3 JUL'ibOd- BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XXVII — 1908 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGG1ANI Via della Pace N. 35 1909 ■ i ' . > . - ■ \ BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Voi. XXVII — 1908 ROMA TIPOGRAFIA DELLA PACE DI F. CUGGIANI Via della Pace N. 35 1908 Gli Autori sono responsabili delle opinioni manifestate nei loro lavori. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO fondata in Bologna il 29 settembre 1881 Consiglio direttivo per l’anno 1908 Presidente Alessandro Portis (Roma). 1908. Vice-Presidente . . . Giovanni Di-Stefano (Palermo). 1908. Segretario Enrico Clerici (Roma). 1907-1909. Tesoriere-Economo . Giovanni Aichino. 1906-1908. Archivista Vice-Segretari . . . . Consiglieri Commissione per le pubblicazioni . . Camillo Crema (Roma). 1907-1909. Alfredo Bordi (Roma). 1908. Alessandro Roccati (Torino). 1908. Ettore Mattirolo (Roma) . 1 Giorgio Spezia (Torino). . .( Augusto Statuti (Roma) . . i Vittorio Matteucci (Resina). 1 Francesco Bassani (Napoli) . ) Dante Pantanelli (Modena). ■ Carlo de Stefani (Firenze) . ] Luigi Baldacci (Roma). . . . ' Mario Canavari (Pisa). . . . I Antonio Neviani (Roma). . . 1 Carlo Fabr. Parona (Torino). 1906-908. 1907-909. 1908-910. Il Presidente j Il Segretario 1 (prò tempore). Il Tesoriere 1 Commissione del bi- \ lancio ) Mario Cermf.nati Gioacchino De Angelis d’Ossat. Antonio Verri 1908. Sede della Società: Roma, Via S. Susanna, 1 A, presso il R. Ufficio geologico. ELENCO DEI PRESIDENTI — ELENCO DEI SOCI Elenco tlei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi. 1881-82. Giuseppe Meneghini 1883. Giovanni Capellini 1884. Antonio Stoppani 1885. Achille De Zigno 1 886. Giovanni Capellini 1887. Igino Cocchi 1888. Giuseppe Scarabelli 1889. Giovanni Capellini 1890. Torquato Taramelli 1891 . Gaet. G. Gemmellaro 1892. Giovanni Omboni 1893. Arturo Issel 1894. Giovanni Capellini 1895. Igino Cocchi 1896. Carlo De Stefani 1897. Dante Pantanelli 1898. Francesco Bassani 1899. Mario Canavari 1900. Niccolo Pellati 1901. Carlo Fabrizio Parona 1902. Giovanni Capellini 1903. Antonio Verri 1904 Romolo Meli 1905. Torquato Taramelli 1906. Lucio Mazzuoli 1907. Federico Sacco Elenco dei Soci per l’anno 1908 S. A. R. Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi Acclamato socio onorario per deliberazione unanime nell adu- nanza generale del 16 settembre 1900 in Acqui. Soci perpetui. 1. Quintino Sella (morto a Biella il 14 marzo 1884). Fu uno dei tr* fondatori della Società; venne, per il primo, annoverato tra i soci perpetui per deliberazione unanime nell'adunanza generale tenutasi dalla Società il 14 settembre 1S85 in Arezzo. 2. Francesco Molon (morto a Vicenza il i° marzo 1885). Fu consigliere della Società, alla quale legava con suo testamento la somma di Lire 23,000; venne iscritto fra i soci perpetui per deliberazione unanime ne l'adunanza generale del la settembre x 885 in Arezzo. 3. Giuseppe Meneghini (morto a Pisa il 29 gennaio 1889). Per i suoi insigni meriti scientifici venne acclamato socio perpetuo nell’adu- nanza generale di Savona il 15 settembre 1887. 4. Felice Giordano (morto a Vallombrosa il 16 luglio 1892). Fu uno dei tre fondatori della Società; venne iscritto tra i soci perpetu per deliberazione unanime nell’adunanza generale di Taormina il 2 ottobre 1891 5. Giovanni Capellini, senatore del Regno. E uno dei tre fondatori della Società: venne iscritto tra i soci perpetu per deliberazione unanime nell'adunanza generale di Taormina il 2 ottobre 1891 ELENCO DEI SOCI V 1894. 1898. 1 899. 1 9°4- 1891. 1903. 1907. 1892. 1886'. 1896. 1 908. 1902. 1 88 r . 1905. 1890. 1884. 1881. 190 1. 1906. 1883. 1897. 1900. 1898. 1907. 1892. .885. 1907. 1904. 1897. 1893. Soci residenti in Italia. (Il millesimo che precede indica il primo anno d’associazione; l'asterisco indica i soci a vita). Aichino ìng. Giovanni. R. Ufficio geologico. Roma. Airaghi prof. Carlo. Magenta (Robecco sul Naviglio). Aldinio prof. Pasquale. R. Scuola normale. Lagonegro (Basilicata). Aloisi dott. Piero. Museo mineralogico R. Università. Pisa. Ambrosiani sac. prof. Michelangelo. Merate (Como). Animami ing. Federigo. Abbadia S. Salvatore (Siena). Anelli dott. Mario. Via Farini, 94. Parma. Angelelli ing. Ettore. Via Bonella, 9. Roma. Antonelli prof, don Giuseppe. Via del Biscione, 95. Roma. io Arcangeli prof. cav. Giovanni. R. Orto botanico. Pisa. Artini prof. Ettore. Museo civico di Storia naturale. Milano. Audenino prof. Lodovico. R. Liceo. Chieri (Torino). Baldacci ing. comm. Luigi. R. Ufficio geologico. Roma. Baruffaci ing. Angelo. Piazza Nicola Amore, 6. Napoli. Baratta dott. Mario. Voghera (Pavia). '■ Bargagli cav. Piero. Via de’ Bardi, palazzo Tempi. Firenze. Bassani prof. cav. Francesco. R. Università. Napoli. Bellini dott. Raffaele. R. Scuola tecnica. Chivasso (Torino). Bentivoglio conte prof. Tito. Canal Chiaro, 46. Modena. 20 Berti dott. Giovanni. Via Castiglione, 30. Bologna. Bettolìi dott. Andrea. Piazza Museo, 6. Brescia. Bianchi prof. ing. Aristide. Chieri (Torino). Biblioteca civica. Bergamo. Bibolini ing. Aldo. R. Ufficio minerario. Caltanissetta. Bonarelli prof, conte Guido. Gubbio (Umbria). Bonetti prof, don Filippo. Via Agonale, 3. Roma. Bonomini don Celestino. Concesio (Brescia). Bordi prof. Alfredo. Via dello Statuto, 44, p. 30 Roma. Bortolotti-Baldan^i prof. Emma. Viale Po, io. Roma. 30 Botto Micca dott. prof. Luigi. R. Scuola tecnica. Ven- timiglia. VI ELENCO DEI SOCI 1897. 1885. 1905. 1884. 1891 . 1889. 1897. 1898. 1883. 1905. 1908. 1881 . 1899. 1903. 1883. 1896. 1896. 1882. 1890. 1895. 1900. Brambilla prof, don Giovanni, Arcipiete. Cingia dei Botti (Cremona). Brugnatelli prof. Luigi. Museo mineralogico, R. Uni- versità. Pavia. Brunati dott. Roberto. Erba per Albese (Como). Bruno prof. cav. Carlo. R. Istituto tecnico. Mondovì. Bacca prof. Lorenzo. R. Università. Catania. Cacciamali prof. Giovanni Battista. R. Liceo. Brescia. Caetani (dei principi) ing. Gelasio. Palazzo Caetani. Via Botteghe oscure. Roma. Caffi dott. sac. Enrico. Piazza Cavour, io. Bergamo. Canavari prof. Mario. Museo geologico, R. Università. Pisa. 40 Caneva prof. dott. Giorgio. Piazza Eremitani. Padova. Cantore cav. Antonio. Ten.-colonnello 40 Alpini. Ivrea. Capacci ing. cav. Celso. Via Vaifonda, 3. Firenze. Capeder prof. Giuseppe. Via S. Maria. Voghera. Cappelli march, dott. Giovanni Battista. Via del Ba- buino, 51. Roma. Cardinali prof. Federico. R. Istituto tecnico. Macerata. Carniccio prof. comm. Antonio. R. Università. Roma. Castoldi ing. Alberto , deputato al Parlamento. Diret- tore Miniere Montevecchio. Guspini (Cagliari). Cattaneo ing. comm. Roberto. Via Ospedale, 51. Torino. Cermenati prof. Mario. Via Cavoui, 238. Roma. 50 Cerulli Ir e Ili dott. Serafino. Teramo. Checchia-Rispoli dott. Giuseppe. Museo geologico, R. Uni- versità. Palermo. 1908. Chelussi dott. Italo. Via S. Marco, 50. Siena. iqoi. Chiabrera dott. conte Cesale. Acqui. 1905. Chigi princ. don Francesco. Palazzo Chigi. Roma. 1882. Chigi Zondadari march. Bonaventura , senatore del Re- gno. Siena. 1903. Ciampi ing. Adolfo. Via Bonifacio Lupi, 1. Firenze. 1882. Ciofalo prof. Saverio. Termini Imerese (Palermo). 1906. Ciofi dott. Gino. Fuori Barriera Aretina, 26. Firenze. 1886. Clerici ing. cav. Enrico. Via del Boccaccio, 21. Roma. 1881.* 60 Cocchi prof. comm. Igino. Via de’ Pinti, 51. Firenze. 1899. Colomba dott. Luigi. R. Museo mineralogico. Palazzo Carignano. Torino. 1805. Conedera ing. Raimondo. Massa Marittima (Grosseto) ELENCO DEI SOCI VII 1902. l88l. 1906. 1895. 1895. IQOO. 1902. 1899. 1893. 1883. 1891. 1907. 1 pò?- l88l. 1 883. 188Ó. IQOO. 1886. 1892. 189O/ l88l. 1899. 1900. 1892. 1889. l88l. 1899. 1905. 1883. Corio prof. Francesco. Istituto Tecnico, Spezia. Cortese ing. Emilio. Corso Firenze, 25. Genova. Craven ing. H. Robert. Miniera Libiola (Sestri Levante). Crema ing. dott. Camillo. R. Ufficio Geologico. Roma. D’Achiardi prof. Giovanni. Museo mineralogico, R. Uni- versità. Pisa. * Dainelli dott. Giotto. Via La Marmora, 12. Firenze. Dal Lago dott. cav. Domenico. Valdagno (Vicenza). 70 Dal Pia\ dott. Giorgio. Museo geologico, R. Università. Padova. De Alessandri dott. Giulio. Museo civico di Storia na- turale. Milano. De Amicis prof. Giovanni Augusto. Via Vidua, 8 bis. Casale Monferrato. De Angelis d’Ossat prof. cav. Gioacchino. R. Università. Roma. De Castro ing. cav. Calogero. Via Roma, 14. Carrara. De Ferrari ing. Carlo. Piazza S. Lorenzo, 17. Genova. De Ferrari ing. cav. Paolo Emilio. Capo del distretto minerario. Via Carmine, 2. Torino. De Gregorio Brunaccini dott. march. Antonio. Molo, 128. Palermo. Del Bene ing. Luigi. Corso Garibaldi, 39. Spoleto. Del Campana dott. Domenico. R. Museo geologico. Piazza S. Marco, 2. Firenze. 80 Dell’ Erba ing. prof. Luigi. R. Scuola Applicazione In- gegneri. Napoli. De Lorenzo prof. Giuseppe. R. Università. Napoli. * Dell’Oro comm. Luigi (di Giosuè). Via Silvio Pellico, 12. Milano. Del Prato prof. Alberto. R. Università. Parma. * Dei-Zanna dott. Pietro. Poggibonsi (Siena). De Marchi dott. Marco. Borgonuovo, 23. Milano. De Pretto dott. Olinto. Schio (Vicenza). Dervieux sac. Ermanno. Via Massena, 34. Torino. De Stefani prof. cav. Carlo. R. Museo geologico, Piazza S. Marco, 2. Firenze. De Stefano prof. Giuseppe. R. Scuola Tecnica. Sore- sina (Cremona). 90 Di Franco dott. Salvatore. R. Università. Catania. Di Rovasenda cav. Luigi. Sciolze (Torino). Vili ELENCO DEI SOCI 1885. 1896. 1903. igOS. 1905. 1902. 1894.* I 906. Di-Stefano prof. cav. Giovanni. R. Università. Pa- lermo. Dompè ing. comm. Luigi. Corso Sempione, 52. Milano. Eliotipia Calzolari e Ferrarlo. Viale Monforte, 14- Milano. Fabiani dott. Ramiro. Museo geologico, R. Università Padova. Falconi Adolfo. Posta. Bologna. Fantappie prof. Liberto. Via Mazzini, 4- Viterbo. Ferraris ing. comm. Erminio , Direttore della miniera di Monteponi (Iglesias). Ferrerò dott. Luigi. Piazza Gran Madre di Dio, 8. 1904. 100 1905. 1894. 1897. 1901. 1881. 1892. 1905. 1890. 1898. Torino. F ermi f ing. Ferruccio. Poggibonsi (Siena). Fer uglio dott. Giuseppe. Viale Venezia, 4. Udine. Fino prof. Vincenio. Via Arsenale, 33. Torino. Flores prof. Edoardo. R. Scuola normale femminile L. Bassi. Bologna. Forma Ernesto. R. Museo geologico, Palazzo Carignano, Torino. Fornasini dott. cav. Carlo. Via Dame, 24. Bologna. Franchi ing. Secondo. R. Ufficio geologico. Roma. Frenguelli Gioacchino. Piazza S. Giovanni in Uaterano, 6. Roma. Fucini dott. Alberto. R. Museo geologico. Pisa. Galdieri dott. Agostino. Museo Geologico. R. Università. Napoli. 1891. no Galli prof. cav. don Ignaro, direttore dell'Osservatorio fisico-meteorologico. Velletri. 1907. Gar della cav. Loreto. Casarza Ligure (Sestri Levante). 1907. Gemmellaro dott. Mariano. Museo Geologico, R. Uni- versità. Palermo. 1891. Gianotti prof. Giovanni. R. Scuola normale. Vercelli. 1903. Gortani dott. Michele. Tolmezzo (Udine). 1887. Goni ing. Giustiniano. Via Galliera, 14. Bologna. 1892. Greco prof. Benedetto. R. Liceo. Cuneo. 1881. Issel prof. comm. Arturo. Via Brignole-De Ferrari, 16. Genova. Jensch Federico. Grand Hotel. Sestri Levante. Lais prof. sac. Giuseppe. Vicolo del Malpasso, 1 1. Roma. 1906. 1883. J U t) f m ( ■'J p X I __ 1884. 120 Lattes ing. comm. Oreste. Via Nazionale, 96. Roma. ELENCO DEI SOCI IX 1908. Lave noni prof. Salvatore. R. Scuola normale femmi- nile. Bobbio. T905. Lorenzi prof. Arrigo. Via Cassignacco, 36. Udine. 1881. Lotti ing. Bernardino. R. Ufficio geologico. Roma. 1905. Lovisato prof. Domenico. R. Università. Cagliari. 1896. Lupi don Alessandro. Via dell’Anima. 30. Roma. 1905. Maddalena ing. dott. Leonzio. Schio (Vicenza). 1899. Manasse dott. Ernesto. R. Università. Siena. 1899. Mar avelli dott. Giuseppe. Cagli (Pesaro). 1905 Marcantonio dott. Ireneo. Lanciano per Mozzagrogna (Chieti). 1895.130 Marengo ing. Paolo. Sturla (Genova), x 886. Mariani prof. Ernesto. Museo civico di Storia natu- rale. Milano. (899. Mariani dott. Mario. Camerino (Macerata). 1894. Marinelli prof. Olinto. R. Istituto Studi Superiori. Firenze. 1900. Martelli dott. Alessandro. R. Museo geologico, Piazza S. Marco, 2. Firenze. 1896. Martore prof. Michele. Ringo, 171. Messina. 1892. Matteucci prof. comm. Vittorio. Direttore del R. Osser- vatorio Vesuviano. Resina (Napoli). 1881.* Mattirolo ing. cav. Ettore. R. Ufficio geologico. Roma. 1908. Manetti ing. cav. Lodovico. R. Ispettorato delle Mi- niere. Via S. Susanna, 9. Roma. 1881. Manuali ing. comm. Lucio. R. Ispettorato delle Mi- niere. Via S. Susanna, 9. Roma. 1881. 140 Meli prof. cav. Romolo. Via del Teatro Valle, 51. Roma. 1883. Mer calli prof. sac. Giuseppe. R. Liceo Vittorio Ema- nuele. Napoli. 1.899. Merciai dott. Giuseppe. Via della Faggiola, 3. Pisa. 1890. Meschinelli dott. Luigi. Vicenza. 1906. Migliorini Carlo. Viale P. Amedeo, 13. Firenze. 1897. Millosevich prof. Federico. R. Università. Sassari. 1907. Monetti ing. Luigi. R. Scuola Mineraria. Agordo (Bel- luno). 1900. Monti dott. Achille. Via Pusterla, 3. Pavia. 1895. Mor andini ing. Bernardino. Massa Marittima (Grosseto). 1895. Moretti ing. Guido. Brembate di Sotto (Bergamo). 1889. 150 Marini prof. Fausto. Orto botanico, R. Università. Bo- logna. Moschetti ing. Claudio. Ufficio d’Arte. Saluzzo. 1887. X ELENCO DEI SOCI 1904. iqo8. 1897. 1883. 1 88 1 . : 1881. 1908. 1888. 1881. 1901. 1881. 1906. 1881. 1892. 1881. 1899. 1893. 1903. 1902. 1901. 1891. 1895. 1 1901. 1908. 1906. 1883. 1903. 1908. 1899. 1900. 1907. Napoli dott. p. Ferdinando. Via Chiavari, 6. Roma. Negri dott. Giovanni. R Istituto botanico. Torino. Nelli dott. Bindo. Via Pellegrino, 18. Firenze. Neviani prof. Antonio. R. Liceo E. Q. Visconti. Roma. s= Niccoli ing. comm. Enrico. Via Mario Pagano, 23. Mi- lano. Nicolis cav. uff. Enrico. Corte Quaranta. Verona. Nievo dott. capit. Ippolito. Accademia Militare. Torino. Novarese ing. Vittorio. R. Ufficio geologico. Roma. 160 Omboni prof. comm. Giovanni. R. Università. Padova. Pagani prof. Umberto. Via Belzoni, 108 a. Padova. Pantanelli prof. cav. Dante. R. Università. Modena. Parma cap. cav. Augusto. Sestri Levante. Parona prof. cav. Carlo Fabrizio. R. Museo geologico. Palazzo Carignano. Torino. Patroni prof. Carlo. R. Istituto Tecnico. Arezzo. * Paulucci marchesa Marianna. Villa Novoli. Firenze. Pelloux capitano Alberto. Villa Caterina. Bordigheia Peola prof. Paolo. R. Liceo. Ivrea. Perrone cav. Eugenio , Via Cola di Rienzo, 133- 170 Piana cav. Giuseppe. Badìa Polesine (Rovigo). Picasso ing. prof. Vittorio Emanuele. Via Arcivesco- vado, 1. Torino. Platani a- Platani a prof. Gaetano. R. Liceo. Acireale. Porro ing. Cesare. Cacate Lai io (Como). Portis prof. comm. Alessandro. Museo geologico, R. Uni- versità. Roma. Prever dott. Pietro. R. Museo geologico. Palazzo Cari- gnano. Torino. Principi dottor Paolo. R. Istituto Agrario superiore. Perugia. Raffaelli don Gian Carlo. Bargone. (Sestri Levante). Ragnini dott. cav. Romolo. Maggiore medico. Via Con- solato, 11. Torino. Raimondi ing. Luigi. Miniere solfuree Trezza. Cesena. 180 Ravagli dott.a Maria. Via Vaifonda 63,- p. 2°. Firenze. Reichenbach ing. Arno. Scafa di S. Valentino (Chieti). Repossi dott. Emilio. Museo civico di storia naturale. Milano. Riboni ing. Pietro. R. Ufficio minerario. Via A. De- pretis, 62. Napoli. ELENCO DEI SOCI XI 1 886. Ricciardi prof. comm. Leonardo .Preside del R. Isti- tuto Nautico. Napoli. 1894. Ridoni ing. Ercole. Miniera di Boccheggiano (Grosseto). 1883. Riva Palaci generale Giovanni, Via Bonsignori, 5. Torino. 1898. Roccati prof. Alessandro. R. Politecnico, Castello del Valentino. Torino. 1908. Roccati dott. sac. Matteo. Parrocchia della Crocetta. Torino. 1890. Roncalli dott. conte Alessandro. Piazza Lorenzo Ma- scheroni, 3. Bergamo alta. 1903. 190 Rosati dott. Aristide. R. Università, Museo mineralogico. Roma. 1895. * Rosselli ing. cav. Emanuele. Via del Fosso, 1. Livorno. 1892. Rovereto march, dott. Gaetano. Via S. Agnese, 1. Genova. 1892. Rusconi sac. Giuseppe. Valmadrera (Como). 1908. Sabatini ing. Venturino. R. Ufficio geologico. Roma. 1885. Sacco dott. prof. cav. Federico. R. Politecnico, Castello del Valentino. Torino. 1881. Salmojraghi ing. prof. cav. Francesco. Piazza Castello, 17. Milano. 1904. Sangiorgi prof. Domenico. R. Università. Parma. 1890. Scacchi ing. prof. Eugenio. Via Monte Oliveto, 44. Na- poli. 1902. Segattini dott. Paolo. Pastrengo (Verona). 1881. 200 Segrè ing. cav. Claudio. Corso V. Emanuele, 229. Roma. 1900. Seguen\a Luigi fu Giuseppe. Messina. 1894. Sella ing. Erminio. Biella. 1882. * Silvani dott. Enrico. Via Garibaldi, 4. Bologna. 1904. Silvestri prof. Alfredo. R. Liceo. Spoleto. 1882. Spezia prof. cav. Giorgio. R. Museo mineralogico. Pa- lazzo Carignano. Torino. 1882. Statuti ing. cav. Augusto. Corso V. Emanuele, 284. Roma. 1 907. Stefanini dott. Giuseppe. R. Museo geologico. Piazza S. Marco, 2. Firenze. 1908 Stegagno dott. Giuseppe. Via Vignatagliata, 20. Ferrara. 1891. Stella ing. Augusto. R. Ufficio geologico. Roma. 1882. 210 Striiver prof. comm. Giovanni. R. Università. Roma. 1898. Tacconi dott. Emilio. Museo geologico, R. Università. Pavia, XII ELENCO DEI SOCI [896. Tagiuri dott. Clemente Corrado. Via Roma, 34. Livorno. 1881. Taramelli prof. comm. Torquato. R. Università. Pavia. 1907. T aricco ing. Michele. R. Ufficio Minerario. Iglesias. 1891. Taschero dott. Federico. Mondovì. 1908. Testa ing. Leone. R. Ufficio minerario. Vicenza. 1881. Tittoni avv. comm. Tommaso. Senatore del Regno e Ministro degli Esteri. Via Rasella, 155. Roma. 1889. Toldo prof. Giovanni. R. Liceo. Lodi. 1881. Tornatasi prof. Annibaie. R. Università. Pavia. 1898. 220 Tonini dott Lorenzo. Seravezza (Lucca). Tomolo dott. Antonio. Via S. Martino, 8. Pisa. Toso ing. cav. Pietro Via de' Serragli, 13. Firenze. Trabucco prof. Giacomo. R. Istituto tecnico Galileo Galilei. Firenze. Trentanove dott. Giorgio Morando. Luco di Mugello (Borgo S. Lorenzo, Firenze). Tuccimei prof. comm. Giuseppe. ViaTor Sanguigna, 13. Roma. Tiircke ing. John. Ufficio dell’Acquedotto. Bologna. Ufficio sperimentale delle Ferrovie dello Stato. Roma. Ugolini dott. Pietro Riccardo. Museo geologico, R. Uni- versità. Pisa. I9°5* 1883. 1890. 1901. 1882. 1882.* 1906. 1896. 1881. Ugelli prof. cav. Gustavo. Via S. Egidio, io. Firenze. 1882. 230 Verri generale comm. Antonio. Via Aureliana, 53. Roma. 1893. Vinassa de Regny dott. prof. Paolo Eugenio. R. Istituto superiore agrario. Perugia. 1903. Viola ing. prot. cav. Carlo. R. Università. Parma. 1882. Virgilio prof. Francesco. R. Museo geologico. Palazzo Carignano. Torino 1906. Wangenheim ing. von Giinther. Direttore miniere. Ragusa. 1902. Zamara noh. colonnello Giuseppe. Corso C. Alberto, 23. Brescia. 1881.23 6 Zeff ing. cav. Pietro. R. Ispettorato delle Miniere. Via S. Susanna, 6. Roma. Soci residenti all’estero. 1907.237 Bartesago Charles. 7, Rue des Marchands. Avignon (Francia). 1908. Bibliothèque de V Università (Médecine-Sciences). Tou- louse. (Francia). ELENCO DEI SOCI XIII 1887. 1898. 2 1901. * 1893. 1905. l88l. * l88l. 1895. 1899. I 88l . : I 89O. 5 1884.= [882. ; 190 6. 1903. 1903. 1902. 1881. 1895. 1908. 1886. 1908. Charlon ing. E. Rue Pierre Duprèt, 25. Marsiglia. 40 Dannenberg prof. Arturo , Kgl. Technische Hochschule. Aachen (Prussia renana). De Dorlodot chan. prof. Henri. Rue de Bériot, 44. Louvain (Belgio). Deecke prof. Wilhelm. Freiburg, Baden (Germania). De la Cru\y Diaq ing. Emiliano. Director de la minas de Ribas (Gerona, Spagna). : Delaire ing. chev. Alexis. Boulevard des Batignòlles, 29. Paris. Delgado cav. Joaquim Philippe Nery. Rua do Arco a Jesus, 11 9. Lisbona. De Pian ing. cav. Luigi. Via Kitissia, 51. Atene. Hassert doct. Kurt. Universitat. Bismarkstrasse, 30. Kòln am Rhein (Germania). * Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenny. University. Cambridge (Inghilterra). K Johnston-Lavis dr. Henry. Beaulieu (Alpes Maritimes, Francia). “ 250 Levat ing. David. Boulevard Malesherbes, 174. Paris. H Levi bar. Adolfo Scander. Nizza (Alpi Marittime). Lugeon prof. Maurice. Université. Lausanne (Svizzera). Margerie(de) prof. Emmanuel. Rue Fleurus 44. Paris (VIe). Monaci Pietro, c/o Meymarian. Konia (Turchia). Oppenheim doct. Paul. Sternstrasse, 19. Gross-Lichter- felde-West (Berlin). * Pélagaud doct. Elisée. Chàteau de la Pinède, Antibe (Alpes Maritimes, Francia). Salomon doct. Wilhelm. Universitat. Heidelberg (Baden). Schmidt prof. Cari. Universitat. Basel (Svizzera). * Stephanescu prof. Gregorio. Universitat. Bukarest (Ru- menia). 260 Tornquist dott. Alexander Geolog. Institut d. Univer- sitat, Kònigsberg (Germania). XIV ELENCO DEI CAMBI Elenco dei cambi 0) Italia. Catania. — R. Accademici Gioenia di sciente, lettele, ecc. a) . Atti fanno LXIX, 1892-93]. b) . Bollettino delle sedute [fase. XXX, 1892]. Roma. — R. Accademia dei Lincei. (Via Lungara). a) . Rendiconti della classe di se. fìs. mat. e nat. [serie 3a, voi. VII, 1882]. b ) . Rendiconti delle sedute solenni [1892]. id. — ,R. Comitato geologico d' Italia. (Via S. Susanna 1 A). a) . Bollettino [voi. I, 1870]. b) . Mem. descritt. della carta geol. d’Italia |vol. I, i886|. c) . Mem. per servire alla descr. della carta geol. d'Italia [voi. I, 1871]. d) . Carte geologiche diverse. lcl. — Ministero di Agricoltura , Industria e Commercio. a) . Rivista del Servizio minerario [1896]. b) . Carta idrografica d’Italia. - Memorie. id. — Società geografica italiana. (Via Plebiscito 102). a) . Bollettino [serie 2% voi. VII, 1 882J. b) . Memorie [voi. V, 1895]. id. — Società Ingegneri ed Architetti. (Via Muratte, 70). a) . Bullettino [anno I, 1893]. b) . Memorie [anno I, 1886J. Austria-Ungheria. Budapest. — K. Ungarische Geologiche Anstalt. (Stefania - ùt. 14). a) . Mittheilungen aus dem Jahrbuche [Bd. I, 1872I. b) . Jahresbericht [1883]. c ) . Foldtani Kozlony [Kot. XV, 1885]. d) . Pubblicazioni diverse. (‘) Di ogni pubblicazione è indicato da qual volume od anno comincia la serie posseduta dalla Società. ELENCO DEI CAMBI XV Budapest. a) . b ) ■ Kraków. a). Iglò. a). Wien. id. id a) . b) . a). a). — - Sociétè Hongroise de Géographie. (Sàndor-Utcza 8. sz.). Bulletin (Fòldrajzi Kozlemények) [Tom. XXXI, 1903]. Abrégé du Bulletin. [id.]. — Académie des Sciences (Akad. d. Wissenschaften) . Bulletin International (Anzeiger) [1889], — Magyarors\àgi Kàrpàt e gy e s ii le t. (Ungarischer Karpathen- Verein). Jahrbuch [voi. XVII, 1890]. — K. k. Geologische Reichsanstalt. (Rasumofski- gasse 23). Verhandlungen [Jahrg. 1880]. Jahrbuch [Bd. XXX, i88oj. — K. k. Natnrhistorisches Hofmuseum. Annalen [Bd. I, 1886]. — Palàontologisches institut der k. k. Universitàt (I., Franzensring). Beitrage zur Paliiontologie und Geologie Osterreich- Ungarns und des Orients [Bd. XI, 1 897 1. Belgio. Bruxelles. — Société Royale malacologìque de Belgique. a). Annales [voi. XVI, 1881]. id. — Société Belge de Géologie, de Palèontologie et d’Hydrologie. (Palais du Cinquantenaire). a) . Bulletin [voi. I, 1887]. b) . Nouveaux Mémoires [fase. i°, 1903]. Liège. — Société géologique de Belgique. a) . Annales [voi. IX, 1881 1. b) . Mémoires [voi. 1°, 1900]. Francia. Bordeaux. — Société Linnéenne de Bordeaux. (Rue des Trois- Conils; Athénée). a). Actes [voi. XXXVI, 1882]. Havre. — Société géologique de Normandie. (Hotel de ville). a). Bulletin [t. XX, 1900). Lille. — Société géologique du Nord. (Rue Brùle-Maison, 139). a). Annales [voi. XXXII, 1903]. XVI ELENCO DEI CAMBI Paris. — Société de Spéléologie. (Rue de Lille, 34). a). Bulletin (Spelunca) [t. I, 1895]. id. — Société géologique de France. (Rue Serpente, 28). a). Bulletin |ser. 3®, voi. X, 1 88 1 J Germania. Berlin. — Deutsche geologische Gesellschaft. a). Zeitschrift [Bd. 35, 1883]. id. — K. preuss. geolog. Lande sanst alt und Bergakademie. (Invalidenstrasse, 44). a). Jahrbuch | Bd. I, 1880]. Bonn. - Niederrheinische Gesellschaft. a) . Sitzungsberichte [1895]. b) . V erhandlungen ( d. naturhistorischen V ereins) [LUI, 1896I Freiburg. — Naturforschende Gesellschaft. a). Benchte | Bd. IV, 1 888 1. Gran Bretagna. Dublin. — Royal Dublin Society. a) . Scientifìc proceedings [N. S., voi. IV, 1885]. b) . Scient. transactions [ser. II, voi. Ili, 1885]. c) . Economie proceedings [voi. 1°, 1899]. Edinburgh. — Edinburgh Geological Society. a). Transactions [voi. VII, 1894J. Glasgow. — Geological Survey. a). Memoirs [1905]. London. — Geological Society. a) . Quarterly Journal [voi. XXXVIII, n° 149, 1 882 1. b) . Geological literature |n° 1, 1894I. Portogallo. Lisbona. — Direcedo dos trabalhos geologicos (Rua do Arco a Jesus, 113,2°). a) . Communicapóes [t. I, 1883]. b) . Mémoires [alcune]. ELENCO DEI CAMBI XVII Rumenia. Bukarest. — Biuroulu geologicù. a). Anuarulù [voi. I, 1882; serie chiusa], id. — Museulu de Geologia si de Paleontologia. a). Anuarulù [anno 1894!. id. — Institutul geologie al Romdniei. a). Anuarul [t. I, 1907]. Jassy. — Università de Jassy. a). Annales scientifiques [t. I, 1900]. Russia. Helsingfors. — Commission géologique de Finlande. a). Bulletin [n° 6, 1897] Novo-Alexandria — Annuaire géologique et minéralogique de la Russie [voi. I, 1896]. Pietroburgo. — Comité géologique. (Institut des mines). a) . Bulletin [t. I, 1882J. b ) . Mémoires [voi. I, 1883J. c) . Bibliothèque géologique de la Russie [t. VI, 1885J d) . Travaux de la section géologique du Cabinet de sa Majesté [voi. I, 1895]. 'd. — Russische K. Minerà logische Gesellschaft. a) . Verhandlungen [Bd. 32, 1896]. b) . Materialien zur Geologie Russland [Bd. 18, 1897]. Pietroburgo. — Société Impériale des Natur alistes. a) . Comptes-rendus des séances [voi. XXVI, 1 88 5J. b) . Travaux de la section eie Géologie et de Minéralogie [voi. XIX, 1888]. Svezia. Stockholm. — Geologiska foreningen i Stockholm. a). Fòrhandlingar [Bd. XII, 1890]. id. — K. Svenska Vetenskaps Akademìen. a) . Arkiv for Kemi, Mineralogi och Geologi [Bd. 2, 1905]. b) . Arkiv for Zoologi [Bd. 3, 1906J. c) . Arkiv for Botanik [Bd. 5, 1905]. Upsala. — Geologica! Institution of thè University of Upsala (Bibliothèque de l’Université R. ). a). Bulletin [voi. I. 1 892 1. 11 XVIII ELENCO DEI CAMBI Africa. Cape Town. — Geological Commission Depar tenient of Agri- colture. a). Annual report [i°, 1896]. Johannesburg. — Geological Society of South Africa. a) . Transactions [voi. VI, 1904]. b ) . Proceedings |anno 1905J. America. Baltimore. — Maryland Geological Sui 1 e? . a). Reports [voi. I, 1897) Buenos-Ayres. — Instituto geografico Argentino. a). Boletin [t. X, 1 889]. Cleveland. — Geological Society of Amei ica. a). Bulletin [voi. I, 1890]. Columbus. — Geological Survey of Ohio. a). Bulletin [4* serie, n° 1, 1903]. ]4 ma. — Cuerpo de Ingenieros de Minas del Perù, a). Boletin [num. 1, 1902]. Mexico. — Instituto geològico de México. (5/ Ciprés, .2728). a). Boletin [num. 12. 1889I. id. — Sociedad geologica, a). Boletin [Tomo I, 1905]. Montevideo. — Museo Nacional. a). Anales [t. I, 1894]. Ottawa (Canadà). — Mines brandi. Department of thè Interior, a). Reports. parà _ Museu Paradise de Historia Naturai e Ethnographia. (Caixa postai n° 399). a). Boletim [voi. I, 1896]. Rolla. — Bureau of Geology and Mines. State of Missouri. Sào Paulo. — Museo Paulista. (Caixa do Correlo, 500). a). Revista publicada par H. v. Ihering. [voi. I, 1895]. Washington. — United States Geological Survey. a) . Bulletin [n° 34, 1883]. b) . Annual reports [sixth ann. 184]. c ) Monographs [voi. I, 1 882J. elenco dei cambi XIX d) . Minerai resources [anno 1886]. e) . Water-Supply and Irrigation paper [n.° 65, 1902J. f) . Professional paper [n.° 1, 1902]. Wisconsin. — University of Wisconsin. a). Bulletin - Science series - [voi. I, 1894J. Asia. Calcutta. — Geological Survey of India. a) . Memoirs [voi. IV, 1 865J. b ) . Palaeontologia indica [ser. i“, voi. I|. c) . Records [voi. I|. d) . Pubblicazioni diverse. Tokio. — Geological Society. a). The Journal [voi. Vili, 1901 j. id. — College of Science Imperiai University, a) The Journal [voi. XVI, 1 90 1 J. Australia. Melbourne. — Australasian Institute of Mining Engìneers. a) . Transactions [voi. IV, rSgyJ. b ) . Proceedings [anno 1898J. id. — Royal Society of Victoria. a) . Transactions [voi. I. 1 888 1. b) . Proceedings [voi I, n. s., 1 889J. Sydney. — Geological Survey of New South Wales. a) . Records [voi. IV, 1 894J. b) . Memoirs [1894], c ) . Annual feport [1894!. d) . Minerai Resources [n° 1, 1 898 1. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE tenuta in Roma il 1° marzo 1908 Presidenza Portis. L’adunanza ha luogo alle ore 10.10' nella sala della Biblio- teca del R. Ufficio Geologico, gentilmente concessa. Sono pre- senti: il presidente Portis; il vice presidente Di-Stefano; i consi- glieri Baldacci, Mattirolo, Neviani, Statuti; il tesoriere Aichino; l’archivista Crema ; i soci Cerulli-Irelli, De Angelis d’Ossat, FREN GUELFI, LATTES, LOTTI, MADDALENA, MAZZUOLI, NAPOLI, NO- VARESE, Stella, Verri, Zezi ed il segretario Clerici. Scusano l’assenza i consiglieri Bassani, Canavari, Mat- teucci, Pàrona, Spezia ed i soci Brugnatelli, Checchia-Ri- spoli, De Amicis, Gemmellaro, Meli, Sacco, Taramelli, Tom- MASI e VlNASSA DE ReGNY. Il presidente Portis, salutati i presenti, dice: Consoci, Il vostro voto, il vostro senno han disposto che io, qual vostro annuale presidente, primo fra eguali, dovessi reggervi in quest’anno 1908. Per astringere il frondista che era riuscito fin qui a mantenersi spoglio di qualsiasi incombenza sociale e che vantava la sua qualità unicamente di socio, voi avete vo- luto invitarlo a raccogliere la carica presidenziale dal decano dei propri allievi per trasmetterla poi al prediletto allievo di un suo amico ed altamente apprezzato maestro. Ed in tal modo gli avete chiaramente fatto intendere: non dover egli più oltre tardare ad aiutare col consiglio e coll’ordine, nella misura delle sue forze, il sodalizio di cui fa parte; non poter più egli rifiu- tarsi ad assumere a sua volta il turno di presidenza, a rap- XXII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE presentare la Società Geologica Italiana in faccia alle Società consorelle. Mi sono arreso al Vostro comando, persuaso che alla debole opera mia non mancherà il vostro zelante aiuto. Dessa, anziché opera sgradita di freddo e rigido correttore potrà così apparire quella di prudente incitatore a serie ricerche, a nobili e pro- ficue gare e ad appassionate discussioni in tutti i campi atti- nenti alla scienza che noi abbiamo scelta come di nostra pre- dilezione; in tutti i rami di essa in cui ogni singolo membro del nostro sodalizio trovò mezzo di estrinsecare le proprie fa- coltà individuali. Ma l’esperienza mi insegna che quest’opera insufficiente- mente potrà esplicarsi nel breve tempo che i nostri statuti con- cedono allo scambio delle idee fra consoci e, per ciò che mi riflette, in due sole adunanze tenute sotto la mia condotta ; e che altrettanto insufficientemente essa si esplica colla pura pre- sentazione e stampa nel nostro Bollettino di una memoria non accompagnata da commento estraneo. La storia dei grandi artisti, da Fidia ad Apelle a Mantegna, c’insegna quali preziosi van- taggi recarono all’opera loro quei sommi, non trascurando gli insegnamenti avuti per caso o per espressa provocazione da competenze speciali anche se queste erano coperte sotto ben modesto saio. E Tesarne delle pubblicazioni delle nostre conso- relle Società straniere mi ha pure insegnato quanto più per- fetti siano diventati gli studi geologici e paleontologici speciali anche se opera di maestri e campioni nella materia trattata, quando furono completati dalla discussione in proposito solle- vatasi, quando opportunamente corretti in seguito ai risultati della ordinata discussione. Tutti abbiamo qualcosa da appren- dere da ognuno. Ognuno ha qualcosa da apprendere da tutti. Ciò ancora di più in un campo, in una scienza cui è compito vedere ciò che è materialmente invisibile; o vedere ciò che tu, ma che più non è così come fu. E, ciò che ben è più difficile, il far vedere altrui ciò che soltanto cogli occhi della nostra intelligenza e del nostro raziocinio potè essere finalmente ve- duto. Troppo deboli appaiono i mezzi individuali, troppo ina- deguato allo scopo è l’individuo che unicamente ai suoi propri mezzi si affida; troppo soventi egli cade in errore; troppo so- RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXIII venti egli o vede troppo o non vede abbastanza ! Intervenga a tempo una larga, benevola, libera critica, una sana diffidenza; e molti errori potranno essere sventati o corretti, molte inesat- tezze sanate; molte lacune potranno a tempo colmarsi e l’opera potrà riuscire, se non perfetta, almeno umanamente perfezionata e servibile. Nell’ambito della Società Geologica Italiana, il mezzo ad ottenere questo primo risultato sta a così piccola distanza da noi, che, solo distendendo il nostro braccio lo possiamo afferrare colla mano senza resistenza. Afferriamolo adunque: modifichiamo uno statuto che soffoca la nostra vitalità : modifichiamolo tanto da essere desso anziché rigido, plastico, adattabile ai bisogni che si sono venuti manifestando in più di un quarto di secolo di vita nel nostro sodalizio e che, tanto più impellenti, si mani- festeranno in seguito. Il vecchio selvaggio che avete chiamato a vostro attuale Presidente, mentre deve fedelmente osservare e far osservare le leggi scritte che ci reggono, non cessa per ciò di vederne gli inconvenienti e, rivoluzionario di spirito quale si mantiene, non si stanca d’invocare una razionale rivoluzione, una evoluzione che li rimuova. A questa vorrebbe por mano ini- ziandola e trasmettendone lo svolgimento ai suoi successori. Quale non sarà la sua soddisfazione allorquando, dopo pa- recchi anni, nei quali si saranno avvicendati a questo posto i vecchi maestri che veneriamo ai nostri allievi che noi stessi abbiamo deliberatamente indirizzati e spinti ad emularci ed a superarci, vedrà, sotto il loro savio reggimento, la nostra So- cietà aver sede propria o quasi ; ed in essa tenere durante l’anno numerose e regolari le vivaci adunanze, svariate, audaci e numerose le questioni in esse portate; e queste vivamente eppur ponderatamente trattate e discusse, e sviscerate a fondo? Vedrà una biblioteca poderosa e varia, di cui non un volume, non una carta mai riposi ; di cui ogni opera sia ogni dì profi- cuamente consultata dai vicini, ottenuta in prestito dai lontani. Vedrà italiani e stranieri, a gara, interessati a risolvere problemi che, sorti sul nostro suolo, tanto sieno cresciuti di importanza da essere diventati non solo continentali, ma mondiali. In quel giorno il vostro attuale Presidente di turno, tornato, se la lena non gli farà difetto, il gregario battagliero che concorreva con la XXIV RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE apposizione di una firma di più alla fondazione della Società, piglierà lieto, con lo stesso freddo entusiasmo che gli conoscete, tanto più viva parte alle feconde lotte del nostro vivificato so- dalizio; alle lotte che egli saprà di avervi suscitate. Applausi. Non essendovi osservazioni, si dànno per letti i verbali delle adunanze di Torino e di Courmayeur del settembre 1907 ed il Presidente li dichiara approvati. Si leggono le seguenti proposte di nuovi soci : 1. Bibliothèque de l’Université (médecine-science) di lou- louse, proposta dai soci Clerici e Crema. 2. Cantore cav. Antonio, tenente colonnello 4 Alpini, a Ivrea, proposto dai soci Sacco e Peola. 3. Lavezzoni prof. Salvatore, a Bobbio, proposto dai soci Crema ed Aichino. 4. Mazzetti ing. Lodovico, a Roma, proposto dai soci Maz- zuoli e Baldacci. 5. Sabatini ing. Venturino, a Roma, proposto dai soci Di Stefano e Crema. 6. Testa ing. Leone, a Vicenza, proposto dai soci Madda- lena e Baldacci. 7. Tornquist dott. Alexander, a Konigsberg, proposto dai soci Taramelli e Porro. L’Assemblea approva. I nuovi soci Mazzetti e Sabatini pien- dono parte all’adunanza. 11 Presidente con dispiacere partecipa la morte del socio ing. Vincenzo Spirek, che sarà commemorato nell’adunanza estiva. Dipoi informa che i vice-segretari del 1907 sono confer- mati nella stessa carica anche per l’anno corrente. Essendo giunta alla Presidenza una domanda di cambio da parte dell’Istituto geologico di Rumania, recentemente istituito a Bucarest, il quale pubblicherà un Bollettino annuale in fasci- coli, il Consiglio propone all’Assemblea l’accettazione del cambio. L’Assemblea approva. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXV Il Presidente legge la seguente lettera pervenuta alla So- cietà : Geological Society of London, Burlington House, W. February 19th, 1908. Bear Sir, On behalf of thè Geological Society of London we ask you to express to thè Council of thè Italian Geological Society our sense of thè honour conferred upon thè Society by thè fact that thè Italian Geo- logical Society was represented on thè occasion of thè Celebration of thè Society’s Centenary in September last by so distinguished a dele- gate as Professor T. Me Kenny Hughes, whom it was a great pleasure to welcome among our other guests on that historic occasion. We are sending a copy of thè « History of thè Geological Society » which we hope thè Italian Geological Society will accept for its Li- brary as a small memento of thè Centenary Celebration. We are, dear Sir, Your obedient Servants, Arch. Geikie, President W. W. Watts - Edmund I. Garwood, Segretaries. On behalf of thè Geological Society of London To thè President of thè Italian Geological Society. Avverte che appena giungerà il volume preannunziato, man- derà una lettera di ringraziamento pel gradito dono che sarà conservato come prezioso ricordo. Presenta poi una lettera del consigliere Matteucci colla quale ringrazia la Società per il voto emesso nel congresso di Torino circa l’Osservatorio vesuviano ed invia in comunicazione tre rapporti affinchè la Società possa rendersi esatto conto delle condizioni dell’Osservatorio e dei progetti per il suo risanamento ed ampliamento. Parlano sull’argomento il Presidente ed i soci Stella, Mazzuoli, àichino, Clerici; quindi viene compilato il seguente voto : La Società Geologica Italiana, confermando il voto espresso nella seduta dell’S settembre, incarica la Presidenza di conni- XXVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE nicarlo al Ministero della Pubblica Istruzione affinché il lì. Os- servatorio Vesuviano sia posto in grado di rispondere allo scopo per cui fu eretto e di giovar n agli studi scientifici. L’Assemblea approva ad unanimità. Il Presidente comunica che, avendo partecipato al diret- tore dell’Istituto Geografico Militare il voto tatto dalla Società col quale si chiedeva una riduzione sul prezzo d’acquisto delle pubblicazioni dell’Istituto, ne ha ricevuto la seguente risposta : All’ Illustrissimo Signor Presidente della Società Geologica Italiana. — Roma. Questa Direzione si é data premura di esaminare la richiesta di codesta Associazione scientifica e, lieta di poter concorrere in qualche modo ad agevolare l’opera importante del sodalizio, annovera fin d oia la Società geologica Italiana fra gli enti che possono godere del bene- ficio dello sconto e farà in modo che ciò risulti nella prossima ristampa del catalogo. In pari tempo avverte che i singoli soci, da oggi pei ap- profittare della concessione, dovranno inoltrare le richieste per il tra- mite di codesta presidenza. Voglia gradire, Signor Presidente, l’espressione dei sentimenti della più alta considerazione Il Maggior Generale Direttore Gliamas. Il socio Novarese propone una inversione nell’ordine del giorno, per dare la precedenza alle comunicazioni scientifiche, affinchè possano essere svolte meno affrettatamente ; qualora occorresse, per esaurire con comodo l’ordine del giorno, si po- trebbe tenere seduta nelle ore pomeridiane. L’Assemblea approva. Il socio Mazzuoli, ispettore superiore, Capo del R. Corpo delle Miniere, presenta una prova, teste ricevuta dal R. Uf- ficio Geologico, della Carta riassuntiva, alla scala di 1:400.000, dei rilevamenti geologici eseguiti alla scala l:o0.000 e 1:25.0000 nelle Alpi Occidentali dagli ingegneri addetti a quel rileva- mento. La riproduzione di detta Carta e affidata all Istituto Geo- grafico De Agostini e C. in Roma, e la grande varietà, fra- zionamento e complicazione delle numerose formazioni geologi- RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXVII che in essa rappresentate, oltre a rendere assai arduo e lungo il lavoro originale di figurazione, portò anche a gravi difficoltà nella incisione e riproduzione cromolitografica. Tutto ciò ebbe per effetto che il vivissimo desiderio e l’im- pegno della Direzione del Servizio della Carta Geologica di presentare detta Carta terminata per Toccasione della Riunione estiva della nostra Società in Piemonte e di distribuirne una copia ad ognuno degli intervenuti a quella riunione non potè venire soddisfatto. La Carta che ora si presenta è una seconda bozza già cor- retta, e fra pochissimi giorni essa sarà rimandata allo Stabili- mento con le ultime correzioni; è così sperabile che, secondo la proposta fatta al R. Comitato Geologico nella adunanza del 31 maggio 1907 e il voto di questo Consesso, essa possa ve- nire fra breve distribuita a tutti i soci. Il vice-presidente Di-Stefano svolge una comunicazione sul- l’eocene della Terra d' Otranto (') presentando all’Assemblea i relativi campioni e preparati. Il socio Verri dice: Alcuni giorni fa pregai il nostro egregio Segretario d’inscrivermi per una comunicazione sugli scavi, che si fanno per fondazioni nel colle Quirinale, pensando di dire appena qualche parola in proposito ! Ma postomi ad ordinare gli appunti, invece di poche parole ho finito col riempire pa- recchi fogli, la cui lettura non si confà ad una breve seduta, nella quale tanti sono gli argomenti da trattare, ed altri avranno più ragione di parlare sui risultati dei loro studi. Perciò mi limito a presentare il manoscritto per l’inserimento nel Bollet- tino. Vi riferisco i dati presi in quegli scavi, e procuro di col- legare la struttura fisica del colle Quirinale colle formazioni del terreno esterno; appresso accenno delle idee in riguardo ai cunicoli incontrati negli scavi, ed infine espongo qualche av- vertenza sulla classificazione data ad alcuni terreni. Gl’ingegneri che dirigono gli scavi, seguendo il precedente del Canevari, il quale descrisse i terreni incontrati nelle fon- (*) (*) Pubblicata a pag. 17. XXVIII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE dazioni del Ministero delle Finanze, hanno classificato come pozzolane alcuni prodotti vulcanici, che appartengono alla ca- tegoria dei tufi in genere indicati più specialmente col nome di tufi granulari. Non per criticare tale classificazione, essen- doché è stata fatta dopo averne sperimentata la presa, e ri- sponde alla tecnica delle costruzioni, ma aftìncliè non succedano equivoci nell’applicare simili dati agli studi geologici della Cam- pagna di Roma, avverto il fatto, colle considerazioni che mi suggeriscono le circostanze. Il socio De Angelis d’Ossat presenta una comunicazione per il Bollettino col titolo: Il miocene nella valle del Trigno. Il segretario Clerici parla dei terreni finora incontrati negli scavi per le fondazioni del palazzo del Parlamento in Poma, mostrando alcuni saggi delle roccie e dei fossili ed un disco di rame tuttora impigliato nell’argilla. Riassunte le altrui opinioni circa la natura del sottosuolo nella 'parte bassa della città, con- clude che la deposizione dei sedimenti attraversati dalle fon- dazioni sia avvenuta in epoca recentissima e non in mare (‘). Il presidente Portis ringrazia il segretario Clerici della sua comunicazione, a cui egli prese interesse vivissimo: e rilevan- done i dettagli e le conclusioni che trova in perfetto accoido con quanto egli stesso ebbe a rilevare coi propri ininterrotti studi nel Foro Romano (*). Il socio Maddalena parla di una seconda roccia a noseana da lui trovata nel Vicentino dopo quella descritta dal prof. Artini l’anno scorso negli Atti dell’Istituto Lombardo. Mentre quella studiata da Artini fu osservata come filone nei micascisti presso Recoaro, questa attraversa, pure in forma di filone, l’ammasso (l) Questa comunicazione è pubblicata a pag. 21. (s) Un primo resoconto di tali studi è inserito negli Atti della So- cietà Italiana di Scienze Naturali, voi. 43, Milano 1904, pag. 383-421, sotto il titolo: Studi e rilievi geologici del suolo di Roma ad illustrazione specialmente del Foro Romano. Di questo ha fatto di poi sapere il pre- sidente Portis che, in relazione alla comunicazione Clerici, richiama particolarmente le pagine 401-413-421. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXIX porfirico dei monti Guirre presso Schio. Petrograficamente le roccie sono assai assoni i gl ianti, ma dal punto di vista geolo- gico questa è assai interessante perchè, per le relazioni in cui il filone si trova colla roccia porfirica attraversata, con un si- stema di filoni metalliferi che in altra direzione attraversano pure le stesse porfiriti e colla vicina faglia Vicenza-Schio-Po- sina, si può concludere che il filone è preterziario. Sarebbe la prima volta che la noseana viene osservata in una roccia an- teriore al terziario. Quindi presenta il manoscritto di una sua nota intitolata : Le mineralizzazioni del calcare del Monte Spitz di Becoaro. Il socio Sabatini aggiunge che recentemente in Francia fu pure segnalata la presenza della noseana in roccie preterziarie. Il socio Stella presenta in omaggio alla Società un esem- plare della Carta Geologica della regione del Sempione pub- blicata dalla Commissione Geologica Svizzera, rilevandone, col confronto della sua carta manoscritta che figurò alla Mostra di Milano del 1905, alcune gravi inesattezze (‘). L’archivista Crema fa una comunicazione Sugli effetti della degradazione meteorica nella giogaia granitica di Cardinale (Ca- tanzaro) e presenta campioni dei materiali di cui parla (2). Il socio Novarese parla della degradazione meteorica in Calabria (3). A proposito delle comunicazioni Crema e Novarese il socio Sabatini fa notare che la degradazione meteorica , che spesso assume la forma sferoidale, è un fatto frequentissimo in Calabria non solo nelle roccie cristalline (graniti, gneiss, micascisti, ecc.), ma altresì nelle arenarie del Terziario. Si produce così nella roccia compatta un mantello di materiali mobili il cui spessore giunge a superare i 50 m., come a Bruzzano, Brancaleone, S. Agata, Caraffa, Casignana, ecc. Una tale degradazione rende instabile il suolo onde la più leggera scossa di terremoto può produrre un disastro. Nelle arenarie di Ferruzzano, che crollò (') Vedasi a pag. xlii il riassunto di questa comunicazione. (5) Questa comunicazione é pubblicata a pag. xxxvm. (s) Vedasi a pag. xli il riassunto di questa comunicazione. XXX RESOCÓNTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE in gran parte per il recente terremoto del 23 ottobre scorso, predomina la divisione secondo prismi verticali, costituenti balze di oltre 100 m. d’altezza. L’alterazione più protratta produce sabbie più o meno incoerenti. Il tesoriere Aichino presenta i bilanci consuntivi 1907 e preventivi 1908 della Società e dell’Amministrazione del legato Molon, nonché una tabella comparativa fra i consuntivi e pre- ventivi 1907 dando schiarimenti sulle varie partite. Il socio Lattes si congratula col Tesoriere e lo ringrazia per aver tenuto conto delle raccomandazioni fatte lo scorso anno circa la distribuzione ai soci dei prospetti dettagliati anche per i consuntivi. Il Presidente apre la discussione sui bilanci preventivi 1908, già riveduti dal Consiglio. Non essendovi osservazioni, l’Assem- blea li approva ad unanimità redatti come segue: Bilancio preventivo della Società. Anno 1908. Entrate. Spese. 1. Tasse sociali . . . L. 3000 — 1. Stampa del Bollet- 2. Interessi del legato tino L. 3200 — Molon » 318,75 2. Contribuzione per 3. Interessi diversi. . » 753,75 tavole ed altre il- 4. Vendita bollettini . » 200 — lustrazioni . . . » 800 — 5. Concorso del Mini- 3. Distribuzione del stero di Agrieoi- Bollettino ed altre tura, Ind. e Comm. » 500 — j spese postali . . » 300 — 4. Spese di cancelleria, circolari, marche da bollo, ecc. . . » 200 — 5. Tassa di manomorta » 46,72 6. Rimborso spese di viaggi al Segreta- rio e Tesoriere . » 180 — 7. Per aiuti al Segre- tario » 50 — 8. Spese diverse ed e- ventuali .... » 195,78 Totale entrate L. 4972,50 Totale spese L. 4972,50 RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXXI Bilancio preventivo dell’Amministrazione (lei legato Molon. Anno 1908. Entrate. 1. Residuo attivo al 1° gennaio 1908 . L. 4 428,27 2. Interessi del legato Molon » 637,50 Totale L. 5 033,77 Spese. 1. Tassa di manomorta. L. 32 — 2. Residuo attivo al 31 dicembre 1908. » 5 001,77 Totale L. 5 033,77 Il Presidente invita l’Assemblea a procedere alla nomina dei Commissari del bilancio. Su proposta dei soci Mazzuoli e Lattes l’Assemblea conferma nella stessa carica di Commissari per il 1908 i soci De An- gelis d’Ossat, Cermenati e Verri. Il Segretario legge l’elenco delle memorie e note presentate dai soci, dopo il Congresso di Torino, per essere stampate nel Bollettino. Capeder GL, Sulla origine e sulla probabile natura delle forze orogenetiche (18 settembre 1907). Prever P. L., I terreni quaternari della valle del Po dalle Alpi Marittime alla Sesia (18 ottobre 1907). Bellini R., Sul Pecten medius Lam. citato da Pliilippi e Scacchi tra i fossili della regione Flegrea (25 ottobre 1907). Clerici E., Ricerche microscopiche su calcari liasici di Tivoli (15 novembre 1907). De Stefani C., Le marne a Cardium del Ponte Molle presso Roma (6 dicembre 1907). Clerici E., Analisi microscopica del calcare farinoso di S. De- metrio nei Vestini (15 dicembre 1907). Sacco F., Carlo Mayer-Eymar, cenni biografici (21 dicem- bre 1907). Vinassa de Regnt P. E., Applicazione del planimetro allo studio della costituzione minerale quantitativa delle rocce (30 di- cembre 1907). XXXII RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE Nievo I., L’anfiteatro morenico del Tagli amento e le successive fasi glaciali (9 febbraio 1908). Principi P., Studio geologico e paleontologico del Monte Malie e del Monte lezio (11 febbraio 1908). Trabucco Gr., Fossili, stratigrafia ed età del calcare di Acqui (29 febbraio 1908). Il Segretario presenta l’elenco degli omaggi pervenuti alla Società dopo radunanza estiva: Alpi Giulie: Rassegna bimestrale della Società Alpina delle Giulie. XII, n. 5-6 (sett.-dic. 1907), XIII, n. 1 (genn.-febb. 1908). L’Appennino Centrale: Boll, bimensile del Club escursionisti di Jesi. anno IV, n. 5, 6. Arnold R. and Anderson R. : Metamorphism by combustion of thè hydrocarbons in thè oil-bearing Shale of California. 8°. Chicago, 1907. Bassani F. : Su alcuni avanzi di pesci nell’arenaria ylauconiosa delle isole Tremiti. 8°. Napoli, 1907. Bellini R. : Spuren von Selen auf der Vesuviana, von 1906, 8°, 1907. Bovard J. F. : Notes on quaternary felidae from California. 8°, Ber- keley, 1907. Braun G. : Beitrdge zur Morphologie des nòrdlichen Appennin. 8° Ber- lin, 1907. Canestrelli G. : Di Ambrogio Soldani, la verità sul luogo e sulla data della sua nascita. 8°. Pavia, 1908. Carez L.: La geologie des Pyrenées Francois, fase. 34. 4°. Paris, 1907. Galdieri A.: A proposito della memoria del prof. Ricciardi « L’evolu- zione minerale messa in dubbio dal prof. G. Mercalli ». 8°. Napoli, 1907. Osservazioni geologiche sui monti Vicentini nel Salernitano 8°. Roma, 1907. Heim A.: Der Bau der Schweizeralpen , 4°. Ziirich, 1908. Merriam J. C. and Sinclair W. J.: Tertiary faunas of thè John Day region. 8°. Berkeley, 1907. Millosevich F.: Ulteriori osservazioni intorno alle condizioni di for- mazione dei carbonati di rame naturali. 8°. Roma, 1908. Raffaelli G. C.: La pioggia nelle valli del Taro, Parma, Enzo e Secchia. 8°. Genova, 1907. Ricciardi L. : L’evoluzione minerale messa in dubbio dal prof. Giuseppe Mercalli, 8°. Napoli, 1907. Salmoiraghi F.: L’ avvallamento di Tavernola sul lago d Iseo (3-4 marzo 1906) con un cenno sulla instabilità delle rive lacuali, 8°. Milano, 1907. Scalia S.: I fossili del Trias superiore dell’ Acquaviva e di Paraspora (Monte Scalpello). 8°. Catania, 1907. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXXIII Stefanini G. : Fenomeni carsici nei gessi della Val d’Era,8°. Firenze, 11)07. — Echini fossili del miocene medio dell’ Emilia. 8°. Roma, 1907. Stegagno G.: Il Circolo Leopoldo Pilla ed il suo programma geofisico e geologico. 8°. Avellino, 1905. — Bibliografia: Cronaca e resoconto delle escursioni sociali, (estratto da « L’escursionista Meridionale ». 8". Avellino, 1907. — I laghi intermorenici dell’anfiteatro Benacense, Laghi, stagni e paludi. 8°. Roma, 1907. In merito alla scelta della sede per radunanza estiva il Pre- sidente Porti s dice: 1 Consoci, È funzione dell’annuale presidente il proporre; nella sua adunanza invernale, alla nostra Società la sede per l’adunanza estiva ed esporre sommariamente il programma ed i modi e mezzi per svolgerlo. Non intendendo sottrarmi a quest’obbligo morale, avevo nella mia mente sviluppato e poi ampliato uno schema secondo il quale la nostra riunione doveva tenersi in Piemonte in città a me familiari ; sì che aprendosi in Pinerolo e, svolgendosi nelle sue vicine pianure e montagne, se ne allontanasse in seguito per andarsi a chiudere in Cuneo, o meglio alla prima origine di un fiume che a Cuneo conduce le proprie acque. Senonchè mi si fece osservare (ed io diedi il voluto peso alle osservazioni fattemi) che l’ultima riunione della nostra So- cietà era stata tenuta in Piemonte, in Torino, nel capoluogo di quella stessa provincia di cui Pinerolo è circondario. Che era ben possibile, data la designazione del mio successore, che la susseguente riunione venisse proposta ed indetta per un qualche punto della Sicilia e che, in tal modo, troppo considerevole parte d’Italia fra questi estremi interposta venisse per troppi anni tra- sandata. Ed io ho tosto formulato un secondo schema che contempli la riunione estiva della nostra Società precisamente nella sua sede, nella sua casa, aprendone le porte e le finestre d’intorno sì che dessa ne veda i dintorni, ne studi le vicinanze; ne di- scuta le questioni, che sono attraenti, svariate, complesse: e in XXXIV RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE poi, con graduali distanziamene dal centro di origine, si vada poi a chiudere il nostro convegno in qualche interessante punto o città da Roma non troppo discosti. E per l’una e per l’altra mèta della nostra attività, ho fidu- cia che io troverei benevola accoglienza dalle locali autorità ed efficace aiuto sì scientifico che amministrativo in particolarmente benemeriti nostri consoci i quali guiderebbero per l'adatto cam- mino i partecipanti alla riunione, sì da porli in condizione di vedere e giudicar da sè della esistenza e della portata di nu- merosi problemi a risolversi ed insegnamenti a trarsi. Ond è che io ora mi faccio coraggio a presentarvi la scelta tra due proposte e fra loro ben lontane sedi di riunione per questa estate. Ma pefchè voi possiate ben sapere quel che toglierete e quel che lascierete nella vostra scelta, permettete che io brevemente, sommariamente ed imparzialmente vi riferisca il piogramma dell'una e dell’altra proposta. La prima per ordine di anzianità riflette il Piemonte: primo convegno in Pinerolo, dove le roccie cristalline emergono biu- scamente dalla coltre ghiaiosa e ciottolosa. Ardui pioblemi si presentano a voi, se badate al limite fra queste due formazioni, così lontane nella loro origine, così vicine nella loro relazione topografica; analisi delle formazioni di trasporto con discerni- mento delle formazioni alluvionali, diluviali, glaciali, plioce- niche; terrazzamenti, emergenze di spuntoni del cristallino dalla coltre: emergenze successive di falde idriche regolari e occa- sionali. Poi, con spinte nella montagna: attraversamento delle sottili zone di schisti cristallini fino a raggiungere le formazioni mesozoiche ed anco paleozoiche fossilifere su parecchi punti del confine di Stato, con intercalare riguardo a specialità importanti litologico industriali: grafiti, talchi, acque minerali, ecc. Un viaggio colla ferrovia economica sottoalpina, e che per- metterebbe di dare uno sguardo in una giornata allo sbocco di 6 o 7 valli alla pianura padana, allaccerebbe il primo al se- condo centro di convegno o di Cuneo la eui mèta sarebbe lo studio di una valle tipica (Stura); una valle che, secondo me, potrebbe ben meritare il titolo di Capitale Geologica o Museo Geologico in situ. Le principali formazioni geologiche dagli RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXXV schisti cristallini alla attuale, vi potrebbero venire paratamente studiate, talune convalidate con abbondanti raccolte fossilifere, talune esaminate nel loro duplice aspetto sedimentario ed erut- tivo. A rispondere al concetto di un Museo Geologico dimo- strativo, la valle, mediocremente lunga, offre interessanti e chiari esempi riferentisi alle questioni di orogenia, di origine orogenica ed origine erosiva delle valli e delle vette, con tutte le sotto- poste questioni fino ai fenomeni carsici, sorgenti e risorgenti, reliquie glaciali, formazioni travertinose, sorgenti termali. Molti fra i capitoli dei fenomeni attuali in geologia vi po- trebbero venire toccati con splendidi e grandiosi esempi; e tutto ciò, in relazione colle attuali necessità dell’uomo e delle sue in- dustrie. La chiusura del Congresso potrebbe avvenire in Cuneo o meglio, oppostamente, al sommo della Valle in contatto colla Francia in riva ad un pittoresco laghetto di sbarramento. La seconda per ordine di anzianità potrebbe diventare la prima per varietà di interessi. Essa potrebbe aver Roma come unico e ben più comodo centro di convegno. Irraggiamenti progressivamente allungantisi ci portebbero a studiare sul luogo invece dell'origine le terminazioni dei fiumi, con isole, meandri, oscillazioni e raccorciate, colmate, erosioni e protrazioni del continente, delta ed erosione marina. E la bassa valle del Teveronc e del Tevere sono aria della splendidezza delle dimostrazioni che si otterrebbero. Questo per la geologia dinamica. Una quantità di sistemi vulcanici complessissimi e freschis- simi, ancora a due passi da Roma, accessibili con brevi viaggi con tram o ferrovia, ci permetterebbero di studiare, senza il di- sturbo del fumo e dei rapilli e la paura dei blocchi e bombe, tutto quel che si vuole in rapporto a questo interessante capi- tolo della geologia attuale; dal fondo su cui poggia un vulcano, alla classificazione di essi e delle loro vicende, dalla prima esplo- sione, al loro decadimento e alle ultime emanazioni termali e minerali. Non abbiamo che l’imbarazzo della scelta, della pre- ferenza alla destra o alla sinistra del Tevere, o a tutte e due successivamente. XXXVI RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE Vorremo noi volgere la nostra attenzione ai teneni sedi- mentari? Eccoci dinanzi, in Roma stessa formazioni classica- mente fossilifere appartenenti alle ultime epoche terziarie più o meno pure o più o meno intrecciate alle formazioni endogene. 0 se vogliamo discendere più giù nel terziario, avremo a non troppo grande distanza le formazioni eoceniche similmente inter- calate alle manifestazioni vulcaniche, coeve e posteriori. Vorremo andar più giù: non arriveremo sicuramente cosi in breve agli schisti cristallini od al paleozoico fossilifero, ma per lo meno qualche buona formazione mesozoica anche discre- tamente fossilifera e tettonicamente dimostrativa la potremo met- tere in dimostrazione con qualche corsa verso Tivoli o verso Civitacastellana, corse che al paro di quelle nelle Alpi ci per- metteranno di illustrare anch’esse le cause attuali in geologia dagli effetti ampiamente orogenetici ai più modesti di carsi- cismo, sorgenti e risorgenti, sorgenti minerali, emanazioni, for- mazione dei travertini, e tutte le conseguenze che se ne pos- sono trarre in relazione alle attuali necessità dell uomo e delle sue industrie. E per l’una e per l’altra delle due predette proposte, con- fiderei di poter scegliere e pregare fra di Voi più d’uno a farsi vostre guide volonterose e adatte alla gita speciale. Quindi io Vi propongo, non una, ma due sedi per l’adunanza estiva, a voi la scelta, io Vi accompagnerò con altrettanta sod- disfazione in quella che a Voi piacerà di scegliere. Il socio Lattes dice che la riunione estiva della Società in Roma dovrebbe assumere una importanza speciale, ed in vista di ciò che si farà nel 1911 proporrebbe che fosse rimandata a quell’epoca e che in quest’anno la riunione si tenesse a Cuneo in conformità del primo progetto del Presidente. Il socio Stella osserva che l’esperienza avrebbe dimostrato che l’epoca di festeggiamenti non sia la più adatta pei con- gressi scientifici. Il socio De Angelis dice sembrargli che l’Assemblea sia in- certa sul progetto da preferirsi e propone perciò di lasciare alla Presidenza la facoltà di scegliere quella sede dove meglio potrà organizzare il Congresso. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXXVII 11 vice-presidente Di-Stefano parla nello stesso senso appog- giando la proposta De Angelis. L’Assemblea approva. Il Presidente dice che appena gli sarà possibile informerà i soci del progetto che verrà prescelto ('). Essendo esaurito l’ordine del giorno la seduta è tolta alle ore 12.30'. Il Segretario Enrico Clerici. (•) Il Presidente, per le considerazioni che lo indussero ad ag- giungere alla proposta per il Piemonte quella per Roma, quali risul- tano nella esposizione fattane alla Società, ha dovuto propendere per la seconda proposta ed adottarla. APPENDICE SUGLI EFFETTI DELLA DEGRADAZIONE METEORICA NELLA GIOGAIA GRANITICA DI CARDINALE (CATANZARO) Comunicazione dell’ing. C. Crema Benché volgarmente si riguardi il granito come il simbolo della solidità e della durata e questa roccia sia stata poetica- mente considerata come austera, inflessibile potenza che gioì no e notte affronta immobile l’urto aspro e rovinoso del turbine, è certo, invece, che ordinariamente i graniti resistono assai male alle azioni meccaniche, fisiche, chimiche ed organiche che co- stituiscono il complesso processo della degradazione meteorica; anzi essi forse meglio di ogni altra roccia adunano in se le condizioni di erodibilità. Questa singolare proprietà dei graniti si manifesta immedia- tamente a chi percorra un distretto dove essi siano un po lar- gamente rappresentati. Così, ad esempio, è noto che nelle grandi masse prevalentemente granitiche della penisola di Capo Vati- cano e della Regione della Serra, nella Calabria meridionale, lungo i tagli, che mettono in evidenza il sottosuolo, quasi sempre si può osservare la profonda alterazione della roccia. Questa è spesso ridotta ad un sabbione incoerente o ad un ammasso appena coerente di granuli di quarzo e feldispato e di pagliette di mica, che si rivela in situ soltanto per le venuzze di quarzo e di pegmatite che inalterate lo attraversano. Non di rado anche è visibile, pure in posto, quel particolare modo di de- gradazione che dallo Stoppani fu detto basaltizzazione glo- bulare (1). (') Non sarà forse qui fuor di luogo il ricordare quanto questa estesa e spesso profonda decomposizione del sottosuolo sia di ostacolo alla buona fondazione degli edifieii, cosa questa particolarmente impor- tante in regioni, come le indicate, frequentemente colpite da terremoti RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XXXIX Si è appunto sulla Serra, di cui visitai parecchi punti lo scorso autunno, avendo fatto parte della Commissione per lo spo- stamento degli abitati della provincia di Catanzaro, minacciati da frane o danneggiati da terremoti, che ebbi occasione di co- noscere nella giogaja di Cardinale una località dove la degra- dazione della massa rocciosa, per gli effetti ai quali dà luogo, mi pare meriti un breve cenno illustrativo. La giogaja di Cardinale costituisce una delle propaggini più settentrionali del monte Burilli e prende il nome dal grosso borgo (3753 ab.) che si distende lungo il piede del suo versante occidentale. Essa è approssimativamente diretta da S-0 a N-E e la sua cresta si eleva ad una quota media di circa 700 m. sul mare, trovandosi così a circa 150 m. d’altezza sul letto del fiume Ancinale che scorre poco ad ovest del paese. La costa, dolcemente declive in prossimità del fiume, diviene bruscamente assai erta nella parte più elevata dell’abitato e tale si mantiene a monte di questo per riprendere, infine, una pendenza minore presso la cresta; quivi essa è discretamente imboschita, in basso, invece, si presenta più scarsa di vegeta- zione. Geognosticamente questa giogaja fa parte del massiccio gra- nitico della Serra. La roccia, che la costituisce, almeno in pros- simità di Cardinale, è una tonalite a grossa grana, la quale, impoverendosi localmente in quarzo, fa passaggio ad una dio- rite micacea : per composizione e per struttura è quindi ancora più facilmente alterabile di un granito normale. La ripida costa so] irastante al paese si presenta in istato di avanzato disfaci- mento con formazione alla sua superficie di un sabbione preva- lentemente quarzifero, commisto a poca argilla. Questo materiale incoerente, trovandosi su di un forte pendio, per l’azione della gravità, delle acque piovane e dei venti, discende naturalmente lungo la falda depositandosi al suo piede contro i fabbricati che investe od incanalandosi nelle viuzze e nei fossi, fino a rag- giungere la parte pianeggiante del paese. Talvolta incontrando sul suo cammino qualche ostacolo, naturale od artificiale, vi si accumula, per poi scoscendere improvvisamente in massa tra- volgendo uomini ed abitazioni. Al presente le sabbie investono gran parte delle casupole che delimitano superiormente il paese XL RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE ed i loro depositi tendono continuamente a crescere, perche, man mano che esse vengono asportate dalla superficie della so- prastante costa, vi si riproducono per il disfacimento di nuove porzioni di roccia. Mi è parso che meritasse di essere conosciuta la singolare condizione, nella quale si trova il paese di Cardinale, peichè essa ci porge un esempio non comune del come un fenomeno, che per le sue modeste proporzioni non avrebbe alcuna speciale importanza geologica, possa invece assumere in determinate cir- costanze un alto valore nei riguardi antropici. LA DEGRADAZIONE METEORICA CUMULATIVA IN CALABRIA Comunicazione dell’ing. Vittorio Novarese Il fenomeno della profonda alterazione in situ, delle rocce cristalline, così massicce come scistose, ha in Calabria un’esten- sione grandissima e sebbene già segnalato da parecchi osser- vatori, non è stato ancora descritto e studiato nel suo complesso. Tutte le masse di rocee cristalline calabresi sono coperte da una potente crosta eluviale prodotta dalla profonda alterazione dei loro elementi più attaccabili dagli agenti atmosferici ; ed offrono un esempio magnifico di quella che il Richthofen ha chiamato degradazione meteorica cumulativa (Cumulative Vervvitterung). Il risultato di questa, a differenza di quanto avviene per la laterite, che nelle regioni tropicali è il prodotto unico della de- composizione di rocce diverse, è diverso a seconda della na- tura delle rocce originali, in molti casi ancora riconoscibile. Ciò si verifica specialmente per le rocce granitoidi, sebbene siano profondamente ridotte a sabbione, come nel caso citato dall’ing. Crema a Cardinale. Questi sabbioni però, per quanto disgregabili reggono anche con scarpate quasi verticali, ed ana- logamente a quanto accadde nel ferretto della Valle Padana, le strade ed i viottoli che solcano i graniti alterati sono incas- sati in stretti burroni, a pareti verticali alte parecchi metri. Una regione tipica di tal genere è l’altipiano di tonalite della massa di Stalletti, nei dintorni di Gasperina e Montauro. Fra gli scisti cristallini le roccie che hanno dato il mas- simo contributo a questo tipo di degradazione sono gli gneiss e i micascisti kinzigitici, trasformati in un’argilla rossastra più o meno sabbiosa che copre gli estesissimi altipiani della pic- cola Sila e della Serra, dove rarissimi sono gli affioramenti di roccia viva. I micascisti e le fìlladi che oppongono minor resi- stenza meccanica, resistono invece assai meglio delle kinzigiti XLII RESOCONTO DELL'ADUNANZA GENERALE INVERNALE agli agenti chimici naturali. La potenza della crosta eluviale è superiore a più decine di metri, ed al disotto di essa sopra una potenza ignota, la roccia, sebbene meno alterata è scompa- ginata da innumerevoli fratture. Una disgregazione analoga si osserva pure nella legione alpina in tutte quelle parti prossime alla pianura rimaste sco- perte durante la glaciazione quaternaria, e dove quindi l’esara- zione non potè asportare la crosta eluviale. È invece diffusis- sima sulla pianura padana la degradazione cumulativa degli elementi cristallini contenuti nei terreni di trasporto quater- nario; anzi è precisamente per tali alterazioni che a questi è stato dato il nome di ferretto. La condizione essenziale perchè abbia luogo la degradazione meteorica cumulativa è morfologica, essendo esclusiva degli alti- piani o terreni largamente ondulati. Come cause determinanti l’alterazione si adducono una folta coperta di vegetazione ar- borea ed un clima umido, ricco di precipitazioni. Tuttavia nel- l’altipiano deU’Hamasen (Asmara, Eritrea) dove queste due ul- time condizioni non si hanno, ho veduto essere la degradazione cumulativa se non generale come in Calabria, per lo meno molto estesa e frequente. A. Stella. Presentazione della Carta Geologica della regione del Sempione, e rettifiche. L’ing. Stella presenta, e ne fa omaggio alla Società, una copia stampata della Carta Geologica della Regione del Sem- pione pubblicata per cura della Commissione Geologica Svizzera colla collaborazione del R. Ufficio Geologico. La carta porta per titolo (’): Carta Geologica della Regione del Sempione redatta da C. Schmidt e H. Preiswerk (rilevamenti 1892-1905) usu- (i) Beitràge sur geologìschen Karte der Schweiz. Lfg ■ XX 1 I. Spe- zialcarte n° 48. - Geologiche Karte der Sìmplongruppe, 1 : 50.000, von C. Schmidt und H. Preiswerk (1892-1905) mit Venvertung der Aufnahmen von A. Stella, Geologe des R. Ufficio Geologico d'Italia (1898-1906). Kar- tographia Winterthur A. G. RESOCONTO DELL’ADUNANZA GENERALE INVERNALE XLIII fruendo dei rilevamenti (1898-1906) di A. Stella, geologo del R. Ufficio Geologico d’Italia, Scala 1 : 50.000. Ma al piacere di presentare questa carta, già annunziata da lui nella comunicazione fatta alla Società nel 1905, deve associare il dispiacere di due rettifiche necessarie. La prima rettifica riguarda inesattezze, talora gravi, incorse per la parte italiana, nella stampa della carta: delle quali a lui non è imputabile la colpa, come risulta dal confronto della carta stampata con la sua manoscritta al 50.000 che egli pre- senta pure, quale fu esposta nella Sala del Sempione a Milano nella Mostra del 1906. Vi sono inoltre alcune differenze nella nomenclatura dei ter- reni, che risultano oltre che dalla detta carta manoscritta al 50.000, anche dalla Carta Geologica delle Alpi Occidentali al 4-00.000 oggi stesso presentata dal socio comm. Mazzuoli, di- rettore del Servizio Geologico. La seconda rettifica riguarda una Nota pubblicata nel Bol- lettino della Società del 1906 dal chiarissimo prof. C. De Ste- fani intitolata La Valle Devero e il profilo del Sempione, nella quale egli espone osservazioni inesatte (secondo lo Stella) sulle formazioni della regione, venendo a conclusioni molto diverse da quelle degli ultimi geologi che ebbero ad occuparsene. Per non oltrepassare i limiti di una presentazione lo Stella riserva lo sviluppo e la documentazione delle due rettifiche a una apposita Nota che uscirà nel primo numero del Bollettino del Comitato Geologico della annata. COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENZA Col 31 marzo 1908 si chiusero i concorsi al premio Molon. Al VI concorso, tema di Petrografia, si presentò un solo concorrente; al VI concorso, tema di Paleontologia, si presenta- rono quattro concorrenti; al VII concorso, tema di Geologia, si presentarono cinque concorrenti. Onde procedere alla nomina delle Commissioni giudicatrici, con apposita circolare venne convocato il Consiglio Direttivo della Società per il 22 aprile, rivolgendo preghiera ai Consi- glieri che, qualora non potessero intervenire all’adunanza, vo- lessero indicare qualche nome per la costituzione delle Com- missioni. Nella detta adunanza, tenuto conto delle designazioni fatte dai Consiglieri assenti e nell’intendimento di evitare eventuali incompatibilità, ebbero luogo le seguenti nomine, tutte ad una- nimità di voti : Commissione pel concorso su tema di Petrografia: Bucca, Mattirolo, Spezia. Commissione pel concorso su tema di Paleontologia: Bassani, Fornasini, Tommasi. Commissione pel Concorso su tema di Geologia: De Lorenzo, Sacco, Taramelli. Ma avendo i commissari De Lorenzo, Fornasini, Taramelli e Tommasi declinato, con motivazione, l’incarico, la Presidenza, dopo avere insistito per l’accettazione, dovette prendere atto della rinuncia, e, in conseguenza al mandato ricevuto nella seduta del 22 aprile, procedere al completamento delle Commissioni chia- mando a farne parte i professori Issel, Meli, Neviani e Pa- iv XLVI COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENZA rona ; i quali hanno accettato. E perciò le Commissioni sono così costituite: Petrografia: Bucca, Mattirolo, Spezia. Paleontologia: Bassani, Issel, Neviani. Geologia: Meli, Pabona, Sacco. Alla Presidenza è pervenuta la seguente lettera: Roma, Aprile 1908. Chiavino sig. Presidente delia Società geologica Italiana, È noto alla S. V. Illma che per consuetudine le schede in busta chiusa, che accompagnano i lavori concorrenti ai premi Molon contrassegnati da un motto e non ritenuti degni di premio, vengono distrutte imme- diatamente dopo la proclamazione dei risultati del concorso, restando i relativi manoscritti presso l’archivio sociale. Ritenendo che tale sistema possa talvolta essere fonte d’inconve- nienti, i sottoscritti pregano la S. V. di voler provocare, ove lo creda opportuno, una deliberazione del Consiglio che permetta in ogni caso ai concorrenti di ritirare i propri lavori. Col massimo ossequio E. Mattirolo. — A. Stella. — S. Franchi R. Meli. — A. Verri. — A. Neviani. — C. Crema. La proposta accennata in questa lettera è stata messa all or- dine del giorno della prossima adunanza. Il Presidente invitato come membro di diritto ad intervenire all’adunanza del R. Comitato geologico ha diretto la seguente lettera al Presidente del Comitato stesso: Roma, 7 giugno 1908. Illmo Signor Presidente, 11 sottoscritto ha ricevuto, quale Presidente della Società Geologica Italiana del turno 1908, l’invito ad intervenire alla adunanza annuale COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENZA XLVII ordinaria del R. Comitato Geologico italiano indetta per domani 8 cor- rente giugno. , Sono troppo note alla maggior parte degli Onor. Membri componenti questo Comitato le idee personali del sottoscritto, non certo favorevoli allo indirizzo generale adottato e fin qui sviluppato nell’azione dal Co- mitato stesso, perché io, intervenendo alle adunanze di esso, potessi tacerle. Ed in tal caso, troppo temerei, da un lato di turbare intempesti- vamente la buona armonia tra il Comitato stesso e la Società Geologica Italiana ; mentre dall’altro, io non so se la espressione sincera delle mie personali convinzioni, incontrerebbe l’approvazione della maggioranza della Società che mi ha chiamato per quest’anno a rappresentarla. In tale difficile posizione, stimo prudente ed opportuno fare il sa- crificio delle mie povere persona ed opinioni allo avvenire dei due Enti di cui momentaneamente faccio parte, e di astenermi dallo intervenire alla adunanza. Vedranno i miei successori nella pesante carica, quale sia la via da tenersi ulteriormente, e sapranno forse meglio di me con- ciliare le loro opinioni col presente e collo avvenire della Società che, al par di me quest’anno, saranno negli anni avvenire chiamati a reggere. Prego la S. V., On. Signor Presidente, a voler leggere a giustifica- zione di mia assenza, la presente mia agli altri ed intervenienti membri del Comitato e a volerla fare inserire a verbale. Come io, a spiegare il silenzio alle adunanze del Comitato tenuto dalla Società nel 1908, la pubblicherò nel suo Bollettino fra gli atti personali del suo Socio-Pre- sidente; e mi sottoporrò a quel qualunque apprezzamento la Società cre- derà bene di esprimerne. Colla massima stima e deferenza, ho l’onore di dichiararmi, di questo On. Consesso e di Lei Illmo Signor Presidente: Devmo Prof. Dr. Alessandro Portis pel 1908, Presidente della Societh Geologica Ita, liana. Al Chiarissimo Signore Sig. Presidente del B. Comitato Geologico d’Italia in Poma. XLVIII COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENZA Con lettera del 15 giugno il Capo del R. Ufficio Geologico fece sapere alla Presidenza clie in seguito a parere del R. Co- mitato Geologico e per ordine del sig. Ispettore superiore Capo del R. Corpo delle Miniere, si mettevano a disposizione della Società tanti esemplari della Carta geologica delle Alpi Occi- dentali a 1 : 400.000 quanti ne sono i soci. L’Ufficio Geologico, autorizzato dal Ministero, si è pure gentilmente assunte le cure della spedizione. La Presidenza è lieta di segnalare ai soci questa nuova be- nemerenza verso la nostra Società. SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA MENTE ET MALLEO Roma, 14 Luglio 1908. Casella Postale 485. Circolare. Chiarissimo Collega, Come venne in precedenza annunziato, la nostra Società terrà la sua XXVIP Adunanza estiva in Roma nei giorni 20-24 Settembre, svolgendo il seguente Ordine del giorno: 1. Lettura per Tappi-ovazione del verbale dell’adunanza del 1° marzo. 2. Comunicazioni della Presidenza. 3. Nomina di nuovi soci. 4. Proposta di alcuni soci invocante una disposizione che permetta in ogni caso ai concorrenti ai premi Molon di ritirare i propri lavori B. Proclamazione dei risultati dei concorsi ai premi Molon: temi di Petrografia, Paleontologia e Geologia. 6. Nomina delle Commissioni delegate a proporre temi per il nuovo con- corso Molon ed eventuale notificazione dei medesimi. 7. Discussione per l’approvazione dei bilanci consuntivi 1907 della So- cietà e dell’amministrazione Molon. 8. Affari eventuali. 9. Comunicazioni scientifiche. 10. Elezioni alle cariche sociali: vice-presidente pel 1909; quattro con- siglieri pel triennio 1909-1911; un consigliere pel 1909 I1). Si allegano alla presente circolare: il programma riassun- tivo delle sedute e delle escursioni; la scheda per le elezioni ed i bilanci consuntivi del 1907. (’) Scadono da consiglieri i soci: E. Mattirolo, G. Spezia, A. Sta- tuti, V. Matteucci, i quali non sono rieleggibili alla stessa carica (art. 6 dello Statuto); il quinto consigliere da eleggersi è destinato a coprire il posto reso vacante dal consocio prof. G. Di Stefano ora vice-presidente. L COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENZA Qualora la S. V. desiderasse intervenire è pregata di iscri- versi non più tardi del 5 settembre presso il Segretario della Società, iscrivendosi alle escursioni ordinarie e facoltative alle quali intende prendere parte e per le spese delle quali è tenuto dal momento dell’iscrizione; nonché se desidera usufruire delle riduzioni ferroviarie. Gradisca i migliori saluti. Il Presidente ALESSANDRO PORTIS Il Segretario ENRICO CLERICI COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENZA LI Bilancio consuntivo dell’anno 1907. Attivo. Passivo. 1. Tasse sociali . . L. 2 900 — 1. Stampa del Boi- 2. Interessi del legato lettino . . . L. 2 760,95 Molon .... » 318,75 2. Contributo spese 3. Interessi diversi . » 1000,95 tavole e altre 4. Vendita di Bollet- illustrazioni » 1053,22 tini » 265 — 3. Spese postali . . » 310,10 5. Sussidio del Mini- 4. Spese di cancel- stero di Agric. leria, circolari, Ind. e Comm. » 500 — marche da bollo. » 136,30 6. Vendita distintivi 5. Tassa di mano- sociali .... » 24 — morta. . . . » 37,12 6. Rimborso spese viaggi al Se- gretario ed al Tesoriere . . » 74 — 7. Per aiuti al Segre- tario .... » 4 — 8. Spese diverse ed eventuali . . » 254,10 Totale . . . L. 5 008,70 Totale . . . L. 4 629,79 Partite di giro. Partite di giro. Rimborsi da soci . » 938,65 Spese per conto Deposito per Ca- soci .... » 938,65 sella postale. . » 10 — Deposito per Ca- Cassa al 1° gennaio sella postale . » 10 — 1907. .... » 1 159,55 Avanzo al 31 dicem- bre 1907. . . » 1538,46 Totale . . . L. 7116,90 Totale . . . L. 7 116,90 Amministrazione del legato Molon. Attivo. Passivo. Interessi rendita con- Tassa di manomorta. L. 32 — solidata . . . L. 637 50 Cassa al 31 dicembre Cassa al 1° gennaio 1907 .... » 4 396,27 1907 .... » 3 790,77 Totale . . . L. 4 428,27 Totale . . . L. 4 428,27 Il Tesoriere Ing. Giovanni Aichino. PROGRAMMA DELLE ADUNANZE E DELLE ESCURSIONI 20 Settembre. Ore 8. — Adunanza del Consiglio Direttivo. Ore 10. — Adunanza inaugurale del XXVII0 congresso estivo. Le adunanze avranno luogo in un’ aula del palazzo della R. Università, gentilmente concessa. Escursione ai monti Albani, diretta dal prof. A. Portis. 21 Settembre. Ore 6,30 . — Partenza con tram elettrico da via Principe Um- berto per Bivio di Squarciarelli — Funicolare di Rocca di Papa. Ore 9,00. — Visita alla colata di Leucitite, appicco di lava di Pentima-Stalla — Salita a monte Cavo. Ore 11,45. — Colazione a Rocca di Papa. Ore 13,31. — Partenza da Rocca di Papa col tram elettrico per Bivio Squarciarelli ed Ariccia (arrivo 15,27); oppure a piedi, per la strada della Madonna del Tufo (fino ad Albano km. 9) — Visita della cava di peperino ricco di proietti mi- nerali. Partenza per Roma da Albano o col tram elettrico alle ore 17,31 (arrivo 19,13) oppure colla ferrovia alle 18,5 (arrivo alle 19). Preventivo di spesa L. 7. LIV PROGRAMMA DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI Escursione al Delta del Tevere diretta dal prof. G. De Angelis d’Ossat. 22 Settembre. Qre fi, Partenza da Roma (da piazza Venezia) con au- tomobili. Qre 7. Visita delle rovine di Ostia — Traversata dell I- sola Sacra, Fiumicino. Ore 20. — Visita degli antichi porti — Delta Tiberino Regione delle dune. Ore 12.— Colazione a Fiumicino — Ritorno a Roma alle 14. Preventivo di spesa L. 12. Ore 17. — Adunanza in un’ aula del palazzo Universitario, bilanci consuntivi, comunicazioni scientifiche. Escursione a Viterbo, diretta dall’mg. E. Clerici. 23 Settembre. Ore 6,20. — Partenza dalla Stazione Ferroviaria di Traste- vere per Viterbo, ove si arriva a ore 9,7 (Biglietto tariffa in- tera: la classe L. 11,20; 2a classe L. 7,85; 3a classe L. 5,10). Ore 9,30. — Visita alla Mattonaia Falcioni (in automobile, preventivo per tutta la giornata L. 5,20) — Argilla manna del Pliocene Peperino ed esame della sua giacitura Banco pozzolanico e tufi vari sovrapposti al peperino lungo la strada — Discesa a Ponte Sodo per osservare lungo un sentiero la suc- cessione delle roccie: argilla pliocenica al contatto col peperino, quindi vari strati tufacei con proietti di lave diverse e infine banco di tufo a pomici nere. Ore 11,30. — Ritorno a Viterbo; colazione sociale all Al- bergo dell’Angelo (L. 2,50). PROGRAMMA DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LV Ore 13. — Visita di alcuni interessanti monumenti della città. Ore 11. — Partenza in automobile per Montefiascone — per via vedesi la sorgente solfurea del Bagnacelo e la formazione travertiuosa; più oltre il cono vulcanico di Monte Jugo — a Montefiascone esame del tufo somigliante al peperino e dell’am- masso scoriaceo della locale bocca eruttiva - — veduta d’insieme sul Lago di Bolsena. Ore 16. — Ritorno a Viterbo, e sempre in automobile si prosegue per la Posta della Montagna — A Ponte Fiescoli leu- cotefrite a grosse leuciti sottostante al Petrisco (trachite leuci- tica) — Sosta al Piano del Casone per osservare il panorama d’insieme del Lago di Vico col Monte Venere e dei sottostanti dintorni — Esame della Ciminite alla Colonnetta sulla strada di Canepina. Ore 19. — Ritorno a Viterbo e pranzo (individuale o so- ciale a richiesta). Si pernotta a Viterbo (Albergo dell’Angelo L. 1 a 2; Sche- nardi L. 1,50 a 2; Grand Hotel L. 2 a 5). 24 Settembre. Ore 6. — Partenza in automobile dalla Porta Fiorentina (preventivo per la giornata L. 4,40) — presso la discesa del- l’Acqua Rossa esame del Petrisco (trachite leucitica) e più oltre del tufo a pomici nere e dei sottostanti tufi stratificati con in- ercalati strati diatomiferi — Quindi a piedi (in totale 7 km.) al Mulino dell’Acqua Rossa; sorgente acidula ferruginosa — Esame della lava (leucitite) con divisione prismatica sovrap- posta ad una serie di numerosi strati tufacei, lapillosi e tripo- lacei diatomiferi — Alle rovine di Ferento strati tufacei e tri- dolacei e banco di travertino sovrapposto alla lava — Discesa verso il fosso della Vezza per esaminare le sabbie plioceniche sorreggenti tutta la formazione vulcanica — Discesa da Ferento verso il Mulino di Grotta Rubina; affioramenti di arenaria e cal- cari eocenici — Sorgenti solfuree presso l’Edifizio — Salita a Grotte S. Stefano osservando la serie tufacea e diatomifera sor- montata da calcare e marna argillosa a molluschi continentali. LVI programma delle adunanze ed escursioni Ore 9,15. — Partenza da Grotte S. Stefano in automobile; sosta sul ciglio del burrone deH’Infernaccio, ove scorgesi tutta la serie tufacea con intercalata corrente di leucitite — Altri strati tufacei e diatomiferi sul fianco del Monte Rosso — Lava alla caduta del fosso della Guzzarella. Ore 10,30. — Pra i km. Ili e IV della via di Bagnaia esame della serie di strati tufacei e lapillosi che ricolma una valle scavata in altra serie di tufi e banchi di pomici bianche addossati al Peperino — al Ponte Ferro di Cavallo di Bagnaia banco di blocchi di aggregati minerali, di frammenti lavici, e di argilla sottoposti al Peperino, al quale è addossato il tufo a pomici nere con molti blocchi di argilla — Argilla pliocenica della fornace — Ciminite della Quercia. Qre i2. — Ritorno a Viterbo e colazione (individuale o so- ciale a richiesta). Ore 13,30. — Adunanza privata di chiusura del congresso comunicazioni scientifiche ed elezioni sociali. Ore 16,10. — Partenza in ferrovia dalla Stazione di Porta S. Pietro per Roma, ove si arriva alle 18,42. Escursioni facoltative Escursione per osservare la successione dei terreni alla destra del Tevere, diretta dall’ing. E. Clerici. 25 Settembre. Giacimento classico della Farnesina; argilla glauconifera, sabbie grigie fossilifere, sabbie gialle povere. — Sguardo gene- rale alle numerose sezioni nella Valle dellTnferno e visita di dettaglio in una delle cave; argille vaticane, sabbie povere con ghiaiette a ciottoli trachi-andesitici. — Tufo granulare a pal- lottole, tufo trachi-andesitico, sabbie povere e strati salmastri della Rimessola. — Ghiaie con ciottoli trachi-andesitici di Ac- quatraversa. — Ghiaie più recenti di Ponte Molle. — Serie dei tufi della via Flaminia alla Punta dei Nasoni. PROGRAMMA DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LVII Le modalità e la maggiore o minore estensione da darsi alla escursione saranno stabilite d’accordo con coloro che vor- ranno parteciparvi. Escursione per osservare la successione dei terreni alla sinistra del Tevere, diretta dal gen. A. Verri. 26 Settembre. Sarà pubblicata e posta a disposizione dei soci una breve guida accennante le varie formazioni che si trovano nel terri- torio a sinistra del Tevere ed indicante i luoghi dove meglio si può vedere la loro successione. In base alle indicazioni con- tenute in questa guida i soci che desiderino prendere conoscenza locale delle formazioni e del modo come si succedono, si accor- deranno col socio Verri circa l’itinerario ed i mezzi opportuni per eseguire l’escursione. Escursione alla Tolfa, diretta dall’ing. B. Lotti. 27 Settembre. Partenza da Roma a ore 8 in ferrovia; arrivo a Civitavecchia alle 9,30 — Da Civitavecchia ad Allumiere in vettura (L. 6,50 a testa) — Per la strada si osserveranno due filoni di trachite nell Eocene — Arrivo ad Allumiere ad ore 12,30; Colazione (L. 2,50) — Visita alle escavazioni d’allumite e di caolino — Ritorno a Civitavecchia (pranzo L. 3 ; alloggio L. 2,50). 28 Settembre. Partenza da Civitavecchia a ore 7 per Allumiere — Per via si potranno visitare le escavazioni di pietra da cemento A M. Zanfoni si prende la via della Roccaccia — Visita del giacimento fenderò omonimo — Calcari eocenici metamor- fici con wollastonite e granato del fosso delle Carriole e filoni LVIII PROGRAMMA DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI di galena — Filoni della Cava del Piombo — Colazione in campagna (L. 3) — Giacimento ferrifero della Cava Grande — Edificio del Ferro, roccie metamorfiche eoceniche e filoni di trachite piritosa della Gavassa — Ritorno^ a Civitavecchia, pranzo (L. 3), e partenza per Roma a ore 22,40. L’escursione sarà limitata a 20 persone e non si farà con meno di 8. — Spesa prevista, senza contare la ferrovia, L. 28. Escursione all’alta valle (lell’Aniene diretta dal prof. G. De Angells d’Ossat. 27 a 30 Settembre. 1° giorno. — Partenza da Roma a ore 7 in ferrovia pei Tivoli Visita di Tivoli e dintorni — Partenza da Tivoli per Mandela — Formazioni terziarie — Partenza da Mandela per Subiaco — Sorgenti dell’acqua Marcia. 2° giorno. — Visita dei dintorni di Subiaco, Monte Affilano, Sacro Speco e S. Scolastica. 3o giorno, _ Da Subiaco a Filettino per la valle dell A- niene (a piedi o col mulo) - Formazioni mesozoiche. 4° giorno. — Da Filettino ad Avezzano con traversata del Viglio (a piedi) — Formazioni mesozoiche. Spesa prevista L. 40 circa. Non più di 15 escursionisti e non meno di 8. Escursione al Vulcano Laziale, diretta dall’ing. V. Sabatini. L’escursione potrà aver luogo in uno o due giorni a seconda che verrà richiesto dagli aderenti. Escursione in un giorno: 27 Settembre. Partenza da Roma col treno delle 6,25 per Frascati, ove si arriva alle 7. Piccola colazione, indi in vettura alla Valle Molala — Esame del grande cratere tuscolano, delle lave della Valle dei Ladroni con leuciti trasformate in felspati calco sodici — Visita PROGRAMMA DELLE ADUNANZE ED ESCURSIONI LIX al cono avventizio delle Tartarughe — Indi in vettura a Bocca di Papa — Visita alla colata omonima composta di leucitite e di spe- rone — Indi a cavallo al cratere dei Campi d’ Annibaie: leucitite con grandi felspati d’origine secondaria; appicco di lava di Pen- tium Stalla, e salita a Monte Cavo — Discesa a Remi lungo l’in- terno dell’imbuto che contiene il lago — Colazione — Esame delle leucititi e della leucotefrite sotto Nemi — Indi in vettura a Gen- zano, con fermata per salire all’orlo del circuito del lago di JVemi, e poi al cratere di Ariccia e ad Albano — Salita ai Cappuccini e visita alla cava di peperino con inclusi numerosi — Ritorno ad Albano, indi a Roma in ferrovia. Preventivo di spesa L. 15 a 20. j Escursione in due giorni: 27 e 28 Settembre. T giorno. — Partenza da Roma per Frascati in ferrovia alle ore 6,25 — In vettura alla Valle Molara; visita delle lave con leucitite trasformata in felspato della Valle dei Ladroni. Cono delle Tartarughe — Esame del grande cratere Tuscolano — In vettura a Grottaferrata. Visita alla Badia — Lave del vicino burrone — In vettura a Rocca di Papa — Colazione — Indi a cavallo ai Campi d’Aunibale — Esame della colata di leucitite e di sperone di Rocca di Papa, leucitite con grandi felspati secondari presso l’Osservatorio. Visita dell’Osservatorio. — Appicco di Pentium Stalla — A cavallo a Monte Cavo, e, tempo permettendo, alla Punta delle Faete (956 m., punto cul- minante del vulcano Laziale) — Ritorno a Rocca di Papa, e a Roma col tram elettrico. 2° giorno. — Da Roma a Genzano col tram elettrico, par- tendo alle ore 6 da Via Principe Umberto — Salita all’orlo del circuito del lago — In vettura a Nemi: visita delle leu- cititi e della leucotefrite sottostante, e ritorno a Genzano in vettura, proseguendo pel cratere di Ariccia — Materiali del cratere (peperino sotto e tufi sopra), indi ad Albano con la stessa vettura — Salita ai Cappuccini — Cava di peperino con inclusi — Ritorno ad Albano e colazione — Indi a Marino in tram o in vettura — Cave di peperino con inclusi presso LX programma delle adunanze ed escursioni la stazione — Partenza da Marino col tram, o in ferrovia, e fermata al Tavolato. Giacimento di leucotefnti con hauyna er- ratiche - A piedi alla colata di Capo di Bove (leucitite mel- lilitica con nefelina) - A Porta S. Sebastiano si troveranno le vetture per tornare a Roma a Piazza Termini. Preventivo di spesa pei due giorni L. 30 circa. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI tenute nel settembre 1908 Adunanza inaugurale del 20 settembre in Roma Presidenza del prof. A. Portis. L’adunanza ha luogo alle ore 10,30' in un’aula del palazzo della R. Università, gentilmente concessa dal Rettore. Sono presenti, oltre il presidente Portis, i consiglieri Bal- dacci, Nevi ani, Statuti, il tesoriere Aichino, i soci Bucca, Car- dinali, Cerulli-Irelli, Ciofi, De Angelis d’Ossat, Fantappiè, Frenguelli, Galli, Meli, Novarese, Rosati, Sabatini, Tommasi, Verri, Zamara ed il segretario Clerici. Scusano l’assenza: il vicepresidente Giovanni Di Stefano, i consiglieri Bassani, Canavari, Mattirolo, Pantane-eli, Pa- rona, l’archivista Crema, i soci Cacciamali, Capellini, Cerme- NATI, CORIO, D’ACHIARDI, De PRETTO, DeRVIEUX, FUCINI, ISSEL, Martelli, Parma, Sacco, Seguenza, Vinassa de Regny. Il presidente Portis, salutati i presenti, partecipa con di- spiacere l’avvenuta dipartita del cap. Francesco Gardella, da poco tempo entrato a far parte della nostra Società, del cav. Enrico Nicolis, e del cav. Joaquim Philippe Nery Del- gado, presidente del servizio geologico del Portogallo, che erano soci fin dalla fondazione della Società. Fa presente che qua- lunque socio, il quale, per relazione diretta con alcuno dei com- pianti soci, ne abbia il desiderio e l’opportunità, potrà, volendo, presentare per la pubblicazione nel Bollettino un più esteso cenno necrologico. Ricorda pure, benché non appartenuto alla Società, l’ing. Pa- cifico Di Tucci ben noto ai cultori della geologia romana ed in particolare pei suoi studi sui peperini laziali. Quindi partecipa le dimissioni da socio del dott. Brunati, delle quali si è preso atto. v LXII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Il Segretario legge le proposte di nuovi soci: Ciofalo dott. Michele a Termini Imerese, proposto dai soci Capellini e Saverio Ciofalo. Plueschke ing. Riccardo a Scafa, Chieti, proposto dai soci Reichenbach e Clerici. Scalia dott. Salvatore a Catania, proposto dai soci Bucca e Giovanni Di Stefano. L’assemblea approva ad unanimità. Il Presidente Portis apre la discussione sulla richiesta con- tenuta nella lettera firmata da alcuni soci e già portata a co- noscenza di tutti gli altri colla pubblicazione di essa nel Bol- lettino. Avverte cbe a tale proposito il Consiglio proporrebbe un’aggiunta all’art. 4 del Regolamento Molon per la quale le schede in busta chiusa, cbe accompagnano i lavori contrasse- gnati da un motto e non premiati, d’ora innanzi non vengano più distrutte dopo la proclamazione dell’esito del Concorso, ma siano conservate in archivio perchè a richiesta del concorrente ne sia fatto conoscere il nome. Il socio De Angelis d’Ossat ritiene cbe i manoscritti non possano essere restituiti, perchè devono restare in archivio a documentazione dell’opera della Commissione giudicatrice, altri- menti potrebbe darsi la possibilità cbe un lavoro non premiato venisse pubblicato dall’autore con tali modificazioni da essere in contrasto col giudizio della Commissione. Questo modo di vedere sembra condiviso da altri soci. Il Presidente Portis dice cbe questa obbiezione cadrebbe qualora il manoscritto richiesto venisse munito di una autenti- cazione della Società, e sulla opportunità della richiesta potrebbe poi essere interpellata la Presidenza od il Consiglio cbe deci- derebbe caso per caso. Il tesoriere Aichino crede preferibile dichiarare in tesi ge- nerale se i concorrenti non premiati hanno diritto o meno alla restituzione dei lavori, senza aspettare cbe si presentino 1 casi singoli, tanto più che devesi pur prendere una decisione prima della odierna proclamazione dei risultati dei concorsi. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LXIII Il socio De Angelis d’Ossat dice che intanto si potrebbe approvare la conservazione delle schede. Il socio Fantappiè osserva che un lavoro, pur non essendo premiabile, potrebbe essere di grande valore e non sarebbe giusto privarne totalmente l’autore. Per conciliare le due tendenze si potrebbe consentirne la copia. Dopo ciò l’aggiunta da farsi all’art. 4 del Regolamento Molon viene concordata nel modo seguente : Gli autori hanno diritto di ottenere a proprie spese una copia dei loro lavori. Le schede che accompagnano i lavori ano- nimi saranno conservate per V eventuale riconoscimento dell’autore. Il Presidente la mette ai voti e l’assemblea l’approva ad unanimità. . Il Presidente Portis presenta le relazioni inviate dalle tre Commissioni giudicatrici dei tre premi Molon ; ma poiché sono presenti i soci Bucca, Meli e Neviani che di tali commissioni fecero parte, ed anzi due ne furono relatori, rivolge loro pre- ghiera di volere, come rappresentanti delle Commissioni stesse, informare l’assemblea dell’esito dei concorsi. Il socio Neviani dà un esteso riassunto della relazione sul YI concorso rinnovato, tema di paleontologia, dimostrando come due dei concorrenti, dott. Fabiani e dott. Prever colle memorie intitolate: Paleontologia dei Colli Berici e Nummuliti ed Or- bitoidi di alcune località italiane, si contendano il premio punto per punto e ne legge la seguente conclusione: Ora non vi ha dubbio che la memoria del Prever è precisamente più conforme ai termini del concorso, rispetto al lavoro del Fabiani, che potrebbe più opportunamente intitolarsi, come notava uno dei Com- missari, « Stratigrafia e paleontologia dei Colli Berici ». In altre parole le nummuliti sono propriamente l’oggetto precipuo dello studio del Prever, mentre i fossili illustrati dal Fabiani sono il mezzo messo in opera per investigare la successione stratigrafica dei Colli Berici. Per queste ragioni la Commissione giudica degno del Premio Molon per la Paleontologia il lavoro del dott. Pietro Prever (*). (') La relazione è pubblicata per intero a pag. lxxvii. LXIV RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Il socio Bucci riassume la relazione (‘) sul VI concorso rin- novato, tema di petrografia, al quale si presentò un solo con- corrente, il dott. Aloisi col lavoro intitolato Itocele granitiche negli scisti iella parte orientale dell’isola d’Elia, e legge a seguente conclusione: La Commissione pertanto delibera di non potersi assegnare il Premio Molon al lavoro del dott. Aloisi, perché il tema proposto non vi convenientemente svolto nelle sue diverse parti La Commissione fa rilevare l’importanza dell argomento tratt dal dott. Aloisi, che é di massimo interesse geologico per isola d Elba fotografico ier l’intrigato studio degli scisti cristallini e che menta di essere meglio approfondito e svolto esaurientemente ; fa rilevale teTZ H dott Aloisi e por lo sua cultura e le suo attitudm, sceutt- fiche per gli studi già eseguiti sull’importante località, menti di esseie Incoialo anche materialmente, onde potere ritocca,^ il suo lavoro, giusta le osservazioni suesposte; e perciò la Commissione fa vivissimi voti affinchè la Società geologica italiana voglia accordale S dott Pietro Aloisi un sussidio di L. 500 a titolo d’incoraggiamento per il lavoro intrapreso e di cooperazione alle spese sostenute e da s stenere per portarlo a compimento. Il presidente Portis dice che preso atto che il premio non viene assegnato si potrebbe accogliere il voto ed accordare i sussidio; ma ritiene che sarebbe necessario stabilire la massima che le Commissioni debbano in avvenire pronunciarsi nettamente per il sì o per il no sul conferimento del premio Il socio Sabatini non crede conveniente stabilire la tegola subito dopo l’eccezione. Se si ritiene giusto dare il sussidio si lasci la norma, altrimenti non si dia mai 11 socio Cardinali osserva che, mentre il giudizio della Com- missione è inappellabile, il voto per il sussidio può anche non essere accettato: stando rigorosamente ai termini del Concorso sarebbe d’avviso di non accogliere il voto. Il socio Pantappiè dice che l’osservazione di Sabatini e io gica- ma che d’altra parte la proposta della Commissione ten- dente ad accordare incoraggiamenti è vantaggiosa alla scienza e giovevole specialmente pei giovani autori. Se si potess (i) Vedasi l’intera relazione a pag. xc. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LXV astrarre dal caso presente, sarebbe da prendersi una disposizione generale in questo senso. Il presidente Portis rammenta che il premio è indivisibile. Il tesoriere Aichino fa notare al relatore Bucca che, se la Commissione invece di un voto avesse formulato una decisione, il caso sarebbe stato ben diverso. Il socio Bucca conferma che il lavoro così come è non me- rita il premio e che perciò, qualunque fosse stata l’entità del premio, questo non sarebbe stato dato. Il socio Cardinali dice sembrargli che nel caso attuale sia ozioso discutere e si debba rifiutare il voto. Il socio Meli propone che si prenda semplicemente atto che il risultato del concorso è negativo. L’assemblea approva. Il socio Meli riferisce sul settimo Concorso Molon dimo- strando l’importanza ed i pregi della maggior parte dei lavori presentati ed in particolare di quello intitolato Studi geotetto- nici sulle Alpi Orientali contraddistinto dal motto Laboravi fi- denter, e dell’altro Studi geologici sul nucleo centrale delle Alpi Carniche, presentato dai soci Gortani e Yinassa, e della diffi- coltà di poter decidere quale dei due lavori fosse superiore al- l’altro. Quindi legge la seguente conclusione finale della relazione: Mancano dunque gli elementi per valutare ed affermare la superio- rità di una delle due opere, che invero si accordano e si integrano per dare una nuova illustrazione della serie geologica dal Siluriano al Neo- gene nelle Alpi nostre orientali; nell’insieme esse costituiscono un saggio importantissimo sulla geologia alpina, che fa onore agli autori ed alla Scienza italiana, e che segna un notevole progresso nella conoscenza di una delle regioni geologicamente più interessanti. Per queste considerazioni la Commissione, mentre attesta il confor- tante esito del Concorso, crede miglior consiglio questo: di proporre la divisione del premio in due parti eguali, fra i due lavori: I. Studi geotettonici sulle Alpi Orientali. II. Studi geologici sul nucleo centrale delle Alpi Carniche. Accogliendo la nostra proposta, la Società Geologica Italiana ren- derà degno omaggio alla cara memoria del veneto Molon, benemerito fondatore del premio ( 1 ). (*) (*) La relazione é riportata per intero a pag. xeni. LXVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Il presidente Portis domanda se l’aver posto nella conclu- sione uno dei lavori avanti all’altro non significhi che in ordine di merito esso debba considerarsi quale primo. . Il socio Meli risponde che la Commissione li ha ritenuti di eguale merito e perciò divide il premio in parti uguali asse- gnandone una metà ad un lavoro e l’altra metà all’altro. Dopo che l’assemblea ha preso atto di tale dichiarazione, il Segretario presenta le buste sugellate relative ai lavori con- trassegnati da motto ed autorizzato dal presidente apre quella con la intestazione Laboravi fidenter, che contiene un foglietto colla scritta Laboravi fidenter , Dott. Giorgio Dal Diaz, Uni- versità, Padova. Quindi il presidente Portis proclama solennemente l’asse- gnazione dei premi: VI. Concorso Molon rinnovato, tema di paleontologia, premio di Lire 1000 al lavoro Nummuliti ed Orbitoidi di alcune lo- calità italiane del dott. Pietro Prever. _ VII. Concorso Molon, tema di geologia, premio di Lire diviso in parti uguali: . . ,. Lire 1000 al lavoro Studi geotettonici sulle Alpi Orientali del prof. Giorgio Dal Piaz. , 77 Lire 1000 al lavoro Studi geologici sul nucleo centrale delle Alpi Gamiche del dott. Michele Gortani e del prof. Paolo Yl NASSA DE REGNY. Applausi. , . , Il Presidente invia a nome della Società un riconoscente ringraziamento ai componenti delle Commissioni giudicatrici. Applausi. Dipoi il presidente Portis dichiara aperto l’ottavo Concorso Molon che si chiuderà il 31 marzo 1911. Il premio sara di L. 2000. Il Consiglio avendo nella seduta odierna delegato a presidente la nomina della Commissione che dovrà proporre ì tema, questo sarà fatto conoscere in seguito. Legge infine un applaudito discorso inaugurale sulle Neces- sarie relazioni ed armonia fra le scienze geologiche (’). P) Pubblicato a pag. evi. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LXVII Il socio Bucca dice: pria di chiudere questa solenne seduta inaugurale della Società Geologica Italiana, credo d’interpretare i sentimenti di tutti i soci, mandando a nome di tutti a Roma, capitale d’Italia e de’ nostri cuori, i più fervidi voti di gran- dezza e di gloria. Applausi. La seduta è tolta alle 12,10'. * * * Il 21 settembre, in conformità del programma, ebbe luogo l’escursione a Rocca di Papa, Monte Cavo, Ariccia e Albano, diretta dal prof. Portis: il socio Cerulli— Irelli fu incaricato di redigerne la relazione (1). Con molto dispiacere, a causa della insistente pioggia co- minciata fin dalle prime ore della notte, non potè aver luogo l’escursione del 22 ad Ostia e al delta del Tevere, che, sotto la direzione del socio De Angelis, sarebbe certamente riuscita non meno interessante delle altre. Adunanza del 22 settembre. Presidenza del prof. Portis. La seduta è aperta alle 17,15' in un’aula del palazzo uni- versitario. Sono presenti: il presidente Portis, i consiglieri Balda cip, Neviani, il tesoriere Aichino, i soci Ambrosioni, Berti, Bibo- lini, Cardinali, Cerulli-Irelli, De Angelis d’Ossat, De Ste- fano Giuseppe, Prenguelli, Galli, Meli, Rosati, Segrè, Tom- masi, Zamara ed il segretario Clerici. Il Segretario presenta una lettera con la quale l’on. Prefetto di Roma, impedito di assistere alla seduta del 20, ringrazia dell’invito. Presenta pure lettere colle quali scusano l’assenza il consigliere De Stefani, i soci Issel e Taramelli. 0) Vedasi a pag. cxxxvn. LXVIII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Si dà per letto il verbale dell’adunanza del 1° marzo 1908 pubblicato nel 1° fascicolo voi. XXVII del Bollettino, e poiché non vi sono osservazioni il Presidente lo dichiara approvato. Il Segretario legge la proposta di un nuovo socio: Bossi Napoleone a Torino, proposto dai soci Colomba e Rosati. L’assemblea approva ad unanimità. Il Presidente partecipa che delle varie domande giunte alla Società per il cambio delle pubblicazioni, il Consiglio propone di accogliere quella della Geologiche Gesellscliaft di Vienna e quella della Geological Society di Glasgow . L’assemblea approva ad unanimità. Il Presidente informa che la Società essendo stata invitata a partecipare alla inaugurazione di una targa monumentale m onore di Giuseppe Gioeni a Catania, ha aderito facendovi rap- presentare dal socio Bucca. Altro invito pervenne alla Società di assistere ai festeggia- menti pel XXV anniversario della fondazione della Società Al- pina delle Giulie a Trieste e la Presidenza inviò a quella be- nemerita Associazione una lettera di ringraziamento e di augurio a nome della Società Geologica Italiana. La nostra Società ha pure aderito alle onoranze che saranno tributate nel prossimo ottobre in Faenza alla memoria di Evan- gelista Torricelli ricorrendone il 3° centenario dalla nascita. Il tesoriere Aichino presenta i bilanci consuntivi pel 1907 della Società e dell’Amministrazione del legato Molon, già pub- blicati e distribuiti a tutti i soci, e l’incartamento dei documenti giustificativi ponendoli a disposizione di chi volesse esaminarli. Il socio De Angelis d’Ossat quale rappresentante della Com- missione pel Bilancio legge la seguente relazione: I sottoscritti Commissari del Bilancio, esaminati i bilanci consuntivi per l’anno 1907 della Società Geologica Italiana, e dell’ Amministrazione del legato Molon, sono lieti di dichiarare di averne riscontrata la re- golarità contabile perfetta. Avendo poi rilevato, dall’esame dei docu- RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LXIX menti, che il Tesoriere-economo ha addebitata a sé la somma di L. 3,57 pagata a titolo di multa per accidentale ritardo nel pagamento della tassa di manomorta, propongono i sottoscritti che non sia accettato tale addebito, e che sia emesso un voto di plauso al benemerito Tesoriere anche per la sua delicatezza. A. Verri Gioacchino De Angelis d’Ossat Mario Cermenati. Il Presidente è lieto di associarsi al voto proposto dalla Commissione del Bilancio, ed informa che il Consiglio diret- tivo nella seduta del 20 settembre, tributando un riconoscente plauso al tesoriere Aiebino lo ha confermato nella carica pel triennio 1909-1911. Applausi. Il tesoriere Aichino ringrazia della benevolenza dimostra- tagli dal Consiglio e dai soci. Dopo ciò, non essendovi osservazioni, il Presidente dichiara approvati ambedue i bilanci consuntivi. Il Segretario presenta la lista degli omaggi pervenuti alla Società dopo la seduta del 1° marzo: Alpi Giulie, anno XIII, n. 3, 4, 1908. Appennino Centrale (L’), anno V, n. 2. Bassani F. e Galdieri A.: La sorgente minerale di Valle Pompei. 4°. Napoli, 1908. Bellini R. : L’ insegnamento scientifico nella scuola media italiana. 8°. As- sisi, 1908. Boletin del Ministerio de Agricultura, T. IX, n. 1 y 2. 8°. Buenos-Ayres, 1908. Grinnell Fordyce: QuaUrnary Myriapods and inseets of California. 8°. Berkeley. 1908. J ohnston Lavis H. J. and Spencer L. J.: On Chlormangano- Halite, new Vesuvian minerai; ivith notes on some of thè associated minerals. 8°. London, 1908. J ohnston Lavis : De la relation existant entre Vactivité du Ve'suve et cer - tams Phénomènes météorologiques et astronomi ques. 8°. Bruxelles, 1907, Meli R. : Breve relazione della escursione eseguita alla miniera di Rio (Isola d’Elba) cogli allievi della R. Scuola di Applicazione di Roma nell’anno 1907. 8°. Roma, 1907. LXX RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Neuvième Congrès International de Géographie, Livret des excursion scientifiques. 8°. Genève, 1908. Ricciardi L.: Risposta ad alcune osservazioni sull’evoluzione minerale. 8°. Napoli, 1908. Ricciardi L.: Su la genesi e la fine del nostro Geoide. 8 . Napoli, 908. Seguenza L.: Il Miocene della provincia di Messina. 8 . Roma, 1908. Stefanescu G.: Quelques mots sur le Rinotherium Gigantissimum. 8°. Mexico, 1907. TOMMASI A.: Spigolature di paleontologia Baldese. 8 . Milano, 1908. TOMIOLO A. R.: L’eocene nei dintorni di Rozzo in Istria. 8°. Roma, 1908. Nuove ricerche sopra i ghiacciai dei gruppi del Cristallo e del So- rapiss. 8°. Firenze, 1908. Il Segretario legge l’elenco delle memorie e note presen- tate dai soci per essere pubblicate nel Bollettino: Fucini A., La Pania di Corfino (5 aprile 1908). Anelli M., L’eocene nella vallata del Parma (5 maggio 1908). Chelussi I., Appunti pirografici sopra alcune roccie del- l’Italia centrale (17 giugno 1908). Toldo GL, I terreni alluvionali del Lodigiano (21 giugno 1908). Martelli A., Notizie pirografiche sullo Scoglio di Melli- sello (29 giugno 1908). Parona C. F., Notizie sulla fauna a Rudiste della pietra di Subiaco nella Valle delV Aniene (12 luglio 1908). Verri A., Successione dei terreni nella Campagna di Poma a sinistra del Tevere (19 luglio 1908). Clerici E., Appunti per una escursione geologica a Viterbo (31 luglio 1908). Capeder GL, I relitti della erosione marina nella Valle del Po (11 agosto 1908). Meli R., Notizia sopra alcune conchiglie fossili raccolte nei dintorni di Monte S. Giovanni- Campano in provincia di Poma (1° settembre 1908). Sacco F., Il Molise (8 settembre 1908). Stefanini GL, Echini miocenici di Malta esistenti nel museo di geologia di Firenze (20 settembre 1908). Il socio De Angelis d’Ossat a nome del Comitato Pro Roma Marittima distribuisce alcuni fascicoli contenenti articoli in fa- vore della costruzione di un porto di mare per Roma. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LXXI Il Presidente Portis presenta i due ultimi volumi della bi- bliografia generale scientifica, per la geologia e paleontologia di cui è collaboratore e raccoglitore per l’Italia. Spiega di quale grande vantaggio possa riuscire per gli studiosi una tale pub- blicazione che comprende anno per anno tutto quanto è stato prodotto ed ove ogni memoria viene elencata due volte e vi è inoltre un catalogo tassonomico di tutte le specie nuove ed anche le antiche se a nuovo ripresentate. Richiede un lavoro gravoso che però fa volentieri confidando che gli autori lo aiutino nelle ricerche e gli risparmino involontarie dimenticanze. Il socio De Angelis d’Ossat fornisce notizie sulle ghiaie del Casale di Pietralata, sul peperino, sulla lava di Lunghezza e sulla roccia di Petronio a Salone che riassume in una comuni- cazione dal titolo Sulla geologia della provincia di Roma (’). Il socio Tommasi presenta il manoscritto di una nota sopra una nuova specie di Phyllocrinus nel neocomiano di Spiassi sul monte Baldo , che riassume mostrandone le figure (2). Il socio Meli parla di una ippurite rinvenuta nei calcari attraversati dalla galleria di Monte Orso nei Pontini, ed esibisce l’interessante esemplare (3). Presenta due campioni pulimentati di calcari fossiliferi del circondario di Roma facenti parte della sua collezione di marmi ornamentali (4). Mostra pure un bel molare di elefante proveniente dalle sabbie superiori della Magliana e ne trae argomento per svol- gere una comunicazione su rinvenimenti di denti elefantini in alcune località nuove o interessanti per la provincia di Roma (°). (') Pubblicata a pag. cxxvn. O Inserita nel Bollettino a pag. 419. (3) Vedasi a pag. cxxx. (4) Vedasi a pag. cxxxm. (5) Inserita per intero a pag. 432. LXXII RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Dipoi fa una comunicazione sulla corrente di lava leucitica di Lunghezza presso 'Roma , mostrando le fotomicrografie della lava (1). Infine presenta una bella ed intera meteorite caduta a Sant. Albano in Valdinizza, prov. di Pavia (2). La seduta è tolta alle 18.30'. * # Nei giorni 23 e 24 ebbe luogo l’escursione a Viterbo, che fu favorita da tempo splendido. Il collega Frenguelli venne in- caricato di redigerne la relazione dettagliata (3j. La mattina del 23 alla stazione di Viterbo la comitiva era attesa dal comm. Oreste Vanni, assessore e quale rappresentante del Sin- daco e dal cav. avv. Luigi Ludovisi, consigliere, che, presen- tati dal nostro consocio prof. Fantappiè, con delicato pensiero e squisita gentilezza vollero salutare la nostra Società a nome della città di Viterbo. Il sig. Falcioni, che pure era ad attenderci, si pose a nostra disposizione per la visita alla mattonaia. In conformità del programma, nel mattino, oltre la matto- naia Falcioni, si visitò la località di Ponte Sodo. Nel pome- riggio si andò a Montefiascone, a Monte Jugo e al Bagnaccio e poi alla sommità del recinto craterico di \ico. Nel mattino del 24 si visitarono i dintorni dell’acqua Possa e di Ferento. Quivi erano ad attenderci il Duca Pietro Lante della Rovere presidente dell’Associazione degli scavi di Fe- rento, e i signori prof. Pietro Ecidi, rag. Luigi Rossi e dott. no- taio Cassani della stessa associazione, i quali ci guidarono nella visita delle rovine ed illustrarono i risultati delle recenti sco- perte. Ritornando da Grotte S. Stefano, si andò a Bagnaia e di nuovo a Viterbo. Nel pomeriggio ebbe luogo l’adunanza di chiusura, che, a gentile invito, fu tenuta in una sala del Palazzo Comunale. C1) Pubblicata a pag. 485. (2) Vedasi a pag. cxxxv. (3) Vedasi a pag. cxli. RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LXXIII Adunanza del 24 settembre a Yiterbo. Presidenza dei prof. Portis. La seduta ha luogo alle 14.30' in una bella sala del Pa- lazzo Comunale gentilmente messa a disposizione dall’on. Sindaco. Sono presenti: il presidente Portis, i soci Bucca, Cerulli- Irelli, Ciofi, De Angelis d’Ossat, Del Zanna, Fantappiè, Fren- guelli , Galli, Meli, Neviani, Kosati, e il segretario Clerici. L’avv. Luigi Grispigni assessore per le finanze ed il dott. Gra- nati consigliere, che fanno gli onori di casa, porgono un gradito saluto ed offrono in dono la pubblicazione : Pinzi C., I principali monumenti di Viterbo, guida pel visitatore, 3a ediz. Viterbo 1905. Il presidente Portis prega l’avv. Grispigni di rendersi in- terprete presso l’on. Sindaco e gli altri membri della rappre- sentanza comunale dei sensi di viva riconoscenza per le pre- murose attenzioni verso la nostra Società ed invia loro un ri- spettoso saluto. Rivolge pure un ringraziamento a tutte le cor- tesi persone che ci favorirono nella nostra breve permanenza in Viterbo, ed agevolarono la nostra escursione. Applausi. Preso commiato dall’avv. Grispigni e dal dott. Granati, il Presidente consegna le schede per le elezioni sociali ai soci, Cerulli-Irelli e Ciofi affinchè ne facciano lo spoglio, compiuto il quale ne proclama il risultato: Votanti 95. Vice-presidente pel 1909: Baldacci ing. Luigi con voti 87 Consiglieri pel triennio 1909-1911: D’Achiardi prof. Giovanni con voti 85 Bucca prof. Lorenzo » 82 De Lorenzo prof. Giuseppe » 82 Salmoiraghi prof. Francesco » 80 Consigliere per Fanno 1909: Cermenati prof. Mario con voti 75 LXX1V RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Il presidente Portis invita coloro che avessero osservazioni da fare sulle cose vedute durante l’esecuzione ad esporle, rac- comandando di riassumere eventualmente il rispettivo modo di vedere rispetto ad alcune questioni e di fornire a tempo op- portuno il riassunto scritto al consocio Frenguelli perchè possa inserirlo nella sua relazione. Il socio De Angelis d’Ossat tiene molto a far rilevare come le osservazioni geologiche fatte in questi giorni intorno al pe- perino (Mattonaia Falcioni, Ponte Sodo, Bagnaia, ecc.) dimo- strano indiscutibilmente che il potente banco si costituì in un unico atto formativo di non lunga durata, mancando nel com- plesso della formazione qualsiasi accenno a diversi tempi ed a variazioni di apporto di materiali. Il socio Verri dice: Ventotto anni addietro pubblicai la me- moria sui Vulcani Cimini, che il collega Clerici, negli Appunti per una escursione geologica a Viterlto, con molta benevolenza qualifica importante; ma nella quale in realta la parte buona è ridotta a ben poco, dopo la caduta di alcune teorie, il pei- fezionamento dei mezzi di osservazione, coll’accuratezza mag- giore che si pone nelle ricerche, per l’attenzione maggiore che si fa alle osservazioni altrui. La caduta delle esagerazioni, nel considerare i rapporti tra le eruzioni di magma acidi e basici, mi scalzo la base, che mi aveva fatto prendere il monte Venere per un frammento del cono di Vico; le osservazioni sui rapporti tra il tufo lio- nato pomiceo con scorie nere della Campagna di Roma, e la pozzolana violacea ad esso associata, mi fanno oggi considerare il tufo analogo del territorio Viterbese quale pozzolana ti asfor- mata per alterazione dei componenti; la visita al così detto acciottolato di Bagnaia mi ha convinto, che la formazione del peperino è stata preceduta da eruzione di magma, avvenuta po- steriormente alla deposizione delle argille plioceniche. Il simpatico ricordo delle passeggiate fattevi mi porta a se- guire sempre, con vivo interesse, il progresso degli studi sui RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI LXXV terreni del distretto vulcanico Cimino, epperciò mi propongo di visitare i dintorni di Bomarzo, colle indicazioni favoritemi dal- l’ing. Sabatini, per vedere i rapporti da lui segnalati tra il pe- perino, le sabbie gialle e le ghiaie. Essendo poi divise le opi- nioni sulla genesi di questa tuttora misteriosa formazione, e dovendosi decidere: se il peperino sia di origine endogena ov- vero esogena; se sia l’ultimo prodotto eruttato dal Cimino, op- pure sia stato seguito da altre eruzioni, allo scopo di formarmi un criterio nello scegliere a quale delle opinioni possa meglio aderire, desidererei alcune spiegazioni dagli egregi studiosi, che si occupano in modo speciale della materia. Poiché essi sono stati invitati a dare un riassunto delle loro vedute, per inserirlo nella relazione delle escursioni, li pregherei pertanto di chiarire i seguenti punti: I. Per chi considera il peperino di origine endogena e pro- dotto posteriore alle roccie delle alture: Le ricerche hanno dato qualche indizio sul cratere, che avrebbe espulso il materiale del peperino? II. Per chi considera il peperino di origine esogena: Come si spiega la mancanza di stratificazione — sia pure quella gros- solana del detrito di falda — nel peperino, del quale la po- tenza a volte presentasi molto ragguardevole, e l’espandimento è spinto a distanze assai grandi dalla roccia, il cui prodotto di degradazione si pensa che lo abbia composto? Il socio Eantappiè si riporta alle sue precedenti pubblica- zioni intitolate Contribuzioni allo studio dei Cimini ove il let- tore potrà trovare risposta alle molte questioni accennate nelle discussioni e nelle conversazioni di questi giorni. Crede che la sua teoria svolta in dette pubblicazioni risponda meglio di ogni altra a tutte le obbiezioni che si possono fare. Non condivide l’opinione espressa dal Clerici nella sezione attraverso le forma- zioni cimine, inserita negli appunti per la escursione. Il socio Clerici risponde che, come ha dichiarato nelle note di guida per rescursione, la sezione da lui delineata è puramente ideale e fatta unicamente per conciliare fra loro le osservazioni dei precedenti autori; che ulteriori ricerche di dettaglio mostre- ranno fino a qual punto potrà rispecchiare il vero. LXXVI RESOCONTO DELLE ADUNANZE GENERALI Essendo esaurito l’ordine del giorno, il socio Bucca ringrazia a nome dei colleghi il presidente Portis ed il segretario Clerici per il bel programma della riunione e specialmente pel modo inappuntabile col quale è stato svolto. Applausi. La seduta è tolta alle 15, 45. Il Segretario Enrico Clerici. RELAZIONE della. Commissione aggiudicatrice del Premio Molon Sesto concorso rinnovato (L. 1000 indivisibili) Tema di Paleontologia L’assemblea generale della Società Geologica Italiana, nella tornata del 20 agosto 1905 in Tolmezzo, non essendo stato aggiudicato il premio del VI Concorso al Premio Molon, deliberò che il Concorso stesso venisse rinnovato, costituendo due premi indivisibili di L. 1000 ciascuno, con scadenza al 31 marzo 1908; da assegnarsi rispettivamente ad un lavoro di Petrografia e ad uno di Paleontologia su temi da. proporsi da apposita Commis- sione da nominarsi dal Presidente. La Commissione, composta dei soci Clerici E., Meli R. e Parona C. F., propose per la paleontologia il seguente tema: Studio di fossili di località italiane, accompagnato da con- siderazioni sulla loro importanza in rapporto alla stratigrafia ed alla cronologia. Il tema venne pubblicato nel bollettino della S. G. I., voi. XXIV (1905), pag. xlvi, e successivamente ripetuto nelle copertine dei fascicoli e distribuito ai soci anche in foglietti volanti. Giunti a tutto il 31 marzo u. s. i lavori dei concorrenti, il Presidente convocò, per il 22 aprile, il Consiglio Direttivo della Società, il quale nominò Commissari per il Concorso su tema di Paleontologia, i soci Bassani F., Fomasini C. e Tom- masi A.; ma avendo i soci Fornasini e Tommasi declinato defi- nitivamente l’incarico, la Commissione venne dal Presidente, per precedente incarico del Consiglio, completata con l’accet- tazione fatta dai soci Issel A. e Neviani A. vi LXXVIII RELAZIONE DEL PREMIO MOLON La Commissione così costituita prese in consegna i lavori, giunti in tempo utile alla segreteria della Società, risultando concorrenti al premio i signori: De Alessandri dott. Giulio, Fabiani dott. Ramiro, Prever dott. Pietro, Ugolini dott. Riccardo. I Commissari non poterono abboccarsi; ma presa successiva- mente visione dei lavori presentati dai concorrenti; scambiatisi per corrispondenza, ed in più volte, le loro idee; il Commissario dott. Neviani, per incarico dei colleghi, estese la presente re- lazione. De Alessandri Giulio. — Presenta un lavoro intitolato: Studi monografici sui Cirripedi fossili d’Italia , pubblicato nella Palaeontographia italica, voi. XII (1905), pag. 207-324, tav. XIII- XVI11 e fig. 1-9 intercalate. La memoria è così divisa: Note bibliografiche, pag. 1-6. Considerazioni sulla determinazione dei Cirripedi fossili, pag. 7-40. Parte sistematica, pag. 41-116. Parte iconografica, 6 tavole con 262 figure, oltre a 9 inter- calate nel testo. Le note bibliografiche comprendono l’indicazione accurata di 158 opere, tutte ripetutamente richiamate nel testo. II capitolo delle considerazioni sulla determinazione dei cirri- pedi fossili, che comprende la parte sintetica della pregevole mo- nografia, è senza dubbio il più interessante, e svolto con molto acume. Dopo un breve cenno storico, e detto delle cure che deve avere il paleontologo nella cernita del materiale, per l’esatta inter- pretazione delle parti, esaminati i caratteri sistematici, 1 A. passa a trattare delle variazioni dovute al mimetismo con interessanti osservazioni originali. Riassume quindi quanto si conosce sul- l 'habitat batimetrico e geografico, per dilungarsi poi sulla di- stribuzione geologica. Essendo la massima parte del materiale studiato dall’ A. raccolto da altri, manca un esame diretto dei RELAZIONE DEL PREMIO MOLON LXXIX singoli giacimenti; ma le località sono in genere geologica- mente e paleontologicamente molto note e le deduzioni quindi si debbono ritenere per sufficientemente attendibili. Il quadro comparativo posto a pag. 23 e 24 comprende solo le grandi divisioni e suddivisioni delle formazioni terziarie; ma ciò è più cbe sufficiente, sia per la non grande variabilità dei cipripedi nel tempo, sia perchè le troppo minute divisioni dei terreni hanno quasi sempre interesse locale, di scarsa o nessuna appli- cazione generale. L’esame comparativo poi della fauna a cirri- pedi dei vari giacimenti è molto minuto e può dirsi completo. Termina il capitolo uno studio sulla filogenia dei cirripedi, con minute e ben condotte osservazioni; ed è lodevole la pru- denza con la quale l’A. presenta a mo’ di conclusione, la sua tabella filogenetica. La parte sistematica, cui si connette quella iconografica con numerose ed efficaci figure, comprende la descrizione di 55 specie e varietà, riunite in 14 generi; 5 sono le specie nuove. Le no- tizie sui generi, le descrizioni delle specie sono accuratissime; le osservazioni ed i confronti esaurienti; la bibliografia intelli- gentemente sobria. Nel complesso la Commissione riconosce nella monografia del De Alessandri un lavoro molto pregevole, condotto egregia- mente, con lungo studio e grande amore, e che prova la spe- ciale competenza dell’ A. in questo non facile ramo della paleon- tologia. E da notare inoltre che questo lavoro, esteso a tutte le formazioni terziarie italiane, è il primo di tal genere che venga pubblicato da noi; giacche la classica monografia del Seguenza, che pur risale a 35 anni or sono, si riferiva solamente ai cirripedi terziari della provincia di Messina. È quindi un lavoro molto ben riuscito, degno di considerazione sotto il punto di vista paleozoologico, per quanto di limitata importanza in rapporto alla stratigrafia e cronologia geologica. Fabiani R. — Ha una memoria stampata, intitolata: Paleon- tologia dei Colli Perici , pubblicata nelle Memorie della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL), serie III, tomo XV, pag. 45- 247, con 6 tavole. lxxx RELAZIONE DEL PREMIO MOLON Comprende: Una introduzione, pag. 45-46. Esame della serie stratigrafica dei Colli Berici, pag. 47-74. Studio paleontologico in ordine sistematico, pag. 75-218. Elenco e distribuzione stratigrafica dei fossili, pag. 219-237. Caratteri paleontologici delle formazioni dei Berici, pa- gina 238-241. Indice bibliografico, pag. 242-247. Parte iconografica, 6 tavole con 148 figure. Resa, nell’introduzione, ragione della propria opera, l’A. passa nel primo capitolo ad un esame accurato e minuto della serie stratigrafica dei Colli Berici, dal cretaceo al quaternario, con prevalenza dei terreni eo-oligocenici; parte questa che, come avverte l’A., verrà illustrata da una carta geologica in glande scala e pubblicata a cura della sezione vicentina del C. A. I. La serie stratigrafica dei Colli Berici era in gran parte nota per precedenti lavori di valenti geologi italiani e stranieri, ma LA. ba potuto con le sue ripetute osservazioni e con le raccolte in si tu di ricco materiale litologico e paleontologico, meglio determinare la estensione delle singole divisioni, e toglieie di- screpanze che prima esistevano; principalmente quelle che riguar- dano gli strati di S. Giovanni Uarione e Ronca., il Piano di Priabona e i limiti fra l’oligocene e il miocene. Ya rilevato il fatto importante che, diversamente dall’opinione dell’Oppenheim, l’A. ha dimostrato come fra i differenti piani esaminati non esiste discontinuità di sedimentazione per trasgressione o per disturbi tettonici. Nello studio paleontologico si ha la revisione di tutto il ma- teriale finora segnalato nei Berici, il cui elenco sale al numero di 621 specie, per la maggior parte raccolta dall’ A., compreso il proprio contributo di ben 230 da aggiungersi a quelle già note, con 29 nuove per la scienza, delle quali 12 furono già pubbli- cate dall’A. nel 1905, in una sua nota preventiva. Il copioso materiale si estende a poche specie vegetali ed a quasi tutte le classi degli animali, dai foraminiferi ai mammi- feri. La trattazione dei singoli gruppi non ha avuto però, per parte dell’ A., eguale sviluppo; così sono semplici elenchi con circa 460 specie quelli delle piante, dei foraminiferi, del maggior RELAZIONE DEL PREMIO MOLON LXXXI numero dei celenterati, dei briozoi, ed anche di buona parte dei vertebrati. Più attentamente studiati sono i bracliiopodi ed i molluschi, per quanto fra questi vi sieno specie la cui deter- minazione lascia qualche dubbio; gli echinodermi, poi, formano argomento speciale di studio, così che questo solo capitolo (pa- gine 108-137) costituisce di per se una pregevole monografia echinologica. Le 160 specie prese più direttamente in esame, delle quali 83 sono illustrate da 148 figure, sono per lo più accompagnate da descrizioni sobrie ed efficaci, con una misurata sinonimia, e con la precisa indicazione dei livelli stratigrafici ove furono raccolte; seguite spesso da utili osservazioni e considerazioni sull’estensione orizzontale e verticale della specie. Nel capitolo III, esaminando ad uno ad uno i gruppi siste- matici dalle piante ai vertebrati, l’À. mette in evidenza i prin- cipali caratteri di ciascun gruppo in relazione alla facies, alla biologia, allo sviluppo orizzontale e verticale, alla importanza stratigrafica, alla frequenza o rarità delle famiglie, generi e specie. Come chiusa di questo capitolo, che è condotto bene, ma al quale sarebbe stato opportuno dare una maggiore esten- sione in rapporto anche alle regioni vicine, l’A. accenna bre- vemente alle vicende attraversate dall’area berica dal finire del cretaceo fino alla sua totale emersione dal mare, quali si possono ricostruire in base allo studio tettonico, litologico e pa- leontologico della serie stratigrafica. La monografia termina con un indice bibliografico di 147 pubblicazioni consultate e citate nel testo. La Commissione riconosce nella monografia del dott. Fabiani, un lavoro, frutto di molti anni di ricerche in campagna e in laboratorio, che ha una notevole importanza per la geologia dei Colli Berici. È bensì vero che i vari gruppi di organismi furono trattati con vario sviluppo; ma la determinazione delle numerose specie, alcune volte convalidata dal parere di specia- listi, e la raccolta fatta in situ dall’A., per la maggior parte di esse, compensano la lacuna accennata; la intelligente discus- sione sui risultati di altri geologi, tutto dà sicuro affidamento alle deduzioni stratigrafiche e cronologiche presentate dall’A., al quale spetta quindi il non lieve merito di aver posto le basi LXXXII RELAZIONE DEL PREMIO MOLON di un futuro studio generale e comparativo di tutto il Terziario Veneto. Prever P. L. — Nummuliti ed Orbitoidi di alcune località italiane. È questo il titolo della monografia presentata al Con- corso dal dott. Prever. Essa è interamente manoscritta e divisa in due volumi (formato protocollo), con 363 pagine di testo ed un atlante di 18 tavole con 444 figure fotografate. Il primo volume contiene: Cap. I. — Stato attuale delle nostre cognizioni intorno alle nummuliti ed alle orbitoidi. Loro importanza stratigrafica e loro distribuzione nei terreni sedimentari italiani. Cap. IT. — Bibliografia. Cap. III. — Cenni geologici sommari sui giacimenti più notevoli presi in esame. Cap. IV. — Distribuzione cronologica delle nummuliti e delle orbitoidi nel terziario italiano. Cap. V. — Cenni sommari sulla sistematica delle num- muliti e delle orbitoidi. Il secondo volume contiene la parte sistematica, compren- dente la descrizione delle forme riferibili a Pruguierea, Lahar- peja, Guembelia, Paronaea ed Assilina. Nel primo capitolo l’A., con lodevole rapidità, espone la storia degli studi fatti sulle N. e sulle 0. toccando i punti più salienti di essa, in modo da mettere in evidenza le attuali defi- cienze, facendo seguire una enumerazione sommaria di quanto resta a farsi per completare tali studi e quali le difficoltà cbe si possono incontrare. Termina il capitolo un rapido sguardo alle principali località italiane, ove trovansi giacimenti ricchi di questi fossili. La bibliografia è ricchissima. Essa consta della citazione di oltre 700 lavori, i quali direttamente od indirettamente trattano di N. e di 0., e può ritenersi completa per quanto riguarda i lavori italiani, i quali furono per la massima parte (come è espressamente indicato) consultati dall A. Tale bibliografia ge- nerale, per la prima volta viene presentata agli studiosi, giacche quelle del d’Archiac e De la Harpe sono ormai vecchie e rela- tivamente ristrette. Quelle più recenti del Sherborn (1893-96) RELAZIONE DEL PREMIO MOLON LXXXIII e del Toutkowsky (1888-1898) comprendono tutti i foraminiferi, e sono incomplete. Il terzo capitolo dedicato allo studio di alcuni fra i princi- pali giacimenti nummulitici, molti dei quali furono esplorati dall’A. Essi sono: il giacimento eocenico di Mortola, le forma- zioni eocenica di Gassino e miocenica dei Colli torinesi, i gia- cimenti langhiani di Rosignano e dintorni, i giacimenti della Lombardia, quelli dei Colli Berici, le formazioni eoceniche del Friuli orientale. Seguono appunti più ristretti sui giacimenti a N. ed 0. dell’Appennino centrale e meridionale. Di speciale interesse lo studio del deposito di Gassino in cui l’A. riesce a distinguere 5 orizzonti ben determinati; della formazione miocenica dei Colli torinesi, per la quale in un accu- rato quadro sinottico indica la successione dei diversi orizzonti; del deposito di Rosignano Monferrato e dintorni, in cui porta anche un contributo alla questione delle Lepidocycline e delle Miogypsine. La distribuzione cronologica delle N. ed 0. nel terziario italiano (cap. IY) è trattata a fondo dall’A., quale poteva aspet- tarsi dalle estese e profonde sue cognizioni sull’argomento. Esa- minando numerosi giacimenti italiani e stranieri ben noti, giunge alla formazione di un interessante e ben disposto quadro, che pone in evidenza la scala delle N. ed 0., utilissima e di facile applicazione per l’Italia. Correda il capitolo anche un quadro della distribuzione e dello sviluppo delle forme nummulitiche ed orbitoidiche. Il quinto ed ultimo capitolo della parte generale, col mo- desto titolo di « Cenni sommari sulla sistematica delle N. ed 0. » contiene appunti interessantissimi e dotti sulla diffìcile questione della filogenesi ed anche della ontogenesi delle forme nummu- litiche, per giungere alla classificazione, dopo avere fatto una succinta ed efficace critica di quelle precedentemente proposte. Meno minute, dato l’attuale stato degli studi, ma non meno interessanti, sono le osservazioni sulle orbitoidi, per le quali l’A. rigetta tutti i nuovi generi proposti recentemente da vari studiosi, non trovando in essi quei caratteri tassinomici che meglio servono a distinguerli ed a determinare gruppi filoge- neticamente ben collegati. LXXXIV RELAZIONE DEL PREMIO MOLON La seconda parte, che occupa metà della monografia, com- prende la descrizione delle forme esaminate. In essa vengono studiate solamente le nummuliti, riunite nei sottogeneri JBru- gwierea e Laharpeia della sezione Camerino,; Guembelia e Pa- ronaea della sezione Lenticulina; e della sezione o sottogenere (genere per altri) Assilina. Le specie di cui è parola, sono 82, delle quali due sole sono nuove e vengono solamente ora fatte conoscere agli studiosi; e però da notare che delle altre, 20 sono del Prever stesso, e che vennero o descritte o semplicemente accennate in lavori prece- denti. Le descrizioni sono minute, ben condotte ed esaurienti; la bibliografia è sobria, mentre si abbonda giustamente nelle misure; le osservazioni sulla distribuzione orizzontale e verticale, sul- V habitat, eco., completano le singole monografie. Tutte le specie, meno 4, sono illustrate nel bellissimo atlante di 18 tavole, ricco di 444 riuscitissime figure, tutte fotografate. La monografia del dott. Prever è degna di molta conside- razione per l’ordine con cui è esposta, per la giusta misura con cui sono trattate le varie parti che la compongono, per la ric- chezza della bibliografia e delle illustrazioni, per la serietà delle riflessioni sulla sistematica dei fossili studiati, per la sobrietà e l’efficacia delle descrizioni, per il valore delle osservazioni sulle singole specie, per la prudenza delle conclusioni e per la grandissima copia del materiale esaminato. Nella parte gene- rale le nummuliti e i generi affini sono considerati dall A. sotto tutti gli aspetti. Difficilmente si potrebbe trattare la materia con maggiore competenza. Notevoli per l’importanza e le interpretazioni originali i cenni geologici relativi ai giacimenti di Gassino, dei Colli torinesi ed altre località dell’ Appennino settentrionale ; quindi le conclu- sioni cui giunge relativamente alla distribuzione verticale delN. ed 0. sono attendibilissime, ancorché buona parte del materiale studiato non sia stato raccolto dall’ A. e non abbia perciò diret- tamente esaminati tutti i giacimenti di cui è parola nel lavoro. L’A. non potè per mancanza di tempo, come esso avverte, completare la monografia studiando le specie provenienti dal- l’Istria, dal Veronese e dal Vicentino; come pure la parte siste- matica manca di tutto quanto riguarda le orbitoidi. RELAZIONE DEL PREMIO MOLON LXXXV Ugolini Riccardo. — Ha inviato per il concorso una sua Monografia dei Pettinidi neogenici della Sardegna. Questa monografia è divisa in tre parti, delle quali le prime due sono già pubblicate nella Palaeontographia italica (voi. XII e XIII, 1906-1907) e la terza è manoscritta. Nella prima parte (P. I., voi. XII, pag. 155-206, tav. 10 a 12), dopo poche parole d’introduzione, si passa subito alla parte sistematica ove si tratta dei generi Chlamis, con i sot- togeneri Aequipecten, Flexopecten, Lyropecten e Gigantopecten - Hinnites , Inaequipccten, con 34 specie e sette varietà. Nella seconda parte (P. I., voi. XIII, pag. 233-242, tav. 21) continua la sistematica trattando dei generi Amussium e Amussiopecten con 8 specie. Nella terza parte si completa la enumerazione con altre due specie del genere Amussiopecten e 21 specie ed una varietà dei generi Flabellipecten e Pecten. La parte iconografica consta di 8 tavole, delle quali quattro doppie, contenenti 88 figure che rappresentano 46 sp. e var., con 12 sp. e 5 var. nuove. La monografia è completata da un capitolo di considerazioni cronologiche e stratigrafiche sui principali giacimenti miocenici della Sardegna, e cioè quelli di Capo S. Marco, Bonaria e San Bartolomeo, Fontanazzo, San Michele, Is Meriones, Capo Frasca, Torre Iscala e Capo S. Elia. Il presente lavoro del dott. Ugolini è molto diligente ed ac- curato, e porta un notevole contributo alle cognizioni di una famiglia di lamellibranchi assai ricchi di specie, fra le quali non poche sono difficili a distinguersi fra loro e diedero luogo a controversie fra i paleontologi. Le diagnosi sono assai buone, corrette e particolareggiate ; molto bene riuscite le figure ; forse le specie sono troppo numerose e suscettibili di alcune fusioni. I fossili, quantunque non rinvenuti dall’ A. (il quale, come egli stesso scrive, non conosce le condizioni geologiche dei luoghi, e rimette le conclusioni al prof. Lovisato) furono però in gran parte raccolti da un geologo (appunto il prof. Lovisato) e per conseguenza non lasciano dubbi sulla loro provenienza e sui vari livelli stratigrafici in cui vennero trovati. Senonchè si tratta di una sola famiglia di organismi, i quali non pare abbiano LXXXVI RELAZIONE DEL PREMIO MOLON tutta quella importanza cronologica voluta dall’A., il quale loro attribuirebbe la stessa importanza riconosciuta alle Ammoniti. D’altro canto l’età dei giacimenti compresi nella monografia in discorso è già quasi interamente nota per le ricerche di prece- denti autori ; nè esistono disaccordi notevoli, che ad ogni modo non potrebbero risolversi col materiale esaminato dall’Ugolini. Infatti, come egli stesso osserva lodevolmente, di questa fauna pettinologica, le parecchie forme nuove «... non possono offrirci nessuna indicazione cronologica..., nè migliori risultati possiamo aspettarci da quelle altre specie — e non sono poche che, per essere poco diffusamente rappresentate nei più noti bacini miocenici, sono esse pure cronologicamente mal definite ... ; al- cune . . . sono comuni a più piani geologici ... ; le specie . . . sulle quali soltanto può farsi serio affidamento per una valutazione cronologica esatta dei giacimenti donde provengono, si residuano a poche ...» * * * I Commissari rilevano con piacere l’esito del presente Con- corso, che deve considerarsi per molto buono. Pochi certamente fu- rono i concorrenti, in confronto alla numerosa schiera di valorosi paleontologi che conta l’Italia, ma se si tiene calcolo di molte- plici circostanze (condizione professionale ed economica, età, ecc.) che poterono determinare l’astensione di molti, e sopra più se si considera la bontà delle opere presentate al concorso, si ha ragione, come ora si diceva, di dichiararci soddisfatti. I quattro lavori innanzi esaminati, sono tutti, senza ecce- zione, degni di considerazione ; va quindi data lode incondizio- nata a ciascuno di essi. E la Commissione aggiudicatrice ha dovuto penare per giungere, con successive eliminazioni, ad in- dicare il concorrente cui assegnare il Premio. II lavoro del dott. Ugolini, per la scarsità del materiale stu- diato e per le modeste considerazioni geo-cronologiche sta in- dubbiamente in seconda linea. I lavori del De Alessandri, Fabiani e Prever sono pregevo- lissimi, e se il Premio fosse stato divisibile, avrebbe ciascuno di essi, senza dubbio alcuno, avuto diritto di parteciparvi. RELAZIONE DEL PREMIO MOLON LXXXVII Nel caso attuale, poiché il premio non può frazionarsi, oc- corse pesare con scrupolo e considerare più a fondo i predetti lavori, controbilanciare, diciamo così, le qualità positive e ne- gative, le parti buone con le deficienti. L’opera del De Alessandri più facilmente si presta ad una seconda eliminazione. È un eccellente lavoro in cui prevale il carattere zoologico ; ma in rapporto alla cronologia (per ragioni indipendenti dall’A., la cui competenza sull’argomento è indi- scutibile) non ha grande importanza. Si potrebbe rilevare anche qualche inesattezza, specialmente nella parte relativa al mime- tismo, come si può ricordare che la maggior parte del mate- riale non venne raccolta dall’Autore. Rimangono quindi a contendersi il premio i due lavori del Fabiani e del Prever. I Commissari si mostrarono a lungo in- decisi sulla preferenza. I pregi ed i difetti si controbilanciano. Esaminiamo : a) L’estensione topografica si riferisce: 1° a tutta l’Italia per il Prever; 2° ai soli Colli Berici per il Fabiani. b) La trattazione, in rapporto alla estensione topografica è : 1° completa per il Fabiani ; 2° incompleta per il Prever. c) La estensione cronologica dei fossili studiati, si riferisce ai terreni che vanno: 1° dal cretaceo al quaternario, con prevalenza di quelli eo-oligocenici, per il Fabiani; 2° dall’eocene al miocene per il Prever. d) La raccolta nel materiale fu fatta: 1° quasi per intero dal Fabiani; 2° per buona parte dal Prever. e) La quantità del materiale studiato è: 1° enorme per il Prever; 2° copiosa per il Fabiani. f) La estensione sistematica dei fossili studiati si riferisce: 1° a tutta la serie degli organismi per il Fabiani ; 2° ad un solo gruppo per il Prever. g) La trattazione della parte sistematica è: 1° completa per il Prever; LXXXVIII RELAZIONE DEL PREMIO MOLON 2° Per il Fabiani possono distinguersi: gli echinodermi, trattati completamente, dai molluschi e brachiopodi, svolti suf- ficientememte, e dagli altri gruppi la cui trattazione è scarsa o nulla. li) Le difficoltà per la determinazione specifica sono: 1° maggiori per le nummuliti (Prever) di quelle; 2° per i gruppi più studiati dal Fabiani. i) Per il numero delle specie di cui si tratta nei due lavori: 1° il Fabiani presenta un elenco di 621 specie, delle quali 230 sono nuove per i Colli Berici e 29 nuove per la scienza; di tutte queste solo 160 sono più direttamente e minutamente prese in esame; 2° il Prever descrive 82 specie, con 22 nuove. le) Lo studio sintetico generale con nuovi contributi, che meglio rilevano le conoscenze paleontologiche dell’Autore, è : 1° esauriente per il Prever; 2° scarso per il Fabiani. li) Le considerazioni sulla parte stratigrafica e le conseguenti conclusioni per le applicazioni cronologiche sono: 1° esaurienti per il Fabiani; 2° buone per le regioni direttamente studiate dal Prever. m) La bibliografia presentata è: 1° ricchissima per il Prever (711 citazioni); 2° abbondante per il Fabiani (147 citazioni). n) La parte iconografica è parimenti: 1° ricchissima per il Prever (444 figure) ; 2° abbondante per il Fabiani (148 figure). I due autori, ci si permetta l’espressione, corrono quasi alla pari, ed il Prever passa innanzi al Fabiani per un punto; ma questo non sarebbe sufficiente di per sè a decidere, giacche po- trebbe dipendere da una somma maggiore di considerazioni che potrebbero ritenersi per secondarie. Ma se concentriamo la no- stra attenzione sulle questioni principali (h ed l) troviamo che se il Prever primeggia per lo studio paleontologico, il Fabiani è primo per le sue conclusioni stratigrafico-cronologiche ; e quindi di nuovo si troverebbero alla pari. Ma conviene pure osservare che anche le conclusioni del Prever sono attendibilis- sime. Si potrà obbiettare da alcuno che il materiale del Fabiani RELAZIONE DEL PREMIO MOLON LXXXIX è stato tutto o quasi tutto raccolto da lui stesso, e che quello del Prever è in parte raccogliticcio ; ma è facile rispondere che le deduzioni del Prever sono tratte dallo studio dei fossili di quelle località che ha egli stesso esplorato; e se il Prever si limitava nella sua monografia a parlare solo di queste, il lavoro poderoso di questo concorrente nulla avrebbe perduto della sua importanza. Le sue conclusioni sono generali, esse hanno larga applicazione per tutti i terreni nummulitici d’Italia e fuori. Al- trettanto forse non può, a questo riguardo, dirsi del lavoro del Fabiani, il quale avrà il suo benefico riflesso in regioni più limitate. D’altra parte, a definitivamente decidere, interviene l’interpretazione del tema di concorso. Esso dice : « Studio di fos- sili di località italiane, accompagnato da considerazioni sulla loro importanza in rapporto alla stratigrafia e alla cronologia », ed il concorso è intitolato: « Tema di Paleontologia ». Quindi la parte paleontologica deve avere la preferenza, ed è la prima da considerarsi. E che così fosse nell’intendimento dell’Assem- blea di Tolmezzo, lo si rileva dal fatto che contemporaneamente al tema di paleontologia, venivano banditi altri due concorsi: l’uno di Petrografia e l’altro di Geologia (geo-tettonica). Ora non vi ha dubbio che la memoria del Prever è preci- samente più conforme ai termini del concorso, rispetto al la- voro del Fabiani, che potrebbe più opportunamente intitolarsi, come notava uno dei Commissari, « Stratigrafia e paleontologia dei Colli Berici ». In altre parole le nummuliti sono propria- mente l’oggetto precipuo dello studio del Prever, mentre i fos- sili illustrati dal Fabiani sono il mezzo messo in opera per in- vestigare la successione stratigrafica dei Colli Berici. Per queste ragioni la Commissione giudica degno del Premio Molon per la Paleontologia (Lire Mille) il lavoro del dott. Pietro Prever. Roma, 18 Settembre 1908. A. ISSEL, F. Bassani, Ant. Neviani, relatore . RELAZIONE della Commissione aggiudicatrice del Premio Molon Sesto concorso rinnovato (L. 1000 indivisibili) Tema di Petrografia Studio idrografico di roccie massicce nei depositi filoniani o laccolitici di località italiana, accompagnato da osservazioni relative alle roccie incassanti e da considerazioni geologiche. Illustre Presidente, A concorrere al Premio suddetto si e presentato un solo candidato, il dott. Piero Aloisi, con un lavoro dal titolo: Pioccie granitiche negli scisti della parte orientale dell’isola d’Elba. L’A. studia gli scisti cosidetti gneissici della regione orientale dell’isola e precisamente del tratto di terreno compreso fra la Valle del Fosso di Mar di Carvisi e Porto Longone; scisti con- siderati appartenere alla formazione più antica dell’Elba (forse siluriani, certamente precambriani). L’A. descrive le modifica zioni cbe questi scisti mostrano al contatto dei numerosi filon- celli granitici che l’attraversano, specialmente alla loro parte inferiore. L’A. crede che le due specie litologiche (la granitite, consimile a quella di Monte Capanne, e l’aplite), di cui sono costituiti i filoni, non debbano considerarsi come dovute alle dimensioni dei filoni o da iniezioni differenti, perchè vi è graduale passaggio dall’una all’altra, anche nello stesso filone; ma non ne dà esauriente dimostrazione. L’A. non ammette l’ipo- tesi del Lotti, che cioè i filoni granitici succitati siano prodotti di secrezione degli scisti incassanti, e sarà, ma l’A. avrebbe potuto fermare un po’ più il suo studio alla zona di contatto per darne le prove irrefutabili. L’A. non ammette quindi, come RELAZIONE DEL PREMIO MOLON XCI vorrebbe il Lotti, che quelle vene o lenti di quarzo, che si tro- vano negli scisti in questione, possano considerarsi come uno stadio intermedio di secrezione tra gli scisti e i filoni granitici; infatti, egli giustamente rileva che queste vene o lenti di quarzo, sono più frequenti negli scisti lontani dalla zona di contatto coi filoni. L’A. nota che la Tormalina, tanto negli scisti che nel granito, debba considerarsi come dovuta ad azione pneumato- litica posteriore all’iniezione dei filoni, ma valea la pena di dimostrarlo. Contrariamente all’asserzione del Lotti che la Tor- malina escluda la presenza della Biotite e viceversa questa quella, l’A. trova invece spesso tutte e due assieme. L’A. infine opina, diversamente dal Lotti, che le iniezioni dei filoni grani- tici debbano ritenersi anteriori al sollevamento appenninico, cioè preterziare, dappoiché secondo lui, le roccie granitiche della parte orientale dell’Elba mostrano di aver subito delle azioni meccaniche molto energiche, dovute ai movimenti orogenetici corrispondenti al sollevamento appenninico; ma l’A. non dà prove convincenti della sua asserzione, che non è di poco peso per l’importanza geologica del tema trattato. Per lo studio delle roccie l’A. si serve dell’analisi chimica e della micropetrografica. Riguardo alla prima sarebbe stato più conveniente che le sue deduzioni fossero state basate sopra un numero maggiore di analisi, piuttosto che estendersi tanto in considerazioni teoriche per applicare la teoria Osann-Gru- benmann, che per quanto ingegnosa, risente molto d’artificio e che merita ancora il controllo da persona non suggestionata e con lo studio di abbondante e variato materiale. Nell’analisi micropetrografica l’A. non spiega tutta quell’attenzione che me- ritava il soggetto e ch’egli certamente poteva dedicarvi, e così egli riesce poco chiaro, lasciando il lettore in dubbio sull’esat- tezza della determinazione e però sull’asserita presenza di alcuni minerali nelle roccie studiate. Notevole è la mancanza di sezioni geologiche illustrative e di fotografie dei punti più interessanti per la tesi, che all’ A. non sarebbe stato difficile di eseguire; non che di una cartina geologica dimostrativa della zona di contatto studiata. XCII RELAZIONE DEL PREMIO MOLON La Commissione pertanto delibera di non potersi assegnare il Premio Molon al lavoro del dott. Aloisi, perchè il tema proposto non vi fu con- venientemente svolto nelle sue diverse parti. La Commissione fa rilevare l’importanza dell’argomento trattato dal dott. Aloisi, che è di massimo interesse geologico per l’isola d’Elba, e petro- grafia per l’intrigato studio degli scisti cristallini e che merita di essere meglio approfondito e svolto esaurientemente; fa rile- vare altresì che il dott. Aloisi e per la sua cultura e le sue attitudini scientifiche, per gli studi già eseguiti sull’importante località, meriti di essere incoraggiato anche materialmente, onde potere ritoccare e completare il suo lavoro, giusta le osserva- zioni suesposte; e perciò la Commissione fa vivissimi voti affinchè la Società geologica italiana voglia accordare al dott. Piero Aloisi un sussidio di L. 500 (cinque- cento) a titolo d’incoraggiamento per il lavoro intrapreso e di cooperazione alle spese sostenute e da sostenere pei portarlo a compimento. La Commissione chiude la presente porgendo i più sentiti ringraziamenti alla Società geologica per il delicato mandato a Lei affidato. Settembre 1908. Giorgio Spezia, E. Matti ro lo, Lorenzo Bucca, relatore. RELAZIONE della Commissione aggiudicatrice del Premio Molon Settimo concorso. (L. 2000) Tema di Geologia Nel rendere conto dell’onorifico mandato affidatole dal Presi- dente, la Commissione giudicatrice del settimo Concorso Molon è lieta di poter annunciare, che il Concorso stesso sul tema « Stadio geo-tectonico di gualche gruppo montuoso italiano poco noto » ebbe un esito completo e brillante, per il numero dei lavori presentati, per l’importanza ed i pregi della maggior parte di essi e di due in modo particolare. Infatti cinque furono i con- correnti, ed ecco i titoli dei loro lavori, che qui si indicano prima di procedere al loro esame sommario. 1. F. Masciaki Genovese — Come si sono formate le mon- tagne? — (Roma, Rivista d’Italia, fase, febbraio 1908). 2. Agere non loqui — Geo-tettonica del gruppo montuoso di Judica (Prov. di Catania) — manoscritto, con 9 profili, 6 ta- tavole fotografi, 1 cartina geologica. 3. G. B. Cacciamali: 1. Geologia della Collina di Castenedolo e connessavi gue- stione deU’uomo pliocenico, 2 tav. — - Comment. dell’Ateneo di Brescia, 1896. 2. Rilievo geologico tra Brescia e Monte Maddalena, 1 carta geolog. — ibid. 1899. 3. Studio geologico della regione montuosa Palosso- Conche a nord di Brescia, 1 carta geolog. — ibid. 1901. 4. Osservazioni geologiche sulla regione tra Villa Cogosso ed Brago Mella, 1 carta geolog. — ibid. 1901. 5. Bradisismi e terremoti della regione benacense, 4 tav. — ibid. 1902. 6. Studi geologici dei dintorni di Collio, 1 carta geolog. — ibid. 1903. VII XCIV RELAZIONE DEL PREMIO MOLON 7. Studi geologici della regione Botticino- Serie- Gavar do, 1 carta geolog. e profili — ibicl. 1904. 8. Rilievo geologico della regione tra Monticelli , Ome , Sajano e Gussago, 1 carta geolog. e 2 profili — ibicl. 1904. 9. Rilievi geo-tectonici tra il Lago d isco e la Valtrompia, 1 carta geolog. e 10 profili — ibicl. 1906. 10. L' Anfiteatro morenico del Sebino, 1 carta geolog. ibicl. 1907. 4. P. E. Vinassa DE Kegny e M. Goutani — Studi geologici sul nucleo centrale delle Alpi Carniche. Testo dattilogr. e manoscr., con numerose figure e tavole, carta geologica nella scala di 1:25.000, ed Allegati {Appendice paleontologica, formata da 2 tavole, ri- spettivamente con 70 e 10 figure, di fossili caratteristici dei diveisi piani e relativa spiegazione manoscritta); sei pubblicazioni di Gortani {La fauna degli strati a Bellerophon della Gamia, in- 8°. 3 tav. Perugia, 1906; Fauna pernio-carbonifera del Colle di Mezzodì, in-4°, 3 tav. Pisa, 1096; Fauna devoniana, in-4°, 2 tav. Pisa, 1907; Le faune a Glimenie del M. Primosio, in-4°, 2 tav. Bologna, 1907), di Vinassa e Gortani {Fossili carbo- niferi del il/. Rizzai e del Piano di Lanza, in-8°, 4 tav. Boma, 1905), e di Vinassa ( Graptmti carniche, in-8°, 1 tav. Roma, 190 < ). 5. Laboravi fidenter — Studi geotettonici sulle Alpi Orientali. Regione fra il Brenta e i dintorni del lago di S. Croce. Testo manoscritto di 407 pag., con fotografie e disegni inter- calati. Carta geologica, 1:25.000, della regione studiata (35 fogli che servirono per il rilevamento di campagna). Carta geologica in 4 fogli, 1:100.000, riduzione della precedente. Carta geo- logica, 1: 75.000, della regione fuori confine. Quattro tavole di sezioni, con due profili ciascuna, secondo le direzioni tracciate sulla carta geologica al 25.000, normali all’andamento delle pieghe. * l.° Il sig. F. Masciari Genovese, presenta al concorso un opuscolo col titolo: Come si sono formate le montagne? A parte l’osservazione essenziale, che il lavoro non coni- sponde affatto ai termini del Concorso, esso non potrebbe essere preso in considerazione, perchè non contribuisce in modo note- RELAZIONE DEL PREMIO MOLON XCV vole, uè per genialità di concetti, nè per dottrina, alla diffi- cilissima questione, a trattare la quale l’A. non sembra suffi- cientemente preparato. 2. ° « Agere non loqui » è il motto che contraddistingue un lavoro manoscritto sulla Geo-tettonica del gruppo montuoso di Judica (Prov. di Catania). Chiaro e sintetico è il riassunto dei precedenti lavori sul gruppo. Il capitolo relativo al Trias superiore è un notevole contri- buto alla conoscenza del Trias siciliano, dimostrando l’A. cogli elenchi dei fossili, di determinazione in gran parte originale, la ricchezza della fauna nei tre primi membri e la esattezza dei riferimenti cronologici. Il capitolo sui terreni del Flyscli non contiene nulla di nuovo e vi si accenna, senza risolverlo, nè chia- rirlo con nuove osservazioni, al problema degli spuntoni di cal- care ippuritico con fossili titoniani rimaneggiati, che l’A. pur riconosce interessante. Troppo poco dice intorno al Postpliocene e Recente, e per le « Roccie intrusive » si riferisce ai risultati dei lavori precedenti. La costituzione e struttura del M. Judica sono illustrate da una cartina geologica, da sei fotografie panoramiche e da nove profili: con il controllo della carta e delle fotografìe, e colle note descrittive, i profili riescono convincenti e dinotano buona prepa- razione ed attitudine alle ricerche sul terreno. La tettonica del rilievo, che l’A. paragona ad un’onda gigantesca, è semplice: una cupola ellissoidale corrispondente ad una anticlinale, con movenze varie a seconda del tracciato delle sezioni e con qualche disturbo dovuto a faglie, di cui una in relazione con un dicco di roccia eruttiva. Nel rilevare i rapporti di giacitura delle roccie, l’A. non ne trascura l’influenza sul decorso delle acque sotterranee e sulle sorgenti. In complesso il capitolo sul Trias e quest’ultimo dedicato alla tettonica sono effettivamente i soli costituenti un nuovo e pregevole contributo allo studio del gruppo montuoso del Judica. 3. ° Il prof. Gf. B. Cacciamali presenta sette memorie, che riguardano la geologia della provincia di Brescia, pubblicate dal 1896 al 1907, delle quali cinque costituiscono un insieme coordi- nato, che si può considerare come saggio per una descrizione della Prealpe bresciana. Nel primo lavoro, (1896) Sulla geologia XCVI RELAZIONE DEL PREMIO MOLON della collina di Castenedolo, l’A., riferendo all’Ateneo di Brescia sull’esito negativo delle nuove indagini per chiarire la questione del cosidetto uomo pliocenico di Castenedolo, presenta una det- tagliata monografia dell’interessante colle, studiato nella sua ossatura pliocenica e nel suo rivestimento quaternario. Nel secondo (1899), fa una minuta descrizione stratigrafica e litologica della serie liasica, dallo charmutiano superiore al sinemuriano inferiore, che si succede tra Brescia e 3L. 3Iad- dalena, distinguendone i vari orizzonti, per i quali meno oppor- tunamente istituisce nuove denominazioni, a cui del resto l’A. ri- nuncia nel lavoro successivo del 1901 ; nel quale estende i suoi rilievi a nord di Brescia nella regione Palosse- Conche, dove, ai terreni Basici si aggiungono quelli dell’infralias e la serie giurese. In questo lavoro, in base alla tettonica, sviluppa le osservazioni e le considerazioni sulle evoluzioni oro-idrografiche del suolo, che costituiscono uno dei pregi più notevoli dei lavori in esame, alle quali darà sviluppo ancora maggiore nelle suc- cessive pubblicazioni. Lo stesso indirizzo è seguito nell’altra nota, colla stessa data, sulla regione tra Villa Cogosso e TJrago 3Iella, ed in quella, del 1904, sulla regione JBotticino, Serie, Gavardo, come le precedenti accompagnate dalle cartine geologiche delle regioni rilevate e da profili geologici. Ad esse fanno seguito altre tre note: Il rilievo geologico della regione tra Monticelli, Ome, Sajano e Gussago; Rilievi geo-tecto- nici tra il Lago d' Iseo e la Valtr ampia; L’anfiteatro morenico del Sebino. Nella prima enumera le varietà litologiche costituenti nell’insieme la regione, con brevi cenni paleontologici a prova dei riferimenti cronologici. — Certe denominazioni non sembrano opportune, come quella di ceppo all’alluvione cementata, che rife- risce al messiniano. — Più interessante e degna di considera- zione è la parte relativa all’orogenesi: si può muovere l’ap- punto che troppe cose l’A. vuole spiegare nei rapporti tra l’o- rogenesi e l’oro-idrografìa, ma certamente le conclusioni hanno un interesse non limitato alla piccola regione esaminata, e pos- sono essere apprezzate nello studio dell orogenesi di tutta la Prealpe Bresciana. Come descrizione regionale sembra meglio condotta quella che costituisce il secondo lavoro, specialmente per le osserva- RELAZIONE DEL PREMIO MOLON XCVII zioni di dettaglio, raccolte in appositi prospetti, sulle caratte- ristiche paleontologiche, sulla tettonica e sulle sorgenti. È uno studio essenzialmente tettonico, ad illustrazione della carta geolo- gica e dei profili, che tende a dimostrare, come caratteristica della regione, la presenza di un solo sistema di corrugamento, connesso con tre sistemi di fratture-rigetto; esso è accompagnato da un riassunto critico delle osservazioni dei geologi che pre- cedettero FA.. Come nel precedente lavoro, a proposito dell’oro- genesi, ricerca i fattori del modellamento oro-idrografico, pas- sando in rassegna le trasformazioni mioceniche, plioceniche e quaternarie. Il terzo lavoro è una minuta descrizione dell’area sulla quale si svolge l’anfiteatro morenico del lago d’Iseo, già ben noto nei suoi caratteri generali per le ricerche di numerosi geologi, che se ne occuparono dopo Omboni e Stoppani, con una nuova in- terpretazione delle masse moreniche, secondo l’indirizzo dato dal Peuck allo studio dei fenomeni glaciali. Con questo nuovo studio, FA. ritiene d’avere raccolto le prove della successione delle quattro glaciazioni già riconosciute oltr’Alpe, e scoperto le traccie di depositi lacustri della seconda e terza fase interglaciale. Ri- cercando poi i rapporti fra i depositi glaciali e le roccie in posto, sulle quali essi si adagiarono, l’A. ebbe anche occasione di rile- vare la sinclinale, che la serie mesozoica forma a Borgonato e che giova a chiarire la tectonica della serie stessa. La Prealpe bresciana è, com’è noto, già molto studiata e abba- stanza ben conosciuta: tuttavia FA. seppe raccogliere e porre a profitto numerosi fatti di dettaglio, per i quali realmente si avvantaggia la conoscenza geologica della regione stessa, sia per riguardo alla tectonica, come allo svolgersi dei fenomeni quaternari, glaciali e postglaciali, che anche qui lasciarono im- pronta tanto profonda nel suolo. Si può d’altra parte osservare che l’opera dell’A. sarebbe riuscita più completa e più dimo- strativa, se avesse meglio apprezzato l’importanza delle ricerche paleontologiche (poiché la regione non è povera di fossili) ed avesse meglio curato la parte iconografica. Ai lavori ora presi in esame se ne devono aggiungere altri due, presentati al Concorso dal Cacciamali, i quali non si coor- dinano direttamente agli altri cinque. XCVIII RELAZIONE DEL PREMIO MOLON Collo Studio geologico dei dintorni di Colilo (1903) egli illustra la cartina geologica al 25 mila, con osservazioni di det- taglio sui diversi affioramenti, sulle roccie che li costituiscono e sui giacimenti minerari; alle quali osservazioni manca il cor- redo dello studio petrografia in appoggio alle deduzioni. Me- rita d’essere ricordata l’affermazione dell’ A., che il grande af- fioramento porfiritico di Collio corrisponde ad una vera laccolite. Nell’altro lavoro, che ha per titolo Bradisismi e terremoti della regione benacense (1902), non si propone soltanto lo studio locale del fenomeno, ma di tracciare « la via sulla quale si potrà giungere alla razionale ed esatta spiegazione del fenomeno tel- lurico », ch’egli attribuisce all’assettamento delle masse rocciose, subordinando i terremoti ai bradisismi. Nella regione studiata rintraccia le prove di quattro diversi periodi bradi sismici, se- condo quattro linee principali di dislocazione, alle quali si con- nettono intimamente le attuali aree sismiche. 4.° I proff. P. E. Vinassa de Regny e M. Gortani concor- rono coi loro Studi geologici sul nucleo centrale delle Alpi Car- niclie. L’idea di intraprendere a nuovo e dettagliatamente lo studio geologico di una regione cosi difficile come quella del nucleo centrale delle Carniehe, e di affrontare la soluzione di problemi di grande importanza per la geologia alpina, nonché per il progresso della conoscenza del paleozoico in generale, già di- scussi da geologi di grido stranieri ed italiani, costituisce per se stessa un merito per i due autori; e 1 iniziativa aulita era degna dei risultati cospicui ottenuti e dimostrati da scopeite ben documentate. A parte le pubblicazioni costituenti gii alle- gati, già in dominio del pubblico ed apprezzate, il poderoso la- voro presentato al Concorso consiste in un volume dattilogra- fato, e in piccola parte manoscritto, di circa 300 pagine, nel quale sono inserite 120 figure in gran parte originali (sezioni geologiche e fotografie di paesaggi a carattere geologico), 25 tavole con fotografie panoramiche, due cartine (1 a 500,000) schematiche della regione presa in esame, una coi limiti e di- visioni delle Cantiche, l’altra con uno schizzo geologico delle stesse, quattro tavole (IV, V, VI, VII) di sezioni, una carta (1 a 100,000) sulla quale sono tracciati i limiti della catena RELAZIONE DEL PREMIO MOLON XCIX paleocarnica, la trasgressione neo carbonifera, la trasgressione eopermica, le anticlinali, le pieghe-faglie di ricoprimento, le sinclinali, gli ellissoidi, ed infine la Carta geologica nella scala di 1 a 25,000, coi risultati del nuovo rilevamento. Il testo si presenta con una introduzione, nella quale gli au- tori danno ragione dell’opera ed accennano allo stato delle co- gnizioni geologiche all’inizio dei loro studi, dovute segnatamente alle ricerche di Stur, Taramelli, Stadie, Freeh e Geyer, rile- vando con vivacità, che il concetto del Taramelli, il quale im- maginava nelle Carniche una serie di pieghe, è giusto nelle sue linee generali, contrariamente alle affermazioni ed alle critiche non misurate del Frech, ch’essi ritengono fondamentalmente errate. La parte prima è destinata alle generalità e cioè alla de- scrizione topografica e geologica generale ed alla bibliografia (cap. I, II, III). Nella descrizione topografica, colle osservazioni d’indole oro- idrografica, si espongono particolareggiate ed interessanti no- tizie e considerazioni sulle conche lacustri e sulla loro vegeta- zione, sulla fiora dei pascoli alpini, delle rupi e dei boschi, sulle condizioni fisiche particolari, che hanno speciale influenza sul paesaggio, ed infine sui rapporti fra le condizioni dei thalweg e l’ubicazione degli abitati. , Nella descrizione geologica generale, premesso l’accordo ri- conosciuto fra le condizioni geologiche ed i limiti e le divisioni adottate per le Carniche, gli autori procedono ad un rapido esame dei caratteri geologici schematicamente riassunti nello schizzo geologico della tav. II, che si chiude colla indicazione dei singoli gruppi montuosi, ch’essi hanno creduto opportuno di distinguere per comodità di studio e di descrizione, e che sono presi partitamente in esame nella seconda parte dell’opera. Nel capitolo relativo alla bibliografia sono elencati 92 lavori pub- blicati sul nucleo centrale delle Carniche dal 1785 al 1907, ordinati cronologicamente ed accompagnati, ciascuno, da brevis- simo riassunto. La seconda parte, più estesa, è riserbata alla descrizione strati grafica, tettonica e morfologica (in 8 capitoli) dei singoli gruppi di monti: Pizzul e Germula, Lodin e Costa alta, Dimon c RELAZIONE DEL PREMIO MOLON e Paularo, Pai e Pizzo Timau, Coglians e Canale, Yolaia e Cre- tabianca, Avanza e Peralba, Taglia e Col Mezzodì. Sono circa 200 pagine di descrizione minuta di dettagli stratigrafici e tet- tonici, di considerazioni e deduzioni, dirette a porre in evidenza i risultati dei rilevamenti geologici e delle scoperte paleonto- logiche in confronto critico con quanto si conosceva pei i la\ori precedenti. È evidente l’impossibilità di riassumere una espo- sizione densa di fatti e già per se stessa riassuntiva, che offre grande interesse ed in particolare grande attrattiva per chi ebbe occasione di visitare qualcuno dei punti geologicamente più im- portanti, allorché la Società si raccolse in Friuli sotto la guida del Taramelli e dei due giovani valorosi autori. Per essere esatti e completi nel riferire su questa parte, do- vremmo trascrivere le conclusioni stesse degli autoii; ma, pei. lo scopo essenziale di questo esame, basterà ricordale che essi, in base alle ricerche strati grafi che e paleontologiche, affermano l’esistenza nel nucleo centrale delle Alpi Carniche dei seguenti piani : Silurico medio, Neosil urico inferiore, Neosilurieo supe- riore (Yolaia); Eodevonico inferiore con due orizzonti, Eode- vonico superiore colla zona a Karpinslcya Consuelo , Mesodev o- nico inferiore, Mesodevonico superiore, Perni ocar boni co. Notevoli sono i rilievi fatti sulla estensione della tiasgies- sione neocarbonica, sulla mancanza di una trasgressione per- mica sul Carbonico, la dimostrazione dell’età delle roccie erut- tive eopermiche e dell’età eocarbonica della piegatura paleo- carnica, ed infine l’affermazione, contraria al concetto di Freck, che ammetteva nelle Carniche un vero reticolato di faglie; es- sere cioè il nucleo centrale carnico una tipica catena a pieghe, disturbate sì, ma pur sempre facilmente riconoscibili, e. senza accenni a quei grandiosi fenomeni di carreggiamento, ai quali si attribuisce ora tanta importanza, come cause determinanti l’assettamento tettonico delle Alpi. 5.° Chiudono la serie dei lavori presentati gli Studi geotet- tonici sulle Alpi Orientali. — Laboravi fidenter è il motto ben scelto dall’autore, che si è poi svelato, pubblicando il . lavoro dopo la chiusura del Concorso : egli è un altro nostro giovane, valoroso collega, il prof. G. Dal Piaz. RELAZIONE DEL PREMIO MOLON CI Anche il suo è un grande lavoro di rilevamento e di revi- sione geologica di una parte delle Alpi Orientali, ma di una regione più vasta, che comprende tutta la provincia di Treviso, parte della provincia di Yicenza, la zona meridionale della provincia di Belluno ed il Trentino orientale meridionale, all’est della Cima d’Asta : complessivamente circa quattromila Kmq. Scopo del lavoro è di passare in rassegna tutta la serie dei terreni, facendo conoscere nuovi orizzonti fossiliferi, che permi- sero di colmare certe lacune nella serie cronologica, ed in par- ticolare l’indagine sulla tettonica, diretta a dimostrare, che nella regione non esisterebbero vere e proprie faglie, sibbene un si- stema di pieghe sempre continue, per quanto complesse e di- sturbate; accostandosi per tal modo l’A., in molti casi, alle ve- dute del Taramelli, mentre si allontana spesso e radicalmente da quelle dei geologi austriaci Mojsisovics e Hoernes, ai quali l’autore attribuisce tuttavia grande merito e rende omaggio riverente. La parte prima è la descrizione generale della regione stu- diata, coll’esame dei terreni nella loro successione cronologica, colla scorta della documentazione paleontologica e con partico- lare riguardo alla serie mesozoica ed alla scoperta di orizzonti e di località fossilifere nuove. La seconda parte è la descrizione dei singoli raggruppamenti di masse, segnatamente della loro struttura in rapporto colla costituzione e forma dei rilievi, ma coll’obbiettivo della ricostru- zione del l’andamento tettonico generale di tutta la regione. Al primo scopo concorrono efficacemente i numerosi profili e gli schizzi geologici (22) intercalati nel testo, delineati con molta maestria e gusto artistico, e le fotografie (7 tav.); al secondo si presta la carta geologica al 75.000 della parte dell’area stu- diata fuori confine, e quella in 35 fogli, nella scala di 1 a 25,000, la quale fu opportunamente ridotta su quattro fogli, nella scala di 1 a 100.000, che meglio indica all’occhio Tandamento dei diversi terreni ed i loro rapporti in superficie, e gli otto grandi profili, direttamente composti sui tracciati condotti sopra la carta nella scala di 1 a 25.000, ed eseguiti con molta diligenza, abi- lità e nitidezza. CII RELAZIONE DEL PREMIO MOLON Per le stesse ragioni, che ci hanno dissuaso dalla minuta rassegna dei singoli capitoli del lavoro sulla parte centrale delle Carniche, ci asteniamo dall’intrattenerci più a lungo intorno ai capitoli dell’opera ora in esame, della quale riassumiamo senz’altro le conclusioni. L’A. non si pronuncia sull’età (presilurica o del Carbonico inferiore, a seconda degli autori) delle filladi quar- zifere e degli scisti cristallini, costituenti il terreno più antico della regione ad est della Cima d’Asta, nel quale terreno si insinua a guisa di laccolite, non più antica del Permico, una massa granitica, le cui azioni metamorfiche di contatto si limita- rono agli scisti inglobanti suaccennati. A partire dal Permico la serie è completa e continua fino alle formazioni continentali del Quaternario, presentando quasi in tutti i membri ricchezza di fauna e semplicità di rapporti stratigrafici; ed è notevole l’affer- mazione dell’A. di non avere, dal Permico, riscontrato la man- canza di qualche elemento della serie per non avvenuto depo- sito, o per distruzione, o per qualche altro fatto attribuibile ad originarie trasgressioni. La struttura tettonica risulta di una serie di sinclinali e di anticlinali, decorrenti in un certo parallelismo e sempre con concordanza di stratificazione e con esclusione di salti per scor- rimento o per rigetti. Riguardo alla coppia di pieghe costituita dalla anticlinale coincidente con la massa scistoso-cristallina di Cima d’Asta e dall’attigua sinclinale molto elevata, stretta e ro- vesciata a sud, va notata la riduzione della serie per subite ten- sioni, che aumenta da est verso ovest, in dipendenza dell affiorale e del l’estendersi dell’anticlinale delle suaccennate roccie scistoso- cristalline; deducendone l’A. la considerazione, che la struttura tettonica della massa cristallina non deve essere originaria ed indipendente, ma intimamente legata a quella delle roccie se- dimentarie che la seguono, ritenendo inoltre, che le intiusioni granitiche non possono aver esercitato delle azioni orogenetiche dirette. Al sud si nota l’anticlinale a ginocchio, Monte Agaro- Dolada, già ben nota; ad essa fa seguito la sinclinale bellu- nese, con nucleo di roccie che vanno dal Giurese al Miocene, la quale, incurvandosi ad E-S-E, si incrocia colla sinclinale di Fa- dalto, dando così origine alla depressione tettonica del bacino di Fadalto, mentre ad occidente, presso Feltre, si restringe. RELAZIONE DEL PREMIO MOLON CHI A questa grande sinclinale se ne accompagnano altre due minori, di cui l’una va a fondersi con quella di Valsugana, e l’altra va a costituire il pianoro dei sette Comuni. Più al sud segue l’anticlinale di Monte Grapa-Col Visentin, sulla quale si adagiano le formazioni terziarie delle colline trevigiane; a proposito delle quali l’A. segnala la brusca deviazione, dalla prevalente direzione S-0 a JST-E, verso S-E al loro giungere presso Sonego, in coincidenza colle masse rigide dei calcari a rudiste del Cansiglio. Rileva il rovesciamento completo presso Osigo-Montaner anche nelle più recenti formazioni mioceniche e plioceniche, a prova che il movimento orogenetico procedette ed assunse proporzioni considerevoli probabilmente anche nel Quaternario, ed a ricon- ferma dell’idea, che il corrugamento delle varie catene non abbia avuto luogo in una sola, continua e regolare fase. L’A. esclude l’intervento dei grandiosi fenomeni di carreggiamento, e conclude, che la struttura dell’area studiata risulta di una serie di pieghe in rapporti semplici, spesso rovesciate a sud e disposte ad arco, con la concavità versò l’Adriatico, dal quale verisimilmente provenne la spinta del corrugamento. Con ciò verrebbe a cadere la teoria del Suess, sulla disposizione a gradinata per avvenuti scorrimenti lungo superfici di frattura, di tutte le catene peria- driatiche. CONCLUSIONE. Questo esame, per quanto breve, varrà speriamo a indurre nella mente di chi ci seguì finora, il convincimento formatosi dalla Commissione, che i due ultimi lavori sono di gran lunga superiori agli altri per l’ampiezza del programma preso a svol- gere, per le difficoltà superate, per l’originalità della trattazione e per l’importanza dei risultati. Esprimendo questo convincimento, della preminenza dei due lavori sulle Alpi Venete, la Commissione non può nascondere il suo dispiacere, che, per motivi dolorosi, le sia mancato l’aiuto del collega Taramelli; perchè nessuno meglio di lui avrebbe potuto valutare i pregi ed eventualmente rilevare le mende delle due monografie; per modo che la relazione, che noi rendiamo CIV RELAZIONE DEL PREMIO MOLON puramente oggettiva, avrebbe potuto avere invece, col sussidio della sua competenza, un indirizzo critico ben fondato. Ma d altra parte il fatto di non aver con noi il Taramelli ci permette di esprimere liberamente il compiacimento provato nel rilevare, che i risultati ben documentati delle ricerche dei nostri giovani e valenti colleghi, pongano in chiara luce il merito preclaro dell’opera compiuta dall’illustre maestro nelle Alpi venete e la genialità delle idee fondamentali da lui espresse sulla tettonica di quelle regioni. Di fronte ai due ottimi lavori, la Commissione si è proposto il quesito, se uno dei due fosse superiore per pregi all’altro, così da meritare l’assegnazione del premio intero. Ma il con- fronto apparve tosto assai difficile: le due regioni illustrate sono diverse non solo d’ampiezza, ma anche per natura ed età dei terreni; con lo studio della parte centrale delle Carniche, Vi- nassa e Gortani portano forse un maggior contributo di nuove scoperte nella serie degli orizzonti fossiliferi, ma le indagini sopra un più esteso territorio hanno permesso al Dal Piaz di tracciare un più vasto quadro tettonico; fra i risultati dell un lavoro e dell’altro troviamo importanti rettifiche alle afferma- zioni di precedenti osservatori; all’esposizione vivace, risoluta, lalora polemica di Yinassa e Gortani, fa contrasto quella calma e riservata del Dal Piaz, ma tanto per gli uni, come per l’altro essa riesce chiara ed efficace. Così e rimarchevole 1 accoido in certi concetti fondamentali; nel riconoscere, ad esempio. 