, nei pari posteriori al contrario. Pori minuti, fìtti, coniugati: virgolari gli esterni, circolari gl’interni. Apice appena spostato in avanti, rappresentato da un grande bottone non molto saliente. Apparato apicale di tipo monobasale, con idrotremi grandetti, ben visibili. Peristoma trasversale, un poco eccentrico in avanti, circon- dato da fillodi e carelli apparentemente non molto sentiti. Periprocto molto grande, ovale-trasversale, ottusamente sub- triangolare, separato dal margine per una stretta striscia di guscio. Guscio rivestito da fini tubercoli con scrobieolette circolari incise, distribuiti uniformemente sulla faccia superiore e intorno al peristoma: assai più fitti che altrove lungo il lembo esterno della faccia inferiore e sul margine. Osservazioni. — Questa antica e mal nota specie è stata oggetto di questioni importanti, che ho cercato riassumere nelle pagine che precedono. Le figure che ne sono state date rappre- sentano tutti esemplari che non le appartengono. Quanto a sta- bilirne la sinonimia completa, ciò non è possibile senza esa- minare gli esemplari dei diversi autori. Si riconosce questa specie dall’i?. Oranensis Poni., per qualche differenza nella forma generale del guscio, pel contorno subpen- tagonale, dilatato e alquanto protratto indietro, e pel peristoma trasversale, mentre quello della specie algerina è presso a poco alto quanto largo, VE. doma (Poni.) Cott., ha statura maggiore, petali più larghi, tubercoli più radi, e, a quanto pare, fillodi meno dilatati, con linea porifera esterna non contratta. VE. Fraasi De Lor., dell’Eocene d’Egitto, ha contorno ovale, zone porifere più larghe, orli più arrotondati, ecc. Maggiori affinità corrono, a parer mio, tra E. plagiosonms ed E. semiorbis Guppy, rinvenuto alle Antille, in terreni attribuiti aH’eocene: tali affi- nità risulterebbero anzi grandissime dall’esame della figura del Guppy (*), ma sono attenuate dalle figure datene successivamente dal Cotteau (2); il quale, pur notando le somiglianze di questa (*) Guppy, On ieri, echinod. fronti thè West Indies. Q. J. G. S. XXII, 1866, p. 299, t. XIX, f. 7. (2) Cotteau, Equinoides fossiles de la isla de Cuba (Bolet. Coniis. del Mapa Geolog. de Espaua XXII), 1897, p. 55, t. XVII, XVIII. 366 G STEFANINI specie coi Conoclypeus, e quindi, implicitamente, con le specie con oclipei formi, fa rilevare le differenze. Le figure stesse del Cottemi dimostrano, che VE. semiorbis si distingue dal TIC pla- giósomus pei suoi bordi alquanto arrotondati, meno dritti, meno angolosi, per la faccia inferiore più depressa nel mezzo, e per qualche altro carattere. Località: Miocene di Corsica. Collezione Peron. L’esemplare è tra i migliori di questa Col- lezione, ed è uno di quelli determinati e descritti dal Cotteau nel suo classico lavoro sugli echini di Corsica. Ecliinolampàs Pigliatami (Airaghi) Stef. (Tav. XII, fig. 2; tav. XIII, fig. 2). 1855. Conoclypeus plagiosotnus (non Agassiz) Wright, On foss. echin. from thè isl. of Malta (Ann. Mag. Nat. Hist., XV), p. 25. 1864. Conoclypeus plagiosomus (non Agassiz) Wright and Adams, On thè foss. Echin. of Malta (Quart. Journ. Geol. Soc. XX), p. 483. 1891. Hetèroclypeus hemisphaericus Gregory, On thè Maltese foss. Echin. (Trans. R. Soc. of Edinb., XXXVI, III ), pag. 598, t. I, fig. 11. 1900. Conoclypus Pignatarii Airaghi, Di alcuni Conoclipeidi (Bull. Soc. Geol. It., XIX), p. 174, t. I, fig. 1, 2. Dimensioni : Lunghezza Larghezza Altezza Petalo impari. Lunghezza » » Larghezza » » larghezza di una zona porifera Distanza dell’apice dal margine anteriore » della bocca dal margine anteriore . nini. 140 » 138 » 70 » 78 » 17 » 3 » 62 » 66 Descrizione. — Grande specie con guscio emisferico, uni- formemente rigonfio nella parte superiore, con pareti convesse ed abrupte, orli angolosi, faccia inferiore perfettamente piana, a contorno circolare, ottusamente poligonale. L’apice è sensibil- mente eccentrico, alquanto rilevato in forma di bottone. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 307 Zone ambulaceli petaloidee. Petali piuttosto stretti, allun- gati, aperti, terminanti a pochissima distanza dal margine. Essi sono disuguali in lunghezza, essendo l’impari sensibilmente più corto degli altri: le zone porifere, assai strette, ma più larghe che negli altri Echinolampas dello stesso gruppo — circa della zona interporifera — sono alquanto disuguali di lunghezza, spe- cialmente nei petali anteriori pari, ma anche nei posteriori: onde i petali ne risultano asimmetrici. I pori esterni sono allun- gati, gl’interni circolari, riuniti in coppie da leggeri solchi. Sistema apicale di tipo monobasale. Peristoma subcentrale, ovale-trasversale mucronato, relativa- mente pìccolo e cinto da un floscello bene sviluppato: i carelli, molto tumidi e rigonfi, tanto da trovarsi sullo stesso piano della base, sono alquanto disuguali fra loro, per essere l’impari più ampio e più ottuso di tutti, mentre i pari posteriori sono un pochettino più acuminati degli anteriori. I fillodi, assai depressi, cominciano con due grandi pori semplici, ravvicinati, che si sa corrispondere alle placche peristomali (Lovón), da questi si di- partono due linee di pori esterni, alquanto sinuose e contratte, • e due linee di pori interni, molto ravvicinate alla parte mediana dell’ambulacro, dritte fino al punto ove la zona interporifera si rigonfia, poi divergenti, in modo da ravvicinarsi rapidamente alle linee esterne: gli spazi intermedi fra linea esterna ed in- terna di ciascun lobo del fillodio sono occupati da altri pori, meno regolarmente disposti, e non molto numerosi. Periprocto inframarginale, piccolo, ellittico-trasversale, leg- germente reniforme, separato dYil margine da una strettissima strisciola di guscio. Tubercoli profondamente scrobicolati, piccoli, numerosi, unifor- memente diffusi nella parte superiore del guscio, più che altrove fitti e minuti verso gli orli e negli ambulacri della faccia inferiore, dove però vanno nuovamente diradandosi intorno al peristoma. Osservazioni. — Il Conochjpus Pignatarii Air., del miocene di Calabria, col suo peristoma trasversale, e coi suoi petali leg- germente asimmetrici, a zone porifere sottili, si rivela un Cas- sidulide ('); il periprocto, descritto dall’Airaghi come ovale-lon- P) Vedi anche pag. 344 e segg. 368 G. STEFANINI gitudinale, è rotto, nell’ esemplare da lui esaminato, e può benissimo essersi prestato ad una errata interpretazione. Fatto questo primo passo, e venendo al confronto con la specie di Malta, Heteroclypeus hemisphaericus Greg\, le strettissime rela- zioni che corrono tra i due echini appariscono più che evidenti, anche al solo esame delle figure. Non essendo possibile conser- vare l’antico nome di hemisphaericus, ora che questa specie viene inclusa nel gen. Echinolampas, per V esistenza di un altro più antico E. hemisphaericus, adotto il nome di E. Pignatarii. Questa specie sembra differire daH’i?. doma Poni., solo per i fillodi bene sviluppati, provvisti non soltanto di pori sdop- piati, come sarebbero anche quelli della specie algerina, ma — a detta del Lambert — anche di- linea esterna contratta e assu- menti così la forma dilatata. VE. oranensis Poni., col quale il Lambert vorrebbe fondere questa specie ('), ha statura minore, forma un poco ristretta indietro, peristoma poco o punto dilatato trasversalmente. DaH’iL plagiosomus la specie di Malta e di Calabria si riconosce per la statura maggiore, faccia inferiore perfettamente piana, a contorno subcircolare od ottusamente e regolarmente poligonale, non subpentagonale, per i petali più ampi, a zone porifere più larghe e periprocto relativamente molto più piccolo. Località: Miocene di Gozzo (Malta). Località diverse: Miocene di Calabria. Collezione del Museo di Geologia di Firenze. Echiuolanipas Ugolinii Stef. (Tav XIII, fig. 1). 1899. Conoclgpeus plagiosomus (non Agass.) Ugolini, Sopra ale. foss delio Schlier del Monte Cedrone (Boll. Soc. Geol. lt.. XVIII), pag. 4. 1904. Conolatnpas plagiosomus (non Auct.) Airaghi, E eh. mioc. di S. Ma- ria Tiberina (Umbria) 'Atti R. Acc. Se. Torino, XL), pag. 12. (') Cfr. pag. 351, nota 2. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 360 Dimensioni : Lunghezza nini. 126 Larghezza » 118 Altezza » 73 Petalo impari. Lunghezza » 67 » » Larghezza » 11,5 » » Larghezza di una zona porifera » 1,7 Distanza dall’apice al margine anteriore . . » 50 Descrizione. — Grande echino, con guscio di forma conica, elevata, non espansa alla base; base ovale, orlo ahrupto, apice fortemente eccentrico, a circa 2/5 della lunghezza totale, faccia inferiore apparentemente piana. Zone ambulacrali petaloidee. Petali lunghi, stretti, diritti, aperti, leggermente asimmetrici, i posteriori un po’ più lunghi degli altri. Zone porifere piuttosto strette, lineari, larghe circa ‘/4 della zona interporifera, disuguali tra loro di forma e lunghezza in ciascun petalo. Pori geminati, grandetti e non molto fitti, gli esterni virgolari, gl’interni circolari. Zone interambulacrali rigonfie presso l’apice, ove formano una specie di stella. Sistema apicale in forma di bottone un poco saliente. I det- tagli non sono visibili. Peristoma non visibile nell’esemplare in esame. Periproeto grande, ovale trasversale, inframarginale, situato strettamente accosto al margine posteriore. Il guscio è coperto di piccoli fini tubercoletti, con scrobicola ' profondamente incisa, dappertutto assai fitti, fittissimi presso gli orli della faccia inferiore, massime in corrispondenza degli in- terambulacri. Osservazioni. — Questa specie si avvicina alquanto all’JE7. montesiensis (— Heteroclypeus semigìobus Air.) : si riconosce per la forma più nettamente conica, non arrotondata verso l’apice e non espansa alla base, per le pareti debolmente e uniformemente convesse, per l’apice più eccentrico e i petali arrestantisi ad una minor distanza dal bordo. VE. (H) subpentagonalis (Lbe) Greg. somiglia pure assai alla nuova specie, ma ha i margini alquanto espansi, il con- 370 G STEFANINI torno della base dilatato al terzo posteriore, di forma penta- gonale; di più, a quanto pare, i suoi petali arriverebbero fino al margine. \ E affine anche all’jE. (H) Nevianii Air.; ma la elevazione del guscio, tanto minore, e le zone porifere più disuguali, co- stituenti petali più asimmetrici nella specie di Airaglii che nella mia, tengono distinta l’una dall’altra. VE. Francei Desmoul (non Des., non Sism. in Bellardi, non Scliaf hauti) del quale il sig. Lam- bert ha da poco ristabilita la sinonimia e pubblicata una figura, ha stretti rapporti col Ti?. Nevianii, e differisce dalla nostra specie per la forma più bassa, e i petali arrestatisi ad una maggior distanza dall’orlo. Finalmente dall’io, plagiosornus, al quale l’esemplare da me esaminato fu riferito da Ugolini e da Airaghi, si riconosce su- bito la nuova specie per la forma conica, pel contorno ovale, per i diversi caratteri dei petali ed altri. Località: Schlier del Monte Cedrone (Umbria). Collezione del Museo di Geologia di Pisa. Ecliinolampas Montesiensis (Mazzetti) Stef. (Tav. XIII, fig. 3. 4, 5, 6). 1880. Conoclypeus plagiosornus (non Agassiz) Manzoni, Echin. foss. Mol. serp. (Denk k. Ak. Wiss., XLII), p. 5, t. II, f. 23. 1880. Conoclypeus plagiosornus (non Ag.) Manzoni, Spugne sii. mol. mioc. Boi. (Atti Soc. Tose. Se. Nat., V), p. 174. 1881. Conoclypeus anachoreta (non Ag.) Mazzetti, Echinod. foss. Montcsc (Annuar. Soc. Natili-. Modena, XV), p. 16. 1881. Conoclypeus plagiosornus (non Ag.) Mazzetti, Ibid., p. 16. 1881. » conoideus (non Ag.) Mazzetti, Ibid., p. 17. 1881. » Montesiensis Mazzetti, Ibid-, p. 17, t. II, f. 3. ? 1883. *> sp. Simonelli, Il monte della Verna e i suoi fossili (Boll. Soe. Geol. It., II), p. 275, t. VI, f. 21. 1885. Conoclypeus anachoreta ? (non Ag.) Mazzetti e Pantanelli, Cenno monog. fauna foss. Montese (Atti Soc. Nat. Modena, sor. Ili, voi. IV), p. 39. 1885. Conoclypeus plagiosornus moli Ag.) Mazzetti e Pantanelli, Ibid., p. 39. 1885. Conoclypeus semiglobus (non Lamk?) Mazzetti e Pantanelli, Ibid., p. 40. 1885. Conoclypeus Duboisii non Ag.) Mazzetti e Pantanelli, Ibid., p. 10. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 371 1885. Conoclypeus subcylindricus (non Ag.) Mazzetti e Pantanelli, Ibid., p. 40. 1885. Conoclypeus Montesiensis Mazzetti e Pantanelli, Ibid., p. 40. 1885. » depressus Mazzetti e Pantanelli, Ibid., p. 40, t. I, f. 1. 1885. » Bordae (non Ag.) Mazzetti e Pantanelli, Ibid., p. 41. 1900. Ileteroclypeus elegans Airaghi, Di alcuni Conoclipeidi (Boll. Soc. Geol. It., XIX), p. 176, t. I, f. 3, 4. 1906. Heterociypeus semiglobus (Lamk?) Airaghi, Echin. mioc. della Sar- degna (Atti Soc. It. Se. Nat., XLIV), p. 214, f. 1, 2. Dimensioni di vari esemplai i : I. li. III. IV. V. VI. mm. mm. mm. mm. mm. mm. Lunghezza .... — Ili 103 103 95 108 Larghezza .... 100,5 101 97 98 94 107 Altezza Petali anteriori pari. Lunghezza della zo- na porifera ante- 52 G0 56 59 45 riore .... Lunghezza della zo- na pori fera poste- 48,5 52,5 57 55 51 riore .... Larghezza di una 57 — 58,5 63 61 60 zona porifera. . Larghezza del pe- 1 — — 1 1,8 1,8 talo. . . . . 8 — 10 10 13 11 Descrizione. — Guscio di dimensioni piuttosto grandi, molto elevato, convesso, con la parte superiore rigonfia, subsferica, campaniforme, le pareti molto ed ugualmente declivi, il margine più o meno espanso e tagliente, la faccia inferiore piana o de- bolissimamente depressa. Il contorno è subcircolare, spesso al- quanto allungato o confusamente subpentagonale. Zone ambulacrali petaloidee. Petali lunghi, piuttosto stretti, aperti, per lunghezza e larghezza subeguali, l’impari tuttavia alquanto più corto e più stretto, dei pari, arrestantisi tutti a non grande distanza dal margine. Le zone porifere, di larghezza assai variabile rispetto alle interporifere, sono però tipicamente assai strette, un poco disuguali tra loro per forma e lunghezza in ciascun petalo, anche in quello impari : nei pari anteriori 372 G. STEFANINI è più lunga e più curva la zona porifera posteriore, nei poste- riori l’anteriore. Sono composte di piccoli pori leggermente di- suguali, rotondi gl’interni, virgolari gli esterni, riuniti a due a due da leggeri solchi. La forma allungata dei pori esterni e la presenza dei solchi non è visibile nei punti dove la su- perficie è consunta. Le zone porifere si prolungano sulla faccia basale in forma di linee semplici di ben visibili pori semplici subcircolari, aprentisi sulla sutura delle placche: queste linee, viste dalla taccia interna, appaiono meno divergenti delle su- ture laterali degli ambulacri; infatti, mentre verso l’ambito i pori occupano la parte mediana della sutura adorale di ogni placca, migrano gradatamente verso il lembo esterno, a misura che si avvicinano al peristoma. Sulla faccia esterna i pori estra- petali sono invece dappertutto confinati lungo la sutura esterna dell’ambulacro. Dall’orlo al peristoma le zone porifere conver- gono uniformemente, e non presentano quella specie di stroz- zatura, che si osserva invece nei Conoclypeus. Zone interambulacrali più o meno rigonfie intorno all’apice, ove formano dei rilievi, costituenti una specie di stella. Apparato apicale subcentrale, di tipo monobasale, con quattro pori genitali ravvicinati e cinque pori neurali assai più distanti: ne risulta per la placca madreporica e per tutto l’apparato una forma nettamente stellata. Peristoma subcentrale, di forma ellittico-trasversale mucro- nata ('), con floscello. Carelli bene sviluppati, alquanto disuguali fra loro, essendo l’impari un poco più ottuso e più largo degli altri, e, tra quelli pari, i posteriori leggermente più acuminati degli anteriori. Fillodi non molto sviluppati, composti di pori sdoppiati ma in linee dritte, ravvicinate, l’interna non molto spostata verso la linea mediana, l’esterna non contratta. Questi caratteri, ben marcati negli esemplari la cui superficie è con- servata perfettamente, si attenuano assai negli esemplari la cui superficie non è ben conservata. I fillodi hanno la caratteristica struttura già descritta (5). Può essere interessante la descrizione della regione del peristoma, vista dall’interno. All’angolo di cia- (') V. pag. 345. (2) V. pag. 357 o segg. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 373 semi campo interambulacrale si osserva una leggera depressione, corrispondente al rilievo del carello, e fiancheggiata da due lievi coste. Grli ambulacri costituiscono invece delle zone piane, che vanno uniformemente restringendosi verso la bocca. Immedia- tamente intorno a questa ambulacri e interambulacri si rialzano tutti insieme, mostrando quasi una certa tendenza a saldarsi. Malauguratamente nel mio esemplare le placche sono tutte rotte in questo punto e non permettono l’osservazione di altri parti- colari. Le placche degli ambulacri sono tutte corte e larghe, anche vicino al peristoma, e dal lato interno le semiplacche non si distinguono e i pori sembrano in linee semplici anche in corrispondenza del fillodio. Periprocto piuttosto grande, ellittico-trasversale, leggermente ■subtriangolare, molto ravvicinato al margine posteriore. Tubercoli con scrobicola circolare incisa, minuti e non molto fitti sulla faccia superiore, assai più fitti nella parte periferica della faccia inferiore. Variazioni. — Il fatto stesso che il Mazzetti abbia attri- buito a tante specie diverse gli esemplari che io non esito ad ; ascrivere tutti ad una sola, dimostra la grande variabilità di questa. 11 guscio, tipicamente alto, subcircolare, campaniforme, cambia un poco per l’altezza e pel contorno, che può essere ■subcircolare, leggermente subpentagouale, o un poco proteso indietro. Anche il margine può essere più o meno espanso. Ma dove questa specie è più soggetta a variare si è nella larghezza dei petali (da 3/20 a 7?o della l°ro lunghezza) e delle zone po- rifere (da 710 a oltre 3/10 della larghezza dei petali). La stella periapicale può essere più o meno sviluppata, talora nulla affatto. Queste variazioni sono però così graduate, così completamente indipendenti le ime dalle altre, che io non saprei considerarle come atte a somministrare buoni caratteri differenziali. D’altra parte, sembra che quasi tutte le specie di questo gruppo siano molto variabili. Qualcosa di simile, infatti, osservarono il Cot- temi (*) e l’Airaghi (•) nel FA', plagiosomus, e il Pome! (3) nel (') Cotteau, Ech. mioc. Sarà., (1. c.), pag. 31. (2) Airaghi, Ech. del line, della Bormida. Boll.Soc.Geol.lt., XVIIL, 18D9, pag. 102. (3; Pomel, Ech. [osa. de l’Alg. (1. c.), p. 105. 374 G. STEFANINI silo E. doma. Assai variabile è anche VE. Stefanini/' , recente- mente descritto dal Nelli ('). D’altro lato alla riunione di tutte le specie del Mazzetti mi conforta anche il parere del Man- zoni (2), il quale però attribuiva a torto tutte le « pretese dif- ferenze », come egli dice, all’età e alle deformazioni, mentre la specie presenta, come si è visto, una notevole variabilità. Osservazioni. — Non esito a porre in sinonimia con questa specie V H. elegans Air., sebbene l’autore lo descriva come prov- visto di petali con zone porifere uguali fra loro e di faccia inferiore concava. La asimmetria dei petali è in questo caso tanto poco marcata, sebbene sempre sensibile, che non fa troppo torto all’Airaghi non averla osservata: del resto, come ho già detto (3), è questo un carattere comune a tutto il gruppo degli Echino- lampas conoclipeiformi. Quanto poi alla concavità della base, essa è evidentemente dovuta, nell’esemplare di Sardegna, alle compressioni e deformazioni subite dal fossile, come è facile rilevare dalla fotografia. L’esemplare descritto dall’Airaghi è di statura alquanto maggiore dei miei; sempre però un poco mi- nore degli esemplari maltesi di E. Pignatarii (— H. 1/emi- sphaericus ), quantunque l’Airaghi, per una svista, originata forse dal non aver pensato che la figura di Gregory è ridotta a metà, lo dica minore. Questa specie coincide anche con l’echino descritto e figurato dall’Airaghi come Heteroclypeus hemiglobus: le differenze, che si ridurrebbero alla presenza in questo di una stella periapicale bene sviluppata, margine un poco meno espanso, parte superiore del guscio meno globosa, rientrano nei limiti di quella varia- bilità, che l’Airaghi non potè osservare per la scarsità del suo materiale, ma che è apparsa evidente a me, dallo studio dei numerosi esemplari esaminati. Però, non ostante la riconosciuta competenza dell’Airaghi, confrontando la fotografia da lui pub- blicata con la vecchia e certamente non bella figura di Grate- loup, mi nasce il dubbio che i due esemplari possano apparte- (') Nelli, Il miocene del Monte Titano nella Repubblica di San Marino. Boll. Soc. Geol. II., XXVI, 1907, pag. 265, tav. IX, f. 9; t. X, f. 2, 3. (2) Manzoni, Eck. fon», mol. serp. (1. e.), pag. 5. (:t) Vedi pag. 345. CONOCLIPEIDI E CASSIDULIDI CONOCLIPEIFORMI 375 nere a specie diverse. In tale incertezza, non potendo esami- nare il tipo della specie, preferisco conservare il nome di Mazzetti: se verrà riconosciuta l’identità dell’echino di Ai ragli i con la specie di Lamarek, VE. Montesiensis cadrà senz’altro in sino- nimia di essa. Dall’!?. (E.) subpentcìgonalis del miocene di Austria la specie dell’Emilia, che gli è vicina assai, sembra distinguersi pel contorno generalmente subcircolare, e in ogni modo sempre meno dilatato indietro e meno ristretto in avanti, per la parte superiore del guscio più attondata, meno acumi- nata, pel guscio più elevato: inoltre sembra che nella specie austriaca i petali arrivino proprio fino all’orlo. Dall’jF. plagìosomus si riconosce pel guscio molto più alto, campaniforme, per i petali più larghi, le zone porifere pure più larghe, la statura ordinariamente maggiore, ecc. L’esemplare figurato — imperfettamente — dal Manzoni mostra un profilo molto asimmetrico ed irregolare, che non è naturale, ma dovuto in parte a deformazioni, in parte a frat- ture: le quali spiegano anche la forma concava della faccia inferiore, che apparisce dalla mia fotografia dello stesso esem- plare (')• Per le stesse ragioni un altro degli esemplari da me riprodotti (2) apparisce anteriormente arrotondato invece che espanso. Il C. sp. Simon., del quale ho esaminato l’esemplare originale, esistente nella collezione di Firenze, e che io pongo dubitativamente in sinonimia, non potendolo determinare esat- tamente, stante la sua cattiva conservazione, ha le zone ambu- lacrali molto più diritte e meno allargate all’ambito, di quel che parrebbe dalla figura del Simonelli. Località: Melassa di Montese, Serra dei Guidoni e S. Maria Yigliana (Miocene medio). Calcare a briozoi di località ignota, forse di Toscana. Miocene della Verna? Località diverse: Miocene di Sardegna. Collezione Manzoni (Museo Geol. di Firenze). Collezione Maz- zetti (Museo Geologico dell’Università di Modena). Collezione Targioni (Firenze). Collezione Simonelli (Firenze). [ms. pres. l'8 settembre 1907 - alt. bozze 31 dicembre 1907]. (') Tav. XIII, fig. 4 a. (*) Tav. XIII, fig. 6. 26 376 G. STEFANINI SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tav. XII. 1* Echinolampas plagiosomus (Agas.) De Lor. (gr. nat.). Miocene medio di Corsica (Collez. Peron). 2. Echinolampas Pignatarii (Air.) Stef. (gr. nat.). Miocene medio di Gozzo (Malta) (Museo Geol. di Firenze!. 3. Echinolampas sp. (gr. nat.). Miocene medio di Gozzo (Malta) Museo Geol. di Firenze). 4. Conoclypeus conoideus Agas. (gr. nat.). Eocene del Monte Bolca (Ve- rona) (Museo Geol. di Firenze). Tav. XIII. 1. Echinolampas Ugolinii Stef. (gr. nat.). Miocene del Monte Cedrone (Umbria) (Museo Geol. Univ. di Pisa). 2. Echinolampas Pignatarii (Air.) Stef. (Dettaglio del floscello: ingr.) Miocene medio di Gozzo (Malta) (Museo Geol. di Firenze). 3. Echinolampas Montesiensis (Mazz.) Stef. (gr. nat.). Miocene medio di Montese (Emilia) (Museo Geol. di Firenze). 9 9 * (gr. nat.). Miocene medio di Serra dei Guidoni (Emilia) (Museo Geol. di Firenze). >y » » Lo stesso esemplare. (Detta- glio del floscello: ingr.). » » » (gr. nat.). Calcare a briozoi di loc. ignota (Museo Geol. di Firenze). 9 9 » » Lo stesso esemplare. (Costi- tuzione dei Allodi : ingr.). » » » (gr. nat.). Miocene medio di Montese (Emilia) (Museo Geo- logico di Firenze). 7. Echinocofius rhotomagensis Agass.(Area ambulacrale). Secondo Lovén. 4 a. 4 6. 5 a. 5 6. 6 (Stefanini) Tav, XII. ,|. Ital. voi. XXVI (1907). VsJ è-^jM GLIOT CALZOLAI)!» *-fc»KAKI0-MILAN0 ltA). voi. XXVI (1907). (Stefanini) Tav. XIII, ELIOT, GALZOLAIIIH^fUKAma-MILKNO GLI ABRUZZI Schema geologico del prof. Federico Sacco (Tav. XIV e Carta tettonica) La regione abruzzese, una delle più belle, ma anche delle più aspre e difficili deH’Appennino italiano, si presenta molto interessante dal punto di vista geologico, sia pei diversi terreni che la costituiscono, spesso a varie facies eteropiche, sia pei numerosi fenomeni tettonici (di pieghe, fratture, ecc.) che vi si osservano, sia pei molti e svariati fossili che spesso vi si in- contrano. Eppure, malgrado il grande numero di lavori geo-pa- leontologici che si pubblicarono su questa regione dal sec. XVIII0 ad oggi e che per brevità ho semplicemente accennato nell’an- nessa Bibliografia (disponendoli in ordine cronologico affinchè meglio risultasse lo svolgersi di tali studi), manca tuttora una conoscenza geologica generale degli Abruzzi ; tanto più che dei lavori elencati, salvo alcuni recenti ma sempre riferentisi a qualche località più o meno ristretta (come quelli geologici di Baldacci, Moderni, Chelussi, Cassetti, Lotti ecc. e quelli paleon- tologici di Canavari, Teliini, Nelli, Parona, Prever, ecc.), gli altri, più o meno antiquati, o si riferiscono ad argomenti di poca importanza o sono di scarso valore scientifico. Ecco perchè, avendo percorso pochi anni fa parte dell'Abruzzo ulteriore per completare uno studio geologico generale sopra V Appennino Settentrionale e Centrale, che pubblicai nel 1904, con annessa carta geologica al 500.000, parvemi opportuno dedi- care parte delle mie campagne geologiche di questi ultimi tre anni al rilevamento sommario dell’intera regione abruzzese; tanto più che speravo (nè la speranza fu delusa) di trovarvi nuovi dati per l’interpretazione cronologica, sia di certe estese formazioni calcaree a Pettini e di speciali, ormai famosi, depositi marnoso- 378 F. SACCO calcarei a Lepidocycline ed a svariati fossili pseudomiocenici, sia di alcune potenti e sviluppatissime formazioni marnoso-arenacee con scarsi fossili che costituiscono ora problema assai dibattuto della geologia appenninica, venendo tali terreni ballottati, se- condo i diversi autori, dall’Eocene al Miocene. Per semplicità, brevità e chiarezza, tralasciando le osserva- zioni di dettaglio raccolte durante il rilevamento, limiterò questo studio ad una esposizione sommaria e schematica dei caratteri principali della Geologia abruzzese, ad un dipresso col metodo e l’indirizzo seguito nel mio suddetto lavoro sintetico sopra L' Ap- pennino Settentrionale e Centrale , lavoro di cui il presente è la naturale continuazione ed al quale rimando quindi sia per la parte generale, sia specialmente per la geologia applicata, che vi è svolta piuttosto estesamente. SECONDARIO. La serie secondaria media e superiore, essenzialmente cal- carea, costituisce gran parte della regione abruzzese centrale ed occidentale, originandone anzi, colla sua compatta costituzione litologica e le sue ripetute pieghe e fratture, la tipica forma montuosa e molto accidentata. Infraliasico. A seconda dell’estensione più o meno grande che si vuol dare al Trias possiamo segnare o no questo terreno nella regione apen- ninica in esame. Infatti alla base della serie secondaria emer- gente negli Abruzzi vedesi affiorare una formazione calcareo- dolomitica, o essenzialmente dolomitica, cristallina, biancastra o grigiastra, spesso pseudo-brecciosa oppure localmente subfari- noso-friabile, che potrebbe riferirsi al Triasico come fu fatto da alcuni autori, ma che, per la scarsità dei caratteri paleontologici e la connessione intima coi terreni liasici, in attesa di più si- curi dati, credo per ora più conveniente riferire all’ Infraliasico GLI ABRUZZI 379 o Retico che dir si voglia, che probabilmente passa inferior- mente al Trias superiore. I pochi fossili raccolti sono specialmente riferibili ai generi Conchodon, Megalodus, Lima, Cardimi, Licer ocardium e qual- che Bhgnchonella ; alcuni, come p. e. i Concliodon ed i Mega- lodus, accennerebbero al Trias superiore, ma essi sono troppo mediocremente conservati per permettere una sicura determina- zione, nè sembra improbabile che si tratti di fossili del Lias infe- riore, come mostrano quelli un po’ analoghi, delle Cave di Trevi, che indicherò in seguito (232). Tettonicamente il terreno in esame affiora al fondo di anti- clinali, per lo più fratturate e parzialmente molto spostate. La potenza è calcolabile in 100 a 200 metri, notando però che negli Abruzzi non se ne conosce la base. Affiorando general- mente solo al fondo delle valli la sua altimetria è poco note- vole, avvicinandosi però ai 2000 m. s. 1. m. nella grande frattura con spostamento positivo che originò il nucleo del Gran Sasso d’Italia. Lo sviluppo regionale ne è assai limitato in causa della sua posizione stratigrafica e del suo modo di affioramento. Ne ve- diamo Tapparsa alle falde occidentali dei Monti Sabini, qua e là alla base del gruppo del Terminillo verso Leonessa, un bell’af- fioramento nelle gole d’Antrodoco sin oltre S. Quirico, alle falde dei monti Pizzoli (aquilano) e nella parte orientale del Gran Sasso d’Italia, formando adunque ripide balze, spesso franose per facile sgretolamento della roccia. Giuraliasico. La formazione liasica è rappresentata da una potente pila di calcari, talora un po’ dolomitici, grigi o grigio-biancastri (qua e là saccaroidei), spesso d’aspetto rupestre, talvolta anche al- quanto oolitici. Nella serie liasica si possono distinguere due o tre orizzonti principali, però non sempre ben rappresentati, anzi sovente alquanto compreensivi, cioè: Lias superiore. — Calcari marnosi, talora schistosi, spesso va- ricolori, giallastri o rosso- verdicci, con Ammoniti ( Harpoceras sp., 380 F. SACCO Hildoceras comense, II. algovianum , Lytoceras sp., Poìyplectus di- scoides, Hammatoceras Marteti), Aptici, Posidonomia Bronni, Brackiopodi ( Bhynchondla clesiana, Uh. Curioni, Uh. Seguen- zae, BJiynchonellina, Terebratuìa , ecc.), Crinoidi. Fncoidi, Con- driti, ecc. Talora invece calcari compatti color miele od un po’ rosei, con Brackiopodi, ecc. Lias medio. — Calcari, talora marnosi, talora alquanto do- lomitici, grigio- biancastri, talora ceroidi, sovente con nuclei e straterelli selciosi, con qualcke Ammonite ( Phylloceras , Caelo- ceras, Harpoceras boscense, H. radians, H. comense. H. bifrons , Grammoceras , Dumortieria , Hiìdoceras o Seguenziceras, come S. algovianum, S. Ber traudì, ecc.); rare Beleranitidi, qualcke Chemnitzia o Ceritide, Gerviììeia, ecc.; frequenti Brackiopodi ( Terebratuìa rotzoana, T. Renieri, T. tauromenitana , Rhyncho- neìla curviceps, Waìdheimia mutabiìis, W. Piazzai , W. fur- lana, Spiriferina Ministeri , ecc.), Cidaris, Crinoidi ( Pentacrinus , Miìtericrinus, ecc.), Corallari, ecc. ecc. Lias inferiore. — Serie generalmente potente di calcari blandii, cristallini, più o meno dolomitici, sporadicamente un po’ bituminosi, piuttosto massicci (però qua e là ancke friabili, pulverolenti, pseudo-sabbiosi, specialmente se dolomitici) con pocke Ammoniti ( Phylloceras cyìindricum , Lytoceras articula- tum ), qualcke Atractites ed Ectocentrites, sezioni di Gasteropodi ( Paìaeonio pupoidcs, Ckemnitzidi, ecc. frequenti Megaìodus, qualcke Gervelìeia, Crinoidi, ecc.; il tutto spesso con un aspetto complessivo pseudo triasico. I terreni basici per la loro relativa compattezza generale, e per affiorare spesso per fratture con rigetto, costituiscono ben sovente ripide balze rocciose, strette gole o forre, originando salti d’acqua, ecc. Per la loro natura calcarea costituiscono gene- ralmente regioni brulle, aride, più o meno montuose, ricche ovunque di fenomeni carsici ed originano talora più o meno direttamente, nelle regioni basse, speciali sorgenti copiosissime, talvolta ancke un po’ termali o termo-minerali (Triponzo, Tivoli, Antrodoco, Castel S. Angelo-Cittaducale, ecc.); tali sorgenti sono sempre naturalmente molto calcaree, ciò die spiega la correla- zione esistente fra questi terreni (nonché quelli analogamente calcarei del Cretaceo o, più di rado, dell’Eocene) e le formazioni GLI ABRUZZI 381 travertinose del Quaternario. I calcari del Lias sono di frequente usati per calce, semplice o grassa, per materiale da costruzione, da ornamentazione, da pavimentazione, ece. Invece la serie giurassica (da alcuni indicata col nome di Titonico) è piuttosto sottile, poco fossilifera, e quindi non bene conosciuta; in generale essa è rappresentata in alto da calcari bianco-grigiastri con lenti selciose e qualche aptico, in basso da calcari marnosi giallastri con frequenti vene spatiche. Il Giu- rasieo assume però una certa importanza nel gruppo montuoso del Terminillo ( lato sensu ) e verso la conca spoletina, dove è rappresentato essenzialmente da calcari diasprigni, varicolori, giallastri, verdicci, grigio-violacei, ecc. e da schisti marnosi, grigio-rosso-violacei (tipo di deposito di mare un po’ pròfondo), oppure da calcari compatti ceroidi, o biancastri, o grigio-chiari, alquanto cristallini, inglobando qua e Là in ambo i casi Ammo- niti, Aptici, piccole Rhynchonelle, Terebratule, Crinoidi, ecc. In moltissimi punti degli Abruzzi si può osservare il gra- duale passaggio dall’lnfralias o dal Lias su su fino al Cretaceo ed esaminarne per tal modo tutti i piani relativi ; così, como- damente, risalendo il fosso di Leonessa lungo la strada rotabile a monte di Morro Reatino, in varie regioni del gruppo del Ter- minillo, nei mónti di Norcia, da Antrodoco al M. Giano, dal piano di Pizzoli alla sommità dei monti di S. Lorenzo - Ma- rine - La Pacina, da Assergi alla Portella, nei monti di Sul- mona - Scanno, sul fianco sinistro di Val Liri, nell’alta Valle dell’Aniene specialmente attorno a Valle Pietra, ecc. È da notarsi come nell’affioramento di Filettino i calcari liassici (qua e là con resti mal conservati di Plicatule, Modiole, Avicole, Arche, Cardii, ecc.) siano talora impregnati di Asfalto tanto da potersene utilmente escavare questo materiale ; è inoltre frequente il caso che i calcari del Lias inferiore si mostrino un po’ brunastri per essere alquanto bituminosi. I fossili finora riscontrati nella formazione basica, in gran parte già sopra segnalati, non sono molto abbondanti, essenzialmente però in causa della scarsità delle ricerche; infatti essi si rac- colsero specialmente nelle cave (p. es. presso Trevi) oppure nei luoghi più esaminati, come p. es. salendo alla cima del Gran Sasso, dove dall’Orsini in poi furono raccolti nei calcari basici 382 F. SACCO numerosi resti di Ammoniti ( Harpoceras , ece.) e di Gasteropodi ( Trochus , Solarium, Calcar, Climacina, Chemnitzia (Oonia), Ti- nostoma, Neritina, Bif ronfia, Pseudomelania, Cerithium, Cerithi- nella, Liotia, Patella', Bivalvi (Modi ola), Braehiopodi (Lepteena), Echinidi ( Cidaris), Crinoidi ( Millecrinus , Pentacrinus ) ecc., secondo gli studi specialmente del C’anavari (109, 112, 126). Quando appare il eosidetto rosso ammonitico del Lias supe- riore, naturalmente le Ammoniti vi si raccolgono al solito in quantità. Verso Ovest i calcari Basici inferiori e medi presen- tano resti di Pentacrinus basaltiformis , Millecrinus Hausmanni, Terebratula Benieri, Pygope, Bhynchonella, Chemnitzia o Pseu- domelania, Cerizidi, Pleuracanthites, Belemnites elongatus, Bhin- chotlieiitis liasinus , Aulacoceras ortlioceropsis , Aegoccras Da- wei, ecc.; invece i calcari marnoso-schistosi, varicolori, superiori abbondano specialmente in Ammoniti ( Lyfhoceras , Hammato- ceras, Phylloceras , ecc.) con Aptici, Terebratula cerasulum, Fu- coidi, Condriti, ecc. Nell’escursione fatta quest’anno dalla Società geologica du- rante l’adunanza primaverile (258) nei dintorni di Tivoli si è potuto constatare come il Lias medio, già riconosciuto ammo- nitifero dal Canavari (97 bis), sia spesso assai ricco in Crinoidi (Pentacrinus jurensis, P. pentagonalis, Millericrinus Hausmanni) con Cidaris Terrenzii, Terebratula Benieri, Koninckella forni- cata, Atractites italicus e varie Ammoniti (Phylloceras Nill- soni, Bhacophyllites libertus, Bh. eximius, Harpoceras sp., ecc.), e passi talora gradualmente al Lias superiore marnoso, grigio- verdiccio, con Posidonomya Bronni, Pettini, Aptici. ecc. Nelle sovraccennate cave di Trevi i calcari bianchi o ceroidi, compatti, subcristallini, in grossi banchi, che a primo tratto per la presenza di Megalodonti mostrano quasi una facies triasica, offersero una fauna assai ricca per quanto poco ben conservata, in cui il Parona (232) determinò parecchie forme di Terebratula, Bhynchonella, Gervilleja, Pecten, Mioconclia, Macrodon, Car- dinia, Opis, Pachyerisma (non Conchodon o Keomega lodon come parrebbe a primo tratto), Cardium, Cypricardia, Pleuromya, Plenr otomaria, Discohelix, Neritopsis, Climacina, Pseudome- lania, Juliana, Chemnitzia, Nerinella, Cerithium. Ceri flanella, Fibula, Alaria, ecc., che nel complesso indicano il Lias inferiore. GLI ABRUZZI 383 Nelle regioni dove il Giurasico è alquanto sviluppato non è raro raccogliervi Aptici, qualche piccola Rhynchonella e qualche Crinoide. La tettonica del Giuralias è piuttosto regolare ed indistur- bata in alcune regioni, come p. es. nell’alta Yal Nerina dove questo terreno affiora in dolci anticlinali al fondo dei Valloni (come nei dintorni di Visso); in modo un po’ consimile in parte dell’alta Val dell’Aniene. Ma generalmente invece le anticlinali sono rotte longitudinalmente con rialzamento più o meno accen- tuato di un labbro della frattura, come vediamo p. es. sul fianco sinistro di Yal Liri, in Val Giovenco, in Yal Sagittario, nell’alta Valle Ater n ina, in qualche parte dei monti Sibillini, nei monti ad Est di Norcia, nei monti di Trevi, come pure nei gruppi mon- tuosi del Gran Sasso d’Italia e del Velino, nel fianco occidentale del monte Coscerno ad Est di Spoleto, dove nei dintorni di Ga- velli vediamo. splendidi arricciamenti dei potenti calcari e schisti cretacei contro la gran faglia giurali asica, ecc. (Vedi Carta tettonica). È appunto in gran parte a queste pieghe-fratture, dirette prevalentemente da N. 0. a S. E., che devesi l’andamento oroidrografico e la forma spiccatamente montaosa degli Abruzzi. Nè trattasi sempre di anticlinali e fratture semplici, ma talora complicate da forti contorcimenti e notevoli scorrimenti che alterano anche assai i rapporti regolari dei varii terreni. I dintorni di Filettino si possono indicare come uno dei tanti esempi di drizzameli e forti disturbi stratigrafici dei terreni basici su cui si adagiano più o meno discordantemente le forma- zioni cretacee. Il suddetto andamento N. 0-S. E. è però interrotto obliqua- mente (dai monti aquilani alla conca del Fucino) da diverse fratture dirette ad un dipresso da ovest ad est. originandosene, sia forti rialzi, come quello del Gran Sasso d’Italia, sia spro- fondamenti notevoli come appunto la pianura aquilana e (al- meno parzialmente) la suddetta grande conca Fucinese. La potenza della serie in esame varia moltissimo da luogo a luogo, raramente oltrepassando i 500 m., spesso essendo solo d’uno o due centinaia di metri. Siccome in generale i terreni giuraliasici affiorano in fondo di valle o nella parte inferiore delle balze di frattura, la loro altimetria è poco accentuata. Però essi sono spinti in alcuni 'punti ad oltre 2000 m., come nel gruppo dei Sibillini, del Ter- minillo e della Meta, costituendo anzi la parte più elevata del Vettore, del Terminillo e del Gran Sasso d’Italia dove oltre- passano i 2900 m. sul livello del mare. I rapporti del Giuralias coi terreni sotto e sovrastanti sono rappresentati sovente da passaggi regolari tanto che non è sempre facile la loro netta distinzione. Però in molte regioni questo terreno viene trasgressivamente coperto da piani diversi del Cretaceo od anche direttamente daH’Eocene, come p. es., nel gruppo della Meta, al monte Prezza (Sulmona), nei monti Sabini, ecc. Lo sviluppo regionale risulta chiaro dall’unita cartina geo- logica dove appare nettamente la prevalenza della direzione di N. O — S. E. negli affioramenti giuraliasici (quasi sempre accom- pagnati da faglie con spostamento), salvo là dove l’erosione ha dato forma speciale più o meno digitata agli affioramenti stessi come nell’alta Valle dell’Aniene, nell’alta Val Nerina, ecc. Cretaceo. La formazione cretacea costituisce quasi la metà dei monti Abruzzesi, ma con una fisionomia alquanto diversa dal nord al sud. Infatti nell’Abruzzo settentrionale il Cretaceo è rappresen- tato in basso (In fracretaceo) da calcari rupestri grigiastri, o da calcari biancastri compatti, a frattura concoide, con noduli e straterelli di selce (formazione ricordante il Biancone e la Ma- iolica delle Alpi, e che usasi riferire al Neocomiano ), e nella parte superiore ( Cretaceo pr. d.) da calcari grigio-biancastri o grigio-rosei, con nuclei o lenti selciose, talora un po’ marnosi. Tra Cretaceo ed Infracretaceo vi è sovente una speciale zona di schisti calcareo-argillosi varicolori, cioè giallo-verdicci, o rosso-violacei o brunicci, con Ittioliti, Elicoidi, ecc.; zona rife- ribile all 'Aptiano o, meno probabilmente, 'aW Albiano. GLI ABRUZZI 385 Invece nella parte centrale e meridionale degli Abruzzi i calcari grigio-rosati del Cretaceo vengono sostituiti da calcari biancastri più o meno resistenti, talora cristallini, marmorei, talora dolomitici, mentre la zona schistosa intermedia viene quasi a scomparire. D’altronde il fenomeno di dolomitizzazione si estende talora qua e là attraverso parte del Cretaceo e dell’In- fracretaceo, tanto che in alcune regioni dell’Abruzzo, come anche dell’Alta Valle dell’Auiene, ecc., le dolomiti cretacee rassomi- gliano a certi terreni infraliasici e basici tanto da esser state talvolta confuse con essi. Ma bisogna ricordare come in queste regioni appenniniche la dolomitizzazione sia fenomeno abbastanza generale dal Retico all’Eocene e come, più che non coll’età, essa sia collegata coll’origine, forse parzialmente attollica, direi, di una parte di questi terreni calcarei a base zoo-fitogenica. Complessivamente si può fare nella serie cretacea abruzzese la seguente suddivisione sommaria: Cretaceo pr. d. — Calcare ippuritico o Calcare a Rucliste piuttosto compatto, talora breccioide, biancastro (con Hippurites cornuvaccinum, H. giganteus ), Biradiolites (B. cornupastoris), Sphaerulites o Radiolites ( R . agarici formis, R. angeoides, R. fo- liucea, R. mamillaris, R. radiosa, R. Mortemi, R. Spallan- zani, ecc.), Capriuidi ( Plagioptychus Aguilloni , Ichthtyosarco- lithes triangularis, Caprina adversa, Caprinula Boissyi, ecc.), qualche Inoceramo, qualche Modiola, alcuni Cardii, qualche Li- thodomus (L. avellana), Acteonelle (A. laevis, A. gigantea, ecc.), Cerizidi, Nerinee {N. Stopparli ), Terebratule (T. et. carnea ), Co- rallaio, Ellipsactinie, Crinoidi, Orbitoline, e numerosi altri Fo- raminiferi. Si usa generalmente riferire al Turoniano questi ca- ratteristici calcari a Rudiste, ma sono più corapreensivi. Talora calcari marnosi, schistosi, varicolori, fucoidici, spesso acquiferi, riferibili &\Y Aptiano. Infracretaceo. — Calcari spesso subcristalliui, bianchi, non di rado dolomitici, a Toucasia (T. carinata — Requienia Lon- sladei), detti perciò Calcari a Toucasia, o Calcari a Requienia, o Calcari a Camacee , con piccole Monopleure, Radioliti, qualche Rudista, Caprotine, Nerinee, Itierie (/. Scillae, I. utnculus, I. Carolinae, ecc.), Crinoidi, Corallaio ( Stylina , Cyatophora, ecc,), Ellipsactinie, Orbitoline e molti altri foraminiferi ( Textularia , 386 F. SACCO Globigerina, Spiriloculina, ecc.). Molti autori collocano questi calcari a Requienia nell’ Urgoniano. Verso la base dell’Iufracre- taceo, ma talora anche in tutto il piano, compare una potente serie di calcari dolomitici, sporadicamente un po’ bituminosi, di facies pseudo-triasica, ma la cui età neocomiana è rilevata da qualche scarso resto di Xerinea, Requienia e Rbynchonella. Al- trove si sviluppa una potente serie di calcari senza fossili, op- pure solo con qualche grossa Rmconella costata ( Rh . cf. pe- regrina) e lenti di selce grigia, spesso di aspetto complessivo massiccio-rupestre. È opportuno citare, come recentissima e fondata sui fossili, la distinzione fatta dal Parona (255) nel Cretaceo dei Monti di Ocre a sud di Aquila, cioè : Senoniaiio? — Calcari bianchi ad Orbitoidi ( Lepidocyclina Tissoti, L. socialis, ecc.) e Calcari cereo-chiari compatti con pic- coli Gasteropodi, Foraminiferi ( Textularia , Gristellaria, Plani- spirina, Idalina antiqua, Lacazina compressa , ecc.) e Litotamni. Turoniano. — Calcari a Rudiste, cioè Calcari chiari con Ippuriti (B. Requiem), Radioliti e Biradioliti. Calcari cerei e bianchi, con frequenti zonature rossastre, qua e là a vera lumachella, per abbondanti Gasteropodi, special- mente Acteonelle. La fauna è essenzialmente rappresentata dalle seguenti forme: Nerinea uchauxiana, N. incavata, Glaucoma renauxiana, Trochactaeon giganteus, Actaeonella Grossouvzei; Chondrodonta Ioannae (talora quasi costituente strati), Vola fleuriausana, Vola Dutrujei, V. aequicostata, Monopleura Schnar- rembcrgeri (M. cf. marcala), Sauvagesia cf. Sliarpei, ecc. $ — Calcari compatti cerei o bianco-lattei con Ellipsactinie, Rhynchonelle e piccole Requienie. Ceiionianiano. — Calcari biancastri o giallastri, stratificati o massicci, assai potenti, a Neriiiaea forumjuliensis, inglobanti per passaggi laterali ed intercalazioni: a) Calcari stratificati con marne intercalate, varicolori, spe- cialmente verdastre o rossastre, talvolta breccioidi, con detriti di Rudiste, qualche valva di Himeraelites vultur ed H. Dou- ivillei, Gasteropodi mal conservati o solo allo stato di modello interno, una forma di Idrozoo del gen. Parkeria e numerosi Co- ralli abbastanza ben conservati. GLI ABRUZZI 387 b) Calcari biancastri di scogliera (pseudo-breccie o pseudo- conglomerati fossiliferi) contenenti la famosa fauna di Colle Pa- gliare, cioè: Orbitoline (0. discoidea ed altre) irregolarmente distribuite od in agglomeramenti ; Corallari abbondantissimi e svariati (oltre 130 specie raggruppabili in una cinquantina di generi), Idrozoi ( Milleporidium , Stoìiczlcaria, eco.); Molluschi, specialmente Chamacee ( Himeraelites , Caprotina, Sellaea, Po- lyconites , Toucasia ) e Gasteropodi numerosi, cioè una settantina di forme appartenenti ai Trochidi. Neritidi, Cipreidi, Acmeidi, Ceritidi, Nerineidi, ecc. La regione del gruppo montuoso del Terminillo si può quasi considerare come la zona di transizione tra la facies giurassico- cretacea settentrionale, o dell’Umbria-Marche, e quella meridio- nale o degli Abruzzi propriamente detti. Sovente negli Abruzzi occidentali, passanti alle regioni laziali ed Umbre, come p. es. nell’alta Valle dell’Aniene sopra alla formazione basica, nei monti di Gavelli nella media Val Nerina, nei dintorni di Cerreto spoletino, ecc., il cretaceo inferiore si presenta con una potente pila di strati e schisti calcarei com- patti che formano formidabili pareti quasi a piceo abbastanza caratteristiche, quali riveggonsi pure p. es. in alcune regioni delle Alpi Marittime. Nel Molise la parte inferiore della formazione delle Argille scagliose variegate, qua e là impregnate di materiali minerali (Eame, Manganese, Ferro, ecc.), potrebbe già riferirsi all’Eocene inferiore o fors’anche al Cretaceo superiore, analogamente a quanto verificasi nell 'Appennino settentrionale, presentando visi con analoga facies litologica, stratigrafica, orografica ecc., I calcari cretacei se talora formano ripide balze, specialmente nella serie inferiore costituita talora appunto di calcare rupestre, nel complesso invece originano regioni montuose grigiastre, brulle, foggiate a dorso di cammello oppure rotondeggianti a modo di scudo di testuggine; inoltre per sinclinali (combinate talora con fenomeni di frattura o di erosione semplice o carsica) costi- tuiscono lunghe depressioni vallive oppure conche svariate. In generale le regioni cretacee per la loro costituzione e forma sono aride, a vegetazione scarsa, stentata o nulla, quindi quasi disa- bitate; vi predominano gli svariati fenomeni carsici nelle loro 388 F. SACCO mille gradazioni, dalle minime corrosioni vacuolari alle fosse, agl’inghiottitoi, alle caverne, alle valli e conche senza emis- sari, ecc. Solo gli schisti varicolori del Cretaceo medio originano qua e là speciali sorgenti acquee. I calcari cretacei, oltre che per l’uso solito di calce e di materiale da costruzione, possono fornire ottimi e bellissimi marmi, sia bianchi sia colorati, specialmente rosati, spesso brec- ciati. Una delle cave più attive, in rapporto colla comodità di comunicazione e colla vicinanza di Roma, è quella dei M. Affi- lani, dove, oltre al bel marmo biancastro con lumachelle (ippu- ritico), cioè la tipica pietra di Subiaco (123, 127), escavansi pure un marmo statuario palombiuo e marmi brunastri e rosei assai eleganti. Altre cave si dovrebbero aprire sui fianchi occidentali del gruppo della Majella, dove già si constatarono bei marmi presso Caramanico, e certamente colle comunicazioni ferroviarie che si spingono sin oltre i 1000 e 1300 m. in certe regioni montuose degli Abruzzi, l’industria marmifera potrà sviluppatisi con profitto. La ben nota scaglia rosata del Cretaceo superiore, passante sin nel Suessoniano, rappresenta nell’Appennino cen- trale un materiale frequentemente escavato per pietra ornamen- \ tale od anche levigato come marmo. E specialmente nel Cre- taceo medio che appaiono zone di Calcari, brecciati o no (spesso ricchi in fossili, specialmente Nerinee), policromi, prevalente- mente bianco-gialli-rosei, utilizzabili come bellissimo marmo ( Marmo-breccia , Marmo-lumachella, ecc.). La Bauxite rosso-giallastra, generalmente a struttura piso- litica, trovasi qua e là in ispecie di lenti fra i calcari cretacei dell’Abruzzo centrale e meridionale (dove fu scoperta dal Mei- sonnier nel 1857), e specialmente nella parte superiore dei cal- cari a Requienia (cioè nell’ Urg-Aptiano), come in varie regioni d’Europa, dove predomina nz\Y Aptiano. Le zonule bauxitiche, pel loro modo di intercalazione fra i calcari cretacei, paiono di origine sedimentaria, marina, contemporanea al sedimento cal- careo in cui sono inglobate, analogamente a certi depositi limo- nitici, o meglio alle intercalazioni lenticolari di vari materiali ferruginosi (ed anche talora di Idrati di allumina passanti a Bauxite) che, diluiti, producono spesso tinte rossiccie e giallo- gnole le quali dànno luogo a bei marmi colorati. GLI ABRUZZI 389 I fossili scarseggiano alquanto nell’Abruzzo settentrionale, solo raccogliendovisi qua e là poche Ammoniti dei gen. Plnyl- loceras o Lytoceras, qualche Aptico (A. Beyrichi, A. fìidayi), rare Belemniti, Terebratule (Ter. euganensis ), ecc. nell’Infra- cretaceo, e qualche rarissimo resto di Ananchites ovata, di Be- Itvnnitella mucronata e di Pticodi nel Cretaceo pr. d. Invece dalla parte centrale degli Abruzzi, verso sud (evi- dentemente in rapporto colla trasformazione litologica e quindi di originaria sedimentazione sovraccennata), i fossili diventano molto abbondanti, specialmente nel Cretaceo superiore, tanto che esso sovente si presenta come un vero calcare organogenico, ora a Gasteropodi, ora prevalentemente coralligeno; ma spesso è es- senzialmente ippuritico, come p. es. si può comodamente osser- vare nelle cave di Subiaco, nel piano di Arcinazzo, nelle diverse catene montuose a sud ed a S. 0. di Avezzano, nei monti ad ovest di Tagliacozzo-Capistrello, nei dintorni di Trasacco in Val- lelonga, presso Pescina (quivi anche in calcari bianehi teneri che ricordano un po’ l’eocenica Pietra gentile e sono utilizzati come essa), nei monti di Gioia dei Marsi, alle falde occidentali della Majella, nei dintorni di Campo di Giove sino ai monti at- torno a Pescocostanzo, ecc. Molti citano V Hippurites organisans, ). (79) Knop A. — Die Geologische Bescliaffenheit der Abruzzo. (Yerh. Nath. Ver. Karlsruhe, VII, 1876). (80) JERVIS G. — Guida alle acque minerali dell’Italia. (1868, V ol. II, Provincie meridionali, 1876). (81) Macchia C. — Comunicazione paleontologica su resti fossili di Ippopotamo trovati presso Ortona. (B. C. A. I., X, Torino, 1876. Chieti, 1876). (82) Paglini D. — Sulla ricerca di minerali nell’agro di Molitorio al Vom ano. (Teramo, 1876). (83) Jannucelli G. — Stato geologico del territorio di Subiaco. (Meni. di Subiaco e sua Badia. Genova, 1876). (84) Seghetti D. — Uno sguardo geologico al Sublacense. (« Il Mes- saggiero dei colli Tusculani, Albani, Sabini, Le- pini ». Velletri, e Roma, Tipogr. Armanni, 1876). (85) » — Un Cervo fossile nel Quaternario di Subiaco. ( Riv. scient. ind., Vili. Firenze, 1876). (86) Verzili G. — Miniera d’oro presso Collepardo. (« Il Buonarroti ». Ottobre. Roma, 1876). (87) De Giorgi C. — Appunti geologici da Pescara ad Aquila. (B. C. G. I., Vili, 1877). (88) Macchia C. — Una gita alla Majelletta nel 1S75. (Chieti, 1877 1 - (89; Bidou L. — Gisements de bitumes, pétroles et de divers minéraux dans les Provinces de Chieti et de Frosinone, et traitement des matieres bitumineuses à Letto Monopetto. (Siene, 1878). (90) De Giorgi C. — Appunti Geologici sulle miniere di M. Sferruccio nell’ Aquilano. (B. C. G. I., IX, 1878). (91) Pini G. — Il prosciugamento del lago Fucino. (Firenze, 1878). (92) CANAVARI M. — Sulla presenza dei Trias nell Appennino centrale. (Atti R. Acc. Lincei, Serie 3a, Voi. IV, 1879). (93) » ' — Un’ escursione al Gran Sasso. (Atti S. T. Se. Nat. Proc. verb., II, 1879 . (94) Forsyth Major. — H Gran Sasso d Italia e due dei suoi abi- tatori. (Boll. C. A. I., Torino. Voi. XIII, 1879). 