!^ ?^cfe-'i- M5 ,h^*«i D^-^. -4J,^-:2^^¥^ >■ c^ H>r BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI BOLLETTINO SOCIETÀ DEI NATURALISTI IIV IV^^POIv VOLUME XXXIil. (SERIE II., VOL. Xlll) ANNO XXXIV 1920 Con 3 tavole (Pttbblicafo il 30 yeiinaio 19'^2) NAPOLI OFFICINA CROMOTIPOGRAFICA "ALDINA, Piazzetta Casanova a S. Sebastiano 2-4 1922 Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli ATTI (MEMORIE E NOTE Gli Autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti. Eliofanometro , Eliofanografo ed Eliofania. Nota del socio Ciro Chistoni . (Tornata del 13 Giugno 1920) Nel 1880 trovandomi alla Zentralanstalt fùr Meteorologie und Erdmagnetisinus di Vienna, mi si offrì per la prima volta l'oc- casione di potere studiare praticamente il funzionamento del Surìshine-Recorder, inventato da Campbell di Islay e mo- dificato da Sir George Stokes ^); e proponeva di chiamare questo apparecchio col nome di Eliofanometro od Elio- fanografo ~). Dei due nomi ha avuto più fortuna il secondo, forse perchè trattasi di un vero registratore del numero di ore e frazioni di ora, durante le quali il sole splende liberamente nel cielo ; quantunque il primo dei due nomi accenni ad una qualità essenziale di questo importante apparecchio, quella cioè di essere un vero misuratore del tempo durante il quale il sole non è offuscato dalle nubi ^). La qualifica di EHofanometro od ^) Quaterly Journal of the meteorological society. Voi. VI, pag. 83. ") Veggansi le due seguenti note pubblicate nei Rendiconti del R. Istituto Lombardo. Serie II, voi. XIII, 1880: Chistoni, C. — Sulla misura delle radiazioni termo-luminose del sole. Chistoni, C. — Dei registratori in Meteorologia. 3) Nel the observer's Handbooh Meteorological Office (London 1909) da pag. 83 a pag. 94 vengono date dettagliate istruzioni per l'uso dell' Eliofano- metro Campbell-Stokes. Cure speciali dovrebbero aversi per la scelta della carta e per la gradua- zione in ore delle strisele eliofanometriclie. Con carta ben scelta, come fanno le principali case che forniscono gli clio- fanometri di precisione, la segnalazione (se il cielo è sereno) viene data subito dopo il levare del sole fino al tramonto. ._ 4 — Eliofanografo, dedotta dal greco classico, poteva, oltre che in Italia, essere adottata dagli altri paesi; invece ciò non avvenne ed ogni paese o conservò, o trovò un termine suo proprio da applicarsi all'apparecchio Campbììll-Stokes. In Francia Io si chiamò héliographe de Campbell, col- l'aggiunta , fra parentesi, di Sunshine recorder '). Senza volere valutare il nome di héliographe adottato in Francia per l'ap- parecchio eliofanografico, farò osservare che in Italia il nome di Eliografo si dà a qualsiasi apparecchio, che serva ad imprimere sopra ad una carta (fotografica o non fotografica) in un dato momento lo stato della superficie della parte del globo solare rivolta alla terra. Quando dirigevo il R. Osservatorio Geofisico di Modena, mi sono trovato di fronte a striscie pireliometriche assai dure per l' indicazione della presenza del sole , e così male graduate , che portavano ad un errore di circa un terzo di ora verso il nascere ed il tramontare del sole. — In questo caso conviene tenere accuratamente in osservazione le carte, per dedurre le relative correzioni a partire dal mezzogiorno e procedendo verso il levare ed il tramontare del sole. Quanto alla durezza della carta come dice 1' Eredia a pag. 109 della sua opera: Strumenti ed osservazioni di Metereologia (Firenze 1916) si può rime- diare deponendo sulle striscie di carta un sottile strato di parafina. Siccome sono stato io il primo ad adottare questo sistema dal dicembre 1894 (veggasi a pag. 100-101 delle Osservazioni metereologiche fatte all' Os- servatorio di Modena negli anni 1892-93-94, pubblicate anche nei Voi. X e XI degli Atti della R. Accademia di Modena) così credo di aggiungere qualche avvertenza sul modo di spalmare le carte pireliometriche colla parafina. — Per ottenere lo scopo, basta fare passare la carta nella parafina liquida, che abbia una temperatura di non piìi di cinque gradi sopra quella della fusione della parafina della quale si fa uso. — Se la temperatura della parafina liquida è elevata , la carta si imbeve di parafina e riesce durissima per le registrazioni eliofanometriche. Colla pratica e osservando di sovente l'impronta che lascia l'immagine so- lare sullo strato di parafina, si finisce col riescire a stimare con precisione il numero delle ore dello splendore del sole. Migliori indicazioni pratiche si potranno avere dall' attuale Direttore dello Osservatorio Geofisico di Modena Chiar.mo Prof. Carlo Bonacini, che dal 1906 ha sempre conservato il sistema della carta parafinata, da me introdotto nel 1894. ') Anqot, a.— Traiti' élémentaire de Meteorologie, 3. édition ; pag. 208 e seguenti. Paris 1916. Angot, a. — Instriictions nie'téorologiques, 5. édition; pag. 88 e seguenti. Paris 1911. Perciò se in italiano si fosse adottato il nome di Eliografo per l'apparecchio Campbell -Stokes, si sarebbe creata della con- fusione ; tanto più che il nome di Eliografo, che è termine de- dotto dal greco, corrisponde ad una impressione della superficie solare non alla durata dello splendore del Sole ^). Gli inglesi hanno conservato il loro termine: The Camp- bell-Stokes Sunshine Recorder 2). 11 Pernter •^) adottò per l'Austria la dicitura: Sonnen- schein-Autograph aggiungendo fra parantesi Sunshine- recorder, e nella 5^ edizione (Wien 1905) della Jelinek's An- leitung zur Ausfùhrung meteorologischer Beobachtungen pub- blicata dalla Direzione della Zentralanstalt fùr Meteorologie und Geodynamik a pag. 97 viene descritto l'apparecchio col titolo: Der Sonnenscheinautògraph nach Campbell-Stokes. Nell'Anleitung zur Anstellung und Berechnung meteorolo- gischer Beobachtungen dell'Istituto metereologico prussiano a pag. 40 della seconda parte (Berlino 1913) si descrive il Son- nenschein-Autograph. Dal Código Meteorologico Internacional (Manila 1913) pub- blicato per cura del P. José Algué a pag. 25, viene raccomandato el aparato registrador de Campbell-Stokes. In ogni modo, conoscendosi il termine adottato da ogni na- zione, non può esservi equivoco per ciò che corrisponde ad Eliofanometro od Eliofanografo. Dove invece è sorto e può sorgere equivoco è il modo diverso col quale si designa la durata (in ore e frazioni di ora) dello splendore del sole, dal suo nascere al tramontare. Nel 1890 uscivano le tavole meteorologiche internazionali redatte in tre lingue, francese, inglese e tedesca ^), che nella Ta- 1) Nell'Esercito si suole chiamare Eliografo il telegrafo ottico. •) Veggasi a pag. 83 ndVObseri'er's Handbook dell'Ufficio Meteorologico di Londra. Londra 1909. E veggasi a pag. 29 delle istruzioni meteorologiche della Società Meteoro- logica Reale d'Inghilterra. 3) Zeits. der Oesterr. Gesell. fur Meteorologie XVI Bd.; (1881) S. 8. ^) Queste tavole sono intitolate : Tables météorologlqiies internationales publiees conformément a une décision du Congres tenu a Rome en 1879 e vennero affidate ai Professori Mascart di Parigi e Wild di Pietroburgo e per la parte inglese vennero rivedute dal Prof. Scott di Londra. vola IV (da pag. 42 a pag. 53) portano le seguenti rispettive diciture : Durée de l'insolation aux diverses latitudes pour les diffe- rentes valeurs de la déclinaison du soleil. Duration of sunshine at different Latitudes for different va- lues of the Sun's declination. Dauer der Insolation unter verschiedeuen Breiten fùr die verschiedenen Werthe der Sonnen-Declination. Nel trattato dell' Angot summentovato si parla del " nom- bre d'heures pendant les quelles le soleil a brille chaque jour „ e si aggiunge : " en divisant pour un mois donne , le nombre d' heures de présence effective du soleil , relevé sur les bandes de r héliographe, par la somme des durées des jours du mois, on obtient une fraction dite fraction d' insolation etc. „. Nelle Instructions dell' Angot summentovate a pag. 88 si tratta della durée de Vinsolation. Il Pernter fino dal 1881 aveva adottata la frase Dauer des Sonnenscheins, che nel Codice Meteorologico tedesco venne ridotta al termine Sonnenscheindauer; tradotto in inglese con Duration of Bright Sunshine; in spagnolo con Ho- ras de sol despejado ed in italiano con Durata dello splendore del sole; cioè da tutti si è cercato di evitare il termine di insolazione, imprudentemente introdotto nelle tavole meteorologiche internazionali. In Italia si tentò quasi sempre di seguire l'espressione fran- cese, e difatti nelle Tavole ad uso degli Osservatorii meteorologici italiani pubblicate a Roma nel 1895 dal R. Ufficio di Meteoro- logia è detto: " Per insolazione deve intendersi il numero delle ore durante le quali il sole rimane visibile in una data stazione ed in un dato giorno „; e nelle stesse tavole ripubbli- cate a Roma nel 1Q17 per cura del Prof. Filippo Eredia, a pag. 10 è detto : La deliberazione del Congresso di Roma è riportata a pag. 32 del Rapport sur les travaux du deuxième Congres international des Météorofogistes re'unis à Rome du 14 au 22 avril 1879 (Rome; imprimerle héritier Botta 1879) e dice : Il est egalement désirable que le Comité se charge de la preparation d'une collection de tables qui pouvent étre employées dans les réseaux niétéorologi- ques des différents pays. " Chiamasi insolazione o soleggiamento il valore del rap- porto tra il numero di ore in cui il sole sta astronomicamente sull'orizzonte ed il numero delle ore di effettiva visibilità di esso ^) „. Ed il termine di insolazione è conservato dall' Eredia nell'opera: Strumenti ed osservazioni di Metereo- logia (Firenze 1916) ed era già stato dal Cerosa adottato nella sua Me te reo logia fino dal 1898. Secondo il Vocabolario degli Accademici della Crusca '■') Insolazione significa l'azione dei raggi solari sopra un corpo; ed è anche termine di Medicina e dicesi l'effetto dannoso del- l'azione troppo viva dei raggi solari sopra l'organismo animale e più specialmente nel capo. Il modo inesatto di chiamare insolazione la durata dello splendore del sole durante il giorno, è stato rilevato principal- mente in paesi dove, una volta, era male tollerata la lingua ita- liana, ma dove tuttavia si stampavano in italiano anche documenti ufficiali. — A Trieste si era adottato il termine di durata del soleggiamento ed a Fola durata della solazione (au- tografo Campbell e Stokes). I due vocaboli di soleggiamento e solazione non sono i più adatti, ma corrispondono meglio di insolazione. Ora, da che si sono adottati i nomi di Eliofano metro ed Eliofanografo dedotti dal greco classico e che non possono toccare alcuna suscettività nazionale, perchè non si è voluto ap- plicare il termine di Eliofania e proporre che in tutti i paesi si chiamino Eliot ano metri od Eliofanografi tutti gli ap- *) Indicando con A la durata dello splendore del sole in ore (sommini- strata dall' Eliòfanometro) e con B la durata del sole sull'orizzonte (nello stesso periodo di tempo) la insolazione o soleggiamento, secondo questa de- finizione è espressa da —r^. Il valore di questa frazione diviene ano per il caso eccezionale in cui A = B, e va aumentando col diminuire di A fino a toccare r infinito per A = 0, ossia per un tempo (giorno pentade, decade, etc). du- rante il quale 1' Eliòfanometro non abbia segnato. — Nello studio dell' Eliofa- nometria va principalmente considerata l' Eliofania relativa data da -g-, che oscilla fra zero ed uno. Diviene zero per A = 0 (cioè quando l'E- liofanometro non ha segnato) e diventa uno per il caso eccezionale in cui A = B. ■^) Quinta impressione. Voi. Vili, pag. 938. — Firenze 1899. parecchi destinati a misurare la durata dello splendore del sole; ed Eliofania la durata (in ore e frazioni di ora) dello splen- dere del sole? L' Eliofania assoluta sarebbe espressa dal numero delle ore dello splendore del sole e 1' Eliofania relativa sarebbe espressa dal rapporto fra il numero delle ore nelle quali in un dato luogo durante un dato tempo (giorno, decade, mese etc.) si è avuto lo splendore del sole ed il numero delle ore durante le quali, nello stesso tempo (giorno , decade , mese etc.) il sole è stato sull'orizzonte. Veda il Comitato meteorologico internazionale, se pure esi- ste ancora, se la mia proposta è, o non è ammissibile. Con tre soli vocaboli tolti dal greco classico e che non ri- guardano alcuna lingua moderna, si toglierebbero tutti gli equi- voci e si sopprimerebbero dei vocaboli poco appropriati. Napoli, dall' Istituto di Fisica terrestre della R. Università. Finito di stampare il 30 agosto 1920. Il Monte Cervaro presso Lagonegro in Basilicata. Memoria del socio Dott* Rosario Magliano (Con 2 tavole) (Tornata del 31 dicembre 1919). Sommario Introduzione. Topografia e morfologia. Costituzione litologica. Tettonica. Condizioni meteorologiche e idrografia. Fattori epigenetici e loro influenza sul modellamento del Cervaro. Inttod«2Ìone. Col j3resente lavoro ho cercato di studiare una località, non priva d'interesse, dell'Appennino lucano. Essa non è stata finora oggetto di ricerche dirette : degli ac- cenni ne occorrono solo nelle opere del De Lorenzo, il quale, nell'illustrare con l'acume e la genialità che gli sono propri i li- mitrofi terreni, ha rilevato i principali accidenti tettonici di essa e i suoi rapporti stratigrafici con quelli ^). Tutta la zona presa in esame è rappresentata dall' annessa carta geologica, -) la quale riproduce con poche modifiche quella ^) Un elenco dei lavori dell'illustre Geologo può vedersi nella sua : Guida geologica dei dintorni di Lagonegro in Basilicata. Roma , Tip. R. Acc. Lin- cei, 1898, pag. 5. Delle opere posteriori a questa data vedasi: Geologia e geo- grafia fisica delV Italia Meridionale Bari. Laterza, 1904. -) Costruita sulle carte topografiche dell'Istituto geografico militare , alla scala di 1:25.000 (F.o 210, II, NE, SW, NW). — 10 — che correda il volume del De Lorenzo: Le Montagne mesozoi- che di Lagonegro (Atti Acc. Se. di Napoli, Voi. 6, 1894). Ho creduto opportuno mantenere la indicazione generica di cretacico all'estesa area occupata dai calcari a rudiste, perchè pur essendomi potuto formare il convincimento che diverse zone co- stituiscono la massa prevalente di tale calcare, non mi è ancora possibile delimitarle in maniera esente da lacune e incertezze, atteso il materiale paleontologico da me raccolto finora e lo stato degli studi sul cretacico dell'appennino meridionale. Topografia e morfologia. Quasi esattamente al confine tra l'Appennino lucano e quello del Cilento si stende una linea di montagne, la quale, partendo dalia depressione del Vallo di Diano, a S del grande massiccio del Cervati, segue per buon tratto, con direzione NW-SE (la stessa cioè di tutta la catena appenninica) il corso del fiume Ca- lore, indi per poco quello del fiume Noce e mette capo in ultimo nel golfo di Policastro. In questa linea— la quale con le contigue presenta ancora in certo modo riconoscibile quella caratteristica disposizione a quinte che, evidente nell'Appennino settentrionale e centrale, va perdendosi nel meridionale — è intercalato il m. Cervaro, pre- cisamente dove la piccola catena incontra il fiume Noce. Sulla destra di questo, a circa 5 Km. da Lagonegro, fra 40°, 8', 20" e 40^, 10' di latitudine settentrionale, 3', 15' e 3°, 16' circa di lon- gitudine orientale (dal meridiano di Monte Mario) sorge la pit- toresca montagna, facilmente riconoscibile, per la sua forma ton- deggiante e nettamente delimitata, nell'irregolare anfiteatro di alture in mezzo alle quali campeggia solitaria e solenne. Fiancheggiata ad E da una serie di svelte cupole per lo piiì triasiche (monti Milego, Foraporto) e ad W da massicci rilievi cretacici (monti Rotondo, Mascilimiero, Buviero), essa distende un pò di sbieco, per la leggera deviazione del suo asse orogra- fico dalla direzione prevalente della catena, la sua mole pode- rosa, la cui forma, circoscritta quasi per intero dalle valli del fiume Noce, del torrente di Malamogliera e del Gauro e dal Vallone Secco, si avvicina all'ingrosso a quella di un ellissoide allun- — 11 — gato : l'asse maggiore, con orientazione W N W — E S E, mi- sura Km. 4 circa, quello minore Km. 3: l'altezza massima è di m. 1169 sul livello del mare. Ma prima di andare oltre occorre notare che il Cervaro è costituito da due parti, le quali, abbastanza distinte anche topo- graficamente, lo sono molto di più sotto il rispetto litologico e cronologico: la Pertusata e quello che chiamerò il Ce rv ar o propriamente detto. La Serra o Tempa Pertusata formala parte meridio- nale e per buon tratto anche quella orientale di tutta la mon- tagna. Separata a W per mezzo di una piccola insenatura dal Cervaro, essa ne abbraccia l'estremità inferiore e risale in dire- zione presso che rettilinea da S a N, stendendosi a guisa di lungo e basso antemurale dinanzi il versante E del Cervaro stesso. Per l'orientazione W N W — E S E di questo, la Serra a mi- sura che si avanza da S a N se ne va progressivamente allon- tanando, di modo che rimane interposto tra l'uno e l'altra un solco vallivo che sbocca nel Vallone secco. Nel suo ultimo tratto la Pertusata devia alquanto verso N E e va ad innestarsi alle alture che fiancheggiano la valle del Noce. La fisonomia topografica fondamentale di questa Serra è quella di un lungo contrafforte proteso verso i gruppi montuosi a oriente del Cervaro, ma la zona presa in esame si estende sino alla quota 856. Tale parte della Pertusata ha relativamente al Cervaro l'a- spetto di un gigantesco terrazzo intagliato nel fianco sud-orien- tale di esso (Tav. 1 profili 1 e 2) e attraversato, nella metà setten- trionale, dall'accennato solco vallivo; su una lunghezza media di poco superiore a Va Km. il ripiano si estende per oltre 2 Km., occupato da una serie di piccoli rilievi , che sono separati da conche per lo più carsiche (Tav. 1, prof. 4) — L'altezza media è di m. 800 sul mare, mentre il rilievo maggiore, situato in cor- rispondenza dell'asse orografico del Cervaro, raggiunge m. 8Q4. Poiché nel tratto meridionale la cima della Pertusata forma la linea di base del Cervaro, la Serra presenta il solo versante esterno, che forma a E l'erta sponda destra del Noce, elevan- dosi per circa 300 m. con pendio medio di oltre 30"|,„ ma ta- lora diventando una sola, ripidissima scarpata, e a W la f \^. iV -- 12 — bassa ma non meno scoscesa sponda sinistra del torrente di Malamogliera, mentre la breve punta meridionale cade su una spe- cie di piccolo sperone che divide il letto del fiume Noce da quello del torrente citato. Nel tratto settentrionale è presente anche un piccolo versante rivolto a NW, che scende nel Vallone secco con pendio medio di circa 24 °[o. La massa principale della montagna è rappresentata dal Cervaro propriamente detto. La configurazione di questo può approssimativamente ricondursi ad una piramide tt traedrica con gli spigoli arrotondati, avente la faccia rivolta a N una volta e mezzo circa più estesa di ciascuna delle contigue che guardano rispettivamente a S e a W. La base ha una lunghezza, in dire- zione SE— NW, di Km. 2 V2 e una lunghezza quasi eguale; il punto culminante (m. 11Ó9) trovasi in posizione eccentrica, nella metà meridionale della vetta. La conformazione generale è pertanto spiccatamente semplice e regolare, anche pel fatto che è pochissimo accentuata quella dissimmetria dei versanti che è legge dominante dei rilievi oro- grafici (Tav. 1, prof. 1 e 3); il pendio non presenta in generale brusche variazioni ed oscilla tra 24 °{o e 30 «jo. Nel Cervaro è presente una linea di vetta, orientata da N W a S E; essa ha la lunghezza di oltre ' /^ Km. (è quindi circa \ 4 dell'asse N W - S E) e presenta in tutta la sua estensione un grado poco avanzato d'intagliamento. La linea di cresta, non bene distinta, partendo dalla sommità della Pertusata, di cui in- contra l'asse orografico con angolo prossimo al retto , sale in direzione S E - N W, raggiunge la linea di vetta confondendosi con essa e discende, sempre con la stessa orientazione, nella Valle del Gauro. Con la linea di cresta coincide quella di spartiacque, tranne nei punti più bassi dove la maggiore attività delle forze denu- datrici ha originato una più o meno sensibile deviazione nella linea di displuvio. Può però individuarsi anche un'altra linea, meno marcata, di spartiacque, presso a poco normale a questa descritta e con decorso arcuato. Essa si sviluppa con direzione N N E — S S W dal Vallone secco alla Valle di Cervaro , pas- sando per la sella che divide le due gobbe culminanti della vetta. — 13 — L'andamento di queste linee morfologiche determina tre versanti ben distinti: uno (il più esteso) rivolto a N N E, con lunghezza alla base di Km 2 e pendio medio di 24 °|o (versante del Calore); l'altro, rivolto a S S E, ha estensione lineare alla base di Km. 1, 5 e pendio medio uguale al primo (versante del Noce); l'ultimo, che guarda a W S W, è lungo circa Km. 1,5 e in esso il pendio raggiunge il valore massimo di quasi 30 «[o (versante del Bussento)^). Pertusata e Cervaro costituiscono una sola unità topografica per le valli che la circoscrivono, delineando un perimetro ben definito che misura Km. 12. La linea di base della montagna segue quasi costantemente questo limite naturale e va da un minimo di m. 620 di altezza sul livello del mare (sbocco del torrente di Malamogliera nel Noce) ad un massimo di m. 750 (Coddata di Cervaro): solo a N E, tra il Noce e il Vallone secco, la Pertusata collega, come si è detto, a guisa di basso istmo, questo monte ai limitrofi. Tali valli esterne sono quelle del Noce, del Mala- mogliera, del Cervaro, del Gauro e il Vallone secco. La prima, che limita a E il Cervaro e lo divide dal m. Foraporto, è un tratto esteso Km. 3, 5 delia parte alta della valle in cui scorre il fiume Noce, lunga complessivamente 45 Km. Essa s'inizia dalle Murge del Principe, nel gruppo del Si- rino e, dopo aver descritto un largo semicerchio con la con- vessità a N, incontra il Cervaro; deviando dalla direzione pri- mitiva e cambiando il nome di Valle della Pietra in quello di Valle della Noce, segue il crinale della Pertusata, della quale incide le basi alla quota media di 550 m., con pendenza chilo- metrica di circa 35. La valle, profondamente incassata ( com'è per quasi tutto il suo percorso), ha nel tratto che qui si con- sidera una larghezza di fondo variante da 5 a 8 m., con fre- quenti allargamenti semicircolari delle sponde, i quali corrispon- dono a zone franate, e presenta in prevalenza il solito profilo trasversale delle valli di erosione, ma con sensibile dissimmetria ^) GÌ' Autori della Carta idrografica d' Italia (N. 32, Roma, 1906) consi- derano il Cervaro come " vertice dei tre bacini imbriferi del Noce, del Bus- sento e del Sete „ (pag. 65). Ciò è esatto solo approssimativamente. — 14 — pel pendio generalmente meno accentuato nella sponda sinistra. La valle del torrente di M ala moglier a circoscrive il Cer- varo a S e in parte a W, separandolo dal m. Rotondo; essa, cominciando dalla Coddata, decorre con direzione predominante WNW — ESEe dopo Km. 2 V2 incontra ad angolo acuto la valle del Noce. Minore che in questa è la larghezza, oscillante su fondo tra 2 e 5 m.; l'altezza delle rive raggiunge nel tratto ultimo, dove esse sono molto scoscese o addirittura una scarpata verticale, un massimo di 50 m. Il profilo trasversale conserva maggiore costanza, benché presenti la forma rigorosamente ti- pica delle valli di erosione solo nei tratti che divengono una gola vera e propria. Trattandosi dell'intera valle di un breve torrente, il pendio ha, com'è naturale, sensibili oscillazioni , che però interessano soltanto la parte alta: dal punto di origine (alla quota di m. 750) fin verso la metà del percorso si osservano frequenti dislivelli, ma a poco a poco il pendio si fa debole e unito, mantenendosi tale sino alla foce (m. 620 sul mare). Tra l'inizio delle valli di Malamogliera e del Oauro si stende un'altra valle che non ha nome nelle carte topografiche; sul luo- go il primo tratto, contiguo alla origine della valle di Malamo- gliera, è chiamato Coddata (colle): ha forma assai regolare, a fondo pianeggiante, con i versanti simmetrici e misura trasver- salmente nel punto centrale un 50 m. La Coddata a S si apre verso le pendici lentamente digradanti del m. Mascilimiero, men- tre a N si slarga in un bacino chiamato Valle di Cervaro. Esso ha una superficie di alcune centinaia di m-'. ed è solcato da piccoli canali di cui uno raccoglie l'acqua sgorgante dalla fontana dei Ferrari, gli altri quella piovana che scende dai monti Mascilimiero e Cocuzzo, dai quali la descritta valle separa il Cervaro, che quella del Gauro o Stretto Gauro divide dal m. Buviero. Il Gauro s'inizia presso il Fortino (gruppetto di case co- loniche allineate lungo la rotabile), decorre da S a N per circa Va Km., indi si piega ad arco verso N E per oltre 1 Km. e in un ultimo ripiglia la direzione S N, abbandona il Cervaro, dopo averlo circoscritto a W e in parte a N e raggiunge il f. Calore dopo parecchi altri Km. di corso, durante il quale raccoglie — 15 — numerosi affluenti dalle regioni attraversate. E' una valle incas- sata solo nel tratto tra il Cervaro e il Buviero; ha larghezza va- riabile e sponde in generale dissimmetriche nella parte incassata. Il pendio non presenta dislivelli sensibili. A N il Cervaro è limitato, oltre che dal Oauro, da una va- sta depressione a forma di bacino, di oltre 400 m-., il che ha nome di Accampamento *) o di Vallone secco e in cui corre la strada ferrata. Presenta nel mezzo brevi tratti pianeg- gianti e verso le pendici del Cervaro, come in generale ai mar- gini, piccoli poggi a pendio dolce, separati da valloncelli che sboccano nel Oauro. Oltre le descritte esistono nel Cervaro anche valli interne, ma (com'è da aspettarsi in una montagna di non grandi dimen- sioni) poco numerose e poco sviluppate. Esse sono generalmente canali collettori dei rivi pluviali e più di rado depressioni car- siche: così quelle che si trovano sulla Pertusata e nel versante occidentale del Cervaro, sotto la vetta, ecc. Soltanto quattro hanno una relativa importanza. Una è la già ricordata insenatura che separa la Pertusata dal versante S del Cervaro: è larga, poco profonda, a versanti simmetrici, lun- ga circa 1 Km. e approfondandosi e incassandosi nel tratto ter- minale sbocca nel torrente di Malamogliera. La seconda, pure accennata, è compresa tra la Pertusata e il versante N N E del Cervaro: decorre da S a N per circa Km. 1 '/., profonda nella parte iniziale poco meno di 50 m.; indi esce nel Vallone secco e , confluendo con altri piccoli solchi vallivi, si dirige verso il Oauro in cui mette foce dopo quasi un altro Km. di corso. Le altre due interessano tutto il versante settentrionale del Cervaro, interrompendone la continuità con solchi larghi e pro- fondi che, con le gobbe da essi delimitate, danno a questo ver- sante un aspetto frastagliato, in contrasto con la uniformità degli altri. 11 solco piià vicino al Oauro è il piìi lungo misurando Km. 2. ') Per l'origine di questo nome si veda: Pesce, C. — Storia della Città di Lagonegro. Napoli 1914, Tip. Pansini, pag. 162. 