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Vol. XXXV.

30 Aprile 1916.

Fasc. 1.

BOLLETTINO

DELLA

SOCIETÀ GEOLOGICA

ITALIANA

Voi. XXXV (1016) fasc. 1

(Atti pag. i-XLviii ; Mem. pag. 1-80)

ROMA

TIPOGRAFIA DELLA PACE E. CUGGIANI 35 Via della Pace 35

1916

PUBBLICAZIONE QUADRIMESTRALE

I reclami per il mancato ricevimento di un fascicolo devono essere fatti appena ricevuto il successivo.

INDICE

DELLE MATERIE CONTENUTE NEL FASCICOLO 1

Atti della Società.

PAG.

Consiglio, direttivo per l’anno 1916 . m

Elenco dei Presidenti e delle sedi delle adunanze generali

estive . iv

Elenco dei Soci:

Soci onorari . »

Soci perpetui . »

Soci residenti in Italia . v

Soci residenti all’estero . xiv

Elenco dei cambi . xvi

Resoconto della prima adunanza ordinaria . xxv

Appendice :

Meli R. Sopra una arenaria contemporanea, con¬ tenente monete, rinvenuta in Roma nell’alveo del Tevere nei lavori di fondazione del muro del Lungo-

Tevere Raffaello Sanzio . xxxvn

Meli R. Presentazione di fossili, scoperti nei tufi vul¬ canici della valle del Sacco, presso il molino di Ga- vignano e sopra la sorgente dell’ Acqua Meo, alla base del monte di Gavignanó, in provincia di Roma. xlii

Franchi S. Se V Eocene sia rappresentato nella sin¬ clinale di Courmayeur . xlv

Memorie e Comunicazioni scientifiche.

De Stefano G. Il valore sistematico e filogenetico del si¬ stema dentario nella determinazione degli Elasmobranchi fossili . 1

Checchia-Rispoli G. Per la conoscenza del fenomeno

carsico nel Gargano. Terzo contributo . 24

Checchia-Rispoli G. Osservazioni geologiche sull’ Ap¬ pennino della Capitanata. Parte IV . 31

Crateri M. La conoscenza geologica del terreno nella

guerra moderna . 43

BOLLETTINO

DELLA

SOCIETÀ GEOLOGICA

ITALIANA

Voi. XXXV 1016

ROMA

TIPOGRAFIA DELLA PACE E. CUGGIAN1 Via della Pace N. 35

1916

Gli Autori sono responsabili delle opinioni manifestate nei loro lavori.

A STjTV £ 7

j j j V\ b j V ri I b Y\ -i V < Ki li

SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA

FONDATA IN BOLOGNA IL 29 SETTEMBRE 1881

Consiglio direttivo per Tanno 1916

Presidente . Vittorio Novarese (Roma) 1916

Vicepresidente .... Augusto Stella (Torino) 1915

Segretario . Antonio Neviani (Roma) 1914-16

Tesoriere-Economo . Giovanni Aichino (Roma) 1915-17

Archivista . Camillo Crema (Roma) 1916-18

Consiglieri

Antonio Verri (Roma)

Michele Gortani (Tolmezzo) Salvatore Scalia (Catania)

Arno Reichenbach (Scafa di S. Va¬ lentino)

Claudio Segré (Roma)

Gioacchino De Angelis d’Ossat

(Roma)

Giovanni Di Stefano (Palermo) Alessandro Roccati (Torino) Alessandro Martelli (Firenze) Federico Millosevich (Roma) Ettore Artini (Milano)

Agostino Galdieri (Napoli)

1914-16

1915-17

1916-18

1916-17

Commissione

PER LE PUBBLICAZIONI

Il Presidente Il Segretario Il Tesoriere

( prò tempore).

Commissione

DEL BILANCIO

Enrico Clerici (Roma) Lodovico Mazzetti (Roma) Aristide Rosati (Roma)

1916

Vicesegretabii . . . ! SeraJln0 CerulU-Irelli (Roma) | 1916

| Camillo Pilotti (Roma)

Sede della Società:

Roma, Via S. Susanna, 18 (presso il R. Ufficio geologico).

IV

ELENCO DEI PRESIDENTI

ELENCO DEI SOCI

Elenco dei Presidenti

E DELLE SEDI DELLE ADUNANZE GENERALI ESTIVE.

1882. G. Meneghini - Verona

1883. G. Capellini - Fabriano.

1884. A. Stoppani - Milano.

1885. A. De Zigno - Arezzo.

1886. G. Capellini - Terni.

1887. I. Cocchi - Savona.

1888. G. Scarabelli - Rimini.

1889. G. Capellini - Catanzaro.

1890. T. Taramelli - Bergamo.

1891. G. G. Gemmellaro - Catania

1892. G. Omboni - Vicenza.

1893. A. Issel - Ivrea.

1894. G. Capellini - Massa M.

1895. I, Cocchi - Lucca.

1896. G. De Stefani - Cagliari.

1897. D. Pantanelli - Perugia.

1898. F. Bassani - Lagonegro.

1899. M. Canavari - Ascoli.

1900. N. Pellati - Acqui.

1901. C. F. Parona - Brescia.

1902. G. Capellini - Spezia.

1903. A. Verri - Siena.

1904. R. Meli - Catania.

1905. T. Taramelli - Tolmezzo.

1906. L. Mazzuoli - Sestri Lev.

1907. F. Sacco - Torino.

1908. A. Portis - Roma.

1909. G. Di Stefano - Palermo.

1910. L. Baldacci - Elba.

1911. M. Cermenati - Lecco.

1912. B. Lotti - Spoleto.

1913. C. F. Parona - Aquila.

1914. G. Dal Piaz - Roma.

1915. G. D'Achiardi - Roma.

Soci onorari.

S. A. R. LUIGI DI SAVOIA DUCA DEGLI ABRUZZI.

Deliberazione dell’Assemblea in Acqui, 16 settembre 1900.

Soci perpetui.

1. QUINTINO SELLA (morto a Biella il 14 marzo 1884).

Deliberazione dell’Assemblea in Arezzo, 14 settembre 1885.

2. FRANCESCO MOLON (morto a Vicenza il marzo 1885).

Deliberazione dell’Assemblea in Arezzo, 14 settembi'e 1885.

3. GIUSEPPE MENEGHINI (morto a Pisa il 29 gennaio 1889).

Deliberazione dell’Assemblea in Savona, 15 settembre 1887.

4. FELICE GIORDANO (morto a Vallombrosa il 16 luglio 1892).

Deliberazione dell’Assemblea in Taormina, 2 ottobre 1891.

5. GIOVANNI CAPELLINI, senatore del Regno.

Deliberazione dell’Assemblea in Taormina, 2 ottobre 1891.

ELENCO DEI SOCI

y

Elenco (lei Soci per Tanno 1916

Soci residenti in Italia.

Il millesimo ohe precede indica il primo anno di associazione ; la sigla [s. v.] indica i Soci a vita.

i. 1894. Aicliino ing. cav. Giovanni - R. Ufficio geologico. Roma. 1898. Airaglii prof. Carlo - Museo civico di Storia Naturale, Ga¬ binetto di geologia. Milano.

1912. Allievi sac. dott. Cristoforo - Seveso (Milano).

1913. Almagià prof. Roberto - R. Università. Padova.

1904. Aloisi dott. Piero - Museo mineralog., R. Università. Pisa. 1891. Ambrosioni sac. prof. Michelangelo - Merate (Como). 1913. Amoretti ing. Vittorio - Via Donizetti, 44. Milano.

1907. Anelli dott. Mario - Via Farmi, 94. Parma.

1886. Antonelli prof. d. Giuseppe - Via del Biscione, 95. Roma, io. 1896. Arcangeli prof. cav. Giovanni - R. Orto botanico. Pisa.

1908. Artini prof. Ettore - Museo civico di Storia naturale,

Gabinetto di mineralogia. Milano.

1912. Audisio di Somma cav. Federico - Direttore Società Lario di elettricità. Via Giulio, 12. Torino.

1912. Azzi dott. Girolamo - Imola (Bologna).

1881. Baldacci comm. Luigi - Ispettore Capo del R. Corpo delle Miniere. Ministero di Agricoltura. Roma.

1905. Baraffael ing. Angelo - R. Ufficio minerario. Via S. Su¬

sanna, 13. Roma.

1890. Baratta prof. Mario - Via Cavour, 21. Voghera (Pavia).' 1884. Bargagli cav. Piero - Via de1 Bardi, palazzo Tempi. Fi¬ renze [s. v.].

1881. Bassani prof. comm. Francesco - Istituto Geologico, R. Uni¬ versità, Largo S. Marcellino, 10. Napoli.

1906. Bentivoglio conte prof. Tito - R. Liceo. Modena.

20. 1883. Berti dott. Giovanni - Via Zamboni, 18. Bologna.

1900. Bianchi prof. ing. Aristide - Cliieri (Torino).

1898. Biblioteca civica - Bergamo.

1910. Biblioteca comunale - Verona.

VI

ELENCO DEI SOCI

1915. Biblioteca militare centrale - Comando del Corpo di Stato

maggiore. Roma.

1907. Bibolini ing. Aldo - R. Scuola mineraria. Agordo (Belluno).

1916. Blengino ing. Andrea - Sassari.

1914. Bongo prof. p. Francesco - Via Toscana, 12. Roma.

1907. Bonomini don Celestino - Concesio (Brescia).

1904. Bordi prof. Alfredo - R. Scuola nomi. femm. Catanzaro. 30. 1897. Bortolotti-Baldanzi prof. Emma - Via Metauro, 19. Roma.

1885. Brugnatelli prof. Luigi - R. Istituto mineralogico univer¬

sitario. Pavia.

1891. Bucca prof. cav. Lorenzo - R. Università. Catania.

1915. Bonfanti Belgiojoso conte Enrico - Castelsangiovanni

(Piacenza).

1911. Bussandri capitano Giacomo - Distretto militare. Venezia.

1889. Cacciamali prof. Giovanni Battista - R. Liceo. Brescia.

1897. Caetani ing. Gelasio - Palazzo Caetani. Roma.

1898. Caffi dott. sac. Enrico - Piazza Cavour, 10. Bergamo.

1912. Caldera sac. Francesco - Salò (Brescia).

1883. Canavari prof. Mario - Istituto geol., R. Università. Pisa. 40. 1905. Caneva prof. dott. Giorgio - Piazza Eremitani. Padova.

1881. Capacci ing. comm. Celso - Via Vaifonda, 5. Firenze.

1899. Capeder prof. Giuseppe - Corso V. E. Ili, 44. Voghera

(Pavia).

1915. Cappelli dott. Giuseppe - Gabinetto di Geomineralogia del R. Politecnico. Torino.

1883. Cardinali prof. Federico - R. Istituto tecnico. Macerata.

1890. Cermenati prof. comm. Mario - Deputato al Parlamento.

Via Cavour, 238. Roma.

1895. Cerulli-Irelli dott. Serafino - Teramo.

1900. Cliecchia-Rispoli dott. Giuseppe - Sansevero (Foggia). 1903. Ciampi ing. Adolfo - Via di Camporeggi, 4. Firenze. 1914. Cimino ing. Emanuele - R. Ufficio minerario. Girgenti.

50. 1915. Cimpincio Publio - Via Stefano Visciotti (presso Bordoni). Terni.

L 909. Ciofalo dott. Michele - Termini Imerese (Palermo;.

1882. Ciofalo prof. Saverio - Termini Imerese (Palermo).

1906. Ciofi dott. Gino - Via Guerrazzi, 20. Firenze.

1886. Clerici ing. comm. Enrico - Via del Boccaccio, 25. Roma.

ELENCO DEI SOCI

VII

1899. Colomba prof. Luigi - R. Università. Modena.

1912. Campensa ing. Domenicangelo - Gildone (Campobasso). 1895. Conedera ing. cav. Raimondo - Massa Marittima (Grosseto). 1902. Corio prof. Francesco - Istituto tecnico. Spezia (Genova). 1881. Cortese ing. Em cav. ilio - Corso Firenze, 25. Genova.

60. 1916. Cozzaglio prof. Arturo - Brescia.

1906. Craven ing. H. Robert - Miniera Libiola. Sestri Levante

(Genova).

1910. Craveri prof. Michele - Cassino (Caserta).

1895. Crema ing. dott. Camillo - R. Ufficio geologico. Roma. 1912. Crida Ugo - Direttore di miniere. Abbadia San Salvatore (Siena).

1895. D'Achiardi prof. Giovanni - Istituto mineralogico, R. Uni¬ versità. Pisa.

1900. Dainelli dott. Giotto - Via La Marmora, 12. Firenze [s. v.]> 1902. Dal Lago dott. cav. Domenico - Valdagno (Vicenza).

1899. Dal Piaz dott. prof. Giorgio - Istituto geologico, R. Univer¬

sità. Padova.

1898. De Alessandri dott. Giulio - Museo civico di Storia natu¬ rale, Gabinetto di geologia. Milano. to. 1891. De Angelis d'Ossat prof. cav. Gioacchino - Via Volturno, 84. Roma. Istituto superiore agrario. Perugia.

1907. De Castro ing. cav. Calogero - Via Maggio, 13. Firenze. 1881. De Ferrari ing. cav. Paolo Emilio - Capo del distretto mi¬ nerario. Via delle Scuole, 10. Torino.

1883. De Gregorio Brunaccini dott. march. Antonio - Molo, 128. Palermo.

1900. Del Campana dott. Domenico - R. Museo geologico, Piazza

S. Marco, 2. Firenze.

1914. Del Grosso dott. Mario - Via Principe Amedeo, 31. Torino. 1910. Della Beffa dott. Giuseppe - Museo geologico, R. Politec¬ nico. Torino.

1886. Dell'Erba ing. prof. Luigi - R. Scuola applicazione inge¬ gneri. Napoli.

1892. De Lorenzo prof. Giuseppe - Senatore del Regno. Istituto di Geografìa fisica, R. Università. Napoli.

1890. Dell'Oro comm. Luigi (di Giosuè) - Via Silvio Pellico, 12. Milano [s. v.].

Vili

ELENCO DEI SOCI

so. 1881.

1899.

1900. 1911.

1892.

1910.

1889. 1881.

1890. 1905.

90. 1883. 1885.

1896.

1903.

1905.

1912.

1902.

1894.

1904. 1912. ìoo. 1897.

1911.

1881.

1913.

1914.

1892.

1890.

1914.

Del Prato prof. Alberto - R. Università. Parma.

Dei-Zanna dott. Pietro - Poggibonsi (Siena) [s. v.].

De Marchi dott. Marco - Borgonuovo, 23. Milano [s. v.].

De Ponti dott. Gaspare - Direttore Stab. chini, min. di Calolzio. Via Vincenzo Monti. Milano.

De Pretto dott. Olinto - Schio (Vicenza).

D'Erasmo dott. Geremia - R. Università, Largo S. Marcel¬ lino, 10. Napoli.

Dervieux sac. Ermanno - Via XX Settembre, 83. Torino.

De Stefani prof. cav. Carlo - R. Museo geologico, Piazza S. Marco, 2. Firenze.

De Stefano prof. Giuseppe - R. Liceo. Aquila.

Di Franco dott. Salvatore - R. Università. Catania.

Di Rovasenda cav. Luigi - Sciolze (Torino).

Di-Stefano prof. cav. Giovanni - Istituto geologico, R. Uni¬ versità. Palermo.

Dompè ing. comm. Luigi - Foro Bonaparte, 5. Milano.

Eliotipia Calzolari e Ferrario - Viale Monforte, 14. Milano.

Fabiani dott. Ramiro - Istituto geol., R. Università. Padova.

Fano prof. Augusto - Via Ludovisi, 35. Roma.

Fantappiè prof. Liberto - Via Mazzini, 4. Viterbo (Roma).

Ferraris ing. comm. Erminio - Direttore della Miniera di Monteponi. Iglesias (Cagliari) [s. v.J.

Ferruzzi ing. Ferruccio - Poggibonsi (Siena).

Fiorentin ing. Luigi - R. Ufficio geologico. Roma.

Flores prof. Edoardo - Direttore R. Scuola normale fem¬ minile. Anagni (Roma(.

Folco ing. prof. Carlo - Piazza Campo, 20. Palermo.

Fornasini dott. cav. Carlo - Via Lame, 24. Bologna.

Forti dott. cav. Achille - Via S. Eufemia, 1. Verona [s. v.j.

Fossa-Mancini dott. Enrico - Museo geologico, R. Univer¬ sità. Pisa.

Franchi ing. cav. uff. Secondo - R. Ufficio geologico. Roma.

Fucini prof. Alberto - Istituto geologico, R. Università. Catania.

Gabinetto di geologia applicata - R. Scuola applicazione ingegneri. Roma.

ELENCO DEI SOCI

IX

1898.

1891. no. 1907.

1891.

1916.

1903.

1887.

1892.

1912.

1913. 1911. 1881.

120. 1906.

1883.

1884. 1913.

1909.

1910.

1905.

1881.

1915.

1905.

130. 1914.

1916.

1899.

1910.

1899.

Galdieri dott. Agostino - Museo geologico, R. Università. Napoli.

Galli prof. cav. don Ignazio - Via Conte Rosso, 24. Roma.

Gemmellaro dott. Mariano - Museo geologico, R. Univer¬ sità. Palermo.

Gianotti prof. Giovanni - Regia Scuola normale. Vercelli (Novara).

Giusti dott. Pietro - Riardo (Caserta).

Gortani dott. Michele - Deputato al Parlamento. Tolmezzo.

Gozzi ing. Giustiniano - Via Galliera, 14. Bologna.

Greco prof. Benedetto - Istituto di geologia, Piazza di S. Marco, 2. Firenze.

Grossi ing. Mario - R. Ufficio minerario. Iglesias.

Guerini dott. Berardo - Corso Pafestro, 45. Brescia.

Istituto geografico De Agostini - Novara.

Issel prof. comm. Arturo - Corso Magenta, 63. Genova.

Istituto sperimentale delle Ferrovie dello Stato - Roma.

Lais prof. sac. Giuseppe - Vicolo del Malpasso, 11. Roma.

Lattes ing. comm. Oreste - Via Nazionale, 96. Roma.

Laureti dott. sac. Arcangelo - Acquasparta (Perugia).

Lincio ing. dott. Gabriel - R. Istituto mineralogico, Pa¬ lazzo Carignano. Torino.

Lomeo Cirino - Direttore della Miniera Fioristella. Val- guarnera Caropepe (Caltanissetta).

Lorenzi prof. Arrigo - Via Grazzano, 10. Udine.

Lotti ing. cav. Bernardino - R. Ufficio geologico. Roma.

Luda di Cortemiglia ing. Cesare - Gabinetto di geomine¬ ralogia del R. Politecnico. Torino.

Maddalena ing. dott. Leonzio - Istituto sperimentale delle Ferrovie dello Stato. Roma.

Malladra dott. Alessandro - R. Osservatorio Vesuviano. Resina (Napoli).

Malvano dott. Giorgio - Via Saluzzo, 19. Torino.

Manasse prof. dott. Ernesto - R. Università. Siena.

Manzella ing. prof. Eugenio - R. Scuola applicazione inge¬ gneri. Palermo.

Maravelli dott. Giuseppe - Cagli (Pesaro).

X

ELENCO DEI SOCI

1905. Marcantonio dott. Ireneo - Lanciano per Mozzagrogna

(Cliieti).

1910. Marchese cav. Camillo - Via XX Settembre, 98 B. Roma.

1914. Marconi Paolo - Via Rigaste S. Zeno, 25. Verona.

1910. Marconi Plinio - Via Rigaste S. Zeno, 25. Verona.

1895. Marengo ing. Paolo - Sturla (Genova).

ho. 1886. Mariani prof. Ernesto - Museo civico di storia naturale, Gabinetto di geologia. Milano.

1892. Mariani prof.a Giuditta - Salita Tolentino, 1B, Palazzo Moroni. Roma.

1899. Mariani dott. Mario - Camerino (Macerata).

1894. Marinelli prof. Olinto - R. Istituto studi superiori. Firenze.

1915. Marini dott. Giorgio - Piazza delle Terme, 90. Roma.

1900. Martelli dott. Alessandro - R. Istituto superiore forestale,

Piazzale del Re. Firenze.

1910. Martelli ing. cav. Giulio - Introbio (Como).

1915. Martinotti dott.a Anna - Via circonvallazione, 566. Torino. 1881. Mattirolo ing. comm. Ettore - Via Carlo Alberto, 45. To l’ino [s. v.].

1908. Mazzetti ing. cav. Lodovico -- Ispettore nel R. Corpo delle miniere. Ministero di Agricoltura. Roma.

150. 1881. Mazzuoli ing. comm. Lucio - Via Depretis, 86. Roma. 1881. Meli prof. cav. Romolo - Via Alessandrina, 84. Roma.

1899. Merciai dott. Giuseppe - Via della Faggiola, 3. Pisa. 1890. Meschinelli dott. Luigi - Vicenza.

1906. Migliorini ing. Carlo - Viale Principe Amedeo, 15. Firenze. 1897. Millosevich prof. Federico - Istituto di Mineralogia, R. Uni¬ versità. Roma.

1903. Monaci Pietro - Bagni S. Filippo (Siena).

1907. Monetti ing. Luigi - R. Ufficio minerario. Carrara.

1915. Monterin dott. Umberto - Gressoney la Trinità (Torino).

1900. Monti dott. Achille - Via Posteria, 3. Pavia.

160. 1895. Morandini ing. Bernardino - Massa Marittima (Grosseto). 1910. Museo e Laboratorio di geologia del R. Istituto superiore agrario. Perugia.

1904. Napoli dott. p. Ferdinando - Parroco di S. Martino. Asti

(Alessandria).

1908. Negri dott. Giovanni - R. Istituto botanico. Torino.

ELENCO DEI SOCI

XI

1897.

1883.

1908. 1888.

1909. 1911.

no. 1911.

1910. 1906. 1881.

1892.

1881.

1899.

1893.

1903.

1901.

180. 1910. 1911. 1891.

1908.

1909.

1895.

1898.

1901.

1908.

1910. 190. 1910. 1912.

Nelli dott. Bindo - Via Pellegrino, 18. Firenze.

Neviani prof. cav. Antonio - R. Liceo « Ennio Quirino Vi¬ sconti ». Roma.

Nievo dott. magg. Ippolito - Via Giov. Bovio, 24. Firenze.

Novarese ing. cav. Vittorio - R. Ufficio geologico. Roma.

Oddo prof. Giuseppe - R. Università. Pavia.

Oddone prof. cav. Emilio - Via Caravita, 7. Roma.

Oliveri ing. Angelo - Via Cattaneo, 22. Lecco (Como).

Pangella dott.a Giorgina - Corso XX Settembre, 6. Torino.

Parma cap. cav. Augusto - Sestri Levante (Genova).

Parona prof. comm. Carlo Fabrizio - R. Istituto geologico, Palazzo Carignano. Torino.

Patroni prof. Carlo - R. Istituto tecnico. Arezzo.

Paolucci march. Marianna - Via de’Pinti, 68. Firenze [s.v.] .

Pelloux maggiore Alberto - Villa Caterina. Bordighera (Porto Maurizio).

Peola prof. Paolo - R. Scuola normale femminile « R. Lam- bruschini ». Genova.

Perrone cav. Eugenio - Via Cola di Rienzo, 133. Roma.

Picasso ing. prof. Vittorio Emanuele - Via Arcivesco¬ vado, 1. Torino.

Pilotti ing. Camillo - R. Ufficio geologico. Roma.

Pintacuda ing. Michele - Via Girgenti, 1. Palermo.

Platania-Platania prof. Gaetano - Via Vittorio Ema¬ nuele, 34. Catania.

Pluesclike ing. Riccardo - Scafa (Cliieti).

Ponte dott. Gaetano - Istituto mineralogico, R. Università. Catania.

Porro ing. Cesare - Via Cernusclii, 4. Milano.

Portis prof. comm. Alessandro - Istituto geologico, R. Uni¬ versità. Roma.

Prever prof. Pietro - R. Istituto geologico, Palazzo Cari¬ gnano. Torino.

Principi dott. Paolo - R. Istituto geologico, Villetta Di Negro. Genova.

Pullè ing. conte Giulio - Portoferraio (Livorno).

Pullè ing. Guido - Portoferraio (Livorno).

Quaglino ing. Firmino - R. Corpo delle miniere. Carrara.

XII

ELENCO DEI SOCI

1906.

1903.

1908.

1911.

1899.

1900. 1894. 1913.

200. 1898.

1890.

1903.

1895.

1892.

1892.

1910.

1885.

1904.

1890. 2io. 1909. 1910. 1914. 1881. 1916. 1913. 1882. 1904.

1912.

1913.

Raffaelli don Gian Carlo - Bargone (Genova).

Raimondi ing. Luigi - Miniere solfifere Trezza. Cesena (Forlì).

Ravagli dott.a prof.a Maria - R. Scuola normale. Vicenza. Redaelli ing. cav. Ernesto - Industriale siderurgico. Via Monforte, 34. Milano.

Reiclienbach ing. Arno - Scafa di S. Valentino (Cliieti). Repossi doti. Emilio - Museo civico di storia nat. Milano. Ridoni ing. Ercole - Via Bonsignore, 5. Torino.

Rizzardi Tempini Angelo - Via S. Susanna, 2. Roma. Roccati prof. Alessandro - Gabinetto di geomineralogia del R. Politecnico. Torino.

Roncalli dott. conte Alessandro - Piazza Lorenzo Masche¬ roni, 3. Bergamo.

Rosati dott. Aristide - Istituto mineralogico, R. Università. Roma.

Rosselli ing. cav; Emanuele -Via del Fosso, 1. Livorno [s.v.]. Rovereto march, prof. Gaetano - R. Istituto geologico, Vil¬ letta Di Negro. Genova.

Rusconi sac. Giuseppe - Valmadrera (Como).

Sabelli ing. Annibaie - R. Ufficio miniere. Via Scuole, 10. Torino.

Sacco prof. cav. Federico - Gabinetto di geomineralogia del R. Politecnico. Torino.

Sangiorgi prof. Domenico - Via Cavour, 70. Imola (Bo¬ logna).

Scacchi ing. prof. Eugenio - Via Monte Oliveto, 44. Napoli. Scalia dott. Salvatore - Istituto geolog., R. Univ. Catania. Tchopen ing. Corrado - Piazza Castelnuovo, 15. Palermo. Scotti cav. Luigi - Via Solferino, 21. Piacenza.

Segrè ing. comm. Claudio - Corso Vitt. Eman., 229. Roma. Serra prof. Aurelio - Sassari.

Signorini ing. Francesco - Via Solferino, 6. Firenze. Silvani dott. Enrico - Via Garibaldi, 4. Bologna [s. v.]. Silvestri prof. Alfredo - Preside del R. Liceo Garibaldi. Palermo.

Società boracifera di Larderello - Via Cavour, 9. Firenze. Società Petrolii d’Italia - Via Andegari, 12. Milano.

ELENCO DEI SOCI

XIII

220. 1915. Spalletti conte G. Battista - Via Piacenza, 4. Roma.

1907. Stefanini dott. Giuseppe - R. Istituto geologico, Piazza

S. Marco, 2. Firenze.

1908. Stegagno dott. Giuseppe - Via Vignatagliata, 20. Ferrara. 1891. Stella ing. prof. Augusto - R. Politecnico, Castello del Va¬ lentino. Torino.

1909. Stella-Starabba Francesco - Via Vitt. Emanuele. Catania.

1910. Tancredi cav. Alfonso Mario - Maggiore nelle R. Truppe

coloniali. Cava dei Tirreni (Salerno).

1910. Tansini ing. Mario - Galleria Mazzini, 1/9. Genova. 1912. Tanziani Fausto - Ascoli Piceno.

1881. Taramelli prof. comm. Torquato - R. Università. Pavia.

1907. Taricco ing. Michele - R. Ufficio geologico. Roma.

230. 1891. Tascliero dott. Federico - Mondovì (Cuneo).

1911. Terrile dott. sac. Filippo - Salita S. Anna, 9\ Genova.

1908. Testa ing. Leone - R. Ufficio minerario. Vicenza.

1881. Tittoni avv. comm. Tommaso - Senatore del Regno. Via Rasella, 155. Roma.

1889. Toldo prof. Giovanni - Preside del R. Liceo. Sondrio.

1881 . Tommasi prof. Annibaie - Corso Vitt. Eman., 44. Mantova. 1898. Tonini dott. Lorenzo - Ripa (Seravezza) per Risciolo. 1905. Tomolo dott. Antonio - Istituto di geografia fìsica, Regia

Università. Padova.

1883. Toso ing. comm. Pietro - Corso Vitt. Eman., 87. Torino.

1890. Trabucco prof. Giacomo - R. Istituto tecnico « Galileo Ga¬

lilei ». Firenze.

240. 1882. Turcke ing. John - Ufficio dell’Acquedotto. Bologna [s. v.].

1882. Verri ten. gen. comm. Antonio - Via Aureliana, 53. Roma. 1893. Vinassa de Regny prof. P. Eugenio - R. Università. Parma. 1903. Viola ing. prof. cav. Carlo - R. Università. Parma.

1914. Zaccagna ing. cav. Domenico - R. Ufficio geologico. Roma. 1902. Zamara noli, c.olonn. Giuseppe - Corso Carlo Alberto, 23.

Brescia.

1915. Zangheri rag. Pietro - Via Cesare Albicini, 8. Forli.

1912. Zerilli dott. Vito - Via Gallo, 51. Trapani.

1910. Zucchi ing. Gerolamo - Bagnoli (Napoli).

1912. Zulfardi dott. Pietro - R. Istituto geologico, Palazzo Cari- guano. Torino.

XIV

ELENCO DEI SOCI

250. 1908.

1911.

1887.

1910.

1901.

1893.

1895.

1914.

1905. 1911.

260. 1912. 1911. 1899. 1881. 1890. 1884. 1913.

1906. 1903. 1881.

Soci residenti ali’estero.

Bibliothèque de l'Université (Médecine-Sciences) - Tou- louse (Francia).

Boussac prof. Jean - Iustitut catliol., Rue Falguière, 27. Paris.

Charlon ing. E. - Rue Pierre Duprèt, 25. Marsiglia.

Commissào do Servico Geologico de Portugal - Lisbona.

De Dorlodot clian. prof. Henri - Rue de Bériot, 44. Lou¬ vain (Belgio) [s. v.].

Deecke prof. Wilhelm - Freiburg, Baden (Germania).

De Pian ing. cav. Luigi - Via Kifissia, 51. Atene.

Ferraz (de Aranjo) ing. Jorge - Servilo geologico e mine¬ ralogico, Ministerio de Agricoltura. Rio de Janeiro (Brazil) [s. v.].

Frenguelli dott. Gioacchino - St0 Tomè (prov. di Sta Fè) Rep. Argentina

Friedlaender dott. Immanuel - Dolderstrasse, 90. Zurigo

(Svizzera).

Geologisch-palaeontologisches Institut und Museum der Universitat - Bonn (Germania).

Gignoux Maurice - Professeur à la Faculté des Sciences. Grenoble (Isère).

Hassert doct. Kurt - Vorgebirg-Strasse, 31, IL Ivbln am Rhein (Germania).

Hughes prof. cav. Thomas Mac Kenny - University. Cam¬ bridge (Inghilterra) [s. v.].

lohnston-Lavis doct. Henry - Beaulieu (Alpes Maritimes. Francia) [s. v.].

Levat ing. David - Boulevard Malesherbes, 174. Paris XVII [s. v.].

Loesch (von) doct. Karl Christian - Universitat, Geologi - sclies Institut. Miinchen (Baviera).

Lugeon prof. Maurice - Université. Lausanne (Svizzera).

Margerie (de) prof. Emmanuel - Rue du Bac, 110. Paris VII.

Pélagaud doct. Elisée - Chàteau eie la Pinède, Autibe (Al¬ pes Maritimes, Francia [s. v.].

ELENCO DEI SOCI

XV

o. 1915. Pinon ing. Girolamo - Société des Mines dii Bou-Thaleb. Colbert (Algérie).

1908. Roccati doct. sac. Matllieu - Monteiro de Sào Bento. Rio de Janeiro (Brazil).

1895. Salomon doct. Wilhelm - Università!. Heidelberg (Baden). 1 908. Schmidt prof. Cari - Università!. Basel (Svizzera).

1915. Spitz Albreeht - Alserstrasse, 27. Vienna III.

1908. Tornquist doct. Alexander - Geolog. Instit. d. Università!. Konigsberg (Germania).

6. 1914. Washington doct. Henry Stephens - Geophysical Labora- tory. Washington D. C. (U. S. A.).

XVI

ELENCO DEI CAMBI

Elenco dei cambi

Di ogni pubblicazione è indicato da qual volume od anno comincia la serie posseduta dalla Società.

L’asterisco (*) indica che il cambio è limitato ai Rendiconti delle adunanze della Società.

Le pubblicazioni non periodiche vengono a volta a volta elencate con gli omaggi.

Italia.

Catania. JL Accademia Gioenia di scienze naturali.

Atti [anno LXIX, 1892-93].

Bollettino delle sedute [fase. XXX, 1892].

Iesi (Ancona). * Sezione di Iesi nel Club alpino italiano.

L’Appennino centrale [anno I, 1904].

Iglesias (Cagliari). * Associazione mineraria sarda.

Resoconti delle riunioni [voi. Ili, 1898].

Parma. Ispettorato compartimentale del Po (Ufficio idrogr.). Roma. B. Accademia dei Lincei (Via Lungara).

Rendiconti della classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, serie 3a, [voi. VII, 1882].

Rendiconti delle sedute solenni [1892].

B. Ufficio geologico (Via S. Susanna, 13).

Bollettino del R. Comitato geologico d’Italia [voi. I, 1870]. Memorie descrittive della carta geologica d’Italia [voi. I, 1886]. Memorie per servire alla descrizione della carta geologica d’Italia

[vol.1, 1871].

Carte geologiche diverse.

Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio.

Rivista del Servizio minerario [1896],

Carta idrografica d’Italia - Memorie.

B. Società geografica italiana (Via Plebiscito, 102). Bollettino [serie 2% voi. VII, 1882].

Memorie [voi. V, 1895].

ELENCO DEI CAMBI

XVII

Roma. Società degli Ingegneri e degli Architetti italiani (Via Poli, 29, Palazzo Coen).

Bollettino [anni I-XV, 1893-1907, serie chiusa].

Annali [anno I, 1886].

Istituto internazionale d’ Agricoltura.

Venezia. B. Magistrato alle Acque.

Bollettino [anno I, 1908].

Pubblicazioni varie.

Austria-Ungheria.

Budapest. - K. Ungarische Geologische Beicìisanstalt (Stefània- ut. 14).

Mitteilungen aus dem Jahrbuche [bd. I, 1872].

Jahresbericht [1883].

Fòldtani Kozlony kot. XV, [1885].

Pubblicazioni diverse.

Ungarische Geologische Gesellschaft (Stefània-ut. 14 sz.). Mitteilungen bd. I, [1910].

Sociéte Hongroise de Géographie (Sàndor-Utcza 8. sz.). Bulletin (Fóldrajzi Kozlemények) [t. XXXI, 1903].

Abrégé du Bulletin [id.].

Gratz. Mitteilungen des Naturwissenschaftliche Vereines far SteiermarJc [bd. 48, 1912].

Krakau. Académie des Sciences (Alcad. d. Wissenschaften).

Bulletin international (Anzeiger) [1889].

Iglò. Magyarorszdgi Kdrpdtegyesulet (Ungarischer Karjjathen- Verein).

Jahrbuch [voi. XVII, 1890].

Trieste. * Società alpina delle Giulie (Via G. Rossini, 30).

Alpi Giulie [anno VII, 1902].

Wien. Iv. k. Geologische Beicìisanstalt (Rasumofskigasse, 23). Verhandlungen [jahrg. 1880].

Jahrbuch [bd. XXX, 1880].

K. k. Naturhistorisches Hofnmseum.

Annalen [bd. I, 1886].

XVIII

ELENCO DEI CAMBI

Wien. Palàontologisches Institut der k. le. Universitàt (I., Franzens-

ring).

Beitritge zur Paliiontologie uud Geologie Oesterreich-Ungarns und des Orients [bd. XI, 1897].

Geólogische Gesellschaft (I., Franzensring. G-eol. Institut d. Universitàt).

Mitteilungen [I, 1908].

Belgio.

Bruxelles. Société Rogale malacologique de Belgique.

Annales [voi. XVI, 1881].

Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d’ Hydrologie (Palais dii Cinquantenaire).

Bulletin [voi. I, 1887].

' Nouveaux Mémoires [fase. 1°, 1903].

Liège. Société géologique de Belgique.

Annales [voi. IX, 1881].

Mémoires [voi. 1°, 1900].

Francia.

Bordeaux. Société Linnéenne de Bordeaux (Rue des Trois-Conils ; Athénée).

Actes [voi. XXXVI, 1882].

Havre. Société géologique de Normandie (Hotel de Ville). Bulletin [t. XX, 1900].

Lille. Société géologique du Nord (Rue Brule-Maison, 156).

Annales [voi. XXXII, 1903].

Paris. Société de Spéléologie (Rue de Lille, 34).

Bulletin (Spelunca) [t. I, 1895].

Société géologique de France (Rue Serpente, 28).

Bulletin [serie 3a, voi. X, 1881].

ELENCO DEI CAMBI

XIX.

Germania.

Berlin. Deutsche geologiche Gesellschaft.

Zeitschrift !bd. 35, 1883].

Koniglichen geologischen Landesanstalt (Bibliothek. In- validenstrasse, 44).

Jahrbuch [bd. I, 1880].

Bonn. Niederrheinische Gesellschaft.

Sitzungsberichte [18951.

Verhandlungen (d. natnrliistoriscken Vereins) [LUI, 1896]. Freiburg im Breisgau (Baden). Naturforschende Gesellschaft. Berichte [bd. IV, 1888].

Miinclien. Deutschen und Oesterreichischen Alpenverein (Westen- riederstrasse, 21, III).

Zeitschrift.

Mitteilungen.

Gran Bretagna.

Dublin. Rogai Dublin Society.

Scientific proceedings [N. S., voi. IV, 1885]. Scient. transactions [ser. II, voi. III. 1885]. Economie proceedings [voi. 1°, 1899],

Edinburgh. Edinburgh Geological Society.

Transactions [voi. VII, 1894].

Glasgow. Geological Survey.

Memoirs [ 1905].

Geological Society.

Transactions [1908].

London. Geological Society.

Quarterly Journal [voi. XXXVIII, 149, 1882]. Geological literature [n° 1, 1894].

XX

ELENCO DEI CAMBI

Portogallo.

Lisbona. Comissdo do Servico geologico de Portugal (liua do Arco a Jesus, 113, 2°).

CommimicaQÓes [t. I, 1883].

Mémoires.

Rumenia.

Bukarest. Institutului geologie al liomdniei (Soseana Kiselet, 2). Anuarulu [t. I, 1907].

Museulu de Geologid i de Paleontologia.

Anuarulù [anno 1894].

Jassy. Unir er site de Jassy.

Annales scientifiques [t. I, 1900].

Russia.

Helsingfors. Commissioni géologique de Finlande.

Bulletin [n° 6, 1897].

Kharkow. Società des naturalistes à VUniversité Imperiale. Travaux.

Novo-Alexandria. Annuaire géologique et minéralogique de la Bussie [voi. I, 1896].

Pietroburgo. Corniti géologique (Institut des miues).

Bulletin [t. 1, 1882].

Mémoires [voi. I, 1883].

Bibliothèque géologique de la Russie [t. I-XIII, 1885-1897]. Explorations géologiques dans les régions aurifères de la Sibèrie [1900].

Mini ster e de la maison de V Empereur.

Travaux de la section géologique du Cabinet de sa Majesté [voi. I, 1895].

Société impér. minerai. (V. O., 21 Ligne, 2). Verhandlimgen [bd. 32, 1896],

Materialien zur Geologie Russland [bd. 18, 1897].

Société Imperiale des Naturalistes.

Comptes-rendus des séances [voi. XXVI, 1885].

Travaux de la section de Géologie et de Minéralogie [voi. XIX, 1888].

ELENCO DEI CAMBI

XXI

Svezia.

Stockliolni. Geologi ska fòreningen i Stockholm.

Fòrhandlingar [bd. XII, 1890].

K. Svenska Vetenskaps Akademien.

Arkiv fòr Kemi, Mineralogi odi Geologi [bd. 2, 1905].

Arkiv fòr Zoologi [bd. 3, 1906J.

Arkiv fòr Botanik [bd. 5, 1905].

Upsala. Geological Institution of thè University of Upsala (Bi- bliothèque de l’Université R.).

Bulletin | voi. I, 1892].

Svizzera.

Zurich. Naturforschende Gesellschaft. Vierteljahrssehrift [anno LY, 1910].

Africa.

Cape Town. Geological Survey.

Annual report [1°, 1896].

Johannesburg. Geological Society of South Africa. Transactions [voi. VI, 1904].

Proceedings [anno 1905].

America.

Baltimore (U. S. A.). Maryland Geological Survey.

Reports [voi. I, 1897).

Berkeley, California (U. S. A.). Department University of Cali¬ fornia.

Bulletin of thè department of Geology [voi. 5, 4906]. Buenos-Aires (R. Argentina). Instituto geografico Argentino. Boleti» [t. X, 1889].

Ministerio de Agricultura. División de Minas, Geologia é Hidrologia.

Anales [t. IV, 1910].

XXII

ELENCO DEI CAMBI

Chicago (U. S. A.). Field Museum of Naturai History.

Reports [voi. Ili; 1906].

Cleveland (U. S. A.). Geological Society of America.

Bnlletin [voi. I, 1890].

Columbus (U. S. A.). Geological Survey of Ohio.

Bulletin [4a serie, 1, 1903].

Jefferson City (U. S. A.). Missouri Bureau of Geology and Mines. Lima (Perù). Cuerpo de Ingenieros de Minas del Peni (Apar¬ taci o de Correo, 889).

Boletin (n° 1, 1902].

Madison (U. S. A.). University of Wisconsin.

Bulletin (Science series) [voi. I, 1894].

Mexico (Mexico). Instituto geologico de Mexico (6* del Ciprés, 176). Boletin [n° 12, 1889].

Parergones [t. I, 1903].

Sociedad geologica (6a del Ciprés, 176).

Boletin [t. I, 1905].

Montevideo (Uruguay). Museo de Historia naturai.

Anales (t. I, 1894).

New-York (U. S. A.). The American Geographical Society.

Ottawa (Canada). Department of Mines. Mines branch.

Annals reports.

Bulletins.

Pubblicazioni varie.

Id. Geological Survey.

Annual Report.

Memoires.

Pubblicazioni varie.

Para (Brazil). Museu Paraense de Historia Naturai e Ethnogra- phia (Caixa postai, 399).

Boletim [voi. I, 1 8 96 1.

Sào Paulo (Brazil). Museu Paulista (Caixa do Correio, 500).

Revista publicada por H. v. Ihering [voi. I, 1895].

Urbana (U. S. A.). Illinois State geological Survey.

Bulletin [n° 9, 1908].

Washington (U. S. A.). United States Geological Survey.

Bulletin [n° 34, 1883].

Annual reports [sixth ann. 1884].

ELENCO DEI CAMBI

XXIII

Monographs [voi. I, 1882].

Minerai resourc.es [anno 1886].

Water-Supply and Irrigation paper [n° 65, 1902]. Professional paper [n° 1, 1902].

Asia.

Calcutta (Britisch Indien). Geological Survey of India. Memoirs [voi. IV, 1865].

Palaeontologia indica [ser. la, voi. I].

Record s [voi. I].

Pubblicazioni diverse.

Sendai (Japan). Tolto!; u Imperiai University.

The Science Reports [voi. 1, 1912].

Tokio (Japan). Geological Society.

The Journal [voi. Vili, 1901].

College of Science Imperiai University.

The Journal [voi. XVI, 1901].

Australia.

Melbourne (Victoria). - Austral. Instit. of Mining Engineers. Transactions [voi. IV, 1897].

Proceedings [anno 1898].

Rogai Society of Victoria.

Transactions [voi. I, 1888].

Proceedings [voi. 1, n. s., 1889].

Sydney (New South Wales). Geological Survey of New South Wales.

Records [voi. IV, 1894].

Memoirs [1894].

Annual report [1894].

Minerai Resources [n° 1, 1898].

PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

tenuta in Roma il 5 marzo 1916

Presidenza del Presidente mg. Vittorio Novarese

Nella grande sala della Biblioteca del R. Ufficio Geologico, ha luogo la prima adunanza della Società Geologica Italiana, per svolgere il seguente Ordine del giorno, diramato ai Soci con circolare 23 febbraio 1916.

1. Lettura per l’approvazione del Verbale della seduta del 26 de-

cembre 1915.

2. Comunicazioni della Presidenza.

3. Nomina di nuovi soci.

4. Presentazione del Bilancio consuntivo 1915 e discussione per

l’approvazione del preventivo 1916.

5. Nomina dei Commissari del Bilancio.

6. Sull’adunanza estiva di quest’anno.

7. Comunicazioni scientifiche.

8. Affari eventuali.

Alle ore 10,15 il Presidente ing. Novarese V. dichiara aperta la seduta.

Sono presenti i consiglieri De Angelis d’Ossat G., Millo- sevich F., Verri A., i soci Baldacci L., Bucca L., Checchia- Rispoli G., Clerici E., Del Zanna P., De Stefani C., Fran¬ chi S., Lotti B., Maddalena L., Meli R., Platania G., Portis A., Rosati A., Zaccagna D., il tesoriere Aichino G., l’archivista Crema C., ed il segretario Ne vi ani A.

Scusano la loro assenza il vicepresidente Stella A., i con¬ siglieri Roccati A., Segrè C., i soci Bassani F., Bonfanti di Belgiojoso E., Cerulei Irelli S., Craveri M., Lattes 0., Mat- tirolo 0., Parona C. F., Sacco F.

ii

XXVI

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

I. Si per letto il verbale della Adunanza del 26 decem- bre 1915, pubblicato nel Bollettino, voi. XXXIV, a pag\ lvii-lxiii, il quale, senza osservazioni, viene approvato.

II. Il Presidente fa le seguenti comunicazioni.

Il Consiglio Direttivo nella adunanza odierna ha nominato a vicesegretari per l’anno corrente i soci Cerulli-Irelli S. (ri- confermato) e Pi lotti C.

Riferisce all’Assemblea che oggi stesso al Congresso per il progresso delle Scienze doveva tenersi l’adunanza della Sezione di Geologia presieduta dal prof. Carlo De Stefani, e che per cor¬ tese concessione della presidenza di detta Associazione, le co¬ municazioni di classe saranno tenute da noi, come difatti sono intervenuti alcuni membri dell’Associazione, che il Presidente ringrazia per la loro presenza.

Comunica poi come dall’ultima adunanza si sieno avute due perdite dolorose fra i nostri soci, nelle persone del prof. Lovi- sato D. dell’Università di Cagliari e dell’ing. Delaire Alexis di Parigi. Dèll’ing. Delaire, che fu nostro socio a vita, si ebbe no¬ tizia pochi giorni or sono a mezzo della posta, essendo ritor¬ nato il fascicolo, con la indicazione di decedè , in modo che non si potè assumere qualche informazione. Anche il prof. Lovisato cessò di vivere da breve tempo, ma di esso, del quale si farà degna commemorazione nella prossima seduta della Società, sono noti il suo grande amore agli studi, la sua attività, i suoi me¬ riti scientifici e i suoi alti sentimenti patriottici. Egli, triestino, vide finalmente l’Italia in armi contro il secolare nemico, per il riscatto di quelle terre che natura volle fossero italiane e degli Italiani. Sino aH’ultimo giorno, con lucida mente, si fa¬ ceva leggere le notizie della nostra santa guerra; ma purtroppo non potè vedere compiuto il fatto storico che fu la più grande aspirazione della sua nobile vita. Alla famiglia la Presidenza inviò un doveroso telegramma di condoglianza.

La Presidenza inviò anche, in nome della Società, un tele¬ gramma al consocio prof. Sacco, per la perdita del figlio Mario, Capitano di Artiglieria, caduto eroicamente al Monte S. Mi-

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

XXVII

chele. Al telegramma il prof. Sacco rispose con una nobile let¬ tera, della quale il Presidente lettura.

Il Presidente annuncia le dimissioni da socio del dott. Bet¬ tolìi A. di Brescia, e dei fratelli sigg. Marconi PI. e P. L’As semblea, con dispiacere, ne prende atto.

Nella seduta del decembre, l’Assemblea approvò il dono alla Biblioteca Centrale Militare di una copia del nostro Bol¬ lettino. Di esso dono fu fatta consegna e la Direzione della Bi¬ blioteca inviò alla Presidenza una sentita lettera di ringrazia¬ mento.

La Presidenza curò anche il pagamento di lire 500 alla Croce Rossa Italiana, per la iscrizione della Società Geologica a socia a vita e per il contributo alla fondazione di 5 letti.

Il Presidente notizia di provvedimenti presi ed appro¬ vati dal Consiglio direttivo per la stampa del Bollettino, stante l’aumento del 15 °/0 accordato dairUfficio di Presidenza alla Ti¬ pografìa in considerazione delle attuali condizioni del mercato. Per tale motivo si deliberò di ridurre, temporaneamente, da 4 a 3 i fogli di stampa concessi a ciascun socio; e, quanto alle illu¬ strazioni, il concorso della Società sarà limitato a */3 della spesa per due tavole semplici, secondo la tariffa della ditta Calzolari e Ferrano di Milano, escludendo le carte a colori. I clichés sa¬ ranno pagati per intiero sino a 10 lire e a V3 per cifre maggiori, sino al medesimo limite delle tavole.

Il Presidente informa che il Consiglio, valendosi della fa¬ coltà di limitare la vendita dei volumi del Bollettino sociale, ridotti ad un esiguo numero di copie, agli acquisitori dell’in¬ tiera collezione ed ai Soci che richiedessero la serie completa dei volumi pubblicati prima del loro ingresso nella Società (v. Resoc. adun. del 10 settembre 1913 a Sulmona), ha delibe¬ rato che non siano più venduti separatamente i volumi XXVIII, XXIX, XXX e XXXI.

Aggiunge che anzi per aumentare lo scarso numero di copie disponibili della serie completa del Bollettino e ciò tanto nell’interesse della sua diffusione quanto degli studiosi che ne faranno ricerca il Consiglio propone di autorizzare il nostro Archivista a compiere le opportune pratiche per far riavere alla Società qualche copia di detti volumi sia mediante acquisti, sia,

XXVIII

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

preferibilmente, mediante cambi coi volumi delle prime annate delle quali si ha un numero molto maggiore che non delle successive.

L’Assemblea approva.

Pervennero alla Società i seguenti omaggi:

Cacciamali G. B., Le Terre della nostra Guerra , Brescia. 1915.

D’ Erasmo G., La fauna e l'età dei calcari a ittioliti di Pietraroia, con 13 tav. e 35 tig. intercalate, Pisa, 1915.

Meli R., Relazione delle escursioni tecnico-geologiche eseguite nel 1915 con gli allievi ingegneri della R. Scuola di applicazione di Roma , Ro¬ ma, 1916.

Ministero di Agr., Ind. e Comm., Il Bonificamento dell’ Agro Romano , con 63 incisioni e 9 tavole. Roma, 1815.

Agamennone G., Il recente terremoto nella Morsica e gli strumenti si¬ smici , Roma, 1915.

Bassani Fr., La ittiofauna della pietra leccese ( Terra d’ Otranto), Na¬ poli, 1915.

Craveri M., Considerazioni geo-agronomiche e idrologiche sopra alcuni lembi diluviali fra Piossasco e Pinerolo, Parma, 1915.

Crema C., Osservazioni geologiche nei dintorni di Cagnano Varano ( Monte Gargano ), Roma, 1915.

Day A. L., Annua l report of thè Director of thè Geophysical iMboratory , Carnegie institntion of Washington, 1914.

Heim Alb., Die horizontalen Transversalverschiebungen im Juragebirge, Ziirich, 1915.

Millosevich F., Sulla presenza di una breccia ossifera quaternaria nelle Formiche di Grosseto, Roma, 1914.

Su alcune rocce della , Terra del fuoco : I. Rocce eruttive, II. Schisti

cristallini, Roma, 1915.

Platania G., Le recenti eruzioni dell’Etna, Roma, 1915.

Organizzazione internazionale q>er lo studio dei Vulcani, Roma, 1915.

Su l’emanazione di anidride carbonica nel fianco orientale dell’Etna,

Acireale, 1914.

Marmitte dei Giganti di erosione marina , Roma, 1915.

Sul periodo sismico del maggio 1914 nella regione orientale dell’Etna,

Acireale, 1915.

Tschirwinsky Pet., Ein Versiteli der Anwendung des Avogadroschen Gesetzes auf irdische Gesteine und Meteoriten , Nowotscherkassk, 1915.

Mikros Icopische und chemische Untersuchung einiger Sedimentgesteine

der Kreide- und Tertiàr- formationen aus der Umgegend der Stadt Wolsle, Gouv. Saratow , Nowotscherkassk, 1915.

Mikroslcopische Untersuchung eines Meteorsteins aus dem Dorfe Retschlci

bei Belopolje des Kreises Sumy Gouv. Charkow. Kiew, 1915.

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

XXIX

Tschirwinsky P. N. unii Orlow N. A., Zur Mineralogie cles Kaukasus und der Krirn , Juriow, 1914 (1915).

Verri A., Carta geologica di Roma, pubblicata dal R. Ufficio Geologico, Novara, 1915.

Washington H. S., The analcite basalts of Sardinia , Washington, 1915.

Contribution to Sardinian petrography : I. The roclcs of [Monte ferra,

Washington, 1915.

The calculation of Caldani Orthosilicate in thè Norm of Igneous

Roclcs, Washington, 1915.

Washington H. S. and Merwin H. E., Nephelite crystals from Monte ferra, Sardinia, Washington, 1915.

Wassiliew W., Die Phosphoritablagerungen beim Dorf Malo-Nesivjetai, Tcherkassk- Distrikt im Dongebiet , Nowotscherkassk, 1914 (1915).

III. Nuovi Soci. Il Consiglio ha approvato, e l’Assem¬ blea ratifica la iscrizione nell’albo dei Soci dei signori :

Blengino ing. Andrea, Sassari; presentato dai soci Aichino e Taricco.

Cozzaglio prof. Arturo, Brescia; presentato dai soci Zarnara e Caccia mali ;

Giusti dott. Pietro, Riardo (Caserta) ; presentato dai soci Craveri e Neviani;

Malvano Giorgio, Torino; presentato dai soci Parona e Zuffardi.

Serra prof. Aurelio, Sassari; presentato dai soci Millosevich e Neviani.

IV. Bilanci. Il Presidente rammenta che copia dei bi¬ lanci consuntivi 1915 e preventivi 1916 per la Società e per l’Amministrazione del legato Molon, fu distribuita a ciascuno dei soci unitamente all’invito per la presente adunanza. Tali bilanci furono approvati dal Consiglio direttivo, con questa sola variante, cioè del prelevamento dei residui attivi di L. 90, ed iscrizione in apposito capitolo Vili ter, delle spese, di eguale somma, per far fronte alle spese postali per l’invio all’estero, a tempo opportuno, delle copie del Bollettino del 1914 e 1915 trattenute a causa della guerra; tale prelevamento dai residui attivi, ha lo scopo di non far gravare la spesa sul bilancio effettivo dell’anno corrente, essendo essa già stata regolarmente stanziata negli anni precedenti. L’Assemblea approva i Bi-

XXX

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

lanci preventivi della Società e dell’Amministrazione del legato Molon, con la variante ora proposta; come dai seguenti pro¬ spetti.

SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA

Preventivo e Consuntivo 1915 Preventivo 19 1G.

Cap.

19 15

19 16

Entrate

Preventivo

Consuntivo

Preventivo

I

Tasse sociali .

L.

3200

3780

3200

II

Interessi Legato Molon . . .

»

297

50

297

50

297

50

III

» diversi .

y>

800

931

850

fclV

Vendita di Bollettini . . .

y>

100

236

20

100

Y

Sussidio del Ministero A. I. C.

»

500

500

500

VI

Vendita distintivi sociali . .

»

9

9

9

VII

Prelevamento dai residui attivi

»

500

500

590

L.

5406

50

6253

70

5546

50

Cassa al gennaio 1915 . .

L.

4096

04

L.

10349

74

Spese nel 1914 .

y>

4711

43

Cassa al gennaio 1916 1 . .

L.

5638

31

1 Per deliberazione del Consiglio si è investito parte di questo residuo in titoli dello Stato (3000 lire di Rendita e 1000 lire del Prestito nazionale): rimane così una somma liquida di L. 2068,21.

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

XXXI

Cap

19 15

19 16

I

Spese

Preventivo

Consuntivo

Preventivo

I

Stampa Bollettino . . . . .

L.

3000

2829

30

3000

_

II

Contributo illustrazioni . . .

»

800

736

49

800

III

Spese postali .

»

350

258

24

350

IV

» di cancelleria ....

»

150

164

25

150

vi

Tassa di manomorta . . . .

»

44

55

44

55

52

45

VI

Rimborso spese viaggi Segre-

tario e Tesoriere ....

»

100

100

VII

Aiuti al Segretario . . . .

»

50

25

50

Vili

Spesa straordinaria per la Bi-

blioteca .

»

500

500

Vili bis

Contributo alla Croce Rossa .

»

500

Vili ter

Spedizione all’estero di bollet-

tini arretrati .

»

90

IX

Eventuali .

»

411

95

153

60

454

05

L.

5406

50

4711

1

43;

5546

50

Il Tesoriere: Ing. Giovanni Aichino.

Amministrazione del Legato Molo».

Consuntivo

Preventivo

1915

1916

Interessi rendita . L

595

595

In cassa al gennaio . »

514

38

1079

75

L.

1109

38

1674

75

Tassa di manomorta . »

29

63

29

63

In cassa al 31 dicembre . L.

1079

75

1645

12

Il Tesoriere: Ing. Giovanni Aichino.

XXXII

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

Y. Si deve procedere alla nomina dei revisori per i bilanci consuntivi del 1915. Nello scorso anno assolsero, con molta di¬ ligenza, l’incarico i soci Clerici E., Mazzetti L. e Rosati A. ; perciò il Presidente propone che essi vengano riconfermati per acclamazione.

L’Assemblea ne approva la nomina applaudendo.

VI. Come di consueto, il Presidente dovrebbe fare all’As¬ semblea proposte circa il tempo ed il luogo per la riunione estiva; ma lo stato di guerra nel quale ci troviamo lo impe¬ disce. Resta perciò inteso che il Presidente è incaricato di pren¬ dere al riguardo tutte quelle deliberazioni che crederà più op¬ portune.

VII. Comunicazioni scientifiche. Essendo presenti alcuni membri della Società per il Progresso delle Scienze, il Presi¬ dente prega il prof. C. De Stefani di assumere la Presidenza della Assemblea, affinchè i soci possano presentare le loro co¬ municazioni.

Il prof. Platani a G. parla sopra recenti eruzioni dello Strom¬ boli e del modo di avanzarsi delle lave nel mare, presentando numerose fotografìe.

11 medesimo socio comunica ancora alcune sue osservazioni sopra fenditure avvenute nella lava del territorio di Limerà in seguito a terremoto.

Il dott. Del Zanna P. intrattiene l’Assemblea sul seguente argomento : II fattore geografico nel problema meridionale.

Ringraziati i soci suddetti il Presidente ing. Novarese la parola ai soci della Società Geologica per alcune comunicazioni.

Il socio Meli presenta un saggio di arenaria racchiudente monete di rame, trovato nell’alveo del Tevere, a valle di ponte Sisto, nei lavori di fondazione del muraglione del Lungo-Te- vere Raffaello Sanzio (v. Appendice).

Lo stesso ing. Meli presenta ancora alcuni fossili (animali e vegetali) compresi nei tufi vulcanici della sponda destra della vallata del Sacco sotto Gavignano (v. Appendice).

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

XXXIII

Il socio Checchia-Rispoli G. riassume le seguenti due brevi note: Per la conoscenza del fenomeno carsico nel Gargano : Terzo contributo e Osservazioni geologiche sul V Appennino della Ca¬ pitanata: Parte Quarta (v. Memoria).

11 dctt. G. Checchia-Rispoli nel riferire sulla precedente Nota, presenta un certo numero di campioni di un calcare gri¬ gio, proveniente dalla formazione eocenica dei dintorni di Ro¬ seto Valfortore nella provincia di Foggia. Egli mette in rilievo in modo particolare la grande importanza di alcuni di questi campioni, i quali, sulla superficie di stacco, mostrano una quali tità di Foraminiferi appartenenti ai generi Alveolina, Nummu- lites, Assilina , Orthophragmina, Lepidocyclina, ecc., ben distin¬ guibili specificamente e che si trovano associati insieme nei sin¬ goli frammenti di roccia.

Uno di questi mostra l’associazione di Nummulites Partschi de la H. (A;, N. atacicus Leym. (A), N. millecaput Bonb. (A), Assilina spira de R. (A), Orthophragmina dispansa J. de Sow., 0. ephippium Schith., 0. Di-Stefanoi Ch.-Risp., con Lepido¬ cyclina infleoca Ch.-Risp., L. apida Ch.-Risp., ecc.

In un altro campione sono associati Nummulites millecaput Boub. (A), Assilina spira de Roiss. (A), Orthophragmina ephip¬ pium Schith., 0. Di-Stefanoi Ch.-Risp. e Lepidocyclina Morgani Lem. et Douv. (B), mentre in un altro si nota 1 ’associazione di Alveolina milium Bosc, Nummulites variolarius Lmk. (A), Ortho¬ phragmina sp. il. con Lepidocyclina marginata Miclit. (B) ecc.

Ciascuna di queste specie quasi sempre rappresentata da parecchi esemplari di differenti dimensioni; e questi, oltre ad essere ottimamente conservati, hanno anche lo stesso colorito della roccia e lo stesso modo di fossilizzazione.

Il Checchia-Rispoli aggiunge che i vari pezzi di calcare, che egli mostra, furono tutti ricavati da un unico blocco, che era intercalato nelle argille scagliose eoceniche dei dintorni di Roseto Valfortore. La fauna raccolta comprende oltre 30 specie di Foraminiferi tutti noti (v. oltre elenco in questo stesso Bol¬ lettino), fra i quali potè determinare anche varie Orbitoides s. str. e la Miogypsina complanata Schlumb., ora per la prima volta indicata nell’Eocene. Lo studio della fauna permette di

XXXIV

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

riferire quelle argille all’Auversiano, piano compreso tra l’Eocene medio ed il superiore.

Il dott. Checchia-Rispoli mostra anche un campione di una brecciuola nummulitica affidatagli in istudio dal sig. Ing. B. Lotti e raccolto or è qualche anno dal prof. Giovanni Di-Stefano negli scisti marnosi di color rossiccio di M. Murlo nell’Umbria, di già giustamente attribuiti dal Lotti all’Eocene superiore. Dal pezzo in esame egli ha potuto ricavare molti esemplari di nummuliti, di cui le più importanti sono: Nummulites distans Desb. (A), N. latispira Savi e Mengh., N. JBeaumonti d’Arch. (A), N. cfr. gassinensis Prev., N. Fabiani Prev., ecc.; di ortofragmine tra cui Orthophragmina scalaris Schlumb., 0. aspera Gtìmb., nonché numerose Lepidocgclina (Lep. Morgani Lem. et Douv., Lep. J off rei Lem. et Douv., ecc.).

Il Checchia-Rispoli comunica inoltre che egli sta studiando un ricco materiale proveniente da una formazione eocenica della provincia di Avellino, e che ha rinvenuto, insieme a forme eo¬ ceniche già note, numerose Orbitoides s. str.

Tutto questo materiale è stato quasi completamente illu¬ strato in un lavoro a parte, che vedrà la luce quanto prima.

Ora chi sia bene addentro nella questione della distribu¬ zione geologica delle Orbitoidi deve necessariamente ricono¬ scere l’importanza dei fatti suesposti, i quali trovano perfetto riscontro nei numerosi altri verificati in Sicilia da circa un decennio. Questi fatti, che ogni giorno più si generalizzano, provano che tanto le Lepidocgclina che le Orbitoides s. str. e le Mioggpsina fanno incontestabilmente parte delle vere faune eoceniche.

Ma v’ha di più. Lo stesso prof. H. Douvillé, il quale più di ogni altro ha per moltissimo tempo strenuamente sostenuto che le Lepidocgclina non scendevano al di sotto dell’Aquitaniano (Miocene inferiore) e che le Orthophragmina erano esclusive del¬ l’Eocene, scrive ora che (almeno in America!) le più anti¬ che (secondo lui) Lepidocgclina si trovano anche nel Barto- niano (Eocene superiore) e le Orthophragmina anche nell’Oli¬ gocene !

Il dott. Checchia-Rispoli conclude affermando che mercè i dati di fatto acquisiti alla scienza, dopo personali e lunghe os-

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

XXXV

servazioni e minute ricerche, si può oramai ritenere che i vari gruppi di Orbitoides, come da oltre un decennio ha sempre re¬ cisamente sostenuto, non hanno un decisivo valore per la deter¬ minazione dei terreni, e che le Lepidocyclina ne hanno meno di tutti, contrariamente a quello che alcuni avevano creduto di poter sostenere. Pertanto egli non può non compiacersi di veder confermato ogni giorno più dai fatti ciò che, insieme col prof. Di- Stefano, egli ha sempre scritto circa la diffusione geologica delle Orbitoidi. Questa distribuzione era d’altronde necessaria di co¬ noscere bene per la esatta determinazione dei terreni del Ter¬ ziario antico.

Il socio ing. B. Lotti fa osservare che la coesistenza, constatata dal Dott. Checchia di lepidocicline e di nummu- liti nelle rocce eoceniche della Capitanata ed in alcune del¬ l’Umbria da lui esaminate, era stata già riconosciuta per que- st’ultime e per altre deirAppennino settentrionale (Libro Aperto) anche dal dott. Prever che ne dette comunicazione allo stesso ing. Lotti.

Il dott. Prever però spiegava il fatto ammettendo che la presenza delle nummuliti dovesse attribuirsi ad un rimaneggia¬ mento. Dice però il Lotti che per l’Umbria la questione era già stata risoluta stratigraficamente perchè gli strati a lepidocicline, con o senza nummuliti, fanno parte di una formazione marnoso- arenacea compresa fra la zona delle argille scagliose con num¬ muliti dell’Eocene superiore e la scaglia cinerea con nummulili dei piani più bassi dell’Eocene.

Egli conclude quindi che la interessante comunicazione del dott. Checchia deve riguardarsi sopra tutto come la conferma paleontologica di ciò che la stratigrafia aveva dimostrato, cioè che le lepidocicline ed altre foraminifere, ritetute caratteristi¬ che del Miocene, allo stato attuale dei fatti e delle osserva¬ zioni non presentano un deciso valore cronologico.

Il socio ing. S. Franchi illustra la seguente comunicazione: Se V Eocene sia rappresentato nella sinclinale di Courmayeur (v. Appendice).

XXXVI

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

Vili. Terminate le comunicazioni, il segretario prof. Ne- vi ani ricorda ai presenti l’invito inserito nella circolare 23 feb¬ braio, per visitare una mostra di materiale didattico per le scuole medie, esposto nei locali del R. Liceo Tasso nei giorni 5 e 6, alle ore 9-12 e 15-17. Ripete l’invito, ed aggiunge che il domani alle ore 10 */«,, nel medesimo locale, il prof. comm. Piola, ispettore centrale al Ministero della P. I. terrà in proposito una conferenza. Lo scopo, oltreché didattico, è al¬ tamente patriottico, inquanto che si cerca con questo di orga¬ nizzare la produzione italiana, in modo da redimersi da una non inditferente importazione dall’estero.

Non essendovi altro da trattare, il Presidente, ringraziati i presenti, toglie la seduta alle ore 11,45.

Il Segretario A. Neviani.

RESOCONTO DELLA. PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

XXXVII

APPENDICE

Sopra una arenaria contemporanea , contenente monete, rinvenuta in Roma nell’ alveo del Tevere nei lavori di fondazione del muro del Lungo- Tevere Raffaello Sanzio.

Comunicazione del socio prof. R. Meli

Richiamo l’attenzione dei Soci sopra un frammento di are¬ naria, verdastra l, che presento, racchiudente numerose monete di rame, il quale fu trovato entro Roma, nell’alveo urbano del Tevere, a valle del ponte Sisto, anni indietro, durante i lavori di fondazione del muraglione del Lungo-Tevere «Raffaello San¬ zio » sulla sponda destra del fiume, precisamente ove sorgeva l’antico Politeama Romano, demolito in seguito alla costruzione del Lungo-Tevere predetto.

Il caso di roccie, assolutamente moderne, contenenti mo¬ nete, od oggetti lavorati dalla mano dell’uomo, non è nuovo, ed a tale proposito ricordo vari esempi. Ricordo, infatti, l’are¬ naria ferruginosa con due monete d’argento di Edoardo I d’Inghilterra del XIII secolo (1272), scoperta nel 1832, a Tutbury, nel letto del fiume Dove nel Derbyshire, alla pro¬ fondità di 10 piedi inglesi sotto il fondo dell’alveo. Ricordo parimenti le notizie, che leggonsi a questo proposito nell’opera di G. Mantell, Tlie wonders of geology , sixth edition, London, 1848, (ved. voi. I, pag. 82-84), di molte migliaia di monete inglesi, irlandesi e scozzesi del XIII e XIV secolo, chiuse nella predetta roccia, a cemento assai duro, ed altri esempi di con¬ glomerati, estratti dall’alveo del Tamigi, nei quali si contene¬ vano monete romane e pezzi di terre cotte. Accenno ai noti sche¬ letri umani, scoperti nello scorso secolo in una specie di pan-

1 II colore verde, che offre il campione d’arenaria, è senza dubbio dovuto a sali cupriferi, prodottisi dalla alterazione delle monete di rame, che vi sono rinserrate.

XXXVIII

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

china conchigliare della Guadalupa1; non che alle concrezioni sabbio-ferruginose, attuali, da me raccolte sul bordo del mare Tirreno, nel tratto di spiaggia tra Capo d’Anzio e Astura. (Meli R., Escursione geologica sul littorale di Nettuno. Nel Bollett. d. Soc. Geol. Ital, voi. XXI li, 1904, fase. l,pag. xxxix-xl).

Da ultimo ricordo la stipe votiva, ricca di 4600 monete di vario conio e metallo (4 di oro, 256 di argento e il rimanente di rame

1 Ctli scheletri umani, rinvenuti nell’isola della Guadalupa nelle An- tille, in una arenaria marina conchigliare, sono due. Il primo è conser¬ vato nel Museo di Storia naturale a Parigi, e il secondo, mancante della testa, è nel British Museum, mentre la testa trovasi nella collezione del Collegio medico a Charleston (Carolina del Sud).

L’agglutinazione delle sabbie e dei detriti di conchiglie per effetto delle acque marine si produce rapidamente, specie nei mari tropicali, come quello delle Antille, donde provengono gli scheletri suddetti.

Per una figura di uno di questi scheletri umani e del conglomerato con le monete di Edoardo I, vedasi l’opera di Dana D. James, Marmai of Geology. . . with special reference to american geological history. Tliird edition, New York, 1880, pag. 580, tìg. 955 e 956, e la sopracitata opera di G. A. Munteli, The wonders of Geology , sixth edition, London, 1848, voi. I, pag. 86-90 (Fossil human skeletons) e fig. 11, 12. Sul fronti¬ spizio del voi. si trova una figura indicante il conglomerato ferrugi¬ noso colle monete d’argento di Edoardo I, trovato nel 1832 nel letto del fiume Dove. Su questo ultimo ritrovamento leggasi la cit. opera di Mantell, voi. I, pag. 82-84, e il giornale Tlie Penny Magatine, November 1834.

Lo scheletro, conservato a Parigi, fu fatto estrarre dal generale Don- zelot. È figurato nell’Atlante annesso all’opera classica di G. Cuvier, Re- cherches sur les ossements fossiles , quatrième edition, 1834, tav. I. La figura di questo scheletro è pure riportata nella tav. I della traduzione italiana (ben poco interessante per l’erronea critica della scienza geologica) fatta da Ignazio Paradisi, Discorso del signor barone Cuvier su le rivoluzioni del globo. Traduzione e note. Firenze, N. Conti, 1828, volumi 2 in 8°, con tav. (Ved. voi. I, pag. 147-149, 206-207, ove si parla degli scheletri umani).

La figura dello scheletro umano, data dal Cuvier nell’opera anzidetta, è riprodotta nell’articolo « L’ Arcipelago delle catastrofi » ricco di interes¬ santi figure, scritto da Isidoro Baroni e stampato nel periodico « Il Se¬ colo XX » Anno I, n. Ili, agosto 1902, pag. 211-227 (Ved. fig. nell'alto della pag. 217 ).

L’altro scheletro, conservato nel British Museum, fu rinvenuto nel 1805 e venne descritto da Koenig ( Philosophical transactions, 1814). Ne parla Cuvier nel Discours sur les révolutions de la surface du globe, in Recherches s. I. ossem. foss. (ediz. cit.) tom. I, parte Ia, note a piedi delle pag. 213-215.

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

XXXIX

di bronzo), e dell’epoca da Nerone ad Onorio, e di altri oggetti, trovata entro un fango argilloso, nerastro, sotto del quale si rin¬ venne uno strato, formato da scheggie e rottami di roccie, so¬ pratutto di arenaria, cementati e formanti una specie di con¬ glomerato, scoperta nel fondo del canale romano di scolo nelle sorgenti termali di Bourbonne-les-Bains nell’Alta Marna In¬ torno questi ritrovamenti Daubrée fece cinque successive comu¬ nicazioni all’Accademia delle Scienze di Parigi.

Queste comunicazioni sono assai interessanti e portano i ti¬ toli seguenti :

1. Daubrée E., Sur la formation contemporaine , dans la source thermale de Bourbonne-les-Bains (Haute- Marne), de di- verses espèces minérales cristallisées, notamment du cuivre gris antimonial (tétraédrite), de la pyrite de cuivre ( chalkopyrite ), du cuivre panaché (phillipsite) et du cuivre sulfuré (chalkosine). Nei Comptes-rendus hebdomadaires d. Séances de V Académie des Sciences, toni. LXXX, janvier-juin 1875, pag. 461-469.

2. Formation contemporaine dans la source thermale de Bourbonne-les-Bains (Haute-Marne) de diverses espèces mine'¬ rales, galène, anglesite, pyrite et silicates de la famille des zéo-

1 Bourbonne-les-Bains (l'antico Verdona castrum , o Borbonia ) è nel dipartimento dell’Alta Marna, a 39 km. a N.-E. di Langres. Le sue sor¬ genti (Aquae Borvonis ) saline, clorurate, sono calde, avendo una tempe¬ ratura da 66° a 67°, secondo James (James Constali tin, Guide pratique aux eaux minérales, aux bains de mer, etc., onzième édition, pag. 140; ma nella huitième édition, Paris, 1872, pag. 139 è segnata la tempera¬ tura da 63° a 65°). Le sorgenti termo-minerali sono 4, cioè: la Fontaine- chaude, o Matrelle; le Puisard Bomain; la sorgente deH'Hópital mili- taire, ed altra nel cortile della caserma dello stesso Ospedale. Le analisi chimiche di queste acque furono eseguite da Pressoir, Mialhe e Figuier.

È nella sorgente Puisard-romain, che venne rinvenuta la stipe vo¬ tiva di epoca romana, di cui parla Daubrée.

Intorno queste sorgenti termo-minerali, conosco una pubblicazione di Hubert Jacob, Traité des adtnirables vertus des eaux de Bourbonne , Lyon, 1570, in 8.° In seguito ne scrissero: Juy (1738); Calmet (1748); Athan (1826); Magnin (1844); Greppo (1846); Bougard (1862); Dott. Cau- sard ( Bourbonne et ses eaux minérales , in 8°) ; Bougard ( Bibliotheca Bor- boniensis, ou essai de bibliographie et d’histoire , Paris, 1865, in 8°). Yed. anche: La Grande Encyclopédie, Paris, Lamirault et C.ifi, in 4°, tom. VII» pag. 729-730.

XL

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

lithes , notamment la chabasie. Nei Compt. rend ., volume citato, pag. 604-607.

3. Notice complémentaire sur la formation contemporaine de minéraux par les sources thermales de Bourbonne-les- Bains ( Haute- Marne) ; production de la phosgenite. Nei Compt. rend., voi. LXXXI, juillet-décembre 1875, pag. 182-185.

4. Exemples de formation contemporaine de la pyrite de fer dans les sources thermales et dans de Veau de mer. Coni ptes- rendus cit., toni. LXXXI, juillet-décembre 1875, pag. 851-859. (Contiene un capitolo coll’intitolazione: « Production de la pyrite dans les substrnctions de Bourbonne-les- Bains »).

5. Minéralisation subie par des débris organiques, végétaux et animaux, dans Veau thermale de Bourbonne-les -Bains. Compt. rend., voi. LXXXI cit., pag. 1008-1011.

A queste memorie, riguardanti le acque termali di Bour- bonne-les-Bains ed i minerali da esse formate, si può aggiun¬ gere la nota di M. Chevreul, col titolo: Examen d’un bois dit « pétrifé » par du sous- carbonate de chaux, trouvé à Bour¬ bonne-les -Bains dans un puisard romain et remis à M. Che vreul par M. Daubrée. Nei Compt. rend., voi. LXXXI, 1875, sopracitato, pag. 1006-1008.

Daubrée dice che i frammenti « au lieu d’étre restcs isolés les uns des autres, étaient plus ou moins cimentés par des sub stances à éclat métallique et très-nettement cristal lisées ». Sog¬ giunge poi che i minerali metallici « se sont incontestablement produits après l’enfouissement des médailles romaines, auxquel- les ils sont associés; car ils ont incrusté et enveloppé un cer- tain nombre de ces médailles » *.

1 Sulla stipe votiva di Bourbonne-les-Bains leggasi quanto ne scrisse Michele Stefano De Rossi nella sua .comunicazione intitolata: Sopra ìa .stipe votiva di Bourbonne-les-Bains cementata da cristallizzazioni metal¬ liche contemporanee ed illustrata dal eh. prof . E. Daubrée nell' Accademia delle Scienze di Parigi, stampata negli Atti dell’Accademia pont. de’Nuovi Lincei, anno XXVIII, tomo XXVIII, sessione V, del 25 aprile 1875, pag. 421 423. Vedasi pure sullo stesso argomento: De Rossi M. Stef., negli Atti della pont. Accad., anno XXIX, sessione VII, 18 giugno 1878, pag. 519-520. Bellucci G., Rivista bibliografica paleontologica nell’Archi- vio per l’Antropologia ed Etnografia, Firenze, 1876.

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

XLI

Le monete di rame, comprese nel campione di arenaria, formatasi nell’alveo del Tevere, sono corrose erivestite da una patina verde, che non ha permesso di decifrarne il conio e quindi di poterne fissare con precisione l’epoca storica, a cui appartengono. Dalle piccole dimensioni (la maggior parte di esse ha mm. 15 di diametro) e dalla qualità del metallo (rame con pochissimo stagno in lega) potrebbero riferirsi ai bassi tempi dell’impero romano, forse ad Onorio; ma potrebbero essere an¬ che più recenti.

Dal modo come presentansi le monete, addossate le une alle altre, con disposizione tendente alla parallela, si può supporre con molta probabilità, che quando caddero nell’alveo tiberino dovevano essere chiuse, forse in una borsa qualsiasi, di tessuto, o di cuoio, la quale poi col tempo scomparve, infradiciandosi per la prolungata giacenza nell’acqua.

Evidentemente, senza la presenza delle monetine, che vi si trovano impastate, il frammento di arenaria sarebbe stato rite¬ nuto di più antica formazione geologica. Per la sua facies li¬ tologica, sembrerebbe un campione di arenaria verde del green sand, che è riferita al sistema cretaceo inferiore (Wealdiano) '.

Il campione presentato ha forma irregolare, allungata in una direzione; è spianato da una parte. Misura era. 12 in lun-

i

ghezza; ha una larghezza massima di cm. 5 ed una altezza massima di cm. 5,5. Pesa grammi 525. Il cemento, che riu¬ nisce i grani di sabbia, i cristalletti prismatici di augite, le monete, i pezzetti di calcinaccio e di terracotta, che si osser¬ vano nel campione, è assai duro e non si incide col temperino.

Il campione è di proprietà del sig. ing. Eugenio Bertino, numismatico ed appassionato collettore di monete antiche, al quale rendo grazie per avermi consegnato il campione predetto, allo scopo di poterlo mostrare ai Soci della nostra Società.

1 De Lapparent A., Tratte de geologie. Cinquième édition. Paris, Mas- son, 1906, pag. 1289 e seguenti; specialmente pag. 1330 (Weald).

in

XLIl

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

Presentazione di fossili, scoperti nei tufi vulca¬ nici della valle del Sacco, presso il molino di Ga- vignano e sopra la sorgente dell’Acqua Meo, alla base del monte di G avignano, in provincia di Roma ,

Comunicazione del socio prof. R. Meli

Presento un dente (3° molare vero della mandibola sinistra) di lihinoceros Merdài Jaeg., frammentario e rotto in 2 parti nella corona, trovato in un tufo vulcanico, compatto, peperini- forme, della valle del Sacco (sponda destra della grande val¬ lata quaternaria) presso la mola di Gavignano, a S. S-E. di Poma.

Il tufo peperiniforme della Mola di Gavignano, sulla riva de¬ stra del Sacco, è identico a quello, che forma la collina, su cui trovasi l’osteria del Capannaccio sull’opposta sponda (sinistra), distante circa 300 m. dal fabbricato del Molino. La collina è a cavaliere del piazzale della stazione ferroviaria di Anagni. Fin dal 1881, indicai nei tufi del Capannaccio resti di piante con¬ tinentali, tra le quali menzionai: rami e tronchi di Quercus; Alnus glutinosa Linn. (volgarmente Ontano); Cornus sanguinea Finn, (volgar. Sanguine); non che foglie e tronchetti di Buxus sempervirens Linn. (Yed. Meli IL, Polizie ed osservazioni sui resti organici rinvenuti nei tufi leucitici della provincia di Roma, Nel Boll. d. E. Comitato Geolog. d’Italia, voi. XII, 1881, n. 9 10, pag. 438).

Un altro campione del predetto tufo racchiude un ramo spi¬ noso di pianta, probabilmente di un Prunus , per i suoi aculei, as¬ sociato ad alcune foglioline di Buxus sempervirens Linn. Ha pure altri tronchetti di piante, compresi sempre nello stesso tufo, convertiti in carbonato di calcio. Alcuni di questi conservano benissimo la struttura delle fibre vegetali e sono del tutto ana¬ loghi, per la loro facies e conservazione, a quelli ritrovati, anni indietro, nel tufo grigio sulla via Flaminia, nella contrada « Pe¬ perino » a circa 7 km. a N. della città di Roma.

Feci rimarcare, fin dal 1881, la grande analogia, che offre per la sua facies litologica il tufo di Peperino sulla Via Fla-

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minia con quello del Capannaccio presso la stazione ferroviaria di Anagni, nella mia memoria Notizie ed osservazioni s. resti organ. rinvenuti nei tufi (meni, sopra cit. ). Vedi Boll. R. Comit. Geol., 1881, pag. 438, nota 1 a piedi della pagina.

Come è noto, i molluschi (terrestri e d’acqua dolce), le fil- liti, i tronchi e rami di vegetali, compresi in quel tufo, sca¬ vato sulla Via Flaminia, furono pubblicati nel Bollettino della nostra Società Geologica in una mia nota del 1884 e nelle me¬ morie dei Soci: E. Clerici (1887, 1888 e Rendiconti R. Accad. Lincei, 1894), G. Antonelli (1888), ecc.

Parimenti nei tufi stratificati della valle del Sacco, si rinven¬ nero negli sterri eseguiti dall’ing. Francesco Strocchi per siste¬ mare lo Stabilimento dell’Acqua Meo (una sorgente di acqua rinomata per i suoi effetti antiurici ed antilitiaci, analoga, per composizione chimica 1 2 e per le condizioni geognostiche del ba¬ cino idrico, alla celebrata acqua di Fiuggi) i seguenti fossili: un astragalo completo, un frammento di corno e due molari in¬ feriori, tutti appartenenti al genere Cervus (cfr. C. elapìius Linn.); alcuni tronchetti di piante, convertiti in carbonato di calcio 3.

1 Meli IL, Molluschi terrestri e d’acqua dolce rinvenuti nel tufo litoide della Valchetta presso Roma. Nel Bollett.. d. Soc. Geol. Ital., voi. Ili, 1884, fase. 1°, pag. 71-83.

Meli R., Sopra i molluschi terrestri e d’acqua dolce rinvenuti nel tufo vulcanico della località detta Peperino sulla via Flaminia presso Roma. Nel Boll, predetto, voi. V, 1886, pag. 489 (per il titolo del lavoro).

2 Sull’acqua Meo vedansi :

Carlinfanti E., Studio analitico sull’acqua salutare Gabinia, detta « Meo » presso Anagni e Gavignano in provincia di Roma. Nell’Archivio di Farmacologia speriment. e scienze affini, anno XI, 1912, voi. XIII.

Acqua minerale naturale « Meo » antica acqua « Gabinia », Faenza, Stab. tipo-lit. F. Lega, 1915, in-16° di pag. 31. In questo opuscolo è stampata la letteratura, che riguarda l’acqua Meo, (Ved. pag. 14).

3 La località precisa, nei cui tufi furono scavati i fossili, tanto ani¬ mali che vegetali, datimi in comunicazione dalfing. F. Strocchi, trovasi presso il piazzale dello Stabilimento dell’acqua Meo. Questa rinomata acqua, anti-litiaca, sgorga dai tuli vulcanici stratificati e trovasi proprio sul confine N-W del circondario di Fresinone, e su quello orientale E.-N.E del circondario di Velletri, in provincia di Roma.

Difatti, la stazione ferroviaria di Anagni, distante circa km. 1,5 dalla sorgente Meo, è nel territorio appartenente al circondario di Fresinone*.

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RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

Inoltre un modello di Limnaea (cfr. ovata Drap.) fu rinve¬ nuto nel medesimo tufo. Ciò prova la continentalità di quei depositi tufacei, stratificati nella vallata del Sacco, i cui mate¬ riali furono lanciati dalle bocche subaeree, durante le eruzioni dei vicini vulcani dell’antico Lazio ; i materiali piovuti nel ba¬ cino del Sacco, allo stato di ceneri vulcaniche, furono convo¬ gliati dalle alluvioni quaternarie e depositati sulle fiancate della valle, ove, consolidandosi, generarono i tufi. Questa ipotesi sulla origine dei tufi romani fu accennata dal Ferber, circa un secolo e mezzo fa, e l’ho letta nelle sue Briefe aus Walschland iiber naturlicìie Merkwurdigkeiten dieses Landes. Prag, W. Gerle, 1773, in 12°. Vedasi anche la traduzione francese « Lettres sur la Mi¬ neralogie et sur divers autres objets de Vhist nat. de V Italie. Ouvrage traduit par 31. le B. de Dietrich. Strasbourg, Bauer et Treuttel, 1776, in L

Mi riservo di consegnare il manoscritto della memoria, re¬ lativa al molare di Bhinoceros Merchi i Jaeg. ed ai fossili, sco¬ perti nei tufi della valle del Sacco, non appena mi sarò recato nuovamente sul posto per raccogliere altro materiale fossilifero, destinato allo studio e alla determinazione delle specie.

mentre il monte di Gavignano (una propaggine calcarea dei monti di Segni e della catena lepina) appartiene al circondario di Velletri. II dinne Sacco segna il contìne dei territori, appartenenti ai due circondari.

Nel territorio di Gavignano si trova un’altra sorgente, l’acqua di Gaville, sulla quale in questi ultimi decenni si ebbero parecchie pubbli¬ cazioni per le sue proprietà anti-litiache. (Egidi Giovanni, Notizie sulle proprietà terapiche dell’acqua di una fonte, detta Gaville. Atti d. Accad. pont. dei Nuovi Lincei, tomo XLII, sessione VI, 19 maggio 1889, pa¬ gine 267-270. Statuti A., Considerazioni eco., toni, cit., pag. 272-273).

La sorgente di Gaville, o Caville, che ha il medesimo bacino idrico della Meo, sgorga sulla stessa sponda del fosso dei Pilozzi, a S. della sorgente Meo, e ad una distanza orizzontale di appena m. 270. Le due sorgive hanno l’origine comune, e spicciano dagli identici banchi di tufi vulcanici, terrosi, stratificati, i cui materiali furono scaraventati dalle bocche vulcaniche dei prossimi monti del Lazio.

1 Parlando del tufo vulcanico, addossato sui fianchi dei monti cal¬ carei di Tivoli, scrive che proviene apparentemente dalle eruzioni dei vulcani vicini del Lazio, soggiungendo: «... le tuf volcanique, que les volcans voisins avoient vomì sous la forme de cendres ». (Ved. pag. 292 sul fine della pagina).

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

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Se l 'Eocene sia rappresentato nella ; sinclinale di Courmayeur .

Comunicazione del socio S. Franchi

Nei diversi lavori da me pubblicati sulla formazione di cal¬ cescisti con pietre verdi di Courmayeur, che dimostrai essere secondaria sulla base di fossili scoperti al Piccolo S. Bernardo ed al Colle della Seigne, ed avere struttura sinclinale molto evidente in mezzo a calcari e dolomie del Trias, avevo de¬ scritte le breccie, che dissi polig'eniche, ad elementi essenzial¬ mente dolomitici, intercalate nei calcescisti in molti punti, ma con particolare frequenza in una zona comprendente il M. Crani- mont, la Tète de l’Arp, ecc.

1 signori Kìlian e P. Lory, avendo notate delle breccie po¬ lig'eniche, nell’Eocene dei dintorni di Moutiers, emisero nel 1905 l’idea che pure quelle intercalate nella zona suddetta di calce¬ scisti fossero eoceniche.

In una escursione fatta dagli egregi Colleglli in mia com¬ pagnia nell’agosto 1907, essi si convinsero che queste breccie erano invece realmente secondarie, il che venne stabilito in un lavoro in comune pubblicato nel « Bull, du Service de la Carte géol. de Frauce » l.

Ma nel 1909 gli stessi Colleglli, nel comunicare l’esistenza di due tipi di breccie poligeniche al M. Nielard presso Mou¬ tiers, terminano domandandosi di nuovo se le breccie della zona Courmayeur siano veramente tutte secondarie.

A questo dubbio, che onora la scrupolosità dei signori Kilian e Lory, contrasta singolarmente la sicurezza colla quale J. Boussac, nel suo grande lavoro sul Nummulitico alpino, afferma che la que¬ stione dell’esistenza dell’Eocene nella zona di Courmayeur debba considerarsi come risolta « par la similitude des brèches qu'on y rencontre avec cellcs des environs de Moutiers » e che perciò il

1 Comptes-rendus des Collaborateurs pour la campagne de 1907.

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RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

Mesonummulitico passerebbe gradualmente a Nord dell’Isère (1. c., p. 231) ai calcescisti, che comprenderebbero perciò tutta la serie stratigrafica dal Lias al Priaboniano.

Senza volere allargare per ora la questione e discutere sulla essenza o meno di serie comprensiva della zona di Courmayeur, io mi soffermo sopra due fatti: Sulle differenze essenziali e notevoli fra le breccie giurassiche di questa zona e quelle eoce¬ niche descritte da Kilian e Lory; Sulla pertinenza a due zone sinclinali differenti e laterali, da una parte dei calcescisti anche più occidentali, distinti da M. Bertrand col nome di schistes lustrès super ieurs, e dal l’altra delle zone di Eocene di Moutiers (Carta geologica del foglio Albertville).

Kilian e Lory dicono giustamente che le breccie eoceniche sono più poligeniche; esse difatti contengono oltre ad elementi dolomitici e calcari, elementi ciottolosi di gneiss, di graniti, di roccie del carbonifero, elementi questi che non vidi mai in nessuna delle breccie della zona suddetta del Crammont, del- l’Arp, ecc.

In secondo luogo queste breccie presentansi con elementi essenzialmente dolomitici, e con spalmature o straterelii mi¬ cacei di formazione autigena, che ne mostrano il legame intimo e i passaggi ai calcescisti, carattere che non è accennato esista nelle breccie dell’Eocene.

Adunque non solo le breccie non sono identiche, molto simili, il che non sarebbe certo argomento per dedurne la eguale età, ma sono profondamente differenti, per la natura dei ciottoli e per il grado di metamorfismo.

Dai rilievi di M. Bertrand (foglio di Albertville) risulta poi che tutte le zone di Eocene a N. E. di Moutiers stanno a N. 0 della grande zona anticlinale, importantissima nella tettonica locale, che comprende la punta 2101, les Aiguilles de Mya, les Aiguilles calcaires, come confermarono recentemente Kilian e Jacob, il Mont Frety, la Montagne de la Saxe, ecc. ecc. e che si estende fin oltre il Rodano. Questa anticlinale, accompagnata in alcuni tratti importanti da frattura con ricoprimento, separa due geosinclinali giurassiche ben note e di facies differente, quella calcareo-marnosa (f. dauphinoise) a ridosso del Massiccio

RESOCONTO DELLA PRIMA ADUNANZA ORDINARIA

XLVII

del Monte Bianco, cioè a N. 0, e quella calcescistosa o piemon¬ tese o lepontinica a S. E.

1 calcescisti di questa geosinclinale non possono adunque considerarsi, per nessun riguardo, come il proseguimento delle zone eoceniche di quella geosinclinale laterale così nettamente distinta; e il proseguimento dell’Eocene di Moutiers bisognerebbe cercarlo nella zona a facies dauphinoise della valle Veni e delle valli Ferret italiana e svizzera, la quale zona è però troppo at¬ tivamente erosa per poterne presentare ancora qualche lembo. Però, oltre il Rodano, l’Eocene è rappresentato, tanto nella serie autoctona, ricoprente l’estremità N. E. del Massiccio del M. Bianco, quanto nelle due falde di terreni secondari a « faciès dauphinoise » della « Dent de Morcles » e dei « Diablerets »; la quale ultima sembra legata alla zona radicale delle Valli Ferret e di Val Veni.

FRANCESCO BASSANI

COMMEMORAZIONE

« L’anima umana

Somiglia a l’acqua:

Dal cielo scende,

Al ciel risorge,

E giù di nuovo Torna alla terra,

Sempre mutando ».

G. De Lorenzo, trad. da Goethe, 1902.

Può sembrare irriverenza o audacia che di Francesco Bassani parli l’ultimo dei suoi prediletti allievi, che a Lui deve tutto l’indirizzo dei suoi studi e che da Lui attendeva ancora guida, suggerimenti, consigli per l’avvenire: irriverenza, per l’affetto profondo di figlio che, legandolo al benedetto Estinto, non con¬ sente una ordinata e serena esposizione della lunga e feconda sua opera scientifica; audacia, per le gravi difficoltà che lo sco¬ laro, giovane d’anni e di scienza, necessariamente avverte nel mettere in rilievo i risultati e l’importanza di oltre quarantanni di ricerche del proprio Maestro. Ho accettato tuttavia con animo grato il gentile invito del chiarissimo nostro segretario di pre¬ pararne un cenno necrologico per la Società Geologica Italiana, perchè questo atto di omaggio alla memoria di Francesco Bas¬ sani era per me divenuto un vivo bisogno del cuore, sopratutto in seguito alla recente sciagura che, tenendomi lontano per la improvvisa e contemporanea perdita dell’adorato babbo, mi vie¬ tava di portare l’ultimo tributo di affetto a Colui ch’ero orgo¬ glioso di venerare come un mio secondo padre. E non meno doveroso per la Società Geologica è consacrare nelle sue migliori pagine il ricordo di chi, nel corso di lunghi anni, seppe rendersene tanto benemerito: socio fondatore, vice-segretario, presidente,

IV

L

COMMEMORAZIONE

più volte consigliere e commissario per i concorsi Molon, Egli portò sempre l’efficace contributo del suo consiglio autorevole e della sua mente illuminata e serena. Nel 1898, in qualità di presidente, diresse le adunanze tenute dalla nostra Società a Napoli e le interessanti escursioni nelle isole Pontine (con la speciale guida del Sabatini), nei Campi Flegrei e al Vesuvio; e organizzò il riuscitissimo convegno a Lagonegro, ove, con l’aiuto del De Lorenzo, allora suo discepolo amatissimo, Egli potò far ammirare ai congressisti le maestose montagne boscose della Basilicata, fra le più belle e le più sconosciute dell’Italia meridionale.

La trepidanza con cui adempio al mesto ufficio, dovuta alla sicurezza di non potergli rendere un omaggio corrispondente ai suoi meriti, è vinta solo in parte dalla speranza di sciogliere in tal modo un debito di gratitudine verso di Lui.

*

* *

Francesco Bassani, figlio di Antonio e di Anna Brolis, nacque a Tliiene, in provincia di Vicenza, il 29 ottobre 1853. Non con¬ tava dunque ancora 63 anni, sebbene ne dimostrasse assai più, tanto negli ultimi tempi le conseguenze di lungo e insidioso male e le diuturne fatiche dell’insegnamento e dell’indagine scientifica, a cui non volle mai sottrarsi, ne avevano consunta la fibra e reso sofferente l’aspetto. L’organismo fino a pochi anni fa così baldo, dalla figura aitante ed eretta, con ampia fronte incorniciata da neri capelli, con lo sguardo vivido e aperto, con la barba nera, elegante nell’eloquio e nel gesto, pieno di espressione nella fisonomia, si struggeva miseramente.

Dal paese natio, ove insieme con altri fratelli e sorelle ebbe dai genitori sin dalla tenera età instillato il sentimento del do¬ vere fino allo scrupolo, passò alla Università di Padova per compiervi gli studi di scienze naturali, conseguendone la laurea il 2 agosto 1875 e ottenendo il diploma di magistero nell’anno successivo. Allievo di Giovanni Omboni, divenne beu presto suo assistente nel Gabinetto di Mineralogia e di Geologia di Padova, ove rimase per circa un biennio, pubblicandovi quattro

COMMEMORAZIONE

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lavori sull’ittiologia del M. Bolca e di altre località venete e coadiuvando l’altro suo maestro, prof. G. Canestrini, nella tra¬ duzione dell’opera di C. Darwin: L’espressione dei sentimenti nell’uomo e negli animali. Trovò inoltre guide sapienti e amo¬ revoli nei proff. P. A. Saccardo e G. Meneghini che, assieme ai primi due, con gli assennati consigli, con gli eccitamenti affet¬ tuosi, oltre che con i profondi insegnamenti, lo posero in grado di sostenere vittoriosamente il concorso per un posto di perfe¬ zionamento all’estero e di profittare al massimo grado' degli studi successivamente compiuti in Francia, in Austria e in Baviera.

Fu nel 1877 a Parigi, ove frequentò i corsi di Geologia del- l’Hébert, di Mineralogia del Friedel, di Batracologia vivente e fossile del Vaillant. di Embriogenià dei pesci del Balbiani, e quelli di Paleontologia generale e speciale del Bayle, del Vé- lain e dello Ziegler; e tanto nel Muse'um d’histoire naturelle, che alla Sorbonne , sotto la guida sapiente del Gaudry e del- l’Hébert, continuò di preferenza quelle ricerche sui pesci fossili di cui aveva già dato buon saggio con le riviste sugli ittioliti veneti. Con l’esame delle ricche faune del Devonico dell’Inghil¬ terra, della Scozia e della Russia, del Carbonico di Autun, del Permico di Mansfeld, del Cretaceo della Sarthe e del Monte Libano, dell’Eocene dei monti Bolca e Postale, dell’Oligocene di Aix, in Provenza, del Miocene di Gahard, in Francia, e del Pliocene di Racalmuto, in Sicilia, non solo trovò notevole ma¬ teriale per le successive pubblicazioni, ma s’appassionò ancor più ai suoi prediletti studi, nei quali il contatto con maestri come il Gaudry, il Gervais, il Sauvage e il vantaggio di im¬ mense collezioni e di fornitissime biblioteche gli facevano con ragione sperare nuovi e più importanti progressi.

Il grande profitto tratto dalla dimora a Parigi gli valse a guadagnare, nell’anno successivo, un nuovo assegno di perfe¬ zionamento. Passò quindi, nel 1878, a Vienna, ove potè assai riccamente completare la sua preparazione scientifica, studiando Geologia con Eduard Suess, Paleontologia con Melchiorre Neu- mayr, Cristallografia con A. Brezina e Osteologia comparata con C. Claus, e raccogliere nuova messe di importanti osserva¬ zioni, rivedendo l’abbondante materiale ittiolitico posseduto da

LII

COMMEMORAZIONE

quell’istituto geologico e dal Hof Museum di Storia naturale. Fu inoltre a Monaco di Baviera, nella scuola di Paleontologia di K. Zittel, e a Klausen, nelle Alpi tirolesi, col Teller. Frutto principale, ma non unico, di questi due anni di studio fu il lavoro sui pesci fossili di Lesina, pubblicato dall’Accademia delle Scienze di Vienna e premiato con medaglia d’oro dalla Società Italiana delle Scienze (detta dei XL).

Rimpatriato nell’autunno del 1879, tenne, prima come incari¬ cato e' in sèguito come reggente, la cattedra di Storia naturale nell’Istituto tecnico provinciale di Padova, e quattro anni dopo conseguì per titoli la libera docenza in Geologia nel l’Università della medesima città. Nel 1882 meritò la eleggibilità al posto di professore ordinario di Mineralogia e Geologia nell’Ateneo Modenese e nell’anno successivo vinse il concorso a titolare di Storia naturale nel R. Liceo « Cesare Beccaria » di Milano. Durante il quadriennio di sua permanenza in Lombardia insegnò pure nel Liceo comunale di Vigevano, nel R. Istituto tecnico « Carlo Cattaneo » di Milano e ottenne un posto di paleontologo presso quel Museo Civico, diretto da Antonio Stoppani di cui divenne ben presto allievo e coadiutore prediletto, svolgendo con molto plauso e numeroso concorso di pubblico un corso libero di Pa¬ leontologia.