452 f. sacco (94 bis) Mascarini A. — Le argille marnose azzurre di Grottamare ed i fossili che vi si rinvengono. Ascoli, 1879. (95) Fasciani G. — Cenni di alcune roccie fossilifere nei terreni di Sulmona. (Tipogr. dell’Opinione Roma, 1880). (96) Mascarini A. — Su alcuni fossili terziari di Monte Falcone Apen- nino nella provincia di Ascoli Piceno. (B. C. G. I., XI, 1880). (97j Verri A. — Alcune note sui terreni terziari e quaternari del Te- vere. (Atti Soc. it. Se. Nat., XXII, 1880). (97 bis) Canavari M. — Di alcuni Ammoniti del Lias medio raccolti nelle vicinanze di S. Antonio nel gruppo montano di Tivoli. (Riv. se. ine!., XIII. Firenze, 1881). (98) Jervis G. — I Tesori sotterranei d’Italia. (Parte III, 1881). (99) Niccoli E. — Delazione sul servizio minerario per gli anni 1680, 1881, 1886, (in Ann. di Agric. 1881, 1883, 1888). (100) Brugnatelli L. — Sulla composizione petrografia di una roccia pirossenica dei dintorni di Rieti. (Atti R. Acc. Se. Torino, XIX, 1882). (100 bis) Mascarini A. — Lapis tiburtina apud Asculum. (Riv. scient. ind. di Firenze, 1882). (101) Niccoli E. — La frana di Castelfrentano nel 1881. (B. C. G. I., XIII, 1882). (102) Segrè C. — Appunto geognostico sulle roccie calcar eo-magnesi fere che costeggiano il Velino vicino al paese di Antrodoco. (B. S. G. I., I, 1882). (103) Brugnatelli L. — Nota sulla composizione di una roccia piros- senica dei dintorni di Rieti. (Boll. C. G. I., XIV, 1883). (104) Di St. Robert P. — Perche i Ghiacciai si vadano ritirando. (R. Acc. Lincei, Vili, 1883). (105) Nicolucci G. — Sugli Elefanti fossili della valle del Livi. (Meni. Soc. it. Se. dei XL, Voi. VI, Napoli, 1883). (106) Parona C. F. — Contributo allo studio della fauna liassica del- V Appena, centr. (Meni. R. Acc. Lincei, Serie 3a, Voi. XV, 1883). (107) Segrè C. — Sulla costituzione geologica dell’ Appennino abruzzese. (B. S. G. I , II, 1883). (108) Verri A. — Studi geologici sulle Conche di Terni e di Rieti. (Mem. R. Acc. Lincei, Serie 3\ Voi. XV, 1883). (109) Baldacci L. e Canavari DI. — La regione centrale del Gran Sasso d’Italia. (B. C. G. I.. XV, 1884). (110) Meneghini G. — Ellipsactinia del Gargano, ecc. Aggiunta. (Atti S. T. Se. Nat., IV, 1884). Gli) Cacciamali G. B. — Escursioni geologiche in Abruzzo. (Boll. C. A. I. Torino, 1885). (112) Canavari M. — Fossili' del Lias inferiore del Gran Sasso d’I- talia raccolti dal Prof. Orsini nel 1840. (Mem. Soc. Tose. Se. Nat., VII, Pisa, 1885). GLI ABRUZZI 453 (113) Canavari M. — Ellipsactinia di M. Giatio, del Gran Sasso, del Gargano e di Gebel-Ersass in Tunisia. (Atti Soc. Tose. Se. Nat., V, 1886). (114) Strobel P. — Avanzi di V ertebrati preistorici della Valle della Vibrata. (Boll. Paleoetn. ital., Serie 2a, Voi. II, 1886). (115) Tuccimei G. A. — Considerazioni sopra il Karst- Fhdnomen dei 31onti Sabini. (Rassegna italiana, Roma, 15 aprile 1886). (116) De Giorgi C. — 1 terremoti aquilani ed il 1° congresso geodina- mico italiano in Aquila. (Lecce, 1887). (117) Mascarini A. — Le piante fossili del Travertino Ascolano. (B. C. G. I , X, 1888). (118) Ufficio Geolog. italiano. — Carta Geologica della Campagna Ro- mana e regioni limitrofe. (Scala di 1 a 100.000, fogli di Roma e Palombara Sabina, 1888). (119) Cacciamali G. B. — In Valle del Livi. Osserv. orogr. e geognost. ed indicazioni turistiche. (B. C. A. I.. XXII, 1889;. (120) Jervis G. — I Tesori sotterranei d’Italia. (Parte IV, 1889). (120 bis) Mascarini A. — Antonio Orsini e le raccolte da lui lasciate. (Ascoli, 1889). (121) Partsch I. — Die Hauphette des Zentral Apennins. (Verhandl. d. Gesellsch. d. Erdk. zu Berlin, Bd. XVI, 1889 . (122) Ufficio Geolog. italiano. — Brevi cenni relativi alla carta geo- logica della Campagna Romana, (Roma, 1889). (123) Clerici E. — La pietra di Subiaco in Provincia di Roma e suo confronto col Travertino. (B. C. G. I., XXI, 1890). (124) Tellini A. — Le Nummuliti della 3Iaj ella, delle Isole Tremiti e del Promontorio Garganico. (B. S. G. I., IX, 1890). (125) Abbate E. — La Majella. (Boll. C. A. I., XXIV, 1891). (126) Canavari M. — Nuove corrispondenze paleontologiche fra il Lias inferiore di Sicilia e quello dell’App. Centr. (Atti S. Tose. Se. Nat., VII, 1891). (127) Clerici E. — Il Chirografo di Pio VI e la Pietra di Subiaco. (Rass. Se. geol. Italia, I, 1891). (127 bis) Mascarini A. — I Molluschi conchigliferi delle adiacenze di Ascoli Piceno (Boll. Soc. Malac. ital., XVI. 1891). (128) Moderni P. — Osserv. geolog. fatte nel gruppo della 3Iajella. (B. C. G. I., XXII, 1891). (129) Tellini A. — Appendice Paleontologica alle « Osserv. geolog. fatte nel gruppo della 3Iajella » di P. Moderni. (B. Com. Geolog. ital., XXII, 1891). (130) Zoppi G. — Orografia e Geologia del Bacino dell’ Attiene. (Minist. d’Agr., Carta Idr. d'Italia « L’Aniene », Voi. IV, Roma, 1891). (131) Cacciamali G. B. — Formazione geologica del territorio di Te- ramo. (Monogr. d. Prov. di Teramo, I, 1892). (133) » — Gli Anticrateri dell’ Apennino Sorano. (Boll. C. A. I., Voi. XXV, 1892). 454 ] F. SACCO (184) Crugnola G. — L'uomo nell’età della 'pietra in Abruzzo. { Mono- grafia della Prov. di Teramo, I, 1892). (185) De Angelis G. — Sopra un giacimento di roccie vulcaniche nel territorio di Rocca S. Stefano. (Riv. ital. di Se. Nat., XII, Siena, 1892). (136) Marchetti C. — Minerali, acque potabili e minerali. (Monografia della Provincia di Teramo, Voi. I, 1892). (137) Pellati N. — Notizie della produzione del Petrolio in Italia. (Riv. serv. min. nel 1890), 1892. (138) Zoppi G. — Nera e Velino. (Meni. ili. della carta idrografi d’I- talia, N. 14. Roma, 1892). (139) Cana vari M. — Idrozoi titoriiani della reg. medit. appartenenti alla fam. delle Ellipsactinidi. (Mem. C. G. I., IV, 1893). (140) Chelussi I. — Studio petrografico di alcune arenarie della Pro- vincia di Aquila. (Giorn. di Min. Crist. e Peti-., IV, 1893). (141) De Angelis G. — Giacimenti elevati del Pliocene nella Valle del- V Amene. (Atti R. Acc. Lincei, Serie 5a, Voi. II, 1893). (142) Meli R. — Sulla presenza delVIberus signatus nei Monti Ernici nella Prov. di Roma. (Boll. Soc. rom. studi zool., II, 1893). (143) Terreni O. — Miniere italiane di Asfalto, Bitume e Petrolio nei comuni di Manoppello, Lettomanoppello , Roccamoriccie, Abba- teggio. (Genova, 1893). (144) Viola C. — Appunti geologici ed idrologici sui dintorni eli Teramo. (Boll. C. G. I., XXIV, 1893). (145) Meli R. — Sulla presenza delVIberus signatus nei Monti Er- nici, ecc. (Riv. ital. Se. Nat., XIV, Siena, 1894). (146) Flores E. — Catalogo dei Mammiferi fossili dell’ Italia meridio- nalecontinentale. (Atti Acc. Pontan , Napoli, Voi. XXV, 1895). (147) Marco C. — Note geologiche sul territorio del comune di Vasto. Abruzzo citeriore (Vasto, 1895). (148) Ministero Agr. Ind. Comm. — Lio'i-Gari gitano (Carta idrogra- fica d’Italia, N. 20, 1895). (149) Moderni P. — Osservazioni geolog. fatte nell’ Abruzzo Teramano durante l’anno 1894. (Boll. R. Com. geol. ital., XXVI, 1895). (150) Cerulli-Irelli S. — Molluschi fossili del Pliocene nella Pro- vincia di Teramo. (B. S G. I., XV, 1896). (151) » — Contribuzione allo studio del Pliocene nella Provincia di 'Teramo. (Riv. abruzz. di Scienz. Lett. ed Arti, Teramo, 1896). (152) De Angelis G. — Appunti preliminari sulla Geologia della Valle dell’ Amene. (B. S. G. I., XV. 1896). (153) De Angelis G. e Bonetti F. — Mammiferi e microflora fossile del- l’antico lago del Mercure. (Appendice, Atti Acc. Gioenia, Serie 4ft, Voi. 10, Mem. XV, 1896). (154) Levi G. — Gasteropodi giurassici dei dintorni di Aquila. (B. S. G. I., XV, 1896). GLI ABRUZZI 455 (155) Viola C. — Osservazioni geologiche fatte sui Monti Ernici nel 1895. (B. C. G. I., XXVII, 1896). (156) » — Osserv. geol. fatte nella Valle del Sacco in Prov. di Poma e studio petrografico di alcune roccie. (B. C. G. I., XXVII, 1906). (157) Cassetti M. — Sul rilevamento geologico di alcune parti dell' Ap- pennino eseguito nel 1896. (B. C. G. I., XXVIII, 1907). (158) Chelussi I. — Brevi cenni sulla costituzione geologica di alcune località dell’ Apennino aquilano. (Firenze, 1897). (159) De Angelis. — Contribuzione allo studio ‘paleontologico dell’alta Valle dell’ Aniene. (B. S. G. I., XVI, 1897). (160) Parona C. F. — Fauna del Cretaceo di Colle Pagliare presso Aquila. (B. S. G. I., XVI, 1897). (161) Viola C. — Osserv. geolog. fatte nel 1896 sui Monti Simbruini in Prov. di Poma. (B. C. G. I., XXVIII, 1897). (162) » — La struttura carsica osserv. in alcuni monti calcarei della Prov. Pom. (B. C. G. I., XXVIII, 1897). (162 bis) » — Sulle condizioni geologiche della Provincia romana in rapporto con la Coltura agraria e silvana (Eco dei Campi e Boschi, IV. 1897). (163) Baratta M. — Il terremoto sabino- abruzzese del 28 giugno 1898. (Boll. S. Geogr. ital., Serie 3a, Voi. XI, 1898). (161) Brucchietti G. — Sul terremoto di Pieti del 28 giugno 1898. (Boll. Soc. sism. ital., IV, 1898). (165) Cassetti M. — Rilevamento geologico nell’ Abruzzo aquilano ed in Terra di Lavoro, eseguito nel 1897. (B. C. G. I., XXIX, 1898). (166) De Angelis G. — Nuovi fatti geologici nella Prov. Romana. (B. S. G. I., XVII, 1898) (167) » — L’alta Valle dell' Aniene. (Mera. S. Geogr. ital., VII, 1898). (168) Moderni P. — Osserv. geolog. fatte al confine dell’ Abruzzo Tera- mano colla Provincia di Ascoli nell’anno 1896. (B. C. G. I., XXIX, 1898). (169) Viola C. — Porosità , permeabilità e metamorfismo delle roccie in genere e delle roccie eruttive degli Ernici in ispecie. (Atti Soc. Tosg. Se. Nat., XI, 1898). (170) » — Osservazioni geologiche fatte nei monti sublacensi nel 1897. (B. C. G. I., XXIX, 1898). (171) Bonarelli G. — Escursione della Società geologica italiana nei dintorni di Ascoli Piceno. (B. S. G. I., XVIII, 1899). (172) Deecke W. — Eie pleistocàn Lundseen des Apennins. (Globus, Bd. LXXVI, 1899). (173) De Angelis G. — Le sorgenti di Petrolio a Tocco di Casauria. (Rass. Min., XI, 1899). (174) De Angelis G. e Luzi G. F. — Altri fossili dello Schlier delle Marche. (B. S. G. I., XVIII, 1899). 31 F. SACCO 456 (175) De Stefani C. e Nelli B. — Fossili miocenici dell’ Apennino Aqui- lano. (Remi. R. Acc. Lincei, Serie 5a, Voi. Vili, 1869). (176) Ministero Agr. Ind. Comm. — Tevere- (Carta idrografica d’I- talia, Voi. 26, 1899). (177) Moderni P. — Osserv. geolog. fatte nell' Umbria enei Piceno du- rante gli anni 1897 e 1898, con Appendice sul terremoto di Rieti. (B. C. G. I., XXX, 1899). (177 bis) Parona C. F. — Osservazioni sulla fauna e sull'età del Cal- care di scogliera presso Colle Pagliare nell’ Abruzzo Aquilano. (Atti R. Acc. Se. Torino, voi. XXXIV, 1899). (178) Ugolini R. — Monografia dei Pettini miocenici dell’Italia centrale. (B. S. Mal. it., XX, 1899). (179) Viola C. — Mineralogische und petrographische Mittheilungen aus devi Herniker- Lande in d‘ r Provinz Roma (N. Jahrb. fiirMin. Geol. u. Pai., 1899). (180) » — Nuove osservazioni geologiche fatte nel 1898 sui Monti Ernici e Simbruini. (B. C. G. I., XXX, 1899). (181) Baratta M. — Nuove considerazioni sul terremoto di Rieti del 28 giugno 1898. (Voghera, 1900). (182) Cassetti M. — Rilevamenti geologici eseguiti Vanno 1899 nell’ Alta Valle del Sangro ed in quella del Sagittario, del Gizio e del Melfa. (B. C. G. I., XXXI. 1900). (183) Colonna E. — Le Miniere di Asfalto nella Provincia di Chieti. (La Chimica Industr., IL 1900). (184) Hassert K. — Traccie glaciali negli Abruzzi. (B. S. Geogr. ital., Serie 4a, Voi. I, 1900). (185) Ministero Agr. Ind. Comm. — Aterno- Pescara. (Carta idrogra- fica d’Italia, N. 27, 1900). (186) Moderni P. — Osservazioni geologiche fatte nel 1899 al piede orien- tale della catena dei Sibillini . (B . C.G. I.,XXXI, 1900). (187) » — Note geologiche preliminari sui dintorni di Leonessa in Provincia di Aquila. (B. C. G. I., XXXI, 1900). (188) Nelli B. — Fossili miocenici dell’Apennino aquilano. (B. S. G. I.,. XIX, 1900). (189) Viola C. — Sopra alcuni Pettini del calcare a piccole nummu- liti dei dintorni di Subiaco in Provincia di Roma. (B. C. G. I., XXXI, 1900). (190) Baratta M. — I Terremoti d’Italia, pag. 765-772. (Torino, 1901). (191) Cassetti M. — La Bauxite in Italia. (Rass. Min., XIV, 1901). (192) » — Balla Valle del Liri a quella del Giovenco e del Sagittario. (Rilevamento geologico eseguito nel 1900). (B. C. G. I., XXXII, 1901). (193) Chelussi I. — Alcuni fenomeni carsici e glaciali nell'Apennino Aquilano. (Soc. it. Se. Nat., XL, 1901). (194) Di Stefano G. — Recensione della Memoria dello Schnar renberger. (Riv. it. Paleont., VII, 1901). GLI ABRUZZI 457 (194 bis) Gentile G. — Su alcune Nummuliti dell’Italia meridionale. (Mena. R. Acc. Se. Napoli, voi. XI, serie 2a, 1901), (195) Mattirolo E. — Bauxiti italiane. (Rass. Min., XIV, 1901). (196) Meli R. Sulle Chamacèe e sulle Rudistc del M. Affilano presso Subiaco nel circondario di Roma. (B. S. G. I., XX, 1901). (197) Nelli B. -- Il Langhiano di Rocca di Mezzo. (B. S. G. I., XX, 1901). (198; Schnarrenberger C. — Ueber die Krei deformation des Monte d’ Ocre- Rette in den Aquilaner Abruzzen. (Berichte d. Natur- forsch. Gesellseh. zu Freiburg, XI, 1901). (199) Segrè C. — Note sulla struttura dei terreni considerata riguardo ai lavori ferroviari eseguiti dalla Società italiana per le strade fer- rate meridionali. (Ancona, 1901). (200) Verri A. — Un capitolo della Geografa fìsica dell’Umbria. (Atti IV Congr. geogr. ital., Milano, 1901). (201 ) \ iola C. — A proposito del calcare con Pettini e piccole Nummu- liti di Subiaco. (B. C. G. I., XXXII, 1901). (202) Aichino G. — La Bauxite. (Rassegna Mineraria, XV, 1902). (203) Cassetti M. — Dal Fucino (dia Valle del Livi. (Rilevamento geo- logico fatto nel 1901). (B. C. G. I., XXXIII, 1902). (204) Chelussi I. — Alcune osservazioni sulla memoria del dott. Schnar- renberger. (Atti Soc. Ital. Se. Nat., XL, 1902). (205) De Stefani C. — I terreni terziari della provincia di Roma. {Read. R. Acc. Lincei, Serie 5\ XI. Roma, 1902). (206) Fischer T. — La Penisola italiana. (Torino, 1902). (206 bis) Folgheraiter G. — Il Vulcanetto di Coppaeli (Rieti). (B. S. Sism. it., Voi. VII, 1902), (207) Formenti C. — Analisi di vere Bauxiti italiane. (Gazz, Chini, ita!., XXXII, 1902). (208) Parrozzani A. — Analisi chimica di un calcare della Provincia di Aquila , utilizzabile come marna e materiale per calce idrau- lica. (Aquila, 1902). (209) Prever P. — Le Nummuliti della Forca di Presta nell' Apennino centrale e dei dintórni di Potenza nell’ Apennino meridionale. (Mèra. Soc. Paléont. Suisse, XXIX, 1902). (210) Viola G. — I principali tipi di lave dei vulcani Ernici. (B. C. G.I., XXXIII, 1902). (211) Abbate E. — Guida dell’ Abruzzo. (Roma, 1903). (212) Cassetti M. — Appunti geologici sui monti di Tagliacozzo e di Scurcola nella Morsica. (B. C. G. I., XXXIV, 1903). (213) Chelussi I. — Sulla Geologia della Conca aquilana. (Atti Soc. It. Se. Nat., XLII, 1903). (214) De Angelis G. — Les gisements pétrolif'eres en Italie. (Monit. des Intérèts pétrol. roumains, Bucarest 1903). (214 bis) Flores E. — L’ Elephas primigenius Bl. nell’ Italia merid. contin. (B. S. G. I., XXII, 1903). 458 F. SACCO (215) Lotti B. — Sul giacimento di Bauxite di Colle Carovenzi presso Pescosolido nella Valle del Livi. (Rassegna min., XVIII, 1903). (216) Ministero Agr. Ind. Conno. — Sangro, Salino , Vomano, Tronto, Tordino e Vibrata. (Carta idrografica d’Italia, Voi. 30, 1903). (217) Novarese V. — Ber Bauxit in Italien. (Z. f. priikt. Geol., 1903). (217 bis) Pasquale M. — Revisione di Selaciani fossili dell’Italia me- ridionale. (Mem. R. Acc. Se. Napoli, voi. XII, serie 2a. 1903). (218) Sabatini V. — La Pirossenite melilitica di Coppaeli (Cittaducale). (B. C. G. I., XXXIV, 1903). (219) Squinabol S. — Une excursion à Capracotta en Molise. (La Géo- graphie. Vili. Paris, 1903). (220) Ugolini R. — Pettinidi nuovi o poco noti di terreni terziari ita- liani. (Riv. ital. Paleont., IX, 1903). (221) Viola C. — Osservazioni geologiche nella Valle dell’ Amene, eseguite nell’anno 1902. (B. C. G. L, XXXIV, 1903). (222) Cassetti M. — Da Avezzano a Sulmona. Osserv. geol. fatte nel- l’anno 1903 nell’ Abruzzo aquilano. (B. C. G. I., XXXV, 1901). (223) » — Sulla struttura geologica dei monti della Majella e del Morrone. (B. C. G. I., XXXV, 1904). (224) CHELUSSI I. — Alcune osservazioni prelim nari sul gruppo del M Velino e sulla conca del Fucino. (Atti Soc. ital. Se. Nat , XLIII, 1904). (225) Lupi A. — Fauna miocenica presso Tagliacozzo. (B. S. G. I., XXIII, 1904) . (226) Lorenzi A. — Escursioni eli Geografia fisica nel Bacino del Livi. iB. S. Geogr. ital., Serie 4a, Voi. V, 1904). (227) Meli R. — Brevi notizie sulle roccie che si riscontrano nell' Abruzzo . lungo il percorso dell’antica Via Valeria da Arsoli a Collar- mele. (B. S. G. I., XXIII, 1904). f228) Novarese V. — I Giacimenti di Asfalto di S. Valentino. (Rassegna Mineraria, XX, 1904). (229) Prever P. L. — Osservazioni sopra alcune nuove Orbitoides. (Atti R. Acc. Se. Torino, XXXIX, 1904). (230) Sacco F. — L’ Appennino settentrionale e centrale (con carta geol. alla scala di 1 a 500.000) (Torino, 1904). (230 bis) Cassetti M. — Appunti geologici sul M. Conero presso An- cona. (B. C. G. S., XXXVI, 1905). (231) Lotti B. — Di un caso di ricoprimento presso Spoleto. (B. C. G. I., XXXVI, 1905). (232) Parona C. F. — Sulla fauna e sull’età dei Calcari a Megalodontidi delle cave di Trevi (Spoleto). (Atti R. Acc. Se. Torino, XLI, 1905) . (233) Prever L. P. — Ricerche sulla fauna di alcuni calcari nummuli- tici dell’ Italia Centrale e meridionale. (B. S. G. I., XXIV, 1905). GLI ABRUZZI 459 (234) Prever P. L. — Sulla fauna nummulitica della Scaglia dell’ Apen- nino Centrale. (Atti R. Acc. Se., XL. Torino, 1905). (235) Sacco F. — Sur la xaleur stratigraphique des Lepidocyclina et des Miogypsina. (B. S. G. Fr., Sèrie 4, V, 1905). (236) Silvestri A. — Notizie sommarie su tre faunule del Lazio. (Riv. ital. Paleont., XI, 1905). (237) Vinassa de Regny P. — Fenomeni glaciali al Piano di Castel- luccio. (B. S. G. I., XXIV, 1905). (238) Cassetti M. — Osservazioni geologiche sul Monte Sirente e suoi dintorni. (B. C. G. I., XXXVII, 1906). (239) Dainelli G. — Contemporaneità dei depositi vulcanici e glaciali in Prov. di Poma (Atti R. Acc. Lincei, Serie 5\ XV, 1906). (240) De Angelis G. — Il Miocene nel versante orientale della Montagna della Majella. (B. S. G. I., Voi. XXV, 1906). (241) Lotti B. — Osservazioni geologiche nei dintorni di Pieti. (B. C.G.I., XXXVII, 1906). (242) » — Sui risultati del rilevamento geològico dei dintorni di Piediluco, Ferentillo e Spoleto. (B. C. G. I., XXXVII, 1906). (243) Sabatini V. — Ancora sulla Pirossenite melilitica di Coppaeli. (B. C.G. I., XXXVII, 1906). (244) Sacco F. — La [questione eomiocenica dell’ Apennino. (B. S. G. I., XXV, 1906). (245) Vinassa de Regny P. — Appunti di Geologia umbra. (B. S. G. I., XXV, 1906). (246) » » — Le acque sotterranee della piana di Nor- cia in rapporto all’agricoltura. (« Ita- lia Agricola», XLIII, 1906). (247) Brest E. — Calcari nummulitici e Nummulites dell’Ascolano (Ascoli Piceno, 1907). (248) Camerana E. — L’ Industrie des Hydrocarbures en Italie ( Rome, Impritn. nat. I. Bertero, 1907). (249) Capeder G. — Sulla esistenza di una componente orizzontale nei movimenti di emersione della costa picena sull’ Adriatico. (Boll. S. G. I., XXVI, 1907). (250) Cassetti M. — Sezione geologica del M. Velino (Boll. C. G. I. XXVIII. 1907). (251) Chelussi I. — La Barra di Fisso in Provincia di Macerata. (Atti Soc. ital. Se. Nat., XLV, 1907). (252) » — Nuove Note di Geologia Marchigiana (Atti del Con- gresso dei Natur. ital. Milano, 1907). (252 bis) Clerici E. — Analisi microscopica del Calcare farinoso di S. Demetrio nei Festini (Boll. Soc. Geol. It., Voi. XX\ I, 1907). (253) Dainelli G. — Osservazioni morfologiche e glaciali sul Pacino di Filettino in Prov. di Poma. (Atti del Congresso Natur. ital. Milano, 1907). F. SACCO 460 (254) Meli R. — Notizie scientifico-tecniche sui Travertini e specialmente su quelli esistenti nella pianura sotto Tivoli. (Roma). (255) Parona C. F. — Risultati di uno studio sul Cretaceo superiore nei Monti di Bagno presso Aquila. (Read. R. Acc. Lincei, serie 5a, voi. XVI. 1907). (256) Prever P. L. — Su alcuni terreni a Nummuliti e ad Orhitoidi dell’alta Valle dell’ Amene. (Boll. R. Com. Geologico Italiano, voi. XXXVI li, 1907). (257) SACCO F. — Il Gruppo del Gran Sasso d’Italia. (Mem. R. Acc. Se. di Torino, serie Ila, voi. L1X, 1907). (258) Verri A. e Clerici E. — Escursione a Tivoli. (Boll. Soc. Geol. it., XXVI, 1907). INDICE Secondario . • • pag. 378 Infraliasico . . . » 378 Giuraliasico . . . » 379 Cretacico . . . . » 384 Terziario . . . . » 393 Eocene . . . . . » 393 Miopliocene . . . » 408 Pliocene . . . . » 417 Quaternario . . . pag. 423 Plistocene . . . . » 423 Diluviale . . . » 423 Morenico . . . » 427 Vulcanico . . . » 429 Olocene . . . . . » 439 Conclusione . . . » 445 Bibliografia . . . » 447 Schema delle principali fratture degli Abruzzi. . CViynni ' Tovsrri* S.DfmrifU " . t2»l 0CVlcnv**4 Scala di 1 a 1.000.000. Ciò che subito colpisce chi osserva questa Cartina schematica è che nella Geotettonica abruzzese si possono distinguere due regioni principali, cioè: una occidentale (che dai Monti Prenestini si estende verso Nord, attraverso la Sabina, sino alla regione umbro-marchigiana) con direzione complessivamente meridiana, ed una regione centrale e meridionale in cui la direzione geotettonica, e quindi anche litocla- sica, corre prevalentemente da N. O. a S. E., direzione però che, direi, penetra anche tratto tratto nella regione occidentale sovraccennata, intrecciandosi talvolta con essa. Nell’angolo S. E. della Cartina, contro alla regione rigidamente e regolarmente fratturata della Mar- sica-Majella, si vanno addensando, con direzione complessiva N. N. E. — S. S. O., le minori ed irregolari linee di piega e frattura del Molise. Le principali fratture delineate schematicamente sulla Cartina sono accompagnate da salti o sposta- menti piùo meno accentuati, rivelati non solo dall’esame geologico ma spesso anche da quello orografico. Boll. Soc. GeoL ital. Voi. XXVI (1907) (F. Sacco) Tav.XIV ■ansonj Hl.flol kS. Benedetto lAdel Tronto Carta geologica alla Scala di 1 a 500.000 ’X Angrl, ricavala dai rilevamenti eseguiti sulle tavolette al 50.000 da Federico Sacco 1907 Spiegazione delle tinte convenzionali : jirmàpàE) \Giulianova Olocene Qua te I jjti feuido Pliocene iMLopliocene lE oc ene (Cretacico (Ciur alias ico KB.— Per la continuazione della Carta geologica verso Xord, vedi,' '■ F. Sacco .-IlApp emina settentrionale, e centralc-lUOi iitxnco FrancaviTla ^ al Mare F.Aricìti ‘Minchia OCiUcuotu lama delMtgni; apracol IHOUSTRIt v/WnCHC -70BIN0 ari 2^a X r$0VZ<\ IU r •' Ktfirtù yFcifto Frrru{n-+U 7/trernw xjjuh t \ Montt>rtp ! ? "Wv'V . iqlv v in-vwmm^ . .xt V X*SA*mtrau\ a / fyrc tt^Yt /‘T*T tyrittbMr CamwU^^ T n ììw Y yy *hùh°T [2 ^^8 §§sf| ip Wm l/F cysSiB □00OHD1OS1 RICERCHE MICROSCOPICHE SU CALCARI LIASICI DI TIVOLI Comunicazione dell’ing. Enrico Clerici Ho esaminato una serie di campioni di calcari liasici dei dintorni di Tivoli e più particolarmente quei calcari del lias superiore che rinvengonsi dietro Casale S. Angelo e presso la strada mulattiera che conduce al fontanile fra Colle Rampino e Colle Lecinone. Sono calcari marnosi, per lo più cenerognoli o verdicci, in- tramezzati con straterelli molto argillosi. Presso il primo fonta- nile lungo la detta mulattiera vi si rinvennero esemplari di Po- sidonomya Bronni Groldf. che ne precisano l’età (’*). La mia intenzione era di vedere se contenessero resti di spongiari o altre spoglie organiche silicee ed a tale scopo os- servavo il residuo ottenuto dalla soluzione dei calcari in acido cloridrico diluito. Ma questa ricerca essendo riuscita infrut- tuosa, rivolsi l’attenzione ai minerali contenuti nel detto residuo. Cosi- riscontrai nel residuo fornito dai campioni raccolti presso Casale S. Angelo, un minerale che per lo innanzi non mi era ancora capitato in ricerche analoghe e che mi invogliò alla sua determinazione. Tolto questo particolare, i diversi campioni di calcari non «presentano notevoli differenze nel contenuto della parte sabbiosa. Il residuo argilloso ha per solito il colore del calcare da cui proviene, ma più intenso e vivace. Cosi è ocra rossa quello del calcare rosso con Rliacopliyllites lariensis Menegh. del Colle Rampino; giallo-verdognolo quello degli altri, turchiniccio quello dei campioni raccolti nella incisione del fosso presso il primo fontanile, nella quale osservasi una bella arricciatura degli strati. (*) Verri A. e Clerici E., Escursione a Tivoli, Boll. Soc. Geol. It., voi. XXVI, 1907, pag xxxiv. 462 E. CLERICI La parte sabbiosa consta principalmente di frammenti di quarzo, di calcedonio e di mica. Nel calcare turchiniccio ab- bonda la pirite, in altri abbondano grumi e nuclei limonitici. In tutti sono presenti, ma scarsi: rutilo, zircone, tormalina, quest’ ultima spesso in bei prismetti terminati; e ancora più scarsa la glauconite. Il calcare di Casale S. Angelo è bigio- verdiccio, superfi- cialmente un po’ disfatto e cosparso di noduletti biancastri, cal- carei, friabili. In qualche punto assume l'aspetto di marna, e i pezzi nelle rotture fresche, specialmente se umidi, mostrano va- riegature verdi e rossiccie. Non rare vi sono le fucoidi come quelle dei campioni nei quali si rinvenne la Posidonomya. Il minerale in, questione si presenta in piccoli cristalli iso- lati, incolori, tabulari, allungati, non nitidissimi, ma abbastanza ben formati e con accrescimenti multipli; per lo stato di fre- schezza credo si possa escludere che siano fluitati. L’estinzione è sempre retta, quindi essi appartengono al sistema trimetrico. L’allungamento c positivo. La fotomicrografia qui appresso riprodotta mostra, ingran- diti 82 volte, i cristalli a nicol incrociati e con interposta la- mina di gesso del rosso di 1° ordine; in modo che quando la direzione di allungamento è allineata NE-SO i cristalli appa- iono colorati in giallo (in nero nella fotografìa) e colorati in azzurro (in chiaro nella fotografia) se allineata NO-SE. L’indice di rifrazione è molto maggiore di quello del bal- samo, minore però dello ioduro di metilene. Applicando il me- todo dell’immersione ho preparato una miscela di tetrabromuro di acetilene e di z-mouobromonaftalina tale che in essa i contorni del minerale scomparissero. L’indice di questa miscela, misurato col refrattometro di Abbe, risultò « = 1,6444. In altra prova con altra miscela ottenni « = 1,6436. Per la separazione dagli altri minerali mi sono valso del mio liquido al formiato-malonato di tallio (‘) impiegando una soluzione avente tale densità che a temperatura ordinaria vi (') Clerici E., Preparazione di liquidi per la separazione dei mi- nerali. Rendiconti R. Acc. dei Lincei, classe se. fis. mat. e nat., voi. XVI, 1907, pag. 187. RICERCHE MICROSCOPICHE 463 galleggia il corindone; in essa il minerale affonda. Ho poi con- centrato la soluzione, in bagno d’acqua, fino ad ottenere il gal- leggiamento del minerale, il che avviene insieme ad un cri- stallo di baritina messo come indicatore. Cristalli di baritina del calcare basico di Casale S. Angelo a nicol incrociati e lamina di gesso. Forma cristallina, segno ottico, indice di rifrazione e den- sità portavano a concludere che il minerale fosse baritina. Non- dimeno col minerale isolato ho voluto fare qualche saggio micro- chimico, che potesse servire di conferma. Il minerale scaldato con soluzione di carbonato di potassio imbianca, si fa opaco e non mostra più, a nicol incrociati e la- mina di gesso, le vivaci colorazioni di prima, ma soltanto una minuta struttura di aggregato. Il liquido separato ed addizio- nato di acido cloridrico e cloruro di bario ha dato la conferma che si tratti di un solfato. 464 E. CLERICI Il minerale imbiancato si scioglie facilmente in acido clori- drico lasciando uno scheletro tanto più corroso quanto più a lungo durò l’attacco con carbonato potassico; la soluzione clo- ridrica dà con acido solforico le caratteristiche forme di cristalli isolati ed a croce di S. Andrea del solfato di bario. Le stesse forme si ottengono direttamente dal minerale trattato a caldo con acido solforico concentrato, ove è leggermente solubile, e la- sciando raffreddare. In queste condizioni il solfato di stronzio assumerebbe le stesse forme, ma poiché le dimensioni sarebbero notevolmente maggiori, così è da escludersi che lo stronzio sia presente, al- meno in notevole quantità. È noto che spesso la baritina con- tiene piccole quantità di stronzio; credo però che anche questo caso possa escludersi pel fatto che dalla soluzione cloridrica suddetta, convenientemente sperimentata col bicromato potassico, ho ottenuto i cristalli di cromato di bario, ma non i globuli molto rifrangenti caratteristici, secondo Behrens, del cromato di stronzio. Da tutto quanto ora ho esposto concludo che il minerale con- tenuto nel calcare marnoso verdognolo di Casale S. Angelo è baritina. Ho creduto potesse interessare la comunicazione di questi risultati poiché la baritina non fu ancora indicata fra i mine- rali dei dintorni di Roma. [ms. pres. il 15 novembre 1907 - ult. bozze 8 gennaio 1908]. FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE DELLA VALLE DEL BRENTA Memoria del dott. Domenico Del Campana (Tav. XV) Oggetto della presente nota è l’illustrazione di alcune specie poco conosciute e di altre affatto nuove riscontrate nella dolomia del Trias superiore della Valle del Brenta. Le prime notizie sulla fauna che mi accingo a far cono- scere furono date nel 1883 dal Secco, che in un suo lavoro geologico sul Bassanese (*) indicava le specie seguenti: Dei ph. inula Esclieri Stopp. Avicula exilis Stopp. Megalodon Gilmbelii Stopp. Chemnitzia sp. Dedan Cismonis Men. (inedito). Il Parona, in un suo studio sui Megalodonti C) comparso nel 1888, aggiunse a quelle già ricordate dal Secco altre specie, di cui la massima parte furono classificate solo genericamente, perchè il cattivo stato di conservazione in cui si trovavano i fossili, distolse l’autore ora ricordato dal farne uno studio par- ticolareggiato. Le specie furono pertanto queste: Lytothamnium sp. Venus sp. Bhynchonella sp. Arca Carpinensis Rossi (inedita). (*) Secco A., Note Geologiche sul Bassanese, pag. 50, Bassano, Poz- zato, 1883. (?) Parona C. F., Contributo allo studio dei Megalodonti, pag. 4? Società Italiana di Scienze naturali, voi. XXX, Milano, 1888. 466 D. DEL CAMPANA Natica sp. Nerita sp. Cerithium sp. Pinna (?) sp. Dicerocardium Pani Stopp. Dicerocardium cfr. Canoni Stopp. Megalodon Tofanae Hoern (?) Megalodon Seccoi Paroua. L’esistenza delle due specie ricordate sopra ancora inedite, mi indusse a riprenderle in esame insieme alle altre ; e poiché la dolomia, specie quella che è allo stato saccaroide, conteneva in grande quantità avanzi di conchiglie, ritenni che altre forme vi si sarebbero potute rinvenire a maggiore illustrazione dell’argo- mento che mi proponevo di trattare. Le mie ricerche diedero dei risultati non del tutto infruttuosi, sicché alle specie già ricor- date dal Secco e dal Parona, vanno unite altre, di cui alcune appartenenti a generi non rinvenuti sino ad ora nel Trias della Valle del Brenta. Se le mie osservazioni non sono dunque errate, la fauna di quella località riuscirebbe costituita dalle specie seguenti : Terebratula sp. ind. Gervillia exilis Stopp. {Avicola exilis Stopp. in Secco). Pecten Cismonis Men. Arca Carpinensis Rossi. Dicerocardium sp. cfr. Dicerocardium Corioni Stopp. Megalodon Gumbelii Stopp. Megalodon Seccoi Parona. Megalodon inf raliasicus Stopp. Lucina Paronai sp. n. ( Venus sp. Parona). Pleurotomaria contabidata Costa ) {Turbo soli tari us Bnk. ( in Parona). Turbo rectc-costatus Hau. Cirrus dolomiticus sp. n. C ir ras triadicus sp. n. Cirrus Seccoi sp. n. Neritopsis sp. cfr. N. compressala, Gtimb.j Neritopsis Bassanensis sp. n. ' (Natica, (?) Neritopsis sp. \ e ^ er^a SP*I ai oua)* i {Delphinula Escheri ' Stopp. in Secco). FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 467 Oonia sp. ind. > ; . . s-\ • , • ~ì tt • • ( Chemnitzia sp. PrioucI'). Conia tumida Horn. I 1 CeritJiium sp. Cfr. Cerithium hypselum v. Amili. Cerithinella Meduacensis sp. n. ( Gerithium sp. 11. Parona). Dirò inoltre che non ho trovato nella raccolta di fossili da me studiata nessun esemplare di Pinna sp. e di Megalodon Tofanae Hoern., forme che anche il Parona incluse con dubbio nella fauna di cui ci occupiamo. Così pure mancano a me il Dicerocardium Pani Stopp., e la Rhynchonella sp. citati dal Parona. Per ciò che riguarda i Lithotamnium, ricordati già dal Pa- rona nella dolomia presso Campolungo, ritengo che si tratti di Ooliti , non molto diverse da quelle che lo Stoppani classificò sotto il nome di Evinospongia nummulitica. Mi ha confermato nel mio riferimento non solo un confronto con esemplari di Evi- nospongia dei presunti Lithotamnium, ma ancora l’esame micro- scopico di alcune loro sezioni, il quale mi ha mostrato la strut- tura formata da sottili incrostazioni calcaree depositate attorno ad un granulo centrale. Se ora si considerano i caratteri della fauna da me illustrata, presa nel suo complesso, dobbiamo notare che mentre buona parte delle specie sono proprie del Trias superiore, altre offrono dei punti di vicinanza con forme rinvenute già nel Lias infe- riore. Il genere Cerithinella Gemm., che nella dolomia della Valle del Brenta è rappresentato da una sola specie, assume sviluppo nel Lias inferiore, ove e rappresentato da molte specie che il Gemmellaro ampliamento descrisse e figurò nei suoi studi sul calcare cristallino della Provincia di Palermo. Così pure ho riscontrato vari punti di somiglianza tra al- cune delle specie di Cirrus ed una Neritopsis , da me ritenute come nuove, ed altre della stessa località ricordata ora. Non voglio inoltre lasciar di notare che tutte queste specie si trovano nella dolomia saccaroide, spesso cavernosa, supe- riore secondo le osservazioni del Secco alla dolomia cristallina compatta. Venendo ora a dire dello stato di conservazione in cui si trovano i fossili studiati, aggiungerò che essi sono rappresentati 468 D. DEL CAMPANA talvolta da modelli o da nuclei di conchiglie, più spesso da impronte che le conchiglie hanno lasciato nella dolomia e ripro- ducenti più o meno bene i caratteri specifici. In quest’ultimo caso l’osservazione è stata portata non solo sull’impronta direttamente, ma anche su i rilievi in gesso che mi sono sempre dato cura di ricavare, per poter disporre di maggiori dati nella descrizione e nella classificazione delle specie. Tali impronte sono in generale conservate nella dolomia sacca- roide cavernosa, ed in tal quantità da costituire una vera e propria lumachella. Sfortunatamente però, data la costituzione pochissimo compatta della roccia, le impronte si hanno ben di rado complete, e molte ve ne sono che pur non prestandosi ad essere studiate e riconosciute con sicurezza neppure generica- mente, si rivelano tuttavia appartenenti a specie e forse anche a generi diversi da quelli descritti. Quanto all’età della dolomia della Valle del Brenta è già noto come essa appartenga agli strati più recenti del Trias supe- riore, e più precisamente al gruppo dolomitico delle Alpi orien- tali conosciuto sotto il nome di Dolomia principale ( Haupt - dolomit ). Questa è caratterizzata dalla Worthenia confabulata Costa, e dalla Gervillia exilis Stopp., specie che hanno dato il nome ad una zona che è collegata intimamente agli strati infra- liassici del Retico immediatamente susseguenti. Brachiopodi. Terebratula sp. ind. 1888. Terebratula sp. - Parona, Contrib. allo studio dei Megalodonti, p. 4. Esemplare di piccole dimensioni, raccolto nella dolomia in fondo alla valle di Cavallin. Lo stato poco buono di conservazione in cui si trova, non permette di fare su di esso osservazioni importanti, molto più che buona parte della conchiglia si trova inclusa nella roccia. La Terebratula indistincta, Beyr, quale la figurò il Laube (Fauna von St. Cassian, Brachiopoden, pag. 6, tav. XI, fìg. 7) (') può forse offrire dei punti di somiglianza colla forma in discorso. (') la K. K. Geologischen Reichsanstalt. Denk. ci. Mat. Nat. Bd. XXIV. Wien, 1865. FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 469 Lamellibranchi. Gervillia exilis Stopp. 1883. Aricula exilis - Secco, Note geologiche sul Bassanese, pag. 50. 1888. Avicula (Gervillia) exilis - Parona, Contributo allo studio dei Me- galodonti, pag. 4. 1902. Gervillia exilis - Marinelli, Descrizione geologica dei dintorni di Tarcento in Friuli, pag. 153 (cum syn.). (Pubblicazioni del R. Istituto di Studi Sup. prat. e di perf. in Firenze. Sez. d. Se. Fis. e Nat.). Specie tra le più note negli strati del Trias superiore e molto numerose anche nella dolomia di Solagna. Gli esemplari esaminati già dal Parona, provengono dalle località: Bastia, Vigneto del Dò, Solagna. Pecten Cismonis Men. (Tav. XV, fig. 1-4). 1883. Pecten Cismonis - Meneghini in Secco, Note geologiche sul Bassa- nese, pag. 38-50. 1884. Pecten Cismonis - Boehm, Beitràge sur Kenntniss der Grauen Kalke in Venetien. Zeitschrift d. deutschen Geolog. Gesell- schaft, Bd. XXXVI, pag. 755. Questa specie, sebbene più volte citata dal Secco, era fino ad oggi rimasta indescritta. Gli esemplari che io ho potuto esaminare sono ridotti ad impronte, talvolta del resto assai buone, in alcuna delle quali si può anche osservare traccia delle orecchiette. Per lo più si tratta di impronte lasciate dalla valva destra, alcune poche ap- partengono alla valva sinistra. Nessuna delle valve essendo riprodotta completamente, ne viene che le misure della conchiglia possono essere soltanto approssimative. Due impronte di valva destra di diversa gran- dezza avrebbero pertanto rispettivamente dato le seguenti cifre: Diametro antero-posteriore mm. 37 miti. 56 » umbono-ventrale » 39 » 60. 470 D. DEL CAMPANA La valva destra si mostra pochissimo convessa e sebbene bombone non si trovi che malamente conservato, in pochi casi, facilmente si suppone ch’esso pure doveva essere poco rilevato e doveva formare un angolo ottuso. Gli ornamenti consistono in coste, le quali partendosi dalbombone si dirigono verso i bordi facendosi sempre più slargate. La loro conformazione è quella di semplici rilievi lineari, con sezione superiormente ar- rotondata; ma non è da escludersi che nell'esemplare completo avessero struttura più complicata, come si osserva in molte delle specie note. Il numero delle coste su ciascuna valva dif- ficilmente si può dare con esattezza per le ragioni notate sopra; nelle impronte più complete io ne ho contate sino a 18, nè credo d’errare dicendo che tal numero non è molto lontano dal reale. Le impronte rivelerebbero altresì la presenza ai lati della valva, di uno spazio liscio e privo di ornamenti. In due casi ho anche potuto notare lievi tracce di strie di accrescimento, costituite da una linea spezzata regolarmente, ad angoli acuti coi vertici sulle coste e gli spazi intercostali. Questi ultimi riproducono in incavo la stessa forma delle prime delle quali hanno presso a poco la stessa larghezza. Le orecchiette restano conservate in piccola parte ed erano costituite da una introflessione della valva abbastanza marcata, avente forma triangolare. Sulle impronte che io ritengo lasciate dalla valva sinistra della conchiglia, si nota che le coste ed i solchi erano meno numerosi che sulla destra, pur presentando uguali caratteri. Nessuna osservazione può farsi sui caratteri della cerniera la quale manca in tutti gli esemplari da me esaminati. Il Secco (op. cit.) a proposito del Pecten Cismonis Men. ri- tiene che la specie, pur trovandosi nel Trias superiore, abbia nondimeno il suo massimo sviluppo nella Oolite inferiore o nel Lias, perchè secondo lo stesso studioso, si trova con mag- gior frequenza in questi ultimi strati che nella dolomia. Queste osservazioni non sono esatte; il Prof. De Stefani raccolse in- fatti sino dal 1895, a Vannin presso il ponte sul Cismon, di- versi frammenti di dolomia, recanti tutti impronte, talvolta anche numerose, del Pecten descritto. Ciò sta a mostrare come la specie in parola sia tutt’altro che rara a trovarsi nel Trias; FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 471 ma anzi in alcune località, come ad esempio in quella ricor- data, si ha una vera lumachella di Pecten Cismonis Men. Quanto al Pecten , che il Secco dice frequente nei calcari oolitici, ed attribuisce alla specie in questione, si tratta al con- trario, come ho avuto campo di mostrare in altro mio lavoro, sul Lias inf. del Canal di Brenta, di una specie ben distinta dal Pecten Cismonis Men. che è esclusivamente triassico. Oltre che dalla località ricordata, gli esemplari da me esa- minati di Pecten Cismonis Men. provengono dalla Salita al Corlo presso Cismon, da Cismon e dalla Salita alla Rocca presso il ponte sul Cismon. Di tutte le specie alle quali ho paragonato il Pecten Ci- smonis Men. la più vicina sembra essere il Pecten terebratu- loides Klipst, per la forma delle valve e per la distribuzione generale delle coste. Quest’ultime però hanno conformazione diversa e sono divise da spazi più grandi di esse; circo- stanza la quale fa sì che nel Pecten terebratnloides Klipst. gli -ornamenti sieno sulle valve meno numerosi che nel Pecten Ci- smonis Men. ('). Forma non molto lontana dalla nostra è pure il Pecten Thiollieri Martin ; ma sebbene le valve abbiano contigurazione pressoché identica a quella del Pecten Cismonis Men., se ne dif- ferenziano per una diversa struttura delle coste, che sono ango- lose e attraversate da finissime strie concentriche (2). Arca Carpinensis Rossi. (Tav. XV, fig. 5 a, b). 