16 Costituzione litologica* Tettonica, La costituzione litologica della regione descritta è poco va- riata: il Cervaro è formato quasi interamente da una pila cal- carea che conserva grande uniformità nei caratteri e soltanto la Pertusata risulta di rocce diverse, che hanno però importanza secondaria riguardo alla estensione superficiale. La roccia più antica e più profonda è rappresentata da scisti siliceo - argillosi, i quali affiorano alla base del versante meri- dionale della Pertusata, in una ristretta area semilunare, compresa tra il Noce e l'ultimo tratto del Canale di Malamogliera. Essi fanno parte della coltre sedimentaria, ampiamente sviluppata nei dintorni di Lagonegro, che sormonta i calcari ad halobie e a noduli di selce. In questo punto la roccia si presenta a strati sottili, più o meno decomposta, di colore gialletto o rossiccio, per inquina- mento dell'ossido di ferro idrato o anidro: di rado e Hmitata- mente passa al verdognolo o al nero, per impurezze, dovute a ossidi metallici varii. Dove il colore é rosso, la roccia ha una spiccata tendenza a disgregarsi in piccoli frammenti angolosi, la cui forma fonda- mentale è il romboedro, mentre dove il colore è gialliccio, si divide per solito in lastre di qualche grandezza. In ogni caso gli strati sono ben distinti e generalmente at- traversati da una fitta rete di diaclasi, che il disfacimento meteo- rico mette sempre più in evidenza. Questi scisti (come hanno dimostrato gli studi del De Lorenzo), costituiti da innumerevoli scheletri silicei di Radio- lari, rappresentano sedimenti di mari profondi e devono ascri- versi alla parte superiore del trias medio, e precisamente al l;i- dinico '). Gli scisti silicei sono sormontati da dolomia, la quale forma un'ampia fascia che gira lungo il versante E, S e in parte W della Pertusata (sponde del Noce e del Malamogliera, ultimo i) De Lorenzo, G. — Le montagne mesozoiche di Lagonegro e Guida geologica dei dintorni di Lagonegro, pag. 12. — 17 — tratto; blocco arrotondato presso il ponte di Malamogliera, ap- parentemente sottoposto agli scisti per frattura con spostamento) e compare nelle falde settentrionali del Cervaro e nel Gauro. In questa regione la dolomia risulta di due membri ben di- stinti: uno inferiore, di colore chiaro e di solito senza stratifi- cazione manifesta; l'altro superiore, scuro, frequentemente stra- tificato in strati sottili. Generalmente affiora quest'ultimo, mentre il primo è allo scoperto solo dove piiì inoltrata è la denudazione. (Valli del Noce e del Malamogliera, burroncelli del Vallone Secco). La struttura è compatta o cristallina in vasti tratti, inter- calati a zone farinose. L'odore bituminoso è quasi sempre ac- centuato. Spesso la superficie degli strati è ricoperta da una patina nero lucente di sostanza carboniosa, piccoli grumi e per- sino discrete concentrazioni della quale si rinvengono talora an- che nella dolomia massiccia, in forma di lenti del diametro di qualche dcm. Le condizioni batimetriche dei mari in cui si depositò que- sta roccia sono chiaramente indicate dagli interstrati e dalle concentrazioni di sostanza carboniosa, dovute al decomporsi di alghe marine calcareo - magnesiache. Una rigogliosa vegeta- zione non può ammettersi, com'è noto, a profondità in cui scar- seggi la luce, che già a 400-500 m. — secondo le esperienze di FoL e Sarasin — non è più in misura da impressionare, anche con prolungata esposizione, lastre fotografiche sensibilissime. Le condizioni bionomiche invece sono tutt'altro che chiare. La questione della genesi delle dolomie, che occupano tanta parte della Penisola, è tuttavia indecisa. F. Virgilio, per quelle della provincia di Bari, assai simili strutturalmente a queste che qui si esaminano, ammette (secondo l'opinione comunemente seguita) che " dove si presentano stratificate, possono essersi formate durante l'accrescimento dei calcari coralligeni, special- mente dove abbondavano alghe calcaree fortemente magnesiache; e le masse prive di stratificazione distinta potrebbero derivare da originarii calcari magnesiaci per successiva alterazione „ '). Ma il De Lorenzo dimostra non ammissibile, pei dintorni di La- 1) Virgilio, F. — Geomorfogenia della Provincia di Bari. Trani, Vecchi 1900, pag. 57. — 18 — gonegro, l' ipotesi della dolomitizzazione e ritiene che le dolo- mie, quivi non molto estese, " si siano depositate presso a poco come si trovano „ ^). Nella ristretta area che ho esaminata la differenza di habitus fra lembi stratificati e lembi massicci è tale, da indurre natural- mente ad ammettere una netta distinzione , presente ab initio, tra gli uni e gli altri, essendo poco meno che inesplicabile tanta diversità di effetti nell'alterazione di una identica roccia, assog- gettata ad identici processi. Anche il riferimento cronologico non è determinabile con precisione per la scarsità e il pessimo stato di conservazione dei resti organici: non mi è finora avvenuto d'incontrare, e ben ra- ramente, che frantumi indecifrabili di conchigliette friabilissime. Il De Lorenzo ammette che una parte " spetta forse al " Hauptdolomit, mentre l'altra può ritenersi con sicurezza come " appartenente al lias „ ~). Tanto la dolomia massiccia che quella stratificata sono at- traversate da numerosi piani di frattura, i quali agevolano la caratteristica disgregazione in un'arena minuta e angolosa, che forma instabili conoidi in tutti i valloncelli e rende facilmente riconoscibile anche a distanza tale roccia. Talora essa passa a calcare dolomitico cariato , senza di- stinta stratificazione, compatto, criptocristallino. Sulla dolomia si stende un calcare generalmente scuro, qua- si sempre argilloso (spesso assai abbondantemente), con odore bituminoso più o meno pronunziato. Ha struttura compatta e non di rado frattura subconcoide. Si presenta nettamente stratifi- cato in strati sottili. Questo calcare scuro si trova qua e là, in piccoli lembi, nei dintorni di Lagonegro. Dal De Lorenzo, che lo sincronizza con quello di Rossano e di Taormina, venne ascritto alla parte superiore del Lias inferiore '^). Greco, invece, in base al mate- riale paleontologico di uno dei giacimenti segnalati dal De Lo- ') De Lorenzo, Q. — Le montagne mesozoiche ecc., pag. 56. ') De Lorenzo, G. — Guida geologica ecc., pag. 14. •') De Lorenzo, G. — Guida geologica ecc., pag. 15. — 19 — RENZO (apice orientale del m. Foraporto) lo riferisce al Dogger inferiore ^). Il calcare scuro della Pertusata è identico a quello del Fo- raporto, con cui un giorno si continuava , prima che i disturbi tettonici e i fattori epigenetici interrompessero tale continuità: esso quindi ha la stessa età. Nella zona da me esplorata non ho rinvenuto che forme isolate, e per solito mal conservate, di Brachiopodi sopra tutto: in parecchi punti ho potuto notare piccolissimi grumi di sostanza carboniosa. Tra i fossili mi è stato possibile determinare i seguenti: Waldheimia IppoUtae Di Stef. 2 esemplari; Pecten {Entoliiim) cingulatus Phill. ; Phylloceras: sp. ind. (parecchi esemplari, quasi interamente corrosi ^). Al calcare a brachiopodi, giurassico, è sovrapposto un cal- care dolomitico, che si presenta in grande estensione nel ver- sante E e S E del Cervaro. E' di colore grigio, bituminoso, a struttura compatta o porosa, spesso cristallina. Non offre traccia visibile di stratificazione. Sviluppatissima è la minuta carie, caratteristica di questa roccia. Nessun fossile vi ho rinvenuto né cavità chiaramente rife- ribili a fossili scomparsi in seguito ai fenomeni diagenitici che i calcari dolomitici sogliono subire, arricchendosi più o meno di MgCOg. Tuttavia , l' intimo rapporto che tale roccia pre- senta col sovrastante calcare a Rudiste, e il fatto che spesso i banchi di quest'ultimo sono ad essa intercalati, dimostrano la sua probabile pertinenza al Cretacico. 11 calcare a Rudiste copre quello dolomitico e costituisce la maggior parte della massa del Cervaro. Presenta sempre distinta stratificazione e gli strati sono ge- neralmente di spessore notevole, poco variabile da punto a punto. ') Greco, B. — Fossili oolitici del Monte Foraporta. Palaeont. ital. Voi. 5, Pisa, 1899. "-) Mi riserbo fare oggetto di uno studio a parte il materiale fossilifero rinvenuto nel Cervaro. - 20 — Il colore fondamentale è grigio chiaro, passante talvolta a una tinta più chiara o più scura. In limitatissimi tratti, ricchi di a- vanzi organici, il colore è nero: soltanto in questi punti ho ri- scontrato odore bituminoso, che generalmente manca o è de- bolissimo. La rubefazione non è frequente. La struttura conserva anch'essa una grande uniformità. D'or- dinario abbastanza compatta, diviene subordinatamente grosso- lana 0 granulare, in ispecie dove la roccia è un impasto di fran- tumi di piccole Rudiste. Relativamente abbondanti sono i fossili e di solito s'incon- trano ristrette zone gremite di avanzi organici e intercalate in estese masse che ne sono quasi completamente prive. D'ordinario sono in pessimo stato di conservazione e, per di più, quasi sem- pre in frantumi, il che fa ritenere che le ricche isolate concen- trazioni rappresentino accumuli di resti originariamente incom- pleti. Per lo più si tratta di pezzi di conchiglie bivalvi, la cui parte madreperlacea è ben conservata, o più spesso di piccole Rudiste disordinatamente ammassate. Non di rado neppure que- ste indeterminabili reliquie si distinguono: la roccia ha aspetto omogeneo e solo piccoli noduli, listerelle e areole di calcare cri- stallino, che spiccano sul fondo uniforme pel colore bianco o nero lucente, segnano la traccia di vestigia organiche per sem- pre scomparse. Anche in condizioni favorevoli di conservazione, l'isolamento dei fossili è assai difficile, specialmente per le diaclasi numerose e dirette in ogni senso, quali cementate da calcite cristallina, quali invisibili a occhio nudo, ma che si rivelano sotto il mar- tello o con la calcinazione. Talvolta i fossili (specialmente le lunghe valve fisse delle Rudiste) sono spezzati, spostati e ricementati da calcite bianca. Il materiale da me finora raccolto {Inoceramus, Radiolites, Hippiirites di varia grandezza ecc.) non mi consente conclusioni dettagliate circa un preciso riferimento cronologico di questo terreno indubbiamente cretacico. I nuovi studi ^) sul cretacico dell'Appennino tendono a riferire i calcari inferiori a Requienie ') Bassani, F. e D'Erasmo, Q. — La Ittiofauna del calcare cretacico di Capo d'Orlando presso Castellammare. Roma, 1912, R, Acc. Lincei, pag. 15. — 21 — dell'Italia meridionale non più all'infracretacico, ma al cenoma- niano in senso lato: su quelli si stenderebbero i banchi ippuri- tici del turoniano e del senoniano. Non è improbabile che il calcare dolomitico senza distinta stratificazione e il calcare in banchi del m. Cervaro apparten- gano al cenomaniano: almeno la maggior parte di quest'ultimo, senza potere per ora precisare i limiti, essendo quasi nulle le variazioni verticali in questa ingente pila calcarea. In alto si stenderebbero gli strati, più chiari e più ricchi di fossili, del tu- roniano e del senoniano. Nelle valli e nelle depressioni si rinvengono argille preva- lentemente scagliose, grige, giallastre o rossastre. Spesso (come ho osservato durante l'escavazione di qualche pozzo) ad esse sono sottoposti straterelli di marne giallastre: più di rado vi si trovano intercalati banchi di calcare marnoso e di arenaria a grana grossa o finissima, con elementi silicei e talora micacea. Questo materiale (fly sch), esistente in tutte le grandi valli e le piccole insenature dei dintorni di Lagonegro, è riferito dal De Lorenzo al bartoniano ^): la denudazione e i movimenti oro- genici per dilavamento e per scivolamento l'hanno raccolto nelle depressioni, dove si è deposto disordinatamente su gli strati ri- masti in situ. Sulla cima del Cervaro e della Pertusata, come nelle depressioni doliniformi che vi si notano, non vi è più traccia di tali terreni eocenici. Sulla Pertusata si trovano lembi di calcari brecciformi in connessione tale con il calcare dolo- mitico, che l'unione apparisce non dovuta a cementazione po- steriore, ma originaria. Non avendovi rinvenute reliquie orga- niche non posso precisarne il riferimento cronologico. Frequentemente le argille eoceniche sono mascherate da terra rossa, che di solito non presenta i suoi caratteri tipici, essendo rimaneggiata pei lavori agricoli e commista a detriti di varia natura. Se ne trova anche in piccola quantità in alcune doline sul Cervaro e sulla Pertusata. Nella parte centrale del Vallone Secco e nella valle in cui sgorga la fontana dei Ferrari si trovano depositi lacustri plei- stocenici ben conservati, specialmente nella seconda località, e ') De Lorenzo, G. — Guida geologica ecc., pag. 17. — 22 — consistenti in argille turchine o rossastre e fanghi. Di fronte alla fontana citata, sulle argille si stende per un centinaio di m-. uno strato, della potenza di 1 m., di marna tenera, molto fria- bile, ricca di filliti, tra cui si riconoscono la Querciis ilex, Quer- ciis peduncolata, Alnus, Corylus etc. Lo strato è in posizione per- fettamente orizzontale e coperto dal terreno sativo. In questa valle doveva inoltrarsi una propaggine del lago pleistocenico che occupava il Vallone secco '), a cui era unita dal Canale del Gauro. Attraverso di questo deve essersene ini- ziato lo svuotamento, completatosi poi per mezzo dei canali tri- butari del Bussento, nei quali finì per raccogliersi tutta l'acqua di precipitazione affluente nel bacino, mentre la comunicazione col Gauro si rendeva sempre piìi difficile e attualmente è inter- rotta, perchè 1' approfondamento di esso è rimasto inferiore a quello dei canali suddetti divenuti. a poco a poco i soli emissari. Bisogna in ultimo ricordare i conglomerati , discretamente sviluppati lungo le pendici S e W del Cervaro. Risultano tutti da elementi di varia grandezza, a spigoli vivi o corrosi da pro- cessi carsici, con cemento calcareo. Sono una formazione terre- stre, monogenica e per lo più autigena, trattandosi ordinariamente del detrito di pendice cementato in posto. Si trovano di solito a grossi lembi separati (Coddata, dove raggiungono lo spessore di oltre 2 m.) ; piia di rado a banchi sovrapposti o a crostone continuo. A misura che si sale verso la cima della montagna, i con- glomerati cedono gradatamente il posto al detrito sciolto , che l'acqua, meno ricca di CaCOs, non ha potuto cementare. Vi sono inoltre pochi , limitatissimi accumuli di materiale alluvionale terrazzato, lungo il corso del Noce. Uno , ben con- servato, è rimasto come cappello sul blocco dolomitico presso il ponte di Malamogliera , a piiì di 50 m. sul letto del Noce. E' potente al massimo 3 m. e risulta di ciottoli di calcare ad ha- lobie e piastrelle silicee , provenienti dalla valle alta del Noce, di blocchi di calcare a Rudiste, arenarie giallastre ecc. ^) De Lorenzo, Q. — Reliquie di grandi laghi pleistocenici dell' Italia Meridionale. Napoli, Atti Acc. Se. 1898. L'A. rinvenne nelle argille turchine del Vallone secco la parte prossimale del metatarso destro del Cervus elaphus. — 23 — La successione verticale e la disposizione delle rocce de- scritte è la seguente (Tav. I., Sez. geologica). I. per la Pertusata: a) Scisti silicei, con potenza di una trentina di m. Sono fortemente inclinati a N e dopo un centinaio di m. di estensione in larghezza per 200-300 di lunghezza s'immergono sotto la dolomia. Gli strati sono per lo più minutamente ondu- lati ed hanno la direzione prevalente SW - NE. b) Dolomia, potente oltre 200 m. Nei pochi punti in cui si conserva la stratificazione, altro non si riesce a stabilire se non che essa è piuttosto tormentata e generalmente concordante con quella dei calcari scuri giurassici sovrastanti. e) Calcari scuri bituminosi , con potenza variante da 40 a 100 m. Sono inclinati di 30 a 45 gradi verso NW e hanno di- rezione predominante NE - SW. La direzione e l'inclinazione su- biscono frequenti , benché poco notevoli , deviazioni per effetto di disturbi stratigrafici locali, che talora hanno anche provocato qualche rovesciamento di pieghe (versante S della Pertusata, poco sopra gli scisti silicei). II. Per il Cervaro (a partire dalla vetta della Pertusata) : d) Calcare dolomitico senza distinta stratificazione, potente circa 100 m. e) Calcare grossolano, grigio, con scarsi fossili: poco piiì di 100 m. In grossi banchi pendenti verso N o NE, con inclina- zione di circa 30°. /) Calcare più chiaro e più compatto , ricco di avanzi di rudiste, potente circa 150 m. : orientazione uguale al precedente. Questi due termini presentano anch' essi deviazioni strati- grafiche dovute alle dislocazioni provocate dalle forze orogeni- che. Nel versante occidentale del Cervaro ( sponda destra del Gauro e sinistra del canale di Malamogliera) estesi tratti mo- strano pendenza di oltre 30° verso W. La tettonica del Cervaro è dominata dai fenomeni di frat- turazione subiti dalle rigide pile sedimentarie in seguito alle forze corrugatrici, a cui il monte deve essenzialmente la sua genesi. L'esame delle condizioni tettoniche conferma la geniale in- — 24 — tuizione del De Lorenzo che il Cervaro coi m. Cocuzze, Gian- caglino, luncolo, Mascilimiero, Nizzullo e Serra Longa formasse una sola gigantesca cupola a grandissimo raggio di curvatura, spezzatasi per fratture a gradinata, lungo le quali si spostarono i blocchi pii^i 0 meno grandi che costituiscono le montagne at- tuali 1). Uno di questi blocchi è il Cervaro , che rappresenta parte del fianco orientale di questa immensa piega. Il suo versante orientale è rimasto presso a poco nella posi- zione originaria, con gli strati pendenti a E o a NE; invece quello occidentale rappresenta la faccia della prima frattura che separò il Cervaro dal m. Mascilimiero e più a N dal Buviero. Lungo tale faccia scivolarono i calcari a Rudiste che mascherano il cal- care dolomitico, e formano ora, alla base del versante suddetto, la sponda sinistra del Canale di Malamogliera, dall'origine fino all'insenatura che separa la Pertusata dal Cervaro. Le costrizioni orogeniche haimo provocato talora in questi lembi scivolati la formazione di piccole pieghe indipendenti dalla stratificazione generale e da per tutto poi numerosissimi piani paralleli di frattura. In tal modo si originava la valle di Cervaro, che è una vera zona di depressione e parte di quelle del Gauro e di Malamo- gliera, approfondite in seguito dalla erosione. Oscura è l'origine del Vallone secco: il suo fondo è costituito dalla dolomia su cui (nel tratto esaminato) mancano i terreni posteriori, giuras- sici e cretacici, stendendovisi solo il flysch eocenico e le argille lacustri. La ristrettezza della plaga studiata non mi consente di decidere se tale mancanza sia da attribuire a non avvenuta se- dimentazione 0 ad abrasione o a dislocazione con carreggiamento. Oltre al descritto, fondamentale accidente tettonico, si veri- ficò nel Cervaro un movimento, forse contemporaneo, di sol- levamento più pronunziato dello spicchio meridionale, con pro- duzione di numerose fratture con spostament-o. La più impor- tante per la genesi della configurazione morfologica del Cervaro è la frattura del Noce, che interruppe la connessione topogra- fica della Pertusata col m. Foraporto. Essa ha direzione paral- lela all'asse orografico e segna in questo punto un limite netto ^) De LoreNizo, G. — Guida geologica pag. 24. — 25 — fra terreni cretacici (a destra) e pre-cretacici (a sinistra) ; alla confluenza del Noce col Malamogliera si biforca: un ramo vol- ge verso W, costituendo appunto la valle di Malamogliera e mettendo capo alla ricordata zona di depressione della valle di Cervaro ; l'altro prosegue verso N, formando la continuazione della valle del Noce. Lo spostamento raggiunge il valore mas- simo (circa 50 m.) al punto di biforcazione e va attenuandosi a misura che se ne allontana. La parte depressa è rappresen- tata dalla sponda destra del Canale di Malamogliera e sinistra del Noce ; quella elevata, dallo spicchio compreso tra le due valli suddette. Pertanto anche queste devono considerarsi come valli tet- toniche trasversali, non perchè possa disconoscersi l' importanza dell'erosione nella elaborazione di esse, ma perchè alle cause tettoniche deve attribuirsi un'influenza originaria e determinante, che ha preparato le condizioni favorevoli al lavoro erosivo, per l'avvenuta localizzazione della linea di scolo, per la frammenta- zione della massa rocciosa, per la pendenza derivante dall' ine- guale valore del sollevamento. Tra le due fratture principali del Noce e del Malamogliera corrono alcune altre secondarie, con tendenza a riunirle. Di esse ho osservato (Tav. 1, sez. geol. e Tav. 2, Carta geo- logica): L Una, alla base della Pertusata, presso il ponte di Malamo- gliera, con spostamento di circa 30 m. Essa taglia gli scisti si- licei, le cui testate ne formano il labbro superiore, mentre quello inferiore, sprofondato, è costituito dal rilievo dolomitico die fiancheggia il Canale di Malamogliera; 2. Un'altra, con lieve spostamento, più a N della prima, tra gli scisti silicei e la dolomia; 3. Un'altra ancora, in parte riempita da breccia di frizione e di trasporto acqueo, cementata, tra i calcari sottili giurassici e il calcare dolomitico massiccio. E' vicinissima alla seconda e lungo la rotabile si scorgono benissimo gli strati dei calcari giu- rassici estesamente fratturati e sollevati sino ad una pendenza di circa 45°, in seguito alla spinta contro la parete del calcare dolomitico, per effetto del sollevamento. Presenta uno sposta- mento di circa 50 m. — 26 — Vi sono inoltre numerose dislocazioni, che hanno originato le accennate deviazioni stratigrafiche, segnatamente nel versante occidentale, e diaclasi abbondantissime in tutte le rocce. Anche nel rilievo dolomitico sopra ricordato, che ha apparenza mas- siccia, si notano piani di frattura: nell'estrazione dell'arena ven- gono talora allo scoperto le superficie di lisciamento, di cui ho potuto osservare qualcuna magnificamente conservata, speculare. Nel complesso dunque è da ritenere che, a causa delle co- strizioni orogeniche, lo spicchio meridionale del Cervaro abbia eseguito un movimento di sollevamento più accentuato di quello della restante massa, o per reazione alla generale pendenza a N degli strati del monte, o perchè questa porzione, investita dalla forza premente e tagliata da due fratture confluenti al suo apice, è sfuggita lungo la perpendicolare alla direzione della forza. In tal modo, mentre si produceva un sollevamento fino ad un'altezza per la quale veniva ristabilito l'equilibrio tra for- za e resistenza, i tratti piij vicini all'apice stesso perdevano la continuità con la restante roccia e si spezzavano e per gravità e perchè la loro massa, sempre piià piccola a misura che si an- dava verso il vertice, non poteva opporre resistenza adeguata alle spinte. Così si originava la frattura tra gli scisti silicei e il rilievo dolomitico, col conseguente sprofondamento di que- st'ultimo, nonché le altre descritte che formano una serie paral- lela, congiungente trasversalmente le due principali del Noce e del Malamogliera. Poiché tutte queste fratture (verisimilmente sincrone) inte- ressano terreni post-triasici, si deve considerarle episodi del grande diastrofismo terziario, a cui essenzialmente deve la sua origine quasi tutto l'Appennino. Condizioni meteorologiche e idrografia. Il Cervaro va incluso nella zona climatica " peninsulare in- terna „ ') il cui carattere morfologico è quello di essere essen- zialmente montuosa e interna. Mancando però nelle vicinanze ') Seguo la terminologia adottata dal Roster, — Climatologia dell' Italia, Torino, Un. tip. ed. 1909. — 27 — qualsiasi stazione meteorologica, non è possibile fornire circa i vari elementi di cui risulta il clima dati desunti da osservazioni sistematiche e prolungate. Tuttavia credo non inopportuno tentar di abbozzare la fi- sonomia meteorologica di questo breve lembo dell' Appennino lucano sulla scorta di alcune osservazioni personali e dei dati ottenuti nelle stazioni termo-udometriche esistenti in vari punti della Basilicata ^). Tali dati devono avere una sufficiente ap- prossimazione a quelli spettanti alla località in esame , giacché essendo le condizioni fisiche di essa non diverse sostanzialmente da quelle complessive della regione lucana, non è presumibile una deviazione notevole dall'andamento climatico di quest'ultima. I caratteri termici generali del Cervaro sono quelli dei climi moderati, contraddistinti da oscillazioni medie annue di 15 a 30 gradi. La media invernale deve aggirarsi intorno a pochi gradi sopra 0°, raggiungendosi spesso, come valore estremo assoluto, temperature al disotto dello O". In escursioni sul luogo avve- nute verso la metà di novembre, alla fine di dicembre, al prin- cipio e alla fine di gennaio, con tempo normale, il termometro scese durante la notte rispettivamente a 6°, 5 ; 4°, 8 ; 5°; 5°, 4 - ~) in località riparata dai venti e da forte irradiazione, a circa 750 m. di altezza sul livello del mare. Tenuto conto che questo è, presso a poco, il livello di base del Cervaro sicché quasi tutta la sua massa si trova compresa fra questo limite inferiore e i 1000 m. di altezza, i valori ottenuti, non lontani dalla media di Gennaio per la Basilicata in 4°, 45 data da osservazioni eseguite al di- sotto di 1000 m., devono essere diminuiti in ragione della mag- giore altitudine, (rispetto alla quale, dal parallelo 45*^ in giù, l'Ufficio centrale di Meteorologia ha accertato un decremento medio di gradi 0°, 5 per ogni 100 m. di altezza), per avere la probabile media invernale (da 3° a 4°). ') Potenza, Pomarico, Ferrandina, Tito, Montemurro. Solo le prime due hanno osservazioni sulla temperatura: nelle altre località si sono raccolti esclu- sivamente dati pluviometrici. ~) E' superfluo notare che questi valori isolati, e quindi senza importanza per deduzioni generali, si riportano solo in mancanza di dati desunti da osservazioni sistematiche. — 28 — La media estiva oscilla forse intorno i 23 gradi. In 3 osservazioni fatte sulla vetta, la P alla metà di luglio, la T- ai 10 di agosto, la 3^ ai 25 dello stesso, ho ottenuto ri- spettivamente i valori di 24°, 22°, 5 e 21°, 5 (media di luglio della Basilicata 22^ 65). Il regime dei venti non si discosta da quello generale che vige lungo il versante tirrenico inferiore. Le osservazioni locali dimostrano che la direzione più irequente è quella di SW, sovra tutto nel semestre invernale (come del resto si verifica nel cen- tro della Basilicata e anche della Campania) ') ; seguono; per frequenza, i venti del I quadrante (specialmente il grecale). Più che ai venti australi, il Cervaro è aperto a quelli nordici, che, incanalandosi per la lunga depressione del Vallo di Diano, lo investono in pieno e producono bruschi e notevoli abbassa- menti di temperatura -). Il regime pluviometrico segue anch'esso le linee ge- nerali di quello dell' Italia meridionale , subordinato com' è al bacino tirrenico , le cui fasi di alta e bassa pressione regolano r andamento delle precipitazioni atmosfericlie. Il massimo di pio- vosità coincide con la massima declinazione invernale del sole, mentre il periodo estivo passa quasi interamente senza piogge. Le precipitazioni sono sul tipo marittimo : esse avvengono di solito " con le raffiche violente e rapsodiche, caratteristiche delle " contrade tropicali, meno nel cuore dell' inverno, in cui a volte " per molti giorni la pioggia cade senza interruzione dal cielo " sempre oscuro „ '). La media pluviometrica non è conosciuta con esattezza. Tra- lasciando gli autori che ci sembrano meno vicini al vero ricor- deremo solo il RosTER, che colloca la regione studiata tra 1' area che ha da 800 a 1000 mm. di precipitazione annua e quella che ne ha da 1000 a 1200, ") e i Compilatori della Carta idrografica d' Italia, i quali ritengono che alle montagne di Lagonegro e di Lauria e alle altre che si spingono verso Castrovillari si debbano 1) Eredia, F. — / venti in Italia. Roma, 1909, Off. Poligr. It. pag. 119. -) Il venticello detto sul luogo poi a è la nota brezza di montagna. •') De Lorenzo, G. — Terra Madre. Bari, Laterza 1907, pag. 108. ') Roster, Q. — Climatologia dell' Italia, pag. 298. — 29 - attribuire almeno 1800 mm. come media, in considerazione che Mormanno, paese posto in mezzo ad esse , a quota inferiore a 1000 m., ha una media di mm. 1659 '). Crediamo tuttavia che la media pluviometrica della contrada di cui fa parte il Cervaro si avvicini più che a quella di Mormanno air altra di Moliterno, paese quasi limitrofo (mm. 742 , con un massimo di mm. 172Q), o è forse di poco