Negli otto anni circa ch’egli dedicò all’istruzione secondaria, riportandovi speciali attestazioni di lode, approfondì con attività sempre crescente i suoi studi di ittiologia fossile e perfezionò la felicissima attitudine all’insegnamento, la cui efficacia doveva mostrarsi più tardi, nell’uditorio universitario, che soggiogava con la sua parola dotta, ornata, scientificamente precisa e nel medesimo tempo facile e piana. Con un corredo di oltre trenta pubblicazioni, con una larga preparazione nelle più difficili branche delle Scienze naturali e con un non breve tirocinio di¬ dattico, si presentò al concorso per la cattedra di Geologia nel¬ l’Università di Napoli, a cui fu chiamato nei primi mesi del 1887, come successore di Guglielmo Guiscardi, e nella quale conseguì il grado di ordinario quattro anni più tardi.

Una volta libero dalle fatiche dell’insegnamento secondario, pur rivolgendo alla scuola, della quale fece un vero apostolato, e all’incremento del Museo, di cui fu direttore, le maggiori cure

COMMEMORAZIONE

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e la più inesauribile energia, seguì la naturale inclinazione de¬ dicandosi di preferenza alle ricerche di Paleontologia, della quale ottenne pure l’incarico dell’insegnamento due anni dopo la sua venuta in Napoli. Ma non soltanto i fossili furono l’oggetto della sua instancabile attività di scienziato: se nel difficile ramo della paleoittiologia riuscì sommo per la solida preparazione e la lunga pratica, molti altri rami della geologia lo trovarono sempre osservatore pronto, semplice, nitido e preciso: conside¬ razioni tettoniche, osservazioni stratigrafìche, notizie vulcano logiche e idrologiche, ricerche paletnologiche furono da lui svolte con sobrietà, chiarezza e competenza, ogni qualvolta l’occasione lo invitava ad occuparsene. Durante trentanni di cattedra uni¬ versitaria diede alle stampe non meno di ottanta lavori, non tenendo calcolo delle varie recensioni stampate in riviste pa¬ leontologiche e dei rapporti e relazioni su lavori compiuti da Accademie, Commissioni e Sodalizi scientifici, dei quali fu più volte dotto presidente, efficace relatore o zelante segretario. L’elenco bibliografico annesso a questi cenni dimostra che dal- l’anno successivo alla laurea fino agli ultimi mesi di sua vita, cioè in un periodo di ben otto lustri, molti sono gli anni che comprendono più lavori edite soli quelli che non figurano: il 1887, forse, per le inevitabili preoccupazioni del suo concorso universitario e il conseguente disagio del cambiamento di resi¬ denza alla metà dell’anno scolastico ; e il 1902, verosimilmente per la salute già vacillante, a cui non sapeva concedere che troppo insufficienti periodi di riposo. Ma, assai più probabil¬ mente, anche in quei due anni le sue indagini scientifiche non sono state meno assidue e meno intense del solito, come è pro¬ vato dalla successiva pubblicazione, a poca distanza, di pode¬ rose monografie, la cui preparazione, frutto di pazienti ricerche e di lunghi confronti, dovè certo richiedere tempo non breve: quella sui pesci fossili di Chiavon, di 104 pagine in-4°, con 18 tavole, che gli valse, ancora manoscritta, il premio ministe¬ riale di lire tremila a vantaggio degl’insegnanti delle scuole se¬ condarie, per deliberazione della li. Accademia dei Lincei ; e l’altra sulla ittiofauna delle argille plioceniche di Taranto e di Nardo, di 58 pagine in-4", con 3 tavole.

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COMMEMORAZIONE

Una produzione così vasta merita un esame ordinato, anche se breve; è perciò che dirò prima delle memorie di argomento vario, e poi di quelle d’ittiologia fossile.

Assai interessanti per la conoscenza geologica di località poco note o discusse dell’Italia meridionale sono le osservazioni, prin¬ cipalmente d’indole stratigrafica, sopra II calcare a Nerinee di Pignataro Maggiore in provincia di Caserta [1890], sui Marmi e calcare litografico di Pietraroia (provincia di Benevento) [1892], e quelle Per la geologia della penisola di Sorrento [1893] e su II Monte Consolino di Stilo [1893]. Nella prima, cor¬ reggendo precedenti riferimenti cronologici erronei, il Bassani riuscì a stabilire, in base ad analogie litologiche e tettoniche, la contemporaneità dei sedimenti di diverse regioni dell’ Appen¬ nino campano, e precisamente delle provincie di Napoli, di Sa¬ lerno e di Caserta, dandone un chiaro quadro comparativo e riferendoli tutti all’Infracretacico. La seconda contribuì effica¬ cemente alla conoscenza di materiali utili del Beneventano, e cioè dei calcari litografici di Pietraroia e dei marmi brecciati policromi del Palumbaro e di Pesco liosito, suscettibili di bel pulimento e quindi di vantaggiosa applicabilità industriale. No¬ tevole è pure in questa memoria l’affermazione intuitiva, avva¬ lorata dai moderni studi sulle ittiofaune, che il giacimento a pesci di Pietraroia è coevo di quello di Capo d’Orlando presso Castellammare di Stabia. Nella terza, fatta in collaborazione col De Lorenzo, è nitidamente esposta la costituzione geologica, prevalentemente dolomitica, dei monti che nella penisola sor¬ rentina da Corpo di Cava vanno al Colle della Vigna, prolun¬ gandosi a sud del M. Pertuso fino al golfo di Salerno. La quarta, pure di Bassani e De Lorenzo, fu scritta in seguito ad una escursione compiuta in Calabria, per incarico dell’Accademia delle Scienze di Napoli, allo scopo di ricercare i trilobiti negli scisti argilloso-micacei di Pazzano e di poterne fissare l’età devonica, fondata esclusivamente su di uno scudo cefalico di Phacops (Trimerocephalus) sp., rinvenuto molti anni or sono dal Montagna. Se disgraziatamente tutte le indagini riuscirono in¬ fruttuose, ad onta degli accurati scavi fatti eseguire in molti punti di quella regione, gli autori ne trassero partito per far

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conoscere le varie ed interessanti formazioni che costituiscono la grande e pittoresca massa del M. Consolino presso Stilo.

La lunga dimora a Napoli, nella terra più classica del vul¬ canismo, non poteva lasciarlo spettatore indifferente delle diverse manifestazioni dell’attività endogena, ma spesso lo indusse a rac¬ cogliere dati, informazioni e osservazioni sulla regione vesuviana e flegrea. I)i questo ramo di ricerche fanno parte le Memorie sull’eruzione del Vesuvio dell’aprile 1906 e sui vetri forati di Ottaiano, della stessa epoca, scritte con la collaborazione del Gfaldieri, allora suo coadiutore. Pur non essendo una relazione particolareggiata di tutti i fenomeni di quella importante fase eruttiva, esse riferiscono il risultato di osservazioni fatte in nu¬ merose escursioni sul vulcano, fra cui specialmente interessanti, anche per le discussioni a cui diedero origine con la varia in¬ terpretazione, sono quelle sui piccoli fori netti, a contorno pres¬ soché circolare o ellittico, prodotti nella maggior parte dei vetri delle case di Ottaiano nella notte dell’8 aprile 1906. Mentre i predetti autori infatti li ritennero causati da « projetti dotati di grande velocità e cadenti obliquamente per azione del vento », altri ammisero che la loro origine fosse dovuta al « frantuma- mento di pietre cozzanti fra loro o a fenomeni di rimbalzo » [Baratta], o ad « azioni elettriche » [De Luise], oppure al sem¬ plice urto del vento fortissimo [Galli], o ancora li dissero pro¬ dotti « da un insieme assai numeroso di piccolissimi proiettili che vennero a colpire una certa regione della lastra con la stessa intensità in tutti i punti, avvicinandosi un po’ alle con¬ dizioni del perforatore meccanico» [Sabatini]. Questa discussione, che trovò un’eco anche nella sezione di Mineralogia e Geologia del Congresso dei naturalisti italiani in Milano (settembre 1906), diede modo al Bassani e al Galdieri di ritornare sull’argomento in una nota successiva e di ribattere tutte queste ipotesi, dimo¬ strando quella da essi primieramente emessa come la più vero¬ simile e la più probabile.

Anche i principali segui dell’attività della Solfatara di Poz¬ zuoli furono dal Bassani seguiti con amorosa cura, avendo egli in tre Note diverse registrato la formazione di nuove bocche sul fondo di quel cratere semi-attivo, nel 1898, nel 1907 e nel 1913. Se il fenomeno, non nuovo, ha per stesso lieve importanza,

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COMMEMORAZIONE

essendo essenzialmente dovuto all’aumento della emissione del vapor d’acqua in rapporto con l’abbondanza invernale delle pre¬ cipitazioni atmosferiche, non è per questo meno interessante con¬ tribuire alla conoscenza di manifestazioni che dovrebbero essere seguite metodicamente e frequentemente; anzi il Bassani, dap prima solo e successivamente col Chistoni, sostenne la oppor tunità di uno studio sistematico della Solfatara e dei lenti movimenti del suolo presso il Serapeo di Pozzuoli, suggerendo i mezzi più opportuni per attuarlo.

Fu relatore della Commissione incaricata di proporre il ri medio più opportuno per eliminare i danni derivanti all’Osser¬ vatorio vesuviano dalla ferrovia elettrica, propugnandone la tra¬ sformazione mediante l’adozione delle correnti alternate; e fece parte di quelle, sorte per iniziativa dell’Istituto d’incoraggia¬ mento di Napoli, che esaminarono le conseguenze arrecate alle campagne e alle culture agrarie dalla eruzione vesuviana del¬ l’aprile 1906, e che contribuirono, dopo il violento terremoto calabro-messinese del 28 dicembre 1908, con la ricerca delle norme edilizie per le regioni sismiche, a risolvere il problema della riedificazione delle città, in modo che presentino la mag¬ giore resistenza possibile alle scosse sismiche future.

Come si vede, il geologo non tralasciava alcuno dei più im¬ portanti fenomeni dell’incantevole plaga che lo vide per tren- t’anni dotto maestro e lavoratore instancabile: così, quando nel 1907 comparve in modo singolare la sorgente minerale di Valle di Pompei, con getto ad innalzamento ritmico, egli ne indagò, in collaborazione col Galdieri, le condizioni geologiche, dando un’ingegnosa interpretazione dell’interessante fenomeno; ed allor¬ ché, nel 1910, per l’interessamento del prof. Pigorini, la Società italiana per il progresso delle Scienze volle profittare del Con¬ gresso di Napoli per provare con nuove ricerche la contempo¬ raneità o meno dell’uomo preistorico di Capri con i grandi mam¬ miferi plistocenici, questione già lungamente dibattuta in vane polemiche di scienziati, Bassani e Galdieri diressero con esito assai felice i nuovi scavi, assodando col controllo dei congres¬ sisti il vero stato di fatto.

Eppure può dirsi che tutti questi lavori non furono che brevi distrazioni alla sua costante attività di appassionato pa-

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leontologo: Francesco Bassani era nato per lo studio dei fos¬ sili, al quale si dedicò sempre con inesaurabile ardore, con gio vanile energia e con costante entusiasmo e in cui seppe trovar ristoro ai mali che travagliarono gli ultimi anni di sua vita. Per facilitarne l’isolamento dalla roccia che li racchiude, spe¬ cialmente quando questa è molto compatta, ideò un congegno semplice e pratico che ha reso e rende buoni servigi nel Galli netto geologico di Napoli.

Trattò, fra l’altro, di molluschi, di crostacei odi rettili nei lavori sui fossili triassici di Degna, in Friuli, di Mercato S. Se¬ verino, in provincia di Salerno, e di Besano, in Lombardia: quest’ultimo, compiuto dall’Autore mentre era al Museo Civico di Milano, è sopratutto importante per la descrizione del nuovo genere di Pterosauri Tribélesodon. Ad avanzi di mammiferi si riferiscono invece la Nota sulle sabbie gialle di Salsomaggiore, stampata nel 1884, e la Memoria Sopra un delfinorinco dei calcare miocenico di Lecce, pubblicata dall’Accademia dei Lincei nel 1912.

Tralasciando gli scritti minori su argomenti vari e le necro¬ logie, tutti gli altri lavori oltre cinquanta riguardano ittio- liti. Come ben disse il prof. Parona nella efficace commemora¬ zione letta alla R. Accademia delle Scienze di Torino « è una ben lunga serie di lavori, dei quali meglio si apprezza l’impor¬ tanza e il merito quando se ne consideri l’insieme, che ci si presenta come il risultato dello studio coordinato, descrittivo e critico, della fauna ittiologica italiana nel suo sviluppo evolu¬ tivo attraverso l’enorme spazio di tempo dal Trias al periodo recente ed attuale ». In conseguenza di una così vasta produ¬ zione, il nome del Bassani resterà indissolubilmente legato alla storia dell’ittiologia fossile del nostro paese, oltre che alla cro¬ nologia dei terreni italiani, a cui pure contribuì efficacemente con la scoperta di orizzonti geologici che prima non erano « neanche sospettati ». L’esame dei lavori ittiologici del nostro venerato Estinto è pertanto nello stesso tempo una rivista dei

1 Parona C. F., Francesco Bassani. Cenno necrologico , in Atti R. Ac cademia Scienze Torino, voi. LI, adunanza del 7 maggio 1916.

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più importanti giacimenti di pesci fossili in Italia. Quasi tutte le regioni vi sono rappresentate :

il Piemonte con la caratteristica ittiofauna del calcare eo¬ cenico di Gassino, gli avanzi della pietra da cantoni di Kosi- gnano Monferrato e i denti delle argille plioceniche di Mondovì;

la Liguria con un PholidopJiorus del Trias superiore del Tinetto, nel golfo della Spezia;

la Lombardia con l’interessante raccolta degli scisti bitu¬ minosi triassici di Besano, con i frammenti del Triassico supe¬ riore dei dintorni di Varese e di Laveno, in provincia di Como, e con le specie tuttora viventi riscontrate nel deposito quater¬ nario di Pianico (Bergamo) ;

il Veneto con numerosissime ittiofaune, illustrate in più di venticinque lavori diversi, tra le quali sopratutto notevoli quelle fornite dai calcari cretacei del Carso triestino (Comen), della Dal¬ mazia (Lesina), di Castella vazzo (Belluno) e di Crespano (Tre¬ viso); dai calcari eocenici, ricchissimi, dei monti Bolca e Po¬ stale; dalle marne oligoceniche di Chiavon (Vicentino;; dalle marne aquitaniane di Crespano (Treviso) e di monte Moscai (Verona) ;

l’Emilia con le osservazioni sui pesci delle argille sca¬ gliose cretaciche delle provincie di Parma e di Piacenza e del calcare miocenico di Montegazzo;

la Toscana con gli esemplari delle argille mioceniche di Mario (Siena) e di quelle plioceniche di Orciano, Volterra, Chianni e Siena ;

il Lazio con i pesci dei calcari bituminosi cretacei dei monti della Tolfa e degli scisti marnosi del Miocene superiore di Ca¬ stro dei Voi sci;

la Campania con le belle raccolte ittiolitiche della Dolo¬ mia principale di Giffoni Vallepiana (Salerno) e del Cenomaniano di Capo d’Orlando presso Castellammare (Napoli) e di Pietra- roia (Benevento) appartenenti al Museo geologico di Napoli;

le Puglie con gl’ittioliti langhiani della pietra leccese e dell’arenaria glauconiosa delle isole Tremiti, e con la fauna delle argille marnose plioceniche di Taranto e di Nardo;

la Basilicata con scarsissimi resti delle argille plioceniche di Potenza;

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la Calabria con gli avanzi forniti dalle ligniti eoceniche di Agnana (Reggio), dalle arenarie e marne mioceniche delle provincie di Cosenza e Catanzaro e dalle argille plioceniche di Cotrone ;

la Sardegna con i pesci stampiani degli scisti silicei di Ales e con quelli langhiani dei calcari, delle argille e delle arenarie di molte località dell’isola.

Tutti i musei pubblici e le raccolte private gli fornirono ma¬ teriale ittiolitico da studio; sicché può in realtà affermarsi che non esiste nella nostra penisola quasi nessuna collezione di pesci fossili, benché modesta, la quale non sia stata sottoposta alla lente indagatrice del Bassani, o che oggi non conservi, a ri¬ cordo perenne della sua attività, fra le etichette accompagnanti gli esemplari, qualche determinazione scritta da lui.

Non mancano inoltre pubblicazioni su pesci fossili stranieri (Francia, Austria, Germania, Asia minore, ecc.), ma, come ho in¬ nanzi accennato, esse non rappresentano che una parte degli studi giovanili compiuti durante il biennio di perfezionamento all’estero.

Se la produzione paleoittiologica del Bassani fu ristretta nello spazio, riguardando quasi esclusivamente lo studio di esemplari italiani, fu invece estesissima nel tempo, inteso in senso geo¬ logico, comprendendo tutta la lunga serie di periodi del Meso¬ zoico, del Cenozoico e del Neozoico: essa giova pertanto, nel suo complesso, non solo a mettere in rilievo le affinità gene¬ riche e specifiche dei pesci fossili, ma anche a rappresentarci il loro sviluppo evolutivo attraverso le ere geologiche, permet¬ tendo spesso di tentare notevoli saggi genealogici. Fra le Me morie citate parecchie sono quelle che hanno speciale impor¬ tanza paleontologica e stratigrafica, sia per la descrizione di specie nuove o per le ricche considerazioni comparative, sia per i risultati cronologici : esse infatti non si limitano al semplice esame degli organismi studiati, ma traggono argomento da questi per istituire efficaci confronti stratigrafici con sedimenti e con fossili analoghi di altri punti della terra e per stabilire dei le¬ gami filogenetici e di affinità tra faune di piani diversi. Val¬ gano ad esempio, fra le altre, le magistrali illustrazioni dell’it¬ tiofauna plistocenica di Taranto, di quelle mioceniche della Sar¬ degna e della pietra leccese , di quella oligocenica di Chiavon,

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di quella eocenica di Gassino, di quelle cenomaniane di Lesina e di Castellammare, di quella triassica di Giffoni Vallepiana. Quest’ultimo lavoro portò anche gran frutto alla conoscenza del Mesozoico interiore nell’Appennino meridionale. Giova infatti ricordare che, stabilita con le ricerche del Bassani l’esistenza di un preciso livello paleontologico ( Dolomia principale ) nella provincia di Salerno, si estese con grande rapidità la conoscenza del Trias superiore nell’Italia meridionale in sèguito alle suc¬ cessive ricerche di De Lorenzo, Di Stefano, Baldacci, Cortese, Viola, Cassetti, Galdieri, Bittner, v. Wòhrmann, dello stesso Bassani e di altri ancora, che dimostrarono spettante a questo piano gran parte dei gruppi montuosi tra il golfo di Policastro e quello di Gaeta (provincie di Salerno, di Avellino e di Ca¬ serta; Basilicata e Calabria) tino allora ascritti al Cretaceo. Come disse il prof. Paroma, « caratteristiche degli accuratissimi scritti del Bassani sono: la larghezza dei confronti, confortati da critica si¬ cura, usata colla padronanza dello specialista sperimentato; lo scrupolo scientifico spinto talvolta quasi alla diffidenza verso l’interpretazione propria; la serena e riguardosa considerazione dell’opera altrui ». La diligentissima cura nella descrizione dei più minuti particolari, l’ordine perfetto, la piena conoscenza della bibliografia geologica della regione, la sobrietà, la correttezza e la precisione dello stile, frutto di lunga e paziente limatura e di accuratissima revisione delle bozze di stampa, costituiscono altrettanti pregi degli scritti del mio grande Maestro.

In quarantanni di studi e ricerche sui pesci fossili Fran¬ cesco Bassani aveva acquistato così vasta competenza in questo difficile ramo della Paleontologia da essere universalmente con¬ siderato a buon diritto come uno fra i più illustri specialisti di Paleoittiologia. La sua pratica nella determinazione degli odon¬ toliti era ormai giunta a così alto grado di finezza, da permet¬ tergli di riconoscere e infallibilmente col solo aiuto del tatto, le diverse specie: in questi ultimi anni, quando in sèguito al diabete che cominciava a minargli l’esistenza, la vista an¬ dava viepiù affievolendosi, egli giungeva a rilevare, servendosi solo dei polpastrelli delle dita, i minuziosissimi caratteri diffe¬ renziali che distinguono i denti dei pesci fossili ; e quando mi pregava di verificare con l’aiuto della lente l’esattezza delle

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sue indicazioni, si compiaceva della mia conferma, aggiungen¬ domi : « Ho oramai tanta pratica con questi denti, ne ho osser vati in numero così grande, che alla vista, quasi perduta, può * in buona parte supplire il tatto ».

Esaminando i lavori del Bassani in ordine cronologico, il cultore d’ittiologia fossile non può non essere colpito dalla lenta ma graduale modificazione dei criteri seguiti nella determina¬ zione specifica; modificazione che, se in parte rispecchia le ten¬ denze del tempo, si direbbe meglio frutto di intimo convinci¬ mento, il quale si andava mano a mano affermando nella mente dell’Autore con le moltiplicate ricerche.

In parecchie Memorie giovanili infatti, seguendo le opinioni instillategli dai suoi maestri e allora predominanti in Paleonto¬ logia, che volevano una netta delimitazione cronologica delle specie fossili, egli considerava talvolta come appartenenti a spe¬ cie nuove esemplari pur molto affini ad altri trovati in terreni più antichi o più recenti. Nei lavori posteriori invece divenne sempre più diffidente verso stesso, per liberarsi da ogni pre¬ concetto cronologico; riuscì in tal modo a convincersi che, come gran parte della ittiofauna mio-pliocenica e tutta la plistoce- niea trovano la loro corrispondenza con quella dei mari attuali, è verosimile ammettere una maggiore, ma non esagerata per¬ sistenza delle specie di pesci attraverso i piani geologici più antichi. Queste idee, sulle quali il Maestro soleva trattenersi volentieri con me fornendomi dotti ammaestramenti e consigli, lo inducevano a pensare che molte specie ritenute ancora come buone devono forse essere cancellate dagli elenchi sistematici: tuttavia anche nel proporre nuove fusioni o nello stabilire larghe sinonimie, egli giustamente era cauto e riguardoso, conside¬ rando che « il materiale paleontologico di cui si dispone è spesse volte rappresentato da denti, che costituiscono una parte tanto piccola e tanto variabile dell’organismo; con la sola scorta di essi è possibile proporre giustificate fusioni e tanto meno istituire saggi filogenetici » ‘.

1 Bassani F., La ittiofauna della pietra leccese (Terra d’ Otranto) , in Atti R. Acc. Se. fis. e mat di Napoli, voi. XVI, serie 2a, n. 4, 1915, pag. 10, nota 1. Sul valore sistematico degli ittiodontoliti vedi anche:

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L’opera paleontologica del Bassani si chiuse con gli studi, cominciati in questi ultimi mesi in collaborazione di chi scrive, sui pesci fossili del Veneto. Si tratta della preparazione, in base a revisione di precedenti lavori e a numerose ricerche originali, del completo catalogo del più ricco materiale paleoittiologico ita¬ liano, conservato in molte collezioni pubbliche e private e pro¬ veniente da oltre centocinquanta località venete. Se la pubbli¬ cazione non potrà più ormai rispondere perfettamente al pensiero di chi l’aveva ideata e voluta, spero che l’immenso numero di osservazioni raccolte non andrà perduto, perchè conto di ado¬ perare ogni mio sforzo per continuare e condurre a compimento lo studio iniziato, giovandomi dei consigli e dell’appoggio del prof. Giorgio Dal Piaz, il quale gli offrirà generosa ospitalità nelle Memorie delV Istituto geologico della IL Università di Padova.

Non posso infine, rilevando i meriti scientifici di Francesco Bassani, non accennare all’opera, veramente tenace e assidua, da lui svolta in favore dell’Istituto geologico di Napoli, che diresse per trent’anni. Quando, nel 1887, egli fu chiamato alla cattedra già tenuta dal Guiscardi e, dopo la morte di questi, per circa un anno, dal suo collega senatore Arcangelo Scacchi, l’Istituto di Geologia non comprendeva che poche stanzette e un corridoio semivuoto, nel quale alcuni armadi raccoglievano lo scarso ma teriale litologico e paleontologico posseduto. Oggi, trasferito in sede più adatta, esso ha un vasto laboratorio con biblioteca ancora ristretta, ma già abbastanza pregevole, con apparecchi per lisciare e sezionare rocce e fossili e con tutto l’occorrente per eseguirne riproduzioni fotografiche e micrografiche; ha stanze per giovani laureandi e per studiosi, vaste aule per lezioni e per proiezioni luminose, notevole materiale didattico e dimostra¬ tivo, ed è arricchito di un Museo con ben fornite collezioni petrografie he e fossilifere, fra le quali veramente uniche sono

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Bassani F., Note paleontologiche, in Atti Soc. veneto-trent. di Se. nat., voi. VII, pag. 21-25, Padova, 1880; De Stefano G., Il valore sistematico e filogenetico del sistema dentario nella determinazione degli elasmobranchi fossili, in Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXXV, pag. 1-23, Roma, 1916.

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quelle dei gruppi vulcanici dell’Italia meridionale (Somma- Vesuvio, Campi e isole Flegree, isole Pontine, Roccamonfina, Monte Vulture, isole Eolie, Etna), e molto interessanti quelle paleontologiche del Mesozoico, Cenozoico e Neozoico italiano (Triassico della Campania e della Basilicata; Giurassico del Veneto, dell’Umbria, dell’Abruzzo, della Basilicata e della Si¬ cilia; Cretaceo delle provincie di Napoli, Benevento, Campo¬ basso, Foggia; Miocene del Modenese, del Beneventano, del Leccese e della Calabria; Pliocene del Senese, del Monte Mario, del Gargano, di Gravina, di Taranto; Quaternario dell’isola d’Isckia, della Basilicata e di Taranto; blocchi fossiliferi del Monte Somma; faune di numerose grotte plistoceniche dell’Italia meridionale, ecc. ecc.). E questa prodigiosa trasformazione Egli ha saputo effettuarla poco a poco, vincendo difficoltà veramente enormi, compiendo miracoli in rapporto agli scarsi mezzi e al- l’ancor più scarso personale. Ricordo ancora con quanto spon¬ taneo dolore mi parlava di belle raccolte italiane o di impor¬ tanti esemplari andati a finire in Musei stranieri per l’esiguità delle dotazioni dei nostri Gabinetti scientifici, e con quanta cura s’informava del rinvenimento di fossili nelle nostre regioni, allo scopo di non lasciar sfuggire campioni interessanti al Museo di Napoli, unico centro di cultura geologica nell’Italia meridio¬ nale. Per la sua speciale predilezione verso i pesci fossili, volle che nel Museo di Paleontologia essi occupassero una sala a parte, ove oggi sono riunite le collezioni di Giffoni, di Ca¬ stellammare, di Pietraroia, del M. Bolca, di Chiavon, di Lecce, di Mondaino, di Senigallia e di Taranto, oltre a ben con¬ servati individui dei più notevoli giacimenti stranieri (Holz- maden, Cerin, Hakel, Sahel Alma, ecc.). Come nella sala delle rocce vulcaniche un bel ritratto di Guglielmo Guiscardi ricorda il fondatore e il primo direttore dell’Istituto di Geologia napo¬ letano, in quella degli ittioliti, meglio che altrove, le sembianze di Francesco Bassani ricorderanno ai venturi la feconda dottrina e i grandi meriti di Lui. Egli stesso me ne aveva talvolta espresso il desiderio!

Ancora più caratteristica, viva e indelebile è nella mia mente la figura del compianto Estinto come Maestro: la lunga pre-

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parazione compiuta con l’insegnamento secondario, il piacere che provava nel fare lezione, la fede inestinguibile che dedicava alla scuola provano com’Egli fosse nato per educare ed istruire. Nessuna parola riuscirà a mettere in rilievo le sue qualità di insegnante meglio di quelle ch’Egli stesso disse di Giuseppe Meneghini *, commemorandolo, e che riporto integralmente: « Fu impareggiabile nel l’insegnare. Tutta una schiera di giovani, iniziati da Lui nella scienza geologica e condotti dalla sua mano sapiente attraverso gli oscuri meandri della storia del globo, benedice e benedirà, fin che avrà vita, il grande Maestro, e ne tramanderà il nome ai venturi. Egli adorava la scuola, e sempre, anche in questi ultimi anni, consacrava le più sollecite cure alle proprie lezioni : altrettanti tesori di chiarezza e dottrina. E nell’intimità del laboratorio, circondato dagli allievi, che erano la sua maggiore consolatone, porgeva ad essi nuovo e salutare alimento, guidandoli con ammirabile pazienza nelle ricerche, abituandoli all’osservazione, sciogliendone i dubbi, accogliendone benignamente le timide opinioni scientifiche e discutendole in¬ sieme. E li eccitava con amore allo studio, li confortava nei momenti difficili, li sorreggeva negli scoramenti che assalgono spesso chi muove i primi passi nella via della scienza. Più che maestro, era padre; e babbo lo chiamavano davvero i discepoli. Incredibilmente modesto, provava col fatto che quanto è più vasto il sapere, tanto è più chiara la coscienza dell’ignoto ; vi ha vera dottrina senza modestia 1 2. Mite, ingeuuo, virtuoso, supre¬ mamente buono, spirava dagli occhi specchio di anima grande - una dolcezza ineffabile, attraendo piacevolmente a sè. E quando si era trascorsa un’ora con Lui, si provava una gioia nova nel cuore e pareva di sentirsi migliori. dimenticava i lontani, trovando tempo per tutti. E scriveva lunghissime let¬ tere, piene di ammaestramenti, di consigli e di aiuti, e sapeva dir sempre una cara parola di efficace conforto nelle traversie della vita ». Ma non è tutto. Come magistralmente scrisse il senatore De Lorenzo nella necrologia letta alla K. Accademia

1 Bassani F., Alla venerata memoria di Giuseppe Meneghini , in Itemi. R. Accad. Se. fis. e inat. di Napoli, fase. 2°, febbraio 1889.

2 Meneghini G., Della scuola geologica di Paolo Savi , pag. 40.

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delle Scienze di Napoli1, «a questa bontà si aggiungeva, su¬ perando tutte le altre doti, una qualità che costituiva il tratto caratteristico e fondamentale del carattere di Bassani : un senso profondo ed incoercibile del dovere, predominante e determi¬ nante tutti i pensieri, le parole e le azioni della sua vita. In¬ consapevolmente egli era una personificazione dell’imperativo categorico informante la ragione pratica di Kant: si deve do¬ vere ». La sua attività didattica, del resto, è luminosamente provata dallo stesso numero degli insegnamenti: oltre alla cat¬ tedra di Geologia, che, come ho detto, tenne per trent’anni, ebbe, dal 1889, l’incarico della Paleontologia; svolse spesso uno speciale e interessante corso di Geodinamica; fu anche dotto insegnante nell’Istituto superiore d’istruzione femminile « Suor Orsola Benincasa », e per vari anni espertissimo docente della Scuola di magistero per i giovani naturalisti. I numerosi allievi, fra i quali parecchi sono in meritata rinomanza 2, ricordano e ricorderanno le sue lezioni, mirabili per l’ordine e la chiarezza singolari, e la sua parola, che esercitava una grande attrattiva e persuadeva senza sforzo. Fu autore di un buon libro di Zoo¬ logia per le scuole secondarie; e con l’intento di non mancar mai ad alcuno dei doveri inerenti al suo ufficio, si sottopose spesso alle gravi fatiche delle Commissioni per concorsi a cat¬ tedre secondarie e universitarie, per posti di perfezionamento, per promozioni e per libere docenze.

Le numerose benemerenze del Bassani, universalmente rico¬ nosciute nel mondo scientifico, gli procurarono meritati onori, che ne resero più caro e apprezzato il nome. Molti Sodalizi

1 De Lorenzo G., Francesco Bassani. Commemorazione letta nell’adu¬ nanza del 6 maggio Mia (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. 5-6, maggio e giugno 1916).

2 Basterà ricordare, fra i tanti, il prof. Giuseppe De Lorenzo, diret¬ tore dell’Istituto di Geografia fisica dell’Università di Napoli, senatore del Regno; il compianto prof. Raffaele Vittorio Matteucci, direttore del* l’Osservatorio Vesuviano; il prof. Agostino Galdieri, della R. Scuola su¬ periore di Agricoltura di Portici; la prof. Marussia Bakunin-Oglialoro, della Scuola superiore politecnica di Napoli; il prof. Pasquale Aldinio, provveditore agli studi di Milano; i proff. Luigi Meschinelli, Emilio Ugo Fittipaldi, Carlo Patroni, Maria Pasquale, ecc. ecc.

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scientifici italiani e stranieri lo vollero socio: fu membro del R. Comitato geologico d’Italia; socio ordinario residente della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, della quale tenne per due anni la presidenza e per sei l’ufficio di segretario; socio ordinario residente del R. Istituto d’incorag¬ giamento di Napoli ; socio ordinario, segretario e presidente della classe di scienze naturali dell’Accademia Pontaniana di Napoli; uno dei XL della Società Italiana delle Scienze; socio nazio¬ nale della R. Accademia dei Lincei ; socio corrispondente del R. Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti; della R. Acca¬ demia delle Scienze di Torino; della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova; della R. Accademia Valdarnese del Poggio di Montevarchi; dell’Accademia Gioenia di Scienze natu¬ rali di Catania; dell’Accademia di Agricoltura, Arti e Commercio di Verona; dell’!. R. Istituto geologico di Vienna e dell’Acca¬ demia degli Agiati di Rovereto; socio onorario della R. Acca¬ demia di Scienze, Lettere ed Arti degli Zelanti di Acireale; socio fondatore, consigliere e presidente della Società Geologica Italiana; socio effettivo e presidente di sezione della Società Italiana per il progresso delle Scienze; socio e presidente della Società di Naturalisti in Napoli; socio e consigliere della Società Alpina meridionale; socio dell’Accademia scientifica veneto- trentino-istriana di Padova; della Società Italiana di Scienze naturali di Milano; dell’Unione Zoologica Italiana; della Società Zoofila napoletana.

Era Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia, onori¬ ficenza conferitagli nel 1914 su proposta del ministro Nitti.

Agli eminenti pregi di scienziato e di maestro Francesco Bassani univa quelli dell’animo nobilissimo e gentile. Uomo di rara bontà, di carattere integro, di sentimenti delicati, di ordine esemplare, era affabile e cortese con tutti e per tutti sapeva trovare una buona parola. Provava vera soddisfazione nel fare il bene, e ne faceva sempre, modestamente, senza menarne vanto : ne ha fatto tanto anche a me ! In tutta la vita non ebbe di mira che l’adempimento del proprio dovere, ed esigeva che gli altri si comportassero altrettanto esattamente con lui. Ope¬ rosissimo, soleva recarsi nel suo Istituto tutti i giorni, anche nelle

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maggiori solennità, e dedicare buon numero di ore ai suoi lavori prediletti. Se ne staccava soltanto, e a malincuore, durante l’au¬ tunno per andare a cercar ristoro alla deperita salute. Ma pure da lontano pensava con quotidiana cura al suo Gabinetto e de¬ siderava essere informato anche dei più insignificanti avveni¬ menti. Trattò come figli i suoi scolari : nessuno di essi può certo ricordare senza emozione il suo bacio paterno nel giorno della laurea, le incoraggianti parole, i preziosi consigli, altrettanti indizi certi della ineffabile bontà del cuore. Amò intensamente la famiglia e volle un gran bene ai suoi parenti, e fu da tutti ricambiato. Ebbe affezione immensa per i due figliuoli, per il benessere dei quali considerò lieve ogni sacrifizio; e nutrì costante adorazione per la moglie, Everdina Douwes Dekker, figlia del celebre scrittore olandese noto col pseudonimo Multatuli. La di¬ letta compagna, che fu anche valente collaboratrice del marito, di cui seppe illustrare con magistrale perizia gran parte dei lavori scientifici, ricambiò con la più tenera devozione le mille premure di Lui, contribuendo in sommo grado ad alleviargli le sofferenze degli ultimi anni di vita. Ma il male inesorabile, che da lungo tempo ne insidiava l’esistenza, si era da un anno notevolmente aggravato, da far ritenere illusori e fugaci i miglioramenti successivi alle terribili crisi. La quiete e la pace di Capri, l’amorosa assistenza dell’impareggiabile consorte, le affettuose cure del vecchio amico dott. Ignazio Cerio non po¬ terono ripetere il miracolo dell’anno scorso: dopo due settimane appena di permanenza, Egli si spense la sera del 26 aprile, nello stesso giorno in cui due anni or sono moriva in Vienna uno dei suoi maestri eminenti, l’illustre Edoardo Suess!

La salma benedetta del geologo, tornata alla terra ch’Egli tanto amò e conobbe, gode ora la pace nel modesto cimitero dell’isola prediletta: tra le imponenti rupi calcaree, tante volte sottoposte ai colpi del suo martello indagatore; in cospetto degli strati ittiolitiferi di Castellammare, del Vesuvio fumante, dei cra¬ teri Flegrci, delia città che lo ebbe tra i più illustri suoi figli adottivi; in una vista piena di luce e di colori, tra l’olezzante profumo delle aiuole fiorite e il fragrante sorriso delle acque. Vada a Lui, nel suo tranquillo riposo, da queste pagine il com¬ mosso saluto della Società Geologica Italiana, il mesto ricordo

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di quanti conobbero e ammirarono le rare sue doti di mente e di cuore, e il bacio affettuoso e riverente di chi, amato come figlio, sente oggi il dovere di imitarlo nella bontà, nella mo¬ destia e nel sentimento del dovere, di cui Egli fu la vera per¬ sonificazione.

Napoli, R. Istituto Geologico dell’Università, 24 giugno 1916.

*

Geremia D’Erasmo.

ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI

1. Annotazioni sui pesci fossili del calcare eoceno di M. Bolca. Padova, Tip. Prosperini, 1876, in-8°, pagine 28 (Atti Soc. veneto-trentina di Scienze nat., voi. Ili, fase. II, pag. 169-191).

2. Pesci fossili nuovi del calcare eoceno di M. Bolca. Padova, Tip. Pro¬ sperini, 1876, in-8°, pagine 16, con una tavola (Atti Soc. veneto-trent. di Se. nat., voi. V, fase. I, pag. 143 a 154, tav. II).

3. Nuovi squalidi fossili. Pisa, Nistri e C., 1877, in-8°, pagine 5, con una tavola (Atti Soc. tose. Se. nat., voi. Ili, fase. I, pag. 77 a 80, tav. XI).

4. Ittiodontoliti del Veneto. Padova, Tip. Prosperini, 1877, in-8°, pagine 38

(Atti Soc. veneto-trent. di Se. nat., voi. V, fase. II, pag. 275 a 309).

5. Traduzione dell’opera di C. Darwin : 'L’espressione dei sentimenti nel¬ l'uomo e negli animali (in collaborazione col prof. G. Canestrini). Torino, Unione tipografico-editrice, 1878, in-4°, pagine 257.

6. Note sur les poissons fossile s du Laboratoire de Paleontologie du Mu- séum d’Histoire naturelle de Paris. Meulan, Musson, 1878, in-8°, pagine 4 (Guide du géologue à l’exposition universelle de 1878 et dans les collections publiques ou privées de Paris, pag. 67 a 71).

7. Bicerche sui pesci fossili del miocene medio di Gahard in Francia. Pa¬ dova, Tip. Prosperini, 1879, in-8°, pagine 30, con una tavola (Atti Soc. veneto-trent. di Se. nat., voi. VI, fase. I, pag. 43 a 70, tav. V).

8. Vorlàufige Mittheilungen ùber die Fischfauna der Insel Lesina. Vienna, I. C. Fischer e C., 1879, in-4°, pagine 8 (Verhandlungen der k. k. geo¬ log. Reichsanstalt, n. 9, pag. 161 a 168).

9. Ueber einige fossile Fische von Comen. Vienna, I. C. Fischer e C., 1879, in-4°, pagina 1 (Verhandlungen der k. k. geolog. Reichsanstalt, n. 9, pag. 204).

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10. Cenni sull’ organizzazione dell’I. B. Istituto geologico di Vienna. Pa¬ dova, Tip. Prosperine 1879, in-8°, pagine 9 'Bollettino n. 2 della Soc. veneto-trent. di Se. nat., pag. 41 a 49).

11. Contribuzione alla fauna ittiologica del Carso presso Comen in Istria. Padova, Tip. Prosperini, 1880, in-8°, pagine 13, con due tavole (Atti Soc. veneto-trent. di Se. nat., voi. VII, fase. I, pag. 3 a 15, tav. A, B).

12. Note paleontologiche. Padova, Tip. Prosperini, 1880, in-8°, pagine 14, con una tavola (Atti Soc. veneto-trent. di Se. nat., voi. VII, fase. I, pag. 16 a 29, tav. C).

13. Su due giacimenti ittiolitici nei dintorni di Crespano. Padova, Tip. Prosperini, 1880, in-8°, pagine 12 (Bollettino n. 4 della Soc. veneto- trent. di Se. nat., pag. 147 a 154).

14. Parole a ricordo di Pietro Maraschin e Lodovico Pasini, lette a Schio nell’adunanza 30 maggio 1880 della Soc. veneto-trent. di Se. nat. Pa¬ dova, Tip. Prosperini, 1880, in-8°, pagine 24 (Bollettino n. 4 della Soc. veneto-trent. di Se. nat., pag. 81 a 99).

15. Appunti su alcuni pesci fossili di Austria e di Vilrtemberg. Padova, Tip. Prosperini, 1880, in-8°, pagine 38, con una tavola (Atti Soc. ve¬ neto-trent. di Se. nat., voi. VII, pag. 74 a 109, tav. Vili).

16. Nuove note paleontologiche. Padova, Tip. Prosperini, 1881, in-8°, pagine 3

(Bollettino n. 5 della Soc. veneto-trent. di Se. nat., pag. 187 a 189).

17. Osservazioni sulla lista di pesci fossili del calcare di Monteg azzo data dall’abate Ferretti. Padova, Tip. Prosperini, 1881, in-8°, pagina 1 (Bol¬ lettino n. 1 della Soc. veneto-trent. di Se. nat., pag. 18).

18. Descrizione dei pesci fossili di Lesina, accompagnata da appunti su al¬

cune altre ittiofaune cretacee (Pietraroia, Voirons, Comen, Grodischtz, Crespano, Tolfa, Hakel, Sahel-Alma e Vestfalia). Vienna, 1882, in-4°, pagine 96, con 16 tavole (Denkschr. math.-naturw. Cl. Kais. Akad. Wiss., voi. XLV, parte II, pag. 195 a 288, tav. I a XVI).

19. I pesci attraverso le ere geologiche. Padova, Tip. Prosperini, 1883, in-8°, pagine 2 (Bollettino n. 3 della Soc. veneto-trent. di Se. nat., pag. 116 e 117).

20. Intorno ad un nuovo giacimento ittiolitico nel monte Moscai. Padova, Tip. Prosperini, 1883, in-8°, pagine 2 (Atti Soc. veueto-trent. di Se. nat., voi. IX, fase. I, pag. 149-150).

21. Sopra una zanna di « Elephas meridionali » scoperta nelle sabbie gialle

di Salsomaggiore. Roma, Tip. Salviucci, 1884, in-8°, pagina 1 (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. Ili, pag. 16).

22. Ueber zwei Fische aus der Kreide bei Monte S. Agata im Gòrzischen. V ienna, I. C. Fischer e C., 1884, in-4°, pagine 4, con una tavola ( Jahrbuch d. k. k. geol. Reichsanstalt, Band 34, Ileft III, pag. 403 a 406, tav. IX).

23. Sull’età degli strati a pesci di Castellavazzo nel Bellunese. Roma, Tip. Salviucci, 1885, in-8°, pagine 6, con una tavola (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. IV, pag. 143 a 148, tav. IX).

LXX

COMMEMORAZIONE

24. Elementi di Zoologia descrittiva ad uso delle sctiole secondarie. Milano,

Fr. Vallarcli, due edizioni, 1885-89. Un volume, in-8°, di pag. 252, illu¬ strato da 327 incisioni.

25. Sulla probabile esistenza del gen. « Carcharodon » nel mare titonico. Milano, Tip. Bernardoni di C. Rebeschini e C., 1885, in -8°, pagine 7, con 2 fig. intere. (Atti Soc. it. di Se. nat., voi. XXVIII, pag. 75 a 81).

26. Risultati ottenuti dallo studio delle principali ittiofaune cretacee. Mi¬ lano, Tip. Bernardoni di C. Rebeschini e C., 1885, in-8°, pagine 23 (Rend. R. Ist. Lombardo, serie II, voi. XVIII, fase. 10°, pag. 513 a 535).

27. Avanzi di pesci oolitici nel Veronese. Milano, Tip. Bernardoni di C. Re¬ beschini e C., 1885, in-8°, pagine 23, con una tavola (Atti Soc. ital. di Se. nat., voi. XXVIII, pag. 142 a 163).

28. Sui fossili e sull’età degli scisti bituminosi triasici di Resano in Lom¬ bardia. Milano, Tip. Bernardoni di C. Rebeschini e C., 1886, in-4°, pagine 58 (Atti Soc. ital. di Se. nat., voi. XXIX, pag. 15 a 72 .

29. Su alcuni pesci fossili del deposito di Ri ani co in Lombardia. Milano, Tip. Bernardoni di C. Rebeschini e C., 1886, in-8", pagine 8, con una tavola (Atti Soc. ital. di Se. nat., voi. XXIX, pag. 344 a 351, tav. IX.)

30. Colonna vertebrale di « Oxyrhina Mantelli Ag. », scoperta nel calcare senoniano di Castellavazzo nel Bellunese. Napoli, Tip. R. Acc. Se. tis. e mat., 1888, in-4°, pagine 6, con 3 tavole (Meni. Soc. ital. delle Se. [detta dei XL], voi. VII, serie 3a, n. 1).

31. Sopra un nuovo genere di Fisostomi scoperto nell’ eocene medio del Friuli. Napoli, Tip. R. Acc. Se. tis. e mat., 1888, in-4°, pagine 4, con una tavola (Atti R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, voi. Ili, serie 2a, n. 4).

32. Sommario delle ricerche sui pesci fossili di Chiavon. Napoli, Tip. R. Acc.

Se. fis. e mat., 1888, in-4°, pagine 10 (Rendiconti R. Acc. Se. tis. e mat. di Napoli, 1888, fase. 7°, pag. 373 a 382).

33. Notes of some researclies of tlie fossil fishes of Chiavon. London, Spottiswoode and C., 1888, in-8°, pagine 3 (Bath Meeting of thè Bri- tish Association).

34. Sopra una nuova specie di « Ephippus » scoperta nell’ eocene medio di

Val Sordina presso Ljonigo nel Veronese. Roma, Tip. Salviucci, 1888, in-8°, pagine 3, con una tavola (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VII, Lise. 3°, pag. 279-281, tav. IX).

35. Alla venerata memoria di Giuseppe Meneghini. Napoli, Tip. R. Acc. Se.

tis. e mat., 1889, in-4°, pagine 2 (Rendic. R. Acc. Se. tis. e mat., fase. 2°, pag. 29-30).

36. Alla venerata memoria di Giuseppe Seguenza. Napoli, Tip. R. Acc. Se.

tis. e mat., 1889, in-4°, pagine 2 (Rendic. R. Acc. Se. tis. e mat., fase. 3°, pag. 57-58).

37. Ricerche sui pesci fossili di Chiavon (strati di Sotzka, Miocene infe¬ riore). Napoli, Tip. R. Acc. Se. tis. e mat., 1889, in-4°, pagine 104, con

COMMEMORAZIONE

EX XI

18 tavole (Atti R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, voi. Ili, serie 2a, n. 6).

38. Il calcare a Nerinee di 1 Hgnataro Maggiore, in provincia di Caserta. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1890, in-4", pagine 7 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. fase. e 8°, pag. 199 a 205).

39. Alla venerata memoria di Antonio Stoppavi. Napoli, Tip. R. Acc. Se.

fis. e mat.,in-4°, pagine 2 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. 1°, pag. 13 a 15).

40. Contributo alla Paleontologia della Sardegna. Ittioliti miocenici. Napoli,

Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1891, in-4°, pagine 60, con 2 tav. (Atti R. Acc. Se. fis. e mat., di Napoli, voi. IV, serie 2a, n. 3).

41. Sulla ittiofauna del calcare schisto -bitumino so di Monte Pettine presso Griffoni Vallepiana, in provincia di Salerno. Roma, Tip. Salviucci, 1891, in-8°, pagina 1 (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. X, pag. 1005).

42. Alla venerata memoria di Achille I)e Zig no. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis.

e mat., 1892, in -4°, pagine 2 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. e 2°, pag. 22-23).

43. Avanzi di vertebrati inferiori nel calcare marnoso triasico di Dogna in Friuli. Roma, Tip. Salviucci, 1892, in-8ri, pagine 4, con 1 fig. intere. (Rend. R. Acc. Lincei, voi. I, sera., serie 5% pag. 284 a 287).

44. Marmi e calcare litografico di Pietraroia in provincia di Benevento. Napoli, Soc. Cooperativa Tipografica, 1892, in-4°, pagine 4 (Rendic. R. Istituto d’incoraggiamento, fase. e 8°, pag. 43 a 46).

45. Sui fossili e sull’età degli schisti bituminosi di Monte Pettine presso Giffoni Valle Piana in provincia di Salerno. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1892, in-4°, pagine 27 (Meni. Soc. Ital. d. Se. [detta dei XL], t. IX, serie 3a, n. 3).

46. Gl’ittioliti delle marne di Salcedo e di Novale nel Vicentino. Venezia, Tip. Antonelli, 1892, in-8°, pagine 15 (Atti R. Istituto Veneto di Se., Lett. e Arti, t. Ili, serie VII, pag. 1031 a 1045).

47. Fossili nella dolomia triasica dei dintorni di Mercato S. Severino in provincia di Salerno. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1893, in-4°, pagine 15, con una tavola (Atti R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, voi. V, serie 2a, n. 9).

48. Per la geologia della penisola di Sorrento (in collaborazione con G. De Lorenzo). Roma, Tip. Salviucci, 1893, in-8°, pagine 2 (Rendic. R. Acc. Lincei, voi. II, seni., serie 5a, pag. 202-203).

49. Il monte Consolino di Stilo in Calabria (in collaborazione con G. De Lo¬

renzo). Napoli, Tip. Acc. Se. fis. e mat., in-4°, pagine 6, con una tavola (Atti R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, voi. VI, serie 2a, n. 8).

50. Avanzi di « Carchurodon auriculatus » scoperti nel calcare eocenico di

Valle Gallina presso Avesa (prov. di Verona). Verona, Tip. G. Fran- ceschini, 1895, in-8°., pagine 7, con una tavola (Atti Acc. Agi-., Arti e Comm. di Verona, voi. LXXI, serie 3a, fase. I, pag. 5-11).

LXXII

COMMEMORAZIONE

51. Da Napoli a Cima. Napoli, 1894, in-8°, pagine 4 (Annuario del Cir¬ colo Filologico di Napoli « Francesco De Sanctis » pel 1898-94).

52. Appunti d'ittiologia fossile italiana. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat.,

1894, in-4°, pagine 16, con una tavola (Atti R. Acc. Se. fis. e mat., di Napoli, voi. VII, serie 2a, n. 7).

53. La ittiofauna della Dolomia principale di Giffoni (prov. eli Salerno). Pisa, Tip. Nistri e C., 1895, in -4°, pagine 42, con 7 tavole (Palaeon- tographia italica, voi. I, pag. 169-210, tav. IX-XV).

54. Divista critica di opere di ittiologia fossile. Bologna, Tip. Gamberini e Parmeggiani, 1896, in-8", pagine 6 (Rivista ital. di Paleontologia, voi. II, fase. I, pag. 2, 15, 36).

55. Luigi Palmieri. Napoli, Tip. della R. Università, 1897, in-8°, pagine 3 (Annuario scol. dell’Univers. di Napoli per l’anno 1896-97, pag. 351-353).

56. Aggiunte all’ ittiofauna eocenica dei Monti Dolca e Postale. Pisa, Tip. Nistri e C., 1897, in-4°, pagine 12, con 2 tavole (Palaeontographia italica, voi. Ili, pag. 77-88, tav. VIII-IX).

57. Parole pronunziate a l^agonegro inaugurando il 17° Congresso della Società Geologica Italiana. Roma, Tip. Salviucci, 1898, in-8”, pagine 9 (Boll. Soc. geol. ital., voi. XVII, fase. 4°, pag. xcvi a civ).

58. Delazione sul concorso bandito dalla D. Accad. delle Se. fis. e mat. di Napoli per le Scienze naturali (1897). Napoli, Tip. R. Acc. Se. tis. e mat., 1898, in-8°, pagine 3 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. 1°, pag. 15-18).

59. Di una piccola bocca apertasi nel fondo della Solfatara. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1898, in-8°, pagine 2 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. 12°, pag. 441-442).

60. La ittiofauna del calcare eocenico di Gàssino in Piemonte. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1899, in-4°, pagine 41, con 3 tavole (Atti R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, voi. IX, serie 2a, n. 13).

61. Su la « Hirudella laticauda 0. G. Costa » degli scisti bituminosi tria- sici di Giffoni, nel Salernitano. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1899, in-8°, pagine 3 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. 8,J a 12°, pag. 225 a 227).

62. Avanzi di « Clupea (Meletta) crenata » nelle marne di Ales in Sar¬ degna. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1900, in-8°, pagine 3 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. a 7°, pag. 156 a 158).

63. Su alcuni avanzi di pesci nelle marne stampiane del bacino di Ales in Sardegna. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1900, in-8°, pagine 3 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. a 7°, pag. 191 a 194).

64. Di un congegno per facilitare l'isolamento dei fossili. Napoli, Soc. Coop. Tipografica, 1900, in-4°, pagine 3, con una tavola (Atti R. Istit. d’in¬ coraggiamento di Napoli, serie V, voi. II, n. 4).

65. Divista crìtica di lavori di ittiologia fossile. Bologna, Tip. Gamberini e Parmeggiani, 1900, in-8°, pagine 8 (Rivista ital. di Paleont., anno VII, fase. I-III, pag. 8, 10, 11, 12, 14).

COMMEMORAZIONE

LXX11I

66. Su alcuni avanzi di pesci fossili nel pliocene toscano. Firenze, Tip. Fio¬ rentina, 1901, in-8°, pagine 3 (Monitore Zoologico Italiano, anno XII, n. 7, pag. 189-191).

67. Il « Notidanus griseus Cuvier » nel pliocene della Basilicata e di altre regioni italiane e straniere. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1901, in-8°, pagine 6, con una fig. intere. (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. 5", pag. 175 a 180).

68. Nuove osservazioni paleontologiche sul bacino slampiano di Ales in Sardegna. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1901, in-8°, pagine 3 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. 7°, pag. 262 a 264).

69. Rivista critica di lavori di ittiologia fossile. Bologna, Tip. Gamberini e Parmeggiani, 1901, in-8°, pagine 4 (Rivista ital. di Paleont., anno VII, fase. II, pag. 25-27, 41-43).

70. Sui pesci fossili della pietra leccese. Lettera al prof. Cosimo De Giorgi in Lecce. Napoli, 24 aprile 1903 (R. Tipografia Ed. Salentina, in-4°, pagine 2).

71. Rivista critica di lavori di ittiologia fossile. Bologna, Tip. Gamberini e Parmeggiani, 1903, in-8°, pagine 4 (Riv. ital. di Paleont., anno IX, fase. Ili, pag. 57, 60, 64).

72. Indice generale dei lavori pubblicati dal 1737 al 1903 dalla R. Acca¬ demia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1904, in-8°, pagine 111.

73. Rivista critica di lavori di ittiologia fossile. Perugia, Tip. G. Guerra,

1904, in-8°, pagine 2 (Rivista ital. di Paleont., anno X, fase. I e III pag. 12 e 72).

74. Gaetano Giorgio Gemmellaro. Necrologia. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1904, in-8°, pagine 2 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. e 4°, pag. 157-158).

75. Gaetano Tenore. Necrologia. Roma, Tip. F. Cuggiani, 1904, in-8° pagine 15 (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXIII, fase. Ili, pag. olxxiv- clxxxiv).

76. La ittiofauna delle argille marnose pleistoceniche di Taranto e di Nardo , Napoli, Tip. II. Acc. Se. fis. e mat., 1905, in-4°, pagine 58, con 3. tavole (Atti R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, voi. XII, serie 2a, n. 3).

77. Relazione della Commissione incaricata di proporre il rimedio più opportuno per eliminare i danni derivanti all’ Osservatorio vesuviano dalla ferrovia elettrica [F. Bassani, relatore]. Napoli, Tip. R. Università,

1905, in-4° piccolo, pagine 15 (Annuario scol. 1904-905 della IL Uni¬ versità di Napoli, pag. 197-210).

78. Sur quelques restes de poissons fossiles recueillis dans les argiles écail- leuses ophitifères de V Apennin septentrional (in F. Sacco, Les forma- tions ophitifères du Cre'tacé). Bruxelles, Imprim. de l’Acad. Royale de Belgiq., mai 1905, in-8u, pagina 1 (Bull. Soc. belg. de géol., paleont. et hydrol., tomo XIX, pag. 255).

LXXIV

COMMEMORAZIONE

79. Avanzi di « Cyrtodelphis sulcatus Gerv. sp. » nel calcare miocenico di Lecce. Comunicazione preventiva. Roma, Tip F. Cuggiani, 1905, in-8°, pagina 1 (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXIV, pag. xlvii).

80. In memoria di Leopoldo Pilla. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat.,

1905, in-8°, pagine 16, con ritratto (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. 12°, pag. 477-492).

81. Notizie sull’attuale eruzione del Vesuvio. Aprile 1906 (in collabora¬ zione con A. Galdieri). Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1906, in-8°, pagine 5 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. 4°, pag. 123-127).

82. Commemorazione del socio senatore Giuseppe Scaràbelli Gommi Fla¬ mini. Roma, Tip. Salviucci, 1906, in-8°, pagine 17 (Rend. R. Acc. Lincei, Cl. di Se. fis., mat. e nat., voi. XV, serie 5a, sem., pag. 246-262).

83. Relazione sul concorso al premio Reale per la Mineralogia e Geologia scaduto il 31 dicembre 1904 (Commissari De Stefani, Emery, Grassi B., Taramelli e Bassani, relatore). Roma, Tip. Salviucci, 1906, in-4°, pagine 11 (Rend. adun. sol. del 3 giugno 1906 della R, Acc. dei Lincei, pag. 240-250.

84. Sulla caduta dei projetti vesuviani in Ottajano durante l’eruzione del¬ l'Aprile 1906 (in collaborazione con A. Galdieri). Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1906, in-8°, pagine 12, con 4 fig. intere. (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. e 8°, pag. 321-332).

85. Di una nuova piccola bocca nel fondo della Solfatara di Pozzuoli , con alcune considerazioni sulla, opportunità di uno studio sistematico di questo cratere e dei lenti movimenti del suolo presso il Serapeo. Na¬ poli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1907, in-8°, pagine 6 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. 3°, pag. 60-65).

86. Relazione sulla opportunità di uno studio sistematico della Solfatara e dei lenti movimenti del suolo presso il Serapeo di Pozzuoli, e sui mezzi più opportuni per attuarlo (in collaborazione con C. Chistoni). Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1907, in-8", pag. 4 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. 4°, pag. 121-124).

87. Su alcuni avanzi di pesci nell' arenaria glauconiosa delle isole Tremiti. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1907, in-8°, pagine 5, con 11 fig. in¬ tere. (Rend. R. Accad. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. a 7”, pag. 156-160).

88. Sui vetri forati di Ottajano nella eruzione vesuviana dell’Aprile 1906 (in collaborazione con A. Galdieri). Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1907, in-8°, pagine 27, con 8 fig. intere. (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. a 7°, pag. 230-256).

89. Relazione sul concorso al premio Tenore bandito nel 1906 dall’Acca¬ demia Pontaniana di Napoli sul tema : Contributo alla conoscenza del terreno triassico nel Salernitano. Napoli, Tip. Giannini, 1908, in-8°, pagine 4 (Atti Accad. Pontaniana, voi. XXXVIII, pag. 1-4).

90. La sorgente minerale di Valle di Pompei. Relazione geologica (in col¬ laborazione con A. Galdieri). Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat.,

COMMEMORAZIONE

LXXV

1908, in-4°, pagine 8 (Atti R. Acc. Se. fis. e mat. (li Napoli, voi. XIII, serie 2a, n. 21.

91. Commemorazione di Alberto Gaudry. Napoli, Tip. R. Ace; Se. fis. e mat., 1908, in-8°, pagine 4 (Rencl. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. a 12°, pag. 235-238).

92. Delle conseguenze arrecate alle campagne ed alle culture agrarie dalla eruzione vesuviana dell’Aprile 1906. Napoli, Coop. Tipografica, 1909, in-4°, pagine 19, con una tavola (Atti R. Istituto d’incoraggiamento, serie VI, voi. LX, pag. 299-315) [Commissione composta da 0. Comes, G. Froio, F. Bassani, G. De Lorenzo, R. V. Matteucci, F. De Rosa, 0. Bordiga, relatore].

93. Contributo alla ricerca delle norme edilizie per le regioni sismiche. Napoli, Coop. Tipografica, 1909, in-4°, pagine 25, con 7 tavole (Atti R. Istituto d’incoraggiamento, serie VI, voi. LXI, pag. ni-xxv) [in collaborazione con G. De Lorenzo, U. Masoni, G. Mercalli, F. Nitti, G. Pepe].

94. Sui fossili e sull'età del deposito di Castro dei Volsci in provincia di Roma (Miocene superiore). Roma, Tip. G. Bertero e C., 1909, in-8°, pagine 10, con una tavola (Boll. R. Comit. Geol. d’Italia, voi. XL, fase. 4°, pag. 409-416, tav. XIII).

95. Onoranze alla memoria di Arcangelo Scacchi nel Centenario della sua nascita 10 luglio 1910 . Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1910, in-8°, pagine 3, con ritratto (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Na¬ poli, voi. XVI, fase. 7°-9°, supplemento, pag. 3-5).

96. Scavo geologico eseguito a Capri (in collaborazione con A. Galdieri). Roma, Tip. G. Bertero e C., 1911, in-4°, pagine 8, con 3 fig. intere. (Atti Soc. It. per il progr. d. Se., IV Riunione, ottobre 1910, pag. 67 1-676) [ristamp. in Bull. Paletnologia ital., Parma, 1911],

97. Sopra un Bericide del calcare miocenico di Lecce, di Rosignano Pie¬ monte e di Malta Myripristis melitensis A. S. Woodward sp. »). Na¬ poli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1911, in-4°, pagine 14, con 2 tavole (Atti R. Acc. Se. fis. e mat. eli Napoli, serie 2a, voi. XV, n. 1).

98. Gabriele Minervini. Napoli, Tip. Giannini, 1911, in-4°, pagine 3 (Atti Acc. Pontaniana, voi. XLI, pag. 1-3).

99. Sopra un delfinorinco del calcare miocenico di Lecce ( « Ziphiodelphis Abeli Dal Piaz») [in collaborazione con A. Misuri]. Roma, Tip. Sal¬ viucci, 1912, in-4°, pagine 18, con una tavola e 6 fig. intere. (Meni. R. Acc. Lincei, Cl. di Se. fis., mat. e nat., voi. IX, serie 5a, pag. 25-38).

100. La ittiofauna del calcare cretacico di Capo d’ Orlando presso Castel¬ lammare (Napoli) [in collaborazione con G. D’Erasmo]. Roma, Tip. Sal¬ viucci, 1912, in-4°, pagine 63, con 6 tavole e 15 fig. intere. (Meni. Soc. It. d. Se. [detta dei XL], serie 3a, t. XVII, pag. 185-243, tav. I-VI).

101. Sopra una nuova fumarola nel fondo della Solfatara di Pozzuoli. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1913, in-8°, pagine 3 (Rend. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. l°-2°, pag. 29-31).

LXXVI

COMMEMORAZIONE

102. Commemorazione cki prof. Giuseppe Mercalli. Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e raat., 1914, in-8°, pagine 4 (Rencl. R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, fase. a 4°, pag. 21-24).

103. Sopra un « Pholidophorus * del Trias superiore del Tinetto nel golfo della Spezia. Roma, Tip. Salviucci, 1914, in-8°, pagine 5, con una fig. intere. (Rend. R. Acc. Lincei, Cl. Se. fis., mat. e nat., serie 5a, voi. XXI li, seni., pag. 379-383).

104. Sopra un pesce fossile degli scisti calcareo -marnosi triassici del Gal¬ letto presso Laveno sul Lago Maggiore Peltopleurus humilis Kner »). Roma, Tip. L. Cecchini, 1914, in-8°, pagine 5, con una tavola (Boll. R. Comit. geol. d'It., voi. XLIV, pag. 101-105).

105. La ittiofauna della pietra leccese (Terra d’ Otranto). Napoli, Tip. R. Acc. Se. fis. e mat., 1915, in-4°, pagine 52, con 4 tavole (Atti R. Acc. Se. fis. e mat. di Napoli, serie 2a, voi. XVI, n. 4).

A questi lavori bisogna aggiungere:

I. I Verbali delle Adunanze generali della Società Geologica Italiana te¬ nute in Milano il 6 aprile e il 21 dicembre 1884 (Boll. Soc. Geol. ltal., voi. Ili, 1884, pag. 10-17 e 178-187).

II. I Rapporti sui lavori compiuti dalla R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli negli anni 1895-1897 e 1901-1903, fatti per cura del socio segretario F. Bassani, ed inseriti nei Rendiconti della stessa Accademia (fase. degli anni 1896-1898 e 1902-1904).

SECONDA ADUNANZA ORDINARIA tenuta in Roma il 28 dicembre 1916

Presidenza: Vittorio Novarese.

Nella Biblioteca del R. Ufficio Geologico, ha luogo la se¬ conda adunanza ordinaria di quest’anno.

Alle ore 10 il Presidente ing. Vittorio Novarese dichiara aperta la seduta.

Sono presenti: il vice-presidente, ing. A. Stella, i consi¬ glieri A. Verri, S. Segrè, F. Millosevich; i sigg. E. Clerici, L. Mazzetti, A. Rosati membri della Commissione del Bilancio; i soci G. Checchia-Rispoli, R. Fabiani, I. Galli, 0. Lattes, L. Mazzuoli, B. Lotti, L. Maddalena, C. Pilotti, A. Portis; il tesoriere G. Aichino; l’archivista C. Crema, ed il segretario A. Neviani.

Scusano l’assenza i consiglieri E. Artini, G. Di Stefano e A. Roccati; i soci L. .Baldacci, E. Bortolotti-Baldanzi, G. B. Cacciamali, G. D’Achiardi, L. Fantappiè, P. Giusti, R. Meli, C. F. Parona, A. Parma, F. Sacco.

Si per letto il verbale della prima adunanza ordinaria, tenuta in Roma, il 5 marzo 1916, pubblicato nel primo fasci¬ colo del Bollettino a pag. xxv-xxxvi. Senza osservazioni viene approvato.

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Il Presidente, presa la parola, dice: E questo il terzo anno in cui la grande guerra europea costringe la Società Geologica a rinunciare alla sua riunione estiva nella simpatica forma consueta, dedicata allo studio sul terreno dei problemi della nostra scienza, ed a sostituirla con una adunanza destinata essenzialmente ad adempiere le prescrizioni amministrative statutarie. Faccio ar¬ denti voti che la presente sia l’ultima di tali riunioni, e colla certezza di esprimere i sentimenti dei soci, formo l’augurio che

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l’anno in cui stiamo per entrare, sia quello della pace vittoriosa che ci consenta di riunirci nell’autunno in una delle terre ri¬ vendicate alla Patria.

Nell’intervallo trascorso dalla nostra ultima adunanza del 5 marzo u. s., la Presidenza, seguendo l’intenso risvegliarsi nel pubblico, a cagione della guerra, dell’interesse verso gli studi scientifici, ha avuto occasione di occuparsi di questioni che po¬ tranno in un prossimo avvenire formare argomento di proficue discussioni e di studi, delle quali la Società dev’essere perciò informata.

Verso la fine di giugno si riunì in Roma il Comitato diret¬ tivo della Associazione per il Progresso delle Scienze, del quale ha l’onore di far parte chi vi parla. In tale adunanza il chiaris¬ simo prof. Lori dell’Università di Padova, presidente dell’Asso¬ ciazione, propose di studiare l’istituzione di un Comitato vul¬ canologico italiano avente per iscopo l’indagine dei vulcani ita¬ liani, analogamente al Comitato talassografico ed a quello già- etologico, già costituitisi sotto gli auspici dell’Associazione stessa. Chi vi parla caldeggiò immediatamente la proposta, interve¬ nendo nella qualità di vostro Presidente, ed entrò a far parte della Commissione composta oltre che da lui, dal prof. Lori e Artini di Milano, L. De Marchi di Padqva e Nasini di Pisa, a cui fu deferito lo studio preliminare della proposta. La Com¬ missione si riunì nel luglio a Milano e dopo matura discussione nominò relatore il chiarissimo prof. De Marchi, coll’incarico di redigere dentro il novembre una relazione da presentarsi in se¬ guito alla discussione di un più largo Comitato di rappresen¬ tanti delle varie scienze che s’interessano all’importante pro¬ blema del vulcanismo. Disgraziatamente poco dopo la riunione una crudele sventura ha colpito il prof. I. De Marchi, la per¬ dita di un figlio in guerra, che non gli ha consentito di con¬ durre fino ad ora a termine la relazione. All’illustre cultore della Geografia fisica, vadano le nostre vive condoglianze. ( Ap¬ provazioni ).

Nella seduta medesima del Comitato Direttivo dell’ Associa¬ zione per il Progresso delle Scienze, si diede notizia della co¬ stituzione a Milano di un Comitato tecnico-scientifico nazionale

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destinato a sviluppare nel Paese lina più intima collaborazione della scienza con la industria. La Presidenza, convinta della necessità che la Società Geologica fosse rappresentata in tale Comitato, vi aderi tosto in linea di massima, rimandando però l’adesione effettiva all’approvazione di una adunanza generale, perchè a norma dello Statuto del nascente Comitato, già appro¬ vato al momento dell’adesione, l’iscrizione della Società Geolo¬ gica importava una spesa annuale di 200 lire, impegno che, data la modesta entità del nostro bilancio, la Presidenza non volle prendere senza previa approvazione dei soci.

Con vivo dolore debbo annunciare la morte di sei nostri soci, avvenuta dopo l’ultima nostra adunanza.

Tutti hanno avuto la triste notizia della prematura fine di Francesco Bassani ; uomo esemplare come padre, come citta¬ dino, come insegnante, come profondo cultore delle scienze na¬ turali, e specialmente della paleoittiologia nella quale fu sommo maestro. Nel nostro Bollettino apparve già un degno necrologio, scritto con molta competenza e grande amore dal nostro con¬ socio dott. Geremia d’Erasmo, che fu dapprima suo allievo e poi aiuto alla cattedra. La bella necrologia è accompagnata da una tavola che perpetuerà i simpatici lineamenti, fedelmente riprodotti, della sua cara immagine paterna.

Di don Carlo Bruno, mancato ai vivi in Mondovì il 19 aprile, si pubblicherà nel Bollettino un necrologio scritto dal collega prof. Sacco, che lo ebbe amicissimo. Ma ciascuno di noi si ram¬ marica della scomparsa del buon sacerdote, entusiasta degli studi geologici, che vedemmo assiduamente fra noi alle nostre adu¬ nanze, e che ci accompagnò anche nelle varie escursioni del memorabile convegno di Lecco (stupendamente organizzato dal presidente on. Cermenati) destando l’ammirazione di tutti, perchè, non ostante i suoi 80 anni, resisteva magnificamente alle fati¬ cose salite.

In guerra, purtroppo, trovarono la morte, morte onoratissima, due fra i più giovani nostri consoci, il dott. P. Zuffardi, ed il dott. G. Marini: del primo che fu assistente all’Istituto di Geo¬ logia della R. Università di Torino, ci inviò una bella necro¬ logia il prof. C. F. Paroma, che verrà pubblicata nel prossimo

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SECONDA ADUNANZA ORDINARIA

fascicolo; del secondo ci dirà il nostro segretario, prof. Neviani, essendo stato il Marini suo allievo al « Visconti ».

Indirettamente si ebbe notizia della morte del maggiore I. Nievo (Firenze) e del sacerdote A. Laureti (Acquasparta) ; il primo socio dal 1908, il secondo solamente dal 1913. Alla loro memoria un nostro mesto pensiero.

Il socio prof. Meli ci ha recentemente favorito il m. s. della commemorazione del prof. G. Tuccimei defunto nello scorso anno. Verrà pubblicata nel prossimo fascicolo.

Allorché si ebbe notizia della morte, in guerra, di uno dei figliuoli del prof. C. F. Parona, che fu nostro amatissimo Pre¬ sidente, gli si inviò un telegramma di condoglianza, al quale il nostro collega rispose con la seguente nobilissima lettera:

Carissimo Neviani,

Riconoscente, ringrazio vivamente, anche a nome della mia famiglia, per l’affettuoso telegramma, inviatomi nelVintento di onorare la memoria del mio amatissimo figliuolo e di porgere a noi una parola di conforto.

Benedetti sono i figli d' Italia che cadono sul campo nell’ adem¬ pimento del più sacro dei doveri, e benedetti e gloriosi quelli che nel dovere sono animati da sentito entusiasmo e da fervore pa¬ triottico. A questa schiera più eletta apparteneva il nostro Emilio.

Commosso per la parte che il Presidente e il Consiglio del nostro Sodalizio (e tu, amico mio) prendono al mio dolore , invo¬ cando la vittoria, mando a tutti un cordiale affettuoso saluto.

Obbligatissimo

C. F. Parona.

Con vivo rincrescimento debbo comunicare all’Assemblea che uno dei nostri soci più egregi, il nostro antico Presidente pel 1910, l’ing. Luigi Baldacci, per poco non è rimasto, il primo dicembre, vittima di un incidente tramviario, e riportatene gravi fratture trovasi ora costretto per più settimane a letto, fortunatamente con buon prognostico.

Di una dolorosa malattia soffre pure da più mesi il nostro socio comm. ing. Ettore Mattirolo, così simpaticamente conosciuto da tutti noi.

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Ai due egregi, che sono entrambi fra i fondatori della nostra Società, vadano le espressioni di rammarico nostro, cogli auguri di pronto e completo ristabilimento.

In non buone condizioni di salute trovasi pure un altro dei nostri antichi presidenti, l’on. Mario Cermenati ; che soffre da oltre un anno di una malattia dovuta agli strapazzi della cam¬ pagna di guerra sostenuta fino aH’inverno del 1915 fra le nevi dello Stelvio. Confidiamo che la sua robusta fibra vinca l’insidia del morbo e che torni fra noi nelle venture tornate a farci sen¬ tire la sua ispirata parola.

L’Assemblea concordemente approva.

Nel giugno di quest’anno il geologo russo A. P. Karpinsky, compì il cinquantesimo anniversario della sua attività scienti¬ fica; la Società Geologica Italiana, unendosi a tutto il mondo nell’onorare l’eminente scienziato, inviò una lettera di felicita¬ zione alla quale il Karpinsky così rispose :

Illustrissimo Sig. Presidente,

La prego gradire i miei pili sentiti ringraziamenti per gli auguri fattimi da Lei a nome della Società Geologica Italiana per il cinquantenario della mia attività scientifica.

Essendo io legato da vincoli di amicizia con molti geologi italiani, il loro saluto in quel giorno mi è stato particolar¬ mente grato.

Accolga, illustre signore, i miei distinti ossequi e ne sia V in¬ terprete presso i suoi colleglli della Società.

Eevmo obblmo A. Karpinsky.

Fu inviata lettera di felicitazione anche al collega conte Luigi Di Rovasenda per il compimento del suo novantesimo anno di vita ; ad essa l’egregio consocio così rispose :

Carissimo Neviani,

Riconosco il buon cuore dell’amico Sacco, il quale sebbene colpito da tanta sventura, tuttavia non ha dimenticato la grave cifra di anni da me raggiunta, e la volle ricordata agli illustri

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Consoci. E non sono meno commosso e riconoscente delle con¬ gratulazioni, complimenti ed augurii di Lei ottimo amico, nonché di codesta esimia Società, cui altamente mi pregio appartenere.

Voglia Ella, gentilissimo Signore, essere interprete presso di Essa, della mia sentita riconoscenza , coi ringraziamenti i più cordiali per me indirizzati a tutti i singoli Membri, augurando loro di oltrepassare i 90 anni.

Ma pur troppo a chi invecchia molto, tocca vedere diradarsi le file di carissimi amici. Non posso a meno di rammentare con vero dispiacere la perdita dei carissimi Consoci Bruno e Bassani, specialmente quest’ultimo che illustrò la mia raccolta di ittioliti.

Vossignoria voglia gradire coi più distinti e cordiali saluti V espressione della mia profonda considerazione.

Con tutta la sincerità dell’animo mio,

Affmo amico Luigi Di Rovasenda.

Vennero proposti a nuovi soci ed approvati dal Consiglio direttivo i seguenti signori :

Bianchi dott. Angelo, assistente nell’Istituto di mineralogia della R. Università di Pavia; proposto dai soci Parona e Ne- viaili ;

Cumin Gustavo, di Roma; proposto dai soci Millosevich e Neviani ;

De Fiore barone dott. Otto, dell’Istituto di mineralogia della R. Università di Roma ; proposto dai soci Millosevich e Neviani ;

L’Istituto Geologico della R. Università di Roma ; proposto dai soci Portis e Novarese;

Mazzeri Anna, di Roma; proposta dai soci Mariani G. e Checchia-Rispoli ;

Rodriguez ing. Francesco, di Torino; proposto dai soci Bal- dacci e Novarese;

Z uff ardi -Come rci dott.a Rosina dell’Istituto Geologico della R. Università di Torino; proposta dai soci Parona e Novarese.

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La proposta per la inscrizione a socio della vedova Z uff aedi, ci pervenne poc’anzi a mezzo della seguente cartolina del pro¬ fessore C. F. Parona :

La signora Rosina Conierei ved. Zuffa r di desidera far parte della nostra Società al posto del compianto suo marito e nostro collega carissimo. Le sarò grato se vorrà associarsi a me per la proposta relativa da sottoporsi al voto dell1 adunanza, di domami.

Nel chiedere all’Assemblea l’approvazione di tutti i nuovi soci, propongo che la comunicazione di nomina della signora Zuf- fardi, venga fatta, data l’eccezionale condizione, per telegramma.

L’Assemblea, applaudendo, approva.

Ecco il telegramma, che fu inviato nello stesso giorno:

Signora Cornerei vedova Zaffar di. Museo Geologico, Torino.

Assemblea Società Geologica accolse con viva emozione sua nomina a socio perpetuando ricordo nostro eroico collega.

Novarese.

Avemmo in risposta il seguente telegramma:

Con animo grato ringrazio S. V. tutti i Soci che onorando benedetta memoria mio eroico marito portarono caro conforto mio cuore.

Rosina Zuffardi.

Annuncio le dimisssioni dei soci G. Mara velli e P. E. De Fer¬ rari. La Presidenza farà quei passi opportuni che, si spera, var¬ ranno a far recedere i due soci dal loro proposito.

Circa due anni or sono pervenne alla Presidenza una let¬ tera di dimissioni, scritta a macchina, ma, certo per inavvertenza, non firmata, ed alla quale, perciò, non venne dato corso. Ora debbo far notare, che da qualche indizio si è recentemente creduto di attribuire all’on. M. Cermenati quella lettera. Evidentemente in tali condizioni non possiamo deliberare cosa alcuna; ma sono certo di esprimere il sentimento dell’ Assemblea, ove il dubbio

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SECONDA ADUNANZA ORDINARIA

si confermasse, insistendo presso Mario Cermenati, che come studioso ed uomo politico ha dato tante prove di operoso affetto così nella scienza, come nella Società nostra, di recedere dalla sua deliberazione e rimanere fra noi.

L’Assemblea, con unanime assentimento, approva la proposta del Presidente.

Comunico all’Assemblea il voto stamane deliberato dal Con¬ siglio Direttivo, in seguito a richiesta del Mining World En- gineer di Chicago, per avere l’indice annuale del nostro Bollet¬ tino, per la inscrizione nella Bibliografìa mondiale. A proposta dell’archivista, ing. Crema, si è deliberato di chiedere senz’altro il cambio con la loro pubblicazione. Chiedo l’approvazione del¬ l’Assemblea.

L’Assemblea, senza discussione, approva.

Il Segretario comunica all’Assemblea che sono sotto stampa, oltre alle necrologie dei compianti consoci Bruno, Tuccimei e Zuffardi, anche le seguenti note e memorie:

Caldera F., Antica e recente pianura del Chiese.

' Meli R., Nota preliminare attorno una cava di materiali argillosi refrattari, che sta attivandosi nei dintorni di Roma.

Nevi ani A., Belle Icoliti (Pietre figurate).

Sono giunti alla Segreteria, o furono annunciati, i seguenti lavori, dei quali una parte dovrà passare al primo fascicolo del 1917. Quanto al terzo fascicolo di quest’anno, trovandosi la Tipografìa, per legittimo motivo, nella impossibilità di com¬ pletare la stampa nel mese di gennaio, termine fisso per go¬ dere dell’abbonamento postale, il Consiglio Direttivo, con deli¬ berazione di stamane, ha conceduto una proroga alla sua pub¬ blicazione.

Checchia-Rispoli GL, Su alcune rocce a foraminiferi del¬ l’Eocene della Capitanata.

Lotti B., Il permiano del monte Pisano e i suoi tipi meso¬ zoici di fossili.

Malvano Gl., Le sorgenti minerali della collina di Torino.

Meli R., Nota sopra alcuni lembi del Trias rosso ammoni¬ aco dei dintorni di Narni (Umbria).

Martelli A., Appunti geologici sull'isola di Scarpanto.

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Novarese V., Fittiti permiane delV lglesiente.

Portis A., I primi avanzi di quadrumani del suolo di Roma. Sacco F., Il ghiacciaio ed i laghi del Riàtor.

Sangiorgi G., Flora fossile delV Imolese.

Il Segretario presenta anche l’elenco degli omaggi perve¬ nuti alla Società dopo l’ultima adunanza.

Bonomini C., Genesi della stratificazione, Brescia, 1916.

Capacci C., Per le Ligniti nazionali, Roma, 1916.

Cozzaglio A., L’aspetto geologico della limerà Benacense da Salò a Ia- mone, Brescia, 1915.

Sulla origine neogeniea della Valtrompia e della Valcamonica, Brescia,

1916.

Day L. A., Annual report of thè Director of thè Geopliysical laboratori/ , Washington, 1915.

Galli I., Fulmini globulari nell’anno 1915 , Roma, 1916.

La pioggia straordinaria degli anni 1914 e 1915 , Roma, 1916.

Di due recenti Fulminazioni nella Provincia Romana , Roma, 1916.

Di un altro strano fulmine nella Provincia Romana, Roma, 1916.

La Terra, l’Universo e l’Uomo, Milano, 1916.

Galli I. e Martinelli G., Comunicazioni sopra una nuova pioggia di sabbia africana, Roma, 1916.

Greco B., Fauna cretacea dell’Egitto raccolta dal Figari Bey. Parte prima :

Cephalopoda, con 6 tav. e 11 fig. intercalate, Pisa, 1915.

Istituto Geografico De Agostini, La Geografia. Novara, 1916. Johnston J., The solubility-product costant of Calcium and Magnesium carbonates. Washington, 1915.

Johnston J. and Williamson E. D., The complete curve of Calcium car¬ bonate, Washington, 1916.

Johnston J., Merwin 11. E. and Williamson E. D., The several forme of Calcium carbonate , Washington, 1916.

Maddalena L., Studi ed esperienze sulle Argille scagliose, Roma, 1916. Novarese V., LI quaternario in Val d’ Aosta e nelle valli del Canavese, Roma, 1912.

Il rilevamento geologico delle tavolette di Iglesias e Nebida. Roma,

1914.

Ghiacciai quaternari delle Alpi occidentali, Novara, 1914.

Il quaternario in Val d’Aosta e nelle valli del Canavese. Parte se¬

conda, Roma, 1915.

Gli stadi postwuermiani nella Valle d’Aosta, con una carta, Novara,

1916.

Di alcuni errori ufficiali, Novara, 1916.

Per la carta geologico-mineraria dell' lglesiente , Torino, 1916.

Il carbone nero ed il carbone bianco in Italia, Roma, 1916.

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SECONDA ADUNANZA ORDINARIA

Novarese V., Il quaternario in Val d’Aosta e nelle valli del Canavese, Parte terza. Roma, 1916.

Pietro Zezi, Roma, 1916.

Repossi E., La bassa valle della Mera. Studi petrografie! e geologici. Parte prima , con 3 tav., Pavia, 1915.

Sacco F., Il pozzo artesiano di Sahuggia , Torino, 1916.

Apparati dentali di Labrodon e di Chrysophrys del pliocene italiano ,

con ima tav., Torino, 1916.

La Geologia e la guerra, Torino, 1916.

Universo, con quattro tav., Torino, 1916.

Segrè C., Questioni pratiche di geologia applicata che più frequentemente si presentano all’ingegnere addetto ai lavori ferroviari, Roma, 1916.

Il Vicepresidente, ing. Stella, richiama l’attenzione dei pre¬ senti sulla comunicazione fatta poc’anzi dal Presidente, circa la costituzione, in Milano, un Comitato tecnico-scientitico na¬ zionale, destinato a sviluppare una più intima collaborazione della scienza colla industria, e chiede alla Assemblea un voto di massima, perchè egli possa durante la sua presidenza del prossimo anno occuparsi della questione della quale egli dimo¬ stra l’importanza, e presentare così alla adunanza, nella quale si tratterà dei bilanci preventivi, una proposta concreta.

Dopo breve discussione, l’Assemblea approva in massima la proposta.

Prima di procedere nello svolgimento dell’ordine del giorno, il Presidente invita i soci presenti C. Pilotti e L. Maddalena, a fungere da scrutatori, per lo spoglio delle 86 schede perve¬ nute alla segreteria, per le elezioni alle cariche sociali.

quindi la parola al socio Clerici, primo firmatario della relazione dei Commissari per il bilancio consuntivo 1915.

Il Commissario, ing. Clerici, legge la seguente relazione:

Egregi Colleglli,

Esaminati i documenti contabili, che ci sono stati trasmessi, abbiamo riscontrato una perfetta corrispondenza colle risultanze del bilancio, salvo che in una delle note di spesa riportate al Gap. 3 si riscontra un errore in meno di L. 0,303 e in altra nota che contiene spese di stampa per il Bollettino e per Circolari d’invito all’adunanza, sembra più esatto che la spesa di L. 12 per una circolare, debba essere portata al Cap. 4 anziché al Cap. 1.

Dalle risultanze del bilancio è da notare con piacere che per ogni titolo di entrata la somma indicata nel consuntivo supera quella del pie-

SECONDA ADUNANZA ORDINARIA

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ventivo. Per quanto riguarda le spese, tutte, meno quella del Cap. 4, sono inferiori al preventivo.

Non tenendo conto della spesa affatto straordinaria per contributo alla Croce Rossa, le spese per la stampa del Bollettino e delle illustra¬ zioni, che rappresentano la parte più tangibile dell’attività sociale, am¬ montano a 84,5 °/0 circa del totale, mentre le altre spese, che potreb¬ bero dirsi di amministrazione, rappresentano circa il 15 °/0. Fra le spese ivi comprese, ci permettiamo di raccomandare una maggiore parsimonia per compensi e mance, il cui ammontare supera l’l%; e a questo ri¬ guardo consiglieremmo addirittura di comprendere nei bilanci futuri le spese per prestazioni varie, inclusa qualche mancia, al Cap. 7, che attual¬ mente prevede soltanto aiuti al Segretario. E infine riterremmo anche de¬ siderabile che alla distinta delle entrate per quote sociali fosse allegato un prospetto indicante le quote ancora da esigere.

Esposte queste osservazioni, che rispecchiano il desiderio di assol¬ vere il nostro compito nel modo più completo possibile, dobbiamo elo¬ giare la diligente preparazione dei prospetti parziali e riassuntivi, che hanno grandemente facilitato l’opera nostra.

E. Clerici, L. Mazzetti, A. Rosati.

Il Presidente mette in discussione le conclusioni dei Com¬ missari del bilancio. Ma nessuno dei presenti prende la parola; cosicché restano approvati i bilanci consuntivi per il 1915 della Società Geologica e del Legato Molon.

Il Presidente successivamente la parola ai soci A. Portis, B. Lotti, G. Checchia- Pispoli, A. Neviani, e lui stesso la prende, per esporre all’Assemblea il contenuto delle memorie e note, delle quali si è innanzi trascritto il titolo, e per mostrare ai presenti il materiale relativo. Per nessuna delle predette comunicazioni si ebbe discussione.

Completato intanto lo spoglio delle schede il Presidente pro¬ clama il seguente risultato :

Votanti 89 Schede nulle 3 1

Schede valide 80 2

1 Delle tre schede annullate, due non portavano la firma del votante nel talloncino unito alla apposita busta, ed una era contenuta in busta aperta senza alcuna firma.

2 Dopo l’adunanza pervennero altre cinque schede, spedite con le date (timbro postale): 20 dicembre (1 ), 27 die. (2), 31 die. (2); rispettiva¬ mente da Riardo, Bergamo, Salò, Catania ed Empoli.

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SECONDA ADUNANZA ORDINARIA

Artini Ettore, eletto Vicepresidente per il 1917, Presidente per il 1918, con voti 83.

Zaccagna Domenico, eletto Consigliere per il triennio 191 7— 1919, con voti 83.

Neviani Antonio, che scade da Segretario, eletto Consigliere, per il triennio 1917-19, con voti 79.

Fabiani Ramiro, eletto Consigliere per il triennio 1917-19, con voti 73.

Bucca Lorenzo, eletto Consigliere per il triennio 1917-19, con voti 69.

Millosevich Federico, ora Consigliere, eletto Segretario per il triennio 1917-19, con voti 84.

Si ebbero 29 voti dispersi, su 22 nomi.

11 Presidente si compiace del risultato della votazione, e rivolge speciali rallegramenti ai soci presenti Fabiani, Millosevich e Neviani, che ringraziano.

Propone inoltre, e l’Assemblea approva, l’invio di un tele¬ gramma al prof. Artini eletto Vicepresidente con votazione ple¬ biscitaria L

Dopo scambio cordiale di complimenti ed auguri, alle ore 11,45 il Presidente dichiara sciolta la seduta.

Il Segretario

A. Neviani.

1 Telegramma inviato :

Prof. Artini Ettore Museo Civico Milano.

Con 83 voti sopra 86 votanti, Ella è stato oggi proclamato Vicepre¬ sidente Società Geologica. Partecipandole questo risultato, nome Assem¬ blea e mio, invio rallegramenti auguri.

Novarese.

Telegramma di risposta:

Ingegnere Novarese Ufficio Geologico Poma.

Onoratissimo splendida attestazione fiducia, simpatia, presento Lei Col¬ leglli tutti espressione mia riconoscenza profonda, augurando P)1S possa riunirci solenne Congresso tra le redente Alpi Tridentine. Cordialmente suo

A rtini.

Prof. Comm. GIUSEPPE TUCCIMEI

nato il 19 febbraio 1851, morto il 20 settembre 1915

Adempio al mesto ufficio, del quale sono stato incaricato dal nostro Presidente, di commemorare uno degli antichi e be¬ nemeriti Soci della Società Geologica Italiana, il prof. comm.

Giuseppe Tuccimei, iscritto nell’e¬ lenco dei Soci fin dal 1881; anno, che segna la data dell’inizio della nostra Società, la quale come è noto sorse per l’iniziativa di Quintino Sella, dell’ing. Felice Gior¬ dano e del senatore prof. Giovanni Capellini, nella occasione del Con¬ gresso Geologico Internazionale (2a Sessione), tenutosi a Bologna nel settembre 1881. Peraltro, devo su¬ bito aggiungere che il Tuccimei, non soltanto appartenne alla nostra Società dal primo anno di sua esi¬ stenza, ma prestò l’opera sua, intel¬ ligente ed attiva, a vantaggio della Società, sia colle numerose pubblicazioni scientifiche, stampate nel Bollettino, sia ricoprendo per parecchi anni le cariche di

Archivista (1884 a 1886; 1890 a 1892) e quella di Segreta-

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rio (1887-89; 1893). E quindi doveroso il ricordare nel nostro Bollettino i suoi meriti.

Giuseppe Tuccimei nacque in Roma il 19 febbraio 1851 da Enrico Tuccimei ed Anna Maria Annibaldi, antiche e note fami¬ glie dell’agiata borghesia romana. Percorsi gli studi classici, si

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NECROLOGIE

iscrisse nell’Università al corso di Medicina e Chinirgia, con¬ seguendone la Laurea nel luglio 1874. Per poco tempo esercitò l’arte medica; fu, infatti, fin dal 1873, nominato Assistente nell’Ospedale di Santo Spirito; ma poi, seguendo la forte incli¬ nazione, che sentiva per gli studi naturalistici, tornò a frequen¬ tare i corsi e i laboratori scientifici dell’Università di Roma, iscrivendosi come studente di Scienze naturali, e conseguendone la Laurea, due anni dopo, cioè nel luglio 1876. Una delle tesi scritte per questa sua nuova Laurea fu di argomento geo-paleon¬ tologico, trattando dei Fossili delle sabbie gialle plioceniche di Acquatraversa sulla via Cassia, a 5 fon. da Roma. La tesi fu elaborata nel Gabinetto di Geologia, ove io ero allora assi¬ stente, ed il materiale necessario, in parte fu raccolto dal Tuc- cimei, in parte fu anche fornito dalla mia privata collezione di fossili del Monte Mario e dintorni.

Conseguita la Laurea in Scienze naturali, egli si dedicò esclusivamente ai lavori scientifici ed all’insegnamento delle Scienze naturali nelle scuole secondarie. Difatti, fu chiamato dal Ministero della P. I. ad insegnarle nel R. Liceo di Catanzaro (settembre 1876) e, successivamente, in quello di Teramo (ot¬ tobre 1876); ma egli non accettò tali nomine, perchè, quasi nella stessa epoca, cioè sui primi di novembre, fu nominato profes¬ sore di Storia naturale in Roma al Liceo di S. Apollinare nel Pont. Seminario Romano, posto, che da allora occupò senza in¬ terruzione, e con molta lode, sino al giorno della sua morte.

Nel 1878 insegnò Storia naturale nel Liceo di Mondragone

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presso Frascati, e, dal 1880 in poi, in altri Istituti privati (Isti¬ tuto femminile di Santa Caterina, Istituto Angelo Mai, Istituto De Meròde), riportando ovunque plauso e generale soddisfazione, sia per la sua vasta coltura scientifica, sia per il modo di in¬ segnare.

Nello scarso tempo, che a lui restava libero dopo le molte ore d’insegnamento giornaliero, scrisse numerose memorie, alcune delle quali assai interessanti, che riguardano nella maggior parte la geologia ed i fossili delle regioni sabina e romana, che per¬ corse in vario senso; pubblicò anche scritti di entomologia ro¬ mana e una serie di articoli e memorie sulla teoria darwiniana della evoluzione e sulla origine dell’uomo, combattendo le teorie

NECROLOGIE

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materialistiche e cercando di spiegare la filogenesi e la comparsa della specie umana in accordo con i suoi sentimenti di religione, che osservò con sincerità e lealtà.

La sua prima pubblicazione data dall’anno 1878 sul padre Angelo Secchi; ne seguì un’altra nel 1879, che si riferisce alla en¬ tomologia (sulla Phylloxera vastatrix ), nel quale scritto si espon¬ gono le ricerche eseguite da Gl. E. Planchon su tale argomento; ma nell’anno seguente stampava il suo primo lavoro geologico: I colli pliocenici di Magliano- Sabino. In questa memoria è de¬ scritta, con molta precisione, la serie dei terreni pliocenici dei dintorni di Magliano, che emergono sulla sponda sinistra della grande vallata tiberina, ed è dato un elenco dei fossili, per la maggior parte molluschi, dall’autore raccoltivi. La memoria è interessante per le varie osservazioni contenutevi e perchè colma la lacuna, allora esistente, fra il pliocene cognito alla base dei monti Cornicolani, quello di Grotta-Marozza, Mentana, Monte Rotondo, della base del monte di Fara-Sabina, di Torri in Sa¬ bina e i terreni pliocenici di Calvi, delle Vigne e di Otricoli (presso Narni). Come è noto, sulla fine del secolo XVI 11° da Menard de la Groye erano stati trovati terreni a Melanopsis nodosa Féruss. in questa ultima località l.

Un altro lavoro, che riguarda la tettonica e la paleontologia della catena montuosa sabina, è quello stampato nel voi. II, 1883, del nostro Bollettino, col titolo: Sulla struttura e iter- reni che formano la catena di Fara in Salina. La memoria è importante, perchè, in seguito ai fossili da lui raccolti, i monti della Fara, che fino allora erano riguardati come di formazione cretacica, e tali segnati in tutte le carte geologiche edite fino a quel tempo, risultarono spettare invece al Lias medio e superiore. Quale continuazione e seguito a questa memoria, si possono considerare i due posteriori studi, cioè: Il sistema liassico di Roccantica e i suoi fossili , stampato nel nostro Bollettino

1 Lamarck (de) J. B. P., Hist. nat. d. anim. s. vertèbres. Deuxième édi- tion, voi. Vili, 1838, pag. 491, n. 4 e pag. 492. Vini, ancora: Férussac, Monographie du gerire Melanopsis. Mémoires d. la Soc. d’Hist. nat., Paris, 1823, pag. 158, tav. I, fig. 13. Férussac, Hist. d. moli. Melari, fos¬ sile s, tav. I, fig. 13 e tav. 2, fig. 13.

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(voi. VI, 1887) e l’altro: Note stratigrafiche sopra la forma¬ zione secondaria dei monti Sabini (Boll., voi. VI, 1890).

Il primo di questi due lavori è quasi interamente paleonto¬ logico; vi si trovano indicati, con determinazioni precise, i fossili ritrovati nei 3 piani del Lias e vi è descritta una specie nuova di ammonitide (. Lytoceras sabinum), che è figurata nella tavola annessa alla memoria.

Parimenti alla regione sabina, spettano gli altri lavori: Sopra le cavità naturali dei monti Sabini (1886); Bradisismi della regione sabina (1888); Sul villafranchiano della Sabina (1889- 1890); Sulle formazioni littorali plioceniche addossate alle falde dell’ Appennino sabino (1889); Resti di Arvicola nel pliocene lacustre della Sabina (1893); Sopra alcuni cervi pliocenici della Sabina e della provincia di Roma (1898). Tra questi lavori par¬ ticolarmente importante è quello Sul villafranchiano delle valli Sabine, nel quale sono indicati e descritti i fossili (in gran parte mammiferi e molluschi) raccoltivi dall’autore.

Ma un lavoro assai interessante, molto ben condotto, che, insieme ad altri, editi in precedenza, meritò al Tuccimei, su speciale proposta dell’Accademia Reale dei Lincei, un premio dal Ministero della P. Istruzione, è quello che riguarda la mam- mologia fossile pliocenica e quaternaria, col titolo: Alcuni mam¬ miferi fossili della provincia umbra e romana (1891). In questo bel lavoro egli descrive con quella chiarezza e precisione, che si ritrovano in tutti i suoi scritti, gli interessanti resti di Mastodon arvernensis Croiz. et Job., rinvenuti a Nera Montoro ', e quelli di elefante {E. meridionali), estratti parimenti dallo stesso ter¬ ritorio di Montoro nel dicembre 1889; altri di E. antiquus della vallata del Tevere, non che di Castor fiber Linn. della Sabina,

1 Sui resti di mastodonte, rinvenuti nel 1857 in un terreno di pro¬ prietà del marchese Patrizi, sulla destra del Nera, presso Nera-Montoro, parlarono: dapprima il marchese Giovanni Eroli (1858-1862) ed il prof. G. Ponzi (1862-1884); in seguito parecchi altri autori. Ne parlai anche io in diverse memorie, e specialmente nella: Notizia su resti di mammiferi fossili rinvenuti in località italiane (Boll. d. Soc. Geol. It., voi. XIV, 1895. Ved. le note a piedi delle pagg. 148-153); La gola del fiume Nera sotto Narni. Cenni geologici e note (Boll, della Soc. Geografica Ital., 1908, fase. X-XI. Vedi pag. 1140-1144 = 41-46 dell’estr.). In questa ultima

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e quelli di Ilyppopotamus major Cuv., Rhinoceros etruscus Falc., Equus Stenonìs Cocchi della valle del Farfa.

Una quindicina di memorie, comparse nell’ultimo ventennio 1895-1915, riguardano la teoria di Darwin, l’evoluzione della specie e i concetti della filosofìa materialistica, da lui non ac¬ cettata. A conferma delle sue idee, stava appunto lavorando indefessamente intorno uno scritto, nel quale aveva in animo di riassumere le sue vedute sulla filogenesi degli animali supe¬ riori, e dell’uomo in ispecie, e di discutere tutte le osservazioni e pubblicazioni uscite in luce su questo argomento. Il volumi¬ noso manoscritto, d’indole scientifico-critica, ha il titolo: Ai con¬ fini della Scienza e verrà pubblicato a cura della famiglia.

Verso Tanno 1914 cominciò ad occuparsi degli insetti viventi nella provincia di Roma e di Perugia, raccogliendoli nelle sue escursioni attraverso i territori delle anzidette province, e por¬ tando il suo studio specialmente sui Ditteri, dei quali, dal 1907 al 1914, pubblicava il catalogo in 4 parti, facendone argo¬ mento di lodate comunicazioni alla Società Zoologica Italiana con sede in Roma, della quale il Tuccimei fu Socio fondatore, e più volte eletto consigliere.

Finalmente dal 1890 al 1915, stampò, in volumi separati, una serie di libri di testo per le scuole secondarie, trattanti gli Elementi eli: Botanica , Zoologia , Mineralogia, Geologia e Geo¬ grafia fisica. Di alcuni di questi trattati (per es. di quello degli Elementi di Geologia e Geografia fisica ) furono stampate anche 5 edizioni; lo che sta a provare il favore e la diffusione, che incontrarono.

Ora, dando uno sguardo ai titoli delle pubblicazioni, special- mente originali, delle quali nell’elenco unito al presente scritto si riportano solo quelli attinenti alla Geologia, si resta sorpresi, e

memoria è data la bibliografia degli scritti intorno il mastodonte di Nera- Montoro.

Circa i resti di mastodonte dell’Umbria, anche recentemente (il 17 aprile del corrente anno 1016) in una gita eseguita cogli allievi del anno della R. Scuola di Applicazione di Roma alla miniera di lignite pliocenica di Morgnano presso Spoleto, vidi ed ebbi alcuni frammenti di colline spettanti a molari, e di ossa mascellari di Mastodon, ma ridotti in piccoli pezzi.