1888. Arca Carpinensis - Rossi in Parona, Contributo allo studio dei Megalodonti, pag. 4. Questa specie rimasta sino ad oggi inedita alla pari del Pecten Cismonis Men., fu soltanto citata dal Parona nell'elenco •di fossili della dolomia bassanese più volte citato. (') Cfr. Laube, Die fauna dpr Schicliten von St Cassian, Bivalven } pag. 72, tav. XX, fig. 11. (?) Cfr. Martin, Palaeontologie strati g > aplvque de V In fra- Lias de la Cote- d' Or, pag. 89. tav. VI, fig. 21-23 (Mémoires de la Société Géolo- .gique de France. Deuxiéme sèrie, tome septième. Paris, 1862). 32 472 D. DEL CAMPANA Gli esemplari sui quali il Rossi la istituì, furono raccolti a Stia dell’Oca presso Carpenè e sono ridotti a modelli di im- pronte. Ciò se può farei apprezzare la conformazione della con- chiglia in generale, impedisce di osservare gli ornamenti delle valve all’esterno, o le loro impressioni muscolari all’interno. In un solo caso si vede ancora abbastanza conservata l’area liga- mentaria, sopra la quale si ripiegavano gli uncinetti, spostati sensibilmente verso la parte anteriore. Le valve, molto strette ed allungate, mostrano posteriormente una incavatura triangolare, la quale originandosi presso Toni- bone e costeggiando per un certo tratto l’area ligamentaria, si spingeva con probabilità tino al bordo esterno della valva, slar- gandosi gradatamente. Le dimensioni ricavate dal più cómpleto degli esemplari da me esaminati, colla maggiore approssimazione possibile, sono le seguenti : Diametro umbono-ventrale nini. 13,5 » aliterò posteriore » 30 (?). Varie sono le specie alle quali ho confrontato gli esemplari in questione, ma in nessuna di esse mi è sembrato di riscon- trare somiglianze tali da ritenere non buona la specie di Carpenè. Cito innanzi tutto un piccolo esemplare triassico proveniente da Musi in Friuli, che già il Marinelli ebbe campo di esami- nare e classi beare solo genericamente nella sua interessante opera su quella regione. L’Arca sp. di Musi offre nei suoi ca- ratteri generali molta affinità colla nostra; al pari della quale ha valve molto strette ed allungate. In essa però l’ombone ap- pare più piccolo e meno marcata la depressione sulla parte po- steriore delle valve. Anteriormente poi queste si ripiegano in maniera da dar luogo ad una lunula più ricurva e molto proba- bilmente anche più larga che nell ’Arca Carpinensis Rossi (’). L’Arca aviculina Schafh. ha valve più slargate e meno re- golarmente conformate della nostra. Vi si nota inoltre un'area ligamentaria comparativamente più ristretta, sebbene la con- O Cfr. Marinelli, Descrizione f/eolof/ica dei dintorni di Tarcento in Friuli, pag. t£4. L’esemplare citato fa parte della collezione del Museo di Geologia e Paleontologia di Firenze. FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 473 formazione degli omboni offra delle somiglianze colla nostra specie (’). Mostrano pure qualche affinità alcune delle forme del Trias Alpino di S. Cassiano, poste dal Bittner sotto la determinazione di Cucullea (Macrodon?) formosissima d’Orb. Esse hanno però dimensioni più ridotte dell’arca Carpinensis Rossi, una lunula più breve e più pianeggiante e gli omboni meno rigonfi (5). Maggior somiglianza offre invece la Cucullea Tschapitana Broili (3) ; io però non ho creduto di potervi riunire le forme di Carpenè, perchè esse presentano un uncinetto più rigonfio, valve più brevi e percorse posteriormente da una incavatura diversa- mente conformata da quella che si vede nei due tipi di forme ascritti dal Broili alla specie da lui istituita. Però non bisogna d’altra parte trascurar di notare che gli esemplari del Bassanese non sono del tutto conservati e potrebbe benissimo darsi che, avendo a disposizione esemplari migliori, si finisse per riconoscere che le forme del Rossi e quelle del Broili appartengono ad una medesima specie. In tal caso, essendo rimasti inediti gli esemplari studiati dal Rossi, spetterebbe al Broili il diritto di priorità nella denomi- nazione. Oggi per altro col materiale che io ho a mia disposizione e per le differenze morfologiche notate sopra, debbo ritenere come buona la specie del Rossi e conservarla. Dicerocardium cfr. Curioni Stopp. 1888. Dicerocardium cfr. Curioni - Paroua, Contributo alio studio dei Megalodonti, pag. 4. Il Parona pose sotto tale denominazione molti esemplari i quali presentano alcune somiglianze colla specie dello Stoppani, (1) Stolizka, Ueber die Gastropoden undAcephalen d. Hierlatz Schichten, pag. 195, tav. VI, fig. 8. (Sitznngsberichte der malli, natunv. Classe der K. Akademie der Wissenschaften. Wien, 1861. Band XLIII). (2) Bittner, Lamellibranchiaten der Alpinen Trias, tav. XV, fig. 3-7, pag. 119 (Abhandlungen d. k. k. Geologischen Reichsanstalt. Band XVIII. Broili F., Die fauna der Pacliycardientuffe der Seiser Alp., pag. -Uo, tav. XXIV, fig. 31-35 (Palaeontographica. Beitriige zar Naturgesc nc te der Vorzeit, Fiinfzigster Band. Stnttgart, 1903). 474 D. DEL CAMPANA ma ne diversificano per un maggiore sviluppo e per alcuni ca- ratteri della conchiglia. Ciò non ostante, non trovandosi detti esemplari in buono stato di conservazione, il Parona dovè limi- tarsi solo a ravvicinarli alla specie dello Stoppali!. Le località nelle quali furono raccolti questi fossili sono: Solagna, Pian dei Zocchi, Carpenè, Cava Guarnieri e Stia dell’Oca presso Carperò. Megalodon Gùmbelii Stopp. 1883. Megalodon Gùmbelii - Secco, Note Geologiche sul llossanese, pag. IO. 1888. » » - Parona, Contributo allo studio dei Megalo- donti, pag. 5. 1902. Megalodon Gùmbelii - Marinelli, Descrizione geologica dei dintorni di Tar cento, in Friuli, pag. 150 {cuin syn.). 1905. Megalodus Gùmbelii. Galdieri, La Malacofauna Triassica di Gif- foni nel Salernitano, pag. 14. (Atti d. R. Accad. d. Se. tis. e mat. di Napoli, voi. XII, serie 2a, n° 17). Numerosi esemplari di svariate dimensioni provenienti dalle località di Carpenè (Cava Guarnieri), Stia dell’Oca, Vigneto del Do, al Merlo, Pian dei Zocchi (Carpenè). Megalodon Seccoi Parona. 1888. Megalodon Seccoi - Parona, Contributo allo studio dei Megalo- donii, pag. 5, tav. I, II, III. La specie in questione fu ampliamente descritta ed illustrata dal Parona. Gli esemplari assai numerosi provengono dalle vicinanze di Solagna, uno fu raccolto a Stia dell’Oca presso Car- penè (Solagna). Megalodon infraliasicns Stopp. 1860-65. Conchodon infraliasicns - Stoppani, Appendice sur les cotiches à Avicula contorta. Deuxiéme partie. Paleontologie Lom- barde, 3U sèrie, pag. 246, tav. 38, 39, 40. 1880. Megalodus infraliasicns - Hoernes, Materiale n :u einer Monographie der Gattung Megalodus (Denk. d. Matliem. Natunv. Classe d. Kais. Akad. d. Wisscnsch., Bd. XL, pag. 18, Wien. 1888. Megalodon infraliasicns - Parona, Contributo allo studio dei Me- galodonti, pag. 7. FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 475 Ho esaminato di questa specie due esemplari raccolti nella dolomia al Merlo, di fronte al Molino, presso Solagna. La so- miglianza cli’essa presenta colle figure della specie in parola, date dallo Stoppani, apparisce a prima vista. Lo stato poco buono di conservazione degli esemplari impedisce per altro di fare osservazioni sulla cerniera, che nel caso nostro sarebbero molto interessanti. E noto infatti che il Megcilodon infraliasicus Stopp. fu dallo stesso Stoppani classificato sotto la nuova determinazione ge- nerica di Conchodon, appunto in forza di una supposta diversa conformazione della cerniera, mentre l’Hoernes, giustamente se- condo me, ritenne non doversi ammettere la nuova denomina- zione, perchè basata su caratteri della conchiglia poco facil- mente apprezzabili ed insufficienti per venire all’istituzione di un nuovo genere. Il Megalodon infraliasicus Stopp. fu trovato per la prima volta alla base degli strati dell’Infralias superiore Lombardo, secondo lo Stoppani corrispondenti agli strati a Fauna Hettan- giana del Dachsteinkàlk. Lucina Paronai sp. n. (Tav. XV, tig. 6 a, b, 7). 1888. Venus sp. Parona, Contributo allo studio dei Megalodonti , pag. 4. Nell’elenco dei fossili della dolomia di Carpenè dato dal Parona, gli esemplari di cui intendo ora parlare e che furono più precisamente raccolti a Stia dell’Oca, si trovano posti sotto la determinazione generica di Venus. Un esame accurato ed estesi confronti con varie specie note mi hanno invece consi- gliato a porli sotto la determinazione di Lucina, 'genere al quale mi sembra debbano riunirsi per la conformazione delle loro valve e per i caratteri della regione cardinale. Detti esemplari sono per la massima parte modelli più o meno completi di impronte lasciate nella dolomia dalla con- chiglia, ed uno di essi mostra visibili delle strie concentriche le quali rappresentano le strie d’accrescimento che nell’esem- plare perfetto si osservavano sopra le valve. 476 D. DEL CAMPANA Un altro esemplare, il più grande di tutti quelli esaminati, riproduce al contrario la cavità interna della conchiglia e mostra conservate su ambedue i lati le impressioni muscolari. Queste •si trovano sopra la parte anteriore e sono rappresentate da un solco ricurvo colla concavità rivolta in avanti, situato a circa metà dell’altezza dell’esemplare. Si nota inoltre da ciascun lato un solco che si origina presso l’apice dell’ombone e scende verso i bordi in prossimità della lunula, arrestandosi poco sotto al punto ove questa finisce. Le dimensioni delle conchiglie sono varie, probabilmente a seconda dell’età dei diversi individui; quelle che ho potuto rica- vare nel più grande e nel più piccolo di tutti sono le seguenti : Diametro umbono-ventrale mm. 35 mrn. 23 » antero- posteriore » 30 » 19 (?). È però da osservarsi che le maggiori dimensioni essendo state prese su quello degli esemplari che riproduce la cavità interna di una conchiglia, debbono ritenersi minori di quelle che si sarebbero potute ricavare misurando un esemplare completo. La conchiglia della Lucina LJaronai nob. è resa oltremodo caratteristica dalla marcata inequilateralità delle valve, le quali appaiono quasi troncate o leggermente arrotondate dal lato poste- riore, mentre dal lato anteriore sono più assai allungate e con- formate in modo da dar luogo ad una lunula stretta e ricurva. Gli omboni non molto prominenti, sono inclinati verso l’interno, ed hanno l’apice rivolto verso la parte anteriore. In mezzo ad essi si nota il dente cardinale, il quale era molto sviluppato % specialmente dal lato posteriore. La conformazione speciale delle valve rende la nostra specie facilmente riconoscibile tra le specie note, delle quali ben poche invero offrono colla nostra qualche leggerissima somiglianza. La Lucina Gornensis Par. della Fauna Iìaibliana di Lombardia (pag. 139, tav. XIII, fig. 2 a, b ), sebbene al pari della nostra abbia lunula stretta ed allungata, ha valve subcircolari, appena più alte che larghe, mentre, come si vede dalle dimensioni date sopra, l’altezza supera nella nostra specie la larghezza. FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 477 Qualche somiglianza maggiore offre colla Lucina Paronai nob. la Lucina plana Ziet. del Toarciano; ma in questa tro- viamo una lunula poco ricurva e la parte posteriore della valva più ristretta. Ciò viene a dare una posizione diversa al corsaletto, che è più abbassato, e determina anche una diversità nel bordo ventrale, che nella specie del Toarciano è sfuggente, e con- corre a far prendere forma sub-triangolare alla metà posteriore delle valve. Gasteropodi. Worthenia confabulata Costa. (Tav. XV, fig. 8). 1864. Trochus contabulatus - Costa, Note geologiche e paleontologiche sui monti pi acentinisnel principato ulteriore, Atti istor. incor. Napoli, 2n serie, pag. 232, tav. 5, fig. 4. 1864. Fleurotomaria - Montagna, Generazione della Terra, pag. 311, tav. XLVIII, fig. 3. Torino. 1864. Straparollus (Euomphalus) - ld., ibid., pag. 308, tav. XLVIII, fig. 4. 1860-65. ‘ Turbo Songavatii - St.oppani, Geologie et Paleontologie des Cou- ches à Avicula Contorta, Paléontologie Lombarde, 3e sèrie, pag. 255, tav. 59, fig. 7. 1860-65. Delphinula Escheri - Id. Ibid., pag. 256, tav. 59, fig. 12-14. 1866. Turbo solitarius - Benecke, Ueber Trias und Jura in den Sii d Alpen. (Miinchenì, pag. 155, tav. 2. 1878. Turbo solitarius - Von Ammon Die Gastropoden des Haupt-dolo- mites und Plattenkalkes des Alpen. (Abhandlungen d. zool. inineralog. Vereines zu Regensburg, Miinchen), pag. 26, (cum syn.). 1882. Turbo solitarius - Taramelli, Geologia delle Provincie Venete, pag. 407. (Atti d. R. Accad. d. Lincei), Anno CCLXXIX. serie terza, Memorie d. cl. di Se. fis , mat. e Nat , voi. XIII. 1883. Turbo solitarius - Secco, Note geologiche sul Bassanese, pag. 40. • 1888. » » - Parona, Contributo allo studio dei Megalodonti, pag. 4. 1889. Guidonia Songavatii - De Stefani, Le pieghe delle Alpi Apuane, pag. 10, 19, 20. (Pubblicazioni del R. Istituto di Studi supe- riori pratici e di Perfezionamento in Firenze, Sez. d. Se. Fis. e Nat.). 1902. Fleurotomaria contabulata - Marinelli, Descrizione geologica dei dintorni di Tarcento nel Friuli. (Op. cit., pag. 156, tav. II, fig. 1 (cum syn.). 478 D. DEL CAMPANA 1903. Wortlienia Songavatii - Tommasi, Revisione della fauna a mol- luschi della dolomia principale della Lombardia, pag. Ili, tav. XVIII, [III], tig. 8, 9. (Palaeontographia Italica, voi. XI. Pisa). 1903. Schizogonium (?) Esclieri - Id. I bid., pag. 116, tav. XVIII [III], tig. 16-21. 1905. Wortlienia solitaria - Galdieri, La inai aco fauna Triassica di Gif- foni nel Salernitano , pag. 10, tig. 2. Intorno al nome di questa specie che il Costa per primo descrisse col nome di Trochus contabulatus e che successiva- mente venne chiamata col nome di Turbo Songavatii dallo Stoppani, Turbo solitarius dal Benecke, ha già scritto il Mari- nelli nel suo lavoro citato in sinonimia, ritenendo che la prio- rità di denominazione spetta sen’altro al Costa che pel primo fece conoscere la specie in questione. Il Dott. A. Galdieri dell’Università di Napoli in una sua interessante memoria sulla Malacofauna Triassica di Giffmii nel Salernitano, descrive e figura la specie in parola è le sue osser- vazioni concordano in sostanza con quelle fatte da me. Egli però adopera la denominazione specifica solitaria proposta dal Benecke, perchè non ritiene pratico sostituire a questo nome tanto conosciuto quello poco noto di contabulata proposto dal Costa. Pur riconoscendo che non tutto ciò che è giusto riesce ugualmente pratico, sono di parere che la denominazione del Costa debba esser conservata, perchè ritengo che alla pratica debba essere anteposta la giustizia. Il Tommasi, in un suo recente lavoro su i Molluschi Trias- sici di Lombardia, cita la Wortlienia contabulata Costa sotto il nome di Wortlienia Songavatii Stopp. e la tiene genericamente e specificamente separata dalla Delpliinula Escheri Stopp. da lui attribuita con dubbio al Gen. Schizogonium Kok. Avendo a mia disposizione un discreto numero di esemplari ho voluto nuovamente riprendere in esame la questione dell’i- dentità o no della Delpliinula Esclieri Stopp., col Turbo Son- gavatii Stopp., ed espongo qui i risultati delle mie osserva- zioni. Esaminando dunque i miei esemplari, non mi è sembrato di riscontrare tra essi due tipi di forme così diverse da poterne fare due specie tra loro separate. FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 479 Quelli infatti dei miei esemplari che riproducono il nucleo della conchiglia, assumono senz’altro una forma che li ravvi- cina alla Delphinula Esclieri Stopp., mentre quando si tratti di modelli di conchiglia, facilmente se ne apprezza la somi- glianza col Turbo Songavatii Stopp. Tali osservazioni mi verrebbero confermate da un’impronta assai completa di un grosso esemplare, raccolta alla Fornace di Campolungo. Questa impronta, confrontata coll’altra figurata dallo Stoppani ( op . cit., tav. 59, fig. 13) come appartenente alla Del- phinula Escheri Stopp., vi si mostra perfettamente identica in tutti i suoi caratteri; ma avendone ricavato il modello in gesso, questo anziché somigliare alla specie ricordata, si assomiglia notevolmente al Turbo Songavatii Stopp., figurato dallo stesso Stoppani (op. cit., tav. 59, fig. 7). È su questa impronta che ho potuto osservare come gli anfratti fossero superiormente at- traversati da numerose e sottili strie sigmoidali, che appari- scono ugualmente sui lati degli anfratti e che debbon, secondo me, ritenersi per strie d’accrescimento della conchiglia. Quanto agli esemplari delle due specie in questione figurate dal Tommasi, mi sembra che pure essi offrano tra di loro delle somiglianze ben marcate, segnatamente quelli rappresentanti due piccoli esemplari, l’uno di Worthenia Songavatii Stopp., l’altro di Delphinula Escheri Stopp. (Cfr. op. cit., tav. Ili, fig. 9 e 21). Tutte queste considerazioni appunto mi hanno convinto a tener riunite queste due specie, seguendo in ciò il parere di altri studiosi, tra i quali il Y. Ammon, che già prima di me aveva osservato le affinità che passano fra di esse. Insieme alla Delphinula Escheri Stopp. vanno pure riunite alla Worthenia contabulata Costa, due altre forme figurate dal Montagna (op. cit.) l’una sotto il nome di Eleur otomaria, l’altra sotto il nome di Straparollus (Euomphalus). La seconda era già stata unita alla nostra specie dal Marinelli; l’altra pure, secondo me, vi appartiene per la conformazione dei suoi anfratti e per lo svolgimento della sua spira, simile a quello che si osserva nella Worthenia contabulata Costa. Tra le forme che si possono confrontare con quest’ultima, ossia colla Worthenia Songavatii Stopp., il Tommasi ricorda 480 D. DEL CAMPANI molto giustamente la Worthenia Iohannis Austriae Ivlipst., di S. Cassiano. A queste va aggiunta, con maggior ragione se- condo me, la Worthenia pusilla Stopp., i cui giovani esem- plari, come osservò già lo stesso Tommasi, offrono somiglianza assai spiccata coi giovani esemplari di Worthenia Songavatii Stopp. Io non l’ho riunita alla sinonimia della nostra specie perchè non ne ho potuto esaminare direttamente alcun esemplare. Il Parona aveva già ricordato sotto il nome di Turbo soli- tarius Ben. la Worthenia contabulata Costa, tra i fossili della dolomia della Valle del Brenta. Aggiungerò che essa vi si trova molto numerosa, specialmente nella dolomia compatta. Gli esemplari da me esaminati provengono dalle località seguenti : Vigneto del Do, Fornace di Campolungo, Strada Cam- polungo-Oliero, Olierò, Valle Scura, Valgadeua, Stia dell’Oca, Carpenè. 11 Prof. De Stefani ha ritrovato la specie in discorso del Trias dei Sette Comuni alla salita del Costo. Turbo rectecostatus Hauer. 1850. Turbo rectecostatus - Hauer, Ueber die von Herrn Bergrath W. Fachs iti detti Venetianer Al peti gesammeten fossilien (Aus dem II. Bande der Denkschriften der raatematisch-natur- Avissenachaftliehen Classe der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften besonders abgedruckt.), pag. 0, tav. Ili, fig. 10. 1878. Turbo rectecostatus - Lepsius, Bas Westliche Siid Tirol ( Akademie der Wissenschaften zu Berlin), pag. 42, 44,46, 49, 78, 111, 231, 309. 1882 Turbo rectecostatus - Tommasi, Il Trias inferiore delle nostre Alpi coi suoi giacimenti metalliferi. Il Pizzo dei tre Signori, pag. 66, tav. I, fig. 13. Milano, F. Vallardi. 1895. Turbo rectecostatus - Tommasi, La fauna del Trias inferiore nel versante meridinale delle Alpi, pag. 65, tav. IV, [tav. II], fig. 7 a, b. Questa specie mi è nota solo da un’impronta la quale lascia vedere assai bene conservati gli ornamenti degli anfratti, e la loro sezione. Un confronto fatto tra detta impronta e le figure riportate dall’Hauer e dal Tommasi mi ha mostrato la somi- glianza perfetta col Turbo rectecostatus Hauer. Località non pre- cisata nel Trias superiore di Solagna. FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 481 Cirrus dolomiticus sp. n. (Tav. XV, fig. 9). Specie a me nota per un’impronta che riproduce solo tre giri della conchiglia. Crii anfratti sono ornati da rilievi longi- tudinali, costiformi, i quali circa la metà del loro percorso pre- sentano un ingrossamento a guisa di punta. Questi ornamenti si vanno distanziando tra loro a misura che la spira si accresce e si arrestano alla sutura, però si cor- rispondono tra loro nei diversi giri. TIn esame minuzioso del- l’impronta mostra che nell’ultimo giro le coste avevano in pros- simità della sutura un secondo tubercolo più piccolo del prece- dente; tale carattere si notava forse nell’esemplare anche sui giri superiori, ma l’impronta non lo mostra conservato. La spira si svolge regolarmente, però l’ultimo giro si ac- cresce più assai degli altri; la sezione è in tutti circolare. Delle specie note, quella che più si avvicina al Cirrus dolo- miticus nob. è il Cirrus (Turbo) Hoernesi Stol. (1), che il Gemmel- laro riunì insieme ad altre forme affini, nel nuovo genere Scaevola da lui istituito ; e che io ritengo, come già lo Zittel, sinonimo del Gen. Cirrus. Il carattere che nella specie di Stoliczka, offre principal- mente un punto di contatto colla nostra, è dato dagli orna- menti degli anfratti, che nelle due forme si assomigliano assai. Nella prima di queste però si mostrano più scarsi e per giunta la conchiglia vi è più turricolata fino dai primi giri. È inoltre da notare che mentre il Cirrus Hoernesi Stol. ha sugli anfratti numerosi rilievi trasversali, nel caso nostro di questi ornamenti non rimane che lievissima traccia, in corrispondenza dei tuber- coli già notati sulle coste longitudinali. Ciò proviene, se non m’inganno, dall’essere stati nel Cirrus dolomiticus nob. meno numerosi e lo proverebbe a mio credere la conformazione delle stesse coste. Infatti è appunto l’incontro degli ornamenti tra- sversi con quelli longitudinali, che dà luogo alla formazione dei tubercoli più sopra osservati. G) Stoliczka, Ueber die Gastropoden und Àcephalen der Hierlatz Scin- diteli, pag. 176, tav. Ili, fig. 14 a, b. 482 D. DEL CAMPANA Riproducendo l’impronta da me studiata ben poca parte della conchiglia, non ho potuto prendere sopra di essa che misure ap- prossimative secondo le quali mi risulterebbe un angolo spirale di 62°. L’altezza del frammento è di mm. 12. Ho già notato come, seguendo il parere dello Zittel, io riu- nisca il gen. Scaevola Gemili, al Gen. Cirrus Sow. Il Gemmel- laro, nell’istituire il nuovo genere su alcune specie del Lias in- feriore della Prov. di Palermo, credè di riscontrare in esso grandi analogie colle Liotiae, insieme alle quali lo ascrisse al gruppo delle Liotiidi (1). Se per tipo di questo gruppo si deve prendere la Liotia Der- willei Desp. figurata da Zittel, ed il Cirrus nodosus Sow. per tipo del genere Cirrus Sow., i confronti e il ravvicinamento con quest'ultimo del Gen. Scaevola Gemm. vengono facilissimi, secondo me. Infatti in ambedue i generi .abbiamo conchiglia sinistrorsa, più o meno conico-turricolata ed ombelicata. Allo stesso modo tanto nei Cirrus quanto nelle Scaevolae si notano i cingoli longitudinali e le strie trasversali ; mentre nelle Liotiae la con- chiglia non è mai sinistrorsa ed ha forma globosa o discoide, come ebbe a notare anche il Gemmellaro. Può darsi che avendo a disposizione un materiale copioso e ben conservato, si trovi che qualche leggera variante passi tra i Cirrus veri e propri e le forme sulle quali il Gemmellaro si basò per istituire il suo nuovo genere. Ma se non mi in- ganno, più che come genere affatto distinto si potrebbe tenerle separate come sotto genere, facendo per i Cirrus quanto si è fatto per altri generi. Cirrus triadicus sp. n. (Tav. XV, fig. 10). Specie che nell’insieme dei suoi caratteri ricorda l’altra da me classificata sotto il nuovo nome di Cirrus dolomiticus. (') Gemmellaro, Faune Giuresi e Liasiche, n. 8. Sui fossili del calcare cristallino della Montagna del Casale e di Beilampo nella Provincia di Palermo, pag. 340. — Zittel, Palaeontologie, Mollusco, pag. 100. FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 483 La conchiglia si svolge regolarmente ; gli anfratti non troppo ravvicinati tra loro, hanno sezione circolare. Di questi ho po- tuto, ricavando al solito dal rilievo l’impronta, osservare la con- formazione generale della conchiglia e i suoi ornamenti. Erano essi costituiti da serie longitudinali di tubercoletti, quattro nel giro esterno, tre nell’interno, che attraversavano i giri della spira, descrivendo una linea leggermente obliqua verso l’esterno, e si arrestavano presso la sutura in corrispondenza delle serie che sono sull’anfratto precedente; l’impronta da me esaminata offre però anche il caso di due serie nell’anfratto inferiore le quali convergono verso una sola nell’anfratto soprastante. Non posso dire con esattezza quante di queste serie si notassero sopra ogni giro nella conchiglia completa. Nell’impronta da me esa- minata, e che riproduce una metà dell’esemplare, ho notato tre serie sull’anfratto superiore, e cinque nell’inferiore. È inoltre a notarsi che detti ornamenti sono sempre più ravvicinati tra loro a misura che dal peristoma si sale verso i primi giri della con- chiglia, i quali erano inoltre attraversati da strie trasversali di cui l'impronta rivela assai chiaramente l’esistenza, quantunque non li mostri conservati tutti. Avendo cercato di misurare colla maggiore approssimazione l’angolo spirale della conchiglia col goniometro, esso mi ha dato un’angolo di circa 60°. All’esemplare descritto ho creduto di dover riunire il nucleo di un secondo Cirrus. Questi, sebbene sia di dimensioni molto maggiori, pure offre un identico avvolgimento di spira e mostra sugli anfratti i rilievi costiformi corrispondenti alle serie di tubercoli notate sopra. Detti rilievi si notano di preferenza nella parte più interna della spira, ed hanno perduto la direzione obliqua verso l’esterno notata già sopra ma portano lungo il loro percorso vari rigonfiamenti, di cui due ben visibili nella regione mediana dell’anfratto, e che stanno secondo me a rap- presentare quei tubercoli che ornavano il guscio nell’esemplare completo. Questo secondo individuo fu raccolto nella località di Stia dell’Oca. Per ciò che riguarda le forme colle quali la nostra può presentare delle somiglianze, nessuna di quelle esaminate mi 484 D. DEL CAMPANA sembra che più gli si avvicini del Cirms intermedius Gemm. ('), per la generale conformazione della conchiglia e per gli orna- menti degli anfratti. Però se ne distingue nettamente per avere una spira con giri più serrati, più rapidamente accresciuti e quindi conchiglia meno turricolata. Quanto agli ornamenti le serie di tubercoli sono molto più numerose, ma assai meno scolpite che uella specie nostra. Le stesse osservazioni si potrebbero su per giù ripetere pel Cirrus Busambrensis Gemm. (2), il quale per altro ha una spira con ornamenti più irregolari e con angolo più acuto della no- stra specie. Cirrus Seccoi sp. n. (Tav. XV, fig. 11-13). Questa specie mi è nota per diverse impronte che dopo aver confrontato nella maggior larghezza possibile coi Cirrus co- nosciuti, ho dovuto tener separata specificamente. La spira fino dai primi giri si svolge regolarmente, ed è formata da anfratti a sezione circolare, i quali vanno gradata- mente ingrossandosi fino all’ultimo che assume ad un tratto di- mensioni maggiori degli altri. Il numero dei giri nelle impronte da me studiate, non è in tutte uguale, perchè molte sono la- sciate da frammenti di conchiglie. In quelle più complete ho potuto contarne fino a sette, e su un rilievo in gesso ricavato da una di queste ho potuto ricavare le seguenti dimensioni: Angolo spirale Altezza totale della conchiglia . » dell’ultimo giro . . . Larghezza » » . . . Altezza del penultimo giro . . Larghezza » » . , . . 28° mm. 26 » 11 » 14 » 4 » 5. Uno sguardo complessivo a tutte le impronte che ho avuto a disposizione, potrebbe a prima vista farne apparire alcune prodotte da conchiglie un po’ meno turricolate; ma i rilievi in (*) Gemmellaro, op. cit., pag. 342, tav. XXVII, fig. 7 a 9. (*) Gemmellaro, op. cit., pag. 341, tav. XXVII, fig. 1, 2. FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 485 gesso che mi son dato cura di ricavarne, offrono tra loro somi- glianze tali che non possono essere tenuti distinti. Si tratta, se- condo me, di individui di varia età i quali appaiono per ciò forniti di conchiglia più corta e come ho notato poc’anzi, meno turricolata. Delle impronte da me studiate, fatta eccezione per una, le altre non presentano su gli anfratti ornamenti di sorta, quali si notano in molti dei Cirrus conosciuti. L’unica impronta sulla quale si vedono ancora conservate tracce di ornamentazione è cosi poco bene riprodotta che non si presta a descrizioni detta- gliate. Io l'ho riunita a quelle già descritte perchè nella forma generale la conchiglia si assomigliava perfettamente. Il Cirrus Seccoi nob. è tra le specie che si trovano con maggior frequenza nella dolomia saccaroide. Non mi è avve- nuto di riscontrarne alcun esemplare nella dolomia compatta. Per quanto, come è stato detto, abbia confrontato le impronte descritte con torme di Cirrus già conosciute, nessuna secondo me offre delle affinità colla nostra specie degne di esser notate. Il genere Cirrus Sow. ha in generale la conchiglia molto meno turricolata e pure tenendo conto della forma che alcuni Cirrus possono avere nell’età giovanile, quale ad esempio il Cirrus ornatus Mgh., la differenza è molto grande, anche se dovesse supporsi che le nostre impronte riproducano solo il nucleo della conchiglia. Meno profonda, ma pur sempre grande, appare la diversità colle forme appartenenti al gen. Hamusina Gemili.^). Il Gemniel- laro che stabilì questo genere su alcuni esemplari del calcare cristallino di Palermo, lo disse caratteristico delle formazioni liasiche, e più tardi lo Zittel (Palaeontologie, pag. 90) lo riunì insieme al genere Cirrus Sow. al gruppo delle Turbininae Adams. Per parte mia debbo notare che le impronte studiate, oltre ad essere come abbiamo visto, prive di ornamento (eccezione fatta per una), ciò che non succede nelle forme del genere Hamusina Gemili., hanno gli anfratti con sezione marcatamente circolare e ben divisi tra di loro. Onde possiamo arguire che (*) (*) Gemmellaro, op. cit ., pag. 337. 486 D. DEL CAMPANA anche la conchiglia doveva avere tal carattere, contrariamente alle Hamnsinae , i cui infratti sono ben saldati tra loro ed offrono superficie più o meno pianeggiante. Tutto ciò mi fa ritenere che la specie in questione debba stare separata, come nuova, dalle specie di Cirrus fin qui note. Neritopsis compressala Giimbel. 1861. Neritopsis compressula - Giimbel, Geognost. Beschreib. d. bayer. Alpengeb., pag. 861. 1861. Neritopsis compressula - Giimbel, Verzeichn. neuer Arten, u. s. w., 1. c ., pag. 65. 1878. Neritopsis compressula - Von Ammon, Die Gasiropoden del Haupt- dolomites , pag. 15. 1892. Neritopsis compressula - Von Ammon, Die Gasiropoden fauna des Hochfellen- Kalkes und iiber Gasiropoden Feste aas Abla- gerungen von Adnet , rotn Monte Nota und den Roibler Schi- chten., pag. 174, fig. 12. (Geogn. Jahresheft. 5, Jahrg . Specie rappresentata da una sola impronta la quale essendo abbastanza ben conservata, mi ha permesso facilmente di venire ad una classificazione sicura. Un modello in gesso da me rilevato mi convince maggior- mente a ritener giusto il ravvicinamento fatto. Tanto nella forma da me esaminata quanto in quella del Giimbel, la con- chiglia ha rapido accrescimento, essendo i primi anfratti picco- lissimi in confronto dell’ultimo che è molto sviluppato. Anche le dimensioni sono pressoché uguali. Quelle che ho potuto rica- vare dalla mia impronta sono le seguenti: Altezza mm. 8. Lunghezza » 11. La stessa somiglianza si riscontra osservando nella mia im- pronta la conformazione dei giri ed i loro ornamenti. Essi in- fatti appaiono superiormente pianeggianti e lateralmente non troppo convessi. Sono altresì percorsi in direzione longitudinale da coste regolarmente disposte le quali, a quanto sembra, non si estendono sulla parte superiore del giro, carattere che si nota pure nella specie del Gitmbei. FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 487 Un esame attento della impronta mostra altresì che i giri nel senso della larghezza erano percorsi da sottili rilievi lineari assai numerosi, i quali incontrandosi cogli ornamenti longitu- dinali, davano luogo a piccoli nodi di cui non ho potuto preci- sare il numero per ciascuna serie. Lo stesso particolare si osserva pure nelle figure della specie citate in sinonimia. Colla Neritopsis compressala Giimb. oltre alle forme già ricordate dal Von Ammon, offre alcune affinità degne d’essere notate la Neritopsis armata Ritti. var. cancellata Ritti., sia per la conformazione della conchiglia, come per gli ornamenti degli anfratti. In essa però i rilievi longitudinali si prolungano anche sulla parte superiore dei giri e le sottili strie trasver- sali sono più appariscenti e forse meno numerose che nella Neritopsis compressala Giimb (‘). Le stesse osservazioni si possono fare per la Neritopsis de- cussata Mtinst. var. nodulosa Miinst., la quale ha anche con- chiglia meno slargata della nostra specie e quindi più glo- bosa e con anfratti più rigonfi, sebbene non molto diversamente ornati ((i) 2). L’impronta studiata fu raccolta in località ignota del Trias superiore di Solagna. Neritopsis Bassanensis sp. n. (Tav. XV, fig. 14). Ho esaminato di questa specie tre impronte le quali ripro- ducono buona parte dell’ultimo giro della conchiglia. Di orna- menti restano in tutte visibili le coste longitudinali ben scolpite e regolarmente disposte; in una delle impronte io ho potuto contarne sino ad otto, nelle altre non se ne scorgono che quatti o o cinque. Gli anfratti erano inoltre attraversati da sottili strie che si incrociavano colle coste dando luogo nel punto di incontro a (i) Ritti., Die Gastropoden der Schichten von St. Cassimi der Sud Alpinen Trias, pag. 37, tav. V, fig. 6. (Armai, d. K. K. Naturhist. Hofmu- seums. Band VII, 1892). (*) Ibid., tav. V, fig. 17-23, pag. 40. 488 D. DEL CAMPANA piccoli rilievi. Questo carattere della conchiglia si trova con- servato abbastanza bene in una sola delle impronte esaminate ed appunto in quella più incompleta delle altre. Di tali strie nella porzione di anfratto che resta visibile se ne vedono otto, sottilissime, regolarmente distribuite e molto ravvicinate tra di loro; e si può argomentare che il numero di esse negli esemplari completi aumentava circa del doppio. Le altre due impronte, come già ho detto, non presentano tale carattere, ma la conformazione degli anfratti e le coste longitudinali offrono in esse somiglianze tali colla prima che le ho senz’altro riunite a questa, essendo a parer mio facil- mente spiegabile la mancanza in esse delle strie trasversali, colla deficienza di conservazione. Misure di dette impronte non possono darsi che approssi- mative; l’impronta che riproduce maggior parte di conchiglia, ha una larghezza massima di mm. 14 per una altezza di mm. 10. Tra le specie che, per la configurazione generale della con- chiglia, presentano affinità colla Neritopsis Bassanensis nob. è da ricordare la Neritopsis elegantissima Hoern., la quale diver- sifica dalla prima per avere meno numerose le coste longitu- dinali, mentre sono più irregolari e più numerose le strie tra- sversali d’accrescimento. Anche l’apertura boccale, a giudicare dai rilievi ricavati dalle nostre impronte, doveva essere mag- giore nella Neritopsis elegantissima Hoern. Un’altra specie affine è la Neritopsis Tarantella Gemili, del Calcare cristallino della Prov. di Palermo (Q ; ma in essa le coste o cingoli longitudinali, oltre ad essere più spesse, sono anche più scarse e non si spingono fino nella regione ombe- licale, come, da quanto potei osservare, succede nelle mie im- pronte. Anche la specie del Gemmellaro ò caratterizzata da strie trasversali d’accrescimento, ma mentre nel caso nostro esse sono in numero limitato, nella Neritopsis Taramellii Gemili, sono più assai numerose. Nuove affinità offre la varietà plicata della Neritopsis Ar- mata Miinst. riscontrata dal Kittl nel Trias di San Cassiano. In essa le coste longitudinali incontrandosi colle strie trasver- C) Gemmellaro, op. cit., pag. 29, tav. VI, fig 9, 10. POSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 48!» sali, danno luogo a dei rigonfiamenti di irregolare grossezza, e per giunta le strie pur non essendo numerose come nella forma del Gemmellaro, sono irregolarmente distribuite sugli anfratti ed hanno anche diverso spessore ('). Neritopsis sp. Specie che ricorda molto da vicino la precedente per la forma della conchiglia. Le coste longitudinali sono peraltro molto più numerose e più sottili. La loro disposizione però, a giudicare da quanto potei vedere, non è regolare, essendo in alcuni casi assai distanziate tra doro, in altri assai ravvicinate. Il numero delle coste in ambedue le mie impronte sale a nove, e poiché queste riproducono, a quanto sembra, la massima parte del giro ultimo, così si può ritenere che nell’esemplare completo potessero aumentare di poco. Delle strie trasversali non rimangono che poche e lievissime tracce nelle nostre impronte, e se ciò basta per indicarne l’e- sistenza, non permette di dare i particolari di tal carattere ornamentale. Le specie colle quali la nostra può avere lontana somiglianza, sono quelle già ricordate nel descrivere la specie precedente; però se la conformazione della conchiglia offre in dette forme dei punti d’affinità, la differenza è maggiore che nella Neritopsis Bcissanensis nob., perchè nel caso presente si ha un numero di coste assai maggiore che in tutte le altre ricordate sopra. Chenmitzia (Oonia) sp. ind. Credo dover riunire a questo sotto genere delle Cliemnitsiae un’impronta che mostra molta affinità colle specie di Oonia conosciute, per la conformazione generale della conchiglia. Nes- suna però di quelle offre colla mia impronta, del resto non completa, rassomiglian«e tali da permettere un ravvicinamento sicuro. Nella mia specie la spira era composta di almeno cinque anfratti, de’ quali l’ultimo era ingrossato assai più degli altri. (') Kittl, op. cit., pag. 37, fig. 7, 8. 490 D. DEL CAMPANA Il sotto genere Oonia , fu come è noto istituito dal Gemmel- laro, il quale lo distinse dalle Chemnitziae vere e proprie per avere la « conchiglia ovale, liscia e provvista di strie trasver- sali d’accrescimento sinuose. Bocca ovale, rotondata in avanti, ri- stretta indietro. Columella leggermente curvata ed incrostata. Labbro tagliente e sottile ». Ui tutti questi particolari, io non ho potuto osservare nel mio altro che la conformazione della conchiglia, la quale offre come dissi sopra qualche somiglianza con varie forme di Oonia riscontrate nei calcari cristallini della Prov. di Palermo prima del Gemmellaro, più tardi dal Carapezza e dal Tagliarmi ; come ad esempio V Oonia Kebe Gemm. e V Oonia turgidula Gemm. ('), V Oonia crassa Carap. e Tagl., V Oonia Schopeni Carap. e Tagl. (*). Ciò non ostante, l’aver avuto in esame un’unica impronta, sulla quale non ho potuto fare che osservazioni incomplete, mi impedisce di venire ad una classificazione specifica del mio esemplare; il quale non escludo possa appartenere ad una forma fin qui non conosciuta. Cheiniiitzia (Oonia) tumida Hoern. (Tav. XV, fig. 15, 16 a, b). 1856. Ghemnitzia tumida - Hoernes, Ueber einige neue Gastropoden aus den Ostlichen Alpen, pag. 3, tav. I, fig. 2, 3, (Denkschriften der Mathem. Naturw. Classe, d. k. K. Akademie d. Wisscn- schaft. B. X.). Sono posti sotto tale classificazione un’impronta di conchiglia raccolta nella dolomia a Valgadcna ed un nucleo proveniente da Carpenè. Avendo eseguito il rilievo in gesso dell’impronta, questo mi ha presentato una perfetta rassomiglianza colla specie dell’Hoernes, sia per la conformazione della conchiglia, come per le tracce di (') Creniniellai'o, op. cit., pag. 272 e 273. (2Ì Carapezza e Tagliarmi, Sopra talune nuore specie di Fossili pro- venienti dal Calcare Bianco Cristallino della Montagna del Casale presso Busambra in Prov. di Palermo , pag. 5. Palermo, 1894. FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 491 ornamenti che ancora mostra visibili. Su detto rilievo ho potuto prendere le seguenti dimensioni : Angolo apicale 35° Altezza totale della conchiglia min. 26 Altezza dell’ultimo giro. . . » 11 Larghezza » »... » 15,5 Altezza del penultimo giro. . » 4,5 Larghezza » »... 10,5 Anche il nucleo ricordato sopra presenta nel suo insieme delle marcatissime affinità colla specie di cui parliamo. In esso la spira ha conservato soltanto i tre ultimi giri di cui l’ultimo è più assai sviluppato degli altri. Questi sono da un lato for- temente compressi ed in parte anche frantumati, per modo che non permettono di prendere nessuna misura sia pure approssi- mativa dell’esemplare in discorso. La parte apicale della con- chiglia manca del tutto. Molto affine alla specie dell’Hoernes è ia Chemnitzia pseudotumida De Stef., del Lias inferiore; la quale si distingue per minore convessità di giri e spira più ot- tusa (Q. Quanto alla determinazione generica da me adottata, è noto come il Gen. Chemnitzia D’Orb. abbia subito varie modifica- zioni, in parte proposte dallo stesso D’Orbigny, in parte da Pictet, Campiche, Gemmellaro e più recentemente da Koken. Io pure ritengo col Fucini (2) che debbano esser mantenuti, i sottogeneri Oonia c Microschiza istituiti dal Gemmellaro, ed ho riferito al primo la specie in questione, perchè mi sembrò che corrispondesse assai bene coi caratteri generici della specie pre- cedente. f1) De Stefani, Geologia del Monte Pisano, pag. 76. Memorie per servire alla descrizione della carta geologica d’Italia, voi. Ili, parte la. Roma, 1876. (2) Fucini, Fauna dei calcari bianchi ceroidi con Phylloceras Cylin- d/riewn Sow. del Monte Pisano, pag. 289, Atti d. Società Toscana di Scienze Nat., voi. XIV. Pisa, 1895. 492 D. DEL CAMPANA Ceritliium sp. cfr. Ceritliium liypselum V. Ammon. 1888. Cerithium hypselum - Parona, Contributo allo studio dei Megalo- dotiti, pag. 4. Il Parona pose sotto la determinazione di Cerithium hypsc- lum V. Amili, un piccolo esemplare raccolto alla fornace di Cam- polungo. Esso misura un’altezza totale di nini. 5 ed ha la spira regolarmente svolta e formata da sette giri i quali appaiono ben saldati tra di loro e gradatamente accresciuti. Se si esaminano gli anfratti con un certo ingrandimento, si possono scorgere ancora su di essi le traccio degli ornamenti, i quali consistono in numerose costicine longitudinali, non molto diverse da quelle che si hanno nella specie del Von Ammon alla quale abbiamo avvicinato la nostra. La differenza, del resto non molto notevole, consiste nella parte apicale della conchiglia, nel nostro Cerithium alquanto più sviluppata, sicché i primi anfratti della spira hanno dimen- sioni piccolissime. Inoltre nel Cerithium hypselum V. Amili., gli anfratti cre- scono un poco più rapidamente e sono più arrotondati; mentre nella forma di cui ci occupiamo gli anfratti sono un poco meno rigonfi, più avvicinati tra loro e contribuiscono a far prendere alla conchiglia forma più marcatamente conica (1). Trattandosi però di un esemplare molto piccolo, non può escludersi assolutamente che le leggere differenze notate sopra, sieno dovute invece che a diversità di specie, a difetto di con- servazione; a me peraltro sembrò più conveniente limitarmi ad un ravvicinamento, anziché venire ad una classificazione sicura. Oritlii nella Meduacensis sp. n. (Tav. XV, fig. 17). Specie rappresentata da un’impronta assai ben conservata. Gli anfratti numerosi e piuttosto stretti, si svolgono aumen- tando gradatamente c danno alla conchiglia forma di cono (') Von Ammon, Gastropoden dea I fauptdoloniites und PlattenkaHes dcr Alpen, pag. 58, fig. 14. FOSSILI DELLA DOLOMIA PRINCIPALE 493 molto stretto ed allungato. Io uè ho contati tino ad otto, ma è certo che l’impronta riproduce soltanto la parte apicale della conchiglia, che nelle Cerithinellae è sempre molto allungata. Gli ornamenti consistono in rilievi longitudinali, r quali at- traversano gli anfratti arrestandosi assai prima della sutura, e si corrispondono tra loro nei diversi giri della spira, per modo che la loro disposizione sul guscio della conchiglia è fatta re- golarmente. Non posso indicare con precisione il numero di questi rilievi su ciascun giro completo, a diverse altezze della conchiglia; approssimativamente posso dire che negli ultimi giri dell’impronta da me esaminata essi ascendevano a circa dieci; perchè io ne ho potuti contare quattro o cinque, e l’impronta riproduce la metà circa, in spessore, della conchiglia. La sutura si trova inclusa in una depressione nastriforme, la cui altezza è di poco minore a quella dei rilievi longitudi- nali studiati sopra. Questo carattere si riscontra in poche delle forme appartenenti alla famiglia Gerithii, e distingue assai bene il nostro esemplare da tutte le forme affini ritrovate negli strati del Trias ed in quelli del Lias inferiore. Le dimensioni della conchiglia non possono darsi che molto imperfettamente. L’angolo spirale è di 17° circa, e l’altezza del- l’ultimo giro visibile, supposto che la sutura sia nel mezzo della depressione nastriforme, osservata sopra, sale a circa mm. 3. Con queste cifre, riesce impossibile dire quale lunghezza potes- sero avere nella specie in discorso gli esemplari adulti; il no- stro frammento misura una lunghezza di mm. 17,5 per una lar- ghezza di mm. 4,5. Quanto alle forme colle quali potrebbe venir confrontato, viarie ve ne sono che hanno gli anfratti ornati da rilievi longitudi- nali, più o meno identici a quelli da noi studiati, ma se ne diver- sificano tutte per non avere quella depressione in corrispon- denza della sutura, che fa della nostra, una specie caratteristica e la rende molto facilmente riconoscibile in mezzo alle altre. L’esemplare in discorso con molta probabilità è quello stesso che il Parona nell’elenco dei tossili trovati nella dolomia di Carpenè presso Solagna, indicò col nome di Cerithium (‘). A (') Parona, Contributo allo studio dei Megalodonti, pag. 4. 