1 impor- tanza delle pieghe come motivo predominante nella tettonica, su- bordinando l’intervento delle fratture, e nell’escludere l’influenza di grandiosi fenomeni di carreggiamento. Mancano dunque gli elementi per valutare ed affermare la superiorità di una delle due opere, che invero si accordano e si integrano per dare una nuova illustrazione della serie geolo- gica dal Silurico al Neogene nelle Alpi nostre orientali; nel- l’insieme esse costituiscono un saggio importantissimo sulla geo- logia alpina, che fa onore agli autori ed alla Scienza italiana, e che segna un notevole progresso nella conoscenza di una delle regioni geologicamente più interessanti. Per queste considerazioni la Commissione, mentre attesta il confortante esito del Concorso, crede miglior consiglio questo: RELAZIONE DEL PREMIO MOLON CV di proporre la divisione del premio in due parti eguali, fra i due lavori : 1. Studi geotettonici sulle Alpi Orientali. IL Studi geologici sul nucleo centrale delle Alpi Carniche. Accogliendo la nostra proposta, la Società Geologica Italiana renderà degno omaggio alla cara memoria del veneto Molon, benemerito fondatore del premio. Romolo Meli, Federico Sacco, C. F. Parona, relatore. DELLE NECESSARIE RELAZIONI ED ARMONIA FRA LE SCIENZE GEOLOGICHE Parole dette dal Presidente ALESSANDRO FORTI S nell’adnnanza generale ordinaria della Società Geologica Italiana t enuta in Rema il 20 settembre 1908 Consoci ! Il mio immediato predecessore in questo posto, Nostro Pre- sidente per l’anno passato, in ricorrenza pari alla presente, stimò dovere l’indirizzare a Yoi un inno alla Geologia, un inno alla Scienza che noi tutti professiamo, alla Scienza che ci affra- tella, che da qualunque punto d’Italia ci fa convenire or piti qua, or più là. in un punto qualunque d’Italia colla sola mèta di non lasciarne una zolla inesplorata, una questione insoluta. A Voi geologi, fautori convinti e cultori di nostra Scienza, il Vostro ex-Presidente ha sentito il bisogno di decantare: il valore della scienza stessa, l’importanza sua, i vantaggi che Ella arreca a chi la cura, i danni che lascia avvenire a chi la neglige. Auree parole egli Vi indirizzava, ottime sentenze à i ha pro- nunziate, fatti salienti Vi enumerò, calzanti esempi egli Vi ha presentati. Ala tutto questo perchè? Perchè lo ha rivolto a Voi, a Noi geologi? Perchè ha sentito il bisogno di rivolgerlo pro- prio a Noi? Tale questione mi ha tormentato, insoluta, un anno! E mi ha tanto più tormentato perchè, mentre su quel tema, quasi contemporaneamente al nostro Presidente a Torino, cercava a Parma di prendere la parola il Tibaldi; sullo stesso tema, con altrettanto e forse ancor più efficace verbo ed argomento, sentì il bisogno di intrattenerci a Siena, or non son che cinque anni, rievocando quanto ci aveva detto in Terni diciassette anni in- nanzi, un altrettanto nostro valoroso ed attivo consocio, allora, j a sua volta, nostra guida e vessillifero. RELAZIONI ED ARMONIA FRA LE SCIENZE GEOLOGICHE CVII applausi mostraste di dargliele; ben poco dopo il discorso del Verri, fervono gli studi cbe portano alla pubblicazione avvenuta lo scorso anno, e pochi mesi prima del discorso del Sacco, di veri e propri trattati di Rabdomanzia, di glorificazione della verga divinatoria qual mezzo infallibile, sublime, per la scoperta di celate sorgenti e miniere ascose. E, pochi mesi soltanto dopo l’inno di Sacco, noi vediamo un giornale italiano levarne con enfatica serietà, un altro sopra nuovo metodo di ricerca delle miniere, ad un metodo che si dice nuovo; ma, pel quale, i figli della superstizione la più patente, i vieti fluidi positivi e nega- tivi, ballano attorno alla bacchetta divinatoria moltiplicatasi, per la circostanza, in altrettanti e diversamente foggiati rive- latori quanti sono i fluidi ammessi, danzano, dico, una ridda soprannaturale, fantastica ! Ai casi scelti dai miei predecessori in questa carica io ne contrappongo altri, o magari alcuni di quegli stessi, diversamente estesi o diversamente commentati. Così: poco dopo il 1850, il piccolo Piemonte piglia l’iniziativa di una intrapresa, pel tempo, altamente audace; e lancia l’idea di avvicinarsi alla Francia aprendosi un valico sotterraneo nelle viscere, dicevasi, dello immane Cenisio. Un naturalista piemontese, cultore oggettivo delle scienze mineralogico-geologiche, esaminata oggettivamente la posizione, dichiara, magari confortato dal discusso parere di confratelli in studio, che l'impresa è attuabile; e fa una sezione geognostieo-litologica presuntiva del tracciato. L’audace idea trova favore in Francia; e la sezione teorica di Angelo Sismonda, oggettivamente esaminata da un altro naturalista, da Elie de Beaumont, viene in Francia dichiarata ammissibile e riposante su diretta e sana osservazione ed interpretazione delle osserva- zioni. Il grande Impero Francese, prudentemente accetta tali conclusioni; accetta l’idea, dà fondi per l’attuazione; ma lascia l’esecuzione, anche dal suo versante, al piccolo Piemonte; anche quando il suo versante è diventato politicamente suo territorio. L’opera si inizia colla escavazione a mano. Ma, ben presto, la necessità aguzza l’ingegno, e l’ingegno si manifesta, e la per- forazione meccanica si inizia e si svolge con adatte macchine inventate pel bisogno, sempre più perfezionate e variate col crescere del bisogno. Una notte, volgente il 1871, brilla final- CVIII A. PORTIS Yi ha pur da essere un motivo che induce, ad ogni pochi anni, le nostre guide, e fa loro sentire bisogno o dovere di ri- cordarci scopo e vantaggi della scienza che coltiviamo. E questa ragione, questo motivo io li sentivo pesar su di me mentre li andavo cercando tanto lontano! Tanto pesava, che alfine dovetti pur aprire gli occhi sovra di me e vederlo; e veder che i nostii passati duci e presidenti dicevano a noi come ad apostoli, perchè da noi, come da apostoli, il loro vero fosse diffuso attorno a noi! Io ritengo che Essi volessero a noi dire: Fratelli, amici, consoci, Noi siamo troppo isolati, Noi parliamo troppo poco fra noi; noi parliamo troppo poco cogli altri; noi, volendo essere troppo presto geologi, troppo presto ci scordiamo di esser uomini come gli altri; ed è questo il nostro danno. Noi ci isoliamo troppo presto dalla restante umanità alla quale pur vorremmo giovare; usiamo un linguaggio che la restante umanità più non intende. E la restante umanità si allontana da noi e compie il nostro isolamento; e si scorda di noi credendoci i misteriosi sacerdoti di un dio ignoto, in un tempio appartato; alla porta del quale viene talora con intenzione di consultare l’oracolo. Ma, sospettosa per natura, viene tardi; e, involontariamente insidiosa, formula domande: monche, parziali, tardive; alle quali il sacerdote interpellato non può esser quasi mai più in condizione di dare, nella urgenza richiesta, una soddisfacente risposta. Onde ne avviene che ancor più gli individui e le masse si sfiduciano di noi cultori di una scienza generale, sublime nella immensità che essa abbraccia; e, volgendosi di preferenza a tornitori di vacue frasi e ad empirici, avvolgono nel loro discre- dito la scienza stessa; e la obliano precisamente in quel punto in cui loro è più necessaria; in quell’atto ed in quel tempo in cui la dipendenza dell’uomo dalla terra e dalle sue condizioni esterne ed interne, così generali come peculiari, si rivela più manifesta. Onde è che, ogni dì più, si moltiplicano e si accu- mulano quei casi, in ogni senso dolorosi, che il Presidente Verri ed il Presidente Sacco ebbero in questi ultimi anni a scegliere e portarvi innanzi nei loro discorsi come più adatti alla loio argomentazione. Ma con quale effetto della medesima? Questo: che, avendo essi purtroppo tutte le ragioni, come Voi coi vostri RELAZIONI ED ARMONIA FRA LE SCIENZE GEOLOGICHE CIX mente una mina che ha rag-ione dell’ultimo velo roccioso, atter- randolo; ed un primo valico di oltre dodici chilometri è aperto alla locomotiva ad abbreviarne il disastroso viaggio da Roma a Parigi, a trionfo della scienza e dello ingegno italiani, a seria sfida contro la vecchia resistenza della cerchia alpina sfondata questa prima volta in quindici anni di audace e fidente ma intelligente fatica. E fu un trionfo! A questo primo, della scienza geologica e poi dell’ingegno e dell’applicazione italiane, succedevano in breve, e finché fu mantenuta la precedenza e l’assistenza seguite al Frejus deMa scienza geologica alla appli- cazione, altri ben clamorosi trionfi anch’essi a coronare ben più ingenti grandiose e, dicevasi, ben più diffìcili imprese del ge- nere, tentate anche fuori dei limiti politici se non geografici d’Italia, quali: il Gottardo di quasi quindici chilometri superati in meno di undici anni (1872-1882) ed il Sempione avvici- nantesi ai venti chilometri superati in meno di otto anni (1898— 1905), per non dire di altri. E intanto parvero venir meno la scienza e l’ingegno nostri davanti a ben più meschina intra- presa interna: La galleria di Ronco. Per essa, otto meschini chilometri di perforazione, ad enorme dispendio eseguita, ten- nero per lunghi anni il paese in ansia di felice riuscita, perchè la dovuta precedenza forse non fu mantenuta; e noi geologi non fummo chiamati che ad errori maturati ed aggravati; e non sul nostro adatto terreno di suggerir, concordi, rimedi; ma sul viscido terreno di periti di parte, in contestazioni giudiziarie che mai avrebbero dovuto sorgere! Ad illusi montanari, che, solingo vedendomi aggirarmi fra le rocce loro elevate, talor arrestarmi a lungo davanti a quelle per scrutarle e picchiarle insistentemente col mio martello, mi si accostavano mostrandomi talor saggi ricchissimi di minerale da cui si sarebbe potuto ricavare un qualche comune metallo; dopo un rapido e sommario sguardo al punto della loro agognata miniera presunta, alle difficoltà, alle spese indispensabili, alle fatali disillusioni che ne sarebbero sgorgate; strappai talora bruscamente di mano il bugiardo tesoro restituendolo al preci- pizio, rimproverando loro aspramente la loro impazienza ed intimando loro di chiuder gli occhi e la memoria alla affasci- natrice ricchezza della vena incontrata. Ma quante volte poi, Vili A. PORTIS ex ripensando a questa mia premeditata e fredda violenza, io mi compiaccio meco medesimo di aver commessa tanta scortesia e l’ascrivo al mio attivo; e tanto più, se, con essa, io sono riu- scito o ad evitare od a ritardare un disastro o materiale od industriale, che realmente siasi poi verificato: o per quelle stesse posizioni o per analoghe, allorché non si trovò a tempo il coi ag- gioso e sensato geologo pratico il quale, vagliate tutte le circo- stanze, a tempo abbia dato il consiglio della astensione da una impresa in tali condizioni assolutamente folle; oppure il con- siglio dato a tempo non venire controllato e seguito; o peggio, non venne neppur sollecitato. Nè voglio perciò mi crediate un violento, un vandalo distrut- tore persino delle iniziative! Quante volte trascorro su Civita- vecchia e vi cerco e vi ammiro il prolungato allinearsi e il rapido moltiplicarvisi dei forni in quella tabhrica di cementi, lieto ri- penso ad un consiglio verbale che, or sono pochi anni, davo nella quiete del mio studio a chi da amico mi domandava in qual punto dell’Italia centrale la Società dei cementi di Casale avrebbe potuto installare una sua produttiva succursale. Ed a lui, reduce da Civitavecchia, sfiduciato per contrario parere avuto su quei luoghi, su quei materiali, io indicavo niente altro che i calcari e gli svariati materiali dell Eocene di C ivitavecchia; e spingevo all’analisi chimica, strato per strato comparativa, di essi; accennando alla possibilità di ottenere così le necessarie formole empirico-industriali di miscela per la creazione dei cementi graduati secondo i vari bisogni e le varie richieste. Nella stessa estate a Civitavecchia vedevo sorgere e fiammeg- giare i primi quattro forni di cottura, or più che triplicati di numero. Non ero prima, non diventai poscia azionista di quella Società. Ma non sono questi, o consoci, quesiti di pretta geologia pratica? quesiti che debban risolversi unicamente od inizialmente dalla mente e dal cuore dello studioso di geologia generale? Quando si iniziano gli studi per incidere in mezza Italia una così gigantesca intrapresa quale sarà, a cose fatte, il Canale delle Puglie, parrebbe assai naturale che un corpo scientifico quale è la nostra Società, tanto più se, come la nostra Società, costituisce un ente riconosciuto e magari sussidiato dallo Stato, venisse interpellato in proposito. Parrebbe eziandio naturale che, RELAZIONI ED ARMONIA FRA LE SCIENZE GEOLOGICHE CXI qualora lo Stato scordasse, facesse valere tale suo diritto il Corpo Scientifico che si vedesse così trascurato; alta facesse valere la sua dignità e sentisse il dovere di provocare nel proprio seno ampia e ponderata disamina e discussione su di un progetto che la interessa cotanto, su di una intrapresa così irta di difficoltà e di pericoli, cosi grave di vantaggi promessi a buona parte della Nazione, di sacrifizi necessari alla Nazione tutta. Per simili intraprese, in Belgio, in Francia, in Germania, in Austria, in Inghilterra, in India come nella Unione Americana ed in tante provincie della lontana Australia, sempre od il Governo si rivolse e preventivamente e consecutivamente alla locale libera asso- ciazione di naturalisti studiosi della Terra; o queste Società, di loro propria iniziativa, si imposero e si eressero ad esaminatori ed a sindacanti la natura deH’impresa, la sua attuabilità, la sua commensurabilità ai sacrifizi richiesti, ai vantaggi promessi, agli inconvenienti temuti: ed, a stridii finiti, offrirono al rispet- tivo governo l’opera loro, quale era risultata da serena, minuta e profonda discussione, con quella dotazione di dati e di avver- tenze che ne erano sgorgate; e la offrirono con quella dignità colla quale un reverente figlio offre ai suoi vecchi e lor dedica il succo vitale del lavoro delle sue mani animato dalla virtù del suo ingegno. A me, invece, non consta che il Presidente della Società Geologica Italiana sia mai stato dai Corpi Diri- genti invitato a porre ad argomento di una discussione qua- lunque in seno alla Società il concetto dirigente, poniamo, il progetto del Canale delle Puglie. Nè il Presidente, per quanto mi consta, nè di propria iniziativa, nè spintovi da’ Soci, pensò mai, finché ne era il tempo, a proporre tal tema tanto vasto e complesso alla nostra Società perchè ciascun membro di essa, ascoltando le proprie cognizioni ed attitudini, ne facesse argo- mento di studii e di conseguenti discussioni. Qualcuno dei nostri più eletti membri, magari specialisti, magari persin troppo specia- lizzati, espresse un timido parere o nel nostro periodico od altrove. Ma era un parere solitario, un consiglio non richiesto e peggio accolto perchè non richiesto, una voce isolata sempre, una voce mancante di contraddittorio, una voce destinata a perir negletta, una voce che non si poteva imporre alle masse ; come l’avrebbe potuto un sensato parere, parco e solenne, solennemente emesso QXjj A. PORTIS e sanzionato dal complesso di competenti e maturi ed audaci armonicamente fra loro temprantisi; sgorgato dalla unione delle monti elette che si sono affratellate costituendo la Società Geo- logica Italiana; e, come tale, ufficialmente ed ampiamente ema- nato e reso pubblico. L’Italia nostra è dagli stranieri, a preferenza, ammirata e vagheggiata per la varietà ed accidentazione sua; earatteii questi che fanno capo, si può dire, unicamente alla moltiplicità ed alla gravità delle grandiose perturbazioni orogenetiche che si svolsero di preferenza sulle nostre zolle. Ma ciò che ammirano sul nostro suolo gli stranieri, lo scontiamo a caro prezzo noi Italiani per la frequenza del ripetersi di quei fenomeni le cui conseguenze diedero alla patria nostra quell aspetto sì vario e pittoresco, la varietà dei climi, l’adattamento alle più svariate colture, alle più moltilormi industrie. Le grandiose opere d’arte resesi necessarie, in Italia più che altrove, per ravvicinare i centri abitati, per alimentare città sorte ed ingranditesi in punti importanti in passato, e per mo- tivi, a lor volta, impellenti in passato ma non più tali oggidì, e che tuttavia ci è forza accettare dal passato, sono tuttodì messe a repentaglio dalle forze naturali, dalla intima vita del suolo che le regge. Così, ogni dì, siamo noi costretti ad assistere battendoci l’anca ad una rotta che minaccia di punto in bianco di sconvolgere l’economia della intera Valle Padana; lasciando, a testimonio della imprevidente previdenza dei nostri maggioii e della ingenuità nostra moderna, un letto sopraelevato di fiume abbandonato al sostegno di argini colossali ma paradossali; e campagne, che furono per secoli fiorenti, sepolte sotto il divagar del fiume cui finalmente riuscì di tornare in parte alle proprie naturali condizioni. In altra regione avviene una rivoluzione, perchè la soi gente che costituì per tanto tempo il comodo lucro del paese ha final- mente trovato, ed, a tal epoca, si elesse altra via più adatta da quella fino a quel giorno seguita; e, segnando un disastro ter- minale colà dove cessò di sgorgare, segnerà un ben più grave disastro iniziale dove accennerà a portare, in ben diverse con- dizioni, il nuovo suo sbocco. RELAZIONI ED ARMONIA FRA LE SCIENZE GEOLOGICHE CXIII Saranno altrove popolazioni esterrefatte dal riaprirsi di una bocca vulcanica che si lascieranno interrare dal lapillo mentre intente sono ad elevar qual argine insuperabile al turbinar della lava le immagini di un santo; o si faranno seppellir sotto agli sfondati edilizi; mentre, in essi, stanno raccolte ad invocare una forza sovrannaturale sconosciuta la quale ricacci in gola alla terra ciò che, per legge naturale conosciuta, la terra non può a meno di emettere, di espellere. Avremo invece altrove una regione che, mossa dal periodico assettarsi dei letti rocciosi che la reggono, segnerà, ad ogni nuovo più sensibile periodo, nuove catastrofi di vite e di sostanze, nuove rovine di paesi ; che, nella ignoranza delle cause vere che inducono tali movimenti, crederanno dar prova di costante eroismo, sublime finche si voglia ma assurdo, risorgendo tante volte da lor ro- vine quanti furono gli intervalli fra i periodi che le provocarono. Ed anco può essere avvenuto di una feconda e ben collocata miniera di un qualunque materiale, la quale dopo aver forniti, per un lungo periodo di anni, immensi benefizi a chi la colti- vava e sfruttava, ad un tratto venga a privarci della produt- tività sua, perchè, con una faglia fino a quel giorno ignota, era stato, in tempi ben più remoti, abbassata di un mezzo chilo- metro l’ulteriore distesa del letto utile fino allora seguito; ed una Compagnia che si stima eroica, assicuratasi del fatto, con- tinui lo sfruttamento in tali nuovi condizioni e faccia riassorbire alla terra, sotto nuova forma, quei tesori in cui si è trasformato il metallo finora ben più agevolmente estratto dalle sue viscere, sacrificando cosi il benessere di generazioni diverse da quelle che utilizzarono gli antichi benefizi. E non voglio più oltre parlare di aperture e di conserva- zione di porti, di scoscendimenti e di avvallamenti facilmente prevedibili e pur non preveduti, e di altre simili inezie. Consoci! Che abbiamo noi fatto, noi Italiani, in tutti questi casi che io vengo di porvi innanzi, scegliendoli solo quali esempi salienti agli occhi di ogni persona dotata di senso co- nnine? Una sola risposta, una sola parola: niente! Niente! è poco, è duro, è incredibile, eppure: Ad ogni rotta del Po, ad ogni grave accenno a quel fatto così ovvio e così ripetuto, noi abbiamo fatto appello ad una CXIV A. PORTIS commissione di idraulisti meritatamente apprezzati; che han cie- duto imporre la universali zza zi one sistematica e la continuazione cieca dell’opera che i loro maestri in arte eressero a scopo loca- lizzato e forse temporaneo; ed hanno rinforzati, sopra-elevati ed estesi a monte gli esiziali argini. E siamo nel paese del gran Leonardo! Ombre di Lyell e di Reclus che ne dite? Ad una preziosa sorgente termale o meno che essa sia; la quale, per andamento naturale delle cose della Terra, si andò talora affievolendo o repentinamente estinguendo; cercossi il medico in una commissione di sperimentati idrologi trivellatori i quali, talora empiricamente, suggerirono una trivellazione più profonda. Da questa, data di sicuro una spesa, nei o fuor dei limiti del presunto quale sacrifizio necessario, si ebbe qual bene- fizio uno fra questi bei risultati: 1° semplicemente di non ìicon- durre la sorgente alla sua foce primitiva perche non tu possibile rintracciarla; 2° di rintracciarla bensì ma per disperderla ancor più sicuramente e completamente di quel che non avesse fatto da sè collo sgombrarle appieno l’accesso alla nuova via sotter- ranea che peritosamente si era eletta; 3° di pescar nel torbido e condurre al traguardo, incatenato, un ramarro per un elefante, col captare a grandi sforzi e condurre alla foce della smarrita, altra sorgente; diversa: per portata, temperatura, contenuto mineiale, salienza, ecc., insomma, sempre e poi sempre un aggravamento di disastri ! Gfenii di Paramelle e di Daubrée, avreste voi così agito? Una o più scosse di terremoto sconvolgono la contrada; e noi aumentiamo lo scompiglio gridando, reclamando a voce altissima, invitando al triste spettacolo od intervistando una folla di spe- cialisti di sismologia, pur troppo avvezzi a gingillarsi tutto 1 anno fra sismometri, sismogrammi e sismografi. Che cosa ci possono dare questi volonterosi disgraziati, come ci potranno aiutare? Essi ci daranno dapprima a mo’ di contentino le strabilianti notizie che: nel nuovissimo osservatorio installato sulla neve in vetta al Monte Bianco si registrava un terremoto squassatore del Giappone, ventiquattro ore prima che il grande sismografo di Calcutta registrasse con nitido sismogramma il nostro grande terremoto ligure; o che, mentre sull’Etna si registrava il cata- clisma di San Francisco con relativi incendii e saccheggi, a RELAZIONI ED ARMONIA FRA LE SCIENZE GEOLOGICHE CXV Melbourne si seguiva fino al dettaglio il nostro recente disastro di Calabria. E poi conforteranno le popolazioni atterrite rive- lando loro che è penetrata la calma nelle onde sismiche ; e queste, quetate, non indurranno più per ventiquattrore un terremoto novello là, dove tutti stan sepolti sotto le improvvide rovine del precedente. 0, Mani di Mallet, di Perrey e di Seebacb, che ne dite? E ebe ne dite voi piccoli e fini giapponesi, fieramente assisi da secoli alla vedetta di queste spasmodiche contrazioni dell’astro in agonia sul quale fu gettata l’umanità. Che ne dite voi giapponesi, voi fieri discepoli di quel Temistocle che non ap- partiene alla vostra storia, ma di cui seguiste il precetto, impa- vidi, guardando il pericolo che rugge e minaccia contro di voi; e di cui voi, frammezzo scherzandovi, rendete vani i conati dalle vostre capannucce di carta e canne, insuperabili e grandiose fortezze vostre? Nel bel paese nostro, un bel vulcani no che qualunque diret- tore di un grande istituto geologico desidererebbe comprendere nel suo materiale dimostrativo, si è, poco rispettosamente, assiso sul carcame del suo vecchio genitore tanto più grande di lui. Egli che si trova non sa come così alto, non si vede cosi de- genere; egli si è fitto in capo di essere un vero vulcano, un vulcano che vorrà trattare alla pari col venerando Etna e che si permetterà di spregiare un Artemisio od un Sabazio od un Yulsinio, sol perchè questi, vecchi e stanchi dello immane loro lavoro, sonnecchiano da un pezzo. Avviene però a tal rogantino ciò che avvien dello allocco in mezzo ai piccoli passeri: che i minuscoli uomini noi pigliano sul serio ; e, continuamente gli sian sui fianchi, piantando persia le viti nei crepacci della sua terribile lava, od altri simili dispettacci. Ben si comprende come il piccol ranocchio, così acerbamente provocato, diventi talor, gonfio dalla tanta rabbia, un bue furente; e, covata per anni ed anni un’acerba vendetta, a soddisfar la quale chiamò aiuto a servi, alleati ed ausiliari; esploda alfine con straordinario conato eruttando tanto da coprir quattro chilometri quadri di campagna per più di due metri di altezza; e completi lo spaventevole apparato scenico deversando: non la pece ardente, ma una vera corrente di vera lava, che possa financo devastare un intiero CXVI A. PORTIS chilometro quadro di campagna, pur commettendo in più tanti altri minori vandalismi. E noi allora consultiamo valenti vulcanologi specialisti. E questi: forza a discutere con serietà ed accanimento della natura litologica della roccia emergente, e della quantità di quella emessa, e della misura fino al decametro cubo di quella che il monte ancor rinserra nelle sue fauci e mostrasi disposto a sca- raventare attorno, e del tempo di ulterior durata della rappre- sentazione, e del novo e novissimo attrezzarlo scenico che saia mosso per essa, e dei turni e dei lumi a bengala che la ìischia- reranuo. E intanto l’umanità, come sempre improvvida e come sempre inavvertita, come prima rimarrà schiacciata sotto una tettoia di mercato sulla quale fu permesso ^accumularsi delle proiettate polveri fino a 30 centimetri di altezza; oppure si lascierà scottare ed uccidere dai caldi prodotti del vulcano; su quel campo che l’illuso enfiteuta dichiarò proprietà sua, senza aver davanti mai il coraggioso Mentore che gli ricordasse che quel campo appartiene invece alla Terra e momentaneamente al vulcano. Che il vulcano benignamente lasciò fruttare indistur- bato trent’anni il campo per l’enfiteuta; ma ora egli vuol rom- pere la prescrizione legale dei piccoli passeri umani, e vuole assodar col fatto che egli solo è in diritto di trattare quel campo a modo suo; e lo vuol cospargere di polveri e proietti anziché di fave, di fichi e di grappoli. A voi spiriti di Plinio, di Humboldt, di Waltershausen, di Scrope, di Dechen e di Lasaulx, per chi mai patiste, per chi mai vi sacrificaste? e che ne dite voi forti ma cauti montanari del mio vecchio Piemonte, sudanti a scuoteie dal sentito pericolo i vostri robusti tetti, cui, malgrado l’ertezza loro, incomba un metro soltanto di neve fioccosa? E quando il potente letto produttivo, fin qui seguito e sfrut- tato in miniera, venne improvvisamente a perire, sbattuto contro l’arido e sterile muro; quante volte si ricorse al consiglio di intelligentissimi ingegneri minerarii che protrassero gallerie e affondarono pozzi in ogni direzione aprendone magari a grande spreco altri nuovi, ricercando nel buio cosa che non vi era nè vi poteva essere; perchè la miniera aveva fin qui lavorato nel massiccio scivolato lungo la faglia, e il muro apparteneva al massiccio elevato coronato da quel letto di materiale utile sot- RELAZIONI ED ARMONIA FRA LE SCIENZE GEOLOGICHE CXVII tratto dalla naturale erosione, prima che l’uomo ne riconoscesse l’utile applicazione. Cosi avrebbe potuto spiegare con pochissimo apparato e sacrifizio di ricerca il primo coscienzioso geologo generale e stratigrafo vero che avesse esaminata dettagliata- mente la successione degli strati comparandola da destra a si- nistra della faglia così inopinatamente affacciatasi. Così il pro- blema sarebbe stato semplicemente e con minor sacrifizio risolto. Ma rassegnati, ombra di Lyell, vani furono i tuoi insegnamenti, vani furono i tuoi successi; ombre di Beyrich, di Murchison, di tanti geologi che sapeste a tempo stornare l’attività umana dallo sterile deserto, per rivolgerla alla feconda oasi, ditevelo che i tempi e le abitudini son qui cambiati; e rassegnatevi e, pieto- samente fate della mano agli occhi velo sulla piccolezza nostra. Prodigi della tecnica costruttrice in canali, porti e simili fu- rono resi vani o dannosi allo scopo prefisso o addirittura rovinati, ed in breve naturalmente distruttisi o dovutisi ad arte demolire; perchè commessi in urto alle leggi generali della Terra; che, -in breve, fece valere la ragione sua, solo col mostrare piccola parte di quelle forze di cui ha dovizia; di quelle forze che qualunque serio naturalista di essa, ricordante semplicemente che anch’essa è un organismo armonico in tutte le sue parti costituenti, ricor- dante così i semplici elementi, ma tutti ad un tempo di nostra scienza, se in tempo consultato, avrebbe in breve avvertito. Così sarebbe stata l’umanità o salva dal perpetrare a proprio danno un così folle attentato, o per lo meno dal commetterlo in così evi- denti e disastrose condizioni di vanità e di distruttibilità. Così pure, per brevità di discorso, momentaneamente eleviamo altro ampio velo sui monumentali edifìzi il di cui materiale costruttivo non fu scelto dal geologo esperto in litologia pratica; e che, perciò, miseramente franarono durante o poco oltre il periodo costruttivo. Io vi farei torto, o Consoci, troppo grave torto, se, ancor per un istante, mostrassi di conservar l’illusione che Voi non avete veduto dove io mi voglia venire con tutti questi esempi di cui, forse un poco o molto malgrado vostro, Vi ho benignati. Voi tutti siete ora in grado di dirmi che io Vi ho voluti incitare ad una crociata in favore dell’armonia delle scienze geologiche, una crociata di geologi sodi e convinti, di geologi pensatori, freddi lo gici-razionalisti ; una falange che, armata di argomenti CXVIII A. PORTIS sodi e pur plastici, circuisca ed avvinca, coi Geofisici, 1 Sismologi gridando loro: venite nel nostro seno; Voi siete al par di noi geologi; non potete parlare die adoprando un linguaggio into- nato col nostro; non potete muovere un arto di un vivente senza avvertir prima quell’individuo perchè secondi il vostro movi- mento, e lo faccia da se, ed eviti a sè una lussazione o peggio dell’arto, a Voi la pena di averla inconsultamente causata. . Circuisca questa falange gli Idraulici e gli Idrologi, chia- mandoli nostri maestri nel descrivere l’andamento materiale delle acque alla superfice e nelle viscere della terra; ma ricor- dando loro che, come il discepolo ha bisogno del maestro, così il docente ha bisogno dei discenti; e che, dopo che noi avremo descritto materialmente il decorso di un filo liquido quale esso si sia, noi non ne sapremo niente ancora fino a quando non conosceremo positivamente o pur con sufficiente approssimazione il come ed il perchè di questo andamento così sapientemente descritto. Queste ragioni e questi lumi sintetici solo la Geologia generale e gli elementi di essa li possono dare; e ad essa li dobbiamo richiedere se non vogliamo ripetere, con nostra grave jattura,' il tentativo di forzare le ignote leggi della natura. E, con lo stesso invito, rivolgansi le forze morali della nostra falange sui Costruttori di qualunque opera; riposi dessa o voglia riposare sul suolo, o nel suolo, o voglia sfruttare le forze e le qualità naturali di esso. Per applicarle, queste forze, noi le dobbiamo m precedenza conoscere in tutta la loro portata e molto al di la della loro più ampia immaginabile portata. E sarà sempre il Geologo naturalista, il Geologo generale, quel che si e prefissa la conoscenza della Terra per sè stessa, nel suo complesso, nella sua vita armonica e nelle sue leggi, il solo uomo che potrà dare a tempo le norme opportune per una applicazione parti- colare che sfrutti, senza forzarle od emungerle, quelle forze che si cerca derivar dalla Terra a particolare scopo ed a particolar benefizio. Che tolga alla Terra, senza offenderne inconsciamente con troppo stridore le leggi, così da obbligarla ad una altiet- tanto automatica reazione. _ . . Rivolga la nostra falange il suo appello a quei Vulcaniti troppo idolatri di un singolo vulcano o magari anche dei vul- cani tutti, e dica loro: 0 Yoi, Geologi feticisti, descrittori inna- RELAZIONI ED ARMONIA FRA LE SCIENZE GEOLOGICHE CXIX morati di troppo breve capitolo della vita del Geoide, Yoi vi siete fatta lina casa troppo piccola, ve ne siete murate le porte e le finestre, Vi ci siete sepolti senz’aria e senza luce, e non potete più movervi e vivere e vedere in essa. Senza che Voi lo possiate prevedere, la vostra casa vi soffocherà ben presto e vi stritolerà fra le sue rovine. La vita che voi descrivete può esser vera bensi, ma non è tutta. La ragione della vita, finche Voi non la connetterete alla vita generale del Globo, dell’Universo, vi sfuggirà completamente ; e Voi non sarete che cronisti descrittori materiali di qualche fenomeno esterno, di qualche episodio di cui mai riuscirete ad intuir l’appressarsi, a preveder la portata, ad ovviare agli inconvenienti che fatalmente incombono per esso all’uomo inavvertito, all’uomo improvvido. Voi sarete perciò mo- ralmente responsabili dei danni che tanta ignoranza potrà cagio- nare alla umanità od a quella parte di umanità che troppo farà a fidanza in Voi e nella scienza vostra pur troppo monca o sconnessa. E simile, e nel dettaglio adatta grida lanci la Falange nostra ai Geognosti ed a tutti i Cultori di applicazioni di scienze e conoscenze geologiche. Sia lanciata ai Paleontologi d’ogni fatta come ai Geognosti, ai Petrografì e Litologi come ai Paleogeo- grafi, ai Geogenisti ed Evoluzionisti come ai Fontanieri e Tri- vellatori, ai Mineralisti come ai Meteoristi, ai Montanisti come ai Geofisiologi, ai Geofisici come ai Petrogenisti, agli Analisti come ai Geosintetisti, agli Stratigrafi come agli Orogenisti, ai Geopatologi come ai Costruttori, ai Morfogenisti e Geomorfisti come agli Idrologi, ai Tettonisti come ai Geotomi, ai Yulca- nisti come agli Uranologi e Cosmologisti comparatori, ai Geo- deti come ai Geonomi come ai Geometri, ai Nettunisti come agli Hylologi, ai Metamorfisti come ai Metagenisti, ai Carsicisti e Speleologi come ai Paletnologi, ai Plutonisti come ai Glacia- listi ed ai Talassologi, ai Dinamisti come ai Geografi, ai Geo- chimici come ai Pedologi, ai Positivisti come ai Rivoluzionisti, agli Sperimentalisti come agli Opportunisti, ai Genialisti come ai Logici, ai Teoretici come ai Pratici, agli Induttori come ai Deduttori, a tutti quelli che ho ricordati, siano essi Idealisti o Materialisti, a tutti quelli che per mia umana fralezza ho di- menticati; a tutti, a tutti, sia lanciata la stessa grida: «ricco- CXX A. PORTIS stiamo le nostre faci sì che un sol faro ne salga ; ma brillante, ma intenso, ma penetrante. Accordiamo i nostri stromenti sì che un solo concerto ne sgorghi; ma potente, ma intonato, ma im- , menso. Che quello, pur penetrandola, rischiari tutta la terra; che ■ questo risuoni per essa, in essa e su essa tutta. Tutta la Geologia è scienza di tutta la terra; procuriamo per parte nostra che essa : si diffonda completa per tutta la terra. Moviamo armati in lotta contro al Silenzio, al Pregiudizio, alla Oscurità, alla Discordia, all’Empirismo! Ricordiamo ai Geologi che, per esser tali, dob- ; biamo prima esser uomini; e che, per vantaggio dell’umanità i e per esser uomini meno imperfetti, diventammo geologi ». I risultati del sudato lavoro, dell’improbo sforzo, dell’accanita ricerca dei singoli in un campo qualsivoglia delle nostre scienze, invece di venir spezzettati e nascosti in un nugolo di piccoli archivi, cioè, scusate, in un numero infinito di periodici di piccole associazioni, l’una all’altra ignota ed ostile, tutti convengano : in unico ben sistemato granaio di cui le scienze predette costi- tuiscano le sezioni; in un unico magazzino di cui le capacità individuali dirigano e guidino le brigate specialisti. Ognuno, non 1 potendo da solo tutto comprendere, abbracci solo quella piccola j porzione cui si riconosce adatto. Ma ricordiamo sempre, qua- lunque sia la nostra specialità, che essa è soltanto la parte di un tutto e che non ne è la parte più importante; che al tutto da i cui si diparte essa deve stare appoggiata e coordinata; che al tutto essa deve guardare; al tutto deve a brevi intervalli tor- nare; e che il tutto è la complessa Geologia. Siam tutti geologi, siamo tutti naturalisti convinti, tutti necessari, nessuno indispen- sabile, siamo tutti per uno ed uno per tutti ; come le verghe del fascio, come le spighe al covone. Così, per non proporvi fra mille che un esempio unico, da più di un ventennio nella sua giovane e rigogliosa costituzione, splendidamente ci am- maestra una Società consorella: la Belga Società di Geologia, Paleontologia e Scienza applicata. Quella applicò sanamente il sano darwinistico principio delle armoniche divisioni e riconcentrazioni del lavoro! Poiché quella fra I’altre più patentemente e più recentemente ci additò la via buona, seguiamone la giovanile gloriosa traccia! RELAZIONI ED ARMONIA FRA LE SCIENZE GEOLOGICHE CXXI Consoci, ascoltatemi, scuotetevi, seguitemi nel mio concetto: Il faro, il concerto, il fascio a cui accenno, su cui insisto, sono necessarii, sono indispensabili per noi, per gli altri, per il pre- sente, per l’avvenire, per il decoro e per l’esistenza severa e sincera della scienza nostra. Senza essi, precipitoso proseguirà a totale rovina e discredito di essa scienza in Italia, l’andazzo attuale. Esso è già troppo inoltrato nella sua marcia seminata di grotteschi episodii e di immani disastri, l’andazzo attuale per cui trionfa l’empirico ed il ciarlatano: ignorante l’uno, men- zognero il secondo; ma associati nella deleteria arte loro di emunger le masse, schiccherando qual scienza un prodotto ibrido di essa; gabellando per pozzo artesiano una fallita perforazione dell’arido terreno; confondendo effetti con causa, l’atomo col cosmo, risorgenti e scoli con sorgenti, costruttore con progettista e geologo con minatore, terremoto con vulcano, cava con miniera, Siluriano con trachite; e magari, ad error consumato e constatato, dichiarando con olimpica serenità: che la scienza, che non fu lasciata penetrare nè di diritto nè di straforo, ha fatto fallimento. E noi dovremo indifferenti assistere o permettere che si ripeta a danno della scienza una simil bestemmia? Giammai! Signori e Consoci. Io spero non vorrete seppellire sotto il peso di un applauso immeritato il mio libero, disadorno discorso, il mio spontaneo parlare di cui sacrificai la forma al concetto, la carezza del velo alla ruvidezza del vero spogliato. Volli esser chirurgo pietoso e quindi spietato fino ad operazione finita. Non mi applaudite; non questo io cerco; piuttosto, che, spassionata- mente, mi giudichiate. Se il vero fu acerbo, se punse, aiutatemi a privarlo dei più evidenti aculei, delle più rudi asprezze. Io non ve le collocai, ma incontratele non le nascosi; le lasciai scorgere ad evidenza. Dal rude mio linguaggio sorga in Voi lo stimolo, il proposito di cercare e trovare quel rimedio che invoco. Che io sappia di aver suscitato tale stimolo; quello sarà l’ap- plauso a me gradito, quello che io riterrò premio conquistato al mio sforzo, condegno alla mia ricerca del vero! Avanti! La Società Geologica Italiana ha una mèta. Per raggiungerla, dessa ha molto da fare; e sà di aver molto da fare e faticare! Fac- ciamo e fatichiamo. VINCENZO SPIKEK 28 Agosto 1852 — 3 Ottobre 1907 Con vivo e profondo cordoglio rievoco fra noi la nobile e simpatica figura del collega ing. Vincenzo Spirek, la cui im- matura dipartita impressionò dolorosamente quanti sortirono la ventura di conoscerlo (1). La rara bontà dell’ ani- mo accattivò al compianto amico l’affetto filiale degli stessi operai dipendenti ; per la rettitudine assoluta fu circondato da stima scon- finata ed universale, con la franca lealtà si conquistò molti amici fedelissimi e sinceri ammiratori. A tante peregrine virtù sposò la più sincera modestia ed il più fervente amore al la- voro. Lo Spirek esplicò la sua bella e non comune intelligenza nella metallur- gia tecnica del mercurio e nell’ investigazione sa- gace della natura dei gia- cimenti che coltivava. Molti colleglli ricevettero al Siele, con le accoglienze oneste e liete, le più esaurienti e precise spiega- zioni sul giacimento e sull’officina metallurgica che per nulla cede ad analoghi impianti stranieri. (') Conosco due necrologie dello Spirek : Rassegna Mineraria, To- rino 1907, voi. XXVII, n. 11 — Oesterreichische Zeitschrift fur Berg. und Hùtlenwesen, 1907. VINCENZO SPIREK CXXIII Vincenzo Spirek nacque il 28 agosto 1852 a Bubovice, presso Praga. Nel 1876 si laureò nella Bergakademie (li Pribram. Subito dopo prestò servizio nell’esercito, col grado d’ufficiale, segnalan- dosi nella guerra che l’Austria combatteva con l’Erzegovina. Compiuti cosi onorevolmente i doveri militari entrò a far parte del Servizio minerario di Stato; in questa qualità fu prima, per due anni, destinato nella Bosnia-Erzegovina e poi alla miniera governativa di Idria, dove rimase sino al 1890. Quivi fu prima collaboratore di Exeli e poi di Cermàk: con questo trasformò radicalmente l’impianto metallurgico di Idria installandovi i forni, a caduta automatica, di loro invenzione. Lo Spirek nel 1890 lasciò il servizio governativo per venire in Italia presso la Ditta Angelo Rosselli di Livorno, la quale lo incaricò di rinnovare completamente le sue officine metallur- giche del Siele, avendo dato felicissimo risultato il forno Cer- ni àk- Spirek da lui impiantato nel 1888 a Montebuono sull’ Annata. Restò poi con questa Ditta e colla Società anonima « Stabili- mento Minerario del Siele », che le successe nel 1905, quale ingegnere direttore fino al giorno doloroso della sua morte, avvenuta il 3 ottobre 1907 alla miniera del Siele presso S. Fiora. La Ditta, e specialmente il Direttore e nostro collega, ingegnere Emanuele Rosselli, il quale ebbe col caro estinto lunga consue- tudine fraterna, ne piangono tuttora l’irreparabile perdita. Lo Spirek fu autorizzato dalla Ditta Rosselli a rendersi utile anche alle altre miniere di mercurio del Monte Amiata con progetti di forni e di nuove lavorazioni minerarie. Chi scrive, avendolo avuto collega in parecchie Commissioni per studi mi- nerari, ebbe campo di apprezzarne il fine intuito, la larga col- tura e la salda onestà. La venuta dello Spirek in Italia segna il rifiorimento del- l’industria nazionale del mercurio, la quale pareva ornai con- dannata ineluttabilmente a rapido deperimento. I forni Cermàk- Spirek, completati in seguito col forno a torre Spirek, permettono l’utilizzazione dei minerali di bassissimo tenore e migliorano notevolmente le condizioni igieniche del lavoro. Questi forni d’ingegnosa costruzione e di perfetto funzionamento restano come ricordo imperituro dello Spirek : essi presentano facilità estrema di funzionamento ed esigono il minimo della mano d’opera ; liti- CXXIV VINCENZO SPIREK lizzando quasi completamente il calore, consumano il minimo di combustibile; la discesa automatica naturale del minerale con- corre a rendere soddisfacentemente igienica la lavorazione. Tali forni sono impiantati in quasi tutte le miniere di mer- curio del mondo e vennero altresì utilizzati, con geniali modi- ficazioni, per la calcinazione e torrefazione delle calamine, delle piriti e di altri minerali in moltissime miniere d’Europa. Il forno a caduta automatica costituisce il capolavoro del- l’opera tecnica del nostro ben amato collega. Non poco utili riuscirono allo sfruttamento delle miniere di mercurio le norme che lo Spirek dedusse dallo studio spassio- nato, diuturno e profondo dei giacimenti cinabriferi amiatini. In parecchie note, che non mancherò di ricordare, raccolse il prezioso tesoro di tali osservazioni, le quali appalesano chiara- mente la larga conoscenza dell’argomento e la singolare sagacia dell’autore. L’immagine simpatica del modesto, ma valoroso soldato della scienza, del nostro amatissimo Spirek, non si cancellerà nè si affievolirà, col tempo, nella nostra memoria; perchè indelebil- mente scolpitavi dalla forza delle virtù preclari dell’animo e dagli effetti non caduchi dell'operosità intelligente ed instancabile di Lui. G. De Angelis d’Ossat. Pubblicazioni dell’Ino. Vincenzo Spirek. 1. Forno di torrefazione a caduta automatica. Giornale « L’In- dustria», n. 39 del 26 settembre 1897. 2. JDas Zinnoberherzvorkommen am Monte Amiata. Zeitschrift ftir praktische Geologie. November 1897. 3. La formazione Cinabrifera dei Monte Amiata. Giornale « La Eassegna Mineraria », voi. VII, n. 18, 21 decembre 1897. (Traduzione del precedente n. 2). 4. The Quicksilver Industri) of Italy to thè end of 1897. Nel «Minerai Industry », voi. VI, New-York and Lon- don 1898. VINCENZO SPIREK CXXV o. L’ industria del mercurio in Italia. Nella « Rassegna Mi- neraria », voi. IX, n. 10, 11, 1 2 del 1°, 11 e 21 ottobre 1898. (Traduzione del precedente n. 4, con piccole varianti). 6. Das Quecksilberhuttemcesen in Italien. Nel « Berg und Hiittenmannischen Jahrbuch der Bergakademien. XLVIII Bd., 2 Heft. 1900 (Traduzione del precedente n. 4 con pic- cole varianti). Con lo stesso titolo in « Montan Zeitung » Graz 1900. 7. Il forno Cermdk-Spirek. Conferenza tenuta il 9 marzo 1900 alla Associazione Chimica Industriale. Nella rivista « La chimica Industriale», anno II, n. 8 e 15 aprile 1900. 8. L’industria del Mercurio in Italia. Nella rivista « La chi- mica Industriale », anno II, n. 14 e 15, 15 luglio e 1° Agosto 1900. (Quasi uguale alla pubblicazione n. 5). 9. Il forno Cermdk-Spirek per arrostimento e calcinazione dei minerali. Torino 1901. 10. L’industria del mercurio in Italia. Conferenza tenuta in Torino al I Congresso di chimica applicata. Torino 1902. 11. Il forno Cermdk-Spirek. Nella « Rassegna Mineraria », vo- lume XVI, n. 7 del 1° marzo 1902. 12. Las Zinnobervorkommen am Monte Amiata, Toskana. Nel « Zeitschrift fiir praktische Geologie» September 1902. 13. The Cermdk-Spirek Schaft Furnace for Quicksilver ores. Nel « Minerai Industry », voi. X, 1902. 14. The Cermdk-Spirek Furnace for Calcining and Toast ing Zinc ores. Nel « Minerai Industry » voi. X, pag. 684 e segg. 1902. 15. La formazione Cinabrifera del Monte Amiata. Nella « Ras- segna Mineraria », voi. XVIII, n. 6 del 21 febbraio 1903. 16. Des Schùttròstofen Cermdk-Spirek, seine Fntstehung und Verbreitung. Nel « Zeitschrift fiir angewandte Chemie » XVIII Jahrgang, Heft I, 1904. 17. Four Cermdk-Spirek pour le grillage et la calcination des minerais, Turin 1904. (Traduzione del n. 9). 18. Die Fortschritte in Quccksilberhùttenivesen und Schùttròstofen Cermdk-Spirek. Aus dem Bericht des V Internationalen Kongresses fiir angewandte Chemie zu Berlin 1903, Sek- tion III A, Band II, Serie 127. Berlin 1904. IX CXXVI VINCENZO SPIREK 19. Le four Cerm dii - Spirek pour le grilla ge et la calcination cles minerais ( type 1901) et appareil de chargement sans fumèe. Congrès internation. des mines, de la metallurgie, etc. Liège 1905. 20. Le gisement de Cinabre du Monte Amiata. Congrès inter- nation. des mines, de la métallurgie, etc. Liège 1905. 21. The Mercury District of Monte Amiata, Ltaly. Nel «Mi- ning Magazine » di New York, voi. XIII, n. 4 dell’a- prile 1906. 22. La metallurgica del Mercurio. Comunicazione fatta nella Sez. Ili, A. del VI Congresso internazionale di Chimica Applicata, a Eoma, 1906. SULLA GEOLOGIA DELLA PROVINCIA DI ROMA (') Comunicazione del dott. G. De Angelis d’Ossat IV. Ghiaie al Casale di Pietralata. E ben nota la formazione ghiaiosa, ricca di materiali vul- canici, lungo la destra dell’Aniene, nel tratto che corre fra i ponti Nomentano e Salario. Pure alla sinistra è stata ricono- sciuta la formazione ; ma in un senso più complesso. A Pietra- lata finora erano accertate le ghiaie solo vicino al fiume: ora la loro diffusione si allarga avendole trovate presso il Casale e propriamente alla base del muro che accompagna la via che vi conduce venendo dalla Tiburtina. Trovai altresì gli elementi lito- logici che sovente accompagnano questo livello di ghiaie sopra al fontanile dell’Acqua Vergine, presso il Casale, e sugli spalti orientali del forte di Pietralata. La formazione ghiaiosa si ri- collega alla destra, con i giacimenti analoghi della tenuta Rebbibia. V. Peperino nelle tenute Morena e Casalotto. Ho accertato la presenza del peperino litoide, per larga su- perficie, nelle due nominate tenute e nelle vicinanze della mola Cavona, nella Valle Marciana. Questa constatazione altera di molto, in quella parte, i limiti attualmente attribuiti alla for- mazione peperinica, la quale così viene ad aumentare di molti chilometri quadrati. Il fatto poi spande novella luce intorno ai rapporti della formazione peperinica con la ben nota successione degli strati di quel settore del vulcano laziale. Non è questa l’occasione per scendere a più precisi dettagli. (*) (*) Seguito alle Comunicazioni nel Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XX. (1901), f. Ili, pag. 445; voi. XXIII (1904), f. Ili, pag. 419. CXXVIII G. DE ANGELIS D’OSSAT YI. Lava alla stazione di Lunghezza. Dalla stazione ferroviaria di Lunghezza (Roma-Tivoli) si stacca un binario che, con uno sviluppo di circa un chilometro, va a raggiungere l’estremità occidentale della imponente espan sione lavica che scende da S. Cesareo, presso Zagarolo. Sul principio della linea e lungi meno di m. 100 dalla stazione, appena si esce dalla trincea, ho trovato un giacimento di lava finora sconosciuto (Leucitite). Tale lava appartiene alla gran- diosa corrente? La posizione stratigrafica non contraddice ; lo studio macro e microscopico pare voglia confermare l’unicità della coperta la- vica ; ma non se ne segue la continuità. Ho però trovato nella pianura che si allunga presso la Mola, località interposta, una breccia costituita in prevalenza di frammenti lavici e di rocce diverse (calcari) ; talmente cementata (cemento calcareo talvolta) da sembrare un sacco di scoria. Questa strana roccia meriterà certamente uno studio speciale. Frattanto si noti che essa giace in un livello inferiore al riposo della lava conosciuta e quasi allo stesso della nuova, la quale va a lambire il fiume, con strut- tura rozzamente prismatica, al ponte della ferrovia. VII. La roccia di Petronio a Salone. Mercè la gentilezza dell’ing. Luini posso presentare la roccia maravigliosamente descritta, tenuto conto del tempo, dal Pe- tronio alla sorgente dell’Acqua Vergine. (Petronius A. T., De victu Romanorum et de sanitate tuenda: libri quinque ad Gre- goriani XIII. Romae, 1581, Lib. II, Cap. III). Questa «exit » e lapide nigro durissimo valde gravi, difficulter inciditur, in » loco unde manat aqua : sed inde amotus, licet solidus adhuc, » sit, non adeo tamen laboriose caeditur: subinde siccus. Tum » valde aridus, tum non minus fere gravis sentitur : si atter- » ratur, eius pars aliqua cum maxima difficultate atterrite, ali- » qua minus difficulter : videturque constare tum ex lapillis qui- » busdam parvulis marmoreis et forte vitreis, pellucidis, albis. SULLA GEOLOGIA DELLA PROVINCIA DI ROMA CXXIX » Tum ex lapide aliquo silicineo et reliquo tkopkaceo, nullius » saporis odorisve » . Non si dura certo gran fatica a riconoscere nella roccia la pozzolana, specialmente gli aggregati inclusivi, donde spiccia la copiosa sorgiva della Vergine. Il raro e prezioso aggregato che presento si conserva nell’Istituto Geologico della E. Univer- sità di Eoma cui ne feci dono. Meli E. — Presentazione di una ippurite rinvenuta nella perforazione della galleria di Moni’ Orso sotto Sonnino. A Il socio prof. E. Meli presenta un bell’esemplare di mo- dello interno di una rudista ( Hippurites cfr. cornuvaccinum Bronn), rinvenuta nei calcari, attraversati dalla galleria di Monte Orso nei Pontini, ora in perforazione tra Sonnino in provincia di Eoma e Pondi in provincia di Caserta, per la direttissima Eoraa- Napoli. Il fossile fu rinvenuto a 467 m. dall’imbocco verso Eoma, ossia dalla parte di Sonnino. Egli ne fa rilevare l’importanza, essendo l’unico fossile, di cui finora si abbia notizia, ritro- vato nello scavo di quel tunnel, il quale trovasi oggi avan- zato di circa 1300 m. dall’imbocco dalla parte di Sonnino, e di circa m. 1370 dallo sbocco verso Pondi ; quindi ad oltre due km. e mezzo in complesso ammonta finora la perforazione in avan- zata del tunnel, il quale, quando sarà finito, avrà una lunghezza totale di m. 7528 tra l’imbocco Sonnino verso Eoma e lo sbocco Pondi verso Napoli. Egli ebbe a visitare più volte i lavori della suddetta galleria, specialmente nell’avanzata dallo sbocco di Pondi, eseguiti in appalto dall’Impresa C. Pozzi e, per quanto abbia cercato, non potè mai vedere traccia di fossili macrosco- pici, nè averli dagli operai, a molti dei quali fece raccoman- dazione più volte di metter da parte impronte e fossili, qualora ne avessero incontrati nei lavori di scavo ed avanzamento della galleria predetta. La rudista pertanto, che presenta, è interessante perchè va con precisione a fissare il sistema degli strati perforati, che, tenuto conto della specie, sono da riportarsi al cretaceo supe- riore (piano turoniano). Tutto il gruppo Lepino-pontino è da tempo riguardato come cretaceo. Nelle varie pubblicazioni e nelle carte geologiche, finora edite, è sempre segnato come in massa appartenente al cretaceo superiore. PRESENTAZIONE DI UNA IPPURITE CXXXI Ma i fossili vi sono rari. Il socio Meli trovò sezioni di ru- diste a Gorga nei Lepini e nella montagna di Segni. Buoni esemplari di rndiste vide a Sonnino e ne raccolse a Piperno, a Prossedi e a Pisterzo. Così ancora, ne trovò sul Monte S. An- gelo, che domina Terracina, ove s’incontrano le rndiste, impa- state in un calcare bigiastro, suscettibile di essere tagliato in lastre e di essere pulimentato, tanto che lo si adopra come marmo ornamentale ed è conosciuto col nome di Luniacliella od occhio di pavone di Terracina (*). L’esemplare predetto di Hippurites cornuvaccinum fu estratto da un calcare alquanto argilloso, compatto, bianco, tendente un poco al giallognolo, misura una lunghezza di mm. 150; ha un dia- metro trasversale massimo di mm. 90. La specie era già stata indicata nel cretaceo medio e supe- riore della parte S. della nostra provincia da Ponzi (s), Man- tovani (3), Viola, eco. 0 Questo marmo fu usato nel pavimento dell’atrio della chiesa, eretta dall’architetto Sarti in Terracina bassa, come é stato già indicato in altre memorie. Vedi: Meli R., Sopra la natura geolog. dei terreni rinvenuti nella fondazione del sifone che passa sotto il nuovo canale diversivo per depo- sitare le torbide dell' Amaseno nelle Paludi Pontine. Nel Bollett. d. Soc. Geol. Ital., voi. XIII, 1894, fase. 1°, vedi pag. 44; Meli R., Sulle Cha- macée e sulle Pudiste del Monte Affilano presso Subiaco (circondario di Roma). Nel Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XX, 1901, fase. 1°, vedi pag. 157 e nota (1) a piedi pagina. Il calcare a rudiste del Monte S. Angelo è pure segnato nella lista dei marmi di decorazione, che trovasi in fine al Catalogo ragionato di una collezione di materiali da costruzione e di marmi da decorazione dello Stato Pontifìcio ordinata per V Esposizione universale di Londra dell’anno 1862 , fatta dal pref. G. Ponzi. Roma, tip. d. Belle Arti, 1862, pag. 21, n. 28. Di questo calcare a rudiste parlò anche Statuti A., Esame, di un calcare ad ippuriti che esiste nei dintorni di Terracina. Atti d. Accad. pont. de’ Nuovi Lincei, anno XXX, 1877, pag. 106-113. (s) Ponzi G., Storia fisica dell’Italia centrale. Atti d. R. Accad. dei Lincei, Sessione IV, 5 marzo 1871. Vedi fossili citati al n. 8 (cretaceo, nel Quadro Geologico dell’Italia centrale. (3) Mantovani P., Descrizione geologica della Campagna Romana , To- rino, Loescher, 1875. Vedi pag. 29 specie n. 2. Tra i fossili del cretaceo medio e superiore di Palestrina, Arcinazzo, Subiaco, Lepini, ecc. segna al n. 2 l 'Hippurites cornuvaccinum. CXXXII R. MELI L’ippurite in parola dovrebbe essere sezionato e meriterebbe di essere figurato ed illustrato. Il prof. Meli aggiunge di aver ritrovato all’ingresso del tunnel, nello sbocco verso Fondi, nella trincea presso la spalla sinistra della galleria, entrandovi da Fondi, alcuni blocchi erratici di una roccia, che a prima vista potrebbe sembrare una arenaria per la sua macrostruttura, ma che invece risulta da piccoli rom- boedrini di dolomite. È una roccia macrocristallina, che dovrebbe essere di età più antica dei calcari perforati; è probabilmente una roccia dolomitica dell’urgoniano. Meli E. — Presentazione di calcari fossiliferi del circon- dario di Poma. Il socio prof. E. Meli presenta alla Società un campione di calcare, tagliato in forma parallelepipeda, e pulimentato per mostra di una collezione litologica di marmi ornamentali, an- tichi e moderni, che egli possiede, ricca di quasi 2000 pezzi, tutti di eguale formato. Il calcare suddetto proviene dal monte, su cui trovasi Castel S. Pietro Eomano, sopra Palestrina nel cir- condario di Eoma e presenta numerose sezioni di conchiglie uni- valvi, tra le quali sono rimarchevoli una sezione ben netta di Permea e parecchie sezioni di Actaeonina D’Orb. ('). Due di queste hanno figura bulimiforme; un’altra è cilindroide, e misura mm. 50 nella lunghezza, e mm. 16 nel diametro trasversale. I predetti generi di Gasteropodi sono interessanti per i din- torni di Eoma e confermano che i monti Prenestini sono da rife- rirsi ai cretaceo medio (5). (') Il genere Actaeonina D’Orb. 1850, secondo lo Zittel, andrebbe dal carbonifero, attraverso i vari terreni, tino all’attuale (bis Jetztzeit). Ved. Zittel K., Handbuch d. Palaeontologie, la parte ( Palaeozoologie ), voi. II, 1885, pag. 292. Ma, secondo Fischer e Woodward, dal carbonifero arriverebbe a tutto l’oolite (piano portlandiano). Ved.: Fischer P., Manuel de Conchyl. et de Paléont. concliyl ., Paris, 1887, pag. 553. — Woodward S. P., A manual of thè mollusca. Sec.ond edition — London, 1868, pag. 314. — Id., Manuel de Conchyl. traduit par A. Humbert — Paris, 1870, pag. 325. (*) Ponzi cita Nerinee nel cretaceo medio della catena lepino-pon- tina e dei monti Sublacensi; Ponzi G., Sopra i diversi periodi eruttivi determinati nell’Italia centrale. Atti d. pont. Accad. de’ Nuovi Lincei, tomo XVII, Sessione III. del 14 febbraio 1864. Vedi pag. Il (cretaceo medio) e pag. 28, n. 12 dell’estr. ; Id., Storia fisica dell’Italia centrale. Atti d. R. Accad. dei Lincei, Sessione IV, 5 marzo 1871. Vedasi pag. 8 dell’estr. e fossili del n. 8 nel Quadro geologico dell’Italia centrale. Mantovani P., Descrizione geologica della Campagna Romana. To- rino, Loescher, 1875, in-8° picc. Tra i fossili del cretaceo medio e su- CXXXIV R. MELI Il genere Actaeonina non era stato peranco citato nei fossili dei contorni di Roma. Lo stesso socio prof. Meli presenta ancora un’altra mostra, di dimensioni identiche alla precedente, facente pure parte della predetta sua collezione litologica di marmi antichi e moderni, di un calcare proveniente dalla Villa di Orazio nella valle del rio di Licenza (antico Digeritici) affluente di destra dell’Aniene, presso il paese di Licenza nel circondario di Roma. Il calcare è pieno zeppo di Nummulitidi ed è quindi da riportarsi alino- cene inferiore. Fu preso a circa 450 m. di quota sul livello del mare. I suddetti campioni portano i num. 110 e 111 della accen- nata collezione di pietre ornamentali. periore dei monti di Palestrina, Subiaco, Arcinazzo e Lepini, è citata una Nerinea sp.? Vedi pag. 30, n. 10. Nella Carta geologica della Campagna romana e regioni limitrofe, pubblicata in 6 fogli dal R. Ufficio Geologico, nel 1888, nella scala di 1 a 100.000, la cima del monte, su cui sta Castel S. Pietro, è segnata come cretaceo medio (Vedi foglio Roma). SOPEA UN’ALTEA METEOEITE CADUTA A SANT’ALBANO IN VALDINIZZA NELLA PROVINCIA DI PAVIA Comunicazione del prof. Romolo Meli Presento una bella meteorite, caduta alle ore 10 del mat- tino della domenica 12 luglio 1903, presso Sant’ Albano nel ter- ritorio di Valdinizza, circondario di Varzi, provincia di Pavia, contemporaneamente all’altra meteorite frammentaria, della quale feci parola nella nota Sopra una meteorite caduta in Valdinizza nella provincia di Pavia , stampata nel Bollettino d. Soc. Geol. it., Anno XXV, 1906, fase. 3°, pag. 887-899, che è figurata nella tavola XVII, unita alla suddetta memoria, e che oggi trovasi conservata nel Museo Civico di Storia naturale di Milano, al quale fu donata, sui primi del marzo 1907, a nome mio e del prof. Felice Mazza del E. Istituto Tecnico di Eoma. La nuova meteorite è completa; presenta su tutta la sua superficie una sottilissima crosta nera di fusione; ba solo una piccola scheggiatura, verisimilmente prodottasi nell’urto avve- nuto quando la meteorite incontrossi col suolo. Questa scheg- giatura permette di vedere la pasta interna e la struttura della meteorite, e di rilevare che è identica all’altra frammentaria indicata e figurata nella memoria sopra riferita. Si può pertanto, ripetere per questa nuova meteorite tutto quanto fu già scritto per l’altra, relativamente alla pasta in- terna ed alle sostanze, che la compongono. Si tratta quindi di una pietra meteorica (aerolite), del tipo spor adosider ite, sotto- gruppo oligosiderite. Appartiene alle litosideriti di Shepard, for- mata, cioè, di materiali di aspetto litoide e di aspetto metal- lico insieme; varietà pleiolitiche con materie litoidi prevalenti. La pasta, come nell’altra precedentemente fatta conoscere, è di I CXXXVI R. MELI colore grigio cenerino, tutta cosparsa di granellini lucenti con splendore metallico, di natura cristallina. Evidentemente si tratta, giudicandone dai fenomeni concomi- tanti la caduta, indicati nella succitata nota, di un bolide, che, scoppiato con fragore nell’alto dell’atmosfera, andò in pezzi: due di questi furono ritrovati e formano le due pietre meteo- riche delle quali ho potuto dar notizia. Ne consegue quindi che entrambi le pietre meteoriche rac- colte, provenendo da uno stesso blocco, innanzi allo scoppio unico, debbano essere formate internamente della stessa qualità di materia. Difatti, l’aspetto della crosta esterna e quello della pasta interna è il medesimo in tutte e due le meteoriti. La nuova pietra meteorica misura mm. 128 nella maggiore dimensione, ossia nella lunghezza; ha mm. 91 nella larghezza e mm. 60 di altezza. Pesa gr. 872,44. Ha la densità di 3,24, determinata insieme all’ing. Ugo Bor- doni. nel gabinetto di Fisica tecnica della R. Scuola di Appli- cazione per gl’ingegneri di Roma. Ha figura grossolanamente cuneiforme. Si potrebbe rassomi- gliare ad una piramide obliqua a base rettangolare. Il vertice della piramide in cui convengono quattro faccie (tre delle quali abbastanza pianeggianti) è ben marcato ed acuminato. Mi riservo di inviare, a suo tempo, uno scritto intorno a questa meteorite da pubblicarsi insieme alla sua fotografia. In- tanto non ho voluto tardare a farne una breve comunicazione, j affinchè si avesse notizia dell’esistenza di questa nuova meteo- rite e della precisa epoca della sua caduta. Esprimo i più vivi ringraziamenti al eh. prof. Felice Mazza, il quale si dette premura, affinchè questa meteorite italiana fosse acquistata per mio conto a Yarzi sul principio dell’anno 1907 e procurò tutte le indicazioni e i dati di fatto, relativi alla caduta, i quali, del resto, collimano con quelli già cogniti e pubblicati nella sopra citata memoria, relativa all’altra pietra meteorica frammentaria, precedentemente descritta. ESCUSSIONE AI MONTI ALBANI (21 Settembre 1908) Relazione del dott. Serafino Cerulli-Irelli Alle 6.30 a. m., favoriti da uno splendido sole, che mitiga alquanto il fresco mattutino, i soci Bibbolini, Cardinali, Ce- rulli-Irelli, Ciofi, Clerici, De Angelis, Neviani, Rosati, Sa- batini, Tommasi, Verri, Zamara, col presidente Portis che di- rige l’escursione, puntuali all’appuntamento, prendono posto sul tram elettrico dei Castelli, diretti a Rocca di Papa. Usciti fuori dall’abitato, la strada, che si percorre velocemente attraverso la vasta e deserta campagna, è peraltro assai pitto- resca e interessante per lo splendido, maestoso panorama dei Monti Albani, che le fa da sfondo, e per le rovine degli an- tichi monumenti che si stendono qua e là sul suolo, e sui quali il collega De Angelis ci offre sommarie spiegazioni. Ma ben presto la via si incassa fra gli ammassi di lapilli, che coprono la campagna povera di vegetazione, e nei quali si osservano con interesse bizzarre ed eleganti pieghe o insenature, determi- nate dalla caduta di blocchi sul materiale incoerente, durante la sua deposizione. A Valle Violata si unisce alla comitiva il socio Ambrosioni, accolto festosamente da tutti. Il paesaggio da qui si fa interessantissimo: la strada sale su una verde distesa di onusti vigneti e di glauchi ulivi, fra i quali pittorescamente sorgono eleganti villini, e i famosi Ca- stelli romani, che cingono come di una corona il vasto pano- rama, con Rocca di Papa in alto, arrampicata su un appicco di lava. Giunti a piedi della Rocca, una breve funicolare, di re- cente costruzione, ci conduce comodamente e rapidamente alla sommità. Rocca di Papa a 750 m. sul mare, con le sue case CXXXVIII S. CERULLI-IRELLI disposte a scaglioni a ridosso di una balza di lava, colle pen- dici coperte di lussuriosi castagni, col Monte Cavo, che sopra le incombe, è un ridente e superbo paesello, meta di gitanti, e sito di deliziosa villeggiatura estiva. Sostiamo brevemente per aggiustar lo stomaco, e quindi a piedi ci disponiamo a salire il Monte Cavo. Appena fuori delle ultime case del paese ci si comincia a delineare l’orlo del grande cratere interno, imponente per la sua vastità, tutto co- perto nei fianchi da macchia e da bosco, mentre il fondo (il Campo d’Annibale) è tenuto a prateria. Dopo brevi colpi di martello che permettono di prelevare campioni di lava (leuci- tite con olivina) della colata degli Arcioni, deviamo a sinistra, dirigendoci verso il fosso degli Arcioni. Qui la colata di lava forma un appicco profondissimo, di 70 m. di altezza, selvaggia- mente pittoresco, di cui il collega Ciofi prende varie fotografie. L’appicco di Pentima Stalla è un esempio interessantissimo di divisione tabulare della lava, a strati piuttosto sottili e re- golari, dai 20 ai 40 cm. Varie sono le ipotesi che si affacciano per la spiegazione del fenomeno. V’è chi sostiene sia esso ef- fetto della pressione della massa sovrastante sulla lava ancora calda, ricordando all’uopo quanto avviene al ferro caldo mal- leabile, sotto il colpo del maglio : altri effetto di contrazione : altri di pressione e contrazione insieme. Il fenomeno è certo imponente e degno di grande interesse. Ripresa la via per Monte Cavo, ed attraversato il Campo di Annibaie, che alcuni, fra i quali il Murchison, ritengono sia stato per qualche tempo un lago, su per un magnifico bosco, dall’ombra deliziosa, si inizia la ben facile e comoda ascensione: e lungo la strada osserviamo nella lava inclusi bellissimi cri- stalli di olivina e di augite molto grandi. Ma via via che ci si innalza, il panorama si allarga e ci affascina colla sua bel- lezza. Sotto di noi i due pittoreschi laghi di Albano e di Remi, dall’azzurro profondo, e dai fianchi coperti di ricca vegetazione, in gran parte boschiva, attraggono la nostra ammirazione, ed unanime e spontaneo è il coro di protesta contro il progetto di prosciugamento del lago di Nemi, che priverebbe il paesag- gio di tanta naturale bellezza, per il vagheggiato ricupero di resti di antiche navi romane. ESCURSIONE AI MONTI ALBANI CXXXIX I laghi di Nemi e di Albano, alimentati da sorgenti, sgor- ganti dentro il loro stesso bacino, come l’altro prosciugato del- l’ Ariccia, sono variamente interpretati: per i più essi sono do- vuti a sprofondamenti, per altri invece occupano il posto di antichi crateri, posteriori all’attività vulcanica dei centri mag- giori. Su per l’antica via romana, la via Trionfale, pavimentata a grossi lastroni, che conduceva al tempio di Giove Laziale sulla vetta del Monte Cavo, si continua la salita del monte, e in breve ne raggiungiamo la sommità. Questo monte, che costituisce il punto periferico più elevato (950 m.) del cratere interno, secondo alcuni non rappresenta altro che una parte dell’orlo del cratere ; secondo altri sarebbe invece un cratere avventizio periferico: opinione quest’ultima sorretta dalla posizione degli strati di lapilli, che sembrano pendere egualmente tutt’intorno al monte. Dalla vetta del Monte Cavo si delinea con grande chiarezza tutta la vasta e caratteristica topografia del gruppo del vul- cano laziale. Esso è costituito da un doppio recinto ; il recinto esterno, detto dell’Artemisio, a forma di ferro di cavallo, che delimita a tre lati, Nord, Est e Sud, un grande cratere circo- lare di circa 10 kilom. di diametro, e il recinto interno, che il Sabatini chiama Monte Albano o Monte Laziale, e che ter- mina col cratere detto Campo d’Annibale, il cui orlo è demo- lito pure ad Ovest, dove sorge su ripida balza di lava Eocca di Papa. Tra i due recinti s’interpone una valle anulare, l’A- trio della Molara, il cui fondo è di un’altitudine variabile dai 550 ai 600 m., e si apre da un lato sopra Grottaferrata e dal- l’altro sopra Nemi. Vari coni avventizi si osservano più o meno distinti in di- versi punti dei due recinti vulcanici, e fra essi assai ben con- servato quello situato eccentricamente nei Campi d’Annibale, il Monte Vescovo. Dopo esserci trattenuti alquanto su Monte Cavo, si riprende la via del ritorno, ma prima di rientrare a Eocca di Papa, ci si reca a visitare l’osservatorio geodinamico, con grande pas- sione e competenza diretto dal Dott. Agamennone, il quale con squisita cortesia ci offre spiegazioni sui numerosi apparecchi CXL S. CERULLI-IRELLI sismografici e sismometrici, che nell’osservatorio sono raccolti, fra cui parecchi di sua invenzione. Ma l’ora del pasto si appros- sima, e ridiscendiamo rapidamente a consumare la nostra parca colazione. Alle 2 pom. si riprende la funicolare e poi il tram elet- trico, che ci porta ad Ariccia. Qui il collega De Angelis d’Ossat ci conduce prima ad osservare nel parco Chigi una grandiosa cava di peperino, dal quale si estraggono magnifici cristalli isolati di leucite, idrocrasia, mica (biotite), haiiyte, ed inclusi vari, fra cui blocchi di calcari compatti bianchi, cristallini e metamorfosati, ed aggregati diversi di minerali. Per la grande ricchezza di questi inclusi, e per la varietà della loro composi- zione mineralogica, il Lazio è fra le regioni vulcaniche d’Italia una delle più importanti, e notizie preziose su di essi ci hanno fornito Yom Eath, Strtiver, Lacroix, Sabatini, ecc. Si torna quindi ad Ariccia, ed attraversato il magnifico ponte a tre ordini di archi, si scende nella valle per osservare il tufo incoerente, in cui trovansi inclusi blocchi di argilla pliocenica, che racchiudono talvolta macroscopici fossili marini. Ma è tardi, e ci si affretta alla stazione di Albano, per prendere il treno che deve ricondurci a Eoma. Lungo la via ferrata, presso Marino, interessantissime le cave di peperino, le antiche e moderne latomie, vastissime e pitto- resche caverne, vestite di edera e musco. Alle 19,40 scendiamo alla stazione di Termini, lieti della gita compiuta, interessante sia sotto l’aspetto geologico che tu- ristico. ESCURSIONE A VITERBO FATTA DALLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA NEI GIORNI 23-24 SETTEMBRE 1908 Relazione elei socio Gioacchino Frenguelli Il 23 Settembre, alle ore 9 giungiamo con la ferrovia alla stazione di Viterbo, ove una rappresentanza del municipio, nelle persone dei signori comm. Oreste Vanni assessore e cav. Luigi Ludovisi consigliere con gentile pensiero ci attende per darci il benvenuto a nome della cittadinanza. Fatte le presentazioni e ringraziata l’eletta rappresentanza della bella accoglienza, prendiamo posto su due vetture automobili già pronte e ci di- rigiamo per la strada che conduce a Vetrai la, verso la Matto- naia Falcioni. Partecipano alla gita il presidente Portis, il segretario Cle- rici, al quale dobbiamo la direzione e la perfetta riuscita del- l’escursione, ed i soci Ambrosioni, Bucca, Cerulli-Irelli, Ciofi, De Angelis d’Ossat, Del Zanna, Fant appiè, Frenguelli, Galli, Neviani, Rosati, Sabatini, Tommasi, Verri; ci accompagna il sig. Falcioni, proprietario della fornace. Nell’argilla pliocenica, die forma il suolo e la parte infe- riore delle pareti della cava, in cui si estrae l’argilla grigia per farne laterizi, rinveniamo scarsi resti fossili (molluschi, bra- chiopodi, echinoderni) di cui non raccogliamo che pochi esem- plari a causa del loro cattivo stato di conservazione. L’ing. Cle- rici richiama l’attenzione dei convenuti sulla parte superiore del- l’argilla, ove questa assume gradatamente un colorito giallastro ed è notevole per la grande quantità di glauconite che con- tiene. L’ing. Clerici ritiene che questa argilla glauconifera debba tenersi distinta da quella sottoposta di facies vaticana. Ma l’at- tenzione di tutti è presto rivolta al soprastante peperino. Il tipico peperino forma una massa compatta di notevole potenza, percorsa verticalmente da numerose fratture, le quali, x CXLII G. FRENGUELLI lasciando aperto l’adito alle acque meteoriche, permettono che queste rammolliscano l’argilla sottostante determinando il frana- mento di grossi blocchi: tale franamento è favorito dalla leg- gera inclinazione degli strati argillosi. I blocchi franati ci na- scondono intieramente il contatto fra le due formazioni. La genesi di questo peperino, che occupa tutt’attorno la base del Monte Cimino, ha affaticato a lungo la mente di numerosi geologi, i quali, partendo da fatti obbiettivi variamente inter- pretati e da ipotesi diverse, sono giunti a conclusioni dispa- ratissime e la questione è ancora tntt’altro che risolta. Alcuni vogliono si tratti di una lava, altri di un tufo, sul cui mecca- nismo genetico i vari sostenitori non sono peraltro concordi. Gli svariati nomi con i quali a mano a mano i diversi autori hanno battezzato l’inconscio peperino ci danno una lontana idea della cosa: infatti esso successivamente fu chiamato necrolite a pic- coli feltspati (Brocchi), trachite (Pareto, Yom Kath, Ponzi), an- desite micacea (Deecke), andesite biotitica con iperstene (Meli), tufo trachitico (Verri), trachite andesitica quarzifera o dacite felsitica (Mercalli), oligoclasite con mica nera (Sabatini), soriana] harzose, biotite-latite (Washington). Essendo fra i soci intervenuti coloro che più a lungo si oc- cuparono della roccia in questione, si accende ben presto una discussione vivissima, specie fra Sabatini, Pantappiè e Clerici, alla quale prendono parte anche Verri e De Angelis. Ciascuno emette la propria ipotesi sostanzialmente, o almeno in buona parte, diversa da quella degli altri, e ciascuno sostiene viva- cemente la propria opinione basata su lunga messe di osser- vazioni dirette. La discussione si riaccende più viva che mai ad un piccolo scavo di fianco alla cava, ove s'intravede il con- tatto tra le argille ed il peperino, ridotto quasi esclusivamente ad un impasto di scorie laviche, di lapilli, e di abbondanti pomici peperiniche rotolate e leggere. L’interessante discussione i1) minacciava di divenire intermi- nabile e sarebbe continuata ancora a lungo se l’ora tarda ed (i) Per altri particolari vedasi il verbale dell’adunanza del 24 set- tembre e l’appendice alla presente relazione sommaria. ESCURSIONE A VITERBO CXLIII il cammino che ancora ci restava a percorrere non l’avessero troncata. Tornati alle automobili riprendiamo il cammino verso Vi- terbo, ma poco lungi dalla mattonaia facciamo una breve sosta a Villa Ramoni, presso la strada maestra, ove l’ing. Clerici ci fa ammirare le selvagge e pittoresche bellezze del luogo, ora quasi completamente abbandonato, ed una curiosità artistica: sopra grossi blocchi di peperino, rotolati dall’alto e murati fra loro alla meglio, è costruita una piccola casa colonica ed una torre; su questi massi rocciosi e sui blocchi circostanti un ar- tista, forse del seicento, ha scolpito fontane adorne di leoni e grandi figure. Ripreso il cammino giungiamo fin presso le mura di Viterbo (Porta del Carmine) donde, abbandonate le automobili, prose- guiamo a piedi per un sentiero che ci conduce alla vicina località di Ponte Sodo. Lungo il viottolo, scendendo a valle, osserviamo successivamente un notevole banco di tufo a scorie e pomici nere, tufo simile a quello che si vede alla Punta dei Nasoni presso Roma; poi tufi scoriacei, lapidosi, di color bruno o bruno giallastro, poco coerenti tanto che vengono utilizzati nelle costruzioni in sostituzione della pozzolana; poi un accu- mulo di scorie laviche, proietti minerali, lapilli quasi sciolti, a cui segue altro tufo terroso che da un punto all’altro offre variazioni marcate di colore, dal bruno al giallastro, dal giallo all’aranciato; ed in ultimo un banco di strati di pomici bianche variamente alternantisi con strati tufacei e sabbiosi, pomici da non confondersi con quelle già notate nel peperino, dalle quali differiscono sostanzialmente come hanno dimostrato le ac- curate analisi eseguite dall’ing. Clerici mediante la separazione meccanica. Il prof. Fantappiè ci fa notare come tutti questi materiali passati in rassegna siano da riferirsi alle manifesta- zioni dell’apparecchio vicano. Giungiamo frattanto a Ponte Sodo ove appare di nuovo il tipico peperino. Altra volta il Clerici, alla caduta del fosso di Ponte Sodo, aveva potuto osservare la superficie di posa del peperino e la sottostante argilla marnosa, quasi bianca, ricca di calcare qua e là agglutinato in noduletti bianchi; a causa però di una recente frana, che ha colmato lo scavo una volta CXLIV G. FRENGUELLI esistente, non possiamo vedere la sezione osservata dal Clerici. Tuttavia con l’aiuto del piccone si riesce a ìaggiungere gli strati marnosi più superficiali, verificando le asserzioni del no- stro direttore. Con la visita a Ponte Sodo termina il programma del mat- tino, onde raggiunte le vetture entriamo in citta. La severa architettura longobarda ed il maestoso stile gotico-italiauo dei molti monumenti di cui ancora e abbellita àiteibo, richiama- rono subito l’attenzione e l’ammirazione dei congressisti. La cinta turrita, i numerosi torrioni che, a guisa di vedette sovra- stano qua e là le case annerite dal tempo, ma ancoia adorne di cornici a bugne, di eleganti colonnine a spirale, di pittore- schi balconi, di magnifiche porte e finestre ogivali bellamente scolpite a trafori semplici e graziosi conservano alla citta 1 an- tico aspetto medioevale. Il breve tratto di strada che da Porta Romana ci conduce all’albergo dell’Angelo, ove ci attende una lauta colazione sociale, basta a destare un vivo interesse anche nell’animo di coloro che già più volte avevano eletto Viterbo a mèta delle loro gite, attirati dalla austera ed armoniosa bel- lezza della città, dalla gaiezza de’ suoi boschivi dintorni e dal- l’importanza de’ numerosi problemi geologici delle sue roccie. Dopo la colazione, anticipando di qualche minuto 1 ora della partenza, che il programma aveva fissato per le 14, ripren- diamo le automobili, che, uscendo da Porta Fiorentina, imboc- cano la Via Cassia. Tralasciando per il momento la visita al Bagnacelo ed al vicino Monte Jugo, che si eleva a sinistra della strada, ci di- rigiamo direttamente verso Montefiascone che ci appare in fondo al paesaggio sul ciglio estremo del recinto Vulsinio. Per l’erta salita che mena al paese i fianchi della strada ci permettono di osservare nette stratificazioni di ceneri e la- pilli di tanto in tanto piegate bruscamente da grosse bombe laviche. Oltrepassato di poco Montefiascone sulla via di Marta, giun- giamo ad una piccola spianata donde ci si para dinnanzi un panorama meraviglioso, incantevole. Ai nostri piedi si distende per intiero il grandioso lago di Bolsena, circondato da paesetti e da grosse borgate, coronato di colli coperti di alberi, di vigneti. ESCURSIONE A VITERBO CXLV dal suo tranquillo e limpido specchio sorgono le pittoresche e ridenti isolette Martana e Bisentina. Oltre il lago la vista spazia in un esteso e grandioso orizzonte che a ponente, attraverso la distesa di malsane pianure, giunge tino al mare, a levante si estende per la valle del Tevere fino ai lontani Appennini, mentre è chiuso a nord dal Monte Amiata, dal picco di Radicofani e dal Monte di Cetona, a sud dal Piano di Viterbo e dai selvosi Cimini. Dal luogo donde ammiriamo il superbo paesaggio il suolo si sprofonda giù giù quasi a picco, per un dislivello di circa 300 metri, nella sottostante vailetta recinta tutt’attorno da un ciglione circolare, interrotto solo dalla parte del lago; forma caratteristica che sta ad attestare in modo evidente la sua ori- gine craterica. Per osservare meglio il paesaggio ascendiamo la vicina col- lina di Monte Calvario, la quale, similmente a quella su cui è costruito il paese di Montefiascone, è formata da un ammasso di scorie rosso-brune, così fresche che paiono eruttate da poco : esse contengono olivina e grossi cristalli di un bel pirosseno color verde vellutato. Saliti al paese l’attraversiamo rapidamente, facendo una breve visita alla maestosa cattedrale, dedicata a Santa Marghe- rita, tempio eretto al principio del secolo XVI dal celebre archi- tetto veronese Michele Sanmicheli e restaurato da Carlo Fontana. Notiamo che le vie del paese sono lastricate con un tufo grigio- chiaro che si cava poco lungi dall’abitato e che per i caratteri macroscopici è molto simile al peperino laziale da cui però dif- ferisce per la mancanza di inclusi calcarei. Uscendo dal paese ci avviamo verso le automobili, ma ad un tratto da alcuni escursionisti parte una vivace protesta in- criminando la condotta del direttore Clerici, il quale ci farebbe partire da Montefiascone senza rendere un pietoso omaggio al fa- moso est , est, est , per il quale aveva rinunciato alla vita quel tale prelato tedesco del XII secolo, Giovanni Deuc, grande amatore di vini squisiti, immortalato nel celebre epitaffio scolpito in ca- ratteri gotici, che al defunto pose la pietà del suo fedele servo, sulla tomba nell’antichissima chiesa di S. Flaviano. Ottenuto il permesso presidenziale ben presto rimediamo alla grave dimen- ticanza. CXLVI G. FRENGTJELLI Alle ore 16 riprendiamo la via del ritorno durante il quale una piccola comitiva di volenterosi congressisti si reca a vi- sitare Monte Jugo, piccola collina che sorge isolata a breve di- stanza dalla via. La forma nettamente conica un po’ appiattita della collina e la sua costituzione geologica ricordano ch’essa fu un piccolo vulcano, la cui attività eruttiva si limitò all’emis- sione dei lapilli e delle ceneri ben stratificate che costituiscono i suoi fianchi e di una breve colata di una lava scura, com- patta e tenace; questa leucitite, alla di cui superficie concoide di frattura si scorgono numerosi cristalli di augite macrosco- pica e che contiene inoltre nefelina ed olivina, è notevole per la minuziosa analisi del Washington il quale vi ha detei minato persino gli ossidi di didimio e di cerio. Più oltre facciamo un’altra sosta al laghetto del Bagnaccio (le antiche Aq_uae Passeris ) alimentato da una sorgente termale solfurea le cui acque, secondo determinazioni che risalgono al 1886 (De Cesaris e Volpini, Le acque minerali di Viterio, tip. Agnesotti, Viterbo 1888), avrebbero una temperatura di 32°, 8. Lungo il viottolo che ci conduce alla sorgente osserviamo la formazione calcareo-argillosa e travertinosa che contiene nume- rosi molluschi continentali a facies terrestie tia cui spiccano il Cyclostoma elegans Muli., e V Helix nemoralis Lin. Proseguendo verso Viterbo, raggiunta la Porta Fiorentina, percorriamo la via del Suburbio fino a Poita Romana, ammi- rando la pittoresca fuga di torri di Porta della Verità: comin- ciamo quindi l’ascensione dei Cimini, seconda pai te del pio- gramma del pomeriggio. La strada si svolge molto tortuosa e si arrampica rapidamente con fortissime pendenze, che la nostra 40 HP supera con la massima facilità, attraverso un incanto di ombrosi boschi di querce e di castagni. Buona parte della strada è incisa in una roccia grigia, scoriacea nella parte superfi- ciale, fessurata in ogni senso anche nella parte profonda, cosparsa di lunghi ed abbondanti cristalli tabulari di sanidino, di leuciti caolinizzate e di scarsi cristalli di augite e biotite. È la trachite leucitica, denominata comunemente petrisco ; essa viene a costi- tuire una grande corrente la quale, scendendo dal ìecinto vi cano. giunge al Grottone, alle falde del Monte della Pallanzana, ove si divide in due rami, di cui uno si dirige verso il terri- ESCURSIONE A VITERBO CXLVII torio di Bagnala e l’altro giunge fino all’Acqua Rossa con un percorso di circa tredici chilometri. Passiamo presso Fonte Fiescoli ove sottostante alla trachite leucitica (petrisco) affiora una leucotefrite a grosse e numerose leuciti caolinizzate, e raggiungiamo Posta Montagna, situata ad 814 metri sul livello del mare. Qui i motori delle nostre automobili, che, a causa della faticosa pendenza, avevano per- corso quasi tutta la strada in prima velocità, si sono ecces- sivamente riscaldati. Mentre si cerca l’acqua per raffreddarli, la comitiva impaziente raggiunge a piedi la cresta del grande cratere Yicano in fondo al quale sorge il boscoso Monte Venere, straordinariamente pittoresco, circondato quasi tutt’attorno dalle limpide acque del lago di Vico in cui si rispecchiano i verdi declivi che gli fanno cornice. L’ora tarda ci strappa da quel mirabile paesaggio. Quando giungiamo al bivio di Canepina già comincia a calare la notte e siamo costretti a rinunziare alla progettata diversione alla Colonnetta ove l’ing. Clerici aveva promesso di condurci per raccogliere campioni di un altro in- teressante e caratteristico tipo di lava cui Washington dette il nome di Ciminite. Giungiamo a Viterbo poco dopo le ore 19, alquanto stanchi, ma pienamente soddisfatti dell’interessante e denso programma svolto nella giornata. La mattina del 24, già prima delle 6, tutti i congressisti sono riuniti in Piazza Vittorio Emanuele attendendo impazien- temente l’automobile noleggiato per la giornata. La comitiva di ieri si è alquanto assottigliata per l’assenza del prof. Bucca e dell’ing. Sabatini: in compenso vi si aggiunge il prof. Meli. Giunge finalmente la vettura che, uscendo da Viterbo, imbocca la via provinciale della Teverina che mena a Celleno ed a Civitella d’Agliano. La comoda strada si svolge pianeggiante e in leggero declivo in mezzo ad ubertosi vigneti. Si fa una breve sosta a Casale Monegbina per raccogliere qualche campione di petrisco, impresa alquanto difficile a causa della frammentazione della roccia. Alla discesa per l’Acqua Rossa l’ing. Clerici richiama l’at- tenzione sui tufi pomicei che occupano la sommità delle colline CXLVIII G. FRENGUELLI incise dalla strada : le grosse pomici nere di cui è cosparsa la roccia contengono augite, magnetite e numerosi cristalli di sa- nidino. Questo tufo, simile a quello osservato ieri all’inizio della discesa per Ponte Sodo, si ritrova sempre alla sommità della formazione tufacea dei dintorni, ricoperto qua e là dalla for- mazione travertinosa a molluschi continentali : esso rappresenta quindi l’ultima delle grandiose manifestazioni eruttive dei vul- cani della regione. Giunti alla mulattiera che, staccandosi a destra della strada provinciale, conduce al mulino dell’Acqua Rossa, abbandoniamo l’automobile, il quale, proseguendo per la Teverina deve atten- derci alla stazione ferroviaria di Grotte S. Stefano. Proseguiamo a piedi verso il molino presso il quale un viottolo, inciso al fianco di una collina, ci permette di osservare dettagliatamente la serie degli strati tufacei sottostanti al tufo a pomici nere. La serie risulta di numerosi e svariati strati, più o meno sottili, di pomici bianche quasi sciolte, di tufi sabbiosi o terrosi ricchi di quelle enigmatiche pallottole pisolitiche tanto comuni nei tufi laziali e nei sabatini. I diversi strati si alternano variamente talora separati nettamente fra loro, altre volte sfumanti attra- verso materiali di affinamento spesso ricchi di diatomee, altre volte infine separati da veri strati tripolacei per lo più sottili e fogliettati, bianchi, giallastri od ocracei. Le diatomee delle intercalazioni tripolacee e degli affina- menti di questa località e quelle delle numerose sezioni visi- tate successivamente nella mattinata, sono rappresentate da specie in prevalenza a facies d’acqua dolce tra cui: Epitliemia tur- gida Ehr., E. giòia Ehr., Cymbella lanceolata Ehr., Cy. ga- stroides Ktz., Navicala viridis Ktz., N. oblonga Ktz., N. sculpta Ehr., N. Brebissonii Ktz., Gomplionema capitatum Ehr., Sy- nedra ampliirliynclms Ehr., S. capitata Ehr., Cymatopleura solca W. Sm., Cyclotella Meneghiniana Ktz., specie tutte che vivono nelle acque stagnanti, nelle paludi e sulle rive dei laghi delle nostre pianure. Ed è interessante constatare questo fatto perchè esso ci chiarisce il problema che si agita sulle condi- zioni fisiche della regione allorché si manifestava più intensa l’attività dei nostri vulcani. L 'habitat di queste specie ci dimo- stra infatti come la serie degli strati tufacei, che si ripete dap ESCURSIONE A VITERBO CXLIX pertutto nei dintorni, si sia formata col concorso in una ampia distesa di acque dolci basse e tranquille. Però non si può esclu- dere la comunicazione temporanea o parziale di queste acque Lava prismatica di Ferento. (da una fotografia del dott. G-. Ciofi). con le acque del mare, poiché in alcuni strati, specie nei più bassi della serie, mescolate a molte delle specie ricordate, l’ing. Clerici rinvenne il Campylodiscus clypeus Ehr. e YAm- phora commutata Grun., specie ambedué che vivono nelle acque salmastre. Sopra la serie tufacea poggia una corrente di lava, costi- tuita da una bella leucitite grigio-scura, la cui superficie di posa, a contatto con strati diatomeiferi, si presenta scoriacea e talora nettamente cordata. Qua e là numerose fratture di ri- tiro accennano lontanamente ad una divisione prismatica della roccia. 2 EH CL G. FRENGUELLI Presso il mulino assaggiammo l’acqua acidulo-ferruginosa della sorgente dell’Acqua Possa, che ci sembrò piuttosto tiepida che fresca, il cui nome, che si estende a tutta la località, deriva appunto dal fatto che queste acque limpidissime, abbandonano scorrendo un’abbondante quantità d’ocra rossa. Proseguiamo quindi per una valletta costeggiando la sinistra del fosso profondamente incassato fra rive tagliate a picco. Un ponticello, formato di tronchi d’albero tra loro connessi, ma senza alcun riparo, ci permette di passare alla destra, ove, su- perate alcune balze, ci si presenta sotto Perento la magnifica divisione prismatica della lava, la quale con lungo cammino scende dal lontano recinto vulsinio. La corrente ci si presenta con una magnifica fronte tagliata a picco, di cui la parte su- periore appare come una massa amorfa attraversata da nume- rose fratture irregolari, l’inferiore, invece, di spessore più con- siderevole, è divisa regolarmente in lunghe colonne prisma- tiche, per lo più esagonali, diritte o a spigoli leggermente sinuosi: da una parte quasi verticali, dall’altra notevolmente curvate forse da pressioni subite durante la loro formazione. Alcuni prismi caduti ed infranti ci permettono di raccogliere qualche campione della lava che è una leucitite grigio-scura, te- nace, pesante, la cui superficie di frattura si presenta cospaisa di abbondantissime leuciti vetrose e di meno numerosi cristalli di augite verde scura o quasi nera. La continuazione della cor- rente lavica, che si scorge alla parete opposta della valle, mo- stra la sua sovrapposizione alla serie tufaceo-diatomeifera, e, sotto questa, in fondo alla valle stessa, affiorante qua e la, appare il pliocene rappresentato da sabbie quarzose e da marne giallastre ad Ostrea cochlear Poli. Sorpassati gli avanzi dell’antica chiesa che credesi dedicata a San Bonifacio (IX o X secolo} risaliamo, per un’erta pendice, ad un viottolo che incide altri strati tufacei e diatomeiferi so- prastanti alla lava, e, sopra tutta la formazione, un banco di travertino con numerose Cijdostoma elegans Muli. Giungiamo quindi alle rovine di Perento, ove siamo cortese- mente ricevuti dal Duca Pietro Laute della Rovere, presidente della Società archeologica locale, dal prof. Pietro Egidi, dal rag. Luigi Rossi e dal doti. Cassani. ESCURSIONE A VITERBO CLI Era Ferente» un antico vicus etrusco della Locumonia tar- qainiense, poi municipium al finir della repubblica romana e fiorente città all’epoca dell’impero. Sopravvissuta alla rovina dell’impero romano fu sede vescovile fino al 1172, anno in cui fu assalita e distrutta dalla gelosia della vicina Viterbo. Fra i numerosi ruderi, più volte rovistati e saccheggiati in ogni tempo, i più importanti sono quelli di un ampio teatro relati- vamente ben conservato, che ancora mostra cinque archi della sua grandiosa scena. La base delle arcate è formata da grossi blocchi rettangolari di peperino viterbese, mentre la parte su- periore è costruita con mattoni. Il sig. Egidi che, insieme al Duca Laute, gentilmente si presta a farci da guida, ritiene col Canina che questi archi, come tutto il resto del teatro, siano intieramente opera dell’e- poca imperiale, mentre alcuni archeologi, seguendo il Dennis, considerano la parte inferiore come residui di più antica costru- zione etnisca. Egli ci dice inoltre come Vitruvio nel II. libro De architectura parla delle cave eccellenti di pietra aniciana delle sue vicinanze e delle molte e colossali statue, dei fregi e bassorilievi in essa scolpiti per ornare la città. Di questa pietra aniciana non se ne ha più notizia: i frammenti di statue, di colonne e gli altri marmi che si rinvengono negli scavi sono invece marmi saccaroidi greci, cipollini, verde e rosso antico, africano, ecc. Alcuni credono ch’essa corrisponda al moderno nenfro, ma anche questo non si rinviene fra le rovine e nep- pure si scava nei dintorni. La Società archeologica locale da poco tempo ha iniziato gli scavi per mettere in luce i residui dell’antica città, cominciando dalle grandiose terme. Visitiamo un calidarium , recentemente scoperto, le cui pareti sono per- corse da numerosi tubi di terracotta a sezione rettangolare, nei quali circolava l’aria calda proveniente dai sotterranei: è un metodo perfetto di riscaldamento che si rinviene applicato in tutte le antiche terme romane. Lungo la discesa che da Ferento mena al mulino di Grotta Rubina osserviamo di nuovo la formazione tufaceo-diatomeifera, che si ripete dovunque con gli stessi caratteri : però essa invece di poggiare sulle sabbie plioceniche, riposa qui direttamente sulle roccie dell’eocene; ed è notevole il fatto che presso la fine CLII G. FRENGUELLI della serie quasi ad immediato contatto dei calcari eocenici trovasi un materiale leggero, bianco-giallastro, contenente dia- tomee d’acqua dolce. L’eocene, ben visibile presso il mulino, è rappresentato da arenarie compatte e da calcari biancastri intramezzati da argille galestrine. Al di là del Rio Malnome, che noi attraversiamo poggiando i piedi su grossi sassi appena sporgenti dall’acqua, il viottolo risale rapidamente mostrandoci ancora tutta la serie tufacea in cui spiccano strati tripolacei bianchissimi e leggerissimi, costi- tuiti quasi esclusivamente. dai frustuli silicei di diatomee d acqua dolce. Gli strati tufacei di questa località sono ben noti per i numerosi resti di mammiferi fossili (pachidermi, ruminanti, fe- lini, ecc.) rinvenuti dal Semeria, dal Pianciani e dal Procac- cini-Ricci. Sopra i tufi la solita formazione marnosa e traver- tinosa a Cyclostoma elegans Muli, e Helix nemoralis Lin. L’ultimo tratto della mulattiera che ci conduce a Grotte S. Stefano si svolge pianeggiante e monotono per oltre due chi- lometri e non presenta alcun interesse dal punto di vista geo- logico, tanto che ci sembrò assai più lungo di quel che non sia in realtà. Poco dopo le 10 giungiamo un po’ affaticati alla stazione di Grotte donde, ripreso l’automobile, per la via pro- vinciale torniamo verso Viterbo. Lungo la strada, mentre attraversiamo rapidamente pitto- resche campagne, l’ing. Clerici indica alla nostra destra il vi- cino burrone dell’Infernaccio, ove la serie tufaceo-diatomeifera riposa su argille plioceniche a Turritella sabangulata Br. Altre intercalazioni tripolacee sono incise dalla strada al Monte Rosso e presso il fosso dell’Acqua Rossa. Presso Viterbo volgiamo a sinistra per il dritto e spazioso viale che conduce alla Madonna della Quercia, grazioso paesello, distante appena due chilometri dalla città, notevole per la sua grandiosa basilica (Santa Maria della Quercia) la cui imponente facciata in peperino, mirabile opera del Rinascimento, si erge maestosa e severa. Proseguendo per Bagnaia le alte trincee della strada ci mo- strano splendide stratificazioni di pomici bianche, di lapilli e di tufi sabbiosi. Da Bagnaia ci rechiamo al vicino Ponte Ferro i Cavallo (nome che corrisponde alla forma del ponte) ove ESCURSIONE A VITERBO OLII I grosse rupi di peperino riposano direttamente sopra un banco di ciottoli, che fu distinto dal Fantappiè sotto il nome di ac- ciottolato. Esso risulta di ciottoli, blocchi, massi, di dimensioni variabilissime, tutti a spigoli arrotondati. La natura dei singoli elementi è pure variabile ed anch’essa ha fornito argomento di discussione, inquantochè il Fantappiè vi ravvisa abbondanti frammenti di roccie incassanti variamente metamorfosate, mentre per altri i più comuni sarebbero quelli costituiti da frammenti del così detto peperino delle alture (nome giudicato improprio dai più, giacché la roccia in parola non è un peperino, ma una lava trachi-andesitica); vi sono pure proietti contenenti sva- riati minerali e infine frammenti di roccie sedimentarie, specie di argilla pliocenica fossilifera, simile a quella in posto nella fornace vicina, argilla figulina grigia su cui riposa Tacciottolato. Questo dunque è compreso fra le argille in basso ed il peperino in alto; sopra il peperino poi, in alcuni punti, è visibile un banco di tufo a pomici nere. Presso la strada raccogliamo alcuni campioni di Ciminite, che non vediamo in posto, ma che si scava non molto lontano da Bagnaia: la roccia, che prima degli studi del Washington fu ritenuta una tracliite o una trachi-dolerite, contiene numerosi e grossi cristalli, anche geminati, di sanidino. Bipreso il cammino verso Viterbo, poco dopo mezzogiorno giungiamo in città soddisfatti della bellissima ed interessante escursione. Nel pomeriggio si tiene seduta di chiusura nella splendida sala consigliare del Municipio, gentilmente messa a nostra di- sposizione, e quindi la comitiva si scioglie grata al nostro in- stancabile Segretario per il magnifico programma così bene or- ganizzato e diretto. APPENDICE. Secondo il desiderio espresso dal Presidente nell’adunanza tenuta in Viterbo, i soci Clerici, Fantappiè e Sabatini, hanno inviato un riassunto delle opinioni che hanno sostenuto nelle discussioni fatte durante l’escursione. Si è ritenuto miglior par- tito riprodurle integralmente a guisa di appendice alla relazione CLIV G. FRENGUELLI della escursione mettendole per ordine alfabetico dei rispettivi autori. Ing. E. Clerici. Per quel che riguarda i rapporti fra le argille plioceniche ed il peperino viterbese, col sussidio della separazione mecca- nica comparativa degli elementi mineralogici in essi contenuti, ritengo, da gran tempo, cbe le due formazioni siano affatto in- dipendenti e che i materiali costituenti il peperino si deposi- tassero su terreno emerso dal mare ed in denudazione. Dalla discussione fatta sul posto il 23 settembre, mi sembra che ora per la Mattonaia Falcioni si sia tutti d accoido su questo punto. Credo che questa conclusione potrà generalizzarsi. Non mancherò di recarmi, per un esame più minuzioso, in quelle località ove altri ritenesse vi siano passaggi graduali, purché me se ne indichi il punto preciso. La parte inferiore del peperino alla Mattonaia Falcioni ed a Ponte Sodo è a mio parere, per la potenza di uno a due metri circa, nettamente stratificata, e costituita da elementi frammen- tari ben distinti e separabili, misti a vere pomici, e mi induce a concludere che il vulcano ebbe certamente, in quel tempo, una fase esplosiva. Gran parte di ciò che l’ing. Sabatini chiama pseudo inclusi sono veri inclusi o frammenti della roccia lavica di cui il pepe- rino è la corrispondente roccia clastica o tufacea. Però le sottili flammulazioni o maculazioni scure richiedono ulteriore studio potendo anche supporsi quali residui della parte vetrosa di scorie alterate o il risultato della diffusione di prodotti d’alterazione spesso isotropi. Il così detto acciottolato di Bagnaia fu probabilmente co- stituito daH’accumularsi in una valle dei materiali di demoli- zione di un primo espandimento lavico, facilitata dall’imbasa- mento argilloso, ai quali si sono aggiunti. i prodotti di un posteriore periodo esplosivo. Prof. L. Fantappiè. Il Prof. Fantappiè, per ciò che riguarda i rapporti fra le argille plioceniche ed il peperino alla Mattonaia Falcioni, di- ESCURSIONE A VITERBO CLV chiara di prender parte alla discussione per semplici chiarimenti specialmente in riguardo alla pubblicazione nella quale ebbe l’onore di essere associato al prof. C. De Stefani (1). Egli dice che alla questione « sulla possibilità che i mate- riali vulcanici siano commisti alle argille nella parte superiore di queste» non attribuì mai una grande importanza; perchè egli con numerose osservazioni e ricerche sulle formazioni Ci- mine era giunto abbastanza per tempo alla convinzione che il peperino nel complesso della sua massa si fosse formato su ter- reno emerso ; e che soltanto non si poteva escludere la possibi- lità che in alcuni punti fosse venuto a poggiare su plaghe som- merse. Tuttavia anche nel suo lavoro sui Cimini (2) aveva ac- cennato alla difficoltà di verificare la realtà del fatto. Egli osserva inoltre che per lui ammettere la possibilità della commistione dei materiali vulcanici colle argille non implica affatto la necessità di ammettere che la formazione del peperino sia dovuta a materiali di proiezione; ma può benissimo spie- garsi con fenomeni di locale triturazione dei materiali scoriacei che secondo l’opinione del Fantappiè costituivano un ampio e relativamente fragile mantello esterno della prima formazione delle alture, che son dovute ad eruzioni pastose. Per una più precisa interpetrazione del fenomeno egli richiama il suo lavoro sui Cimini, giacche egli adopra qui la frase « eruzioni pastose » per indicare la genesi di formazioni massicce. Egli rileva inoltre che non presenta un gran valore in ap- poggio dell’esistenza di materiali di proiezione (che del resto in limitata quantità avrebbero potuto precedere anche un’eru- zione pastosa come questa dei Cimini) neanche l’esistenza dei materiali povhicei posti in tanta evidenza dal Clerici : perchè (') De Stefani C. e Fantappiè L., I terreni superiori dei dintorni di Viterbo. Rendic. d. R. Acc. d. Lincei. Cl. se. fis. mat. e nat., voi. Vili, serie 5a, 1899. (5) Fantappiè L., Contribuzioni allo studio dei Cimini — I. Profili Strutturali; II. Peperino; III. Genesi delle formazioni. Rendic. della R. Acc. dei Lincei, voi. XII, 1903, 1° sem., fase. 11 e 12 e 2° seni, fase., 1. Vedere specialmente Parte III, ultimo capov. della pag. 37 ed il primo della pag. 38. CLVI G. FRENGUELLI questi più che a materiali di proiezione si possono riferire a differenziazioni scoriacee di lembi di magma riolitico che prima dovevano esistere in posto specialmente nelle parti periferiche delle formazioni massicce di origine pastosa. All’obiezione dell’ing. Sabatini che non crede sostenibile l’o- pinione del prof. Fantappiè riguardo alla formazione del « pe- perino » perchè il peperino propriamente detto contiene mine- rali cristallizzati e specialmente la mica in maggior quantità ed in migliore stato di conservazione che non quello che il Sa- batini stesso chiamò « peperino delle alture », il Fantappiè ri- sponde che, pur dato il fatto in tesi assoluta, si possono fare due osservazioni. Una è che i campioni del peperino, che viene cavato, si prendono nei tagli freschi della massa della roccia, mentre per le rocce delle alture si staccano dalle parti super- ficiali alterate. L’altra osservazione di gran lunga più impor- tante si fonda sulla differenziazione magmatica, che il Fantappiè notò fin dalla prima parte del suo lavoro in riguardo alla co- stituzione delle masse trachi-andesitiche delle alture ed alla quale si è posto in generale poca attenzione, tantoché egli credette poi opportuno di porla in rilievo con una breve nota sul « Geo- logisches Centralblatt (Band VII, n. 7, 1 Dezember 1905, Leipzig). Data infatti questa differenziazione magmatica che nel periodo di formazione si determinò dal nucleo interno delle alture alla loro superficie esterna si comprende come il pepe- perino propriamente detto si debba esser formato coi materiali scoriacei esterni che furono abrasi e non possa perciò avere la stessa costituzione dei materiali più interni che sono rimasti in posto, fatta eccezione di alcuni lembi residuali (come ad es. su uno degli speroni della Pallanzana) che il Fantappiè ha già indicato e che potrebbe in opportuna, occasione mostrare. Riguardo agli acciottolati, che si osservano presso il ponte al di là di Bagnaia, il Fantappiè nota che quando si dice in genere, come qualche collega, che questi acciottolati, che si trovano soltanto sotto il « peperino » tipico (si badi), « mostrano resi- stenza di materiali lavici preesistenti », oppure si fa con altri la semplice (troppo semplice) considerazione dell’esistenza di materiali massicci, senz’altro, prima delle formazioni di Bagnaia, ESCURSIONE A VITERBO CLVII si rischia di creare delle questioni che hanno per unica base l’improprietà di linguaggio; perchè la prima espressione dice troppo e la seconda dice troppo poco. Mentre bisogna distin- guere negli acciottolati le varie sorta di materiali; e due tra queste in modo speciale: a) i materiali a costituzione pre- valentemente feldspatica e di tipo analogo ai proietti mine- rali vulcanici, che rappresentano prevalentemente dei frammenti di rocce incessanti modificati e trasportati dalle parti esterne del magma pastoso delle alture ; b) i materiali di tipo lavico, che rappresentano materiali di prima demolizione della massa rocciosa delle alture. Soltanto così facendo si può trovare una razionale interpetrazione dei fenomeni osservati, come egli ha fatto nel suo lavoro sui Cimini, che egli non dovrebbe tanto spesso citare se fosse stato sufficientemente ed attentamente letto. Se fosse stata bene analizzata la sua ipotesi della for- mazione del peperino per rigenerazione a spese dei materiali scoriacei esterni delle formazioni massicce delle alture, sarebbe stato riconosciuto che è la sola che spieghi i fenomeni fin qui ricordati e che permetta una completa ricostruzione sintei tica di tutti i fenomeni eruttivi della regione Cimina. In ogn- modo egli ritiene che si possa provare con osservazioni opportu- namente fatte in varie località che l’intercalazione delle trachi- andesiti al peperino quale fu ideata dal Clerici per mera sup- posizione è da escludersi decisamente e si può ormai ritenere come acquisito che il peperino è appoggiato lateralmente alle parti più basse delle tradii- andesiti delle alture. Quanto alle domande del socio Verri il Fantappiè può ag- giungere che il modo di distensione e di rigenerazione da lui indicato per i materiali del peperino spiega perchè non siano molto evidenti gli accenni di stratificazione anche del detrito di falda; ma tuttavia non si può dire che questi accenni man- chino del tutto per chi osservi attentamente l’intiera formazione, specialmente nelle sezioni in direzione radiale rispetto alle for- mazioni massicce delle alture: come ad esempio lungo il così detto fosso luparo. Del resto vi sono accenni a fenomeni di ri- porto, qualche volta abbastanza chiari, anche nelle varie cave del peperino stesso. CLVIII G. FEENGUELLI Ing. V. Sabatini. Quanto ai passaggi graduali tra il peperino e le formazioni sottostanti, Sabatini osserva che, da parecchio tempo, in se- guito a più minute osservazioni, ha mutato d’opinione, ammet- tendo che il passaggio apparisca graduale solo a prima vista. Alla fornace Falcioni il peperino in basso si trasforma in ar- gilla, in cui dapprima sono ancora riconoscibili gli elementi della roccia originaria, e quindi, nelle parti più profonde la caolinizzazione è completa. Immediatamente al disotto si trova l’argilla pliocenica, e perciò la ragione del suo apparente pas- saggio al peperino. Aggiunge inoltre che, in molti siti, come al Poggio Castelluzza nella Valle della Vezza, sotto il peperino sono le sabbie gialle, plioceniche, che sembrano passare alla roccia soprastante, perchè questa per alterazione si riduce ad un sabbione giallo. L’origine del medesimo è confermata dal- l’assenza del quarzo, che trovasi invece nelle vere sabbie del pliocene, che stanno al disotto. . È però innegabile che veri passaggi graduali esistano in qualche località. Così, nell’abitato di Bomarzo, sotto la cantina del sig. Fr. Micheli, si trova un banco di ghiaie, senza ele- menti vulcanici in basso, e con tali elementi in alto. Insieme a questi elementi vulcanici sono anche pezzi di peperino. Quanto agl’inclusi nel peperino, Sabatini ritiene che, nella grande maggioranza dei casi, sì tratta di pseudo-inclusi , cioè di nuclei meno alterati delle parti rimanenti. Essi hanno apofisi e diramazioni spesso filiformi, mentre altre volte non hanno affatto la forma di nuclei, ma di esilissimi straterelli ondulati. E ricorda che tale struttura si ritrova poi nelle lamelle viste al microscopio. Quindi l’ipotesi degl’inclusi è inaccettabile, senza escludere la presenza evidente di taluni inclusi veri. In so- stanza si tratta del solito e notissimo processo d’ineguale alte- razione di tutte le rocce vulcaniche, dei graniti e delle are- narie, che le riduce poi a palle dure in mezzo a sabbie, e, quando queste sono asportate, restano solo le prime sparse sul suolo od accatastate. IL COLLE QUIRINALE Comunicazione del Generale A. Verri Racconta Strabone che i primi fondatori di Roma fortifica- rono i colli Capitolino, Palatino e Quirinale, la cui posizione debole per natura permise a Tito Tazio di prenderlo al primo assalto; e — scrive Dionisio di Alicarnasso — porre il campo tra il Quirinale ed il Campidoglio. Prosegue Strabone, che ag- giunto da Anco Marzio alla città il Celio, l’Aventino e la pia- nura interposta, la posizione divenne più debole, non avendo potuto prolungare il muro sino al Quirinale: il quale difetto arguì Servio Tullio, che completò la cinta, aggiunti alla città i colli Esquilino e Viminale. I ruderi delle mura di Servio Tullio mostrano che esse, sul colle Quirinale, coronavano il ciglione della vailetta del Petroniae amnis ; le cui acque, che si valu- tano forse con esagerazione a metri cubi 0.12 per minuto se- condo, alimentavano la Capraea palus (’). Di queste acque, dette volgarmente Sallustiane, la causa della scaturigine apparirà dalle notizie che comunico. Portarono osservazioni originali sulla struttura fisica del colle Quirinale : Brocchi, Canevari, Terrigi, Meli, Clerici, Portis (8). (') Strabone, Geographica , lib. V., cap. III. Dionisio di Alicarnasso, Antiquitatum romanarum lib. I. Lanciani, Forma urbis Romae. (2) Brocchi, Belìo stato fisico del suolo di Roma. Roma, 1820. Canevari, Notizie sulle fondazioni dell’ edificio^ pel Ministero delle Finanze. Atti R. Acc. Line., 1875. Terrigi, I puteoli del colle Quirinale. Giorn. « La Giovane Roma ». 1877. — Considerazioni geologiche sul Quirinale. Atti R. Acc. L., 1877. — Fauna vaticana a foraminiferi delle sabbie gialle del pliocene sub- appennino superiore. Acc. Pont. n. L, 1880. 1 2 A. VERRI È controverso se le argille — incontrate a quota — 10.22 nella piazza del Grillo, a quota 2.80 nell’angolo della via Nazionale colla via Mazzarino, a quota 30.40 nel taglio della via Nazionale, a quota 17.26 nella piazza Barberini — siano veramente marine. È pure controverso se quelle argille contenessero originalmente elementi vulcanici, oppure se questi elementi vi si mescolassero accidental- mente pel processo di estrazione colla trivella. Ma oggi che l’oriz- zonte delle ghiaie con lave trachitiche ed augitiche ha mostrato che, quando le manifestazioni vulcaniche erano già cominciate nelle regioni Sabatina e Cerite, un primo bacino salmastro occupava i luoghi dei colli della Crescenza e dell’Acquatraversa, mentre sul luogo del Gianicolo e dei colli di S. Passera durava ancora un mare profondo; ha mostrato che un secondo sistema lagunare, succeduto pel progrediente allontanamento del litorale, si estese dopo quella invasione ghiaiosa dal Gianicolo ai colli di Decima, tale controversia non mi sembra più di grande importanza. Giunta la somma delle conoscenze a questo stato, forse meglio potrebbe porsi il quesito: se le argille torbose con molluschi di acqua dolce, e gli altri depositi rilevati dagli studi citati alla estremità del colle Quirinale sotto ai banchi dei tufi vulcanici, siano — e sino a qual punto — contemporanei alle formazioni del secondo sistema lagunare di quella maremma; sicché, tra le lagune e la spiaggia emersa, si avesse sin d’allora un bacino chiuso di acque divenute dolci. Terrigi, Il colle Quirinale, sua fauna lacustre e terrestre, fauna mi- croscopica marina negli strati inferiori. Acc. Pont. n. L., 1883. — I depositi lacustri e marini riscontrati nella trivellazione presso la via Appia antica. Mem. R. Com. geol., 1891, pag. 111. Meli, Sulla natura geologica dei terreni incontrati nelle fondazioni tubulari del nuovo ponte di ferro costruito sul Tevere a Ripetta. Atti R. Acc. L., 1880. Nota a pag. 7 dell’estratto. Clerici, I fossili quaternari del suolo di Roma. Boll. R. Com. geol., 1886. — Sulla natura geologica dei terreni incontrati nelle fondazioni del palazzo della Banca nazionale. Boll. R. Com. geol., 1886. — Sulla perforazione del colle Quirinale. Boll. Soc. geol., 1901. Portis, Contribuzioni alla storia fisica del bacino di Roma , 1893, voi. I, (pag. 79 esame della collezione donata dal Clerici al Museo geo- logico della Università l’anno 1887 ; pag. 236 esame del materiale pro- veniente dalla trivellazione del Meli in via del Quirinale). IL COLLE QUIRINALE 3 « Odio all’uomo non ho, senonchè sento di amare più la na- tura », diceva di sè Giorgio Byron. Se la passione d’imparare la storia tisica della Campagna romana, non mi fa risparmiare strapazzi per studiarne il terreno sulle lande deserte, m’ è calle troppo duro lo scendere e il salire le scale altrui, per conoscere i terreni chiusi da muri. Un invito cortese del prof. Guglielmo Mengarini vinse la salvatichezza abituale, e così in questi ul- timi mesi fui tratto ad interessarmi di scavi eseguiti nel colle Quirinale. Gli scavi visitati sono quelli di fondazioni del villino Mengarini, presso la villa Colonna ; quelli dei pozzi di assaggio, per costruire il Ministero di A. I. C. nell’orto di S. Susanna; quelli di fondazione della nuova Chiesa, tra la via Aureliana, la via Sallustiana e la via delle Finanze; quelli dei pozzi di assaggio, per la costruzione del palazzo della Direzione delle Ferrovie, nella villa Patrizi. Ringrazio sentitamente gli inge- gneri Mengarini, Cavagnari, Pollini, Castello della gentilezza di che mi sono stati larghi nel mostrarmi i saggi del materiale incontrato, e nel fornirmi i dati dei loro importanti studi in riguardo: il cui succinto è l’oggetto principale dello scritto. Appresso procurerò di collegare le formazioni del colle Qui- rinale con quelle del terreno esterno, e manifesterò qualche ap- prezzamento. Bensì riflettendo che, per tendenza spontanea, può influire suggestivamente negli apprezzamenti, ancorché di osser- vazioni nuove o ripetute, la maniera di vedere la natura delle cose ; che in ricerche simili le possibilità di sbagli sono tante, mi guardo bene dal sentenziare erronee le opinioni che ne dissentano, e rivolgo a me l’ammonimento di Lucrezio: remi- niscaris summam rerum esse profundam. i Scavi di fondazione del villino Mengarini. ■ — - Gli scavi hanno avuto lo scopo di trovare con pozzi il terreno vergine sotto l’ammasso degli scarichi, accumulati da secoli sulla pen- dice esterna del colle Quirinale; sopra la quale sorgeva splen- dido il tempio del Sole. Non dànno perciò una successione re- golare delle formazioni, ma indicano soltanto la roccia trovata in posto su varii punti di una superficie avente lati di 20 e 37 metri. Scesi gli scavi dalla quota 44 alla quota 33.50, furono I 4 A. VERRI rilevate, oltre alle materie di scarico, quattro qualità di terreni di deposito originale. 1. — Tufi composti da lapilli e ceneri vulcaniche grigie, o ingiallite per alterazione, alle quote 34.50 - 35.30 - 35.60 - 35.70 - 37.45 - 39.00 - 43.00. Notevole in questi l’interca- lamento di uno straterello zeppo di pomici bianche alla quota 35.70. 2. — Tufi terrosi marrone, trovati a varie altezze sino alla quota 33.50. 3. __ Sabbie terrose con abbondanti gbiaiettine minute la- viche e particelle di leucite, incontrate alle quote 34.10 - 34.30 - 35.00 - 36.50 - 37.00 - 38.00 - 38.30 - 38.50 - 39.10 - 40.40 - 41.80. Notevole in queste le sabbie della quota 36.50, perchè contengono anche ghiaiette di calcare e di piromaca; le sabbie della quota 38.50 contenenti ghiaiette di piromaca. 4. — Marne grigie e giallastre incontrate alle quote 39.00 — 39.20 - 40.80 - 41.10 - 42.60. Le rocce tufacee segnano evidentemente la formazione dei tufi antichi che imbasano le deiezioni detritiche principali del Vulcano Laziale: pozzolana rossa, pozzolana grigia, tufo lionato da Costruzione e pozzolanella ad esso soprapposta. Mi viene qualche dubbio che le marne appartengano alla formazione lacustre del ponte Nomentano, del Monteverde e di altri luoghi adiacenti alle pianure del Tevere e dell Àniene (Q. Dubito pertanto che nella composizione della punta del colle Quirinale concorrano le due formazioni. A quale delle due siano da riferire le sabbie dei varii livelli non saprei dire. Pozzi di assaggio nell’orto di s. Susanna. — L’orto di s. Su- sanna — terreno degli antichi orti Sallustiani — in parte sta sulla sponda della valletta del Petroniae amnis, vailetta oggi colmata per una dozzina e più di metri con materie di scarico; in parte sta sul dorso del Quirinale. Il sottosuolo è tutto forac- chiato da cunicoli ed ampie grotte sino alla profondità della quota 42.60, ossia sino a circa 11 metri sotto al piano del terreno vergine. Lo scavo dei pozzi appunto si prefiggeva il (i) Verri, Il bacino al nord di Roma. Boll. Soc. geol. it., 1905. — Una sezione naturale nel Monteverde. Boll. Soc. geol. it., 1907. IL COLLE QUIRINALE 5 rintracciamento di questi cunicoli, pericolosi per la stabilità del- l’edificio da costruire. Il materiale incontrato, sino alla falda acquifera, fu costan- temente di tufi terrosi marrone, tufi composti da lapilli e ceneri grigie o ingiallite per alterazione. In tale complesso tufaceo sono intercalati due straterelli di pezzetti di pomice bianca. Approfondato in un pozzo lo scavo sino a quota 37.50, si riscontrò che i tufi a quota 38.50 posano sopra un’argilla grigia non effervescente cogli acidi, e l’argilla sta sopra una marna gial- lognola: mentre in altri scavi non fu incontrata nè argilla grigia, nè marna giallognola a quota più bassa (37.60). La potenza complessiva di questa serie di tufi è di circa 15 metri. Il li- vello medio della falda acquifera saliva poco sopra la quota 40; il piano della falda idrica declina verso l’antica vailetta delle acque Sallustiane. Lo sbancamento generale mostrò, sopra alla serie tufacea, un banco di pozzolana rossiccia grosso circa metri 1.50, la quale mi sembra abbia i caratteri della pozzola- nella che seguì l’eruzione del tufo lionato litoide. Fondazioni della Chiesa adiacente alla via Sallustiana, tra la via Aureliana e la via delle Finanze. — Lo scavo dei pozzi per i piloni incontrò sotto ai tufi, a quota 36.44, un’argilla giallognola non effervescente cogli acidi, e sotto essa tufo cal- careo; questo tufo seguitò a trovarsi alla quota 34.44. Pozzi d’assaggio nella villa Patrizi fuori Porta Pia. — Cinque pozzi scavati nel terreno adiacente al casino Patrizi, allo scopo di rintracciare i cunicoli, mostrarono la serie mede- sima dei pozzi dell’orto di S. Susanna, con potenza di circa 20 metri. In tutti i pozzi fu approfondato colla trivella l’assaggio sotto alla falda idrica, sino a circa quota 30: fu trovato che i 'tufi vulcanici posano su marna giallognola alle quote 36.15 - 36.03 - 35.62 - 35.03 - 34.67. Il livello della falda idrica era in media poco sopra la quota 40. Scoprirono due ordini di cunicoli: il superiore col piano tra le quote 53.50 e 47, l’inferiore col piano tra le quote 42.25 e 41.27; cioè profondi sino metri 19 circa sotto al terreno vergine. Il cunicolo più profondo era chiuso con tufi squadrati: esami- natone uno, ci trovai impronte di foglie, e notai caratteri eguali ai tufi dei banchi più profondi, i quali mostrano una struttura A. VERRI 6 piuttosto compatta, colore scuro, e presentano somiglianza coi peperini della via Flaminia. Osservazioni del dirocchi. — Il Brocchi indico nidi e stia- terelli di pomici, tra tufi terrosi e granulari, nei sotterranei alla falda del Quirinale, in via del Giardino Papale. Osservazioni del Canevari. — L’ing. Canevari, parlando dello scavo delle fondazioni del Ministero delle Finanze, riferisce: 1° d’aver incontrato sino a quota 38.92 tufi vulcanici, con intercalate due listerelle di pomici. Nota che il tufo infe- riore era tenacissimo e presentava i caratteri esterni del pepe- rino; che vi riscontrò numerosi fori cilindrici con diametro da 10 a 15 centimetri, giudicati impronte di tronchi d’albero. 2° che la serie tufacea posa sopra argille, le quali furono esplorate sino a metri 1.83, essendo scesi con lo scavo sino a quota 37.09. 3° che il pelo della falda acquifera fu incontrato a quota 38.77. 4° che due ordini di gallerie attraversavano il sottosuolo. L’ordine più alto col piano a quota 55./ 7; il più basso a quota 49.37, cioè circa 12 metri sotto al piano del terreno vergine ('). La potenza complessiva dei terreni vulcanici sarebbe stata di circa 22 metri; ma poiché nella zona superiore e indicato un banco di pozzolanella alto circa 2 metri, e si può supporre che tale materiale sia della natura medesima di quello soprap- posto alla serie dei tufi grigi dell’orto di S. Susanna, la potenza di questa serie si riduce a meno dì 16 metri. Altre osservazioni. — Per l’utile che possono recare nelle applicazioni, aggiungo in succinto quelle osservazioni degli scritti citati in principio, nelle quali mi è riuscito completare le no- tizie sulle qualità del terreno colle misure di altitudine. Trivellazione presso la fontana del Tritone in piazza Bar- berini: sotto metri 15.40 di scarichi e terre qualunque, da quota 18.06 a 17.26 tufi vulcanici; poi sino a quota 11.59 argilla; poi sino a quota 10.18 argilla mista a ghiaia (Ca- nevari). Le quote sono ridotte al livello del mare. p) Per uniformarle alle altre misure, ho ridotto le quote al livello del mare. IL COLLE QUIRINALE 7 Sezione del taglio di via Nazionale : tufi vulcanici sino a quota 38.67 ; poi argille e marne a volta torbose, giudicate lacustri per la presenza di molluschi d’acqua dolce, sino a quota 30.40 ; poi marne con frammentini di pomice bianca, giu- dicate marine in base ai foraminiferi (Terrigi). Trivellazione nella piazza del Grillo: sotto al terreno di scarico argille, a volte con frammenti di molluschi d’acqua dolce, da quota 19.48 a 0.28; poi sino a quota — 10.22 sabbie con materie vulcaniche, ghiaie di calcari e piromache ; poi sino a quota — 14.32 marne con frammentini di tufi vulcanici, giu- dicate marine in base ai foraminiferi (Terrigi). Trivellazione all’angolo di via Nazionale con via Mazzarino: da quota 31.50 a 5.43 marne con falde torbose contenenti mol- luschi d’acqua dolce e materie vulcaniche; poi sino a quota 2.88 sabbie con elementi vulcanici ; appresso argille con foraminiferi marini (Clerici). Trivellazione in via del Quirinale presso la Chiesa di S. Sil- vestro : sino a quota 39.85 tufi vulcanici ; poi marne con fram- menti vegetali, molluschi terrestri e di acqua dolce sino a quota 29.27 (Meli). L’uniformità di struttura, la vicinanza, le altitudini tolgono ogni dubbio che le rocce incontrate negli scavi descritti, sotto alla zona delle pozzolanelle superiori, appartengano a due piani identici: l’inferiore, composto da sedimenti di argille, marne e tufi calcarei; il superiore da estesi banchi di detriti vulcanici. Eesta a vedere quale posto occupino questi piani nella serie dei terreni componenti la Campagna romana. La sezione che dal casino Patrizi, passando per la vailetta della via Cupa, va alla Mammella nel punto della stazione del Portonaccio, mostra il terreno, sino alla Marranella, com- posto da banchi estesi di tufi costrutti da lapilli e ceneri grigie, da tufi terrosi marrone: mentre trivellazioni eseguite in vigne fuori Porta S. Lorenzo hanno incontrato, sotto ai tufi, a circa quota 22 argille e marne. Nella balza destra della valle, da- vanti alla stazione del Portonaccio, ferma l’attenzione un banco tufaceo: il quale, specialmente nella parte inferiore, include in quantità ghiaie e ciottoli di piromache, lave, tufi litoidi color grigio-verdognolo zeppi di leuciti ed augiti: tufi che non mi 8 A. VERRI pare abbiano riscontro nei prodotti del Vulcano Laziale. Questo banco, attraversato da fori lasciati da tronchi e rami di piante, rappresentando una grossa alluvione fangosa, indica vicinanza di terre abbastanza elevate scendenti alla bassura; mostrerebbe pertanto che non erano peranco stabilite le valli del Tevere e dell’Aniene. Non mi è riuscito trovare in quella puddinga nem- meno una ghiaia calcare; invece vi abbondano cavità che paiono modelli di ghiaie, forse calcari disciolte da processo di decal- cificazione. 1. Argille, marne, tufi calcarei. — 2. Tufi vulcanici composti da la- pilli e ceneri grigie a volte ingialliti per alterazione, tufi terrosi marrone, straterelli di pomice. — 3. Zona della pozzolana rosso-bruna. 4. Tufo lionato da costruzione. Proseguendo la sezione, si vede posare sopra quei tufi la pozzolana rossa; eppoi sopra essa, con intermezzo di tufi ter- rosi marrone, viene il tufo lionato da costruzione delle cave di Pietralata. Questo tufo incomincia con meno di un metro, e gradatamente ingrossa sino ad avere 16 metri nel pozzo del forte, dove scende 3 metri sotto al piano della valle attuale: invece la pozzolana si assottiglia, ed alla confluenza della Mar- ranella nell’Aniene il tufo lionato si addossa ai tufi grigi. Se avanziamo ancora sulla via Tiburtina sino a Pratolungo, ed anche più avanti, si vedono i tufi grigi e marrone, con inter- posti straterelli di pomice bianca, imbasare la pozzolana rossa; si vede il tufo lionato soprapporsi ora alla pozzolana rossa, ora ai tufi grigi che la imbasano (’). ' d '■ (') Verri, Sulle pozzolane ed altri materiali da costruzione della Campagna romana. Giorn. dei Lav. Pubi, e delle Str. Ferr., 1907, n. 22. Estratto con due sezioni; Agostinelli, Pozzolana di Pratolungo. Ann. Soc. Ing. ed Arch. it., 1907. i IL COLLE QUIRINALE 9 Sul tufo lionato e sui tufi grigi antichi posa, nelle alture di Pietralata, la sedimentazione lacustre che sta in posto con potenza maggiore al monte Sacro, e sulla sponda sinistra del- l’Aniene dal ponte fomentano al ponte Salario. L’anno 1885 l’ing. Vescovali fece fare varie trivellazioni, delle quali quella tra le alture di Campo Verano e del Casale del Portonaccio è vicinissima alla sezione tracciata. Incontrarono 15 metri di tufi vulcanici scuri, poi da quota — i— 2.14 a — 2.86 marne giallastre sabbiose, appresso sino a — 21.90 ghiaie di cal- cari e piromache mescolate a sabbie. Aggiunto : che nella valle stessa della Mammella, al termine del vicolo del Pigneto, altra trivellazione incontrò sotto ai tufi vulcanici alternanze di argille e ghiaie da quota — 5.29 a — 11.29; che la trivellazione sulla via Casilina, descritta dal Clerici, mostra sotto ai tufi da quota -t- 17 a — 8.35 argille e sabbie, eppoi sino a quota — 16.90 banchi ghiaiosi, sotto ai quali stanno sedimenti prevalentemente argillosi; che altra trivellazione Vescovali nella Vigna Lais, in via Tuscolana, incontrò sotto ai tufi argille da quota 10.87 a 4,27, e sotto un grosso banco di ghiaie esplorato per m. 1.50; che la trivellazione di Capo di Bove mostrò sotto ai tufi marne con molluschi di acqua dolce da quota — 8.97 a — 15.53, poi sabbie e ghiaie sino a quota — 22.20, ed appresso un potente sedimento argilloso; questi grossi ammassamenti di ghiaie, con accenno a provenienza da territori situati ad ovest, anteriori agli espandimenti più antichi dei tufi nella Campagna romana, compresi tra sedimenti che contengono materie vulcaniche sparse, sono lumi preziosi per rintracciare le vicende di quel tempo oscuro, che precesse le esplosioni del Vulcano Laziale. La sezione che dal casino Patrizi va al ponte Nomentano mostra continuatamente, sino alla vailetta della Sedia del Dia- volo, la serie dei banchi di tufi composti da lapilli e ceneri grigie, alternati con tufi terrosi marrone, ed interpostovi qualche straterello di pomici bianche, e falde di argille cineree. Tale formazione ricomincia nella sponda destra dell’Aniene, dove si vede posata sopra tufi calcarei. Era la valletta della Sedia del Diavolo e l’Aniene, s’incunea un banco massiccio del tufo lio- nato, mostrante il riempimento di una valle d’erosione; sopra questo tufo stanno sedimenti d’acqua dolce, i quali non coprono 10 A. VERRI soltanto il massiccio tufaceo, ma scendono sino al piano della valle dell’Aniene nel vicino monte Sacro, e là si addossano ai tufi grigi antichi. 1. Argille, marne con molluschi d’acqua dolce, tufi calcarei. — 2. Tufi vulcanici composti da lapilli e ceneri grigie a volte ingialliti per altera- zione, tufi terrosi marrone, straterelli di pomice, falde di argille cineree. — 3. Tufo lionato da costruzione. — 4. Sedimenti lacustri, banco di tufo composto prevalentemente da pomici bianche. Se si prosegue sulla via Nomentana sino al fosso di Casale dei Pazzi, si vedono i banchi dei tufi grigi, contenenti molti fori cilindrici lasciati da tronchi di piante, sempre imbasati sui tufi calcarei. Al Casale dei Pazzi sopra ai tufi grigi viene la pozzolana rossa, e presso questa il tufo lionato da costruzione del Vulcano Laziale. La sezione dal casino Patrizi alPAniene, che passi per la via Salaria, mostra identica natura e disposizione delle rocce. Anche in questa si vede nel modo più chiaro, che sulla sponda sinistra dell’Aniene il tufo lionato appoggia alla serie dei tufi grigi, e che tale serie posa su marne contenenti molluschi di acqua dolce e tufi calcarei ('). C) Nella comunicazione sul Bacino al nord di Roma, a pag. 229 accennava la possibilità, che il complesso tufaceo anteriore alla poz- zolana rossa, componente le colline della via Salaria e Nomentana, ap- partenga a due periodi eruttivi; tra i quali interporrebbesi il periodo delle eruzioni dei tufi trachitici chiari di Grottarossa, ed altri luoghi presso la via Flaminia. Dipoi ho veduto nella scesa della via Salaria all’Aniene, e lungo la via Nomentana dal ponte a Casale de’ Pazzi, che, tra i banchi dei tufi leucitici grigi, ponesi un banco di tufo biancastro o ridotto giallognolo per alterazione, zeppo di grosse pallottole pisoli— tiche. Se questo banco si collega coi tufi trachitici a pallottole delle località presso la via Flaminia, distinguerebbe i prodotti dei due periodi eruttivi, che composero quel complesso di banchi di tufi grigi. L. Sud-Ovest Nord-Est IL COLLE QUIRINALE 11 Adunque le sezioni, dal casino Patrizi alle valli della Mar- ranella e dell’Àniene, ci mostrano il terreno composto da un sedimento subacqueo, il quale fu coperto da estesi banchi di tufi vulcanici. La disposizione pianeggiante di quelle distese di banchi tufacei, l’interporsi in essi di falde argillose attesta un periodo di transizione, nel quale la contrada, dopo essere stata coperta dalle acque d’un lago, passava allo stato di territorio paludoso. Le altitudini del sedimento lacustre diminuiscono verso est; le triangolazioni danno una linea declive da ovest verso est, con angolo tra 15 e 20 minuti primi sulla orizzontale. Conseguenza di disposizione tale sono le copiose sorgive nel tratto della Mammella, dalla via Casilina alla confluenza nel- Aniene; la copia d’acqua portata dal fosso di S. Agnese; l’essere acquidosa la zona di pianura, che da là gira il piede dell’altura sino alla via Flaminia. È conseguenza della natura delle due formazioni la costituzione della falda acquifera, incontrata negli scavi dei pozzi di assaggio; è conseguenza delle solcature che le tagliano lo scaturire, a destra e a sinistra del colle Quirinale, del Petroniane amnis il quale alimentava la Capraea palus, dello Spinon ? flumen il quale alimentava il Velabrum minor (1). Ben lontano dal riferire ai movimenti iniziali orogenici della Campagna romana i dislocamenti, che caratterizzano le sponde della pianura tiberina dalla Marcigliana a Ponte Galera, considero questi dislocamenti come assetti conseguenti ai parossismi mag- giori del Vulcano di Campagnano e del Vulcano Laziale. Ma credo pure che il piegarsi delle zone laterali alla linea di rot- tura, passante per i due vulcani, abbia determinato nel letto ma- rino, sino dai movimenti iniziali, la costituzione lungo la costa d’una specie di canale con acque più profonde; la cui traccia si accompagna dalle Paludi Pontine alle contrade di Veio, e poi si perde sotto ai rigetti dei crateri Sabatini. I depositi tor- bosi con molluschi d’acqua dolce rappresenterebbero interrimenti ultimi di questa depressione, mediante materie trasportate dalle acque ; come nel territorio oggi solcato dai fossi della Magliana e di Galera, sopra il quale le acque erano meno profonde, i (') Lanciarli, Topografia di Toma antica ; I Contentava di Fron- tino intorno le acque e gli acquedotti. Atti R. Acc. Lincei, 1880. 12 A. VERRI banchi sabbiosi rappresentano gl’interrimenti degli stagni sal- mastri, con materie portate dai venti. I sedimenti del canale, quelli degli stagni salmastri, le sabbie degli arenili e delle dune hanno di comune detriti vulcanici sparsi, ed accennano a sincronismi nel formarsi (*). Appresso tutto fu coperto dalle di- stese dei tufi vulcanici, più antichi, dal quale momento mi sembra che s’incomincino a delineare i profili della Campagna di Roma. Se e sino a qual punto i sedimenti di quel canale siano marini, ovvero lacustri, lascio che discutano i competenti : io propendo a credere che almeno i superiori siano lacustri ; mi appare poi come cosa certa, che il mare si era già molto allontanato quando il paese fu invaso dai primi tufi vulcanici. Le due sezioni compendiano, a parer mio, i momenti sin- golari di storia fisica della Campagna di Roma dopo l’allonta- namento del mare. Un vasto lago è ridotto a regione paludosa da pioggie di lapilli e ceneri lanciate dai crateri Sabatini e Laziali, da alluvioni fangose di quei prodotti travolgenti piante divelte ai terreni vicini — l’eruzione della pozzolana rosso-bruna copre la serie tufacea antica, e le acque scavano le valli nel terreno rialzato dai movimenti sismici e dai detriti vulcanici — queste valli sono riempite dai prodotti della eruzione del tufo lionato e sua pozzolanella — segue un nuovo scavo delle valli, eppoi si costituisce un lago, che le riempie coi suoi sedimenti — le valli sono riescavate e si stabilisce l’assetto idrografico attuale. La pozzolana rossa si trova accanto Roma dal Cimitero di Campo V erano a Porta S. Paolo; la pozzolana grigia, la pioggia della quale non pare sia arrivata al Portonaccio, si trova nella Tenuta di Acqua Bollicante, a Tor Pignattara, all’Osteria degli Spiriti, al Fontanile Amelia, nel Vicolo delle Statue, e forse si avvicina ancor più alla Città; la pozzolanella si trova in varii punti sui colli dentro Roma, mentre il tufo lionato litoide si ammassa di preferenza nelle bassure: donde il soprapporsi (>) Terrigi, quinta opera citata. Clerici, Sopra una trivellazione eseguita presso Roma sulla via Ca- silina. Rencl. R Acc. L 1905. Verri, Note per la storia del Vulcano Laziale. Boll. Soc. geol. it-, 1893, pag. 580. Dal confronto si vede che conservo la prima impressione, pur con qualche ritocco in relazione alle scoperte posteriori. IL COLLE QUIRINALE 13 dei prodotti di questa eruzione a terreni di età e natura varia. Il punto più elevato, dove ho veduto il tufo lionato vicino a Roma, è nella via di S. Agnese sotto la villa Massimo, presso a poco dove la carta topografica segna la quota 42: nessuno, per quanto conosco, ha segnalato la presenza di quel tufo sul colle Quirinale, sul Pincio, sui Paridi. Con questo sarebbe chiusa la comunicazione geologica. Ho da soggiungere qualche parola su due soggetti che ad essa si col- legano, sopratutto più intimamente il secondo. Cunicoli e grotte. — Quale scopo abbiano avuto gli antichi abitatori, nel ridurre il sottosuolo ad una talpaia con estesi ed intrigati scavi, non è facile precisare. Il Canevari attribuisce quegli scavi a scopo di estrarre poz- zolana. Ritengo più che probabile questo scopo per le quattro grandi gallerie o grotte superiori, le quali s’internavano nella pozzolanella; ma non altrettanto per le gallerie inferiori, le quali, a profondità di circa 12 metri sotto al terreno vergine, s’internavano in un banco qualificato come pozzolana nera, grosso da 50 ad 80 centimetri. Meno ancora mi sembra probabile che, proprio qui in Roma dove la pozzolana straabbonda allo scoperto o quasi, angusti cunicoli scendenti più di 19 metri sotto al terreno vergine siano stati fatti per cercare se vi fosse pozzolana. E importante, nelle osservazioni del Canevari, il fatto che le gallerie sottostanti alle Terme di Diocleziano passano sotto le fondazioni, sicché appaiono scavate in tempo posteriore all’edi- ficio. Le Terme erano ancora in esercizio nel secolo V, nella metà del secolo XYI non erano ancora passate a proprietà pri- vata, in questo secolo furono donate ai Certosini. Il Ponzi sostenne l’opinione che i cunicoli fossero opere di allacciamento delle acque sotterranee, per alimentare fontanili e piscine (Q. Il Di Tucci — scrive Tommasi Crudeli - — fu il primo ad inter- pretare la funzione dei cunicoli quale opera di drenaggio. Il Tom- masi Crudeli espresse l’avviso, che i cunicoli avessero per fine la bonifica del terreno mediante fognatura; che la maggior parte p) Le acque del bacino di Roma. Riv. agr. rom., 1879. 14 A. VERRI fu fatta da popoli i quali precedettero i Romani, cioè dagli Etruschi e dai Latini ; che erano anche molto usati dai Yolsci, ed i Romani non fecero che continuare una tradizione antichis- sima. Il Lanciani insistè ancor più in questo parere, assegnando a scopo di fognatura almeno 4/5 dei gruppi di cunicoli; ma attribuì l’estendersi a sistema della fognatura con cunicoli a dopo il V secolo di Roma (*). È certo che le ampie grotte, internate nei giacimenti delle pozzolane, rappresentano processi di estrazione di quella materia. Credo che parecchi cunicoli siano stati opere di allacciamento d’acque, perchè abbondano esempi di acquedotti anche grandiosi alimentati con questo artificio: l’estensione e moltiplicamento dei cunicoli risponde alla teoria, che le acque sotterranee sur- gano dal profondo e si spandano nel sottosuolo, quindi l’oppor- tunità di facilitare loro l’emissione (2); se alcuni cunicoli, pur aventi in origine tale scopo, oggi si trovano superiori al livello della falda idrica, bisogna tener conto, specialmente allorché il piano dei cunicoli è più elevato del piano impermeabile, dell’ab- bassamento che subisce il livello delle acque sotterranee quando l’emungimento supera l’alimentazione. Esempi di tale scopo dei cunicoli, e relative conseguenze, sono quelli antichissimi delle Triglie e di Saturo, scavati per portare acqua a Taranto (3). Ritengo probabile che lo scavo di alcuni cunicoli si proponesse di bonificare terreni acquidosi, ed insieme provvedere acqua ai fontanili, e può essere benissimo che il drenaggio ne fosse il fine principale. Alcune gallerie ebbero evidentemente lo scopo di sepolcreti. Infine, da quel che ho letto nella descrizione del Canevari, da quel che ho veduto nell’orto di S. Susanna, aggiun- gerei che varie grotte devono essere state scavate per uso di O Di Tucci, Dell’antico e presente stato della Campagna di Roma in rapporto alla salubrità dell’aria ed alla fertilità del suolo. Roma, 1878 Tommasi Crudeli, Della distribuzione delle acque nel sottosuolo del- l’Agro romano, ecc. Atti R. Acc. Lincei, 1879. — Il clima di Roma, Roma, 1885. Lanciani, Di alcune opere di risanamento dell’Agro romano eseguite dagli antichi. Atti R. Acc. Lincei, 1879. (2) Lucrezio, De rerum natura, Lib. Y. (3) Verri A. e De Angelis G., Cenni sulla geologia di Taranto. Boll. Soc. geol. it., voi. XVIII, pag. 198. IL COLLE QUIRINALE 15 cantine e forse anche eli nascondigli. Ho il convincimento che non si possa generalizzare una spiegazione: ponendo, caso per caso, opportunamente nel calcolo questi moventi, le sezioni degli scavi, i dati sulla struttura del terreno, le circostanze storiche, ecc., può darsi che si arrivi alla soluzione del complesso problema. Pozzolane trovate negli scavi. — L’altro soggetto, quello che si collega più intimamente alla comunicazione geologica, riguarda la classificazione delle rocce. Il Canevari, oltre alla pozzola- nella segnata tra le quote 56.77 e 54.47, pone un banco di pozzolana nera tra le quote 50.17 e 49.63; un banco di poz- zolana tra le quote 45.17 e 42.87. Gl’ingegneri aventi la dire- zione dei lavori oggi in corso, seguendo esempio nell’arte tanto autorevole, hanno pure segnato nelle loro sezioni quali pozzolane quei tufi che si presentavano con aspetto fresco, e poca coesione. Tanto più che, sperimentatane la presa in confronto colla poz- zolana rossa, è stata trovata buona. Poiché, nell’arte del costruire, colla voce pozzolana s’intende una materia terrosa di origine vulcanica, adatta, allochè è me- scolata colla calce, a dare alle malte la proprietà di far presa nelle murature subacquee, niun dubio che il Canevari avesse tutte le ragioni di chiamare pozzolana i prodotti, nei quali riscontrava proprietà tale. Anzi dirò che, quando in tanti paesi sono adoperate per pozzolana persino terre equivalenti ai tufi terrosi marrone, il denominativo generico di pozzolana può essere applicato a tutti o quasi tutti i prodotti detritici dei vulcani. Perciò non rilevo il fatto coll’intento di criticare la classi- ficazione dell’ing. Canevari o di altri; tengo solamente a fissare che i prodotti segnati come pozzolana nella sezione del Cane- vari, dalla quota 54 in giù appartengono alla categoria dei tufi, che in genere sono indicati più specialmente col nome di tufi granulari : tengo a fissare ciò affinchè non avvengano equivoci nell’applicare quei dati agli studi geologici della Campagna di Roma. L’anno 1875, quando gli accademici Ponzi, Cremona e Sella presentarono, colla loro relazione, all’Accademia dei Lincei 10 scritto del Canevari, non erano molto chiare le idee su questi grandi giacimenti pozzolanici; benché da secoli l’industria ed 11 commercio avessero designato, col nome di pozzolana di Roma, prodotti di qualità speciale: i quali, attesa la proprietà di presa 16 A. VERRI nonché per l’entità dei giacimenti, hanno attratta singolarmente l’attenzione dei costruttori, ed acquistata considerazione si può dire mondiale. Poiché le osservazioni sul terreno mi mostrarono che quelle distinzioni commerciali ed industriali, stabilite dalla pratica secolare, rappresentano momenti distinti di parossismo nel Vulcano Laziale, le accettai e le mantengo, curando di pre- cisarne sempre meglio le linee. In coerenza, nella riunione in Poma dell’Associazione italiana per gli studi sui materiali da costruzione, proposi di sostituire la denominazione di pozzolana di S. Paolo con altra corrispondente all’origine geologica (*)• [ins. pres. il 1° marzo 1908 - ultime bozze 4 aprile 1908]. (') Verri, Sui grandi giacimenti delle pozzolane di Roma. Atti Assoc. it. per gli studi sui mat. da costi-. — Giornale del Genio Civile, 1907. Rendiconto della quinta riunione dell'Ass. it. per gli studi sui mat. da costi-., pag. 34. Bologna, 1907. POCHE ALTRE PAROLE SULL’EOCENE DELLA TERRA D’OTRANTO Comunicazione del prof. Giov. Di-Stefano Or sono due anni io sostenni (') che nella Penisola salentina l’Eoceue, la cui esistenza, affermata di già nelle Carte dell’Uf- ficio geologico italiano, era da altri vivamente negata, vi si pre- senta realmente, sebbene in lembi ristretti. Il mio egregio amico dott. R. Douvillé C), che ha visitata la regione, ammette lo stesso tatto, pur dissentendo da me sull’età delle Lepidocyclina che si raccolgono in Terra d’Otranto. Le recenti, importanti ricerche del prof. Vinassa de Regny, obbiettivamente condotte, confermano 1’esistenza dell’Eocene in situ nei dintorni di Otranto e a S. Ce- saria, come rilevo da gentili comunicazioni letterali. Il fatto da me sostenuto è dunque oramai fuori di contesta- zione; permangono invece i dispareri sulla estensione da asse- gnare all’Eocene della Penisola salentina, il che non deve recar meraviglia se si pensa, come ha scritto il Douvillé, che « la similitude étonnante des facies du Grétace, de l’Eocène et du Miocène rend du reste bien delicate la stratigrapUe de cette re'gion ». Nel mio scritto ricordato sopra io accennai subordinatamente alla presenza di Lepidocyclina in quell’Eocene e ripetei questa affermazione anche in una nota a piè di pagina di un altro mio lavoro (3). Il prof. A. Silvestri del Liceo di Spoleto, sull’esame di ( ) Di-Stefano G., Sull esistenza dell’ Eocene nella Penisola salentina . Rencl. R. Acc. d. Lincei, XV, serie 5a, l°sem., fase. 8°, sed. del 22 aprile 1906. (2j Douvillé R., Sur les argiles écailleuses des environs de Paierme, sur le tertiaire de la cote d’Otrante et sur celui de Malte. Bull, de la Soc. géol. de Fr., 4e sèrie, t. VI, 1906, séance du 17 dèe. 1906. (3) Di-Stefano G., I pretesi grandi fenomeni di carreggiamento in Sicilia. Rend. d. R. Acc. d. Lincei, XVI, serie 5a, 1° sem., fase. 5°, 1907. 2 18 G. DI-STEFANO materiale ricevuto in comunicazione, ha anche negato recente- mente (*) che in quella regione ci siano Lepidocyclina nell'Eo- cene, come lo nega anche in modo reciso per i dintorni di Ba- gheria e di Termini-Imerese (Palermo). È unicamente per esa- minare il valore di quest’altro caso di sistematica negazione del Silvestri che io fo alla Società geologica la presente breve co- municazione. Il materiale che servì di base alla mia Nota Sull’esistenza dell’Eocene nella Penisola salentina fu raccolto in gran parte dall’ing. L. Baldacci e dall’aiutante-ingegnere sig. M. Cassetti; ma il calcare bianco fossilifero, indicato come proveniente da una località sul litorale fra Tricase e Castro, fu raccolto da me insieme con i suddetti signori. Io donai una parte di quel cal- care fossilifero al dott. Douvillé ; il resto è quello che oggi presento alla Società. Siccome intendo esaminare ex novo la questione dell’età di tutti quei calcari a Lepidocydìna, recan- domi, quando potrò, nuovamente nella Penisola salentina, ove ho fatto una troppo rapida gita, io per oggi parlerò solo sul calcare raccolto da me stesso. Il dott. Douvillé, ricordando gentilmente il dono del pezzo di calcare bianco fossilifero, scrisse quanto segue: « M. Di Ste- fano a bien eu l’amabilité de m’en donner un provenant de la còte entre Tricase et Castro ; mais je n’y ai trouvé que des Le- pidocyclines, des Heterostegines et d’assez grosses Nummulites (8 nini, de diamètre) du groupe de N. vascus. Les Le'pidocyclines, de leur còte, soni du type ancien (Lep. Baulini). Ce niveau est acquitanien ou stampien supe'rieur, ecc. ». Il Douvillé non è sicuro che le grosse Nummuliti di 8 min. di diametro appar- tengano alla N. vasca, anzi in una Nota (1 2) posteriore di poco, accennando alle Nummuliti di Tricase-Castro, Manerba e della Florida, le indica lealmente con la frase: (voisines du vascus? j. (1) Silvestri A., L’ Omphalocyclus macropor a (Link.) a Termini- Ime- rese (Palermo). Atti d. Pont. Acc. d. N. L., LXI, sed. del 15 decem- bre 1907. (2) Douvillé R., Sur la variation chez les foraminifères du geme Lepidocyclina. Bull. d. la Soc. géol. de Fr., 4e sèrie, t. VII, séance du 18 février 1907. SULL’EOCENE DELLA TERRA D’OTRANTO 19 Pertanto è accertato che nella Penisola salentina ci sono Lepidocyclina associate con Nummulites macroscopiche; la dif- ferenza di opinioni sta nella specificazione di tali Nummuliti. Nummulites Tchìhatcheffi d’Arch. (fra Tricase e Castro). A. — Sezione meridiana. Ingr. 1 : 3. B. — Esemplare completo. Ingr. 1 : l'/i. La specie che il mio valente amico dott. Douvillé dubita sia la N. vasca è per me indubbiamente la eocenica N. Tchìhatcheffi d’Arch.; io ne presento all’esame dei soci vari esemplari iso- lati, preparati o integri, e altri uniti al calcare. Ma in questo ci sono anche, oltre a varie Operculina, Heterostegina, Lepidocy- clina e Orthophragmina, la N. complanata Lmk. (un frammento determinabile, ancora attaccato al calcare) e la N. Guettardi d’Arch. Tale insieme è sufficiente per dimostrare l’età eocenica di quella roccia e la esistenza del genere Lepidocyclina anche nell’Eocene della Penisola salentina, contrariamente a quanto vuole il Silvestri. Certamente, come avviene a Termini e a Bagheria (Sicilia), anche in Terra d’Otranto ci sono dei calcari nummulitici, eoce- nici, senza Lepidocyclina. Aggiungo che io non ho escluso, nè escludo, che ivi, precisamente come nelle regioni siciliane citate, vi sono anche calcari in cui le Lepidocyclina non si mostrano in modo diretto associate con Nummuliti eoceniche, anzi lo am- metto. Tali strati pugliesi possono eventualmente non essere eo- cenici; ma io aspetto di conoscere le ragioni stratigrafiche e paleontologiche esaurienti che permettano di poterli aggregare con sicurezza, tutti o in parte, al Miocene o all’Oligocene. Certa- mente non basta la sola presenza di Lepidocyclina. 20 G. DI-STEFANO Ritornerò quindi sulla questione dell’età di parte dei calcari con Lepidocyclina del Leccese. In queste ricerche mi attrae solo l’amore della verità. Non senza qualche soddisfazione io vedo però che la verità sulla età eocenica di talune Lepidocyclina co- mincia a farsi strada. Non solo il prof. Sacco, financo nel suo recente schema geologico degli Abruzzi, il dott. Prever e, per le Indie Orientali, la signorina Osimo, sostengono che questi fo- raminiferi si trovano anche nell’Eocene (prescindendo che appa- riscono pure nel Cretaceo superiore); ma, contro le recenti, troppo recise negazioni del Silvestri anche per quanto riguarda Ter- mini-Imerese, debbo dire che sono della stessa opinione i pro- fessori M. Canavari e L. Bucca, per osservazioni dirette eseguite recentemente. Questi due imparziali e chiarissimi studiosi sono venuti ad esaminare il vallone Tre Pietre (Termini-Imerese), cioè la lo- calità più dimostrativa per Tesarne della controversia, e dopo di aver raccolto da loro stessi il materiale paleontologico ed averne studiata la posizione stratigrafica, si sono convinti nel modo più assoluto (come sono facoltato a dire) che ivi si pre- sentano, in calcari in posto, abbondanti Lepidocyclina, non solo nel piano più elevato di quella Serie nummulitica, da altri autori riguardato come Oligocene inferiore, ma anche in un gruppo di strati inferiori e senza alcun dubbio eocenici, il che conferma quanto il dott. Checchia-Rispoli e io abbiamo scritto. La Società Geologica avrà Tanno venturo occasione di visitare quei luoghi e di persuadersi direttamente della verità dei fatti. [ma. pres. il 1° marzo 1908 - ult. bozze 14 aprile 1908]. SUGLI SCAVI PER LE FONDAZIONI DEL PALAZZO PEL PARLAMENTO IN ROMA Comunicazione dell’ ing. Enrico Clerici Quando si presenta l’opportunità, non certo frequente, di esa- minare qualche escavazione nella parte bassa della città, manca quel sussidio derivante dalla presenza di uno o più membri della formazione tufaceo-vulcanica, che nelle indagini sui colli rende facile il riferimento cronologico, rispetto alla serie stra- tigrafica locale, dei terreni incontrati. E poiché le escavazioni, in generale, non sono nè ampie, nè molto profonde, si può talvolta restare perplessi nel dare il proprio giudizio sulla natura del sottosuolo. Il Brocchi ('), essendosi servito della trivella pei suoi studi, concluse che « il suolo fluviatile si manifestò in tanti luoghi che non v’ ha motivo di dubitare che non si stenda per quanto è lungo e largo il piano della città». Da allora si dissero fluviali o fluvio-lacustri tutte le argille, marne e sabbie, sia bigie, azzurrognole o giallastre, con o senza evidenti molluschi continentali, che si fossero incontrate a qua- lunque profondità nelle escavazioni e nelle trivellazioni. I lavori eseguiti diciotto anni fa presso la piazza di Spagna, alle falde del Pincio, per la sistemazione dell’acquedotto Ver- gine, mi porsero l’occasione di accertare colà l’esistenza di argille plioceniche marine, bigio-azzurrognole, identiche a quelle cono- sciute colla denominazione di argille vaticane (2). (*) Brocchi G., Dello stato fisico del suolo di Doma. Roma, 1820, pag. 87. (') Clerici E., Sulle argille plioceniche alla sinistra del Tevere nel- l'interno di Doma. Boll. Soc. Geol. It., voi. X, 1891. Notizie intorno alla natura del suolo di Doma. Rend. R. Acc. dei Lincei, Cl. se. fis. mat. nat., voi. II, 1893, pag. 408. 22 E. CLERICI Questa importante constatazione fece sospettare che in qualche altro luogo della città le argille e marne, credute fluviali, po- tessero essere marine, e il dubbio allargò sempre più dappoiché, se con l’osservazione macroscopica si erano notate in esse reli- quie di molluschi continentali, l’esame microscopico degli stessi campioni originali del Brocchi e del Riccioli conservati nel Museo geologico universitario vi aveva svelato abbondanza di organismi marini, in particolare foraminifere. Si giunse perciò a proclamare (') «che in qualunque punto si vadano a toccare le argille e le sabbie in posto, queste risul- tano sempre marine e che si debba ammettere che il letto del Tevere in Roma sia in pieno inciso dentro ai terreni di ori- gine marina ». Terreni che, già quaternari, si fecero rientrare nel pliocene. Si disse pure che in seguito alla fratturazione del suolo ed ai vari spostamenti post-pliocenici delle molteplici zolle o pi- lastri, alcuni di tali pilastri, restati più sporgenti dai circo- stanti avrebbero costituito, nell’area della città bassa, quelle leg- gere prominenze denominate Monte Citorio, Monte Giordano, Monte Secco. Prominenze mal scelte per convalidare quella ipo- tesi, del resto astrattamente possibile, di fratturazioni e sposta- menti; perchè i lavori di sistemazione della sponda destra del Tevere fecero vedere, come ne sospettavo, che il Monte Secco, ora scomparso, era costituito da scarichi e residui di lavora- zione di marmi, di quei marmi, secondo alcuni, che adornano la basilica vaticana. Le attuali escavazioni per i lavori di fondazione pel palazzo del Parlamento hanno mostrato, come aveva già detto il Brocchi, che il rilievo del Monte Citorio è formato da scarichi e ruine che continuano ancora per tre o quattro metri al disotto della spianata fatta a quota 13.70, dalla quale incominciano le fon- dazioni propriamente dette. Il sottostante terreno senza rottami, con aspetto di terreno vergine, è costituito da argille marnose e sabbiose e sabbie più (1) Portis A., Contribuzioni alla storia fìsica del bacino di Roma, e studi sopra l’estensione da darsi al pliocene superiore. Torino-Roma 1893, pag. 142. SCAVI PEL PARLAMENTO IN ROMA 23 o meno argillose e lor termini intermedi, di colore bigio azzur- rigno, talvolta oscuro, in alto e poi giallastro sporco più in basso fino al fondo degli scavi: toccando la quota 4.97; quota non molto bassa; ma certamente piu profonda di quelle raggiunte dal Brocchi pei campioni di Campo Marzio ed adiacenze. I fossili macroscopici, esclusivamente piccole elici, vi sono relativamente frequenti: quelli microscopici e cioè le foramini- fere, come era da aspettarsi, sono abbondanti. Questi fossili, secondo il diverso modo di apprezzarli, si prestano a conclu- sioni opposte sulla natura della sedimentazione se, cioè, fluviale o marina. Ma se si fa il confronto di queste argille sabbiose e sabbie con le argille e sabbie plioceniche indiscussamente marine, dei dintorni di Roma, dal punto di vista mineralogico o petrogra- fie©, se ne scorge subito la grande differenza. Infatti la sepa- razione meccanica sul materiale privato delle parti calcarea ed argillosa, oltre ad agevolare la ricerca ed il riconoscimento dei minerali pesanti, permette di determinarne anche il quantitativo totale e talvolta anche singolo per qualche minerale, con cifre che, pur non avendo significato assoluto, possono giovare per le comparazioni. Nei campioni provenienti dalle escavazioni pel Parlamento, la percentuale dei minerali pesanti è alquanto ele- vata e tra questi l’augite e il minerale prevalente; e perciò trat- tasi evidentemente di formazioni litologicamente e cronologica- mente ben diverse. Rompendo sul posto i pezzi argillosi scaricati fuori dei pozzi per estrarne le elici già accennate, in uno di quei pezzi più scuri che avevano richiamato la mia attenzione perchè mostranti ve- nuzze e spalmature lucenti di solfuro di ferro, trovai un disco di rame, del diametro di 29-30 nino., che potrebbe anche es- sere una rozza moneta di epoca romana. Se così fosse e se queste argille sabbiose, per le foraminifere che contengono, dovessero essere ritenute di origine marina, la loro formazione non po- trebbe essere più antica dell’epoca romana. Ma la storia non ci ha tramandato alcun accenno dal quale possa dedursi l’esi- stenza del mare in quel luogo in epoca tanto vicina, mentre pa- recchi scritti ricordano la palude Caprea ed altri acquitrini. 24 E. CLERICI Non molto discosto di là doveva in origine passare il col- lettore delle acque che scolavano nella valle intagliata fra il Pincio ed il Quirinale, valle che incomincia a Porta Salaria. L’escavazione di uno dei pozzi attraversò, sotto la quota 6.40, un’opera in legno d’abete, costituita da due file di travi infissi nel suolo, con altri disposti orizzontalmente. La punta pirami- data di uno dei pali, fatto estrarre a cura della Direzione dei lavori, toccava la quota 3.80 e benché non avesse rivestimento metallico, era così intatta e ben conservata da sembrar tagliata da pochi giorni. Non so quale potesse essere lo scopo della co- struzione, se passarella, pontile, sostegno di sponda od altro; ma è certo che al presente era tutta seppellita nelle marne sab- biose parte delle quali perciò si sarebbe deposta in epoca po- steriore a quella costruzione. Tutto ciò induce a ritenere che la deposizione di quei sedi- menti sia avvenuta in epoca recentissima e non in mare. [ms. pres. il 1° marzo 1908 - ult. bozze 15 marzo 1908]. LE MINERALIZZAZIONI DEL CALCARE DEL MONTE SPITZ DI RECOARO E LE MASSE ERUTTIVE CHE LO CIRCONDANO Nota dell’ing. dott. Leonzio Maddalena Il calcare del Monte Spitz ha avuto una grande influenza sull’attuale orografia dell’alto Vicentino. L’anfiteatro dolomitico che abbraccia i bacini dell’Agno, del Leogra, del Posina e del Tretto è seguito verso l’Italia, con poche interruzioni, da un vasto altipiano erboso la cui altezza oscilla tra gli 800 e i 1100 m. sul livello del mare. Il calcare del Monte Spitz costi- tuisce l’orlo di questa terrazza alla formazione della quale con- corsero grandemente anche le masse eruttive che molto proba- bilmente sono contemporanee al calcare, nonché l’azione gla- ciale della quale rimangono sicuri testimoni : grandi ammassi di detriti con depressioni circolari caratteristiche delle regioni abbandonate dai ghiacciai, morene all’orlo della terrazza e ta- lora perfino la roccia eruttiva che ne forma il fondo è lisciata come « roche moutonnée ». Dove si presenta maggiormente inte- ressante questa terrazza per la sua imponenza, per le sue rela- zioni colla roccia vulcanica e per la complicata tectonica è nella zona di piegamento compresa tra il Monte Spitz sopra Recoaro, il paesetto di Eongara e S. Quirico. Sopra il calcare del Monte Spitz, la sua bibliografia, la natura, le origini, i caratteri paleon- tologici e la posizione stratigrafica, scrisse in modo esauriente il Tornquist nel suo III JBeitrag: Der Spitzhalh (’) e nella monografia: Das Vicentinische Triasgebirge. Stuttgart , 1901, ed io stesso nelle : Osservazioni geologiche sul Vicentino, ecc. (2). A sud verso il torrente Torrazzo, ad ovest verso Fongara e le malghe Chémpele e La-Rasta il calcare è limitato da potenti (*) (*) Zeitschr. d. deutsch. geol. Ges. 51, pag. 341-377, 1899. (!) Bollettino Soc. Geol. Ita!., voi. XXV, 1906. 3 26 L. MADDALENA masse eruttive le quali penetrano in esso o meglio vi si sosti- tuiscono formando dei grandi isolati come presso malga Giò- chele, a Pellichero, alla Contrada Basati, o a lor volta isolando il calcare nella porfirite come tra Castagna e S. Quirico. Queste rocce eruttive non sono di un tipo unico : si devono anzitutto distinguere dal punto di vista geologico delle masse che a guisa di colate o coperture circondano o sono circondate dal calcare ed altre che come filoni lo attraversano ed attraversano anche le prime. Anche le colate mutano assai la loro natura: abbiamo delle porfiriti, dei melafiri e delle rocce essenzialmente vetrose (Pechstein). Già il Mojsisovics nel 1876 (*) aveva osservato l’a- nalogia di queste rocce con quelle del Trentino meridionale con- siderandole come « iiber den Buchensteiner Schichten angedehnte Lager von Porphyriten und Melaphyren in Verbindung mit ge- schichteten Tuffen als Beprasentanten der Wengener Schichten». E a tale periodo vennero poi sempre riferite queste eruzioni; ma io ritengo che se fino a quest’epoca si spinse l’attività endo- gena triasica. dobbiamo pur ritenere con certezza ch’essa co- minciò assai prima e fu contemporanea alle origini del cal- care del Monte Spitz. Se mancano nel Vicentino i sedimenti caratteristici del Wengen e si vuol ad esso far corrispondere un periodo di grandi eruzioni sottomarine non implica questo che si debba restringere solo a quest’epoca tale attività: certo è che essa si estende fin oltre tutto il Buchenstein poiché i cal- cari a Nodosus che dopo la scoperta del Frotrachyceras Recu- bavicnsc ai Fantoni di Fongara (Bittner 1883) vennero paial- leli zzati al Buchenstein superiore delle Giudicane, si trovano inglobati nei melafiri e trasformati in marmo ora verdognolo, ora rossiccio (lungo la mulattiera che dal Chempele conduce alle B. Fonti di Becoaro). Mentre una volta si tendeva a collegare strettamente il vul- canesimo e la formazione delle montagne, oggi molti geologi tengono ben distinti tra loro i due fenomeni. Così il Bothpletz (2) il quale dice che molto probabilmente nessuna attività vulcanica fu contemporanea ai periodi di corrugamento, ma fece seguito (>) Verhandl. d. k. k. geol. Reichsanst., pag. 238-241. (2) Sitzungsber. d. bayer. Akad., 1903. CALCARE DEL MONTE SPITZ 27 ad essi. Non è il caso di applicare per noi questa teoria perchè qui abbiamo contemporaneità di eruzione e di sedimentazione, non di corrugamento, ma ad ogni modo mi sembra che l’argo- mento del Kothpletz sia un poco un circolo vizioso : se egli am- mette il corrugamento causa del vulcanesimo per l’apertura di fratture attraverso cui si riversarono i magmi, è logica conse- guenza supporre che a mano a mano si verificarono delle frat- ture, si ebbero anche delle eruzioni, dunque contemporaneità dei due fenomeni. Le masse eruttive dovettero essere originariamente assai più abbondanti in questa regione come in tutto l’alto vicentino, ma sebbene smantellate dalla forza delle acque che vi aprirono nuove valli, lasciano pur tuttavia giganteschi indizi della loro antica potenza. Dove lo smantellamento ha posto in evidenza il con- tatto del calcare colla roccia eruttiva e specialmente dove al- cuni blocchi di quello si trovano completamente immersi nella porfirite, si osserva che il calcare venne alterato e trasformato in un bel marmo color di latte, a pasta leggermente cristallina, con venuzze rosse elegantemente reticolate che dànno alla roccia il falso aspetto di una breccia : tra il calcare alterato e la roccia eruttiva si osserva ordinariamente uno straterello di serpentino verdognolo pellucido che penetra nelle fenditure di ambedue le roccie. In molti punti lungo il contatto tra porfiriti e calcari abbiamo spesso una zona, talora abbastanza potente, di una breccia composta di elementi di calcare (da 1 a 10 cm. di diam.) ora bianco, ora rossiccio venato di rosso più intenso, a cemento di ossido di ferro ora anidro ed ora idrato. Sotto la chiesa di Fon- gara e presso i Fantoni si coltivano delle cave di questa breccia assai nota col nome di marmo di Fongara specialmente per la ornamentazione di altari. L’aspetto macroscopico delle roccie eruttive di questa zona è assai variabile. Possiamo anzitutto distinguere le roccie che si presentano in filoni e quelle che si trovano in ammassi e colate. Le prime sono nerissime a grana minuta con pochi in- terclusi di augite. Al microscopio, in una massa fondamentale compattissima fatta di lamelle di labradorite e di orneblenda di tipo barcbevicbitico e granuli di magnetite, si hanno in nu- mero maggiore o minore cristalli di augite e orneblenda talora L. MADDALENA 28 concresciuti (l’orneblenda attorno all’augite); meno abbondante è l’olivina. Per questi caratteri tali roccie si avvicinano molto ad alcune di quelle da me descritte (*) come filoni nelle por- firei del vicentino e considerate come melatili triasici: ripeto però qui come esse presentino alcuni caratteri, una facies , che le stacca notevolmente dal tipo classico del melafiro e le av- vicina piuttosto a roccie derivate da magmi teralitici. Le roccie propriamente effusive sono tra loro di aspetto assai variabile: presso S. Quirico la porfirite è rosea compattissima, cosicché appena colla lente si possono osservare dei piccoli interclusi di feldspato e mica. Sopra la Spaccata la roccia è a grana più grossa e in una pasta bruniccia si possono vedere dei cristal- lini rosei di feldspato di cui qualcuno raggiunge la lunghezza di 3 mm. Avvicinandosi a Fongara la roccia muta di aspetto: è bianco-bruniccia macchiata di rosso-vino, oppure di colore vio- letto macchiato di bruno e bruno macchiato di azzurro-rossiccio. Ma più caratteristica è presso la chiesa dove il colore è un bel violetto scuro uniforme solo qua e là attraversato da vene bian- castre irregolari che risaltano vivacemente. La mica biotite è abbondantissima e per lo più in lamelle perfettamente esagonali del diametro anche superiore a 2 mm. In tutte queste roccie gli interclusi non sono ne numerosi, ne abbastanza grandi da lasciar riconoscere ad occhio nudo la strut- tura porfirica. Al microscopio si nota subito come esse presen- tano un carattere andesitico: la massa fondamentale risulta per lo più di una mescolanza granulare uniforme di feldspato, quarzo e granuli di magnetite. Come interclusi si hanno plagioelasi in- determinabili per la loro completa trasformazione in calcite e caolino, lamelle di mica, pseudomorfosi di orneblenda riem- pite di una massa cloritica verdognola: tra questi minerali si trova più o meno abbondante una base vitrea bruniccia. Per tali caratteri queste roccie sono perfettamente analoghe a quelle di Valle Leogra che Foullon chiamò paleo-andesiti (2). Ad est (!) Zeitschr. d. deutsch. geol. Ges., 1907, pag. 377-400. (2) Ueber Eruptivgesteine von Eecoaro. Tschermark’s Mittheil., N.F. 2, pag. 449-488. CALCARE DEL MONTE SPITZ 29 del Chémpele cominciano i melafiri neri che occupano tutta la Valle di Fieno: il loro aspetto macroscopico è assai simile a quello delle roccie filoniane tanto da poterle facilmente scam- biare con queste, ma al microscopio rivelano la natura carat- teristica dei melafiri con interclusi di labradorite e augite in una massa fondamentale di listerelle di plagioclasio, granuli di augite e magnetite. Nel punto più alto della zona pianeggiante tra malga Frajeche e malga La-Rasta si trova una roccia a pasta nera felsitica ove son disseminati cristalli di feldspato e lamelle di mica; essa fu chiamata Obsidienne porphyrique da Cordier, Pechsteinpeperit da Lasaulx, Peclisteinporphyrit da Lepsius. Al microscopio si osserva come predominante una base vitrea con bella struttura Snidale: in essa si osservano dei cristallini minutissimi e delle inclusioni liquide e gasose. Qua e là nelle parti alterate si hanno fenomeni di devetrificazione. Come in- terclusi si hanno in proporzione eguale plagioclasi (termini assai vicini alla labradorite bytownitica) e lamelle di mica fortemente pleocroiche; in numero assai minore dei grossi cristalli (1 mm.) di orneblenda (1). Nella porfirite di Fongara si trovano talora disseminati dei piccoli arnioni tapezzati di cristallini di quarzo: esso è ordi- nariamente di colore bianco grigiastro e meno di frequente vio- letto: i cristalli sono qualche volta decisi e ben conformati, ma più spesso la cristallizzazione riesce confusa e si presenta al- lora sotto forma di quarzo bacillare radiato. L’agata è pure fre- quente, ora calcedoniosa, ora grossolana; varia nel colore e nella struttura: se ne trova di color bianco latteo, di celeste, di zaf- firina, di verde, di giallastra e di rossa; la frattura ne è qualche volta concoide, liscia ed omogenea, ma talora è disuguale. Una certa argilla indurata in arnioni ora verde-grigiastra, ora d’un verde puro, compatta e suscettibile di una discreta pulitura era una volta impiegata nella costruzione di quei pavimenti noti sotto il nome di terrazzi alla veneziana. (b A questo rapido cenno petrografico seguirà, spero tra breve, lo studio particolareggiato e completo delle roccie effusive del Vicentino, che sto facendo nel Gabinetto mineralogico della Regia Università di Pavia. 30 L. MADDALENA Dei numerosissimi scienziati che studiarono la geologia del- l’alto vicentino non trovo che il Maraschini nel suo « Saggio geologico sulla formazione delle roccie del vicentino », il quale si domandi da dove uscirono queste masse porfiriche a riem- pire un bacino così esteso. Avendo egli osservato nella valle delle Giarrette presso S. Quirico un certo punto ove si vede « un potente banco di dolerite in posto il quale va a nascon- dersi sotto la calcarea della montagna » ; ciò gli « richiama così bene l’idea di un sollevamento, mercè di cui, dislocati gli strati, tra essi siasi aperto un varco la materia pirossenica. . . . Questa materia dovette versarsi negli avvallamenti preesistenti, riempiendo tutta quella porzione della Yalle dell’Agno, che giace nella posizione della Yalle del Eetassene e quindi dovette passare oltre il Eetassene, che separa Civillina da Scandolara; poi riempir Yarolo e per la Yalle degli Zuccanti, attraversar la Yalle del Leogra, formar forse le Guizze di Schio ed i colli ivi conterminanti». Malgrado questa sua opinione egli non esclude però che tali roccie abbiano potuto venire da luoghi ben più lontani e che lave provenienti ad esempio dal Trentino meri- dionale abbiano invaso da quel lato il nostro bacino riempien- dolo. Su questo argomento voglio qui accennare ad un fatto che mi sembra assai interessante e che ebbi campo di osser- vare minuziosamente nelle numerose escursioni da me fatte su questi monti tra i quali sono nato e vivo. Gli ammassi più po- tenti di roccie eruttive, quale questo compreso tra La-Easta e S. Quirico, come quello di Yal Fangosa ad est di Valli dei Signori, quello del Monte Alba e delle Guizze di Schio, presentano sempre numerosissime fratture certamente dovute a diminuzione di vo- lume pel raffreddamento della massa: tali fratturazioni non sono irregolari, ma si presentano in sistemi radiali e per ogni massa convergono verso un punto che si può con una certa ap- prossimazione determinare. Così per le Guizze di Schio questo punto sarebbe il Monte Faeo, per il Monte Alba convergono verso la parte centrale del monte stesso, per Yal Fangosa tra il fienile Masi e il passo delle Giare Bianche circa alla quota 1200 e per la massa a sud di Eecoaro sarebbe nei dintorni della malga Frajecbe alla quota 1054. Se questo fatto può avere una relazione col fenomeno eruttivo, io concluderei che questi quattro CALCARE DEL MONTE SPITZ 31 punti sarebbero stati quattro centri eruttivi da cui il magma si riversò a coprire forse completamente tutto il grande bacino compreso dall’anfiteatro dolomitico che dalla cima Marana per Monte Obante, Cornetto e Pasubio giunge sino alle basi del- l’altipiano dei sette comuni. L’erosione ha esportato quasi tutto questo grande mantello, ma ne rimasero grandiose traccie pre- cisamente dove avendo avuto origine l’eruzione la massa si tro- vava più profondamente radicata e più resistente alle altera- zioni. Certo io rivendico ad origine locale queste eruzioni ed escludo assolutamente che esse possano esser venute superando altezze di gran lunga maggiori a quelle del nostro bacino, a guisa di grandi fiumi di lava, standosene i focolari da cui sa- rebbero partite entro i confini di altri sistemi come sarebbero ad esempio quei melafiri che rendono tanto interessanti le valli di riemme e di Passa. Io ebbi campo di riconoscere la grande analogia petrografica e chimica che intercede tra le roccie del vicentino e quelle del trentino meridionale (*), ma senza am- mettere tra esse una comunicazione esterna si può supporre una comune origine da uno stesso magma interno. Lo studio tectonico dell’alto vicentino si distingue netta- mente in due parti: studio della regione periferica dove i ter- reni sono assai regolari e quasi orizzontali e si trovano tagliati e spostati dai vari sistemi di faglie; e studio della così detta zona di piegamento che limita la regione montuosa verso la pianura. In questa zona la tectonica è assai complicata ed i rapporti di posizione dei vari terreni variano grandemente da un punto all’altro. La prima parte di questa zona di piega- mento verso S.-O. è quella compresa tra il Monte Spitz e il Monte Torrigi. Bittner (2) nel terzo profilo annesso al suo lavoro dà una immagine assai ideale di questa piega: secondo il suo disegno tutti gli strati cominciando dalle arenarie di Val Gar- dena vanno sempre più energicamente piegandosi verso S. E., (L Zeitsch. d. dentsch. geol. G. — 1907, op. cit. (2) Verhandl. d. k. k. geol. Reichsanst. 33, p. 563-634. 32 L. MADDALENA cosicché uno dopo l’altro, il calcare del Monte Spitz, le roccie eruttive di Wengen, la dolomia principale, gli strati del Giura, il biancone, la scaglia e finalmente il membro raggiungono il livello del fondo valle e scompaiono sotto di esso. In realtà la tectonica è infinitamente più complicata ed irregolare : fratture, scorrimenti e movimenti di torsione (Blattverschiebung, Torsion- blattverschiebung) hanno sconvolto i rapporti di giacitura dei vari terreni. C’osi altamente interessante è la zolla di calcare grigio del Muschelkalk inferiore che si trova come incastrata nel calcare del Monte Spitz tra Pellichero, Busati e il passo del Giòcliele. Sulla cima del Monte Spitz il calcare non pre- senta traccie molto evidenti di stratificazione, ma si può egual- mente constatare che non è per nulla disturbato dalla sua po- sizione orizzontale. Da Eongara guardando verso N. E. si vede che il calcare comincia a piegarsi verso S. E. : a Prénaro ab- biamo una faglia in direzione S. N., la quale ha staccato una zolla di calcare che è rimasta pressoché in posizione orizzon- tale: più in giù oltre la zolla ricomincia il piegamento che va facendosi sempre più forte, le traccie di stratificazione verso il Torrazzo sono diventate quasi verticali e il calcare scompare in qualche punto ancor prima di raggiungere il fondo della valle. Tutta la zona compresa tra il Monte Spitz e la Valle del Tor- razzo è attraversata da numerose fratture il cui andamento oscilla leggermente tra la direzione S.N. e la S. S. E.