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del numero di esse, che è assai considerevole, tenuto conto delle numerose ore settimanali, che doveva impiegare per l’insegna- mento nelle varie Scuole ed Istituti secondar! (ciò rivela la sua grande attività e l’amore che aveva alla Scienza in genere), e della diversità degli argomenti trattati, lo che dimostra una vasta coltura ed una singolare versatilità del suo ingegno. In generale i lavori scientifici del Tuccimei sono fatti con molta accuratezza, con precisione di dati e di osservazioni.

Anche a vantaggio della nostra Società esplicò l’opera sua con intelligenza e lode; ricoprì, come si è accennato sul principio di questa commemorazione, la carica di Segretario pel triennio 1887-89 e pel 1893, nonché quella di Archivista per gli anni 1884-86 e 1890-92.

Appartenne all’Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei, come Socio aggiunto fin dal maggio 1878; fu nominato Socio ordi¬ nario a pieni voti nell’adunanza del 28 gennaio 1883, senza passare pel grado di Socio corrispondente. Fu eletto Socio di parecchie Società ed Accademie, tanto italiane, che estere.

Impiantò il Museo di Storia naturale nel pont. Seminario Romano, al quale dedicò tutte le sue cure nei momenti di tempo che gli restavano liberi. Per questo Museo seppe ottenere cospicui doni ed i fondi necessari agli acquisti del copioso materiale che vi si ammira, per modo che oggi forma uno dei più ricchi, ben disposti e ben classificati Gabinetti di Storia naturale delle Scuole secondarie. Nel cambiamento, eseguito pochi anni fa, dei locali del pont. Seminario Romano Maggiore da S. Apollinare al nuovo edificio in Piazza S. Giovanni in Laterano, costruito presso questa chiesa, il Tuccimei si occupò personalmente del¬ l’imballaggio e del trasporto di tutti gli oggetti del Museo, avendo cura che non subissero deterioramento e poi lo riordinò e lo collocò splendidamente a posto nel modo come oggi si vede. Le collezioni esposte in quel Museo stanno a dimostrare la col¬ tura scientifica del Tuccimei nelle varie parti della Storia na¬ turale e l’amore, che portava alle scienze da lui coltivate.

Gli furono affidati incarichi onorevoli, a cui egli corrispose con premura e con coscienza.

Fermo nelle sue opinioni religiose; integerrimo, sia nella vita pubblica, che neU’interno della famiglia; modesto e d’a-

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mmo mite; cortese nei modi; anche nelle polemiche, da lui incontrate per divergenza di opinioni con altri colleghi, sostenne le sue idee correttamente, mai si abbassò rivolgendo ingiurie ai suoi contradittori; difese le sue convinzioni con modi lodevoli e senza trascendere.

Il rimpianto causato dalla sua morte, avvenuta il 20 set¬ tembre dello scorso anno, fu generale, specialmente in Roma, ove era da tutti altamente stimato per i suoi meriti e per le sue virtù civili. Fu ottimo amico e lascia in quanti ebbero la fortuna di avvicinarlo, imperituro ricordo.

Onore alla sua memoria di cittadino esemplare e di chiaro ed erudito scienziato !

Romolo Meli.

ELENCO BIBLIOGRAFICO DEI LAVORI ATTINENTI ALLA GEOLOGIA

1. 1878. Il p. Angelo Secchi. Roma, Antologia illustrata.

2. 1880. I Colli pliocenici Mugliano- Sabino (Gli Studi in Italia, anno III, voi. II; Estr. pag. 1-21).

3. 1881. Il Monte Mario. Roma, Antologia illustrata, Serie III, anno II, n.' 1, 2 e 4.

4. 1882. Alcune osservazioni geologiche sui monti di Fara in Sabina a nord- est di Fonia (Comunicazione). Atti Acc. Pontif. N. Lincei, Sess. 3R del 19 febbraio 1882, pag. 89-90.

5. 1882. La Geologia del Lazio. La Rassegna Italiana. . . (Estr. pag. 1-23).

6. 1883. Sopra un caso di curvatura attuale di una roccia. Gli Studi in Italia, anno VI, voi. I, fase. II (Estr. pag. 1-7).

7. 1883. Sulla struttura dei terreni che formano la catena di Fara in Sabina. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. II, pag. 16-39.

8. 1883. Il terzo Congresso geologico di Fabriano. La Rassegna Italiana. Roma, 1883 (Estr. pag. 1-25).

9. 1884. Sulla struttura dei terreni che compongono la catena di Fara in Sabina. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XXXVI, Sess. 11R, del 28 gen¬ naio 1883, pag. 99-119 (Estr. pag. 1-23).

10. 1884. Sopra i terreni incontrati nei recenti scavi dell’Oppio in Fonia. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XXXVI, Sess. 7a del 20 maggio 1883, pag. 191-194 (Estr. pag. 1-6).

11. 1884. Studi geologici dell’ Esquilino, dell’Oppio e del Celio (Comunica¬ zione). Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XXXVII, Sess. 4a del 16 marzo 1884, pag. 155-157 (Estr. pag. 1-6).

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12 1886. Considerazioni sopra il Karst-Phànomen dei monti Sabini. La Rassegna Italiana del 15 aprile 1886 (Estr. pag. 1-19).

13. 1886. Contribuzione alla geologia dell’interno di Roma (Comunicazione). Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XXXVIII, Sess. 7!l del 21 giugno 1885, pag. 241-244.

14. 1887. Sopra le cavità naturali dei monti Sabini. Atti Acc. Pont. N. Lin¬ cei, anno XL, Sess. la del 19 dicembre 1886, pag. 43-45 (Estr. pag. 1-3).

15. 1887. Sulla costituzione geologica del Colle Esquilino in Roma. Mem. Pont. Acc. N. Lincei, voi. I, pag. 99-112 (Estr. pag. 1-16).

16. 1887. Contribuzione alla geologia dell’interno di Roma. Mem. Pont. Acc. N. Lincei, voi. I; pag. 323-329 (Estr. pag. 1-9).

17. 1887. Resoconto della adunanza generale della S. G. I., tenuta in Fi¬ renze il 21 febbraio 1887. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VI, pag. 17-25.

18. 1887. Il sistema liassico di Roccantica e i suoi fossili. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VI, pag. 117-157, tav. I (Estr. pag. 1-43).

19. 1887. Resoconto della adunanza estiva della S. G. I., tenuta in Savona il 12-18 settembre 1887. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VI, pag. 409-502.

20. 1887. Nota preventiva sul Villa franchiano nelle valli Sabine. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VI, fase. 4°, pag. 563-564 (Estr. pag. 1-2).

21. 1888. Bradisismi pliocenici della regione Sabina. Mem. Pont. Acc. N. Lincei, voi. IV, pag. 107-121 (Estr. pag. 1-17).

22. 1888. Resoconto dell’adunanza generale della S. G. I., tenuta in Imola il 12 febbraio 1888. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VII, pag. 13-25.

23. 1888. Resoconto dell’ adunanza generale della S. G. I., tenuta in Rimini e S. Marino il 6-10 settembre 1888. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. VII, pag. 241-277.

24. 1889. Resoconto dell’adunanza generale della S. G. I. tenuta in Bologna il 11 aprile 1889. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. Vili, pag. 13-58.

25. 1889. Il Villafranchiano nelle valli Sabine e i suoi fossili caratte¬ ristici. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. Vili, fase. 1°, pag. 95-131, con tav. II (Estr., pag. 1-39).

26. 1889. Sulle formazioni littorali plioceniche addossate alle falde del- l’ Apennino Sabino. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLII, Sess. 6a del 19 maggio 1889, pag. 274-277 (Estr. pag. 1-3).

27. 1889. Resoconto dell’adunanza generale della S. G. temila in Catan¬ zaro il 23-26 settembre 18S9. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. Vili, pag. 545-582.

28. 1889. Alcune recenti osservazioni sul Villafranchiano della Sabina. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. Vili, pag. 566-568 (Estr. pag. 1-3).

29. 1890. Alcune recenti osservazioni sul Villafranchiano della Sabina. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLIII, Sess. 4a del 16 marzo 1890, pag. 113-115 (Estr. pag. 1-4).

30. 1890. Riassunto di una pubblicazione del prof. Romolo Meli sui resti fossili d’avoltojo nel peperino laziale. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLIII, Sess. 6a del 25 maggio 1890, pag. 154-156 (Estr. pag. 1-4).

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31. 1890. Sul Macco di Falò. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLIII, Sess. la del 15 dicembre 1889, pag. 26-27 (Estr. con altre pubblica¬ zioni sullo stesso argomento dell’ing. Augusto Statuti, pag. 1-6).

32. 1890. Rinvenimento di avanzi di Elephas' meridionali Nesti, nel pliocene di Montoro (Comunicazione). Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLIII, Sess. la del 15 dicembre 1889, pag. 27-28 (Estr. pag. 15).

33. 1890. Osservazioni sulla nota del p. Denza : Le alte pressioni del l)e- cembre 1889 e Gennaio 1890. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLIII. Sess. 3a del 23 febbraio 1890, pag. 99-100.

34. 1890. Note stratigrafiche sopra la formazione secondaria dei monti Sabini. Meni. Pont. Acc. N. Lincei, voi. VI, pag. 266-277, con tav. (tav. X) (Estr. pag. 1-15).

35. 1891. Alcuni mammiferi fossili delle provinole umbra e romana (Comu¬ nicazione). Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLIV, Sess. 3a del 15 feb¬ braio 1891, pag. 108-109.

36. 1891. Sulle conchiglie [del lago di Tiberiade ] presentate dal p. Lais (Comunicazione). Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLIV, Sess. 5a del 19 aprile 1891, pag. 141-142.

37. 1891. Sui mammiferi fossili dell’Umbria e della provincia di Roma (Comunicazione). Atti Acc. Pont. Lincei, anno XLIV, Sess. 7a del 14 giugno 1891, pag. 274-275.

38. 1891. Alcuni mammiferi fossili delle provincie Umbra e Romana. Mem. Pont. Acc. N. Lincei, voi. VII, pag. 89-152, tav. V-XI (Estr. pag. 1-68).

39. 1892. Sulla interpretazione di alcune anomalie nella tectonica del gruppo Sabino. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLV. Sess. 2a del 17 gennaio 1892, pag. 35-37.

40. 1893. Rinvenimento di resti di Arvicola nel Villafranchiano della Sa¬ bina (Comunicazione). Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLVI, Sess. la del 18 dicembre 1892, pag. 38-39.

41. 1893. Resti di Arvicola nel Pliocene lacustre della Sabina. Mem. Pont. Acc. N. Lincei, voi. IX, pag. 36-45, tav. II (Estr. pag. 1-13).

42. 1893. Resoconto della adunanza generale estiva della S. G. I., tenuta in Ivrea il 17-20 settembre 1893. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XII, pag. 479-551.

43. 1893. Escursione alla Valle d’Aosta e ai ghiacciai del Monte Bianco, eseguita [dalla S. G. I.] il 21 e 22 settembre [1893]. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XII, pag. 549-551.

Dei due precedenti Resoconti fu fatto un unico estratto (di pag. 1-75) col titolo « Società Geologica Italiana ». Resoconti della XIII adu¬ nanza estiva tenuta in Ivrea dal 17 al 22 settembre 1893, compilati dal segretario Giuseppe Lucci mei.

44. 1893. Per la verità e per la scienza. Roma, tip. della Pace di E. Cug- giani, in-8, pag. 1-6.

45. 1894. Presentazione di [due) pubblicazioni del prof. R. Meli (Comu¬ nicazione). Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLVII, Sess. '4a del 18 marzo 1894, pag. 126-127.

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46. 1895. Sopra i resti fossili di mammiferi trovati alla villa Spinola presso Perugia. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLV1II, Sess. 2a del 20 gen¬ naio 1895, pag. 44-46 (Estr. pag. 1-2).

47. 1895. Presentazione di [tre'] note [geologiche] del prof. II. Meli. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLVI1I, Sess. 3a del 17 febbraio 1895, pag. 62-65.

48. 1895. Sulla geologia sabina: sulla questione del Pithecanthropus erectus. Atti Acc. Pont. N. Lincei, voi. XLVIII, Sess. 5a del 21 aprile 1895, pag. 83-84.

49. 1895. Il Villa franchiano e V Astiano nella valle tra i Corniculani e i Lucani. Meni. Acc. Pont. N. Lincei, voi. XI, pag. 41-66 (Estr. pag. 1-30).

50. 1896. Resti fossili di Felis arvernensis presso Perugia. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno XLIX, Sess. 6a del 17 maggio 1896, pag. 131-132.

51. 1896. Resti di Felis arvernensis nel Pliocene della Villa Spinola presso Perugia. Mem. Pont. Acc. N. Lincei, voi. XII, pag. 285-307, tav. VII (Estr. 1-27).

52. 1897. Ancora del Villa franchiano nella valle tra i Corniculani e i Lucani. Roma, tip. Cuggiani, 1897, pag. 1-17.

53. 1898. Sopra alcuni cervi pliocenici: della Sabina e dei dintorni di Roma (Comunicazione). Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno II, Sess. 2a del 16 gennaio 1898, pag. 43-44.

54. 1898. Presentazione di [due] pubblicazioni da parte del prof. R. Meli (Comunicazione). Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno LI, Sess. 6n del 15 maggio 1898, pag. 117-119.

55. 1898. Sopra alcuni cervi pliocenici della Sabina e della provincia di Roma. Mem. Pont. Acc. N. Lincei, voi. XIV, pag. 33-35, tav. IV (Estr. pag. 1-25).

56. 1898. Cenni biografici sopra il p. Francesco Lenza. Giorn. Arcad. di se., lett. ed art., Ser. Ili (Estr. 1-20).

57. 1899. Commemorazione del comm. prof. Michele Stefano De Rossi. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno LII. Sess. 2a del 25 gennaio 1889, pag. 37-57 ; segue l’Elenco delle pubblicazioni a pag. 74-87 (Estr. pag. 1-34).

58. 1899. Sopra alcune ossa fossili di cervo trovate sulla via Aurelia. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno LII, Sess. 3a del 19 febbr. 1899, pag. 65-67 (Estr. pag. 1-3).

59. 1900. Il Sahara e gli « Sciott » tunisini. Giorn. Arcad., se., lett. ed arti, Serie III, anno III, n. 36, dicembre 1900, pag. 408-415.

60. 1900. Osservazioni sulla forma cristallina del ghiaccio. Riv. di fis., mat. e Se. nat. Pavia. (Estr., pag. 1-8).

61. 1906. Sulla presenza del manganese nei dintorni di Roma. Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXV, fase. Ili, pag. 857-862 (Estr. id. id.).

62. 1914. Sopra la recente scomparsa del lago di Canterno. Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno LXVII. Sess. 2a del 18 gennaio 1914, pag. 54-59.

63. 1914. Notizie sul lago di Canterno (Comunicazione). Atti Acc. Pont. N. Lincei, anno LXVII, Sess. 5a del 19 aprile 1914, pag. 123-124.

PROF. CARLO BRUNO

Lo studio geologico delle Alpi Piemontesi si può distinguere in tre periodi successivi, cioè:

Un primo periodo, che possiamo indicare come sismondiano, perchè personificato da Angelo Sismonda il quale cominciò dal

1833 e prosegui per oltre un trentennio a districare la geolo¬ gia piemontese, riassumendo egli opportunamente nel 1862 le sue ricerche con una Carta geologica generale del Piemonte e della Savoia e facendo così compiere un gigantesco passo nella conoscenza geologica del Piemonte, ciò che fu in seguito un po’

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troppo dimenticato, ma che spero verrà presto giustamente ri¬ cordato.

Un secondo periodo, che si può ben denominare gastaldiano , giacche vi dominò in modo assoluto la mente direttiva ed at¬ tiva di Bartolomeo Gastaldi, ingegno multiplo di Paleontologo, di Paleoetnologo e di Geologo, che, prescindendo dai suoi studi glaciologie! e connessi, dedicò essenzialmente l’ultima parte (dal 1864 al 1877) della sua attivissima vita scientifica al rileva¬ mento geologico delle Alpi Piemontesi alla scala di 1 a 50.000, naturalmente coll’aiuto di alcuni collaboratori, e lasciando in tale lavoro, faticoso quanto importante, quell’impronta forte ed originale che tutti sanno.

Il terzo periodo, che sta ora chiudendosi, si può dire uffi¬ ciale nel senso che gli studi geologici delle Alpi Piemontesi si compirono in modo metodico, sistematico e regolare, specialmente a cominciare dal 1883, per l’opera del R. Ufficio Geologico ita¬ liano (rappresentato dagli Ing.rl Zaccagna, Mattirolo, Novarese, Franchi e Stella), pur non mancandovi studi, anche importanti, di varii altri geologi, paleontologi e litologi, come ebbi già ad esporre in un recente lavoro schematico riassuntivo sopra Les Alpes Occidentales, 1913.

Il Prof. Carlo Bruno appartenne al periodo gastaldiano, anzi colla sua dipartita scompare l’ultimo e valoroso rappresentante di quel piccolo manipolo di geologi che si raggrupparono in¬ torno al Gastaldi ; gli altri, come il Prof. M. Baretti ed il Geom. L. Bruno, quantunque più giovani, sono già scomparsi da pa¬ recchi anni! Dotato di uno spirito osservatore acuto e di fibra eccezionalmente robusta, il Bruno cominciò ben presto, verso il 1860, a percorrere in ogni senso le belle montagne del suo caro Monregalese investigandone i fenomeni naturali e proseguendo poi le sue escursioni alpine sin oltre ottantenne.

Come sovente si verifica nella vita di un uomo, che cioè un qualche fatto od incontro speciale dia l’indirizzo a gran parte della sua esistenza, così avvenne appunto pel Bruno.

Avendo Egli saputo esistere una caverna sopra Frabosa presso i casolari di Bossea, nel giugno del 1865 ne fece l’esplorazione, scoprendone la vastità e le bellezze naturali che illustrò più tardi in apposita nota (La Caverne ossifere de Bossea, Le Tou-

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riste, Florence, 13 Févr. 1874), riprodotta poi ancora nella « Guida agricola del Circondario di Mondovì, 1888 »; da allora la Caverna di Bossea diventò ben giustamente famosa e fu conti¬ nuatamente visitata ed ammirata; per cui, a ricordo del merito speleologico originario del Bruno, parvemi doveroso dedicargli una meravigliosa stalagmite (la Colonna Bruno) stata scoperta nella Caverna del Caudano pure presso Frabosa. 1

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E nel 1865 che Egli raccolse fra la poltiglia e le incrostazioni del piano della caverna di Bossea diversi ossami di orso, da lui mandati in esame a Torino al Prof. Gastaldi, che ne riconobbe subito l’importanza facendone oggetto di apposita nota (nel Voi. I degli Atti dell’ Accademia delle Scienze di Torino, 1865), colla quale presentò una serie di cranii, mandibole, femori, omeri ed altre porzioni di scheletro dell’ Ursus spelaeus scoperti nella ca¬ verna di Bossea in seguito a scavi praticativi dal Sac. C. Bruno.

Intanto il Gastaldi recavasi col Bruno 2 a visitare la caverna ossifera diventata ben presto e giustamente famosa come una delle più belle d’Italia. Così il Gastaldi conobbe il Bruno, potè apprezzarne le preziose doti di studioso, lo avviò e diresse nelle ricerche geologiche e se ne fece poi un collaboratore, af¬ fidandogli essenzialmente l’esplorazione delle Alpi Marittime; compito che il Bruno assolvette con entusiasmo, innamorandosi veramente della Geologia. Ricordo sempre con compiacenza quanto di tale suo entusiasmo geologico egli comunicasse a chi scrive questa biografia, ed era allora giovane fresco di laurea, quando, nel luglio del 1884, si percorrevano assieme, studiando, le giogaie del Mongioie.

Ben più tardi, in occasione del 50° anniversario d’insegna¬ mento del Prof. Bruno, nell’ « Elogio » detto nella solenne pre¬ miazione l’8 giugno 1903 nel Seminario e Collegio vescovile di Mondovì, Egli si compiacque trattare Dei meriti della Geo¬ logia, «parlando di cosa come a lui più cara e desiderata, per

1 Vedi figura in: F. Sacco. La Caverna del Caudano (Boll. VII del¬ l’Unione Escursionisti, Torino, 1914).

2 Gastaldi B., Visita alla Caverna ossifera detta di Bossea (Boll. C. A. I., n. 1, agosto 1865).

Sulla riescavazione dei Bacini lacustri (Mem. Soc. ital. Se. Nat., I, 1865).

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lasciare neH’animo dei suoi uditori ed allievi quasi un’imma¬ gine di me, nella ricordanza dell’amore che le ho portato: la Geologia », e terminava il suo discorso incitando « nelle ore

di riposo ad interrogare i nostri monti, le nostre colline ».

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E del resto questo uno dei mille esempi del fatto, a primo aspetto quasi inesplicabile, che cioè una Scienza, la quale si occupa di pietre e di cose morte, come la Geologia, possa in¬ vece attrarre, avvincere e tanto entusiasmare chi le accede ; ciò perchè questi oggetti impietriti, se freddi di per sè, parlano invece un linguaggio che spiega mille arcani, animano una lunga serie di Mondi passati, ben lontani dal nostro piccolo Mondo umano in cui siamo soliti dibatterci, ci trasportano ben sopra le meschine lotte con cui siamo soliti tormentarci ed affliggerci, insomma ci dilettano ed elevano lo spirito mentre spesso anche la loro ricerca ci rinfranca il corpo.

Ritornando al Bruno dobbiamo però notare che, malgrado l’intensità e l’acutezza delle indagini sue nelle Alpi Marittime, mancò sfortunatamente a Lui, come del resto anche al Gastaldi, anzi possiamo dire alla Geologia alpina d’allora, l’aiuto della Paleontologia ; infatti i paleontologi piemontesi erano attratti ed assorbiti dalla ricerca e dallo studio degli abbondanti ed interessanti fossili terziarii, si occupavano di ricerche analo¬ ghe nei terreni antichi della cerchia alpina, oppure, se invitati ad occuparsene, come fu pel Michelotti, mancando della pra¬ tica, dei materiali di confronto, ecc., giunsero a determinazioni erronee che riuscirono naturalmente dannose e complicarono e ritardarono la soluzione dei gravi problemi della già tanto in¬ tricata Geologia alpina.

Pel Prof. Bruno la mancanza dell’appoggio paleontologico fu specialmente grave, giacché la sua regione di studio, a dif¬ ferenza delle restanti Alpi piemontesi, è in gran parte costi¬ tuita di terreni calcarei qua e fossiliferi, ed il Bruno, dotato anche di vista acutissima, ebbe non di rado ad incontrare e raccogliere fossili, di cui solo più tardi si riconobbe la vera natura e la grande importanza; fatto a cui accenna il Gastaldi nel suo ultimo lavoro (Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi piemontesi durante la campagna del 1877), dove scrive: «il Prof. Bruno mio collaboratore percorreva le valli della Verme-

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nagna, del Gesso e della Stura di Cuneo e vi raccoglieva una serie di fossili _ »

Anzi in proposito si deve segnalare una scoperta importan¬ tissima fatta in quell’epoca dal Bruno e che ebbe poi valore grandissimo nel districare la complessa, potente ed intricata serie calcarea delle Alpi ; cioè la scoperta delle Giroporelle che egli raccolse dapprima nelle cave di calcare dolomitico di Vil¬ lanova Mondovi e che furono poi scoperte in tanti altri punti, servendo così tali resti come prezioso fossile caratteristico per distinguere un importante piano del Trias, detto poi appunto dei Calcari di Villanova o Calcari a Gyroporelle ; basterebbe tale scoperta per designare il nome di Carlo Bruno fra gli ef¬ ficaci illustratori della Geologia alpina !

Ma ben altri meriti geologici ebbe il Bruno riuscendo con lunghe e faticose escursioni a conoscere e far conoscere la com¬ plessa geologia delle Alpi Marittime, segnalando, per es., l’im¬ portanza degli speciali Gneiss cloritici (la Péra bagèra ) e delle arenarie rosse pseudopor finche, lo stretto collegamento delle Serpentine cogli Scbisti cristallini (Talcoschisti e Calcescbisti) ritenendoli di origine sedimentaria, e consimili fatti ed argo¬ menti che svolgeva spesso e volentieri durante gli annuali Con¬ gressi della Società geologica italiana, interloquendo con viva e chiara parola quando si trattava di terreni aventi analogie con quelli delle sue Alpi Monregalesi. Ma per la sua modestia e ritrosia a scrivere il risultato dei suoi studi, l’opera del Bruno rimase in gran parte sconosciuta, tant’ è che di lui abbiamo solo poche note, come per es. quelle sopra I terreni delle Langhe (pubblicato nel Bollettino del Comizio agrario del Circondario di Mondovi, Anno XXXX, N. 4, Mondovi, 1906), e poi, quasi come un testamento scientifico, un Saggio di Topografìa, Geo¬ logia e Climatologia del Circondario di Mondovi, con appendice sulle Miniere , le Cave e le Acque minerali, pubblicato nella Guida agraria del Comizio agrario di Mondovi, Tip. Ed. Ve¬ scovile, Mondovi, 1907.

Quanto invece era Egli lieto, loquace ed espansivo allorché poteva condurre qualche collega al Belvedere di Mondovi Piazza e di lassù descrivergli e spiegargli come era costituito quel me¬ raviglioso anfiteatro delle Alpi marittime da Lui tanto amate,

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percorse e studiate! Ben giustamente il Bruno era stato eletto Presidente della Sezione monregalese (da Lui naturalmente pro¬ mossa) dal Club alpino italiano.

Anche la Geologia applicata ebbe dal Prof. Bruno efficace contributo, giacché egli, che sin dal 1873 aveva scritto Intorno all'origine delle Fontane con speciale riguardo alla Idrografìa sotterranea di Mondovì (Letture popolari, Tip. G. Moglio, Mon- dovì), si interessò molto utilmente per la ricerca e la capta¬ zione dell’acqua potabile per la sua città; come anche fu con¬ sultato per progetti ferroviari attraverso le Alpi marittime, nonché per la costruzione di bacini montani, cosicché a tale scopo, quantunque già ottantenne, faceva ancora escursioni pedestri di oltre dieci ore nell’alta Valle d’Ellero!

Parlando del Prof. Bruno ai col leghi geologi, naturalmente, mi soffermai essenzialmente sulla sua opera geologica ; ma essa non rappresenta che una parte della meravigliosa attività di questo Sacerdote e Maestro, semplice, buono e modesto quanto studioso, benefico e dotto, come chiaro risulta dall’elogio funebre che, con affetto di discepolo, ne tessè il Sac. Francesco Filippi in occasione delle esequie trigesimali celebrate nella Cattedrale di Mondovì il 25 maggio 1916.

Infatti Carlo Bruno (nato a Murazzano, nelle Langlie, il 20 agosto 1831, e spentosi nel Seminario di Mondovì il 19 aprile 1916), dopo aver compiuti gli studi classici dapprima a Ceva poi a Mondovì, mostrando una spiccatissima inclinazione agli studi di matematica e di fisica (tanto che conseguì poi brillantemente all’Università di Torino il relativo diploma), ap¬ pena ventiduenne ebbe nel Seminario Vescovile di Mondovì la cattedra di Matematica, Fisica e Storia Naturale che, limita¬ tasi poi a queste due ultime materie, tenne per 63 anni, solo cessando Fgli di dettare lezione per la malattia che doveva con¬ durlo quindici giorni dopo alla tomba!

Inoltre per ben 37 anni il Bruno ebbe l’insegnamento della Storia Naturale nel R. Istituto tecnico di Mondovì.

È facile immaginare il grande numero dei suoi allievi, di cui alcuni ormai ultrasettantenni, che lo ricordano con affettuosa e riconoscente venerazione.

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Amantissimo della Fisica già verso il 1866 il Prof. Bruno fondò l’Osservatorio meteorologico del Seminario di Mondovì, traendone utili dati sia per l’agricoltura della regione, sia per la scienza meteorologica in generale, taut’è che, per la loro accuratezza ed importanza, i dati del suo Osservatorio vennero poi pubblicati nei Bollettini giornalieri internazionali; inoltre Egli scoprì il fenomeno dell’inversione della temperatura dal¬ l’imbrunire a poco dopo la mezzanotte, ciò che Egli attribuì a brezze locali, e fu battezzato, dal suo eminente allievo Prof. 0. B. Rizzo, fenomeno Bruno. Come anche potè precisare essere di 11°, ed alla profondità di circa 30 metri, lo strato a tem¬ peratura costante nei terreni di Mondovì.

Particolare cura ebbe Egli sempre per la Meteorologia agricola intorno a cui, nel 1880, lesse un’importante relazione all’Asso¬ ciazione meteorologica italiana, facendo anche interessanti ri¬ cerche sulla pressione della linfa, sul calore delle piante, ecc.

Ma per tutto ciò ottenere, quanti sacrifizi, quante fatiche dovette Egli sostenere di giorno e di notte, spesso consacrando al sonno solo quattro o cinque ore !

Per quanto modesto fosse il Prof. Bruno, le sue qualità di serio e sagace osservatore vennero ben presto conosciute nel mondo scientifico, come ce l’indicò la sovraccennata collabora¬ zione col Gastaldi ; inoltre Egli ebbe dallo Schiaparelli uno spe¬ ciale incarico dell’osservazione delle stelle cadenti nel novembre 1872 (caduta periodica in sostituzione della scomparsa Cometa di Biela), e riuscì allora a determinarvi due radianti principali, come risulta dall’importante relazione pubblicata dallo Schiap¬ parelli nei Rendiconti del R. Istituto Lombardo (Voi. V, Fase. XX, 1872).

Ricordiamo infine che i Monregalesi ben presto riconobbero le virtù del Prof. Bruno e lo ebbero quindi giustamente in alta e venerata stima, tant’è che Egli resse per sei anni (1874-1879) la Presidenza del Comizio agrario di Mondovì (di cui fu tra i fon¬ datori nel 1867) mostrandovi una grande ed illuminata attività nel promuovere l’insegnamento agrario, la distribuzione di mac¬ elline agrarie, le associazioni agricole, ecc.; come pure fu eletto Presidente della Cassa di Risparmio di Mondovì, due volte Ret¬ tore (anche in circostanze difficili) del Convitto civico, Presi-

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dente della Cooperativa agricola e della Cassa rurale di Mu- razzano, suo paese natio, ecc.; sono a tacere le giuste onorificenze avute, colla nomina a socio dell’Accademia pon¬ tifìcia dei Nuovi Lincei, a Canonico ordinario, a Cav. Uff. della Corona d’Italia, ecc.

Alla venerata memoria del Sac. Prof. C. Bruno elevasi quindi il saluto riverente e riconoscente non solo dei Geologi, ma anche dei Fisici, dei Meteorologi, degli Agricoltori e di una miriade di colleghi, di amici, di allievi e di tante altre persone da Lui in vario modo beneficate coll’opera, colla parola e coll’esempio di una lunga vita tutta consacrata alla Scienza ed alla Virtù in multiple esplicazioni.

Federico Sacco.

Boll. Soo. Geol. Ital., Voi XXXV (1916).

PIETRO ZUFFARDI

n. m forgovo - Zaro, 27 Marzo 1885, m. 28 JCuglio 191Ò.

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In memoria di PIETRO ZUFFARDI

Parole del socio C. F. Parona

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Insegnante ormai vecchio, provo la migliore compiacenza nel ricordo degli allievi che si fecero onore cogli stadi e nel¬ l’affetto ricambiato da quelli di essi, che, vicini o lontani, mi hanno presente e conservano attivi rapporti coll’Istituto, dal quale presero le mosse per la loro missione nella vita. Ma questi af¬ fetti e queste compiacenze si tramutano in dolore e sconforto quando la morte travolge qualcuna di queste giovani e pro¬ mettenti vite; e troppo spesso siffatti dolori e sconforti hanno turbato l’animo mio! Cosi con vivo senso di rimpianto ram¬ mento parecchi bravi giovani naturalisti: Luigi Botto-Micca, Alberto Viglino, Giuseppe Nobili, Ernesto Forma, immatura¬ mente colpiti da malattie mortali, e Giuseppina Osimo tragica¬ mente spenta dal terremoto di Avezzano nel pieno vigore della giovinezza. A questi cari nomi di allievi perduti devo ora ag¬ giungerne altri due, quelli di Leopoldo Chinaglia e di Pietro Zuffardi, sacri alla patria perchè nomi di caduti nella guerra di redenzione. Terribile guerra, che ci toglie il fior fiore della nostra gioventù forte e intellettuale: sacrifìcio incomparabile, pari solo all’altissimo scopo della vittoria per la salvezza e inco¬ lumità della patria, per l’onore e l’avvenire della nostra stirpe!

La Società Geologica Italiana, che coll’opera sapiente e as¬ sidua di molti soci contribuisce alla conquista scientifica delle Alpi, ora contribuisce pure con buon numero di soci alla guerra per la conquista delle nostre terre alpine, che ci separano dai confini naturali. E al generoso riscatto già parecchi della fa¬ miglia dei geologi e geografi italiani, hanno sacrificato la pre-

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ziosa esistenza; nobili, purissime vittime propiziatrici della vit¬ toria! Ne ricordo i nomi con reverente e riconoscente pensiero : Generale Antonio Cantore, Tenente Dott. Antonio De Toni, Ten. Colonn. Medico Romolo Ragnini, Tenente Dott. G. B. De Gasperi, Capitano Prof. Pietro Zuffardi, Tenente On. Cesare Battisti.

Il nostro Presidente mi ha serbato l’onore di commemorare Pietro Zuffardi: lo ringrazio, e ben volentieri assolvo il pie¬ toso e doveroso incarico anche perchè l’elogio dell’indimentica¬ bile amico e impareggiabile compagno di lavoro mi viene spon¬ taneo, dettatomi dall’affetto profondo che reciprocamente ci univa.

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Pietro Zuffardi, nato a Fornovo di Taro nel 1885 da Giulio e da Italina Vignali, iniziò a Parma i suoi studi universitari e li compì a Pavia, dove, allievo del Taramelli, consegui nel 1909 la laurea con lode. Durante il servizio militare, come al¬ lievo ufficiale e ufficiale di complemento, frequentò a Torino l’Istituto di Geologia e poi il Museo Civico di Milano. Dopo un breve tirocinio nelle scuole medie di Soresina e di Cremona, fu nominato nel 1911 Tecnico presso l’Istituto Geologico tori¬ nese e tosto dopo Assistente, e nel 1914 otteneva per titoli la Libera Docenza.

L’estate-autunno del 1912 Egli passò nel Caucaso settentrio¬ nale, facendovi apprezzati studi per ricerche di petrolio d’in carico della Spiess Petroleum Co ; compiendo, prima di ritornare in Italia, un lungo viaggio nel bacino del Mar Caspio attra¬ verso le steppe del fiume Ural, che descrisse in una brillante relazione. Nel 1913 fece parte come Assistente-Tecnico della Commissione governativa per lo studio geoagrologico della Tri- politania Settentrionale, e ritornò nell’anno successivo in Tripo- litania come Segretario di altra Commissione, che spinse le esplorazioni nelle regioni del Gebel Nefusa, del Sofegin, nella parte nordica del Gebel Soda ed a parte della pianura Sirtica. Le relazioni ufficiali di queste missioni hanno lodi senza riserve per la volonterosa e intelligente sua cooperazione; di Lui ser¬ bano memore simpatia e stima tutti i membri delle due com¬ missioni.

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Richiamato sotto le armi alla fine di marzo del 1915, e con Lui quattro suoi fratelli, si portava quasi subito col suo Reg¬ gimento, il 61° di Fanteria, nei dintorni del Lago d’Idro. Pro¬ mosso poco dopo tenente, mentre teneva la carica di aiutante maggiore del suo battaglione, partecipò all’avanzata nel Tren¬ tino, e il 28 ottobre toccava primo colla sua compagnia la vetta di Cima Palone, conquistandola. E qui cadeva ferito all’orecchio destro ed alla spalla, meritando d’essere proposto per il confe¬ rimento della medaglia al valore, che gli fu poi assegnata. Sol¬ tanto nel dicembre successivo fu licenziato dall’ Ospedale Mau- riziano di Torino; e durante la licenza di convalescenza si sposava alla signorina Dott. Rosina Cornerei, degna figlia e sorella di distinti ufficiali dell’esercito. Questo fu certamente il periodo più felice della sua esistenza; troppo presto interrotto dal richiamo al battaglione e dal ritorno a Cima Palone, sulla posizione ch’Egli aveva brillantemente contribuito a conquistare.

Nella primavera il Reggimento, che da un anno era in prima linea, scese nel bresciano a ben meritato riposo. Promosso ca¬ pitano, sorrideva al compianto Zuffardi la speranza di un nuovo periodo di quiete e di vita di famiglia ; se non che, per l’irru¬ zione austriaca, il suo reggimento dovette al più presto portarsi nella zona minacciata, e fu nelle cruenti e strenue difese di Coni Zugna e di Passo Buole che il nostro valoroso collega si distinse p,er modo da meritare l’encomio.

L’aspra guerra, le lunghe privazioni, la strage e lo strazio di tanti eroici compagni non fiaccarono la forte sua fibra, pur commovendone l’animo sensibilissimo: lo sosteneva forse la balda fiducia che sarebbe ritornato incolume alla sposa, alla famiglia, agli studi. Ma il destino aveva disposto diversamente: il lu¬ glio, in un attacco notturno a Zugna Torta, Egli cadde per sette ferite. La sua robustezza non valse, l’assistenza e le cure affet¬ tuose non riuscirono a strapparlo alla morte: Egli si spense nell’Ospedale Militare di Verona il 28 dello stesso mese, sere¬ namente e piamente come aveva vissuto la sua vita breve, bella e utile.

Pietro Zuffardi si dedicò per naturale inclinazione agli studi geologici fin dal Liceo e nell’Istituto geologico di Pavia

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preparò i suoi primi lavori sotto la guida del Prof. Tarameli!, caro e illustre nostro maestro, del quale seppe guadagnarsi la stima e l’affetto. Non è qui il caso di procedere ad un esame delle sue pubblicazioni su svariati argomenti, quali risultano dall’elenco più avanti esposto e che attestano delle ottime sue qualità ed attitudini di naturalista appassionato. Mi basterà di accennare a due fra gli ultimi, quello sugli elefanti fossili del Piemonte e l’altro sulla geomorfologia della Collina di Torino, per la loro notevole importanza e perchè sono saggio dell’ in dirizzo dato alle sue ricerche paleontologiche e geologiche.

Col primo di questi lavori si propose di valutare l’impor¬ tanza specifica dei caratteri dentali, dimostrando il significato e il valore della forinola dentale, ricavata dal numero delle lamine, dell’indice dentale e della densità e frequenza lami¬ nare, applicando questi caratteri costanti allo studio deWElephas meridionali s, E. antiquus e E. primigenius e alla interpreta¬ zione deH’i/’. trogontherii. La sua non è dunque una semplice monografia descrittiva, ma un accurato e originale studio cri¬ tico, col quale offre nuove idee e nuovi criteri di indagine al¬ l’apprezzamento dei paleontologi. La Collina di Torino può dirsi regione geologicamente classica, campo di numerose e fonda- mentali ricerche geologiche e paleontologiche a studiosi italiani e stranieri; eppure il nostro A. ha mostrato che in questo campo altri frutti si potevano raccogliere, e, abilmente profittando anche dell’opera degli osservatori che lo precedettero, riuscì con acume a rendersi ragione delle particolarità morfologiche della Collina ed a risalire ad uno studio sintetico della sua evoluzione.

Il servizio militare prima e le missioni poi non gli permi¬ sero di dedicare molto tempo alla preparazione di lavori de¬ stinati alla stampa ; ma i lunghi viaggi e le molte cose vedute e paragonate giovarono assai ad arricchirgli la mente, a per¬ fezionare la sua istruzione geologica, a prepararlo praticamente alle indagini sul terreno. Maturo di studi, poteva ormai dedi¬ carsi a poderosi lavori, con immancabile successo, garantito dal suo bell’ingegno e dalla sua operosità.

Egli lascia pressoché ultimato uno studio al microscopio di graniti, serpentine e inclusi gabbrici da Lui raccolti nell’Ap- penniuo parmense; colla pubblicazione del quale studio si prò-

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poneva di mostrare anche in fatto la convinzione della necessità per il geologo di una buona preparazione alle ricerche petro- grafìche. Bene avviata era la illustrazione monografica di una parte delle collezioni paleontologiche ch’Egli aveva con tanto zelo contribuito a scoprire in Tripolitania. E spesso Egli accen¬ nava al vivo desiderio di riprendere l’esame geo-morfologico già iniziato dell’alto Appennino pavese e parmense dopo quello com¬ piuto sulla Collina di Torino.

Quanta fosse la sua passione per gli studi nostri lo dimostra il fatto che i doveri di ufficiale, i disagi della guerra lo distolsero dall’attrattiva di occuparsi di geologia durante il tempo che passò nel bacino del Lago d’Idro e nel Trentino oc¬ cidentale. Di mi scriveva spesso per informazioni e, mentre si trovava all’ospedale in cura della prima ferita e poi durante la convalescenza, occupava il tempo nel controllo delle sue os¬ servazioni colle opere relative a quella parte del grande bacino del Garda. E neppure nelle terribili giornate dell’avanzata au¬ striaca e della vittoriosa difesa del Passo Buole trascurò le predilette ricerche. Ne fanno fede i suoi libretti di annotazioni e le fotografie: preziosi ricordi e documenti del valore intellet¬ tuale e morale del giovane vigoroso e intrepido che abbiamo perduto.

Pietro Zuffardi era aitante e bello di persona, e alla sa¬ nità fisica univa armonicamente quella morale: di carattere al¬ legro ed espansivo senza affettazioni ; parlatore facile, piacevo¬ lissimo ed efficace; pronto a rendersi utile con previdente e disinteressata spontaneità; di temperamento paziente e calmo, sapeva, anche nei momenti più critici, togliersi d’imbarazzo, dando prova di avvedutezza e serenità di spirito. Infinitamente buono e modesto, godeva le simpatie di quanti lo conoscevano e l’affetto riconoscente degli amici, verso i quali era largo dei tesori dell’animo suo sensibilissimo. Vedeva bella la vita e giu¬ dicava buoni gli uomini: entusiasta del bello e del buono, ne faceva la base della sua filosofia ottimista, confortata da fede profondamente sentita e praticata apertamente, senza ostenta¬ zione e senza intolleranze. Era dotato di mente versatile, pla¬ stica, che assimilava facilmente e profittevolmente, con tendenze

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artistiche, affinate da buona coltura letteraria e dalla passione per la musica. Senza aver fatto studi appositi, Eg'li conosceva diversi istrumenti, così da intrattenere piacevolmente al piano¬ forte la brigata degli amici, e da accompagnare all’organo i canti dei fedeli nella chiesa del suo paese: ed io lo ricordo in Tripolitania, dopo lunghe e faticose giornate, far tardi alla mensa in gioconde serate cogli ufficiali, nel castello di Azizia e nella sala trogloditica della tappa di Garian, accompagnando colla chitarra o col mandolino le canzonette dei baldi commen¬ sali con Lui simpatizzanti.

Se non fosse indiscrezione l’addentrarsi nella intimità della sua vita di famiglia, potrei ancor meglio porre in bella luce le virtù sue, fatte di sentimenti nobili e generosi. Fu modello di figlio e di sposo, esempio e guida ai numerosi fratelli, e dedicò alla famiglia il suo costante ed elevato pensiero.

Ma in cuor suo nutriva un altro grande amore, oltre quello per la sua diletta sposa e per la famiglia: l’amore alla Patria; pensiero e passione predominante, che tutte le altre aduna negli animi di alto sentire. Per la grandezza e l’avvenire d’Italia riteneva inevitabile la guerra e la invocò. Venne la guerra, ed Egli rispose pronto alla chiamata, conscio dell’alto dovere e consapevole che, compiendolo come imponeva l’onore, correva il pericolo di spezzare la sua felicità e il suo avvenire. Non si risparmiò, e la morte dei prodi lo colse, vittima cosciente di una santa guerra. Il dolce idillio precipitò in dramma superbo di gloria!

Egli vive e vivrà nei nostri cuori, e la Società Geologica Italiana, inscrivendone il nome nel Libro d’oro dei soci che bene meritarono della Patria, rende dovuto omaggio alla cara, bella e benedetta memoria del valoroso milite della Patria e della Scienza, invocando tregua alle angoscie della giovane vedova e dei vecchi genitori, augurando che il figlio suo nascituro cresca degno di Lui.

Torino, 28 agosto 1916.

C. F. Parona.

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PUBBLICAZIONI DEL PROF. PIETRO ZUFFARDI

1910. Serie dei terreni tra il T. Taro e il T. Baganza (Prov. di Parma).

1 tav. Atti Soc. Ital. Se. Nat., XLIX, Milano.

Le A Ipi e gli Appennini secondo le nuove teorie oro-tectoniche. Riv.

di Fis., Mat. e Se. Nat., XI, n. 122, Pavia.

La frana del Micone. Periodico «La Giovane Montagna », Parma.

1911. Fornovo-Taro minacciato da una frana. Ibid.

Le frane nei dintorni di Fornovo-Taro. Atti Soc. Ital. Se. Nat., L,

Milano.

La frana di Citerna-Taro, Parma.

Lo studio della Geologia in Italia. Riv. Univ. « Stndium », Pavia.

Resti di Alce rinvenuti nella pianura pavese. 1 tav. Rend. R. Ist.

Lomb. Se. Lett., XLIV, Milano.

1912. Cenni geologici sui dintorni di S. Andrea dei Bagoli (Prov. di Parma).

Boll. Soc. Getd. Ital., XXX, Roma.

Gita nella valle di Esino ( Gruppo delle Grigne). Ibid., con 5 figure.

La foresta e le frane. Giorn. di Geol. Pratica, X, Parma.

L’Elephas antiquus Fate, nella filogenesi delle forme elefantine fos¬

sili. Rend. R. Acc. Lincei, XXI, Roma.

1913. Elefanti fossili del Piemonte. 6 tav. Palaeontographia Italica, XIX,

Pisa.

Studio geologico sulla frana di Bard (Valle d’Aosta). 2 tav. Atti

Soc. Ital. Se. Nat., LII, Milano.

Cenni geo-paleontologici sul Monte Librar (Caucaso). 1 tav. Boll. Soc. Geol. Ital., XXXII, Roma.

1914. Escursione alle gole del Sagittario e a Scanno, con 6 figure. Boll.

Soc. Geol. Ital., XXXII (1913), Roma.

Se l’area proposta per il nuovo Cimitero di Fornovo-Taro sia fra¬

nosa, con cart. geol. (Parere pubbl. per cura del Comune di For- novo-Taroì, Parma.

Ammoniti liassiche dell’ Aquilano. 2 tav. Boll. Soc. Geol. Ital.,

XXXIII, Roma.

Geomorfologia della Collina di Torino. 2 tav. doppie. Mem. IL

Accad. Se., Torino, LXV.

1915. Escursioni nel bacino del Mar Caspio, con 11 figure. « Natura »,

Riv. di Se. Nat., VI, Milano.

GIORGIO MARINI

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È con viva commozione che annuncio all’Assemblea la morte del nostro consocio Marini Giorgio, caduto gloriosamente al fronte.

Egli fu mio allievo amatissimo per ben cinque anni al Gin¬ nasio-Liceo E. Quirino Visconti. Per quanto si laureasse in legge, coltivò sempre con intelligente passione gli studi di Storia Naturale, e specialmente quelli di Filosofia scientifica, per i quali fu in corrispondenza con vari scienziati, ed anche con Ernesto Haeckel.

Comprese che gli studi geologici erano, fra le scienze natu¬ rali, i più sintetici e che meglio si addicevano al suo pensiero; perciò due anni or sono volle entrare nel nostro sodalizio.

Ma troppo presto lo perdemmo ! Rammento come alla fine dello scorso anno venisse da me, al « Visconti », per salutarmi, dovendo partire per la Libia e come mi parlasse con simpatia della nostra Società. In Libia, dopo pochi mesi venne aggre¬ gato al tribunale militare; ma Egli chiese ed ottenne di ritor¬ nare in Italia e di andare a combattere. Fu sul Carso; vide la vittoria di Gorizia e ne gioì ; ma dopo pochi giorni cadde da forte mentre conduceva i suoi soldati all’assalto di una trincea. Sia gloria a Lui !

Modesto e di carattere dolcissimo, ma fiero del suo nome di Italiano, amato da quanti lo conobbero, il nostro Giorgio lasciò largo rimpianto.

Al padre, comm. Ottavio, degno funzionario della Direzione generale delle Belle Arti, alla inconsolabile madre, alla addo¬ lorata sorella, vada il nostro sincero cordoglio.

Antonio Neviani.

IL VALORE SISTEMATICO E FILOGENETICO DEL SISTEMA DENTARIO

NELLA

DETERMINAZIONE DEGLI ELASMOB RANCHI FOSSILI

Nota del dott. Giuseppe De Stefano

Premesse.

Le osservazioni che in queste note sono semplicemente ac¬ cennate, e che per un loro esteso sviluppo richiederebbero una vo¬ luminosa memoria, corredata da numerose illustrazioni iconogra¬ fiche, rappresentano il risultato di alcuni fatti da me osservati in seguito all’esame comparativo fra i denti fossili terziari dei pesci Elasmobranchi e quelli che costituiscono il sistema den¬ tario dei rappresentanti odierni lo stesso gruppo. Esse tendono a dimostrare la indispensabilità della più vasta conoscenza del sistema dentario degli attuali Elasmobranchi per potere arrivare a una esatta interpretazione sistematica e filogenetica nella de¬ terminazione dei denti fossili.

Il solo sistema dentario dei pesci cartilaginei in discussione ha un valore sistematico tale che, a prescindere da ogni altro carattere e salvo i casi di possibile isomorfismo, permette di di¬ stinguere fra loro due o più specie appartenenti allo stesso ge¬ nere? A tale carattere specifico si può dare lo stesso valore si¬ stematico nella determinazione dei fossili? Dalla semplice cono¬ scenza di denti isolati o di sole piastre dentarie si può dedurre con sicurezza che le specie degli Elasmobranchi vissute nei mari dei

tempi cenozoici sono o non sono identiche a quelle che popo-

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lano i mari odierni? E possibile per mezzo del solo sistema dentario indicare i legami di parentela che corrono fra le spe¬ cie estinte e quelle viventi?

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G. DE STEFANO

Queste ed altre consimili domande si affacciano alla mente di quegli studiosi dei pesci fossili i quali più particolarmente si accingono allo studio degli ittiodontoliti ; gli avanzi che, in¬ sieme a qualche vertebra e a qualche frammento di spina cau¬ dale (dorulite), rappresentano la base delle determinazioni pa¬ leontologiche. Tali domande si rendono ancora più incalzanti, consultando le numerose ricerche fatte in proposito dai più au¬ torevoli naturalisti, a cominciare da quelle deH’Agassiz, nelle quali sono indicate un rilevante numero di specie estinte, fon¬ date sopra semplici denti isolati. Lo stesso studioso, che si trovi dinanzi a un discreto materiale di apparati boccali di recenti Elasmobranchi, non può fare a meno di notare come spesse volte le avanti citate specie fossili non possono avere valore sistematico per la sempliee ragione che mal resistono a una critica obiettiva e fondata in seguito alla osservazione diretta del sistema dentario delle specie odierne. Si tratta per lo più di specie fossili istituite sopra conoscenze molto ristrette e poco esatte del sistema dentario delle specie attuali, valutate quasi sempre con criteri personali e con preconcetti cronologici.

Tutto questo è capitato precisamente a me da alcuni anni a questa parte, da quando cioè mi sono dedicato allo studio degli ittiodontoliti fossili terziari. Avendo dovuto all’uopo esa¬ minare un rilevante numero di apparati boccali e relativi denti delle specie degli Elasmobranchi attuali, che si conservano in vari Musei italiani, ho potuto constatare che, conoscendo bene le differenze esistenti nel sistema dentario di tali specie, di¬ verse fra le così détte buone specie fossili del cenozoico medio e superiore, dovrebbero essere cancellate dagli elenchi siste¬ matici.

Valore sistematico del sistema dentario negli odierni Elasmobranchi.

Come si è già detto, gli avanzi fìn’ora conosciuti degli Ela¬ smobranchi fossili consistono in denti, in vertebre e in deriditi. Cominciando dall’esame delle spine caudali, è facile constatare che in quegli odierni Tectospondyli, il cui corpo è provvisto di queste appendici, come, ad esempio, nei generi Tryyon e My-

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liobatis, le difficoltà di determinazione in base solamente ad esse sono quasi insormontabili, il che vai quanto dire che la deter¬ minazione degli ittiodoruliti riesce molto difficile, non solo spe¬ cificamente ma anche genericamente. Si tratta di appendici che, oltre a presentare una grande variabilità negli individui di una stessa specie, possono anche avere fra loro grande somiglianza negli individui di specie diverse; e non sembra nemmeno che in esse sia possibile riscontrare caratteri tali che per la loro costanza possano servire di sicura guida nelle diagnosi. Osser¬ vando un certo numero di doruliti isolati di Myliobatis aquila e di Myliobatis bovina, se non si conosce preventivamente quali fra essi appartengono al M. aquila e quali al M. bovina, ben difficilmente si riesce a distinguerli.

La conformazione delle vertebre degli attuali Elasmobran- chi si può prestare a una esatta interpretazione specifica solo in quei generi i cui rappresentanti comprendono una sola specie. Nel gen. Carcharodon, nel gen. Oxyrhina, ad esempio, fra gli Astcrospondyli ; nei generi Centrìna, Scymnus, Aetobatis, ad esempio, fra i Tectospondyli, salvo i casi teratologici, anche le vertebre isolate permettono il riconoscimento specifico. A chi sia pratico di osteologia comparata ed abbia una esatta cono¬ scenza della colonna vertebrale dei rappresentanti tali generi, non riesce difficile riconoscere per mezzo delle sole vertebre il Carcharodon Rondeleti, V Oxyrhina Spallanzani , ecc.

Ma allorché i rappresentanti odierni di un dato genere di Elasmobranchi comprendono più specie, le cose cambiano com¬ pletamente di aspetto. In tal caso è facile constatare che le vertebre componenti la colonna vertebrale degli individui, che appartengono a due o più specie dello stesso genere, possono essere perfettamente identiche, e che a seconda dello sviluppo presentano le stesse modificazioni formali, se pure tali modifi¬ cazioni non si limitano, come avviene nella generalità dei casi da me osservati, al solo aumento in grandezza. Se si pongono fra loro a raffronto due o più vertebre isolate delle stesse di¬ mensioni, appartenenti agli odierni Odontaspis taurus e Odon- taspis ferox, senza sapere anticipatamente quali fra esse appar¬ tengono albana e quali all’altra specie, non è possibile distin¬ guerle. Lo stesso dicasi per le vertebre di Galcocerdo articus

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e di Galeocerdo tigrinus, per le vertebre di Notidanus griseus, Notidanus cinerius e Notidanus platycephalus, per le vertebre di Myliobatis aquila e di Myliobatis bovina , ecc.

Se si considera il sistema dentario, le conclusioni alle quali si arriva sono molto diverse.

E possibile che negli odierni Elasmobranchi i casi di iso¬ morfismo siano più frequenti di quanto io sappia con le mie mo¬ deste conoscenze; e frequenti, non solo fra le specie che appar¬ tengono a uno stesso genere, ma anche fra generi della stessa famiglia. A ogni modo non si può negare però che Tesarne del sistema dentario di diversi generi e di numerose specie permette di distinguere a prima vista fra loro i rappresentanti di que¬ sti pesci.

I denti di Carcharodon hanno un valore sistematico di primo grado, quando si voglia distinguere questo genere dal gen. Oxy- rhina. Lo stesso dicasi per i denti di Oxyrhina rispetto a quelli di Carcharodon , di Odontaspis, e così via dicendo. Ciò vale an¬ che per quei generi i cui sistemi dentari presentano fra loro grande affinità di caratteri. Tale è il caso, ad esempio, dei ge¬ neri Centrina e Scymnus, i quali, pur somigliando fra loro per la dentatura, hanno qualche peculiare carattere distintivo. Lo stesso dicasi ancora per la dentatura del gen. Acanthias ri¬ spetto a quella del gen. Spinax.

Passando all’esame delle specie, tutto induce a ritenere che, nella generalità dei casi, il sistema dentario ha un valore si¬ stematico di primo grado.

Si considerino prima di tutto quei generi che nei mari odierni sono rappresentati da una sola specie, come i generi Carcha¬ rodon, Oxyrhina, Alopecias, Scymnus, Aetobatis, ecc. Gli appa¬ rati boccali di tali specie sono armati da denti che presentano fra loro notevoli caratteri distintivi. Essi possono variare an¬ che sensibilmente di grandezza e di forma, a seconda dello sviluppo e della posizione che occupano nelle due mascelle, ma è sempre possibile a colui il quale abbia una estesa ed esatta conoscenza dei caratteri di tali organi e dei limiti estremi delle loro variazioni, decidere da semplici denti isolati se si tratta di Carcharodon Ptondelcti, di Oxyrhina Spallanzani , di Alo¬ pecias vulpcs, di Scymnus lichia, di Aetobatis narinari, ecc.

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Nei generi attuali che comprendono due o più specie si ri¬ scontra che la dentatura, per la maggior parte di esse, rappre¬ senta il carattere sistematico differenziale di maggiore impor¬ tanza. Fermo restando quanto si è accennato a proposito delle variazioni individuali, raramente dipendenti dal sesso, general¬ mente dipendenti dallo sviluppo dei denti e dalla posizione che occupano gli stessi nelle due mascelle; stadi fatto che la den¬ tatura de\V Odontaspis taurus è diversa di quella de\V Odontaspis ferox, che nel Galeocerdo articus i denti sono diversi di quelli del Galeocerdo tigrinus , che il sistema dentario del Galeus canis non è identico a quello del Galeus japonicus, che notevoli e costanti caratteri differenziali si riscontrano nella dentatura del Notidanus griseus e del Notidanus indicus, che le piastre den¬ tarie di Myliobatis aquila, Myliobatis bovina e Myliobatis nieuhofii hanno struttura ben diversa l’una dall’altra, che le armature boccali di Raja alba, Raja clavata, Raja oxyrhynchus si distinguono nettamente l’una dall’altra, e così via dicendo.

Naturalmente, come si è già detto, non è possibile in que¬ ste brevi note indicare caso per caso i caratteri specifici diffe¬ renziali che permettono di distinguere il sistema dentario delle specie citate e di altre ancora che per brevità sono state omesse, tanto più che per la esattezza di un così fatto lavoro occorre¬ rebbe avere a disposizione un materiale più abbondante di quello da me fin’ora osservato nei Musei ; ma anche così sommaria¬ mente come i fatti sono stati esposti, risulta evidente quanto segue. L’esame delle spine caudali e delle vertebre degli Ela- smobranchi fossili, in base al confronto con le spine caudali e con le vertebre dei rappresentanti attuali lo stesso gruppo, in generale mal si presta a una esatta interpretazione specifica. Ciò vale in ispecial modo per gli ittiodoruliti ; e quanto le ver¬ tebre fossili, il loro studio può condurre a risultati soddisfa¬ centi solo in particolari condizioni, e male giudicherebbero co¬ loro i quali si permettessero di affermare sopra l’osservazione di semplici vertebre isolate, identiche a quelle dei generi odierni, che comprendono più di una specie, che si tratta di una anzi che di un’altra fra esse. Al contrario, non si può mettere in dubbio il valore sistematico di primo grado che ha il sistema dentario nelle specie degli attuali Elasmobranchi. Le variazioni

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che si riscontrano nella dentatura di tali pesci, a seconda del sesso, ma ancora più a seconda dell’età e della posizione che hanno i denti nelle mascelle, non modificano per nulla il piano di struttura regolante gli stessi organi; e quindi si può con¬ cludere che lo stesso valore sistematico bisogna assegnare agli ittiodontoliti fossili, nelle determinazioni paleontologiche.

Conseguenti deduzioni.

Se non che non basta riconoscere il valore sistematico di primo grado che ha la dentatura nella determinazione specifica degli odierni Elasmobranchi, e ritenere quindi ovvio e naturale che lo stesso valore occorre ad essa assegnare nel riconoscimento delle specie fossili. Tale valore può diventare nullo o sempli¬ cemente ipotetico se nella comparazione degli ittiodontoliti fossili che appartengono a un dato genere non si conoscono i princi¬ pali caratteri costanti e le variazioni odontografiche e odonto¬ metriche che si riscontrano nel sistema dentario della specie o delle specie che a tale genere appartengono. Prima condizione necessaria dunque per essere presumibilmente sicuri di non ca¬ dere in gravi errori allorché si tratta di determinare uno o più denti isolati fossili di un dato genere vivente, è la compara¬ zione col maggior numero possibile di organi dentali apparte¬ nenti alle specie odierne dello stesso genere, cercando all’uopo di valutare in giusta misura le variazioni individuali che si possono riscontrare in queste ultime. A queste sole condizioni si può parlare di nuove specie estinte, ogni altra affermazione rimanendo nel campo delle ipotesi ; e quando tali condizioni non sono sodisfatte, per lo meno in gran parte, ne deriva che le dianzi accennate nuove specie degli Elasmobranchi terziari, se dal punto di vista stratigrafico e cronologico possono soddisfare coloro i quali hanno bisogno del loro appoggio nelle deduzioni geologiche, dal punto di vista sistematico e filogenetico hanno però poco o nessun valore.

Le difficoltà sono maggiori o minori a seconda del numero maggiore o minore delle specie attuali con le quali bisogna confrontare i fossili. Ogni paleontologo sa bene che nella deter-

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mi nazione di una data specie fossile, tanto che si tratti di ani¬ mali vertebrati quanto di invertebrati, le difficoltà aumentano sempre più quanto maggiore è il numero delle specie viventi con le quali bisogna comparare la prima; e certamente riesce incomparabilmente molto più facile la determinazione dei denti fossili di Carcharodon, di Oxyrhina, di Alopecias , di Aedo- hatis, ecc., i cui odierni rappresentanti comprendono una sola specie, anzi che i denti fossili di Carcharias, di Galeocerdo, di Sphyrna, di Notidanus, di Acanthias, di Myliobatis , di Baja , ecc., generi che comprendono due o più specie, talvolta numerose specie, sparse in tutti i mari e a tutte le latitudini, e di alcune delle quali non si conoscono ancora nemmeno bene i caratteri del sistema dentario. Precisamente in base a tali considerazioni si può ritenere già a priori come le norme volute per arrivare a una esatta interpretazione specifica dei denti fossili siano state fin’ora poco osservate dagli autori, il che vai quanto dire che nella istituzione delle nuove specie fossili i na¬ turalisti non hanno fatto sempre gli opportuni confronti con la dentatura delle specie viventi ; e non è nemmeno ardito affer¬ mare che in ciò devesi cercare il difetto fondamentale, . la ra¬ gione prima per cui lo studio degli ittiodontoliti terziari si mo¬ strò spesso incerto nei risultati, talora anche contradittorio, e la sinonimia delle specie fu sempre in continua via di rifaci¬ mento, dipendendo il valore sistematico delle stesse specie fos¬ sili più da concetti personali che da reali differenze od affinità fra i denti fossili e quelli recenti.

Per convincersi che le precedenti osservazioni non sono av¬ ventate, basta fare un po’ di storia retrospettiva, a cominciare dalle ricerche dell’Agassiz per arrivare a quelle più recenti del Leriche.

La storia della ittiologia fossile, per ciò che concerne lo stu¬ dio degli Elasmobranchi terziari, ha un primo periodo, che si potrebbe chiamare « Agassiziano », durante il quale il metodo adottato da questo celebre naturalista nelle sue colossali ricer¬ che è stato per circa un cinquantennio la guida infallibile nella determinazione degli ittiodontoliti fossili. Durante tale periodo lo studio degli ittiodontoliti fossili è stato quasi sempre basato sulle descrizioni e sulle figure forniteci dall’Agassiz. Data Pau-

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torità indiscussa e indiscutibile dell’autore non si pensava che egli avesse potuto errare nella valutazione dei caratteri speci¬ fici e che le sue comparazioni con i generi e con le specie vi¬ venti potessero essere limitate e insufficienti ; ed è accaduto per¬ ciò che un gran numero di denti fossero classificati dagli stu¬ diosi senza forse conoscere nemmeno direttamente la dentatura del genere vivente al quale essi erano riferiti. Nessuno si preoc¬ cupava di controllare i risultati, ai quali era giunto l’Agassiz, per mezzo di appositi confronti con i generi e con le specie at tirali. Per classificare un dente fossile, bastava, la maggior parte delle volte, confrontarlo con le descrizioni e con le figure con¬ tenute nelle JRecherches sur les Poissons fossiles; e se esso non trovava in queste il suo riscontro veniva senz’altro riferito a una nuova specie. Le specie nuove di Elasmobrànchi fossili che si fondarono perciò tra il 1840 e il 1890 furono in numero ve¬ ramente sbalorditivo. Non è ozioso e prolisso ripetere che ogni dente fossile che presentava dimensioni diverse, qualche leg¬ gera differenza formale, qualche piccola anomalia rispetto a quelli congeneri illustrati dall’Agassiz, era considerato come tipo di una nuova specie.

Con le ricerche del Woodward la storia della ittiologia fos¬ sile, per ciò che riguarda gli ittiodontoliti, entra in un secondo periodo, il quale si può dire che continui ancora, e del quale, secondo me, l’ultimo odierno più autorevole rappresentante è il Leriche.

Il volume del Woodward riguardante gli Elasmobranchi fos¬ sili, Catalogne of thè fossil Fislies in thè Britìsh Museum, ap¬ parso nel J 889, ha cercato di porre un freno alla istituzione delle così dette nuove specie, e in esso è compiuto un lodevole e profìcuo lavoro di sinonimia. Col Woodward perciò e col Le¬ riche si hanno fino a questo momento i due termini estremi di un nuovo periodo storico, che si potrebbe chiamare di « Rifa¬ cimento sinonimico», e durante il quale gli autori si sono af¬ faticati a constatare più che altro quali fra lo straordinario numero di specie di squali fossili debbono essere ritenute come buone specie e quali invece debbono essere a queste associate in qualità di sinonime. Un così fatto lavoro ha portato di con¬ seguenza che il numero delle specie fossili è stato a mano a

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mano molto ridotto; ma anche in tali ricerche si riscontrano buona parte delle manchevolezze già indicate come caratteri¬ stiche del primo periodo. Perche la sinonimia delle specie fos¬ sili, fondata sopra semplici denti isolati, possa avere una esatta interpretazione e sia veramente proficua dal punto di vista si¬ stematico, occorre sempre che siano conosciute tutte le varia¬ zioni odontometriche e odontografiche che si riscontrano nelle specie viventi ; mentre non pare che a così fatti criteri si siano ispirati il Woodward e gli altri valorosi naturalisti che hanno seguito il suo metodo. Si potrebbe dire a questo proposito che l’indirizzo tracciato dalPAgassiz, seguito da coloro i quali una cinquantina di anni addietro erano molto teneri per la istitu¬ zione delle così dette specie nuove, non si sia nemmeno modi¬ ficato gran che in questi ultimi anni, anche dopo le ricerche del Woodward. Di fatti, al pari dell’Agassiz o del Lawley, anche il Woodward e il Leriche, per non citare altri autorevoli na¬ turalisti, allorché nella determinazione dei denti fossili si sono avvalsi della comparazione con quelli delle specie viventi, hanno limitato i loro confronti in tal modo da fare supporre che essi non abbiano sempre tenuto conto del principio fondamentale dianzi esposto: che cioè per una esatta interpretazione nella de¬ terminazione specifica degli Elasmobranchi fossili occorre prima di tutto conoscere le variazioni individuali che può presentare la dentatura delle specie viventi. Allorché l’Agassiz, il Lawley, il Leriche, ecc., hanno voluto, ad esempio, determinare der denti fossili di Carcharodon, di Oxyrhina, di Galeocerdo, ecc., in se¬ guito alla comparazione diretta col sistema dentario delle specie odierne appartenenti agli stessi generi, che cosa hanno fatto? Hanno preso in esame l’apparato boccale di un solo individuo di Carcharodon, di Oxyrhina, di Galeocerdo, ecc., senza forse pensare che un solo apparato boccale di una data specie vi¬ vente non permette di potere stabilire quali sono i caratteri morfologici costanti e quali sono quelli che variano. La strut¬ tura dei denti di Carcharodon Eondeleti e di Oxyrhina Spal¬ lanzani è sempre quella, qual si sia l’individuo al quale essi appartengono, ma la loro forma e la loro grandezza variano a seconda della statura e a seconda della posizione occupata nelle mascelle. Bisulta chiara perciò la causa prima dell’errore nella

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identificazione dei denti fossili allorché essi vengono comparati solo con quelli di individui giovani e giovanissimi; e non de¬ vono nemmeno meravigliare le continue contradizioni e i con¬ cetti personali che si riscontrano nelle questioni sinonimiche.

Non è ardito affermare che se le ricerche dell’Agassiz, e di tutti coloro i quali seguirono il suo metodo di determinazione, peccano per la istituzione di numerose specie nuove che mal resistono a una critica obiettiva fondata sulla odontologia com¬ parata delle specie viventi; quelle iniziate dal Woodward hanno ancora il difetto di condurre a concetti e a risultati sinonimici spesse volte arbitrari. Nè, con tali osservazioni è bene porlo in rilievo si vuole menomare il valore grandissimo delle ri¬ cerche dell’Agassiz e degli altri valorosi naturalisti che sono venuti dopo. La loro grande benemerenza verso la Scienza ri¬ mane fuori del campo di ogni discussione, e la nostra ricono¬ scenza verso di essi non deve venir mai meno; giacché i loro studi, compiuti in mezzo a difficoltà maggiori di quelle che non s’incontrano adesso, sono sempre la guida fondamentale e istrut¬ tiva di ogni ricerca.

Esempi dimostrativi.

Ma tutto quanto si è detto acquista maggior valore dimo¬ strativo, citando qualche esempio.

L’Agassiz fondò ben sei specie fossili di Notidanus compa¬ rando gli avanzi fossili con un apparato boccale di recente No¬ tidanus griseus , mentre lo stesso genere è rappresentato nei mari attuali da quattro specie. Anche il Lawley istituì un nu¬ meroso stuolo di specie plioceniche di Notidanus , fondate sopra scarso materiale di confronto e che rappresentano semplicemente denti di diversa posizione del N. griseus. Seguendo lo stesso metodo, l’Agassiz riconobbe cinque nuove specie terziarie di tìaleocerdo, comparando i denti fossili con quelli di un recente Galeocerdo articus. Tutti gli autori che si sono occupati fin’ora della determinazione dei denti fossili di Odontaspis, hanno li¬ mitata la loro comparazione con quelli deW Odontaspis ferox , senza tener conto dei denti dell'altra specie vivente, Odontaspis

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taurus. Tale fatto ha ingenerato una indescrivibile confusione, che merita di essere brevemente chiarita. Mentre i denti del- VO. ferox hanno costantemente le due facce della corona, esterna ed interna, convesse, i margini laterali della stessa non taglienti e la base del cono dentario più o meno subcilindrica; quelli invece dell 7 0. taurus presentano costantemente una corona la cui faccia esterna è piana o pianeggiante mentre quella interna è convessa, e i margini laterali del cono dentario sono taglienti per tutta la loro lunghezza. Risulta quindi che comparando la dentatura delle due specie odierne con i denti fossili terziari, alcuni fra questi, come quelli chiamati dagli autori col nome di Odontaspis Hopei, corrispondono per la loro conformazione ai denti dell’O. ferox; mentre la maggior parte, come quelli indicati dai naturalisti coi nomi di 0. dulia, 0. cuspidata, 0. acutissima, per la loro conformazione, somigliano a quelli dell’ 0. taurus.

La questione riguardante la determinazione specifica dei Myliobatis neogenici era fino a qualche anno addietro un caos inconcepibile. Le piastre dentarie descritte e figurate nei lavori dell’Owen e dell’Agassiz come appartenenti all’odierno Mylio¬ batis aquila , non sono certamente di tale specie. Tali autori hanno così comparato le piastre delle specie fossili di Mylio¬ batis da loro fondate, non con quelle della specie indicata, ma con altre. Diversi avanzi di piastre fossili neogeniche sono state considerate in seguito dagli autori come corrispondenti a quelle del M. aquila, mentre sono identiche a quelle del M. bovina; e ciò perchè fondate sopra la comparazione con le sole piastre di M. aquila o sulle figure fornite dall’Agassiz. Tipico fra gli altri è il caso del M. angustidens , specie fondata dal Sismonda so¬ pra un avanzo fossile del pliocene piemontese, ritenuta come buona specie dal Woodward e da molti altri studiosi venuti dopo del Woodward, e citata come specie caratteristica in tutti i trattati di geologia e di paleontologia. La specie in discus¬ sione altro non rappresenta che due piastre superiori incomplete e insieme unite del vivente Myliobatis bovina; ed è evidente che per diversi anni tali piastre furono riferite a una specie estinta solo per mancanza di controllo diretto. Le diverse specie fossili di Aetobatis del miocene di Léognan in Francia, descritte

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dal Delfortrie, sono fondate sopra avanzi i cui caratteri si ri¬ scontrano come semplici variazioni nei vari scaglioni del recente Aetobatis nar inari; variazioni che sono in diretta relazione con lo sviluppo degli stessi scaglioni.

L’ultimo, in ordine di tempo, fra gli autorevoli studiosi di ittiodontoliti fossili, è certamente il Leriche. Nei suoi numerosi lavori, che comprendono circa un ventennio di lodevole opero¬ sità scientifica, è pubblicato un rilevante numero di ittiodon¬ toliti, appartenenti a tutti i livelli del terziario. Ma anche le ricerche del Leriche, condotte certamente con buon metodo scien¬ tifico, se da un lato sono da considerarsi come notevoli contri¬ buti alla più esatta conoscenza degli Elasmobranchi fossili, dal¬ l’altra presentano anch’essi gli stessi difetti che si riscontrano in altri lavori di data meno recente, lasciano cioè anch’esse a desiderare per una troppo limitata comparazione con il sistema dentario delle specie recenti. Le stesse ricerche inoltre peccano perchè in esse c’è sempre una tesi stratigrafica e cronologica da sostenere.

Si può intanto osservare che i caratteri considerati dal Le¬ riche nella dentatura di alcuni Elasmobranchi, se permettono quando si tratta di denti fossili isolati come accade nella maggior parte dei casi di riconoscere e precisare la loro posizione nella bocca dell’animale, non sono però sempre va¬ lidi per la distinzione delle varie specie. è da trascurare che lo stesso naturalista, pure essendo così accurato nelle sue osservazioni e così cauto nel valutare i caratteri di alcune forme fossili, non è restio d’altra parte seguendo in ciò il metodo degli autori di alcuni decenni addietro ad ammettere come buona una specie fossile anche se fondata sulla conoscenza di un unico dente, quale è il caso, ad esempio, del Galeoccrdo acutus Storni s.

Il Leriche, ad esempio, nella determinazione dei denti fos¬ sili di Odontaspis, prende come tipo di confronto la dentatura di un apparato boccale dell’attuale 0. ferox , osservando sem¬ plicemente che nell’altra specie vivente 0. taurus il sistema dentario è sensibilmente diverso, giacché i denti sinfìsari della mascella superiore, disposti in una fila per ogni mezza mascella, sono quasi tanto sviluppati quanto i denti anteriori, disposti in

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due o tre file, e i denti intermedi non costituiscono che una o due file da ciascun lato. I caratteri specifici dell’O. ferox , posti in rilievo dal Leriche, sono: la forma più o meno slanciata della corona, la maggiore o minore prominenza della faccia interna della radice, e le branche più o meno ravvicinate della stessa radice. Del carattere importantissimo e costante, indicato in queste note, che cioè nell’O. ferox i denti delle due mascelle, a qualsiasi posizione appartengono, hanno le due facce della corona convesse, e che quindi la base del loro cono dentario presenta forma ben diversa di quella dei denti dell’ 0. taurus , come ben diversi ancora sono i profili dei margini laterali nelle due specie, lo stesso naturalista non tiene alcun conto. I ca ratteri quindi posti in rilievo dal Leriche sono in realtà comuni alle due specie 0. ferox e 0. taurus , e se essi permettono di stabilire nel confronto coi fossili quale posizione questi ultimi potevano realmente occupare nella bocca dell’animale, non sono certo però sufficienti per distinguere la dentatura delle stesse specie. La prova evidente si ha nella stessa comparazione fatta dal Leriche fra i denti fossili e quelli dell’attuale Odontaspis ferox. I denti chiamati da tale autore col nome di Odontaspis Winkleri, per la conformazione delle due facce della corona richiamano subito il tipo dei denti de\V Odontaspis taurus, men¬ tre per il paio dei dentelli laterali, che presentano per ogni lato alla base del cono dentario, corrispondono a quelli del- V Odontaspis ferox. Così ancora, i denti fossili che lo stesso Leriche indica col nome di Odontaspis cuspidata var. Hopei , per la conformazione del cono dentario e per i dentelli laterali assomigliano a quelli del vivente 0. ferox; mentre quelli indi¬ cati col nome di 0. macrota corrispondono al tipo 0. taurus ; 'e i denti fossili in fine che il naturalista belga chiama con la denominazione di Odontaspis crassidens vengono inesattamente comparati con gli organi dentali di 0. ferox, giacché anch’essi richiamano il tipo degli organi dentali dell’O. taurus , tanto per la conformazione del cono dentario quanto per il numero dei dentelli laterali.

Le osservazioni di tal genere,' che si potrebbero fare alle determinazioni degli odontoliti fossili che si riscontrano nei la¬ vori dell’Agassiz, del Woodward, del Leriche, ecc., sono nume

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rose, e non limitate ai soli generi considerati, ma bensì ad altri ancora. Se non che, un così fatto esame analitico, farebbe ne¬ cessariamente varcare i limiti nei quali si aggira questo lavoro, il quale vuole e deve essere un complesso di osservazioni d’in¬ dole generale ; e, d’altra parte, molte dettagliate annotazioni congeneri a proposito dei Carcliarodon, delle Oxyrhìne, dei My- ìiobatis fossili, ecc., si riscontrano in altri miei precedenti la¬ vori. Ma, a prescindere da ciò, non si può passare sotto silen¬ zio che un’altra fonte di errore, nella determinazione dei denti degli Elasmobranchi fossili, dipende dai criteri cronologici coi quali essi vengono spesso vagliati ; e a questo proposito occorre una breve discussione riguardante la persistenza delle specie at¬ traverso i tempi geologici.

Resistenza specifica e deduzioni cronologiche.

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E noto a tutti che nella geologia stratigrafica e cronologica si conoscono le così dette specie caratteristiche, le quali deb¬ bono servire a limitare determinati orizzonti geologici, e alle quali vengono assegnati determinati limiti di durata.

Anche fra gli Elasmobranchi fossili si riscontrano alcune specie, considerate caratteristiche di dati livelli o piani geolo¬ gici. Così, dalla maggior parte degli autori si potrebbe forse dire, da tutti gli autori si ritiene che il Carcliarodon auri- c-àlatus è eocenico e qualche volta anche oligocenico; che il Carcliarodon megalodon è specie miocenica, e che perciò dif¬ ficilmente si può trovare nei terreni eocenici e in quelli plio¬ cenici; che il Galeocerdo aduncus è specie miocenica, mentre il Galeocerdo latidens è caratteristico dell’eocene; che VHemi- pristis serra è esclusivamente miocenico; e così via dicendo. In realtà, se un così fatto modo di limitare la presenza di al¬ cune specie entro determinati piani torna molto comodo per la geologia stratigrafica e cronologica, non è però chi non scorga subito l’artificiosità del sistema e chi non comprenda come esso non possa resistere dal punto di vista sistematico e filogene¬ tico al lume di una critica obiettiva, basata su dati di fatto indiscutibili. Poiché in diverse circostanze, i denti fossili, aventi

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gli stessi caratteri morfologici, vengono indicati con nomi spe¬ cifici diversi, solo perchè si trovano in terreni ritenuti di età diversa; non si può misconoscere che in tal caso le cosi dette specie caratteristiche dei vari piani geologici sono la conse¬ guenza di preconcetti cronologici, preconcetti pei quali i limiti di durata delle stesse specie variano da autore ad autore, pro¬ ducendo spesso in essi delle contradizioni stridenti, costretti come sono di ammettere a volte in alcuni depositi l’associazione di specie considerate caratteristiche di piani diversi.

Che la resistenza limitata di certe specie di Elasmobranchi fossili debba ritenersi illusoria, non ostante l’opinione contraria di autorevoli naturalisti, è stata da me indicata alcuni anni ad¬ dietro, in altro lavoro, trattando dei criteri paleontologici se gniti nella geologia stratigrafica; ma non è fuori posto ritor¬ narci sopra. L 'Odontaspis cuspidata , creduta propria del mio¬ cene, si trova anche in terreni eocenici. La Lamna Vincenti , ritenuta una volta esclusivamente eocenica, si trova anche in depositi della Francia e del Belgio, ascritti dai geologi al mio¬ cene; e sono caratteristiche le idee espresse dal Jaekel, in op¬ posizione a quelle degli altri paleoittiologi, che cioè i denti fossili del gen. Carcharodon debbono essere inclusi in quattro gruppi differenti e distinti, considerandoli come entità discon¬ tinue, come specie fisse, che non hanno subito trasformazione di sorta attraverso i tempi che vanno dall’eocene inferiore ai nostri giorni. Sarebbe ben comodo per la geologia stratigra¬ fica e cronologica, se si potesse stabilire con sicurezza che, in tutta la superficie terrestre, secondo l’opinione del Jaekel, il Carcharodon toliapicus, il C. heterodon, il C. disaurus appar¬ tengono esclusivamente all’eocene inferiore; che il Carcharodon angustidens caratterizza i terreni dell’eocene superiore e dell’o¬ ligocene; che il Carcharodon auriculatus si riscontra solo nelle formazioni mioceniche e oligoceniche ; e che il Carcharodon Ron- deleti risalga dai tempi attuali a quelli del miocene.

Sta di fatto che il criterio di limitare la presenza di alcune specie entro determinati orizzonti geologici, ha così profonde ra¬ dici nella mente di alcuni autori, da non fare loro scorgere nem¬ meno l’insostenibilità di certe tesi. Valga ad esempio il Lawley, il quale, pur riconoscendo che i denti degli Elasmobranchi fos-

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sili del pliocene toscano sono perfettamente identici a quelli delle specie viventi, non sa rassegnarsi di riferirli a queste ul¬ time, ma sente invece il bisogno di chiamarli con nuovi nomi specifici.

L’osservazione fatta per il Lawley vale in gran parte per altri naturalisti, a cominciare dall’Agassiz per finire al Woodward e al Leriche.

Uno dei caratteri più salienti, se non pure il più importante, preso a base dagli autori per distinguere il Galcocerdo latidens dal Galcocerdo aduncus , consiste nel fatto che i denti della prima specie presentano il margine posteriore della punta, al di sopra dell’intaglio, privo di seghettatura, mentre quelli de! G. aduncus avrebbero lo stesso margine seghettato. Ora a me è capitato di constatare che, fra i denti riferiti dagli autori a Galcocerdo latidens e quelli ascritti dagli stessi a Galeocerclo aduncus , non solo si osservano notevoli variazioni, ma ancora quanto segue: che allorché si osservano numerosi esemplari fos¬ sili europei del genere in discussione, si riscontra che un gran numero di denti, trovati in terreni ritenuti eocenici, e perciò riferiti al G. latidens , sono seghettati al margine posteriore, al di sopra dell’intaglio, in modo più o meno accentuato; mentre che altri, appartenenti a depositi miocenici, e quindi classifi¬ cati col nome di G. aduncus , hanno lo stesso margine poste¬ riore privo di seghettatura. I denti fossili indicati dall’Agassiz col nome di Hemipristis serra , sono ritenuti da alcuni autori esclusivamente miocenici, da altri rappresentati anche rara¬ mente nel pliocene, e da altri in fine raramente ancora nel- l’eocene. Sta di fatto però che denti semplicemente identici a quelli delle formazioni mioceniche europee, si riscontrano an¬ che nei fosfati della Tunisia, come ho pubblicato recentemente in una nota sugli ittiodontoliti di Kalaa-Djerda; e i fosfati della Tunisia, come ognuno sa, sono ascritti da tutti i geologi al- l’eocene. I denti che si trovano nei terreni miocenici europei, chiamati dagli autori col nome di Sphyrna prisca, sono iden tici a quelli che si riscontrano nei terreni pliocenici, i quali poi appartengono alla vivente Sphyrna ziyaena. Fra le piastre dentarie fossili neogeniche del gen. Myliohatis , diverse, come quelle chiamate coi nomi di M. angustidens, M. punctatus,

DETERMINAZIONE DEGLI ELASMOBRANCHI FOSSILI 17

M. meridionalis, M. Testae, sono identiche a quelle dell’o¬ dierno M. bovina , e logicamente debbono essere riferite a tale specie. È tipico, finalmente, il caso delle piastre dentarie del¬ l’oligocene del Belgio, chiamate dal Leriche col nome di My- liobatis aquila mut. oligocaena , solo perchè si trovano in depo¬ siti ritenuti oligocenici, mentre lo stesso autore riconosce espli¬ citamente che esse corrispondono perfettamente a quelle della specie odierna. In quest’ultimo esempio, come in altri nume¬ rosi ancora, oltre quelli già citati, che per brevità si omettono, è evidente che la determinazione specifica è basata sopra pre¬ concetti cronologici.

È l’opinione predominante in paleontologia, per la quale sono considerati come appartenenti a specie nuove o a specie estinte, denti isolati e piastre dentarie che hanno gli stessi ca¬ ratteri dei denti e delle piastre delle specie attuali, solo per-

•> V

che essi si trovano in terreni terziari relativamente antichi. E indiscutibile che la generalità degli autori non arriva a per¬ suadersi che specie recenti possano essere anche rappresentate in depositi miocenici, mescolate o associate a specie estinte, anche quando gli avanzi fossili esaminati non presentano la minima somma di caratteri differenziali. Così, ad esempio, se si riscontrano in terreni pleistocenici o pliocenici denti di Car- charodon o di Oxyrhina identici a quelli degli odierni Carcha- radon Rondeleti e Oxyrhina Spallanzani , si arriva forse ad ammettere che si tratta delle specie indicate; ma se gli stessi denti si trovano in terreni più antichi, come quelli miocenici od oligocenici, allora la perfetta identità fra gli avanzi fossili e gli organi dentali delle specie indicate non è più ritenuta sufficiente per ascrivere i primi a queste ultime. E insistere su questo fatto, per quanto possa sembrare prolisso o noioso, non è mai troppo. I denti dell’odierna Sphyrna zigaena, e quelli fossili pleistocenici e pliocenici, appartenenti alla stessa specie, corrispondono perfettamente ai denti miocenici chiamati dagli autori col nome di Sphyrna prisca; e non è da dimenticare quanto io ho pubblicato recentemente nello studio sulle piastre dentarie dei Myliobatis viventi e fossili, che, cioè a dire, le stesse piastre dentarie hanno ricevuto dagli autori nomi speci¬ fici diversi, pur presentando gli stessi caratteri, a seconda che

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G. DE STEFANO

esse appartengono a terreni pleistocenici, pliocenici, miocenici ed oligocenici. La domanda: per quale ragione si può ammet¬ tere che i Myliobatis bovina e aquila dei mari odierni sono anche vissuti nei mari pliocenici ma non in quelli miocenici? sorge spontanea nella mente di ogni studioso obiettivo. Occorre pensare in tal caso che si tratta di animali bentonici, e che perciò le specie in discussione hanno potuto presentare nel tempo una lunga resistenza, senza andare soggette a trasformazioni di sorta. Negli stessi Elasmobranchi bisogna pensare che i bento¬ nici sono soggetti a variazioni molto più lente di quelle che si potrebbero verificare nei nectonici. Nella evoluzione delle spe¬ cie che appartengono ai vari gruppi dei vertebrati occorre te¬ nere gran conto dell’ambiente nel quale esse vivono, potente fattore di modificazioni rapide o lente ; e nella stessa ittiofauna marina occorre ricordare che tali modificazioni sono a volte len¬ tissime, avvengono dopo un lungo lasso di tempo geologico, per quegli organismi che, come alcuni Elasmobranchi, vivono negli altifondi, i cui rappresentanti perciò dall’epoca presente possono anche rimontare ad epoche geologiche relativamente antiche.

Il volere delimitare la durata di tali specie, il volere as¬ segnare ad esse una determinata estensione cronologica, signi¬ fica ammettere un dogma nelle dottrine evoluzionistiche, e con¬ cepire le stesse specie secondo erano intese dall’Agassiz, o anche peggio.

Validità specifica e osservazioni filogenetiche.

D’altronde, la delimitazione cronologica delle specie attra¬ verso i tempi geologici, non si accorda col concetto stesso di specie, quale oggi s’intende per gli animali viventi.

Si sente dire continuamente, e molte volte si legge anche in lavori di autorevoli studiosi, che altro è parlare di specie zoologica, altro è parlare di specie paleontologica ; che, in altri termini, la specie paleontologica deve essere concepita e con¬ siderata in modo diverso di quello secondo il quale vien con¬ cepita e considerata la specie zoologica. In non pochi casi io ho letto, a proposito di lavori paleontologici, che l’autore A o

DETERMINAZIONE DEGLI ELASMOBRANCHI FOSSILI ]9

l’autore B restringono troppo i limiti della specie ; che essi, ad esempio, hanno un concetto troppo rigido della specie, troppo paleontologico; che in tale concetto non tengono abbastanza conto dei caratteri filogenetici, dando ai fossili un valore stra- tigrafico troppo assoluto ; e che in fine le specie, da tali autori, sono intese entro limiti molto ristretti, ossia più da paleonto¬ logi che da zoologi.

Io non credo che scientificamente possa parlarsi di specie zoologiche e di specie paleontologiche come di due cose diverse, e ritengo invece che un così fatto criterio in paleontologia sia la causa prima per la quale le specie fossili si moltiplicano all’infinito. Ma il valore sistematico di molte specie fossili è ipotetico o nominale, perchè esse sono fondate sopra scarsi e incompleti avanzi, ai quali occorre pure dare un nome. Le dottrine evoluzionistiche, dimostrando inammissibile la fissità delle specie, hanno portato di conseguenza che queste non si possono considerare come entità immutabili ; e appunto per ciò, anche in paleontologia, come avviene in zoologia, il concetto di specie non deve essere confinato entro limiti rigidi, ma in¬ vece occorre dare ad esso una certa estensione di variabilità, oltrepassata la quale si può parlare di specie nuova. Ma solo allora, e in ogni caso i criteri fondamentali, le regole che in¬ formano le specie zoologiche debbono essere adottate anche in paleontologia; il che vai quanto dire che, nella pratica, allor¬ ché si tratta di determinare specificamente uno o più avanzi fossili appartenenti a un dato genere vivente, occorre prima di tutto constatare le variazioni entro le quali si aggirano le specie odierne che appartengono a quel dato genere, giacche altrimenti troppo facile e molto semplice diventa la determinazione spe¬ cifica degli stessi avanzi fossili.

È il caso dei denti e delle piastre dentarie degli Elasmo- branchi fossili, dei quali si discute.

Tutto si riduce quindi a constatare se realmente il sistema dentario di tali pesci, oltre ad avere un valore sistematico di primo grado, basta da solo ancora a definire una specie. Dal punto di vista storico, questo fatto è stato riconosciuto prima di ogni altro dall’Agassiz, e in seguito da tutti quei naturalisti che si sono occupati di ittiodontoliti fossili. Le mie osservazioni

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G. DE STEFANO

permettono ancora di aggiungere e di dimostrare, in base allo studio dello scheletro e della dentatura degli Elasmobranchi attuali, che il solo sistema dentario è sufficiente per la validità specifica nella determinazione degli avanzi fossili. Negli Ela¬ smobranchi viventi, le specie si distinguono oltre che per i ca¬ ratteri della dentatura anche per altri caratteri; ma questi ul¬ timi sono in diretta correlazione con quelli del sistema dentario, il quale rappresenta sempre per quanto, in zoologia, non sempre considerato al suo giusto valore il criterio fonda- mentale delle distinzioni specifiche. Anche non escludendo il caso che il corpo così complesso di un elasmobranco fossile, non ostante la identità della sua dentatura con una data specie vivente, possa essere diverso da questa per altri caratteri mor¬ fologici ; non si può mettere in dubbio però che in tal caso il

giudizio dell’osservatore obiettivo deve essere fondato su quello che egli vede e non già su quello che egli non vede. Mentre

in teoria questo modo di giudicare gli avanzi dei pesci fossili

in discussione, non contrasta per nulla con le dottrine evolu¬ zionistiche, che anzi segue le moderne vedute di queste ultime nell’ammettere una evoluzione irregolare delle specie, e non uniforme, secondo un piano prestabilito, giusta quanto si cre¬ deva una volta; in pratica esso è il solo che permette di giu¬ dicare in seguito alla diretta osservazione dei fatti, e corrisponde perfettamente ai criteri adottati in paleontologia nella determi¬ nazione di altri gruppi di vertebrati fossili, del complesso orga¬ nismo dei quali non si conoscono che avanzi scheletrici e del sistema dentario. Se perciò i denti degli Elasmobranchi fossili non si ritengono sufficienti a definire le specie alle quali essi appartennero, bisogna anche dire che la stessa ipotesi deve, ad esempio, essere messa avanti per la dentatura dei mammiferi fossili ; il che porta a concludere che quest’ultima [tossa non rappresentare le stesse specie viventi, anche quando corrisponde perfettamente a quella di esse.

Alla stregua dei fatti indicati si capisce che se alcune at¬ tuali specie di Elasmobranchi rimontano solo fino ai tempi del¬ l’epoca pliocenica, altre invece possono essere anche vissute in epoca geologica più antica; e di ciò sono una prova convin¬ cente gli ittiodontoliti fossili. Così, tutti quei denti miocenici,

DETERMINAZIONE DEGLI ELASMOBRANCHI FOSSILI 21

indicati dagli autori con la denorn inazione di Oxyrhina Desori, che presentano gli stessi caratteri di quelli laterali inferiori della recente Oxyrhina Spallanzani, è molto più logico e na¬ turale riferirli a tale specie, anziché ascriverli a una nuova, estinta. Così ancora, i denti miocenici e pliocenici chiamati dall’Agassiz col nome di Sphyrna prisca, e quelli miocenici indicati dallo stesso naturalista col nome di Sphyrna lata , cor¬ rispondenti in modo perfetto a quelli dell’attuale Sphyrna zi- gaena , fino a quando non sarà provato il contrario, debbono essere considerati come appartenenti con tutta verosimiglianza a tale specie. Seguendo lo stesso criterio, i denti pliocenici chiamati dal Lawley coi nomi di Squatina D'Anconai , Cen- trina JBassanii , Scymnus majori , debbono essere rispettivamente ascritti alle attuali specie Squatina angelus , Centrina Salvianii , Scymnus Melila.

La questione riguardante la validità specifica, basata sul sistema dentario, implica anche quella filogenetica delle stesse specie.

Ammessa, e in molti casi anche provata, la evoluzione del mondo animale attraverso i tempi geologici, si comprende che i pesci hanno dovuto subire attraverso gli stessi tempi geologici variazioni più o meno notevoli ; ed è ovvio ritenere che anche gli Elasmobranchi non si sono potuti sottrarre a tali variazioni. Se non che, mentre per altri gruppi di pesci fossili, rappresen¬ tati negli strati terrestri da avanzi scheletrici, è relativamente facile rintracciare i legami di parentela fra le specie estinte e quelle viventi, non così avviene per gli Elasmobranchi, i quali allo stato fossile sono semplicemente rappresentati da vertebre, da doruliti e da organi dentali. Per analogia con altri gruppi di vertebrati, devesi tuttavia ritenere come verosimile che, data la costituzione del corpo di tali pesci, le modificazioni dianzi accennate si sono effettuate più facilmente nel sistema dentario, anzi che nello scheletro e nelle parti esterne del corpo. Quando si vuole quindi ricostruire l’albero genealogico degli Elasmo¬ branchi attraverso i tempi terziari, la loro dentatura fornisce certamente fino a questo momento i dati più sicuri per far ciò; e in base ad essa, giusta come si opera per il sistema dentario dei mammiferi, si può a volte giungere a risultati soddisfacenti,

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G. DE STEFANO

parche si segua una rigorosa comparazione fra le specie fossili e quelle viventi. Lo studio dunque dettagliato della dentatura delle specie viventi, in seguito al quale si possono conoscere le variazioni maggiori o minori che presentano gli organi dentali durante la vita degli individui di una data specie, è il solo che permetta di interpretare esattamente le specie fossili, sia dal punto di vista sistematico, sia dal punto di vista filogenetico.

Conclusione.

Le fatte considerazioni si potrebbero ritenere inutili e pro¬ lisse, pensando che altri prima di me, molto prima di me, ha espresso così fatti giudizi. E invero, a guardare le cose superfi¬ cialmente, parrebbe così ; giacche le magistrali ricerche sui pesci fossili dell’Agassiz sono fondate sulla comparazione con quelli viventi, e gli studiosi che sono venuti in seguito se non tutti, certamente i più autorevoli hanno seguito la via tracciata dal grande naturalista. In realtà però, se l’Agassiz è stato il primo a porre in rilievo che anche nei pesci Elasmobranchi, al pari dei Mammiferi, il sistema dentario è di capitale importanza nella determinazione delle specie fossili ; certamente, lo stesso Agassiz, gli altri naturalisti posteriori, hanno tenuto in de¬ bito conto le variazioni odontometriche e odontografiche che si riscontrano negli individui delle specie viventi, e le loro deter¬ minazioni sui fossili sono inoltre basate sopra preconcetti cro¬ nologici.

Stando così le cose, si comprende benissimo come lo studio dei denti fossili sia stato considerato giustamente fin’ora da un eminente paleontologo italiano, il Bassani primo fra tutti a riconoscere che le specie degli Elasmobranchi fossili pliocenici sono nella loro quasi totalità identiche a quelle attuali come un semplice esercizio materiale. In realtà, secondo il metodo usato dalla generalità degli studiosi, la classificazione degli avanzi in discussione riesce molto facile o presenta poche dif¬ ficoltà. Ma solo in tal caso occorre assegnare ai denti fossili poco o nessun valore sistematico. Col metodo da me indicato invece

DETERMINAZIONE DEGLI ELASMOBRANCHI FOSSILI 23

la stessa determinazione riesce molto difficile, ed è tante volte così irta di difficoltà, da far venir meno la vogdia di tale stu¬ dio a chi prima non possegga un sufficiente corredo di cogni¬ zioni intorno al sistema dentario delle specie viventi. si creda esagerata questa affermazione; poiché le future ricerche, se condotte in modo da tener sempre presente le variazioni odon¬ tometriche e odontografiche delle specie attuali, dimostreranno gli errori passati e presenti.

[ms. pres. 27 clic. 1915 - ult. bozze 26 aprile 1916].

PER LA CONOSCENZA DEL FENOMENO CARSICO

NEL GARGANO

TERZO CONTRIBUTO 1

Nota del socio dott. G. Checchia-Rispoli

Campi solcati, doline delle più svariate forme e dimensioni, inghiottitoi, conche carsiche alcune delle quali sedi di laghi tem¬ poranei, valli chiuse, valli inattive, grotte e caverne, tutte in¬ somma le varie manifestazioni del fenomeno carsico, dalle più superficiali e meno importanti alle più grandiose, abbondano su quel vasto altopiano, che è il Promontorio garganico, il quale per la sua natura prevalentemente calcarea, per l’andamento dolce degli strati quasi orizzontali, per la stratificazione non molto spessa, sembrava predisposto a favorire un grandioso svi¬ luppo del le -forme carsiche. Tali manifestazioni, che costituiscono uno dei tratti morfologici più importanti di quella regione, sono state per altro poco o punto studiate, non avendosi su di esse che scarsissime notizie, le quali si succedono a grandi intervalli.

Le più antiche rimontano alla fine del secolo XVIII e si debbono ad un erudito per quanto dimenticato naturalista pu¬ gliese, P. M. Manicone di Vico Garganico (n. 1745, ni. 1807), monaco ma di spirito laico e liberale, autore dei V volumi della Fisica Appaia 2. Quest’opera voluminosa, oltre ad una ricca

1 Per gli altri vedi: Le Grotte del Promontorio garganico in Boll, del Circolo Escurs. « Leopoldo Pilla », anno I, Avellino, 1905 e La Conca di S. Egidio sul Gargano in Foglietto « Cronaca di Capitanata », anno XVIII, Lucerà, 1915.

2 Manicone P. M., La Fisica Appaia, tom. V, Napoli, presso Dome¬ nico Sangiacomo, liS0tì-07.

FENOMENO CARSICO NEL GARGANO

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e sistematica serie di notizie riguardanti la Mineralogia, la Bo¬ tanica, la Zoologia, l’Agricoltura, l’Igiene, la Pesca, ecc. della Capitanata, ne contiene molte altre sulla Geologia e sulla Geo¬ grafia Fisica di detta regione. Così anche le grotte e le grave (con questo nome vengono in tutto il Gargano designate le do¬ line) furono argomento di osservazioni da parte del frate natu¬ ralista, il quale non pago di descriverle e di constatarne la grande frequenza, cerca anche d’indagarne l’origine.

Per la storia delle nostre conoscenze sul fenomeno carsico non ci pare privo d’interesse ricordare che mentre in quell’epoca si consideravano le doline come dovute essenzialmente all’azione vulcanica, il Manicone solo, contrariamente a tale ipotesi, scri¬ veva : « . i terremoti sono capaci di portare rovesciamento

e sconscendimento ; ciò che dee formare necessariamente, delle ca¬ vità, delle spelonche, voragini e aperture di ogni specie ». Il che non ci pare poco per quei tempi, perchè se egli non riuscì a scoprire la causa prima di questi terremoti , cioè l’azione ero¬ siva dell’acqua, idea che prese campo solo al principio della seconda metà del secolo XIX, si avvicinò assai più che non i suoi contemporanei all’origine di una categoria molto impor¬ tante di doline, cioè, quelle di crollo, che sono comuni nel Gar¬ gano, e le sole, che, per la ripidezza delle pareti, per la loro profondità e per il distacco netto dal suolo circostante, pote¬ vano richiamare l’attenzione del Manicone ed eccitare la sua mente per indagarne il modo di formazione.