494 D. DEL CAMPANA me sembrando che esso, per la sottigliezza della spira, offrisse maggiore affinità colle Cerithinelle, lo ascrissi a quel genere. E certo per altro che detto genere, e lo notò anche il Gem- mellaro il quale lo istituì, ha moltissimi punti di contatto specie neH’ornamentazione col genere Cerithium, dal quale si distacca principalmente per i caratteri della bocca e per quelli delle strie di accrescimento. (Geiumellaro, op. cit., pag. 283). Tali caratteri non essendo conservati nella mia impronta, ho dovuto limitare le osservazioni ad altri particolari i quali possono rendere non assolutamente sicura la classificazione ge- nerica seguita ; mentre ritengo non avere errato nel credere che si trattasse di una specie nuova. [ms. pres. l’8 agosto 1907 - ult. bozze 26 gennaio 1908], SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XV. Fig. 1-4. Pecten Cismonis Men. » 5 a. Arca Carpinensis Rossi, vista di lato. » 56. La stessa vista dalla regione cardinale. » 6 a. Lucina Paronai sp. n. vista di lato. » 66. La stessa vista dalla regione cardinale. » 7. Altro esemplare più piccolo. » 8. Worthenia contabulata Costa. » 9. Cirrus dolomiticus sp. n., ingr. 2 volte. » 10. Cirrus triadicus sp. n., ingr. 2 volte. » 11-13. Cirrus Seccoi sp. n. » 14. Ncritopsis Bassanensis sp. n., ingr. 2 volte. » 15-16a-6. Oonia tumida Hcern. » 17. Ccrithinélla Meduacensis sp. n., ingr. 2 volte. oli. Soo. Geol. Ital. voi XXVI (1907). (Del Campana) Tav. XV. SULLA ORIGINE E SULLA PROBABILE NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE Nota del dott. G. Capeder Alcuni esperimenti e molte considerazioni condotte per pa- recchi anni, e rivolte alla riproduzione e allo studio dei feno- meni orogenici e sopratutto alla ricerca della origine delle cause prime di questi fenomeni, mi condussero alla presente contri- buzione. Con la quale non è pretesa ad alcuna teoria che sia di- versa dalle note, e solo vien cercato di dimostrare che le forze orogenetiche non hanno alcun rapporto colle interne condizioni fisiche della terra, ma nascono invece negli stessi strati sedimen- tari, i quali vengono ad esserne direttamente influenzati : tutto ciò per effetto di lievi oscillazioni della serie e di quell’intimo e conseguente lavoro di sbrecciatura, seguito da risaldatura per adesione e cementazione (*), del quale se ne riscontrano gli esempi in qualunque punto di una roccia sedimentaria piegata. E noto che l’Hall fu il primo che, contro alle precedenti idee del Y. Buch dei crateri di sollevamento, subordinò all’e- sistenza di forze tangenziali rispetto alla superficie terreste, il sollevamento delle montagne. E mentre cotesta interpretazione sembra proprio la sola esatta, d’altra parte finora ancora molto oscura ci si presenta l’origine e la natura vera di esse mede- sime forze che bisogna invocare per accettare la più naturale spiegazione della orogenesi. Poiché queste forze ebbero azione su vasti tratti della superficie terrestre spostando ingenti masse (!) Paroua C. F., Trattato dì Geologia , pag. 313; Ginn bel C. W.t Sul carattere delle rocce di sedimento a strati ricurvi, Boll. R. Com. Geol., 1880. 49G G. CAPEDER e sollevandole a prodigiose altezze, mentre altri tratti ancor vicinissimi non furono dalle più antiche epoche geologiche o fu- rono in grado assai diverso, influenzati. Gli è quindi evidente come si siano dimostrate insufficienti a spiegarle le varie teorie dell’Hopkins, dell’Owen, del Pratt, del Dana, dello Pfaff, del Suess, del Bertrand, delPHeim, del Neumayr, ecc., che fondan- dosi su cause generali facevano dipendere le forze in discorso qual più qual meno dalle condizioni fisiche delPiuterno della terra ; o del Mellard, del De Lapparent, del Faye, del Dutton, del Rever, ecc., che dimostrano tutt’al più localizzati e sempre esagerati gli effetti alle cause. In presenza perciò di nuovi concetti e di nuovi esperimenti per la spiegazione della natura delle forze orogenetiche, panni spontaneo abbia ad esporre le mie idee, con la illusione di poter portare un contributo, per quanto modesto, in tanto argomento. Avendo dunque come dissi, da tempo intrapreso a titolo di verificazione alcune delle più facili esperienze, così come lo fu- rono eseguite dal Reyer f1) secondo la sua teoria dello scivola- mento, venni a grado variando e modificando le condizioni di esperimento per cercare di avvicinarmi alle reali, quanto fosse maggiormente possibile. E così venni pure nel corso delle prove, ad idearne una nuova serie, dalla quale trassi argomento a nuovi concetti sulla orogenesi, avendo potuto osservare che, forze di distensione negli strati possono nascere semplicemente a cagione di movimenti intrinseci cui eventualmente essi po- trebbero venir sottoposti. Per cui dedussi, come del resto già altri assai prima intuirono (?), che le forze orogenetiche deb- bono essere indipendenti affatto dalle interne condizioni del nostro globo o dalle variazioni del suo volume, ma esse deb- (') Reyer E., Cause delle dislocazioni e della formazione delle mon- tagne. Esperimenti, trad. Virgilio F., 1893 1900. (?) Il Bombicci così si esprime ( Corso di Mineralogia, pag. 117, Bo- logna, 1873): «Anche il fatto dei Creeps nelle gallerie delle miniere ci avverte dunque della possibilità e facilità di sollevamenti e di flessioni nelle formazioni stratificate, in piena indipendenza delle forze sotter- ranee, delle condizioni plutoniche della terra, ed invece direttamente prodotte da azioni inerenti alle formazioni medesime ». Non bisogna però confondere il fenomeno dei Creeps , come fenomeno di vero corrugamento. ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE 497 bono invece aver origine negli stessi strati sedimentari. Perchè mentre, come già dissi, e certo che le montagne furono gene- rate da poderose pressioni laterali relativamente assai super- ficiali e che hanno agito in vari tempi e quasi ad intermittenze nelle varie epoche geologiche, sembra che la forza a ciò neces- saria sia stata sempre in dipendenza delle zone di sedimenta- zione e ad esse generalmente perpendicolare. Per potere spiegare la causa della direzione o verso del cor- rugamento il quale per lo più si manifesta soltanto sul margine dei continenti, e la causa del costante equilibrio, nonostante il con- seguente dislivello coi bacini oceanici, mi è stato ancor neces- sario di ricorrere alla teoria isostatica del Dutton, come quella che sola può darci la vera ragione di una siffatta condizione di cose, mentre poi essa invece da sola, al contrario di quanto vor- rebbe il De Marchi ('), sembra insufficiente per spiegare l’ori- gine di forze tanto poderose e capaci di spostare ingenti masse, così come sono le forze orogenetiche. f1) Il prof. L. De Marchi, in un suo recentissimo ecl ottimo studio sulla Teoria elastica delle dislocazioni tectoniche e sue applicazioni geo- logiche; Rend. R. Acc. Lincei, Voi. XVI, 1907, svolgendo col sussidio delle matematiche la teoria isostatica del Dutton ed applicando le for- inole del Boussinesq sulla deformazione dei suoli elastici, dimostra che «• gli spostamenti elastici, prodotti negli strati terrestri dal continuo trasporto di materiale da zone di degradazione continentale a zone di sedimentazione oceanica, bastano a spiegare le linee generali del rilievo terrestre, e i caratteri fondamentali dei corrugamenti orogenetici ». 11 concetto della teoria isostatica, fisicamente esatto e del resto anche da me invocato, sembrami però insufficiente e manchevole per dare completa spiegazione dell’imponente movimento orogenetico, dan- doci esso invece ragione completa del solo dislivello fra le fosse ocea- niche e le alte catene montuose, come del resto lo stesso De Marchi ben dice a pag. 97 del suo trattato di Geografia Fisica. Infatti anche vo- lendo ammettere che possa, secondo la teoria elastica e malgrado la rigi- dità delle rocce, avvenire per effetto delle pressioni e trazioni uno sposta- mento profondo della materia dalle zone oceaniche alle continentali, vien fatto di domandarsi come va che questo movimento e il dislivello con- seguente non siano venuti a mancare dalle più antiche epoche geologiche, poiché non si comprende come i sedimenti nuovi possano, costipandosi, assumere una densità superiore alle rocce emerse da cui provengono, e d’altronde non sarebbe neppur possibile ricorrere qui al concetto della loro diversa temperatura, essendo questi fenomeni cosi lenti che vi ha 498 G. CAPEDER Le montagne ci rappresentano la trasformazione in lavoro di un’enorme quantità di energia. Resta a dimostrare innanzi tutto, che quell’energia è di provenienza tutta quanta esogena, ed è quella stessa che viene impiegata a compiere il primo la- voro della evaporazione. Per risolvere questo quesito, bisogna intanto aver presenti i concetti che informano le attuali conoscenze sulle condizioni fisiche del nostro pianeta, e cioè la sua grande densità di 5,5, la sua straordinaria rigidità interna nonostante 1 elevatissima temperatura, l’irraggiamento continuo del proprio calore verso 10 spazio dimostratoci dal grado geotermico, la persistenza dalle ragione per credere che l’equilibrio termico può stabilirsi tanto sotto ai bacini marini che sotto alle aree continentali. Se poi a cotale scambio di materia vien supposto non abbiano a prender parte le rocce profonde più dense, allora è a domandarsi se esso é fisicamente possibile senza l’intervento di altre forze. Ma la teoria isostatica svolta dal De Marchi implica inoltre la esi- stenza fra la zona degradante e la zona alluvionante ad una certa pro- fondità di un centro di rotazione, al di sopra del (piale la materia si muoverebbe orizzontalmente nel senso delle aree di sedimentazione, ed al disotto nel senso delle aree di denudazione. Al di là di queste aree 11 movimento sarebbe verticale: in senso positivo nelle zone del sovrac- carico, in senso negativo nelle zone del discarico. Cosi che alla super- ficie presso le regioni costiere, le rocce dovrebbero essere sollecitate da un movimento orizzontale diretto ai bacini oceanici. Questo movimento panni debba essere invece in realtà precisamente contrario, almeno per quanto mi é risultato dalla analisi dei terrazzi e dal rilievo dei punti trigonometrici sulle coste Picene, vedi : Sulla esi- stenza di una componente orizzontale nei movimenti di emersione delle coste Picene sull’Adriatico, Boll. Soc. Geol. It., voi. XXVI, 1907, cioè diretto dalle aree sommerse alle aree emerse. E quindi evidente la necessità che altri anche abbia ad occuparsi dell’importante problema e del rilievo della componente orizzontale nei movimenti del suolo, onde riuscire a stabilire con certezza per diverse località, il senso vero cui le rocce orizzontalmente si muovono e risol- vere questa questione controversa. Ma sonvi altri fatti che mi pare rendano insufficiente alla oroge- nesi il solo concetto svolto dal De Marchi. A cagione del doppio scambio ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE 499 più antiche epoche geologiche delle aree continentali ed ocea- niche, i fenomeni dovuti a cause endogene: vulcani, terre- moti, ecc., evidenti manifestazioni della propria energia in- trinseca, i fenomeni esogeni : erosione, sedimentazione, evidenti manifestazioni dell’energia termica solare. Con questi concetti in presenza, non avremo per trovare l’ori- gine dell’energia necessaria alle manifestazioni orogeniche, che da condurci alle condizioni reali, esaminando i fenomeni attuali. Supponiamo adunque iniziati i dislivelli, ma con perfetto equilibrio distribuite le masse continentali e le masse oceaniche. Quest’equilibrio non potrà perdurare a lungo, perchè l’energia solare provocherà la circolazione delle acque e questa energia si trasformerà così in lavoro meccanico di trasporto dei mate- riali solidi. Per effetto della erosione, verranno perciò continua- superficiale e profondo di materia che avviene fra le due zone attorno al centro di rotazione, riesce difficile di concepire il corrugamento, mentre chiaramente risulta per ciò invece la cagione del dislivello statico. Inoltre le anticlinali sarebbero dovute non a pressioni laterali, ma a forze' verticali negative le quali, non si capisce come potrebbero dare origine ad un vero corrugamento, benché il De Marchi ingegnosamente tenti di spiegare anche le pieghe rovesciate e la struttura dei rilievi montuosi. Inoltre applicando il solo concetto della teoria elastica, diffì- cile riuscirebbe spiegare la morfologia dei continenti che paiono dovuti a successive addizioni di catene; come pure la sola interpretazione di questa teoria, porterebbe ad ammettere la tendenza delle rocce profonde ad emergere, e delle rocce superficiali a sommergersi, il che pare con- traddetto completamente dalla osservazióne. I bradisismi positivi poi dovrebbero prevalere sui negativi presso tutte le coste della terra e specialmente lungo le zone orogeniche recenti, il che pure sembra con- trario alla osservazione. Per queste principali ragioni e per altre molte, che qui sarebbe oltreché troppo lungo anche fuor di luogo di esporre, non credo che da sola sia sufficiente la teoria isostatica alla Orogenesi, essendo essa affatto incapace di darci ragione della origine delle forze necessarie al movi- mento orogenetico. Esse forze vedremo invece che sono ampiamente spiegate dalla tensione che nasce negli strati, pel semplice fenomeno della sbrecciatura e successiva loro cementazione, indotto e da lievi oscil- lazioni cui debbono sottostare i sedimenti sommersi e dalle acque cir- colanti. Fenomeno il cui risultato finale é quello di determinare 1 au- mento in superficie dei sedimenti, i quali dovranno poi per la teoria iso- statica emergere e corrugarsi a ridosso di eventuali ostacoli. 500 G. CAPEDER mente discaricate le aree emerse e per effetto della sedimen- tazione verranno quei materiali rocciosi a sovraccaricare invece le parti periferiche delle aree sommerse, venendo essi ad essere distribuiti, come è noto, in zone concentriche e perimetrali delle aree continentali e vie più assottigliate verso il largo per una estensione che generalmente non supera i 250 km. Questi materiali avranno naturalmente assunto la tempera- tura media deirambiente, mentre all’origine essi doveano pos- sedere una temperatura rispondente al loro grado geotermico; accumulandosi nella zona sedimentare dovranno naturalmente far sollevare per conducibilità in tutte le rocce inferiori la loro temperatura rispettiva. Verrà così continuamente ad accentuarsi uno squilibrio fra le masse continentali e le oceaniche, squilibrio che non può tendere che a provocare una reazione. Tale reazione però, come vedremo, a cagione della straordinaria rigidità delle rocce pro- fonde le quali sono senza dubbio solide, ed anche per ragioni che dirò in appresso, non deve poter generalmente compiersi, a differenza di quanto vorrebbero invece il Faye e il Dutton. Questa tendenza deve solo determinare il verso secondo cui più facilmente potrà compiersi un trasporto di masse, ossia potrà compiersi poi il movimento orogenetico per effetto di altre forze, che debbono avere un’origine ben diversa e un’azione al tutto superficiale, perchè se l’avessero profonda, potrebbero prender parte al movimento anche le rocce dense e potrebbe verificarsi allora in breve una più uniforme distribuzione della materia sotto ai continenti e sotto agli oceani e però allora potrebbero scom- parire ben presto i dislivelli, che sono invece permanente causa e nello stesso tempo effetto di tale squilibrio. L’origine delle forze orogenetiche, vedremo perciò più innanzi come dissi, doversi a tutt’altra cagione che al semplice sovraccarico costiero, mentre importa ora intanto di chiarire dapprima questo fatto accen- nato e clic già sembra straordinario e varrà a render più chiari i concetti dianzi espressi ; della possibilità cioè clic il solo sovraccarico costiero possa determinare il verso secondo cui certe rocce, a cagione poi delle forze orogenetiche, hanno potuto emergere durante le varie epoche geologiche in impo- nenti catene accentuandosi i dislivelli, e ciò non per solleva- ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE 501 menti verticali, ma per movimenti tangenziali, così che i con- tinenti ora quasi ci appariscono formati per successive addi- zioni di masse piegate e portate ove sono, da forze che nel complesso si sono operate in direzione contraria alla gravità. Questo fenomeno importantissimo e sul quale del resto secondo me deve informarsi ogni moderna teoria orogenetica, cessa però di sembrarci straordinario quando venga fisicamente considerato come dall esperienza seguente, che io riporto perchè panni di meglio potere col suo sussidio comprendere quanto deve avve- nire anche nel nostro globo in riguardo alla ripartizione delle masse nelle aree oceaniche e continentali, nella tendenza delle prime verso le seconde e per dimostrare la im- possibilità che le rocce profonde abbiano potuto prendere parte attiva ai movimenti orogenetici. Oselle due branche B e B' di un vaso ad U di vetro e costruito come lo indica la fig. 1, versiamo separatamente per ramo due liquidi eterogenei di diversa densità e non suscettibili di mescolarsi, ad es. mercurio ed acqua. Sap- piamo dalle note leggi che essi si disporranno in equilibrio sotto l’azione della forza di gravità e che le altezze delle loro colonne saranno in- versamente proporzionali alle rispettive densità. Queste condizioni press’a poco si debbono verificare anche per la terra ; il ramo conte- nente mercurio ci può rappresentare le aree oceaniche depresse e dense, il ramo contenente l’acqua le aree continentali attenuate ed emerse: fra le une e le altre un notevole dislivello. Infatti le recenti determinazioni della gravità, vi hanno riscontrato difetto sulle aree continentali, eccesso sulle oceaniche; ciò che dimostra che le masse profonde suboceaniche sono assai più dense delle masse continentali e che di conse- guenza vi possa sussistere l’equilibrio fra le une e le altre, come nel caso sperimentale, nonostante il loro notevole dislivello. I due liquidi nei vasi comunicanti sono, come s’ò detto, in equilibrio stabile e ad un dislivello nel rapporto di 1 a 13,5. 502 G. CAPEDER Orbene, riesce chiaro che cotale equilibrio non è però massimo, perchè esso sarà veramente tale solo con un’equa distribuzione nei vasi dei due liquidi. Infatti se si fanno comunicare i due vasi B e B' anche superiormente per mezzo, ad es., di un cor- doncino idrofilo C, noi vedremo immediatamente l’acqua passare da B, ove essa è a livello più elevato, nel recipiente B', ove il mercurio è a livello più basso, funzionando il cordoncino da sifone, e vedremo persistere il movimento fino a tanto che i due liquidi eterogenei si siano egualmente distribuiti nei due rami del vaso, cioè fino a tanto che il livello del mercurio nei due rami e il livello dell’acqua, sieno perfettamente eguali. Da cui risulta evidente che se aH’esterno, attraverso al cordoncino idro- filo si stabilisce una corrente, che può rappresentarci la sedimen- tazione, di acqua verso il mercurio nel senso della freccia, neH’interno attraverso il robinetto R vi dovrà essere contempora- neamente una corrente contraria, che può rappresentarci la oroge- nesi, di mercurio verso il recipiente dell’acqua. Per rendere più evidente quest’ultimo movimento e per meglio rappresentare altresì quello che avviene nella terra, dove abbiamo detto che le rocce profonde non debbono partecipare che in piccola parte a questo scambio di masse, ripeteremo l’esperimento con l’av- vertenza di chiudere il robinetto R di comunicazione dei due rami non appena immerso il cordoncino C nell’acqua del ramo B dei vasi, per cui essa incomincierà a passare nel ramo B'. Ve- dremo allora il mercurio gocciolare dall’estremità del tubo T nel recipiente B dell’acqua, dando luogo ad una corrente inferiore di mercurio attraverso al tubo T contraria alla corrente supe- riore di acqua attraverso al cordoncino, non potendo tale scambio ora farsi altrimenti per essere chiusa la chiavetta, mentre in natura sarebbero le parti profonde solide e straordinariamente rigide che ostacolerebbero quello scambio diretto. Ma è evidente che dopo un certo tempo, distribuiti che sieno equamente i liquidi cesserà ogni scambio, ed il tutto sarà come si è detto in condizioni di massimo equilibrio. Se però noi sup- ponessimo impedito tale scambio inferiore dalla rigidità del li- quido più denso, il sovraccarico prodotto dal l’accumularsi del- l’acqua su di esso, potrebbe egualmente provocare in essa la stessa tendenza della massa profonda se come nelle condizioni 603 ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE naturali esistesse da questa parte altresì un eccesso di gravità ; tendenza che diverrebbe però moto efficace sol quando una forza esteriore potesse adoperarsi per provocarne il movimento. Al- lora, pur verificandosi uno scambio fra le masse, la cagione del dislivello non potrebbe venir mai meno. E mentre il sovrac- carico determinerà così solo il verso del movimento , le forze estranee saranno le vere cause di esso movimento. Tutti questi fenomeni così come li abbiamo veduti coll’e- sperimento citato debbono verificarsi anche per la terra, quando a causa delle energie esogene vengano trasportati materiali dalle aree continentali alle aree oceaniche. Allora dovrà per rea- zione verificarsi una tendenza profonda allo scambio fra le masse oceaniche e le continentali, scambio che le forze orogenetiche potranno operare là ov’esse hanno origine; cioè nelle sole rocce sedimentarie, come si vedrà. Infatti dalle masse continentali, che ci rappresentano re- gioni sollevate e attenuate dalle più antiche epoche geologiche, noi vediamo venir continuamente trasportati materiali alle re- gioni oceaniche depresse e dense; questo trasporto è provocato, come vedemmo, da energie esogene e viene favorito dalla forza di gravità, alla quale più che altro spetta in natura il compito di trasformare in cinetiche la maggior parte delle energie po- tenziali esistenti sulle aree continentali e di provenienza pur sempre esogena. Questo trasporto determina, come già s’è detto, una tendenza nelle masse profonde ad una più equa distribu- zione delle sue parti, col livellare le aree emerse alle sommerse per un trasporto di masse, onde raggiungere il più perfetto stato di equilibrio, come nell’esperimento citato, dove per rag- giungere questo equilibrio perfetto esiste un doppio movimento di masse: uno superiore che corrisponde a quello provocato in natura dalle forze esogene, ed un altro inferiore contrario, che corrisponde al movimento orogenetico profondo dalle aree som- merse alle aree emerse. E gli è precisamente in questa tendenza dei sedimenti marini alle regioni continentali, che bisogna cer- care la causa della direzione dei movimenti tangenziali di masse ed il loro conseguente emergere. Senonchè se fosse possibile senz’altro per la terra questo mo- vimento delle roccie profonde, così come avviene neH’esperi- 3i 504 G. CAPEDER mento citato e non vi fossero cause che lo impedissero, le forze esogene riuscirebbero al fine vincitrici ed oramai gli ampi mari dominerebbero sulla nostra terra, poiché già si sarebbe in tanti secoli raggiunto quello stato di massimo equilibrio cui essa tende ed equamente sarebbero ora distribuite tutte le parti. Ma ciò è tutt’altro che vero, epperciò dobbiamo arguire che tale scam- bio laterale profondo di masse come vorrebbero il Dutton ed il Faye, e recentemente il De Marchi, è assolutamente impossi- bile; ma invece, mentre si deve ammettere che avvenga realmente uno scambio di masse, poiché noi ne scorgiamo gli effetti nel piegarsi ed emergere degli strati, scambio determinato dallo squilibrio suaccennato, esso però non deve essere stato mai così profondo da interessare le rocce più dense suboceaniche, di modo che il dislivello colle aree continentali non può essere venuto mai nelle epoche geologiche a mancare, anzi forse magari esso é andato via via maggiormente accentuandosi per l’inter- tervento di forze esogene. Riesce così indirettamente provato che l’ineguale distribu- zione della densità nelle masse suboceaniche e subcontinentali, cagione dei dislivelli, dev’essere primitiva e di conseguenza viene per altra via confermata esatta l’idea della persistenza dalle più antiche epoche geologiche, dei due blocchi continentale ed ocea- nico. Riesce anche così dimostrato che le forze orogenetiche deb- bono essere forze che interessano solamente gli strati al tutto superficiali ('), e che debbono avere origine nel seno stesso delle rocce sedimentarie che formano la parte più superficiale della crosta terrestre. I (') Anche il De Lorenzo, Geologia e Geografia dell’ Italia meridio- nale, 1904, Bari, Laterza, pag. 200, nel cap. VII, concludendo circa i fenomeni osservati, cosi dice riguardo a queste forze misteriose: «Sia i bradisismi continentali che i corrugamenti orogenici, per quanto vistosi e grandiosi rispetto alla mole degli uomini, in realtà non interessano che una parte verticale superficialissima della terra; e specialmente quelli dell’Italia meridionale non si sono sviluppati che a traverso poche migliaia di metri di depositi, marini ed eruttivi, che rappresentano poco più che niente rispetto aU’enorino diametro del globo terrestre. Le forze produttive di tali sollevamenti verticali e corrugamenti tangenziali, deb- bono quindi considerarsi come molto superficiali rispetto a tutta la mole della terra». ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE 505 * * * Si è detto innanzi che a misura che i sedimenti vanno accu- mulandosi nelle zone perimetrali sommerse continentali, debbono sollevarsi le isogeoterme. Il De Lapparent vede in questo fatto una causa sufficiente a spiegare la orogenesi. Il Reyer però, come è noto, ne dimo- strò l’insufficienza invocando nonostante questo fatto, per spie- gare i primi fenomeni di emersione e di inclinazione degli strati sedimentari, necessari alla sua ipotesi dello scivolamento. Ora è evidente che non è assolutamente possibile di negare una doppia influenza delle masse sedimentarie sulle rocce som- merse ; e cioè l’azione del sovraccarico, con conseguente reazione alle zone continentali ed il sollevarsi delle isogeoterme pel sovrap- porsi di questi stessi ingenti strati sedimentari. Queste due cause dunque dovranno essere le sole che potranno provocare i primi effetti e che saranno cagione poi delle vere forze orogenetiche le quali a lor volta sposteranno, solleveranno e piegheranno quegli stessi strati. Infatti il sollevarsi delle isogeoterme per effetto della se- dimentazione non potrà che determinare, come già ammisero il Mellard Eeade e il De Lapparent, una dilatazione termica in tutta la serie stratificata, la quale dilatazione però si renderà maggiormente manifesta, almeno negli effetti, nei soli strati se- dimentari più profondi, perchè già compatti e da lungo tempo assettati e magari cristallini. Questa dilatazione, per la enorme resistenza laterale incontrata a quelle profondità, non potrà pro- pagarsi nè esaurirsi se non con un rigonfiamento ad anticlinale, al quale dovranno pur adattarsi i sedimenti superiori e quelli che via via andranno formandosi e sovrapponendosi. Quest’anticli- nale dovrà altresì aumentare di curvatura gradualmente a misura che la formazione diventerà potente, iutanto che le acque circo- lanti e il calore inizieranno il loro lavoro dì assettamento dei materiali sedimentari superiori, inducendo la loro cristallizza- zione ed accentuando altresì la primitiva loro stratificazione, 606 G. CAPEDER per un lavoro di incrostazione e cementazione, c-be non è ancora ben noto, ma del cui effetto ne siamo bene informati, poiché tutte le formazioni, anche le più recenti, sono compatte e net- tamente stratificate. La stratificazione in generale, come è noto, non è data solamente da differenze di colore da strato a strato, ma sopratutto da differenze di compattezza della roccia, alter- nandosi gli strati duri e compatti coi teneri e ] (Instici. Coll’aumentare della curvatura della sopra accennata anti- clinale pel sovrapporsi di nuovi sedimenti, è evidente che quelli già cementati, come pure tutti gli altri, saranno sollecitati a cur- varsi maggiormente e saranno sottoposti di conseguenza ad una forte tensione, alla quale potranno facilmente cedere i soli strati plastici assottigliandosi, ma non così i compatti pei quali, oltre- passato il loro limite di elasticità, si spezzeranno in più punti secondo superimi a decorso normale alle forze di stiramento ed i singoli pezzi tenderanno ad allontanarsi reciprocamente ('). Però siccome questi fenomeni sono lentissimi, le acque circolanti, col tempo, tenderanno a riconsolidare la sconvolta interrotta serie stratificata. E quando per l’eccessivo continuo sovraccarico sedi- mentario dovranno variare le condizioni statiche dell’intera suc- cessione, incurvandosi il rigonfiamento termico suaccennato mag- giormente, o pure deprimendosi, o propagandosi oltre a zone circostanti, gli strati ne risentiranno sempre gli effetti, ed in generale daranno origine a forze di compressione per l’avvenuta loro distensione. Infatti nel passare di una geoantic liliale ad una geosinclinale, dovranno nascere forze di compressione negli strati già distesi e cementati, perchè in istrati curvi la superficie degli esterni alla curva è sempre maggiore di quella degli interni, mentre pel propagarsi o deprimersi della curva, le condizioni (') De Marchi, Trattato di Geografia Fisica, pag. 86: «Alcune di queste formazioni, possono, sotto le potenti forze che hanno operato le dislocazioni, essere state assottigliate fino a spezzarsi in frammenti. . . . In compenso, nelle fratture e nelle cavità formantisi nella massa du- rante le sue dislocazioni, o nelle fratture, quando i bordi di queste non si conservino a contatto l’uno dell’altro, ma siano stati distaccati da una trazione normale al piano di frattura , possono in processo di tempo essersi depositati materiali diversi portati dalle acque...... ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE 507 vengono in breve ad essere invertite, da cui un conseguente intimo movimento o scivolamento reciproco degli strati compatti indeformabili sugli argillosi deformabili, con spostamento oriz- zontale e distensione di tutta la serie. Questo movimento sarà evidentemente provocato da forze che agiranno parallelamente alla stratificazione, perchè esse ci rappresentano la componente efficace del peso della serie e la cui azione potrà estendersi e dovrà propagarsi oltre con una intensità vie più grande quanto più sono superficiali gli strati. Ed è naturale che quanto più la serie sedimentaria si piegherà a bacino, tanto più gli strati superficiali avranno tendenza di scivolare sugli inferiori, dando origine a forze di compressione. Dalle esperienze mi risulterebbe che questa tensione, che deve nascere in qualunque serie stratificata che subisca oscillazioni ondu- latorie, sarebbe sufficiente per piegare e sollevare a catena tutta la serie, specialmente quando una resistenza si opponga alla sua libera espansione ; altrimenti essa tensione potendo semplicemente esaurirsi nel distendere e casualmente determinare l'emersione di una porzione degli strati medesimi. Ma continuando la sedimentazione nelle condizioni naturali, torneranno a verificarsi un’altra volta le precedenti cause dina- miche, a cui succederanno ancora nuovi impulsi orogenetici, i quali si manifesteranno così quasi ad intermittenze, come real- mente sembra essere avvenuto per le diverse catene nelle varie epoche geologiche. Giova frattanto far rilevare che la stessa strut- tura e la distribuzione dei sedimenti sono straordinariamente ta- vorevoli in natura all’origine di queste forze di distensione, poiché esse non si originerebbero se i sedimenti non fossero a sfiati, o fossero troppo uniformemente distribuiti, neutralizzandosi in tal caso in parte l’effetto dell’aecennata anticlinale coll’effetto delle due concomitanti sinclinali, che evidentemente debbono sempre contemporaneamente formarsi. Essendo però i sedimenti in generale poco estesi, 250 km. al più, e diminuendo di po- tenza verso i bacini marini è evidente che le due azioni, che potrebbero essere in qualche caso contrarie, non lo siano in lealtà mai, per cui l’effetto dell’anticlinale è il solo effetto efficace, non potendo le sinclinali interessare contemporaneamente la 508 G CAPEDER parte più potente del deposito. Del resto si dimostra sperimeli- talmente che anche in una serie stratificata uniforme su grande estensione, il passaggio attraverso alla serie di una curva ad antiplinale è sempre accompagnato dalla distensione degli strati, per il meccanismo di rottura delle parti e successiva saldatura provocato in natura dai fenomeni complessi del metamorfismo, fio- 2 "n • -• Alla origine delle forze orogenetiche, alle quali si deve attri- buire un’azione efficace per centinaia di Km. con corrispon- dente spostamento orizzontale degli strati e che sembrano per così dire attingere dalle inesauribili sorgenti sommerse, debbono fortemente contribuire non le sole anticlinali dovute alla dila- tazione termica come si è veduto, ma forse in misura anche ' maggiore ad onde anticlinali che per cause varie, possono propa- garsi attraverso alle rocce sedimentarie da regioni vicine e molti- plicare così il loro effetto. Perche ad ogni onda che passa, ad ogni spostamento anche minimo della serie debbono succedere quei fenomeni prima accennati della rottura delle parti compatte, assottigliamento degli strati plastici, ricementazione, con succes- siva compressione e scorrimento molecolare; debbono nascere quindi forze laterali poderose, il cui effetto sarà quello di pie- gare la formazione stessa o propagandosi, pel sovraccarico con- tinuo di detta zona e per la dimostrata tendenza per eccesso di gravità delle roccie sommerse ad emergere, di piegare le forma- zioni ad essa collegate e già emerse. Così che anche una piccola causa potrà essere cagione di notevoli effetti, ciò che verrà dimo- strato poi meglio con l’esperimento, ingrandendosi, come vedremo, questi effetti a misura che quella piccola causa fa risentire la sua azione nelle diverse e successive parti del deposito sedi- mentario. Dimostrandosi così questa forza orogenetica parallela alla stratificazione e propagandosi con intensità crescente dagli strati profondi ai superficiali, la sua azione, come si è veduto, potrà far risentire i suoi effetti anche a grande distanza dalla origine sulle aree emerse, se attiva si mantiene la sedimenta- zione, ed in ogni caso provocherà altresì la emersione di una parte degli strati sedimentari sommersi, con una direzione che ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE 509 Della maggior parte dei casi dovrà essere parallela al loro piano di immersione. Già in un precedente lavoro (') ebbi a dimostrare che i mo- vimenti di emersione non avvengono generalmente secondo la ver- ticale, ma bensì più o meno obliquamente, esistendo quasi sempre in essi una componente orizzontale. Queste considerazioni di oro- genesi verrebbero a spiegare la cagione di un siffatto movimento, essendo alcuni bradisismi negativi attuali, molte volte la mani- festazione di attive forze orogenetiche. A misura che avvengono nelle rocce sedimentarie sommerse i movimenti oscillatori sopra accennati, causa delle forze oroge- netiche, gli strati, che hanno una potenza decrescente dalla zona litoranea, vanno, come si è detto, distendendosi ed assottiglian- dosi. L’assottigliamento però sarà maggiore, ove maggiore è il loro spessore, così che essi tendono alla lunga a diventare di spessore uniforme. Questa condizione sara evidentemente ìag— giunta dapprima dalle formazioni più profonde, come più antiche e che da maggior tempo ne risentono gli effetti, le quali alla fine, pur essendo ancora sede di forze di compressione, si inno- veranno più lentamente, perchè di piccolo ed uniforme spessore e perciò potranno esse stesse nella loro porzione corrugata essere di ostacolo al propagarsi di forze orogenetiche più intense di cui sono sollecitati gli strati superiori. Esse potranno così com- portarsi infine da veri Eorst e provocare la formazione di nuove pieghe al loro ridosso. Questo fenomeno tanto importante, verrà poi meglio studiato nella parte sperimentale. Prima però di passare a questa conferma sperimentale dei fenomeni discussi in precedenza, gioverà rappresentare sinteti- camente in un quadro, tutto il complesso della orogenesi così come è stato interpretato in questo lavoro, onde meglio risulti la indipendenza assoluta delle forze orogenetiche dalle interne condizioni fisiche della terra, dalle cause che mantengono co- (i) Sulla esistenza di una componente orizzontale nei movimenti di emersione delle coste Picene sull’ Adriatico, Boll. Soc. Geol. it., vo- lume XXVI, 1907. 510 G. CAPEDER stante il dislivello fra i bacini marini e le aree continentali e la loro stretta dipendenza invece dalle forze esogene. REGIONE SEDIMENTARIA 4. Precipitazione 4 Evaporazione 3. 1. Energie esogene. 4 I ■f Aree Continentali. 5. 2. Aree Oceaniche. 6. Erosione (discarico) ► * Deiezione 7. Sedimentazione (sovraccarico) Corrugamento orogenico. 9. 4 I 8. Forze orogenetiche Orogenesi REGIONE PROFONDA Rocce attenuate, cagione del dislivello Rocce dense, pro- profonde, da cui e del verso cui si fonde, da cui al- altresi un difet- compie il corni- tresi un eccesso to di gravità. gamento. di gravità. Forze endogene 11 presente quadro deve essere letto nel senso delle freccie dal n.° 1 al n.° 9. * •f* Le precedenti considerazioni teoriche furono ampiamente confermate dagli esperimenti, che anche in piccola scala sono stati sufficienti per darmi la prova diretta dei fatti. Benché gli esperimenti indirizzati a spiegare i fenomeni geo- logici debbano sempre molto allontanarsi dalle reali condizioni e riescano perciò con risultati quasi sempre lontani dai veri e addirittura, secondo alcuni, affatto contrari e perciò si debbano considerare come inutili 0 quasi, pure io li intrapresi, perchè panni che proprio senza di essi, non possa riuscire convin- cente una qualunque dimostrazione della possibilità meccanica 0 fisica di certe condizioni. A dimostrare dunque la possibilità meccanica del problema orogenetico, così come è stato precedentemente formulato, stanno questi esperimenti, che se non altro sono molto suggestivi. ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE 511 Con essi intendo di far rilevare specialmente quel fenomeno per cui, il semplice passaggio di una piccola curva geoanticli- nale attraverso ad una serie stratificata, è accompagnato dallo sviluppo di forse di distensione negli strati della serie, che poi si risolvono in forse di compressione e possono provocare a ri- dosso di ima qualunque resistensa un complesso sistema di pieghe ed in ogni caso, determinare V assottigliamento degli strati e lo spostamento orissontale di tutta la serie. La serie stratificata però non può essere pei fenomeni in- vocati, semplicemente costruita da strati di argilla, di sabbia, o di gesso e da fogli di carta, cartoncino, o stoffa, come è stato fatto fin qui, ma deve essere formata così che in essa possano rapidamente verificarsi quei fenomeni importanti che lentamente in natura avvengono negli strati, a cagione delle azioni ce- mentanti e delle altre azioni che poi provocano il metamorfismo. Sopra una sottile lastra metallica si dispone uno strato uniforme di argilla plastica che vada assottigliandosi alle estre- mità, per meglio avvicinarci alle reali condizioni (') dei se- dimenti, i quali vanno facendosi meno potenti verso il largo. Su questo primo strato un secondo, fig. 2, formato da un si- C) Osservando le condizioni sperimentali necessarie alla riprodu- zione dei fenomeni orogenetici, potranno parere inverosimili o esage- rate tali condizioni. Ma faccio notare che é impossibile sperimentalmente portarsi alle precise condizioni naturali. Ad esempio, come poter realizzare sperimentalmente 1 eccesso di gravità e il sovraccarico delle zone sedimentarie se non con un disli- vello notevole fra queste e le zone di corrugamento, dislivello che così risulta precisamente inverso al reale? Perciò non recherà meraviglia se nelle condizioni sperimentali rie- scono in gran parte invertite le proporzioni, i livelli ed i rapporti re- ciproci fra le zone sedimentarie e le zone di corrugamento, e paiano sommerse le aree che dovrebbero invece essere emeise. 512 G. CAPEDER sterna di assicelle P, collegate da striscioline di lamina me- tallica S e S' tagliate a margini taglienti e a punte che obliqua- mente in fuori vengono ad incastrarsi sulla superficie delle assicelle. Dette lastroline vengono tenute aderenti alle assicelle, da code elastiche, che s’incastrano in un solco apposito R delle assicelle P e vi mantengono compresse le punte. Su questo se- condo strato se ne dispone un terzo ancora di argilla plastica, e poi un quarto di assicelle, e così via fino a formare una pila di tre, quattro, cinque strati, fig. 3 in 1. Avremo così una serie stratificata di spessore decrescente fino a zero, come lo sono in generale i sedimenti litoranei e for- mata approssimativamente come quelli da strati deformabili (ar- gillosi) e da strati compatti (strati di assicelle). Occorreva in- terporre agli strati argillosi, invece che semplici fogli di carta, il sistema descritto abbastanza complicato e costoso delle assi- celle colle linguette metalliche, per poter realizzare rapidamente in quegli strati, quanto deve avvenire lentamente in natura e cioè che gli strati compatti sottoposti ad una distensione per l’incurvarsi della formazione, abbiano a cedere fendendosi per poi ricementarsi a causa delle infiltrazioni; così che quei me- desimi strati successivamente sottoposti a una forza anche grande di compressione, facilmente vi possano resistere Senza .più ritor- nare ad assumere la loro superfìcie primitiva. Mi pare di essere riuscito abbastanza bene a realizzare que- ste condizioni di cose, col formare gli strati che rappresentano i compatti, come' già dissi, con assicelle di legno sulle quali vengono ad incastrarsi i denti delle lamine metalliche, così che sottoposto (pici complesso ad una distensione qualsiasi, facil- mente esso si allungherà, essendo le varie assicelle mobili e potendo facilmente allontanarsi, ma non così se si esercitasse una compressione. I denti delle striscioline metalliche incastran- dosi allora nel legno opporranno un ostacolo insuperabile ad una loro diminuzione di superfìcie (*). (') Nella fig. 2 ho disegnato il sistema di assicelle di uno strato, sotto al quale anzi ho pure rappresentato il rilievo ad anticlinale A, che già è stato fatto scorrere fino, alla sua metà. Le assicelle stavano dapprima tutte vicinissime, come si vede a destra della figura ove il sistema è ancora intatto; pel passaggio del- ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE 513 Non è però necessario per resperimento, che gli strati in tutta la loro estensione siano così costituiti, essendo sufficiente che ciò sia solamente per la porzione ingrossata della serie, porzione che corrisponderebbe in natura ai sedimenti sommersi mentre per l'altra parte, è anzi preferibile di formare la serie con strati argillosi separati da fogli di cartoncino, disposti però in modo che gli strati di assicelle vi siano corrispondenti e sta- bilmente collegati. Nelle figure anzi, per maggior chiarezza, non è particolarmente indicata la diversa struttura dei vari strati. Così essendo, le condizioni sperimentali sono atte a farci as- sistere al corrugamento del complesso stratificato, per un in- timo movimento che può essere semplicemente provocato, così come dalla fig. 2, dal ripetuto passaggio attraverso alla forma- zione di una piccola curva ad anticlinale. Perciò si porrà sotto al foglio metallico che sorregge tutta la formazione, fig. 3 in 1, un piccolo rilievo di legno L ad anticlinale. Facendo inoltrare detto rilievo e spingendolo sotto alla massa stratificata, si vedrà come essa vada adattandosi successivamente a cpiesto rigonfiamento, curvandosi e poi disten- dendosi a misura che esso andrà avanzandosi. Ove la serie stra- / tificata va facendosi più potente, si vedranno gli strati argillosi tendere ad assottigliarsi e quegli altri di legno (‘) a disten- l’anticlinale A, esse si sono allontanate reciprocamente in modo sensi- bile, come a sinistra della figura e tutta questa parte della serie si è perciò allungata. Se poi ora si facesse completamente scorrere l’anticlinale A attra- verso a tutta la serie, il sistema ritornerebbe dopo il passaggio ad es- sere ancora orizzontale, ma rimarrebbe molto più lungo di prima, essen- dosi con ciò allontanati anche i singoli pezzi della seconda metà. In natura debbono succedere fenomeni identici con l’intervento delle azioni cementanti fra le varie parti di una serie stratificata, la quale dovrà di conseguenza pure allungarsi in simili condizioni, e dovrà perciò dare origine a forze che agiranno parallelamente alla stra- tificazione e potranno anche determinarne il corrugamento ; dette forze non sono altro che le orogenetiche. (!) Lo spessore delle singole assicelle è indifferente; l’esperimento riesce egualmente, benché in condizioni un po’ diverse, adopeiando delle sottilissime striscie a superficie scabra, invece che dei parallelepipedi, purché gli strati siano di diversa plasticità. 