-N. N. 0. Prin- cipali fra tutte sono le due grandi faglie che hanno portato la zolla di Muschelkalk Pellickero-Busati a contatto col calcare dello Spitz. Il Tornquist la interpretò come un abbassamento di questo calcare che forma le labbra rispettivamente occiden- tale e orientale delle due faglie: io invece lo considero come una zolla sollevata, quasi sprizzata fuori per azione delle gran- diose forze che si svilupparono in questa zona di piegamento e la cui azione dovette essere massima ad una notevole pro- fondità. A questa conclusione si arriva del resto logicamente considerando come qui il calcare del Muschelkalk inf. si trovi ad una quota di gran lunga più elevata che non in tutto il resto del bacino di Recoaro. Altre fratture di minore impor- tanza e tutte più o meno parallele alle due accennate, attra- versano il calcare del Monte Spitz e si possono seguire per CALCARE DEL MONTE SPITZ 33 lunghissimi tratti essendo rese evidenti, perchè ora sono riem- pite di calcite pura cristallizzata, ora di barite e più sovente da filoni di quelle roccie descritte come tipi intermedi tra me- lafìri e teraliti. Scendendo dalla chiesa di Fongara e percor- rendo il viottolo da capre (colà chiamato strada comunale) che girando attorno alla rapidissima parete della Val Sembre con- duce ai Busati, si attraversano cinque di queste fratture di cui quattro sono riempite di melafiro alterato con salbanda di cal- cite e una soltanto di calcite cristallina. Seguendo il sentiero che dalla Contrada Fantoni, passando per la malga Spitz (m. 1018) va al Giòchele tenendosi circa 200 m. più alto del precedente si ritrovano gli stessi cinque filoni nella direzione accennata N. N. 0.: la loro potenza varia da 50 cm. a 2 m. Così pure lungo la strada vicinale che da Pellichero conduce al Giòchele, appena passata la Yal Sembre si trova un grosso filone alterato ai lati, ma ancora fresco nel centro, esso ha pure la solita direzione e si prolunga oltre i due versanti della valle. Poco più avanti se ne osserva un secondo e finalmente nume- rosi altri lungo la Valle delle Mazare che scende verso il Tor- razzo, ed altri al di là di Busati verso Cima Bocchese e Ca- stagna, tra cui uno che supera i quattro metri di potenza. Il calcare a contatto di questi filoni è sempre trasformato in marmo bianchissimo saccaroide con venette brune o nerastre sfumate. Affatto indipendente da questo sistema di fratture abbiamo una faglia evidentissima che seguendo il rapidissimo pendìo della Cima Bocchese verso la Valle dell’Agno, continua fin oltre Casa Baldebe a nord del Monte Spitz in direzione perfet- tamente rettilinea da N. O. a S. E. tagliando l’altro sistema di faglie. Ad eccezione di quest’ultima che deve essere più recente tutte le altre fratture furono, con ogni probabilità, contempo- ranee alla piega terminale, la quale è da riferirsi al miocene superiore ('). Le numerose fratture del calcare del Monte Spitz presen- tano sovente delle interessanti mineralizzazioni e qualche filon- cello si trova anche entro la massa porfirica. Da antichissimo tempo erano note queste mineralizzazioni per la continuazione C) Maddalena L., Boll. Soc. Geol. It., voi. XXV, 1906. 34 L. MADDALENA della zona di piegamento che da S. Quirico attraverso i monti Civillina, Suidio e Naro continua fino a Torrebelvicino in Val Leogra. Quivi abbiamo una fascia di porfiriti a contatto da una parte col calcare del Monte Spitz e dall’altra colla dolomia principale. Il Maraschini (op. cit.) descrisse minutamente i la- vori minerari fatti in questa regione ed i minerali formatisi per azione della « dolerite metallifera » come egli chiamò quella roccia eruttiva. Attualmente tale zona è coperta dalle indagini del Cav. Magni di Vicenza il quale oltre a continuare dei la- vori di ricerca sfrutta con profitto una miniera di pirite e da pochissimo tempo una di blenda e galena. Uno studio particola- reggiato di questi giacimenti sarebbe certamente interessante e desiderabile. Nella zona da me presa in considerazione non c’è grande varietà di minerali come in quella descritta dal Maraschini ma in compenso sembra che vi sia qualche cosa di interessante dal punto di vista industriale. In nessuna memoria geologica, nè nelle cronache di Biringuccio e del P. Maccà trovai cenno che qui si coltivassero in altri tempi delle miniere ; ma nelle allu- vioni della Val Sembre, lungo la strada che da Contrada Pan- toni va al Chémpele e specialmente numerosi nei dintorni delle Casare Busacco trovai dei noduletti di ferro magnetico ora bol- losi, ora compatti che sono certamente l’avanzo di una metal- lurgia primitiva. Probabilmente venne lavorato un affioramento di ossidi di ferro che si trova lungo la cresta del Monte Spitz: questo si presenta coll’aspetto caratteristico dei così detti « cap- pelli di ferro » : alla superficie si vede una massa ora polve- rulenta, ora bollosa e spesso finemente fogliettata di ossidi di ferro anidro ed idrato ; sparando qualche mina ho messo a nudo la parte interna che diventa più compatta e presenta traccie di pirite ; a mano a mano che si va allontanando dalla superficie aumenta la quantità di pirite, finché questa si sostituisce com- pletamente agli ossidi. L’affioramento ha forma di filone che si può seguire per circa 400 m., ma non con continuità, lungo lo spartiacque del Monte Spitz. La potenza varia da 6 a 2 m., la direzione è da S. S. E. a N. N. 0., quindi concordante col si- stema delle altre fratture. Ai lati il filone è accompagnato da una salbanda di barite la quale in alcuni punti si sostituisce i CALCARE DEL MONTE SPITZ 35 completamente agli ossidi di ferro. Quantunque questo filone sì presenti abbastanza importante e dia affidamento di continuare in profondità, dato il poco valore della pirite e gli impianti grandiosi che sarebbero necessari per il trasporto a valle del materiale da tanta altezza (oltre 1100 in.), non conviene pen- sare per ora al suo sfruttamento. Altri lavori vennero fatti recentemente, circa alla metà del secolo scorso, a spese del C. Zucchini di Bologna e sotto la direzione di un ingegnere ungherese, lungo il versante N. E. del Monte Spitz poco sopra la strada vicinale del Gióchele al nu- mero di Mappa 310 (quota 850). Ho potuto visitare le antiche gallerie malgrado i numerosi franamenti : si comprende che dopo pochi metri dall’imbocco venne trovata una potente massa di minerale che venne coltivata lasciando una vasta camera vuota: da essa irraggiano quattro gallerie in direzioni diverse le quali paiono fatte senza alcun criterio direttivo, la più lunga è di una trentina di metri. Il minerale galenifero, che si dice fosse assai ricco, venne trasportato a S. Quirico e quivi abbandonato dopo la sospensione dei lavori, finì adoperato per inghiaiare la strada. Naturalmente non sarà stato possibile venderlo data la mancanza di un sufficiente arricchimento. I lavori vennero ab- bandonati in seguito alla fuga dell’ingegnere direttore il quale portò con sè tutto il denaro affidatogli e scrisse dall’Austria di esser morto di colera. L’anno scorso il Sig. Camillo Dal Lago fece scavare una nuova galleria ad un livello di pochi metri più basso dei lavori fatti dal C. Zucchini. La direzione all’imbocco è E. S. E.-O. N. 0., ma poi va gradatamente piegando fino a di- ventare E. O. A 30 m. dall’inizio si cominciò a trovare una breccia friabile più o meno mineralizzata, in qualche punto ric- chissima di galena, ma dopo quattro metri la breccia era attra- versata e la galleria continuò per altri 20 o 25 m. nel calcare sterile: venne fatta anche una diramazione a S. E. del punto mineralizzato e si scavò un pozzetto di circa 5 m. il quale diede del buon minerale. Poi il lavoro venne sospeso per man- canza di mezzi ed essendo scaduta la licenza di indagine senza essere rinnovata, questa venne in mano di un importante isti- tuto bancario della provincia di Vicenza, il quale sta ora fa- cendo delle serie ricerche intorno a questo giacimento minerario. 36 L. MADDALENA Studiando la regione dove erano stati fatti questi lavori, compresi facilmente che essi si trovano al contatto tra il cal- care del Monte Spitz e quello del Muschelkalk inf. e precisa- mente lungo la faglia che ha sollevato quest’ultimo. La grande camera vuota che si trova nei lavori del C. Zucchini corrisponde precisamente alla faglia e la galleria Dal Lago la attraversò obli- quamente, cosicché in questo punto si può calcolare uno spessore della frattura da 2 m. a 2,50 m. Il materiale di riempimento è costituito da una specie di breccia friabile a grossi elementi (fino a 2 o 3 cm.) angolosi, bianchi o rossi, non attaccati dal- l’acido cloridrico : il minerale, che è una miscela amorfa di ga- lena e blenda riempie gli spazi compresi tra questi elementi a guisa di materia cementante e in qualche punto si presenta concentrato in moschettature. Al microscopio le masse bianchic- cie si presentano come aggregati granulari compatti di quarzo, tutto impregnato di una sostanza polverulenta non determina- bile. Oltre alle zone isotrope di galena e di blenda si osserva assai abbondante un minerale a struttura lamellare raggiata che co- stituisce talora vere sferoliti : esso presenta caratteri che si av- vicinano a quelli del talco e della muscovite, specialmente a quest’ultima pel valore dell’angolo degli assi ottici ; ma stu- diando il minerale isolato trovai un potere rifrangente medio intorno a 1,62, doppia rifrazione positiva e p (> v ; cosicché si può con sicurezza concludere che si tratta di calamina. Un altro minerale, in quantità minore e che a prima vista parve essere titanite, ha un rilievo fortissimo con marcata sagrinatura; an- golo degli assi ottici assai piccolo e doppia rifrazione elevatis- sima e negativa: è cerussite. Questi minerali che al microscopio si osservano nella massa compatta che racchiude la galena, si distinguono anche macroscopicamente nelle geodine della roccia, ma sempre in cristalli non misurabili (l). (!) Un blocco di breccia mineralizzata del peso di circa 40 kg. rac- colto da me nella galleria Dal Lago da un punto dove la mineraliz- zazione si poteva considerare come la media, fu analizzato dal pro- fessor Pellini all’istituto di chimica di Padova e diede questi risultati: Piombo determinato come PbSO, — 17,05 °/0, Zinco come ZnS = 8,23 %, Argento per coppellazione gr. 450,8 per tonnellata, di quella massa molto eterogenea di minerale e ganga. CALCARE DEL MONTE SPITZ 37 Che la frattura metallifera sia beante si comprende facil- mente data la sua contemporaneità col piegamento della re- gione, cosicché il fenomeno si può paragonare a quello della crepacciatura di un ghiacciaio in corrispondenza di un salto della valle. Quanto all’origine delle mineralizzazioni, si può ritenere che sia in relazione colle masse eruttive così abbondanti nella re- gione. Ma le porfiriti hanno fatto eruzione nel periodo di Wengen e queste fratture non sono certamente più antiche del miocene; come collegare i due fenomeni? Io credo che oltre alle masse eruttive che durante il Wengen debordarono in forma di co- late, di coperture e di dicchi, altro magma in forma di masse intrusive sia rimasto costretto sotto la pila degli strati ad una distanza relativamente piccola dalla superficie terrestre, nelle condizioni di un focolare vulcanico secondario, come energia la- tente pronta a manifestarsi al rompersi dell’equilibrio per mu- tate condizioni di pressione. Durante il corrugamento terziario questo equilibrio fu rotto e si ebbero delle manifestazioni secon- darie di attività vulcanica, come ad es. fumarole emananti dalle roccie ancor fuse o in via di consolidamento. Acque termali di origine endogena possono aver portato in soluzione delle sostanze minerali provenienti da quelle fumarole e depositate nelle fratture che si andavano formando. È di grande importanza il riconoscere se le fratture osser- vate sono superficiali o se si continuano in profondità e se l’o- rigine dei minerali cristallizzati è profonda o superficiale. Na- turalmente più la frattura sarà continua in profondità, più gli elementi minerali deriveranno dalla loro primitiva origine che è la roccia eruttiva e più si avrà la probabilità di trovare un filone importante e ricco. I problemi che si presentavano alla Ditta assuntrice dei la- vori erano i seguenti : I. La frattura è continua in direzione e profondità? II. La sua potenza e la sua mineralizzazione come si comportano in direzione e in profondità? Ho potuto seguire la faglia per circa un chilometro, dalla Val Sembre poco a nord di Pellichero fino alle case Paoli poco lontano dal passo Gióchele, lungo il contatto tra il calcare del 38 L. MADDALENA Muschelkalk inf. e il calcare del Monte Spitz, e i numerosi assaggi fatti in diversi punti mostrarono sempre traccie di mi- neralizzazione. La frattura si mostra di potenza pressoché co- stante e riempita di minerali terrosi, breccia di calcare, calcite, quarzo ed ossidi di ferro: in tutto il suo spessore si vedono abbondanti mineralizzazioni di galena amorfa in forma di masse cavernose, coll’aspetto di moscbettature per lo più collegate tra loro. Cbe la frattura sia continua in profondità si può averne sicuro affidamento dal fatto cbe studiando i rapporti tra il cal- care del Muscbelkalk inf. e quello del Monte Spitz si può de- durre un rigetto di almeno 150 m. Ma sarà essa sempre beante e così potente come si è osservato alla superficie? È certo che andrà restringendosi, ma io ritengo assai lentamente, perchè la cerniera della piega è notevolmente lontana da questo punto e quindi le forze di compressione devono aver sviluppata la loro azione massima ad una notevole profondità. La questione più importante è quella di sapere come variano la mineralizzazione e la potenza della frattura in profondità. Per risolverla ed avere quindi un criterio sicuro della conve- nienza di continuare i lavori di ricerca, ho fatto iniziare una galleria di ribasso in corrispondenza di uno degli assaggi fatti sopra la strada vicinale che da Pellichero va al passo di Gìó- CALCARE DEL MONTE SPITZ 39 chele, al numero di Mappa 191. Questa galleria (segnata con una freccia nel profilo che ya dal Monte Spitz al Monte Tor- rigi) fu cominciata da pochissimo tempo e si trova per ora nel calcare del Muschelkalk inf., che è una roccia durissima, com- patta, gialla alla superficie e grigia scura all’interno. Dopo circa 50 metri verrà raggiunta la faglia, 30 metri sotto al suo affio- ramento: qualora essa si presenti sufficientemente potente e ricca di minerale si potrà stabilire il metodo più conveniente per sfrut- tare il giacimento. La regione sarebbe più che mai adatta per l’impianto di una industria mineraria: il trasporto aereo del minerale dalla miniera alla Valle del Torrazzo sarebbe abbastanza breve ; quivi si può trovare il posto per i locali di frantumazione e laveria ; l'acqua abbonda sia per produrre energia come per i lavaggi, e finalmente si avrebbe l’aiuto prezioso di una mano d’opera forte, intelligente, esperimentata sia nella vicina miniera di carbone di Pulii, come nelle miniere dell’Alsazia, dell’Odenwald e dell’America. Anche per questa buona popolazione è da au- gurarsi che le ricerche dieno risultati incoraggianti, così il la- voro locale diminuirà l’emigrazione tanto forte in queste mon- tagne sterili ma pur popolatissime. Le condizioni della regione sono tali da permettere che le ricerche minerarie siano guidate da un sicuro criterio scienti- fico : senza farci fatali illusioni si potrà almeno concludere con sicurezza se questi giacimenti meritino o no di venir coltivati. [ms. pres. il 1° marzo 1908 - ult. bozze 29 aprile 1908]. IL MIOCENE NELLA VALLE DEL TRIGNO Comunicazione dei prof. G. de Angelis d’Ossat Il dott. N. Pietravai le di Trivento, assecondando gentilmente un mio desiderio, ha riunito una discreta collezione di rocce e di fossili della valle del Fiume Trigno; facendone poi gradito presente all’Istituto Geologico della R. Università di Roma. Dall’esame del Materiale si ricavano facilmente preziosi dati geologici per la poco nota regione. Vi si trovano rocce così lito- logicamente tipiche da non lasciare dubbio alcuno intorno al loro riferimento cronologico. Il Cretacico è pure rappresentato dalle seguenti conosciute rocce : Calcari 'appuntici, Calcari rosati, Scisti bituminosi, Calcari bianchi, cristallini. È interessante la fusione di rocce caratteristiche del Creta- cico dell’Appennino centrale con quelle del meridionale. Cadono quindi, almeno in parte, le divisioni che finora furono istituite nell’ Appennino in base ai tipi litologici mesozoici. La distinzione perde il valore geologico ed il limite si sposta e si complica notevolmente. Seguono poi le formazioni del periodo Eocenico : fra le rocce non manca all’appello neppure il ben noto calcare alberese. Però, il rinvenimento che maggiormente ha avvantaggiato le mie ricerche è stato quello che assicura la presenza del Mio- cene. Le indagini erano state dirette specialmente a questo obbiet- tivo ed il dott. Pietravalle completamente corrispose al mio inte- ressamento. IL MIOCENE NELLA VALLE DEL TRIGNO 41 Il Miocene è specialmente rappresentato, per quanto si può asseverare dalle indicazioni, da un calcare marnoso, bianco, debolmente tendente al giallo; somigliantissimo alla pietra lec- cese ed alla pietra cantone della Sardegna, di Malta, delle Isole Tremiti, ecc. La somiglianza talvolta si direbbe identità. La località donde si esumano più facilmente i fossili prende il nome di Regione Pietravalle, presso Trivento, m. 700-750 sul mare. (Vedi foglio 154 della Carta d’Italia, III. 1:50,000. Tri- vento. 2°, 5' — 41°, 42'. Istituto Geografico Militare). I fossili però non si presentano ben conservati, giudicando da quelli in esame, e solo raramente si estraggono interi. Lo studio accurato di essi mi permise le seguenti determinazioni: Clamys latissima Broc. La forma è rappresentata da un frammento sufficiente alla specificazione: essa è frequente nei terreni miocenici e pliocenici d’Italia. Pecten aduncus Eichw. Le valve di questa specie sono numerose e ben conservate: la determinazione quindi rimane assicurata. Il P. aduncus sa- rebbe esclusivamente miocenico se il Fuchs, come ci ha fatto conoscere l’Ugolini, non avesse scritto sopra il cartellino che accompagna un esemplare proveniente dalla panchina pliocenica dei monti livornesi: « P. aduncus. Typisch! bisher nur in Mio- caen gefunden! » (Ugolini P. B., Sulla presenza del P. aduncus Ricino, nella panchina pliocenica dei Monti Livornesi, 1899). Pecten (Amussiopectcn) burdigalensis Lk. Anche questa specie, notevolmente diffusa nelle formazioni mioceniche nostre, si riscontra a Pietravalle con qualche fre- quenza: sgraziatamente però non si hanno esemplari nè com- pleti, nè ben conservati. Per questi motivi la determinazione, per quanto ponderata, non può riuscire scevra di qualche scru- polosa esitazione. 4 42 G. DE ANGELIS D’OSSAT Pecten (Flabellipecten) Besseri Andrz. Gli scarsi avanzi che riporto a questa specie non mi per- mettono un sicuro riferimento. Questa forma, che pur si riuni al P. solarium Lk., è esclusiva dei tempi miocenici. Dalla stessa località, ma in un calcare cristallino, di color grigio, provengono due valve, ben conservate, di pettine ed un elegantissimo echino. Le valve appartengono al P. aduncus, già menzionato, e l’altro fossile deve riferirsi al Pliolampas Vassalli Wrigt. Presentemente questa bella forma non è riunita al Pygo- rhynchus Collombi Desor, come propose il Cotteau (1877): ma è ritenuta distinta. Le affinità col P. medfensis Cotteau sono però strettissime e per quanto ho osservato nell’esemplare della valle del Trigno si può affermare che esso va considerato come una forma intermedia fra le due menzionate. Non è il caso di scendere a maggiori particolari paleontologici. Il P. Vassalli, tanto in Corsica come a Malta, fu raccolto in depositi del Lan- ghiano. In Italia è conosciuto nel Miocene di C. Dogana e di Tocerano nell’Umbria, ecc. Ritengo che la fauna descritta assicuri, anche con le lievi esitazioni delle determinazioni, la presenza di formazioni mio- ceniche nella valle del Trigno. Tale riferimento cronologico conferisce maggior valore alle for- mazioni omotaxiali da me già trovate nella valle contigua del Sangro (Il Miocene nel versante orientale della Montagna della Majella, 1906) e nel versante occidentale della Montagna della Majella ( Sorgenti di petrolio a Tocco da Casauria, 1899) (*}. Il tipo litologico però mostra qualche differenza: il calcare del Trigno somiglia più a quello della valle del Piume Pescara che non alle rocce mioceniche del Sangro. (') Riguardo alle Osserv. geol. S. Valentino, 1907, di G. B. Giattini, prendo solo atto della successione delle rocce per la parte che interessa la mia tesi rispetto al Miocene abruzzese. IL MIOCENE NELLA VALLE DEL TRIGNO 43 Anche nella Eegione Pietravalle si trovano i gessi, però non mi trovo finora nella possibilità di affermare se essi siano col- legati alle formazioni mioceniche o se debbansi riferire alla nota zona gessoso-solfifera. La somiglianza petrografica mi conduce, quasi mio malgrado, a rendere noti alcuni fossili, conservati nell’Istituto Geologico . della E. Università di Eoma, che provengono da una cava aperta nelle Prata d’Ansidonia (Aquila), fra S. Demetrio e S. Pio. Tra i molti nuclei di grossi e piccoli molluschi indeterminabili spe- cificatamente, v’ha una valva intera e conservatissima di Almis- simi cornami Sow ( denudatimi ), specie frequente nelle forma- zioni mioceniche italiane. Intendo presentemente la forma in senso lato; non potendo, senza mettere in pericolo l’integrità dell’unico esemplare, aderente ancora alla roccia, scendere a maggiori distinzioni. Inoltre sono determinabili parecchi gusci di Ostrea (Gryphaea) coclilear Poli var. navicularis For., pur frequente nei depositi miocenici. Con tanto poco materiale non è lecito inferire conclusioni, ma certo questi fossili avvivano il desiderio di conoscere il rapporto che hanno col calcare, cui ultimamente fecero accenno il Sacco (Gli Abruzzi, 1908) e più particolarmente il Clerici ( Analisi microscopica del calcare fa- rinoso di S. Demetrio nei Vestini, 1908). Per ora tengo conto della similitudine litologica del calcare delle Prata d’Ansidonia con quello di Pietravalle e con altri simi- li, facendo però rilevare che le due sole forme determinate si riscontrano, con notevole frequenza ed abbondanza, nel nostro Miocene. La somiglianza del carattere litologico della roccia di Pie- travalle con la pietra leccese , con la pietra cantone della Sar- degna e con le altre rocce mioceniche di Malta, delle isole Tremiti, ecc., ed eventualmente col calcare d’Ansidonia, fa sor- gere la speranza che si possa sopra questi documenti, - per quanto a brandelli e non ancora sicuramente coevi, - ricostruire la carta paleogeografica della zona media mediterranea attraverso tutti i tempi miocenici; fissando in esse le leggi bionomiche, le zone batimetriche marine e le condizioni isomesiche, isoto- G. DE ANGELIS D’OSSAT 44 piche ed isopiche che presiedettero al componimento di tante svariate rocce, neppure scevre di materiali esotici. In altri ter- mini l’indagine consisterebbe in una generalizzazione, nel tempo e nello spazio, delle ricerche intraprese dal Di Lorenzo (La fauna bentho-nektonica della pietra leccese - Miocene medio - 1893), intorno alla pietra di Lecce e dei tentativi da me eseguiti sul Miocene dell’ Appennino Eomano e dell’Umbria. Per ora però, in mancanza di tutti i dati necessari a legit- time conclusioni, raccogliamo obbiettivamente i fatti: questi poi, con la loro divina natura, costituiranno i punti trigonometrici e cronologici, fra cui la Paleogeografia saprà sicuramente disegnare le carte corrispondenti ai diversi tempi miocenici del nostro Mediterraneo. [ms. pres. il 1° marzo 1908 - ult. bozze 21 aprile 1908]. L’ ANFITEATRO MORENICO DEL TAGLIAMENTO E LE SUCCESSIVE FASI GLACIALI Nota del dott. Ippolito Nievo Quattro anni or sono trovandomi in licenza nel Friuli, inco- minciai a percorrere l’anfiteatro morenico del Ragliamento nel- l’intento di studiarne le morene in rapporto alle successive gla- ciazioni. Nei tre anni seguenti continuai a raccogliere i dati che mi parvero importanti e finalmente nella scorsa estate, avuto a mia disposizione un tempo un -po’ meno ristretto, controllai le osservazioni già fatte, ne aggiunsi delle nuove e finalmente mi accinsi a riordinare il materiale raccolto nel presente lavoro. Nello studio di regioni costituite da terreni stratificati, in cui roccie di diversa natura si succedono e si alternano, assai di rado si riscontra che gli accidenti topografici corrispondano a quelli tettonici. Diversamente avviene per una regione nella quale preval- gano le colline moreniche e le alluvioni, poiché in essa la uni- forme erodibilità dei depositi che la costituiscono, fa sì che le forme topografiche, che noi osserviamo, possano considerarsi come direttamente derivate dalla originaria disposizione dei depositi quali furono abbandonati dai ghiacci e dalle acque. Così, mentre in una regione corrugata ed a strati, generalmente nessun le- game unisce le valli colle sinclinali, e le creste alle anticli- nali, in una regione morenica al contrario possiamo ritenere che gli allineamenti di colline segnino l’andamento delle mo- rene quali furono dal ghiacciaio costrutte, e le vallette fra esse incurvantisi corrispondano alle originarie depressioni intermore- niche, specialmente quando decorrono sensibilmente parallele ai cordoni morenici primitivi. Da quanto si è detto risulta quindi che chiunque voglia accingersi allo studio geologico di un anfiteatro morenico, tro- 46 I. NIEVO verà il lavoro molto semplificato, se preventivamente si sarà fatta una chiara idea della forma attuale del paese, per cui all’esposizione delle mie personali osservazioni credo opportuno premettere un breve cenno topografico della regione presa in esame. Nell’indicare le località mi atterrò strettamente ai nomi se- gnati sulla tavoletta 1 : 100.000 di Udine del nostro I. G. M. Solamente quattro torrentelli che spesso mi accadrà di menzio- nare: la Beorcliiana, la Livola, la Cornaria, il rio Doidis non sono scritti in questa tavoletta - essi però vi sono segnati - e sono segnati e scritti nello schizzo, fig. 1, unito al presente studio. Per chi volesse maggiori particolari potranno servire otti- mamente le 6 tavolette 1 : 25.000 pure dell’I. G. M. intitolate Tarcento, Buja, Majano, Tricesimo, Pagagna, S. Daniele. I. Se in una limpida mattina di estate, come se ne hanno spesso dopo i temporali, guadagneremo le falde meridionali del monte Paeit, che si leva a nord del paese di Magnano (stazione ferroviaria sulla linea Udine- Pontebba) raggiunta che avremo l’altitudine di 500 o 600 m. vedremo aprirsi avanti a noi un panorama incantevole. La pianura friulana, dolcemente saliente dal lido di Grado al piede delle Alpi, ci apparirà come un immenso tavoliere verdeggiante seminato di paeselli e di ville, solcato dal greto sassoso di torrenti, ravvolto da una rete fitta di strade biancheggianti. Ma se, appagato il primo senso di ammirazione, volgeremo lo sguardo in basso quasi ai nostri piedi, vedremo allora il ter- reno apparire in questa parte dolcemente ondulato in pieghe ampie, morbide, disposte quasi a formare cerchi concentrici, vedremo cioè le colline che costituiscono l’anfiteatro morenico Tilaventino. La regione collinosa ci sta innanzi in tutta la sua vastità, dal greto del Tagliamento a quello del Torre, dal Colle plioce- nico d’Osoppo alla pianura diluviale di Udine e ci si presenta colla chiarezza di un plastico sul quale, se non possiamo mate- L’ANFITEATRO MORENICO DEL TAGLIAMENTO 47 rialmente stendere le mani, possiamo però con lo sguardo se- guire l’andamento dei dossi prativi, penetrar nelle vailette om- brose e sopratutto cogliere quelle relazioni, che legano le varie parti in un solo tutto, relazioni così difficili a scoprirsi percor- rendo il paese, quando non è possibile godere da un’altura di una veduta d’insieme. Spieghiamo la carta topografica e procuriamo, confrontan- dola col terreno, di rilevar quei dettagli più importanti che l’arte grafica non può da sola bastare a mettere in evidenza. L anfiteatro morenico del Tagliamento nel suo complesso appare come un vasto quadrilatero ad angoli smussati ed avente i lati leggermente convessi verso sud. In esso le diagonali quasi normali fra loro e di lunghezza poco diversa vanno per quasi 18 Km. da Buja a Moruzzo in direzione N. S. e per oltre 20 Km. da Tricesimo a Kagogna in direzione E. 0. I due lati volti rispettivamente a S. 0. e S. E. cioè Ragogna Moruzzo, Moruzzo - Tricesimo, costituirono un tempo il fronte del ghiacciaio lungo il quale vennero a depositarsi le più im- portanti morene oggi rimaste. Gli altri due lati rivolti a N.E. e N. 0. furono invece nella poizione meridionale tracciati da morene laterali o dalla giustap- posizione sul fianco di queste, di morene frontali delle cerehie più interne, e nella porzione settentrionale limitarono a valle la platea dell’anfiteatro, che un tempo raccolse le acque di disgelo del ghiacciaio, che si ritirava nelle gole Carniche e che più tardi, colmata dalle alluvioni del Tagliamento e dallo sfa- sciume che i torrenti travolsero giù dai monti di Gemona e di Àrtegna, costituì il piano di Osoppo. Stabiliti così i limiti dell’anfiteatro cominciamo ad analizzarne le parti. Il primo e maggiore cordone morenico, cominciando dal sud, appoggia la sua estremità occidentale alle falde del monte di Ragogna costituito da conglomerato pliocenico, scende verso S. Daniele ed è poco dopo profondamente inciso da un solco scavato dal torrente Corno, nel letto del quale furono immesse dall’uomo le acque del canale artificiale detto Ledra. Ad oriente del Corno la morena si risolleva nei colli di Arcano per depri- mersi nuovamente verso Fagagna in modo assai sensìbile, seb- I. NIEVO 48 bene da questa parte non dia oggi passaggio a corsi d’acqua. Al di là di questo paese le colline salgono rapidamente fino a Moruzzo raggiungendo 270 m. di altitudine, cioè la maggior quota di tutto l’anfiteatro e mantenendosi sempre notevolmente elevate piegano verso E. N.-E. per Brazzacco e poi verso N. E. fino a Fontanabona. È qui che una seconda incisione, quella prodotta dalle acque del torrente Cormór taglia nuovamente il cordone in tutto il suo spessore. Oltre il Cormór le morene si risollevano e si dirigono verso Tricesimo dove subiscono un Quarto notevole abbassamento, che forma la conca su cui si adagia il paese stesso di Tricesimo e che è percorso dalla strada di Udine.- Più ad oriente le colline moreniche frontali si risol- levano, ma a nord di Qualso si confondono con i cordoni late- rali, sono spesso interrotte'1 da spuntoni eocenici facenti sistema coi monti sorgenti a sinistra del fiume Torre e furono larga- , mente erose dalle antiche correnti di questo fiume. Sul fronte di questo più importante cordone e precisamente nel tratto com- preso fra la depressione di Fagagna e quella dovuta all’erosione del Cormór, corrono gli avanzi di un altro cordone meno ele- vato smembrato per effetto delle acque defluenti dal cordone principale ma ancora assai facilmente individuabile: esso può essere seguito da Fagagna per Villalta e S. Margherita fino a Castellerio e Pagnacco. Importantissimo poi per ragioni che in seguito verrò esponendo è il tratto di terreno assai dolcemente ondulato che da Tavagnacco, passando ad occidente di Reana, si dirige verso Adorgnano, evidente avanzo di morene, che su- birono una molto avanzata alterazione e furono quasi distrutte. Portiamoci ora internamente al grande cordone morenico, che dalla località più elevata di esso, chiameremo di Moruzzo, per vedere come si presenta il terreno alle sue falde settentrionali e incominciamo ancora da occidente, ossia dal tratto Ragogna- S. Daniele. Questa porzione del grande anfiteatro morenico com- preso fra le masse di conglomerato pliocenico del monte di Ra- gogna e del colle Susaus, forma un tutto a se, e, quasi direi, costituisce un piccolo anfiteatro distinto dal principale. La morena frontale a nord di Ragona si incurva e si ad- dossa alle falde del monte e viene a costituire coi suoi avanzi la sponda sinistra di un torrentaccio (il Rio di Ponte) che si L’ANFITEATRO morenico del tagli amento 49 scarica nel Tagliamento, incidendo profondamente l’altipiano di- luviale. Il terreno, a nord del cordone principale, si abbassa rapidamente in forma di conca in fondo alla quale si è conser- vato un piccolo laghetto infra-morenico, solo superstite di una numerosa famiglia di confratelli scomparsa forse ancora in epoca storica per opera delle alluvioni e della torba. L’ emissario [di questo piccolo lago prende il nome di rio Repudio è quasi sempre asciutto, ma in altri tempi doveva aver una discreta copia di acque, data la profondità del canale, che seppe scavarsi fra le morene a nord di S. Daniele per raggiun- gere il fiume Corno. A nord del lago lo spazio concesso alle morene si restringe notevolmente ed i loro avanzi si presentano come una serie di cordoni smembrati, diretti da N.E. a S. 0. al piede settentrionale dell’ultimo dei quali, proprio al margine del campo di Osoppo, scorrono le acque del fiume Ledra. In origine i più settentrionali fra questi cordoni dovettero prolungarsi verso occidente nello spazio oggi occupato dal letto del Tagliamento ed anche al di là, come ne fanno fede i pochi e ristretti lembi morenici, che si riscontrano presso Plagogna e Forgaria. Lasciamo ora questo piccolo anfiteatro in miniatura e scen- diamo dal colle di S. Daniele per entrare nell’anfiteatro prin- cipale. Appena uscita da S. Daniele la strada corre incassata fra due allineamenti di colline. Quelle di destra non sono che le morene del cordone di Moruzzo, quelle di sinistra le morene di un secondo cordone più interno, che in questo punto si addossa al primo piegando verso nord in direzione di S. Tommaso e adagiandosi poi contro la falda orientale del colle di Susans. Il fiume Corno, che presta il suo letto alle acque del Ledra (canale artificiale), attraversa i due ordini di morene in questo punto e corre verso la pianura. Continuiamo il nostro cammino verso oriente. Già presso il bivio Caporiacco Fagagna i due cordoni morenici sopranominati si sono notevolmente scostati e fra essi si avvallano praterie sempre più estese, molto ondulate, sparse di cocuzzoli isolati avanzi di cordoni secondari, spesso paludose e ricche anche di 50 I. NIEVO depositi di torba. Nel suo complesso questa distesa di terreno, avanzo certo di uno o più laghi, ha forma lunata, si allarga dapprima tra Caporiacco e Moruzzo, poi gradatamente restrin- gendosi, va a terminare fra Arra e Colloredo. Le acque che in essa si raccolgono seguono due direzioni a seconda che hanno origine ad oriente o ad occidente della linea Codagnella-Mo- ruzzo, lungo la quale dovette certamente esistere una grande morena mediana che segna tutt’ora coi suoi avanzi la linea di displuvio. Le acque del bacino occidentale si raccolgono nel rio Lini, il quale nasce sotto Moruzzo, accenna prima a diri- gersi verso la depressione di Fagagna, poi mutata direzione, incide il cordone morenico interno e si getta nel Corno. Le acque del bacino orientale fanno tutte capo al Cormór, che scende, come dirò in appresso, dai colli di Buja e attraversa il grande cordone morenico esterno sotto Fontanabona. Il limite settentrionale di questa zona lacustre e costituito ad occidente dal cordone morenico interno, che chiameremo di Caporiacco. Questo cordone corre dapprincipio sensibilmente pa- rallelo a quello esterno, ma giunto a Colloredo, piega rapida- mente verso nord e per Yendoglio, Sala ed Ursinis raggiunge, assumendo le caratteristiche di una vera morena laterale, le falde sud-occidentali del colle eocenico di Buja. Alle falde op- poste, orientali, di questo stesso colle si appoggia un altra mo- rena che scende per Treppo, è tagliata dal torrente Soima e si dirige verso Arra e Tricesimo ove si appoggia e si confonde col grande cordone esterno. Evidentemente all’epoca in cui queste morene si deposita- rono, lo spuntone di Buja emergente dal ghiaccio obbligò la massa gelata a dividersi ed a deporre così due morene distinte simili a due festoni. Nell’intervallo fra il cordone di Caporiacco e quello di Treppo, scavò buon tratto del suo letto il Cormór, che dal Colle di Buja si dirige alla depressione compresa fra Arra e Colloredo. Nel suo interno adunque l’anfiteatro può con- siderarsi diviso in due porzioni quasi simmetriche rispetto al corso del Cormór. La porzione occidentale è compresa fra il cordone di Moruzzo e quello di Caporiacco, il quale ultimo do- mina verso nord un’altra bassura paludosa dove ha origine il Corno. Questo secondo ripiano alluvionale si presenta come una l’anfiteatro morenico del tagliamento 51 vasta depressione che continua il piano di Osoppo molto avanti fra le morene. Verso oriente essa è interrotta dal succedersi di numerosi mozziconi di cordoni morenici secondari sensibilmente paralleli fra loro ed a quello di Caporiacco, cordoni che partendo dal colle di Buja s’incurvano verso S. 0. e terminano rispetti- vamente a S. Salvatore, a S. Eliseo e ad Entessano, essi dovet- tero certamente in origine continuare verso occidente tino sotto Susans come lo provano gli avanzi isolati di Casasola e di Ma- iano; ma furon più tardi erosi e spianati da una corrente, che doveva seguire press’a poco l’attuale corso del canale Ledra e e che fu di questo certamente assai più ricca di acque. La porzione occidentale dell’anfiteatro, cioè quella che si stende a sinistra del Cormór è meno vasta, in essa i cordoni morenici di Casacco, di Raspano, di Zegliacco, di ITrbignacco, si spingono fino contro la Soima, affluente dal Cormór e sono, come quelli della porzione occidentale, smembrati dalla ero- sione. Anche da questa parte, là dove i cordoni terminano, si hanno paludi e torbiere, e il terreno si deprime notevolmente, lasciando supporre un profondo solco scavato nel conglomerato su cui le morene si elevano. Di questo avvallamento approfittano la strada ordinaria e la ferrovia per attraversare la regione collinosa senza incontrare forti pendenze. Al di là della ferrovia sorgono ancora avanzi di morene laterali e framezzo ad essi compariscono nu- merosi affioramenti di roccie eoceniche, che sembrano congiun- gere il monte di Buja con i monti che si elevano a mezzodì di Tarcento. Per terminare ritengo che, a guisa di epilogo, il paragone di alcune quote altimetriche opportunamente scelte potrà servire più di un lungo discorso a completare la descrizione dell’anfi- teatro. La platea di Osoppo è inclinata verso S. 0. e da circa 180 m. che raggiunge presso la ferrovia, scende a 145 m. nel letto del Tagliamento. Il piano alluvionale di Majano degrada da 160 a 150 m. Le morene di Caporiacco e di Treppo raggiungono quote supe- riori ai 200 m., mentre la successiva bassura del rio Lini, in- clinata da sud a nord, degrada da 180 a 160 m. 52 I. NIEVO Le morene del grande cordone di Moruzzo toccano a S. Da- niele i 267 m. a Moruzzo, punto culminante 270 m., a Trice- simo i 240 m. Il terreno che si estende immediatamente ai piedi delle morene più esterne è inclinato verso S. E., cioè in senso quasi opposto a quello della pianura di Osoppo, e dalla quota di circa 200 m., che raggiunge sotto Eagogna, discende a 126 m. vicino al Cormór, per cui verso occidente è notevolmente più elevato della platea interna. La pianura verso Udine si abbassa a poco a poco fino a 110 metri. IL Descritti così sommariamente gli accidenti topografici del paese da studiarsi, passerò adesso ad esporre le più importanti osservazioni geologiche da me fatte percorrendo il terreno, ìiser- bandomi di esporre nella terza parte del lavoro le conclusioni che mi parvero da esse scaturire. L’ordine che seguirò sarà lo stesso da me adottato nel rilevamento; ma per amore di bre- vità, dei molti itinerari seguiti per frugare il terreno in ogni sua piega, io non descriverò che i più importanti, o, per meglio dire, riassumerò nella descrizione di un numero limitato di pei- corsi, le osservazioni raccolte durante numerose passeggiate. In ciascun percorso tratterò di una porzione ben detei minata di terreno e per seguire un ordine che faciliti il collegamento dei fatti e la ricerca delle località sulla carta topografica, incomiu- cerò dal N. E. e procederò verso sud ed ovest. 1. — Buja-Artegna. La frazione di S. Stefano di Buja sorge sulla morena che si addossa allo spuntone eocenico che forma il monte. Questa morena si presenta come assai fresca, ad elementi sciolti e pu- liti. Era S. Stefano ed Arrio ha origine il Cormór fra due cor- doni morenici. Oltre Arrio il terreno si abbassa notevolmente fino ad Urbignacco ove la strada sale l’ultima morena con- servata. L’ANFITEATRO morenico del tagli amento 53 Dalla sommità di questo cordone si domina il sottoposto piano alluvionale, che si estende fino ai piedi del monte Paéit e del monte Quarnàn e fa parte del campo di Osoppo; la strada rotabile ne raggiunge il livello con due ampi risvolti, poi corre piana fino ad Artegna ove incontra uno dei più importanti affio- ramenti di roccie eoceniche. Circa alla natura del sottosuolo di questa regione i migliori dati ci sono forniti dallo scavo dei pozzi. Presso Magnano, alle falde della collina, si riscontrano 3 m. di argilla, indi conglo- merato ; verso Clama 2 m. di sabbie, indi argille, ed in altre loca- lità poco discoste ghiaia ed argilla per oltre 10 m. I pozzi dei caselli lungo la linea ferroviaria sono pure scavati nell’argilla ed alcuni hanno profondità di oltre 10 m. 2. — Strada Artegna- Tricesimo. Corre in una bassura e sulla destra è seguita dal torrente Soima, il quale erose i cordoni morenici irradianti da Buja. Tutte queste morene si presentano come molto fresche; debole alterazione limitata alla superficie, rarissime traccie di cemen- tazione. A sinistra della strada, cioè verso la montagna, compa- riscono affioramenti di masse eoceniche, al Colle Rumiz a Col- labo, ecc., e numerosi dossi morenici in evidente continuazione con i cordoni lambiti dalla Soima. Evidentemente in altra epoca le acque di questo torrente dovettero essere molto più copiose ed a loro deve attribuirsi lo smantellamento di questa parte dell’anfiteatro. Oltrepassato Cobalto gli avanzi morenici si presentano meglio conservati e più continui. Prima di giungere a Tricesimo la strada abbandona la Soima, che volge ad ovest, per salire un cordone sul quale è costrutto il paese. Da questo punto, e meglio an- cora spostandosi alquanto verso Cassacco, si può scorgere molto chiaramente la giustapposizione del cordone morenico di Arra contro quello di Moruzzo-Tricesimo. Il cordone più esterno (Mo- ruzzo-Tricesimo) appare interrotto, quasiché la depressione se- guita dalla strada e dalla Soima si fosse continuata in dire- zione di Udine ; il cordone più interno, assai più basso, è invece I. NIEVO 54 continuo, e sembra sbarrare l’apertura esistente nell’altro ed obbligar così la Soima a volgere verso ovest. Nello scavo dei pozzi di questa regione, s incontrò prima per una decina di metri ghiaia ed argilla, quindi conglomerato. 3. Tricesimo Ver guacco- Zompi ita- Qua Iso-Fraelacco. La strada che da Tricesimo va a Vergnacco e poi a Zom- pitta, attraversa una regione assai dolcemente ondulata e coperta di rigogliosa vegetazione. Il sottosuolo, dove appai e, si presenta rossastro, e rivela un grado di alterazione (feri etto) molto piu avanzato che non in tutto il rimanente anfiteatro moienico. In uno scavo praticato per costrurre un muro di sostegno presso Ador- gnano potei seguire, per la lunghezza di qualche metro, il ter- reno ferrettizzato e quasi privo di ciottoli insinuantesi sotto un deposito fluvio-glaciale ad elementi ben distinti e poco alterati. Tu questa la sola osservazione di qualche interesse che mi fu possibile fare in questa zona così intensamente coltivata. Zompitta è situata in perfetta pianura ed il suolo circo- stante al paese rivela a prima vista l’azione relativamente re- cente delle acque del fiume Torre. A nord di questo paese dovet- tero certamente sorgere le morene dell anfiteatro, ma esse fuiono più tardi erose dalle acque scendenti dalla valle di Nimis, ed oggi il terreno appare, per lo spazio di circa un chilometro, per- fettamente piano, notevolmente alterato e costituito da un po- tente strato di argilla, rossastro alla superficie, azzurrognolo a profondità, dovuto specialmente a sfacelo di rocce eoceniche. Il Ciuc del Ronco, spuntone terziario, limita questo spazio a nord ; al di là di questo colle, verso Loneriacco, le morene laterali sono alquanto meglio conservate e fra esse si notano frequenti affioramenti di marne eoceniche, in qualche punto, come presso Yolpins, ricche di nummuliti. Da Zompitta venendo verso Qualso si sale la falda meri- dionale del grande cordone morenico di Tricesimo, che a questo punto muta andamento e da morena frontale diviene morena laterale. Grli elementi di cui questa morena è costituita sono general- mente disgregati, ma ravvolti in uno strato di polvere rossiccia. l'anfiteatro morenico del tagli amento 55 Chi in una medesima passeggiata attraversi la regione ad ovest di Vergnacco e quella a nord di Qualso, non potrà a meno di notare, fra l’una e l’altra, una spiccata differenza del grado di alterazione del terreno, alterazione che è in rapporto inverso all’entità dei movimenti del suolo. Scendendo dalla morena di Qualso e movendo verso Fraelacco si attraversa una zona palu- dosa avente la quota di 188 m., poi si sale un nuovo cordone morenico dal quale si può dominare verso occidente la valle della Soima, e la bassura che si spinge fino alle falde della morena di Cassacco. La strada che corre da Fraelacco a Tri- cesimo, prima discende il cordone morenico Cassacco-Fraelacco. eroso dalla Soima, poi scavalca quello di Arra, Monasteto, Villa Peresutti ; presso il Cimitero di Tricesimo rasenta il grande cor- done esterno, che abbiamo chiamato di Moruzzo e finalmente ridiscende sulla piazza stessa di Tricesimo a raggiungere il cor- done interno di Arra. Credo opportuno rilevare come in vici- nanza del contatto fra il grande cordone morenico esterno e quello interno si presentino abbastanza numerose le sorgenti. Una di queste alimenta il lavatoio di Tricesimo, altre s’incon- trano seguendo la strada Tricesimo-Arra ed il ciglione eroso dalla Soima. La quota di queste sorgenti oscilla fra i 180 ed i 190 metri. 4. — Zegliacco-Zegliamdto- Treppo- Cassacco. Questa porzione dell’anfiteatro morenico è costituita dai già enumerati cordoni morenici che si irradiano a S. E. di Buja e formano il versante destro del bacino della Soima. Le morene sono ben conservate, composte di elementi disgre- gati e ricoperte di un sottile strato di terreno agricolo. Gli avval- lamenti intermorenici invece sono, specialmente verso il loro mezzo, ove discendono a quote inferiori a 190 m., occupati da paludi, le quali sotto il mantello vegetale nascondono uno strato di argilla rossiccia e sotto questa un altro più potente di ar- gilla marnosa azzurrognola. Sono frequenti le cave di materiale per laterizi, quasi sempre inondate da acque zampillanti, che ristagnano o che lentamente defluiscono verso la Soima. In una di queste cave posta ad 56 I. NIEVO ovest di Conoglano ho potuto scoprire una sezione del terreno abbastanza notevole. In essa si vedono, dal basso all’alto, suc- cedersi i due strati di argilla di tinta diversa e sovra di questi la morena, alquanto rimaneggiata dalle acque e costituita di elementi incoerenti. 5. — JBuja-Ccirvacco-Vendoglio. Questo tratto di collina è formato dalla giustapposizione dei cordoni morenici che partono da Buja e si spingono verso occidente, e forma il versante destro dell’alto bacino del Cor- mór. La valletta percorsa da questo torrente corre assai angusta fra le morene laterali fin presso Vendoglio ove le acque, eroso per la prima volta il cordone morenico di Colloredo, sono sboc- cate in un ampio avvallamento paludoso compreso fra il pre- detto cordone e quello più settentrionale in parte smembrato, che si spinge verso Entessano, passando a nord di Colloredo. È presso Vendoglio appunto che una recente cava di ghiaia permette di studiare la struttura del sottosuolo. Si osserva in questa località dal basso all’alto il succedersi di strati inclinati ghiaiosi e sabbiosi dinotanti come le acque abbian dovuto per qualche tempo ristagnare a nord del cordone morenico, formando un laghetto, che fu presto colmato. Alla parte superiore della sezione appare un conglomerato ad ele- menti di mediocri dimensioni, esso dev’essere certamente il re- siduo di un vasto campo alluvionale solcato da una torbida fiumana. Ha particolare importanza il fatto che un conglome- rato in tutto simile al precedente affiora successivamente più a sud in vari punti e ci permette così di seguire il corso del- l’emissario del ghiacciaio che depose le morene di Vendoglio. Sopra a questa distesa alluvionale solcata dall’antico letto di un fiume si adagia in parte la morena (Vendoglio) ed in parte un deposito fluvio— glaciale (Valle della Livola) entrambi costi- tuiti da elementi sciolti e ben conservati. L’ANFITEATRO MORENICO DEL TAGLI AMENTO 57 6. — Coìloredo-Arra. Nella bassura fra Colloredo ed Arra il Cormór riceve a si- nistra la Soima, a destra la Beorchiana. L’ultimo tratto della Valle della Soima fra Conog'lano ed Arra è scavato in un de- posito alluvionale di aspetto piuttosto fresco. Essa taglia il cor- done morenico Treppo-Arra per lo spazio di più di un chi- lometro. Notevole parmi il fatto che lungo il ciglione eroso dalla Soima sono frequenti le sorgenti. La valletta della Beorchiana corre fra il cordone morenico di Colloredo e quello smembrato di Pradis; essa, erodendo il fondo deH’avvallamento intermorenico ha messo in vari punti allo scoperto il conglomerato coperto da morena che ritengo sia in i dazione con quello di Vendogdio. Anche lungo il corso della Beorchiana si nota un allineamento di sorgenti, che può ritenersi la continuazione di quello già notato per la Soima e che incomincia ad oriente di Tricesimo. A valle del confluente della Beorchiana fino sotto Fontana- bona il letto del Cormór è scavato in depositi alluvionali. Poco a monte del confluente della Livola comparisce il solo depo- sito di Loess che mi sia stato possibile riscontrare in tutto 1 anfiteatro; al di sotto del Loess spunta la morena più antica composta da elementi grossolani e rimaneggiati dalle acque. 7. — Arra- Felettano- Fontanabona. La valle del Cormór fra Arra e Pontanabona va restringen- dosi ed è distintamente terrazzata. A S-E di Arra il cordone morenico Treppo-Arra-Tricesimo, viene a giustapporsi al grande cordone esterno Moruzzo-Fontanabona-Tricesimo. Nella regione di contatto un piccolo rigagnolo che scende al Cormór si e scavato un letto profondo, sul fianco del quale ser- peggia un sentiero che conduce a Felettano. Percorrendo questo viottolo colpisce l’occhio dell’osservatore il colore diverso e il diverso stato di conservazione delle morene dei cordoni vicini. La morena di Arra si presenta simile a quella di Colloredo e 5 X. NIEVO 58 di Treppo, mentre quella su cui giace Felettano è molto più rossa per ferettizzazione ed e costituita da materiale avente aspetto assai meno fresco. Qui, come già lungo la erosione della Soima e della Beor- chiana notiamo un allineamento di sorgenti che incomincia al lavatoio di Felettano. Anche a destra del Cormór, di faccia a Felettano zampilla qualche sorgente ed in qualche punto affiora il conglomerato, che io ritengo in relazione con quello di Yendoglio. Ma dove questo conglomerato si presenta più evidente è nel solco che la Livola ha scavato nelle alluvioni per gettarsi nel Cormór fra le morene di Pradis e quelle del grande cordone esterno di Moruzzo. Salendo il ciglione meridionale che limita il letto della Livola si giunge ad un altipiano alluvionale ondu- lato, che sale lentamente verso Fontanabona. La morena su cui sorge il castello di Fontanabona è in tutto simile a quella di Felettano ed il colore del terreno, marcata- mente rossastro, spicca in modo particolare nei campi arati. Ad est di Fontanabona il Cormór si è aperto uno stretto passaggio nel grande cordone morenico. Ha inciso profondamente la morena ed ha messo allo scoperto un conglomerato assai più cementato di quello di Yendoglio e costituito di elementi più grossi. Questo conglomerato che affiora, come vedremo, anche in altri punti del- l’antiteatro, fu dal Taramelli chiamato Ipomorenico e può consi- derarsi come costituente la parte più bassa del diluvium antico. 8. — Tavagnacco-Pa guacco- Feìetto Umberto. Sboccato dalla stretta di Fontanaboua il Cormór subisce una deviazione verso occidente fino alla confluenza del rio Doidis, che scorre alquanto ad ovest di Pagnacco e di Castellerio. Questa deviazione fu imposta al Cormór dall’esistenza di un altipiano diluviale al centro del quale si trova il paese di Feletto Umberto. Le acque del torrente erosero la porzione N. 0. di questo alti- piano cancellando i gradini, che per altro si possono ancora osservare più a sud, e si unirono a quelle del rio Doidis. Questo torrentello incise profondamente la morena del grande arco di Moruzzo, senza però traversarla, e mise, come il Cormór, allo L’ANFITEATRO MORENICO DEL TAGLI AMENTO 59 scoperto il conglomerato ipomorenico; poi, scendendo diretta- mente verso sud, terrazzò l’altipiano di Feletto e lo separò da quello di ugual natura, che distingueremo col nome di altipiano diluviale di Torreano, dal nome di un paese sopra esso esistente e del quale riparleremo in seguito. 9. — Tonsolano-Casasola-Pers-Meìs-Colloredo. Eiportiamoci ora al nord presso Buja, ed esaminiamo quella parte dell’anfiteatro che segue verso occidente, a quella di cui ci siamo occupati nei paragrafi 5, 6, 7, 8. Un chilometro circa a nord della strada Tonzolano-Casasola, ha origine il canale artificiale detto Ledra, che raccoglie parte delle acque che attraversano la porzione meridionale del piano di Osoppo. Questo canale per attraversare l’anfiteatro morenico, segue una depressione naturale causata evidentemente da un’antichis- sima corrente assai ricca, che servì, con tutta probabilità, fin dal pliocene superiore, a scaricare l’intero bacino carnico, e fu deviata verso occidente (attuale corso del Tagliamento) in epoca post-glaciale dalle alluvioni scendenti dai monti di Gemona. La regione che si estende più a sud verso Pers, S. Eliseo Entessano, è costituita dai monconi delle morene erose dalla corrente sopradetta e presso Colloredo è limitata dal cordone morenico ancora conservato che si dirige per Lauzzana e Codu- gnella verso Caporiacco e Colle Yaldoria. Le morene si presen- tano in questo tratto al tutto simili a quelle di Treppo e nelle bassure fra i vari cordoni sono frequenti le plaghe paludose ap- pena il terreno si avvicina alla quota 180. Le acque che defluiscono da queste paludi costituiscono il torrente Corno nel letto del quale fu guidata la massa delle acque del Ledra per condurla con poca spesa verso la pianura a sud dell’anfiteatro morenico. Le colline di Casasola e di Maiano fecero un tempo parte dei cordoni erosi che si diramano ad ovest del monte di Buja. La regione percorsa dal Corno-Ledra è paludosa, bassa, inter- secata da canali, ricca di torbiere e di depositi argillosi simili in tutto a quelli già notati nella regione di Treppo. Essa è 60 I. NIEVO limitata a sud dal cordone morenico di Caporiacco, ad ovest dal colle di Susans, e dalle morene laterali che ad esso si addossano (S. Tommaso). 10. Colloredo-Cajooriacco-Moruzzo-Modoletto-Arra. Questa vasta bassura stata in gran parte colmata da depo- siti alluvionali e da torbe, si estende fra il grande cordone esterno di Moruzzo e quello interno di Caporiacco ; ad oriente sbocca nella depressione del Cormór, ad occidente è chiusa dal colle di Yaldoria, ove la morena dell’arco interno si giustap- pone a quella dell'arco esterno, analogamente a quanto avviene verso oriente nei dintorni di Felettano. Dico fin d’ora come anche in questa località la linea di contatto fra le due morene sia indicata da un allineamento di piccole sorgenti, e come pic- cole sorgenti sgorghino in basso della strada Colloredo-S. Da- niele, quasi a continuar l’allineamento già notato, che, parten- dosi da Tricesimo, segue la valle della Soima e continua per la valle della Beorchiana, del rio Lini fino alla bassura del Corno-Ledra. La pendenza del piano alluvionale, che stiamo considerando, è in parte verso oriente, in parte verso occidente e la linea di displuvio può essere all’incirca segnata come una retta che unisca Codugnella a Moruzzo. Questo fatto, come assai evidentemente appare dall’esame del terreno, è dovuto principalmente alla pre- senza di una grande morena mediana, che rasentando ad occi- dente il colle di Buja, veniva a confondere il materiale di cui era formata con quello della morena frontale presso Moruzzo. Che cosi sia stato, oltre che dall’esame topografico del terreno, è dimostrato dalla natura dei ciottoli che si trovano sparsi in questa regione, come dirò più avanti. Però io ritengo che anche le due depressioni preesistenti del Corno-Ledra e della Cormór esercitando una specie di dre- naggio, abbiano influito ad attirare le acque che stagnavano nelle loro vicinanze, determinando così indirettamente l’anda- mento delle future correnti. Ad oriente della linea di displuvio Codugnella-Moruzzo e chiusa fra il cordone di Colloredo e quello smembrato e meno l’anfiteatro morenico del tagliamento 61 importante di Pradis, si apre la Valle della Beorchiana, palu- dosa ed ampia alle sue origini, poi di mano in mano più ri- stretta e profondamente incisa nella morena e nei sottostanti strati diluviali. Notevoli lungo il corso di questo torrentello sono varie sezioni del terreno, che mostrano la sovrapposizione della morena ad elementi sciolti e freschi, ai depositi diluviali gene- ralmente non cementati e poco alterati, e gli affioramenti di quel conglomerato che sono in relazione con l’affioramento di Vendoglio. A sud del cordone di Pradis, profondamente scavati nei depositi diluviali e lacustri si aprono i solchi della Cornaria e della Livola; anche qui numerose ed evidenti sezioni del ter- reno mostrano la struttura del sottosuolo ; anche qui affiora, come ho già detto, il conglomerato di Vendoglio ; ma quello che panni notevole e particolarmente interessante è il grado di alterazione assai maggiore che non nel bacino della Beorchiana, raggiunto dagli elementi del Diluvium ad una certa profondità. Una prova materiale di questo fatto è la presenza di cave da cui si estrag- gono ottimi ed abbondanti materiali per laterizi, cave che inu- tilmente si cercherebbero a nord del cordone morenico di Pradis. Anche in questa regione si verifica il fatto già osservato altrove che il terreno diventa acquitrinoso quando si abbassa verso la quota 180 m., ed a questa altitudine sul mare zampillano le sorgenti che alimentano i pozzi, i rigagnoli e che inondano le cave di argilla. Ad occidente della linea Codugnella-Moruzzo si apre il ba- cino del rio Lini. Questo fiumicello, che si origina al piede della morena di Moruzzo in una regione acquitrinosa che raramente sale a quote superiori a 180 m., ha corso tortuoso e si dirige dapprima verso l’ampia depressione di Pagagna, quindi volge bruscamente a nord mantenendosi sempre lungo l’asse di quella depressione che interessa tutti i cordoni morenici in questa zona, taglia il cordone morenico di Caporiacco dove è più basso e penetra per di là nel bacino del Corno- Ledra. Circa allo stato di conservazione delle morene di questa por- zione dell’anfiteatro osserverò che non può fare a meno di col- pire il colore rossiccio per ferretizzazione più avanzata che di- 62 I. NIEVO stingile i campi e le strade del cordone morenico di Moruzzo in confronto ai campi ed alle strade che giacciono sul cordone morenico interno di Caporiacco. 11. — Martignacco- Piaino- Pagnacco. Attraversiamo ora il grande cordone di Moruzzo per stu- diarne le falde meridionali ed i terreni che si stendono al suo piede. Abbiamo veduto (parag. 8) come il Cormór sboccando in pianura separi l’altipiano diluviale di Feletto Umberto da un altro altipiano di ugual natura che si trova sulla sua destra e che per brevità chiameremo di Torreano. Il Cormór, dopo la breve deviazione ad occidente già notata, fa suo il letto del rio Doidis, antico scaricatore del ghiacciaio, scendente dalle colline di Lazzacco, e seguendo, questo, incide profondamente il piano diluviale. Sulla sua sinistra questo tor- rente ha eroso l’altipiano di Feletto senza però giungere a can- cellare del tutto due gradini che separano l’attuale letto alluvio- nale dal piano che si stende verso est. Assai più distinti questi due gradini si presentano ad occidente scavati nell altipiano di Torreano e sono particolarmente visibili nel punto in cui il letto del Cormór passa sotto il canale artificiale Ledra. L’altipiano diluviale di Torreano è costituito da terreno sensibilmente fer- rettizzato, quantunque la ferrettizzazione non raggiunga in nes- sun punto dell’anfiteatro il grado che si osserva in terreni di- luviali di altre regioni e ciò a causa della natura prevalente- mente calcarea di questa regione; esso scende con dolce decli- vio verso l’attuale corso del Ledra ed ogni traccia di giadino (se mai esistette) fu cancellata dal lavorio delle acque. 12. — Torreano- Martignacco- Fagagna. L’altipiano di Torreano si spinge ad occidente fino al rio Lavia il quale, similmente al rio Doidis intacca profondamente la morena di Moruzzo, senza però superarla, e mette allo sco- perto il solito conglomerato ipomorenico. Questo fiumicello, che un tempo ebbe certo ricchezza d’acque assai maggiore dell’at- L’ANFITEATRO morenico del tagli amento 63 tuale, servì di emissario al ghiacciaio prima, al Iago inframo- renico poi. Ad occidente del rio Lavia la morena ed il terreno antistante sono solcati da numerosi torrentelli che smembrarono il cordone morenico Pagnaceo-S.Margherita-Villalta, incisero i depositi diluviali, rispettandoli solo in corrispondenza della morena mediana di Moruzzo, già accennata, la quale doveva scaricare i propri materiali verso il piano in direzione di Villalta. Ad occidente di questa morena mediana si incurva un nuovo avvallamento, che fu certamente percorso da correnti in occa- sione di piene del lago intermorenico di cui sono avanzi le bassure del rio Lini. Una corrente continua non deve mai es sersi stabilita in questa località perchè essa avrebbe certamente inciso un solco ben visibile e più profondo di quello scavato dal rio Tampognacco (tavoletta 1:25.000). Dopo questo avval- lamento prodotto da erosione la morena si risolleva a nord di Fagagna e poi sembra improvvisamente sparire in quella bas- sura, che un tempo dovette essere percorsa dal rio Lini e che si collega con la bassura riscontrata nel cerchio morenico interno ad ovest di Caporiacco e con la depressione del Corno-Ledra. Questo avallarsi di tutte le morene lungo una medesima linea non può esser spiegato che con la esistenza di un profondo solco preglaciale, il letto del Tagliamento pliocenico. Notevole è il fatto che a sud di Fagagna presso S. Vito si vede ancora oggi ben distinto il letto di un torrente che nessuna vera cor- rente acquea percorre e che si limita a raccogliere gli scoli delle campagne circostanti, scoli i quali non furono certamente in grado di scavarlo. 13. — Fagagna- Rocleano-Giavons-S. Daniele. La strada che corre da Fagagna a Rodeano è perfettamente piana, le colline che sono sulla sua destra, sono poco elevate perchè probabilmente furono anch’esse deposte dal ghiacciaio nel grande solco del Tagliamento pliocenico. Numerose correnti dovettero attraversare questa regione durante e dopo l’espan- sione glaciale che depositò le morene di Arcano. A questo proposito mi par utile osservare che nella trivel- lazione dei pozzi di tutto questo tratto di paese che si stende I. NIEVO 64 immediatamente al sud dell’anfiteatro morenico dopo uno spes- sore di 15 o 20 m. di ghiaia o di sabbia si incontra il conglo- merato ipomorenico, prova evidente che l’azione di grandi fiu- mane impedì l’accumularsi di potenti masse di depositi diluviali. Presso Rodeano s’incontra la grande incisione praticata nella morena dallo scaricatore del ghiacciaio, il Corno; si scende sul fondo di essa per mezzo di due gradini che sono ben vi- sibili verso Rodeano alto. Questo solco praticato dal Corno sebbene assai più ampio ricorda l’altro praticato dal Cormór, anche qui è raggiunto il conglomerato ipomorenico e la morena si presenta costituita da elementi alterati, spesso imperfettamente cementati. Al di là del Corno-Ledra si stende fino al ciglione del Tagliamento, un altipiano simile a quelli di Feletto e di Torreano e che noi chiameremo di Villanova. Al piede della collina di S. Daniele si getta nel Corno il Repudio, scaricatore del laghetto di S. Daniele e in relazione coi fenomeni glaciali, che si svolsero nella bassura fra i colli di Susans e di Ragogna. 14. — Susans- S. Daniele- Ragogna. Le morene che formano il piccolo apparato quasi indipen- dente chiuso fra i colli pliocenici di Susans e di Ragogna sono in tutto simili a quelle già esaminate. Il limite sud di questa porzione dell’anfiteatro è costituito dal grande cordone S. Daniele-Ragogna, che non è che la con- tinuazione di quello di Moruzzo. Esso non e inciso in alcun punto, perchè evidentemente le acque di disgelo seguirono la via oggi tenuta dal Repudio, defluendo attraverso ad una de- pressione della morena dovuta all’ostacolo opposto all’avanzarsi dei materiali detritici dal colle di Susans. Questa deviazione delle acque valse a preservare l’altipiano di Villanova da una più energica erosione, come più ad oriente le colline di Pa- gnacco e di Brazzacco preservarono gli altipiani di Feletto e di Torreano (parag. 2 e 8). Il laghetto di S. Daniele, avanzo di uno specchio d’acqua assai maggiore è circondato da terreni acquitrinosi ed ha la quota di 188 m. A nord di esso si elevano I l’anfiteatro morenico del tagli amento 65 resti smembrati di cordoni morenici appoggiatisi ai colli di Susans e di Ragogna e costituiti da elementi freschi e sciolti, in tutto simili a quelli della morena di Caporiacco. L’ultimo di questi cordoni degrada dolcemente verso il letto del Tagliamento presentando a questo riguardo una notevole differenza coi cordoni orientali che, come si disse, si affacciano con pendio ripido verso il campo di Osoppo (parag. 1.) A questo punto mi par utile ricordare che anche a destra del Tagliamento presso Flagogna si trovano lembi morenici, i quali mostrano come anche in questa direzione il ghiacciaio abbia spinto una sua digitazione. I cordoni che riunivano questi lembi estremi al rimanente apparato morenico furono spazzati dal Tagliamento. 15. — Piano di Osoppo e Morene insinuate. A nord dell’anfiteatro morenico si stende il piano di Osoppo, che fu probabilmente in gran parte inondato, ma non costituì mai un vero lago. Esso declina per circa 12 Km. da Ospedaletto al Ledra con una massima larghezza di una decina di chilo- metri; in mezzo ad esso sorge il colle di Osoppo formato alla base da terreni marini miocenici ed alla sommità da conglomerato pliocenico continentale. Altri piccoli affioramenti terziari spuntano qua e là dalle alluvioni. Ad oriente il piano di Osoppo è occupato dalle grandi conoidi dell’Orvenco e del rio Vegliato, che spinsero il Taglia- mento verso occidente; nel mezzo da alluvioni più minute e sotto di queste dal prisma di deiezione del Tagliamento plio- cenico, ad oriente dal letto attuale del Tagliamento. Date le forti pendenze del fondo delle valli confluenti nella valle principale del Tagliamento le morene insinuate non hanno grande sviluppo. Una fra le più importanti è quella della valle dell’Orvenco, che raggiunge l’altitudine del paese di Montenars mostrandoci come all’epoca del suo massimo sviluppo in tanta vicinanza del fronte il ghiacciaio abbia avuto ancora una po- tenza di oltre 400 m. €6 I. NIEVO 16. — Elementi delle morene ; il Loess. Prima di chiudere questi dati riguardanti la costituzione dell’apparato morenico Tilaventino voglio brevemente accennare alla natura e probabile origine dei materiali costituenti le morene. Le morene di destra sono formate in prevalenza di elementi calcareo-dolomitici del versante meridionale del canale di Soc- chieve ed in minor quantità da arenarie e dolomie cavernose della valle del Legano; merita particolar menzione la presenza in esse non rara di frammenti di granito provenienti certamente dalla valle dell’Adige, quando il ghiacciaio tirolese comunicava con quello del Piave, e questo per il colle della Mauria, col ghiacciaio del Tagliamento. Le morene mediane, le più importanti delle quali furono dirette su Fagagna e Moruzzo, contengono traccie di tutta la serie litologica carnica: caratteristici sono i ciottoli di porfido provenienti da Paluzza e i calcari con piccoli filoni di rame dei monti di Timau. Nelle morene di sinistra abbondano i calcari marnosi del Canal del Ferro, i frammenti di roccie eoceniche delle colline poste fra Gemona e Tarcento e degli spuntoni de- moliti i cui avanzi ancora oggi affiorano fra Buja ed il Torre. Queste roccie, suscettibili di facile e profonda alterazione, produssero terreni assai più fertili che non quelle delle morene di destra ed esercitarono una notevole influenza sull’aspetto ge- nerale della regione. Il Loess. — Il Loess, inteso esclusivamente come costituito da materiali di trasporto eolico, e quindi da non confondersi col Lehm glaciale da cui forse deriva, è scarsissimo in tutta la regione dell’anfiteatro. Giunsi, come ho già accennato, a scoprirne un lembo poco esteso della potenza di circa 2 m., ricoprente la morena in una incisione praticata dal Cormór nella bassura ad ovest della col- lina di Felettano. Ritengo che la scarsezza di depositi di questa natura debba ricercarsi nel fatto che con ogni probabilità già nelle epoche interglaciali i venti dominanti su questa regione spiravano come oggi da S. E. (Bora) e quindi tendevano ad accu- mulare la parte più leggera e polverosa del Lehm glaciale al l’anfiteatro morenico del tagliamento 67 piede delle prealpi Carniche tra Pinzano e Peonis; il Taglia- mento che oggi lambisce detto piede avrebbe spazzato più tardi questo deposito. In questo modo parmi si verrebbe a spiegare anche resi- stenza di quel cornicione calcare osservato dal Teliini (descri- Fig. 1. Anfiteatro morenico del Tagliamento e principali suoi cordoni morenici. 1 Monte di Buia 17 Rio Beorchiana 33 Torreano 2 Monte di Susans 18 Rio Livola 34 Villanova 3 Monte di Ragogna 19 Rio Cornaria 35 Colle Valdoria 4 Monti di Taroento 20 Rio Doidis 36 Caporiacco 5 Monti di Pinzano 21 Ragogna 37 Colloredo 6 Piano di Osoppo 22 S. Daniele 38 Entessano 7 Fiume Tagliamento 23 Arcano 39 S. Eliseo 8 Fiume Torre 24 Fagagna 40 Pers 9 Fiume Ledra 25 Moruzzo 41 S. Salvatore 10 Canale Ledra 26 Pagnacco 42 Casasola 11 Torrente Corno 27 Fontanabona 43 S. Tommaso 12 Rio Lini 28 Felettano 44 Arra 13 Lago di S. Daniele 29 Tricesimo 45 Vendoglio 11 Rio Repudio 30 Qualso 46 Cassacco 15 Torrente Cormór 31 Adorgnano 47 Troppo 16 Torrente Soima 32 Feletto Umberto 48 Collalto zione geologica della Tavoletta di Majano) lungo l’incisione del terrazzo del Tagliamento a due terzi d’altezza dal greto attuale, corrispondente, a detta dell’esimio geologo, ad un’epoca in cui le acque del fiume furono più calcarifere. 68 I. NIEVO Un altro fatto parmi venga in appoggio alla mia ipotesi ed è la presenza di un lembo di Loess notata dal prof. Sacco. (Gli anfiteatri morenici del Veneto) sulle colline di Mostacins (Tavoletta 1 : 100.000 di Maniago). Questa località infatti, ri- spetto all’anfiteatro morenico del Tagliamento ed alla direzione dei venti dominanti si trova nelle stesse condizioni in cui, per es., si trova la collina di S. Vito a S. E. di Torino rispetto all’an- fiteatro di Rivoli, sulla quale sono così numerosi e potenti i de- positi di Loess. III. Esposte così succintamente le più importanti osservazioni geologiche da me fatte percorrendo l’anfiteatro morenico Tila- ventino, credo di poter ora procedere alla discussione ed alla esposizione delle deduzioni che il terreno stesso, minutamente studiato, mi è venuto di mano in mano suggerendo. Dividerò questa terza parte del mio lavoro, che ritengo la più importante, in diversi paragrafi, e cioè: 1. ° Ragioni che militano in favore delle successive glacia- zioni nell’anfiteatro del Tagliamento. 2. ° Probabile topografia della platea di conglomeramento pliocenico sovra cui venne a poggiare l’apparato morenico. 3. ° Morene della la glaciazione e notizie sulla prima fase interglaciale. 4. ° Morene della 2a glaciazione e probabile topografia del- l’anfiteatro durante la seconda fase interglaciale. 5. ° Morene della 3a glaciazione; stabilimento dell’attuale idrografia. I. — Ragioni che militano in favore delle successive gla- ciazioni nell’anfiteatro morenico del Tagliamento. — Io non starò a ripetere le considerazioni d’ordine generale, che si so- gliono produrre a sostegno della ipotesi delle successive glacia- zioni, e neppure prenderò come punto di partenza il fatto che, essendo state riconosciute indiscutibili traccie di almeno tre gla- ciazioni distinte in altri anfiteatri della valle del Po, difficil- mente potrebbe ammettersi che in tanta vicinanza il ghiacciaio l’anfiteatro morenico del tagliamento 69 del Tagliamento abbia subito vicende diverse ; ma mi limiterò ad esporre quelle ragioni che ritengo siano peculiari dell’anfi- teatro di cui mi sto occupando. Una prova di molto valore mi pare quella fornita dalla struttura medesima dell’apparato morenico quale oggi si presenta. In un periodo di espansione, se non massima, certo assai considerevole, il ghiacciaio costrusse la cerchia morenica esterna, che abbiamo chiamato di Moruzzo ; più tardi in periodo di espan- sione minore costrusse la cerchia a festoni segnata dalle morene Caporiacco- Col 1 oredo-Buj a e Buja-Treppo-Arra-Tricesimo. La di- stanza massima che separa i cordoni morenici interni (anche trascurando il cordone minore di Pradis) dall’esterno è di circa 3 Km. Ora noi sappiamo che i ghiacciai nel ritirarsi non si contraggono, ma la loro estensione va a poco a poco diminuendo per effetto di una crescente ablazione esercitata alla loro super- ficie ; ciò posto mi pare assai difficile provare che lo spuntone eocenico di Buja, di dimensioni piuttosto modeste e che doveva trovarsi sommerso nel ghiacciaio a circa 10 Km. di distanza dalla morena frontale, abbia potuto esercitare un’influenza tanto grande da obbligare l’intera massa gelata a dividersi in due parti cosi nettamente distinte. Chiara è invece la spiegazione del fenomeno se noi ammettiamo che dopo la deposizione della grande morena esterna sia seguita una fase interglaciale, durante la quale i ghiacci si siano ridotti alle più elevate cime delle montagne, e che il cordone a festoni più interno sia stato depo- sitato assai più tardi, durante una successiva espansione gla- ciale, che non uguagliò in importanza la precedente, e durante la quale il fronte del ghiacciaio, molto meno elevato, fu obbli- gato fin dall’origine a dividersi per l’ostacolo opposto dallo spun- tone emergente di Buja. Che se poi questa ipotesi si accosta alla verità, prove se- condarie devono venire a confermarla, ed esse appunto non man- cano. Così si accorda col mio asserto lo stato di conservazione diverso notato a varie riprese per i diversi cordoni morenici, e la vegetazione stessa, coprendo di associazioni vegetali diverse le due morene, offre una nuova conferma. A questo proposito citerò un esempio solo: quello fornito dalla Calluna vulgaris, pianta eminentemente calcifuga, la quale I. NIEVO 70 fa assolutamente difetto sulle morene di Colloredo più recenti e si sviluppa discretamente su quelle di Fontanabona, che hanno avuto il tempo di subire alla superficie una assai più avanzata decalcificazione. Anche la distribuzione del castagno, altra essenza calcifuga, potrebbe essere citata per giungere ad analoghe conclusioni. Nè mancano all’anfiteatro del Tagliamento formazioni diluviali inter- moreniche; molto dimostrativa parmi la sezione rilevata presso Yendoglio e la presenza di quel conglomerato che affiora là dove l’erosione è riuscita a liberarlo dalla morena sovrastante. Anche l’allineamento di sorgenti che si verifica al contatto delle morene da me attribuite a glaciazioni diverse parmi abbia impor- tanza, ed importanza in questo medesimo senso ha il fatto che quando il terreno incurvandosi si avvicina alla quota 180 tosto appariscono sorgenti, paludi, stagni. Evidentemente a questo li- vello corre sotto tutto l’apparato morenico uno strato impermea- bile ; quello strato di argilla, che in vari punti messo allo sco- perto, viene sfruttato come materiale per laterizi. Ora, come meglio spiegare questo deposito uniforme e uni- formemente alterato che ammettendo esso rappresenti la super- ficie del terreno che rimase esposta all’azione degradatrice del- l’atmosfera durante una lunga fase interglaciale? Il fatto stesso che questo deposito si mostra superiormente rossiccio, ossia alte- rato ed azzurrognolo, ossia perfettamente conservato, a profon- dità, appoggia l’ipotesi enunciata. Molti altri argomenti del genere di quelli or ora esposti potrei enumerare, ma non farei che ripetermi e mi pare che una sola prova, purché bene accertata, valga quanto cento ; concluderò quindi dicendo che in moltissimi punti dell’anfiteatro morenico del Tagliamento si presentano sezioni di teneno che dimostrano essere state almeno due le espansioni glaciali, ma in nessun punto mi fu possibile scoprire la sovraposizione di tre strati morenici inframmezzati da due depositi interglaciali. L’erosione esercitata dalle acque e dalla massa del ghiaccio sopra depositi morenici preesistenti pare abbia cancellato quasi tutte le traccie di una glaciazione e precisamente della più antica. Dallo studio condotto con critica sagace e modernità d'in- tenti su altri anfiteatri morenici, quale sarebbe quello di recente l’anfiteatro morenico del tagli amento 71 pubblicato dal Dott. Prever sull’anfiteatro di Rivoli e quello del medesimo autore non ancora ultimato su l’anfiteatro d’Ivrea, a me, nelle sue linee generali, gentilmente comunicato^ si rileva con prove non dubbie come sul versante meridionale delle Alpi, i ghiacciai della prima glaciazione abbiano superato alquanto per estensione quelli della seconda, e questi notevolmente quelli della terza. Se noi osserviamo la tavola I unita al sopra citato lavoro del Dott. Prever: Sulla costituzione dell’anfiteatro mo- renico di Rivoli in rapporto con successive fasi glaciali (Acca- demia Reale delle Scienze, Torino 1907), vediamo come il morenico della prima epoca sia limitato a due stretti lembi posti ai lati opposti dell’anfiteatro. Evidentemente il ghiacciaio della seconda epoca di poco meno esteso di quello della prima, sfondò e livellò nell’avanzare le preesistenti cerehie moreniche. Quanto fu risparmiato dal ghiaccio venne più tardi spazzato dalle acque che da questo si formavano, e solo verso le ali, in qualche recesso riparato dalle nuove morene, potè conservarsi e giungere fino a noi qualche resto della prima glaciazione. Quanto ho detto per l’anfiteatro di Susa potrà a suo tempo essere ri- petuto per quello d’Ivrea ed io credo possa già fin d’ora esser enunciato per l’anfiteatro del Tagliamento. Or sono parecchi anni il Prof. Marinelli, percorrendo il tratto di paese compreso fra Adorgnano e Vergnacco (3) aveva notato una sensibile dif- ferenza nello stato di conservazione del terreno di questa plaga in confronto a quanto si verifica nel rimanente anfiteatro ed aveva accennato alla possibilità di una più antica glaciazione. Fu appunto questo accenno dell’esimio geologo che mi spinse a frugare in ogni recesso questo breve spazio di terreno. Pur- troppo le mie ricerche non furono molto fortunate, osservai anche io 1 avanzata alterazione del terreno, il suo andamento dolce- mente ondulato, ma, sola prova di qualche importanza, sebbene un po’ troppo limitata per esser decisiva, fu la scoperta in uno scavo recente di un lembo di terreno (vedi parag. 3) alterato insinuantesi sotto un deposito di aspetto molto più fresco. Con tutto ciò peraltro, per analogia cogli altri anfiteatri, e per 1 andamento del terreno in tutto distinto da quello di un piano alluvionale, e per il suo stato di conservazione in confronto a quello del finitimo altipiano di Feletto Umberto non esito a 72 I. NIEVO ritenere che il lembo di Ardognano debba attribuirsi ad una glaciazione più antica di quella corrispondente alla grande cerchia di Moruzzo, e, poiché non credo discutibile l’asserto che le morene di Caporiacco e di Treppo appartengano ad una gla- ciazione successiva a quella rappresentata dalla predetta morena di Morazzo, così credo esser giunto a dimostrare con buon fon- damento che nell’anfiteatro tilaventino si posson distinguere depositi appartenenti a tre successive glaciazioni. II. — Probabile topografia della platea del conglomerato PLIOCENICO SOVRA CUI VENNE A POGGIARE L’APPARATO MORENICO. — Per poter seguire lo sviluppo successivo a traverso alle diverse sue fasi dell’anfiteatro morenico del Tagliamento, credo neces- sario cercar di ricostruire nel limite del possibile e quindi a grandissimi tratti la topografia della platea di conglomerato su cui l’apparato morenico stesso venne a poggiare. Col chiudersi del miocene terminò il dominio del mare su tutta la regione veneta ed il seno tortoniano di Osoppo, che incurvava le sue sponde da Pinzano a Buja ed a Tarcento, fu colmato dalle po- tenti alluvioni che fiumane impetuose portavano giù dalle mon- tagne recentemente sollevate. La roccia pliocenica adunque, che costituisce il basamento sopra il quale si inalzano le colline moreniche e si stende la pianura alluviale, è esclusivamente di origine continentale. Essa apparisce qua e là dove fu rag- giunta dalla erosione, come sul fondo della forra di Pinzano, o dove fu considerevolmente sollevata, come sul monte di Ra- gogna, e consta di un conglomerato a grossi elementi calcari, fortemente cementato, variamente sollevato od infranto dai feno- meni orogenetici, che chiusero l’era terziaria. Quest’ultima cir- costanza, riguardante la giacitura del conglomerato pliocenico, ha particolare importanza, come quella che ci permette di distin- guere questo deposito da quell’altro molto simile, che ad esso sovrasta, e che non fu spostato e deve perciò attribuirsi al prin- cipio dell’era quaternaria (conglomerato ipomorenico). Due grandi correnti versavano al chiudersi del periodo mio- cenico le acque della Carnia sulla pianura del Friuli occiden- tale : il Tagliamento ed il Fella, sboccante il primo dalla gola di Cavasso, il secondo da quella di Tenzone. Più tardi, durante l’anfiteatro morenico del tagli amento 73 il pliocene la fiumana che sboccava dal canale di Cavasso mutò strada, si unì al Fella a nord di Veuzone e l’idrografia carnica fu da quel momento in tutto simile all’attuale. Le acque del Fella e del Tagliamento riunite per scendere verso la marina adriatica, approfittavano probabilmente di una frattura che s’era formata là dove l’asse stratigrafico dei depositi miocenici occi- dentali in parte sprofondati (Telimi) incontra ad angolo quasi retto l’asse stratigrafico degli elissoidi eocenici orientali e giunte a sud dell’attuale monte di Buja, sboccavano finalmente in aperta pianura. A cominciar da questo punto i depositi allu- vionali furono dalle correnti profoudamente solcati e fu scavato in essi quell’avvallamento che più tardi doveva influire note- volmente sulla struttura dell’apparato morenico (Depressione Corno-Ledra). Contemporaneamente allo stabilirsi del corso del Tagliamento un altro fiumicello, che aveva le sue prime scaturigini alle falde meridionali del monte Quarnàn, veniva scavando una propria valle fra le erodibili marne eoceniche delle colline orientali che in continuazione degli elissoidi del monte Bernadia e monte Campeon degradavano fin verso il monte di Buja. Questa corrente di secondaria importanza, che oggi è rappre- sentata in parte forse dall’Orvenco, in parte certamente dalla Soima scendeva verso sud e per le località ove sorgono adesso Collalto e Tricesimo si dirigeva alla pianura udinese confon- dendo a valle le sue acque con quelle del Torre. L’era terziaria stava per chiudersi e questa idrografia era già ben stabilita quando un ultimo brivido orogenetico spezzò e sconvolse la piattaforma pliocenica sollevando i monti di Ragogna e di Susans, spro- fondando forse gli ultimi lembi miocenici, che si stendevano ai piedi dei monti mesozoici occidentali e rompendo l’unità degli affioramenti eocenici orientali. Sulla pianura così sconvolta venne allora, mentre lentamente i ghiacciai avanzavano, a depositarsi quel conglomerato ipomo- renico che può essere distinto dal precedente conglomerato plio- cenico appunto perchè giace ancora indisturbato nella posizione in cui venne abbandonato dalle acque, e sopra questo deposito alluvionale cementato s’inoltrò finalmente la massa dei ghiacciai della la glaciazione. 6 74 I. NIEVO In riassunto panni dunque possa così venir descritto il ter- reno che stava per essere ricoperto dal ghiacciaio carnico sboc- cante dalle gole di Cavasso e di Yenzone. A nord il futuro 1 4“6r/acia,X !” I %9Gfacc) Mariani, Contrib. alla conoscenza della fauna retica lombarda. Eendic. R, Ist. Lomb., voi. XXX. — Caratteri triassici d. fauna retica lombarda. Ibidem, voi. XXXVIII. T (2) Dal Piaz, Le Alpi Feltrine. Mem. d. R. Ist. Veneto, voi. XX\ 1 . (3) Pompeckj, Amm. d. Bhàt. Neues Jahrb. f. Min. etc., 1895, Bd.II. (4) Fucini. Sopra gli scisti lionati del Lias inf. di Spezia. Atti Soc. Tose, di Se. Nat., Memorie, voi. XXII. (5) Canavari, Fauna del Lias inf. di Spezia. Memorie del R. Com. geol., voi. III. i LA PANIA DI CORFINO 95 cari ad Avicula contorta , i quali, se non debbono far parte del Lias, sono almeno da considerarsi quali i membri superiori del Trias. La presenza dei Megadolon , constatata dallo Zaccagna nei calcari compatti superiori a quelli con Avicula contorta , non può avere nel presente caso un valore assolutamente prepon- derante. Infatti bisogna ricordare che la presenza dei Megalo- donti fu già da me notata nella parte superiore dei calcari bianchi ceroidi del Monte Pisano, certamente Lassici e per me anzi in gran parte corrispondenti a quelli in discorso dell’Alpe di Corfino; e bisogna ricordare anche che il Parona C) ha ri- conosciuto nei calcari a Megalodonti delle cave di Trevi, una fauna decisamente liassica, anzi corrispondente a quella dei so- pracitati calcari ceroidi del Monte Pisano. Sarebbe inoltre da notarsi che tali calcari non potrebbero in verun caso riferirsi al Dachstein a Meg. Giimbeli che sta sotto al Eetico ad Àvi- cula contorta, o per lo meno alla base di questo, e nemmeno mi parrebbe che corrispondessero agli strati superiori dei calcari del Dachstein, poiché questi fanno sempre parte del Eetico ad Avicula contorta. Nel modo da me esposto, il confine fra Trias e Lias è net- tamente stabilito da differenze litologiche ; se invece dovesse porsi più in alto, andrebbe in ogni modo confusamente ricer- cato sulla metà dei calcari ceroidi compatti, poiché non po- trebbe in nessun modo ammettersi che il Lias cominciasse, al di sopra di tali calcari, con i primi banchi dei calcari rossi, i quali primi banchi si riferiscono alla zona ad A. angulatus; saltando quindi la zona ad A. Planorbis. Lias inferiore. Sopra alla lumachella scistosa con la quale, a seconda del mio parere, termina la serie degli strati retici, si ha una for- mazione assai potente di roccie calcari marmoree, ceroidi, talora (') Parona, Sulla fauna e sull’età dei calcari a Megalodontidi delle cave di Trevi. Atti d. R. Acc. d. Se. di Torino, voi. XLI. 96 A. FUCINI un poco dolomitiche, le quali inferiormente sono grigie e per la massima parte biancastre o cerulee, non evidentemente stia- tificate, e superiormente divengono, grado a grado, talora grigie ma spesso anche rosee e poi rosse e bene stratificate. Tale for- mazione va attribuita quasi totalmente al Lias inferiore ; e dico quasi totalmente poiché, come ho sempre sostenuto, la pai te più superiore dei calcari rossi devesi riferire al più profondo Lias medio, in accordo anche con le osservazioni di altri geologi, fatte sopra identici terreni di diverse parti della Toscana. Essa può avere comprensivamente una potenza di circa 200 metri, e sic- come deve considerarsi formata in modo continuo ed ininter- rotto, si deve ritenere che vi sieno rappresentate tutte le zone del Lias inferiore, per quanto non tutte si mostrino con evi- denza distinte litologicamente e paleontologicamente. Litologicamente vi si distinguono bene due porzioni: l’infe- riore che rappresenta nettamente l’Hettangiano e la superiore che comprende il Sinemuriano e la parte più profonda del Lias medio. Hettangiano. — Zone a Psilonoti e ad Aisgulati. A questo piano si devono riferire i calcari grigi e bianchi, superior- mente anche rosei e cristallini, ceroidi o talora dolomitici, non bene stratificati, che fanno seguito ai calcari nettamente stiati- ! ficati del Retico e che, in grossi banchi della complessiva potenza di circa m. 180, costituiscono le scoscese balze che cingono ed attraversano la nostra montagna. Risultano infatti formate da tali calcari le dirupate scogliere che coronano la profonda valle del Fiume di Corfino, tra il pollone di Magnano ed il molino di Sassorosso, le sassose e nude pendici sud-occidentali del Monte, a Nord di Corfino, nonché la profonda valle di Campaiana e la scogliera che attraversa la parte più alta della Pania, da Nord a Sud. Un piccolo lembo si trova poi alle falde orientali del Monte Serra, disgiunto dalla massa principale per circa due chilometri occupati da terreni assai più recenti, e che costi- tuisce quasi totalmente quel bizzarro e pittoresco scoglio emer- j gente dai galestri eocenici, chiamato Pietra del Diavolo. Nel capitolo precedente ho portato le ragioni per le. quali la formazione in esame deve ritenersi liassica e non triassica o retica, come l’ha riguardata lo Zaccagna, per cui mi rispar- mio di tornare sull’argomento. Piuttosto mi sembra opportuno LA PANIA DI CORFINO 97 constatare che ammessa la liassicità di tutte le roccie in esame, e naturale concludere che la parte inferiore di esse, non possa appartenere che alla zona più profonda del Lias, ossia alla zona ad A. planorbis, per quanto a questo riguardo nessun aiuto diretto ci sia dato dai fossili. Tale parte inferiore, infatti, non può considerarsi diversamente, perchè mentre succede alla zona ad Av. contorta, precede immediatamente, ed in continuità di deposizione, la zona ad A. angulatus , la quale è ben ca- ratterizzata da fossili ed occupa la parte più alta della forma- zione. La sola obbiezione che si potrebbe fare a questi concetti, ed alla quale ho accennato anche più sopra, potrebbe essere che non tutta la massa calcare ora in esame, e che è assai potente, faccia parte dell’Hettangiano, e che il limite fra Trias e Lias cada entro essa. A me sembrerebbe di poter escludere tale probabilità, sia per la costante uniformità del confine in- feriore, che la formazione ha in tutta la Toscana, sia poi per la considerazione della relativa rapidità con la quale si deve essere formato il deposito ora in esame, se, come tutto fa cre- dere, esso è dovuto ad un ammasso coralligeno. La presenza del Megalodon Gumbeli, constatata dallo Zac- cagna nei nostri calcari cristallini delle balze soprastanti alla sorgente Pruno, non si può altrimenti spiegare che ammettendo una grande persistenza per tale specie la quale verrebbe però così a perdere il suo valore cronologico. Non si potrebbe in- fatti ammettere mai che la formazione in discorso, decisamente sovrastante alla zona ad Av. contorta , potesse riferirsi al Da- cbstein a Meg. Gumbeli , che in ogni luogo sta alla base o sotto a tale zona. Parrebbe inoltre che il ritrovamento dello Zaccagna fosse stato fatto nella parte superiore della formazione in esame, e quindi molto probabilmente in quella parte spettante alla zona ad A. angulatus. Mentre la zona ad A. planorbis si può presumere ragione- volmente rappresentata dalla parte maggiore ed inferiore dei calcari cristallini, la zona ad A. angulatus invece risulta co- stituita dalla parte più alta, nella quale si hanno dei banchi leggermente colorati di roseo, e nella quale si trova la luma- chella con fauna caratteristica. 98 A. FUCINI Il Levi (') che studiò questa fauna, con materiale raccolto molto tempo prima dal Cocchi, vi ha riconosciuto le seguenti specie : Apiocrinus? sp. Terebratula (Pygope) Aspasia Mgh. » coregonensis Mgh. Diotis pisana Fuc. Neaera ìiasica Levi Cardimi sp. n. » submulticostatum d’Orb. Natica Corfìnii Levi Pleurotomaria sp. n. Atractites orthoceropsis Mgh. Coroniceras monticellense Can. Caloceras cfr. liasicum d’Orb. » ligusticum Cocchi » coregonense Sow. » spediense Cocchi et Mgh. Pleuracantliites ìnformis Sow. Ectocentrites Meneghina Sism. Lxgtoceras articulatwn Sow. » agnatum Can. » subbiforme Can. Phylloceras lunense Mgh. » cylindricwn Sow. Ehacophyllites apenninicus Levi. Questa fauna, come fece benissimo rilevare il Levi, trova esatta corrispondenza con quella tanto conosciuta della Spezia, illustrata dal Canavari (2), la quale, a mio modo di vedere e come ho anche altre volte manifestato, comprende le due zone ad A. angulatus e ad A. Bucklandi, ancora da distinguersi sul posto. Essa corrisponderebbe alla zona più profonda, cioè a (') Levi, Sui foss. del Lias inf. di Cima alla Foce, nell’ Alpe di Cor- fino. Boll. Soc. geol. it., voi. XVII. — Fauna del Lias inf. di Cima alla Foce, ecc. Boll. Soc. geol. ital., voi. XXI. (2) Canavari, Fauna del Lias inf. di Spezia. Mem. d. B. Com. geol., voi. III. LA PANIA DI CORFINO 99 quella ad A. angulatus, e a questo proposito va notata l’im- portanza che assumono, insieme con altre, le diverse specie di Caloceras. In Toscana corrispondono precisamente all’Hettangiano del- l’Alpe di Corfino, i consimili calcari grigi, bianchi, ceroidi, cri- stallini, talora dolomitici, che si trovano in molte località e che stanno generalmente nelle identiche condizioni, cioè sopra i cal- cari del Eetico ad Av. contorta, e sotto ai calcari rossi del Si- nemuriano. Come ho però accennato altra volta, non sempre ai confini litologici fanno riscontro i confini cronologici, e mentre per esempio nell’Alpe di Corfino il Sinemuriano inferiore è rap- presentato già dai calcari rossi, a Gerfalco la zona a Penta- crinus tuberculatus ( 1 ) si trova ancora nella formazione dei cal- cari bianchi ceroidi. Ciò renderà molto difficile, per alcune lo- calità toscane, una netta distinzione tra l’Hettangiano ed il Sinemuriano. A Spezia l’Hettangiano è rappresentato inferiormente dai calcari con portoro, superiormente dalla parte inferiore dei cal- cari grigi ammonitiferi. Fuori di Toscana si osservano pure altre notevoli corrispon- denze con la nostra formazione, ma esse in generale riguardano la parte superiore, cioè la zona ad Angulati. Infatti si pos- sono considerare di questa zona i calcari bianchi delle cave di Trevi (2), i calcari dolomitici della vetta del Gran Sasso, con fauna simile a quella dei calcari bianchi cristallini del Casale in Sicilia, ed in generale i calcari dell’ Appennino centrale, sot- tostanti al marmar one. Non può escludersi poi che questi cal- cari — almeno in alcune località — nella loro parte inferiore corrispondano alla zona a Psilonoti. Tale zona al Gran Sasso è molto probabile che sia rappresentata dalla parte superiore della Dolomia ritenuta triassica e che precede i sopracitati calcari dolomitici della zona ad Angulati. Il Sacco (3) ha recentemente manifestato idee molto consimili. Al Monte Malbe l’Hettangiano (') Fucini, Fauna della zona a Pent. tuberculatus MITI, di Gerfalco. Roma, 1906. (2J Parona, Sulla fauna e sull’età dei cale, a Megalodonti delle Cave di Trevi. Torino, 1906. (3) Sacco, Gli Abruzzi. Roma, 1908. 100 A. FUCINI può essere rappresentato inferiormente (zona a Psilonoti) da calcari grigi con Megalodonti, se verrà accertata la loro succes- sione al Eetico; superiormente (zona ad Angulati) da calcari bianchi con gasteropodi. In Sicilia l’Hettangiano inferiore potrebbe essere rappre- sentato nei dintorni di Taormina dalla formazione studiata dal Di Stefano (Q e che era ritenuta triassica, il superiore dai cal- cari grigi e bianchi cristallini delle montagne del Casale e di Beilampo, per quanto io non possa escludere che questi possano riferirsi invece alla zona ad A. JBucldandi. Nelle Alpi Venete l’Hettangiano è probabilmente rappre- sentato dalla parte superiore delle dolomie che precedono il Si- nemuriano di Erto. Nelle Alpi Feltrine, per gli studi del Dal Piaz ((i) 2), è stata riconosciuta la presenza di questo piano, però mancano ele- menti per giudicare se si tratta della parte inferiore o di quella superiore. Nella Lombardia, come ammette il Parona (3), possono equi- valere alla zona inferiore hettangiana la dolomia a Conchodon soprastante al Eetico ; alla zona ad angulati si riferisce il cal- care di Carenilo. Smémuriano. — Questo piano è costituito da calcari rossi ammonitiferi subceroidi, talora brecciformi, bene stratificati, i quali si trovano sopra le roccie del piano precedente, o a for- mare per lungo tratto una cintura quasi continua, come nella parte Sud-orientale della montagna, od in lembi isolati, come più facilmente avviene nella parte Nord-occidentale. La sua po- tenza è sempre assai limitata; nei dintorni di Sassorosso può raggiungere forse anche 30 metri, lungo il rio che scende dal- l’Alpe di Corfino e che va al Fiume, non sorpassa talora una diecina di metri. Partendosi dai dintorni di Magnano, risultano costituiti dalle roccie di questo piano, in modo continuo, gli orli della valle che sovrasta al Fiume fino a Sassorosso, ove si ha una leg- (i) Di Stefano, L’età delle roccie credute triassiche, ecc. Palermo, 1887. (s) Dal Piaz, Le Alpi Feltrine. Venezia, 1907. (3) Parona, Trattato di Geologia, pag. 477. LA PANIA DI CORFINO 101 gera interruzione a causa della piccola ma netta dislocazione avvenuta nella compagine di tutta la serie, poi i calcari rossi continuano fin quasi al Mulino di Sassorosso, tenendosi però talora alquanto indietro dall’orlo immediato della valle. In fondo a questa si osserva una nuova interruzione, forse ancora pro- dotta da altra dislocazione per la quale i galestri rossi eoce- nici sono posti a contatto con i calcari ceroidi del piano pre- cedente, ciò che si vede benissimo sulla destra del Fiume. Il Sinemuriano ricompare però ben presto sugli orli sinistri della valle del rio che scende dai dintorni delPAlpe di Corfino, ri- salendoli fino alla metà circa della lunghezza, per passare quindi sulle pendici di destra ove si estende alquanto, perchè la pendenza degli strati si combina in generale con quella delle pendici della montagna. Esso si ritrova poi in lembi staccati a costituire le punte più alte della montagna, senza che nes- sun terreno posteriore lo ricopra, e lo vediamo ai lati della valle di Campaiana, nonché alla regione Sulcina a Nord di Corfino. Lembi ancora più piccoli si hanno a levante di Corfino, come quello che si trova lungo il botro che separa la parte più sco- scesa della montagna dalla parte più ripianata e come i due che stanno molto più in alto, coronando il Poggio del Crocione. Un altro lembo, limitatissimo, si ha anche nella parte più alta della Pietra del Diavolo, sulle pendici orientali del Monte Serra. Non credo che sia da discutere la pertinenza al Sinemu- riano della formazione presente, poiché essa risulta in modo molto chiaro dalla successione delle roccie e dalla loro perfetta corrispondenza generale con quelle consimili di tutta la To- scana, studiate paleontologicamente dal Meneghini ('), dal De Ste- fani (•) e da me (3). È solo da notarsi, come tante volte ho detto, che i limiti inferiore e superiore non sono molto netti. Rispetto al limite inferiore deve considerarsi che mentre nel- l’Alpe di Corfino si ha la zona ad A. Buclclandi rappresentata (Ù Savi e Meneghini, Considerazioni sulla geol. stratigr. della To- scana. Firenze, 1861. O De Stefani, Lias inferiore ad Arieti. Pisa, 1887. (3) Fucini, Di alcune nuove Ammoniti dei cale, rossi inf. della To- scana. Pisa, 1898. — Altre nuove specie di Ammoniti, ecc. Pisa, 1900. — Cefalopodi liassici del Monte Cetona. Pisa, 1901-1905. A. FUCINI 102 dai calcari rossi in esame, in altre località, per esempio a Ger- falco, si ha la zona a P. tuberculatus ancora nei calcari ce- roidi C)\ a Cetona (2) probabilmente i calcari ammonitiferi del Sinemuriano cominciano con la zona a P. tuberculatus , e ciò sarebbe da ammettersi maggiormente ora che in tale zona è stato da me trovato a Gerfalco il tanto caratteristico Kondilo- ceras Manciata il cui originale è appunto del Monte Cetona. Rispetto al limite superiore, riportandomi a quello da me di- mostrato altre volte (3), bisogna ammettere ohe il limite tra il Sinemuriano ed il Lias medio cada entro la formazione dei cal- cari rossi, e naturalmente nella parte più alta. Lo Z accaglia (4) dice di avere osservato in più luoghi della Pania di Corfino, che i calcari rossi in esame riposano diretta- mente sopra i calcari del Retico superiore, senza l’interposi- zione dei grigio-cupi da lui osservati in altre parti delle Alpi Apuane, e dice che questo fatto potrebbe dimostrare l’equiva- lenza delle due facies liassiche inferiori. A questo proposito, mentre io credo bene far nuovamente rilevare che nelle forma- zioni secondarie dell’Alpe di Corfino non vi è veruna trasgres- sione; cosa che potrebbe parere se, seguendo lo Zaccagna, si ponesse la formazione precedente dei calcari ceroidi nel Retico superiore od Infralias; tuttavia deve ritenersi giusta l’equiva- lenza dei calcari grigio-cupi di alcune località delle Alpi Apuane, con quelli rossi in discussione, od almeno con la parte inferiore di questi. Zona ad A. Bucklandi. — Nel lembo Sinemuriano che corona il Poggio del Crocione, ad oriente di Corfino, e negli strati più profondi del calcare veramente rosso, che fa passag- gio a quello ceroide sottostante, io trovai diversi anni addietro una lumachella che per i fossili dati si rileva appartenente a questa zona. Infatti, oltre alcune specie nuove, che saranno (>) Fucini, Fauna d. zona a Pentacr. tuberculatus di Gerfalco. Ro- ma, 1906. (2) Fucini, Note illustrative della Carta geolog. del Monte di Cetona, pag. 32. (3) Fucini, Ibidem, pag. 29. (4) Zaccagna, Carta e sez. geologiche, ecc., pag. 323. LA PANIA DI CORFINO 103 fatte conoscere in un lavoro eseguito insieme col Prof. Canavari, ora in corso di pubblicazione, essa contiene: Terébratula Aspasia Mgh. Avicula sinemuriensis d’Orb. Teniostoma Newnayeri Gemm. Palaeoniso nana Gemm. Phylloceras cylindricum Sow. » lunense ? Mgh. Pleuracanthites biformis Sow. Lytoceras Phillipsi Sow. Lytoceras articuìatum Sow. Ectocentrites Meneghina Sism. Arietites coregonensis Sow. » alienigenus Can. » Listeri Sow. » discretus Sow. Schlotheimia ventricosa Sow. Questi fossili manifestano evidentemente la corrispondenza del nostro deposito, con quello dei calcari grigi di Spezia; ma poiché fra essi mancano completamente quelli di tipo più antico che si trovano cola, e naturale ammettere che la corrispondenza esiste solo con la parte più alta della fauna di Spezia. Ciò del resto è in armonia con quello che si è ammesso più sopra; cioè che alla parte inferiore della fauna di Spezia corrisponde la parte piu alta dei calcari ceroidi, nei quali si trova la fauna studiata dal Levi, con molte specie di Spezia, di tipo antico. E verosimile che questa zona sia rappresentata nell’Alpe di Corfino, ovunque si trovi il calcare rosso a contatto con quello ceroide sottostante; però mancano generalmente i caratteri pa- leontologici per distinguerla e per precisarla. Come più sopra ho accennato, questa zona è rappresentata in altre parti delle Alpi Apuane da calcari grigio-cupi molto simili a quelli della Spezia. Così devono infatti ritenersi quelli di Ugliancaldo, del Mulino di Casciana, di Deccio e di altre località che hanno dato fossili assai caratteristici: Natica fatorum Fuc., Ectocentrites Petersi Hauer., Schlotheimia compia Sow., A. FUCINI 104 Pleuracanthites biformis Sow., Lytoceras PhilUpsi Sow., Eliyn- chonelìa plicatissima Quenst., Eh. subiriquetra Can. Non è improbabile però che in tali calcari neri si trovi rappresentata anche qualche zona più alta, come farebbe sup- porre un bell’esemplare di Arnioceras eeratitoides Quenst., con- servato appunto in tale roccia, che fu rinvenuto erratico nel letto del Sercbio, e che si trova nel Museo di Pisa. Zone superiori. — Le zone sinemuriane superiori a quella ora esaminata dell’M. Euchlandi, presumibilmente tutte, certo in parte, sono rappresentate nei calcari rossi superiori a que- st’ultima zona; però manca ogni criterio sicuro per distinguerle e separarle. Da un blocco di roccia trovato nelle balze tra Sassorosso ed il Mulino, io potei estrarre alcuni fossili che farebbero credere esservi rappresentata intanto la zona a Pentacr. tuberculatus. Infatti io vi ho distinto Pecten Ugolini i Fuc., Lima plicatis- sima Fuc., che sono specie particolari della zona a Pentacr. tuberculatus di Gerfalco, quindi : Trochus epulus d’Orb. Phylloceras cylindricum Sow. » Lipoldi Hauer. » Partschi Hauer. » tenuistriatum Mgh. Ehacopliyllites stella Sow. » sp. ind. Kochites Uermcesensis Herb. mut. aulonota Herb. Arietites Jejunus Dum. Asteroceras varians Fuc. Deroceras sp. ind. Terebratula Aspasia Mgh. Ehynchonella variabilis Schloth. » Paolii Can. fra le quali specie molte sono comuni col giacimento di Gerfalco. Dai dintorni di Corfino provengono: Oxynoticeras oenotrium Fuc. Phylloceras tenuistriatum Mgh. LA PANIA DI CORFINO 105 Fhylìoceras Partschi Star. var. Savii De Stef. Rhacophyllites JSiardii Mgh. Vermiceras pluricosta Mgh. » Merlata icum Hauer » sp. ind. Arnioceras insolitum Fuc. » semilaeve ? Hauer Asteroceras saltriense Par.? » varians Fuc. » Montii Mgh. ? Schlotlieimia Coquandi De Stef. Beroceras ovilis Mgh. » bispinatum Geyer » sp. ind. La località d’onde provengono poi la maggior parte dei fos- sili fino ad ora conosciuti di questa regione, è Sassorosso. Di qui sono stati notati dal De Stefani: Nautilus sp. Atractites Cordini Mgh. » orthoceropsis Mgh. JBélemnites sp. Fhylìoceras ancylonotus De Stef. » Partschi Stur Rhacopliyllites libertus Gemm. Schlotlieimia Coquandi De Stef. Oxynoticeras perilambanon De Stef. Lytoceras tuba De Stef. Arietites Conybeari Sow. » spiratissimus Quenst. » bisulcatus Brug. » ceratitoides Quenst. » stellaris Sow. » obtusus Sow. Aegoceras Pecchiolii Mgh. » Birchii Sow. Cycloceras cfr. Actaeon d’Orb. 8 106 A. FUCINI Dal Canavari e da me, in uno studio d’imminente pubbli- cazione, sono notati per Sassorosso i seguenti fossili: Oxynoticeras Haucri ? Fuc. » pulchcllum Fuc. Vermiceras solar ioides Costa » tenue Fuc. » bavaricuni Boese » cfr. caprotinum d’Orb. » sp. ind. Arnioceras ceratitoides Quenst. » tardecrescens Hauer Asteroceras varians Fuc. » exiguum Fuc. » JBourgueti Reyn. » carferonianum n. sp. Se tutti questi fossili fossero stati raccolti con le necessarie precauzioni, sarebbe forse stato possibile distinguere nei calcari rossi in esame le varie zone del Sinemuriano superiore, come è stato fatto per altre località. Tuttavia a questo proposito, è bene notare che anche nel deposito di Hierlatz, in gran parte cronologicamente identico al nostro, si ha una fauna del Sinemuriano superiore, nella quale non è stata possibile un’esatta distinzione di zone. La formazione in esame fa parte di quella distinta dagli antichi geologi toscani, col nome di calcari rossi ammonitiferi inferiori, che sono tanto estesi in tutta la Toscana, e dei quali mi sono occupato ripetute volte sia dal lato paleontologico, sia da quello geologico. Lias medio (Charmoutiano). Il Lias medio, o Charmoutiano, facendo seguito a quanto ho detto più sopra, si deve considerare rappresentato dalla parte più alta dei calcari rossi, nonché dai calcari grigi con selce, che a quelli succedono con graduale passaggio litologico. Esso LA PANIA DI CORFINO 107 può avere complessivamente una potenza di 20 a 25 metri e si tiova a costituire una fascia in contiguità del Sinemuriano al quale va sempre unito. Solo nella parte più alta della Pania il Lias medio manca al di sopra del Sinemuriano. L estensione assai notevole che acquista questa formazione sulle pendici orientali della montagna, è in gran parte dovuta al fatto della corrispondenza della inclinazione degli strati con la inclinazione del terreno; tuttavia deve ammettersi che in quella località la potenza del Lias medio sia forse alquanto maggiore che altrove. Cliarmoutiano inferiore. — A questo piano appartiene quella parte del Lias medio costituita dai calcari rossi. Da esso provengono il Cycloceras cfr. Actaeon d’Orb. citato dal De Ste- fani (') a Sassorosso e a Poggio il Tropidoceras praecursor Can. et Fuc. (= Trop. Masseanum [non d’Orb.] Fuc.) citato da me a Coifino ( ), e per altre località il Cycloceras Alaugenesti d’Orb. a Gerfalco, ed il Tropidoceras campiliense Fuc. a Campiglia. Mancano precisi elementi per stabilire quali e quante zone siano rappresentate in modo più ristretto in questo piano. La povertà ed incertezza dei fossili, poi, non ci permette di sta- bilire delle esatte corrispondenze. Cliarmoutiano superiore. — Meglio definiti dei precedenti si presentano i terreni che appartengono a questo piano, cui si riferiscono i calcari grigi con selce identici a quelli che in con- dizioni simili si trovano sviluppati in molte altre località della Toscana. Essi, come sempre, si presentano bene stratificati ed hanno una potenza alquanto variabile che oscilla fra 20 e 50 metri ; assai sviluppati si trovano specialmente nelle propaggini montuose che scendono dall’Alpe di Corfino, e che sovrastano al torrente Fiume. I loro confini, inferiore e superiore, non sono affatto netta- mente distinti. Inferiormente essi si distaccano dai sopra de- soli tti calcari rossi, in modo graduale e per lenti passaggi lito- logici, sia in riguardo alla colorazione come alla costituzione, (*) (*) De Stefani, Lias inf ad Arieti, pag. 74. (') Fucini, Alcune nuove ammoniti dei calcari rossi , pag. 10, tav. II figura 6. ’ 108 A. FUCINI del resto assai simile, sia anche in riguardo alla presenza dei noduli e degli straterelli di selce che caratterizzano la forma- zione. Superiormente essi, alla stessa guisa, si fondono con i calcari marnosi del Lias superiore, che talvolta sono grigi e talvolta rossastri. Questo fatto si vede assai chiaro nelle pro- paggini montuose che scendono dall’Alpe di Corfino. La formazione in esame, si trova quasi sempre unita con quella precedente. Nella parte sud-orientale della montagna essa costituisce una fascia più o meno estesa, solo interrotta nel profondo della valle del Fiume presso il Mulino di Sassorosso; al Nord comparisce nella Regione Campaiana, ad Ovest nella Regione Sulcina, a Sud — con un minuscolo lembetto — nel Poggio Crocione. Essa manca alla Pietra del Diavolo, ove do- vrebbe normalmente trovarsi tra i calcari rossi del Lias infe- riore, e le rocce del Lias superiore che pure limitatissimamente compariscono in quella ristretta località. In riguardo alla sua assegnazione al Charmoutiano superiore, mi sembra non possa nascere alcun dubbio, poiché essa, oltre ad essere precisata dall’identità con depositi di altre località toscane bene definiti anche paleontologicamente, come quelli dei Monti di Oltre Serchio (') e di Detona (?), è giustificata anche da alcuni fossili. A Sassorosso infatti io ho trovato nei calcari grigi con selce alcuni esemplari limonitizzati di Hildoceras appartenenti a specie medoliane del tipo degli Hild. algovianum Opp., rutlienense Reyn., domarense Mgli. Provengono dai dintorni di Corfino, forse dalla regione Sulcina, un Hildoc. Isseli Fuc., ed un Hildoc. aequion- dulatum Bett., che si trovano nel Museo di Pisa e che dal Meneghini (3) furono riferiti all’M. complanatus Brug.; però queste due ammoniti si trovano in un calcare rosso, quindi pro- babilmente proveniente dai più alti strati della formazione pie- sente che ho già detto far superiormente passaggio litologico di calcari rossi e grigi del Lias superiore. Anche al Museo di Fi- renze si trovano alcuni Hildoceras di Lias medio, fossilizzati (') Fucini, Il Lytoc. crebricosta Mgh., 1903. (2) Fucini, Cefalop. liass. del Monte di Cetona, 1900-905. (3) Meneghini, Nuovi foss. toscani , pag. 29. LA PANIA DI CORFINO 109 nel calcare rosso, provenienti da Sassorosso, insieme con un Coeloceras che ha tutta l’apparenza del mio Coeloc. óbesum del Monte Cetona. Verosimilmente nella formazione in esame sono rappresentate le due zone ad A. margaritatus ed A. spinatus che forse in parte potrebbero anche essere distinte dalle due forme litologiche o dalla colorazione della roccia. Lias superiore. Come ho detto sopra, i calcari grigi con selce, roccie tipiche in Toscana del Lias medio superiore, fanno graduale passaggio alle roccie sovrapposte che appartengono al Lias superiore. Queste sono piu marnose, più scistose, più impure, ora grigie come quelle del ripiano della parte alta della Pania e delle pendici dello sprone di Sassorosso che sovrastano alla strada carrozzabile di Magnano, ed ora rossastre o decisamente rosse come quelle di Sassorosso e come quelle in gran parte delle propaggini mon- tuose che scendono dall’Alpe di Corfino. Esse hanno una po- tenza molto limitata, talora di pochi metri a Sassorosso, talora di 20 o 25 metri sopra la strada carrozzabile di Magnano, e nelle pendici dei monti che scendono dall’Alpe di Corfino, e for- mano una fascia che segue quelle dei terreni, aventi pure pic- cola potenza, precedentemente studiati, con i quali presentano un perfetto accordo stratigrafico. Per di più si trovano anche sopra il Mulino di Sassorosso ove scaturiscono allo scoperto, con- tornate dalle roccie più recenti, per una stretta contorsione stra- tigrafica che non è stata sufficiente a mettere a giorno le for- mazioni sottostanti. Questa formazione, mentre trova una grande analogia lito- logica con quella indubbiamente di Lias superiore del Monte Cetona e di Gerfalco, non corrisponde altrettanto bene con quella che si trova a Campiglia, ove fu per la prima volta osservata dal Coquand, e che si trova pure nei Monti di Oltre Serchio ed in molte altre località apuane, la quale è infarcita di una Posidonomya che molti ritengono per la Pos. Bronni Quenst., 110 A. FUCINI ma che il De Stefani (') riguardò piuttosto per la giurassica Pos. ornati Quenst. Questa seconda formazione che pure potrebbe essere di Lias superiore, come è ritenuta dalla maggior parte dei geologi, e co- stituita da una roccia grigio-giallognola molto scistosa ed argil- losa, di potenza assai considerevole. Lo Zaccagna (-) ritiene che essa tragga origine dalla decomposizione dei calcari, i quali, per soluzione del carbonato di calce, avrebbero mutato il loro stato primitivo; invece per quella in esame dell Alpe di Cor- fino — che quindi anche a lui è sembrata alquanto differente crede che si sia deposta nello stato marnoso con cui si presenta attualmente. Il riferimento al Lias superiore delle roccie ora prese in istudio, è giustificato, oltre che dalla posizione stratigrafica, dalle corrispondenze e dalla perfetta concordanza e continuità con le roccie più antiche, anche da argomenti paleontologici. Infatti nelle pendici che da Sassorosso scendono verso Magnano ove sono assai bene sviluppati i terreni del Lias superiore, si tro- vano assai abbondanti delle impronte certo riferibili ad una Posidonomya, che potrebbe essere anche, con molta probabilità, la Pos. Bronni Quenst. Questo fossile che pur si trova, seb- bene meno abbondante, in altre località, è sempre molto mal conservato; tuttavia sembra potersi riferire a quella specie, poiché differisce dall’altra Posidonoinya che si trova tanto abbon- dantemente in altre località e che dal De Stefani tu presa pei la Pos. ornati Quenst., per maggiore equilateralità, per minore larghezza e per minore robustezza delle pieghe concentriche. Io ritengo anche che provenga dai calcari marnosi rossi della nostra formazione, l’AL. bifrons Brug. citato dal Meneghini ; ) per la Garfagnana e che si trova nel Museo eli Pisa. La corrispondenza del Lias superiore dell’Alpe di Corfino con quello del Monte Cetona, e con quello della Cornata di Gerfalco, risalta chiaramente anche dal fatto che nell’Alpe di Corfino, al di sopra dei calcari rossi e grigi del Lias superiore, (') De Stefani, Le pieghe delle Alpi Apuane, pag. 33. (2) Zaccagna, Carta e sez. geol., ecc., pag. 325. (3) Meneghini, Nuovi fossili toscani, pag. 29. LA PANIA DI CORFINO 111 si tiovano, come nelle regioni su ricordate, identici diaspri manganesi feri. Io ho osservato tali diaspri nella parte alta e pianeggiante della Pania, ove si trovano i prati di Corfìno, in un lembo talmente ristretto che non mi e stato possibile segnarlo sulla carta. L’opportunità di far ciò mi è sembrata poi dimi- nuita dalla probabilità che questi diaspri facciano anch’essi parte del Lias superiore, come da molti si è ritenuto per quelli di G-erfalco e di Cetona che io ho riguardato invece come titoniani (1). Eocene. Con il Lias superiore termina la serie concordante e conti- nua delle roccie secondarie. La serie eocenica sovrapposta, mo- stra con quella una marcatissima differenza litologica. La di- scordanza stratigrafica talora è assai notevole e resa spiccata da parziali scorrimenti di questa formazione sulle precedenti; talora invece è indistinta, ciò che specialmente avviene dove le roccie eoceniche seguono quelle del Lias superiore. L’eocene, che circonda ininterrottamente l’ellissoide secon- dario, ha una grandissima potenza e una discreta difformità li- tologica. Esso è assai nettamente diviso in tre parti che corrispon- dono a tre piani geologici. Eocene inferiore. — Ove la compagine degli strati non è scomposta da alcun disordine stratigrafico, alle roccie del Lias superiore segue un complesso di piccola potenza di roccie are- nacee calcari o scistose, che io ritengo appartenere alla parte più profonda dell’Eocene, in contrapposto allo Zaccagna e ad altri, che le hanno riferite al Cretaceo superiore, o meglio al Senoniano. Queste roccie, la cui successione può, meglio che in altri luoghi, seguirsi lungo la strada che congiunge Sassorosso alla via provinciale dell’Appennino, consistono dapprima, ad im- mediato contatto con il Lias superiore, di alcuni banchi di con- glomerato ad elementi più o meno grossolani, prevalentemente di calcari Lassici, nei quali è anche abbondante la silice. Ven- (') Fucini, Note illustrative della Carta geolog. del Monte Cetona. Pisa, 1905. 112 A. FUCINI gono dopo dei calcari molto compatti a frattura concoide, pa- ragonabili ai calcari maiolica, grigi, verdastri o azzurrognoli, con spalmature glauconifere, e con rare concentrazioni silicee, a banchi o a strati molto bassi, intercalati a scisti rossi sfalda- bilissimi in sottili lamine, ad arenarie calcarifere ed a brecciole grigio-rossastre. Gli scisti rossi prevalgono nella parte superiore ove fanno graduale passaggio ai galestri rossi del piano sus- seguente. Fig. 1. Questa formazione è sopratutto estesa nei monti che piesso Sassorosso fiancheggiano la valle del Fiume, ed in quelli op- posti che dal Mulino di Sassorosso salgono all’Alpe di Corfino e verso la Pania. Lembi minori si trovano poi a Campaiana ed alla R.e Sulcina. Gli strati arenacei, interposti bene spesso agli scisti rossi, presentano le superfìcie bernoccolute, increspate, o in vario modo gibbose, forse a causa del diverso grado di plasticità con gli scisti alternati, ed in tutto simili a quelle figurate dal Fuchs (') per il fl/ysch di altre località. Essi si mostrano anche bene spesso forniti di vermicolazioni più o meno nette e riconoscibili. Fra le diverse impronte che vi sono state trovate, e sopra tutte no- tevole quella rappresentata dalla fig. 1, qui intercalata, la quale fu osservata e presa in esame anche dal Fuchs e che si conserva (!) Fuchs, Fucoiden und Hyeroglyphen, tav. I, II. LA PANIA DI CORFINO 113 nel Museo di Pisa. Evidentemente si tratta di un fossile molto simile, sebbene con maggior numero di pieghe radiali, a quello delle argille scagliose di Porretta figurato dal Gabelli col nome di Lorenzinia appenninica e riprodotto da Yinassa (*). Molto pro- babilmente appartengono a fossili consimili gli esemplari di am- moniti molto malconci che da alcuni autori verrebbero citati a Sassorosso in questa formazione. Nelle brecciole grigio-rossastre, delle quali ho fatto varie pre- parazioni micioscopiche, si scorgono insieme con abbondantis- sime Globigerine, anche qualche esemplare ben sicuro di Ortho- phragmina e delle incerte Nummulites. Guidato appunto da questi residui fossili, io ho creduto di dover ascrivere il complesso delle roccie in esame all’Eocene, tanto più che esso fa superiormente passaggio graduato alle roccie del piano seguente che hanno un riferimento più sicuro e più determinato. Io reputo di non essere molto fuori del vero ritenendo il piccolo complesso roccioso esaminato come rappre- sentante del Suessoniano. Non credo di potere però escludere in senso assoluto che nella parte inferiore possa essere rappre- sentata anche la porzione più alta del Cretaceo. Il dubbio è sopra tutto dovuto al fatto della somiglianza delle roccie in esame con quelle fiorentine della pietra forte e con quelle di luoghi vicini, nelle quali sono stati trovati Inocerami ed incerte Ammonites. Eocene medio, parte inferiore. — Sopra alle roccie ora esaminate si trova una formazione molto uniforme e potente di galestri rossi, alla quale sono intimamente connesse le masse di calcali screziati che si trovano in special modo sviluppate presso il Mulino di Sassorosso ed alla R.c Campaiana, e nella quale si trovano poi, in lenti od in straterelli, dei calcari costituiti essenzialmente di gusci di Nummulites, tenuti uniti da un ce- mento in parte argilloso rossastro, come specialmente si osserva nei dintorni di Sassorosso. Questa formazione costituisce intorno alla Pania una cintura appena interrotta nei dintorni di Corfino, ove talora è però ricoperta dai depositi franosi della soprain- combente scogliera hettangiana. Essa è poi specialmente svi- ci Vinassa, Paleontologia, pag. 132. 114 A. FUCINI luppata nelle parti nordiche ed orientali, ove risale anche la valle del Fiume fin sotto al Monte Serra, e ricomparisce sotto alla R.e Succina, a levante di Cerageto, con un lembo molto interessante, perchè dimostra l’andamento tettonico della regione studiata. Ho detto sopra che gli scisti rossi del piano precedente, fanno passaggio a quelli galestrini del piano in esame ; debbo avvertire però che nel complesso vi è poi una notevole diffe- renza. Gli scisti più antichi si sfaldano in lamine sottili assai lucide; i galestri, che succedono a quelli, si rompono invece in frammenti aciculari di colore opaco. Nei calcari nummulitici, insieme con altre specie meno in- teressanti, io ho riconosciuto la presenza della Numm. planu- lata , N. lenticularis , N. curvispira, le quali giustificano il ri- ferimento cronologico fatto da me, e stabiliscono la loro corri- spondenza con gran parte del Nummulitico toscano, che ha uno dei suoi più tipici rappresentanti nel così detto graniteììo di Mo- sciano presso Firenze, e per il quale si deve ammettere 1 equi- valenza col Parisiano inferiore. Se vi possono essere dei dubbi sulla pertinenza aH’Eocene della formazione calcare, scistosa, od arenacea, precedentemente esaminata, essi non possono sussistere per questa che viene dallo Zaccagna posta nella Creta, insieme con quella. Eocene medio, parte superiore. — La cornice più esterna dell’ellissoide della Pania di Corfino e costituita da una este- sissima e potentissima formazione arenacea (macigno) che segue quella dei galestri fino ad ora studiati, alla quale si sovrappone ovunque in perfetta concordanza. Solo in vicinanza di Coi fino sembra che le arenarie di questo piano sieno per piccolo tratto addossate all’Hettangiano ; il contatto però è mascherato da un deposito detritico di falda. La roccia è grigio-azzurrognola, costituita da minuti grani di roccie cristalline micacee, cementati da calcare, in banchi di spessore talora molto notevole; all’esterno è spesso friabile e di un colore grigio-giallognolo per l’ossidazione dei matei iali ferrosi. Questa formazione che ha tanta parte nella costituzione del flysch appenninico è poverissima di fossili; solo vi si trovano LA PANIA DI COEFINO 115 delle rare Chondrites di ben scarso valore cronologico. Essa si riferisce al Liguriano, nel senso ristretto che a questo fu dato dal Pareto che lo riferì all’Eocene medio. La sua posizione è però facile ad essere stabilita dalle condizioni stratigrafiche presentate in tutto l’Appennino, nel quale ad essa succede una zona con arenarie, calcari alberesi e galestri, riferibile all’Eo- cene superiore. Questo ultimo piano non si osserva nei limiti della cartina geologica da me rilevata; però si trova subito a mezzogiorno ed a ponente, nella parte più bassa della valle del Fiume, d’onde continua nella valle del Serchio, ad occupare la parte più pro- fonda del sinclinale esistente tra la Pania di Corfino ed in generale tra l’Appennino di Garfagnana e le Alpi Apuane. Roccie ofiolitiche. Le roccie ofiolitiche, tanto estese nella parte superiore della valle del Serchio, compariscono lungo i margini meridionali della cartina geologica da me rilevata, e formano due lembi assai piccoli, uno dei quali è sulla destra del Piume, a Sud di Canigiano, ed uno sulla sinistra al camposanto di Magnano. Esse sono da considerarsi come la continuazione esterna di quelle assai più estese che si trovano alquanto più a Sud al Mulino di Villa, nelle quali si ha all’interno la serpentina, e dalle quali sono separate superficialmente da tenui depositi pliocenici. La roccia alteratissima, ma che tuttavia si riconosce per un diabase verdastro o rossastro, ora afanitico, ora un poco porfi- roide, è tra quelle studiate recentemente dall ’Aloisi (1). Sebbene il Pliocene sovrapposto mascheri un poco i rapporti di giacitura delle masse ofiolitiche con quelle eoceniche circon- vicine, tuttavia si riconosce assai bene che essi sono quelli stessi presentati nelle altre località. Le roccie ofiolitiche, cioè, sono comprese tra l’Eocene medio e il superiore, ossia tra il Macigno e la formazione dei galestri e dei calcari alberesi. (1) Aloisi, Contributo allo studio petrografico delle Alpi Apuane. Ro- ma, 1905. 116 A. FUCINI L’Eocene superiore, con quest’ulthne roccie, non interessa la por- zione di territorio compreso dalla nostra cartina; però esso com- parisce subitamente un poco più a Sud contornando la massa ofiolitica del Mulino di Villa. Non è poi improbabile che spe- cialmente dalla parte di Canigiano esso sia in parte anche ri- coperto dal Pliocene, e tolto così alla nostra osservazione. Pliocene. Il Pliocene entra per piccolo tratto, a Sud di Canigiano, nei limiti della cartina geologica da me rilevata, e rappresenta la parte più settentrionale della plaga depositatasi nel bacino la- custre di Oasfelnuovo. Esso, mentre è molto interessante per la geologia di tutta la Garfagnana, ha una importanza molto re- lativa nei rapporti geologici della Pania di Corfino. Presso Ca- nigiano è costituito da un deposito ciottoloso ad elementi tolti dalle formazioni soprastanti, specialmente da quelle eoceniche del Macigno; più a Sud, a Castiglione, è invece costituito in pre- valenza da ciottoli di calcari secondari, in parte anche forse provenienti dalle prospicienti Alpi Apuane. Lo Zaccagna, mentre ritiene pliocenici i conglomerati di Ca- stiglione, riferisce al quaternario antico, insieme con molti altri, i depositi ciottolosi che si trovano sotto Canigiano. Io non credo di poter ammettere tale separazione, a causa della continuità della sedimentazione, che in molti luoghi si rivela tra quei de- positi ed i terreni pliocenici tipici, aventi fossili caratteristici. D’altra parte il livello assai elevato a cui salgono quei depositi, 700 od 800 m. sul mare, è un argomento favorevole al mio con- cetto. Quaternario. Depositi di falda. — Ove le pendici montuose sono molto ripide, specialmente se coronate dalle scogliere di calcari het- tangiani, bene spesso si trovano raccolti nella parte inferiore dei loro fianchi, i detriti più o meno grossolani delle erosioni che accadono superiormente. Nella valle del Fiume, tanto sotto LA PANIA DI CORFINO 117 Sassorosso, quanto nelle pendici opposte, si vedono infatti bian- cheggiare anche da lungi i ravaneti, per i detriti dei calcari, ce- roidi in massima copia, che vi si accumulano senza alcun or- dine, e con una pendenza di circa 45°. Io non ho creduto di segnare sulla carta, con speciale colorazione, questi depositi di falda, poiché mi sembra che ciò avrebbe portato non lieve confu- sione, stante il loro numero rilevante e la loro piccola estensione. Degne di esser prese in esame sono invece le accumulazioni consimili che si osservano sulle pendici occidentali della Pania, sia perchè hanno un’estensione notevolissima, sia perchè rap- presentano il risultato di fenomeni avvenuti in massima parte in tempi andati, per quanto tuttora in azione. Esse formano a Nord di Corfino due grandi lembi che ricoprono quasi totalmente le pendici inferiori della pittoresca scogliera hettangiana, che si estende da Corfino sino alla R.e Campaiana. I materiali che costituiscono questa formazione detritica ap- partengono naturalmente quasi in totalità ai calcari ceroidi dai quali sono costituite le soprastanti pendici ; pochi sono di cal- cari rossi sinemuriani che pure si trovano superiormente in pic- coli lembi. Talora essi formano una breccia i cui elementi an- golosi sono cementati per i punti di contatto, senza o con pochis- simo riempimento ; più spesso sono ammassati incompostamente, facendo pensare — date anche le dimensioni spesso grandis- sime dei pezzi singoli — che la loro origine non sia tutta do- vuta al disgregamento continuo e prolungato della scogliera so- prastante, ma che almeno in parte sia dipesa da scoscendimenti e da frane di importanza non lieve, avvenuti in quella stessa scogliera. Depositi glaciali. — Dopo che il Cocchi e lo Stoppani ri- conobbero la presenza di depositi morenici nei dintorni di Arni, quasi tutti gli autori che si sono occupati delle Alpi Apuane, hanno parlato di lembi glaciali che colà si trovano, per quanto non siano mancati quelli che non li hanno voluti ammettere. II De Stefani (') è stato il primo ad accennare all’esistenza di depositi glaciali nell’ Appennino, parlando appunto di ghiac- ciai che sarebbero scesi dalla parte meridionale dell’Alpe (Pania) (’) De Stefani, Gli antichi ghiacciai dell’Alpe di Corfino. Roma, 1874. 118 A. FUCINI di Corfino, e che avrebbero lasciato i loro depositi morenici a Ca stiglione, fuori della regione da me studiata. I depositi morenici da me osservati sarebbero dovuti a ghiac- ciai scendenti dai monti che congiungono la Pania di Corfino con l’ Appennino, e cioè i Monti Serra (m. 1687) Bocca di Scala (m. 1850) gli Scaloni (m. 1981) e Le Forbici (m. 1818), i quali formano un bellissimo anfiteatro aperto a mezzogiorno. Altri depositi si trovano nelle pendici settentrionali di tali monti e naturalmente sono più grandi ed estesi, però non interessano la regione propostami, altro che per piccolo tratto delle pendici Nord- occidentali del Monte Serra. Partendo da Sassorosso, i primi depositi morenici si trovano nei dintorni del Mulino, da ambedue le parti della valle, fino ad un centinaio di metri dal fondo di questa. Sono costituiti da ciottoli di macigno di varia grandezza, ad angoli poco smus- sati, ammassati senza marcata stratificazione e senza riguardo alle dimensioni, ed amalgamati con sabbie variamente sottili. A causa della natura della roccia, non è facile trovare dei ciottoli striati ; però ho potuto rinvenirne alcuni sulle pendici cbe sal- gono all’Alpe di Sassorosso, in una gita nella quale ebbi la fortuna di avere a compagno il prof. De Stefani. Essendo questi i depositi più bassi e più meridionali, potrebbero rappresentare il residuo della morena frontale. Risalendo la valle del Fiume, i depositi glaciali si mostrano con maggiore estensione. Se ne hanno a mezza costa sulle pen- dici che dall’Alpe di Corfino scendono verso il Fiume, e dalla parte opposta della valle, fin quasi alla base del Monte Serra e di Bocca di Scala. A Nord e ad Est dell’Alpe di Corfino, l’anfiteatro morenico è assai caratteristico e vi si riconoscono trincee successive. I depositi sono della stessa natura di quelli del Mulino di Sassorosso, però gli spigoli dei ciottoli sono meno smussati e gli ammassi sono più incomposti. I depositi glaciali cbe compariscono a Nord-Ovest del Monte Serra sono in continuazione di quelli tanto sviluppati cbe si trovano più a Nord e sono dello stesso tipo di quelli fino ad ora presi in esame. Dalle Forbici, unito superiormente con il ghiacciaio cbe per la valle del Fiume andava presso Sassorosso, scendeva un LA PANIA DI CORFINO 119 altro ghiacciaio verso il Casone di Profecckio e lasciava nei dintorni di questo abbondanti depositi glaciali. I depositi glaciali dell Appennino di Garfagnana sono assai più estesi di quello che generalmente si creda. Ciò non deve re- car meraviglia quando si pensi che se tali località sono ora fra quelle che hanno in Italia abbondantissime precipitazioni acquee, nell’epoca glaciale dovevano essere necessariamente fra quelle che ricevevano pur notevoli precipitazioni di neve. Lo Zaccagna pone nel Quaternario terrazzato molte forma- zioni che hanno origine glaciale, e per le quali mal si spie- gherebbe altrimenti la loro posizione, talora a 1000 e 1500 m. sul mare, con profonde e larghe vallate adiacenti. Oonsiderazioni tettoniche. La struttura stratigrafica della Pania di Corfino è molto semplice e non occorrono tante parole per illustrarla. Essa appare chiaramente manifesta dalle sezioni unite al presente lavoro, che io ho creduto bene condurre longitudinalmente e trasversalmente perchè, a mio parere, in tal maniera meglio si raggiunge lo scopo dimostrativo. Il complesso delle formazioni secondarie con quelle eoce- niche che a loro sono addossate a mantello, poiché gli strati pen- dono giro giro verso l’esterno, costituisce un vero ellissoide, di- sturbato solo da poche dislocazioni e da leggeri ripiegamenti. Tale ellissoide, come rilevasi dalla Carta e dalle Sezioni 1, 2, 3, e diretto da SE a NO, parallelamente alla giogaia del vicino Appennino, ed ha le sue radici meridionali alla B.e Succina, a levante di Cerageto, ove compaiono al fondo della valle i ga- lestri rossi dell’Eocene medi®, un poco più antichi delle are- nane circostanti. A Nord-Ovest esso non si abbassa certo quanto nella parte opposta (Sezioni C, B) e ciò si deve alla vicinanza e conseguente connessione con altro ellissoide secondario che si mostra al Monte Frignone a Sud di Soraggio, separato dal nostro per poco più di due chilometri di terreni eocenici interposti. Le pieghe secondarie, per quanto di ben poca importanza, sono anch’esse, almeno le più distinte, parallele al crinale del- 120 A. FUCINI l’Appennino e fanno con ciò vedere la loro connessione col sol- levamento di questo. Di esse la più notevole si manifesta sul fianco Nord-orientale in modo che talvolta le formazioni secon- darie sono fatte emergere, anche per piccoli tratti, fra le roccie del terziario. Di tali emersioni si ha l’esempio fra la Foce di Terrarossa ed il Mulino di Sassorosso, fra l’Alpe di Corfino e l’Alpe di Sassorosso (Sezione 3) e se vuoisi anche alla Pietra del Diavolo (Sezione B), per quanto specialmente per quest’ul- tima località, non sia da escludere che a tale fenomeno prendano parte anche delle dislocazioni parziali. In corrispondenza di alcune pieghe a curve ardite che si mostrano, sebbene sempre molto limitate, nei calcari ceroidi het- tangiani, si osserva quasi sempre un laceramento più o meno notevole negli strati delle soprastanti roccie scistose od a pic- coli banchi, seguito bene spesso da una piccola dislocazione. Dipende da fenomeni di tal natura se tra Corfino e Poggio Crocione (Sezione 1) i galestri dell’Eocene medio sono addossati alla scogliera dei calcari hettangiani e sinemuriani, alla stessa guisa di ciò che si osserva a poca distanza dal Mulino di Sas- sorosso (Sezione 2) ed a Sud-Ovest dell’Alpe di Corfino (Se- zione 3), ove però la dislocazione è così estesa che assume im- portanza e caratteri di vera e propria faglia. Alla Pietra del Diavolo il laceramento delle roccie secondarie superiori al cal- care ceroide, è evidentemente dimostrato da frantumi di quelle stesse roccie, addossati senza ordine e in piccolo spazio, allo sco- glio del calcare ceroide. Anche nei calcari ceroidi hettangiani ed in quelli retici, non sono infrequenti delle dislocazioni di secondaria importanza. Io ho segnato solo quelle che si vedono al Poggio Troncone ed a Sassorosso, perchè sono nette e distinte, e si scorgono benissimo anche negli spaccati naturali dei due versanti della valle del Fiume, uno dei quali, il destro, prospettato in parte, ma assai chiaramente nella tav. III. La punta del Poggio Crocione è co- stituita dai calcari del Lias medio, che riposano su quelli rossi sinemuriani i quali a monte sono addossati con le testate degli strati ai calcari ceroidi hettangiani, in piccola discordanza, e con un salto di 30 a 40 metri. Più a monte, alla distanza di 250-300 metri, si ripete, ma in modo un poco più grandioso, LA PANIA DI CORFINO 121 un’altra dislocazione consimile; però questa volta sono i calcari ceroidi hettangiani che si presentano addossati ai calcari retici, con piano di scorrimento quasi verticale e con un salto di 150-200 metri. Io ho creduto opportuno di accennare alla presenza di que- ste due piccole faglie, anche perchè ritengo che non siano estra- Fig. 2. L Calcari ceroidi (Hettangiano). - 2. Calcari rossi ammonitiferi (Sinemuriano). A Calcari grigi con selce (Lias medio). — 4. Lias inferiore. — m. Muro della faglia. nee alla perdita delle acque del Fiume, che avviene proprio ove il piano di tali faglie attraversa il torrente. Le acque risorgono 9 122 A. FUCINI poi, come si sa, 600 e 700 ni. più a valle, col ben noto Pollone eli Magnano, nel punto più basso del mantello formato dagli scisti eocenici intorno ai calcari hettangiaui di quella località. La vignetta intercalata, fig. 2, illustra la piccola faglia di Sassorosso, forse connessa con quelle vedute al Poggio Troncone, le quali si trovano nella parte opposta della valle. La veduta è presa da ponente a levante, da una sporgenza del dirupo che si trova a Nord del paese, del quale si vede l’ultima casa tra le piante più alte. In m si ha il muro della faglia il quale è poi. più che altrove, bene evidente nelPahitato ove esso costituisce la parete, liscia, verticale ed assai alta, che percorre tutta la strada principale del paese, dalla parte del monte. I calcari ceroidi (n. 1) i quali costituiscono a N.-E., lato sinistro della veduta, il poggio di Sassorosso quasi fino alla sommità, sono a S.-O. abbassati di 70o80 metri ed hanno qui tutta la serie lias- sica, al di sopra. Per ritrovare invece dall’altro lato la stessa serie, occorre partirsi dalla sommità del poggio e scendere a S.-E. del paese, fino alla depressione che si interpone fra questo e la località detta Farfagiogna (‘). Oltre ad uno spostamento ver- ticale, se ne avverte anche uno orizzontale, quindi si deve sup- porre che il movimento sia avvenuto in senso obliquo. La dislocazione avvertita a Sassorosso si ripercuote a Far- fagiogna nella formazione eocenica, ed infatti colà si osservano i galestri e le superiori arenarie dell’Eocene medio, abbassati a S.-O. di circa 70 metri e spostati alquanto verso N.-O. sopra un piano volto appunto verso Sassorosso. La Pania di Corfino è una di quelle così dette finestre dallo Steiumann ((i) 2), le quali sarebbero state lasciate scoperte dal grande ricoprimento lepontico, venuto da ponente, per opera dei terreni che dai geologi italiani sono ritenuti dell’Eocene supe- riore, nei quali sarebbero rimaste incluse le formazioni ofiolitiche, esse pure strappate da qualche località tirrenica. (i) È detta Farfagiogna la località ove è l'osteria e la casa del Canto- niere, sulla provinciale reggiana, rimpetto a Sassorosso, d’onde è stata presa la veduta della tav. III. (?) Steinmann, Alpen u. A.penninen. Zeitschivd. Deut. geol. Gesellsch., Bd. 59. Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXVII, (1908) (Fucini) Tay. I SPIEGAZIONE DEI COLORI Retico . ( Calcari grigi, 1 ] ’ calcari dolo- ( mitici. 1 1 1 1 Lias inf. (Hettan- ' 1 giano) i Calcari cero- 1 | l idi, bianchi e ( grigi. 1 — — 1 i Lias inf. (Sinemu- 1 riano) \ Calcari rossi 1 ^ ammonitiferi. I P Lias j medio ( Calcari rossi, | i ! calcari grigi ( con selce. ' ' Lias sup. Eocene inf. Eocene medio Eocene ) medio ) Calcari rossi e grigi marnosi. □ Roccie ofiolitiche Diabasi. Calcari grigi e verdastri, scisti rossi. Pliocene ( Conglo- < merati, ( sabbie. Calcari screziati e nummulitici, galestri rossi. □ Glaciale. Macigno. Quaternario Detriti di falda. Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXVII, (1908). (Fucini) Tav. II, Fctico -V- I Lios medio \dLd^ìEocene medio-parte in/-. GUciolc Fu Ondino 1-VfV] Fios superiore Focene, merito -parte sup. Sincmunono ÌFe=B Focene inferiore Fcfr/fi dì fj/rio Boll. Soc. Geol. Ital., Vol. XXVII (190S) Calcari grigi’ calcari dolomitici e scisti del Retico 2. Calcari grigi e bianchi ceroidi dell’Hettangiano. 3. Calcari rossi ammonitiferi del Sinemuriano. 4. Cai cari grigi con selce del Lias medio. 5. Calcari grigi e rossi marnosi del Lias superiore. 6. Calcari grigi, verdastri e scisti rossi dell’Eocene inferiore. 7. Calcari screziati, galestri rossi e calcari nummulitici dell’Eocene medio. 8. Macigno dell'Eocene medio. / LA PANIA DI CORFINO 123 I ricoprimenti ed i carreggiamenti, se possono talvolta spie- gaie qualche complicazione tettonica, non sembrano ammissi- bili in aree molto estese quali sarebbero quelle che dalla Li- guria al Lazio tengono rinchiuse le masse ofiolitiche. Eiesce dif- ficile ammettere nel caso attuale che una formazione di potenza non tanto grande e di roccie non troppo resistenti, quale è quella dei calcari alberesi e dei galestri, abbia potuto carreggiare im- punemente attraverso a tanti ostacoli, rappresentati appunto dalle numerose finestre della catena metallifera, senza lacera- zioni spiccate e senza trasportare e includere masse di terreni più antichi alla stessa guisa di quello che sarebbe avvenuto, secondo i fautori di tale fenomeno, per le masse ofiolitiche. Nè privo di importanza è il notare che ove si trova la serie dei ter- reni terziari dal Macigno ai galestri, agli alberesi ed al Mio- cene, essa è in concordanza stratigrafica molto spiccata. Grandi carreggiamenti si troverebbero secondo alcuni autori sulle Alpi, altri sulla Liguria e sulla Toscana, altri nella regione garganica, altri ancora sulla Sicilia; tutta l’Italia fra breve sarà carreggiata. II Di Stefano (A) ha vigorosamente confutata l’idea dei si- gnoii Lugeon e Argand, secondo la quale per quasi tutta la Si- cl'a si avrebbero avuti carreggiamenti di roccie antiche sopra le argille scagliose ; qualcosa di opposto a quello che sarebbe avvenuto in Liguria ed in Toscana secondo le vedute dello Steinmann, contro le quali si è di recente e molto opportunamente schierato il prof. Taramelli (2). ( ) Di Stefano, I pretesi grandi fenomeni di carreggiamento in Sicilia Roma, 1907. (2) Taramelli, A proposito di una nuova ipotesi sulla struttura dell’ Ap- pennino. Milano, 1908. fms. pies. il 5 aprile 1908 - ult. bozze 15 maggio 1908J. L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA Nota del Doti. Mario Anelli (Tav. IV e V) Trattare dell’eoceue della vai Parma equivale presso a poco a fare la descrizione geologica di tutta la vallata, perche, fatta eccezione di una ristrettissima zona di terreni quaternarii, plio- cenici e miocenici che affiorano negli ultimi rilievi collinosi e delle formazioni moreniche quaternarie, sviluppatissime presso le origini, tutto il resto dei terreni incisi si può considerare come schiettamente eocenico. Credo perciò opportuno, prima di entrare nella descrizione geologica, dare qualche cenno sulle condizioni idrografiche ed orografiche. Le conche lacustri da cui scendono i tre rami del Parma e i numerosi ruscelli che le alimentano, si trovano nel versante .settentrionale di quel tratto di crinale appenninico, che con dire- zione NO-SE va da M. Orsaro (m. 1830 s. 1. m.) a M. Matto (1817), comprendendo le vette intermedie di M. Marmagna (1851) e M. Brasa (1796) e che costituisce una delle regioni più selvaggie ed alpestri delle nostre montagne, non tanto per la notevole altezza delle sue cime, quanto per l’aspetto tutto affatto parti- colare. Abbondano quivi le conche lacustri, alcune abbastanza notevoli, altre invece ridotte a semplici depressioni; le rupi arrotondate, massi enormi erratici, lisciature nelle roccie, cavità caratteristiche e soprattutto enormi accumulazioni detritiche, vere morene stese a guisa di lingua sul fondo delle vallate e rico- perte da imponenti boschi di castagni: traccie tutte che stanno a rappresentare gli ultimi testimonii della grande invasione gla- ciale nella vai Parma. Come dissi, il torrente Parma ha origine da tre rami, che cominciando da ovest sono: Parma del Lago Santo o Parmetta, L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 125 scendente dal detto lago (1507); Parma delle Guadine o di Francia, che trae le sue origini dalle sorgenti Guadine (1314) a nord di M. Brusà; e infine Parma di Badignana costituita da un R. Colletta sboccante dal Lago Gemio (1322) e da nume- rosi ruscelli che scendono dal versante settentrionale di M. Brusà. I due ultimi rami si congiungono al di sotto delle capanne Piroio (917): un chilometro dopo, sotto Sesta inferiore, ricevono la Parma del Lago Santo. Così costituita, la Parma prosegue il suo corso con direzione quasi S-N, ricevendo sulla sua destra il R. di Sesta, il R. Sorba, il R. Fragnoli e sulla sua sinistra il R. della Costa, il R. Ronco Vecchio, il R. di Marra e il R. Ombasino: allo sbocco di quest’ul- timo, il torrente si piega abbastanza bruscamente facendo quasi un angolo retto con la direzione precedente e si volge per quasi tre chilometri verso est. Alla confluenza, sotto Corniglio, del torrente Bratica, corso d acqua abbastanza potente che scende da M. Nave con dire- zione generale S-N, il Parma subisce una nuova deviazione, dirigendosi verso NE, direzione che viene mantenuta per lungo tratto, salvo qualche lieve deviazione locale che tendono a por- tarla verso est. Tra i suoi affluenti di sinistra in questo tratto, notiamo il R. Lucconi, che ha origine da M. Cervellino e da M. Sprela e che sbocca presso Le Ghiare; il R. Vestola, il R. Costa Venturina, il R. Mossale, il R. della Costa che passa piesso Beduzzo, tutti con origine da M. Montagnana o dai dossi vicini; il R. Lama da M. Vitello, il R. Valle Scura da M. Corno. Quelli di destra sono: il R. d’Agna che scende dal fianco ovest di M. Caio, il R. Spiagna da M. Castione, il R. Archetto e il R. Reno da M. Rotondo e infine la Parmossa, grosso torrente che ha il suo bacino di ricevimento costituito dalle pendici setten- trionali di M. Caio e che sbocca nel Parma tra Capo di Ponte e Oizale. Ricevuta la Parmossa, il Parma che ha nell’ultima pai te del tratto considerato direzione ENE, si inflette alquanto e tende a dirigersi verso NNE per tutto il restante del suo corso tra la regione montuosa e collinosa, sino allo sbocco nella pianura: a monte di Langhirano esso riceve sulla sua sinistra il R. Fabbiola. 226 M. ANELLI Da M. Vetrola e dalle colline vicine di Strognano, di Torre- chiara ha’ origine il torrentello Cinghio, che dopo un percorso abbastanza lungo nella pianura si butta nel Parma sulla sua sinistra 2 km. a monte della città. Presso S. Maria del Piano gli ultimi sentiti rilievi collinosi scompaiono e il torrente entra nella pianura con direzione verso nord, riceve la Baganza sulla sua sinistra a monte di Parma c traversa la città omonima. A Baganzola comincia una serie di numerose e sentite fles- sioni: giunto a Tonile il Parma piega verso est, prendendo una direzione parallela a quella del Po e dopo lungo tratto si getta in questo fiume di fronte a Viadana. Passando ora a dare qualche cenno orografico, dirò come il limite occidentale della vallata è costituito per notevole tratto dallo stesso spartiacque appenninico, che da M. Orsaro passando per M. Foce, M. Tavola (1501), M. Borgognone (1401) ha dire- zione S-N. Da questa montagna si stacca un potente contraf- forte che prosegue con direzione SO-NE sino alla pianura, di- videndo la vai Parma dalla vai Baganza e che comprende successivamente Groppo Albero (1402), M. Castagnole (1262) M. Sillara, M. Polo (1419), M. Cervellino (1492), M. Sprela (1-85). M Cavalcalupo (1310), M. Montagnana (1312), M. Vitello (1052), M. Corno. M. Sporno (1058), M. Milano (777): esso finisce, dira- mandosi in qualche contrafforte secondario, più o meno dolce- mente nei rilievi collinosi di Torrechiara, Arda, S. Michele di Tl° Tornando allo spartiacque appenninico vediamo che dai fianchi di M. Marmagna si stacca un potente contrafforte com- prendente M. Sterpar» (1617), M. Stellone (1219), che divide la Parma del Lago Santo dalla Parma delle Guadine Un altro contrafforte che si stacca da M. Brusà e che comprende Rocca- biasca (1733), M. Scavada (1263) e M. Vidice divide la Parma delle Guadine dalla Parma di Badignana. Finalmente un’ultima serie di alture, che parte da M. Matto e che comprende Rocca Pumacciolo (1692) la Colla di Val i- tacca, M. Nave (1648), M. Cavardello (1478), M. Agucchio (1326) e che’ finisce ai piedi di Corniglio, separa prima la Parma di Badignana dai ruscelli che alimentano la vai Cedra, poi la stessa L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 127 Parma di Badignana e il torrente definitivamente costituito dalla vai Bratica. Questa è limitata ad ovest da una porzione di questo stesso ultimo contrafforte, cominciando cioè da M. Nave. Dalla attigua vai Cedra poi è separata da una linea di displuvio poco elevata, che parte da M. Nave e che, dopo lungo percorso in cui supera raramente i m. 1200, s’innalza a Groppo Cardello a m. 1397 e poi a M. Caio a m. 1580. Da M. Caio il contrafforte che ormai limita ad oriente la vai Parma, separandola dalla Parmossa, si abbassa rapidamente e procedendo con direzione SO-NE, comprende M. Castione (988), M. Rotondo (970) e finisce a Capo di Ponte (346) allo sbocco della Parmossa. Oltrepassata la Parmossa, il limite orientale della vallata è costituito da una serie di rilievi poco elevati che comprendono M. Verola (784), le colline di Faviano, di Mulazzano e di Desi- gnano dei Bagni con direzione NE; essi la separano prima dal torrente Termina, poi dal Masdone, ambedue tributarli dell’Enza. L’aspetto generale della vai Parma può essere definito in una parola: è quello d’una regione di frane. Dalle prime colline in cui, oltrepassate le zone del pliocene e del miocene, appaiono le tipiche argille scagliose; più a monte dove esistono potente- mente sviluppati gli argilloscisti ; sino in vicinanza del crinale appenninico, in cui le frane sembrano più sviluppate di quello che in realtà non siano, a causa delle formazioni moreniche non sempre facilmente delimitabili dalle formazioni alluvio-franose; in tutta la valle insomma, specialmente nella parte basale, do- mina quel paesaggio arido, triste, desolato, caotico, che costi- tuisce la disperazione dell’ingegnere e del geologo. Sono le smotte, le lame, come le chiamano, che di tanto in tanto, specialmente nella primavera, dopo lo sgelo delle nevi, si staccano dai fianchi della montagna e si limitano quasi sempre a devastare qualche podere e ad interrompere una porzione di strada; talvolta invece, a guisa di formidabili colate di lava, distruggono intere borgate e scendono inesorabili, tutto travol- gendo, sino all’alveo del torrente. 128 M. ANELLI Si veugono così a costituire, attraverso il letto, delle gigan- tesche dighe dietro cui si formano talvolta dei laghi di sbarrata: laghi temporanei però, perchè la corrente ha ben presto ragione di quell’ammasso detritico senza consistenza e, apertosi il varco, ne trasporta a valle i materiali, dando origine ad una forte sedimentazione che eleva gradualmente il letto del torrente (come alle Ghiare), e talora sulle sponde prepara dei fertili piani che compensano in parte gli abitanti del danno sofferto. Gli ultimi resti di uno di questi laghi si possono vedere anche oggi a monte della grande frana, distaccatasi anni sono al di sotto di Curatico, che interruppe un notevole tratto di strada, tra Beduzzo e Ghiare: all’epoca della formidabile frana di Corniglio, discesa nel 1902 dai pendìi settentrionali di M. Aguc- chio, si costituirono, oltre ad un laghetto di sbarrata nel letto del torrente, numerosi specchi d’acqua nelle accidentalità con- cave della frana stessa. La vai Parma presenta una costituzione geologica abbastanza uniforme, essendo, come già dissi, incisa per la massima parte entro terreni eocenici. Si tratta del solito flysch, della solita alternanza di argilloscisti, di calcari, subordinatamente di are- narie e conglomerati, e questa uniformità di costituzione si traduce con una uniformità di tinta giallastra, più o meno chiara, che domina in tutta la vallata, appena interrotta dalle zone rossigne e dai cupi grugni ofiolitici. La tettonica appare non molto disturbata e abbastanza lego- lare: gli strati, salvo qualche eccezione, non hanno in generale una inclinazione notevole. Tale regolarità però è più apparente che reale, poiché dallo spartiacque appenninico sino a piccola distanza dalla pianura esistono numerose pieghe, spesso com- plicatissime, spesso rovesciate, interessanti specialmente la for- mazione dei calcescisti a fucoidi, che hanno per effetto di aumen- tare apparentemente lo spessore dei sedimenti. Per quanto si riferisce ai fossili, oltre ai soliti del flysch (fucoidi e impronte di vermi), dobbiamo notare le sviluppatis- sime brecciole ad orbitoidi e a nummuliti, che furono già segna- L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 129 late da Del Prato nella regione dello Sporno. Durante i miei rilievi ebbi occasione di constatare come esse si estendano per lungo tratto a monte dello Sporno e come, dopo essere scomparse nella porzione media della vallata, vengano di nuovo ad affio- rare piesso a poco all altezza di Cornig'lio, spingendosi sin presso il crinale appenninico. Salinocene dalla vai Parma, se si eccettua qualche cenno riassuntivo dato da Del Prato (l) e da Sacco (5), non esisteva finora una desciizione dettagliata. Esistono invece le carte geo- logiche del Sacco (3) e, per la parte immediatamente addossata allo spartiacque, dello Zaccagna ( 4 ). In questa memoria io mi occuperò unicamente della vera e propria vai Parma, tralasciando quindi tutto quanto si riferisce alle vallate dei due principali affluenti: la Parmossa e la Bratica. Appena oltrepassate le prime colline, noi troviamo immedia- tamente sottoposta alle marne mioceniche e plioceniche una po- tente e tipica formazione eocenica: la cosidetta zona del M. Sporno. Compare questa formazione in vai Termina al di sopra di Castione dei Baratti, attraversa la valle della Termina di Torre e quella del Parma, dove raggiunge m. 1058 allo Sporno. Si continua nella valle del Baganza, in quella della Pessola, dove costituisce il M. Dosso e si spinge poi, attraverso la valle del Ceno e dello Stirone, al confine piacentino. Un complesso di scisti argillosi grigio scuri con straterelli aienacei e calcarei costituisce la porzione basale, a cui segue una pila potentissima di argille galestrine variegate con inter- calazione di banchi e strati calcarei e arenacei. O Del Prato A., La Geologia dell’ App. Parmense. Rendiconti R. Isti- tuto Lombardo, serie II, voi. XV, fase. VII, 1882. (2) Sacco F.; L’ Appennino dell’Emilia. Boll. Soc. Geol. It., voi. XI 1892. (3) Sacco F., Carta geologica dell’ Appennino dell’ Emilia. Scala di 1:100.000. (4) Zaccagna D., Carta geologica della zona centrale dell’ Appennino adiacente alle Alpi Apuane. Boll. R. Comit. geol. d’Italia, anno 1898, tav. III. 10 130 M. ANELLI I calcari sono scistosi, fortemente argillosi e all’azione degli agenti esterni si frantumano come le vere argille scagliose; l’arenaria è per lo più biancastra, a cemento calcareo e presenta subordinatamente qualche lente conglomeratica. Infine tra i mar- noscisti a tinta prevalentemente cenerognola, ma talvolta ten- dente al roseo e al verdastro, compaiono dei calcari marnosi, compatti, bianchi, fucitici: essi si presentano prima in strati, poi in banchi di considerevole spessore e finiscono per diven- tare predominanti nella parte più elevata della seiie. È in mezzo a tutta questa formazione che compaiono a diver- sissimi livelli, in strati di spessore variabile da qualche centi- metro a parecchi decimetri, le brecciole nummulitiche, risultanti di un aggregato di nummuliti, orbitoidi, alveoline, anfistegine, ecc., con denti di squalo e articoli di crinoidi. In massima parte sembrano riposare sui calcari ed essere ricoperte dagli scisti; però, presso Cassiolo, in \al Baganza, esse sono collegate ad una breccia silicea ad elementi talvolta perfettamente arrotondati, in cui appaiono sporadicamente le foraminifere, che finiscono per prendere il predominio nella parte superiore, a mano a mano che scompaiono i ciottoletti. Fu nel 1878 che Del Prato scoprì questi strati a foramini- fere, tra le quali Karrer e Fuchs, che esaminarono le sezioni microscopiche, riconobbero: Amphistegina inamillata dOibign), Alveolina, Orbitoides di specie più antica delle mioceniche, denti di Lavina , articoli di Pentacrinus, Bourgueticnnus, e forse anche una vera Nummulites , per cui attribuirono la formazione all’oli- gocene inferiore o all eocene superiore tongiiano ( ). II Manzoni la pose nell’eocene (2), De Stefani nell eocene medio (3), Sacco la considerò parisiana e vi riconobbe Anipìu- stegina , Orbitoides papyracea, Alveolina a facies parisiana, Num- mulites del gruppo delle granulose, Assilina (4). (') Del Prato, Memoria citata, pag. 5. (2) Manzoni A., Beila miocenicità del macigno e dell’unità dei terreni miocenici nel Bolognese. Boll. Com. Geol. It., n. 1-2, 1881, pag. 57. (3) De Stefani C., Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono V Appennino settentrionale. Atti Soc. Tose. Se. Nat., V, pag. 23, ISSI. (4) Sacco F., Op. cit., pag. 484. L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 131 Il Doti Prever, al quale spedimmo delle forme isolate dalla roccia e delle sezioni microscopiche, vi riconobbe un complesso perfettamente uguale a quello da lui studiato alla Forca di Presta, vale a dire appartenente al bartoniano inferiore. Presento qui l’elenco delle forme determinate dal Prever e di alcune altre che ho potuto in seguito riconoscere nell’abbon- dante materiale raccolto. Paronaea crispa Ficht. et Moli., » mamilla Ficht. et Moli., » Orbignyi Gal. sp., » Wemmelensis De la Harpe et Yan den Broeck., » Guettardi d’Arch., » Thihatcheffi d’Arch., » latispira Menegh., » venosa Ficht. et Moli. ( anomala auct.), » variolaria Lmk., » Héberti d’Arch., Assilina sp., Orthophragmina nummulitica Giirub., » varians Kaufm., » radians d’Arch., » Douvillei Schlumb., » Pratti (?) Mieli., » Martliae Schlumb., » Archiaci Schlumb., Operculina ammonea Leym., Alveolina cfr. decipiens var. dolioliformis Schwag., Amphistegina Lessonii d’Orb. Oltre alle citate brecciole ad orbitoidi e a nummuliti, in tutta la formazione dello Sporno compaiono frequentissime le fucoidi, gli Zoophycos, svariate Nemertelithes, Sigarites: ho ri- scontrato pure, a diversissimi livelli, degli strati, in generale di pochi centimetri di spessore, di calcare compatto, talvolta debolmente roseo, costituito quasi unicamente di globigerine. Quanto ai calcari marnosi, biancastri, fucitici, che costitui- scono la porzione superiore della serie, non mostrano in gene- M. ANELLI 132 rale alcun resto organico, tranne i vacui delle fueoidi e Siga- rifes spesso limonitizzate: in una sezione tuttavia riconobbi alcuni gusci di globigerine mal conservati. Questi stessi calcari però in numerose altre località, come risulta dagli studi che ne fecero Pantanelli e De Stefani, sono ricchi di [resti organici. Il calcare che accompagna le argille scagliose alla frana di Citerna nella valle del Taro si presenta come un impasto di spicole calcaree di spongiarii e di qualche rara globigerina. Quello marnoso biancastro su cui sorge Vian- nmo in vai di Ceno contiene globigerine, tra cui Gl. regularis, d’Orb., e qualche rara pulvinulina; l’altro egualmente marnoso di E. Sanello può dirsi a pulvinulina con Pulvinulina sp., Glo- bigerina sp., Textularia sp. Questa formazione fossilifera del bartoniano inferiore comincia ad affiorare, come ho detto, a pochi chilometri dalla pianura, appena oltrepassati i primi rilievi collinosi. Il suo confine settentrionale sul versante sinistro del Parma è dato da una linea lievemente ondulata con direzione OSO-ENE, che passa un poco al di sotto di C. Belli, sulla linea di di- spluvio tra il E. di S. Ilario (affluente del Baganza) e il torrente Cinghio (affluente del Parma); attraversa la valle del Cinghio e le vallecole dei suoi affluenti, passa presso il villaggio Bassi e termina un poco a monte di Torrechiara, pi ima di raggiungere la strada carrozzabile Parma-Langhirano. Qui la formazione è ridotta ad un esile lembo, limitato a NNO dalle marne mioce- niche, a SSE dalle argille scagliose : tutto questo complesso poi, a sua volta, va ad immergersi sotto i terreni alluvionali qua- ternarii che costituiscono una larga terrazza a giacitura quasi orizzontale. Oltrepassata la Parma, affiora di nuovo un chilo- metro circa a monte di Lesignano dei Bagni, costituendo un lungo sprone con direzione N-S, su cui sorge il paese di Sta- dirano ; a M. Pelato la linea di confine, dapprima con direzione N-S, si volge a est, passa sotto i villaggi di Saliceto e di Mu- 1 azzano e si dirige in seguito verso la Termina di Torre e verso Cast ione dei Baratti. Più difficile da delimitare è il confine meridionale, a causa delle numerose frane che accidentano la regione e della somi- glianza notevole tra i calcari della zona dello Sporno e certi L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 133 calcari di una formazione superiore, che talvolta sono con essi quasi ad immediato contatto. Esso si può dire rappresentato da una linea con direzione dominante SO-NE, ma con numerosissime deviazioni secondarie, che parte alquanto a sud della vetta di M. Vitello (sulla linea di displuvio tra il Parma e il Baganza), passa per la crina di M. Sesiolo, sotto Cozzano ; si dirige in seguito verso Cassanasio ed Antesica, tocca la Parma un chilometro a monte di Berzola e passa nel versante destro della vallata sotto i villaggi di San Michele di Cavana e FaViano di sopra. Tra i limiti settentrionali e meridionali ora accennati, a par- tire dal letto del torrente sia verso ovest che verso est, vale a dire verso la linea di displuvio tra la valle della Parma e le vallate attigue, tutto il territorio è costituito quasi unicamente da questa formazione dello Sporno, appena interrotta da qualche raro e ristretto affioramento di argille scagliose. Di essa quindi sono formate, sulla sinistra del Parma, le al- ture di M. Verola, M. Milano, M. Sporno, M. Pozzo e le parti elevate di M. Cernè, M. Corno, M. Sesiolo, M. Vitello; sulla destra i rilievi molto meno accentuati delle colline di Stadirano, di Mulazzano, di Paviano. Come si vede tale formazione è molto più sviluppata sul versante sinistro, dove raggiunge una massima lunghezza di km. 15, che sul destro dove si estende per soli km. 6; è pure sul versante sinistro che si trovano le più notevoli elevazioni, che salgono a m. 1089 a M. Pozzo; mentre sul destro la mas- sima quota raggiunta è di m. 563 nei colli sovrastanti a Pa- viano. La minima altezza alla quale affiora è compresa tra i m. 230 eira. 250, sia nell’uno che nell’altro versante, presso Torrechiara e presso Stadirano. Dalle vette arrotondate e brulle, porgenti solo qualche raro ciuffo d’erba agli armenti, scendono, dove non lo impediscono le frane, fìtti boschi di quercioli e campi coltivati a rivestire i fianchi, da cui sgorgano copiose e fredde sorgenti, specialmente nel gruppo di M. Pozzo; alcune di queste, incrostanti, danno luogo a concrezioni calcaree (volg. tufi). Numerose pieghe coricate sembrano interessare questa for- mazione, come è provato dalle alternanze più volte ripetute dei 184 M. ANELLI tre membri che la costituiscono, dalla intercalazione delle argille scagliose tra i calcari marnosi, come nella parte alta del E. di S. Ilario; e infine anche dalla generale pendenza SO, S, SE che domina specialmente nella parte più a valle. Nella regione più prossima al Baganza, (a M. Germa, al villaggio di Cassiolo) la pendenza è SO; diventa SSO a M. Mi- lano, per passare poi rapidamente a S, SSE presso i casali di Costa e di Tabiano: diventa decisamente E in tutta la co- stola di M. Verola, ESE presso Strognano, per ritornare suc- cessivamente SE, SSE nei pressi di Vidiana; S, SSO, SO al di là della Parma, nelle colline di Stadirano e di Mulazzano. La linea direttrice delle pieghe sembra quindi, partendo dal Baganza, passare per M. Germa, Cassiolo, M. Milano, M. Ve- rola, Strognano, un poco al di sopra di Vidiana, e in seguito, varcata la Parma, per le alture di Stadirano e di Mulazzano. (Vedasi lo schizzo delle linee direttrici, tav. IV). La inclinazione degli strati sembra, in generale, essere com- presa tra i 20° e i 40°. È di 30°-40° in tutto il M. Sporno, di 35° sulla vetta di M. Milano, di 20°-30° a M. Verola, di 45° a Vidiana; ma localmente può diventare molto maggiore: essa è di circa 60°-70° nei pressi di Tabiano, dove gli strati rag- giungono in certi punti quasi la verticale. Dalle osservazioni fatte io credo che si tratti di un com- plesso di pieghe rovesciate verso la pianura ; pieghe che hanno per effetto di rendere apparentemente maggiore lo spessore di questi sedimenti del bartoniano inferiore, già di per se abba- stanza notevole. Mentre nel versante destro della valle, dal confine setten- trionale sino al meridionale domina uniformemente la pendenza SO, S, SE, nel versante sinistro, dove la formazione si estende, come dissi, maggiormente, si osservano dei notevoli cambia- menti che stanno ad indicare come le pieghe, prima rovesciate, tendano a raddrizzarsi e ad acquistare la loro posizione normale. Così sui fianchi orientali di M. Sporno, nei pressi di Riano, di Valle, di Manzano si osserva la pendenza NE, ciò che indica una sinclinale, il cui asse forse coincide colla parte supeiiore del R. Fabbiola. Ma a monte di questa linea comincia subito L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 135 una potente anticlinale, il cui asse passa successivamente per M. Vitello, M. Corno e sui fianchi SE di M. Cernè. L inclinazione degli strati anche qui non è molto notevole, per lo più oscillante tra i 20°-40°. Ma a M. Vitello, dove si opera un brusco cambiamento di direzione degli strati, che nella valle del Baganza hanno una pendenza SO, mentre qui, in brevissimo spazio passano a SSO, S, SSE, i banchi calcarei di- ventano quasi verticali con una inclinazione di oltre 70°, come abbiamo già visto essere il caso, più a valle, per i dintorni di Tabiano, dove pure si osserva lo stesso rapido cambiamento di direzione. Le brecciole ad orbitoidi e a nummuliti si trovano un poco dappertutto nella regione ora descritta. Tra le località dove si può fare una più abbondante raccolta noterò le vicinanze di Ta- biano, di Castrignano, tutta la parte alta dello Sporno, i din- torni di Cozzano, M. Corno : il luogo più a monte dove ho rac- colto tali fossili è nella depressione (822) esistente tra M. Vitello e M. Corno, presso la crina di M. Sesiolo. Chi, passata la Parma un chilometro circa a monte di Lan- ghirano, prende la strada che conduce alla Badia di Cavana e a S. Michele, giunto a questa villa vede stendersi davanti agli occhi un paesaggio i cui colori caldi, vivaci, contrastano stra- namente colla monotona e sbiadita tinta grigio-giallastra che domina nella maggior parte della vallata. Alla base una potente massa turchiniccia, screziata di ver- dastro, di rosso, sorregge una pila in cui si alternano tra loro nettamente le tinte nere, rosse, bianco-grigiastre, ricoperta da una zona di colore dominante cenere-piombo. Succede a questa una sviluppatissima formazione in cui ritornano le tinte rossa- stre, che dal colore rosso vinato alla base, vanno gradatamente sfumando verso l’alto in un rosa pallido, sino a che nella parte più elevata dei rilievi, dove l’erosione o le frane hanno messo a nudo la roccia, il grigio giallastro sbiadito sta ad indicarci la comparsa dei calcescisti a fucoidi. 136 M. ANELLI Le argille scagliose turchiniecie, rosse, verdastre che stanno alla base, come le consimili del preappennino emiliano, si pre- sentano in masse a stratificazione indistinta, colla tipica frat- tura scagliosa irregolare e sono ricchissime dei soliti prodotti di ferro, di rame, di manganese, di arnioni di baritina fibroso- raggiata, di cristalli di gesso. Yi abbondano i ciottoli silicei, i blocchi granitici ; vi si raccolsero anche denti di Oxyrhina Man- telli Ag. ('). Ch’io sappia, non venne in esse iniziata nessuna ricerca di petrolii ; ma in un ruscello confluente del R. di S. Michele, poco al di sopra della strada che da questo villaggio conduce a Bersatico, le acque sono spesso ricchissime di chiazze galleg- gianti di idrocarburi. Questa massa serve di base ad una pila di argilloscisti neri oppure rosso-cupi, tra cui s’intercalano banchi e strati di un calcare biancastro, fortemente siliceo, di un calcare arenaceo molto simile alla pietraforte e di arenarie compatte. Succedono degli scisti marnoso-argillosi color cenere-piombo con banchi di un calcare dello stesso colore, che possiede in certi punti una caratteristica struttura a grossi noduli concrezionati. Ad esso tien dietro una seria potentissima di marnoscisti in cui domina il color rosso, che gradatamente sfuma in un rosa pallido verso l’alto: sono intercalati banchi e strati di calcari e di arenarie assumenti talvolta la stessa colorazione degli scisti. Finalmente si passa alla zona dei calcescisti a fucoidi. Questa formazione si trova costantemente interposta tra i calcari marnosi della zona dello Sporno e i calcescisti a fucoidi; senonchè taluni dei suoi membri talvolta si riducono notevol- mente, mentre altri acquistano il predominio. Nascosta spesso dalle numerose frane che accidentano la regione, essa segue ininterrottamente il confine meridionale già descritto del bai- toniano inferiore e affiora in seguito nella valle del Baganza, lungo una striscia che passa per C. Brugnara e le frazioni di Casette e di Puj. (') Sacco F., Les formations ophitiph'eres du crétacé. Bull, de la Soc. Belge de Géol., de Paléont. et d’hydrol. Tome XIX, pag. 255, 1905. Bruxelles. L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 137 Le argille scagliose non compaiono solamente lungo questa striscia, ma anche più a monte e, più ampiamente ancora, nella regione preappenninica, sempre presentandosi cogli stessi caratteri. Affiorano largamente sul versante destro del Parma, poco al di sopra di Lesignano dei Bagni, intercalate tra la formazione del bartoniano inferiore e le marne ed arenarie mefsiniane : è qui che troviamo allineate, lungo una retta con direzione SE-NO, partendo dalla Termina, le Salse ( barboj ) di Torre, di Eivalta e le sorgenti salso-bituminose di Lesignano dei Bagni. Sul versante sinistro il bartoniano inferiore e il messiniano sono ad immediato contatto, ma le argille scagliose affiorano lungo la carrozzabile Parma-Langhirano al di sotto di Bassi e di Vidiana: esse compaiono anche per un certo tratto sulla sponda del Parma, formando una scarpata ricoperta dalle allu- vioni della terrazza quaternaria. Altri ristretti affioramenti si osservano, sullo stesso versante, al Monte Bosso presso Matta- leto (frazione di Langhirano) e presso le sorgenti del K. di S. I lario. In questa località, nella parte più alta, si vengono ad in- tercalare prima degli straterelli, poi dei banchi di un’arenaria compattissima, ricca di globuli di pirite di svariate dimensioni, che sotto l’azione degli agenti esterni si decompongono in li- monite e in seguito scompaiono, lasciando la roccia crivellata di numerosissime cavità emisferiche. Più a monte della striscia lungo la quale compare la for- mazione di passaggio tra i calcari dello Sporno e i calcescisti a fucoidi, le argille scagliose affiorano a M. Sesiolo, presso Si- gnatico e al di sotto del molino di Signatico nel R. Yestola. In quelle di Signatico si notano degli spunti di conglomerato ofiolitico e infiniti blocchi d’ogni dimensione di porfido e di nu- merose varietà di granito; presso quelle della Yestola compare ancora qualche traccia di quella formazione breccioso-conglome- ratica che nella Yalle del Baganza costituisce i curiosissimi Salti del Diavolo. Sul versante sinistro del Parma prendono notevole sviluppo, inferiormente alla zona dei calcescisti a fucoidi, i calcari mar- nosi color cenere piombo, mentre sulla destra acquistano parti- M. ANELLI 138 colare importanza le zone rossigne e i sottoposti argilloscisti con banchi di calcare silicifero e di calcare compatto. Esse affiorano largamente nel territorio compreso tra il R, di S. Michele e la Parmossa con pendenza S oppure SSE, e al di- là della Parmossa compaiono sotto Isola, sotto Masere di Reno, a Reno : presso questo ultimo paese si sollevano rapida- mente verso Gubinara e Tizzano e costituiscono, coi sottoposti scisti e calcari, il nucleo d’un anticlinale in parte rovesciato, di cui parlerò più innanzi. Non mancano però anche nel ver- sante opposto del Parma, come presso Signatico, presso C. Ci- mamonte, lungo la cresta che congiunge M. \ itello con M. Montagnana, presso la chiesa di Torre nelle vicinanze di Re- dazzo, ecc. Al di sopra di questo orizzonte di transizione noi tocchiamo la zona dei calcescisti a fueoidi. Questi calcari sono in generale zonati, fissili, molto marnosi e si trovano compresi, talora in strati, talora in banchi di notevole spessore tra gli argilloscisti, che presentano pure qualche interstrato arenaceo. Essi sono tal- volta zeppi di svariatissime fueoidi e di impronte di vermi . non rara vi si trova V Helminthoida labyrinthica. Passando ora a parlare della distribuzione di questi calce- scisti nella media Val Parma, dirò come sul versante destro co- minciano ad apparire nella parte alta dei rilievi tra R. S. Mi- chele di Cavana e la Parmossa : qui si presentano molto spesso con tinte rosse o giallo-lionate alternate e talvolta coll’aspetto della tipica pietra paesina. Al di sopra giacciono delle arenane e delle marne costituenti la base di una formazione che si sviluppa ampiamente a SSE nel M. di Rusino: quella delle marne e arenarie a viridite con fauna di tipo spiccatamente tortoniano. Varcata la Parmossa, costituiscono la massima parte delle alture tra questo torrente e la Parma : anche qui troviamo un notevole sviluppo di arenarie alla Pieve di Tizzano. Sul versante sinistro formano le imponenti ed elevate masse di M. Montagnana, M. Cavalcalupo, M. Scarabello. Come nella bassa Val Parma, il versante destro raggiunge appena l’altezza di m. 850; il versante sinistro si eleva molto di più e tocca i ra. 1370 a M. Cavalcalupo. I rilievi a cui dà luogo questa for- L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 139 inazione presentano in generale dei fianchi scoscesi, tormentati da frane e incisi da numerose e strette valli ; verso la vetta in- vece si stendono fitte macchie di quercioli e di faggi e ridenti e pianeggianti pascoli. Tettonicamente questa formazione corrisponde alla continua- zione della grande sinclinale di M. Cassio, che sorge tra la valle del Taro e quella del Baganza. Percorrendo la strada che da Calestano va a Berceto si può vedere, nelle montagne che costituiscono il versante sinistro del Baganza, come ai calcari della zona dello Sporno di M. Croce e agli scisti argillosi (con- tinuazione del già descritto orizzonte di passaggio della Val Parma) siano sovrapposti a M. Cassio i calcescisti a fucoidi disposti m un’ampia e regolare sinclinale con direzione JSTO-SE, i cui fianchi presentano al massimo una pendenza di 35°-40°. Alla base della gamba sud-occidentale ricompaiono gli scisti argil- losi, talora rossigni, tra cui si trovano intercalati dei banchi di una breccia calcareo-ofiolitica, di un conglomerato (a elementi di granito, micascisto, porfido, arenaria, calcare), che passa superior- mente ad un’arenaria biancastra. Questi banchi per essere raddrizzati quasi alla verticale e per essere piu resistenti agli agenti esterni dei circostanti argil- loscisti, sporgono a guisa di una grande muraglia rovinata, che attraversa la valle del Baganza con direzione NNO-SSE e si spinge sin presso Piovolo, sui fianchi di Montagnana: tra gli scisti spuntano pure numerosi grugni ofiolitici. (Ved. sez. I, tav. Y). Questa sinclinale si continua anche sul versante destro della Baganza e si sviluppa ampiamente nella vai Parma. In questa val- lata la gamba settentrionale si presenta molto ridotta e disturbata da corrugamenti locali ; la meridionale invece è molto più estesa e regolarissima, con una inclinazione in generale poco notevole. Come già dissi, le zone rossigne e i sottostanti scisti con calcari sihciferi e calcari compatti, al di là di Beno si sollevano ìapidamente verso M. Botondo costituendo il nucleo di un anti- clinale rovesciato verso SO, i cui fianchi sia superiormente che inferiormente sono formati dai calcescisti a fucoidi. Questa aliti- ci male, attraversata la Parma, si continua nella costa di M. For- nello, passa nel B. Yestola, dove affiorano le argille scagliose e le ultime traccie della formazione conglomeratica dei Salti del M. ANELLI 140 Diavolo, sale al M. di Pugnetolo e al M. Sprela, in cui come nucleo compaiono degli scisti argillosi nerastri, spesso variegati, con spunti di serpentina bastitica-diallaggiea e lenti calcai eo- ofiolitiche a nord di queste. Lungo tutto il percorso del nucleo di questo anticlinale i banchi di calcare compatto molto sollevati, per essere più resistenti all’azione erosiva, sporgono tratto tratto dal resto della massa, prendendo l'aspetto di lunghi e spessi bastioni. (Vedasi alla tav. IV lo schizzo delle linee direttrici). Al di sotto del nucleo di questa anticlinale rovesciata si proseguono i calcescisti a fucoidi, costituenti la gamba meridio- nale. Essi conservano in generale la stessa direzione, la stessa pendenza di quelli sovrapposti costituenti la gamba settentrio- nale. Ad attestare però l’enorme tensione, gli enormi sforzi subiti, stanno i frequenti cambiamenti nel grado di inclinazione e le frequenti e complicatissime leptoclasi, rese visibili da fìloncelli di calcite, talvolta abbastanza potenti. Ho già ricordato come nelle argille scagliose di Faviano vennero trovati denti di Oxyrhina Mantelli Ag., e come nella maggior parte degli altri affioramenti abbondino i blocchi più o meno voluminosi di porfido, di diverse varietà di granito, ecc. Nella sovrastante pila che stabilisce il passaggio tra la zona dello Sporno e quella dei calcescisti a fucoidi mancano in ge- nerale i fossili. Nei marnoscisti rosei però qualche volta rinvenni degli esili straterelli di brecciole ad orbitoidi e a nummuliti. Non sono riuscito a trovare una sostanziale differenza tra la fauna di queste brecciole e quelle dello Sporno: tuttavia le forme sono complessivamente di taglia minore, in certo modo rachitiche, come fossero vissute in condizioni sfavorevoli; sembrano inoltre mancare le alveoline. Nei calcescisti a fucoidi sono presenti solamente le fucoidi, le traccie di vermi e Y Helmintlioida la- byrinthica. Sono cosi arrivato a descrivere la vai Parma sino ad una linea che passa per R. Lucconi, le alture di Carrobbio e M. Ro- tondo. Resta a parlare della porzione più a monte, in cui tornano ad affiorare le brecciole fossilifere e compaiono nuove formazioni. Per la descrizione di questa credo opportuno cominciare dalla regione più elevata, cioè dallo spartiacque appenninico. L EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 141 A tre chilometri circa dallo spartiacque, a NNE di M. Matto, sul contrafforte che si stacca da questa montagna separando la Parma di Badignana e poi la Parma dalla Bratica, s’eleva a m. 1648 il M. Nave (M. Navertel dei montanari), ottimo bel- vedere per chi voglia osservare nel suo complesso il gruppo montuoso che va da M. Orsaro a M. Sillara. Dalle vette che sorgono sullo spartiacque appenninico si vedono discendere estese e ripide pareti rocciose, veri e propri liscioni che costituiscono la superficie dei banchi di macigno: ed erti, dirupati contrafforti ai cui fianchi s’appoggiano delle colline lievemente ondulate, a contorni dolci e tondeggianti, coperte sino a pochi anni addietro da imponenti boschi di faggio! Queste colline, vere formazioni moreniche e talvolta alluvio- moreniche, rappresentano, insieme alle roccie arrotondate e a qualche altra traccia, gli ultimi testimonii della grande invasione glaciale quaternaria nella valle del Parma e si estendono tal- volta attraverso le alte vallate, concorrendo così, almeno par- zialmente, a costituire la diga di sbarrata dei numerosi laghetti che si formano in questa regione. A questa zona di macigno, i cui banchi sollevati in anti- clinale pendono verso NE, succede e si sovrappone una massa di scisti quasi sempre neri, talvolta rossigni, che per la natura stessa della roccia, facilmente erodibile, hanno dato origine ad una depressione: è in essi appunto che si trova incisa la Colla di Valditacca, sottostante al M. Navert. A questa depressione seguono dei nuovi rilievi ricoperti in generale da splendidi pascoli, che lasciano affiorare qua e là degli spunti biancastri in cui è facile riconoscerei banchi cal- carei sovrapposti alla massa scistosa. Come ho detto, i banchi di macigno sollevati in anticlinale costituiscono lo spartiacque e si elevano a m. 1850 al M. Orsaro e a m. 1861 a M. Sillara. « Sul versante meridionale esso presenta balze ripidissime, talora difficilmente accessibili, che formano le pareti terminali dei valloni, i. quali da questo lato» dice lo Zaccagna (') « pe- (') Zaccagna D., Nuove osservazioni sui terreni costituenti la zona centrale dell’ Appennino adiacente all’Alpe Apuana. Boll. R. Com.Geol.lt. serie III, voi. IX, fase. 2, pag. 114, 1898. M. ANELLI 142 netrano molto profondamente nella massa del macigno in ragione della maggior ripidezza dei sottostanti torrenti. Il fianco sud di M. Orsaro e M. Brasa ci dànno esempi grandiosi di questi dirupi, sui quali i banchi di macigno sono tagliati in scaglioni fianosi, spogli d’ogni vegetazione. Questa conformazione dipende dal fatto che verso sud, in causa della erosione più profonda, la linea di spartiacque non corrisponde all’asse della piega anticlinale', ma e protratta più a NE, talché il macigno vi si presenta colle testate. Per contro sul versante settentrionale il dorso dei banchi offre inclinazioni meno sentite; e tranne laddove il disboscamento che vi si pratica tuttora in larga e desolante proporzione non lo spogliò del ter- riccio, sono generalmente coperti quasi fino alla giogaia di ricca vegetazione arborea». È in questo versante, come ho già notato, che si trovano le numerose traccie della grande invasione glaciale: rupi arroton- date, conche lacustri talora ridotte a semplici depressioni, talora abbastanza notevoli come il L. Santo, il L. Gemio, il L. Scuro, e le colline moreniche, che talvolta concorrono a sbarrare i detti laghi. Il macigno si presenta in grossi banchi con qualche alter- nanza di scisti argillosi, più o meno arenacei: si tratta al solito della ben nota arenaria colle sue varietà, talora compatta, talora facilmente disgregabile, con lenticelle carboniose. Alla parte superiore della zona compare un’arenaria a cemento siliceo, ne- rastra, omogenea, visibile soprattutto lungo la Parma di Badi- gnana, allo sbocco del Lago Gemio, che, secondo Del Prato ( j, si ripete ad una forte distanza al M. Dosso in vai di Ceno, lungo il R. Golotta, alla base degli scisti e dei calcari marnosi continuanti la zona dello Sporno. La loro pendenza generale è verso NE con inclinazione dai 20° ai 60°. Questa anticlinale rappresenta la prima di quelle ellissoidi allungate, che continuandosi con direzione regolaris- sima NO-SE costituiscono nel loro insieme la grande piega che De Stefani ha chiamato centrale, perchè segue lo spartiacque ('). 