Da queste prime notizie bisogna lasciar trascorrere circa un secolo e venire sino allo studio geologico del Cortese e del Ca navali (1884) per trovare qualche altro breve cenno sul feno¬ meno carsico della penisola garganica Questi due geologi no¬ tarono la presenza di numerose doline comuni tanto alle dolo¬ mie che ai calcari mesozoici e per spiegarne l’origine credono di poter applicare la teoria del Tietze. Certo molte doline gar¬ ganelle sono di crollo, ma non tutte appartengono a questa ca¬ tegoria. È strano però che questi due autori non abbiano po¬ tuto notare la presenza di grotte, le quali spesseggiano invece

1 Cortese E. e Canavari M., Nuovi appunti geologici sul Gargano, (Boll. R. Coni. Geol. d’Italia, serie 2, voi. Y), Roma, 1884.

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G. CHECCHI A- RISPOLI

in tutto il promontorio, ove furono notate oltre che dal Mani¬ cone, anche dal De Lucretiis 1 e dal Fraccacreta 2.

Qualche accenno infine sul fenomeno carsico del Gargano si trova sparso qua e in pubblicazioni di indole geologica 3. In queste però si parla quasi esclusivamente di doline, le quali è vero che costituiscono la manifestazione più comune dell’ero¬ sione carsica (nei dintorni di San Marco in Lamis, di Rignano Garganico, di San Giovanni Rotondo, di Montesantangelo, io ho contate a centinaia le doline), ma questa non è la sola, avendo nel Gargano, come abbiamo detto, un vero passaggio carsico con tutti i più svariati tipi dell’importantissimo fenomeno.

Sono queste manifestazioni, che insieme alla scarsezza di vegetazione, contribuiscono a dare alla regione garganica, in certi punti, un aspetto di squallore, specialmente nei periodi di prolungata siccità, che trasforma, il suolo in un deserto di pietre infuocate, nonostante che le doline, le sole che offrano un po’ di vegetazione, riescano ad interrompere, di tanto in tanto, la tristezza del paesaggio.

Io spero di essere riuscito con queste poche parole a dare una idea anche lontana della grandiosità del fenomeno carsico nel Gargano, che mi propongo di illustrare in una serie di Note, dando nella presente la descrizione di due tipiche doline di crollo, fra le più interessanti che ho potuto sinora osservare.

La Golina di Pozzatina.

Questa dolina, che è una delle più conservate e delle più grandi di tutto il Promontorio, si trova isolata nella parte oc¬ cidentale del Gargano, situata a circa 5 chilometri a Sud di San Nicandro Garganico, tra la regione Pozzatina e la regione Presu tto.

1 De Lucretiis, Della Grotta di Montenero (Giorn. Elicici., I), Na¬ poli, 1812.

2 Fraccacreta M., Teatro storico, topografico , ecc. della Capitanata , toni. II, pag. 118, Napoli, 1835.

3 Flores U., Appunti di geologia pugliese (Rassegna Pugliese), Traili, 1889.

FENOMENO CARSICO NEL GARGANO

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Essa si apre in un terreno pianeggiante, che si eleva dol¬ cemente e gradatamente verso Est, ed è compresa tra le quote 400 m. e 450 m.

Per una larga estensione tutto all’intorno il suolo è formato dalla dolomia (occidentale) grigia, a struttura cristallina, che

N

Profilo e Planimetria della « Golina di Pozzatina ».

(Scala 1 : 4000).

percossa manda un leggero odore di bitume: questa dolomia è riferita dal Viola e dal Canetti all’Urgoniano. Gli strati, spessi circa 1 metro, sono disposti orizzontalmente, e finiscono col passare lateralmente a calcari compatti, bianchi.

L’apertura della dolina è leggermente elittica: l’asse mag¬ giore diretto da Nord a Sud è lungo metri 425, il minore di¬ retto da Ovest ad Est è lungo metri 375, il perimetro è di m. 1200 c. Come si vede si tratta di una dolina di grandi di¬

mensioni.

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G. CHECCHI A-RISPOLT

La profondità massima verso il centro è di metri 40, per quanto sul posto all’occhio la dolina desti l’impressione di una profondità maggiore per la ripidezza delle pareti tntt’intorno. Queste scendono giù verticalmente per circa 15 metri ad Est e per una decina di metri ad Ovest, tanto che è molto peri¬ coloso lo sporgersi troppo. Solamente verso la parte settentrio¬ nale l’orlo è un po’ slabbrato e questo slabbramento, più che alle forze della natura, si deve alla mano dell’uomo, il quale si sforzò di procurarsi una discesa nella dolina, il cui fondo è interamente coltivato a messi e ad ortaggi.

Ad una certa altezza il profilo della dolina diventa rego¬ larmente concavo e a declivio piuttosto accentuato. Dimodoché quale si scorge oggi la cavità ha l’aspetto di una caldaia, ma tale non doveva essere la sua forma primitiva ; essa assillisela forma attuale per il lento ma continuo franamento delle pareti all’ingiro e pel trasporto di materiali, che si sono depositati a scarpata. Il materiale che costituisce il fondo della dolina è in prevalenza terra rossa, in cui sono commisti dei detriti calcareo- dolomitici, che costituisce un terreno fertilissimo.

Sul fondo non è visibile nessuna apertura di condotti sot¬ terranei.

Nel punto più basso è stata costruita una piscina (cisterna), ove si raccolgono le poche acque piovane.

La «Golina di Pozzatina » appartiene alla categoria delle doline di crollo e la sua origine per sprofondamento non può essere dubbia. La forma cilindrica, le pareti verticali, i mar¬ gini nettamente tagliati nella roccia mostrano chiaramente il repentino distaccarsi e abbassarsi di una porzione di suolo, per causa del crollo della volta di una cavità sotterranea in pre¬ cedenza formatasi per l’azione erosiva delle acque.

La Grava di S. Leonardo.

Se della « Golina di Pozzatina » esisteva almeno la cita¬ zione del Canavari e del Cortese, che la notarono nel loro già citato lavoro, l’esistenza della « Grava di S. Leonardo » era del tutto ignorata dagli studiosi.

FENOMENO CARSICO NEL GARGANO

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Essa si apre nel piano del più basso dei due terrazzi, che si presentano nella parte meridionale del Promontorio garga- uico, e che, come ho di già notato, mostrano le sùperfici acci¬ dentate per causa delle varie manifestazioni di tipo carsico, le quali però sono più abbondanti sulla superficie del secondo terrazzo E

Profilo della «Grava di S. Leonardo».

La dolina, che qui descriviamo, si trova precisamente a de¬ stra della rotabile che da Foggia va a San Giovanni Rotondo, tra le masserie Donna Stella, Bramante e Granatieri, nel ter¬ ritorio di San Giovanni Rotondo.

La quota dell’apertura è a 127 metri sul livello del mare.

11 suolo tutto intorno è pianeggiante e risulta costituito di un calcare ( urgoniano secondo Viola e Cassetti) bianco tendente al roseo, molto compatto. Gli strati sono poco spessi (da 30 a 40 cm. al massimo di spessore), e quasi orizzontali; essi pen¬ dono di 10 a 12° verso la pianura, ove vanno ad immergersi sotto il mantello dei terreni quaternari marini.

La bocca della dolina è quasi circolare: l’asse maggiore diretto da Nord a Sud è lungo 25 metri ed il minore differisce di appena tre metri.

1 v. I terrazzi delle pendici meridionali del Gargano (La. Geografia, Riv. di prop. geogr., voi. IV, n. 3), Novara, 1916.

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G. CHECCHI A-RISPOLI

La sua profondità massima, da me misurata, misura 55 me¬ tri circa e si trova spostata a Nord.

Le pareti sono perpendicolari.

L’orlo è pochissimo slabbrato; è quindi una imprudenza av¬ vicinarsi troppo all’apertura ed essendo questa senza alcun ri¬ paro, spesso è causa che di tanto in tanto vi si precipitino giù cavalli e buoi, che si trovano a pascolare nei dintorni.

Questa dolina, tipicamente puteiforme, appartiene anch’essa a quelle di crollo, e quanto abbiamo scritto sulla origine della Golina di Pozzatina, vale anche per la Grava di S. Leonardo.

Roma, R. Ufficio Geologico, marzo 1916.

[ms. pres. 5 marzo - alt. bozze 27 aprile 1916].

OSSERVAZIONI GEOLOGICHE SULL’ APPENNINO DELLA CAPITANATA

PARTE IV1

Nota del socio dott. G. Checchi a-Rispoli

In questa quarta Parte della nostra Monografìa terminiamo lo studio geologico di tutta la regione appenninica compresa nel circondario di Foggia, già da noi iniziato in una Nota prece¬ dente. Per completare il rilevamento di tutto V Appennino Pu¬ gliese non resterà che esaminare la zona montuosa del circon¬ dario di Bovino.

Pochissime notizie finora si possedevano sulla regione in esame e riguardano unicamente i dintorni di Alberona. Le più antiche rimontano al 1837 e sono del dott. R. Cassitto 2. Que¬ sto autore in un Cenno statistico di Alberona ha voluto dare anche qualche cenno di scarsissimo valore sulla geologia del suo paese; basti dire che egli scambiò, tra l’altro, per litan¬ trace degli scisti argillosi impregnati di bitume ed esagerò la sua scoperta a tal punto da richiamare l’attenzione delle auto¬ rità del tempo, che diedero incarico al Pilla di recarsi sui luo¬ ghi per lo studio della questione.

In occasione di questa gita, i cui risultati sono esposti in una Relazione, nota forse solo a pochissimi studiosi, il Pilla ebbe anche modo di osservare minutamente il territorio di Alberona, lasciandoci un insieme di notizie, che sono le uniche

1 Per le Parti I, II e III si vedano i volumi XXIX (1912) e XXX (1914) del Giornale di Scienze Naturali ed Economiche di Palermo.

2 Cassitto R., Cenno statistico di Alberona (Giorn. Atti R. Soc. Econ.

di Capitanata, voi. Ili), 1837-38.

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di vero interesse scientifico, che riguardano questo remoto an¬ golo dell’Appennino meridionale

11 Pilla distinse esattamente due formazioni: quella delle argille subappennine (Pliocene), che formano le colline che s’in¬ contrano andando verso Biccari e l’altra più potente delle ar¬ gille scagliose (Eocene), che s’incontra a misura che si va verso Alberona, e in cui nota arenarie, marne, calcari nummulitici con strati di selce, ecc. Per i tempi in cui scriveva, il Pilla ri¬ ferisce questo complesso al Cretaceo e qualche anno dopo al suo terreno etrurio 1 2.

Dalle osservazioni del Pilla bisogna lasciar trascorrere oltre 40 anni per trovare, in un lavoro del Salmojraghi, qualche lieve cenno sui terreni pliocenici dei dintorni di Biccari 3 4. Poi non abbiamo altro. In tempi molto più vicini a noi il prof. Sacco in una Cartina geologica che accompagna un suo studio sul- l’ Appennino Meridionale, indica nei luoghi, di cui ci occupiamo, una grande estensione di Eocene, alcuni lembi di Miocene, che solo in parte noi abbiamo potuto constatare, ed una larga fa¬ scia periferica appartenente al Pliocene *.

*

* *

La vasta regione da noi studiata e che comprende la mas¬ sima parte dei territori dei paesi di Motta Montecorvino, Voi tarara Appaia, Volturino, Alberona, Roseto Valfortore e Biccari, è eminentemente montuosa: è qui infatti che l’Appennino pu¬ gliese raggiunge le sue massime elevazioni col Monte Paglia- rone (m. 1030), M. Stillo (in. 1013), M. Saracino (m. 1150),

1 Pilla L., Rapporto diretto all’ Intendente di Capitanata il 2 feb¬ braio 1840 sul Combustibile fossile di Alberona (Giorn. Atti Soc. Econ. di Capitanata, voi. V), 1840.

2 Pilla L., Distinzione del Terreno Etrurio tra i piani secondari del Mezzogiorno d’Europa. Pisa, presso Rocco Vannucchi, 1846.

3 Salmojraghi E., Alcuni appunti sull’ Appennino fra Napoli e Fog¬ gia (Boll. R. Com. Geol. d’Italia, voi. XII), 1881.

4 Sacco F., L’ Appennino meridionale (Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXIX), 1910.

sull’appennino della capitanata

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M. Cornacchia (m. 1152), M. Sidone (ni. 913), Tappo del Dra¬ gone (ni. 1073), ecc., che insieme costituiscono i Monti della Daunia.

Tutta questa regione, meno per una piccola estensione del territorio di Yolturara Appaia, è interamente occupata dalle ar¬ gille scagliose eoceniche, continuazione delle altre da noi de¬ scritte nel circondario di Sansevero, e che si continuano verso Ovest nell’attigua provincia di Benevento. Ad Est verso il Ta¬ voliere esse scendono sino ad una quota di circa 400 m., man¬ dando anche qua e delle propaggini ad una quota inferiore. Il limite dove, in questa parte esterna dell’Appennino, s’incon¬ trano tali argille eoceniche, è dato da una linea molto regolare, che segue presso a poco la rotabile Biccari -Torre di Tertiveri e da questa rasentando ad Ovest molto da vicino M. Seggio (m. 396) e la Masseria Carignano, si estende secondo una retta sin sotto Pietra Montecorvino (m. 456). Ad Est di questa linea non si osservano che depositi pliocenici.

Argille scagliose variegate, marne, calcari marnosi, banchi di arenarie, calcari e brecciuole nummulitiche sono i compo¬ nenti del Flysch.

Le argille variegate si trovano sempre alla base di tutto questo complesso e costituiscono le pendici dei monti maggiori sino ad una altezza variabile tra i 700 e gli 800 iu., mentre nelle parti più elevate predominano sempre le marne ed i cal¬ cari marnosi. Sarebbe troppo lungo enumerare tutte le località ove tali argille affiorano, come pure è superfluo descriverle, avendolo già fatto nelle mie precedenti pubblicazioni. Diciamo solo che esse ininterrottamente si estendono da N a S, cioè da Pietra Montecorvino, a Motta Montecorvino, alla base di Vol¬ turino, in tutta la regione ad Est di Alberona, sino a Biccari ed oltre, come vedremo nella Nota successiva.

E in questa formazione, nella località detta Foriano, dove si origina il fiume Volgano, presso Alberona, che si trovano degli scisti argillosi, talora papiracei, impregnati di sostanze bituminose e ricchi di cristallini di pirite, che furono scambiati dal Cassitto per litantrace. Questo scisto è infiammabile e brucia spandendo molto fumo ed odore di bitume e di zolfo, lasciando per residuo una sostanza terrosa, che ha perduto ben poco del

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G. CHECCHI A -RISPOIjI

suo peso primitivo. Il Pilla ha scritto che al massimo questo scisto potrebbe servire allo stesso scopo del legno ordinario; ma il forte odore nauseante che da esso si sprigiona, quando brucia,

10 rendono poco applicabile anche negli usi più comuni.

La stessa formazione contiene qua e là, come nei dintorni di Pietra Montecorvino e di Roseto Valfortore, dei depositi non trascurabili di ottima argilla saponacea o smectica, di color ce¬ nerino, che localmente è adoperata per lavare panni '.

Le argille contengono da per tutto, come presso Motta Mon¬ tecorvino, Alberona, Biccari, Roseto Valfortore, ecc. delle inter¬ calazioni di piccoli banchi di arenaria e di sottili straterelli calcarei bianco-grigi e di brecciolino calcaree con foraminiferi, di cui ora parleremo.

Negli stessi luoghi alle argille si sovrappongono le marne ed i calcari marnosi, che qui assumono un forte sviluppo e costi¬ tuiscono prevalentemente la Montagna di Volturino e di Alberona,

11 M. Pagliarone, M. Stillo, M. Saracino, M. Cornacchia, M. Si¬ done, Tuppo del Dragone, Montauro ed altre elevazioni miuori.

Le marne sono di tinta sempre chiara, bianchiccia, giallic¬ cia, rossiccia e contengono intercalati frequentemente degli strati di calcare marnoso, spessi per lo più 5 a 6 centimetri, che por¬ tano sulla superficie impronte di fucoidi, strati più spessi di calcare compatto di colorito chiaro, nonché delle brecciolino calcaree, a piccoli elementi e a cemento argilloso rossastro o verdastro, facilmente disgregabili. In tutta questa formazione calcareo-marnosa i fossili (foraminiferi) sono scarsissimi.

Nulla possiamo dire circa i rapporti di tutto il complesso ora descritto con terreni più antichi, perchè in tutta la regione

1 Annotiamo qui per incidenza che la regione ora descritta per tutte le condizioni geologiche e topografiche si presta favorevolmente per la costruzione di laghi artificiali. Fra gli altri, con poca spesa, se ne po¬ trebbe costruire uno presso Alberona, dove la valle in cui scorre il Volgano si restringe a soli pochi metri di larghezza tra il M. Tuori (in. 672) e la Serra del Titolo (m. 703). In questa parte 1 (Appennino è ricchissimo di acqua di ottima qualità e la frequenza di zone arenacee tra le argillose e le marnose origine a molte sorgive : alcune di que¬ ste alimentano il laghetto di Biccari alle falde del Toppo del Dragone, del quale ci siamo occupati altrove (v. Alcune notizie sul Laghetto di Biccari ecc., in Boll. R. Soc. Geogr. Ital., ser. V, voi. V, n. 4), 1916.

sull’appennino della capitanata

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non compariscono altre formazioni, che non siano eoceniche, per cui è impossibile anche poter valutare la potenza dell’Eocene in questa regione, che di certo è molto rilevante. Certo vi è trasgressione tra questi terreni ed i successivi del Miocene e del Pliocene.

Come abbiamo detto or ora tanto le argille che le marne contengono degli sf raterei li calcarei a Foraminiferi, che sono i soli fossili che ci è stato dato di raccogliere. La raccolta mi¬ gliore e più abbondante di tutta la regione noi l’abbiamo fatta presso Roseto Valfortore, propriamente lungo le coste che scen¬ dono verso il letto del fiume Fortore '. L’erosione fluviale avendo qui denudate fortemente le argille, mette allo scoverto degli strati calcarei zeppi di Foraminiferi. Da un grosso pezzo di tale calcare, che ho potuto trasportare con me, mi è stato pos¬ sibile ricavare un numero rilevante di fossili, di cui qui l’elenco completo:

Alveolina miliurn Bosc

» » vav. lepidula Schwager

» oblonga Fortis

» festuca Bosc

Nummulites latispira Savi e Meneghini (A)

» atacicus Leymerie (A) e (B)

» vascus Joly et Leymerie (A) e (B)

» variolarius Lamarck (A) e (B)

» frentanus Checchia-Rispoli (A) e (B)

» Beaumontì d’Archiac (A) e (B)

» Partschi de la Harpe (A) e (B)

» cfr. bayhariensis Checchia-Rispoli (A)

» Capederi Prever (A)

» Fabiani Prever (A)

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» millecaput Bouhée (A)

Assilina spira de Roissy (A)

» exponens J. de Sowerby (A)

1 Affluente di destra del suo omonimo, che si origina precisamente presso il paese di Montefalcone in provincia di Benevento. Questo af¬ fluente, che nasce dalle pendici del M. Saracino, è di corso più lungo ed ha maggiori diramazioni del primo tronco del suo omonimo.

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G. CHECCHI A-RISPOLI

Amphistegina Niasi Yerbeck sp.

Operculina libyca Schwager Heterostegina reticuìata Riiti rneyer Orbitoides media d’Archiac Lepidocyclina marginata Michelotti sp.

» Morgani Lemoine et Douvillé

» inflexa Ckecchia-Rispoli

» appaia Checchia-Rispoli

Orthopliragmina ephippium Schlotheim

» Di-Stefanoi Checchia-Rispoli

» Archiaci Schlumberger

» aspera Giimbel sp.

» dispansa Sowerby sp.

» radians d’Archiac sp.

Miogypsina complanata Schlumberger Gypsina globulus Reuss sp., ecc.

Noi abbiamo descritto in un lavoro a parte, già in corso di stampa, questa fauna il cui studio è riuscito molto impor¬ tante per le conclusioni a cui siamo pervenuti 1 : qui riportiamo solamente alcuni dei risultati ottenuti che serviranno a preci¬ sare l’età del complesso argilloso-marnoso-calcareo descritto.

Le Nummuliti, che per la loro importanza occupano certa¬ mente il primo posto nella fauna studiata, appartengono a specie ben note, che vissero per la massima parte nell’Eocene medio, ad eccezione di qualcuna che si spinse anche nella parte in¬ feriore dell’Eocene superiore. La sola Nvmmulites vascus attra¬ versa l’Eocene e si spinge nel più alto Oligocene. A proposito di questa nummulite abbiamo dimostrato a lungo nel lavoro, di cui abbiamo fatto cenno, che N. incrassatus dell’Auversiano è più meno che la stessa cosa di N. vascus, nella cui si¬ nonimia cade. Anche noi per un momento abbiamo creduto di poter tenere distinti gli esemplari dell’Eocene da quelli dell’Oli¬ gocene, ma uno studio comparativo più minuto ci ha ferma¬ mente convinti che i caratteri distintivi invocati dall’egregio dott. Boussac non esistono affatto.

1 V. La Fauna eocenica di Roseto Valfortore (Boll. R. Com. Geol. d’Italia, voi. XLY1), 1916.

sull’appennino della capitanata

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Le Assiime sono rappresentate da due specie ben conosciute, cioè da Assilina spira e da A. exponens; ma i numerosi esem¬ plari esaminati appartengono tutti alla generazione megalosfe- rica (Forma A). Come è noto il limite massimo superiore in cui si spinsero le Assiline è l’Auversiano, cioè la parte più elevata dell’Eocene medio.

Le Alveoline , piuttosto scarse per numero di individui, ap¬ partengono a tre specie ed a una varietà note. Ad eccezione di Alveolina festuca, che si trova anche nell’Eocene superiore, le altre furono rinvenute solo nell’Eocene medio.

Le Orthophragmina sono anch’esse abbondantissime più per numero di individui che di specie; noi vi abbiamo determinato per ora almeno 6 specie tutte note: predominano fra di queste le forme lenticolari e le discoidali.

Sono poi comuni anche gli esemplari di Operculina libyca, Heterostegina reticnlata e di Gypsina globulus.

Importante è poi il rinvenimento di Amphistegina Niasi. Anche questa specie ha subito la stessa sorte di tanti altri Fo- raminiferi: essa fu ritenuta esclusiva del Miocene, ma oltre ad essere stata trovata da noi nell’Oligocene di Sicilia ', è stata più comunemente segnalata dal Prever in varie località eoce¬ niche dell’Appennino 1 2.

Della fauna ora descritta fanno parte inoltre Miogypsina, Orbitoides s. str. e Lepidocyclina : queste ultime molto più ab¬ bondanti delle prime ed appartenenti a specie già note in vari punti della formazione eocenica di Sicilia e di Capitanata, oltre che in formazioni più recenti. Solamente un fatto nuovo viene ora per la prima volta acquisito alle nostre conoscenze ed è la presenza in istrati sicuramente eocenici della Miogypsina com¬ planata. Come è noto, questa specie, oltre che nel Miocene (Aqui- taniano), è stata pure indicata nella formazione oligocenica del¬ l’Appennino settentrionale (Pantauelli).

1 Checchia-Rispoli G., Sull’esistenza dell’ Oligocene nella regione del M. ludica (pr. di Catania) (Rend. R. Acc. d. Lincei, Cl. Se. Fis. Mat. e Nat., voi. XIX, sem.), 1910.

2 Prever P. L., La fauna a Nummuliti ed a Orbitoidi dei terr. terz. d. alta valle dell’ Aniene, 1912.

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G. CHECCHI A-RISPOLT

Insisto ancora e sempre sul fatto che tutti i fossili si tro¬ vano associati insieme nei singoli campioni di calcare, ricavati dall’unica grossa lastra che ho potuto trasportare con me. Lo stesso avviene per quelli di Serra Castiglione presso S. Marco la Catola in Capitanata ed in molte località della Sicilia.

Tutti i fossili hanno indistintamente la stessa ottima con¬ servazione, la stessa abbondanza e lo stesso colore della roccia che li contiene: non sappiamo come si possa ancora continuare a mettere in dubbio la esistenza di Orbitoides s. str. e Lepi- docyclina nell’Eocene. Del resto anche lo stesso Douvillé che una volta aveva assegnato come limite inferiore della distribu¬ zione geologica delle Lepidocicline l’Aquitaniano, cioè il Mio¬ cene inferiore, ha finito con rammetterne la presenza anche nel Bartoniano, almeno in America ‘.

Sicché concludendo abbiamo una fauna composta di Num- muliti per la massima parte dell’Eocene medio, caratterizzata dalla presenza di numerose Assiline di piccole dimensioni, da una grande diminuzione di Alveoline e da una abbondanza di Ortofragmine lenticolari e discoidali. Una fauna così composta non può caratterizzare che la parte più elevata dell’Eocene me¬ dio o la parte più bassa di quello superiore. Ad identiche con¬ clusioni siamo arrivati studiando la fauna a Foraminiferi della vicina S. Marco la Catola 1 2.

Nei pressi di Roseto Valfortore sulle argille scagliose varie¬ gate poggia una formazione molto spessa di arenarie nettamente stratificate che si sviluppano specialmente sulla sinistra del Fortore per continuarsi nel Beneventano. Esse sono a grana media, talora finissima, di colore vario, ma più generalmente verdiccie e rossiccie. Per il bel colorito che posseggono e per la facilità dell’estrazione, queste arenarie vengono adoperate, oltre che come materiale da costruzione, anche per usi orna¬ mentali. Nella regione La Difesa esistono molte cave che for¬ niscono tale pietra a Roseto ed a vari paesi vicini.

1 Douvillé II., Les Orbitoides de Vile de la Triniti (Compt. remi. Acati, d. Se. toni. 161, n. 24), 1915.

2 Checchia-Rispoli Gl., 1 Foraminiferi dell' Eocene dei dintorni di S. Marco la Catola ecc. (Pai. Ital., voi. XIX), Pisa, 1913.

Sezione tra il M. Cornacchia e Biccari

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G. CHECCHIA-RISPOLI

La mancanza assoluta di fossili impedisce di precisare l’età delle arenarie. Il prof. Sacco assicura di aver osservato in altri punti dell’Appennino meridionale i rapporti di colleganza e di intreccio stratigrafico tra questa roccia ed i tipici calcari mar¬ nosi, che la farebbero ritenere, secondo lui, piuttosto dell’Eo¬ cene superiore. Siccome nei luoghi in cui noi le abbiamo osser¬ vate mancano i calcari marnosi, cosi non c’è stato possibile os¬ servare questi rapporti, abbiamo invece constatato che tra le argille scagliose e le arenarie vi è discordanza. Poiché queste si continuano nel Circondario di Bovino ove le studieremo fra breve, lasciamo provvisoriamente indeterminato il riferimento cronologico di questa formazione, in attesa di raccogliere ele¬ menti più sicuri.

*

* *

Nella cartina geologica al 500.000 il prof. Sacco indica il Miocene, oltre che a Volturara Appaia, anche nei dintorni di Alberona. Noi però abbiamo potuto constatarlo solamente nei pressi di Volturara Appaia, dove è rappresentato da sabbioni calcareo-argillosi, contenenti qua e lenti di conglomerati e di sabbie sciolte di color gialliccio. I fossili, che in altri punti della stessa formazione sono molto abbondanti, quivi scarseg¬ giano, non essendo riusciti a raccogliere che qualche esem¬ plare di

Chlamys scabrella Lamarck sp.

» miocenica Miclit. sp.

Amussium cristatum Bon.

Flabellipecten Besseri Andrz. sp.

Pecten Iosslingi Eichw.

» revolutus Micht. ecc.

oltre a frammenti di altri mal conservati.

Il torrente la Catola, affluente di destra del F. Fortore, che nel suo corso superiore taglia i depositi dell’Elveziano, fa chia¬ ramente osservare la sconcordanza che esiste tra questi e le sottostanti argille dell’Eocene medio e quivi più forte che nei dintorni di S. Marco la Catola, per la mancanza dei calcari a Lepidocyclina, che da noi sono stati attribuiti al Langhiano.

SULL 'APPENNINO DELLA CAPITANATA

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La formazione miocenica die è molto limitata in questa parte della Capitanata si sviluppa maggiormente nel Circon¬ dario di Sansevero, come già abbiamo scritto; negli stessi im¬ mediati dintorni di Volturara Appaia compariscono subito le argille scagliose eoceniche.

*

* *

Ad eccezione del lembo miocenico di Volturara, sulla for¬ mazione eocenica di tutta la regione descritta non si osservano altri terreni più recenti. Scendendo però alla quota di 400 metri verso il Tavoliere si trovano i terreni pliocenici, notati già da Leopoldo Pilla. Il prof. Sacco alla periferia dell’Eocene segna una larga fascia pliocenica ; invero però la zona di affioramento del Pliocene è molto ristretta, perchè già alla quota di c. 250 metri compariscono i terreni quaternari più antichi.

I rapporti tra l’Eocene ed il Pliocene, per quanto lo studio di quest’ultimo in tutta questa parte dell’Appennino riesca difficile per la mancanza di profonde incisioni naturali, furono da noi osservati chiaramente solo nei dintorni di Biccari. Quivi il Ca¬ nale dell’Organo, tributario del Volgano, originantesi dal gruppo montuoso del Cornacchia, dopo aver tagliato le argille eoce¬ niche, attacca nei pressi di quella città i depositi del Pliocene, rappresentati dalle solite marne argillose cenerine alla base e dalle sabbie argillose giallastre in alto. Le marne plioceniche si presentano lievemente inclinate ad Est; invece le argille eoceni¬ che, pur avendo la stessa direzione, hanno una più forte pendenza.

Essendo, le marne utilizzate per la fabbrica di laterizi, esi¬ stono intorno all’abitato di Biccari varie cave, nelle quali mi è riuscito di raccogliere la seguente fauna:

Ditrupa incurva Ren. sp.

Limopsis aurita Brocchi

Dentalium sexangulum Schròth.

Naticina fusca Blainv.

Natica epiglottina Link., var. pseudoepiglottina Sism.

Turritella subangulata Br.

Typlds pustulosus Br.

Nassa (Amycla) semistriata Br.

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G. CHECCHIA-RISPOLI

Nassa costolata Br.

Fusus longiroster Br.

Uromitra cupressina Br.

Sur cala dimi citata Br.

Drillia ( Cymatosyrinx) sigmoidea Br.

» obtusangula Br.

Pleurotoma turricula Br., ecc.

Queste specie sono tutte plioceniche e tipicamente plioce¬ niche P. turricula, D. obtusangula , S. dimidiata, U. cupres¬ sina, T. pustulosus, N. epiglottina , che dinotano inoltre un sedi¬ mento piuttosto profondo del Pliocene.

Le marne cenerine nella lor parte superiore passano grada¬ tamente alle argille sabbiose ed alle sabbie argillose, poveris¬ sime di fossili. La successione di questi termini è identica a quella da noi descritta per la collina sulla quale s’erge il Castello di Lucerà, il cui taglio artificiale permette di osservare anche i soprastanti terreni quaternari L

Tutte le alture ad Ovest e a Sud di quest’ultima città, cioè le Coppe di Juvara, la Coppa Mezzanelli, Serra Macchia di Capra, Chiana Comune, Bosco S. Maria, Serra di Cristo, M. Santo, M. Compare, M. Comare, Serra Traversa, la collina di Biccari, ecc., sono plioceniche : in altre parole la zona collinosa, compresa presso a poco tra la quota di 400 m. e quella di 250 m., è co¬ stituita nella parte più interna dalle marne cenerine ed in quella più esterna dalle sabbie argillose giallastre del Pliocene.

Al di della quota di 250 m. i terreni pliocenici cedono il posto ai depositi del Quaternario, i quali si sviluppano inin¬ terrottamente per tutta l’ampia distesa del Tavoliere sino al¬ l’Adriatico e alla base del Promontorio garganico.

1 Osservazioni geologiche sull’ Appennino della Capitanata, Parte Terza, 1914.

Roma, R. Ufficio Geologico, febbraio 1916.

[ms. pres. 5 marzo - ult. bozze 27 aprile 1916J.

LA CONOSCENZA GEOLOGICA DEL TERRENO NELLA GUERRA MODERNA

Nota del dott. M. Craveri

INTRODUZIONE.

Succede per l’Arte militare, come per tutti gli altri rami dello scibile umano, che bene spesso alcuno si trovi nell’imba¬ razzo davanti alla risoluzione dei più semplici problemi pratici, o perchè egli manca assolutamente di cognizioni tecniche e scientifiche, o perchè essendo troppo dottrinaria e teorica la sua erudizione egli non intuisce a prima vista con occhio sicuro quale vantaggio pratico si possa trarre al momento opportuno dalle cognizioni acquistate nella scuola.

Così nelle Accademie e nelle Scuole superiori militari come nelle Scuole professionali e nelle Università si impartiscono tanti insegnamenti destinati a formare la cultura base del fu turo ufficiale o professionista civile, insegnamenti che non sem¬ pre trovano poi nel campo pratico la loro utile applicazione; questo suole avvenire per colpa del docente o di chi ha cre¬ duto utile ed opportuno comprendere questa o quella disciplina nel programma della Scuola, bensì per colpa del discente il quale, confondendo l’utilità pratica col lucro immediato, o non ben compreso dello spirito di un dato insegnamento, lo ritiene superfluo ed anche inutile e perciò non se ne cura o non se ne innamora.

Ho lamentato altra volta (e parecchi anni d’insegnamento nelle nostre Scuole medie me ne dàuno il diritto) come vi siano ancora oggidì degli avvocati e dei professori di lettere che si vergognerebbero di non sapere chi fu Dante e che cosa scrissero Orazio ed Omero, e pure non arrossiscono di confessare la prò-

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M. CRAVER1

pria ignoranza intorno ai più semplici fenomeni naturali o, quel che è peggio, ne discorrono alla leggiera in conseguenza del poco conto in cui hanno appreso a tenere l’insegnamento scien¬ tifico.

Lamento oggi che questo male si debba verificare, fatte le debite e confortevoli eccezioni, anche negli ufficiali del nostro esercito, i quali hanno pur seguito dopo le scuole secondarie un corso regolare di studi speciali superiori, ritenuti dal volgo severi e proficui. Oggi poi che la guerra moderna mette il mi¬ litare di ogni grado nella quotidiana e impellente necessità di manifestare tutto il proprio valore intellettuale oltre a quello morale, molti vi fanno, doloroso a dirlo, una pessima figura. Notiamo d’altro canto che per la preparazione necessariamente affrettata di un grande esercito nell’attuale guerra mondiale, i nove decimi dei nostri ufficiali improvvisati sono borghesi tra¬ vestiti che hanno una coltura generale assai modesta ; in mezzo a questi però molti ve ne sono che per titoli accademici e per altezza d’ingegno occupano nella società posizioni civili molto superiori al grado militare che oggi rivestono occasionalmente. Guglielmo Marconi è tenente come tanti bravi ragazzi che hanno frequentato poco più della Scuola tecnica!

Ho avuto l’onore e la fortuna di poter compiere la campa¬ gna di guerra del 1915 sulle nostre Alpi in qualità di ufficiale del Genio, e perciò come cittadino italiano e come soldato non stimo questo il momento più opportuno per una polemica. Finche tuona il cannone non posso che esaltare la sublime abnegazione del popolo italiano mobilitato, la saldezza delle truppe, gli oscuri eroismi degli umili, lo spirito di sacrifizio e la buona vo¬ lontà di tutti gli ufficiali incitati al compimento del loro dovere dall’amor di patria e dall’esempio del Primo Soldato d’Italia che divide con loro le ansie e le speranze ; ciò che faccio sin¬ ceramente e lealmente, mentre mi propongo di parlare della preparazione scientifica dell’ufficiale, quando la bandiera trico¬ lore sventoli trionfante sugli agognati confini.

La guerra odierna è guerra eminentemente scientifica, poi¬ ché l’uomo civile ha voluto mettere al servizio dell’arte di uc¬ cidere e di distruggere, tutto quanto la sapienza dei secoli aveva accumulato per conservare il patrimonio dei padri e per mi-

LA GEOLOGIA E LA GUERRA

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gliorare le sorti dell’umanità. Non accenno qui all’utilità delle cognizioni di Chimica e Fisica per la preparazione e l’impiego degli esplosivi, per la telegrafia, la telefonia, la radiotelegrafia, la fotoelettrica, l’areonautica, le segnalazioni, le ferrovie, l’au¬ tomobilismo, la fotografia, eec., perchè a questi servizi viene adibito generalmente un personale tecnico particolarmente istruito e pratico, non giovando qui la teoria senza una pratica ade¬ guata. Mi soffermerò invece a far considerare l’importanza della conoscenza geologica del terreno sia per l’offesa che per la difesa.

Il mio illustre Maestro della R. Università di Torino, Pro¬ fessor C. F. Parona, nella introduzione al suo Trattai o di Geo¬ logia parlando della utilità pratica di questa scienza, nota appunto: « L’Arte militare riconosce sempre più la convenienza » che la cognizione delle particolarità orografiche sia dettaglia- » tissima, e per conseguenza non può tralasciare a sua volta » di considerare quelle condizioni e quelle cagioni geologiche » le quali sono più strettamente col legate colla conformazione » e colla natura del suolo, colla viabilità, colla frequenza degli » abitati, colla idrografia delle regioni che essa considera ; e » valenti cultori della Geologia si noverano pertanto anche tra » gli ufficiali del nostro esercito. Alla perfezione poi delle mappe » topografiche, di cui il rilievo è affidato di solito a istituzioni » militari, non è a dirsi quanto riesca utile la conoscenza della » Geologia in quanto essa importanza e mette in risalto » delle differenze di dettaglio che meritano di essere rappre- » sentate, perchè sono quelle appunto che dànno il carattere » di una regione ».

Oggi più che mai si sente il bisogno e si nota l’importanza dell’arma del Genio con tutte le sue specialità, tanto che se ne moltiplicano senza tregua gli effettivi e si adibiscono a lavori tecnici anche le truppe di Fanteria sotto la direzione di uffi¬ ciali del Genio. Ma poiché gli ufficiali veramente tecnici del Genio (l’arma tecnica per eccellenza) non si improvvisano, ed ogni ufficiale di qualunque arma può essere chiamato a coni piere lavori dove occorra un’esatta conoscenza del terreno, que¬ ste mie parole devono servire per tutti al solo scopo e nell’u¬ nico intento comune, mio e degli esecutori, di sempre meglio e

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M. ORA VERI

più facilmente ed efficacemente difendere il sacro suolo d’Italia, erigendo a baluardo naturale contro l’impeto dei barbari le ac¬ cidentalità del terreno, come finora si adersero i validi petti dei nostri splendidi soldati; di trovar nuovi punti d’appoggio per la difesa e per l’offesa, finché le nostre aquile vittoriose non avranno ricacciato le nemiche squadre sgominate ed infrante oltre i monti, oltre i fiumi e oltre i mari sui quali splende il Sole d’Italia.

Non intendo scrivere un trattato di Geologia applicata al¬ l’Arte militare, anzi non faccio che registrare le osservazioni dettate dalla breve esperienza fatta in guerra. Non manche¬ ranno, io credo e spero, nel nostro Paese delle buone pubbli¬ cazioni sull’argomento, ma se ci sono esse devono essere tenute gelosamente celate ai profani mentre tutti gli Italiani possono e devono essere chiamati a difendere con l’opera del braccio e della mente il -territorio nazionale.

Con le sole mie forze mi accingo dunque a questa tratta¬ zione, cioè con le mie poche conoscenze scientifiche e con le pochi ssi me "cognizioni militari. Ut desint vires tamen est lau¬ dando. voluntas, poiché ho in animo di fare cosa utile alla no¬ stra grande Patria immortale.

Capitolo I.

Ricognizioni.

L’ufficiale incaricato di una ricognizione, sia che questa ab¬ bia scopo logistico o tattico o tecnico , deve veder tutto, saper tutto, non lasciarsi sfuggire alcun particolare e riferir tutto ai superiori. Perciò non si manderà in ricognizione un ufficiale qua¬ lunque, ma un uomo animoso, colto e intelligente che dia affi¬ damento di saper riferire al Comando notizie veramente utili.

Insisto sulla necessità che l’ufficiale mandato in ricognizione abbia una salda cultura geologica, affinchè egli possa ritrarre dall’esame superficiale del terreno tutti quei dati che possono servire al Comando per gli scopi logistici, tattici o tecnici, e che egli sia dotato inoltre di quella giusta percezione e di quello

LA GEOLOGIA E LA GUERRA

47

spirito sintetico e critico che gli serva a discernere a colpo d’oc¬ chio l’utilità che si può ritrarre da una data posizione.

Le ricognizioni logistiche interessano il movimento delle truppe sia per l’itinerario delle marce, come per la natura delle strade da percorrere e degli ostacoli da superare, per la loca¬ lità dell’accampamento e per la facilità dell’approvigionamento di acqua, ecc. ; quelle tattiche debbono avere speciale riguardo alla natura del terreno in rapporto con lo svolgimento dell’a¬ zione delle varie armi ; quelle tecniche si riferiscono alla mag¬ giore o minor convenienza dell’esecuzione di opere di difesa e di offesa da parte del Genio e dell’Artiglieria.

Per poter redigere un rapporto ben particolareggiato con¬ viene dunque tener conto in primo luogo della Morfologia ter¬ restre, ossia del paesaggio; si deve saper distinguere e chia¬ mare col suo nome un altipiano ondulato sul tipo del Carso, o un massiccio montuoso come quello del Gran Paradiso, tutte montagne stratificate ad ogni modo ben diverse da quelle vul¬ caniche. La forma del rilievo ha importanza grandissima sia per l’esecuzione di strade ordinarie che di ferrovie normali o da

campo, o funicolari, ecc., come diremo a suo luogo.

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E poi sommamente utile la conoscenza litologica del suolo sia per i lavori di fortificazione campale o di mina che per tutte le opere in genere di terra o di muro, per le strade, per i ponti di circostanza, per le strade ferrate, per i lavori d’idraulica, ecc.; insomma per tutte quelle opere belliche in cui si devono utiliz¬ zare le rocce del luogo come materiale da costruzione o si de¬ vono eseguire lavori nella roccia stessa che richiedono maggiore o minor perdita di tempo e spreco di energie, secondo la resi¬ stenza che il terreno oppone all’opera dell’uomo.

Appunto per la fortificazione campale è ben necessario sa¬ pere se le montagne sono disposte in catena e di quale entità, e quale è l’andamento delle catene montuose, cioè se sono pa¬ rallele o radiali o a ventaglio, ecc. ; se le montagne sono di rocce scistoso-cristalline, come ad es. il M. Viso, o si tratta di monti calcari come nel Friuli, o di montagne dolomitiche come quelle del Cadore, o di marne ed arenarie stratificate sul tipo della cresta Nord Appenninica, oppure di colline di origine se¬ dimentaria marina come quelle del Monferrato, o moreniche come

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quelle dei numerosi anfiteatri prealpini. Ciascuna di queste forme di rilievo ha una fisionomia tutta sua particolare e presenta un complesso di condizioni tanto diverse da far scegliere di pre¬ ferenza quella forma di fortificazione che sembra più conve¬ niente alla natura del luogo, almeno quando il nemico è lon¬ tano e si ha il vantaggio della scelta.

E così dicasi dei tipici vulcani attivi di forma conica come il Vesuvio e l’Etna e degli antichi vulcani erosi come i Colli Euganei, o di quei vasti depositi di tufi vulcanici tanto comuni ad es. nel Lazio e nella Campania. Chi abbia qualche cono¬ scenza di Tettonica sa che la forma attuale delle montagne è la conseguenza diretta della forma delle valli, e quindi anche queste vanno osservate nei loro dettagli, e l’ufficiale incaricato della ricognizione deve saper dire se si tratta di valli longitu¬ dinali o trasversali alla catena principale, poiché l’offesa e la difesa vi assumono tutt’altro carattere, o di valli sinclinali , an- ticlinali, unici inali, di erosione , di sprofondamento , ecc.

La natura delle montagne, delle colline e delle loro valli ha un’importanza capitale anche per il fenomeno delle sorgenti e delle acque sotterranee in genere che possono venire utilmente sfruttate per l’alimentazione idrica dell’accampamento, oltre che per le strade ordinarie e per le ferrovie le quali richiedono di¬ verso studio e diversa esecuzione secondo la natura geologica del suolo. A proposito delle strade a nessuno sfugge l’impor¬ tanza che siano ben determinati i passi (o valichi o selle ) delle catene montuose e la loro praticabilità, come la presenza di bassopiani e di pianure terrazzate ; qui poi rientra la questione delle acque sotterranee e specialmente dei fontanili la cui ge¬ nesi è intimamente collegata col terrazzamento operato dai fiumi e dai torrenti nelle proprie conoidi di deiezione. Anche la pre¬ senza dei laghi può interessare il problema delle acque pota¬ bili, ma più specialmente quello della posizione che dovranno assumere le opere di fortificazione campale.

Tutto va notato scrupolosamente e di tutto conviene che sia edotto l’ufficiale che va in ricognizione ; se si tratta di località costiera anche le condizioni della spiaggia marina e special- mente della marea e del moto ondoso possono interessare sia i Lagunari del Genio che i Pontieri o gli Zappatori che debbano

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costruire ponti regolamentari o di circostanza presso la foce di un fiume che forma p. es. un estuario o delta negativo invaso dal mare durante l’alta marea; come interessa i Pontieri anche il terrazzamento delle pianure diluviali e alluvionali , special- mente quando questo fenomeno è connesso con quello delle al¬ luvioni vaganti.

Oltre alla Litologia o Petrografia ed alla Morfologia terre¬ stre gli ufficiali di qualsiasi arma combattente, e specialmente quelli del Genio, non debbono dimenticare anche le nozioni di Geodinamica apprese sui banchi della scuola, poiché ad es. fa¬ zione termica delf atmosfera, e specialmente il gelo e disgelo, può determinare la degradazione e lo sfacelo delle opere di terra e di muro, dei parapetti e delle scarpate delle strade, degli ar¬ gini, dei ponti in muratura, ecc. Anche fazione fisico-meccanica ha la sua importanza, poiché d’ordinario si manifesta più rapi¬ damente di quella chimica (pure inesorabile, ma lentissima), specialmente colla formazione di piramidi di erosione e di de¬ positi eolici come le dune che possono servire di ottimi punti d’appoggio per la difesa (specialmente quelle continentali) o som¬ ministrare un buon materiale sabbioso per costruzione. Va pure sempre tenuto conto dei possibili scoscendimenti del terreno e della maggiore o minor probabilità di frane , sia nelle regioni montuose per la scelta della località più adatta all’accampa¬ mento delle truppe, sia per la costruzione delle strade, ferrovie, ponti, ecc., sia per le opere varie di terra e di muro che pos¬ sono facilmente impregnarsi d’acqua e crollare.

Poiché i nostri animosi soldati di ogni arma e di ogni re¬ gione d’Italia hanno mostrato di saper gareggiare in bravura con gli invincibili Alpini, per virtù di quei prodi non vi sono più cime inaccessibili sulle Alpi, e la guerra si svolge anche fra i ghiacciai e le nevi persistenti. Dunque anche l’azione del¬ l’acqua come agente esodi namico dev’essere accuratamente stu¬ diata, a cominciare dai nevati o campi di neve degli alti circhi montuosi, sia per la costruzione di trincee, di camminamenti e di ricoveri nella neve, sia per il pericolo che rappresentano le tormente e le valanghe nelle audaci incursioni dei drappelli di Skiatori, e segnatamente queste ultime insidiando al riposo ed alla incolumità delle truppe nelle baracche invernali. Si deve

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saper distinguere il nevato dal ghiacciaio, per poter prendere tutte le precauzioni necessarie quando occorra attraversare uno di questi in un’azione di sorpresa, e tener presente in special modo tutte quelle caratteristiche del paesaggio glaciale che pos¬ sono venire utilmente sfruttate da un esercito in guerra.

Ognuno sa che i ghiacciai antichi, specialmente nella prima fase del Plistocene continentale, hanno lasciato come residuo, oltre a quei grandiosi apparati di colline che vengono chiamati anfiteatri morenici, anche gli enormi massi erratici disseminati nelle pianure circostanti, insieme con altre particolarità del paesaggio che meno ci interessano. Ma i massi erratici non vanno obliati, sia per la possibilità di utilizzarli come punti d’appoggio per la difesa o per stabilire dietro di essi dei co¬ modi e sicuri ripari per le truppe, sia per servirsene come materiale da costruzione, quasi sempre ottimo per l’inghiaiata delle strade, per filtri di acqua potabile, ecc., specialmente dove la roccia in posto è calcare tenero e facilmente degrada- dabile, mentre i massi erratici provenienti di lontano sono co¬ stituiti da rocce porfiriche assai più dure; ciò che si verifica non di rado nelle nostre Alpi.

L’erosione che questi antichi ghiacciai hanno esercitato nei solchi vallivi da essi percorsi ne ha talora modificato profon¬ damente l’aspetto e la configurazione, determinando quella forma caratteristica delle strette valli ad U con le pareti a picco che può interessare il costruttore di ponti e strade ; d’altra parte 1 J erosione glaciale con tutte le sue conseguenze ha spesso una importanza non trascurabile sul regime delle acque sotterranee. Non meno importante è lo studio dei ghiacci di fiume special- mente per i Pontieri.

Tutto lo studio della fluvialità dev’essere compito speciale dei Pontieri e degli Zappatori del Genio, per la costruzione dei ponti regolamentari e di circostanza, e perciò agli ufficiali di questi reparti spettano i rilievi tecnici sulla natura del corso d’acqua da attraversare ( torrente o fiume), andamento del suo corso, sull 'azione erosiva da esso esercitata con la formazione di chiuse, cascate , rapide, cateratte , ecc. sulla sua portata e velocità , sulla formazione di meandri , di lanche o canali morti, di isolotti nella fase di deiezione, sulla confluenza di altri corsi d’acqua,

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sull’ assorbimento e migrazione delle correnti , sulla loro risor¬ genza, eoe., fino alla fase di deltazione e alla formazione dei cordoni litorali e della laguna , rientrandosi così nel compito dei Lagunari del Genio.

Ma la presenza di acque di scorrimento superficiale di qual¬ che importanza in una determinata località, appunto perchè può convenire o non attraversarle o a piedi asciutti nei periodi di magra, come per certi torrenti, o a guado, o in barca, o su porti, o sopra ponti, interessa molto da vicino tutto l’andamento delle operazioni, e quindi l'ufficiale che va in ricognizione non deve essere ignaro delle accennate nozioni di Geografìa fìsica per non trascurare nel suo rapporto la descrizione di questi parti¬ colari del paesaggio, che possono avere importanza tattica, lo¬ gistica e tecnica nello stesso tempo. La Topografia e la Scienza delle costruzioni verranno in soccorso dopo, quando si tratti dell’esecuzione pratica e materiale di una strada, di un ponte, ecc. Non ultima importanza dell’idrografia superficiale d’una regione è la stretta relazione e la sua influenza sulla idrografia sotter¬ ranea per la ricerca delle acque potabili, mentre la stessa vici¬ nanza di un fiume può già essere un buon requisito per l’ubi¬ cazione dell’accampamento.

Per quanto concerne più specialmente la più volte accen¬ nata alimentazione idrica delle truppe, di somma importanza oltre che dal punto di vista logistico puro e semplice, anche da quello igienico, bisogna tener presenti i diversi modi di pe¬ netrazione di acque nel sottosuolo e, per quel che riguarda più specialmente il nostro fronte attuale, anche il fenomeno carsico; occorre avere qualche nozione sull’andamento della falda frea¬ tica e delle diverse zone acquifere in dipendenza dalla morfo¬ logia del terreno, come accennammo dianzi, per sapere se si possono trovare nelle vicinanze sorgenti o fontanili di buona acqua potabile. Anche la Tettonica combinata con la Morfologia sarà una buona guida per la ricerca delle acque sotterranee. In certe località acquistano particolare importanza anche le caverne e le grotte che qualche volta potrebbero servire di momentaneo riparò alle truppe contro il fuoco nemico o per l’agguato.

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Ha poi sempre importanza grandissima, sia per la guerra di fortezza che per gli alloggiamenti e per i diversi lavori di guerra, la maggiore o minor potenza del terreno vegetale e quindi la natura e la ricchezza della vegetazione ; specialmente se si tratta di regioni boschive e fittamente imboschite l’importanza dei boschi si rispecchia tanto sulla fortificazione campale, deter¬ minandone o modificandone l’esecuzione, quanto nell’alloggia- mento delle truppe, fornendo un buon materiale per la costru¬ zione dei ricoveri e per combustibile, quanto e più per il trac¬ ciato delle strade e per l’esecuzione delle opere difensive. Come si vede dunque anche i boschi hanno importanza tattica, lo¬ gistica e tecnica.

Sempre restando nel campo dell’Esodinamica, e più preci¬ samente dell’azione modificatrice esercitata sul paesaggio dagli organismi , non bisogna dimenticare le torbiere e quelle altre formazioni di natura organica come le praterie tremolanti , ecc. che non sono infrequenti nella bassa valle padana. Tutto questo ha la sua importanza per le strade da costruire a scopo tattico o logistico, senza contare l’utilità pratica che si può ritrarre dalla torba (o dalla lignite in altre località) come combustibile, nella stessa guisa che le sorgenti termali e termo-minerali pos¬ sono avere anche qualche valore per l’utilizzazione della loro elevata temperatura a scopo igienico per lavanderie od altro.

Degli altri fenomeni endogeni, ossia del vulcanismo propria¬ mente detto, dei terremoti e dei bradisismi non è qui il luogo di discorrere; i vulcani quando non sono in eruzione sono mon¬ tagne come tutte le altre, di forma conica e costituite di spe¬ ciale materiale roccioso più o meno utilizzabile, come già ab¬ biamo accennato; i terremoti non avvengono per buona ventura così di frequente da aver peso sull’andamento di una guerra; e infine i bradisismi, che pure concorrono a modificare la mor¬ fologia terrestre, sono movimenti lentissimi che non possono es¬ sere qui considerati, analogamente a tutti quei fenomeni veri- ficantisi nel mare i quali, se sono di estrema importanza per la Geologia, non possono interessare la guerra terrestre.

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Capitolo II.

Lavori da Zappatore: opere di terra e di muro.

Parlo qui dei lavori da Zappatore in genere, sia che essi debbano essere eseguiti dalle truppe del Genio che dagli Zap-

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patori di Fanteria o delle altre armi combattenti. E noto che i nostri Zappatori del Genio devono essere enciclopedici, ossia saper stendere linee telefoniche volanti e permanenti come i Telegrafisti, costruire ponti regolamentari e di circostanza come i Pontieri, compiere lavori di mina come i Minatori, eseguire strade per tutti gli usi come i Ferrovieri, oltre al loro compito speciale che si esplica nei lavori di terra e di muro, nei lavori d’idraulica, ecc., destinati alla fortificazione campale e alla guerra di fortezza.

Ma io mi voglio limitare in questo Capitolo a quei lavori che possono essere compiuti anche dagli Zappatori di Fanteria, di Cavalleria, dei Reparti ciclisti e dell’Artiglieria, sia che que¬ ste truppe debbano operare da sole sotto la direzione dei rispet¬ tivi ufficiali con gli attrezzi del fornimento regolamentare per ciascuna di queste armi, sia che i soldati vengano impiegati come ausiliari degli Zappatori del Genio, e che i lavori più im¬ portanti siano diretti da ufficiali tecnici. Tralascio quindi le no¬ zioni di telegrafia, di telefonia, nonché le istruzioni sull’impiego degli esplosivi, per soffermarmi specialmente e unicamente su quei lavori per i quali occorre un’esatta conoscenza geologica del terreno, e specialmente mi atterrò alla considerazione di tutti quei lavori che richiedono un movimento di terra, riservando al Capitolo seguente i lavori che interessano l’idrologia.

Per la fortificazione campale bisogna tener conto in primo luogo della forma del terreno e delle sue accidentalità, sia come campo di manovra che come campo di tiro.

Nel primo caso si presterà bene essenzialmente un terreno uniforme o poco accidentato, e quindi per eccellenza una pia¬ nura propriamente detta o bassopiano ; ma anche in montagna si possono trovare dei pianori dolcemente ondulati che diano

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adito allo slancio delle masse operanti. Queste condizioni si pos¬ sono verificare tanto sugli altipiani che sui massicci, in mezzo alle catene montuose come nelle larghe valli scavate dall’ero¬ sione. E naturale che potendolo fare si porta la guerra su quel terreno che più conviene al difensore e meno facilità presenta per l’avversario; ma molto spesso conviene fortificarsi dove si può e non dove si vuole, e quindi bisogna ricordare che i lar¬ ghi pianori si troveranno più facilmente tra i monti calcari od arenacei e marnosi, appunto perchè più facilmente erodibili, e meno fra le montagne scistoso-cristalliue o in quelle dolomiti¬ che che danno luogo al caratteristico paesaggio. Tra le colline di origine sedimentaria marina, che abbondano in Italia, è fa¬ cile trovare delle larghissime valli perfettamente pianeggianti, come in generale è piano il terreno racchiuso nella cerchia delle colline moreniche. Il terreno sarà tanto più adatto come campo di manovra quanto più facilmente lo si può percorrere, e quindi in stretta relazione con la sua pendenza.

Si dovrà tener conto degli ostacoli naturali che si frappon¬ gono alla manovra, e quindi i burroni, le forre, i terrazzi oro¬ grafici e alluvionali, i laghi, i torrenti, i fiumi, i boschi, le pa¬ ludi, ecc. rappresentano altrettanti ostacoli più o meno insor¬ montabili. Certamente se la regione è abitata vi saranno già delle strade, dei ponti, dei viadotti che faciliteranno la mano¬ vra, ma bisogna pensare sempre di dover operare in terreno ver¬ gine e selvaggio, poiché anche le comunicazioni stradali dove esi¬ stono possono venire improvvisamente interrotte dal nemico.

Come campo di tiro il terreno deve possedere quelle acci¬ dentalità che possono creare degli angoli morti, non dimenticando che il precipuo scopo dev’esser quello di battere efficacemente il nemico, e dopo solamente si può pensare anche alla prote¬ zione delle truppe di attacco. Perciò giova tener conto di tutte le più piccole forme di rilievo terrestre : terrazzi orografici ed alluvionali, dune, piramidi di erosione, massi erratici, dicchi la¬ vici nei vulcani erosi, ecc. Hanno importanza inoltre tutte quelle accidentalità che sono dovute all’opera dell’uomo e che inter¬ rompono l’uniformità del paesaggio, come case, muri, coltiva¬ zioni, ecc. che qui meno ci interessano, quantunque siano stret¬ tamente collegate con la natura del suolo, ridonando il massimo

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valore ai boschi naturali. Infine giova tener presente l’orienta¬ zione del terreno che si sceglie rispetto alla direzione dei tiri del memico.

Non bisogna mai dimenticare che i lavori di fortificazione campale, specialmente se il nemico è vicino, devono impiegare la minima quantità di tempo e di energia; e quindi necessita più che mai la conoscenza litologica del terreno, perchè non si intraprendano con mezzi inadeguati lavori in rocce tali che essi non possano essere condotti a termine con sufficiente prontezza. Le accidentalità naturali a cui abbiamo più volte accennato pos¬ sono costituire ottime posizioni per le artiglierie, nonché formare quei punti d’appoggio per la difesa che verranno poi comple¬ tati dall’opera dell’uomo e opportunamente collegati fra di loro con camminamenti coperti o perlomeno mascherati.

I detti punti d’appoggio possono essere in montagna dirupi scoscesi e terrazzi orografici, oppure in un sistema collinoso sa¬ ranno poggi più elevati, o in pianura saranno colline moreniche o terrazzi diluviali e alluvionali o dune continentali, ecc. se si tratta solamente di possedere il dominio sul terreno circostante da battere con l’artiglieria e la fucileria; ma uno dei detti punti d’appoggio può acquistare grande valore difensivo quando si presti allo sbarramento, e perciò acquistano speciale importanza le strette valli di erosione e segnatamente le forre originate in montagna dai torrenti o dagli antichi ghiacciai. Se convenga poi oltre la linea principale di combattimento stabilire altre linee più arretrate di trincee lo dirà non solo la configurazione del paesaggio, ma anche la natura litologica del suolo. Intendo dire con questo che non si possono dettare norme generali di fortificazione, stabilire sulla carta la disposizione delle opere da eseguire senza un’attenta ricognizione preventiva del luogo.

Per cominciare dalle trincee che tanta importanza hanno acquistato nella guerra moderna, gli ufficiali di tutte le armi, e specialmente quelli del Genio, sanno che se ne possono co¬ struire di tutte le dimensioni, con tutte le comodità indispen¬ sabili alla vita della truppa (come latrine, depositi d’acqua, posti di medicazione, ecc.) con diverso profilo, scoperte o co¬ perte o blindate, ecc., ma sempre in dipendenza di parecchi fattori che sono: il tempo e la forza disponibili, la natura della

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roccia, la maggiore o minor facilità di procurarsi sul posto il materiale di circostanza adatto. E cosi dicasi per i ridotti, le casermette difensive, i blockhauses, ecc., poiché in tutte queste opere di fortificazione campale giova sempre tener presente la importanza tattica della località scelta e le difficoltà tecniche dell’esecuzione.

Di somma importanza è poi la scelta del luogo per la po¬ stazione delle artiglierie, e all’uopo mirabilmente si prestano i terrazzi orografici ed alluvionali, il paesaggio morenico, le dune, nonché quei sistemi collinosi che assumono la forma di altipiani ondulati (come il Monferrato); poiché l’Artiglieria deve avere non solo il pieno dominio sul terreno antistante da battere, e perciò libero ed esteso campo di tiro, ma i pezzi devono pos¬ sibilmente essere sottratti alla vista del nemico. Quindi si presta bene all’uopo un terreno vario e accidentato per il tiro indi¬ retto, purché si possa stabilire in un punto dominante un buon osservatorio.

Ottime per tali appostamenti sono le regioni boscose quali si incontrano più facilmente nella zona prealpina e sulle col¬ line moreniche che non nelle nostre grandi pianure dove la coltivazione è intensiva. D’altra parte il bosco di abeti o di faggi o di castagni o di querce offre in abbondanza il mate¬ riale per il mascheramento delle piazzuole e per l’appresta¬ mento delle opere di difesa in genere, a patto però che non si esageri nell’abbattere i grandi alberi, sia per non mettersi troppo in vista, sia specialmente per non rovinare per sempre un ec celiente fattore di benessere economico e di difesa contro le forze degradatrici della natura.

A questo proposito ho potuto osservare io stesso come l’igno¬ ranza delle truppe e l’imprevidenza di chi le comanda sia la causa di un irrazionale e barbaro disboscamento in certe regioni mon¬ tuose che prima erano folte e lussureggianti di ricca vegetazione boschiva. Ho visto in primavera scortecciare abeti secolari, così destinati inesorabilmente a perire, per usare i pezzi di cortecia a guisa di tegole sulle tende; ho visto abbattere giovani piante per trarne piccoli pali da usare nell’accampamento; ho visto disboscare senza motivo e senza criterio intere falde boschive,

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benché tutto potesse parere giustificato dal trovarsi le nostre truppe vittoriose in territorio nemico.

Osservo io che guerra significa sempre distruzione e strage ; ma quando la guerra si fa in territorio nazionale, pur tenendo conto delle imperiose necessità belliche, bisogna evitare per quanto si può la distruzione di un patrimonio che non si può tanto facilmente ricostruire. Così se si trattasse (■ quod Deus avertati) di difendere Milano contro l’impeto nemico, a nessuno

verrebbe in mente di abbattere il Duomo per sgombrare il campo

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di tiro ! E vero che ci penserebbe l’avversario, come ha dimo¬ strato di saper fare nel Belgio e nella Francia, a Lovanio ed a Reims, ma sarebbe pur sempre una rovina irreparabile. Se poi la guerra si porta in territorio nemico noi non siamo tenuti ad imitare i sistemi vandalici dei barbari figli di Attila, tanto più quando si pretende che il territorio invaso diventi per virtù del nostro esercito sacro suolo d’Italia.

Bisogna anche pensare che la devastazione di un’enorme zona boschiva ha molto maggiore importanza del crollo d’una opera d’arte. Sulle rovine del Duomo di Milano o di S. Marco a Venezia potranno piangere gli amatori dell’arte, ma le rovine che una falda montuosa improvvidamente disboscata può arre¬ care con le piene e con le frane alla pacifica popolazione dei campi, sono ben maggiori e più luttuose, senza contare che agli ammiratori della Natura sanguina il cuore vedendo distruggere un monumento naturale forse più che non vedendo crollare un edificio di mattoni e di calce, per quanto artistico e vetusto ; poiché questo si può rifare e quello no.

Se si tratta di difendere una testa di ponte, o comunque un corso d’acqua, bisogna ricordarsi di tutta l’Esodinamica riguar¬ dante la fluvialità, poiché un fiume è più o meno facilmente difendibile secondo la larghezza e la profondità, la portata e la velocità del corso, la forma delle rive, ecc. Dunque bisogna tener conto della stagione, specialmente se si tratta di torrente soggetto all’alternanza delle magre e delle piene, dell’erosione esercitata sulle sponde secondo la natura del terreno attraver¬ sato, e quindi della forma dell’alveo e dell’andamento del corso più o meno rettilineo o serpeggiante con meandri e spesso con canali morti, con isolotti, con rapide e cascate, con angoli di

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confluenza in vicinanza del ponte o della località scelta per le opere di difesa; bisogna distinguere anche il caso di fiume giovane ad alluvioni vaganti da quello di fiume terrazzato, spe¬ cialmente in riguardo alla postazione delle artiglierie.

Spesso si presta molto bene per la difesa una stretta forra; e per il suo ordinamento difensivo non è indifferente il sapere se si tratta di una gola scavata da un torrente nella viva roccia o non piuttosto di uno stretto varco aperto attraverso i cordoni morenici sfondati, come si verifica spesso nel paesaggio glaciale. Naturalmente varieranno in dipendenza della natura geologica della stretta i materiali rocciosi che si possono avere a dispo¬ sizione, e sarà maggiore o minore la facilità di scoscendimenti e di frane.

Quando si tratti poi della pratica esecuzione materiale dei lavori di fortificazione sopra accennati torna ad assumere tutta la sua importanza la Litologia.

Già abbiamo detto parlando sulle generali delle trincee, dei ridotti, dei blockhauses, delle casermette difensive e delle altre opere di terra e di muro, quanto possa variare il tipo ed il profilo secondo la forma del terreno e la natura della roccia da scavare. Certo non bisogna lasciarsi ingannare anche dall’ap¬ parente facilità di scavo, perchè se ad es. una volta in terreno sabbioso lungo un fiume si è potuto rimediare al continuo sco scendimento con tronchi, con gabbioni, con graticci od altri la¬ vori sussidiari, può capitare di dover scavare in tufi vulcanici o in depositi eolici come il loess, altrettanto facilmente frana- bili, e che non si abbia a disposizione il materiale occorrente per l’armatura.

Per la copertura delle opere a scopo difensivo dai proiet¬ tili nemici è utile ricordare che la terra non è una roccia omo¬ genea che presenti sempre gli stessi caratteri fisici, bensì è la risultante delle varie cause degradatrici sulle diverse rocce che compongono la crosta terrestre. Altro è dunque il lavorare in terra argillosa, altro in quella sabbiosa o umifera o calca¬ rea, ecc., in stretta relazione col peso specifico, col coefficiente di aumento della terra smossa, con la permeabilità all’acqua che, specialmente in seguito al gelo e disgelo, provoca cedimenti e scoscendimenti pericolosi.

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I ricoveri ili roccia si possono costruire facilmente nel co¬ sidetto tufo senza bisogno di ricorrere a lavori di mina che de¬ stano l’attenzione del nemico; ma sempre giova distinguere se si tratta di tufo d’origine eolica come il loess che ammanta molte colline moreniche nelle Prealpi, o come i peperini e le pozzolane tanto frequenti nell’Italia centrale, o non piuttosto di arenarie fossilifere come nelle colline di origine sedimentaria marina. Certamente bisogna piuttosto esagerare in più che in meno nella costruzione delle armature interne che devonq so¬ stenere la spinta della terra in tutte queste opere; ma poiché nei lavori di fortificazione campale col nemico vicino non si ha sempre modo di scegliere il materiale necessario, conviene meglio esaminare prima attentamente il terreno per non intra¬ prendere un lavoro inutile.

Ho premesso che non intendevo scrivere un trattato, ma piuttosto tracciare uno schema delle principali cose notevoli per chi voglia sposare la Scienza con l’Arte militare, Minerva con Marte ; del resto anche Minerva, la dea della sapienza, uscì dal cervello di Giove armata di lancia e di scudo per l’offesa e per la difesa! Sono dunque osservazioni messe giù a fascio, senza pretesa di profondo ed esauriente studio dell’argomento, tanto più che durando più che mai accesa la lotta non posso entrare in tanti particolari. Colgo però l’occasione per citare l’impor¬ tanza del mimetismo offensivo e difensivo specialmente a pro¬ posito dell’occultamento delle opere.

Da non molti anni in Italia ha prevalso la convinzione di abolire le uniformi troppo vistose in guerra, sull’esempio dei Boeri e dei Giapponesi che, oltre ai reticolati, alle trincee, alle bocche di lupo ed altre insidie guerresche, ci hanno insegnato molte cose utili; l’attuale guerra in grigio-verde ha dimostrato che dopo tanti secoli di studio si è compresa la necessità di imitare la Natura, necessità che pareva tanto più facile ad es sere intesa nella guerra la quale è un fenomeno naturale così intimamente connesso con la configurazione del terreno e con tante altre condizioni imposte dalla Natura. Per l’occultamento delle opere conviene dunque tener presente che bisogna avvi¬ cinarsi per quanto si può alle condizioni del luogo, non ba¬ stando mascherare con mezzi che se nascondono materialmente

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l’opera difensiva o il pezzo d’artiglieria, lasciano però scorgere agli aeroplani nemici la loro ubicazione ; il che è tutt’uno.

Quando parlammo dei boschi occorreva ricordare anche l’uso molto praticato in guerra delle abbattute; queste riescono tanto più efficaci a scopo difensivo quanto più gli alberi sono fron¬ zuti e ramificati, e quindi meglio nei boschi di faggi o di ca¬ stagni o di querce che non in quelli di conifere, e comunque la possibilità di un’abbattuta sul margine del bosco va notata come un particolare non indifferente della difesa.

Così trattandosi delle postazioni per le artiglierie e dei loro ripari o spalleggiamenti, bisogna ricordare non solo la neces sita già esposta che il pezzo sia situato al ridosso di creste o di pieghe del terreno, o di altre accidentalità naturali per sot¬ trarsi alla vista del nemico, ma anche l’importanza che può avere la natura litologica del suolo per il mascheramento, e per la facilità più o meno grande di sollevar polvere all’atto dello sparo; quindi in terreni sabbiosi o tufacei si deve cercare di tener bagnato o coperto con zolle o altrimenti rendere compatto il parapetto antistante al pezzo. Oltre alle piazzuole per i can¬ noni, dovendosi costruire nelle vicinanze le riservette per i pro¬ iettili e l’osservatorio per i tiri, è bene che le prime siano quanto più si può nascoste, senza metterle per altro in condizione di raccogliere le acque di scolo del terreno circostante, mentre l’osservatorio dev’essere necessariamente in luogo elevato e do¬ minante; quindi si ricordi quanto si è detto rispetto al masche¬ ramento e al mimetismo di guerra.

Non si sarà mai abbastanza insistito sulla necessità della conoscenza litologica, poiché nell’esecuzione pratica dei lavori si può subito prevedere a un dipresso non solo il tempo neces sario, ma anche il numero dei ferri occorrenti.

Nella guerra di fortezza la sistemazione della zona d’inve¬ stimento e la scelta della fronte d’attacco sono in stretta rela¬ zione con la condizione del terreno su cui si debbono eseguire i lavori, come si è già detto a proposito della fortificazione cam¬ pale; e tutto occorre notare sia per la postazione delle batterie che per la sistemazione del parco, per le opere speditive che accompagnano l’avanzata delle fanterie, preparando con tutti i lavori di approccio il buon esito dell’assalto. Così pure se si

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tratta di dover respingere un attacco nemico è la configurazione del terreno che suggerisce la necessità e l’opportunità delle di¬ fese arretrate e degli sbarramenti montani attraverso le forre di erosione glaciale o torrentizia.

In conclusione nelle opere di terra e di muro ha importanza massima la Litologia, sia per la maggiore o minor necessità di rivestimenti con fascinoni, gabbioni, graticci, ramaglia, zolle, sacelli a terra o pietrame, sia per la costruzione di detti rive¬ stimenti. Bisogna poi tener conto della diversa natura della roccia per il diverso angolo di equilibrio delle terre, per il di¬ verso coefficiente d’aumento, per l’assestamento dei rilevati e per il rendimento degli scavi.

Anche i muri, sia con calce o malta che a secco, non si possono eseguire senza una preventiva scelta del materiale, il che richiede una discreta conoscenza litologica; non tutta la pietra da calce ha la stessa composizione chimica, e si chiama appunto grassa o magra secondo che è più o meno argillosa o sabbiosa, facendo passaggio alla marna o all’arenaria. Per fare una malta di calce o di terra argillosa, o una gettata di calcestruzzo con sabbia e ghiaia e cemento, bisogna pur sapere utilizzare il materiale in posto, quando lo si trova, o riconoscere con rapido esame quello del commercio. I muri a secco poi si possono fare tanto più prontamente e con maggiori probabilità di resistenza se con pietre da taglio invece che con ciottoli alluvionali tondeggianti; quindi giova distinguere le rocce semplici da quelle composte granulari o scistose, feldspatiche o non feldspatiche, antiche o recenti, da quelle clastiche o di aggregazione, ecc.

Capitolo III.

Lavori da Zappatore: Idrologia.

Non intendo soffermarmi sui lavori propriamente detti di Idraulica, aventi per iscopo l’utilizzazione dell’acqua come forza motrice, dove occorre calcolare la portata e la velocità dei corsi d’acqua naturali, la portata delle bocche di efflusso attraverso i manufatti e dei tubi per le condotte forzate, oltre all’esecu¬ zione delle dighe, degli argini, dei rivestimenti sulle sponde

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soggette all’erosione, ecc. perchè non li dovrà mai eseguire un ufficiale che non sia veramente tecnico, occorrendo all’uopo seri i studi di Ingegneria. Del resto non farei che ripetere quanto ho già accennato sulla fluvialità, con la distinzione fra torrente e fiume, con lo studio della fase torrenziale o di erosione, della fase alluvionale o di deiezione e di tutte le loro caratteristiche, fino alla fase di delazione e alla formazione dei cordoni lito¬ rali e della laguna.

Altra importanza può avere per noi la possibilità di provo¬ care inondazioni a scopo difensivo, quando si tratti appunto della difesa immediata d’una testa di ponte o di un corso d’acqua, od anche di una vasta regione allo scopo di rallentare o di impedire l’avanzata nemica. Questo effetto si può ottenere pei torrenti montani sbarrandone il corso con dighe di tronchi d’al¬ bero, di pietre e di zolle attraverso a una forra per dar luogo ad un lago di sbarramento artificiale, ma più facile riesce in pianura la deviazione di canali o la rottura degli argini per quei fiumi che hanno un letto pensile, cioè che hanno scavato l’alveo attuale in rialzo nella loro stessa conoide alluvionale, precisamente come succede per il Po e per i suoi affluenti del Veneto il cui pelo d’acqua è più alto della campagna circo¬ stante. La rottura dei canali o degli argini si eseguisce prati¬ camente con lavori di mina di cui ci occuperemo in altro capi¬ tolo; ma l’importante è di assodare per ora che non dovunque dappertutto si può ricorrere a questo comodo per quanto disastroso mezzo di difesa. Anche qui bisogna dunque ricordare in tutti i suoi particolari quella parte dell’Esodinamica che tratta della fluvialità, ossia delle acque di scorrimento super¬ ficiale.

Ma io voglio insistere specialmente sulla necessità logistica del servizio dell’acqua. Non basta infatti che la località del¬ l’accampamento sia scelta tenendo conto della forma del terreno nei riguardi della distribuzione delle tende, dei quadrupedi, del carreggio, della cucina, delle latrine, ecc., e che sia in posi¬ zione occultata alla vista del nemico e defilata al tiro delle artiglierie; bisogna pure che gli uomini e gli animali pos¬ sano avere a disposizione una buona scorta d’acqua potabile.

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Nella nostra guerra attuale i servizi logistici furono in gene¬ rale encomiabilissimi, ed i Comandi sono riusciti a non far man¬ care l’acqua ai combattenti anche dove la natura del suolo era meno favorevole allo sfruttamento delle acque sotterranee, e il prezioso alimento doveva essere recato da molti chilometri di distanza su colonne di autocarri.

Tuttavia anche nelle regioni dove non sono possibili i pozzi ordinari, perchè la falda freatica non è abbastanza superficiale, oppure è troppo superficiale e quindi presenta pericoli di inqui¬ namento, c’è modo di trovar l’acqua potabile, purché la si sap¬ pia cercare. fa bisogno per ciò di essere rabdomanti ; basta conoscere un po’ quel ramo della Geologia che tratta delle acque sotterranee. E poiché ho già detto altra volta che queste stanno in intima relazione con le acque meteoriche e con quelle di scorrimento superficiale, rifacciamoci un po’ a considerare tutte le probabilità di trovar l’acqua senza dover perdere tempo a ricercarla invano.

Intanto non si dimentichi la Morfologia terrestre e la Tet¬ tonica che possono dare un primo criterio generale per resi¬ stenza e la profondità delle zone acquifere , la Litologia che fa conoscere la maggiore o minor permeabilità delle rocce com¬ ponenti la crosta terrestre; pur ricordando, ben inteso, che non esistono rocce irapermeabili in modo assoluto, e che l’acqua ca¬ duta sotto forma di pioggia o di neve, o scorrente sulla super¬ ficie della terra, può aprirsi un varco o per libera canalizza¬ zione attraverso le rocce clastiche eterogenee ed incoerenti o attraverso le rocce compatte fessurate, od anche imbibire le medesime in grazia della loro maggiore o minore porosità.

In buona parte del nostro fronte attuale, e specialmente sul Carso friulano e istriano, si verifica il cosidetto fenomeno car¬ sico , dovuto alla natura di quei calcari idrovori, per cui le ac¬ que superficiali si inabissano nelle voragini chiamate appunto inglutidor nel Friuli, foibe nell’Istria e doline in Croazia ; feno¬ meno che non è sconosciuto anche sull’Appennino toscano dove dette voragini prendono il nome di spruejole. In queste regioni è quasi impossibile trovare a poca profondità acque utilizzabili per uso alimentare, poiché le rocce calcareo-dolomitiche, benché relativamente impermeabili, sono profondamente fessurate.

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Invece nei massicci di altre località alpine sono più o meno frequenti le sorgenti naturali in stretta relazione con la Tetto¬ nica, come può variare la frequenza, l’abbondanza e la qualità delle acque sotterranee nelle altre forme di rilievo anche in di¬ pendenza della natura litologica del suolo. Le montagne sci- stoso-cristalline stratificate in generale abbondano di acque, e queste naturalmente si trovano più spesso sui fianchi delle valli sinclinali, in relazione con la pendenza degli strati, che non nelle valli di anticlinale dove gli strati hanno inclinazione con¬ traria, cioè daU’interno all’esterno della valle. E frequentissime infatti sono le sorgenti fra le montagne costituite di graniti, gneiss e micascisti, o nelle rocce verdi delle Alpi occidentali, anche per la poca permeabilità di queste rocce e per l’altezza delle cime coperte dalle nevi persistenti.

Meno frequenti sono nelle montagne calcareo-dolomitiche per le cause già esposte, così nei monti stratificati di marne ed arena¬ rie tanto comuni nell’ Appennino, sia per la mancanza di nevati, sia per la permeabilità della roccia ; ed anche quando esistono ivi delle sorgenti l’acqua vi è spesso dura o cruda appunto per la natura litologica degli strati. Così dicasi delle colline di ori¬ gine sedimentaria marina come quelle del Piemonte, della To¬ scana, della Sicilia ed in genere del preappennino tirrenico e adriatico, dove le acque sotterranee sono sempre dure e spesso anche selenitose per l’abbondanza del gesso.

Più dolci o molli sono le acque di sorgente nelle colline moreniche degli anfiteatri prealpini, ed anche in quei lembi glaciali che ricoprono talora estese zone delle Alpi ; conviene dunque saper discernere, anche sulle montagne calcaree delle Alpi centrali ed orientali, quei lembi morenici che, per la na tura incoerente del loro materiale breccioso e per il giacimento, danno a sperare di potervi rintracciare una buona falda acqui¬ fera a non grande profondità.

In pianura il problema è più semplice, quantunque le for¬ mazioni neozoiche siano forse meno studiate delle altre prece¬ denti. Nei bassopiani ondulati si può trovare una falda frea¬ tica poco profonda dovuta alla diretta penetrazione delle acque meteoriche ed alla filtrazione laterale dei fiumi e canali sol¬ canti la pianura stessa; ma queste acque non possono essere

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raccomandabili dal lato igienico, o necessitano perlomeno quella filtrazione di cui si dirà in seguito. Nelle pianure terrazzate., come in genere è la gran valle padana, si ha maggior risorsa di buone acque scorrenti a profondità nel sottosuolo e risor¬ genti nei cosi detti fontanili.

Donde tutto l'interesse che l’ufficiale incaricato della siste¬ mazione dell’accampamento conosca bene la natura del terreno prescelto, e che dallo studio dell’idrografia superficiale presente non disgiunga quello dell’idrografia fossile, per così dire, ossia delle divagazioni subite dai corsi d’acqua durante la formazione della pianura. Infatti l’influenza che le acque di scorrimento at¬ tuali esercitano sull’idrografia sotterranea si riduce alla filtra¬ zione attraverso il terreno più o meno incoerente delle rive e del fondo, e specialmente attraverso i materiali di deiezione nei fiumi ad alluvioni vaganti, dando luogo al fenomeno della risor¬ genza; ma se la distanza dal luogo dell’assorbimento a quello della risorgenza non è molto grande e se il deposito alluvio¬ nale è grossolanamente costituito di ciottoli con larghi meati, non si può compiere V autodepurazione biologica delle acque, le quali rimangono pertanto sospette dal punto di vista igienico, come se fossero attinte direttamente dal fiume.

Invece l’antica idrografia di una regione non è scomparsa senza lasciare come traccia della sua esistenza diversi strati ir¬ regolarmente sovrapposti e alternati di alluvioni ciottolose, ghia¬ iose e sabbiose, formatesi in diverso tempo per effetto dell’ero¬ sione seguita dalla deiezione, e depositate a intervalli irregolari in seguito all’alternanza delle magre e delle piene, combinata col fenomeno delle alluvioni vaganti nei fiumi giovani e della migrazione delle correnti. Una volta stabilitosi l’attuale regime idrografico quegli strati alluvionali sotterranei, dove si alter¬ nano gli elementi più e meno grossolani dei diversi periodi di deiezione, costituiscono un’intricata rete di canali in cui circo¬ lano le acque profonde in diverse zone acquifere sovrapposte o incroci antisi nel sottosuolo.

Riepilogando : la ricerca delle acque sotterranee necessita lo studio dei diversi modi di penetrazione dell’acqua nel sottosuolo, in dipendenza dalla Morfologia, dalla Tettonica e dalla natura litologica del terreno (rocce eruttive compatte semi impermea-

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bili, rocce sedimentarie stratificate, rocce fessurate, calcari idro¬ vori, rocce clastiche, ecc.), nonché dalla stagione, poiché d’estate p. es. i terreni argillosi ferrettizzati formano alla superficie una crosta quasi impermeabile, come la forma d’inverno il terreno gelato. Occorre poi studiare particolarmente il fenomeno carsico che non si verifica solamente sul Carso propriamente detto ; la formazione della falda freatica sul fondo delle valli per la di¬ retta penetrazione delle acque meteoriche; la profondità e la distribuzione delle zone acquifere in pianura in relazione con l’idrografia scomparsa, ma pur rivelata all’esterno da lembi delle antiche conoidi diluviali e alluvionali erose e terrazzate; e final¬ mente la comparsa dei fontanili al piede di queste terrazze. Nello stesso modo che le acque infiltrate nel sottosuolo sulle falde montuose vengono a giorno formando le sorgenti quando sia interrotta la vena sotterranea, così le acque che invece di scorrere alla superficie si inabissano nelle antiche conoidi a maggiore o minor profondità, risorgono poi sotto il nome di fontanili lungo i terrazzi di erosione fluviale.

Vediamo ora come si possano utilizzare queste acque per uso potabile, poiché in pratica per gli animali o per uso di bagno o di lavanderia serve qualunque acqua corrente. Notiamo peraltro che tutti i metodi di captazione o emungimento a cui accenneremo presentano vantaggi e inconvenienti ; nelle regioni abitate si trovano facilmente pozzi o cisterne od altre opere de¬ stinate allo scopo, che però possono presentare ugualmente il sospetto di inquinamento od anche di avvelenamento da parte del nemico in ritirata. Ma bene spesso non esiste nulla; l’eser¬ cito in campagna deve cercare l’acqua coi criteri geologici sommariamente esposti, e provvedere alla sua estrazione coi so¬ liti mezzi tecnici la cui messa in opera è affidata perlopiù alle truppe del Genio.

In molte regioni d’Italia dove per la natura del suolo scar¬ seggiano le buone acque potabili, si raccolgono in apposite cisterne quelle meteoriche, ossia di pioggia e di fusione della neve. Evidentemente si richiede per ciò che le cisterne siano costruite a perfetta tenuta per impedire la filtrazione dall’esterno, e che siano mantenute sempre pulite allontanandone i corpi estranei che per caso vi potessero penetrare insieme con l’acqua.

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Infatti in città l’acqua piovana non è mai tanto pura, perchè lava l’aria resa antigienica dalla densità della popolazione e dallo sviluppo di industrie nocive; ma anche in campagna dove l’acqua scende giù per i tetti dei cascinali e si raccoglie nelle grondaie, essa trascina seco la paglia e le foglie morte che il vento ha portato sul tetto, o gli escrementi dei colombi e degli altri uccelli di cui sono imbrattate le tegole. Le sostanze mine¬ rali del pulviscolo atmosferico e tutti i corpi a peso specifico più elevato andranno a fondo nella cisterna costituendo il limo, e i bruscoli di paglia in putrefazione gal leggeranno, quando poi non ci sia il pericolo di rinvenire nella cisterna qualche rospo o qualche topo acquaiolo! Quest’acqua è insipida e in generale poco gradevole al gusto, perchè anche depurandosi da per decantazione quasi non contiene sali disciolti, ed inoltre le vecchie cisterne esistenti in campagna possono facilmente essere inquinate dalla vicinanza delle stalle, delle latrine, dei lavatoi, delle fosse del letame, ecc. L’acqua piovana si può dunque usare in mancanza di meglio, ma solo dopo un attento esame della ubicazione della cisterna ed un accurato saggio chimico e batteriologico.

Le acque superficiali di torrenti, di fiumi, di laghi, di ca¬ nali artificiali scoperti derivati dai corsi d’acqua naturali per irrigazione, in generale non possono servire per uso potabile, come l’acqua piovana sopra ricordata, senza preventiva purifi¬ cazione ; ed è inutile che ci dilunghiamo a dimostrarne il per¬ chè. I torrenti in montagna presso la sorgente possono fornire acqua sana sotto l’aspetto batteriologico, non essendo inquinata dai residui della vita animale e vegetale, ma più o meno im¬ pura se guardata col criterio chimico, secondo la natura delle rocce in cui si esercita l’erosione; occorre dunque purificarla con la filtrazione o con altri mezzi. 1 fiumi invece nel loro de¬ corso in pianura attraverso a terreni coltivati sono soggetti ad ogni sorta di inquinamento, e un po’ meno lo sono forse i ca- uali in muratura per la maggiore impermeabilità delle pareti; anche qui occorre la depurazione con mezzi chimici o fìsici.

Così dicasi per i laghi, fra i quali daranno più facilmente buona acqua potabile i laghetti montani di sbarramento o di origine glaciale (intermorenici e glaciali propr. detti) che non

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quelli di origine Carsica; più i laghi di origine vulcanica (cra¬ terici e intervulcanici) che non quelli orografici, ecc. ; più dolce sarà l’acqua nelle montagne scistoso-cristalline che non nelle calcareo-dolomitiche; più fresca e più pura nelle località più elevate e deserte che non in fondo alle valli in regioni abitate dove si raccolgono gli scoli delle pendici coltivate. Vi sono laghi alimentati da sorgenti subacquee ottime, gradevoli e per¬ fettamente igieniche, come succede spesso nei laghi intermore- nici che non hanno appunto altra alimentazione.

Tutte queste acque superficiali si possono utilizzare (con le debite cautele) o attingendole direttamente con secchie o con elevatori, oppure mediante condutture o con pompe. Per im¬ pianti stabili bisogna eseguire quei lavori d’idraulica che assi¬ curino la continuità del servizio dell’acqua, cioè bocche di ef¬ flusso, canali coperti, serbatoi, condotte forzate con tubi, ecc., e quando occorra elevare la superficie libera o pelo d’acqua, si costruiscono nell’alveo traverse, dighe ed argini od altre opere simili per rendere più facile e costante la derivazione.

Le sorgenti subaeree si possono sfruttare sia attingendovi direttamente, sia per mezzo di vasche in cui l’acqua si racco¬ glie e donde si attinge poi con secchie o con pompe, oppure diramando da queste vasche un sistema di tubi che portino l’acqua ai vari settori dell’accampamento. Se si tratta di fon¬ tanili la captazione dell’acqua si eseguisce piantando sul posto un tino senza fondo o un graticcio di vimini che sostenga la terra e lasci sgorgare liberamente la polla, e le diverse teste di fontanili si possono poi allacciare fra di loro con un sistema di canali minori che affluiscono in un canale principale collet¬ tore ; così appunto si pratica nella pianura padana.

Finalmente la falda freatica e le zone acquifere più pro¬ fonde si em ungono coi pozzi ordinari o con pozzi tubolari me¬ tallici (tubi Calandra o pozzi Norton) ; un esercito in campagna usufruisce dei pozzi ordinari dove ci sono, previa assicurazione sulla salubrità dell’acqua e allontanando tutte le cause di inqui¬ namento; ma quando essi non esistono, oppure vengono ad esau¬ rirsi per effetto dell’emungimento o per la poca profondità della falda o per il sopravvenire di una grande siccità, allora bisogna ricercare le zone acquifere più profonde coi pozzi trivellati di

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cui si è fatto cenno, dai quali l’acqua si estrae poi mediante l’uso di pompe, se pure non zampilla come accade nei pozzi artesiani o modenesi ; ma questo speciale fenomeno dipende esclusivamente dalla pendenza dello strato impermeabile che fa da fondo alla zona acquifera sotterranea.

La purificazione delle acque per uso potabile si può eseguire con mezzi fisici o chimici; appartengono alla prima categoria la filtrazione attraverso la sabbia o attraverso le candele filtranti, l’ebullizione in caldaia scoperta o in autoclave, l’azione dei raggi ultravioletti, ecc. ; sono mezzi chimici: l’ozonizzazione, il tratta¬ mento con gli alogeni, ecc. E su questi diversi metodi non in¬ sisto, sia perchè si trovano descritti in tutti i trattati d’igiene, sia perchè la loro discussione esorbita dal campo della Geologia. D’altronde per un esercito in campagna non convengono quei metodi che richiedono l’uso di apparecchi troppo delicati, e di reattivi il cui impiego deve necessariamente essere riservato a chimici provetti con tutte le comodità del laboratorio.

Mi tratterrò invece sopra una considerazione di indole pra¬ tica che riguarda i filtri a percolazione o filtri a sabbia. In alcune località delle Alpi, dove i calcari fossiliferi mesozoici non sono le rocce più adatte per raccogliere le acque sotter¬ ranee, si rinvengono tuttavia delle sorgenti assai copiose dove i lembi morenici delle antiche invasioni glaciali ammantano la roccia in posto. Queste acque meteoriche che * penetrano attra¬ verso gli elementi brecciosi fino ad incontrare i calcari di fondo sono però generalmente dure o crude, ed inoltre queste sorgenti, per la loro alimentazione troppo superficiale, si intorbidano ad ogni pioggia, ad ogni temporale. Dal lato batteriologico non c’è che dire, perchè il terreno permeabile è tutto boscoso e privo completamente di abitati, ma certamente l’acqua torbida e ter¬ rosa non può costituire un buon alimento per l’uomo, tanto più quando abbandonando i corpi eterogenei si mantiene anche dura per la natura chimica delle rocce dilavate ed erose.

Dunque si ricorre alla filtrazione; ma spesso questa si fa senza criterio, anche se dal lato tecnico non c’è nulla da os¬ servare. Ho visto dei filtri doppi costituiti da due vasche comu¬ nicanti rivestite all’interno da cemento: nella prima arrivava l’acqua torbida che doveva depositare attraverso uno strato di

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brecciame sostenuto da elementi grossolani, e nella seconda l’acqua proveniente dal basso della prima attraversava prima di effluire in alto un ammasso di ghiaia più minuta; ma dopo le piogge usciva ugualmente torbida. Poiché si trattava di lo¬ calità che si sperava di abbandonare presto, appena i risultati favorevoli dell’avanzata avessero permesso di portare più in¬ nanzi gli accampamenti, e siccome d’altra parte in alta mon¬ tagna non si potevano avere a disposizione altri mezzi di pu¬ rificazione, io suggerii un rimedio pratico e semplice.

Avevo constatato che il brecciame adoperato per i filtri era costituito dallo stesso calcare del luogo, e quindi mi pareva im¬ possibile che l’acqua carbonicata per natura potesse perdere con

tale filtrazione grossolana il suo principale difetto che era la

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durezza. E noto che tutti gli alberi emettono dalle radici ani¬ dride carbonica, e tanto più questo doveva succedere per i gi¬ ganteschi e folti abeti secolari di quella località, per cui l’ani¬ dride carbonica emessa dalle radici doveva servire alla digestione del carbonato di calcio predominante, trasformandolo in bicar¬ bonato di calcio solubile e quindi assorbibile. Non si poteva certo pensare in piena guerra a stabilire altro sistema di de¬ purazione, ma bensì si poteva facilmente sostituire il brecciame calcareo con frammenti di rocce porfiriche che si trovavano dis¬ seminate abbondantemente nel luogo per opera degli antichi ghiacciai ; di più non avendo a disposizione nemmeno il solfato di alluminio destinato a diminuire la durezza delle acque, trasfor¬ mandosi in presenza del carbonato di calcio in idrato di alluminio, potendosi fare assegnamento sulla sabbia silicea che non esi¬ steva nella regione, io suggerii di riempire il primo filtro grosso¬ lano di brecciame porfirico, e di alternare nel secondo strati di que¬ ste rocce più sminuzzate a strati di carbone vegetale. Certamente il filtro avrebbe dovuto essere di frequente rinnovato, ma, come ripeto, non si pensava allora di dover rimanere troppo a lungo fermi in quel posto.

La mia proposta non ebbe seguito per un complesso di cause a cui è inutile accennare.

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Capitolo IV.

Strade e ponti.

Con la costruzione di strade si rientra in quei lavori da Zappatore che richiedono un movimento di terra (v. Cap. II), ma ho voluto trattarne in un capitolo a parte, perchè mi sem¬ bra che l’argomeuto delle strade sia più che ad altro intima¬ mente connesso a quello dei ponti, il quale interessa tanto gli Zappatori che i Pontieri del Genio.

In primo luogo per fare una strada bisogna tener conto dei traini che la devono percorrere, e cioè della resistenza alla tra¬ zione in relazione con la pendenza (e quindi con la Morfologia) e con la natura del suolo (quindi con la Litologia). Lo studio di una strada si eseguisce prima sulla carta e poi sul terreno con le norme tecniche, ma allo studio vero e proprio deve sem¬ pre precedere una ricognizione preventiva della località, per sa¬ pere almeno se si tratta di attraversare una regione deserta o boschiva o coltivata, se vi sono grandi dislivelli da superare (ciò che si può verificare anche sulle carte) e se esistono corsi d’acqua importanti da attraversare, se la roccia si presta ad una pronta utilizzazione e se sul posto si possono ricavare pie¬ tre grosse per muri a secco di sostegno alle scarpate, legname per tombini, sassi per le cunette ed altro materiale occorrente.

In secondo luogo occorre distinguere se si tratta di una grande strada carreggiabile di carattere strategico per grossi traini o di una strada provvisoria a scopo tattico per artiglierie o fanterie, oppure di una mulattiera percorribile da carovane someggiate, ecc.; e ciò in relazione con la larghezza della strada da costruire, con la pendenza e col raggio delle curve, oltre che con la consistenza che deve avere la massicciata. Infine bisogna pure tener conto del tempo e della forza disponibile per poter omettere aH’occorrenza quei lavori di dettaglio che non implicano la sicurezza e la possibilità della strada.

Tracciato sulla carta il profilo longitudinale della strada, verificatolo sul posto coi picchetti e stabiliti sul terreno i profili trasversali, si cerca naturalmente di ottenere nell’esecuzione il

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compenso degli scavi e dei rinterri, per evitare possibilmente i grandi movimenti di terra con depositi e prestiti fatti a grandi distanze che richiedono spreco di tempo e di energie. Oltre a ciò prima di fare un lavoro inutile, e di mano in mano che si stabilisce il tracciato sul terreno, si cerca di evitare quegli osta¬ coli naturali che potrebbero danneggiare la strada : ossia piene di torrenti se la strada corre in fondo alla valle, valanghe e frane specialmente quando la strada è a mezza costa, ecc. La perfetta conoscenza della natura litologica del terreno è elemento indispensabile anche per la distribuzione degli uomini e degli strumenti di lavoro, poiché nelle strade di montagna in roccia dura occorreranno lavori di mina, e quindi pistoletti, mazze, pali a leva, ecc., in terreno molle e sabbioso occorreranno molti più badili, come attraverso i boschi occorrono segoni, corde e picozze per abbattere gli alberi, gravine per estirparne le ra¬ dici, ecc.

La massicciata e i muri di sostegno si eseguiscono tanto più prontamente e sono tanto più durevoli quanto più la roccia che si adopera si presta alla lavorazione, ed è resistente alla pressione che sulla strada eserciteranno i traini, oltre che alla degradazione meteorica. A questo proposito ho sentito lamentare in zona di guerra la poca resistenza alla trazione di certe strade improvvisate a scopo tattico, in cui il pietrisco dell’ inghiaiata tutto calcareo facilmente si trasformava in fango alla minima pioggia, ed ho visto attribuire tale inconveniente alla negligenza di manutenzione da parte degli esecutori, mentre bastava che questi avessero adoperato per la massicciata le abbondantissime rocce porfiriche e granulari dei massi erratici e dei depositi fluvio-glaciali a cui altra volta ho accennato.

Insomma chi deve fare una strada bisogna die non ignori la Petrografia e che tenga il massimo conto della Morfologia ossia della natura del paesaggio; montagne, colline, valli, selle, pianure, torrenti, fiumi, paludi, boschi, tutto va osservato nella ricognizione preventiva per poter studiare caso per caso le par¬ ticolarità della esecuzione.

Tutto quanto si è detto per le strade ordinarie vale natu¬ ralmente anche per le strade ferrate, tenendo conto della lar¬ ghezza della strada e dei limiti delle pendenze e delle curve

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richiesti dalle speciali esigenze della ferrovia, secondo poi che si tratta di ferrovie a scartamento normale o di ferrovie da campo, funicolari, ecc. Quando occorra per avventura eseguire il traforo di una montagna (ciò che non si fa evidentemente col nemico vicino) diventa tanto più importante lo studio tet¬ tonico e litologico della montagna da perforare, per stabilire il profilo longitudinale della galleria. Per le altre opere d’arte, come ponti e viadotti, occorrono quelle cognizioni di ingegneria che si riferiscono a simili lavori, basate sempre sul criterio geologico per la scelta della località più conveniente. Le fer¬ rovie da campo dei diversi tipi (a trazione meccanica o ani¬ male) generalmente si adattano meglio in pianure uniformi, e per rimpianto di funicolari con binario bisogna pure tener conto della pendenza delle falde montuose.

Quando la strada deve attraversare un corso d’acqua può darsi che lo si possa passare a guado, ed in tal caso le rampe di accesso al fiume o torrente devono essere costruite in pen¬ denza verso la corrente per impedire che un’improvvisa piena possa inondare la strada e renderla inservibile; anche per questo dunque occorre esaminare e studiare prima sul posto quale sia il punto più adatto per il passaggio, perchè le carte anche det¬ tagliatissime non danno tali indicazioni. Se si tratta di costruire un ponte regolamentare o di circostanza, come fanno i nostri Pontieri e Zappatori, è indispensabile riconoscere prima atten¬ tamente e in tutti i suoi particolari il corso d’acqua da attra¬ versare, e qui tornano in soccorso tutte le nozioni sulla tìuvia- lità già più volte accennate a proposito della fortificazione campale, tenendo conto anche delle vie di accesso se il ponte è da costruire indipendentemente dalle strade già esistenti, e delle rampe di accesso se il ponte non rappresenta che una continuazione della strada eseguita a scopo tattico o logistico.

Tutto dunque si ricordi, e si noti la larghezza, la velocità e la profondità del corso d’acqua, la natura del terreno sulle rive e sul fondo dell’alveo, la presenza di chiuse, rapide e ca¬ scate, di isole di deiezione, di anse e di canali morti, di af¬ fluenti, ecc. Infatti importa molto che la sponda di partenza e quella di arrivo siano di facile accesso, e quindi bisogna evi¬ tare i terrazzi lipidi e scoscesi; importa che il ponte non sia

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costruito presso la confluenza di un altro corso d’acqua che po¬ trebbe spostare coll’impeto delle sue onde i cavalletti e le barche; importa che il letto del fiume, se è molto largo, abbia delle isole di deiezione che lo dividano in diversi rami; importa che la velocità non sia eccessiva e la portata sia costante. Per gli scopi tattici giova che la concavità dei meandri nel punto da attra¬ versare sia rivolta al nemico per poter battere il terreno con fuoco accerchiante proteggendo le truppe che passano il ponte, e che un buon tratto del fiume a monte del passaggio scelto si possa sorvegliare, per impedire la distruzione del ponte da parte del nemico per mezzo di galleggianti abbandonati alla deriva della corrente.