514 G. CAPEDER dersi per adattarsi alla curva che si propaga, mentre cjuesto stesso stiramento si vede diventare vie più sensibile verso la su- perficie della formazione. OC&CCfllc/oe — Fi g. 3. Tutto ciò deve avvenire anche naturalmente, quando a cagione delle isogeoterme sollevate dall’accumularsi dei sedimenti, gli strati profondi si dilatano e si curvano interessandovi tutta la formazione soprastante. Ma essendo in natura questi processi assai lenti, gli strati assottigliati e distesi hanno tempo di ri- cementarsi e riconsolidarsi prima che la formazione abbia a de- primersi. Ciò che però, come si è detto, non è necessario nel caso nostro sperimentale, per la particolare struttura della stra- tificazione che ci permette di assistere senz’altro ai successivi fenomeni. Potremo cosi far procedere oltre il rigonfiamento ad anti- clinale, sicuri di essere di già nelle condizioni simili alle naturali, finche giunti all’estremità della formazione potremo senz’altro farlo tornare indietro, o ciò che può essere qualche volta più comodo, toglierlo lateralmente per lasciar poi cedere a grado il rigonfiamento allentando le viti che trattengono in posizione la lastra di base. Vedremo allora, mentre la curva va deprimen- dosi o propagandosi, nascere delle pressioni nella stessa serie stratificata, che si manifesteranno subito con rigonfiamenti irre- golari o con pieghe. Se però si avrà avuta l’avvertenza, durante ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE 515 il processo, di andare depositando nuovi strati sulla porzione stratificata che sta a rappresentarci la parte sommersa della formazione, come alla fig. 3 in 2, essa allora a cagione del sovraccarico di quella zona non potrà più quivi piegarsi, ma invece le pieghe, per l’ingrossarsi degli strati plastici, si manifesteranno solo alla estremità, fig. 3 in 3, ove in natura, nonché sovrac- carico, avviene anzi un discarico per erosione, rappresentandoci questa parte la porzione emersa del deposito. All’estremità contraria della formazione, verso mare, le forze non possono avere efficacia, perchè quivi gli strati risultano convergenti e vi trovano un fulcro F resistente, fig. 3 in 1, nella base stessa che sorregge il deposito; tutt’al più forse devesi a questa pressione lo sprofondamento accentuato che decorre ge- neralmente parallelo alle più alte catene emerse. Dunque le forze di compressione, alle quali si deve il cor- rugamento orogenico, nascono nei sedimenti sommersi e non provocheranno in quelli sistemi di pieghe, come a tutta prima sembrerebbe, ma avranno tendenza di propagarsi specialmente a causa del continuo sovraccarico e dell eccesso di gravità, da cui la tendenza di questi stessi strati ad emergere verso le aree continentali. Nel caso nostro sperimentale si potrà rilevare anche la diversa velocità con cui si muovono i vari strati, col ren- derla manifesta per intaccature parallele e verticali, che si ve- dranno poi a grado spostarsi innanzi e maggiormente verso la superficie, in curve iperboloidi, nello stesso tempo che le pieghe si manifesteranno a ridosso dell’ostacolo che fa limite alla seiie stratificata, risultando così naturalmente, assai più accentuate all’esterno che verso l’interno della formazione. Così che, per questo rapporto, esse avranno un aspetto molto simile a quelle ottenute dal Reyer nelle sue esperienze, agendovi le forze cosi come potrebbe avervi azione la sola gravità nell ipotesi dello scivolamento. Se attraverso a detta formazione stratificata si fa ora pas- sare una seconda volta il rigonfiamento a volta accennato, toi- neranno a ripetersi i fenomeni dianzi studiati e così per una terza, una quarta volta, e la serie andrà vieppiù distendendosi ed assottigliandosi, mentre si osserverà l’accentuarsi dei rilievi 516 G. CAPEDER e delle pieghe iniziatesi per effetto della prima spinta oro- genetica. La formazione dunque va corrugandosi fortemente per succes- sivi impulsi, e le pieghe vanno stipandosi e accavallandosi, fintanto che assottigliatasi oltremodo, la zona orogenetica stessa sommersa potrà incominciare a corrugarsi a sua volta, se come già dissi, non andremo aggiungendo nuovi strati sulla zona oro- genetica, così come del resto sempre avviene naturalmente. Se dopo aver corrugato fortemente una serie stratificata con ripetuti movimenti, in modo che ogni strato sia diventato nella zona orogenetica, quasi di spessore uniforme, fig. 3 in 4, aggiun- giamo nuovi sedimenti, vedremo i superiori aggiunti distendersi per i successivi movimenti, più degli altri e piegarsi a ridosso dei primi, che vengono quasi a funzionare quali ostacoli alla propagazione delle forze tangenziali di cui sono animati gli strati superiori. Se noi pensiamo alla orogenia terrestre, ve- dremo che qualcosa di simile si è verificato anche nelle epoche geologiche, poiché antiche catene, oggi quasi livellate, hanno funzionato da ostacoli al propagarsi di onde orogenetiche più recenti ed hanno di conseguenza provocato al loro ridosso il for- marsi di nuove elevate catene. Potrà ora sembrare impossibile che nelle condizioni reali possano verificarsi a periodi i vari movimenti oscillatori, che abbiamo visto sono necessari alla origine delle forze orogene- tiche nelle rocce sedimentarie; ciò però più non sembra, quando ci facciamo a considerare che non è necessario in natura volta a volta che la curva anticlinale originatasi a cagione della dila- tazione termica si deprima, potendo invece essa, spostandosi semplicemente, mantenersi così sempre efficace come nell’espe- rimento, non influendo per l’origine di queste forze la direzione secondo cui potrebbe propagarsi una tale anticlinale. Essa curva così potrebbe, se non si abbattesse, essere causa molteplice di impulsi orogenetici, i quali debbono in fin dei conti la loro ori- gine solamente alle particolarità della sedimentazione. Si noti inoltre che il valore di questa curva anticlinale può essere anche piccolissimo e non perciò meno efficace, come anche del resto ciò risulta sperimentalmente; essendo in tal caso sufficiente che essa si propaghi attraverso alla formazione stratificata alterna- ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE 517 tivamente il necessario numero di volte fino a provocare la vo- luta intensità nelle pieghe. Le forze orogenetiche hanno dunque origine dall’intimo frat- turamento degli strati e dalla loro cementazione ('). * * * Da quanto è stato detto in precedenza e dai risultati delle esperienze, possiamo dedurre che le forze orogenetiche nei tempi geologici, non sono forze che hanno agito continuamente, ma forze che avrebbero agito ad intermittenze e per impulsi suc- cessivi, come del resto lo studio delle nostre montagne chiara- mente ci svela. Esse avrebbero origine dalle zone sedimentarie nel seno stesso di quelle masse e sarebbero dovute nient’altro che all’essere quelle zone stratificate. Un sedimento non stratificato non po- trebbe essere sede di forze orogenetiche, come pure non potrebbe corrugarsi qualora fosse sottoposto a dette forze. Queste forze possono propagarsi lontano dalla loro origine e vengono ad agire generalmente a ridosso di un ostacolo che si oppone alla loro propagazione. Esse non possono avere eguale intensità dapper- tutto, nè corrispondersi gli effetti nel tempo, nè essere sempre tangenziali rispetto alla superfìcie terrestre, ma piuttosto esse agiscono sempre parallelamente alla stratificazione, come del resto chiaramente ci parla la storia del mondo. A queste forze certamente si debbono la maggior parte dei bradisismi negativi che interessano le estese zone del corruga- (') Per dimostrare come questo fratturamento sia proprio di ogni roccia sedimentaria piegata, e come sia realmente avvenuto spostamento dei singoli frammenti e cementazione successiva, riporterò anche le pa- role del De Lorenzo, Geologia e Geografìa fìsica dell’ Italia, meridionale, pag. 64, a proposito della tettonica del trias medio in Basilicata : «Ciò in grande (fratture e spostamenti) nelle montagne; in piccolo poi, negli strati i calcari selciferi, specialmente nei luoghi più constretti dal piega- mento, sono attraversati da numerosissime fratture, cementate da spato calcare, le quali hanno rotto anche i singoli fossili; e gli scisti silicei sovra incombenti, poi sono sfaldati e sfaldabili in numerosi poliedri romboedrici, a volte di piccolissime dimensioni, cementati anch’essi a lor volta di nuovo dalla silice portata dalle acque infiltranti. 518 G. CAPEDER mento orogenico recente. Sommandosi pertanto i fenomeni in- dotti dalle cause endogene, vulcanismo, sprofondamenti, terre- moti. esse vengono nei loro effetti a volte mascherate, ma concordi contribuiscono però sempre a mantenere e forse anche ad aumen- tare i dislivelli, mentre d’altro cauto le energie esogene, che sembrano a prima vista compiere un lavoro esclusivamente di- struttivo, ci rappresentano invece in ultima analisi le cause prime di tutto questo complesso di meccanica terreste. Poiché senza di esse, come la terra perderebbe qualsiasi manifestazione di vita che esclusivamente da queste attinge per tutto l’immenso lavoro biologico, cosi pure anche cesserebbe completamente ogni circolazione della materia, tanto su di essa, che nelle profonde viscere dello stesso suo seno! * $ * Non sarà ora inopportuno, se alle idee svolte nelle prece- denti linee, verranno mosse quelle principali obbiezioni che infir- mano le altre teorie orogenetiche e cercando di rispondere, dimo- strare clic non è impossibile che in natura le forze orogenetiche abbiano l’origine studiata. Intanto si osserva che le pieghe sono più intense nelle zone lontane dal nucleo di rocce primitive, il che conforta l’attuale ipotesi, perche si è veduto che gli strati più profondi sono i meno sollecitati dalle forze orogenetiche, essendo i meno spo- stati dalle anticlinali orogenetiche. Con questa teoria è facilmente spiegabile l’allineamento delle zone di corrugamento secondo linee allungate e affatto indipen- denti Cuna dall’altra, ma in rapporto invece con bacini di spro- fondamento. E pure spiegabile la connessione di fenditure erut- tive colle zone di piegamento ed il fatto che tutti i periodi di forte corrugamento furono accompagnati o seguiti da fenomeni eruttivi; e ciò perche il corrugamento sarebbe dovuto al propa- garsi della curva anticlinale alle zone emerse, esso corrugamento di conseguenza favorirebbe la formazione di fenditure, da cui l’aprirsi di vie di facile sfogo ai gas interiori. 1 vulcani perciò dovranno risultare allineati e paralleli alle zone orogeniche re- centi. ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE 519 Riesce pure evidente, con questa teoria, come già è stato detto, il fatto delle zone orogeniche antiche che possono arre- stare le pieghe di formazioni sedimentarie più recenti, e così pure che le montagne hanno tutti i caratteri che dimostrano di essere dovute a pulsazioni successive intermittenti ; di ciò anzi questa teoria, come s’è veduto, ne dà non solo ottima spiega- zione, ma per di più essa è strettamente legata a un tale ordine di fenomeni. Così pure è spiegabile la coesistenza di zone piegate con re- gioni apparentemente resistenti a qualunque sforzo di piegamento c costituite come le prime. Il piegamento non si forma quando le forze orogenetiche non vengono arrestate, esaurendosi in tal caso dette forze nel determinare semplicemente il movimento trasversale degli strati e conseguentemente in generale la loro emersione. Così si spiega la diversa intensità del corrugamento alle varie profondità e sopratutto il fatto che esso generalmente e più accentuato negli strati più superficiali. È spiegabile pure la struttura delle montagne, le quali generalmente presentano un nucleo di rocce cristalline antiche, a ridosso delle quali si tro- vano le altre rocce sedimentarie piegate. Inoltre le zone piegate risultano in nessun rapporto colla loro potenza, dipendendo, come s’è veduto, il loro piegamento solo dalla morfologia degli strati sommersi e profondi, dei quali non è possibile conoscerne le loro particolarità. Gli sprofondamenti e le fratture sarebbero in massima dovute alla contrazione delle rocce per raffreddamento salvo nelle zone piegate, ove le faglie, gli scorrimenti, ecc., sarebbero dovuti alla stessa causa orogenetica. Questa teoria infine implica il fatto della persistenza delle aree continentali ed oceaniche dalle più antiche epoche geolo- giche, essendo andate le zone sedimentarie successivamente ag- giungendosi e sovrapponendosi per successivi impulsi così da costituire le varie zone corrugate. Anche un altro fatto verrebbe spiegato secondo questa teoria, quello della grande potenza delle formazioni di alcune grandi ca- tene e tuttavia della loro facies di basso fondo, come pine che la facies litorale antica, sembra più estesa di quella omonima dei 35 520 G. CAPEDER mari attuali. Evidentemente i sedimenti che via via andavano soprapponendosi, doveano essere sollecitati, come si è veduto, da un movimento trastersale, che ne avrebbe determinato la emersione, intanto che altri nuovi, sovrapponendosi a loro volta, doveauo emergere, e così per gli altri più recenti ; sicché ora questo fatto, che altrimenti sarebbe inesplicabile, è invece una conseguenza diretta della modalità di movimento degli strati se- dimentari e conferma mirabilmente la presente teoria. Finalmente è pure spiegabile il diverso effetto delle spinte orogenetiche successive che diedero luogo a catene e pieghe diversamente orientate; dipendendo questo fatto dal modo se- condo cui può propagarsi Fanticlinale orogenetica, poiché l’e- sperimento ha dimostrato che le pieghe si formano sempre per- pendicolarmente alla direzione del suo moto. Anche riesce chiaro il fatto per cui elevate catene sono in dipendenza qualche volta di limitati bacini di sedimentazione perché, abbiamo visto, che la intensità delle forze orogenetiche non è in dipendenza della estensione della zona sedimentaria, nè in certo qual modo della intensità cui si compie la sedimentazione, ma piuttosto è in dipendenza, come si è veduto, del propagarsi di quelle curve ad antielinale o a sinclinale attraverso a tutta la formazione, la cui esistenza vera non è dimostrata, ma dovrebbe essere am- messa quando fosse accettata la teoria. Del resto come potrebbe essere spiegata la particolare mor- fologia dei sedimenti, specie terziari, come più giovani, che come embricati (*) stanno a coprire i più antichi terreni fortemente costipati e corrugati, se non con il movimento tangenziale degli strati sospinti così gradualmente ad emergere ? Dal che ri- (') Il De-Lorenzo, Geologia e Geografìa fìsica, ecc., 1904, pag. 140, ecco come descrive per l’Italia meridionale questo fatto ben caratte- ristico : « In questa storia terziaria mediterranea si vede dunque, astraendo dagli avvenimenti teutonici, un alternarsi, un mutarsi di fasi positive e negative di diverso valore, in cui però la misura di ogni fase positiva nell’estensione del mare diviene sempre più piccola: ossia in ognuna di esse si ha una perdita di estensione rispetto alla fase positiva prece- dente, fino al minimo negativo del tempo d’erosione della fine del Mio- cene, che immediatamente precede ed accompagna i laghi e le paludi a faune salmastre del piano Pontico ». ORIGINE E NATURA DELLE FORZE OROGENETICHE 521 sulta la mancanza di quella teorica successione dei terreni più recenti che dovrebbe osservarsi, se il manto di queste rocce fosse dovuto a reale e completa immersione del continente con successiva sua emersione (’). Essendosi invece questo manto formato quando le rocce erano sommerse ancora, ne deriva una uniformità di composizione quale in realtà si osserva, poiché quelle rocce sospinte ad emergere verso le zone di corrugamento venivano pur portando a giorno i più recenti sedimenti supe- riori che si formarono evidentemente in eguali condizioni. La dissimmetria dei livelli montuosi, come pure la formazione di pieghe secondarie, di pieghe a ventaglio, e la loro inclina- zione, nonché le flessure, fratture, salti e scorrimenti, sono con- seguenze della modalità di propagazione delle forze orogeneti- che e si formerebbero allorché si volesse cogli esperimenti citati, mettendoci press’a poco nelle condizioni descritte del Reyer, avendo queste forze un’azione pressoché simile alla componente della gravità da lui utilizzata nelle sue ricerche. Così non è difficile di determinare le condizioni, perchè si verifichino i fenomeni che si osservano nelle regioni prealpine, per osservarvi il rovesciamento delle anticlinali e tutti gli altri effetti concomitanti, i quali però potranno esser meglio discussi un’altra volta, quando sarà possibile di portarvi per miglior ef- ficacia anche il sussidio dell’esperimento, che finora non ho ri- volto che a dimostrare semplicemente la possibilità meccanica della orogenesi così come è stata qui svolta. Aggiungasi che la notevole complicazione necessaria nella struttura degli strati, obbligherebbe anche, in questo caso per avere buoni risultati, a sperimentare in grande scala, ciò che porterebbe ad una spesa (l) De-Lorenzo G., Ibid., 1904, pag. 143. «Se la storia sedimentaria pliocenica e postpliocenica dell’Appennino meridionale fosse stata uni- forme e completa, noi adesso dovremmo trovare dappertutto nei nostri colli subappennini una pila ascendente di conglomerati, sabbie e ar- gille stendentesi dal mare fino a 1000 metri d’altezza media e palesante la transgressione pliocenica; e poi ad essa senza interruzione sovrapposta una pila discendente di argille, sabbie e conglomerati, che a 600 metri sul mare comincierebbe a contenere, con transizioni graduali, delle faune prevalentemente pleistoceniche anziché plioceniche ». 522 G. CAPEDER non indifferente, mentre d’altra parte sarebbe pur utile, sotto ogni riguardo, di semplificare detta struttura. Per cui mi terrò ben pago se per questa volta sarò soltanto riuscito ad aggiungere un solo fatto di più ai tanti già noti ed accertati della storia del mondo, e conciliando le diverse teorie del Mellard Reade, del De Lapparent e del Dutton, sarò pur riuscito ad integrarle così, da renderle almeno di una sod- disfacente maggior probabilità. [ms. pres. il 18 settembre 1907 - ult. bozze 26 gennaio 19081. I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO DALLE ALPI MARITTIME ALLA SESIA Nota preventiva del dott. P. L. Prever I. Generalità -sui terreni glaciali e d’alluvione DEL TRATTO di PIANURA CONSIDERATO. Lo studio dei terreni quaternari in Italia ha molto progredita in questi ultimi anni; non in proporzione però col numero e la vastità degli anfiteatri morenici che costituiscono la nostra ri- dente zona prealpina e coH’enorme estensione dei terreni dilu- viali e alluviali che formano le nostre pianure e coirinteresse di quelli di origine eolica. Tuttavia è ben da questo studio, se fatto con intenti pratici, che l’agricoltura trarrà dei larghi benefici, non solo per la cono- scenza dei diversi terreni agrari, del loro modo di formazione, delle migliorie di cui abbisognano e di quelle di cui sono su- scettibili, con conseguente distribuzione un po’ più razionale dei diversi tipi culturali ai terreni più confacienti a ciascuno, ma benanche per l’irrigazione di questi in pianura. Delle acque superficiali, molte di quelle utilizzate a scopo irriguo sono irrazio- nalmente distribuite, altre, non ancora utilizzate per incuria o per apparenti ostacoli, lo potrebbero essere con relativa facilità. L’idrografia sotterranea poi, quasi sconosciuta o male interpretata in moltissime località, non è sfruttata come dovrebbe. Molte regioni in cui sono scarse o mancanti le acque d ir- rigazione, molti Comuni, privi di acque potabili o forniti di acque malsane, potrebbero con poca spesa averne in abbondanza, e buona; numerose località incolte, malsane, quasi paludose, pei 524 P. L. PREVER abbondanza di sorgive, potrebbero essere bonificate e date alla agricoltura con beneficio di questa, dell’igiene e delle località sottostanti, che potrebbero usufruire per l’irrigazione dell’acqua in eccesso fornita da quelle. Ma per far tutto ciò occorre innanzi tutto che siano ben cono- sciute la storia geologica della regione, anche nei suoi particolari, e la natura dei terreni che la formano. Le carte agronomiche, come molti le intendono, e come ne furono già compilate in Italia, ma specialmente all’estero, rap- presentano indubbiamente un documento di grande valore scien- tifico; non so però se il loro valore pratico sia del pari impor- tante; certamente esse costituiscono, almeno quelle fatte da noi, un grande merito per coloro che le hanno compilate e ne com- pileranno; perchè ci vuole davvero del coraggio e dello spirito di abnegazione per tentare una simile lenta, difficile e costosa bisogna fra l’indifferenza e il disinteressamento generale. Io credo dunque che sia più urgente compilare le carte geo- logiche; se queste verranno fatte avendo di mira anche l’agri- coltura, esse potranno venire corredate da tali e tante indica- zioni geognostiche, idrologiche e di altra indole da costituire una buonissima carta agronomica ed idrologica, molto più accetta e più facilmente comprensibile dalle persone che ne potrebbero e ne vorrebbero approfittare. Io ho incominciato da parecchi anni il rilevamento geologico del quaternario di quella porzione della valle del Po che si estende dalle Alpi Marittime al fiume Sesia (l), e mi sono pre- cisamente prefisso lo scopo di compilare una di tali carte. Q) Questa regione fu già presa in esame qua e là da parecchi studiosi, quali Gastaldi, Baretti, Sacco, Stella, Capeder, Penck, ecc., e si potrebbe compilare un ricco indice bibliografico su tale argomento. È mia inten- zione di darlo in seguito, ma in questo lavoro, che é soltanto una noti- cina preventiva, non credo necessario di farlo; così pure mi astengo dal discutere le idee degli studiosi che mi precedettero, perché ciò mi por- terebbe lungi dallo scopo della nota. Accennerò soltanto alle principali idee che hanno guidato i miei predecessori nei loro studi. Riguardo al morenico, sinora solamente Capeder e Viglino avevano ammessa la presenza, per l’anfiteatro di Rivoli, di tre glaciazioni. Per questo e per quello di Ivrea le ammisero anche Penck, Bruchner e Du Pasquier; Gastaldi ammetteva una sola espansione glaciale ed un I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 525 Disgraziatamente però, mentre il rilevamento geologico, pur in mezzo a molte difficoltà, procede in modo soddisfacente, la parte idrologica richiede assai più tempo, e così pure la parte agrologica; così che queste tre parti non sono per ora egual- mente avanzate. Scopo di questa mia notieina è appunto quello di richiamare l’attenzione su di qualche particolarità notevole, ch’io potei osser- Diluvium alpino sottostante alle morene lasciate dal ghiacciaio nella sua espansione. Inoltre egli e Calandra furono i primi ad affermare che il Tamaro sboccava anticamente nel Po, presso Carignano, proseguendo da Bra per Carmagnola, invece di volgere verso Alba. Baretti distingueva un Diluvium antico da un Diluvium recente, sottoposti entrambi alle colline degli anfiteatri morenici, che considerava formate dal ghiacciaio in un’unica espansione, e un Alluvium postglaciale. Egli accennò anche per il primo al fatto che, durante il preglaciale, il Sangone si scaricava nella Dora, presso Avigliana, per l’avvallamento ora occupato dai laghi di Trama e d’Avigliana, e alla deviazione della Chiusella, la quale se- condo lui durante il preglaciale scorreva verso Baldissero, andando nell'Orco e fu spinta nella Dora dal formarsi delle morene. Sacco ammette un’unica espansione glaciale e distingue i terreni di trasporto fluviale in Sahariani, contemporanei dell espansione glaciale, e in Terrazziani, posteriori a questa. Inoltre considera il Loess come un terreno di trasporto fluviale e lo assimila al Lehm. Capeder e Viglino furono i primi a ritenere di età interglaciale il Loess della collina di Torino e dell’anfiteatro morenico di Rivoli. Il primo poi di questi autori applicò il concetto della pluralità delle gla- ciazioni all’anfiteatro su nominato. Anche Penck, Bruchner e Du Pasquiei parlarono di pluralità di glaciazioni per gli anfiteatri di Rivoli e di Iviea. Stella tracciò uno schizzo geologico al 400.000 dei terreni quater- nari di lina parte di questa porzione di valle padana, e compilò in se- guito una cartina al 1:1.000.003 in cui è compresa Pai’te oiientale del tratto di valle del Po, da me presa in esame. Egli ammette in linea generale tre glaciazioni, ma nelle sue carte il morenico è indicato con una sola tinta. Cosi pure ammette tre Diluvium, unendo però nelle car- tine, colla denominazione di Diluvium antico, il Diluvium inferiore e il medio. Pare che egli ritenga il Diluvium antico contemporaneo della prima espansione glaciale, mentre pare ammett' con Novarese che il Diluvium medio corrisponda ad una fase interglaciale. Il Diluvium superiore sarebbe poi per lo Stella contemporaneo della terza espan- sione glaciale; ma esaminando le sue cartine parrebbe che ne ammetta anche una parte di età posglaciale, poiché lo segna ne. ^ conche intei- moreniche, come ad esempio in quella di Ivrea. 526 P. L. PREVER vare nel rilevamento dei diversi terreni morenici diluviali e alluviali, e in quello dei corsi antichi e recenti dei fiumi e dei torrenti, che solcano la porzione di valle padana da me presa in istudio. Sono quivi assai sviluppati i terreni diluviali, gli alluviali ed anche i terreni di origine glaciale. Lasciando di parlare delle numerose traccie di apparati morenici frontali entro valle, perchè troppo lungi mi porterebbe tale lavoro, accennerò soltanto a quegli anfiteatri che si trovano allo sbocco delle rispettive loro vallate e cioè quello di Rivoli, costrutto dal ghiacciaio che scen- deva dalla Valle di Susa, percorsa dalla Dora Riparia; quello di Cuorgné, costrutto dai due ghiacciai che scendevano rispet- tivamente dalle valli Soana e Lucana, percorse dalla Soana e dall’Orco; quello di Ivrea, dovuto al ghiacciaio che scendeva dalla valle d’Aosta, percorsa dalla Dora Baltea. Sia in quello di Rivoli che in quello di Ivrea ho potuto mettere in sodo con grande evidenza la presenza dei depositi di tre successive glaciazioni. A differenza di quanto sembra verificarsi sugli anfiteatri mo- renici posti al nord delle Alpi, dove la più vasta espansione glaciale pare sia stata la seconda, su questi due anfiteatri ho potuto accertare che l’espansioue più notevole fu la più antica. Per conseguenza i terreni morenici più vecchi e più profonda- mente alterati si trovano in questi due anfiteatri verso la parte più esterna. Essi sono i meno estesi per essere stati in seguito ricoperti o distrutti dalle successive espansioni, e i più pianeg- gianti per la lunga erosione sofferta. In molte località, su di essi si trova più o meno sviluppato il Ferretto. Nell’anfiteatro di Rivoli meglio sviluppati sono i terreni mo- renici appartenenti alla seconda espansione glaciale, in quello d’Ivrea sono invece quelli della terza espansione. In quello di Cuorgné, sinora esaminato appena sommariamente, mi è parso di scorgere soltanto gli avanzi di due glaciazioni, della seconda cioè e della terza. Negli altri due poi si possono distinguere ancoragli avanzi di una quarta glaciazione, notevolmente ridotta però in confronto delle tre precedenti. Essa è formata general- mente da parecchi cordoni morenici, costrutti non molto fuori, e talora anche entro valle, tanto che si potrebbero a prima vista interpretare come cordoni costrutti nelle soste del ghiacciaio in I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 527 ritiro definitivamente, se non si notasse un cambiamento abba- stanza sensibile nella freschezza del materiale che li costituisce, e talora anche nella qualità. In quello di Rivoli non ci sono disgraziatamente, dato l’addossamento dei cordoni, dei depositi interglaciali, che servano inoppugnabilmente a mettere in evi- denza questa quarta glaciazione; ma essi cominciano ad appa- rire in quello di Ivrea, e, per cortesi informazioni personali avute dal Capitano I. Nievo, so che essi sono sviluppati assai nell’an- fiteatro del Tagliamento, ove le quattro glaciazioni risultano quindi assai evidenti. Il Ferretto, bene sviluppato sul morenico della prima espan- sione glaciale, è pure presente su quello della seconda espan- sione, in alcuni punti in cui per condizioni particolari l’altera- zione del terreno dovette essere ed è molto attiva. Sull’anfiteatro d’Ivrea i cordoni morenici sono assai bene sviluppati e ben conservati, eccetto che sul morenico della prima fase, ove non esistono più che le radici di essi. Su quello di Cuorgné, ove mi pare manchi ogni traccia di cordoni della prima espansione, quelli della seconda e della terza fase glaciale sono assai netti. Su quello di Rivoli sono ben conservati in gran parte quelli a sud della Dora, tra S. Ambrogio e Alpignano; al nord invece della Dora essi sono stati spesso interamente distrutti e terrazzati da correnti che provenivano da detto fiume. Dei terreni appartenenti al Diluvium il meno largamente rappresentato è il Diluvium inferiore, il quale forma una stretta fascia al piede delle Alpi. Anche il Diluvium medio che si stende lungo il piede alpino, formando cintura al Diluvium inferiore, è scarsamente rappresentato; è invece spesso assai bene svilup- pato là ove forma degli altipiani, talora avanzanti in mezzo al Diluvium superiore o all’Alluvium come tante penisole, talora emergenti in mezzo a questi due terreni più giovani come altret- tante isole. Cosi abbiamo gli altipiani isolati di Salmoni’, di Fossauo, di Banale, di Trino, vere isole formate, salvo l’ultima, da Diluvium medio e inferiore; le cosi dette barraggie (di Brianco, di Verrone, di Candelo, di Benna, della Novellina, di Masse- rano, di sotto, di sopra, ecc.), i dossi (di Triogna, di Garabione), le regioni (dell’Alba, di Vaiversa, di Montrino, di Molino, del Cimitero), fra Biella, Cavaglià, Gattinara e Arboro; gli altipiani 528 P. L. PREVER ohe accompagnano il corso della Stura di Lauzo al nord di To- rino, di cui alcuni sono meglio conosciuti sotto il nome di Vaude (di Front, ecc.). I terreni del Diluvium medio sono i più incolti e più sterili, sia per la natura del suolo che per la mancanza di acque d’ir- rigazione, causata appunto dalla loro posizione elevata ed iso- lata, mancanza d’acqua a cui spesso non si rimedia per incuria 0 per ignoranza. In quei punti in cui l’uomo è intervenuto intro- ducendo l’irrigazione e un trattamento intelligente del suolo anche questi terreni sono coltivati; così ad esempio il margine meridionale della barraggia di Candelo e delle altre vicine, com- prese fra il Cervo e la Sesia, a sud di Roasenda, è coltivato generalmente a risaia, e il Diluvium medio e inferiore presso Saluzzo a prato. Certo però che non dappertutto tale terreno, in causa specialmente della composizione mineralogica, può essere suscettibile di una cultura proficua, anche indipendentemente dall’irrigazione. Sia il Diluvium inferiore che il medio sono, lungo il piede alpino, in prevalenza costituiti da conglomerati ad elementi talora grossissimi, come ad esempio si vede assai bene tra Barge e Bagnolo Piemonte in una strada in trincea da poco tempo aperta; quelli del Diluvium inferiore sono di regola così profondamente alterati che si sgretolano, o per lo meno si possono agevolmente tagliare colla pala, la zappa, il coltello. Quelli del Diluvium medio sono solo parzialmente alte- rati : i ciottoli di materiali più resistenti sono alterati soltanto superficialmente, ma ve ne sono altri anche profondamente de- composti e resi quasi incoerenti. Man mano che ci allontaniamo dal piede delle Alpi dimi- nuisce la grossezza degli elementi formanti questi conglomerati, 1 quali possono anche scomparire del tutto in certe località, come si osserva in molti luoghi tra Biella, Gatt inara e Arboro, e tra Chieri e Sanfré. Invece negli altipiani clic formano parte della conoide antica della Stura di Lanzo e altrove, come a sud del Po a Pancalieri, i conglomerati si possono osservare dap- pertutto e spesso sviluppatissimi. Il Ferretto sui terreni del Di- luvium medio si trova in generale scarsamente rappresentato; vi si trova invece frequentissimamente uno strato talora molto potente di Lehm. La maggior parte della pianura è costituita I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 529 però dal Diluvium superiore, che di solito si trova più distante dal piede della catena alpina, e spesso giunge sino a poca di- stanza dal corso del Po. Questo terreno, che appare assai re- cente, è fresco e spesso costituito da conglomerati perfettamente conservati, generalmente sciolti o solo leggermente cementati. Solamente nel tratto fra il Sangone, la Stura di Lanzo ed il Po, e nel tratto fra il Gesso e la Stura di Demonte spessissimo si presenta cementato fortemente. Questo conglomerato però presso la superficie, per uno spessore che nella pianura torinese può giungere sino a un metro e mezzo, è talvolta assai alterato, e si può facilmente confondere con il Diluvium medio per la colorazione del cemento che unisce i ciottoli e la patina d’al- terazione che li riveste. Fra il Pellice e la Sesia il Diluvium superiore, in questo tratto di valle padana impreso a studiare, raggiunge il suo mas- simo sviluppo e costituisce delle vaste regioni pianeggianti col- tivate assai bene a prati, campi e risaie. Al Diluvium superiore fa seguito un altro terreno, talora assai sviluppato e che occupa anche zone molto vaste, come tra Casale Monferrato, la Sesia e Albano Vercellese, a sud del Po. tra Pancalieri e Carignano e a nord della Stura di Cuneo o di Demonte che dir si voglia, nel tratto compreso tra Fossano e Centallo; tale terreno è l’Al- luvium, che io credo, come ho già detto altrove (‘), di poter distin- guere in Alluvium antico e Alluvium attuale. Quest’ultimo è generalmente il meno sviluppato, si trova quasi sempre lungo i corsi d’acqua, e spessissimo si trova per tutto il loro corso sulle sponde formando delle striscie larghe da duecento metri sino a qualche chilometro. E un terreno spesso costituito da sabbie, che raggiungono persino lo spessore di 4-5 metri, ma più spesso formato di sabbie con ghiaie e ghiaiette in strati alternanti, o anche, ciò che avviene più raramente, di sola ghiaia. L’Alluvium antico affiora fra quello attuale e il Diluvium superiore: alle volte la sua composizione si avvicina di più a questo; altre volte è costituito da sabbie, ghiaie e ghiaiette in strati più o meno potenti, o anche da sabbie leggermente ce- C) Vedi : Prever P. L., Sulla costituzione dell’ anfiteatro morenico di Rivoli in rapporto con successive fasi glaciali. Mena. R. Acc. Se. (2}, Vili, con 2 tavole e 8 profili. Torino, 1907. 530 P. L. PREVER mentate, di colore generalmente un po’ rossastro e spesso po- tenti parecchi metri. Si avvicina maggiormente alla seconda costituzione ove non è tanto sviluppato e si stende come una striscia, relativamente non molto larga, lungo i corsi d’acqua; ove è più sviluppato assomiglia maggiormente al Diluvium su- periore, tuttavia vicino ai corsi di acqua cambia gradatamente aspetto, acquistando quello dell’Alluvium recente col quale si trova a contatto, e dal quale non sempre lo separa un gradino molto evidente. Come ho già detto, nei terreni a cui ho brevemente accen- nato, e specialmente in quelli appartenenti al Diluvium, i con- glomerati non sono sempre presenti; in molti punti mancano, oppure compaiono solamente a profondità. In questi luoghi in generale il terreno viene sfruttato per la fabbricazione di ter- raglie. Queste ultime si fabbricano specialmente sui Diluvium inferiore e medio, ove il terreno, per lo spessore di parecchi metri dalla superficie, è talora costituito da argilla più o meno pura. Anche per le fornaci di laterizi si preferiscono queste argille, che dànno materiali migliori, più resistenti e più compatti, ma ove queste non si trovano vengono usati altri terreni, talora anche molto sabbiosi, che naturalmente dànno prodotti meno buoni, meno resistenti ; così quelli che si hanno da molte for- naci poste snll’Alluvium antico e sul detrito di falda dei colli terziari piemontesi, nei punti in cui questi sono piuttosto sab- biosi. Cattivi prodotti in generale dà invece il Loess. In questa regione, oltre ai terreni di origine fluviale o glaciale, se ne trovano altri di origine eolica. Così il Loess che si trova su parecchi punti della collina di Torino, fra Moncalieri, Superga e Chieri, suH’anfìteatro morenico di Rivoli e in qualche punto di quello di Ivrea. Esso è assai sviluppato sulla collina di Torino, meno sulle morene di Rivoli, tuttavia su quella e su queste rag- giunge in alcuni punti uno spessore variabile dai 12 ai 10 metri. Specialmente sulla collina di Torino spesso contiene delle con- crezioni calcari (le cosidette bambole del Loess) e in molti luoghi è fossilifero (1). Gran parte di esso fu deposto sulle morene (’) Vedi: Prever P. L., Aperta gcologique sur la rolline de Turni, il/. S. G. F. (4), Z; con 5 profili, e una carta geologica. Parigi, 1907. I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 531 dell’anfiteatro di Rivoli e sulla collina di Torino, durante la seconda fase interglaciale; ce lo dimostra, fra altro, il Loess intercalato fra il morenico della seconda espansione glaciale e quello della terza, presso Rivoli. Una piccola parte sull’anfiteatro morenico di Rivoli e, forse anche sulla collina di Torino, fu deposta nel postglaciale, o, come io direi più volentieri, nella terza fase interglaciale. Pure di origine eolica è quella forma- zione assai sviluppata presso Cambiano, tra Moncalieri e C'hieri, e che si trova pure presso Grugliasco, tra Pianezza e Rivalta. Yi sono quivi delle sabbie accumulate sotto forma di piccoli dossi, alle volte allineati e paralleli, che rappresentano gli avanzi di antiche dune continentali, formatesi nella terza fase inter- glaciale. Esse costituiscono un terreno arido, sterile, che difficilmente si presta alla coltura, specialmente perchè non ne fu ancora tentata l’irrigazione. In alcuni punti, come presso Cambiano, e a sud di Grugliasco ove l’irrigazione vi è praticata, nella parte più pianeggiante di tali formazioni, cresce discretamente il fru- mento, meglio il granturco e la segala. Sul Trac Garghera, a nord di Grugliasco si coltiva anche la vite che vi cresce discre- tamente; fu pure tentata la coltura a prati, ma questa non riesce molto bene perchè d’estate l’erba coltivata vi si dissecca, mentre è difficile estirparvi le male erbe. Riassumendo noi osserviamo che i terreni più antichi si tro- vano più verso la montagna, quelli più giovani verso il punto di maggior depressione della valle. Altimetricamente rAUuvium recente è il terreno posto più in basso, il Diluvium inferiore quello collocato più in alto. In generale si passa da uno all’altro dei diversi terreni del Dilu- vium e dell’Alluvium per mezzo di un gradino che può essere più o meno elevato. Nel biellese, nel cuneese, negli altipiani isolati di Fossano, Salmoni-, Banale, in quelli della Mandria, di Fiano, di Lombardore, di S. Francesco al campo, di Front, di Barbania, i gradini sono per lo più molto spiccati, e rag- giungono talora l’altezza di parecchie diecine di metri; in altre regioni, come nel tratto fra la Stura di Cuneo e il Sangone i gradini sono alti pochi metri, o mancano affatto. I gradini che difficilmente mancano sono quelli che formano scarpata al Di- P. L. PREVER 532 luvium medio. È spesso poco visibile quello che limita il Dilu- vium inferiore, e spesso anche poco sensibile quello che limita il Diluvium superiore e quello che limita l’Alluvium antico. Dove poi abbiamo le conoidi sovrapposte al piano generale terrazzato, allora manca assolutamente ogni gradino che separi l’AUuvium dal Diluvium superiore, anzi spesso quello altimetri- camente è posto più in alto di questo. Una regione caratteristica per i gradini assai elevati, che vanno da un’altezza di 30 m. ad una di 120 m., è quella a sud-est della Stura di Cuneo, da Roccavione a Bra. Ivi l’ero- sione è stata intensa, come forse in nessuna altra parte del- l’alta Italia, e impresse al paesaggio un aspetto particolare interessantissimo. Essa ha intaccato, oltre alla serie diluviale, anche il Villafranchiano e il Pliocene propriamente detto (Astiano e Piacenziano) per decine e decine di metri, talora giungendo ad intaccare persino il Messiuiano. Tutti i corsi d’acqua com- presi in quella regione scorrono perciò in solchi generalmente non molto ampi, talora stretti, ma molto profondi. Così il Da- naro, la Stura in parte, il Gesso, il Pesio, il Pogliola, il Bran- zola, l’Ellero-, il Mondalavia, il Rivaletto. I gradini sulla sinistra del Tamaro, fra Carni e Cherasco, sono i più alti e i più carat- teristici della regione. Dall’ovest, cioè dai piedi delle Alpi, diri- gendosi verso il Tanaro, normalmente al suo corso, si cammina dapprima sulla pianura allindale, poi con un gradino di pochi metri si sale sul Diluvium inferiore per ridiscendere presto, me- diante un altro gradino di pochi metri, sul Diluvium medio, e poi con un terzo, poco rilevante esso pure, sul Diluvium supe- riore: giunti poco appresso all’orlo orientale di questa pianura si para dinnanzi un solco profondissimo, talora sino a un centi- naio di metri, aperto fra la massa dei terreni di trasporto e le colline terziarie delle Langlie; in esso scorre il Tanaro. Carattere di vere forre lo hanno certi tratti del corso della Stura, fra Possano e Cherasco, del Pesio, fra Rocca de’ Baldi e Carni, i corsi dell’Ellero, del Rivaletto, del Mondalavia, ecc. Il paesaggio ha quindi una fisionomia speciale, in aperto con- trasto con quello che si ammira a nord della Stura di Cuneo e sino al Sangone, ove la pianura, costituita prevalentemente da Alluvium e Diluvium superiore, o presenta solo piccoli gra- I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 533 dini, o non ne presenta affatto, offrendo invece all’esame il feno- meno delle grandi conoidi allindali sovrapposte al piano gene- rale terrazzato. Ad oriente del Sangone sino alla Sesia, ripigliano i gradini notevoli (quantunque non paragonabili ai primi accen- nati) che imprimono al paesaggio una fisionomia non molto dissimile da quella che offre il paesaggio diluviale in Lom- bardia e nel Veneto, al nord del Po. La causa della profonda erosione esercitata dal Tanaro e dagli altri corsi d’acqua su menzionati va, credo, cercata, in un lento e continuo innalzamento di quella porzione di valle padana durante la deposizione del Diluvium e di parte dell’Al- luvium. L’equilibrio idraulico di detti corsi d’acqua veniva con- tinuamente turbato, ed essi, cercando di ristabilirlo, erodevano per portare la curva di fondo alle condizioni normali. Un altro deposito continentale ha pure una certa importanza nella costituzione di questa parte della pianura padana: il Vi 1- lafranchiano. Tale terreno, di cui è discusso il riferimento cro- nologico, dovette formarsi in modo affatto analogo ai depositi di- luviali, non è possibile precisare se nel Pliocene o al principio del Quaternario ; probabilmente esso si formò in tutte e due questi periodi, e si può considerare come un terreno di transi- zione fra di essi. Parecchi sono gli aspetti dei terreni, che i diversi autori collocano nel Villafranchiano ; dai conglomerati che noi troviamo sottoposti ai Diluvium inferiore e medio, presso Torino, sulla conoide antica della Stura di Danzo, nel cuneese, nel monrega- lese e nel fossanese, al tipico Villafranchiano dell’Astigiana, alle cosidette alluvioni preglaciali, al ceppo lombardo. Sempre tuttavia questi conglomerati, in generale fortemente cementati, che presentano delle intercalazioni di lenti, di banchi argillosi, sabbiosi, sono assai ben conservati e dovettero depo- sitarsi in condizioni d’ambiente assai diverse da quelle, che si stabilirono poi, quando si formarono i depositi cosi profonda- mente alterati dei diluviali più antichi. E indiscutibile che avanti l’invasione glaciale nella pianura, dovevano già esistere su questa delle formazioni, la cui depo- sizione dovette incominciare subito dopo l’emersione di questa parte della valle padana, e cioè probabilmente già nel Pliocene. 534 P. L. PREVER Tali terreni dovettero continuare a formarsi però anche dopo, nel principio del Quaternario, tino alla prima invasione glaciale; e vengono perciò ad essere interposti fra i terreni precedenti e la massa del Morenico e del Diluvium che venne poi a rico- prirli. Le condizioni dell’ambiente in cui vennero a deporsi non dovettero cambiare sensibilmente nel passaggio dal terziario al quaternario, e non è quindi possibile, almeno per me, dividere tali depositi in due porzioni riferibili all’ima o all’altra di queste due ere. II. Distribuzione di qualche essenza vegetale SUI DIVERSI TERRENI QUATERNARI. Senza volere entrare in particolari riguardo alla distribu- zione della flora sui diversi terreni nominati, cosa che usci- rebbe completamente dal mio campo e dalle mie intenzioni, credo interessante accennare brevemente a qualche pianta più direttamente utile all’uomo. In generale, tolte certe esigenze speciali o la comodità di avere sullo stesso terreno una certa varietà di prodotti, onde si coltivano molte piante anche in terreni inadatti, le col- ture sono precisamente adattate ai terreni su cui vivono, poiché appunto così i prodotti sono migliori e più abbondanti. Così, per esempio, sulTAlluvium recente e su buona parte delI’Allu- vium antico, posti fra la Stura di Cuneo e il Po sino a Cari- guano, si fa estesissima la coltura della canapa, che ivi pro- spera molto meglio che sul Diluvium. Diffìcilmente ne troviamo in piantagioni estese sul Diluvium superiore e manca comple- tamente su quello medio e sull’inferiore. Le piccole piantagioni che si osservano alle volte sul Diluvimi superiore, come p. es., presso Vigone, Pancalieri, Lombriasco, Carignano non sono così rigogliose come quelle estese che si trovano sull’Alluvium. Nella bassa pianura e cioè sul Diluvium superiore e sull’Alluvium antico posto fra la Stura di Cuneo e il Po, come ho detto sopra, la coltura della vite indigena, dopo la comparsa della perono- spora, è diventata quasi impossibile per le troppe cure clic essa I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 535 richiede, mentre i contadini devono attendere ad altre urgenti taccende: essa fu allora sostituita dalla vite americana. Questa, che richiede meno cura, è piantata in mezzo ai campi e vi prospera in modo magnifico, più che sui terreni appartenenti al Diluvium medio e inferiore. In questi campi il contadino irriga le ortaglie o il melgone e necessariamente anche la vite, che allora prospera anche maggiormente, ma dà un vino più debole. Sui medesimi terreni del Diluvium superiore e dell’Al- I u vi um antico, crescono molto bene il noce, il gelso, meno la quercia e il salice. Il pioppo, la segale, l’asparagio crescono benissimo sulPAlluvinm antico e sul recente. Queste due ultime piante danno buonissimi prodotti anche sulle dune continentali. II frumento e il riso si trovano meglio sul Diluvium superiore; tuttavia dànno buoni prodotti anche suH’Alluvium antico. Su quest’ultimo terreno il pesco prospera in modo bellis- simo, così pure il pero; ambedue, ma meglio il secondo, cre- scono ancora in modo rigogliosissimo sul Diluvium superiore. Sul Diluvium inferiore e sul medio crescono rigogliosi l’olmo e il melo, che riescono meno sui terreni più recenti ; su questi il frutto del melo si fa meno abbondante, meno saporito e di meno lunga conservazione, la vite cresce molto bene sul Diluvium superiore ; sul medio e su quello inferiore, massime ove sono, come di frequente, ricoperti da una spessa coltre ar- gillosa più o meno alterata, dà prodotti leggeri, meno apprez- zati, non conservabili a lungo e spesso anche di sapore non troppo gradevole. Gli ortaggi crescono più rigogliosi sull’Alluvium antico e sul Diluvium superiore. Il melgone trova più confacente al suo sviluppo l’Alluvium antico e il Diluvium superiore, ma special- mente il primo se è convenientemente irrigato. Il prato cresce pure rigoglioso siiH’Alluvium antico, ma cresce molto più bello sul Diluvium superiore. Osservo poi che molte colture potreb- bero prosperare magnificamente bene anche su terreni un po’ diversi da quelli sui quali crescono più rigogliosi: basterebbe introdurvi certe migliorie abbastanza semplici in certi casi, e scegliere più razionalmente i concimi, e irrigare più abbondan- temente e con più criterio. 