1 De Stefani C., Descrizione sommaria delle principali pieghe del- ■ V Appennino tra Genova e Firenze. Boll. Soc. Geol. It., voi. XXI, fase. 3°, 1892, pag. 397. (1 2) Del Prato A., Mem. cit., pag. 6. L'EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 143 Essa comincia a M. Cavallo sulla sinistra del R. Gravagna, finente alla Magra, raggiunge lo spartiacque a M. Foce e in seguito forma i monti Orsaro, Marmagna, Brusà, Matto, Sillara, Bocco per la lunghezza di km. 17. Interrotta dalle rocce delPeocene superiore al passo di Linari, 1 anticlinale continua nella stessa direzione, più o meno rego- lare, più o meno complicato, interrotto trasversalmente parecchie volte da sinclinali. Dopo aver formato le più elevate cime dello spaitiacque tia Adriatico e Tirreno, toccando le province di Parma, Reggio, Modena, Massa, Lucca, Firenze, va a finire nel piano di Pistoia raggiungendo una lunghezza di km. 95 e una ampiezza trasversale talora di km. 12-15. I confini settentrionali della zona del macigno nella Val Parma sono presso a poco quelli dati dalla carta geologica del Prof. Sacco: vale a dire sono rappresentati da una linea che dalle balze meridionali di M. Foce, dove passa la mulattiera che da Bosco conduce a Pracchiola, si prosegue con direzione NO-SE toccando la base di M. Sterpara, di M. Roccabiasca, di Rocca Pumacciolo. Al macigno sembra sovrapposta regolarmente la massa degli scisti. Questi sono fogliettati, di colore variante dal grigio al biuno, al nei astro, qualche volta tendente al rosso, come alla Colla di A alditacca ; presentano intercalazioni di arenarie e di calcari psammitici. In essi cominciano ad apparire le brecciole ad oibitoidi e a nummuliti, che prendono poi maggiore sviluppo a valle e della cui fauna parlerò in seguito. Gli scisti si ten- gono ad un altezza variante dai 1200 ai 1400 metri, lungo un allineamento che va dal passo di Pracchiola (tra M. Foce e AI. Tavola) alla Colla di Valditacca; hanno una pendenza ge- nerale NE e sono molto assottigliati, cosicché i sovrapposti banchi calcarei vengono a trovarsi molto presso al macigno. Questi banchi inclinati verso NE sono costituiti di un cal- care compatto, biancastro, che procedendo verso valle tende ad assumere la facies di quelli costituenti il membro superiore della formazione dello Sporno. Essi formano le vette di M. Tavola, di Al. Stellone, di AI. Vallombrara, di M. Scavada, di M. Yidice e di Al. Nave. In questo monte essi sono ricoperti da una in- M. ANELLI 144 teressante formazione morenica che si estende per oltre due chi- lometri sin presso a Groppo Foce. Osservando da M. Nave il complesso montuoso dello spar- tiacque sembra evidente la regolare sovrapposizione della zona dei calcari a quella degli scisti e della zona degli scisti a quella del macigno. Il Prof. Sacco che ritiene gli scisti gale- strini cretacei e quindi anteriori e sottoposti al macigno (pari- siano), crede di dovere interpretare la potente pila del macigno in questo gruppo montuoso come piegata in sinclinale coricata, aperta verso S O (*) ed incuneata tra gli scisti. Non spetta certo a me, che debbo limitarmi ad un semplice lavoro d’osservazione, entrare in tale argomento. (Vedasi sezione II, tav. V). Scendendo dal villaggio di Bosco al torrente Parma e se- guendone il corso si veggono comparire nella parte basale delle alture, sull’una e sull’altra sponda, delle masse bianco-grigiastre che si estendono per lunghissimo tratto sino oltre lo sbocco del R. di Marra, cioè sin quasi al gomito che fa il Parma, pas- sando dalla direzione S-N a quella O-E. Sono delle marne scistose, sovente arenacee, spesso strate- rellate, bianco-grigiastre, poco compatte, che Sacco crede rife- ribili al parisiano medio-inferiore e probabilmente parallelizza- bili con quelle analoghe nummulitifere di Bobbio a facies ni- ceana (2). . , „ , Esse cominciano ad affiorare nelle vicinanze dello sbocco di R. della Costa, ricoperte e nascoste talora dalle più avanzate propaggini della grande morena del Bosco; il loro limite supe- riore s’eleva rapidamente, passando sotto i villaggi di Staiola e Polita, per abbassarsi poi di nuovo e raggiungere quasi il livello del Parma nelle vicinanze di R. Ronco Vecchio. In se- guito, sotto i paesi di Marra e Canetolo si solleva di nuovo, sorpassa i m. 150 al di sopra del letto del Parma e va poi ad immergersi definitivamente, come ho detto, dopo lo sbocco del R. di Marra. (') Sacco F., 1/ Appennino dell’ Emilia, pag. 497. (2) Sacco F., Op. cit., pag. 486. L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 145 Al di sopra di queste marne che rappresentano, fatta astra- zione dal macigno, la formazione più antica che affiori in Val Parma, riposano gli argilloscisti, continuazione di quelli già com- parsi nelle vicinanze del crinale appenninico: sono foglietta!!, giigi, nerastri con strati di arenaria e di calcare psammitico e grandi masse calcaree, che appaiono qua e là saltuariamente, come fossero i resti di grandi banchi originariamente continui e in seguito violentemente frammentati per effetto di enormi sfoizi subiti, di cui fanno fede del resto gli stranissimi e com- plicati arricciamenti che interessano questi scisti. In questa potente pila scistosa sono sviluppatissime le breccie ad orbitoidi e a nummuliti: Vi trovai pure frequentemente, in special modo nel tratto compreso tra E. Fragnoli e K. Sorba, degli straterelli eminentemente scistosi di marne glauconiose co- stituite quasi unicamente di globigerine; esse passano talora gradualmente alle brecciole nummulitiche. È nelle marne talora arenacee, tra cui si trovano interstratificate queste rocce a glo- bigerine, che nel 1879 lo Strobel rinvenne delle impressioni di alga felciforme riferite al Gleichenopliycits itdlicus Mass. ('). Sopra gli scisti poggiano dei banchi marnoso-calcarei, biau- castii, che sia per quanto si riferisce alla natura litologica, sia per quanto si riferisce alle svariatissime fucoidi, presentano la facies di quelli dello Sporno: presso E. Fragnoli mostrano dei bellissimi esemplari di Zoopliycos. y Un Astretto affioramento di questi scisti poggiatiti sopra le già descritte marne bianco grigiastre si osserva a livello del Parma, seguendo la sua sponda sinistra, appena passato il E. di Marra! Se ora noi saliamo la costola che conduce al Lorone di Eocca- ferrara e poi al Castello di Graiana vediamo comparire, al di sopra dei calcari, una nuova formazione che in questo tratto pre- senta un notevole spessore. Si tratta di un’alternanza di mar- noscisti nerastri e di arenarie micacee, a grana molto fina, gri- giastre, tenere, eminentemente scistose, d’aspetto quasi ardesia co, che talvolta si separano in lastre larghe e regolari, cosicché ven- gono scavate ed utilizzate come tegole. (‘) Arboit. A., Gli Alpinisti dell’Enea alle sorgenti del Parma d 28 Parma, 1880. ’ ' 11 146 M. ANELLI Sopra questa alternanza vengono degli scisti grigio gialla- stri, arenacei, talora un po’ calcarei, fino a che nel groppo erto e nudo sovrastante al Castello di Graiana si sviluppano delle arenarie molto compatte, a facies di macigno, in grossi banchi incidenti a N 0. con inclinazione oscillante dai 30° ai 45°. Nelle arenarie e negli scisti giallastri arenacei incontrai un dente di squalo e delle foraminifere male conservate, di cui, data la natura della roccia, non potei fare la sezione: in una forma tuttavia credetti riconoscere la Paronea Guettardi d Arch. Se ora risaliamo la strada che da Corniglio conduce a Ber- ceto, immediatamente sopra le case del Castello di Graiana le- diamo affiorare, poggianti sulle arenarie, degli scisti nerastri con intercalazione di strati calcarei e di brecciole nummulitiche, poi dei calcari cenerognoli come quelli sovrastanti nella bassa ^al Parma alla zona dello Sporuo e finalmente i calcescisti a fu- coidi. Al di sopra di questi, presso il valico, riposa una massa di scisti ofiolitiferi tra cui spunta un grugno serpentinoso co- stituente la Sillara di Graiana, probabilmente portati a tale al- tezza in seguito ad una piega coricata, interessante i calcescisti a fucoidi. (Vedasi sezione IIP, tav. V). Le brecciole nummulitiche dell’alta Val Parma furono esa minate dal Dott. Prever che vi riscontrò le seguenti forme : Paronaca Guettardi d Arch., » Thihàtcheffi d'Arch., » venosa (anomala auct.) Ficht. et Moli.. » crispa Ficht. et Moli., » mamilla Ficht. et Moli., » vario! aria Lmk., » Bassanii Prev., OrthopJiragmina nummiditica Giimb., » varians Kaufm., » radians d’Arch., » BouviUei Sclilumb., » Marihae Schiumi).. 147 L EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA Orthophragmina Archiaci Schiumi)., » Operculina ammonea Leym., » Amphistegina Lessonii d’Orb., numerosissime globigerinae, lithothamnium , rare miliolidae. Vi abbondano i denti di squalo. Si tratta, come si vede, di un complesso di forme molto simile, se non identico, a quello dello Sporno. La formazione scistoso-calcarea dello Sporno nella bassa Val Parma sarebbe sin- crona con quella dell’alta Val Parma, perciò ambedue apparte- nenti al bartoniano inferiore. Mentre però tra le forme dello Sporno sembrano predominare le Paronaea Orbignyi, P. Wem- melensis, P. crispa, P. mamilla, qui invece si trova in preva- lenza, insieme alle P. crispa e P. mamilla , la P. Guettardi. Queste brecciole le segnalai per la prima volta sulle falde occidentali di M. Agucchio, ma estendendo le ricerche finii per trovarle un po’ dappertutto in tutta l’alta Val Parma. Tra le località in cui si rinvengono più frequentemente noterò, sulla destra del Parma, le alture al di sopra di Corniglio, il M. Aguc- chio, specialmente nelle vicinanze di E. Pragnoli, il valico tra M. Agucchio e M. Cavardello, i dintorni di Sesta superiore ; sulla sinistra i monti sopra Cirone, il passo di Cirone, i dintorni di Marra, la parte bassa di E. Ombasino e il già nominato Ca- stello di G-raiana. Quanto alle marne glauconiose comprese tra gli scisti di E. Fragnoli, mi si mostrarono quasi unicamente costituite di globigerine che sembrano in massima potersi riferire alla Gl. bulloides d’Orb., e Gl. bulloides var. triloba Eeuss. ; tra le in- finite foraminifere una sezione mi mostrò anche degli scheletri di radiolarii. Nelle arenarie micacee, tenere, scistose, sovrastanti alla massa scistoso-calcarea io rinvenni presso Corniglio uno splendido esem- plare di quelle enigmatiche traccie reticolate, che sono cono- sciute col nome generico di Paleodictyon. Il reticolo assomiglia abbastanza al Paleodictyon regalare figurato da Sacco alla fig. 3, tav. XI del suo lavoro : « Intorno ad alcune impronte organiche dei terreni terziarii del Pie- M. ANELLI 148 monte» Q), il quale però differisce da quello che ho trovato a Corniglio per la quasi perfetta regolarità della sua reticolatila, per avere le aree esagonali generalmente alquanto più strette e invece i rilievi proporzionatamente più alti e più larghi,, ma non nettamente rilevati dal piano sottostante come si verifica generalmente sia nel Paleodictyon majus Menegh., sia m quelli provenienti dall’eocene del Friuli. Credo perciò di riferirlo al P majus Menegh., che si distingue dal P. regulare appunto per questi caratteri e che sarebbe proprio deireocene superiore e medio (2). La lunghezza delle maglie, senza tener conto delle costole, è di 10-12 mm. ; la larghezza di 7 inni. ; la larghezza delle costole è di mm. 1 7,-2. Sulla superficie della lastra appaiono, con altri rilievi, numerosi ed irregolari bitorzoli, presso i quali le maglie generalmente s’interrompono o scompaiono. Uno di questi rilievi, longitudinale, a superficie curva, della larghezza di circa 2 cm, decorre attraverso tutta la lastra pa- rallelamente all’asse maggiore degli esagoni, interrompendo com- pletamente il reticolo a grandi maglie. Sul limite estremo della lastra però, a cm. 1 »/, da questo rilievo, presso altri bitorzoli appare un reticolo di 12 esagoni piccolissimi d’aspetto perfet- tamente indentico a quello del P. majus, coll’asse maggiore di circa 2 mm. parallelo a quello degli esagoni della grande maglia. . Debbo ricordare come Del Prato nella sua memoria sulla geologia dell’ Appennino Parmense (3) accenna ad un Paleodictyon majus Menegh., conservato nel Museo di Pisa e proveniente da Corniglio. Queste arenarie d’ora in avanti io chiamerò col nome di arenarie a Paleodictyon majus. ii) Sacco F., Atti della R. Accademia di Torino, XXI, 188c-86. (2 Peruzzi G„ Osservazioni sui generi Paleodictyon e Paleomeandron dei terreni cretacei ed eocenici dell’App. Settentrionale e Centrale. Atti Soc. Tose. Se. Nat., voi V, tasc. 1 , 1881. (3) Del Prato A., Memoria cit., pag. 5. L'EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 149 Non farò che descrivere a grandi tratti quanto si riferisce alla distribuzione topografica e ai limiti delle varie formazioni: lo scendere ai dettagli mi porterebbe troppo in lungo, tanto più che esse si presentano spesso a guisa di placche isolate a con- torni irregolarissimi. Gli scisti argillosi che abbiamo visto affiorare, sovrapposti al macigno e sottoposti ai calcari, lungo una stretta striscia paral- lela allo spartiàcque, discendono rapidamente e vanno ad occu- pare la porzione basale dell alta ATal Parma, nascosti però fre- quentemente dai depositi morenici che si estendono fra le tre Parme e che si riuniscono poi ai piedi di M. Stellone e di M. Vidice nella grande morena a forma di lingua, ricoperta da lus- sureggianti castagni, del Bosco. Sul versante sinistro, oltrepassata la Costa Paretolo, salgono rapidamente, raggiungono il crinale appenninico, presentandosi ricchi di brecciole nummulitiche, salgono a m. 1300 sin quasi alla vetta di M. Borgognone; dopo di aver seguito per un certo tratto lo spartiacque tra il Parma ed il Baganza tornano di nuovo alla parte basale e passano al di sotto di Marra, pog- giando sulle marne bianco-grigiastre di cui ho già descritto i limiti. Proseguono passando al di sotto del Lorone di Bocca- ferrara, sotto le frazioni di Costa e di Graiana inferiore e vanno ad immergersi presso il ponte rovinato di Corniglio, salvo a presentare qualche limitato affioramento più a valle, in seguito a locali corrugamenti. Sul versante destro compaiono nella parte basale delle al- ture di M. Nave e M. Caro, anche qui ricoperti dai depositi mo- renici accumulati tra B. Piano Giaretto e B. Chiosi; si proseguono al di là della Parma di Badignana nel versante orientale di M. Scavada e di M. Vidice. Affiorano sui due fianchi di B. Serra vato, presso Sesta; salgono allo spartiacque tra Parma e Bratica, raggiungendo la depres- sione (m. 1208) tra M. Cavardello e M. Agucchio; scendono a Mossale e si proseguono al di sopra di Polita, di Canetolo : Ol- trepassato il B. Fragnoli vanno ad immergersi prima di raggiun- gere il ponte romano di Graiana sotto a Corniglio. I calcari bianchi, marnosi sovrapposti agli scisti non fanno che seguire l’andamento di questi. Sul versante sinistro costi- M. ANELLI 150 tuiscono, serrati ìq sinclinale, il M. Tavola; compaiono con lina cinquantina di metri di spessore sulla vetta di M. Borgognone e affiorano in seguito largamente nel tratto compreso tra R. Ronco Vecchio e R Ronco di Comogno ; si continuano al di là del R. di Marra, riducendosi gradatamente di spessore a mano a mano che procedono verso valle. Sul versante destro compaiono sulla vetta di M. Nave e di M. Caro, ricoperti dai depositi morenici; costituiscono la grande placca di M. Cavardello, affiorando anche a Groppo Vei e presso Sesta superiore; si ritrovano a M. Madone, a Groppo Battaglia e sui pendìi occidentali e settentrionali di M. Agucchio, scom- parendo prima di arrivare a Corniglio. Le arenarie a Paleodictyon niajus, sviluppate largamente alle sorgenti del Baganza, salgono il versante occidentale di Groppo Albero e a nord di questa altura in cui sono ridottissime di- scendono, acquistando sempre maggiore spessore, lungo la costa che si stende tra R. Ronco di Comogno e un affluente superiore del R. di Marra. Passano al di sotto di Roccaferrara, del Ca- stello di Graiana, della Braglia, di Vestana, di Petrignacola e scompaiono poco prima di arrivare alle Gbiare. È nelle arenarie a P. majus e negli scisti sottoposti che si presenta a Miano, lungo la carrozzabile Langhirano-Corniglio la cosidetta fontana ardente. È un getto di gaz che all’analisi chimica (*) risultò appartenere alla serie degli idrocarburi saturi della formola C" e che si può ritenere una miscela, nella seguente proporzione, di metano 69,9, etano 30,1. Si era progettato di condurlo a Corniglio mediante tubatura per servire all’illuminazione pubblica: ora vi si stanno facendo ìicerche pei la escavazione del petrolio. Nel versante destro si distendono sui fianchi occindentali di M. Groppo Foce e M. Cavardello con pendenza SO e si con- tinuano nella depressione esistente tra M. Vidice e M. Scavada. affiorano largamente al R. Re presso Sesta superiore e si tro- vano distese lungo le costole che scendono da M. Madone, sot- toposte a qualche banco d’arenaria. Le incontriamo affioranti per le testate sulle balze settentrionali di Groppo Battaglia con (!) Relazione sul servizio minerario, Annali di agricoltura, la serie 1870-1890. 2a serie 1891-97. L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 151 pendenza SSE e sul versante occidentale di M. Agucchio con pendenza successivamente SE, E. Dopo di avere acquistato un grande sviluppo presso Corni- gliOj in cui costituiscono tutta 1 altura su cui sorge questo paese e il sovrastante splendido bosco di castagni, con pendenza NE, si continuano a valle passando per Villula, Revidulano, immer- gendosi alquanto al di la dello sbocco del R. di Carzag‘0. Quanto alle arenarie a facies di macigno, simili a quelle che abbiamo già viste al Castello di Graiana, sembrano costituire delle grandi lenti, collegate tra loro tutto al più da qualche banco d’arenaria. Si sviluppano ampiamente nella grande placca con pendenza generale SO nel versante occidentale di M. Groppo Foce e M. Cavardello, affiorando saltuariamente nella costola che scende da questo monte a Groppo Vej : nella carta geologica già ri- cordata dell’Ing. Zaccagna esse sono colorate colla tinta del macigno. Si tratta di un’alternanza di arenarie a facies di Macigno e di banchi di una brecciola calcareo-quarzosa in cui si rinviene qualche nummulite: Esse poggiano sulle arenarie a P. majus con 1 intermezzo di pochi metri di scisti e calcari con brecciole nummulitiche (’). Costituiscono, come ho già detto, il groppo sovrastante al Castello di Graiana, ricoperte delle brecciole nummulitiche e acquistano più a valle, dopo aver subito una corta interruzione, un enorme sviluppo: Compaiono sopra Vestana verso i m. 800, sempre sulle arenarie a P. majus; raggiungono l’altezza di m. 1050 al groppo che si erge sopra la C. di Rivalba e si pro- seguono sin presso il R. Lucconi, che rappresenta presso a poco il loro confine settentrionale per un tratto che va da un chilo- metro e mezzo a monte di Sauna sino al Parma. Ena piccola lente si trova anche al di sopra di Revidulano sul versante destro del Parma a valle di Corniglio. A queste arenarie sono frequentemente associate delle lenti conglomeratiche a elementi di gneiss, granito, quarzite, antibo- li Il Del Prato nota come in queste arenarie presso il R. di Sesta si trovi un giacimento di quarzo cristallizzato. M. ANELLI 152 lite, micascisto tormalinifero che, secondo Sacco ( ), ricordano la puddinga cretacea di Siroue in Lombardia. Poco sopra la Braglia verso i m. 900, sulle arenarie a P.rmjus troviamo degli scisti ofiolitiferi con spunti di serpentina e di conglomerato serpentinoso sottostanti ai calcari color cenere e ai calcescisti a fucoidi e a Helminthoida labyrinthica: e scisti ofiolitiferi e grugni serpenti nosi troviamo, pure sottoposti ai cal- cescisti a fucoidi, nella parte alta del R. di Marra. I sovrastanti calcari color cenere piombo sono pei lettamente uguali a quelli che nella media Val Parma succedono alle ar- gille scagliose : Cominciano a Groppo Albero e si trovano co- stantemente alla base dei calcescisti a fucoidi che costituiscono le vette di M. Polo, M. Bocca Spiaggi, M. Cervellino sul ver- sante sinistro; le parti alte di M. Agucchio, e sul versante de- stro il grande gruppo montuoso di M. Caio, M. C ustione. Sopra ai calcescisti incontriamo ancora gli scisti ofiolitiferi e i grugni serpentinosi di cui i principali sono la Si 1 lai a di Roccaferrara e la Sillara di Graiana tra M. Polo e M. Boc- caspiaggi: Essi sono stati molto probabilmente portati in tale posizione per effetto di una grande piega coricata interessante i calcescisti a fucoidi. La tettonica dell’alta Val Parma è abbastanza complicata. (Vedi lo schizzo delle linee direttrici). La pendenza che domina in vicinanza dello spartiacque diventa ben piesto SO a M. Tavola, a M. Borgognone sulla sinistra del torrente, a M. Stellone, a M. Vidice e OSO a M. Cavardello, a Groppo Foce, a M. Caro sulla destra. Quindi ritroviamo una pendenza che cambia gradualmente da NNE a XE lungo una ristretta striscia che passa per Groppo Albero, per il territorio compreso tra Marra e Staiola, per Mossale e si dirige in seguito verso M. Cavardello. Procedendo verso valle riscontriamo sulla sinistra del Parma la pendenza SO presso Marra; 0 lungo il R. di Marra; KO, (i) Sacco F., V Appennino delVEmilia, pag. 456. L'EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 153 XXO nel gruppo di M. Polo, M. Boccaspiaggi, M. Cervellino; quindi N, NNE lungo il R. Lucconi. Passata la Parma troviamo la pendenza N E nel gruppo di M. Caio; ENE presso la confluenza della Bratica; E, ESE, SE sulle falde occidentali di M. Agucchio a mano a mano che si procede verso monte ; e in seguito SSE, S a Groppo Battaglia e nei pendii sottostanti. Dal complesso delle osservazioni e dei rilievi che ho com- piuti credo di poter concludere: L anticlinale dello spartiacque si collega per mezzo di uno stretto e serrato sinclinale che interessa M. Tavola, M. Stellone, il. Ridice, M. Nave ad un grande anticlinale il cui asse passa dalle alture tra M. Borgognone e Groppo Albero a M. Piagne, a Sesta, a M. Cavardello e si prosegue in Val Bratica. Esso mediante uno stretto sinclinale, appena accennato nel versante sinistro, ma che va gradualmente assumendo maggiore ampiezza a mano a mano che procede verso ESE, specialmente tia M. Agucchio e M. Cavardello, si riattacca ad un anticlinale 0 meglio ad un grande ellissoide allungato il cui asse maggiore, che si estende da R. Ronco Vecchio a R. Lucconi, ha la dire- zione SO-NE. Il margine sud occidentale di questo ellissoide si presenta sollevato da una ruga, da una piega anticlinale secondaria con direzione NE-SO che va a Groppo Albero ed è questa la ra- gione per cui la sinclinale che lo precede e che è abbastanza sviluppata nel versante orientale del Parma, sul versante occi- dentale è appena abbozzata. Questo ellissoide interessa M. Castagnole, M. Polo, M. Bocca Spiaggi, M. Cervellino sulla sinistra del Parma; M. Castione, AI. Caio sulla destra e M. Agucchio tra Parma e Bratica; è inciso nel suo mezzo dal corso del Parma. Sulla metà settentrionale dell’ellissoide, sui suoi margini, a guisa di una frangia sono disposti i calcescisti a fucoidi inte- 1 essati da una sinclinale coricata aperta verso SE, SSE, S sul versante sinistro, a mano a mano che si procede verso valle ; e verso SSO, SO sul destro nel gruppo di M. Castione, M. Caio. Questa piega e provata, oltre che dall’enorme spessore rag- giunto dai calcescisti a fucoidi, che per solito è di 400-500 M. ANELLI 164 metri, mentre a M. Caio supera i 1000 metri, dal fatto ohe le serpentine e gli scisti ofiolitiferi che alla Braglia e alla parte superiore del R. di Marra si trovano sotto ai calcescisti a fu- coidi e ai calcari color cenere, vengono invece portati al di so- pra di questa zona nel gruppo di M. Polo, M. Bocca Spiaggi: fatto questo, del resto, che si osserva, come nota il Prof. Sacco i '), a Pratopiano nel gruppo di M. Caio. Questa sinclinale coricata si collega con un anticlinale ro- vesciata verso lo spartiacque appenninico: è questa la piega già descritta parlando della media \ al Parma, nel cui nucleo affiorano le serpentine, gli scisti ofiolitiferi e i calcari siliciferi e che col suo asse si dirige dal M. di Pugnetolo, a M. For- nello e a M. Rotondo. Come dissi sin da principio, sulla geologia della Val Parma non si conoscevano finora che pochi cenni riassuntivi di Del Prato e di Sacco : io ho cercato con questa descrizione di riem- pire una lacuna che esisteva nella conoscenza dell’Appennino settentrionale. Avrei desiderato aggiungere una carta geologica e litologica dettagliata, ma siccome il territorio sul quale ho esteso le mie ricerche è troppo ristretto, credo meglio attendere di aver ulti- mato i rilievi, già in parte iniziati, delle vallate contigue. Ad ogni modo le osservazioni che ho finora compiute, so- pratutto il frequente rinvenimento delle brecciole nummulitiche a diversi livelli, mi pare che possano servire a sbrogliare al- quanto la intricata matassa del nostro flvseh eocenico; e senza avere neppure lontanamente la pretesa di volere estendere, ge- neralizzare i risultati delle mie ricerche alla geologia dell’Ap- pennino, credo di potere venire alle seguenti conclusioni per quanto si riferisce alla Val Parma. Nell’alta vallata noi troviamo alla base, presso lo spartiac- que, il macigno e più a valle, tra gli sbocchi del R. della Costa e del R. di Marra, le marne compatte bianco-grigiastre. Nel- l’una e nell’altra formazione non ho rinvenuto fossili: tuttavia f"1) Sacco F., L’ Appennino dell’Emilia, pag. 485. L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 155 debbo ricordare come nella parte superiore del macigno si svi- luppa un arenaria nerastra, a cemento siliceo che si ripete a grande distanza, in Val di Ceno, alla base degli scisti e dei cal- cari del bartoniano inferiore e come le accennate marne siano dal Prof. Sacco ritenute parallelizzabili con quelle di Bobbio, nummulitifere, a facies niceana e riferibili al suo parisiano me- dio inferiore. Al di sopra riposano gli scisti nerastri, fogliettati, con cal- cari psammitici e arenarie (scisti galestrini), che nella carta del Prof. Sacco sono segnati colla tinta del cretaceo : ad avvalo- rare il loro riferimento al cretaceo starebbe la presenza del Gìei- chenophycus italicus Mass, a E. Fragnoli. Ma la scoperta che 10 ho fatto in essi, in diverse località anche presso lo spartiac- que, delle brecciole nummulitiche contenenti la tipica fauna del bartoniano inferiore, mi sembra che sia sufficiente per stabilire nettamente nella Val Parma la loro posizione stratigrafica. Quanto ai sovrastanti calcari marnosi biancastri contenenti le brecciole colla solita fauna sono indicati sia nella carta del Prof. Sacco che in quella dell’lng. Zaccagna colla stessa tinta dei calcescisti a fucoidi. Io credo invece che queste due forma- zioni debbono essere tenute ben distinte : i calcari marnosi bian- castri (paiallelizzabili con quelli dello Sporno) si devono far risalire al bartoniano inferiore, mentre i calcescisti a fucoidi si sarebbero depositati negli ultimi tempi dell’eocene: tra il de- posito dell’ima e dell’altra formazione sarebbero avvenuti, verso 11 bai tornano medio, lo scivolamento delle argille scagliose con- vogliatiti svariatissimi frammenti e l’emissione di magma basici. Se nelle vallate contigue i grugni ofiolitici sembrano essere compresi nella zona degli scisti galestrini e i calcescisti a fu- coidi essere immediatamente sovrapposti, ciò potrebbe dipendere dal fatto che in tali regioni venne a mancare il deposito dei calcari marnosi biancastri del bartoniano inferiore, che anche nell alta Val Parma non presentano un eccessivo sviluppo e si vanno ìiducendo gradatamente a mano a mano che procedono verso valle. Al di sopra di questi calcari vengono le arenarie a grana minuta, micacee, a Paleodictyon majus, sulle quali riposano le stesse brecciole nummulitiche. 156 M. ANELLI Quanto poi alle sovrastanti masse isolate di arenarie a facies di macigno con lenticelle conglomeratiche, ho già detto come nella carta geologica dello Zaccagna sono indicate colla tinta del macigno. Ma mentre il vero macigno dello spai t i a eque e sottoposto alla serie scistoso-calcarea, le lenti ora accennate in- vece sono sovrapposte e, a meno di non volere interpretare la potente pila del macigno dello spartiacque come piegata in sin- clinale coricata e quindi incuneata e sovrapposta agli scisti, mi sembra che le due formazioni debbano essere tenute ben distinte. Il Prof. Sacco invece propenderebbe a ritenerle cretacee e nota la somiglianza tra i conglomerati e la puddinga cietacea di Sirene in Lombardia. A me sembra che il loro riferimento al bartoniano inferiore sia fuori di dubbio. Infatti a M. Cavardello poggiano sopra gli scisti con brecciole nummulitiche sovrastanti alle arenarie a P. majus ; al Castello di Graiana sono esse stesse nummuliti- fere e ricoperte dalle brecciole nummulitiche contenenti la so- lita fauna. Forse queste arenarie, di cui non ho trovato l’equivalente nella zona dello Sporno, si debbono considerare come una fa- cies locale della formazione scistoso-calcarea del bartoniano in- feriore. Succedono poi gli scisti ofiolitiferi con lenti ofiolitiche; quindi dei calcari compatti e dei calcari siliciferi alternati e una zona di calcari color cenere piombo, sino a che si giunge alla for- mazione dei calcescisti a fucoidi. Questi predominano nella media "\ al Parma e presentano sempre alla base i calcari color cenere, i calcari siliciferi e com- patti e le zone rossigne, che localmente assumono un grande sviluppo. Tutta questa serie di passaggio riposa nella media Val Parma sugli scisti ofiolitiferi e nella bassa vallata sulle argille sca- gliose, le quali alla loro volta sono sovrapposte alla cosidetta formazione dello Sporno. Questa, sviluppata specialmente nella bassa Val Parma, consta alla base di scisti argillosi con stra- terelli di arenaria e calcare e superiormente di maruoscisti e di calcari marnosi, biancastri, fucitici con intercalazione a tutti i livelli di brecciole nummulitiche che presentano le torme ca- L’EOCENE NELLA VALLATA DEL PARMA 157 ratteristiche del bartoniano inferiore : e quindi parallelizzabile con quella scistoso-calcarea nell’alta vallata. Mi è riuscito particolarmente difficile lo studio della tetto- nica della Yal Parma, a causa delle numerose frane e della man- canza di buoni spaccati naturali. Ad ogni modo dai rilievi che bo potuto fare, sia in questa che nelle vallate vicine, credo di potere così riassumere per sommi capi: Il grande anticlinale dello spartiacque appenninico con direzione NO-SE si collega, mediante pieghe secondarie, con un grande ellissoide allungato, il cui asse maggiore ha direzione SO-NE e si estende presso a poco dal R. Ronco Vecchio al R. Lucconi: è inciso nel mezzo dal corso del Parma. Sulla sua metà settentrionale, sui suoi orli sono disposti i calcescisti a fucoidi piegati in una sinclinale coricata, aperta verso SE, SSE, S, nel versante sinistro del Parma; verso SSO, SO nel destro. Vi appartengono i calce- scisti di M. Polo, M. Bocca Spiaggi, M. Cervellino, M. Caio. Questo sinclinale si collega con un anticlinale rovesciato verso lo spartiacque; nel suo nucleo affiorano gli scisti ofìol i- tiieri, i grugni ofiolitici e i calcari siliciferi ; il suo asse è di- retto dal M. Sprela e dal M. di Pugnetolo verso M. Fornello e M. Rotondo. Ad esso tien dietro in tutta la media Yal Parma una grande sinclinale nei calcescisti a fucoidi, continuazione della sincli- nale di M. Cassio in Val Baganza ; la sua gamba meridionale e bene sviluppata e regolarissima; la settentrionale invece, ir- regolare e ridotta, si appoggia ad una anticlinale costituita dai calcari marnosi della zona dello Sporno. Finalmente questa, per mezzo di una sinclinale e di rughe secondarie, si collega ad un complesso di pieghe, sempre interessanti la stessa formazione, rovesciate verso la pianura padana. Presento a parte uno specchietto comparativo delle forma- zioni eoceniche nell’alta, media e bassa Val Parma, nella tav. IV uno schizzo della vallata con le linee direttrici delle principali pieghe, e nella tav. V tre interessanti sezioni. [ms. pres. il 4 maggio 1908 - ult. bozz. 8 luglio 1908]. Alta Val Parma. Media Val Parma. ! Bassa Val Parma. a a* £ o £ bc bJj £ © bc c « O £ GQ 2 £ **> £ oq £ 5 £ -^ £ co £ £ *5 bc c3 bC £ •- a? © £ £ £ bc o "3 s GQ O £ £ £ s-< 73 a £ £ o3 £- 0jou9dns 9X10009 o «£ JD T3> © « £ £ ^ bC g £ £ fan E £ jd bc o y= o Oip9U3 otnuao^rBq i % 1 1 n in ra ti a 9 ipio^iqjo p'B 9ioioo9.iq uoo bC co £ bc £ «g. £ S o £ et ’S) £ £ .£ £ O CI © •£ bc o 34 Allumina 4,56 Carbonato di Mg. . . • 8,98 Carbonato di Ca. . . . 8 / ,1 z' Aggiungeremo pure che la roccia in varii luoghi si pre- senta disposta in grossi blocchi, colla stratificazione del tutto mancante; i blocchi presentano alla lor volta una singolare struttura brecciosa, e specialmente verso la base del monte a roccia si mostra in isfacelo, dando una minutissima ghiaia, usata perle vie di poco attrito. La causa principale di questo feno- meno deve ritrovarsi negli stiramenti e negli strappi che la parte N-E dell’elissoide subì nel corrugarsi; e vedremo, par- lando della tettonica, come per Spiegare la disposizione degli strati infraliassici e la mancanza dei terreni superiori verso a valle di Cenerente e dell’Oscano, sia necessario ammettere una piega-faglia. Ma, inoltre, quando la roccia, così frantumata, si trovò innalzata a qualche centinaio di metri sul livello del mare, dovè sottostare all’azione delle pioggie e del gelo. Per opera (i) Verri, Cenni sulle formazioni dell’Umbria settentrionale. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. SVI, p. 200. IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 165 di questi agenti nella pendice del monte dovettero formarsi glandi ammassi di bieccie incoerenti, le quali in seg'uito furono ricementate dalle acque. Ritornando ora alla soprannominata terra, come risulta dal- 1 analisi lipoitata, essa non e altro che un calcare dolomitico pulverulento, ricco di granuli silicei. Essa dunque ha quasi la medesima costituzione della roccia soprastante e risulta da un più minuto sfacelo della roccia medesima. Anche attualmente lungo la via, che conduce a Capocavallo, nei disgeli invernali si vede in varii punti defluire una melma grigiastra, del tutto simile alla « cenere » in questione. Dimostrata così l’origine dei depositi polverulenti, resta a spiegare il grande spessore che questi presentano nella conca di Cenerente. Negli ultimi tempi dell’epoca terziaria questa conca doveva essere chiusa a Capocavallo, anche là dove ora, è aperta dall’alveo del torrente Oscano. Per il fatto che in al- cune escavazioni sono state rinvenute ghiaie torrentizie è lecito suppoi re costì un lago: i detriti pulverulenti dei calcari che si disgregarono venivano portati dalle acque piovane in questo specchio lacustre, ove si depositavano sul suo fondo. Quando poi il torrente Oscano ebbe colla sua erosione in- ciso profondamente l’argine di frontiera, anche le acque del lago stesso affluirono dal loro bacino, l’evaporazione finì di pro- sciugare le acque rimanenti, ed i depositi della « cenere » po- terono così rimanere scoperti. Retico. Alla roccia del Dachstein succede un altro calcare molto scuro, in alcuni punti di un nero ben deciso, alternante con scisti marnosi. Nel fosso sotto il Toppo del Maiale compare un calcare compatto, talmente pieno di fossili, da costituire una vera e propria lumachella. Le specie ivi trovate sono le se- guenti : Natica subovata Mtinst. Naticopsis retliica nov. sp. Cìiemnitzia sp. ind. Dimya intusstriata Emm. 166 P. PRINCIPI Anomia striatala Opp. Anomia Mortilieti Stopp. Anomia Alpina Opp. Avicola Tofanae Bittner. Mytilus liasinus Terq. Mytilus sp. ind. Modiola rustica Terq. Modiola subcarinata Bitt. Modiola pygmaea Munst. Nucula subobliqua D’Orb. Pecten Helilii D’Orb. Pecten sp. ind. Rhynclwnella portuvenerensis Gap. Rhynchonella timbra nov. sp. Encrinus granulosus Miinst. Cidaris sp. ind. Verso la macchia di Resela, risalendo il fosso dei Sodacci, si osservano anche delle piccole lenti di un calcare nero ve- nato di giallo, che richiama alla mente il portoro della Spezia. Il calcare retico, in generale, si presenta quasi sempre imper- fettamente stratificato; al microscopio appare con struttura cri- stallina, cosparso di sezioni anulari di calcite opaca con nucleo trasparente, le maggiori delle quali sono anche visibili ad occhio nudo, raggiungendo persino un millimetro e mezzo di diametro. Generalmente sono arrotondate, alcune però si presentano ristrette verso le due estremità. _ . È da escludersi che siano ooliti, mancando ogni indizio di strati concentrici; invece per la particolare struttura dell’anello calcifico, in cui si scorgono traccie di corpuscoli rotondeggianti, sono probabilmente da riferirsi a sezioni di Gyroporella. Sotto- posto ad un saggio chimico appare abbastanza ricco di car- bonato di magnesio. Anzi tra questo calcare e quello del Lias inferiore si trova spesso una roccia di aspetto decisamente do- lomitico; ridotta in lamine sottili, si mostra un impasto di cal- care cristallino, parte opaco, parte trasparente. Questo terreno, stratigraficamente e litologicamente connesso al Dachstein , per la fauna che contiene deve riferirsi agli sfiati 167 IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO ad Avicola contorta Porti, quantunque vi manchi questa specie caratteristica. Intatti la presenza della Dimya intusstriata Emm. dell’M- nomia striatala Opp. dell Anomia Mortìlleti Stopp., della lìhyn- cìionella portuvenerensis Gap. ecc., ci fanno scorgere chiaramente il valore stratigrafìco di quel terreno. È tuttora discussa la questione se il Ketico debba riferirsi al Trias piuttostochè al Lias, essendo esso ritenuto da molti come anello di congiunzione tra il Keuper nel Trias ed il Lias nel Giura; Giimbel fu il primo a considerarlo come il piano più alto del Trias, denominandolo piano Retico ( RoetiscJie - Grupp). Ma questa interpretazione sul valore cronologico di questo piano lenne combattuta dal Martin (’), il quale sostenne la posizione del Retico alla base del Lias, come il primo ed il più antico ter- reno del sistema giurassico. I geologi francesi fra cui il Lap- paient (2) accettano in generale quest’ultima posizione del re- tico, che unito al sovrastante Hettangiano costituirebbe lTn- frahas. I geologi tedeschi, invece, tengono a riferirlo alla parte più alta del Trias. Lo Stoppani (3) considerando gli strati a Megalodon Gum- leli Stopp. come la parte del Trias più elevata, chiamò Infralias le formazioni inferiori del sistema giurassico e vi distinse due zone: una inferiore rappresentata dagli strati ad Avi A con- torta Port. ed una superiore, o strati a fauna di Hettange ca- ratterizzati dalla presenza della Terebratula gregaria. Il Capellini (4) ritiene il piano infraliassico distinto sia dal Trias che dal Lias e lo divide in due parti : la superiore data da calcare dolomitico e marmo portoro, la inferiore da calcari grigio-cupo fossiliferi e da scisti a Bactryllium. Il De Stefani (5), ritornando esso pure sulla questione, si trova in accordo collo Stoppani, credendo cioè che i dati paleonto- CJ Martin, Étage rhaetien ou Zone à Av. Contorta. Bull. Soc Géol Frane., 2» sèrie, T. XXII, 1865, pag. 369. (2) Lapparent, Traité de Geologie , li, pag. 1103. (3) Stoppani, Corso di Geologia, voi. 2°, pag. 408. C) Capellini, Studi stratigrafici e paleontologici sull’ Infralias nelle Montagne del Golfo di Spezia, 1862, p. 80. (6) De Stefani, Della nomenclatura geologica, pag. 17. 168 P. PRINCIPI logici in generale «valgano maggiormente ad appoggiare 1 o- pinione di coloro ciré vogliono riunita la zona ad Avicula contorta al Lias anziché al Trias » e mostra come le scarse ammoniti rinvenute hanno analogie con quelle della zona ad Aegoceras planorbis; la flora della Germania settentrionale ha tipo più liassico che triassico, e maggior affinità col Lias liauno i Sauriani del Bonebed. Altri geologi, al contrario, sostengono appartenere al Trias superiore i calcari ad Avicula contorta. L’Arthaber ( ) rifeiendo al Norico gli strati a Megalodon Gumbeli considera il Letico come l’ultima e più recente suddivisione del Trias. Anche al Fucini ((i) 2) sembra che, tenuti in debito conto gli argomenti portati per sostenere ambedue i pareri, si debbano ascrivere al Trias gli strati ad Avicula contorta , come membri più elevati del Keuper. E così pure il \ inassa (3), seguendo il parere dell’Arthaber li considera come Trias superiore. Nel M. Malbe il Retico si mostra alla sua volta strettamente connesso col Lias inferiore, non solo litologicamente, ma anche per i fossili che esso contiene. Così il Pectcn Hehlii d’Orb., il Mytilus Masinus Terq., la Modiola rustica Terq., ecc, sono specie di non dubbio valore liassico e ci dimostrano come il Retico passa agli strati superiori mediante la serie hettangiana o m- fraliassica propriamente detta. Nei calcari retici ad est del Toppo Tanella trovansi dei de- positi di gesso a struttura saccaroide, simile ai gessi che si trovano nella valle di Cenerente. Tanto nell’un posto che nel- l’altro sono assai abbondanti, e fino a pochi anni or sono esi- stevano delle cave anche nella prima località, abbandonate poi per la difficoltà del trasporto. Ora il gesso si estrae solamente a S-E di S. M. di Cenerente, ed il colore di esso, grigio-scuro, è affatto simile a quello delle roccie retiche e del Dachstein vicine, I due depositi stanno in stretta relazione fra di loro e (i) Arthaber in Lethaea geognostica unter der Redaktion von Frech; II Theil. Das Mesozoicum. 1 Band, pag. 254. (*ì Fucini. Sopra gli scisti lionati del Lias inferiore nei dintorni di Spezia. Atti d. S. Tose. Se. Nat. 1906, p. 47. (3) Vinassa de Regny, Fossili retici di C aprona Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXV, 1906, p. 845. IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 169 la loro origine deve attribuirsi ad un’unica causa. Già il Verri (*) escluse che questi gessi potessero rappresentare il piano dei gessi liassici. È probabile, invece, che la formazione gessosa non sia altro che il risultato della trasformazione del carbonato in solfato di calcio per opera di sorgenti solforose e di putizze. Diremo che una sorgente di solfuro idrico si manifesta poco lontano da Pieve Petroia ad ovest di Monte Tezio, le emana- zioni della quale, specialmente nelle giornate umide si sentono anche a notevole distanza. Un’altra si trova poco lontana dal- l’alveo del torrente Caina; ed alle falde di Monte Acuto, verso U-O, esiste una pozzanghera, nelle cui acque il suddetto gas gorgoglia. Lias inferiore. In alcune località, al terreno ora descritto, succede in concor- danza un calcare finemente compatto e di grana uniforme, il quale per le frequenti traccie dei fossili che contiene deve ri- ferirsi al Lias inferiore. Nel Monte Malbe esso forma come una striscia, che delimita gli strati retici, interrotta però in vari Punti lungo la costa settentrionale di Monte Pulito, sotto il Poggio Montione e presso Migiana. Solamente ad ovest dei Cappuccini fa passaggio al Lias medio; nelle altre località si perde co- stantemente sotto gli strati del Cretaceo. Così sotto il Toppo del Maiale, presso il Podere Poggiaccio, ad ovest del Podere Petra ecc., viene a contatto diretto cogli strati senoniani e per un breve tratto tra Migiana ed il Podere Romitorio confina col calcare grigio cretaceo. Un altro affioramento del Lias inferiore appare lungo le pen- dici occidentali di Monte Torrazzo. Anche qui esso succede in concordanza al calcare nero retico ed è limitato in alto dal Cre- taceo superiore. La costituzione geologica delle roccie del Lias inferiore è identica a quella che si riscontra in altri affioramenti umbri dello stesso terreno. È un calcale massiccio, a struttura ceroide ed il suo colore generalmente biancastro varia assai nei diversi punti, passando dal bianco quasi perfetto, come si può ( ) Verri, Appunti per la geologia dell’ Italia centrale. Boll. Soc. Geol. lt-, 1885, p. 125. 170 P. PRINCIPI osservare a N-0 dei Cappuccini, al giallastro ed al grigio az- zurrognolo, ad ovest della Macchia di Resela e del Toppo del Maiale, e questa variabilità nel colore sta in relazione colla maggiore o minore durezza della roccia e colle sostanze che concorrono alla sua composizione. Nel Monte Tezio il Lias inferiore forma una larga striscia verso le pendici orientali, che da nord del Monte < ivitelle si estende fin verso C. Piè di Monte. In due punti a S-E del po- dere Romitorio e ad ovest di Migiana appare concordante cogli strati del Lias medio; mentre di faccia al Monte Civitelle è ricoperto dai calcari rossi titoniani ed in tutta la rimanente estenzione dai calcari grigi con selce del Neocomiano. Il Lias inferiore compare pure tra Monte Gudiolo e Monte Tezio, a cui succedono immediatamente i calcari rosei e gtigi della Creta; ed un altro affioramento della stessa età va a co- stituire il poggio del Castello di Monte Nero, a cui si sovrap- pone direttamente il calcare senoniano. La roccia del Lias inferiore esaminata al microscopio pre- senta struttura cristallina minuta; sono scarsissimi i lesti di foraminifere. La stratificazione è incerta o mancante : presenta numerose fenditure o litoclasi, che alle volte possono prendere l’aspetto di veri piani di stratificazione; ma la confusione dif- ficilmente può avvenire, giacche il parallelismo tra le due su- perfici limiti delle fessure non si continua per molta distanza. Inoltre il calcare contiene quasi sempre traccie di residui or- ganici, i quali si scorgono sulla superficie della roccia esposta all’erosione meteorica; e, quantunque difficilmente isolabili, si possono nella maggior parte dei casi riferire a gasteiopodi e ad articoli di crinoidi. Lias medio. La roccia che presso i Cappuccini di Monte Malbe e presso Migiana di Monte Tezio succede con perfetta continuità e gra- duale passaggio al Lias inferiore è un calcare grigio chiaro con letti o straterelli di selce, perfettamente stratificato. Esso pre- senta una frattura concoide ed è alle volte sonoro alla percus- sione ; al microscopio appare un impasto di frammenti calcarei, IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 171 che sembrano minutamente cristallini ; vi sono frequenti i fram- menti di quarzo, mentre rare sono le traccie di corpi organici. Riferiamo questo calcare al Lias medio, sia per la sua po- sizione, sia per le molte relazioni che esso presenta con altre località umbre della medesima età. Infatti esso appare sempre in affioramenti di piccola estenzione ed esattamente concordante colla sottostante roccia del Lias inferiore. E cosi pure nel gruppo montuoso di Amelia (') compare in lembi piccoli contenenti traccie di fossili e nei dintorni di Terni e di Narni si presenta sotto il medesimo e caratteristico aspetto. Noteremo tuttavia che nel Monte Malbe e nel Tezio manca la zona di calcari rossi a cri- noidi, che si trova nelle due regioni sopra accennate tra il cal- cale a gasteropodi del Lias inferiore ed il calcare grigio selcioso del Lias medio. Ma è sopratutto importante rilevare come nel Monte Malbe e nel Tezio non si verifica alcuna discordanza tra il Lias medio ed il Toarciano, discordanza ammessa, invece, dal Lotti (2) nei territori di Narni e di Rieti. Aggiungeremo che questo fenomeno di discordanza è negato dal De Stefani per altri terreni dell’Appennino centrale. Lias superiore. Il Lias superiore o Toarciano è ben distinto per la sua fauna caratteristica. Le specie trovate sono le seguenti : Phylloceras Spadae Megh. » Capitami Cat. » Selinoides Megh. » Dodorleinianum Cat. » frondosum Reynès Lytoceras cornucopia Y. et B. » Dorcadis Megh. » spirorbis Megh. (') Lotti, Rilevamento geologico nei dintorni di Amelia. Boll. R. Com. Geol. Ita!., 1902, n. 2, pag. 95, 96. (2) Lotti, Osservai, geologiche nei dintorni di Rieti. Boll. R. Com Geol. Ita!., 1906, p. 287. 172 P. PRINCIPI Lytoceras velifer Megli. » catriense Bonar. » auclax Megh. Hilcloceras bifrons Brng. » retrorsicosta Opp. » comense De Buch. » erbaense Hauer » Mercati Hauer » Levisoni Simp. Harpoceras fallaciosum Boyl. » boscense Reyn. » falcifer Sow. » discoide Zieten. Coeloceras subarmatus Young a. Bird. » Dcspìacei D'Orb. » crassum Y. a. B. » annulatiforme Bon. » cólubriforme Bettolìi Hammatoceras Heuss i H. Esso può dividersi facilmente in due sottopiani: 1) Zona a lurense costituita da marne o calcari rossi con numerosi Phylloceras (Pii. dodorleinianum, Capitane i, Spadae); Lytoceras (dorcadis, velifer, cornucopia ); Harpoceras (fallacio- sum, discoide); Coeloceras subarmatus. 2) Zona a Falcifer costituita da marne schistose talvolta arenace e grossi strati di calcari marnosi con Harpoceras fal- cifer, Sow., Hildoceras bifrons, H. Mercati, H. Levisoni, Ham- matoceras Eeussi, Coeloceras Desplacei , ecc. I calcari marnosi rossi del Lias superiore si distinguono fa- cilmente da quelli del Senoniano, oltreché dalla loro differente posizione stratigrafica, anche per il loro esiguo sviluppo, in con- fronto alla grande diffusione, che invece manifestano i calcari cretacei. Essi, poi, sono di una tinta rosso-cupo con estese mac- chie grigie rotondeggianti e contengono quasi sempre ammoniti. All’esame microscopico la roccia appare un impasto minu- tissimo amorfo, senza che possa separarsi la mateiia colorante, eccetto alcune venature di calcite, non vi è nessuna traccia di 173 W IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO mateiiali cristallizzati; ed i frammenti di foraminifere, appar- tenenti la maggior parte alla famigdia delle Globigerinidae, sono scarsissimi, all’opposto di quello che si verifica nel calcare se- noniano. Appariscono inoltre delle sezioni spiraliformi, le quali pei alcuni caratteri, fra cui le dimensioni, si differenziano da quelle altre di foraminifere, e che sono con molta probabilità da attribuirsi a resti embrionali di ammoniti. Infatti nell’opera del Branco sui Cefalopodi fossili (Q si trova nelle varie illustra- zioni, che dà l’Autore, una figura di ammonite embrionale, che corrisponde alle sezioni trovate nella roccia in questione. La camera iniziale nel più dei casi è riempita di numerosi cristal- letti di calcite, e la linea spirale non rappresenta altro che il tubo sifonale. Del resto è impossibile farne una determazione anche ge- nerica. Il Lias superiore nel M. Malbe e nel Tezio non solo succede in concordanza col Lias medio, ma lo si trova anche compieta- mente circondato da terreni più recenti. Presso Pontana e sotto le pendici S-E della Trinità è rappresentato da scisti calcarei marnosi grigi alternanti a grossi strati di marne: sono piuttosto frequenti 1 Hildocevas bifrons Brug., l’ Hildocevcis Co mense De Buch, 1 Hildoceras erbaense Houer. Questo affioramento toarciano e il più importante di quelli, che si riscontrano nel Monte Malbe, sia per l’estensione relativamente grande che ha, sia per i numerosi fossili, che ivi si rinvengono. Vicino a Migiana il Lias superiore occupa una superficie ristrettissima ed appare sotto forma di calcari rossi con nume- rose traode di ammoniti. Gli stiati toarciani si mostrano, poi, tra il Podere Poggiaccio ed i Cappuccini. Ivi sopratutto si possono nettamente distin- guer le due zone suddette; infatti in basso, il terreno è for- mato da scisti argillosi rossi, e superiormente da calcari rossi e giallastri. Nel Monte lezio il Lias superiore appare particolarmente fos- silifeio sulla sponda sinistra del Fosso di Colognola, a nord di ( ) Bianco, Beitràge xur EntwicJcelungschìchte der fossilen Cepìialo- poden. Palaeontographica, voi. 23-27, Theil II, Taf. X, fig. 5. P. PRINCIPI 174 C. Massole; quivi è interamente limitato dai calcari rosati e grigi del cretaceo. Mentre verso le pendici orientali e precisa- mente verso Migiana gli strati marnosi ammonitiferi succedono al Lias medio e sono ricoperti alla loro volta dai calcali iossì titoniani. Un ultimo affioramento del Lias superiore lo troviamo a Monte Elceto di Murlo e precisamente presso C'. Piè di Mudo. Ed anche qui la fauna ammonitica non è dissimile da quella che si rinviene nelle altre località. Aleniano. La parte più alta dei calcari rossi, attribuiti al Lias supe- riore, può forse essere riferita all Aleniano. Questo riferimento, tuttavia, nel Monte Malbe è da farsi solo in forma di semplice ipotesi, giacché non vi è stato ancora trovato alcun fossile ca- ratteristico di quel piano. Per il Tezio, invece, lo Zittel (*) e quindi il Bonarelli (*), citano il rinvenimento di un Erycites fallax, il quale venebbe così a dimostrare assai chiaramente l’esistenza dell’ Aleniano in quest’ultimo gruppo mesozoico. Ad ogni modo è quasi impossibile tracciare nella carta geo- logica una netta linea di contine tra il Toarciano e l’ Aleniano, per la quasi identica costituzione litologica e la scarsità o man- canza assoluta di fossili. Titoniano. Dopo il Lias superiore succede invariabilmente nel Monte Malbe una formazione diasprina, caratterizzata da strati silicei scistosi rossi, verdicci, violetti e da calcari grigi con selce ver- dastra sottilmente stratificati. Questi diaspri risultano al solito di silice amorfa commista a piccole quantità di ossido di ferro o di idrati metallici; sono compatti con tendenza alla scistosità (1) Zittel. Geologiche Beohachtungen aus den Central Appennm. II, Mitteres Lias, 1869, pag. 48. (1 2) Bonarelli, Osservazioni sul Toarciano ed Aleniano dell Appennino centrale. Boll. Soc. Geol. It., voi. XXI, 1893, pag. 234. 175 IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO e si presentano quasi sempre ben stratificati. Il colore è assai vario, ed al microscopio appariscono amorfi ed omogenei con resti di radiolarie indeterminabili e spieule di spugne. Presso Fontana, ad est, le marne rosse ammonitifere sono coperte da questi diaspri variamente colorati, i quali in alcuni punti per 1 abbondanza dell’elemento calcareo prendono l’aspetto di ftaniti; e così pure al calcare rosso di Migiana, e all’altro affioramento del Lias superiore fa seguito una serie di strati costituiti da scisti selciosi e marnosi, i quali si adagiano sul terreno sottostante. Nel Monte Tezio, invece, il Titonico è rappresentato da calcari rossi, i quali si adagiano sugli strati ammonitiferi del Lias supe- riore, lungo il tratto che corre da Migiana verso il Podere Morosa. Però non sempre questo terreno succede al piano precedente; poiché a N-0 del Podere Komitorio nel Monte Malbe e presso il Monte Civitelle, nel gruppo del Tezio si trova direttamente sui calcari biancastri del Lias inferiore. Questa sovrapposizione del Titonico al Lias inferiore, oltre ad essere stata notata dal Canavari (‘) presso Camerino, fu rilevata pure dal Lotti (2) sotto la città di Kami e sulle pendici occidentali della catena Sabina. Neocomiano. Al terreno ora descritto fanno seguito in alcuni punti degli strati di calcare di notevole potenza, il quale è privo di fossili, ma per le relazioni che esso presenta con altri affioramenti fos- siliferi dell’Appennino centrale, può probabilmente riferirsi al Neocomiano. Questi calcari si presentano ora suddivisi in strati di varia- bile spessore, ora invece a stratificazione confusa. Il loro colore non si mantiene sempre identico, ma varia da luogo a luogo, passando dal bianco cenerognolo, al verdastro e ad un grigio (’) Canavari, Un nuovo esempio di discordanza tra il Titonico ed il Lias nell App. centrale. Processi verbali della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. Vili, 1891, pag. 12-13. (2) Lotti, I terreni secondari nei dintorni di Nani e di Terni. B oli. R. Com. Geol. Ital., 1903, n. 1, pag. 15. 176 P. PRINCIPI plumbeo. Ridotti in lamine sottili si scorgono delle Orbuline immerse in una pasta amorfa: sono inoltre frequenti delle se- zioni di cubi di pirite e di cristalli di quarzo. Gli stessi calcari, spesso ricchi di selce, confinano in basso con diaspri e calcari titonici, e nella parte superiore sono limi- tati da scisti grigi rossastri e verdicci con numerose fucoidi. Ma il Canavari (Q dimostrò come gli scisti a fucoidi dell Ap- pennino centrale, per la posizione stratigrafica e per i fossili contenuti, possono ascriversi aH'Albiauo, o Neoeomiano superiore. E perciò quegli strati calcarei che si trovano tra i diaspri tito- nici ed i suddetti scisti varicolori appartengono alla parte infe- riore del Cretaceo. Questa roccia compare nel Malbe lungo il pendio orientale della vetta più elevata del monte ed è bene distinta da un’altra pila di calcari grigiastri per la zona scistosa a fucoidi, la quale forma una striscia che si estende dalla strada campestre, presso • la Trinità, fin quasi al Parco di Fontana. Anche nel gruppo del Tezio compare massimamente sviluppata lungo il versante orien- tale, tanto nel rilievo principale quanto negli altri affioramenti secondari paralleli a quest’ultimo, i quali costituiscono i Monti Giuliano, Elceto di Murlo, S. Croce, Mussarello e Gudiolo. In alcune località, però, il calcare Neoeomiano fa seguito diretta- mente al calcare rosato, come si può osservare specialmente verso la parte più elevata di Monte Pulito; presso Migiana di Monte Malbe è a contatto diretto colla scaglia cretacea e nella collina di Mantignana un sottile lembo di scisti a fucoidi sepaia il calcare rosa seuoniano dal calcare grigio in questione. In parecchi punti il Neoeomiano si sovrappone immediata- mente ai terreni più antichi. Infatti a N-0 del pai co di Fon- tana, presso Migiana di Monte Malbe, a nord di C. Massole nel Tezio e presso C. Piè di Murlo lo si osserva a contatto del Lias superiore ; presso il Toppo Tanella nel Malbe lo troviamo sopra il Lias inferiore ed i calcari neri del Retico e lungo il versante orientale del Tezio compare direttamente sulla roccia fossilifera del Lias inferiore. (Q Canavari, Gli scisti a fucoidi e gli scisti bituminosi dell App centrale. Processi verbali della Soc. Tose, di Se. Nat., 1881, pag. 6. 177 IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO Come già abbiamo accennato, in alcuni punti al di sopra della zona scistosa a fucoidi affiorano dei calcari biancastri con noduli o lenti di selce grigia, i quali, poi, fanno graduale pas- saggio al calcare rosato del Senoniano inferiore. E forse questa roccia essendo tra il Aeocomiano superiore e la parte più ele- vata del Cretaceo, può attribuirsi al Cenomaniano ; ma per la man- canza assoluta di fossili, non possiamo affatto controllare questa asserzione. Essa appare in affioramenti abbastanza estesi sul pendio occidentale del Monte Malbe e del Tezio. In alto sono limitati da un’alternanza di calcari rossi e grigi, come si può bene os- servare, salendo la mulattiera che da Chiugiana conduce alla Trinità, e va poi a terminare a contatto degli scisti vari- colori. Questi calcari sono a strati esigui ; hanno un colore grigio chiaro e frattura concoide. Al microscopio risultano un impasto uniformemente omogeneo di piccolissimi elementi calcarei, senza che \i si possa riconoscere alcuna traccia di cristallizzazione, pre- scindendo dalle vene, che li solcano, e che sono sempre riempite di calcite, o che risultano di frammenti calcarei cementati da cal- cite. Si riscontrano anche residui di foraminifere, di cui è im- possibile fare una determinazione anche generica. Senoniano. Il Senoniano è rappresentato dai vari tipi di rocce, le quali, mancando affatto di fossili, potrebbero pure rappresentare la parte inferiore dell’Eocene. Tuttavia per l’analogia con altri af- fioramenti fossiliferi della medesima età lo abbiamo distinto in due sottopiani : inferiore e superiore. Il Senoniano inferiore è costituito dal calcarejrosato, così detto per il suo colore rosso sfumante al rosa; if superiore è formato dalla scaglia rosata, la quale gradualmente passa alla scaglia cinerea eocenica. Il calcare alquanto marnoso, che si trova nella parte più bassa del Senoniano, si mostra sempre ben stratificato infbanchi i spessore poco notevole, ma assai diffusi infsuperficie. Esso passa dal rosso cupo al rosso chiaro : al microscopiofsi rivela un 13 P. PRINCIPI 178 impasto di globigerine ed orbuline ( Eotalia , Textularia) molte delle quali rotte e frammentarie. La roccia, che si estrae in diverse località, viene general- mente usata come ghiaia; solo in alcuni punti presentandosi assai compatta è adoperata come materiale da costruzione. Alle volte i calcari rosati si mostrano spezzati ed i frammenti, poi, appaiono rilegati successivamente da vene spatiche. La scaglia rosata è costituita da scisti calcarei, più spesso di un colore roseo, ma alle volte giallastri e verdicci, i quali, divenendo man mano sempre più ricchi di argilla, tanno gra- duale passaggio all’Eocene tipico. In generale questa foi ina- zione si dispone a zone di vario colore: sali di tono e di man ganese determinano probabilmente la grande varietà nelc oloie, del resto la loro costituzione litologica è abbastanza uniforme, trattandosi di scisti in prevalenza calcarei. L’esame microsco- pico di essi mostra come sia quasi completamente scomparsa ogni traccia di elementi clastici che abbiano conservato la loro natura litologica; si presentano solo delle macchie verdastre, che per motivo degli scarsi colori di interferenza ritengo potersi riferire a clorite. Yi si osservano anche numerosi gusci di fo- raminifere, sopratutto di Globigerine ed Orbuline. Il Senoniano è abbondantemente rappresentato nel gruppo del Monte Malbe e del Monte Tezio; si adagia talvolta sul cal- care probabilmente cenomaniano, ma più spesso si trova a con- tatto con altre formazioni più antiche. L’affioramento più importante nel Malbe è quello che ap- pare lungo il versante S-0 ; anzi si può dire che da sotto Coi- ciano forma una serie ininterrotta fino al Piano di Massiano. In esso sono rappresentati tutti e due i sottopiani, in cui abbiamo diviso il Senoniano. Lungo la strada, che da Migiana va verso l'Olmo, si osserva distinta la scaglia cinerea; questa, però, presenta uno spessoie abbastanza esiguo e fa passaggio alla scaglia rosata, la quale invece presenta una notevole estensione sopratutto a sud di Fon tana, ove è colorata in rosso cupo intenso, e potrebbe confon- dersi colla roccia del Lias superiore lì vicina, se quest’ultima non fosse ben individuata per la sua fauna ammonitica. In basso compariscono pochi strati di calcare rosato, dal quale si IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 179 passa gradatamente al calcare grigio biancastro da noi dubita- tivamente riterito al Cenomaniano. La scaglia rosata è estesamente rappresentata anche a Monte Pulito, dove confina verso ovest colla roccia del Neocomiano e viene poi in contatto diretto col Retico. Questa notevole discor- danza si nota in varii punti del Monte Malbe ; così presso Casa Castalda il calcare rosato riposa sui calcari biancastri del Lias inferiore, e su quelli grigio-cupi del Retico; presso il Podere Poggiaccio e presso il Romitorio la scaglia rosata è pure in contatto con questi due ultimi terreni, e poco lontano da Mi- giana un sottile lembo di scaglia cinerea giace direttamente sul Retico. A nord di Monte Torrazzo si trova un altro affioramento Senoniano, ed anche qui vediamo come il calcare e la scaglia rosata giacciono sulle formazioni del Lias inferiore e del Retico. Nella collina di Mantignana il cretaceo superiore è rappre- sentato in particolar modo da un calcare giallastro con sfuma- ture rosee, sottilmente stratificato, e da calcari marnosi di un rosso violetto ; e questa formazione, come si è notato in prece- denza, è separata dal Neocomiano per mezzo di una sottile zona di scisti varicolori a fucoidi. Il Senoniano presenta grande sviluppo anche a sud di Monte Malbe, ed anzi costituisce quasi interamente il Monte La- cugnano: il calcare rosato, a frattura irregolare e terrosa, va gradatamente confondendosi per un seguito di cambiamenti li- tologici con una grande massa di scisti marnosi rosso-cupi: questi, poi, elevandosi, diventano giallastri e verdi, e quindi si colorano totalmente in grigio, conservando questo aspetto fino al contatto della roccia eocenica. Nel gruppo del Monte Tezio il cretaceo superiore forma tutto 1 vei'sante S~° del rilievo principale; in alto è rappresentato al solito, dal calcare rosato, in basso dalla scaglia sulla quale poi si sovrappongono gli scisti eocenici. Il Senoniano va poi a costituire interamente il Monte Elcetino e le pendici occiden- tali di Monte Civitelle, di Monte Giuliano, di Monte Elceto di Mimo, di Monte S. Croce, M. Mussarello e M. Gudiolo, pre- sentando sempre il medesimo aspetto litologico. Ed anche nel ezio troviamo esempi in cui il Senoniano si adagia su forma- 180 P. PRINCIPI zioni più antiche; a nord di Colognola il calcare rosato va a ricoprire in parte gli strati ammonitiferi del Lias superiore ; presso il Castello di Montenero la scaglia rosata si sovrappone al cal- care del Lias inferiore; il quale, poi, anche tra Monte Gudiolo e M. Tezio viene a contatto con il suddetto calcare cretaceo. Dei terreni più recenti, che circondano i due gruppi meso- zoici, abbiamo già parlato nell’introduzione. Diremo qui come fra questi il più riccamente rappresentato è l’eocene. Lungo tutto il versante occidentale ed orientale del Monte Tezio e lungo il versante occidentale del Monte Malbe l’eocene è rappresentato da una rilevante zona di argilloscisti, 1 quali per l’effetto delle acque imprimono un aspetto particolare alla mor- fologia del terreno. Invece, per la massima parte del versante orientale del Monte Malbe l’eocene compare sotto l’aspetto di calcari marnosi che vengono a pigiarsi di contro ai calcari del Dachstein e del Letico. Riepilogando ciò che abbiamo detto sulle rocce principali che costituiscono il Monte Malbe e le sue adiacenze, possiamo subito rilevare come la compattezza dei calcari va in generale aumentando dai più recenti ai più antichi; e mentre i calcari del Senoniano si mostrano spesso marnosi, questo carattere si attenua e sparisce nei calcari dei piani inferiori. Fanno eccezione le marne rosse ammonitifere del Lias supe- riore ed i calcari cavernosi del Dachstein: riguardo a questi ultimi, però è da osservare che le cavità dipendono da un fatto succes- sivo alla loro formazione, benché in stretta dipendenza colla composizione chimica di essi. Lo stato di conservazione dei fossili microscopici varia con l’età degli strati; ed infatti già abbiamo accennato, che i cal- cari senoniani sono addirittura un impasto di foraminifere, mentre scarsissime sono le traccie di questi organismi nei calcari del Lias medio ed inferiore; ed addirittura mancanti nei calcari del Retico e del Dachstein. IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 181 Confrontando la serie dei terreni che si riscontrano nel Monte Malbe colle formazioni mesozoiche dell’Appennino centrale, e più particolarmente dell’Appennino umbro, vediamo subito come stret- tissime sieno le analogie tra gli affioramenti della stessa età. Il Retico sotto lo stesso aspetto che nel Monte Malbe appare pure nei Monti di Amelia (*) e nel Monte S. Croce presso Rami ; invece presso la parte più meridionale deH’Umbria è costituito da calcari massicci biancastri, talora oolitici (2). Il Lias inferiore non presenta alcuna notevole differenza; mentre il Lias medio, che nella regione in esame è rappresen- tato da calcari grigiastri con letti di selce, presso Rieti prende l’aspetto di calcari marnosi bigi con fossili limonitizzati. Si può dire anche che terreni uguali ai precedenti si presentano anche in Toscana. Il Lias superiore è caratterizzato ugualmente anche negli altri rilievi secondari umbri; al contrario, il Titonico, che presso Rami non differisce dal piano corrispondente nel gruppo del Monte Malbe, in altre località affiora con calcari giallicci sci- stosi e compatti con ammoniti ed aptici. Anche il cretaceo si mostra in alcuni luoghi identicamente co- stituito ; noteremo tuttavia come verso la parte sud-ovest del- T Umbria gli strati superiori di esso sono formati da calcari bianchi a struttura oolitica e cristallina e da calcari ippuritici. (’) Lotti, I terreni secondari nei dintorni di Narni e di Terni. Boll. R. Com. Geolog. Ita]., anno 1903, n. 1, pag. 10. Verri, Studio geologico sulle conche di Terni e di Rieti. Atti della R. Accademia dei Lincei, Memorie di Scienze fisiche, mat. e nat., serie 3a, voi. XV, 1883 -84, pag. 98. Quadro riassuntivo dei terreni costituenti i gruppi secondari del Monte Malbe e del Monte Te/Jo IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 183 Capitolo ILI. Tettonica. La tettonica dei due gruppi montuosi si presenta alquanto complicata. L’insieme dei rilievi costituenti il Monte Malbe forma una cupola elissoidale incompleta per la mancanza dei terreni dal Lias interiore alla creta nella parte JST-E, cioè dal Toppo del Boschetto fino a Migiana e nella parte est del Colle del Car- dinale. La disposizione del Cretaceo nella parte sud-ovest ed in breve tratto del versante orientale si presenta perfettamente in ehssoide ; infatti noi troviamo che gli strati senoniani verso d Piano di Massiano s’immergono a S-SE, verso Chiugiana e di fronte a Cordano a S-SO. Sotto il Toppo del Maiale si vede nettissima la separazione fra il Senoniano ed il Ketico e Dach- stein, i cui strati si immergono a MO, cioè in direzione pre- cisamente opposta a quella del Cretaceo ; e per tutta la pendice che guarda il Toppo di S. Marco, la valle di S. M. di Cene- rete e l’Oscano si osservano le testate tronche dei calcari retici. Questo importante fatto fu già osservato dal Verri (Q, il quale ammise che un segmento ad est del monte sia stato troncato. Il Lotti i2), invece, spiegò la mancanza dei terreni suddetti nel lato V-E con una denudazione che sarebbe avvenuta anterior- mente all’epoca eocenica. Se però l’assenza dei terreni che vanno dal Lias medio alla Creta superiore è da spiegarsi coll’erosione si deve ammettere che inizialmente il Monte Malbe occupasse’ un’area assai più estesa verso il lato orientale; ma allora per la grande vicinanza di esso col Monte Tezio si sarebbe confuso con quest’ultimo rilievo; il che è da escludere affatto perchè anche nel Tezio gli strati del cretaceo sono verso S.-O. e preci- samente di faccia al Monte Malbe, disposti in elissoide perfetta, noltre le roccie del terziario, che vengono a contatto coi calcari del Letico e del Dachstein non sono mai costituite da elementi R Secondo Contributo allo Studio del Miocene dell’Umbria Boll. Soc. Geol. It., voi. XIX, 1900, pag. 247. (2) Lotti, Rilevamento geologico nei dintorni del Lago Trasimeno di Perugia e di Umbertide. Boll. R. Com. Geol. It., 1899, voi. 10, pag. 218. P. PRINCIPI 184 eli roccie secondarie. Queste due considerazioni rendono poco probabile l’ipotesi del Lotti; mentre per la disposizione delle roccie, che formano la pendice orientale, e per la struttura brec- ciosa che manifestano in alcuni luoghi appare più verisimile ammettere l’esistenza di una o più pieghe-faglie. Un altro argomento favorevole a quest’ultima ipotesi potiebbe anche essere il fatto, che le altre due elissoidi mesozoiche di Monte Tezio e di Monte Acuto, il cui asse maggiore ha una direzione parallela a quella del Monte Malbe, presentano le pendici orientali tronche; il che mostra, come le pieghe, da cui derivarono i tre monti secondari, dovettero comportarsi in modo analogo, e presentare i medesimi fenomeni di frattura. Ammet- tendo, invece, l’ipotesi dell’erosione pare strano che essa abbia esercitato la sua azione unicamente sulla parte est di tutti e tre i rilievi secondari. Dimostrata così 1’esistenza di questa faglia si spiegano anche alcune discordanze senza ricorrere a fenomeni trasgressivi. Dicemmo già nella descrizione geologica, come il Cretaceo si trovi in immediato contatto col lietico e col Lias inferiore lungo le pendici settentrionali di Monte Pulito, tra il Podere Petia. ed il Podere Poggiaccio e ad ovest di Monte Torrazzo. Questi salti nella serie dei terreni invece di rappresentare il risultato di oscillazioni del fondo del mare sono quasi certamente una conseguenza necessaria dell’assottigliamento che gli strati subi- scono, allorché la piega viene violentemente stirata, in modo che gli strati intermedi non solo possano diminuire di spessore, ma anche far sparire di se qualunque traccia, I vari terreni secondari si succedono regolarmente in una sola direzione, come si può osservare dalla sezione trasversale condotta dal nord di Chiugiana verso S. M. di Cenerente (vedi Sezione n. 1). Ivi vediamo che il Senoniano, il Neocomiano si fanno seguito l’un l’altro in concordanza ; gli strati però del Pito- nico presentano in alcuni punti un’inclinazione un poco differente da quelli del Lias superiore, mentre dal Titonico al Neocomiano si passa gradualmente mediante calcari molto ricchi di selce. Verso la parte meridionale del Monte Malbe trovasi un lembo di terreno rosso ammonitifero, accompagnato dalla solita ìoi- mazione diasprina del Titonico, completamente circondato di 185 IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO calcali cietacei. Ivi gli strati formano una piccola piega secon- daria, in modo che la denudazione avendo potuto agire sopra- tutto sulla parte superiore di essa, ha posto allo scoperto gli strati marnosi del Lias superiore e del Titonico, lasciando al- l’intorno il deposito cretaceo. Il Cretaceo, e precisamente il Se- noniano, va poi a formare quasi per intero il Monte Lacugnano, i cui strati conservano regolarmente la loro immersione verso S. S-E. Onde la piccola vailetta, che separa quest’ultimo rilievo dal nucleo piincipale dell elissoide, deve attribuirsi alla erosione delle acque, come lo attesta anche il torrente, che scorre parallelo alla strada, e che tuttora col suo alveo seguita ad incidere pro- fondamente il terreno. Un’altra irregolarità tettonica la troviamo ad ovest del Toppo del Maiale: ivi si scorgono gli strati senoniani convergere con quelli del Lias interiore. E la medesima osservazione può farsi riguardo ai rapporti dell’affioramento senoniano presso Poggio Montione con i calcari retici, con cui esso conlina. Impoi tante è la disposizione dei terreni che si verifica presso Migiana. Troviamo qui un piccolo lembo di scaglia cinerea a contatto del calcare nero retico; al Senoniano succede apparen- temente in concordanza il calcare Neocomiano, il quale abbraccia le foimazioni ammonitifere e diasprine. Quindi il neoeomiano va a costituire la collina di Pieve del 'Vescovo, ne^a effigie, alle falde occidentali comparisce una sot- tile striscia di scaglia grigia, a cui fa seguito una potente pila di scisti grigi eocenici, che formano, poi, la collina di Corciano. Come apparisce dallo spaccato n. 2 il cretaceo si trova qui a costituire una piega assai inclinata, e perciò il distacco, che ora si osserva, della collina di Pieve del Vescovo dal Monte Malbe è dovuto unicamente all’azione del corso di acqua, che anche ora scorre fra i due rilievi, e nella carta topografica è indicato col nome di Fosso di Corciano. La collina di Mantignana è formata dagli strati del Cretaceo costituenti una piccola piega anticlinale (vedi sez. n. 3), la quale va poi a connettersi con il Monte Torrazzo e con il Colle del Cardi- nale, che rappresentano le ultime dipendenze del Monte Malbe. Quivi il Senoniano giace direttamente sul Lias inferiore e sul Retico; ma, come già si è accennato per altri punti, questo P. PRINCIPI 186 fatto invece di attribuirsi a fenomeni trasgressivi si può ritenere come un effetto degli stiramenti e degli strappi subiti dagli strati nel corrugarsi del gruppo montuoso. Anche il Monte Tezio forma una elissoide incompleta, giacche gli strati verso le pendici orientali si mostrano troncati e \ en- gono a contatto immediato cogli strati eocenici. Caratteristica è la disposizione di questi ultimi: infatti essi, dopo a\eie mante- nuto prima per breve estensione la pendenza costantemente verso S-SO, in modo da apparire sottostanti agli strati meso- zoici, si adagiano di nuovo sugli affioramenti cictacei di Monte Giuliano, Monte Elceto di Murlo, Monte Elcetino, Monte S. Croce e Monte Mussarello, paralleli al Monte lezio. Questi affioramenti, poi, formano delle piccole anticlinali sul versante orientale delle quali si sovrappone nuovamente l’eocene, che viene alla sua volta ricoperto dalle formazioni alluvionali del Tevere. Ora questa disposizione dell'eoeene rispetto agli altri terreni secondari è dovuta assai probabilmente all’effetto di una faglia, corrispondente a quella, che ha prodotto la troncatura ad est del Monte Malbe. Abbiamo già detto che a nord di Colognola vi è un affiora- mento del Lias superiore interamente circondato da calcari cre- tacei; ora siccome gli strati dei due terreni presentano la pen- denza verso S-SO, l'affioramento Massico rappresenta certamente il nucleo di una piccola piega con i fianchi ugualmente inclinati (vedi sez. 4). Nella descrizione geologica del Monte Tezio abbiamo notato come il cretaceo giace spesse volte direttamente sul calcare fos- silifero del Lias inferiore; ed anche qui ci riportiamo alle osser- vazioni già fatte a proposito del Monte Malbe. Una vera trasgressione potrebbe forse considerarsi quella che si verifica quasi costantemente tra il Senoniano ed il Neoco- miano, e potrebbe rientrare nella serie delle trasgressioni cenoma- niane riscontrate dal Suess. Ma siccome vicino a queste i terreni si succedono in serie regolari, così non è affatto certo che esse rappresentino delle lacune nella sedimentazione; forse anch’esse sono dovute a dislocazioni e scivolamenti degli stinti. '*£ /!/ 7? yV 188 P. PRINCIPI PARTE PALEONTOLOGICA Capitolo I. Fossili del 1> ac li stei n. Megalodon GUmbeli Stopp. 1862. Megalodon triqueter Gumbel.. Die Dachsteinbivalveund ihre Al- pine*, Venoandten, pag. 362, pars tab. I. Il, IH, tig. l-i. 1860-65. Megalodon Giimbelii Stopp., Appendice sur les grandes bivalve» cardifonnes (Pai. Lomb.), pag. 252, t. 56-57). 1880. Megalodon Giimbelii Hoernes, Materialien zu einer Monograpìne der Gattung Megalodus, pag. 17. 1893. Megalodon Giimbelii Bassaui, Fossili nella dolomia triassica da din- torni di Mercato S. Severino, pag. 11, tav. unica, tig. 1 9 a,b, c. 1994. Megalodon Giimbelii Del Campana, Contributo allo studio del Trias superiore del Montenegro, pag. 557. Riferisco con una certa sicurezza a questa specie un esem- plare di piccole dimensioni, rappresentato in sezione, proveniente dalle falde occidentali del Toppo Tanella. L’apparato cardinale è ben visibile e coincide abbastanza bene colle descrizioni datene dagli autori precedenti. L’Hoernes distinse il Megalodon complanatus Gtìmb. dal Megalodon Gim- beli Stopp.; ma per quanto si può dedurre dalle illustrazioni date rispettivamente dall’Hoernes e dallo Stoppani non vi sono tra le due forme tali differenze da autorizzare la separazione delle due specie. L’apparato cardinale del Megalodon Gumbeli presenta strette analogie con quello del Concliodon infraliassicus Stopp.; ma queste due specie rimangono distinte sopratutto perché il Con- chodon infraliassicus è suscettibile di assumere grandissime di- mensioni, il che non si verifica per il Magalodon Gumbeli Stopp. Megalodon sp. Riferisco a questo genere varie sezioni cordiformi nei calcari scuri sotto il Toppo Tanella. Varie sono le dimensioni che esse presentano; e probabilmente non tutte appartengono alla mede- sima specie, ma per lo stato in cui sono ridotte è da escludersi ogni indagine specifica. IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 189 La sezione più grande presenta cm. 8,7 di lunghezza; una sezione di valva comprendente pure l’ ambone mostra così nei suoi caratteri generali una certa analogia col Megalodon Secco?. Par., ma si intende che questo riferimento è approssimativo ed incerto, dato lo stato di conservazione del fossile. Capitolo IL Fossili del li etico. Natica subovata Miinst. (Tav. VII, fig. 1). 1841. Natica subovata Munster, Beitrcige sur Petrefactenkunde, pag. 100. tav. 10, fig. 11. 1858-60. Natica subovata in Stoppani, Pétrifications d: E sino, pag 49 tav. 11, fig. 5-6. Conchiglia globosa, con spira assai breve, anfratti convessi, con delle linee di accrescimento poco visibili; le suture sono poco distinte. Di questa specie ho potuto esaminare tre piccoli esemplari infissi per la bocca e per la base sulla roccia; il resto, però, specialmente in un individuo, si mostra scoperto ed abbastanza conservato. La lunghezza va da min. 7, 7 a rara. 7, 9. Questa specie si distingue dalla Natica Neritina Mtinster, pei aveie gli anfratti assai più convessi e le strie di accresci- mento assai meno visibili; si avvicina molto nella forma gene- iale alla Naticopsis ca.ssiana Munster, ma quest’ultima ha una conchiglia più decisamente ovaliforme, più lunga che larga. Trovasi nel calcare nero presso il Podere Sasso. Naticopsis rethica sp. nov. (Tav. VII, fig. 2 a, 2 b). Conchiglia obliquamente ovale, con spira assai prominente e rapidamente crescente e con anfratti in modo uniforme convessi. La superficie è liscia, la bocca quasi circolare, l’ombelico piccolissimo e chiuso. 190 P. PRINCIPI L’esemplare meglio conservato misura min. 8 di altezza, con una larghezza dell’ultimo anfratto di mm. 4, 9. Questa forma è assai vicina alla . Faticopsis cassiana W issman, ed alla Naticopsis expansa Laube; ma la prima di queste due specie ha proporzionalmente una minore lunghezza e la sua bocca presenta addirittura una sezione ellittica; la seconda ha 1 ultimo anfratto assai più espanso e la sezione della bocca ovalifonne. Trovasi nel calcare nero presso il Podere Sasso. Cheinuitzia sp. ind. Frammento di una conchiglia turricolata conica, a giri assai larghi, convessi, lisci; mancano nell’esemplare in esame gli ultimi giri e gran parte del primo; e quindi non rimane alcuna traccia della bocca e dell’apice. Esso si scosta sensibilmente da altre forme, cui potrebbe in certo modo rassomigliarsi. Così, per esempio, si distingue dalla Turritella Zenkeni Dunk., figurata dal Capellini nel suo lavoro: Fossili infral tassici dei dintorni del golfo di Spezia, tav . II, fig. 12, per avere quest’ultima i giri percorsi da strie longitudinali. Mi sembra, invece, che si possa piuttosto riferire al gen Chem- nitzia per l’andamento e per la convessità dei giri ancora vi- sibili. Trovasi nel calcare nero presso il P. basso. Dimya intusstriata Emm. (Tav. VII, tig. 3). 1853. Plicatula intusstriata Emmerich, Geognost. Beobaclitung aus clen osti. Alpen, pag. 52. 1860-1865. Plicatula intusstriata in Stoppani, Pai. Lomb-, 3a serie, pag. 80, tav. XV, tig. 3. 1866. Plicatula intusstriata in Capellini, Fossili infrahassict dei dintorni del golfo di Spezia, pag. 74, tav. VI. fig. 12. 1882. Plicatula intusstriata in De Stefani, Vorlàufig Mitthedung uber die rhàtischen Fossilien der apuanischen Alpen, Verh. d. k. k. geol. Reic.lisanst., pag. 5. 1892. Diimja intusstriata in Simonelli, Fossili retici della montagna di Cetona, pag. 21, tav. I, tig. 16. 1906. Dimyodon intusstriatum in Vinassa, Fossili retici di Caprona , Boll3 Soc. Geol. It., pag. 835. IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 191 Di questo tossile si trovano numerosi esemplari, dei quali alcuni ridotti a frammenti, che conservano però tali caratteri da doverli indubbiamente riferire alla specie suddetta. Delle due valve, la sinistra offre costantemente uno stato di maggiore conservazione; presenta delle strie dicotome raggianti a ventaglio, ed in alcuni individui tricotome; talora dicotome e tricotome nello stesso esemplare. È sopratutto da notarsi la variabilità della forma. Uno degli individui meglio conservati misura rum. 8,1 per altezza e mm. 6 per la larghezza. Questo fossile presenta una notevole importanza, poiché sotto le pendici orientali del Toppo del Maiale costituisce quasi da solo una vera lumachella. Anoima striatula Oppel. (Tav. VII, fig. 6). 1856. Anemia striatula Oppel., Die Juraf ormativi, pag. 227 1859- » Schafhautli Winlder, Sch. d. Avicula contorta, pag 5 Pi- 1, kg. 2. 1 s ’ 1860- 65. Anemia Favrii Stopp., Fossiles des schistes noirs. Pai. Lomb isun ni i S6rie’ Pag- 139’ tav‘ XXII> 14< 15- 1860-04. Anomia Schafhautli in Stopp., Fossiles d. sch. ». Pai Lomb 3“ serie, pag. 139. ’’ Anomia striatala in Terrea, et Pie, te. Lias inf., pag. 1,3, pi. .X.1V, fig. 5. lSbel? fWmÌ°9 Spessore » 1,02. Questa nuova specie di PJiyncJionella offre qualche analogia colla Jihynchonella cannabina Bittner, ma ne deve essere sepa- rata sia per la forma della fronte, assai meno alta, sia per le strie in numero differente ed assai più marcate. È stata trovata nel calcare sotto il Toppo del Maiale. Cidaris sp. ind. Riferisco a questo genere un echinoderma, il quale, per il cattivo stato di conservazione, non permette di discernervi i ca- ratteri specifici. Tuttavia la forma e l’andamento delle zone ra- diali ed interradiali e la disposizione dei pori ravvicinano questo individuo al gen. Cidaris. È stato trovato nel calcare nero presso il Podere Sasso. IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 201 Encrinus (Entrochus) granulosus Miinster. 1841. Encrinus granulosus Miinster, Op. cit., IV Heft, pag. 52 tav V fig. 11-13, 19. 1859. Encrinus granulosus in Stopp -, Les pétrifications d’Esino pag. 123 tav. 20, fig. 5, 6. 1863. Encrinus granulosus in Laube, Op. cit., pag. 51, tav. Vili, fig. 7-12. 1890- » » in Wohrmann, Fauna der sog. Cardila und Baibl. Schichten. Jahrb. d. k. k. Reichsanstalt, XIV, pag. 91 tav. V, fig. 8. 1900. Encrinus granulosus in Tommasi, La fauna dei calcari rossi e grigi del Monte Clapsavon nella Carnia occidentale. Paleont. ital., pag. 9, tav. I, fig. 3, 3 a. 1903. Encrinus granulosus in Broili, Op. cit., pag. 150, tav. XVII, fig. 1-3. Nel calcare grigio-scuro che sta presso la macchia di Re- sela si trovano numerosi resti di crinoidi, la maggior parte dei quali per il cattivo stato di conservazione non permettono una esatta determinazione. Tuttavia alcuni articoli, che si sono potuti abbastanza bene isolare mostrano bastanti caratteri per essere riferiti &\Y Encri- nus granulosus Miinster, sopratutto per la sezione dei singoli articoli e per la disposizione dei rilievi, che mostrano la super- fìcie degli entrochi. 202 P. PRINCIPI Quadro comparativo delle specie trovate nel Retico. a ! £ a ai n zi © a o © o à ai ? 2 2 © Cfi S c £=• © o 0 S S q ai ri - © — O 0 1 ! ai H ri NOME DELLE SPECIE g® | © Cg 0 U O T- N r» ai ri 3 ^ r, ai '© c, © 5 © ci L 3fl'3i>3c (escluse le altre). 8b‘ °1- A‘ (Phylloceras) Dodorleinianum in Meneghini, Monog., pag. 87, tav. XVII, fig. 5. 1895. Phylloceras Dodorleinianum in Bonarelli. Boll. Soc. Malac It pag. 212. ' 1900. Phylloceras Dodorleinianum in Bellini, Op. cit., pag. 135, fig. 8. La conchiglia presenta un accrescimento assai rapido; i fianchi sono alquanto convessi e l’ombelico si presenta abbastanza largo m confronto alle dimensioni generali del guscio. 206 P. PRINCIPI La linea lobale appare nettamente distinta. La forma esterna di questa specie si approssima molto a quella del Phylloceras frondosum Reynès, ma ne differisce spe- cialmente per 1 caratteri della linea lobale. Località: Presso le Campore (Monte Malbe), Colognola (Monte Tezio). Phylloceras frondosum Reynès. 1868. Ammonites frondosum Reynès, Essai de Geologie et de Pai. Aveyron, pag. 98, tav. V, fig. 1. 1867-81. A. ( Phylloceras ) frondosum in Meneghini, Monographie, ecc., pag. 89, tav. XVIII, fig. 1. 1881. Phylloceras frondosum in Meneghini, Foss. du Médolo, pag. 81, tav. IV, fig. 7. 1896. Phylloceras frondosum in Fucini, Faunula del Lias medio di Spezia, Boll. Soc. Geol. lt., voi. XV, pag. 138. tav. II, fig. 7. 1896. Phylloceras frondosum in Fucini, Fossili del Lias medio di Monte Calvi, pag. 124. 1897. Phylloceras frondosum in Fucini, Fauna del Lias medio di Monte Calvi. Pai. It., voi. II, pag. 224, tav. XXIV, f. 19. 1899. Phylloceras frondosum in Bonarelli, Le ammoniti del rosso am- moniaco. Boll. Soc. Malac. it., pag. 213. 1900. Phylloceras frondosum in Fucini, Ammoniti del Lias medio dell' Ap- pennino centrale esistente nel Museo di Pisa. Pai. it., voi. V, pag. 149, tav. XIX, fig. 6. 1900. Phylloceras frondosum in Del Campana, Cefalopodi del Medolo di Valtrompia. Boll. Soc. Geol. It., voi. XIX, pag. 567, tav. V II, fig. 13. 1900. Phylloceras frondosum in Bellini, Op. cit., pag. 137. Dimensioni-. Diametro mm. 24 Altezza dell’ultimo giro . » 11,5 Spessore » 8. Conchiglia a fianchi piatti, la cui superficie liscia lascia scorgere assai bene le traccie della linea lobale. Questa specie, oltre che al Phylloceras heterophyllum è molto vicina anche al Phylloceras Meneghini, ma ne differisce sopra- tutto per lo schiacciamento dei fianchi, da cui derivano di- mensioni proporzionalmente diverse. Località: Migiana (Monte Malbe). IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 207 Lytoceras cornucopia Y. et B. 1822. Ammonites cornucopia Young and Bird., A. geolog. Sun tav XII fig- 0. 1830. Ammonites fimbriata Zieten., Wurtemberg, etc., pag. 16 tav XII fig. 1. ’ 1842. Ammonites cornucopia in D’Orbigny, Paléont. frangaise Terr.Jurass J> Pa&- 316> tav- XCIX, fig. 1, 2 (escluse le fìg. 3, 4) 1856. Ammonites fimbriata in Hauer, Cephalopoden aus dem Lias nor- q , . ?ftl' Alpen‘> PaS- 62 (ex Parte), tav. XXII, fig. 3, 4. 6^-81. A. ( Lytoceras ) cornucopiae in Meneghini, Monographie ecc pag. 103, tav. XXII, fig. 1. ’ 1880. Lytoceras cornucopiae in Tarameli}, Monografia del Lias nelle provincie venete, pag. 75, tav. Ili, fig. 7, 8. IsS' rVt°CeraS cornuc°VÌae in Meneghini, Fossiles di Médolo, pag. 35 1899. Lytoceras cornucopiae in Bonarelli, Boll. Soc. Malac. It., p. 216 217 Dimensioni : Diametro Altezza dell’ultimo giro Spessore . . mm. 65 » 24,5 » 27,9 Conchiglia ad accrescimento assai rapido; i giri sono più arghi che alti ed i fianchi alquanto convessi; la sezione dei giri è ellittica, subquadrangolare. I caratteri della linea lobale sono visibilissimi e coincidono esattamente colla descrizione datane dal Meneghini. Trovo solo da notare che nel mio esemplare il ramo esterno L*™ “°i T 6 u°SÌ Slargat°’ COme apf,are “fi individui figurati dal Meneghini. Questa specie ha molti rapporti di anologia col Lytoceras lUae ivi gli., ma ne rimane distinto sopratutto perchè la con- c ìg ìa c i quest’ultimo ha un accrescimento assai meno rapido. Località : Presso le Campore. Lytoceras Dorcadis Menegh. (Tav. VII, fig. 14 a, b). tóCTlsPTYY""""” D’0rb' in ZHteI’ CM p»g. 46- ■ ( ytoceias) Dorcadis Meneghini, Monographie, ecc., pag. 107. tav. XXI, fig. 1 (esclusa la fig. 4, tav. XX). 208 P. PRINCIPI 1867-81 . Lytoceras Dorcadis Menegh., Eévision systématique des espèces, ecc., pag. 191. 1881. Lytoceras Dorcadis Menegh., Fossiles du Médolo, tav. V, fig. 5. 1899. Lytoceras Dorcadis, in Bonarelli, Boll. Soc. Malac. It., pag. 216. 1900. Lytoceras Dorcadis, in Bellini, Op. cit., pag. 128, fig-^l- 1906. Lytoceras Dorcardis in Parisch e \iale, Op. cit., pag. 7, tav. VII, fig. 3-4. Modello interno in buono stato di conservazione; la con- chiglia è alquanto discoidale, a lento accrescimento, 1 ombelico largo e poco profondo, ed i giri a sezione ovaliforme presentano dei solchi abbastanza profondi. La linea lobate è identica alla descrizione data dal Me- neghini. Il Meneghini riferisce al Litoceras Dorcadis l’esemplare figu- rato nella tav. XXI (fig. 4); ma esso, presentando una minore involuzione ed una minore larghezza dei giri, va forse ritento al Lytoceras catriense Mgh. Parisch e Viale, poi, descrivono e figurano come una varietà della stessa specie un esemplare, che differirebbe dalla forma tipica per avere i fianchi più schiacciati ed il dorso più con- vesso: ma ritengo che questi soli caratteri, del resto anche poco individualizzati, non diano fondamento sufficiente per 1 istitu- zione di una nuova varietà. Località : Presso le Campore (Monte Malbe). Lytoceras catriense Bon. 1867-81. Lytoceras Dorcadis var. catriense in Meneghini. Monographie, ecc., pag. 108, tav. XX, fig. 4. 1895. Lytoceras catriense Bonarelli, Le Amm. del rosso amm., Boll. Soc. Malac. Ital., pag. 217. . 1905. Lytoceras catriense in Canestrelli, Op. cit., pag. 14, tav. I, tig- - e 2 a. Dimensioni : Diametro min. 25,3 Altezza dell’ultimo giro » 9,8 Spessore » ? Larghezza dell’ombelico » 3. Conchiglia con largo ombelico ed a lento accrescimento ; composta di quasi 4 giri più alti che laighi e con i fianchi IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 209 lievemente convessi. Sulla superficie esistono dei solchi non molto profondi. L ombelico è rotondo e il dorso è affatto mancante di carena. Dapprima questa specie fu dal Meneghini considerata come una varietà del Lytoceras dorcadis, ma il Bonarelli la distinse nettamente da quest’ultimo per le dimensioni assai minori, per la larghezza dei giri e per la minore involuzione. Ad alcuni di questi caratteri, specialmente quello delle dimensioni, non si può dare un’eccessiva importanza ; giacché anche dei Lytoceras dorcadis tipici presentano un piccolo diametro ; piuttosto il ca- rattere specifico più notevole deve riscontrarsi nella linea lo- bale, la quale nel Lytoceras catriense presenta un numero mi- nore di frastagliature. Località: Colognola di Monte Tezio. Lytoceras spirorbis Mgh. 1667-81. A. (Lytoceras) spirorbis Meneghini, Monographie, eco., pag. Ili e 192, tav. 21, fig. 4. 1867-81. Lytoceras dorcadis Meneghini, Fossiles du Médoìo, pag. 37, tav. V fig. 5. 1889. Lytoceras spirorbis in Bonarelli, Boll. Soc. Mal. It., pag. 218. -1900- » * in Bellini, Op. cit., pag. 129, fig. L 1901’ * * in Fucini, Cefalopodi liassici del M. Cetona, Pai Ital., voi. VII, pag. 84, tav. XIII, fig. 6. Conchiglia a lentissimo accrescimento, con diametro di cm. 2,7; i giri sono tanto alti che larghi e la loro sezione è pressoché rotonda. Si notano sulla superficie della camera di abitazione delle traccie di costole, però poco visibili ed indecise. Le linee lobali presentano l’andamento tipico della specie e sono abbastanza bene conservate. Località: Presso le Campore nel calcare rosso. Lytoceras audax Mgh. (Tav. VII, pag. 17 ce 17 6). 1861. Ammonites Phillipsi (non Sow.) Hauer, Ueb. die Amm. aus d. Me- i„7 . dol°’ ecc-' Pa£- 409i tav- I, fig. 8, 9, 10 (escluse 6, 7). Lytoceras mendax Meneghini, Nuove specie di Phylloceras e di Ly- toceras del L. s. d’Italia. Atti S. Tose. Se. Nat., voi. I pag. 108. 15 210 P. PRINCIPI 1867-81. A. (Lytoceras) audax Meneghini, Fossiles du Me dolo, pag. 38, tav. V, fig. 6. 1896. Lytoceras audax in Fucini, Fauna d. Lias m. di Spezia, pag. 147, tav. Ili, fig. 6. 1896. Lytoceras audax in Fucini, Fossili d. Lias medio di M. Calvi, pag. 124. 1899. Lytoceras audax in Fucini, Amm. d. Lias medio delVApp. centrale. Paleon. Ital., voi. V, pag. 155, tav. XX, fig. 6. 1905. Lytoceras audax in Canestrelli, Op. cit-, pag. 11. Dimensioni : Diametro min. 29,5 Altezza deMiltimO givo » 10 Spessore » 6 Larghezza deH’ombelieo » 11 Conchiglia a giri appiattiti sui fianchi e con accrescimento abbastanza rapido, l’ombelico si mostra assai largo, ma non pro- fondo. Il dorso è privo di carena e di solchi. La linea lobale, poco visibile per la corrosione subita, si può rilevare imperfettamente. Questa specie di Lytoceras si mostra assai vicina al Lyto- ceras apertimi Geyer; però quest’ultimo presenta un accresci- mento meno rapido, i giri più appiattiti e la prima sella la- terale della linea lobale meno alta di quella esterna. Località: Colognola di Monte Tezio. Lytoceras velifer Mgh. (Tav. VII, fig. 18 a, 18 5). 1867-81. A. (Lytoceras) velifer Mgh., Monographie, ecc., pag. 106, tav. XXII, fig. 2. 1874. Lytoceras velifer in Mgh. Atti della Società Toscana di Se. Nat., I, pag. 4. 1867-81. Lytoceras velifer in Mgh., Révision systématique, ecc., pag. 191. 1889. » veliferum in Bonarelli, Boll. Soc. Mal., pag. 217. 1900. » » in Bellini, Op. cit ., pag. 130, fig. 3. Modello interno in buono stato di conservazione ; i giri ab- bracciantisi sono più alti ebe larghi e presentano dei solchi IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 211 poco incavati; l’ombelico è largo ma poco profondo, e la bocca presenta una sezione ovaliforme, più espansa inferiormente. La linea lobate, ben visibile, corrisponde perfettamente al disegno del Meneghini. Per tali caratteri riferisco questa specie al L. velifer , quan- tunque nelle figure date dal Meneghini la bocca appaia in pro- porzione alquanto più compressa lateralmente. Ma del resto si deve osservare che le figure del suddetto autore non rispondono completamente all’esemplare, poiché men- tre nella 2 a risulterebbe che la conchiglia fosse assai rigonfia, la figura 2 b invece mostra come sia realmente depressa. Località: Nel calcare rosso presso Fontana. Hildoceras bifrons Brug. 1867-81. Ammonites bifrons in Meneghini, Monografie, eco., pag 8 tav I %• 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8. ?!?!• t,! '3arP°ceras ) bifrons in Meneghini, Fossiles du Médolo, pag. 39. iqqq' rri/JCeU,S 1°tf)ons 'n Pau£v A>nm. Gattung Harpoceras, pag. 640. 1899. Hildoceras bifrons in Bonarelli, Le amm. debrosso ammoniaco, ecc Boll. Soc. Mal., voi. XX, pag. 199. 1905. Hildoceras bifrons in Fucini, Cefal., Massici della M. di Cetona , Pai It., voi. XI, pag. 113. 1905. Hildoceras bifrons in Canestrelli, Op. cit., pag, 16. 1906‘ * » in Pariseli e Viale, Op. cit’, pag. 19. Di questa specie così frequente nel Lias superiore ho rac- colto numerosi esemplari, di dimensioni poco differenti, ed infatti il loro valore diametrale oscilla da cm. 3,1 a cm. 4,4. Un esemplare è proprio da riferirsi al bifrons tipico ; in- tatti la linea lobale e così pure le costole per la loro grossezza corrispondono esattamente alle figure 1, 2, 3 della tav. I del Meneghini. Alcuni altri individui invece si differenziano leg- germente dalla forma tipica per certi caratteri, come il minore spessore del dorso, i fianchi più stretti e le costole alquanto più rare e più rilevate. Località: Sotto il Fosso della Trinità; presso le Campore Fosso di Colognola. 212 P. PRINCIPI Hildoceras retrorsicosta Oppel. (Tav. VII, fig. 12 a, 12 b). 1862. Ammonites retrorsicosta Oppel, Palaeont., Mittheil., I, pag. 139. 1867-81. Ammonites retrorsicosta in Meneghini, Monographie, ecc.. pag- 46, tav. X, fig. 3. 1867-81. A ( Harpoceras ) retrorsicosta in Meneghini, Fossiles du Médolo, pag. 11, tav. II, fig. 3. 1893. Harpoceras retrorsicosta in Geyer, Mitili. Cephalop. d. Hinter Schafberges, pag. 10, tav. I, fig. 14, 17. 1896. Harpoceras ( Arieticeras ) retrorsicosta in Fucini, Faunula del Lias medio di Spezia, pag. 158. 1899. Hildoceras ( Arieticeras ) retrorsicosta in Bonarelli, Boll. Soc. Mal. It., pag. 205. 1899. Arieticeras retrorsicosta in Fucini, Amm. del Lias medio dell App. centr., pag. 180, tav. XXIV, fig. 2 (Pai. i tal. V). 1900. Sequenziceras retrorsicosta in Del Campana, Cefalop. di Médolo di Val Trompia. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIX, pag. 595, tav. VI, fig. 52-54. Dimensioni: Diametro mm. 16,9 Altezza dell’ultimo giro » 6,5 Spessore » 6 Larghezza dell’ombelico » 5 Conchiglia a lento accrescimento, ampio ombelico e con giri subquadrangolari. I fianchi sono ornati di costole ben rilevate, flessuose e rivolte all’indietro; il dorso è fornito di carena late- ralmente accompagnata da due solchi ben distinti. La linea lobale corrisponde in quasi tutti i particolari a quella descritta dal Meneghini. Località: Colognola di Monte Tezio. Hildoceras comense De Buch. 1831. Ammonites comensis De Buch, Ree. de Planches de pétrifications remarquables, pi. Il, fig. 1-3. 1855. Hildoceras comense in Haug., Amm. Gatt. ecc., pag. 633. 1856. Ammonites comensis in Hauer, TJebcr die Ceplialop. aus devi Lias, pag. 37, tav. XI, fig. 1-9. IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 213 1867-81. Ammonite s comensis in Meneghini, Monographie, ecc., tav. V, fig. unica; tav. VI, fig. 1 (escluse le fig. 2, 3, 4); tav. VII, %. 3, 5 (escluse le tig. 1, 2, 4); esclusa la tav.’ Vili. 1899. midoceras (Lilia) comense in Bonarelli, Le ammoniti di rosso ammoniaco, ecc., pag. 201, 202, 203. 1900. Lilia comensis in Bellini, Op. cit., pag. 148, tig. 14. 1905. midoceras comense in Fucini, Cefal. liass. del Monte di Cetona. Pai. Ita!., voi. XI, p. 112, tav. VI, fig. 2. Dimensioni : Diametro mm. 62,7 Altezza dell’ultimo giro » 25,1 Spessore » 13^1 Conchiglia ad accrescimento assai rapido, con giri assai più alti che laighi, appiattiti sui fianchi. Questi sono ornati di costole retroverse, che si riuniscono due a due formando dei nodi. La linea lobale non differisce da quella figurata dall’Hauer. L’esemplare esaminato, in paragone colle figure date dal Fucini, presenta i nodi assai meno rilevati, ma ciò può dipen- dere in parte dalla corrosione, a cui è stata soggetta la conchiglia. Da alcuni autori questa specie è riferita al gen. Lilia, ma non vi sono motivi ben definiti per accettare la separazione del gen. Lilia dal gen. Hildoceras. Località : Presso le Campore, presso Colognola. Hildoceras erbaense Hauer. 1856. Ammonites erbaensis Hauer, Ueber die Cephalop. des Lias, ecc., pag. 42, tav. XI. 1867-81. Ammonites comensis Meneghini, Monog., ecc., pag 21 p] VI fig- 3; pi. Vili, tig. 5. 1868. Ammonites erbaensis in Reynés, Essai de Géol., ecc., pag. 103 tav. V, tig. 6. 1895. Hildoceras (Lilia) erbaense in Bonarelli, Le ammoniti del rosso ammonitico, ecc., pag. 202, 203. 1900. Lilia erbaensis in Bellini, Op. cit., pag. 150, fig. 15. 1906. Hildoceras (Lilia) erbaense in Parisch e Viale, Op. cit., pag. 20. Dimensioni : Diametro mm. 74,5 Altezza dell’ultimo giro » 22,3 Spessore » 18,1 214 P. PRINCIPI Conchiglia ad accrescimento assai lento, poco involuta ed a sezione quadrangolare. Le coste assai irregolari neH’andamento si riuniscono spesso due a due, dando luogo a dei nodi irrego- larmente sparsi lungo il margine interno dei giri. La linea lobale, quantunque nel suo insieme si avvicini molto a quella dell 'Hildoceras comense e dell’ Hildoceras bifrons, tuttavia essa si distingue facilmente per avere il lobo dorsale assai più profondo. Il Meneghini pose come sinonimi YAmmonites Comensis De Bucb e Y Animonites erbaensis Hauer; ma senza dubbio queste due forme offrono importanti caratteri differenziali, che obbligano a tenerle separate. L’esemplare esaminato coincide benissimo colla fig. 6 data dal Meneghini nella tav. Vili della sua Monographie ; para- gonato invece colle figure dell Hauer, mostra un accrescimento meno rapido e le coste alquanto meno rilevate. Località : presso le Campore, Piè di Murlo. Hildoceras sp. ind. Riferisco a questo genere una porzione di conchiglia ad accre- scimento assai lento, in cui sono visibili solo le costole ed al- cune traccie della linea lobale. È stata rinvenuta nei calcari del Lias superiore ad ovest di Fontana. Hildoceras sp- ind. Conchiglia in pessimo stato di conservazione, tanto che essendo sparita ogni traccia di ornamentazione sui giri, sono rimaste vi- sibili solamente le linee lobuli. La forma complessiva della con- chiglia, il suo modo di accrescimento, piuttosto lento, mi hanno indotto’ a riferirla al gen. Hildoceras; anzi trovo che la linea lobale si avvicina assai a quella de\V Hildoceras ambi guani Fuc. ( J Cefalopodi Lassici del Monte di Cetona., Pai. Ital., X, pag. 294, tav. XXI, fig. 11). IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 215 Hildoceras Mercati Haaer. 1856. Ammoni tes Mercati Hauer, Ueber die Cephalop. d.Lias, ecc pag 13 Tav. XXIII. ’ 1867. Ammonites Mercati in Meneghini, Monographie , ecc., pag. 32 tav. Vili, fig. 1, 2, 3, 4, 8 (sec. Bonarelli). 1881. A. ( Earpoceras ) Mercati in Meneghini, Fossi! es du Médolo, pag. 3. 1899. Hildoceras {Lilia) Mercati in Bonarelli, Boll. Soc. Malac. It. pag. 203. 1900. Lilia Mercati in Bellini, Op cit., pag. 203. 1905. Lilia Mercati in Fucini, Fossili liassici del Monte di Cetona, pag. 114, tav. VI, fig. 4, 5. Modello interno ad accrescimento assai lento con ombelico largo ma poco profondo; il diametro è di 37 cm. I giii poitano numerose costole assai rilevate, alquanto ri- curve e biforcate verso resterno. Il dorso è largo e fornito di una robusta carena, fiancheggiata da due solchi relativamente piofondi. La linea lobale si presenta poco ben conservata, pur tuttavia lascia vedere l’andamento caratteristico della specie. Questa forma ha molte somiglianze coll 'Hildoceras Comense e coll 'Hildoceras erbaense; ma nel primo le coste sono biforcate ed il lobo sifonale ha una lunghezza quasi uguale a quella del lobo laterale superiore; nel secondo le coste si riuniscono for- mando dei nodi lungo la parte interna degli anfratti. Località : Presso le Campore (M. Malbe). Hildoceras Levisoni Sip. 1867-81. Harpoceras bifrons in Meneghini, Monographie, ecc., pag. 138, (ex parte), tav. II, voi. 3. 1874. Ammonites Ler?som Dumortier, Dép Jurassiques, ecc., pag. 49, tav. IX, fig. 3-4. 1878-85. Harpoceras Levisoni W right, Monog. thè Lias, ecc., voi. XXXVII, pag. 438, tav. IX, fig. 12; tav. LXI, fig. 5-6 (escluse le fig. 1-2). 1896. Hildoceras Levisoni in Bonarelli, Le amm. del rosso amm., Boll. Soc. Mal., pag. 200. 216 P. PRINCIPI 1905. Hildoceras Levisoni in F ucini, Cef. lias. d. M. di C eterna, Pai. Ital., voi. V, pag. 113, tav. IV, fig. 3. 1906. Hildoceras Levisoni in Parisch e Viale, Op. cit., pag. 155, tav. IX, fig. 7-9. Conchiglia con ampio ombelico, ed a sezione alquanto ret- tangolare. I giri sono ornati di numerose costole retroverse ; il dorso è fornito di un’alta carena, compresa fra due solchi ben marcati. L’esemplare esaminato differisce leggermente dalla forma tipica, per avere i giri con accrescimento un poco più rapido. Del resto la linea lobale presenta tutti i caratteri propri della specie. Località: Presso Colognola di Monte Tezio. Marpoceras fallaciosum Boyle. 1867-81. Ammonites radians Meneghini, Monographie des fossiles, ecc., pag. 33, tav. IX, fig. 2-6. 1878. Grammoceras fallaciosum Bayle, Explica tion de la carte geologique de la France, IV, t. LXXIII, fig. 1-2. 1885. Harpoceras (Grammoceras) fallaciosum Gemmellaro, Monografia dei fossili del Lias sup. delle provincie di Palermo e di Messina, pag. 6- . .... 1885. Harpoceras (Grammoceras) fallaciosum in Haug., Beitrage zu einer Monographie der Amm., pag. 616. 1890. Grammoceras fallaciosum in Buckmann, A Monographie on thè infer. oolite Ammonites, pt. IV. pag. 204, tav. XXXIII, fig. 17-18, t. XXXIX, fig. 3, 4, 5, 10, 11 ; tav. XXXV, fig. 6, 7, t. A, fàg. 39-40 ( cum syn.). 1895. Grammoceras fallaciosum in Bonarelli, Fossili domeriani di Brianza, pag. 21. . . . 1896. Grammoceras fallaciosum in Fucini, Faunula del Lias medio di Spezia, pag. 161, t. III, fig- 11- 1899. Grammoceras fallaciosum in Bonarelli, Le ammoniti del rosso am- monitico, pag. 204. 1900. Grammoceras fallaciosum in Bellini, Op. cit., pag. 155. Modello interno con avvolgimento di spira abbastanza ra- pido ; i fianchi pochissimo rigonfi sono ornati di costole sottili, le quali nel loro percorso si ripiegano due volte a guisa di falce. IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 217 La linea lobale ben visibile corrisponde in tutti i suoi caratteri alle figure che ne dà il Meneghini. Il Del Campana nel suo lavoro Cefalopodi del Medolo di Valtr ampia descrive e figura come Grammoceras fallaciosum un frammento di conchiglia ; esso, però, presentando le costole molto sottili e più ristrette degli intervalli, si allontana alquanto dalla forma tipica della specie in questione, e forse può rife- rirsi all Harpoceras Curioni Mgh., a cui si avvicina anche per la linea dei lobi. Località: Presso le Campore (Monte Malbe). Harpoceras boscense Reyn. 1861. Ammonites radians Reyn. in Hauer, Ueb. die Amm. aus d. sog. Me- doto, pag. 412 (ex parte). 1868. Ammonites boscensis Reynés, Essai de Géol., ecc., pag. 34, pi. HI fig- 2. 1867-81. A. (Harpoceras) boscensis in Meneghini, Foss. d. Médolo pag-. 12 t. I, fig. 7. 1885. Harpoceras boscense in Haug., Beitràge zw einer Monographie, ecc pag. 626. 1893. Harpoceras boscense in Geyer, Mittelliasische Cepltalop. d. Schaf- berges, pag. 1, t. I, fig. 1-6. 1896. Harpoceras boscense in Bonarelli, Fossili domeriani di Brianza, pag. 14. 1900. Harpoceras boscense in Del Campana, Op. cit., pag. 600, tav. VII fig. 56, tav. Vili, fig. i. Dimensioni: Diametro mm. 25 Altezza dell’ultimo giro » 9,4 Spessore » 77 Larghezza dell’ombelico » 7,9 Conchiglia a lento accrescimento di spira; l’accrescimento si fa più rapido solo nella seconda metà del giro esterno. I fianchi appiattiti, sono ornati di coste falciformi, e re- golarmente disposte. II dorso presenta una carena accompagnata lateralmente da due solchi ben pronunziati. 218 P. PRINCIPI Questa specie mostra stretta affinità coll 'Harpoceras pedi- natimi Meneghini, ma tuttavia ne deve essere tenuta distinta per avere i fianchi soppiani, un minor numero di costole e le linee lobali assai diverse. Località: Colognola (Monte Tezio). Harpoceras falcifer Sow. (Tav. VII, fig- 15 a, 15 b). 1811. Ammonites falcifer Sowerby, The Minerai Conchology of Great Britain, pag. 99, tav. 254, tig. 2. 1867-81. Ammonites falcifer in Meneghini, Monografie, ecc., pag. 14, tav. Ili, tig. 2 (esclusa la tig. 3). 1899. Harpoceras falciferum in Bonarelli, Boll. Soc. Mal. It., pag. 200. 1900. » » in Bellini, Op. cit., pag. 133, tig. 9. Dimensioni di un esemplare: Diametro mm. 6 Altezza dell’ultimo giro » 2,8 Spessore dell’ultimo giro » 1,7 Modelli interni ben conservati, con rapidissimo avvolgimento di spira ed ombelico ampio e protondo. La sezione dei giri è ovaliforme ed i fianchi sono assai elevati verso l’ombelico. Le costole falciformi sono semplici e assai più accentuate verso il dorso, sprovvisto di carena. La linea lobale corrisponde perfettamente alla descrizione ed alla figura che ne dà il Meneghini. L’esemplare di cui sono date le dimensioni e la figura e tipico sia per l’elevazione dei fianchi, come pure per la dispo- sizione delle costole e per la forma della bocca. Località: Presso le Campore (Monte Malbe) e presso Colo- gnola (M. Tezio). Harpoceras discoide Wright. 1884. Harpoceras discoide Wright, The Lias Ammon. of Britisch. Islands, pag. 47. Palaeont. Society London. 1891. Polyplectus discoide in Buchmann, A monography on tlie Inferior Oolithe Amm. oftlie Britisch. Islands, pag. 215, tav. XXXVII, tig. 1-5. Palaeont. Society. IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 219 1900. Lytoceras discoide in Bellini, Op. cit., pag. 143. 1902. Hai poceras (Polyplectus) discoide in lanesch., Jurensisschichten des Elsass., pag. 62, tav. IV, fig. 1, 2; Abhandl., Geol Spe- ciali:., ecc. 1906. Harpoceras (Polyplectus) discoide in Parisch e Viale, Op. cit., pag. 11, tav. Vili, fig. 1, 3, 4. Conchiglia compressa a rapido avvolgimento di spira, con ombelico assai stretto e profondo; il diametro è di cm. 6,1. Confrontata colle illustrazioni date da Parisch e Viale si avvicina più per la linea lobale alla figura 2 della tav. Vili, mentre per la forma delle costole mostra più strette relazioni colla figura 4 della stessa tavola. È da notare, poi, che anche nell’esemplare studiato si ri- scontrano nella porzione mediana dei fianchi delle ondulazioni trasversali, a cui accennano le suddette AA. Località: Presso le Campore (Monte Malbe) e presso Colo- gnola (Monte Tezio). Coeloceras subarmatum Y. e B. (Tav. VII, fig. 19). 1822. Ammonites subarmatus Young and Bird, Geological Surveyofthe Jorkshire ecc., pag. 250, t. 13, fig. 3. 1823. Ammonites subarmatus in Sowerby, Minerai Conchology, tav. IV pag. 146, fig. 147. 1844. Ammonites subarmatus in D’Orbigny, Paleontologie frangaise. Ter- rains jurassiques, I. pag. 268, tav. 77. 1852. Ammonits subarmatus in Renevier, Bnlletin de la Société Vaudois de Sciences naturelles, t. Ili, pag. 213. 1856. Ammonites subarmatus in Hauer, Ueber die Cephalopoden aus dem Lias der nordòstlichen Alpen, pag. 58, tav. XV, fig. 6-8. 186 < -81. Ammonites subarmatusm Meneghini, Monographie, ecc., tav. XIV. 1874. Coeloceras subarmatus in Hyatt, The fossils Cephal. of thè Museum of Comp. Zool., pag. 93. 1900. Coeloceras subarmatus in Bellini, Op. cit., pag. 159. Dimensioni : Diametro mm. 48 Altezza dell’ultimo giro » 14 Spessore » 15 220 P. PRINCIPI Conchiglia compressa, ornata di numerosissime coste, alcune delle quali sono semplici, altre si riuniscono due a due, dando luogo a dei tubercoli lungo la parte dorsale dei giri. Il dorso è largo e privo di carena e la spira e formata di giri più larghi che alti. L’ombelico è assai ampio, e l’accrescimento relativa- mente lento. La linea lobale, simmetrica, non presenta notevoli differenze dalle descrizioni dell’Hauer e del D’Orbigny. Questa specie è molto affine al C. arniatus ma se ne distingue per i giri meno larghi, per le coste più marcate e sopratutto pei i caratteri della linea lobale. Si avvicina anche per la forma generale al C. Desplacei D’Orb., ma quest’ultimo ha i tubercoli posti verso la metà dei fianchi di ciascun giro. L’esemplare esaminato, confrontato colle figure dell Hauei, presenta dimensioni alquanto minori ed i tubercoli un poco meno rilevati. Località: Presso le Campore (Monte Malbe). Coeloceras Desplacei D’Orb. 1844. Ammonites Desplacei D’Orbigny, Pai. Frang. Terrains jurass., pag. 334, tav. 107. 1852. Ammonites Desplacei in Giebel, Fauna d. Vonv., Ili, pag. 633^ 1867-81. Ammonites Desplacei in Meneghini, Monographie, ecc., pag. 75, tav. XVI, fig. 58. 1868 Ammonites Alberti Reynés, Géol. et Pai. Aveyr., ecc., pag. 93, tav. II, iig. 2 a, c. 1874. Ammonites Desplacei in Dumortier, Dépóts jurass. Lias sup ., pag. 93, tav. II, fig. 2 a, c. 1874. Coeloceras Desplacei in Hyatt., Thefossils Cephal. of thè Mus., ecc., Pag- 94. 1855. Coeloceras Desplacei in Bonarelli, Boll. Soc. Malac., It., voi. XX, pag. 211. 1900. Coeloceras Desplacei in Del Campana, Op. cit., pag. 637, tav. Vili, fig. 54-55. 1905. Coeloceras Desplacei in Canestrelli, Op. cit., pag. 26, tav. I, fig. 5. Modello interno a lento avvolgimento di spira con ampio ombelico ed involuzione molto accentuata. I giri sono più larghi che alti ed ornati di costole che, rimanendo semplici sui fianchi, [L MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 221 si riuniscono ai due lati del dorso a due o a tre, dando luogo ad un tubercolo poco pronunziato. La linea lobale presenta l’andamento tipico della specie. Località : Colognola di Monte Tezio. Coeloceras crassum Y. e B. (Tav. VII, fig. 16 a, 1 6 6). 1867-81. Ammonite* crassus Y. e B. in Meneghini, Monografie, eco. pag. 211, tav. XVI, fig. 2 (escluse le altre). 1864-74. Ammonites crassus in Dumortier, Op. cit., pag. 95 1896. Coeloceras crassum in Bonarelli, Le ammoniti del rósso ammoni- foco, ecc., Boll. Soc. Malac. It., pag. 213. 1900. Coeloceras cfr. crassum in Del Campana, Op. cit., pag. 628 tav Vili fig. 35-41. ' ’ Dimensioni : Diametro mm. 23 Altezza dell’ultimo giro » 8 Spessore » jl Larghezza dell’ombelico » 6,5 Conchiglia con largo ombelico; i giri della spira crescono lentamente, ed i giri più esterni vengono a ricoprire quasi com- pletamente i più interni, in modo che ne risulta una forma glo- bosa. I fianchi sono ornati di costole poco rilevate, alcune delle quali passando sul dorso si dividono senza formare un tubercolo molto accentuato. Le linee lobuli sono alquanto indistinte. Località: Colognola (Monte Tezio). Coeloceras annulatiforme Bn. (Tav. VII, fig. 13 a, 13 5). 1867-81. A. (Stephanoceras) Desplacei (D’Orb.) in Meneghini, Mono- 1 qqq _ 7 capine, ecc., pag. 76, fig. 7-8 (escluse le altre). 9. Coeloceras annulatiforme Bonarelli, Le ammoniti del rosso ammoni- foco, ecc , pag. 212. 1900. Coeloceras annulatiforme in Del Campana, Op.cit., pag. 633, tav. Vili fig. 45-50. ’ 222 P. PRINCIPI Dimensioni : Diametro nim. 18,5 Altezza dell’ultimo giro » 6 Spessore » 8 Larghezza dell’ombelico » 6,o Modello interno a lento avvolgimento di spira; la sezione dei giri è approssimativamente circolare; il dorso è privo di carena. I fianchi sono ornati di piccole costicine, ma ben rilevate, le quali nel passare sul dorso ora rimangono semplici ora invece si biforcano producendo dei piccoli tubeicoli. Le linee lobali si mostrano assai mal conservate. Località : Colognola (Monte Lezio). Coeloceras colubriforme Bett. 1900. Coeloceras colubriforme Bettolìi, Fossili domeriani della provincia di Brescia, Mémoires d. 1. Soc. Pai. Suisse, voi. XXVII, pag. 75, tav. VII, fig- 10. 1905. Coeloceras colubriforme in Fucini, Op. cit., Pai. ital., voi. 1 , pag. 294, tav. XLV1I, fig. 13-14. 1906. Coeloceras colubriforme in Parisch e Viale, Op. cit., pag. 161, tav. IX, fig. 5-8. Riferisco a questa specie una conchiglia incompleta con lento accrescimento, ombelico largo ma poco profondo, e giri ornati di costole semplici assai rilevate. Il dorso è leggermente convesso e privo di carena. La linea lobale si mostra alquanto indistinta. Questa specie, per l’avvolgimento della spira e per l’orna- mentazione dei fianchi ha qualche somiglianza col Coeloceras (Collina) commmis Sow., ma se ne distingue per avere quest ul- timo i giri a sezione subcircolare ed ornati di costole, che alter- nativamente si triforcano dopo avere formato un piccolo tubercolo sul contorno esterno dei fianchi. Località: Colognola (Monte Tezio). Hammatoceras Reussi Hauer. 1856. Ammonites Reussi Hauer, Ueber die Cephal. aus d. Lias, ecc., pag. 59, tav. XX, fig- 1-3. 1867-81 Ammonites Reussi in Meneghini, Monograplne, ecc., pag. bu, tav XII, fig- 4 (non tav. XV, fig. 1-2, sec. il Bonarelli). IL MONTE MALBE E IL MONTE TEZIO 223 1885. Erycites Reussi in Gemmellaro, Sopra alcuni Harpoceratidi del Lias sup. nei dintorni di Taormina, pag. 25. 1889. Erycites Reussi in Bonarelli, Le ammoniti del rosso ammonitico pag. 207. Riferisco a questa specie un frammento di conchiglia, la quale, per la forma caratteristica delle coste e per alcuni indizi della linea dei lobi può con certezza identificarsi coll’or. Beussi. Paragonando l’individuo esaminato colla fig. 4 data dal Me- neghini nella tav. XII della sua Monographie appare subito, come esso presenta una ornamentazione meno numerosa ed ha i giii alquanto più depressi; caratteri che lo riavvicinano mag- giormente colla forma tipica illustrata daH’Hauer. Località : Presso Fontana (Monte Malbe). Perugia, Laboratorio di Geologia del E. Istituto superiore agrario. [rus. pi es. 1 11 febbiaio 1908 — ult. bozze 19 luglio 1908] 24 P. PRINCIPI SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA VII. Fig. 1. Natica subovata Mtinster. » 2 a, b. Naticopsis rethica nov. sp. » 3. Dimya intusstriata Emni. » 4. Nucula subobliqua D’Orb. » 5. Anomia Mortilieti Stopp. » 6. Anomia striatula Opp. » 7. Avicula Tofanae Bitt. » 8. Modiola rustica Terq. sp. » 9. Modiola subcarinata Bitt. » 10 a, b, c, Rhynchonella umbra nov. sp. » 11 a, b, c. Rhynchonella portuvenerensis Gap. » 12 a, b. Hildoceras (Sequenziceras) retrcrsicosta » 13 a, b. Coeloceras annulatiforme Bon. » 14 a, b. Lytoceras Dorcadis Mgh. » 15 a, b. Harpoceras falcifer Sow. » 16 a, b. Coeloceras crossavi Y. e B. » 17 a, b. Lytoceras audax Mgh. » 18 a, b. Lytoceras velifer Mgh. » 19. Coeloceras subarmatum Y. e B. (Principi) Tav. VI Boll. Soc. geol. Ital. Voi. XXVII (1908) ,T • u Boll. Soo. Geol. Ital. voi. XXVII (1908), (Principi} Tav. VII. H 17 b V^-fj h\M.{ ' ELIOT CALZOLAI?) » h £ HHAHIO" MILANE APPUNTI PETROGfRAFICI SOPRA ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE Nota del dott. Italo Chelussi II materiale del cui studio è oggetto la presente nota fu rac- colto in parte dallo scrivente nell’Italia centrale (senso lato), m parte gli fu concesso dalla gentilezza dei sigg. ing. Lotti e Crema, ai quali perciò tributa i suoi più vivi ringraziamenti. . Per comodltà dl descrizione conviene raggruppare le roccie m esame secondo le loro età geologiche. Roccie del permico e del trias. Vi appartengono gli schisti argillosi e micaceo-arenacei, le arenarie quarzitiche e i conglomerati quarzosi (anageniti) del verrucano, i calceschisti del trias medio e superiore. In Toscana furono già studiate dal compianto prof. D’Achiardi le anageniti della valle di Asciano e di Agnano, e dal dott. Aloisi gli schi- sti e le altre roccie di Ripafratta. Le roccie analoghe del senese, e specialmente della Monta- gno a, studiate dal lato geologico specialmente dal prof. De Ste- am e dall’ ing. Lotti, ai lavori dei quali rimando, non furono considerate, per quanto io sappia, dal lato petrografia» ; per il c ie ne presento qui una breve descrizione anche per i possibili con ìonti che si possano istituire con le roccie delle località di Asciano, Agnano e Ripafratta. Secondo la carta geologica della provincia di Siena, redatta fagli ing. Lotti e Novarese, il permico è molto esteso; ma le < uagemt! si raccolgono meglio sulla via Siena-Massa Marittima g a ValIe delIa Eosia> doye il torrente ha scavato la pro- 16 226 I. CHELUSSI fonda valle la quale tra le altre formazioni taglia e delimita a N. il verrucano. Le sezioni sottili furono tratte però da campioni presi non solo in questa località ma anche più a N. al Varco a Pelli ed alla Porconata di Pelli nella Montagnola senese, nelle quali ultime località le anageniti contengono con discreta abbondanza l’oligisto micaceo; come pure al monte Vasone verso Colle di Val d’ Elsa e nella piaggia di Salvadonia che resta sulla strada Colle-Siena in un punto dove, tra i calcari e i calcescbisti del trias medio e superiore, comparisce un piccolo lembo di arena- ria quarzitica rossastra, macroscopicamente identica a molte che si trovano lungo il letto del torrente Eosia tra questo paese e le cave dei marmi gialli di Montearrenti. I calcescbisti furono invece raccolti a Pietralata e al Poggio degli Orgiali nella parte settentrionale della Montagnola ed an- che verso la fattoria di Spannocchia sulla destra del torrente. Dalle numerose sezioni sottili (*) delle medesime si può su- bito dedurre la grande loro povertà in minerali specialmente nelle anageniti, nelle arenarie e negli scbisti micacei, alle quali roccie si attaglia esattamente la divisione data per quelle delle valli d’Asciano e d’Agnano, cioè in anageniti, arenarie quarzose e scbisti con termini intermedi di passaggio tra l’uno e l’altro tipo. Dei minerali che le compongono il più abbondante è il quarzo quasi sempre in granuli arrotondati, spesso violetti, formati o da un solo individuo o da più individui diversamente orien- tati ; la loro grandezza è variabile a secondo si tratti di anage- niti o di arenarie quarzifere ; nelle prime i ciottoli possono rag- giungere un centimetro di diametro; ordinariamente sono di alcuni millimetri con le due dimensioni presso a poco uguali. Vi com- pariscono pure in quantità presso a poco uguali ciottoli a spigoli arrotondati e ciottoli a spigoli vivi. Alcuni granuli che a luce ordinaria sembrano omogenei, si mostrano a nicols incrociati come un aggregato di polarizzazione che ricorda in parte la struttura microcrittocristallina ed in parte la struttura felsitica, (') Le spedii all’ing. Lotti del R. Comitato geologico perché chiun- que ne possa prendere visione. ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE 227 comune a molti porfidi quarziferi. Molti granuli sono abbastanza torbidi perchè inquinati da minutissimo pigmento che li fa rasso- migliare a feldspato alterato; il quale però si presenta solo ra- ramente in alcune sezioni e si rende avvertibile per il contegno, all’orlo della sezione, della linea del Becke, avendo il feldspato un indice di rifrazione minore di quello del balsamo del Canada. Il quarzo è il componente che supera di gran lunga tutti gli altri; tra questi rarissimi sono: tormalina, rutilo, zircone e granato ; più frequenti muscovite e talco. Negli spazi tra gra- nulo e granulo di quarzo si trova con frequenza una sostanza colloide incolora o leggermente gialliccia, inattiva alla luce po- larizzata, da riferirsi ad opale. La pasta che collega questi granuli è in parte micacea; ma non di rado è ricchissima di un pigmento rosso o rosso-bruno ìifeiibile ad ematite ; ordinariamente dove prevale questo mine- rale mancano o non si rendono palesi la muscovite e il talco la cui presenza è subordinata a quella della muscovite. Maggior varietà mineralogica è presentata dagli schisti, e più che altro dagli schisti calcarei del trias che a Pietralata e in altre località della Montagnola accompagnano la formazione marmifera. In essi è abbondante la clorite, verde-chiara, Jeg- gei mente pleocroica, e la calcite; rare lacinie di amfibolo verde pleocroico, il feldspato, ortose e qualche raro e piccolo granulo di plagioclasio ben conservato e di natura alquanto acida, stando all angolo non troppo forte delle direzioni di estinzione nella zona di simmetria. Tutte queste roccie confrontate con le descrizioni di roccie analoghe date dagli autori precitati D’Achiardi ed Aloisi presen- tano con queste moltissima analogia, ma una minore varietà di componenti ; e nemmeno differiscono molto da alcune sezioni di roccie analoghe del verrucano delle Alpi marittime che ebbi dalla gentilezza del prof. Parona di Torino. Ad ogni modo, allo stato delle cose, mi pare azzardata ogni ipotesi che possa esser fatta sulla loro origine. Invano nella valle di Eosia ho cercato le tormalinoliti che accompagnano identiche roccie in altre località. 228 I. CHELUSSI Roccie dell’eocene superiore. Formazioni ofioliticlie. ISTe trattò specialmente dal lato geologico il prof. De Ste- fani. Le rocce eruttive, ecc., in Boll. Soc. geol. it., 1889; io perciò mi limito a dare la descrizione petrografica di quelle delle località seguenti : 1. Seccbiano (Poggiale) e Castel d’ Elei in vai di Marec- chia — Pesaro-Urbino. II. Rocca Tederigbi, Cretaio presso Perolla — Grosseto. III. Angbiari, Pieve S. Stefano nell’alta valle del Tevere — Arezzo. IV. Resi, Crevole, Yallerano, Gabbra, Trasqua e Rencine — Siena. V. Montecatini vai di Cecina. YI. Monti livornesi. I. — Secchiano (Poggiale) val di Marecchia. È un piccolo lembo ofiolitico sulla sinistra del fiume Ma- recchia in località detta il Poggiale, a circa 26 chilometri da Rimini. Ne parlarono l’ing. Clerici nel Boll. Soc. geol. it., 1888, pag. 28, lo Scarabelli nella sua Memoria illustrativa della carta geologica dell' Appennino settentrionale tra il Montone e il Fo- glia, Forlì, 1880; e il prof. De Stefani a pag. 259 e seguenti della precitata memoria dove egli dice che la roccia del Pog- giale ha molta affinità con quelle delle isole Poma e Pelagosa della costa dalmata. Ed a questo proposito il prof. Viola nella sua memoria Le roccie eruttive della Punta delle Pietre Lei e nella provincia di Foggia, in Boll. Com. geol. it., 1894, cita la opinione di C. v. Foullon per il quale la roccia dello scoglio Pomo deve rientrare nella famiglia delle dioriti augitiebe e pei- ciò analoga, secondo lo stesso prof. Viola, alla formazione erut- tiva della Punta delle Pietre Nere. ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE 229 L’estensione della formazione ofiolitica del Poggiale mi sem- bra alquanto maggiore di quella attribuita alla medesima dal- 1 ing. Ciclici, ad ogni modo in uno spazio pur sempre molto piccolo bo trovato una discreta, anzi abbondante varietà di roccie, tra le quali invano ho cercato il gabbro rosso accennato dallo Scarabei li nella sua memoria. Le roccie che io ho potuto raccogliervi sono le seguenti: I. Oficalce, II. Serpentina, III. Gabbro, IV. Diabase por- lìrico, V. Diabase compatto, VI. Arenaria formata da quarzo feldspato e serpentina. Questo tipo non l’ho mai riscontrato nelle altre formazioni ofìolitiche da me visitate. I. Oficalce. — Non presenta particolarità notevoli: è formata da serpentino traversato in tutti i sensi da vene calcitiche nelle quali si osservano cristalletti e scheletri di magnetite. II. Serpentina. I suoi componenti sono serpentino, dial- lagio, diopside e oli v ina, accessoria picotite. La olivina appa- risce in granuli nelle maglie del serpentino; di rado si trova inclusa nel diallagio. Il pirosseno incoloro (diopside) è in granuli abbastanza grossi e in cristalli non di rado molto allungati e talora quasi frantumati. Lo si distingue dall’olivina per i colori di polaiizzazione meno vivaci, ma più che altro per l’angolo della direzione di estinzione con la direzione dell’allungamento che è sempre molto forte e variabile intorno ai 42°. La roccia può esser considerata come una wehrlite; l’olivina che in questa è abbondantissima, sembra mancare affatto, come già notò l’ing. Cle- ìici (l. c.), nel diabase che le sta a contatto, mentre il pirosseno diopside si trova in ambedue queste roccie. ^ gabbro e formato da diallagio e plagioclasio, il primo spesso convertito in sostanza verdastra, il secondo profondamente alteiato in modo da velare le linee della geminazione polisin- tetica; prodotto frequente di alterazione sono delle sferulette in parte di serpentino e in parte di una sostanza formata da mi- nutissime fibre fortemente birifrangenti ; si tratta perciò di un piocesso di nefritizzazione, che è del resto comune, come vedremo in seguito, a molte roocie di queste formazioni ofìolitiche. IV. Diabase porfirico. — È la più interessante di tutte le joccie di questa formazione, perchè ho ritrovato questo medesimo 230 I. CHELUSSI tipo, quasi perfettamente identico, oltre che in altre località di cui accennerò dopo, anche alla Rocca Tederighi in provincia di Grosseto, la quale dista da Secchiano circa 200 km. in linea retta. Macroscopicamente non si distinguono atfatto i campioni delle due località citate perchè ambedue presentano una pasta omogenea grigio-verdastra entro la quale sono sparsi porfi idea- mente numerosissimi cristalli di feldspato bianco, di forma per lo più tabulare che possono raggiungere talora la lunghezza di un centimetro. In altri campioni la struttura porfirica viene a diminuire ed a scomparire e si hanno nelle località descritte i passaggi dal tipo porfirico al tipo afanitico. Lo studio delle numerose sezioni sottili del diabase di Sec- chiano mi ha condotto a stabilire per il medesimo i tre tipi seguenti : a) Tipo porfirico propriamente detto. — Risulta da plagio- clasio e pirosseno; il primo si trova come intercluso e come un componente della massa fondamentale della roccia: è quasi sempre profondamente ed uniformemente alterato in sostanza grigio-opaca che vela quasi sempre le linee della geminazione polisintetica; quando queste appariscono, i tentativi di misura degli angoli di estinzione nella zona di simmetria dàuno valori che oscillano tra i 25° e i 32°; il che indicherebbe la presenza di due pla- gioclasi di diversa basicità, cioè Andesina e Labradorite; il me- desimo si può ritenere per quelli della massa fondamentale, benché l’avanzata alterazione loro non permetta di dare un valore assoluto a queste determinazioni. Il pirosseno è in granuli o in cristalli, spesso rozzamente tabulari allungati; le direzioni di estinzione fanno con le dire- zioni d’allungamento degli angoli molto torti variabili intorno ai 40°. È sempre totalmente incoloro e con i colori di polariz- zazione molto vivaci. Per tutti questi caratteri lo ritengo per diopside. Raramente è alterato in una sostanza verdastra. Ele- mento accessorio è, sebbene non troppo frequente, la magnetite. Tipo fi). — Diabase porfirico uralitizzato. Macroscopicamente somiglia al tipo precedente per il colore della massa fonda- mentale e per l’aspetto porfirico; ma in sezione sottile il piros- seno incoloro è quasi totalmente sostituito dall’anfibolo verde pleocroico spesso fibroso. Senza escludere a priori la presenza ALCUNE ROCCIE DELL'ITALIA CENTRALE 231 di un antibolo originario, io ritengo che si tratti in questa roccia di un processo di uralitizzazione del pirosseno, poiché non di rado negli individui amfìbolici si osservano dei granuli e dei residui incolori con i colori di polarizzazione molto vivaci che sono gli avanzi di un pirosseno preesistente. Questi residui non si osser- vano negli antiboli che presentano contorno di cristallo, ma di prefenza in quelli senza limiti ben definiti. Qualche volta i re- sidui del pirosseno sono abbastanza grandi e tali da non mettere in dubbio, a parer mio, tale processo di uralitizzazione. Questo processo uralitico sembra coincidere col fatto di una minore alterazione dei plagioclasi per cui è più facile il loro studio ottico, che rivela, come nella roccia precedente, i due pla- g-ioclasi di acidità alquanto diversa fra loro. L’alterazione di questi plagioclasi è alquanto diversa da quella dei plagioclasi nella roccia precedente e non di rado si hanno sferule verdi- chiare e quasi incolore, a luce ordinaria, le quali si risolvono, a luce polarizzata, in un feltro finissimo di fibre fortemente ri- frangenti (attinolite) a costituire quel minerale detto Nefrite (cf. Meinschenk E., Die Gesteinbildendèn Miner alien, pag. 161). Tipo , ). Diabase uralitizzato non porfirico. Somiglia al tipo precedente, ma vi sparisce la struttura porfìrica e diminuisce la grandezza degli elementi; il pirosseno sparisce quasi com- pletamente e sembrerebbe trattarsi di una microdiorite, piuttosto che di un diabase, se qua e là entro l’antibolo non si scorgesse raramente qualche residuo del pirosseno incoloro ed il plagio- clasio non presentasse l’aspetto più decisamente listiforme carat- teristico dei diabasi. Il plagioclasio è spesso alterato; quando lo è poco, la piccolezza degli individui non ne permette una sicura diagnosi; sembra tuttavia di natura abbastanza basica. L’altro affioramento ofiolitico di vai di Marecchia è quello di Cabalduccio o Cabatuccio, poco ad ovest di Castel d’Elci, sona sinistra del Senatello, affluente del Marecchia. Secondo lo Scarabelli ( m . c.), si ricollega alle formazioni ofiolitiche di Pieve S. Stefano nell’alta valle del Tevere, da cui si discosta di pochi chilometri, in linea retta; ed infatti in ambedue le località ho trovato due gabbri scuri, minuti, che in sezione sottile presen- tano una grandissima somiglianza. Lo stesso autore fa notare che le formazioni del Secchiano, di Castel d’Elci e della Pieve 232 I. CHELUSSI di S. Stefano (m. c., pag. 28), sono allineate sopra una retta coincidente con l’asse del fiume Marecchia che è l’ultimo limite delle masse serpentinose provenienti dal bolognese. Ora questa linea prolungata verso S-0 incontra le formazioni di Resi e della Crevole nel Senese, e di Rocca Tederighi nel Grossetano, le quali come si vedrà più sotto, hanno roccie fra loro quasi del tutto identiche. Questa linea ideale sarebbe perpendicolare o quasi all’asse della catena appenninica. Per conto mio faccio notare il fatto singolare di roccie identiche allineate in una determinata direzione, senza però emettere in proposito alcuna ipotesi. Ritornando alla piccola formazione di Castel d’Elci, per quanto mi consta è formata da serpentino e da gabbri; non vi ho trovato il diabase porfirico nè quello afanitico. I gabbri sono chiari e scuri, in alcuni ha gran prevalenza il feldspato quasi sempre alteratissimo, talora saussuritizzato ; vi è frequente il processo nefritico. IL — Formazione della Rocca Tederighi (Grosseto). Ne parlo subito per far rilevare la sua grande somiglianza coli quella del Poggiale in vai di Marecchia. Secondo la carta geologica della provincia di Sieua essa è allungata da sud a nord ed è in contatto con la formazione trachitica della stessa località. Risalendo il fosso così detto « del Pisciolino » fino all’antica miniera, si possono raccogliere moltissimi campioni di roccie e specialmente di diabase porfirico; altri campioni li ebbi dalla gentilezza del sig. Alberto Martini, maestro elementare della Rocca. Anche qui distinguo: I. Oficalce, li. Gabbro, III. Serpen- tina, IV. Diabase porfirico, Y. Diabase afanitico; sulle ultime due stabilisco la identità con la formazione di Secchiano. I. Oficalce. — Sono molto più belle e variate di quelle di vai di Marecchia; se ne hanno varietà chiare a riflessi argen- tini, comuni del resto a molte formazioni ofiolitiche della To- scana, e varietà brune; nelle prime le vene chiare risultano in ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE 233 sezione sottile da numerosissime fibre, a bei colori di polarizza- zione, di crisotilo, disposte perpendicolarmente alla direzione delle vene stesse; nelle scure si ba invece una rete di vene scure e nere entro le cui maglie è una sostanza bruno-opaca inattiva alla luce polarizzata. Un altro campione, che dev’essere un prodotto d alterazione di un diabase, si rivela formato da nu- merosissime listerelle plagioclasiche, talvolta alterate in calcite, non di rado ìadialmente ordinate a formare un principio di struttura sferolitica, però con la croce caratteristica mal definita, e da poche lacinie, brune, pleocroiche di biotite, derivata pro- babilmente da un antibolo preesistente. II. Gabbri. Non mi sembrano molto frequenti; quelli che ho potuto esaminare risultano in preponderanza di plagioclasio a Rossissimi elementi, molto alterato, talvolta con un principio di saussuritizzazione, e da diallagio in piccolissime quantità; questo è quasi sempre alterato in sostanza verdastra. III. Serpentina. — È pur essa una serpentina con oli- vina nella quale però non ho potuto osservare il pirosseno dio- pside e la picotite che sono presenti nella serpentina di Sec- chiano. IV. Diabase porfirico. — Senza ripetere la descrizione già fatta di sopra, posso dire che nella formazione della Rocca Te- denghi ho ritrovato i due tipi a e di Secchino sopra ricor- dati. Infatti sono formati da plagioclasio e pirosseno diopside o da plagioclasio e amfibolo in gran parte prodotto d’alterazione del pirosseno; la differenza più notevole è che il tipo y) della Rocca non è formato, come quello di Secchiano, da plagioclasio e pirosseno, ma da plagioclasio, pirosseno ed amfibolo; e qui appunto si può più facilmente osservare il passaggio da quello a questo minerale. Il tipo (3 mi sembra identico nelle roccie di ambedue le località. Nel tipo y di Secchiano si è visto che la scomparsa della struttura porfirica dei plagioclasi coincideva con la scomparsa del pirosseno; invece in alcune sezioni del diabase della Rocca Tederighi si osserva che con la scomparsa della struttura porfirica coincide l’assenza o quasi dell’amfibolo al cui posto è il solito pirosseno diopside, ritornando in tal modo, salvo la struttura porfirica e la diminuita grandezza degli ele- menti al tipo x) del diabase di vai di Marecchia. 234 I. CHELUSSI In sostanza la identità più volte ricordata si fonda, a mio parere, sopra una identica composizione mineralogica, trovandosi nelle une e nelle altre il medesimo pirosseno diopside, spesso uralitizzato, il plagioclàsio egualmente alterato in ambedue e per quanto se ne possa dedurre dallo studio ottico, possibile soltanto in casi rari, della stessa basicità. Ed un altro carattere comune, oltre la struttura porfirica, è la presenza nelle roceie di ambedue le località, delle solite sferule verdi chiare, che a luce pola- rizzata, si risolvono in un feltro finissimo di fibre attinolitiche a costituire un processo nefritico. III. — Formazioni dell’alta valle del Tevere. Ne trattarono, anticamente il Giuli nella sua carta geolo- gica della Toscana, e più recentemente il prof. Taramelli. Esse possono essere divise in due gruppi principali, quello della Pieve S. Stefano e quello di Anghiari; nel primo si hanno ad est la formazione che va dal poggio delle Calbane a Cerbaiola e al podere di Montecavallo, a sud quella di S. Cassiano, ad ovest quella di Caprese (Sasso nero), patria di Michelangelo, e a N-0 alcune altre minori i cui detriti formano il letto del torrente Colledestro. Del gruppo d’Anghiari ricordo quelle del Poggio degli Scopeti, dei Monti Rognosi e del Poggio di Castiglione lungo la destra del Tevere e del torrente Singerna. Le formazioni di Pieve S. Stefano e specialmente quella di Cerbaiola sono a contatto di roceie somigliantissime al bisciaro che è molto esteso nella prossima provincia di Pesaro-Urbino; è forse questo un raro caso in cui il bisciaro, roccia eminen- temente caratteristica delle formazioni terziarie marchigiane, varchi l’Appennino e comparisca nel suo versante occidentale. Gli scopi principali che m’indussero a visitare le formazioni dell’alta valle del Tevere nelle scorse vacanze pasquali furono due cioè: la ricerca delle roceie nefritiche e la ricerca del dia- base porfirico ed afanitico identico a quello della Rocca Tede- righi e di vai di Marecchia. Il primo scopo andò completamente fallito perchè tanto nel letto del torrente Colledestro quanto percorrendo tutta la for- ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE 235 inazione ofiolitica dal Poggio delle Calbane alla fattoria di Cer- baiola e più oltre verso il podere di Montecavallo fin dove sono scavate le gallerie nel gabbro rosso per la ricerca del minerale cuprifero, come pure al Poggio degli Scopeti, nei Monti Ro- gnosi, etc., non mi è occorso di trovare alcuna roccia che ma- croscopicamente ricordasse le nefriti della Liguria meridionale, descritte dal Kalkowsky in Zeitschrift der deut. geol. Gesell- scliaft, Berlin, 1907; mentre in esse questo autore ricorda nelle nefriti molti di quei minerali che io ho notato nelle roccie sopra descritte, tra i quali meritano di esser ricordati il diopside, il diallagio e la picotite. L’altro scopo fu in parte raggiunto perchè tanto a Cerbaiola, presso la Pieve S. Stefano, quanto al Poggio degli Scopeti, verso Anghiari, ho potuto trovare in piccoli banchi entro il gabbro e la serpentina, il tipo del diabase porfirico descritto antece- dentemente. In ambedue queste località la roccia è quasi identica; macro- scopicamente è, al solito, formata da una massa scura verdastra, entro la quale sono disseminati porfiricamente cristalli bianchi di plagioclasio. Le sezioni sottili di ambedue le località citate presentano queste caratteristiche. Quelle dei campioni di Cer- baiola, presso Pieve S. Stefano sono identici al tipo a più volte ricordato, cioè risultano di plagioclasio porfirico entro una massa fondamentale formata da plagioclasio e pirosseno diopside, più una certa quantità di sostanza viriditica e poca magnetite. I pla- gioclasi sono in generale molto alterati; anche qui i tentativi di studio ottico darebbero angoli in parte intorno ai 25°, in parte intorno ai 32°; talché si avrebbero due plagioclasi di basicità diversa. Molto sviluppato è il processo nefritico. Il pi- ìosseno incoloro ha i medesimi caratteri che nelle roccie ana- loghe delle località sopra ricordate; non è raro qualche gemi- nato. La ìoccia in sostanza può esser considerata come un dia- base porfirico. Le sezioni invece dei campioni raccolti nei Monti Rognosi assomigliano al tipo y già descritto, nel quale gli elementi dimi- nuiscono in grandezza, il pirosseno sparisce per lasciare il posto all amfibolo; però a differenza del tipo y conserva, sebbene non tioppo spiccata, la struttura porfirica degli altri tipi. 236 I. CHELUSSI Queste roccie sono, come lio detto, abbastanza rare nelle formazioni ofiolitiche dell’alta valle del Tevere le quali sono formate più che altro da gabbri minuti e da gabbri a grana molto grossa, non di rado a contatto diretto fra loro; però sono sufficienti per dimostrare la presenza delle medesime roccie nei punti intermedi tra i due estremi che sono a N-E Seccliiano e a N-0 Rocca Tederighi. Oltre ai gabbri ricordati, a grana minuta, vi sono nelle for- mazioni ofiolitiche di questa località anche le serpentine olivi- niche delle quali un tipo è quella del Sasso nero, presso Caprese. Tra i diversi frammenti che ho raccolto nel letto del torrente Colledestro allo scopo di trovare il diabase porfirico o afanitico, ne ho trovato uno che merita lina breve descrizione. È un fram- mento compatto verde scuro in cui è qualche raro grosso cri- stallo di feldspato. Sembrerebbe a primo aspetto un diabase porfirico; ma le sezioni sottili, osservate a luce trasmessa pre- sentano una minutissima struttura schistosa. La sua composizione mineralogica è la seguente: Minutissimi granuli di quarzo, gra- nuli più grossi di feldspato alterato, sostanza verde chiarissima, numerosi piccolissimi frammenti di biotite e rari granuli di un minerale che per l’angolo di estinzione con le direzioni di sfal- dabilità di circa 45° gradi sembra essere augite. Il quarzo e la biotite si dispongono ognuno in gruppi allungati dando cosi la struttura schistosa alla roccia. La sostanza verde chiara si risolve in un minutissimo aggregato di particelle più o meno rifran- genti, alcune poche delle quali con i colori debolmente iridati incorderebbero la moscovite. Notevole perciò e la singolarità di questa roccia che invano ho ricercato in posto; macroscopica- mente somiglia ad un diabase o ad un gabbro a grana minuta; al microscopio ha una composizione mineralogica affatto diversa dalle roccie ofiolitiche, in nessuna delle quali non si trova mai il quarzo che manca, secondo il Kalkowsky ( op . cit.), anche nelle nefriti. ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE 237 IV. — Formazioni ofiolitiche del Senese. Abbastanza frequenti sono nel Senese le formazioni ofìoli- ticbe. Dall’ing. Lotti ebbi un campione di Resi, presso le for- mazioni di Murlo e della Crevole, il quale in sezione sottile si presenta identico al tipo y sopra descritto e specialmente al tipo porfìrico dei Monti Rognosi, dell’Anghiarese; esso è pure identico ad un diabase poco porfìrico del Cretaio, presso Perolla, ad ovest della Rocca Tederighi in provincia di Grosseto. Questa piccolissima formazione presenta pure la steatite formata da piccoli ciottoli verdi cementati da una massa verde chiarissima nella quale si vedono le impronte lasciate da questi ciottoletti. Delle altre formazioni senesi che ho potuto visitare, quella di Vallerano, da cui viene estratto il cosidetto marmo nero per il Duomo di Siena, poco presenta di notevole; quella della Crevole ha il gabbro rosso, e quella delle Gabbra nella Montagnola, presso Bellaria, ha la eufotide in cui frequenti sono le produ- zioni della nefrite. ; Talché le località dove ho potuto trovare il diabase porfìrico e 1 afanitico, che sono, a parer mio, roccie molto caratteristiche, sarebbero venendo dal S-0 verso il N-E le seguenti: Cretaio-Rocca Tederighi, Resi-Crevole (Siena), Monti Rognosi, Pieve S. Stefano (Arezzo), Secchiano in vai di Marecchia (Pe- saro-Urbmo), e tutte collocate lungo una retta ideale paral- lela all’asse del fiume Marecchia (Scarabelli), e quindi perpendi- colare all’asse dell’Appennino. For“azione di Pasqua e Rencine. — Questa formazione a D-0 di Siena ha una facies assolutamente diversa dalle forma- zioni sopra ricordate. Si tratta al solito di serpentina, di gabbri e di diabasi, ma sono appunto questi che stabiliscono la diffe- renza con le formazioni precedenti e con quelle di cui dirò dopo. I caratteri loro sono: una grande freschezza, specialmente nei plagioclasi ; un habitus più spiccatamente listiforme dei mede- simi; la presenza delTaugite comune, bruno garofano, e la man- canza di am fi bolo uralitico come prodotto di alterazione del pi- rosseno. I tipi che ho trovato, solo a qualche metro di distanza I. CHELUSSI 238 l’uno dall’altro sono due; uno a grana media, l’altro a grana sottile. I plagioclasi danno angolo di estinzione nella zona di simmetria, variante dai 25° ai 30° circa, si tratta quindi di labra- dorite. Il pirosseno è fresco in quello a grana media; nell’altro è alquanto alterato in sostanza viriditica. A questi componenti prin- cipali si aggiunge poca magnetite e la sostanza verde ricordata. y. — Formazioni di Montecatini in val di Cecina. Sono roccie per lo più profondamente alterate; molte di esse hanno la struttura porfìrica ma nel loro insieme differiscono, se non nella composizione mineralogica, la quale è spesso pressoché eguale, dalle roccie sopra descritte della valle del Tevere, della Rocca Tederighi, della vai di Marecchia, etc. Differiscono pure da quelle di Trasqua e di Rencine del Senese. Rarissime sembrano le serpentine con olivina; le più sono serpentine dialagiche. I com- ponenti dei diabasi, i soli che ho preso in esame, sono i plagioclasi profondamente alterati e il pirosseno che è l’ordinaria augite. Essa in alcuni campioni è sostituita da una sostanza grigia che riempie i vacui lasciati dai feldspati e che probabilmente è una alterazione del pirosseno preesistente. Di questi div ersi campioni alcuni, come quelli di monte Rigirale, sono porosi; alti i , come quelli che a Montecatini si trovano tra il diabase e gli scbisti diasprini, sono diabasi quasi totalmente convertiti in oficalce con produzione abbondante di opale. In generale si può diie che siano rocce poco interessanti. Non vi ho trovato processi di nefritizzazione. Di maggiore importanza mi sembrano alcuni interclusi che si trovano entro questa formazione. Essi sono o gabbri rinchiusi nel diabase il quale a sua volta può rinchiudere nuclei di eufotide; sezioni sottili di contatto danno una linea nettissima di divisione tra l’una e l’altra roccia senza alcuna influenza reciproca che abbia portato cambiamento nella loro composizione mineralogica. Spesso sono inclusi di calcali e di calcari magnesiaci di roccie secondarie; altri sono pine diabasi in cui il plagioclasio si è convertito in serpentino. Il più note- vole è un ciottolo bianco grigiastro o bianco rossastro di una pasta omogenea in cui sono sparse rare macchiette di colore più ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE 239 chiaro. In sezione sottile risulta di pochissimi cristalletti por- fiiici di plagioclasio alteratissimo, contenuti entro una massa fondamentale formata da un feltro di fini cristalletti plagioclasici disposti in tutte le direzioni e rincalzati da una sostanza grigia opaca. Deve essere stato probabilmente un diabase nel quale il pirosseno si è convertito, per alterazione, in sostanza grigia. Questa medesima struttura feltrosa è pure posseduta da un ciot- tolo erratico che trovai al ponte sul Marecchia nel conglomerato che aceompagna le arenarie che si estendono da S. Leo fino alle rive del Senatello in tutta quella regione detta del Mon- tefeltro, confinante ad ovest con la provincia di Arezzo. Più oltre ne darò la descrizione. VI. — Formazioni dei monti livornesi. Dei numerosi campioni delle roccie di questa località, avuti dalla gentilezza dell ing. Lotti, ho scelto quelli che mi sembra- vano più freschi e quelli che macroscopicamente avevano aspetto dibasico; perchè a me pare che siano appunto i diabasi le roccie più importanti delle formazioni ofiolitiche, non tenendo conto delle nefriti che io non sono ancora riuscito a trovare, ma che non dovrebbero mancare, per l’analogia, tra le formazioni ofioli- tiche dell’Italia centrale (Toscana in senso stretto), e quelle della Liguria meridionale dove, come ho già accennato, il Kalkowsky trovò nefriti in ben undici località (l. c., pag. 332). I diabasi dei monti livornesi sono in generale roccie profon- damente alterate; sono contenute non di rado nel gabbro, ed a sua volta possono contenere frammenti di questa roccia. Le sezioni tagliate in modo da mostrare gabbro e diabase pre- sentano una linea esatta di separazione tra ambedue e non vi ha traccie d’influenza reciproca, come non vi era traccia d’in- fluenza tra i nuclei calcarei e il diabase che l’includeva nella formazione di Montecatini. La composizione mineralogica è la solita, cioè plagioclasio alteratissimo, pirosseno in alcuni campioni incolore (diopside), in altri oidinaiia augite; poco amfibolo secondario, magnetite e viiidite, sostanzialmente non differiscono dai diabasi sopra de- 240 I. CHELUSSI scritti, se non per la molto minore quantità dell’amfibolo; ma nell’aspetto generale questo e quelli di Montecatini sono diversi dai precedenti; tale diversità più che da una descrizione, risulta evidente dal confronto diretto al microscopio delle diverse loro sezioni sottili. Di tipo affatto diverso sono, a parer mio, i due diabasi di Trasqua, a N-0 di Siena, nè mi so spiegare come roccie della me- desima età geologica debbano avere un tanto diverso grado di con- servazione, essendo freschissimi i diabasi di Trasqua mentre ordi- nariamente sono molto alterati quelli delle località sopra ricordate. Miocene. Arenarie e conglomerati dell’Urbinate, arenarie del Camerinese. Sono molto sviluppate queste arenarie nella provincia di Pesaro-Urbino ed in quella di Macerata, specialmente nel bacino camerte di cui trattò il dott. M. Mariani in Oss. geol. sai din- torni di Camerino, Boll. Soc. geol. it., 1902. Nel Montefeltro, che è la regione nord-occidentale dell’urbinate, sono accompa- gnate e spesso coperte da un conglomerato a ciottoli improntati (v. Scarabelli, meni, cit .), nel quale si trovano anche, e non di rado, ciottoli propri delle formazioni ofiolitiche. Lungo la valle del Marecchia esse formano le alture di Maioletto, Talamello, la Serra, monte Pincio, fino alla Perticara; più a S-E si estendono dal Foglia fino alle pendici dei monti Catria e Nerone (v. mia nota, Note di geologia marchigiana, Soc. it. Se. nat., Milano, 1906). Ne tratto qui per due ragioni: prima perchè contengono, come le marne turchine coeve o quasi di Fabriano e del ponte presso il fiume Foglia, frammenti angolosi di roccie schistose; poi perchè il loro esame petrografico rivela la presenza di mi- nerali carattestici, tra i quali non troppo scarso il glaucofane. Dei frammenti di roccie schistose che raramente si trovano entro queste arenarie parlai già nelle mie Nuove note di geol. ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE 241 marchigiana, in Atti Congresso Naturalisti, Milano, 1906, citando i mickasckisti raccolti dall’ing. Morena, di Cantiano, nelle valli presso il Catria e il Nerone, il calceschisto dell’arenaria d’Ur- bino ed il micaschisto granatifero a glaucofane di Fiastra, presso Camerino, da me trovati. Adesso aggiungo una breve descrizione di un frammento abbastanza grosso di micascisto, trovato a Piaia, sul confine della provincia di Forlì, un pezzo del quale mi fu concesso dalla gentilezza delPing. Bonaecioli, direttore della miniera sulfurea della Perticara. Le roccia macroscopicamente è grigia sckistosa, ricchissima di pagliette di moscovite. In sezione sottile presenta questi mi- nerali: quarzo e moscovite, come componenti principali; vengono dopo: ortose, microclino e plagioclasio. 11 quarzo è ordinaria- mente in granuli minutissimi, la moscovite invece in individui abbastanza sviluppati e a contorni irregolari. L’ortose è alquanto alterato come il plagioclasio; non è raro il caso di qualche gra- nulo che mostra l’accrescimento (non però ben deciso) micro- pertitico di ortose e plagioclasio. Relativamente abbondante è il microclino con la sua struttura a inferriata. Conglomerato. — Cominciando dal ponte sul Marecchia a ciica 26 km. da Rimini, ho preso in esame il conglomerato che accompagna le arenarie fino al di sopra della Serra sulla via Mercatino-Perticara e Talamello-Perticara, e specialmente nella località detta il Poggiolo , dove sembra che esso presenti maggior varietà di ciottoli. Lo Scarabelli {meni, cit., pag. 51), oltre i ciottoli improntati vi trovò ciottoli piccoli di calcagnerò’ che egli ritenne provenienti dai calcari antichi della catena metallifera toscana, per cui doveva esistere una comunicazione tra questa regione e le Marche attraverso un’area più o meno grande, non essendo ancora sollevata la catena dell’Appennino. Tale conglomerato è, come egli giustamente osserva, del tutto diverso dai conglomerati poligenici più recenti di Tomba di Pe- saro, Novilara, ecc., che si trovano più ad est allineati lungo la costa dell’Adriatico. ciottoli che vi ho raccolto, oltre i moltissimi calcarei, sono i seguenti : L Ciottoli di serpentino molto alterato; sono in generale molto piccoli; li ho trovati più che altro al Poggiale, e nei ciot- 17 I. CHELUSSI 242 toli inviatimi dall’ing. Bonaccioli, cioè ad ovest della forma- zione ofiolitica di Secchiano, mai nel conglomerato che si trova ad est di questa località, cioè verso l’Adriatico, ciò dimostra che tali ciottoli provennero o da ovest o da N-O; non sembra pos- sibile una corrente da est poiché in tal caso si sarebbero dovuti trovare ciottoli serpentinosi non solo nel conglomerato del ponte di Marecchia ma anche nei conglomerati più giovani di Tomba, di Pesaro, Novilara, ecc. II. Insieme con i ciottoli di serpentino, sono numerosissimi i ciottoli o meglio frammenti a spigoli smussati di diaspri e ftaniti rossi e rosso-bruni in tutto somigliantissimi a quelli che in Toscana e, specialmente per quello che mi consta de visu, accompagnano le tormazioni ofiolitiche della Rocca Tederighi, in provincia di Grosseto, e quelle di Murlo e della Cre\ole nel Senese. La presenza di questi diaspri è, a mio parere, di grande importanza per stabilire l’origine probabile di questo conglo- merato e per conseguenza l’origine delle arenarie che alternano con esso o gii sottostanno. Ma formazioni a calcari, diaspri e ftaniti concomitanti con le formazioni ofiolitiche si trovano non solo in Toscana ma anche nella Liguria meridionale; ed anche, come mi fece osservare giustamente l’iug. B. Lotti, nell’ Appennino bolognese; dove però le formazioni ofiolitiche essendo poco svi- luppate difficilmente poterono tutta quella grande quantità di ciottoli diasprini che si trova al Poggiolo e verso la Perticara. Quindi per ora la ipotesi più probabile sulla origine del conglomerato e delle arenarie sembrami esser quella che in so- stanza fu espressa per la prima volta dallo Scarabelli, cioè una origine occidentale dalle formazioni ofiolitiche della Toscana o, anche da più lontano, attraverso alle medesime. Tutto ciò però non esclude la possibile esistenza di alti e correnti con direzione un po’ diversa da quella occidentale, infatti l’ing. Salmoiraghi, che fece l’esame petrografico della sabbia isolabile del calcare della Vernia (Arezzo) (Oss. minerai, sul calcare miocenico di S. Marino, ecc., in R. Istit. Lomb. di Scienze, 1903, pag. 15), dopo averla ritenuta più somigliante a quella di S. Marino che a quella della Pietra di Bismantova ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE 243 a Castellinolo, presso Peggio Emilia, vi trovò in abbondanza il serpentino, che invece era relativamente scarso nel calcare del monte Titano e nelle altre formazioni calcaree della vai di Ma- recchia. Ora le formazioni ofiolitiche più prossime alla Verna e che pi obabilmente dettero alla medesima il serpentino di cui è ricca erano in ordine crescente di vicinanza quelle della Por- retta nell’ Appennino bolognese, quelle di Prato (monte Jenato) e dellTmpruneta, presso Firenze, e finalmente le più vicine, quelle della Pieve S. Stefano. Oltre ai ciottoli già notati ne ricordo due che hanno l’aspetto di essere appartenuti a formazioni ofiolitiche. Uno di essi sembra un gabbro a grossi elementi; in sezione sottile apparisce for- mato da plagioclasio (?) completamente saussuritizzato; l’altro componente è convertito in una sostanza grigia cupa con traccie di sostanza verdastra. La profonda alterazione non permette una diagnosi più esatta. Questo ciottolo è del Poggiolo. Un altro ciottolo raccolto nel conglomerato, al ponte sul Ma- ìecchia, e formato da una massa grigio-cupa con tono rossastro, entio la quale si trovano, porfiricamente sparsi, numerosi cri- stalletti di plagioclasio. In sezione sottile il plagioclasio è pro- fondamente alterato in modo da velare quasi del tutto le linee della geminazione polisintetica. La pasta fondamentale grigio- rossastra e formata da un feltro di numerosissime listerelle allungate e da aghi plagioclasici disposti in tutti i sensi e talora quasi radialmente ordinati a guisa di sferoliti; gli spazi tra le liste plagioclasiche sono riempite da una sostanza grigio- rossastra cupa, inattiva alla luce polarizzata. La struttura fel- trosa ricorda il nucleo di diabase che fu trovato nella forma- zione di Montecatini, in vai di Cecina; ed anche questo ciottolo sembrami dover esser considerato come un diabase porfirico. Composizione mineralogica delle arenarie. Tentai già lo studio petrografico di queste arenarie per mezzo delle sezioni sottili; ma i risultati che ne ottenni furono, come si può vedere dal mio lavoro: Nuove note di geologia marchi- I. CHELUSSI 244 giana, molto esigui (1). Pensai perciò esser meglio di studiarle con il metodo della separazione con le soluzioni pesanti del Tkoulet, del Klein, ecc., metodo già adoperato per lo studio delle sabbie, specialmente dai professori Artini e Salmoiraghi, giovandomi specialmente dei lavori di questi autori ( ) ed anche di quel poco di pratica che feci anni sono con lo studio delle sabbie del fiume Serio. A tale scopo ridussi alcuni campioni d’arenarie marchi- giane in sabbia mediante la triturazione; la sabbia fu trattata con HC1 per eliminare i carbonati che avrebbero potuto alte- rare la soluzione del Klein di borotunstato di cadmio. L’attacco con HC1 ridusse i campioni a circa metà del loro peso ; il deposito nelle soluzioni pesanti rappresentò una picco- lissima parte di tutta la roccia; perciò i minerali che lo for- mavano, e sono i più importanti, sarebbero con tutta facilita sfuggiti all’osservazione, come già mi accadde, se lo studio tosse stato fatto con le sezioni sottili. I campioni esaminati furono presi nelle seguenti località . I. Pugliano presso S. Leo. II. Urbino (Bersaglio e Ammazzatoio). III. Maioletto. IY. Monte Pincio presso Talamello. Y. Pive del Senatello alla sua foce nel Marecckia. VI. Camerino. (1) a me pare che lo studio delle arenarie debba esser fatto come quello delle sabbie, cioè con la separazione con liquidi pesanti, potendo così avere i minerali rari che difficilmente si trovano presenti nelle se- zioni sottili. 7 . . (2) Aldini E., Sulla composizione mineralogica delle sabbie del licino. Giorn. Min., etc., 1891; Sulle sabbie di alcuni fiumi del Veneto, 'Padova,, 1898- Su due sabbie del litorale adriatico. Rend. Ist. lomb., 1 896 : I sedimenti del lago di Como. Rend. Ist. lomb., 1903; Salmoiraghi F., Sullo studio mineralogico delle sabbie, ecc. AttiSoc.it. Se. nat., 1904; Osservazioni mineralogiche del calcare di S. Marino. Rend. Ist. Lomb., 1903; ; Sull on- gine padana della sabbia di Sansego, ecc. Rend. Ist. lomb., 1907; Che- lussi I., Sulla composizione mineralogica delle sabbie del fiume Seno. Atti Soe. it. Se. nat., 1900. ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE 245 I. — PUGLIANO. Arenaria grigio cerulea ricchissima di moscovite; piccolis- simo il deposito che è nero per magnetite abbondante (separa- zione con elettrocalamita). La formano i seguenti minerali; in ordine di abbondanza calcite e quarzo; dolomite dubbia perchè non fa effervescenza e caldo con HC1 dopo la eliminazione della calcite : mancandomi la a - monobro- monaftalina non posso determinare la sua presenza per mezzo dell’indice di rifrazione di questa sostanza, intermedio tra quello della calcite e della dolomite ; tormalina , piuttosto abbondante in sezioni rettangolari, pleo- croica dall’incoloro al bruno tabacco; zircone, abbondantissimo, talvolta in cristalletti completi molto grossi con i colori di polarizzazione molto vivaci e spesso iridati ; epidoto scarso in granuli, pleocroico dall’incoloro al giallo paglia. muscovite, diorite , biotite ; la prima abbondantissima. II. — Urbino. I due punti dove furono raccolti i campioni dall’arenaria di Uibino sono, in alto presso la città, V ammazzatoio, ed in basso lungo la strada di Pesaro, dov’è il bersaglio; la diffe- renza di livello tra le due località è di circa 100 metri; ma il campione più basso si è mostrato molto più ricco in mine- rali pesanti di quello più alto. Descrivo solanto la seconda cioè l’arenaria del bersaglio. Col trattamento con HC1 a caldo perde più della metà del suo peso ; i minerali che vi ho notato sono : quarzo, ortose e magnetite (scarsa) ; tormalina non frequente, simile a quella dell’arenaria di Pugliano ; rutilo poco frequente; epidoto non frequente; 216 I. CHELUSSI amfibolo verde chiaro, leggermente pleocroico ; è molto scarso ; glaucofane e gastaldite, in granuli più o meno intensamente pleoeroici, non dì rado alquanto torbidi ; nei granuli alquanto allungati Tangolo di estinzione è piccolissimo tra 4° e 7°; muscovite e clorite, la prima non troppo abbondante. Yi si aggiungono rare minutissime sferulette senza però la croce caratteristica; inoltre vi sono molti granuli verdastri o giallastri ; ordinariamente opachi, probabilmente prodotti di alte- razione non facilmente determinabili. HI. — Maioletto, sulla destra del Marecchia IN FACCIA A TaLAMELLO. Due campioni uno del fosso Albereto, l’altro di sotto la Bocca , hanno presso a poco eguale composizione mineralogica. Yi ho notato oltre la calcite, il quarzo , Vortose, la magnetite, anche i seguenti: granato abbondante ; zircone id. epidoto id. tormalina, identica alla precedente, scarsa; rutilo scarso; cianite scarsissima e di dubbia determinazione per la pic- colezza degli individui: abbondanti, i granuli opachi giallastri o verdastri. IV. — Monte Pincio, presso Talamello SULLA VIA DI S. ÀGATA FELTRIA. E ricco di minerali colorati; vi ho notato oltre la calcite, il quarzo e Vortose anche: plagioclasio non frequente in individui minutissimi e molto ben conservati; glaucofane e gastaldite, abbondante, circa due o tre gra- nuli per ogni preparazione ; il colore bleu cupo e la forma in granuli irregolari accennerebbe, oltre che al glaucotane, anche alla presenza della riebeckite; ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE 247 don tolde, rarissimo, in scagliette irregolari col pleocroismo variabile dal verde oliva al verdastro (la densità della solu- zione del Thoulet era di circa tre, perchè vi galleggiava la do- lomite il cui peso specifico è 2,95 ; quindi pare da escludersi la confusione con la clorite, il cui peso specifico varia da 2,6 a 2,9 (Ct. Weinschenk, Die Gesto inbilclenden Jtfineralien, tav. 21). Si hanno inoltre abbondanti muscovite, granato e zircone. Nell’arenaria di Talamello, presa nel paese stesso, non ho trovato glaucofane nè cloritoide. V. — Sponde del torrente Senatello AL SUO SBOCCO NEL FIUME MaRECCHIA. Oltre i soliti componenti, calate, quarzo , ortose, etc. vi ho no- tato i seguenti : tormalina identica a quella dei campioni precedenti ; glaucofane e gastaldite ; staurolite scarsa, in granuli pleocroici dal giallo paglia al giallo d’oro (Ct. Salmoiraghi, Sull' origine padana della sab- bia, ecc., pag. 871); inoltre epidoto , rutilo, granato e zircone. VI. — Camerino (Macerata). Questa arenaria che forma il colle di Camerino fu descritta dal dott. M. Mariani, Osserv. geol. sui dintorni di Camerino, Boll. Soc. geol. it., 1902, e da lui chiamata arenaria a Mactra tnangula ; è abbondantissima in tutto il bacino. Il campione studiato e del colle di Camerino ed a me pare il più ricco in minerali pesanti tra tutti quelli che ho esami- nato ; mentre nelle sezioni sottili non potei riscontrare questa lelativa ricchezza. I minerali sono: oltre i più comuni cioè: cal- cite, quarzo, ortose, etc. quindi glaucofane e gastaldite, amfibolo veide leggei mente pleocroico; epidoto, granato , zircone e torma- lina in quantità variabili. 248 I. CHELUSSI Dall’esame petrografico di questi pochi campioni delle are- narie marchigiane si possono dedurre le seguenti conclusioni: 1° La loro composizione mineralogica è abbastanza costante in un’area molto estesa, cioè dal Senatello presso il clinale dell’Appennino a S. Leo; e da Urbino a Camerino, sebbene tra queste due città spesso le arenarie spariscano o siano pochissimo sviluppate. 2° I minerali più pesanti, e perciò più caratteristici, sem- brano accumularsi nelle parti più profonde della formazione. 3° Abbastanza diffusi in essi sono i due minerali glaucofane e gastaldite caratteristici degli schisti cristallini. 4° In esse vi si trovano quasi tutti i minerali del calcare miocenico di S. Marino; vi mancano alcuni minerali della sabbia del Marecchia presso Rimini (Salmoiraghi, pag. 8 e 20) e delle sabbie littoranee di Pesaro e Grottammare (Artini, 1. c. i. In quanto alla origine loro, tenuto conto della quasi iden- tità mineralogica col calcare di S. Marino, panni dover giun- gere alla conclusione dell’ing. Salmoiraghi, cioè che i minerali di roccie cristalline, etc., possono, per la loro associazione discordante dalla litologia delle Alpi , riferirsi ad un massiccio scomparso. Esclusa perciò l’esistenza di un Po miocenico, analogo al Po quaternario dell’ing. Salmoiraghi (Sulla origine padana, etc.), che avrebbe dovuto spingere le sue alluvioni fin’oltre la linea del fiume Chienti, non resta che l’ipotesi di correnti occidentali che contribuirono alla formazione delle arenarie dell urbinate e del camerinese ; poiché infatti il conglomerato che le accompagna contiene ciottoli di calcare nero, provenienti, per lo Scarabelli, dalla catena metallifera toscana e contiene pure serpentini, dia- basi e moltissimi ciottoli di diaspri e ftaniti, tutti caratteristici delle formazioni ofiolitiche, molto abbondanti in Toscana. Ed appunto verso occidente doveva esistere il massiccio i cui detriti formarono queste arenarie; in esso molto sviluppati dovevano essere gli schisti cristallini perchè nelle arenarie che ne derivarono tanto l’ing. Morena di Cantiano, quanto lo scri- vente hanno fin’ora trovato soltanto frammenti di micascisti, mai però ciottoli di granito di porfidi, di doriti, etc. ; mentre nelle arenarie vi è invece molto diffuso il glaucofane. Ed è pure noto che roccie a glaucofane furono già trovate al Capo Argentario ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE 249 dall ing. Franchi e all’isola del Giglio ; mentre da un’altra parte il prof. De Angelis d’Ossat attribuì pure una origine da oc- cidente ai ciottoli cristallini del monte Deruta nell’Umbria (Eend. R. Acc. Lincei, 1900) ('). Ad ogni modo io ritengo che maggior luce sulla questione si potrà avere da uno studio petrografie© accurato delle arenarie dell’ascolano, dove secondo Spada-Lavini e Orsini (Sur la cons- titution géolog ., ecc. Bull. Soc. géol. de France 1845-55) si tro- vano ciottoli di rocce cristalline, e da quello delle arenarie del teramano che secondo l’Amary (Storia nat. inor. della provin- cia tei amana, Aquila, 1845) ne sono privi; come pure da una revisione accurata delle arenarie aquilane, e dall’esame delle formazioni mioceniche comprese tra la costa toscana e l’Ap- pennino. Conglomerati poligenici del terziano superiore. Furono anticamente ricordati dal Bellenghi, dal Brignole, dal Boder e dal Mannani ; lo Scarabelli ne trattò a pag. 98 della sua citata memoria, notando la differenza di questi dal conglomerato del Poggiolo e della Perticala. Si trovano a Tomba di Pesaro nel pliocene, a Novilara e fosso di S. Iore che sbocca nel mare e S. Costanzo e queste località sono disposte a poca distanza lungo la costa dell’Adriatico. Il conglomerato di Tomba di Pesaro fu adoperato, secondo lo Scarabelli, per lungo tempo come breccia per le strade. Nel 1880 il prof. Cardinali fece lo studio petrografìco di quello di Tomba (Cenni sui dintorni di Pesaro , Pesaro 1880); pure studiò un masso di gneiss tro- vato nelle marne turchine di Appignano presso Macerata (Boll. Soc. geol. it., 1881). Io raccolsi ciottoli a Novilara nel fosso di S. Iore e a S. Costanzo ; quelli di Tomba di Pesaro li ebbi dalla gentilezza dell’ing. Camillo Crema. Riassumo perciò quanto ne scrisse il Cardinali e vi aggiungo quello che ho potuto dedurre dallo studio delle sezioni sottili. O Località con roccie a glaucofane sono pure a Pegli (Bonney); e per quanto io sappia anche ad ovest di Saluzzo, almeno secondo un cam- pione avuto molti anni or sono, una sezione del quale spedii al prof, rarona a Torino. — Il conglomerato del M. Deruta é però eocenico. 