maggiore, atteso che la contrada stessa è quasi subito incontrata dai venti imbriferi che salgono dal vicino Tirreno e presenta nel suo vasto com- plesso di monti un eccellente sistema condensatore. Dal dicembre al febbraio, di solito, la precipitazione avviene sotto la forma di neve. Durante questo tempo il Cervaro è av- volto spesso nel suo candido lenzuolo, che ne mette in maggior risalto i lineamenti armonici e maestosi -). L'idrografia del Cervaro è essenzialmente di tipo carsico, con siccità esterna e ricchezza d' acqua nell' interno della massa rocciosa, attraversata da un labirintico intrico di canali e di ca- verne, in cui va in ultimo a finire l'acqua piovana, per capil- larità, per imbibizione e per drenaggio. La caratteristica acquivorità del calcare è accentuata non solo dalle numerosissime soluzioni di continuità , ma anche dal fatto che manca o è pochissimo esteso il mantello di terriccio, poco permeabile, mentre 1' abbondante detrito ciottoloso fraziona ed esaurisce l' acqua di pioggia, ostacolando la formazione di un ruissellement notevolmente sviluppato. Sono perciò pochi e minuscoli i rivi pluviali che si formano e che soli rappresentano la circolazione esterna. Essi vanno poi a raccogliersi nel torrente di Malamogliera, che si getta nel fumé Noce ; nel Gauro che, dopo aver ricevuto dal Cervaro alcuni affluenti (tutti come il Oauro stesso alimen- tati dalle precipitazioni) si scarica nel fiume Calore ; e infine in minima parte danno il loro tributo a uno dei rami iniziali del fiume Bussento (canale dei Ferrari). La circolazione interna superficiale è anch'essa nel com- 0 Carta idrografica d' Italia, N. 32 - pag. 19. ^) La grandine è poco frequente ; rarissima la nebbia. — 30 - plesso poco sviluppata, per quanto si è notato circa il manto di terriccio, il quale non può che alimentare colaticci e gemitii affatto temporanei e dà solo un concorso secondario, in gene- rale, alle sorgenti di cui tratteremo piìi avanti. La circolazione interna profonda deve dunque avere una certa importanza. Ma quale sia lo sviluppo dei canali sotterranei, quali le loro particolarità e 1' andamento generale stesso non è possibile conoscere, perchè mancano del tutto quei caratteristici fenomeni (inghiottitoi, resorgive ecc.) da cui con svariati mezzi si può avere idea del regime dell' acqua sotterranea e d' altra parte è ovvio che non si può tener conto della pendenza degli strati, interrotti come sono da litoclasi anastomizzantisi in mille guise. Solo può dirsi che da essa essenzialmente dipendono le sorgenti che il Cervaro presenta e cioè : la fontana sulfurea, la fontana di Cervaro, la fontana dei Ferrari e, in parte, la fontana di Annavita, ') — tutte perenni. La Fontana sulfurea scaturisce alla base della Pertusata, dagli scisti siliceo-argillosi triasici, alla quota di 570 m. circa, ad una trentina di m. dal Noce, sul cui letto è elevata di pochi metri. L' acqua è limpida , senza sapore particolare , con un lieve odore di idrogeno solforato, è scarsamente mineralizzata, così che non lascia deposito ove scorre. La tenue incrostazione di solfo che si nota nel lume del cannello di efflusso e nelle pozzanghere è dovuta a microorganismi che fissano il solfo stesso. La portata e la temperatura furono misurate, nel 1903, dai Compilatori della Carta Idrografica, piià volte citata: si ebbe per la prima il valore di V4 di litro, circa, al 1"; per la seconda quello di 13°, 5. Da me sono state eseguite 3 misure : in luglio, in settembre i) I compilatori della ricordata Carta idrografica d'Italia ritengono che il Cer- varo mandi al fiume Noce polle e infiltrazioni nell' alveo, benché esse non siano state determinate e forse neppure osservate. Essendo state fatte misure della portata del Noce solo sotto il Ponte della Calda e nessuna più a moìite , tale supposizione non ha alcuna conferma. Tranne la fontana sulfurea, lo scrivente nessun' altra polla o infiltrazione tributaria del Noce ha.rinvenuta, né crede che ne esistano, tenuto conto delle sorgenti presenti, in rapporto con l'estensione del monte e la precipitazione. - 31 — e in novembre. La temperatura si mantenne invariata , mentre la portata nella 3^ misurazione , fatta parecchi giorni dopo un periodo di piogge copiose, non era aumentata che insensibil- mente, ma da un piccolo tratto acquitrinoso che fiancheggia la fontana defluiva maggior quantità di acqua. I valori della temperatura e della portata, l' invariabilità del- l' una e, fino a un certo punto, anche dell' altra, dimostrano che questa sorgente non è di origine superficiale e che essa rappre- senta lo scarico di una zona di assorbimento abbastanza estesa. Le condizioni tettoniche di questa plaga meridionale del Cervaro, con i disturbi stratigrafici e le litoclasi che presenta, non permettono deduzioni dettagliate e sicure sulla genesi e il decorso di questa sorgente. In linea generale si può asserire che r acqua, filtrante attraverso i calcari scuri e il calcare dolomitico, bituminosi, e diffusa nelle sottostanti dolomie farinose , bitumi- nose anch' esse , si raccolga infine sugli scisti siliceo— argillosi, quasi impermeabili , e lungo questi proceda , fino ad affiorare nella soluzione di continuità da cui essi sono bruscamente in- terrotti, in vicinanza della linea di frattura del Noce. La piccola quantità di idrogeno solforato ripete la sua ori- gine dalla decomposizione di sostanze organiche, i prodotti della quale impregnano in larga copia le rocce attraverso cui 1' acqua compie la sua lenta percolazione. Pili modesta è la Fontana di Cervaro, che si trova a poca distanza dalla base del versante occidentale del monte , a una decina di m. dalla rotabile , e propriamente tra questa e il tratto iniziale del Canale di Malamogliera, alla quota di 750 m. circa. L' acqua non ha odore o sapore particolare ; è limpida e potabile. La temperatura, misurata una prima volta alla fine di set- tembre, risultò di 15°, 2; la portata di circa 1/.3 di 1. al 1" : (pel modo come avviene il deflusso da un canaletto di legno inca- vato e per le perdite dovute alla imperfetta raccolta non fu pos- sibile che una misura approssimata). Alla metà di novembre, pa- recchi giorni dopo piogge abbondanti e prolungate, la tempe- ratura era quasi la stessa , mentre la portata era notevolmente accresciuta. — 32 — La sensibile e pronta variazione della portata in dipendenza delle condizioni ambienti dimostra che 1' origine di questa sor- gente é connessa in parte con la circolazione interna superfi- ciale e cioè che deve contribuire ad alimentarla la sovrastante zona a debole pendio, che si raccorda alle falde della montagna. La superficie di tale zona si presenta in condizioni assai favorevoli all' assorbimento dell' acqua piovana e di quella che scendendo lungo il ripido fianco del Cervaro vi si sofferma e vi s'infiltra, es- sendo per la maggior parte rappresentata da terreno coltivato e quindi abbondantemente smosso : al disotto si stendono i conglo- merati, che si appoggiano alle argille eoceniche. In questa coltre detritica, vero terreno d' imbibizione, 1' acqua penetra in copia, arrestandosi sulle argille impermeabili, ma non vi forma una vera e propria falda , paragonabile a quella delle acque freatiche. Infatti per l'accumulo di acqua che si determi- nerebbe verso la parte inferiore della zona, la superficie di li- vello dovrebbe raggiungere un'altezza tale che la trincea, in cui passa la rotabile, aperta nei conglomerati a pochi metri sul li- vello di efflusso della fontana, non potrebbe non incontrare. Appare quindi più verisimile che l' acqua imbeva questo ter- reno, raggiungendo nei diversi punti livelli differenti in grazia della scarsa forza idrostatica, dovuta alla saturazione degli strati sottoposti, a contatto con le argille, alla piccolissima permeabi- lità del fine terriccio, che occupa il lembo inferiore del bacino di alimentazione di contro ai conglomerati della parte mediana e alta, e fors' anche alla speciale disposizione delle argille, le quali sono ammassate nel thalweg, ove formano come uno spesso cordone longitudinale , che contribuisce ad ostacolare la discesa dell' acqua interstiziale. Questa, seguendo una o piià linee di scolo e unendosi all' altra che , in maniera non precisabile, proviene dalle viscere del monte, si scarica tranquillamente per la piccola fontana, che ha le sue alternative di piena e di magra in dipendenza delle vicende della precipitazione atmosferica, senza però esaurire le sue riserve nemmeno nelle siccità piìi pro- lungate. Non dissimile è la genesi della Fontana dei Ferrari, situata nella valle di Cervaro, a qualche centinaio di m. a S del Fortino, e a un 50 m. di distanza dalla rotabile. — 33 - L'acqua è limpida, inodora; ha la temperatura di 15". La portata è di circa \, di 1. al 1''. Le condizioni descritte per la fontana di Cervaro si ripetono presso a poco anche per questa, alla quale forse la circolazione profonda dà un maggiore contributo. La Fontana di Anna vita scaturisce dai sedimenti eo- cenici che sono ammassati sulla dolomia, alla base di una delle propaggini lievemente ondulate che il Cervaro distende nel Val- lone secco. Si trova tra la rotabile e la ferrovia, a pochi m. di distanza dall' una e dall' altra. La portata è assai variabile in dipendenza delle precipitazioni atmosferiche: da ^'s di 1. al 1" e anche meno nell'està arriva ad oltre V'i 1. al 1" dopo i lunghi periodi di piogge. La tem- peratura è di circa 15". Questa fontana è alimentata, in massima parte, dalla circolazione interna superficiale, e costituisce lo sca- rico dell'acqua che nella sovrastante zona a debolissimo pendio penetra nel mantello dei terreni eocenici, esternamente smossi per i lavori agricoli o decomposti, raccogliendosi nella parte più pro- fonda dove i sedimenti argillosi sono ancora intatti e formano quindi un letto impermeabile lungo il quale defluisce, affiorando verso la base del pendio stesso '). Fattori epigenetici e loro inilwznza. sul modellamento del Cervaro. La genesi e la conformazione del Cervaro sono essenzial- mente coordinate, come si è visto, alle dislocazioni dipendenti dalle azioni orogeniche e dal diverso comportarsi dei materiali rocciosi sotto l' impulso di esse. Questo duplice ordine di fattori — azioni corrugatrici e rea- zioni delle masse rocciose — ha creato i tratti fondamentali della plastica monotona di tutto il paesaggio : i versanti rappresentano generalmente facce di frattura, mentre le valli esterne corrispon- dono a zone di depressione e a linee di litoclasi , le quali, in- ') In condizioni verisimilmente identiche si trova un altro piccolo affiora- mento d'acqua (acqua di Paolo Marino), che pullula in un pozzetto artificiale, a livello del suolo, in un canale poco lontano dalla fontana de- scritta. — 34 — terrompendo le connessioni topografiche del Cervaro con talune delle montagne circonvicine, hanno contribuito alla sua configura- zione di rilievo isolato e tondeggiante. Neil' esaminare ora 1' azione dei fattori epigenetici che su questa impalcatura grossolanamente abbozzata hanno esercitato ed esercitano quell' indefesso lavorio di finimento che dà al mo- dellamento di ogni regione la sua impronta particolare , ci tro- viamo dinanzi alla difficoltà che imbarazza , nella maggioranza dei casi, chiunque si accinga a spiegare scientificamente la fiso- nomia morfologica di una località. Determinare con esattezza le modalità e i limiti dell' influenza dei singoli agenti e individuarne il contributo relativo nel risultato finale a cui tutti complessi- vamente cospirano è d' ordinario malagevole e malsicuro. Ciò perchè i fattori epigenetici influiscono di solito 1' uno sul giuoco dell'altro in maniere così variabili, da sfuggire ad una valutazione non arbitraria e nessuna esperienza può riprodurne il complicato meccanismo quale si esplica realmente in natura. Tuttavia, per opportunità di analisi, tratterò separatamente degli effetti dei processi prevalentemente fisici (deflazione, azione termica, gelo e disgelo, erosione), e processi preva- lentemente chimici (fenomeni carsici). La deflazione non assume nel Cervaro l'importanza di una vera azione geologica, se non per la indiretta influenza degli umidi venti australi sugli effetti meccanici e chimici dell' acqua di pioggia. Depositi eolici non ve ne sono ') , perchè il vento è generalmente sprovvisto di minuti detriti, e per la stessa ra- gione in nessun punto sulla superficie delle rocce si riscontrano tracce di corrasione. D' altra parte anche l' ablazione eolica è ridotta a un minimo impercettibile, perchè i tenui materiali fram- mentizi sono asportati dalle acque di precipitazione , quando per condizioni favorevoli non si accumulino in posto o vengano am- massati nei tratti pianeggianti, nei quali casi ben presto ne prende possesso la tenace vegetazione prativa. ') Vi sono piccoli depositi di terra rossa nelle depressioni doliniformi. — Un'origine indirettamente eolica (deposizione del limo atmosferico) per la terra rossa dell' Italia meridionale ha sostenuto recentemente Galdieri, A. {L'origine della terra rossa. Portici, 1913). — 35 — Le azioni termiche hanno nel complesso importanza non trascurabile, esistendo -condizioni che, nonostante la moderata escursione della temperatura, conferiscono loro una certa efficacia (roccia di colore grigio od oscuro ; secchezza di suolo con con- seguente diminuzione della già scarsa conducibilità del calcare e limitazione alla zona esterna dell' influenza della temperatura ; fessure capillari ecc.). Gli effetti relativi sono però direttamente quasi inavvertibili : solo in rarissimi punti, dove il calcare risulta di strati estremamente sottili, lamelliformi (calcare giurassico nel versante S W della Pertusata) può osservarsi piiì o meno chia- ramente la desquamazione. Di ben altra evidenza e portata sono gli effetti del gelo e disgelo, specialmente per la presenza della fitta rete di di- scontinuità, che offre campo estesissimo di azione alla forza espan- siva dell' acqua che congela. Ne consegue un vasto e. continuo lavorio di screpolamento, per cui le fessure originarie e le giun- ture degli strati sono sempre più allargate. Com' è naturale , i grandi spuntoni della vetta , dove più di frequente 1' acqua può solidificare e manca il mantello protettore di terriccio e di ve- getazione, presentano più accentuato il caratteristico aspetto rui- niforme di massi infranti, di rocce in sfacelo. Dalla degradazione provocata da tale processo ripete la sua origine 1' abbondante detrito ciottoloso a spigoli vivi , che co- stituisce i conglomerati, e quello incoerente che forma una coltre quasi ininterrotta lungo la montagna. Dove il calcare è grossolano o cariato (versante SW e S del Cervaro) poiché la porosità permette all'acqua di dilatarsi senza effetti meccanici sensibili, l'efficacia del gelo e disgelo è presso che nulla. Non così nella dolomia, che si disgrega nella minuta arena angolosa già descritta. L'erosione finalmente ha per se stessa, nel Cervaro e nelle sue valli (eccettuata quella del Noce) un' importanza se- condaria e rimane subordinata al fattore tettonico. Già, trattandosi di un rilievo isolato e di non grande esten- sione , è da aspettarsi a priori un limitatissimo sviluppo di solchi di erosione. Lungo i versanti meridionale ed occidentale manca qualunque incisione appena notevole, dovuta al lavoro meccanico - 36 - dell'acqua di scorrimento: come già si è notato, 1' acquivorità del calcare, coadiuvata dalla coltre detritica, col suddividere e disperdere le acque selvagge , ne attenua o elide il potere erosivo, mentre ne agevola 1' azione chimica. Solo verso la base dei pendii si osservano alcuni canali che scalfiscono il mantello superficiale di terriccio e detriti ciottolosi. Dove affiora la dolomia, che presenta la caratteristica ten- denza a sfarinarsi, 1' erosione assume importanza maggiore e si notano frequenti valloncelli, brevi, stretti e profondi. Così nel versante N del Cervaro, nel solco che divide la Pertusata dal Cervaro e sbocca nel Vallone secco ecc. Nel Gauro e nel Ca- nale di Malamogliera l'entità del lavoro erosivo è notevole. Nel primo, attesa la prevalente omogeneità della roccia, l'erosione ha proceduto con relativa uniformità originando un solco rego- lare, a pendio debolissimo e senza dislivelli. Il secondo invece mostra un chiaro esempio dell'infhienza della natura della roccia sull'azione erosiva : la parte alta del corso, svolgentesi attraverso i resistenti calcari cretacici (dopo il tratto iniziale che scalfisce le argille eoceniche), è stretta, con frequenti salti , e presenta anche qualche piccola marmitta; la parte media e terminale, per la facile disgregabilità dei calcari argillosi giurassici e della dolomia farinosa triasica e per i franamenti che ne conseguitano, diventa più larga e profonda, con le sponde scoscese e occupate dai materiali franati, dove essi non consistono in detrito minuto, agevolmente asportabile dalla corrente. Presso il Ponte di Malamogliera la sponda destra, legger- mente concava, mostra tagliati nettamente i calcari giurassici, sovrapposti alla dolomia, e la sinistra presenta gli scisti silicei completamente denudati delle rocce sovrastanti. Tale risultato è da ascrivere, come si vedrà, in gran parte al Noce, nella cui valle gli effetti dell'erosione sono predominanti. Questo fiumicello perenne, la cui portata media, in periodo di magra, è di circa m ' 0,250 scorre (nel tratto che ci riguarda) nella frattura aperta tra il m. Foraporto e la Pertusata. Nelle falde meridionali di quest'ultima esistono alcuni tratti ben conservati di terrazze che segnano l'antico livello dell'alveo, a una cinquantina di m. sull'attuale. La ubicazione delle terrazze — 37 — e qualche resto di depositi alluvionali ^) attestano che il Noce, descrivendo una leggera curva a W, lambiva questa zona della Pertusata, ove esercitò lungamente il suo lavoro di demolizione, che dev'essere stato particolarmente intenso durante il Quater- nario, quando le copiose precipitazioni e i ghiacciai, i quali oc- cupavano le valli dove il fiume ha le sue scaturigini, fornivano un più grande volume di acque "). Di questa opera di denudazione, compiuta in passato dal Noce, ci rimane un'interessante testimonianza nella ristretta pla- ga in cui affiorano gli scisti triasici. Essi erano sormontati dalla dolomia (presente tutto all'intorno del breve spazio in cui sono allo scoperto) e fors'anche dai calcari giurassici. Tutta questa coltre sedimentaria è stata ivi asportata e l'a- blazione è da imputare al Noce e al torrente di Malamogliera, che agivano vicinissimi l'uno all'altro. Nel loro lavoro influivano le cause tettoniche, che in questo punto, ove confluiscono le due fratture principali intersecate da altre minori, dovettero pro- vocare un'estesa frammentazione della massa rocciosa, col risul- tato di agevolarne od ostacolarne la distruzione nei diversi tratti. Per cause tettoniche appunto alla distruzione è sfuggito il grande blocco di dolomia che sorge, poco al disotto degli scisti, accanto alla rotabile. Esso, situato nel vertice dell' angolo for- mato dalle due fratture del Noce e del Malamogliera, fu dal- l'altra frattura trasversale staccato dalla rimanente massa e, per sprofondamento o per ineguale sollevamento, venne a trovarsi più in basso della roccia di cui faceva parte. La sua vetta at- tuale è presso a poco allo stesso livello delle terrazze e della superficie superiore degli scisti. Il Noce doveva aver già asportato gran parte della pila se- dimentaria che copriva gli scisti quando potè attaccare questo brano dolomitico isolato, che poi fu sottratto all'azione del fiu- me dai successivi movimenti di sollevamento, indicati dal salto ') Molto ben conservato quello sul blocco dolomitico presso il Ponte di Malamogliera, che si è ricordato avanti. -) Ne fa fede il citato depositò alluvionale, in cui, oltre i ciottoli di cal- cari a Rudiste, appartenenti al sovrastante Cervaro, esistono grossi blocchi di calcari a noduli di selce, provenienti dalla parte alta della Valle. — 38 — fra le terrazze e l'alveo attuale, mentre continuò e continua quella del torrente di Malamogliera. Il Noce invece abbandonò questo lembo della Pertusata, cominciando a discostarsene a un centinaio di m. piiì a N della Fontana sulfurea. La corrente segue ora una direzione rettilinea, che è come una corda dell'antico arco a lieve curvatura, e si è accostata all'altra sponda, erodendo le basi del m. Foraporto, nel quale si è da tempo accennata una enorme frana, continua mi- naccia del sovrastante traforo ferroviario. Ma pili a N il fiume prosegue la sua opera demolitrice. Per circa 2 Km. il versante orientale della Pertusata è una ripida scarpata, strapiombante sull'alveo e incisa da grandi squarci, do- vuti ai franamenti provocati dall'erosione. Nel tratto superiore e piij esteso della valle, la sponda, benché scoscesa, è coperta quasi interamente da bassa macchia ; verso S assume aspetto di- rupato per le frane recenti. Enormi rovine, talora già occupate come da oasi di vegetazione, solchi lunghi e profondi, in cui si distendono bianche conoidi di detriti, scendenti ripidissime sulla corrente, prominenze e rilievi di forme bizzarre, gruppi caotici di massi formano un quadro di orrida bellezza, che parla del- l'infaticata e attiva opera del Noce nell'aprire e foggiare la valle che lo accoglie, tagliando per centinaia di m. i calcari giurassici e le sottostanti dolomie. L'azione chimica delle acque meteoriche è nel Cervaro pre- dominante su i processi fisici per intensità e vastità di effetti, come suole avvenire in tutte le regioni calcaree, in cui l'acqua, in quanto è veicolo di sostanze che agiscono chimicamente sul calcare, rappresenta un fattore morfologico essenziale. Dalla sud- detta azione derivano i noti fenomeni carsici, che non a torto il Martel propose di chiamare fenomeni dell'idrologia del calcare. Nella località studiata la impronta carsica è chiaramente ed estesamente riconoscibile, ma le forme relative non assumono quel tipico e grandioso sviluppo che si osserva in altre regioni, come, ad es., nelle Murge pugliesi, ove spesso presentano ca- ratteri che ricordano le classiche terre dalmate e istriane ^). ') Virgilio, F. — Op. cit. — 39 — Questo fatto è da attribuire alle peculiarità topografiche, da cui dipendono le modalità del processo carsico e quindi l'ori- gine di una piìi che di un'altra delle forme che lo contraddi- stinguono. Per quanto si è ripetutamente osservato (piccola estensione, fratturazione della roccia, coltre detritica) nel Cervaro non può essere favorito un lavoro esterno, localizzato e di vaste propor- zioni, delle acque meteoriche, bensì il cesellamento minuto, la carie multiforme, benché poco vistosa, il cui risultato comples- sivo ha caratteri di grande monotonia, pur essendo ragguarde- vole la degradazione che ne conseguita. Le forme predominanti sono pertanto quelle dei Lapiaz o Karren, isolati o piiì spesso aggruppati in Karrenf elder: rare e per solito mal conservate le doline. L'azione delle acque profonde ci rimane del tutto ignota, non essendovi nel Cervaro che una sola Grotta comunicante con l'esterno: la Grotta del Fortino. Nel processo di disfacimento si possono osservare tutte le gradazioni, come pure la palese influenza che vi esercitano i fattori inerenti alla roccia che lo subisce: variazioni strutturali, litoclasi, esposizione, pendio ecc. Dove il calcare è compatto e con rare fratture la corro- sione procede con relativa uniformità e, nei tratti contenenti fossili, poiché la calcite cristallizzala che li costituisce é meno facilmente attaccabile, si vedono sulla superfìcie unita e liscia sporgere nitidamente in rilievo i circoletti di sezione delle Ru- diste 0 gl'intricati geroglifici dovuti per solito a frantumi fit- tamente ammassati di conchiglie bivalvi. Spesso accade di osservare come l'azione chimica, per le linee di discontinuità o il pendio prevalente , si é localizzata in determinate direzioni, lungo le quali esercitandosi con con- centrata efficacia, ha originato i canaletti di deflusso che da in- cisioni appena accennate vanno sino a squarci lunghi e profondi. Così i valloni che incidono il versante N del Cervaro devono essenzialmente la loro genesi al processo carsico, a cui poi si è aggiunta e quasi sostituita l'erosione, che li ha rapidamente in- granditi. Nel versante W e nella parte alta del Cervaro, dove il cai- — 40 — care è relativamente compatto, vi sono numerosi e belli esempi di massi variamente corrosi da incavi bizzarri, da sforacchiature, da solchi per lo più perpendicolari ai piani di stratificazione, che approfondandosi sempre piìi finiscono per dividere la roc- cia in frammenti laminari di varia grandezza, cooperando con l'azione del gelo e disgelo alla produzione del detrito ciottoloso. In generale però sulla vetta i Karren sono isolati e poco numerosi e gli effetti del processo carsico, di fronte a quelli assai più cospicui del gelo e disgelo, risaltano poco. Ma come si discende lungo il versante S e S E del Cervaro, mentre il calcare va assumendo struttura grossolana, si modifica del pari l'aspetto carsico. La struttura, il pendio lieve e regolare, l'espo- sizione ai venti imbriferi consentono all' acqua un lavoro più uniforme e più diffuso, e quindi i solchi si fanno più numerosi e a poco a poco si raggruppano, con direzione concordante col pendio e marcatamente parallela, ma spesso intersecandosi e in- trecciandosi per la facile disgregazione della roccia. Siamo qui in presenza di veri Karrenfelder che protraggono per tutto il lento declivio che scende sulla Pertusata la squal- lida monotonia dei massi dilacerati e corrosi, a mala pena in- terrotta dalla stentata vegetazione arborea. Non dissimile spettacolo può osservarsi un pò al di là del Fortino. Le zone però che presentano lo sviluppo più tipico dei fe- nomeni carsici sono la base del versante N del Cervaro 0 e quel tratto del versante S W della Pertusata in cui corre la ro- tabile appena oltrepassati gli scisti silicei, ambedue costituite da calcare dolomitico. Nell'ultima plaga può osservarsi come il processo di di- sfacimento è complicato da quello di deposizione del calcare ad opera delle acque, nonché dall'azione meccanica di ablazione, lungo linee determinate che subiscono una degradazione più rapida delle contigue. Per queste azioni combinate ha avuto origine il disordinato intrico di incavi irregolari e di solchi e i rilievi, da essi deli- ') Nel tratto che è presso la Grotta. -- 41 — mitati, di svariate forme. Questi rilievi spesso risultano di cal- care concrezionare, ma non di rado sono formati dal calcare dolomitico coperto da una crosta concrezionare, la cui resistenza preserva i tratti da essa rivestiti dalla attiva disgregazione che avviene all'intorno e che, incidendo sempre più profondamente la base delle prominenze, finisce col farle franare. Altre forme del processo carsico sono le cavernosità , per solito di piccole dimensioni. La loro genesi è varia. Tralasciando le cavità insignificanti e presso che effimere al contatto della dolomia con i calcari i quali, pel rapido degradare di quella, rimangono per qualche tempo sporgenti, la maggior parte va riferita alle Verwitterungen o nicchie di disfacimen- to meteorico, in cui con un processo che il Gunther mette in rapporto con la legge del disfacimento nei cristalli isotropi, lo sfacelo si inizia da un punto meno resistente della massa roc- ciosa, estendendosi radialmente all'intorno. Gli esempi di questo tipo si riscontrano quasi esclusivamente nel calcare dolomitico. Altre cavità hanno origine in modo diverso. I piani di frat- tura e di pseudoclivaggio che si osservano nel calcare, in alcuni punti si fanno molto numerosi, vicinissimi, ugualmente orientati, presso che normali ai piani di stratificazione. L' intersezione di questi fasci di piani dà origine ad una fitta rete di discontinuità, da cui la roccia viene scomposta in un ammasso di piccoli pa- rallelipipedi che disgregandosi per opera degli atmosferili e fra- nando lasciano piccole nicchie , di solito oblunghe. Gli esempi di questo tipo non sono numerosi. Nel versante SW del Cer- varo, lungo la rotabile, si scorge qualche grotticella tuttora in formazione, col malfermo mosaico dei frammenti lungo le pareti. In alcuni casi si sono formati incavi (detti sul luogo varme) sotto qualche lastrone di conglomerato per ablazione della roccia da esso coperta. Le doline non sono molte né tipicamente sviluppate. Alcune si trovano sulla vetta della Pertusata ; la piiì notevole di esse per dimensioni e buono stato di conservazione è accanto alla quota 8Q4: ha la configurazione di conca assai regolare, dal dia- metro di circa 50 m., col fondo pianeggiante e occupato da terra/^Oli. rossa e minuto terriccio, sempre piiì accresciuto dai prodotti d/^fc-, .