36 536 P. L. PREVER Come esempio di tentativo di miglioria deH’Alluvium, an- tico i contadini usano, specialmente per il prato, ricorrere al debbio che praticano su larghissima scala. Come prova di adat- tamento di coltura a terreni, ove notoriamente una data pianta non vi cresce che intristita, basta accennare ai prati dei din- torni di Sai uzzo. I migliori sono posti sul Diluvium medio e inferiore, ma sono ben concimati e irrigati abbondantemente e con criterio, mentre altrove, sui medesimi terreni, come ad esempio tra limino e Traua, sull’altipiano della Mandria e sulle barraggie ad est di Ivrea, dove manca o è scarsissima l'irri- gazione, il prato, promettentissimo in primavera un po’ inoltrata, secca a cominciare dalla seconda, talvolta dalla prima quindi- cina di Luglio. Nelle regioni moreniche il tipo collinoso costringe a scar- tare certe colture, od a ridurle notevolmente, in causa dell’im- possibilità dell’irrigazione; del resto in esse, avendosi dei ter- reni corrispondenti a quelli della serie diluviale e alluviale, press’a poco le colture si ripartiscono nel medesimo modo, fatta eccezione per la vite, che è molto più diffusamente coltivata. Capita pure frequentemente di trovare estese regioni, special- mente verso la sommità dei cordoni, e particolarmente su di quelli della prima e della seconda glaciazione, piantate a boschi di castagno e di quercia. I prati si trovano prevalentemente in fondo ai solchi che separano i cordoni morenici, vale a dire ove il terreno è più ricco in umidità e -meno ciottoloso. Rispetto ai vari tipi di terreno agrario, si può dire che nel Quaternario di questa porzione di valle padana si incontrano quasi tutti. Sono scarse le terre calcari. Sono presenti gli schietti tipi delle terre argillose nei terreni del Diluvium inferiore spe- cialmente, talvolta anche in quelli del Diluvium medio; di quelle sabbiose nelle dune continentali, nell’Alluvium recente, e tal- volta anche nell’Alluvium antico, ove però s’incontrano terreni già più argillosi e frequentemente più o meno calcarei. Non fanno nemmeno difetto le cosidette terre franche, specialmente nel Diluvium superiore ed anche sul medio e dove si incontra del Loess e del Lehrn. Le terre pesanti, fredde, le cosidette terre forti, sono preva- lentemente addossate ai monti; ([nelle sabbiose, sabbioso-cal- I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 537 cavee si trovano di preferenza nella parte più bassa della volle; quelle argi Ilo-sabbiose, argillo-calcaree si trovano anch’esse nella parte bassa della valle o immediatamente a circondare le pre- cedenti. Addossate ai monti, sopra le terre forti, si trovano spes- sissimo ancora dei terreni sabbiosi, talora sabbioso-argillosi o argilloso-calcarei, formati dai detriti di falda. L’età geologica di un terreno dà nella maggioranza dei casi un criterio per conoscerne subito alPincirca la sua natura, spe- cialmente il suo stato di composizione fisica, è quindi i suoi pregi e difetti, le migliorie che vi si possono introdurre, i concimi da usarsi per adattarvi date colture, e le colture cbe più vi si con- fanno; ma essa non sempre costituisce un dato sufficiente. Oltre il clima, l’esposizione, ecc.., bisogna tener calcolo essenzialmente della sua composizione chimica. Ciò spiega p. es. come le col ture sul Diluvium medio e inferiore nei dintorni di Saluzzo, di Pinerolo, di Costigliole Saluzzo, ecc., aiutata dall’irrigazione, diano splendidi risultati, mentre in molte barraggie del biellese, sugli altipiani della Mandria, di Front, più ancora su quelli di Barbania, Cirié, S. Maurizio non si può tentare nessuna coltura, e in alcuni luoghi non cresca neppure un misero filo d’erba. I primi terreni risultano in prevalenza costituiti dai pro- dotti di disfacimento di calcescisti, micascisti, calcari; sono quindi terreni provvisti di tutti gli elementi chimici necessari alle piante, mentre p. es. sugli altipiani che si elevano ai lati della Stura di Lanzo, costituiti da materiali provenienti dal disfacimento di pietre verdi, prevalentemente di serpentine, mancano o sono scarsissimi certi elementi indispensabili alle piante, come la potassa. In relazione poi colla maggiore o minore fertilità del terreno sta l’addensamento della popolazione. Essa è in generale molto più densa sul Diluvium superiore e sull’ Alluvioni antico che sul Diluvium medio ed inferiore; è addirittura scarsissima nelle regioni sterili. Quivi non si incontrano che scarsi centri d abi- tazione ed anche questi sono in generale posti sul limite del terrazzo, presso o sopra il gradino che scende ai sottostanti ter- reni fertili. Faccio però notare, a proposito dell’ubicazione dei centi i d’abitazione, che questi sono in grande maggioranza posti pie- 538 P. L. PREVER cisamente lungo i gradini che separano un terreno dall’altro, generalmente in alto del gradino, e con prevalenza essi si tro- vano lungo quello formato dal Diluvium superiore. Credo sa- rebbe interessante, specialmente per l’archeologo, esaminare dav- vieino questa distribuzione dei centri di abitazione sul Quaternario e confrontarla cou quella delle colline. III. Andamento dei principali corsi d’acqua DURANTE LE FASI GLACIALI. Questa porzione della valle padana è solcata da un discreto numero di corsi d’acqua, taluni dei quali sono anche assai im- portanti ed hanno largamente contribuito in altri tempi al col- mataggio di questa parte di pianura, per mezzo dei loro depo- siti diluviali ed allindali. Ora, se noi osserviamo la plastica e la posizione relativa di questi terreni, è assai facile rilevare che il corso di tali fiumi non fu sempre eguale a quello che essi seguono oggidì. Le grandi conoidi, che ogni fiume costrusse in pianura, do- vettero, nelle diverse fasi glaciali e nel postglaciale essere un po’ differenti l’ima dall’altra nella forma, nell’estensione ed anche nella direzione, secondo la portata del corso d’acqua, la pla- stica che esso trovava dopo una fase interglaciale, e, se si trattava di un corso uscente da un ghiacciaio esteso in pianura, dal nu- mero e dall’importanza dei torrenti glaciali che uscivano dalla fronte di questo e dai suoi lati. Il Tanaro, sboccando in pianura presso Carni, nella prima fase glaciale correva verso Cavallermaggiore e costruiva appunto una conoide sviluppata in questo senso, la quale, sulla destra, si appoggiava ai colli terziari da Carni fin oltre Sommariva Bosco, mentre dall’altro lato confinava colle conoidi minori del- l’Ellero e del Pcsio, e più a valle con quella del Gesso. Tale conoide dovette essere una delle più grandiose di questo tratto di valle padana, a giudicarne dai relitti ; nella fase intergla- I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 539 ciale successa però essa venne profondamente erosa, quasi com- pletamente asportata, e ne rimangono soltanto dei frammenti, che formano gli altipiani isolati di Famolasco, di Banale, di Piambosco e in qualche lembo addossato ai monti. Nella seconda fase glaciale il Tanaro costrusse un’altra co- noide, fra la collina e i lembi isolati occidentali della sua vecchia conoide; essa è quindi più piccola ed appoggiata ad occidente alla più antica. Nella terza fase glaciale si formò pure nelle medesime con- dizioni un’altra conoide più piccola della precedente, ma torse più lunga, che appoggia il suo lembo occidentale ai residui di quest’ultima. Nel solco più ristretto, che il Tanaro si scavò nella terza fase interglaciale nella conoide ultima costrutta, si depose la conoide deU’Alluvium antico, la quale però venne in molti punti completamente rimaneggiata ed anche asportata. Le conoidi del Tanaro quindi andarono sempre restringendosi ed allungandosi, occupando aree sempre meno notevoli. Le piccole conoidi dell’Ellero, del Branzola, del Pesio, del Brobbio, del Colla, poste a ino’ di cuneo fra quella del Tanaro e quella del Gesso, tendevano a spostare il corso di questo tor- rente e quindi la sua conoide verso il nord-ovest ; ma quivi la Stura di Cuneo più ricca di acque e di materiali costruiva più rapidamente la sua conoide, modificando, con 1 ostacolo da essa frapposto, la direzione della conoide del Gesso. Le due conoidi della Stura di Cuneo e del Gesso, allo sbocco in pianura presso Borgo S. Dalmazzo, dovevano formarne quasi una sola; solo qualche chilometro più a valle la loro divisione era ben netta e quella del Gesso si allungava verso Trinità, mentre quella della Stura si avanzava su Centallo-Fossano-Genola-Ma- rene. Le piccole conoidi del Pesio, dell’Ellero, del Brobbio, del Colla furono in parte rispettate dall’erosione durante la prima fase interglaciale; di quella maggiore della Stura non limaselo che pochi lembi presso Vignolo; di quella del Gesso non ri- mase nulla. Nella seconda fase glaciale le conoidi costrutte da questi corsi d’acqua furono press’a poco eguali alle prime; delle mi- nori, nella fase interglaciale successiva, si salvò qualche lembo un po’ notevole, da Boves a Mondovì. Delle maggiori poco o 540 P. L. PREVER nulla rimase; il relitto più notevole si trova sulla sinistra della Stura presso Yignolo. Nella terza fase glaciale la conoide del Gesso si insinuava nei solchi Fossano-Cervere e Trinità-Benevagienna, aperti nella fase interglaciale precedente: essa non si espandeva più verso il sud come prima, perchè impedita dagli avanzi notevoli delle precedenti conoidi dell’Ellero, del Brobbio, del Pesio, ecc. Anche le conoidi di questi corsi minori in questa fase glaciale furono notevolmente più strette delle precedenti; poiché i resti delle ultime le rinserravano ai fianchi. Nella quarta espansione glaciale, per il diminuito volume delle acque dei singoli corsi, i depositi non colmarono che in parte i profondi solchi scavati nella fase interglaciale sulle co- noidi preesistenti. I corsi minori deposero le loro alluvioni nei solchi stessi ; i maggiori invece più a valle, ove i solchi erano meno profondi, oppure la deposizione fu più rapida, ben presto, colmati i solchi, tornarono a spaziare colle loro acque dando luogo alla costruzione di nuove conoidi. In questa fase glaciale le acque del Gesso e della Stura riunite costrussero una grande conoide che si stende da Ronchi a Fossano verso Savigliano e Racconigi; essa però non è più così netta come le precedenti, e fu costrutta in parte anche dalle acque del Grana, della Maira, della Varaita che già prima scorrevano in questa regione. 11 Grana formò anch’esso delle piccole conoidi successive, comprese fra quelle della Stura di Cuneo e quelle della Maira; di esse rimangono però pochissimi relitti, eccezione fatta dell ’at- ti. \le e delle due ultime precedenti (dell’Alluvium antico e del Diluvium superiore). Oltre alle acque del Grana, nelle fasi inter- glaciali, concorsero a demolire le più antiche sue conoidi anche le acque della Stura e della Maira. Molto importanti furono pure le conoidi della Maira e della Varaita. Influenzata in parte la prima dalle conoidi della Stura di Cuneo, del Tamaro e del Grana si addossava alla montagna e si dirigeva verso N.-E. da Busca a Savigliano, e costringeva quella della Varaita ad assumere la medesima direzione. Delle conoidi costrutte da questi due corsi d’acqua durante la prima e la seconda fase glaciale non rimangono che delle strisele presso i contrafforti alpini ; tutto il resto fu demolito. Anche della co- I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 511 noide deposta durante la terza fase glaciale rimane poco; di quella della Varaita specialmente non si conservò che il lembo sinistro verso la montagna. Durante la quarta espansione gla- ciale la Maira e la Varaita quasi si confusero, costruendo un po’ lontano dal loro sbocco in pianura, specialmente per la Maira, due grandi conoidi, quasi confuse in una, e quasi confuse altresì con quella costrutta dal Gesso, dalla Stura e dal Grana, ed anche oggidì ben conservate. 11 Po costrusse in pianura delle grandiose conoidi, le quali da Revello si spingevano sin presso Cariguano, confondendosi sulla destra prima con quelle costrutte dalla Varaita e poi con quelle del Danaro e della Stura che si spingevano sino a Carma- gnola. Sulla destra venivano a confondersi con le conoidi del Peli ice, del Chisone, del Chisola. Delle conoidi costrutte dal Po nella prima e nella seconda fase glaciale rimangono delle striscie ai piedi dei monti, da Revello verso Raglinolo Piemonte e presso Saluzzo, ove i materiali portati dal Po si confondono con quelli portati dalla Varaita. Così delle conoidi costrutte nella prima e nella seconda fase glaciale dal Peli ice, dal Chisone, dal Chi- sola, dal Sangone e dalla Dora Riparia non rimangono che scarse traccie presso i monti. Molto bene conservate e notevoli sono invece le conoidi della terza fase glaciale, che coi loro depositi hanno spinto verso l’est il corso del Po; bellissime e notevoli sono pure le conoidi deposte dal Chisone, dal Pedice e special- mente dal Po durante la quarta fase glaciale. La Stura di Lanzo dovette costruire anch’essa, come si può desumere da ciò che ne è rimasto, una grandissima conoide du- rante la prima fase glaciale, ma ne sou rimasti pochi lembi ad- dossati ai monti. Altrettanto grandiosa fu la conoide costrutta nella seconda fase glaciale, la quale fu divisa in seguito in due altipiani, notevoli per estensione e per altezza, che rimangono ancora oggigiorno ad attestare la mirabile attività demoliti ice e costruttrice delle acque, durante l’èra neozoica. Nel grande solco inciso nella parte, assai notevole, della conoide non stata in seguito distrutta, la Stura costrusse, durante la terza tase gla- ciale, un’altra conoide, questa volta piccola. In seguito depose anche l’Alluvium antico e l’attuale, ma non si può dire che abbia costrutto delle conoidi che veramente meritino un tale nome; 542 P. L. PREVER solo a valle della Tenaria, verso il Po, dopo l’unione sua colla Ceronda e dove il solco si allarga maggiormente essa costrusse una piccola conoide durante la quarta fase glaciale. Si hanno scarsissimi residui delle grandi conoidi che dovettero costrurre durante la prima e la seconda fase glaciale l’Orco e la Dora B altea. La conoide deposta dall’Orco durante la terza fase gla- ciale è invece ben conservata e notevole; poco notevoli sono le conoidi successive. Però ove l’Orco si unisce col Malone abbiamo una bellissima conoide costrutta coi depositi dell’Alluvium an- tico. Le conoidi costrutte dalla Dora Baltea dovettero essere enormi, ma non si conservò che quella deposta durante la terza espansione glaciale. Esse erano costrutte dai torrenti glaciali, che uscivano dall’anfiteatro, e, come questi erano per lo meno due, uno che sboccava presso Mazzé, l’altro fra Alice e Cavaglià, la conoide si dirigeva verso Bianzè, Ronsecco, Tricerro, Rive, tra Vercelli e Casale Monferrato. Della prima non rimane che un lembo presso Cavaglià, e della seconda due lembi, uno presso a Cavaglià, l’altro presso Trino. Fra la Serra d’Ivrea e la Sesia i corsi d’acqua scendenti dalle Alpi, compresa la Sesia, costi-ussero delle estese conoidi. Di quelle costrutte durante la prima fase glaciale rimangono solo pochi lembi verso la montagna, ad indicare la potenza di queste conoidi. Largamente conservati sono invece quelle deposte durante la seconda fase glaciale. Esse furono poi incise da pro- fondi solchi e in essi si depositò il Diluvium superiore e l'Al- luvium antico di modo che questi due terreni non formano che delle piccole conoidi. L’unica un po’ considerevole è quella for- mata dal Diluvium superiore a valle della confluenza del Cervo con l’Elvo. Se ne arguisce che i corsi d’acqua hanno costante- mente costrutto delle conoidi; quando essi non si trovavano rin- serrati ai fianchi al loro sbocco in pianura, cominciavano subito la costruzione della conoide; se al contrario scorrevano, per un certo tratto in pianura, in un solco, davano principio alla costru- zione della conoide nel punto ove cessava questo solco ed essi potevano assumere un corso ad alluvioni vaganti. I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 543 IV. Andamento dei principali corsi d’acqua DURANTE LE FASI INTERGLACIALI E NEL POSTGLACIALE. Il corso che seguono i fiumi di questa porzione di valle padana è di data relativamente recente ed è conseguenza del- l’assettamento attuale di questa regione, effettuatosi col concorso di quei movimenti orogenetici, che, pure in altri tempi, influi- rono a modificarlo anche col determinare dei cambiamenti nel corso dei diversi fiumi. Cosi si spiega il fatto, che, mentre du- rante il periodo glaciale e anche per qualche tempo nel cosidetto postglaciale il Po funzionava da collettore generale immediato di tutti i corsi d’acqua scendenti dalle valli che si aprono su questo tratto di valle padana, ora sono due i collettori princi- pali: il Po e il Tanaro, e quest’ultimo, dopo di aver raccolto le acque di numerosi corsi d’acqua, s’insinua attraverso i colli terziari piemontesi, passa da Bra ad Alba, Asti, per uscire di nuovo in pianura ad Alessandria e si getta nel Po un bel tratto a valle di Valenza, mentre prima si immetteva nel medesimo fra Casalgrasso e Carignano. Dal suo sbocco in pianura sino a Carignano, il Po non ri- ceve ora di notevole sulla destra che i torrenti Varaita e Maira, accresciuto quest’ultimo dalle acque del Grana (che a valle di Centallo piglia il nome di Mellea). Tutti i corsi d’acqua più a sud di questi, discendenti dalle valli della Stura di Demonte, del Gesso, della Vermenagna, del Pesio, dell’Ellero, e dalle vailette minori, di dove discendono il Brobbio, il Pogliola, il Branzola, il Mondalavia, il Rivaletto, ecc., sboccano invece nel Tanaro, il quale a Bra volge il suo corso frammezzo alle colline, facendo un angolo di 90 gradi circa colla direzione del suo corso antico. Anticamente il Tanaro meno ricco di acque, (poiché la Stura, separata prima dal Gesso, e in un certo tempo unita ad esso, sboccava direttamente nel Po), si dirigeva tra Racconigi e Car- magnola e sboccava nel Po nei dintorni di Castagnole Piemonte e successivamente presso Carignano. 544 P. L PREVER Questo fatto del corso del Tanaro che sboccava nel Po presso Carmagnola, già accennato da Gastaldi, da Sacco e da altri, non è ben conosciuto nelle sue modalità, poiché ancora non si conoscono le diverse vie percorse dal fiume nelle fasi in- terglaciali successive, nè il momento in cui questo cessò di scendere verso Carmagnola per dirigersi su Alba. Tale periodo di tempo coincide probabilmente con quello nel quale la Stura, da poco unita al Gesso, cessò di scorrere verso Savigliano e si riversò invece nel Tanaro presso Cberasco, per la stretta, già par- zialmente esistente, posta fra gli altipiani di Fossano-Cervere e di Trinità- Salmour- Cberasco. Sin dopo il cosidetto periodo glaciale il Tanaro giunto a Bra si dirigeva per un solco largo sino a tre chilometri, verso Sommariva- Bosco, Caramagna, Carmagnola. Qualche chilometro a nord di Caramagna il Tanaro dovette subire una deviazione, poiché egli. seguì due vie, l’una all’est e l’altra all’ovest di Car- magnola; per la prima di esse esso doveva sboccare nel Po presso Carignano, presso Lombriasco per la seconda. Forse anche il fiume si gettava nel Po contemporaneamente per le due vie, ciò che è più probabile, data la ìistrettezza notevole del suo alveo ad est di Carmagnola (600-900 m.), in confronto coll’ampiezza che esso raggiunge più a monte. Durante tutto il tempo che corrisponde alla deposizione del- l’Alluvium antico il Tanaro, come ce lo dimostra la natura del terreno del letto abbandonato, continuò per questa via. 11 cam- biamento posteriore di corso deve essere stato causato da un movimento orogenetico per il quale si abbassò forse il tratto dei colli a sud del corso attuale fra Bra ed Alessandria, originan- dovi, o marcandovi di più una depressione coincidente colla valle Bra-Asti-Felizzano, e per questa via più bassa del letto del fiume si precipitarono quindi le acque del Tanaro. E notevole il fatto, che dalla soglia dell’antico corso abban- donato presso Bra sino ad Alba, e quindi alla distanza di ap- pena 16 chilometri, esiste un dislivello di più di 90 metri, certo causa principale dell’erosione profonda operatasi a monte di Bra, prima che il fiume potesse raggiungere l’attuale suo equilibrio idraulico. I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 545 L’abbassamento di tale porzione dei colli terziari piemontesi provocò un’oscillazione della parte di pianura fra Bra, Mondovì, Saluzzo, Cuneo, che rimasta ferma verso l’ovest dovette abbas- sarsi all’est, provocando probabilmente anche la deviazione della Stura e del Gesso già uniti, avvenuta contemporaneamente a quella del Tanaro. Durante la seconda fase interglaciale il letto del Tanaro era più ampio che non nella terza fase a cui ho già accennato, era più ricco d’acque, perchè riceveva direttamente se non tutte, una gran parte delle acque del Gesso, allora non ancora unite alla Stura, ed era spostato verso ovest sino ad una linea condotta da Garrii per Benevagienna-Cervere a Madonna del Pilone (tra Cavai lermaggiore e Bra) e le acque del fiume dovevano dirigersi al Po, il cui corso era molto più dell’attuale spostato verso N.-O., passando tra Racconigi e Caramagna e raggiungendolo probabilmente verso Castagnole Piemonte. Nella prima fase interglaciale la sponda occidentale del- l’ampio letto del Tanaro era anche maggiormente spostata verso ovest nel tratto Carrù-Cervere, e coincideva con una linea con- dotta da Bastia a Salmoni1 e C. Giardina ad est di Marene. Tra l’altipiano di Famolasco e Bra, il letto era uguale a quello che probabilmente conservò nella seconda fase intergla- ciale; e oltrepassato questo punto le acque dovevano dirigersi verso Racconigi e poi verso Pancalieri andando a gettarsi nel Po presso Osasio o Castagnole Piemonte, facendo deviare il corso di quest’ultimo verso nord ovest, tanto da spingerlo a lambire ed erodere in parte le morene frontali dell’anfiteatro di Rivoli. Con ogni probabilità il corso del Po, per 1 immissione delle acque del Tanaro e della Stura di Cuneo, dovette continuare per quella via anche nella seconda fase interglaciale, poiché le morene della seconda glaciazione furono anch’esse, verso la fronte, abrase ed asportate in parte secondo una linea che cor- risponde probabilmente alla sponda sinistra del fiume. Sin dalla prima fase interglaciale il Tanaro raccoglieva le acque del Pogliola, del Branzola, e dell'Ellero, meno probabil- mente quelle più ad ovest del Brobbio, del Pesio, del ( olla, che forse si dirigevano da Morozzo verso Dalmazzi e Bene\ agienua. Il torrente Gesso sin dopo la deposizione del Diluvium supe- riore non scorreva, a valle di Cuneo, unito alla Stuia di Demonte, 546 P. L. PREVER come oggidì. Durante la prima fase interglaciale forse le sue acque da Borgo S. Dalmazzo si dirigevano verso Beinette, Mar- garita, Rocca de’ Baldi, Carni, immettendosi nel Tanaro qualche chilometro ad ovest di quest’ultimo paesello, e aumentate per via dalle acque del Colla, del Brobbio, del Pesio, del Pogliola, del Branzola, dell’Ellero. Non si può però escludere un’altra ipotesi; cioè che le acque del Gesso da Borgo S. Dalmazzo si dirigessero su Margarita e Morozzo, ove ricevevano pure le acque del Colla, del Brobbio, del Pesio; e di qui verso Dalmazzi e Benevagienna, prima del qual paese s’immettevano nel Tanaro, praticando quella larga fossa che separa gli altipiani di Salmour-Piambosco da quello di Banale. Nella seconda fase interglaciale il corso del Gesso dovette essere un po’ a sud di Margarita e Morozzo, andando da Borgo S. Dalmazzo a Dalmazzi. Press’a poco nel punto ove ora tro- vasi il paesello di Trinità, ai piedi dell’altipiano di Piambosco, il corso doveva scindersi in due rami, dei quali uno andava verso Benevagienna continuando l’antica via, se nella prima fase interglaciale le acque del Gesso erano già passate di qui, e l’altro si dirigeva più a sud verso Fossano, andando a sboc- care nel Tanaro un po’ a monte di Cervere. Venne così com- piuto l’isolamento dell’altipiano di Salmour-Piambosco, e nel tempo stesso si isolava pure quello di Banale. In questa fase interglaciale con ogni probabilità le acque del Colla, del Brobbio e del Pesio andavano ancora ad unirsi colle acque del Gesso tra Morozzo e Dalmazzi. Durante la terza fase interglaciale le acque di questo tor- rente si univano a valle di Cuneo con quelle della Stura di Demonte e procedevano per qualche chilometro nell’ampio letto attuale sino ai Ronchi. Ivi, mutata direzione, si dirigevano verso Ruà Cesani, Levaldiggi, per unirsi prima con quelle del Grana, poi con quelle della Maira, e più a valle, fra Savigliano e Lagnasco, con quelle della Varaita, e sboccare nel Po presso Polonghera. Questa enorme fiumana ad alluvioni vaganti, ben più consi- derevole del Po nel quale andava a sboccare, doveva occupare un alveo amplissimo, die coll’andar del tempo dovette spostarsi da ovest verso est, portandosi dalla linea Ronch i-Vottignasco- Vii- I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 517 lanuova-Solaro-Faule a quella di Bastia-Murasso-Genola-Savi- gliano-Cavallerleone-Casalgrasso e poi portarsi nella direzione Mu- rasso-S. Sebastiano-Fossano-Cavallermaggiore-Racconigi-Ceretto. Durante questo spostamento, e rimaneggiamento del Diluviale superiore su tutta questa estesissima zona, renorme fiumana si doveva suddividere in parecchi rami o corsi d’acqua, che in pro- cesso di tempo divennero indipendenti l’uno dall’altro, e diedero gli attuali corsi d’acqua della Varaita, della Maira, del Grana, il quale ultimo, cambiato il suo nome primitivo in quello di Mellea, si versa nella Maira fra Savigliauo e Cavallermaggiore. Probabilmente quando le acque della Stura e del Gesso si furono cosi spostate verso est da lambire e forse anche erodere l’altipiano di Famolasco lungo la linea Fossano-Marene, una parte di esse riprese la via prima seguita dal Gesso da S. Al- bano Stura verso Cervere, erodendo il Diluviale superiore ivi depositatosi e sboccando nel Danaro. Quando poi, per le mutate condizioni d’equilibrio della pianura, il Tanaro, dopo la deposi- zione dell’Alluvium antico deviò da Brà verso Alba, le acque del Gesso e della Stura si misero completamente per questa via, da S. Albano Stura verso Cervere, andando ad immettersi nel Tanaro a valle di Cherasco. In seguito tutti questi corsi di acqua scavarono più o meno profondamente le vie che essi percorre- vano sino a raggiungere l’equilibrio idraulico, che era stato tur- bato dal movimento orogenetico. Deviazioni poco notevoli ebbero pure il Grana, la Maira, la .Varaita. Nella prima fase interglaciale il Grana probabil- mente si univa colla Stura di Cuneo procedendo insieme da Gentallo verso S. Bernardo, a sud est di Murene, e dando luogo, da Tetti Boita a Cascina Giardina, al gradino che limita l’al- tipiano di Fossano. Non è impossibile che a queste acque si unissero anche quelle della Maira, ma a me ciò pare poco pro- babile. Nella seconda fase interglaciale il Grana confuse an- cora le sue acque con quelle della Stura, e nella terza anche con quelle del Gesso, sino a che esse divennero indipendenti. Le acque della Maira nella prima fase interglaciale si di- rigevano da Villafaletto verso Lagnasco, Villanuova Solaro, Polonghera andando ad unirsi poi a quelle del Tanaro. Quasi •eguale dovette essere il corso di entrambi questi torrenti du- 54S P. L. PREVER rante la seconda fase interglaciale; così pure nella terza, salvo un po’ di spostamento verso l’est, e l’unione delle loro acque con quelle del Gesso e della Stura. Il Po ebbe delle variazioni abbastanza notevoli, ebe valsero a modificare alquanto la pla- stica della valle che esso percorreva. Uscendo dalla stretta Mar- tiniana- Revello già nella prima fase interglaciale assunse, sin verso Staffarda, la direzione attuale: da questo punto però, e nella prima fase interglaciale e nella seconda, esso continuò la sua corsa verso il nord, dirigendosi verso None, e da- questo paesello verso Grugliasco, Venaria, Volpiauo, divagando su ampio tratto di pianura, a volta a volta spinto verso est o ri- cacciato verso ovest e il nord dall’impeto e dalla massa delle acque degli affluenti. Il Tanaro come già abbiamo visto lo ri- cacciava verso nord-ovest sino ad erodere i primi cordoni fron- tali dell’antiteatro morenico di Rivoli. Quivi l’erosione dovette essere vivissima, e lo prova il fatto che, appena a valle dell’at- tuale antiteatro morenico, nelle incisioni, tra cui quelle della Dora Riparia, profonde sino a 14-16 metri, non si scorgono terreni più vecchi del Diluvium superiore. Oltrepassato Volpiano il Po, benché non ricevesse altri affluenti sulla destra, per l’enorme massa di acqua che lo formava doveva sentir poco l’influenza delle acque del Malone, dell’Orco, e della Dora Baltea, e continuava il suo cammino molto al nord del suo letto attuale, dirigendosi verso Montanaro, Livorno Piemonte e Vercelli, ove riceveva alla sinistra il contributo della Sesia e di numerosi altri pic- coli corsi d’acqua, quali l’Elvo, il Cervo, ecc. Nella terza fase interglaciale il fiume si spostò notevolmente verso est sino a Torino, donde, costeggiando la collina, si dirigeva su Chivasso e Casale Monferrato, percorrendo la via che, per quanto più ristretta, percorre anche attualmente. Il Pellice, il Chisone, il Chisola non ebbero che un breve corso in pianura, specialmente nella prima e nella seconda fase interglaciale; perciò le loro variazioni offrono ben poco di in- teressante. Il corso del Sangone subì invece un notevole cambiamento: nel preglaciale e durante la prima fase interglaciale, le acque sue defluivano nella conca occupata ora dai laghi di Traila e di Avigliana, e andavano a mescolarsi con quelle della Dora. I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 549 Durante le prime due fasi glaciali e per un po’ di tempo anche durante la seconda fase interglaciale si aprì invece una via verso Traila, intaccando persino la roccia in posto, e si diresse da questo paesello in direzione di Grngliasco. Verso la fine della seconda fase interglaciale il Sangone, rompendo i cordoni mo- renici dell’anfiteatro di Rivoli, fra Bruino e Rivalla, si scavò una via verso Beinasco, per la quale continuò a scorrere nella terza fase interglaciale e scorre tuttora. Riguardo al corso della Dora Riparia bisogna distinguere due parti: l’una nella conca intermorenica. e l’altra fuori del- Tanfiteatro. Nella prima fase interglaciale, e specialmente nella seconda il corso delle acque nella conca intermorenica era assai instabile, e queste si riversarono talvolta sul morenico, fra Ca- sellette, Brione, S. Gillio, Druent e Pianezza, demolendo i cor- doni morenici, terrazzandoli e scavando dei solchi ampi e pro- fondi. Il corso principale della Dora però sboccò sempre dal- l’anfiteatro tra Alpignano e Collegno. Fuori dell’anfiteatro nelle due prime fasi interglaciali la Dora mescolava quasi immedia- tamente le sue acque con quelle del Po. Nella terza si scavò la via nella quale scorre attualmente. Prima che avvenisse l’espansione glaciale in pianura è pro- babile che le acque della Stura di Lanzo si unissero con quelle della Dora Riparia e quindi con quelle del Sangone, avanti di immettersi nel Po, press’a poco fra Alpignano e Druent. An- cora durante la prima fase interglaciale la Stura di Lanzo me- scolava le sue acque con quelle del Casternone lungo il piede dei cordoni morenici laterali a sinistra dell’anfiteatro, tra S. brillio e Druent, ove riceveva pure un contributo delle acque della Dora. L’altipiano di Diluvium medio detto della Mandria e di Fiano, non più smantellato dalle acque della Stura di Lanzo, le im- pedì poi di riportare il suo corso ai piedi delle morene e di ricevere il contributo delle acque del Casternone. Nel medesimo tempo, le acque scendenti dalla catena montuosa formata dai monti Corno, Basso, Roc Neir, Colombano, Lera, Bernard, in- vece di continuare a definire direttamente nella Stura di Lanzo, si scavarono un solco nel Diluvium medio e inferiore, e costi- tuirono il torrente Ceronda, che presso S. Gillio riceve pure il Casternone e soltanto presso la Venaria porta le sue acque 550 P. L. PREVER uella Stura. Così si formò la valletta della Ceronda, separata dalla Stura di Lanzo da soli terreni di trasporto, e principal- mente da depositi del Diluvium medio. Il Malone e l’Orco non ebbero alcuna variazione notevole. La Chiuse] la subì un notevolissimo cambiamento di corso, già osservato dal Baretti; e dimostrato in seguito anche da Nova- rese. Sino alla fine della seconda fase interglaciale la Chiusella da Vico Canavese scendeva verso Baklissero, e da questo vil- laggio proseguiva in direzione di Kivarolo, andando ad unirsi coll’Orco. Il morenico della terza espansione glaciale oppose al corso di questo torrente un notevole ostacolo a monte di Bal- dissero, e allora questo deviò verso l’interno della conca inter- morenica dell’anfiteatro d’ Ivrea, seguendo la medesima via che già durante la terza espansione glaciale dovevano aver seguita una parte delle sue acque per unirsi col torrente principale del ghiacciaio della valle d’Aosta. Così la Chiusella, dopo di aver eroso un po’ di lacustre nella conca intermorenica, ed avervi so- vrapposto deU’Alluvium, andò a sboccare definitivamente nella Dora Baltea, un po’ a sud-ovest di Tina. La via seguita dal tor- rente prima della terza invasione glaciale è press’a poco segnata oggidì dal corso del torrente Malesina, che scende da Baldis- sero e va ad unirsi coll’Orco all’altezza di Bosconero. È molto difficile stabilire con precisione le variazioni su- bite dal corso della Dora Baltea. Pare tuttavia probabile che nella prima e nella seconda fase interglaciale da Ivrea questa si dirigesse al lago di Viverone, tagliasse più a valle alcuni cordoni morenici per unirsi poco più oltre al corso del Po. Nella terza fase interglaciale, (poiché anche questo anfiteatro pare for- mato da morene appartenenti a quattro espansioni glaciali) la Dora si aprì l’uscita della conca intermorenica, tra Vische e Mazzé, approfondendo a poco a poco la forra che ivi aveva ini- ziato il torrente principale del ghiacciaio della valle d’Aosta. Un altro torrente glaciale assai importante, durante tutte le espansioni glaciali, dovette uscire attraverso i cordoni morenici presso il lago di Viverone. dirigendo il suo corso da Azeglio a Santhià. Dalla Dora Baltea sino alla Sesia pare non ci siano state, nei numerosi corsi d’acqua che si incontrano, deviazioni notevoli; fa eccezione il torrente Cervo. Durante la prima fase I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 551 interglaciale il Cervo doveva scendere direttamente da Biella verso Salussola, nei cui pressi mescolava le sue acque con quelle dell’Elvo. Nella seconda fase interglaciale da Biella si dirigeva invece verso Candelo e piegava poi rapidamente a sud volgendo il suo corso verso Benna, Massazza, Villanova biellese. Nella terza fase interglaciale finalmente, forse richiamato da altre acque che scendendo da Cossato si dirigevano verso Ter- zoglio e Cascine S. Giacomo, il Cervo modificò definitivamente il suo corso proseguendo da Candelo con direzione verso est sino ad immettersi in queste. Da quanto sono venuto esponendo in questo capitolo e nel precedente si rileva subito come anticamente i corsi d’acqua, della regione in esame, fossero in grado eminente ad alluvioni vaganti. Si conservarono di questo tipo per molto tempo ; alcuni lo conservano ancora attualmente, ma molto meno spiccatamente e neppure dappertutto lungo il loro corso. Parecchi lo hanno invece perduto, specialmente dopo la deposizione del Diluvium superiore. Ciò spiega in parte l’enorme e quasi generale erosione dei diversi terreni alluvionali ; più uniforme e più intensa nella prima fase interglaciale, attivissima ancora durante la seconda, molto meno attiva nella terza, meno ancora attualmente. V. Cenni sommari su di alcuni punti più importanti DELLA IDROGRAFIA SOTTERRANEA DELLA REGIONE. Da quanto ho esposto sulla idrografia superficiale del Qua- ternario di questa porzione di valle padana si può arguire ta- cilmente quanto varia e complessa sia stata la deposizione dei diversi terreni diluviali e alluviali, cosicché in molti punti tali terreni sono stati deposti da uno o più corsi d’acqua, che ora più non li solcano, e provengono spesso da bacini montani ben differenti da quelli che a prima vista si direbbero in stretta relazione con essi. Naturalmente anche l’idrografia sotterranea, assai complessa, si risente di tale stato di cose, e non è tanto 37 552 P. L. PREVER facile l’interpretarla, specialmente a profondità, poiché in molti casi è la risultante dell’idrografia superficiale scomparsa e della attuale. Non è mia intenzione occuparmi, neppure sommariamente, dell’idrografia sotterranea, poiché troppo vasto e complesso è l’argomento ; accennerò tuttavia a quel fenomeno detto delle ri- sorgenti, in questa porzione di valle padana così frequente, e che riguarda la scomparsa dell’acqua dell’alveo del torrente o del fiume, sulle conoidi alluvionali allo sbocco delle valli alpine. Parecchi corsi d’acqua, allo sbocco della valle alpina da cui discendono, sono fiancheggiati su una o tutte e due le sponde da terrazzi più o meno alti: così la Maira, la Varaita, il Chi- sone ; altri come il Po hanno abbandonato tali terrazzi prima di sboccare in pianura. Tanto in un caso come nell’altro però, dopo poche centinaia di metri o dopo qualche chilometro di per- corso in pianura, i corsi d’acqua scorrono fra le alluvioni che hanno depositato sul piano generale terrazzato, costruendo delle conoidi più o meno importanti. L’altezza che queste conoidi raggiungono sul piano generale terrazzato é talvolta considerevole, e può giungere da qualche metro ad una diecina di metri e oltre. Le conoidi sono formate di ciottoli più o meno grossi, di ghiaia, ghiaietta, sabbia; la grossezza degli elementi va diminuendo da monte a valle e dalla linea mediana della conoide verso i lati. Questo accumulo di ciottolame sciolto, inalterato, a stratificazione irregolare e con- fusa, costituisce un terreno permeabile per eccellenza e quindi, specialmente a profondità, costantemente inzuppato di acqua: questa vi penetra in gran parte a monte, e si muove nel senso medesimo della corrente superficiale o in parte scorre ai lati e viene di nuovo alla .superficie più o meno a valle, nel letto stesso del corso d’acqua o ai lati di esso verso i margini della conoide, formando delle sorgenti isolate o dei gruppi di sorgenti che talora rendono la regione assai pantanosa. Allorché il corso d’acqua é in magra, la massa delle sue acque basta appena ad alimentare questo corso sotterraneo, e allora, rapidamente, a mano a mano che le acque si avanzano sulla conoide, spariscono I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 553 nell’alluviale e scompaiono assolutamente dall’alveo del fiume. Così, specialmente nei mesi di Luglio e Agosto o in Gennaio e Febbraio, il Po ha l’alveo asciutto su di una lunghezza di circa sei chilometri, da un chilometro a monte del ponte sulla provinciale Saluzzo-Revello a quello di Staffarda sulla provin- ciale Saluzzo-Pinerolo. E faccio notare, che le acque del Po cominciano ad infiltrarsi parzialmente nella massa d’alluviale che costituisce il suo letto sin dal ponte presso Paesana. Su lunghezze eguali, o minori, ma tuttavia sempre notevoli sono pure senz’acqua, nei medesimi mesi, gli alvei della Yaraita da Costigliole sino presso a Lagnasco, della Maira da Yillafa- letto a Yottignasco, del Grana da Valgrana a Caraglio, del Pel- lice e del Chisone da qualche chilometro a monte a qualche chilometro a valle della loro confluenza. Anche in qualche altro corso di acqua, come nel Gesso e nella Stura, i quali scorrono fra terrazzi molto notevoli del diluviale, le loro acque, in causa della massa d’alluviale accumulata in fondo a questi giganteschi solchi, scompariscono in un certo punto per risorgere, nel letto più a valle. Così nel Gesso esse scompariscono fra Borgo S. Dal- mazzo e Cuneo, nella Stura fra Vignolo e Cuneo. Questi fiumi sulle loro conoidi hanno in generale un regime ad alluvioni vaganti; e nelle grandi piene, che si hanno per lo più due volte all’anno, in primavera ed in autunno, essi cambiano spesso di corso invadendo campagne e villaggi ed apportando frequen- temente rovine disastrose. Per incidenza noto che queste piene si sono rese a mano a mano più frequenti e disastrose da circa un tre quarti di secolo, causa il diboscamento, e si potrebbero diminuire col rimboschimento o almeno con opportuni lavori di sistemazione ai corsi d’acqua nella parte montana. Dato questo regime di corsi d’acqua scorrenti, allo sbocco in pianura, su conoidi sovrapposte al piano generale terrazzato, e l’enorme massa di Alluvioni che si estende dalla Stura, fra Cuneo e Fossano, al Po, fra Moretta e Carignano, ne viene che gran numero delle sorgenti di questa porzione di valle padana, o per lo meno quasi tutte quelle numerosissime, che si trovano su questa regione alluviale, hanno un’origine molto chiara: sono le risorgenti cioè di una gran massa di acqua che, alimentata 554 P. L. PREVER dalla Stura di Cuueo, dal Grana, dalla Maira, dalla Varaita, dal Po, scorre nelPalluviale sovrapposto al Diluvium e viene a giorno in molti punti, originando talora persino delle regioni pantanose. Queste acque sorgive possono alle volte assumere tale importanza da alimentare dei corsi di acqua notevoli, che ser- vono per l’irrigazione e per scopi industriali. Citerò le regioni sorgive dette : Sagnassi di Saluzzo, Sagnassi di Centallo, Priglie di Vottignasco, Priglie di Savigliano, Priglie di Fossano. Il Po ha le sue risorgenti, parte nell’alveo, parte fuori, presso Staffarda, ma non tutta la massa d’acqua scomparsa dal suo letto a monte ritorna alla superficie in questa località. Così le nume- rose sorgenti sull’Alluvium antico, che costituiscono i Sagnassi di Saluzzo, e danno origine a due corsi d’acqua, il Tepice e il Poet, si alimentano ad un braccio della corrente sotterranea pro- veniente dalla conoide del Po, braccio che, oltrepassato il ponte di Staffarda senza affiorare, manda le sue acque sino in questo luogo, lungo un antico letto seguito dal Po nella terza fase intergla- ciale, dal Ponte di Staffarda a Moretta, prima che si aprisse l’attuale corso a monte di Carde. Le Priglie di Savigliano e quelle di Vottignasco sono ali- mentate specialmente dalle acque della Maira, del Grana e della Varaita; da esse ha origine il rio Chiaretto, assai notevole, che serve per l’irrigazione e per l’industria; da quelle di Fossano, alimentate dal Grana, dalla Maira e dalla Stura di Cuneo pi- gliano le mosse i rii Giovo e Grione; dai Sagnassi di Centallo, alimentati dalla Maira, dal Grana e dalla Stura di Cuneo, hanno origine dei ragguardevoli canali che servono per l’irrigazione e danno forza motrice a molti importanti opifici. Malgrado questi notevoli emungimenti in tali regioni l’acqua è abbondantissima, e se ne potrebbe ricavare altrettanta di quella che se ne ricava ora, con spesa relativamente piccola e recando anche un beneficio alle regioni stesse, in gran parte troppo umide, come ai Sagnassi di Saluzzo e a quelli d‘i Centallo. Fu già più volte pensato di approfittare di queste sorgenti per do- tare dei Comuni di acqua potabile; ma io credo che, salvo qualche eccezione, e previo uno studio accurato del regime delle sorgenti stesse, l’acqua di esse non sia consigliabile per tale uso, poiché I TERRENI QUATERNARI DELLA VALLE DEL PO 555 troppo superficiale, e quindi, come tutta quella di Torino, troppo esposta ad inquinamenti, perchè giunge alle sorgenti da falde fluviali quasi tutte scorrenti in pianura attraverso abitati; inoltre perchè camminante sotterraneamente a troppo poca profondità, perciò soggetta ancora ad ulteriore inquinamento per le acque superficiali piovane, di fusioni delle nevi, irrigue, filtranti attra- verso la coltre arativa senza possibilità di depurazione. Viceversa è consigliabile incondizionatamente il loro sfruttamento come acqua irrigua, che potrebbe servire al tempo stesso per la crea- zione, con opportune e benefiche sistemazioni di altri corsi d’acqua, di una via fluviale di trasporto da Cuneo a Torino. L’acqua che non viene ad affiorare in queste regioni scende verso il nord, come quella più profonda, e si trova a poca pro- fondità nel suolo, oppure viene a giorno in fontanili naturali o artificiali in molte località. E ricchi appunto di tali acque sono i territori di Villafaletto, Lagnasco, Genola, Marene, Caval- lermaggiore, Villanova Solaro, Murello, Cavallerleone, Racco- nigi, ecc. Perciò la linea dei fontanili così netta in molti punti della Lombardia e anche più ad ovest sino a Torino, diventa alle volte un po’ incerta a sud di Savigliano e Saluzzo. Ad ogni modo si può stabilire che essa mentre scende a Torino sino al Po, passa in seguito in prossimità del Nichellino e di Stupi- nigi ; di qui si dirige verso Vinovo e poi a Cardé, passando per Vigone. Da Cardé si dirige verso Scarnafigi, passando pei Sagnassi di Saluzzo, e va a Lagnasco, a Vottignasco, a Cen- tallo e infine a Cuneo. Da Boves verso il Tanaro i miei rilevamenti non sono an- cora compiuti, tanto da poterne conoscere con precisione l’anda- mento. Sul capitolo della idrografia sotterranea mi limito a questi pochi cenni sommarii degli argomenti più importanti, quantunque sia anche questo un capitolo interessantissimo, fecondo di pra- tiche applicazioni per l’agricoltura, per l’industria e pel com- mercio ; rimando per ora la trattazione più ampia a migliore occasione. Anche riguardo alla idrografia superficiale molti sono tut- tavia i fatti notevoli ; ma mi premeva sopratutto mettere in evidenza i principali cambiamenti di corso dei fiumi più im- 556 P. L. PREVER portanti, e specialmente del Tanaro, del Gesso, della Stura ; cambiamenti i quali, riportandosi a tempi relativamente non molto distanti da noi, potrebbero, col richiamare alla mente l’aspetto di questa regione in quei tempi, e col far intravvedere il decorso della idrografia sotterranea, concorrere forse a indi- care una soluzione pratica non soltanto del problema dell’irri- gazione, ma anche di quello, tanto discusso in questi ultimi tempi, delle vie fluviali di comunicazione. Torino, R. Museo di Geologia. [ms. pres. il 18 ottobre 1907 - ult. bozze 27 gennaio 1908]. ANALISI MICROSCOPICA DEL CALCARE FARINOSO DI S. DEMETRIO NEI VESTINI Nota dell’ing. Enrico Clerici (Tav. XVI) Il prof. Sacco mi inviò due piccoli campioni (che indicherò con A) di calcare friabile, da lui raccolti a S. Demetrio nei Vestini, in provincia di Aquila, dandomi incarico di esaminare se contenessero fossili microscopici, in particolare diatomee. Quasi contemporaneamente ed allo stesso scopo l’aiutante- ing. Cassetti mi comunicò altri campioni (B) della stessa loca- lità, raccolti durante il rilevamento geologico dell’Aquilano. Circa la giacitura e l’età del detto calcare mi limito a ri- ferire che tanto il prof. Sacco quanto l’aiutante Cassetti lo ri- tengono appartenente ad una formazione lacustre del quater- nario, notevole per estensione e potenza. Chi desiderasse altre notizie potrà leggere la recente pubblicazione del Sacco Gli Abruzzi (') e la relazione del Cassetti che sarà prossimamente pubblicata nel Bollettino del R. Comitato Geologico. Ora riassumo le mie ricerche in proposito. Tutti i campioni del calcare, che ho ricevuto, sono identici quanto al colore che è bianco leggermente giallognolo, alla friabilità talché si sgretolano facilmente fra le dita riducendosi in fina polvere. Se umidi hanno debole plasticità ; e se asciutti si immergono nell’acqua, vi si stemperano risolvendosi in una infinità di piccoli cristalli di calcite d’abito romboedrico (ve- dasi tav. XVI, fig. 1). Le massime dimensioni di questi cristalli raggiungono i 25 y., ma in generale essi sono molto più piccoli. Già dalla semplice osservazione microscopica della roccia stemperata, si potrebbe dire che essa è costituita prevalentemente (!) Boll, della Soe. Geol. Italiana, voi. XXVI, 1907, pag. 245 e seg. 558 E. CLERICI da carbonato di calcio, la parte argillosa essendo scarsa, ed infatti con acido cloridrico diluito fa vivacissima effervescenza lasciando un residuo insoluto molto sottile. Quantitativamente ho trovato che contiene 37,78 per 100 di anidride carbonica, cui corrisponderebbe 85,87 per 100 di carbonato di calcio. Tutti i campioni contengono diatomee e spongoliti lineari; ma mentre la roccia semplicemente stemperata nell’acqua non mostra che poche diatomee, il residuo della soluzione cloridrica ne è quasi per intero costituito. Però a questa abbondanza non corrisponde anche abbondanza di forme e neppure può parlarsi della prevalenza di alcune di esse su altre, poiché trattasi di unicità di specie quasi assoluta. Altra rimarchevole particolarità è che l’aspetto del residuo proveniente dai campioni A è affatto diverso dal residuo degli altri campioni B, come rilevasi pure dalla comparazione delle fig. 2 e 3 della tav. XVI, sia per la maggiore piccolezza delle forme nel primo, sia perchè l’uno è costituito da ciclotelle e l’altro da coscinodischi. In ambedue i casi sono forme discoi- dali piuttosto delicate e quindi, più che gli esemplari integri, sono frequenti le valve ed i cingoli od anelli disgiunti ed iso- lati e gli anelli spesso rotti ed intrigati fra loro. I campioni appartengono, dunque, a due distinti momenti genetici della formazione, ed altri campioni, che fossero presi a differenti livelli, mostrerebbero probabilmente altre interessanti localizzazioni di specie o momenti in cui una specie ebbe par- ticolari condizioni favorevoli al suo sviluppo tanto da escludere quasi completamente le altre specie. Per cercare altre specie, che come si è accennato, vi sono rarissime, avrei dovuto eseguire un numero forse troppo grande ed ingombrante di preparati e perciò ho preferito esaminare preparazioni estemporanee in monobromonaftalina ('). Malgrado ciò il numero delle specie che ho potuto riscontrare è assai (*) (*) A tale scopo il residuo della soluzione cloridrica, dopo le con- suete lavature e decantazioni, messo in un tubetto con poca acqua viene lavato tre o quattro volte, per decantazione, con alcool assoluto, poi al- trettanto con benzolo ; poscia si aggiunge la monobromonaftalina e si Scalda leggermente per evaporare il benzolo che era rimasto. CALCARE FARINOSO DI S. DEMETRIO 559 esiguo ed alcune