250 I CHELUSSI Il prof. Cardinali vi trovò ciottoli appartenenti alle seguenti roccie: Ciottoli calcarei e nummulitici con 1 ìobulina, Nodosaria, ecc.; ciottoli di calcare nero, fetido, non fossilifero, da lui detti spioni, perchè rivelavano la presenza di ciottoli cristallini. Ciottoli granitici: granito comune, sienitico e protogino. Ciottoli di porfidi quarziferi. Sono secondo l’A., e come ho potuto constatare io stesso, i ciottoli più abbondanti. Ciottoli dioritici somiglianti secondo l’A. a tipi tirolesi. Ciottoli diabasici, con augite, plagioclasio in grossi cristalli e magnetite. Ciottoli gabbrici, con olivina. Ciottoli nefelinofirici, con nefelina in cristalli esagonali. Ciottoli gneissici, alcuni passanti a micascisti. Ciottoli di roccie clastiche, specialmente grès verde, glau- conitici. I ciottoli che ho trovato io nelle località citate sono i seguenti: Ciottoli di calcare nero, ciottoli nummulitici in cui il dott. Pre- ver di Torino vide: Amphistegina, Heterostegina e qualche Or- bitoide. Ciottoli di porfidi quarziferi, come ho detto abbondantissimi; i componenti principali ne sono: quarzo, ortose , plagioclasio e biotite ; la pasta può essere microcrittocristallina o felsitica, ed allora può assumere, non di rado, la struttura fluidale di colore giallo chiaro o bruno rossastro. Un confronto con alcuni porfidi tirolesi di Cima d’Asta mi hanno dato risultati negativi. Ciottoli dioritici. — Non differiscono troppo i ciottoli di queste località pesaresi, fra loro, e nemmeno da quelli che mi spedì il prof. Mascarini, da lui trovati nel letto del Tronto, presso Ascoli; questi ultimi si avvicinano alle dioriti che io già studiai nel conglomerato di Como. Ciottoli di porfìrite. — Poco differiscono gli uni dagli altri; ma non somigliano affatto alle porfiriti (camptonite) di Roda e di Vigo in Tirolo. Ciottolo diabasico. — Ne ho trovato uno solo nel fosso di S. Jore; è alteratissimo e formato di plagioclasio, viridite e ALCUNE ROCCIE DELL’ITALIA CENTRALE 251 magnetite. Non vi ho trovato traccie di olivina; il suo aspetto non ha alcun che di comune col diabase porfirico di Secchiano, in vai di Marecchia. A questi ciottoli è da aggiungere un masso di trachite nel letto del Tronto, la quale somiglia moltissimo alla trachite degli Euganei; e ciò sarebbe un argomento validissimo per la origine tirolese di questi conglomerati poligenici del pesarese. Anche Spada-Lavmi e Orsini (7. c.), trovarono: galets d’une roche trachytique, simile alla masegna degli Euganei entro un calcare a fucoidi 0). Quindi per questo masso si potrebbe am- mettere il trasporto a mezzo di ghiacci galleggianti; non così per i ciottoli calcarei e cristallini della Tomba di Pesaro, No- vilara, ecc., perchè essendo quasi sempre di forma ellissoidale bisogna ammettere per essi un lungo periodo di fluitazione. Io credo si tratti piuttosto del deposito lasciato allo sbocco di tre corsi d acqua tra loro pochissimo distanti, oppure ai tre sbocchi di un unico fiume che scorreva entro un’area in cui erano abbon- dantissimi i porfidi quarziferi. La presenza di questo conglo- merati poligenici è forse in relazione con i ciottoli cristallini erratici dell’ Italia meridionale, di cui già trattarono anticamente il Palmieri, più di recente il Deecke e il Viola; ma v’è però da osservare che frammenti e ciottoli di roccie cristalline si trovano nel bolognese; mancano o almeno non si trovano nel- l’imolese; ricompariscono nel pesarese e nell’ascolano; ma non compariscono più nel pliocene del teramano (Amary, l. c., pag. 63); e per ora mi sembra difficile la spiegazione della interruzione di tale fenomeno. (Q Sulle roccie bisciaroidi ho trovato nel Camerinese qualche ciot- tolo e frammento lavorato di roccia neovulcanica, probabilmente por- tata dall’uomo, come quella squadrata di leucitofiro trovata sul monte Petino, presso Aquila. [ms. pres. il 17 giugno 1908 - ult. bozze 14 luglio 19081. I TERRENI ALLUVIONALI DEL LODIGTANO Nota del dott. Giovanni Toldo Dallo studio comparativo delle sezioni geologiche che corri- spondono ai tre pozzi artesiani fatti perforare dal Municipio di Lodi rispettivamente negli anni 1896, 1905 e 1908, nonché degli spaccati naturali dei terrazzi che fiancheggiano l’Adda nelle vicinanze di Lodi, risultano alcuni fatti che mi pare possano interessare la geologia. Riguardo ai pozzi premetto qualche notizia topografica e metrica. Essi trovansi fuori della città fra Porta della Stazione e Porta Milano, ai piedi di quel terrazzo alluvionale su cui fu iniziata nel 1158 la costruzione di Lodi e che fu detto Colle Eghezzone per la sua relativa altezza sull attuale livello del- l’Adda. La linea che unisce i tre pozzi è una spezzata al cui vertice si trova il pozzo del 1896, ai piedi del Torrione che porta il serbatoio dell’acqua potabile fornita dai tre pozzi. Il pozzo del 1896 ha una quota superficiale di m. 69,70 ed una pro- fondità di m. 150. A circa cento metri da esso, verso nord, si trova il pozzo del 1905 che ha m. 70,70 di quota superficiale e m. 127 di profondità. A duecento metri invece dal primo pozzo e verso est trovasi quello del 1908 che ha m. 69,05 di quota superficiale e m. 141 di profondità. Confrontando le quote superficiali dei tre pozzi con la quota media di Lodi alta, che è di m. 80, si rileva che la superficie del terrazzo alluvionale, detto Colle Eghezzone, si trova all’altezza di m. 10,95 rispetto al pozzo del 1908, di m. 10,30 rispetto al pozzo del 1896 e di m. 9,30 rispetto al pozzo del 1905. I TERRENI ALLUVIONALI DEL LODIGIANO 253 Le sezioni riportate al termine della presente nota ci mostrano i seguenti fatti: 1° — Le roccie attraversate sono argille, sabbie, ghiaie e lignite. L’esame microscopico porta ad ammettere la loro ori- gine fluviale. 2 Le quantità proporzionali di dette roccie variano da sezione a sezione secondo la seguente tabella: Roccie Pozzo del 1905 metri Pozzo del 1896 metri Pozzo del 1908 metri Argilla 59 2 19, 50 Sabbia CO 122 84, 50 Ghiaia 30 26 37,- Lignite 4 oltreché nell'argilla traccie nell’argilla Profondità del pozzo 127 | 150 141 Da questa tabella appare che, a partire dal pozzo mediano, si verifica un aumento dell’argilla e della lignite e una dimi- nuzione della sabbia e della ghiaia e che queste variazioni sono più accentuate nella direzione del pozzo 1905 che non nella direzione dei pozzo 1908. Nel pozzo mediano adunque troviamo il massimo di alcune roccie (sabbie) e il minimo delle altre, per cui bisogna ammettere che esso non costituisce un termine di passaggio fra gli altri due, ovvero che in corrispondenza di esso hanno massimo spessore alcune lenti alluvionali e svani- scono le altre. A noi pare di dover preferire la prima inter- pietazione e quindi di dovere insistere nella opinione che le lenti alluvionali abbiano una estensione molto limitata. - La grossezza dei detriti diminuisce dall’alto in basso m tutte e tre le sezioni, per modo che le argille e le sabbie fine G. TOLDO 254 predominano nella parte inferiore, mentre le ghiaie e le sabbie grosse predominano nella parte superiore. Parlando fra breve dei terrazzi alluvionali cercheremo di trarre da questa distri- buzione verticale alcune considerazioni storiche. 4° — Gli aves acquiferi risultano più elevati nel pozzo me- diano (1896) che non nei laterali (1905 e 1908). Così limi- tandoci ai due aves più importanti rileviamo che il meno pro- fondo fu trovato a m. 53 nel pozzo del 1896, a m. 60 nel pozzo del 1905 e a m. 68 nel pozzo del 1908. Analogamente il più profondo fu trovato a m. 115 nel pozzo del 1896, a m. 122 nel pozzo del 1905 e a m. 128 nel pozzo del 1908. Dunque gli aves sembrano discendere dal pozzo mediano ai pozzi late- rali, ed il fatto coincide anche coi rapporti che si verificano nelle portate. Infatti la portata minima si verifica per il pozzo mediano. 5° — Le condizioni geologiche dell aves più profondo, che è altresì il più importante, variano esse pure nei tre pozzi. L’aves acquifero del pozzo 1905 è uno strato di ghiaia avente lo spessore di solo mezzo metro ed e posto sotto uno strato di lignite compatta e sopra uno strato d argilla. Invece quello del pozzo 1906 è uno strato di sabbia quarzosa, grosso circa 12 metri, che poggia sopra uno strato di ghiaia e sorregge uno strato d’argilla. Finalmente quello del pozzo 1908 è uno strato di sabbia fina che superiormente confina con argilla e inferiormente prosegue, per oltre 13 metri, sino al punto di massima perfo- razione. L’esistenza o la vicinanza della ghiaia costituiscono per i due pozzi del 1896 e del 1905 ottime condizioni di scoi- rimento e di salienza che non si verificano per il pozzo del 1908. Se ne può dedurre che per una ulteriore ricerca di acqua potabile nelle vicinanze dei pozzi già perforati convenga preferiie la direzione segnata dal pozzo 1896 col pozzo 1905 anziché quella segnata dal detto pozzo 1896 col pozzo 1908. Riguardo agli spaccati naturali dei terrazzi che fiancheg- giano l’Adda, nelle vicinanze di Lodi, mi limiterò a parlare di I TERRENI ALLUVIONALI DEL LODIGIANO 255 quello che corrisponde alla Cascina di Portadore superiore, a poco più di due km. da Lodi, verso nord, sulla sinistra dell’Adda. Esso e infatti notevolmente interessante per più ragioni. An- zitutto è isolato così da sembrare una modestissima collina ele- vata di sette metri circa sul livello della campagna. Origina- riamente aveva un perimetro di oltre due km. ridotto oggidì ad un quarto per lavori di sterro che proseguono ancora. In secondo luogo ha una quota massima quasi uguale a quella di Lodi alta, già precedentemente accennata. In terzo luogo i la- vori di sterro ne hanno scoperto il fianco nord per tutto lo spessore del terrazzo, così da generare una bella sezione geo- logica costituita da vari straterelli di argilla e sabbia alternata. Finalmente le analisi chimiche del Dott. Cornalba, che ripor- tiamo qui sotto, dimostrano una strana abbondanza di carbonato di calcio; strana in se stessa trattandosi di rocce alluvionali, e strana relativamente alla scarsità di esso negli strati attraversati dai pozzi artesiani di Lodi. Strati Argilla Sabbia Calcare 1 — P2 0 5 FeW (OH)4 Argilloso 69,90 18,60 11,50 scarsa 1 abbondante Sabbioso 17,05 78,90 4,05 » » Argilloso 61,58 34,30 4,12 » { scarsa » 60,38 31,70 7,92 ». » Sabbioso 9,13 87,00 3,87 » » » 16,43 79,70 3,87 » » Argilloso 73,20 20,50 6,30 » » » 52,60 37,50 9,90 » abbondante Sabbioso 21,20 72,95 5,85 » » » 12,87 83,98 3,15 » scarsa Argilloso 54,55 37,35 8,10 » abbondante Sabbioso 3,42 95,88 1,30 » scarsa 256 G. TOLDO La distruzione parziale del terrazzo di Portadore per utilizzarne il terreno, mostra che, fino da molto tempo, gli agricoltori hanno compresa, sia pure empiricamente, la sua importanza come con- cime e come correttivo. Analoga applicazione subisce il terreno delle alture di Chieve, e di altre località in cui si ripetono i fatti geologici e chimici accennati per il terrazzo di Portadore. Secondo le ricerche analitiche del Dott. Cornalba, il valore agrario di cotesti terreni deve dipendere essenzialmente dal loro contenuto calcare, perchè in essi l’anidride fosforica ap- pare in proporzioni minime, come negli altri terreni. Il calcare delle alluvioni terrazzate acquista una particolare importanza di fronte alla eccessiva scarsità di esso nelle campagne sotto- stanti. Secondo le comunicazioni del Dott. Cornalba, una tale scarsità fu verificata dal Prof. Pascetti in località diverse del- l’agro lodigiano e cremasco, dove riscontrò che, in generale, il calcare è inferiore all’l % arrivando al massimo, localmente, al 2,22 °/0. Ad identica conclusione arrivò il Prof. Menozzi stu- diando la composizione chimica delle marciti lombarde. Sopra sette analisi di terreni lombardi egli aveva riscontrato un mi- nimo di carbonati di gr. 0,075 ed un massimo di 2,62. Se finalmente dalla comparazione delle quote altimetriche procuriamo di rilevare le relazioni stratigrafiche che esistono fra i terreni attraversati dai pozzi sotto la quota media super- ficiale di m. 70, e i terreni che, elevandosi di circa dieci metri sopra una tale quota, costituiscono i terrazzi, concludiamo che sopra le sabbie grosse e le ghiaie che dominano nella parte superiore delle sezioni si elevano sabbie fine ed argille, para- gonabili pei loro caratteri fisici a quelle che dominano nella parte inferiore delle sezioni stesse come si ebbe ad osservare precedentemente esaminando queste sezioni. Pare adunque che la storia delle alluvioni di cui stiamo oc- cupandoci si possa interpretare nel seguente modo. In un’epoca anteriore al terrazzamento si depositarono allu- vioni fine (parte inferiore delle sezioni) ; indi alluvioni grosso- lane (parte superiore delle sezioni); finalmente altre alluvioni fine ricche di calcare (terrazzi). Mentre queste ultime si depo- sitavano i fiumi le incisero per una diecina di metri, abbas- sando conseguentemente i loro alvei. I TERRENI ALLUVIONALI DEL LODIGIANO 257 L’alternaDza delle alluvioni fine colle alluvioni grossolane sembra dimostrare una serie di variazioni avvenute nella por- tata dei fiumi in relazione con analoghe variazioni delle pre- cipitazioni atmosferiche, e della fusione delle nevi e del ghiac- cio. Infatti tale alternanza dipende da uno spostamento orizzon- tale delle linee di deposito ed un tale spostamento attualmente dipende appunto da variazioni di portata. Invece l’incisione delle alluvioni e la conseguente forma- zione dei terrazzi furono probabilmente la conseguenza di un sollevamento che, indipendentemente dalle variazioni di por- tata, determinò un predominio dell’azione erosiva sull’azione se- dimentatrice. PROSPETTO DELLE SEZIONI. Pozzo del 1896. Dalla superficie a m. 1,40 terra di ri- porto; a m. 7 sabbia; a m. 31 sabbia e ciottoli; a m. 42 sab- bia; a m. 43 argilla; a m. 104 sabbia; a m. 105 argilla; a m. 117 sabbia quarzosa montante; a m. 119 sabbia e ghiaia; a m. 150 sabbia quarzifera montante. Acqua scarsa a m. 53; abbondante a m. 115. Pozzo del 1905 (vedi anche Boll. Soc. geol. it., voi. XXY, fase. 1°). — Dalla superficie a m. 4 sabbia; a m. 9 sabbia e ciottoli; a m. 23 anzitutto ghiaia e ciottoli, indi ciottoli pre- valentemente silicei, poi ghiaia minutissima e finalmente sabbia micacea ; a m. 30 sabbia grossa micacea con sassolini ; a m. 54 sabbia poco micacea; a m. 57 sabbia con grossi ciottoli; a m. 60 argilla plastica con sabbia; a m. 60,50 sabbia; a m. 78 argilla plastica; a m. 78,50 sabbia e minuta ghiaia; a m. 97, alieniate fra loro, argilla plastica e sabbia con nuclei argil- losi; a m. 101 argilla mista a sabbia; a m. 102 sabbia mista a ciottoli; a m. 104 sabbia con sassolini; a m. 114 argilla compatta; a m. 118 lignite con argilla torbosa; a m. 122 li- gnite compatta; a m. 122,50 sabbia e ghiaia; indi sino a m. 127 argilla. Acqua scarsa a m. 60 e a ni. 101; abbondante a m. 122. 18 258 G. TOLDO Pozzo del 1908. — Dalla superficie a m. 1,50 terra di ri- porto; a m. 2 sabbia e ghiaia; a m. 19,50 sabbia e ciottoli; a m. 20 sabbia e ghiaia; a m. 20,50 argilla; a ni. 36,50 sab- bia e ghiaia; a m. 57 sabbia fina; a m. 68 argilla sabbiosa; a m. 75 sabbia fina; a m. 80 argilla; a ni. 118 sabbia; a m. 118,20 sabbia e ciottoli; a m. 119,50 sabbia fina; a m. 120,50 argilla con tracce di lignite; a m. 125 sabbia fina; a m. 127,50 argilla sabbiosa; indi sino a m. 140 sabbia. Acqua scarsa a m. 68; abbondante a m. 128. [ms. pres. il 21 giugno 1908 - ult. bozze 14 luglio 1908]. NOTIZIE PETROGRAFICHE SULLO SCOGLIO DI MELLISELLO Nota del dott. A. Martelli (Tav. Vili). Lo scoglio Mellisello o Brusnik dista tre chilometri e mezzo dalla costa sud-orientale dell’isolotto S. Andrea e km. 22 circa dall estremità occidentale dell’isola di Lissa; è compreso nella Zon. 33, Col. XIII della carta al 75.000 del k. k. militar-geo- graphisches Institut von Wien, e la sua posizione corrisponde a 43° 30" di latitudine nord e 33° 28' di longitudine orientale. Ventinove chilometri a W N W di questo scoglio sorge pure isolato lo scoglio Pomo, con un’altezza e un’area doppia d quella di Mellisello. Ben poco si può aggiungere circa la descrizione dello scoglio Brusnik, alle sommarie notizie comunicate dal Jirus ad Hauer e da questi pubblicate (l). Esso si estende in lunghezza per poco più di duecento e in larghezza per una settantina di metri ; la sua altezza, secondo le carte della costa adriatica austriaca, raggiunge i dodici metri, ma com’è sinuoso il suo perimetro altrettanto irregolare è il suo pi olilo, specialmente nella parte mediana più elevata. Per la tinta grigio-scura e l’aspetto uniformemente massiccio della roccia, insieme con Pomo, Mellisello si distingue facilmente dagli altri scogli ed isolotti dalmati, facendo subito avvertire la propria costituzione litologica. Osservato da nord, Mellisello si presenta dovuto a due gruppi rocciosi disgiunti da una profonda incisione, che, diretta da N W a S E, arriva fino ad un metro sul livello del mare, pur avendo (') Hauer v. F., Ber Scoglio Brusnik bei St. Andrea in Dalmatien. Verhandl. der k. k. geol. R.-A., pag. 75. Wien, 1882. 260 A. MARTELLI nel suo fondo, all’interno dello scoglio, delle irregolari depres- sioni riempite di acqua marina. Il gruppo roccioso orientale è circa metà dell’altro, di cui appare molto meno sporgente e più uniforme, e quello che costituisce la parte occidentale dello scoglio, oltre ad avere una maggiore potenza si mostra, rispetto al lembo orientale, molto più irregolare nel suo carattere topogra- fi Fig. 1. — Mellisello veduto da sud-ovest verso S. Andrea. fico, giacche verso ponente e S W va lievemente declinando mentre ad oriente s’interrompe quasi a picco, e verso sud ter- mina al mare con ripida costa. Dal fianco che prospetta S. Andrea, lo scoglio, come in ogni altra sua parte intensamente corroso e accidentato, simula una forma irregolare ad anfiteatro, a ra- pido declivio, che finisce in una larga spianata battuta dal mare e di facile approdo. Per un’idea generale del profilo, da est ad ovest, lo schizzo del Jirus, preso da settentrione nel 1881, è assai dimostrativo e perciò l’ho qui riprodotto adattandolo approssimativamente ad una scala 1:100 (fig. 2). Mellisello è intieramente costituito di roccia eruttiva in posto, sulla quale, a livelli inferiori, si ammassano blocchi angolosi LO SCOGLIO DI MELLISELLO 261 della stessa natura, separati per azioni esogene dalla massa principale e in particolar modo addensati sulla spianata pro- spiciente S. Andrea. Ovunque è a nudo la roccia grigio-scura dello scoglio, e siccome del tutto sporadico è lo scarso rivesti- mento umico, altrettanto povere e stentate vi sono le traccie di vegetazione (*). r Fig. 3. — Mellisello. O 11 prof- Jirus comunicava ad Hauer (cf. Verhandl. der k. k. geo). •- ., n. 5, pag. 76. anno 1882), di aver trovato sullo scoglio: Clypeola mantima , Senecio leucanthemifolius , Hyosciavms albus, Daucus mauri- tanica? e, sulla parte più alta, degli stentati arbusti di Ficus carica. Kiguardo a particolarità zoologiche, il prof. Kolombatovich di Spalato, ece anche a me, come già a Kispatic, menzione di una varietà di Lacerta murahs, di tinta nerastra come le roccie dello scoglio, e della costanza di tale carattere mnnetico-protettivo potei io stesso assicurarmi. Mellisello e disabitato, ma ad esso sbarcano spesso i pescatori di sardelle, e talvolta vi si trattengono per qualche giorno; e cosi pure di frequente l’unica famiglia dimorante a S. Andrea vi conduce, con 0 ie re quarti d’ora di barca, i propri asinelli e capre a pascolare fra 1 rari sterpi. 262 A. MARTELLI Oltre alle roccie che giacciono in frammenti isolati vicino al mare, tanto nell’estremità orientale che occidentale dello scoglio si notano dei eonglomerati dovuti ad elementi più o meno an- golosi di roccia locale, insieme aggregati da un cemento cal- careo in cui, oltre a frammenti di Spondylus gaedaropus Lin., già gitati da Hauer, ho distinto, oltre a resti di Litothamnium, briozoi, corallari ed echinidi, forme di: Ditrupa strangulata Lin. Megerlea sp. Ostrea sp. Spondylus sp. Arca lactea L. Arca Noae L. Pectunculus violacescens L. Cardium Lamarckii Reev. Venus gallina L. Vermetus subcancellatus Biv. Turbo rugosus L. Gibbula magus L. sp. Calliostoma zizyphinum L. sp. Claunculus corallinus Gemi. Ceritliium vulgatum Brug. Ccritliiolum lacteum Ph. sp. Cerithiolum scabrum 01. Columbella rustica L. Mitra sp. Nassa sp. Strombus sp. Come rilevasi dalla presente nota, molte specie sono a comune con quelle ritrovate da Di Stefano e Viola (!) nella panchina da essi scoperta presso la Punta delle Pietre Nere. Si tratta dunque di una sorta di panchina con resti di mol- luschi ed altri organismi viventi, e questa è prova sicura di un 0) Viola C. e Di Stefano G., La punta delle Pietre Nere presso il Lago di Lesina in provincia di Foggia. Boll. R. Com.geol.it., ser. Ili, voi. IV, fase. II, pag. 129. Roma, 1893. LO SCOGLIO DI MELLISELLO 263 sollevamento recente, se non dell’intiero scoglio, certo di tutta la parte marginale di esso, che in tempi relativamente vicini doveva sporgere dalle acque con la sola sua parte centrale più elevata. 1 Notizie Particolari, sulla roccia di Mellisello. — Dobbiamo ad Hauer le prime notizie sulle roccie eruttive di Mellisello comu- nicate allorché nel 1867 (') scriveva: « Anche relativamente alla diallagite, sono venuto a conoscerne un altro affioramento in Dal- mazia. Io in Comisa ho avuto dei pezzi di roccia provenienti dallo scoglio Brusnik, presso S. Andrea, che una barca aveva portato come zavorra. Questa roccia consiste in un conglomerato di origine chiaramente recente, nel quale dei frammenti grossi talvolta piu di un pugno e simili in tutto alla diallagite di Comisa, sono fortemente cementati da un cemento calcareo in cui si osservano numerose traccie di resti organici, fra i quali un frammento di Spondylus gaedaropus con ancora conservata la colorazione del guscio. Oltre la diallagite, non ci sono altri elementi sparsi nel conglomerato ». Vedremo più avanti che la roccia di Brusnik non è dial- lagite, malgrado che Hauer non accennasse a modificare la sua opinione, riportando nel 1882 (loc. cit.) i risultati seguenti de 1 esame petrografia fatto dal John, sui campioni raccolti dal Jirus: «La roccia apparisce nelle sezioni come una massa finamente granulata di plagioclasio con augite e un po’ di ma gnetite, oltre a cui si presenta anche l’apatite in numerosi aghi rotti e sparsi per tutta la massa. Il plagioclasio che forma la massa principale è per lo più ancora fresco e mostra evidente- mente gemmazione polisintetica. Alcuni feldispati contengono inclusioni numerose. In sezione, l’augite si presenta con tinta bruno-chiara e mostra spesso delle geminazioni secondo l’orto- pmacoide; m casi speciali si osserva che i suoi contorni sono circoscritti dal feldispato. La magnetite non si presenta in troppo grossi cristalli e spesso si trasforma in idrossido di ferro » Siccome lo Tschermak determinò per diallagio l’augite delle roccie di Comisa, così Hauer, confondendo evidentemente il fe- (') Hauer v F., Prehnit von Comisa auf der Insci Lissa und Erup - tivgesteme atis Dalmatien. Verhandl. der k. k. geol R -A Rd XVTT pag. 89, Wien 1867. ' ' ' AV11, 264 A. MARTELLI Romeno della sfaldatura secondo l’ortopinacoide (100) del dial- lagio con quello della geminazione, pure secondo (100) dell’augite comune, conclude: « Poiché nell’augite di Brusnik, anche dopo l’esame di John, fu constatata la geminazione secondo l’ortopi- nacoide, noi possiamo ammettere senz’altro che a Comisa e a Brusnik si abbia a che fare con una medesima roccia ». I risultati ai quali è pervenuto Kispatic ( 1 ) esaminando questa roccia e comparandola con le altre della Dalmazia, concor- dano in ogni particolare con quelli di John, salvo l’ulteriore riconoscimento di antibolo e di biotite come elementi accessori. Kispatic afferma infine che la diabase di Brusnik è del tutto identica a quella dello scoglio Pomo, che Foullon (2) determinò in precedenza come « Augitdiorit » mentre l’antibolo vi avrebbe soltanto una parte accessoria. Esame petrogr a fico. — La roccia di Mellisello appare di color grigio-scuro anche nelle fratture fresche, e risulta di un minuto aggregato fanerocristallino di minerali con lieve prevalenza degli elementi scuri e neri dei bisilicati e degli ossidi di ferro, su quelli chiari, rosei e giallicci dei feldispati; essa è compatta, resistente alla levigazione, con ps. 2.75-2.90 e con leggiera tendenza a fratturarsi, sotto le percussioni, in brevi lastre a superfici subparallele. Non è raro di rimarcare ad occhio nudo qualche elemento feldispatico di 5-6 mm. di sviluppo, ma, di solito, i componenti principali di questa roccia hanno dimensioni che si aggirano intorno alla metà delle maggiori ora citate. Rarissimi nelle fratture fresche appaiono i prodotti di decom- posizione. Non ho trovato nello scoglio differenti tipi di rocce eruttive o accenni palesi a differenziazioni magmatiche, e quindi non mi risulta la coesistenza di varietà litologiche nemmeno pas- santi a grado a grado dall’una all’altra; difatti, nei preparati dei vari campioni raccolti, tutti macroscopicamente simili, si può solo notare una poco variabile prevalenza di una specie di componenti minerali sulle altre, ed anche la differenza nelle (') Kispatic M., Eruptivno kamenje u Balmaciji. Rada j ugoslavenske akademi.je znanosti i umijetnosti. CXI, pag. 158, Zagreb, 1892. (2) Foullon v. C., Ber Augitdiorit des Scoglio Pomo in Balmatien. Verhandl. der k. k. geol. R.-A., pag. 283, Wien, 1882. LO SCOGLIO DI MELLISELLO 265 dimensioni dei cristalli sezionati non è mai tale da accennare a momenti diversi di generazione in ciascuna di dette specie. ... .. — P,°’ k 10CCÌa SÌ m°Stra fondamentalmente co- stituita da plagioclasio in cristalli di dimensioni variabili e a contorno non intieramente definito, da un pirosseno verde scuro generalmente allotnomorfo e da più rari cristallini di un mi- nerale di ferro opaco. La loro aggregazione dà luogo ad ima stiuttura olocnstallma, granulare ipidiomorfa e sebbene, ripeto le dimension1 dei componenti principali siano molto variabili,’ pure le differenze non sono così notevoli da lasciare ammettere passaggi alla tessitura porfirica. Ad ogni modo, debbo però av- \er ire che questa roccia ha un aspetto meno melanocratico della diabase tipica. I cristalli di plagioclasio, salvo rare e non sicure eccezioni sono qui tutti poligeminati secondo le note leggi dell’Albite’ appaiono interessati da frequenti fratture e piuttosto irregolari nel contorno. Nelle sezioni e nella grande maggioranza essi si presentano m lamine hstiformi con strie parallele alle traccio di (010) e dovute alla nota poligeminazione secondo la legge predetta al di fuori della quale, nei miei preparati non mi&è incorso di notare altra specie di geminazione. Questo plagioclasio e rimarchevole per la sua relativa freschezza e trasparenza, e, paite le inclusioni, non mi ha presentato accenni notevoli ad alterazioni. Nelle sezioni simmetriche ho trovato per l’estinzione un va- dT iriT0 ^ 3°° Che rÌVek UDa Iabrad0rite P°co Più ba^a L’esistenza di tale labradorite viene pure confermata dal- cia dwZr ~ 18° SUHe faCde (°10) ParalleIadente alla trac- Qualche minuta e rara inclusione liquida si rivela a forte ingrandimento. dBll!1™r0SSe,°0’,Hr'Ìn0’ Che Pre“de parle alIa costituzione d ila r„„cla dl Mtl.ee,, 0> Delle sezioni 80ftm „ a chiare6 ordir'”16 fall0-br"0e e- Più K— gìalio-verdastre rilo’rfl ^ ti, ITI” * °°me 1,0 «ia allo- di “isWl, 1 b'ad”'te’ “a ”on di rad0 a"che con sezioni distaili idiomorù allungati secondo l’asse verticale, e di ge- 266 A. MARTELLI minati semplici secondo (100). In tale pirosseno non sono molto marcate le linee di sfaldatura, ma nondimeno la sfaldatura pri- smatica vi è sufficientemente palese, e le sue tracce, ben di- stinte dalle irregolari fenditure cbe intersecano le masserelle stesse, nelle sezioni secondo i pinacoidi verticali dànno un va- lore molto vicino a 87° e proprio dell’augite. Il pleocroismo è nullo o quasi insensibile. In più lamine l’estinzione su (010) e riferita all’asse C non mi ha dato mai valori al di sotto di 42°-45ù. Nelle plaghe augitiche più estese od associate ad altre con- tigue, oltre a zone brunastre di alterazione si notano masserelle pleocroiclie, dovute a fenomeni di uralitizzazione. Si può asse- rire che l’alterazione del pirosseno è assai progredita, perchè vi si osservano macchie brune giallastre distribuite senz’ordine, specialmente lungo le strettissime fessure attraverso le quali l’alterazione sembra sempre più internarsi nelle lamine augi- tiche. Anzi, secondo quanto avverte il Rosenbusch, le fessure accidentali dell’augite sono anche nel presente caso rivelate proprio dai suoi prodotti di modificazione, come l’anfìbolo, la biotite e la clorite, i quali si vanno sostituendo all’augite e si rivelano quindi per genesi, forma e struttura come di produzione secondaria. L’anfibolo apparisce in piccole plaghe pleocroiche giallo-ver- diccie e verdi, ora fibrose, ora compatte. 11 suo colore, insieme con la sua estinzione di 15° sulla sezione (010), attesta la pre- senza dell’orneblenda. Già ho detto che l’anfibolo riempie spesso le fessure delle lamine di augite, ma se in queste esso appa- risce come incluso in masserelle meno allungate e più ampie, se ne avverte però la continuazione con l’altro che riempie le menzionate fessure e che trovasi in continuazione di quello alla periferia dell’augite stessa, così che anche nella roccia di Melli- sello, l’ uralitizzazione sarebbe proceduta dall’esterno all interno in modo analogo a quanto di recente ha dimostrato il Duparc ( ). La biotite, pure essa secondaria, comparisce di rado ed è in squamette brune e fibrose, pleocroiche, con estinzione a 0° se- (') Duparc L., Sur la transformation du pyroxène en amphibole. Bull, de la Soc. frane- de Minéralogie, tome XXXI, n. 2, pag. 50. Paris, 1908. LO SCOGLIO DI MELLISELLO 267 condo la zona perpendicolare alle traccie della sfaldatura più facile. ^ Come prodotto d’alterazione, nella massa mesostatica è pure frequente la clorite, rimarchevole pel suo pallido colore bianco- verdognolo, per la sua piuttosto forte rifrangenza e pel suo in- sensibile pleocroismo. Talvolta, nei miei preparati essa potrebbe sembrare dovuta all’alterazione della labradorite perchè appa- rentemente in questa racchiusa, ma trattasi sempre di riempi- menti di cavità in comunicazione con l’augite alterata, e quindi se per la sua estinzione radiale e per i suoi colori di polarizza- zione potrebbe anche dar luogo a confusioni con qualche zeo- ite, basta — oltre aIIa prova microchimica d’insolubilità con HC1 anche a caldo - ricorrere all’esame di rifrangenza relativa col metodo del Becke, per escludere l’esistenza di una zeolite. Per queste piccole plaghe mi è infatti risultato un indice di rifra- zione piu forte di quello della labradorite, mentre se si fosse trattato di una zeolite sodico-calcica la rifrazione avrebbe dato un indice più basso. Gli aggregati ventagliformi delle sottili foglietto cloritiche assumono a nicols paralleli una tinta bleu vivace e violetta e anicols mcrociati unacoìorazione giallo-bruna e rossastra. Data a difficile solubilità in acido cloridrico, ritengo che questa clo- nte scagliosa possa corrispondere ad una varietà di ripidolite non rara del resto nelle roccie diabasiche come prodotto d’al- terazione dell’augite. °ra in minute granulazioni, ora in grosse plaghe, si mostra pure abbastanza abbondante la magnetite, che per altro nei miei preparati, non si presenta con regolari sezioni cristalline pur rimanendo per solito delimitata da margini nettamente ret- tilinei. E senza inclusioni e poco alterata, sebbene qualche volta alla periferia si trasformi in limonite e passi dal colore grigio- bleu per riflessione a quello grigio-rosso, senza però accennare a tinte grigio-brune proprie del ferro titanato. Nelle sezioni sottili apparisce di frequente anche l’apatite in molto rifrangenti, lunghi ed esili aghi del tutto incolori o di un de- bolissimo colore giallastro, i quali, frammentati e sparsi per tutta a massa attraversano pure altre lamine; ed in sezioni esagonali talune delle quali normali all’asse ottico. Col metodo del Becke A. MARTELLI 268 si riconosce per questi cristalli a birifrangenza negativa, un in- dice di rifrazione maggiore di quello del plagioclasio includente. Riepilogando, nella roccia in esame è ben manifesta la strut- tura ofitica; e la caratteristica associazione di labradorite idio- morfa e augite generalmente allotriomorfa — con subordinata apatite e magnetite, e con antibolo, biotite e clorite di produ- zione secondaria — non può lasciare incertezze sul riferimento alle diabasi. A complemento dello studio petrografico ho creduto neces- sario di procedere anche all’esame chimico della diabase di Mel- lisello, e la media di due analisi mi ha dato i seguenti risul- tati (I) che non .si scostano molto da quelli medi di sei analisi di diabasi (II) scelte fra le numerose riportate dall’Osann (J) e in parte citate pure nell’opera del \\ asbington (2). I. II. Perdita per arroventamento 1.26 2.13 SiO2 . 49.13 48.88 PIPO5 0.35 0.43 Al2 O3 18.67 18.12 Fe2 O3 8.71 6.41 FeO . 7.04 6.25 CaO . 6.08 7.93 Mg 0 . 3.92 4.29 K2 0 . 0.97 1.35 Na2 0 3.34 0.43 99.47 La prova del titanio ha dato risultati negativi. Non tanto per provare le affinità chimiche di questa roccia con talune delle analoghe, proprie magari di località ed epoche (‘) Osann A., Beitrage zur chemischen Petrographie. II Teil, Analysen der Eruptivgesteine aus den Jaliren 1884-1900, pag. 168-176. Stuttgart, 1905. (2) Washington H. S., Chemical analyses of igneous rocks publislied from 1884 to 1900, pag. 436-445. Washington, 1903. LO SCOGLIO DI MELLISELLO 269 grandemente diverse, quanto piuttosto per caratterizzarla e darne gli elementi per eventuali confronti secondo la composizione c imica, seguo il metodo basato sulle proporzioni molecolari e proposto dal Loewinson-Lessing (') per ricavare, oltre le quan- tità molecolari dei componenti, i dati che rappresentino la così detta formula magmatica, il coefficiente di acidità (a) della roc- cia, e il numero delle sue molecole basiche ((3) per 100 mole- cole di silice. Riducendo l’analisi a cento con l’esclusione della perdita per arroventamento e del Ph' Os, e ricavando le proporzioni moleco- lari, si ottiene: Percentuale. Proporzioni molecolari. SiO2 50.20 0.8311 0.8311 0.8311 AFO3 19.08 0.1866 | Fe203 8.90 0.0556 \ 0.2422 0.2422 FeO 7.19 0.0998 1 CaO 6.21 0.1072 ( 0.3063 MgO 4.01 0.0993 \ 1 K20 0.99 0.0104 | ( 0.3717 Na*0 3.42 0.0550 ( 0.0654 ] 100.00 Formula magmatica: 3.71 KO ; 2.42 R203 : 8.31 SiO2 ovvero 1.54 RO; R?03 ; 3.43 SiO* Rapporti : R20 : RO — 1 : 4.68 K20 : Na20 1 : 5.28 a = 1.51 P = 74 .}] Loeyinson'Lessing F„ Note sur la dassification et la nomencla- des roches eruptwes. Compie Rendu de la VII sess. du Congrés géo- ogique International, pag. 53, St. Pétersbourg, 1899. - Studìen iiber die -fc» uptivgesteine. Ibid., pag. 193. 270 A. MARTELLI RO td rO O CO SiO* a P RO R203 1 1 SiO2 R!0 : RO K20 : Na20 I. 3.71 2.42 8.31 1.51 74 1.54 1 3.43 1 : 4.68 1 : 5.28 II. 4.75 1.87 8.20 1.62 78 2.54 1 4.38 1 : 6.56 1 : 4.33 I. Diabase di Mellisello. II. Media di sette diabasi secondo Loewinson-Lessing. Dal qui unito specchietto si rileva che in confronto con 1 va- lori medi (II) dedotti dall’analisi di 7 diabasi e riportati come caratteristici dal Loewinson-Lessing, la diabase di Mellisello (I) si differenzia sensibilmente per la relativa abbondanza del pirosseno e della magnetite, che, a danno degli elementi alcalini e ter- rosi compresi nel gruppo RO, fa accrescere nella formula mag- matica il tenore dei sesquiossidi, mentre il coefficiente di aci- dità e in conseguenza anche il rapporto fra molecole basic e e molecole di silice si mantengono assai vicini alla media delle diabasi tipiche. APPENDICE Sulle formazioni eruttive della Dalmazia. Le formazioni eruttive sono in Dalmazia poco frequenti e ordinariamente anche poco estese in superficie, tanto che nelle loro sporadiche comparse non determinano modificazioni cosi spiccate nella morfologia generale del territorio, quali i loro affioramenti fra depositi triasici di facies del tutto differente po- trebbero naturalmente far suppone. Spetta all’abate Fortis 0 il merito di aver per primo rico- nosciuta e fatta nota l’esistenza di un giacimento eruttivo fra la cascata del Topolje e Knia, ma dopo il Fortis fa solo negli Atti dell’Istituto geologico di Vienna dell’anno 1862 che F. von (!) Fortis A., Viaggio in Dalmazia, voi. I, pag. 110, Venezia, 17 <4. LO SCOGLIO DI MELLISELLO 271 Haner ('), riferendo sulle ricerche geologiche da lui compiale in Dalmazia insieme con G. Stache e K. Zitte!, annone» l’e- sistenza di un altro giacimento eruttivo, oltre quello già noto fVrHk) do aI'° (K°”j) PreSS° Kni“’ a P°d0S0j P«sso Verlica (Vilik) dove una roccia simile a quella dei pressi di Knin sa- rebbe comparsa fra scisti di età per allora indeterminata ; e pure nello stesso anno che Hauer e Stache (•) annunciarono di aver rovato nella parte sud-orientale della Dalmazia fra il forte di confine d. Priseka (Presjek) e il mare una formazione eruttiva ana Oga a quella del Monte Cavallo, e presso Comisa nell’isola di lussa sotto ai calcari e ai gessi una roccia simile al mela- ùro, associata con conglomerati e con tufi vulcanici. eruttive iUT T f“r°“° -1® P™cipa,i sc°P«te di formazioni era tt.ve m Dalmazia, e siccome avvenivano in un’epoca nella quale la petrografia muoveva appena i primi passi, non potè- rono designarsi con qualifiche meno generali. Nel 1867, Hauer (*) in una sua nota su talune geodi di nuovo aHeT*6”11' “e"e r°CeÌe er"“ire dÌ Comisa’ acceMa di nuovo alle formazioni eruttive della Dalmazia, aggiungendo a proposito di esse ulteriori e interessanti notizie. E cosi ha oc- I^TsoL ' COmnm ma> Per altro, aggiungo io, a tale affermazione può darsi solo un valore assai relativo, giacche posteriormente ai lavori d’indole geologica complessiva, che avanti il 1891 illustrarono la Dalmazia e che nella surricordata opera dello .che trovarono il loro compimento, i rilievi di dettaglio com- piuti e pubblicati dai rilevatori dell’Istituto geologico di Vienna - quali Kerner, Solile, Schubert, ecc. - e le ricerche particolari anche del nostro De Stefani e di taluni suoi allievi, hanno messo in evidenza che non sempre le condizioni geologiche si presen- tano nella Dalmazia settentrionale e centrale tanto semplici come da prima si ritenevano, per non dire poi che particolar- mente le accurate ricerche del Bukovvski, dal 1894 fino ad oggi, Eruptìvno ka™nje M Baìmaciji. Rada jugoslavenske akadeunje znanosti i umijetnosti. CXI, pag. 158, Zagreb, 1892. 19 274 A. MARTELLI hanno fatto conoscere quale complessità di terreni e di tectonica interessi la geologia della Dalmazia meridionale. A parte dunque la regione che a confine col Montenegro si estende verso sud dalle Bocche di Cattaro fino a Spizza, si pili* ammettere col Kispatic che il sistema orografico dalmata si com- pone in generale di rilievi costituiti da calcare cretacico spor- gente sulle vette fra i depositi eocenici che si succedono lungo le pendici e nelle valli, le quali si prolungano come i rilievi parallelamente alla direzione NW-SE, che è poi quella deter- minata dal corrugamento posteocenico nella regione dinarica. Tale prevalente direttiva si presenta non soltanto nella terra- ferma, ma anche nelle isole prospicienti, salvo però in quelle più vicine alla penisola di Sabbioucello o che più si scostano dal continente, poiché infatti nelle isole di Curzola e di Lesina e più manifestamente ancora nelle isole di Lissa e di S. Andrea, la direttiva del rilievo si modifica fino ad apparire da ponente ad oriente. Secondo Kispatic la predetta direttiva nel corruga- mento dalmata potrebbe pure corrispondere alla direzione di quelle fratture lungo le quali sarebbero state messe allo sco- perto le roccie eruttive dell’isola di Lissa, di Brusnik (Melli- sello) e di Jabuka (Pomo), e siccome le osservazioni sui terre- moti in Dalmazia avrebbero condotto a collegarne una parte con 1’esistenza di una probabile frattura o piuttosto linea di minima resistenza fra l’isola di Lesina e di Curzola in direzione verso Lissa, il Kispatic ammetterebbe una relazione fra questa e le formazioni eruttive dei pressi di Lissa. In terraferma, Knin e Verlica si troverebbero lungo una valle di frattura - già rico- cosciuta come tale da Hauer (J) - estesa con la consueta dire- zione da N W a S E, ed incontestabile soprattutto sarebbe la contemporaneità della formazione eruttiva con i sedimenti del- l’epoca triasica che in detta valle compariscono. Congiungendo con una retta Knin e Verlica e prolungando tale retta nella solita direzione verso S E, si traverserebbero appunto quelle località nelle quali si sarebbero verificati gli effetti più gravi dei terremoti dalmati, e si arriverebbe quindi (') Hauer v. F., Op. cit., Verhandl. dei- k. k. geol. R.-A., pag. 444, Wien, 1868. LO SCOGLIO DI MELLISELLO 275 presso Budua nella zona in cui di nuovo le masse eruttive ras- giunsero la superficie attraverso i sedimenti del Trias inferiore I multati delle ricerche di Kispatic sulle roccie eruttive della Dalmazia possono brevemente così riassumersi- La massa eruttiva a sud di Ernia consta di diorite, dovuta L tiST cnsta,liD0 di pIa“’ ^ * La roccia eruttiva di Podosoje, presso Verlica, per essere in completo stato di disfacimento, non si presta a ricerche mie “ pet «grafiche, ma dai caratteri esteriori e per la sua alterazione rra ri .presentata daiie p» 8^™,,- di Monte Cavallo, fa ritenere probabile la sua identità con le predette Nel torrente Ivanovieh, presso Bndna, è sviluppata una dia- base composta di plagioclasio, angite e magnetite Presso Coraisa, nell’isola di lassa si ha - accompagnata da notevole quantità di tufi - „na porfinte angitica nella qn^e sono p r imamente disseminati il plagioclasio e I’augite in una massa minn amente cristallina di plagioclasio, augi, e e magnetite scogli di Brusmk e Jabnka, cioè Mellisello e Pomo a i ; dir sono cof taiti da i,“’k,e"tica / le d'ahasi e risultante essenzialmente di plagioclasio augite, ossidi di ferro e apatite. ^ ’ scere11 lèTostredÌ C°ntribl,it0 demente ad accre- ivé de,la 11 em21°m Petr0gl'afÌChe oirea r°ccie erut- ti e della Dalmazia, ma solo in seguito si cominciò ad aver e rraPnnoTde S""’“ne * ** « giacimenti erutti ^:mqaeat' con ie incas‘ Il Bukowski, riferendo nel 1893 e 94 sulle sue rieerche nella caz Tale ° f“ rÌraarCale rinsnfflcienza delle indi- ma se el tTve6 ' T “T ^ eS,e"SÌ011o m Suddal- A. MARTELLI 276 si estendono, salvo brevi interruzioni, da Buljarica fin verso Antivari lungo una linea parallela alla catena costiera e alla direzione stratigrafica NW-SE, con uno sviluppo particolare anche a N W di detta linea, presso Becic, non lungi da Budua. Fin d’allora l’egregio geologo, notando la diffusione notevole di queste masse accompagnate da tufi abbondanti, alla loro volta associati con arenarie e scisti per i quali ammise l’equivalenza con gli strati di Wengen, cominciò a comprendere entro limiti più sicuri l’età triasiea e la posizione di tali formazioni. La posizione di queste masse eruttive e la loro appartenenza al livello di Wengen, vennero dal Bukowski chiaramente poste in rilievo e convalidate in successive note ('), che accrebbero pure le conoscienze sulla loro distribuzione, per quanto riguarda specialmente il territorio di Pastrovicchio e Spizza, nel quale le formazioni eruttive - solo qua e là ricoperte da sedimenti po- steriori e connesse con tufi e scisti di habitus petrografie© non sempre chiaramente differenziabile - si estendono da Golubovic a sud-est di Castel lastua fino a Spizza e ai terreni montene- grini di Antivari, lungo la grande incisione nella serie strati- grafica, operata nella zona costiera parallelamente alla linea del rilievo. Al di fuori di detta direzione, non si osservarono che piccoli e isolati affioramenti, come traccie sporadiche di quell’eruzione, che, secondo quanto scriveva il Bukowski nel 1896, avrebbe avuto luogo dopo che s’iniziò la deposizione del calcare a diplopore e prima delle formazioni carniclie corrispondenti al calcare di Hallstadt. Le roccie, quasi tutte dello stesso tipo, raccolte dal Bukowski, presso la sorgente Toplic nel Pastrovicchio, a Misic e Susanj, presso Spizza, furono chimicamente analizzate e petiogiafica- mente esaminate dal John (2), che avendo in tutte esse distinto (!) Bukowski v. G., Einige Beobachtungen in dem Triasgebiete von Suddalmatien. Ibid., pag. 137, Wieu, 1895. - Zur Stratigraphie der sùd- dalmatinischen Trias. Ibid., pag. 382, Wien, 1896. - Ueber den geologischen Bau des nordlichen Theiles von Spizza in Suddalmatien. Ibid., pag. 111- 112, Wien, 1896. (2) John v. C., Noritporphyrit (Enstatitporphyrit) aus den Gebieten Spizza und Pastrovicchio in Suddalmatien. Verhandl. der k. k. geol. R.-A., pag. 133, Wien, 1894. LO SCOGLIO DI MELLISELLO 277 una tessitura porfirea con un feldspato polisintetico sodico cal- cico, augite rombica - sicuramente enstatite - e monoelina quarzo e magnetite, le classificò fra le notiti porfiriche, e pii specialmente fra le porfirit. enstatitiche, le quali in rapporto elamico rispetto alle notiti, sarebbero pure risultate più ricche di magnesio e più povere di ferro. A contatto delle masse eruttive della Punta delle Pietre Nere nell’opposto versante adriatico in provincia di Poggia C Violo e G. Di Stefano (>) ritrovarono alcuni elementi paleóntologid atti a far ritenere probabilmente raibliana l’età di tali masse- e detti autori, tenendo conto della frequente differenziazione di magma che, come nella massa eruttiva delle Pietre Nere venne anche avvertita in altre formazioni pure eruttive del ’ bacino adriatico e precisamente in quelle di Jablanica (Erzegovina) nella valle della Narenta (2), e basandosi sui risultati delle sur- n cordate ricerche petrografie del Tschermak, del John e del Poullon, emettono la supposizione che le roccie eruttive del- 1 Adriatico siano la differenziazione di un magma unico in dio- rite porfirica e in porfìrite augitica e diallagica. Successivamente, nello studio dei lamprofiri sienitici e dio- n tmi della Punta delle Pietre Nere, il Viola (3) pone a confronto i dati petrografici da lui ottenuti con quelli che si rilevano dalle pubblicazioni di Hauer e di Foullon e relative agli scogli di Bit smk e di Pomo; pone in evidenza l’analogia non trascurabile fra la roccia eruttiva della Punta delle Pietre Nere e le roccie degli scogli dalmati e di Bissa, nelle quali la formazione si sarebbe diffe- renziata in due parti, una con antibolo e l’altra senza; e conclude infine che le analogie petrografiebe e geologiche notate a comune nelle formazioni eruttive della costa garganica e della Dalmazia insulaie « fanno non solo supporre che l’eruzione di queste roccie ( -( Viola C. e Di Stefano G., La punta delle Pietre Nere presso il « r- «-*-» ««* «** n„ ; V" V' C'’ Ueber die °,steine ). marcati dal Pianciani che li ritenne per tufo forse omogeneo alterato da esalazioni solfuree, pur avendo notato « che assai somigli la farina fossile del Fabbroni e del Santi, che si trova presso S. Fiora a Castel del Piano e a Bagnolo » Q). Uno di questi strati (fig. 8, tav. X) si distingue per abbon- danza di Navicala sculpta Ehr. e N. Brebissoni Ktz. insieme ad una piccola e curiosa forma che, a parte l’ornamentazione, ri- corda la Melosira spirai is var. Inemìsphaerica Per. et Hérib. Un altro strato più in alto (fig. 4, tav. X) è ricco invece di Melosira crenulata Ktz. Sui tufi si estende una marna chiara a volte indurita e tra- vertinosa con molti molluschi specialmente Helix nemoralis Lin. e Cyclostoma elegans Muli. Questi tufi contengono qua e là ossami e ben noti sono ì ritrovamenti e le fortunate escavazioni fattevi dal Semeria, dal Pianciani e dal Procaccini Ricci nel 1817 (2) per le quali eb- (l) Pianciani. Lettera III, in Procaccini Ricci, op. cit., pag. 114. p) Pianciani G. B , Delle ossa fossili di Magognano nel territorio di Viterbo, Bologna 1817; Procaccini Ricci V., Viaggi ai vulcani , ecc., op. cit., viaggio 2°, t. 2°, pag. 96 e seguenti. ESCURSIONE GEOLOGICA A VITERBO 333 bero ossa, molari e zanne di elefante, resti di ruminanti, un canino giudicato di orso dal Nesti, frammenti di mandibole e Fig-. H. Molare di Elephas antiquus Falc. dei tufi di Grotte S. Stefano, X ca. ’/3 molari di felini, parte de’ quali riconosciuti per leone (fig. G) dal lanciam che ne dette le figure insieme a quella d’altro fram- E. CLERICI I 334 mento trovato dal conte Gentili nella quale il Cuvier ravvisò un’altra specie della grandezza della pantera. La fig. H riproduce un bel molare superiore di Eleplias antiquus Falc. proveniente dai tufi di Grotte S. Stefano: esso fa parte delle collezioni del R. Ufficio Geologico che gentilmente ha concesso di fotografarlo per adornarne, questi cenni. Ritornando a Viterbo per la strada carrozzabile si passa accanto al burrone deH’Infernaccio il quale incide tutta la serie tufacea, sostenuta da argilla pliocenica a Turritella subangu- lata Br., ecc., e comprendente verso la sommità una corrente di leucitite. Tra gli strati tufacei si ripetono a varie altezze le intercalazioni tripolacee diatomeifere, a volte assai pure come il banco di circa 3 m. (anteriore alla lava) nel quale fmono latte escavazioni a scopo industriale, a volte carboniose che dettero luogo a infruttuose ricerche di lignite. All’altro lato della strada, verso il Pianale, tornano ad appa- rire altri strati diatomeiferi della parte superiore della serie, posteriori alla lava e sottostanti ad un piccolo giacimento di ocra gialla utilizzata da gran tempo per materia colorante. Altri strati tripolacei diatomeiferi sono sotto il ponte terro- viario, e nella vallecola presso il Vivaio; dipoi alle falde del Poggio del Brocco vicino le Amarelle, e nel fosso di fonte Campanile, ove si notano strati purissimi ed altri fogliettati un po’ argillosi o contenenti farina calcai ea. Mentre questi giacimenti diatomeiferi hanno per lo più carat- i tere palustre, quello del fosso di Fonte Campanile, distante ormai non più di 5 o 6 km da Montefiascone, è particolarmente interes- sante perchè costituito quasi per intero da Gyclotellae che gli con- feriscono un carattere decisamente lacustre (vedasi fig. 5, tav. X). Infine altro giacimento trovasi a fianco della strada a quota 340 sulla falda del Monte Rosso. * ❖ Un’altra parte del programma verrà svolta con maggiore velocità non avendo propriamente per iscopo osservazioni di ■ dettaglio, ma piuttosto quello di abbracciare panoramicamente i ESCURSIONE GEOLOGICA A VITERBO 335 la morfologia della regione e quindi anche questi cenni di guida sai anno ìapidissimi e per meglio dire un semplice sommario. Una corsa lungo la via Cassia, verso Montefiascone, per- metterà di vedere, presso il Bagnacelo, la formazione calcareo- argillosa (ad Helix nemorhlis Lin. e Cyclostoma elegans Muli.) e travertinosa sovrapposta al tufo a pomici nere; quindi la sor- gente solfu rea col relativo laghetto del Bagnaccio, utilizzata per bagni. Più oltie si eleva, per un centinaio di metri dalla campagna, un monti cello conico, il Monte Jugo, formato di lapilli, scorie e ceneii, il quale fu un cono eruttivo che ebbe emissione di leucitite scura, compatta e tenace, con olivina e nefelina, della quale Washington ( Galeral-albanose-jugose) ha dato la seguente analisi : Si O2 47,39 Na2 O 1,49 P205 0,45 Al2 O3 14,79 K2 O 6,93 (Ce, Di)2 O3 0,05 Fe2 O3 3,10 H20 — 0,77 Ba O 0,15 FeO 5,08 H2 O — 0,28 SrO 0,04 Mg O 6,77 Ti O2 1,41 i nn QFv CaO 11,61 ZrO2 0,04 lUUjOO La ferrovia taglia parte del cono e nelle trincee si vedono stratificazioni di lapilli e ceneri in cui sono affondate grosse bombe e numerosi proietti. Sopra un altro ben più grande cono eruttivo sta la città di Montefiascone (*), e di lassù alla quota di m. 633, la più alta di tutto il sistema Yulsinio, si gode l’intera vista del lago di Bolsena. Nell’ammasso, scoriaceo locale, che pare eruttato di fresco, si raccolgono bei cristalli di olivina e di pirosseno verde, questi ultimi grossi anche parecchi centimetri. Un tufo localizzato ai dintorni ricorda il peperino laziale. Un altra corsa, pure sulla via Cassia, ma in direzione op- posta, verso Ronciglione, permetterà di godere da maggiore alti- tudine (oltre 800 m.) un altro splendido panorama della cam- ..P Nel vu]cano di Montefiascone il Moderni ( Contribuzione allo ■ Mio geologico dei vulcani vulsini, con carta geologica al 100.000 Boll. t ’ . °m' feo1’’ X“) ravv'sa un edificio principale con cinque era- iei1 e sette bocche secondarie. 336 E. CLERICI pagna Viterbese e della conca lacustre di \ico col Monte Veneie, nel quale alcuni ravvisano un cono eruttivo interno, altri una cupola, altri un frammento del l’antico edificio vicano sfasciato. Una sosta per via darà agio di vedere presso il Fontanile Fie- scoli la sovrapposizione del petrisco (trachite leucitica) ad una leucotefrite a grosse leuciti. Una diversione alla Colonnetta sulla strada di Canepina servirà per raccogliere campioni di un altro interessante tipo di lava caratteristico ed abbondante nella regione cimina, che alcuni considerarono come trachite, altri come trachi-dolerite e che infine ebbe dal Washington il nome di ciminite. Washington ha dato anche l’analisi per la roccia di questa stessa località . Si O2 57,31 Mg O 7,80 H2 O 0,18 Al2 O3 14,41 Ca O 6,90 Ti O2 0,40 Fe2 O3 1,21 Na2 O 1,35 P2 O5 0,30 FeO 4,37 K2 O 6,38 Tób^T Per solito la roccia ha colore scuro, talvolta volgente al ros- sastro violaceo, cosparsa di grossi feldspati come in alcune trachi- andesiti della regione. Al microscopio vi si vede abbondanza di ortoclasio e di labradorite, quindi olivina ad orli alterati, augite e magnetite. Le bollosità e le fenditure sono spesso in- crostate di ialite. [ms. pres. 31 luglio 1908 - ult. bozze 8 settembre 19081. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA X. 1. Materiale diatomeifero piti basso, anteriore alla lava del Mulino del l’Acqua Rossa X 200. 2. Materiale diatomeifero soprastante alla lava di Ferento X 200. 3. Materiale diatomeifero al fosso Malnome X 200. 4. Materiale di altro strato più elevato, stessa località X 200. 5. Materiale diatomeifero del fosso di Fonte Campanile X 200. 6. Leucitite a divisione prismatica di Ferento X 14. 7. Trachi-andesite dell’acciottolato di Bagnaia X 4-4. 8. Peperino di valle Lupara X 14. Boll, della Soc. Geol. Ital, voi. XXVII. (1908}. (Clerici) Tav, X. E. CLERICI FOT. 6UOT CALZOLAI»* FOSSILI STRATIGRAFIA ED ETÀ DEL CALCARE DI ACQUI (ALTO MONFERRATO) Memoria del prof. G. Trabucco (Tav. XI, XII, XIII e XIV) Il calcare di Acqui, noto da antichissimo tempo, richiamò ben presto l’attenzione dei geologi per il posto importantissimo che occupa nella stratigrafia dei terreni miocenici della regione ed anche per trovarsi in prossimità del rinomato stabilimento balneare di fama mondiale. E però del classico giacimento parlarono incidentalmente numerosi e valenti studiosi, attribuendolo ad età differenti, finche venne da me fatto oggetto di uno studio speciale (’) ed ascritto, in base ai fossili ed alla stratigrafia, alla parte inferiore del piano langhiano ; riferimento confermato in altre successive pub- blicazioni (5). Malgrado ciò veggo che Sacco e De Alessandri seguitano a riferire all 'aquitaniano il calcare dell’importante località, quan- tunque poi ambedue indichino altrove come elveziani (3) i fossili nel medesimo contenuti. C1) Trabucco G., Sulla vera posizione del calcare di Acqui ( Alto Monferrato). Studio geo-paleontologico con 1 tavola. Firenze, 1891. P Trabucco G., Se si debba sostituire il termine di Burdiglian.o a quello di Langhiano nella serie miocenica. Estr. dai Proc. Verb. della Soc Toscana di Se. nat., addi 13 gennaio 1895; Relazione sui mezzi più adatti a trasformare la viticoltura, eco. Firenze, 1899; Carta geoloqica- geognostica- agricola dell’Alto Monferrato. Firenze, 1899; Relazione delle O'te fatte nei giorni 16, 17 e 18 Settembre 1900 nei dintorni di Acqui. noli. Soc. Geol. Italiana, voi. XIX (1900), fase. III. ( ) Sacco F„ Catalogo paleont. del bacino terziario del Piemonte Boll. Soc. Geol. Italiana, voi. Vili, 1899, voi. IX, 1890; De Alessandri G„’ a pietra da cantoni di Rosignano e Vignale. Mera, della Soc. Italiana ai Se. naturali, tom. VI, fase. I, 1897. 24 338 G. TRABUCCO Non sarà dunque inutile ritornare sulle mie precedenti con- clusioni e vedere quale sia la vera età a cui si devono ascrivere quelle assise calcaree, aggiungendo la descrizione ed i disegni dei fossili, che acquistano speciale valore ed importanza dal fatto di averli io stesso raccolti in posto. Autori che trattarono del calcare di Acqui Collegno (*) comprende, colle marne plioceniche, anche quelle tortoniane, elveziane e langliiane e quindi anche le assise cal- caree che vi sono intercalate. Sismonda A. (?) ascrive al miocene le colline della valle della Bormida, che si estendono da Spigno, Cortemiglia, Came- rario, Ceva, etc., costituite da mollasse, le quali si alternano con calcari, puddinghe, breccie e conglomerati. Ed aggiunge: « il calcare, congiunto ad una parte della mollassa, forma la massima parte della collina detta M. Stregone, che sovrasta lo stabilimento di Acqui ». Sismonda E. (3), propone di dividere le formazioni nummuli- tiche in tre gruppi e colloca nel gruppo superiore le formazioni della Valle della Bormida (Acqui, Dego, Carcare), distinte dalla presenza di specie mioceniche. Stoppani (4), attesa la presenza di nummuliti nel banco cal- careo che affiora presso le Terme di Acqui (come E. Sismonda erroneamente aveva asserito), sincronizza il medesimo con quelli assai più antichi di Montorfano Comasco e di Centenero. Pareto (5), colloca il calcare di Acqui nel miocene medio (langhiano), considerandolo in alternanza colla mollassa terziaria. (]) Provana di Collegno G., Sur les terrains tertiaires chi nord-ouest de V Italie. (Comp. rend. d. l’Acad. d. Se. d. Paris, voi. VI, pag. 819, 1838;. (?) Sismonda A., Osservai, geolog. dei terreni delle formazioni terziaria e cretacea in Piemonte. (Mem. d. R. Accademia d. Se. di Torino, ser. II, voi. V, 1842). (3) Sismonda E., Note sur le terrain nummulitique supérieur de Dego, de Carcare, etc. (Mem. d. Acad. d. Se. di Torino, ser. II, voi. XVI, 1855). (■*) Stoppani A., Studi geol. e paleont. sulla Lombardia. Milano, 1857, pag. 54. (5) Pareto L., Note sur les subdiv. que l’on pourrait établir dans les terr. tert. de VApp. Septentr. (Bull. d. la Soe. Géol. de France, sér. II, tom. XXII, pag. 231, 1864-65). CALCARE DI ACQUI 339 Infatti scrive: « Mais les localités où cet étage (langhiano) parait » plus développé sont les hautes colliues qui sont au nord de Ceva, » ainsi que dans les vallées de la Bormida vers Ponti, Bistagno » et Acqui, ou ce qu’on appelle Lunghe ». Fuchs (') scrive: « (Strati a facies di Schio e di Gassino). » Nei calcari a nullipore paiono i fossili essere rarissimi; io » stesso potei soltanto trovare sezioni di grandi ostriche ed anche » la collezione Boasenda, di qui. possiede alcuni denti di squalidi, » un piccolo Echinolampas, una nuova specie di Pecten, la quale » rassomiglia ad un piccolo e squamoso Pecten latissimus. » La stessa specie di Pecten vidi in seguito nel museo di » Torino, proveniente da un affatto simile calcare a nullipore » di Acqui, il quale, dalle comunicazioni fattemi, deve giacere » a tetto delle locali marne frammentarie ed a muro del miocene. » Da tutti questi fatti si può appena considerare gli strati » di Gassino come qualche cosa di diverso dagli strati di Schio, » col quale modo di vedere concordava anche quello del sig. Boa- » senda, il quale li dichiarava siccome la sezione superiore del » miocene inferiore ». Ma molti anni dopo il valente geologo (2) aggiungeva: « No- toriamente poco tempo fa il prof. Trabucco dimostrò come il calcare a nullipore di Acqui, noto da gran tempo, abbia la fauna dei nostri strati di Horner e che per conseguenza debba essere ascritto al primo gradino del piano Mediterraneo. » Il prof. Trabucco mi fece gentilmente vedere i fossili rela- tivi ed io potei constatare la esattezza delle sue conclusioni: specialmente mi persuasi che il Pecten, il quale si riscontra in questi calcari e del quale ho sotto gli occhi alcuni esemplari ben conservati, non sia il Pecten latissimus, ma bensì il Pecten Holgeri, come fu anche annunziato dal prof. Trabucco. » I calcari a nullipore di Acqui sono ricoperti di Mergeln verdognoli grigi, i quali contengono grande numero di ptero- podi ( Vaginella , Balantiwn , Creseis , Aturia Aturi) ed anche ( ) Fuchs Th., Studien iiber die Gliederung der jungeren Tertiàrbil- dungen Ober-Italiens, gesammelt auf einer Reise ira Friihilge, 1877, p. 44. (2) Fuchs Th., Notizen von einer geologischen Studìenreise in Ober- itahen, der Schweiz und Siiddeutschland , Ann. d. k. k. Naturhistori- schen Hofmuseums, 1895, Band X, Heft 2, p. 62. G. TRABUCCO 340 minuscoli Clypeaster e che per conseguenza rispondono perfet- tamente allo Scìilier degli Appennini del nord, che costituisce il tipo del cosidetto langhiano». Mayer conclude (J): « Ho distinto nella mia carta col colore » verde chiaro, molto denso, la lista singolare di rocce a grani » verdi marno-calcare o più raramente silicea, che corrisponde » al tongriano superiore dell’Europa settentrionale. Questa, so- » lamente dello spessore di 10 a 20 metri, coire tuttavia, for- » mando un muro quasi continuo e facilmente rinvenibile, da » nord-est a sud-ovest attraverso tutta la mia carta, separando » così assai utilmente le marne marine grigie del tongriano » medio dalle marne quasi dello stesso colore d e\V aquitaniano » di acqua dolce, cioè l’eocene che finisce dal neogene che co- » mincia. » L’importanza di questo livello per la stratigrafia dei ter- » reni terziari si farà vieppiù sentire quando avrò detto che in » molti luoghi e specialmente a G-arbagna, ad Arquata, a Lei ma, » a Cremolino, a Visone e ad Acqui esso contiene una fauna » perfettamente tongriana e che nello stesso tempo è, per la » sua roccia, ora identico al calcare a nullipore di Schio o al » calcare bianco di Gassino presso Torino, che sostiene le pud- » dinghe aquitaniane di Superga, ora come a Vignola, vicino » ad Arquata, o meglio ancora a Cagna ed a Lodisio, fra le » due Bormide, simile per le sue concrezioni multiformi alle » arenarie della foresta di Fontainebleu ». Successivamente lo stesso autore scrive (2): « Comme je Lai » montré, tant sur ma carte géologique de la Ligurie centrale, » exposée à Paris en 1878, qne dans les deux notices à son » suj et, il y a tout le long de l’Apennin piémontais, au-dessus » de la masse homogène du Tongrien inférieur, comme un ruban » et quelque fois comme un mur de subassement d’une roche » tonte differente, dure tout à coup, mais de constitution très » variable, à savoir: tantot calcaire bianche ou grise, à grains » verts (environs d’ Acqui) riche alors en nullipores; tantót mar- (!) Mayer Ch., Studi geologici sulla Liguria centrale, Boll. d. Comi- tato Geol. d’Italia, 1877, p. 411. (?) Mayer-Eymar Ch., Le Ligurien et le tongrien en Egypte, Bull. Soc. Géol. de France, Sér. 3% Tom. XXI, 1893, pag. 25-27. CALCARE DI ACQUI 341 » no-schisteuse, à concrétions gréseus'es multiforme (environs de » Dego, de Spigno, etc.); cette roche séparé ainsi, de la ma- » nière la plus claire, la masse sous-jacente de l’énorme masse, » cà alternances interminables de bancs de mollasse et de marne, » qui constitue l’Aquitanien de la Ligurie et du Haut-Monferrat. » Or, ce niveau stratigrafique, par ses roches tout à facies lit- » toral, aussi bien que par ses fossiles en maints endroits aussi » nombreux que variés porte, lui aussi, le frane cachet d’une » époque de mer peu profonde. Mais ce tongrien supérieur su- » bapennin, en mème temps qu’il reflète si bien les circons- » tances nouvelles dans lesquelles a eu lieu son dépót, offre » aussi, sous le rapport paléontologique, un intérèt particulier. » Et d’abord, il possedè un bon nombre d’espèces plus anciennes, » telles: Nummulina Fiditeli Micbtti (Acqui, M. Cavatore), » Ostrea gigantea Sol. (Arquata), Vederi arcuatus Broc. (Mo- » lare), V. deletus Micbtti (Visone, Acqui, M. Cavatore), Vectun- » culus bormidianus M. E. (Acqui), P. Brongniarti M. E. (Acqui, » M. Cavatore), Trigonocelia Goldfussi Nyst. (Arquata), Cytherea » incrassata Sow. (Acqui), Tellina Nysti Desh. (Sale), T. Sub- » rotunda Lant. (Sale), Tliracia Crossei M. E. (Acqui), Natica » auriculata Gfrat. (Acqui-M. Cavatore), Natica Nysti Desìi. (Ar- » quata), etc.; ce qui prouve, certes, que c’est bien encore du » tongrien. Mais, outre ces espèces, on en rencontre un certain » nombre d autres se trouvant a ce niveau pour la première »fois, ou plus communes plus baut que plus bas, telles: Lima » miocenica Sism. (Visone), Arca Fiditeli Desìi. (Acqui, Arquata). » Tliracia pubescens Pult. (Acqui-M. Cavatore), Dentalium Bouei? » Desh. (Arquata), Ficaia Burdigalensis Sow. (Molare), etc. » C est donc exactement le mème mélange d’espèces molassi- » ques, en moindre nombre, que nous a déjà offert le tongrien » supérieur du sud-ouest de la France. Et comme personne ne » songe à piacer le calcaire à Astéries supérieur dans l’Aqui- » tanien, c’est à grand tort que quelques géologues italiens y » ont englobé son analogue du Piémont, sans tenir compte au » moins de la grande différence de roches qui existe entre les » quelques mètres de ce dépot et les centaines de mètres de » l’Aquitanien qui y succèdent. 342 G. TRABUCCO » Mais si le calcaire à Nullipores des environs d’Acqui et » sa prolongation à l’ouest et à l’est représentent le Tongrien » supérieur, il doit néeessaireraeut en ètre le mème de celui » du Yicentin, puisque celui-là occnpe une position identique, » c’est-à-dire puisqu’il succède immédiatement aux coucbes de » Castelgoinberto, corame à Bocca d’Oro, près de Monteviale et » à San Michele, près Bussano. Au surplus, ici aussi la faune » parie en faveur d’un dépot nummulitique. Et d’abord, les deux » espèces les plus comraunes des coucbes dites de Schio, le Lx- » thothamnium torulosum Giimb. et le Pecten deletus Michtti, » sont les mernes qui abondent aux environs d’Acqui ». Ho voluto riportare intieramente questo brano della nota del paleontologo di Zurigo per dimostrare a quali aberrazioni paleo-strati grafiche possa condurre la imperfetta e confusa co- noscenza dei terreni e dei fossili di una tipica regione. Il me- desimo infatti confonde insieme i terreni ed i fossili del calcare, delle marne e delle arenarie langhiani di Acqui e di Visone con quelli di Ar guata, di Molare, di M. Cavatore e di una parte del territorio di Visone (verso Grognardo) decisamente ton- griani, per arrivare alla conclusione: « C’est donc exactement » le mèrne mélange d’espèces nummulitiques et d’espèces mol- » lassiques, etc. ». Fortunatamente l’errore è cosi grossolano ed evidente da saltare agli occhi anche dei profani! Questo per norma di coloro che seguono ciecamente le clas- sificazioni necessariamente errate di questo autore, come ho già dimostrato da molto tempo ('). De Stefani (2) colloca nel miocene medio gli strati a valle di Spigno sulla Bormida, di Malvicino sull’Erro, di Ovada sul- l’Orba, di Carrosio sul Lemma, di Arqaata sulla Seri via, fa- cendo giustamente osservare (3): «essere questi gli strati che il » Mayer (1. c.) attribuì all’aquitaniano senza indicarvi i fossili, » mentre quel piano, come si disse, sta inferiormente ed in quei » terreni sono i fossili soliti delle marne ». (*) (*) Trabucco G., Sulla vera posizione del calcare di Acqui, p. 26-27. (2) De Stefani C., Uap pennino fra il colle dell’Altare e la Polcevera, Estr. Boll. d. Soc. Geol. Italiana, Voi. VI, fase. 3, pag. 26. (3) De Stefani, op. cit., pag. 27. CALCARE DI ACQUI 343 Il valente geologo intravide dunque la vera età delle pretese assise aquitanìane, di cui raccolse e cita buon numero di fos- sili. Successivamente lo stesso autore conferma l’esattezza del mio riferimento del calcare di Acqui al piano langhiano (*). Portis scrive: « Il valente prof. C. Mayer, nella sua « Clas- » si ficai lon cìes terrains tertiaìres conforme à l’équivalence des » PeriheUes et des Etages » edita a Zurigo nel 1884, colloca » il calcare di Gassino nel piano tongriano, sottopiano superiore » o boommo del tongriano stesso e lo sincronizza cogli strati di » Schio e col calcare di Acqui. » Non toccando per il momento la questione se i due gia- » cimenti sincronizzati si trovino nella ricordata classificazione » indicati al posto, al cui livello realmente appartengono, dico » che il calcare di Gassino deve essere collocato molto più in » giù (2). » Ammettendo per ora che il calcare di Acqui si trovi nella » posizione, relativamente alle argille scagliose che indica il » Fuchs, non basterebbe questo fatto e la presenza di una specie » identica o simile di Pecten, dopo quello che ho detto, a sta- » bilire la identità fra 1 calcari dei due giacimenti, sopratutto » quando dell’uno sono sbagliati i rapporti tettonici, come per » Gassino, e dell’altro non si è veduta la località, come per Acqui. » Fra i due non rimane per ora che la somiglianza di natura » delle rocce, dovuta allo sviluppo di organismi molto affini » fra di loro, ma che agirono ripetutamente a disparati inter- » valli di tempo e di luogo » (3). Issel, Mazzuoli e Zaccagna (<), col titolo di miocene medio, muniscono i terreni aquitaniani, langhiani, elveziani e Mo- ntani della regione. Sacco osserva: « En outre M. Mayer met dans le tongrien » supéneur (boomin): 1° les calcaires blancs à nullipores de / \ * ®tefnm C-> Sulla posizione del Langhiano nelle Lunghe, Proc. ' ;2?pa S°C‘ Toscanii di Sc- Natur., Ad. 5 maggio 1895, pag. 256. I ) Portis A., Sulla vera posizione del calcare di Gassino nella col- ina di Tonno. Boll, del R. Comit. Geol. d’Italia, 1886, pag. 172. (3) Portis A., op. cit., pag. 190. i.ova'ìss?1'^ ge°l0gÌCa dellG riviere Liguri e del,e A]P’ marittime. Ge- G. TRABUCCO 344 » Gassino lesquels, ainsi que je l’ai déjà signalé, doivent se » rapporter au hartonien ; 2° les calcaires blancs à nullipores » de Punzone, etc.: couches de calcaires greseux a lithothamniuni » dont la facies litoral doit les faire piacer dans Yaquitanien, » doni elles constituiraient la base; 3° les calcaires blancs » d’ Acqui, qui certainenient font partie de Yaquitanien, vu qu’ils | » occupent line position moyenne dans la divisimi supérieure de » cet étage (*). » Presso Acqui, sulla destra della Bormida, specialmente » presso lo stabilimento dei Bagni, osservasi un complesso di » banchi prevalentemente calcarei, grigio-biancastri, inclinati » assai regolarmente verso il Aord all incirca come il solito, » ricoperti di banchi marnosi a facies langhima e poscia da » potenti banchi arenacei, ricchi di fossili di varie sorte (spe- » cialmente lithothamnium, pecten, denti di squalidi , etc.) e con » numerose e bellissime impronte di larghi soopliycos. Quantun- » que io dubiti che in queste regioni esistano salti stratigra- | » fici, tuttavia li ritengo abbastanza localizzati e credo quindi » che questi banchi calcarei di Acqui siano assai più recenti di » quelli di Ponzone ; però è notevole che il calcare delle terme ! » di Acqui per la sua durezza assume talora quasi Faspetto di » una protrazione fra le circostanti marne, come si può osser- » vare in alcuni punti sulla destra del Bio Ravanasco (2). » Il grande prolungarsi di questo orizzonte calcareo-arenaceo 1 » verso nord, sino a A isone, deriva dalla contoimazione della » sottostante regione rocciosa, la quale in queste località pie- \ » senta una specie di rialzo notevolmente sviluppato verso nord, » donde gli spuntoni serpentinosi di C. Ferri, di Groguardo e » di Bric Marzapiede » (3). Finalmente lo stesso autore seguita ancora a citare come aquitaniano il calcare di Acqui nella sua ìeceute monografia sui pettini del Piemonte e della Liguria (4). (') Sacco F., C lassi fication d. terr. tert. conforme à leurs facies. Bull, d. la soc. Belge de Géologie, etc., tom. I, 1887, pag. 282. (2) Sacco F., Bacino terz. e ijuat. del Piemonte, 1889, pag. 282. (3) Sacco F., op. cit., pag. 284. (4) Sacco F .,1 molluschi terz. del Piemonte e della Liguria, parte XXIV (Pectinidae) 1897, pag. 16, 18, 34, 53, 63. CALCARE DI ACQUI 345 Issel e Squinabol seguono per la regione le carte di Mayer e Sacco (1). Trabucco, in base ai fossili ed alla stratigrafia, riferisce il calcare di Acqui ed i coevi della regione alla parte inferiore del piano langbiano (s). Suess (3), in una importante monografia sopra lo Scìilier dell’Austria Superiore e della Baviera, messa in evidenza la grande importanza di questi terreni per la interpretazione stra- tigrafica di quelli dell Europa centrale, della regione alpina e della regione mediterranea e richiamati i lavori di Giimbel e di Fuchs, dimostra con prove di fatto inoppugnabili l’esattezza delle precèdenti conclusioni di E. Suess e di F. Sandberger a proposito della stratigrafia e dell’età dei terreni del primo e secondo piano Mediterraneo ed in ispecie che lo Scìilier non sia un membro stante di per sè, ma costituente la parte superiore del 1° piano Mediterraneo e quindi del piano langìdano. E con- clude. «Mi trovo nella fortunatissima condizione di accennare » ad un lavoro pervenutomi prima dell’ultima correzione delle » bozze di stampa, il quale conferma nel modo più preciso il » concetto che lo Scìilier non sia un membro stante di per sè » nella serie miocenica. » È questo il lavoro di G. Trabucco {Sulla vera posizione » del calcare di Acqui Alto Monferrato. Firenze, 1891). L’au- » tore giunge alla conclusione che il calcare di Acqui, con P. » solarium, P. Holgeri, P. Burdigalensis, P. Haueri, P. Mal- (9 Issel e Squinabol, Note esplicative della carta (teologica della Liguria e territori confinanti. Genova, 1891, pag. 5. (2) Trabucco G., Sulla vera posizione del calcare di Acqui (Alto-Mon- ferrato). Studio geo.-paleont , con una tavola, Firenze, 1891; Sulla vera posizione dei terr. del bacino piemontese, con 2 tavole. Parte prima. Estr. degli Atti (mem.) della Soc. toscana di Se. nat., voi. XIII, 1893, pag 48; Se si debba sostituire il termine di burdigaliano a quello di langhiano nella sene miocenica. Estr. dai Proc. verbali della Soc. Tose, di Se. Nat., Ad. 13 gennaio 1895; Relazione sui mezzi più adatti a trasformare la nticoltura, etc., Faenze, 1899, pag. 22; Carta geologica- geognostica- agri- cola dell’Alto Monferrato, Firenze, 1899. (3) Suess F. E., Beobactungen ùber den Schlier in Oberòsterreich und Bayern. Ann. d. k. k. Naturhistorischen Hofmuseums, Band VI Heft 3 4 191, pag. 427. 346 G. TRABUCCO » vinae, corrisponda ai faluns di Saucats e Leognan e per con- » seguenza agli strati di Horn o al primo piano mediterraneo, 1 » Questi strati vengono ricoperti da una marna turchino-grigia, » qua e là sabbiosa, qua e là indurita e scheggiosa, che con- » tiene A. Aturi, S. Doderleini , Leda fragilis, Lucina mioce- | » nica , Natica lielicina, ecc. Come non era da aspettarsi diver- » samente, questo membro viene collocato allo stesso livello dello > » Scldier del bacino di Vienna. Noi possiano dunque ricono- » scere la stessa serie di strati più in là nel sud, nella regione » a S-O. di Torino, ossia nelle colline del Monferrato ». De Alessandri ascrive all 'oligocene Q) ed aWaquitaniano (?) il calcare di Acqui, avvertendo che per i riferimenti geologici ; si valse quasi sempre degli studi recenti del prof. Sa"cco. Ed in altre note successive (3) conferma le precedenti conclusioni sulla posizione ed età dello stesso calcare, appoggiandosi ad una lista di fossili raccolti nei dintorni di Acqui ed apparte- nenti a terreni e piani differenti, come vedremo più avanti. E 1 * però il giovane geologo aquese non ha altro torto che quello di avere giurato in verba magistri, di conoscere imperfetta- mente la geologia del suo circondario e di non avere saputo sceverare i fossili dei dintorni di Acqui, appartenenti a piani differenti e cioè al langhiano ed al tongriano. Schaffer (4), seguendo il parere di Trabucco, ascrive il cal- care di Acqui alla parte inferiore del piano langliiano. Ma lo stesso geologo commette una grave inesattezza quando mi attribuisce (5) concetti stratigrafici opposti a quelli da me realmente sostenuti. (i) De Alessandri G., Contribuz. allo studio dei pesci terziari. Mera. R. Acc. delle Scienze di Torino, Ser. II, Tom. XLV, 1895. (?) De Alessandri G., Contribuz. allo studio dei cirripedi fossili. Boll. Soc. Geol. Ital., Voi. XVI (1895), fase. 3. (3) De Alessandri G., Fossili aquitaniani dei dintorni di Acqui. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XIX (1900), pag. 549; Appunti di geologia e di paleontologia sui dintorni di Acqui. Milano, 1901. (•*) Schaffer F., lìeitràge zur Par all eli sir un g der Miocànbildungen des \ piemontesischen Tertiàrs mit denen des Wiener Bechens II. .Tahrbuch d. K. K. geolog. Reichsanstalt, 1899, Bd. 49. Heft 1, p. 161. (5) Schaffer F., op. cit., Jahrbuch der K. K. geolog. Reichsanstalt, 1898, Bd. 48, Heft 3. pag. 395. CALCARE DI ACQUI 347 Io non ho scritto cbe aquitaniano, langhìano ed elvesiano inferiore debbano (col De Stefani) essere considerati come facies differenti di uno stesso mare, ma affermato e provato (*) invece che « il piano langhiano del bacino piemontese comprende l’aqui- » taniano, il langhiano e parte dell’elveziano delle note e delle » carte di Mayer e eli Sacco ». Adagili, nel suo studio sugdi « Echinidi del bacino della Bormida (2), esistenti nelle collezioni Michelotti, della Regia Università di Torino, Rovasenda ed eredi Penando, del Regio Istituto tecnico di Udine, oltre a pochi esemplari raccolti da lui insieme al De Alessandri, cita le seguenti specie: Coptosoma Alexandri n. sp. (arenarie C. Ferri). Echinolampas plagiosomus Cott. (calcare di Acqui, calcare di Visone, arenarie del R. Ravanasco, arenaria tra Grognardo e Lussi to). Pericosomus spatangoides de Lor. (Carcare, Dego, arenaria C. Ferri). Pericosomus JSIa/rianii n. sp. (Dego, arenaria C. Ferri). E dopo avere aggiunto che le o specie citate (di cui 2 nuove, una comune al tongriano ed alinocene, le altre a tutto il miocene) non forniscono dati sufficienti per stabilire con cer- tezza la posizione stratigrafica dei grandi banchi di arenaria del R. Ravanasco, ascrive, è quasi inutile il dirlo, questa for- mazione marno arenacea-calcare all' aquitaniano . Così anche questo autore confonde, come De Alessandri, i fossili del calcare e delle assise langhiane di Acqui con quelli delle placche stampiane o meglio tongriane della C. Ferri. Rovereto (3) attribuisce al tongriano (facies tipica delle nul- Hpore) i calcari di Ponzone, di Spigno, di Visone e d’ Acqui, O Trabucco U., Sulla vera posizione del calcare di Acqui. Firenze, 8 1, pag. 9 e 25 (nota); Sulla vera posiz. dei terr. ter z. del bacino Pie- montese. Estratti dagli Atti d. Soc. tose, di Se. Nat., Mem., voi. XIII, pag. 18; Sulla vera età del calcare di Gassino. Boll, della Soc.'Geol. Ital ’ voi. XIII, fase. 2, pag. 129-130. C) Boll. Soc. Geol. Ital., voi XVIII, 1899, pag. 140. R°Veret0 G,) Iìlustrazi°ne dei molluschi fossili tongriani. Genova, G. TRABUCCO 348 confondendo insieme quanto vi ha di più disparato per fossili e stratigrafia. Concludendo: quasi tutti i geologi, che si occuparono della posizione del calcare di Acqui (Pareto, De Stefani, Fuchs, Suess, Schaffer) si accordano a confermare le mie conclusioni sull età da ascriversi alle assise calcaree dell’importante giacimento ed ai terreni coevi della regione. Mayer, Sacco e De Alessandri attribuiscono invece il calcare di Acqui al piano aquitanicmo, ma confondendo evidentemente insieme terreni e fossili langhiani e tongriani adiacenti. Stratigrafia del calcare di Acqui Movendo al contatto tra il tongriano e il langhiano , sopra le marne scistose e tenere verdi-grigie tongriane si osserva una singolare lista di rocce marno calcari di limitatissima potenza, , la quale — formando un muro quasi continuo — corre tortuosa attraverso alla regione, sempre in concordanza cogli stiati a tetto, da Mornese a Lerma, Tagliolo, Ovada, Cremolino, Prasco, Visone, Acqui, Cavatore, Montechiaro, Denice, Mombaldone, Cagna, Lodisio, ecc. Questi strati marnosi, marno-calcari, calcareo-arenacei od an- cora ridotti al solo calcare, ricompaiono anche tratto tiatto, in mezzo alle assise langhiane, di cui formano la base, special- mente nelle valli, dove l’erosione ha esportato il pilastro delle assise langliiane superiori. Costituiti alla base di marne verdi, di aspetto particolare e caratteristico, passano ad una puddinga arenacea-calcaiea grigia, i ricca di granuli serpentinosi e di quarzo e questa ad un calcare bianco-grigio. Gli strati conservano un andamento regolare; pendono ge- neralmente da 15° a 20° verso nord, che raramente superano, come tra M. Capriolo e la collina di Montechiaro. Caratteristici calcarei cominciano ad affiorare nel teriitoiio di Cremolino, adagiati sopra le anfboliti e le marne verdi nel torrente Caramagna sotto Prasco. Quivi il tracciato della strada i 349 CALCARE DI ACQUI ferrata, che sopporta un cavalcavia, mise allo scoperto una istruttiva sezione, costituita dall’alto al basso: 1. Assise langhiane superiori 2. Conglomerato calcareo 3. Calcare bianco 4. Marne verdi tongriane o. Anfiboliti arcaiche Dove però questi banchi calcareo-arenacei assumono sviluppo, potenza e facies caratteristici è nella valle del Visone. Affiorano verso le ultime case dell abitato del comune omonimo e si spin- gono in su per quasi un chilometro, lungo e lateralmente al letto del torrente, presentando un visibile gradino che riposa sulle mai ne fiammentizie tongriane e sopporta le coevi assise superiori; la loro potenza normale va da otto a dieci metri. Quivi sono aperte ab antiquo molte cave di pietra da calce e da costruzione, che furono utilizzate su grande scala per la costruzione dei manufatti della ferrovia. Seguitando, banchi calcareo-arenacei o semplicemente cal- carei, pure caratteristici, ricompaiono presso la C. Monevi e nella valle del Bavanasco presso lo Stabilimento dei bagni di Acqui, dove, prevalentemente calcarei, bianco-grigiastri, incli- nati di circa 20° e diretti N.-E., sopportano le assise marno- arenacee superiori langhiane, che costituiscono la franata col- lina di M. Stregone. Ricompaiono successivamente nelle stesse condizioni alle falde del M. Capriolo, dove costituiscono pareti a picco e poi sulle fini di Cartosio nel Rio delle Fornaci, dove l’erosione permette di osservare una sezione molto istruttiva e cioè che gli strati calcarei sopportano in concordanza le coevi assise superiori langhiane e giaciono in discordanza sulle marne fram- mentizie bormidiane. Proseguendo, si incontrano a Montechiaro (Collina la Fea) e discendendo nel Rio Bretaresco, tra Ponti e Montechiaro, al contatto ed appoggiati sulle marne frammentizie tongriane, le quali danno origine ad alcuni dirupati promontori. Affiorano poscia (sulla riva sinistra della Bormida) presso Denice ne.l B. del Mulino al disotto del C. Bonini, nel torrente 350 G. TRABUCCO Ornano poco al di sopra della strada che tende a Roccaverano e ricompaiono, sempre nelle medesime condizioni stratigrafiche, al brio Alberello, (Mombaldone), ecc. Finalmente, cogli stessi caratteri paleontologici, stratigrafici e litologici, questi strati calcarei passano nella valle della Bor- mida di Millesimo e ricompaiono a Vesirne (brio dei Galli e Cappella della Maddalena) e presso Bubbio. In tutti questi luoghi sono o furono utilizzati come pietra da calce e da costruzione, come lo attestano gli avanzi di antiche cave e fornaci. La disposizione costante di questi affioramenti calcarei, limi- tati quasi ovunque in estensione e potenza, induce con sufficiente certezza a credere che i medesimi sostengano e corrano costan- temente sotto le assise langkiane superiori dell’intiera regione, affiorando dove queste vennero erose ed asportate. Infatti si vedono successivamente passare, colla identica facies, dalla valle della Caramagna a quella del Visone, dell 'Erro, della Bormida, della Bormida di Millesimo, aggiungendo così nuova importanza alla loro posizione stratigrafica. La sezione S. Andrea-Ponzone (tav. XI) è destinata a stabilire la posizione delle assise calcaree langluane di Acqui, che sopportano in concordanza le marne ed arenarie ad Atuma Aturi Bast., Balantium pedemontanum May., Vaginella Calan- drelli Michtti, Solenomya Doderleini May., Lucina Dicomani gl., Ostraea langhiana Trabucco, ecc., non che la posizione delle assise calcaree elvesiane e tongriane della stessa regione. La stessa sezione da Collefeia (Ponzone) al Bric della Guardia (Strevi) conferma (Tav. XI) la posizione del calcare di Visone, Acqui, ecc., alla base delle marne e delle arenarie langhiane e stabilisce la stratigrafia dei calcari tongriani, langhiani ed el- veziani della regione. Litologia del calcare di Acqui La roccia ordinaria di Acqui, Visone, ecc., risulta di un calcare grossolano compatto, in certi punti indistintamente cri- stallino, aspro al tatto, di colore bianco o grigio con passaggi graduali da quello a questo. CALCARE DI ACQUI 351 Il suo peso specifico, nelle varietà di media compattezza, è di 2,67. E molto tenace e, prescindendo dai minerali acces- sori che vi sono contenuti, la sua durezza si mostra superiore a quella dei calcari cristallini. Ha frattura granosa, inuguale, cogli acidi fa viva efferve- scenza, ma non si scioglie interamente. Al microscopio si pre- senta come un impasto di litìiotliamniV/my foramimferi^ lonozoi, ecc cementato da piccole concrezioni di calcite, accludenti granuli di quarzo, di serpentino e laminette di mica; le varietà bianche passano talora ad un vero calcare brecciato. Nella parte inferiore, per aumento di granelli, ciottoletti e frammenti di quarzo, assume talora aspetto e tessitura puddin- goide e arenacea. Analizzato chimicamante dà i seguenti risultati: Calcare bianco (Acqui) Carbonato di calcio 96,20 » » magnesio 0,45 Silice ed argilla 1;95 Ossido di ferro 0,75 » » alluminio 0,65 100,00 Calcare grigio (Acqui) Carbonato di calcio 95,05 » » magnesio 0,35 Silice ed argilla 3,15 Ossido di ferro 0,85 » » alluminio 0,60 100,00 Origine della formazione calcarea di Acqui La litologia ed i fossili del calcare di Acqui, Visone, ecc., dimostrano che esso è un deposito di media profondità (zona delle coralline ) ed appartiene evidentemente ai depositi calca- 352 G. TRABUCCO rogeni che risultano principalmente di alghe calcarifere (litho- thamnium, etc.), a cui si aggiungono avanzi di foraminiferi, coralli, echinodermi, hriosoi, molluschi e materiali tolti alle for- mazioni circostanti. Issel (*) registra le analoghe formazioni attuali col nome di alghifere, le quali non furono fin qui incontrate che nelle medie profondità e cioè da 30 a 70 m. Aggiunge ancora: « Ma è pro- babile che scendano anche più basso: inoltre crescendo la po- » tenza loro in virtù del lento avvallamento del fondo, come » avviene di certe formazioni madreporiche, secondo la ben » nota teoria Darwiniana, ne consegue che, se non allo stato » fresco, almeno come depositi antichi più o meno coperti in » tal caso da detriti posteriori, si debbano trovare negli alti » fondi ». La posizione del calcare di Acqui, verrebbe a confermare l’ipotesi del riverito professore. La formazione di tali depositi calcarei, di cui si hanno istrut- tivi esempi nel golfo di Napoli, in Sicilia, ecc., costituisce il soggetto di uno studio sagace e diligente del Dott. Walter ('). Fossili del calcare di Acqui Le assise calcaree di Acqui, Visone, Demce, etc., sono ric- che di avanzi organici, ridotti per lo più in frammenti od al- terati a tal segno da rendere assai difficile la loro determina- zione specifica. Vi si trovano denti di pesce, testacei (special- mente pettini ridotti ordinariamente a modelli), briozoi, echi- nodermi, coralli, numerosi foraminiferi ed alghe calcarifere. Lunghe e pazienti ricerche, accompagnate da molte precau- zioni nell’estrazione, mi hanno permesso di isolare un certo nu- mero di specie (alcuni esemplari veramente bellissimi) di sicura determinazione e più che sufficienti a stabilire con sicurezza l’età di questi importanti giacimenti calcarei. (1) Issel A., Note Geol. sugli alti fondi marini, pag. 28. (2) Walther J., Die gesteinsbilden den Kalkalgen des Golfes von Neapel und die Entstehung structurloser Kalke, Zeitschrift d. deutsch. geologischen Gesellsch., 2 Heft, 1885, pag. 229. CALCARE DI ACQUI 353 I fossili, che sono riuscito a determinare e che descrivo e figuro più innanzi, sono i seguenti: Chrysophrys cincta A g. Hemipristis serra Ag. Oxyrhina hastalis Ag. Odontaspis contordidens Ag. » cuspidata Ag. Carcharodon megalodon Ag. JBaìanus concavus Bronn. Teredo norvegica Spengi. Lima miocenica Sism. Pecten Burdigalensis Lamk. » scabriusculas Math. » solarium Lamk. » Holgeri Geinitz » malvinae Dub. » northamptoni Michtti » oblitaquensis Sacco » revolutus Michtti » Baveri Michtti Terebripora Archiaci Fischer Operculina langhiana Trab. » JDe Stefani Trab. Orbitolites langhiana Trab. Eulithothamnion suganum Rothpl. » langl ii animi Trab. » Foslie Trab. » Vernae Trab. Litliophyllum raccmus Aresch. Posto che compete al calcare di Acqui, Visone; ecc. NELLA SCALA CRONOLOGICA Se è sempre vero che i terreni si sincronizzano in base ai caratteri paleontologici e stratigrafici, la questione dell’età del calcare di Acqui mi sembra molto facile a risolversi. Tutti i fossili delle assise calcaree (da me raccolti in posto) sono caratteristici del miocene medio del Piemonte (, Sismonda E., 25 354 G. TRABUCCO Michelotti, Fuchs, De Stefani, Sacco , Trabucco, De Alessandri) e eli altri luoghi ( Seguenza , De Stefani , Parona, De Angelis , Trabucco, Ugolini, Nelli , ecc.), oppure si incontrano in ter- reni più recenti; dunque il calcare di Acqui appartiene al miocene medio. Ma lo stesso calcare sopporta in concordanza (‘) le assise marno-arenacee langhiane ad Aturia Aturi Bast., Ca- nnarla Pareti May., Vaginella Calandrelli Michtti. Solenomya Doderleini May., Lucina Dicomani Mengh., Ostraea langliiana Trab.. ecc. : dunque il calcare di Acqui costituisce la base delle assise langhiane e deve essere ascritto al piano langhiano. Inoltre i Pecten Holgeri Geinitz, P. solarium Lamark, P. Durdigalensis Lamark, P. Piaceri Micbtti, P. Malvinae Dub., ecc. sono caratteristici degli Horner Schichten (1° piano mediterraneo) del bacino di Vienna (Hornes), dell’isola di Malta (Fuchs), del miocene medio della Corsica (Locard), dei faluns di Saucats e Leognan (Basterot), dell’Egitto (Fuchs), delle isole di Madera e delle Azzorre (Fuchs), ecc.; le assise calca- ree, che li contengono, giaciono in concordanza alla base dello Schlier (assise langhiane superiori). Dunque, ancora una volta, il calcare di Acqui costituisce la parte inferiore del piano lan- ghiano. Aggiungasi che la ripartizione dei fossili nelle assise lan- ghiane, che costituiscono il piano, si accorda perfettamente con quella delle altre regioni caratteristiche (s). Anche qui gli strati a P. solarium, P. Durdigalensis , P. Mal- vinae, ecc. (scisti di Molt, Loibersdorf, Eggenburg), sopportano quelli ad A. Attiri, *S. Doderleini, ecc. (Schlier). E però la Pietra da Cantoni di Posignano e Vignale ad A. Aturi, P. Holgeri, P. solarium, P. Durdigalensis appartiene indubbiamente al piano langhiano e non all’etmano, come erroneamente la riferì De Alessandri (3). (!) Trabucco G., Sulla vera posiz. del calcare di Acqui. Firenze 1891, tav. I. (-) Fuchs Th., Geologiche Ueber d. jiing. Tertiarbildungen d. Wien. Beclcens, etc., pag. 11 ; Suess F. E., op. cit. ( s ) De Alessandri G., La pietra da Cantoni di Bosignano e di Vignale (Basso Mon ferrato) . Mem. del Museo civico di Stor. natur. di Milano, tom. IV, fase. I, 1897. CALCARE DI ACQUI 355 Le assise divenirne marno-calcaree del Piemonte (*) a P. Gen- toni Font. var. Paretiana Jss., 0. lamellosa Brocc., L. colum- beììa Brocc., P. Brocchi D’Orb., T. miocenica Michtti, ecc., sono ben altra cosa, per i caratteri paleontologici e stratigrafici, che la pietra di Bosignano e di Vignale. Per convincersene De Alessandri non ha che da percorrere la zona marno-arenacea élveziana del nostro Monferrato, la quale si può seguire senza interruzione dal Monte della Guardia (Strevi) a Rivalta, Orsara, Montaldo B.a, Carpeneto, Roecagrimalda, Silvano, Castelletto, Gavi e Serravalle. * * * Ed 01 a, prima di lasciare l’argomento, mi sembra venuta 1 occasione favorevole di discutere brevemente le principali que- stioni paleontologiche e stratigrafiche che si attaccano al mio- cene medio ed alla sua divisione nei due piani langhiano ed elveziano. Per molto tempo i terreni ed i fossili del bacino ligure-pie- montese furono divisi (Collegno, Pareto, Sismonda A., Sismonda E., Michelotti, Bellardi, ecc.) in tre epoche e cioè: miocene inferiore, medio e superiore. Fu solo nel 1865 che Pareto (2), assumendo a base delle sue nuove divisioni i terreni delle valli della Bormida e della Scrivia, costituisce i piani òormidiano (miòcene inferiore), langhiano, serravallino (considerato più tardi come sinonimo di elveziano ) e tortoniano (conservato e parzialmente rettificato dal Mayer). Ed anche oggidì queste divisioni del grande stratigrafo ligure corrispondono a reali distinzioni di terreni esattamente deter- minati. (') Trabucco G., Sul Cucumites Carpenetensis delle marne elveziane di Carpeneto (Alto Monferrato). Atti d. Soc. Lig. di Se. natur., anno II voi. II, 1891. (-) Pareto L., Note sur les subdivisions gue Von pourrait établir dans les terr. tertiaires de V Apennin Septentrional. Bull. Soc. Géol do France, sér. 2% tom. XXII, 1805. 356 6. TRABUCCO Mayer divide dapprima (1857-1858) i terreni terziari nei seguenti piani: Suessonien, londonien, parisien, bartonien, ligurien, tongrien, , aquitanien, mayencien, elvétien, tortonien, plaisancien, astien I (Rouvi Ile). Successivamente (1868-1869) lo stesso autore, conservando in parte le divisioni di Pareto e generalizzandole, aggiunge alla base dell’eocene il flandriano e molto opportunamente, tra il tortoniano ed il piacenziano, il messiniano. Ma occorre subito dirlo, il valente paleontologo di Zurigo non corroborò la sua classificazione di criteri paleontologici esatti per bene riconoscere le sue divisioni ed errò poi nel pa- rallelismo dei terreni tipici allogati nei piani e sottopiani. E la sua classificazione riuscì in gran parte errata. Così, quando pochi anni dopo egli tenta (') di applicarla agli stessi terreni distinti da Pareto, incorre in gravi errori, che si ripercossero anche su alcuni geologi che studiarono la regione dopo di lui. E valga un solo esempio per dimostrare che le classifica- zioni di Mayer non sono ammissibili e vanno riformate, come ho già dimostrato da molto tempo (5). Il calcare di Acqui, secondo la classificazione di Mayer, è collocato nel tongrlano (Boomin) a caso, senza conoscenza dei suoi fossili; ma viceversa contenendo i fossili della puddinga di Superga, andrebbe (sempre secondo la detta classificazione) riferito all 'Aquitaniano (Bazazon). Ma siccome poi in realtà contiene i fossili degli strati di Molt, di Loibersdorf, di Gau- derndorf e di Eggenburg del bacino di Vienna (3), dovrebbe essere allogato nel langhiano (Scmcatsin) superiore, cioè al di sopra del langhiano tipico del Piemonte. Ma ancora, gli strati della collina di Torino, che contengono i fossili del calcare di (x) Mayer-Eymar Ch., Sur la carte géol. de la Ligurie centrale. Bull. Soc Géol. de France, sér. 3e, tom. V, 1877; Studi geologici sulla Liguria centrale. Boll. Com. Geol. d’Ital, 1877, pag. 407; Carta geolog. della Liguria centrale (inedita). (2) Trabucco G., Sulla vera posizione del calcare di Acqui. Firenze, 1891, pag. 26-27. (V Fuchs Th., Geologische Ueber. d. jung. Tertmrbildungen des Wiener Wien Beckens, ecc., pag. 12, 15. CALCARE DI ACQUI 357 Acqui, sono collocati nell’elveziano primo (Grùndon), col quale il nostro terreno potrebbe anche essere sincronizzato sempre se- condo la classificazione del paleontologo di Zurigo. È però innegabile che gli scritti e la carta geologica (inedita) di Mayer, malgrado numerosi errori, segnano un vero progresso nella stratigrafia dei terreni della regione e costituiscono un primo tentativo di generalizzazione. E se i geologi, che segui- rono questo autore, con lavori minuziosi ed all’appoggio dei fos- sili realmente contenuti nei terreni sincronizzati, ne avessero corretti gii errori e le inesattezze, l’opera del Mayer sarebbe riuscita molto più proficua. Ma così disgraziatamente non avvenne. Sacco (1889-1890) pubblica (') il Catalogo paleontologico del bacino terziario del Piemonte. E se egli si fosse limitato ad enumerare i fossili e l 'habitat, riferendoli alle antiche divisioni cronologiche, il suo lavoro sarebbe riuscito veramente utile, poiché, presentando a colpo d occhio la lunga lista dei fossili dell’importante regione, avrebbe spianato la via ai successivi lavori paleo-stratigrafici. Ma egli volle distribuire arbitrariamente (poiché il lavoro era prematuro) i fossili secondo i nuovi piani introdotti dal Mayer, aggiungendo confusione a confusione, errori ad errori. E così avvenne che, nei suoi successivi voluminosi, ma troppo affrettati lavori geo-paleontologici (2), egli si trovi spesso in con- traddizione con se stesso, indicando come caratteristici di certi piani dei fossili e viceversa poi sincronizzando in piani diffe- renti i terreni che realmente li contengono. Ed è veramente doloroso che, per difetto di metodo e per t loppa fretta, l’opera di questo geologo valente ed attivissimo sia andata in gran parte sciupata, quando non è riuscita dan- nosa alla scienza, a cui egli ha pur dedicato tanto amore, tante fatiche e spese. Egli volle sintetizzare, quando erano necessarie, indispensabili analisi minute. Eifaccia ora il lavoro, seriamente, senza preconcetti, in senso inverso ed io sarò il primo a plau- dire. (‘j Sacco F., Boll. Soc. Geol. Ita]., voi. Vili (1889), IX (1890). (-) Sacco F., Il bacino terziario e quaternario del Piemonte. Milano 1889, ecc. 358 G- TBABUCCO Intanto nel 1891 uno dei più valenti geologi italiani, il De Stefani, pubblica (*) la sua importante monografia « Sur les terrains tertiaires super ieurs du bassin de la mediterranee », nella quale, con straordinaria erudizione ed arte veramente ma- gistrale, tenta di provare l’opinione, già emessa in Germania dal Bittner, dal Tieze e da altri e dimostrata erronea da Suess (2), che langhiano, elveziano , tortoniano e messiniano siano da ri- guardarsi come semplici plaghe di uno stesso piano e non come divisioni cronologiche, potendo queste quattro sorti di deposito alternarsi le uue colle altre. Ma subito Fallot (3), reso omaggio alla grande erudizione ed alla nuova concezione dei tempi ter- ziari del De Stefani, conclude: « En dehors d’idées théoriques, » qu’un grand nombre de faits refute absolument à mon avis, » le lecteur recueillera de nombreux documents sur cette pé- » riode et sur cette région si particulièrement interessante >. Infatti, come vedremo più avanti, la brillante concezione teorica del riverito maestro della scienza non trova appoggio nei fatti e non trovò seguito nè in Italia, nè fuori d’Italia, dove rimase incontestata la classificazione di E. Suess. Poco appresso Sacco, ispirandosi alle pubblicazioni di Mayer (4), Fallot (5), Deperet (8), Munier-Chalmas et de Lap- parent (7), pubblica la sua classificazione (8) dei terreni terziari, nella quale accetta la divisione del terziario in paleogene , che termina collo stampiano (assise bormidiane superiori) ed in neo- (1) Bull, de la Soc. Géol. de Belgique, tom. XVIII, 1891. (2) Suess F. E., op. cit. (3j Fallot E., Ann. géol. universel, tom. IX, 1894, pag. 252. (<) Mayer-Eymar Ch., Classification et terminologie des étages natu- relles des terr. de sédiment. Ziirich, 1884. (5) Fallot E., Ann. géol. universel, tom. IV, 1888, pag 363, tom. V, pag. 445. Bull. Soc. Géol. de France, Sèrie 3e, tom. XVII, 1888-89, pag. 53. (fi) Deperet M., Sur la classification et le parallélisme du syst'eme miocène. Bull. Soc. Géol. de France, tom. XX, 1892, pag. CXL1 , tom. XXI, 1893, pag. 170. (7) Munier-Chalmas et de Lapparent, Note pour la nomenclature des terr. sédimentaires. Bull. Soc. Géol. de France, tom. XXI, 1894, pag. 438. (8) Sacco F., Sur la classification des terrains tertiaires. Compte-rendu du Congrés géologique International. Ziirich, 1894, pag. 309. 359 CALCARE DI ACQUI gene, che costituisce erroneamente colle assise lanciane in- feriori. E così un aquitaniano ex novo , sui generis, differente per tossili e stratigrafia dall’aquitaniano tipico di tutti gli altri au- tori e comunemente ammesso. lo ho sostenuto e provato (*) da molto tempo che non esiste nessun lembo aquitaniano (seriamente stabilito) nel bacino li- gure-piemontese e che i terreni sincronizzati in questo piano nei lavori e nelle carte di Mayer e Sacco non contengono fos- sili aqiutamani, ma bensì ovunque quella numerosa serie di Cefalopodi e di Pteropodi, che quegli stessi autori indicano come caratteristici (*) del langhiano. E concludevo: << il tongriano (pars) di Mayer, V aquitaniano e lei vestano (pars) di Mayer e Sacco vanno uniti al langhiano». Anche Rovereto (3) ammette la mancanza dell’ aquitaniano nella sene dei terreni terziari liguri in causa dell’emersione ve- rificatasi della parte centrale dell’Appennino ligure durante V aquitaniano, mentre io propenderei ad ascriverla (almeno per il bacino piemontese) alla grande potenza delle assise langhiane che ricoprono i terreni aquitaniani. E lei rata classificazione di Sacco è poco dopo peggiorata riguardo ai fossili ed alla posizione dei piani langhiano ed el vestano e riguardo al trasporto de\V aquitaniano alla base del miocene medio, da De Alessandri: 1° Colla pubblicazione del lavoro « La pietra da cantoni di Rosignano e di Vignale, 1897 », nel quale riferisce all’eZ- vezmno quei terreni che contengono i fossili degli strati infe- riori del primo piano mediterraneo del bacino di Vienna; 2 colla pubblicazione dell’altro lavoro: «Appunti di geo- logia e di paleontologia sui dintorni di Acqui, 1901 », nel ' ^ Trabucco G., Sulla vera posiz. del calcare di Acqui, 1891 ; Sulla • era posiz. dei terr. terziari del bacino Piemontese, 1893; Sulla vera età • e. calcare di Gassino, 1874; Se si debba sostituire il termine di Burdi- galiano a quello di langhiano nella serie miocenica, 1895, ecc. (*) Sacco F., Catalogo Paleontologico del bacino del Piemonte. Boll Soc. Geol. 1 tal., voi. Vili e IX. (8) Rovereto G„ Illustra z. dei Moli, fossili tongriani posseduti viuseo Geol. della R. Università di Genova. (Atti della R Univ di voi. XV, 1900). Genova, G. TRABUCCO 860 quale attribuisce all’ aquitaniano il calcare di Acqui e le assise che soprastano e si intercalano col calcare stesso, mentre in realtà contengono (come si rileva dalla sua nota) i fossili che, poco lungi (Rosignano e Vignale), attribuisce all’ elveziano. Ma, per arrivare a quella conclusione ed all’altra che V aqui- taniano deve essere attaccato al miocene medio, rimescola i fossili di posizione e di età differenti e cioè i fossili delle vere assise langhiane con quelli delle placche stampiane o meglio tongriane di C. Ferri, di Monte Cavatore, ecc. : riporta a spio- posito opinioni contraddienti di vari autori ed infine confonde evidentemente due questioni affatto distinte. E la Commissione giudicatrice del concorso al premio Molon giustamente scriveva Q) : « Egli crede (De Alessandri) che tale lista di fossili provi » senza dubbio V aquitaniano e, dal fatto della predominanza » di specie elveziane , trae la conseguenza che tale piano debba » aggregarsi al miocene , come già hanno fatto Fallot, Sacco e » Renevier. Nondimeno è da osservare che la controversia sulla » esistenza àe\V aquitaniano nei dintorni di Acqui non viene » rimossa dall’elenco da lui pubblicato. Quella fauna ha caiat- » tere prevalentemente elveziano , nè l’esistenza di poche specie » oligoceniche può essere da tutti riguardata come ragione suf- » ficiente per collocarla \ìq\Y aquitaniano. Per 1 autore anche gli » strati di Loibersdorf, Gauderndorf ed Eggenburg (bacino di » Vienna) sono aquitaniani : ma non è questa l’opinione di Fuchs, » Deperet e Fallot (e potevasi aggiungere di Suess E., di Mayer, » di Renevier, di De Lappareut, di Suess F. E., ecc.), che li pon- » gono in una divisione del terziario corrispondente alla paite » inferiore del miocene medio ». E qui, senza mancare di riguardo alla Commissione giudi- catrice, debbo francamente osservare due cose: 1° Che la maggioranza dei fossili citati da De Alessandri non ha carattere prevalentemente elveziano, ma langhiano, poiché (come la stessa Commissione osserva) si trovano negli strati di (i) Taramelli, Pantanelli e di Stefano, Relaz. della Commiss, giudi- catrice del premio Molon. Boll. Soc. Geol. Italiana, voi. XX, 1901, pag. cxliii. CALCARE DI ACQUI 3G1 Loibevscìorf, Gaudendorf ed Eggenburg del bacino di Vienna, unanimemente collocati nella parte inferiore del miocene medio. 2 Che i fossili citati da De Alessandri, per provare che il calcare di Acqui deve essere ascritto silV aquitaniano, proven- gono evidentemente (*) da terreni tongriani e da terreni lan- gluani e che quindi non si poteva trarre nessuna deduzione seria da un simile miscuglio di fossili di terreni e di età differenti. E pelò se Sacco e De Alessandri vengono colla nuova di- sgraziata concezione da una parte a confermare indirettamente l’esattezza del mio riferimento (fino dal 1891) del calcare di Acqui alla base del langhiano ossia del miocene medio , com- mettono dall’altra un nuovo grossolano errore — perchè, a mio avviso, paleontologicamente e stratigraficamente il langhiano rappresenta necessariamente le assise intermedie tra Yaquita- niano e Yelveziano , come saggiamente conchiusero i più valenti geologi italiani e forestieri. Ben disse De Stefani ( ?): « Il Sacco sostiene ora che l’aqui- » taniano, cui egli attribuiva il calcare di Acqui, deve essere » unito al miocene medio; io credo questa sua opinione indetta » dagli studi del Trabucco, confermati da quelli di De Ales- » sandrì sul calcare predetto e deve intendersi del suo speciale » modo di vedere l’aquitaniano; poiché V aquitaniano di Mayer » e di altri, qualunque sia il suo valore, e salvo qualche er- » ìore locale rientra nel miocene inferiore , come per esempio gli » strati di Cadibona nell’Appenniiio ». Così, poco a poco da errore a errore, da confusione a con- fusione, si giunse a confondere insieme i fossili ed i terreni langhiani ed elveziani di una regione tipica, che al contrario avrebbe dovuto servire di guida per la distinzione dei terreni e dei fossili di questi due piani in altre regioni meno caratte- ristiche. E così pure venne da noi ripetuto, ad onta del vero, che non si poteva dividere l’elveziano dal langhiano, perchè in realtà si tratta di facies e non distinti orizzonti, ecc. (') Come si desume dallo stesso lavoro di De Alessandri. (5) De Stefani C., I terreni terziari della Prov. di Poma. Rend. della R. Acc. dei Lincei, Estratto dal voi. XI, 1. sem., ser. 5, fase. 12, p. 42. 362 G. TRABUCCO Onde non è da fare le meraviglie se la Commissione giu- dicatrice del premio Molon (*) chiami prevalentemente elveziana la fauna langhiana del calcare di Acqui e se, poco appresso, un maestro della scienza scriva (2): «E nella illustrazione dei » resti di Aulocetus provenienti dalla Pietra cantone dei din- » torni di Cagliari, rilevando che accurati studi stratigrafici e » paleontologici avevano resa evidente la difficoltà di distin- » guere l’elveziano dal langhiano, poiché in realtà si tratta di » facies , non di distinti orizzonti cronologici, feci capire che, » dopo tutto, sarebbe stato opportuno di riferirsi senz’altro alle » vecchie denominazioni e parlare di miocene medio ». Insomma indietreggiare di quasi mezzo secolo, perchè da noi, dove sono pure caratteristici sopra ogni altra regione, poco si conoscono i terreni terziari, benché costituiscano la maggior parte dell’area del nostro paese. E questo perchè, invece di in- coraggiare i giovani a compilare serie e minuziose monografie locali con fossili raccolti in posto e diligentemente scevrati, si incoraggiano e si premiano le revisioni di antiche collezioni, raccolte soventi da profani, poco precise suWhabitat, costituite da fossili rimescolati di piani differenti, da cui ebbero ed hanno origine necessariamente conclusioni paleo-stratigrafiche errate e contradittorie, che furono e sono la causa dell’attuale confu- sione e dell’evidente regresso in questo importante genere di studi. Quando, come pure spesso avviene, non si peggiorano, con arbitrarie nuove specie , varietà e sub-varietà, le antiche deter- minazioni specifiche, fatte da paleontologi seri e valenti. Ma oramai è tempo di raccogliere le vele e di conchiudere. E però mi accingo brevemente a dimostrare: I. Langhiano ed elvesiano (e così pure tortoniano e messi- mano) non rappresentano depositi di differenti zone batimetriche sincrone , ma formazioni cronologiche successive, distinte per fossili, stratigrafia e litologia. (Q Op. cit. (2) Capellini G., Balenottera mioc. del M. Pisano. Estratto dalla Ser. V, Tom. IX delle Mem. della R. Acc. delle Scienze di Bologna, p. 8. CALCARE DI ACQUI 363 Infatti, come osservai ('), fino dal 1891, l’esattezza di questa conclusione è dimostrata : a) Dai caratteri paleontologici dei singoli piani succes- sivi, perchè da tempo i più valenti specialisti di stratigrafia terziaria (Suess E., Hornes, Fuchs, Pontannes, Locard, Fallot, Mayer, Dolfus, Deperet, Renevier, Munier-Chalmas e De Lap- parent, Suess F. C., Rives, Schwager, ecc.) hanno concorde- mente stabilito la lista dei fossili caratteristici di questi piani. Ed i lavori, almeno della grandissima maggioranza dei geologi italiani, hanno esattamente confermato le deduzioni paleontolo- giche degli specialisti stranieri. Nè giova ripetere che le assise, da cui questi piani sono costituiti, lappresentano depositi di differenti zone batimetr iche sincrone , quando la concezione non trova appoggio nei fatti. L’obbiezione è affatto speciosa, potendo ognuno constatare che la fauna di ciascheduno di questi piani accenna, come è natu- rale, a condizioni batimetriche svariate e differenti dei mari in cui si depositarono i terreni e vissero i fossili dei succes- sivi piani — fatto che spiega anche i successivi cambiamenti avvenuti nei mari stessi. b) Dai caratteri stratigrafici, essendo verità di fatto in- contrastabile che nella regione, come ammise anche de Stefani (?), le assise di questi differenti piani, che si seguono, stanno co- stantemente scaglionate, in discordanza, le une sulle altre dal messinìano, al tortoniano, a Welveziano ed al langhiano. E lo stesso avviene in tutte le altre regioni italiane per consenso unanime degli studiosi, con questa sola differenza che, dove la seiie non è completa, si osserva talora il messiniano riposare in discordanza sul langhiano come nella Romagna Toscana, il tortoniano sul langlùano come nel Bolognese, ecc. E così la mancanza, secondo i luoghi, delle assise di uno o più piani della serie del miocene medio e superiore costituisce un nuovo argomento che contraddice alla concezione che langhiano, elve- B) Trabucco G., Sulla vera posiz. del calcare di Acqui. Firenze 1831, p. 25. (2) De Stefani C., L’ Appennino fra il Colle dell’Altare e la Polce- vera. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VI. 364 G. TRABUCCO ziano, tortoniano e messiniano debbano considerarsi come facies differenti di uno stesso mare. Finalmente io sono lieto di potere aggiungere un nuovo fatto, che dimostra ancora una volta come l'enunciata concezione è in aperta contraddizione coi fatti che si possono realmente osservare. Nella tipica regione di Stazzano le scogliere del calcare elveziano si presentano foracchiate a diversi livelli da mollu- schi litofagi al contatto colle marne tortoniane della famosa e ben nota località di R. di Bocca d’Asino; precisamente come si osserva, quasi dappertutto, al contatto di calcari alberesi eoce- nici coi depositi pliocenici. II. Il piano langlniano (Pareto) non corrisponde allo Schlier, ma al contrario esattamente al primo piano mediterraneo del bacino di Vienna. Questa proposizione, da tempo da me comprovata (’) con dati di fatto ineccepibili, è poi largamente confermata dai lavori di Fuchs (2), Suess (3), ecc., oltre cbe dal complesso delle osservazioni contenute nel presente mio lavoro. E però, per non fare inutili ripetizioni, passo oltre. III. Il termine langliiano (Pareto), per indicare i terreni com- presi tra l 'elveziano e V aguitaniano, deve essere conservato nella serie cronologica miocenica per ragione di priorità ; perchè il langhiano tipico non corrisponde solamente allo Sclilier, ma sibbene esattamente al primo piano mediterraneo del bacino di Vienna (Suess E., 1886); perchè i limiti paleontologici e stra- tigrafici del medesimo sono da tempo stabiliti. Il merito di avere fatto credere che il langhiano dell’Alto Monferrato (Pareto, 1865) fosse quasi sprovvisto di fossili spetta intiero a quei geologi che pubblicarono note e carte su questa importante regione senza avere raccolto o citato un solo fossile ed ascrissero al V aguitaniano (di cui fin’ora non si conosce nessun affioramento) ed all 'elveziano grande parte delle assise langhiane. (‘) Trabucco G., Sulla vera posizione del calcare di Acqici. Firenze, 1891 ; Se si debba sostituire il termine di Burdigahano a quello di Ban- gliiano nella serie miocenica. Estr. dai Proc. Verb. della Soc. Tose, di Se. Nat. Ad. 13 genn. 1895. (2) Fuchs Th., Op. cit. (s) Suess F. E., Op. cit. CALCARE DI ACQUI 365 La verità è che i sedimenti langhiani della regione sono ovunque ricchissimi di fossili caratteristici. Io non conosco altro piano più ricco di fossili ad ogni livello; tanto che non è nep- pure necessario rompere le rocce per osservarli, basta solo per- correre la regione. Strati marno-calcarei-arenacei inferiori Chrysophrys cincta Ag. Hemipristis Serra Ag. Oxyrhina liastalis Ag. Oclontaspis contortidens Ag. » cuspidata Ag. Carcharodoìv megalodon Ag. Balanus concavus Bronn. Teredo norvegica Spengi. Lima miocenica Sism. Pecten burdigalensis Lamk. » scabriusculus Math. » solarium Lamk. » Holgeri Geinitz » Malvinae Dub. » Nortliamptoni Michtti » oblitaquensis Sacco » revolutus Michtti. » Haveri Michtti Terebripora Arcluaci Fischer Operculina langhiana Trab. » De Stefani Trab. Orbitolites langliiana Trab. Eulithothamnion suganum Bothpl. » langhianum Trab. 36tì G. TRABUCCO Eulithothamnion Foslie Trab. » Vernae Trab. Lithophyllum racemus Àresch Strati arenaceo-marnosi (Schlier) Lepas Hillii Leach. » Capellini Trab. Aturia Aturi Bast. » radiata Bell. Spirialis atlanta Koen. Hyalaea sp. Balantium pedemontanum May. » sinuosum Bell. » pulcherrimum May. Vaginella Calandrelli Michtti » JRzehaJci Kittl. » Lapugiensis Kittl. Car inaria Pareti May. » Hugardi Bell. Natica redempta Michtti » helicina Brocc. Bulla Brocchii Michtti Bullae varicosa Ponzi Bercelo navalis Linn. Neaera Saracoi Trab. Pholadomya sp. Solenomya Dodefleini May. Lucina miocenica Michtti » Bicomani Menegh. Leda fragilis Chemn. » Taramelli Trab. Attornia costata Brocc. CALCARE DI ACQUI 367 Pecten Philippi Michtti Ostraea neglecta Michtti » ìangliiana Trab. Lunulites intermedia Michtti Nodosaria bacillum Defr. Uvigerina pigmaea D’Orb. Globigerina bidloides D’Orb. » dubia Egger » qnadriloba D’Orb. Orbulina universa D’Orb. Pullenia sphaeroides D’Orb. Sphaeroidina austriaca D’Orb. Palaeodictyon rubiconis Scarab., ecc. La ragione principale, per cui Depéret (‘) credette necessario sostituire il termine di JBurdigaliano a quello di Langhiano per designare le formazioni corrispondenti a quelle del primo piano mediterraneo del bacino Di Vienna, consiste nel fatto che egli suppose che il piano langhiano (Pareto) corrispondesse unicamente allo Schlier e cioè, come egli aggiunge, all’orizzonte intermedio tra i due piani mediterranei. Ora questo è assolutamente, a mio avviso, erroneo. Il piano langhiano (2) corrisponde esattamente, per i caratteri paleonto- logici e stratigrafici, al primo piano mediterraneo e cioè dal basso all’alto: I. Strati marno-calcarei-arenacei a ì Strati di Loibersdorf, Pecten solarium Lamk, P. burdiga- ( Gaudemdorf ed Eggen- lensis Lamk, P. Holgeri Geinitz, ecc. ( buig, falunsdiLeognan, ) Saucats, ecc. ( ) Depéret C., Sur la class, et le parali, du système miocène. Bull. Soc. Géol. de Frane., sér. 3, tom. XV, 1892, pag. clv. ( j Tiabucco G., Se si debba sostituire il termine di JBurdigaliano a quello di Langhiano nella serie miocenica. Pisa, 1894. ' 368 G. TRABUCCO IL Marne grigio-bluastre intercalate con arenarie , (mollasse), marne indurite scagliose, intercalate 1 Schlier con marne grigio-bianchiccie e sabbie gialle ad A. Aturi Bast., B. pedemontanum May., V. Ca- , landrelli Micbtti, S. Doderleini Micbtti, 0. lan- l Ottang ghiana Trabucco, ecc. ] Cbe poi i limiti paleontologici e stratigrafici del langliiano della regione non siano ancora esattamente definiti per coloro, i quali non seppero raccogliere o citare un solo fossile degli strati di cui è costituito (quantunque, come ripeto, ne conten- gano numerosissimi macroscopici e microscopici), confondendo deplorevolmente le assise langhiane coìYaquitaniano e toWel- veziano ed anche per gli studiosi, cbe fondano le loro conclu- sioni su tali lavori, senza avere percorso la regione, può essere. Sta però il fatto cbe la posizione del langhiano fu dapprima nettamente stabilita dal grande stratigrafo ligure O ed i suoi limiti paleontologici e stratigrafici successivamente definiti da parecchi autori (Fuchs (2), Trabucco (3), Suess (4), Scbwager (5). Infatti i limiti inferiori paleontologici del langhiano sono stabiliti dai fossili degli strati marno-calcarei-arenacei esatta- (') Pareto L., Note pour les subdivisions que Von pourrait établir dans les terr. tert. d. l’Apenin septentr. Bull. Soc. Géol. de France, Sér. 2, tom. XXII, 1865. pag. 229. (2) Fuchs Th., Studien iiber die Gliederung der jungereren Tertiàr- bildungen Ober-Italien, gesammelt auf einer Reise in Fruliling, 1877 ; Notizien von einer geólogischen Studienreise in Ober-Italien, der Schweiz und Suddeutscldand. Ann. d. k. k. Naturhistorischen-Hofmuseums, 1895. (») Trabucco G., Sulla vera posiz. del calcare di Acqui. Firenze, 1891; Se si debba sostituire il termine di Burdigaliano a quello di Lan ghiano nella serie miocenica. Pisa 1895; Carta geologica-geografica-agri- cola dell’ Alto Monferrato. Firenze, 1899, ecc. (4) Suess F. E., Beobachtungen ilber den Schlier in Oberòsterreich terni Bayern. Ann. d. k. k. Naturhistoriscken Hofmuseums, 1891. (5) Sckaffer F., Beitràge zur Parallelisirung der Miocànbildungen des piemontesisclien Tertiàrs mit den des Wiener Beckens lì. Jahrbuch d. k. k. geolog. Reichsanstalt, 1899, Bd. 49, Heft 1. CALCARE DI ACQUI 3(39 mente corrispondenti a quelli di Loibersdorf, Gaudendorf ed Eggenburg che costituiscono le assise inferiori del primo piano mediterraneo , mentre i limiti superiori sono stabiliti dai fossili degli strati marno-arenacei-sabbiosi equivalenti a quelli dello Schlier, ossia alla parte superiore del piano suddetto. E pelò stiatigraticamente, da quanto sono venuto esponendo e secondo l’unanime consenso degli studiosi, il langhiano rap- presenta necessariamente le assise intermedie tra Yaquitaniano e Velveziano , come pure saggiamente concluse il Fallot (*). Nelle tipiche colline ìanghiane dell’Alto Monferrato gli strati marno-calcarei-arenacei, che costituiscono la base del piano su cui si discute, giaciono in discordanza sulle mollasse e marne tongnane ad S. cisalpinus, P. fallax, 0. cyatula, N. inter- media, ecc. : fatto che si può osservare in molti luoghi, segna- tamente a Cremolino (al di là del caseggiato), nella Valle del Visone (un po’ al di sopra del paese omonimo), nel E. Breta- resco (tra Ponti e Montechiaro), nel E. Ovrano (sotto Eoccave- rano), ecc. Così pure le marne indurite scagliose, intercalate con stra- belli di marne grigio-bianchiccie e di sabbie gialle, ad A. Aturi , JB. Pedemontanum , V. Calandrili, S. Boderleini, 0. lavi ghiana , ecc., che rappresentano le assise superiori, sottostanno in discordanza alle marne arenaceo-micacee elveziane. E questa disposizione costante si può osservare attraverso a tutta la re- gione, seguendo i caratteristici strati dell amarne indurite sca- gliose (vulgo: sciatlin ), che non mancano mai. Aggiungerò ancora che la delimitazione del piano è resa ancora più facile e chiara dalla grande uniformità dei carat- teri litologici di ogni singola assise e dalla costanza nella loro successione, tanto da poter quasi, con questi soli criteri, segnare i limiti superiori ed inferiori del piano attraverso alle ridenti colline della regione. E però se gli strati del tipico langhiano (Pareto) : a) contengono ovunque numerosi fossili, caratteristici ma- croscopici e microscopici; ( ) Fallot C., Sur la classification du néogène inf. Extr. d. Compte- rendu d. séance d. 19 juin, 1893, pag. lxxviii. 26 370 G. TRABUCCO b) corvispondouo esattamente a quelli del primo piano me- diterraneo ; c) hanno limiti paleontologici e stratigrafici da tempo per- fettamente stabiliti; d) designano completamente le assise intermedie tra IV quitaniano e Velveziano ; il termine langhiano , per ragione di priorità e perchè rispondente ai criteri scientifici, deve essere conservato nella serie cronologica miocenica. Questo, facendo anche astrazione dalle altre ottime ragioni per le quali Fallot (‘) crede che non si possa accettare la sosti- tuzione del termine Burdigaliano. Fino dal 1895 ho dimostrato (5) che la proposta del De- peret era arbitraria e contraddiceva ai criteri scientifici consa- crati dal consenso unanime degli studiosi. E sono ben lieto di constatare che la medesima non ebbe seguito, almeno presso la grandissima maggioranza dei geologi. IY. La nuova concezione di Sacco (3), che costituisce Yaqai- taniano colle assise langhiane inferiori della regione (calcare di Acqui e della collina di Torino (che contengono i fossili ca- ratteristici degli strati di Loibersdorf, Gauderndorf ed Eggen- burg del bacino di Vienna) riposa, a mio avviso, sopra un doppio errore paleontologico e stratigrafico. Paleontologico , perchè i fossili, realmente esistenti in questi terreni, sono considerati da tutti i geologi come caratteristici delle assise inferiori langhiane corrispondenti agli strati infe- riori del primo piano mediterraneo (Suess), ecc.; stratigrafico, perchè gli strati stessi, concordanti colle assise superiori della stessa età (Schlier), giaciono in discordanza sulle assise oligo- ceniche stampiane (Sacco) o meglio bormidiane o tongriane. E però Sacco rimase solo a sostenere la sua nuova conce- zione, poiché gli strati ed i fossili, da lui attribuiti al suo aqui- taniano novi generis, sono invece da tutti (Suess E., Fuchs, (■) Fallot C., op. cit., pag. lxxviii. (2) Trabucco G., Se si debba sostituire il termine di Burdigaliano a quello di Langhiano nella serie miocenica; Estr. dai Proc. Verb. della Soc. Tose, di Scienze nat. Ad. 13 gennaio 1896. (3) Sacco F., Les étages et les faunes du bassiri tert. du Piémont, Paris, 1906. CALCARE DI ACQUI 371 Failot, Mayer, Deperet, Renevier, Munier-Chalmas et De Lap- parent, Suess F. C., eoe.), considerati come caratteristici delle assise langliiane inferiori. Quanto all’attaccare l’aquitaniano degli autori (non quello di Sacco) all 'oligocene od al miocene (medio), mi duole di non potere concordare col Failot che, dopo molti dubbi, si è deciso a collocando alla base del miocene medio, perchè credo, con De Stefani, che V aquitaniano di Mayer e di altri, qualunque sia il suo valore e salvo qualche errore locale, rientri nel miocene inferiore ( oligocene ). Prima di finire debbo ancora segnalare agli studiosi la de- plorevole confusione, fatta al solito dal geologo di Torino (Sacco F., Les étages et les faunes du bassin tertiaire du Piémont, 1906, p. 900-906), tra fossili tongriani , aquitaniani, langhiani ed elveziani. Infatti egli compila l’elenco del piano aquitaniano (che non esiste) con specie immaginarie, in realtà poi appartenenti a ter- reni tongriani, ìangliiani e perfino elveziani. E così pure l’elenco dei fossili dell 'elvesiano in parte con specie realmente esistenti negli strati superiori ed inferiori langhiani. Ma l’errore è così mostruoso e grossolano che basta avver- tirlo perchè salti negli occhi di tutti. CONCLUSIONE 1° Il miocene inferiore (oligocene) comprende i piani fon- guano ed aquitaniano', pero non esiste nella regione nessun affioramento aquitaniano seriamente stabilito. 2° Il miocene medio comprende, dal basso all’alto, i piani langhiano ed elveziano, che rappresentano depositi di mari e di età differenti come dal quadro seguente: bD C 3 tó OD bfi W ci O fi © « ^ fi oc o T3 •_£ ci c5 £"* tt) J2 CO ©> 3 o" rse £ « ! o .2^ a K> C5 ^ © rfi c3 ■3 *00 tì c3 o rfi rO ce S — cu : ^ ci » o 5$, O» O 03 bJD — C » £ * S Q S -fi © CO é>. * 3 •£ CQ ce J=2 r£> « ►4 8 s ci "S il -f-J CO O- 3 = ^ s co et «5 "~: tc . ® fi tH 9 *fi ce T3 a. ce ^2 ce co •T^ fi « o * KP sf ’bc rO ce co oipaui 0U0OOIH CALCARE DI ACQUI 373 Considerazioni economiche sui calcari miocenici della regione L’alto Monferrato è ricchissimo di giacimenti calcarei, che diedero e danno ancora luogo ad utile estrazione per materiale da costruzione, decorativo, da calce e da petrisco ; ma i mezzi limitati, i cattivi metodi di estrazione, la poca notorietà di questi giacimenti nella stessa regione ed infine la mancanza di una onesta réclame rendono questa industria poco o punto remune- rativa. Calcari da costruzione, da calce e da petrisco si estraggono dai giacimenti elvezictni ('), i quali, quasi senza interruzione, affiorano in una zona che dalla Madonna della Guardia (Strevi) si spinge a Rivalta, Orsara, Montaldo, Carpeneto, Roccagri- malda, Silvano, Castelletto, ecc. I medesimi da una arenaria calcarea, quasi friabile e costi- tuita quasi esclusivamente di toraminiferi, passano gradatamente ad un calcare grossolano e poi ad una roccia quasi compatta ed indistintamente cristallina. Forniscono un ottimo materiale da costruzione poiché, con- tenendo molta acqua di cava, hanno comune col travertino la proprietà di consolidarsi maggiormente col tempo. Sono largamente usati localmente e potrebbero anche essere utilmente esportati. Come materiale da calce forniscono una calce magra, ma discretamente idraulica, molto adatta alle costruzioni ordinarie. Molte sono le cave aperte lungo tutta la zona degli affio- ramenti, specialmente nei Comuni di Orsara, di Montaldo e di Castelletto; molte le cave inconsciamente abbandonate e che da per tutto fornirono in passato ottimo materiale da costruzione e da calce, come lo attesta lo stato di conservazione di molti pubblici editìzi, specialmente chiese (chiese parrocchiali di Strevi, Orsara, Montaldo, Carpeneto, ecc.). (’) Trabucco G., Sul Cucumites Carpenti ernia delle marne elveziane di Carpeneto (Alto Monferrato). Genova, 1891. Relazione sui mezzi più adatti per trasformare la viticoltura, ecc., Firenze, 1899. 374 G. TRABUCCO Analizzati chimicamente, questi calcari elveziani, hanno dato i seguenti resultati : Orsara Montaldo Carpeneto Castelletto Carbonato di calcio. . . . 90,15 87,15 88,25 89,05 » di magnesio. . 2,10 3,15 ; 3,05 2,85 Silice di argilla 6,25 8,50 i 7,50 7,75 Ossido di ferro 0,75 0,65 0,65 0,70 Ossido di alluminio .... 0,75 0,55 0,75 0,65 100,00 100,00 100,00 100,00 Importanti sono pure (quantunque meno sviluppati) per la estrazione di materiale da costruzione, da calce, decorativo e da petrisco i calcari tongriani, che affiorano in molti luoghi, spe- cialmente a Cremolino, Morbello, Ponzone e Spigno (Rocchetta). In queste due ultime località sono aperte cave e fornaci per gli usi locali. Dove sovrabbondano i lithothamnium , come alla Rocchetta, sono suscettibili di un bel pulimento e di essere adi- biti a non disprezzabile uso decorativo. Disgraziatamente molti piccoli affioramenti sono poco noti anche ai proprietari dei fondi rustici che li contengono, come accadde ad un mio egregio amico, che mi domandava dove avrebbe potuto trovare, non molto lon- tano, del calcare da calce, mentre il calcare tongriano affiora nei suoi stessi poderi. Ma i giacimenti calcarei più importanti per numero e qua- lità del materiale, specialmente da calce, sono indubbiamente i langhiani, usufruiti più largamente in antico, come lo atte- stano le numerose cave e fornaci ora abbandonate. Eppure molti edifizi pubblici, molte chiese, molti castelli ne sono intieramente costituiti e mostrano, colla loro resistenza alle ingiurie del tempo, l’ottima qualità di questi materiali. Affioramenti, più o meno estesi ed importanti, di questi cal- cari si osservano specialmente nel T. Caramagna (sotto Prasco), a Visone, presso la C. Monevi, nella valle del Ravanasco presso lo stabilimento termale di Acqui, alle falde del M. Capriolo, CALCARE DI ACQUI 375 nel Rio delle Fornaci (Cartosio), nella Collina della Fea (Mon- techiaro), nel Rio Bretaresco (tra Ponti e Montechiaro), presso Denice, nel Rio del Mulino, nel T. Orano (sotto Roccaverano) e poi, nella valle della Bormida di Millesimo, a Vesime, a Bubbio, ecc. Ma le località più importanti, dove da tempo antico ed an- cora attualmente, si estrae il calcare per materiale da calce e da costruzione, sono Visone ed Acqui. In questi luoghi il calcare, nella parte inferiore, per aumento di granelli, ciottoletti e fram- menti di quarzo e di serpentino, assume aspetto e tessitura pud- dmgoide ed arenacea; ed in quest’ultimo caso la roccia è utilizzata per paracarri, caste da botti, scalini, stipiti, frontoni, ecc. Le varietà di calcare, che si estraggono da Acqui e da Vi- sone per essere utilizzati come pietra da calce, sono due: il calcare bianco e quello grigio, che dànno calci con proprietà differenti. Analizzati chimicamente questi calcari Unghioni hanno dato i seguenti risultati: Calcare bianco Acqui Visone Carbonato di calcio . . 97,05 96,20 » » magnesio . 0,15 0,25 Silice ed argilla. . . 1,05 1,95 Ossido di ferro . . 1,10 0,95 » » alluminio. 0,65 0,65 100,00 100,00 Calcare grigio Acqui Visone Carbonato di calcio . . 95,15 95,05 » » magnesio . 0,35 0,35 Silice ed argilla. . . . 3,05 3,15 Ossido di ferro . . 0,80 0,80 » » alluminio. . . 0,65 6,65 100,00 100,00 376 G. TRABUCCO Ultimamente il signor Tosi Flaminio, intelligente e corag- gioso proprietario, che ha riattivato l’antica cava da calce dei lagni di Acqui impiantando un alto forno per la cottura spe- ciale della medesima, mi ha mandato due campioni della calce ’ bianca e grigia di Acqui, che mi hanno dato i seguenti resultati: Calce bianca Spenta coll’acqua ha dato un rendimento di 3 1 2 circa, che corrisponde al massimo. In miscela con sabbia, nel solito rapporto di 1 a 2, la presa della malta (constatata coll’ago di Vicat) avvenne nell’aWa entro 8 giorni, nell 'acqua (immersa appena confezionata) entro 28 giorni. Sottoposta alla trazione , dopo un mese dalla preparazione, le mattonelle di malta hanno dato una resistenza di Kg. 1,40 per cmA Sottoposta alla compressione , dopo 104 giorni dalla prepa- razione, i cubi di malta hanno presentato una resistenza di Kg. 15 per cm.2. Calce grigia Spenta nell’acqua, ha dato un rendimento di circa 2 V2- In miscela con sabbia, nel solito rapporto da 1 a 2, la presa della malta (constatata coll’ago di Vicat) avvenne nell Aria entro 6 giorni, neWacqna (immersa appena confezionata) entro 22 . giorni. Sottoposta alla trazione, dopo un mese dalla preparazione, le mattonelle di malta hanno dato una resistenza di Kg. 1,85 * per cm/. Sottoposta alla compressione; dopo 104 giorni dalla loro pre- parazione, i cubi di malta hanno dato una resistenza di Kg. 28 per cm.2, mentre gli stessi cubi di malta, conservati nell’acqua durante lo stesso tempo, hanno presentato una resistenza di Kg. 45 per cm.2. (Trabucco) Tav- XI oc. Geol.Italiana voi. XXVII (1908) SEZIONE DA COLLEFEIA ( PONZONE ) A BRIO DELLA SU ARDI A (STREVI) alla scala di 1 a 50 ODO Arcaico Borirà diano langhiano Antiboli te. serpenhnn cufotide.ecc Sabbie . arenarie e puddinghe alternanti con potenti banchi di conglomerati. c. Calcari bianchi compatn e brec. ciati: Banchi marno - calcari bianchi e grigi, talora passar ti a vere arenane. Marne grigio bluastre, intercalate con arenarie grigie e gialle. Marne scistose, tenere . verdi, grigie. Marne indurite scagliose (Sciattih) intercalate con marne grig/o-bian. chiede. fflveziano Banchi sabbioso -arenacei, inter- calati con marne sabbiose grigiastre. Potenti banchi arenaceo-ca/carei. ta/ora passanti a calcari compatti'. CJeistocene crj Banchi di sabbie, ghiaie e ciotto// di rocce antiche (prevalentemente) CALCARE DI ACQUI 377 CONCHIUDENDO La calce bianca si raccomanda per la sua purezza, per il rendimento e per il suo candore; quindi è ottima per l’agri- coltura, per preparare la poltiglia bordolese , per imbiancare, ecc. E coll’aggiunta di una piccola proporzione di pozzolana può divenire un’ottima calce da costruzione. La calce grigia, che presenta un sufficiente rendimento, è debolmente idraulica e si raccomanda specialmente per le co- struzioni. Le ottime qualità dei calcari langhiani, come materiali da costruzione e da calce, furono confermate dalla resistenza dei manufatti della ferrovia Acqui-Ovada, a cui furono largamente adibiti. Io plaudo alla lodevole iniziativa del sig. Tosi e mi auguro che trovi intelligenti imitatori, perchè non rimangano più oltre trascurate queste ed altre ricchezze minerarie, le quali possono alimentare rimunerative industrie locali e fornire nuovi e non disprezzabili cespiti di entrata alla regione. DESCRIZIONE DEI FOSSILI Gen. Chrysophrys Cuvier Chrysophrys cincta Ag. sp. (Tav. XII, fig. 23, 24, 25, 26, 27, 28) 1843 Sphaerodus cìnctus Agassiz, Poiss. foss., II, pag. 214, tav 73 fig. 68-70. 1846. Sphaerodus cinctus Sismonda E., Pesci fossili del Piemonte , pag. 21, tav. I, fig. 1-4. 1347. Sphaerodus cinctus Michelotti, Faune mioc. haute Italie, pag. 351. 1858. Sphaerodus cinctus Gastaldi, Cenni sui vertebrati fossili del Pie- monte, pag. 47. 378 G. TRABUCCO 1884. Spliaerodus cinctus Portis, Cenni sulle condizioni geologiche della collina di Torino, pag. 13. 1890. Spliaerodus cinctus Sacco, Catal. paleont., pag. 296. 1889. Chrysophrys cincta Pollini, Pesci foss. terz., pag. 90. 1890. Chrysophrys cincta Sacco, Catal. paleont., pag. 296. 1891. Chrysophrys cincta Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di ' , Acqui, pag. 20. 1891. Chrysophrys cincta Bassani. Contributo alla paleont. della Sardegna, i pag. 49, tav. 2, tìg. 2-9. 1893. Chrysophrys cincta Trabucco, Sulla vera posizione dei terreni ter- ziari del bacino del Piemonte, pag. 14, tav. IX, tig. 8 a, b, c. i 1895. Chrysophrys cincta Trabucco, Se si debba sostituire il termine di j Burdigaliano a quello di Langhiano, pag. 4. 1895. Chrysophrys cincta De Alessandri, Pesci terziari del Piemonte e Liguria, pag. 26, tav. I, tig. 24, 24 a, 24 b, 25, 25 a. 1897. Chrysophrys cincta De Alessandri, La pietra da Cantoni, pag. 26, tav. I, tig. 6, 6 a. 1899. Chrysophrys cincta Trabucco, Relazione, ecc., pag. 19. 1889. Chrysophrys sp. Issel, Catal. foss. della pietra eli Finale, pag. 32. 1899. Chrysophrys sp. Bassani, Ittiofauna del calcare eocenico di Gas - \ sino, pag. 40, tav. Ili, tig. 21-41. Riferisco a questa specie numerosi denti, di varia grandezza, provenienti dalle cave di Acqui, Visone, Denice, ecc. La Clir. cincta, che non si rinviene nell 'cocene e raggiunse il più grande sviluppo e la massima dispersione durante il mio- cene medio (Bassani), è comunissima nei terreni langliiani ed elveziani del Piemonte e della Liguria (Sismonda E., Michelotti, Gastaldi, Portis, Issel, Pollini, Bassani, Sacco, Trabucco, De Ales- sandri. Collezione Trabucco. Gen. Hemipristis Agassiz ■ Hemipristis Serra Ag. (Tav. XII, tig. 16) 1843. Hemipristis Serra Agassiz, Poiss. Foss., Ili, pag. 237, tav. 27, tìg. 18-30. 1846. Hemipristis Serra Sismonda E., Pesci fossili del Piemonte, pag. 33, tav. I, tig. 17-18. 1847. Hemipristis Serra Michelotti, Faune mioc. haute Italie, pag. 354. 1858. Hemipristis Serra Gastaldi, Vertebrati fossili del Piemonte, pag. 47. CALCARE DI ACQUI 379 18b4. Hemipristis Serra Portis, Cenni sulle condizioni geologiche della collina di Torino, pag. 13. 1889. Uemipristis Serra Pollini, Pesci fossili terziari , pag. 88. 1890. Uemipristis Serra Sacco, Calai, paleont., pag. 294. 1891. Hemipristis Serra Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 24. 1S91. Hemipristis Serra Bassani, Contributo alla paleont. della Sardegna, pag. 38, tav. I, fig. 15. 1895. Hemipristis Serra Trabucco, Se si debba sostituire il termine di Burdigaliano a quello di Langhiano, pag. 4. 1895. Hemipristis Serra De Alessandri, Pesci terziari del Piemonte e della Liguria, pag. 18, tav. I, fig. 16, 16 a. 1897. Hemipristis Serra De Alessandri, La pietra da Cantoni, pag. 32, tav. II, fig. 1, 1 a. 1843. Hemipristis paucidens Agassiz, Pois-;, foss., Ili, pag. 238 tav 27 fig. 31-33. 1861. Carcharodon Gibbesi Michelotti, Mioc. infér. de Vltalie Septentr., pag. 143, tav. 14, fig. 5-7. 1890. Carcharodon Gibbesi Sacco, Catal. paleont., pag. 295. Due esemplari provenienti dalle cave di Acqui e Visone. VH. Serra raggiunse il più grande sviluppo e la massima di- spersione durante il miocene medio (Bassani), e si raccoglie frequentemente nei terreni langhiani ed elveziani del Piemonte e della Liguria (Sismonda E., Michelotti, Gastaldi, Portis, Pol- lini, Bassani, Sacco, Trabucco, De Alessandri). Collezione Trabucco. Gen. Oxyrhina Agassiz Oxyrhina hastalis Ag. (Tav. XII, fig. 17, 18, 19, 20, 21, 22) 1833-43. Oxyrhina hastalis Agassiz, Poiss. foss., voi. Ili, pag. 277, tav. 34, fig. 3, 5, 13, 15, 17. 1846. Oxyrhina hastalis Sismonda E., Pesci fossili del Piemonte, pag. 40, tav. I, fig. 41-47. 1847. Oxyrhina hastalis Michelotti, Faune mioc. haute Italie, pag. 358. 1858. Oxyrhina hastalis Gastaldi, Cenni sui vertebrati fossili del Pie- monte, pag. 47. 1861. Oxyrhina hastalis Michelotti, Mioc. infér. de Vltalie Septentr., pag. 144. 1891. Oxyrhina hastalis Trabucco, Sul Cucumites Carpenetensis, pag. 4. 380 • G. TRABUCCO 1891. Oxyrhina hastalis Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 19. 1891. Oxyrhina hastalis Bassani, Contributo alla paleont. della Sardegna, | pag. 31, tav. I, fig. 3; tav. II, fig. 1 e 26. 1893. Oxyrhina hastalis Trabucco, Sulla vera posizione del terr. terz. del ; bacino Piemontese, pag. 17. 1895. Oxyrhina hastalis Trabucco, Se si debba sostituire il termine di ! Burdigaliano a quello di Langhiano, pag. 4. 1895. Oxyrhina hastalis Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Gassino, pag. 15. 1886. Oxyrhina Agassizii Issel, ì oss. pietra Finale, pag. 29, tav. I, fig. 1, j 2, 5, 6, 7, 8, 9. 1889. Oxyrhina Agassizii Pollini, Pesci foss. terz., pag. 77. Sei esemplari provenienti dalle cave di Acqui e di Visone. La 0. hastalis raggiunse il più grande sviluppo e la massima dispersione durante il miocene medio (Bassani), e si raccoglie frequentemente nei terreni langhiani ed elvesiani del Piemonte ! e della Liguria (Sismonda E., Michelotti, Portis, Pollini, Bas- sani, Sacco, Trabucco, De Alessandri). Collezione Trabucco. Gen. Odontaspis Agassiz Odontaspis contorti dens Agassiz (Tav. XII, fig. 10, 11, 12, 13, 14, 15) 1843. Lavina (Od.) contortidens Agassiz, Poiss. foss., Ili, pag. 294, tav. 37 a, fig. 17-23. 1846. Lamna (Od.) contortidens Sismonda E., Pesci fossili del Piemonte, pag. 48, tav. Il, fig. 25-28. 1847. Lamna (Od.) contortidens Michelotti, Faune mioc. haute Italie, pag. 358. 1858. Lamna (Od.) contortidens Gastaldi, Vertebrati fossili del Piemonte, pag. 47. 1886. Lamna (Od.) contortidens Issel, Foss. pietra Finale, pag. 31, tav. I, fig. 25. 1889. Odontaspis contortidens Pollini, Pesci foss. terz., p. 85. 1891. Odontaspis contortidens Trabucco, Sul Cucumites Carpenetensis , pag. 4. 1891. Odontaspis contortidens Bassani, Contributo alla paleont. della Sar- degna, pag. 28. CALCARE DI ACQUI 381 1891. Odontaspis contortidens Trabucco, Sulla vera posizione del cal- care dì Acqui, pag. 19. 1893. Odontaspis contortidens Trabucco, Sulla vera posizione dei terreni terziari del bacino Piemontese , pag. 17. 1895. Odontaspis contortidens Trabucco, Se si debba sostituire il termine di Burdigaliano a quello di Langhiano, pag. 4. 1895. Odontaspis contortidens Trabucco, Sulla vera età del calcare di Gassino, p. 14. 1895. Odontaspis contortidens De Alessandri, Pesci, terz. del Piemonte e Liguria, pag. 12, tav. I, fig. 8, 8 a. 1897. Odontaspis contortidens De Alessandri, La pietra da Cantoni , pag. 36, tav. I, fig. 14. Sei esemplari provenienti dalle cave di Acqui e di Visone. La 0. contortidens raggiunse il più grande sviluppo e la massima dispersione durante il miocene medio (Bassani) e si raccoglie fre- quentemente nei terreni langhiani ed elveziani del Piemonte e della Liguria (Sismonda E., Michelotti, Portis, Pollini, Issel, Bassani, Sacco, Trabucco, De Alessandri). Collezione Trabucco. Odontaspis cuspidata Agassiz sp. (Tav. XII, fig. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9) 1843. Lamna cuspidata Agassiz, Poiss. foss., Ili, pag. 290, tav. 37, fig. 43-50. 1846. Lamna cuspidata Sismonda E., Pesci fossili del Piemonte, pag. 48, tav. II, fig. 25-28. 1847. Lamna cuspidata Michelotti, Faune mioc. haute Italie, pag. 358. 1858. Lamna cuspidata Gastaldi, Vertebrati fossili del Piemonte, pag. 47, 1861. Lamna cuspidata Michelotti, Mioc. infér. de l’Italie septentr., pag. 144. 1886. Lamna cuspidata Issel, Foss. pietra Finale, pag. 31, tav. I, fig. 25. 1889. Lamna cuspidata Pollini, Pesci foss. terz., pag. 81. 1897. Odontaspis cuspidata De Alessandri, La pietra da Cantoni, pag. 37, tav. I. 1843. Lamna (Od.) dubia Agassiz, Poiss. foss.,. tav. Ili, pag. 295; tav. 37 a, fig. 24-26. 1846. Lamna (Od.) dubia Sismonda E., Pesci fossili del Piemonte, pag. 48, tav. II, fig. 17-22. 1858. Lamna (Od.) dubia Gastaldi, Vertebrati fossili del Piemonte , pag. 47. 1886. Lamna (Od.) dubia Issel, Foss. pietra Finale, pag. ■ 32, tav. I, fig. 16, 17. 382 G. TRABUCCO 1886. Lamna (Od.) dubia Portis, Sulla vera posizione del calcare di Gassino, pag. 30. 1889 Odontaspis dubia Pollini, Pesci foss. terz., p. 86. 1891. Lamna cuspidata Trabucco, Sul Cucumites Carpenetensis , pag. 4. 1891. Odontaspis cuspidata Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 19. 1891. Odontaspis cuspidata Bassani, Contributo alla paleont. della Sar- degna, pag. 25, tav. I. fig. 14; tav. II, fig. 10, 13, 16, 17. 1893. Odontaspis cuspidata Trabucco, Sulla vera posizione dei terr. terz. del bacino Piemontese, pag. 17. 1895. Odontaspis cuspidata Trabucco, Se si debba sostituire il termine di Burdigaliano a quello di Langhiano, pag. 4. 1895. Odontaspis cuspidata Trabucco, Sulla vera età del calcare di Gas- sino, pag. 15. 1895. Odontaspis cuspidata De Alessandri, Pesci terziari del Piemonte e Liguria, pag. 11, tav. I, fig. 7, 7 a, 7 b, 7 c. Nove esemplari provenienti dalle cave di Acqui e di Visone. La 0. cuspidata raggiunse il più grande sviluppo e la massima dispersione durante il miocene medio (Bassani) e si raccoglie frequentemente nei terreni langhiani ed elveziani del Piemonte e della Liguria (Sismonda E., Miclielotti, Gastaldi, Issel, Portis. Trabucco, BassSni, Sacco, Pollini, De Alessandri). Collezione Trabucco. Gen. Carcharodon Muli, et Eterni. Carcliarodon megalodon Agassiz (Tav. XII, fig. 29) 1843. Carcliarodon megalodon Agassiz, Poiss. foss., Ili, pag. 247, tav. 29. 1846. Carcharodon megalodon Sismonda E., Pesci fossili del Piemonte, pag. 34, tav. I, fig. 8-13. 1847. Carcharodon megalodon Michelotti, Faune mioc. haute Italie, pag. 353. 1858. Carcharodon megalodon Gastaldi, Vertebrati fossili del Piemonte, pag. 47. 1861. Carcharodon megalodon Michelotti, Mioc. inf. de V Italie septentr.. pag. 142. 1886. Carcharodon megalodon Issel, Calai, foss. pietra Finale, pag. 29. 1890. Carcharodon megalodon Sacco, Catal. paleont., pag. 295. 1891. Carcharodon megalodon Trabucco, Sul Cucumites Carpenetensis, pag. 4. 1891. Carcharodon megalodon Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 4. CALCARE DI ACQUI 383 1891. Carcharodon megalodon Bassani, Contributo alla paleont. della Sardegna , pag. 14, tav. I, fig. 1-2. 1893. Carcharodon megalodon Trabucco, Stilla vera posizione dei terr. terz. del bacino Piemontese, pag. 16. 1895. Carcharodon megalodon Trabucco, Se si debba sostituire il termine di Bur di gallano a quello di Langhiano, pag. 4. 1895. Carcharodon megalodon Trabucco, Sulla vera età del calcare di Gassino, pag. 14. 1895. Carcharodon megalodon De Alessandri, Pesci terziari del Piemonte e della Liguria , pag. 6, tav. I, fig. 1, 1 a. 1897. Carcharodon megalodon De Alessandri, La pietra da Cantoni, pag. 40. 1899. Carcharodon megalodon Trabucco, Relazione, ecc., pag. 19. 1843. Carcharodon productus Agassiz, Poiss. foss., Ili, pag. 251, tav. 30, fig. 2, 4, 6, 7, 8. 1846. Carcharodon productus Sismonda E., Pesci fossili del Piemonte, pag. 37, tav. I, fig. 25, 26. 1847 . Carcharodon productus Michelotti, Faune mioc. haute Italie, pag. 353. 1858. Carcharodon productus Gastaldi, Vertebrati fossili del Piemonte, pag. 47. 1886. Cai charodon productus Portis, Sulla vera posizione del calcare di Gassino, pag. 197. 1889. Carcharodon productus Pollini, Pesci foss. terz., pag. 74. 1843. Carcharodon polygyrus Agassiz, Poiss. foss., Ili, pag. 253, tav. 30, fig. 9-12. 1846. Carcharodon polygyrus Sismonda E., Pesci fossili del Piemonte, pag. 36. 1884. Carcharodon polygyrus Portis, Cenno sulle condizioni geologiche della collina di Torino , pag. 13. 1891. Carcharodon polygyrus Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 4. 1846. Carcharodon angustidens (pars) Sismonda E. (non Ag.), Pesci fos- sili del Piemonte, pag. 36, tav. I, fig. 30-31. 1861. Carcharodon angustidens (pars) Michelotti (non Ag.), Mioc. infér. de V Italie septentr., pag. 142. 1889. Carcharodon angustidens (pars) Pollini, Pesci foss. terz., pag. 74. 1843. Carcharodon rectidens Agassiz, Poiss. foss., Ili, pag. 250, tav. 30 a fig. 10. 1843. Carcharodon subauriculatus Agassiz, Poiss. foss., Ili, pag. 251, tav. 30 a, fig. 11-13. 1846. Carcharodon Leterodon Sismonda E. (non Ag.), Pesci fossili del Piemonte, pag. 38. Un esemplare proveniente dalle cave di Acqui. Il Ch. me- galodon raggiunse il più grande sviluppo e la massima disper- sione durante il miocene medio (Bassani) e si raccoglie frequen- 384 G. TRABUCCO temente nei terreni langhiani ed elveziani del Piemonte e della Liguria (Sismonda E., Gastaldi, Michelotti, Issel, Portis, Pollini, Sacco, Trabucco, De Alessandri). Collezione Trabucco. Vertebre. — Riferisco al gen. Carcharodon una vertebra proveniente dall’arenaria, a cui fa graduale passaggio il calcare di Acqui, Visone, ecc. Dimensioni: Diametro . . . mm. 63. Gen. Balanus aut. Balanus concavus Bronn. 1831. Balanus concavus Bronn, Italiens Tertiàr-Gebilde, pag. 127. 1838. Balanus concavus Bronn, Lethaea Gegnostica, pag. 1155, tav. XXXVI, fig. 12. 1817. Balanus productus Michelotti, Descript, d. foss. d. terr. d. V Italie septentr., pag. 73. 1880. Balanus concavus Seguenza, Form. terz. prov. Reggio, pag. 78, 126, 195, 292. 1882. Balanus concavus Simonelli, Il Monte della Verna ed i suoi fos- sili, pag. 272. 1887. Balanus concavus Parona, Appunti per la paleont. mioc. della Sardegna, pag. 358. 1887. Balanus concavus Neviani, Contrib. paleont. della prov. di Catan- zaro, pag. 66, 181. 1891. Balanus productus Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 20. 1895. Balanus concavus De Alessandri, Contribuzione allo studio dei Cir- ripedi fossili d’Italia, pag. 51, tav. II, fig. 10 a, 10 e. 1901. Balanus concavus De Alessandri, Appunti di Geol. e di paleont. sui dintorni di Acqui, pag. 83. Sembra anche a me che a questa specie di Bronn (come osservò De Alessandri) debba riferirsi il B. productus Micbtti, e quindi anche gli esemplari del calcare di Acqui, di Visone e del Rio Ovrano. Il B. concavus (molto diffuso nel terziario medio), se le deter- minazioni sono esatte, sarebbe la specie più persistente di cir- ripedi fossili italiani, passando dal tongriano ai mari attuali. Collezione Trabucco. CALCARE DI ACQUI 385 Gen. Teredo Limi. Teredo Norvegica Spengi. 1792. Teredo Norvagicus Spengler, Skrift of Naturh. Selskab, voi. II, pag. 102, tav. 2, fig. 4-6, 3. 1803. Teredo navalis Montagne, Testacea Britannica , pag. 527. 1836. Teredo Bruguieri Philipp!, Enumeratio moli. Siciliae, voi. II, pag. 3. 1847. Teredo navalis Michelotti, Bescription des foss. mioc. de V Italie Septent., pag. 131. 1847. Teredo norvegica Parona, Appunti per la Paleont. miocenica della Sardegna, pag. 49. 1891. Teredo norvegica Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 21. 1901. Teredo norvegica De Alessandri, Appunti di geolog. e paleont. sui dintorni di Acqui, pag. 93. 1901. Teredo navalis Sismonda E., Osservazioni geologiche sui terreni della formazione terziaria e cretacea in Piemonte. Mem. d. R. Accademia di Scienze di Torino, tav. V, pag. 244. Comunissima, nei soliti tubi cilindrici con numerose stroz- zature, nelle marne, nelle arenarie e nei calcari langhiani della regione. Collezione Trabucco. Gen. Lima Brug. Lima miocenica Sismonda (Tav. XIV, fig 5) 1842. Lima miocenica Sismonda E., Synop. Anim. inveri., pag. 22, n. 5. 1817. Lima miocenica Michelotti, Faune mioc. haute Italie, pag 91 tav. 3, fig. 12. ' ’ 1852. Lima miocenica D’Orbigny, Prodrom., voi. Ili, pag. 127. 1870. Lima miocenica Hoernes, Foss. moli. Ter. Beek-Wien, voi. II, pag. 385, tav. 54, fig. 3 a, 6. 1880. Lima miocenica Seguenza, Formazione terziaria prov. di Peggio, pag. 41. 1889. Lima miocenica Sacco, Catal. paleont., pag. 331, n. 1. 1893. Lima miocenica Trabucco, Sulla vera posiz. dei ’terr. terz. del ba- cino Piemontese , pag. 18. 1895. Lima miocenica, Sulla vera posiz. del calcare di Gassino, pag. 12. i897. Lima miocenica De Alessandri, La pietra da Cantoni, pag. 62. 27 G. TRABUCCO 386 1898. Lima miocenica Rovereto, Note preventive sui Pelecipodi, voi. II, pag. 153, 167. 1899. Lima miocenica Trabucco, Belazione, ecc., pag. 21. 1900. Lima miocenica Rovereto, Moli. foss. tongr., pag. 59. 1839. Lima gigantea Bellardi (non Des.), Boll. Soc. Géol. de France, voi. X, pag. 31. 1898. Acesta miocenica e var. Sacco, Moli. terz. Piemonte e Liguria, XXV, pag. 19, 20, tav. V, fig. 23, 24, 25, 26. 27, 28, 29. Un solo esemplare proveniente dalle marne intercalate colle assise calcaree di Acqui. La L. miocenica, che si raccoglie anche nel bormidiano piemontese e ligure, è comune nel mio- cene medio piemontese (Sismonda E., Michelotti, Bellardi, Sacco, Trabucco, De Alessandri, Rovereto). Collezione Trabucco. Gen. Pecten Lamark Pecten Burdigalensis Lamark (Tav. XIII, fig. 1, 3, 4,; Tav. XIV, fig. 1). 1809. Pecten Burdigalensis Lamarck, Annales du Museum , voi. Vili, pag. 355. 1842. Pecten Burdigalensis Sismonda E., Synop. Anim. inveri., pag. 22, n. 19. 1817. Pecten Burdigalensis Michelotti, Faune mioc. haute Italie, pag. 87. 1857. Pecten Burdigalensis Meneghini, Paléont. de Vile de Sardaigne, pag. 508. 1870. Pecten Burdigalensis Hoernes, Moli. Terz. Beek. von Wien, Bd. II, pag. 418, tav. 65. 1877. Pecten Burdigalensis Locard, Faune terr. terz. Corse, pag. 136. 1877. Pecten Burdigalensis Parona, Appunti Paleontol. mioc. Sardegna, pag. 312. 1889. Pecten Burdigalensis Sacco, Catalogo paleont., n° 1253. 1891. Pecten Burdigalensis Trabucco, Sulla vera posiz. del calcare di Acqui, pag. 22. 1895. Pecten Burdigalensis Trabucco, Se si debba sostituire il termine di Burdigaliano a quello di Langhiano , pag. 4 1897. Pecten Burdigalensis De Alessandri, La pietra da Cantoni, pag. 59. 1899. Pecten Burdigalensis Schaffer, Parali, der Miocanbildungen, p. 161. 1899. Pecten Burdigalensis Trabucco, delazione , ecc., pag. 21. 1852. Janira Burdigalensis D’Orbigny, Prodr. Paleont. strat., Ili, p. 131. 1897. Amussiopecten Burdigalensis Sacco, Moli. terr. terz. Piemonte e Liguria, pag. 53, tav. XV. CALCARE DI ACQUI 887 Due esemplari provenienti dalle cave di Acqui. Quello figu- rato alla tav. XIV, fig. 3 coincide perfettamente colla descrizione e colle figure dell’Hoernes (tav. 65), mentre l’altro (tav. XIII, fig. 1) somiglia agli esemplari figurati da Sacco (tav. XV, fig. 6, 8, 13). Gli altri esemplari (tav. XIII, fig. 3, 4) vennero raccolti nel Rio Ravanasco durante l’escursione della Società Geologica Ita- liana (16 settembre 1900) e somigliano perfettamente agli esem- plari figurati da Sacco (tav. XV, fig. 4, 5, 6, 11, 12). Il P. Burdigalensis, comunissimo nel miocene medio del Piemonte (Sismonda E., Michel otti, Sacco, Trabucco, De Ales- sandri) e di altri luoghi (Meneghini, De Stefani, Parona, Nelli, Ugolini), si raccoglie nel terziario delle Azzorre e di Madera (Mayer-Eimar), nel miocene medio della Corsica (Locard), del- 1 Egitto (Fuchs), nei faluns di Léognan e Saucats (Lamarck, Basterot, ecc.) ed è caratteristico (Fuchs) degli scisti di Eggen- burg, che sopportano lo Schlier. Collezione Trabucco. Pecten scabriusculus Math. (Tav. XIV, fig. 3). 1842. Pecten scabriusculus Mathéron, Cat. méth. et descr. d. corps org. foss. du départ. d. JBouch. du Bhóne , pag. 187, pi. XXX, fig. 8, 9. 1873. Pecten scabriusculus Gaudry, An. foss. du M. Lébéron, pag. 115, pi. XX, fig. 6-8. 1889. Pecten (Chlamys) scabriusculus Killian, Etud. pai. sur les terr. sec. et tert. de V Andalusie, Mém. Acad. d. Se. nat. d. Ist. de France, XXX, pag. 708. 1897. Aequipecten scabriusculus Sacco, Moli. terz. Piemonte e Liguria, Parte XXIV, pag. 30, 32, tav. IX, fig. 1, 2, 3, 4, 1899. Clamys (Aequipecten) scabriuscula Ugolini, Monograf. dei Petti- nidi dell’Italia Centrale, pag. 169, Boll. Soc. Malacologica Ita!., voi. XX. L’esemplare figurato (tav. XIV, fig. 3) proviene dalle cave di Acqui e somiglia perfettamente al tipico P. scabriusculus Math. ed alle figure di questa specie date da Sacco (loc. cit.). Il P. scabriusculus si raccoglie nel miocene medio del Pie- monte e di altri luoghi (Sacco, Ugolini, ecc.). 388 G. TRABUCCO Pecten solarium Lamark. (Tav. XIII, fig. 6). 1819. Pecten solarium Lamark, Hist. anim. sans vert'ebr., voi. VI, pag. 179. 1836. Pecten solarium Goldfuss, Petr. Gcrmaniae, Bd. II, pag. 65, tav. 96, fig. 7. 1883. Pecten solarium Fuchs, Miocaenfauna Aegyptien und der libyschen Wùste, pag. 39. 1891. Pecten solarium Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 22. 1895. Pecten solarium Trabucco, Se si debba sostituire il termine di Bur- digaliano a quello di Langhiano, pag. 4. 1899. Pecten solarium Trabucco, Relazione, ecc., pag. 21. 1870. Pecten Tournali Hoernes (non Serr.), Foss. Moli. Beclc., Wien, Bd. II, pag. 398, tav. 58. 1897. Macrochlamys Tournali Sacco, Moli. terz. Piemonte e Liguria, Parte XXIV, pag. 35-36, tav. XI, fig. 10-15. 1899. Chlamys Tournali Ugolini, Pettinidi miocenici dell’Italia centr., pag. 170. 1899. Pecten solarium Verri e De Angelis, Contrib. allo studio del mioc. dell’ Umbria, pag. 549. Fin dal 1883 Fuchs (Miocaenfauna Aegyptiens, p. 39) emet- teva l’opinione che l’esemplare figurato dall’Hoernes (Foss. Moli. Beck, Wien, II, p. 398, tav. 58) non corrispondesse al P. Tor- nali Seri-., ma al P. solarium Lamk, opinione ammessa e con- validata da De Stefani, da altri e che io pure accetto. L’esemplare del calcare di Acqui (tav. XI, fig. 6) corri- sponde indubbiamente, per tutti i suoi caratteri, alla specie di Lamark. Il P. solarium, comune nel miocene medio del Piemonte e di altri luoghi (Sismonda E., Michelotti, Meneghini, Fuchs, Lo- card, De Stefani, Parona, Sacco, Trabucco, De Alessandri, Ugo- lini, Verri e De Angelis, ecc.), è caratteristico (Fuchs) degli scisti di Loibersdorf e Korod, suddivisioni degli Horner Schi- chten, che sopportano In Schier. Collezione Trabucco. CALCARE DI ACQUI 389 Pecten Holgeri Geinitz (Tav. XIII, fig. 2). 1846. Pecten Holgeri Geinitz, Grundriss der Versteinerungskunde, pag. 470. 1870. Pecten Holgeri Hoernes, Foss. moli. tert. Beck. Wien, pag. 394, 395, tav. 55, fig. 1, 2. 1881. Pecten Holgeri Fuchs, Ueber die von G. Michelotti aus den Ser- pentinsanden von Turin bescriebenen Pectenarten, pag. 317. 1891. Pecten Holgeri Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 21-22. 1895. Pecten Holgeri Trabucco, Se si debba sostituire il termine di Bur- digaliano a quello di Langhiano, pag. 4. 1897. Peeten Holgeri De Alessandri, La pietra da Cantoni, pag. 57. 1899. Pecten Holgeri Trabucco, Relazione, ecc., pag. 21. 1839. Pecten simplex Michelotti, Brevi cenni sui resti classe Brachiopodi ed Acefali, pag. 10. 1847. Pecten simplex Michelotti, Faune mioc. haute Italie, pag. 86, tav. 3, fig. 4. 1847. Pecten simplex Sismonda E., S-ynop. Anim. invert., 2° ed., pag. 13. 1852. Pecten subsimplex D'Orbigny, Prodr. Pai. str., Ili, pag. 128-129. 1889. Pecten subsimplex Sacco, Catal., paleont., n° 1295. 1881. Pecten latissimus iuv. Fuchs, Ueb. die Michelotti aus Turin be- schrieb. Pecten., Verhandt. K. K. geol. Reichsanst., pag. 317. 1897. Macrochlamys Holgeri e var. Sacco, Moli. terz. Piemonte e Li- guria, pag. 34, 74, 75, tav. XI, fig- 1-9. Possiedo parecchi esemplari di questa specie, provenienti dalle assise calcaree langhiane dell’Alto Monferrato; quello bellissimo figurato (tav. XIII, fig. 2), fu da me raccolto nelle cave di Acqui. Il P. Holgeri, comune nel miocene medio del Piemonte e di altri luoghi (Michelotti, Sismonda E., D’Orbigny, Hoernes, Fuchs, Trabucco, De Alessandri, Sacco, ecc.), è caratteristico (Fuchs) degli scisti di Eggenburg, che sopportano lo Schlier. Collezione Trabucco. Pecten malvinae Dubois. (Tav. XIV, fig. 2). 1831. Pecten malvinae Dubois de Montpéreux, Conch. foss. du Fiat. Wolh. Podol., pag. 71, tav. Vili, fig. 8. 1870. Pecten malvinae Hoernes, Foss. Moli. tert. Beck., Wien, II, pag. 414. tav. LX1V, fig. 5 a, b, c. 390 G. TRABUCCO 1881. Pecten malvinae rar. Fuchs, Ueb. dìe v. Michelotti aus Turin beschrieb. Pecten. Verhandl. K. K. geol. Reichsanst. pag. 318. 1891. Pecten malvinae Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 23. 1899. Pecten malvinae, De Stefani e Nelli, Foss. mioc. dell’ appennino Aquilano. Rend. R. Acc. Lincei, voi. Vili, ser. 5a, fase. 2°, pag. 47. 1836. Pecten opercularis Goldfuss et Munster, Petrefacta Germaniae, Bd. II, pag. 62, tav. 95, tig. 6 a, b. 1897. Acquipecten malvinae var. acustolata Sacco, Moli. terz. del Pie- monte e Liguria, XXIV, pag. 16, tav. Ili, fig. 36-40. Due esemplari, uno proveniente dalle cave di Acqui, l’altro raccolto nel Rio Ravanasco durante l’escursione fatta dalla So- cietà geologica (16 settembre 1900). 11 P. Malvinae, comune nei giacimenti miocenici italiani (Fuchs, Sacco, Trabucco, De Stefani e Nelli), è caratteristico (Fuchs) degli scisti di Molt, di Loibersdorf e Rowod e di Eggen- burg, che sopportano lo Schlier. Collezione Trabucco. Pecten Northamptoui Micbtti (Tav. XII, fig. 35). 1839. Pecten northamptoni Michelotti, Brevi cenni dei resti di Brachiopodi, Lamellibranchi, eoe., pag. 8. 1842. Pecten northamptoni Sismonda E., Syn. metti , la ed., pag. 22. 1847. Pecten northamptoni Michelotti, Descr. foss. mioc., pag. 88. 1847. Pecten northamptoni Sismonda E , Syn. métti , 2a ed., pag. 13. 1852. Pecten northamptoni D’Orbigny, Prodr. paleontol. str., III. pag. 128. 1881. Pecten northamptoni Fuchs, Ueb. die v. Michelotti aus Turili be- schrieb. Pecten, Verhandl. K. K. geol. Reichsanst., pag. 316. 1889. Pecten northamptoni Sacco, Catal. paleont. del bacino terz. del Piemonte, n. 1283. 1897. Pecten Bonifaciensis De Alessandri, La pietra da Cantoni di Po- signano e Vignale, pag. 58. 1897. Aequipecten nortamptoni Sacco, Moli. terz. del Piemonte e Liguria, pag. 16, 17, tav. IV, fig. 3, 7, 14. La valva sinistra (tav. XI, fig. 33) proviene dalle cave di Acqui e somiglia agli esemplari figurati da Sacco alla tav. IV, fig. 3, 7,14. Collezione Trabucco. CALCARE DI ACQUI 391 Pecten olitaquensis Sacco (Tav. XI, fìg. 32). 1897. Aequipecten olitaquensis Sacco, Moli. terz. del Piemonte e Liguria, XXIV, pag. 18. tav. V, fig. 12, 13. Due esemplari, uno proveniente dal calcare di Acqui, l’altro raccolto dalla Soc. Geol. Ital. nell’escursione lungo il Ravanasco (16 settembre 1900). La valva sinistra (tav. XII, fig. 34) somiglia perfettamente all’esemplare figurato da Sacco (tav. Y, fig. 12) e proveniente dalla stessa località. Convengo col medesimo nella convenienza di separare la nuova specie di Acqui dal P. Burdigalensis Lamk., che però non ha nulla di comune col P. solarium Lamk., da me citato ( Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 22). Collezione Trabucco. Pecten revolutus Michtti (Tav. XIII, fig. 7). 1847. Pecten revolutus Michelotti, Foss. mioc. Ital. Sept., pag. 87. 1880. Pecten revolutus Seguenza, Formaz. terz. della provincia di Reggio, pag. 63, 61, 75. 1887. Pecten revolutus Parona, App. Paleont. mioc. della Sardegna, pag. 29. 1897. Pecten revolutus De Alessandri, La pietra da Cantoni, pag. 60. 1852. Ianira arcuala D’Orbigny, Prodr. Paleont. strat., III, pag. 132. 1881. Ianira revoluta Fnchs, Ueb. die v. Michelotti aus Turin beschrieb. Pecten, Verhandl. K. K. geol. Reichsansp, pag. 318. 1891. Ianira revoluta Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 23. 1897. Pecten revolutus e var. Sacco, Moli. terz. del Piemonte e Liguria, XXIV, pag. 63, tav. XX, fig. 10-18. 1899. Pecten revolutus De Stefani e Nelli, Foss. mioc. dell' Appennino Aquilano. Rend. Acc. Lincei, voi. Vili, ser.5a, fase. 2°, pag. 47. Il P. revolutus, ridotto ordinariamente a modelli, è comu- nissimo nel calcare di Acqui e di Visone, nel miocene medio Piemontese e di altri luoghi (Michelotti, D’Orbigny, Seguenza, Fuchs, Trabucco, De Alessandri, Sacco, De Stefani e Nelli, ecc.). Collezione Trabucco. 392 G. TRABUCCO Pecten Haveri Michtti (Tav. XII, fig. 36, 37; Tav. XIII, fig. 4). 1817. Pecten Haveri Michtti, Descrizione foss. Mioc., pag. 88, tav. Ili, fig- 13. 1847. Pecten Haveri Sismonda E , Syn. métti., 2a ed., pag. 13. 1852. Pecten Haveri D’Orbigny, Prodr. Paleont. str. Ili, pag. 128. 1881. Pecten Haueri Fuchs, U. die 'v. Michelotti, v. Turbi beschrieb. Pectenarten, Verhandl. k. k. geol. Reichsanst., pag. 316. 1889. Pecten Haveri Sacco. Catalogo paleontologico bac. terziario Pie- monte, n. 1278. 1891. Pecten Haueri Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 23. 1895. Pecten Haueri Trabucco, Se si debba sostituire ecc., pag. 4. 1897. Aequipecten Haveri Sacco, Moli. terz. Piemonte e Liguria, XXIV, pag. 22, tav. VII, fig. 1-10. 1899. Pecten Haueri Trabucco, Delazione, ecc., pag. 21. 1900. Pecten Haveri Nelli, Fossili miocenici dell’ Appennino Aquilano, pag. 398. Possiedo molti esemplari di questa specie, comunissima in tutti gli affioramenti calcarei langhiani della regione ; quello figurato (tav. XI, fig. 35) proviene dalle cave di Acqui. Il P. Ha- veri, ridotto quasi sempre a modelli, è abbondantissimo nel miocene medio del Piemonte e di altri luoghi (Michelotti, Si- smonda E., Sacco, Trabucco, Nelli, ecc.). Collezione Trabucco. Pecten sp. (Tav. XI r, fig. 30). G-en. Terebripora D’Orbigny Terebripora Arcliiaci Fischer. (Tav. XII, fig. 30). Terebripora Archiaci Fischer, Elude sur les Bryoz. perfor., pag. 302, PI. XI, fig. 3. 1876. Terebripora Archiaci Manzoni, Briozoi del plioc. antico di Castro- caro, pag. 7, tav. VI, fig. 68. CALCARE DI ACQUI 393 1879. Terebripora Archiaci Seguenza, Le formaz. terz. nella prov. di Leggio Calabria , pag. 79, 157, 197. 1891. Terebripora Archiaci Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 24. 1893. Terebripora Archiaci Neviani, Briozoi pliocenici di Castrocaro, Boll. Soc. Geol. Ital, pag. 114. 1895. Terebripora Archiaci Trabucco, Se si debba sostituire ecc., pag. 4. 1900. Terebripora Archiaci Neviani, Briozoi neogenici della Calabria. 1901. Terebripora Manzonii Rovereto, Briozoi , Anellidi, ecc., Paleont. italica, voi. VI, pag. 221, tig. 1. 1902. Terebripora Archiaci Neviani, Sulla Terebripora Manzoni, Rov., Boll. Soc. Geol. Ital., XXI, 1902, pag. 41-46, tig. 1, 2, 3. Questa singolare Terebripora fu da me scoperta sulla faccia interna della valva superiore di un esemplare di T. solarium del calcare di Acqui. Il marchese Rovereto ( op . cit.) distacca dal tipo eocenico di Fischer le Ter. Archiaci di Castrocaro (Manzoni) e della prov. di Reggio (Seguenza) e le unisce alla sua nuova specie (Ter. Manzoni Rov.) del neogene ligure, aggiungendo di non avere alcun dato per pronunziarsi sulla Ter. Archiaci del cal- care di Acqui (Trabucco). Ma il prof. Neviani (1), dopo di avere detto che l’esame attento dell esemplare avuto in comunicazione gli ha mostrato ad evidenza che la Terebripora del miocene medio di Acqui è identica a quella del plioc. antico di Castrocaro, osserva che il cambiamento di nome della Ter. Archiaci Fisch. delle for- mazioni neogeniche italiane in Ter. Manzonii gli sembra pre- maturo e dimostra che gli antichi dubbi del Seguenza e le nuove differenze del Rovereto, consistenti principalmente nella lun- ghezza degli stoloni situati fra le cellule e nella forma delle aperture di queste, non sono sufficienti per formare una nuova specie e neppure una varietà. E poiché le conclusioni del valente specialista collimano pei fettamente col mio modo di vedere, così ho messo in sino- nimia la nuova specie di Rovereto colla forma tipica di Fischer. Fa T. Archiaci fossile del terziario inferiore (Fischer), fu successivamente rinvenuta nel neogene ligure (Rovereto), nel cal- ( 1 ) Neviani A., Sulla Terebripora Manzonii Rov., ecc. Boll. Soc. Geol. Ital., XXI, 1902, pag. 41-46, tig. 1, 2, 3. 394 G. TRABUCCO care langhiano di Acqui (Trabucco), n e\Y elveziano, tortoniano e vandeano (Seguenza, Neviani), nel pliocene antico (Manzoni, Neviani). Collezione Trabucco. Cellepora sp. Tubilopora sp. Ecliinolampas sp. Astrea sp. Plecanium sp. Nodosaria sp. Globigerìna sp. Truncatulina sp. Ampìiistegina sp. G-en. Operculina d’Orbigny Operculina langhiana Trab. (Tav. XII, fig. 31). 1900. Operculina langhiana Trabucco, Fossili , stratigr. ed età dei ter- reni del Casentino. Boll. Soe. Geolog. Italiana, XIX, 1900, pag. 715, tav. XI, fig. 6. Conchiglia spirale, leggermente allungata, depressa, liscia, inequilatere, formata di tre giri di spira, a logge numerose (10 nel primo giro), regolarmente crescenti, carenate, arcuate, provviste di un piccolo bordo nella parte esterna. Larghezza 400 mm., altezza 466 mm. La nuova specie, comunissima nelle sezioni del calcare lan- ghiano di Acqui e degli altri giacimenti coevi della regione, si osserva pure colla stessa frequenza nelle sezioni del calcare di Rosignano e di Vignale (Basso Monferrato), della Verna. Sono certamente queste Operculine, del calcare di Acqui, che hanno fatto erroneamente credere alla presenza di nummu- liti a Sismonda E., Stoppani e Mayer-Eymar nel medesimo. Collezione Trabucco. CALCARE DI ACQUI 395 Operculina De Stefani Trab. (Tav. XII, fig. 32). 1903. Operculina De Stefani Trabucco, Fossili, stratigr. ed età dei ter- reni del Casentino, Boll. Soc. Geol. Italiana, XIX, 1900, pag. 714, tav. XI, fig. 7. Conchiglia discoidale , equilatere, piana, liscia, troncata, for- mata di tre giri di spira, a logge numerose, regolarmente cre- scenti (9 nel primo giro), piane, debolmente arcuate, provviste esternamente di un bordo pronunziato. Larghezza 286 mm., al- tezza 314 mm. Possile frequentissimo nelle sezioni del calcare di Acqui, Visone, ecc. (Alto Monferrato), di Rosignano e Vignale (Basso Monferrato), della Verna. Collezione Trabucco. Gen. Orbitolites. Orbitolites langliiana Trab. (Tav. XII, fig. 33). 1900. Orbitolites langhiana Trabucco, Fossili stratigr. ed età dei terreni del Casentino, Boll. Soc. Geol. Ital., XIX, 1900, pag. 715, tav. XI, fig. 14. Conchiglia equilatere, discoidale, molto compressa, formata di otto giri di spira, contigui, regolari e rapidamente crescenti; logge numerose (23 nel terzo giro), fortemente arcuate. Aper- tura centrale, grande e circolare. Diam. 36 mm. Fossile meno frequente nelle sezioni del calcare di Acqui, di Rosignano e Vignale, della Verna. Collezione Trabucco. 396 G. TRABUCCO Gen. Lithothamnion Philipp! emend. Subgen. Eidithotliamnion Foslie Eulithothamnion sugali uni Rothpl. (Tav. XIV, fig. 6, 9). 1891. Lithothamnion suganum Rothpletz, Foss. Kalkagen. Zeitschr. cl. Deutschen. geol.Gesell. Jahrg. XLII, 1891, pag. 319, tav. XVII, tig. 4. 1893. Lithothamnion suganum Trabucco, Sulla vera posizione dei terreni terziari del bacino Piemontese. Estr. dagli Atti (Mem.) della Soc. tose, di Se. nat., voi. XIII, pag. 15, tav. IX, fig. 2. 1898. Eulithothamnion suganum Foslie, List species of thè Lithothamnia (Kgl. Norske Videnskabers Selskabs Skrifte, NO. 3). 1900. Eulithothamnion suganum Trabucco, Foss., stratigr. ed età dei terr. del Casentino. Boll. Soc. Geol. lt., voi. XIX, 1930, tav. XI, fig. 12. Forma, grandezza e disposizione delle cellule del peritallio e delle tetraspore isolate non lasciano dubbio sulla esatta deter- minazione di questa specie del calcare di Acqui. La Eulith. suganum fu trovato negli schisti di Schio (Roth- plez), nel calcare tongriano di Gassino, Cremolino, Ponzone e Spigno, nel calcare langlùano della Verna (Trabucco). Rimane così stabilito che questa specie è comune al lormicliano ed al langlùano. Collezione Trabucco. Eulitliothamnion langhianum Trab. 1900. Eulithothamnion langhianum Trabucco, Fossili , stratigr. ed età dei terr. del Casentino. Boll. Soc. Geol. It., XIX, 1900, pag. 715, tav. XI, fig. 3, 4, 9, 11. Forma sub-sferica, tubercolata. Cellule del peritallio più lunghe che larghe (sezione long.: lungh. 314-219 mm., lar- ghezza 86-71 mm.; sezione trasvers.: lungh. 100-70 mm., CALCARE DI ACQUI 397 larghezza 85-57 min.). Tetraspore isolate (lnngh. 903 mm., larghezza 315 mm.). Al microscopio la struttura delle cellule nelle sezioni lon- gitudinali si presenta sotto forma di una cancellata regolare, nella quale gli assi trasversali si congiungono con una linea leggermente arcuata, conseguenza del modo di accrescimento di queste alghe. Nelle sezioni trasversali le cellule presentano una forma pentagonale mentre la massa, che riempie Finterno delle cellule, presenta delle macchie arrotondate, attorno alle quali stanno delle linee concentriche quasi sempre analoghe. Le tetraspore isolate presentano una forma che somiglia molto a quella di un fagiuolo o di un rene. La nuova specie, comune al calcare della Verna, ha una lontana rassomiglianza col L. ramosissimum Reuss, ma ne dif- ferisce per le dimensioni delle cellule e per la grandezza e forma delle tetrasfore. Collezione Trabucco. Eulithothamnion Foslie Trab. (Tav. XIV, fig. 8). Forma sub-ovata, tubercolata. Cellule del peri tallio più lunghe che larghe (lunghezza me- dia 14-11 mm., larghezza media 11-8 mm.). Tetraspore isolate sub-sferiche (lunghezza 157 mm., lar- ghezza 143 mm.). La nuova specie somiglia per la forma delle cellule (più lunghe e più larghe nella parte massiccia del tronco che nei rami dei concettaceli) al L. racemus, dal quale differisce pel- le dimensioni delle cellule (sempre proporzionatamente più pic- cole) e specialmente per la forma e grandezza delle tetraspore. Fossile nel calcare di Acqui e della Verna. Collezione Trabucco. 398 G. TRABUCCO Eulithothainnion Yernae Trab. (Tav. XIV, fig. 7). 1900. Eulithothainnion Vernae Trabucco, Foss., stratigraf. ed età dei terr. del Casentino. Boll. Soc. Geol.lt., voi. XIX, pag. 716, tav. XI, fig. 13. Forma ovata, tubercolata. Cellule del peritallio più lunghe che larghe (lunghezza media 21 mm., larghezza media 12 mm.); cellule dei rami con concettacoli proporzionalmente molto più piccole (lunghezza media 11 mm., larghezza media 7 mm.). Te- traspore isolate (lunghezza 214 mm., larghezza 119 mm.). Abbastanza frequente nel calcare di Acqui e della Verna. Collezione Trabucco. Gen. Lithophyllum Phil. emend. Litliopliyllum racemus Lamark 1837. Millepora (nullipora) racemus Lamark, Rist. des Anim. s. Vert'ebr., 3a ed., I, pag. 262. 1837. Lithothamnion crassum Philipp! in Wiegn., Archiv., pag. 388. 1851. Lithothamnion racemus Aresch (in Agardh), Spec. gen. et ord. al- garum, voi. II, pag. 521. 1881. Lithothamnion racemus Solms-Laubach, Corallinenalgen des Golfes von Neapel, pag. 17. 1897. Lithothamnion crassum Heidrich, Corallinacea, ibesond. Melobesieae, Berickte der Deut. Bot. Gesell, Heft I, pag. 63. 1891. Lithothamnion racemus Rotbpletz, Foss. Ealkagen aus d. Fani. d. Codiac und d. Corallin. Zeitsc. d. Deut. Gesell., Bd. XL11I, Heft 2, pag. 320. 1891. Lithothamnion racemus Trabucco, Sulla vera posizione del calcare di Acqui, pag. 24. 1898. Lithophyllum racemus Foslie, List of specie of thè Lithothamnia, pag. 9. 1900. Lithophyllum racemus Trabucco, Fossili, stratigr. ed età dei terreni del Casentino. Boll. Soc. Geol. It., XIX, 1900, pag. 716. La forma sub-sferica tendente all’ovata, nodoso-racemosa e tubercolata, i rami grandi e nodosi all’apice, la forma e gran- CALCARE DI ACQUI 399 dezza delle cellule e dei concettaceli non lasciano dubbio sulla esatta determinazione di questa specie del calcare di Acqui e della Verna; in quest’ultima località si raccoglie anche in esem- plari isolati nelle marne interstratificate coi calcari. Collezione Trabucco. Haloporella sp. Dactyloporelia sp. [ms. pres. 29 febbraio 1908 - ult. bozze 16 novembre 1908]. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tav. XII. Chrysophrys cincta A g., . . Oxyrhina hastalis A g., . . . Odontaspis contortidens A g., . Odontaspis cuspidata A g., . . Carcharodon megalodon Ag., . Hemipristis Serra Ag., . . . Pecten oblitaquensis Sacco, » Northamptoni Michtti, » Haveri Michtti, . . . Terebripora Archiaci Fischer, Operculina langhiana Trab., . » De Stefani Trab., Orbitolites langliiana Trab., . Fig. 23, 24, 25, 26, 27, 28. » 17, 18, 19, 20, 21, 22. » 10, 11, 12, 13, 14, 15. » 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. » 29. » 16. » 34. > 35. » 36, 37. » 30. » 31. » 32. » 33. Tav. XIII. Pecten Burdigalensis Lamk, . . . Fig. 1, 3, 4. » solarium Lamk, » 6. » Holgeri Geinitz, » 2. » revolutus Michtti, .... » 7. » Haveri Michtti, » 5. 400 G. TRABUCCO Tav. XIV. Lima miocenica Sism., Fig. 5. Pecten Burdigalensis Lamk, ... » 1. » Malvinae Dub., » 2. » scabriunculus Math., ... » 3. Pecten sp., » 4. Eulithothamnion Foslie Trab., . - » 8. » Vernae Trab , . . » 7. » suganum Rothpl., . » 6, 9. Boll, della Soc. Geol. Ita I . voi. XXVII. (1908). IUOT CALZOLARI & FtKHAHIO MI LA NC Boll, della Soc. Geol. Ital. voi. XXVII. (1908). (Trabucco) Tav. XIII. ELIOT CALrOLArtl * FERRAHIO-MILANC Boll, della Soc. Geol. Ital. voi. XXVII. (1908). (Trabucco) Tav. XIV. NOTIZIE SOPRA ALCUNE CONCHIGLIE FOSSILI RACCOLTE NEI DINTORNI DI MONTE S. GIOVANNI -CAMPANO IN PROVINCIA DI ROMA Nota del prof. Romolo Meli (Tav. XV) Percorrendo continuamente, in tutti i sensi, la provincia di Roma per le ispezioni tecnico-sanitarie, che mi vengono affi- date, quale al più antico tra i Consiglieri Provinciali sanitari, ho spesso campo di fare osservazioni geologiche in località poco frequentate, poco conosciute della nostra provincia, perchè di difficile accesso, e di prendere appunti di sezioni geologiche, di successioni di strati, di fossili rinvenutivi; appunti e notizie, che meriterebbero di essere pubblicati, recando sempre un con- tributo, sia pure piccolo e modesto, alle conoscenze geo-paleon- tologiche della nostra regione. Senonehè, per mancanza dì tempo, e perche distratto da altre molteplici occupazioni, le osserva- zioni fatte cadono in dimenticanza e soltanto me ne resta un ricordo nelle note, prese sul luogo, scritte nel mio taccuino. Tra le diverse notizie, raccolte durante le gite anzidette, ne scelgo una, per pubblicarla, relativa ad alcune specie di mol- luschi fossili, non indicati fin qui nella nostra provincia. Sulla fine dello scorso luglio, essendomi recato a Monte S. Giovanni-Campano, nel circondario di Fresinone, a S. S-E della provincia di Roma, presso il confine con quella di Caserta, ho «ssei vato al Monte S. Marco, che trovasi a breve distanza dal suddetto paese, uno strato di calcare giallastro-scuro, racchiu- dente numerosi modelli di una grossa bivalve, alla quota di circa 400 m. sul mare. Il calcare, del quale e formato l’intero colle di S. Marco, presenta una facies eocenica, e, come spettante alinocene, è generalmente in- dicato nelle carte geologiche e nelle pubblicazioni riguardanti la 28 402 R. MELI geologia eli quel tratto della provincia diRoma(').Pcr la forma lito- logica, per i rapporti di stratificazione con i calcari cretacei, con le arenarie oligoceniche e con le altre roccie più recenti (tufi, lave, travertini, tartari e depositi di alluvione), che s’incontrano nella Valle del Sacco, e per i fossili contenutivi, sui quali dirò ora una breve parola, credo, che il calcare del Monte S. Marco sia da riferirsi all’eocene superiore, probabilmente al piano Pari- siano, piuttostoehè al Bartoniano. I modelli interni delle grosse bivalvi, racchiusi nel calcare anzidetto sono inequilaterali ; hanno una figura ovale-cordi forme, soltanto un modello ha forma ovata, tendente alla trigonale; sono trasversi e alquanto ventricosi ; gli apici sono prominenti e collocati nella parte anteriore; non si vede traccia d’impres- sione del seno pai leale. Il luogo occupato dal ligamento è ester- namente bene marcato ed in risalto; il bordo delle valve è liscio. Ecco le misure di tre esemplari, tutti provenienti dal Monte S. Marco. I. II. III. Diametro antero-posteriore (lun- ghezza della con- chiglia) .... mm. 90 mm. 92 mm. 87 » dorso - ventrale (al- tezza) » 74 » 74 » 73 » trasversale (spessore a valve chiuse) . . » 46 » 46 » 42 (i) Ponzi G., Sopra i diversi periodi eruttivi determinati nell’Italia Centrale. Atti d. pont. Accad. de’ Nuovi Lincei, tom. XVII, Sessione del 14 febbraio, 1864. Vedi pag. 13 dell'estr. Vi é citato il Monte S. Giovanni, Banco, ecc. e le rocce di questi luoghi sono indicate come eoceniche. Ponzi G., Storia fisica dell’Italia Centrale. Atti d. R. Accad. dei Lincei, Sessione del 5 marzo 1871. Vedi pag. 9 dell'estratto. Anche nella cartina geologica {Abbozzo di carta geologica della Valle Latina da Roma a Monte Cassino), che accompagna la memoria del Ponzi : Osservazioni geologiche fatte lungo la Valle Latina, stampata nella Raccolta scientifica , Roma, gennaio 1849 e nell’altra, nella scala di 1 a 432.000, che è unita alla nota dello stesso autore, Sulla Valle Latina. Appendice alla memoria predetta, pubblicata negli Atti d. pont. Accad. de’ Nuovi Lìncei, Anno IV, Sessione IX del 28 settembre 1851, i terreni dei dintorni di Monte S. Giovanni, Bauco, ecc. sono segnati come eocenici. SOPRA ALCUNE CONCHIGLIE FOSSILI 403 Per la loro grandezza, a prima vista, si potrebbero pren- dere per modelli interni della Cyprina islandica Linn. ( Venus), specie ben conosciuta nel pliocene superiore, nel postpliocene, e vivente oggi nei Mari del Nord. Per la loro forma si potreb- bero riportare a modelli interni della Cytherea (Callista) pede- montana Lamk. (!), specialmente alla varietà gigantea Sacco (2). Certamente, per la forma e per le particolarità anzidette, de- vono spettare alla famiglia delle Veneridae Stoliczka ( Venus , Cytherea, Callista e sottogeneri), od alla famiglia Cypri- nidae (3). Anzi io, sempre con dubbio, perchè i modelli essendo gros- solani, non mostrano le particolarità interne del guscio, non sarei lontano dal riferire queste bivalvi, proprio al genere Cy- prina, genere, che dal cretaceo attraversa il terziario e vive, come è noto, anche oggi nei mari nordici. Ed invero, la loro forma, gli apici prosogiri, l’assenza della lunula e del seno paileale, il ligamento saliente, l’accenno di un angolo obliquo nella parte posteriore della conchiglia, il bordo liscio e non crenellato, sarebbero tutti caratteri appartenenti al genere Cyprina. Nell’opera di G. P. Deshayes, Description des coguilles fos- siles des environs de Paris, Paris, 1824-37, e continuazione 1848-65, viene descritta e figurata (voi. I. 1824, pag. 125-126, ed atlante tav. XX, fig. 1, 2, 3) la Cyprina scutellaria Desh. dell’eocene parigino, con la quale specie i modelli di S. Gio- vanni Campano presentano forte analogia, quantunque siano di maggior volume e di forma un poco più trigona. Ma, pel momento, disponendo solo di modelli, conviene ri- nunciare a qualsiasi esatta determinazione specifica e soltanto può dirsi che si tratta di grosse bivalvi, probabilmente appar- tenenti al genere Cyprina. (') Hornes M., Die foss. Moli, des Tertiàr-Beclcens von Wien, voi. Il, pag. 151, tav. 17, fig. 1-4 ( Cytherea pedemontana). (2) Sacco F., I moli. d. terreni ter ziarii del Piemonte e della Li- guria. Parte XXVIII. ( Isocardiidae , Cyprinidae, Veneridae, etc.). To- rino, 1900, tav. II, fig. 17, a, b , tav. Ili, fig. 1, 2. (3) Fischer P., Manuel de Concliyliologie et de paléont. conchyl., Paris, 1887, Vedi pag. 1070 e 1078. 