^e^" Lu I L I ; — 42 — disfacimento meteorico e della decomposizione della rigogliosa vegetazione erbacea. E' aperta verso N da un'ampia sbrecciatura. Le altre mostrano meno conservata la forma caratteristica: sono depressioni irregolari o vallette, dovute verosimilmente al concrescere di piccole doline contigue e al loro anastomizzarsi con solchi di erosione. Quattro o cinque doline minuscole (1 m. e anche meno di diametro) con la forma tipica a imbuto sono disseminate sulla zona citata in vicinanza di un aven ^) il cui orificio si apre in mezzo a lembi di calcari brecciformi con una fenditura lunga circa 3 m. e larga 1: è profondo 3-4 m. e s'i- noltra verso NW -). Tutte queste depressioni, aperte ora nel calcare dolomitico e nella dolomia scura, hanno avuto origine per 1' ineguale cor- rosione della coltre di calcare giurassico che copriva unifor- memente la Pertusata e che attualmente è rimasta solo sui rilievi separati dalle depressioni medesime. Sulla breve sommità del Cervaro non si notano che due doline tipiche: una, ben conservata, del diametro di circa 15 m., accanto al punto culminante; l'altra a nord della prima, di mag- giori dimensioni e profondamente slabbrata dall' inizio di uno dei canaloni che solcano il versante settentrionale del monte. La cima, in cui gli strati son quasi orizzontali, doveva formare in origine un largo ripiano, frastagliatosi in seguito prevalente- mente pel fenomeno carsico. A questo bisogna anche riferire in massima parte la formazione delle piccole depressioni vallive che si osservano un pò al disotto della vetta, nel versante NW. Le descritte accidentalità sono attualmente rivestite, in ge- nerale, da uno spesso mantello di terriccio che, attenuando d'in- tensità il processo carsico, le ha preservate da rapida trasfor- mazione: solo lentamente il minuto logorio lungo i bordi e le ') Preferiamo questa denominazione all' altra di inghiottitoio, che sarebbe opportuno riservare alle cavità che assorbono, i n g h i o 1 1 o n o acque correnti. -) Ho raccolto sul luogo la tradizione orale di una comunicazione di que- sto aven con la Grotta del Fortino. Un cane (mi si è raccontato) introdotto in questa sarebbe uscito, dopo alcuni giorni, da quello. Avendo tentato un'esplo- razione sommaria, mi son dovuto arrestare dinanzi a cumuli di terriccio e de- triti che ostruiscono interamente il passaggio. — 43 — sbrecciature operatevi dai rivi pluviali vanno modificandone la configurazione originaria. Debbo in ultimo accennare alle due più cospicue forme car- siche che il Cervaro presenta: un antro sulla Pertusata e la Grotta del Fortino. L'antro si apre presso la vetta dell'ultimo rilievo settentrio- nale della Pertusata, a circa 800 m. sul mare; è una grande nic- chia irregolarmente ellittica , col soffitto a volta , alta in media poco meno di 10 m. e larga da ò a 7 m.: il fondo, ingombro di macerie, misura quasi 20 m-. Presenta due ingressi: il maggiore, a guisa di enorme finestra a mezzo ovale con 1' altezza di un 10 m. e larghezza di circa 8 m. , vaneggia nel ripido versante che cade sul Noce ; l'altro , pure di forma ovale , incompleta in basso, guarda verso SE ed è quasi a metà ostruito da bloc- chi franati i quali mostrano di essere la parete e la volta di una parte dell'antro che doveva un tempo continuare ancora verso S e che a poco a poco è stata demolita dai franamenti provo- cati sopra tutto dal fiume sottostante. I due ingressi sono ora separati da un massiccio pilastro che nella parte più ristretta ha lo spessore di circa 4 m. L'antro è scavato quasi per intero nei calcari giurassici argillosi; sul fondo affiora la dolomia scura. Le concrezioni calcaree mancano , perchè essendovi una copertura di pochi m. di roccia, 1' acqua giunge in quantità insignificante e quasi priva di CaCOy ; l' accennato particolare depone anche, assai probabilmente, di una origine non eccessivamente remota. Pertanto credo debba escludersi nella genesi di questa piccola caverna l'azione del Noce nei tempi in cui il suo alveo non an- cora erasi approfondato e ammettersi piuttosto lo svuotamento di un nucleo meno resistente in seno alla roccia compatta i). La Grotta del Fortino si trova a un Km. circa a N. del- l'omonimo gruppo di case coloniche, nella scoscesa sponda destra ') L'antro fu visitato nell'aprile 1909 dal Dott. Alfredo Andreini, Capitano medico, che vi fece raccolta di materiale entomologico, attualmente conservato nel Museo Civico di Storia Naturale di Genova, rinvenendo (come egli stesso mi comunicò) nei detriti vegetali la Reicheia italica Ganol. Nella collezione la località è indicata col nome di Capo la Calda, con cui è anche volgar- mente chiamata (esattamente: in Capo la Calda). — 44 — del Gauro, a una ventina di m. sul fondo di questo. Il De Lo- renzo primo la segnalò al mondo scientifico. Alla caverna, ac- canto al cui vestibolo vi è una grotticella laterale, si accede per mezzo di un piccolo corridoio scuro, dopo il quale essa " si a- " pre d'improvviso- con uno spazioso ambiente a volta, di circa " una cinquantina di metri quadrati di superficie e quattro o cin- " que metri di altezza. Di là, salendo sempre e dirigendosi verso " sud-est la caverna va sempre piiì restringendosi, con varie stroz- " zature, finché ad una quarantina di metri dall'ingresso non si " può piìj percorrerla che carponi e coji difficoltà di respiro „ •). E precisamente dall'ambiente principale (a circa 22 m. dal- l'ingresso) si stacca un ramo laterale che , a guisa di corridoio largo da 2 a 5 m. e alto poco più di 1 , si inoltra per circa 10 m. verso NW, strozzandosi bruscamente in un cunicolo at- traverso il quale a grande stento può insinuarsi, strisciando boc- coni , una persona di corporatura normale. Indi la caverna si slarga di nuovo e termina in un'appendice semicircolare di 1 m. di altezza e quasi 3 di diametro. Risulta adunque priva di fonda- mento la tradizione, che ho raccolta sul luogo, di una indeter- minata estensione della Grotta nelle viscere del monte e della accennata comunicazione con l'aven della Pertusata: tale tra- dizione è in rapporto con le solite superstiziose leggende che ancora rendono assai restii i nativi a penetrare nella caverna. Le concrezioni calcaree (stalattiti, stalagmiti, bitorzoli, cor- doni) sono abbondanti e molto sviluppate: per tale riguardo, secondo i concetti del Lawiki sul ciclo geografico nel Carso -) la Grotta può dirsi all'inizio dello stadio di senilità. Attualmente lo stillicidio non è copioso, ma attivo quasi tutto l'anno, special- mente nella parte ristretta. Questa caverna in tempi remoti era abitata. L'illustre Geo- logo citato rinvenne in uno scavo di assaggio ceneri, pezzi di carbone, cocci e vasi interi, le cui caratteristiche corrispondono ') De Lorenzo, Q. —Caverna con avanzi preistorici presso Lagonegro in Basilicata- Nota -Rend'ìc. R. Acc. Lincei. Voi. 20, (5), 2.° serti., fase. 9^ pag. 446, Roma 1911. -) Vedasi // Mondo sotterraneo, Rivista di speleo!, e idrol. - Udine - Anno 6, N. 1-2 (ag.-dic. 1909). — 45 — al più antico periodo neolitico , scarsissime armi del tipo tra il chelléen e il moustérien e ossa numerose, la giacitura e lo stato delle quali , 1' assenza di ogni segno di rito di inumazione , la mancanza assoluta di avanzi di animali inducono ad escludere che si tratti di grotta ad inumazione funeraria ed a credere in- vece che quei particolari rivelino tracce di cannibalismo '). L'origine della Grotta è chiaramente connessa col fenomeno carsico. Essa si apre nel calcare compatto . in grossi banchi, in questo punto intercalato al calcare dolomitico disgregabile in minuto detrito, che affiora anche nell'interno della caverna, non- ché nella sottostante sponda del Gauro. La diversa rapidità di disfacimento delle due masse rocciose ha creato, al loro contatto, una cavità a poco a poco ingranditasi. E' assai probabile che tale processo si sia compiuto durante il quaternario. Certamente, quando i remoti cavernicoli 1' abita- vano, la grotta era già formata ed era di parecchio piii ampia, a giudicare dallo spessore della scorza stalagmitica che copre lo strato di abitazione. E' notevole la presenza di uno sviluppatissimo e regolare cordone stalagmitico (alla base dell'ambiente principale, a sini- stra di chi entra) , in corrispondenza del quale non vi è quasi più stillicidio, mentre evidentemente la sua formazione è dovuta ad una linea ininterrotta di stillicidio marginale. Questa è una delle prove che la infiltrazione dell'acqua doveva essere in pas- sato più copiosa , e ciò non soltanto in rapporto a più abbon- danti precipitazioni . ma anche ad una diversa configurazione superficiale. Il Gauro allora non aveva raggiunto la profondità a'ttuale e la zona corrispondente alla grotta doveva in parte co- stituire il thalweg verso cui convergeva l'acqua scendente dal Cervaro e dal Buviero. Con l'approfondarsi della valle sud- detta e il costituirsi di un pendio ripido , solcato da numerosi canaletti, si sono determinate condizioni favorevoli ad una rapida discesa della maggior parte dell'acqua di precipitazione. ^) Altri scavi furono posteriormente eseguiti dal Prof. Di Cicco , Direttore del Museo Prov. di Potenza, il quale si compiacque ccmunicarmi che i reperti non gli consentivano deduzioni sicure né circa il riferimento cronologico né circa la vita degli abitatori della ancor misteriosa caverna. - 46 — L'attuale fisonomia morfologica del Cervaro è adunque in massima parte la risultante dell'azione dei fattori epigenetici ^) e della varia resistenza dei materiali su' cui essa si è esercitata. La denudazione , prevalente , ha assottigliate e impiccolite le zone alte , distruggendovi interi lembi di strati, aprendo vuoti nella continuità della massa rocciosa, ed ha scavato, mercè il lavoro continuo o intermittente delle acque , i profondi solchi vallivi, mentre solo in qualche punto la deposizione di una parte del detrito ha raccordato in morbide curve le pendici alle valli. Questi stessi fattori, fondendosi in un'unica " forza operosa „ a cui un coefficiente di valore incalcolabile , il tempo , conferisce un'efficacia smisurata, proseguono tuttora, con identici modi se anche con mutata intensità, la loro opera indefessa di costruzione e di distruzione, per la quale attraverso le instabili, temporanee configurazioni i monti evolvono, come la terra tutta, secondo " le " leggi eterne della formazione e della trasformazione, del dive- " nire e del trapassare, della vita e della morte „ "). Finito di stampare il 10 dicembre 1920. ') A quelli descritti si associano naturalmente anche i processi biologici, meno appariscenti ma non meno importanti , giacché coadiuvandone e inte- grandone r opera di disfacimento contribuiscono all'ultimo termine della tra- sformazione delle rocce, la costituzione del terreno vegetale. '*) De Lorenzo, G.— Terra madre, pag. 164. Sul voluto rapporto tra Tinvoluzione della ''Borsa di Fabricio,, e la maturazione delle ghiandole sessuali degli Uccelli. Nota del socio Attilio Masi (con due figure) (Tornata del 25 luglio 1920) E' noto, da più tempo, che la Borsa di Fabricio è un or- gano, che non persiste per tutta la vita degli uccelli. Essa, come avviene per il timo, in buona parte dei mammiferi, sparisce ad un certo periodo della vita dei volatili. J. Jolly che, in un suo lavoro ^) rapporta la funzione della Borsa di Fabricio a quella del timo, senza però poter dare sufficienti ragguagli su tale analogia, in altra sua ricerca -) sulla involuzione fisiologica della Borsa di Fabricio e le sue relazioni con la comparsa della ma- turità sessuale ha notato che l'involuzione del detto organo av- viene nel periodo di tempo in cui comincia lo sviluppo ulteriore delle ghiandole genitali, periodo che corrisponde cioè al 4° e 5° mese della vita di detti animali: ed a questo proposito così si esprime: " Chez la plupart des poulets de 5 mois les testicules sont gros, la maturité sexuelle est survenue, des spermatozoides mùrs existent dans le tubes testiculaires; on les trouve vivants et mobiles dans les canaux déférents— Chez tous ces animaux qui viennent d'arriver à maturité sexuelle, et sans exception, la bourse ') J. Jolly - Sur l'involution de la Bourse de Fabricius. C. R. Soc. Biol. Paris, T. 70, pag. 564, 1911. -) J. Jolly - Involution pkysiologigue de la Bourse de Fabricius et ses reta- tioni avec l'apparition de la maturité sexuelle - C. R. Soc. Biol. Paris, T. 75, pag. 638, 1913. 48 de Fabricius est en pleine involution; elle est petite et deja atro- phiée et partielleinent fibreuse „. Seguitando sempre nell' istesso concetto afferma che, nei polli di 6 a 7 mesi, l'atrofia della borsa è ancora più accentuata, poiché essa si riduce ad un piccolo organo duro, conico, fibroso, mentre che i testicoli hanno raggiunto il loro completo sviluppo e la spermatogenesi è in piena efficienza. Jolly, alla fine del suo lavoro, viene alla conclusione che: " il existe une relation entre la bourse de Fabricius et les testicu- les : la bourse est involue, chez le poulet, exactement au moment ou les testicules arrivent à maturità „. In seguito a quanto ha notato J. JOLLy mi venne spontaneo il desiderio di fare delle ricerche sulla funzione della borsa di Fabricio e di vedere quanto vi fosse di vero sulle as- serzioni del predetto A., in- teressandomi molto di tutti quegli organi, dei quali non è ancora ben determinata la loro funzione nell'orga- nismo animale. Avendo a mia disposizione diversi pul- cini maschi incominciai le mie osservazioni al riguar- do. Pensai che l'ablazione dell' organo in parola era l'unico mezzo per determi- nare con sicurezza la relazione di esso con le ghiandole sessuali, ed operai perciò di laparatomia quattro pulcini maschi dell'età di due mesi, con tutte le dovute cautele e, feci, senz'altro, l'aspor- tazione completa della borsa di Fabricio , sorvegliando sempre l'esito dell'atto operatorio, compiuto felicemente. All'etcà di 5 a 6 mesi le funzioni sessuali dei piccoli polli , sottoposti all' atto operatorio, erano identiche a quelle di altri quattro individui non operati e tenuti a parte come controllo. Ammazzai i primi gradatamente al termine dei sette mesi, ed all'autopsia riscontrai che le ghiandole sessuali erano di vo- lume uguale a quelle degli altri non operati. Fissai , per con- Fig. — 49 — trollo, in liquido di Zeiicher i testicoli e gli epididimi dei gal- letti, ai quali era stata asportata chirurgicamente la Borsa di Fa- bricio, e ne feci alcuni pre- ^^f. mm. />: S -iv «s^^ parati microscopici che, al- l' esame , mi dimostrarono l'esistenza di una evidente ed efficiente spermatogenesi (vedi fig. 2). La conclusione è, quin- di^ che nessun rapporto e- siste tra la funzione sessuale e la involuzione della Borsa di Fabricio e, che ben altro ufficio ha essa nell' organi- smo dei volatili , cosa che potrò, spero , al più presto dimostrare , avendo già, da tempo, incominciate le mie osservazioni al riguardo. Colgo l'occasione, intanto, di ringraziare il Prof. Arturo MoRGERA , il quale mi ha fornito di notizie bibliografiche nel presente lavoro. Napoli, giugno 1920. L.^.^.__. -V^- l'ig. (Finito di stampare il 20 dicembre 1920) Sulla materia colorante del frutto deirarancio. Nota preliminare del socio Federico Geiremicca (Tornata del 6 giugno 1920) Le ricerche sulla materia colorante dell' arancio sono assai scarse: la bibliografia consultata, infatti, non dà alcun accenno di autori che si siano occupati in particolar modo dell'argomento, eccetto r HusEMANN ^) che dice di essere stata trovata nel frutto acerbo dell'arancio l'esperidina ed una caratteristica materia co- lorante che poi non è stata studiata. L' interesse che presenta l'ar- gomento, non solo da un punto di vista di pura ricerca, ma an- cora da quello industriale, mi ha spinto ad iniziare una serie di ricerche, i cui primi risultati espongo in questa nota preliminare. La sostanza colorante si trova sparsa in tutto il frutto, sia cioè nel succo che nella buccia, come del resto si rileva dalla caratteristica colorazione che queste parti presentano. Nel succo però se ne trova piccola quantità , mentre è abbondante nella parte bianca spugnosa detta " pane „ ed è appunto questa che, opportunamente trattata , piiì facilmente la cede. Essa si può estrarre con soluzione alcalina; dalla soda e dalla potassa è molto difficile liberarla con mezzi fisici, l'ammoniaca invece la si scac- cia completamente svaporando la soluzione e riducendola più volte a secchezza. Con quest'ultima base il " pane „ si gelatinizza in parte e passa a traverso il filtro, rendendo così necessario r uso del dializzatore. ') HuSEMANN, A. und Th. und Hilzer, A. — Die Pflanzenstoffe in che- inìsche phisiologischer, phannacologìscher und toxicologischer Hinsicht. 2 Bd. luliiis Springer. Berlin, 1884. — 51 — Appena si aggiunge la soluzione alcalina alle bucce, si osserva una colorazione gialla-arancio che vista per trasparenza ed in sottile spessore appare di colore giallo citrino. Col calore però o col tempo la soluzione diventa molto scura, e diluita grande- mente o vista per trasparenza in piccola quantità si presenta di colore giallo oro vecchio. Riducendo completamente a secchezza si ha una massa solida bruna-rossastra ; se è stata estratta con soda, per quanti lavaggi si facciano con alcool , non si riesce mai a liberarla completamente da questa , ragione per la quale si presenta molto igroscopica. Se poi viene estratta con ammo- niaca non si ha questo inconveniente. In quanto alla solubilità ho osservato che essa è insolubile in alcool, in etere, nel solfuro e nel tetracloruro di carbonio, nell'etere acetico, nell'acetone, nel benzolo, nella ligroina, nel to- luolo, nell'alcool metilico e nell'alcool amilico, e ciò così a freddo come a caldo. È solubile invece nell'acqua calda, pochissimo nella fredda , nelle soluzioni alcaline e nelle acide, negli acidi concentrati e nella glicerina. Sempre su questa sostanza impura ho fatto diversi saggi per provare il suo comportamento chimico. Ne noto qui alcuni: 1. — Trattata con acido solforico cono, si ha una soluzione bruna molto scura e scaldando all'ebollizione si ha effervescenza e diventa di color nero carico; con acqua si ha un precipitato polverulento nero. 2. — Con acido nitrico conc. a freddo si ha una soluzione rossa arancio, a temperatura superiore ai 15» C. ritorna giallo- bruna. 3. — Con bromo a caldo dopo evaporazione si ha una so- stanza color latte e caffè chiaro. 4. — Con solfuro animonico a caldo con aggiunta di acido cloridrico si ha separazione di zolfo , e la soluzione acquista un colore molto più chiaro. L' ho anche trattata con diversi sali ed ho avuto vari pre- cipitati. Così è stato per l' acetato di piombo , per il solfato di rame, per il cloruro mercurico '), pel cloruro platinico , pel ') Il precipitato con cloruro mercurico presenta delle particolarità: se si precipita da soluzione neutra o lievemente alcalinizzata con NH3, si ha un preci- — 52 — solfato di alluminio, pel cromato di stronzio, pel solfato di co- balto, pel solfato di nichelio, pel cloruro palladioso, per il clo- ruro di bismuto e per quello di antimonio, il bismuto e l'antimo- nio, però, piuttosto che combinarsi direttamente con la materia colorante, la trascinano con loro nel precipitarsi allo stato di os- sido. Di alcuni di questi precipitati mi avvarrò per purificare la sostanza. Devo in ultimo far notare che anche nel frutto del limone (come in quelli degli altri agrumi) c'è una materia colorante che con la soda dà la stessa colorazione di quella dell'arancio e mi propongo di analizzarle entrambe fermandomi, nel caso che lo troverò e crederò opportuno, su quella che estrarrò dal limone, giacché in questo se ne trova una quantità maggiore , special- mente in quelli lievitati, ed i frutti costano meno. Confido che il mio studio, di cui ho dato qui una prima notizia, possa portare un contributo non spregevole alla cono- scenza delle sostanze coloranti contenute nel frutto delle citracee. Napoli, giugno 1920. Finito di stampare il 20 dicembre 1920. pitato bruno, molto voluminoso, quasi come grumi di gelatina, se però alla so- luzione antecedentemente acidificata con acido cloridrico si aggiunge prima il cloruro mercurico e poi a goccia a goccia l'ammoniaca, vicino a neutralizzazione si presenta fugacemente un precipitato polverulento bianco sporco che si scio- glie subito; aggiungendo ancora ammoniaca il precipitato non si scioglie piìi e si deposita lentamente come polvere bianca, cioè si forma l'amidoderivato (NH.>Hg) sostanza che nel primo caso non si forma affatto, almeno a giudicare dal ge- nere di precipitato del tutto diverso. Ricerche sulla rigenerazione delle braccia di Asterina gibbosa PEnn. 2^ Nota preliminare del Socio Dott. Giuseppe Zirpolo (Tornata dell' 11 luglio 1920) Già in una mia precedente nota ^) ho comunicato i primi risultati ai quali ero pervenuto, studiando quantitativamente la ri- generazione delle braccia di Asterina gibbosa Penn. Poiché ebbi occasione di fare, in seguito, osservazioni mor- fologiche, volli iniziare uno studio accurato, e finora non tentato, per seguire sul vivo tutte le modificazioni che avvengono nelle braccia di asterina in rigenerazione. Il lavoro iniziato ai principii dell'anno 1915 dovette poi es- sere interrotto per ragioni di richiamo al servizio militare. In se- guito ho ripreso le ricerche, che vado via via ultimando. Le osservazioni da me, in gran parte, fatte riguardano non solo tutti i momenti della rigenerazione delle braccia con la relativa formazione delle diverse parti costituenti queste, ma ancora furono estese a studiare la rigenerazione di porzioni del dermaschele- tro dorsale e ventrale, dello scheletro appendicolare, della pia- stra madreporica, delle placche boccali, dei pedicelli ambulacrali, nonché furono eseguite esperienze riguardanti il potere rigene- rativo deW Asterina gibbosa Penn. La rigenerazione avvenne sempre in tutti gli organi sotto- 1) Zirpolo, G. -- Ricerche sulla rigenerazione delle braccia di Asteiina gibbosa. Nota preliminare. Boll. Soc. Nat. Voi. 28, p. 119, Napoli, 1915. — 54 — posti ad esperienze e presentò fenomeni che ho creduto oppor- tuno studiare e riferire. Il lavoro completo con tavole verrà inserito nelle " Pubbli- cazioni della Stazione Zoologica di Napoli „ e spero , al più presto pubblicarlo. Napoli, Stazione Zoologica, Giugno 1920. Finito di staniiiare il 20 dicembre 1920. Sul significato fisiologico della simbiosi ereditaria del socio Prof. U. Pierantoni (Tornata del 15 agosto 1920) Oli studii sulla simbiosi ereditaria e sulle simbiosi fisiologiche in generale, che presero inizio dalle mie ricerche rimontanti ad oltre un decennio, non hanno mancato in questi ultimi anni di compiere notevoli progressi. Le ricerche sull'argomento si vanno compiendo per opera di cultori di svariate branche del sapere; da parte cioè special- mente di zoologi, anatomici, fisiologi, e botanici, nonché di pa- tologi, tanto degli animali che delle piante. La letteratura è quin- di sparsa in periodici ed in opere di svariato argomento e non sempre può facilmente rintracciarsi. Tuttavia negli scorsi anni tale letteratura non mancò di essere assai ricca anche nei pe- riodici di biologia animale, e specialmente per lavori di biologi tedeschi. Dopo le mie ricerche sui coccidi e su Aphrophora e dopo quelle di poco posteriori del Sulc, prima della guerra, nel 1Q12, il BucHNER aveva in un volume di circa 200 pagine allargato assai le conoscenze sulla simbiosi ereditaria, confermando in trentaquattro specie di emitteri i miei risultati. Egli descrisse altrettante specie di microrganismi simbiotici, che designò con speciali nomi. L'A. mise inoltre in luce la natura microrganica di forme, dr cui già si conosceva l'esistenza, ma se ne riteneva dubbia la natura, quati- i cosidetti batteroidi rinvenuti in uova, larve ed immagini di ortotteri (blattidi), imenotteri [Campono- tas), coleotteri {A/iobium) e lepidotteri (Pieris q Porthesia). Nel - 56 - 1914 seguirono gli studii del Brest, che illustrò il fenomeno in Aspidiotus e sui psillidì, ricostruendo il ciclo dei simbionti co- me io stesso, il SuLC ed il Buchner avevamo fatto per gli altri numerosi generi di insetti. Anche al Buchner sono dovyte le recenti ricerche sugli aleurodidi (1Q18) in cui, oltre alla costante esistenza di organi simbiotici, fu costatata la particolare maniera di trasmissione per cui immigrano nell'uovo interi micetociti, ossia cellule materne portanti microrganismi, le quali in seguito vanno a costituire i nuovi organi simbiotici dell'embrione e dell'adulto. Tutte queste ricerche sugli emitteri omotteri hanno sempre più confermato quanto io stesso ebbi a preconizzare, che cioè la simbiosi ereditaria è rappresentata indistintamente in tutti gli emitteri omotteri, mi quali, come io dimostrai, è legata alla fun- zione della digestione dei succhi vegetali, e specialmente dello zucchero in grandi dosi. Ma i nuovi studii sull'interessante fenomeno sono valsi ad estendere le conoscenze sulla simbiosi ereditaria anche al difuori degli emitteri omotteri. Essi hanno confermato sempre più che il fenomeno è strettamente legato colla funzione digestiva ed ap- pare specialmente nei casi in cui questa, per parfcolari condi- zioni di vita dell'animale, assume un carattere di particolare at- tività. Già fin dal 1911 il Portier aveva osservato che le larve mangiatrici di legno di lepidotteri del genere Nonagrla e Se- sia utilizzano vere culture di microrganismi per la digestione del legno. L'A. trovò nelle larve a completo sviluppo i microrga- nismi in .numero grandissimo nelle cellule dell'epitelio intestinale. Questi microrganismi passano poi nel sangue e nei varii tessuti, e specialmente nelle uova, ove si moltiplicano ed assicurano così l'eredità. Alla luce di scoverte più recenti non mi sembra ac- cettabile la interpretazione del Portier, il quale ritiene che i mi- crorganismi siano digeriti dalle cellule epiteliali dell'intestino, e che solo alcuni sfuggiti a tale digestione passino nei tessuti e nelle uova. Io credo invece che, come avviene in molti altri casi (v. appresso specialmente i pediculidi), i microrganismi servano a produrre e fornire attraverso le cellule intestinali speciali fer- menti, che rendono possibile la digestione della cellulosa e della lignina. Se d'altra parte l'infezione delle cellule avvenisse per la - 57 — via del lume intestinale, non si comprenderebbe a che cosa possa servire l'ereditarietà dei microrganismi, che l'autore dice costanti e necessarii alla vita della larva, né si comprenderebbe la ra- gione per cui solo alcuni microrganismi vengono digeriti, quan- do tutti si trovano nelle stesse condizioni di ambiente. La riprova della esattezza di questa mia interpretazione si rinviene nelle recenti scoverte sulla simbiosi ereditaria nei pe- diculidi dovute agli studii di Sikora e Buchner. il primo di questi, in una nota preliminare apparsa lo scorso anno nel " Bio- logisches Zentralblatt,,, dimostra che l'organo ventrale