determinazioni sono basate soltanto sopra fram- menti. Ho creduto utile di figurare le due specie principali; pel- le altre specie del seguente elenco mi riferisco alle iconografie della Synopsis des diatomées de Belgique del Yan Heurck. Coscinodiscus lacustris Grun. — Bella specie circolare, ornata da fine punteggiatura radiale e da una serie di spine inserite a una certa distanza dall’orlo. È rappresentata da qualche ra- rissimo frammento nei campioni A, mentre invece costituisce quasi per intero il residuo dei campioni B, ove si presenta di svariatissime dimensioni: diametro da 40 a 110 p.. Il cingolo o anello connettivo è per lo più staccato perchè molto esile; anche le spine sono quasi sempre infrante. Alcuni autori affermano che in questa specie la valva è on- dulata da un lato : questo carattere si riscontra frequente nelle ciclotelle, e ciò probabilmente spiega la denominazione di Cyclo- tella punctata datale da W. Smith e poi passata in sinonimia. Ma dall’esame dei miei preparati, che potrebbero dirsi una rac- colta pura della specie (ved. fig. 3), sono venuto nella opinione che la detta curvatura o non sia costante, od in ogni modo sia assai leggera e mai paragonabile a quella delle ciclotelle. La fotografia riprodotta nella fig. 5, malgrado l’ingrandi- mento abbastanza forte (1200) al quale è fatta, mostra che la parte centrale è tutta quasi esattamente a foco, il che non avver- rebbe se esistesse la curvatura ciclotelloide. La figura mostra pure il posto d’onde emergevano le spine: dalla base di queste andando verso l’orlo la valva è realmente curvata, ma egualmente tutto all’ingiro. La fig. 6, molto meno perfetta della precedente, è riportata perchè mostra discretamente anche le spine, ciò che in foto- grafia, in generale, non riesce bene per la differenza di foco. Per le spine di cui è fornita, questa specie si scosta dalle alti e del genere Coscinodiscus avvicinandosi assai al genere Stephano- discus. Potrebbe costituire un genere intermedio agli altri due ( >. (i) Grunow divise i Coscinodischi in tre gruppi: Radiati, Fasciai lati e Pseudostephanodiscus, avvertendo che il gruppo Pseudosteplian 560 E. CLERICI La specie è citata con parecchie varietà ('); se tutte le ci. tazioni riguardano effettivamente questa specie, essa è notevole per la grande diffusione e per l’adattabilità ai vari ambienti. Nondimeno, mai bo constatato la sua presenza nei molteplici saggi di fondo e di pesca da me raccolti nei laghi dell’Italia Centrale e nei saggi ancor più numerosi di roccie diatomeifere. Non ricordo che allo stato fossile sia stata già trovata in Italia. Vivente fu però notata dal dott. Forti nel lago di Nonta in Friuli (2) e nel lago di Como dal Castracane che la elencò colla denominazione di Cyclotella punctata Sm., var. Gesatii (3). Cyclotella actinopleurata Clerici n. sp. — Il residuo insolu- bile dei campioni A è formato, come si è già detto, da ciclo- telle (fig. 2). Anche qui le dimensioni sono molto svariate, come vedesi dalla porzione di preparato riprodotta a mediocre ingran- dimento nella fig. 4, e a primo sguardo potrebbe credersi che fossero presenti più specie: diametro da 10 a 40 tu. Gli esem- plari integri sono scarsi ma l’anello connettivo, essendo molto più robusto che nella specie precedente, può distaccasi dalla valva e mantenersi intero. Nella fig. 4 si vedono valve e cerchi isolati e, nel mezzo, un esemplare intero: la fotografia è fatta a luce obliqua e campo poco illuminato. La fig. 7 rappresenta un esemplare intero; e le fig. 8 e 9 ne rappresentano un altro, in due aggiustamenti focali legger- mente diversi. Tutte e tre le figure sono all’ingrandimento li- neare di 1200 volte (4). discus, nel quale comprese il C. lacustri s, si avvicina ai radiati e al genere Stephanodiscus ( Die Diatomeen von Franz-Josefs-Land, Denk. d. k. Ak. d. Wissensch. mat. naturw. Cl. Bd. XLVIII. Wien, 1884). (*) Cfr. De Toni J. B., Sylloge alga/rum, voi. II, pag. 1290. (2) Forti A., Contribuzioni diatomologiche. VII. Materiali per la limnoflora Friulana e delle Alpi orientali. Vili. Dìatomee dei Lagorai e delle Stellane nel Trentino , Atti R. Ist. Veneto se. lett. ed arti, LXII, 1903. (3) Castracane degli Antolminelli F., Studio su le diatomee del lago di Como. Atti Acc. pont. n. lincei, t. XXXV. Roma, 1883. O Nella fig. 7 specialmente vi sono due settori diametralmente opposti che sembrano non esser esattamente a foco. Questi settori cam- biano di posizione col variare, mediante lo specchio, la direzione della luce ed in conseguenza sono effetto di diffrazione. CALCARE FARINOSO DI S. DEMETRIO 561 Questa specie a contorno esattamente circolare è caratteriz- zata da numerose coste radiali che partendo dalla periferia si spingono leggermente tortuose verso il centro, terminando a molto ineguale distanza da questo, e contornando colla estremità loro un’area centrale libera talvolta o provvista di granulazioni op- pure di grosse perle disposte regolarmente o irregolarmente e variabili di numero. Pel fatto che le coste terminano a diffe- rente distanza dal centro, a minore ingrandimento o in certi momenti della messa a foco, questa ornamentazione appare dicotoma; in altri momenti sembra che dall’area centrale par- tano come sprazzi luminosi che corrispondono in certo qual modo ai punti di dicotomia, o meglio a quei piccoli spazi che restano fra due coste al termine di una terza ad esse intermedia, poiché le coste non si assottigliano verso il centro, ma conservano sempre la stessa grossezza come ben si vede nelle fig. 7 e 8. La valva è sempre regolarmente convessa, calottiforme, e nel profilo mai presenta ondulazione laterale. Di tutte le specie di ciclotella a me note nessuna corrisponde esattamente a questa. Molto vicina o molto affine è la Cyclo- tella Iris Hérib. et Brun, fossile nel deposito di Auxillac nel Cantal, attribuito al pliocene. Ma la figura datane da Frère Héribaud nella sua pregevole monografia del 1893 sulle dia- tomee dell’Alvernia Q) è troppo diversa dalle mie fotografìe perchè possa pensarsi ad una identificazione. Nella monografia del 1902 Frère Héribaud dette una nuova figura della forma tipica della C. Iris (f), colla quale sarebbe diminuita la differenza; ma è sempre da tener presente che la valva di questa specie offre la curvatura a gobba e ad incavo che mai presenta la mia. In altro deposito del Cantal presso la Bade, pure attribuito al pliocene, Frère Héribaud rinvenne un’altra ciclotella che de- nominò «almeno a titolo di sottospecie» C. Charetoni ( ), la quale differirebbe dalla C. Iris per le coste non dicotome, pel (») Héribaud J., Les Diatomées d’Auvergne, 1893, pag. 224,225, pi. VI, (*) Héribaud J., Les Diatomées fossiles d’Auvergne, 1902, pi. Vili, 29. (3) Héribaub J., Les Diatomées fossiles, ecc., pi. Vili, fig. 30, pag. 22; 562 E. CLERICI centro liscio e per la mancanza di punti brillanti o sprazzi; ma anche questa ha la valva fortemente ondulata. Altre figure della C. Iris, dedotte da preparati originali e che sembrano meglio eseguite delle precedenti, si trovano nella raccolta tuttora in continuazione di stampa sotto la denomina- zione A. Schmid! s Atlas der Diatomaceenìcunde , nella tavola 222 (edita alla fine del 1900). Le figure dimostrerebbero tutte esem- plari ovaleggianti (*) sia pel contorno, sia per la forma dell’area centrale: una figura (la 37a) mostra coste assolutamente serpeg- gianti ed infine un’altra figura (la 41R) conferma che il profilo è ondulato. Gran parte delle ciclotelle dei campioni A, in cui la valva è disgiunta dall’anello, non presentano l’ornamentazione così ni- tida come quella degli esemplari a cui riferisconsi le figure 7, 8 e 9 ; quando le si osservano si ha l’impressione che per un guasto dell’istrumento non si riesca mai ad una buona messa a foco. A più forte ragione poi è quasi certo l’insuccesso se si voglia ritrarle colla fotografia. La figura 10 riproduce una delle prove meno scadenti, fatta a luce molto obliqua e perciò a campo quasi scuro, ritraendo due piccole valve. In sostanza non mi pare che sia il caso di forme essenzialmente distinte, ed il diverso aspetto potrebbe essere la conseguenza di una diversa intensità del processo formativo del guscio siliceo od essere anche in relazione di fenomeni riproduttivi ; ad ogni modo se si volesse tener conto della accennata diversità si po- trebbero indicare con a gli esemplari ad ornamentazione nitida e con fi quelli a risoluzione incerta. Le valve tipo (ì, specialmente se osservate a luce obliqua, presentano talvolta un’altra particolarità e cioè dàmio l’impres- sione che sotto ciascuna valva ve ne sia un’altra di diametro minore disposta concentricamente. Stuzzicando con un ago il vetrino delle preparazioni estem- poranee si riesce a muovere le valve, a tenerle anche di pro- filo e a capovolgerle, ma non si riesce allo sdoppiamento e perciò G) Anche Frére Héribaud, op. cit., indica come frequenti le forme ovaleggianti o cocconeiformi colle quali istituì alcune varietà. CALCARE FARINOSO DI S. DEMETRIO 563 l’apparenza suddetta potrebbe dipendere piuttosto da un di- verso ispessimento della valva. Le perle alle quali si è accennato di sopra oltre che nel- l’area centrale, si trovan^ qualche volta, in numero di due o tre sparse sulla valva. Dal comportamento della linea di Becke si deduce che sono perforazioni, al cui orlo, tenendo la valva di profilo, si notano delle piccole sporgenze. Questa specie è tuttora vivente nei nostri laghi. Infatti il prof. F. Bonetti mi comunica gentilmente di averla trovata nel lago di Albano, ed io l’ho inoltre constatata nei saggi di fondo dei laghi di Bolsena, di Vico e di Bracciano. Le altre poche specie riscontrate sono le seguenti: Amphora affinis Kiitz. - Yan Heurck, Synopsis , pag. 59, pi. I, fig. 3. Cymbella Elirenbergi Kiitz. - V. H., Syn., pag. 60, pi. II, fig. 2. €ymbella gastroides Kiitz. - V. H., Syn., pag. 63, pi. II, fig. 8. Navicula viridis Kiitz. - Y. H., Syn., pag. 73, pi. V, fig. 5. Navicula oblonga Kiitz. - Y. H., Syn., pag. 81, pi. VII, fig. 1. Navicula elliptica Kiitz. - V. H., Syn., pag. 92, pi. X, fig. 10. Navicala sp. - È certamente una specie del gruppo della N. elliptica, non so se possa considerarsi come una varietà di questa, un po’ grande, attenuata alle estremità e che perciò appare di contorno romboidale panciuto. (Campioni B). Pleurosigma attenuatimi W. Sm. - V. H., Syn., pag. 117, pi. XXI, fig. 11. Epitemia zebra Kiitz. - V. H., Syn., pag. 140, pi. XXXI, fig. 9; un solo esemplare. Fragilaria construens Gran., var. venter. - V. H., Syn., pag. 156. Fragilaria mutabili» Gran. - Y. H., Syn., pag. 157; esem- plari molto oblunghi, forse la var. intercedens, V. H., Syn., pi. XLV, fig. 13. (Campioni B). Cymatopleura elliptica W. Sm. - V. H., Syn., pag. 168, pi. L\, fig. 1. Cainpylodiscus noricus Ehr. - V. H., Syn., pag. 190, pi. LXXVII, fig. 4-6. Nei campioni A e B. 664 E. CLERICI Cyclotella compta Ehr. var. radiosa Grun. - Y. H., Syn., pag. 214, pi. XCII, fig. 23; un esemplare camp. B. Cyclotella compta Ehr. var. paucipunctata Grun. — Y. H., Syn., pi. XCIII, fig. 20; esemplari piccolissimi nei camp. B. Queste specie sono tutte molto comuni e non danno luogo a speciali considerazioni, anche perchè sono troppo rare in questo giacimento, ed anzi alcune di esse per il carattere neritico o epifitico come la Epithemia, vi si trovano direi quasi acciden- talmente. Le spicele di spugne sono presenti tanto nei campioni A, quanto in quelli B, colle stesse forme e presso a poco nella stessa quantità. Si tratta di spicele parenchimatiche di pota- mospongie, per lo più liscie, qualche volta leggermente spinu- lose. Alcune per grandezza e conformazione corrispondono a quelle della Spongilla lacustris John., altre si scostano dal tipo per essere tozze, oppure esili, oppure ingrossate irregolar- mente e sono forme teratologiche che si riscontrano nelle co- muni potamospongie viventi. Non ho veduto anfidischi e perciò non posso affermare con sicurezza anche la presenza, del resto probabile, della Ephydatia fluvìatilis John. Dall’aiutante-ing. Cassetti mi fu pure comunicato un cam- pione del conglomerato soprastante al calcare farinoso ed un saggio dell’argilla di Acciano presa nella cava per mattoni sulla strada di Beffi. Il conglomerato è costituito per la maggior parte da ciot- toli di calcari bianchi ; scarsi sono quelli di arenarie, e più scarsi ancora quelli silicei. In sezione sottile i calcari si vedono gremiti di fossili, spe- cialmente foraminifere e molluschi, con qualche raro granulo di glauconite. Il cemento è di calcite e non vi si scorge, almeno in modo abbastanza^£vidente, che esso inglobi altri minerali nè fossili microscopici. Per altro soltanto dalla eventuale presenza di foraminifere nel cemento non potrebbe dedursi qualche speciale conclusione sulla origine del conglomerato, perchè il fatto della erosione o disfacimento di arenarie, marne o argille fossilifere basterebbe a spiegarla o ad ammetterne la possibilità. L’argilla, pure essa sottostante al conglomerato come il cal- care farinoso al quale mi si dice corrisponda, è di colore bigio- CALCARE FARINOSO DI S. DEMETRIO 565 giallastro, povera di calcare, e racchiude vestigia di molluschi continentali. Di fossili microscopici silicei non ho riscontrato diatomee, ma soltanto pezzetti di spicule di spugne, logorati e col canalicolo insudiciato od ostruito da prodotti bruni. Nel residuo sabbioso abbonda la parte quarzosa, e laminette stracciate di muscovite e di biotite, questa però in quantità molto minore. Discreta- mente frequenti, e come di solito molto appariscenti, sono i cristalli e i frammenti di tormalina, poi rutilo, zircone, glauco- fane, attinolite, magnetite, ilmenite, granato incoloro ; scarsi feldspato e augite. Questi minerali stanno anche nel calcare farinoso, ma in quantità molto minore, essendo che la deposizione di esso è av- venuta al largo dove le torbide non potevano giungere che assai attenuate. Il carattere marcatamente lacustre della formazione è piena- mente dimostrato dalla abbondanza di ciclotelle, poiché non vi ha preparato di saggio d’alto fondo lacustre che non sia quasi per intero costituito da ciclotelle. [ms. pres. il 15 dicembre 1907 - ult. bozz. 23 gennaio 1908]. 566 E. CLERICI f- SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XVI 1. Cristalli di calcite del calcare stemperato nell’acqua, 1 X 120. 2. Residuo insolubile del calcare - Camp. A con Cyclotella actinopleurata Clerici e spicule di potamospongie, 1 X 62. 3. Residuo insolubile del calcare - Camp. B con Coscinodiscus lacustris Grun. e spicule di potamospongie, 1 X 62. 4. Parte di un preparato a Cyclotella , fig. 2, a maggiore ingrandimento. 5. Coscinodiscus lacustris Grun., preparato estemporaneo in monobro- monaftalina : oc. 5, ob. 9* Koristka, 1 X 1050. 6. Piccolo esemplare di Coscinodiscus lacustris Grun. con spine, a me- diocre ingrandimento. 7. Cyclotella actinopleurata Clerici, prep» estemp. in monobromonafta- lina : oc. 5, ob. 9* Koristka, 1 X 1200. 8. Cyclotella actinopleurata , altro esemplare, c. s. ; IX 1200. 9. » » lo stesso esemplai-e della fig. 8, con leg- gera variazione nella messa a foco : c. s., 1 X 1200. 10. Cyclotella actinopleurata , due esemplari senza anello: c. s. (Clerici) Tav. XVI. o ELIOT CALZOLARI» M=HRAHIO-MIL ANO APPLICAZIONE DEL PLANIMETRO ALLO STUDIO DELLA COSTITUZIONE MINERALE QUANTITATIVA DELLE ROCCE Nota del prof. P. E. Vinassa de Pegny Ogni scienza la quale non riesca ad esprimere, in quantità od in simboli, i risultati a cui è giunta, si può tuttora consi- derare nella sua infanzia. Per la Petrografia siamo appunto in questo caso. Mentre progressi immensi si sono avuti nel campo petrografìco per ciò che ha riguardo alla natura dei minerali costituenti una roccia, mentre metodi e sistemi geniali sono stati escogitati per ottenere sicurezza sulla qualità di questi mine- rali, pochissimo si è fatto relativamente alla composizione quan- titativa minerale di una roccia. E pure nessuna classificazione si renderà possibile se non si arriverà a tale determinazione quantitativa. Ciò è stato benis- simo compreso da alcuni valenti petrografì americani, i quali hanno difatti recentemente proposto una importantissima classi- ficazione quantitativa delle rocce ignee (*). Si tratta ancora di primi tentativi in questo senso ; ma certamente col progresso del tempo, tale classificazione sarà la sola logica e naturale. Come già ho accennato, mentre i metodi di ricerca qualitativa sono infiniti, sono pochissimi quelli quantitativi. Essi difatti si possono contare sulle dita: l.° 11 metodo del peso specifico della roccia e dei mine- rali che la costituiscono. Esso non può applicarsi che ad un nu- mero piccolissimo di rocce, dacché i minerali costituenti non devono essere più di due. (‘) Cross, Iddings, Pirssou and Washington. — Quantitative Cìassifi cation of thè igneous Rocks. Chicago, 1903. 38 568 P. E. VINASSA DE REtìNY 2. ° Il metodo della separazione coi liquidi pesanti. Questo è lungo, difficile, costoso, talvolta pericoloso a causa della na- tura venefica dei liquidi adoprati. Non può mai essere assolu- tamente esatto, dacché molti minerali di peso specifico identico o prossimo si mescolano ed i minerali concresciuti o quelli alterati hanno comportamento irregolare. 3. ° Il calcolo della analisi elementare della roccia, quando si conosca anche la composizione dei singoli minerali che la co- stituiscono. Questo sistema lunghissimo è però quello che sino ad oggi ha dato risultati più attendibili. 4. ° Il metodo, così detto meccanico, del Delesse ('). Come è noto il Delesse disegnava la sezione della roccia distinguendo i minerali con divèrsi colori, quindi incollava il foglio disegnato su della stagnola e colle forbici ritagliava i vari minerali; poi staccando la carta nell’acqua pesava i singoli pezzi di stagnola pertinenti ai vari minerali: il peso di essi era naturalmente proporzionale alla quantità relativa di essi nella sezione. Il De- lesse ha dimostrato che in una roccia a tipo uniforme la pro- porzione in superficie è identica a quella in volume. 5.° Una modificazione al metodo di Delesse (?) nel senso di adoprare la Camera lucida per disegni di ingrandimenti al mi- croscopio, e quindi di aver la possibilità di applicare il metodo Delesse allo studio delle rocce a grana sottile. Questi due ultimi metodi, per quanto esatti, non hanno avuto però molta diffusione a causa del lungo tempo necessario a fare il disegno colla Camera lucida, ed a quello più lungo ancora del ritaglio della stagnola, del suo distacco dalla carta e della sua pesatura. 6.° Il metodo del Rosiwal (3), il quale ha dimostrato che in rocce uniformi non solo la proporzionalità delle superfici è O Delesse, Comptes rendus de l’Acad. Sciences, 1847, n. 16, pag. 544. » Annales des Mines, IV, toni. XIII, 1848, pag. 379. » Procede mécanique pour déterminer la composi t ioti des roches. Paris, 1862. (2) Sollas W. J., On thè granites of Leinster. Trans, of thè I risii Academy, XXIX, Part. XIV, pag. 471. (3) Rosiwal A., Ueber geometrische Gesteinsanalysen. Verh. der k. k- geol. Reichsanst. 1898, n. 5, 6, pag. 143. APPLICAZIONE DEL PLANIMETRO, ECC. 569 uguale a quella in volume, ma anche la proporzionalità di una linea. 7.° Il metodo del Wade (’) il quale adopra un oculare a quadrigliato e conta i quadretti occupati nel campo da ogni singolo minerale. * Credo inutile occuparmi dei primi metodi, i quali o per un verso o per l’altro non sono praticamente applicabili. Parlerò invece un poco più diffusamente del metodo Delesse-Rosiwal. Questo si basa sopra il postulato che la roccia abbia tipo uni- forme. Sarà utile riportare il ragionamento del Delesse prima e quello del Rosiwal dopo, per dimostrare come superficie e linee sieno proporzionalmente nello stesso rapporto dei volumi. Ammesso il volume occupato dalla roceia riportato ad un sistema di coordinate, sia f la superficie che uno dei minerali costituenti la roccia occupa in un piano parallelo al piano xy. Per avere il volume esatto di questo minerale nella roccia occorre conoscere tutti i valori che assume f in una serie di piani infinitamente prossimi e tutti paralleli a xy. li volume sarà quindi dato da f fdz. Ma f è funzione di z, che cresce e diminuisce, e può altresì passare a traverso una serie di vari massimi e minimi. Indi- chiamo con m e M il minimo ed il massimo dei valori di f; allora l’integrale f fdz è compreso fra i due prodotti mz ed Mz se z sta ad indicare l’altezza della roccia in questione. I due valori m ed M saranno tra loro tanto più prossimi, quanto più uniformemente il minerale è distribuito nella roccia. Si può quindi facilmente immaginare una distribuzione del mine- rale nella roccia tale che, per sezioni uguali, /"resti costante; il volume del minerale sarebbe quindi dato dal prodotto fz , ossia uguale a quello di un cilindro di base f. Ora poiché l’al- tezza z resta costante per tutti i componenti minerali della roccia, il rapporto dei volumi dei singoli minerali viene ad essere uguale al rapporto delle basi. (')Wade A., The Chemical composition of igneous Rocks: a new method of obtaining it. Geolog. Magazine, Dee. V, voi. IV, n. IV, pag. 171. 570 P. E. YINASSA DE REGNY Da queste conclusioni del Delesse il Bosiwal ne ha tratte altre, che, partendo dallo stesso postulato, semplicizzano molto il sistema. Ammesso che la superficie da misurare sia riportata allo stesso sistema di coordinate, e rappresenti quindi il piano xy, la superfìcie fl che un dato minerale occupa su questo piano è data da f xx dy , e il suo volume : V1 — Sf\ dz = fdz fx1 dy. Il valore xx come funzione di y nelle singole sezioni è sotto- posto a variazioni dovute alla grossezza del granulo di minerale. La somma dei valori singoli di xx per y dato, sarà tanto più prossima ad altro valore di y quanto più uniforme sarà la distri- buzione degli individui minerali nella roccia e quindi delle loro sezioni col piano da misurare, c quanto più lunghe saranno state stabilite le ascisse per ogni valore di y. Ammessa dunque questa uniformità, il valore ^ xx per ascisse della stessa lunghezza è costante, e la superficie del minerale nel piano sarà : — xx f dy — xxy. Ora l’elemento dy b uguale per tutti i componenti, come pure l’ordinata y\ così che le superfici parziali dei singoli com- ponenti minerali si comportano come linee basali di rettangoli di uguale altezza, e cioè: fi • fi ' /$ • * • * •X'iV • *^2 y • '^'3 y • • • • “0 • ^2 • ^3 • Lo che vuol dire che la superficie di un dato minerale in un piano è proporzionale alla somma delle lunghezze delle sue sezioni lungo una retta secante. Col metodo del Bosiwal quindi alla lamina minerale del Delesse si sostituisce una linea materiale, un filamento di mine- rale, analogo al nucleo della perforazione di una microscopica- mente piccola sonda a traverso una roccia. Il Bosiwal chiama questa linea: Indicatrice quantitativa e dà una serie di esempi pratici del suo metodo. All’osservazione, che si potrebbe fargli, che il metodo non è certo molto esatto il Bosiwal» risponde, che certamente non si ha col suo sistema APPLICAZIONE DEL PLANIMETRO, ECC. 571 esattezza minore che con un’analisi chimica di un frammento qualunque staccato da una massa rocciosa. Il Rosiwal ha dato numerose determinazioni ottenute sia microscopicamente su pezzi levigati a grossa grana, sia micro- scopicamente su sezioni di rocce a grana fina. I limiti di errore oltrepassano l’I °/0, sia per errore di disegno, sia per errore di misurazione, specialmente al microscopio. * * * E indubitato che tanto il metodo del Delesse quanto quello del Rosiwal non possono considerarsi esatti. Il postulato che i minerali siano uniformemente diffusi in una roccia non può sempre accogliersi, anzi questa diffusione uniforme sarà abba- stanza rara; allora l’integrale ffdz oscillerà spesso tra i due valori mz ed Mz, effettivamente molto diversi. Se è inesatto il metodo di Delesse, che almeno considera due dimensioni, più inesatto sarà quello del Rosiwal che dalla prima dimensione passa senz’altro a tre. Oltre a ciò, specialmente per le rocce a grana fine, il me- todo del Rosiwal è molto lungo e stanca l’occhio. Si tratta di- fatti talvolta, e lo nota lo stesso Rosiwal, di lavorare qualche ora coll’oculare micrometrico al microscopio. La stessa stanchezza e poca esattezza nella misura si ha pure adoperando l’oculare a quadrigliato e contando i quadrati occupati dai vari minerali, come propone il Wade. Anzi in questo metodo è maggiore la possibilità di errore, per la mag- giore sua soggettività. Ho pensato quindi se non si potrebbe adoperare un altro metodo meccanico, più oggettivo, più rapido, più facile e più esatto: ed ho creduto di trovarlo nell’adozione del planimetro po- lare per lo studio della distribuzione centesimale delle superfici in determinate sezioni. Il metodo mi ha dato buoni risultati, e quindi mi permetto consigliarlo ai colleghi, come quello che con rapidità ed esat- tezza può dare la composizione centesimale minerale di parec- chie rocce. 572 P. E. VINASSA DE REGNY Il sistema è molto semplice. Ottenuta la sezione, questa viene figurata. Si può adoprare per ciò la Camera lucida. Un bravo disegnatore in poco tempo può disegnare una sezione completa della misura normale, contornando e distinguendo esat- tamente i singoli minerali della roccia. Con questo disegno però sono sempre inevitabili gli errori soggettivi ed oggettivi: il Ro- siwal ha riconosciuto, per disegni molto semplici ed elementari, errori che vanno da 1,2 a l,6°/0. Oltre a ciò, per quanto si faccia, occorre sempre tempo, e il disegno dovrà essere fatto dallo studioso stesso, per essere certo della distinzione dei vari minerali. Ho quindi trovato molto più pratica e più comoda la fotografia della sezione. In una o più negative si riproduce tutta la sezione. Il lavoro è rapido, e può essere eseguito anche dal personale di laboratorio. Sulla positiva, col preparato alla mano, sarà facile, segnare, a colori per esempio, i diversi minerali. I contorni di essi saranno dati con esattezza dalla fotografia. Ottenuta, in un modo o in un altro, la figura esatta della se- zione, si misura col planimetro la estensione superficiale dei sin- goli minerali, e se ne fa poi la percentuale. Ho adoperato il planimetro Amsler per le mie misurazioni, disponendolo alla scala massima possibile, per diminuire gli \ errori eventuali. E chiaro però che invece del planimetro Amsler, assai costoso, si potrebbe benissimo adoperare un planimetro esatto ma più semplice, se costruito in modo (ad esempio con una grande lunghezza di braccio) da dare facile lettura sul tam- buro rotante anche per piccoli spostamenti. Quando i granuli minerali sono molto piccoli, ed il plani- metro quindi non potrebbe dare indicazioni esatte, si aggrup- pano vari di tali granuli in una misurazione unica: se si fa attenzione di ripassare esattamente sulla stessa linea per unire granulo a granulo, la integrazione avviene con grande pre- cisione e gli errori sono del tutto insignificanti. In ripetute mi- surazioni ho sempre trovato errori inferiori all’ 1 0/00 . Per raggiungere l’esattezza massima possibile è bene divi- dere in segmenti la figura, determinare poi la superficie dei singoli minerali contenuti nel segmento e quella totale del segmento stesso. Naturalmente la somma delle singole misure 573 APPLICAZIONE DEL PLANIMETRO, ECC. deve essere uguale alla misura totale, o almeno restare in li- miti ammissibili. La figura 1 sta ad indicare il metodo da seguire ed i suoi risultati. Per cortesia dell’egregio Dott. Aloisi del Museo mineralo- gico di Pisa ho potuto avere alcune sezioni di una roccia an- Fig. 1. — Roccia a spinello dell’Isola d’Elba. fibolica a spinello e magnetite dell’Elba (x). Scelsi questa roccia a pochi elementi per la maggiore facilità che presentava allo studio. Una sezione venne disegnata, e poiché era rotta in vari punti, tali rotture servirono per la ripartizione nei segmenti A, B, C, D, E, E, G, H, I. (!) Aloisi P., Rocce a spinello dell’Isola d’Elba. Atti Soc. tose. Se. nat. Pisa. Proc. verb., ad. 8 luglio 1905, pag. 59. j 574 P. E. VINASSA DE REGNY I numeri seguati nella figura indicano la quantità relativa di spinello (punteggiato) e di antibolo (bianco). I risultati sono indicati nella tabella seguente : Anfibolo Spinello Somma Totale misurato Errore in -f in - Segmento A 62 120 182 182 — — » B 946 412 1358 1357 1 — » C 84 61 145 144 1 — » D 359 191 550 519 1 — » E 451 251 702 701 1 ■ » F 321 120 441 442 — 1 » G 821 383 1204 1204 — — » H 206 76 282 281 1 — » I 1507 796 2303 2300 3 — Totale 4757 2410 7167 7160 - 7 Come si vede, tra le misurazioni parziali e la misurazione totale si ha un errore, addirittura trascurabile, di meno che 1 %0. Facendo la percentuale dell’antibolo e dello spinello si ha 66,36 % di antibolo e 33,64 °/0 di spinello, compresa la magnetite inclusa. Per la misurazione degli inclusi nei cristalli maggiori è na- turalmente impossibile ottenere esattezza assoluta senza una enorme perdita di tempo per contare e misurare tutti quanti gli inclusi stessi. Ho perciò dovuto ricorrere ad un sistema un poco più soggettivo, ma che può dare, con un poco di attenzione e di pratica, risultati abbastanza attendibili. Le figure 2, 3, che si riferiscono alla magnetite inclusa nello spinello e neH’anfibolo della roccia suddetta, basteranno ad in- dicare chiaramente il sistema. Si scelgono alcuni cristalli o porzioni di cristalli in maniera che gli inclusi di magnetite siano in essi rappresentati varia- APPLICAZIONE DEL PLANIMETRO, ECC. 575 mente. In generale un massimo, un medio ed un minimo. A molto forte ingrandimento (120 diam. per le figure, ridotte poi colla fotografia a lJ3 della loro vera grandezza) si disegnano i contorni dei cristalli, o quelli del campo microscopico ed i cri- stallini e granuli di magnetite. Dopo è facile intendere come si procede. Si calcola la per- centuale dell’incluso nei singoli cristalli. Poi, con un conteggio A B sommario, si vede in che rapporto su per giù stiano nella roccia i cristalli con massimo, con medio e con minimo di inclusi e riprendendo i vari rapporti in proporzione diversa, a seconda di tale conteggio, si fa la media generale. Così, ad esempio, ecco come ho proceduto per determinare la media della magnetite contenuta nello spinello. 576 P. E. VINASSA DE REGNY Il cristallo A (fig. 2) è stato scelto come uno tra quelli che contenevano più magnetite, quelli B e C rappresentano una te- nuta media, quelli D una minima. Le misure hanno dato i seguenti risultati: Magnetite Spinello Percentuale Cristallo A . . . . 217 1798 12,07 » B . . . . 290 4015 7,24 » C . . . . 219 3090 7,09 » D . . . . 160 2452 6,53 Ciò che sta a dimostrare una percentuale media di 8,23 % in rapporto allo spinello. Per l’anfibolo pure sono stati scelti i tre cristalli A, B, C (fig. 3) C B Fig. 3. — Magnetite nell’antibolo. di massima, media e minima tenuta in magnetite. Le misure hanno) dato i risultati seguenti: , APPLICAZIONE DEL PLANIMETRO, ECC. 577 Magnetite 76 65 11 Antibolo Percentuale Cristallo A . . > B . . » C . . 2781 2799 2767 4.31 2.32 0,32 Ora, siccome nella roccia il rapporto tra i cristalli con mas- sima (A) media (B) e minima (C) tenuta in magnetite è dato da 1:2:3, come risulta da una rapida e facile conta dei cri- stalli stessi, avremo che la media generale della magnetite con- tenuta nell’anfibolo è di 1,39 %• Riprendendo adesso le percentuali di antibolo e spinello e diminuendole della percentuale rispettivamente relativa della magnetite risulterà che la composizione centesimale minerale della roccia studiata sarà : Naturalmente limitandosi alla misurazione di una sola pre- parazione, non si potrà dire che si conosca esattamente il vo- lume dei minerali in una roccia. Certo è però che consideriamo la superficie e quindi il metodo, anche con una sola prepara- zione, è superiore a quello del Rosiwal che considera una sola dimensione. Nella maggior parte dei casi una sola misurazione può ba- stare. Ma anche volendone fare molte non va dimenticato che il tempo che si impiega ad una misurazione e molto breve ; e si potranno ripetere tre o quattro misurazioni almeno nel tempo che con altri metodi si fa una sola prova. Scegliendo oppor- tunamente le sezioni si arriverà a potere avere la quasi cer- tezza, che la media delle varie misure rappresenti, con 1 appros- simazione ammessa, la vera misura in volume del minerale nella È focile, quando ci si sia preso un poco di pratica, fare le misurazioni col planimetro, e, facendo le riprove, è pure focile vedere se e dove sia avvenuto un errore; cosicché un buon pre- Anfibolo .... 65,421 Spinello .... 30.876 Magnetite . . . 3,703. roccia. 578 P. E. VINASSA DE REGNY paratore potrà benissimo fare la parte materiale della misura- zione con risparmio grande di tempo allo studioso. Il metodo è molto utile anche per ricerche parziali: così ad esempio per determinare quanta parte della silice, data dall’analisi, competa al Quarzo e quanta ai silicati. Basterà di- fatti misurare, nelle sezioni della roccia analizzata, quale sia la percentuale di Quarzo, e sarà così resa molto più facile ed esatta la interpretazione dell’analisi chimica. Potrà anche servire il metodo per lo studio delle rocce molto alterate, per le quali l’analisi chimica non può dare ri- sultati attendibili. Basterà difatti sapere da che minerale provenga quello al- terato, e, considerando come presente il minerale originario scomparso, vedere in quale percentuale esso sia rappresentato, per dedurne poi la composizione della roccia originale inal- terata. È ovvio che il metodo da me proposto, come del resto tutti i metodi meccanici, non si può applicare a tutte quante le rocce*, così per le rocce vetrose esso è inapplicabile. Per le porfiriche esso può molto ben servire a determinare la percentuale dei maggiori cristalli e della massa fondamentale. Quasi sempre però questo metodo potrà rendere buoni ser- vizi per la sua rapidità ed esattezza, e riuscirà sia talvolta a sostituire una lunga e difficile analisi chimica, sia a meglio in- terpretare questa. Può anche essere utile nella tecnica, per esempio nello studio dei materiali da costruzione; ed anche nello studio dei terreni a scheletro riconoscibile. Certo è che esso oggi mi sembra il migliore, più rapido e più esatto sistema per giudicare della quantità relativa dei sin- goli componenti di una mescolanza di minerali. Lab. di Geologia del R.° Ist. sup. agrario di Perugia. [ma. pres. il 30 dicembre 1907 - ult. bozze 29 gennaio 1908]. LE MARNE A CABDIUM DEL PONTE MOLLE PRESSO ROMA Nota del prof. Carlo De Stefani (Tav. XVII) Nel 1902 e 1903, fra Ponte Molle e Tor di Quinto, sulla destra del Tevere, furono aperte delle cave per levare pietrame da servire alle scarpate del Tevere. Questa Sezione, quantunque meno completa, era già stata osservata in addietro, allorché aprivano il viale del Lazio, da Clerici (’), Portis (2) e dal Teliini (3), i quali ultimi due ne ave- vano dato pure una figura, ed era stata interpretata in modi diversi. Io visitai quegli spaccati notevolissimi una diecina di volte, trovando sempre qualche fatto nuovo. Condussi meco a visitarli i signori Pantanelli, De Angelis e Clerici, e nella Seduta della Società geologica del 21 febbraio 1903 richiamai l’attenzione della Società sulla presenza di strati marini sopra i tufi vulcanici e sull’importanza di quello spaccato (4). Ma per allora fu invano. Il Meli aveva veduto ed accennato a questo spaccato; ma egli affermava che se altri avevano trovato molluschi marini entro strati sopra il selcio pliocenico, egli non li aveva visti (5). (') Clerici E., Sopra alcune formazioni quaternarie dei dintorni di Homa (Boll. R. Com. geol., voi. VI, 1885, p. 389, in nota) e Boll. Soc. geol. it., voi X, 1891, p. 353. (2) Portis A., Contribuzioni alla storia fìsica del Bacino di Boma. Torino, Roux, voi. I, 1893, p. 94, tav. II, f. 4. (3) Teliini A , Carta geologica dei dintorni di Boma. Roma, Loescher, 1893, sezione A-B. (4) Boll. Soc. geol. it., voi. XXII, 1903, p. xlvii. (5) Meli R., Breve relazione delle escursioni geologiche eseguite nell’anno scolastico 1902-1003 con gli allievi della B. Scuola di applicazione di Boma. I. Alla cava Mozzanti presso il Ponte Milvio. Roma, 1903. • ~ • *• 580 C. DE STEFANI Il Geikie trovandosi in Eoma, vide certamente quegli spac- cati, poiché a proposito di un lavoro di De Lorenzo sui Campi Flegrei ebbe occasione di esprimersi testualmente così: « In thè Roman Campagna thè earliest eruptions, as shown by thè re - marlcable sections laid open by thè side of thè Tiber to thè north of Home, took place in thè Pliocene sea, probably from many submarine wents; while thè latest were all subaérial » (1). Nell’estate 1903 cessarono i lavori ed il 9 novembre aven- doli visitati, vidi che lo spaccato si conservava ancora abbastanza bene, ma una grossa frana aveva già coperto per alto tratto tutta la parte occidentale della cava del selcio postpliocenico, cioè la parte a sinistra dell’osservatore. Nel gennaio poi, tornatovi, notai che terra e frane coprivano più o meno ogni cosa, essendosi meglio conservata la parte meridionale, perchè a picco, ma che non ci riguarda. Pensai perciò che sarebbe stato opportuno non perdere le osservazioni cui quegli spaccati aveano dato luogo e nella seduta del 6 marzo 1904 presentai ai Lincei una prima nota: Gli strati marini della Cava Mozzanti al Ponte Molle. Le misure dei singoli strati ivi date erano state prese da m^e, con la maggior cura che mi era stata possibile, e col metro a decimetri e centimetri. • Nel frattempo nella seduta del 14 febbraio 1904 della Società geologica italiana il Verri raccomandava che l’Ufficio geologico ordinasse un accurato rilievo della Sezione, allora già in via di esser sepolta. Siccome poi non si poteva più sostenere che i fossili marini sia del Selcio sia delle marne a Cardimi si tro- vassero come « materiale di trasporto » avventizio, il Clerici opinava che materiale avventizio fossero addirittura tutti gli strati a Cardimi, sosteneva cioè che « l’argilla a Cardimi non si rin- viene mai in forma di strati, bensì a blocchi disseminati » (?). Difatti fu incaricato del rilievo l’ing. Stella, che pare lo adem- pisse verso il giugno. Il 24 giugno, ripulita di nuovo la super- ficie dello spaccato, si recarono a vederlo vari soci della So- cietà geologica (3) e nel luglio usciva la breve Relazione dello C) Quart. Journ., voi. LX, p. 315. Discussimi. Seduta 13 aprile 1904. (*) Boll. Soc. geol. it., voi. XXIII, 1904, p. xxvi. (3) Loc. cit., p. cxxxiv. MARNE A « CARDIUM » DEL PONTE MOLLE 581 Stella (*), con spaccati e fotografie anche della cava del selcio. Lo Stella non si pregiudica, ma parla di blocchi di marne a Cardiwn serrati nelle ghiaie, nelle sabbie, nella puddinga. Così non si pregiudica lo Zaccagna nella breve relazione della visita fatta dalla Società (*); si direbbe che, dopo la visita, ognuno fosse rimasto dell’opinione che credeva avere prima. È spiacevole che la Società non si decidesse a compiere le Sue osservazioni, come ne era stata avvertita, quando il taglio era in piena attività; ma abbia atteso invece quasi un anno dalla sua cessazione, dopo che le pioggie autunnali e i ghiacci invernali lo avevano alterato, come dissi. Già nel novembre del 1903, al cui tempo rimonta l’ultima delle descrizioni complete del taglio, che io conservo, una frana non piccola aveva coperto, come dissi, l’estremo nord del taglio del selcio, come vedesi anche dalla tav. YII dello Stella. Quella parte coperta risponde alla parte nord dello spaccato che avevo pubblicato nei Eendiconti dei Lincei (p. 248). Date queste circostanze è naturale che alla possibilità degli errori subiettivi esistente in tutti gli osservatori individuali o collettivi, si aggiungesse la possibilità degli errori obiettivi derivanti dalla imperfetta conservazione dello spaccato, errori malamente ri- mediabili, con uno scrostamento postumo e troppo facilmente non completo. Anche nella parte meridionale e meglio conser- vata dello spaccato l’alternanza delle ghiaie inferiori col tra- vertino e col tufo è più ripetuta assai che non appaia negli spaccati dello Stella. Ho pure di questa parte una fotografia ma in piccola scala, che non riproduco. Quanto alla fronte occidentale rispondente alla tav. VII dello Stella si potrebbe osservare che il terreno postpliocenico marino si estendeva per m. 10 e non per m. 48 come parrebbe dalla stessa tavola. Così pure molta parte dei tufi vulcanici più alti (') Stella A., Rilevamento geologico dei tagli alle cave Mozzanti f i a Ponte Molle e Tor di Quinto, presso Roma. (Boll. R. Coni, geol., 1904, 3° trimestre, p. 235). (?) Boll. Soc. geol. it., voi. XXIV, 1905, p. xxxiv. 582 C. DE STEFANI non sono tufi, bensì marne, identiche alle marne a Cardium, benché senza fossili. Il numero dei blocchi di marne a Cardium vi è forse troppo moltiplicato confondendolo con qualche altra roccia. Inoltre era poco facile la minuziosa e sottile disamina analitica che è neces- saria, quale per solito non è fatta dagli stratigrafi, ma che è pure indispensabile in questioni precise e delicate. Fortunatamente nel marzo 1903 avevo eseguito dalla strada una fotografia in formato 18 X 24 che rappresenta la parte controversa, più alta e insieme più importante della cava del selcio. La fotografia non è delle migliori perchè il tempo era piovoso, ma è sufficiente, e poiché la Società ha mostrato tanto interesse per quella cava ora chiusa, la riproduco. Vi segno i vari terreni, ma non ne dò spiegazioni perchè si trovano nel mio citato lavoro. Affermai e non nego che le marne a Cardium si trovano pure in blocchi o glebe, le quali, allontanandosi dalla cava del selcio, vanno diminuendo di dimensioni e poi scomparendo, e questi blocchi, insieme ad altri di tufo e di marne a diatomee, attestano i grandiosi spostamenti e corrosioni che avvenivano in quella regione; ma chi non abbia preconcetti non può sot- trarsi alla conclusione che quelle marne a Cardium si trovino sul posto. Anzi tutto, per gran parte, quantunque interrotte, erano allineate in serie o lenti a ripetuti livelli distinti. Alcune glebe misurate col metro, come dissi, alte pochi centimetri, si palesavano sopra una fronte di m. 1,60 a m. 1,80, come la gleba della fotografia, più alta, fra i due cavatori, che era vi- sibile in tale condizione quando il lavoro cessò, e poteva esser vista e forse lo fu nel giugno del 1904 dai soci della Società geologica. Ma sopratutto non può essere che un interstrato il blocco inferiore, il n. 5 della fotografia che pare non esser poi stato rimesso allo, scoperto dalla Società, rispondente al punto culmi- minante delle sabbie nello spaccato A-B dello Stella, sotto la così detta frana ivi altresì presente, ed ivi indicata; strato alto a sua volta, dal principio dello scavo alla fine, mai più di 50 a, 80 cent., lungo sul fronte 5 a 6 m. e che si internò quanto MARNE A « CARDIUM » DEL PONTE MOLLE 583 lo scavo, cioè da 4 a 6 m. Questo straterello inferiormente e ai lati era compenetrato con assoluta regolarità da ghiaie della stessa natura di quelle circostanti ed a queste faceva chiaro passaggio. È possibile supporre sia ruzzolato un blocco lungo e largo 6 metri ed alto solo 50 a 80 centimetri? Sotto al medesimo sono ghiaie e sabbie vulcaniche, con ma- teriali del vulcano laziale, alte 20-48 cent., e sotto è il selcio. Evidentemente le marne marine si depositarono presso un lito- rale che era spesso e profondamente sconvolto dalle onde, e dato questo concetto, nulla di anormale si presenta nello spaccato esaminato (*). Da chi non abbia preconcetti non si può a meno di conclu- dere che in quel luogo, dopo che già erano cominciate le eru- zioni laziali, si estendeva ancora, ad intervalli, il mare; nè la novità è troppo grande perchè ancora, lungo il Tevere, poco a sud e per così dire poche diecine di metri più a levante dello stesso meridiano, già si conoscevano strati marini o almeno sal- mastri, alternanti con materiali vulcanici. Oramai, del resto, si può ritenere già ben constatato da altri fatti che le eruzioni nell’Italia centrale cominciarono al terminare del pliocene e durarono tutto il postpliocene. Nuova importanza ha preso questo argomento dopo che il mio aiuto dott. Dainelli ha scoperto nelle montagne di Roma morene del periodo glaciale e dopo che ha dimostrato la con- temporaneità dei ghiacciai con le eruzioni laziali, quindi con la permanenza del mare almeno fino in Roma. Rimangono a studiare i rapporti fra la durata dei ghiacciai e quella dei vul- cani, rapporti già intraveduti dal Ponzi e dal Tarameli1!; nè la questione è troppo ardua ed insolubile. Ritengo che la grande discordanza ed interruzione fra il selcio e gli straterelli con materiale vulcanico e con Cardimi dello spaccato descritto risponda al periodo delle sabbie gialle e delle (') Non altrimenti, cioè in banchi talora limitati, ed anche in glebe isolate, coeve, si presentano delle marne d’acqua dolce o salmastra in mezzo agli strati marini del Pliocene nei dintorni di Siena, e le argille palustri in mezzo alla panchina marina nella vailetta di Solivoli presso Piombino. 