404 R. MELI In ogni modo, dall’esame dei numerosi modelli provenienti dal Monte di S. Marco, parmi potere escludere fin qui che si tratti del genere Lucina, o di qualcuna delle grandi forme ap- partenenti a questo genere, che ritrovansi in Italia dall’oligo- cene al piano piacenziano, a conchiglia solida, globosa ed a superficie fortemente rugosa, descritte dal Prof. G. Di Ste- fano (1). Peraltro, devo pur dichiarare che, come forma e grandezza, i modelli interni del Monte S. Giovanni Campano si avvicinano a due delle figure di Lucina (. L . Dicomani Mgh., L.pomum Duj.), date dal Dott. G. Gioii nella sua monografia La Lucina po- nimi Duj., stampata negli Atti d. Soc. Tose, di Se. Nat. resi- dente in Pisa, Memorie, voi. Vili, fase. II, pag. 301 a 314 e tav. XIV-XV (vedi tav. XV fìg. 1 e 6). Peraltro, dalle figure 4, 4 a-c, 5, 6 della tav. XIV, e dalle misure delle dimensioni di alcuni esemplari (vedi pag. 304), risulta che in generale le bi- valvi descritte dal Gioii sono molto più ventricose ed hanno un diametro trasversale molto maggiore che non nei modelli di S. Giovanni Campano, mentre, in generale, hanno minori gli altri due diametri, antero-posteriore e dorso-ventrale. In altre parole, i modelli delle bivalvi di S. Giovanni Campano sono più lunghi, più larghi, ma più appiattiti delle Lucine anzidette, le quali ultime sono più gonfie (bombées), dei nostri modelli. Stando sul luogo, con qualche ricerca, sono convinto che sarebbe possibile di estrarre migliori esemplari e di avere, se non il guscio, almeno le impronte della superficie esterna della conchiglia; così si potrebbe precisarne meglio, sia il genere, che la specie. Modelli di bivalvi, analoghe a queste di Monte S. Marco presso Monte S. Giovanni Campano, ricordo di aver veduto in un calcare dello stesso tipo, alla quota di circa 450 metri sul mare nei dintorni di Percile, nella valle del Licenza, affluente di destra dell’Aniene, nel circondario di Poma, e ad Orvimo (già Canemorto) nel circondario di Rieti, sull estremo confine S. della provincia di Perugia, a piccola distanza dal confine della (>) Di Stefano Giovanni, Il calcare con grandi Lucine dei dintorni di Centuripe in provincia di Catania. Atti d. Accad. Gioenia di Se. Natur. in Catania. Serie 4% voi. XVI, 1903, di pag. 71 con 4 tav. SOPRA ALCUNE CONCHIGLIE FOSSILI 405 provincia romana. Ma, anche questi modelli mal si prestano ad una esatta determinazione sia pure del genere ('). Io li accennai a Percile e ad Orvinio, fin dal 1894, riferendoli dubitativamente ai generi Corbls? , Lucina? (5). Per la facies, che presentano tutti questi modelli di bivalvi, ricordano i fossili dell’eocene di Monte Postale e di altre loca- lità del Vicentino. Secondo Mayer-Eymar, i fossili di Monte Po- stale C) sarebbero del Londiniano inferiore, ma Vinassa li ritiene appena inferiori a quelli di S. Giovanni Ilarione (4). Nel calcari eocenici dei dintorni di Monte S. Giovanni Cam- pano si rinvengono numerose valve di Ostree , di cui ho veduto molti esemplari, conservati nei gabinetti scolastici delle scuole elementari del paese. Si tratta generalmente di valve inferiori, tutte riferibili al genere Crassostrea Sacco, 1897. Per la forma, potrebbero riportarsi a qualche varietà della Crassostrea crassissima Lamk. ( Ostrea ). Una valva inferiore di media grandezza tra quelle che ho potuto vedere, che mi fu regalata, avrebbe le dimensioni precise della figura 13 b, tav. IV dell’opera già citata, del Sacco. I moli. d. terr. terz. del Pie- (}) Ponzi nelle due memorie sopracitate riferisce parimenti all’eocene le roccie di Canemorto e di Percile. Ponzi G., Sopra i diversi periodi eruttivi (mera, cit.), 1864, alla pag. 13 dell’estr. ; Storia fisica dell’Italia Centrale (mem. cit.), 1871. Yed. Quadro geolog. dell’It. Centr., ove al n. 11 é indicato Percile. Il calcare scuro delle vicinanze di Orvinio é parimenti riportato all’eocene superiore dal De Angelis, La geologia agricola e la provincia di Lorna. Nel Supplemento al Bollett. d. Soc. d. Agricoltori Italiani , Roma, Anno V, n. 22, 1900. Ved. pag. 9 dell’estr. (2) Meli R., Sulla presenza dell’Jberus (subseet. Murella) signatus Fér. (Helicogena) nei monti Umici e nei dintorni di Terracina in pro- vincia di Lorna. Nella Livista Hai. d. Se. natur., Siena, Anno XIV, fase. 3, 1 marzo 1894 e seguenti. Leggasi sul principio della nota 2 in fondo alla prima pagina. (3) La fauna fossile di Monte Postale fu illustrata da molti paleon- tologi. Tra i recenti ricordo : Mayer-Eymar, Bayan, Oppenheim, De Gre- gorio, Vinassa de Regny, ecc. (4) Vinassa de Regny P. E., Synopsis dei moli, ierziarii delle Alpi Venete. Parte I. (Strati con Velates Schmiedeliana). Nella Palaeontogra- phia italica , pubblicata dal prof. M. Canavari, voi. 1, 1895, pag. 211-275 con 3 tav.; voi. II, 1896, pag. 149-184 con 2 tav.; voi. Ili, 1897, pa- gine 145-200 con 2 tav. 406 R. MELI monte e della Liguria, Parte XXIII, 1897, Pelecypoda ( Ostreidae, Anomidae , ecc.). Soltanto lo spessore della valva di Monte San Giovanni Campano sarebbe maggiore. Grandi esemplari della Crassostrea crassissima sono figurati, come è noto, dall’Hoernes M., Die foss. Moli, von Wien , op. cit., voi. II, pag. 455-459, e tav. LXXXI-LXXXIV. Dal Sacco è citata questa specie nell’Elveziano e Tortoniano; con dubbio nel pliocene (Piacenziano ed Astiano). Avverte Sacco che neU’eocene e nell’oligocene esistono forme ataviche di questa specie, e cita la Crassostrea canalis Lamk. (Ostrea) (*). Hornes (op. cit., voi. II, pag. 458) segna molte località, ove questa specie fu rinvenuta, tra le quali, per l’Italia, indica Ro- metta presso Messina ed Assolo presso Vicenza. Cocconi trovò questa specie a Vigoleno nel miocene e nel pliocene (marne e sabbie gialle) di Castell’Arquato, Lugagnano e delle Rive Canne di Gropparello (*). Sulla superficie esterna della valva si notano alcuni piccoli fori, dovuti a spugne perforanti della famiglia Clionidae (Cliona sp.?) La specie non panni che finora sia stata indicata nell’eocene della provincia di Roma. Ma, nei dintorni di Monte S. Giovanni Campano si trovano marne bigie, più o meno sabbiose, riferibili al miocene supe- riore (piano tortoniano) per i fossili, che contengono. Ho veduto alcuni esemplari di Pinna, un frammento di Ce- ritliium ed uno Spatangus, tutti provenienti dalle marne pre- dette, conservati nella raccolta di oggetti diversi del Conte Lu- C) Lamarck J. B. P. A., Hist. nat. d. anim. sans vertébr. Deuxiéme édit., Tom. VII, Paris, 1836, pag. 243, n. 18. Ma, nella nota a piedi della pag. 243 V Ostrea canalis è soppressa ed è riunita, a titolo di varietà all’O. longirostris Lamk. del bacino di Parigi, descritta al n. 17 della stessa pagina e figurata nell’opera di G-. P. Deshayes, Descript, d. coq. foss d. env. de Paris (op. cit.), tom, I, pag. 351, n. 19 e tav. LIV, fig. 7-8; tav. LX, fig. 1-3; tav. LXI, fig. 8, 9: tav. LXII, fig. 4, 5; tav. LXIII, fig. 1. Con questa forma peraltro gli esemplari di Monte S. Giovanni non convengono. (2) Cocconi G., Enumerazione sistematica dei moli. mioc. e plioc. della prov. di Parma e Piacenza. Bologna, 1873. Ved. pag. 357. SOPRA ALCUNE CONCHIGLIE FOSSILI 407 cernari in Monte S. Giovanni Campano e nei piccoli gabinetti delle scuole elementari del paese. Ricordo qui ancora che molti anni fa (all’incirca 30 anni fa) l’ing. L. Demarchi mi presentò alcuni molluschi fossili, ritrovati nelle marne sabbiose, durante le escavazioni, fatte in quel tempo dall’ing. Serpieri, se ne rammento bene il nome, per ricerche di asfalto nei dintorni di Monte S. Giovanni Campano. Tra questi fossili si trovavano alcuni esemplari di Pinna , che io regalai e collocai nelle collezioni del Gabinetto di geologia deH’Università di Roma. Gli esemplari di Pinna , da me ora veduti, potrebbero, per la loro forma, riportarsi a qualcuna delle varietà della Pinna subpectinata Michtti., che è descritta e figurata dal Sacco nella sua opera, già citata, I moli. d. terr. ter. d. Piemonte e d. Li- guria, Parte XX Y, ( Spóndylidae , Eadulidae, etc.), 1898, pag. 31, tav. IX, fìg. 1-6. La specie sarebbe stata rinvenuta nell’Aqui- taniano, Langliiano (Magonziano), Elveziano, e la varietà eotran- siens anche nel Bartoniano. Questa ultima, per la sua forma gra- cile, converrebbe forse più delle altre con la specie rinvenuta nelle marne sabbiose di Monte S. Giovanni-Campano. Gli anzidetti modelli di Pinna hanno pure qualche affinità con la Pinna margaritacea Lamk. dei dintorni di Parigi (Des- liayes, Descript, d. coq. foss. d. env. de Paris , op. cit., tom. I, pag. 280-81, tav. XLI, fìg. 15). Ma, per precisarne la specie oc- correrebbe di averli sott’occhio e farne i necessari confronti. Il frammento di Cerithium, proveniente dalle marne bigie, che ho veduto, presenta soltanto gli ultimi tre giri ed è da riportarsi al C. ( Tympanotomus) lignitarum Eichw., o forme affini ('). Per la grandezza, conviene con la figura 1 a-b, da- tane dall’Hornes nell’opera citata. (') Hornes M., Die foss. Moli, des Tert.-Beckens von Wien , (op. cit.), voi. I, 18E6, pag. 398, sp. 11. Cerithium lignitarum Eichw., tav. 42, fig. 1 a, b, 2 a, b, 3 a, b\ Sacco F., I moli. d. terr. terz. (op. cit.), Parte XVII Cerithidae, ecc), pag. f 5. Terebralia lignitarum. Parte XXX, (Aggiunte e correzioni), 1901, pag. 121 (Tympanotomus lignitarum)-, Dollfuss G. et Dautzenberg Pii., Sur guelgues coquill. foss. nouvelles ou mal connues des faluns de la Touraine. Dans le Journal de Conchyl., 1899, n. 3, pag. 4-21 rlell’estr., PI. IX, fig. 3, 4 (Tympanotomus lignitarum) . In Italia il Ceri- 408 R MELI Anche questa specie non era stata mai indicata come rin- venuta nell’area della provincia di Roma. L’echinodevma, che ho veduto presso il Conte Lucernari, è da riferirsi al gruppo Spatangus. E della grandezza dello Sp. De- smarestii Miinst. ed ha affinità collo Sp. corsicus Des., al quale forse potrebbe riferirsi, ma, non avendolo sott'occhio, è incerta la determinazione specifica. La marna turchina, che talvolta si arricchisce di grani di sabbia sì da sembrare un’arenaria marnosa, è citata da Bidou e da Cacciamali (‘), i quali la chiamano conchiglia re per i fos- sili contenutivi. Bidou parla di argille turchine con arenarie racchiudenti numerose conchiglie fossili (5). thium lignitarum Hoernes (non Eielnv.). = Terebralia bidentata (Defr.) e sue varietà, é citato dal Tongriano al Tortoniano (dintorni di Savona, Sassello, S. Giustina/ Pareto ; Vicotorte presso Mondovì, collina di To- rino, Stazzano, Sant' Agata-fossili) mentre la forma Terebralia lignitarum Eichw. = C. Duboisi Hoernes, è citata nel tortoniano di Stazzano. En- trambe le forme (C. lignitarum e C. Duboisi) sono indicate da Seguenza nelle ligniti di Cessaniti presso Monteleone in Calabria (Tortoniano); Seguenza G., Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio Calabria, Atti d. R. Accad. d. Lincei; Serie III, Mem. d. Classe di Se. fis. mat. e natur., voi. VI, Anno 1879-80, pag. 154. Seguenza avverte che il Ce- rithimn lignitarum è una grande specie considerevolmente variabile; Cocconi, (E mini, sistem. d. moli. mioc. e plioc. d. prov. di Parma e Pia- cenza, op. cit., pag. 179) cita un esemplare di C. lignitarum Eichw. del miocene, trovato dal Guidotti sulle sponde della Termina nel comune di Traversetolo. Manzoni la citò nel tortoniano di Sogliano sul Rubi- cone; (Manzoni A., Della fauna marina di due lembi miocenici delVAlta Italia. Nei Sitzb. d. k. k. Akad. d. Wissenschft., voi. LX, parte I, fascic. d'ottobre, Wien 1869. pag. 495), ma, secondo Dollfus e Dautzenberg, sarebbe da riferirsi ad altra specie affine, cioè al Ceritliium lineatum Bors. n. Lamark. Finalmente il vero C. lignitarum sarebbe stato rinvenuto da Tellini a Flagogna nel Friuli, e nella grande fossa di affondamento della Cima d’Asta nel Tirolo dal Suess. (t) Cacciamali G. B., Petroli e bitumi d. Valle Latina. Nella Ri- vista di Se. natur. e Rollett. d. Naturalista, Siena, anno IX, n. 6 e 10, 1889. Vedi pag. 4-5 dell’estratto. (5) Bidou L , Gisements des bitumes, petroles et de divers minéraux dans les provinces de Chieti et de Frosinone et traitement des matières bitumineuses à Letto-Manoppello. Siena, 1877. SOPRA ALCUNE CONCHIGLIE FOSSILI 409 In generale, i fossili macroscopici nei calcari dei monti circostanti alla valle del Sacco non sono frequenti. Ho dovuto girare diverse volte i monti sopra Segni (campo di Segni, Monte Impone) per ricerche idrologiche e, appena in un punto potei osservare nei calcari delle traccie di fossili, che ho riferito a rudiste (Sphaerulites) e ad Actaeonelle. Più frequenti sezioni, anche rapportabili a rudiste, vidi a Gorga. Lo stesso devo dire dei monti Pontini, all’infuori del Monte S. Angelo sopra Ter- racina, ove si ha un calcare argilloso con rudiste, detto sul luogo Occhio di pavone. Così pure, nulla ho potuto raccogliere nei calcari dei monti di Vallecorsa e di Amaseno. Niente ho trovato nei calcari ora attraversati dalla perforazione del tunnel della Direttissima Poma-Napoli nello sbocco verso Fondi. Soltanto dall’imbocco del tunnel sotto Sminino potei avere un solo, ma interessante, modello di grande rudista, scavato a m. 467 dall’imbocco. La forma e le dimensioni sembrano affini all ' Hippurites cornu-vaccinum Broun ('). Rinvenimenti di rudiste in calcari analoghi, e probabilmente sincroni, del cretaceo superiore, feci a Pisterzo: quivi pure trovai buoni modelli interni di Hadiolites. Dai calcari eocenici sotto Gavignano potei avere un bell’esemplare di Pecten ( Flabelli - pecten), che meriterebbe di essere illustrato. Parimenti, trovai due impronte di Pecten (Cfr. Malvinae ) l’uno nei calcari eoce- nici sulla strada, che da Gavignano va a Montelanico, e l’altro nei calcari sincroni sulla rotabile, che dalla Tomacella nella valle del Sacco va a Giuliano di Roma nella valle dell’Ama- seno. A Giuliano di Roma, come si sa, si hanno lave vulcaniche. ( 1 ) L’esemplare mi fu dato mentre scriveva la presente nota, nel- l’occasione che eseguii diverse visite alla galleria nei giorni 28-29 ago- sto e 10 settembre corrente. E l'unico fossile, che siasi ritrovato finora nei lavori di perforazione dei due imbocchi della galleria. Per l’esatta determinazione specifica, farò eseguire un taglio trasversale del fossile. Se, come credo, l’esemplare é da riportarsi a\Y Hippurites cornu-vacci- num, ciò dimostrerebbe che i calcari dell’imbocco del tunnel presso la stazione ferroviaria di Sonnino sono da riportarsi al cretaceo superiore Spiano Turoniano), come aveva io già detto altra volta. La specie, ora indicata, fu già citata per la provincia di Roma, dal Ponzi, dal Mantovani, dal Viola, eco. 410 R. MELI È da tempo conosciuto che nei dintorni di Monte S. Gio- vanni Campano, di Castro dei Volsci, di Banco e Ri pi, le roccie (specialmente i calcari eocenici, ma non esclusivamente, perchè anche le arenarie oligoceniche e le marne tortoniane conten- gono asfalto ed idrocarburi del tipo petroli) sono imbevute di asfalto ('). Dell’asfalto della Valle Latina parlarono molti autori : Boc- cone (2) ha un intero capitolo coll’intestazione: Intorno la pece di Castro conosciuta nello Stato Ecclesiastico, e ne parla con una certa diffusione. Fortis (3) la menziona appena, e la dice usata in medicina dai chirurghi romani ; ma, evidentemente, la cita- zione è stata tolta dal Museo di Boccone. Ne parla poi Spa- doni (1797 e 1802) (4). Tra gli scrittori del secolo XIX ricor- (') Recentemente ho visitato i giacimenti di asfalto di Lettomanop- pello e di Roccamorice nell’Abruzzo Chietino. L’asfalto a Lettomanop- pello impregna un calcare terroso, che, per la posizione stratigrafica e per i fossili contenutivi (Lithothamnium, Clypeaster , Pecten, Ostrea, ecc.), giudicai del miocene medio. Vi trovai parecchi denti di pesci ( Oxyrhina cfr. liastalis Ag., Lavina,). La facies litologica dei calcari grossolani di Roccamorice, che si tagliano facilmente con sega a denti, come si fa per i legni, mi richiamò alla mente la pietra leccese, ricca di resti fossili di vertebrati, general- mente riferita anch’essa al miocene. A Roccamorice (S. Giorgio) il giaci- mento di asfalto, oggi lavorato, trovasi in marne sabbiose ed in calcari della parte inferiore del miocene superiore. (s) Boccone Paolo, Museo di fisica e di esperienze variato e decorato di osservazioni naturali, note, ecc. Venezia, G. Batt. Zeccato, 1697, in-8. Vedi osservazione vigesima, pag. 161-165. (3) Fortis Alberto, Viaggio in Dalmazia. Venezia, A. Milocco, 1774, 2 voi. in-4 con tavole. Vedi voi. I, pag. 19. (4) Spadoni Paolo, Lettera mineralogica diretta al p. Ambrogio Sol- dani su di alcune osservazioni fatte in un viaggio per la Campagna Ro- mana. Nell 'Antologia romana, tom. XXIII, n. XLVI e XLVII, maggio 1797, pag. 361-366; 369-376. Alle pag. 369-372 parlasi della pece di Castro. Questa lettera dello Spadoni non fu mai citata nelle bibliografie geo- logiche della nostra provincia. Fu fin qui assolutamente sconosciuta ai mo- derni geologi romani. SOPRA ALCUNE CONCHIGLIE FOSSILI 411 derò, oltre lo Spadoni (1802) ('); Brocchi G. B. (1814, 1817) (2) ; Ponzi G. (1848, 1849, 1852, 1858, 1861, 1871, 1875, ecc.)(3); Carpi P. e Ponzi Gr. (1853); Foetterle F. (1872); Ludwig R. (1875); Zezi P. (1876); Bidou L. (1877); Demarchi L. (1882); Cacciamali G. B. (1889); Viola C. (1895), ecc., nonché le Ri- viste del servizio minerario pubblicate dal Ministero di Agric. Tnd. e Comm. A questa ultima del Viola (4), che contiene una buona bibliografia, rimando il lettore per la maggior parte delle citazioni bibliografiche. Soltanto osservo che Viola ritiene eoce- niche le arenarie della valle del Sacco, mentre io le ho sempre giudicate oligoceniche (5). Anche Murchison considera come equivalenti al macigno e spettanti aH’eocene superiore le arenarie della valle del Sacco C) Spadoni Paolo, Osservazioni mineralovulcaniche fatte in un viaggio per l’antico Lazio. Macerata, B. Capitani, 1802, in-8°, di pag. 164 con tavola. Nei capitoli XII XVI, pag. 75-101, si discorre della pece di Ca- stro, del Colle della Pece e delle qualità dell’asfalto. Al cap. XVII si fa parola dell’asfalto trovato presso Trisulti. (2) Brocchi, parlando della calcaria apennina, scrive che é poveris- sima di minerali accessori metalliferi ; ma, ricorda che, a Castro ed a Trisulti nella Campagna di Roma, vi si raccoglie, benché in modica quantità, la pece montana, che ha parimenti veduto stillare da uno sco- glio in vicinanza di Terracina sulla strada di Fondi. (Brocchi G. B., Condì, fossile sub., voi. I, 1814, pag. 26-27). (3) Nel V Abbozzo di carta geologica della valle Latina da Roma a Mon- tecassino. annessa alla memoria del Ponzi : Osservazioni geologiche fatte lungo la valle Latina, 1849, sono segnate emanazioni di asfalto presso Castro. (4) Viola C., La Valle del Sacco ed il giacimento di asfalto di Castro dei Volsci in provincia di Roma. Nel Boll. d. R. Comit. geolog. d’Italia, voi. XXVI, 1895, fase. I, pag. 136-143. (5) Meli R., Sulla presenza delVIberus signatus Fér. (Helicogena) nei monti Umici della prov. di Roma. Bollett. d. Soc. Romana p. gli studi zoo- logici, voi. II, 1893, fase. VII-IX. Vedi le note. Meli R., Sulla presenza delVIberus (subsect. Murellà) signatus Vèr. ( Helicogena ) nei monti Umici e nei dint. di Terracina , mem. cit., nella Rivista ital. di Se. natur., Siena, anno XIV, fascicolo 1° marzo 1894 e seguenti. Meli R., Brevi notizie sulle roccie che si riscontrano nell’ Abruzzo lungo il percorso dell’antica via Valeria nel tratto Arsoli- Corsoli- Sante Marie- Tagliacozzo-Avezzano-Forca Caruso -Collarmele. Boll. d. Soc. Geolog. ital., voi. XXIII, 1904, fase. I, pag. xxx-xxxv. 412 R. MELI e le pone sovrastanti ai calcari nummulitici ed ai calcari a Pecten (’). Murcliison osservava, fin dal 1848, che le arenarie sono intercalate con marne sabbiose sottilmente laminari o scistose, e che le stratificazioni di esse sono inclinate e raddrizzate, e citava gli esempi delle arenarie di Ferentino (> In condizioni del tutto identiche ho veduto consimili arenarie, a stratificazioni fortemente inclinate e talvolta verticali, con intercalazioni di scisti, marno-sabbiosi, appena fuori Frosinone, presso la chiesa di S. Antonio, all’imbocco della rotabile, che passa sotto il casino Paradisi e va verso il fiume Cosa. Questo fiume, a valle di Fro- sinone, ha il suo letto inciso in gran parte nelle arenarie gialle, del tipo molìassa, e nelle arenarie bigie (3). In generale, queste arenarie si riguardarono come spettanti alla parte alta deH’eoceue, superiori sempre ai calcari eocenici nummulitici; soltanto Zezi (4) le ritenne più recenti e le riferì giustamente al miocene. Del resto, Orsini e Spada-La vini riferivano, fin dal 1844, le arenarie del tipo molìassa dell’Appennino centrale al miocene (5). (') Mu rolli son R., On thè geologica l strutture of thè Alps, Apennines and Carpathians, London, 1849, in-8°. Nei Proceedings of thè geolog. Society, 13. th december 1848. Ved. pag. 280-282. Murchison R., Memoria sulla struttura geol. d. Alpi, d. Apennini e dei Carpazi. Traduzione dall’inglese ed appendice sulla Toscana, dei proff. P. Savi e G. Meneghini, Firenze, 1851. Ved. pag. 207-210. (?) Murchison R., Op. cit. Edizione originale inglese, pag. 282. Tra- duzione del Savi e Meneghini, pag. 210. (3j Oltre alle località sopra citate, ho veduto arenarie nelle colline di Anagni, Paliano, Ferentino, Frosinone, nella valle del Sacco; le ho ritrovate a Genazzano, S. Vito Romano, Gerano, Olevano-Romano, Affile, Roiate e nella valle dell’Aniene, ad Agosta, proseguendosi poi la zona delle arenarie ad Arsoli, Carsoli, Colli, Sante Marie, addossate sui cal- cari dei monti di Tagliacozzo. Nelle arenarie della valle dell’Aniene sotto Canterano, si rinvengono straterelli di lignite picea; così anche a Gerano. (*) Zezi P., Osservazioni geologiche fatte nei dintorni di Ferentino e di Frosinone. Boll. d. R. Com. Geol. d’Italia, anno VII, 1876, n. 9-10, pag. 360-388. (5) Orsini et Spada-Lavini Alexandre, Note sur la constitution géolo- gique de V Italie centrale. Bull, de la Soc. Géol. de France, II me sèrie, tom. II, 1844-45, pag. 408-414, con 1 tav. SOPRA ALCUNE CONCHIGLIE FOSSILI 413 Anche W. Branco (1877), considera il macigno della valle del Sacco come eocenico, ma dubitativamente riferisce al miocene il calcare argilloso. A proposito di bitume, ricordo che, nelle varie bibliografie scientifiche della nostra provincia è citata una memoria di B. Gan- dolfi col titolo: Lettera sopra il cartoon fossile e schisto bitumi- noso che si trova in Filetino e nelle sue vicinanze, Roma, 1689. (. JBihliogr . geologique et paléontologique de V Italie, Bologne, 1881 , pag. 176, n. 2005: Libi. geol. e paleont. d. prov. di Fonia, pubbl.per cura del B. Ufficio geologico, Roma, 1886, pag. 35, n. 85). Questa citazione fu presa dal Ranghiasci (Q. Difatti, nel suo Supplemento, all’articolo Beverone, cita: Gandolfi Bartolomeo, Lettera, Roma, per Gio. Zempel, 1689, in-8°, e nella nota a piedi della pagina dice: « Il eh. p. Gandolfi scolopio e lettore di fisica sperimentale » nell’Archiginnasio della Sapienza, tratta qui sopra il carbon » fossile o schisto bituminoso, che trovasi in Filetino e nelle sue » vicinanze, lungo il corso dell’Aniene, ossia Beverone ». Ora tale citazione è vera, ma ne è sbagliato, per errore ti- pografico, l’anno di stampa, che, invece di 1689, deve correg- gersi in 1789, cioè, di un secolo dopo. Infatti, Bartolomeo Gandolfi, scolopio, nato il 24 febbraio 1753, in Torria, circondario di Porto Maurizio (Liguria) e morto in Roma ai 10 maggio 1814, fu chiamato ad insegnare filosofia e matematica nel Collegio Nazareno di Roma ed in seguito, fu nominato professore di fisica sperimentale e di fisico-chimica nella Università Romana, ove insegnò con onore. Il Morichini, che ne scrisse una biografia (2), dice che « egli comunicò alla (Q Ranghiasci Luigi, Bibliografia storica delle città e elei luoghi dello Stato Pontificio. Roma, Stamp. Giunchiana, 1792, in-4° di pag. vili e 320. A quest’opera fu aggiunto un supplemento, col titolo: Supplemento alla Bibliografia storica delle citta e luoghi dello Stato Pontificio pubbli- cata Vanno MDCCXCII (1792). Roma, Stamp. Giunchiana, 1793, in-4° di pag. iv e 94. (Vedasi Supplem., pag. 73. Beverone). (2) Morichini Domenico, Baccolta degli scritti editi ed inediti, Roma, M. e L. Aureli, 1852, 2 voi. in-8°. Vedasi voi. I, pag. 443, n. XLV1, Necrologia del p. Bartolomeo Gandolfi delle Scuole Pie. 414 R. MELI » gioventù studiosa delle scienze fisiche e chimiche un impulso, » che fece venire in onore questi studi allora infelicemente negletti » ed abbuiati da un metodo difettoso d’insegnamento, ecc. » (*). Peraltro, rovistando i numerosi opuscoli della mia biblioteca, ho avuto la fortuna di ritrovare l’opuscolo del Gandolfi, ed ora mi pregio di darne il titolo preciso. A Sua Eccellenza \ il signor Principe \ I). Andrea \ Porla Pamphilj | decorato ultimamente del Toson d’oro | da S. M. Cattolica j Lettera | del padre \ Bartolomeo Gandolfi \ Lettore nel Collegio Nazareno \ delle Scuole Pie \ Poma, Stamp. di Gio. Zempel, MDCCLXXXIX (1789), in-8° pic- colo di pag. 29. La lettera, scritta da Filettino il 2 maggio 1789, è interessante perchè tratta dello scisto bituminoso ritrovato sotto Filettino nell’alta valle dell’Aniene, lungo la strada che conduce da Trevi a Filettino. Si accenna alle petrificazioni marine (forse ai Pecten), che si ritrovano nei calcari al ponticello sotto il monastero di Santa Sco- lastica a Subiaco (al Ponte di S. Mauro). Si espongono poi i risultati ottenuti dalla distillazione dello scisto bituminoso. Infine è fatta menzione del gran Pozzo, che è una caverna naturale, a quattro miglia da Filettino, profonda circa 200 passi. Forse si tratta di uno di quei sprofondi naturali, che si trovano nei calcari e che dai nostri paesani sono chia- mati Merri, dei quali se ne hanno tanti esempi, sia nella nostra provincia (Chiavica di Arsoli; Pozzo di Antullo, presso Colle- pardo (2); nei calcari secondari (Liassici), tra Mentana e S. An- gelo Romano; ho veduto anche di consimili sprofondi ad Artena (’) Altra biografia del Gandolfi è stampata nz\V Album, giornale let- terario e di Belle Arti, anno II, distribuzione 46, Roma, 23 gennaio 1836, pag. 367-368. (?) Lo Spadoni (Osservai, miner., op. cit.), descrive il pozzo d'Antullo, nel quale discese, calato con una fune. Molto giustamente, circa la causa di quello sprofondo, dice alla pag. 70: « 0 per tremuoto o per sostegno manco » ammettendo in tal modo che sia stato causato da un franamento avve- nuto nella vòlta di una cavità naturale sottostante, scavata nel calcare, di cui la non lontana grotta di Collepardo dà l’esempio. SOPRA ALCUNE CONCHIGLIE FOSSILI 41B nei Lepini; presso Norma; a Sezze; e sotto il cimitero vecchio di Sonnino, nei calcari cretacei dei Monti Pontini), che fuori, nella provincia Umbro-Sabina (Revodano, presso Roccantica; a Catino in Sabina; Pizzo Corvo, presso l’ex-Con vento dei Cap- puccini-vecchi, in vicinanza di Narni, ecc.). La memoria in parola è citata dal Morichini nell’elenco delle opere stampate dal Gandolfi, che trovasi in fine alla ne- crologia di lui, ma il titolo non è esatto ( Lettera al sig. Prin- cipe Porla sulla falsa ardesia, Roma, 1787. Yed. Morichini, op. cit., voi. I, pag'. 448) (’). Nella valle del Sacco si trovano, come è notorio, le deie- zioni mobili vulcaniche, i tufi, più o meno coerenti, alcuni dei quali peperiniformi, e le lave, materiali vomitati dalle bocche eruttive dei prossimi vulcani subaerei del Lazio e dei vulcani locali degli Ernici. Questi ultimi vulcani furono studiati da G. Branco (5). Al- cuni di questi vulcani hanno i loro rilievi craterici collocati eccentricamente alla valle del Sacco, come sono quelli di Ti- chiena, Amara, Patrica, Giuliano di Roma, Villa San Stefano; questi tre ultimi addossati ai calcari cretacei, che formano i rilievi della catena lepina, mentre gli altri, di Selva dei Muli, Poti, Callame, S. Marco e S. Prancesco, sono, più o meno, rial- zati nella vallata. Sui vulcani Ernici scrissero molti autori. Ricorderò soltanto i seguenti: Spadoni P. (1802); Brocchi G. B. (1817) ; Ponzi G. (1848, G) E, poiché ho parlato di vecchi libri, ne ricordo ancora uno, poco conosciuto, sulla torba e sulle materie bituminose della metà del XVII secolo, del quale ecco il titolo preciso: Martini Schoockii, Tractatus de turffìs seu cespitibus bituminosis quo multa ab aliis liactenus aut ne- glecta, aut minus diligente r examinata, accuratius aliquando excutiuntur. Gronigae, Johann. Colleni, 16B8. in-24°. (2) Branco W., 1 vulcani degli Ernici nella valle del Sacco. Atti d. R. Accad. d. Lincei. Mem. d. Classe di Se. fis. mat. e nat., Serie III, voi. I. dispensa II. Roma, 1877, da pag. 801 a 817 con carta geologica. La stessa memoria fu stampata in tedesco nel Neues Jahrbuch f. Min., Geol. und Palàont., 1877, fascicolo VI; Stuttgart, col titolo: Die Valicane des Herniker Landes bei Fresinone in Mittel-Italien. 416 E. MELI 1849-50, 1858, 1864, 1876, 1878) ('); Zezi P. (1876); Branco G. (1877); Speciale S. (1879); Viola C. (1895, 1896, 1899); ecc. Certamente lo Spadoni (op. cit., cap. XX, pag. 114) per il primo dà precise notizie sulla lava di Tichiena. Il viaggio dello Spadoni nel Lazio fu fatto nella estate del 1796; ma la data di pubblicazione del suo libro è del 1802. Peraltro, ne parla nella sua Lettera mineralogica diretta al P. Ambrogio Soldani, già citata, stampata ne\V Antologia Romana , tomo XXIII, mag- gio 1797, (ved. pag. 372-373) (2). (’) Ved. Ponzi G., Panorama della catena Pepino- Pontina vista dalla città di Anagni. Boll, del Club Alpino Italiano, voi. IX, n. 24, 1876, pag. 21-22, con panorama della valle del Sacco a colori : interessante per la distribuzione delle masse rocciose. In questo panorama sono se- gnati i tufi, che il Ponzi riteneva sottomarini e di provenienza Cimina, mentre invece in gran parte sono stati emessi dalle bocche subaeree dei vicini vulcani laziali. Vi sono anche segnati i tufi dei vulcani Ernici. Dalla attuale stazione ferroviaria di Anagni si possono vedere molto nettamente le colline terrazzate, che stanno nella valle del Sacco. (2) L’ Antologia Romana è un periodico, il quale cominciò a pub- blicarsi in Poma nel 1774. Il primo numero ha la data del luglio 1774 e terminò nell’anno 1798. Si hanno XXIV volumi completi, più 2 numeri (pag. 1-64); finitimo numero porta la data del 30 Bramate (30 novem- bre) 1798. È una pubblicazione, per l’epoca, interessante : contiene molti arti- coli di Storia naturale, i quali dimostrano che a quei tempi, in Roma, cominciava un lodevole risveglio negli studi naturalistici. E in quel tempo, infatti, che G. Girolamo Lapi leggeva la sua dissertazione Sui laghi Albano e Nemorense (1758), che poi stampava nel 1760, ed in un’altra edizione nel 1781. Lo stesso Lapi pubblicava nel 1754 una dissertazione sull’acqua Acetosa al Ponte Molle (De acidula ad ripam Tyberis) e nel 1784 Del selce romano. Fr. Bianchini scriveva una lettera al Lancisi De prof un ditate laci Albani (L754); Nollet J. A. nelle Sources d'eau soufrée (1754) ragionava delle acque Albule ; T. Gabrini (1760 e 1779) stampava Sulle petrifcazioni dell’Arco Oscuro; G. Torraca trattava Delle antiche terme Taurine (1761); De la Condamine mandava alla luce il suo Extrait cl’un journal de voyage en Italie (1762). Un anonimo (De Thierry) scriveva Sur les eaux minérales de Capranica (1766); G. Ma- zéas nel 1768 parlava Sur les solfatares des env. de Rome; e nel 1774 Sur les stalactites à Monte Mario. Nel 1769 compariva la la edizione di quell’interessante opera di J. J. De la Lande, che è il Voyage en Italie, ove pur si contengono indicazioni di storia naturale. A. D. Fou- geroux de Bondaroy scriveva nel 1769 Sur les Aluminières de la Tolfa e nel 1773 Sur les solfatares des envir. de Rome ; L. Massimi pubblicava SOPRA ALCUNE CONCHIGLIE FOSSILI 417 Sembra però che le lave di Tickiena e di Pofi siano state conosciute anche da Gio. V. Petrilli. Difatti, in una lettera, che Petrini scriveva a Breislak e che trovasi stampata nell’opera Dell’acqua Acetosa (1771). Nel 1773 compariva l’edizione originale di J. J. Ferber, Briefe aus Wcilschland, che veniva tradotta in francese con note aggiunte da Ph. F. Dietrich nel 1776. Quest’opera, come ho già avvertito altrove, è la prima, che per le osservazioni sulla mineralogia e geologia del suolo romano abbia una vera importanza scientifica. Venivano in seguito stampati i seguenti lavori, sempre riguardanti la costituzione geo-mineralogica e le acque minerali del territorio romano : 1773. Battarra J. A., Berum natur. liist. exìstent. in Mus. Kircheriano. 1774. Guettard, Mém. s. diff'er. parties de la phys. de l’hist. nat. (voi. I, memor. 9). 1777. G. D. Martelli, Delle acque Caie; 1777. L. Lami e G. B. Mo- retti, Notizie critico-stor. sull’acqua Santa. 1780. L. De Alexandris, Acque termali di Viterbo. 1782. Cermelli P. M., Carte corografiche d. Patrimonio. 1782. Schilling P., Riccomanni A. et Benigni C., Berum naturai. Montis Marii prope urbem (nella 2" ediz. del Musaeum Kir cheria num). 1782. Tipaldo G., Metodo di analizzare le acque minerali dimostrato nell’Acqua Acetosa. Nel 1784 si stampava il I voi. della Baccolta di Storia Naturale, nel quale si trovano indicazioni geo-mineralogiche sul territorio romano, tratte per la maggior parte dall’opera del Ferber. 1784. Testa D., Lettera sopra l’antico vulcano d. paludi pontine , e nel 1794 lo stesso autore scriveva le Lettere pontine. 1786. Breislak Se , Saggio di osservai, miner. sulla Tolfa, ecc. e 1789 Beitrdge z. Mineralog. von Italien, nel quale libro si trova la tradu- zione tedesca del Saggio col titolo : Mineralog. Beise durch einem Thcil des Kirchenstaats. 1789. Gandolfi B., Lettera (cit. già con titolo esatto nel presente scritto). 1791. Morozzo G., Analisi d. carta corografica del Patrimonio. 1791. Petrini Gio. Vinc., Gabinetto mineralogico del Collegio Na- zareno, ecc. 1797. Spadoni P., Lettera mineralogica , ecc. 1799. Salmon U. P., Mém. sur un fragment de basalto volcan. tire de Borghetto. 1800. Fleuriau de Bellevue, Mémoire sur les crist. microscop et en partic sur la séméline, la mclilite, etc. Sui primordi del secolo XIX poi segue: von Buch L. (1801 e 1802), Breislak S. (1801); Spadoni P. (1802), ecc. Tutte queste pubblicazioni, comparse dopo la seconda metà del se- colo XVIII, cioè dal 1754 al 1800, unite a quelle riguardanti la Zoo- 29 418 R. MELI del Breislak: Voyages physiques et lythologiques dans la Cam- panie, etc. Paris, Dentu, 1801, (ved. voi. I, pag. 13) dice che tale lava di Tichiena e Poti è una « lave basaltique compacte, semblable à celle de Capo de Bove ». Peraltro, gli studi migliori su questi vulcani si devono al Ponzi, al Zezi, al Branco, che per primo ne dette una carta geologica, e, più recentemente al Viola (1895-99), in specie nelle due memorie: Osservazioni geologiche fatte nella valle del Sacco in provincia di Soma c studio pirografico di alcune roccie. Boll. d. R. Com. Geol. d’Italia, anno XXVII, 1896, fase. 1°, pag. 4-35, con 1 tavola di sezioni e carta geologica indicativa. Mineralogische und petrograpliische Mittheilung. aus dem Hcr- nikerlande in der Srovinz Som. Nel Neues Jahrbueh fùr Min. Geol. und Paleont., Stuttgart, 1899, voi. I, pag. 93-137 e tav. IV-XI. Le fig. 1, 2 della unita Tav. XV rappresentano quasi in grandezza naturale due esemplari delle bivalvi rinvenute al colle S. Marco presso S. Giovanni-Campano. [ms. pres. il 18 settembre 1908 - ult. bozze 14 novembre 1908]. logia, la Botanica, la Meteorologia, la Sismologia, edite sullo scorcio del suddetto secolo, insieme alla carta topografica dello Stato Pontificio, rilevata da C. Maire e R. Boscovich, sulla quale si ha il libro: De Ut- teraria expeditione (1755), dimostrano chiaramente che in quel turno di tempo in Roma vi fu un marcato impulso agli studi naturali, che erano stati nella prima metà dello stesso secolo negletti. Per gli altri suac- cennati rami delle scienze naturali si possono ricordare : Battarra J. A. (1775); Maratti F. (1776); Gili F. A. colla sua Omithologia romana (1781) ; Cavalli A., Lettere metereolog. (1785), ecc. È qui pure da ricordare la rac- colta di Storia naturale, che aveva riunito in quell’epoca in Roma il card. Zelada. Da tutto ciò rilevasi che dal 1760 alla fine del secolo XVIII, si ebbe un incremento notevole, in Roma, negli studi naturalistici. etlOT CALZCLAKI ft FENR ARICI -MILANO fi UNA NUOVA FORMA DI PHYLLOCRINUS NEL NEOCOMIANO DI SPIAZZI SUL MONTE BALDO Nota del dott. Annibale Tommasi (Tav. XVr) Nella nota Spigolature di Paleontologia baldense ('), da me presentata al R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere nella adunanza del 7 maggio scorso, io comunicava di aver trovato il calice di una nuova forma di Pliyllocrinus nei pressi di Spiazzi sopra Cavane lungo il sentiero che, valicando il fianco occidentale del M. Croce, mena a Pravazzar. Aggiungeva che quel calice era quasi del tutto incluso in un calcare biancastro un po' selcioso e che il pezzo di roccia, che lo conteneva, non era in posto, ma giacente sul sentiero presso la parete, da cui con ogni probabilità s’era staccato. Nella nota su ricordata esclusi che questo pezzo fosse da considerarsi un frammento di calcare titonico, che non affiora in nessun punto lungo il sentiero da me percorso, e ritenni che la roccia includente sia cretacea, restando però nel dubbio se trattisi del piano distinto nella Carta Geologica della Provincia di Verona, del compianto amico Cav. Enrico Nicolis, come Creta inferiore e media , e pel quale giudizio maggiormente propendo, oppure della Creta superiore (Scaglia Senoniana). E quindi pro- babile che la nuova forma, di cui segue la descrizione, certo più recente del titonico , sia o neocomiana o d’età di poco più giovane di questa. Ed è da augurarsi che la scoperta in posto di altri esemplari, magari completi, di questo crinoide possa decidere la questione della sua spettanza all’uno o all’altro dei piani, nei quali il Cav. Nicolis distingueva fin dal 1882 la formazione cretacea della sua provincia. (l) Tommasi A., Spigolature di Paleontologia baldense. Rendic. del R. Ist. Lomb. di Se. e lett., serie II, voi. XLI, 1908. 420 A. TOMMASI Phyllocrinus Taramelli n. forra. Calice corolliforrae, superiormente espanso, ristretto in basso e prolungato in un distinto peduncolo lievemente conico, largo alla base ram. 3,5, ed alto circa 4 mm. Le cinque placche ra- diali, tra loro strettamente saldate, lasciano scorgere le linee di saldatura in modo assai distinto nell’interno della cavità del calice, mentre sulla superficie esterna le svelano a mala pena all’occhio armato di lente. Delle placche basali nessuna traccia. La cavità calicinale è ampia, imbutiforme. Le placche radiali presentano alla base una larghezza, che è di poco minore della metà di quella che misurano a livello delle fossette articolari, e per tutta l’altezza del peduncolo sono regolarmente convesse e percorse lungo la linea mediana da una costa molto ottusa; al di sopra del peduncolo si piegano all’in- fuori e presentano un subito e forte rigonfiamento, che rag- giunge il suo massimo all’orlo del calice ed è limitato ai lati dalle corrispondenti linee di sutura delle placche radiali, che perciò risultano molto depresse nella metà superiore del calice. Ogni placca radiale è al suo orlo superiore largamente bi- forcata da un forte incavo o spazio radiale. Le prominenze pe- taloidi (= foglioline interradiali di P. De Loriol), che derivano dall’unione delle biforcazioni di due radiali attigue, sono più strette dei cinque incavi con cui alternano, alte circa un terzo dell’altezza totale del calice ed a contorno triangolare. Nell’e- semplare, che descrivo, due mancano del tutto, una terza è in- completa e le altre due sono ben conservate (fig. 1, 2). Queste sono incavate a doccia sulla loro faccia esterna, mentre verso la cavità calicinale sporgono a mo’ di cuneo (fig.c 4 e 5), il cui spi- golo è percorso dalle linee di reciproca saldatura delle radiali. 11 punto di maggiore sporgenza di questo spigolo trovasi un po’ più in basso della metà d’ogni prominenza petaloide, ove ri- salta a guisa di nodo. Sul fondo degli spazi radiali (fig. 4 a e fig. 6 a) si scorge la superficie articolare, che non è troppo ben conservata, e tro- vasi su ognuno dei punti di massimo rigonfiamento dell’orlo del calice. Essa descrive una leggera curva colla concavità in alto UNA NUOVA FORMA DI PHYLLOCRINUS 42 L e mostra le due fossette, ovoidali, delle impressioni muscolari. Queste sono separate da un breve tramezzo, diretto dall’esterno all’interno, che presso l’estremità esterna presenta l’orificio del canale brachiale. Di questi orifici se ne contano cinque, cia- scuno in corrispondenza del fondo dello spazio radiale rispet- tivo. In uno di questi, appena davanti all’orificio del canale bra- chiale, si vede colla lente la traccia di un tramezzo trasversale basso e stretto, e, al di fuori di questo, la traccia dell’angusta fos- setta pel legamento elastico. Sopra ciascuna delle due fossette della superficie articolare meglio conservata sta una depressione più piccola e meno profonda. Dal fondo della cavità calicinale alla punta delle promi- nenze petaloidi decorrono molto distinti i cinque solchi inter- radiali (fig. 5): i cinque solchi radiali sono assai meno decisa- mente marcati. Sul fondo della stessa cavità del calice si ve- dono due fori (fig. 5), probabilmente gli orifici di due dei ca- nali brachiali. Alla base del peduncolo del calice è visibile l’articolazione di esso con lo stelo (fig. 3). Risulta di una fossetta angusta e poco profonda, limitata da un orlo piuttosto spesso; sul fondo della fossetta si scorge la traccia della faccetta articolare dello stelo, e sull’orlo indizi di crenature. Dimensioni : Altezza del calice rum. 11. 5 Diametro del calice a livello della fossetta articol.e » 12 — Loc. Al M. Croce sopra Carane presso Spiazzi di M. Baldo. Rapporti e differenze. Del genere Phyllocrinus si hanno rappresentanti, secondo P. De Loriol ('), in varii piani dal Ba- jociano al Neocomiano incluso. A mia conoscenza, in seguito allo spoglio di varie monografie, ne vennero 19 specie, tra cui tre del titonico e sei del neocomiano. La forma da me trovata (‘) De Loriol P., Monographie des Crinoides Fossiles de la Suisse. 3 ed ultima parte, pag. 227 : in « Mémoires de la Société Faléontologique Suisse», voi. VI (1879). Id. Id., in Paleontologie Frangaise: Terrain Jurassique; tome XI, Crinoides, pag. 161. Paris 1882-84. 422 A. TOMMASI sopra Carane non corrisponde a nessuna delle note fino ad ora. La maggiore somiglianza la presenterebbe col Ph. clapscnsis, P. De Loriol (Paléont. Frane., toni. XI, Crinoides, pag. 162, tav. 17, fig. 1) del Batoniano e col Ph. Malbosianus, d’Orb. del Ncocomiano inf. (F. J. Pictet, Mélanges paléontologiques, 2" Li- vraison: « Études paléont. sur la Faune a Terebratula diphyoides », pag. 119, tav. 28, fig. 2, 3. Genève 1867). Ma il principale ca- rattere che distingue quelle due specie dalla nostra di Spiazzi risiede in quello strozzamento del terzo inferiore del calice, che nella nostra lascia in questo distinguere due porzioni nettamente tra loro delimitate : una superiore, allargata e pressoché cioto- liforme, ed una inferiore, ristretta a mo’ di peduncolo, che fa colla superiore un angolo ottuso ma ben distinto. Nè va tra- scurata la circostanza che il Ph. clapscnsis , P. De Loriol, cui più si assomiglia il congenere di Spiazzi, è assai più vecchio, rimontando al Batoniano. Altre differenze col Ph. Malbosianus, d’Orb. emergono dal confronto dell'altezza delle prominenze petaloidi coll’altezza del- l’intiero calice. Questo rapporto nel Phyllocrinus di Spiazzi è di 1:3, mentre nel Ph. Malbosianus è, in uno degli esemplari figurati dal Pictet, di 1:2 e nell’altro di 2:1. Se per questo ca- rattere il nostro Phyllocrinus s’accorderebbe col Ph. clapsensis, cui^ meglio s’assomiglia, se ne stacca però per la forma delle prominenze petaloidi, che sono perfettamente triangolari, senza strozzature sensibili sui lati, mentre quelle del Ph. clapsmsis sono strozzate dalla loro metà fino alla base. Tenuto conto dei caratteri suoi proprii e delle differenze, che lo fanno separare dalle specie già note, a cui più s’avvi- cina, ho creduto di poter distinguere il Phyllocrinus di Spiazzi come una forma nuova. Esso è così, dopo il Ph. nutantiformis Schaur: trovato nel calcare a Tereb. diphya di Fondi nei 7 Co- muni e negli schisti ad aptici e nel marmo titonico del M. Ca- tria negli Apennini, il più giovane Phyllocrinus, che viene a giorno nella nostra penisola. Dal Museo Geologico della R. Università di Pavia. [ms. pres. il 22 settembre 1908 - ult. bozze 20 novembre 1908]. Fig. 1 - Phyllocrinus Taramellii (grandezza naturale) „ 2, 3, 4, 5 „ ,, (ingrand.0 del doppio) ,, 6, a ,, ,, Superfìcie articolare della Fig: 4 a - un po’ più ingrandita e schematizzata. eUlOT CALZOLAIO 8t F E WR A RIO -MILA NO I RELITTI DELL’EROSIONE MARINA NELLA VALLE DEL PO Nota del dott. G. Capeder Allora quando nel salire l’erta faticosa di un monte delle nostre feracissime contrade dell’Appennino Pavese, vi foste ri- volti a contemplare il magnifico spettacolo della sconfinata pia- nura, non v’avrebbe il grandioso panorama forse distolti dal pensiero che guida il geologo alla ricerca dei nuovi veri ch’egli scruta sulle lapidee pagine dalle arcane parole, che ben sanno rivelargli i misteri dei tempi che furono e condurlo o fra gli abissi di un oceano di sterminati, ignoti confini, o su antiche spiagge ove già quelle onde battevano l’eterno concento della lor lotta aspra e tenace. Quello spettacolo grandioso anzi, nonché distogliervi, v’avrebbe ancor forse portata l’illusione di scorgere nel lontano e fosco orizzonte l’onda pervia e procace ma vinta, da quell’arcana forza che sospinse l’abisso al piano, il piano al monte, il monte al cielo. E rivolgendovi poi ad osservare i resti profusi ai piedi vostri di una vita già rigogliosa ed or spenta, forse vi sareste ancor domandato: Ove furon le antiche spiaggie; ove son ora le traccie del sospinto titano? Ma la ricerca vostra non sarebbe quivi stata vana, se aveste veramente cercato, perchè l’impronta della proterva mano di quell’antico mare l’avreste ancor veduta sì profondamente incisa, che contemplando quelle ancor sì palesi tracce, avreste altresì, per vostra mirabile sug- gestione, percepito perfino lo scrosciar lontano dell’onda, per la ormai strappata preda al suo dente edace! Cosi peregrinando anch’io attraverso a questi colli, ebbi a subire queste stesse illusioni vostre, ed a rilevare l’esistenza indiscutibile di antiche linee di spiaggia e di ripe, là ove fio- riscon ora le campagne e le abitazioni. 124 G. CAPEDER Queste sì antiche traccie potrebbero forse, all’occhio vostro, non avere grande importanza, perchè così isolate veramente non molto sanno dirci dei passati fenomeni ; ciò nonostante a me sembrano degne almeno di una piccola considerazione, non tanto per la minuta storia di questa ben ristretta regione, quanto piut- tosto per la contribuzione che esse portar potrebbero allo studio di quei fenomeni generali che interessarono la valle Padana nelle ultime epoche geologiche, specialmente se queste osservazioni ver- ranno estese a tutto il resto dell’ Appennino e sopratutto alle prealpi lombarde e venete. Non potendo però per ora far di più, mi limito a questo poco, colla speranza di aver dimostrato al- meno, che cercando bene si riesce a scoprire quello che non si sarebbe supposto mai, o che una osservazione fugace e superficiale non ci aveva lasciato scorgere. Così pur lasciando al fatto della esistenza di linee di spiaggia su queste roccie il valore che esso effettivamente ha, pure desidero accennare di sfuggita ai risultati che dette osservazioni potreb- bero portare riguardo alla ancora discussa origine dei grandi laghi prealpini, essendo obbligati di ritenere assai recente l’ul- tima trasgressione che segnò queste linee. Perchè è d’uopo ch’io metta subito in rilievo che le linee di spiaggia vedute in questo tratto dell’ Appennino, mentre interessano generalmente le rocce del miocene (elveziano e messiniano) interessano però anche rocce più recenti, come quei conglomerati compattissimi, carat- teristici e così abbondanti nell’Appennino Pavese, che i vari autori d’accordo, fra cui il prof. Taramelli (‘) ed il prof. Parona(2), attribuiscono al pliocene inferiore. Queste linee di spiaggia lasciate dall’ultima trasgressione marina, forse contemporanea a quelle oscillazioni della linea di livello che si verificarono durante il pliocene superiore e che si continuarono per alcune regioni, forse ancor nel quaternario, interessando anche il resto dell’Europa e per l’Appennino altresì la costa ligure, come ri- 0) Taramelli T., Descrizione geologica della provincia di Pavia, Milano, 1882, pag. 60, 61, 62, 64, 67, 75. (2) Parona C. F., Il pliocene dell' Oltrepò Pavese. Atti Soc. It. Se. Nat., voi. XXI, 1879, pag. 6, 8. EROSIONE MARINA NELLA VALLE DEL PO 425 salta dagli studi del prof. Issel ('), sono tanto maggiormente importanti in quanto che esse vengono rilevate a parecchie cen- tinaia di km. dalla più vicina spiaggia, ad un’altitudine rile- vante di più di 400 m. ed in una regione, come la valle Pa- dana, che dal pliocene in poi subì tante vicende, per portarsi alle attuali condizioni. Gli studi dei molti sui fenomeni del pliocene e del post-plio- cene nella valle Padana, delle azioni glaciali che su di essa si esercitarono, deH’alluvionamento considerevole e dell’equilibrio idraulico sempre in lotta con le forze antagoniste delle oscilla- zioni del suolo, rendono vieppiù utile la conoscenza ed il rilievo di queste traccie marine che risalgono appena a quell’epoca, se con quelli esse si potranno concatenare, onde vengano altresì un po’ chiariti molti fatti controversi circa l’esistenza e l’esten- sione di un mare all’inizio del quaternario nel quale forse giun- gevano i primi ghiacci, nonché dei movimenti del suolo di quel- l’epoca e perciò delle condizioni che favorivano lo sviluppo glaciale o contribuivano con altre cause molteplici a provocare le varie glaciazioni. Il bassapiano Padano è certamente conquista glaciale e post-glaciale e lo potremo maggiormente affermare se riusciremo a trovare linee di spiaggia dell’ultima trasgres- sione incise a livelli sempre maggiori e su rocce vieppiù antiche, a partire dalla linea Adriatica fino alla corona Alpina, e ciò nono- stante che per ora le limitate osservazioni fatte, ci autorizzino soltanto a dire che l’ultima trasgressione che tracciò le linee dev’essere più antica delle alluvioni della regione, ma più re- cente delle più recenti rocce su cui esse linee si trovano incise. D’altronde il colmataggio Padano è certamente anche conse- guenza di un movimento del suolo che deve avere interessato pressoché tutta la regione, ma assai più la valle Padana che la conca Ligure, come ci è dimostrato dalla piccola altezza cui si trovano quivi i depositi più recenti e la maggiore altezza di essi invece nel versante Padano. In qualsivoglia modo, il trovarsi linee di spiaggia incise sulle rocce del pliocene inferiore ad una altitudine di 400 m., non (') Issel A., Antiche Vince litorali della Liguria. Boll. Soc. Geol. It., 1883, pag. 230 e seg. 426 G. CAPEDER ci dice forse che il mare invase nuovamente questa terra dopo di averla abbandonata? Questa trasgressione, poiché deve essere per quanto si è detto prima, posteriore al pliocene inferiore, ma anteriore al glaciale, corrisponderebbe forse a quel periodo in cui si depositarono le sabbie gialle, periodo conosciuto col nome di Astiano; non potrebbe questo argomento anche portare un contributo a coloro che sostengono essere il piacenziano e l’astiano due piani distinti cronologicamente e non già sempli- cemente due facies? Certo è intanto che in questa regione Appennina manca l’Astiano tipico (') ed il Piacenziano è rappresentato da argille e da conglomerati. Esistono è vero qua e là, ma sopratutto presso Casteggio, dei depositi marini che potrebbero essere sincroni con quelli di S. Colombano e più recenti o più antichi. Il prof. Ta- ramelli li ritiene più antichi (2), il prof. Sacco li ritiene decisa- mente Astiani (3), il prof. Parona li ritiene dell’età dei conglo- merati (4). Essendo però discussa e troppo dubbia l’età di questi depositi, sarebbe inutile od ardito l’intesservi ipotesi, ma io intanto ho la convinzione che essi ci rappresentino i sedimenti di quel medesimo mare che incise le linee che ci stanno interessando e ciò anche per la freschezza di quei depositi simili a banchine e di quelle traccie di erosione in terreni cosi facili ad entrare in isfacelo per effetto delle condizioni meteoriche, come sono i terreni plio- cenici. Infatti queste tracce sarebbero ormai cancellate se fossero molto antiche, o per lo meno sarebbero ridotte allo stato di quasi irriconoscibilità. Invece esse sono ben visibili anche sulle rocce che sono più antiche del pliocene e profondamente ancora im- presse, benché attualmente ogni anno subiscano una profonda e notevole demolizione, per effetto delle meteore e più dell’uomo che sceglie quelle località per sua dimora; così che quelle traccie oggi ancora ben visibili e palesi, potranno in breve anche scom- parire totalmente. Q) Taramelli T. e Parona C. F., Op. citate. (2) Op. cit., pag. 64. (3) Sacco F., IJ Appennino settentrionale (parte centrale), Roma, 1892, pag. 198. (■*) Op. cit., pag. 12, 40, 41. EROSIONE MARINA NELLA VALLE DEL PO 427 Sarà dunque oltremodo importante di determinare, coll’aiuto dei fossili, l’età precisa di questi sedimenti di Casteggio e di rilevarne: e i rapporti strati grafici coi sottoposti terreni più antichi, i quali paiono in notevole discordanza, e l’eventuale loro sincronismo colle traccie marine, onde preparare terreno ad im- portanti future investigazioni per la storia della valle Padana ed in particolare per quella di questo tratto dell’Appennino Pavese. Fig. 1. — Linee di spiaggia dei conglomerati di Rocca Susella. Se i sedimenti di Casteggio fossero più recenti del pliocene, essi potrebbero accennare ad una trasgressione post-pliocenica, che le linee di spiaggia confermerebbero, parallelamente alle idee di Heim, circa i movimenti delle catene interne delle Alpi durante l’epoca glaciale; ad ogni modo però essi ci parlano, se non altro, indubitabilmente di detta trasgressione e del notevole solleva- mento posteriore subito da queste rocce, alquanto superiore a quello che si verificò sul versante meridionale del medesimo Ap- pennino, nei dintorni di Nizza eVoltri; movimento che prece- denti ricerche (') confermano prima positivo e poi negativo. (') Issel A., Op. cit., 1883; Id., I bradisismi d’Italia secondo i più recenti studi, 1895; ld., Sur l’existence de vallées submergées dans le golf e de Génes. C. r. Ac. Se., 1887 ; Id., Sur V epoque da creusement des vallées submergées du golf e de Génes. 428 G. CAPEDER In conclusione, la esistenza di linee di spiaggia sui conglo- merati del pliocene dell’Appennino Pavese ci dice cbe il mare che le cesellò è un mare di trasgressione, perchè quando esso batteva su quelle rocce dovette trovarle già cementate ed emerse onde poterle cosi minutamente incidere, ed essendo detta tra- sgressione posteriore all'età di quei conglomerati, essa viene ad Fig. 2. — Linee di spiaggia dei conglomerati di Susella. acquistare una importanza particolare per la regione, e generale per la storia pliocenica e post-pliocenica della Valle Padana. ❖ ❖ Le località ove io potei osservare distintamente le traccie meccaniche del mare non sono molte, anzi pochissime, e ciò non deve meravigliare, data la circostanza che esse tracce, nono- stante molto recenti, si trovano incise, come già dissi, general- mente su rocce molto giovani e poco compatte e che perciò facil- mente poterono venire asportate dalle azioni meteoriche, dalle acque correnti e non in ultima linea altresi dalle opere di coltiva- zione e dalle opere di costruzione, essendo state proprio queste EROSIONE MARINA NELLA VALLE DEL PO 429 località preferite per i centri di abitazione, siccome elevate sul piano delle valli e dominanti. Queste traccie non si scorgono che sulle vette più elevate, ora isolate dalla erosione torrenziale; però esse si potrebbero ancora teoricamente collegare in linee, che hanno una direzione che non ha nulla a che fare colla direzione dei corsi attuali. S!» Fig. 3. — Linee di spiaggia delle marne elveziane di M. Vallassa. Esse si osservano specialmente rivolte da quella parte ove di- nanzi l’orizzonte spazia libero, segno evidente ad un’azione unila- terale come a quella di un mare che batteva quelle trapassate coste. I sottoscavi profondi, i solchi orizzontali profondamente incisi e ripetentesi a vari livelli sopra una scarpata verticale o strapiombante ed in nessun rapporto con la stratificazione, i pozzi profondi e ciechi, verticali od obliqui, la roccia o i ciottoli superficiali qua e là traforati dai litodomi, sono indizi più che sufficienti per far escludere l’idea che possa trattarsi di scarpate di erosione fluviale o di accidentalità della degradazione me- teorica e per farle ritenere invece di esclusiva azione marina. Questi relitti del mare si potranno osservare ancora ben conservati specialmente sulle marne elveziane. del Monte Val- lassa fig. 3; sulle marne messiniane di Godiasco e sui conglo- 430 G. CAPEDER merati pliocenici di Mondondone, della chiesa di Montù e di Rocca Susella fìg. 1, 2. Fra queste località ricorderò le più interessanti del Monte Vai- lassa, di Rocca Susella e della chiesa di Montù. Quasi sulla vetta del Monte \ al lassa esiste una grotta detta di S. Ponzo, o piuttosto esiste una ripa verticale nella quale si vedono più serie di profondi sottoscavi sovrapposti a più livelli, uno dei quali è così grande da potere dar riparo o sostegno ad una chiesetta. Chiunque visiti il luogo, non avrà dubbio di scor- gere quivi evidentissime le traccie dell’erosione marina in quegli antri ciechi, le cui vòlte non sono formate che da sottili lembi orizzontali di roccia, largamente protesi, e di ciò si renderà vieppiù convinto se, arrampicandosi sulla roccia, penetrerà in qualcuno di quegli antri, ove le pareti lisciate e lavorate a curve ogivali, Finclinazione del suolo traforato e crivellato e l’an- gustia delle pareti verso il fondo che poi si perdono in stretti canali inaccessibili e ciechi che sembrano penetrare ben oltre, anch’essi torniti e ben levigati, non gli lascieranno più dubbi circa l’interpretazione di quei fenomeni di erosione. Anche importante è il lato sud del Monte Vallassa dalla parte di Coriola e di Stimigliano, ove alla antica azione mecca- nica del mare si e sommata maggiormente la degradazione meteorica, ma ove anche in alcuni luoghi, sono rimaste più im- ponenti e splendide le ripe lavorate nell’insieme in enormi ter- razzi e minutamente solcate da tutte le accidentalità di una vera costa rocciosa fig. 3. Fra di esse voglio far rilevare come più caratteristica, quella struttura dei sottoscavi a vòlta lunga- mente protesa che termina all 'innanzi con sentita curva rien- trante così da originare quasi un dente di roccia sporgente e rivolto in basso verso il sottoscavo e che è proprio soltanto del- l’erosione dovuta all’onda di rimbalzo. Più interessante, per le deduzioni che se ne possono trarre, è la rocca di Susella, ripa unica ma grandiosa, che si protende da Susella a Rocca Susella interessando il Monte Migrerà di ben 549 m., che ne viene così dal suo lato S-E, tagliato bru- scamente a picco da una ripa, la quale in alcuni punti è ben potente di un centinaio di metri. ? EROSIONE MARINA NELLA VALLE DEL PO 431 Gli autori di Geologia Pavese (‘) attribuiscono al pliocene, la roccia di Rocca Susella, così come quella di Mondondone e della chiesa di Montù, ove si osservano gli stessi fenomeni ed ove essa roccia ha la precisa, identica facies. Si tratta di con- glomerati grossolani interstratificati con sabbie qua e là più solidamente cementate, fossilifere alla chiesa di Montù. Le azioni meteoriche provocando la superficiale decalcificazione del ce- mento calcareo produssero e producono ampia rovina su quelle vetuste traccie marine, ed in più luoghi non scorgesi che l’uni- forme parete a picco; però le profonde incisioni son rimaste ancora intatte e quelle sole bastano per darci ampia idea delle passate vicende. Alla chiesa di Montù, costruita sulla vetta dell’omonimo colle, si osservano traccie di erosione più minute e ben con- servate, perchè il conglomerato è quivi di una straordinaria compattezza. [ms. pres. PII agosto 1908 - ult. bozze 28 novembre 1908]. (') Così il prof. Tarameli! ed il prof. Parona, nelle opere già citate, pag. 8 e 61. Il prof. Sacco invece, ritiene i conglomerati di Nazzano, Monbrizzone, Rocca Susella e Mondondone di età messiniana, ma sog- giunge poi, esser quivi molto difficile distinguere il messiniano dal pia- cenziano, passandovi insensibilmente. I depositi di Casteggio li ascrive all’Astiano riconoscendo che i fossili hanno facies più antica. Secondo me s’impone un accurato studio, per la determinazione della età un poco dubbia per PAppennino Pavese, dei conglomerati pliocenici e dei depo- siti fossiliferi di Casteggio. RINVENIMENTI DI DENTI FOSSILI DI ELEFANTI IN ALCUNE LOCALITÀ NUOVE, 0 INTERESSANTI PER LA PROVINCIA DI ROMA Comunicazione del prof. Romolo Meli Comunico alla Società di aver rinvenuto nelle alluvioni della valle dell’Amaseno sotto Piperno nei Monti Pontini, un fram- mento di dente molare fossile spettante ad un elefante. È la parte anteriore di un molare, probabilmente superiore, di Eie- plias antiquus Pale. Come campione di dente elefantino, l’esem- plare non ha pregio, ma ha molto valore per la località, ove fu rinvenuto. Nei monti della catena littorale Pontina finora non si aveva alcuna notizia di ritrovamenti di elefanti fossili. Si conoscevano soltanto i pochi resti di mammiferi fossili, per la maggior parte denti, trovati nella Cava della Catena alla base del monte S. An- gelo a Terracina, i quali sono indicati nella mia memoria « So- pra alcuni resti fossili di mammiferi rinvenuti alla cava della Catena presso Terracina » stampata nel Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. XIII, 1894, fase. 2, pag. 183-190. Il ritrovamento ha quindi importanza soltanto per constatare la presenza delFelefante predetto nella catena Pontina e, più precisamente, nella valle dell’Amaseno. Un magnifico molare, superiore, sinistro di Elephas meri- dionalis Nesti fu rinvenuto nelle sabbie quarzose giallognole supe- riori, dei monti della Magliana sulla destra del Tevere, a valle di Roma. Come è noto, queste sabbie, intercalate a ghiaie, sprov- viste di minerali vulcanici, visibili macroscopicamente, ma con rari ciottoli di trachi-andesite, sarebbero da riferirsi alla parte più alta del pliocene e furono argomento di parecchie pubblica- zioni eseguite da Ponzi, Clerici, Verri, Tuccimei, ecc. DENTI FOSSILI DI ELEFANTI 433 Il Tnccimei le riferisce al Villafranchiano. Clerici le segna nel preglaciale. In ogni modo tutti convengono nel ritenerle anteriori alle ghiaie alluvionali, che trovansi addossate a roccie più antiche sui fianchi e nel fondo delle valli del Tevere, del- 1 Aniene e degli altri corsi d’acqua secondari. Tali ghiaie allu- vionali, ricchissime di minerali e di frammenti di roccie vulca- niche leucitiche, logorati per fluitazione, contengono ossa e denti di mammiferi fossili, ma isolati, logorati e consumati a causa del trasporto eseguito per fluitazione. I resti fossili di mammi- feri nelle sabbie quarzose giallognole e nelle ghiaie senza abbon- danti materiali vulcanici (augite, biotite, leucite, magnetite, ecc.), visibili ad occhio, sono invece molto più rari, ed in generale sono meglio mantenuti. Il dente della Magliana è molto ben conservato; presenta traccia delle sabbie giallastre, che aderiscono come ganga in alcuni punti del dente e che dimostrano che in queste venne scavato. È in parte incassato nell’osso mascellare, il quale pre- senta una porzione della volta palatina e le cavità aeree del diploe, le quali, come si sa, vanno poi a comunicare con le fosse nasali. Il dente è rimarchevole per le sue dimensioni e special- mente per la sua altezza. Misura in lunghezza, sulla faccia triturante, mm. 195, con una larghezza massima nella terza parte anteriore di mm. 90 ed una altezza di ben 27 centimetri. Il dente ha dimensioni alquanto maggiori dell’altro bel molare superiore di Mephas antiquus Pale, rinvenuto nei tufi vulcanici di Grotte S. Stefano, che trovasi nelle collezioni del R. Comitato Geologico, e che fu recentemente figurato dal Clerici negli Appunti per una escursione geologica a Viterbo in occa- sione della Riunione della Società Geologica Italiana, nel set- tembre 1908. (Boll. d. Soc. Geol. It., voi. XXVII, 1908, fase. Ili, pag. 333, fig. H), pubblicazione teste distribuita ai Soci. È uno dei più grandi e belli molari d’elefante, fossili nei dintorni di Roma, che io abbia fin qui veduto. Lo acquistai per il Gabi- netto di Geologia della R. Scuola di Applicazione per gli inge- gneri di Roma. Dalle cave di ghiaia della Magliana venne, parecchi anni fa, estratto un osso mandibolare sinistro, mancante della branca 30 434 R. MELI ascendente, con un bel molare in posto parimenti di Elephas meridìonalis Nesti, che vidi conservato presso il sig. Decio Cortesi in Roma. Un altro bel molare di Eleplias antiquus Falc., completo, ma rotto in più pezzi, rimarchevole per la sua grandezza, fu scavato nel giugno dello scorso anno 1907, a 1 km. circa e a valle di Corneto-Tarquinia, presso la sponda sinistra del fiume Marta, nella località Tre Filari, in un taglio eseguito per la correzione dell’Aurelia Etnisca nella scesa verso il fiume Marta. Insieme al molare si trovò anche una zanna elefantina, che fu estratta in pezzi, perchè calcinata. Visitai il luogo del rinve- nimento, e ne rilevai la sezione, accompagnato dall’ingegnere Adriano Prò, già allievo della Regia Scuola di Applicazione di Roma, il quale inviò in dono al Gabinetto di Geologia della Scuola suddetta i resti fossili predetti. Questi erano racchiusi in uno strato della potenza di m. 0,70 di ghiaia mista a sabbia con abbondanti materiali vulcanici (augiti in cristalli macrosco- pici, abbondantissimi, magnetite, leucite più o meno conser- vata, ecc.) ed a conchiglie logorate (Pectunculus violacescens, Cardium Lqmarckii, Vola Jcicobaea,) indicante un deposito di spiaggia, che oggi trovasi elevato di circa 40 metri sul letto del vicino fiume Marta. I denti fossili elefantini sopra accennati meriterebbero di essere descritti e figurati. Ciò mi propongo di fare se il tempo e la lena non verranno a mancarmi. Per ora, ho dato la sem- plice comunicazione del ritrovamento, affinchè non ne vada per- duta la notizia. [ms. pres. 22 settembre 1908 - alt. bozze 25 novembre 1908] ECHINI MIOCENICI DI MALTA ESISTENTI NEL MUSEO DI GEOLOGIA DI FIRENZE Memoria del dott. Giuseppe Stefanini (Tav. XVII) Tra le località fossilifere del miocene, Malta è certamente ima di quelle, che furono prima conosciute e che godono mag- giore celebrità per la loro ricchezza di petrefatti e per la con- servazione, spesso sorprendente, di questi. Tra essi abbondano gli echini, alcuni dei quali furono figu- rati già dallo Scilla verso la metà del sec. XVIII. In seguito, fra i molti che illustrarono anche fossili di questa, provenienza, citerò il Klein, il Parkinson, il Leske, il Lamarck, il Michelin, l’Agassiz, il Desor, ecc. La prima monografia speciale moderna è del 1855, ed appartiene al Wright, che ad essa ne fece suc- cedere una seconda nove anni più tardi. Queste e le altre opere più specialmente importanti si trovano indicate con precisione nel corso del lavoro. Nel 1891 il Gregory pubblicava una accurata revisione dei materiali precedenti: le specie da lui determinate ed esaminate direttamente ammontano a 46: a queste però sono aggiunte altre 8, citate da diversi autori, ma non ritrovate dal Gregory, che le indica in una specie di appendice. Questo studio fatto, in complesso, con cura, ebbe il merito di risolvere varie que- stioni paleontologiche; ma varie altre rimasero, per verità, in- solute, ed altre ancora sono state sollevate in seguito. Nei 17 anni che sono da allora trascorsi, lo studio degli echini miocenici, particolarmente del bacino mediterraneo e sue adiacenze, ha fatto notevolissimi progressi. La monografia sugli echini di Algeria, pubblicata dal Pomel nel 1887, si può in realtà considerar come posteriore, poiché pare certo che non 436 G. STEFANINI fosse conosciuta in tempo dal Gregory. Altrettanto deve dirsi dell’altra monografia sullo stesso argomento, di Cotteau, Peron et Gauthier, della quale i fascicoli relativi al miocene uscirono appunto nel 1891. Degli echini di Egitto — oggi noti per le opere specialmente del Gauthier e del Fourteau — non se ne co- noscevano 'allora che pochi, descritti dal Fuchs e da altri; quelli di Spagna e di Portogallo erano pressoché ignoti, così pure quelli, belli e copiosi di Sardegna, indicati solo brevemente nel lavoro di La Marmora e Meneghini. Alla conoscenza di queste importanti località quasi nuove hanno molto contribuito, oltre ai già citati, anche altri echino- logi rinomati, quali il Cotteau, il De Loriol e più recentemente il Lambert, che continua ancora oggi alacremente il suo lavoro, effettuando di frequente — quasi per incidens — variazioni e cambiamenti di sinonimia anche in specie pertinenti a faune, da lui non studiate direttamente, come ad es. a quella di Malta. Gli echini di questa località, adunque, sono oggi passibili di non poche osservazioni e modificazioni, specialmente per quanto riguarda le attribuzioni generiche. Tutto ciò io andava pensando nel quotidiano e diuturno confronto con le specie maltesi, reso necessario da un mio lungo studio sulla ricchissima fauna echinologica dell’Emilia, e soprat- tutto in appresso, quando, terminato questo, mi accinsi a deter- minare — per esporla in Museo — una piccola ma bella col- lezione di echini di Malta. Così nacque in me l’idea di com- piere questa revisione, che serva a porre in migliore accordo con le odierne vedute le nostre cognizioni sull’argomento. Gli echini descritti o semplicemente indicati in questo lavoro sono in generale molto ben conservati, ma poco copiosi, sia pel numero delle specie, sia per quello degl’individui; essi sembrano provenire dai diversi piani del miocene maltese. Malaugurata- mente i raccoglitori non hanno mai indicato gli strati nè la località precisa di ritrovamento. Qualche cosa, senza dubbio, si potrebbe argomentare dalla roccia, nella quale si trovano fos- silizzati, dal colore, dallo stato di conservazione, ecc. A questi criteri, troppo incerti e fallaci, ho creduto bene di rinunziare, pur non trascurando, quando l’ho ritenuto opportuno, di dare le analoghe indicazioni. Il miocene maltese è, anche stratigrafica- ECHINI MIOCENICI DI MALTA 437 mente, così ben noto, che i nostri fossili, non raccolti diretta- mente, ben poca ed incerta luce avrebbero potuto aggiungere alle nostre conoscenze in proposito. Queste collezioni furono infatti raccolte da varii, in tempi molto diversi. Una parte dei nostri echini appartiene da molti e molti anni al Museo, e porta l’indicazione di « Antica Colle- zione Targioni ». Altri furono donati nel 1864 dal Sig. H. B. Medlicott (Q, altri ancora furono acquistati dall’Istituto nel 1875, ed appartenevano alla Collezione Pecchioli, altri finalmente fu- rono raccolti più recentemente dal Prof. Boster, e da lui donati al Museo. Queste provenienze ho tenuto sempre distinte nel descrivere o indicare gli echini stessi. Il mio compito è stato alquanto facilitato dall’esame — cor- tesemente permessomi dal Prof. Canavari — di alcuni esemplari di Malta, conservati nel Museo di Pisa e corrispondenti quasi tutti a specie esistenti anche a Firenze. Prima di chiudere il presente cenno di prefazione, mi sia lecito esprimere qui la più viva riconoscenza anche verso il mio maestro, Prof. C. De Stefani, che ha voluto porre a mia di- sposizione queste collezioni e copiosi mezzi bibliografici di studio, nonché verso il Prof. D. Rosa, che mi ha pure aperto cortese- mente il suo Gabinetto di Zoologia degli Invertebrati ; ciò che mi è stato utilissimo per il confronto, che i paleontologi non dovrebbero mai trascurare, con le forme attualmente viventi. 0 Trattasi qui del chiaro geologo inglese H. B. Medlicott, che fu per vari anni presidente della Geological Survey of India. 438 G. STEFANINI ì DESCRIZIONE DELLE SPECIE 1. Dorocidaris melitensis (Forbes in Wright). (Tav. XVII, fig. 1). 1855. Cidaris melitensis (pars) Wright, Foss. echinod. Malta (Ann. Mag. Nat. Hist., XV) pag. 107, tav. IV, fig. 1. 1891. Cidaris melitensis Gregory, On thè Maltese foss echin. (Trans, r. Soc. Edinb., XXXVI, III) pag. 586. 1901. Cidaris melitensis Airaghi, Echin. terz. Fieni, e Lig. (Paleontogr. i tal., VII) pag. 165, tav. I, fig. 67. La sinonimia di questa specie fu data dal Gregory, e ad essa mi riferisco, notando però che la specie deH’Emilia, dal Manzoni (*) e dal Mazzetti (2) considerata come C. melitensis è ben diversa dal tipo di Malta e deve esser tolta dalla sino- nimia. Essa ha i mamelloni dei tubercoli principali non perfo- rati, come i Tylocidaris della Creta, ed io le ho dato appunto in un mio lavoro di prossima pubblicazione, il nome di T. Sca- rabellii. Con questo stesso nome specifico il Nelli (3) ha di recente descritto alcuni buoni esemplari della medesima specie, prove- nienti dai calcari a briozoi di S. Marino. La figura che del C. melitensis ci dette il Wright è assai inesatta, come risulta anche da un semplice confronto con la descrizione e soprattutto come appare dal confronto da me fatto con un bellissimo esemplare di Malta, conservato in questo Museo. Quella figura appunto ha indotto in errore il Lambert (4), il quale, in base ad essa, crede di trovar delle differenze fra (') Manzoni, Echinod. foss. mol. serpent. (Denkschr. k. Ak. Wiss. Wien, XLII) 1880, pag. 4. (2) Mazzetti, Cenno int. ai foss. di Montese (Ann. Soc. Naturai. Modena, VI) 1872, pag. 11, fig. 16. (3) Nelli, Il miocene del Monte Titano (Boll. Soc. Geol. It., XXVI) 1907, pag. 254, tav. X, fig. 4, 5. (4) Lambert, Descript, des e'chin. des env. de Barcellone, parte I e II (Mèm. Soc. Géol. de France, Paleont., XIV) 1905, pag. 66, nota I; v. anche Lambert, Descript, e'chin. foss. terr. viioc. de la Sardaigne (Mém. Soc. Pai. Suisse, XXXIV) 1907, pag. 15. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 439 il C. meìitensis Airaghi del miocene piemontese e il tipo della specie. Da un lato l’Airaghi descrive nel suo echino 6 file di granuli neH’ambuIacro — includendovi a quanto pare le due file di rilievi inframmezzate ai pori — mentre il Lambert, basan- dosi sulla fotografia, dice che esso ne ha quattro sole; dall’altro il Wright, nella descrizione del tipo, menziona quattro sole file di tubercoli ambulacrali, senza far cenno delle due file di rilievi trasversali, che separano i pori, mentre il Lambert, basandosi al solito sulla figura — poco esatta — del Wright, accenna a 6 file di tubercoli interporiferi. Ora daH’esarae del campione su mentovato ho potuto rile- vare con tutta sicurezza, che le zone ambulacrali del C. Meli- tensis hanno, nelle zone interporifere, quattro file di granuli, separati da un largo spazio mediano nudo e depresso, più due file, — una di qua, una di là — di rilievi trasversali sepa- ranti i pori. Delle quattro file interporifere le due esterne sono più sviluppate delle interne; i tubercoli delle file interne sono più piccoli e alternano con gli altri. Del resto il Cotteau (x) negli esemplari delle Antille da lui attribuiti a questa specie ha rilevato una certa variabilità a questo riguardo, avendosene alcuni nei quali, presso l’ambito, alle 4 file di tubercoli se ne aggiungono altre due. La larghezza degli ambulacri poi non si può ben rilevare dall’esemplare piemontese, essendo essi rotti longitudinalmente lungo la linea mediana. Non sembra dunque il caso di pensare a creare specie nuove per il tipo di Piemonte, che per la cortesia del Prof. Parona ho potuto esaminare nel Museo di Torino, e che ho trovato in- fatti del tutto corrispondente a quello di Malta. In tale esame mi sono accorto che all’echino stesso sono rimasti aderenti nella fossilizzazione un frammento di radiolo e parecchie di quelle squamette radiolari che si articolano sui granuli e tubercoli secondari. Queste appariscono un poco allungate, presso a poco rettangolari, ma con gli angoli distali smussati, e finemente striate in senso longitudinale. Di esse, quelle dei granuli scrobicolari differiscono da quelle ambula- (0 Cotteau, JDescr. écliin. tert. 8 * Barth. et Anguille (K. Svensk. Vetensk. Ak. Handl. XIII, 6) 1875, pag. 8, tav. I, fig. 1-10. 440 G. STEFANINI crali per essere un poco più larghe e corte. Del radiolo non si conserva che la metà inferiore: è costituito da fusto cilin- drico, sottile, con capo articolare grosso, anello rilevato, spazio nudo assai esteso, e con piccoli denti ben distinti e radi, di- sposti in serie longitudinali pure rade. Si sa che i radioli attri- buiti a questa specie dal Cotteau e provenienti dalle Antille sono assai diversi, avendo bottone articolare poco sviluppato, parte superiore del fusto nudo, parte inferiore ornata di gra- nuli emisferici fìtti e in serie assai ravvicinate. Non so se dif- ferenze così spiccate possano rientrare nei limiti, pure molto larghi, tra i quali variano i radioli di differenti parti del guscio di una stessa specie: comunque, però, prima di effettuare qua- lunque cambiamento, bisognerebbe esser sicuri che i radioli delle Antille sono stati trovati attaccati al guscio e non attribuiti semplicemente ad esso. L’esistenza di una distinta depressione suturale mediana net- tamente incisa, negl’interambulacri, la quale pure non appa- risce dalla figura del Wright, ma risulta dalla sua descrizione, come pure dalla descrizione e dalle figure del Cotteau, e del- l’Airaghi e dall’esame dell’esemplare che ho studiato e fotogra- fato, dimostra come questa specie appartiene al gen. Dorocidaris. Essa si distingue dalla D. pap illata (non Leske) Manzoni ('), che verrà nuovamente illustrata nel già indicato mio studio sugli echini emiliani, col come di D. Mazzetta, per la statura minore, per le placche ambulacrali più basse, zona ambula- crale media nuda e depressa, tubercoli delle file interne degli ambulacri assai diversi da quelli delle file esterne, etc. L’esemplare in esame fu raccolto a Malta dal prof. Roster: La specie è segnalata nei piani più elevati ( Up. Corali. Lime- stone). Si trova inoltre nel miocene medio piemontese e sarebbe indicato nel miocene delle Indie Occidentali e in Grecia. (*) (*) Manzoni, JEchin. foss. Schlier coll. Bologna (Denkschr. k. k. Ak. d. Wissensch. Wien, XXXIX) 1878, pag. 5, tav. Ili, fig. 25, 26. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 441 2. Schizecliinus Duciei (Wright). (Tav. XVII, fi g. 2). 185B. Echinus duciei Wright, Foss. echinod. Malta (l. c.J, pag. 109, tav. IV, fig. 2 a-f. 1891. Echinus duciei Gregory, On thè maltese, ecc. (I. c), pag. B90, tav. I, fig. 6 (cum syn.). Come già ebbe a notare il Gauthier ('), il Gregory non ac- cetta la suddivisione, proposta da Agassiz e Desor, del gen. Echi- nus; mantiene dunque questo nome alla specie in parola, quan- tunque già dal 1856 il Desor (5) le avesse applicato quello di Psammechinus. La quale ultima denominazione è conservata invece dagli autori successivi, come, per es., dal Cotteau (3). Recentemente però il sig. Lambert (4) ristabiliva il gen. Schizecliinus Pom., cui dava per tipo lo S. serialis Pom. (sub Anapesus) del pliocene algerino, ritenendo doversi distinguere dagli Psammechinus Agass. per avere intagli branchiali assai sentiti e profondi, dagli Anapesus Holm. — coi quali fu riu- nito dal Pomel stesso nel 1883 (5) per la mancanza di spazi nudi nelle zone interambulacrali medie. In questo lavoro il Pomel cita fra gli Anapesus del tipo degli Schizecliinus VE. du- ciei e il Lambert (6) mostra di ritenere fondamentalmente giusta una tale considerazione, sebbene nello stesso lavoro, poche pa- gine innanzi, lo nomini incidentalmente come Psammechinus. Tra la figura di Gregory e la descrizione e figure di Wright il Lambert crede rilevare una certa contradizione. Le differenze (') Gauthier, in Ann. Geol. L'niv., Vili, 4, 1891, Paris, 1892-93, p. 808. (?) Desor, Synopsis des e'chin. Paris, 1857, pag. 121. (3) Cotteau, Echin. mioc. de la Sardaigne (Mém. Soc. Géol. France, Paléont., V) 1895, pag. 11. (*) Lambert, Echin. mioc. Bare. (I. c.), pag. 66 e 67. (5) Pomel, Classific. méthod. et Genera des echin. viv. et foss. Alger, 1883, pag. 80. Come, prima del Lambert, osservò anche Oppenheim (Bevision tert. echin. Venet. und Trentino. Zeitschr. d. d. Geol. Gescllsch. 54, 1902, pag. 183) il Pomel incluse a torto nel gen. Anapesus, questi echini, che non ne presentano i caratteri. (6) Lambert, Ibid., pag. 74 e 71. 442 G. STEFANINI si spiegano invece considerando che il numero e la disposizione dei tubercoli variano nelle diverse regioni del guscio. Presso l’apice — che ha la placca madreporica molto più grande delle altre basali e le radiali tutte escluse dal contatto col periprocto, eccetto forse la posteriore destra — ciascuna placca interambu- lacrale ha un tubercolo principale solo, circondato da granuli. Dopo le prime 4-5 placche comincia a mostrarsi un tubercolo secondario assai più piccolo, posto fra il primo e la parte me- diana dell’anambulacro: i tubercoli di questa seconda fila verticale crescono più rapidamente degli altri, e verso l’ambito li ugua- gliano, presso a poco, in statura. Intanto però si è venuto for- mando, a cominciare pure circa dalla 4a placca, una terza fila verticale esterna, con tubercoli pure gradatamente crescenti, ma non uno per placca, sì bene in numero e posizioni corrispon- denti alle concavità degli archi di pori cui sono contigui: quindi qua e là, si osserva qualche placca, avente due tubercoli secon- darii della fila esterna. Quando, verso l’ambito, anche essi hanno quasi raggiunto le dimensioni dei tubercoli principali, si osservano alcune placche, che presentano l’aspetto di quella disegnata dal Gregory, con tre tubercoli grandetti e subeguali, circondati da granuli sparsi in corone alquanto confuse. Ma proseguendo ancora verso il peristoma, si vede tosto originarsi una quarta fila mediana di tubercoli. In questa regione si osservano alcune placche, corri- spondenti a quelle figurate dal Wright, con cinque tubercoli; ma le placche recanti due tubercoli della stessa fila longitudi- nale (esterna) non sono mai due contigue, come apparirebbe invece dalla figura stessa. Questo stretto rapporto numerico cor- rente tra il numero degli archi ambulacrali e il numero dei tubercoli interambulacrali secondarii della fila esterna disturba anzi alquanto la regolarità delle serie trasversali, poiché in quelle placche, dove la fila longitudinale esterna è rappresentata da un solo tubercolo, questo può non essere in serie con gli altri, ma leggermente spostato in alto e in basso, a seconda della posizione dell’arco ambulacrale, da cui esso dipende: in quelle poi dove se ne hanno due, la regolarità delle serie trasversali è anche minore. Una tale disposizione si osserva, riprodotta presso a poco anche in certe figure del Pomel, rappresentanti ECHINI MIOCENICI DI MALTA 443 altre specie, da lui attribuite, a torto, come dicemmo, ad Anapesus (1). La disposizione dei tubercoli negli ambulacri è nota, e non vi insisto. Dirò solo che le file interne sono assai irregolari. Le placche ambulaceli sono tutte uguali e tutte portano tuber- coli principali, a differenza di quanto sembra succedere nello S. Mortenseni Lamb. (!). Veramente, anche a detta del Lambert stesso, la disugua- glianza delle placche ambulaceli sarebbe, insieme alla maggior profondità degli intagli branchiali, il carattere differenziale essen- ziale di Schizechinus rispetto a Toxopneustes : ora, non so come il Lambert concilii ciò, con l’attribuzione generica della sua specie. Lo S. Duciei è citato dagli autori negli strati superiori di Malta ( Up. Corali. Limest.). L’esemplare da me studiato appar- tiene alla collezione Medlicott. Altrove, si trova in Calabria e in Austria (tortoniano). 3. Psammechinus cfr. tongrianus (Gregory). 1891. Echinus tongrianus Gregory, On tlie Maltese, ecc. (Z. c.), pag. 591, tav. I, tig. 7. Di questa specie ho potuto esaminare diversi piccoli esem- plari, rappresentati da modelli interni, e per ciò neppure tali, da permettere una identificazione sicura. Il peristoma vi appa- risce molto ampio, oltrepassante in diametro la metà del dia- metro del guscio. Gl’intagli branchiali non sono visibili nei modelli. Questa, cattiva conservazione fa sì che io non possa recare alcuna luce, relativamente ad una osservazione fatta incidentalmente dal Lambert (3), che dice ritenere questa specie non appartenga al gen. Psammechinus, senza aggiungere però a quale altro lo ascriverebbe. (*) (*) Vedi, p. es., A. saheliensìs, A. tubercolatus, ecc.; Pomel, Echinod. foss. de l’Alge'rie, Alger, 1887, tav. C III, ecc. (2) Lambert, Echin. mioc. Bare., II-III (Z. c ), pag. 73, tav. V, tig. 9. (3) Lambert, Echin. mioc. Bare. II-III (Z. c.), pag. 75. Nel suo lavoro sulla Sardegna già citato, il Lambert afferma, al contrario, (pag. 33 e 35) che VE. tongrianus è un vero Psammechinus. 444 G. STEFANINI Secondo il Gregory lo P. tongrianus si trova nei piani più bassi del miocene di Malta (Lo io. Corali. Limest.). Sembra sia esclusivamente noto in questa località. Gli esemplari studiati appartengono all’antica collezione Targioni. 4. Clypeaster marginatus Lamk. 1816. Clypeaster marginatus Lamarck, Anim. sans vert., Ili, pag. 14. 1886. Clypeaster tarbellianus Grateloup, Mém. de ge'o-zool. sur les ours foss. (A et. Soc. Linn. Bordeaux, Vili), pag. 142, tav. I, tig. 5, 6. 1861. Clypeaster marginatus Michelin, Monogr. Clyp. foss. (Mèra. Soc., Géol. Fr., VII), pag. 130, tav. XIX, tig. 1. 1891. Clypeaster marginatus Gregory, On thè maltese, ecc. (Z. e.), pag. 596. 1906. Clypeaster marginatus Lambert, Etucle sur les échin. de la Mol. de Vence (Ann. Soc. Lettr. Se. Arts. Alpes. Mar. XX), pag. 13. Questa specie è ben caratterizzata dalla sua forma piatta, con petali poco estesi, larghi, rigonfi, quasi chiusi, con zone porifere sottili, ecc. J1 Gregory ne riporta per disteso la sino- nimia, ma, come giustamente osservava il Lambert, è molto pro- babile che nella sinonimia dei Clypeaster molti cambiamenti debbano esser fatti. Non possiamo che augurarci, che un’ampia revisione di questo genere venga presto compiuta, come egli ci promette. La specie è citata per Malta da tutti gli autori, e sembra vi sia comune nei piani medi del miocene ( Greensand ). Si trova anche in Francia (Landes). Gli individui indicati con questo nome in Calabria e in Portogallo apparterrebbero, secondo il Lambert, al C. tenuipetalus Seg. Collezione Medlicott. 5. Clypeaster latirostris Agass. 1891. Clypeaster latirostris Gregory, On thè Maltese, ecc. (Z. c.), pag. 628. 1906. Clypeaster latirostris var. ventiensis Lambert, Ét. echin. mol. Vence (Z. c.), pag. 10, tav. IV, tig. 1-3; tav. V, tig. 1-2. Il Lambert ha recentemente elucidato i rapporti tra questa ed altre specie affini, distinguendo in essa parecchie varietà. Il bellissimo esemplare di Malta che ho in esame, con la sua ECHINI MIOCENICI DI MALTA 445 forma pentagonale, i petali larghi e molto aperti, con zone pori- fere sottili, si avvicina specialmente alla var. ventiensis figu- rata dal Lambert. Non manca, per verità, qualche differenza, come la sinuosità del contorno alquanto minore e la elevazione del guscio, al contrario, un pochettino maggiore; ma mi sembra che tali variazioni possano rientrare nei limiti di quelle segna- late già dal medesimo Lambert (*). Alcuni caratteri, quali il profilo e l’elevazione del guscio e il suo contorno pentagonale leggermente sinuoso, sembrerebbero ravvicinare assai l’esemplare in esame al Cl. altus Lamk, quale almeno è figurato dal Miche- lin (2). Faccio questa distinzione, perchè sebbene il Lambert con- sideri il Cl. altus dell’elveziano di Malta e d’Italia come diverso, per i suoi margini ingrossati, dal Cl. campanulatus Schloth. del miocene medio di Corsica e di Baden, pure sta il fatto, che non tutte le figure da lui citate in sinonimia di quella specie corrispon- dono al carattere indicato. E mentre le figure di Airaghi (3) (mio- cene medio dei colli torinesi), di De Loriol (4) (miocene medio Por- toghese), e di Seguenza (5) (miocene medio di Calabria), mostrano in realtà orli rigonfi, la figura di Micbelin presenta invece orli assai assottigliati come il Cl. latirostris. Comunque il nostro esemplare si distingue anche da quest’ul- timo per i petali più aperti, per il periprocto più ampio, per le zone porifere alquanto più sottili. La specie è citata dal Wright per gli strati inferiori del miocene maltese {Loto. Limest.). Si trova anche in Pro- venza. 0) L. c. in sin., pag. 16. (2) Michelin, Monogr. Clypeastres foss. (7. e.), pag. 122, tav. XXV. (3) Airaghi, Echin. terz. Pievi, e Liguria (Paleontogr. italica, VII), 1901, pag. 182, tav. Ili, fig. 1. (4) De Loriol, Ecliin. tert. Portugal (Direct, trav. géol. Portug.), 1896, pag. 24, tav. X, fig. 1. (5) Seguenza, Formaz. terz. di Reggio Calabria (Mem. R. Acc. Lincei, CCLXXVII), 1879, pag. 87, tav. Vili, fig. 17. 446 G. STEFANINI 6. Clypeaster altus (Leske). 1861. Clypeaster pyramidalis Michelin, Monogr. Clyp. foss. (7. e.), pag. 124, tav. XXVII, lig. a-c 1891. Clypeaster altus Gregory, On thè Maltese, ecc. (Z. c.), pag. 593, (curri syn.). Il grande guscio pentagonale di forma conica, elevata, ad orli non espansi, profilo anteriormente quasi rettilineo, posterior- mente alquanto inflesso e quasi caudato, i lunghi e larghi petali aperti, l’ampio e profondo peristoma, il periprocto trasversale caratterizzano assai bene l’antico Cl. pyramidalis (Risso). Ora questa specie, e con essa il Cl. alticostatus Michel., il Cl. turri- tus Agass., il Cl. portentosus Desm., il Cl. Agassisi Sism., sono considerati già da molto tempo come semplici varietà del Cl. altus e poste con essa in sinonimia dal Gregory, dall’Airaghi e da tanti altri. I miei esemplari hanno la sommità del guscio leggermente spostata indietro, rispetto all’apparato apicale, essendo il guscio un poco più basso in corrispondenza del petalo impari che nei pari posteriori. La specie delle Baleari, recentemente descritta dal 'Lambert come Cl. Malladai, ha con questa grandissima affinità; se ne distinguerebbe pel guscio più stretto, più rostrato, per gli ambulacri più corti, per i tubercoli un poco più fini e serrati. Degli esemplari studiati uno proviene da Gozzo, l’altro ha l’indicazione: isola di Malta. Appartengono alla collezione Medlicott. La specie è segnalata negli strati medii e superiori di Malta ( Greensand e Up. Cor. Limest.), ed è comune in molte località del miocene mediterraneo. 7. Clypeaster cfr. melitensis Michelin, 1867. (Tav. XVII, fig. 3). Un esemplare di mediocri dimensioni, circa 90 mm. di lun- ghezza, non troppo ben conservato, perchè superficialmente con- sunto e sbocconcellato agli orli, presenta dei caratteri che sem- brano poco comuni in questo genere. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 447 Il profilo è piuttosto basso, conico: i petali che occupano circa i due terzi della distanza fra l’apice e l’orlo, sono leggermente disuguali, per essere l’impari un pochetto più lungo degli altri. A differenza di quanto succede in altre specie, che sogliono avere petali di forma un poco spatolata, qui i petali sono quasi del tutto chiusi ed hanno forma lanceolata, restringendosi distal- mente in modo lento e graduale. La larghezza delle zone porifere supera di molto la metà della zona interporifera. Sulla faccia inferiore i tubercoli sono molto fitti e minuti. Gli accennati caratteri dei petali si riscontrano, come dimostra una figura di Michelin, nella sua specie; e ciò mi induce al confronto. Il tipo di questa specie sarebbe, secondo il suo autore, di Malta, ed è un modello interno; con esso il Michelin unì, non so se a ragione, un esemplare migliore del bacino di Vienna. Il Gregory, citando la specie in appendice, dice di non averne veduto alcun esemplare e affaccia il dubbio che il tipo provenga dall’Egitto invece che da Malta, ove non si troverebbero Cli- peastri così conservati. Se l’identità dell’esemplare da me illu- strato con quello di Michelin venisse confermata, la questione sarebbe senz’altro risoluta. L’esemplare del Museo fiorentino è superficialmente corroso, di color giallo. Appartiene alla collezione Pecchioli, e trovavasi indicato come C. cras.sicostatus. 8. Saltella melitensis Airaghi. 1902. Scutella melitensis Airaghi, Echinofauna oligo-mioc. della conca benacense (Bull. Soc. Geni. It. XXI) pag. 377, tav. XV, fig. 1. Li questa specie ho potuto studiare diversi esemplari bellis- simi, ed in tutto corrispondenti al tipo di Airaghi, da me esa- minato a Torino. Le Scutella di Malta hanno subito varie vicende, che gioverà riassumere brevemente. Tre esemplari di Scutella, provenienti da quell’isola, furono primamente illustrati dallo Scilla (’); le (') Scilla, De corporibus marinis lapidescentibus, Romae, 1747, tav. Vili, fig. 1-3. 448 G. STEFANINI sue figure mostrano però petali ampi e sembrano corrispondere poco alla specie che si trova nella collezione del Museo; Airaghi pone anch’esse in sinonimia, ma, credo, solo in base alla pro- venienza. Leske (*) figurò come Echinodiscus subrotundus un esemplare di Malta, aggregando ad esso, come tipi di quella specie, vari esemplari del Calcare ad Asterie, e di altre località in realtà diversi. Questa specie passò al genere Scutella per opera di Lamarck (2), che continuava a confondervi insieme diversi tipi, finche de Serres (3) cominciò a fare distinzioni tra i tipi inclusi in essa, separandone intanto uno, dei piani più bassi, con petali corti, da un altro dei piani superiori, di Leognan, con petali lunghi, e chiamò il primo S. striatida, al secondo conservò il nome di S. subrotunda, quantunque, l’echino di Malta, che per il primo era stato figurato con quest’ultimo nome, avesse in realtà i petali corti e si avvicinasse perciò maggiormente al tipo più antico che al più recente. Wright (4) nel suo primo lavoro indicò a Malta ambedue queste specie, nell’altro (5) accenna solo alla seconda. Il Gregory (fi) invece, riconoscendo che la specie di Malta ha i petali corti, la chiama S. striatala e accenna alla S. subrotunda solo in appendice, nella fede del Wright. L’Airaghi, possedendo un bell’esemplare di Scutella, proveniente da Malta, lo descrisse brevemente e lo figurò, notando che esso è diverso, sia dall’una sia dall’altra delle specie segnalate in quell’isola, ma non ponendo neppure in discussione che esso corrisponda agli esemplari maltesi illustrati dagli altri autori. Lealmente, la S. striatala si riconosce bene per la minore strut- tura, per le zone porifere più larghe, i petali un po’ più corti, la posizione marginale del periprocto; la S. subrotunda per i petali più lunghi, la forma dilatata non allungata del guscio, la posizione del periprocto; la S. propinqua poi ha forma dila- (!) Leske, Addit. ad Kleini IJispos. Echinoderm, 1778, pag. 206, tav. XI, VII, fig. 7. (2) Lamarck, Anim. sans vert. (I. c.), 1816. (3) Marc, de Serres, Géogn des terr. tert., Paris, 1829, pag. 156. (4) Wright, Foss. echinod. Malta (Z. c.), 1855, pag. 17 e 19. (5j Wright, Foss. echinidae Malta (Z. e.), 1864, pag. 479. (6) Gregory, On thè Maltese, ecc. (Z. c.) 1891, pag. 597 e 628. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 449 tata, rosetta ambulacele più grande, ecc. Oppenheim (’), quasi contemporaneamente, indica la specie di Malta come non ancora identificata esattamente ed emette la supposizione che possa trat- tarsi della S. subrotundaeformis Schaur, con la quale egli iden- tifica anche la Scutella di Schio. Ma questa specie ha forma dilatata, più larga che lunga e petali più grandi della S. meli - tensis. Sembra dunque che essa possa esser conservata, quan- tunque Lambert, che nel lavoro sugli echini di Vence (2) cita questa specie, nel suo recentissimo studio sugli echini di Sar- degna (3) la rigetti invece in sinonimia della S. subrotunda, volendo conservare al tipo maltese il nome di Lamarck e cam - biar nome, a quanto pare, alla specie di Provenza. Ora non sembra proprio necessario un tal cambiamento, bastando, per non contravvenire alle leggi di nomenclatura, che il nome sia conservato ad uno dei tipi in origine descritti sotto di esso. Del resto, questa questione è qui solo accennata incidentalmente, poiché a me sembra alquanto arbitrario il porre senz’altro in sinonimia con la S. melitensis tutte le Scutella indicate a Malta, come fa l’Airaghi. Quanto a quella figurata da Scilla, ho già detto come essa non vi corrisponda, se però la figura è esatta, ciò che è anche dubbio. Ma anche gli esemplari del Wright, non essendo stati figurati, non possono porsi in sinonimia, se non basandosi, come fa appunto l’Airaghi, sulla poca probabilità dell’esistenza di più specie diverse di Scutella negli strati di Malta. E ciò non sembra sufficiente, nè sembra sufficiente che le descrizioni degli autori, come dice l’Airaghi, corrispondano in parte ai caratteri della S. melitensis, per stabilire l’identità di questa con gli altri esemplari della stessa provenienza. Le figure (‘) Oppenheim, Ueber Ueberkipp. von Orso, das tert. Pretto und fauna der Schioschicht. (Zeitschr. d. d. Geol. Gesellsch. 55, 1 e 2), 1903, pag. 219 nota e pag. 220. (2) Lambert, Ét. eoli. mol. Vence (l. e.), pag. 6. (3) Lambert, Descr. écliin. foss. terr. mioc. de Sardaigne ( l . c.), pag. 44. 11 Lambert aveva già, dal 1902, espresso l’opinione che la S. strìatula di Malta fosse invece la S. subrotunda. Vedi a questo proposito: Berne de Paleozoologie par Cossman, voi. VI, n. 2, pag. 92. Nel lavoro sulla Sardegna ora citato egli ribadisce questo concetto (pag. 41). 31 450 G. STEFANINI di Scilla farebbero al contrario pensare all’esistenza di più specie ; di Scutella nel miocene maltese. Considerando tutto ciò, credo più prudente limitarmi ad affer- mare che i miei esemplari corrispondono benissimo a quello dall’Afraghi descritto come S. melitensis e diversificano dalle specie affini, lasciando impregiudicata la questione, se ad essa corrispondano gli altri esemplari di Malta, studiati dagli autori; questione che potrà essere sicuramente risoluta solo con l’esame diretto di questi esemplari. I campioni da me studiati appartengono alla collezione Tar- gioni, e sono fossilizzati in un calcare arenaceo, bianco o gial- lastro. 9. Echinolampas aequizonatus (Gregory). (Tav. XVII, fig. 4). 1891. Breynella eyuùonata (sic!) (') Gregory, On tlie maltese, eco. (I. c.). j pag. 602, tav. II, fig. 1. Con questo nome il Gregory descrisse un esemplare, che, come le figure stesse dimostrano, doveva essere rotto e defor- mato: onde i caratteri relativi alla forma e all’altezza del guscio ne risultarono notevolmente falsati. Un buon esemplare, posse- duto dal Museo di Firenze, corrispondente in tutto, fuorché negli indicati caratteri, alle figure e alla descrizione del Gregory, mi permette di far meglio conoscere questa specie. Guscio di piccole dimensioni, di forma subcilindrica, piut- tosto elevata, con la massima altezza un po’ indietro, rispetto all’apice ambuìacrale, orli rigonfi, faccia inferiore convessa, parte posteriore ristretta, subrostrata. L’apice, molto eccentrico, ha quattro fini pori genitali, i petali corti e disuguali hanno pori I coniugati, ellittici gli esterni, circolari gl’interni, le zone porifere sono assai disuguali nei petali pari. II peristoma, subcentrale, è trasverso, e posto in una stretta, j poco profonda depressione ; il periprocto è inframarginale trasverso. ; Il Gregory attribuiva la sua specie al gen. Breynella, nome da lui proposto, ma dagli autori non accettato, a sostituire il nome Echinantlms, che egli riteneva dovesse essere riserbato F) Correggo l’errore di ortografia nel quale é incorso il Gregory. : ECHINI MIOCENICI DI MALTA 451 ad un genere di Clipeastridi. Tralasciando questa questione da lungo tempo felicemente seppellita, per opera specialmente del Gautkier, sta il fatto, che la B. aequizonata non è un Echinanthus ; nessuna delle specie di questo genere, anche inteso nel suo senso più lato, ha periprocto inframarginale trasverso, come è quello della specie in parola. Il Lambert (’) ha recentemente passato in rivista i generi appartenenti al gruppo degli Echinanthus, e i loro caratteri. La B. aequizonata è quivi posta tra le specie d'incerta sede; ma ciò in rapporto specialmente alla poca cono- scenza che si aveva di alcuni caratteri, la quale si rivela nel quadro pubblicato dal Lambert, con diversi punti interrogativi a proposito appunto della posizione del periprocto e della forma del peristoma. Oggi, che questi dubbi sono chiariti, nonostante la forma del guscio, che rammenta quella di certe Milletia, la specie di Malta non può esser considerata altrimenti, che come un Echi- nolampas. Del resto ricorderemo, come fino dal tempo del Desor si distin- guessero in questo genere due tipi: uno, caratterizzato dalla forma subconica, l’altro dalla forma ovoide, subcilindrica del guscio. L’E. aequizonatus appartiene a quest’ultimo gruppo, e ram- menta alquanto da un lato certe specie eoceniche, come ad esempio VE. globulus Lbe, VE. Leymeriei Cott., o VE. ellipsoi- dalis d’Arch. ; dall’altro specie mioceniche, come VE. lycopersicus Duppy, delle Antille; tutte però specificamente ben distinte. Il Gregory attribuisce questa specie agli strati inferiori del miocene maltese ( Low . Corali. Limest.). L’esemplare in esame proviene da Malta (coll. Medlicott.). 10. Ecliinolampas angulatus Mériau. 1882. Ecliinolampas angulatus Loriol, Descr. échin. envir. Camerino. (Mem. Soe. Phys. H. N. Genève XXVIII), pag. 13, tav. II, tav. Ili, fig. 1, 2. 1891. Ecliinolampas Manzoni Gregory, On thè maltese, ecc., (Z. c.), pag. 606 {cum syn.). Appartiene a questa specie un echino di mediocri dimensioni, con guscio non molto conico, un poco dilatato e angoloso al 0) Lambert, Descr. echin. prov. Barcel., I-II (Z. c.), pag. 96 e segg. 452 G. STEFANINI terzo posteriore, rostrato, con faccia inferiore concava in mezzo, pulvinata, gibbosa in corrispondenza delle descritte angolosità, con apice mediocremente eccentrico in avanti, quattro pori ge- nitali, petali stretti, aperti, con zone porifere molto disuguali e pori coniugati. La specie, variabilissima, è stata descritta e figurata ampiamente dal De Loriol, in uno studio, che per oltre venti anni gli echinologi hanno continuato^ a lodare come mo- dello di precisione e di esattezza. Recentemente però il Lambert (') osservava, che gl’individui di Camerino descritti dal De Loriol, gli sembrano differire dal tipo della specie, per avere placche gibbose, tubercoli più piccoli e pori rotondi invece che ellittici. Quanto alla gibbosità delle placche non mi pare che sia un buon carattere specifico, anzi, la credo derivante, più che altro, da accidentalità di fossilizzazione, o da altre cause analoghe. Grazie alla cortesia del prof. G. Capellini, ho potuto vedere a Bologna i tipi italiani del De Loriol, e riscontrare come tale gibbosità sia variabile nei diversi esemplari: anche in numerosi campioni dell’Emilia, che si troveranno illustrati in un mio lavoro, in corso di pubblicazione, se ne osservano alcuni cosi conformati. Anche per ciò che riguarda i pori, le pretese differenze mi paiono dovute a difetti di conservazione. Il Lambert ritiene VE. angu- latus caratterizzato da pori non coniugati (2), anzi, in base a ciò, ascrive questa specie al gen. Progonolampas Bittn., la cui pater- nità attribuisce, credo a torto, al Pomel (3). A parte la consi- derazione, che un carattere solo, e di questa sorta, non sembra forse sufficiente a costituire una differenza generica, sta il fatto, che in alcuni degli individui di Camerino appaiono veramente circolari e non coniugati, come in quello della Dróme, figurato pure dal De Loriol, mentre invece in altri i solchi di coniuga- zione sono più o meno distintamente visibili; sono visibilissimi in questo esemplare di Malta, in alcuni di quelli dell’Emilia, ecc. ('). O Lambert, Echin. mioc. Bare., II— III ( l . e.), pag. 94, nota. (2) Lambert, j Et. éch. moì. Vence (l. c.), pag. 35, nota 2. (3) Lambert, Destr. Eoli. foss. mioc. Sarei. (I. e.), pag. 59. (4) Nel Museo di Firenze trovatisi parecchi bellissimi esemplali di questa specie, appartenenti alle vecchie collezioni del Museo e privi, malauguratamente, dell’etichetta di località. La ganga, la conservazione, le specie stesse, con cui si trovarono associati, indicano però che essi ECHINI MIOCENICI DI MALTA 453 Conviene adunque ritenere, che, se nella maggior parte dei casi i pori appaiono circolari e non coniugati, ciò è dovuto allo stato di conservazione dei gusci, che, come le figure dimostrano, la- sciano vedere perfino le suture delle assale. L’esemplare, unico, appartiene alla collezione Medlicott. Il Gregory cita la specie per gli strati medi di Malta ( Globiger . Limestone ). Altrove si trova nella Dròme, nelle molasse e marne del miocene medio emiliano e marchigiano. 11. Echino! ampas Wrighti Gregory. (Tav. XVII, fig. 5). 1891 . Echinolampa s Wrighti Gregory, On thè maltese , ecc. (Z. c.), pag. 607 (cum syn.). Guscio di forma elevata, subconica, attondata all’apice, che è eccentrico in avanti; faccia inferiore pianeggiante, un poco depressa verso il centro, con margini tumidetti, contorno subcir- colare, un poco dilatato al terzo posteriore, protratto indietro in un sensibile rostro. Ambulacri petaloidei assai larghi e raggiungenti oltre i tre quarti della distanza fra l’apice e il margine. Zone porifere strette, un quinto circa della zona interporifera, depresse e costituite da pori molto disuguali, coniugati. Il petalo impari è più stretto e corto dei pari. Tra questi i posteriori sono assai più lunghi degli anteriori. Le zone porifere di uno stesso petalo sono quasi uguali per la lunghezza, non per la forma: sono al tutto uguali nel Tarn bulacro impari. Interambulacri leggermente salienti verso l’apice. Apparato apicale monobasale con quattro pori genitali grandetti e placca madreporica ampia e stellata. debbono appartenere alle marne deH’Appennino, probabilmente dell’Um- bria. Tra tali esemplari se ne trovano alcuni con pori coniugati, altri con pori circolari non coniugati, altri, infine, per la ineguale conserva- zione del guscio, mostrano alcune zone con pori coniugati, altre con pori non coniugati. Altrettanto ho osservato in vari buoni esemplari della specie medesima, provenienti da S. Maria Tiberina (Umbria) e conservati nel Museo di Torino. 454 G. STEFANINI Peristoma sensibilmente eccentrico in avanti; periprocto lar- gamente ellittico, infraniarginale, posto nella parte inferiore del rostro. I tubercoletti circolari, con scrobicola profondamente incisa, sono fittissimi sui margini, specialmente dal lato ventrale; in- torno alla bocca sono grandi e radi; sulla faccia superiore sono più fini che altrove. All’esemplare così descritto credo poterne aggiungere un altro frammentario, mostrante, benissimo conservata, la parte inferiore del guscio con la sua superficie interna ed esterna. Questo permette di studiare la struttura della regione peri- stomale e particolarmente dei fillodi. Qui il peristoma è subpen- tagonale, trasversale, i carelli assai deboli e poco convessi, i fillodi mediocremente sviluppati, con linee porifere esterne con- tratte e linee interne scarse di pori, diritte, alquanto ravvicinate alle altre. Visto dalla parte interna, il contorno della bocca appare un poco rialzato, i fillodi vi corrispondono a depressioni, le zone interambulacrali a campi alquanto rigonfi. I pori, in linee sem- plici, appaiono un po’ più ravvicinati nei pressi immediati del peristoma, dove qualcuno di essi esce qua e là di fila, pur non vedendosi affatto delineate le doppie file, come avviene invece se si guardi il guscio della parte di fuori. La regione peri sto- rnale interna non è facilmente visibile negli echini fossili, ed io ho creduto non inutile descriverla, sebbene già fosse nota quella dell’ià hemisphaericus, descritta e figurata dal DeLoriol(’). Nelle sue linee generali la struttura di questa parte del guscio dell’J?. Wrigliti coincide con quella della specie ora menzionata; in quella di Malta, però, la regione peristomale sembra un po’ meno rialzata e i carelli sono pure meno sentiti. In un recente mio studio (2) descrivo e figuro la regione peristomale interna di una di quelle specie con guscio elevato e conico, che io chiamo Ecliinolampas conoclipei formi. Non ostante le maggiori dimen- sioni dell’esemplare, l’apertura ovale vi è più piccola, la regione peristomale internamente più rialzata, i vertici dei campi inter- (*) (*) De Loriol, Descr. échinod. tert. chi Portugal (Direct, trav. géol. Portug.), 1896, pag. 39, tav. XI, fig. 4. (2) Stefanini, Conoclipeidi e Cassidulidi conoclipeiformi. (Bull. Soc. Geo]. Ital., XXVI), 1907, pag. 372, tav. XIII, fig. 3. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 455 ambulaceli depressi in corrispondenza dei carelli, le estremità degli ambulacri piane, invece che incavate, in corrispondenza dei fillodi. Ho creduto bene di descrivere questa forma, sebbene fosse già nota, perchè la determinazione non è senza qualche dubbio, essendovi tra il mio esemplare e quello figurato dal Wright alcune differenze. La specie fu illustrata e descritta da questo autore come E. Eeshayesi Des., nel 1855. Nel 1877 il Cotteau Q) qualificava come E. liayesianus un esemplare della Corsica con guscio molto elevato, e, se dobbiamo credere alla figura, con petali quasi raggiungenti l’ambito. Dieci anni dopo il Pomel (2) poneva queste due specie, la prima solo dubitativamente, in sinonimia di un suo E. Raymond i, dimostrando che VE. hayesia- nus, il cui tipo è algerino, ne differisce assai. Queste conclusioni sembrano accettate dal Lambert; se non che VE. Eaymondi non fu figurato, ed il Pomel lo descrive come provvisto di zone pori- fere molto disuguali in tutti gli ambulacri e petali tendenti a chiudersi alla estremità; ora questi caratteri contradicono alla figura del Cotteau e non corrispondono certamente a quanto si osserva sulla specie maltese, poiché anche la figura del Wright mostra questo echino provvisto di zone porifere quasi eguali e petali aperti. I tipi maltesi furono nel 1891 ridescritti dal Gre- gory, che, confrontandoli con VE. liayesianus Cott. (non Desor.), allora ritenuto da lui corrispondere veramente alla specie, li trovò diversi dall’esemplare còrso, e li distinse col nome di E. W vigliti. In confronto adunque con gli esemplari còrsi questa specie sarebbe distinta da un guscio assai meno elevato, e pe- tali più corti. Ora il mio esemplare rappresenta, per qualche riguardo, un termine di passaggio, avendo un’altezza pari a 47/100 della lunghezza, mentre questo rapporto sale a 56/100 nell’esem- plare còrso, scende a 3fl/ioo quello maltese misurato dal Gre- gory. Esso però si allontana alquanto dall’uno e dall’altro pel suo contorno dilatato al terzo posteriore e per le dimensioni maggiori : i suoi petali cessano ad una certa distanza dall’orlo. t1) Cotteau in Locard, Descr. de la faune des terr. ieri, de la Corse, Lyon, 1877, pag. 277, tav. X, fig. 2-4. 0 Pomel, Ecliin. foss. Alg. ( l . c.), pag. 142. 456 G. STEFANINI L’identità della specie còrsa con quella maltese rimane dunque in dubbio, mentre poi non è certo che esse non possano coincidere. Il dubbio non potrà essere tolto, se non da chi possa esaminare i tipi, e non sia costretto a giudicare da figure più o meno es] iressi ve. Il Gregory serbò il nome di E. liayesianus ad un esemplare, da lui medesimo detto imperfetto, del quale credo convenga non tenere gran conto. L’identità specifica dei miei due esemplari con la specie maltese è assai più probabile, ed è resa anclie più verosimile da ciò, che pel loro colore, per il modo di con- servazione, per la presenza di numerosissime Hcterostcgina entro uno di essi, i miei esemplari sembrano certamente provenire dal piano detto Greensctnd, cui appartiene pure VE. Wrighti. Questa specie si riconosce dall’io, hemisphaericns Lamk., per la forma sempre più elevata, meno discoidale, i petali più aperti, la faccia inferiore meno svasata; da \V E. poster olatus Greg., degli strati inferiori di Malta per il guscio nettamente rostrato. Dei due esemplari del Museo fiorentino quello incompleto proviene dagli strati ad Heterostegina di Malta, ed appartiene alla collezione Peccliioli; dell’altro è ignota la collezione onde deriva. 12. Echinolampas Pignatarii (Airaghi). 1891. Heteroclypeus hemisp ha ericus Gregory, On thè maltese, eco. (I. e.), pag. 598, tav. I, fig. 11. 1907. Echinolampas Pignatarii Stefanini, Conoclipeidi e Cassidulidi conoclipei formi. (Boll. Soc. Geol. Ital., XXVI), pag. 366, tav. 12, fig. 2; tav. XIII, fig. 2 ( cum syn.). Nel mio lavoro citato trovasi la sinonimia ed un’ampia di- scussione di questa specie, con le giustificazioni pel cambiamento di nome. Quivi è spiegato, come le considerazioni relative ai fillodi, per le quali il Lambert (') voleva conservato ai Cassi- dulidi conoclipeiformi il nome generico di Hypsoclypus Poni., non appaiano in tutto esatte. La consultazione di una recente opera di A. Agassiz, che non avevo avuto modo di vedere prima della pubblicazione di quel lavoro, non mi sembra diminuire rimportanza delle mie (') Lambert, Et. éch. mol. Vence (7. c.), pag. 28 e segg. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 457 deduzioni in proposito; anzi, essa mi permette di aggiungere alla lista dei Cassidulidi, i cui fillodi posseggono semi-placche interne, anche VE. depressa Girar (*), e ciò, non ostante che qua e là ri si possa osservare anche qualche rara, quasi direi eccezionale, semiplacca esterna (*). Notevole poi l’esempio della Neolampas rostcllata A. Ag., dove, nella parte adorale di ciascuno degli am- bulacri, si nota (3) una sola placca, quella adiacente alla peri- stomale bipora, mostrante tendenza più o meno spiccata a per- dere contatto con la sutura esterna dell’ambulacro. Del resto, Neolampas non ha un vero floscello, poiché i suoi carelli sono rudimentali. Nel mio lavoro già ricordato io ho accennato molto fugace- mente ai rapporti tra le specie da me comprese sotto il nome di Cassidulidi conoclipeiformi e il gen. Conolampas, il cui tipo vivente, C. Sigsbei Ag., mi è oggi molto meglio noto, mercè l’opera citata dell’Agassiz. Come appare anche dall’esame della superficie inferiore interna del guscio, da me illustrata, di E. montesiensis Mazz. (4), questi rapporti sono in verità molto stretti (5). Si vede infatti come questa abbia a comune con la specie vivente quella forma internamente rialzata e modellata (') Agassiz A., Panamic deep-sea Echini (Mus. Comp. Zool. Harv. Coll. XXXI), 1904, pag. 117 e segg, fig. 155, tav. LXI V ; fig. 2-5, tav. LXV, fig. 1-4. Un’altra aggiunta a cotesta lista deve esser fatta a proposito deWEchinolampas Haimei Dune, et Slad. (Duncan et Sladen, The foss. echinoid. of Kachh and Kattywar. Palaeontol. Indica, Mem. of thè Geol. Surv. of India, ser. XIV, voi. I, pag. 4; pag. 27, tav. Il, fig. 8), del num- mulitico d’india. (2) La struttura con semiplacche interne, che io credevo caratteri- stica dei fillodi dei Cassidulidi è stata trovata dal De Meijere nel suo gen. Plesiozonus, ma in tutt’altra regione del guscio e cioè all’estremità dei petali. Sebbene io creda i due casi — quello dei Cassidulidi e quello di Plesiozonus (Palaeopneustidae) — del tutto indipendenti, anzi, forse appunto per ciò, mi sembra che il fatto non sia del tutto privo di in- teresse. (3) Agassiz A., Panamic., ecc. (I. c.), fig. 156, pag. 117, tav. LXIV, fig. 6-8. C) Stefanini, Conoclipeidi, ecc. (I. c.). (5) Agassiz in Bull, of Mus. of Comp. Zool. at Harv. Coll. V, n. 9, 1878; Id., Eeport of thè Bes. of dredg. by Piale, XXIV, pt. I, Echini (Mem. Mus. Comp. Zool. Harv. Coll.X, n. 1), 1883, pag. 48 e segg., tav. XVI. 458 G. STEFANINI dell’anello perignatico, che ricorda alquanto quella del peristoma dei Conoclipeidi, e alla quale l’Agassiz attribuisce tanta impor- tanza, da ritenerla indizio di strette relazioni filogenetiche, tra queste forme di Cassidulidi e gli echini provvisti di mascelle. Le fasi giovanili del C. Sigsbei sono però talmente simili a quelle dei Cassidulidi tipici, che in origine (') l’Agassiz ebbe a descrivere come individui di età diversa di E. depressa, esem- plari che vi appartenevano, insieme ad altri che appartenevano invece al C. Sigsbei ; e ciò non sembra convalidare siffatto modo di vedere. Molto interessante è la struttura dei fillodi di questo Cassi- dulide, i quali si presentano come un intreccio di semiplacche interne e di semiplacche esterne, con rare placche intere (5). Ho già mostrato come la struttura dei fillodi sia nei Cassidulidi conoclipeiformi estinti assai più semplice e più rispondente a quella che si osserva nelle altre specie della stessa famiglia, provviste di floseello. Finalmente è notevole il fatto, che nel C. Sigsbei le placche primordiali degl’interambulacri pari po- steriori non raggiungano il peristoma, al contrario di quanto suole avvenire in Echinoìampas (3). I miei esemplari non mi permettono di portare piena luce su questa questione, per ciò che concerne i conoclipeiformi estinti; in uno solo, di E. mon- tesiensis Mazz. (4), mi sembra riconoscere che la placca primor- diale si estenda con una stretta striscia fra le due peristomali contigue, fino alla bocca. Il De Loriol (5), in origine, non accettò Conolampas, rite- nendo non potesse esser distinto da Echinoìampas ; ora Agassiz(6) si dice sicuro, che i nuovi dettagli da lui pubblicati renderanno impossibile una tale unione; e ciò è veramente probabile, ma F) Agassiz A., 1 iep. Blalce echin.(l. c), pag. 48 e segg. ; Id., Revi- sion of thè echini. Cambridge, 1872, tav. XIV. (2) Agassiz A., Panamic, ecc. (I. e.), pag. 117-118, fig. 152, tav. LXV, fig. 5-7. (3) Ibidem, figg. 152 e 155. (4) Stefanini, Conoclipeidi, ecc. ( 1 . c.), tav. XIII, fig. 8. (5) De Loriol, Catal. rais, échin. ile Maurice (Mém. Soc. Phys. H. N. Genève, XXVIII, n. 8), 1883, pag. 44. (G) Agassiz A., Panamic, ecc., (I. e.), pag. 117. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 459 non certo, finché non sia dimostrato, che quelle forme di Eclii- nolampas, che il De Loriol, il Cotteau ed altri citarono come intermedie fra gli Echinolampas tipici e i conoclipeiformi, non costituiscano un graduale passaggio, tra gli uni e gli altri, anche per quanto riguarda la struttura dei fillodi e della zona peri- huccale. Poco dopo la pubblicazione della mia memoria, più volte citata, usciva la citata monografìa del Lambert sugli echini della Sardegna, nella quale, questo insigne studioso, riprendeva la questione dei Cassidulidi conoclipeiformi, modificando profonda- mente le antiche opinioni ('). Egli osserva infatti, che il carat- tere tratto dalla presenza dei fillodi è meno assoluto di quello che egli avesse creduto in sulle prime, e giunge fino a ritenere pertinenti ad una medesima specie Hypsoclypus doma Poni., ed Heteroclypeus liemispliaericus Gfreg., che, in base appunto a tale carattere, egli considerava un anno fa come appartenenti a due generi diversi (2). (') Lambert, Descr. éch. foss. mioc. Hard. (/. c.), pag. 54. (?) Lambert, Ét. éch. mól. Vence (1. c.), pag. 31; cfr. anche Stefa- nini, Conoclipeidi, ecc. (I. c.), pag. 351, nota 2. Anche il Lambert, come già l’Airaghi, non si è accorto che la ligura del Gregory è metà del naturale; per ciò egli considera H. hemisphaericus come un individuo giovane di H. doma, mentre le dimensioni delle due specie sono a un dipresso eguali. Le due specie sono in realtà vicinissime, e non differi- rebbero che per la maggior dilatazione dei fillodi in quella di Malta, carattere rilevato proprio dal Lambert. La differenza potrebbe benissimo non esser dovuta che ad inesattezza nella figura del Pomel. In una re- censione del mio lavoro il Lambert (Rev. crit. de Paléozool., XII, III, 1908, pag. 195), riconosce poco opportuno il ravvicinamento di li. liemi- sphaencus ed li. plagiosoinus, e dice di avere, poche pagine appresso rettificato una tale svista, ravvicinandolo invece ad H. doma. Ma evi- dentemente questo secondo ravvicinamento non poteva andare d’accordo con le idee da lui allora professate sui caratteri dei fillodi, poiché i fillodi di H. liemispliaericus sono molto bene sviluppati, come io ho posto in evidenza e come egli stesso sapeva già. Del resto non saprei neppure come il Lambert possa conciliare la sua giusta persuasione, che stretti rapporti passino fra E. doma ed H. liemispliaericus, con la distinzione da lui introdotta, e della quale parleremo or ora, tra specie con pori ambulacrali uguali e specie con pori disuguali. Egli infatti colloca tra le prime ( Hypsoclypus s. s.) tutte e due quelle specie; ma, come dimostra, la mia figura, rappresentante un bellissimo e tipico esemplare maltese 460 G. STEFANINI Indicai già come il concetto e la definizione di fillodio, adot- tati dal Lambert, fossero da ritenersi inesatti, ed in ciò appunto sta, a mio modesto avviso, la spiegazione del fenomeno. Nel suo recentissimo studio, adunque, il Lambert conserva il genere Hypsoclypus Poni., tipo non più il Gonoclypeus semiglobus Lamk., ma il C. plagiosomus Agass., con tre sottogeneri: Heteroclypeus Greg., Conolampas Ag. e Hypsoclypus s. s. Ma la difficoltà già altra volta da me opposta ad una sepa- razione di queste specie conoclipeiformi dagli Echinolampas, rifiorisce oggi. Per quali caratteri Hypsoclypus differisce da Echinolampas ? Il Lambert pareva essersi proposto, se non aver risoluto, questa questione, quando effettuò il suo studio sui fillodi; oggi, che egli pel primo disconosce la distinzione fatta, siamo da capo. La nuova diagnosi di Hypsoclypus, dataci dal Lambert, non definisce il genere, meglio di quel che non facessero le vecchie diagnosi di Pomel. Eccola tradotta: «Guscio circolare, emisferico o subconico a » base piana. Peristoma circondato da carelli con pori moltipli- » cantisi nella parte esterna dei solchi ambulacrali. Ambulacri » stretti, composti di pori ravvicinati, arrotondati, uguali, coniu- » gati e zone porifere ineguali nei petali pari. Periprocto infra- » marginale trasverso ». La base piana, l’aspetto generale sareb- bero al solito l’unico carattere distintivo tra un genere cosi caratterizzato ed Echinolampas ma dimenticheremo noi le nu- merose forme di transizione, citate dal Cotteau e dal De Loriol? e come si vede anche dalla figura del Gregory, la specie di Malta ha pori nettamente disuguali. E questo potrebbe servire a dimostrare che la distinzione introdotta dal Lambert è poco naturale, se per essa ven- gono lanciate in due sottogeneri diversi due specie tanto simili, da essere, all’infuori di quel carattere, confuse. Ma, come già dissi (Z. e., pag. 350), io ritengo che i pori degli Hypsoclypus siano anche essi in realtà un poco disuguali, e che il Pomel dica pori uguali solo in opposizione a quelli dei Conoclipeidi, molto disuguali. (!) Anche quello dei pori arrotondati uguali è un carattere che per verità non si potrebbe attribuire agli Echinolampas ; ma, come dirò appresso, io credo che esso sia dovuto più che ad altro ad un’appa- renza; e d’altra parte, non è possibile estenderlo a tutti gli Hypsocly- pus s. 1., se poi in essi si includono le specie a pori disuguali {Hetero- clypeus) come fa il Lambert. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 461 Non mi resta adunque che riaffermare i concetti espressi nella conclusione al mio studio sui Cassidulidi conoclipeifornii. Sono specie caratteristiche, contraddistinte da una facies particolare, ma non si conoscono caratteri sufficienti per tenerle separate dagli Echinolampas, ai quali sono riunite da una lunga serie di forme di passaggio. Conviene perciò includerle, sia pure prov- visoriamente, in quest’ultimo genere. Ma prima di chiudere questa oramai lunga digressione, mi permetto di fare anche un’altra rispettosa osservazione alle con- clusioni del sig. Lambert. Egli distingue gli Hysoclypus in tre sottogeneri. A parte Conolampas, del quale ho già alquanto discorso, gli altri due, Hysoclypus s. s. e Heteroclypcus si distin- guerebbero per avere il primo pori circolari ed uguali, il secondo pori esterni ellittici o virgolali e pori interni circolari. Ciò non avrebbe grande importanza per me (che non ammetto il genere Hysoclypus, e che non ritengo opportuno, almeno negli echini, distinguere con nomi speciali gli aggruppamenti entro l’ambito del genere), se non implicasse un modo diverso di comprendere le specie. Malauguratamente il Lambert non figura nè VE. pla- giosomus nè VE. semiglobus-, ma sebbene egli non lo dica espres- samente, sembra certo che la specie di Corsica, determinata già dal Cotteau e considerata da me, più che altro sulla fede di questo insigne echinologo, come E. plagiosomus, sia ritenuta diversa dal Lambert, che la chiama Heteroclypeus Cotteaui. La differenza starebbe appunto nella forma dei pori. Ma si è poi certi che questa differenza di forma non possa dipendere dallo stato di conservazione della superficie del guscio? In una lunga serie di esemplari di E. montesiensis f), provenienti tutti dalle molasse dell’Emilia, io ne ho potuto osservare parecchi con pori eguali e circolari, altri invece, con guscio più integro, mostravano pori esterni leggermente allungati e virgolai’]’ ; un (') Nella già citata recensione del mio lavoro il Lambert sembra poco disposto ad ammettere la variabilità — entro limiti, del resto, assai ristretti — di questa specie e indica l’individuo, iig. 5, come una specie diversa dalla fig. 6. Non so come ciò possa rilevarsi dalle ligure, essendo rappresentato di uno degli esemplari solo il profilo e dell’altro solo la faccia inferiore. Io, che ho esaminato con cura e in tutte le loro parti quei due esemplari, non vi ho trovato differenze apprezzabili. 462 G. STEFANINI campione dei primi trovasi illustrato nel lavoro mio già citato, uno dei secondi apparirà figurato prossimamente in altro mio studio. Anche l’Airaghi descrisse un H. élegans ed un H. semi- globus (Lamk.) di Sardegna, che non esitai a porre ambedue in sinonimia dell’JA montesiensis Mazz., già ricordato, sembran- domi ad esso eguali. Oggi il Lambert considera il secondo come un vero H. semiglobus Lamk., e pone il primo in sinonimia del TLC plagiosomus, ritenendolo, in base forse alle figure, ma contrariamente a quanto l’Airaghi esplicitamente afferma nella descrizione, provvisto di pori eguali e circolari. La stessa presunta differenza nella struttura dei pori è proba- bilmente quella, che fa dichiarare inammissibile dal Lambert (') la riunione da me proposta dell ' Heteroclypeus hemisphaericus (col qual nome il Gregory indicava il Conoclypeus plagiosomus Wright non auctor., pars) e del Conoclypeus Pi, guatarli Air.; infatti tra i due tipi non trovo altra diversità che i pori, i quali nella figura di Airaghi, che è ridotta a metà grandezza naturale, appaiono tutti uguali e circolari, probabilmente solo in rapporto con lo stato di conservazione del guscio. L’unico nostro esemplare, bellissimo, di E. Pignatarii fu rac- colto nell’isola di Gozzo dal prof. Roster. La specie è segnalata negli strati medi del miocene maltese ( Greensancl ). Altrove si trova in Calabria. 13. Spatangus pustulosus Wright. 1891. Spatangus pustulosus Gregory, On thè maltese, ecc. (7. e.), pag. 642. 1906. Prospatangus pustulosus Lambert, Etud. e’ch. mol. Vence (Z. c.), ' pag. 51, tav. X, fig. 2, 3. Questa specie fu stabilita dal Wright per un tipo maltese e fu mediocremente figurata fin dal principio. Tale figura e quella successiva del Lambert, si prestano a qualche osserva- zione, basata sulTesame dei buoni campioni di Malta, esistenti nel Museo fiorentino. La figura del Wright è, come è stato detto, alquanto impre- cisa, specialmente in quanto riguarda i tubercoli principali, che (') Vedi Lambert, in Peone crit. de Paleozoologie par M. Cossmann, XII, 3, 1908, pag. 195. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 4G3 vi appaiono diffusi in tutto l’interambulacro impari; in realtà essi sono invece limitati, come in tutti gli Spatangus tipici, ad una zona strettamente mediana: ciò, che risulta anche dalla fotografia del Lambert. Le parti degl’interambulacri contigue ai petali restano nude, o, per meglio dire, ornate solo da quella fine sagrinatura, che ricopre tutto il guscio; i tubercoli si spin- gono oltre l’altezza dei petali stessi. Negl’interambulacri poste- riori pari la metà anteriore è quasi completamente sprovvista di tubercoli principali; questi però, in gruppetti triangolari che si dispongono uno per placca, si spingono fino alle placche mar- ginali, al contrario di quanto affermerebbe il Lambert. La forma del guscio è poco visibile nella figura del Wright, ma si vede bene ed è esatta nella fotografia del Lambert. L’esemplare di questo autore ha però statura alquanto mag- giore di quello dell’echinologo inglese e di quelli del Museo fiorentino. Inoltre esso presenta un apice fortemente eccentrico in avanti; nell’esemplare tipo e nel mio, l’eccentricità è molto minore. In relazione con essa sta quasi certamente il fatto, osservato solo dal Lambert, della maggior lunghezza dei petali posteriori pari in confronto agli anteriori. Gli ambulacri pari sono concavi e depressi. Questo fatto dà occasione al Lambert di esporre il proprio parere, contrario all’accettazione del genere Mariania , da Airaghi creato per il Macropneustes Marmorae Agass. e lo Spatangus cldtonosus Sism., osservando che si hanno anche degli Spatangus con tale carat- tere. Una discussione in proposito, che sarebbe inopportuna qui, troverà posto in un mio lavoro sugli echini dell’Emilia. Per ora mi limiterò ad osservare, che quelli invocati dall’Airaghi, non tutti forse giusti ed accettabili, non sono i soli caratteri che possono servire a tener distinto il suo genere dagli Spa- tangus; perciò ho ritenuto e ritengo conveniente conservare il genere Mariania. Gli esemplari di S. postulosus conservati nel Museo fioren- tino appartengono alla collezione Medlicott e provengono dal miocene di Malta, senza più precisa indicazione. Ivi la specie è citata negli strati medii: Globigerina Limestone e Greensand. I nostri esemplari, a giudicare dall’aspetto, colore, ecc., debbono essere stati raccolti nel primo di questi due piani. Oltre che 464 G. STEFANINI a Malta la specie si ritroverebbe in Sicilia, in Provenza, e in Grecia (?). Nell’Emilia è citata anche dal Gregory, che poneva in sinonimia con essa, ma a torto, lo S. aequeclilatatus Mazz. Ritengo che questa specie debba essere conservata distinta; alcune altre però, citate e create dallo stesso Mazzetti, coinci- dono con quella maltese. 14. Eupatagus melitensis (Gregory). (Tav. XVII, fig. 6). 1891. Metalia melitensis Gregory, On thè maltese, ecc. (I. c.), pag. 621, tav. II, fig. 5. Elegante specie, già accuratamente descritta dal Gregory. Mi limito per ciò a indicare alcuni caratteri, che egli non potè forse osservare sul suo esemplare. I tubercoli principali assai grandi e poco numerosi sono limitati da una fasciola peripetala non sinuosa e mancano del tutto neirambulacro impari. Ad essi si associano in copia tuber- coletti minori, occupanti interambulacri e zone porifere degli ambulacri, e facentisi molto fitti e numerosi sugli orli del lieve e stretto solco anteriore. Finalmente si ha pure una granula- zione, relativamente non molto minuta, che si unisce entro la fasciola agli altri tubercoli, mentre al di fuori si sviluppa essa sola: i granuli rimangono piccoli sulla faccia superiore, si fanno più grossolani e più radi sulla inferiore, ove occupano tutta la superficie, eccetto le zone periplastronali, la placca labiale, allungata, e la parte strettamente adorale degli ambulacri an- teriori. Il piastrone, amfisterno, si rialza in una cresta mediana, con tre punti salienti, disposti a triangolo: da questi, procedendo verso la periferia, i granuli si fanno via via più grossolani. Per i due punti salienti posteriori passa la fasciola sottoanale. I petali sono assai ampi, superficiali, ed hanno i pori più vicini all’apice, alquanto atrofizzati; questa atrofia si osserva specialmente nelle zone porifere anteriori dei petali anteriori pari ; ciò che non appare abbastanza dalla figura del Gregory. Gli zigopori, con solco di coniugazione molto marcato, hanno la perforazione interna alquanto meno distintamente ellittica di ECHINI MIOCENICI DI MALTA 465 quella esterna. L’apparato apicale è tetrabasale etmolisiano: i quattro pori genitali sono molto ravvicinati, i cinque ocellari grandi quanto gli altri, sono assai più distanti. Questa specie fu ascritta dal Gregory al gen. Metalia Gray, sul quale non sarà forse inutile diffonderci un poco. Suo tipo è la M. sternalis (Lamie.), vivente, caratterizzata da una fasciola sinuosa, labbro orale bene sviluppato e tuber- coli omogenei, facentisi leggermente e gradatamente più grossi torno torno ai petali; uniformi pure e provvisti di zoccolo basale sulla faccia inferiore. I petali, lineari ed escavati, sono fusi insieme presso l’apice. Già da molti anni si considera come sinonimo di Metalia Plagionotus Agass. et Des., il cui tipo, P. pectoralis Lamk., pure vivente, ha fasciola peripetala non sinuosa, labbro orale pochissimo sviluppato e tubercoli di due tipi: gli uni, principali, grandi, scrobicolati, perforati, seriati, inclusi entro la fasciola, gli altri minuti, piccoli, misti ai primi entro la fasciola ed estesi anche fuori di essa. I tubercoli prin- cipali sono più piccoli neH’interambulacro impari. L’apparato apicale è tetrabasale etmolisiano, con quattro pori genitali. Il solco anteriore è poco sensibile, i petali pari sono come in Me- talia, lineari, escavati. Haime (') propose, in base appunto alla distribuzione e natura dei tubercoli, una fusione di Plagionotus con Bupatagus Agass.; ma il Desor (-) ritenne questa del tutto inopportuna, a cagione dei petali, che sono lineari ed escavati come nei Brissus nel primo, superficiali, espansi, chiusi come in Spatangus nel secondo. Accennerò qui incidentalmente come questa distinzione, tra petali superficiali ed escavati, accettata subito da A. Agassiz e mantenuta poi da valenti echinologi come il Cotteau (3), che su di essa fondava appunto la distinzione fra le due famiglie dei Biòssidi e degli Spatangidi {s. s .), sia stata in seguito alquanto trascurata e addirittura oppugnata, ad es., dal Gregory (4), in (') D’Archiac et Haime, Anim. foss. de l'Inde, Paris, 1853, pag. 207. (s) Desor, Syn. éch. foss. (Le.), pag. 405. (3) Cfr. ad es., Cotteau, Paléont. Frang. Terr. tert., Eocène, Echinides, I, Paris, 1885-1889, pag. 10. (4) Gregory, On thè maltese, ecc. (I. e.), pag. 613 e nota. 32 466 G. STEFANINI base specialmente all’osservazione fatta da S. Lovèn ('), che, almeno in certe specie, gl’individui viventi in acque profonde hanno petali meno impressi di quelli di acque basse. A questa trascuranza deve aver contribuito non poco anche l’osservazione, che in generi notoriamente e tipicamente provvisti di petali di tipo superficiale, come Spatangus, essi possono essere alquanto depressi: esempio lo S. pustulosus sopra citato. Ora tutto ciò nasce, come bene osservava il Lambert ("), dall’aver confuso la mag- giore o minore depressione dei petali di certi Spatangidi con la forma escavata dei petali dei Brissidi. A questa però si accom- pagnano vari altri caratteri, come la forma lineare, aperta, la notevole strettezza e quasi direi l’assenza di zona interporifera e via di seguito; talché ad un occhio appena appena esercitato, le due strutture appaiono immediatamente riconoscibili. Se anche non si voglia, sulle orme del Cotteau, da questa distinzione dedurre dei caratteri per separare le famiglie, non mi sembra possibile disconoscerne del tutto l’importanza, come carattere generico. Invece poco fa Alessandro Agassiz (3) descrisse come Macropneustes spatangoides un echino, che per i caratteri dei petali, per la disposizione dei tubercoli principali e la natura delle granulazioni, per la forma delle pedicellarie e per la forma stessa del guscio, è ben lontano dai Macropneustes e corrisponde in tutto agli Spatangus. Tale affinità colpi l’ Agassiz stesso, che in origine aveva classificato la specie appunto così, e non sfuggì al dott. Th. Mortensen (4). Ne differisce però per un carattere: per la presenza di una specie di fasciola peripetata multipla e quasi sdoppiata. Il Duncan (5), che pure dava poca importanza all’essere i petali superficiali o no, e ne dava forse un po’ troppa alla tasciola, propose di porla in un sottogenere di Eupatagus. La fasciola, però non è costante, nè per la forma, nè per la presenza, nella (<) Lovén, On Pourtalesia (Kongl. svensk. Vetensk-Ak. Handling., XIX, n. 7), 1883, pag. 95. (2) Lambert, Et. Echin. Vence (l. e.), pag. 48, nota 2. (3) Agassiz, Report « Rlake » Ecliin. (I. e.), pag. 64, tav. XXVII. (<) Mortensen, Dan. Ingolfa Expedit. Copenhagen, voi. II, 1907, pag. 128. t5) Duncan, Revision of thè genera, ecc. { l . c.), pag. 254. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 467 specie. Ciò, ed è il fatto che lina debole tendenza alla concen- trazione e localizzazione dei tubercoli miliari secondari sia stata osservata dall’Agassiz anche nello S. purpureus, fanno invece ritenere che la specie non possa essere allontanata dal gen. Spa- tangus Klein. Comunque, però, e qualunque valore vogliasi attribuire a quella specie di fasciola, certo si è che non si tratta di un Ma- cropneustes, il tipo del qual genere — M. deshayesi Agass. — ha i petali escavati, lineari. Esso genere ha contenuto, è vero, per qualche tempo, anche specie con petali non escavati, ma esse ne furono tolte, per costituirne i generi Hypsopatagus Poni, e Trachypatagus Pom. (*), oggi generalmente accettati. Anche da questi generi, del resto, mi sembra che la specie in questione sia assai lontana: dal primo, per la presenza della fasciola sottoanale; dal secondo, per l’esistenza del solco anteriore e la diversa struttura dei petali, per quanto in ambedue essi siano superficiali. Chiusa questa lunga parentesi, torniamo alle Metalia. A. Agas- siz accolse dunque, nella sua « Kevision » (2) le vedute di Desor e, notando certe somiglianze tra Plagionotus e Metalia, ne effettuò la fusione sotto quest’ultimo nome, e considerò Metalia come sottogenere di Brissus. Queste conclusioni furono in seguito da quasi tutti accettate e lo sono anche oggi; il sottogenere però, presto elevato al grado di genere, è stato da parecchi male interpretato: tra gli altri dal Dames(3), che poneva Brissopsis e Toxobrissus in sinonimia di Metalia; a torto, come il Dun- can (4) giustamente ebbe a ritenere. Nella anzidetta fusione l’Agassiz trascurava però una diffe- renza non priva d’importanza: quella dei tubercoli, fini ed omo- genei, come nei Brissus, in Metalia', di due tipi e misti, come negli Eupatagus o nei Macropneustes, in Plagionotus. Egli accenna fugacemente, che lo studio degli stadi giovanili degli (’) Pomel, Classile, métti., ecc. (7. c.), pag. 31. (*) Agassi z, Revision of thè Echini, Cambridge, 1872, pag. 360. (3) Dames, Die Echin. der verones. und vicent. tert.-ahlager. (Pa- laeontographica, XXV), 1878, pag. 67. ( 4 ) Duncan, Revision of thè Genera and gr. gr. of Echin. (Journ. Linn. Soc. Zoo!., XXIII), 1889, pag. 543. G. STEFANINI 468 echini avrebbe dimostrato il poco valore di una tale differenza. Non so precisamente quali siano i risultati di tali studi, ma certamente il fatto che un echino in stadio giovanile presenti qualche carattere proprio non solo di un genere, ma anche di una famiglia diversa da quella cui appartiene, è tutt’altro che raro: oggi, ad es., sembra prevalere la supposizione che rechino descritto da Lovèn come Pigastrides rclictus (Conulidi) non sia che il rappresentante lo stadio giovanile del Conolampas Sigsbei Ag\; ma ciò non toglie che si continui a classificare questa specie tra i Cassidulidi! Io ritengo in sostanza che l’indicata differenza nei caratteri dei tubercoli non si possa in alcun modo trascurare; su di essa hanno fondato divisioni e classificazioni valide i più stimati echinologi, ad es., il Cotteau; essa è, d altra parte, accompagnata nel caso speciale da alcuni altri caratteri, quali la forma generale del guscio, assai diversa, il decorso della fasciola peripetala, che è molto sinuoso in Metalia, non sinuoso in Plagionotus-, la forma del peristoma, fortemente labiato nel primo, solo sublabiato nel secondo, e finalmente la struttura stessa degli ambulacri, poiché in Plagionotus i posteriori di essi non hanno, come in Metalia le zone porifere posteriori lungamente atrofizzate presso l’apice. Alcune di queste differenze non sfuggirono però al Pomel (') che, in sostituzione di Plagionotus , preoccupato per un genere di Coleotteri, propose per il P. pcctoralis il nome generico di Plagiobrissus. La distinzione e il nome di Pomel furono tosto accolti dal Gauthier (2) e dal Cotteau (3), che però, piobabilmeute per una svista, ne attribuiva la paternità all’Agassiz; ma non ostante la loro grande autorità, essi non furono in ciò seguiti degli autori successivi; anzi, recentemente il mio cortese corri- spondente, dott. Fourteau (4), che pure riconosce la eterogeneità del gen. Metalia, costituito così com’è oggi, osserva che ad esso è data unità per i caratteri dello scudetto sottoanale, provvisto (') Pomel, Class, métti. ( l . e.), pag. 29. (2) Cotteau, Peron et Gauthier, Ecliinod. foss. de V Algerie, X, Paris, Masson, 1891. (3) Cotteau, Fai. frang. fl ■ c.), pag. 17. (4) Fourteau, Contr. à Vét. des écliin. viv. dans le (jolfe de Suez (Bull. Inst. Egypt., sèrie IV, voi. IV, fase. V), 1904, pag. 430, 431. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 469 di solchi radianti, terminati ciascuno, all’estremità^ da un poro ambulacele. Io dubito alquanto che questa struttura non abbia poi tutta l’importanza che le si attribuisce, specialmente se si considera che quella forma strozzata dell’interambulacro impari e la esistenza di pori ambulaceli interni alla fasciola sottoa- nale, si osservano anche in tanti altri generi, per modo che di caratteristico non restano che i solchi radianti. Comunque sia, ciò non toglie valore agli altri caratteri, che ho indicato come differenziali; mi parrebbe dunque molto oppor- tuno, che il genere di Pomel venisse ripreso. Anche M. spatacjus L. (= M. maculosa Gmel) (*), col suo solco anteriore quasi nullo, i petali apparentemente non fusi insieme all’apice, e i tubercoli di due sorta, sembra difficile possa rimanere nel genere cui è ascritto. Con essa ha poi grandi affinità il Erissus imbvicatus X\ r., del quale il Wright descrive perfino lo scudetto sottoanale radiato. Tra quelli che non hanno bene interpretato il gen. Metallo, si trova anche il Gregory. La sua M. melitensis ha infatti petali supei fidali, lanceolati, chiusi, espansi, con ampia zona interpo- rifeia piovvista di tubercoli secondari e granulazione, ed è così nettamente distinta da quel genere, comunque si voglia intendere. Infatti, tanto il/, sternalis quanto P. pectoralis hanno am- bedue, già si è visto, petali escavati, lineari, di tipo brisside. L esistenza dei solchi radianti non risulta, nella specie mal- tese, nè dalla descrizione nè dalle figure dell’autore inglese, e il mio esemplare è muto in proposito. Il genere, nel quale la il/, melitensis deve essere inclusa, è a parer mio il gen. Eu- patagas Agass. Ad esso la M. melitensis corrisponde per la forma, pel solco anteriore poco o punto accentuato, per i petali superficiali, per 1 appaiato apicale tetrabasale, per i tubercoli principali limitati dalla fasciola peripetala e assenti nelTinterambulacro impari, per la forma del piastrone, dello scudetto sottoanale con relativi poli interni alla fasciola, e per la forma allungata della placca labiale, li E. melitensis adunque si distingue dall’/?. Konincki ( ') De Meijere, Die Echin. der Siboga-Expeclit. I, Leiden, 1904, pag. 184. G. STEFANINI 470 Wright, pure di Malta, per il guscio più ovale, meno cordiforme, non ristretto indietro, pel maggior numero di tubercoli princi- pali, per i petali più ampi e le zone porifere anteriori dei pe- tali anteriori pari più atrofizzate. Dall’jE. pressus Mazz. = E. Melii Air. (') si riconosce pel guscio meno largo, la forma più ovale, non ristretta indietro, per le zone porifere più strette assai dello spazio interporifero, ecc. E. Oppenheimi Lambert et Savin della Molassa di Vence C) ha minore statura, forma più affusolata, ristretta indietro, solco anteriore snello, petali più stretti, massima elevazione del guscio situata più indietro. La specie è indicata nei piani medii di Malta ( Globigerina Limestone). 15. Opissaster Scillae (Wright). (Tav. XVII, lig. 7). 1855. Hemiaster Scillae Wright, Foss. echinod. Malta (Z. c.), pag. 191, tav. VII, tig. 1. 1891. Hemiaster Scillae Gregory, On thè maltese, ecc. (Z. e.), pag. 611 ( cum syn.). I generi dei Brissidi petalodesmi sono stati recentemente ri- veduti dal Lambert (3), ed io sono lieto di trovarmi perfettamente d’accordo con lui, nel considerare Bitremaster Mun. Chalm. come sinonimo di Opissaster Pom. La specie della quale ci occupiamo fu descritta dal Wriglit come Hemiaster e come tale fu consi- derata dal Gregory, quantunque il Pomel (4) avesse già posto in evidenza le affinità di essa col suo genere. Gregory riteneva infatti che la specie avesse quattro o tre pori genitali, ma il Wright nella descrizione del tipo ne aveva indicati due soli, e due soli ne compaiono in tutti quelli tra i miei esemplari, nei (') Vedi Stefanini, Eclùn. foss. mioc. medio dell' Emilia. (Rendic. Acc. Lincei, XVI), 1907, pag. 538. i (2) Lambert et Savin, Note sur deux échin. noav. de la mol. burdig. de Vence. (Bull. Soc. Géol. de France, sèr. IV, voi. Il), 1902, pag. 81, tav. LII, lig. 5-9. (3) Lambert, Bescr. écli. foss. Bare., II-III (7. c.), pag. 101 e seg. (4) Pomel, Classif. métti. (?. e.), pag. 38. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 471 quali i dettagli dell’apice sono visibili. Anche il Lambert (‘) ritiene che la specie di Malta debba essere esclusa dal gen. Opis- saster, in base sempre al supposto numero di pori genitali e ai caratteri dei petali, che non sarebbero nè escavati nè flessuosi. A quest’ultima osservazione ha dato forse origine la figura, realmente inesatta, del Wright. Come questi afferma esplicita- mente, i petali sono escavati; i solchi ampi ed un poco svasati all’estremità, possono apparire presso a poco diritti, ma il de- corso delle zone porifere è nettamente flessuoso. Aggiungerò che le placche sono alte, il solco impari molto attenuato al margine, la fasciola ben distinta, angolosa, i tubercoli, posti su zoccoletti obliqui, sono fitti e fini intorno all’apice, più grossi verso gli orli, molto radi negrinterambulacri pari della faccia inferiore, più fitti sul piastrone, che è ombilicato. Questi caratteri mi sembrano tali, da dare alla specie anche un aspetto niente affatto contrastante con quello dei tipici Opis- saster e di certi Bitremaster. Conviene però accennare, che, nè ai miei illustri predecessori, nè a me è stato possibile veri- ficare se la specie abbia realmente sistema apicale etmolisiano. L’O. Scillae si distingue dall’iZ. Cotteaui Wright, per l’anambula- cro impari non carenato nè sporgente, la forma più tumida, ecc. Quest’ultima specie avrebbe, secondo il Gregory, quattro pori genitali; ma non è facile, senza averne visto alcun campione, sta- bilire a qual genere precisamente essa appartenga. H. vadosus Greg. ha, secondo l’autore, apice etmofracto, con quattro pori geni- tali, chiaramente eccentrico indietro. Esso sembra essere un vero Hemiaster: avrebbe molti punti di contatto col Trachyaster glo- bosità Pom., ma ne differisce, avendo questo un apice etmolisiano. L '0. Scillae, del quale il museo possiede una diecina di esemplari, e noto negli strati medi del miocene maltese ( Glo - bigerina Limestone ). Credo non sia stato ancora ritrovato altrove: il Lambert (') lo figura, senza descriverlo nè menzionarlo nel testo, nel miocene Sardo; ma il suo 0. Scillae non sembra corri- spondere alla specie. (') Lambert, Ibid., pag. 102. Cosi almeno sembra doversi intendere dalle sue parole, ma nel recentissimo lavoro sulla Sardegna, altrove citato, indica la specie come Opissaster (vedi anche appresso). (5) Lambert, Descr. ech. foss. viioc. Sarei. (1. e.), tav. Ili, fig. 12-13. 472 G. STEFANINI 1G. Dictyaster Lori oli n. sp. (Tav. XVII, fig. 8). Guscio di non grandi dimensioni, tumido, globulare, lungo quanto largo ed assai elevato. Apice alquanto eccentrico in avanti e coincidente, a un dipresso, col punto di massima ele- vazione; però, mentre da quel punto in avanti il guscio inclina rapidamente, in dietro invece il profilo prosegue quasi orizzon- talmente per un certo tratto, poi cade verticale, per essere il guscio posteriormente tronco. Ambulacri petaloidei. L’impari, lievemente depresso e svasato, produce solo una debolissima insenatura nel margine anteriore, e consta di due file di pori minuti, non coniugati. I petali pari sono poco profondamente escavati, diritti, molto divergenti gli anteriori, assai meno i posteriori, gli uni poco diversi dagli altri in lunghezza. Constano di zone porifere larghe, con pori coniugati e zone interporifere lineari, strettissime; i solchi di coniugazione sono perpendicolari all’asse del petalo e assai inarcati. Interambulacri tumidi presso l’apice. Sistema apicale tetrabasale etmolisiano; i quattro pori geni- tali sono grandi e ravvicinati nel senso antero- posteriore, più distanti assai trasversalmente; la placca madreporica si vede prolungarsi coi suoi idrotremi ben distinti, in dietro. Il peristoma è posto circa al terzo anteriore, mi non è visi- bile nei suoi dettagli. Il periprocto è in alto della faccia po- steriore. La superfìcie del guscio è ricoperta di tubercoli relativa- mente molto grandi e fittissimi. Essi appariscono perforati e circondati da una stretta e profonda scrobicola incisa; la loro vicinanza è tale, che tra l’uno e l’altro non rimane che una stretta e sottilissima cresta rilevata, che si mostra costituita di granuli assai ben distinti. Ne risulta così una rete molto rego- lare, a maglie per lo più esagonali, nelle quali stanno annidati i tubercoli principali. Questi sono sparsi su tutti gl’interambu- lacri, nell’ambulacro ìmpari e nella parte estrapetala degli ambu- lacri pari. La fasciola, larga e ben distinta, niente affatto sinuosa, ECHINI MIOCENICI DI MALTA 473 circonda largamente i petali, passando a vari millimetri di di- stanza dalle loro estremità libere. Dato lo stato di conservazione del guscio, parzialmente scortecciato e corroso nel suo lato po- steriore, non è possibile stabilire, con sicurezza, se la fasciola passi al di sopra o al di sotto dell’ano. Questa specie ha molti caratteri del gen. Hemiaster, ma non mi pare vi possa in alcun modo esser inclusa. Essa mi sembra corrispondere invece assai bene ai caratteri del gen. Dictyaster, i cui tipi (') sono il Pericosmus malatinus Mazzetti e il Peri- cosmus dilatatus ( non Pav.) Mazzetti pars; dei quali aggiungo qui una breve diagnosi, dovendo la pubblicazione, nella quale essi saranno illustrati subire ulteriori ritardi. Posso così sulla base di quelle diagnosi e di una figura del I). exccntricus an- ticipare qui anche la diagnosi del genere Dictyaster. Un breve confronto coi generi affini servirà a giustificare la creazione ed a stabilire la posizione tassonomica del nuovo genere. Dictyaster n. gen. Guscio cuoriforme, a contorno leggermente e largamente si- nuoso in avanti, dovuto ad un solco anteriore largo e leggeris- simo. Ambulacro impari diritto, con pori in coppie oblique non coniugate. Ambulacri pari escavati, stretti, con zone porifere uguali e pori bislunghi obliqui, riuniti da solchi. Apparato apicale tetra- basale, etmolisiano, largo e corto, con quattro pori genitali. Peri- stoma eccentrico in avanti e nettamente labiato. Periprocto ovale longitudinale posto nella faccia posteriore, in alto di un’area al- quanto depressa. Tubercoli grandi, omogenei, scrobicolati, con mamelloni crenulati e perforati, fittamente diffusi su tutto il guscio e circondati da una rete di granuli allineati, nelle cui maglie esagonali essi si annidano. Fasciola peripetala non sinuosa. Per la forma generale, la larghezza e poca profondità del solco anteriore, la forte divergenza degli ambulacri pari e la loro forma flessuosa, alcune specie hanno ima vaga e curiosa rassomiglianza con certi generi degli Echinospatangidi, dai quali però, per tanti altri caratteri più importanti questo genere (>) Stefanini, E eh. foss Emilia (l. c.), pag. 539. 474 G. STEFANINI mostra di essere ben lontano. Rapporti molto più stretti passano tra esso ed alcuni generi di Brissidi, come Periàster, Epiaster, Hemiaster, ecc., generi che nella classificazione di Pomel costi- tuiscono la sotto tribù dei Picnasterini. Ma le somiglianze gene- rali di forma e di aspetto, assai cospicue specialmente con alcuni Hemiaster cretacei, non sono confermate da concordanza di caratteri più importanti, come dalla forma del sistema apicale e specialmente dalla tubercolazione, molto diversa e caratteri- stica. Tra i generi di Brissidi, destinati ad accogliere la maggior parte delle forme terziarie simili agli Hemiaster, ma con sistema apicale normalmente etmolisiano, l’unico che potrebbe essere confrontato col nostro, sarebbe il gen. Traehyaster Poni., coi suoi quattro pori genitali; esso ha però solco anteriore profondo e stretto, di forma del tutto diversa, e tubercoli posti su zocco- letti ellittici, come gli Schìzaster e affini. Analoga forma di tubercoli hanno i Paraster Poni, e gli Anisaster Poni., i quali rassomigliano assai nella forma ai Dic- tyaster, ma sono caratterizzati, del resto, anche dalla incompleta atrofia delle zone porifere anteriori nei petali anteriori pari. Non ostante l’autorevole parere contrario del sig. Lambert (’), ad una così differente struttura dei tubercoli io non saprei negare una discreta importanza. Dai gen. Pericosmus e Cyclaster, i cui tubercoli, sebbene infinitamente più minuti, hanno una struttura analoga a quella dei Hictyaster, questi si riconoscono per il numero di pori geni- tali, per la forma generale, per le caratteristiche del solco ante- riore molto sviluppato nel primo, nullo nel secondo, debole e largo nel terzo. Anche nelle Linthia, delle quali alcune specie cretacee, figu- rate dal Fourteau (?) hanno una forma simile assai a quella dei Dictyaster, i tubercoli sono sempre molto più fini: d’altra parte si sa che le Linthia hanno una fasciola latero-sottoanale. Nell’indicare le differenze del nuovo genere rispetto a quelli che più gli rassomigliano, ho dovuto tralasciare completamente (D Lambert, Echin. mioc. Barcel., II, III (1. c.), pag. 100. (2) Fourteau, Contribuì, à Vétude des echin. foss. de la Graie sup. (Bull. Instit. Egypt., sér. IV, voi. VI, fase. 3), 1906. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 475 i caratteri relativi al piastrone, non visibili sui miei esemplari, e qualche incertezza regna anche rispetto alla fasciola, che non saprei precisare se passi al di sotto o al di sopra dell’ano. Questi caratteri, se un giorno verranno esattamente determinati, som- ministreranno altri criteri per stabilire con maggior precisione la posizione tassonomica del nuovo genere. Quanto all’opportunità di stabilire per queste forme singo- lari un genere nuovo, la mia opinione è confortata dal parere di uno dei più insigni echinologi viventi, il Prof. P. de Loriol ; il quale, richiesto da me del suo pensiero in proposito, mi ri- spondeva con la consueta cortesia: « Je crois que vous avez raison, en envisageant cette espèce (D. excentricus) corame de vant étre rattachée à un genre nouveau ». Di questo suo parere colgo qui l’occasione per ringraziarlo caldamente. Le specie del gen. Bictyaster sono adunque tre, tutte del mio- cene medio: B. malatinus (Mazzetti, sub Pericosmus ) Q) B. excen- tricus n. s. (P. dilatatus non Pavay, Mazzetti pars) (?) e B. Lo- rioli nova species. Il B. malatinus (Mazz.) ha apice centrale, petali pari sub- eguali e poco flessuosi, tubercoli principali molto grandi. Il B. excentricus è invece specificamente caratterizzato dal guscio molto più largo che lungo, petali pari molto disuguali, i poste- riori flessuosi e più corti degli anteriori, apice eccentrico indietro e tubercoli molto sviluppati. Di questa specie pubblico una foto- grafia, rappresentante il tipo, del miocene emiliano (Tav. XVII fig. 9). Con essa deve poi essere confrontata un’ impronta (tav. XVII, fig. 10) trovata dal Prof. Cocchi in certe argille, finora ritenute eoceniche, dell’Àppennino di Massa (foce della Crocetta presso Groppo-Cavezzana). Dalle due diagnosi precedenti si rileva come la specie di Malta sia ben distinta dalle altre due, per l’apice eccentrico in avanti, la forma rigonfia e i tubercoli rela- tivamente un poco più piccoli. (*) (*) Mazzetti, Cenno monoor. fauna foss. Montese (Atti Soc. Nat. Mo- dena, ser. 8, t. IV) 1885, pag. 13. (2) Mazzetti, Calai, echin. foss. Coll. Mazzetti (Mera. Acc. Se. Lett. Arti Modena, ser. II, voi. XI) 1896, pag. 21 ; cfr. anche Stefanini, Echin. foss. del mtQC. medio dell’Emilia (Rendic. Acc. Line., voi. XVI) 1907, p. 538. 476 G. STEFANINI L’esemplare tipo del I). Lorioli appartiene alla collezione MecUicott. Ogni timore sulla possibilità di un errore nella pro- venienza, che potrebb’esser giustificato dal fatto, che il fossile si trova da parecchio tempo nel Museo, è del tutto infondato. Esso si presenta di un colore cioccolato, lucido e come verniciato, con traccie di un calcare giallo compatto e resti di serpula aderenti al guscio. Una conservazione perfettamente identica ed altrettanto singolare e caratteristica mostrano alcuni esemplari di Schimster Pari- insoni pure di Malta. Questa fortunata coin- cidenza ci permette di stabilire, con molta probabilità di non sbagliare, la provenienza della nuova specie dagli strati medi di Malta (Globigerina Liniestone) e precisamente dai ben noti Nodule beds. 17. Schizaster Parkinsoni (Defrance 1827) (Tav. XVII, fig. 11 e 12). 1855. Schizaster Parkinsoni Wright, Foss. echinod. Malta (l. c.) pagg. 2G6, 268, tav. V, tig. 3. Questa specie nota ormai da tanto tempo, è stata sottoposta a nuovi studi dal Lambert. Ne è tipo un esemplare figurato da Parkinson (') ma essendo quello evidentemente molto de- formato, il Lambert ritiene, secondo me giustamente, che in realtà questa specie non possa essere interpetrata altrimenti, che riferendoci al neotipo figurato dal Wright (2). Nel suo studio sugli echini di Barcellona il Lambert sembrava propenso a riu- nire lo S. Parkinsoni allo S. Scillae (Desmoul.) tenendo invece distinto da questo lo S. eurynotus Agass. Più recentemente però egli preferisce tener separate le due specie e figura di esse e (') Parkinson, Organ. rem. Ili, pag. 29, tav. Ili, fig. 12. C2) Lambert, Descr. ech. foss. mioc. Sarà. {I. e.) pag. 63. Alla pag. 66 dello stesso lavoro il Lambert dice al contrario che l’interpetrazione di Wright resta soggetta a discussione, e quanto a lui, sembra aver bell’ e risoluta la questione, poiché la figura che egli ci dà dello S. Parkin- soni sembra differire non poco dalla figura del Wright. Ma allora, se nè la figura di Parkinson nè quella di Wright possono esser considerate come tipi, qual’é il tipo dello S. Parkinsonil Come si vedrà dal con- fronto con le mie figure, quella di Wright è assai esatta. ECHINI MIOCENICI DI MALTA 477 dello S. eurynotus alcuni esemplari sardi. Il suo modo d’inter- petrare queste forme non mi sembra esatto; e trattandosi di specie il cui tipo è maltese e la cui importanza stratigrafica e faunistica è notevole, panni conveniente cercar di recare qual- che nuova luce nella questione. Secondo il Lambert lo S. Parldnsoni differirebbe dallo S. Sell- ine: 1° per il guscio più ristretto e rostrato indietro; 2° per l’apice più eccentrico; 3° per gli ambulacri posteriori più corti, meno divergenti; 4° per la fasciola più stretta, ravvicinata ai petali. Ora è evidente che la forma della parte posteriore del guscio e l’eccentricità dell’apice non possono essere stati ri- levati con esattezza dalla figura di Scilla, che rappresenta un esemplare rotto nella sua parte posteriore, mentre la fa- sciola non vi è neppure disegnata. Quanto al neotipo di Lam- bert, esso corrisponde meglio che alla figura di Scilla a quella dello S. Parldnsoni di Wright. Esso appare infatti [1°] dilatato in avanti, ristretto e rostrato indietro come lo S. Parldnsoni ; [2°] l’apice vi è leggermente spostato indietro in ambedue, ed è situato a circa 57/'100 della lunghezza totale nell’esemplare sardo, a 5yi00 in quello maltese: è cioè più eccentrico nel neotipo dello S. Selline che nel neotipo dello S. Parldnsoni, al contrario di ciò che ritiene il Lambert (Q. I petali posteriori dello S. Selline nella figura tipo sono in realtà più lunghi di quello dello S. Parldn- soni: in quella raggiungono il 71/100 della lunghezza dei petali anteriori, in questo il 58/100 . La figura del Lambert non è a questo proposito molto esplicita, poiché in essa i petali pari anteriori appaiono, per le deformazioni del guscio, assai diversi in lun- ghezza; prendendo per unità di misura quello di essi che appa- risce più lungo, i petali posteriori avrebbero una lunghezza re- lativa di 56/10i), prendendo invece quello che apparisce più corto il rapporto salirebbe a r/lon . Credo che detta lunghezza non possa allontanarsi dalla media di questi due dati, poiché il Lambert nella descrizione dice i petali posteriori raggiungere circa la metà degli anteriori. Anche per questo lato, adunque, [3°J il neotipo sardo dello S. SciUae sembra avvicinarsi più allo C) Lambert (Z. c.), pag. 13; a pag. 65 dello stesso lavoro si dice al contrario che i petali posteriori sono più divergenti nello S. parldnsoni che nello S. Scillae. Si tratta probabilmente di un lapsus calami. 478 G. STEFANINI S. parldnsoni che al tipo. La divergenza dei petali posteriori è poco significativa, essendoché tanto l’es. di Scilla quanto quello di Lambert hanno subito in quella parte compressioni e deforma- zioni; ma confrontando quest’ultimo con la figura di Wright non pare vi debba essere una differenza sensibile. Da quanto abbiamo detto risulta che l’esemplare sardo, figurato dal Lambert, come 8. Scillae corrisponde assai poco al tipo della specie o per la reale diversità di questo o piuttosto per la poca precisione e la mancanza di molti dettagli nella figura che lo rappresenta. Invece 10 8. Scillae Lambert si avvicina enormemente per tutti i carat- teri sopra citati allo S. Parldnsoni, e ne differirebbe soltanto per il diverso decorso della fasciola: ma in alcuni dei miei esemplari, (fig. 11) dove la fasciola era visibile, io ho potuto riscontrare, che questa è assai meno sinuosa e rientrante di quanto appare dalla figura di Wright e corrisponde nel suo andamento alla figura del Lambert. In altri (fig. 12) il decorso della fasciola sembra invece avvicinarsi di più a quello che si osserva nella figura di Wright. Comunque mi pare che questo carattere, da solo, abbia un’importanza relativa. Lo S. parldnsoni Lambert è assai ben distinto dalla figura che di questa specie ci dà il Wright, e che io considero come un esatto neotipo, pel guscio più ristretto, per l’apice più eccen- trico in dietro, per i petali anteriori meno divergenti e i po- steriori assai più corti, e, in base al confronto coi fossili del Museo fiorentino, per la forma un poco più depressa. Esso si avvicina di più, a parer mio, allo S. eurynotus Lambert, dal quale si distingue pel guscio un poco meno dilatato anterior- mente, l’apice un po’ meno eccentrico, il solco anteriore appena appena più stretto, la fasciola meno angolosa in corrispondenza degli anambulacri pari anteriori, la minor distanza tra la bocca e il margine anteriore. Quanto allo S. eurynotus Lamb., differisce esso stesso alcun poco dal tipo e da un bellissimo esemplare dei calcari di Rosi- gnano in Toscana che io credo utile figurare (tav. XVII, fig. 13) e che, da un confronto col tipo del Museo di Torino, mi è apparso in tutto ad esso corrispondente. Ora nello S. eurynotus Lambert 11 guscio è meno assottigliato indietro, con la massima dilatazione al terzo anteriore, invece che verso il mezzo ; la fasciola forma ECHINI MIOCENICI DI MALTA 479 un angolo retto invece che ottuso nell’interambnlacro impari e l’apice ha, sembra, due pori genitali soltanto, mentre questi sono certamente quattro neiresemplare toscano di S. curynotus. Converrà dunque considerare S. Parldnsoni Lamb. (non Auct.) e S. curynotus Lamb. (non Auct.) come due specie affini, distinte in ogni modo da quelle cui erano state ascritte; mentre S. Scillae Lambert (non Auct.?) è secondo me identico a S. Parldnsoni Wright, neotipo della specie. La figura di Parkinson non può, a detta stessa del Lambert, avere il valore di un vero tipo. Quanto all’echino figurato da Scilla, la sua figura è troppo imperfetta, a parer mio perchè vi possa esser riferita con sicurezza alcuna specie; ma certamente esso sembra avvicinarsi piuttosto allo S. Parldnsoni che allo S. eurynotus e per ciò molto opportu- namente secondo me il Lambert riprende quest’ultima specie togliendola dalla sinonimia dello S. Scillae. Nel museo di Firenze si conservano diversi buoni esemplari di questa specie, che deve essere molto comune a Malta. Alcuni derivano dalle collezioni dell’Antico Museo, altri dalla collezione Medlicott. Mancano indicazioni precise di lo- calità, ma il modo di fossilizzazione sembra indicare la prove- nienza dai calcari giallicci morbidi e dai Nodale heds. Gli autori indicano la specie negli strati medi del miocene maltese (Globigerina Limestone). Lo S. Parldnsoni sarebbe fre- quente nel miocene mediterraneo e in quello delle Anti Ile, ma non si sa quali autori lo abbiano bene interpetrato. 18. Schizaster meì iterisi* n. sp. (Tav. XVII, fig. 14). Guscio di piccole dimensioni, alquanto tumido, leggermente sinuoso in avanti, con apice subcentrale. Zone ambulacrali petaloidee, ambulacro impari diverso dagli altri, decorrente in un solco più profondo, che va molto atte- nuandosi e restringendosi verso l’ambito, e costituito da linee porifere diritte, a pori radi, posti dentro doccie escavate nelle pareti laterali del solco. Petali pari escavati, con zone pori- fere larghe e zigopori radetti. Gli ambulacri anteriori sono fles - 480 G. STEFANINI suosi, mediocremente divergenti, attendati all'estremità, circa il doppio, in lunghezza, dei posteriori, che sono piriformi. Zone interambulacrali tumidette, presso l’apice rilevate in forma di coste. Apparato apicale tetrabasale etmolisiano, apparentemente con quattro pori genitali. Tubercoli con scrobicola rialzata in forma di zoccoletto ovale e mamellone eccentrico : finissimi nella faccia superiore, più grandi e più radi assai sui margini e sulla faccia inferiore. Fasciola peripetala ampia, ben visibile, molto sinuosa, e stret- tamente accosta agli ambulacri. Poco dietro ai petali anteriori se ne stacca una fasciola latero-sottoanale quasi rettilinea. Le placche sono convesse nella loro parte centrale e come ombi- licate. La specie descritta dal Lambert come S. angustistclla dei piani inferiori del miocene sardo si riconosce per i petali più stretti, il solco anteriore non ristretto verso il margine, gli am- bulacri anteriori pari piuttosto piegati in avanti che flessuosi, meno divergenti, ecc. La specie che egli interpetra come S. sar- diniensis Cott. ha, in confronto della figura-tipo, un guscio assai più depresso: ciò non può essere dovuto a semplice variabilità individuale, avendo constatato sopra oltre venti esemplari sardi una notevole costanza in questo carattere; ma può dipendere da un accidentale schiacciamento subito dairesemplare figurato dal Lambert. Comunque anche da esso si differenzia la nostra specie per i petali anteriori flessuosi e aperti un poco in fuori all’estremità, pel solco più stretto, dilatato verso il mezzo, e uniformemente ristretto verso l’apice e verso il margine, ecc. L’esemplare unico che è tipo di questa specie si trovava insieme ad altri di Malta, ma senza cartellino speciale di pro- venienza. La roccia nella quale è fossilizzato — un calcare un poco terroso, piuttosto tenero, giallastro — è del tutto simile a quello che si trova aderente a certi esemplari di S. Parldn- soni, provenienti da Malta e quasi certamente dal Globigerina Limestone. La specie è rappresentata anche nelle arenarie ser- > entmose dell’Emilia (miocene medio). ECHINI MIOCENICI DI MALTA 481 Pericosmus latus (Agass.). 1840. Micraster latus Agassiz, Cat. Syst. Ectyp. foss. Ech. Mus. neoy., pag. 2. 1847. Hemiaster (Pericosmus) latus, Agassiz et Desor. Catal. rais, cles échin., pag. 19. 1891. Pericosmus latus Gregory, On thè maltese, ecc. (I. c.), pag. 613. 1906. Pericosmus latus Lambert, Éfudes échin. mol. V enee (l. c.), pag. 43, tav. II, fig. 3, tav. IX, fig. 1. In confronto agli altri Pericosmus questa specie è caratte- rizzata dai suoi petali lunghi, diritti, stretti, lineari, gli ante- riori poco più lunghi e divergenti dei posteriori, per modo che gli uni e gli altri vengono a trovarsi quasi per diritto. L’esem- plare di Malta da me esaminato ha dimensioni un poco mi- nori delle solite, presentando un diametro di circa 44 mm. Que- sta sua piccola statura lo fa rassomigliare un poco, a prima vista, al P. Edwardsi Agass. et Des., delle colline torinesi; ma si mostra subito ben diverso per la forma meno ristretta e meno tronca indietro, per i petali relativamente poco escavati, sube- guali, gli anteriori posti quasi per diritto coi posteriori, ecc. La forma del guscio e la lunghezza dei petali bastano pure a ca- ratterizzare questa specie in confronto con la Linthia Capellina Lor., che ad un mio studio accurato è risultata essere appunto un Pericosmus. Il sistema apicale, che è visibile, risulta di tipo tetrabasale etmolisiano, con tre pori genitali : la placca geni- tale anteriore destra, fusa col madreporite, si protrae lunga- mente indietro. Le placche radiali hanno forma di accento cir- conflesso. Il Lambert (Q ha recentemente tolto dalla sinonimia di questa specie lo Schizaster Grateloupi Sism., come già il Gregory ne aveva tolto alcuni esemplari maltesi, considerandoli come specie nuova, P. coranguinum. Queste due specie sono state ricono- sciute dal Lambert diverse anche per i caratteri generici dai Pericosmus, e sono divenute così i tipi del nuovo genere Gre- goryaster Lamb. (2), affine agli Hemiaster. Io sono ben lieto di (*) (*) Lambert, Ech. mioc. Bare., I-II, pag. 104; Lambert, Études (I. c.) , pag. 44. (2) Lambert, Descr. ech. mioc. Sard. (I. c.), pag. B9. 33 482 G. STEFANINI trovarmi in questa questione completamente d’accordo con l’in- signe echinologo francese. L’unico esemplare appartiene alla coll. Medlicott e pro- viene dall’isola di Malta, ove la specie è segnalata negli strati medi ( Glohig. Limest.). È comune in Corsica, Sardegna, Is. Ba- leari, Provenza, nell’Emilia e nell’Appennino centrale. CONCLUSIONI Biassumendo, le specie di Malta rappresentate nella piccola collezione del Museo fiorentino sono 19. Di esse, 2 sono specie nuove: lo Schizaster melitensis e il Dictyaster Lorioli. Le altre 17 sono specie già note e tutte già segnalate a Malta. Mi lusingo però che lo studio anche di esse non sia rimasto del tutto vano, avendo potuto per diverse — come per la Dorocidaris melitensis , Schizechinus duciei, Echinolampas aequizonatus, Opìssaster Scil- lae, ecc. descrivere strutture e porre in evidenza caratteri, che ad altri erano sfuggiti, forse per la non perfetta conservazione dei loro esemplari. Ciò, e la più ampia conoscenza che abbiamo oggi delle faune mioceniche ha permesso copiosi cambiamenti di sinonimia. Di queste diciassette specie sette non portano più il nome gene- rico che era loro attribuito nel 1891 dal Gregory: quattro di tali cambiamenti sono stati proposti da me e riguardano: Do- rocidaris melitensis (Wright sub Gidaris ) ; Echinolampas Pigna- tarli ( Conoclypens plagiosomus non Agass., Wright = Heteroclij- peus hemisphaericus Greg.); Echinolampas aequizonatus (Gre- gory sub Erey nella) : Eupatagus melitensis (Gregory sub Me- talia). Qualche altro cambiamento di sinonimia è stato effettuato riguardo ai nomi specifici. [ms. pres. 20 settembre 1908 - ult. bozze 30 novembre 1908]. ’I ‘iUu 'i 3oll. Soc. Geol. Ital. voi. XXVII (1908) (Stefanini) Tav, XVII. eucrr calzo. a» a few» ECHINI MIOCENICI DI MALTA 483 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA XVII. 1. Dorociclaris melitensis (Wright). Malta. 2. Schizechinus Duciei (Wright). Malta. 3. Clypeaster cfr. melitensis Michelin. Malta. 4. Echinolampas aequizonatus (Gregory). Malta. 5. Echinolampas Wrighti (Gregory). Malta. 6. Eupatagus melitensis (Gregory). Malta. 7. Opissaster Scillae (Wright). Malta. 8. Dictyaster Lorioli n. s. Malta. 9. Dictyaster excentricus n. s. Esemplare dell’Emilia (Marne di Pra- duro). 10. Dictyaster cfr. excentricus n. s. Esemplare dell’Appennino di Massa (Argille di Groppo presso Cavezzana). 11. Schizaster Parlcinsoni (Defrance). Calcari giallo-chiari di Malta. 12. Schizaster Parlcinsoni (Defrance). Calcari color cioccolato di Malta. 13. Schizaster eurynotus Agass. (Calcari di Rosignano in Toscana). 14. Schizaster melitensis n. s. Malta. PER IL PALEOZOICO DELLA CARNI A Annotazione del dott. G. de Angelis d’Ossat Il dott. M. Gortani, assistente alla cattedra occupata dal eh. prof. Capellini, trattando, con più ricco materiale, un argo- mento già svolto da me intorno alle Climenie della Carnia, scrive le seguenti frasi : « Il materiale fu accuratamente studiato qualche anno dopo » dal prof. De Angelis, che ebbe così il vanto di compiere il » primo lavoro italiano sulla fauna paleozoica antica delle no- » stre Alpi ». « Nel copioso materiale raccolto riconobbi quasi » tutte le specie già rinvenute dal De Angelis, ecc. ». Il lavoro del Gortani mi procurò sincera soddisfazione, perchè le diver- genze fra me ed il Gortani sono minori di quelle che spesso corrono fra due monografie dello stesso paleontologo, anche se esimio, sulla medesima fauna e con minor tempo interposto. Men fortunato sarei stato in apparenza per un altro lavoro sul paleozoico antico della Carnia secondo le affermazioni ge- neriche del prof. Yinassa de Regny. Certo, colpe geologiche e paleontologiche gravano sulla coscienza di tutti coloro che trat- tarono tal fatta di argomenti; nè io mi dichiaro infallibile, chè tutti hanno sbagliato, grandi e piccoli, giovani e vecchi, tutti, nessuno escluso. Nulla meno, rilevando dall’esame detta- gliato del lavoro del Yinassa che del pessimo materiale stu- diato egli non seppe ricavarne maggior profitto scientifico nep- pure venendo dopo, non devo pentirmi del mio secondo lavoro. Lungi da me siano le riflessioni intorno alle coincidenze di tempo; in ogni modo però, considerando la natura della revi- sione Vinassa e ricordando le risultanze delle varie discussioni accese dallo stesso professore, fra le quali una (Yinassa- Verri, De Marchi), svolta in gran parte in questo Bollettino, sono costretto a non accettare, nè ora nè mai, la battaglia in cui mi si vuole impegnare, certo non a vantaggio della scienza. E questo fia — [ms. pres. fili novembre 1908 - ult. bozze 1° dicembre 1908] . SULLA CORRENTE DI LAVA LEUCITICA (LEUCITITE) DI LUNGHEZZA PRESSO ROMA Comunicazione del prof. R. Meli Presento due fotografìe, fatte al microscopio con ingrandi- mento di 70/1, di sezioni sottili della lava leucitica (leucitite), che si mostra in una grande corrente . a Lunghezza presso la riva sinistra della Valle dell’Aniene, tra le vie Tiburtina e Pre- nestina, a circa 15 km. ad E. da Roma C). La corrente lavica si può rimontare nella direzione da N. N-W a S. S-E, lungo il fosso dell’Osa, di cui forma la sponda destra, fino oltre all’osteria omonima, radendo la base del cratere, se- condario, ben conservato, Gabino (?), o di Castiglione, conosciuto (') Le fotomicrografie furono fatte usando l'obbiettivo A (Zeiss) e l’oculare Huygens N. 1 (Zeiss) con un tiraggio della camera oscura di 40 cm. Ciò corrisponde, secondo Zeiss, ad un ingrandimento di 70 dia- metri. Le fotomicrografie della sezione sottile di leucitite furono ese- guite dai signori dott. G. Gallo ed ing. Ugo Bordoni con il micro- scopio e gli apparecchi fotografici del Gabinetto di Geologia Applicata della R. Scuola degli Ingegneri di Roma. (2) Questo cratere si chiama Gabino per la vicinanza dell’antica città di Gabio, o Gabii, che sorgeva sulla pianura, a piedi del cono, a S. S-E. di questo. Su Gabi si può leggere: Fea Carlo, Notizie di alcune lapidi ritro- vate nella dissotterrata città di Gabi, stampate nella Antologia Romana, voi. XVIII, 1792, pag. 313-317; 321-328; 337-340. Vulpius J. R., Vetus Latium, Tom. IX, in quo agitar de Praene- stinis et Gabinis. Romae, Bernabò et Lazzarinus, 1743, ved. pag. 243 a 284. Visconti E. Q., Monumenti Gabini della Villa Pinciana. Roma, 1797. Id., IIa edizione, Milano, 1835. Brandolini e Sereni, Riflessioni degli ingegneri Brandolini e Sereni sulla perizia giudiziale emessa dal sig. cav. Scaccia e dal sig. Tararli il 23 agosto 1824 nella causa tra S. E. il sig. principe Borghese ed il sig. cav. Mencacci per il lago Gabino (s. 1. n.a.) ma, Roma, 1824, in-8 gr., di pag. 11. Fea Carlo, Discussione fisica, idraulica, storico-antiquaria e legale sulla città di Gabio e suo lago dai tempi antichi fino ai nostri (s. 1. n. a.), ma, Roma, 1824, in-8", di pag. 30. Assai interessante ed erudita memoria. 