dei pidoc- chi è organo simbiotico. Tale scoverta quasi contemporanea- mente il Buchner ha confermato non solo per le tre specie di pidocchi che vivono sull'uomo (le quali tutte e tre racchiudono i microrganismi nell'organo ventrale strettamente aderente al tubo digerente), ma anche nelle specie di tìaeniatopinus , nelle quali non esiste un organo ventrale ed i microrganismi vivono in cellule speciali, diffuse su tutto l'intestino ed approfondate neir epitelio di questo, in modo da confondersi talora con le stesse cellule epiteliali. Un organo simbiotico concentrato fu tro- vato soltanto w^\X Uaematoplnus piliferus del cane. Il Buchner ha potuto seguire anche la infezione delle uova attraverso la porzione tubare dell'ovario mediante formazione di organi sim- biotici filiali, da cui i microrganismi passano neh' uovo. Tanto nel caso dell'organo simbiotico diffuso, come di quello concen- trato delle specie umane di pidocchi, non par dubbio il rapporto intimo fra la presenza di questi microrganismi ereditarli e la di- gestione eccezionalmente attiva delle grandi quantità di sangue che questi animali ingeriscono. Assai recentemente (1920) il Grandori ha osservato una se- rie di fatti rientranti nel fenomeno della simbiosi ereditaria, nello studio delle uova e degli embrioni di Bonibyx mori. Micror- ganismi di dubbia natura in numero enorme furono rilevati dall'A. nel vitello periferico dapprima, poi in varie parti dell'em- brione e specialmenie nel corpo adiposo. Ora l'autore osserva che " vitello e corpo adiposo sono veri e proprii depositi di so- stanze alimentari; forse queste sostanze hanno bisogno di essere prima scisse in prodotti piìi semplici per poter essere assimi- late dall'embrione. E la enorme quantità e prolificità di micror- — 58 - ganismi simbiotici nel blastema periferico delle prime età del- l'uovo potrebbe significare che con essi sia collegato in tali stadii anche il ricambio respiratorio. „ E l'A. conclude: " Queste vedute trovano del resto largo appoggio nei reperti recenti di altri studiosi circa la simbiosi ereditaria di altri insetti, nei quali è ormai provato come l'attività dei simbionti consiste essenzial- mente in simili rapporti fra gli scambi metabolici del micror- ganismo e quelli del loro ospitatore. „ Certo l'azione dei simbionti nel vitello dell'uovo è legata anche colà all'attivissima funzione assimilativa che in quello stadio della vita dell'insetto deve compiersi, di fronte alla grande quan- tità di materiale nutritivo che deve esser rapidamente smaltito. Il caso è quindi analogo a quello delle grandi masse di amido e zucchero che debbono digerire gli insetti fitofagi e succhia- tori di liquidi vegetali, come a quello dei mangiatori di legno, come quello dei succhiatori di grandi masse di sangue. Il fe- nomeno quindi, per quanto si verifichi in animali disparati, ha, in fondo, una notevole unità di andamento, ed appare a mio avviso in tutli i casi in cui gli organi della assimilazione, per spe- ciali condizioni di sviluppo o di ambiente , si trovano in uno stato di iperfunzionalità. Tale mia veduta non è contradetta dall'altra grande serie di fenomeni che si collegano, secondo i miei recenti studii, con la simbiosi ereditaria: il fenomeno cioè della bioluminescenza animale. Anche in questo campo la mia interpretezione , che deter- minò sull'inizio qualche dubbio, ha trovato nel prosieguo piena conferma. La luminescenza batterica, dopo i miei studii sui lam- piridi, è stata dimostrata in molti altri casi e fra questi da me stesso nei cefalopodi abissali, e da altri nei pirosomi ed in vari! altri animali marini. Mi piace qui di ricordare come lo stesso BucHNER che nel 1914 diceva poco verosimile che nei lampiridi al fenomeno della luce concorresse 1' azione di batterli, così si esprime in un lavoro (IQIQ), che egli-mt favorisce in bozze, men- tre io redigo il presente scritto: " Da ich inzwischen andere zwei- fellose Falle von Leuchtsymbiosen gefunden habe, scheinen mir meine friihergehaùsserten Bedenken nicht mehr gerechtfertigt. Zu- dem habe ich auf Schnitten durch die Leuchtorgane des siidame- rikanischen Pyroplionis zwischen den rundlichen Einschlusskor- — 59 — pern der Leuchtzellen ganz àhnlich bacterienartige Fadchen beo bachten kònnen, wie Pierantoni am Lampyris „. Vedremo in se- guito quale possa essere, alla luce di nuove ricerche l'azione di questi batterli degli organi luminosi dei malacodermi e degli elateridi. Per quel che riguarda gli animali marini non corre oramai alcun dubbio sulla origine batterica della luminescenza dei se- piolidi, in cui i microrganismi esistenti nelle cellule e nelle ca- vità dell'organo luminoso coltivati in terreni adatti danno bellis- sime colonie fosforescenti; le specie ben definite di batterli e le loro proprietà sono oramai acquisite alla scienza per gli studii batteriologici che su di essi ha potuto compiere lo Zirpolo. Que- sti batterli passano nelle uova e per mezzo di esse si trasmet- tono di generazione in generazione i). Anche in questi casi si tratta quindi di una simbiosi ereditaria. Ugualmente chiara è la natura simbiotica degli organi lumi- nosi dei pirosomi, le belle colonie lampeggianti di tunicati già ') Il fisiologo francese R. DuBOis, in una sua recente nota (Pseudo-cel- liiles symbiotiques, anaèrobies et photogènes: C. R. soc. Biol. voi. 1919 p. 1016), a proposito delle mie ricerche sulla bioluminescenza batterica di animali ma- rini (i cui risultati sono ormai universalmente accettati), a proposito delle colture di batterli luminosi ottenute dagli organi fotogeni, vien fuori con que- sta madornale affermazione: " il n'est pas necessaire pour cela de se servir d'animaux photogènes, tous les animaux marins étant bourrés de photobactéries,,. Tale curioso postulato non meriterebbe smentita, tanto ne è evidente la assur- dità. A volerlo prendere sul serio bisognerebbe concludere che il fisiologo francese non ha nessuna conoscenza degli abitatori del mare, e nessuna idea di che cosa significhi una seria ricerca scientifica sull'argomento. Negli ani- mali marini è vero che talora alla superficie del corpo e nell'intestino trovansi batterli fotogeni: ma le colture di materiale tratto da organi Uimiaosi si fa con tutte le precauzioni che la scienza e la tecnica suggeriscono, sterilizzando cioè la superficie esterna o quella delle cavità degli animali. Riguardo poi ai sepio- lidi da me studiati l'equivoco non è possibile, quando si sappia che gli organi fotogeni di questi animali sono macroscopici, che questi organi possono essere aperti anche ad occhio nudo, che il materiale luminoso può essere asportato in notevole quantità e che esso consiste unicamente in masse di batteri fotogeni (come può rilevarsi a fresco anche in cinque minuti osservandoli al microscopio), masse batteriche le quali sono proiettate anche all'esterno dell'animale per illu- minare l'ambiente, e che le sezioni dimostrano che non vi è traccia della so- stanza luminosa granulare [vacuolidare sec. DuBOisl che si rinviene in altri or- — 60 — oggetto degli studii del Panceri e del Polimanti e recentemente accuratamente illustrate nella loro embriologia dal Julin. È interessante a proposito di essi di notare come alla sco- perta della natura batterica della loro luminosità si sia pervenuti mediante studii embriologici, e non dall'autore degli studii me- desimi. Fu il BucHNER che, leggendo il lavoro del Julin riconobbe nelle cellule testacee, e nelle loro migrazioni attraverso gli or- gani luminosi, la corrente sanguigna, l'uovo, l'embrione e gli organi luminosi larvali, tutti i caratteri di vere cellule a micror- ganismi, operanti una simbiosi ereditaria, molto simili a quelle che si trovano negli omotteri aleurodidi , ai quali si accenna più indietro nel presente scritto (v. pag. 56). Il contenuto di queste cellule, che il Julin qualifica per cromidii, fu giustamente riconosciuto dal Buchner come formato da ammassi di micror- ganismi. 10 stesso in un limitato materiale che mi pervenne la scorsa estate, potei compiere qualche osservazione a fresco sui piro- somi, ed estrarre dagli organi luminosi e dalle cellule che li co- stituiscono dei corpuscoli assai piccoli , ma piìi grandi dei più comuni batterli, di forma allungata, cilindrica, flessibili, della lunghezza di 15-20 [i, per 3 |.i di spessore. Le cellule che li con- tengono raggiungono i 30-40 \i di diametro , e nel complesso della loro struttura e del loro comportamento di fronte ai colo- ranti ricordano assai da vicino i blastomiceti endocellulari di molti omotteri e segnatamante ù'Icerya. Sono evidentemente, come in quel caso, forme modificate dalla speciale maniera di vita endocellulare che esse conducono. 11 limitato materiale non mi permise di compiere su larga scala le colture, non facili del resto per la difficoltà di isolare i microrganismi dalle cellule che li contengono, e di ottenerli in istato di vitalità e scevri da inquinamenti. gani luminosi. Quanto poi all'essere gli animali marini boiirrés di fotobatterii, io sfido il DuBOis ad ottenere una sola coltura luminosa su mille innesti, quando il materiale sia tratto dall'interno di tessuti non fotogeni previamente sterilizzati allo esterno. Io che esperimento da oltre cinque anni, posso dire di aver fatto migliaia di tentativi sui soli organi fotogeni e di non aver ottenuto finora le colture lumi- nose che dai soli fotofori dei sepiolidi. — 61 — Oltre ai cefalopodi ed ai pirosomi è certo che molti altri animali marini debbono la loro luminosità a simbiosi con micror- ganismi fosforescenti. Il Buchner in una sua recente nota preli- minare, nel preconizzare un grande sviluppo delle conoscenze in questo nuovo interessante campo, annunzia già di aver fatto os- servazioni sui ctenofori luminosi, e di aver trovato nell'epitelio dei canali costali nidi di piccoli batterli bastonciniformi, che cor- rispondono alla sede della luminosità e che molto verosimilmente rappresentano simbionti luminosi, ed a conclusioni pressocchè uguali l'A. giunge a proposito del contenuto delle cellule lumi- nose di Phyllirhoè bucephala. Ho più sopra accennato alla scoverta dei batterli negli or- gani luminosi di insetti {Lampyris), confermata dal Buchner pei Pirifori ed alla ipotesi che la loro presenza sia in rapporto col fenomeno della produzione della luce, ed ho accennato an- cora come di fronte alle nuove conoscenze sulla chimica della produzione della luce, può interpretarsi, con tutta probabilità di attenersi al vero, l'ufficio di questi batterli. Premetto che non ha alcuna serietà l'interpretazione del Dubois, il quale, dopo aver ne- gata l'esistenza dei batterii, di fronte alla evidenza delle mie mi- crofotografie, conclude che possono essere pervenuti negli organi luminosi attraverso le trachee che vi si distribuiscono e che, come è noto, comunicano coH'esterno. Per comprendere l'assurdità di tale affermazione basta notare che tutti gli organi degli insetti ricevono diramazioni tracheali, e sono purtuttavia immuni da batterii. Non si comprenderebbe quindi, se non pensando ad un fenomeno di simbiosi ereditaria, perchè questi batterii si trovino soltanto nelle cellule fotogene degli organi luminosi e nelle uova. Io invece, pur non negando a priori che i batterii possano pro- durre essi stessi il fenomeno luminoso, spinto dal fatto che le colture riescono prive di fosforescenza, ho cercato di determi- nare l'ufficio di questi batterii, seguendo le recenti osservazioni dell'HARvEY sul chimismo del fenomeno luminoso. Secondo que- sto autore, che ha compiuto i suoi studii sulla Cypridina hil- gendolfii (un crostaceo dotato di una bella luminescenza azzurra), il fenomeno si produce per la ossidazione di una sostanza cor- rispondente a quella già isolata dal Dubois dagli organi lumi- nosi di Pholas dactylus (la luciferina) dializabile e termostabile, — 62 — in presenza di un'altra sostanza, non dializabile e termolabile, la luciferasi. La luciferina ossidandosi durante il fenomeno produce ossiluciferina, che per poter riprodurre il fenomeno deve essere ridotta e tornare nuovamente allo stato di luciferina. Tale ridu- zione può essere operata da vari agenti che l'A. enumera, e fra gli altri, rapidamente, dai batterli. Ora negli organi degli insetti è verosimile che la riduzione della ossiluciferina avvenga nel periodo che intercede fra due lampeggiamenti, dato che al periodo di lampeggiamento corri- sponde la ossidazione; ed è altresì verosimile che i batterii da me scoperti operino o che in ogni modo favoriscano la rapida riduzione necessaria perchè possa riprodursi a brevissimo inter- vallo ed ugualmente intenso il fenomeno luminoso. Tale interpretazione spiega anche la ragione della intermit- tenza della luce che si verifica specialmente negli animali in cui questa raggiunge un piiì elevato grado di intensità (animali a lu- minosità lampeggiante). Anche in questo caso quindi i batteri inter- verrebbero per rendere possibile od almeno piìi attiva una normale funzione organica; si tratterebbe quindi di una simbiosi assolu- tamente fisiologica. Verrebbe così spiegata anche la luminosità delle uova da molti constatata, nelle quali, come io stesso ho dimostrato, la presenza dei batterii è ugualmente costante. Riepilogando e concludendo, la simbiosi ereditaria, nota ora- mai come un fenomeno che si verifica normalmente in centinaia e centinaia di specie dei gruppi piiì disparati di animali, ha un importante valore fisiologico, per quanto è finora noto, special- mente in due categorie di funzioni: a) la digestione ed assimi- lazione di sostanze che vengono previamente modificate daU'a- zione dei microrganismi simbiotici; b) la funzione della lumino- sità degli animali, specialmente in quei casi in cui questa deve, per speciali contingenze , assumere un notevole grado di in- tensità. Lo studio dei casi fino ad ora noti di simbiosi lascia sup- porre che i microrganismi siano chiamati in ausilio dagli organ specialmente quando è necessario che la funzione diventi enorme- mente attiva. Basta infatti pensare che i microrganismi, per quanto fino ad oggi si conosce, appaiono in organismi adulti quando — 63 — deve operarsi la digestione del legno, dei succhi vegetali as- sunti in grandi quantità, del sangue ingerito in grandi masse, o per la produzione da minuscoli organi di una grande energia luminosa, e, durante lo stato embrionale, in infiniti casi in cui il vitello deve rapidamente alimentare l'embrione per la forma- zione e per l' eccrescimento di questo. Ne risulta quindi che la simbiosi ereditaria è uno speciale adattamento, che è in rapporto con parti- colari stati di iperfuji zio n alita organica. Napoli. Stazione Zoologica, Agosto 1920. BIBLIOGRAFIA 1914. Breest, F. Zar Kenntnis der Symbionteniibertragung bei vivi- pareti Cocciden and bei Psyllen. Arch. Protist. Bd. 34, p. 263 Taf. 20, 21. 1912. BucHNER, P. Stadien an intracellalaren Symbionien. I. Die Symbionten der Hemipteren. Arch. Piotisi. 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Perciò reputo utile raccogliere e pubblicare quanto mai rie- sce a capitare nelle mani degli studiosi, quando è possibile sal- vare il materiale abortivo umano , sottraendolo all' ignoranza, all' incuria e al dolo. Nell'autunno del 1Q19 mi venne fatto di avere dalla leva- trice Alb il prodotto che descrivo qui. Esso proviene da una donna trentenne, eredo-sifilitica certamente, maritata con giovine operaio coetaneo, sanissimo. La donna ha avuto due gravidanze menate a termine felicemente. La presente è stata la terza gesta- zione: ha accusato quattro mancanze mestruali. 11 saggio è intero e ben conservato in siero fisiologico. Esso è fissato in foto nel Bouin circa 6 ore dopo l'espulsione, e poi conservato in alk. 70°. Come si può desumere dalla ispezione della Fig. 1, esso possiede un involucro deciduale completo, alla cui parte supe- riore , da uno dei poli, emerge un ciuffo abbondante di villi Choriali. La forma è ovoidale, con il maggior asse di cm. 7. — 68 — Aperto il Chorion , che nulla ci presenta di anormale , si trova un sacco amniotico ovoidale, a maggior asse di cm. 5,5, di tessuto trasparente. Apertolo con ogni cautela, ne vien fuori un liquido piuttosto torbido; alla osservazione microscopica l'intor- bidamento si riconosce dovuto a sostanza fioccosa coagulata, con scarse cellule epiteliali cubiche. In un certo punto direi laterale questa massa è rappresa in una specie di coagulo gelatinoso, giallo brunastro, trasparente, friabilissimo. Tolto questo con precauzione , la superficie interna del sacco amniotico appare liscia. Soltanto nel punto ove era impiantato il detto coagulo, si vedono due formazioni bianco opache, rilevate, sessili, aderenti alla parete amniotica. La prima, più grande (è quella che si vede superiormente) appare formata di due parti , 1' una piiì o meno globosa, attac- cata per un picciuolo sottilissimo all'altra parte, cilindroide, molto piccola, e aderente, come a formare un rilievo longitudinale, ri- coperto dall'aminos. Piiì in basso, circa un centimetro, notasi un altro piccolo nodulo, sottoamniotico, di circa 2 mill. Prima con V osservazione diretta del pezzo in toto a luce riflessa, e poi con la colorazione in massa, e col solito metodo delle sezioni asseriate , fatte su la zona più importante , con la osservazione rigorosa di circa 300 sezioni , si constatano i fatti seguenti, che ricapitolerò brevemente : 1.° Il nodulo più grosso, osservato con opportuno ingran- dimento a luce riflessa e col microscopio binoculare (v. fig. 2) si presenta di forma ovale, con un estremo apicale , ed una su- perficie ventrale, in cui è visibile una fossetta circondata da rilievi, uno dei quali si prolunga nel picciuolo, sottilissimo, che ricongiunge il nodulo all'amnios ed all'altra parte della forma- zione, sulla quale nulla di notevole è dato vedere con la lente, tranne che termina con un leggerissimo rigonfiamento. 2.0 Nelle sezioni fatte trasversalmente all' asse maggiore di questo nodulo principale si constata : a) un rivestimento completo fatto di uno strato epiteliale in generale semplice, in qualche punto stratificato, di cellule cubiche; b) una massa sottostante all'epitelio, che forma quasi tutto il nodulo, la quale consta di elementi mesenchimali; — 69 — e) più centralmente ancora, una cavità di forma irregolare in generale quadrilatera , la cui parete , è fatta internamente da elementi cubici, e nel resto del suo spessore, da cellule granu- lose, rotonde ; la parete ventrale è molto più spessa di quella dorsale la quale , oltre che in alcuni punti è molto più sottile, più colorabile , presenta delle ondulazioni , come se fosse fe- stonata; d) due prolungamenti laterali , come le branche di una tenaglia sono aperte in alcuni tagli; in altri vanno successiva- mente unendosi per gli apici, e circoscrivendo una cavità trian- golare, brevissima, terminante a fondo chiuso (Figg. 4 e 5 ); e) dietro questa cavità se ne trova abbozzata un' altra (fig. 3) rivestita da epitelio basso appiattito, e del tutto chiusa. 3.° Nelle sezioni fatte sulla porzione cilindrica dell'abbozzo embrionale, si osserva un rilievo mediano (Fig. 3): con rivesti- mento dello stesso genere di quello del nodulo precedente; al di sotto del quale la massa è formata da tessuto mesenchi- matoso a cellule stellate. Ma nelle parti laterali, sul declivio, la massa mesenchimatosa si sdoppia nelle due lamine somatiche, cioè una superficiale, che va continuandosi più in fuori con l'amnios (fig. 3) ed una profonda che si estende intorno ad una vescicola ovoidale, che certamente deve ritenersi una vesci- cola ombelicale; la sua parete è formata esternamente da lo stesso tessuto mesenchimale, e dalla parte della cavità è ri- vestita da un epitelio cubico. Caratteristica si è la presenza di frange sporgenti nella cavità e scavate da spazii lacunari, che debbono ritenersi cavità lin_ fatiche. Tra la parete somatica e la vescicola vi è nn ampio spazio (celoma). Detta vescicola è sospesa alla parte assiale suddetta mercè una specie di peduncolo cavo che non mi risulta comu- nicare con altro spazio, ma contiene rudimenti di vasi sanguiferi. Altri rudimenti di veri vasi non se ne trovano, ma in de- terminati punti qualche spazio di forma irregolare, rivestito da endotelio piatto. Questa vescicola si estende per quasi tutta la lunghezza di questa formazione cilindrica , tranne nell'estremità caudale, ove tutto si riduce ad una massa mesenchimatosa sessile. - 70 — Riassumendo tutta l'osservazione, possiamo dire che alcune poche parti ed apparecchi organici sono riconoscibili chiara- mente, e sono: 1.° un nevrasse abbozzato, e ridotto alle vescicole cerebrali fra cui certamente un rombencefalo, e accenni di M. S. e di meningi cerebrali. 2.0 un tegumento epiteliale esterno. 3.° una somatopleura con tracce di vasi sanguiferi. 4.° la cavità celomatica limitata e ristretta, nella quale pesca: 5.° una vescicola ombelicale atrofica. 6.° uno stomodaeum con accenno di un solo arco- branchiale, 7." un peduncolo addominale, se così può chia- marsi quello stiletto mesenchimale che, staccandosi dalla regione del collo (!), si impianta sull'amnios. Debbo così chiamare , ma solo per analogia, detta formazione, poiché né per sede, né per struttura, corrisponde ai caratteri veri del peduncolo allan- toideo-addominale di His. 8.'' Vi è inoltre un Chorion ed unAmnios bene sviluppati. 9.° Manca qualunque traccia di intestino. Non può dunque parlarsi in questo caso di una forma nodulare porche vi esiste qualche accenno di apparecchio or- ganico, né di una forma di quelle che Giacomini chiama atro- fiche. II concetto generale dell' atrofia é di una formazione la quale ha avuto un accres cimento , e che in un secondo tempo regredisce in tutto o in parte. Ma il presente embrione si è in- vece arrestato nel suo sviluppo ascendente. Con que- sta riserva si potè ancora accettare l'epiteto di forma atro- fica, che io chiamerei invece agenesica o disgenesica, o ipogenesica (cioè, arrestata, nel suo processo anabolico) E rassomiglia molto a quelle descritte dal Giacomini nelle sue osservazioni 27.^ e 28^ Note speciali del caso diremo dunque le seguenti : a) la mancanza di rapporto di sviluppo fra gli involucri tutti bene sviluppati e normali, (almeno il Chorion e l'Amnios) e l'abbozzo embrionale; — 71 — b) la deficienza assoluta di un peduncolo addomino-allan- toideo, non potendosi davvero dare tal nome e significato a que- rudimento che è attaccato all'Amnios e non al Chorion, appena per un sottile stiletto di cellule mesenchimali rotonde ; e) le formazioni archiblastiche, sopratutto ectodermiche, in proporzione straordinariamente preponderanti su quelle en- dodermiche ridotte alla sola vescicola ombelicale, anche essa in uno stato di ipoplasia. — Il mesenchima è relativamente scarso. d) i tessuti sono tutti in un certo grado di disfacimento, che bisogna attribuire allo stato in cui si trovavano i tessuti prima della fissazione, e probabilmente alla eredità luetica, e non alla fissazione, che era buona. e) l'assenza di ogni traccia di allantoide. Questo caso ci permette le seguenti considerazioni speciali: \P In quanto alla forma esso non può andar compresa nelle forme nodulari sebbene ad un primo esame superficiale sembrerebbe potervisi ascrivere. Nelle vere forme nodulari man- ca ogni traccia di apparecchi organici, vi sono solo pochi tes- suti (neanche sempre identificabili) ma raccolti disordinatamente. Invece in questo caso vi sono i rappresentanti di qualcuno fra i principali apparecchi, come nella P classe del 1° gruppo di Giacomini, cioè con E. atrofico Ma a questo proposito debbo dire che un Embrione arrestato nel suo sviluppo non può chiamarsi atrofico, ma disgenesico per le ragioni già accennate sopra. Converrebbe adunque fare, in queste forme abortive una nuova ma necessaria distinzione tra quelle che pos- sono giustamente dirsi atrofiche, perchè hanno subito una specie di regresso nel loro sviluppo, e quelle che non sono pervenute che ad un certo grado di sviluppo, nel quale si siano arrestate, e non siano andate più avanti, o in tolo , od anche parzialmente, cioè che solo alcuni organi e apparec- chi, o tessuti, abbiano raggiunto un certo grado di sviluppo, mentre altre parti o non l'hanno raggiunto, ovvero lo hanno oltrepassato, ed altre no. Se in questo senso voglia anche in- tendersi le forme atrofiche (se pure esistono) si può ammet- tere, ma certamente non sarebbe esatto chiamare atrofica una forma che non ha raggiunto il suo sviluppo, neanche par- zialmente. D'altra parte non si riesce ad intendere che cosa vo- — 72 — glia dire l'atrofia di un embrione, ed in qua! modo potrebbe determinarsi nei casi speciali se un organo, un apparecchio o un tessuto si trovino in condizioni di regresso atrofico, ov- vero di arresto di sviluppo; perciò credo meglio modificare la denominazione nel senso da me sopra indicato, che risponde meglio al vero processo evolutivo arrestatosi, e non ad un pro- cesso di involuzione vera. 2° In quanto alla età, cioè all'epoca, in cui sarebbe avvenuto l'arresto di sviluppo nulla si può dire di preciso, ma certamente bisogna riferirla ad una fase molto precoce, poiché i due organi su cui non cade dubbio sono quelli di cui lo sviluppo avviene prima di ogni altro, cioè il ne v rass e, del quale però non sono chiaramente dimostrabili che alcune delle vesci- cole cerebrali, e la vescicola ombelicale già in una fase di relativa atrofia, o per lo meno ben poco sviluppata — mentre è mancata la formazione primitiva del peduncolo addominale. 3° In quanto alle cause dell'arresto di sviluppo vi ha come causa predisponente certa l'eredità luetica, e come causa determinante, la scarsezza del mesenchima, l'assenza del cuore e dei vasi sanguigni , per cui non ha potuto costituirsi né il peduncolo addominale , né il sistema allantoideo ; per cui é mancata la condizione nutritiva fondamentale per l'ulteriore svi- luppo dell'E ; il quale non solo si é arrestato, ma si é determi- nato certamente la morte del prodotto (aborto morto) come é dimostrato anche dal cattivo stato dei tessuti, indipendente dalla fissazione. 40 Lo sviluppo di questo E. ha potuto dunque avverarsi fino allo stadio che ho descritto, per le sole forze auto- nome dell'E. e dell'ovo, coadjuvate da contributo materno in forma di assorbimento osmotico, mentre è mancato quando, esaurite le dette energie, non é intervenuto il sistema allantoi- deo per stabilire le connessioni vasali con l'organismo già de- pauperato della madre. Debbo insistere sul fatto importante della assenza del pe- duncolo addominale per chiarirne l'importanza, ed il significato — 73 — che detta alterazione ha potuto esercitare per determinare la lesione in esame. Bisogna ammettere, in base alle attuali cogni- zioni sulla formazione dell'allantoide nell'uomo, che le connes- sioni fra TE e il Chorion si avverano in due fasi ben distinte, cioè in una prima fase in cui la connessioni fra il Blasto- derma embrionale e l'extraembrionale è fatta da una massa epi- teliale ectodermica (tro fobia sto) nella cui spessezza si forma per delaminazione l'amnios con meccanismo complesso, ed una seconda fase in cui a spese della parte caudale stessa massa, di- venuta mesenchimatosa e poi vascolarizzata , si costituisce la formazione allantoidea. Ora' l'È. in esame si è arrestato evidentemente alla prima fase. Ma v'ha di più : il cordoncino epiteliale che congiunge uno dei lati del solo arco branchiale esistente con gli annessi, si salda perifericamente con l'Amnios, e non raggiunge il Chorion. Il suo arresto ha dovuto perciò avvenire in un tempo molto precoce dello sviluppo, rimanendo molto rudimentale, nella fase epiteliale primitiva. Per spiegare questo raro fenomeno è neces- sario ritenere che l'impianto del peduncolo, sia stato spostato da un enorme e precoce sviluppo e distensione dell' Amnios. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 3 Fg. 1. — L'uovo aperto ingrandito del doppio. a - Amnios aperto - nella cavità si vedono i noduli: uno superiore, corrispondente alla estremità cefalica, seguito da un picciuolo prolungato (tronco) e dal picciuolo di attacco, l'altro nodulo, è una massa mesenchimale coperta di epitelio. eh - chorion, col ciuffo di villi v. eh. flf- decidua. Fig. 2. — Ingrandimento x 20 del nodulo cefalico - vi si vede lo sto- modoeo a destra ed in basso vi ha il picciuolo, staccatosi. Fig. 3. — Taglio trasversale del segmento caudale - Ingrand, circa 60 volte. n. - nevrasse. 'V. 0. - vescicola ombelicale. s. s' -somatopleura. Fig. 4. — Taglio trasversale del nodulo cefalico, molto ingrandito, circa 60 volte. am- epitelio amniotico. X - picciuolo epiteliale congiungente l'È. con l'Amnios. 5/-stomodaeum. ab- arco branchiale (?) Fig. 5. — Taglio trasversale del capo. Sezione del nevrasse (romben- cefalo ?) r- tegumento epiteliale. m - mesenchima cranico. n - nevrasse, a parete pieghettata (abbozzo del cervelletto ?) - ep - cavità ependimale. (Finito di stampare il 20 decembre 1920) Studi sulla bioluminescenza batterica. 3, Azione dei raggi emanati dal bromuro di radio. Ricerche del socio Dott. Giuseppe Zirpolo (Tornata del 16 luglio 1920) Le ricerche finora eseguite sull'azione dei raggi emanati dai sali di radio sono state dirette, in generale, allo studio dei batterli patogeni. Secondo Berton e Mink essi non hanno influenza al- cuna sui batterii; secondo altri — Rieder, Pfeiffer, Friedberger, — li alterano profondamente. Per Strebel, DANysz, Werner i raggi a e Y sono antibatterici; secondo Dorn, Baumann e Valentiner l'azione di queste emanazioni è del tutto superficiale. In un recentissimo lavoro i Dott. J. Cluzet, A. Rochaix e Th. Kofman hanno dimostrato che l'azione battericida sul ba- cillo piocianico non è prodotto dai raggi y emessi dal bromuro di radio, ma da raggi secondari che sono emessi alla superficie esterna del tubo di platino contenente il sale di radio. Così, ancora, sui batterii cromogeni v'è uno studio di Bou- CHARD e Balthazard nel quale è dimostrato che questi raggi non hanno azione alcuna sul loro potere cromogeno. Di osservare se i raggi emanati dal bromuro di radio ab- biano o no alcuna influenza sui batterii luminosi, nessun autore, per quanto io sappia, s'è finora occupato. In seguito ai miei stu- dii che vo conducendo da alcuni anni sull'azione dei varii sali sulla luce dei batterii fosforescenti ho creduto non privo d' inte- resse occuparmi anche dell'azione dei sali di radio. Avendo ot- — 76 — tenuto un campione di bromuro di radio *) mi accinsi allo studio degli effetti prodotti dall'emanazioni di questo sale sulla durata ed intensità della luce dei batterli fotogeni. Ricerche peisonali. Materiale di studio e tecnica. Il materiale di cui mi son servito anche per queste ricer- che è stato il Baclllus plerantotill Zirpolo, già da me studiato nei suoi caratteri morfologici, culturali e patogenetici. Due tubi della stessa capacità venivano riempiti di un'identica quantità di brodo preparato, al solito, con acqua di mare, muscoli di seppia, peptone airi°[oe tutto alcalinizzato con carbonato sodico. In ognuno di questi tubi, convenientemente sterilizzato, ve- niva introdotta una goccia di cultura luminosa in brodo di Ba- cillus plerantonii Zjrpolo, analogamente come ho operato per le precedenti ricerche. Dopo 24 ore dall'innesto, essendo i due tubi egualmente luminosi , in uno di essi veniva introdotto, sospeso ad un filo di seta sterile, il tubicino di vetro contenente un decigramma di bromuro di radio di circa 10000 attività, men- tre l'altro tubo serviva di controllo. Furono fatte varie esperienze: 1) lasciando stare per un nu- mero vario di ore il tubicino contenente bromuro di radio nell'in- terno del tubo con batterli luminosi; 2) facendo rimanere in conti- nuo contatto il tubicino col bromuro di radio nell' interno del tubo contenente batterli luminosi per tutto il tempo dell'esperienza. Riferisco nelle pagine seguenti le osservazioni da me fatte nei varii periodi. Comportamento dei fotobatteri sotto Vazìone temporanea delle emanazioni di bromuro di radio* Il giorno 3 maggio 1919 introdussi il tubicino contenente bro- muro di radio nel tubo in cui erano seminati bacilli luminosi ed osservai per vario tempo, temendo in un'azione rapida delle ') Questo campione di bromuro di radio mi venne gentilmente favorito dal Prof. Luigi D'Aquino, che mi è grato qui ringraziare per le sue cortesie. _ 77 — emanazioni di bromuro di radio. Le osservazioni seguite di ora in ora, tenendo, come controllo, un tubo privo del sale di radio, ma contenente una cultura luminosa che fu preparata identica- mente a quella del tubo in esame, non fecero notare nulla di nuovo. 24 ore dopo non era sopravvenuta alcuna variazione. Dopo 48 ore tolsi il tubicino col sale radiattivo dal tubo in cui c'erano bacilli luminosi ed attesi nei giorni successivi a fare ulteriori osservazioni, allo scopo di vedere se influenza alcuna, fa- vorevole o meno si fosse verificata, in seguito all'azione dei raggi emanati dal bromuro di radio. Nel giorno seguente la luce del tubo in cui v' era stato il sale di radio era sensibilmente aumentata in confronto dell'altro tubo di controllo. Presentava un colore di un verde vivido, molto luminoso. Dopo dieci giorni la luce si mostrò sempre più viva nel tubo in cui era stato il sale di radio e andò scemando d'intensità nel tubo di controllo. Il giorno 25 maggio, cioè 22 giorni dopo, la luce si conservava sempre vividissima e di un bel verde in- tenso, mentre nel tubo di controllo era pallida. Identiche osser- vazioni potetti fare ancora nei giorni 28 maggio e 7, 12, 18 giu- gno. Il 28 giugno la luce del tubo di controllo era scomparsa, mentre nel tubo in cui v'era stato il sale di radio rimaneva an- cora, sebbene fosse andata scemando d'intensità. Il 12 luglio persi- steva ancora la luce, ma era necessario rimanere circa 10 minuti all'o- scuro per poterla osservare. Il giorno 16 luglio era completamente insensibile al mio occhio. Le luce, quindi, dei bacilli luminosi per azione delle ema- nazioni di bromuro di radio si mantenne per circa 74 giorni; mentre nel tubo di controllo, senza azione del sale di radio, per- sistette per 56 giorni. Esperienze simili furono ripetute nel novembre dello stesso anno e nel gennaio dell'anno successivo e finalmente nel marzo, variando la permanenza del tubicino contenente bromuro di radio per due, quattro, dodici, ventiquattro, quarantotto, tren- tasei, fino a 268 ore. Le variazioni d' intensità luminosa furono identiche in tutti, salvo lievi eccezioni dovute a cause estranee e di nessun conto per lo studio presente. 78 Comportamento dei fotobatterii sotto l'azione costante delle emanazioni di bromuro di radio. In due tubi da saggio misi cinque cm-^ di brodo di seppia. La sera ^ del giorno 16 maggio innestai in ognuno due gocce di cultura luminosa di Baclllus pierantordl Zirpolo. Nella sera successiva introdussi in uno dei tubi il tubicino continente bro- muro di radio sospeso ad un filo di seta sterile, in modo che l'estremo di esso e propriamente la parte in cui era raccolto il decigramma di sale radioattivo pescasse per circa mezzo centi- metro nel brodo luminoso. Tutti i batterli, al solito, erano raccolti alla superficie di livello. Il giorno 18 maggio il tubo in cui c'era il tubicino radio- attivo dava maggiore luminosità di quella data dal tubo di con- trollo. Nei punti più vicini al tubicino era raccolto il maggior numero di batterli fotogeni 2). Nella sera successiva potei osser- vare questo fenorneno : nel centro, intorno al tubicino conte- nente bromuro di radio si vedeva uno straterello luminoso e poi concentricamente ad esso seguiva una zona oscura, e, finalmente, in vicinanza delle pareti del tubo una zona luminosa di color verde intenso; mentre nel tubo di controllo tutta la zona superficiale di livello era completamente illuminata senza presentare alcuna zona oscura. Analoghe osservazioni sulla persistenza della luce sempre più viva nel tubo contenente il radio, anzicchè nell'altro di con- trollo, furono fatte nei giorni 19, 25 e 28 maggio e poi 5, 7, 12, 18, 28 giugno e 12, 17, 25 luglio, giorno in cui nel tubo di con- trollo la luce era quasi sparita, mentre nell' altro persisteva an- cora se non molto viva, sempre tale da lasciarsi vedere. ') Queste esperienze io dovevo, per opportunità, farle di sera, perchè l'oc- chio abituato ad una luce poco intensa poteva così facilmente discernere quella emanata dai batterii luminosi. "-) Questa osservazione richiama l'esperienza con la quale si dimostra il chemiotropismo dei batterii verso l'ossigeno (vedi p. 7Q). — 79 - Rimase ancora un' altra ventina di giorni e poi non mi fu possibile fare ulteriori osservazioni. Queste esperienze le ripetei ancora nel dicembre e po- tetti confermare le mie deduzioni sull'attività dei raggi emanati dal sale di radio sulla luminosità dei batteri fotogeni: in questo periodo, data la temperatura più bassa, potetti osservare la luce per un periodo di circa quattro mesi dal dicembre cioè al mar- zo 1919. Le osservazioni che ho descritto nelle precedenti pagine in- ducono a poter interpetrare il fenomeno in base alle conoscenze che si hanno sulle proprietà dei corpi radioattivi. Dei raggi «, p e y emanati dal bromuro di radio pote- vano agire quelli designati sotto il nome di raggi |3 e raggi y. E' noto che i raggi (3 portano cariche negative, ionizzano l'aria e dissociano in ioni i mezzi dissociabili; essi hanno una struttura eminentemente corpuscolare. Danno la luminescenza in molti cristalli e corpi, ma non sono delle radiazioni. I raggi y hanno una emissione di radiazioni di piccolissima lunghezza d'onda, molto più piccola delle radiazioni luminose. Hanno azioni fisiche energiche, ma non portano carica alcuna. Impressionano una lastra fotografica, ionizzano e dissociano gli ambienti ed hanno applicazioni terapeutiche. Tenute presenti le proprietà di questi raggi, la maggiore luminosità osservata, nei tubi contenenti bromuro di radio si po- trebbe spiegare così: poiché in tutte le scariche elettriche, quan- do gli elettroni vengono espulsi e, cioè, quando può dirsi che vengono prodotti artificialmente dei raggi (3 non manca mai la dissociazione e la ionizzazione dell'ambiente, la maggiore inten- sità luminosa dei batteri in presenza del sale di radio potrebbe dipendere da un'azione chimica, cioè da una ionizzazione del- l'ambiente, in cui vivono i batterli, prodotta dalle radiazioni e- manate dal tubicino contenente bromuro di radio. II fatto, inoltre, osservato nelle pagine precedenti, che si ha una zona luminosa vicino al tubicino contenente bromuro di ra- dio e poi una zona oscura e poi una nuova zona luminosa verso le parete del tubo è paragonabile a quello che si osserva allor- — 80 — quando un'alga viene messa in una goccia d'acqua in cui si tro- vino batterii ed è esposta al sole. I batterii si raccolgono verso la sua periferia prossima, per usufruire dell'ossigeno che da essa si sviluppa, lasciando così una zona senza batterii, cui segue una zona con batterii, i quali, non risentendo gli effetti dell'ossigeno, sono rimasti al loro posto. Nel caso in esame, analogamente a quanto ho detto sopra, nella zona vicino al tubicino di radio io ho osservato una grande quantità di batterii luminosi e poi una zona oscura senza batte- rii e poi una zona luminosa ricca di batterii. La prima si spiega perchè in vicinanza del tubicino contenente sale radioattivo il fenomeno della ionizzazione era vivo e quindi i batterii luminosi si erano raccolti in prossimità di esso, poi seguiva la zona oscu- ra dove non si esercitava nessun'azione o molto debole e poi la zona luminosa nell' interno della parete del tubo e ciò per i fe- nomeni di ossidasi che più facilmente avvengono in vicinanza delle pareti del tubo che agisce da catalizzatore. La maggiore luminosità, quindi, osservata nel tubo in cui v'era il tubicino contenente bromuro di radio potrebbe spiegarsi col fatto della ionizzazione prodotta dai raggi emanati da questo e per la ossidazione piiì viva avvenuta in vicinanza delle pareti del tubo, agente da catalizzatore. Napoli, Stazione Zoologica, giugno, 1920. — 81 — BIBLIOGRAFIA 1912. Macé, e. — Tratte pratiqiie de Bacteriologie. ó. Edit. Tome 1, p. 108. Paris, 1. A. Baillié;e et Fils Edit. H 1917.- ZiRPOLO, Q. — Ricerche su di un bacillo fosforescente che si svi- luppa sulla Sepia Officinalis L. (Bacillus sepiae n. sp.). Boll. Soc. Nat. Voi. 30. p. 47, Tav. 2-3, 1 Fig. Napoli. 1918. — — / batteri fotogeni degli organi luminosi di Sepia la inter- media Naef (Bacillus pierantonii n. sp). Ibid. p. 206, Tav. 6. 1918. — — Micrococcus pierantonii. Nuova specie di batterio fotogeno dell' organo luminoso di Rondeletia minor Naef. ibid. Voi. 31, p. 75, 1 fig. 1919. — — / batteri fosforescenti e le recenti ricerche sulla biofoto- genesi. Natura Ri^. Scienze Nat. Milano, Voi. 10, p. 16, 6 figg. 1920. — — Studi sulla bioluminescenza batterica. ì. Azione degl' ipno- tici. Riv. Biol. Roma, Voi. 2, Fase. 1, p. 52. 1920. — — Studi sulla bioluminescenza batterica. 2. Azione dei sali di magnesio. Boll. Soc. Nat. Voi. 32, p. 112. Napoli. 1920. Cluzet, J. Rochaix, A. et Kofman, Th. — Action bactericide da radium sur le badile pyocianique. C. R. Soc. Biol. Paris, Tome 83, p. 1428. 1920. LusTiQ, A. e Galeotti, G. — Trattato di patologia generale. 5=* Ediz. Voi. 1, p. 187 e 193, Soc. Editr. Libr. Milano (-^). (Finito di stampare il 20 dicembre 192(1) (*) Cfr. in questi trattati i diversi autori che hanno esperimentato coi sali di radio sui batterli. Revisione delle specie di Aglaophenla del Golfo di Napoli della socia Valeria Neppi (Tornata del 22 dicembre 1Q20) ' Un interessante lavoro di Bedot ^) apparso mentre si stam- pavano le mie " Nuove osservazioni sui polipi idroidi del golfo di Napoli „ e venuto soltanto pii^i tardi a mia cognizione m'in- dusse a rivedere ancora una volta le specie del genere Aglao- phenla già pertrattate, delle quali una soltanto menzionata in un mio ') lavoro precedente potè venir presa in considerazione da Bedot. Secondo i miei studii nel golfo di Napoli vivono tre specie di Aglaophenla, che determinai come A.heLlerl, A. piuma {con la varietà dlchotoma) ed A. tublfornils , con predominio della prima. Bedot considera A. hellerl come una varietà dell' A. piuma caratterizzata soltanto da una maggiore lunghezza della parte libera della nematoteca mediana ed innalza VA. dlchotoma a bona specles cui attribuisce anche VA. tublfornils. Benché io riconosca la sua autorità in materia e non possa seguirlo nei suoi studii comparativi per mancanza del materiale bibliografico, devo confutare le sue osservazioni per quanto riguarda le forme del golfo di Napoli. E' inutile rilevare quanto disparate sieno le opinioni sul valore dei caratteri differenziali delle varie specie di Aglaophe- ') Bedot, m. ~ Les variations iV Aglaophenia piuma (L.) Reviic Suisse Tome 27, 1919. '-) Neppi, V. — Osservazioni sui polipi idroidi dei golfo di Napoli Pubbl. Staz. Zool. Napoli, Voi. 2, p. 29, 1917. — 83 — nia ed in proposito basti citare quest'esempio: mentre Broch ^) rileva l'importanza d'un carattere fino allora trascurato , cioè le sarcoteche degl'internodi, Bedot, ^) ammette in base ai suoi studii ontogenetici che possa essere costante in tutte le specie con idrocaule non fasciculato. Egli attribuisce valore di carattere spe- cifico al genere di ramificazione ed in base ad esso riunisce col nome di A. dichotoma specie secondo me diverse separando VA. dichotoma dalla A. piuma. Come risulta dalle mie ^) osserva- (Fig. l). — Aglaophenia dichotoma. zioni si possono trovare colonie mature con qualche singola ra- mificazione dicotomica e colonie sterili in tutto identiche a quelle ma riccamente ramificate , per cui io convengo piuttosto con quegli autori, che considerano VA. dichotoma come una varietà ') Broch H. - Hydroidnntersuchiingen III. Vergleichende Stiidieii ati adriatischen Hydroiden Norske Vidensk. Selsk. 1912. ■-) Bedot, M. — Le développement des colonics d' Agkiophenia. C. R. Soc Physique et Hist. Nat. Genève, Tome 36, 1919. ■^) Neppi, V. — Nuove osservazioni sai polipi idroidi del golfo di Napoli. Pubbl. Staz. Zoo!. Napoli, Voi. 3, 1920. dell'A. piuma. Bedot ammette una dicotomia tipica e dice ') che in questo caso la ramificazione regolare è dovuta " non pas à la formation de branches, mais, à une division dichotomique de la tige „. Nei casi da me osservati {fig 1) la dicotomia sembra risultare dal fatto che nell'ascella d'un idrocladio spunta un asse che raggiunge lo stesso grado di sviluppo dell' asse principale, ma non è evidente che si tratti di una biforcazione del fusto. I rami di differente grado non si trovano nello -stesso piano. Secondo Bedot VA. piuma va soggetta a così grandi va- riazioni che si devono distinguere tre varietà oltre alla forma tipica: la hellerl, la gracilluna e la heterocllta. Come c.irattere differenziale .della prima egli -) adotta la lunghezza della nema- toteca mediana dell'idroteca, che : " recouvrant presque entière- ment la face antèrieure de l'hydrotlièque a uni partie libre qui atteint ou dépasse le niveau de l'ouverture de l'hydrotlièque,,. Egli stesso •') riconosce che questo carattere è poco preciso e difatti io talvolta potei osservare che sullo stesso idrocladio la nematoteca mediana era pili breve nelle idroteche prossimali che nelle distali. Mentre VA. hellerl compare nel golfo di Napoli quasi tutto l'anno, matura dall'aprile a settembre, le altre forme cioè A. piuma, A. piuma var. dichotoma ed A. tubljormls nel periodo di due anni consecutivi furono pescate molto di rado. Bedot crede di poter identificare la mia A. hellerl con la varietà gra- cillima perchè identifica con quest'ultima VA. adriatica] ma se io ^) potei affermar^' che alcune colonie presentavano in tutta la loro estensione o solo in qualche parte i caratteri dell' /4. flofr/a- tica devo rilevare che in generale corrispondono alla /l. hellerl e quindi secondo la classificazione di Bedot VA. hellerl del golfo di Napoli rientra solo in parte nella A. gracillima. In questa tabella sinottica sono raccolti i caratteri principali delle specie da me riconosciute: ■) 1. e. p. 263. ^) 1. e. p. 265. ^) 1. e. p. 272. ^) 1. e. Lunghezza massima delle colonie — 85 — A. helleri A. piuma A. tabifonnìs cm. 2-5 cm. 3 cm. 6"5 (var. diclio- cm. 2 toma) Nematoteche degli q i i •:? i i internodi ') ^ r ' -^ -t- ^ dellf ipoteche ^ ^enti uguali 7 o 9 denti disuguali ^, . ,,t'en"i' uguali) Lunghezza ^^„, 2,5 degli idrocladi mm. 6 Forma delle idroteche ovoide - tronca . idem cilindrica Rapporto fra la lun- ghezza e la larghez- ca. doppia 5:2-) ca. tripla za delle idroteche ovali, nno ad 8 paia ^^,^^. ^.^^ ^ ^ ^^^.^ allungate, fino a con anastomosi ^i coste paia di coste Devo osservare ancora che Vliabitus delle colonie rappre- sentate da Bedot (1. e, p. 244, fig. l) corrisponde esattamente a quella forma ch'io determinai come A. helleri, soltanto la lun- ghezza risulta doppia della massima da me constatata. Benché debba, come già dissi, limitarmi alla revisione delle specie osservate a Napoli vorrei rilevare che VA. piuma di Broch •*) sembra avere tutti i caratteri dell' A. helleri quantunque pre- senti una ramificazione dicotomica, ciò che sosterrebbe 1' opi- ^) La cifra 1 indica una nematoteca più piccola, che corrisponde alla pseu- donematoteca di Bedot. -) In questa specie le idroteche sono una volta e mezza più grandi che nelle altre due. 3) 1. e. — 86 — nione da me espressa poc'anzi che la stessa specie possa pre- sentare colonie semplici o ramificate dicotomicamente. Osservai coste libere soltanto nelle corbule di colonie gal- leggianti di y4. Iielleri, tanto una prossimale, che due lungo i lati, e lo spazio libero di nematoteche era molto più breve che nella costa di A. piuma rappresentata da Bedot ^). Trieste, nel dicembre 1920. Finito di stampare il 1" luglio 1921. 0 1. c. p. 257, fig. 19. Le registrazioni sismiche rilevate nella Sezione Geodinamica dell' Osservatorio di Valle di Pompei nell'anno 1Q1Q del socio Prof. Giovanni Alfano (Tornata del 16 dicembre 1920) Nel volume precedente di questo Bollettino, iniziando questa rassegna sismologica, feci cenno degli apparecchi sismici pos- seduti dall'Osservatorio da me diretto, e rimando i lettori a quell'articolo, qualora volessero ricordare quali sieno gli stru- menti in azione. Questa volta posso con piacere annunziare che fra qualche mese sarà completato l'impianto di un apparecchio di ricezione di telegrafia senza filo, allo scopo di percepire i segnali orari lanciati della Torre di Eiffel. Così sarà conosciuto, giorno per giorno, lo stato assoluto dei nostri cronometri, per tutti i pro- blemi inerenti allo studio dei sismogrammi. In tutto il 1Q19 le registrazioni che ho potuto rilevare dagli apparecchi sismici sono, state 83. Questo numero non è l'indice di tutti i terremoti avvenuti in Italia e fuori Italia: giacché dai competenti è risaputo che molte registrazioni vanno perdute per molte ragioni; nondimeno i risultati ottenuti dai miei apparecchi sono molto soddisfacenti. Rispetto ai mesi le registrazioni sono così distribuite: Q F M A M G L A S o N D 1919 8 2 5 5 8 16 6 10 5 13 2 3 83 Riguardo alla distanza epicentrale posso riassumere così: Le registrazioni per terremoti locali o domestici (avvertiti, anche se leggermente) sono 4 vicini (a meno di 1000 Km.) . . . . . „ 50 remoti o lontani (tra 1000 e 5000 Km.) . . „ 9 ultimi o molto lontani (ad oltre 5000 Km.) . „ 16 di distanza dubbia, ma certamente non locali . . „ 4 Le quattro registrazioni per terremoti domestici o loca- li si ebbero: il 16 maggio, ad ore \9 e 58 minuti; proveniente da SW, a 90 di km. di distanza; il 26 maggio, ad ore 20 e 55 m. non annunziata da altri os- servatore ; scattarono i sismoscopi ; l'epicentro sembra situato anche a SW; e a distanza vicinissima, inferiore a 50 km. il 2 luglio, ad ore 2 e 6 m. scossa locale, leggerissima. il 25 agosto, ad ore 17, scossa con i medesimi caratteri di quella del 16 maggio. Questo epicentro, situato a SW dell'Osservatorio, ad un 90 km. di distanza, fare, potrebbe riporsi nei monti della Lu- cania, presso Vallo, epicentro già noto per i terremoti del 31 luglio 1561, e del 25 gennaio 1893. Le registrazioni per terremoti vicini sono le più numerose, e sono 50. — Si potrebbero classificare così: Sono di epicentro conosciuto le registrazioni per scosse avvenute il: 12 gennaio, ad ore 12 e 28 m. avvertita a Caggiano (Salerno) come scossa di IV grado, e precisata dal nostro osser- vatorio prima che fossero venute le notizie. 22 gennaio, ad ore 4 e 26 m. avvertita nell'isola Zante. 13 febbraio, ad ore 3 e 21 m. avvertita in provincia di Arezzo, Perugia, e Siena. 24 febbraio, ad ore 2 e 57 m. avvertita in Mineo (Catania), probabile epicentro nel Mar Ionio. — 89 - 3 marzo, ad ore 22 e 21 m. avvertita nella Valle del Calore (Benevento) e precisata dall'Osservatorio, in direzione e distanza, prima che pervenissero le notizie. 20 aprile, ad ore 7 e 32 m. avvertita nella Marsica, come scossa forte. 19 giugno, ad ore 6 e 44 m. avvertita a Saludecio (Forlì) come scossa di IV grado. 29 giugno, alle ore 8 e 45 m. circa; 9 e 15 e; 16 e 7 e; 16 e 44 e; 17 e 37 e; 18 e 25 e; scosse per terremoto di- sastroso nel Mugello (Toscana); la scossa che provocò disastri fu quella delle ore 16, 7 min. e 13 sec. 30 giugno, alle ore 15 e 18 m. replica nel Mugello. 1 luglio, alle ore 0 e 53 e; 4 e 36 e; 6 e 54 e, registrazio- ni per repliche nel Mugello. 3 agosto, ad ore 11 e 47 m., registrazione per scossa con epicentro probabile nel Mar Ionio. 20 agosto, ad ore 4 e 58 m. registrazione per scossa leggera ad Isernia (Campobasso). 22 agosto, ad ore 23 e 37 m. registrazione per scossa nel mar Ionio. 7 ottobre, ad ore 11 e 28 m. avvertita in Isernia, come scossa mediocre. 21 ottobre, ad ore 1 e 24 m. avvertita in Abruzzo, Molise Capitanata, Molise, Terra di Lavoro (VI grado). 22 ottobre, ad ore 7 e 7 m. avvertita ad Anzio (Romaj co- me scossa di VII - Vili grado. 23 ottobre, ad ore 5 e 56 m. replica ad Anzio. 25 ottobre, ad ore 14 e 52 m. avvertita in Toscana, Umbria e Marche (VI - VII grado). 20 novembre, ad ore 15 e 30 m. avvertita a Catania, come scossa di III. grado 23 dicembre, ad ore Oe 42 m. scossa disastrosa nell'Epiro. Sicché abbiamo 27 "egistrazioni per scosse vicine, di epi- centro conosciuto; restano oltre 23 di epicentro non conosciuto, per ora. Le registrazioni per terremoti remoti (o lontani) furono nove. Ma quasi tutte di epicentro sconosciuto. Di alcune ho pò tuto calcolare la distanza: — 90 — 9 giugno, ad ore 8 e 17 m. epicentro a 2000 km. 13 ottobre, ad ore 14 e 7 m. „ a 4400 „ 25 ottobre, ad ore 18 e 56 m. „ a 2000 „ Le registrazioni per terremoti ultimi (o molto lontani) furono 16 - Quelle di epicentro conosciuto sono: 1 gennaio, ad ore 2 e 51 m. epicentro a 5100 km. all'Est. 2 gennaio, ad ore 4 e 19 m. epicentro nell'Oceano Pacifico, a sud delle isole Figi (cp=22o S; l = 179^30 W). 2 marzo, ad ore 4 e 46 m. due registrazioni per terremoto violento in Chiloè (isola del Chili). 9 marzo, ad ore 4 e 36 m. replica nel Chili. 17 aprile, ad ore 12 e 42 m. epicentro a tp = 30° S; À ^ 178° W; cioè presso le isole Kermuder, a Nord della Nuova Zelanda. E' una registrazione per terremoto antipodale ! 30 aprile, ad ore 8 e 37 m. epicentro a cp = 17° S; À = 176° W; presso le nuove Ebridi. 13 settembre, ad ore 13 e 36 m. epicentro a 6000 km. 26 settembre, ad ore 10 e 10 m. „ a 9000 „ 12 ottobre, ad ore 23 e 1 m. „ nell'isola Sumatra. Sono quindi dieci registrazioni di epicentro conosciuto completamente o fra certi limiti; restano altre sei registrazioni di epicentro ignoto. Da tutte le registrazioni e dalle notizie pervenute si può concludere che nel 1919 vi furono tre terremoti disastrosi (IX o X grado); uno in Italia (Mugello); uno nell'Epiro ; uno nel Chili; e un terremoto rovinoso (Vili grado) ad Anzio (Roma). BOLLETTINI CONSULTATI L — Bollettino Meteorico (diurno) del R. Ufficio Centrale di Meteoro- logia e Geodinamica in Roma. 1919. 2. — Bollettino Sismico (settimanale) del R. Ufficio Centrale di Meteo- rologia e Geodinamica in Roma. 1919. 3. — Estaciòn sismica del Observatorio Fabra de la R. Academia de Ciencia y Artes (Barcellona - Spagna). 1919. 4. — Boletin sismico del Instituto y Observatorio de Marina (S. Fer- nardo - Spagna). 1919. 5. — Bulletin Sismique de l'Observatoire de Zikawei, près de Changhai (Cina). 1919. 6. — Seismological Bulletin of the Osaka Observatory (Giappone). 1919. 7. — Seismological Bulletin of Batavia Observatory (Giava). 1919. 8. — Bulletin of Earthquakes Station of Ottawa (Canada). 1919. 9. — Seismological Bulletin of the Georgetown University, Department of Geology (Washington D. C). 1919. 10. — Seismological Dispatches received at the Seismological Station of Georgetown University (Washington D. C). 1919. 11. — Boletin Sismico del Observatorio del Colegio San Calixto (La Paz - Bolivia). 1919. 12. — Seismological Bulletin of Riverview College Observatory (Sydney - Australia). 1919. 13. — Annuarie de l'Institut de Physique du Globe -Université de Stra- sbourg. — (1919) - 1920. 14. — Capocci Celso. - Osservazioni geotettoniche sul terremoto Ma- gellano del 29 giugno 1919. Atti R. Accad. dei Georgofili, Se- rie V. voi. XVII. 1920. Finito di stampare il 1° luglio 1921. Sui rapporti fra le fibre radiali e gli ele- menti visivi nella retina di Axolotl di Amblystoma mexicanus. Nota preliminare del socio Dott. Gesualdo Poli ce (Tornata del 15 agosto 1920). Espongo in questa nota un accenno delle mie prime osser- vazioni sulla retina dell' Axolotl di A/nblystoma mexicanus. Le grosse dimensioni degli elementi retinici di questo animale, la estrema semplicità con la quale sono disposti, mi hanno permesso di notare dei fatti che, a me sembra, potranno portare un con- tributo non trascurabile alla conoscenza della retina dei Vertebrati. 