I calcoli della velocità, della portata in acqua del fiume, della larghezza e della sezione dell’alveo si eseguiscono con gli insegnamenti della Topografia, che qui non c’entrano, od anche direttamente se il corso d’acqua c di poca entità. La ricogni¬ zione del fiume e delle condizioni del suo alveo serve anche a indicare se lo si può passare a guado o su galleggianti o a nuoto, oppure sul ghiaccio nella stagione invernale ; ciò che si può verificare da noi non solo per i canali a lento corso, ma eziandio per alcuni fiumi dell’Italia settentrionale durante i rigi¬ dissimi inverni. Stabilito il tipo di ponte da costruire (passe¬ rella, ponticello, ponte normale, ponte rinforzato pesante) secondo la natura del corso d’acqua da attraversare e l’entità delle truppe a piedi o a cavallo e del carreggio da far transitare, l’esecuzione pratica non ha più a che fare col nostro ordine di idee, e perciò non ce ne occupiamo; sempre rimane però la questione della convenienza di eseguire palafitte e stilate o di usare barche, zattere ed altri sostegni galleggianti piuttosto che cavalletti di diversa specie, secondo la profondità e la velocità del corso d’acqua.

Tutte queste nozioni di Geografia fisica occorrono natural¬ mente tanto per i ponti di circostanza che per i ponti regola¬ mentari di Fanteria e di Cavalleria e per i ponti d'equipaggio costruiti dagli Zappatori e dai Pontieri del Genio; per questi ultimi tipi il materiale è già pronto, mentre per i primi oc¬ corre provvederlo sul posto. Non accenuo ai materiali che si possono requisire, perchè non ci interessano, ma intendo met-

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tere in rilievo il fatto che l’esistenza di boschi vicino alla sponda di partenza del fiume può fornire i travi necessari alla costru¬ zione di un ponte di circostanza, ed anche questa è una par¬ ticolarità del paesaggio degna di nota. Quanto si è detto ri¬ guardo alle ricognizioni indispensabili per la costruzione di ponti per strade ordinarie vale poi anche per i ponti provvi¬ sori per ferrovia, poiché i ponti stabili in muratura non si im¬ provvisano in guerra.

Capitolo Y.

Lavori di mina.

Per poter eseguire con profitto lavori di mina l’ufficiale de¬ gli Zappatori o dei Minatori del Genio che dirige l’operazione non deve ignorare la Litologia e la Tettonica. ISTon importa qui soffermarci sull’impiego dei vari esplosivi (polvere nera, fulmi¬ cotone, gelatina esplosiva, balistite, ecc.) e sui loro vantaggi e inconvenienti o sui mezzi di accensione riguardanti le varie qua¬ lità di miccie, di capsule fulminanti, ecc., benché anche questi mezzi tecnici dimostrino come la guerra moderna è tutta a base scientifica. A noi giova ricordare invece che per scavare i pozzi e le gallerie da mina non si può fare astrazione dalla natura della roccia da perforare e dalla disposizione degli strati.

Sul fronte attuale abbiamo da occidente ad oriente una grande varietà di rocce: dagli scisti cristallini dell’Ortler alle rocce gra¬ nitiche e por f riche dell’Adamello, ai calcari mesozoici del Be- naco e dell’Alto Vicentino, alle dolomie del Cadore ; poi si passa alle formazioni paleozoiche delle Alpi Carniche e nuovamente ai calcari triasici, giura-liasici e cretacei delle Alpi Giulie, fino ai depositi neozoici diluviali e alluvionali del basso Isonzo. Ma la guerra invece di essere localizzata alle Alpi centrali e orientali potrebbe estendersi ( quod Deus avertati) ad altre re¬ gioni anche fuori della Penisola, donde la grande necessità di una sommaria ma solida cultura petrografica generale, e della profonda conoscenza delle rocce più comuni nel nostro Paese.

Oltre alle rocce nominate abbiamo in Italia rocce pirosse- niche, anfboliche e serpentinose e calcescisti nelle Alpi occiden-

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M. CR AVERI

tali, calcari, gessi, arenarie , marne, argille nelle formazioni ce- nozoiche dell’Appennino e del preappennino adriatico e tirrenico, con passaggio graduale dall’Eocene al Miocene, al Pliocene; e finalmente rocce vulcaniche specialmente nell’Italia centrale e meridionale, in Sicilia e in Sardegna, brecce e conglomerati po¬ ligenici nei numerosi anfiteatri morenici prealpini e nelle pia¬ nure diluviali terrazzate e alluvionali dei maggiori fiumi.

Tutto quanto si è detto in genere per le opere di terra e di muro (v. Gap. II) vale anche pei lavori di mina, poiché que¬ sti perlopiù non servono se non di complemento o di prepara¬ zione a quelle. I pozzi e le gallerie da mina si costruiscono dunque tanto più facilmente se la roccia è tenera e facilmente attaccabile dai comuni ferri da lavoro (cosi in tufi, marne, are¬ narie, argille, ecc.) ; ma se la roccia è eterogenea (conglomerati e breccie) deve aumentare naturalmente la resistenza dei telai di rivestimento per reagire alla spinta delle terre. Se si tratta di rocce compatte e cristalline il lavoro è più lungo e neces¬ sita l’impiego di perforatrici e di petardi, ma in compenso più resistente.

Lo stesso accade per scavare camminamenti in roccia viva o per demolire muri e ponti, interrompere strade, ecc. per mezzo di petardi intasati, i quali devono essere più o meno profondi e ravvicinati fra di loro secondo la natura della roccia, verti¬ cali, orizzontali o inclinati in relazione con la Tettonica o Stra¬ tigrafia, cioè secondo che emergono le testate oppure affiorano gli strati della roccia da perforare. Variano pure il tempo ne¬ cessario al lavoro, la qualità e la quantità degli esplosivi che si devono impiegare, secondo la resistenza che oppone la roccia alla penetrazione del pistoletto e alla disgregazione ; certe rocce durissime da perforare sono abbastanza fragili anche in rela¬ zione con la proprietà del clivaggio, altre più tenere presen¬ tano maggior tenacità e resistenza ; tutto questo è calcolato nei libri che trattano appunto di esplosivi e di mine, perciò non insisto sull’argomento.

Ripeto invece come non basti che nelle scuole militari in tempo di pace si insegnino tante belle e utili cose anche nel campo delle Scienze naturali ; è necessario che l’ufficiale in guerra non dimentichi tutto quello che ha imparato. E per restare nel no-

LA GEOLOGIA E LA GUERRA

77

stro campo della Litologia egli dovrebbe avere un’idea ben chiara dei caratteri chimici e fìsici delle rocce, della loro durezza e densità, della resistenza alla pressione, alla trazione e alla tor¬ sione, del coefficente di imbibizione, della permeabilità, ecc. ; non importano i dati numerici che si dimenticano facilmente e che si possono trovare nei manuali tascabili, importano le idee generali, concise ma chiare e indelebili.

CONCLUSIONE.

Ho premesso nella Introduzione che io e tanti altri uffi¬ ciali improvvisati abbiamo preso parte alla santa guerra nazio¬ nale ignorando l’esistenza di trattati di Geologia applicata al¬ l’arte militare, perchè nessuno si curò di farceli conoscere. Supponiamo dunque che non esistano, pure immaginando che ci debbano essere, appunto per la stima che ho di quegli uffi¬ ciali studiosi e colti che onorano l’esercito e la scienza.

Dato che non esistano ancora, perchè non si fanno delle carte geo-militari come ci sono quelle geo-agronomiche e geo- minerarie? La guerra in non è certo un fattore di benessere per la Nazione un indice di progresso per l’umanità, ma qui è inutile discutere: la guerra esiste e sopravvive come tante altre istituzioni barbare, tanto è vero che mentre io scrivo tuona il cannone sulle Alpi per la rivendicazione dei nostri sacrosanti diritti e il popolo d’Italia è tutto in armi per mettere in va¬ lore le energie latenti della Nazione, e per conquistare alla Pa¬ tria nostra il posto che le spetta fra i popoli civili d’Europa e del mondo. Dunque la guerra c’è sempre stata, c’è e ci sarà sempre, piaccia o non piaccia agli umanitari a tutti i costi, ai senza patria, ai vili, ai rinnegati; tutti i cittadini hanno l’ob¬ bligo morale di adoprarsi con ogni mezzo per la vittoria della propria bandiera: dunque non trascuriamo nessuno degli elementi della vittoria.

Ho cercato di dimostrare nella trattazione del mio tema tutta l’importanza della conoscenza geologica del terreno nella guerra moderna; se non ci sono riuscito la colpa è mia, ma certamente nessuno porrà in dubbio che un feuomeno naturale

78

M. CRAVERI

come la guerra, esplicantesi in aperta campagna e spesso lon¬ tano dai centri abitati, deve basarsi sulla perfetta conoscenza del paesaggio e delle risorse della Natura. Esistono delle carte topografiche molto dettagliate e delle carte geologiche abba¬ stanza precise per dare un’idea dei varii terreni, ma io vorrei delle carte o delle monografie ancora più dettagliate per tutta la Penisola. Si cominci dalle regioni di frontiera e si venga a mano a mano al litorale e poi alle località interne, tenendo conto della maggiore o minor probabilità che ha una deter¬ minata regione di essere o di diventare teatro d’ima guerra di difesa.

Partiamo pure dalle ben note carte ad 1 : 25000 abbastanza particolareggiate, e in base a queste si facciano eseguire dallo Stato maggiore delle monografie minuziose, paese per paese, chiamando a collaborarvi anche i borghesi se non bastano i militari. In queste trattazioni dettagliatissime, fatte tutte su uno schema unico stabilito dallo Stato maggiore, si dica tutto quello che può interessare la difesa del territorio nazionale. Si tenga conto in primo luogo della Litologia e della Morfologia terre¬ stre; si specifichi o con carte colorate o con scritti illustrativi la forma del rilievo terrestre, poiché le curve di livello non dicono abbastanza; si dia un criterio esatto dell’origine di tali rilievi, poiché abbiamo visto che ogni montagna, ogni collina assume un aspetto diverso secondo che l’origine è sedimentaria marina o glaciale o vulcanica, ecc. Si tenga conto della Tet¬ tonica nella forma delle valli e delle selle, si mettano bene in rilievo le varie caratteristiche della pianura, si diano notizie precise sui laghi e sulle spiaggie marine.

Si tenga conto di tutte le minime particolarità del paesaggio dovute all’azione modificatrice dell’atmosfera, dell’acqua, degli organismi, oltre che dei vulcani, dei terremoti e dei bradisismi. Si specifichi bene per le acque di scorrimento superficiale la larghezza, la portata e la velocità del loro corso dalla sorgente alla foce; si segnino i punti dove si possono più facilmente rinvenire buone acque sotterranee, sorgenti e fontanili, dove la falda freatica è superficiale e dove possono esistere zone acqui¬ fere più profonde; si notino i boschi e i terreni coltivati, le torbiere, le sorgenti termali, ecc.

LA GEOLOGIA E LA GUERRA

79

Insomma io vorrei che si facesse per tutta l’Italia, comin¬ ciando dalla frontiera per venire a mano a mano verso l’in¬ terno, uno studio dettagdiatissimo, meticoloso di tutte le acci¬ dentalità, di tutte le particolarità naturali che possono avere qualche importanza per la difesa. Questo studio vastissimo e fatto a scopo militare non sarebbe inutile anche per l’agri¬ coltura e per le industie estrattive.

Non insisto, perchè credo di essermi spiegato abbastanza. Concludo affermando che io vorrei l’Italia meglio conosciuta dagli Italiani, vorrei un’Italia forte e sicura entro la cerchia de’ suoi confini naturali, libera di esplicare tutte le attività che la Natura ha concesso a questo popolo meraviglioso. Nella spe¬ ranza che presto si debba avverare il mio sogno, mando un caldo e affettuoso saluto ai soldati d’Italia che ho avuto al mio fianco e che continuano impavidi a combattere fra le nevi, un omaggio alla Maestà del Re che li deve condurre alla vittoria certa e radiosa, e un augurio alla fortuna eterna della mia Pa¬ tria incoronata di vittoria, in attesa di poterle offrire ancora una volta il mio braccio, la mia vita, come le offro la mia mente e il mio cuore.

Cassino, 22 febbraio 1916.

[ras, pres. 25 febbr. - ult. bozze 28 aprile 1916].

SU ALCUNI ECHINIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO

Nota del socio dott. G. Checchia-Rispoli (Tav. I)

Nel 1902 e nel 1903 ho pubblicato in questo stesso Bollet¬ tino due Note sugli Echinidi della formazione eocenica del Monte Gargano Avendo da qualche anno ripreso le mie ricerche in quella regione, sono oggi in condizione di poter fare anche nuove aggiunte alla echinofauna di quell’Eocene.

Il materiale illustrato in questa Nota proviene dagli stessi dintorni di Mattinata ed è stato da me raccolto nel calcare gros¬ solano ricco di nummuliti ed assiline del monte detto Coppa d’ Apolito fin. 466), del quale il M. Saraceno si può considerare come la estrema propaggine che si spinge fino al mare.

Gli Echinidi qui studiati appartengono a specie nuove, meno una, cioè Linthia inflata (Desor) Cotteau, la di cui presenza in detto giacimento non può che confermare l’età luteziana di quegli strati.

Col presente nuovo contributo il numero delle specie di Echi nidi noti in quell’Eocene ascende a 19, numero non trascura¬ bile se si pon mente alla grande scarsezza di simili organismi in tutto l’Eocene dell’Italia meridionale.

Ecco intanto l’elenco completo delle specie determinate sinora :

Porocidaris Schmideli (M mister) Cotteau Leiopedina Tallavignesi Cotteau sp.

Echinocyamus subcaudatus ? (Desmoulins) Desor

1 V. Gli Echinidi Eocenici del Monte Gargano (Boll. Soc. Geol. It., voi. XXI), 1902; Id. Nuova contribuzione alla Echinofauna Eocenica del Monte Gargano (Boll. Soc. Geol. It., voi. XXII), 1903.

6

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G. CHECCHI A-R1SP0LI

Echinolampas globulus Laube

» Pistefanianus Checchia-Rispoli

Conoclypeus conoideus A gassi z sp.

Amblypygus dilatatus A gassi z Pericosmus spatangoides (Desor) De Loriol Ditremaster Masciae Checchia-Rispoli Piste f (inastar garganicus Checchia-Rispoli Hemiaster Pillai Checchia-Rispoli Scliizaster Archiaci Cotteau » Studeri A gassi z » ambulacrum Deshayes » Bi-Stefanoi Checchia-Rispoli Linthia infiala (Desor) Cotteau Iìrissopsis sypontinus Checchia-Rispoli Macropneustes cfr. Dcsliayesi Agassiz sp.

Guai ticria sp. ind.

Scliizaster Di-Stefanoi Checchia-Rispoli.

(Tav. I, fig. 5, 6, 7, 8 a-d).

1902. Schisa ster vicinalis Checchia-Rispoli, Gli Echini-di Eocenici del Monte Gargano, pag. 66.

Dimensioni :

i.

ii.

iii.

iv.

Diametro antero-posteriore

. . min. 37

40

47

50(?)

» trasversale

» 30

35

41

44.

Altezza .

» 20

?

28

30.

Guscio di medie dimensioni,

cordiforme, più

lungo

che largo,

assottigliato, ristrettito ed intaccato avanti, acuminato indietro.

Faccia superiore molto declive anteriormente, e molto ele¬ vata posteriormente, con la maggiore altezza verso l’estremità della carena. Questa è forte ed inoltre si prolunga fortemente indietro in modo da sovrastare al periprocto. La maggiore lar¬ ghezza si trova presso a poco in corrispondenza della estremità degli ambulacri anteriori.

Faccia inferiore pianeggiante, un po’ depressa attorno al pe- ristoma.

ECHINIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO

83

Faccia posteriore troncata, molto scavata e rientrante.

Contorno arrotondato.

Apice ambulacele spostato indietro. Apparecchio apicale munito di quattro pori genitali rotondi: gli anteriori più pic¬ coli e più avvicinati dei posteriori, i quali hanno una gran¬ dezza quasi doppia. La placca madreporica è molto sviluppata e attraversa tutto il sistema e si prolunga al di delle ocel- 1 ari posteriori; inoltre essa è molto larga, per cui i pori di de¬ stra sono molto allontanati da quelli di sinistra.

Solco anteriore stretto, profondo, con le pareti scavate, ca¬ renato sui lati, ad orli quasi paralleli, essendo un po’ più largo e profondo verso la metà della sua lunghezza; esso si restringe un po’ verso l’ambito, che intacca profondamente, e si prolunga distinto, ma attenuato, sino al peristoma.

Area ambulacrale impari larga, concava, finamente granu¬ losa; i pori si aprono alla base della escavazione. Le serie po¬ rifere sono formate di pori disposti a paia obliqui, separati da piccole costole granulose, che risalgono lungo la parete dell’e- scavazione sino al margine esterno del solco. I pori sono sepa¬ rati fra di loro da un granulo sporgente. A qualche distanza dal¬ l’ambito la serie esterna dei pori sparisce, mentre quella interna scende più in basso ; ma avvicinandosi all’ambito i pori diven¬ tano più piccoli e si avvicinano, i granuli si attenuano e le coppie sono più allontanate fra di loro, mentre le costole sporgenti spa¬ riscono.

Aree ambulacrali pari larghe, scavate, arrotondate alle estre¬ mità : le anteriori sono alquanto più lunghe delle posteriori, non flessuose, avvicinate al solco impari; le posteriori sono poco fles¬ suose, più corte ed ancora meno divergenti delle anteriori.

Zone porifere molto sviluppate, formate di pori ovali, riu¬ niti per mezzo di un solco; negli ambulacri anteriori ho con¬ tato 30 paia di pori ed in quelli posteriori 22, oltre a quelli microscopici attorno all’àpice.

Zona interporifera un po’ più stretta di una porifera.

Aree interambulacraìi sporgenti attorno alla sommità apicale.

Peristoma molto spostato avanti, semicircolare, fortemente labiato: esso dista dal margine anteriore solo 6-7 mm.

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G. CHECCHIA-RISPOLI

Periprocto longitudinale, stretto, acuminato alle estremità, aprentesi verso la sommità della faccia posteriore, alla base della carena dorsale.

Fascia peripetala stretta, molto sinuosa: fascia latero-suba- nale più stretta, discendente obliquamente sotto il periprocto.

Tubercoli fini, stretti, omogenei su quasi tutta la faccia su¬ periore; molto più grossi verso il contorno e sulla faccia infe¬ riore ; sul plastron sono seriati.

Questo echinide è molto comune nella formazione eocenica dei dintorni di Mattinata e noi abbiamo potuto raccogliere esem¬ plari di varie dimensioni: tutti mostrano una grande costanza nei caratteri principali.

La forma stretta ed acuminata indietro, ove si prolunga in un rostro sporgente, la faccia posteriore molto scavata, il solco impari stretto e a lati subparalleli, gli ambulacri pari non fles¬ suosi e poco disuguali, il peristoma molto spostato avanti, sono i caratteri distintivi questo Scliimster, che non mi è stato possibile di rapportare a nessuna delle specie del genere già co¬ nosciute.

Le sole che in certo qual modo sembrano avvicinarsi di più a quella in esame sono lo Sch. Arcliiaci Cotteau e lo Sch. vici- nalis Agassiz. La forma del solco impari stretto ed allungato, e dei pari stretti, quella del guscio acuminata indietro avvici¬ nano lo Sch. Arditaci a Sch. Di-Stefanoi, per quanto la carena in quest’ultimo sia sempre molto più sporgente. Ma ciò che di¬ stingue la specie del Cotteau dalla nostra sono la forma degli ambulacri pari, i quali nella prima sono molto disuguali, più tìessuosi, più divergenti, e la differente eccentricità dell’appa¬ recchio apicale.

Lo Sch. vicinalis, al quale nel 1902 io riferii alcuni degli esemplari in esame, ha invece il solco impari molto più largo, gli ambulacri pari più disuguali fra di loro, la carena meno accen¬ tuata e l’apice più eccentrico. Ciò che allora mi indusse a riferire gli esemplari dell’Eocene del Gargano allo Sch. vicinalis furono le figure del Dames, che corrispondono molto agli echinidi miei, sia per la forma del solco impari, che per quella degli ambu¬ lacri pari. Il nuovo e più ben conservato materiale raccolto e un più attento confronto con le figure di Sch. vicinalis dei vari

ECHINIDI EOCENICI DEL MONTE GARGANO

85

autori mi hanno convinto che gli esemplari elei Gargano sono ben altra cosa dello Sch. vicinalis Ag. figurato dal Cotteau e che le figure del Dames non corrispondono affatto a quelle del Cotteau.

Le prime figure dello Sch. vicinalis vero sono quelle del Cot¬ teau (1886), per quanto tale specie sia stata fatta conoscere dall’Agassiz nel 1847. In detto anno Agassiz nel Catalogne raisonne cles Echinides diede il nome di Sch. vicinalis al mo¬ dello in plastica X 93, di cui, l’originale, appartenente a VÉcole des Mines, proviene dall’Eocene superiore di Biarritz. In seguito il d’Archiac con lo stesso nome ha descritto e figurato uno Schizaster, del tutto differente, raccolto nell’Eocene medio di Saint-Palais e aggiunge che probabilmente lo Sch. vicinalis non si trova a Biarritz. Nel 1863 il Cotteau ha fatto cessare questa confusione, rendendo il nome di vicinalis al tipo di Biarritz e dando alla specie di Saint-Palais quello di Sch. Archiaci \

Nel 1878 il Dames col nome di Sch. vicinalis illustrò alcuni Echinidi dell’Eocene del Vicentino, i quali però si differenziano assolutamente dalle figure di Sch. vicinalis del Cotteau. Basta infatti paragonare lo Sch. vicinalis del Dames 1 2 con quello del Cotteau per constatarne le forti differenze, di cui le più impor¬ tanti consistono nel rostro molto acuminato tale da sovrastare al periprocto, nella forma del solco impari, strettissimo e a mar¬ gini paralleli, nell’apice meno eccentrico, negli ambulacri pari meno flessuosi, meno divergenti e meno disuguali fra di loro, negli esemplari del Vicentino. Lo stesso Dames nota queste dif¬ ferenze.

11 Bittner 3 che in seguito si è occupato anche di esemplari del Vicentino, simili a quelli del Dames, segue il modo di ve¬ dere di questo autore nel l’interpretare lo Sch. vicinalis, che pare corrisponda al concetto del Desor, il quale scrisse che gli am¬ bulacri anteriori sono nettamente paralleli al solco anteriore e non arcuati all’infuori verso le estremità.

1 Cotteau, Echinides fossiles des Pyre'nées, pag. 129, 1863.

2 Dames, Die Echiniden der vicentinischen und veronisischen Tertià- rehlagerungen, pag. 63, tav. IX, tìg. 4, 1878.

3 Bittner, Beitrdge zur Kenntniss altiertiàrer Echiniden faunen der Sudulpen, pag. 93, 1882.

86

G. CHEGCII I A-K1SPOLI

Però fu solo nel 1885 che il Cotteau illustrò lo Sch. vici- nalis di Biarritz de V Ecole des Mines: ora secondo noi, è di questa illustrazione che dobbiamo tener conto, perchè è la prima che ci rappresenti il vero Sch. vicinalis Agassiz. Come abbiamo detto le ligure del Barnes e del Bittner non corrispondono af¬ fatto a quelle del Cotteau, che illustrano esemplari dello Sch. vi¬ cinalis di Biarritz e dell’Algeria '.

Anche l’esemplare figurato recentemente dal Dainelli è dif¬ ferente da quelli figurati dal Cotteau \

I caratteri distintivi di Sch. vicinalis, come è stato descritto e figurato dal Cotteau, sono l’apice molto eccentrico indietro, il solco impari larghissimo ed intaccante profondamente il con¬ torno, le aree pari anteriori molto divergenti, le posteriori cor¬ tissime ed avvicinate, la carena poco pronunciata. Ora se dob¬ biamo stare a questi caratteri, noi non crediamo che a Sch. vi¬ cinalis si possano rapportare gli esemplari descritti sotto questo nome dal Barnes, Bittner, e da altri. Questi ultimi esemplari si avvicinano invece molto di più al nostro Schizaster Di- Ste¬ fano i del Gargano.

Hemiaster (Trachyaster) Pillai Checchia-Rispoli. (Tav. I, fig. 4, 4 a).

Dimensioni :

Biametro antero-posteriore . inni. 55

» trasversale . » 52

Altezza . » 48

Echinide di grandi dimensioni, dal guscio globuloso, un po’ più lungo che largo, ristretto ed intaccato avanti, troncato ver¬ ticalmente indietro.

Faccia superiore alta, gonfia, carenata posteriormente, con la maggiore larghezza in corrispondenza della sommità ambu- lacrale e dai fianchi rapidamente declivi.

1 Cotteau, Écliinides éocènes, P. I, pag. 328, tav. 98 e 99, 1885-1889.

2 Dainelli, L'Eocene Friulano, tav. XLVI, fig. 11, 12, 13.

ECHI NI DI EOCENICI DEL MONTE GARGANO

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Faccia posteriore elevata, troncata. Faccia interiore unifor¬ memente convessa, più gonfia nell’area interambulacrale impari e un po’ depressa avanti al peristoma.

Apice subcentrale.

Solco profondo, non carenato, intaccante il contorno ante¬ riore e prolungantesi distinto, ma attenuato, sino al peristoma.

Solchi ambulacrali pari scavati, lunghi, larghi, arrotondati verso l’estremità; gli anteriori molto divergenti e più estesi dei posteriori, che sono molto avvicinati.

Zone porifere assai larghe, situate sui fianchi dei solchi, verso le estremità esse non vanno a congiungersi compieta- mente. 1 pori sono coniugati e disuguali, essendo gli interni ovali e gli esterni più allungati. Ogni paio è separato dall’altro da una piccola costola trasversa e granulosa.

Negli ambulacri anteriori ogni zona è composta di 36 paia di pori ben visibili, oltre a quelli microscopici presso l’apice; nei posteriori di 29.

Zona interporifera liscia, più larga di una porifera.

Peristoma spostato avanti, ma relativamente un po’ lontano dal margine anteriore, di forma semilunare, munito di un labbro sporgente.

Periprocto ovale, longitudinale, piuttosto piccolo, situato in alto della faccia posteriore, su di una depressione che scava il contorno posteriore, ove si osservano due o tre protuberanze.

Fasciola peripetala angolosa, un po’ flessuosa, presentante qua e delle strozzature.

Tubercoli finamente crenulati, perforati, scrobicolati, abbon¬ danti, ineguali, molto piccoli ed avvicinati sulla faccia superiore, più grossi ed allontanati nella regione infrarnarginale e sulla faccia inferiore.

Per quanto la superficie del guscio sia ben conservata, noi non siamo riusciti a scorgere affatto le tracce di qualche altra fasciola; perciò l’esemplare studiato non può essere un Peri- cosmus , che oltre ad avere il periprocto trasverso o rotondo, ha anche una fasciola marginale, una Lintliia, per quanto ne abbia l’aspetto, per l’assenza della fascia latero-su banale.

Fsso pare piuttosto un Trachyaster, che è al più un sotto-

\

genere di Hemiaster. E vero clic i Trachyaster hanno i petali

88

Gr. CHECCHIA-RISPOLI

molto ineguali, corti e flessuosi, ma il Cotteau ha riunito ai Trachyaster le forme eoceniche ad ambulacri pari lunghi, di¬ ritti, poco ineguali. Il Tfrach. Heberti Cotteau dell’Eocene me¬ dio è quello che più s’avvicina all’esemplare dell’Eocene del Gargano ', ma questo ha una forma più globulosa e più alta, gli ambulacri più scavati, più lunghi, e un po’ meno divergenti; per altro tutti e due hanno la stessa fasciola, il peristoma egual¬ mente distante dal margine anteriore e la stessa forma e di¬ mensione del periprocto.

Linthia infinta (Desor) Cotteau (Tav. I, fig. 3, 3 «).

1847. Hemiaster inflatus Desov in Agassiz et Desor, Catalogne raisonné des écliinides, ecc., pag. 124.

1885-1889. Linthia infinta (Desor) Cotteau, Écliinides éocènes, t. I, pag. 214, tav. (il e tav. 62, fig. 1 e 2.

Echinide di grandi dimensioni, dal guscio a contorno cir¬ colare, arrotondato ed intaccato anteriormente, un po’ ristretto posteriormente.

Faccia superiore uniformemente gonfia, leggermente care¬ nata indietro. Faccia inferiore quasi piana, appena depressa attorno al peristoma e debolmente gonfia nell’interambulacro impari.

Solco impari poco largo, poco profondo, che intacca larga¬ mente il margine anteriore e si prolunga distinto sino al peri - stoma.

Area ambulacrale impari formata di piccoli pori, situati molto vicini gli uni agli altri, separati da una piccola sporgenza, di¬ sposti a paia obliqui, avvicinati presso l’apice e sempre più di- stanziantisi fra di loro a misura che si avvicinano alla fascia peripetala.

Aree ambulatali pari diritte, lunghe, lineari, assai strette, mediocremente scavate, appena aperte alle loro estremità; le anteriori molto divergenti, quasi trasverse, le posteriori più avvi¬ cinate e sensibilmente più corte.

1 Cotteau, Écliinides éocènes. t. I, pag. 402, tav. 113 e tav. 114, fig. 1, 1885-1889.

ECHINI DI EOCENICI DEL MONTE GARGANO

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Zone porifere relativamente poco sviluppate, eguali, formate di pori delle stesse dimensioni coniugati per mezzo di un solco, disposti a paia obliqui, separati da una piccola costa granulosa, in numero di 29 negli ambulacri anteriori e di 25 nei posteriori.

Zona interporifera ben distinta e larga circa quanto una zona porifera.

Aree interambulacrali sporgenti presso l’apice.

Apparecchio apicale munito di 4 pori genitali, rotondi ; gli anteriori sono più piccoli ed avvicinati di quelli posteriori.

Peristoma eccentrico avanti, molto avvicinato al margine anteriore, stretto, semicircolare, labiato.

Periprocto mal conservato.

Fascia peripetala assai larga, angolosa, avanzantesi nelle aree interambulacrali. Fascia latero-subanale distaccantesi da quella peripetala a poca distanza dai solchi ambulacrali ante¬ riori e discendente obliquamente da ogni lato, per passare sotto al periprocto.

Tubercoli piccoli, crenulati, perforati, finamente raammello- nati, avvicinati ed omogenei su tutta la faccia superiore; un po’ più grossi lungo il solco anteriore e sulla faccia inferiore. Sul plastron sono seriati.

Nonostante la deformazione subita dall’esemplare figurato, noi abbiamo potuto riconoscere in esso tutti i caratteri che con¬ traddistinguono la L. infletta; un altro esemplare della stessa località, pur essendo eroso sulla superficie, mostra meglio la forma del guscio, che è quella di L. infiala. Questa specie è molto vicina a L. subglobosa (Lamarck) Desor, tanto che a questa noi dapprima abbiamo creduto di riferire gli esemplari garganici. Da un più attento esame si scorge che la L. infinta, oltre che per la forma, si distingue dalla L. subglobosa per l’apice am¬ ba lacrale più spostato avanti, pel solco anteriore più svasato verso l’ambito, per gli ambulacri pari situati in escavazioni più strette e meno profonde, per i pori rotondi, per la maggiore distanza, che è quasi doppia, che esiste tra un paio e l’altro, per le zone interporifere più strette, per il peristoma meno lon¬ tano dal margine anteriore, ecc. Ora tutte queste particolarità s’incontrano anche nel l’esemplare da noi descritto, per cui cre¬ diamo di riferirlo a L. infiala.

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G. CHECCHI A-RJSP0L1

Brissopsis (Kleinia) sypontinus Checcbia-Rispoli.

(Tav. I, fig. 2 a-b).

1902. Brissopsis sypontinus Checchia-Rispoli, Gli Ecldnidi eocenici del AI. Gargano, pag. 21, tav. Ili, tig. 6-8.

Dimensioni :

Diametro antero-posteriore . mm. 52

» trasversale . » 42

Altezza . » 19

Echinide di grandissime dimensioni, dal guscio oblungo, ar¬ rotondato avanti, ristretto e subtroncato indietro, con la mag¬ giore larghezza verso la metà della lunghezza.

Faccia superiore leggermente declive avanti e con la più grande altezza in corrispondenza dell’interambulacro posteriore.

Faccia inferiore piana, depressa attorno al peristoma ed un po’ sporgente nell’area interambulacrale impari.

Sommità ambulacrale alquanto spostata avanti. Solco im¬ pari stretto, intaccante leggermente il margine anteriore. Area ambulacrale composta di pori piccoli, semplici, disposti a paia obliqui, separati da un granulo arrotondato, sporgente : essi sono più avvicinati verso l’apice e si vanno distanziando man mano che si approssimano al contorno anteriore. Zona interporifera larga e finamente granulosa.

Solchi pari petaloidi, poco scavati, ineguali. Gli anteriori sono divergenti, arcuati e slargautisi a forma di foglia, chiusi all’estremità. I posteriori sono un po’ più lunghi, situati in una depressione, talmente avvicinati che si confondono in tutta la loro lunghezza, eccetto solamente all’estremità, ove sono liberi e rivolti in fuori.

Zone porifere assai larghe, formate di pori stretti, allungati, uniti da un solco poco evidente: ogni paio è separato dall’altro da spazi larghi e poco sporgenti.

Le zone interne dei solchi anteriori sono presso l’apice atrofizzate, le esterne risultano formate di 19 paia di pori. Le interne degli ambulacri posteriori per i due terzi della loro

ECHINI DI EOCENICI DEL MONTE GARGANO

91

lunghezza sono atrofizzate e solo verso le estremità libere mo¬ strano una serie di 8 paia di pori ; la serie esterna è invece di 22 paia. Le serie esterne dei solchi si arrivano quasi a toc¬ care e formano un arco di cerchio.

Zone interporifere poco sviluppate e larghe poco più della metà delle porifere.

Apparecchio apicale munito di quattro pori genitali subovali, gli anteriori più piccoli e più avvicinati dei posteriori. La placca madreporica assume un forte sviluppo, attraversa tutto l’appa¬ recchio e si spinge molto posteriormente.

Peristoma poco eccentrico avanti, grande, semilunare, prov¬ visto di un labbro sporgente ed appuntito.

Periprocto mal conservato.

Fascia peripetala stretta, ma ben visibile, poco sinuosa, e avvicinantesi molto agli ambulacri : anteriormente essa segue per un lungo tratto i margini del solco ambulacrale impari, at¬ traversandolo molto vicino all’ambito anteriore. Fascia sub anale poco distinta.

Tubercoli fini, avvicinati, omogenei su tutta la faccia supe¬ riore, meno sulle pareti del solco impari, ove sono più forti ; verso il contorno accennano a diventare più grossi ed aumen¬ tano considerevolmente di dimensioni nella faccia inferiore, ove sono anche più regolarmente disposti: quivi le aree ambulacrali, molto larghe, sono prive di tubercoli e solamente se ne osserva qualcuno piuttosto grosso nelle anteriori. La superficie delle aree è ricoperta di tini miliari.

Sin dal 1902 abbiamo fatto conoscere questa specie di Bris- sopsis ; avendone ora raccolto un altro di dimensioni circa il doppio e meglio conservato, così abbiamo creduto utile tornarlo a descrivere e a figurare.

Questo Brissopsis per gli ambulacri posteriori non solo si¬ tuati in una comune depressione, ma in parte confusi con le zone porifere per lungo tratto atrofizzate, appartiene al sotto- genere Kleinia Gray. La Kleinia lonigensis Dames ( Metalia ) del¬ l’Eocene del Vicentino differisce certamente dalla nostra specie per i suoi ambulacri anteriori più divergenti, per i posteriori più arcuati e per la fasciola che circoscrive molto più da vi¬ cino i petali.

92

G. CHECCHI A-RJSPOLI

Guaiti eria sp. ind.

(Tav. I, fig. 1). Dimensioni:

Diametro antero-posteriore . mm. 32

» trasversale . » 25

Altezza . » 13

Specie di medie dimensioni, dal guscio ovoide, stretto, allun¬ gato, arrotondato ed intaccato avanti, un po’ più stretto e tron¬ cato indietro, con la maggiore larghezza verso la metà della lunghezza.

Faccia superiore uniformemente gonfia, e della stessa altezza ovunque. Faccia inferiore quasi piana, un po’ rilevata nell’inte- rambulacro impari. Faccia posteriore troncata verticalmente.

Solco anteriore, nullo al principio, è in seguito indicato da una depressione larga, abbastanza pronunciata verso l’ambito, che passa anche sulla faccia inferiore e svanisce prima di arri¬ vare al peristoma.

Sommità ambulatale eccentrica avanti.

Aree ambulatali pari visibili solo in parte, essendo il guscio rotto proprio verso l’apice. Tuttavia si osserva che esse sono del tutto superficiali : le anteriori sono molto divergenti, poco flessuose e triangolari; le posteriori più diritte ed avvicinate tra di loro.

I pori sono piccoli, disposti a paia distanziantisi man mano che si allontanano dall’apice.

La fascia interna, visibile solo in parte, è larga; essa di¬ vide in due parti gli ambulacri: quella situata dentro Infascia, che è più lunga, è formata di pori avvicinati, che si aprono in solchi allungati; la seconda parte è molto più corta e presenta i pori spaziati e situati in fondo a cavità ovalari.

Intorno al peristoma i pori si aprono in mezzo a grosse pro¬ tuberanze, sporgenti, ineguali, irregolari, le quali si prolungano nelle aree ambulacrali, specialmente in quelle posteriori.

ECHINIDI EOCENICI DEE MONTE GARGANO

93

Peristoma subcentrale, leggermente spostato avanti, subcir¬ colare, col labbro sporgente.

Periprocto mal conservato, aprentesi alla sommità della fac¬ cia posteriore.

Nonostante la cattiva conservazione dell’esemplare raccolto, tale da non permettere un sicuro riferimento specifico, ho vo¬ luto illustrarlo, a motivo della grande rarità degli echinidi appar¬ tenenti al gen. Gualtieria, noto ora per la prima volta in tutto l’Eocene dell’Italia meridionale.

Roma, R. Ufficio Geologico, maggio 1916.

[ms. pres. 8 maggio - ult. bozze 6 sett. 1916J.

94

G. CHECCHIA-RISPOLI

SPIEGAZIONE DELLA TAV. I. *

Fig. 1. Gualtieria sp. incl., grand, nat.

» 2. Brissopsis (Kleinia) sypontinus Ch.-Iiisp., grand, nat., visto su¬

periormente.

» 2 a. •» » » visto inferiormente.

» 2 b. ■» » » apparecchio apicale molto in¬

grandito.

» 3. Linthia infinta (Desor) Cott., grand, nat., visto superiormente.

» 3 a. » » » » » » inferiormente.

» 4. Hemiaster ( Trachyaster ) Pillai Ch.-Risp., grand, nat., visto su¬

periormente.

»

4 ce. »

»

» profilo antero-posteriore.

»

5. Schifa, ster Di-Stefanoi

Ch.-Risp.. grand, nat., visto superiormente.

»

6.

»

» »

»

7.

»

» »

»

8. »

»

» »

»

8 ce. »

»

» inferiormente.

»

8 h. »

»

» di profilo.

»

8 c. »

»

» posteriormente.

»

8 cl. »

»

apparecchio apicale molto ingrandito.

* Gli Echinidi dell’Eocene del M. Gargano illustrati nella presente e nelle altre due mie Note citate si conservano nelle Collezioni paleonto¬ logiche del R. Ufficio Geologico.

GESSO DI SAEDIGLIANO (TOETONA)

Nota del socio Luigi Colomba (Tav. II)

I.

Sebbene la estesissima zona gesso-sol fi fera mio-pliocenica che, attraverso a tutta l’Italia peninsulare, giunge fino alla Si¬ cilia, presenti pure nelle regioni settentrionali della penisola numerose lenti di gesso, queste generalmente non hanno dal lato strettamente mineralogico una grande importanza per il fatto che, pur non mancando in esse i cristalli di gesso, questi mantengono quasi costantemente quei caratteri di forma che più comunemente si osservano in detta specie minerale.

Una fra le poche lenti che a questo riguardo si scostano dalle altre, è quella che, su uno sviluppo in lunghezza di al¬ cune centinaia di metri, affiora nei dintorni di Sardigliano, presso Tortona ; essa è racchiusa fra le sottogiacenti marne sabbiose del Tortoniano, sulle quali appunto è costrutto il paese di Sar¬ digliano e gli strati sabbiosi, ghiaiosi e ciottolosi del Messi- niano, facendo lateralmente passaggio a strati irregolari di calcare.

Nell’interno della lente il gesso si presenta con i soliti ca¬ ratteri propri i di dette lenti; nella zona di contatto di essa con i calcari avvolgenti, questi, sebbene su uno sviluppo molto limi¬ tato, contengono abbondanti cristalli di gesso il cui abito è in molti casi degno di nota.

Questi cristalli hanno generalmente dimensioni piuttosto pic¬ cole, raggiungendo essi al massimo una lunghezza di qualche centimetro; nella maggior parte dei casi però tale lunghezza si mantiene di poco superiore al centimetro, essendone anche in¬ feriore.

96

L. COLOMBA

Essi sono quasi seni [tre isolati, essendo raro il caso che costituiscano degli aggruppamenti : in ogni caso però essi appa¬ riscono sempre completamente delimitati, per quanto talvolta presentino delle irregolarità di sviluppo dovute a compenetrazioni di argilla sotto forma di esili strati.

Come avviene molto frequentemente nel gesso, i cristalli da me esaminati erano pochissimo o punto adatti a misure gonio- metriche; per il che mi sono limitato semplicemente a quelle misure strettamente necessarie per determinare le forme in essi presenti, riferibili ai simboli molto comuni

l (111) , n (111) , m (110)

oltre alla ò (010) come forma di sfaldatura.

A queste si aggiungono in alcuni rari cristalli altre forme le quali sono però del tutto indeterminabili; una di queste sembrerebbe costituita da un prisma verticale intermedio fra i simboli a (210) e <1 (540); esaminando però attentamente le sue facce che, come si vede nell’esemplare rappresentato nella fig. 3n, sono tutte striate verticalmente, essendo talvolta anche profon¬ damente rugose, si giunge alla conclusione che esse sono più che altro da considerarsi come facce composte derivanti da lina successione di facce molto strette ed anche lineari riferibili al simbolo (110), le quali vadano gradatamente decrescendo late ralmente in modo da dar luogo all’apparente comparsa di un prisma verticale molto più schiacciato.

Mentre la l (111) e la n (111) sono sempre presenti, la m (110) può invece mancare; quando è presente assume sviluppi molto differenti, risultando per conseguenza che i cristalli, a seconda dei casi, assumono un abito o schiettamente ottaedrico oppure più o meno marcatamente prismatico.

Tolte poche eccezioni, i cristalli sono geminati secondo la nota legge in cui è asse di geminazione la normale alla a (100).

I pochi cristalli semplici che ho avuto modo di esaminare, hanno un prevalente abito ottaedrico derivante dal fatto che essi, nel maggior numero dei casi, corrispondono alla combina¬ zione l (111) . n (111), corrispondendo quindi nella loro forma

GESSO DI SARD1GLIANO

97

al cristallo maggiore del gruppo riprodotto nella fig. la; quando alle predette forme si aggiunge la m(110), siccome essa appa¬ risce sempre sotto forma di facce molto strette, non influisce sensibilmente sull’abito complessivo dei cristalli.

Solo raramente questi cristalli semplici si presentano in forme prismatiche molto schiacciate ed allungate parallelamente agli

spigoli (111) . (Ili), in conseguenza dello sviluppo molto grande che in essi assumono, come si vede nell’esemplare riprodotto nella fig. 7a, le facce della /(111) in confronto di quelle della

(Ili) e della m (110) quando è presente.

II.

I cristalli geminati hanno i due tipi nettamente distinti; quelli appartenenti al primo mantengono ancora totalmente od in gran parte la forma ottaedrica; in quelli, invece, apparte¬ nenti al secondo, tale forma diviene nettamente prismatica in causa del grande sviluppo che in essi assume la m (HO).

Nei gruppi ad abito ottaedrico si osservano geminati di contatto e di penetrazione; questi ultimi, a seconda dei casi, sono in tipi facilmente determinabili oppure in altri dotati di una maggiore complessità per modo che talvolta riesce difficile la loro interpretazione.

I geminati di contatto sono generalmente costituiti, come si può vedere nell’esemplare riprodotto nella fig. la, da un individuo maggiore che porta aderente lungo uno degli spigoli della /(111) ed in parte incastrato nella propria massa un secondo individuo molto più piccolo ; l’unione fra i due individui, in causa specialmente delle loro differenti dimensioni e della loro reciproca grande aderenza, avviene in modo che il caratteristico incavo è quasi sempre ridotto ad un piccolo solco.

I due individui possono o no in detti gruppi corrispondere alla stessa combinazione: nel già citato esemplare della fig. la am¬ bedue corrispondono alla semplice combinazione /(111) , n (111). In altri gruppi dello stesso tipo invece l’individuo più piccolo

7

98

L. COLOMBA

assume una maggiore ricchezza di forme, comparendo anche le facce della m(110); queste però sono sempre dotate di uno svi¬ luppo molto piccolo, rimanendo per conseguenza sempre molto evidente il tipo ottaedrico.

Nei geminati di penetrazione a tipo ottaedrico, quando si tratta di gruppi facilmente determinabili, gli individui che li compongono, a differenza di quanto si è visto avvenire nei pre¬ cedenti, hanno generalmente sviluppi pressoché equivalenti, per modo che i gruppi stessi assumono un tipo molto regolare, come si vede in quello rapppesentato nella fìg. 2a, nel quale i due individui componenti, che si compenetrano vicendevolmente, cor¬ rispondono ancora alla combinazione l (11 1) . n (111) a cui si aggiunge parzialmente come forma di sfaldatura la ò(010).

Esaminando i gruppi più complessi si nota come essi, seb¬ bene a tutta prima sembrino doversi considerare quali trigemi¬ nati per contatto, in realtà siano formati da bigemini per com¬ penetrazione.

Anche in essi nei casi più semplici, gli individui che li costituiscono corrispondono alla semplice combinazione Z (111) ,

w(lll); si osserva in essi un individuo maggiore, il quale, invece di avere aderente lungo uno degli spigoli della Z(lll) un individuo più piccolo, ne presenta invece due che appari¬ scono su due spigoli opposti della detta forma, per cui vengono ad assumere Timo rispetto all’altro posizioni simmetriche secondo l’asse binario dell’individuo maggiore che funziona da sostegno, per modo che facendo ruotare l’intero gruppo intorno al detto asse binario i due individui minori vengono per una rotazione di 180° a sovrapporsi l’uno all’altro.

In altri casi gli individui minori presentano, analogamente a quanto si è visto prima, oltre alle precedenti forme anche la m(110), però sempre poco sviluppata.

Anche gli individui maggiori possono avere una maggiore ricchezza di forme ed anzi è appunto in alcuni di detti indi¬ vidui maggiori che ebbi occasione di constatare la presenza del dubbio prisma intermedio fra la a (210) e la (540).

Talvolta poi si nota che nel tratto in cui avviene l’inserzione degli individui minori, quello maggiore presenta un solco più

GESSO DI SARD1GLIANO

99

o meno profondo che si può facilmente constatare essere ancora formato dalle facce della ? (111).

Nella fii;;. 3a ho appunto rappresentato uno di questi gruppi più complessi ; in esso si ha un individuo maggiore il quale,

oltre alla £(111) ed alla n (1 1 1 ) possiede pure le facce del prisma verticale dubbio a cui ho prima accennato e le cui facce sono tutte striate verticalmente; sopra di esso sono impiantati

due individui minori della combinazione £(111) . n (1 11) . m (1 IO) i quali sono disposti in modo da essere aderenti all’individuo mag¬ giore mediante i due spigoli opposti (1 1 1).(1 1 1) e (lll).(l 11); di essi il primo apparisce in pieno nella figura, mentre il secondo comparisce in parte nella parte inferiore di essa.

Sotto ai detti individui minori vi ha un solco assai profondo, visibilissimo nella detta figura nella parte superiore del gruppo e le cui pareti, come si vede facilmente, sono ancora formate dalle facce della £(111).

Esaminando attentamente questi gruppi apparentemente tri- geminati per contatto, si giunge alla conclusione che essi deb¬ bono invece considerarsi più semplicemente come bigeminati per compenetrazione. Infatti se si provoca in essi la sfaldatura se- . condo le facce della 6(010), si può constatare, quando si giunge alle loro parti più interne, che i due individui minori non sono indipendenti, essendo invece collegati l’uno all’altro da lamelle che attraversano tutta la massa degli individui maggiori e che spiccano nettamente sulle superfici di sfaldatura cosi ottenute.

Questo speciale tipo di geminazione per compenetrazione spiega anzi perchè nei detti gruppi i due individui minori siano sempre disposti simmetricamente rispetto all’asse binario del gruppo; invero essi derivano semplicemente da gruppi bigemini nei quali uno dei due individui subì un accrescimento molto maggiore dell’altro, per modo che quest’ultimo venne ad essere avvolto dal primo, rimanendo solo più libere le sue parti ter¬ minali.

Si hanno anzi dei gruppi nei quali si può osservare questo avvolgimento nella sua prima fase: uno di essi è rappresentato nella fig. 4a. In detto esemplare si osservano due individui di dimensioni pressoché uguali, geminati per contatto e molto stret-

100

L. COLOMBA

tamente addossati l’uno all’altro; uno di essi però presenta nella sua parte inferiore un principio di accrescimento a conca che tende ad avvolgere la parte inferiore dell’altro individuo. Sup¬ ponendo che questo accrescimento vada continuando, i due cri¬ stalli verranno ad un certo punto a trovarsi compenetrati ana¬ logamente a quanto si è visto avvenire nei gruppi preceden¬ temente descritti.

III.

I gruppi geminati dotati di abito prismatico presentano pure caratteri molto varii. Sebbene scarsamente, se ne hanno di quelli che costituiscono dei veri geminati di contatto ; questi però solo molto raramente mostrano negli individui componenti quella regolarità di sviluppo e quella disposizione reciproca che por¬ tano alle forme lanceolari così caratteristiche per il gesso anche quando si tratta di germinati secondo la normale alla a (100) e che dipendono, oltre che dalla uguaglianza di sviluppo dei due individui, anche dall’ampiezza che in essi presenta l’incavo compreso fra i detti individui.

I nvece nella massima parte dei gruppi di tale tipo che ebbi occasione di esaminare, analogamente a quanto avviene in quelli dello stesso tipo ma ad abito ottaedrico, mentre per un lato i due individui presentano quasi sempre dimensioni differenti, per altro lato appariscono così addossati Timo all’altro che il solco compreso fra di essi tende a scomparire.

Quest’ultimo fatto si avvera anche, tolte poche eccezioni, in quei gruppi nei quali i due individui hanno sviluppi equiva¬ lenti o quasi.

La differenza di sviluppo degli individui componenti porta poi alla comparsa di tipi speciali di geminati che presentano caratteri misti, potendo contemporaneamente essere considerati come di contatto o di penetrazione.

Nelle figure 5a e 6a ho riprodotto due di tali gruppi misti. Nel primo di essi si nota che nella sua parte superiore i due individui che lo costituiscono sono disposti in modo che da un lato assumono nettamente il carattere di geminati per contatto; dall’altro lato invece, in causa della differenza di dimensioni

Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXXV (1916)

(Colomba L.) Tav. II.

r> g . /

GESSO DI SARDIGLIANO

101

dei due individui, quello maggiore si protende in modo da av¬ volgere parzialmente quello minore ; però, fatto costante in tutti questi gruppi, l’accrescimento laterale del detto individuo mag¬ giore rimane limitato in modo che la faccia della m(110), che lo delimita da quella parte, viene a coincidere con la corrispon¬ dente faccia della stessa forma che delimita l’individuo ma non dalla stessa parte.

Nell’esemplare della fig. 6a avviene lo stesso fatto; in esso però l’accrescimento dell’individuo maggiore avviene in modo da avvolgere da ambo i lati quello minore.

Se invece si considerano i due detti gruppi nelle loro parti inferiori, come risulta dalle dette figure, apparisce evidente il loro carattere di geminati per penetrazione; anzi nell’esemplare della fig. 6a l’individuo minore viene in detta parte ad essere completamente avvolto da quello maggiore, ricomparendo solo e con dimensioni molto ridotte, all’estremità inferiore del gruppo.

Anche in questi gruppi ad abito prismatico si giunge alla conclusione, dedotta dall’esame dei numerosi cristalli di cui disponevo, che il tipo iniziale deve considerarsi come rappre¬ sentato da quelli semplicemente geminati per contatto, dipen¬ dendo la comparsa dei tipi più complessi, aventi caratteri misti, da ineguaglianze di accrescimento negli individui die li costi¬ tuiscono.

Istituto di Mineralogia della II. Università di Modena.

[ms. pres. 6 luglio - ult. bozze 11 sett. 1916].

OSSERVAZIONI

SULLE SALSE DETTE « BOLLE DELLA MALVIZZA » NEL TERRITORIO DI MONTECALVO IRPINO CIRCONDARIO DI ARIANO DI PUGLIA

Nota del socio dott. Francesco Bongo (Tav. Ili)

Sull’altipiano della Regione Malvizza, all’estremo nord del territorio di Montecalvo Irpino, a km. 8 di distanza da questo paese in linea retta, km. 5 a sud di Castelfranco in Miscano, e km. 3 circa a sud-est di Ginestra degli Schiavoni, si trovano alcune salse, dette localmente Bolle della Malvizza. Esse, per quanto io sappia, sono state visitate da ben pochi naturalisti. In alcuni dei lavori più recenti sulle salse ne è dato appena il nome ; qualche scrittore, non avendo avuto occasione di poterle visitare direttamente, ne dette delle indicazioni inesatte, pre¬ stando fede alle erronee informazioni avutene. Per queste ragioni fui indotto a visitare per più anni successivi le bolle e render note agli studiosi le osservazioni da me fatte e quel poco che ne hanno scritto gli altri.

Il primo a farne menzione fu Tommaso Vitale '. Egli dice: « Due Mofete veggonsi nel territorio, lontane bensì dalla città (Ariano) miglia tre circa; una cioè dalla parte di oriente nella contrada, denominata S. Regina... L’altra Mofeta è situata a settentrione, lontana più di tre miglia da essa città 1 2, nella con¬ trada, chiamata la Malvizza. Ed essendo stata questa ricono-

1 Vitale T., Storia delia Regia città di Ariano e sua diocesi. Roma, 1794, pag. 44-45.

2 La Mofeta della Malvizza, situata a nord di Ariano, dista da esso km. 15 in linea retta.

BOLLE DELLA MALVIZZA

108

scinta per un semplice bollicamento dall’ Abate Fortìs, già noto per le sue letterarie produzioni, rimetto il Lettore a quel giu¬ dizio, che egli, come dotto Naturalista, ne darà, secondo ha pro¬ messo, scrivendo su tali materie ».

Per quanto risulta dalle mie indagini, posso asserire che finora a me non è riuscito trovare menzione delle dette salse in nessuna pubblicazione dell’Abate Fortis.

De Luca e Mastriani 1 erroneamente dicono : « Malvizza. Laghetto tra Montecalvo e Castelfranco, in Principato Ulteriore, che ha le acque acidule solfuree ».

Jervis 2 ripete presso a poco quello che ne dicono i prede¬ cessori : « Montecalvo Irpino (Principato Ulteriore). In questo comune, al confine con quello di Castelfranco in Miscano, e pre¬ cisamente nella contrada Mal vizzi di sopra, distante dal paese km. 9 procedendo verso greco e 4 a siuistra del fiume Miscano, evvi una scaturigine abbondante di acqua sulfurea, detta nel paese l’Acqua Bolle ».

L’unico che ne parli un po’ più a lungo e che avrò occa¬ sione di citare nel corso di questa mia nota è il Salmojraghi 3. 11 Deecke 4, il Fischer 5 l’accennano semplicemente, il Biasutti 6 ripete le osservazioni fatte dal Salmojraghi. Le bolle sono segna¬ late nella cartina annessa alla Corografia d’Italia del Fischer 7 : « Carta schematica della distribuzione dei vulcani , delle rocce erut-

1 De Luca cav. Don Ferdinando e Mastriani Don Raffaele, Dizionario corografico del reame di Napoli. Milano, 1852. pag. 540.

2 Jervis GL, Giuda alle acque minerali d'Italia, Province meridionali. Torino, 1876, pag. 152.

3 Salmojraghi F., Alcuni appunti geologici sull’ Appennino fra Napoli e Foggia. (Boll. R. Coni. Geol. d’Italia, voi. XII), 1881, pag. 108-109.

4 Deecke W., Ueber die sicilianischen Schlammvulkane , « Globus >, voi. LXXI, Braunschweig, 1897, pag. 70.

5 Fischer prof. T., La penisola italiana. Saggio di corografia scien¬ tifica. Prima traduzione italiana sopra un testo interamente rifuso e am¬ pliato dall’autore, arricchita di note ed aggiunte a cura dell’ing. V. No¬ varese, dott. F. M. Pasanisi e prof. F. Rogigo. Torino, 1902, pag. 75.

G Biasutti R., Materiale per lo studio delle salse. I. Le salse dell’ Ap¬ pennino settentrionale (Memorie geografiche). Firenze, 1907, n. 2, pag. 160, 200, 208, 240.

7 Fischer T., op. cit.

104

F. BONGO

tive recenti e dei vulcani di fango in Italia alla scala di 1 : 4.000.000 ».

Il Sai moj ragli i 1 dice: « La valletta di un torrentello si allarga ivi 2 in una depressione profonda circa dieci metri sotto la cam¬ pagna circostante. Nel mezzo di tale depressione sopra un’area di non oltre 2000 m. q. sono sparse delle fosse circolari d’acqua salata a guisa di piccoli crateri del diametro da 0,05 a 2 m., dai quali spicciano ad intervalli variabili bolle di idrogeno e fango ».

Detta depressione circoide trovasi alla quota di 520 metri circa, alla Lat. 41° 15' 25” N. ed alla Long. 36' 20” E. Roma.

Per recarvisi direttamente da Ariano di Puglia, si deve per¬ correre sulla via rotabile circa km. 25. Si prende dapprima la strada Nazionale che mena a Foggia; giunto a Pontegonnella presso la stazione di Savignano si svolta a sinistra, percorrendo la strada rotabile che mena a Castelfranco in Miscano; arrivato presso il ponte Bagnature sul fiume Miscano di devia a sini¬ stra seguendo il tratture che va dalla Taverna tre Fontane alla Regione Malvizza.

L’osservatore si accorge della presenza delle bolle solamente quando vi è proprio vicino. Chi poi desidera partire da Castel¬ franco in Miscano deve percorrere il tratture che mette in co¬ municazione Castelfranco con la stazione ferroviaria di Monte¬ calvo Irpino. Le bolle si trovano presso l’intersezione di que¬ st’ultimo tratture con quello che va dalla Taverna tre Fontane alla Regione Malvizza.

Le salse si aprono nelle argille scagliose, rimestate, alternate coi calcari a fucoidi e brecciole nummulitiche.

Dette argille sono per lo più di colore azzurro-oscuro, ma mostrano qua e delle chiazze verdastre, azzurre e rossiccie.

Secondo il Salmojraghi il sottosuolo della Regione Malvizza non consta di argille scagliose rimestate, ma a quanto pare dalle cave apertevi in vicinanza, risulta di argille scagliose regolar-

1 Salmojraghi F., Op. cit ., pag. 108.

2 Sull’altipiano della Regione Mal vizza.

BOLLE DELLA MALVIZZA

105

mente alternate eoi calcare a fucoidi e brecciole nummulitiche tuttora in stratificazione regolare. Questa varietà di argilla sca¬ gliosa fu incontrata alla bocca ovest della vicina Galleria Starza per quasi 400 metri di lunghezza \

Nella cartina geologica annessa ad un lavoro di Lanino Lu¬ ciano: « Cenni sulla costituzione geologica dei terreni adiacenti alla strada ferrata, Foggia-Napoli, nel tronco Bovino- Ponte (Atti della R. Accad. delle Se. di Torino, voi. V, 1869,70)», come pure nella carta geologica del Salmojraghi : « Linea Foggia- Napoli. Carta geografica e geologica per la sezione Benevento- Foggia. Scala 1 : 114.000 » annessa alla memoria tecnica di La¬ nino Giuseppe 1 2 sulle gallerie attraversanti l’Appennino meri¬ dionale, non sono segnalate le bolle, ma le argille dalle quali esse scaturiscono sono riferite all’Eocene.

Il Sacco nella Carta geologica, scala 1 : 500.000, annessa alla Memoria « V Appennino meridionale (Boll. Soc. Geol., voi. XXIX, 1910) » ascrive dette argille alla « formazione argillosehista con calcari ippuritici », formzione che secondo l’autore sarebbe rife¬ ribile in parte all’Eocene, in parte al Cretaceo.

Non molto lontano dalle bolle si osservano degli affioramenti di calcari nummulitici intercalati nelle argille scagliose. Le cave di S. Deuterio, costituite di calcare stratificato, nella costru¬ zione della linea Foggia-Napoli, somministrarono in meno di due anni 40 mila metri cubi di pietra 3.

Castelfranco *in Miscano e Ginestra degli Schiavoni poggiano su delle arenarie grossolane di varia struttura, anch’esse inter¬ calate nelle argille eoceniche.

Si può avere una chiara idea della natura dei terreni adia¬ centi alle bolle, dando uno sguardo alla cartina geologica an¬ nessa. Delineai detta cartina dietro esatte indicazioni gentil

1 Lanino G., Cenni sulle gallerie nella traversata deli’ Appennino nella linea Foggia- Napoli. (Giornale del Genio Civile, Roma, serie li, anno X, 1872, pag. 288).

2 Lanino G., Gallerie della traversata, ecc. (Giornale del Genio Ci¬ vile, Roma, serie II, anno X, 1872; XI, 1873, XII, 1874, serie III, anno I, 1875).

3 Lanino G., op. cit., 1875, p. 616.

106

F. BONGO

mente datemi dall’ing. Michele Cassetti, avendo egli eseguito parecchi anni or sono un rilevamento preliminare di quella Re¬ gione per conto del R. Ufficio geologico, rilevamento ancora da rivedere e quindi inedito.

Il bacino della salsa è privo di vegetazione: alla sua peri¬ feria cresce rigoglioso il giunco; i terreni circostanti sono sco¬ perti e coltivati a granaglie.

Nel fondo del bacino si osservano nove coni fangosi, molto depressi, con un lieve angolo di pendenza; due di essi, di mag¬ giori dimensioni, raggiungono un’altezza di circa m. 1,50 ed il diametro di una quindicina di metri.

Detti coni sono più o meno depressi, secondo il modo con cui varia la densità della fanghiglia emessa dalle salse. Alcuni di questi coni presentano alla sommità una o più bocche luti- vome principali, a forma d’imbuto; sul declivio di essi si osser¬ vano degli spiragli secondari, alcuni dei quali mostrano talora appena un abbozzo di margini rialzati. Due coni principali hanno alla loro cima gli orifìci chiusi, assumendo l’aspetto di un am¬ masso cupoliforme. Alcuni spiragli, privi dell’apparecchio lutì- vomo, assumono la forma di piccoli stagni o fossette di dimen¬ sioni che variano da m. 0,03 a m. 1,50. L’attività lutivoma varia nei diversi spiragli : alcuni di essi sono quasi del tutto inattivi; in altri invece la belletta,, per lo sprigionarsi dei gas, gorgoglia ad intervalli variabili come l’acqua che bolle, ragion per cui vengono dette bolle, e produce un suono speciale, si¬ mile a quello che si ottiene quando s’immerge completamente nell’acqua un recipiente vuoto, provvisto di piccola apertura, come una bottiglia comune.

Il Salmojraghi 1 dice: «Ho contato una ventina di crateri, dei quali sette principali; ma il loro numero, posizione e forma variano da una stagione all’altra ».

Essendomi io recato annualmente dal 1911 al 1915 a visitare le dette salse, per osservare i cambiamenti che vanno subendo, ho potuto costatare negli ultimi due anni un sensibile aumento dell’attività lutivoma.

1 Salmojraghi F., op. cit., pag. 109.

BOLLE DELLA MALVIZZA

107

Gli spiragli da me osservati il 18 agosto del 1911 erano in tutto 29 dei quali :

2 del diametro di m. 0,05

8 » » 0,15

8 » » 0,20

2 » » 0,30

2 » » 0,50

1 » » 0,80

3 » » 1,00

1 » » 1,10

2 » » 1,50

Il 18 settembre 1914 ne notai in tutto 37 dei quali:

7 del diametro di m. 0,03

15 » » 0,05

5 » » 0,10

3 » » 0,15

1 » » 1,20

G » » 0,30

2 » » 0,45

1 » » 0,55

1 » » 0,70

1 » » 0,80

4 » » 1,00

1 » » 1,50

Dalle osservazioni da me fatte posso dedurre che in questi ultimi tempi si è avuto un accrescimento nel numero delle bocche lutivome. bocche che in generale tendono a mutar luogo e a spostarsi sensibilmente a valle. Talora si hanno emissioni fan¬ gose che si aprono fuori del piano della salsa. Nel settembre 1914 ne notai due nel terreno coltivato a sud-est del bacino ed avevano le dimensioni di m. 0,05; il 3 settembre 1915 pree¬ sistevano ancora, quantunque il terreno circostante fosse colti¬ vato a fave. Alcuni spiragli alle volte si uniscono in numero di due o tre, finche ne formano uno solo; alcuni infine scom¬ paiono, mentre in pari tempo altri, poco lontani, crescono.

108

F. BONGO

La temperatura dell’acqua è variabile come quella dell’am¬ biente. 11 18 agosto del 1911 alle ore 7 ant. la temperatura dell’ambiente era 22°, quella dell’acqua 16°, 5; alle ore 12 1/2, essendo la temperatura dell’ambiente 27°, quella dell’acqua se¬ gnava 17°; il mezzo grado di aumento è dovuto evidentemente all’azione dei raggi solari. Il 18 settembre del 1914 osservai che alle ore 9 ant., mentre la temperatura dell’ambiente era 24°, quella di due bolle più attive era di 16°, e quella di altre meno attive era di 18°. Il 3 febbraio dello scorso anno alle ore 10 ant. la tem¬ peratura dell’ambiente era di 2°, mentre il termometro neH’acqua delle salse più attive raggiungeva 4°, e nell’acqua delle meno attive segnava una temperatura identica a quella dell’ambiente.

L’acqua ha forte reazione basica ; la carta rossa di torna¬ sole, immersa in essa, diventa subito azzurra. La carta all’aee- tato di piombo si mostra poco sensibile, quindi bisogna escludere quasi del tutto la presenza di idrogeno solforato.

Il Deecke 1 dice che il gas che ivi si sprigiona non brucia. Io potei invece constatare il contrario. Per accertarmene con¬ dussi l’esperienza nel seguente modo : Alla parte ristretta di un grosso imbuto adattai con un po’ d’argilla un tubo di gomma. Immersi l’imbuto nell’acqua di uno degli orifizi più attivi, e dopo aver fatto uscire l’aria che vi era racchiusa, accostai all’estre- mità del tubo un cerino acceso. Siccome il gas si sviluppa non in modo continuo, ma ad intervalli, così se lo lasciavo affluire liberamente dall’estremo del tubo, dava luogo a delle belle fiam¬ mate, e si spegneva ad intervalli irregolari; se invece lo la¬ sciavo affluire da una piccola apertura, rimaneva acceso per un periodo di tempo molto più lungo.

10 credo che il gas di queste salse abbia la stessa origine di quello che si sviluppò nello scavo della galleria Starza e della Cristina nella costruzione della linea ferroviaria Foggia- Napoli, tanto più che quest’ultima galleria dista dalla nostra località km. 4 circa.

11 Salmojraghi 2 dice: «Nella perforazione della Galleria Starza, e più ancora in quella della Cristina, s’ebbero qua e

1 Deecke W., op. cit.

2 Salmojraghi F., op. cit., pag. 108.

BOLLE DELLA MALVIZZA

109

emanazioni d’idrogeno protocarbonato, l’accensione del quale costò la vita a parecchi minatori. Fu constatato che il gas si svilup¬ pava in galleria indipendentemente dalle roccie associate alle argille e dalle varietà di queste, ma solo contemporaneamente a sorgive d’acqua salata, e che cessava col rapido esaurirsi di queste sorgive, rivelando con ciò l’esistenza di tasche d’acqua salata e gas imprigionato nella massa.

Con questo sviluppo di gas potrebbe probabilmente aver relazione la piccola salsa delle Bolle che si trova presso Ca¬ stelfranco sull’altipiano della Regione Malvizzi, lo stesso alti¬ piano del quale colla galleria Cristina venne forato il protendi- mento verso sud ».

Anche il Lanino 1 dice che si ebbero a lamentare delle vit¬ time per lo sviluppo di gas infiammabili nella perforazione della Galleria della Cristina e della Starza.

Facendo gorgogliare il gas nell’acqua di calce, dall’intorbi¬ damento avvisai la presenza di anidride carbonica. L’acqua tra le tante sostanze che ricetta in sè, contiene disciolto cloruro di sodio che si palesa col suo sapore caratteristico e dalle efflo¬ rescenze che ricoprono la superficie della fanghiglia dissec¬ cata. L’acqua salata farebbe ritenere che ad una data profon¬ dità esista uno strato di cloruro sodico.

La belletta liquida per lo più si riversa dagli spiragli erut¬ tivi da una slabbratura del margine, e si avanza più o meno lentamente col variare della propria densità e del pendio del ter¬ reno sottostante, dando luogo a dei rigagnoletti, o a delle pie cole colate di fango, che si riversano poi in un canale emun- torio principale che attraversa il fondo del bacino. Nell’estate la melma si secca completamente, dando origine ad una super¬ ficie interrotta da piccole fratture, dovute alla contrazione del¬ l’argilla. Nell’inverno le acque continue e le pioggie torrenziali trasportano il materiale emesso dalle salse in un canale cb^_ sbocca nel fiume Miscano ad un livello inferiore alle bolle di circa metri 125.

Il 3 febbraio del 1915 mi recai alla Malvizza per osservare se il terremoto del 13 gennaio dello stesso anno, che arrecò tanto

1 Lanino G., op. cit. (Giornale del Genio Civile, serie III, anno I, 1875, pag. 237).

110

F. BONGO

grave danno alla Marsica, avesse esercitata alcuna influenza sul grado di attività delle salse. Le trovai un poco più attive, ma ciò non era dovuto al terremoto, data la grande distanza del suo epicentro dalla zona in discorso, ma alla maggiore preci¬ pitazione atmosferica. Nel terremoto del 1851 die distrusse Melfi si aprì un crepaccio presso le salse nella direzione verso Ca¬ stelfranco '. Occorrerebbero prolungate osservazioni per vedere che relazioni vi siano tra i fenomeni lutivomi delle salse ed i terremoti.

I pastori che abitano in quei dintorni mi dicevano che, per quanto essi sappiano, l’attività lutivoma si è mantenuta sempre quasi costante; alcuni asserivano che il mercoledì e venerdì le emissioni fangose sono più attive; ma mi sembra che questa asserzione, per quanto risulta dalle mie indagini, sia destituita di fondamento 2.

Mi auguro che questi miei brevi appunti valgano ad invo¬ gliare qualche studioso a continuare le osservazioni da me fatte, per illustrare ancora meglio queste salse, fin ora poco cono¬ sciute.

1 Salmojraghi F., op. cit ., pag. 109.

2 Secondo il volgo di quei luoghi le bolle hanno origine leggendaria che si connette a superstizioni locali. Nel luogo ove sono le bolle, dice la leggenda, vi era una taverna, posseduta da una famiglia perversa, rea di qualsiasi delitto. Quando i passeggeri si fermavano colà per ri¬ posarsi e rifocillarsi, il proprietario dava loro da mangiare carne umana, anzi qualche volta, aprendo una specie di baule, diceva loro: qui dentro vi è ogni varietà di cibo, scegliete; quando i poverini si abbassavano per vedere che cosa vi fosse, una mannaia troncava loro il capo. Ma Iddio oramai era stanco di tanta nequizia. Mentre il 15 agosto del¬ l’anno . . . ., festa dell’Assunzione di Maria Vergine, stavano a trebbiare su un’aia vicino, si aprì una voragine, dalla quale furono ingoiati la taverna, i suoi malvagi abitanti e perfino i buoi adibiti ai lavori cam¬ pestri e in luogo di quanto era scomparso sorsero i coni di fango. I con¬ tadini pretendono ravvisare nel cono maggiore il punto in cui si tro¬ vava il baule, in un altro vicino il luogo della cucina, ecc. ecc.

[ms. pres. 18 luglio - ult. bozze 11 sett. 1916 1.

Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXXV (1916)

(Bongo F.) Tav. III.

Scala 1:50,000

ROCCE ERUTTIVE E METAMORFICHE DEL NORD DELLA SARDEGNA (OZ1ERI-CASTELSARDO)

Memoria di Aurelio Serra (Tav. IV a X)

Il La Marmora, la cui opera segna un’epoca nella storia geologica della Sardegna ed in seguito gli illustri Quintino Sella e Carlo De Stefani si occuparono della costituzione geo¬ logica dell’isola. Precisamente secondo queste diligenti osserva¬ zioni si deve ritenere formata da un potente ammasso granitico che ne costituisce la parte occidentale e pur talora si riconosce in alcune plaghe orientali. Tennero dietro le formazioni del si¬ luriano, non vi appariscono le formazioni dal devonico al ter¬ mico poiché in allora si ebbe uno stato di emersione, solo suc¬ cessivamente si depose il giurassico ed il carbonico donde si emisero vaste colate vulcaniche ; quindi si verificò la deposizione dei sedimenti terziari ed in ultimo l’estravasione delle lave re¬ centi caratterizzate dalla sussistenza delle diverse fasi.

Scopo di questo capitolo di mineralogia applicata è quello di porre al lume della esperienza il materiale raccolto in co- desta zona nord-occidentale, che per quanto non molto estesa, tuttavia riesce interessante in vista delle molteplici formazioni che vi figurano e solo con un accurato lavoro di analisi ci si può permettere di giungere ad una rigorosa classificazione, a parti¬ colari deduzioni di indole genetica tanto più notevoli in quanto l’argomento tuttora rimane controverso e lungi dall’essere ri¬ soluto.

Rocce di Ozieri. La giacitura di codeste rocce venne seguita con grande zelo dagli ingegneri del R. Ufficio geologico, i quali accertarono la esistenza dei graniti, delle filladi, delle rocce vulcaniche.

112

A. SERRA

Le formazioni granitiche, che, come si è detto, hanno grande sviluppo nella Sardegna, come quelle analoghe del Gottardo, delle Alpi, della Toscana, del Gavorrano, d e\V isola del Giglio, vengono dal De Stefani 1 riferite al Laur enfiano. Si occuparono dei graniti della Sardegna il La Marmora 2 3, il Fouruet :t, il von Rath 4, il Lovisato5 *, il Fouqué e ed in ultimo il Riva 7 assai immaturamente rapito alla scienza. Non è mio intendimento di trattenermi sull’età di queste rocce attorno a cui vennero emesse varie ipotesi diffusamente discusse: ne do la descrizione petro- grafica poiché mancavano dati particolari. I graniti di 0 Sieri, secondo il Lovisato, si uniscono a quelli analoghi di Oschiri e Berchidda, formano il Limbara , ad oriente ed a mezzogiorno si collegano con quelli di Pattada, di Baddusò e di Pitti, co¬ stituendo così (La Marmora) l’ossatura dell’isola.

Macroscopicamente si distinguono per una grana piuttosto grossa: si rendono evidenti cristalli di ortose di color bianco, fram¬ menti e granuli di quarzo, piccole lamine di biotite. 11 Franchi 8 notò in questa formazione la presenza di scisti metamorfosati in roccie scistoso gneissiche biotitiche, fenomeni di contatto cui accenna anche il Riva 9.

L’aspetto delle sezioni al microscopio si rivela come un mo¬ saico, non avendosi alcuna regolare disposizione dei singoli cri¬ stalli componenti. Si riconosce come all 'ortose spesso si unisca V oligoclasio e talora il microclino in piccole lamine incrociantesi secondo la legge deWalbite e del periclino con àngoli di 90°, dando così luogo ad una particolare struttura a grata, caratte¬ ristica ed evidente a nicol incrociati. Come prodotto pneuma-

1 De Stefani C., Cenni preliminari sui terreni cristallini e paleozoici della Sardegna. Rend. Acc. Lincei, 1891.

2 La Marmora, Voyage en Sardaigne: Description géologique.

3 Fournet, Obs. géol. sur la Sardaigne. Lyon, 1856.

4 Von Rath, Due viaggi in Sardegna.

5 Lovisato, Cenni sul Gennargentu. Cagliari. 1900.

Fouqué, Bull. Soc. géol. frang., 1887.

7 Riva, Le rocce granitoidi e filoniane della Sardegna. Napoli, 1905.

8 Franchi, Appunti sulle ricognizioni geologiche eseguite nel nord della Sardegna. Boll. R. Comitato Geol. d’Italia, 1910.

9 Riva, loc. cit.

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

113

tolitico del feldspato deriva spesso il caolino ; in causa degli agenti atmosferici si riconosce lina sostanza argillosa amorfa. Il quarzo non mostra struttura cristallina alcuna, è evidente in granuli rotondi e ricurvi, traslucidi e trasparenti (lig. 1).

Si riconoscono bolle liquide e gassose che attestano il lento raffreddamento al quale andarono soggette rocce, i cui vapori non ebbero agio di eliminarsi dalla massa in fusione onde fu¬ rono obbligati ad addentrarsi in essa.

L’abito dei cristalli di ortose , abbastanza grandi (fìg. 2), è in prevalenza prismatico secondo (010), assai spesso si riscontrano geminati secondo le leggi di Carlsbad , di Manebach, di Bareno.

Pur si riconoscono geminazioni multiple date dall’associa¬ zione di più individui. In lamine di sfaldatura si ebbe

n— 1 ,54

dispersione degli assi p >u.

Voligoclasio solo raramente si ha in cristalli. Alcuni cri¬ stalli di microclino si mostrano attriti zzati più o meno sensi¬ bilmente e non è improbabile che la potassa eliminatasi abbia dato luogo alla formazione della muscovite che accessoriamente si riconosce.

La biotite è evidente in larghe lamine e si contradistingue per il suo spiccato pleocroismo dal giallo al bruno, spesso si ha alterata in clorito . Molto facilmente si ottengono lamine di sfaldatura secondo (001), queste al polariscopio danno una figura di interferenza che ne rende evidenti le iperboli molto ravvi¬ cinate. Colore degli assi

a = giallo-bruno b bruno C nero

Si rileva qualche cristallino di zircone, osservazione pur fatta dal Bacca 1 nei graniti di Arbus.

Valbitizzazione venne accertata trattando i singoli cristalli con acido fluoridrico: una goccia della soluzione, liberata per

1 Bucca, Memoria descrittiva del Comitato geologico d’Italia.

8

114

A. SERRA

evaporazione dell’HFl, oltre ai cristalli cubici di fluorisilicato di potassio, diede prismi esagoni di fluorisilicato di sodio.

Dalla mica vennero isolati alcuni aghetti di zircone lasciando digerire la lamina in acido cloridrico a 100° e trattando suc¬ cessivamente con HF1 diluito. Con lo stesso metodo fu possibile isolare qualche ago di rutilo. Si procedette alla distinzione del ferro ossidato dal ferro titanato trattando un’esile sezione con HC1; il primo venne attaccato, il secondo resistette; contempo¬ raneamente si potè accertare la presenza di traccie di C02 per una debole effervescenza ottenuta.

L’analisi chimica mi diede i seguenti risultati:

Si02

. 68,35

Ti02

0,55

A1203

. 21,09

Pe203

0,88

FeO

0,72

MnO

. non dosato

CaO

4,95

MgO

0,73

k2o

0,99

Na20

3,02

Perd.

per arr. . . .

1,00

PA

. non dosato

CuO

2,52

Zr

. traccie

V

. traccie

104,80

Peso specifico 2,685.

Come risulta dai dati ottenuti, questa roccia nei riguardi della composizione chimica riesce interessante per il suo elevato contenuto in rame e per la presenza del vanadio. L’esistenza di quest’ultimo elemento evidentemente è in relazione con i cri stalli di vanadinite riscontrati da Lovisato \ a Bena e Padru.

1 Lovisato, Vanadinite, minetite e stai zi te della miniera cuprifera Bena (d) e Padru Ozieri } Sassari ). Rend. Acc. Lincei.

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

115

In codesta miniera mi si offrì la opportunità di confermare le osservazioni del menzionato autore : in prevalenza vi si riscon¬ trano minerali cuprici a contatto fra i graniti e gli scisti e pur si estendono nella formazione scistosa , la crisocolla, l’ azzurrite, la malachite , la calcopirite , la bornite, la calcosina ed anche la galena ; ma quel che è più interessante rilevare è la pre¬ senza nel granito di minerali che presentano una certa rarità, quali la già accennata vanadinite, la descloizite, la stolzite. Nella vanadinite riscontrai 1 la seguente combinazione:

[0001] [1010] [1120] [2021] [1011] [1121].

La stolzite venne studiata dall’ Artini 2 che vi fece interes¬ santi osservazioni. Riscontrò le seguenti forme:

[001] [111] [113]* [115]* [117]* [119]*

[101] [233]* [344]*? [455]* [899]*?

(Quelle segnate con asterisco sono del tutto nuove).

Nella colonna I si è calcolata la quantità di Si02 corrispon¬ dente a quella trovata di TiO,, si è trascurato CuO, P205 e la perdita per arroventamene. Gli stessi valori nella II sono riferiti a 100:

i. il.

Si02 ....

68,76

. . . 68,00

AIA ....

21,09 .

. . . 20,85

Fe203 ....

0,88 .

. . . 0,87

FeO ....

0,72 .

. . . 0,71

CaO ....

4,95 .

. . . 4,89

MgO ....

0,73 .

. . . 0,72

K20 ....

0,99 .

. . . 0,98

Na20 ....

3,02 .

. . . 2,98

101,14

100,00

1 Serra, Studi intorno a minerali sardi : minetite del giacimento cu¬ prifero Bena (d) e Padru Ozieri. Rend. Acc. Lincei, 1909.

2 Artini, Sopra la stolzite di Berrà (d) e Padru (Ozieri). Rendiconti R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Milano, 1905.

1 16

A. SERRA

Nella III risultano i rapporti molecolari; nella IV le rispet¬ tive percentuali :

HI.

IV.

Si02 . .

. . 113,33 ....

74,72

A1203 . .

. . 20,44 ....

13,48

Pe203 . .

. . 0,54 ....

0,36

FeO . .

. . 0,99 ....

0,65

CaO . .

. . 8,73 ....

5,76

MgO . .

. . 1,80 ....

1,18

k20 . .

. . 1,04 ....

0,68

Na20 . .

. . 4,81 ....

3,17

151,68

400,00

Col metodo di Loewinson-Lessing 1 si ricava la seguente notazione :

a = 2,82 ; £ = 33,8

0,83 HO . R203 . 5,39 Si02 R20 : RO :: 1 : 1,97.

Questa roccia, per i caratteri mineralogici e chimici, risponde a quelle che lo Zirkel 2 classifica fra i graniti biotitici. Presen¬ terebbero una certa analogia con quelle studiate dal Riva 3 e classificate come granititi , nel senso di Rose, essenzialmente costituite da ortose , microclino ed oligodasio.

Riporto le analisi eseguite, per opportuno confronto :

1 Loewinson-Lessing, Studiai iiber die Emptergesteine, 1899.

2 Zirchel, Lehrbuch der Petrographie , Leipzig, 1894.

3 Loc. cit.

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

117

Granito di Exporladu

Granito di Arbotose

Granito di Tempio Pausania

Granito di Nuoro

Granito di Ingurtosa

Si02

61,19

69,94

71,88

66,35

72,30

Ti02

0,66

0,35

0,27

0,66

0,20

A1203

17,80

15,97

14,90

17,47

13,96

Fe203

0,87

0,47

0,60

0,33

0,30

FeO

4,25

1,93

1,30

3,23

1,70

MgO

3,71

1,15

0,93

1,03

0,60

CaO

0,58

3,43

2,34

4,18

2,13

Na20

2,73

2,82

3,20

3,80

3,00

K20

2,43

3,88

4,55

3,41

4,50

h2o

0,40

0,37

0,40

0,31

0,40

100,83

100,31

100,37

100,71

99,29

Maggiori differenziazioni presenta col granito della Corsica orientale studiato dal Termier e dal Deprat Espongo i risultati analitici:

Si02 .

77,50

Ti02 .

0,06

ai2o3 .

11,80

Fe203 .

0,41

FeO .

0,72

MgO .

0,65

CaO .

0,35

k20 .

4,18

Na20 .

3,10

Perdita al fuoco . . .

0,90

100,71

Questo è un granito molto alcalino con prevalenza di quarzo, scarso di biotite. Si distinguono due feldspati: microperthite

1 Termier et Deprat, Comptes rendila Ac. dea Sciences, 1908.

118

A. SERRA

e probabilmente Yalbite che presenta fenomeni eli caolinizza¬ zione simili a quelli da me riscontrati. La biotite spesso si pre¬ senta alterata. Si deve quindi ritenere in base al raffronto tatto che la facies dei graniti del sistema sardo-corso sia molto varia.

I caratteri chimici che presiedono alla costituzione della roccia in istudio sono messi bene in evidenza dal seguente dia¬ gramma costruito secondo le norme dettate da Brogger-Levy :

0,

7/^

'o0

Cd 0 0,D

0,1 Fea°3 /

\ McjO.01

0,1 k2o

_ _ 1 - '

[O3Na10

2.i A f2 03

Si 02 5.

Schisti. Il La Marmora riferisce la formazione schistosa della Sardegna al siluriano, riferimento pur confermato dal Franchi *J che la riscontrò compresa fra la massa granitica. Queste roccie costituiscono le movenze collinesche àe\Y Ozierese e pur si riconoscono entro la cittadina e su di esse codesto ridente soggiorno riposa. Nelle parti superficiali mostrano un carattere spiccatamente clastico e tendono ad assumere struttura sempre più cristallina a misura che si procede in strati pro¬ fondi. Il colore talora è grigio-azzurrognolo, talora rossiccio, talora verde, colore dovuto, a seconda dei casi, alla presenza di sostanze carboniose, ad alterazione di minerali ferriferi, ed alla formazione di minerali clor itici. Al microscopio si rivelano co¬ stituite da minuti frammenti di quarzo (fig. 3) che hanno spe¬ ciale rilievo nella massa fondamentale in prevalenza biotitica, molto spesso alterata in minerale cloritico ed allora impartisce un particolare colore verdastro alla roccia.

1 Franchi, loc. cit.

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

119

Sono pure evidenti Iantine di muscovite , la quale si mostra talvolta alterata, trasformata in prodotto squamoso, compatta, verdognola, di aspetto talcoso-ceroide.

Il feldspato pure si riconosce, ma sovente decomposto (fig. 4). Si rende evidente pure l’andalusite per il suo particolare pleo- croismo. Il distene si riconosce in chiazze chiare ed oscure, di frequente con inclusioni estranee, talora in combinazioni allun¬ gate secondo l’asse verticale.

L’analisi mi diede i seguenti risultati :

1 e

Ti02

jy, 1 1

1,45

ai2o3

.

30,06

FeA

6,19

MnO

non dosato

CaO

.....

2,87

MgO

tracce

k2o

.....

1,27

Na20

.

0,28

Perd.

per arr. . .

4,05

CuO

0,51

FA

.

0,75

107,14

}eso specifico 2,975.

tenendo conto, come nel

caso

precedente, di alcuni

da trascurarsi, si ottengono i

valori delle colonne

i.

li.

Si02 . .

. . 60,79

. . 59,91

AIA

. . 30,06

. . 29,62

FeA

. . 6,19

. . 6,11

CaO . .

. . 2,87

. . 2,83

K20 . .

. . 1,27

. . 1,25

Na20 . .

. . 0,28

. . 0,28

101,46

100,00

120

A. SERRA

Dagli esposti valori sono dedotti i rapporti molecolari :

in.

IV.

Si02 ....

99,85 ....

71,59

aia ....

28,98 ....

20,77

DA ....

3,82 ....

2,77

CaO ....

5,05 ....

3,62

k2o ....

1,33 ....

0,95

Na20 ....

0,45 ....

0,33

139,48

100,00

Secondo Loewinson-Lessing, si ricava la seguente notazione :

« = 1,09 ; ^ = 39,7

0,21 RO . R203 . 3,04 Si02 R20 : RO :: 1 : 2,8.

La composizione chimica risulta evidente dal seguente dia¬ gramma :

Seguendo lo Zirkel \ a questa roccia spetterebbe il posto fra gli scisti argillosi. I)i analoghe rocce della Sardegna non sono note che le analisi del Cossa e del Mattirolo 1 2 sugli scisti

1 Zirkel, loc. cit.

2 Memoria descrittiva della Carta geologica d’Italia.

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

121

flladici di Flaminimaggiori, i quali potrebbero paragonarsi a quelli che i petrografi tedeschi indicano Fleck-knoten-Frunch- schiefer, risultanti essenzialmente da macchie dovute ad agglo- meramenti di materiale ocraceo , da mica incolora, da mica bruna magnesiaca particolarmente pleocroica e probabilmente di minuti noduli di grafite. Secondo gli stessi autori codeste rocce potrebbero avere riscontro con gli schisti di Tiperdsdolf (Sassonia), in questi si avrebbe prevalenza di mica magnesiaca e minore sviluppo la mica verdastra. Riporto le analisi pel- opportuni raffronti :

Scisto di Narboi (Fiumi nimaggiori)

(Scisto di Bili, Arrus (Fluminimaggiori)

Si02

55,30

57,83

AL03

25,00

20,55

Fe203

5,33

8,73

CaO

tracce

tracce

MgO

tracce

tracce

k2o

3,32

Na20

6,93 (per diff.)

0,92

Percl. per arr.

3,97

100,00

98,71

Trachi -duciti. La formazione vulcanica, neirOzierese, si estende sopra gli scisti e ai graniti; spesso si mostra costi¬ tuita da un materiale tufaceo e come notò il Franchi 1 si rimane perplessi se piuttosto si debba considerare come trachite di na¬ tura diversa che subì uno stato di profonda alterazione. La roccia talora è incoerente, talora compatta e si rendono in essa evi¬ denti noduli di una roccia bruna, analoghi a quelli da noi riscontrati in simili rocce sarde. Ad occhio nudo già in essa si riconoscono cristalli di feldspato (fig. 5) e di meroxeno. Al

1 Franchi, loc. cit.

122

A. SERRA

microscopio si rivela una base vetrosa in cui spiccano gli in¬ terclusi feldspatici che nella zona perpendicolare a (010) si estinguono a 43°: se ne hanno di quelli con estinzioni inter¬ medie riferibili a termini labradorici e bitownitici. I geminati doppi danno questi valori :

i. il.

28 . 45

32 . 43

30 . 40

24 . 35

In lamine di sfaldatura, che si ottengono con grande facilità, si ebbe :

n =■ 1,56

Il meroxeno si palesa in larghe lamine psendoesagonali, spesso rotte e profondamente alterate ; questa alterazione luogo alla formazione di una sostanza ocracea che impartisce una colorazione rossastra alla roccia. Le lamine di sfaldatura al polariscopio ci diedero :

2 E =

Il meroxeno si riconosce anche in lamine allungate con di¬ stinto pleocroismo dal giallo al bruno (fig. 6). La magnetite vi appare titanifera. Si notano fenomeni di avanzata devitr ideazione, fenomeni già rilevati da Franchi. Le microliti di feldspato si rendono pure evidenti, quantunque in gran parte risultino ma¬ scherate dalla base vetrosa. Gf li elementi colorati scarseggiano. Gli interclusi di feldspato di solito non presentano alterazione alcuna nelle parti esterne, il nucleo interno però luogo ad alterazioni diverse rese evidenti dalla sua particolare struttura zonale concentrica, dovuta alla sua facile decomponibilità.

I cristalli di biotite, di solito, pure in causa di alterazioni perdono della loro lucentezza, si intorbidano, si deformano.

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

123

L’analisi chimica mi diede i seguenti risultati:

Si02

. . . 68,84

tìo2

. . . 0,36

CuO

. . . 4,50

AIA

. . . 13,83

Fe203

. . . 1,90

FeO

. . . 1,83

MnO

. . . 0,52

CaO

. . . 3,15

MgO

. . . tracce

k20

. . . 1,13

Na20

. . . 1,28

Perd.

per arr. .

. . . 7,53

PA

.

. . . tracce

104,87

Peso specifico 2,246.

Trascurando l’acqua, detraendo Cu e P205, calcolando .per la silice la quantità corrispondente al Ti02 trovato, i valori in¬ dicati assumono quelli della colonna I, che sono riferiti a 100 nella li :

i.

IL

Si02 ....

69,11 ....

74,51

AIA ....

13,83 ....

14,91

Fe2<\ ....

1,90 ....

2,05

FeÒ ....

2,35 ....

2,53

CaO ....

3,15 ....

3,00

K20 ....

1,13 ....

1,22

Na20 ....

1,28 ....

1,38

92,75

100,00

124

A. SERRA

oo

Nella III sono esposti i rapporti molecolari, ridotti a 100 nella IV:

III. IV.

Si02 .

. 124,18 .

. 81,06

A1203

. 14,62 .

. 9,54

FeA

1,28 .

. 0,84

FeO .

3,51 .

. 3,29

CaO

6,07 .

. 3,96

k20 .

1,30 .

. 0,85

Na20 .

2,23 .

. 0,46

153,19

100,00

Si desume dai suesposti valori la seguente formula:

a = 4,08 ; p = 23 0,82 RO . R203 . 7,8 Si,02 R20 : RO = 1 : 5,53.

Questa formula risponde a quella adottata dal Loewinson-Lessing per le trachi-daciti e i risultati si accor¬ dano con quelli da me ottenuti in roc- cie simili nei dintorni di Macomer 1 e di Bosa con le quali mostrano gli stessi rapporti di giacitura. Analogie si hanno anche con quelle di Fun- tana e sa Teuula presso Ittiri , studiate dal Millosevich 2.

Il corrispondente diagramma è rappresentato dalla figura qui a lato.

1 Serra, Bocce vulcaniche della Sarde¬ gna occidentale. Rend. Acc. Lincei, 1914.

2 Millosevich, Studi sulle rocce vulcani¬ che della Sardegna. Rend. Acc. Lincei, 1908.

OO

©H

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

125

Trachi -duciti di Macomer

Trachi - daciti di Ria Mannu

Tra chi - duciti della Narra

Trachi - daciti di Fontana e sa Tenuta

Si02

66,82

68,03

69,59

69,36

Ti02

0,57

0,43

0,49

0,54

p2o5

tracce

A1203

16,44

14,18

13,78

15,93

Fe203

4,41

3,14

3,68

1,49

FeO

0,55

0,89

0,37

0,40

MuO

0,19

0,31

tracce

tracce

CaO

1,56

3,12

3,07

3,05

MgO

tracce

0,64

0,49

0,27

K20

3,13

3,90

3,96

4,29

Na20

4,18

4,71

4,39

3,18

CaO

0,20

Perd. per arr.

1,86

1,81

1,02

0,79

99,91

101,11

100,84

100,30

Trachi-andesiti. Da Ozieri procedendo verso N-0. si giunge alla contrada Perdas de Fogu, ove si riscontrano, secondo le osservazioni da me compiute, affioramenti di rocce che solo la quantità diversa dei minerali componenti ed il vario stato di conservazione potrebbero indurre a formarne diverse varietà. A Perdas de Fogu, e precisamente lungo il Pio dello stesso nome, le rocce si presentano di colore grigio, piuttosto compatte. Al microscopio si rivelano costituite da una base vetrosa rela¬ tivamente abbondante in cui spiccano interclusi feldspatici (fig. 7), che si estinguono attorno ai 45° e ai 27°, riferibili quindi a termini labradoritici e bitownitici. Il meroxeno si ha in lamine pseudoesagonali di color bruno, spesso alterato, ed in queste condizioni impartisce a certe plaghe un colore rosso¬

oscuro.

126

A. SERRA

Le lamine di sfaldatura dei cristalli ben conservati, che in modo assai agevole si ottengono, mostrano al polariscopio angoli fra gli assi ottici assai piccoli. Si ha distinto pleocroismo:

a = giallo-bruno b = rosso-bruno C = bruno-oscuro.

Per l’indice di rifrazione in lamine di sfaldatura si trovò

n = 1,63.

La magnetite si mostra titanifera. Si hanno parti colorate di un bel verde, colorazione evidentemente dovuta alla presenza di carbonati di rame che anche macroscopicamente si lasciano riconoscere in nidi e in sottili patine nella roccia. In certi punti la massa fondamentale oltre che della base vetrosa si mostra costituita da esili liste feldspatiche. Evidenti spesso' inter¬ clusi feldspatici nei quali si raccoglie la base vetrosa; talvolta presentano zone concentriche per accrescimento zonale. Il mero- xeno si mostra pure in lamine allungate, spesso alterate e con evidente pleocroismo dal giallo al bruno. La roccia che costi¬ tuisce lo zoccolo su cui giace Castel Sardo ha aspetto doler itico, di colore oscuro dovuto ad alterazione profonda del meroxeno riconoscibile al microscopio, di aspetto, talora bruno-scialbo, talora bruno-cupo. Lascia riconoscere interclusi feldspatici rife¬ ribili a bitownite (fig. 9) e anche microliti riferibili agli stessi termini. Evidente pure la magnetite titanifera.

Nei pressi della cittadina la roccia si mostra profondamente alterata e decomposta in seguito a fenomeni atmosferici e ad erosione che diede luogo alla formazione di sabbia e di sostanza argillosa. Nelle parti inferiori, lungo la strada, la roccia assume aspetto rossastro: in esse si notano parti nere essenzialmente differenti dalla massa preponderante, costituenti vere Schlieren istero geniche, secondo Zirkel (fig. 11). Constano al microscopio di un vetro bruno in cui hanno rilievo gli interclusi feldspatici che di solito si estinguono attorno a 42°. Si notano pure estin-

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

127

zioni ondulose riferibili a labradorite. Il meroxeno è in lamine pseudoesagonali spesso rotte e profondamente alterate, si nota anche in esili liste sempre distintamente pleocroiche. La ma¬ gnetite si rivela titanifera. Le microliti feldspatiche sono, in genere, assorbite dall’abbondante base vetrosa attraverso cui, talvolta, si rendono evidenti cristallai , tricliiti addensantesi in determinate plaghe.

Nelle parti inferiori della colata, lungo la « spiaggia dei bagni» si rinvengono ciottoli di varia grandezza: dai picco¬ lissimi si giunge a ciottoli di 10 e più cui. di diametro. Sono costituiti da una massa fondamentale che al microscopio si ri¬ vela costituita di esili liste feldspatiche collegate da una esile base vetrosa: evidenti interclusi feldspatici, spesso geminati (fìg. 12) e con caratteristico aspetto zonale. Il meroxeno si pre¬ senta in lamine allungate e a contorno pseudoesagonale, talora alterato ed in queste condizioni si presenta di color giallo¬ chiaro. La struttura di questa roccia è diversa da quella della massa includente, mostra invece analogie con quella di Osilo 1 : come in questa è assai variabile il quantitativo dei minerali fer¬ ruginosi , fatto che si riconosce anche macroscopicamente poiché è dato rinvenire zone variamente colorate. A seconda delle plaghe assai variabile è pure il quantitativo di plagioclasio. Alcuni elementi sono idiomorfè , altri hanno carattere allotrio- morfo. La formula secondo Loevinson-Lessing rispondente alle rocce analoghe di Osilo, già da me classificate come andesiti , è la seguente:

y. 1,55 ; [i = 67

1,2 EO . E203 . 3 SiO,

K20 : EO :: 1 : 3,28.

0

Evidentemente le rocce che si seguono lungo la costa, da Perdas de Fogu alla spiaggia dei bagni mostrano gli stessi rapporti di giacitura e non si hanno che differenze dipendenti

1 Serra, Ricerche petrografiche e mineralogiche nei dintorni di Usilo.

liend. Acc. Lincei, 1915.

128

A. SERRA

che dal quantitativo e dal diverso grado di conservazione degli elementi. L’analisi eseguita su di un campione da me raccolto alle porte di Castelsardo mi fornì i seguenti risultati:

SiO, .

. . 57,99

Ti02 .

. . 1,50

CuO .

. . 1,29

ai2o3 .

. . 19,39

^®203 .

. . 4,85

FeO .

. . 2,12

MnO .

. . 0,72

CaO .

. . 6,49

MgO .

. . 0,85

k20 .

. . 2,52

NaQ0 .

. . 3,77

PA .

. . 0,20

Perd. per arr. . .

. . 2,62

104,34

Peso specifico 2,467.

Da questi valori si dedussero, secondo le note norme, quelli della colonna I e li.

i.

il.

Si02 ....

59,11 ....

59,21

Alo03 ....

19,39 ....

19,53

FeA ....

4,85 ....

4,76

FeO ....

2,84 .

2,86

CaO ....

6,49 ....

6,50

MgO ....

0,85 . . .

0,85

K20 . . . .

2,52 ....

2,52

Na„0 ....

3,77 ....

3,77

99,82

100,00

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

129

Seguono i rapporti molecolari :

in.

IV.

Si02 ....

98,68 ....

67,01

A1203 ....

19,15 ....

13,00

Pe203 ....

2,97 ....

2,01

FeO ....

3,97 ....

2,66

CaO ....

11,61 ....

7,88

MgO ....

2,12 ....

1,44

K20 . . . .

LO

.'OS

00

1,88

Na20 ....

6,08 ....

4,12

147,26

100,00

Ricavammo la seguente formula:

a = 2,13 ; £ = 49

1,19 RO . R203 . 4,46 Si02 R20 : RO :: 1 : 1,99.

In base alla notazione del Loevinson-Lessing questa roccia deve essere classificata come una trachiandesite. Per i caratteri mineralogici e chimici, come anche per i rapporti di giacitura, ha colleganza con quelle di Nuraghe da Patada , di Logu Lentu e Taniga studiate dal Millosevich.

Il diagramma è così rappresentato:

/Tv

In questa zona hanno pure sviluppo le formazioni basaltiche in specie nel «versante di Mores, si estendono verso Chilivani

9

130

A. SERRA

e si ricollegano alle piattaforme di Monte Santo , Monte Pelao, di Keremule e di Giave che mi offrirono argomento di studio

In genere sono roccie di color bigio-brnno, assai compatte. L’esame microscopico lascia riconoscere il feldspato listiforme che in prevalenza costituisce la massa fondamentale : è riferi¬ bile al termine Ab, An3, assai sviluppato e di prima genera¬ zione. L’olivina si ha in grandi cristalli, talvolta rotti e corrosi, talora trasformati in sostanza serpenti nosa.