486 R. MELI per il lapis gabinus, che è un tufo peperiniforme (‘), più li- toide e più resistente del peperino, che si trova a Marino, Ca- stel Gandolfo, Albano, Ariccia, Fontana Tempesta, Cecchina, verso Civita-Lavinia, ecc. nei colli Albani. La pietra Gabina con- tiene numerosi interclusi di lave leucitiche, ma, a differenza del peperino di Albano, è sprovvisto di interclusi di calcari, più o meno alterati, metamorfosati e resi talvolta sì cristallini, da sembrare frammenti di marmi statuari greci (!). Westphal J. H., Die ròmische Kumpagne in topograph. und antiq. Hinsicht dargestellt. Berlin und Stettin, 1829, in 4° con 2 carte topogra- fiche. (Ved. specialmente pag. 98, ove parlasi del cratere gabino e del peperino, che vi si trova. L’A. avverte che questa roccia è più dura del peperino alitano. Cita, forse per il primo, la lava della regione gabina). Nibby A., Analisi storico -topografi co-antiquari a della carta dei din- torni di Roma. lla edizione, Roma, 1848-49, volumi 3. Vedasi voi. II, pag. 71-92 per Gabi e suo lago. Questo ultimo venne prosciugato nella prima metà del passato ultimo secolo XIX0 dal principe Borghese. Per Lunghezza e suo castello vedasi voi. II, pag. 275-278. Molte notizie storiche su Gabi e suo lago, oggi disseccato, trovansi raccolte dal Moroni ( Dizionario di erudizione storico-eccles., voi. XXVIII, 1845, pag. 82-87, vedi articolo Gabio, o Gabii). Parecchie notizie storiche e topografiche su Gabii sono pure stam- pate nella Nuova Enciclopedia popolare. Va edizione, voi. IX, Torino, 1867, pag. 10-12. Lago di Castiglione e Colonna (pianta). Negli Atti d. R. Accad. dei Lincei. Mem. d. Classe di Se. mor., stor. e tìlolog., voi. I, ottobre 1885, fra le pag. 608-609. (La memoria di Galletti P. L., Gabio antica città Sabina, ecc. Roma, Puccinelli, 1757, in-4°, non si riferisce a Gabio nel Lazio, ma a Gabio di Sabina). (1) Salmojraghi F., Materiali naturali da costruzione. Caratteri lito- logici... . Distribuzione in Italia. Milano, U. Hoepli, 1892, alla pag. 411, cita il lapis Gabinus tra i peperini e scrive su di questa roccia: «Pe- » perino bigio-bruno. Lago di Castiglione. Usato dagli antichi ( lapis » gabinus ). Peperino compatto ». (2) Di peperino Gabino è costruito il bel muraglione antico in grandi blocchi squadrati, che osservasi entro Roma all’Arco dei Pantani. Se- condo gli archeologi, questa grande muraglia formava il recinto del Foro d’ Augusto. L’interno e le mura del Tabularium, nel Campidoglio, sono costruite in peperino di Gabi. LAVA LEUCITICA DI LUNGHEZZA 487 Nella carta r geologica del Ponzi, annessa alla sua Storia dei Vulcani Laziali , Atti d. R. Accad. dei Lincei, Serie lla, toni. 2°, 1875, questa corrente, che giunge presso Lunghezza, ove è cavata per farne i selci per la pavimentazione stradale Leucitite di Lunghezza. 1 X 70. delle vie di Roma ('), sembrerebbe traboccata dal cratere (la- bino, slabbrato appunto verso W., cioè, in prossimità dell’anzi- detta colata. Probabilmente, però, la corrente di Lunghezza continua sotto l’area della tenuta di Pantano, e si collega alla ingente massa lavica, incontrata più a monte dalla via Labicana, o Casiliua, Anche l’antico ponte romano, detto Ponte di Nona, sul fosso omo- nimo, lungo la via Prenestina a 12 km. da Roma, é formato di massi squadrati di peperino Gabino. (’) Di questa lava é costruito il ponte suU’Aniene presso il casale di Lunghezza, lungo la ferrovia Roma-Tivoli-Sulmona, circa il km. 14 da Roma. 488 R. MELI al Laghetto, sotto al paese di Colonna, presso l’osteria della Co lonna, a S. Cesareo, e che forse si deve mostrare scoperta in affio- ramento più a monte in qualche trincea tagliata nella lava, lungo la ferrovia Roma-Napoli, nel tratto tra le stazioni di Monte Corn- patri-Colonna e Zagarolo (’). Con questa grande colata si deve col legare e riunire la corrente, che osservasi più a valle, la quale si spinge quasi sulla riva sinistra dell’Aniene, e che tro- vasi dall’altra parte (Est) del cratere Gabino. Questa lava è in- contrata dalla via Prenestina antica e, più a valle, circa il km. 19 da Roma, dalla strada che, distaccandosi dall’antica Prenestina, va verso l’osteria delle Capannelle. È probabile che questa ultima corrente a valle non sia che la continuazione ed il prolungamento terminale della grande massa lavica, più a monte attraversata dalla via Casilina. Tutte le sopracitate correnti di lava sono collocate sulle pen- denze esterne del grande cono laziale, e forse spetterebbero al primo periodo eruttivo, cioè a quello, nel quale si formò la cinta craterica esterna, o primitiva. Il ciglio, od orlo, di questo cratere passa a Villa Aldobrandini sopra Frascati, al Tuscolo, al convento di S. Silvestro sopra Monte Compatri, a Rocca Priora, al Monte Ceraso, al Maschio dell’Ariano, aU’Artemisio sopra Velletri. Però, come è noto, la cinta craterica di questo primo e più antico sistema eruttivo non è completa, essendo essa de- molita per circa 1/3 verso il mare, ossia verso W., per esservisi impiantate le bocche eruttive, rappresentate dai laghi di Remi, Albano e dalla Valle Ariccia, prosciugata dai Romani. Nell’in- terno del grande cratere primitivo si osserva, come si sa, un altro cono eruttivo, surto in mezzo all’apparecchio vulcanico pri- mitivo, con un cratere centrale, quello dei Campi d’Annibale (2). O Sulla linea ferroviaria Roma-Napoli, nel tronco Ciampino-Za- garolo, affiorano, o si mostrano tagliate nelle trincee, parecchie correnti di lave laziali, tutte giacenti sulle pendenze esterne del cono primitivo. Ne ho numerate 14, scoperte lungo la linea della ferrovia nel tratto an- zidetto, o visibili per le cave di materiale, aperte nelle immediate adia- cenze della linea ferrata. (2) Per maggiori dettagli sul sistema vulcanico del Lazio si pos- sono consultare le memorie scritte da Lapi, Ferber, Breislak, von Bucb, Gmelin, Brocchi, Murchison, Forbes, Ponzi, vom Rath, Mantovani, Striiver, LAVA LEUCITICA DI LUNGHEZZA 489 Le due anzidette colate, che si mostrano ai fianchi del cra- tere Gabino, sono segnate nella Carta geologica della Campagna Romana e regioni limitrofe, nella scala di 1 a 100.000 pubbli- cata dal R. Ufficio Geologico in 6 fogli, Roma, 1888. Vedi foglio Roma e nell’altra Carta topografica dell’Agro Romano con in- dicazioni geologiche, nella stessa scala, edita dall’Ufficio sud- detto, la quale accompagna il lavoro di C. Tommasi-Crudeli : Il Clima di Roma, Conferenze, eco. Roma, Loescher, 1886, in-8°. Nelle due lamelle sottili, fotografate al microscopio, si ve- dono nettamente le leuciti, uno dei costituenti essenziali della roccia, largamente disseminate nella roccia stessa, con facilità riconoscibili per la loro trasparenza e per le sezioni, d’ordina- rio ottagonali, risultanti dai tagli dei cristalli icositetraedri di questo minerale. Sono anche rimarchevoli le numerose inclusioni (inclusioni vetrose, grani opachi, neri, di magnetite, microliti di augite) che si contengono nelle leuciti. Nella maggior parte delle leuciti si osservano le inclusioni regolarmente e simmetrica- mente distribuite. Per lo più presentano disposizione concentrica, e talvolta disposizione tendente alla radiale, alla stellata, o in settori ; non si vedono inclusioni ammassate soltanto al centro dei cristalli. La disposizione a zone concentriche di microliti fu osser- vata anche nei basalti leucitici di Stolpen in Sassonia, e di Schlackau (Rhon). Nelle leuciti del Vesuvio si osservò la di- sposizione raggiata, o stellare, delle microliti ed anche la di- sposizione delle inclusioni raggianti dal centro del cristallo, combinata con quella concentrica, a zone. Del resto, le inclusioni microscopiche, sia di natura vetrosa, che microlitica., regolarmente distribuite neH’interno dei cristalli Di Tucci, Verri, Meli, Clerici, Sabatini, Moderni, ecc. Rimando il lettore specialmente ai due seguenti lavori, nei quali si ha una copiosa biblio- grafia della regione: Meli R., Sopra i resti di un grande avvoltoio { Gyps) racchiuso nei peperini laziali. Boll. d. Soc. Geol. Ital., voi. Vili, 1889, fase. 3, pag. 4-5, nelle cui note e nell’Appendice si trovano parecchie ci- tazioni bibliografiche; Sabatini V., I vulcani dell’ Italia Centrale e i loro prodotti. Parte la, Vulcano Laziale, Roma, 1900, in-8° ("Forma il voi. X delle Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia, pubblicate dal R. Comitato Geologico). Alla fine del voi. (pag. 367-387) si ha una co- piosa bibliografia. 34 490 R. MELI di leucite, sono ben conosciute da tempo ed accennate da molti autori (’); non vennero però citate per la 'corrente di Lunghezza. Alla luce polarizzata, a Nicol incrociati, la leucite mostra debole polarizzazione. Si osserva inoltre la mica, l’augite, la magnetite nella massa della roccia. Le due raicrofotografie presentate sono, per la disposizione delle inclusioni nelle leuciti, analoghe alle microliti incluse nelle leu- citi, figurate nella tav. IX, n. 1 (parte inferiore della figura) e n. IV (parte superiore della figura) del lavoro del Sabatini: I vulcani dell’It. centr. Parte Ia, Vulcano Laziale (op. cit.). Le due ora citate figure di preparati microscopici si riferiscono a leucititi laziali (Squarciarelli e Capo di Bove). (*) Sulle inclusioni simmetricamente disposte nella leucite possono consultarsi, tra molte altre, le seguenti pubblicazioni: Zirkel F., Die mikroskop. Bescliaffenheit d. Miner.und Gesteine. Lei- pzig, 1873, pag. 72-75, 81, 147-155. Zirkel F., Ueber d. mikroskop . Structur d. Leucite. Zeitschr. d. deutscli. geolog. Gesellsch., voi. XX, 1868, pag. 97 e seguenti. Rosenbusch H., Milcroskop. Phi/siogr. d. petrogr. wichtigen Minerà - ìien. Il* edizione, Stuttgart, 1885-87. Ved. voi. I. pag. 270-281, tav. XIV , fig. 5, 6, tav. XV, tig. 1. Voi. II, pag. 773 e seguenti. Klein C-, Optische Studien am Leucit. Nachrichten v. d. k. Gesellsch. der Wissensch. zu Gottingen, 1884. Id., Ueber Leucit und Analcim und ihre gegenseitingen Beziehungen. In Sitz.-Bericht. d. preiiss. Akad. d Wissenschaft. voi. 16. 1897. Rosenbusch H., Elemente der Gesteinlelire. Stuttgart, 1898. Ved. tig. 61 alla pag. 348, ove é disegnata la sezione sottile della leucitite di Capo di Bove ingrandita 30 volte. Viola C., Mineralogische u. petrogr. Mittheilungen aus dein Herni- kerlande in d. Provinz Borii ( Ifaliens). Neues Jahrbuch f. Minerai. Geol. und Palaeont.., 1899, voi. I, pag. 93-137 con 8 tav. Per le inclusioni delle leuciti ved. pag. 125. [ras. pres. il 22 settembre 1908 - ult. bozze 1° dicembre 1908]. IL MOLISE Schema geologico del prof. Federico Sacco (Tav. XVIII) Naturale complemento dello studio geologico degli « Abruzzi » che pubblicai l’anno scorso, è l’esame del Molise, regione di cui feci quest’anno un sommario rilevamento geologico presentandone ora scbematicamente il risultato. Malgrado la contiguità, anzi l’intima connessione, esistente fra tali due regioni, evvi in complesso, fra di esse, un forte contrasto orografico, presentandosi gli Abruzzi come una regione alpestre con alte giogaie montuose, fra le quali, in depressioni vallive più o meno ampie, giacciono i paesi, mentre il Molise è una regione meno elevata, spesso dolcemente ondulata, fra cui però spuntano talora qua e là bizzarri rilievi (pizzo, pesco, rocca, ecc.) su cui stanno appollaiati paesi e borgate. La causa di tale differenza è geologica e consiste essenzial- mente nel fatto che negli Abruzzi la serie cretaceo-eocenica è solo di natura calcarea e quindi per la sua compattezza e rigidità forma alti rilievi, per sollevamenti accompagnati da fratture con spostamenti a gradinata; invece nel Molise la formazione di passaggio dal Cretaceo all’Eocene è in gran parte argillosa; quindi sotto l’azione delle forti spinte orogenetiche essa potè più facilmente, direi più docilmente, originare pieghe svariate, ondu- lazioni, ecc., senza che la serie cretaceo-eocenica venisse solle- vata molto in alto, tanto che anzi essa rimase spesso semi-som- mersa, direi, sotto le formazioni mio-plioceniche ; ed appunto fra queste, come anche frammezzo alle suddette formazioni argillose, spuntano qua e là in forma assai rilevata, spesso bizzarramente turrita, speciali banchi calcarei, resistenti, dell’Eocene medio. 492 F. SACCO Multiplo è l’interesse geologico che presenta la regione del Molise, sia per la sovraccennata eteropia di uno stesso terreno in regioni affatto contigue, sia per il problema riguardante la interpretazione cronologica dell’indicata serie argillosa, sia per il grande sviluppo della formazione mio-pliocenica, anch’essa di natura assai svariata e qua e là fossilifera, sia per la notevole estensione delle formazioni quaternarie specialmente verso est. Ciò premesso, passo senz’altro alla sommaria descrizione dei singoli terreni costituenti il Molise, largamente inteso, chiudendo poi il lavoro colla Bibliografia geo-paleontologica di detta regione. Secondario. La formazione secondaria, eccettuato qualche limitato affio- ramento di Giuralias nel margine N-0 del Molise, è essenzial- mente rappresentata dal Cretaceo che deve costituire il substrato profondo della regione in esame apparendovi nelle più forti pieghe o fratture con spostamento. Trias. Nella cartina geologica unita al presente lavoro trovasi il piccolo ma interessantissimo affioramento della Punta delle Pietre nere a nord di Lesina, studiato accuratamente in questi ultimi anni per opera specialmente di Di Stefano e Viola, per cui rimando per dettagli a detti studi. Limitomi qui ad accennare come in detta punta affiorino Calcari nerastri, marnoso-bituminosi, stratificati o schistosi, ricchissimi in cristallini di Pirite, fortemente sollevati, cioè con una inclinazione di 60°, 70°, 80° verso l’est all’incirca. Essi paiono stratigraficamente concordanti con una apparentemente inglobante zona di roccie vulcaniche brune, le cosidette Garga- niti, cioè Lamprofiri sienitico-dioritici a struttura ora granitoide ed ora porfiroide, con passaggi a Felsofiri; essi ricordano e po- trebbero essere analoghi e contemporanei a certi Melafiri e Por- firiti accompagnanti alcuni affioramenti triasici della fronteg- giante Dalmazia nonché delle Alpi (48, 49, 52, 64). IL MOLISE 493 Piccoli affioramenti di Gesso, cristallino, talora un po’ bitu- minoso, affiorante fra le sabbie delle prossime dune, ricordano certe lenti gessose del Trias superiore italiano e dalmato. Infine i fossili, che per quanto talora un po’ schiacciati, si raccolgono abbondantissimi fra gli schisti marnoso-calcarei delle Pietre nere, precisano l’età triasica superiore o raibliana di detto affioramento. Tali fossili rappresentano le seguenti forme: Bactryllium cfr. canaliculatum Heer, JBairdia cfr. periata Giimb., Avicula gea D’Orb., Leda pereaudata Giimb., Myophoria vestita V. Alb., M. inaequicostata Klipst., Cardimi rhaeticum Mer., Trochus integrostriatus Di Stef., Protoner ita garganica Di Stef., Promathilclia Pellatii Di Stef., P. Kittlii Di Stef., P. subnodosa Miinst., P. Ammonii Worhm., Natica Squinaboli Di Stef., N. cfr. Sanctae Crucis Laube, Loxonema hybrida Miinst., L. arctecostata Miinst., Pseudomelania adriatica Di Stef., Acteo- nina lesinensis Di Stef., Anoplophora Portisii Checc. L’interesse di tale affioramento è assai grande, sia perchè ci illumina alquanto sull’origine del curioso promontorio garga- nico e delle prossime Tremiti, sia perchè ci indica un’estensione, probabilmente molto notevole, dei terreni triasici sotto l’Adria- tico; parrai invece inaccettabile l’interpretazione stata in pro- posito recentemente avanzata dallo Schmidt (74) cioè di un im- menso fenomeno di carreggiamento. Estese e potentissime formazioni calcareo-dolomitiche o solo dolomitiche, biancastre, affioranti specialmente nel gruppo del Matese, lascierebbero supporre quivi l’apparsa del Trias; ma la loro connessione coi sovrastanti terreni cretacei parrai renda più probabile la loro attribuzione all’Infracretaceo. Giurai ias. Questa formazione, essenzialmente del Lias, è costituita da calcari biancastri, spesso subcristallini, talora un po’ dolomi- tici, con pochi fossili, quali Megalodus, piccole Kinconelle e Terebratule (P. rotsoana, T. Benieri), Crinoidi, ecc., ed invece rare Ammoniti (specialmente Phylloceras e Lytoceras in basso, Hildoceras ed Harpoceras verso l’alto della serie basica); essa ap- pare in zona assai limitata, essenzialmente per fratture seguite da 494 F. SACCO parziale sollevamento, collo spessore di poche centinaia di metri, sollevata sin oltre 2000 metri sol livello del mare; tettonica- mente talora concordante col sovragiacente Cretaceo, talora ri- coperta direttamente dall’Eocene come nel gruppo della Meta. Per ulteriori dettagli rinvio al precedente lavoro sopra « Gli Abruzzi », 1907, ed ai lavori del Cassetti. Cretaceo. La formazione cretacea è rappresentata nel Molise da due facies ben distinte, cioè quella tipica calcarea e quella argillosa che però è ancora di interpretazione cronologica un po’ dubbia; esaminiamole quindi partitamente. Facies calcarea. Questa facies tipica corrisponde a quella solita della regione abruzzese (vedi il lavoro « Gli Abruzzi ») ed in genere della regione assiale dell’Appennino centro-meridionale, cioè è costi- tuita dall’alto al basso, sinteticamente, nel seguente modo: Cretaceo. — Calcari compatti, biancastri o leggermente gial- lognoli, spesso assai ricchi in Rudiste, donde il nome di Calcari a Rudiste o Calcari ippur itici, cioè con varie specie di Ippu- riti ( Hippurites giganteus, H. gosaviensis o li. cornuvaccinum di alcuni autori), Biradiolites, Sphaerulites o Radiolites, nume- rose Caprinidi (come Caprinula , Caprina ), Plagioptychus, Ictyo- sarcolithes), qualche Nerinea (JY. cfr. Stoppami ), qualche Acteo- j nella ( A . gigantea, A. cfr. renauxiana ), Ceritidi, Trigonie, Cri- noidi, Corallari, ecc. Infeacretaceo. — Calcari bianchicci, spesso subcristallini, sovente un po’ dolomitici, in special modo verso il basso; qua e là con numerosi fossili, quali Toucasia (T. carinata o Re- quienia Lonsladey di alcuni autori) (donde il nome di Calcari a Toucasie od a Requienie od a Camacee), con piccole Mono- pleure, Caprotine, Radioliti, Nerinee, numerose Itierie, Rinco- nelle, Crinoidi, Corallari e Foraminiferi. Talora calcari biancastri o rosati o giallo-rossigni, utiliz- zabili come marmi ornamentali. La parte inferiore, dello spes- IL MOLISE 495 sore di più centinaia di metri, diventa talora affatto dolomitica, ricordando il Trias e presentando solo fossili mal conservati, o semplici nuclei di Gasteropodi, che non permettono assicurarci dell’età di tale potente formazione; la sua età infracretacea, per quanto ancora un po’ dubbia, sembra risultare dai passaggi lito- logici e stratigrafici che essa presenta coi veri depositi infra- cretacei, talora con intercalazioni di zone dolomitiche fra le solite calcaree dell’Infracretaceo e persino del Cretaceo. I fossili, specialmente Rudiste, Requienie, Caprotine ed Itierie, sono talora abbondantissimi ma sovente anche mancano od almeno paiono mancare, per zone assai estese, in causa spe- cialmente della semicristallizzazione del deposito; tuttavia i cenni di fossili che compaiono qua e là indicano la prevalenza del- l’origine organogenica di questi calcari che talora anzi rappre- sentano probabilmente il prodotto di formazioni coralligene. È particolarmente il Cretaceo pr. d., in modo particolare la sua parte medio-superiore, che si presenta più fossilifera tanto da apparire talora come un vero calcare organogenico ora coralli- geno ora ippuritico, ora a Caprinidi, ora a Gasteropodi, spesso di origine mista. Il Parona, in un recente studio di fossili rac- colti nel calcare bianco cristallino, marmoreo, cretaceo del Ma- tese orientale, specialmente dei dintorni di S. Polo (62), deter- minò le seguenti forme: Hippurites gosaviensis Douv. ; H. giganteus D’Hombr. ; H. Taburni Guise.; II. colliciatus S. P. Wood; Pileochama Cremai Par.; Distefanella ìumbricalis D’Orb.; Disi. Passami Par.; Disi. Guiscardii Par.; Dist. Pouvillei Par.; Biradiolites cornupa- storis Desm. ; B. samniticus Par.; B. cfr. ìumbricalis D’Orb.; Spliaerulites De Alessandrii Par. (cfr. cantabricus Douv.); Po- hjconites operculatus Roull. (Douv.); Caprotina sp. ; Apricardia carentonensis D’Orb. Mentre negli stessi calcari il Pittipaldi (60) segnalava i seguenti Gasteropodi; Perita Tarameli ii Par.; N. De Lorcnzoi Fitt. ; Tilostoma schiosensis Bohem ; Permea sub- nodulosa Fitt. (cfr. Stoppami Gemm.), P. Bassanii Fitt., P. sam- nitica Fitt., P. Tiferni Fitt., Fibula Di Stefanii Fitt.; Actaeo- nella schiosensis Bohem., A. matensis Fitt., A. ellipsoidalis Fitt. Di speciale interesse paleontologico sono i resti ittiolitici, s ati studiati dal Costa e poi dal Bassani (35, 37), che si trovano 496 F. SACCO presso Pietraroja su speciali stvaterelli calcarei grigio-giallastri talora un po’ bituminosi, dello spessore complessivo di una de- cina di metri. Secondo il Bassani gli Ittioliti di Pietraroia sono rappresen- tati da: alcuni C'ondrotterigi, come il Rhinobatus obtusatus { affine al Rii. maronita) e lo Spinax lividus (analogo allo Sp. pri- maevus) ; parecchi Ganoidi, come Belonostomus crassirostris (vi- cino al B. lesinaensis), Coelodus grandis, Lepidotus exiguus , Notagogus Pentlandi e Protopterus ? macrocephalus, Oenoscopus Petraroiae; molti Teleostei della Famiglia Clupeidae, cioè: Hip ptius Sebastiani , Sauropsidium lacvissimum, Caeus Leopoldi , Thrissops microdon , Leptolepis neocomiensis e Clupca brevissima. È curioso come le maggiori affinità di questa ittiofauna, secondo il Bassani. siano collTnfracretaceo inferiore e col Ti- tonico, mentre che, studiando la serie appenninica, sembra che la zona ittolitifera in questione sia intercalata in una potente serie calcarea di cui la parte superiore è costituita da calcari bianco-grigiastri, subcristallini ad Ippuriti, Badioliti, Ceritidi, Nerinee del Cretaceo vero, mentre la parte inferiore è formata da calcari grigiastri a Toucasie e piccole Nerinee, talora con zo- nule di calcari breccioidi bianco-rosei utilizzabili come bel marmo od anche lenti argillose rossigne per materiali ferromangane- siferi. Quindi l’indicata fauna ittiolitica, malgrado caratteri di una certa antichità, è riferibile alla zona di passaggio tra Cretaceo ed Infracretaeeo. Tale fatto ricorda quello analogo osservato nell’Abruzzo aqui- lano per la ricca fauna, a Molluschi e Coralli, dei dintorni di Calascio; fauna con forti affinità titoniche, e che invece pei rap- porti stratigrafici sembrerebbe riferibile al Cretaceo, salvo che vi si debba ammettere un forte hyatus tra Giura ed Eocene. Ad ogni modo i recenti studi geologici e paleontologici sul Cretaceo appenninico sempre più dimostrano: 1° quanto siano difficili se non impossibili i parallelismi un po’ precisi della sua potentissima serie coi piani tipici, classici, dell’Europa cen- trale; 2° come, malgrado la potenza di tale serie appenninica, non vi si possano facilmente fare molte divisioni stratigrafiche ed essa possasi solo scindere in pochi piani complessivi. I IL MOLISE 497 Tettonicamente la formazione cretacea si presenta sovente in dolci ed ampie anticipali, spesso però limitate verso un lato da lunghe fratture con forte spostamento, come è appunto il caso pel gruppo della Majella; oppure mostra bensì una stra- tigrafia semplice, per disposizione suborizzontale, ma viceversa assai tormentata dalle fratture con susseguenti sollevamenti e sprofondamenti, così nei monti di Venafro e nel Matese; quivi la potentissima serie, costituita da calcari dolomitici in basso, a Toucasia in mezzo ed ippuritici in alto, mostrasi in complesso quasi orizzontale ed ergentesi di oltre 1000 m. dai piani vallivi circostanti, appunto per fratture perimetriche con spostamenti notevolissimi. La direzione, sia delle pieghe sia delle relative fratture, è essenzialmente NO-SE nella regione montuosa di Majella-Meta-Cesina, diventando invece piuttosto di ONO-ESE a sud, cioè nel gruppo del Matese. Lo spessore della formazione cretacea è spesso notevolis- simo, come vedesi specialmente nel Matese, dove essa raggiunge persino, se pure non oltrepassa, un migliaio di metri di potenza. Altimetricamente i terreni cretacei del Molise oltrepassano di poco i 2000 o 2100 m. come nei monti di Pescocostanzo e del Matese. Quanto ai rapporti del Cretaceo coi terreni sotto e sopra- stanti si nota talora un passaggio abbastanza graduale; così tra Giura e Cretaceo nel gruppo del M. Genzana a sud di Sulmona, e tra Cretaceo ed Eocene nella Majella; ma la povertà di fos- sili, specialmente nel primo caso, impedisce di assicurarci se tale transizione sia reale o solo apparente per relativa concor- danza stratigrafica e somiglianza litologica. Frequentemente però osservasi una trasgressione più o meno forte tra detti terreni. Circa lo sviluppo del Cretaceo basta ricordare come esso co- stituisca il substrato della calotta eocenica della Majella, formi gran parte dei rilievi di M. Pizzalto-M. Kotella-M. Pratella, appaia in zonule di frattura ad ovest di Castellone Volturno e specialmente chiuda a S-0 il Molise coll’ampio ed elevato gruppo del Matese. Dal punto di vista, direi, applicativo ricordiamo come le formazioni cretacee, perchè essenzialmente calcaree, compatte, resistenti, formino rilievi piuttosto elevati, montuosi, spesso ni- 498 F. SACCO pestri, specialmente nelle regioni di fratture con salto o di forti erosioni. Le erosioni acquee vi produssero sia profonde incisioni, sia quella svariata serie di incavi, grotte, depressioni ad imbuto, ecc., note sotto il nome complessivo di fenomeno carsico. Sono regioni piuttosto aride perchè facilmente assorbono per mille fori e fratture l’acqua di pioggia, nè generalmente pos- sono restituirla in forma di fonti, mancando vere zonule iraper- meabili intercalate alla potente serie calcarea. Però in causa, sia di fenomeni tettonici (pieghe, fratture, ecc.), sia di differenza di resistenza nei banchi calcarei, fra i rilievi cretacei osservansi spesso depressioni più o meno vaste che già furono lacustri o lo sono solo saltuariamente, oppure lo sono tuttora come il lago del Matese, per quanto anche questo in via di lenta scomparsa. Naturalmente in rapporto coi sopraccennati caratteri oroidro- grafici le regioni cretacee sono povere di centri d’abitazione e di strade, nonché meschinamente ed assai limitatamente coltivate. I calcari cretacei offrono un materiale da calce abbastanza buono, oltre naturalmente al materiale da costruzione che talora pre- sentasi assai bene allo scasso ed alla lavorazione o perchè te- nero o perchè ben stratificato, specialmente nel Cretaceo su- periore. Certe zone semi-cristalline, specialmente se con fossili a colo- razioni grigio-rosate, o rossastre, brecciate, o con vene spatiche ir- regolari, possono fornire bei marmi ornamentali, ciò specialmente neH’Infracretaceo superiore. Certi strati regolarissimi a grana fina possono anche utilizzarsi quale pietra litografica, come i calcari ittiolitiferi di Pietraroia hanno già provato. Scarse e quindi poco importanti sono le zonule ferruginose e beauxistiche che appaiono qua e là fra i calcari, specialmente nella parte superiore dei calcari a Requienia. I Calcari dolo- mitici, specialmente dell’Infracretaceo, sono talora quasi farinosi, tanto da usarsi come sabbia. IL MOLISE 499 Facies argillosa. Come ho già accennato in principio, mentre nella regione abruzzese la serie cretaceo-eocenica è quasi unicamente calcarea e biancastra, nel Molise si verifica che sotto all’Eocene medio la serie diventa parzialmente marnoso-argillosa, però ancora ric- camente calcarea e talvolta nummulitifera; poi diventa, in basso, essenzialmente schistoso-argillosa, però con interstraterelli cal- carei ed arenacei spesso contorti e lacerati (talora col tipo di Pie- tra forte), con impronte svariate fucitiche, nemertilitiche, con Pi- riti, Marcassiti, inclusione di gaz tonanti rivelati dai lavori in galleria, con lenti di calcare grigio-giallastro, alberesiforme, as- sumendo nello stesso tempo una tinta complessiva brunastra, spesso con colorazioni rossigne ; il tutto generalmente sconvolto e rimestato nella parte superficiale. Mentre la zona superiore di questa speciale formazione è certamente riferibile all’Eocene inferiore, come d’altronde lo pro- vano le lenti nummulitifere che vi potei constatare in alcuni punti, invece la zona inferiore, che assume tutto l’aspetto lito- logico ed orografico delle famose Argille scagliose dell’Appen- nino settentrionale parmi attribuibile in parte al Cretaceo. Tale interpretazione cronologica è d’altronde analoga a quella che, malgrado la contraria opinione generale, io vado seguendo da un ventennio circa dette Argille scagliose. Questo modo di vedere per la regione appenninica settentrionale mi provenne dal fatto di incontrare in dette argille resti di Cicadeoidee, Ino- cerami, Ammoniti, Hamiti, Pticodi, Ittiosauri, ecc., cioè fossili tipici del Cretaceo. Pel Molise tale interpretazione non solo mi venne suggerita dalla somiglianza, per non dire identità, della formazione ar- gillosa in esame con quella dell’Appennino settentrionale, ma mi venne anche convalidata dal fatto che (per quanto abbia percorso la regione rapidamente e solo lungo poche linee) potei riscontrare qua e là nelle zone argillose lenti e blocchi di cal- care con Ippuriti, così tra Bonefro e S. Elia, tra Castropignano ed Gratino a N. 0. di Campobasso, e poi a Sud del Molise tra Castelfranco in Miscano ed Ariano di Puglia, nei dintorni di 500 F. SACCO Zungoli, fra Accadia e Lacedonia, ecc. Nè trattasi di un feno- meno tanto raro, giacche p. es. nell’alta Val Biferno, questi calcari ippuritici inglobati nella formazione argillosa sono per sino conosciuti volgarmente dai cavatori del luogo come Cal- cari a lumache e ben distinti dai calcari eocenici circostanti. È bensì vero che fenomeni analoghi furono già osservati da altri, appunto nelle regioni pugliesi ultimamente accennate, ed interpretati come dovuti a rimaneggiamento o qualcosa di si- mile, attribuendosi quindi il terreno argilloso all’Eocene. Ma nell’Appennino mer. come nel settentr. mi pare assai più logico e naturale l’attribuire al Cretaceo le formazioni inglobanti fossili cretacei (forse per banchi o lenti di calcari ippuritici inglobati nella parte inf. della formazione argillosa in questione) che non ricorrere a spiegazioni poco chiare per mantenere nell’Eo- cene detto formazioni, quando non presentano fossili eocenici. La differenza paleontologica fra le due regioni apenninicbe (settentrionale e meridionale) sta essenzialmente in ciò che, sic- come il Cretaceo tipico nell’Appennino sett. (p. e. a M. Ripaldi presso Firenze) presenta essenzialmente Inocerami ed Ammoniti, la sua forma eteropica, argillosa, colà offre pure specialmente detti fossili. Invece nell’Appennino mer. il Cretaceo tipico es- sendo essenzialmente ippuritico, sono naturalmente Ippuriti che s’incontrano qua e là nella formazione argillosa che penso ne rappresenti una facies eteropica. Si verificherebbe cioè nel Cretaceo dell’Appennino ciò che si è ora potuto stabilire pel Trias e Lias delle Alpi; in ambo i casi la forma tipica calcarea fossilifera venendo sostituita, più o meno estesamente, da una formazione ben diversa, più o meno argillosa e schistosa ( Flxysch ofìtifero nel Cretaceo, Formazione delle Pietre verdi nel Trias-Lias), naturalmente più intensamente metamorfosata nel secondo che nel primo caso. Con tutto ciò non posso certo disconoscere il fenomeno dei .rimaneggiamenti, che anzi già riconobbi assai estesi negli Abruzzi, appunto nell’Eocene inferiore; anzi son persuaso che la parte superiore della formazione argillosa in questione sia appunto riferibile all’Eocene inf. e che quindi possa ancora attribuirsi a tale periodo parte delle zone che nell’unita cartina geologica furono segnate con verde rigato. IL MOLISE 501 Ad ogni modo, comunque si voglia interpretare l’età di questa formazione, sta il fatto della trasformazione rapida, direi subi- tanea, che verificasi tra la formazione calcarea e quella, argil- losa, come osservasi p. es. in modo tipico, caratteristico, pas- sando dalle falde orientali della Majella alla contigua regione peligna ad est di una linea corrente ad un di presso da Guar- diagrele a Palena, ecc. 11 poco materiale ippuritico che raccolsi nel Molise non è abbastanza ben conservato da permettere una precisa determi- nazione; ma, come affatto analogo, ricordo quello ad Ippuriti, Camacee ed Acteonelle, stato raccolto dagli Ing. L. e G. Lanino e dal Salmoiraghi, durante il laborioso impianto della linea ferroviaria Foggia-Napoli, materiale stato donato dai Lanino al Museo del Politecnico di Torino e recentemente studiato dal Parona, che vi determinò le seguenti forme del Cretaceo su- periore (58). Bippurites radiosus Des MouL; B. Lapeirousei Goldf. ; H. cornucopiae Defr. ; B. gosaviensis Douv. , B. resectus Defr. ; Lapeirousia Jouanneti Des MouL; Bournonia Bournoni Des MouL; B. cfr. ingens Des MouL; Sphaerulites cilindraceus Des MouL; Sph. Morioni Mant. Credo poi anche opportuno ricordare, quale fatto suggestivo, in proposito all’età di queste argille scagliose, come in alcune regioni periferiche del Gruppo del Matese, p. es. presso il Passo di Crocella a nord di Pietraroia, si incontrino argille scagliose rossigne manganesifere e ferrifere tra i tipici calcari eocenici ed i tipici calcari cretacei, ed anche fra questi ultimi come se- gnalò il Cassetti (46). Tettonicamente la formazione argillosa è molto conturbata per pieghe, arricciature, scorrimenti, ecc.; ma come al solito essa, appunto per la sua natura, nelle zone di affioramento è generalmente tanto alterata e scompaginata, rimaneggiata, ecc., che ne riesce di rado visibile la vera stratigrafia. Il suo spes- sore deve essere assai variabile da luogo a luogo; certo sovente assai notevole, come indica il grande sviluppo di alcuni affio- ramenti; ma in nessun punto osservandosi la serie completa non è possibile precisarne la potenza. 502 F. SACCO Per lo stesso motivo non possiamo conoscere i rapporti della formazione in esame coi terreni sottostanti, mentre invece in molti punti si può vedere come essa superiormente vada ad innestarsi con graduali alternanze coi calcari fossiliferi dell’Eo- cene inferiore-medio. Uno dei punti che per profondità ed ampiezza di erosioni lascia veder meglio tali passaggi è la desolata regione a sud di Civita Campomarano; quivi infatti le argille scagliose, varie- gate, bizzarramente contorte, sollevate, rovesciate, ecc. con una direzione prevalente E-O, verso sud veggonsi assai bene alter- narsi con strati calcarei e schistoso-calcarei, anch’essi simil- mente sollevati e contorti e di analoga direzione E-0 (con in- clinazione fortissima prevalentemente a Sud) formando così la cresta di Colle Marasca-Le Serre-Il Castello, riferibile all’Eocene inf. che poi rapidamente ma regolarmente passa alla zona pre- valentemente calcarea o calcareo-marnosa dell’Eocene medio di Lueito, ecc. Come chiaro appare dalla Cartina geologica questa forma- zione argillosa sviluppasi solo ad Est dell’asse appenninico (dove invece ergesi il cretaceo tipico, calcareo) e spingesi molto verso la regione litorale. Come nell’Appenn. sett. anche qui, natural- mente per le stesse cause, la formazione in esame origina re- gioni depresse, facilmente erodibili dalle acque, senza centri di abitazione, ed anche con pochi edifizi, a comunicazioni stradali di difficile manutenzione per facili scorrimenti, a cultura agri- cola anche relativamente poco sviluppata per lo stesso motivo. In certe zonule, specialmente in quelle rossigne, incontransi traccie ed impregnazioni di minerali diversi, come Rame, Ferro, Manganese, ma che non credo meritino escavazione. Più utili invece sono le lenti o strati di Calcare per mate- riali da costruzione e da calce. IL MOLISE 503 Terziario. La serie terziaria è incompleta mancando affatto l’Oligocene e gran parte del Miocene; ma viceversa vi è enormemente svi- luppato l’Eocene, il Miopliocene ed il Pliocene costituendo nel- l’assieme i 4/5 circa del Molise. Eocene. E rappresentato essenzialmente da calcari, ma di varia na- tura ed origine, secondo le regioni ed i piani. Non è sempre facile la distinzione dei piani nella serie eocenica, tanto più quando è tutta calcarea, ma in complesso possiamo distinguervi tre orizzonti principali, cioè, d’alto in basso : Eocene superiore o Bartoniano (1. s.) rappresentato da scbisti marnoso-cal carei , grigio-giallastri, alternati con straterelli cal- carei, o calcareo-arenacei, qua e là zeppi di Nummuliti, Lepi- docycline, ecc. (come p. es. tra Frosolone e Civitanova), ma più frequentemente solo con Zoophycos, Cilindriti, ecc. (come p. es. presso Rionero Sannitico, nella interessante alta conca di Gallo, nel Matese, dove gli schisti marnoso-arenacei sono spesso ondu- lato-contorti), oppure costituito di calcari teneri bianco-giallo- gnoli, spesso organogenici (specialmente Briozoi e Litotamni) od almeno ricchi in fossili (come Heterostegine, Echinidi, Pettini, Grifee, Denti di Squali, ecc.) con facies miocenica, donde ap- punto la loro attribuzione al Miocene, come nella parte setten- trionale ed orientale del gruppo della Majella. Eocene medio o Parisiano (1. s.) essenzialmente calcareo, cioè costituito : ora da banchi di calcare compatto, qua e là nummu- 1 difero, solo con lenticelle selciose (come p. es. nei gruppi della Majella e della Meta) ; ora da calcari pseudo-breccioidi che sono spesso assai ricchi in Litotamni, Coralli, Echini, Briozoi, Bivalvi, più o meno frantumati (come p. es. in buona parte dei curiosi rilievi ruiniformi che si ergono bizzarramente tra Valle Aven- tino e Val Sangro); ora da calcari marnosi, argilloso-schistosi, st raterei lati, grigio-giallognoli (talora alternati con straterelli calcareo-arenacei), analoghi a quelli sviluppati nell’Appennino 504 F. SACCO settentrionale, dove collegansi coi calcari ad Helminthoidea la- byrinthica, (come in buona parte del Molise centrale e meridio- nale). al qual tipo spesso si collegano od intercalano speciali calcari marnosi, biseiaroidi, cioè grigi, compatti, a frattura po- liedrica ricordanti il Bisciaro delle Marche. Tra i Calcari marnosi che costituiscono gran parte dell’Eocene del Molise compaiono spesso interstrati arenacei che, quando alterati, come spesso avviene alla superfìcie, ricordano assai le arenarie mioplioceniche e possono anche indurre in errore quando trattasi di lembi isolati od a rapporti stratigrafici non ben visi- bili, come verificasi p. es. nelle colline di Celenza Valfortore- Castelnuovo, attorno a Campobasso, ecc., e giù giù in gran parte del Beneventano. In alcune regioni, p. es. nell’alta Val Yandra a S-E di Forli del Sangro, (Colli della Serra, di S. Benedetto, Selve di Isernia a S-0 di Bocca Sicura) l’Eocene si mostra costituito da una potentissima serie di schisti e straterelli marnosi ed arenacei, grigio-giallastri, che ricordano affatto la facies dell’Eocene di buona parte dell’alto Appennino tosco-romagnolo, come d’altra parte ricordano pure certe zone del Miopliocene a cui, a primo tratto, parrebbero attribuibili. Tale formazione sotto le potenti pressioni subite si è in generale fortemente sollevata e contorta; per la sua relativa friabilità le erosioni acquee vi ebbero buon gioco incidendo le colline nel più bizzarro modo tanto da ridurle ad uno stato labirintoide assai spiccato. Stratigraficamente detta formazione sembra riferibile all’Eocene medio-superiore, giacché sovrasta alla potente ed estesa formazione calcareo-marnosa, grigio-giallastra, qua e là un po’ rosata, con banchi calcarei zoogenici, cioè zeppi di Litotamni, Nummuliti, ecc., dell’Eocene medio-inferiore, quale vedesi, p. es., tanto sviluppato appunto nella regione montuosa tra Forlì del Sangro ed Isernia. Eocene inferiore o Suessoniano (1. s.) talora solo calcareo, ma più frequentemente rappresentato da zone o schisti calcareo-ar- gillosi, giallastri o rosati o rossigni, talora alternati con stra- terelli calcareo-arenacei assai ricchi in fossili nummulitici, o con calcari a fucoidi o con calcari alberesiformi, ecc., e passanti inferiormente alla zona delle argille scagliose, come p. es. sulla destra dell’Aventino, ad est di Lama dei Peligni. Bicordo anzi IL MOLISE 505 in proposito come sia una delle maggiori incertezze che più fre- quentemente si presentano al geologo rilevatore il delimitare le zone a schisti marnoso-argillosi con strati calcarei dell’Eocene inferiore dalle zone inferiori più riccamente argillose (vere argille scagliose sconvolte, con strati di Pietra forte, di Calcare Albe- rese, ecc.) che paioumi già riferibili al Cretaceo, essendovi in generale rarissimi e mal conservati i fossili e sconvolta e poco visibile la stratificazione. Dove la vasta e potente formazione eocenica si appoggia, verso ovest, sul Cretaceo del Matese, si vede in alcuni punti, p. es. nella regione di Passo Crocella, che sotto alla potente pila dei calcari nummulitiferi del Parisiano, sviluppasi una serie di schisti calcareo-argi liosi varicolori, talvolta rossigni, alternantisi con strati calcarei giallastri o rosati, spesso un poco contorti; credo che questa serie schistosa sia riferibile al Sues- soniano e panni interessante giacche, colla sua costituzione e tinta, sembra preludiare alla formazione delle Argille scagliose che altrove sviluppansi sotto di essa e che quindi io tendo a riferire già al Cretaceo. Nel Molise pr. d. vi sono poche regioni dove si possa esa- minare la serie eocenica quasi completa; fra quelle migliori ricordo la zona estendentesi dai dintorni di Frosolone a quelli di Ci vitanova, dove osservasi appunto la seguente successione stratigrafica. Miopliqcene. — Formazione sabbioso-arenacea, qua e là con- glomeratica (Colline di Molise), in strati e banchi variamente inclinati, prevalentemente ad est. Zona marnosa grigia, con inclinazione analoga. Eocene. — J3a>A-Schisti marnoso-calcarei grigi o biancastri, qua e là un po’ rosei, spesso ondulato-contorti localmente, ma in complesso a stratificazione abbastanza regolare con pendenza, prevalente ad est, di 30°-40°, con Zoophycos, Fucoidi e simili fra gli scisti calcarei; invece nelle zone calcareo-arenacee (come p. es. tra il colle S. Marco e S. Janni) zonule zeppe di Lepi- docyclina ( L . Pendini, L. Mantelli, L. dilatata, L. Morgani, L. marginata, L. Formai, L. Verbeeki, ecc.) fauna che il Prever, che la determinò, attribuisce all’Aquitaniano od al Langbiano. 35 506 F. SACCO Pam.-Calcari compatti grigiastri, formanti la parte alta, dirupata ed a gradinate, del gruppo di M. Marchetta-Murgia quadra-La Montagnola. /SWss.-Sehisti marnoso-argi liosi, brunastri, qua e là ros- sicci, alternati con strati calcarei. (Dintorni di Ci vitanova del Sannio). I Fossili, per quanto potei osservare nelle mie rapide escur- sioni, sono talora abbondantissimi in tutti e tre gli orizzonti eocenici. Cosi nelle zone calcareo-arenacee, argillose, dell’Eocene inferiore raccolsi qua e là, ed il Prever determinò, una fauna ricca in Laliarpeia (L. Defrancei, L. subitalica, L. subbasilisca, L. sub- Benoisti, ecc.), Paronaea (P. Marianii, P. eocenica, P. Tchi- hatcheffì, ecc.), Gumbelia lucasana, Assilina ( A . subspira, A. For- mae), Ortliopliragmina stropliiolata, ecc. Pure all’Eocene inferiore sono riferibili alcuni calcari, ora compatti ora breccioidi, spesso fossiliferi, cioè con Litotamni, Nummuliti (N. striata, ecc.), Oper- culine, Ostree, Pettini, Denti di Squali e talvolta con frammenti di Rudiste, fatto che già notai assai esteso negli Abruzzi; il tutto in generale regolarmente passante al Cretaceo superiore, come osservasi in alcuni punti del Matese, nel M. S. Croce sopra Yenafro, ecc. L’Eocene medio è il vero orizzonte nummulitifero (come ne è regione tipica la Majella) per la ricchezza straordinaria in numerose Paronaea, Guembelia, Laliarpeia, Bruguierea ed As- suma, insieme con abbondantissime Ortliopliragmina, Alveolina, Operculina, ecc., di cui l’elenco specifico si può trovare nel mio lavoro sopra « Gli Abruzzi » secondo gli studi del Teliini e del Prever, e nel mio recente studio sulla Majella (78). Insieme con tali Eoraminiferi spesso abbondano pure i C’o- rallari, alcuni Ecbinidi, Briozoi, Pettini, Cerizidi ed altri Mol- luschi, ma raramente ben conservati. Certi strati calcarei, spesso un po’ selciferi, sono talora ricchi in grosse Nummuliti (IY. perforata, N. lucasana, ecc.) rappre- sentando il nummulitico tipo, oltre ai soliti resti di Crinoidi, Ostriche, Pettini, ecc., come vediamo specialmente nei gruppi montuosi della Majella e del Matese. Ma quasi ovunque, ricer- cando con un po’ di cura, si riscontrano qua e là fra i calcari eocenici speciali strati o banchi con Nummuhti ( Guembelia , IL MOLISE 507 Laharpeia, ecc.), talora anzi straordinariamente abbondanti, come p. es. nel Colle della Guardia a N-0 di Rionero Sannitico. Nei calcari psendo-breccioidi, tanto sviluppati nel Molise set- tentrionale, si trovano pure spesso Nummuliti, Ortofragmine, Alveoline, ecc., insieme con Crinoidi, Briozoi, Pettini, Ostriche, ecc., ma per lo più un po’ frantumati e non ben determinabili; ricordo quale esempio i calcari brecciformi di Monterodomo, a sud di Torricella Peligna, in cui trovai abbondanti (secondo le deter- minazioni del Prever) Guembelia cf. spissa, Paronaea Guettarcìi, P. Heeri, Amphistegina sp.; Operculina l 'errigli, 0. libigca; Orthophragmina racìians, 0. Pratti, 0. sella, 0. nummulitica, 0. stella, 0. Taramellii; Alveolina ellipsoiclalis, Linderina cf. Paronai, Gypsina vescicularis, Chapmania gassinensis, ecc. Ma del resto le forme di Foraminiferi variano alquanto da luogo a luogo, o meglio da banco a banco ; così nei prossimi, analoghi calcari di Pizzoferrato abbondano piuttosto V Orthophragmina Arditaci, le Baculogypsina, ecc. Accenno ancora alcuni esempi di località nummulitifere di cui raccolsi maggior materiale, gentilmente determinatomi dal Prever. Nei Calcari di Montagna Fiorito ad ovest di Agnone, abbon- dano: Paronaea Tchihatcheffi, P. Guettardi, P. Piamondi, P. sub Tellinii, P. venosa; Orthophragmina scalaris, 0. sella, 0. JBartholomei, 0. nummulitica ; Gypsina glóbulus, ecc. Molti punti attorno a Capracotta si presentano riccamente fossiliferi, od almeno in questa regione il fortunato incontro di strati disaggregati mi permise una più facile raccolta di mate- riale determinabile; così nei calcari di M. il Campo sono copiosi i resti di: Paronaea Guettardi, P. atavica; Orthophragmina Marthae, Heterostegina reticulata, Opercidine, Orbitoliti, ecc.; in quelli prossimi ed analoghi del M. S. Nicola, connessi con straterelli calcareo-arenacei a Pettini, abbondano Laharpeia sub- Benoisti, Orthophragmina Pratti, Gypsina melobesioides, Al- veolina ellipsoidalis, A. frumentisformis, ecc. Nei calcari pseudo-breccioidi, bianco-giallognoli, del vicino M. Cerro, pure collegati con strati arenaceo-calcarei, con Pettini, si trovano: Paronaea Tchihatcheffì, P. Guettardi, P. venosa, 508 F. SACCO P. crispa, P. variolaria, Orthophra gn i ina Pratti, Gypsina glo- bulus, Alveoima cf. oblonga, eoe. Fra le arenarie calcaree, alternate con sclristi marnoso-argil- losi e con strati di calcare nelle prossimità di Capracotta, spe- cialmente verso Sud ed Ovest, troviamo abbondanti Paronaea va- riolaria, P. crispa, P. mamilla, P. aiacica, P. Guettardi, P. ve- nosa, P. Piamondi, P. subTcllinii, Guembelia lenticularis, G.sub- Oosteri, G. subGentilei; Alveoline, Amfistegine, ecc., nonché Briozoi, Ostriche, Pettini, Litotamni, denti di Clirysophris, di Oxyrhina, ecc., cioè la solita fauna di tipo littoraneo. Anche fra i Calcari marnosi si incontrano zone nummulitifere ; così in certi strati subcristallini intercalati alla zona calcareo- marnosa sotto Liscia a sud di S. Buono abbondano le Paronaea (P. eocenica, P. variolaria, P. Heberti, P. Piamondi, ecc.) con altri Foraminiferi. Nei Calcari breccioidi, basanti sulla formazione argilloschi- stosa del Molise settentrionale, spesso i fossili abbondano in modo straordinario ; ricordo p. es. quelli del gruppo del M. Secine ad est di Pescocostanzo, che presentano frequentemente: Bruguierea Ficheuri ; Paronaea eocenica, P. Tchihatcheffi, P. Guettardi, P. atavica, P. sub Tettimi, P. venosa; Orthophragmina setta, 0. marthae, 0. nudimargo, 0. Bartholomei, 0. discus, 0. varians, 0. nummulitica, 0. strophiolata, 0. Taramellii, 0. Chelussii; Alveolina ellipsoidalis, A. frumentisformis, A. cf. oblonga ; Gyp- sina vescicularis, ecc. secondo le determinazioni del dott. Prever. Un’altra facies di Calcari nummulitiferi è quella che appare in strati frammezzo agli schisti brunastri o giallastri dell’Eocene medio-inferiore, ricordo p. es. i calcari grossolani che affiorano nella collina di S. Giusta tra Palata ed Acquaviva, inglobando qua e là: Paronaea Tchihatcheffy, P. Guettardi, P. atavica, Orthophragmina Pratti, 0. Marthae, 0. nummulitica, 0. di- spansa, Gypsina globulus, ecc. Nell’Eocene superiore trovansi pure sovente zone fossilifere ma con due facies principali ben distinte; cioè: 1° nei calcari teneri (tipo la Pietra gentile della Majella), bianco-giallastri, troviamo tutta una fauna ricca in: Litotamni, Echinidi, Briozoi, Terebratule, Pettini, Ostriche, Lucine, Cardii, Vermetidi, Turritelle, Dentalidi, Denti di Squalidi, fauna avente IL MOLISE 509 carattere di Miocenicità tale che finora questa potente forma- zione venne attribuita al Miocene. Circa tale interpretazione rinvio senz’altro alla mia nota spe- ciale: La questione eomiocenica dell’ Appennino, 1906. A proposito di detta quistione ricordo qui il recentissimo studio del De Angelis (76) che nei calcari marnosi-bianco gial- lastri della regione Pietra valle presso Trivento determinò : Chla- mys latissima, Pecten aduncus, P. burdigalensis, P. Besseri, Plio- lampas Passali, (o Pygorhynchus Collombi), P. cf. medfensis, con- cludendo al solito sulla miocenicità di questa formazione che parrai invece eocenica (1). 2° nei calcari marnosi-schistosi, qua e là un po’ arenacei, straterellati (tipo la zona Frosolone-Civitanova), abbondano le LepidocycUna, talora insieme con Gypsina, Miogypsina, Hete- rostegina, Operculina, ecc. Anche in questo caso si affaccia la questione eomiocenica, ritenendosi generalmente le Lepidocycline forme solo mioceni- che ed oligoceniche, idea che vado combattendo da parecchi anni con varie pubblicazioni e che anche le osservazioni fatte negli Abruzzi e nel Molise mi provarono essere erronea. I pochi punti fossiliferi ricordati sopra debbono appena con- siderarsi come semplici esempi, giacche in realtà si potrebbero moltiplicare a migliaia e con speciali ricerche si potrebbe rica- vare dal Molise una ricca fauna nummulitica. La Tettonica dell’Eocene è molto varia secondo le regioni e la costituzione geologica. Infatti là dove esso è formato di grossi e compatti banchi calcarei, costituisce grandiose placche o zone poco inclinate, difficilmente corrugate ed invece piuttosto fratturate con susseguenti spostamenti verticali, come appunto nella Majella occidentale, nei dintorni di Castellone al Vol- turno, ecc. (') Nello stesso lavoro il De Angelis esprime il desiderio di conoscere quali rapporti esistano fra il Calcare farinoso a Diatomee di Ansidonia e S. Demetrio (che segnalai l’anno scorso neH’aquilano) ed il prossimo calcare a Pettini e Grifee di Prata Ansidonia. La risposta è facile; trat- tasi di un deposito lacustre del Plistocene poggiato sopra una forma- zione marina dell’Eocene. 510 F. SACCO Dove invece l’Eocene è particolarmente marnoso-argilloso,come in gran parte del Molise propriamente detto, naturalmente sotto l’azione delle potenti spinte tangenziali le formazioni eoceniche, invece di fratturarsi, generalmente si corrugarono più o meno notevolmente in una serie di anticlinali e sinclinali, spesso assai pigiate e sollevate, sovente però anche con fratture, rovescia- menti e perfino con qualche scorrimento suborizzontale, come contro il rigido massiccio della Majella. Non possiamo qui scen- dere all’esame regionale di questi fenomeni, ma in complesso si può notare che le creste calcaree più accentuate nell’oro- grafia del Molise corrispondono per lo più alla direzione degli strati calcarei, eocenici, un po’ fortemente sollevati e talora per- sino verticali od anche rovesciati, anche talora in modo da di- ventare suborizzontali od inclinati in senso contrario a quello originario. Sovente oltre alle grandi pieghe principali osservansi in dettaglio curiose ripieghettature con fratture, spostamenti, con- torcimenti, ecc., ciò che ci prova l’enorme pressione subita da queste formazioni per sollevarsi a costituire gli attuali rilievi. Ma dove i contorcimenti sono più frequenti, direi quasi carat- teristici per bellezza, è nell’Eocene superiore, a facies di stra- terelli calcareo-marnoso-argillosi, assai docili alle pressioni e quindi corrugabili in mille sensi e modi; così buoni esempi ve- diamo nei dintorni di Frosolone, paese che è appunto poggiato su tali schisti calcarei tettonicamente assai tormentati. Sovente que- sto Eocene superiore si sviluppa trasgressivamente sull’Eocene medio, sul quale vedesi talora giacere qua e là in zone sparse (spesso straticamente arricciate e contorte), residuo di un manto originariamente assai più esteso e stato facilmente abraso, per la sua natura prevalentemente marnosa, dalle erosioni acquee. Noto infine che talora la orizzontalità, o quasi, degli strati e banchi calcarei dell’Eocene non è che apparente, nel senso che non corrisponde ad una stratificazione poco disturbata ma può anche derivare da pieghe coricate, come talvolta verificasi nelle regioni eoceniche a base argilloschistosa ed a tettonica molto tormentata. La potenza della serie eocenica è assai notevole, certo di 400 o 500 m.; ma probabilmente anche maggiore, solo che non IL MOLISE 511 la si può osservare completa e regolare in modo da misurarla con precisione. Già si è sopra accennato ai rapporti sovente abbastanza re- golari che osservansi tra l’Eocene ed il soggiacente Cretaceo, quantunque ben spesso il primo giaccia un po’ trasgressivamente sul secondo in modo che manca l’Eocene inferiore. In parecchi punti, p. es. nel Matese orientale, fra gli strati calcarei dell’Eo- cene inf., anche nummulitifero, si intercalano straterelli mar- noso-argillosi, grigio-bleuastri, ed anche rossigni, acquiferi; questa serie calcareo-argillosa potrebbe formare una specie di transizione al sottostante Calcare cretaceo. Invece esiste sempre un reale hyatus, generalmente accom- pagnato da una trasgressione più o meno manifesta, tra i ter- reni eocenici e quelli miopliocenici. Tuttavia qua e là si può notare una qualche concordanza stratigrafica tra Eocene e Mio- pliocene, perchè il corrugamento che sollevò l’Appennino si ac- centuò specialmente all’aprirsi del periodo pliocenico; ma tale concordanza stratigrafica non implica affatto una successione cro- nologica, come fu ammesso da molti, mancando l’intiera serie oligocenica e gran parte di quella miocenica. Altime.tr icament e nel Molise pr. d. di rado l’Eocene si mo- stra sollevato oltre i 1000 m. malgrado i forti corrugamenti; invece dove esso si addossa alle formazioni calcaree tipiche là si innalza anche notevolissimamente, raggiungendo i m. 2241 s. 1. m. alla Meta e quasi i 2800 m. alla Majella (2795). La schematica cartina geologica mostra assai bene il grande sviluppo dell’Eocene, che anzi costituisce la parte principale del Molise dove spingesi a fascie e lingue irregolari attorno, od insi- nuate entro, alle regioni cretacee, come p. es. nel Matese; oppure presentasi in grandi lembi di ricoprimento o calotte, come alla Majella, alla Meta e sopra Venafro, raggiungendo così le mas- sime altezze. Il grande sviluppo dei depositi miopliocenici nel Molise fa sì che spesso l’Eocene ne rimane in gran parte sepolto, masche- rato per lunghi tratti, oppure vi appare solo in isolotti e liste ricordanti le attuali ìsole dalmate; spesso attorno a tali emer- sioni, già insulari, veggonsi locali zonale o fascie ghiaioso-ciot- tolose (sia mioplioeeniche sia plioceniche), sovente fossilifere e 512 F. SACCO ad elementi forati dai Litodomi, come p. es. sul fianco setten- trionale del rilievo di Palata, il cui calcare eocenico in posto mostrasi talora naturalmente anche esso traforato dagli stessi Molluschi. Dal punto di vista applicativo possiamo fare le seguenti osservazioni principali. L’orografia delle regioni eoceniche, è, come al solito, in stretto rapporto colla loro costituzione e tettonica; infatti se nelle zone di sviluppo dell’Eocene inferiore, marnoso-argilloso. si osservano regioni depresse o leggermente ondulate, ampie valli, ecc., invece siccome nell’Eocene in generale prevalgono i banchi calcarei, cosi questo terreno corrisponde quasi sempre alle regioni più elevate, siano placche di ricoprimento (tipo Majella e Meta), siano antielinali (tipo Palinoli), siano zone di frattura o di forti pieghe, anche talora ribaltate, per cui i banchi calcarei vengono a spuntare fra i più depressi terreni argillosi o mar- nosi quali torrioni o aspri e bizzarri rilievi dirupati, come ve- diamo specialmente nel Molise sett. (tipo Eoccascalegna, Penna- domo, Buonanotte, Montenerodomo, Pizzoferrato. Gamberale, Ci- vitaluparella, Montelapiano, Pescopennataro, Trivento, ecc.) e qua e là anche altrove, come p. es. Pescolanciano, Castel di Sangro, Castropignano, Gratino, Castello di Campobasso, ecc. Circa l’Idrologia è notevole che, malgrado la natura preva- lentemente calcarea e quindi assorbente dei terreni eocenici, vi sono però numerose le sorgenti, in rapporto al fatto che fra i banchi calcarei, specialmente nella parte inf. della serie, non di rado si intercalano straterelli marnoso argillosi poco permea- bili che originano preziose sorgenti (vedi p. es. nel Matese orien- tale), oppure i banchi calcarei poggiano direttamente sulle for- mazioni argillose dell’Eocene inf. o del Cretaceo. Coututtociò la maggior parte dei paesi del Molise, appunto per essere in ge- nerale situati su rilievi eocenici, scarseggiano di acqua potabile e se ne vanno ora opportunamente fornendo derivandola per lo più da sorgenti col legate ai prossimi gruppi calcarei più elevati. Ragioni di salubrità, di sicurezza (almeno pel periodo pas- sato) e di stabilità di costruzione ci spiegano come la maggior parte dei centri d’abitazione siano collocati sul dorso dei rilievi calcarei da cui però tendono ora a discendere per mezzo dello IL MOLISE 513 sviluppo delle rispettive borgate site più in basso e quindi più comode pel commercio e per la vita in generale. Le strade sono di abbastanza facile costruzione nelle regioni eoceniche, salvo nei maggiori gruppi calcarei elevati, aspri e resistenti, d’altronde poco abitati. L’agricoltura, scarsa nelle regioni elevate e rupestri essen- zialmente calcaree, è abbastanza sviluppata nelle regioni meno elevate od a pendio dolce per la relativamente facile alter- nanza del Calcare più o meno marnoso o argilloso. Il Calcare eocenico è largamente utilizzato come materiale da costruzione e da calce. Particolarmente utilizzabili per calce sono gli strati calcarei che alternansi colle marne argillose del- l’Eocene inf. e per costruzione i calcari teneri dell’Eocene su- periore: cioè la cosidetta Pietra gentile, biancastra o gialliccia, facilmente lavorabile, leggiera e quindi assai usata ed anche esportata dai maggiori centri di escavazione, che trovansi alle falde orientali della Majella, a regioni lontane. E pure specialmente in questi calcari teneri dell’Eocene su- periore che trovansi, egualmente alla Majella, le maggiori im- pregnazioni bituminose. Miopliocene. Con questo nome intendo quella formazione terziaria che sta fra il Miocene, di cui forse comprende ancora la parte supe- riore, ed il Pliocene inferiore o Piacenziano] corrisponde cioè il Miopliocene al Messiniano, col Sarmaziano o Pontìco od Oeni- ghiano dei vari autori. La sua costituzione è in generale assai semplice, risultando da una formazione marnosa o marnoso-argillosa grigiastra, qua e là gessifera, che passa sovente ad una formazione sabbioso- arenacea, grigio-giallastra, più o meno micacea, generalmente ben stratificata (qua e là con lenti ciottolose o conglomeratiche) che viene ora ballottata, secondo gli autori, dal Miocene (spe- cialmente medio) all’Oligocene od all’Eocene. Sulle regioni (specialmente enti-appenniniche, Valfortore, din- torni di Campobasso, ecc.) dove appare ben distinta la zona inferiore della serie miopliocenica, questa si può assai netta- 514 F. SACCO mente suddividere in due orizzonti, uno inferiore marnoso (che potrebbe forse ancora corrispondere cronologicamente al Torto- ninno) ed uno superiore potente, formato da una pila di strati e banchi arenacei (detti localmente Tufo in Yalfortore ed altrove), qua e là fossiliferi e con non rare lenti conglomeratiche; è questa d’altronde la costituzione generale (salvo la maggior frequenza di conglomerati) che osservasi pure nel Miopi iocene di buona parte deH’Appennino settentrionale, lato adriatico, come p. es. nelle Marche. Nelle colline a S-0 di Campobasso si vede assai bene nel complesso la seguente successione stratigrafica nel Miopliocene, d’alto in basso: Potente serie di banchi conglomeratici, costituenti il gruppo del M. Vairano, con inclinazione prevalentemente a nord circa. Banchi sabbioso-arenacei, grigio-giallastri, con qualche ciot- tolo sparso qua e là. Strati e lenti argilloso-conglomeratiche comprese fra le sabbie. Sabbie grigio-giallastre. Sabbie e marne grigiastre. Serie marnoso-argillosa, grigio-giallastra, con interstraterelli marnoso-arenacei, più o meno acquifera. Cioè appare, nell’insieme, ben chiara la tipica distinzione tra la zona arenaceo-conglomeratica dell’orizzonte superiore e la zona marnoso-argillosa di quella inferiore. Nettissima nel modo più tipico appare tale distinzione in Val Fortore, p. es. nei din- torni di Gambatesa, dove alti ed estesi muraglioni naturali, for- mati da banchi arenacei grigio-giallastri con ciottoli o lenti ciottolose, appoggiansi a dolci zone marnoso-grigiastre. Pure abbastanza ben visibile è la divisione in esame nella bella conca di Cusano-Pietraroja, dove vediamo che la zona marnoso-grigia (qua e là con interstrati arenacei) passa gradualmente verso l’alto ad una serie di banchi sabbioso-arenacei giallastri costi- tuenti la collina isolata di Regione S. Maria. A proposito di questa insenatura mioplioceniea, che fascia ad est la regione montuosa del Matese, è interessante osservare come spingasi sin sotto le prime case di Pietraroja; quindi gli innumerevoli fori di Litodomi che. riempiti generalmente di ma- teriale calcareo, attraversano i vicini calcari cretacei sono riferi- IL MOLISE 515 bili cronologicamente all’epoca miopliocenica, allorquando il mare ancora avvolgeva il rilievo, allora insulare, del Matese; infatti seguendo la striscia miopliocenica che si insinua tra il rilievo cretaceo del M. Mutria e quello eocenico del M. Mo- schiatturo, vi si riscontrano qua e là ciottoli sia granitici sia calcari, questi ultimi talvolta pure egualmente traforati da Li- todomi. Un’interessante facies un po’ speciale del Miopliocene è quella che sviluppasi in alcuni punti, p. es. nelle colline di Fraudore-Santelle, a nord di Jelsi, in forma di strati calcarei grumulosi, un po’ travertinoidi o panchinoidi che dir si voglia, costituenti quasi calotte o zone suborizzontali sull’alto delle col- line e spesso zeppe di Pettini, Ostriche, Briozoi, ecc. Sarebbe certo interessante assai lo studio di detta ricca fauna littoranea, giacche essa ci rappresenterebbe il passaggio dalla fauna mioce- nica a quella pliocenica. Inoltre vi sono zone (p. es. nella media Val Sangro, in Val Fortore ecc.) dove il Miopliocene è costi- tuito di un’alternanza di strati marnosi ed arenacei compatti, regolari, che ricordano p. es. la serie eocenica dell’Appennino tosco-romagnolo, dove infatti detta serie è talora distinguibile solo con qualche difficoltà dalla sovrastante serie miopliocenica della Romagna, serie quest’ultima analoga quindi a quella di varie regioni enti-appenniniche del Molise. Di speciale interesse sono le lenti o banchi ciottolosi o con- glomeratici, sia perchè ci indicano locali delta di fiumi nel mare miopliocenico oppure antiche correnti litoranee, sia perchè, oltre al materiale essenzialmente calcareo e meno abbondantemente arenaceo o selcioso, di origine eocenica o cretacea non molto lontana, presentano pure ciottoli e ciottoloni di materiale cri- stallino assai antico cioè Granito, di origine certamente assai lontana e finora non sicura. Fra tali ciottoli granitici constatai alcuni del diametro di 60 a 70 centimetri, come p. e. presso Macchia Val Fortore e nelle colline a S-0 di Campobasso. Nel Molise la maggior estensione e potenza della formazione cong-lomeratica osservasi precisamente nel gruppo del M. Vai- rano a S-0 di Campobasso; quivi la serie conglomeratica (lar- gamente utilizzata, p. es. colla grande cava sotto il Colle Ser- rano) presentasi incorporata in banchi o lenti ripetute fra le 516 F. SACCO sabbie arenacee; rappresentata talora da ciottoli sparsi fra le sabbie stesse, assume poi uno spessore di oltre 100 metri, solle- vandosi così per la sua potenza e resistenza a quasi 1000 metri sul livello del mare. Oltre ai prevalenti ciottoli calcarei e (in minor quantità) arenacei, derivanti dall’abrasione dei rilievi eocenici, trovansi sparsi speciali ciottoli calcari brunastri che ricordano certe formazioni basiche ed infraliasiche, ed abba- stanza frequenti ciottoli e ciottoloni di Granito biancastro ed anche roseo, nonché ciottoli costituiti da una specie di conglo- merato antico, pseudoanagenitico, risultante dalla saldatura di piccoli elementi granitici, quarzitici e di colore bruniccio. I ciottoli sono talora infranti e colle parti spostate e rice- mentate, prova dell’enorme pressione subita ; hanno un diametro prevalentemente di 10, 30, 40 centimetri, ma ne misurai anche di un metro. Gli elementi eocenici (calcarei od arenacei) sono talora ancora un po’ angolosi; invece quelli granitici sono assolutamente rotondeggianti, prova evidente di aver subito un percorso ben più lungo; fatto che ricorda alquanto ciò che osservasi nei con- glomerati del Miocene torinese cogli elementi alpini, cristallini, rotondeggianti e quelli appenninici, calcarei, spesso un po’ an- golosi ; probabilmente per cause un po’ analoghe. I ciottoli gra- nitici sono talmente frequenti fra le arenarie sabbiose del Mio- pliocene da diventarne quasi elementi caratteristici, tuttavia incontransi anche, ed è naturale, tra i conglomerati pliocenici, dove però sono meno frequenti. Talora il Miopliocene si mostra anche parzialmente costi- tuito di calcare, però in generale grossolano, più o meno gru- muloso od arenaceo, giallastro, sia nelle zone gessifere, come presso Montecilfone, sia accompagnando le zone arenacee, come in alcuni punti di Val Fortore. Quanto alle lenti gessose esse sono sparse assai variamente: ricordiamo p. es. quelle che appaiono quasi in collana attorno alle falde della Majella, quelle di Rivisondoli-Pescocostanzo, di Peschiole-bassa ValTreste, di Gissi-S. Buono-Lentella-Fresa- Montenero, dei dintorni di Montecilfone tra l’alta Val Sinarca ed il Biferno, di Lupara, di Yal Cervaro a sud di Palata, di S. Giuliano di Puglia, di Civitanova nel Sannio, di Ripolimo- sano, di Riccia, ecc. IL MOLISE 517 I fossili, che in generale sono tanto rari nel Miopliocene del- l’Appennino, nel Molise invece, senza esservi comuni, si riscon- trano qua e là in zonule o nidi fra le sabbie e le marne sabbiose e sono quindi assai interessanti. Infatti oltre alle solite Dreissensie, Adacne, Nerbine, Melanopsidi, ecc., che incontransi talora fra le marne argillose, spesso gessifere (così p. es. nella regione S. Giorgio alle falde settentrionali della Majella), e che indi- cano il tipico orizzonte a Congerie o deposito maremmano del Messiniano, ed oltre alle solite lenticelle o frustoli lignitici, le formazioni arenacee o sabbiose di origine marina inglobano sovente resti, per lo più infranti o calcinati, ma talora anche abbastanza ben conservati, di Ostriche, Pettini, Lucine, Mactre, Corbuie, Veneridi, Cardii, Balanidi, Briozoi, Echinidi, ecc., cioè una vera fauna littoranea. II Patroni, che già fece apposito esame (44, 47) dei fossili compresi nelle arenarie sabbiose sviluppantesi ampiamente tra Baselice, Gambatesa e Colle Sannita, vi determinò: Ostrea plica- tuìa, 0. lamellosa, 0. linciata, Hinnites Defrancei, Pecten sca- brellus, P. solarium, P. latissimus, P. Besseri, P. Bendanti, Cardium turonicum, Latrarla lutraria; Balanus perforatus; Pe- li rati a pyriformis ; Amphiope perspicillata ; Clypeaster interme- dius, C. Beidii, C. Scillae, C. altus, C. pyramidalis, C. gibbosus, C. marginatus, C. alticostatus, C. portentosa, ecc., concludendo trattarsi di Miocene medio. Ad analoga conclusione giunse il Checchia (70) studiando i fossili (fra cui abbondano specialmente Pettini, Ostriche e Brachiopodi), che incontransi nelle arenarie sabbiose di Val Fortore e di cui dà il seguente elenco : Tere- bratula sinuosa, Bhynconella plicato- dentata var. ; Ostrea lamel- losa, 0. cochlear, Chlamys scabrella, Chi. miocenica, Chi. cf. pesfelis, Amussium cristatum, Pecten Josslingi, P. revolutus, P. Besseri, P. reghiensis, Anomia ephyppium, Isocardia cor., Mactra triangula, Pectunculus obtusatus, Turritella vermicu- cularis ; Balanus tulipiformis, ecc. Credo invece trattarsi di Miocene superiore e spiego la con- clusione cronologica dei suddetti autori colla solita legge che la facies litologica, e quindi originalmente di ambiente, ha spesso più valore dell’età; nel caso in questione la fauna littoranea o di mare basso del Miopliocene ha naturalmente una grandissima 518 F. SACCO analogia con quella tipica, classica, del Miocene medio (tipo quella dei Colli torinesi o di Superga) che è appunto general- mente un deposito littoraneo o di mare basso. Talora le Ostriche sono tanto abbondanti da costituire quasi da se sole straterelli speciali o banchi commisti ai materiali sabbiosi, come al colle delle Serre presso Palinoli, e qua e là in altri punti sin nelle Puglie. La potenza della serie miopliocenica è variabilissima, da pochi metri ad oltre cento, ciò dipendendo dalla sua natura lito- logica, dalla sua posizione, nonché dall’abrasione più o meno intensa subita dopo il suo deposito. Naturalmente i suoi mas- simi spessori li troviamo nei più notevoli bacini miopliocenici, come quelli della media Yal Sangro, di Agnone, di Campobasso- Baranello, di Val Fortore, ecc. La Tettonica del Miopliocene è di una variabilità straordi- naria; infatti in certi ampi bacini tale terreno presentasi con pendenze mitissime, talora quasi orizzontale (come p. es. in parte delle grandi conche di Agnone, di Campobasso, ecc.); spesso in- vece, anche solo saltuariamente e subitamente, in modo speciale quando è pizzicata in sinclinale o si applica contro un’anticli- nale eocenica, la serie in esame mostra pendenze assai forti, talora (come p. es. nella zona di: Stazione di Vastogirardi-Sta- zione di S. Pietro-Avellana-Val di Sangro a monte di Ate- leta, ecc.) avvicinantisi alla verticale ; anche con forti pieghe, fra cui ricordo p. es. quella a ginocchio, ma angolosa, che fu messa quest’anno a giorno sotto Celenza Valfortore bassa, per costruire un gran bastione e che venne ora ricoperta e masche- rata dal muro di sostegno. Ciò ci prova che il corrugamento che produsse l’emersione dell’Appennino, per quanto verificatosi in varie volte, dovette essere intenso specialmente appunto al chiudersi del Miocene (1. s.), e che esso riuscì assai irregolare nel senso che le rughe derivatene furono ora dolci, ad ampie conche o dorsali, ora forti, con spiccate e pigiate sinclinali od anti- clinali. Altimetricamente il Miopliocene non raggiunge le grandi elevazioni (oltre 2400 m.) toccate negli Abruzzi, tuttavia oltre- passa talora i 1500 m. s. 1. m. aH’estremità meridionale della Majella, si avvicina spesso agli 800, 900 e 1000 m. nel Mo- IL MOLISE 519 lise centrale e sale oltre i 1200 in. al Passo della Procella ad est del Matese, precisandoci così l’intensità del sollevamento verificatosi in queste regioni dalla fine dell’epoca miocenica ad oggi. Circa i rapporti della formazione miopliocenica si è già so- praccennato come essa si sovrapponga più o meno trasgressi- vamente su vari terreni, per un liyatus corrispondente almeno a tutto l’Oligocene ed a gran parte del Miocene. Invece nella parte superiore osservasi in certe regioni (p. es. a nord della Majella, a N-E dei monti Frentani tra Gissi e Montenero di Bisaccia) un passaggio abbastanza graduale tra Miopliocene e Pliocene, tanto che, p. es. sotto Guardiagrele, le marne argillose del Messiniano si confonderebbero con quelle piacenziane se non fosse delle inclusevi lenti gessose. Ma nel Molise in genere esiste un distacco più o meno forte fra detti due terreni, in causa appunto dell’intenso corrugamento che aprì l’epoca pliocenica, per cui il Miopliocene fa anche parte della regione enti-appenninica mentre il Pliocene è limitato al subappennino. Lo sviluppo del Miopliocene, per quanto appaia nell’unita cartina geologica molto irregolare, tuttavia è regolato da leggi piuttosto semplici, cioè : o costituisce fascie subappenniniche (Nord della Majella, Est dei M. Frentani); o si insinua fra le anticlinali eoceniche (come p. es. nei Monti Frentani a sud di Larino, ecc.); oppure si estende, quasi incucchiaiato, nelle conche prodotte da depressioni delle pieghe eoceniche o dall’emersione di terreni marnoso-argillosi poco resistenti e facilmente abradi- bili (come p. es. nei dintorni di Campobasso ed in Val Fortore). Talora lo sminuzzamento dei lembi miopliocenici è tale che occorrerebbero rilevamenti alla scala di 1 a 1000 per segnare tutti i piccoli resti sparsi (così p. es. in alta Val Biferno tra Casal ci prano e Busso, in Val Fortore nei dintorni di Gamba- tesa, di S. Elia a Pianisi, di Foiano, ecc.); ma del resto tale precisa indicazione avrebbe sovente un valore scientifico non molto grande, giacché spesso tali lembi minimi non sono neppur più nel sito originale, ma si sono spostati per scorrimento e simili, specialmente lungo i fianchi ed al fondo delle valli. Qualcosa di simile verificasi anche talora per certi piccoli lembi di calcare eocenico sparsi sulle formazioni schistoso-argillose. 520 F. SACCO Lo smembramento dei depositi mioplioeenici ci prova come essi fossero in origine molto più estesi e che l’abrasione pro- dotta dagli agenti esterni sui loro materiali, in generale poco compatti, sia stata intensa tanto da ridurre ad un vero smem- bramento ciò che in origine doveva essere, non già un vero mantello, ma una serie di zone collegate abbracciami i maggiori rilievi eocenici e riempientine ampiamente le maggiori de- pressioni. Ad ogni modo ancor oggi le formazioni mioplioce- niche hanno certamente un grande sviluppo nel Molise tanto da mascherare circa V4 dei terreni eocenici ed estendendosi sin nel versante tirreno. Riguardo alla Geologia applicata del Miopliocene possiamo fare le seguenti osservazioni. Questo terreno influisce assai va- riamente sull’orografia secondo la sua costituzione litologica; giacche, se marnoso-argilloso, esso forma depressioni valli ve e dolci pendii, come p. es. nei monti Frentani, dove spicca assai bene il paesaggio morbido ed a piani-gradinate delle regioni mioplioceniche, frammezzo a quello elevato e più o meno ri- pido delle emersioni eoceniche. Invece se arenaceo, e tanto più se conglomeratico, il Miopliocene costituisce colline abbastanza rilevate ed a bruschi pendii, come a S-0 di Campobasso, in Val Fortore, ece., tanto più quando s’appoggia a formazioni ar- gillose, eoceniche o cretacee, come p. es. presso Civitacampo- marano, ecc., od a formazioni marnose mioceniche un po’ tenere; in tal caso può anche costituire curiosi muraglioni naturali, come p. es. quello di Toppo della Vipera-Toppo Salandra- Gambatesa, che sviluppasi ben individualizzato per circa 2 km. in Val Fortore. Dal punto di vista idrologico il Miopliocene è piuttosto in- teressante, giacché, quando sabbioso od arenaceo, esso forma buon materiale di assorbimento dell’acqua di pioggia, che len- tamente filtrando va poi a costituire in basso diverse sorgenti, preziose per Falimentazione di vari centri d’abitazione, che anzi sovente sono originalmente collegati con tali sorgive ; op- pure vi si alternano zone marnoso-argillose con quelle sabbiose, ed anche in questi casi ne risulta un terreno umidiccio origi- nante sparse sorgenti. IL MOLISE 521 In rapporto colla relativa depressione orografica, quindi colla facile viabilità, con le frequenti sorgive e con la costituzione in complesso assai favorevole all’agricoltura, le formazioni mio- plioceniche formano generalmente regioni assai abitate e colti- vate, solo che spesso i paesi sono situati sopra un rilievo eoce- nico (che funge da sito salubre e di difesa) prossimo alle for- mazioni mioceniche, che fungono invece da regione produttiva come vediamo p. es. a Pizzoferrato, Gamberale, S. Buono, Pai- moli, Montefalcone, Palata, Riccia, ecc. In molti punti, come p. es. sotto Gambatesa, sotto Celenza Val Fortore, sui fianchi di Val Fortore, ecc., i banchi arenacei in esame furono scavati ad uso di abitazioni, ormai in massima parte abbandonate, o solo adoperate per porcili, deposito di attrezzi, ecc. Su certe elevate placche di gesso cristallino fu- rono costruiti paesi abbastanza importanti, come Gessopalena, Gissi, Lentella, Fresa Grandinata, parte di Montecilfone, ecc. Riguardo alla Geoidrologia è bensì vero che le formazioni “ioplioceniche si prestano ad una facile variabilità, sia perche corrispondono a regioni depresse (colli, valli, conche), sia perchè costituite di terreni di facile scasso; ma è purtroppo vero anche che la frequenza e talora il notevole sviluppo delle zone argil- lose dà luogo a fenomeni di franamento talora tanto gravi ed estesi, che distruggono strade ed opere d’arte e rendono straor- dinariamente costoso il mantenimento della viabilità. L’agricoltura è sovente assai estesa ed intensa nelle regioni mioplioceniche, sia perche in generale relativamente basse ed a dolci pendii, soventi un po’ umidi, sia perchè la natura loro prevalentemente marnoso-sabbiosa (tanto più coadiuvata dall’al- terazione superficiale) si presta assai bene alla lavorazione ed a varie colture, fra cui spesso è anche assai estesa ed intensa la vegetazione boschiva. Le aree sabbioso-arenacee talora spiccano di lontano come riccamente boschive, almeno rispetto a certe prossime zone marnoso-argillose o calcaree denudate. Come materiali utili del Miopliocene ricordiamo essenzial- mente il Gesso, che vi appare sparso in molti punti (sia fra le zone marnoso-argillose, sia in lembi residui perchè più resi- stenti all’erosione che non la formazione inglobante), special- 36 522 F. SACCO mente in particolari insenature, od anche in placche quasi isolate sui fianchi dei rilievi eocenici. Deguo di speciale menzione è il Gesso conerezionato di Bo- lognano usato come marmo. Le lenti lignitiche, incluse special- mente nei depositi argilloso-sabbiosi di certi bacini mioplioce- nici, sono per lo più sottili e senza importanza industriale. Le marne argillose del Miopliocene sono escavate in molti punti per laterizi, essenzialmente mattoni, costituendo così spesso nel- l’Apennino un materiale molto utile frammezzo a regioni essen- zialmente calcaree. Le zone sabbiose vengono pure talora sca- vate per fare la malta. Le lenti ciottolose forniscono buon ma- teriale da pietrisco. Infine alcuni banchi arenacei compatti for- niscono un materiale da costruzione assai utilizzato, così nella media Val di Saugro, presso Àgnone, tra Campobasso e Froso- lone (p. es. presso Casaleiprano) ; anzi banchi più compatti, che ricordano il Macigno eocenico, si lavorano anche come pietra da taglio, per gradinate, stipiti, lastre da pavimento, da para- petto, ecc. Pliocene. La formazione pliocenica ha la solita costituzione subappen- nina, cioè marnoso-argillosa con tinta grigia nella parte inf. o Piacénziano, salvo alcune zone o lenti sabbiose ed anche talora ghiaioso ciottolose entroappennine, specialmente lungo il margine interno od occidentale dell’area piacenziana. Invece il Pliocene è sabbioso, giallastro, nella parte superiore od Astiano, dove anzi sovente compaiono vaste lenti od intiere zone ghiaioso-ciot- tolose più o meno conglomeratiche, talvolta anche assai potenti, spesso però irregolarissime, innestantesi variamente fra le are- narie e le sabbie marine. I banchi ciottolosi, prevalenti nella parte alta d q\Y Astiano, sono talora patenti ed estesissimi (come p. es. nei piani di Or- sogna-Lanciano-Vasto, ecc.) costituendo spesso per la loro com- pattezza speciali gradinate o pareti subverticali od anche costi- tuendo sproni e quasi degli apicco verso mare, come p. es. a Termoli, dove V Astiano è quasi completamente conglomeratico, mentre verso Guglionesi diventa in gran parte sabhioso-arenaceo, IL MOLISE 523 solo con lenti o strati ciottolosi qua e là. Gli elementi ciotto- losi in questione sono essenzialmente calcarei, spesso nummuli- tiferi, ma vi si incontra anche qualche ciottolo granitico, come p. es. nel promontorio di Termoli; ricordo in proposito che quivi coi ciottoli nummulitici trovansi qua e là ciottoli di calcare rosato che ricorda quello del Cretaceo sup. e dell’Eocene del- l’Apennino montano. I Fossili, assai ben conservati, non sono rari fra le marne grigie, specialmente in certe zone, ma non presentano caratteri particolari degni di nota ; invece scarseggiano nei depositi sab- biosi superiori tanto più se grossolani od in vario modo tendenti alla facies deltoide, Villa franchi ana, nel qual caso incontransi anche resti di Elefanti, Ippopotami, Rinoceronti, Cervidi, ecc., stativi fluitati alla fine del Pliocene. Notisi però che in certe zonule sabbiose, giallastre, del Piacenziano inf. entrappennino, come p. es. nei dintorni di Montenero di Bisaccia, i fossili si incontrano abbastanza abbondanti ; così pure in varie zone sab- bioso-arenacee dell’ Astiano compaiono, sparsi od in nidi, Pet- tini, Ostriche, Cardii, Yermeti, Rissoe, Ditrupe, Membranipore, Nodosarie, Rotaline, ecc. Nei depositi astiarli appoggiantisi alle falde del promon- torio garganico e rappresentati in parte da Calcari stratificati, ora teneri (volgarmente detti tufo), ora un po’ arenacei (talora tanto compatti da potersi utilizzare come solido materiale da co- struzione), i fossili diventano spesso abbondantissimi, come se- gnalò anche recentemente il Checchia (69, 71) ; anzi essi formano sovente un vero impasto semiorganico, spesso riccamente coral- lifero, ciò che dà alla formazione un aspetto faunistico speciale, ben diverso da quello solito subappennino, e che credo perciò bene segnalare indicando la lista dei fossili riconosciutivi. Biloculina intermedia ; Bobulina simplex; Claclocora cespi- tosa, Flabellum extensum, F. avicula, F. solidum; Dendro- phyllia carnigera ; Ceratothrochus duodecimcostatus ; Terebratu- lina caputserpentis ; Muhlfeldtia truncata ; Ostraea lamellosa ; Pecten Jacobeus; Clilamys opercularis, Chi. Pruei ; Amussium cnstatum ; Lucina leucoma; Clavagella bacillaris; Dentalium Dentale; Astralium rugosum; Calliostoma exasperatum ; Prato levis; Serpula sp. ; Odontaspis cuspidata. 524 F. SACCO In altri punti predominano invece i Briozoari; così per esempio nei Calcari giallicci, sabbiosi o compatti, in gran parte risul- tanti da una brecciola organica, che sviluppansi nella Regione Tufara (perchè denominati pure volgarmente tufo ed utilizzati come materiale da costruzione in prismi) presso Apricena, il Cbeccbia determinò la seguente fauna littoranea: Botalia Bec- carli, B. partschiana, Amphistegina mamillata; Cladocora cae- spitosa; Cularis pa pillata; JSlyriozoum truncatum, Hornera re- teporacea, Salicornaria sinuosa, S. crassa, Idmonea fenestrata, I. triforis, Biflustra delìcatula, Eschara sinuosa; Terebratula sinuosa ; Ostrea cochlear, 0. stentina, Anomia ephyppium, Pecten latissimus, P. jacobaeus, P. cristatus , P. scabrellus; Dentalium dentale; Balanus concavus; Odontaspis cuspidata e vertebre di Cetacei. Tettonicamente le formazioni plioceniche sono quasi orizzon- tali; è solo a notare come uon sempre vi sia la naturale pen- denza verso mare, ma per estese regioni littoranee appaia invece una leggiera inclinazione contraria, tanto che affiorano lungo mare le formazioni piaccnziane tra Ortona e Termoli. Tale tatto sembra indicarci che oltre al sollevamento principale, assiale, dell’Appennino, si verificò pure un’emersione in blocco, o in dolce anticlinale della regione periadriatica, ciò che d’altronde mostrano pure i terrazzamenti del littorale. Volumetria raggiunta dai depositi pliocenici è poco note- vole, per lo più restando essi sotto i 300 m. s. 1. m., di rado toc- cando i 400 m., solo arrivando eccezionalmente a 577 m. coi banchi sabbioso-arenacei di Guardiagrele. Lo spessore della serie pliocenica, malgrado la sua grande estensione orizzontale, non sembra molto notevole, cioè di un 200-300 metri pel Piacenziano e di un 100-150 metri per V Astiano. I rapporti del Pliocene col Miopliocene si è già detto sopra che sono talora regolarissimi, con graduali transizioni; ma che in generale invece osservasi un distacco, una separazione assai netta, fra tali due terreni, come d’altronde mostra anche chia- ramente la loro distribuzione geografica. Quanto ai rappoiti col Quaternario, se in generale vi e una discordanza più o meno evidente, invece dalle colline di Termoli al Tavoliere delle Puglie mostrasi una certa concordanza ed una certa correla- IL MOLISE 526 zione di sviluppo fra Astiano e Plistocene; ciò non toglie che generalmente esista un qualche liyatus fra i due, ma ad ogni modo indica un’abbastanza graduale successione del fenomeno di sedimentazione, che infatti vi è in parte marina anche nel Plistocene. Lo sviluppo regionale del Pliocene è assai grande, costi- tuendo esso la regione periadriatica con un’ampiezza di 10, 20 e persino 30 km., secondo che i corrugamenti eocenici sono spinti più o meno verso mare. Tale estensione diventa assai grande verso il Tavoliere pugliese, ma quivi il Pliocene è in gran parte mascherato dai depositi quaternari. Quanto all 'Orografìa essa è assai varia nei due piani del Pliocene; infatti il Piacenziano dà origine a regioni depresse, a colline dolci, ondulate, solo qua e là sventrate da burroni più o meno imbutiformi ; invece V Astiano costituisce rilievi collinosi un po’ spiccati o pianori, più o meno inclinati, come quelli tipici di Orsogna, Lanciano, Casalbordino, ecc., o veri piani in- clinati, come quello di Petacciato; zone longitudinalmente incise da solchi vallivi di varia profondità, spesso con fianchi scoscesi in relazione a banchi arenacei più resistenti. Idrologicamente il maggiore interesse è presentato dai terreni astiani, che assorbono abbondantemente l’acqua fluviale, ori- ginando poi una zona acquifera abbastanza costante nel pas- saggio alle soggiacenti marne piacenziane, zona preziosa perchè alimenta una grande quantità di pozzi più o meno profondi e di sorgenti che compaiono nelle depressioni orografiche. Nella parte subappennina del Tavoliere pugliese sono le marne ar- gillose del Piacenziano che, soggiacendo direttamente ai depo- siti plistocenici, costituiscono generalmente la zonula acquifera che alimenta i pozzi di detta regione. Frequenti e spesso assai importanti (Chieti, Tollo, Orsogna, Lanciano, Casalbordino, Vasto, Guglionesi, ecc.) sono i centri di abitazione delle regioni plioceniche; non già nelle zone pia- cenziane, ma piuttosto in quelle astiane e particolarmente sul margine delle aree astiane, per ragioni orografiche, idrologiche ed agricole. La viabilità è abbastanza facile nelle regioni plioceniche, in causa dell’orografia e natura loro, salvo in certe zone mar- 526 F. SACCO noso-argillose del Piacenziano dove le abrasioni e le frane sono tanto facili e frequenti da rendere assai costosa la manutenzione stradale. L’Agricoltura è largamente sviluppata sui terreni pliocenici per la loro forma orografica dolce e depressa, per la loro na- tura prevalentemente marnoso-sabbiosa, nonché per il clima, ma- rittimo o quasi, assai mite. Dove però predominano le argille piacenziane le colline appaiono brulle, denudate (e volgarmente giustamente detti Monti Calvi) per la difficile coltivazione e la troppo facile abrasione meteorica. Rispetto alla Geologia economica ricordiamo l’utililà delle marne argillose del Piacenziano per la fabbricazione dei late- rizi, donde i numerosi impianti a tale scopo, fra cui importanti alcuni presso mare (Vasto, Fossacesia, Ortona, ecc.) giacché ne sorse anche un commercio di esportazione assai esteso. Le sabbie astiane escavansi talora per le malte ; ma specialmente utiliz- zati sono i depositi di ciottoli (calcarei, arenacei e silicei) sia per materiale da pietrisco, sia talora anche per ricavarne calce, trattandosi di elementi in massima parte calcarei siti in re- gioni lontane dalle emersioni di calcare in posto, eocenico o cretaceo. Quaternario. Straordinariamente grande dovrebbe segnarsi sulle Carte geologiche lo sviluppo del Quaternario, se si tenesse conto anche di tutti i depositi detritici che ammantano i fianchi delle colline e dei monti e ricoprono i fondi di valle. Ma anche solo limi- tandoci alle formazioni quaternarie principali esse mostransi assai sviluppate nel Molise; ne tratteremo però brevemente perchè presentano pochi fatti notevoli. Plistocene. Presentasi con varie facies, cioè marina, diluviale, traver- tinosa, glaciale, vulcanica e di detriti di falda. Il Plistocene marino, dello spessore solo di pochi metri, sviluppasi verso il Tavoliere pugliese, di cui forma una delle IL MOLISE 527 zonale di substratum ; è interessante perchè mostra una sorta di transizione à&W Astiano superiore al Quaternario; però è un po’ difficile esaminarlo e studiarlo, perchè raramente è messo bene a nudo da estese incisioni naturali. In detto Tavoliere delle Puglie osservasi in generale la seguente serie discendente. Terriccio vegetale brunastro (dello spessore di pochi deci- metri). Calcare terroso (detto volgarmente Crosta ), biancastro, più o meno poroso, dello spessore di pochi centimetri ad oltre un metro, inglobante talora Pettini, Ostriche, Pinne, Balanidi, ecc., e talvolta Elici, Paludine, Linnee (indicandoci la sua origine lito- ranea, paludosa); qualche volta assumendo una facies traverti- noide, tanto da essere usato, come d’altronde anche la cosidetta crosta, per materiale da costruzione. Un po’ analogo è quel calcare poroso gialliccio o bianchiccio, detto Carparo o Car- pine o semplicemente Tufo, non di rado ricco in fossili, come Corallari, Briozoi (Escare, Cellepore, Tubulipore, ecc.), Molluschi (Ostriche, Pettini, ecc.), e con traccie fosfatiche. Seguono tal- volta, in basso, alcuni straterelli sabbiosi od argillosi, alter- nantisi con zonule o lenti calcareo-sabbiose, non di rado ricchi in fossili marini di tipo piuttosto recente. Soggiace a tutto ciò il Pliocene colle sabbie gialle, più o pieno calcarifere, feW Astiano, qua e là con banchi di Ostriche, e le marne argillose (o Creta ) fossilifere del Piacenziano, che nella parte occidentale del Tavoliere forma il substratum diretto del Quaternario perchè V Astiano si arresta alla distanza di 20-30 km. dalle falde appenniniche, fino alle quali invece spin- gasi largamente la formazione plistocenica. Il Plistocene diluviale, anche esso poco potente, presentasi per vastissime aree come un semplice velo di limo giallo-ros- siccio che ricopre gli estesi pianori periadriatici e del Tavoliere pugliese. Detto limo rappresenta il deposito di lavacro, cioè dello scolo fangoso sceso lentamente da monte a mare; il suo ma- teriale, oltre che da alterazione di vari terreni terziari, risulta talora da un po’ di mescolanza colle polveri endogene prove- nienti in massima parte dai vulcani occidentali; quindi all’azione acquea si aggiunse quella eolica per aumentare lo spessore del velo quaternario con polveri vulcaniche o no. 528 F. SACCO Sotto tale deposito terroso giallo bruniccio, od innestantesi con esso, sviluppasi spesso una zonula ghiaioso-ciottolosa (ad elementi più o meno alterati) mista a terriccio sabbioso corrispondente al Diluvium. Infine sotto ai depositi ciottolosi appaiono talora zonule marnoso-argillose di tipo lacustre, come nel Sulmonese. Negli estesi altipiani plistocenici del Termolese, verso il Tavo- liere pugliese, si veggono generalmente due, tre o quattro metri di materiale plistocenico sabbioso-argilloso, giallastro o rossiccio, talora anche biancastro, che copre le sabbie od arenarie grigie o giallastre, in strati suborizzontali od anche localmente incli- nati, dAY Astiano. La facies travertinosa appare qua e là, spesso commista a depositi ciottolosi per modo da costituire un vero conglomerato. Oltre ai lembi marginali della Majella, come Montepiano, ricor- diamo la placca di Castel Ione al Volturno e specialmente l’ampia area (variamente e profondamente incisa) del piano di Isernia. Le formazioni glaciali appaiono assai limitatamente e spesso con caratteri misti, cioè di frana-morena, ossia di frane un poco rimaneggiate da ghiacciai, o più frequentemente frane che sono sdrucciolate sopra lingue o vedrette glaciali o nevose per modo che ora (scomparse queste ultime) trovansi staccate dalle pros-, sime falde rocciose, e talvolta anche disposte un po’ ad arco. Ciò osservasi specialmente nell’alto di alcuni valloni che inci- dono il dorso orientale della Meta e della Majella. Ma in quest’ul- timo gruppo, per essere più elevato, incontriamo veri depositi morenici (per quanto anche essi passanti lateralmente a frane) con ciottoloni erratici, pareti lisciate, circhi morenici, ecc., spe- cialmente nell’alta Valle Cannella (78, 79). I depositi vulcanici, prevalentemente leucitic-i, si innestano talvolta così strettamente con quelli diluviali da renderne im- possibile la distinzione sulla carta geologica; scarsi, impuri e terrosi nel Molise pr. d., diventano a poco a poco più puri ed importanti verso il S-O, sino a predominare nell’alta Val Volturno per la vicinanza del centro vulcanico di Eocca Monfina, trovan- dosi infatti sparsi in gran parte delle conche e dei pendii dolci del Matese e dei monti di Venafro. Queste formazioni endogene IL MOLISE 529 sono rappresentate talora da semplici depositi di polveri giallo- bruniccie o rossastre o tufi vulcanici sciolti, come veggonsi in alcune conche entrappennine, talvolta alternati con strati dilu- viali, come p. es. nel piano pliocenico di Prata Sannia, dove si può in varie sezioni naturali osservare la seguente serie in ordine discendente: Deposito ghiaioso con interstraterelli o lenti di materiale tufaceo. Potente serie di tufi con intercalazioni irregolari di ghiaiette. Zona alluvionale ciottolosa con irregolari intercalazioni tufiche. Poco a sud, cioè nella regione pianeggiante Le Cese, i tufi giallastri si mostrano già più potenti, quantunque ancora con intercalazioni ciottolose diluviali; infine nella tenuta di Torcino ed a Piccilli, l’elemento tufico diventa il rappresentante asso- luto del Plistocene. Oppure i terreni endogeni presentansi come veri tufi sciolti o litoidi, e persino quali colate laviche, come nell’angolo S-0 della Cartina geologica; quivi infatti, alle falde settentrionali del gruppo di Bocca Monfina, oltre al grande sviluppo di ceneri e tufi terrosi, vediamo pure apparire (specialmente sotto questi) veri Tufi litoidi e Lave basaltiche e trachitiche e persino Leucititi. Quanto ai detriti di falda essi raggiungono talora uno svi- luppo assai notevole ed anche uno spessore di più decine di metri, come p. es. alle falde dei rilievi montuosi più importanti, specialmente ad ovest della Majella; quivi per la posizione oro- grafica essi poterono accumularsi e conservarsi, talora presentando quasi una transizione ai depositi diluviali, come p. es. sul mar- gine del piano sulmonese. Ma in generale invece essi formano solo veli sottili ed irregolari. I terreni plistocenici in generale costituiscono regioni pia- neggienti, o poco inclinate, quindi abbastanza coltivate, abi- tate ed a facile viabilità; però gli ampi piani inclinati del Ta- voliere pugliese per vari motivi, come natura argillosa del velo superficiale, povertà d’acqua di irrigazione, ecc., presentansi in complesso con scarsa cultura e relativamente poveri di abita- zioni. Spesso alla base dei terreni plistocenici, se un po’ potenti, si costituisce una zonula acquea che origina sorgentelle. I de- positi travertinoidi forniscono, come di solito, ottimo materiale 530 F. SACCO da costruzione, come osservasi p. es. presso Isernia. I tufi vul- canici, puri od impuri, vengono qua e là scavati per pozzolane, e costituiscono spesso zoue assai fertili. Nella cartina geologica ho unito in una sola tinta i depo- siti plistocenici di origine acquea, ma vi si potrebbero fare due o tre distinzioni di età, come ci indicano le diverse gradinate in cui sono talora suddivisi alcuni pianori del Tavoliere pugliese, in modo da costituire graduale passaggio ai piani olocenici, cosicché la loro distinzione rimane talvolta un po’ arbitraria. Ricordo p. e. la zona plistocenica che ricopre l’irregolare alti- piano di Serralunga-Chieti (270-200 metri sul livello del mare) e che è certo molto più antica della sottostante zona terrazzala di Masseria Leucio (100-80 metri sul livello del mare); cosi pure la zona dell’altipiano di Lucerà e quella più bassa e più giovane della vicina Regione Croste; su di una cartina geolo- gica di maggior scala, tali depositi dovrebbero naturalmente distinguersi perché di età assai diversa. Quanto ai terrazzi littoranei veggasi quanto già scrissi sopra « Gli Abruzzi » (73). Già nello studio sugli Abruzzi avevo richiamato l’atten- zione sul fatto che l’erosione delle correnti acquee scendenti all’Adriatico, si era, durante l’èra quaternaria, accentuata es- senzialmente sul fianco destro delle Vallate per modo che queste presentano generalmente il loro lato destro più o meno alto e quindi mostrano scoperti i loro terreni fondamentali, mentre invece quello sinistro è foggiato a dolcissimo piano inclinato e costituito per buona parte da depositi plistocenici che am- mantano e mascherano i terreni pliocenici sottostanti. Il fatto interessantissimo si continua nel Molise cireumadriatico e nel Tavoliere pugliese, provandoci la grande estensione dello spe- ciale modo di emersione di queste regioni periadriatiche du- rante l’èra quaternaria, emersione verificatesi non semplicemente da monte a mare come parrebbe a priori, ma piuttosto in blocco o quasi, come indicano gli affioramenti piacenziani di Ortona- Termoli ed inoltre con accentuamento dell’elevazione a N. 0. ri- spetto al S. E. per cui i corsi acquei sboccanti nell’Adriatico fu- rono sempre obbligati a gettarsi piuttosto sul loro fianco destro IL MOLISE 531 erodendolo, mentre invece andavano gradualmente ritirandosi dal piano sinistro che foggiarono così a dolce pendio. Oltre alle amplissime terrazze delle placche plistoceniche, veggonsi talora anche minori terrazze che vanno degradando lungo i pendìi pliocenici ; così p. es. la gradinata che osservasi sul fianco sinistro (a substratum astiano ) di Val Biferno presso il suo termine in regione Le Mattonelle. Ciò ci indica che ori- ginalmente i fianchi pliocenici delle Vallate circumadriatiche dovettero essere terrazzati abbastanza bene ed estesamente, solo che le abrasioni successive obliterarono in gran parte detto ter- razzamento. Olocene. La poca importanza geologica dei depositi olocenici ci di- spensa dal descriverli. Essi sono rappresentati essenzialmente: dalle alluvioni sabbioso-ghiaioso-ciottolose che sviluppansi sui fondi di valle, sia ormai emersi e coltivati, sia tuttora in via di formazione presso le correnti acquee attuali, sia costituenti coni di deiezioni, continuazione di quelli, più grandiosi, plisto- cenici ; contemporanei sono i depositi litoranei, pure sabbioso- ghiaioso-ciottolosi, disposti a delta incipiente allo sbocco delle maggiori vallate (Trigno, Biferno e Fortore) e costituenti anche l’importante barra (detto del Bosco dell’Isola) che chiude ed origina il lago di Lesina, vera insenatura marina sbarrata da un cordone sabbioso marino. Interessanti sono i lembi di una specie di panchina, in buona parte organica (Litotamni con copiose ed estese Cladocora cae- spitosa, Spondili, Arche, Veneridi, Pettini, Vermeti, Calliostome, Cerizidi, ecc. spesso ancora con residui giallo-roseo-violacei dei colori primitivi), che emerge presso la Punta delle Pietre nere sia verso ovest sia specialmente nella sua zona orientale. Tale panchina marina a fauna attuale, detto cordone di sbarramento del Lesina, nonché il foracchiamento (per opera di Molluschi Litodomi) dei Calcari delle Pietre nere, anche nelle zone più elevate, sono altrettanti argomenti che ci provano l’e- mergere, anche recente, della spiaggia e probabilmente di tutta la regione periadriatica in esame ; tale fatto d’altronde non rap- presenta che la continuazione del fenomeno di emersione che 532 F. SACCO i terrazzamenti sovraceennati provano essersi verificati in questa regione durante il Plistocene; si tratta cioè del più recente fra quei lievi palpiti orogenetici per cui la regione apenninica periadriatica va gradatamente emergendo dall’Era secondaria ad oggi. Del resto i Terremoti assai frequenti (vedi Bibliografia) nel Molise, o meglio, in generale, dagli Abruzzi alla Basilicata, si compiano essi per aecentuamento di quelle fratture o di quelle pieghe che tormentano i terreni cretacei ed eo-miocenici, o per semplice sollevamento in blocco, come mostrano i terreni plioce- nici e quaternari marini ed i terrazzamenti, provano che il feno- meno orogenetico che fece emergere e sollevare l’Appennino me- ridionale è tutt’altro che terminato. Circa l’importanza di tali fenomeni sismici basti ricordare che per quello del 1805 si pro- dussero grandi e lunghissime fenditure nel terreno; alcune valli rimasero sbarrate, originando laghi sventratisi poi a poco a poco per erosione ; molte sorgenti scomparvero o si intorbidarono e circa 600 furono le vittime umane. Alcuni depositi vulcanici possono ancora attribuisi all’Olo- cene, tanto più che l’estinzione del Vulcano di Roccamonfina sembra risalire solo a pochi secoli prima dell’èra volgare. Sono pure da ricordarsi come oloceniche le dune litoranee, alcune elevantesi anche di oltre 5 o 6 m. sul mare, come presso la Pineta delle Pietre nere; è curioso osservare come sovente le sabbie delle dune siano zeppe di conchiglie terrestri, Elici, Ciclostome, eco. che verso mare vanno mescolandosi colle con- chiglie marine, Telline, Cardii, Sepie, ecc. Alcuni dei depositi franoido-morenici dell’alta Val Cannella (Majella) e di alcuni più elevati valloni della Meta potrebbero forse anche essersi verificati al principio dell’Olocene. Quanto ai detriti di falda essi vanno ancora continuamente for- mandosi ed accumulandosi sui fianchi montuosi e collinosi, quan- tunque certo con intensità molto minore che durante il Plistocene. Come pure deve essere ora assai minore che nella prima metà del Quaternario il complesso fenomeno, erosivo, corrosivo, dis- solvevo, fisico e chimico, da cui risultò l’aspetto variamente cariato, carsico sinteticamente parlando, delle più elevate re- IL MOLISE 533 gioni calcaree, cretacee od eoceniche che esse siano, coi relativi inghiottitoi, cavernosità, depressioni imbutiformi, ecc. Fra i depositi olocenici utilizzabili ricordo infine il giacimento torboso di Montenero- Yalcocchiara, della superficie di circa 300 Ettari, con potenza di una decina di metri, verso il centro, giacimento che parrebbe utilmente scavabile, previo opportuno drenaggio atto a togliere od attenuare il saltuario stato palu- doso, pantanoso, di detta regione torbifera. A chiusa di questi Cenni sulla (reologia del Molise è op- portuno ricordare come anche l’uomo preistorico vi abbia lasciato traccie non poche rappresentate specialmente da oggetti, più o meno lavorati, di selce d’origine locale, cioè provenienti dalle lenti e dai nuclei selciosi che incontransi spesso nei Calcari eoce- nici e cretacei ; trattasi specialmente di ascie, coltelli, raschiatoi, punte di freccia, ecc. che denotano appartenere in parte all’età neolitica, per alcuni però anche con accenni al Paleolitico per la grossolanità o quasi solo abbozzo di lavorazione di certe asce. Inoltre con tali oggetti litici locali riscontransi anche ascie levigate di Cloromelanite, coltellini di Ossidiana, accettine di Porfido, ecc., cioè di materiale proveniente da regioni più o meno lontane. [ms. pres. l’8 settembre 1908 - ult. bozze 27 gennaio 1909]. 534 F. SACCO BIBLIOGRAFIA GEO-PALEONTOLOGICA DISPOSTA IN ORDINE CRONOLOGICO (1) Sarnelli P. — Memor. cronol. Vescovi ed Arcivesc. sacra eh. Be- nev. (Napoli, 1641). (2) Ciarlanti G. V. — Mem. histor. del Sajinio, ecc. (Isernia, 1644). (3) Magnati V. — Notizie storiche di terremoti succeduti nei secoli trascorsi e nei presenti, ecc. (Napoli, 1688). (4) Bonito M. — Terra tremante o continuatione dei terremoti dalla creatione del mondo fino al tempo presente. (Napoli, 1691). (5) D’Onofrio M. A. — Lettera ad un amico in provincia sul tre- muoto accaduto il 26 luglio, ecc. (Napoli, 1805). (6) Poli S. — Memoria sul tremuoto del 26 luglio 1805. (Napoli, 1806). (7) Scacchi A. — Cenno di un viaggio al Matese. (Il Lucifero, n. 33, 18 settembre 1838. Napoli). (8) Tchihatcheff P. — Coup d’ccil sur la constitution géologique des Provinces méridionales du Boyaume de Nnples (Berlin, 1842). (9) » — Geogn. Schilder. d. Monte Gargano in den Jahren 1839 u. 1840 (Neues Jahrb. d. Min. Geol. u. Petref. 1841). (10) Collegno G. — Esquisse d’une carte géologique de Vltalie. (Pa- ris, 1846). (11) Perrey A. — Mémoire sur les Tremblements de terre de la Penin- sule Italique (Mem. Acad. R. Belgique, XXII, Bruxelles 1848). (12) Capocci E. — Sulla sorgente intermittente di Triverno nell'Agro Venafrano. (Atti Ist. Incor. e Se. Natur. ed Econ. VII. Na- poli, 18E5). (13) Carelli G. — Esplorazioni disposte dal R. Governo per la ricerca di nuove miniere negli Abruzzi e nel contado di Molise. (Na- poli, 1855). (14) Costa 0. G. — Paleontologia del Regno di Napoli. (Parte I, II e III. Napoli, 1854-56). (15) » — Ittiologia fossile italiana. (Napoli, 1855, 1856 ed Accad. Se. Napoli, 1857). (16) Capocci E. — Catalogo dei Tremuoti avvenuti nella parte conti- nentale del Regno delle due Sicilie ecc. (Atti R. Istitut. di Incor. Voi. IX. — (Napoli, 1861). IL MOLISE 535 (17) Volpe G. — Sull’origine del Matese. (Soc. Econ. di Campobasso Campobasso, 1864). (18) Tenore G. — Sui minerali e roccie utili del 2. Abruzzo ulteriore più dappresso riguardanti le Industrie delle miniere e delle costruzioni architettoniche di questa Provincia. (Ann. Acc. Aspir. Naturali. — Napoli, 1864). (19) Guiscardi G. — Studi sulla Famiglia delle Rudiste. (Atti R. Acc. Scienze. — Napoli, 1864). (20) Costa 0. G. — Appendice I alla Paleontologia delle Provincie Na- poletane. (Napoli, 1865). (21) » — Studi sui terreni ad Ittioliti delle Provincie na- politane, diretti a stabilire l’età dei medesimi. (Atti Acc. Se. fis. mat., II, Napoli, 1865). (22) Capozzi D. G. — Memoria sul Tremuoto avvenuto nel contado di Molise nella sera del 26 luglio dell’anno 1805. (Benevento, 1866). (23) Palmieri L. — Il Vesuvio, il Terremoto d'Isernia e V eruzione sot- tomarina di Santorino. (Rend. R. Acc. Se. V. Napoli, 1866). (24) Scelsi G. — Statistica generale della Capitanata. (Milano, 1867). (25) ANGELUCCI A. — Una visita ai laghi di Salpi e di Lesina, nella Capitanata. Lettera al dott. Issel. (Effem. Soc. di Lett. e Convers. scientif. III. Genova, 1872. (26) » — Selci lavorate di S. Severo. (Giornale « La Capi- tanata», 1873, n. 141). (27) Jervis G. — I Tesori sotterranei dell’Italia. Parte II. (Regione dell’Appennino). Torino, 1874. (28) De Ambrosio F. — La Città di S. Severo in Capitanata. Na- poli, 1875. (29) Jervis G. — Guida alle acque minerali d’Italia. (Prov. merid.). Torino, 1876. (30) Tonnoni P. A. — Nuova miniera di ingrassi di Capitanata, ossia la stratificazione calcare provvista di materie fertilizzanti. Foggia, 1877. (30 bis) Nicolucci G. — Ricerche preistoriche nei dintorni del Lago di Lesina. Napoli, 1878. (31) Niccoli E. — Cenni sulla costituzione geologica del Tavoliere di Puglia. (Boll. R. Comit. geol. Italiano. X. 1879). (32) Ufficio geol. Ital. — Carta geolog. d’Italia, alla scala di 1 a 1.111.111. Roma, 1881. (33) Jervis G. — I Tesori sotterranei d’Italia. Parte III. Torino, 1881. (34) Salmoiraghi F. — Sui materiali naturali per costruzioni e de- corazioni edilizie. Milano, 1882. 536 f. sacco (35) Bassani F. — Descrizione dei pesci fossili di Lesina, accompa- gnata da appunti di alcune altre ittiofaune cretacee ( Pietra - roia, ecc.). (Denkschr. d. Wiener Akad. d. Wiss.), Voi. XLV. Wien, 1882. (361 Società italiana per le strade ferrate meridionali. — Cenni sulle nuove linee Benevento-Campobasso, Tei moli-Cam- pobasso, Aguila-Bieti- Terni. Napoli, in-4°, 1884. (37) Bassani F. — Risultati ottenuti dallo studio delle principali ittio- faune cretacee. (Rend. Ist. Lomb., Sei'ie II, Voi. XVIII. 1885). (38) Bucca L., — Il monte di Roccamonfìna, studio petrografico. (B.C. G.I., XVII, 1886). (39) Moderni P. — Note geologiche sul gruppo vulcanico di Rocca- monfìna. (B. C. G. I., XVIII, 1887). (40) Ufficio geol. ital. — Carta geolog. d’Italia, alla scala di 1 a 1.000.000. Roma, 1889. (41) Jervis G. — I Tesori sotterranei d’Italia. Parte IV. Geol. eco- nomica, Torino, 1889. (42) Perrella A. — Sul Tremuoto del 5 giugno 1688, (L’Antico Sannio). Isernia, 1890. (43) Bassani F. — Marmi e calcare litografico di Pietraroia. (Rend. R. Istit. incor. Napoli, 1892). (44) Patroni C. — Intorno all’età degli strali a Lamellibranchiati e ad Ecliinidi di Baselice in Prov. di Benevento. (Boll. Soc. geol. ital., XI, 1892). (45) Perrella A. — Effemeridi della provincia di Molise, Voi. II. (Iser- nia, 1892). (46) Cassetti M. — Appunti geol. sul Matese (Boll. Com. geol. ital. XXIV, 1893. (47) Patroni C. — Fossili miocenici di Baselice in Prov. di Benevento (Rend. Acc. Se. fis. mat. Serie 2a, Voi. Vili. Napoli, 1893) e (Atti Acc. Se. fis. mat. Serie 2a, Voi. V. 1893). (48) Viola C. e Di Stefano G. — La Punta delle Pietre nere presso il lago di Lesina in Prov. di Foggia. (Boll. Com. geol. ital. XXIV, 1893). (49) Viola C. — Le roccie eruttive della Punta delle Pietre nere in Prov. di Foggia. (Boll. Com. geol. ital., XXV, 1894). (50) Cassetti M. — Relazione dei lavori eseguiti nella Valle del Vol- turno nell’anno 1893. (Boll. Com. geol. ital., XXV, 1894). (51) Magliano-A. e G. D. — Considerazioni storiche sulla città di La- vino. Campobasso, 1895. IL MOLISE ggtf (52) Di Stefano G. — Lo scisto marnoso con « Myophoria vestita » della Punta delle Pietre nere in Prov. di Foggia. (Boll. Comit. geol. italiano, XXVI, 1895). (53) Marco C. — Note geologiche sul territorio del Comune di Vasto ( Abruzzo Inferiore). Vasto, 1895. (o4) Cassetti M. Rilevamento geologico di alcuni gruppi montuosi dell’ Italia merid., eseguito nel 1895. (Boll. Com. Geol. ital., XXVII, 1895). (54 bis) » — Sul rilevamento geol. di alcune parti dell’ Appen- nino, eseguito nel 1896. (B. C. G. I., XXVIII, 1897). (55) Ricciardelli M. — Sulla costituz. geol. dei dintorni di S. Severo (B. S. G.I., XVII, 1898). (56) Cassetti M. — Rilevamento geol. nell' Abruzzo Aquilano ed in Terra di Lavoro, nel 1897. (B. C. G. I., XXIX, 1898). (57) » — Osserv. geol. su alcuni monti tra le Valli del Vol- turno e del Liri. (B. C. G. I., XXX, 1899). (58) Parona C. F. — Sopra alcune Rudiste Senoniane dell’ Apenn. merid. (Mem. R. Acc. Se. di Torino, Serie II, Voi. 4, 1900). (59) Checchia G. Contributo alia Paletnologia della Capitanata. (Giornale L’Alba, Sanse vero, 1900, n. 29 e 35). (60) Fittipaldi E. U. — Gastropodi del Calcare turoniano di S. Polo Matese. ( Campobasso ). Mem. R. Acc. Se. Napoli, Serie 2a, Voi X 1900. (61) Cassetti M. — Rilevamenti geologici eseguiti l’anno 1899 nell’alta Val del Sangro ed in quelle del Sagittario , del Gizio e del Melfa. (B. C. G. I., XXXI, 1900). (62) Parona C. F. — Le Rudiste e le Camacee di S. Polo Matese. (Mem. R, Acc. Se. Torino, Serie 2% Voi. L, 1901). (63) Baratta M. — I Terremoti d’ Italia. (Torino, Frat. Bocca edit. 1901). (64) Checchia G. — Nuove osservazioni sulla fauna triasica della punta delle Pietre nere presso il Lago di Lesina (Capi- tanata). (Boll. Soc. Geol. ital., XX, 1901). (64 bis) » — Nuove ricerche paietnologiche nella Capitanata. (Boll, di Paletnol. ital., XXVIII, Parma, 1902). (6o) SegrÉ Cl. — Sulla struttura dei terreni considerata riguardo ai lavori ferroviari eseguiti dalla Società delle Strade ferrate mer (B. S. G. I., XXI, 1902). (66) Ministero A. I. C. — Sangro, Salino, Vomano, Tronto, Lordino, Vibrata. (Carta idrografica d’Italia, Voi. 30, 1903). (67) Squinabol S. — Une escursion à Capracotta en Molise. (La Géo- graphie, Vili, 1903). (68) Abbate E. — Guida dell’ Abruzzo. (Roma, 1903). 37 538 f. sacco (69) Checchia G. — I Calcari di S. Giovanni in Piano presso Apri- cena in Prov. di Capitanata. (B. S. G. I , XXIII, 1904) . (70) » — Osservazioni geologiche lungo la Valle del Fortore in Capitanata. (B. S. G. I., XXIII, 1904). (71) » — Contributo alla conoscenza del Pliocene della Ca- pitanata. (L’Escursionista merid. I. Avellino, 1905) . (72) SACCO F. — La questione eoniiocenica dell’ Appennino. (B. S. G. I., XXV, 1906). (73) » — Gli Abruzzi. (B. S. G. I., XXVI, 1907). (74) Schmidt C. — Bild. u. Bau der Schiveizeralpen (Beil. S. A. S., XLII, Basel, 1907). (75) Airaghi C. — Di alcuni Echini di miocenici del gruppo della Ma- jella. (Atti Soc. ital. Se. Nat. Voi. XLVII. Milano, 1908. (76) De Angelis G. — Il Miocene nella Valle del Trigno. (B. S. G. I., XXVII, 1908). (77) De Stefani C. — G e'otectonique des deux versants de V Adriatique. (Ann. Soc. géol. de Belgique. XXXIII Mém. Bruxelles, 1908). (78) Sacco F. — Il Gruppo della Majella. (Mem. R. Acc. di Torino. Serie 2a, tomo LX, 1908). (79) » — Glacialismo ed erosione nella Majella. (Atti Soc. ital. Se. Nat. Voi. XLVII, Milano, 1908). INDICE. Secondario pag. 492 Trias .... » » Giuralias » 493 Cretaceo » 494 Facies calcarea . » » Facies argillosa . » 499 Terziario » 503 Eocene » » Miopliocene. » 513 Pliocene » 622 Quaternario . » 526 Plistocene . » » Olocene » 531 Bibliografia . » 534 (SaccoF.) Tav. XVTII iTennoli Lhpo di lesina mìmiovi incerai! rfiurara Ai \TOLOMMEO. QALDO\ lt“ Sannita °i IL MOLISE Schema di Carta geologica alla scala di 1 a 500.000 ricavata dal rilevamenti eseguiti sulle Tavolette al 50.000 da FEDERICO SACCO — 1908 — □ ' Olocene (zone principali) i ( vulcanico . . j| Plistocene glaciale . . . Quaternario j ?.<Ìa[Ul Ferula. diluviale . □ \ superiore Pliocene ... ' interiore □ Terziario □ i Miopliocene I Eocene Formazione argilloschistosa VASTO □ rn i Cretacico . . . . • L_J Secondario Giuraliasico EH f Tnasico N.B. - Per la continuaziene della Carta geologica verso Nord ed Ovest, vedi: F, SACCO - Gli Abruzzi, 1907. làt.Sahassolia, Torino. SCHEMA GEOT£TTONICO PÉL MOLISE S certa <&/a/. 000 OOO. • de /he&Uuna- ~ 0 ^ Molise pr. d., per la sua natura parzialmente 1 SChlSt0Sa’ sotto Sh intensi sforzi orogenetici, potè facilmente corrugarsi, addensandosi Z^ZToTl EUbParallele’ SPeSS° anChe ÌnneStanteS1 fra l0TO’ 6 dirette compiei ra cui !pessoLsi1inesin(!!!,COrrUSrmen!.0 corrisl’ondono complessivamente ad anticlinaU dell’Eocene, aleute ^ ^ «*> * — « prel SULLA SUPPOSTA ESISTENZA DI LAMELLE SECONDARIE DI GEMINAZIONE NEI EELDÌSPATT PLAGIOCLASICI Nota del prof. Luigi Colomba (Tav. XIX) Le ricerche compiute da van Werveke (*) su alcune rocce del Picco di Teneriffa e della Norvegia, lo condussero ad am- mettere che talvolta le lamelle di geminazione proprie dei felds- pati plagioclasici possano avere origine secondaria. Egli fu portato a queste conclusioni dal fatto che in alcuni cristalli del detto minerale le lamelle di geminazione si mo- stravano, per quanto si riferiva alla loro comparsa ed al loro sviluppo, subordinate a fenditure variamente disposte, onde ap- pariva evidente che la comparsa delle lamelle stesse doveva essere posteriore a quella delle fenditure e quindi doveva essersi manifestata in tempi posteriori a quelli della consolidazione dei cristalli stessi. Ed anzi egli paragonò tale fatto a quello che si può facil- mente ottenere nella calcite, secondo le esperienze di Baumhauer e Miigge, per modo cliè ne risultava che la comparsa delle pre- dette lamelle secondarie di geminazione sarebbe dipesa da cause speciali, come ad esempio da spinte laterali subite dalla roccia posteriormente alla sua consolidazione, cause che avrebbero pure determinato la fratturazione dei cristalli stessi. In alcune mie ricerche di indole petrografia ho avuto oc- casione di notare alcuni fatti che ricordano molto da vicino quelli studiati da van Werveke; però, per alcune ragioni alle quali accennerò in seguito, non credo che la spiegazione data ( 1 j Eigenthùmliche Zwillingsbildung an Feldspath und Diallag. N. J. fiir Min, eec., 1882, II, pag. 97. LAMELLE SECONDARIE DI GEMINAZIONE 541 dal predetto autore sia applicabile, senza notevoli modificazioni, ai fatti da me osservati. Il materiale da me studiato appartiene alle collezioni fatte dal Dott. A. Roccati durante il viaggio di S. A. R. il Duca degli Abruzzi nell’Uganda ed al massiccio del Ruwenzori e proviene precisamente dalle grandi formazioni tufacee che con largo svi- luppo orlano la falda orientale del Ruwenzori, nel tratto com- preso fra il regno di Toro e Katvè sul lago Alberto; io già ebbi occasione (') di accennare ai caratteri mineralogici e litologici di queste formazioni e di esse mi occuperò con molta maggiore estensione nello studio che verrà unito alla relazione riguar- dante i risultati scientifici della detta spedizione; qui mi limi- terò ad indicare quanto può essere utile al presente studio ed allo speciale scopo propostomi. Nei tufi di vario aspetto che costituiscono i numerosi coni vulcanici esistenti nei dintorni di Fort Portai, nel regno di Toro, si hanno frequentissimi inclusi i quali si possono per la mas- sima parte identificare con roccie esistenti in posto nel gruppo del Ruwenzori; fra questi sono frequenti gli inclusi di una dia- base, che, sebbene differente per alcuni caratteri, apparisce però molto prossima ad altre diabasi osservate da Roccati in posto nel massiccio del Ruwenzori. Questa diabase si presenta sotto l’aspetto di una roccia a grana sufficientemente grossa, omogenea e, vista al microscopio, risulta costituita da un intreccio di cristalli listiformi di feldispato as- sociati ad abbondante augite e molto meno frequentemente al quarzo, alla cromite ed all’iperstene. Il feldispato plagioclasico presenta una composizione varia- bile che va da quella di un’andesina basica direttamente fino a quella dell’anortite ; si hanno talvolta dei cristalli che por- tano intercalate lamelle di geminazione riferibili alle legge del- l’albite ed appartenenti ad altri individui differenti per la loro composizione chimica da quelli che li includono. Questi casi di associazioni con accrescimento parallelo do- tati di differente grado di acidità non sono però molto frequenti ; (') Sul vulcanismo di Fort Portai , Boll, della Soc. Geol. Ital., XXVT, 1907, fase. Il, pag. 333. 542 L. COLOMBA in generale si osserva che i cristalli di feldspato si presentano costituiti da coppie di individui geminati secondo la legge di Earlsbad, i quali mostrano frequentissime lamelle polisintetiche secondo la legge del 1 ’albite e del periclino, ma tali che, per gli angoli di estinzione che presentano, debbono chimicamente considerarsi come identiche ai grossi cristalli nei quali appari- scono intercalate. È appunto in questi cristalli che si osservano le lamelle che per il loro modo di presentarsi mostrano le massime ana- logie con quanto fu osservato da van Werveke. Questi cristalli appariscono più o meno fessurati e si nota in essi come le lamelle di geminazione che in numero variabile sono visibili nel loro interno, si mostrino intimamente connesse con le fenditure nel senso che esse giungendo al loro contatto si arrestano, oppure, se anche si rendono visibili ancora al di là di esse, appari- scono però variate di numero o spostate lateralmente, senza che questo spostamento possa dipendere da una trasposizione delle parti dei cristalli rimaste separate in causa della comparsa delle fenditure, sia per il fatto che queste in taluni casi non attra- versano tutta l’ampiezza delle regioni dei cristalli esaminati, sia perchè, quando ciò avviene, si osserva che i contorni delle sezioni dei cristalli stessi non presentano alcun spostamento la- teralmente alle fenditure. Nelle figure dell’annessa tavola sono raffigurati alcuni di questi cristalli. Nella prima figura è rappresentato un gruppo di cristalli in alcuni dei quali si osservano numerose lamelle geminate secondo la legge del periclino e, come si nota nella figura stessa, tanto nel cristallo più voluminoso quanto in quello che superiormente apparisce incastrato in esso quasi ad angolo retto si osservano due fenditure che li tagliano di sbieco: ora mentre nel cristallo più grosso si ha lateralmente alla detta fenditura la comparsa di un certo numero di lamelle dovute alla legge del periclino, le .quali appariscono come appoggiate contro uno degli orli della fenditura, mancando invece dalla parte opposta di essa, in quello più piccolo al contrario si nota che le fitte lamelle dovute alla stessa legge e che nella parte in feriore del cristallo vanno dall’orlo della sezione verso il suo LAMELLE SECONDARIE DI GEMINAZIONE 543 interno, si arrestano tutte quando giungono a contatto colla si- nuosa linea determinata dalla fenditura. Nella seconda figura è rappresentato un altro cristallo in cui si hanno pure molte lamelle dovute alla legge del pendino; in esso si osserva una grande fenditura che lo attraversa da parte a parte ed anche qui si nota come le due serie di lamelle, che si hanno dall’una e dall’altra parte della fenditura, appa- riscano del tutto indipendenti l’una dall’altra per quanto si riferisce alla frequenza ed all’ampiezza delle lamelle stesse. Le figure 3 e 4 rappresentano invece due cristalli nei quali le lamelle con apparenza secondaria sono da riferirsi alla legge dell’albite. Nella figura 3 è rappresentata la sezione di un grosso cri- stallo rotto in tre parti da due fenditure trasversali e mentre nella parte di mezzo, compresa fra le due fenditure, appariscono ben nitide alcune lamelle di geminazione, esse mancano del tutto nelle due parti esterne della regione. Nella figura 4 si osserva un altro cristallo che rappre- senta nella parte superiore un gruppo di due individui gemi- nati secondo le leggi di Karlsbad ; una fenditura attraversa tra- sversalmente uno dei due individui, prolungandosi poscia, in se- guito ad una forte deviazione, lungo la linea di unione dei due gemelli fino all’orlo inferiore della sezione; ora nella parte in- feriore del gemello fessurato si osserva la presenza di una serie di lamelle geminate secondo le leggi dell’albite e che giun- gendo a contatto con la fenditura trasversale si arrestano del tutto. Questa evidente connessione fra le fenditure dei cristalli e la disposizione delle lamelle di geminazione può solo spiegarsi in due modi: o ammettendo che le fenditure si siano manife- state dopo la comparsa delle lamelle seguendone i loro orli che avrebbero, in certo modo, rappresentato delle linee di minor coe- sione, oppure ammettendo il fatto inverso che cioè, come appunto suppose van Werveke, le lamelle stesse si siano manifestate in seguito a qualche fenomeno particolare, dopo la comparsa delle fenditure. La prima di queste ipotesi è a parer mio difficilmente so- stenibile per il semplice fatto che, mentre nei cristalli di pia- 544 L. COLOMBA gioclasio della roccia da me esaminata sono frequentissimi i cristalli più o meno fessurati, sono invece molto rari quelli che presentano i fatti da me sopraccennati, il che non dovrebbe certo avvenire qualora si ammettesse un tale modo di comparsa per le fenditure, non essendovi si può dire cristallo che sia privo di lamelle di geminazione. Rimane quindi la seconda ipotesi; ma, pur anche ammetten- dola, io non credo che si possa giungere alle conclusioni di van Werveke, cioè che le lamelle in questione si siano mani- festate in tempi posteriori a quelli in cui avvenne la consoli- dazione della roccia; invero se cosi fosse, il fatto della grande rarità di casi in cui si osservano connessioni fra fenditure e lamelle sarebbe del pari difficile a spiegarsi poiché, se si am- mettesse che in seguito a fenomeni di pressioni e spinte late- rali si avesse avuto nei cristalli la tendenza alla comparsa di fenditure e posteriormente di lamelle polisintetiche, essendo, come già dissi, comunissimi i cristalli che presentano fenditure più o meno frequenti e tracce evidenti di controspinte, dovrebbe pure essere comunissimo il caso di lamelle collegate nel loro svi- luppo colle fenditure, il che non è. I fatti osservati sarebbero invece a parer mio facilmente in- terpretati quando si ammettesse che la comparsa delle lamelle polisintetiche nei feldispati plagioclasici sia avvenuta in un pe- riodo di tempo immediatamente posteriore a quello della for- mazione dei cristalli stessi, quando questi si trovavano ancora immersi in un magma in via di consolidazione e supponendo quindi che in tali condizioni i cristalli di feldispato possano tro- varsi in uno stato di equilibrio ancora non del tutto stabile. Invero è evidente che in tali condizioni, in conseguenza dei fenomeni di pressione e delle spinte laterali manifestanti nella massa della roccia consolidantesi, i cristalli di plagioclasio già formati verrebbero ad essere sottoposti ad una serie di potenti azioni meccaniche, le quali potrebbero essere capaci di deter- minare nel loro interno delle variazioni strutturali che appunto si manifesterebbero sotto forma di fenomeni di scorrimento, dando quindi luogo, analogamente a quanto si osserva nella calcite, alla comparsa di poligeminazioni. Nello stesso tempo però, in causa delle stesse azioni meccaniche, dovrebbero pure manifestarsi delle LAMELLE SECONDARIE DI GEMINAZIONE 545 fenditure nella massa dei cristalli e queste fenditure dovreb- bero essere in tali condizioni connesse con le lamelle di gemina- zione ; ma è evidente che queste fenditure, scarse dapprima, deb- bono divenire tanto più abbondanti quanto maggiormente si fa- ranno sentire i fenomeni di contrazione, per cui continueranno a prodursi anche dopo la totale consolidazione del magma in conseguenza dei numerosi fenomeni di dislocazione, ecc. a cui la roccia già consolidata può venire sottoposta, del carico dei materiali che sovrastano, ecc. Ora se si ammette che dopo la fase iniziale di consolida- zione, vengano i cristalli di plagioclasio ad assumere uno stato di completo equilìbrio fisico, non potendo più in alcun modo influire sui loro caratteri strutturali tutte le azioni meccaniche a cui potrebbero essere sottoposti in tempi posteriori, ne risul- terebbe come evidente conseguenza che solo in rari casi si avreb- bero esempi di connessione fra lamelle polisintetiche e fenditure. È da notarsi che, tanto ammettendo la mia ipotesi quanto ammettendo quella di van Werveke, è necessario di supporre che nei feldispati plagioclasici si possa in determinate condizioni manifestare uno stato di instabilità strutturale, colla differenza però che, mentre colla mia ipotesi basterebbe ammettere che questa instabilità sia un fenomeno che si manifesterebbe solo nei tempi immediatamente susseguenti a quelli in cui avverrebbe la consolidazione dei cristalli di feldispato, invece con quella di van Werveke occorrerebbe ammettere che tale instabilità per- duri anche in seguito per un periodo di tempo indeterminato. Ora contro alla possibilità che ciò realmente avvenga stanno le esperienze compiute da Penfieldf1) sul microclino, allo scopo di paragonare i caratteri strutturali ed ottici del detto mine- rale con quelli della leucite, esperienze dalle quali risulta che nessuna azione, nè termica nè meccanica, è capace di produrre una qualsiasi modificazione nell’equilibrio fisico dei cristalli di microclino. Io pure ho sottoposto alcuni cristalli di albite e di anortite ad una serie di esperienze fatte allo scopo di stabilire se si aves- (*) (*) TJeber Erwàrmungversuche an Leucit, N. J. fur Mia., ecc. (1884), II, Brief. Mitth., p. 224. 546 L. COLOMBA sero in essi dei fenomeni di variazioni strutturali analoghi a quelli che si possono, con sufficiente facilità, ottenere nei cri- stalli di leucite; lamine ottenute da detti cristalli vennero sot- toposte ad un intenso riscaldamento e immediatamente dopo ad un rapidissimo raffreddamento, ma non ebbi mai modo di con- statare alcuna modificazione nei loro caratteri strutturali. Invece l’ipotesi da me ammessa che nei cristalli di feldi- spato possano, nella loro fase di consolidazione od in una fase immediatamente susseguente, aversi delle modificazioni struttu- rali, non presenta grandi difficoltà ad essere ammessa. Tanto più ora che i numerosi studi di Lehman sui cristalli liquidi e pa- stosi, dimostrano come nelle sostanze che tendono ad assu- mere lo stato cristallino, i caratteri inerenti al detto stato co- mincino a manifestarsi prima che le sostanze stesse siano com- pletamente consolidate, per cui non riesce affatto illogico l’am- mettere che i detti caratteri possano subire delle modificazioni durante la consolidazione stessa delle sostanze esaminate. [ras. pres. 16 ottobre 1908 - ult. bozze 3 febbraio 1909]. #eft\ Soc. §ect. $tal Voi. XXVII (190S) (colomba) Tav. XIX Off. Fototecnica ing. Molfese • Torino 546 L. COLOMBA sero in essi dei fenomeni di variazioni strutturali analoghi a quelli che si possono, con sufficiente facilità, ottenere nei cri- stalli di leucite ; lamine ottenute da d-ettrTTT'STTrtli^ennero sot- ìoste ad uu intenso riscaldamento e immediatamente dopo ad un\apidissimo raffreddamento, ma non e statare alcuna modificazione nei loro caraffe \Invhoe l’ipotesi da me ammessa spato, postino, nella loro fase di c immediatamente susseguente, aversi delle modi ■ì^U. nòn Wesenta grandi difficoltà ad essere più oì'ai'hle i numerosi studi di Lehman sui cris stosi, dimostrano come nelle sostanze che tendono ad mere lo stato cristallino, i caratteri inerenti alMotta-&ta mincino a manifestarsi prima che le sostanze stesse siano com- pletamente consolidate, per cui non riesce affatto illogico l’am- mettere che i detti caratteri possano subire delle modificazioni durante la consolidazione stessa delle sostanze esaminate. ai modo di con- strutturali, cristalli Mi feldi- od ài ulja fase cazioni i messa. Tanto [ms. pres. 16 ottóbre 1908 - ult. bozze 3 febbraio 19091. (colomba) Tav. XIX 1 Off. Fototecnica Ing. Molfese . Torino FAUNA DEI CALCARI CON RHYNCHONELLA MEGAERA DEL PASSO DI VOLAIA Nota del prof. P. Vinassa de Regny (Tav. XX) Nello studio del nucleo centrale delle Alpi cantiche, che da vari anni ho iniziato coll’amico e collega prof. Gortani, mi sono prevalentemente occupato delle condizioni geologiche e tettoniche, lasciando a lui principalmente lo studio del ricco materiale fossilifero raccolto e la revisione del materiale pre- cedentemente studiato da altri. Ma i nostri studi sulle Alpi carniche hanno adesso risve- gliato la attività dei nostri colleglli di oltr’Alpe, ed in questo ultimo tempo notiamo una vera e propria rifioritura della geo- logia cantica. Avendo avuto la fortuna di trovare fossili vera- mente interessanti, e non bastando il tempo ad uno solamente per potere studiare tutto con sufficiente rapidità, mi sono deciso alla descrizione di taluni di questi fossili, mentre dal canto suo il Gortani attende ad altra illustrazione. Scopo di questa nota sui fossili paleozoici del nucleo cen- trale delle Alpi carniche è la descrizione di una faunula, non molto ricca ma interessante, contenente la Rhynchonella Me- (jaera Barr. sp. scoperta sul versante italiano al passo di Yolaia. Il gruppo del Coglians e specialmente i dintorni di Yolaia sono proprio destinati a divenir classici per il Paleozoico alpino. Ma le principali località fossilifere sono quelle note nel ver- sante austriaco; per l’Italia solo pochi erano i fossili raccolti, e le condizioni tettoniche, come erano intese s no all’epoca dei nostri studi, lasciavano poca speranza di ritrovare lembi fossi- liferi così ricchi e svariati di età come quelli descritti del ver- 5-18 P. VINASSA DE REGNY sante austriaco. È poi da aggiungere la difficoltà dei luoghi, lontani da ogni abitato, e sopratutto la morfologia del gruppo montuoso della giogaia dei Coglians che, in tutta la sua parte elevata, offre difficoltà ed anche pericoli non indifferenti. Co- sicché ogni scoperta nel nostro versante assume una impor- tanza maggiore. Dei fossili raccolti nel gruppo dei monti attorno al passo di Volaia (Coglians, M. Canale ecc.) non si hanno descrizioni aH’infuori di quelle date dal De Angelis (‘), e di quella della fauna della Cianavate del Grortani (2), che è certo tra le più importanti che possa vantare il Paleozoico carnico. Non potendo tener conto delle determinazioni del De An- gelis, si conosceva adunque nel nostro versante solo l’orizzonte eodevonico superiore. Ora per le scoperte fatte alla base del Capolago (. Seekopf delle carte) possiamo aggiungere altri oriz- zonti. Le condizioni delle masse calcaree, che dal passo di Volaia scendono verso Italia, sono le seguenti. Al palo di contine (1983) si ha un cocuzzolo tondeggiante con strati che pendono a Sud di circa 40°, ma che sono disposti a dolce curva anticlinale. Il Passo di Volaia è difatti aperto nella volta di una cupola ellissoidale fratturata ed erosa. Questa cupoletta è detta dagli alpigiani per il suo colore « Corona rossa ». La serie degli strati è la seguente: (vedi fig. 1). 1. Scisti argillosi bruni, con brecciolino silicee ad elementi bianchi e neri. 2. Calcari grigi sterili in grossi banchi. Questi due primi membri si vedono solo nella scarpata che scende al lago. 3. Calcari reticolati rosei a reticolature rosso-cupe con Or- tìioceras alticola Barr. Essi formano la sommità della Corona rossa. (') De Angelis d’Ossat G., Seconda contribuzione allo studio della fauna fossile paleozoica delle Alpi carniche. Mem. R. Acc. Lincei, 1899. Vedi anche: Vinassa, Il Devoniano medio nella giogaia del Coglians. Riv. It. di Paleont., 1908. (?) Gortani M., Contribuzioni allo studio del Paleozoico carnico. II. Faune devoniane. Paleont. Ital., 1907. FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLAIA 549 4. Calcari reticolati rosei, intercalati a calcari grigi-rosati con vene giallastre. 5. Calcari grigi a reticolatile brune erodibili, a sfatticcio argilloso giallastro con Orthoccras potens Bari*. L. di Volaia Confine Cas. Pian d. Buses Morena 6. Àrgilloscisti ed arenarie bruni o giallastri, situati presso alla Casera diroccata detta Pian das Buses alla quota 1891. 7. Calcari reticolati grigio-rosei o rossastri a Tornoceras. 8. Calcare compatto, un po’ dolomitico, biancastro, sterile. 9. Calcare grigio chiaro con numerosi crinoidi e pochi co- ralli: e sviluppato in sottili strati sotto la casera ma è potente alla base del Capolago, ove raggiunge una cinquantina di metri di spessore, nei quali possiamo riscontrare la serie seguente: 9 a. Calcare a crinoidi a fondo giallastro con Gastero- podi. 96. Calcare nerastro a sfatticcio bruno giallastro, che è una vera lumachella con Uh. Megaera Bari*, sp. 9 c. Calcare più chiaro con crinoidi e Retzia umbra Barr. sp. 10. Calcare nero compatto venato di bianco, ricchissimo di gasteropodi del periodo eodevonico (’). 11. Calcari compatti sterili. 12. Calcari di scogliera. (') Mentre eravamo occupati nello studio di questi gasteropodi è comparso il lavoro dello Spitz : Die Gastropoden des harnischen Unter- devons. Beitr. zur Palaeont. und Geol. Oesterr. Ung. XX, 2-3, sullo stesso argomento. 550 P. VINASSA DE REGNY I fossili che descrivo in questa nota provengono dagli strati segnati 9 a, 9 b, i quali però debbono ascriversi certo allo stesso orizzonte, che è del Neosilurico superiorissimo e non dell’Eo- devonico inferiore come voleva il Frech. ❖ * * La scoperta di questa interessante serie del Passo di Volaia verso l’Italia ba grande importanza anche per la tettonica e con essa si correggono e si ampliano le conoscenze che prima si avevano di questa regione. Per il Frech la giogaia del Coglians è costituita (') da una pila di strati calcarei pendenti a Sud, sostenuti a Nord dagli scisti siluriani e troncati a Sud da una faglia, che li porta a contatto con scisti da lui riferiti al Culm. Avendo poi il Frech trovato fossili mesodevonici sulla parte più alta del Pizzo di Collina e delle Kellerspitzen, egli generalizza e ritiene che, ad eccezione di una piccola zona lungo la cresta Coglians-Canale, tutti i calcari del versante italiano spettino al Mesodevonico. Rispetto poi agli strati con JRh. Megaera , da lui trovati al Wo- layer Thòrl, egli li ritiene nettamente eodevonici. Quanto già ho detto in una mia precedente pubblicazione (?), rispetto all’età degli scisti ed alla trasgressione neocarbonifera, mi dispensa dal rilevare, ancora una volta, l’errore del Frech rispetto agli scisti; e la sezione sopra riportata dimostra che, anche nel giudicare dell’età dei calcari, il Frech non è stato molto felice, ricorrendo ad una generalizzazione del tutto erronea. II Geyer (3) invece è stato molto più accurato e coscien- zioso limitando il Mesodevonico al solo punto ove veramente venne trovato e nulla più. Il rimanente è segnato sulla carta del Geyer come Devoniano in generale. Fu anche il Geyer che per primo elevò dei dubbi sopra la pertinenza all’Eodevonieo (!) Frech F. F., Karnischen Alpen, pag. 91. (2) Vina3sa P., Sull’estensione del Carbonifero superiore nelle Alpi carniche. Boll. Soc. Geol. it., XXV, 2. (3) Geyer G., Geologische Speziatane Oesterr. Blatt Oberdrauburg und Mauthen. * FAUNA A EH. MEGAERA DI VOLAIA 551 della fauna a Eh. Megaera e che successivamente, colla sco- perta della Cardiola inter rupia al Wolayer Thorl, ne dimostrò la pertinenza al Neosiluriano (1). Come ho già accennato e dimostrato in un mio recente la- voro (2) le determinazioni del De Angelis sui fossili di Cas. Monumenz, e per conseguenza le sue deduzioni tettoniche, non reggono. Del resto anche a prima vista si può escludere ogni e qualunque accenno di sinclinale. * ❖ La Eh. Megaera si trova in due diversi orizzonti; ma mentre essa inferiormente intarcisce la roccia, che può considerarsi una vera lumachella a Megaera, superiormente non si trova che in pochi esemplari, e predominano invece la Eetsia umbra ed altre forme di brachiopodi e più che altro crinoidi. Lascio alla discussione finale delle forme ed alle loro cor- rispondenze con altre località la giustificazione del riferimento al Neosilurico superiore di questa faunula (3). (') Geyer G., Bericht uber die Excursion in die Karnischen Aìpen. Comptes rendus du Congrés géolog. intera. Vienne, IX Session, 1904. (2) Vinassa P., Il Devoniano medio nella giogaia del Coglians, loc. cit., 1908. (3) Al mio caro maestro prof. Canavari ed ai preposti alla Biblio- teca del R. Comitato geologico esprimo qui i miei più vivi ringraziamenti per la liberalità colla quale hanno cortesemente posto a mia disposi- zione il materiale bibliografico necessario al mio studio. 552 P. VINASSA DE REGNY DESCRIZIONE DELLE FORME ANTHOZOA. Nei calcari con crinoidi e Petzia umbra non son rari i co- ralli dacché ne ho raccolti una ventina di esemplari. Purtroppo però essi sono sempre così mal conservati che. solo per ecce- zione, ne sono visibili i caratteri anatomici. Posso ad esempio citare almeno due forme di Favosites di cui una ha innegabili somiglianze colla Favosites baculoides Barrande (in Poeta, tav. 86, %. !)• Di coralli isolati ho pure un esemplare che sembra potersi riferire al genere Ompliyma ed anzi ha molte analogie coll’ <9. grande Barrande (in Poeta, tav. 21, fìg. 5). Ma, come ho detto, i caratteri anatomici o mancano o sono troppo mal sicuri per potere azzardare una determinazione. Solo il genere Petraia è sicuro. Tetracorallia. Fam. CYATHAXONIDAE E. H. Gen. Petraia v. Miinster. Sono parecchi esemplari che certamente vanno riferiti a questo genere, non raro nel Neosilurico e nel Devonico. Per il cattivo stato di conservazione però non posso dare che una sola determinazione specifica. Petraia laevis Poeta. (Tav. XX, Fig. 1). 1902. Petraia laevis. — Poeta in Barrande, Syst'eme silurien de la Bo- hème. VII, pag. 207, Tav. 68, fig. 10-16. Questa specie si distingue dalle altre anche a prima vista per la sua forma a trottola terminante a punta, e regolarmente crescente con angolo che varia da 55° a 60°. FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLAIA 553 I miei esemplari provenienti dal calcare a erinoidi hanno un angolo un poco minore di quello degli esemplari boemi, poiché esso misura 50°. Le dimensioni invece rispondono assai meglio : i. ii. in. Altezza totale mm. 11 12 12,5 Diametro del calice » 8,5 9 9,5. La superficie è tutta coperta di coste rade, abbastanza ri- levate, a disposizione pennata, che esternamente non accenna ad un setto principale. Il calice è abbastanza largo e profondo. I setti non si ve- dono che in fondo ad esso, a circa un mm. dalla punta e sono pochissimo appariscenti, in numero di 30-35. La forma esterna caratteristica, la profondità del calice e il tipo dei setti tengono ben distinta questa forma e fanno es- ser sicuri della sua determinazione. BRACHIOPODA. Sono tra i fossili più numerosi dei calcari con Megaera del Passo di Volala ed in generale ben conservati. In taluni esemplari è anche possibile, mediante sezioni, vedere la forma dell’apparato brachiale. Per lo studio di essi è indispensabile l’opera del Barrande : Système sii. de la Bohème, JBrachiopodes . Ma essa è certo di una grande difficoltà a consultarsi. Le varie forme, spesso riu- nite sotto denominazioni generiche diversissime, si trovano sparse senza alcuna regola in tutte le tavole, evidentemente eseguite via via che nuovo materiale, proveniente da nuove raccolte, si aggiungeva al primo. Ne la critica delle forme, che pure si manifesta per molti versi necessaria, è possibile sia per la man- canza di descrizioni, sia perchè risulta indispensabile assai spesso una revisione degli esemplari originali. Con molta maggiore esattezza e condotta l’opera del Davidson, che può effettivamente considerarsi un modello del genere. 38 £54 P. VINASSA DE REGNY Articulata Huxley. Fam. STROPHOMENIDAE King. Gen. Ortis Dalm. Orthis elegantula Dalm. 1869. Ortliis elegantula Dalm. — Davidson, Monograph Brit. Brachio- poda, Silurian pag. 211, tav. XXVII, fig. 1-9 {cum syn.). 1879. Orthis elegantula Dalm. — Barrande, Système silurien de la Bo- hème, Brachiopodes, tav. 65, I-1II ; tav. 126 I. 1883. Orthis elegantula Dalm. — Davidson, Supplementi pag. 178. Ne ho tre soli frammenti provenienti dai calcari con cri- noidi. Tutti e tre sono della valva ventrale. Le ornamentazioni, costituite da costole più lunghe alternate con costole più brevi, leggermente ondulate ed intramezzate da sottili strie, sono ca- ratteristiche di questa specie molto ditfusa nel Neosilurico su- periore. Cosicché, quantunque gli esemplari siano incompleti, pure credo di non andare errato riferendoli a questa forma. Anche il contorno, che si può desumere dall’esemplare meno rotto, risponde assai bene ed in modo speciale a quello che il Barrande figura a Tav. 65, I, 7 ; mentre è diverso da quello figurato dal Davidson. Gen. Strophomena Raf. Strophomena corrugatella Dav. (Tav. XX, fig. 2). 1878. Strophomena corrugatella Davidson, Op. cit., XXIV, pag. 301, tav. XLI, fig. 8-1 1 (cum syn.). Un solo esemplare costituito dalla sola valva dorsale è però del tutto rispondente a questa specie per la sua caratteristica ornamentazione. Anche la forma assai alta (mm. 6) in con- fronto alla larghezza (mm. 7) risponde benissimo a quella della specie inglese. Le coste maggiori sono prolungate sino aH’umbone; inter- poste ad esse se ne hanno delle minori che si spingono più o FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLAIA 555 meno verso l’apice. Sono sempre nettissime le striature inter- medie un poco ondulate. E sempre compariscono ben rilevati i cordoni concentrici posti tra costa e costa, leggermente ar- cuati. Unico, nei calcari a crinoidi. Strophomena Ivanensis Barr. 1879. Strophomena Ivanenis Barrande, Op. cit., tav. 52, IV. Un solo esemplare abbastanza piccolo, poiché misura un’al- tezza di mm. 8 ed una larghezza di mm. 11,5, può con suffi- ciente sicurezza riferirsi a questa forma. Salvo le dimensioni un poco maggiori, la figura IV, 1 della tavola 52 del Barrande si addice perfettamente alla forma di Volaia. Le ornamentazioni del resto sono caratteristiche. Esse constano di un numero assai rilevante (da 22 a 25) di costoline, che parte arrivano sino all’umbone e parte si arrestano prima. Tra esse costoline si ha una fitta striatura, costituita da minute linee leggermente on- dulate. Concentricamente si vedono, con determinate incidenze di luce, dei rilievi un poco arcuati ed in taluni punti appa- risce anche netta la punteggiatura tipica di questa specie. Unico. Nella lumachella a Megaera. Strophomena costatola Barr. (Tav. XX, fig. 3). 1879. Strophomena costatala Barrande, Op. cit., tav. 43, fig. 6-9, tav. 48, III. Riferisco a questa forma tre esemplari incompleti, ma che per le loro caratteristiche ornamentazioni si possono riportare benissimo alla specie. Gli esemplari, completati, misurano una larghezza di mm. 10,o—14 ed una altezza di mm. 8—9,5. La conchiglia è anche abbastanza globosa misurando uno spessore massimo di mm 6. L’ornamentazione consta di numerose costoline molto rile- vate, specialmente verso l’umbone; in generale esse raggiun- gono 1 apice, ma talune terminano prima. Le costoline trasver- 556 P. VINASSA DE REGNY sali sono disposte a barba di penna attorno alle coste radiali che funzionano come da rachide. Questa ornamentazione, a mio parere, non lascia dubbio sulla determinazione. Le somiglianze maggiori del mio esemplare si hanno colla figura III, 3 della tav. 48 del Barrande. Esclusivamente nei calcari con crinoidi. Strophomena rhomboidalis Wilck. sp. 187 L. Strophomena rliomhoidalis Wilck — Davidson, Op. cit., pag. 281, tav. XXXIV, fig. 1-21, tav. XLIV, tig. 1 (curri syn.). 1907. Leptaena rhomboidalis Wilck — Gortani , Contrib. studio Paleoz. carnico ; II. Faune devoniane, pag. 19 (cum syn.). Ne ho tre esemplari di cui due soli completi : tutti di di- mensioni assai limitate non oltrepassandosi mai i mm. 14 di altezza ed i mm. 25 di larghezza. La forma e l’ornamenta- zione caratteristiche non lasciano alcun dubbio sulla determina- zione di questa forma del resto già nota nel paleozoico carnico. I miei esemplari somigliano in modo speciale a quelli del Llandovery inglese figurati dal Davidson a tav. XXXIX, fig. 19. Esclusivamente nei calcari a crinoidi. Fam. ATRYPIDAE Dall. Gen. Atrypa Daini. Atrypa marginalis Dalm. (Tav. XX, fig. 4-5). 1867. Atrypa marginalis Dalm. — Davidson, Op. cit., pag. 137, tav. XV, fig. 1, 2 (cum syn.). 1879. Atrypa marginalis Dalm. — Barrande, Op. cit., tav. XXXI, fig. 1. 1987. Atrypa marginalis Dalm. — Frech, Ueber das Devon der Ostalpen, Zeitsch. d. dent. geol. Gesell., XXXIX, pag. 687. Questa forma non è rara a Yolaia. 11 Frech del Wolayer Thorl ne cita un solo esemplare; al passo di Yolaia ne ho potuti raccogliere una diecina. FAUNA A RH. 'MEGAERA DI VOLAIA 557 Dimensioni : Altezza della valva dorsale mm. i. 10 ii. 9,5 in. 9,5 IV. 7,5 Altezza della valva ventrale » 9 8,5 9 7 Larghezza massima . . . » 11 9 10 8,5 Spessore » 6 5,5 7,5 5 La conchiglia, come si vede, non raggiunge dimensioni molto grandi, è assai globosa, a contorno tondeggiante. La valva dorsale è sempre profondamente incavata, e nel solco le costole sono meno rilevate che ai fianchi. Nella valva ventrale il rilievo mediano terminante al lobo frontale è invece sempre assai poco rilevato ed in ciò solamente si distinguono i miei esemplari da quelli tìpici di A. marginali. Non rara tanto nella lumachella a Megaera quanto nel cal- care a crinoidi. Atrypa (?) fugitiva Barr. var. depressa n. (Tav. XX, fig. 6). Distinguo come varietà un esemplare dei calcari con cri- noidi, che, mentre nella valva dorsale ha il tipo perfettamente identico a quello dell’esemplare figurato alla fig. 3 della tav. 84 del Barrande, nella ventrale si distingue per essere molto più pianeggiante come risulta dalle seguenti dimensioni: Altezza della valva dorsale . . mm. 5 Larghezza massima » 4,7 Spessore » 2 Il contorno è rotondeggiante, leggermente incavato al mar- gine frontale. La valva dorsale è un poco rigonfia e rilevata nel mezzo verso l’apice; poi incavata dolcemente in vicinanza del margine frontale. Essa è percorsa da numerose costoline concentriche di maggiore o minor rilievo che non raggiungono però mai la regione apicale. Le costoline sono ricurve in rispon- denza del seno frontale. 658 P. VINASSA DE REGNY La valva ventrale è assai pianeggiante e per questo si di- stingue il mio esemplare da quello della tipica A. fugitiva. Questa valva nel mio esemplare è solcata nella parete mediana da un incavo poco profondo, ma netto die raggiunge l’apice. Su questa valva non si vedono costolature. La determinazione generica è dubbia, non potendosi vedere le braccia. Il Frech che cita al Wolayer Thorl esemplari riferi- bili a questa forma li riporta alle Athyris, ma anche egli non dà le ragioni di questo cambiamento di genere. Gli esemplari che il Frech ha trovato numerosi, a giudicarne dalla descrizione, sono diversi da quelli di Yolaia per la orna- mentazione. Unico. Calcari con crinoidi e Retzia umbra. Fam. SPIRIFERIDAE King. Gcn. Spirifer Sow. Spirifer cfr. nucula Barr. Due frammenti, che conservano però l’umbone e buona parte della conchiglia, presentano su di essa due forti carene mediane poco divaricate racchiudenti un incavo profondo. Lateralmente ad esse si hanno altre due paia di carene meno pronunciate. Le carene sono tutte quante ottuse e le due mediarle si spin- gono nettissime sin proprio all’umbone. Tutta la conchiglia è segnata da numerose e sottili strie concentriche. Naturalmente, dato lo stato di conservazione degli esemplari, non è concesso dare una determinazione esatta. Pur tuttavia posso con abbastanza sicurezza avvicinare i miei due esemplari al tipo dello Spirifer nucula Barr. ( Op . cit ., tav. II, fig. 1), col quale hanno innegabili somiglianze specialmente per il numero, la forma e la disposizione delle carene radiali. Un esemplare della lumachella a Megaera, ed uno del cal- care a crinoidi. FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLATA 559 Gen. Nucleospira Hall. Nucleospira pisum Sow. sp. (Tav. XX, fig. 7-8). 1867. Nucleospira pisum Sow. — Davidson, Op. cit., pag. 106, tav. X, tìg. 16-20 ( curri syn.). 1883. Nucleospira pisum Sow. — Davidson, Suppl., pag. 91, tav. IV, tìg- 15-18. Sono numerosi gli esemplari che si possono riportare a questa forma. La piena sicurezza non si può però avere che per quattro o cinque, nei quali si arriva a scorgere nettamente la disposi- zione delle braccia, caratteristica del genere. A prima vista non e difficile riportare taluno di questi esemplari alla Atrypa obo- vata del Barrande. Che cosa veramente sia questa forma non è però possibile saperlo. Il Barrande ha figurato ripetutamente sotto questo nome vari esemplari, ma non ne ha mai dato una sola volta i caratteri brachiali. Credo che sotto quel nome si abbiano tipi appartenenti a generi diversi. Taluni sembrano essere delle Merista, come già aveva fatto osservare il Predi (Op. cit., pag. 727); per altri come ad esempio quelli figurati nella tav. 84 mi sembra di vedere forti somiglianze colla pre- sente specie. La cosidetta Atrypa obovata del Barrande è quindi una forma che, più delle altre, merita una accurata revisione sugli esemplari originali. La Nucleospira pisum di Yolaia è tipica per la sua forma generale oltre che per i suoi caratteri interni. Non raggiunge mai però dimensioni notevoli come risulta dallo specchietto se- guente: Altezza . i. . mm. 10,5 ii. 9,5 IH. 7,5 IV. 6 Larghezza . » 11,5 10 8 6,5 Spessore . » 8 6 4,5 3,5 La conchiglia è liscia, rigonfia, tondeggiante, a margine fron- tale leggermente rientrante, avendosi un leggero accenno di lobo frontale. Nettamente sporge l’umbone rilevato, ricurvo sulla valva 560 P. VINASSA DE REGNY ventrale, ottuso all’apice. Questo carattere è anche tipico della Nucleospira pisani. Sulla conchiglia si vedono sempre netti i setti mediani in entrambe le valve. Ed in parecchi casi, come già ho accennato, si vedono anche bene le spirali delle braccia. Non rara tanto nella lumachella a Megaera quanto nei cal- cari con crinoidi. Gen. Eetzia King. Retzia (?) umbra Barr. sp. (Tav. XX, fig. 9-11). 1879. Orthis umbra Barrande, Op. cit., tav. 64, V, Vili; tav. 143, I— I IT. 1887. Eetzia (?) umbra Barr. sp. — Frech, Op. cit., pag. 728, tav. XXV1I1, tig. 8. È questa una delle forme meglio conosciute e caratterizzate nelle figure tanto del Barrande quanto del Frech. Al Passo di Volaia la forma è abbastanza comune, ma è esclusiva dei cal- cari a crinoidi, tanto che questi si possono anche dire calcari a Retzia umbra. Sembra che qualcosa del genere avvenga anche al Wolayer Thorl, difatti il Frech dice la Retzia ambra limi- tata a certi determinati nidi. Le dimensioni sono abbastanza svariate come risulta dallo specchietto seguente: i. ii. in. IV. V. Altezza mm. 6,5 5,5 5 4,5 3 Larghezza » 9 6,5 6 5,5 3,5 Spessore » 3,5 3 2,5 2 1,2 Pure svariate sono le ornamentazioni. Ne ho esemplari ove esse sono fortemente spiccate e visibili ed altri ove esse spa- riscono quasi del tutto. Taluni dei miei esemplari somigliano molto a quello che il Barrande ha figurato nella fig. Ili, 1 della tav. 143. In altri esemplari predominano invece le ornamenta- zioni in senso radiale, come nell’esemplare figurato dal Barrande nella fig. Ili, 2 della tavola stessa. Altri infine hanno somi- glianza cogli esemplari figurati nella figura Y della tav. 64. Anche nell’esemplare figurato dal Frech predominano le or- namentazioni radiali. FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLAIA 561 Gen. Spirigera d’Orb. Spiriterà subcompressa Frech sp. (Tav. XX, fig. 12, 13). 1879. Atrypa compressa non Sow. — Barrande, Op. cit., tav. 85, I; tav. 114, IV. 1887. Athyris subcompressa Frech., Op. cit., pag. 726. Giustamente il Frech tiene distinta la forma boema dalla forma inglese (oggi Glassia obovata) dacché oltre la differenza generica, che apparisce solo nelle preparazioni interne, si ha un ottimo carattere esterno. Difatti mentre la forma inglese possiede un seno frontale molto netto, la forma boema ha in- vece un semplice incavo alla fronte. Questo carattere è ottimo per la distinzione immediata di questa forma che non è rara al Passo di Volaia. Ne ho difatti sette esemplari, tutti su per giù della stessa dimensione abbastanza limitata, come risulta dal seguente specchietto: i. ii. in. Altezza mm. 8,5 8 6,5 Lunghezza » 9,5 8,5 6,5 Spessore » 6,5 4,5 4 La conchiglia ha un netto contorno pentagonale arrotondato, è tutta liscia ed in corrispondenza dell’incavo frontale ha un solco che su entrambe le valve si manifesta ben visibile sino quasi sotto l’apice. Al Passo di Volaia la forma si trova tanto nella luma- chella a Megaera (2 esemplari) quanto nei calcari a crinoidi (5 esemplari). Spirigera obolina Barr. sp. 1879. Atrypa obolina Barrande, Op. cit., tav. 84, III. La specie si distingue con sufficiente sicurezza, anche a prima vista, per la sua forma ovale allungata e per la sua regolare globosità in entrambe le valve. 562 V. VINASSA DE REGNY Al Passo di Yolaia essa è relativamente comune, avendone raccolto quattro esemplari nella lumachella a Megaera e tre nei calcari a crinoidi, tutti di dimensioni molto piccole tra rum. 4,7 e mrn. 6,5 di altezza, e mm. 5,5 e mm. 7,5 di larghezza. Per le dimensioni e la forma gli esemplari di Yolaia rispondono quindi a quelli figurati dal Barrande nella fig. Ili, 1 e 2 della tav. 84. Ancistropegmata Zitt. Fam. PENTAMEBIDAE M’ Coy. Gen. Pentamerus Sow. Pentamerus optatus Bari*. 1879. Fentamerus optatus Bavrande, Op. cit., tav. 22, fig. 5-8; tav. 24} V; tav. 114, VI; tav. 116. fig. 1-16 ; tav. 117, IV ; tav. 118, IV; tav. 119, III; tav. 150, VII. 1907. Pentamerus optatus Barr.-Gortani, Op. cit., tav. II, fig. 6 (cum syn.). Un solo esemplare di piccole dimensioni va riferito a questa specie molto diffusa nel paleozoico anche carnico. Esso misura mm. 9,5 di altezza, mm. 12 di larghezza e mm. 5,5 di spes- sore della valva dorsale, la sola conservata. Kiferisco alla specie questo solo esemplare di Volaia con tutta sicurezza ; ma devo fare osservare che probabilmente la specie si trova anche qui assai comune. Difatti nel materiale detritico ai piedi del M. Capolago e del Coglians sono nume- rosissimi gli esemplari del P. optatus. Ma della loro prove- nienza non si può essere sicuri. Difatti con grande probabilità dalle masse Eodevoniche possono esser caduti tali esemplari. E il calcare eodovonico mal si distingue da quello neosilurico con Petzìa umbra. Mi limito quindi a citare con tutta sicu- rezza questo esemplare della lumachella con Megaera che porta tuttora attaccata una conchiglia appunto di Pii. Megaera. Quanto al calcare con crinoidi posso asserire che il P. optatus si trova anche in essi avendovene raccolto esemplari in posto, ma non saprei dire con quale frequenza. L’esemplare della lumachella a Megaera presenta forti somiglianze specialmente con quello figurato dal Barrande a tav. 24, fig. V, 6. FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLAIA 563 Pentamerus pelagicus Barr. 1879. Pentamerus pelagicus , Barrancle, Op. cit., tav. 22, fig. 2 g., 3 ; tav. 23 • tav. 108, III. Caratteristica del P. pelagicus, in confronto col P. optatus che è assai prossimo, è la ottusità delle coste che sono assai più rilevate e spiccano in modo speciale presso al margine frontale. Al Passo di Yolaia la forma non è rara, ma sempre in esem- plari mal conservati ed incompleti che mantengono però tut- tavia il tipo caratteristico, tanto che la determinazione ne è fa- cile e sicura. Gli esemplari provenienti dalla lumachella (2 di numero) hanno nettissime le coste ottuse della valva dorsale, la sola conservata sempre, e somigliano specialmente alla fig. Ili, 1 della tav. 108 anche per le dimensioni, come risulta dallo specchietto seguente (I e II): i. ii. ni. IV. Altezza mm. 10 9 12,5 10,5 Larghezza » 13 11 14 12,5 Spessore » 5 5 5,5 5,5 Gli esemplari dei calcari a crinoidi sono maggiori come ri- sulta da III e IY dello specchietto precedente. Essi sono assai più numerosi che non quelli della lumachella avendone raccolti 10 esemplari. Somigliano in modo speciale alla fig. 4 della tav. 23 del Barrande avendo meno rilevate le costole delle valve. Pentamerus cfr. undatus Sow. (Tav. XX, fig. 14). L’esemplare è troppo mal conservato per permettere un giu- dizio sicuro. Ma la forma della valva, il suo incavo mediano ampio e regolare, il guscio del tutto levigato mi permettono un ravvicinamento a questa specie, così come è descritta e figurata dal Davidson ( Op . cit., Suppl., pag. 162, tav. IX, fig. 10-20)- 564 P. VINASSA DE REGNY Anzi le somiglianze maggiori sono appunto coir esemplare del Llandovery figurato dal Davidson a tav. IX, fig. 18. Un solo esemplare incompleto ed un secondo frammento probabilmente della stessa forma nei calcari con crinoidi. Gerì. Rhynchonella. Nella faunula in studio questo genere è rappresentato da varie forme che si possono dividere in tre grandi gruppi : forme liscie cioè e forme costate unite da un gruppo di passaggio rap- presentato dalla Rhynchonella hircina varietà della Rii. Sappilo. Le forme liscie vennero dal Barrande considerate come Atrypa, ma erroneamente. Fu il Frech che riconobbe giusta- mente trattarsi di Rhynchonella, cosa del resto di cui era fa- cile persuadersi poiché i caratteri esterni non sono affatto di Atrypa ed i caratteri interni parlano chiaro per l’appartenenza di queste forme alle Rhynchonella. Le forme liscie hanno per tipo la Rii. Magaera e quelle costolate la Rh. tarda. Le forme lisce sono eccezioni nelle Rhyn- chonella ; ma di esse se ne conoscono anche di altre località, come ad esempio la Rh. aptica Kayser del Mesodevonico del- l’Eifel. Gruppo della Rhynchonella Megaera Barr. sp. A questo gruppo appartengono certamente oltre la Rh. Me- gaera Barr. sp. anche la Rh. Zelia Barr. sp., alcuni tipi della Rh. Sappilo come ad es. quelli figurati dal Barrande alla tav. 148, 149 e la Rh. Harpyia Barr. sp. Forse anche la Atrypa latesinuata Barr. (Op. cit., tav. 17, II) rientra in questo gruppo. Ed è anche possibile che vi rientrino forme come la Atrypa Thetys Barr. e qualche altra che al semplice esame delle figure pare non siano troppo lontane dal tipo liscio, con forte seno, della Rh. Megaera. Che effettivamente si tratti di Rhynchonella lo dimostrano senza lasciare alcun dubbio le figure 26, 27 della tav. XX, che mostrano appunto un apparato cardinale di Rh. Megaera. FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLATA 565 Rliynchonella Megaera Barr. sp. (Tav. XX, tig. 15-22, 24-29). 1879. Atrypa Megaera Barrande, Op. cit., tav. 8G, I, tav. 151, IV. 1887. Eliynclionella Megaera Frech, Op.cit., pag. 729, tav. XXVIII, fig. 5-6. La Eliynclionella Megaera è il fossile più comune in questi calcari del Passo di Volaia. Essa può però confondersi a prima vista con forme tenute distinte dal Barrande e che sono indu- bitabilmente ad essa molto vicine, quantunque, nelle forme estreme, meritino di essere considerate come forme a sè. Carattere fondamentale della Rh. Megaera, che la distingue nettamente da talune forme della Rh. Sappilo liscie, sono le espansioni dei margini laterali spiccatissime, quasi aliforrai, e la valva dorsale scavata o tutt’al più pianeggiante o appena rilevata, sempre però meno che i margini laterali; di modo che la sezione trasversale della conchiglia mostra i lobi espansi aliformi più sporgenti che non la parte mediana della conchiglia. Solo eccezionalmente questo non avviene. Tutte le forme più tipiche raccolte al Passo di Volaia hanno appunto questo aspetto. Il contorno è nettamente triangolare verso l’apice, tondeggiante al margine inferiore. L’angolo api- cale supera sempre i 90° e raggiunge spesso i 100°-1Ì0°; solo eccezionalmente ed in forme che fanno passaggio alla specie seguente si hanno angoli un poco superiori. Il Frech nota che la forma tipica figurata del Barrande non raggiunge i 90° e solo per eccezione li supera di poco. Evidentemente questo è un errore. Il Frech difatti deve essersi limitato a giudicare l’an- golo retto ad occhio, senza misurarlo. Se lo avesse misurato avrebbe difatti veduto come nemmeno una delle forme figurate dal Barrande misuri meno di 90°, ma tutte oltrepassino questo numero. E del resto anche l’esemplare figurato da lui alla fig. 6 misura circa 92° mentre quello della fig. 5 misura 90°. La forma più acuta tra gli esemplari da me raccolti al Passo di Volaia misura 90°; altri esemplari però si hanno con angolo apicale assai più ottuso. Il seno è spesso largo e profondo, la valva ventrale è ri- gonfia presso al margine frontale. La valva dorsale è spesso 566 P. VINASSA DE REGNY scavata nel mezzo, ma può anche avere un leggero rigonfiamento mediano seguito da due depressioni laterali. In generale i mar- gini laterali sono più sporgenti di questo rilievo mediano; ma nelle forme che fanno passaggio alle seguenti il rigonfiamento mediano può essere più rilevato delle espansioni laterali. Queste assumono il tipo aliforme e si trovano spesso rovesciate all’in- dietro. (Tav. XX, fig. 15). L’apice è poco sporgente, ottuso, munito di un’apertura trian- golare con piccolo deltidio appena visibile. Dall’apice della' valva dorsale partono spesso, e specialmente nelle forme con rilievo mediano, due forti carene laterali che vanno a morire nelle espansioni laterali delle valve e che danno alla conchiglia l’aspetto tipico triangolare. Il guscio è interamente levigato; non si vedono, nemmeno colla lente, le strie di accrescimento della conchiglia. Invece al fronte è facile vedere tre o quattro rilievi labriformi. In tal caso il margine frontale invece di terminare acutamente è pia- neggiante. Solo nei modelli interni si vedono le tracce più o meno ra- mificate delle impronte vasali. L’apparato cardinale è costituito dai ben noti appoggi den- tali (Tav. XX, fig. 26, 27); dell’apparato brachiale non si ve- dono che gli indizi. Dimensioni : i. ii. in. IV. V. VI. Altezza rum. 13,5 12,5 13 10 10 9,5 Larghezza » 15 13 .11,5 12 10,5 8 Spessore » 9 7,5 8 6 5,2 4,5 Questa specie infarcisce i calcari neri e non è rara nei nidi di calcare bianco con Crinoidi. Rliynchonella Zelia Barr. sp. (Tav. XX, fig. 23, 30). 1879. Atrypa Zelia. Barrande, Op. cit., tav. 90, II ; tav. 134, V ; tav. 151, V. 1887. Rhynchonella Zelia Barr. sp. — Frech, Op. cit., p. 730, tav. XXVIII, fig. 3-4. FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLAIA 567 Questa forma è molto prossima alla precedente tanto che meriterebbe di essere tutt’al più considerata come una varietà di essa. Numerosi passaggi collegano le due forme, che, solo nei tipi più estremi, possono distinguersi abbastanza facilmente anche a prima vista. Forme di passaggio dalla Megaera alla Zelia sono ad esempio quelle figurate dal Barrande a tav. 151, fig. 5, 6 e da lui ri- ferite alla Megaera. Esse però sembrano appartenere piuttosto alla Zelia. Difatti esse sono tondeggianti; hanno largo angolo apicale e rigonfiamento forte della valva dorsale. Sono questi effettivamente i più salienti caratteri per distinguere le due forme. Vedemmo difatti che l’angolo apicale della Megaera non oltrepassa i 110° e spesso va da 90° ai 105° senza raggiun- gere i 110°. La Ehynchonella Zelia invece non va mai al di- sotto di 110° e raggiunge spesso i 120° e 125°. Quanto al con- torno esso è nettamente triangolare verso l’apice nelle forme tipiche come anche nella Eh. Megaera: questa mantiene però le angolosità anche lateralmente; nella Eh. Zelia pur restando triangolare la forma generale verso l’apice si smussano gli an- goli laterali e nelle forme tipiche di Zelia non si trovano mai le angolosità che si manifestano nella Megaera all’inizio delle espansioni laterali. La valva dorsale solo eccezionalmente si mostra scavata, derivandone così quell’aspetto aliforme tanto caratteristico della Megaera. Il più delle volte invece si ha il rigonfiamento me- diano più alto delle espansioni laterali. La foima tipica e quindi più ottusa all’apice, più arroton- data lateralmente e più globosa. Per questa ragione essa pre- senta indubitabili somiglianze colla Eh. Beltiana. Davidson (Monograph Brit. Brachiop. Silurian , XXII, 1868, pag. 189, tav. XXIV, fig. 22) del Wenlock inglese. Non avendo esem- plari di confronto, e dovendomi basare quindi sulle sole figure non mi è possibile però dare un giudizio e mi limito perciò ad accennare solamente a questa somiglianza. Un esemplare tipico ha l’angolo apicale di 135°, il con- torno laterale e ventrale tondeggiante; la valva dorsale è ri- gonfia nel mezzo, di modo che è ad un pari coi margini late- 568 P. VINASSA DE REGNY rali. La valva ventrale è globosa, rigonfia nel centro con due forti depressioni laterali al lobo frontale, che è meno rilevato di quello che non sia nella Eh. Megaera. Altre forme tipiche hanno al solito angoli apicali superiori a 120° e tutti presen- tano l’arrotondamento generale, che è caratteristico della forma, e la globosità della conchiglia. Le dimensioni si aggirano attorno a quelle della Eh. Me- gaera come è dimostrato nello specchietto seguente: » Dimensioni : i. XI. in. IV. V. Altezza mm. 11,5 12,5 10 9,5 9 Larghezza » 14,5 14 13 11,5 - 10 Spessore » 6,5 6,5 7 6 4,5 La Eli. Zelia tipica è rara in confronto alla Eh. Megaera. Mentre difatti della Eh. Megaera ne ho raccolti circa 200 esem- plari, della Zelia non ne ho che soli dieci esemplari raccolti tanto nella lumachella a Megaera quanto nei calcari con cri- noidi. Rhynchonella Harpyia Barr. sp. (Tav. XX, fig. 31). 1879. Atrijpa Harpya Bai-rande, Op. cit., tav. 88, VI. Ne ho un solo esemplare, ma tipicamente rispondente alla figura del Barrande, e che misura le dimensioni seguenti: Altezza della valva dorsale mm. 12,5 » della valva ventrale » 11,5 Larghezza » 9,5 Spessore » 6,5 La conchiglia è quindi molto più alta che larga. L’angolo apicale è di circa 95° come nella Ehynchonella Megaera. Il contorno è però tondeggiante ai margini ed al fronte come nella Eh. Zelia. La conchiglia è anche, come le precedenti forme, assai globosa. Ma la caratteristica principale di essa è il suo lobo frontale che si spinge come una lunga lingua, leggermente FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLAIA 569 costretta ai due lati del fronte, ove nella valva ventrale si tro- vano due netti incavi. Tipica è pure la forma della valva ventrale; essa è difatti, in sezione trasversale, quasi subquadrangolare: pianeggiante in alto e cadente ai lati con angolo abbastanza sentito. La valva dorsale è rigonfia verso l’apice, ma più verso il mezzo della conchiglia si escava come nella Megaera tipica, di modo che i margini laterali sporgono fortemente su di essa. L apice e poco ìilevato e non presenta differenze notevoli con quello delle altre forme precedentemente descritte. La superficie della conchiglia è liscia; solo verso il fronte si notano sottili strie di accrescimento. Il mio esemplare, salve le dimensioni, può riferirsi in modo più particolare a quello figurato dal Barrande nella figura 2 e che proviene dal Siluriano superiore della Dlauhà Hora. Mi confeima dell esattezza della mia determinazione anche un con- fronto con esemplari tipici della Bh. Harpyia conservati nel Museo geologico di Palermo. Porse l’esemplare figurato dal Bar- rande (tav. 151, IV, 1) come Bh. Megaera va meglio ripor- tato alla Harpyia. Unico. Nella lumachella a Megaera. Gruppo della Bhynchonella Sappho Barr. sp. Comprende tipi che mostrano il passaggio dalle forme per- fettamente liscie come la Megaera, la Zelia e la Harpyia alle torme costolate. Oltre la Sappho appartiene a questo gruppo la Bh. serva colla sua varietà verna anche esse riferite dal Banande alle Atrypa. È diffìcile tener distinte queste due forme dalla Bh. Sappho. Il Prech, (Op. cit., pag. 729) parrebbe che considerasse tanto la serva quanto la verna come varietà della Sappho. In tutte queste forme son caratteristici i rilievi che partono dal fronte per spingersi verso l’apice come nella Bh. Sappho tipica. Ma si hanno anche altri rilievi più laterali, special- niente nella serva. La costanza di questo carattere, che pro- duce nella valva ventrale una sezione subquadrangolare, po- trebbe giustificare la autonomia specifica della Bh. serva. Ma 39 570 P. VINASSA DE REGNY in ogni caso la var. verna non può, a mio parere, riferirsi come varietà alla Eh. serva, ma va senz’altro riportata come var. alla Sappilo. Gli accenni a costolinature in questi tipi sono assai minori che non nella var. liircina della Eli. Sappilo. Blhynclioiiella serva Barr. sp. (Tav. XX, fig. 32). 1879. Atrypa serva Barrande, Op. cit., tav. SO, I; 137, IV. Caratteristiche delia Eh. serva sono la sua forma rigonfia a sezione trasversale subquadrangolare, e la presenza di rilievi gibbosi su ambe le valve ma specialmente sulla ventrale, ove da di sotto all’apice partono quattro di tali rilievi ottusi. A.Volaia ne ho raccolto un solo esemplare ma perfettamente rispondente. Esso misura le dimensioni seguenti : Altezza . . . min. 10 Larghezza ... » 9,5 Spessore ... » 6,5 La conchiglia è molta globosa, quasi altrettanto alta che larga. L’apice è assai acuto, misurando un angolo di meno che 90°; i margini laterali scendono rettilinei sin quasi al quarto inferiore della conchiglia, ove piegano arrotondandosi sino ad incontrare il margine interiore leggermente ricurvo. La valva dorsale è molto rigonfia, la gibbosità mediana è sempre molto sentita, ma va morendo verso il margine frontale; lateralmente ad essa sono due incavi poco profondi, che si al- largano sempre più, limitati dai due rilievi dei margini late- rali che sono molto netti nella porzione inferiore, ove comincia il lobo frontale. La valva ventrale è pure globosa, munita di quattro rilievi gibbosi, ottusi, partenti dall’apice della valva; due si dirigono lateralmente divaricando molto e vanno a confluire coi rilievi laterali della valva dorsale; due sono mediani, meno divaricati e terminano al fronte. Le depressioni tra i rilievi mediani e quelli laterali sono abbastanza profonde. Dalla presenza di questi FAUNA A EH. MEGAERA DI VOLAIA 571 rilievi sulla conchiglia deriva quel caratteristico aspetto subqua- drangolare della sezione trasversale della conchiglia. L’umbone è poco sporgente. Nella valva ventrale è netta- mente visibile un setto mediano. L’esemplare ha innegabili somiglianze colla forma figurata dal Bai lande a tav. 90, I, fig. 1; soltanto che nel nostro esem- plare sono un poco meno sviluppati i rilievi mediani della valva ventrale. Un altro carattere che distingue l’esemplare di Yolaia è il rilievo della valva ventrale, che è più spiccato che non negli esemplari boemi. Unico. Nella lumachella a Megaera. Ehyuclionella Sappilo Barr. sp. (Tav. XX, fig. 33). 1879. Airypa Sappilo Ban-ande, Op. cit., tav. 85, III (esci. 7, 9, 12); tav. 137, V; tav. 148; tav. 149. Caratteristica della Rhynclionelhi Sappilo è di avere due più 0 meno forti rilievi nella valva ventrale, che partendo dai due estremi del lobo frontale convergono verso l’apice senza però 1 aggiungevo. È anche carattere importante, sebbene a comune con parecchi tipi della Rii. Megaera, lo spessore della conchiglia che solo per eccezione è molto depressa. Nella valva dorsale i caratteri sono meno visibili e la con- fusione di taluni tipi della Sappilo colla Megaera è facile. Ma nella valva dorsale si manifesta un carattere che pur trovandosi anche in taluni tipi della Megacra e più ancora nella Zelia, Pure non si sviluppa se non nella Sappilo in tutta la sua am- piezza. È questo il rigonfiamento della parte mediana dell’apice sino veiso al margine frontale in modo che la sezione della con- chiglia non assume quel tipo con espansioni aliformi che è carat- teristico per la Megaera ; ma sempre il rigonfiamento mediano sporge più che non i margini laterali rovesciati, come nella Zelia. È anche raro trovare forme perfettamente liscie, le quali sole si possono confondere colla Rii. Megaera; ma il più delle volte si manifesta un accenno di costolature che sono più visi- 572 P. VINASSA DE REGNY bili nella var. hircina , per la quale si passa al tipo delle Ehyn- chonella costolate e più che altro a quello della Eh. tarda. La Eh. Sappilo liscia, tipica, è rarissima nei calcari del del Passo di Yolaia. Di esemplari tipici ne ho due soli; di cui uno rientra nel gruppo delle forme larghe e l’altro in quello delle forme allungate come risulta dalle dimensioni seguenti: i. ii. Altezza . . . mm. 9,5 10 Larghezza . . » 8 11,5 Spessore ... » 4,5 4,5 L’esemplare largo ha un angolo apicale di 95° ed è molto poco rigonfio. La valva ventrale presenta appena visibili i due rilievi partenti dal lobo frontale. Invece è netto il rigonfiamento posteriore che dall’apice si estende sino al fronte. Sul lobo fron- tale si manifesta un leggero accenno di costolatura molto rada dacché due sole ampie ondulazioni sono, con determinate inci- denze di luce, visibili. Questo esemplare di Yolaia, salvo lo spessore, risponde con molta esattezza alla fig. 5 della tav. 148 del Barrande. L’esemplare allungato (Tav. XX, fig. 33) è esso pure di limi- tato spessore, anche perchè la valva ventrale è mal conservata e manca in taluni punti. Il suo angolo apicale raggiunge ap- pena 90°. Caratteristica è invece la valva dorsale nella quale si vede il ringonfiamento mediano molto esteso in larghezza, di modo che gli incavi laterali prima di giungere ai margini laterali sono profondi ma molto stretti. La somiglianza maggiore si ha coll’esemplare figurato dal Barrande a tav. 149, XII, fig. 1. Altri frammenti sono con tutta probabilità da riportarsi a questa forma, ma sono troppo mal conservati per prenderli in considerazione. Esclusivamente nella lumachella a Megaera. FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLAIA 573 Rhynchonella Sappilo var. hirciiia Barr. 1879. Atrypa hircina var. de Sappilo Barrande, Op. cit., tav. 90, IV: tav. 151, I-IV. 1887. Rhynchonella Sappilo var. hircina Barr. — Frech, Op. cit., pag. 730 tav. XXVI II, fig, 7. Talune forme dal Barrande riferite alla Uh. Sappilo tipica rientrano già a mio parere nella varietà. Così ad esempio mentre possono restare nella forma tipica esemplari come quelli figurati dal Barrande a tav. 150, I, che hanno accenni leggerissimi di costolatura, come già ho accennato per uno dei miei esemplari, non possono considerarsi tipici gli esemplari, come ad esempio quelli figurati a tav. 85, III, fig. 7, 9, 12, nei quali la costola- tura del lobo frontale è già troppo visibile. Essi appartengono certo alla varietà hircina che si distingue dalla specie tipica solo per essere costolata. Il Frech cita 15 esemplari del Wolayer Thorl e ne figura uno che ha grandi somiglianze coi tipi poco costolati figurati dal Barrande a tav. 150, I. Al Passo di Volaia la varietà hircina è rara, non avendone raccolto che due esemplari completi e qualche frammento che si può però con sufficiente sicurezza riferire alla forma. Uno degli esemplari è tipicamente rispondente alla forma figurata dal Barrande a tav. 90, IV, fig. 3, con quattro nette costole sul lobo frontale e sul seno. Anche le dimensioni rela- tive rispondono assai bene; solo il mio esemplare è un poco più piccolo come risulta dalle misure seguenti indicate con I: i. ii. Altezza . . mm. 11 11 Larghezza . . . » 11,5 14,5 Spessore . . . » 8 7,5. Il secondo esemplare si distingue subito per la maggior lar- ghezza, superiore a quella degli esemplari più larghi sinora cono- sciuti come risulta dalle dimensioni indicate sotto II. Esso esemplare si può dire stia alla tipica varietà hircina come la Zelia sta alla Megaera. Data la variabilità di queste 571 P. VINASSA DE REGNY forme non credo si possa tener distinta la forma larga nemmeno come una varietà. In tutti gli esemplari sono nettamente visibili le costoline, limitate però sempre alla regione frontale. Eara tanto nella lumachella quanto nei calcari a crinoidi. Gruppo delle li ri yncho nel l a e costatae. La varietà hircina della Uh. Sappilo conduce alle forme nettamente costolate delle llhymlionellac che si trovano abbon- danti anche al Passo di Volaia. E principalmente conduce la varietà liircina al tipo a coste larghe' e rade come la Uh. tarda che si collega alla hircina con numerosi passaggi. itliynchonella tarda Barr. (Tav. XX, fig. 34-38). 