1 miei studi sulla retina furono casualmente iniziati sul Tri- tone: provavo sulla retina di questo animale la colorazione alla ematossilina fosfomolibdica in una formula da me adoperata altra volta i) allorché potetti notare nelle fibre radiali dei fatti per spiegare i quali l'osservazione della retina di questo animale non fu sufficiente. Volli studiare allora qualche altro Anfibio urodelo e scelsi lo Axolotl deW Amblystoma mexicanus del quale si fa im im- portante allevamento nell'Istituto Zoologico della nostra Univer- sità. Epperò sono assai grato al Prof. Monticelli, Direttore di quell'Istituto, al quale faccio i piiì vivi ringraziamenti per aver voluto fornirmi il materiale per i miei studi. 1) POLICE, G. — Sulla discussa natura di alcune parti del sistema nervoso viscerale degl'Insetti. Arch. Zoo!. Voi. 4, p. 287; Napoli, 1909. (Notaa pag. 300). — 93 — Nella retina dell' Axolo ti in rapporto alla struttura non è stato trovato da^li autori niente che la faccia differire sostan- zialmente da qut^lla della retina degli altri Vertebrati. Che io sappia sono pocui gli osservatori che hanno studiato la retina di questo animale (I'Emery ^), I'Heinìmann -), e il Krause •^) ). E' slato riscontrato in essa una semplicità schematica, grandi dimensioni degli clementi, con fibre di Mùllep. molto robuste. Cellule multipolari (ganglionari) molto grandi in modo da for- mare un solo strato. Le cellule dello strato granuloso esterno in due ordini: le più esterne, (fila coroidale) che spettano ai bastoncelli, stanno per metà fuori la limitante esterna e raggiun- gono lo strato integranuloso per mezzo di un breve e robusto filamento alquanto dilatato all'estremo; le più interne (fila vi- treale ) appartengono ai coni e siedono propriamente nello strato intergranuloso. Anche neh' Axolo ti come in altri anfibii Uro- deli (e più recentemente riscontrate poi anche in altri animali) esistono clave del Landolt. Per la chiara nozione di quanto più tardi esporrò, accenno qualche particolare intorno alla disposizione topografica dei nuclei delle cellule visive e con essi alla disposizione dei corpi delle cellule visive, disposizione che differisce alquanto da quello che hanno notato gli autori suaccennati. Nello strato corrispondente a questi elementi (stato granu- loso esterno) distinguo nell' Axolo ti tre sorta di nuclei: a) nuclei ovali, di maggiori dimensioni degli altri, i quali restano completamente compresi fra lo strato intergranuloso e la membrana limitante esterna. Essi sono i nuclei delle cellule a clave del Landolt. b) nuclei allungati, biscottiformi, più piccoli dei precedenti ') Emery, C. — La terminazione del nervo ottico nella retina dei orataci Urodeli. Atti Soc. It. Se, Voi. 18, p. 1, Tav. 2, 1876. 2) Heinemann, C. — Beitrdge zar Anatomie der Retina. Arch. Mikr. Anat. Bd. 14, p. 409, Taf. 23, 1887. •V Krause, W.— Die Retina. III. Die Retina der A mpfiibien. Int. Monatschr. Anat. Phys, Bd. 9, p. 197, Taf, 12 - 13, 1892. — 94 — i quali fuoriescono in piccola parte dalla limitante esterna. Sono i nuclei delle cellule a cono. e) nuclei semisferici, posti immediatamente al difuori della limitante esterna. Sono i nuclei delle cellule a bastoncelli. Il concetto odierno che si ha delle fibre radiali è che esse attraversino tutta la retina andando dalla limitante interna alla esterna senza ramificarsi, ma slargandosi sia sulla limitante esterna che sull'interna con i cosidetti piedi. Esse sarebbero costituite da una sostanza fondamentale, nella quale vi sarebbero delle fibrille longitudinali. Ogni fibra radiale sarebbe originata da una cellula, il cui nucleo è evidente nello strato delle cellule bipolari. Queste fibre radiali sono interpetrate come elementi di sostegno. Esse formerebbero come una palizzata che sosterebbe tutti gli elementi della retina. Le fibre radiali nella retina di Axolotl sono molto spesse ed evidenti e nella colorazione all'ematossilina fosfomolibdica spiccano nettamente in bleu più scuro sulle varie parti di diffe- rente struttura che costituiscono la retina. Esse si vedono slar- gate all'estremo interno e all'estremo esterno. L'estremo interno slargandosi a cono a base ampia, presenta tale base piatta. L'e- stremo slargato esterno invece va ad adattarsi ai corpi delle cel- lule visive dilatandosi con superficie curva come il corpo di una anfora e adattandosi alle cellule visive o superiormente al nucleo, a livello della limitante esterna, come è il caso delle cel- lule dei bastoncelli , o includendo la parte nucleare della cel- lula visiva, come è il caso delle cellule dei coni e di quelle delle clave. Si vede chiaramente nell'Axolotl che ogni fibra radiale corrisponde ad un elemento visivo (bastoncello, conoo clava) col quale è strettamente connesso. Attraversando la parte delle fibra di MuLLER che si adatta all'elemento visivo, il piede dell'elemento visivo medesimo vien fuori e va a sfioccarsi nello strato retico- lare esterno. Siccome la fibra radiale approssimativamente piglia la forma di una anfora a collo molto allungato così la indicherò col nome di anfora, chiamando corpo la parte rigonfia a superficie curva che si adatta al corpo della cellula visiva, collo la parte — 95 — media, ristretta, allungata, e bocca la parte a forma conica che si termina con la limitante interna. I colli di queste- anfore , assai spesso, si accollano fra di loro, costituendo dei piccoli fasci di due o piìi. Dò qualche notizia piii dettagliata intorno a questa unità vi- siva, prendendo come tipo l'unità visiva bastoncello. Nell'anfora, come è ammesso oggi per la fibra radiale in generale, si distingue una sostanza omogenea fondamentale ed una parte fibrillare. Le fibrille decorrono longitudinalmente pa rallele fra di loro. Lateralmente alla fibra radiale si dislingue una massa di protoplasma in generale omogenea (ma nella quale ho potuto distinguere delle fibrille) e un nucleo che in generale viene interpretato come il nucleo della fibra radiale. Che questa cellula sia la cellula dell'anfora a me non pa- re possa essere assolutamente affermato, in quanto mi è ca- pitato di scorgere spesso una sola cellula adattarsi a più anfore riunite infascio. Sarei inclinato piuttosto a ritenere queste cel- lule di sostegno delle anfore. D'altra parte questa è una questione che potrà essere risoluta soltanto dall'embriologia ed io anzi in tal senso ho anche iniziato uno studio sullo sviluppo della retina dell'Axolotl. La parte fibrillare dell'anfora, si può considerare come pe- riferica. Infatti le fibrille procedendo sempre tutte strettamente avvicinate a fascio nel collo si slargano sia intorno alla bocca che nel corpo. Nella bocca si slargano a ventaglio più o meno regolarmente; nel corpo invece si dispongono nella parte esterna di esso lasciando nel centro uno spazio riempito da una sostanza finamente granulosa in questo spazio come vedremo , penetra il piede della cellula visiva a bastoncello. Aggiungerò che in alcune anfore , forse meno contratte ho potuto distinguere che lo spazio che si osserva nel corpo si continua in una sottile ca- naletto anche nel collo ciò, che ho potuto confermare in qualche sezione trasversale. In tal modo l'anfora, nel suo interno sarebbe cava, la sua bocca, però, sarebbe chiusa da una superficie piana. Queste su- perficie piane strettamente avvicinate fra loro costituiscono la cosidetta limitante interna. — 96 - In ogni cellula visiva a bastoncello nella retina dell'Axolotl si può distinguere : il piede , il corpo della cellula , 1' articolo interno e l'articolo esterno. È utile che io accenni che a me risulta che nell'Axolotl la guaina che ordinariamente pare avvolga il segmento esterno e l'interno soltanto, invece avvolge anche il corpo cellulare met- tendosi in relazione con la parete del corpo dell'anfora, ciò che risulta principalmente sulle sezioni trasversali. Il corpo della cellula a bastoncello della retina dell'Axo- lotl è costituito da una massa protoplasmatica nell'interno della quale un grosso nucleo che occupa tutta la massa cellulare riducendosi il protoplasma ad uno strato minimo. La struttura del nucleo è reticolare ; esso ha forma di una semisfera con la superficie convessa diretta verso l'interno. Dal centro di questa superficie interna protende una spor- genza, dalla quale si origina il piede, che presenta alla sua base un piccolo spazio ovale non colorato che indicherà come occhio del piede. Questo piede va internamente al corpo dell'anfora, nell'interno della quale procede assottigliandosi sempre piìi, indi fuoriesce dal corpo dell'anfora attraversandone una parete late- rale , si slarga di nuovo , terminandosi nello strato reticolare esterno , sfioccandosi con fibrille che presentano parecchi bot- toni terminali. Dal margine della guaina partono delle grosse fibrille, per lo più in numero di tre, le quali vanno ad adattarsi al piede quasi a sostenerlo nel centro. Internamente alla guaina , perifericamente alle cellule , si osservano numerose fibrille perfettamente appariscenti anche in sezioni trasversali. L'articolo interno presenta un contenuto che apparentemente ha struttura reticolare ma che osservato con maggiore attenzione ha l'apparenza di essere piuttosto bollosa, le varie bolle avvi- cinate fra di loro per le pareti hanno l'apparenza di maglie. Alla superficie di questo articolo, internamente alla guaina si notano delle fibrille le quali sono continuazione di quelle del corpo del bastoncello; alla periferia dell'estremo interno di que- sto segmento, le fibrille presentano dei granuli. L'articolo esterno, grosso, cilindrico, arrotondato all'estremo — 97 — presenta anch'esso delle fibrille longitudinali prolungamenti di quelle delle fibrille del segmento interno. Una di queste più grossa delle altre corrisponde al filamento assiale del Kolmer. Il contenuto dell'articolo esterno del bastoncello, talora si presenta a dischi ben determinati, talora a masse omogenee con accenno di dischi, tal'altra con l'apparenza di un filamento a spirale. Per le cellule visive a cono e per quelle a clava il corpo dell'anfora abbraccia completamente il nucleo della cellula visiva, in modo che la guaina, iniziandosi sempre al di là della limitante esterna, riveste solo il segmento esterno e l'interno del cono e della clava. In entrambe queste cellule visive il piede è largo e breve e sfioccandosi nello strato reticolare esterno presenta bottoni terminali di forme irregolari e di differenti dimensioni. L'articolo interno del cono è grossolanamente ovolare, quello della clava più o meno allungato e sottile nella parte inferiore e slargato a clava nella parte esteriore. Nell'articolo interno di entrambe queste unità si riscontra un contenuto che si presenta come il contenuto dell'articolo corri- spondente del bastoncello. L'articolo esterno cilindrico in entram- be (molto pili piccolo che nel bastoncello) è piii breve e grosso nel cono, allungato e sottile nella clava. La struttura è la me- desima di quella del bastoncello. Le fibrille della periferia dell'anfora a me pare si conti- nuino verso l'esterno con le fibrille longitudinali che si notano internamente alla guaina delle cellule visive. Sulla probabile interpretazione del funzionamento di queste anfore, dirò nella memoria che seguirà a questa nota. Napoli— Dall' Istituto di Istologia e Fisiologia generale della R. Univer- sità. Luglio 1920. (Finito di stampare il 20 settembre 1Q21) /-..^l 1^: Ricerche sulla rigenerazione del Zoobotryon pellucidum Ehrbg. del socio Dott. Giuseppe Zirpolo (Tornata del 19 dicembre 1920) Le ricerche di Driesch i) (1897) e Chilo ') (1Q07) sui fe- nomeni di rigenerazione che avvengono nei segmenti di Tabu- larla isolati fra la regione terminale da cui si origina l'idrante e la regione che si trova immediatamente dopo di essa, gli studi di Paolo Della Valle •^) (1Q14,' 1Q15) sui fenomeni di sviluppo di segmenti dello stolone della Clavellna di lunghezza diversa e di calibro uguale mi hanno spinto, studiando lo sviluppo e la morfologia del Zoobotryon pellucidum Ehrbg., a compiere sul ') Driesch, H. — Studien iiber das Regulatioiisverniògeii der Organi- smen. 1. Von den regidativen Wachstums - und Differenzimngsfàhìgheiten der Tiibulana. Arch. Entw. Mech. Bd. 5, p. 389-418, 14 figg. 1897. — — Idem. 2. Quantitative Regulationen bei der Reparation der Tiibii- laria. Arch. Entw. Mech. Bd. 9, p. 103-136, 2 figg.' 1899. -) Chilo, C. M. — An Analysis of Form - Regalation in Tnbularia. IV. Regional and Potar Differences in the Time oj Hydranth Fcrmation as a special case of Regalation in a Complex System. Arch. Entw. Mech. Bd. 24, p. 1 -28, 1907. •^) Della Valle, P. — Studii sui rapporti fra differenziazione e rigene- razione. 3. Lo sviluppo dei segmenti dello stolone di Clavelina di lunghezza diversa e di calibro eguale. Analisi delle cause e dei limiti delle correlazioni endoorganiche. Boll. Soc. Nat. Voi. 27, p. 195-237, 25 figg. 1914. — — Idem. 4. Le restituzioni dei cespugli di ramificazioni stoloniali di Clavelina. Analisi dei rapporti fra rigenerazione, gemmazione e morfallassi. BoU. Soc. NaL Voi. 28, p. 49-82. Tav. 2-4, 1915. — 99 — tubo coloniale di questo briozoo esperienze varie, allo scopo di studiare l'andamento delle morfogenesi, i rapporti fra individuo e tubo coloniale, la moltiplicazione agama in questo altro gruppo di animali che presenta favorevoli condizioni per uno studio di morfologia causale. Dall'analisi bibliografica si ricava che studii sulla rigenera- zione del Zoobotryoìi pelluciduni Ehrbg. non sono stati fatti mai, né su altri briozoi si è lavorato molto. Smitt i) (1865) ha notato che Crisia geniculata ha rifatto il calice perduto. Seeliger -) (1889) dice che in Pedicellaria periodicamente o sotto sfavorevoli condizioni i vecchi calici muoiono e si rifanno i nuovi. Ehlers ^) (1890) ha potuto osservare che Ascopodaria ha rigenerato i cirri perduti. Harmer ^) (1891) ha dato qualche notizia sulla rigenerazione di Crisia. RÒMER '■') (1906) si è occupato della degenerazione e rige- nerazione di alcuni briozoi marini. Levinsen *^) (1907) e Buchner ") (1918) si sono ancora oc- cupati della rigenerazione totale dei briozoi. Gerwerzhagen •"*) (1913) ha studiato la rigenerazione nei generi Biigiila, Scnipocellaria, Fliistra. ') Smitt, J. k. — Oni Hafs Bryozoernas utweckling och fettkroppar. Oefv Kongl. Vetenskabs. Akad. Forhand. 22 lahrg. Stockolm, 1865. ■-) Seeliger, O. — Die ungeschlcchtliche Vermehriing der entoprocten Bryo- zoen. Zeitschr. Wiss. Zool. Bd. 39, p. 169, Taf. 9-10, 1889. ^) Ehlers, E. — Zar Kenntnis der Pedicellinen. Abh. Qes. Wiss. Gòttin- gen. Voi. 36, 5 abs. 1890. ■*) Harmer, S. F. — On the Regeneration of lost Parts in Potyzoa. Rep. Brit. Assoc. Adv. Se. 60 Meeting at Leeds Sept. 1890. London 1891. ^) RòMER, O. — Untersuchungen iiber di Knospung, Degeneration iind Regeneration von einigen marine ectoprocten Bryozoen. Zeitschr. Wiss. Zool. Bd. 84, p. 44, 1906. '^) Levinsen, G. — Sur la rége'neration totale des Bryozoaires. Bull. Acad. Roy. Se. et lettres de Danemark, Annèe 1901, n. 4. '') Buchner, P. — Ueber totale Regeneration bei chilostomen Bryozoen. Biol. Centr. Bd. 38, n. 11, p. 457, 1918. *■) Gerwerzhagen, A. — Untersuchungen an Bryozoen. Sii?. Ber. Hei- delberger Akad. Wiss. Abt. B. Biolog. Wiss. 9 Abh. p. 6-9, 1913. — 100 — Ultimamente Otto i) (1921) ha studiato i fenomeni di re- golazione su alcuni briozoi d'acqua dolce. I miei studi sul Zoobotryon pellucidam Ehrbo. sono stati eseguiti per osservare fatti varii: 1, — Come varia il processo rigenerativo in un pezzo di tubo coloniale isolato e privo di zoidi. 2. — Se nei tubi di primo, secondo, terzo, quarto e quinto ordine il potere rigenerativo conserva lo stesso andamento o meno. 3. — Se la rigenerazione è identica tanto nella regione api- cale che in quella basale, 4. — Se essa varia a seconda della lunghezza del tubo isolato. 5. — Se nei punti dove sono stati tolti i zoidi con mezzo meccanico si ha di nuovo rigenerazione. 6. — Se si presentano in questa specie fenomeni di ete- romorfosi. Le ricerche che sono durate circa due anni e più volte ri- petute in ogni stagione propizia mi hanno dato risultati che mi sembrano notevoli. Io ho potuto osservare che il Zoobotryon pellucidam Ehrbg. ha una grande capacità rigenerativa che si può seguire, dirò quasi, nel corso di poche ore; specialmente se si tratta di rami terminali, dove si riscontra completa reintegrazione della superficie lesa con sviluppo di rami, su cui, dopo pochi giorni, si formano le gemme da cui si originano i zoidi. La formazione dei zoidi nei tubi rigenerati segue uno sviluppo uguale al processo che si verifica nella gemmazione. Qualunque regione del tubo tagliato rifa, dopo poche ore la superficie lesa ed il tubo che, nel taglio, aveva perduto il suo turgore lo riacquista subito. Facendo un taglio longitudinale in un tubo coloniale si os- serva che le due metà del tubo leso si rimarginano completa- mente ripigliando il loro turgore ed a capo di pochi giorni si può assistere anche alla formazione di zoidi. ^) Otto, F. — Studien iiber das Regnlationsvennògen einiger Susswasser Bryozoen. Arch. Entw. Mech. Bd. 47, p. 399. Taf. 14. 13. Textbildt, 1921. — 101 — Facendo tagli su tubi coloniali di primo, secondo, terzo, quarto e quinto ordine , poche ore dopo essi si rimarginano. Non in tutti però si ha sviluppo di rami ulteriori e di zoidi. In generale per quelli di terzo, quarto e quinto ordine, si ha svi- luppo di rami con zoidi. In questi ultimi sovratutto i rami si sviluppano tanto nella regione terminale che in quella basale ed in essi si osservano fenomeni di eteromorfosi analogamente a quanto è stato os- servato nei celenterati, tunicati, vermi. (Loeb, Caullery e Mesnil, Monti, Della Valle P. ecc.). Spero di poter al piii presto pubblicare con tutti i dovuti particolari i risultati delle varie esperienze da me compiute, delle quali ho creduto di dare notizia nella presente nota preventiva. Napoli, Stazione Zoologica, dicembre 1920. (Finito di stampare il 20 settembre \rSo- cietà, infine il cassiere Prof. Enrico Cutolo. Soci. — Il numero dei Soci al 31 dicembre 1918 era di 100 divisi in Soci ordinari residenti 56, Soci ordinari non residenti 28, Soci ade- renti 16. Al 31 dicembre 1919 il numero è stato di 119 Soci e cioè ordinari residenti 68, ordinari non residenti 35 ed aderenti 16. Sono stati ammessi come Soci ordinari residenti la Dottoressa Italia Albore, il prof. Abele De Biasio, il Dottor Domenico De Miranda, la Dottoressa Adele Figliolia, il "Signor Demetrio Getzel, il Dottor Ma- rio Giordano, il Signor Gustavo Mazzarella, la Dottoressa Anna Maria Mauro, il Signor Giuseppe Muratori, il Dott, Mario Salfi, il Signor Pietro Serìi, il Signor Ermenegildo Sorrentino, il Signor Augusto Ste- fanelli. Sono stati ammessi come Soci ordinari non residenti il Signor Luigi Califano, il Dottor Pasquale Conti, il Prof. Antonio Davino, il Signor Federico Geremicca, il Signor Tullio Levi, il Signor Attilio Masi, ed il Signor Carlo Serao. Nella categoria di Soci aderenti è stato ammesso il prof. Antonio Caruso. Ha cessato di far parte della nostra Società la Dottoressa Ines Marcolongo. Bollettino. — 11 Bollettino, che fra giorni sarà distribuito ai Soci e sarà inviato ai numerosi corrispondenti é il Voi. 32 (Voi. XII della Serie seconda). E' un volume di circa 300 pagine con numerose tavole e figure intercalate nel testo. Come i volumi precedenti è diviso in tre parti : la prima Atti, comprende i lavori originali dei soci, cioè le Memorie e le Note; la se- conda le Comunicazioni verbali ed infine i Rendiconti delle tornate con l'elenco dei Soci e con il notamento delle pubblicazioni pervenute in cambio ed in dono. Dato i continui scioperi tipografici e le tariffe più elevate esso rappresenta il massimo sforzo che si è potuto compiere. Tornate. — La Società si è riunita sei volte in tornate ordinane, due volte in tornate straordinarie, e quattro volle in assemblea generale. Le due tornate strardinarie sono state adibite alle Commemorazioni di due nostri soci, il Prof. Paolo Della Valle ed il prof. Alessandro Cutolo, entrambi morti per complicanze influenzali, ed il primo in Al- bania durante il servizio militare. Il Socio Della Valle è stato commemorato dal Socio Gargano ed il Socio Cutolo dal Socio Forte. Alla nostra cerimonia sono state rap- presentate la maggior parte delle Accademie scientifiche, e sono inter- venuti numerosi professori ed intellettuali, che hanno voluto con la loro presenza rendere onore alla memoria dei valorosi scenziati. Voti e deliberati. — Nella assemblea generale del 30 marzo fu e- messo un importante voto riguardante la riforma della scuola del dopo guerra, voto che mi piace oggi di ricordare. « La Società dei Naturalisti in Napoli, fatto un esame minuto dei mali che affliggono la scuola in Italia, e passati a rassegna i vari ri- medi escogitati per debellarli, mentre si riserba di indicare speciali prov - vedimenti per l'attuazione di una radicale riforma nello indirizzo degli studi, fa voti che innanzi tutto, quale unico rimedio atto ad infondere nella scuola italiana vita sana e produttiva, sia istituito un esame di stato per i vari gradi di scuole, così pubbliche come private e che nelle Università come negli Istituti superiori venga fatta assoluta distinzione tra il diploma per l'esercizio professionale e la laurea dottorale, vero attestato di alta ed incondizionata cultura, e delibera di comunicare il presente ordine del giorno al Ministero della P. 1., al Presidente del Consiglio, alla stampa ed a tutti gli enti e privati che possano averne interesse ". Le recenti discussioni politiche da parte di uno dei partiti mag- giormente rappresentati alla Camera dei deputati, hanno messo sul ter- reno una cosi delicata quistione, ed è nostro augurio che in una trat- tazione generale sulla riforma della Scuola sieno tenuti presenti i pò- stulati emessi da una Accademia come la nostra, che in ogni tempo è stata pioniere di civiltà e di cultura superiore. Attività scientiiica. — I lavori pubblicati nel Bollettino sono di- ciotto, più due commemorazioni. 1 diciotto lavori sono 8 di Zoologia ed Anatomia comparata, tre di Chimica, 2 di Botanica, 2 di Microbiolo- gia e 4 di Fisiologia. I lavori di Zoologia e di Anatomia comparata sono i seguenti: ZiRPOLO ~ 1. Contributo allo studio della rigenerazione del dermasche- tetro degli Echinidi. 2. Su di un Astropecten aarantiacus L. con tre piastre ma- dreporiche. PoLicE — 1. Primi esperimenti di pesca a profondità nel Tirreno con palanchesi a trazione meccanica. 2. Per la pesca a profondità — Una modifica all'arnese di pesca. Neppi Valeria — 1 . Notizie riguardanti la Tinta lucullana (Delle Chiaje) e la sua limitata diffusione. 2. Aggiunte di casi di anomalie nelle idromeduse. MoRQERA — Studi sul rapporto fra il testicolo e l'organo di Leydig nei maschi di Chimaera monstrosa. I lavori di Chimica sono i seguenti : Giordani, F. — 1. Formazione degli ipocloriti alcalini. — 2. Studi sugli oli per trasformatori elettrici. — 3. Sul carattere di radioattività delle proprietà fisiche dei vari atomi costituenti una molecola chimica. I lavori di Botanica sono i seguenti : CuFiNO — Aggiunte alla flora crittogamica dei dintorni di Napoli. Geremicca — Un caso di fasciazione di infiorescenza di Digitalis purpurea. 1 lavori di Microbiologia sono i seguenti : PiERANTONi — A proposito di alcune recenti osservazioni sulla lumi- nescenza e sulle simbiosi fisiologiche. ZiRPOLO — Studi sulla bioluminescenza batterica — Azione dei sali d^ magnesio. I lavori di Geologia sono i seguenti : Bellini — Osservazioni sull'isola di ^ Capri a conferma dell'antico stato della regione tirrena. I lavori di Chimica biologica sono i seguenti : Craifaleanu — Ricerche sull'emocianina. 2. Ricerche chimico - fisiologiche sul sangue di Octopus ed Eledone. 3. Azione dei gas sull eniocianina. 4. Diversità delle eniocianine - Confronto fra quelle dei mol- luschi e dei crostacei. Le due commemorazioni sono le seguenti: Gargano — Commemorazione di Paolo Della Valle. Forte — Commemorazione di Alessandro Culo lo. Biblioteca— Grande cura del Consiglio direttivo è stata la Biblioteca, che rappresenta il maggiore dei valori immobiliari della Società. Si sono rilegati numerosi volumi, si sono ottenuti nuovi cambi con le associa- zioni scientifiche: molti infine sono stati i volumi ricevuti in dono, e che hanno arricchito il nostro patrimonio librario. Casa — Il problema della casa ha sempre preoccupato il passato Consiglio Direttivo e preoccupa l'attuale. Sono interceduti col Rettore dell'Università parecchi colloqui per ottenere nel vecchio edificio uni- versitario una sede più ampia, più ariosa e meglio rispondente ai bi- sogni attuali, e si spera che presto questo comune desiderio sia esaudito. Bilancio — Come ascolterete dalla lettura delle relazione dei Re- visori dei Conti il bilancio 1919 si chiude in pareggio e di ciò bisogna essere compiaciuti, dato le difficili condizioni create dal post - guerra, più gravi ancora del periodo bellico. Egregi Colleghi Nel terminare questa esposizione mando un saluto al passato Consiglio Direttivo e principalmente alla Presidenza di esso, un saluto ed un augurio al Chiarissimo Prof. Michele Geremicca, che si dice sia gravamente infermo, l'augurio cioè che possa ben presto ritornare fra noi completamente guarito. Si procede all'elezione del Vice Presidente in sostituzione del defunto socio prof. Vincenzo Gauthier e viene eletto ad unanimità il socio prof. Umberto Pierantoni. Si scioglie l'assemblea alle ore 17,30. Tornata ordinaria ed Assemblea generale del 6 giugno 1920. Presidente: Monticelli — Segretario: Gargano. Soci presenti: Salfl, Giordani M., Califano, Geremicca F., Chistoni Guadagno, Marcucci, Cavara, Forte, De Rosa, Mazzarelli Gustavo, iVlazzarelli Giuseppe, Quintieri L., Zirpolo, Pierantoni, Milone. Si apre la tornata, in seconda convocazione, alle ore 16. Il Segretario legge il processo verbale della Tornata ordinaria ed Assemblea generale del 9 maggio 1920, che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. 11 socio Geremicca Federico legge una Nota dal titolo: Materia co- lorante del fratto dell'arancio e ne chiede la pubblicazione nel Bol- lettino. Il Segretario legge il bilancio consuntivo 1919, che è approvato. il Segretario legge il bilancio preventivo 1920, che è approvato. Il Presidente, a nome del Consiglio direttivo, propone all'assemblea alcuni provvedimenti finanziari, che sono approvanti. Si scioglie l'Assemblea alle ore ore 18. Tornata del 13 giugno 1920. Presidente: Monticelli — Segretario: Gargano. Soci presenti: Giordano M., Cavara, Chistoni, Pierantoni, Salfi, Maz- zarelli Giuseppe, Mazzarelli Gustavo, De Rosa, Quintieri L., Muratore. Si apre la tornata, in seconda convocazione, alle ore 16, 11 Segretario legge il processo verbale della Tornata ordinaria ed Assemblea generale del 6 giugno, che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. 11 Socio Chistoni legge una memoria dal titolo: « Elio f ano grafo, E- liofanometro, Eliofania » e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. 11 socio Mazzarelli Giuseppe fa un'ampia critica alle proposte della Commissione nominata dal Ministero della P. I. per la riforma dell'or- dinamento della Stazione Zoologica di Napoli. In seguito a discussione, si delibera l'invio di un voto e di una relazione al Ministero della P. 1. e s'incaricano i soci Mazzarelli Giu- seppe, Cavara e Milone dell'elaborazione di essa. La tornata si scioglie alle ore 17. Tornata 27 giugno 1920. Presidente ff.: Marcucci — Segretario: Gargano. Soci presenti: Carrelli, Serao, Zirpolo. Si apre la tornata in seconda convocazione alle ore 16. Il Segretario legge il processo verbale della tornata 13 giugno che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenuta in dono. Il Presidente comunica la morte del Socio ordinario prof. Michele Geremicca, uno dei decani della Società, e propone di sciogliere la tor- nata in segno di lutto. La proposta del Presidente è approvata. La tornata si scioglie alle ore 16,30. Tornata 11 luglio 1920. Presidente: Monticelli — Segretario: Gargano. Soci presenti: De Rosa, Milone, Giordani M., Zirpolo, D'Evant, Marcucci, Mazzarelli G. Si apre la tornata, in seconda convocazione, alle ore 16. Il segretario legge il processo verbale della tornata 27 giugno, che è approvato. 