L’augite, non molto abbondante, vi si mostra in cristalli di media grandezza. Come componenti di minore importanza si notano: magnetite, ilmenite ed apatite. La magnetite spesso irregolarmente disseminata nel magma impartisce un colore oscuro alla roccia. Non si credette opportuno di ricorrere per questa a più minuziose indagini per la grande analogia che presentano con le piattaforme studiate e delle quali espongo i risultati complessivi analitici:

FORMOLE MAGMATICHE

a

3

R2O ! RO

Monte Santo

1,3 RO . R203 . 3,80 Si02

1,71

61

1 : -1,19

Monte Pelao

1,6 RO . R203 . 3,94 Si02

1,73

65

1 : 2,3

Keremule

1,9 RO . R203 . 4,42 Si02

1,78

56

1:3,2

Giave

1,8 RO . R203 . 4,08 SiO,

1,69

69

1 : 3,2

Media

1,65 RO . R203 . 4,1 Si02

1,73

63

1 : 2,7

Considerazioni di ordine genetico.

Per quanto riguarda i graniti è noto come essi si debbano considerare formatisi in seguito a raffreddamento di correnti laviche: la loro struttura manifesta chiaramente le svariate con¬ dizioni in cui si rappresero.

1 Serra, Studio dei basalti delle piattaforme dei dintorni di Tiesi. Rend. Aoc. Lincei, 1909. «

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

131

Grandi incertezze si hanno invece sull’origine della serie degli scisti. 11 Werner propende ad ammettere un processo di cristallizzazione dalle acque del mare. Successivamente si hanno ipotesi tendenti a ritenere gli scisti formati in un ambiente diverso dall’attuale, o che pur avendo oggi riscontro, dovettero subire profonde modificazioni. Si ritennero pure originati per cristallizzazione di materiali emessi allo stato di effusione latente, che denoterebbero l’inizio della crosta terrestre derivante da prodotti lentamente irrigiditisi. 11 Daubrée 1 2 * fece note le sue ricerche e le sue teorie sull’acqua soprariscaldata, ma all’accet¬ tazione di queste si oppongono serie obbiezioni di dotti, bisogna quindi verisimilmente rintracciare altre cause.

11 Milch 2 attribuisce qualunque reazione chimica in seno alle rocce alla pressione esercitata dalle soprastanti. Lo Spezia al riguardo rileva come tale azione non può che costituire una energia potenziale che differenzia dalla pressione che provoche¬ rebbe una energia cinetica in causa del peso della roccia, di conserva ad un forte perturbamento della massa costituente, onde fa le due distinzioni di pressione statica e di pressione dinamica. Kitiene il calore come massimo agente di reazione chimica, non escludendo in parte il concorso della pressione. Per quanto riguarda l’elemento quarzo le sue esperienze lo con¬ ducono ad ammettere che nelle rocce scistose-cr istalline debbano entrare come fattori geologici essenziali il calore ed il tempo.

Kosembusch ritiene che il metamorfismo degli scisti cristal¬ lini si debba attribuire ad azioni dinamiche. Osservazioni a queste ipotesi vennero mosse dal Weinschenk 4 e dal Termier 5. Quest’ultimo ritiene che siffatti agenti deformano, ma non tras¬ formano che molto raramente: si schiera contro il dinamo¬ metamorfismo e generalizzando l’ipotesi emessa dal Levy am¬ mette un’origine nettamente plutoniana, attribuendo azione me-

1 Daubrée, Études syntehtique de géol. expérim. Paris, 1879.

2 Milch, Beitrage zur Lhere von der Begional metamorphose , 1904.

:i Spezia, Contributo di geologia chimica. Atti Acc. Se. Torino, 1895-900.

4 Weinschenk, TJinamométamor. et Piézocristalli.

5 Termier, Sur les micaschistes, les gneis, les amphibolites et les roches vertes des cldstes des Alpes occidentales. Comptes Rendus de l’Ac. de Se., Paris, 1901.

132

A. SERRA

tamorfizzante ai fluidi emanati dalle rocce intrusive, così la roccia madre divenendo gradatamente sempre più basica, per¬ derebbe della sua attività chimica. Evidentemente però una tale ipotesi non è confortata da elementi di fatto positivi, di con¬ seguenza non permette di giungere a conclusioni di qualche rilievo. Il Parona l, al riguardo, opportunamente osserva che i risultati sinora acquisiti sono ben lungi dall’essere maturi e non permettono di giungere a sicure valutazioni. Con la scorta dei dati da me ottenuti credo di poter, con una certa probabilità, spiegare il ciclo evolutivo degli scisti in questione, valendomi delle opinioni accolte da eminenti geologi, quali il De Lorenzo 2 ed il De Stefani 3.

Ammessa 1’esistenza di un magma fluido nel centro della terra, si deve, con tutta probabilità, attribuire alle acque pro¬ venienti dall’esterno nel focolaio vulcanico la causa di ogni meccanismo eruttivo: al vapore di acqua soprariscaldato non disgiunto da C02, H, Cl, ecc., la potenzialità di provocare le eruzioni in causa della enorme pressione prodotta dalla forza espansiva esercitata entro la massa magmatica quando trovino una via di uscita. Siffatte emanazioni, secondo le mie vedute, attraversando la massa granitica sussistente, le avrebbero im¬ presso profonde modificazioni: i silicati poterono così essere de¬ composti, poiché, pur essendo questi tra i minerali i più stabili, tuttavia, nel caso presente, per la elevata temperatura, per la forte pressione, durante un lungo periodo di tempo, poterono dar luogo alla formazione di una miscela omogenea eminentemente viscosa in cui l’acqua per le speciali condizioni fisiche dovette trovarsi in uno stato di grande dissociazione. Di una tale mi¬ scela non è facile dedurre le proprietà noti i costituenti : il comportamento dinamico muta notevolmente con la pressione e con la temperatura, subordinatamente a queste variabili eb¬ bero modo così di decomporsi e di ricomporsi egual numero di molecole e le reazioni chimiche si effettuarono tanto più di fre-

1 Parona, Trattato di geologia con speciale riguardo alla geologia d’Italia. Milano.

2 De Lorenzo Gf., Studi geol. del M. Vulture. Acc. Se. Napoli, 1900.

3 De Stefani C., Le acque atmosferiche nelle fumarole. Boll. Soc. Geol. Ital., 1900.

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

138

quente quanto quelle più spesso si incontrarono. Si deve tener conto anche della forza delle affinità e delle masse che vennero in reazione: in tal modo da siffatte mescolanze, per graduale concentrazione, si potè avere la formazione della fase solida cristallina che caratterizzò gli schisti.

Tali deduzioni sono avvalorate dalle analisi da me eseguite, che metto in confronto:

Graniti di Ozieri

Scisti di Ozieri

o*

o

68,35

59,71

Ti02

0,55

1,45

CuO

2,52

0,51

A1203

21,09

30,06

Fe203

0,88

6,19

FeO

0,72

MnO

non dosato

non dosato

CaO

4,95

2,87

MgO

0,73

tracce

Iv20

0,99

1,27

Na20

3,02

0,28

Perii, per arr.

1,00

4,05

p2o5

non dosato

0,75

Zr

tracce

y

tracce

104,80

107,14

Si osserva come negli scisti, che sono poveri di quarzo , il contenuto in silice sia molto inferiore; come pure basso il con¬ tenuto in alcali , mentre, d’altra parte, si ha prevalenza di ele¬ menti ferro-magnesiaci. 11 ferro poi subì un completo stato di ossidazione. Per la decomposizione dei feldspati gli ioni dei metalli alcalini poterono liberarsi come silicati o come carbonati

134

A. SERRA

solubili e quindi essere facilmente asportati dalle acque, mentre d’altra parte ebbe modo di formarsi una massa argillosa che condusse alla formazione delle diverse miche, con contemporanea separazione di silice che si riconosce in piccoli frammenti e talora in esili vene nella massa schistosa.

Le suesposte considerazioni, che naturalmente non possono avere che una portata tutta locale, inducono quindi a ritenere, con una certa fondatezza, come l’origine di siffatti scisti si debba attribuire ad azioni subite in causa di fenomeni termali. Meri¬ tano di essere rilevate, per opportunità di confronto, le in¬ fluenze idrochimiche ammesse da Di Lorenzo 1 2 nello stabilire la genesi di simili rocce eoceniche de\V Appennino meridionale.

Nel modo indicato si spiega facilmente l’origine della massa argillosa, ritenuta sino a poco inesplicabile, e come l’azione tra¬ sformatrice potè non estendersi a tutto lo spessore della roccia, perchè, come rileva il Franchi, si rinvengono strati di granito riposanti nella massa scistosa. Non è per altro da escludere che azioni dinamiche abbiano pur contribuito a modificare l’ori¬ ginaria costituzione e ciò conformemente alle vedute segnalate dal l’ Artini e dal Parona. La struttura laminare, le sarebbe, se¬ condo me, impressa da forti pressioni, il che verrebbe dimo¬ strato dal fatto che molto spesso i cristalli presentano aspetto onduloso.

Le formazioni vulcaniche studiate non si mostrano in rela¬ zione con nessun apparato eruttivo e si deve ritenere che si sieno emesse lungo fenditure prodottesi per dislocazioni del suolo.

Déprat 3 ammette l’esistenza in Sardegna di un vulcano, analogo ad alcuni della Sonda, del periodo burdigaliano, che questo all’inizio diede prodotti di natura acida ed in ultimo finì per essere dilaniato e completamente dislocato da affonda¬ menti considerevoli.

Obiezioni a questa ipotesi vennero già mosse dal Millose- vich 3 che fece conoscere come non si possa così affermare la

1 Di Lorenzo, loc. cit.

2 Déprat, Comptes rendus Ac. des Se., 1907.

3 Millosevich, Sulle rocce vulcaniche della Sardegna settentrionale, Genova, 1907.

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

135

successione delle varie eruzioni. Le osservazioni da questi fatte nel Sassarese hanno riscontro in questa plaga, ove le andesiti, per i fotti esposti, debbono ritenersi certamente anteriori alle trachi-andesiti di natura più acida.

Esse si estendono particolarmente lungo le linee orotectoniche che si notano in direzione NE-SO, in specie nella parte occi¬ dentale ove pur si allineano, secondo le stesse dislocazioni: successivi coni vulcanici recenti che vi appariscono in una zona di sollevamento. Lo studio geologico di questa zona presenta al riguardo grande interesse e già il Déprat vi fece notevoli rilievi. Le colate vulcaniche furono turbate dalla comparsa di potenti parossismi, fatti da noi altrove messi in evidenza e nel caso presente troverebbero ulteriore conferma poiché i cristalli molto di frequente si trovano rotti (fig. 13).

La comparsa di codeste estese formazioni vulcaniche si ri¬ collega ad un grandioso fatto geologico avvenuto nel cenozoico; viene così avvalorata la legge accolta da Di Lorenzo « che fazione vulcanica e sismica non rappresentano che fenomeni in¬ timamente connessi ai diastrofismi orogenici ed epeirogenici ».

Lo studio della natura di questi magmi da tempo sedusse le menti dei minerologi. Il Levy 1 fa una diligente analisi su tale argomento e mette in maggior luce le teorie relative alla genesi dei magmi precedentemente tentata dal l’inglese Teall, dai tedeschi Otto, Lang e Becke, dagli americani Iddings e Pirson, dal norvegese Brògger.

Teall, sviluppando il concetto di Soret, ammise che se dif¬ ferenti parti di una soluzione si mantengono a diversa tempe¬ ratura, si ottiene uno stato di concentrazione nelle diverse plaghe fredde. Suppone il magma eruttivo costituito da una soluzione mista, emettendo la nuova teoria sulle differenziazioni dei magmi: rilevò come le salbande di certe laccoliti furono da lui riscon¬ trate più basiche nelle zone centrali e ciò in opposizione a quanto Fouqué potè dapprima notare nei dicchi di Santorin. Frattanto Rosembusch definisce i magmi secondo i caratteri chi¬ mici, ammettendo che questi provengano per segmentazioni ve-

1 Levy M., Note sur la classification des magni as des roches éruptives,

Paris.

136

A. SERRA

rificatesi in profondità da un unico magma primitivo che darebbe così luogo a un certo numero di magmi parziali, dai quali per nuove segmentazioni prenderebbero origine i magmi delle rocce effusive che sono le più differenziate. Un tale fenomeno non sarebbe casuale, obbedirebbe alle leggi delle affinità chimiche. Ha il merito di eseguire molte analisi e tenta una classifica¬ zione dei magmi, classificazione che dal Levy è ritenuta arbi¬ traria poiché abbraccia rocce molto dissimili. Questi pur considera i nuclei a proporzioni stechiometriche, tanto interessanti, e fa rilevare come essi rispondano a minerali che essenzialmente costituiscono le rocce, le manchevolezze nel senso che si trascu¬ rano le miche, l’eccesso o il difetto di alluminio, l’origine dei magmi con acidità intermedia.

Successivamente Brògger 1 spiega la concentrazione dei sili¬ cati basici e l’ordine di ascensione dei magmi ; appoggiandosi al principio di Soret suppone che in un serbatoio principale inferiore si produca una concentrazione di elementi basici in vicinanza delle pareti fredde, che questo magma iniziale si elevi da fratture, si differenzi così caratterizzando laccoliti di tipo acido , altre di tipo basico, riunite però da una certa consan¬ guineità.

Secondo Iddings 2 la successione delle eruzioni si inizierebbe con un tipo medio , poiché il magma differenziandosi darebbe rocce sempre più dissimili e acl un massimo di basicità cor¬ risponderebbe un massimo di acidità. Le teorie di Judd sulle provincie petrografiche e l’aria di famiglia del Brogger sono esaurientemente sviluppate da Iddings. Questi per primo ci diede i diagrammi dei magmi riportando nelle ascisse il tenore in silice, in ordinate.il tenore in alcali e in alluminio, di calce, di magnesio, di ossidi di ferro. 1 suoi risultati lo condussero a stabilire che la differenziazione fisico-chimica di un magma di composizione intermedia luogo a diversa composizione delle rocce ignee.

Il Levy 3 spiega la differenziazione delle rocce con la ela-

1 Brogger, Die eruptivgesteine des Kristianiagébietes, Kristiania, 1894.

2 Iddings, The orig'in of igneous Rock , 1892.

3 Levy, loe. cit.

ROCCE DEL NORD DELLA SARDEGNA

137

bovazione dei magmi mescolati nelle riserve profonde. Egli di¬ stingue un metamorfismo isomorfo ed un metamorfismo endomorfo, il primo porterebbe alla produzione di rocce cr istallo filliane, l’altro modificherebbe profondamente il magma per differenzia¬ zione parziale, senza però perdere di vista il posto che spetta ai due magmi fondamentali, differenti fra loro. Tiene in gran conto le azioni dovute agli agenti mineralizzatori e agli ele¬ menti che sono suscettibili di essere da essi trasportati, fatto questo già rilevato da Lacroix che notò nei calcari al contatto delle Lerzoìite massive dei Pirenei sprovviste di alcali, la pre senza della mica, di feldspati alcalini e azioni solfatariane ac¬ compagnate da rocce moderne. Attribuisce alla circolazione di fluidi, in condizioni speciali di pressione e di temperatura, le cause di differenziazione, poggiando le sue deduzioni sulle ipotesi di Teall, Iddings e di Brogger che preconizzarono l’ordine di apparizione dei magmi differenziati.

Elimina le difficoltà opposte dai suoi predecessori con la sua ipotesi che offre il vantaggio di non trascurare le fumarole vulcaniche, i fenomeni di metamorfismo , l’ordine di ascensione dei prodotti eruttivi differenziati ed il meccanismo della diffe¬ renziazione. Conclude col dichiarare che sono necessarie ancora molte analisi e molte osservazioni per una riuscita felicemente verosìmile.

11 Lapparent, pur rilevando che in qualche regione le ul¬ time emissioni furono basaltiche, ammette che il magma in un certo periodo tenda ad evolversi differenziandosi verso tipi più acidi.

Mercalli ritiene che si debba spiegare il fenomeno non ri¬ cercando cause di indole generale, ma nelle speciali condizioni geologiche.

Hauge concepisce una differenziazione di parti fluide alcaline e di parti basiche per rocctaggio: ciascun magma seguirebbe successivamente la sua via propria per azioni endomorfe dipen¬ dentemente dalla natura delle rocce traversate.

Era tanta disparità di vedute, vediamo quali condizioni si verifichino nel complesso delle eruzioni sarde. Ci troviamo di fronte ad una serie molto dissimile di rocce per età e costitu¬ zione : graniti , andesiti, trachi-daciti, tracld-andesiti , basalti.

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È opportuno rilevare che mentre pei basalti le ricerche da noi eseguite ci forniscono gli elementi per accertare una graduale evoluzioyie del magma, altrettanto non possiamo dire sulle for¬ mazioni trachitiche, il cui studio attende ancora ulteriori in¬ dagini.

Sono pertanto da escludersi i concetti di Teall, come pure quelli di Rosembusch basati sulla differenziazione di un magma unico fondamentale e mal si adattano le ipotesi di Brbgger, di Iddings, del Levy e di quegli altri che strettamente ammettono una grande evoluzione del magma. Applicabili, per un certo riguardo, sarebbero le idee del Reyer che ritiene il magma es¬ senzialmente costituito da Sclilieren composte variamente, diffe¬ renziandosi gradualmente; queste ubbidirebbero alle particolari condizioni geologiche indipendentemente da qualunque legame mineralogico e chimico, senonchè, rimangono avvolte nelle fitte tenebre le circostanze che provocano in alcuni casi l’efflusso di materiali acidi, in altri di materiali basici. Più conforme al caso si mostra l’applicabilità del principio emesso dal Lappa- rent secondo il quale si dovrebbe ammettere che i silicati si trovino nel centro della terra disposti per ordine di densità. La pressione costringerebbe così refiflusso ora delle parti superficiali, ora delle parti profonde. In questo modo troverebbe agevole spiegazione la provenienza dei magmi acidi e dei magmi basici, quelli intermedi potrebbero riguardarsi risultanti da mescolanza di questi in causa di considerevoli perturbamenti provocati dalla grande forza espansiva del vapor di acqua che ne turberebbe l’equilibrio della massa allo stato potenzialmente attivo.

Rimane così facile intendere la grande variabilità che talora presentano i magmi, come anche la graduale evoluzione quando refiflusso avvenga regolarmente senza grandi cause perturbatrici, sotto pressione graduale.

Vedute queste, che in parte si accordano con quelle del Walthers-Hausen il quale suppone che nella terra i materiali più pesanti si trovino al centro, quelli leggieri intorno alle parti più esterne, formando zone concentriche successive, per cui le lave trachitiche proverrebbero dagli strati superficiali, quelle

1 Lapparent, Traité de Géographie physique , 1907.

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basaltiche dagli strati inferiori. Questi però, secondo me, non si rende esatto conto dei molteplici tipi che presentano i magmi.

Dopo di aver così seguito il ciclo evolutivo dei magmi, vediamo di spiegare dal punto di vista puramente scientifico l’ordine di cristallizzazione. Secondo i concetti di Elie de Beau- mont 1 si avrebbe una evidente dimostrazione di un graduale indebolimento della potenza chimica spiegata nella formazione delle rocce nel fatto che l’ordine di successione dei minerali è in rapporto all’ordine di apparizione dei magmi acidi, ciò per determinati centri eruttivi nei quali i solventi perderebbero della loro efficacia : a seconda che la consolidazione avvenga in pro¬ fondità, oppure superficialmente si avrebbero graniti o porfidi.

Secondo Rosembusch 2 l’ordine di cristallizzazione sarebbe in rapporto inverso al quantitativo degli elementi: i meno ab¬ bondanti si consoliderebbero prima degli elementi che vi pre¬ valgono: il magma sussistente in un dato momento sarebbe più acido del complesso dei prodotti rappresivi. Rosembusch rilevò che per identica composizione chimica le rocce basaltiche gra- nitoidi sono spiccatamente meno ricche di olivina dei tipi por- firoidi : nelle prime, quali i gai) ri e i diabasi , MgO si separò in combinazione isomorfa nel Vaugite, mentre che nella seconda la separazione de\Y olivina, rese libera una certa quantità di Si02 che partecipò a formare i feldspati meno basici, come anche generò i vetri acidi. Pure notò che i minerali basici tendono a separarsi per primi e in questo modo spiega in certi magmi le segregazioni relativamente basiche.

Il Levy importanza alla presenza di un eccesso di silice nei magmi: secondo le sue vedute, il modo con cui questo ec¬ cesso si individualizzò influì fortemente nella formazione di ciascun tipo di roccia e costituisce un prezioso esponente che caratterizza le condizioni particolari nelle quali si effettuò la cristallizzazione.

1 De Beaumont. E., Structure et classi fi cation des roches éruptives ,

Paria, 1889.

2 Rosembusch, Mikroskopische Physiographie der massiyen Gestein. Stuttgart.

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A. SERRA

Iddings 1 inclina a ritenere che la separazione degli ele¬ menti si determinò dapprima con la formazione degli ossidi di ferro, poi seguirono composti più complessi di ferro, calce, al¬ luminio. I feldspati iniziarono la cristallizzazione allorché fu compiuta la separazione dei mineali ferro-magnesiaci. L’ortoclasio ed il quarzo si separerebbero per ultimi dal magma.

Zirkel 2 ritiene cbe piuttosto di una serie graduale e di¬ stinta di cristallizzazione si debbano ammettere diverse fasi di separazione degli elementi.

Poiché tuttora non è stata data esauriente spiegazione di siffatti fenomeni, tento di affrontare la questione basandomi sui moderni metodi termodinamici e termochimici, con la scorta di quanto é pur noto nell’argomento.

Il magma eruttivo si deve considerare come una enorme massa allo stato di fusione idatopirogenica, in tale stato attraversa le fenditure del suolo ed in seguito a raffreddamento forma rocce diverse. A seconda della giacitura si hanno rocce intrusive od effusive. In queste ultime il materiale in fusione igneo giunse alla superficie dando luogo a cupole o a colate. Le prime si rappresero nell’interno, spesso addentrandosi in rocce preesi¬ stenti e diedero così luogo alla formazione di ammassi , dicchi , filoni, strati, laccoliti. Nelle rocce intrusive il magma cristallizzò con lentezza, data la temperatura elevata e la forte pressione, per cui in esse si ha una struttura granulare od olocristallina. Nelle rocce effusive invece in cui il magma dovette solidificarsi a contatto con gli agenti esterni, l’irrigidimento avvenne ra¬ pidamente per cui si hanno cristalli meno sviluppati e disposti irregolarmente: in questi é caratteristica una massa fondamen¬ tale nella quale i cristalli si mostrano variamente orientati. Nelle rocce solidificatesi in profondità non molto rilevanti si ha struttura intermedia: subordinatamente ai fenomeni metalloge¬ nici si ebbero le rocce acide, le rocce basiche, le intermedie.

Il modo col quale avvenne la cristallizzazione si intende ricorrendo alla legge delle fasi enunciate da Willand Gibbs ed alle condizioni di equilibrio considerate dal Rozeboon che diede

1 Iddings, The eruptive rock of electric Peaclc sepulchremountain.

2 Loc. cit.

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larghe applicazioni alle deduzioni di Yan der Wals. Ci si può così facilmente dar ragione della formazione di molti composti la cui esistenza non riesce spiegabile con i comuni metodi, ma trovano prova luminosa applicando i concetti sugli equilibri chimici. Il magma eruttivo verosimilmente si suppone costituito da sistemi molto complessi, poiché consta di soluzioni miste di cui fanno parte diversi componenti.

In essi si ammette l’esistenza di silicati di ferro , magnesio, composti di alluminio, metalli alcalini in deboli proporzioni.

In seguito a raffreddamento avviene la separazione dei sin¬ goli minerali, dipendentemente dalle condizioni di temperatura, di pressione e di concentrazione dei singoli componenti. Le con¬ centrazioni dipendono dalla quantità del solvente in combina¬ zione subordinatamente alle molecole ed agli joni persistenti nelle molecole della sostanza disciolta. La quantità del solvente, combinato come solvente di cristallizzazione, è in rapporto di¬ retto, in massima, con la quantità combinata, con la sostanza in soluzione ed il complesso ubbidisce alla legge dell’azione di massa. Col raffreddamento della miscela avviene le separazione dei singoli costituenti : il punto di separazione di ciascuno di questi si effettua secondo le norme applicabili alle note miscele euteticlie. Bisogna tener conto, in via subordinata, nella spiega¬ zione di siffatti fenomeni della pressione osmotica la quale è in diretto rapporto con la concentrazione. Con V Arreni us si am¬ mette, nelle soluzioni, l’esistenza di joni dissociati che con le loro cariche vaghino per ogni verso e che in essi si verifichino mutue attrazioni e repulsioni, che per le minime cause sono disposti a prendere una determinata orientazione: da ciò ne consegue l’esistenza di una diffusione di siffatti elementi dalle parti calde alle parti fredde, ove dapprima si raggiungerà lo stato di equilibrio con la saturazione della soluzione ed in se¬ guito con l'aumentare della pressione osmotica, il composto si separò allo stato solido. In questo modo si spiega come certi prodotti si raccolgano di preferenza in determinati punti : così il deporsi dei minerali metallici lungo le zone di contatto ove la temperatura dovette essere da principio bassa in causa del rapido raffreddamento. In base alle suesposte considerazioni si comprende come da una miscela di quarzo ed ortoclasio dap-

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A. SERRA

prima dovette separarsi V ortoclasio se questo era in eccesso rispetto alla silice, fatto in evidente contrasto con quanto ebbe ad affermare Bosembusch secondo cui l’ordine di cristalliz¬ zazione sarebbe in rapporto inverso al quantitativo degli ele¬ menti. Col raffreddamento di miscele isomorfe di silicato di sodio (Na Al Si3 0g) e di ortosilicato di calcio e di alluminio Ca Al, (Si04)2 potè aver luogo la serie dei plagioclasi che mo¬ strano costituzione diversa a seconda della prevalenza dell’uno piuttosto che dell’altro. Da una miscela di silicato Mg2 Si04 con Fe, Si04 ebbe luogo Yolivina. Da una miscela isomorfa di metasilicato di magnesio Mg Si04 e di metasiliccito di ferro Fe Si04 si effettuò la separazione dei pirosscni rombici. Da una miscela isomorfa dei due silicati Mg Ca (Si03)2 e Fe Ca (Si03)2 si separano i pirosscni monoclini non alluminiferi. Se a questi si unirono altri silicati poterono aversi i termini alluminiferi. Per la cristallizzazione di Mn Si03 potè avere origine la rodonite.

Alcuni minerali che mostrano una costituzione assai com¬ plessa e variabile ebbero origine da miscele di silicati diversi: così la biotite, costituita approssimativamente da

(HK)2 (Mg Fe)2 (Al Fe)2 (Si04)8.

In base ai concetti del Groth 1 2 dobbiamo ritenere che dai sistemi di cui constano gli edifici cristallini, nei punti materiali pesanti, esistono gli atomi e non gruppi o singole molecole; in questo modo ci si ragione della miscibilità allo stato solido di sostanze isomorfe componenti fra loro diverse, non caratte¬ rizzate dall’esistenza dello stesso numero di atomi.

Al riguardo mi piace rilevare che sulla separazione dei cri¬ stalli da miscele fuse, lavora brillantemente in Italia lo Zam- bonini 3, precursore di feconde applicazioni della fisico-chimica alla pura mineralogia.

1 Rosembusch, loc. cit.

2 Groth, Einleitung in die chemische Krystallographie, 1904.

3 Zainbonini, Sulle soluzioni solide dei composti di calcio, stronzio, bario e piombo con quelli delle terre rare. Rend. Acc. Lincei, 1913. Sulle stesse soluzioni solide e loro importanza per la mineralogia chimica. Rivista di mineralog. e cristallogr. italiana, diretta da R. Panebianco, 1916.

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Il mutamento di stato, dalla soluzione al cristallino, avver¬ rebbe per il fatto che gli atomi chimici diventerebbero parti costituenti le singole molecole cristalline, sicché, nelle molecole chimiche non si avrebbe l’attività dei legami primitivi. Codeste condizioni si raggiungono subordinatamente alla temperatura, alla pressione, alla concentrazione: poiché tali fattori sono assai mutabili, ne consegue che pure oscillante è l’ordine di separa¬ zione dei singoli minerali e qualora le enumerate variabili fisiche siano sensibilmente differenti, sensibilmente differenti saranno anche le roccie nelle singole circostanze consolidatesi.

Crediamo di aver compiuto lavoro non inutile con l’avere così, modestamente, chiarito alcuni punti avvolti nelle più fìtte tenebre, in attesa che lo sguardo indagatore della scienza fìssi meglio gli arcani della natura e consenta di procedere con passo sicuro verso inesplorati orizzonti sotto l’impulso del progresso invadente, alla cui affannosa ricerca volgono perseverante il pensiero i sacerdoti del sapere, pensosamente raccolti nella si¬ lente penombra delle fucine, aspettanti il confortevole sorriso dei desiati trionfi !

Istituto di mineralogia della R. Università di Sassari, maggio 1916.

SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE

Tav. IV.

Fig. 1. Granito biotitico : grossi granuli di quarzo e biotite. Ingrandi¬ mento 90 diametri. Luce ordinaria.

» 2. Granito biotitico: ortose e meroxeno. Ingrandimento 90 diametri.

Luce ordinaria.

Tav. V.

Fig. 3. Scisto argilloso con quarzo e mica. Ingrandimento 90 diametri. Luce ordinaria.

» 4. Scisto argilloso con feldspato e mica. Ingrandimento 90 diametri.

Luce ordinaria.

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A. SERRA

Tav. VI.

Fig. 5. Trachi-dacite. Grande intercluso di labradorite con evidenti la¬ mine di mica decomposta. Ingrandimento 90 diametri. Luce ordinaria.

» 6. Traclii-dacite con meroxeno e labradorite. Ingrandimento 90 dia¬

metri. Luce ordinaria.

Tav. VII.

Fig. 7. Trachi- andesite. Intercluso labradoritico con meroxeno. Ingrandi¬ mento 90 diametri. Luce ordinaria.

» 8. Trachi-andesite con labradorite, bitownite e meroxeno: nella labra¬

dorite si addentrano inclusioni vetrose. Ingrandimento 90 dia¬ metri. Luce ordinaria.

» Tav. Vili.

Fig. 9. Trachi-andesite con intercluso bitownitico, massa fondamentale e meroxeno. Ingrandimento 90 diametri. Luce ordinaria.

» 10. Trachi-andesite : massa fondamentale con speciale rilievo del

feldspato. Ingrandimento 90 diametri. Luce ordinaria.

Tav. IX.

Fig. 11. Schlieren con vetro bruno, feldspato e meroxeno. Ingrandimento 90 diametri. Luce ordinaria.

» 12. Andesite con massa fondamentale, interclusi feldspatici geminati

e meroxeno. Ingrandimento 90 diametri. Luce ordinaria.

Tav. X.

Fig. 13. Trachi-andesite (Rio Perdos de Fogli) nella cui massa fonda- mentale hanno speciale rilievo due interclusi feldspatici rotti. Ingrandimento 90 diametri. Luce ordinaria.

[ms. pres. 31 luglio - ult. bozze 11 sett. 1916].

CENNI GEOLOGICI DEL CIRCONDARIO DI NUORO

NEI RAPPORTI

FRA COLTURA AGRICOLA E COSTITUZIONE DEL SUOLO

Nota del socio geom. Andrea Blengino (Tav. XI)

Premessa. Per quanto possiamo giudicare dai risultati delle nostre ricerche bibliografiche, il circondario di Nuoro prende posto fra le regioni italiane per le quali non si hanno notizie sui caratteri geologici agrari del suolo. E non soltanto mancano notizie sulla geologia agraria, ma anche quelle schiet¬ tamente geologiche sono piuttosto scarse e limitate ai terreni più interessanti. Dopo il La Marmora \ nella cui opera clas¬ sica e fondamentale si hanno per il Nuorese delle grandi la¬ cune, non si ebbero, si può dire, altre pubblicazioni. Nell’opera postuma del dottor Riva Le roccie granitoidi e filoniane della Sardegna 1 2, si accenna alle roccie del Nuorese, ma questo la¬ voro, d’indole petrografica, ha ben poca importanza per i rap¬ porti fra coltura agricola e costituzione di suolo. Ora non ci è sembrato del tutto inutile, secondando gl’incoraggiamenti avuti in merito dall’amico ing. dottor Taricco, di tentare un piccolo saggio sulle relazioni fra terreno e coltura, saggio che poteva anche riescire interessante in una regione ove non si ricorre che per eccezione ai correttivi ed agli ingrassi, dove cioè i ter¬ reni in gran parte autoctoni, non sono modificati dalla mano dell’uomo che pure è da considerarsi come agente geologico di una qualche importanza 3. In queste condizioni la diagnosi geo¬ gnostica, sebbene alquanto empirica, doveva riescire una buona

1 La Marmora, Voyage en Sardaigne, voi. I, IIIme partie, Paris, 1857.

2 Dottor Riva, Regia Accademia delle Scienze, Napoli.

3 « L’uomo è un agente sulla natura che tende ogni a predomi¬ nare sugli altri ». Stoppani, Note ad un corso di Geologia, voi. I, pag. 13.

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A. BLENGINO

scorta qualitativa, integrata dagli studi sulla vegetazione spon¬ tanea e dai criteri di stima acquisiti dallo scrivente in molti anni di sopraluoghi in campagna per gli studi delle tariffe di estimo catastale della provincia di Sassari.

Si unisce una carta geologica della zona in discorso nella scala di 1 : 500.000 1 in sostituzione di quella del La Marmora riprodotta sulla carta geologica d’Italia del 1889 alla scala di 1 : 1.000.000. I limiti fra terreno e terreno tratteggiati, indi¬ cano che l’esatta delimitazione dei medesimi, per ovvie ragioni, non si potè affrontare.

COSTITUZIONE GEOLOGICA.

Graniti e roccie granitoidi. Come si rileva dall’unita cartina, l’imbasamento della zona, a grandi linee, è costituito dalla massa granitica che oltre al sopportare in gran parte le formazioni degli scisti cristallini o silurici, talvolta già sotto¬ giacenti ai calcari silurici o mesozoici ed ai basalti, sopporta pure direttamente tanto i calcari mesozoici come le roccie tra- chitiche nonché i basalti e si mostra a giorno per una vastis¬ sima superfìcie, attaccandosi ad occidente ai graniti dell’Oglia- stra (provincia di Cagliari) a nord ai graniti dei circondari d’Ozieri e di Tempio, mentre a sud-est s’insinua fino al mare, (Capo Cornino) fra gli scisti della catena di Monte Remule (ca¬ tena di Monte Senes) ed i basalti di Onifai ed Orosei.

Un lembo staccato dalla gran massa granitica forma la base del monte di Bolotana; un altro lembo, pur esso impor¬ tante, emerge dagli scisti cristallini e si stende dal l’abitato di Bitti sin presso a quello di Lilla. Da notarsi pure i graniti della regione Oddoene, in comune di Dorgali, soffocati a levante e ponente dalle enormi masse dei calcari mesozoici, ricoperti a nord dalla colata basaltica di Monte S. Elena. Questi graniti s’internano tra la colata basaltica e la massa calcarea di Monte Tolui fin presso il monacello ove sorge la Madonna del Carmine,

1 Per esigenze di stampa la carta eseguita a colori e nella scala di 1:250.000 fu sostituita con altra in nero nella scala da 1:500.000.

CENNI GEOLOGICI DEL CIRCONDARIO DI NUORO

147

spesso ricoperti da strati più o meno potenti di detrito calcareo. A titolo di curiosità si ricorda che affioramenti granitici si osser¬ varono tra i basalti della regione BaddeUscrada di Dorgali, tra le trachiti ed il deposito alluvionale a sud di Nuraghe Gamia in comune di Ottana. Il La Marmora nota a sua volta che i graniti si osservano allo scoperto in qualche punto sotto gli scisti che sopportano la massa calcarea del Monte Albo l.

Riferisce il Riva2: «Le roccie granitoidi sarde apparten¬ gono essenzialmente alla famiglia dei graniti e solo in piccola parte a quella delle dioriti. Le due famiglie non costituiscono masse geologiche indipendenti, ma le dioriti sono facies locali nei graniti ai quali sono congiunte con passaggi graduali. La mag¬ gior parte dei graniti sono a sola biotite, e quindi secondo la classificazione del Rose, possono definirsi granititi. Si presentano frequentemente a grana media, con ortose bianco o roseo, il quale se in grossi cristalli, alla roccia un aspetto porfiroide. Sono maggiormente diffuse le forme prive d’amfibolo ». Ciò può dirsi anche per le roccie del nuorese. II La Marmora, per l’Isola in genere, ha creduto notare 3 4 5 che i graniti ordinari son più frequenti nelle bassure e quelli pegmatitici nella parte centrale e più elevata. Nell’area in studio i graniti a tipo ordinario son molto frequenti nella regione cosidetta costerà 4 e nella zona- di dominio dell’olivastro in quella del lestinchinu 5 . Nelle regioni

1 La Marmora, Itinéraire de Vile de Sardaigne, Turin, 1860, pag. 186.

2 Riva, loc. cit.

3 « Au reste nous avons crii remarquer que le passage du granite à la pegmatite a préciséraent lieu dans la partie centrale et la plus élévée de la grande aréte granitique sarde, et (pie dans les parties latérales et les plus basses, c’est en général le granitique proprement dit qui do¬ mine ». La Marmora, Voyage, voi. I, IIIme partie, pag. 423. (Il La Mar¬ mora intende per granito propriamente detto quello ordinario grigiastro secondo il campione preso all’ex convento di S. Francesco, comune di Bottida).

4 Comuni di Silanus, Lei, Bolotana del circondario di Nuoro; d’Il- lorai, Esporlatu, Burgos, Bottida, Anelli, Bono e Buitei del circondario di Ozieri.

5 Lestinchinu , dal nome del frutto del lentischio, del qual frutto si usava e si usa ancora fare la raccolta per ricavarne olio da ardere e comme¬ stibile. La regione del lestinchinu comprende parte dei comuni di Ottana, Orotelli, Oniferi, Orani, Sanile, Olzai.

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A. BLENG1N0

elevate della Serra , nei comuni di Orotelli, Oniferi, Orani, Nuoro, prevalgono tipi più grossolani a facies più chiara, analo¬ gamente a quanto si osserva nell’altipiano cosidetto di Bitti 1 (m. 700 800 s. m.). E graniti più grossolani, generalmente

pegmatici, si hanno nella regione montana che da Sanile paese si spinge fino al Monte Spada in territorio di Fonni.Si osserva però che per tutta la regione di Baronia 2 che è la meno ele¬ vata sul mare, è raro il tipo di granito ordinario e prevalgono roccie granitiche e granitoidi con molta diversità di grana e di struttura.

Il Kiva (loc. cit.) osserva che « nessun criterio petrografia permette di distinguere nettamente i due tipi granitici poiché fra le differenti forme di queste roccie, dalle dioriti più basiche, alle granititi amfiboliche grossolane, fin alle granititi acide più minute vi sono passaggi insensibili e graduali.

Dal Vi nassa si ha 3 4 che il granito un terreno argilloso con sabbia quarzosa e pagliette di mica, non certo molto ricco, ma suscettibile di miglioramenti e che avrà tipo diverso a se¬ conda del felspato e dei minerali accessori che conteneva la roccia originaria \

L’osservazione sul terreno ha messo in evidenza che nel Nuorese i terreni migliori son quelli derivati dai graniti ordinari grigiastri, a biotite od amfibolo, a grana media e minuta e non porfiroidi. Anche l’abbondanza della biotite pare sia un ele¬ mento favorevole alla fertilità di questi terreni. Ciò non sarebbe finora stato riconosciuto, per quanto ci consta, dai migliori trat¬ tatisti della materia i quali non accordano alle miche che la

1 Nel lembo più depresso (m. 500 circa s. m.) che da Bitti paese si spinge all’abitato di Lula è frequente il granito a tipo ordinario.

2 Comprendeva la Baronia di Dorgali, quella di Orosei coi comunelli di Gabelli, Loculi, Irgoli, Onifai ed infine la Baronia di Posada coi co¬ muni di Siniscola e Torpè.

3 Vinassa, Geologia agraria, Pisa, 1905.

4 « Il granito origine ad un terreno costituito prevalentemente di argilla con grani di quarzo e pagliette di mica, nel (piale in generale fa difetto l’elemento calcare e l’acido fosforico ». Parona, Il Terreno, Geo¬ logia agraria, pag. 113, Torino, 1898.

I

CENNI GEOLOGICI DEL CIRCONDARIO DI NUORO

149

proprietà eli facilitare la disgregazione della roccia che la con¬ tiene l.

I graniti in massa omogenea e massiccia, specie se di tipo grossolano, danno assai poco terreno e molto sabbionoso perchè sono continuamente dilavati dalle acque selvaggie che asportano (facilitate dalla plastica favorevole con cui questi terreni si pre¬ sentano) i prodotti della disgregazione dei feldspati a misura che si formano, lasciando in posto i granuli di quarzo.

I graniti grossolani, anche se biotitici, si risolvono in ter¬ reno troppo sabbionoso in cui sovrabbonda l’elemento siliceo e quelli pegmatitici e porfiroidi, a motivo della maggior resistenza che offrono all’alterazione, danno un terreno pressoché sterile. Del resto anche astraendo dalla maggiore o minore abbondanza del quarzo sotto forma di granuli, sembra ormai riconosciuto che ad identità di composizione litologica, un terreno a fini ele¬ menti, dia maggior quantità di materiali nutritizi nei confronti con un terreno ad elementi grossolani, perchè l’alterazione chi¬ mica è assai più rapida negli elementi più piccoli che non in quelli maggiori 2. E anche sotto il rispetto della capacità idrica che nei terreni del nuorese, spesso danneggiati dalla siccità, ha così grande importanza agli effetti della vegetazione, i terreni a fini elementi si trovano in condizioni più favorevoli.

Le roccie filoniane acide e basiche 3 sono abbastanza rap¬ presentate. I porfidi sono comuni nella regione sud ed orien¬ tale, ma sembrano mancare completamente in quella sud-ovest dove, come si disse, predomina il granito a tipo ordinario. Si ricordano i porfidi, generalmente quarziferi, delle località Ca- sturre e Punta Concosu di Ovodda, di Funtana Bona e Gianna Iscoli di Orgosolo, di Norghio d’Irgoli, Sa Uria di Gavoi, ecc. Essi non mancano nei comuni di Bitti, Mamoiada, Dorgali, Torpè

1 La biotite corrisponde alla formula tutt’ora discussa (Al Fe) (Si O4) ( Al Fe) (Mg Fe)2 KH. Ma queste miche contengono pure quantità più o meno rilevanti da Ca, Na, ecc., onde dalla biotite si può avere per alte¬ razione anche CaCO3, epidoto, clorite e sali di ferro. Vinassa, loc. cit., pag. 93.

2 Vinassa, loc. cit., pag. 123.

3 Roccie basiche son quelle lamprofiriche del dott. Riva.

150

A. BLENGINO

e nel Salto 1 di Posada. Qua e là 1 2 3 più o meno abbondanti de¬ triti accusano anche l’esistenza di filoni che ormai non sono più a giorno. I porfidi del Castello di Gattelli, già noti al La Mar- mora-3, hanno una composizione molto variata ed anziché in filone si presentano in massa considerevole. Di assai maggior importanza sono i porfidi granitici i quali unitamente ai gra¬ niti porfiroidi ad elementi grossolani di feldspato roseo, ed alle pegmatiti rossastre a piccoli grani, simili a quelle sottogia¬ centi ai calcari mesozoici dell’Isola di Tavolara, ricordate dal La Marmora 4, occupano una zona rocciosa e sterile, fuorché nei pochi tratti rivestiti dal bosco, che si stende dalla regione Battista e Tepilora in comune di Ditti, ininterrottamente fino al mare ( Punta Sabbatino e Punta di Capecciolo) in territorio di S. Teodoro di Posada. Piloni di quarzo e quarzitici si osservano qua e là; piuttosto esigui nei pressi di Silanus, Lei, Bolotana, in masse molto più considerevoli nella zona scistosa dell’estremo sud del comune di Orgosolo. Notevole ancora il filone di S. Marco dello stesso comune ove si possono rinvenire bei cristalli di quarzo e quello che dalla località Concovai, passando per Monte Gattari e Galigartai si spinge in territorio di Mamoiada. Im¬ portanti filoni di quarzo si osservano d’altronde anche nei co¬ muni di Siniscola, Posada, Torpè, ecc. Koccie interessanti nella regione, oltre ai graniti di Ghistorrai illustrati dal Lovisato 5 sono quelle bianchissime che formano la vetta di Monte Senes (Irgoli). Degni di nota sono pure i graniti tormaliniferi dei pressi del Nuraghe Piscapu il comune di Orotei li. Graniti con bei cristalli di tormalina si rinvennero, ma non in posto, in lo¬ calità Bacladdu di Bolotana. Qua e là, più o meno numerosi, si notano i filoni lamprofirici e fra le roccie dioritiche ricorde-

1 Chiamatisi Salti le vaste estensioni di territorio che appartenendo amministrativamente ad un dato comune, sono però staccate dal capo¬ luogo, ed a grandi distanze dal medesimo.

2 Berchida (^Siniscola), Ria Puzzone (Ollolai), Monte Pizzuri (Ovodda), presso Oliena, ecc.

3 La Marmora, Voyage, voi. I, IIIme partie, pag. 450.

4 La Marmora, Voyage, voi. I, Il Ime partie, pag. 21 ‘2-438.

5 Lovisato, Il granito di Ghistorrai. R. Acc. dei Lincei.

CENNI GEOLOGICI DEL CIRCONDARIO DI NUORO

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remo quelle d’Olzai (Reg. Lapazzai) quelle della Serra di Nuoro, dei pressi di Gavoi, ece.

Il paesaggio della zona granitica in studio è assai vario. E ad esempio selvaggio ed accidentato nella parte nord est verso i limiti coi Salti di Gios, di Buddusò e col Salto di Tempio ed in diversi tratti della valle del Taloro. Frequentemente i terreni granitici si presentano in forma di colline irregolari o di monticelli dalle forme arrotondate E Talvolta nelle chinate ripide, dilavate dalle acque selvaggie, non rimane che il caratteristico mare di sassi1 2 e le vette dei monti son formate da enormi ammassi di roccia 3 4.

Tal altra essendo la massa omogenea, massiccia e non fes surata, la erosione è ostacolata dalla mancanza di punti d’attacco ed il passaggio affetta quell’aspetto uniforme proprio di molti terreni scistosi \ Altrove enormi massi granitici foggiati in cu¬ riose forme e fra loro variamente raggruppati colpiscono roc¬ chio e s’impongono all’osservatore: un assai pittoresco esempio di questo paesaggio si ha in regione Eliche Loe del comune d’Irgoli.

In generale le bassure sono affocate, assai scarse di acque, mentre gli altipiani e specialmente quello cosidetto del Mar- ghine, che occupa la porzione sud della regione, son freschi per copiose sorgenti.

In questo altipiano, lungo i ruscelli e per tutto ove si può avere un po’ d’acqua dalle sorgive esistenti nei fondi, è molto diffusa la coltivazione della patata 5, che un prodotto molto

1 Regioni Isalle ed Ornile (comune di Dorgali), territorio di Olzai, Oliena, Orotelli, Bitti, Orani, Luta.

2 Versante ovest di Punta Manna e Sassidorgiu (comune di Ollolai), regione Matta e Sole (Loculi), qualche tratto dell’alta valle del Taloro, delle falde del Monte Ortobene di Nuoro, del monte Isalle d’Oliena ecc.

3 Punta Manna e Sassidorgiu (comune di Ollolai).

4 Si nota il lembo che dalla regione Sa Bolla in quel di Lodine attraversa il territorio del comune di Gavoi in regione Perda Fronte e finisce nella cosidetta Marghine di Maino inda; quello della regione Iste- funì in territorio di Ovodda, di Funtana Arra, Funtanedda, Littus in quello di Orani, di Pedra Arvas, Berrinau e località finitime in territorio di Nuoro, di Durani in quello di Fonni, di Letza, Monte Su Suergiu, ecc. in territorio di Sarule, di Logheri e località vicine in comune di Oliena.

5 Solanum tuberosum L. (nuorese patata).

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serbevole ed apprezzato, e sembra giovarsi assai del terreno siliceo-sabbionoso e delle acque d’irrigazione ricche di silice e potassa.

Si notano fra le principali sorgive di questa zona le seguenti:

1. Comune di Ovodda: Sorgente di Furadu, Oroghesu , Do nmnarras, Su Sinadorgiu, Su Cunzaeddu , Fonadeo, Stedorro , Pisseddu, S’Abba Bogada, Zurru Terra e massedu in regione Larasuli, Funtana Oloddo in regione S. Pietro, Golomarzio \ ecc.

2. Comune di Fonni: Sorgente Siligoai, Sa Cheresia, Don¬ notei, Tadetzo, Fontana flitta , Dorosolò, ecc.

3. Comune di Gavoi: Sorgente Su Truzzu, Torotha , Ispot- toloi, Gasola, ecc.

4. Comune di Ollolai: Sorgente dell’abitato (Fuegina Fonctium ), Su cantaru de Treghenta , Sorgente Sas Traccas, de S’Ena Manna, S1 * Abbadorzu, Gurgugìsi , ecc.

5. Comune di Orgosolo: Funtana fritta, Sas Cropas, Can¬ taru de S’Elighe in regione Littu; Idodalo in regione Pizzos; Su Olosti, Isturuzzai in regione Prato comunale, Adetto , Masa in regione Locoe; Padidas, Loghilie e Corbu in regione Orolai, ecc. 3.

6. Comune di Mamojada : Sorgenti Istevene , San Cosimo, Mirghis, Pedra Testa, Giurgiusuneli , Pedra Arba, Gianna Carras, ecc. 4.

Nei graniti e nelle roccie granitoidi del Nuorese, che dal mare salgono fin presso al Gennargentu (M. Spada m. 1595) vegeta la macchia mediterranea o delle sempreverdi con pochi

1 Nella zona scistosa si notano le sorgenti di Su Burgu in regione Littu Aveste, Loddocagaru in regione Galifai.

~ Nella zona scistosa si notano le sorgenti di Su (Fissione, Su Olo- stargiu, Gantine Sette, Murreli , Donnunnari, Su Zurru Vezzu, Predu Surdu, ecc.

3 Nella zona scistosa si notano le sorgenti di Funtana Bona, Fun¬ tana Buvia in regione Baccos ; Sa . Vena Manna, Alasi, Oorglie , Pighi- sone in regione L'rontes, ecc.

4 II proprietario Lai Antonio, perito pratico locale, mi elencò oltre a queste, un centinaio e più di sorgenti con acque perenni. E un fatto che il territorio del comune è relativamente fresco il che sembra ricor¬ dato dall’etimologia della parola Mamojada che deriverebbe dallo spa¬ gnolo mojada che suona bagnata, ammollata.

CENNI GEOLOGICI DEL CIRCONDARIO DI NUORO

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esemplari di quella del castagneto (zona montana o delle coni¬ fere) ed a preferenza la macchia tipica o primitiva distinta da Th. Herzog 1 essendoché quella secondaria sembra prediligere i terreni scistosi. Nella macchia tipica, ora in individui spora¬ dici, ma più spesso riuniti a consorzio raggiungono molta dif¬ fusione varie specie del genere cisto ?, il lentischio s, l’oli va-

1 Ueber die Vegetationsverhàltnisse Sardiniens (in Engler’s Botanischen •lahrbtichern, 4 Band, 5 Heft, 1909). Il problema del rimboschimento in Sardegna , V. Perona, Rivista L’Alpe, anno 1914, pag. 144.

2 Cistus monspeliensis L. (nuorese mudregu nieddu ) è il più diffuso e forma talvolta estesissime associazioni in terreni discreti, mediocri ed anche pressoché sterili. È tuttavia il più esigente per ciò che ha relazione alla qualità del terreno e la macchia più o meno rigogliosa è quasi sempre indice della maggior o minor attitudine del terreno a coltura. Si semina il terreno previo sgherbimento e debbio dei cespugli: il frumento e l’orzo riescono bene, e per effetto del debbio, quasi immuni dalle erbe nocive.

Cistus albidus L. (nuorese mudregu bianca, boinu) generalmente spo¬ radico e di rado in numerose associazioni si riscontra nei terreni magri granitici e nei suoli rocciosi. È assente nei graniti ordinari grigiastri. È fra i meno esigenti dei cisti per ciò che ha relazione a qualità di ter¬ reno. Abbastanza comune nella parte nord orientale del circondario è in¬ vece raro nelle altre regioni dell’Isola.

Cistus villosus L. (nuorese mudregu bianca , boinu) ha i caratteri del- Valbidus al quale è sovente consociato. E frequente nei calcari mesozoici e nel loro detrito, più raro negli altri terreni.

Cistus salvifolius L. (nuorese mudregu nieddu, mudregu boinu, ter¬ ranea). Come Yalbidus ed il villosus è chiamato boinu perchè mangiato dai bovini ed è anche chiamato terranea perchè forma una macchia più bassa dei suoi congeneri. Non molto diffuso nei graniti della regione trova maggior dispersione nel lembo scistoso di Bitti, Orane, ecc.

Cistus creticus L. (nuorese mudregu bianca, boinu). È raro. Si è osser¬ vato nei calcari di Oliena e Dorgali.

3 Pistacia lentiscus L. (nuorese chessa). Forma estese associazioni da solo oppure consociato all’olivastro, al pero selvatico, al cistus (ordina¬ riamente il monspeliensis ), al corbezzolo, ed anche ma più di rado al mirto ed all’erica e ciò a misura che dai terreni buoni o discreti gene¬ ralmente provenienti dai graniti ordinari grigiastri, dalle roccie trachi- tiche e basaltiche, si discende a quelli meno produttivi o sterili. È co¬ mune nel nuorese il proverbio terra de cliessa, .terra trigaie, cioè terreno di lentischio, terreno da frumento, proverbio che risponde quasi sempre a verità quando la macchia si presenta rigogliosa. È in continua dimi-

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stro l, il pero selvatico2, il corbezzolo3, il mirto4, l’erica5, il

unzione per effetto della riduzione dei terreni a coltivo e dell’estrazione delle radici che danno ottima legna da focaggio. Il lentischio vegeta però vigoroso anche nel terreno detritico calcareo e calcareo dolomitico, per stesso poco atto a coltura.

Pistacia Terebinthus L. (nuorese chessa de monte). E molto più raro; sta verso Oliena ed a preferenza in terreno detritico calcareo e calcareo scistoso, e qua e sporadico, giammai a macchia. Indica la possibilità di coltivare la Pistacia vera.

Verso Oliena si hanno ibridi importanti del lentischio: si nota la Pi¬ stacia saportae Burn (= P. Lentiscus X T. Terebintlms).

1 Olea oleastrum (nuorese ozzastru) cespuglio od albero. Frequente nei terreni granitici buoni o discreti delle zone calde e temperate della regione. Nelle valli riparate dai venti e nelle esposizioni solatie, giunge all’altitudine di 600 m. (Grani, località Nubile). Ben rappresentato in molte regioni granitiche è talvolta molto diffuso anche nei basalti (Dorgali). È assai raro, o qua e sporadico, negli scisti micacei, ed in tutta la grande distesa dei calcari mesozoici non si riscontra, si può dire, che in località Serra sa Tungusa del comune di Oliena.

2 Pirus amygdaliformis Will. (nuorese pirastru). Un tempo formava boschetti ad alberi ben vistosi associato talvolta con Cydonia vulgaris: ma fu ed è tuttavia distrutto per innestarvi buone qualità di peri. È fre¬ quente in talune zone granitiche di Orotelli, Osidda, Orgosolo, Bitti Oliena, ecc.

3 Arbutus Unedo L. (nuorese, lidone, elidone). Sembra prediligere i ter¬ reni derivati dai porfidi e si osserva spesso nei graniti porfiroidi molto quarzosi ed in formazione massiccia, negli scisti della regione orientale del circondario, nel detrito calcareo dolomitico. È assai raro od assente nei graniti ordinari grigiastri e nelle roccie effusive. Indica che il ter¬ reno comporta ancora la coltivazione del frumento. È uno degli elementi principali del sottobosco negli elceti ed è pure carbonizzato.

4 Myrtus communis L. (nuorese murici). Indica terreni appena atti alla coltura dell’orzo. Forma talvolta estese associazioni insieme col cistus monspeliensis, pistacia lentiscus, ecc., in terreni sottili a sottosuolo roc¬ cioso, ordinariamente nelle formazioni granitiche massiccie.

5 Erica arborea L., E. scoparia L., E. strida Bonn, (nuorese castan- narzu, chiddostre ), l 'Erica arborea in basso, verso le coste, VE. scoparia, E. strida sui monti dell’interno. Forma da sola estesissime associazioni nella zona scistosa di Orgosolo ed è frequente negli altri terreni scistosi, e nei graniti più poveri consociata ordinariamente ai cespugli meno esi¬ genti. E rara assai, oppure assente nei graniti ordinari grigiastri e nelle roccie effusive.

CENNI GEOLOGICI DEL CIRCONDARIO DI NUORO

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bianco-spino \ il citiso 2, l’asparago 3, la ginestrella 4, il raurgu- len 5, il pugnitopo 6. Si ricordano ancora, come elementi della mac¬ chia più o meno diffusi nei graniti, l’ilatro 7, le Calycotomc 8, il Sarothammus scopar ius 9 , diverse geniste I0, l’Anagiride fetida11, il laurotino 12, la ginestra i:ì, le quali unitamente al lentischio, al corbezzolo, all’erica, sarebbero le principali specie che ca¬ ratterizzano la formazione secondaria distinta da Th. Herzog. Colla macchia qua e appariscono nelle due formazioni, il prugnolo H, l’alaterno l5, varie specie di sambuco 16, l’assen

1 Crataegus oxyacantha L. (nuorese calarighe) ordinariamente spora¬ dico nei diversi terreni.

2 Cytisus triflorus L’Herit (nuorese massicruvia). Caducifoglia d’in¬ verno, ama i luoghi freschi, ombreggiati, le esposizioni a tramontana. È frequente nei querceti.

3 Asparagus albus L. (nuorese sparau spinosu, sparati bianca), Aspa- ragus acuti folius L. (nuorese sparau ), Asparagus stipularis, Forsk (nuorese sparati). I due primi nell’interno talvolta con A. aphyllus L: VA. stipu¬ larti nei luoghi marittimi. Son proprii dei suoli rocciosi.

4 Osyris alba L. E propria dei suoli rocciosi.

5 Stacliys glutinosa (nuorese locasi), come l 'Osyris alba.

6 Buscus aculeatus L. (nuorese mela fruscili) generalmente sporadico e verso Ovodda anche in numerose associazioni. Generalmente in terreni poveri, rocciosi.

7 Phyllirea augustifolia L., Pii. variabilti Timb. (nuorese aliderru). E frequente nella bassa fratta dei boschi ove la Pii. angustifolia rag¬ giunge talvolta grandi proporzioni. D’ordinario si osserva in individui isolati, o forma assai meschini consorzi nei diversi terreni, fuorché nelle roccie effusive ove è piuttosto rara.

8 Galycotome villosa Link et C. spinosa Link (nuorese Uria). E fre¬ quente nei terreni rocciosi.

9 Sarothammus scoparius Wimm. (nuorese Uria). E raro.

10 Genista epliedroides DC., G . aspalatlioides Lam., G. Corsica DC., G. Lo- belii: quest’ultima (in dialetto iscrabolu) è abbastanza comune nei graniti di Fonni.

11 Anagyris foetida L. (nuorese giorba, tiliba).

12 Viburnum tinus L. (nuorese sambiugiu).

13 Spartium junceum L. È rara nel nuorese.

14 Prunus spinosa L. (nuorese prunizza, prunazza) in terreni general¬ mente discreti ed anche buoni. E frequente in taluni, ottimi terreni ba¬ saltici, di Silanus.

15 Mhamnus alaternus L. (nuorese laureddu). E poco diffuso.

16 Sambucus nigra (nuorese sauccu nieddu) sporadico il più di fre¬ quente, in numerose associazioni presso Loculi (Palude di Lopè).

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zio \ il lauro 1 2, l’erba mora3, la palma di S. Pietro martire 4, di¬ verse specie del genere rosa, poi le volubili Smilax aspera L., Cle- matis cirrhosa L. et C. Flammula L., Bryonia dioica Jacq., lìubia peregrina L., Tanius communis L., JRubus discolor Weith e Nees, Hedera tìelix L. che rappresentano il tipo lianoide, e presso gli stagni Phragmites communis Trin., Arando Donax L., Poligonum equiseti forme Spr. ed i consorzi del giuncheto.

« dove il suolo diventa più arido » osserva il Béghinot 5, « alcuni degli elementi della macchia, Arbutus Unedo, Pistacia lenti scus, mancano o si fanno più radi ed una coorte di specie prende il sopravvento di cui le più caratteristiche sono suffru¬ tici a fusto assai ramoso ed a caratteri di grande xerofilia (spi- nosismo, afillisino ».

Queste associazioni si osservano talvolta nei graniti grosso¬ lani pegmatitici, porfiroidi, nei porfidi granitici e granofirici, ecc. Oltre agli elementi della macchia ricordati come proprii dei suoli rocciosi e sterili, compariscono anche il ginepro 6 ed il rosma¬ rino 7 che indicano per i terreni granitici che li ospitano il limite minimo della produttività.

Nelle formazioni prative delle tanche, osserva il Terracciano 8, « vi sono in predominio le associazioni a leguminose con diverse specie dei generi Trifolium e Vicia ; seguono quelle a grami¬ nacee. Le composte, anco numerose, hanno grande numero di Carduacee. Trovansi molte Cicoriacee : più scarse le Asteracee. Le Ombrellifere si presentano in associazioni a Daucus , a Foe- niculum, a Tliapsia: le Orchidee hanno un grande sviluppo, le

1 Artemisia arborescens L. (nuorese attentu ) qua e sporadica: è frequente nei graniti ordinari della regione sud-ovest del circondario.

2 Laurus nobilis L. (nuorese larvi). E poco diffuso.

3 Solarium nigrum (nuorese tomatedda aveste).

4 Chamaerops humilis L. (nuorese palmuzza). Ad Crosci e per ecce¬ zione in regione Su Juncu (Onifai-Irgoli).

5 Béghinot A., Flora Sarda. Guida della Sardegna.

6 Juniperus Oxycedrus 1.., plioenicea L, et macrocarpa S. et Sin. (nuo¬ rese ghiniperu).

7 Posmarinus officinalis L. (nuorese ramasinu).

8 II dominio floristico sardo e le sue zone di vegetazione. Bollettino dell’Istituto Botanico della II. Università di Sassari, voi. I, dott. A. Ter¬ racciano, 1901).

CENNI GEOLOGICI DEL CIRCONDARIO DI NUORO

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Ophrys per lo più verso gli argini e le siepi, le Aceras in as¬ sociazioni sassicole e tra prati Orchis papilionacea e 0. longi- cornu formano da sole estesissime associazioni ».

Nelle depressioni umide si hanno i consorzi a Carex ed a Juncus con diverse specie dei generi Scirpus, Cyperus, Mentila , alcuni Isoetes, ecc. Fra le associazioni più volgari e ben visi¬ bile delle tanche si notano l’asfodelo *, la lavanda 2, diverse specie di cardi 3, le felci 4, la ferula 5, alcune euforbie 6, la

1 Asphodelus microcarpus Viv. (nuorese armuttu, il fusto {sclarea). Le foglie dell’asfodelo son fatte pascolare dalle pecore sul mese di agosto, quando esse si sono già disseccate attorno al fusto. L’asfodelo è frequente nei terreni sottili con sub-strato impermeabile ed in quelli poco permea¬ bili. Nei terreni a vegetazione palustre o sub-palustre, il pascolo delle foglie è poco appetito. Col fusto si fanno, specie nei comuni di Ollolai, Gavoi, Olzai, le cosidette corbuie, cioè quei recipienti d’asfodelo che so¬ vente ricorrono nei romanzi di Grazia Deledda.

2 Lavandula Stoechas L. (nuorese archimissa ) assai diffusa in molti terreni granitici mediocri o scadenti ed in luoghi aridi. E pascolata in scarsa misura dal bestiame e nei casi di necessità, per mancanza di pa¬ scoli migliori.

3 Cynara Cardunculus L. (nuorese carchi reu) in terreni freschi, ar¬ gillosi: indica ordinariamente terreni beni atti a coltura.

Dipsacus ferox Lois (nuorese canna uspina ): in terreni discreti.

Onoporton illyricum L. (nuorese cardu aininu , asinina): in terreni di¬ screti o concimati; è frequente in vicinanza agli ovili.

Carthamus lanatus L. (nuorese cardu tenzonino ) in terreni mediocri e talvolta in grandi associazioni ostacola l’usufruimento dei pascoli estivi.

Eryngìum campestre L. et E. tricuspidatum L. (nuorese carda sennora). Come il Carthamus lanatus, è però meno diffuso.

Scolymus hispanicus L. (nuorese cardu mele) indica terreni discreta¬ mente atti a coltura del frumento, ecc.

4 Nephrodium Filix M as Stremp; Neph. rigidum Desv. ; Asplenium Filix foemina Berilli. ; Polypodium vulgare L. ecc. (nuorese filighe). In ter¬ reni mediocri e non sono pascolate.

5 Fenda nodi, flora L. (nuorese fenda). Le foglie, quando sono dissec¬ cate, sono appetite dal bestiame, al quale riescono però esiziali, se man¬ giate bagnate ed in troppa abbondanza. 1 pastori usano farla pascolare ad intervalli di giorni, quando è asciutta, non permettendo al gregge di abbeverarsi subito dopo il pascolo. È pianta dannosa.

6 Euphorbia Characias L. (nuorese ruma) abbastanza diffusa in basso ed in alto; E. dendroides L. (nuorese luedda) in basso, verso il mare; E. se- miperf oliata Viv.; E. terracina L. ecc. Sono piante dannose.

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Thapsia garganica ', il tasso barbasso 2, il finocchio r<, la Cen¬ taurea Caìcitrapa 4, il marrubio 5, il gigaro. fi, il lupino 7, ecc.

11 ffliumex bucephalophorus L. in terreni assai sottili è tal¬ volta assai diffuso: il Terracciano (loc. cit., pag. 27) nota anche le associazioni ad JEchium plantagineum fra cui di rado crescono altre erbe, ad Bvax pigmaea ed a L inaria triphylla che preferi¬ sce terre più fresche. L , Uelichrysum microphyllnm Camh. 8, che qua e in terreni sterili s’incontra anche in basso, talvolta con Phagnalon saxatile Cass. e Ph. rupestre DC. raggiunge poi grande dispersione nei pascoli montani della regione sud-est del circon¬ dario, insieme con un serpillo, il Thymus Herba-Barona Lois 9.

Fra l’alto fusto predomina in varie zone calde o temperate, in terreni granitici o basaltici, l’olivastro ; negli altipiani e nelle regioni montuose la quercia rovere l0. La quercia sughero 11 qua

1 Tluxpsia garganica L. (nuorese feruledda). In terreni discreti. E in¬ nocua al bestiame.

2 Verbascus 'lapsus L. (nuorese trovoddu , trodda).

3 Foeniculum piperitum DC. (nuorese finucru). Generalmente nei ter¬ reni buoni o discreti, si può dire assente nei graniti grossolani e por- tìroidi.

4 Nuorese strasinavia.

5 Marrubium vulgare L. (nuorese marrubio).

6 A rum italicum Mi 11.

7 Lupinus hirsutus L. et L. augustifolius L. (nuorese basolu de rana).

8 In nuorese Santa Maria. Assai meno diffuso è VHel. italicum e molto raro VHel. saxatile Moris.

9 In nuorese armida. E profumata e squisito sapore ai latticini.

10 Quercus sessiliflora Sai. (nuorese cherchu) molto diffusa nella costa di monte della catena del Marghine (catena di Monte Basu) e nell’alti¬ piano omonimo, nella regione Sa Serra, dei comuni di Orotelli, Oniferi, Orani, Nuoro, nella zona collinare e montana che dai pressi degli abitati dei comuni di Oniferi ed Orani si spinge all’abitato di Orgosolo ed al Monte Spada (comune di Fornii). Cresce vigorosa in terreni granitici e tra- chitiei e se ne hanno magnifici esemplari specie nell’altipiano granitico di Fonni. Nei terreni scistosi della regione la quercia rovere sembra pre¬ sentarsi meno rigogliosa. In genere essa non si riscontra ad un’altitudine inferiore ai 500 m. s. m. superiore ai 1200 m. E in continua diminu¬ zione e viene abbattuta per ricavarne traversine e carbone.

11 Quercus suber L. (nuorese suergiu , suelzu). La quercia sughero è ab¬ bastanza diffusa, quantunque sia di frequente danneggiata dagli incendi, in qualche tratto della zona granitica di Sa Serra nei comuni di Oro¬ telli, Oniferi, Orani, Nuoro, ad un’altitudine di 600 -H- 800 m. s. m. ; nel-

CENNI GEOLOGICI DEL CIRCONDARIO DI NUORO

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e forma bosco ma non è granché rappresentata; più frequente è il leccio \ piuttosto raro il castagno 2, quantunque il medesimo trovi in alcuni comuni della regione sud terreno e clima favo¬ revoli per la sua dimora, raro pure il noce 3. Nei boschi ed in individui per lo più sporadici, troviamo pure Tacerò 4, ed il bagolaro 5, Torniello 6, l’olmo 7. I pioppi 8 ed i salici 9, non

l’altipiano di Orane (m. 700 -H- 800), nella regione scistosa di Sa Riatta presso Oniferi (ni. 600 -H- 700;. Si riscontra anche ad Ottona (Su crani e su chercu, a ni. 300 circa s. ni.). Spesso è associata alla quercus sessiliflora. Qua e si riscontra anche sporadica od a piccoli gruppi, scarse vestigia di boschi ora distrutti. La qualità della corteccia-sughero è buona e po¬ trà ancora migliorare quando saranno adottati sistemi di coltivazione più razionali, come quelli in uso nel Tempiese.

1 Quercus ilex L. (nuorese eliglié). È sorprendente la facilità d’adat¬ tamento del leccio ai terreni e climi più disparati. Nella zona in studio lo troviamo a tutte le altitudini, ma a preferenza nelle regioni montane ove arriva tino ai 1200 m. s. m. (S. Giovanni Monte Novo) ed in quasi tutti i terreni. Così il leccio cresce rigoglioso nei graniti e nelle roccie granitoidi di Nuoro (ove è specialmente diffuso nel Monte Ortobene), di Lei, Orani ( Su Littu ), Orgosolo (Su Littu) e si osserva pure, più o meno rappresentato, talvolta ridotto, per effetto del disboscamento ad assai me¬ schini consorzi nei comuni di Bitti, Ollolai, Ovodda, Orgosolo, Ornile, Lodò, Bolotana. Era frequente, ora molto più raro nelle trachiti della zona montana dei comuni di Bolotana e Lei ed è anche rappresentato da una lussureggiante foresta nelle roccie basaltiche (loc. Ghivine, Dor- gali). Nei calcari mesozoici trova modo di svilupparsi quasi sulla roccia nuda, chè le radici sanno raggiungere la terra rossa che si deposita nelle fessure e buche caratteristiche di queste formazioni: prospera poi nel detrito calcareo-dolomitico misto alla terra rossa. In genere contraria¬ mente a ciò che si verifica abbastanza di frequente per la quercus sessi¬ liflora, il leccio si riscontra in terreni inadatti o poco atti alla coltura del frumento. E cioè meno esigente per ciò che ha relazione colla qualità del terreno.

2 Castanea satira Mill. (nuorese costanza).

3 Juglans regia L. (nuorese maghe) sporadica qua e nelle regioni temperate, lungo i ruscelli od in vicinanza di sorgenti. È in continua di¬ minuzione.

4 Acer monspessulanum L. (nuorese aera).

' 5 Celtis australis L. (nuorese surzaga ).

6 Fraxinus ornus L. (nuorese frassu).

7 Ulmus campestris (nuorese ulumu).

8 Populus alba L., P. nigra L. (nuorese fustiarvu bianca e nieddu).

9 Salix (nuorese salighe).

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sono granché rappresentati, più raro è il pino 1 ed ormai in via di estinzione è da considerarsi il tasso 2, riscontrato dal La Marmora nel gruppo del Monte Neddu de Posada. Lungo i ru¬ scelli e nel greto dei torrenti nelle regioni calde è assai frequente l’oleandro 3, non è raro il tamarisco 4 e l’agno casto 5; in quelle montane l’ontano fi e l’agrifoglio 7. In vicinanza dell’abitato di Ovodda, lungo i ruscelli, è frequente il nocciolo 8, mentre il ciliegio 0 è specialmente diffuso nei territori di Ollolai e Gavoi. Da ricordarsi ancora il pesco 10, l’arancio !1, il limone 12, il me¬ lograno 13, e particolarmente il pero 14 ed il mandorlo l5.

1 Pinu, s lialepensis Miti. ; P. Lancio Poir. (nuorese pina).

2 Taxus baccata L. (nuorese enis ).

3 Nerium Oleander L. (nuorese neulache).

4 Tamarix gallica L. (nuorese tamariglie ); T. africana Poir., lungo il litorale.

5 Vitex Agnvs-Castus (nuorese sauccu de frumene ), lungo il litorale, nel basso corso del Cedrino ed affluenti, ecc.

6 Alnus glutinosa Gaertn (nuorese alinu).

I Ilex aquifolium L. (nuorese olostre) ; la corteccia serve alla prepa¬ razione del vischio, il frascame è mangiato dalle capre.

8 Corylus avellana L. (nuorese ninzola).

9 Prunus avium L. (nuorese cariasa).

10 Prunus Persica Belak (nuorese persigli) coltivato in pochi orti di Oliena, Nuoro, Orgosolo. ecc.

II Citrus aurantium L. (nuorese aranzu).

12 Citrus Limonum (nuorese limone). Questi citrus sono poco rappre¬ sentati e quasi esclusivamente nei migliori terreni alluvionali recenti di Orosei, Siniscola, Posada.

13 Punica Granatum L. (nuorese melagranada ) specialmente coltivato ad Orosei.

14 Pirus communis L. (nuorese pira): qua e è abbastanza rappre¬ sentato nei comuni di Osidda, Pitti, Oliena, Orgosolo, ecc. e deriva in ge¬ nere da innesto nel pero selvatico.

15 Prunus amygdalus communis L. (nuorese mindula). È frequente nei comuni ili Oliena, Nuoro, Orgosolo, talvolta associato all’ulivo, più rara¬ mente al pero. Trova discreta dimora anche in terreni granitici sottili. In quelli d’Oliena la sua coltivazione è in continuo progresso.

È però da deplorarsi che le piantagioni sian fatte senza gli opportuni scassi per cui le radici si sviluppano un po’ troppo scarsamente in profon¬ dità. Ne consegue che essendo le radici troppo superficiali, e ciò per cause diverse, soggette a disseccarsi la pianta nel suo periodo di maggior svi-

CENNI GEOLOGICI DEL CIRCONDARIO DI NUORO

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Non mancano il melo 1 ed il nespolo 2.

Tra le piante fruttifere meritano un cenno speciale la vite 3 e l’ulivo \ La vite era coltivata su larga scala in tutta la co¬ sidetta Baronia , ad Oliena, Mamojada, Nuoro, Orgosolo, ecc. Lo studio eseguito su questa coltura, nelle zoue di predominio dei vigneti, ha dato ragione alle notizie fornite dal Petit-Lafìtte a proposito dei vini raccolti nei differenti terreni del Bordo¬ lese 5. Indipendentemente dall’influenza del clima e della situa¬ zione topografica, si avevano cioè vini più potenti nei terreni calcarei, di maggior finezza in quelli ricchi di silice, di qualità inferiore nei terreni argillosi.

Primeggiavano nel circondario i vini d’Oliena, più alcoolici e coloriti quelli dei terreni calcarei, più fini quelli delle roccie granitoidi 6 e quelli dei basalti e dei calcari di Dorgali: ottimi pure i vini delle antiche alluvioni del Cedrino nei comuni di Gfal- telli, Irgoli, Onifai, Loculi. La miglior vernaccia di Onifai era prodotta da terreni provenienti da graniti grossolani porfìroidi misti a minuti detriti basaltini : ottima pure quella di Orosei

lappo, venendo a perdere il giusto equilibrio fra la parte aerea e sot¬ terranea, deperisce o muore.

La coltivazione del mandorlo è da raccomandarsi, a preferenza di quella dell’olivo, nelle formazioni granitiche massiccie.

In comune di Orosei prospera nel terreno alluvionale-detritico cal¬ careo ed anche in terreno terziario, talvolta sottostante ai ciglioni basaltici.

1 Virus malus L. (nuorese sa mela).

2 Mespilus germanica L. (nuorese nespula).

3 Vitis vinifera L. (nuorese vide).

4 Gita satira Hoff. et Lk. (nuorese uliva).

5 Parona, Il terreno, pag. 106, Torino, 1898.

6 In alcune località di Oliena (Gur ritochine) si producevano vini ottimi anche in terreni superficialmente scistoso-detritici con scarsi elementi calcari e di roccie filoniane acide. Trattasi di terreni sterili formati essen¬ zialmente da ghiaie scistose e di argilla di color rosso, colorazione do¬ vuta probabilmente all’abbondanza dei sali di ferro. Sotto lo strato de- tritico scistoso, più o meno potente, si hanno quasi sempre altristrati calcarei. Ora astraendo dal fatto che queste argille, come si osservò anche a Siniscola, sembrano atte alla coltura della vite, e non trascurando che il detrito scistoso ha struttura assai varia, come proveniente dagli scisti di contatto, è però assai probabile che i vecchi vitigni sardi, provvisti di una forte radice a fìttone, andassero a cercare più in basso felemento cal-

. care che mancava o faceva ^difetto in superfìcie.

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in terreno alluvionale detritico calcareo. Anche nei graniti di Orgosolo (Regione Locoe ) si produceva un vino tino ed alcoo- lico che talvolta gareggiava con quelli delle roccie granitoidi di Oliena, così dicasi per i vini delle vallate di Marreri e Su Gru- mene di Nuoro. Un vino fino ed alcool ico era prodotto nei gra¬ niti porfiroidi grossolani di Olzai, buoni pure i vini di Ottana nei terreni trachitici e granitici, e quelli dei basalti e dei gra¬ niti di Silanus. Ottimi vini da pasto, più leggeri perchè situati ad una altitudine da 500 fin quasi ai 700 m.s. m., si produce¬ vano nei graniti di Mamojada ed in quelli dell’altipiano di Nuoro (vino di campo): buoni pure i vini di Bitti. Nelle formazioni scistose di Orline, Lula, Bolotana, che si risolvono in terreno a preferenza argilloso, i prodotti della vite erano poco pregiati: buoni invece quelli delle roccie gneissiche di Lode anche a mo¬ tivo del clima propizio.

Dopo la distruzione delle viti per opera della fillossera, di¬ struzione che non fu contemporanea in tutti i comuni, avendo detto parassita più a lungo risparmiato ad esempio i vigneti di Oliena e di Orgosolo, si ebbe un periodo di arresto nella col¬ tura specialmente a motivo della sfiducia delle popolazioni nei reimpianti su ceppo americano. In questi ultimi anni, incorag¬ giati dagli esempi venuti dalle altre regioni dell’isola, dal prezzo sempre sostenuto del vino, favoriti dalle assai miglio¬ rate condizioni economiche, s’iniziarono prima a Nuoro, poi via via in altri comuni i reimpianti. Però i prodotti finora ottenuti sono inferiori per forza, finezza ed aroma a quelli che si avevano dai vecchi vitigni sardi.

Una pianta che promette d’acquistare sempre più maggiore importanza è l’ulivo. Estese zone, lussureggianti di olivastri, attendono da un maggior incremento nelle iniziative individuali, che con provvida opera i governanti vanno stimolando ed iu- coraggiando con congrui premi, di essere trasformate in fiorenti oliveti. La miglior qualità d’olio del circondario proviene dagli oli veti di Nuoro che insistono in terreni autoctoni granitici e nel detrito di falda dei monti e colli della regione tutta gra¬ nitica. È un olio fino ed inodoro, sempre più ricercato ed ap¬ prezzato. Un grado inferiore di finezza ha l’olio dei comuni di Silanus, Lei, Bolotana, prodotto in terreni più argillosi. Più co-

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muni sono i prodotti degli oliveti di Orosei che prosperano su terreno alluvionale calcareo od assai ricco in calcare e di rado su terreno terziario arricchito dai lavaggi delle roccie basaltine lentamente alterantisi in superfìcie.

Fra le piante fruttifere si nota ancora il fico d’india 1 che nei luoghi caldi e riparati riesce bene nei diversi terreni e il cui frutto serve di alimento alle popolazioni ed anche quando l’esuberanza della produzione lo permette, per l’ingrasso dei suini.

Scisti cristallini. Sotto questo nome si intende un com¬ plesso di roccie che a causa del metamorfismo regionale od a quello di contatto hanno subito alterazioni più o meno profonde talché non è sempre possibile risalire alle roccie originarie. Il La Marmora, pur segnandoli a parte degli scisti silurici, come verosimile che essi provengano dal metamorfismo di detti scisti. Il Lovisato in genere ritiene questi scisti come Huro- niani : ora è possibile che una parte dei medesimi appartenga a formazioni più antiche del silurico superiore, ma finora la presenza dell’arcaico non fu dimostrata, mentre in formazioni analoghe di Baunei del gadonese e del Sarrabus furono dal- l’ing. Taricco trovati fossili del silurico superiore ed in altre della Nurra fossili del silurico inferiore (Cambriano') 2.

Il lembo più importante di questa formazione occupa la parte centrale orientale del circondario. Gli scisti, dai pressi dell’abi¬ tato di Orline, si spingono in direzione di levante fino al mare e son limitati in tutte le altre direzioni dai graniti. Questa vasta zona scistosa circonda il lembo granitico isolato che si stende ad est di Ditti paese ed i calcari mesozoici di Monte Albo. Nei comuni di Orline 3, Bitti, Orani, Lula, Lode abbondano, coi mi-

1 Opuntia Ficus-indica Miti, (nuorese figu murisca).

~ Osservazioni Geologico -minerarie dei dintorni di Gadoni e sul Gerrei, Bollettino Società Geologica, anno 1911; Il Gothlandiano in Sardegna, R. Accademia dei Lincei, 1913; Il Cambriano in Sardegna, R. Accade¬ mia dei Lincei, anno 1912; Rivista del servizio minerario, 1910, pag. 6; Nota preliminare su località fossilifere nel Sarrabus, Bollettino Società Geologica, voi. XLV, fase. 3-4.

3 Nella zona di contatto delle roccie scistose metamorfiche di Orane col granito si hanno : Gneiss minuti fìlladici e micascisti filladici di con¬ tatto ad andalusite.

Micascisti filladici di contatto ad andalusite e cordierite (?).

Hornfels micacei ad andalusite e cordierite. Riva, loc. cit.

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cascisti e scisti micacei, i cloritescisti e gli scisti a sericite lu¬ centi e satinati. A Ditti, verso l’estremo sud-est del territorio, ma specialmente a Lode, nei pressi o a poca distanza dal paese, sono abbastanza rappresentati anche gli gneiss. Nell’altipiano di Bitti ed Orune, il paesaggio è leggermente ondulato ed uniforme; si hanno pascoli discreti e mediocri per bovini, ma il suolo è in genere poco atto a semina perchè è troppo sottile. Nella mar- ghine 1 di Orune, a Lula, a Lode, il paesaggio è molto movi¬ mentato: si può raffigurare in un succedersi di creste e crinali convergenti o divergenti fra loro, a falde ripide, separati da fondi di valle stretti e ripidi essi pure. La plastica di questi terreni è assai poco favorevole a trattenere in posto i prodotti della disgregazione e dell’erosione i quali, si può dire, sono asportati dalle acque selvaggie a misura che si formano, sicché in genere si ha un terreno poco profondo. Il sottosuolo è sempre roccioso e la macchia quasi sempre molto diffusa è rappresentata dal lentischio, dal Cistus salvifolius e monspeliensis, dalla calycotome spinosa e villosa, dal corbezzolo, dall’erica, da qualche ge¬ nista, ecc.

Gli scisti del comune di Torpè sono in prevalenza micacei; predomina nella macchia il cistus monspeliensis, il corbezzolo e l’erica; a Siniscola ed a Posada si hanno scisti micacei e mi- cascisti talvolta granatiferi come a La Caletta ed a Santa Lucia. Si risolvono lentamente in terreno argilloso di color rossastro: nella macchia predomina il cistus monspeliensis, il lentischio ed il mirto: l’erica è poco diffusa.

Secondo, per la sua importanza nel circondario, viene il lembo scistoso che occupa Pestremo sud del territorio di Ovodda e si attacca, mediante gli scisti di Desulo, a quelli di Fonni che seguitano nel territorio di Orgosolo e si spingono fin presso all’abitato di Oliena. Gli stessi scisti sono ancora a giorno in esigui affioramenti ad est dell’abitato di Oliena: dai medesimi son derivati i potenti depositi della località Guritochine 1 2.

1 Marghine è la costa di monte che dalla valle del Rio di Marreri sale al margine dell’altipiano.

2 Nella zona di contatto Oliena-Orgosolo si hanno gneiss minuti a fina struttura parallela di straterelli quarzosi alternati con altri conte¬ nenti felspato alcalino, clorite e muscovite. Accessori sono il rutilo, lo

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Gli scisti verso il Geiinargentn sono talcosi grigio-verdastri, quelli di Monte Spada, Sa Rena, del territorio di Fornii sono talcoso-cloritico-micacei quelli di Orgosolo verso il limite colla provincia di Cagliari in prevalenza pur essi talcosi come quelli del Gennargentn. Da Corroboe andando verso Fonni, il terreno scistoso si alterna con una specie di grovacca violacea 2 e si hanno in località Su Poru ( Passo di Caravai ), Piu Baùtta vari affio¬ ramenti calcarei che si ripetono a Monte Armario in comune di Orgosolo. Nella zona scistosa del comune di Ovodda si hanno pascoli e pascoli arborati scadenti, in quella di Fonni incolti produttivi, cioè terreni che offrono pascolo scarsissimo. In qualche tratto si ha un po’ di soprassuolo di quercie roveri ordinaria¬ mente di meschino sviluppo. In territorio di Orgosolo, eccettuati pochi terreni provvisti di un po’ di soprassuolo compresi tra il Rio Sa Mela ed il limite con Fonni ed i boschi di leccio del corso superiore del Cedrino, si hanno terreni eminentemente rocciosi, poco profondi, inadatti a semina, quasi esclusivamente cespu¬ gliati di eriche specialmente dove predominano gli scisti tal- cosi i quali secondo anche quanto scrissero i migliori tratta¬ tisti della materia danno terreni pressoché sterili 3.

Un altro lembo scistoso fu ricoperto in parte dalla colata basaltica di Gollei Muru: s’affaccia tra gli stessi basalti in re¬ gione Salisco, occupa la falda nord-ovest del Gollei Muru di dove s’attacca agli scisti della regione Sa Uria i quali si ve-

zircone, la tormalina e la magnetite. Aumentando l’azione metamorfica si hanno gneiss minuti di contatto ad andalusite, che a loro volta passano ad hornfels scistosi, andalusitici.

Il prodotto finale del metamorfismo è presentato da limitate inter¬ calazioni di hornfels. Il quarzo è poco abbondante (Riva, loc. cit.).

1 Nella zona Monte Spada, Sa Rena, Correboi, gli scisti argillosi e filladici quarzoso-micacei e cloritici della regione si sono trasformati per azione del granito in fìlladi quarzoso-micacee e scisti argillosi di con¬ tatto a noduli di biotite ed hornfels diversi (Riva, loc. cit.).

2 La Marmora, Voyctge, voi. I, III1»© partie, pag. 11.

3 Cattivo è il terreno derivato dai talcoscisti, essendo freddo, umido, quasi a poltiglia e sterile ; (Vinassa, Geologia Agraria, pag. 104, Pisa, 1905). Gli scisti talcosi, secondo il prof. Baretti, danno, alterandosi, delle terre scagliose, colanti come poltiglia, quasi a guisa di argilla, fredde, umide e sterilissime (Parona, Il Terreno, pag. 115, Torino, 1898).

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dono ancora riapparire più ad est, sotto le rovine del castello di Gattelli. Qui lo scisto passa alla fìllade e prende in qualche punto l’aspetto di una roccia silurica ’. Lo stesso scisto s’affaccia tra il deposito alluvionale della valle del Cedrino a nord del piccolo altipiano basaltico di Monte Gherghè, apparisce in qualche tratto a sud-est del Gollei Lupu, sotto i basalti, ed occupa poi una vasta zona in territorio di Gal tei li tra il Rio Sologo e la Nazionale Nuoro-Terranuova, spingendosi anche in territorio di D or gali ove occupa un tratto della regione Ornile. Sono terreni poco profondi (salvo qualche eccezione come ad esempio in lo¬ calità Taddore, Sa Maleicca e finitime di Gabelli 1 2) a sottosuolo roccioso, generalmente assai poco atti a semina e che offrono pascolo spesso limitato a quello che può offrire la macchia.

Rimane ancora a trattare delle formazioni scistose dal La Mar¬ mora giustamente riferite al Silurico. Esse si presentano sotto forma di fìlladi, di calcari più o meno cristallini e scistosi. Le fìlladi col diminuire della cristal linità passano a scisti chiasto- listici ed andalusistici, poi a scisti carboniosi nodulosi ed in ultimo a scisti nerastri facilmente alterabili.

Incominciando dall’estremo ovest del circondario, si hanno gli scisti e calcari delle vicinanze di Silanus, poi i molto esigui affioramenti di Ottana e l’importante lembo di N. S.ra di Go- nari in territorio di Orani e Sanile. Oltre questi lembi già noti ed illustrati dal La Marmora si nota in territorio di Silanus quello in verità assai piccolo dei pressi della chiesetta di S. Marco. Un piccolo strato calcareo che affiorava un po’ a levante del¬ l’abitato di Lei fu scavato e fornì pietra da calce all’epoca della costruzione della ferrovia Macomer-Tirso. Più importanti sono gli scisti di Bolotana ed i calcari della località Surconis , i cal¬ cari e gli scisti della regione Su Furreddu in comune di Oni- feri che s’attaccano a quelli della regione Sa Matta in terri¬ torio di Orani ove si hanno altri lembi calcarei a S. Paulo ed adiacenze, in località Arenar giu e Lattoni. Si nota ancora in territorio di Orani il lembo di Monte Cerchialo e l’affioramento

1 La Marmora, Voyage, voi. I, IIIme partie, pag. 14.

2 In dette località il cav. clott. Cucca eseguì recentemente una pian¬ tagione di mandorli. Il Lovisato ritiene gli scisti di Sa Maleicca uronici. Una pagina di preistoria sarda , pag. 12, R. Accademia dei Lincei, 1SS6.

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dei pressi di Casa Seddola Oltre ai suddetti lembi si ricor¬ dano quelli di Monte Graneri in quel di Sarule e di Carcìii- narzos e Monte Acuto in territorio di Orotelli. Affioramenti sci¬ stosi si osservano a Monte Su Suvergiu in territorio di Sarule ad est della Nazionale, tra il km. 24 e 25, ed altri affioramenti si possono osservare nei comuni di Gravoi ed Ollolai, ma spe¬ cialmente in quest’ultimo, in località Su Crapinu ed a nord dell’abitato.

A contatto coi graniti osservammo coll’ing. Taricco a Silanus i calcari ricchi di grossi granati emergenti come pustole sull’im- basamento calcareo: gli stessi granati, questi talvolta assai ricchi in epidoto, si sono osservati a N. S.ra di Gonari, S. Marco, San Paulo in comune di Orani ed a Su Furreddu in comune di Oniferi.

Il lembo scistoso di Sa Matta è il più esteso e si attacca a quello del Monte di Gonari: fuorché pochi tratti occupati da quercie sugheri presenta terreni scadentissimi pressoché intera¬ mente occupati dalla macchia (erica, cisto, corbezzolo, ecc.).

I lembi calcarei affiorano per lo più colla roccia nuda: gli scoli dei calcari, quando questi ultimi sono in massa imponente, riescono assai utili ai pascoli dei terreni granitici. Si citano quelli della regione Letza di Sarule e Littus di Orani sottostanti al Monte di Gonari , i quali per condizioni tìsico-chimiche del terreno, derivato da graniti piuttosto grossolani in formazione massiccia, dovrebbero essere piuttosto miseri mentre all’opposto riescono molto sostanziosi e sono singolarmente apprezzati.

In genere negli scisti il terreno sembra tanto migliore quanto meno è metamorfosata la roccia: ciò darebbe ragione dell’indi¬ scussa maggior attitudine alla produzione che hanno i terreni derivati dagli scisti chiastolistici ed andalusistici, nerastri, car¬ boniosi, nodulosi di Silanus, Lei, Bolotana, rispetto a quelli delle altre zone scistose dell’intero circondario.

Calcari mesozoici. Il La Marmora ha assegnato i cal¬ cari dell’epoca secondaria della regione orientale del circondario al cretaceo, eccettuate le piccole emersioni di Monte Novo e

1 Quest’ultimo affioramento non fu visto dallo scrivente e si ricorda solo a titolo d’informazione ricevuta.

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Monte Fumas in territorio di Orgosolo che riferì al giurassico. Da quanto però ebbe a riferire De Stefani 1 2 sembra che il neo¬ giurassico sia molto rappresentato nei monti di Dorgali, Oliena, Siniscola. Può essere che entrambi i periodi siano rappresentati e riteniamo quindi prudente indicare queste formazioni col nome più largo di calcari mesozoici anche perchè dal lato agrologico la distinzione non avrebbe importanza \

Incominciando da nord a sud appartengono a questi terreni la cateua di Monte Albo, il Monte Tuttavista ed i monti della parte orientale del territorio dei comuni di Dorgali, Oliena, Or¬ gosolo.

Il Monte Albo ha una forma molto allungata nella direzione ENE-OSO; verso nord presenta una falaise ripidissima e con¬ tinua, che va pressoché in dritta linea per molti km., e che ha le massime elevazioni in Monte Turuddò (m. 1127) che sovrasta l’abitato di Lula, Punta Caterina (m. 1127), Punta Ferulargiu (m. 1057), Punta Su Mutucrone (m. 1050) e Punta Capetti (m. 1029). Da Punta Cupetti la montagna degrada rapidamente verso Siniscola, quindi il lembo seguita ma in modo discontinuo e ridotto ad esigue proporzioni fino al Castello della Fava (Po- sada). Piccole emersioni delle stesse formazioni si notano ancora al Monte Lolotta, al Monte Longu e nel monticello che sorge ad est della Nazionale per Terranova presso il km. 71.

1 Parona, Geologia, pag. 507. Milano, Yallardi.

2 Si ricorda che De Vecchi, l’acuto collaboratore del La Marmora, aveva osservato al piede NO della grand % falaise di Monte Albo* fra gli scisti ed il deposito cretaceo, dei lembi di un grès quarzoso e ferrugi¬ noso a grossi grani dal La Marinora ritenuto identico a quello che co¬ stituisce la base del terreno giurassico (La Marmora, Voyage , II Ime partie, voi. I, pag. 207). Anche lo scrivente ha osservato alla base sud di Monte Albo e più precisamente alle falde di Punta Turronedda in territorio di Loculi, delle arenarie simili a quelle sottogiacenti ai Tacchi giurassici della pro¬ vincia di Cagliari. De Vecchi ebbe pure ad osservare non lungi dalla cappella di Santa Lucia di Baunei (da informazioni assunte dallo scri¬ vente la cappella di Santa Lucia doveva trovarsi nelle vicinanze dell’at¬ tuale chiesetta di S. Giovanni) un banco di grès quarzoso che sopportava un grès ferruginoso analogo a quello che forma la base dei terreni giu¬ rassici del Sarcidano (loc. cit., pag. 195) ; altre arenarie osservò lo scri¬ vente nello stesso comune di Baunei ai piedi della falaise di Punta de Turriu.

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Il lembo di Gaitei li forma un monte isolato che raggiunge nel Monte Tuttavista l’altitudine di m. 805. E diretto ancli’esso presso a poco ENE-OSO e presenta verso nord un falaise ripi¬ dissima ed inaccessibile: quivi poggia su porfidi e scisti E Maggior importanza hanno i due lembi dell’estremo sud-est del circondario fra loro disgiunti, in provincia di Sassari, dalla regione granitica di Oddoene del comune di Dorgali. Quello più orientale, limitato dal mare, ha le sue massime altitudini in Punta Dogana (in. 915), Cuccuru Nieddu (m. 836), Punta Suri¬ china (m. 756), Monte Tolui (in. 915), Monte Bardia (in. 882), Cuccuru Carzeddu (m. 745), Monte Irveri (m. 616). Da Punta Dogana , che dista circa 7 km. dal mare, queste vette elevate si trovano quasi allineate nella direzione SN fino a Monte Bardia ed in quella SO-NO al Monte Irveri. Il lembo ha rapidissimi appicchi nella sua parte ovest e pareti quasi verticali a levante sul mare, fuorché verso Cala 1 2 Gonone, Cala Filile e Cala di Luna. L’altro lembo fa parte dei territori di Dorgali, Oliena, Orgosolo. In comune di Dorgali è limitato press’a poco dal Pio Flumineddu e da quello di Sa Oghe ; nei comuni di Oliena ed Orgosolo forma la caratteristica regione detta di Sopramonte. I punti culminanti in comune di Dorgali sono Monte Oddeu (m. 1050), Monte Guttargios (m. 689), Costas cVOssu (m. 675), Monte Omene (m. 627) quasi allineati nella direzione SN. Da notarsi ancora in comune di Dorgali i monti Coazza e Coral¬ lino separati dal lembo di Monte Omene dal Pio Flumineddu e quello che culmina in Monte Sospile ( ni. 577) limitato da ogni parte dai basalti. Si ricorda in quest’ultimo la grotta di S. Gio¬ vanni, situata presso la chiesa omonima, per la sorgente che dalla grotta ha origine e che ha una portata di IO-h-20 litri al secondo circa. Nelle vicinanze della stessa chiesa di S. Gio-

1 La massa di roccie di natura porfirica e composizione molto varia, che apparisce sotto alla dolomia cretacea dei pressi delle rovine del Ca¬ stello di Gabelli, sarebbe probabilmente posteriore ai primi depositi cre¬ tacei, che avrebbe trasformati in dolomite (La Marmora, Voyage, voi. I, HIme partie, pag. 450).

2 Chiamansi Cale le insenature che in genere servono d’approdo ai velieri per il trasporto dei prodotti dei boschi. A Cala Gonone, ad Orosei, alla Caletta di Siniscola fa anche servizio settimanale un piroscafo.

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vanni degna di menzione è la sorgente termale già nota al La Mar mora.

La regione Sopramonte dei comuni di Oliena ed Orgosolo è limitata a nord dalla falaise che da Punta Cara Bidda 1 (m. 1337) in direzione presso a poco di levante, passando per Monte Cu- sidore (m. 1174), discende a Fruncu Nieddu (m. 917) e Monte Uddè (m. 806) e a Punta Sa Turgusa (m. 540) per finire presso la confluenza del Può de Sa Oghe col fiume Cedrino, ed a po¬ nente dall’altra falaise più imponente che dalla Punta Cara Bidda già ricordata, volgendo in direzione quasi nord-sud, rag¬ giunge i punti culminanti nel Monte Corrasi (m. 1463), Punta Cateddn (m. 1193), Punta Solitta (m. 1206), Punta Sa Prima (m. 1416), Punta Lotto ine (m. 1351) e termina in Punta Ganti- narvu (in. 1237). L’accesso alla regione Sopramonie è molto dif¬ ficile e faticoso e si pratica per sentieri poco accessibili. I pas¬ saggi presso le sommità delle falaises si chiamano scale: si no¬ tano in comune di Oliena la scala di Sovana e Scala Giulia, ed in quello di Orgosolo Scala Marras, Scala Catcddu, Scala Cazzamene, Scala Duminiche.

Tutte le formazioni mesozoiche di cui s’è finora trattato si presentano all’occhio in forma d’imponenti masse rocciose, più o meno solcate da depressioni o gore profonde dette general¬ mente Godute, le quali apparentemente rappresentano la rete idrografica, ma in realtà, come osserva il Parona per forma¬ zioni consimili 1 2, le sorgenti si collegano con molto complicati sistemi di cavità sotterranee, l’acqua è ingoiata dalle fessure e buche che cribrano il suolo e la rete idrografica sotterranea si sostituisce in certo qual modo a quella superficiale. Tra le prin¬ cipali sorgenii che escono dalle viscere delle montagne si ri¬ corda il Gologone, un vero torrente, dal quale si aspetta la ri- generazione della Baronia di Orosei, la sorgente di S. Giuseppe di Siniscola, quelle di Dorgali paese e di S. Pantaleo, di Oliena dei pressi del paese, di Mancosu, Osporrai nelle regioni omo-

1 Punta Cara Balda , detta dal La Marmora S’Atha de Bidda, indi¬ cata nella carta dellTstituto Geografico Militare col nome di Monte Ortu Caminu.

2 Parona, Geologia, pag. 192-201.

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nime e di Frantiseli Sale, Morgogliai, Sos Appiarzos , Orobona in regione Fundales del comune di Orgosolo. Nell’alto dei pia¬ nori la roccia è talvolta ricoperta da uno strato di mobile de¬ trito a spigoli aguzzi e taglienti che ostacola e rende difficilis¬ simo il passo ed il paesaggio, generalmente privo di vegeta¬ zione, appare nudo, deserto e desolato.