1879. Ehynchonella tarda Barrande, Op. cit., tav. 31, fig. 9-14; tav. 115; tav. 142, II. La forma assai comune nel Neosilurico di Boemia è anche comune nei calcari del Passo di Volaia; ne ho tre esemplari della lumachella con Megaera e circa 40 dei calcari con crinoidi. La conchiglia ha dimensioni variabili come risulta dallo specchietto seguente: i. IX. in. IV. Altezza . . mm. 15,5 12 10,5 10 Larghezza . » 19 12,5 10,5 9,5 Spessore . . » 8 7 9 6 Le forme che giungono a 18 mm. di altezza sono eccezioni e si trovano solo nei calcari con crinoidi. La dimensione mas- sima degli esemplari provenienti dalla lumachella a Megaera giunge a 10 mm. di altezza. La conchiglia è sempre globosa: l’angolo apicale varia da 90° a 95°, è sempre quindi abbastanza acuto. L’apice è poco sporgente ; il contorno generale è tondeggiante. La valva dorsale globosa si rigonfia nel mezzo; nella sua metà superiore in generale è liscia ; in un solo esemplare le FAUNA A EH.- MEGAERA DI VOLAIA 575 costole cominciano quasi all’apice. Le coste sono larghe, ottuse, lilevate, separate da solchi lineari netti. Se ne contano da 3 a 4 per lato e pure 3-4 sul lobo frontale. Solo l’esemplare mag- gioie ne conta 5. La valva ventrale e pure globosa e presenta lo stesso tipo di costolatura della dorsale. Dei miei esemplari ne ho taluni che rispondono assai bene alla tav. 115, fig. 7 del Barrande, altri rispondono alla tav. 31, fig. 12: un altro, che si distingue per la sua altezza in con- fronto alla larghezza, somiglia alla figura 3 della tav. 115, IV. L’esemplare più piccolo risponde come forma generale alla fig. II, 1 della tavola stessa, ma ha le coste più rilevate. Rliynclionella famula Barr. 1879. Rhynclionella famula Barrande, Op. cit , tav. 35, IH, V-IX. La forma non è molto lontana da taluni tipi di Eh. tarda colla quale si collega in modo abbastanza netto. Si distingue però subito per avere uno spessore minore, per le coste che non arrivano sino all’apice, ma terminano a metà circa della conchiglia, e perche in sezione trasversale presenta un con- torno quadrangolare gibboso, a causa delle coste mediane ri- levate. Gli esemplari di Volaia hanno dimensioni limitate, come ri- sulta dal seguente specchietto: i. ii. Altezza . . mm. 7,5 8,5 Larghezza . » 8,5 5,5 Spessore » 4 4,5 La conchiglia è depressa un poco più di quello che non comporti la specie tipica; ma per il suo contorno e l’andamento delle ornamentazioni possono i miei esemplari riferirsi a questa forma. Le maggiori somiglianze si hanno cogli esemplari che il Barrande figura nella tav. 35, fig. Ili, 5-8 e che secondo questo autore rappresentano già la varietà modica. Ma per il contorno 576 P. VINASSA DE REGNY trasversale si hanno somiglianze anche maggiori colla fig. VI, 4, della tavola stessa che rappresenta una forma assai più de- pressa della precedente. Cosicché riferisco i miei due esem- plari raccolti nella lumachella a Megaera senz’altro alla specie tipica. Rliynclionella famala var. modica Barr. (Tav. XX, tig. 40). 1879. RJiynchonella modica var. de famula Barrande, Op. cit., tav. 140, VIII-XIV. Riferisco invece alla varietà un esemplare dei calcari a co- noidi che misura un’altezza di nun. 9,5, una larghezza di mm. 9,5 ed uno spessore di mm. 4,5. E conservata bene la sola valva dorsale, ove sono netta- mente visibili le coste che arrivano sino a metà circa della con- chiglia e che si manifestano anche lateralmente al lobo. Per l’angolo apicale dì 90° ed il contorno generale il mio esemplare somiglia a quello figurato dal Barrande a tav. 140, X; ma se ne distingue per le coste più spiccate. Data però la va- riabilità della forma non credo questo carattere sufficiente per tener distinto il mio esemplare, anche come semplice varietà, da quello boemo. L AMELLIBR AN CHI AT A. I lamellibranchi sono tra i fossili più rari del Passo di Volaia. Solamente sette esemplari possono riferirsi a questo gruppo, e di essi solo due dànno sicurezza di determinazione. Degli altri si può solo dire che uno appartiene alle Avicola ed uno ha somiglianza colle Panenka e più specialmente colla Panenka simplex Barr. del Neosilurico della Boemia. I rima- nenti sono, anche genericamente, indeterminabili. FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLATA 577 Homomyaria heterodonta. Fam. LUCINIDAE Desìi. Gen. Lucina Brng. Lucina cfr. crassiuscula Barr. Un solo esemplare può avvicinarsi con sufficiente approssi- mazione a questa forma del Neosi lurico della Boemia. È una valva sinistra, a contorno tondeggiante, con umbone fortemente ricurvo e sporgente, a superficie del tutto levigata. Il grande spessore della conchiglia è caratteristico della forma. Anche il contorno risponde abbastanza bene a quello che ha la forma tipica, come è figurata dal Barrande nella tav. 63. Unico nella lumachella a Megaera. Fam. PKECARDIIDAE Hoern. Gen. Slava Barr. Slava bohemica Barr. 1878. Slava bohemica Barrande, Op. cit., VI, 1, pag. 156, tav. 156, 157, 162. La forma non venne citata dal Frech al Wolayer Thorl, se pure con la indicazione di Vlasta sp. egli non intese qualche mal conservato esemplare di essa. La trovò invece il Geyer, ed anch io tra i miei esemplari ne ho due esemplari di cui uno solo abbastanza ben conservato. Esso misura un’altezza di inni. 17, una larghezza di mm. lo ed uno spessore della valva di min. 15. Come si vede dunque le dimensioni sono molto inferiori a quelle degli esemplari della Boemia. La conchiglia ha la caratteristica forma a pileo; ho anche rinvenuto traccie di sottili costolinature. Un esemplare nel calcare ed uno nella lumachella a Me- gaera. 578 P. VINASSA DE REGNY Gastropoda. Prosobraiiehia. Pam. PATELLIDAE Carp. Gen. Helcionopsis XJllr. et Scof. Riferisco a questo genere, caratteristico del Neosilurico boe- mo, due mal conservati esemplari, che non sembrano essere Archinacella, e che appartengono senza alcun dubbio a due spe- cie diverse. Ma lo stato di conservazione non mi permetta nè di descri- scriverli con accuratezza, nè di figurarli in maniera sicura. Solo accennerò che essi presentano somiglianze abbastanza spic- cate con esemplari della Boemia. Il maggiore di essi misura una altezza di inni. 2 mentre il diametro longitudinale dell’ultimo giro è mm. 6,5 e quello tra- sversale min. 5,2. Esso ha, salvo le dimensioni, molte rasso- miglianze col Helcionopsis ovulum Barr. sp. come è descritto dal Perner nella continuazione dell’opera del Barrande (Gaste- ropodes, I, pag. 39, fig. 11). Il secondo esemplare è molto più piccolo. Esso misura una altezza di mm. 1,5 e i due diametri sono mm. 3-3,5. Le so- miglianze, per il contorno e la forma generale, sono molto forti col Helcionopsis pinnaeformis Perner {Op. cit., pag. 39, fig. 12) ma se ne distingue subito per avere delle forti costole molto rilevate, concentriche. La presenza di questo genere avrebbe grande interesse, ed io spero che nuove ricerche nella ricca località da me scoperta possano delucidare i dubbi che ancora rimangono. Nel calcari con crinoidi e Retzia umbra. Pam. PLEUROTOMARIIDAE d’Orb. Gen. Murchisonia d’Arch. Murchisonia Megaerae Frech. 1887. Murchisonia cfr. attenuata (non. Linds.). — Frech, Op. cit., pag. 730, tav. XXVIII, fig. 2. 1894. Murchisonia Megaerae. Frech, Die Karnischen Alpen, pag. 249. FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLAIA 579 Ne ho due soli frammenti, che però rispondono perfetta- mente per l’andamento della spira e per la globosità dei giri a questa forma, creduta prima dal Frech come corrispondente alla specie del Neosilurico inferiore della Scandinavia ma che effettivamente, per l’andamento della spira, può essere da essa tenuta distinta. Due esemplari del calcare a crinoidi. MurcMsonia sculpta Barr. sp. 1907. MurcMsonia sculpta Barr. sp. — Perner in Barrande, op. cit., II, pag. 123, tav. 100, fig. 36-38. Ne ho un solo frammento costituito da tre anfratti, ma essi mi permettono una sicura determinazione, essendo conservate anche le ornamentazioni caratteristiche della specie. La conchiglia è slanciata, la spira essendo acutissima con angolo apicale di circa 10°: i giri lentamente crescenti sono separati da una sutura profonda e lineare. Essi sono angolosi alla periferia, ove si trovano le due carene rilevate ed acute. Trasversalmente si hanno strie irregolari, fittissime, perfet- tamente rispondenti a quelle che si hanno sulla conchiglia della forma tipica, secondo le figure date dal Barrande. Unico. Nei calcari a crinoidi. Fam. TURBINI DAE Adams. Gen. Cyclonema Hall. Cyclonema Gloriami n. f. (Tav. XX, fig. 46). Di questa bella forma ho un solo esemplare ma assai ben conservato e caratteristico per le sue ornamentazioni. L’esemplare misura le dimensioni seguenti : Altezza totale .... mm. 8 Altezza dell’ultimo giro . » 5 Larghezza alla base . . » 7 580 P. VINASSA DE REGNY La spira è regolarmente crescente, costituita di 4 anfratti, poco globosi, colla convessità un poco spostata verso l’estremità orale. Questo carattere è meglio visìbile nell’ultimo giro, ove è netta una ottusa carenatura nel terzo inferiore del giro, in modo che la base è pianeggiante. Le suture sono profonde e lineari, regolarissime. Sulla base si ha un leggero accenno di ombelico. La bocca è integra, ovale, allungata trasversalmente. Tutta la conchiglia è ornata di spiccatissime costoline spi- rali fittissime: se ne contano da 4 a 5 per millimetro. Tali costoline sono tagliate da altre trasversali, di andamento sig- moidale, rapidamente curvate presso la sutura e largamente convesse all’indietro sulla parte globosa dell’ultimo giro. Le coste spirali avendo la stessa intensità di quelle trasver- sali ne risulta un tipico aspetto cancellato della conchiglia. La nuova forma somiglia per i suoi ornamenti al Ploconema protendens Barr. sp. (Op. cit., tav. 59, fìg. 28, coet. excl.) ma se ne distingue subito per il portamento e per la angolosità netta dell’ultimo giro. Unico nella lumachella con Megaera. Fam. NERITOPSIDAE Fisch. Gen. Naticopsis M’ Coy. Naticopsis plebeia Barr. (Tav. XX, fig. 45). 1907. Naticopsis plebeia, Perner in Barrande, Op. cit., II, pag. 281, tav. 53, fig. 31-39. Riferisco senza il più piccolo dubbio a questa forma alcuni esemplari, tipici per il portamento generale e solo distinti per le piccole dimensioni, che del resto sono un carattere peculiare alla fauna con gasteropodi del Passo di Volaia. Il minore degli esemplari misura appena rum. 4 di altezza ed il maggiore arriva solamente a 6. La spira è rapidamente crescente ; i primi anfratti occupano appena un quarto della spira ed il rimanente è occupato dal- FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLAIA 581 l’ultimo anfratto globoso, ampio, larghissimo. La sutura è stretta e profonda. Le strie trasverse si vedono solo nell’ultimo giro e quivi sono molto ammassate e tutte uniformi. Tre esemplari nella lumache Ila a Megaera ed uno nei cal- cari a crinoidi. Gen. Turbonitella Kon. Turbonitella cfr. fraterna Barr. (Tav. XX, fig. 39). Riferisco con dubbio a questa forma un esemplare relativa- mente ben conservato nella bocca, tanto che la determinazione generica sembra sicura, ma così lustrato che ogni traccia di ornamentazione o di striatura è scomparsa. Per la forma generale però mi pare che le somiglianze colla specie figurata dal Barrande (Op. cit., tav. 58, fig. 3-6) siano molto grandi tanto da giustificare il ravvicinamento. Unico nei calcari con crinoidi. Gen. Spirina Barr. Lascio sotto questo nome alcune forme che somigliano a forme boeme così nominate dal Barrande. Alcune di esse sono state riferite alle Natiria ; ma il Perner mantiene ancora l’an- tico nome barrandiano nella spiegazione delle tavole dell’opera classica. Siccome nel testo non se ne fa ancora parola ed i miei esemplari non mi permettono di entrare nella questione, così provvisoriamente mantengo io pure, come il Perner, il nome di Spirina. Spirina Consuelo n. f. (Tav. XX, fig. 42). Questa graziosa forma ha molta 'somiglianza colla Spirina olsessa Barr. sp. (Op. cit., tav. 54, fig. 38-40) alla quale ri- sponde per andamento di spira e per proporzioni relative. Ma se ne distingue subito per avere le coste più rade ed assai più 582 P. VINASSA DE REGNY rilevate, separate da solchi radi, larghi, regolari e relativa- mente profondi. Le coste sono tutte incurvate in corrispon- denza della convessità del guscio. La spira, come nella forma boema, è fortemente depressa. Le dimensioni variano assai, come risulta dallo specchietto seguente : I. II. III. IV. Altezza della spira . . . mm. 1,7 3,5 4 5 Larghezza dell’ultimo giro » 3 5 6 7,5 Un solo esemplare, che è il minore tra tutti, nella luma- chella a Megaera; altri cinque nel calcare a erinoidi. Fam. CAPULIDAE Cuv. Gen. Platyceras Conrad. Platyceras minus Barr. (Tav. XX, fig. 44). 1903. Platyceras minus Barrande, Op. cit., tav. 5, fig. 23-25. L’esemplare di Volaia risponde senza dubbio a questa specie per dimensioni, per forma ed ornamentazioni. L’esemplare mi- sura mm. 5,5 di altezza e mm. 8,5 di larghezza. La spira è relativamente poco depressa, l’ultimo giro si espande verso la bocca in modo che ne risulta una base am- piamente ombelicata. La bocca è tondeggiante. La conchiglia è tutta segnata di costoline trasversali, curve verso l’indietro: di queste talune sono maggiori, più rilevate specialmente nei primi giri: nell’ultimo giro però si ha sola- mente un ammasso fittissimo di costoline, di cui le maggiori poco prevalgono sulle altre. A forte ingrandimento si vedono anche le strie spirali come nella specie tipica, a seconda di quanto risulta, non dalla figura originale del Barrande, ma dalla spiegazione della tavola fatta dal Perner. Unico. Nella lumachella a Megaera. FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLATA 583 Platyceras foecundum Barr. (Tav. XX, fi g. 43). 1903. Platyceras foecundum Barrande, Op. cit, I, tav. 4, fig. 35; tav. 31, fig. 31-44; tav. 32, fig. I-II ; tav. 30, tig. 9-14; tav. 42, fig. 31-34, 47-49. Un solo esemplare completo alto mm. 6 e del diametro di mm. 11 si può con sicurezza riferire a questa specie, molto dif- fusa nel Neosilurico della Boemia ed abbastanza variabile per forma e dimensioni. La spira è grandemente depressa, l’ultimo giro è fortemente espanso, di modo cbe la bocca è ovale, trasversalmente molto allungata. Il giro ultimo è nettamente carenato alla periferia. Per tali caratteri il mio esemplare somiglia a quello figurato nella tav. 31, fig. 34 dal Barraude, al quale poi risponde anche per le dimensioni. Tutti gli altri esemplari boemi hanno la bocca meno ovale. Per la ornamentazione invece si hanno maggiori somiglianze coll’esemplare figurato nella tav. 31, fig. 37. Infatti in taluni punti del mio esemplare si conserva ancora il guscio e si vede nettamente che esistevano dei rilievi trasversali; tutta la superficie e poi segnata da strie molto fine, fittissime e benissimo visibili colla lente, delle quali si hanno in media da 8 a 10 per millimetro. Ho anche un frammento che credo possa riportarsi a questa specie: esso ha però la spira più rilevata e quindi risponde, anche per le dimensioni, all’esemplare figurato dal Barrande nella tav. 31, fig. 32. L’esemplare tipico e della lumachella; il frammento è del calcare a crinoidi. Platyceras Matliildae Predi. (Tav. XX, fig. 41). 1894. Platyceras Mathildae Frech, Ueber das Beton d. Ostaìpen, III, Fauna des Unter clev. Rifflcallces. Zeitschr. d. d. g. Gesell. 46, pag. 472, tav. XXXVII, fig. 8. Ne ho un solo esemplare che però si può con tutta sicu- rezza considerare come un piccolo individuo di questa forma descritta dal Predi del Neosilurico del Pizzo di Collina. 584 P. VINASSA DE REGNY Le dimensioni sono molto minori non arrivandosi che a circa 4 mm. di diametro, ma la forma è rispondenti ssima per an- damento della spira e pei caratteristici rigonfiamenti a cingolo alla superficie, pei quali però si avvicina assai più alla var. erratica descritta dal Frech come proveniente dal Neosilurico dell’Europa settentrionale e da lui figurato appresso alla forma carnica alla fig. 6 della stessa tavola XXXVII. Unico. Nei calcari con Retzia umbra. Gen. Oiìtiton ychia Hall. Ortlionychia sp. Ho due esemplari che misurano le dimensioni seguenti: i. n. Altezza . . mm. 8 7,5 Larghezza . » 14 14 Lunghezza . » 18 19,5 Essi sono troppo mal conservati per permettere una deter- minazione specifica sicura; ma per la loro netta asimmetria e per l’accenno ad una curvatura a spirale dell’apice, abbastanza poco rilevato, si debbono riferire a questo genere. Ogni determinazione specifica è impossibile; accenno però alla somiglianza che presentano coll’O. palliata Barr. e più specialmente cogli esemplari figurati dal Barrande a tav. 19, fig. 10-11. Nella lumachella a Megaera. Gen. Tubina Barr. Tubina (?) patirla Barr. (Tav. XX, fig. 47). 1903. Spirino, potuta Barrande, Op. cit., I, tav. 51, fig. 39, 40, 42, 43. Le dimensioni dei miei esemplari sono molto piccole; essi difatti misurano una altezza massima di 5 mm. Per la loro forma tipica non vi può essere dubbio però sul loro riferi- mento. 585 FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLAIA L andamento della spira breve, involta dall’ampio ultimo giro che lo comprende nella sua porzione mediana, la bocca lar- ghissima, ovale, non lasciano alcun dubbio sulla determinazione. Anche l’ornamentazione, costituita da grosse costole rilevate equi- distanti, assai rade, corrisponde perfettamente alla forma tipica. Tre esemplari nel calcare a crinoidi. Tubi ria (?) pattila var. devonicans Perner. (Tav. XX, fig. 48). 1903. Spirino, patula var. devonicans Perner in Barrande, Op. cìt. I tav. 51, fig. 41-41. La varietà si distingue dalla specie solo per le coste assai più fitte che non nella specie tipica. Anche la varietà è depressa e mantiene la stessa forma generale della conchiglia. I miei esemplari sono un poco maggiori di quelli preceden- temente descritti: essi difatti misurano mm. 6 e 6,5 di larghezza alla bocca e sono quindi di poco inferiori alle dimensioni del- l’esemplare figurato dal Barrande a tav. 51 fig. 41. Le coste fitte e rilevate sono nettissime in entrambi gli esemplari, solo nel margine sono poco ben conservate. Due esemplari nel calcare a crinoidi. Fam. PYRAMIDELLIDAE Gray. Gen. Macbocheilus Phil. Macrocheilus cfr. intermedina Barr. sp. Bifeiisco con dubbio a questa specie un esemplare a bocca incompleta nel quale solo si riesce a vedere un leggero rigon- fiamento nel labbro interno, caratteristica del genere. La forma generale della conchiglia e l’andamento della spira somigliano molto a quello della forma boema (Barrande, Op. cit., tav. 57, fig. 9, 10). Ma dato lo stato dell’esemplare non è possibile aver sicurezza. Unico. Nella lumachella a Megaera. 40 586 P. VINASSA DE REGNY CEPHALOPODA. Nautiloidea. Fam. 0RTH0CERAT1DAE M’ Coy. Gen. Orthoceras Breyn. Gli Orthoceras non sono rari al Passo di Yolaia, tanto nella lumachella quanto ed anche più nei calcari a crinoidi. Ma lo stato degli esemplari e la difficoltà dello studio accurato di essi, in presenza alle forme, tuttora prive di una accurata revisione critica, dei cefalopodi della Boemia, non mi permettono di giun- gere a risultati di qualche valore. Ali limiterò quindi ad accennare come molto probabile la presenza MW Orthoceras Argus Barrande ( Barrando, Op. cit., Ce- phalopodes, II, tav. 325, fìg. 1-18). Questa specie del resto è stata già citata dal Frech come presente negli strati con Megaera del Wolayer Thòrl. Al passo di Yolaia la forma è limitata ai calcari a crinoidi. TRILOBITAE. Fam. CHEIRUBIDAE Salt. Gen. Cheirurus Beyrich. Cheirurus Quenstedti Barr. 1860. Cheirurus Quenstedti Barrande, Op. cit., Trilobites, I, pag. 796, tav. 40, fig. 13, 14; tav. 42, fig. 2-4. 1887. Cheirurus Quenstedti Barr. — Frech, Op. cit., pag. 735; tav. XXIX, fig. 1. Un solo esemplare costituito dal solo scudo cefalico risponde perfettamente tanto alla figura del Barrande quanto a quella data dal Frech. 11 Frech aveva già raccolto di questa specie due esemplari, uno della zona a Megaera del Wolayer Thòrl ed uno nella zona ad Orthoceras aitinola del Pizzo di Collina. Ma la specie giunge anche più in basso, poiché non mi sembra che la forma trovata dal Frech nella zona ad Orthoceras potens possa distinguersi, nemmeno come varietà, dalla forma tipica. Unico. Nella lumachella a Megaera. FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLATA 587 Gen. Deiphon Barr. Deiphon (?) sp. u. (Tav. XX, fig. 49). Questo genere per ora non era stato citato delle Gamiche, ed io non lo posso accennare che con qualche dubbio. Si tratta di un solo frammento comprendente lo scudo cefalico e porzione dell’inizio del torace. Lo scudo cefalico e subcircolare, tondeggiante, un poco schiac- ciato per effetto della fossilizzazione, e misura mm. 6 di altezza. A destra di esso si ha una massa tondeggiante, che a prima vista si potrebbe credere l’occhio. Ma un accurato esame fa subito sospettale cbe essa non taccia parte dell'occhio, ma sia invece un coipo estraneo che ha forse nascosto, e, durante la fossilizzazione, schiacciato 1 occhio stesso. Del resto la dimensione di quest’oc- chio saiebbe eccessiva e sproporzionata alla grandezza dello scudo cefalico. Tutto lo scudo è munito di rilievi abbastanza sporgenti, radi ed ottusi. Da ambo i lati del capo e un poco al disotto di esso si oanno delle impronte simmetriche, che a mio parere noii pos- sono che riferirsi all’inizio delle pleure toraciche superiori. Le somiglianze col Deiphon Forbesi specialmente come è figurato dal Salter ( Mònograph Drit. Trìlobit., Paleontogr. Soc., XVII, 1863, tav. VII, fig. 1-12) sono grandi. Ma lo stato di con- servazione dell’esemplare non mi permette di dare un giudizio si- curo su di esso, che mi è parso però meritevole di essere ricordato. Unico. Nei calcali a crinoidi. Fam. ENCKINURIDAE Linn. Enerinurus Nowacki Eredi. 1887. Encrinurus Nowaclà Frecli, Op. cit , pag. 735, tav. XXIX, fig. 4-9 (non 5-9J. Ho due pigidi di Encrmurus che debbono riferirsi a questa forma. Il maggiore misura una lunghezza massima di mm. 12,5. La larghezza totale è di mm. 20 di cui la porzione rachidiale occupa mm. 4,5. 588 P VINASSA DE REGNY L’esemplare minore misura invece solo mm. 4 di altezza, per mm. 6,5 di larghezza. Esso è quindi molto più piccolo, ma non si distingue per altro dal primo esemplare e dalla forma come è figurata dal Frecli. La somiglianza però coll’ Encrinurus Beaumonti Barr. (Bar- rande, Op.cit., pag. 826, taf. 43, fig. 6-14 ; Sappi., tav. 9, fig.24, 25) sono molto grandi e vennero del resto rilevate dallo stesso Predi. Forse nuove raccolte potranno condurre alla riunione delle due forme. La specie venne trovata nell’orizzonte ad Orthoceras potens del Kok. Saremmo quindi per il Passo di Volaia nelle stesse condizioni del Cheirurus Quenstedti, che dalla zona suddetta giunge sino al Neosilurico superiore della zona a Megaera. Due esemplari nei calcari a crinoidi. * * * Le conclusioni cronologiche sono facili a farsi. Basta difatti dare un’occhiata alla costituzione della fauna, come risulta dallo specchietto seguente, per vedere a colpo d’occhio che essa non può appartenere che al Neosilurico. NOME DELLE SPECIE Calcari scuri con Uh. Mcfjaera Calcari chiari con R. umbra Wolayer Thorl Ne cS 1 CD O pq osilar eó u Qì -4-3 3 bl) >3 ' o‘ Altre località ° Devoniano Petraia laevis Poeta -t- — H Orthis eìegantula Daini - — H- — Stropliomena corrugatella Dav. . . . — -4- — — St. lvanensis Bari- -4- — — H- — — — St. costatula Bari- — — t— — -H — — — St. rhomboidalis Wilck — -+- — — t— — H H- Atrypci marginalis Daini — t— HH H- -i- — A. (?) fugitiva var. depressa Vili. . . — -i- — — — — r^._ Spirifer cfr. nucula Bari- H- — rr- ; — — Nucleospira pisuvi Sow. sp -+~ - ? — — 1 FAUNA A RH. MEGAERA DI VOLATA 589 « Neosilur ico •r| ’u JS u :C -fi E-i u D >> 02 NOME DELLE SPECIE O ^ b 3l- O £ gQ* ai cj u a> -o3 *3 o o O fi cg "fi o > o a o 'S a ^8 O £ a Uh. Zelia Barr. sp » 566 30. ) 31. Rii. Harpyia Barr. sp » 568 32. Rh. serva Barr. sp » 570 33. Rii. Sappilo Barr. sp » 571 34-38. Rii. tarda Barr » 574 39. Turbonitella cfr. fraterna Barr 2:1.. » 581 592 P. VINASSA DE REGNY 40. Uh. famulo, var. modica Bari- 2 : 1 . . pag. 41. Platyceras Mathildae Frech 2,5: 1 . . » 42. Spirino Consuelo Vin 2,5:1 . ■ '> 43. Platyceras foecundum Bari- 2,5 : 1 . . » 44. PI. minus Barr 2,5 : 1 . . » 45. Naticopsis pleheia Barr 2,5 : 1 . . » 46. Cyclonema Gortanii Vin 2,5: 1 . . » 47. Tubino (?) potala Barr 2:1 . . « 48. T. (?) patula var. devonicans Perù. . . 2:1 » 49. Deiphon (?) sp. nov 2:1 . . » Gli esemplari originali si conservano nel Museo geologico della R. Università di Bologna. 576 583 581 583 582 580 579 584 585 587 Al presente fascicolo è unito un esemplare della tav. XX del voi. XXVII (1908) che l’au- tore prega di sostituire a quella inserita nel 4° fase, del voi. XXVII. (Vinassa) Tav. XX. Boll. Soc. Geol. Ital. voi. XXVII ^1908) tot. fot. e dis. FOTOT. P MARZARl 4. SCHIO 3oll. Soc. Geol. Ital. voi. XXVII (1908) fot e dls. FOTOT. P MARZARl à C. - SCHIO NUMMULITI OLIGOCENICHE DELLA MADONNA DELLA CATENA PRESSO TERMINI-IME RESE (PALERMO) Nota elei dott. A. Silvestri (Tav. XXI) In un mio scritto del 16 dicembre 1906 diedi notizia del- l’esistenza d’una formazione oligocenica a Lepidocicline e Num- muliti nel territorio di Termini- Imerese in provincia di Palermo, accertata per mezzo de’ suoi fossili (>); in seguito il dott. Mi- chele Ciofalo confermava stratigraficamente e paleontologica- mente il fatto, per la collina detta della Madonna della Ca- tena, posta ad BSE di Termini (2): fatto già intraveduto dal dott. Robert Douvillé (3), il quale erasi recato ad esaminare (’) Sull’età geologica delle Lepidocicline. Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LX (1906-1907), 1907, pag. 89 e 90. (Questa comunicazione presen- tata nella seduta accademica del 16 dicembre 1906. come risulta a pag. 58 degli Atti precitati, fu poi inserita nel fascicolo di questi riguardante la seduta successiva del 20 gennaio 1907, e ciò a causa d’un incidente di tipografia). (?) Sulla posizione delle rocce a Lepidocicline nel territorio di Ter- mini-Jmerese (Palermo). la Nota In-8°. pag. 1-10, tav. I e IL Tip. Fra- telli Vena, Palermo, 1907. (3) Nella comunicazione di questi, fatta alla « Société Géologique de France», nella « Séance du 17 décembre 1906 » (vedasi il « Compte renda somtnaire, N° 18 », pubblicato nel 1907) Sur les Argiles écailleu- ses des environs de Termini Imerese et sur le Tertiaire de la cute italienne du canal d'Otrante {loc. cit , pag. 146-148), leggesi in merito alle argille scagliose dei dintorni di Termini : « Cet ensemble de couches me parati constituer un complexe comprimami tonte la serie depuis le Lutétien jusgu’à V Aquitanien inclusa {loc. cit., pag. 146). E si trova segnalata negli stinti stessi la presenza ili Nummulites « du groupe de ?’intermediiis » {he. cit., pag. 147), alla villa Rocca ed alla masseria d’Impalastro, le 41 594 A. SILVESTRI de visu la situazione geologica delle Lepidocicline di quei posti, già attribuite dal dott. Giuseppe Checchia-Rispoli, che pel primo ne fece conoscere (*), all’eocene. Nell’intervallo tra la pubbli- cazione mia e quella del Ciofalo, il prof. Giovanni Di Stefano della R. Università di Palermo indicava nel suo studio sopra I pretesi grandi fenomeni di carreggiamento in Sicilia (2), d’aver in varie escursioni fatte in compagnia del dott. Giuseppe Chec- chia-Rispoli e del dott. Mariano Gemmellaro, suoi assistenti, « finalmente trovato in posto il calcare grossolano passante a brecciuola marnosa grigia, dentro la formazione argilloso-are- nacea, sulle alture della contrada Ognibene; sul lato ovest del Monte Corona e nella regione Rosario, come anche in luoghi quali « ont leur principal développement dans ics couchcs comprises entre ce niveau (sommet du Bartonien (couches du Cachaou) et le Sampien ( inclus ) », ( loc . cit., pag. 147). C) Osservazioni sulle Orbitoidi. Nota preventiva. Riv. It. Paleont., anno XI, 1905, pag. 80 e 81. Sopra alcune Alveoline eoceniche della Sicilia. Pala'ontogr. Italica, voi. XI, 1905, pag. 148. Di alcune Lepidocicline eoceniche della Sicilia. Riv. It. Paleont., anno XII, 1906, pag. 86 e seg. Sulla diffusione geologica delle Lepidocicline. Boll. Soc. Geol. It., voi. XXV, 1906, pag. 219. (2) Renclic. R. Acc. Lincei, Cl. se. fis., mat. e nat., ser. 5a, voi. XVI, sem. 1°, pag. 258-271, 375-381. Roma, 1907. Questa nota, che sembrerebbe fosse stata presentata alla R. Acca- demia dei Lincei nella seduta del 20 gennaio 1907, comparisce invece nei Rendiconti della seduta del 3 marzo e di quella del 17 marzo 1907. In qualunque caso essa resulta posteriore alla mia del 16 dicembre 1906, di cui è stato detto avanti, a pag. 593. Ciò mi era necessario mettere in rilievo, per contrastare una certa affermazione del Checchia-Rispoli, contenuta a pag. 1 del suo scritto Sulla provenienza di alcune Lepi- docicline dei dintorni di Termini Imerese (Palermo) (stampa fatta, per quanto resulta dalle copie distribuite, per conto dell’autore, nel luglio 1907, ma che non porta indicazione di tipografia), con la quale appa- rirebbe che la formazione di Termini a Nummuliti oligoceniche e Le- pidocicline, fosse stata proprio scoperta per la prima volta in situ, dal prof. Di Stefano, dal Checchia stesso, e dal dott. M. Gemmellaro, mentre a me consta che lo fu ai primi del dicembre 1906, salvo se prima, dal dott. M. Ciofalo, tantoché sul materiale da lui fornitomi potei stendere la mia nota di cui sopra. NUMMULITI DI TERMINI-IME RESE 595 molto discosti da questi, presso il mare, cioè nello sperone in- terposto tra il basso Vallone Tre Pietre ed il Vallone Cucca ». Soggiungendo che « questo calcare grossolano è addirittura gre- mito di Nummuliti, Ortofragmine e Lepidocicline ; ma è indub- biamente superiore alle argille scagliose con brecciuole nummu- litiche (contenenti Lepidocicline) del Vallone Tre Pietre ed ai calcari marnosi a fucoidi d’Impalastro e della Rocca » ('). Tale calcare è precisamente una delle facies litologiche della formazione oligocenica di cui sopra, come ha spiegato M. Cio- falo (2), e nella parte di questa che si svolge presso il mare, ed esattamente fra i valloni dei torrenti Barratina e Trepietre, comprendendo il valloncello Cucca, sta la collina della Ma- donna della Catena. Ma, pur avendo constatato che la formazione cui detto cal- calcare appartiene, trovasi sopra ad altre le quali, almeno per la maggior parte, sono da riconoscersi per eoceniche (luteziano- bartoniane), l’insigne geologo e paleontologo palermitano ag- giunge che: « Sul fondamento dei fossili raccolti sul posto, che finora sono i soli foraminiferi, noi [cioè lui ed ì suoi assistenti] non possiamo riferire quel calcare nettamente all’Oligocene » (3). Manifesta quindi l’opinione « si tratti o di un livello alto del Bartoniano, forse come quello delle rupi del Cacliou (sic) a Biar- ritz.... o di strati di passaggio dall’Eocene all’Oligocene» (4). Successivamente alla pubblicazione del Ciofalo, veniva poi alla luce una Pota preventiva sulla serie nummulitica dei din- torni di Pagheria e di Termini- Imerese in provincia di Pa- lermo del dott. Checchia-Rispoli (5), dove la suddetta forma- zione, indicata anche nelle contrade S. Arsenio e Cangemi, è considerata quale quarto gruppo della serie nummulitica di Ter- mini; ne vien confermata la posizione sempre superiore rispetto agli altri tre gruppi, accennato il carattere di minor antichità 0) Rendi c. R. Acc. Lincei, Cl. se. fis , mat. e nat., ser. 5a, voi. XVI, 1907, sem. 1°, pag. 266. (0 Loc. cit.: pag. 4 e seg. (3) Loc. cit., pag. 267. 0) Ibidem. (5) Giorn. Se. Nat. ed Econom., voi. XXVII, pag. 3-35 estr. Pa- lermo, 1907. 596 A. SILVESTRI in confronto ad essi, però si sostiene non sia separabile dal- l’eocene, e che si tratti al massimo di « un livello di passaggio dall’Eocene all’Oligocene, ma giammai di un piano dell’Oligo- cene » ('). E che questa conclusione non possa trattarsi d’oligo- cene trovasi ripetuta in altra nota del Checchia-Rispoli Sulla pro- venienza di alcune Lepidocicline dei dintorni di Terwiini-Imerese (Talermo) (2), che a brevissimo intervallo seguiva la precitata. V’è dunque un contrasto tra l’opinione mia condivisa dal Ciofalo, e quella del Di Stefano, condivisa a sua volta dai di lui assistenti Checchia-Rispoli e Gemmellaro; contrasto tanto più importante in quanto che ad esso col legasi la vexata quaestio dell’età geologica delle Lepidocicline, connettesi quella che il prof. Federico Sacco ha chiamato: « La questione eo-miocenica dello Appennino » (3). E certo che tra l’opinione mia e quella d’un luminare della scienza, qual stimo il prof. Di Stefano, io stesso starei a far prevalere quest’ultima, e non esiterei a riconoscere d’aver torto, se, purtroppo, di averlo non fossi tutt’altro che convinto. Non conosco de visti la formazione controversa, e non ne ho studiato quindi personalmente i rapporti tettonici con le altre di Termini, ma ciò non toglie che, comprendendo i materiali litologici e paleontologici dei quali ho tenuto conto nelle mie deduzioni, quei medesimi da cui il Di Stefano ha tratto le sue, possa ten- tare, col presente scritto, di sostenere la bontà di taluni de’ miei argomenti; di quelli che credo d’importanza capitale. Ciò nel fine precipuo che insistendo nel contrasto ne venga fuori la verità scientifica o, semplicemente, la miglior conoscenza dei fatti, ma anche per dimostrare agli egregi Consoci, come una di quelle mie opinioni, le quali il sullodato professore ha giu- dicato: casi di negazione sistematica (4), abbia invece buon fonda- mento; con riserva di dar simili dimostrazioni anche per le altre. Conviene, avanti tutto, ricordi, non piacendomi giuocare sugli equivoci, che il priaboniano, inteso qual sottopiano geologico (') Giorn. Se. Nat. ed Econom., voi. XXVII. pag. 28 estr. Palermo, 1907. (2) In-4°, pag. 1-7. Palermo, 1907. Pag. 2. (3) Boll. Soc. Geol. It., voi. XXV, pag. 65-127. Roma, 1906. (4) Poche altre parole sull' Eocene della Terra d’Otranto. Boll. Soc. Geol. It., voi. XXVII, 1908, pag. 18. NUMMULITI DI TERMINI-IME RESE 597 comprendente la parte superiore del Indiano, è già per me oli- gocene (Q, ed oligocene inferiore; non convenendo, almen perora, col Boussac, che esso ed il bartoniano abbiano soltanto il valore differenziale di zone paleontologiche e non di quello di sotto- piani distinti, per cui convenga riunirli in un solo col nome di priaboniano, da attribuirsi alinocene (2). In generale io sostengo, come già ho sostenuto, che quel terreno sul quale a Termini- Imeiese è nato il contrasto, spetta al sannoisiano, e ad un sannoisiano lato sensu, perchè data la difficoltà e spesso im- possibilità di distinguere nella maggior parte d’Italia, e nell’Ap- pennino centrale in specie, con la scorta dei fossili di cui mi occupo, il sannoisiano dal rupeliano, preferisco lasciarli inse- parati (3), considerando così V oligocene distinto in due sottopiani: 1 inferiore o priaboniano, ed il superiore o sannoisiano. Quando anche errassi nel sostenere quanto sopra, affermo, anzi confermo ad ogni modo, che quel tale terreno, alla stregua delle attuali conoscenze, devesi attribuire al piano geologico il quale fu isti- tuito dal Beyrich nel 1854, col nome oligocene. Premesso ciò, osservo che, dal punto di vista strettamente tettonico, detto contrasto è insussistente, trovandoci tutti d’accordo circa la posizione superiore della formazione controversa, in ìiguardo alle prevalentemente eoceniche non poste neanche in discussione; ma v’è di più: dai miei egregi contradittori si è giunto perfino ad ammettere possa dessa rappresentare strati o livello di passaggio dall’eocene all’oligocene (v. ante, a pag. 595), il che implicitamente avvalora le mie vedute, mentre menoma assai la recisa affermazione d’uno di essi, del Checchia-Bispoli (id., a pag. 596), non possa giammai trattarsi d’un piano dell’oli- gocene, essendo l’oligocene per sè stesso un piano di transi- zione dall’eocene al miocene, per cui al suo inizio deve neces- (') La questione delle Lepidocicline nell’ Umbria. Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LX (1906-1907), 1907, pag. 178 e 179. (5) Eocène moyen et Eocène supe'rieur. Bull. Soc. Géol. France ser. 4, voi. VII, 1907, pag. 357, in nota. i3) Per non allontanarmi però dalla maggioranza dei geoiogi, nel trattare degli, habitat d’ogni singola forma, ho mantenuto la distinzione tra il sannoisiano ed il rupeliano. 598 A. SILVESTRI sanamente partecipare dei caratteri dell’eocene (‘). E tal par- tecipazione dimostra quel suo sottopiano che dir devesi priabo- niano (Indiano, parte superiore), ed il quale per me comprende anche, superiormente, il sestiano, secondo il prof. Sacco (2). L’ac- cennato contrasto si limita a certe determinazioni, ed alla inter- pretazione dei fatti paleontologici; per la quale ultima, condu- cente per detti contradittori al Veocene, all’ oligocene per me, con- vien faccia presente ed osservi a chi legge: 1°; che già nel 1873 e 1874 1 ''oligocene era stato scoperto nei dintorni di Termini-Imerese dai professori Saverio Ciofalo (3) e Giuseppe Seguenza (4), e proprio in quei paraggi dove poi si rinvennero Lepidocicline associate a Nummuliti oligoceniche, e rintracciato, s’intende, non in base a queste, ma strati grafica- mente e per mezzo di Corallarì, il maggior numero dei quali fu riconosciuto comune con la fauna degli strati di Castel Gom- berto nel Vicentino (5), riferiti all’oligocene sannoisiano (6). (') Lealtà vuole rilevi come in quest’errore di concetto del Checchia- Rispoli non sia caduto il Di Stefano, geologo esperto. Ricordo a questo proposito, come quell’autorità scientifica che è il prof. Emile Haug, asserisca che la fauna marina dell’oligocene non possa distinguersi per nessun carattere di prim’ordine da quella eocenica e dalla miocenica. Altro che negazioni assolute del Checchia! (5) Le Ligurien. Bull, Soc. Géol. France, 3e sèrie, voi. XVII (1888), 1889, pag. 218 e seg. (3) Notizie sul terreno oligocenico dei dintorni di Termini. ( Lettera al prof. Gemmellaro). Gazzetta di Palermo. Palermo, (novembre) 1873. Rivista Scientifico-Industriale Vimercati. Firenze, (1° febbraio) 1874. Enumerazione dei principali fossili dei terreni stratificati dei dintorni di Termini-Imerese. Atti XII Congr. Scienziati It. Palermo, 1875. Roma, 1879. Pag. 125. L’ oligocene dei dintorni di Termini-Imerese. Atti Acc. Gioenia, sei'. 4, voi. II. Catania, 1890. (4) Dell oligoceno in Sicilia. Giornale « La Scienza contemporanea ». Messina, 1874. L' oligoceno in Sicilia. Rendic. R. Acc. Se. tìs. e nat., fase. 2. Na- poli, 1874. (5) Corallarì non sono stati ritrovati dal Di Stefano, dal Checchia- Rispoli e dal Gemmellaro nella formazione la cui età è oggetto di con trasto, ma posso assicurare che ne contiene, e sai'à bene si provveda a farne una buona raccolta, per determinarli accuratamente a verifica dei precedenti risultati da essi desunti. (6) Seguenza G.: Il oligoceno in Sicilia. Loc. cit., pag. 2, estr. NUMMULITI DI TERMINI-IME RE SE 599 2°; che, esistendo mescolanza di faune nella formazione in discoiso, bisogna andar molto, ma molto cauti nel dar peso ai tossili più antichi, i quali potrebbero pur esservi giunti per accidente; e ciò fa sospettare la presenza tra essi di forme disparate, non coesistenti di solito altrove, come p. es., la Pa- ronaea tchihateheffì (D’Arch.) var. depressa (Teliini), e la Bru- guieria ìaevigata (Bruguière), e che, è bene insistervi, sono sempre in minoi numeio in confronto alle specie più recenti, e variano specificamente di punto in punto, mentre quest’ultime si man- tengono piuttosto costanti. Ne mi sembra debbano esser trascurati i cai atteri di frequenza, a somiglianza di quanto hanno fatto i miei antagonisti. B vero però che questi, riferendosi all’importanza partico- lare da me data ai fossili più recenti della formazione contro- versa, obbiettano: 1°; che la Nummulites o Paronaea boucheri fu citata dal Teliini nel bartoniano di Gassino nella provincia di Torino, e del Capo S. Andrea presso Taormina. 2 , che la Nummulites o JBruguìeria fiditeli fu indicata da H. Douvillé negli strati luteziani superiori, a Cerithium dia- boli, di Ronca nel Vicentino; alcune varietà di essa lo furono, dal Teliini predetto, nel bartoniano del Piemonte; la stessa, assieme alla Nummulites o Bruguieria intermedia, dal Mayer- Eymar, con molte specie eoceniche, nel bartoniano medio della Montagna di Klausenburg in Transilvania; e, finalmente, la Bru- guieria intermedia, dal Prever nella formazione eocenica di Spina di Potenza in Basilicata, e dal Boussac ad un livello alto del bartoniano, nelle rupi del Cachaou a Biarritz. Tali obiezioni sarebbero certamente per me gravissime : I ; se la « Nummulites Boucheri » del bartoniano di Gassino non fosse, con tutta probabilità, da identificarsi con la Paro- naea eocenica A, specie somigliante alla P. boucheri, istituita dal Prever sopra esemplari deU’eocene inferiore e medio di Spina di Potenza (Basilicata) (*), rinvenuta poi da lui stesso, nonché 0 Hcmtkenia eocenica Prever, 1902; Mém. Soc. Paléont. Suissc, voi. XXIX, pag. 69, n. 1, tav. VII, fig. 3, 4 e 5. II nome generico d Hantkenia fu successivamente sostituito dall’au- tore con quello eli Paronaea (Consi fiera noni sullo studio delle Nummu- 600 A. SILVESTRI nel luteziano inferiore dei dintorni di Sulmona (Abruzzi) e nel medio del Monte Conero (Marche), ecc., nella scaglia già de- terminata dagli autori come senoniana, ma attualmente attribui- bile all’ipresiano, del Monte Tilia presso Leonessa (Abruzzi) e di Cerreto ed Arrone nell’Umbria, e pure nel bartoniano dei din- torni di Gassino (Torino) (*), dove, in migliaia e migliaia di Nummuliti raccolte, lo stesso Prever non ebbe mai ad osser- vare la vera Paronaea boucheri (2). Ciò farebbe pur dubitare che anche la forma del bartoniano del Capo S. Andrea presso Taormina, determinata dal Teliini, ed al pari dell’altra di Gas- sino, per « Nummulites Boucheri », fosse la medesima Paronaea eocenica, ma è forse più attendibile il sospetto che essa sia invece da riferirsi alla Paronaea striata (Brug.). E difatti, il Teliini dà la propria diagnosi soltanto per provvisoria (3), ed il Checchia- Rispoli, il quale dopo di lui studiò l’identica località e forma- zione, di Nummuliti indica soltanto le: «Nummulites striata d’Orb., N. contorta Desìi., e N. Guettarcli d’Arcli. » ('): tra cui di specie prossime alla Paronaea boucheri v’è la sola Paro- naca striata (5). 2°; se la « Nummulites Fiditeli » non fosse stata effettivamente citata da H. Douvillé, sopra e non negli strati di Roncà, e poi riconosciuta per la Bruguieria fabianii A, Prever, o B. reti- liti, Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXII, 1903, pag. 461, in nota), avendo avuto già applicazione il primo dal Munier-Chalmas, per designare un genere di Molluschi. (') I terreni nummulitici di Gassino e di Biarritz. Atti R. Acc. Se. Torino, voi. XLI, 1906, pag. 10 estr. Apergu géologique sur la Colline de Turin. Mém. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. I, mem. 2e, 1907, pag. 16. (2) Informazione gentilmente avuta dal Prever, con lettera del 28 marzo 1907. (3) Dice il Teliini in merito al calcare bartoniano della spianata del Tondo presso Taormina: «Le forme fossili che contiene non sono state determinate definitivamente ». (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. X, 1891, pag. 1013). (4) Sull’ Eocene di Capo S. Andrea presso Taormina. Rend. R. Acc. Lincei, Cl. Se. Fis. Mat. e Nat., ser. 5, voi. XV, sera. 2, 1906, pag. 326. (5) E ben singolare, per quanto sopra ho esposto, che il Checchia- Rispoli abbia voluto portar contro ai miei argomenti una supposta e da lui non trovata « Nummulites Boucheri-»'. NUMMULIT1 DI TERMINI-IME RESE 601 culata (Telimi) (*); le varietà della suddetta riscontrate dal Teliini nel bartoniano piemontese, non si riducessero poi ad una sola, la « var. problematica Teliini » (*), specie che esiste effetti- vamente in Piemonte nel bartoniano dei dintorni di Gassino (To- rino), assieme alla Paronaea eocenica Prever, ma è diversa dalla Brugnieria fiditeli (Michelotti), tantoché il Prever medesimo ne l’ha separata col nome di Laharpeia gassinensis (3). Se le « Nurn- mulites intermedia e Fiditeli » indicate dal Mayer-Eymar nel bartoniano medio della Montagna di Klausenburg, assieme a specie eoceniche, non fossero verosimilmente la Bruguicrta fa- biana Prever e la B. reticulata Teliini, o B. fabianii B ed A, specie prossima alla Bmguieria intermedia B ed A (D’Arcb.) (4), ( ) L illustre prot. H. Douvillé, da me richiesto di schiarimenti su detta forma, mi rispose con lettera del 10 aprile 1907, riferendosi a questa sua frase con cui si credè poter provare l’esistenza della Bru- f/uieria fiditeli negli strati di Ronca nel Vicentino: « vers le mime niveau [Lutétien supérieur ] ou un peu plus haut on olisene quelques LitMtham- nium, puis de petites Nummulites réticulées (3V. Fiditeli) » (Évolution des Nummulites dans les différents bassins de V Europe occidentale, Bull. Soc. Géol. Fi ance, sei. 4, voi. VI, 1906, pag. 37), come segue: «puis indiquait bien que ce fossile était au dessus de ce que je considérais cornine les couches de Ronca. La forme que je désignais cornine N. Fiditeli est en réalité la forme A [Brugnieria reticulata {Teliini)} correspondant à N cfr. iiiterme- dius de Priabona qui plus tard a été nomine Fabianii . .. je n'ai eu Videe de piacer citte forme dans les couches de Ronca , j’ai seulement pensé qu’ellen'é- tait pas très éloignée dans le temps.de N. Brongniarti et qu' elle pouvait en deriver ». (2) Le Nummulitidee terziarie dell’ Alta Italia occidentale. Boll. Soc. Geol. It., voi. VII, 1888, pag. 222. L però da notare che l’accertamento dell’età di questa forma è posteriore alla data a cui scriveva il Teliini sul proposito ed in questi termini: « Anche rispetto all’età questa forma è dubbia; essa é associata con Orbitoidi di tipo Bartoniano e trovasi assai vicina agli strati Bartoniani. Il prof. Sacco ritiene in modo certo che gli stiati che la racchiudono non siano inferiori all’Oligocene » ( loc. cit., pag. 223). (3) Considerazioni sullo studio delle Nummuliti. Boll. Soc. Geol. It. voi. XXH, 1903, pag. 477, fi g. 1 e 2. (4) Ciò non esclude, ma anzi avvalora l’indicazione della presenza della vera Brugnieria intermedia nell’oligocene della Montagna di Klau- senburg, perchè la B. fabianii ne é la forma stipite. E che si tratti proprio di oligocene, quello in cui è contenuta, lo dice perfino il De Lappa rent, 602 A. SILVESTRI ma da cui questa deriva e che quindi l’ha preceduta, tant’è vero che comparisce sin dagli strati a Guembelia spissa-lenticularis ; se la « N. intermedia » dell’eocene inferiore e medio di Spina di Potenza non fosse stata determinata dal Prever su di « un solo esemplare di piccole dimensioni » (J) e, per quanto cortesemente egli ha voluto farmi sapere (2), in così pessimo stato di conser- vazione, da non essergli possibile di decidere neanche oggi se si tratti invece della Bruguieria fah tanti ; e, infine, se la « K. in- termedia » del bartoniano delle rupi del Cachaou a Biarritz, dal Boussac, il quale ve la citò, non mi fosse stata chiarita così : « Elie n’est absolument identique ni à N. intermedius, ni à N. Fabianii, c’ est une forme intermédiaire, mais se rapprochant da- vantage de ^intermedius » (3). Opinione che però, e giova no- tarlo, non è condivisa dal Prever, pel quale tal forma corri- sponde alla sua Bruguieria fabianii ('). Confutate così le obiezioni de’ miei egregi avversari scien- tifici, mi rimane a dar le prove di quanto in precedenza ho as- serito, e cioè che la Bruguieria intermedia-fichteli della for- mazione di Termini-Imerese, oligocenica per me, eocenica per loro, non è la Bruguieria fabianii reticulata, e la Paronaea vasca-boucheri della medesima, non va confusa con la Paro- naea eocenica-subeocenica (5), altrimenti la questione resterebbe allo stata equo, potendo nascere o confermarsi il sospetto di miei errori diagnostici, tanto più poi essendomi stato messo indiret- nella 5“ edizione del suo Traité de Geologie, la quale porta la data del 1906: « À la Montagne de Klausenburg, le bartonien supporle un flyscli plus ou moins gre'seux, que couronnent les couches de Hoja, à Ninnili. mtermedius-Ficliteli, Natica crassatina et Ceritliium troclileare ». (Loc. cit, voi. Ili, pag. 1565). (*) Le Nummuliti della Forca di Presta nell’ Appennino centrale e dei dintorni di Potenza nell' Appennino meridionale. Mèra. Soc. Paléont., Suisse, voi. XXIX, 1902, pag. 36, n. 13. (5) Lettera del 9 aprile 1908. (3) Id. dell’ll aprile 1907. (4) 1 Terreni nummulitici di Gassino e di Biarritz. Atti R. Acc. Se. Torino, voi. XLI (1905-1906), 1906, pag. 13, in nota. (5) La questione delle Lepidocicline nell’ Umbria. Atti Pontif. Acc. X. Lincei, anno LX (1906-1907), 1907, pag. 184 e 185. NUMMULITI DI TER MINI-IME RESE 603 tamente in dubbio il rinvenimento nella suddetta della Brugu- icria intermedia e della Paronaea vasca (*). Non pretendo certo, soprattutto poi in fatto di Nummuliti, nelle quali intendo la specie in un modo un po’ diverso da quello della maggioranza dei nummulitologi, all’infallibilità scien- tifica, ma credo d’aver ben determinato le forme su cui prin- cipalmente fondo il riconoscimento dell 'oligocene ; ad ogni modo, data la confusione che oggi può prodursi tra Bruguieria in- termedia-f diteli, o Bruguieria intermedia B ed A, e B. fabianii- reticulata , o B. fabianii B ed A. e Laharpeia gassinensis B ed A, da una parte, tra Paronaea vasca-boudieri, o Paronaea vasca B ed A, e P. eocenica-subeocenica, o P. eocenica B ed ed A, e P. contorta-striata, o P. contorta B ed A, dall’altra, ammetto addirittura d’aver potuto commettere qualche sbaglio. Spetta ai competenti di verificarlo, e ad essi, sciogliendo una precedente promessa, sottopongo oggi le fotografie della figura esterna, delle sezioni orientate, e di particolari strutturali delle forme in discorso. Unico mezzo per farle conoscere appieno, preconizzato da quel valoroso intenditore di simili fossili qual fu il Munier-Chalmas ('). Però non potendo, per varie ragioni, 0) Scrive il Di Stefano: «Non ostante il grande materiale raccolto non ho finora osservata la Ni intermedici d" A rei) . » f / pretesi grandi fe- nomeni di carreggiamento in Sicilia ; Rend. R. Acc. Lincei, Cl. Se. Fis. Mat. e Nat., ser. 5, voi. XVI, sem. 1°, 1907, pag. 267, in nota), ed il Checchia-Rispoli a sua volta soggiunge: «Nella formazione in discorso [la controversa] vennero dal Silvestri indicate altre specie di Nummu- liti, cioè N. tuberculata, N. rouaulti, N. intermedia e N. vasca. Noi non abbiamo trovato nessuna di queste quattro specie, di cui le prime due sono abbondantissime invece nei calcari marnosi immediatamente infe- riori a quelli in questione». ( Nota preventiva sulla serie nummulitica dei dintorni di Bagheria e di Termini- liner ese in provincia di Palermo. Giorn. Se. Nat. ed Econ. Palermo, voi XXVII, 1907, pag. 27 estr., in annotazione). (') Disse il Munier-Chalmas : « on rf arriverà à une clétermination spéci f cpie rigoureusement certame [pour les Numrnulites\, que lorsq’un paléontologiste aura repris Ve'tude de toutes les espèces cléjà décrites et reproduit , ciu moyen de la pliotog rapine, la structure du test et la dispo- sinoli generale des cloisons, ce qu’aucun dessinaieur, quel que soit du reste son talent, ne peut faire aree assez d’exactitude » (Étude du Tiihonìque, du Crétacé et du Tertiaire du Vicentin ; Paris, 1891, pag. 19). Ed egli 604 A. SILVESTRI pubblicare assieme e contemporaneamente molte di tali foto- grafie, comincio con quelle, e provvisoriamente mi fermo a quelle d’esemplari ricavati dal calcare arenaceo o terroso, bruniccio o bruno, gdaucon iti fero a Lepidocicline ( Lépidocyclina marginata (Michelotti), L. dilatata (Micb.),ecc.), Orthophragmina di-stefanoi Checchia-Rispoli, Pellatispira madaraszi (Hantken), ecc., della Collina della Madonna della Catena sopra citata, e di cui nella 1 a nota del dott. Michele Ciofalo Sulla posizione delle rocce a Lepidocicline del territorio di Termini- Imerese ( Palermo i (‘). Località alla quale ho dato la preferenza sulle diverse dove fu- rono da Saverio e Michele Ciofalo raccolti i materiali oligoce- nici da loro gentilmente favoritimi in studio (Vallone Trepietre, Contrada Mazzarino, C. Sant’Arsenio, C. Impalastro, C. Rocca, C. S. Vittoria, ecc.), essendo già stata descritta strati grafica- mente da M. Ciofalo (2), e perchè prestasi in modo particolare a verifiche paleontologiche e stratigrafiche sul terreno, cui spero qualche studioso vorrà dedicarsi nella prossima riunione della Società Geologica Italiana, che avverrà precisamente in quei luoghi. Ai cenni illustrativi coi quali accompagno le fotografie che produco, ho creduto opportuno premettere alcune sinonimie e far seguire notizie snWhabitat geologico delle specie e forme cui esse riferisconsi. Le une e le altre non sono però di certo molto esatte, a causa della possibile confusione cui sopra ho alluso: si accettino solo con riserva come io le presento, e si sottopongano, se è possibile, a verifica, onde ne escano emen- date. aveva perfettamente ragione, perchè la lastra sensibile, questa retina delio scienziato , com’ebbe a chiamarla giustamente il Jansen, offre sul- l’occhio umano oltre al vantaggio della molto maggior esattezza, quello d’esser assolutamente obiettiva, tantoché da quando la fotografia ha po- tuto disporre delle eccellenti e comode lastre alla gelatina bromurata, essa, nelle osservazioni al microscopio o dirette, tende a sostituirsi sem- pre più al disegno a mano libera, o con la camera lucida. (') In-8°, pag. 1-10, tav. I-II. Tip. Fratelli Vena, Palermo, 1907. (?) In questa descrizione credo sia da correggersi l’inclinazione degli strati della collina predetta, nel senso che essi immergono a W, e non ad E come indica M. Ciofalo. NUMMULITI DI TERMINI-IMERESE 605 * ❖ ❖ Riferendomi alla classificazione proposta nel 1902 dal Prever, nel suo classico lavoro su Le Nummuliti della Forca di Presta nell’ Appennino centrale e dei dintorni di Potenza nell’ Appen- nino meridionale Q), e modificata nel 1903 per quanto riguarda il nome di Hanfkenia (2), mantengo provvisoriamente, dando ad esse 1 importanza di generi, le denominazioni di Paronaea e Brugnieria , per distinguere rispettivamente le Nummuliti dai filetti settali semplici, radiali o flessuosi, e dai filetti settali ramificati, ed anastomosati in modo da determinare un reticolo, sprovvedute nell’uno e nell’altro caso di granulazioni. E prov- visoriamente perchè, come ebbero ad osservare D’Archiac ed Haime per l’antica distinzione da loro introdotta nelle Num- muliti di « laeves aut sublaeves, reticidatae, subreticulalae, pun- ctidatae, plicatae vel striatele, et explanatae » (3J, riteng'o possa ripetersi pure per la nuova divisione del Prever in Paronaea , Guembelia, Laliarpeia e Brugnieria, che « Ces groupes n’ont zoo- logiguement rien cl’absolu et ne doivent ótre regardes gue camme destine's à determiner approximativement une Nummulite donneo, d après ses caractères les plus apparents » (4). Il genere Nummulites del Lamarck (5) è, come molti e molti altri degli antichi generi, troppo comprensivo ed artificiale, e pertanto richiede d’esser scomposto in gruppi più ristretti e più omogenei, ma affinché questi abbiano valore di g'eneri naturali, occone Esultino dalla soluzione di vari problemi filogenetici, dei quali non mi consta che il Prever siasi occupato, e sono (') Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. XXIX, 1902, pag. 11-13. (2) In Chelussi: Svila Geologia della Conca Aquilana. Atti Soc. It. Se. Nat., Milano, voi. XLII, 1903, pag. 74, in nota. Ed anche nelle Considerazioni sullo studio delle Nummuliti. Boll. Soc. Geol. It., voi. XXII, 1903, pag. 461, in nota. ( ) Description des Animaux fossiles du groupe nummulitique de VInde, ecc. Paris (1853-1854), 1853, pag. 72-75. (4) Ibid., pag. 71. (5) Système des Animaux sans vertèbres, ou tableau generai des classes, des ordres et des genres de ces animaux. Voi. IX. Paris, 1801. Pag. 101. 606 A. SILVESTRI quelli riguardanti l’origine delle diverse forme cui diamo, nel complesso, il nome di Nummuliti; egli ne ha studiato l’evolu- zione, però già allo stadio di Nummulite, e ciò è insufficiente. Perchè nummulite significa uno stadio evolutivo avanzato e con- vergente di generi differenti, e non di uno solo; laonde alla re- cente affermazione di H. Douvillé che « Les Nummulites deri- vali des Operculines » ('), posso opporre che esse derivano per lo meno anche dalle Anfistegine (2), nè Opercoline ed Anfiste- gine pare abbiano avuto la stessa origine. Sebbene ancora, fatte rarissime eccezioni (3), i numnmlito- logi non abbiano voluto saperne di tener conto neH’interpreta- zione della specie nelle Nummuliti, del dimorfismo di queste, caso speciale di polimorfismo zoologico, che sembra fosse stato notato per la prima volta dal Von Hantken (4), ma il quale fu (!) Évoìution des Nummulites dans les différents bassins de V Europe occidentale. Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VI, 1906, pag. 16, in nota, e pag. 41. Ciò è confermato anche a pag. 597 dello studio del Douvillé H., dal titolo: Évoìution et Enchaincment des F or amini fères. (Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VI (1906), 1907, però con raggiunta dell’osserva- zione che il ramo zoologico delle Nummuliti « paravi venir se greffer sur celui des Cristellariidés », e questo non mi sembra esatto: le Cristellarie in primo luogo costituiscono un gruppo tassinomico affatto artificiale e da emendarsi, ed in secondo quelle di esse che hanuo aspetto nummuli- tiforme, Cristellaria rotulata, C. cultrata , C. vortex, ecc., sono isomorfe per quanto vogliamo con le Nummuliti, ma pei caratteri strutturali non possono connettersi filogeneticamente con queste, se non rimontando molto, ma molto addietro nell'albero genealogico. (2) Si veda la nota in calce a pag. 134 del mio studio critico Sulla Orbitulites complanata Martelli , negli Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno XLI (1907-1908), 1908. (3) P. es , il Ficheur, nella Note sur les Nummulites de V Algerie. (Bull. Soc. Géol. France, ser. 3, voi. XVII, 1889), nella Deuxième note sur les Nummulites de V Algerie {ibidem), e nella Description géologique de la Kabylie du Djurjura (Algeri, 1890). Il Boussac nelle sue note Sur la formation du réseau des Nummulites réticulees (C. R. Séances Ac. Se., Paris, voi. CXLII; e Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VI, 1906), e Le terra-in Nummulitique des Alpes méridionales (Bull. Soc. Géol., France, ser. 4, voi. VI, 1906). (4) Sulla fede del De la Harpe, che scrisse: « Paftou t on trouve au moins deux espéces réunies ces deux espèces appartiennent au mème groupe zoologique. L'une est plus grande et n’a pas de vacuole 607 NUMMULITI DI TERMINI-IME RESE correttamente interpretato, salva però la spiegazione, solo succes- sivamente dal Munier Chalmas (*), combattuto in ciò sopratutto dal De la Harpe (2), ma sostenuto in particolare dallo Schlum- berger e dal Van den Broeck, e di cui successivamente e quasi contemporaneamente diedero l’esatta spiegazione zoologica, fon- data sulla metagenesi, Lister (3) e Schaudinn (“), pur lavorando centrale visible; la seconde, qui est plus petite, en a ime nettement vi- sible et constante. C’est là un fait remarquable qui a excité la perspi- cacité des observateurs et qui n’a pas encore trouvé de solution satis- faisante. M. de Hantken parait ótre le premier à l’avoir reconnu, et après lui tous ceux qui ont étudié ces Rhizopodes en ont observé la constance. Les Nummulites apparaissent par couples; chaque cuuple est formée de cleux espèces du méme cjroupe soologique et de grandeur {ne- gale, la grande est sans chambre centrale, la petite en a toujours une ». ( Ftude des Nummulites de la Suisse et révision des espèces éocènes des genres Nummulites et Assilina. Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. VII, 1881, pag. 63). La legge sulle coppie nummulitiche cosi concepita dal De la Harpe, trovasi poi più ampiamente trattata nella sua Note sur la distribution par couples des Nummulites éocènes (Bull. Soc. Vaudoise Se. Nat., voi XVII 1881, pag. 429-441, 2 fig.). C1) « M. Munier-Chalmas a annoncé à la Société que ses études sur les Num. laevigata, planulata, variolaria, irregularis et sur les Assilina gì anulata et spira, 1 ont conduit à admettre que ces espèces étaient di- morphes». Études sur les Nummulites laevigata, planulata, variolaria, irregularis, et sur les Assilina granulata et spira, ecc. Bull. Soc. Géol. France, ser. 3, voi Vili (15 marzo), 1880, pag. 300. Però il Munier-Chalmas supponeva che gl’individui microsferici di ogni specie, i quali sono i più grandi, derivassero per accrescimento accompagnato da riassorbimento della loggia iniziale, dei megalosferici ; e questo é inesatto. (2) Criticando assai vivacemente quanto sopra, il De la Harpe con- cludeva in merito alle coppie nummulitiche: « qu’il est impossible de les réunir sous un méme nom spécifique. Ce sont des ètres construits sur des plans différents ». (Étude des Nummulites de la Suisse, ecc. Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. VII, 1881, pag. 65). ( ) Contribution to thè Life-History of Foraminifera (Prelim. Paper). Proc. Roy. Soc. London, 1894, pag. 155-160. (Pubblicata pure in tra- duzione francese dello Schlumberger negli : Ann. Se. Nat., 1895, pag. 273). Conti ibution to thè Life-History of thè Foraminifera. Phil. Trans. R. Soc. London, voi. CLXXXVI, 1895, pag. 401-454, tav. VI-IX. (') TJeber den Dimorphismus der For amini feren. Sitzungsb. Gesellsch. naturf. Freunde, Berlin, n. 5, 1895, pag. 87-97. 608 A. SILVESTRI isolatamente ed in ispecie sulla Polystomella crispa (Linné), appartenente alla famiglia delle Nummulinidae, il primo in Inghilterra ed il secondo in Germania; da seguace convinto della cosidetta teoria del dimorfismo, che ormai dir si potrebbe legge del dimorfismo (*), non fondandosi più su ipotesi, ma bensi sulla conoscenza della causa del fenomeno, sarebbe strano che, dopo aver scritto per sostenerla, non l’adottassi anche per le Nummuliti le quali passo a considerare. E lo farò attenendomi alla proposta avanzata fin dal 1899 (2), di dar sempre la pre- ferenza pel nome d’ogni specie dimorfa, la cosidetta coppia nummulitica, al membro microsferico di questa, anziché al mega- losferico; risultando il primo più adatto alla determinazione, e quindi anche alla caratterizzazione della specie (3). Non vedo però alcun inconveniente a tener distinti i due membri della coppia, ossia le due forme di ciascuna specie, nella loro trat- tazione, seguendo in ciò, e per non allontanarmi troppo da essi, la maggioranza degli autori; anzi lo stimo opportuno finche non si abbia migliore e più completa conoscenza d’ogni coppia (4), dopo di che si potrà venire ad una grande modificazione di nomenclatura. (*) Si può formulare cosi: nei Rizopodi reticolari ogni specie consta di due forme diverse, inerenti a due differenti modi di riproduzione, per embrioni e per spore, il primo è caratteristico della forma microsferica, ossia a loggia iniziale piccola, e dà origine ad individui megalosferici, cioè a loggia iniziale grande, il secondo è invece proprio della forma megalosferica, e produce individui microsferici. (2) Una importante questione di nomenclatura zoologica. Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LUI (1899-1900), 1900, pag. 81. (3) Ibidem. (4) Se ne deve un eccellente saggio al Lister, nella memoria On thè Dimorphism of thè English Species of Nummulites, and thè Size of thè Megalosphere in relation to that of thè Microspheric and Megalospheric Tests in this Genus. (Proeeed. R. Soc., London, ser. B, voi. LXXYI, 1905, pag. 298-319, tav. III-V). NUMMULITI DI TERMINI-IME RESE 609 Tipo PROTOZOA. Classe Rhizopoda. Ordine Reticularia. Famiglia NUMMULINID AE (1). Sottofamiglia Nummvlitinae. Genere Paronaea Prever (2). Daphnia [&rs\ Agricola (3), 1558; De natura fossilium, pag. 301. Sage, 1805 ; Journ. Physique, voi. LX, pag. 222. Coditene polythalamiae centro utrinque prominente [pars] Gesner, 1565 ; De omni Rerum , pag. 159-167. Lentes lapideae minores [pars] Aldrovandi, 1648; Musaeum Metaìlicum, pag. 843. Triticites Molybdoides [pars] Aldrovandi, 1648; l oc. cit.. pag. 170. Kummelstein [pars] Kircher. 1665-78; Mund swbterr., pag. 29. Knmmischstein [pars] Kircher, 1665-78; l. c., pag. 29. Kiimmstein [pars] Kircher, 1665-78; l. c., pag. 29. Folium salicis [pars] Kircher, 1665-78; l. c., pag. 29. (') Comprendo in questa le sottofamiglie: Fusnlininae (coi generi Fusulina, Hemifusulina , Fusulinella e Schwagerina ), Polystomellinae (coi generi Nonionina , Polystomella e Faujasina ), Nummulitinae (con i generi Archaediscus, Amphistegina, Operculina, Assilina, Paronaea , Guembelia, Bruguieria, Laharpeia e Verbeekia), Cycloclypeinae (coi ge- neri Heterostegina, Spiroclypeus, Cycloclypeus ed Orbitoclypeus ), ed Or- bitoidinae (coi generi Omplialocyclus , Orbitoides, Lepitorbitoides, Linde- rina, Orthophragmina, Lepidocyclina , Miogypsina e Miolepidocyclina) . (2) Come già resero noto Joly e Leymerie ( Mémoire sur les Num- mulites, ecc.; Mém. R. Ace, Se. Toulouse, ser. 3, voi. VI, 1848. pag. 154) e D’Archi ac ed Haime ( Description des Animaux fossiles du groupe num- mulitique de V Inde, ecc. ; Paris (1853-1854), 1853, pag. 9). la primissima notizia sulle Nummuliti devesi a Strattone, l’insigne geografo greco, nato ad Amassya verso il 58 a. C. e morto tra il 21 ed il 25 d. C., e che ad esse accennò nel 17° libro della sua Geografia, scritto proba- bilmente pochi anni d. C. (3) Cognome latinizzato, sotto il quale è più conosciuto, del natu- ralista tedesco Georg Landmann, uno dei creatori della Mineralogia, ed autore del celebre trattato De re metallica (1546), nato a Glauchan (Sassonia) nel 1490, morto a Chemuitz nel 1555. 42 610 A. SILVESTRI Pietra frumentale [pars] Imperato, 1672; Hist. Naturale, lib. XXIV, pag. 579. Numulus — Lapis orbiculubatus Lhuyd, 1699; Lithoph. Brit. Ichnogr., ediz. 2a (1760), pag. 90. Iteitae [pars] Scheuchzer, 1700; Misceli. Curiosa Ephem. Ac. Caes. Leop., dee. 3a, anno V e VI (1697-1698), Appendix, pag. 63. Phillitae, Salicitae seu Iteitae tapides, vel Silices [pars] Scheuchzer, 1700; l. c., pag. 63. Leus striata in utrinque convexa [pars] Scheuchzer, 1700; l. e., pag. 63, Scheuchzer, 1702; Spec. lithog. Helvet.,pa,g. 30. Scheuchzer, 1706 ; Besclir. naturges. Schweiz, voi. I, pag. 102. Scheuchzer, 1723; Itili. Alpina, pag. 200 e 478. Lapis frumentarius [pars] Lange, 1708; Hist. Lapidum figuratorum, pag. 69. Nummi lapidei [pars] Mercati, 1717-19; Metallotlieca Vaticana. Lentes lapideae [pars] Scheuchzer, 1718; Nat. Hist. Schweiz, pag. 326. Scheuchzer, 1723; helveticus (Iter alpinum se - xtum), pag. 433. Lentes lapideae convexoplanae [pars] Volkmann, 1720; Silesia subterr., pag. 331. Numismales [pars] Scheuchzer, 1723; OupccuaotTr.; helveticus (Iter alpi- num sextum), pag. 433. Delue, 1802; Journ. Physique, voi. LVI, pag. 325. Numismali lapidis Transylvaniae [pars] Clusius, ... .; Nomai datar Pan- nonicus. Numismalis lapis Transylvaniae [pars] Briickmann, 1727; Specilli, phys. Hist. nat. Lap. numm. Transylvaniae. Pierres de St. Boniface [pars] Briickmann, 1727; Spec. phys. Hist. nat. Lap. numm. Transilvaniae. Pierres numismales [pars] Bourguet, 1729; Leltres philosoph., pag. 12. Guettard, 1770; Mém. diff. pari Se., voi. II, pag. 185; voi. Ili, pag. 431. Pierres lenticalaires [pars] Bourguet, 1729; Lettres phil. Sels et Crystaux, ediz. 2a (1762), pag. 171. Dodart, 1733; Hist. Ac. Sciences Paris, voi. I, pag. 306. Bourguet, 1742; Traité des Pétrif., pag. 321-325. Barrère, 1746; Observ. Pierres figurées, pag. 13. Guettard, 1770 ; Mém. diff. pari. Se., voi. II, pag. 185 ; voi. Ili, pag. 431. Nummulo Brattenburgensi [pars] Bromell, 1729; Act. Lit. Suec., voi. II, pag. 50. Stobaeus, 1731; Act. Lit. Suec., pag. 19. Stro- baeus, 1732; Diss. epist. ad W. Grotliaus. Lapis nummalis [pars] Briickmann, 1739; Epist. Itineraria, XXXVII , de Foss. Blanckenburgicis, pag. 10. Lapis nummularius [pars] Spada, 1744; Corp. lapidifact. agri Veronensis, pag. 46-49. NTJMMULITI DI TERMINI-IME RESE 611 Pierres fnmentaires [pars] Guettard, 1752; Hist. Ac. Sciences Paris, voi. I, pag. 339. Nummularius lapis [pars] Gesner, 1752; Diss. phys. petrif., pag. 12 e 31. Numulariae minimae [pars] Bassi, 1757 ; Tabella Oryctographica, n. 25. Pliacites [pars] Gesner, 1758; Traci, phys. petrif., pag. 50. Helicites [pars] Gesner, 1758, loc. cit., pag. 50. Blainville, 1825; Man. Malac., pag. 373. Knorr, 1775;' Becueil cl. montivi, catastr. globe terre, voi. II, pag. 50. Burtin, 1784; Oryct. Bruxelles, pag. 103. Lenticole o Numismi [pars] Targioni, 1760; Belaz. viaggi diverse parti Toscana, ediz. 2a, voi. IV, pag. 465 e 466. Heliciten [pars] Walch, 1769; Steinreich System, entworf., ediz. 2a, voi. I, pag. 136. Baumer, 1763; Nat. minerai., voi. I, pag. 320. Walch, 1773; Naturges. Verstein., parte 2% pag. 60-66. II elidi e [pars] Guettard, 1770: Mém. diff. parties Science, voi. II, pag. 185 ; voi. Ili, pag. 1770. Guettard, 1779; Mém. Minerai. Daupliinc, voi. II, pag. 769 e 831. Nummularia [pars] Battarra, 1774; Epist., pag. 18. Helmintholithus [pars] Von Boni, 1775; Index fossilium, pag. 28. Testacea fossilia Kahirensia [pars] Forskal, 1775; Descript. Anim. quae in itinere orientali observ. Nummulaires [pars] Saussure, 1779; Voy. dans les Alpes, voi. I, pag. 339. Porpiten [pars] Fortis, 1779; Beschreib. Thales Bonca, pag. 14. Pfennigsteine [pars] Schroeter, 1780; Journ. Liebh. Steinreich, voi. VI, pag. 261. Nautilitis striatis [pars] Soldani, 1780; Saggio Orittografico, Appendix, pag. 143, vas CCLXXXVII, pag. 143, tav. XXII, tig. 101 : I. Numulariae: Porpitae [pars] Soldani, 1789; Testac. ac Zooph., voi. I, pag. 68, vas 199, tav. LXII, tig. P, Q, c, d, e; tav. LXIII, fig. R: 1, m, x, y, z. Lenticulae [pars] Soldani, 1791 ; loc. cit., pag. 159, n. 44 e 54, tav. CXXX VI, tig. Q, R, S, V ed X. Piedras lenticulaires [pars] Cavanilles, 1797 ; Obs. Hist. Nat. Valencia, voi. II, pag. 35, 183, 188 e 199. Piedras numularias [pars] Cavanilles, 1797 ; loc. cit., pag. 35, ecc. Lenticulae minusculae [pars] Soldani, 1798; Testac. ac Zooph., voi. Il, pag. 110, vas 384, tav. XXV, tig. L. Nautilus [pars] Fichtel e Moli, 1798; Test. Micr., pag. 53, 55 e 58. Pliacites fossilis [pars] Blumenbach, 1799 ; Abbild. Gegenstdnde, fase. 4°, n. 40. Nummulites [pars] Lamarck, 1801; Syst. Anim. sans Vert., voi. IX, pag. 101, gen. 89. Montfort, 1808 ; Conch. syst., voi. I, pag. 155, gen. 39. Lamarck, 1822: Hist. Anim. sans Vert., v ol. VII, pag. 618 e 627. Deshayes, 1831 ; Descr. Coq. caract. Terrains, pag. 248, gen. 43. Munteli, 1844; Medals of Creation, voi. I, 612 A. SILVESTRI pag. 242. Pilla, 1847; Trattato di Geologia, parte la, pag. 460 Joly e Leyraerie, 1848; Mém. Ac. Se. Toulouse, ser. 3, voi. IV, pag. 152 e seg. D’Archiac ed Haime, 1853; Descr. Aniin. foss. groupe nunun. Inde, pag. 56 e seg. Reuss, 1861 ; Sitzunsber. k. Ak. Wiss. Wien, math.-natunv. CI., voi. XLIV, pag. 390, n. 1. Carpenter, 1862; The Microscope, ediz. 3, pag. 524. Stoppani. 1873; Corso di Geologia, v ol. Il, pag. 470. Sclnvager, 1877 ; Boll. R. Comit. Geol. It , voi. Vili, * pag. 19, n. 20. De la Harpe, 1880; Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. VII, pag. 29 e seg. Zittel, 1883; Traité de Pa- léont., trad. Barrois, voi. I, pag. 98. Brady, 1884; Report Challenger, Zool., voi. IX, pag. 76 e 747. Tellini, 1888; Boll. Soc. Geol. It., voi. VII, pag. 175. Rhumbler, 1895; Nadir, k. Gesellsch. Wiss. Gottingen, math.-phis. Kl., anno 1895, pag. 95. Delage ed Hérouard, 1896; Traité de Zool. concrète, voi. I, pag. 150. Jones, 1897; in Jones, Parker e Brady: Monogr. Foram. Crag (1866-1897), pag. 365, gen. 3. Eimer e Fickert, 1899; Tubingen zool. Arbeiten, voi. Ili, pag. 634. Martelli, 1902; Palaeontogr. Italica, voi. Vili, pag. 53. Chapman, 1902; Tlie Foraminifera, pag. 67 e 244. H. Douvillé, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VI, pag. 597, n. 5. Discolithus l pars ] Fortis, 1802; Mém. Hist. Nat. Oryct. Italie, voi. II, pag. 98, 102 e 106. Numismale [pars] Delue, 1802 ; Journ. Physique, voi. LIV, pag. 179. Discolite [pars] Fortis, 1803; Opusc. scelti Se. Arti, voi. XXII, pag. 158. Discolite nummiforme [pars] Fortis, 1803; loc. cit., pag. 159. Lenticulina [pars] Lamarck, 1804; Ann. Museum, voi. V, pag. 186 (')• Defrance, 1822; Dict. Se. Nat., voi. XXV, pag. 453. H. Dou- villé, 1902; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. II. Prever, 1902; Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. XXIX, pag. 11 e 13. Checckia-Rispoli, 1904; Boll. Soc. Geol. It., voi. XXIII, pag. 38. (') I generi Lenticulina e Lenticuliies che il Lamarck credè poter distinguere dal Nummulites, per la presenza d’orifizio nei primi, man- canza di questo nel secondo, comprendevano per Fautore alcune piccole forme di Nummuliti e Cristellarie. Risultando cosi male istituiti, non comprendo perchè il primo si sia voluto esumare da H. Douvillé (loc. cit., v. postea), ed adottare poi dal Prever e dal Checchia-Rispoli. Certi generi caduti da lungo tempo in abbandono a motivo della cattiva de- finizione loro per parte degli autori, é a parer mio preferibile non to- glierneli. Un genere equivoco di più o di meno, nulla aggiunge o toglie alla fama immortale del Lamarck. NUMMULITI DI TERMINI-IME RESE 613 Lenticulites [pars] Lamarc-k, 1804; Ann. Museum, voi. V, pag. 188. La- rnarck, 1822; Hist. Anim. sans Vert., voi. VII, pag. 618 e 627. Defrance, 1822 ; Dict. Se. Nat., voi. XXV, pag. 452. Pilla, 1847; Trattato di Geologia , parte 1 a, pag. 461. Mannaie de St. Pierre [pars] Sage, 1805, Journ. Pkys., voi. LX, pag. 222. Pierres de Laon [pars] Sage, 1805; loc. cit., pag. 222. Phacolites [pars] Sage, 1805; loc. cit, pag. 222. Lycophris [pars] Montfort, 1808; Conch. Syst., voi. I, pag. 159. Broun, 1825; Syst. urwelt. Pflanzenthiere, pag. 29. Rotalites Lamarck. [Pars] Montfort, 1808 ; Conch. Syst., voi. I, p. 163, gen. 41. Egeon [pars] Montfort, 1808; loc. cit., pag. 167, gen. 42. Orohias [pars] Eichwald, 1860; Lethaea Rossica, voi. I, pag. 352. Nummularia [pars] Sowerby, 1826; Minerai Conchology, voi. VI. pag. 76. Nummulina [pars] D’Orbigny, 1826; Ann. Se. Nat., voi. VII, pag. 295, gen. XXV. D’Orbigny, 1846; Foram.foss. Vienne, pag. 113, gen. VI. Dujardin, 1846; Dict. Hist. Nat., voi. Vili, pag. 684. D’Archiac, 1848; Mém. Soc. Géol. France, ser. 2, voi. Ili, meni. 6a, pag. 414. Carpenter, 1850; Quart. Journ. Geol. Soc.’ voi. VI, pag. 22 e seg. Williamson, 1858; Recent Forum. Great Brxtain, pag. 36. Parker e Jones, 1860; Ann. and Mag. Nat. Hist., ser. 3, voi. V, pag. 294-296. Carpenter, 1862; The Microscope, ediz. 3a, pag. 524. Carpenter, 1862; Introd. Forum., pag. 262, gen. III. Brady, 1876; Monogr. carb. and perni. Foravi., pag. 147. Zittel, 1885; Traité de Paléont., trad. Barrois, voi. I, pag. 99. Hantlcenia Prever, 1902; Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. XXIX, pag. 11 e 13. [Pars] Martelli, 1903; Bendic. R. Acc. Lincei, Cl. se. fis. mat. e nat., ser. 5, voi. XII, sem. 2, pag. 168. Paronaea Prever, 1903, Boll. Soc. Geol. It., voi. XXII, pag. 461, in nota. Pariseli, 1906; Meni. R. Acc. Se. Torino, ser. 2, voi. LVI, pag. 73. Fabiani, 1908; Mem. Soc. It. Scienze (dei XL), ser. 3, voi. XV, pag. 85. Paroma Prever, 1903, in Chelussi; Atti Soc. It. Se. Nat., Milano, voi. XLII, pag. 74, in nota. Paronaea vasca (Joly e Leymerie). 1. Paronaea vasca B. [Paronaea vasca (Joly e Leymerie)). (Tav. XXI, fig. 1, 4 e 5). Nummuhtes Vasca [pars] Joly e Leymerie, 1848; Mém. Acc. Se. Tou- louse, ser. 3, voi. IV, pag. 171, 186 (non pag. 188), 215 e 217, tav. 1, fig. 15, 16 e 17 ; tav. II, tig. 7. D’Arcbiae ed Haime, 614 A. SILVESTRI 1853; Descr. Anim. foss. numm. Inde, pag. 145, tav. IX, fig. 11, 11 a, 11 b (non 11 c), 11 d (non 12). [?] S. Ciofalo, 1878; Atti Acc. Gioenia Catania, ser. 3, voi. XII. pag. 119 ('). [?] S. Ciofalo, 1879; Atti XII Cougr. Se. It. Palermo (1875), pag. 153 (2). De la Harpe, 1879; Bull. Soc. Borda, Dax, voi. IV, pag. 145, tav. I, fig. Ili: 1-3. De la Harpe, 1881; ibid., pag. 230 e 242. De la Harpe, 1883; Mém. Soc. Pa- léont. Suisse, voi. X, pag. 177, tav. VII, tig. 24-26. Uhi ig, 1886; Jahrb. k. k. Geol. Beichsanst., voi. XXXVI. pag. 156. Sacco, 1888; Bull. Soc. Géol. France, ser. 3, voi. XVII, pag. 226. Teliini, 1888; Boll. Soc. Geol. It., voi. I II. pag. 193. Benoist, 1889; Bull. Se. Soc. Borda, Dax. [Pars] Oppenheim, 1894: Nummuliten Venet. Tertiàrs, pag. 18 (non 7, 8, 9, 19, 22 e 23), tavola, fig. 20 (non 19). [Pars] Von Hantken, 1894; in Oppenheim : Nummuliten Venet. Tertiàrs, pag. 6. Fallot e Reyt, 1895; Notice relat. Carte geol. envir. Bordeaux. Raulin, 1895; Bull. Soc. Géol. France, ser. 3, voi. XXIII, pag. 550. Prever, 1904, in Parona: Trattato di Geologia (1903-1904), pag. 591 e 596. Prever, 1906, in Sacco: Boll. Soc. Geol. It., voi. XXV, pag. 114. Sacco, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V, pag. 887 e 888. Fabiani, 1908; Mem. Soc. It. Scienze (dei XL), ser. 3, voi. XV, pag. 67, 69, 70, 91 e 223. Numnulites vascus Joly e Leymerie. [Pars] Oppenheim, 1901; Palaeonto- graphica, voi. XLVII, pag. 39. H. Douvillé, 1902; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. II, pag. 211. H. Douvillé, 1905; ibid., ser. 4, voi. V, pag. 15, 18, 27, 29, 40 e 49. [Pars] H. Douvillé, 1906; ibid., ser. 4, voi. V (1905', pag. 658 e 659. De Lapparent, 1906; Traile de Geologie, ediz. 5, voi. Ili, pag. 1548, 1555, 1563 e 1566. [?] Boussac, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VI, pag. 479, 556 e 557. [Pars] H. Douvillé, 1906; ibid., ser. 4, voi. V (1905), pag. 658 e 659. Vredenburg, 1906; Records Geol.Survey India, voi. XXXIV, parte 2, pag. 90, 91 e 94. H. Douvillé, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VI, pag. 20 e 28. H. Douvillé, 1907; ibid., ser. 4, voi. VI (1906), pag. 500. R. Douvillé, 1907; ibid., ser. 4, voi. VI (1906), pag. 632 e 633. Vredenburg, 1907; Records Geol. Survey India, voi. XXXV, parte la, pag. 63, 66 e 67. Vredenburg, 1907; A summary Geol. of India, pag. 59. H. Douvillé, 1908; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VII (1907), pag. 466, 467, 468 e 476. [Pars] R. Douvillé, 1908; Bull. Soc. Géol. France, ser. 5, voi. Vili, (’) L’A. attribuisce la specie a: Joly et Leym. (s) Idem idem, a: Joly et Seg. NUMMULITI DI TERMINI -IME RESE 615 pag. 88. R. Douvillé, 1908; ibid., pag. 89 e 95, fig. 9 a e 9 6. [Pars] Boussac, 1908; Bull. Soc. Géol. France, ser 4 voi Vili pag. 251. Nummuìites cf. vascus H. Douvillé, 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4 voi. V, pag. 443 e 444. Paionaea vasca Joly e Leymerie. Prever, 1905; in Fabiani: Atti R. Ist. Veneto Se. Lett. ed Arti, anno 1904-1905, voi. LXIV, parte 2% pag. 1814 e 1826. [Pars] Prever, 1905; Boll. Soc. Geo!. It., voi. XXIV, pag. 675 e 679 (non 668 e 678). Prever, 1906; Atti R. Acc. Se. Torino, voi. LX1, pag. 10 estr. Prever,' 1908; in Sacco: Boll. Soc. Geol. It., voi. XXVI (1907), pag. 402. Prever, 1908; in Sacco: Mem. R. Acc. Se. Torino’ ser. 2, voi. LIX (1907-1908), pag. 69. Paronaea vasca (Joly e Leymerie). Pariseli, 1906; Mem. R. Acc. Se. To- rino, ser. 2a, voi. LVI, pag. 80, n. 16, tav. I, fig. 28, 29 e 30. A. Silvestri, 1907 ; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LX (1906-1907), pag. 108 e 185. [?] Nummuìites vascus ? H. Douvillé, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VI, pag. 36. Paronaea B vasca (Joly e Leymerie). A. Silvestri, 1907; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LX (1906-1907), pag. 90. Nummuìites (Paronaea) vasca Joly e Leymerie. M. Ciofalo, 1907; Posiz. rocce a Lepidoc. territ. Termini- 1 me rese (Paiermo), pag. 7. Nummuìites vasca Joly e Leymerie, var. incrassata De la Harpe, 1883; Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. X, tav. VII, fig. 27-28. Nummuìites vasca Joly e Leymerie, var tenuispira De la Harpe, 1883; Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. X, tav. VII, fig. 29-32. Pcnonaea vasca (Joly e Leymerie), var. itaìica Pariseli, 1906; Mem. R. Acc. Se. Torino, ser. 2, voi. LVI, pag. 80, n. 17, tav. I, fig. 32. Paronaea vasca (Joly e Leymerie), var. tenuispira De la Harpe. Pa- risch, 1906; Mem. R. Acc. Se. Torino, ser. 2, voi. LVI, pag. 80, n. 18, tav. I, fig. 31. Plasmostraco di color grigiastro, di media taglia (fig. 1) (‘), lenticolare e mediocremente rigonfio, un po’ pianeggiante al centro e dissimmetrico, od anche ondulato, con margine acuto (') Secondo i criteri del De la Harpe: << Nous appelons la taille petite lorsque le grand diamétre de la coquille mesure 5 à 6 millimétres au moins, moyenne lorsqu’elle est de 5 à 15 millimétres, et grande loisqu elle dépasse ces chiffres ». (Étude des Nummuìites de ìa Suisse et revision des espèces éoc'enes des genres Nummuìites et Assidua. Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. VIT (1830), 1881, pag. 43). Gl 6 A. SILVESTRI assottigliantesi in lieve limbazioue, la cui periferia è smussata (fig. 5) (‘); superficie incrostata e piuttosto logora (5). ornata sulle due facce di filetti settali fitti, flessuosi, quasi mancanti di rilievo, i quali ripiegansi spiralmente verso un punto pros- simo al centro di esse, ma che difficilmente vi coincide (fig. 1). -pv • * • 3,8 6 8 8 /9\ Dimensioni : , — , — e — ( M. 2 2 7 3 4 w Spira un po’ irregolarmente sviluppata tanto nel piano equa- toriale (fig. 4) quanto nei meridiani (fig. 5), a passo crescente con lentezza dal centro (fig. 4); giri : ~ , ’ e ‘ (4). Lamina spirale di spessore discreto e pressoché uniforme, così nel piano equatoriale (fig. 4) come nei meridiani (fig. 5); il quale spessore eguaglia l’altezza delle logge nei primi tre giri, poi corrisponde, per l’aumento del passo della spira, a circa la metà di tale altezza. La lamina si osserva fibrosa in tutta la sua estensione e nel senso dello spessore, tranne che nella piega dorsale, dov’è perforata (fig. 5) e donde l’animale emet- teva gli pseudopodi. Setti : — , -- e - ' (5), arcuati all’origine, quindi raddriz- 12 3 zantisi, poco regolari nella loro curvatura e pel punto d’inser- zione, non di rado flessuosi (fig. 4); inclinati da 43 a 61° o (') Questa descrizione e le successive, non riguardano la specie o la forma B od A in generale, bensì gli esemplari studiati. (2) Lo stato di corrosione del nicchio, per fossilizzazione, non risulta nella fig. 1 dell’unita tav. XX], avendolo fatto scomparire con un piccolo artifizio tecnico, onde metter meglio in evidenza i filetti settati. (3) Notazione del De la Harpe: « Les dimensions seront indi- quées par deux nombres superposés, comme dans une fraction. Le nombre supérieur indiquera en millimétres la dimension du grand axe ou la largeur, et l’inférieur celle du petit axe ou l’épaisseur ». {Loc. cit., pag. 43). (4) Idem : « Nous les noterons en superposant deux nombres, en forme de fraction; le supérieur indiquera le nombre des tours de la spire, et l’inférieur la longueur du rayon exprimée en millimétres». ( Loc . cit., pag. 44). (5) Idem : « Le chiffre supérieur indiquera leur nombre dans un quart de tour et rinférieur la distante du centre, en millimétres ». {Loc. cit., pag. 45). NUMMULITI DI TERMINI-IME RE SE 617 da 78 ad 81° (Q; costanti nello spessore dall’origine alla base (%• 4). Earissima ('-). Questa forma, per la depressione del nicchio e la sottigliezza dell’orlo si approssima a quella distinta in var. italica dalla Pariseli (); si allontana dal tipo di Joly e Leymerie peravere i filetti settali più fitti e più flessuosi Habitat: la Paronaea vasca, tanto microsferica che megalo- sferica, è facile a confondersi con altre specie, di conseguenza e come ho già avvertito, la premessa sinonimia e le notizie che ora passo ad esporre, vanno accettate sotto condizione di verifica. (') Intendo per inclinazione, l’angolo interno a, più vicino al centro della sezione equatoriale, che una retta condotta pei due estremi d’ogni Fig. I. setto fa con la corda, la quale é sottesa all’arco compreso tra i piedi del setto stesso e del precedente (v. la fig. I). (5) La grande rarità della forma microsferica della Paronaea vasca non ne scema nel mio caso il valore di fossile caratteristico, perché sappiamo, ed un valoroso nummulitologo, il Prever, lo conferma: «che generalmente di una data coppia se una forma é in grande abbondanza, l’altra vi é per lo più scarsissima» (Ricerche sulla fauna di alcuni calcali nummulìtici dell’ Italia centrale e meridionale ; Boll. Soc. Geol. It., voi.. XXIV, 1905, pag. 680), e la forma megalosferica della suddetta (ossia la Nummulites o Paronaea boucheri, auctorum ) e che l’accompagna ó, precisamente, abbondante. (J) Vedasi nella sinonimia, a Paronaea vasca var. italica. ( ) Si cfi. la fig. 17, tav. I, di Joly e Leymerie (loc. cit. nella sino- nimia, a Nummulites vasca ) con la mia fig. L dell’unita tav. XXL 618 A. SILVESTRI Essa deriva dalla Paronaea contorta (Deshayes) (’) del barto- niano, passando per uno stato intermedio, il quale è spesso difficile distinguere dall’ima o dall’altra delle specie nominate; e la forma che lo rappresenta, p. es., sopra lo stabilimento bal- neare della Cóte-des-Basques a Biarritz (Basses-Pyrénées), com- parisce già, ed il Boussac lo ricorda (2), ad un livello inferiore a quello degli strati del Cachaou della stessa regione, nei quali ultimi e negli altri coetanei della Perspective-Miramar, nella parte superiore della medesima Cóte-des-Basques, si continua e trovasi assieme a Bruguieria cfr. intermedia e Paronaea cfr. bouillei, e le ultime Ortoframmine (3). E gli strati del Cachaou parmi spettino al priaboniano, che già è per me oligocene, seb- bene il Prever al posto del bartoniano superiore dei dintorni di Biarritz indichi una lacuna (4), la quale interesserebbe pure il priaboniano, comprendendo egli questo nel bartoniano su- periore. In qualunque modo, la Paronaea vasca B tipica è stata sempre osservata negli strati a Bruguieria intermedia B ed A, tipica, ed a Xatica crassatina, oppure, e più frequentemente, in strati superiori; i primi ed i secondi dei quali, da tutti o dalla maggioranza assoluta degli autori, sono giudicati rispet- tivamente sannoisiani e rupeliani, e quindi oligocenici in ge- nere. Tenendo conto delle formazioni e località dove, per mia cono- scenza, la Paronaea vasca B si trova, ricordo, tra le più interes- santi, che in Francia: è rara negli strati superiori arenacei san- noisiani e rupeliani a nord della scogliera di Biarritz nelle Bas- ses-Pyrénées (Chambre-d’Amour, Lou-Cout, Phare, Port-des-Pé- (•) Forma B = Nummulites contortus Deshayes, 1848; in Ladou- cette: Hist. Hautes-Alpes, ediz. 3a, pag. 487, tav. XIII, tig. 7-9. Forma A = Camerino, striata Bruguiére, 1792 ; Encyel. Méth. « \ ers », voi. I, pag. 400. (5) Le Terrain Nummulitique à Biarritz et dans le Vicentin. Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VI, 1906, pag. 556. (3) « M. Boussac serait trés porté à croire qu’il y a ime lacune à Gaas ». Ibidem, pag. 479. (4) I terreni nummulitici di Gassino e di Biarritz. Atti R. Acc. Se. Torino, voi. XLI (1905-1906), 1906. pag. 10 estr. NUMMULITI DI TERMINI-IME RESE 619 cheurs, Rocher-de-la-Vierge, Port-Vieux, Atalaye ('), Villa Belza), contenenti la Bì uguieria intermedia B ed A, la Paronaea vasca A., e la P. bouillei B ed A. Rinviensi pure, ed in compagnia della B. intermedia B ed A, e della P. vasca A, nell’oligocene d’En- trevaux e della regione SE dei dintorni di Bayonne (sabbie che accompagnano le puddinghe di Mousserolle), sempre nelle Basses-Pyrénées; come in quello della Barthe-de-Pouy, della Nousse, ccc., nelle Landes. Rammentasi anche nel calcare san- noisiano ad Asterie, a A atica crassatina, Bruguieria intermedia B ed A, e Paronaea vasca A, dei dintorni di Bordeaux (Gi- ronde), e della Chalosse-de-Montfort; nell’oligocene presso Lannes, di Meilban, e di Canon nelle vicinanze di Bordeaux, nei « faluns bìeus » con marne e calcari a. Natica crassatina, N. angustata, Cerithium oliar pentieW, Turbo parkinsoni, Paronaea vasca A, e Bruguieria intermedia B ed A, di Gaas, Garans e Lesperon, presso Dax (Landes); negli strati a Cardita basini, Natica cras- satina, Euspatangus ornatus, Bruguieria intermedia B ed A, della regione dell’Adour, come a Lourquen, Lahosse, Tuc-de- Saumon, e Préchacq; nelle arenarie calcaree sovrapposte ai cal- cari a Aatica crassatina, di Mugron, Cassen, e specialmente del Tuc-de-Saumon, dove, oltre che con le suddette Nummuliti, presentasi assieme alla Lepidocyclina cfr. dilatata B. Inoltre va fatta menzione della sua presenza, unitamente alla sua forma A, a Paronaea bouillei A, P. chavannesi A, e Bruguieria inter- media B ed A, nel sannoisiano del Dévoluy, e d’AIlons ed Annot nelle Basses-Alpes. (’) Secondo R. Donvillé ( Observations sui ■ les Faunes à Foramini- fères du sommet du Nummulitique italien; Bull. Soc. Géol. F rance, ser. 4, voi. Vili, 1908, pag. 95), la « Nummulites vasca », auctorum, dell’Atalaye, sarebbe la Paronaea miocontorta (Teliini). Può darsi che egli abbia ra- gione, ma mi pare voglia dare troppa importanza alla disposizione dei filetti settali, perché io ho trovato neH’oligocene di Termini-Imerese una specie non distinguibile esternamente dalla Paronaea vasca, la cui sezione equatoriale è però diversa, ed a me sembra corrisponda a quella della P. imocontorta. (Si vedano a questo proposito le mie: Osservazioni ad uno scritto di G. Rovereto « Sur le Stampien ù Lépidociclines des cn- virons de Varasse »; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LXI (1908-1909) 1909, pag. 21, fig. 1). 620 A. SILVESTRI Nella Transilvania: comparisce, con la Paronaea vasca A. P. bouillei P ed A, P. Vociti, Bruguieria intermedia B ed A, negli strati superiori oligocenici del territorio di Klausenburg nei Siebenbtirgen. In Italia: nella parte settentrionale occidentale è rara a C. Croce nel Monte Rivarossa (Garbagna), comune a Giara (S. Sebastiano Curone), in formazioni sannoisiane; esiste poi anche, assieme alla Bruguieria intermedia B ed A. nell’oligo- cene del Piemonte, essendo comune a Beiforte (Bric Cocbera), comunissima a Costalnpara (Dego), e Cassinelle (Rio Gabette; sotto i Bruzzi; Regione Ciapin). Nella parte settentrionale orien- tale trovasi, con Saltella subrotundaeformis, Euspatangus mi- nutus, Paronaea vasca A, ed Ortoframmine, nei calcari marnosi e nelle marne sannoisiane delle Acque Negre del Monte Baldo, di Monte Moscalli e della Rocca di Garda nel Veronese; nel sannoisiano di Malo, della Chiesa di Priabona, e di Montecchio Maggiore, nel Vicentino: nei calcari marnosi e nelle marne sannoisiane a Paronaea vasca A e Bruguieria intermedia B ed A, di Monte Grumi presso Castel Gomberto. d’Arcugnano (al qua- drivio sud) e S. Gottardo (Villa Porto) nei Colli Belici; nei calcari bianchi, nelle marne, e nei calcari marnosi a Briozoi, del sannoisiano a Paronaea bouillei B ed A, Paronaea vasca A, ed Ortoframmine del Monte della Pai di Nanto (100 m. a sud) e del Monte Vagina di Grancona (case Raccola), pure nei Colli Berici; nei calcari marnosi e nelle marne sannoisiane a Pa- ronaea bouillei B ed A, P. vasca A, Bruguieria intermedia Be d A, e Pecten arcuatus, dei dintorni di Vicenza (fra la Rotonda e i Nani di S. Bastiano; e pochi metri al di qua ed al di là del Santuario del Monte Berico) e di Monte Bella Guarda in par- ticolare (100 m. a NW dalla cima); nel sannoisiano di Rocca di Ziesa, sopra ai calcari a Lithocardium cannatimi] nei calcari rupeliani d’Altavilla e del Col Sasso presso S. Giovanni di Bar- barano, località dei Colli Berici; ed in quelli pure rupeliani contenenti anche la Paronaea vasca A, posti presso la cima del Monte Bernardo di Zovencedo. Risulta un po’ incerta, o rap- presentata semplicemente da forma prossima, negli strati rupe- liani a Litotamni e Lepidocyclina dilatata B, sotto la Chiesa di S. Marco ad Isola di Malo. Nella parte media d’Italia rin- NUMMULIT [ DI TERMINI-IMERESE 621 viensi poi nell oligocene, per la massima parte sannoisiano, di Genzano presso Sassa e di Porcinaro presso Pizzoli, nell’Aqui- lano, in compagnia di Lepidocicline; ed anche di S. Vittorino presso Amiterno, Verde d’Aquila, Bocca di Cambio, Formaliscia, Monte Luco, Cocullo presso Avezzano, Vallone dei Pitrulli (La- cedonia) 'con Lepidocicline), Cave a nord di Lacedonia (con Or- toframmine), come nei calcari rosei che si estendono dal Iii- tugio del Gran Sasso d’Italia all’estremità occidentale del Campo Impeiatore, nell Aquilano; nei quali ultimi comparisce assieme a Paronaea vasca A, P. bouillei P, P. budmsis B, Lepulo- cyclina > auhni, L. marginata B ed A, ed altre Lepidocicline. Finalmente, nella parte meridionale d’Italia, si presenta nel calcare biancastro friabile sannoisiano o rupeliano a Lepidocyclina mulini della costa fra Tricase e Castro, nella Terra d’Otranto; come pine ed assieme a Paronaea vasca A, Bruguieria inter- media B ed A, Lepidocyclina dilatata Lì ed A, L. marginata B ed A, ecc., negli strati, anche questi sannoisiani, della for- mazione nummulitica di Termini-Imerese (*) in provincia di Palermo. Nelle Indie Orientali : la Paronaea vasca B si rammenta as- sieme ada sua forma A, a Clipeastri, Bruguieria intermedia B ed A, e Lepidocyclina dilatata , nel rupeliano ( « lowcr Nari » del « Nari group ») del Sind e del Belucistan, in quello a Le- pidocyclina dilatata di Pegu, e nel rupeliano a Lepidocicline senza pilastri del gruppo della L. mantelli, delle vicinanze di Eantau Budjur, sul versante NE del Monte Talicor nel Borneo. C) In essa fu segnalata fin dal 1878 e 1879 dal prof. S. Ciofalo, che la indicò nelle contrade Rocca ed Impalastro (vedasi la sinonimia a Nummulites vasca), però in tal guisa da non escludere il sospetto che 1 autoie avesse invece voluto alludere alla Paronaea contorta B , aven- dola citata come fossile eocenico assieme alla P. contorta A (P. striata,), nella «quarta zona» la quale egli distinse nell’ocene di Termini, dove trovasi proprio la P. contorta B ed A. Ma è probabile che in tale quarta zona egli comprendesse anche l’oligocene a Nummuliti, ed in questo caso la segnalazione sarebbe stata esatta, perchè effettivamente la Paronaea vasca B esiste negli strati nummulitici posteocenici delle suddette due contrade. 622 A. SILVESTRI 2. Parouaea vasca A. ( Paronaea boucheri (De La Harpe) ). (Tav. XXI, fig. 2, 3, 6 e 7). Nummulina planuluta (Lamarck). [Parsi] d'Orbigny, 1826; Ann. Se. Nat., voi. VII, pag. 296, n. 4; Modéles, n. 87 (« Jeune »). [Parsi] Parker e Jones, 1860, Ann. and Mag. Nat. Hist., ser. 3, voi. V, pag. 295, n. 11. [Parsi] Parker e Jones, 1863; ibicl., ser. 3, voi. XII, pag. 434, n. 32 (« young specimen»). [Pars i] Parker, Jones e Brady, 1865; ibid , ser. 3, voi. XVI, pag. 33, tav. Ili, fig. 95. [?] Jones, Parker e Brady, 1866; Monogr. Forarti. Crag , Appendix I, n. 93; Appendi;:: II, n. 93, tav. II, fig. 51 e 52. Nummuliies planulata [pars] D’Orbigny, 1850; Prodrome de Falconi, voi. II, pag. 335, n. 677. [Pars: « jeune » e «tris jeune»] D'Archiac ed Haime, 1853; Descr. Anim. foss. numm. Inde, pag. 142, tav. IX, fig. 8, 8 a-b, 9, 9 a-b (non fig. 5, 5 a, 6, 6 a-c, 7 e 7 a-h). [Pars?] Hofmann, 1871; Mitth. Jahrb. k. uug. geol. Anst., voi. I, pag. 254. Nummulites vasca Joly e Leymerie. [Pars: «jeune»] D'Archiac ed Haime, 1853; Descr. Anim. foss. numm. Inde, pag. 145, tav. IX, fig. 11 c e 12 (non 11, Ila e 11 b). Amphistegina nummularia [pars?] Reuss, 1856; Sitzungsb. k. Ak. Wiss. Wien, voi. XVIII (1855), pag. 238, tav. IV, fig. 46 a-b, 47, 48 e 49. Nummulina germanica [pars?] Bornemann, 1860; Zeitschr. deutsch. geol. Gesellsch., voi. XII, pag. 158, tav. VI, fig. 6, 8 e 9 (non fig. 3, 4, 5 e 7). Nummulites germanica Bornemann. [Pars?] Reuss, 1865; Denkschr. K. Ak. Wiss. Wien, math.-naturw. Cl., voi. XXV, pag. 164, n. 1. [Pars] De la Harpe, 1879; Bull. Soc. Borda, Dax, voi. IV, pag. 146. [Pars?] De la Harpe, 1879; Bull. Soc. Vaud. Se. Nat., voi. XVI, n. 82, pag. 226 e 231. Van den Broeck, 1894; Bull. Soc. Belge Géol. Paléont. et Hydr., voi. VII, pag. 215. [?] Nummulites striata D’Orbigny, var., Hantken, 1875; Amagy. kir. foldt. int. évkonyve, voi. IV (1876), pag. 74, tav. XII, fig. 5. Hantken, 1875; Mitth. Jahrb. k. ung. geol. Anst., voi. IV (1881), pag. 85, tav. XII, fig. 5, pag. 93, n. 211. De la Harpe, 1879; Bull. Soc. Vaud. Se. Nat., voi. XVI, n. 82, pag. 224 e 230. Sacco, 1889; Bull. Soc. Géol. France, ser. 3, voi. XVII (1888), pag. 218. NUMMULITI DI TERMINI-IME RESE 623 Nummulites Boucheri [pars] De la Harpe, 1879; Bull. Soc. Vaud. Se. Nat., ser. 2, voi. XVI, u. 82, pag. 430 e 431. De la Harpe, 1879; Bull. Soc. Borda, Dax, voi. IV, pag. 146, tav. I, fig. IV, n. 1-10. De la Harpe, 1883; Mém. Soc. Paléont. Suisse’, voi. X, pag. 179, tav. VII, fig. 33-50. Vutskits, 1883; Num- mulititekrnl Altaldban kiilònòs tekintettel Erdély Nummuli- tjeire, Kolozsvàr, pag. 60, tav. II, fig. 3 a-c. Uhlig, 1886 ; Jah rb. k. k. Geol. Reichsanst., voi. XXXVI, pag. 148 e 149, 153, 156, 157; 205, n. 41; pag. 206, fig. 12; tav. II, fig. 7, 8 e 10. [?] Rzehak, 1888; Ann. k. k. Naturhist.Hofmus.Wien, voi. Ili, pag. 268, n. 10. Sacco, 1888; Bull. Soc. Géol. France’, ser. 3, voi. XVII, pag. 226. Sacco, 1888, Bull. Soc. Belge’ Géol. Paléont. et Hydr., voi. II, pag. 274. Benoist, 1889; Bull. Se. Soc. Borda, Dax. [?] Rzehak, 1891, Ann. k. k. Naturhist. Hofmus., Wien, voi VI, pag. 4, n. 181, pag. 7 ; pag. 9, n. 26; pag. 10, n. 41; pag. 11, n. 7 e 10. [Pa?-s] Trabucco, 1894 ; Atti Soc. Tose. Se. Nat., Pisa, Mem., voi. XIII, pag. 191, 197 e 207. Sokolov, 1894; Mém. Comit. Géol. Russie, voi. IX, n. 3, pag. 7 e 84, tav. I, fig. 1 a-d. Von Hantken’ 1894; in Oppenheim: Nummuliten Venet. Tertiàrs, pag. 7. [Pars] Oppenheim, 1894; 7 oc. cit., pag. 8, 11, 14, 18 e 24 (non: pag. 7, 10, 19, 20, 22 e 23). Raulin, 1895; Bull. Soc. Géol. France, ser. 3, voi. XXIII, pag. 550. Jones, 1897; Monogr. Foram. Crag, pag. 367, n. 1, tav. II, fig. 51 e 52. Burrows ed Holland, 1897; in Jones: Monogr. Foram. Crag, pag. 392, n. 409. Van Den Broeck, 1898; Bull. Séances Soc. R. Malac. Belgique, voi. XXXIII, pag. xxxv, xliii e xlix. [7] Lòrenthey, 1898; Termés. raizi fiizetek, voi. XXI, pag. 9. [Pars] Oppenheim, 1899; Riv. It. Paléont. anno V, pag°62. [Pars] Oppenheim, 1901 ; Palaeontographica, voi. XLVII, pag. 39. Prever, 1902 ; in Chelussi : Atti Soc. It. Se. Nat.’, voi. XL, pag. 5 estr. Parona, 1904; Trattato di Geologia (1003-1904), pag. 591. Prever, 1904; in Parona: loc. cit., pag. 591 e 596. H. Douvillé, 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V, pag. 15. De Lapparent, 1906; Traité de Geo- logie, voi. III, pag. 1548 e 1563. H. Douvillé, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V (1905), pag. 658 e 659. H. Douvillé, 1906 ; ibid , ser. 4, voi. VI, pag. 20. Oppenheim, 1906 ; Zeitschr. Deutsch. geol. Gesellsch., voi. LVHI,pag. 157 e 158. Di Stefano, 1907; Rendic. R. Acc. Lincei, Cl. Se. fìs. mat. e nat., ser. 5, voi. XVI, seni. I °, pag. 267. Checchia-Ri- spoli, 1907 ; Giorn. Se. Nat. ed Econom., Palermo, voi. XXVII, pag. 14 estr., li. 17 ; pag. 22 estr., n. 15 ; pag. 26 estr. Prever,’ 1908; in Sacco: Mem. R. Acc. Se. Torino, ser. 2, voi. LIX (1907-1908), pag. 69. H. Douvillé, 1908; Bull. Soc. Géol. 624 A. SILVESTRI France, ser. 4, voi. VII (1907), pag. 466. Fabiani, 1908; Mem. Soc. It. Scienze (dei XL), ser. 3, voi. XV, pag. 67, 69, 70, 91 e 223. [y] Nummulites vario! ari a ? Sowerby. G. Seguenza, 1880; Mem. R. Acc. Lincei, Gl. Se. Fis. mat. e nat., ser. 3, voi. VI, pag. 45, n. 55. Nummulites variabilis Teliini, 1888; Boll. Soc. Geol. It., voi. VII, pag. 202, tav. Vili, fig. 7 a-c. Paronaea Boucheri De la Harpe. Prever, 1905, in Fabiani: Atti R. Ist. Veneto Se. Lett. ed Arti, voi. LXIV (1904-1905), parte 2a, pag. 1814 e 1825. Prever, 1905, Boll. Soc. Geol. IL, voi. XXIV, pag. 668, 669, 676, 676 e 678. Sacco, 1906: Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V. pag. 887, 888, 897. Prever, 1906; Atti R. Acc. Se. Torino, voi. XLI, pag. 10 estr. Pariseli, 1906; Mem. R. Acc. Se. Torino, ser. 2, voi. LVI (1905-1906), pag. 81, n. 19, tav. I, fig. 33, 34 e 35. Prever, 1906, in Sacco: Boll. Soc. Geol. It., voi. XXV, pag. 114. Prever, 1908; in Sacco: ibìd., voi. XXVI (1907), pag. 402. Nummulites efr. guettardi D’ Archine ed Haime. A. Silvestri, 1906; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LIX (1905-1906), pag. 43. Nummulites cfr. boucheri De la Harpe. Silvestri, 1906, Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LIX (1905-1906), pag. 159, fig. 1 c. Paronaea boucheri (De la Harpe). A. Silvestri, 1907; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LX (1906-1907), pag. 108 e 185. Paronaea A boucheri (De la Harpe). A. Silvestri, 1907 ; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LX (1906-1907), pag. 90 e 185. Nummulites (Paronaea) boucheri De la Harpe. M. Ciofalo, 1907 ; Posis. rocce a Lepidocicline territ. Termini- Imer ese (Palermo), pag. 5, 6 e 7. Nummulites vascus Joly e Leymerie. [Pars] R. Douvillé, 1908; Bull. Soc. Géol. France, sei-. 4, voi. Vili, pag. 88. [Pars] Boussac, 1908; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. Vili, pag. 251. Nummulites Boucheri De la Harpe, var. tenuispira De la Harpe, 1883; Mem. Soc. Paléont. Suisse, voi. X, tav. VII, fig. 51. Nummulites Boucheri De la Harpe, var. incrassata De la Harpe, 1883 ; Mém Soc. Paléont. Suisse, voi. X, tav. VII. fig. 52-59. Sacco, 1890; Boll. Soc. Geol. It., voi. VII! (1889), pag. 311, n. 643. Nummulites Boucheri De la Harpe, var. incrassata De la Harpe? Tel- iini, 1888; Boll. Soc. Geol. It., voi. VII, pag. 209. Paronaea Boucheri De la Harpe, var. variabilis (Teliini). Pariseli, 1906 ; Mem. R. Acc. Se. Torino, ser. 2, voi. LVI, G 905-1906), pag. 81, n. 20, tav. I, fig. 36, 37, 38, 39 e 40. Paronaea Boucheri De la Harpe, var. incrassata De la Harpe. Pariseli, 1906; Mem. R. Acc. Se. Torino, ser. 2, voi. LVI (1905-1906), pag. 82, n. 21, tav. I, fig. 41. NUMMULITI DI TERMINI-IME RESE 625 Plasmostraco grigiastro, di piccole (fig. 2) o piccolissime di- mensioni (fig. 3), lenticolare simmetrico ed un po’ rigonfio in mezzo (fig. 7), pei eccezione ondulato e contorto, qualche volta decisamente rilevato al centro in umbone biancheggiante (fig. 3) : margine acuto. Superficie incrostata ed anche logora, che però lascia di solito osservare i filetti settali piu o meno fitti e fles- suosi, i quali nel primo caso corrispondono nell’andamento a quelli della Paronaea vasca B (fig. 1), e nel secondo riuni- sconsi invece centralmente ad un nocciolo od umbone di sostanza del nicchio, ma compatta (fig. 2), qualche volta grande e sol- levato assieme alle parti circostanti (fig. 3). I filetti medesimi appariscono in debole rilievo sulle facce. Dimensioni: — ì 0,0 9 9 1,5 o 1,6 2 7 2,1 o 2,2 Spila abbastanza regolare nei cine piani (fig*. 6 e 7)? con passo che cresce lentamente a partire dalla loggia iniziale (fio- 6) • Camera centrale in via eccezionale circolare, ma per lo più inegolarmente oiale (fig. 6), il cui maggior diametro misura di solito da 220 a 270 u (0,22 a 0,27 mm.), e qualche volta perfino 320 sino a 350 p. (0,32 a 0,35 mm.); essa è divisa me- diante un tramezzo sottile dalla camera successiva a lama di falcetto, con la quale costituisce un apparato embrionale avente la forma d’un 8 (fig. 6 e 7). Lamina spirale stretta, di spessore costante (fig. 6), corri- spondente a quasi meta dell’altezza delle logge nel primo giro, a circa il quarto di essa nel quarto giro, fibrosa dovunque nel senso dello spessore, salvo che nella piega dorsale, dove pre- sentasi perforata nel passaggio degli pseudopodi (fig. 7). Setti : 13 ~ 7 arcuati nella prima parte, raddrizzan- tisi al piede, appena obliquo rispetto la tangente alla curva della lamina in quel punto, inclinati da 41 a 55° ('), mante- nendo lo stesso spessore in tutto il loro percorso. E questa la Nummulite più abbondante nel materiale esa- minato, dove gli esemplari maggiormente comuni sono di pic- ( ) Pel significato di « inclinazione » dei setti, vedasi la nota in calce a pag. 617. 43 626 A. SILVESTRI cola mole, e nella sua frequenza è facile riscontrare le varietà sopra indicate, ed altre ancora, di minor importanza. Le più comuni mi sembra possano, pei caratteri esterni, aggrupparsi così: a) forma tipica, dotata di filetti settali piuttosto fitti, poco flessuosi, e d’umbone centrale, come l’individuo della fig. 2; b) forma rigonfia prossima alla var. incrassata del De la Harpe, con filetti rari e poco flessuosi, umbone largo e promi- nente, come l’esemplare della fig. 3; c) forma un po’ depressa, dalle strie fitte e molto fles- suose, priva di umbone, somigliante alla var. tenuispira del De la Harpe, ed all’individuo di Paronaea vasca B rappresen- tato colla mia fig. 1; d) forme anomale, contorte e con avvolgimento spirale deformato. La prima forma predomina, ma separazioni nette tra di essa e le successive, e tra quest’ultime, non si possono stabilire, perchè insensibilmente si passa dall’una all’altra. In quanto ai carat- teri interni, ad eccezione fattane per le forme anomale, non ho notato differenze tali da permettermi distinzioni di varietà, ma soltanto di variazioni cui non credo dover dare molta im- portanza. Habitat: Rimettendomi per le generalità a quanto ho già significato nel trattare della Paronaea vasca B, a pag. 617, mi limito a ripeter qui che la specie P. vasca nelle sue due forme e salve alcune eccezioni, si è sempre finora ritenuta carat- teristica del sannoisiano e rupeliano; e le eccezioni in parte poi più non esistono, perchè di recente si è riconosciuto che sono state determinate da cattiva interpretazione dei fossili. Le restanti, per le quali ancora non si è proceduto a discussione o verifica, cosa diffìcile quest’ultima, se non si rintracciano i topotipi, sulle figure degli autori, non troppo esatte, e difficilis- sima poi qualora si volesse tener conto semplicemente di loro descrizioni o citazioni, sarebbero le forme dette: Ampìdstegina nwnnmlaria Reuss o Nummulina e Ntmmuliie germanica Bor- nemann, Nummulites plamilata D’Orbigny, secondo Hoffmann, Nummulites striata D’Orbigny, var., Hantken, Nummulites Boa- NTJMMULITI DI TERMINI-IMERESE 627 chari secondo Uhlig, Rzehak, e, in parte, Prever, attribuite dagli autori alla Nummulites boucheri De la Harpe, ossia alla Pa- ronaea vasca A, ed alcune di esse perfino dallo stesso De la Harpe; il quale però, non mancò d’accennare al sospetto po- tesse trattarsi di forme più antiche della Paronaea besanconi (Tournouer) delle sabbie di Fontainebleau presso Étampes (‘), che nel bacino di Parigi sostituisce la Paronaea vasca degli altri bacini trancesi, e poco se ne diversifica. In qualunque modo, per le eccezioni suddette la P. vasca A risulterebbe frequente nell'oligocene inferiore di Magdebourg e Westregeln, molto rara nell’oligocene superiore (argilla a Settaria) dello Herrenwieser Ziegelei presso Stettin, in Germania; rarissima nel « Kleinzeller Tegel » e comune invece negli strati a Clavulina szaboi dell’Un- gheria (Oten, Budakeszi, Sòlmàr, Tokod, Mogyoros, ecc.), nei quali ultimi trovasi in compagnia della Pellatispira maclaraszi, Paronaea budensis , 0 r thophragm ina dispansa, 0. pateìlaris, 0. te- nuicostata, 0. stella , 0. radians, ecc. Frequente apparirebbe poi nell oligocene inferiore dei Carpazi della Galizia occidentale (Wola luzanska, Cieldin, Kolylanka, Miehalczowa e Rajbrot) assieme a Paronaea semicostata , P. budensis, P. distans A, ed Orthophragminae ; ed assieme ad Ortoframmine, sarebbe molto rara nella marna sabbiosa degli strati inferiori e nella sabbia glauconitifera a Tubulostium spirulaeum , molto frequente nel- 1 « Orbitoidenìcall: », non rara negli strati a JBryozoa, e rara nella maina a JMeletta , di Bruderndorf nella bassa Austria; mentre si troverebbe anche negli strati ad Ortoframmina di Koberzitz, ed in saggi di trivellazioni nell’oligocene inferiore di Zborowitz in Moravia. E, finalmente, sarebbe comparsa assieme a Num- muliti più antiche ed Ortoframmine nei calcari della masseria Pasciuti, ed unitamente ad Ortoframmine e Lepidocicline (?) nei calcari della masseria Pio nella regione Macchialupo, nei din- torni di Lacedonia ; in compagnia poi del 1 ’ Ortophr agniina nwn- nmlitica, 0. multiplicata, 0. stella , Lepidocgclina ?, ecc. nel marmo rosso a ciottoletti bianchi di Genzano presso Bassa (Aquila), da attribuirsi forse all’oligocene inferiore. ( ) Les Nummulites du Comté de Nice, leur espèces et leur distribu- tion stratigraphique, et échelle des Nummulites. Bull. Soc. Vaudoise Se. Nat., ser. 2, voi. XVI, n. 82, 1879, pag. 226. G28 A. SILVESTRI La Paronaea vasca A è però indicata in modo che parrebbe sicuro : In Francia: negli strati a Paronaea vasca B, Bruguicria inter- media B ed A, Natica crassatina, ecc., di Lebaritz presso Gaas, e di Lourquen, nelle Landes; negli strati superiori arenacei, sannoi- siani e rupeliani, contenenti Paronaea vasca B. P. bollitici B ed A, Bruguieria intermedia B ed A. ece., della scogliera di Biarritz (Cbambre-d’ Amour, Lou-Cout, Port-des-Pecheurs. Rocher-de-la- Yierge, Port-Yieux, Pbare, Yilla Belza), e nelle sabbie a B. inter- media B ed A che accompagnano le puddinghe di Mousserolle presso Bayonne, nelle Basses-Pvrénées ; con la medesima compa- gnia ed in strati coetanei, alla Barthe de-Pouy, a Nousse, ecc., nelle Landes; poi nell’oligocene di Meilban, di Canon presso Bor- deaux (Landes), d’Entrevaux (Bassés-Alpes) ; negli strati a Pa- ronaea bouillei A, P. chavannesi, P. vasca B, e Bruguieria in- termedia B ed A, del Dévoluv, e di Allons ed Anuot nelle Basses-Alpes ; nella formazione a Natica crassatina , Paronaea vasca B , e Bruguieria intermedia B ed A, della Chalosse-de- Montfort; ed infine nelle arenarie calcaree di Mugrou, conte- nenti la Lepidocyclina cfr. dilatata B e sovrapposte ai calcari a Natica crassatina. Nel Belgio: nell’oligocene di Grimmertingen e di Merrepen (Limbourg) è molto rara, e comparisce anche come fossile di trasporto nel pliocene ( diestien ) ad Isocardia cor d’ Anversa. In Inghilterra: presentasi pure come fossile di trasporto, nel pliocene ( coralline crag ) di Sudbourne. In Svizzera: trovasi nei banchi calcarei sannoisiani di Yal d’Illiez (Dent-du-Midi), assieme a Paronaea bouillei B ed A, Bruguieria intermedia B ed A, ed Ortoframmine. Nella Transilvania : assieme alla Paronaea vasca B, P. bouil- lei B ed A, P. lochi , esiste negli strati superiori oligocenici del territorio di Klausenburg nei Siebenbiirgen. In Italia: comparisce di solito in compagnia della Paronaea vasca B, Bruguieria intermedia B ed A, Natica crassatina , ecc., a Bricco Sac (Brusasco), ed è comunissima al Monte Rivarossa di Garbagna, alla C. Croce, rara a Rio Freddo (Marmorito), comune a Giara (Varzi), Grognardo, Beiforte, Ponzone e Cas- sinelle (sotto i Bruzzi; nella regione Ciapin; ed alla Casa NUMMULITI DI TERMINI- IME RESE 629 Vali erano), comunissima a Carnaio e Voltaggio, in formazioni assegnate al sannoisiano inferiore, medio e medio-superiore ; ciò nell’alta Italia occidentale. Nella orientale la Paronaea vasca A risulta presente nell’oligocene del Vicentino, a Valle Oigana presso Possagno, assieme alla Bruguieria intermedia A; a Sangonini, nel tufo verde dalla fauna sannoisiana di cui fa parte la stessa Bruguieria, a Monte Grumi presso Castel Gom- berto, con la Paronaea vasca B e la Bruguieria intermedia B ed A , piesso la chiesa di Priabona, a Montecchio Maggiore ed a Malo, ed anche nei calcari bianchi, nelle marne e nei cal- cari marnosi con Briozoi del sannoisiano a Paronaea bouillei B ed A, P. vasca B , Bruguieria intermedia B ed A, ed Orto- frammine, del Monte della Pai di Nanto (100 m. a sud), del Monte Vagina di Grancona (Case Raccola), del Monte Bella Guarda (100 m. a NW dalla cima), d’Arcugnano e S. Got- tardo (presso la Villa Porto) nei Colli Berici, nonché nei simili materiali, ma a Pecten arcuatus, dei dintorni di Vicenza (fra la Rotonda ed i Nani di S. Bastiano ; e poco prima e poco dopo il Santuario del Monte Berieo); come pure nei calcari rupeliani a Paronaea bouillei B e P. vasca B, presso la cima del Monte Bernardo di Zovencedo, nei Colli Berici. Nel Vero- nese se ne fa menzione nei calcari grossolani marnosi e nelle marne sannoisiane a Paronaea vasca B, Orthophragmina , Scu- tella subrotundacformis , Euspatangus minutus, ecc., delle Acque Negre del Monte Baldo, di Monte Moscalli, e della Rocca di Gai da. Nell Italia centrale e meridionale, si ricorda nei calcari grigi sannoisiani, a Lepidocyclina dilatata, L. marginata A , Alveoima, Orthophragmina, ecc., delle Capanne ad est della città d’Arezzo ; nei calcari pure sannoisiani o rupeliani ad Ortho- phragmina e Lepidocyclina di Genzano presso Sassa, sannoi- siani o rupeliani a Lepidocyclina di Porcinaro vicino a Pizzoli, di Monte Pettino, di S. Vittorino presso Amiterno, della Rocca di Cambio, di Genzano, e del Vallone dei Pitrulli nei dintorni di Lacedonia, in provincia d’Aquila, spesso assieme a Paronaea vasca B, P. bouillei B ed A, P. bericensis B, P. budensis B ed A, ecc.; ed anche nei calcari giallo-brunicci, chiari, sannoi- siam a nord di Filetto nel comune di Camarda (Aquila), con Le- pidocyclina dilatata A, L. marginata B ed A, L. verbeeki A, ecc,: 630 A. SILVESTRI e nei calcari rosei, pure sannoisiani a P. vasca P, P. bouillei B, P. buclcnsis B ed A. Bepidocyclina sumatrensis B, L. margi- nata B ed A, L. mulini A, eec., posti tra il Rifugio del Gran Sasso d’Italia e l’estremità occidentale del Campo Impe- ratore nell’Aquilano. Sembra poi sia comune nel sannoisiano a Bruguieria intermedia B ed A , Bepidocyclina dilatata A e L. maginata A, d’Antonimina in Calabria ; mentre risulta sicu- ramente comune negli strati superiori, sauuoisiani, della forma- zione nummulitica di Termini-Imerese (Palermo), ed in parti- colare nel calcare grossolano delle alture della contrada Ognibene (Rocca), del lato ovest del Monte Corona e della regione Rosario, e nello sprone interposto fra il basso vallone Trepietre ed il vallone Cucca, in compagnia della Paronaea vasca B, Bruguieria intermedia B ed A, Bepidocyclina dilatata B ed A, L. mar- ginata B ed A, ecc. In Russia : la Paronaea vasca A, è citata nella sabbia glauconitica dell’oligocene inferiore, presso il ponte ferroviario di Iekaterinoslaw. Genere Bruguieria Prever ('). Nummulitès [ pars ] Lamarck, 1801; Syst. Anim. sans Vert., voi. IX, pag. 101, geu. 89. Montfort, 1808; Condì, syst., voi. I, pag. 135, gen. 39. Lamarck, 1822; Hist. Anim. sans Vert., voi. VII, pag. 618 e 627. Desliayes, 1831; Descr.Coq. caract. Terrains, pag. 248, gen. 43. Mantell, 1814 ; Medals of Crea- tion, voi. I, pag. 242. Pilla, 1847; Trattato di Geologia, parte la, pag. 460. Joly e Leymerie, 1848; Mém. Ac. Se. Toulouse, ser. 3, voi. IV, pag. 152 e seg. D’Archiac ed Haime, 1853; Descr. Anim. foss. groupe numm. Inde, pag. 56 e seg. Reuss, 1861; Sitzuugsb. k. Ak. V iss. V ien, math- naturw. Cl., voi. XLIV, pag. 390, n. 1. Stopparli, 1873; Corso di Geologia, voi. II. pag. 470. Schwager, 1877 ;pBoll. R. Comit. Geol. It, voi. XIII, pag. 19, n. 20. De la Harpe, 1880; Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. VII, pag. 29 e seg. Zittel, 1883 ; Traité de Paléont., trad. Barrois, voi. I, pag. 98. Brady, 1884; Report Challenger, Zool., voi. IX, pag. 76 e (’) Pei sinonimi di questo genere anteriori al 1801, mi rimetto a quelli già segnati nel genere Paronaea, essendo i medesimi (vedasi a pag. 609). NUMMULITI DI TERMINI-IME RESE 631 ^4^. fellini, 1888 j Boll. Soc. Geol. It., voi. VII, pag*. 175. Rhumbler, 1895; Nachr. k. Gesellsch. Wiss. Gòttingen, math.-phys. Ivi., anno 1895, pag. 95. Delage ed Hérouard, 1896; Traile de Zool. concrète, voi. I, pag. 150. Jones, 1897; in Jones, Parker e Brad y.Monogr. Foravi. Crag (1866-1897), pag. 365, gen. 3. Eimer e Fickert, 1899; Tubingen zool. Arbeiten, voi. Ili, pag. 631. Martelli, 1902; Palaeontogr. Italica, voi. Vili, pag, 53. Ckapman, 1902; The Foranii- nifera, pag. 67 e 241. H. Douvillé, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VI, pag. 597, n. 5. Canterina [pars] Bruguiére, 1792; Encycl. Méthod., Vers, voi. I, pag. 395, Hericart De Thury, 1809; Journ. départ. Oise, anno 8°, pag. 83. Pilla, 1847; Trattato di Geologia, parte 1, pag 460. H. Douvillé, 1902 ; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4., voi. II. Prever, 1902; Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. XXIX, pag, 11 e 13. Checchia-Rispoli, 1904; Boll. Soc. Geol. It., voi. XXIII, pag. 34. Discolpimi [pars] Fortis, 1802; Mém. Hist. Nat. Oryct. Italie, voi. II, pag. 98, 102 e 106. Numismale [pars] Delue, 1802; Journ. Physique, voi. LIV, pag. 179. Discolite [pars] Fortis, 1803; Opusc. scelti Se. Arti, voi. XXII, pag. 158. Discolite nummiforme [pars] Fortis, 1803; l. c, pag. 159. Monnaie de St. Pierre [pars] Sage, 1805; Journ. Phys., voi. LX, pag. 222. Pierres de Laon [pars] Sage, 1805; Z. e., pag. 222. Phacolìtes [pars] Sage, 1805; Z. c., pag. 222. Lycophris [pars] Montfort, 1808; Conch Syst., voi. I, pag. 159. Bronn, 1825; Syst. urwelt. Pflanzenthiere, pag. 29. Egeon [pars] Montfort, 1808; Conch. Syst., voi. I. pag. 167, gen. 42. Nummulina [pars] D’Orbigny, 1826; Ann. Se. Nat., voi. VII, pag. 295, gen. XXV. D’Orbigny, 1846; Foravi, foss. Vienne, pag. 113, gen. VI. Dujardin, 1846; Dict. Hist. Nat., voi. Vili, pag. 681. D Archiac, 1818; Mém. Soc. Géol. France, ser. 2, voi. Ili, mem. 6a, pag. 414. Carpenter, 1850; Quart. Journ. Geol. Soc., voi. VI, pag. 22 e seg. Carpenter, 1862; The Micro- scope, ediz. 3 , pag. 524. Carpenter, 1862; Introd. Foravi., pag. 262, gen. III. Brady, 1876; Monogr. carh. and pervi. Foravi., pag. 147. Zittel, 1883; Traiti de Paléont., trad. Barrois, voi. I, pag. 99. Bruguieria Prever, 1902; Mèra. Soc. Paléont. Suisse, voi. XXIX, pag. 11 e 13. Prever, 1903; in Chelussi: Atti Soc. It. Se. Nat., Mi- lano, voi. XLII, pag. 74, in nota. Parisch, 1906; Mem. R. Acc. Se. Torino, ser. 2, voi. LVI, pag. 87. Hanthenia Prever. [Pars] Martelli, 1903; Rendic. R. Acc. Lincei, Cl.sc. fis. mat. e nat., ser. 5, voi. VII, sera. 2°, pag. 168. 632 A. SILVESTRI Bruguierea (*) Prever, 1905; in Fabiani; Atti R. Ist. Veneto Se. Lett. ed Arti, anno 1904-1905, voi. LXIV. parte 2a, pag. 1815. Prever, 1906; Atti R. Acc. Se. Torino, voi. XLI, pag. 10 estr. Prever, 1907 ; Boll. R. Comit. Geol. It., anno 1907, n. 2, pag. 2 estr. Prever, 1907; Boll. Soc. Geol. It., voi. XXVI, pag. olii. Fabiani, 1908; Mera. Soc. It. Scienze (dei XL), ser. 3, voi. XV, pag. 78. Bruguieria intermedia (D’Archiac). 1. Bmguieria intermedia B. (. Bruguieria intermedia (D’Archiac) ). (Tav. XXI, fig. 8, 10, 11 e 12). Nummulites intermedia D'Archiac, 1846; Mém. Soc. Géol. France, ser. 2, voi. II, pag. 199. D’Archiac, 1850; Jfist. progres Geologie, voi III, pag. 237. D’Archiac ed Haime, 18c3; Descr. Anim. foss. groupe nuvun. Inde, pag. 99, tav. Ili, fig. 3, 3 a-d, 4, 4a-g. Michelotti, 1861; Natuurk. Verhandl. Holland. Maatsch. Wetenseh. Haarlem, ser. 2, voi. XV, pag. 20, tav. I, fig. 5-7. Sismonda, 1871 ; Mém. Ac. R. Se. Turin, ser. 2, voi. XXV, pag. 271, n. 9. Hofmann, 1871; Mitth. Jahrb. k. ung. geol. Anst., voi. I. Hofmann, 18.72 ; Magyar kir. foldt. int. évkdnyve, voi. I. [?] Stoppani, 1872; in litteris {*), fide Sacco (1906; Bull. Soc. Geol. It., voi. XXV, pag. 114 (3). D’Archiac, 1879; in De la Harpe: Bull. Soc. Géol. France, ser. 3, voi. V. (*) Non capisco la ragione di questo cambiamento d’ortografia per parte del Prever: da Bruguière il genitivo alla latina é Bruguieri da cui il nome generico Bruguieria. [2) Lettera diretta dallo Stoppani al Mici, da cui aveva avuto in istudio dei fossili, il 17 maggio 1872. (3) Questa forma l’ho segnata tanto per memoria, e non ne tengo conto negli habitat della Bruguieria intermedia B. Essa fu determinata dallo Stoppani su materiali speditigli dal prof. Mici d’Urbino, e prove- nienti dalle vicinanze immediate della città nominata, assieme a « Num- mulites planulata, N. Molli, e N. variolaria ». Tra la suddetta e queste v’è evidente contradizione, per cui ritengo che, senza far torto all’au- torità dello Stoppani, il quale del resto diede le sue determinazioni come provvisorie, o la prima o le ultime, o tutte quante, non siano esatte. 11 curioso si é che la verifica si è resa impossibile, perché i tipi avuti dallo Stoppani sono irreperibili, e Nummuliti presso Urbino non se ne trovano più (v. Chelussi : Note di Geologia Marchigiana; Atti Soc. It. Se. Nat., Mi- NUMMULITI DI TERMINI-IME RE SE 633 pag. 818. De la Harpe, 1879, Bull. Soc. Vaudoise Se. Nat., voi. XVI, n. 82, pag. 224 e 225, 231, 239. De la Harpe, 18^9; Bull. Soc. Borda, Dax, pag. 149, tav. I, fig. V: 1-7. G. Seguenza, 1880, Meni. B. Acc. Lincei, Cl. se. fis. mat. e nat., ser. 3, voi. VI, pag. 45, n. 53. Nicolis, 1883; Boll. Soc. Geol. It., voi. II, pag. 173 e 175. Zittel, 1883; Traité de Paléont, trad. Barrois, voi. I, pag. 101. Uhlig, 1886; Jahrb. k. k. Geol. Reichsanst, voi. XXXVI, pag. 156. Tel- iini, 1888; Boll. Soc. Geol. It., voi. VII, pag. 217, tav. Vili, fig. 16. Sacco, 1888; Bull. Soc. Géol. France, ser. 3, voi. XVII, pag. 218 e 226. Sacco, 1888; Bull. Soc. Belge Géol. Paléont. et Hydr., voi. II, pag. 274, 277, 279 e 281. Sacco, 1889; Bull. Soc. Belge Géol. Paléont. et Hydr., voi. Ili, pag. 18. Benoist, 1889; Bull. Se. Soc. Borda, Dax. Sacco, 1890; Boll. Soe. Geol. It., voi. Vili 11889), pag. 310, n. 648. Sacco, 1891 ; ibid.j voi. X, pag. 885. Koksis, 1891 ; Foldtani Kòzl., voi. XXI, pag. 99. Pantanelli, 1893; Atti Soc. Naturalisti Modena, ser. 3, voi. XII, pag. 84. Reyt, 1894; C. R. Ac. Sciences, Paris, voi. CXIX, pag. 1021. Oppenheim, 1894; Numm. Venet. Tertidrs, pag. 14 e 18. Raulin, 1895; Bull. Soc. Géol. France, ser. 3, voi. XXIII, pag. 550. Fallot e Reyt, 1895; Notice relat. Carte géol. env. bordeaux. Koch, 1896; Neues Jahrb , voi. I, pag. 113. Issel, 1897 ; Compendio di Geologia, parte 2a, pag. 435-447, 450, fig. 469: 2. Parona, 1904; Trattato di Geologia (1903-1904), pag. 591, 596, 597 e 600. A. Silvestri, 1905; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LIX (1905-1906), pag. 40. Sacco, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V, lano, voi. XLIV, 1906, pag. 296); anch’io ne ho fatto ricerca in due volte che mi son recato quasi apposta per questo in Urbino, e specialmente al « Giro dei debitori », dove dal Mici fu accennata resistenza della « Num - mulites planulata » che avrebbe avuto il diametro di 2 a 3 ram. (7 ter- reni dell’Urbinate (Discorso inaugurale); Urbino, Tip. del Metauro, 1873). e l’ultima volta fui anche gentilmente aiutato dal collega A. Mainardi, ma inutilmente! Posso ingannarmi, però a me pare che il bisciaro d’Ur- bino, da cui sarebbero state tratte le famose Nummuliti, sia una forma di trubo, e spetti al miocene di mare profondo, ossia al langhiano. Non ne escludo però l’attribuzione all’oligocene rupeliano, se quelle Num- muliti furono veramente trovate in situ, perché in tal caso io suppongo fossero specie oligoceniche. D’altronde e prescindendo dall 'habitat bato- metrico, é spesso nel carattere delle Nummuliti di tale età, nell’Appennino, di trovarsi scarse ed accantonate, e ricordo poi che col nomedi Num- mulites planulata qualche autore ha anche voluto intendere la Paronaea vasca A, ed altrettanto posso ripetere per la Nummulites variolaria (si veda alla sinonimia della Paronaea vasca A, pag. 622). 634 A. SILVESTRI pag. 899. Fabiani, 1908; Mera. Soc. It. Scienze (dei XL), ser. 3, voi. XV, pag. 65, 69, 74, 80 e 221. Nummulina intermedia D’Archiac, 1848; Mém. Soc. Géol. France, ser. 2, voi. Ili, pag. 416, tav. IX, fig. 23 a, b e 24 a. Giimbel, 1878; Zeitsch. Deutsch. Oesterr. Alpenvereins, pag. 138, fig. 48: 4. Nummulites Garansiana [pars: «adulte»] Joly e Leymerie, 1848; Mém. Ac. Se. Toulouse. ser. 3, voi. IV, pag. 171 e 186, tav. I, fig. 12 (non fig. 9, 10 e 11); tav. II, fig. 8. Nummulites placentula Deshayes = N. intermedia D’Archiac. [Pars] Murchison, 1850; Meni. sulla strutt. geol. Alpi, A pennini e Carpasi, ecc., trad. di Savi e Meneghini, pag. 61, n. 6; pag. 255. Nummulites garansensis Joly e Leymerie. [/'ars] D'Archiac ed Haime, 1853; Descript. Anim. foss. numm. Inde, pag. 101, fav. Ili, fig. 6 e 6 a (non 7, 7 a-g). Nummulites sublaevigata D’Archiac ed Haime, 1853; Descript. Anim, foss. numm. Inde, pag. 106, tav. IV, fig. 8, 8 a. b. D’Archiac ed Haime, 1854; ibid., pag. 180. Medlicott e Blanford, 1879; Geol. India, pag. 460, tav. XV, fig. 11. Carter, 1889; Ann. and Mag. Nat. Hist., ser. 6, voi. III, pag. 211. Chapman, 1902; The Foraminifera, pag. 274. Parona, 1904; Trattato di Geologia (1903-1904), pag. 587. H. Douvillé, 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V, pag. 452. Nummulites sub-brongniarti Verbeek, 1874; Neues Jahrbuch, pag. 6, tav. I, fig. 2 a, b- tav. II, fig. 1 a-r. Verbeek, 1874; Jaarh. Mijn. Ned. Oost-Iud., voi. II, pag. 152, tav. Il, fig. 10-27. Von Fritsch, 1878; Palaeontographica, Suppl. Ili, fase. 1°, pag. 141, tav. XVIII, fig. 18. H. Douvillé, 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi V, pag. 439, 442 e 443. Nummulites intermedia D’Archiac. Giimbel, 1878; Zeitschr. Deutsch. Oesterr. Alpenvereins, pag. 138, fig. 48: 4. Nummulites intermedius D’Archiac. Zitte], 1883; Tratte de Paléont., trad. Barrois, voi. I, parte la, pag. 100. Lòrenthey, 1898; Termés. raizi fuzetek, voi. XXI, pag. 9. H. Douvillé. 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V, pag. 15, 16, 27, 29, 40, 45, 49 e 444. R. Douvillé e Prever, 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V, pag. 861 e 862. Vredenburg, 1906: Records Geol. Survey India, voi. XXXIV, parte 2a, pag. 90, 94 e 94. H. Douvillé, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi, VI, pag. 23, 28, 32, 33, 36 e 51. [Pars] Boussac, 1906; Compt. Rend. Ac. Sciences Paris, pag. 1 e 2 estr. Boussac, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VI, pag. 98, tav. Ili, fig. 25. De Lapparent, 1906; Traité de Geologie, ediz. 5a, voi. Ili, pag. 1548, 1555, 1565, 1566, 1567 e 1568. Sacco, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V, pag. 883 e NUMMULITI DI TERMINI-IMERESE 635 869. Oppenheim, 1906; Zeitschr. Deutsch. geol. Gesellsch., voi. LVIII, pag. 157, 158, 162, 175 e 178. H. Douvillé, 1907; Bull. Soc. Géol. Franee, ser. 4, voi. VI (1906), pag. 500. Vredenburg, 1907; Records Geol. Survey India, voi. XXXV, parte 1", pag. 63, 64, 66 e 67. Vredenburg, 1907; A Smn- mary Geol. India, pag. 59. H. Douvillé, 1908; Bull. Soc. Géol. Franee, ser. 4, voi. VII (1907), pag. 466, 467, 468, 476. [Pars] R. Douvillé, 1908; ibid., ser. 4% voi. Vili, pag. 88, 89 e 94. R. Douvillé, 1908; ibid.. ser. 4a, voi. Vili, pag. 90. [Pars] Boussac, 1908; ibid , ser. 4, voi. Vili, pag. 251 e 253. Nummulites intermedia Sowerby. De Stefani, 1887; Boll. Soc. Geol. lt., voi. VI, pag. 249 e 259. Nummulites intermedia D’Archiac, var. bormiensis Teliini, 1888; Boll. Soc. Geol. lt., voi. VII, pag, 219, tav. Vili, tig. 14 a-b, 15 e 17. Sacco, 1890; ibid., voi. Vili (1889), pag. 310, n. 649. Bruguieria intermedia (D’Archiac). Prever, 1903; Boll. Soc. Geol. It, , voi. XXII, pag. 472 e 481. Parisch, 1906; Meni. R. Acc. Se. Torino, ser. 2, voi. LVI, pag. 88, n. 35. A. Silvestri, 1907; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LX (1906-1907), pag. 108 e 184. Bruguierea intermedia (D’Archiac). Prever, 1905; in Fabiani: Atti R. Ist. Veneto Se. Lett. ed Arti, anno 1904-1905, voi. LXIV, parte 2% pag. 1814 e 1824. Prever, 1906; Atti R. Acc. Se. Torino, voi. XLI, pag. 10 estr. Prever, 1907 ; Boll. Soc. Geol. It., voi. XXVI, pag. olii. Bruguieria intermedia (D’Archiac), var. bormiensis Teliini. Parisch, 1906; Mem. R. Acc. Se. Torino, ser. 2, voi. LVI, pag. 88, n. 36, tav. II, lig. 24-25. Bruguieria B intermedia (D’Archiac). Silvestri, 1907; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LX (1906-1907), pag. 90. Nummulites (Bruguieria) intermedia D’Archiac. M. Ciofalo, 1907; Posiz. rocce a Lepidocicline territ. Termini-Imerese (Palermo), pag. 7. Nummulites intermedius var. bormidiensis Telimi. R. Douvillé, 1908; Bull. Soc. Géol. Franee, ser. 4", voi. Vili, pag. 90. Plasmostraco di color grigiastro, di medie dimensioni (fig. 8), dotato di forma lenticolare, mediocremente convessa, un po’ dissimmetrica, dal margine acuto il cui limite è molto arro- tondato (fig. 12); superficie abbastanza logora, qua e là incro- stata, presentante sulle due facce una fitta reticolatura vermi- colata, prodotta dai filetti settali ramificati, fittamente anasto- 636 A. SILVESTRI mosati e meandriformi, in leggiero rilievo, pel quale esse appariscono come se fossero corrugate (fig. 8). Dimensioni : 8 9 ? 5 9,2 9,5 , — — e — 1 — . 2,5 o 2,8 ' 8 ' 3 7 8 4 Spira regolare nei primi giri, quindi sempre più irregolare nei successivi, ma più nel piano equatoriale clic nel meridiano (cfr. le tig. Ile 12); il passo della quale cresce lentamente col raggio (fig. 11). Giri: 4 6 8 10 1 7 2 7 8 4 Lamina spirale di spessore crescente con rapidità nei primi giri, dopo dei quali si mantiene pressocchè costante (fig. 11 e 12), ma assume un andamento ondulato irregolarissimo; tale spessore, che dapprima corrisponde a circa metà dell’altezza delle logge, diventa poi quasi eguale a questa. La lamina in discorso apparisce totalmente fibrosa (fig. 11) nel senso dei raggi, nella sezione equatoriale; presentasi in zone alternati- vamente fibrose, nel senso dello spessore, e compatte, nella sezione meridiana (fig. 12), e nettamente perforata nella sua piega dorsale (fig. 12). Le zone compatte si sollevano un poco sulla parete più esterna degli strati interni della lamina spi- rale, quasi a sostegno degli strati successivi ('). Setti: e —, rettilinei nei primi giri, spesso arcuati, flessuosi od irregolari negli ultimi (fig. 11); inclinati da 82 a 86°, eccezionalmente di 52° e perfino a 34° ; un po’ allargati alla base (fig. 11) (2). Rara (3). La forma così illustrata è molto più rigonfia del tipo del D’Archiac, qual fu figurato dall’autore nel 1848 ( ìoc . cit. nella (!) È con tutta probabilità la fusione di queste zone compatte che nella Braguieria fabianii B ed A (vedasi a pag. 637) dà origine ai pilastri interni. (2) Pel significato speciale di « inclinazione » in questo caso, si veda la nota in calce a pag. 617. (3) La scarsezza di questa forma non ne diminuisce il valore di fossile caratteristico ; e difatti il Teliini aveva già osservato in altri luoghi come, quando la sua compagna (. Bruguieria intermedia A) è fre- quente, caso attuale, essa invece sia poco comune, non solo, ma fi- Danco che talune volte esse non si trovino neanche insieme nello stesso strato (Le Nummulitidce terziarie dell’Alta Italia occidentale, Boll. Soc. Geol. lt,, voi. VII, 1888, pag. 219). NTJMMULITI DI TERMINI-IME RE SE G37 sinonimia, a Nummulites intermedia)', nè corrisponde a quella di Grog-nardo in Piemonte, di cui, sotto il nome di Nummu- lites intermedia , il Michelotti scrisse : « se reconnaìt à une coquille très-mince, dont les surfaces, parfaitement planes dans la jenne àge, se garnissent plus tard d’un limbe bien prononcé » (*). Si approssima piuttosto alla microsferica della specie designata da Joly e Leymerie con la denominazione di Nummulites ga- ransiana (v. la sinonimia), ed oggi riunita alla Bruguieria intermedia ; e anche abbastanza all’altra di cui nelle fig. 4, 4«-i/, tav. Ili, di D’Archiac ed Haime, detta Nummulites in- termedia (1853; v. syn.), alla quale ultima poi, salvo il mag- gior spessore della lamina spirale; si rassomiglia pur molto nelle due sezioni delle fig. 4 b e 4 c, nonché nel reticolo su- perficiale indicato nella fig. 4 g. Non credo però valga la pena di distinguerla in varietà a sé, e ciò vie maggiormente in quanto che gli stessi D’Archiac ed Haime ebbero a notare la tendenza a facili variazioni nella Nummulites intermedia del primo di questi autori (2). Mancando affatto la forma in trattazione di granuli alla superficie delle facce, i quali sono invece numerosi e ben visi- bili in quelle della Bruguieria fabianii B, Prever, o B. fa- biani (3) strictu sensu, cui si rassomiglia, e conseguentemente (') Etudes sur le miocène inférieur de V Italie settentrionale. Natuurk. Verhand. Holland. Maatsch. Vetenscli. Haarlem, ser. 2, voi. XV, 1861, pag. 20. ( ) Desa iption des -Avà.wjxux fosstles du groupe nummuli tigne de l'Inde , ecc., Paris 1853, pag. 32, (*) Ison ho conoscenza diretta della « Bruguieria Fabianii Prever», che figura per la prima volta nella nota preventiva del Fabiani dal titolo Studio geo -paleontologico dei Colli Berici (Atti R. Ist. Veneto Se. Lett. ed Arti, voi LX1V, 1905, pag. 1824), ma per la bella illustra- zione pubblicatane dal Boussac nel 1906 (nella nota: Iléveloppement et Morphologie de quelques Foraminifères de Priabona ; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VII, pag. 88 e seg., tav. I e seg.), ed in partico- la i e pei 1 indicazione data da questi, di notarsi in essa « la présence de granu les trés nombreux et trés visibles » (loc. cit , pag. 90), confer- mata dal Fabiani, il quale in abbondanza la raccolse nel Vicentino e la sottopose all’esame del Prever ( Paleontologia dei Colli Berici ; Meni. Soc. It. Scienze (dei XL), ser. 3, voi. XV, 1908, pag. 80), a me pare 638 A. SILVESTRI dei pilastri che li originano, come attestano le mie fìg. 8, 10 e 12, tav. XXI ne risulta in pratica facile la distinzione dall ul- tima forma nominata. Ciò però nella fattispecie, non essendo in massima sempre agevole il distinguerle, perchè, essendo la B. intermedia B il risultato d’una evoluzione regressiva della B. fabianii A, caratterizzata in particolare dalla perdita dei pilastri e delle granulazioni che ne sono la rappresentazione esterna, si possono riscontrare tutti i passaggi dal runa all altra (v. ante , a pag. 603). Ed in tale involuzione poi, non essendosi modificati i caratteri della lamina spirale e dei setti, almeno in modo evidente, rimanendo così costante la sezione equa- toriale, quando gli autori fondavano la loro diagnosi esclu- sivamente su questa, loro accadeva, come p. es. e financo a nummulitologi come il De la Harpe, 1 Hantken, l’Oppen- heim, ecc., di prender per « Nummulites intermedia », cioè per Bruguieria intermedia B, anche la B. fabianii: col quale scambio la B. intermedia B veniva a comparire pure tra le specie dell’eocene superiore. Ma eliminata questa causa d errore, essa risulta, almeno nell’attualità, ed assieme alla sua forma A: specie propria e caratteristica dell'oligocene, ed in particolare dell’oligocene superiore per me, inferiore per altri autori, san- noisiano. Seguendo in questo l’illustre nummulitologo francese H. Dou- villé, considero pure tra le forme della Bruguieria intermedia B, l’indiana B. sublaevigata (D’Àrchiac) e la borneese sua simile, B. subbrogniarti (Verbeek), probabilmente varietà o semplici sia, secondo la classificazione delle Nummuliti pur dovuta allo stesso Prever ( Nummuliti della Forca di Fresia nell’ Appennino centrale e dei dintorni di Potenza nell' Appennino meridionale; Mém. Soc. Paléont. Suisse, voi. XXIX, 1902, pag. 3-13), da collocarsi tra le Lahar peia, delle quali presenta i connotati fondamentali di: Conchiglia dotata di strie flessuose con numerose diramazioni, che, anastomosandosi fra loro e con le strie, originano un reticolo più o meno complesso, e provve- duta pure di granulazioni. La Bruguieria fabianii tipica dir si dovrebbe dunque a mio avviso: Laharpeia fabianii; partito questo che però non ardisco per oi*a adottare, avendo contro l’opinione del Prever, cui mi sono rivolto in proposito. NUMMULITI DI TEHMINI-IMERESE 639 variazioni locali della specie, la prima delle quali può persino raggiungere il diametro eccezionale di più di 30 nini. (J). Tra gli habitat principali della Bruguieria intermedia B, posso ricordare i seguenti: In Francia: è stata rinvenuta assieme alla Paronaea vasca B ed A, P. bouillei B ed A, Bruguieria intermedia A, negli strati superiori arenacei, sannoisiani e rupeliani della scogliera e del porto di Biarritz (dalla Chambre-d’Amour fino al Port- Vieux, all’Anse-du-Phare, alla Villa Belza, e al disopra del- l’Atalaye), come pure nei calcari e nelle marne- a Natica crassatina, spesso alla loro base, a Bayonne, alla Fontaiue- de-la-Medaille, nelle vicinanze di Gamarde, nell’Herté, nel co- mune di Louhers, a Gaas e Garans, al Moulin-de-la-Pelette, a Cassen ed a Mugron. Ed anche, nei « faluns bleus » con marne e calcari a Natica crassatina, N. angustata , Cerithium charpen- tieri, Turbo parlcinsoni, Paronaea vasca B, Bruguieria interme- dia A, di Gaas, Garans e Lesperon presso Dax; nel calcare ad Asterie della Chalosse-de-Montfort, con Bruguieria intermedia A ; nell aienaria micacea contenente pure la medesima Bruguieria , die riposa sul calcare bianco a Turbo parlcinsoni, di Roque- fort (Landes); nell’assisa di calcari e marne, anche questa a Turbo parlcinsoni , Natica crassatina e Bruguieria intermedia A, di Saint-Sever nell’Aquitania; negli strati a Cardita basini, Natica crassatina, Euspatangus ornatus, Paronaea vasca B e Bruguieria intermedia A, di Lourquen, Lahosse, Tuc-de-Saumon e Préchacq, nella regione dell’Adour. Poi nel sannoisiano di Chateau-Vigneau (comune di Bommes), della Terre-nègre presso Bordeaux, di Castellane, Barrème e Brancliai nelle Basses-Alpes, di Roquestéron nella Contea di Nizza (Alpes-Maritimes) ; nel calcare ad Asterie e Bruguieria intermedia A del Bordelese ; negli strati con Paronaea bouillei A, P. cliavannesi A, P. vasca B ed A, e Bruguieria intermedia A, di Allons ed Annot nelle Basses-Alpes, e del Dcvoluy. Ed infine, nelle arenarie calcaree a Lepidocyclina cfr. dilatata, Paronaea vasca B ed A, e Bru- (') Debbo alla gentilezza del sig. E. Vredenburg, della «Geolo- gical Survey of-hidia», la piena conoscenza di questa forma, acquistata su esemplari da lui favoritimi. 640 A. SILVESTRI guieria intermedia A, sovrapposti ai calcari a Natica crassatina di Mugron. In Spagna: la forma in discorso è citata nel sannoisiano dei dintorni di Santander. In Svizzera: nell’oligocene di Les-Essets (Ànzeindaz). In Baviera: nell’oligocene di Sonthofen. In Italia: è comune con la sua forma megalosferica, negli strati sannoisiani di Ventinrglia, Sassello, Monte Cannello, Ca- dibona e Toleto, nell’Àppennino Ligure, di Acqui e di tutta la vallata del Bormida, ed esiste pure nel sannoisiano di Costa Battaina presso Gassino, e delia Collina di Superga, presso Torino. In generale, assieme alla forma suddetta, a Natica cras- satina e Scutelle, caratterizza le arenarie superiori sannoisiane, ma prive di Lepidocicliue, della Liguria e del Piemonte (’), presentandosi: rara a S. Giustina, Molere, nelle Colline a ovest di Pietrabissara, e presso il Rio di Pietrabissara ; comune a Galletto, Mongiardino (Beiforte), Mornese, Beiforte (Bric Co- chera), Lerma, Cassinelle (Bric del Ratto a S del paese; sotto S. Defendente; sotto i Bruzzi; Casa Vallerano e Regione Ciapin); comunissima a Carcare, Costalupara (Dego), Piana Crixia, Dego, dintorni di Dego, Villa del Piano (Dego), Gro- gnardo, Ponzone, Vallone Verazza tra Grognardo e Ponzone, Poggio di Grognardo, Cassinelle, presso Cassinelle tra Bassano e C. Vallerano, Costa (Ovaia), R. Freddo, Carrosio, R. Rigo- roso (Carrosio), F. Lemno (tra Carrosio e Voltaggio), e Marmo- rito (nella formazione conglomeratica oligocenica sovrapposta alla simile bartoniana). Rinviensi pure negli strati con Lepido- cicline compresi fra il rupeliano e l’aquitaniano, di Manerba sul Lago di Garda, nei ciottoli silicei oligocenici dell’Appen- nino Bolognese, nel calcare grigiastro sannoisiano a Lepidocy- clina marginata li ed I A, L. dilatata A e Miogypsina irre- gularis A, di Sestola nell’Appennino Modenese, dove risulta discretamente rara ; nel sannoisiano a Paronaea vasca B ed (') Il Fuchs ritenne però sporadiche in detta formazione tanto la Bruguieria intermedia B, quanto la A (Studiai uber die Gliederung der jiingeren Tertiàrbildungen Ober-ltaliens; Sitzungsb. k. Ak. Wiss. VYien, voi. LXXV, 1878); opinione non più accolta dagli autori moderni. NUMMUL1TI DI TERMINI- IME RESE 641 A e Bruguieria intermedia A, di Monte Grumi presso Castel Gomberto, ed anche nei calcari marnosi e nelle marne san- noisiane a Pecten arcuatus e numerose Paronaca vasca P ed A, P. bouiììei II ed A, Bruguieria intermedia A, dei din- torni di Vicenza, ossia fra la Rotonda ed i Nani di S. Ba- stiano, a Lumignano, al Santuario del Monte Berico ed al Monte Bella Guarda; nei calcari e calcari marnosi sannoisiani a Bru- guieria intermedia A, di S. Gottardo (presso la Villa Porto) e della Rocca di Ziesa (a nord): nei Colli Berici (Vicentino). In compagnia della Bruguieria predetta esiste eziandio nella lu- machella oligocenica intercalata nelle marne bruno-giallastre a Briozoi delle Acque Negre del Monte Baldo e del Monte Mo- scalli, nel Veronese, nonché nei calcari ad arenarie sannoisiane a Pecten arcuatus e Bruguieria intermedia A delle colline di Verona, del Monte Baldo e della Rocca di Garda. È poi co- munissima nel sannoisiano tra il Monte S. Jejunio e gli alti- piani della Melia, in provincia di Reggio-Calabria, con Bru- guieria intermedia A, Lepidocyclina dilatata A% e L. margi- nata A ; rara nel calcare arenaceo o terroso a Lepidocicline, Paronaea vasca B ed A, Bruguieria intermedia A, ecc., della Collina della Madonna della Catena presso Termini-Imerese (Palermo). In Ungheria: la forma in discorso è stata segnalata negli strati superiori, oligocenici, a Paronaea vasca B ed A, P. bouiììei B e P. hoclii del territorio di Klausenburg nella Transilvania, e di Kis-Svabkegy presso Ofen; quindi negli strati a Natica crassatina, Cerithium troclilcarc, e Bruguieria intermedia A , di Hoja nella Montagna di Klausenburg; e, con la medesima Bruguieria , nel sannoisiano di Kis-Gyòr nella contea di Borsod. Risulterebbe indicata pure nel calcare oligocenico dell’ « unterer Orbitoidenhorisont » di Ofen, assieme ad Ortoframmine ed alla Bruguieria intermedia A, ma su ciò v;è da fare qualche ri- serva (1). Nella Rumelia: la contiene il calcare marnoso oligocenico dei dintorni d’Enren presso Erikli. (') Non é improbabile si tratti invece della Bruguieria fabianii B; mi è mancato il mezzo d’assicurarmene. 44 642 A. SILVESTRI Nella Bulgaria : è stata rintracciata nel sannoisiano della regione di Haskovo. Nel Mar Nero: si è trovata in formazioni oligoceniche della catena costiera. In Asia: la contiene il calcare a Natica crassatina e Cc- ritliium charpentieri , posto in prossimità d'Lrivan in Armenia; esiste pure nei terreni oligocenici delle vicinanze d’Ainzarka (Alto Libano), di attorno il Kebau-Maden, del centro del Taurus, e del passo di Demasvend a NW di Teheran (Persia); ed è una delle specie più diffuse ed abbondanti nei calcari marnosi giallastri rupeliani della catena d’Hala nel Sind, e nel « Loicer Nari » (parte del « Nari Group » corrispondente al rupeliano) del Sind. di frequente in compagnia della Lepidocyclina dilatata B. Comparisce poi negli strati senza Lepidocicline o con Lepidocyclina dilatata B di Pegu, negli strati inferiori con Lepidocicline di Nari (« Lower Nari »), nel calcare duro a Paronaea cfr. vasca B (') di Mula-Pass (Indie Orientali), ed è, infine, abbondante nel « Lower Nari » della yallata di Shirinab al N di Kelat (Indie Orientali). Nel Borneo: si è rinvenuta negli strati tra il rupeliano e Paquitaniano del distretto di Kiamkiva (regione a SE dell’i- sola) ; nelle rocce arenacee sannoisiane della foce della riviera Djaing; nel rupeliano con grosse Lepidocicline senza pilastri (. Lepidocyclina cfr. dilatata ) , presso Eantau-Budjur (riviera Tapin), sul versante NE del Monte Talikor, e ad ovest del vil- laggio di Wajau, sulla strada di Raan. Nell’America settentrionale: esiste ed è contenuta in quegli strati della Florida, che son situati fra il rupeliano e Paquita- niano. (') Detta dal Vredenburg Nummulites contortasi (Nuininulitcs J)ou- villei, an undescribed Sjoecies from Kach with Remarli a on thè Zona 1 Di- stribution of Indìan Nummulites; Records Geol. Survey India, voi. XXXIV, 1906, parte 2, pag. 90), e così definita: «a striated forni, larger and more convex than N. vascus and with thè septa more numerous» [ibidem). NUMMULITI DI TERMINI -IME RE SE 643 2. Bruguieria intermedia A. (. Bruguieria fiditeli (Michelotti) ). (Tav. XXI, fig. 9, 13, 14, 15 e 16). Nummulites Fiditeli Michelotti, 1841; Mem. Mat. e Fis. Soc. It. Se. Mo- dena, voi. XXII, Mem. Fisica, pag. 296, n. 2. Joly e Ley- merie, 1848; Mém. Ac. Se. Toulouse, ser. 3, voi. IV, pag. 179. Savi e Meneghini, 1850; in Murchison: Mem. sulla strut- tura geol. Alpi, Apennini , Carpazi, ecc., pag. 481. D’Archiac ed Haime, 1853; Descript. Anim. foss. numm. Inde, pag. 100, tav. Ili, fig. 5, 5 a. Sismonda, 1871; Mém. Ac. R. Se. Turin, ser. 2, voi. XXV, pag. 270, n. 7. Hofmann, 1871; Mitth. Jahrb. k. ung. geol. Anst., voi. I. Hofmann, 1872; Magyar kir. foldt. int. évkònyve, voi. I. De La Harpe, 1879; Bull. Soc. Vaud. Se. Nat., voi. XVI, n. 82, pag. 224 e 225, 231 e 232. De La Harpe, 1879; Bull. Soc. Borda, Dax, voi. IV, pag. 150, tav. I, fig. VI: 1-10, Zittel, 1883; Traité de Pa- le'ont., trad. Barrois, voi. I, parte la, pag. 100. De Stefani, 1887 ; Boll. Soc. Geol. It., voi. VI, pag. 249 e 259. Teliini, 1888; Boll. Soc. Geol. It., voi. VII, pag. 220. Sacco, 1888; Bull. Soc. Géol. France, ser. 3, voi. XVII, pag. 218. Sacco, 1888; Bull. Soc. Belge Géol. Paléont. et Hydr., voi. II, pag. 274, 277, 279, 281 e 282. Sacco, 1889; ibid., voi. Ili, pag. 17 e 18. Benoist, 1889; Bull. Se. Soc. Borda, Dax. Sacco, 1890; Boll. Soc. Geol. It., voi. Vili (1889), pag. 310, n. 650. Sacco, 1891; ibid, voi, X, pag. 885. Kocsis, 1891; Foldtani Kòzl., voi. XXL Reyt, 1894; C. R. Ac. Sciences Paris, voi. CXIX, pag. 1021. Oppenheim, 1894; Numm. Venet. Ter- tidrs, pag. 15 e 18. Raulin, 1895; Bull. Soc. Géol. France, ser. 3, voi. XXIII, pag. 550. Koch, 1896; Neues Jahrb., voi. I, pag. 113. Lorenthy, 1898; Termés. raizi fùzetek, voi. XXI, pag. 9. Bellini, 1902; Boll. Naturalista, Siena; anno XXII, pag. 114. Parona, 1904; Trattato di Geologia (1903-1904), pag. 589, 591, 596 e 597. H. Douvillé, 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V, pag. 15. R. Douvillé e Prever, 1905; ibid., pag. 861 e 862. De Lapparent, 1906; Traité de Geologie, ediz. 5, voi. Ili, pag. 1548, 1555, 1563, 1566 e 1567. Sacco, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V (1905), pag. 869, 883 e 899. Oppenheim, 1906; Zeitschr. Deutsch. geol. Gesellsch., voi. LVIII, pag. 158. H. Douvillé, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VI, pag. 23, 28, 32 e 33. H. Douvillé, 1908; ibid., voi. VII (1907), pag. 466. Fa- biani, 1908; Mem. Soc. It. Scienze (dei XL), ser. 3, voi. XV, 644 A. SILVESTRI pag. 69, 80 e 221. R Dou ville, 1908; Bull. Soc. Géol. Frauce, ser. 4, voi. Vili, pag. 90. Nummulina Fiditeli Michelotti, 1841; Mem. Mat. e Fis. Soc. It. Se. Mo- dena, voi. XXII, Mem. Fisica, pag. 302, tav. Ili, fig. 7 a, b. Sismonda, 1842; Synopsis meth. Anim. inveri. Pedem. foss., pag. 10. Michelotti, 1847 ; Natuurk. Verbandl. Holland. Haatsch. Wetensch. Haarlem, ser. 2, voi. Ili, parte 2, pag 15, n. 1, tav. I, fig. 9. Sismonda, 1847; Synopsis inetli Anim. invert. Pedem. foss. editio altera, pag. 7. Nummulites Garansiana [pars: «jeune»] Joly e Leymerie, 1848; Mém. Ac. Se. Toulouse, ser. 3, voi. IV, pag. 171, 186, tav. I, fig. 9, 10, 11 (non 12); tav. Ili, fig. 8. Carter, 1853; Ann. and Mag. Nat. Hist., ser. 2, voi. XI, pag. 172, tav. VII, fig. 19 e 20. ? Carter, 1872; Journ. Bombay Brit. R. Asiatic Soc., voi. V (1853), fase. 18, pag. 124, tav. II, fig. 19 e 20('). Ranlin, 1895; Bull. Soc. Géol. France, ser. 3, voi. XXIII, pag. 550. Nummulina Garansiana Joly e Leymerie. D'Archiac, 1850; Hist. progr. Géologie, voi. Ili, pag. 237. Nummulites garansensis Joly e Leymerie. [Pars] D’Archiac ed Haiine, 1853; Descript. Anim. foss. numm. Inde, pag. 101, tav. Ili, fig. 7, 7 a-g, (non 6 e 6 a). [Pars] D’Archiac ed Haime, 1854; ibid., parte 2a, pag. 344. Pietet, 1857; Traile de Pa- léont., ediz. 2a, voi. IV, pag. 501, tav. CIX, fig. 20. Biitschli, 1880; in Bronn: Klassen und Ordn. Thier Reichs, pag. 213, tav. XII, fig. 7. G. Seguenza, 1880; Mem. R. Acc. Lincei, Cl. Se. fis. mat. e nat., ser. 3, voi. VI, pag. 45, n. 54. Chapman, 1902; The Foraminifera, pag. 274. Nummulites garenensis Joly e Leymerie. Carter, 1857 ; Geol. Pap. West India, pag. 544, tav. XXIII, fig. 19 e 20. Nummulina Garansensis Joly e Leymerie. [Pars] Carpenter, 1862; The Microscope, ediz. 3a, pag. 525. [Pars] Carpenter, tav. XVIII, fig. 3. Giimbel, 1878; Zeitschr. Deutseh. Oesterr. Alpen- vereins, pag. 138, fig. 48; 7. Nummulites Garansiana Renevier. Giimbel, 1868; Abhandl. li. bayer. Ak. Wiss., II CL, voi. X, pag. 587. Nummulites garanensis Joly e Leymerie. Medlicott e Blanford, 1879, Geol. India, pag. 460, ecc., tav. XV, fig. 10. Nummulites Fiditeli Michelotti. Nicolis, 1883; Boll. Soc. Geol. It., voi. II, pag. 173 e 175. Nummulites Fiditeli, Michelotti, var. Sacco, 1888; Bull. Soc. Geol. France, ser. 3, voi. XVII, pag. 226. Nummulites Fichteli Michelotti, var. dubia Telimi. Sacco, 1890; Boll. Soc. Geol. It., voi. Vili (1889), pag. 310, n. 651. (') Sembrerebbe che questa forma fosse un’Orbitoidina, ma non ho potuto accertarmene. NUMMULITI DI TERMINI- IME RESE 645 Nummulites Fiditeli Michelotti, var. c Tellini. Sacco, 1890; Boll. Soc. Geol. It., voi. Vili (1889), pag. 310, n. 654. Nummulites Fiditeli Michelotti, var. euspiralata (var. e Tellini) Sacco, 1890; Bull. Soc. Geol. It., voi. IX, pag. 302, n. 4799. Bruguieria Fiditeli (Michelotti). Prever, 1903; Boll. Soc. Geol. It., voi. XXII, pag. 472 e 481. Pariseli, 1906; Meni. R. Acc. Se. Torino, ser. 2, vol.LVI, pag. 87, n. 32, tav. II, fig. 17 e 18. A. Silvestri, 1907; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LX (1906-1907), pag. 108 e 184. Nummulites (Hantkenia) Fiditeli Michelotti. Martelli, 1903; Rendic. R. Acc. Lincei, CI. Se. tis. mat. e nat., ser. 5, voi. XII, sem. 2, pag. 168. Bruguierea Fiditeli (Michelotti). Prever, 1905; in Fabiani: Atti R. Ist., Veneto Se. Lett. ed Arti, anno 1904-1905, voi. LXIV, parte 2a, pag. 1814 e 1824. Prever, 1906; Atti R. Acc. Se.' Torino, voi. XLI, pag. 10 estr. Prever, 1907; Boll. Soc. Geol. It., voi. XXVI, pag, olii. Nummulites garansianus Joly e Leymerie. H. Douvillé, 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 5, voi. V, pag. 49. Nummulites ci. Fiditeli Michelotti. H. Douvillé, 1905; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V, pag. 443. Nummulites intermedius D’Archiac. [Pars] Boussac, 1906; Compt. Rend. Ac. Sciences Paris, pag. 1 e 2 estr. [Pars] Boussac, 1906; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. VI, pag. 98. [Pars] R. Douvillé, 1908; ibid., ser. 4, voi. Vili, pag. 88, 89,94. [Pars] Boussac, 1908; ibid., ser. 4, voi. Vili, pag. 251 e 253. Bruguieria Fiditeli (Michelotti), var Vialei Pariseli, 1906; Meni. R. Acc. Se. Torino, ser. 2, voi. LYI, pag. 87, n. 33, tav. II, fig. 20, 21, 22 e 23. Bruguieria Fiditeli (Michelotti), var. garansensis Joly e Leymerie. Pa- riseli, 1906; Mem. R. Acc. Se. Torino; ser. 2, voi. LVI, pag. 87, n. 34, tav. II, fig. 19. Bruguieria A fiditeli (Michelotti). A. Silvestri, 1907; Atti Pontif. Acc. N. Lincei, anno LX (1906-1907), pag. 90 e 108. Nummulites Fiditeli Michelotti, var. garansensis Joly e Leymerie. Di Ste- fano, 1907; Rendic. R. Acc. Lincei, Cl. Se. tis. mat. e nat., ser. 5, voi. XVI, sem. la, pag. 267. Checchia-Rispoli, 1907; Giorn. Se. Nat. ed Econom., Palermo, voi. XXVII, pag. 14 estr., n. 18; pag. 22 estr , n. 16. Nummulites ( Bruguieria ) fiditeli Michelotti. M. Ciofalo, 1907; Posiz. rocce a Lepidocicline territ. Ter mini- Imerese (Palermo), pag. 5, 6 e 7. Osimo, 1908; Riv. It. Paleont., anno XIV, pag. 53, tav. I, fig. 8. Nummulites Fiditeli var. bormidiensis Teliini. R. Douvillé, 1908; Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. Vili, pag. 90. 646 A. SILVESTRI Plasmostraco grigiastro di piccole dimensioni (fig. 9), lenti- colare e discretamente convesso (fig. 15), regolare od anche affetto da qualche irregolarità nella simmetria o convessità delle facce, con margine acuto, ma arrotondato al termine (fig. 15); superficie ruvida, quasi corrugata, un po’ incrostata, sulla quale e da ambo le facce si disegna in leggiero rilievo una reticolatura vermicolata (fig. 9), che ha origine dall’ana- stomosi delle ramificazioni dei filetti settali. Dimensioni : — , — , — 4 , — , - — e’, di cui l’ul- 1 7 1,2 ’ 1,3 o 1,5 2 ’ 1,5 o 1,8 2 tima è la più frequente. Spira regolare (fig. 14 e 15), salvo la tendenza a modificarsi nell’ultimo giro (fig. 14), dal passo uniforme; giri: ’ e — . Lamina spirale di spessore mediocre e costante (fig. 14). corrispondente press’a poco alla metà dell’altezza delle logge; del tutto fibrosa radialmente nella sezione equatoriale, ma di- stinta in zone fibrose e compatte nel senso del suo spessore, disposte con alternanza, nella sezione meridiana (fig. 15). Per- forata poi nella piega dorsale (fig. 15). Come nella Bruguieria intermedia B, le zone compatte in discorso sporgono sopra ogni parete più interna, e sembra so- stengano degli strati successivi. Setti: 1 e , quasi rettilinei, ma dalla base leggermente 5 2 slargata, eccezionalmente un po’ arcuati all’origine (fig. 14); inclinati di 84 o 85°, ed in rari casi anche di 56 o 71°. Camera iniziale rotonda, sebbene un po’ schiacciata da un lato, del diametro di circa 400 y. (0,4 mm.), che assieme alle due successive falcate, da cui è divisa mediante sottili tra- mezzi (fig. 14, 15 e 16), viene a costituire un apparato em- brionale abbastanza caratteristico. Frequente. Per la minore depressione, la forma così descritta si allon- tana dal tipo del Michelotti (vedasi la sinonimia a « Nummulites Fiditeli » ed a « Nummulina Fiditeli »), e corrisponde a quella illustrata dalla Pariseli nel 1906 sotto il nome di « Bruguieria Fiditeli (Micht.), var. garansensis Joly et Leymerie ». Varietà che nel momento non trovo opportuno mantenere, una volta che neanche il De la Harpe, il primo, per quanto mi ricordi, ad NUMMULITI DI TERMINI IMERESE G47 identificare la Nummulites o Nummulina garansiana o garan- sensis con la specie oggi detta Bruguieria interviedia (J), credè dovervi dare importanza; e dello stesso mio avviso sembra sia la Osimo. Ed in vero, nella tav. I del suo lavoro sopra Di al- cuni Foraminiferi dell’eocene superiore di Celebes (2) comparisce la sezione meridiana di una Bruguieria intermedia A, più ri- gonfia ancora della mia forma, che è indicata semplicemente per « Nummulites (Bruguieria) Fiditeli Micht. » (3). Ma, sia o no da distinguersi in var. garansensis, la forma stessa non e certamente da confondersi con la Bruguieria fa- biani A, o B. reticulata (Tellini), strido sensu (4), da cui de- riva, risultando affatto mancante di granulazioni alla superficie e dei pilastri interni dai quali esse dipendono; e la mia fig. 13, riproducente una sezione tangenziale, mi pare ne sia il miglior documento, sebbene la mancanza dei pilastri apparisca pure dalla sezione meridiana della fig. 15 (5). Separando la Bruguieria intermedia A dalla B. fabianii A, la prima risulta, come la B. intermedia B, caratteristica del- 1 oligocene, ed in modo speciale del sannoisiano. Ne sono habitat più importanti questi che passo ad in- dicare : In Francia: esiste negli strati superiori arenacei, sannoisiani e rupeliani, contenenti anche la Paronaea vasca B ed A, P. bouillei B ed A e Bruguieria intermedia B, della scogliera e del porto di Bianitz (dalla Chambre-d’Amour sino al Port-Vieux, alla \ illa Belza, ed al disopra dell’Atalaye) ; nel sannoisiano alla base della formazione a Natica crassatina di Garans presso Gaas e di Gaas (Landes), come pure della Terre-nègre nelle vicinanze di Bordeaux, in compagnia della Bruguieria inter- media B\ con la medesima, nel sannoisiauo a Paronaea vasca B, (') Les Nummulites du Comté de Nice , eco. Bull. Soc. Vaudoise Se. Nat. voi. XVI, n. 82, 1879, pag. 231. (2) Riv. It. Paleont., anno XIV, 1908, pag. 28, 29, tav. I-III. (3) Nella spiegazione della tav. I. (4) Le Nummulitideè terziarie dell'Alta Italia occidentale. Boll. Soc. Geol. It., voi. VII, 1888, pag. 224, tav. VIU, fig. 13a e Vài» {Nummu- lites reticulata , n. sp.). ( ') Si veda a questo proposito quanto ho detto a pag. 638. 648 A. SILVESTRI posto sulla riva destra della Nive a sud e presso Bayonne. e nel calcare sannoisiano ad Asterie della Chalosse-de-Montfort e di Bordeaux ; poi nei « faluns bleus » con marne e calcari a Na- tica ero, ssatina, N. angustata, Ccrithium char peni ieri , Turbo parlcmsoni, Bruguieria intermedia B, ecc., di Gaas, Garans e Lesperon, presso Dax ; nell’arenaria micacea sannoisiana conte- nente Bruguieria intermedia B, di Roquefort (Landes), la quale riposa sul calcare bianco a Turbo parlcmsoni ; nell’assisa con- tenente lo stesso Turbo parkinsoni, Xatica crassatina e Bru- guieria intermedia B , di Saint-Sever neH’Aquitauia ; negli strati a Bardita basini, Natica crassatina, Euspatangus ornatus, Paronaea vasca B e Bruguieria intermedia B, di Lourquen, Lahosse, Tuc-de-Saumon e Préchacq, nella regione dell’Adour; nelle arenarie calcaree rupeliane a Lepidocyclina cfr. dilatata B e Bruguieria intermedia B, sovrapposte ai calcari a Natica crassatina di Mugron; e nel sannoisiano a Paronaea bouillci A, P. chavannesi A, P. vasca B ed A, e Bruguieria intermedia B, del Dévoluy, e d’AUons ed Annot nelle Basses-Alpes. In Svizzera: la Bruguieria intermedia A, è citata nell’oli- gocene di Les-Essets (Anzeindaz). In Italia: trovasi in compagnia della sua forma B, nelle arenarie a Natica crassatina e Scutelle, prive di Lepidocic-line, di Sassello (Rio dei Zimini, dov’è comunissima), Ventimiglia, Monte Cannello, Cadibona e Toleto, nell’ Appennino Ligure, d’ Acqui e della vallata del Bormida in generale. E poi co- munissima nella medesima formazione a Carrosio, Carcare, Dego (Villa del Piano), Costalupara (Dego), Cassinelle (Rio Gabette; sotto i Bruzzi; sotto San Defendente; Casa Vallerano e regione Ciapin), Rocchetta, Cairo, Ponzone, Grognardo, Poggio di Grognardo, tra Grognardo e Ponzone, Vallone Verazza, Galletto, Costa d’Ovada : comune invece a Voltaggio, C. Mongiardino di Beiforte, Derma, Rio di Pietra Bissara, Giara (tavoletta Varzi); comune pure nelle sabbie gialle e nei conglomerati sannoisiani sovrapposti alla formazione conglomeratica bartoniana di Rio Freddo di Marmorito, nonché nei macigni nummulitici che stanno sopra alla puddinga d’Acqui; rara poi nel sannoisiano d’Olivola. e di Salabue (Monferrato); rarissima in quello dei dintorni di Grondona e Roccaforte. Esiste anche negli strati 649 NUMMULITI DI TERMINI-IME RE SE sannoisiani di Costa Battaina presso Gassino (Torino); negli strati con Lepidocicline compresi tra il rupeliano e l’aquitaniano di Maneiba sul lago di Garda; assieme alla Bruguieria inter- media B, nel calcare con letti di himachella oligocenica in- tercalato nelle marne bruno-giallastre a Briozoi, delle Acque Negre del Monte Baldo, e del Monte Moscalli, nel Veronese; nei calcari e nelle arenarie sannoisiane a Pecten arcuatiis e B> uguieria intermedia B, delle colline di Verona e del Monte Baldo; nel sannoisiano a Paronaea vasca B ed A, P. bonillei B ed A, e Bruguicria intermedia B, di Monte Grumi presso Castel Gomberto; enei calcari marnosi sannoisiani a Bruguieria intermedia B dei dintorni di Vicenza (Santuario di Monte Be- rico; nelle vicinanze della Rotonda; Monte Bella Guarda), e di S. Gottardo (presso la Villa Porto) e della Rocca di Ziésa (a nord), nei Colli Berici. Sarebbe stata segnalata pure, ed abbondante, nei depositi sabbiosi ed arenacei oligocenici contenenti Ortoframmine, della Valle di S. Genesio (Torino), ma credo che questa indicazione meliti verifica. Però ne sembra sicura l’esistenza e frequenza nelle formazioni sannoisiane tra Monte S. Jejunìo e gli altipiani della Melia, nella provincia di Reggio-Calabria, assieme alla Bruguieria intermedia B ed alle Lepidocyclina dilatata A e L. marginata A. Sicura di certo nei calcari grossolani grigi delle contrade Rosario ed Ognibene (contrada Rocca: sulle al- ture), del lato ovest del Monte Corona, della regione Rosario, dello spione interposto tra il basso vallone Trepietre ed il vallone Cucca, come anche nel calcare bruno glauconitifero ed in quello arenaceo o terroso, della Collina della Madonna della Catena; tutte località del territorio di Termini-Imerese (Palermo). In Ungheiia . la forma in questione trovasi nell’oligocene di Nagy-Kowacsi, del territorio di Ivlausenburg, e di Hoja nella Montagna di Klausenburg, dove presentasi negli strati a Natica crassatma, Cerithium trochleare e Bruguieria intermedia B : nel sannoisiano contenente questa Bruguieria della contea di Borsod, ed in quello di Kis-Svabkegy presso Ofen. Risulterebbe pine piesente, ed assieme alla sua forma B, nel calcare ad Or- totrammina dell’ « unterer Orbitoidenhorisont » di Ofen: ma ciò richiede verifica. 650 A. SILVESTRI Nella Bumelia: la racchiude il calcare marnoso oligocenico dei dintorni d’Euren nelle vicinanze d’Erikli. Nel Montenegro: sarebbe stata osservata unitamente alla Pa- ronaea bouillei A, P. budensis A, Orthophragniina stella , 0. ra- dians, 0. dispansa , ecc., nelle brecciole alternate agli sebisti argillosi sannoisiani, di Premici, nel SE della regione; però non è improbabile si tratti invece della Bruguieria fabianii A. Nelle Indie Orientali: è una delle specie più diffuse nei calcari gialli rupeliani della catena d’Hala nel Sind; ma rin- viensi pure nelle rocce arenacee sanuoisiane della riviera Djaing nel Borneo. Nell’America settentrionale: è stata ricordata in strati con Lepidocicline della Florida, posti fra il rupeliano e l’aquita- niano. * * * Da quanto ho così esposto, e dalle figure prodotte, le quali costituiscono la parte più importante del presente studio, ritengo che ognuno possa rendersi giusto conto dell’esattezza o no delle mie determinazioni di Paronaea vasca B ed A, o P. vasca-bou- cheri, e Bruguieria intermedia B ed A, o B. intermedia- fiditeli. Ammesso che l’esattezza vi sia, come mi sembra, prendendo a considerare le così dette scale nummulitiche e le tabelle di di- stribuzione stratigrafica delle Nummuliti, più recenti e quindi più al corrente, senza stare a ricorrere alle notissime, ma an- tiche del Yon Hantken e del De la Harpe, trovo che nella scala del Benoist le suddette Paronaea e Bruguieria sono se- gnate nel modo seguente: Nummulites vasca D’Archiac N. boucheri De la Harpe ^ N. intermedia D’Archiac ( N. fiditeli Michelotti 8.a zona Tongriano (*) (che per me comprende il sannoisiano). (') Étude sur les Nummulites et les Assilines du Sud-Ouest de la France. Bull. Se. Soc. Borda, Dax, 1889. NUMMULITI DI TERMINI- IME RESE 651 Mentre nell’altra del Prever compariscono ripartite in queste zone : j Paronaea vasca Joly e Leymerie I P. boucheri De la Harpe j Bruguieria intermedia D’Archiac l B. fiditeli Michelotti Rupeliano. Sannoisiano ('). Tenendo poi presente quanto il Parona scriveva in ordine alle divisioni dell’oligocene nel suo eccellente Trattato di Geo- logia, cioè che esso risulta di « due sottopiani, inferiore o ton- griano (da Tongres, Limbourg belga) e superiore o rupeliano (dal Rupel, affluente delPEscaut). » Il Tongriano (Dumont, 1839) ha una estensione maggiore del sannoisiano (da Sannois) di De Lapparent e Munier-Chalmas (1893-1900), comprendendo parte del Indiano degli stessi autori ed il priaboniano. La coppia di nummuliti caratteristiche del tongriano inferiore o priaboniamo consta della Numm. compla- nata-N. Tchihatcheffi e quella del superiore è data dalla Numm. intermedia- N. Fiditeli. » Il Rupeliano (Dumont, 1849) equivale allo stampiano (da Stampia, Étampes) proposto da D’Orbigny nel 1852, ma usato in senso più ristretto da De Kouville nel 1853. Due sono le coppie numraulitiche caratteristiche: Nummi. vasca-N. Boucheri e Numm. Bouillei-N. Tournoueri » (?). Non trascurando quanto il De Lapparent nelTultima e re- cente edizione del classico e magistrale Trattò de Geologie esponeva, ossia che « Les nummulites de l’oligocène inférieur sont de petite taille et forment les couples suivants : N. inter- medius- Fiditeli, N. vascus- Boucheri , N. Bouillei- Tournoueri » (3). Ld infine mettendo sottocchio la tabella di distribuzione delle Nummuliti in discorso nei Colli Berici, quale risulta dal (') Considerazioni sullo studio delle Nummuliti. Boll. Soc. Geo!. If.; voi. XXII, 1903, pag. 473. (5) Op. cit., Milano, (1903-1901) 1901; pag. 591. (:i) Op. cit., ediz. 5% voi. ITI. Paris, 1906; pag. 1548. 652 A. SILVESTP.I recentissimo ottimo lavoro del Fabiani sulla Paleontologia dei Colli Perici, e come segue: Nummulites vasca ) [ Stampiano X. bouillei ) X. intermedia j X. vasca , Tongriano X. bouillei Oligocene (‘). Osservo come la Pruguieria intermedia P ed A e la Paronaea vasca P ed A, siano accettate uniformemente quali specie ca- ratteristiche del sannoisiano e rupe! i ano , cd in particolare, seb- bene compaiano assieme, la prima del sannoisiano e la seconda del rupeliano; e ciò ha fondamento negli habitat meglio accer- tati di cui bo detto antecedentemente. Ciò posto ed allo stato attuale delle mie conoscenze sul- l’argomento, io non posso ammettere che quanto si verifica nelle formazioni geologiche di svariatissimi bacini, e perfino dell’Italia settentrionale e meridionale, debba incontrare un’eccezione per l’appunto a Termini-Imerese. E se ivi alle Nummuliti tipica- mente oligoceniche come la Pruguieria e Paronaea più volte ricordate si son trovate mescolate anche delle forme di tipo spiccatamente eocenico, la spiegazione del fatto credo si debba andar a cercare, prescindendo dai possibili e probabili errori di determinazione di qualche specie, nel rimaneggiamento di materiali eocenici ancor poco coerenti, durante la trasgressione dei mari oligocenici, il modo con cui si è prodotto il quale potrà esser oggetto d’indagini nuove, sì, ma senza toglier aprio- risticamente valore a fossili ritenuti caratteristici dalla mag- gioranza assoluta dei geologi italiani e stranieri. D'altronde a me pare ovvio, che, anche a voler escludere il rimaneggiamento, accettandosi in tale ipotesi la tesi della continuità dei fossili più antichi e della loro coesistenza coi suddetti, occorra in ogni caso dar maggior peso a questi, ossia ai più recenti, e che in (i) Op. cit .; Meni. Soc. It. Scienze (dei XL), ser. 3, voi. XV, 1908, quadro tra pag. 74 e pag. 75. NUMMULITI DI TERMINI-IME RESE 653 massima tal criterio debba costituire un canone fondamentale pel geologo. A similitudine di quel che avviene nelle formazioni del Borneo, di Manerba sul Lago di Garda, di Antonimina in Ca labria, della conca Aquilana, di Sestola nel Modenese, ecc., alla Paronaea vasca e Bruguieria intermedia si accompagnano nel territorio di Termini-Imerese numerosi rappresentanti del genere Lepidocyclina, e tutti questi di tipo oligo-miocenico, come dimostrerò in un prossimo studio. Laonde sembrami confermato anche pel detto territorio, sebbene in senso un po’ più esteso, quanto H. Douvillé scriveva nel proprio lavoro su Les Fora- minifcres dans le Tertiaire de Borneo, in riguardo all’età del- 1 associazione di Lepidocicline e JSTummuliti prossime alle sopra citate, e cioè che « elle caracterise des couches de transition entre le Nummulitique proprement dit et les couches aquitaniennes ù Lepidocyclines » (1). (*) Bull. Soc. Géol. France, ser. 4, voi. V (1905), pag. 444. [ms. pres. 9 dicembre 1908 - ult. bozze 1° marzo 1909]. 651 A. SILVESTRI SPIEGAZIONE DELLA TAV. XXI Fig. 1. Baronata vasca B ■ faccia (X5) .... Pag. 615 » 2. Paronaea vasca A : faccia (X 7) » 625 » 3. Idem, varietà dall'umbone prominente: faccia (X 7) » 625 » 4. Paronaea vasca B : sezione equatoriale (X 14) » 616 » 5. Idem : sezione meridiana (X 14) .... » 616 » 6. Paronaea vasca A: sezione equatoriale (X 14) » 625 » 7. Idem: sezione meridiana (X 14) .... » 625 » 8. Bruguieria intermedia B : faccia (X 7) • » 635 » 9. Bruguieria intermedia A: faccia (X 1) • » 646 » 10. Bruguieria intermedia B: sezione tangenziale (X22) » 638 » 11. Idem: sezione equatoriale (X 14) » 636 » 12. Idem: sezione meridiana (X 14) .... » 636 » 13. Bruguieria intermedia A: sezione tangenziale (X 22) » 647 » 14. Idem: sezione equatoriale (X 14) .... » 646 » 15. Idem: sezione meridiana (X 14) .... » 646 » 16. Idem: apparato embrionale in sezione equatoriale (X 14) » 646 N. B. Tutte le figure di questa tavola sono state ottenute da esem- plari ricavati dal calcare a Lepidocicline, proveniente dalla Collina della Madonna della Catena presso Termini-Imerese (Palermo), c di cui a pag. 604. Boll. Soc. Geol. Italiana voi. XXVII (1908). AUC1 OR PHOT. (Silvestri) Tav. XXI. CLIUt CALZOLARI i* EEKKAKIO -MILANO INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXVII Rendiconti (pag. 1-XMV nel fase. 1»; pag. xly-lx nel fase. 2»; pag. lxi-clviii nel fase. 4°). Consiglio direttivo per l’anno 1908 Elenco dei Presidenti succedutisi annualmente dalla fondazione della Società in poi Elenco dei Soci per l’anno 1908 Soci onorari e perpetui Soci residenti in Italia Soci residenti all’estero Elenco dei cambi Resoconto dell’adunanza generale invernale tenuta in Roma il 1° marzo 1908 Discorso del Presidente Portis Ammissione di nuovi Soci Centenario della Società geologica di Londra Voto relativo al R. Osservatorio Vesuviano Riduzione a favore dei Soci sul prezzo di acquisto delle pubblicazioni dell’Istituto Geografico Militare . . . Mazzuoli. — Presentazione della Carta geologica delle Alpi occidentali Verri. — Comunicazione sul colle Quirinale Clerici. — Comunicazione sugli scavi per le fondazioni del palazzo del Parlamento Portis. — Sulla comunicazione precedente Maddalena. — Roccia a noseana nel Vicentino . Sabatini. — Sulla degradazione meteorica Bilanci preventivi 1908 Nomina dei Commissai'i pel Bilancio PAG. Ili IV ivi ivi V XII XIV XXI ivi XXIV XXV ivi XXVI ivi XXVII XXVIII ivi ivi XXIX XXX XXXI 656 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOL. XXVII Elenco delle memorie e note presentate per la stampa nel Bollettino Elenco degli omaggi Sede per radunanza generale estiva Appendice : Crema C. — Sugli effetti della degradazione meteorica nella giogaia granitica di Cardinale ( Catanzaro ) . . Novarese V. — La degradazione meteorica cumulativa in Calabria Stella A. — Presentazione della Carta geologica della re- gione del Se milione e rettifiche Comunicazioni della Presidenza Circolare d’invito alla riunione estiva Bilancio consuntivo 1907 Programma delle adunanze e delle escursioni Resoconto delle adunanze generali tenute nel settembre 1908. Adunanza inaugurale del 20 settembre in Roma. . . . Ammissione di nuovi Soci Modificazione all’art. 4 del Regolamento Molon . . Presentazione delle relazioni delle Commissioni giu- dicatrici dei Concorsi al premio Molon e lettura delle relative conclusioni Proclamazione dei vincitori del premio Molon . . . Escursione del 21 settembre Adunanza del 22 settembre Ammissione di nuovo Socio Adesione alla inaugurazione della targa monumentale in onore di Giuseppe Gioeni, ai festeggiamenti del XXV anniversario della fondazione della Società Alpina delle Giulie e alle onoranze in memoria di Evangelista Torricelli Relazione dei Commissari pel Bilancio Elenco degli omaggi Elenco delle memorie e note presentate per la stampa nel Bollettino Comunicazioni scientifiche (De Angelis d’Ossat, Tommasi, Meli) Escursione dei giorni 23 e 24 settembre Adunanza del 24 settembre a Viterbo vai;. XXXI XXXII XXXIII XXXVIII XLI XL1I XLV XLIX LI LIII LXI ivi LXII ivi LXIII LXVI LXVII ivi LXVIII ivi ivi LXIX LXX LXXI LXXII LXXIII INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOL. XXVII 657 Elezioni sociali Discussioni scientifiche (De Angelis d’Ossat, Verri, Fantappiè, Clerici) Relazione della Commissione aggiudicatrice del Premio Molon, sesto Concorso rinnovato, tema di paleontologia Relazione della Commissione aggiudicatrice del Premio Molon, sesto Concorso rinnovato, tema di petrografia Relazione della Commissione aggiudicatrice del Premio Molon, settimo Concorso, tema di geologia . . . . Delle necessarie relazioni ed armonia fra le scienze geolo- giche. Parole dette dal Presidente Alessandro Portis Necrologia di Vincenzo Spirek (con ritratto). . . . De Angelis d’Ossat G. — Sulla geologia della provincia di Roma Meli R. — Presentazione di una ippurite rinvenuta nella perforazione della galleria di Alont’ Orso sotto Sonnino Meli R. — Presentazione di calcari fossiliferi del circon- dario di Roma Meli R. — Sopra un’altra meteorite caduta a Sant’ Al- bano in Valdinizza nella provincia di Pavia . . . Cerulli-Irelli S. — Escursione ai Monti Albani (21 set- tembre 1908) Frenguelli G. — Escursione a Viterbo fatta dalla So- cietà Geologica Italiana nei giorni 23-24 settembre 1908 (con 1 fig.) Memorie Fascicolo 1° (16 maggio 1908). Verri A. — Il Colle Quirinale (con 2 fig.) Di-Stefano G. — Poche altre parole salitocene della Terra d’ Otranto (con 2 fig.) Clerici E. — Sugli scavi per le fondazioni del Palazzo pel Parlamento in Roma Maddalena L. — Le mineralizzazioni del calcare del Monte Spitz di Recoaro (con 1 fig.) De Angelis d’Ossat G. — Il miocene nella valle del Trigno PAG. LXXIII LXXIV LXX VII XC xeni evi CXXII CXXVII cxxx CXXXIII cxxxv CXXXVII CXLI 1 17 21 45 26 40 658 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOL. XXVII PA(i. Nievo I. — L’ anfiteatro morenico dei Tagliamento e le suc- cessive fasi glaciali (con 2 fig.) 45 VlNASSA DE Regny P. — Sui calcari cavernosi dei dintorni di Uliveto (con 1 fig.) 84 Fucini A. — La Pania di Corfino (con 1 fig.) 91 Fascicolo 2° (30 luglio 1908). Fucini A. — La Pania di Corfino (con 1 fig. e 3 tav.) (cont. e fine) 121 Anelli M. — L’Eocene nella vallata del Parma (con 2 tav.). 124 Principi P. — Studio geologico del Monte Malbe e del Monte Lezio (con 4 fig. e 2 tav.) 159 Chelussi I. — Appunti petrografici sopra alcune roccie del- l’Italia centrale 225 Toldo G. — I terreni alluvionali del Lodigiano 252 Martelli A. — Notizie petrografiche stillo scoglio di Melli- sello (con 3 fig.) 259 Fascicolo 3° (18 dicembre 1908). Martelli A. — Notizie petrografìclie sullo scoglio di Melli- sello (con 1 tav.) (cont. e fine) 273 Verri A. — Successione dei terreni nella campagna di Poma alla sinistra del Tevere (con 12 fig.) 283 Parona C. F. — Notizie sulla fauna a Pudiste della pietra di Subiaco nella Valle dell’Aniene (con 3 fig. e 1 tav.) . 299 Clerici E. — Appunti per una escursione geologica a Viterbo (con 8 fig. e 1 tav.) 311 Trabucco G. — Fossili, stratigrafia ed etcì del calcare dì Acqui ( Alto Monferrato) (con 4 tav.) 337 Meli R. — Notizia sopra alcune conchiglie fossili raccolte nei dintorni di Monte S. Giovanni- Camp ano in prov. di Poma (con 1 tav.) 401 Tommasi A. — Una nuova specie di Phyllocrinus nel neo- comiano di Spiazzi sul Monte Baldo (con 1 tav.) . . . 419 Capeder G. — I relitti dell’erosione marina nella Valle del Po (con 3 fig.) 423 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOL. XXVII 659 _ .... PAG> Meli R. Rinvenimenti dì denti fossili di Elefanti in alcune località nuove o interessanti per la provincia di Roma. . 432 Stefanini G. — Echini miocenici di Malta esistenti nel Museo di Geologia di Firenze (con 1 tav.) 435 De Angelis d’Ossat G. — Per il Paleozoico della Carnia. 484 Meli R. — Sulla corrente di lava leucitica (leucitite) dì Lun- ghezza presso Roma (con 1 fig.) 435 Fascicolo 4° (6 marzo 1909). Meli R. — Sulla corrente di lava leucitica (leucitite) di Lun- ghezza presso Roma (cont. e fine) 489 Sacco F. — Il Molise (con 1 fig. e 1 tav.) 49 4 Colomba L. — Sulla supposta esistenza di lamelle secondarie di geminazione nei feldispati plagioclasici (con 1 tav.). . 540 Vinassa de Regny P. — Fauna di calcari con Rhyncho- nella Megaera del Passo di Volala (con 1 fig. e 1 tav.) . 547 Silvestri A. — Nummuliti oligoceniche della Madonna della Catena presso Termini-lmerese (Palermo) (con 1 fig. ed 1 tav-) 593 3 JllL iJJii ■' -V- . ■- : ' -V ■ . 1 . V,-' ; •; AVVERTENZE PER I SOCI L’indirizzo per la corrispondenza diretta alla Società é: Casella Postale 485 — Roma. Le tasse sociali, le richieste per l’acquisto di volumi del Bollettino ed il relativo importo devono essere indirizzati nominativamente all'ing. Giovanni Aichino (tesoriere) — R. Ufficio Geologico, via S. Su- sanna 1 A. Roma. Le richieste riguardanti l’archivio e la biblioteca sociale devono essere indirizzate nominativamente all’ing. Camillo Crema (archivista) — R. Ufficio Geologico, via S. Susanna 1 A. Roma. La quota annuale deve pagarsi nel primo bimestre dell’anno cui si riferisce, e viva preghiera è fatta ai pochi soci ritardatari per il sol- lecito invio delle quote arretrate. I soci che desiderano provvedersi del distintivo sociale, rappresentato in grandezza naturale sul frontispizio del presente fascicolo, possono farne richiesta al tesoriere ing. Giovanni Aichino con cartolina -vaglia di Lire tre. Il distintivo verrà spedito franco e raccomandato. Finito di stampare il 6 marzo 1909. Il Presidente responsabile: Giovanni Di-Stefano.