11 Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. 11 socio Mazzarelli, anche a nome dei soci Cavata e Milone, legge la relazione suU' ordinamento della Stazione Zoologica, della quale fu incaricato nella seduta del 13 giugno e. a. Viene approvato un voto tendente a far sospendere da parte del Ministro della P. L le proposte della predetta Commissione. Il socio D'Evant legge due Memorie dal titolo: 1.^ Un'anomalia della vena iliaca comune. 2.^ Forme abortive- Osservazione seconda, e ne chiede la pubbli- cazione nel Bollettino. Il Socio Zirpolo a nome del socio ordinario non residente Alfano assente legge una Memoria dal titolo: Il Le registrazioni sismiche rilevate nella sezione geodinamica del- l'osservatorio di Valle di Pompei " e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. 11 socio Zirpolo legge due Memorie dal titolo: 7." Studi salta blolaminescenza batterica. 3. L'azione dei raggi ema- nati dal bromuro di radio. 2.° Ricerche sulla rigenerazione delle braccia di Asterina gibbosa Perni. 2.a Nota preliminare e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. La tornata si scioglie alle ore 17,30. Tornata 25 luglio 1920. Presidente: Vice Presidente Pierantoni — Segretario : Gargano. Soci presenti : Zirpolo, Marcucci, Mazzarelli Giuseppe, Mazzarelli Gustavo, Milone, De Rosa, Serao, Monteforte, Cavara. Si apre la tornata, in seconda convocazione, alle ore 16. 11 Segretario legge il processo verbale della tornata 11 luglio, che è approvato. 11 Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. 11 Socio Zirpolo, a nome del socio ordinario non residente Masi, legge una Memoria dal titolo « Sul voluto rapporto tra l'involuzione delle glandole sessuali negli uccelli» e ne chiede la pubblicazione nel Bol- lettino. Il Presidente comunica la notizia officiosa che il Ministero della P. I. sia venuto nella determinazione di cedere la Stazione Zoologica di Na- poli al Dottor Rinaldo Dohrn. In seguito alle dichiarazioni del Presidente il socio Mazzarelli ri- tiene opportuno sospendere l'invio della relazione e del voto formulato nella seduta precedente, trattandosi ora di risolvere una questione pre- giudiziale di ben altra importanza, se cioè la Stazione Zoologica di Napoli debba rimanere italiana o ridiventare tedesca. In seguito a discussione viene approvato il voto di protesta da inviarsi telegraficamente a S. E. il Ministro della P. I. e da trasmet- tersi a tutte le Accademie ed ai Biologi di Italia. Voto " La Società dei Naturalisti in Napoli, nella seduta del 25 corrente avuta notizia della eventualità che la Stazione Zoologica di Napoli ven- ga restituita al Dottor R. Dohrn, preoccupata che questo Istituto scien- tifico internazionale, ormai da cinque anni italiano, ritorni così alla — XIII — mercè della Germania, fa voti al Governo del Re, pel decoro d'Italia, che questa jattura venga scongiurata e che si conservi l'italianità ed il carattere autonomo di questo Istituto di fama mondiale. " La tornata si scioglie alle ore 17. Tornata 15 agosto 1920 Presidente: V. Presici. Pierantoni - Segretario: V. Segret. Giordani. Soci presenti: Zirpolo, Califano, Serao. Si apre la tornata, in seconda convocazione, alle ore 16. Il Segretario legge il processo verbale della tornata 11 luglio, che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. 11 Socio Pierantoni legge una Memoria dal titolo : " Sulla simbiosi ereditaria e sul suo significato fisiologico e ne chiede la pubblicazione nel Bollettino. Il Socio Zirpolo legge un lavoro del socio Police dal titolo : Il Sui rapporti fra le fibre radiali e gli elementi visivi nella retina di Axolotl di Amblystoma mexicanus » e ne chiede la pubblicazione a nome dell'Autore. La tornata si scioglie alle ore 17. Assemblea generale del 10 ottobre 1920 Presidente: Vicepresidente Pierantoni — Segretario: Gargano Soci presenti: De Miranda, Morgera, Califano, Milcne , De Rosa, Zirpolo, Giordani M., F., Mazzarelli Giuseppe, Mazzarelli Gustavo. Marcucci. Si apre la tornata, in seconda convocazione, alle ore 16. 11 Segretario legge il processo verbale della tornata 15 agosto, che è approvato. 11 Presidente riferisce sulle numerose adesioni pervenute dalle Ac- cademie e dai Biologi di Italia al voto di protesta della Società dei Na- turalisti a favore dell'italianità della Stazione Zoologica, ed apre la di- scussione sull'interessante argomento. Si decide d'intensificare il movimento con un secondo voto e con una circolare da spedirsi ai Ministri, ai Senatori e Deputati, alle Acca- demie, alle facoltà di Scienze Naturali e di Medicina e Chirurgia del Régno, al Prefetto della provincia di Napoli ed al R. Commissario del Municipio di Napoli. Voto " La Società dei Naturalisti in Napoli, forte del consenso unanime dei biologi e naturalisti italiani per le numerose adesioni pervenute da ogni parte d'Italia al suo voto del 25 luglio u. s. perchè fosse salva- guardata l'italianità della Stazione Zoologica di Napoli: Considerando che un Congresso di Medici e Naturalisti tedeschi tenuto a Nauhejm ha recentemente approvato un tendenzioso indirizzo di ringraziamento al Governo Italiano per quello che non risulta che questi abbia ancora fatto; Considerando che nello stesso indirizzo, sconvenientemente comu- nicato alla Stefani da Nauhejm, si afferma che solo con la restituzione della Stazione Zoologica ai tedeschi l'Istituto sarebbe in grado di adem- piere al suo compito scientifico; Considerando che qualunque riconoscimento di diritti stranieri, dopo cinque anni di guerra con la Germania, sarebbe offesa alla di- gnità di una nazione vittoriosa; Deplorando che tale notizia tendenziosa sia restata finora senza smentita da parte del Governo italiano, dignitosamente protesta contro l'intempestiva ingerenza nella questione dei medici e naturalisti tede- schi e contro la insulsa conclusione dell'indirizzo da essi votato, te- stimonianza palese di non doma burbanza tedesca; Conferma il suo voto che in nessun caso la Stazione Zoologica fondata in Napoli per liberalità del Municipio di Napoli, perda la con- quistata italianità e il carattere assunto di Ente morale autonomo. " La tornata si chiude alle ore 17,30. Tornata ordinaria ed Assemblea generale del 19 dicembre 1920 Presidente: Monticelli ~ Segretario: Gargano Soci presenti: Salfi, Chistoni, Zirpolo, Marcucci, Milone, Geremicca, Pierantoni, Muratore, Caruso. Si apre la tornata alle ore 16. 11 Segretario legge il processo verbale dell'Assemblea generale del 10 ottobre, che è approvato. Il Segretario presenta i nuovi cambi e le pubblicazioni pervenute in dono. Il Socio Zirpolo legge due Note dal titolo: Ricerche sulla rigenerazione del Zoobotryon pellucidmn Elirbg. e Su di un'Asterias glacialis O. F. Miiller con sei braccia, e ne chiede la pub- blicazione nel Bollettino. 11 Presidente riferisce che, in seguito al movimento creato dalla Società dei Naturalisti a favore della italianità della Stazione Zoologica, il Municipio di Napoli ha preso possesso di detto Istituto. L'assemblea propone un voto di plauso al Municipio di Napoli e delega la Presidenza di elaborarlo. La tornata si scioglie alle ore 17. CONSIGLIO DIRETTIVO PER l'anno 1921 Monticelli Francesco Saverio Presidente Pierantoni Umberto Gargano Claudio Giordani Mario De Rosa Francesco Capobianco Francesco Quintieri Luigi Marcucci Ermete Cutolo Enrico Salfi Mario Zirpolo Giuseppe Vice-Presidente Segretario Vice-Segretario Consiglieri Cassiere Bibliotecario Redattore del Bollettino ELENCO DEI SOCI (/ Gennaio 1920) BENEMERITI DELLA SOCIETÀ Monticelli Francesco Saverio — Via Giovanni Nicotera (Ponte di Ghiaia) 27. t Praus-Franceschini Carlo. SOCI ORDINARI RESIDENTI 1. Albore Italia — S. Severo alla Sanità 28. 2. Aguilar Eugenio — Vico Neve a Materdei 27. 3. Anile Antonino — Via Roma 413. 4. Arena Ferdinando — Via Roma 122. 5. Balsamo Francesco — Via Foria 210. 6. Bruno Alessandro — Via Bari 30. 7. Capobianco Francesco — Via Sapienza 18. 8. Caroli Ernesto — Istituto Zoologico della R. Università. 9. Cavara Fridiano — R. Orto Botanico, Napoli. 10. Chistoni Ciro — Istituto di Fisica terrestre, S. Marcellino 11. 11. Cufino Luigi — Via Veterinaria 7. 12. Cutolo Enrico— Via Roma 404. 13. D'Evant Teodoro — Gisterna dell'olio 25. 14. Della Valle Antonio — Via Salvator Rosa 259. 15. De Rosa Francesco— Via S. Lucia 62. 16. De Miranda Domenico — Suor Orsola 12. 17. Figliolia Adele — Via Giuseppe Ricciardi 7. 18. Fenizia Gennaro — Via Foria 136. 19. Forte Oreste — Wa Monteoliveto 37. 20. Gargano Claudio — Via S. Lucia 62. 21. Getzel Demetrio — Via dei Mille 59. 22. Guadagno Michele — Via Foria 193. 23. Giordani Francesco — Gorso Umberto I 34. 24. Giordani Mario — Gorso Umberto I 34. 25. Marcello Leopoldo — Piazza Cavour - Farmacia Marcelle. 26. Marcucci Ermete — Calata S. Severo alla Pietrasanta 27. 27. Mazzarelli Giuseppe — Via Michele Zannotti al Rettifilo 13. 28. Mauro Anna Maria — Corso Vittorio Emanuele 432. 29. Milone Ugo — Vico Corriere a S. Brigida 25. 30. Monticelli Fr. Saverio — Via Giovanni Nicotera {Ponte di Chiaia) 27. 31. Morgera Arturo — Via Università 25. 32. Muratore Giuseppe — Via Francesco Saverio Correrà 201. 33. Pierantoni Umberto — Galleria Umberto I, 27. 34. Pellegrino Giuseppe — Sapienza 29. 35. Police Gesualdo — Via Bausan 11. 36. Quintieri Luigi — Via Amedeo 18. 37. Quintieri Quinto — Via Amedeo 18. 38. Romano Pasquale — Via Porta Medina 44. 39. Salfi Mario — Via Montesilvano 30. 40. Scacchi Eugenio — Istituto di Mineralogia della R. Università. 41. Schettino Mario— Via Roma 320. 42. Siniscalchi Alfonso — Via Salvator Rosa 249. 43. Trani Emilio — Via Campanile ai Miracoli 47. 44. Viglino Teresio — Piazza Dante 41. 45. Zirpolo Giuseppe— Via Duomo 193. SOCI ORDINARI NON RESIDENTI 1. Alfano Giov. Batt. — Osservatorio Meteorico-Geodìnamico, Valle di Pompei. 2. Bellini Raffaello — Vico Giovanni Toselli 1, Cuneo. 3. Buffa Edmondo — Via Cavour 325, Roma. 4. Califano Luigi — Vico Forino a Foria 7. 5. Cerruti Attilio — Piazza Carbonella 2, Taranto. 6. Celentano Vincenzo — Vico Minutoli a Foria 33, Napoli. 7. Conti Pasquale — Villa Pane, Vomero. 8. Cozzolino Marzio — Corso Garibaldi 74, Portici. 9. Carrelli Antonio — 5. Domenico Soriano 44. 10. D'Avino Antonio — R. Liceo Nocera Inferiore. 11. De Cillis Maria— Via Mizzan 51, Tripoli. 12. lasevoli Giovanni — Pomigliano d'Arco. 13. Eoa Jone— Via Cisterna dell'Olio 18, Napoli. 14. Geremicca Alberto — Largo Avellino 4. 15. Geremicca Eederico — Largo Avellino 4. 16. Guarnieri Francesco — Etacion Alien, Rep. Argentina. 17. Malladra Alessandro—/^. Osservatorio Vesuviano, Resina. 18. Masi Attilio — Via Principe Amedeo 307, Roma. 19. Mazzarelli Giuseppe — Via Zannotti al Rettifilo 13. 20. Magliano Rosario — Lagonegro. 21. Misuri Alfredo — Istituto di Zoologia della R. Università, Palermo. 22. Neppi Valeria — Via Milano 3, Trieste. 23. Oglialoro Agostino — Istituto Chimico della R. Università, Napoli- 24. Piccoli Raffaele — Via Cisterna dell'olio 18, Napoli. 25. Patroni Carlo — R. Istituto Tecnico, Arezzo. 26. Serao Carlo — Via Fiorentini 60. 27. Sabatino Carmine — Parete (Aversa). SOCI ADERENTI 1. Caruso Antonio — Via Salvator Rosa 113. 2. Cutolo Claudia-- Villa Claudia, Vomero. 3. Cutolo Costantino — Villa Duretti, Vomero. 4. Filiasi Giuseppe — Riviera di Chiaia 270. 5. Lionetti Giovanni — Costantinopoli 23. 6. Monticelli D'Afflitto Giuseppina — Po«/^ di Chiaia 27. 7. Sbordone Annibale — Policlinico. ,^c .V3 Bollettino della Società dei Naturalisti in Napoli Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio Elenio delle puiililifaiiiì peinute in (ami {31 dicembre 1920) EUROPA Italia Acireale Aosta Bologna Brescia Cagliari Cassino Catania Ferrara Firenze R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Ze- lanti {Memorie, Rendiconti). Bollettino della R. Stazione sperimentale di agrumi- coltura e frutticoltura. Société de la Flore Valdòtaine {Bollettino). R. Accademia delle Scienze dell'Istituto {Rendiconti). Commentari dell'Ateneo. Bollettino della Società tra i Cultori delle Scienze mediche e naturali. Bollettino della Società Regionale contro la malaria^ La meteorologia pratica. R. Accademia Gioenia {Bollettino, Memorie). Acc. di Scienze Mediche e Naturali. Archivio per l'Antropologia e l'Etnologia. Società Botanica Italiana {Bollettino). Nuovo Giornale Botanico italiano. Bollettino bibliografico della Botanica italiana. Monitore Zoologico Italiano. " R e d i a '• Giornale di Entomologia. R. Società toscana di Orticoltura {Bollettino). R. Accademia dei Georgofili {Atti). Società entomologica italiana {Bollettino). L'Araldo Medico — Periodico bimestrale. Bollettino meteorologico dell'Osservatorio Ximeniano dei PP. delle Scuole Pie. Genova Intra Lodi Lucca Milano Messina Modena Napoli Padova Palermo - R. Accademia medica (Bollettino, Memorie) Museo civico di Storia Naturale {Annali). Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università [Bollettino). Società ligustica di Scienze Naturali e Geografiche {Atti). Rivista ligure di Scienze, Lettere ed Arti. - Scuola Industriale. - R. Stazione sperimentale del Caseificio {Annuario). - R. Accademia lucchese {Atti). - Società Italiana di Scienze Naturali e Museo civico di Storia Naturale {Atti). - Rassegna Tecnica. Giornale di Ingegneri, Architetti, Agronomi ed Arti industriali. ■ Atti della Società dei Naturalisti e Matematici, Bollettino della Società Medico-Chirurgica di Modena. R. Accademia delie Scienze fisiche e matematiche {Memorie, Rendiconti, Annuario) Accademia Pontaniana (Atti). Annuario del Museo Zoologico della R. Università. di Napoli (Nuova Serie). Orto Botanico della R. Università {Bollettino). Gl'Incurabili. Stazione Zoologica di Napoli {Pubblicazioni). Annali di Nevrologia. Rivista Agraria. Società Africana d'Italia {Bollettino). Appennino meridionale. Bollettino trimestrale del Club Alpino Italiano. — Sezione di Napoli. Atti del R. Istituto d'Incoraggiamento. L'Agricoltura. La Medicina sociale. Accademia scientifica veneto-trentino-istriana {Atti). R. Stazione bacologia {Annuario). La Nuova Notarisia. La Voce dei Campi e dei Mercati. II Raccoglitore. II Naturalista siciliano. Giornale del Collegio degli Ingegneri agronomi. R. Istituto Botanico. Contribuzioni alla Biologia vegetale. R. Orto Botanico e Giardino coloniale {Bollettino). Palermo Perugia Pisa Portici Roma Rovereto Sassari Scafati Siena Torino Trieste Udine Venezia Annuario biografico del Circolo Matematico. Annali della Facoltà di Medicina e Memorie della Accademia Medico-chirurgica. Società toscana di Scienze Naturali {Memorie, Pro- cessi verbali). R. Scuola Superiore di Agricoltura {Annali). Annali della stazione per le malattie infettive del bestiame. Laboratorio di Zoologia generale ed Agraria {Bol- lettino). R. Accademia dei Lincei {Rendiconti). R. Accademia Medica {Bollettino, Atti). R. Comitato Geologico Italiano {Bollettino). Ministero di Agricoltura {Annali). Laboratorio di Anatomia normale della R. Università {Ricerche). Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei {Atti). Società Zoologica Italiana {Bollettino). Società Italiana perii Progresso delle Scienze {Atti). R. Stazione chimico-agraria sperimentale {Annali). Archivio di Farmacognosia e Scienze affini. Gazzetta Chimica. Annuario bibliografico italiano delle scienze Medi- che ed affini. Rassegna di pesca. Accademia degli Agiati {Atti). Museo civico {Pubblicazioni). Studi sassaresi. Bollettino tecnico della coltivazione dei Tabacchi. Rivista italiana di Scienze Naturali. R. Accademia delle Scienze {Atti). Club Alpino Italiano {Rivista, Bollettino). Musei di Zoologia e di Anatomia comparata della R. Università {Bollettino). Scienza ed Arte. "Mondo Sotterraneo" Rivista di Speleologia. L'Ateneo veneto. Bollettino bimestrale del R. Comitato Talassografico Italiano. Verona — Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere, Arti e Commercio {Atti, Memorie). Valle di Pompei — Bollettino dell'Osservatorio meteorico-geodinamico. Finlandia Helsingfors — Societas prò Fauna et Flora fennica {Ada, Medde- landen). Francia Bordeaux — Société d' Océanographie du Golfe de Gascogne (Rapporta). Cherbourg — Société nationale des Sciences Naturelles et Mathé- matiques (Mémoires). Langres — Société de Sciences Naturelles de la Haute Marne (Balletin). Levallois-Perret— Association des Naturalistes {Balletin). Nancy- Nantes Nice Paris Société des Sciences et Réunion biologique de Nancy {Balletin des séances). Bibliographie Anatomique. Société des Sciences Naturelles de 1' Guest de la France {Balletin). ■ Riviera scientifique. -Journal de l'Anatomie et de la Physiologie de l'homme et des animaux. Société Zoologique de France {Balletin Mémoires). Muséum d'Histoire Naturelie {Balletin). La feuille des jeunes naturalistes. La Revue de Phytopathologie et des maladies des Plantes. L'Astronomie. Bruxelles Louvain Budapest Kolozsvar Belgio Bulletin sismique. Société Royale Zoologique. ■ La Cellule. Ungheria Aquila - Zeitschrift des K. Ung. Ornith. Institutes. Mùzeumi Fùzetek az erdelynemzeti Asvàni tàrànak. VII Graz Iugoslavia -Mitteilungen des Naturwisssnschaftlichen Vereins fur Steiermak. Brunn Czèco - Slovacchia Verhandl. des Naturforsch. Vereins. Wien Austria Verh der K-K. Zoologisch. - botanisch. Gesellschaft. Annalen des Naturhistorischen Hof Museum. Bonn Gustrow Berlin Leipzig Giessen Germania Naturshistorische Vereins der preussischen Rheilande. Archiv des Vereins der Freunde der Naturgeschichte. - Verhandlungen des BotanischesVereins der Provenz Brandeburg. Sitz. der Qesellsch. Naturfosch. Freunde. Herbarium. Bericht der Oberhessischen Gesellschaft fùr Natur und Heilkunde. Cambridge London Plymouth Tromsoe Inghilterra Philosophical Society {Proceedings, Transactions). ■ Royal Society {Proceedings, Reports of the Sleeping sickness Commission). Marine Biologicai Association of the United King- dom (Journal). Norvegia Tromsoe Museum. Olanda Amsterdam — Academie Royale (Memoires). Portogallo Coimbra — Annses scientificos da Academia Polytecnica do Porto. Lisbona — Bulletin de la Société Portugaise de Sciences Na- turelles. Spagna Barcelona — Institució catalana d'Historia Naturai (Butleti). La Ciencia Agricola. Butleti del Club Montanyenc. Ayuntamento de Barcelona. Oartuja — Boletin mensuel de la Estaciòn Sismologica. Madrid — Memorias de la Real Sociedad espanola de Histo- ria Naturai. Sociedad espanola de Historia Naturai (Anales, Bo- letin). Zaragoza — Sociedad hiberica de Ciencias Naturales (Boletin). Associación de Labradores de Zaragoza y su pro- vincia, Anales de la Facultad de Ciencias. Valencia — Anales de l'instituto Tecnico. Svezia Upsala — Geological Institution of the University of Upsala {Bulletin). Stockholm — K. Vet. Akadems-Bibliothek (Arkiv for Botanik, Arkiv for Zoologi). Svizzera Ohur — NaturforschendenGesellschaft Graubunden's(7a/j/'^s- bericht). Lugano — Società ticinese di Scienze Naturali (Bollettino). Zurich — Societas Entomologica. ASIA Giappone Tokyo — Annotationes Zoologicae japonenses. IX Cairo AFRICA Egitto Société Entomologique d' Ègypte {Bulletin , Me- mo ir es). AMERICHE Argentina Buenos -Ayres — Museo nacional {Anales, Comunicaciones). Brasile Rio de Janeiro — Archivos do Museu Nacional. Nicteroy — Escola sup. de Agricultura. Canada Halifax — Nova Scotian Institute of Scienze. Santiago — Société scientifique du Chili {Actes). Bogotà Messico Puerto Bertoni Colombia El Agricultor. — Organo de la Sociedad de los Agricultores colombianos. Revista del Ministeri© de Obras publicas. Messico Sociedad Cientifica Antonio Alzate {Memorias, Revista). Institìito Geologico {Boletin, Perargones). Anales del Instituto Medico Nacional. La Naturaleza. Boletin de la dereccion d'Estudios Biologicos. Revista Mesicana de Biologia. Paraguay Estacion Agronomica. — X — Perù Lima — Boletin de la Societad geografica. San Salvador San Salvador Museo Nacional (Anales). Stati Uniti Berkeley Boston Brooklyn Chaphell Hill Cincinnati Minneopolis Urbana Chicago Madison — University of California {Publlcations, Bulletin). — Socieiy of Naturai History (Proceedings). — Gold Spring Harbor Monographs. — Elisha Mitchell scientific Society (Journal). — Bull, of tire Lloyd Library of Botany etc. — The University of Minnesota. — Illinois biological monographs. Bull, of the state Laboratory of Hist. Nat. — Academy of Sciences {Bulletin, Annual Report). Field Museum of Naturai History {Department of Botany). — Wisconsin Academy of Sciences, Arts and Lettres ( Transactlons). Wisconsin Geological and Naturai History Survey {Bulletin). — Bulletin of the University of Montana {Biologica Series). — Botanical Garden {Bulletin). Notre Dame Indiana — The American Midland Naturalist. Philadelphia — Academy of Naturai Sciences {Proceedings). Saint Louis —Academy of Science {Transactlons). Missouri Botanical garden {Annual Report). Springfield (Massachussets) — Museum of Naturai History. Tufts College (Massachussets) — Studi es. Washington — United States Geological Survey {Annual Report); U. S. Department of Agriculture. — Division of Ornithology and Mammalogy {Bulletin North Ame- rican Fauna). Smithsonian Institution [Annual Report). Missoula New York Washington — U. S. National Museum {Bulletin). U. S. Department of Agriculture (Jearbook). U. S. Departmenl of Agriculture. — Bureau of Ani- mal Industry {Anniial Report). Carnegie Institution of Washington {Publications). The Rockfeller Sanitary Commission for the Era- dication of Hookworm Desease. Uruguay Montevideo — Museo nacional. Seccion historico-filoscfica {Anales, Comanicaciones). Elenco delle pubblicazioni pervenute in dono Acqua, C. — Nuove ricerche sulla preparazione del seme bachi. Portici 1919. (Autore). Anastasia, E. — Le Nicotiane. Scafati 1920. (Dono Autore) Carazzi, D. — Tecnica di anatomia microscopica. Milaro 1894. (Dono socio Salfi). Chistoni, C. — Valori orari diurni delle precipitazioni regi- strati all' Istituto di Fisica Terrestre. Napoli 1918. (Dono Autore). Grau-alpanu, a. — On the ferments of the Brain. Napoli 1918 (Autore). " — Studi sui fermenti degli animali marini. Napoli. 1918. (Autore). D'Erasmo, G. — Su alcuni ittioliti miocenici della Provincia di Siracusa. Napoli 1920. (Dono Autore). D'EvANT, T. — Amputazione scapolo-toracica dell' arto destro per enorme neoplasma della spalla. Napoli 1918. (Autore). Iatta, Antonio — (1853-1912) - Trani 1919. (Dono Fratelli latta). Masi, A. — Sul voluto rapporto tra l'involuzione della Borsa di Fabricio, e la maturazione sessuale negli Uccelli. Napoli 1920 (Autore). MoNTiBELLi, A. — Studio sintctico sulle alluvioni del Ticino. Mi- lano 1919. (Autore) Pampanini, R. — La protezione della Natura in Italia. Firenze 1919. (Autore). PicRANTONi, U. — Gli organi simbiotici e la luminescenza batte- rica nei cefalopodi. Napoli 1918. (Autore). " — Le simbiosi fisiologiche e le attività dei plasmi cellulari. Roma 1919. (Autore). " — I microrganismi fisiologici e la luminescenza degli animali. Bologna 1918. (Autore). Savastano, L. — Note di patalogia arborea. Acireale 1918. (Autore). " —Gli scritti agrari di V. Semmola. Acireale 1918. Vercellini, G. — Unità di legge nei fenomeni vitali. Torino 1914. (Dono del socio Salfi). ZiRPOLO, G. — Micrococcus Pierantonii. Napoli 191S. (Autore). .' — Notizia di un Ophioglypha lacertosa anomala. Napoli 1918. (Autore). " — Notizie sulla biologia della Maia squinado. Mi- lano 1920. (Autore). » — Nuovi casi di anomalia delle braccia di un Astro- pecten aurantiacus. L. Napoli, 1919. (Autore). — I batteri fosforescenti e le recenti ricerche sulla biofotogenesi. Milano, 1919. (Autore). » — Contributo allo studio della rigenerazione del dermascheletro negli Echinidi. Napoli, 1919. (Autore). » — Notizia riguardante altri esemplari anomali di Asterina gibbosa Penn. pescati nel Golfo di Napoli. Napoli, 1919. (Autore). » — Su di un Astropecten aurantiacus con tre piastre madreporiche. Napoli, 1919. (Autore). INDICE ATTI (MEMORIE E NOTE) Chistoni. C. — Eliofanometro, Eliofanografo ed Eliofania . . pag: 3 Maoliano R. — II Monte Cervaro presso Lagonegro in Basilicata. „ 9 Masi A. — Sul voluto rapporto tra l'involuzione della." Borsa di Fabricio „ e la maturazione delle ghiandole sessuali degli Uccelli » 47 Geremicca F. — Sulla materia colorante del frutto dell'arancio . „ 50 ZiRPOLO G. — Ricerche sulla rigenerazione delle braccia di Asterina gibbosa Penn. „ 53 PiERANTONi U. — Sul significato fisiologico della simbiosi ereditaria. „ 55 D' EvANT T. — Forme abortive umane. — Osservazione II . . „ 67 ZiRPOLO G. — Studi sulla bioluminescenza batterica. — 3. Azione dei raggi emanati dal bromuro di radio . . . . „ 75 Neppi V. ~ Revisione delle specie di Aglaoplienia del Golfo di Napoli . . „ 82 Alfano G. — Le registrazioni sismiche rilevate nella Sezione Geodi- namica dell'Osservatorio di Valle di Pompei nell'anno 1919. „ 87 Police G. — Sui rapporti fra le fibre radiali e gli elementi visivi nella retina di Axolotl di Amblystoma mexicaniis . „ 92 ZiRPOLO G. — Ricerche sulla rigenerazione del Zoobottyon pelluci- ditm Ehrbg „ 98 D' EvANT T. — Intorno ad una rara anomalia della Vena iliaca co- mune „ 102 RENDICONTI DELLE TORNATE I PROCESSI VERBALI) Processi verbali delle tornate pag. ili Consiglio direttivo per l'anno 1921 „ xvii Elenco dei socii „ Xix Elenco delle pubblicazioni pervenute in cambio ed in dono . , iii-xiv Gli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti. TAVOLE BOLLETTINO ' SOCIETÀ DEI NATURALISTI IIV IV.A.POI^X VOLUME XXXIIl. (SERIE II., VOL. Xlll) ANNO XXXIV 1920 Con '3 tavole (Pubblicato il 30 gennaio 1922) ^t^r NAPOLI OFFICINA CROMOTIPOGRAFICA "ALDINA, Piazzetta Casanova a S. Sebastiano 2=-4 1922 INDICE ATTI (MEMORIE E NOTE) Chistoni. C. — Eliofanometro, Eliofanografo ed Eliofania . . pag. 3 Maqliano R. — Il Monte Cervaro presso Lagonegro in Basilicata. „ 9 Masi A. — Sul voluto rapporto tra l'involuzione della " Borsa di Fabricio „ e la maturazione delle ghiandole sessuali degli Uccelli » 47 Geremicca F. — Sulla materia colorante del frutto dell'arancio . „ 50 ZiRPOLO G. — Ricerche sulla rigenerazione delle braccia di Asterina gibbosa PENN. - . „ 53 PlERANTONl U. — Sul significato fisiologico della simbiosi ereditaria. „ 55 D' EvANT T. — Forme abortive umane. — Osservazione II . . „ 67 ZiRPOLO G. — Studi sulla bioluminescenza batterica. — 3. Azione dei raggi . emanati dal bromuro di radio . . . . „ 75 Neppi V. — Revisione delle specie di Aglaophenia del Golfo di Napoli „ 82 Ali-ano G. — Le registrazioni sismiche rilevate nella Sezione Geodi- namica dell'Osservatorio di Valle di Pompei nell'anno 1919. „ 87 Police G. — Sui rapporti fra le fibre radiali e gli elementi visivi nella retina di Axolotl di Ainblystoina mexicanus . „ 92 ZiRPOLO G. — ^Ricerche sulla rigenerazione dt\ Zoobotryon pelluci- duin Ehrbg „ 98 D'Evant T. — Intorno ad una rara anomalia della Veni iliaca co- mune ,102 RENDICONTI DELLE TORNATE I PROCESSI VERBA ci) Processi verbali (.ielle toniate pag. ni Consiglio direttivo per l'anno 1921 „ xvii Elenco dei socii . . . „ xix Elenco delle pubblicazioni i^ervenute in cambio ed in dono . . lli-xiv Oli autori assumono la piena responsabilità dei loro scritti. Per quanto concerne la parte scientifica ed amministrativa dirigersi al SEGRETARIO DELLA SOCIETÀ' Dr. Prof. Claudio Gargano, presso la Sede della Società Ex Collegio Medico, a S. Aniello a Capo Napoli Prezzo del presente volume L. 60, MBL/WHOI LIBRARY UH ITRK K '^'^ 'J^. Mr^, jtv ; y^ •"«A 1- M'tiW