\

E dunque ventura che boschi più o meno rigogliosi di lecci ricoprano ancora estese zone di queste formazioni, specialmente nei tratti ove si è accumulato il brecciame o detrito di falda misto alla terra rossa caratteristica dei calcari e proveniente dalla loro degradazione, e non si potrà mai deplorare abba¬ stanza l’inconsulta distruzione dei medesimi avvenuta nel pas¬ sato, specie nel Monte Albo di Lula, che rese i terreni già da essi occupati dei veri deserti. Dopo il leccio si nota, nella flora delle regioni più elevate, il ginepro che forma talvolta dei pic¬ coli boschetti, il rosmarino sovente anch’esso in consorzi nume¬ rosi, poi, ma molto più rari, il Taxus baccata L., Acer monspes- sulanum L., Rhamnus alpina L. Si ricordano ancora Genista Lobelii e G. Corsica Db., Ephedra nebrodensis Tin., Thymelaea Tartonraira All., Crataegus oxyacantha L., Rosa Seraphini Viv., Sambucus nigra L., Teucrium Marum L., Euphorbia spinosa L., Santolina Chamaecyparissus L., Amelanchier vulgaris Moench, Prunus prostrata Labili., ecc. In basso nelle falde di detrito si hanno i consorzi dei cistus con Pistacia lentiscus, Arbutus Un e do, Juniperus Oxycedrus, ecc. ecc.

I trattatisti della materia sono d’accordo nel riconoscere alla terra rossa dei calcari, quando si trovi in determinate favore¬ voli condizioni, l’attitudine alla coltivazione della vite, delle pa¬ tate, dei legumi e sovratutto del frumento \ Anche secondo il Nicolis 1 2 questa « singolare argilla di alterazione cretosa, rosso¬ scura, assai tenace, quasi plastica, poco igroscopica, di facile dis¬ seccamento e serepolosa, ricca di ferro, di potassa, ecc., è in¬ trinsecamente di alto valore agronomico, ma non sempre si trova in condizioni da riuscire bene sfruttata ».

1 Parona, Il terreno , pag. 116, Torino, 1898.

2 Nicolis E., Geologia applicata agli estimi del Nuovo Catasto, pag. 14, Verona, 1897.

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Nella vasta zona montana occupata dalle formazioni meso¬ zoiche mancano i terreni coltivati e scarsi son quelli che offrono un assai mediocre pascolo di suolo come in regione Su Campu de Donniannigoro nel limite fra Orgosolo e Dorgali in qualche tratto delle regioni Sovana e Pradu del comune di Oliena. Nel terreno calcareo detritico prosperavano i vigneti specie nel co¬ mune di Oliena ed in esso, nelle falde di detrito, nel brecciame dolomitico 1 calcareo misto alla terra rossa trova vigoroso ali¬ mento, fra le piante forestali, specialmente il leccio.

Trattando dei calcari del periodo secondario, si accennano le emersioni giurassiche di S. Giovanni Monte Nomi e di Monte Fumau, già note al La Marmora, che si osservano sopra gli scisti dello estremo sud-est del territorio del comune di Orgo¬ solo. Interessante notare che in località Sa Pira, presso il Monte Novu , in un piccolo lembo calcareo quasi interamente circon dato dagli scisti, nella macchia è assai diffuso il ginepro, mentre il medesimo è assente negli scisti circostanti, ove predomina as¬ solutamente l’erica. Si fu appunto la diversità cosi spiccata nella vegetazione spontanea che mise in rilievo il lembo calcareo che senza ciò sarebbe forse passato inosservato.

Terreni terziari. 11 deposito nummulitico di Orosei, già noto al La Marmora, si mostra nelle adiacenze della chiesetta dell’Assunta 2 3 e tratto tratto anche sulle due sponde del Ce¬ drino fino al mammellone che si eleva nei pressi del km. 35, a sinistra della Nazionale Nuoro-Terranova.

Altri lembi di terreno terziario, di trascurabile importanza nell’economia agricola della regione, s’affacciano nelle falde sud dell’altipiano del Mortale, ed alle falde dei Gollei 3 delle

1 Spesso gli strati inferiori delle formazioni mesozoiche sono dolo- mitizzati: probabilmente ciò fu dovuto all’azione delle roccie eruttive e filoniane (graniti e porfidi). Anche le roccie effusive (basalti), a quanto coll’ing. Taricco ebbimo ad osservare lungo la strada Orosei-Dorgali, sem¬ brano aver prodotto le stesse conseguenze.

2 II La Marmora la chiama N. S.ra d’Agosto; La Marmora, Voycuje, voi. I, IIIme partie, pag. 225.

3 Nella regione chiamansi Gollei gli altipiani basaltici: ciò non to¬ glie che tanto nella carta dellT. G. M., come pure localmente, sia chia¬ mato Gollei un piccolo altipiano calcareo situato presso il triplice limite comunale Galtelli, Loculi, Lula.

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vicinanze di Orosei. Non si ebbero finora elementi sufficienti per concludere se il sabbione che s’affaccia sotto i basalti alla falda ovest dell’Altipiano di Gollei sia da riferirsi al terziario oppure al quaternario antico.

A titolo di curiosità si ricorda che si osservò un banco di conchiglie in località Numi ed un altro a Puntale Chilivri in comune di Orosei. Fossili qua e disseminati nella spiaggia e che a giudicare dal riempimento 1 sarebbero da riferirsi al quaternario antico si osservarono a Co, la Liparotta nello stesso comune di Orosei: un banco di conchiglie, probabilmente anche esse da riferirsi allo stesso periodo, si osservò a 600 m. circa a sud dell’abitato di Posada e più precisamente presso la quota altimetrica 5 segnata nella carta (scala 1 : 50.000) dell’Istituto Geografico Militare.

Roccie effusive Trachiti. Nella carta geologica d’Italia del 1889, riprodotta da quella del La Marmora, le trachiti nella regione non sono rappresentate se non forse in qualche tratto del comune di Silanus verso il limite colla provincia di Ca¬ gliari. In verità, come si può rilevare dall’unita cartina, esse hanno un discreto sviluppo. Un primo lembo occupa buona parte delle zone cosidette del Monte, cioè la regione nord dei comuni di Silanus, Lei, Bolotana e raggiungono la massima elevazione in Punta Palai (m. 1200) che forse è il punto più alto cui sia giunta la trachite in Sardegna2. Le trachiti in comune di Bo¬ lotana s’affacciano ancora in località Cannas, Minadorgiu e Nuraghe Mannu ed i tufi trachitici biancastri sono attraversati dalla linea ferroviaria Macomer- Tirso a poco più di 100 m. dal passaggio a livello della stazione di Bolotana: essi furono anche osservati dall’ing. Taricco nelle fondazioni della casa Senes in località Carralm del comune di Lei e siccome si mo¬ strano al restremo sud del territorio di Silanus ed affiorano in larga scala incominciando dalla località Sa Orla e Su Mucrone

1 II riempimento ci è sembrato di panchina (arenaria del quaternario antico caratteristica di tutte le coste circummediterranee).

2 II La Marmora ( Voyage, loc. cit., pag. 525) cita la sommità del Monte Santo Padre di Bortigali come il punto più elevato cui sia giunta la roccia trachitica in Sardegna (m. 1051 s. in. secondo il La Marmora ; m. 1026 nella carta dell’I. G. M.).

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verso l’estremo sud-ovest del campo 1 di Bolotana, si potrebbe ritenere verosimile che esse formino l’imbasamento della regione. Tanto più che essi occupano una vasta zona in località Sa Len¬ dinosa e limitrofe del comune d’Illorai.

Il fiume Tirso all’estremo sud-ovest del campo di Bolotana scorre per entro al tufo trachitico che s’attacca alle stesse for¬ mazioni della sponda sinistra del fiume, in comune di Ottana. Nei dintorni di questo villaggio si hanno trachi ti rosse, bigie, brunastre, a frattura concoide, risonanti al martello, da aver l’apparenza di fonolitiche. Esse non si presentano sempre in estese colate, ma anche in modo discontinuo, per entro al tufo trachitico biancastro e seguitano ancora a mostrarsi verso nord, a Nuraghe Gorae, Nuraghe Attenta, in territorio di Orani, affio¬ rano a Sa Lendinosa , poi a Nuraghe Lacche in territorio di Illorai.

I terreni provenienti dalla disgregazione di queste roccie sono buoni a semina ed alla produzione del pascolo.

Le trachiti, queste però a sviluppo vetroso prevalente, si osservano ancora in comune di Ottana lungo il Rio di Liscoi fin presso il Nuraghe Biddinnannari ove si affaccia il granito, tosto coperto nuovamente dalla trachite che seguita a mostrarsi lungo il Rio Nidu e Corbu fin sopra la strada nuova Orotelli- Ottana e forma poi il piccolo altipiano di Sa Pranedda la cui base è granitica.

Le trachiti di Ottana s’attaccano mediante quelle delle re gioni S’Adula, Fustiarhu, Liscoi , Monte Nule alle trachiti del comune di Oniferi che dalla regione Sculacacca in direzione SO-NE attraversano il comune interrotte soltanto nei pressi di Bada Martine ed invadono poi un tratto del territorio del co¬ mune di Orani nelle regioni Nurdole e Duacori.

Per ultimo si ricorda ancora il lembo trachitico che occupa una ristretta zona all’estremo sud-ovest del comune di Olzai. Esso incomincia dai pressi del Nuraghe Portoni e passando per Nuraghe Orittu, per mezzo delle trachiti di Punta Ghirtaleo s’attacca a quelle del Salto di Lochele della provincia di Cagliari.

1 Nei comuni di Bolotana, Lei, Silanus, Illorai, ecc. col nome di campo viene distinta la pianura verso il fiume Tirso.

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Osserva il Parona1:«Le roccie vulcaniche, [rachitiche e basaltiche sono più ricche di calce e di fosfati in confronto delle roccie cristalline antiche, presentano cioè, sotto il punto di vista agrario, una composizione chimica più completa e quindi danno origine ad un terreno vegetale più ferace ».

Nella zona in studio si hanno, sotto il rispetto agricolo, buoni terreni in quelli provenienti dalle trachiti di media acidità quando si presentano a scarso sviluppo vetroso e non è eccessiva l’occupazione rocciosa, mentre si hanno terreni molto scadenti negli affioramenti del tufo trachi tico biancastro e nelle trachiti a sviluppo vetroso prevalente perchè in quest’ultimo caso esse si alterano, si può dire, soltanto meccanicamente e danno po¬ chissimo terreno.

Nelle trachiti delle regioni montane dei comuni di Silanus, Lei, Bolotana, si aveva un tempo una vera foresta di quercie roveri e lecci : di questo ricco ammanto boscoso non rimangono in molti luoghi che le traccie e l’opera di distruzione iniziata dagli eredi del comm. Beniamino Piercy e seguita da altri spe¬ culatori prosegue ancora, lentamente, ma sicura. Nei tufi tra- chitici biancastri non solo l’alto fusto, ma anche la macchia è in genere assente: talvolta anche il pascolo erbaceo fa difetto ed essi affiorano colla roccia nuda. Nei lembi trachitici di Ot- tana, Orani, Oniferi raggiungono molta diffusione il lentischio ed il Cistus monspeliensis.

I pascoli dei terreni provenienti dalle roccie effusive sono molto appetiti dal bestiame, di singolare rendimento, e quindi particolarmente apprezzati : appartengono alla categoria dei pa¬ scoli detti localmente di salia, cioè pascoli salati, sostanziosi.

Basalti. Si osservano all’estremo nord del territorio di Silanus ed all’estremo nord-ovest di quello di Bolotana di dove s’attaccano a quelli del grande altipiano del Campeda. Ma il lembo più importante in comune di Silanus è quello che si stende a sud della linea ferroviaria ove è per un buon tratto spesso ricoperto dal manto alluvionale. Il monticello su cui sorge il Nuraghe Malacorru (m. 470 circa) è il punto più alto cui sia giunta la lava basaltica nella regione e la presenza di

1 Parona, Il terreno (loc. cit. ), pag. 118.

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materiali scoriacei leggeri che si osserva nei fianchi del colle potrebbe far pensare che dal medesimo sia uscita la colata che si distese verso il sud formando la piana di Silanus. È curioso pure l’osservare che questa colata sembra essersi distesa sul quaternario, il che potrebbe avvalorare l’ipotesi del Lovisato che l’uomo primitivo sia stato testimone delle ultime convulsioni basaltiche. Se pure il sabbione sottogiacente alla colata basal¬ tica non sia da riferirsi ad un’èra più antica, cioè al terziario superiore.

Le colate di Silanus sono limitate a sud da ciglioni rocciosi che offrono pochi passaggi ed assai disagevoli anche ai cavalli, onde accedere ai terreni sottostanti : esse sono separate dalle valli d’erosione del Rio Canale, dai basalti del piccolo altipiano di Su Pranu del comune di Lei.

Più rappresentate sono queste formazioni nelle cosidette Ba¬ ronie di Porgali e di Orosei.

Le colate basaltiche del comune di Porgali, mentre sono abbastanza pianeggianti alla sinistra del Cedrino che si è sca¬ vato fra le medesime una valle stretta e profonda, si presen¬ tano invece più accidentate nei pressi del paese ove sono forse state contorte e sollevate a diverse altezze da sollevamenti po¬ steriori. Tuttavia la presenza di materiali scoriacei più leggeri che si verifica presso i colli S. Piena (m. 514), Pirischè (m. 592) e N. S.rn del Cannine (m. 464) potrebbe far pensare che dai medesimi siano uscite le colate che si distesero verso l’ovest in¬ terrotte in parte dalle masse mesozoiche di Monte Coazza, Co¬ rallino e Monte Sospile. Si ritiene interessante far notare che a levante del Monte Pirischè, sul fianco della montagna cal¬ carea, ad un’altezza sul mare un po’ superiore a quella notata per la vetta di detto colle, in occasione di piccoli scavi fatti per ricerche minerarie empiriche, furono messi a giorno dei sot¬ tili strati che riteniamo di lapilli, intercalati da strati detritici calcarei. Senza venire a conclusioni che esorbiterebbero dal campo del nostro piccolo studio e che d’altronde non sapremmo formulare, segnaliamo la singolarità dell’osservazione fatta.

Un’altra colata basaltica, secondo il La Marmora, sembre¬ rebbe essere venuta da una gibbosità conica che si osserva in regione Colici Muru in territorio di Galtelli ed essa si sarebbe

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distesa ad est fino al mare, cioè alla Punta Nera d’Osalla, verso ovest alla regione pianeggiante di Borrisolo e verso sud-est alla regione di Gollei ove nel margine di Gollei che fronteggia la chiesetta di S. Pantaleo in quel di Porgali ed in regione Go- nogosuln di Oliena si hanno i più begli esempi della divi¬ sione prismatica dei basalti che si presentino in tutta la pro¬ vincia.

Nella stessa regione Gollei e più precisamente in località Ena longa, si eleva sulla superficie pianeggiante della colata basaltica un monticello detto Su Nuraghe 1 formato da scorie e lave generalmente meno compatte ed anche friabili. Anche nell’al¬ tipiano di Gollei Lupu, si eleva sul piano della colata il mon¬ ticello omonimo: questi fatti, collegati all’esistenza del Mortale, illustrato dal La Marmora, nell’altipiano basaltico che da Onifai si spinge verso Orosei, fanno pensare che queste elevazioni siano state prodotte da cause identiche le quali potrebbero formare interessante oggetto di studio.

Nella flora dei basalti della regione Gollei si nota: Pistacia lentiscus, Cistus monspeliensis, Olea oleastrum, Asparagus albus et acuti folius, Euphorbia dendroides, che ammanta quasi com¬ pletamente il monticello Su Nuraghe, Calycotome villosa, Aspho- delus microcarpus, Ferula nodiflora, Lavandula Stoecas, Gla- diolus byzanthinus, Poligonum equi seti forme, Urginea sciita, Se- dum coeruleum , ecc. e qua e là, presso i ciglioni, Stachis glu¬ tinosa, Crataegus oxyacantha, Osyris alba, Phyllina variabilis, Prunus discolor, Pirus amygdalyformis, ecc. Nelle paludi è co¬ munissima V Isoetes Hystrix Dur.

Si ricordano in comune di Porgali altri piccoli lembi ba¬ saltici; uno dei quali, già noto al La Marmora, s’inizia presso il mare a Cala Gonone e più precisamente al ciglione detto Co- dina Manna e seguita poi fino alla località Toddeitto , ed un se¬ condo comparisce sopra i calcari della località Gliivine. Un altro piccolo lembo si osserva in comune di Oliena, alla confluenza del Rio de Sa Oghe col Cedrino.

1 Non vi è traccia di Nuraghe ma vi sono delle cosidette domos de jana scavate nella roccia.

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Ai basalti del lembo principale di Dorgali s’attaccano quelli del tìollei Muru di Galtelli e dell’estremo sud del territorio di Orosei. Gli stessi basalti si osservano poi, in quest’ultimo co¬ mune, per tutto l’altipiano attraversato dalla Nazionale per Si- niscola, tra il km. 34 ed il 41, nei Gollei delle vicinanze del¬ l’abitato e nell’altipiano su cui sorge il curioso cratere del 1 Mor¬ tale illustrato dal La Marmora. Per ultimo si nota la colata del Gollei Lupu in territorio di Loculi che un tempo doveva essere unita a quella del Monte Gherghè da cui fu separata dall’erosione. E si ritiene interessante far rilevare che al ciglione nord del Monte Gherghè ed a quello sud del Gollei Lupu la lava basaltica si è riversata su ciottoli rotolati, talvolta appiat¬ titi, verosimilmente quaternari.

Sotto il rispetto agricolo si osserva che nei luoghi ove le colate si distesero in piano orizzontale si hanno terreni sottili, con molta occupazione di roccie affioranti, perchè le medesime si trovarono in condizioni di essere assai difficilmente erose. Però nelle depressioni della pianura basaltica in comune di Dor gali, nei pressi della Casa cantoniera Paduli e della cosidetta Traversa , si son formati riempimenti palustri, alcuni dei quali prosciugati da tempo (paludi di Fruncudunue e Marras) han dato un buon terreno agrario, profondo, di color nero, ricco di sostanze organiche il quale diede, nei primi anni in cui fu messo a cultura, dei redditi elevatissimi. In questi ultimi tempi, forse a motivo della poca diligenza usata nel tener sistemati i fossi di scolo delle acque, o per altre cause che non fu possibile ap¬ purare, si ebbe talvolta compromesso il raccolto. Altre piccole paludi nelle località Dorrisolo, Forcar zos, Biriddi furono teste prosciugate, ma non si ebbe occasione di visitarle.

Nei luoghi ove son venuti a giorno gli strati inferiori delle colate, spesso formati da materiali sciolti o poco consistenti, si ha in genere terreno più abbondante e sui fianchi delle valli d’erosione, astraendo dalla soverchia inclinazione od occupazione di roccie affioranti od emergenti, si hanno spesso buoni terreni coltivabili a cereali, ad ulivo. E buoni terreni coltivabili si hanno per tutto ove si sono formati e trattenuti i prodotti dell’ero¬ sione di queste roccie, arricchiti dai lavaggi delle patine basai - tine sempre rinnovantisi.

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Il Vinassa 1 nota che i basalti, resistenti assai all’altera¬ zione, danno poi, essendo riccamente ferruginosi, una terra mar¬ nosa argillosa bruna con molto ferro e silicati zeolitoidi. Il ter¬ reno, specialmente pel suo colore, è caldo ed ottimo specialmente per la vite, ed è riccamente provvisto di fosfati.

Osserva il Nicolis 2 che nel Veronese sono assai fertili e straricchi di terriccio nero ferruginoso i basalti nei quali la vite è produttiva al massimo grado. Anche in comune di Dorgali si avevano nei basalti rigogliosi vigneti che producevano un vino squisito ed è un vero peccato che nella zona basaltica la natura del sottosuolo roccioso ostacoli, a motivo delle spese in¬ genti occorrenti per gli scassi, la ricostituzione dei vigneti su ceppo americano.

Fra le essenze cespugliate che si osservano comunemente nei basalti si notano il lentischio e l’olivastro : però nei terreni sottili e rocciosi ed in quelli ove abbondano le lave ed i detriti scoriacei è molto diffuso il cistus monspeliensis, talvolta asso¬ ciato al mirto.

L’alto fusto è assai poco rappresentato, fuorché nel comune di Dorgali dove si hanno vaste zone fiorenti di olivastri ed una lussureggiante foresta di lecci nel piccolo lembo della regione Ghivine. Anche le piante fruttifere prosperavano nei vigneti di Dorgali. La coltivazione dell’ulivo, che pure troverebbe nella re¬ gione favorevoli condizioni di terreno e clima e che potrebbe assurgere ad importanza grande coll’innesto degli olivastri, è invece trascurata e praticata in scala minima essendo comune fra gli abitanti il pregiudizio che l’ulivo non sia adatto per le terre nere, cioè per le terre dei basalti.

Lembi detritici calcarei d’età incerta. Accenneremo brevemente a questi lembi che per la loro potenza meritano d’essere presi in particolare considerazione, tralasciando di par¬ lare degli altri terreni brecciosi o detriti di falda che occupano la base od i fianchi dei monti e che segnano come un tipo in¬ termedio fra i terreni autoctoni e quelli alluvionali.

1 Vinassa, Geologia agraria, pag. 103. Pisa, 1905.

2 Parona, Il terreno, pag. 118.

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Conservando lo stesso ordine seguito nella trattazione dei calcari mesozoici, noteremo anzitutto il lembo detritico che oc¬ cupa la base sud del Monte Albo spingendosi sin presso il Rio di Siniscola e che è formato da detriti e ghiaie calcaree miste alla terra rossa, cioè da terreni mediocremente atti a coltura oppure pressoché sterili a seconda della maggior o minor ab¬ bondanza del detrito, dell’occupazione rocciosa e dei cespugli, fra i quali si hanno, unitamente al lentischio, anche le essenze cespugliate meno esigenti fra le quali si nota l’erica, il ginepro ed il rosmarino.

Interessanti pel geologo sono le breccie calcareo-scistose della Dispensa Goletti , ove si hanno terreni scadentissimi perchè essenziaTfnente rocciosi.

Lembo calcareo detritico importante è pur quello che dalla

V

base orientale del Monte Tuttavista si spinge verso il mare. E formato da detriti misti alla terra rossa, e da conglomerati cal¬ carei a cemento calcareo argilloso. Si hanno terreni poco atti od inadatti a coltura di suolo, fuorché nella zona a levante della vecchia strada Orosei-Dorgali, zona che nella nostra carta abbiamo riferita alle alluvioni antiche, ove si hanno anche ter¬ reni coltivati a cereali, a mandorlo, ad ulivo e che compren¬ deva la massa ed il fiore dei vigneti dell’agro di Orosei.

Scarso è il detrito sottostante alla falaise settentrionale del Monte Tuttavista ; esso si è sovrapposto agli scisti, ai porfidi e forse anche al calcare nummulitico.

Anche nel comune di Oliena si avevano ottimi vigneti nel minuto detrito che si è deposto alla base della falaise meso¬ zoica che da Punta Jacu Ruju corre a Monte Uddè. In diverse località (Guritochine, Sa Prama ) al detrito calcareo si sono so¬ vrapposti depositi detritici in gran prevalenza scistosi : in altre (Irilai, Su Rettore) al detrito calcareo è unito in copia anche quello scistoso. Sono sempre terreni assai scadenti e pressoché sterili. A Su Rettore, nella macchia si è notato:

Cistus monspeliensis, G. albidus , C. villosus, C. salvifolius , Pistacia lentiscus, P. Terebinthus, Colutea arborescens, Arbutus Unedo, Rhamnus Alaternus, Ilex aquifolium . Juniperus Oxy- cedrus, Rosmarinus officinalis, Stachys glutinosa, Quercus Ilex, Calycotome villosa, Asparagus albus e A. acutifolius, Clematis

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cirrhosa, Lavatera olbia var. unguicolata ; poi Teucrium flavum, Cirsium Casabonae, Carthamus lanatus, Eryngium campestre, Bulicarla vulgaris, Asphodelus microcarpus, Foeniculum piperi- tum, Crupina vulgaris, Lenzea conifera, Vicia Cracca, Latyrus Climenum, Euphorbia Characias, Anthyllis vulneraria, Lavan¬ daia Stoecas, Helichrysum angustifolium e H. italicum, M ar¬ rubiniti vulgare, Dianthus arroster , Allumi roseum, Allium sub-Jiirsutum, ecc. Quest’ultimo raggiunge poi molta diffusione nel detrito schiettamente calcareo.

Nel comune di Dorgali si hanno buoni boschi a Su Littu ed in altre località: il lembo breccioso più potente sembra quello che dallo sbocco orientale della galleria di Scala omines discende a Cala Gonone, in esso crescono boschi mediocri o si hanno magri pascoli. E magri pascoli, generalmente coperti dalla macchia e boschi di leccio più o meno rigogliosi, si hanno ai fianchi della falaise clic da Punta Cara Bidda va a Punta Solitta in co¬ mune di Orgosolo.

Concludendo, osserviamo che il minuto detrito calcareo misto alla terra rossa, mentre si mostra ovunque ottimamente atto per la coltivazione della vite e sembra bene comportarsi anche per quella dell’olivo e del mandorlo, non sia però adatto, senza correttivi od ingrassi, a quella dei cereali, i quali anche nei ter¬ reni che si trovano nelle condizioni più favorevoli sono coltivati intercalando un riposo di parecchi anni, e soltanto per eccezione od a lunghi intervalli in quegli altri terreni più scadenti, ana¬ logamente a quanto è praticato per i pascoli cespugliati di merito infimo e per gl’incolti produttivi della regione.

All uvioni. Il La Marmora non ha ricordato fra i terreni della Sardegna appartenenti al Diluvium 1 che i grandi depositi del Campidano osservando che i detriti ciottolosi che ricoprono le pianure ed i fondi di valle sono da considerarsi come il pro¬ dotto di cause locali e da collocarsi fra le alluvioni contempo¬ ranee che si formano sotto i nostri occhi. Comunque sia, nella zona in studio si hanno lembi alluvionali antichi e recenti d’nna certa importanza sotto il rispetto agricolo e meritevoli di un cenno speciale.

1 La Marmora, Voyage, voi. I, IIIin0 partie, pag 39G-398.

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Sorvolando sui piccoli depositi delle località Campi d'Oviddè, Sa Canna, Bidoni , degli Stazzi1 di Posada; su quelli di Ber- chida, Su Juncu, S. Martino, situati rispettivamente nei comuni di Siniscola, Onifai e Galtelli, su quelle del Rio Frahale in comune di Oliena e Porgali e sugli altri minori che qua e si riscontrano, tratteremo brevemente delle alluvioni del basso corso del Cedrino, del fiume di Posada, del Rio di Siniscola e di quelle più importanti della vallata del Tirso.

Le alluvioni antiche del Cedrino, poco rappresentate a monte del ponte di Pappalope, acquistano poi una certa importanza a valle del medesimo. L’alluvione è ciottolosa, ad elementi pre¬ dominanti di roccie granitoidi : non mancano i ciottoli scistosi e basaltici, questi ultimi abbondanti nel tratto attraversato dalla Nazionale Nuoro-Terranova, fra il ponte di Bartara e l’abitato di Galtelli: rari assai quelli calcarei. Alle antiche alluvioni della riva sinistra del Cedrino si collegano quelle, più magre perchè provenienti quasi esclusivamente dalle roccie granitoidi, del Rio Vittoria, del Rio Santa Maria e del Riu Morta , situate rispettivamente nei comuni di Loculi, Irgoli, Onifai. Tutti questi depositi alluvionali sono in genere poco potenti sicché, tratto tratto, da essi emergono le roccie granitiche o filoniane che li sopportano; essi sono anche mediocremente atti alla grani- coltura, mentre bene si. presterebbero alla coltivazione della vigna Che, favorita dal clima propizio, ottimo prodotto. Le antiche alluvioni delle adiacenze di Siniscola son dovute essenzialmente al Rio omonimo ed al torrente Sa Rena Latta. Esse hanno un discreto sviluppo a nord-est dell’abitato e son formate da strati talvolta abbastanza potenti di ghiaie e detriti di scisti in prevalenza micacei, impastati in un’argilla rossastra e tenace. Questi terreni sono meno soggetti a risentirsi dei danni della siccità nei confronti delle formazioni alluvionali ad elementi granitici. Talvolta però, sotto un sottile strato di ter¬ reno vegetale, come nella località Artucanu, si hanno banchi ciottolosi, ghiaiosi, ed il terreno acquista eccessiva permeabilità, con pregiudizio delle colture che vi si praticano.

1 Si chiamano stazzi le abitazioni isolate o raggnippate della Gallura ove vivono famiglie di pastori contadini. Gli stazzi di Posada sono, si può dire, una continuazione della pastorizia gallurese.

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Le alluvioni antiche del fiume di Posada (trattando delle alluvioni noi escludiamo i depositi litoranei) si sviluppano a preferenza sulla riva destra del fiume, dalle vicinanze dell’abi¬ tato di Torpè, alla Nazionale per Terranova: esse, sotto il ri¬ spetto agrario, hanno un grado di merito poco diverso da quello delle antiche alluvioni del Cedrino e del Rio di Siniscola che generalmente comprendono seminativi mediocri.

Sulle alluvioni antiche del Cedrino si sono adagiate, spe¬ cialmente nei pressi di Orosei e nell’area compresa fra la Na¬ zionale e i villaggi di Loculi, Irgoli, Onifai, quelle recenti o contemporanee. Sarà forse interessante un cenno sul modo di loro formazione. Dal guado Gfaltelli— Locai i alla foce dei fiume, cioè per un percorso superiore ai 13 km., non si hanno che nove metri di dislivello. L’acqua ha un decorso piuttosto lento, decorso che era ancora molto intralciato, specialmente a valle del ponte di Orosei, dai canneti, dalle siepi e piante frutti fere che ne ingombravano il letto. La corrente, piuttosto mo¬ derata, non sempre riusciva, durante le piene del fiume, a vincere le onde del mare ed a scaricarvisi completamente, aumentando così l’entità dell’inondazione, facilitando il ristagno delle acque che avevano così agio di spogliarsi in gran parte dei materiali leggeri tenuti in sospensione. Così si spiega il motivo per cui le alluvioni recenti dell’agro di Orosei riuscirono di maggior fertilità, cioè più pingui, di quelle dei villaggi più a monte. S’intende che ci riferiamo soltanto alle alluvioni si¬ tuate fuori dal dominio delle correnti che si formano nel periodo delle inondazioni e che trasportano talvolta anche in abbon¬ danza le sabbie del superiore bacino imbrifero del fiume essen¬ zialmente granitico. Le alluvioni che formano il cosidetto «fa¬ sciale»1 dei comuni di Galtelli, Loculi, Irgoli, Onifai sono ottime per la granicoltura essendo formate da materiali suffi¬ cientemente fluitati e che provenendo dagli elementi del gra¬ nito, degli scisti, dei basalti e dei calcari ban dato un terreno sciolto, fino, omogeneo, ed abbastanza completo dal punto di vista agrario. Esse riescirono anche abbastanza potenti, il che

1 Col nome di fasciale è indicata localmente la zona delle alluvioni recenti: tutti gli altri terreni sono chiamati asprine.

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ne fa aumentare il loro valore agronomico, essendo ormai am¬ messo che un grande spessore di terreno ha influenza notevole nella produzione, come fu dimostrato per le famose terre nere di Russia \

Le alluvioni recenti del fiume di Posada sono invece meno potenti, meno buone sotto il rispetto agrario perchè provenienti quasi unicamente dall’erosione degli scisti e dei graniti e più grossolane perchè detto fiume dal guado di Nuoro ha pendenza da 1 a 1000, maggiore cioè di quella del Cedrino, percorso più rettilineo e letto più sgombro, sicché le acque defluiscono con maggiore rapidità. Esse sono anche più grossolane perchè meno fluitate (40 km. di fronte ai 60 del Cedrino) e meno fer tili, essendo ormai ammesso, dopo quanto riferirono il Dupont 1 2 ed altri trattatisti e secondo quanto osserva il Nicolis 3, « che il suolo, salvo cause eccezionali, mano mano che si allontana- dal suo centro di diffusione, cioè quanto più lungamente è stato fluitato, riesce più sciolto, di miglior impasto, più ossidato e di grana sempre più fina, che è quanto dire omogeneo e per con¬ seguenza di maggior rendita». Ed infatti in certe classiche al¬ luvioni dell’agro di Orosei non è rara la rotazione quadriennale di tre fruménti con una leguminosa, ed è comune per le altre quella triennale dei due frumenti con la coltivazione di rin¬ novo, mentre questa ultima rotazione è soltanto praticata per eccezione nelle alluvioni del fiume di Posada per le quali si usa comunemente quella biennale, frumento, fave o ceci.

Le alluvioni recenti del Rio di Siniscola sono poco rappre¬ sentate e quasi unicamente a levante della Nazionale. Son for¬ mate dall’erosione di scisti generalmente micacei e forse son anche provviste di calcare proveniente dai lavaggi della grande catena di Monte Albo. Han dato terreni freschi, coltivati ad orti, frutteti e seminativi.

Tratteremo per ultimo brevemente delle alluvioni della val¬ lata del Tirso ed in primo luogo di quelle del comune di Bo-

1 Vinassa, Il terreno, pag. 5. Milano, Vallardi.

2 Dupont, Sur les principales donne'es que la Geologie peut fournir à V agricolture. Bulletin de la Société belge de Geologie, IV, 1890, pag. 130.

Nicolis E., loc. cit., pag. 44.

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lotana. Avvertiamo che in epoca posteriore alle perlustrazioni fatte in detto comune ci si ò affacciato il dubbio che i potenti banchi di sabbione, che affiorano in diverse località del campo, anziché al quaternario possano essere riferiti ad epoca più an¬ tica, cioè al terziario e che possq perciò trattarsi di sabbie marine mioceniche o plioceniche. La distinzione sotto l’aspetto agrolo¬ gico non ha grande importanza, avemmo campo di fare, nella zona, altri studi più concludenti al riguardo.

Comunque sia, ed anche astraendo da questi banchi sab biosi, nell’area in discorso, si osservano tre diversi tipi di alili vioni. Distingueremo in primo luogo quella più antica che pre¬ senta un interessante soggetto di studio, per la sua grande po¬ tenza, mancando nella regione corsi d’acqua così importanti da giustificarla. Abbiamo detto potente perchè, ad esempio, la som¬ mità del piccole colle di Durgui (questo colle è a 3 km. circa a sud della stazione di Bolotana), che si eleva sulla piana allu¬ vionale di 25 :: 30 metri circa, è formata da materiali di tra¬ sporto con predominio di ciottoli quarzitici. Ed è pure interes¬ sante notare l’abbondanza di questi ciottoli mentre le roccie madri sembrano scomparse od almeno di molto attenuate tanto nella regione come in quelle del bacino superiore del Tirso.

L’altro tipo di terreno di trasporto che in più di un luogo è un vero e proprio detrito di falda, occupa la base dei monti del Marghine ed in qualche tratto si è spinto anche più a sud verso la zona del campo. Esso è attraversato dalla linea ferro¬ viaria Macomer-Tirso e proviene dalle roccie dei colli e monti soprastanti delle quali contiene tutti gli elementi. Abbondano i detriti granitici e scistosi e non mancano quelli trachi tici prove¬ nienti questi ultimi in gran parte dal denudamento del ciglione di Punta Primaghe, o da altri ciglioni sottostanti ora smantellati dall’erosione.

Ultimo tipo di terreno alluvionale è quello che si osserva nelle cosidette iscre che in più di un tratto accompagnano i vari ruscelli che solcano longitudinalmente la pianura di Bo¬ lotana. Esso ha press’a poco la stessa composizione litologica del tipo precedente, ma è formato da elementi piuttosto fini ed omogenei, ha cioè i caratteri delle alluvioni recenti alle quali va riferito.

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A. BLENGINO

Sotto l’aspetto agrologico si osserva che il lembo che ab¬ biamo riferito all’alluvione antica badato terreni si liceo-sabbiosi ed anche tufacei, magri, poco od affatto permeabili, coltivati i primi generalmente a lunghi intervalli, talvolta previa stabbia¬ tura colle pecore, lasciati incolli secondi. L’alluvione è deserta, sprovvista di alberi e di acque.

Le alluvioni del secondo tipo han dato terreni buoni, me¬ diocri ed anche scadenti a seconda che in essi predomina l’uno o l’altro tipo di roccia e della diversa proporzione con cui sono mescolati i detriti grossolani ai frantumi ed alle parti sottili. Seminativi discreti si hanno nelle località Badde Ainos, Sas Faggiorbas, Serra Lipotto , S'Ena su Salighe e pascoli dotati talvolta di un po’ di soprassuolo di olivastri o quercie roveri nelle altre località. Non mancano vigneti nei pressi della sta¬ zione ferroviaria. A quanto ci fu riferito quest’alluvione si am¬ mantava un tempo, in qualche tratto, di belle sugherete delle quali ora non restano che scarse traccie.

Nelle cosidette iscre del campo, cioè nelle alluvioni recenti, si hanno terreni discretamente atti alla coltura dei cereali.

Le alluvioni deH’estremo sud dei comuni di Lei e Silanus hanno caratteri eguali a quelle limitrofe di Bolotana: quelle che si stendono alla base dei monti del il larghine hanno un grado maggiore o minore di bontà che varia per le stesse cause accennate trattando delle alluvioni della stessa età del comune di Bolotana.

Il lembo alluvionale che dai pressi della stazione ferroviaria di Lei si spinge al sud occupando anche un tratto del piccolo altipiano basaltico di Su Pranu è formato da ciottoli e ghiaie impastate in un’argilla rossastra e tenace di diffìcile lavorazione e poco produttiva: assai migliori sono le alluvioni di Silanus che essendo formate di svariati elementi han dato un terreno agrario più coni] lieto.

Chiuderemo l’elenco delle formazioni alluvionali più impor¬ tanti del circondario, ricordando quelle della riva sinistra del Tirso, nei territori di Orani ed Oltana che danno terreni a ca¬ ratteri poco diversi da quelli della riva destra in comune di Bolotana.

CENNI GEOLOGICI DEL CIRCONDARIO DI NUORO

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A titolo di curiosità si ricorda che si sono osservati conglo¬ merati in prevalenza silicei a cemento siliceo, in località Oddini di Orani e Sa Orta e Su Mucrone di Bolotana ed una puddinga ad elementi trachitiei e granitici in località Bingias Noas, presso la casetta omonima, in comune di Ottana.

Con ciò finisce questo piccolo studio il quale sarebbe forse riescito più fruttuoso di utili considerazioni se lo scrivente fosse stato in grado di produrre (il che non potè fare per la man¬ canza di un laboratorio) qualche analisi meccanica dei terreni cristallini antichi e di quelli granitici più importanti. Comunque si è con animo grato che porge i più vivi ringraziamenti all’a- mico ing. dott. Taricco che gli fu preziosa guida nel corso delle sue osservazioni ed al chiarissimo prof. Terracciano che nello studio della flora gli fu largo di ammaestramenti e gli usò le massime facilitazioni.

[ms. pres. 7 agosto - alt. bozze 21 sett. 1916].

Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XXXV (1916)

(Blengino A.) Tav. XI.

CIRCONDARIO DINUORO

0 5 10 15 20 Km

- r. roda crollo

P^BraiiduigkL

C Hi ff1* Santi

DELLE I COLITI (PIETEE FIGURATE)

Nota del prof. A. Neviani (Tav. XII, XIII)

L’insigne geologo di Genova, il prof. Arturo Issel, ha pub¬ blicato nelle Memorie della R. Accademia dei Lincei , uno splen¬ dido studio sulle Pietre figurate 1 delle quali propone un nuovo ordinamento sistematico, razionalmente basato sopra l’osserva¬ zione dei fenomeni genetici, ai quali vengono subordinati quelli morfologici.

L’opera dell’Issel merita dagli studiosi un attento esame, tanto più che queste forme naturali sono, in generale, trascurate dai mineralisti e dai geologi 2, quasi che non includano una sor¬ gente di notevoli osservazioni di fisica molecolare, o altri impor¬ tanti fenomeni, quanto quelli di morfologia geometrica; e, per quanto, come dichiara l’A., essa si debba considerare come un prodromo ad un lavoro molto più voluminoso, che egli si pro¬ pone di fare e che tutti avidamente aspetteremo, credo opportuno farla conoscere, per mezzo del Bollettino della Società Geologica Italiana, meritando essa la più larga diffusione, giacche interessa anche l’insegnamento di ogni ordine di scuole. Al riassunto che espongo secondo l’ordine seguito dall’A. nelle sue conclusioni, alquanto diverso da quello del testo, faccio seguire, volta a volta, qualche noterella sopra poche osservazioni su alcune pietre figu-

1 Issel A., Prime linee di un ordinamento sistematico delle Pietre figu¬ rate. Meni. d. R. Acc. cl. Lincei, voi. XI, fase. 11, pag. 631-667. Roma, 1916.

2 Sono occorsi molti anni prima che un valente scienziato abbia pubblicato, a mezzo della nostra massima Accademia, un notevole lavoro su tale argomento. Auguro all’A., come ben merita, sorte migliore di quella che colpì (sembrò congiura del silenzio) i molteplici ed accurati lavori illustrativi dei medesimi fenomeni, pubblicati dal mio indimenti¬ cabile maestro : il prof. Luigi Bombicci.

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A. NEVIANI

rate, fatte da tempo, e che, sino ad ora, non avevo avuto oc¬ casione di pubblicare.

L’autore divide tutte le pietre figurate in senso lato (mine¬ rali propriamente detti o no), che presentano una speciale con¬ figurazione, in tre grandi categorie, delle quali la prima è for¬ mata dai cristalli, e le altre denomina delle pietre figurate e delle stimate geologiche, secondo i caratteri che qui trascrivo.

I cristalli, singoli, geminati o in qualsiasi modo raggruppati, impiantati o liberi, semplici o multipli, ecc., obbediscono a leggi geometriche ben definite.

Le pietre figurate, che bramo chiamare icoliti (da six.ó>v = fi¬ gura), sono « corpi formati da materiali organici od inorganici, suscettibili di presentare singoli individui (come una pisolite, una sferolite) o subindividui (elementi di una concrezione bo- trioide), e dotati di forme caratteristiche, . . . , non sono fossili, ma spesso ricettano resti di animali e di piante, e talvolta pur es¬ sendo affatto estranei ai corpi organici, imitano forme frutta, semi e radici di piante, uova di uccelli e di pesci, visceri di mammiferi, ecc. ( forme imitative ), che dagli antichi naturalisti furono spesso scambiati per petrefatti » \ L’A. comprende inoltre in questa grande categoria sferoidi fibroso-raggiati di minerali diversi, « che manifestano l’azione di energiche forze cristallo¬ geniche », perchè il tipo nodulare è dovuto « ad un fenomeno molecolare speciale [iniziale] indipendente dalla cristallizza¬ zione, il quale si palesa infatti anche in seno a corpi amorfi, come sono gli aggregati di fossili microscopici dei noduli si¬ licei ».

Sono stimate geologiche, che propongo si dicano stimmatoliti, « quei corpi, i quali, come le incrostazioni, i rivestimenti, le concrezioni informi, gli intonachi, le vernici, le impronte fisiche, le rughe, le strie, i solchi, le soluzioni di continuità, le corro¬ sioni, sono in gran parte strettamente affini alle pietre figurate, ma non costituiscono individui o sub-individui propriamente detti. Essi accusano fenomeni idrotermali, chimici, tectonici, me¬ teorici, meccanici, vulcanici, glaciali, ed altri ».

1 Segno fra virgolette le numerose citazioni, che, per esattezza, riporto testualmente dalla memoria in esame.

DELLE ICOLITI (PIETRE FIGURATE) 191

Tralasciando, come appare manifesto dal titolo, le forme della prima e della terza categoria, l’A. passa a studiare quelle della seconda, che divide in 22 gruppi; i quali alla loro volta sono riuniti in 13 classi; avvertendo giustamente, che queste divisioni risentono in alcuni casi di una certa artificialità, non essendo sempre possibile ordinare in serie lineare fenomeni che ordinariamente si intrecciano fra loro, manifestandosi cioè con¬ temporaneamente ad altri di diversa categoria.

Prima classe.

« Noduli 1 nei quali risulta prevalente una concentrazione e una distribuzione elettiva di materiali organici od inorganici e, nei casi normali, forme arrotondate o di aggregati di elementi arrotondati. In alcuni casi si manifestano anche segni di con¬ trazione». Comprendono quattro gruppi: sferoliti (1), morfoliti( 2), pseudomorf oliti (3), bioliti (5) 2.

(1) Sferoliti. Sono i noduli sferoidi caratteristici di varie roccie ignee, formati da aggregati microcristallini od amorfi di silicati diversi, distribuiti in involucri concentrici quasi sempre con struttura fibroso-raggiata (. sferoidi granitici, varioliti , per- liti, ecc.).

Mi sembra che le condriti delle meteoriti si possano ascri¬ vere a questo gruppo.

Veramente sembrami che la differenza di struttura fra gli sferoliti cristallini e gli amorfi, dovrebbe portare ad una distin¬ zione maggiore di quella di semplice varietà del medesimo gruppo. Questa osservazioone va ripetuta per vari dei gruppi seguenti.

(2) Morfoliti. Noduli di concentrazione generati a tem¬ peratura non molto alta, in una roccia concreta molle e cede-

1 Per l’A. sono noduli le « pietre più o meno arrotondate in virtù di fenomeni estranei alla elaborazione meccanica».

2 Ho conservato nella numerazione, delle classi e dei gruppi, quella dell’autore, con l’ordine tenuto nelle sue conclusioni.

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A. NE VI ANI

vole, perchè impregnata d’acqua. Essi possono dipendere da forze cristallogeniche, come gli arnioni di barite, marcasite, zeoliti, ecc. ; o da concentrazioni in acque mineralizzate, come i celebri ciottoli di Egitto (egiptoliti) ; o per fenomeni idroter¬ mali, quali casi speciali di metamorfismo, come le concrezioni 1 di selenite comuni nella regione dei soffioni boraciferi; o, final¬ mente, per affinità elettiva con intensa concentrazione, come le lenti e le amigdale di gesso ceroide della Toscana.

In questo gruppo ritengo si debbano considerare i dischetti di marcasite, dei quali dirò più oltre a proposito delle forme della quarta classe.

(3) Pse udomorf oliti. Sono i corpi, comunemente indi¬ cati col nome di concrezioni, risultanti da aggregati di granuli sabbiosi o di particelle terrose, cementati da un minerale agglu¬ tinante (calcite, silice idrata, limonite, manganite, ecc.) introdotto sotto forma di soluzione in un deposito sciolto o clastico, il quale adempie al l’ufficio di matrice. Le più note sono le bambole del Peno e le oetiti limonitiche.

(5) Pisoliti. Corpi nodulari impigliati in una matrice, formati da particelle organiche od inorganiche accentrate e di¬ stribuite secondo un ordine determinato, attorno ad un corpo organico macroscopico ( fanerobioliti ), o gruppo di organismi mi¬ croscopici, come foraminiferi, radiolari, diatomee ( criptobioliti ).

Non per la certezza della loro origine, e quindi della loro posizione sistematica, ma perchè interessanti, e non saprei dove meglio parlarne, riferisco qui di due piccoli esemplari regala¬ timi molti anni or sono, dal prof. Gius. De Stefano, provenienti da Brancaleone (prov. di Reggio Cai.) ed accompagnati da eti¬ chette, nelle quali dal fu comm. U. Botti era scritto : Corpi a im¬ pronte organiche indecifrabili neH’una, nell’altra Corpi indeci¬ frabili. Brancaleone.

Sono due frammenti, forse appartenenti, in origine, ad un medesimo pezzo, di calcare manganesifero, a forma di lastre a

1 Col nome di concrezioni l’A. intende « tutti i corpi figurati liberi o aderenti, la cui formazione è dovuta a deposito chimico o a solidifi¬ cazione di un liquido ».

DELLE 1C0L1T1 (PIETRE FIGURATE)

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sezione irregolarmente elittica, con superfìci laterali pianeg¬ gianti e margini arrotondati, tronche alle due estremità; reci¬ procamente di mm. 17X40, lungh. nini. 55; mm. 12X31, lungi), mm. 29. Le due superfìci laterali sono gremite di piccoli corpi a forma subelittica, di circa mm. 1 X 2, molto simili ad uova di insetti, o a seminuli, o se si vuole anche ad escrementi di piccoli sorci. Essi sono posti gli uni accanto agli altri, pre¬ valentemente con isoorientazione, e andamento obliquo rispetto all’asse lungo dei frammenti. Più irregolarmente sono disposti sui margini rotondeggianti ; quasi che fossero stati dotati di un movimento traslatorio contemporaneo dalle due parti, e che in¬ contratisi lungo il margine si siano scomposti, per riordinarsi di poi proseguendo il cammino. Esaminando attentamente questi corpiciattoli si vedono disposti su di un solo strato, e solo rara¬ mente accavallati ; sono adagiati lungo il loro asse maggiore e poche volte obliquamente ed anche per diritto. Lungo uno dei margini sembra che abbiano subito come una compressione leggera, essendo alquanto schiacciati. Per un’area di pochi cen¬ timetri quadrati, in uno dei due esemplari, detti corpi non si osservano a prima vista; ma con la ispezione a mezzo della lente da tasca, se ne vedono vari sparpagliati entro la massa rugosa del nucleo, la quale presenta come una minuta irrego¬ lare ripiegatura scagliosa, con direzione obliqua, eguale a quella dei piccoli elissoidi. In generale questi corpi hanno la super¬ fìcie, rivolta verso il nocciolo minerale, ben distinta, ma non si riesce ad isolarli per intiero, anzi, osservando i margini delle troncature terminali delle due lastre, si vede chiaramente che la materia dell’elissoide si continua senza interruzione col noc¬ ciolo. La loro massa è omogenea e compatta ; e se in pochi di essi sembra vi sia una struttura concentrica, un più attento esame dimostra trattarsi di semplici screpolature.

Sono questi piccoli elissoidi veramente corpi originati da organismi, come supponeva il comm. Botti, o sono dovuti a spe¬ ciale lavorio fisico? Intuitivamente non mi allontano dal parere del Botti ; ma quante domande mi faccio senza potere rispondere !

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A. NEVIANI

Seconda classe.

« Corpi nei quali la forma sferoidale od elissoidale consegue da quella della capacità in cui si svilupparono ». Comprendono le sole ostracoliti (4).

(4) Ostracoliti. Ripetono i caratteri della classe; le cavità sono preesistenti alla loro formazione in roccie ignee o metamorfiche. Il deposito del materiale si fa dalla periferia al centro, che può rimanere vuoto con superficie interna rivestita da cristalli (geodi), o ripiene di liquido (Calcedoni enidri).

Terza classe.

« Corpi la cui forma svariatissima ripete principalmente la propria origine da successivi depositi intorno ad un asse verti¬ cale, sopra una superficie, o intorno ad un centro comune. Questo fenomeno dipende da precipitazione chimica, da solidi¬ ficazione del liquido o da azione fisiologica esercitata mediante microrganismi». L’A. vi include quattro gruppi: stalattiti ( 9), pseudostalattiti (10), pisoliti (6), pelagositi (11).

(9) Stalattiti. Le concrezioni stalattitiche e stalagmi- tiche, con le varietà delle colonne e dei panneggiamenti, for¬ mate per lo più di carbonato di calcio calcitico e aragonitico, sono così note, che non è il caso di ripeterne i caratteri ; diremo solo, con l’A., che « fra le stalattiti e le stalagmiti propriamente dette, da un lato, e le critallizzazioni o druse dall’altro, si danno tutti i gradi intermedi possibili.

L’A. non fa parola dell’aragonite coralloide, la quale pro¬ babilmente va posta in questo gruppo, per quanto non rammenti di aver veduto, nelle sezioni trasversali, il successivo deposito, che viene dato come uno dei caratteri della classe.

(10) Pseudos ta lat titi. Sono i corpi a forma di stalat¬ titi originati da solidificazione, per raffreddamento, di sostanze

DELLE 1C0LITI (PIETRE FIGURATE)

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liquide, come l’acqua che produce i cosi detti ghiaccinoli a strut¬ tura criptocristallina, ed i vetri di certe lave assai scorrevoli. L’A. pone la grandine accanto ai ghiaccinoli ; così pure la gala- verna o vetrone ( verglas dei francesi).

In tutte queste forme bisogna però tenere ben mente che la solidificazione ha come sua base la cristallizzazione, e che i cristalli esterni dei chicchi di grandine, non sono che rivela¬ zioni eccezionali della struttura di questi. Dal ghiaccinolo al chicco di grandine, al cristallo di brina, di neve e di ghiaccio, vedo tutti quei graduati passaggi che l’A. ricorda a proposito delle stalattiti.

(6) Pisoliti. Sferoidi o noduletti di altra forma, costi¬ tuiti da calcite o aragonite (pisoliti, confetti, ooliti comuni), o da limonite o da altro sale di ferro, associato talvolta a manganese (, sideropisoliti ) « generati in seno ad un liquido, cioè ad una solu¬ zione acquea più o meno mineralizzata, alla temperatura ordinaria od anche termale ». Tale deposito è molto spesso dovuto ad azione fisiologica esercitata da microrganismi vegetali, o da deposito at¬ torno corpuscoli estranei (grani di sabbia, uova di insetti, frustoli di piante diverse), tenuti in movimento dalla agitazione del liquido.

Vanno certamente ascritte a questo gruppo quelle concrezioni cristalline sferoidi di silicato di calcio, che si formano nel vetro che rimane fuso per lungo tempo, il quale in tal caso funziona da liquido; esempio splendido, come quello della grandine, del passaggio graduale dal cristallo isolato in forma di sottili aghetti, all’arnione fibroso- raggiato.

(11) Pelagositi. Materiale incrostante roccie diverse bagnate dal mare, alquanto al di sopra ed al di sotto del li¬ vello delle acque; formato da calcite minutamente cristallina, impura e nerastra, perchè dovuta alla decomposizione delle alghe che vegetano in quelle località. Tale formazione ha sovente ca¬ rattere di stimate geologica.

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A. NEVIAN1

Quarta classe.

« Concrezioni discoidali, a ciotola o imbutiformi, la cui figura è determinata dal recipiente in cui si modellarono ». Tali con¬ crezioni vengono dette pseudopisoliti , e comprendono un solo gruppo.

(7) Pseudopisoliti. L’A. si mostra dubbioso circa l’ori¬ gine delle forme di questo gruppo ed alla loro posizione siste¬ matica. Esso vi considera solamente i dischetti di pirite o mar¬ casite e le scodellette di aragouite, che, per me, vanno ascritte a due tipi ben distinti.

Dischetti di pirite.

I dischetti di pirite o di marcasite, conosciuti anche col nome suggestivo di nummus diabuli, per il loro aspetto di rozze monete, secondo l’A. « si formarono in virtù della reazione av¬ venuta fra l’acido solfidrico svolto in seno al liquido da residui organici in decomposizione e un sale di ferro (probabilmente un idrossido) introdotto in pozze di acque di dilavamento. Dif¬ feriscono dalle pisoliti normali per la materia di cui risultano e per la circostanza che ebbero origine in acque ferme. Dalle sideropisoliti, sia per la composizione, sia per la forma ».

Nulla ho da eccepire a quanto espone il prof. Issel circa l’origine chimica di questi dischetti, solo dissento nel loro rife¬ rimento sistematico. Non credo necessario creare per essi un gruppo speciale. Per me questa forma, realmente curiosa, va ascritta come una varietà degli innumerevoli arnioni di solfuro di ferro e quindi alle morfoliti della prima classe; e più pre¬ cisamente alla var. b, che l’A. definisce nel seguente modo : « noduli ed ammassi macrocristallini di pirite, marcasite, gale- nite, barite, ecc., concrezioni criptocristalline di calcocite, calco¬ pirite, bornite, limonite, goethite, manganite, ecc. ».

La struttura di tutti questi arnioni, che è macro o micro¬ cristallina, è la sola caratteristica; la forma esterna non lo è, essendo essa variabilissima. Per limitare gli esempi alla mar-

DELLE I COLITI (PIETRE FIGURATE)

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casite, che al momento più ci interessa, ricorderò come difficil¬ mente si possano trovare due arnioni della medesima forma e grandezza. Ora, dicevo, i nummus cìiabuli, si debbono considerare, almeno così io penso, per varietà di tali arnioni, nei quali la struttura è microcristallina, e solo raramente presentano tracce di struttura fibrosa, ed inoltre il nucleo centrale intorno al quale si aggrega il solfuro, è qui rappresentato da un’area discoide come la concrezione, contenente minime quantità di materiale eterogeneo.

L’A. dichiara che gli esemplari posseduti dal Museo geolo¬ gico di Genova « furono rinvenuti in piccole depressioni acqui¬ trinose del terreno, alla superficie del ricco deposito fossilifero tortoniano di Sant’Agata (Alessandria)». Alcuni esemplari, da me procurati per il gabinetto di Storia naturale del R. Liceo E. Q. Visconti, provengono da Siena e furono rinvenuti intercalati alle argille turchine che abbondano in quei dintorni. Ammetterei quindi che l’origine dei dischetti sia in tutto identica a quella degli arnioni sferoidi ; che vi sia stato cioè un centro di for¬ mazione o di attrazione; il materiale metallico trasportato, dalle acque filtranti, fra strato e strato, si andò riunendo al primitivo disponendosi simetricamente (a ruota), e per uno spessore mi¬ nimo, solo perchè l’accrescimento in tutte le direzioni era im¬ pedito dalla argilla sovrastante e sottostante. Si comprende che con questa mia interpretazione e con l’attribuzione dei dischetti alle morfoliti, vengo a diminuire il valore di una forma esclu¬ sivamente determinata dal recipiente.

Lastre e scodellette di aragonite.

Quanto alle scodellette di aragonite, l’egregio autore mi vorrà bepevolmente consentire che mi allontani di molto dalle sue concezioni, riguardo alla loro origine ed alla loro posizione nella nuova sistematica.

La scodelletta di aragonite è costantemente fibrosa, vale a dire di struttura cristallina, con fibre parallele fra loro ed al¬ l’asse della scodelletta. Dunque la struttura è identica a quella delle numerose lastre di aragonite, di vario spessore, a superfici levigate e presso a poco parallele, tanto comuni nelle argille

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A. NEVIANI

scagliose, ove si rinvengono anche le scodellette. Considero le scodellate come originate dalle lastre, e quindi anche queste ultime come pietre figurate.

Il prof. Issel, dopo aver ricordato che il Bombicci nel suo Corso di Mineralogia diede la figura di una scodel letta a forma di vasetto conico o imbutiforme, soggiunge : « Suppongo, senza poter addurre validi argomenti in soccorso della mia ipotesi, che gli uni e gli altri [dischetti concavi o scodellette e vasetti imbutiformi] abbiano avuto origine per opera di acque minera¬ lizzate, le quali si raccoglievano in piccole cavità del terreno, d’onde poco a poco evadevano per meati aperti inferiormente. Di questo fenomeno ravviso le traccie nella forma delle con¬ crezioni e nelle strie circolari, parallele al margine, di cui sono provviste » .

Ricordo molto bene l’esemplare che trovavasi nel Museo di Mineralogia della R. Università di Bologna, nei bei anni nei quali ero studente. Esso venne riprodotto fedelmente dal mio indimenticabile Maestro, ed ho appunto presente quei rilievi irregolari, o grossolane striature, le quali, più che parallele, al margine del vasetto, accennavano ad essere disposte a spirale, quasi mostrassero pietrificato un movimento vorticoso, che il prof. Issel, come dice in nota a pag. 19 (645) della sua me¬ moria, sarebbe dovuto al liquido nel quale si formava la con¬ crezione. Rammento parimenti che quella varietà interessante di scodelletta per nulla si allontanava nella sua struttura dalle altre anche pianeggianti, presentando cioè, come dicevo innanzi, le fibre tutte parallele all’asse del cono; ciò che, d’altronde, è evidente anche nella citata figura del Bombicci. Ora se l’ipotesi del prof. Issel fosse esatta, e cioè che l’acqua mineralizzata, madre della concrezione, fosse evasa per meati aperti inferior¬ mente ad una concavità del terreno, entro la quale si formava la concrezione, questa avrebbe dovuto avere le fibre perpendi¬ colari all’asse del cono, anziché parallele.

Qui si affaccia una seria questione, alla quale non azzardo rispondere completamente, accontentandomi portare un contributo che spero interessante, e che vorrei venisse preso in considera¬ zione dai competenti.

DELLE ICOLITI (PIETRE FIGURATE)

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Domando : la forma a scodellerà o ad imbuto è primitiva o secondaria? Si è cioè formata in seno all’acqua madre della aragonite, nello stesso momento che la aragonite si individua¬ lizzava, o non piuttosto è dovuta a movimenti vibratori in seno alla lastra a superfici parallele, che sappiamo essere così comuni nelle argille scagliose?

La risposta più ovvia sembrerebbe quella che affermasse essere le scodellette formate nello stesso momento della cristal¬ lizzazione della aragonite. Ed io nulla ho da esporre in con¬ trario a questa ipotesi, della quale vedo tutta la possibilità. Ma non posso a meno dall’affermare che è possibile anche la formazione delle scodellette dopo quella della lastra, forse non ancora completamente consolidata, ma individualizzata nei suoi elementi cristallini, per un movimento vibratorio della massa, a me ignoto nella sua forma e nella sua origine. Ecco su quali fatti baso la mia opinione.

Eicorro di nuovo ad un campione della ricchissima colle¬ zione del Bolognese, con tanta e meticolosa cura riunita dal Bom- bicci. Era una non grande lastra di aragonite proveniente dalle solite argille scagliose. Nel mezzo apparivano due concavità circolari e quindi due scodellette, a piccolo diametro, incipienti, e saldamente unite alla lastra. Non rammento bene se dalla parte opposta della concavità si osservava una corrispondente convessità, ma non mi pare ; certo si è che l’esemplare fu, me presente, esaminato dal Bombicci, il quale concluse che si do¬ veva escludere l’origine primitiva, nel senso sopra indicato. Forse, il ricordato campione è il medesimo che il Bombicci disegnò a tav. Ili, fig. 28 della memoria intitolata: Sulle reciproche analogie fra talune forme frequenti ma finora inesplicate dei minerali delle argille scagliose d’intrusione ascendente

In questa medesima memoria è figurato un altro campione per me molto interessante (tav. I, fig. 5), perchè la sua forma esclude che le scodellette si sieno formate tutte in una unica posizione, cioè con la concavità in alto. Esso rappresenta due scodellette di aragonite, l’una di maggior diametro, l’altra mi¬ nore, disposte l’una accanto all’altra e saldate in un sol pezzo

1 Mem. Acc. Se. latit. Bologna, 189G.

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con abbondante aragonite, sempre fibrosa; ma le due scodellette sono, l’una rispetto all’altra, rovesciate. Il Bombicci non discute questo esemplare; ma dice semplicemente (loc. cit., pag. 11): « Sus¬ sisteva dunque una controspinta nel luogo dove, all’impulso effet¬ tivo, si opponevano diversi gradi di resistenza, per diverso grado di cedevolezza nella roccia, sede del lavoro mineralogico di cui si tratta». È per me evidente che non si può pensare al rove¬ sciamento di una delle due scodellette e ad una successiva sal¬ datura con la vicina.

Molto più convincente, per la mia tesi, è quanto vengo ad esporre.

Parecchi anni or sono il mio carissimo amico e collega, prof. Giuseppe De Stefano, mi mandò da Reggio Cai., come pro¬ venienti dal territorio di Brancaleone, alcuni esemplari di ara- gonite fibrosa con certe particolarità fisiche non bene determi¬ nate, grossolanamente simulanti impronte di organismi anellati, affinchè ne facessi oggetto studio. Molto probabilmente si rin¬ vennero nelle formazioni eoceniche, delle quali parla lo stesso De Stefano nella sua memoria Sull’Eocene della Calabria Me¬ ridionale a pag. 16 (320) L

Esaminai col maggior interesse quei campioni, che ho sempre tenuto sotto mano, facendoli vedere a varie persone, senza venire mai ad una soddisfacente soluzione. La Memoria del prof. Issel mi favorevole occasione per far conoscere lo strano feno¬ meno. Descrivo i principali campioni 5.

Lastra romboide di aragonite rossa, di cent. 12 X 8, dello spessore di cent. 3,5 (tav. XII)1 2 3. Vi si distingue una su¬ perficie che convenzionalmente considero come inferiore, priva

1 Atti Soc. Ital. Se. Nat., voi. LII, Pavia 1914.

2 Su questo argomento pubblicai un articoletto col titolo : Di una nuova struttura concomitante a quella fibrosa in alcune lastre di aragonite, nel num. 3 (20 nov. 1916) del nuovo periodico II giovane Naturalista, edito da tre miei alunni P. Pasquini, E. Federici, GL Saiucci. Al nuovo gior¬ naletto, per ora litografato, e nato sotto i migliori auspici, auguro lunga e prosperosa vita.

3 Le fotografie furono gentilmente eseguite dal mio alunno sig. Vanzo Marcello, del corso liceale.

DELLE ICOLITI (PIETRE FIGURATE)

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di particolarità meritevoli di accenno \ La superficie opposta, che per convenzione chiamo superiore, appare traforata da ca¬ vità imbutiformi, con il diametro-base variabilissimo, e che si affondano sino al livello della superficie inferiore. Queste cavità coniche, che abbondano lungo le pareti laterali della lastra, si sono indubbiamente formate dopo la solidificazione del minerale espellendo, e questo è certo il fatto più strano, l’aragonite che ne occupava lo spazio. Ciò è tanto vero che, mentre alcune di tali cavità coniche sono del tutto vuote, in altre si trova nel fondo un residuo dell’aragonite che non si è completamente distaccata, e nel centro della lastra si vedono cerchi di vario diametro che mostrano nettamente il limite del distacco inci¬ piente dell’aragonite dal resto della lastra; non solo, ma in alcuni questo nocciolo è alquanto sporgente dalla superficie pri¬ mitiva. I coni poi non sono indipendenti e lontani gli uni dagli altri, ma il più spesso vicinissimi ed intersecanti, in modo che tutta la superfìcie laterale della lastra presenta le concavità con¬ tigue quasi senza interruzione 1 2.

Suppongo che la sporgenza del nocciolo conico di aragonite sulla superficie della lastra, per la quale escludo assolutamente ogni azione chimica dissolvente sul materiale circostante, si col¬ leglli col fenomeno studiato dal Bombicci dello sviluppo in lun¬ ghezza dei cristalli di rutilo contenuti nei cristalli di quarzo, allorché si sezionano questi ultimi ; ammettendo il Bombicci che il quarzo faccia da compressore attorno ai cristalli inclusi, i quali trovandosi liberi alle estremità, vengono,, per un continuo movi¬ mento molecolare, ad allungarsi e quindi a sporgere sulla su¬ perficie di taglio. Egualmente per le aragoniti, che qui consi¬ dero, potrebbe darsi che il distacco, per ignoto movimento vi¬ bratorio, del nocciolo conico, permetta a questo di allungarsi senza uscire al di fuori della cavità che si verrebbe a costi¬ tuire, tanto più che nelle sezioni non si vede, presso il vertice

1 Sarebbe veramente interessante conoscere quali delle due superfici sia la superiore; ma ciò non si può vedere che in posto, procurando cioè di raccogliere dei campioni, con le particolarità che vado descrivendo, non sparsi a casaccio, come in generale si trovano le lastre di aragonite, ma nella loro posizione originaria.

2 Si vegga la nota aggiunta in line del presente lavoro.

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A. NEVIANI

del cono, una corrispondente cavità. L’allungamento può essere stato agevolato da spinte, provenienti in direzione ortogonale alle fibre, sia dalla massa della medesima lastra, sia dal di fuori.

Ma ancora di altro enigmatico fenomeno debbo tenere parola. La superfìcie interna delle cavità coniche è segnata da una specie di strie subparallele alla periferia della base, formanti come una scalinata irregolare. Gli scalini, nel senso dell’altezza, hanno dimensione diversa; ve ne sono di inferiori ad un milli¬ metro, alcuni raggiungono i due millimetri; ne ho contati da

10 a 22 nello spazio di due centimetri. Ma tale dimensione è variabile non solo fra gli scalini della stessa cavità, ma anche nei vari punti dello stesso scalino. La larghezza di questi scalini è sempre molto piccola, essendo inferiore ad un millimetro, e la superficie è pure sempre inclinata verso il fondo del cono; lo spigolo infine è alquanto arrotondato, cosicché trattasi di una superficie ondulata, quasi di corrugamento; fra le due super- fici è evidente, anche ad occhio nudo, la presenza di materiale amorfo granelloso o polverulento, egualmente di aragonite.

Di questo splendido esemplare, oltre alla citata tav. XII, unisco la figura, ottenuta con la fotografia, di una sezione ver¬ ticale alla superficie esterna della lastra, e quindi nella dire¬ zione delle fibre; nella quale si vedono manifestamente le se¬ zioni di vari coni, con tutte le particolarità sopradescritte.

DELLE ICOLITI (PIETRE FIGURATE)

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Il secondo esemplare è dato da una lastra alquanto più grande (cent. 11 X 16) di aragonite grigia, dello spessore di 3 centimetri (tav. XIII, fig. 1). Essa è in gran parte spatiz- zata, come alle volte lo sono le scodelle di aragonite; e quindi non sempre evidente la fibrosità primitiva. Essa è andata soggetta a movimenti vibratori simili a quelli della precedente. La super¬ ficie, che anche qui considero per superiore, è piena di cerchi, base di coni, che spesso si mostrano concentrici, quasi che i coni di aragonite si potessero separare a sfoglie. In alcuni casi sembra che la linea di demarcazione abbia un andamento a spirale; ma, data la irregolarità loro per l’interporsi e per l’in¬ trecciarsi, non l’ho potuto accertare; anzi ritengo si tratti di coni gli uni interni agli altri, sempre con la loro base sulla superficie superiore, ma con disposizione alquanto eccentrica. Le pareti laterali della lastra presentano numerose concavità coniche, come quelle del primo campione, ma meno marcate, e con una superficie ondulata assai più minuta. Ho contato di- fatti da 25 a 50 ondulazioni nello spazio di due centimetri.

Cito questo piccolo esemplare, che è un frammento di cent. 3X7, alto cent. 7, perchè da un lato presenta le con¬ cavità con scalinate relativamente grandi, a spigoli vivi e ripiani larghi quasi due millimetri ; in altezza si contano da 7 ad 8 scalini in due centimetri. Ricorda insomma un piccolo inferno dantesco.

Frammento irregolare di cent. 6X7, alto cent. 6,5. Nella parte superiore il nucleo di un cono era di circa 6 mil¬ limetri sporgente sulla rimanente superficie. Appositamente spac¬ cato per il lungo, con adatto colpo di martello, ho messo a nudo due nuclei conici (tav. XIII, fig. 2), con la base in alto e i vertici in basso (data la solita orientazione indicata per i cam¬ pioni precedenti); i vertici sono lontani fra loro 19 mm., le basi sono intersecanti. La superfìcie della cavità conica, o negativa, mostra solamente in parte, e molto confusamente, la rigatura trasversale; ma la superficie esterna del nocciolo conico non ne presenta la minima traccia, ed appare longitudinalmente striata. Inoltre la parte fratturata dei coni mostra molto bene la disposizione delle fibre costantemente parallela all’asse dei coni.

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A. NEVIANI

Che la superficie esterna dei noccioli conici fosse striata per il lungo mi è stato possibile constatarlo solo nel campione precedente, per quanto un po’ confuso, in questo molto chia¬ ramente. Difatti è questo un cono multiplo, lungo cent. 8,5, con base di circa 3 cent, di diametro, al di fuori tutto fina mente striato per il lungo, senza che vi sia la benché minima traccia di striature trasversali. Noto anche che questa striatura esterna ai noccioli conici nulla ha che fare con la fibrosità co¬ mune della massa, che si mantiene sempre con l’usato paralle¬ lismo, e perpendicolarmente alle due superfici della lastra.

Piccolo esemplare esternamente senza particolarità no¬ tevoli, oltre a quelle sopra esposte; ma in alcuni coni, messi allo scoperto con un colpo di martello, presentano una leggera striatura trasversa corrispondente a quella della cavità. Notisi però che questa striatura, che si osserva sulla superficie esterna dei coni, si toglie con molta facilità a mezzo dell’unghia, od è resistente se il materiale si è reso compatto in forma di incro¬ stazione per infiltrazione posteriore di acque calcarifere. Ciò di¬ mostra come fra il nocciolo conico e la massa rimasta in posto, si sia formato uno stenterello a guisa di salbanda. Questo ma¬ teriale aragonitico, se polverulento, mi fa escludere che i coni si sieno separati nel medesimo tempo che si andavano formando le lastre, perchè in tal caso attorno ad essi si dovrebbe trovare materiale eterogeneo proveniente dal di fuori.

Gli altri campioni null’altro presentano di notevole, oltre alla ripetizione dei fenomeni suddescritti, fuorché lo spessore delle lastre le quali raggiungono i cent. 7,5.

Riguardo alla origine di tutte queste forme e modalità fisiche, ho detto che me ne è ignota la causa, e per le aragoniti a sco- del lette ho escluso che sieno dovute ad un modellamento sul terreno. Ma il Bombicci, credo per il primo, tentò una spiega¬ zione; la prima volta nel 1874 nella monografia: Descrizione della Mineralogia della provincia di Bologna, 2a parte, pag. 03 \ la seconda volta nella sopra citata Memoria del 1896.

1 Mena. Acc. Se. Istit. di Bologna, 1874.

DELLE ICOLITI (PIETRE FIGURATE)

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Trascrivo, senza discussione, quanto è detto nella prima delle due citate Memorie: « Crediamo possibile che le scodellette siensi formate sopra un sedimento di fine melma argillosa imbevuto di acque calcarifere, rimasto emerso ed in via di rapido pro¬ sciugamento. La figura circolare dominante sarebbe la conse¬ guenza della prevalente uniformità di condizioni, in ciascun piano orizzontale tutt’all’ingiro dei singoli centri attrattivi, ri¬ spetto alle molecole del carbonato di calcio ; la concavità, ossia il tipo conico, rappresenterebbe l’effetto necessario ma variabil¬ mente intenso, delle due diverse condizioni di superfìcie, nelle masse mentre vanno formandosi, esterna l’una verso l’aria, in¬ terna l’altra verso la terra, coll’intervento inevitabile della gra¬ vità che sollecita le particelle via via che si costituiscono e si aggregano ».

Nella Memoria sui minerali delle argille scagliose, il Bom- bicci (Mem. cit., pag. 12 e seg.) riprende l’ipotesi soprariportata, aggiungendovi come elemento importante quello delle pressioni, con queste parole: «Tutte le particolarità osservate... persua¬ dono che la conformazione a scodellerà . . . non può essersi co¬ stituita in condizioni di quiete, di immobilità; essendo essa, in¬ vece, il risultato diretto di una successione di rivestimenti a guisa di cerchi, o zone circolari o anulari, concentriche e con¬ tigue; i quali rivestimenti, cominciati su di un cono minimo embrionale, proseguirono in diretta dipendenza di un moto di varia lentezza, il quale spostava, fin dalla prima fase, questo medesimo embrione, e la scodellimi da esso nascente. Lo spo¬ stamento poteva bensì deformare le incipienti e le già svilup¬ pate scodelline, . .. ma poteva, altresì, lasciarle illese, in ragione della eguaglianza delle pressioni avviluppanti, su di esse eser¬ citate, in ogni direzione centripeta, e per trasmissióne, da una materia molto densa, molto pastosa, relativamente omogenea, come è appunto l’argilla plastica che si fa scagliosa».

Questa pressione è messa in evidenza, dal distinto scienziato, troppo presto mancato ai vivi, con la illustrazione di nume¬ rosi esemplari, dei quali mi piace ricordare quello figurato alla tav. Ili, fìg. 30; ove si osservano delle masse di aragonite fibrosa a diversa altezza; fenomeno che se ha molta analogia con lo spostamento in senso verticale notato negli esemplari da

14

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A. NEVIANI

me esaminati, ne diversifica fortemente in quanto nei primi le parti spostate sono cilindroidi, mentre negli altri sono coniche con le notate particolarità delle due superfici.

Riassumendo. Attiro l’attenzione degli studiosi sui seguenti fatti :

a) In una medesima lastra di aragonite si possono formare scodellette incipienti, non libere;

b) in una medesima lastra di aragonite si rinvennero due scodellette con le concavità inversamente disposte;

c) in alcune lastre di aragonite fibrosa si sono isolati nu¬ clei conici che attraversano la lastra in tutto lo spessore, qua¬ lunque esso sia, a meno che i coni non sieno concentrici, nel qual caso i coni più esterni rivestono i più interni, in modo che le basi tutte si trovano sulla medesima superficie;

d) i nuclei alcune volte, pur rimanendo aderenti alla massa, sono spinti in fuori per la loro base, o meglio si allungano spor¬ gendo sul piano della lastra;

e) i nuclei sono spesso più o meno regolarmente con¬ centrici ;

f) la superficie esterna dei nuclei conici è minutamente striata longitudinalmente, di rado trasversalmente; la striatura longitudinale è indipendente dalla fibrosità del minerale, che si mantiene perpendicolare alla superficie delle lastre e quindi pa¬ rallela all’asse dei coni;

g) la superficie interna della concavità conica, negativa dei nuclei, è percorsa trasversalmente da strie a scalinata di varie dimensioni;

li) la fibrosità dei coni si continua con quella dell’arago- nite involgente;

i) fra i noccioli conici e l’aragonite involgente vi è del- l’aragonite polverulenta, o compatta a guisa di salbanda.

Ritornando alla posizione sistematica delle forme e strutture ora descritte, mi sembra evidente che non possa sussistere la 4a classe proposta dal prof. Issel, e perciò neppure il gruppo delle pseudopisoliti.

Dissi già che i dischetti di marcasite li aggregherei alla var. b del gruppo, morf 'oliti, della prima classe. Le lastre

DELLE 1C0L1TI (PIETRE FIGURATE)

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fibrose di aragonite, con le due modalità delle scodellette e dei noccioli conici, e corrispondenti concavità, parmi non rientrino in alcuno degli altri 22 gruppi proposti dall’autore. Ne faccio quindi un gruppo che denomino delle ortofibroliti \ che forme¬ rebbe una classe a sè. A questo gruppo assegnerei l’amianto, il crisotilo, il quarzo fibroso, il brunispato, ecc., con le loro nume¬ rose varietà, purché sempre fibrose, ed a fibre parallele fra loro e perpendicolari alle superfici esterne delle lastre.

Quinta classe.

« Corpi uodulari subordinati a concentrazione e a successiva contrazione ». Le sole settarie (8).

(8) Settarie. Sono pietre figurate sferoidi, a focaccia, ecc., per lo più di materia pelitica, dovute a contrazione, che non aderiscono ad una matrice. Diminuendo il volume primitivo, per il prosciugamento e l’indurimento della massa, si screpola¬ rono nel centro in varie direzioni, lasciando dei vacui che ven¬ nero successivamente in tutto o in parte riempiti da altro ma¬ teriale, principalmente da calcite cristallina; la quale spesso rimane sola, se « per etfetto di alterazione dovuta agli agenti esterni od anche in seguito alla fluttuazione, rimase eliminato l’involucro periferico del nodulo».

Per alcune varietà di septarie, specialmente con notevoli cristallizzazioni di baritina e di calcite, come per la loro origine» richiamo le mie noterelle giovanili : Di un orizzonte a septarie nel Bolognese '1 2 3, Note geologiche sul bacino del Samoggia nel Bolognese 3 e Septarie e blocchi argillosi 4.

1 Mi sembra che la categoria delle icoliti fibrose si possa dividere in orto fibroliti, come sopra si è detto, se le fibre sono parallele fra loro e determinano lastre; s fero fibroliti se si dispongono attorno ad impunto, come nelle pisoliti; dado fibroliti se attorno ad un asse diritto o ricurvo, come nelle stalattiti e nella aragonite coralloide.

! Boll. Soc. Geol. It., voi. II, pag. 164-167. Roma, 1883.

3 Boll. Soc. Geol. It., voi. Ili, pag. 161-177. Roma, 1884.

4 Rivista Ital. di Se. Natur., anno X, fase. 4. Siena, 1890.

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A. NEVI ANI

Sesta classe.

« Corpi la cui forma consegue dal l’aver subito un rotola¬ mento dovuto a proiezione od anche agli effetti di energiche correnti atmosferiche, mentre erano pastosi o vischiosi ». L’A. vi comprende le anemoliti (14) e le vulcanoliti (15).

(14) Anemoliti. Pallottole di vario diametro, minori di un mill., sino a 2 cent., originate da addensamento di polveri sciroccali, pulviscoli vulcanici, ecc., dovuto a singolari e favo¬ revoli contingenze atmosferiche non ancora bene accertate.

(15) Vulcanoliti Comprendono le bombe ed altri proietti vulcanici con le loro infinite proprietà, purché sieno dotati di una forma peculiare e costituiscano individui morfologici.

Settima classe.

« Corpi sferoidali o tubiformi plasmati da una sofferta fu¬ sione ». Vengono distinti in microcondriti (12) e folgoriti (13).

(12) Microcóndriti. Sono sferette nere di magnetite, più o meno nichelifere, ed altri minerali di origine cosmica. Sono affini, i corpuscoli attirabili dalla calamita, frammisti al pulviscolo atmosferico, che « ripetono la propria origine dalla combustione del carbon fossile e dai camini delle officine me¬ tallurgiche ».

(13) Folgoriti. I fulmini, se penetrano in roccie poco consistenti, o di materiali sciolti, determinano una fusione vitrea che agglutina altre particelle verso l’esterno; si determina così un tubo, variabile per forma e lunghezza, che può isolarsi dal resto della roccia e determinare una pietra figurata. Se l’apice della metèora si esercita esclusivamente sulla superficie della' roccia, allora si ha una stimate geologica.

DELLE IC0LIT1 (PIETRE FIGURATE)

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Ottava classe.

« Corpi, originariamente vischiosi, divenuti filiformi, in virtù di gagliarde correnti atmosferiche». Sono le peleiti (16).

(16) Peleiti. Più comunemente note col nome di ca¬ pelli Pelé, sono lave filiformi, ora a fili brevi, ora discreta¬ mente allungati, prodotti da stiramento per opera di venti ga¬ gliardissimi.

Se si estendesse l’azione di stiramento anche agli aeriformi prodotti dai vulcani, si potrebbe ascrivere a questo gruppo anche la pomice.

Nona classe.

« Corpi che assunsero figura poliedrica per contrazione ». Si distinguono in due gruppi: basaltoliti (17) e xeroliti (18).

(17) Basaltoliti. Predomina in essi la forma colonnare prismatica, dovuta a rapido raffreddamento della lava, special- mente basaltica. In generale questi prismi sono disgiunti solo nella parte superiore della colata.

(18) Xeroliti. Sono forme prismatiche, quasi sempre meno estese e meno regolari delle precedenti, dovute a ritiro per prosciugamento di materiale non lavico; come quelle che si formano nei tufi vulcanici e nelle argille, nei calcari concre- zionati, ecc. Spesso hanno relazione con le septarie. Ho veduto prismetti consimili in esemplari di ocra rossa.

Decima classe.

« Corpi che conseguirono forma nodulare per effetto di alte¬ razione chimico-fisica proceduta dalla periferia verso il centro ». L’unico gruppo è detto delle metamorfiti (21).

210

A. NEVIANI

(21) Metamorfiti. Si tratta di trasformazione di forma, come poliedri dovuti a ritiro di massa, come nella classe pre¬ cedente, che in seguito, per azioni diverse, si sono arrotondate,

\

ed hanno assunto struttura ad involucri. E il così detto arroton¬ damento in posto, cioè senza fluitazione, noto specialmente nelle roccie cristalline.

Certamente queste forme hanno più delle stimate geologiche che delle pietre figurate. Secondo il mio modo di vedere, vi apparterrebbero solamente se la massa sferica, che si isola dal rimanente della roccia, avesse subito precedentemente un con¬ densamento; ed escluderei quelle che tali divenissero per sem¬ plice frantumazione della roccia e conseguente arrotondamento per infiltrazione delle acque. Comprendo che la distinzione sa¬ rebbe praticamente molto difficile.

Undecima classe.

« Corpi foggiati quasi esclusivamente per logoramento mec¬ canico ». Sono rappresentati dal solo gruppo delle psefiti (20).

(20) Psefiti. Sono i ciottoli propriamente detti. Le im¬ pronte che caratterizzano molti di questi, allorché fanno parte di conglomerati, sono da considerarsi come stimate.

Partecipo alla esitazione dell’A. nell’assegnazione dei ciottoli, ghiaie, ecc. alla grande categoria delle pietre figurate; tanto più che egli non dice le ragioni di tale assegnazione; e d’altra parte, non vedo come si possa stabilire un limite preciso fra i « sabbioni, arene grosse e sottili » da una parte, e dall’altra i « massi più o meno voluminosi elaborati sia dal mare, sia dai corsi d’acqua, sia dai ghiacciai », che l’A. esclude giustamente dalle pietre figurate.

Dodicesima classe.

« Corpi foggiati in principal modo per azione dissolvente e chimica». Unico gruppo: le carasioliti (19).

DELLE IC0L1TI (PIETRE FIGURATE)

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(19) Carasioliti. Pietre a forme bizzarre, paragonate a fantocci, a fanghi, ecc., per corrosione esercitata da acque dissolventi, d’ordinario mineralizzate e talvolta anche termali.

Forse non sarà sempre possibile distinguere una carasiolitc da una metamorfte (21) presa isolatamente, perchè non sempre si distinguerà se vi sia stata concentrazione chimica con indu¬ rimento della massa; fenomeno, che per questo gruppo dovrebbe essere il carattere principale.

Tredicesima classe.

« Corpi elaborati per successione di fenomeni diversi ». Sini- blositi (22).

(22) Simblositi. Le forme sono diverse, cioè simili a polipai, a favi, a piccoli cervelli, ecc.; dovute, sembra, a feno¬ meni speciali di erosione e seguiti da incrostazioni.

ORDINAMENTO GENERALE.

Due parole sull’ordinamento generale.

Il prof. Issel applicando, per il primo, alla classificazione delle pietre figurate il concetto genetico, fu di conseguenza il primo che tentò di esse un ordinamento veramente scientifico. Molte delle forme, note con nomi speciali, sono così venute ad essere sparse qua e per varie classi e gruppi, avendo esse genesi differenti. Questo ordinamento riescirà più difficoltoso; ma certamente non è davanti alle difficoltà che si arresta lo stu¬ dioso. La separazione, cui accenno, corrisponde in tutto a quella che si fa nella classificazione a base genetica delle roccie; ognuno sa difatti che, ad es., il calcare viene ascritto alle roccie di origine organogenica, meccanica, chimica o metamorfica. Così nelle pietre figurate vediamo le pisoliti e le septarie, come le oetiti, non considerate come gruppi, ma sparse in varie classi.

212

A. NEVIANI

Forse sarebbe stato bene non usare come nomi di grappo quelli di septarie e di pisoliti, una volta che non tutte le septarie e non tutte le pisoliti si uniscono in quei gruppi ; ma non è il caso di fare questione di nomi ; ciò che è importante è il con¬ cetto che anima la nuova classificazione. Solamente insisterei perchè fosse messa in maggiore evidenza la origine cristallina di molte forme; le quali, quindi, si dovrebbero allontanare da quelle di consimile forma ove l’azione cristallogenica non si è manifestata. Le grandi divisioni potrebbero perciò essere dico¬ tomicamente stabilite nel seguente modo:

1 - Figura dei corpi minerali dovuta a causa

interna (fenomeni preva¬ lentemente molecolari) .

esterna (fenomeni preva¬ lentemente meccanici) .

2

Stimate

geologiche

2 - Azione fisico-chi¬ mica interna

cristallina . . non cristallina

3

Pietre figurate amorfe

3 - Struttura cristal¬ lina. a cristalliz¬ zazione

totale. . parziale

4

Pietre figurate parzialmente cristalline

4 - Cristallizzazione totale

| nitida

j

'confusa

Cristalli

Pietre figurate totalmente cristalline

DELLE ICOLITI (PIETRE FIGURATE)

213

più brevemente:

Corpi

inorganici

Cristalloliti 1 (cristalli)

Icoliti (pietre figurate)

Stigma toliti (stimate geologiche)

I 'per cristalloliti (total¬ mente cristalline)

Migsoliti (parzialmente cristalline)

Acristalloliti (non cri¬ stalline)

La distribuzione delle ulteriori divisioni verrebbe conse¬ guentemente variata.

R. Liceo « E. Q. Visconti » in Roma, novembre 1916.

1 11 nome di cristalloliti può servire molto bene, parmi, per distin¬ guere i cristalli di materia inorganica da quelli di materia organica che si denominerebbero cristallorganiti.

[ms. pres. il 30 nov. 1916 - ult. bozze 19 marzo 1917].

214

A. NEVIANI

Nota aggiunta durante la correzione delle bozze.

Nell’adunanza della S. G. I. del 28 die. riassunsi breve¬ mente la precedente nota e presentai i più interessanti campioni di aragonite fibrosa con la struttura conica di cui è parola a pag. 202. Dopo l’adunanza il prof. Al. Portis, molto gentilmente mi avvertì che un fatto consimile era figurato, e di esso si trattava nella Geologia del W. von Gùmbel. Dopo qualche giorno il medesimo professore mi fece vedere oltre al citato testo, anche un interessante esemplare di marna raccolta dal dott. Cerulli- Irelii S. allo Spitzberg, con struttura analoga. Sono i tutenstein e i tutenmergel dei tedeschi. Sopra quanto è detto nel Gùmbel e suiresemplare dello Spitzberg, mi riservo presentare altra breve comunicazione.

Boll. Soc. Geol. Ifeal Voi. XXXV (1916).

( A. NEVIANI ) Tav. XII.

LAR; t FERR AKIO-M LAN'

Boll. Soo. Geol. Ital., Voi. XXXV (19161

( A. NEVIANI ) Tav. XIII

2

.'ALZOLARi b F E

APPUNTI GEOLOGICI SULL’ISOLA DI SCARPANTO

Nota di Alessandro Martelli (Tav. XIV)

Su Karpathos o Scarpanto, una delle isole del Dodecaueso occupato dallTtalia durante la guerra italo-turca, la monografìa naturalistica del De Stefani, Forsyth Major e Barbey 1 e quella geografica del Hauttecoeur 2 hanno quasi esaurito ogni argo¬ mento di studio, così che ben poco di nuovo potrei aggiungere nei riguardi geologici e geografìco-fìsici a quanto incidentalmente ho già scritto su Scarpanto trattando delle Sporadi meridio¬ nali. 3 Avendo compiuto una rapida escursione anche in que¬ st’isola, che gli eventi militari e politici posero sotto la prote¬ zione della nostra bandiera, non mancai di rilevare i dati per una sommaria carta geologica trattandosi di un’isola, che, a dif¬ ferenza delle più vicine di Caso e di Rodi, già geologicamente rilevate dal Bukowski 4, mancava di tale corredo cartografico.

D’altra parte, questa cartina rappresentava per l’occasione il più importante contributo ancora apportatole alla conoscenza fìsica di Scarpanto, tanto più che i cenni geologici mirabilmente compilati dal De Stefani in base all’esame dello scarso mate¬ riale litologico e paleontologico raccolto dal Forsyth Major ma

1 De Stefani C., Forsyth Major C. J., Barbey W., Karpatlios, Etude géologique , paléontologique et botanique, Lausanne, 1895.

2 Hauttecoeur H., L’ile de Karpathos , Bull, de la Soc. royale belge de Géographie, n. 4, Bruxelles, 1901.

3 Martelli A., Ricerche geologiche e geografico-fisiche nelle Sporadi meridionali , Boll. Soc. Geografica Ital., Roma, 1912.

4 Bukowski von G., Der geologiche Bau der Insel Kasos, Verliandl. der k. k. gcol. Reichsanstalt, Wien, 1892; Geologiche Uebersiclitskarte der Insel lihodus , Jahrb. der k. k. geol. Reichsanstalt, Wien, 1898.

216

A. MARTELLI

col sussidio di una vasta e sicura conoscenza del bacino medi- terraneo, meritano anch’essi di essere completati con la qui ri¬ prodotta cartina, secondo che mi fu possibile rilevare nella rapida e disagevole visita a quest’isola oltremodo aspra e mon tuosa e percorsa da mal praticabili sentieri.

La carta dell’Ammiragliato inglese l, esatta per le coste ma inadeguata per la parte orografica, assegna a quest’isola, posta fra Rodi e Creta nel mezzo del tempestoso mare carpatico pa¬ ventato fin dai tempi di Orazio e di Virgilio, una lunghezza da Nord a Sud compreso lo scoglio di Saria di circa km. 56, su una larghezza variabile fra 5 e 10 e una superfìcie approssi¬ mativa di 400 kmq.

L’unita cartina geologica alla scala 1:200000 pure una chiara idea della forma e dello sviluppo longitudinale dell’isola, e, a parziale compenso delle deficienze topografiche della carta dell’Ammiragliato per i rilievi dell’interno, riporta le quote ag¬ giunte o corrette dal Forsyth Major.

Nessun ’altra isola dell’Egeo si eleva da fondali così pro¬ fondi e con forma così allungata e stretta al pari di Scarpanto, che sembra risultare dalla emersione di una lunga linea di vetta con tutti i caratteri morfologici delle catene continentali calcaree, intramezzate da depositi di flysch.

Del prolungato periodo talassico che dall’Asia all’Atlantico dominò durante il Secondario fino all’Eocene medio, si presen¬ tano a Scarpanto solo i più alti calcari, spesso selciferi, della Creta e dell’Eocene e in difetto di elementi paleontologici e di rilievi di dettaglio è prudente di distinguere con un’unica tinta sulla carta i calcari che fino all’Eocene superiore si deposita¬ rono nel bacino egeo con relativa costanza di condizioni bati- metriche e di materiale sedimentario; tanto più che gli studi fin’ora condotti nel bacino mediterraneo orientale hanno accer¬ tato che le fasi di maggior discordanza diastrofica non coinci¬ dono affatto con i limiti principali dei tempi geologici e che nella regione egea un’uniforme zona calcarea si succede in con¬ cordanza perfetta dal Secondario a parte dell’Eocene, così che

1 Ilydrographic Office, Mediterranean Arghipelago, The Islnnds of Scarpanto and. Kaso , 1850-59-95. Scala 1 : 73000.

APPUNTI GEOLOGICI SULL’ISOLA DI SCARPANTO

217

nel Peloponneso, a Rodi come a Creta, a Stampalia, a Caso e anche a Scarpanto il limite fra il periodo cretacico ed eoce¬ nico rimane compreso in uno sviluppo continuo di sedimenti calcarei marini.

Malgrado le convinzioni degli abitanti sui tesori minerari racchiusi nella loro isola nulla trovai che avvalorasse tale sup¬ posto. All’infuori di un mediocre giacimento di gesso non me¬ ritano per la loro scarsezza di essere menzionati fra i materiali utili le tracce sporadiche di pirite nei calcari eocenici quelle di una lignite bituminosa ritrovata fra il flysch a nord- ovest della baia di Pegadia, e tanto meno le scarse comparse fra gli stessi terreni arenaceo scistosi dell’Eocene superiore, di manganite e di limonite.

Ed eccomi ad illustrare brevemente i principali terreni del¬ l’isola.

Formazioni prevalentemente calcaree della Creta

e dell’Eocene.

Le più antiche formazioni di Scarpanto corrispondono in modo perfetto nei caratteri litologici e morfologici alle altre delle Sporadi meridionali già altrove descritte. Constano dei soliti calcari compatti grigio chiari e giallastri, più di rado ros¬ sastri e bruno scuri, ora in grossi banchi ora in nette succes¬ sioni di strati con due e tre decimetri di spessore, sempre ca¬ vernosi e fratturati e, all’esterno, intensamente degradati e corrosi. Alla scarsezza di resti fossili determinabili fra i tritumi di conchiglie e qualche sicura traccia di frammenti d’ippuri- tidqe, di idrozoi e corallari, serve di compenso la stretta ana¬ logia litologica con i calcari che in tutto il bacino mediterraneo orientale vennero riferiti alla Creta media e superiore in base all’esame dei materiali fossiliferi e degli elementi stratigrafici, raccolti principalmente dai componenti delle missioni scientifiche austro-tedesche e francesi, inviate in più epoche dal 1874 al 1896 nel Mediterraneo orientale.

La massa basale e l’ossatura di quest’isola montagnosa e in massima parte diruta e denudata risulta appunto di formazioni

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A. MARTELLI

calcaree disposte in stretti ellissoidi e con predominante diret¬ tiva stratigrafica NW-SE, fra mezzo ai quali si raggrinzano poi i depositi arenacei e scisto-argillosi del flysch.

Quattro principali affioramenti calcarei riferibili nella parte più profonda alla Creta e pel resto all’Eocene inferiore e medio, costituiscono i nuclei dell’orografia carpatica, rimarchevole so¬ prattutto per la sua plastica fortemente accidentata da rupi e da forre, da sporgenze scogliose e da cavità e, insomma, per quella irregolare morfologia del paesaggio, determinata dal¬ l’azione chimica e meccanica delle acque superficiali sui rilievi calcarei.

Nella parte più settentrionale dell’isola, questa formazione, caratterizzata pure dalla sua nudità e asprezza, culmina a m. 718 con l’Orkili e contiguo M. Malos (m. 640) e, più a sud-ovest, col M. Oros (m. 670), prospettando l’isolotto quasi interamente calcareo di Saria e con elevazione massima di m. 565. Anzi, stando all’inclinazione dei banchi, le alture di Orkili e quella di Saria corrisponderebbero alle sommità di due successive an- ticlinali e lo stretto canale di Steno fra le due isole al¬ l’interposta sinclinale. Anche la regione di Olymbo coinciderebbe con la sinclinale compresa fra le due pieghe domiformi costi¬ tuenti le alture, che, immediatamente a nord del paese (M. Ko- riphi m. 575) e a sud (M. S. Elia di Olymbo m. 707), conse¬ guono le maggiori elevazioni con le interrotte testate dei loro potenti banchi calcarei.

Più importante ancora è l’ellissoide del centro dell’isola, dove in rapporto alle maggiori elevazioni si ha pure la massima larghezza ; esso comprende fra i dintorni di Spoa e Mesokori a nord, e di Aperi e Volata a sud tutti i maggiori e inten¬ samente accidentati rilievi calcarei del S. Elia centrale (m. 1140) del Tupapatopedi (m. 1204) e del Kalilimni (m. 1160), su cui gli agenti atmosferici hanno più che altrove spiegata la loro azione denudatrice. Il M. Rolla (m. 970) a nord di Aperi se¬ gna un’altra delle maggiori quote raggiunte dagli strati dislo¬ cati ed erosi del grande ellissoide centrale.

La minor piega ellissoidica calcarea della parte meridionale dell’isola culmina nel M. Komalis, mantenendo a ponente di Menitès quote di poco inferiori a quelle raggiunte a sud con

APPUNTI GEOLOGICI SULL’ISOLA DI SCARPANTO

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il M. Kephala. di Menitès (m. 507) e presentando nello sprone pure calcareo di Vuthià, a sud della baia di Pegadia, alture massime 250-260 m.

Le sinclinali fra le pieghe ellissoidiche calcaree di Scarpanto sono dunque occupate dalle formazioni eoceniche del flysch, le quali, per dare origine ad un terreno meglio rivestito di vege¬ tazione, pongono in maggiore evidenza le nude moli calcaree di quest’isola.

Malgrado la scarsezza di fossili ben conservati, un notevole termine di riferimento si ha presso la cima del S. Elia, in un calcare a Toucasia identico per caratteri petrografìci e paleon¬ tologici a quello della Creta media e superiore della penisola balcanica e in particolare del Montenegro. Sarebbe arrischiato un riferimento alla Toucasia carinata Mather anche perchè i nostri esemplari, che costituiscono una vera lumachella, non rag¬ giungono nemmeno le dimensioni di quelli dei calcari urgoniani deU’Appennino meridionale; ma il confronto con la specie ur- goniana può valere a dare un’idea approssimativa dell’età dei più antichi calcari dell’isola. Difettano in tutta la successione o per lo meno non ebbi la veutura di trovare altri elementi paleontologici sicuri salvo tracce di ippuritidee nei calcari del Kalilimni, ma l’appartenenza alla Creta può fermamente sta¬ bilirsi come ripeto per le analogie con le altre isole vi¬ cine, ove fra mezzo agli stessi tritumi conchigliari di rudiste e tracce di corallari, idrozoi e foraminifere, vennero pure tro¬ vati esemplari di specie cretaciche determinabili.

Ma dove la formazione cretacea finisca e subentri quella eocenica non è possibile di distinguere. A Stampalia, fra l’ip- puritico e il nummulitico s’interpone un calcare afossilifero si¬ mile a quello più basso di Scarpanto e poiché in questo è ancora possibile di riconoscere tracce di gusci conchigliari a struttura ippuritica propendo a ritenere cretacica la potente formazione calcarea, che serve direttamente di base ai calcari con selce, frequenti ftaniti e diaspri. E questi calcari selciferi, pure essi in rilevanti serie, come nella nuda groppa rocciosa fra Volata e Piliés, appaiono molto diffusi in tutta l’isola a costituire, specialmente sui fianchi degli ellissoidi cretacei, i più alti livelli della formazione in prevalenza calcarea e a segnare

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A. MARTELLI

il passaggio concordante, almeno apparentemente, alle arenarie e agli argilloscisti dell’Eocene superiore.

La difficoltà di circoscrivere nella carta le formazioni della Creta separate da quelle pure calcaree ma notevolmente ricche di selce, che si ha ragione per quanto stiamo per dire di ritenere eoceniche, consiglia di usare un’unica tinta per questi terreni, tanto più che una volta avvertite le differenze cronolo¬ giche e stratigrafìche nel testo, per le possibili applicazioni agricolo-forestali ed economiche cui una sommaria cartina del¬ l’isola potrebbe servire, è già sufficiente la distinzione dei ter¬ reni calcarei più antichi da quelli arenacei-argillosi, marnosi, conglomeratici e sabbiosi più recenti.

Il De Stefani tendeva ad attribuire anche i calcari selci¬ feri ora compatti, ora subcristallini, con frequenti traccie spa- tizzate di fossili e venature di calcite e di ossidi di ferro e manganese al cretaceo superiore, pur ammettendo che possano in esso ritrovarsi anche i rappresentanti deH’Eocene inferiore; ma più di recente 1 considera addirittura come molto probabile anche l’appartenenza all’Eocene dei diaspri carpatici, con la bella fauna di radiolarie pubblicata dal Vinassa De Regny 2. Per quanto ho già detto più sopra e in conformità delle cono¬ scenze geologiche apportate pure dal Bukowski a proposito delle isole viciniori, ritengo pienamente giustificata la suppo¬ sizione del De Stefani circa l’esistenza dei più bassi livelli eo¬ cenici nella potente serie calcarea di Scarpanto, tanto più che in quest’isola i più alti calcari della successione sono compa¬ rabili con quelli che a Rodi e a Stampalia risultano nuramu- litici e in altre regioni del Mediterraneo e in particolare dallo Jonio all’Egeo sono pure caratterizzati dall’esistenza di lenti selcifere e cioè di silice finamente cristallizzata e mescolata in proporzioni variabili ad opale fra i calcari in strati di lieve spessore ( Plattenkalk mit Hornstein secondo gli studi del Philippson e del Renz sulla Grecia e l’Epiro).