39 584 C. DE STEFANI ghiaie ad elementi silicei del Gianicolo. Se poi si trovasse che le polveri del vulcano laziale accompagnano tutti i depositi morenici dell’alta Valle dell’Aniene, dai più antichi ai più re- centi, converrebbe credere che il periodo glaciale, come le eru- zioni del vulcano laziale, sieno assai recenti; più recenti assai del postpliocene inferiore di Monte Mario. Le eruzioni dei ma- teriali peperinici Viterbesi e dei vulcani V ulsinii si sa già che principiarono sotto il mare negli ultimi tempi del Pliocene. [ma. pres. il 6 dicembre 1907 - ult. bozze 31 gennaio 1908]. Boll. Soc. Geol. It. voi. XXVI (1907). (De Stefani,) ;Tav. XVII. Spiegazione dei 1 Sabbia 2 Sabbia a Pecìunculus 3 Arenaria marina 4 Ghiaietto con augiti e materie vulcaniche laziali 5 Banco inferiore a Cardium numeri 6 Marne a Cardium 7 Ghiaie 8 Ghiaie del banco a sinistra 9 Marne senza Cardium 10 Tufi finissimi ei'Or CAL20I AKIHI-FMKARIO-Mt'-HNC CARLO MAYER-EYMAR Cenni biografici del prof. Federico Sacco (con una tavola) 0) Carlo Davide Mayer nacque il 29 luglio 1826 in Marsiglia ma da genitori oriundi svizzeri, di St. Gallen; perciò, dopo pochi anni di permanenza in Marsiglia e poi a Rennes (dove la sua famiglia si era trasferta e dove Rouault, il Conservatore delle Collezioni geologiche di Rennes, iniziò il fanciullo Carlo Mayer a conoscere e raccogliere i fossili, destandogli così quella passione che gli si doveva solo spegnere colla vita) nel 1839, dopo la morte di suo padre, il Mayer fu chiamato da uno zio a St. Gallen e collocatovi pòco dopo nell’Istituto distruzione Munz (2). Nel 1846 il Mayer si recò all’Università di Zurigo per stu- diarvi medicina; ma, attratto dagli studi paleontologici, dopo un anno si dedicò ad essi completamente, iniziando pure varie escur- sioni per osservazioni stratigrafiche, e già nel 1850 egli era di- ventato efficace aiuto di Escher de la Linth per l’ordinamento dei fossili del Museo universitario di Zurigo. Dal 1851 al 1854 Carlo Mayer, Dottore in Scienze, trequentò a Parigi, durante quattro semestri invernali, le lezioni di Geologia e di Paleontologia impartite all’ Ecole des Mmes ed al Jardin des Plantes, avendo a suoi prediletti Maestri Elie de Beaumont, Ach. Valenciennes e specialmente Alcide d’Orbigny delle cui dottrine fu poi sempre apostolo fervente. _ . Frattanto egli estendeva sempre più le sue escursioni pei studi stratigrafici e per raccolte paleontologiche, specialmente m (*) notizie I - C) in oma£ 586 F. SACCO Francia, Svizzera ed Italia, tanto che nel 1853 cominciava la serie delle sue pubblicazioni stratigrafiche e paleontologiche (1, 58, 59) e nel 1857 poteva già presentare alla riunione dei Na- turalisti svizzeri in Trogen la sua famosa classificazione della serie terziaria d’Europa (61, 103, 104). \ E nel 1858 che il Mayer entrò ufficialmente e definitiva- mente nel Politecnico di Zurigo, dapprima come Assistente, poi come Conservatore delle Collezioni geologiche e Professore ag- gregato, Libero Docente, di Paleontologia e Stratigrafia, venendo infine nel 1875 nominato Prof, straordinario di Paleontologia neirUniversità di Zurigo. Nella sua lunga vita egli potè percorrere gran parte del- l’Europa (specialmente Francia, Svizzera, Italia, Inghilterra, Germania, Austria ed Ungheria) e nel 1885 cominciò pure a recarsi in Egitto dove ritornò ben otto volte, sempre racco- gliendo ampia messe di fossili e di osservazioni. Infine il Mayer, forse troppo fidente nella sua forte fibra, essendosi ancora recato in Egitto nell’autunno del 1906, nel ritorno, colto da forte raffreddore in Sicilia e trascuratosi come di solito, ne ebbe conseguenze tali che, poco dopo essere rien- trato in Zurigo vi si spense dolcemente, più che ottantenne, il 25 febbraio 1907. Sessantanni di continue ricerche, con frequenti, ripetute e faticose escursioni, con copiosissime raccolte di fossili e con lunghi studi di gabinetto, avevano reso Carlo Mayer certamente il miglior conoscitore della Geologia e della Paleontologia terziaria d’Europa. Egli era per eccellenza un naturalista terziario, come scherzosamente lo si indicava talvolta fra amici, e come egli stesso si compiaceva d’esser designato. La Scienza geologica e paleontologica italiana deve poi al Mayer speciale riconoscenza, poiché egli, non solo fece parte attivissima di quel nucleo di pionieri che (come Miehelotti, Bei- lardi, Sismonda, ecc.) fin dalla prima metà del secolo scorso attesero alla raccolta e poi all’illustrazione dei fossili terziari, continuando in tale feconda opera sino alla fine della sua lunga vita, ma egli si distinse pure ben presto per accurati studi stratigrafici sulle formazioni terziarie specialmente piemontesi; CARLO MAYER-EYMAR 587 studi che furono tanto più importanti in quanto che diventarono in parte fondamentali per le divisioni della serie terziaria in generale. Il Mayer infatti ebbe la fortuna, ed il merito nel tempo stesso, di scoprire, verso la metà dello scorso secolo, la regola- rità somma della serie terziaria piemontese, specialmente nella Valle della Scrivia, dove detta serie presenta ancora ben a loro posto i diversi piani stratigrafici, direi i diversi capitoli della storia del Terziario, coi loro rispettivi ed abbondantissimi fos- sili, che ancor più sicuramente li caratterizzano. Per modo che quivi, spiccate differenze litologiche e notevoli ricchezze paleon- tologiche, unite a grande regolarità stratigrafica, permisero al Mayer di fondare con sicurezza una minuta suddivisione della serie terziaria dall’Eocene al Pliocene compreso, dando egli giu- stamente nomi regionali (come piacenziano, tortoniano, ecc.) o conservando quelli già da altri proposti (come astiano, lan- ghiano, ecc.) a parecchi dei piani geologici da lui riconosciuti ed individualizzati. Questa regolare scala strati grafica, così si- curamente stabilita in Piemonte, servì poi sempre giustamente al Mayer come tipo per compararvi le altre formazioni terziarie, cercando egli di parallelizzare con quelli piemontesi i vari piani dei diversi Bacini terziari europei, che sono invece più o meno incompleti nella loro serie stratigrafica. Ciò in gran parte ci spiega come il Mayer amasse in modo speciale la nostra Italia, tanto che ne apprese assai bene la lingua e, a cominciare dalle sue prime escursioni fatte nei Colli torinesi ed astigiani a scopo solo paleontologico nel 1848, egli vi ritornò ogni qualvolta ciò gli riuscì possibile : e di ciò ab- biamo anche la prova nel fatto che il Mayer, approfittando della sua robusta fibra, temprata a tutti i climi e disagi della vita geologica, quasi ottantenne, nell’autunno del 1905 prese ancora parte attivissima al Congresso dei Geologi francesi in Piemonte, percorrendo a piedi, e talora anche da solo, le colline per spe- ciali e faticose ricerche di fossili, sempre carico di vari sacchi e borse per collocare le diverse raccolte; ed ultimamente m’a- veva promesso di partecipare al Congresso della Società Geo- logica Italiana a Torino, nel 1907, quando la morte 1 incolse. Ricordiamo ancora, a maggior conferma del sopradetto, che, ap- 588 F. SACCO pena sorse la Società Geologica Italiana, egli fn tra i primi ad iscrivervisi, come socio vitalizio, ben egli confidando nella vita- lità della nuova associazione e volendo contribuire nel soste- nerla. Chi ha visitato nel Museo di Zurigo la Collezione dei fossili terziari fatta dal Mayer ed ebbe a constatarne la straordinaria ricchezza, come il Mayer stesso compiacevasi di far anche me- glio apprezzare aprendo qualcuno degli infiniti cassetti zeppi di conchiglie fossili, non può a meno di stupire come così grande mole di materiale, proveniente da tante parti d’Europa e del- l’Àfrica settentrionale, siasi potuta accumulare da un uomo solo ; tanto più considerando che egli ebbe sempre a sua disposizione mezzi limitatissimi, cosicché, per es., egli mi raccontava ridendo come avesse dovuto una volta ritornarsene pedestremente e ben frugalmente dall’Astigiana a Zurigo, essendosi trovato privo di ogni risorsa pecuuiaria. È appunto nelle qualità materiali, direi, del Mayer, sommamente frugale, instancabile camminatore e raccoglitore, robustissimo, noncurante di fatiche e strapazzi di ogni sorta ed abituato fin da giovane ad ogni disagio, che noi troviamo la chiave per spiegarci come egli abbia potuto vedere e raccogliere tanto. Oltre che appassionato collettore di fossili il Mayer era anche un forte lavoratore in Gabinetto e, dotato di facilissima memoria e di buon colpo d’occhio, era diventato un profondo conoscitore e pronto determinatore dei fossili terziarii, specialmente Mol- luschi. Uomo piuttosto solitario, il Mayer amava tuttavia interve- nire ai Congressi geologici dove spiccava, sia per il suo sem- plice vestire, sia per le sue idee ed abitudini speciali, sem- pre con spiccato carattere di originalità, nel senso buono della parola. Malgrado la sua vita alquanto solitaria il Mayer però era cordiale e servizievole, generalmente di buon umore e di assai piacevole conversazione, specialmente quando riandava cogli amici le sue escursioni giovanili, certe sue importanti scoperte e cento episodi della sua vita un po’ avventurosa attraverso le regioni terziarie d’Europa, dove non poche volte era stato arrestato perchè CARLO MAYER-EYMAR 589 ritenuto un vagabondo, in causa appunto del suo vestiario assai dimesso e trascurato. In alcune gite fatte insieme anni addietro sulle Colline to- rinesi, e più tardi nei Pirenei, egli mi recitava con compia- cenza alcune poesie da lui composte in lingua italiana durante la sua antica permanenza in Piemonte, accompagnandole ta- lora con uno speciale canto ritmico ricordante certe ballate sviz- zere; chi avrebbe potuto a tutta prima supporre il poeta sotto la ruvida apparenza del Mayer! Eppure egli aveva anche scritto un romanzo latino, ed aveva pubblicato nel 1865 alcune poesie nell’Alpin Glarus sottosegnandole col suo prediletto pseudonimo Eymar. Del resto il Mayer era ben spesso faceto e pieno di spirito di buona lega nelle sue osservazioni; nè il suo fine umorismo, talora commisto ad uno spunto di ironìa, appariva solo nella conversazione, ma sprizza fuori anche qua e là nei suoi scritti, come quando per es. in testa alla sua « Classifìcation des terrains cré- tacés, 1885 », fa dire a Pcntacrinus, Taunurus et C.ia : « La mer en terre vite », e quando a capolinea della sua « Classifìcation et terminologie des terrains tertiares d’Europe » scrive argutamente ed in parte ben giustamente : « souvent faune varie, tant pis pour qui s'y fie». E persino nel suffisso Eymar (suo antico pseudonimo, come accennai) che, nell’ultimo quarto della sua vita egli, per evitare scambi con tanti altri Mayer, volle ag- giungere al proprio cognome trasportandone le lettere, abbiamo la prova della sua caratteristica e fine arguzia. Il Mayer fu essenzialmente un geologo-stratigrafo ed un malacologo del Terziario. La conoscenza personale e ripetuta che egli ebbe, fino dalla metà dello scorso secolo, delle princi- pali regioni terziarie d’Europa, e specialmente di quella rego- lare e, sotto vari aspetti, tipica del Piemonte, gli permisero di fare preziose comparazioni stratigrafiche-paleoutologiche fra le serie dei diversi Bacini terziari e di presentare così ben presto il suo famoso « Versuch einer neuen Klassifikation der Tertiar- Gebilde Europa’s» accompagnato da una tabella sincronica delle formazioni terziarie europee (104), grande quadro che apparve pure, analogo, contemporaneamente in lingua francese (103). In 590 F. SACCO questa prima classificazione mayeriana di mezzo secolo fa, cioè precisamente del 1857, la serie terziaria fu così suddivisa: Terziario superiore (Astiano, Piacenziano, Tortoniano , JElve- ziano, Magonziano, Aquitaniano). » medio (Tongriano, Liguriano). » inferiore ( Bart-oniano , Parisiano, Londiniano, Sues- soniano). Tale classificazione venne ripubblicata quasi identica nel 1805 (106), solo poi introducendovi giustamente il piano Messiniano nel 1868, quando il Mayer pubblicò la 4“ edizione del suo « Tableau synchronistique des terr. tert. super, et inf. » (109, 110). Dopo d’allora il Mayer, pur rimaneggiando variamente nei dettagli la sua classificazione del Terziario, non vi introdusse più cangiamenti essenziali nelle linee generali; solo che, avendo egli in seguito abbracciato la teoria dell’equivalenza dei perieli e dei piani geologi, attratto dalla nuova tesi fu obbligato quasi ad adattarvi le suddivisioni stratigrafiche, portandovi anche ag- giunte e modificazioni che paiono quindi meno naturali e sono forse meno giuste di quelle primitive fondate solo sull’esame dei fatti geopaleontologici senza preoccupazioni teoriche. Già nella sua sovraccennata Classificazione del 1865 il Mayer attribuiva ai suoi piani una certa durata in anni solari, varia per ogni piano, cioè con dei minimi dai 20.000 ai 60.000 anni ; ma nel 1884, adottando una « Classification des terrains tertiaires conforme à l’équivalence des périhélies et des étages » (115), naturalmente egli fissò tale durata a circa 21.000 anni, e poco dopo, cioè in occasione del Congresso geologico internazionale di Berlino nel 1885, cercò di dare le prove dell’equivalenza dei perieli e dei piani (92). Al Mayer parve che nella serie dei terreni sedimentari esi- stesse una certa periodicità, ciò che in parte è vero. I piani geologici corrisponderebbero secondo lui ai periodi di preces- sione degli equinozi e quindi ai perieli, della durata di 21.000 a 26.000 anni, ed anche più nei periodi antichi, per cui la du- rata della storia sedimentaria ed organica terrestre sarebbe di circa un paio di milioni d’anni. CARLO MAYER-EYMAR 591 Ancora nella sua ultima generale « Classification et termi- nologie des terrains tertiaires d’Europe » (124), egli pone come tesi fondamentale che la costituzione dei piani e sottopiani è determinata da un leggero spostamento alternativo dell’asse della Terra, ciò che doveva molto influire sulla sedimentazione, il clima, lo sviluppo organico, ecc., introducendo quindi anche il concetto che ciascun piano fosse suddivisibile in un primo sottopiano, corrispondente ad epoca fredda, ed in un secondo o superiore sot- topiano, corrispondente ad epoca calda. La teoria è certamente geniale e potrebbe sciogliere ed illu- minare una quantità di questioni geologiche e paleontologiche, per cui si comprende come il Mayer l’abbia abbracciata con tanto entusiasmo; ma finora purtroppo essa rimane ancora allo stato di una attraente teoria, per quanto variamente proposta ed esposta da una schiera di scienziati come Leverrier, Adhémar e Julien, I. Croll, Le Hon, Smick, Pilar, ecc. Mi sono fermato alquanto sopra la Classificazione del Ter- ziario, giacché essa fu, direi, per tutta la vita dei Mayer, il suo cavallo di battaglia (V. elenco delle Tabelle stratigrafiche), ed inoltre essa interessa particolarmente l’Italia; ma egli estese anche le sue ricerche a tutta la serie dei terreni secondari, spe- cialmente del Cretaceo (68, 107, 108, 117, 123, 127) e del Giurese (63, 65, 66, 67, 85, 88, 105), accompagnando tali studi con interessanti considerazioni sul numero e la delimitazione dei terreni secondari, sui piani e sottopiani geologici, la loro definizione e denominazione, ecc., cercando di avvicinarsi ad una generale Classificazione naturale, uniforme e pratica, quale egli propose nel 1874 (111, 112) e ripresentò nel 1881 (113) e nel 1884 (116). Più tardi il Mayer nel 1888 e nel 1889 pubblicava ancora un generale «Tableau des terrains de sédiment » (119, 120) corredato da varie considerazioni specialmente per sostenere la teoria o legge dei piani in rapporto coll’altalena od oscillazione dell’asse terrestre, e per cercare di spiegare come bastino poche migliaia d’anni per la costituzione di un piano o sottopiano geo- logico. L’ultimo dei suoi quadri di Classificazione stratigrafica generale è del 1900 (124), ma ancora nello scorso anno ne pub- blicò uno limitato al Cretaceo alpino (127) chiudendo cosi la 592 F. SACCO serie semi secolare delle sue caratteristiche Tabelle cronologico- stratigrafiche. Le prime Classificazioni proposte dal Mayer per la serie terziaria rappresentano il frutto di lunghe, laboriose ed estese ricerche originali sul terreno e coll’aiuto dei fossili raccoltivi, quindi hanno una grande importanza veramente fondamentale per la stratigrafia del Terziario; invece quelle posteriori gene- rali costituiscono essenzialmente un tentativo, forse un po’ didat- tico, di uniformare le denominazioni dei piani sedimentari; ma, qualunque possa essere il loro valore intrinseco, è certo che de- vesene tener conto se, come credo ed è giusto, la legge della priorità deve essere rispettata in Geologia stratigrafica, come in Biologia, Paleontologia, ecc. Ancora come Geologo stratigrafo dobbiamo ricordare il Mayer per una estesa ed interessante « Vue panoramique prise du Chàteau de Serra valle Scrivia » (75), colorata a mano e che è una magni- fica, tipica, caratteristica veduta geologica estendentesi ininter- rotta sulla destra della Scrivia dall’Eocene dell’ Appennino li- gure sino al Pliocene delle colline tortonesi. Ben noto è il suo rilevamento geologico del Terziario ligure, lavoro già delineato cogli studi geopaleontologici eseguiti dal Mayer verso la metà del secolo scorso, ma regolarmente inco- minciato nel 1865, e poi condotto a termine nel 1877 col- l’aiuto del R. Comitato geologico italiano ; di detto lavoro il Mayer pubblicò solo una succinta descrizione in varie lingue (76, 80, 81, 82, 83), mentre la relativa carta geologica, compren- dente gli antichi fogli al 50000 di Genova, Eoccaverano, Novi ed Acqui, quantunque esposta in diversi congressi geologici, ri- mase sgraziatamente inedita. Ricordiamo infine come il Mayer abbia assai giustamente visto e scritto sopra la famosa controversia del mare glaciale al piede dell’Alpi, controversia che agitò assai geologi italiani e stranieri per molti anni ed alla quale il Mayer portò un importante e decisivo contributo (78, 79), specialmente colla sua nota del 1876 intitolata opportunamente « la verité sur la mer glaciale au pied des Alpes ». In questo ultimo ventennio il Mayer, come fu sopra notato, aveva potuto fare ripetute escursioni nelle regioni terziarie del- CARLO MAYER-EYMAR 593 l’Egitto, ed anzi con vero ardore giovanile si era dato a studi geologici e paleontologici in questo suo nuovo campo di ricerche pubblicando, oltre a numerosi risultati su fossili nuovi (31, 32, 33, 34, 38, 41, 42, 50, 52, 54, 55, 56), una serie di interessanti note in cui la serie terziaria egiziana venne lumeggiata compa- randola a quella europea (93, 95, 97, 98, 99, 100, 101). Passando ora a considerare l’opera del Mayer come paleon- tologo, se enorme, immenso, fu il suo lavoro, direi, materiale di appassionato ed intelligente raccoglitore di fossili per 60 anni in cento regioni diverse d’Europa e dell’Africa settentrionale, come ben risulta dalla meravigliosa raccolta ammassata nel Museo geologico del Politecnico di Zurigo, non meno intenso ed importante fu il suo lavoro di studioso e di illustratole dei fossili, essenzialmente terziari, in massima parte raccolti da lui personalmente. I fossili descritti dal Mayer sono per lo più Molluschi, sia Gasteropodi sia Pelecipodi, e la loro illustrazione in massima parte comparve a poco a poco, dal 1856 al 1904, sia nel Viettel- jahrschrift der Zurcherischen Naturforschenden Gesellschaft (vedi elenco bibliogr. paleont.), sia nel Journal de Conchylio- logie (2, 4, 5), risultandone nel complesso un’immensa mole di materiale di osservazioni accumulata così in mezzo secolo di pubblicazione, con una grandissima quantità di specie nuove, e di cui solo si può oggi lamentare la difficile consultazione, in causa della dispersione del lavoro stesso in tanti tascicoli. Abbiamo poi del Mayer anche qualche studio sulle Belemniti (8, 9, 9 bis, 21, 22) e sugli Echinidi (47, 48, 50).. Di notevole importanza sono alcune Monografie faunistiche generali su diverse formazioni di varie età, sui fossili del Giu- rasico (11) e del Cretaceo (12, 44), ma specialmente dell’Eo- cene (18, 24), del Miocene (1, 10, 15) ed anche del Quater- nario (49). . . , i L’immensa quantità del materiale paleontologico raccolto da Mayer nel Museo di Zurigo l’aveva spinto ad intraprendere la pubblicazione di un « Catalogne systématique et descriptif des fossiles des terraius qui se trouvent au Mnsée fédéral do Zunch » (13), nel quale, oltre alla proposta e diagnosi di nuove specie, 594 F. SACCO possiamo trovare interessanti osservazioni e numerosi dati sulle varie località d’origine e sul grado di rarità o di frequenza delle specie elencate, con un curioso tentativo persino di valu- tazione commerciale delle specie stesse. Ma questo catalogo, di cui il Mayer, nell’iniziarlo nel 1867, non aveva forse calcolato l’immenso sviluppo se si fosse potuto condurre a termine, cessò ben presto pur troppo d’esser pubblicato. L’enorme mole del lavoro soffocò l’opera all’inizio! Carlo Mayer appartenne a varie Società geologiche, come la francese, l’elvetica, l’italiana e la belga; fu membro onorario della Società di Storia naturale di St. Gallen, membro straniero della Società imperiale e reale di Zoologia e Botanica di Vienna e della Società accademica di Maine-et-Loire, membro corrispon- dente della Società Linncana di Bordeaux e della Società di Scienze Naturali L’Isis, di Dresda, ecc. Ricevette nel 1892 il Barlow-Jameson Fund dalla Società geologica di Londra, e nel 1894 il premio Savigny dall’Institut de France ; ma la sua speciale natura non era affatto da Accademico. La sua memoria rimarrà per sempre e con onore collegata essenzialmente alla Paleontologia ed alla Stratigrafia del Ter- ziario in generale ed in modo speciale a quella splendida, im- mensa Collezione paleontologica del Museo di Zurigo, che egli ha in massima parte creata e studiata consacrandovi con pas- sione quasi tutta la lunga ed operosa sua vita. [ms. pres. il 21 dicembre 1907 - ult. bozze 26 gennaio 1908]. CARLO MAYER-EYMAR 595 LAVORI SPECIALMENTE PALEONTOLOGICI (1) Verzeichniss der in der marinen Molasse der Schweiz-schwàb. Hoch- flciche enthaltenen fossilen Mollusken. (Mitteil. von B. Studer in Berner Mitteil. Bern, 1853) e (Mitteil. d. Naturf. Gesellschaft. Bern, 1853). (2) Description de Coquilles fossiles des terrains tertiaires de la Russie. (Journ. de Conchyl. Paris, voi. 5 e 6, 1856, 1857). (3) Verzeichniss der im Kalk der In sei Baxio bei Porto Santo Fossil vorkommenden Mollusken. ( Viert. schr. Natur. Gesell. Ziirich, 1857). (4) Description de Coquilles nouvelles (poi fossiles ) des étages supérieurs des terrains tertiaires , poi Descript, des Coqu. foss. des terrains tert. sup. (Journal de Conchyl. Paris, voi. 6, 7, 9, 10, 14, 16, 17, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 26, 34, 37, 39, 42, 43, 45, — 1857, 1858, 1861, 1862, 1864, 1866, 1868, 1869, 1871, 1872, 1873, 1874, 1875, 1876, 1878, 1886, 1889, 1891, 1894, 1895, 1897). (5) Description de Coquilles fossiles des terrains tertiaires inférieurs. (Journal de Conchyl. Paris, voi. 9, 11, 12, 17, 18, 35, 36, 37, 38, 42, 43, 44, 46, — 1861, 1863, 1864, 1869, 1870, 1887, 1888, 1889, 1890, 1894, 1895, 1896, 1898). (6) Ueber das Tertidr- Gebilde und die Molasse- Petrefacten. (Neues Jahr- buch fur Min., Stuttgart, 1858, 1860). (7) Die Faunula des marinen Sandsteines von Kleinkuhren bei Kònigs- berg. (Viert. schr. d. Naturforsch. Gesellsch. Jahrg. 6. Ziirich, 1861). (8) Sy stemati sche Aufstellung der Belemniten der Juraformation. (Ver- handl. Schweiz. Naturf. Gesellsch. Luzern, 1862). (9) Liste, par ordre systématique, des Bélemnites des terrains jurassiques et diagnoses des espèces nouvelles. (Journal de Conchyl. Paris, voi. Il, 12, 14, — 1863, 1864, 1866). (9 bis) Diagnoses de deux Bélemnites nouvelles. (Journal de Conchyl. Paris, voi. 12, 1864). (10) Die Tertiàr-Fauna der Azoren und Madeiren. Systematisches Ver- zeichniss der fossilen Peste von Madeira, Porto Santo u. Santa Maria. (Ziirich, 1864). (11) Description de Coquilles fossiles des terrains jurassiques. (Journal de Conchyl. Paris, voi. 12, 13, 19, 23, — 1864, 1865, 1871, 1875). (12) Description de fossiles des terrains crétacés. Ziirich, Imprim. Zurcher et Furrer, Sept. 1865). 596 f. sacco (12 bis) Beschreibung der neuen Arten in: Kuufmann-Geol. Beschreibung des Pilatus. (Beitr. zur geol. Karte der Schweiz, V, Bern, 1867). (13) Catalogne systématique et descriptif des fossiles des terrains tertiaires qui se trouvent au Muse'e federai de Zùrich. (Librairie Schabe- litz). (le Chenopides, Strombides et Ficulides, 1866); (2e Mac- trides et Pholadides, 1867); (3eAi-cides, 1868); (4® Panopéides, 1870). (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich, Jahrg. 11, 12,13, 15). (14) Découverte des Couches a Congéries dans les Bassin du Rhdne. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 16, 1871). (15) Systematisches Verzeichniss der Versteinerungen des Hélvetian der Schweiz und Schwabens. (Beitr. z. geol. Karte der Schweiz. Lief. 11. Bern, 1872). (16) Conchylien aus der Hòhle von Tliayngen. (Viert. schr. Naturf. Ge- sellsch. Ziirich. Jahrg. 19, 1874). (17) Resumé sur la faune nummulitique de Einsiedeln. (B. S. G. F., 3®, IV. Paris, 1876). (18) Systematisches Verzeichniss der Versteinerungen des Parisian der Um- gegend von Einsiedeln. (Beitr. zur Geol. Karte der Schweiz, XIV. Ziirich, 1877). (19) Die Versteinerungen der Tertidren Schichten von der Westlichen Insel im Birket-el-Qurun- See. (Mittel-Aegypten). (Paliiontogra- phica. Bd. 30. Cassel, 1883). (20) Ueber die Thracia- Arten der Molasse. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich, Jahrg, 24, 1883. (21) Classification der Belemniten. (Zeitschr. d. Deutsch. geolog. Gesellsch. Bd. 35. Berlin, 1883). (22) Die Filiation der Belemnites acuti. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich, Jahrg. 29, 1884), e Tavola. (23) Die Panopàen der Molasse. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 29, 1885). (24) Systematisches Verzeichniss der Kreide und Tertiar Versteinerungen der Umgegend von Thun. (Beitr. zur Geol. Karte der Schweiz, XXIV. Bern, 1887). (25) Trois Spondyles nouveaux du Parisien infér. eie la Suisse. (Bull. Soc. belge de Geol. II. Bruxelles, 1888). (26) Douze espèces nouvelles du Londinien inférieur du Monte Postale. (Vicentin). (Bull. Soc. belge de Géol. II. Bruxelles, 1888). (27) Drei neue Spondylus aus dem uni. Parisien der Schweiz. Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich, Jahrg. 33, 1888). (28) Zivòlf neue Arten aus dem unt. Londinian des Monte Postale bei Vicenza. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 33, 1888). (29) Klassification der Brachiopoden. (Tabella autogr. in 4°). Ziirich, 1889). CARLO MAYER-EYMAR 597 (30) Klassification der F or amini feren. (Tabella autogr. in 4°). Zùrich, 1889). (31) Diagnoses d’Huitres nouvelles des terrains nummulitiques d’Egypte. (Bull. Soc. belge de Géol. III. Bruxelles, 1889). (32) Diagnoses Ostrearum novarum ex agris Aegyptiae nummuìiticis . (Viert. sehr. Naturf. Gesellsch. Ztìrich. Jahrg. 34, 1889). (33) Plicatarum sex novae species e stratis Aegyptiae parisianis. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 34, 1889). (34) Mókattamia, Molluscorum Pelecypodorum genus novum e familia Crassatellidium. (V iert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 34, 1889). ' (35) Faune du Londinien de la Faehnern. (Arch. de Genève, 3e sèrie, t. 24, 1890). (Verhandl. Schweiz. Naturf. Gesellsch. Jahrg. 73. Davos, 1891). (36) Détails nouveaux sur la Faune du Londinien d’ Appenzelì. (Eclogae geol. Helvet. II. Lausanne, 1890). (37) La Faune miraculeuse du Londinien d’ Appenzelì (Viert. schr. Na- turf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 35, 1890). (38) Aliae Ostreae novae quatuor a Cl. Sclnveinfurtli in Agris Aegyptiae nummuìiticis inventae. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 35, 1890). (39) Diagnoses specierum novarum ex agris Helvetiae nummuìiticis. (Viert. Ziirich. Jahrg. 35, 1890). (40) Diagnoses specierum novarum ex agris mollassicis seu neogenis in Museo Turicensi conservatarum. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 35, 1890). (41) Diagnoses Vulsellarum ex agris Aegyptiae nummuìiticis. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 36, 1891). (42) Diagnoses Mytilorum ex agris Aegyptiae nummuìiticis. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 36, 1891). (43) Diagnoses Ostraearum novarum ex agris mollassicis. (Viert. schi\ Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 36, 1891). (44) Ueber Neocomian- Versteinerungen aus dem Somali-Land. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 38, 1893). (45) Liste Systématique des Natices des Faluns et de Pont-Levoy, du Musée de Ziirich. (Journal de Conchyl. Paris, voi. 43, 1895). (46) Description d’un sous-genre nouveau du genre Card-ita. (Journal de Conchyl. Paris, voi. 44, 1896). (47) Révision du groupe de Clypeaster a/tus. (Eclogae géol. Helvet. V, Lausanne, 1897) e (Archives de Genève, 4e, III, Genève, 1897). (48) Révision der Formenreilie des Clypeaster altus. (Viert. schr. Natuif. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 42, 1897). 598 F. SACCO (49) Systematisches Verzeichniss der Fauna des unteren Saharianum (ma- rines Quartaer) der Umgegend von Kairo. (Palàontographica. Bd. 30. Stuttgart, 1898). (50) Neue Echiniden aus den Nummulitengebilden Aegyptens. (Viert. schr. Naturf. Gesellscli. Ziirich. Jahrg. 43, 1898). (51) Sur la distribution strati graphique de l’Ostrea ( Gryphaea) vesicularis. (Eclogae geol. Helvet. VI. Lausanne, 1900). (52) Interessante neue Gastropoden aus dem Untertertiàr Aegyptens. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 46, 1901). (53) Bectification d’une erreur de détermination (Natica conomphalus Sandb. - N. Nystii Sandb. - N. Achatensis C. et L.). (Journal de Conchyl. Paris, voi. 49, 1902). (54) Explication des Attributs du Kerunia cornuta May. (Comptoir géol. et min. de A. Stuer. Paris, 1902). (55) Liste der nummulitischen Turritelliden Aegyptens auf der geol. Samml. in Ziirich. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 47, 1902). (56) Nummulitische Dentaliiden, Fissurelliden, Capuliden u. Hipponi- ciden Aegyptens auf der geol. Sanimi, in Ziirich. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 48, 1903). (67) Bevue des grandes Ovules ou Gisortia Jouss. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 49, 1904). LAVORI SPECIALMENTE GEOLOGICO-STKATIGRAFICI (58) Con Gressly A., Observations sur les terrains tertiaires de VAjoie. (Actes de la Soc. helvét. des Se. Nat. 38 Sess. Porrentruy, 1853). (59) Sur le terrain nummulitique des environs de Thoune. (Archives de Genève, le période. XXIV. Genève, 1853) e (Actes Soc. helvét. 38® Sess. Porrentruy, 1853). (60) Sur les terrains nummulitiques des Alpes Suisses. (B. S. G. Fr., 2°, XI, Paris, 1854). (61) Versuch einer neuen Klassification der Tertiàr-Gebilde Europas. (Verhandl. der Schweiz. Naturf. Gesellsch. Trogen, 1857). (62) Profile liings der Bàche von Saucats und Lcognan bei Bordeaux. (Folio autogr. Ziirich, 1858). (63) Sur la division du groupe oolitique infcrieur. (Acte de la Soc. Helv. 45e Sess. Lausanne, 1861). CARLO MAYER-EYMAR 599 (G4) Ueber die Untersc heidung der obermioccinen und unterpliocànen blauen Mergel. (Verhandl. Schweiz. Naturf. Gesellsch. Lugano, 1861). (65) Quelques observations sur le groupe oolitliique inférieur. (Verhandl. Schweiz. Naturf. Gesellsch. Ziirich, 1864). (66) Sur le terrain jurassique inférieur et moyen. (Archives de Genève, 2e pél-., XXI, Genève, 1864). (67) Limite entre l’Oxfordien et VArgovien. (Nota in 9 bis) (Journal de Conchyl. Paris, voi. 12, 1864). (68) Sur le terrain cretacee de Justithal. (Arch. de Genève, 2e pér., XXIV, Genève, 1865) e (Actes Soc. lielv., 49e Sess. Genève, 1865). (70) Coupé du terrains nummulitique des environs de Einsiedeln. (Stein- bach). (Verhandl. Schweiz. Naturf. Gesellsch. Einsiedeln, 1868). (71) Ueber die Nummuliten-Gebilde Ober Italiens. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. in Ziirich. Jahrg. 14, 1869). (72) Ueber das Alter der Uetliberg-Nagelfluh . (Viert. schr. Naturf. Ge- sellsch. Ziirich. Jahrg. 20. 1875). (73) Ueber das Alter der Au- Nageljluh. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 20, 1875). (74) JReise durch die Basilicata. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 20, 1875). (75) Vue panoramique prise du Clidteau de Serravalle Scrivia. (Foglio- Autogr. color. J. Hofer. Ziirich, 1875). (76) Osservazioni geologiche sulla Liguria, il Tortonese e l’Alto Monfer- rato. (Atti R. Acc. Lincei, serie 2\ II. Roma, 1875). (77) Age de la Molasse sableuse micacee du Nord de la Suisse. (Nota in Journal de Conchyl., voi. 24. Paris, 1876). .(78) Con Martins Ch. e Renevier E., Discussion sur la présence des glaciers alpins dans la piaine du Po à Vépoque pliocène. (Arch. de Genève, 2e pér., LVII. Genève, 1876). (79) Lm ve'rite' sur la Mer glaciale au pied des Alpes. (B. S. G. Fr., 3e sèrie. IV. Paris, 1876). (80) Sur la Carte géologique de la Ligurie centrale. (B. S. G. Fr., 3e sèrie. V. Paris, 1877). (81) Studi geologici sulla Liguria centrale. (Boll. C. G. I., Vili, Roma, 1877). * (82) Schizzo geologico di una parte della Liguria e dell Alto Monferrato. (Boll. Soc. Lett. e Convers. scient. Genova, 1877). (82 bis) Observations sur la note de M. Hcbert sur les terrains tertiaires du Piémont. (B. S. G. Fr , 5e sèrie, V, 1877). (83) Zur Geologie des mittleren Ligurien. ("Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 23, 1878). 40 600 F. SACCO (83 bis) Découverte de l’étage Londinien au pied dn Fàlmern (Appenzell). (Verhandl. Schweiz. Naturf. Gesellsch. Bern, 1878). (84) Coupé géologique prise le long de la route de l’Axen. (Archiv. de Genève, 3e per., II, Genève, 1879). (85) Uebergànge der jurassischen in die cretacischen Bildungen. (Verhandl. Schweiz. Naturf. Gesellsch. Jahrg. 62. St. Gallen, 1879). (86) Apercu ou stratigraphie des assises de la molasse d’ Appenzel et de St. Gali. (Verhandl. Schweiz. Naturf. Gesellsch. Jahrg. 62, 1879). (Archives de Genève, 3e pér., II, Genève, 1879). (87) Das Londinian aus Sàntis (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 24, 1879). (88) I)as Vesullian, eine neue dreiteilige Jurastufe. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich, Jahrg. 24, 1879). (89) Stromlauf der Fliisse zur Tertidrzeit. (Verhandl. Schweiz. Naturf. Gesellsch. Aarau, 1881). (90) Note sur les terrains tertiaires de VAriége. (B. S. G. Fr., 3ft sèrie, X, Paris, 1882), con foglio autogr. a parte. (91) Sur les relations des e'tages Helvétien et Tortonien du plateau suisse allemand. (Arch. de Genève, 3" sér., VI, Genève, 1881). (92) Preuves de V équival enee des perihélies et des éiages. (Conipte rendu de la 3“ Session du Congrès géol. internat. Berlin, 1885). (93) Zur Geologie Acqyptens. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 31, 1886). (94) Ueber die geologischen Verhaltnisse der Petroleum- Geg end von Man- techino bei Piacenza. (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Ziirich. Jahrg. 32, 1887). (95) Ueber das Tongrian von Cairo (Aegypten). (Viert. schr. Naturf. Gesellsch. Jahrg. 34, 1889). (96) Lettera al Presidente della Società Geologica Italiana. (Boll. S. G. I., IX, 1891). (97) L’Oasis de Moeleh. (Institut ègyptien, Le Caire, 1892). (98) Le Ligurien et le Tongrien en Egypte. (B. S. G. Fr., 3e sèrie, XXI, Paris, 1893) e (Institut ègyptien, Le Caire, 1894). (99) Quelques mots sur les nouvelles recherches relatives au Ugurien et au Tongrien d'Egypte. (Institut ègyptien, Le Caire, 1894). (100) Defense du Saharien covime nom die dernier etage géologique. (Compte rendu Acad. Se. Paris. Paris, 1894). (101) Jj extension du Ligurien et du 'Tongrien en Egypte. (Institut égyp- tien, Le Caire, I, 1895, II, 1896). (102) Sur le Flysch et en particulier sur le Flysch de Piai ritz. (B. S. G. Fr., 4e sèrie, II, Paris, 1902). CARLO MAYER-EYMAR 601 (102 bis) Classification du Crétacique inférieur de s Alpes centrale s (C. R. Soc. helv. des Se. Nat , 89 session à Saint-Gall. Archives de Genévo, tome XXII, 1906). TABELLE STRATIGRAFICHE (103) Essai d'un Tableau synchronistique des terrains tertiaires de V Eu- rope. (Foglio. Imprim. D’Orell, 1857). (104) Versuch einer synchronistischen Tabelle der Tertiàr-Gebilde Eu- ropa’s. (Verhandl. Schweir. Naturf. Gesellsch. Trogen, 1858).- Vedi N. 61. (105) Tableau synchronistique des terrains jurassiques. (Foglio autogr. I. Hofer. Ziirich, 1861 e 1864). (106) Tableau synchronistique des terrains tertiaires d’Europe. (Foglio autogr. I. Hofer. Ziirich, 1865). (107) Tableau synchronistique des couclies crétacées inférieures de la zone nord des Alpes ed du Tura suisse. (Foglio autogr. Ziirich, 1867 1. (108) Tableau synchronistique des terrains crétacés. (Foglio autogr. H. Manz. 1868 e 1872). (109) Tableau synchronistique des terrains tertiaires supérieurs. (Foglio autogr. H. Manz. Ziirich, 1868). fi 10) Tableau synchronistique des terrains tertiaires infcrieur s. (Foglio autogr. H. Manz. Ziirich, 1869). (111) Classification méthodique des terrains de sédiment. Essai et propo- sition d’une Classification naturdle, uniforme et pratique des terrains de sédiment. (4°, Ziirich, 1874). (112) Naturliche, gleichmassige und pràktisclie Klassification der Sediment- Gebilde. (Tabella, Casp. Kniisli. Ziirich, 1874). (113) Classification inter nationale, naturelle, uniforme, homophone et pratique des terrains de sédiment. (Autogr. Ziirich, 1881). (114) Tableau des synchronismes de V Eocène de Paris, d’Aix et de lou- louse. (Foglio autogr. in 4°, Ziirich, 1882). (115) Classification des terrains tertiaires conforme à l’équivalence des périhélies et des étages. (Ziirich, 1884). (116) Classification et terminologie internationale des étages naturels des terrains de sédiment. (Ziirich, 1884). (117) Classification des terrains crétacés conforme à l’éq uivalence des pé- rihélies et des étages. (Ziirich, 1885). F. SACCO G02 (118) Tabelle der Sediment-Gebilde. (Ztìrich, 1887). (119) Tableau des terrains de sédiment. i Ziirich, 1888). (120) Tableau des terrains de sédiment, extrait du Cours de stratigraphie du prof. Ch. Mayer-Eymàr à Ziirich. (Societas historico-natu- ralis croatica. Glasnik krvatskoga naravoslovnoga driiztva, IV Godina, Zagreb (Agram), 1889). (121) Grundsàtze der internationalen stratigraphischen Terminologie. (Eclogae geolog. Helvetiae. V. Lausanne, 1898). (122) Classification et terminologie des terrains jurassiques d'Europe. (Ziirich, 1900). (123) Classification et terminologie des terrains crétaciques d’Europe. (Zurich, 1900). (124) Classification et terminologie des terrains tertiaires d’Europe. (Zurich, 1900). (125) Classificazione del sottosistema nummulitico del Vicentino. Deter- minazione dei piani conformemente alla decisione del Congresso del 1897. (Zurich, 1903). (126) Classification du Tertiaire du bassin de Vienne. (Foglio autogr. Vienna, 1903) e (Journ. de Conchyl., voi. 51. Paris, 1903). (127) K lassi ficationtabelle der zentralalpinen unteren Kreide. (Ziirich, 1906). Boll. Soc. Geol. hai. Voi. XXXVL <1907> ongressìsti dell'adunanza straordinaria della Società geologica francese in Italia, alla stazione ferrouiaria di Ronco Scrìuia il 9 Settembre 1905. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXVI Rendiconti (pag. i-xl nel fascicolo 1°; pag. xu-cc nel fascicolo 2°). i>ao . Consiglio direttivo per l’anno 1907 m Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi . . iv Elenco dei soci per l’anno 1907 ivi Soci onorari e perpetui ivi Soci residenti in Italia v Soci residenti all’estero xii Elenco dei cambi xin Resoconto dell’adunanza generale invernale tenuta in Roma il 24 marzo 1907 xix Adesione della Società alle onoranze ad Ulisse Aldrovandi ivi id. al VI Congresso geografico italiano; al III Con- gresso internazionale del petrolio; al centenario della Società geologica di Londra . , xx Commissione ordinatrice della Sezione di Mineralogia, Geo- logia e Paleontologia al Congresso della Società Ita- liana per il progresso delle Scienze ivi Omaggio a S. A. R. il Duca degli Abruzzi .... ivi Ammissione di nuovi soci xxi Bilancio consuntivo 1906 e bilanci preventivi 1907 . . . ivi Commissione del Bilancio xxm Sede e programma per l’adunanza estiva xxiv Elenco degli omaggi ivi Elenco delle memorie e note presentate per la stampa nel Bollettino • . . . . xxv Comunicazioni scientifiche (Verri, Portis, Franchi) . ivi Appendice : Portis A. — È dimostrata la contemporaneità dell’uomo paleolitico coll’elefante antico, l’ippopotamo ed un ri- noceronte in Italia ? xxvm Franchi S. — Sulla scoperta di roccie nefritiche nella Li- guria orientale xxx Verri A. e Clerici E. — Escursione a Tivoli .... xxxiv Resoconto delle adunanze generali tenute nel settembre 1907: Adunanza inaugurale dell’8 settembre in Torino (con 2 tavole). xli Discorso del comm. E. Bonelli xlii Discorso del prof. PARONA xliv 604 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOL. XXVI PAG. Saluto dell’on. senatore D’Ovidio xliv Discorso del generale Riva-Palazzi xlv Ammissione di nuovi soci xlvi Omaggio a S. A. R. il Duca degli Abruzzi . . . xlvii Telegrammi a S. A. R. il Duca degli Abruzzi, al Mi- nistro D’Agricoltura e all’on. sen. Capellini xlviii Ricevimento in onore dei soci al Palazzo Municipale . . xlix Inaugurazione della Collezione litologica del Ruwenzori . . l Seduta pomeridiana dell’8 settembre ivi Modificazioni al regolamento pel premio Molon ... li Voto per l’abolizione delle proibizioni relative ad al- cuni fogli della Carta topografica d’Italia .... lii Voto per la concessione a prezzo ridotto delle pubbli- cazioni dell’Istituto Geografico militare e del Mini- stero di Agricoltura, Industria e Commercio . . lui Raccomandazione che l’Osservatorio vesuviano sia posto in condizioni da potere vantaggiosamente servire ai progressi della Scienza ivi Escursione del 9 settembre liv Escursione del 10 settembre ivi Adunanza del 10 settembre ivi Comunicazione di telegrammi di S. A. R. Luigi di Sa- voia, di S. E. il Ministro Cocco-Ortu e dell’on. sen. Capellini lv Relazione della Commissione del Bilancio lvii Telegramma al tesoriere Aichino ivi Disposizioni relative alla sistemazione dell’Archivio . ivi Telegramma al prof. A. Neviani lviii Elenco delle memorie e note presentate per la stampa nel Bollettino ivi Elenco degli omaggi lix Presentazione della Carta geologica delle Alpi occiden- tali LXI Elezioni sociali lxii Escursione dell’ll settembre (con 2 figure) lxiii Escursione del 12 settembre (con 2 figure) lxv Escursione del 13 settembre lxvii Adunanza del 13 settembre a Courmayeur lxviii Ammissione di nuovi soci ivi Chiusura del Congresso lxix Appendice: Sacco F. — La funzione pratica della Geologia, di- scorso presidenziale lxxi Gortani M. — Relazione delle feste Aldrovandiane a Bologna (12 e 13 giugno 1907) CHI Marinelli 0. — Il VI Congresso Geografico Italiano. cviii Necrologie: Nicola Pellati (con ritratto) cxiv Lamberto Demarchi CXVlll INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOL. XXVI 005 PAG. Benedetto Corti « Cxx Pasquale Franco cxxm Carlo Fabant cxxvi Mariano Bargellini CXXvm Giuseppe Lanino {con ritratto) cxxix Martino Baretti (con ritratto) cxxxi Roccati A. — Escursione a Pianezza , Casellette ed Avi- gliana (9 settembre 1907) (con 2 figure) .... cxxxv Clerici E. — Diatomee della farina calcarea raccolta presso il lago di Avigliana (con 1 figura) . . . CXLIII Prever P. L. — Escursioni sui Colli di Torino: 10 settembre, Escursione a Superga e a Baldissero (con 1 figura) cxlv 11 settembre, Escursione nei dintorni di Gassino (con 1 figura) CXLix Franchi S. — Escursioni in Valle d’Aosta (12- 13 set- tembre 1907) (con 6 fig., 2 tav. ed un profilo a colori). clvii Cerulli-Irelli S. — Escursione al Colle del Gigante, 12-13 settembre 1907 CLXXXVHI Gortani M. — Escursione supplementare inVal di Cogne. cxcii Colomba L. — Escursione ai giacimenti di Grosso e Traversella cxciv Memorie. Fascicolo 1" (25 maggio 1907). Verri A. — Una sezione naturale nel Monte Verde (con 6 fig.) 1 Checchia-Rispoli G. — Un crostaceo delTeocene medio dei dintorni di Bagheria in prov. di Palermo (con 1 tav.) 25 Silvestri A. — Considerazioni paleontologiche e morfolo- giche sui generi Operculina, Heterostegina, Cycloclypeus (con 1 tav.) • . . . . 29 Portis A. — Di due notevoli avanzi di carnivori fossili dei terreni tufacei di Poma (con 2 tav.) 03 De Angelis D’Ossat G. — I noduli silico-mangano- fer- rosi nei dintorni di Poma 88 Seguenza L. — Nuovi resti di mammiferi puntici di Gra- vitela presso Messina (con 3 tav.) 89 Bellini R. — A proposito di alcune discussioni sull’ori- gine dei conglomerati oligocenici della Collina dì Torma 123 Fascicolo 2° (9 dicembre 1907). Roccati A. — Nell’ Uganda e nella catena del Ruwenzori, Relazione preliminare sulle osservazioni geologiche fatte durante la spedizione di S. A. R. il Duca degli Abruzzi nell’anno 1900 127 606 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOL. XXVI PAO. PORTIS A. — A proposito di avarisi elefantini recentemente scoperti nella valle del Po . . . 159 . NELLI B. — Formazione calcarea dello scoglio Troia (lito- rale livornese) 172 Pagani U. — Linea di faglia e terremoti nel Pesarese (con 4 figure) 175 Capeder G. — Sulla esistenza di una componente orizzontale nei movimenti di emersione delle coste Picene nell’A- driatico (con 3 figure) 189 Cacciamali G. B. — Sulle glaciazioni quaternarie (con 1 figura) 229 Taramelli T. — Della utilizzazione dei laghi e dei piani lacustri di alta montagna per sopperire alle magre dei nostri filimi 235 Nelli B. — Il Miocene del Monte Titano nella Republica di S. Marino (con 3 tav.) 239 Peola P. — Impronte vegetali del Carbonifero dell’ Illinois (S. U. d’America) (con 1 tav.) 323 Colomba L. — Sul vulcanismo di Fort Portai .... 333 Bellini. — Sul Pecten medius Lavi, citato da Philipp i e Scacchi tra i fossili della regione Flegrea 340 Fascicolo 3° (31 gennaio 1908). Stefanini G. — Conoclipeidi e Cassidulidi conoclipeiformi (con 2 tav.) ■ . 343 Sacco F. — Gli Abruzzi, schema geologico (con carta geo- logica e cartina tettonica) 377 Clerici E. — Ricerche microscopiche su calcari Musici di Tivoli (con 1 fig.) 461 Del Campana D. — Fossili della Dolomia principale della Valle del Brenta (con 1 tav.) 465 Capeder G. — Sulla origine e sulla probabile natura delle forze orogenetiche (con 3 fig.) 495 Prever L. P. — I terreni quaternari della Valle del Po dalle Alpi Marittime alla Sesia . . • 523 Clerici E. — Analisi microscopica del calcare farinoso di S. Demetrio nei Cestini (con 1 tav.) 557 VlNASSA DE Regny P. E. — Applicazione del planimetro allo studio della costituzione minerale quantitativa delle rocce (con 3 fig.) 567 De Stefani C. — Le marne a Cardium del Ponte Molle presso Roma (con 1 tav.) 579 Sacco F. — Carlo Mayer-Eymar, cenni necrologici (con 1 tav.) 585 SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA CONCORSI AI PREMI MOLON SESTO CONCORSO (rinnovato). A. Tema di Paleontologia. Studio di fossili, di località italiane, accompagnato da con- siderazioni sulla loro importanza in rapporto alla stratigrafia ed alla cronologia. Premio L. 1000 (indivisibile) - Scadenza 31 marzo 1908. B. Tema di Petrografia. Studio petrografico di roceie massiccie nei depositi filoniani o laccolitici, di località italiana, accompagnato da osservazioni relative ai rapporti colle roccie incassanti e da considerazioni cronologiche. Premio L. 1000 (indivisibile) - Scadenza 31 marzo 1908. SETTIMO CONCORSO. Tema di Geologia. Studio geo-tectonico di qualche gruppo montuoso italiano poco noto. Premio L. 2000 - Scadenza al 31 marzo 1908. AVVERTENZE PER I SO C~ L’indirizzo per la corrispondenza diretta alla Società é: Casella Postale 485 - Roma. Le tasse sociali, le richieste per l’acquisto di volumi del Bollettino ed il relativo importo devono essei'e indirizzati nominativamente all’ing. Giovanni Aichino (tesoriere) — R.-Ufficio Geologico, via S. Su- sanna 1 A. Roma. Le richieste riguardanti l’archivio e la biblioteca sociale devono essere indirizzate nominativamente all’ing. Camillo Crema (archivista) — R. Ufficio Geologico, via S. Susanna 1 A. Roma. La quota annuale deve pagarsi nel primo bimestre dell’anno cui si riferisce, e viva preghiera è fatta ai pochi soci ritardatari per il sol- lecito invio delle quote arretrate. Un socio che non sia in corrente col pagamento della quota annuale non potrà presentare lavori per la pubblicazione nel Bollettino. Non si accettano le Memorie che siano puri lavori di compilazione e quelli che abbiano carattere esclusivamente o prevalentemente polemico. Le Comunicazioni da stamparsi coi verbali non potranno oltrepas- sare due pagine di stampa ciascuna se si tratta di note originali, né mezza pagina se di osservazioni in risposta ad altra comunicazione o di presentazioni di opere stampate. Gli autori rimetteranno seduta stante i manoscritti delle loro comunicazioni ed osservazioni; per le quali non si inviano bozze di stampa. 1 manoscritti dovranno essere in fogli dello stesso formato, scritti da una sola parte, a linee spaziate in caratteri intelligibili, senza di che la presidenza potrà respingerli. Si prega di sottolineare sempre le deno- minazioni dei fossili e i titoli delle opere nelle citazioni bibliografiche. I lavori incompleti sia nel manoscritto, sia nelle tavole non possono esser presi in considerazione per la stampa. Le memorie che ciascun socio potrà inserire nello stesso volume del Bollettino, non dovranno complessivamente superare i quattro fogli di stampa: se eccedono, la spesa in più sarà tutta a carico dell’autore, anche per la parte relativa agli estratti concessi dalla Società. Sono a carico degli autori le spese in più per le pagine in corpo 8 e per le tabelle; cosi pure le spese straordinarie per correzioni maggiori del consueto, per cambiamenti o rifusione di paragrafi e per composi- zioni annullate. Le prove delle illustrazioni, qualunque esse siano, saranno sotto- poste al visto della presidenza prima della loro stampa. Finito di stampare il iti gennaio 15)08. Il Presidente responsabile : Federico Sacco. I