1 De Stefani C., Calimno, cenni geologici, Remi. R. Accad. dei Lincei, voi. XXI, ser. 5, sein. 2, fase. 8, 1912.

2 Vinassa De Regny P. E., Radiolari dell’isola di Karpathos , Meni. R. Accad. delle Scienze di Bologna, 1901.

APPUNTI GEOLOGICI SULL’ISOLA DI SCARPaNTO

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Lo stesso De Stefani sulle indicazioni del Forsyth Major ha potuto stabilire che nella serie di montagne centrali e partico¬ larmente fra Mesokori e Spoa predominano calcari selciferi senza fossili macroscopici, compatti non cristallini, quasi litografici, dal giallo chiaro al roseo e dal grigio cinereo al verdastro, e cioè con i manifesti caratteri litologici del Plattenkalk, e as¬ sociati con ftaniti e diaspri.

I dintorni di Mesokori e Spoa sono costituiti appunto da quelle più alte formazioni calcaree le quali costituiscono per così dire la corteccia dell’ellissoide centrale e, tanto sui fian¬ chi settentrionali di questo come precisamente fra Mesokori e Spoa quanto su quelli meridionali fra Volata e Piliès, ser¬ vono poi di base diretta alle formazioni del flysch.

I calcari sviluppati a nord della baia di Pegadia e che anche di lontano spiccano per la loro tinta nerastra e screziata di giallo, costituiscono un insieme poco disturbato ma molto fratturato e corroso. La roccia è compatta, grigio scura, ricca di venature spatizzate e di lenti di selce e in strati ben netti di 25-30 cm. di spessore. La tinta scura costituisce più un’ac¬ cidentalità che non un carattere proprio di questa formazione, la quale rimane strettamente collegata e concordante con i più antichi calcari delle vette principali di Scarpanto e ripete esat¬ tamente i caratteri di quella più superficiale dell’isolotto Saria.

Formazioni diasprine e ftanitiche eoceniche.

Pure tra Mesokori e Spoa lungo il confine fra la formazione calcarea e il flysch si trovano piccoli affioramenti serpentinosi e a contatto con essi si osservano anche ftaniti e diaspri, come ad Oriente del Kalilimni. Le ftaniti sono rosse, molto silicee e compatte così da passare a veri e propri diaspri gialli, rosei, rossi, verdastri e bruni. Per altro, a causa delle azioni mecca¬ niche subite dalla roccia in origine argillosa ma estrema- mente ricca di silice per abbondanti resti di spongiari e radio- lari dopo la propria consolidazione, si frantumano facilmente secondo piani subparalleli, le cui tracce vengono rilevate alla superficie da una fìtta rete di venature calcedoniose e limonitiche.

15

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A. MARTELLI

In taluni diaspri che hanno bande di selce biancastra, si rimarcano nettamente dei radiolari modellati in ossido di man¬ ganese, ma questi sembrano solo rappresentare gli avanzi meno ben conservati della ricca fauna che gremisce altrove i campioni di diaspro rosso del Kililimni, e che presentò al Vinassa una quarantina di forme determinabili con una metà circa di specie nuove. La maggioranza delle undici specie note secondo il Vi¬ nassa accenna a tipi cretacei, mentre la massima parte delle specie nuove o indeterminate mostra come osserva detto au¬ tore uno spiccato carattere recente e perfino somiglianze con forme mioceniche. Il Vinassa difatti ritiene con tutte le possibili riserve, dovute alla poca importanza che i radiolari hanno nelle determinazioni cronologiche, che se i diaspri del Kalilimni fos¬ sero appartenenti alla Creta, come dapprima supponeva il De Stefani, si dovrebbe per lo meno trattare di un cretacico molto recente. E ciò dico per porre in evidenza che dallo studio di tale fauna lo stesso Vinassa si sentiva giustamente indotto a rin¬ giovanirne l’età fino all’Eocene.

Formazioni serpentinose.

L’esistenza di affioramenti serpentinosi a Scarpanto, intima¬ mente associati a calcari con diaspri, condurrebbe non solo ad ammettere che la sedimentazione calcarea si fosse prolungata ininterrottamente fino al flysch dell’Eocene superiore, ma anche a rafforzare le strette analogie e corrispondenze geo-petrogra- fiche con le formazioni appenniniche dell’Eocene superiore, es¬ sendo l’età di questo flysch ormai perentoriamente stabilita per gli analoghi terreni delle altre Sporadi.

Anche nell’isola di Lodi 1 le serpentine sono a contatto del- l’ ossatura calcarea dell’isola, a mezzo di calcari selciferi, diaspri e ftaniti, e pure palese è in più località la natura filoniana della serpentina.

Il maggiore affioramento venne da me constatato a confine fra la massa calcarea del S. Elia e il flysch dei dintorni di

1 Cfr. Martelli A., Giacimenti di ferro cromato nelle serpentine del¬ l'isola di Rodi , Boll. R. Società Geografica, fase. Ili, Roma, 1913.

appunti geologici sull’isola di scarpanto

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Spoa ed è quindi facile che anche qui l’ascesa dell’originaria roccia peridotica sia avvenuta attraverso al calcare cretacica ed eocenico durante la deposizione dei sedimenti eocenici superiori. Un’intrusione filoniana di serpentina si trova pure nella zona calcarea del Kalilimni, con calcari selciferi e ftaniti a contatto, e non rari sono pure i piccoli affioramenti serpentinosi fra mezzo al flysch di Scarpanto.

Nelle diverse comparse, i caratteri petrografici non vengono modificati. La roccia è sempre verde cupa o verde bruna e più chiara per alterazione ; e la sua provenienza da una roccia pe¬ ridotica è rivelata al microscopio dalla struttura reticolare pro¬ pria del serpentino derivante dall’olivina. Anzi, può dirsi che la massa fondamentale consti di serpentino fibroso (crisotilo) verdognolo chiaro con rare tracce dell’originaria olivina.

Il serpentino antigoritico derivante dal pirosseno comparisce pure di frequente. Ma dove il pirosseno è fresco, mostra in pre¬ valenza i caratteri della bronzite, a lievissimo pleocroismo dal verde giallastro al verde grigio, con estinzione retta, e più di rado quelli di un termine diopsidico verde chiaro, di poco più rifrangente della bronzite e con estinzioni, rispetto alla traccia della sfaldatura prismatica, di circa 35°. Fra mezzo alle maglie dei minerali alterati si hanno granuli di magnetite, scarso spi¬ nello e bande magnesitiche, limonitiche e steatitose per altera¬ zione. In complesso dunque la serpentina di Scarpanto mostra a comune con quella di Rodi la sua provenienza da magmi peridotitici lherzolitici.

Formazioni in prevalenza argillo-scistose ed arenacee dell’Eocene superiore.

Ai calcari segue anche a Scarpanto come a Stampalia, Creta, Caso, Rodi, nella Licia e a Cipro direttamente so¬ prapposta quella formazione che i geologi austro-tedeschi hanno per i primi comparata al flysch alpino e consistente in argil- loscisti grigio- verdastri e bruni, compatti talora come fìl liti, avvicendati con arenarie più o meno calcarifere e in istrati di diversa potenza, ma spesso pure, come nelle maggiori alture

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A. MARTELLI

di Kimaras e nei dintorni di Volata-Piliès, sviluppate in ban¬ chi uniformi tino a costituire rilievi estesi e bene individuati, che in lontananza confondono il loro aspetto morfologico con quello delle alture calcaree.

Le sinclinali fra le maggiori pieghe eli issoidiche calcaree sono ricolme di queste formazioni, che si addensano pure dove i calcari stratigraficamente sottostanti sono interrotti per cause orotettoniche e che si estendono sempre fortemente corrugate e dislocate anche sui fianchi orientali dei due estremi rilievi cal¬ carei di Scarpanto, senza per altro raggiungere altezze supe¬ riori a 600 m. nemmeno nella regione di Kimaras, salvo che nelle maggiori elevazioni arenacee di Kephala e Kulura a nord di Spoa.

In questo gruppo di rocce essenzialmente clastiche preval¬ gono le arenarie a minuti e irregolari elementi, arrotondati, di quarzo, feldispato, mica, bisilicati e frammentini di selce, dia¬ spri, serpentine. I caratteri petrografici di queste rocce del flysch sono nelle Sporadi meridionali così costanti, che vale an¬ che per i materiali di Scarpanto la descrizione già data altrove per le arenarie, brecciole e argilloseisti di Stampalia *, corri¬ spondenti per età e composizione. Si tratta sempre degli stessi materiali clastici costituiti generalmente dai più comuni com¬ ponenti minerali, e solo fisicamente differenziati per lo sviluppo relativo degli elementi in dimensione e numero e pel carattere di una maggiore o minore compattezza e scistosità. Col variare della grandezza degli elementi si passa infatti dalle brecciole minute alle arenarie più o meno compatte o friabili a seconda della diversa tenacità del cemento; e col prevalere del conte¬ nuto colloidale cementante sull’aggregato minutissimo ed estre¬ mamente ridotto del quarzo e degli altri minerali liberi si passa dalle arenarie più fini agli argilloseisti in diverso grado sab¬ biosi, calcariferi e limonitici e interessati nel loro insieme da venature e druse quarzitiche, calcitiche ed ocracee.

11 De Stefani riconobbe pel primo nelle arenarie e negli scisti della regione di Kimaras, qualche traccia di foraminifera

1 Cfr. L’isola di Stampalia , Boll, della R. Soc. Geografica, fase. VI e VII, Roma, 1913.

APPUNTI GEOLOGICI SULL’ISOLA DT SCARPANTO

22Ó

eocenica e vestig'ia d’invertebrati, e in particolare di Relmin- thopsis, Helminthoida, Nulliporites, Tetraichnites. Brecciole e calcari screziati con nummulitidi del sottogenere Paronea e Gumhelia si trovano anche nel flysch di Scarpanto come in quello di Podi e Stampalia, confermando l’età eocenica supe¬ riore ed evidentemente posteriore ai calcari con diaspri e alle serpentine, di cui si hanno traccie appunto nelle minute pud¬ dinghe e nelle arenarie grossolane a elementi quarzitici, sel¬ ciosi, diasprini e serpentinosi.

Dai dintorni di Otymho il flyscli discende secondo ab¬ biamo accennato ed è segnato sulla carta lungo il versante orientale conseguendo poi il massimo sviluppo fra i monti Ke- pliala e Kulura dove costituisce per intero, fino ai dintorni di Spoa, i due versanti dell’isola; e ricomparisce poi nei pressi di Aperi per costituire di nuovo, fino a quelli di Melitès, tutta la parte più ridente e fertile compresa fra le zone calcaree del Kalilimni e Komalis, dalla baia di Pegadia fino all’opposta costiera di ponente. Tale formazione origina un terreno di fa¬ cile adattabilità per le colture agrico lo-forestali e sebbene sia in gran parte incolto o rivestito da una povera e rada macchia mediterranea, pure il rigoglio della vegetazione presso gli abi¬ tati fa riconoscere quale e quanta potrebbe essere la sua fer¬ tilità e produttività.

Per 1’impermeabilità dei loro componenti rocciosi, questi terreni originano una fitta rete di ruscelli per i quali scorre rapidamente al mare l’acqua di pioggia, favorendo l’esistenza di piccole sorgenti alla base dei materiali di frana e delle falde di detrito, e accolgono pure qualche sorgente di rigurgito presso, al confine con la formazione calcarea.

Formazione gessosa del Miocene superiore.

Sono incerti e tutt’altro che chiari i rapporti di due abba¬ stanza estesi depositi gessosi con le formazioni postplioceniche dei dintorni, giacche se è manifesta la sottogiacenza del flysch ai gessi che s’incontrano presso VTontos all’inizio della salita della strada per Aperi, rimangono nascosti dai più recenti de-

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A. MARTELLI

positi al margine della Baia di Pegadia i possibili contatti con i sedimenti postpliocenici estesi presso il mare fin quasi all’ag¬ getto calcareo di Vrontos. Questi gessi hanno una struttura sub¬ cristallina e quasi saccaroide e si presentano di solito con bande alternate di bianco, di grigio e di giallognolo pur mostrando in talune zone un manifesto e macroscopico aggregato cristal¬ lino. L’aspetto di questi gessi è per altro decisamente sedimen¬ tario piuttosto che metamorfico e per quanto mi fu dato di giu¬ dicare, la loro complessiva superfìcie di affioramento non sarebbe minore di 3, o 4 ettari, e la potenza verticale del deposito messo allo scoperto sul torrente di Vrontos non inferiore a una ventina di metri.

A Rodi depositi consimili si trovano pure con eguale incer¬ tezza stratigrafica nell’ambito del flysch, ma poiché nella mas¬ sima parte dei terreni terziari del bacino mediterraneo i gessi sono sincronizzati con quelli della penisola italiana, ascrivo an¬ ch’io al Miocene superiore questi di Scarpanto in conformità di quanto venne ritenuto pure per i gessi di Caso, di Creta, di Cipro e dell’Asia Minore.

In nessun’altra parte dell’isola ho ritrovato altre comparse gessose depositi di sicura spettanza al Miocene. Anzi, il tufo calcareo grigio, rossastro, poco compatto e comparabile al tra¬ vertino, pieno di resti di conchiglie e di modelli interni di Cardium , Tellina , Cerithiopsis, ecc., raccolto dal Major e sup¬ posto miocenico dal De Stefani, è secondo me con tutta pro¬ babilità riferibile a quella stessa formazione postpliocenica così bene sviluppata in più parti dell’isola.

Formazioni sabbi oso-calcaree e conglomeratiche del Postpliocene.

Ad oriente di Olymbo, dai dintorni di Panagia presso Dia- phani a Makria Punta, e a sud-ovest della Baia di Pegadia dal bacino del torrente sotto Meuitès all’insenatura di Amorfo fra i calcari del Vuthià e la mole del Komalis, si hanno rile¬ vanti formazioni postplioceniche estese pure all’estremo meri-

APPUNTI GEOLOGICI SULL'ISOLA DI SCARPANTO

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dionale dell’isola, a sud-ovest di una linea lievemente sinuosa tra Paleo Kastro e Makri Jalo.

In quelle Sporadi meridionali in cui compariscono forma¬ zioni analoghe è possibile di scindere da un complesso supe¬ riore, calcareo tufaceo e brecciato, uno inferiore sabbioso e marno argilloso con alternanze e sostituzioni locali di ghiaie, mollasse, argille. Tali formazioni vennero specialmente a Rodi e a Cos bene studiate anche nei riguardi paleontologici. Le strette cor¬ rispondenze geologiche fra i depositi di Cos e Rodi, determinati come pliocenici rispettivamente dal Neumayr e dal Bukowski, e quelli di Scarpanto, vengono in modo particolare avvalorate dallo studio dei fossili in essi ritrovati e pel quale rimane ac¬ certato il loro riferimento a quel più alto livello del Pliocene superiore, che molti autori italiani con a capo il De Stefani 1 sincronizzano col Postpliocene inferiore, mostrando forme a co¬ mune con i depositi di M. Mario e con quelli del pari a fos¬ sili polari, ma forse un poco più recenti, di M. Pellegrino e Ficarazzi presso Palermo.

Il Postpliocene che attraversa da Pegadia ad Amorfo il lembo dell’isola sporgente sul mare col promontorio di Vuthià, risulta di una serie di rilievi facilmente incisi da alvei torrentizi, con argille sabbiose in basso, quindi con sabbie spesso concrezionate, e, superiormente, con calcari d’apparenza travertinosa e brec- ciati. saprei rimarcare differenze fra questi ultimi, partico¬ larmente sviluppati nella parte estrema dell’isola, nel così detto Piati Akrotiri, e il calcare tufaceo, brecciforme e con frammenti angolosi di calcare bianco, supposto miocenico dal De Stefani.

La successione riproduce a Scarpanto i caratteri di quella di Rodi, con la stessa varietà di sedimenti e con poco diverso aggruppamento di forme fossili.

Abbondanti raccolte possono farsi lungo le incisioni operate dal torrente, che da Menitès discende verso Pegadia, nei po¬ tenti banchi sabbiosi e calcarei, di cui taluni contengono in prevalenza terebratule, altri echini ed altri ancora lamel li branchi.

1 De Stefani C., Les terrains teriiaires supérieurs da bassin de la Me¬ diterranée, Ann. de la Soc. Géolog. de Belgique, Liège, 1891.

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A. MARTELLI

A caratterizzare l’età e la natura litoranea del deposito, cito le seguenti forme indicando con asterisco le estinte :

1. * Dorocidaris papillata Lesk.

2. * Arbacina depressa A rad.

3. Sphaerechinus granularis Lam.

4. * Echinolampas Hoffmani Désor.

5. Spatangus porpureus Muli.

Brachiopodi.

6. * Terebratula Scillae Seg.

7.

Pecten

( Hinnites ) multistriatus Poi.

8.

»

opercularis Lin.

9.

»

flexuosus Poi.

10.

»

clavatus Poi.

11.

»

scabrellus Lam.

12.

»

varius Lin.

13.

»

jacobaeus Lin.

14.

Ostrea

edulis Lin.

Cirripedi.

15. * Balanus concavus Bron.

Su quindici specie determinate cinque sole sono estinte. Degli echini non abbiamo che tre sole specie non viventi ; però anche queste insieme con le altre si ritrovano nel Pliocene e nel Post¬ pliocene. In Sicilia vengono tutte indicate a M. Pellegrino 1 eccetto lo Sphaerechinus granularis Lam. citato per Fica- razzi per cui è notevole la corrispondenza di questi depo¬ siti sabbioso-calcarei ad echini, con i consimili del bacino di Palermo attribuiti al Postpliocene. La Terebratida Scillae Seg. è estinta e sebbene non sia indicata a M. Pellegrino a Ficarazzi, si trova abbondante nel Pliocene e comune nel Post-

1 Cfr. Checchia Rispoli GL, Gli echinidi viventi e fossili della Sicilia , li. II ; Gli echinidi del Piano siciliano dei dintorni di Palermo , Paleon- tografia italica, voi. XIII.

APPUNTI GEOLOGICI SULL’ISOLA DI SCARPANTO

229

pliocene della regione calabro-sicula 1 e delle Puglie 2. La pre¬ senza poi di altre specie tutt’ora viventi meno il Balanus concavus Bron. ma con un habitat die risale al Terziario superiore, fra mezzo a qualche forma antica ravvicina molto l’età di questi depositi a quelli di M. Pellegrino e Ficarazzi, i quali sono per altro da ritenersi di poco più giovani essendo riferiti al Postpliocene superiore.

11 lembo meridionale dell’isola poco rilevato, in modo vario inciso ma con sporgenze poco accidentate così da apparire an¬ che in lontananza come un lieve altipiano a guisa di alto ter¬ razzo, è costituito pure da sabbie concrezionate e da calcari bianchi compatti e giallo rossicci a nuclei di Gondlia , Corbula, Nucula , Lucina. Anche in queste rocce, fatta eccezione della Tapes senescens Dod. si annoverano le seguenti specie estese dal Miocene all’attuale e conosciute nel Postpliocene di M. Mario e della Sicilia:

Trochus sp.

JRissoa lactea Misch.

Arca diluvi Lana.

Corbula gibba Oliv.

Nucula nuclcus Lin.

Lucina (Myrtea) spinifera Mont.

Diplodonta rotundata Mont.

Gondlia minima Mont.

Tapes senescens Doder.

L’ultima specie del Pliocene di Castellarquato e di Peccioli, del Quaternario dell’Ellesponto 3 4 e dei tufi quaternari presso Mon¬ talo \ non è citata vivente e quindi ritengo che anche i cal-

1 Cfr. Seguenza (}., Studi paleontologici sui brachiopodi terziari del¬ l’Italia meridionale, Boll. Soc. Malac. ital., anno IV, 1871.

2 Cfr. Dainelli G., Appunti geologici sulla parte meridionale del Capo di Leuca, Boll. Soc. Geol. Ital., voi. XX, 1901.

3 Cfr. Calvert-Nenmayr, Die jungen Ablagerungen am Hellespont (Geologisclie Studien in Ktisterlandern des Griechischen Archipels, von A. Bittener etc., Denkschr. der K. Akad. der Wissensch.), Wien, 1880.

4 Cfr. De Stefani C., Escursione scientifica nella Calabria, Meni. II. Acc. dei Lincei, ser. Ili, voi. XVIII, Roma, 1884.

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A. MARTELLI

cari della parte sud dell’isola si debbano riunire ai precedenti postpliocenici e litorali.

Presso al margine del Piati Akrotiri e della baia di Pegadia si osservano calcari sabbiosi grossolani, conglomerati e brecce con abbondanti Pectunculus vioìacescens Lamk., Ostrea edu- lis Lin.

Pegadia deve appunto il suo nome ai pozzi (in greco pe¬ gadia) della pianura che attraverso la coltre conglomeratica e sabbiosa raggiungono i veli imbriferi sul piano dei sedimenti argillosi, postpliocenici più profondi.

Tali conglomerati e brecce per essere soprastanti agli altri depositi postpliocenici possono senz’altro riferirsi al Postpliocene superiore e sincronizzarsi con i depositi marini altrettanto re¬ centi di sabbie gialle e brecce agglutinate di To Kampi, presso Diaphani, sviluppati presso il mare. Il De Stefani vi ha de¬ terminato molte specie e tutte appartenenti alla zona litorale dell’odierno Mediterraneo. Eccone l’elenco:

Murex br andar is L.

» trunculus L. e var. pi.

» erinaceus L. var. tarentinus Lk.

Pisania maculosa Lk.

Eutria cornea L. var. subadunca De St.

Fasciolaria Ugnarla Phil.

Nassa reticulata L. var. pi.

Neritula neritea L.

Columbella rustica L.

Conus mediterraneus Brug. var. pi.

Cypraea lurida L.

Gerithium vulgatum Brug. var. pi.

Potamides conicum Blainv.

Aporrìiais pes pelicani L.

Turritella tricarinata Broc.

Trochus ( Gibbuta ) Magus L.

» (Trochocochlea) turbinatus Boru.

Turbo rugosus L.

Patella coerulea L.

APPUNTI GEOLOGICI SULL’ISOLA DI SCARPANTO

2.-51

Venus gallina L.

» fasciata Don. var. Brongniarti Payr.

Cardium mucronatum Poi.

G. Lamarki Reev. var. quadratimi B. D. D.

Costeggiando in torpediniera l’isola a una certa distanza dalla costa, mi sembrò di distinguere delle formazioni friabili e franose simili a quelle di Panagia anche addossate sul flyscli da Makria punta verso Spoa e perfino sulla costa orientale di Saria, ma non avendole vedute da vicino le segno pur con riserva e vaga approssimazione sulla carta, perchè la loro esistenza è tutt’altro che da escludersi anche su altri tratti della costa nord-est.

Mentre i più alti depositi lungo la spiaggia sono in strati quasi orizzontali, gli altri postpliocenici e stratigraficamente sot¬ tostanti mostrano di aver subito dei lievi disturbi, i quali non tanto si rilevano dalla loro poca inclinazione quanto piuttosto dal differente livello raggiunto dallo stesso deposito nello stesso rilievo e dalla tendenza della formazione postpliocenica a di¬ sporsi ad ampie pieghe, bruscamente interrotte sulle coste, e dall’irregolare andamento ipsometrico e in discordanza sulle for¬ mazioni costiere più antiche.

A formazioni del tutto recenti sono da attribuirsi le pan¬ chine del margine estremo meridionale dell’isola scoperte lungo la battuta del mare e presso le saline del Piati Akrotiri.

Si vuole che nella regione mediterranea la fine del Pliocene segni l’inizio di grandi dislocazioni ma ad ogni modo le for¬ mazioni quaternarie delle Sporadi meridionali dimostrano che se ulteriori movimenti si ebbero nel Postpliocene essi non po¬ terono essere che di sollevamento. Il Négris ha dimostrato anzi a questo proposito in una sua opera sui ripiegamenti e dislocazioni dei terreni della Grecia, che il mare nel periodo glaciale trovavasi nell’Egeo ad un livello di 200 m. più alto dell’attuale e che il suo moto progressivo di discesa conti¬ nuò abbastanza veloce. Il movimento di ritiro del mare sa¬ rebbe stato seguito da un moto di trasgressione, che continua anche ai giorni nostri. Essendosi contestato anche quest’ultimo movimento, il Négris ha ripreso i suoi studi e le sue ricerche,

282

A. MARTELLI

arrivando a conferme che sembrano perentorie, citando altresì in recenti pubblicazioni i fatti nuovi, che, suffragati da prove geologiche, geografiche e archeologiche, vengono ad avvalorare l’ipotesi del sollevamento postpliocenico.

A Scarpanto il mare postpliocenico ha lasciato appunto i suoi depositi fossiliferi fino a oltre 100 m. di elevazione sui fianchi orientali e nell’estremità meridionale del rilievo insulare, sebbene l’abrasione ne abbia cancellate le traccie lungo le zone litoranee meno difese dalla secolare irruenza delle onde. Sul versante occidentale dell’isola sono forse mancate le condizioni per la formazione di depositi analoghi a quelli del versante op¬ posto, ma le vestigia del mare quaternario sono mirabilmente rivelate dalla potentissima serie di formazioni conglomeratiche in grossi banchi, le quali da una quota di circa 150-200 m. incrostano i fianchi occidentali del M. Kalilimm e del M. Elia, costituendo per intiero lo sprone più volte terrazzato e ripia¬ nato di Levco e i dintorni di Mesokori. Probabilmente l’esten¬ sione di tali potentissimi conglomerati costituiti a spese dei calcari e dei materiali del flysch carpatico è ancora maggiore di quanto non si rilevi dalla annessa cartina, dove per non usare tinte troppo differenti per formazioni esteriormente com¬ parabili, essi vengono segnati con un grisé sullo stesso fondo adoperato per la formazione in prevalenza calcarea, di cui questi terreni conglomeratici ripetono pure all’incirca i caratteri mor¬ fologici.

Lo sviluppo dei conglomerati costieri in parola, dovuti a blocchi e ciottoli di calcari omogenei e selciferi, di diaspri, arenarie e serpentine, e suscettibili di facile disgregazione su¬ perficiale tanto da originare nei dintorni di Mesokori terreni coltivabili e prospere foreste di pino marittimo, è davvero im¬ ponente; l’inclinazione dei loro banchi è di pochi gradi verso il mare e solo nelle quote più alte, dove i banchi sembrano piuttosto brecciati e dovuti all’accumulo in posto di materiali sfaldati dalle nudi pendici, si avverte un’inclinazione che tende ad assecondare quella topografica del monte. Devesi pertanto osservare che sui diruti fianchi occidentali del M. Elia la for¬ mazione calcarea cratacico-eocenica invece d’immergersi verso il mare sporge in alto con le sue testate interrotte e disturbate

APPUNTI GEOLOGICI SULL’ISOLA DI SCARPANTO 233

a guisa di grandiosi appicchi e scogliere, rimanendo poi in basso rivestita dai conglomerati, che al pari di grandiosi coni di deiezione sembrano protendersi in mare. Le sporgenze co¬ stiere fra l’insenatura di Makri Jalo e di Mesokori, e da questa alle successive di Glares e di Levko si presentano come ampi ripiani terrazzati e i conglomerati che li costituiscono mostrano nei tagli operati dai torrenti i loro banchi quasi orizzontali. La discordanza con i terreni più antichi è dunque manifesta tanto per questi conglomerati quanto per i depositi sincroni ma di facies diversa sviluppati pure in discordanza sul flyscìi del ver¬ sante orientale. Conglomerati in banchi potenti e di facile di¬ sgregazione constatai pure sulle coste ad ovest e a sud-est del rilievo del Komalis. Non avendo percorsa tutta la costa di po¬ nente, non sono in grado di segnalare altre comparse di ana¬ loghe formazioni, e sebbene tali conglomerati possano trovarsi anche più a sud come più a nord pur tuttavia mi sembra escluso che altrove possano presentare lo stesso potente sviluppo con¬ seguito sui fianchi occidentali del maggiore ellissoide, di cui attesterebbero pure una più forte emersione rispetto alle altre parti dell’isola.

I conglomerati per la loro stessa natura fanno fede di un ambiente litoraneo cosi fortemente agitato da giustificare la mancanza di fossili in tutto il deposito; ma il sincronismo con i sedimenti postpliocenici fossiliferi delle altre parti costiere dell’isola non può esser messo in dubbio quando si pensi che il fenomeno del sollevamento postpliocenico non poteva essersi esplicato solo su un versante della stretta isola di Scarpanto, mentre la lievissima inclinazione dei depositi accusa un’estesa emersione lungo una verticale, e quindi relativamente di maggiore area, piuttosto che un sollevamento inclinato e locale. Si potrebbe tuttavia ancora discutere se le parti litoranee dell’isola mancanti di depositi marginali pospliocenici assecondarono in modo di¬ verso il sollevamento o se piuttosto com’è più probabile la corrosione marina non abbia ridotto e poi distrutto i terreni emersi dove i giovani depositi rimasero più esposti al moto ondoso e quindi meno protetti dall’abrasione, o rimasero in altro modo sommersi per avvallamenti tettonici; ma ad ogni modo me-

234

A. MARTELLI

glio ancora del Négris il De Stefani 2 ha dimostrato che anche il fenomeno del sollevamento postpliocenico è ormai un fatto ge¬ nerale accertato per tutta la regione egea. Anzi, l’illustre geo¬ logo italiano ha chiaramente dimostrato che il mare Egeo esiste da gran tempo a traverso tutto il Terziario, che esso fu sempre più o meno occupato da isole talora più ristrette talora più estese di quelle odierne, in parte abrase e contenenti più o meno ampi bacini palustri e salmastri, e che infine esso tende a restringersi pel prevalente sollevamento della regione. Quindi, ritornando su quanto ho già avuto occasione di pubblicare a proposito della geologia delle Sporadi meridionali, concludo che per l’esistenza di postpliocene marino a Scarpanto, come a Stam- palia, a Rodi, a Cos, a Calmino e nel gruppo eruttivo di Ni- siro, la teoria austriaca degli sprofondamenti quaternari, troppo pedissequamente seguita per talune regioni mediterranee, non può più intervenire nello studio genetico dell’Arcipelago egeo per considerarne le isole come semplici sporgenze e residui di una supposta Egeide quaternaria.

1 Négris Ph., La regressioni quaternaire, Athènes, 1912.

2 De Stefani C., Les terrains tertiaires supérieurs du bassin de la Mediterranée, loc. cit. ; Calimno, Cenni geologici, Remi. R. Accademia dei Lincei, voi. XXI, 1912.

[ma. pres. 1 dee. 1916 - ult. bozze 5 maggio 1917].

So//. Soc. Seo/./ta/ Vo/XXXV T/MJ

A MARTELLI Tal/. XIV

Capo Paraspori

Palati a

Akrotiri

H.Nikolì

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27!* i8'

A. Martelli

Cartina geologica

DI

S CARPANTO

Scala 1:200000

SPIEGAZIONE DEI COLORI

Panchine recenti.

Conglomerati poetpliooenici e depositi brec. ciati terrazzati.

Qhiaie, sabbie, caloari sabbiosi e argille del Postpliocene.

Gessi.

Arenarie e argillosoisti del Flysch eocenioo con breociole e calcari nummulitici.

H Formazioni serpentinose.

j Diaspri e Ftaniti

Formazione oalcarea (con selce nella parte superiore) dell'Eocene e della Creta

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Akrotiri

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27° Est di Greenwich

St° Cartografico 6. Giardi _ Firenze

SU ALCUNE ROCCE A FOEAMINIEERE DELL’EOCENE MEDIO DELLA CAPITANATA

Comunicazione del dott. G. Checchi a-Rispoli

Richiamo l’attenzione dei Soci su alcuni campioni di rocce a foraminifere da me raccolti durante il rilevamento geologico della scorsa estate in quel tratto della formazione eocenica della Capitanata compreso tra il Gelone ed il Sannoro ad ovest di Troja nel circondario di Bovino.

Alcuni sono dei calcari compatti, tenaci, talora tenacissimi, di color bianco con lieve tinta verdognola o giallognola, altri sono delle vere lumachelle, che m’hanno fornito una fauna ricca di circa cinquanta specie di foraminifere. Lo studio di questa fauna è riuscito di molto interesse e sarà materia di una Me¬ moria speciale, la cui pubblicazione, per ragioni facilmente com¬ prensibili, subirà certamente qualche ritardo. Nell’attesa intanto non torna superfluo annunziare sin da ora che fra i vari risul¬ tati ottenuti con questo studio il più importante consiste in una nuova constatazione della esistenza di tipiche Lepidocyclina in rocce del più sicuro Eocene medio. Tali fossili inoltre, simil¬ mente a quanto è stato verificato per la Sicilia, Basilicata, Ir- pinia, Umbria ed in altri punti della stessa Capitanata, si trovano associati in un medesimo campione di roccia con altri fossili indiscutibilmente eocenici, che. nel caso presente, sono Al¬ veolina, Nwnmulites, Assilina, Operculina, Orthophragmina, ecc. Ora poiché da qualche ostinato oppositore della eocenicità delle lepidocicline non si potrà invocare anche per questo nuovo rin¬ venimento un qualsiasi accidente tettonico per giustificarne la presenza in quella formazione (la cui età eocenica è fuori di ogni discussione), si tenterà di ricorrere, come altre volte è stato fatto, alla ipotesi del rimaneggiamento.

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G. CHECCHI A- RISPOLI

Scopo della presente breve Comunicazione è quello di di¬ mostrare che anche questa volta sarebbe del tutto infondata l’ipotesi di tali autori. Questi, ad ogni nuova constatata asso¬ ciazione di Lepidocicline con Nummuliti ed altre foram ini fere eoceniche, non esitano un istante a scrivere, senza avere neanche la più lontana conoscenza delle condizioni dei giacimenti, che tali associazioni sono dovute a miscugli meccanici e che si ve¬ rificano solamente negli strati più bassi di una pretesa forma¬ zione miocenica od oligocenica formatasi a spese di un sotto¬ stante Eocene e che quindi i fossili eocenici, che si trovano associati alle lepidocicline, sono stati strappati aH’Eocene men¬ tre avveniva la deposizione dei primi strati della formazione miocenica od oligocenica.

È facile dimostrare che qui non si tratta di primi strati di un Oligocene o di un Miocene, che nei luoghi indicati non esistono affatto; bensì, come altre volte è stato detto per la Capitanata, della ben nota formazione delle argille scagliose eoceniche spessa centinaia di metri, la quale racchiude a varie altezze potenti fasci di strati di calcare, brecciuole cal¬ caree, selce ed altre rocce, che ripetutamente si alternano fra di loro.

I numerosi campioni che io ho raccolto provengono tutti da una delle cave che esistono negli immediati dintorni di Castel- luccio Vaimaggiore e furono staccati dai banchi calcarei spessi oltre 1 metro, attivamente utilizzati, perchè forniscono un’ottima pietra per stipiti di porte, lastre di balconi, gradinate, ecc. Nella 'parte inferiore di ogni banco predomina il cemento e quindi i fossili sono meno abbondanti ; poi, man mano che dal letto si passa verso il tetto dello strato, i fossili aumentano quantitativamente, finché nella parte superiore avviene precisa- mente il contrario di quanto avviene nella inferiore, cioè il ce¬ mento si riduce a ben poca cosa, mentre i fossili sono straordi¬ nariamente abbondanti e la roccia assume l’aspetto di una vera lumachella a foraminifere. Per tale circostanza i cavatori sono costretti a pulire i blocchi da questa specie di crosta superfi¬ ciale, la quale non offre nessuna resistenza per la costruzione. Per ogni strato e per una sovrapposizione di decine e decine

ROCCE A FORAMINIFERE DELLA CAPITANATA

237

di metri si ripete lo stesso fatto, come del resto avviene anche altrove.

Dal che si deduce che non si è in presenza di pochi strati trasgressivi, alla cui formazione concorrono prevalentemente i materiali strappati a formazioni preesistenti, ma solo in pre¬ senza di depositi di origine zoogena, i di cui strati ripetono per decine e decine di metri e con la più grande uniformità gli stessi fatti.

Quei calcari più o meno ricchi di fossili che fanno corpo fortemente con la roccia per il loro carattere sono ben quelli

noti in tutto il nostro Eocene.

(

Come si è detto sulla formazione descritta non si sovrap¬ pongono affatto depositi più recenti (oligocenici o miocenici), ma è solo avvicinandosi verso la pianura di Puglia che co¬ minciano a comparire le marne cenerine fossilifere del Pia- cenziano.

*

* *

Altri fatti di capitale importanza stanno ancora a dimo¬ strare l’assurdità della ipotesi di un rimaneggiamento. Poiché tali fatti saranno largamente trattati nel lavoro in corso di pre¬ parazione, qui basta solo accennarli fugacemente.

Il materiale raccolto ha fornito una grandissima quantità di fossili, tutti ottimamente conservati. Se grande è il numero finora determinato delle specie di alveoline (Alv. milium, Alv. oblonga, Alv. festuca, ecc.), delle nummuliti ( Numm . irregularis (B), Numm. distans (A) e (B), Numm. Beaumonti (A), Numm. frentanus (A), Numm. variolarius (A) e (B), Numm. Partschi

(A) e (B), Numm. perforatus (A) e (B), Numm. laevigatus (A) e

(B) , Numm. Brongniarti (A) e (B), Numm. Fabiani (A), ecc.),

delle assiline (Ass. spira, exponcns), delle ortofragmine

( Orth. Archiaci, Orth. ephippium, Orili. Di-Stefanoi, Orili, dispansa, Orth. aspera, Orth. radians, ecc.) e di altre foraminifere, grandissimo è quello degli individui di ogni singola specie.

Per contro sta il fatto che le lepidocicline (Lep. marginata, Lep. Morgani, Lep. Gemmellaroi ), pur essendo comuni, si tro¬ vano sempre in minor proporzione specifica e numerica rispetto

16

238

G. CHECCHI A-RISP0LI

a tutti gli altri fossili (basti dire che gli esemplari di Numm. Partschi, perforatus, distans, eec. si contano a centinaia).

Il fatto, in fine, di trovare esemplari oltre che di ottima con¬ servazione, anche di tutte le dimensioni (talune alveoline, as¬ siline e nummuliti non raggiungono che 1 mm. di diametro), dimostra che quella ricca fauna di alveoline, nummuliti, assi¬ line, operculine, eterostegine, ortofragmine, lepidocicline, gip- sine, eec., si sviluppava normalmente, mentre avveniva la tran¬ quilla deposizione degli strati calcarei dell’Eocene medio.

Da quanto si è detto risulta che sia le condizioni fìsiche del giacimento, sia i caratteri della fauna, escludono, anche per questa nuova ed importante constatazione, l’inammissibilità del¬ l’ipotesi del rimaneggiamento e che le Lepidocidina, come sem¬ pre abbiamo sostenuto noi e recentemente anche il prof. H. Dou- villé per l’America, fanno indiscutibilmente parte delle vere faune eoceniche.

Roma, R. Ufficio Geologico, Dicembre 1916.

fms. pres. 28 dee. - ult. bozze 5 febbr. 1917].

I PEI MI AVANZI DI QUADRUMANI DEL SUOLO DI ROMA

Studio del dott. Alessandro Portis

Il 27 agosto 1916 il sig. Gustavo Curriin, studente in questa nostra Università, nel fare una escursione lungo la via termi¬ nale destra dello Aniene, si imbatteva, sulla strada che allaccia la via Nomentana colla via Salaria, alla distanza di circa un chilometro dalla prima e ad una altezza sullo specchio attuale del Tirreno fra i 18 ed i 20 metri, in uno strato di tufo al¬ teratissimo di color giallo-rossastro chiaro 1 localmente affio¬ rante dal livello della strada ad un metro più su, in una scheg- giola di osso fossile sporgente di mezzo al tufo argillificato e friabile e spiccante per il più intenso color giallo-bruno fra la tinta chiara generale della roccia. Seguendo con una piccola punta i contorni della scheggiola quale appariva allo esterno riesci a convincersi di dover trovare una mandibola di un qualche piccolo mammifero che, ai denti che cominciava andar mostrando a misura che progrediva lo scavo, si sarebbe poi rivelato per la parentela.

Lavorando e vincendo con la delicatezza del lavoro di estra¬ zione le difficoltà opposte dallo stato di frantumazione della reliquia ossea frammezzo alla friabilità della roccia contenente, lo studente Cumin riesci ad asportare tutto quel che ancor poteva essere rimasto in posto, data la progrediente erosione dal banco,

1 La località in cui precisamente fu rintracciato questo per me pre¬ zioso fossile è sulla strada indicata a destra andando verso NW, dove essa passa sotto l’erta della tenuta di Casale-Fiscale, in uno strato tufaceo che potrebbe corrispondere a qualcuno fra quelli a cui il Clerici ( Sopra i resti di Castoro finora rinvenuti nei dintorni di Roma. Boll. d. 11. Comit. Geol. d’Italia, voi. 18, 1887, pag. 278-284 e tav. 7a), a pag. 280, assegna i numeri progressivi di basso in alto 2 a 4.

240

A. P0RT1S

da una probabile maggior estensione del fossile e cioè: un ramo mandibolare destro profondamente alterato, compresso e frantu¬ mato, privo del suo terzo articolare posteriore e di quasi tutto il margine inferiore e guasto per rientramento dal margine an¬ teriore; ma reggente sul lato superiore tutta la serie dentale (destra s’intende) dal canino allo ultimo molare, constante in sei denti compreso lo stesso canino.

Di più era riuscito a rintracciare e raccogliere sciolti otto altri denti fra i quali tre incisivi su la totalità di quattro e, per la serie canino-premolare sinistra, cinque denti su la totalità di sei. Di questi cinque, soltanto uno, il canino, spezzato poste¬ riormente in varie schegge che non fu possibile tutte rintracciare e ricongiungere.

In questo stato mi fu presentato il fossile ed in questo stato vi era abbastanza da potere agevolmente riconoscere che desso doveva appartenere ad un non grosso quadrumane avente for¬ inola dentale identica a quella dell’uomo e cioè per ogni singolo ramo, sia mascellare che mandibolare, portante due incisivi, un canino, due premolari e tre molari nella dentizione permanente. Così il fossile veniva limitato nella gradazione che fa dei Pri- mates lo Sclilosser in Zittel’s Grundztige der Palaeozoologie del 1911, nel sottordine o degli Aniìiropoidea e fra la quarta e la quinta famiglia di esso, quella cioè dei Cynopithecidae (Cynopitheci e Macachi) e quella dei Simiidae. Questa quinta famiglia o delle scimmie antropomorfe veniva poi facilmente scar¬ tata col progresso dello esame comparativo delle forme viventi e fossili della quarta.

Definita approssimativamente la posizione zoologica del fos¬ sile, allo scopo di poterlo esaminare e comparare complessiva¬ mente con parti corrispondenti di scimmie viventi e fossili cono¬ sciuti e di eliminare, ciò facendo, danni e pericoli di ulteriori guasti, rotture e disperdimenti di parti, decisi di riconnettere e montare in un solo pezzo tutte le parti che mi trovavo super¬ stiti davanti e vi riuscii più o meno approssimativamente col fare una plastica sommaria del ramo mandibolare sinistro di un maschio adulto (non vecchio) di Innuus innuus L. sp. od Innuus ecaudatus Geoffr. sp. ; scavandovi gli alveoli per tutti i denti che doveva reggere in vita e rifacendo così sul modello

QUADRUMANI DEL SUOLO DI ROMA

241

ottenuto dal vero la serie dentale coi denti che avevo davanti sciolti, rimpiazzando i mancanti con approssimativi fac simile loro tagliati su residui di gesso modellato e congiungendo il tutto col ramo destro che era stato trovato e riattaccato in un sol pezzo il più esattamente possibile.

La restaurazione ottenuta è tutt’altro che perfetta. Le pro¬ porzioni variano necessariamente poiché il ramo fossile conser¬ vato è stato profondamente rotto e spostato nelle sue varie re¬ gioni ed è ancor oggi profondamente compresso e raddrizzato oltreché rientrato in se stesso dal margine suo anteriore con spostamento allo indietro del canino nella regione del penultimo premolare; di più è appartenente ad una vecchia femmina. Il ramo sinistro applicatovi è invece, come si è detto, ottenuto su un maschio adulto con una modellazione estemporanea e som¬ maria che ebbe per primo effetto una amplificazione delle pro¬ porzioni già superiori per natura dell’oggetto modellato. L’intaglio poi dei denti mancanti su scorta del loro rispettivo simmetrico operato su una materia friabile e sfari nantesi portò per conse¬ guenza che ciascuno risultasse di dimensioni notevolmente su¬ periori all’oggetto che voleva rappresentare. E finalmente la connessione di tre parti disgiunte non perfettamente armoniz¬ zanti fra loro quali erano i due rami ciascuno fatti privi della loro regione incisiva e il gruppo dei quattro incisivi ricostituiti è risultata non troppo di soddisfazione in quanto sovrattutto i due rami divaricano allo indietro assai più che nella comune delli Inui ed anche dei Macachi e Cynopithecini viventi e fos¬ sili conosciuti. Ne è risultato che la serie premolare-molare di un ramo anziché essere anch’essa quasi rigorosamente parallela a quella dell’altro e quindi ciascuna diretta dallo avanti indietro dello animale, risultano indietro assai più distanziate fra loro che sul davanti e quindi apparentemente dirette con sensibile obliquità dallo avanti indentro allo indietro infuori, carattere meno ominide di quel che realmente il fossile non avesse.

L’opera, comunque riuscita, di consolidamento e ricostituzione in un sol pezzo delle interessanti parti del fossile che mi era venuto dinanzi, mi servì per lo meno ad assicurare ed abbre¬ viare la determinazione di esso. Ma ben più dopo e prima di un tale lavoro mi servirono a facilitar la determinazione gli

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A. PORTIS

studi sopra le scimmie fossili italiane del Cocchi prima 1 e del Ristori poi 2.- Colla lettura accurata di questi due lavori, spe¬ cialmente del secondo, elaborato molto posteriormente e con una somma di materiale più abbondante e svariato davanti che non avesse avuto il Cocchi; con davanti una serie di cranii com¬ pleti e preparati appartenenti al nostro Istituto Zoologico Univer¬ sitario e fornitimi in comunicazione dalla cortesia del prof. Raf¬ faele F., direttore, e dott. Lepri G., aiuto, i quali sentitamente ringrazio 3, potei rapidamente circoscrivere la famiglia e sotto- famiglia cui il fossile apparteneva, separandolo progressivamente da tutti gli altri quadrumani che si sono fin qui conosciuti allo stato fossile.

Era infatti istantaneo il confronto col Pithecantropus erectus Dubois del Postpliocene di Giava e l’abbandono di esso ; e si¬ mile abbandono seguiva al confronto con l’Orango fossile, il Simia satirus fossilis (Pale.) Lydekker 4 l’enorme canino supe¬ riore disegnato in fig. 11 a pag. 304 del primo volume delle Palaeontological Memoirs and Notes del Falcouer e fatto cono¬ scere fin dal 1837 dal Falconer e Cautley quale proveniente dal Pliocene delle colline sivaiesi. Facile pure era l’abbandono, previo confronto, dello Anthropopytehcus , seu Troglodytes, seu Palaeopithecus sivalensis Lydekk 5. L’avanzo che lo costituisce, il mascellare-palato guernito di denti proveniente dal Pliocene siva- lese presso Jabi nel Punjab, riconoscibile nelle sue particolarità

1 Cocchi I., Su di due scimmie fossili italiane. Firenze, in-8°. Boll. Comit. Geol. ital., voi. 3°, 1872, pag. 59-71, tav. la.

2 Ristori G., Le scimmie fossili italiane. Studio paleontologico. Roma, Boll. Comit. Geol. ital., voi. 21, 1890, in-8°, pag. 178-199, 225-237, tav. 7-8.

3 I cranii che richiesi ed ottenni tutti completi di mandibola e denti dallo Istituto Zool. Univ. spettano alle specie seguenti: Zati (Cyno- molgus) sinicus L. sp. ; Nemestrinus nemestrinus L. sp. ; Innuus (Pithecus) innuus L. sp. ; Hamadryas (Papio) hamadrias L. sp. (in 3 esemplari diversi giovani; Mormon (Papio) maimon L. sp. (giovane).

4 Vide: Lydekker R., Indian Tertiary and Posttertiary Vertebrata. Pa- laeontologia indica, ser. 10, voi. 4, parte 1. Siwalik Mammalia. Suppl. 1. Calcutta, gr.-4°, 1886, pag. 4. Falconer H., Palaeontological Meni, and Notes. London, 8°, 1868, voi. 1. pag. 304-307, fig. Il; voi. 2, pag. 578.

5 Lydekker R., Indian tert. a. Post-tert. Verteb., suppl. cit., pag. 2-4, tav. 1, fig. 1-1 a.

QUADRUMANI DEL SUOLO DI ROMA

243

del palato e dei singoli denti come appartenente ad un vecchio maschio di Chimpanzé, non poteva certo adattarsi alla stretta mandibola di una femmina di piccolo macachide ecaudato quale è il nostro fossile.

Scartato il genere Gorilla e per e perchè ancora non si è presentato allo stato fossile, poteva venir in mente un pre¬ ventivo confronto coi resti conosciuti del genere miocenico sup. Dryopithecus. A parte l’età costante del genere e, senza sprezzare la precedente letteratura in proposito, bastava uno sguardo al testo e alla tavola che lo accompagna della memoria del Gau- dry: Le Dryopithèque ' per escludere immediatamente qualsiasi approssimazione della mandibola simiesca romana ad una qual¬ siasi delle due mandibole di Dryopithecus Fontani Lartet trovate dal Fontan nel 1856 l’una; e l’altra ben più perfetta trovata nel 1889 a S* Gaudens dal Félix Regnault nella stessa località e giacimento in cui era stata rinvenuta la prima. Escluso il Dryopithecus e nella sua specie principale il Fontani e per il genere in sè, non varrebbe più la pena di escludere esplicita¬ mente le altre due meno importanti specie dello stesso genere quali la il Dr. rhenanus Pohlig ( Paidopithex rhenanus n. g., n. sp.) rappresentato da un unico femore trovato già dai tempi di Kaup, Cuvier 1 2 etc. ad Eppelsheim dal Miocene sup. secondo alcuni, ma secondo altri da Pliocene inferiore, dato che la parte di esso sfugge alla comparabilità e che d’altronde anche per se stessa e Pohlig e Dubois (e prima l’Owen) ed altri autori sono ben lungi dall’esser d’accordo sulla collocazione generica di questo genere; tantoché il Dubois, mentre da un lato reclama e sostiene l’elevatezza organica e la pliocenicità del suo Pithecan- tropus erectus 3, dall’altro, ricordando l’analogia prima scoperta

1 Gaudry A., Le Dryopithèque. Mémoires de Paléontologie de la Soc. Géol. d. France, tome ler, Mém. n. 1. Paria, in-4°, 1890, 11 pages et 1 planche.

2 Pohlig H., Paidopithex rhenanus, le Singe antropomorphe du Plio¬ cène rhénan. Bruxelles, Proc. verb. de la Soc. belge de Géol., Paléont. et Hydrol., tome 9, 1895, pag. 149-151, fig. 1-2.

3 Dubois E., Resumé de cornmmiication sur le « Pithecantropus erectus » du Pliocène de Lava (Ngavi-Trinil). A propos de la communio, de M. Pohlig sur le Paidopithex rhenanus d’Eppelsheim. Bruxelles, Proc. verb. d. la Soc. belge de Géol. etc., tome 9, 1895, pag. 151-160; fig. 1-2.

244

A. PORTIS

dall’Owen dell’osso di Eppelsheim collo analogo degli Hylobates, propone di trasferirlo in un nuovo genere sotto il nome di Pliohylobates eppelsheimensis. (E vedremo poi a proposito di Neopithecus che la parte ritenuta miocenica del così detto Bryo- pithecus rhenanus che consta di denti isolati sovrattutto infe¬ riori rinvenuti nel Bohnerz della Schwaebischen Alb venne poi trasferito al genere Anthropodus Schlosser ; dal quale, essendo il nome generico stato preoccupato dal Lapouge, passarono al genere per essi appositamente creato di Neopithecus Abel). E la seconda specie che si vuol aggiungere, in più del Br. Fontani , al genere Bryopithecus sotto il nome di Br. Banvini Abel, sa¬ rebbe quella che l’Abel rinvenne fra i materiali raccolti in pas¬ sato, circa il 1850, nelle sabbie di Neudorf a. d. March appar tenenti alle formazioni del Leithakalk (secondo livello mediter¬ raneo del Bacino di Vienna 1 o miocene medio. L’Abel presenta l’originale di questa specie consistente in un unico molare in¬ feriore, per la seconda volta, in una lettera pubblicata nel Cen- tralblatt fiir Mineralogie, etc. 2, nella quale, oltre a discutere e figurare il Griphopithecus che ricorderemo subito di poi, discute e rappresenta (fig. 2) questo unico dente di Bryopi- thecus Barwinì ingrandito tre volte; e ve n’è abbastanza per poter subito vedere la nessuna pertinenza del fossile romano a questa specie di Abel. (Di più Schlosser dichiara a pag. 556 del voi. dei Grundziige der Palaeontologie, edizione seconda, postuma, di K. A. Zittel del 1911) che « Bryopythecus Barwini Abel e Gryphopithecus Suessi Abel dal Miocene di Neudorf nel bacino di Vienna sono assolutamente problematici »).

E la dichiarazione dello Schlosser e l’esame del lavoro ora citato dell’Abel per la parte che riguarda il Gryphopithecus Suessi rendono poi incomparabili colla corrispondente parte del fossile di Bontà l’unico originale del Gryphopithecus stesso con¬ sistente in un penultimo od autopenultimo molare vero supe-

1 Abel li dichiara rinvenuti e conservati nelle collezioni dei Musei di Vienna già fin dalla metà circa del milleottocento.

5 Abel 0., Zivei neue Menschenaffen aus den Leithakcilkbildungen des Wiener Tieckens. Centralblatt f. Miner. Geol. u. Palaeontol., 1903, pag. 176- 182, fig. 1-2. Stuttgart, 8°, 1903.

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riore sinistro. Benché le sue dimensioni sieno proporzionalmente inferiori a quelle dello ultimo molare inferiore sinistro del cosi¬ detto Dryopithecus Darwini, esse rispondono ad una grandezza di animale ancora enormemente superiore a quello del fossile di Roma; e il quadro di composizione degli elementi di esso dente superiore non ha corrispondenze con quanto manifesta il quadro di costituzione dei denti inferiori di Roma; quindi pos¬ siamo tranquillamente abbandonare come troppo lontano parente (se lo è, direbbe Schlosser) da qualsiasi pretesa appartenenza col fossile di Roma il Grypliopithecus Suessi Abel.

Fu base alla costituzione della specie Anthropodus Rouvillei nel 1894 (nuovo genere e nuova specie di G. de Lapouge) 1 un unico incisivo superiore esterno sinistro, accompagnato dall’osso Jugale pure sinistro dello stesso o di altro individuo, rinvenuti nel Pliocene lacustre superiore al Piacentino presso a Mosson, ad Ovest di Montpellier. Anche qui la natura e posizione in scheletro dei resti di Anthropodus Lapouge, soli conosciuti, im¬ pedirebbero un utile confronto loro con quelli del fossile di Roma. Le dimensioni poi presentate dagli avanzi dello stesso Anthropodus e le affermazioni del suo creatore di alta eleva¬ tezza presso il genere Homo, tanto da aver voluto nel nome di Anthropodus ricordare il carattere di denti umani, rivelano par¬ ticolarità non così chiaramente manifeste sul fossile romano dal quale definitivamente lo allontanano.

Pei denti ominoidi rinvenuti isolati nella prima metà del secolo decimonono a Salmedingen, Melchingen, Elbingen, Trochtel- fìngen, ecc., nei Bohnherz miocenico-superiori della Schwae- bischer Alb, si occupò di proposito il Branco, conchiudendo nella prima parte del suo apposito lavoro 2 col considerarne 8, due su-

1 De Lapouge G., Note sur un nouveau singe pliocène (Anthropodus Rouvillei. Kermes, Bull. Soc. Scientif. et Mèdie, de l’Ouest de la France, 1894, 4e trim., pag. 202-208 avec pianelle autographiée .

2 Branco (von) W., Die Menschen-aehnlichen Zaehne aus dem Bohnerz der Sclmaebischen Alb, lte Theil. Stuttgart. 8°, 1898, Sep. Abd. a. d. Jahresb. d. Ver. f. vaterl. Naturk. in Wiirtt. 1898. S. 1-144 mit Holzschn. i. T. und Taf. 1-3. 2te Theil: Art und Ursaclie der Reduktion des Gebisses bei Sàugern. Als Programm zur 79. Jahresfeier der K. Wurttembergischen landwirtschaftlichen Akademie Hohenheim. Stuttgart, 81, 1897, S. 1-128,

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periori e sei inferiori, tutti molari e quasi tutti molari ultimi quali appartenenti a specie del Dryopithecus, che come accennai più su venne dal Pohlig in seguito ritenuta nuova e chiamata Paedopitex rhenanus n. g., n. sp., e poi Dryopithecus rhenanus Pohlig sp. (assieme alla parte pliocenico inferiore rappresentata da un femore e pure sovra ricordata). Ma di questi otto denti, uno (quello proveniente da Salmendingen, che Branco aveva particolarmente tratteggiato a pag. 54 e rappresentato ingran¬ dito tre volte nelle tre figure undici di tavola 2 della la parte, 1898, del suo lavoro, ritenendolo un ultimo molare deciduo infe¬ riore sinistro di giovane Dryopithecus ) venne in seguito, 1901, dallo Schlosser riesaminato e ritenuto quale ultimo molare defi¬ nitivo inferiore sinistro di un nuovo genere di scimmia antro¬ pomorfa 1 che egli chiamò col nome di Anthropodus con una specie sola dedicata al Branco: sicché rimase: Anthropodus Brancoi n. g., n. sp. Schlosser fino a quando, come abbiamo ve¬ duto, per legge di priorità in favore del Lapouge, l’Abel nel 1902 (un solo anno di poi) non propose di denominarla Neo- pithecus (Abel n. g.) Brancoi (Schlosser n. sp.). Però in un più ampio successivo studio del 1901-02 dello Schlosser2, questi non ha avuto tempo di acquistar cognizione della modificazione e seguita ad indicare il fossile che tratta più diffusamente (oltreché gli avanzi rimasti, al Dryopithecus rhenanus Pohlig a pag. 10-16 e oltre a quelli del Cryptopithecus siderolithicus Schlosser, pag. 16-19, tav. 1, fig. 9, 12, 13) nelle pag. 5-10 e nella tavola 1, fig. 1, la, oltreché, ingrandito, nelle figure 1 e 2 intercalate

mit Holzschn. im Text. (E, su argomento analogo, dello stesso autore: Ber fossile Mensch. Sonderabdr. a. d. Verhandl. des 5ten Internationalen Zoologen Congresses zu Berlin 1901. Jena, 8°, 1902, S. 1-25, mit 5 Text- figuren).

1 Schlosser M. Die Menschenaelinlichen Zaehne aus detti Bohnerz der Schwaebischen Alò. Zoologischer Anzeiger Bd. 24, 1901. Seite 262, mit Fig. Vedi pure dello stesso Schlosser: Die Neueste Literatur ueber die aus- gestorbenen Antropomorplien. Zoolog. Anz., Bd. 23, 1900, S. 289-301.

2 Schlosser M., Beitraege zur Kenntniss der Sàugethierreste aus den Suddeutschen Bolmerzen, in Geologischen und Palaeontologischen Aband- lungen herausgeg. v. E. Ivoken, Band 9, Heft 3, 1902, Seite 115-258 (J-144) mit 3 Abbildungen im Text und Tafeln 6-10 (1-5), Jena, 4°, 1902, Verlag v. G. Fischer.

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al testo di pag. 7. Ora appunto da questa ripetuta figurazione e discussione sulla più o meno grande relazione di vicinanza e relazione fra detto dente ultimo molare inf. sinistro di Neo- pithecus (Anthropodus) Brancoi di Salmendingen, emerge la im¬ possibilità per dettagli di costituzione e per dimensioni gene¬ rali e speciali di esso colla corrispondente parte del fossile di Roma.

La maggior parte dei zoologi mantengono ancora nqlla fami¬ glia dei Simiidae, ossia delle scimmie antropomorfe, gli Hylobates, scimmie oggidì essenzialmente dell’Asia orientale meridionale ; del qual genere secondo le norme zoologicamente costituite e ri¬ strette non si conoscerebbe in alcuna parte del mondo rappre¬ sentanti fossili dal pliocene o da formazioni posteriori. Però, appena scoperta, venne avvicinata agli Hylobates la prima scimmia fossile riconosciuta come tale e dal Lartet scoperta nel 1836 e descritta (come proveniente dal Miocene medio di acqua dolce di Sansan) nel 1837 quale « Singe voisin du Gibbon » o Protopithecus antiquus. Ne parlano con ammirazione Blainville ', che lo chiama Pithecus antiquus; Owen 1 2; (poco e indirettamente il Falconer 3); e poi il Gervais 4 quando agli avanzi mandibolari, prima unici scoperti, non si erano ancora aggiunti quelli ma¬ scellari. Il Gervais, che era inclinato a piazzare il Protopithecus di Lartet fra gli Hylobates ed i Semnopithecus (sez. Presbypi- pithecus), propose di dargli il nome di Pliopithecus antiquus, sotto il quale corre attualmente arricchito della conoscenza che se ne

1 Blainville (Henry-Marie Ducrotay de Blainville, Osteographie des Mammifères. Paris, quarto et folio, 1839-1864, voi. 1 Primatès (et Secun- datès ), a pag. 53-57 della sezione F (De V ancienneté des Primatès à la surface de la Terre ) per la descrizione e caratterizzazione delle due man¬ dibole (una quasi completa con tutti i denti ed un’altra, solo ramo destro con denti canino molari e per la figurazione in grandezza naturale. Atlante, voi. 1, Primatès; Genre, Pithecus; PI. 11 : Pitheci antiqui ; le 4 tìgg. superiori a sinistra di P. fossilis europaeus.

2 Ovven R., History of British fossil Mammals and Birds. London, 8°, 1846, a pag. 9.

3 Falconer H., Palaeontological Memoirs and Notes. London, 8°, 1868, voi. 1, pag. 309-314 (nota edit. pag. 312).

4 Gervais P., Zoologie et Paléontologie Frangaises. Deuxième édition. Paris, 4°, 1859 (a pag. 9-10 del testo e fig. 3).

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ha attualmente anche per la mascella superiore e suoi denti per essere stato riscontrato in tanti altri punti dell’Europa me¬ ridionale, più particolarmente a Gbriach nella Stiria l. Grazie alle ligniti di Gòriach noi abbiamo conoscenza di pressoché com¬ pletamente tutte due le dentizioni da latte che permanente e per questa seconda in modo più speciale sia mascellare che mandibolare. (Hofmann ricorda a pag. 7 che si fu nel 1863 che A. Biedermann descrisse in una memoria stampata a soli 25 esemplari, sotto il nome di Pliopithecus platyodon il primo esem¬ plare di mascellare superiore proveniente dalle ligniti [molassa miocenica] di Elgg in Canton Ziirich). La conoscenza acquisita di questo animale colle figure di Blainville, Gervais, Hofman permette di mantenere sicuramente in prossima vicinanza ai Gibboni viventi il Pliopitecus antiquus Gervais e per conse¬ guenza a tenerlo, sulla base di più avanzata contrazione dei denti molari specialmente dell’ultimo inferiore di essi, ben distac¬ cato dal fossile di Roma.

In questi ultimi anni lo Schlosser ha ricavato dall’Oligocene di Fayum, Egitto, un ramo mandibolare sinistro con tutti ben conservati i sei denti dal canino al molare ultimo in posto di una piccola scimmia che egli chiama Propliopithecus Haecheli e che definisce, sue proprie parole 2 : « sicuramente il proge- » nitore del seguente genere (il Pliopitecus Gervais) e benanco » di tutti i Simi idi ed Hominidi ». Affermazione molto recisa questa alla quale per ora non darò più peso che alla espres¬ sione di opinione personale, limitandomi ad osservare che in confronto del fossile di Roma il Propliopithecus vi si potrebbe avvicinare alquanto più che il PUopithecus nella meno avan¬ zata contrazione longitudinale dei molari inferiori specie del¬ l’ultimo, ma che sempre molto ne differisce per la sua semplice

1 Hofmann A., Die Fauna non Goriach. Wien, 4°, Max. 1893. Abhandl. d. K. K. Geol. Reichsanst. Bd. 15., Heft. 6., Seiten 1-88 init 17 Tafn. u. 1 Zinkot. i. Text. (a pag. 6-18, Taf. 1, fìg. 1-11, dove Hofmann lo chiama ancora Hylobates antiquus ).

2 H. A. Zittel’s, Grundzuge der Palaeontologie (Palaeozoologie) Neu- bearbeitet von F. Broili, E. Koken und M. Schlosser. Zweite verni, u. ver- bess. Anfl. 2te Abtheilnng. Vertebrata. Mnenchen, 8°, 1911, a pag. 555.

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costituzione dei premolari e canini e per la elevatezza consi¬ derevole della mandibola.

Passata così in rassegna tutta la famiglia dei Simiidae ge¬ nere per genere ed esclusa ad essa la pertinenza del fossile di Roma, non ci resta che di scendere nella seguente famiglia dei Cynopithecidae ( Cercopithecidae ) comprendente tutte le restanti scimmie viventi e fossili dell’Antico Continente, salvo i compo¬ nenti della nuova famiglia estinta dei Parapithecidae Schlosser anch’essi fossili nell’oligocene del Continente antico l.

Il Trouessart 2, tanto nel suo catalogo quanto nel supple¬ mento quinquennale al medesimo catalogo, inizia la rivista della famiglia dei Cercopithecidae ( Cynopithecidae ) o Scimmie non antropomorfe dello Antico Continente collocando primo, e forse perchè lo ritenga il più elevato, il genere estinto Mesopithecus. Grazie allo Andrea Wagner 3 e poi allo A. Gaudry 4, per non citare che i principali, ma sovrattutto al secondo, si ha conoscenza pressoché completa tanto dello scheletro quanto della dentatura di questo animale ( Mesopithecus Pentelici Andr. Wagner, nato dalla riunione di entrambe le primitive specie di Wagner stesso : M. Pentelici e M. major ) per entrambo i sessi. È facile e rapido quindi l’esame di confronto delle singole parti della dentatura di esso con quella del fossile di Roma particolar-

1 H. A. Zittel’s, Grundzùge etc. cit. Zweite Abth. cit., a pag. 553.

2 Trouessart E. L., Catalogus Mammalium tam viv. quam foss. Nova ed. (prima compì.}. Berolini, 8°, 1897-1899, pag. 1-1470 (a pag. 6). Troues¬ sart E. L., Catalogus, etc. Quinquennale supplementi™, anno 1904. Be¬ rolini, 8°, 1904-1905, pag. 1-930, a pag. 6.

:i Wagner A., Fossile Ueberreste von einern Affen u. ein. and. Sàugeth. a. Griechenland. Muenchen, Abh. d. 2te Cl. d. Akad. d. Wiss. 3tcr Bd., Abth. 1. Seite 153-171. Taf. 1. fig. 1-3; 1840. Wagner A., Urweltl. Sàugthier Ueberreste aus Griechenland. Abh. 2te, Cl. Akad. Wiss. Muenchen, 5te Bd., 2te Abt., S. 333-378, mit. 4 Tfn. 4°, 1849. Roth I. und Wagner, A., Die fossilen Knochenueberreste von Pikermi in Griechenland. Abh. d. 2te Cl. Iv. Bayr. Akad. d. Wiss., 7 te Bd. 2^ Abth. S. 371-464, T. 7-14 (auf Seite 370-388, T. 7, f. 1-8). Muenchen, 1855. Wagner A., Neue Bei- traege zur Kenntnis d. fossilen Sàugethier-Ueberreste von Pikermi. Abh. d. K. Bayer. Akad. d. W., 2te Cl., 8ter Bd., Ite Abt., S. 109-158. Taf. 3-9- Muenchen, 4°, 1857 (auf S. 112-115, T. 3, fig. 1-3).

4 Gaudry A., Animaux fossiles et Geologie de V Attigue, avec 77 plan- ches. Paris, 4°, 1862-1867 page 18-36, planche 1-5).

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mente insistendo sui dettagli della forma femminea data dal Gaudry, tav. 3, figg. 4, 1, 2 nei denti: canino, rapporti fra canino e penultimo premolare, composizione dei premolari, composizione e grandezza relativa dei molari antepenultimo e penultimo, com¬ posizione e piccolezza relativa dell’ultimo molare e piccolezza e semplicità del « quinto lobo » di esso ultimo molare inferiore, per comprendere che il fossile di Roma non può essere identi¬ ficato nel genere, tanto meno nella specie del Mesopi

iliecus pentdici Wagn.

\

E noto il livello geologico dei mammiferi fossili di Pikermi. E noto che esso, fin dai primi lavori del Wagner in proposito, fu ritenuto pertinente al Miocene superiore; in seguito, grazie allo studio, per opera di posteriori autori, di giacimenti ossiferi di Baltavar in Ungheria, di Maragha in Persia (nei quali anche si rinvenne il Mesopithecus Pentelici Wagner ed altri, si con¬ sidera il livello di Pikermi e dei nominati giacimenti come spet¬ tante piuttosto al Pliocene inferiore.

Nel 1886 il Depéret faceva conoscere dai materiali raccolti dal dott. Donnezan, sovrattutto nelle argille sabbiose « du Serrat d’en Vacquer » presso Perpignan appartenenti alla sommità del Pliocene medio, avanzi caratteristici di un nuovo quadrumane fossile che denominava Macacus priscus Depéret (non Gervais). Il nome fu poi dallo autore mutato in Dolichopithecus rusci- nensis n. g„ n. sp. nel 1889. Nel 1890 poi il Depéret pubbli¬ cava e figurava più in esteso la illustrazione di tutti gli avanzi che prima e poi gli erano venuti a disposizione di questo Sem- nopitecide e di altri vertebrati dello stesso giacimento nella sua memoria sugli animali pliocenici del Rossiglione *. E poiché ebbe anch’egli la fortuna di rinvenire teste e mandibole quasi complete per o la dentatura che reggevano così di maschio come di femmina adulti come di giovani ; avvenne che grazie a lui noi conosciamo bene la specie nei suoi principali carat-

1 Depéret C. (et Donnezan A.), Les animaux pliocènes du Roussillon, 4°, pag. 1-198, avec 8 fìg. d. 1. texte, 18 planches et nn tableau; dans les Mémoires de Paléontologie de la Soc. Géol. de France. Mèra. n.° 3, dans les tomes 1, 2, 3, 4, 5 et 7, 1890-1897 (a pag. 11-18, tav. 1, fìg. 1-11, tav. 2, fìg. 1-4, 1890).

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teri. La mandibola poi femminea adulta e non vecchia che De- péret rappresenta guarnita di tutti i suoi denti in fig. 2 di tav. 2 ed il dente ultimo mol. inf. sinistro che rappresenta in fig. 4 della tav. stessa, sono per me preziosi per discernere facilmente come e per dimensioni generali e per maggior com¬ plicazione del canino inferiore, minore sviluppo antero posteriore del penultimo premolare e proporzionale maggior sviluppo del¬ l’ultimo premolare; poi minore individualizzazione e tendenza alla suddivisione del quinto lobo o tubercolo posteriore dell’ul¬ timo molare il JDolichopithecus ruscinensis Dep. si distacchi age¬ volmente ed inconfondibilmente dal nostro fossile di Roma.

Ritengo che il genere Semnopithecus p. d. di F. Cuvier sia fra i generi di quadrumani viventi, quello che il più antica¬ mente sia stato constatato e riconosciuto allo stato fossile. Autori Oapt. P. T. Cautley ed H. Falconer (e Liets. V. E. Baker e H. M. Durand), furono fin dal novembre 1836 presentate rela¬ zioni accompagnate da illustrazioni al Journal of thè Asiatic Society of Bengal (voi. 6, 1837) ed alla Società Geologica di Londra (Trans., voi. 5, Sei*. 2, 1837) su rinvenimenti di mascel¬ lari, di mandibole frammentarli sì, ma dotati di denti ; e di parti di estremità di quadrumani già originariamente avvicinati al Semnopithecus entellus Dufr. e poi mai più distaccatine. Gli scritti e le figure originali in proposito troviamo riprodotti in Falconer \ ma immediatamente procurarono vivissima impres¬ sione nel mondo scientifico essendone la prima notizia venuta quasi contemporanea alla pur prima notizia del rinvenimento a Sansan per opera del Lartet, del Pliopithecus antiquus Ger- vais. Quindi ne troviamo accurata e discussa notizia in Blain- ville 1 2; breve accenno in Owen 3. Ma poi tardiamo fino al 1884- 1885 ad averne la denominazione fissata in Semnopithecus pa-

1 Falconer H., Palaeontological Memoirs and Notes del 1868, voi. 1, capo 14: On thè fossil quadrumana of tlie SewaliTc Hills, pag. 292-314 con fig. nel testo da 6 a 11 e tav. 24.

2 Blainville H. D. de, Osteographie, tome I. Primatès a pag. 57-62 di sezione F (de Fancienneté, etc.) ed a tav. 11 del genere Pithecus: Pitlieci antiqui, le 4 figure inferiori di sinistra « P 9 fossilis indicus, due di mascellare ex Baker et Durand e 2 di mandibole ex Cautley et Fal¬ coner ».

3 Owen R., Hist. of Brit. foss. Mammals a. Bìrds, 1846, a pag. 7-8.

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laeindicus per opera del Lydekker, contemporaneamente nel vo¬ lume del suo catalogo dei Mammiferi fossili nel Museo Britan¬ nico 1 e nelle Memorie del Comit. Geol. dell’India 2. Mentre nel 1886 lo stesso Lydekker nel suo primo supplemento ai Mam¬ miferi fossili sivalesi 3, a pag. 4-5, lo piazza definitivamente in sistema quale di provenienza dal Pliocene inferiore delle Col¬ line sivalesi, vicino al Semnopithecus schistaceus Hodgs. fra i viventi dell’Himalaya, Cachmir, etc. ed al Semnopithecus mon- spessulanus Gerv., fra i fossili del Pliocene inferiore dell’Eu¬ ropa meridion. occidentale.

Occorre perciò venire a quest’altra specie fossile prima di esaminare il S. palaeindicus in confronto col fossile di Roma. Il Semnopithecus monspessulanus è stato nel 1849 estratto dalle marne gialle del Pliocene inferiore e lacustre scavate per la fondazione del Palazzo di Giustizia di Montpellier per opera di Paul Gervais che ne ebbe, siccome egli afferma: una estremità superiore di cubito, un canino inferiore da un lato di un indi¬ viduo e di un altro individuo men vecchio un canino inferiore ed i tre molari veri del ramo mandibolare opposto. Questi pochi avanzi, gli unici, od unici servibili avanzi di questo quadru¬ mane, furono dal Gervais dapprima avvicinati ai Macacus e subito dipoi attribuiti al genere Semnopitecus erigendone una specie che già nella prima edizione della Zoologie et Paleonto¬ logie Frangaise (del 1848 e seg.) porta il nome di S. monspes¬ sulanus. Essi son poi meglio descritti e sovrattutto figurati nella 2a edizione (1853 e seg.) della stessa opera di Gervais 4 nella

1 Lydekker R., Catalogne of thè fossil Mammalia in thè British Mu- searn of Nat. Hist., part 1. London, 8°, 1885, a pag. 2-3.

2 Lydekker R., Mera. Geol. Surv. of India. Palaeontologia Indica, ser. 10, Indiali Tert. a. post tert. Vertebrata, voi. 3, part 3, 1884 (a pag. 123 nel Synopsis of Mammalia from thè Siwaliks.).

3 Lydekker R., Indian Tert. and Post-tert. Verteb. (Mera. Geol. Surv. India. Palaeont. Indica , Ser. 10), voi. 4, part. 1. Siwalik Mammalia, Suppleraent 1, 1886, gr. (pag. 1-18, pi. 1-6) (vide pag. 4-5, pi. 1, fig. 7). Et: Lydekker, Catal. foss. Mamm. Brit. Mus. Part. 1, 1885, pag. 2-3. Et: Falconer H., Palaeontol. Meni. a. Notes , 1868, voi. 1, pag. 302-303, pi. 24, fig. 5-6, 7-8.

4 Gervais P., Zoologie et Paleontologie Frangaises, 2e édition, 4°, 1859, avec Alias de 84 planches (a pag. 10-11 del testo e tav. 1, fig. 7-7 5, 8-8 a, 9-9 a, 10-10 a, 11-11 a e 12 dell'atlante; a pag. 6 testo di ediz. la).

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quale, a pag. 10, esprime l’opinione che il suo Semnopitecus possa essere della medesima specie con quella che già il De Christol aveva fatto conoscere 1 dalle sabbie marine di Mont¬ pellier sotto il nome di Pithecus maritimus, che è quindi entrato nella sinonimia della specie di Gervais.

Egli fu in qalcuno degli anni fra il 1860 ed il 1869 che il signor Tito Nardi raccolse dalle ligniti attribuite al Miocene (od allo Oligocene, od al Pliocene infer.?) di Monte Bamboli in Maremma toscana una mandibola di un non grande quadru¬ mane fornita di pressoché tutti i denti d’ambo i rami che ve¬ niva poi conservata nel Museo di Firenze e nel 1871 affidata per lo studio dal Prof. Igino Cocchi al Gervais. Si può vedere nelle prime relazioni del Gervais stesso che cosa egli ne abbia ricavato 2 ma di più se ne ricava quando le due comunicazioni, facendo precedere la seconda alla prima, furono ripubblicate in una sola memoria dal titolo riassuntivo (forse nel 1873 o 1874), nella seconda parte, rimasta poi in tronco delle Zoologie et Paleontologie générales dello stesso Gervais 3 munendole di di¬ segni e originali e comparativi raccolti in tre tavole in 4°. Il Gervais pareva incline a raccostarlo più alla famiglia delle scimmie antropomorfe. Ma non potendo contestare le evidenti relazioni di parentela nella famiglia dei Cercopithecidae tanto più quando dopo l’allontanamento dei residui dell’ultimo deciduo di sinistra e col frugare allo indietro del penultimo vero mo¬ lare d’ambo i rami era riuscito a scoprire d’ambo i lati l’ultimo

1 Christol (De), Lettre à M. le Secrétaire. Bulletin de la Société Géo- logique de France, sèrie 2e, t. 6, pag. 169-170. Séance du 15 janvier 1849.

2 Gervais P., Coup d'odi sur les Mammifères fossiles de VItalie. Coinni. f. à la Soc. le 6 nov. 1871, lue le 8 Janvier 1872. Bulletin de la So¬ ciété Géol. de France, sér. 2, voi. 29, 1871-72, pag. 92-103. Et Gervais P., Sur un singe fossile d’espèce non encore décrite, qui a été découverte au Monte Bamboli. Paris, Compt. rend. d. l’Acad. d. Se., t. 14, séance 6 Mai 1872.

3 Gervais P., Description d’une espèce de singe découverte dans les lignites du Monte Bamboli , suivie de remarques sur les mammifères fos¬ siles de VItalie. Paris, Zoologie et Paléontologie Générales, 2me sér., in gr. 1871-187? Pag. 7-27, pi. 5-7. (A pag. 7-15, pi. 5, fig. 1, 1«, 2, 2 a- con 11 fig. di altre specie di scimmie fossili precedentemente conosciute, circa sei, per comparazione).

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molare, ottenendo così sulla completa serie premol.-molare una veduta e generale e di dettaglio, si decise a piazzarlo decisa¬ mente in questa famiglia ma all’un dei capi o alto o basso e creando per esso un genere nuovo con specie unica; dal che risultò la denominazione di Oreopithecus Bambola Gerv. fossile delle ligniti (oligoceniche, o miocenico superiori o pliocenico inferiori che esse si siano) di Monte Bamboli (prov. di Grosseto).

L’ Oreopithecus Bambola Gerv. fossile, prima e poi, unica¬ mente italiano fatto conoscere in Francia, venne subito di poi fatto conoscere in Italia per opera di Igino Cocchi nella favo¬ revole occasione grazie alla quale questi in gennaio 1872 era riuscito a metter le mani sovra il primo buon residuo di un altro genere di quadrumani fossili appartenenti alla stessa fa¬ miglia dei Cercopithecidae divenuto poi V Aulaxinus florentinus , poi Macacus fi., poi Biuus o Innuus florentinus Cocchi al quale verremo di poi.

Nella nota che in proposito scrisse il Cocchi e che già ri¬ cordai \ si descriveva sopra una sola mandibola, trascrivendo da Gervais, l’ Oreopithecus Bambola Gerv. e subito di poi a pag. 64-71 si descriveva originariamente e pure su di una sola assai ben conservata mandibola lo Aulaxinus florentinus Cocchi ; e, nella annessa tavola, si davano per ciascuna delle mandibole quindi per ciascuna delle spece una veduta coronale ed una di profilo (due per V Aulaxinus) in tutto adunque cinque figure.

Non faccio per ora menzione che di passata di due note di C. I. Forsyth Major comparse nel 1872 1 2 e nel 1875 3 nella prima delle quali poco tesoro si aggiunge de’ resti fossili di scimmie in Italia e si potrà offrire materiale per un nuovo nome che in seguito passerà per opera d’altri nella sinonimia di

1 Cocchi I., Su di due scimmie fossili italiane. Firenze, Boll. Comit. Geol. ital., ser. 1, voi. 3, 1872, pag. 59-71, tav. 1.

2 Forsyth Major C. 1., Note sur des Singes fossiles trouvés en Italie. Précédée d’un apergu sur les quadrurnanes fossiles en général. Séance du ler avril 1872. Atti d. Soc. ital. di Se. nat. di Milano e Pavia, voi. 15, 1872, pag. 79 a 95 (a pag. 95: denti mandibolari del Mugello).

3 Forsyth Major C. I., Considerazioni sulla fauna dei mammiferi plio¬ cenici e postpliocenici della Toscana, la parte. Atti d. Soc. toscana di Scienze natur. resid. in Pisa, 8", voi. 1, pag. 7-40, 223-245, 1875.

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Innuus florentinus Cocchi. Ma nella seconda di esse si impone nome di Macacus ausonius n. sp. a quel materiale che si era creduto nella prima precedente di dover staccare dalla specie di Cocchi (a pag. 39); e, quel che più importa, a pag. 229 e 238-39 si fa il primo accenno della presenza del Semnopithecus monspessulanus Gervais in Italia e più specialmente a Casino nelle ligniti attribuite al Pliocene inferiore e così col ricordare che si fa del V Oreopitliecus Bambolii si porta a tre e si tente¬ rebbe anzi portare a quattro il numero delle specie di quadru¬ mani fossili tutti appartenenti alla vasta famiglia dei Cerco- pithecidae scoperte in Italia, in formazioni dal Miocene medio al Pliocene superiore.

Passano gli anni dal 1872 e 1874 al 1889 e durante quelli nuovo materiale fossile di quadrumani italiani viene a racco¬ gliersi o, raccolto precedentemente, ad essere oggetto di osser¬ vazione dagli studiosi, il materiale descritto dal Cocchi ad essere oggetto di osservazioni o di considerazione da scienziati stranieri. Tra questi io non so se dovrei o meno comprendere il primo e più importante lavoro del Max Schlosser del 1887 sulla intiera fauna tino allora conosciuta in Quadrumani, Lemuri, Chirotteri, eco., del Terziario d’Europa 1 poiché malgrado a suo luogo riferisca e discuta delle due specie particolari allTtalia (a pag. 16 e 17), quali V Oreopitliecus Bambolii Gerv. e VAu- laxinuus florentinus Cocchi e ne discuta, relativamente alla, po¬ sizione sistematica; tuttavia egli ciò non fa che in base per la prima specie al citato lavoro del Gervais nella Zool. e Pai. Gen. (e ciò per essa potrebbe a mala pena esser sufficente), e per la seconda in base ad un modello in gesso, buono o cattivo che esso sia del fossile dichiarando egli esplicitamente a pag. 18 che: «In quale dissertazione (o periodico) Cocchi debba aver descritto questa scimmia non mi è noto ». Dunque non gli po¬ tevano esser noti tutti i precedenti relativi a tutte e due queste scimmie segnalate dal Cocchi, non gli era noto che contempo

1 Schlosser M., Die Affen , Lemuren, Cliiropteren, Insectivoren des Europaeischen Tertiaer, etc., 1 ste Theil, mit 5 Tafeln. Wien, 4°, 1887. Beitraege z. Palaeontol. Oesterreich-Ungarns. 6ter Bd., lste Heft, Seiten 1-228, Tafeln 1-5.

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rancamente e poi poco dopo il Cocchi (ed il Gervais), auche il Major si era occupato dei quadrumani fossili italiani, aveva aggiunto materiale originale al quantitativo iniziale base delle due specie fossili menzionate dal Cocchi ed aveva già lanciato l’idea della esistenza di una terza specie la quale sola fra le tre veniva ad essere comune tanto ai terreni pliocenici dell’Italia quanto a quelli della Francia ed era appunto il Semnopithecus monspessulanus Gervais. Ne è derivato che lo stesso Schlosser, pur menzionando a pag. 17 il S. Monspessulanus, lo indica come unicamente rinvenuto fino allora, a tutto il 1886, come unicamente proprio di Montpellier e che le sue affermazioni particolarmente sullo Aulaxinuus florentinus Cocchi rimasero va¬ ghe ed incerte.

Sussiste intanto il fatto che noi dobbiamo al Forsyth Major il primo accenno di esistenza in Italia e nelle ligniti di Casino appartenenti al Pliocene inferiore di quel Semnopithecus mon¬ spessulanus che Gervais aveva fatto conoscere e dalle marne gialle di acqua dolce e dalle sabbie marine di Montpellier tutte appartenenti al Pliocene inferiore ; esistenza in Italia che con¬ fermò più tardi, nel 1890, il Ristori.

Verrà da quanto dirò in proposito del lavoro del Ristori il perchè non dica io subito della non possibile pertinenza del nostro recentemente rinvenuto fossile di scimmia romana al Semnopithecus monspessulanus Gervais stesso e per conseguenza neppure al S. palaeindicus Lydekker come neppure al S. en- tellus (Dufresne) fossilis, di cui parla il Lydekker 1 quale fos¬ sile postpliocenico della Charnel House Cave. (Una mascella destra femminile, una mascella destra ed un frammento di man¬ dibola destra maschili tutti con molari e premolari, la prima anche con canino ed incisivo esterno).

E passiamo al complesso genere Macacus e contemporanea¬ mente al lavoro del Ristori pubblicato, come accennai, dopoché al materiale fatto conoscere dal Cocchi e dal Forsyth Major nel 1872 e 1874 se ne era aggiunto parecchio altro e tanto

1 Lydekker R., in Palaeontologia Indica (Meni. Geol. Surw. of In¬ dia), Ser. X, Ivld. Tert. a. Post-tert. Verteb ., voi. 4, part 2, The fauna of Karnul Caves. Calcutta, gr., pag. 23-58, con 15 fìgg, n. testo e tav. 7-11 (a pag. 28 e tav. 7, fìgg. 1-4).

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dalle località menzionate dal Cocchi e Major quanto da altre e parecchie nuove. Il Ristori pubblica il suo studio nel 1890 1 e lo fa utilizzando non più soltanto il materiale a suo tempo utilizzato dal Cocchi e quello ricordato dal Forsyth Major nel 1872 e 1874 ma tenendo conto di quello ricordato di poi nel 1879 dallo stesso Forsyth Maior 2 ed appartenente a due fra le tre specie che già al 1874 erano state segnalate in Italia; ed ancora di quello ricordato nello stesso 1879 dal Lawley 3 appartenente ad una fra queste due e proveniente dal Pliocene superiore marino di Orciano pisano, ed utilizzandolo in gran parte ed insieme con altro pure nuovo raccoltosi con successivi rinvenimenti ed acquisti e conservato nel Museo geologico di Pisa, nel Museo dello Istituto Tecnico di Firenze e nel Museo Geol. Paleontologico dello Istituto di Studi Superiori pure di Firenze.

Con tale lavoro il Ristori riafferma la presenza di tre specie principali appartenenti ciascuna ad un distinto genere nella grande famiglia dei Cercopithecidae in Italia, una nei terreni Miocenici, due nei Pliocenici, e le illustra ciascuna zoologica¬ mente il più completamente che può su la scorta di fino a lui aumentato materiale ed allargata discussione di esso fra gli autori che conobbero e tali materiali e materiali congeneri. Cosi partendo dalla specie stratigrafìcamente più antica e la prima fatta conoscere in Italia la specie miocenica detta Oreopithecus Bambola Gervais, riafferma che dessa si rinvenne non solo nella località da cui provenne il primo materiale descritto base della specie (e nella quale si era rinvenuto altro materiale ancora e ben più importante), ma ancora in una seconda località, Ca- steani, sempre della provincia di Grosseto pure con materiale molto significante ed ancora in una terza località, Monte Massi, ancora delia stessa provincia ma con meno abbondante copia di materiale.

1 Ristori G., Le Scimmie fossili italiane. Studio paleontologico. Roma, Boll. d. R. Comit. Geol. Ital., voi. 21, 1890, pag. 178-196, 225-237, tav. 7-8.

2 Forsyth Major C. I., Scimmie fossili italiane. Pisa, Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., voi. 1, 1878-79, adun. 9 marzo 1879, pag. 72.

3 Lawley R., Scimmie fossili di Orciano. Pisa, Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., voi. 1, 1878-79, adun. 9 marzo 1879, pag. 77.

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Alla conoscenza della mandibola con la intera sua guarni¬ zione di denti dell’ Oreopithecus Bambola Gerv., si è aggiunta quella di estese regioni del cranio e sovratutto delle regioni mascellari con completa conoscenza della intera dentizione su¬ periore permanente e parziale conoscenza della giovanile. La discussione quindi sulla parentela dello animale si è fatta più larga e sicura. Rifiutata quindi la più vicina relazione di essa colla sezione Macacus e per conseguenza e col genere Macacus p. d. e col genere Innuus (e col genere Aulaxinuus Cocchi compreso poi nello Innuus stesso), per la radicalmente diversa costituzione e più progredita contrazione ed atrofia della terza posteriore serie tubercolare sul molare ultimo mandibolare; il Ristori ricorda le relazioni intime iu base a questo dente ed a quelli a lui anteriori, ed a quelli opposti e già in parte invo¬ cati da precedenti autori tra la specie fossile in questione ed una specie vivente posta sistematicamente a confine fra i veri Cynocephalus (Cynopithecus e Papio) ed i veri Macacus (Ma¬ cacus, Pithecus, Innuus ecc.), quale è il Theropithecus gelala Riipp. Vi segnala in aggiunta particolari relazioni per la di¬ sposizione dei tubercoli dei singoli molari con particolari ge¬ neri fossili di scimmie più vicine alle antropomorfe e conclude colla conferma della necessità di mantenere la specie fossile scoperta nelle ligniti di almeno tre località del Grossetano in un nuovo apposito genere quale è V Oreopithecus. E, quanto al piazzamento in sistema, egli dice che vorrebbe piuttosto vederlo considerato qual progenitore degli antropomorfi anziché « come pretende lo Schlosser dei Cynocephalus e tassativamente del ge¬ nere Theropithecus ( Cynocephalus ) » e ne dice le ragioni di inso¬ stenibile ammissione di un regresso organico ed involutivo, ragioni per le quali rimando alla lettura del lavoro del Ristori (ved. pag. 180-193). Queste stesse ragioni possono essere state più o meno valutate e convincenti per altri sistematici i quali hanno accettata la ragionevolezza del nuovo genere Oreopithecus quale genere indipendente salvo ad accostarlo invece che alle prime e più elevate sezioni della famiglia dei Cercopitheciclae e magari addirittura a quella dei Simiidae; ad accostarlo e metterlo in appendice alla sezione Cynocephalinac considerata

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come ultima e più bassa fra i Cercopithecidae stessi. Così parlo della posizione assegnatagli dal Tronessart \

Ma comunque abbiano poi veduto o voluto vedere autori precedenti e susseguenti sulla posizione sistematica dello Oreo- pithecus Bambola , è certo che il Ristori, grazie allo abbondante materiale di esso che ebbe a disposizione, potè vedere e affer¬ rare e dimostrare tanti caratteri distintivi da mettere in sodo la sua assoluta indipendenza e differenza oltreché da tutte le altre sorta (genere e specie) di quadrumani e (delle lor due prime famiglie) fin qui conosciute allo stato fossile ; e, quel che a noi più importa, delle due altre specie di quadrumani che fino allora e finora sian state segnalate fossili in terreni ita¬ liani o meglio in terreni e località toscane, quali: il Semnopi- thecus monspessulanus Gfervais e V Aulaxinuus od Innuus flo- rentinus Cocchi.

Il Ristori, nel citato lavoro pag. 193-196, illustra più este¬ samente quei pochi denti trovati nelle ligniti (Miocenico supe¬ riori o pliocenico inferiori ? più probabilmente pliocenico inferiori) di Casino in provincia di Siena che già dal 1872-74 aveva me¬ morato il Forsyth Major ed aveva attribuito al Semnopithecus monspessulanus Gervais. Può darsi che fra i nove denti, tutti mandibolari e tutti salvo uno (frammento di canino) appartenenti alle regioni premolare e molare, che figura nella tav. 8, fig. 2-16 ve ne sia stato uno o due che non sia stato veduto a suo tempo dal Major ; ma in complesso avendo il Ristori avuto dinanzi tutto ciò che di essenziale aveva veduto il Major non potè gran che aggiungere alla determinazione e descrizione da lui fattane con attribuzione alla specie fatta conoscere dal Gervais e dal De Christol per i terreni pliocenico-inferiori d’acqua sia dolce che salsa di Montpellier. Si dovette limitare a confermare la determinazione del Major e aggiungere dettagli di distinzione sui premolari sconosciuti per la specie al suo autore Gervais e sull’ultimo molare che al Casino era stato rinvenuto in tre esemplari, dettagli che per noi poco interessano riguardo la com-

1 Tronessart E. L., Catalogus Mammalium viv. foss., 2a ediz. cit. del 1897 a pag. 32 n. 153, e nel Quinquennale supplementum (al Catalogus medesimo) del 1904 a pag. 21, n. 184.

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parazione col fossile di Roma ; dal momento che il fossile stesso, appunto per le sue particolarità di costituzione sul molare man¬ dibolare ultimo, non può, come accennai pei fossili di Montpellier più sopra, esser attribuito al genere Semnopithecus p. d. in ge¬ nerale e quindi a nessuna specie vivente o fossile di esso e quindi neppure al S. monspessulanus Gerv.

Il Ristori dopo aver illustrato V Oreopithecus Bambolii Gerv. ed il Semnopithecus monspessulanus Gerv. di provenienza ita¬ liana passa, pag. 225-234 e tav. 8, fig. 17-36, allo esame ed illustrazione della maggior parte (il materiale che secondo il Major si era raccolto nel Museo di Bologna non risulta esser stato studiato), del materiale scopertosi in Italia (leggi Toscana) fino a quel punto e stato fino allora attribuito allo Innuus fio- rentinus Cocchi. Ed è buono ed abbondante materiale che, se non permette gran lume su tutto lo scheletro del tronco e degli arti permette invece assai soddisfacente conoscenza di quello della testa e completa visione della dentizione permanente sia mascellare che mandibolare e distinta per sesso e per età tanto da poter dire anche assai sulla dentizione da latte. Molto potè utilizzare il Ristori in più della quasi unica buona mandibola maschile quasi completa per denti che ebbe il Cocchi a sua disposizione per lo stabilimento della specie. E lo utilizzò ra¬ zionalmente collo stabilire una volta di più che il primitivo nome di genere Aulaxinuus proposto dal Cocchi come di un genere nuovo non era affatto indispensabile; che l’animale ora assai meglio, assai bene, conosciuto apparteneva al gran genere Macacus o meglio alla sua sezione Inuus Geoffr. detta anche Pithecus Blainv. facente capo alla specie caratteristica Macacus innuus Linn. attualmente vivente alla sommità nordico occi¬ dentale del’Africa (Marocco) e saltuariamente 1 alla estremità sudico occidentale dell’Europa (Gibilterra); e comprendente, oltre quella vivente, parecchie più o meno buone specie fossili es¬ senzialmente del pliocene Europeo e subordinatamente del post¬ pliocene europeo ed anche nord-africano.

1 Giustificherò in seguito questo avverbio per 1’esistenza dell’Jnmms a Gibilterra.

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Anzi il Ristori andava più in là: era quasi inclinato ad includere la specie dello Innuus descritta dal Cocchi non sol¬ tanto nel genere o sottogenere Innuus ma addirittura nella sua specie tipica ed unica vivente V Innuus innuus (pag. 231) e solo con molta buona volontà riferì cinque argomenti nemmeno ai suoi occhi tutti validi egualmente per tenere fra loro separate le due specie la fossile dalla vivente.

Io ho approfittato di tutte queste discussioni in direzione diversa che il Ristori ha esposte per distinguere la scimmia fino allora fossile toscana da tutte le scimmie e fossili e viventi appartenenti ad altri generi e vicini e gradatamente meno affini, applicandoli in confronto di quel poco di materiale vivente che ebbi a mano e che enumerai allo inizio di questo studio per riconoscere la posizione in sistema del fossile ottenuto dagli strati tufacei di Casale Fiscale e potei, malgrado ogni voluta obbiezione interposta, di necessità persuadermi, per comunanza di tutti i dettagliati caratteri invocati e discussi della identità della specie che do¬ veva comprendere e i pochi avanzi che ho finora della scimmia fossile di Roma e i molti che furono noti a Ristori provenienti così dal Val d’Arno superiore che dal Val d’Arno inferiore e raccolti sotto il comune nome di Innuus florentinus Cocchi sp. il quale per conseguenza vede estesa la sua area di distribu¬ zione dal Val d’Arno alla valle del Tevere.

Ho potuto di più definire che l’individuo unico che rappre¬ senta questa specie nella valle del Tevere fu una femmina e per di più una femmina parecchio vecchia ciò potendo desumere dallo stato di avanzata consumazione ed usura dei tre incisivi rinvenutisi che sono ridotti per la corona pressoché a metà di loro altezza abituale e fanno vedere aperta la massa centrale tutti e tre; dall’ottundimento per usura del canino destro e dei tubercoli dei premolari ultimo e penultimo d’ambo le parti ma sovratutto di destra; dalla quasi completa distruzione dello ante¬ penultimo molare di destra (forse provocato da carie) il quale non è più rappresentato che dalla radice o radice gemina po¬ steriore reggente il fondo coronale incavato mentre la radice o sua gemina anteriore venne quasi totalmente riassorbita od espulsa dallo alveolo; dallo stato di avanzata smussatura di tutti i tubercoli (sovratutto i guanciali) del molare antepenul-

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timo sinistro : dallo stato di profonda escavazione per estese carie nella corona del penultimo molare tanto e più di sinistra quanto e meno di destra; mentre il dente del giudizio o mo¬ lare ultimo di sinistra (il solo che io abbia conservato del paio) abbastanza ben conservato ed integro nella sua totalità sovra- tutto dallo indietro in avanti e presentante ben evidente il tu¬ bercolo posteriore duplicatosi in un più grande semitubercolo postero guanciale ed in un molto minore solo linguale, verso il suo margine anteriore di contatto col penultimo, accenna ad un lieve attacco della carie che aveva profondamente guasto la corona dello stesso penultimo.

Ma prima di chiudere la determinazione ho voluto esten¬ dere il confronto ad alcune altre scimmie fossili che sono note dalla letteratura in proposito e che appartengono a sezioni che ancora discendendo per ordine di elevatezza organica non avevo incontrato e non avevo quindi menzionato essendomi dovuto arre¬ stare come si è veduto sull’ Innuus fra i Macacus. Rimangono i veri Cynocephalus Lacép. o Papio Erxleb. scissi fra le quattro sezioni

1. Papio p. d., 2. Choeropithecus o Choiropithecus Reich, 3. Hama- dryas Lesson e 4. Mormon Lesson ed i due minori generi (di tran¬ sizione ai Macacus) Theropithecus Geoffr. e Cynopithecus Geoffr. e del genere ampio Macacus Blainv., oltre al nominato Innuus le sezioni o sotto generi 1. Macacus Lacép. pr. d. (o Rliesus Reich.),

2. Nemestrinus Reich. 3. Vetulus Reich. e 4. Zati Reich. Ora fra i generi e sottogeneri Cinocefaliui non trovai che il solo sottogenere Papio che fosse stato menzionato come rappresen¬ tato in passato con specie fossili. E fra le sezioni dei Macacus non trovai similmente rappresentate che le sezioni Macacus pr. d. e Nemestrinus oltre all’ Innuus che come già accennai si è of¬ ferto con troppe specie buone o cattive che esse siano.

Vediamo adunque queste specie quali le potei conoscere dallo autore per ciascuna il più possibilmente fondatore. Per la tota¬ lità o quasi dei Cynocephalus o Papio fossili noi abbiamo pres¬ soché sola l’India (nelle sue diverse regioni) come patria comune e noi dobbiamo le principali o quasi uniche ed ultime cono¬ scenze loro un po’ alle memorie di Cautley e Falconer e molto al Lydekker.

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Per il Papio siibhimalayanas H. v. Meyer et Lyd. pel quale consultai Lydekker Lydekker 1 2, e Falconer 3 e rinnovai così conoscenza con la famosa mascella destra con denti al completo del pliocene di Sutlej, uno dei più antichi avanzi fossili di quadrumane fatti conoscere fin dal 1836 da Baker e Durand, con un oggetto quindi che solo indirettamente poteva compa¬ rarsi col fossile che avevo a collocare.

Pel Papio Falconeri Lyd. l’ispezione della descrizione e figura del suo autore Lydekker 4 e del suo primo descrittore il Falconer 5 del ramo mandibolare destro con simfisi ed estremità del sinistro e denti molari e premolari destri molto guasti del cinocefalo trovato nel Pliocene delle colline Sivalesi, bastava ad allontanare qualunque sospetto di compertinenza fra lui ed il fossile di Roma.

Pel Papio sp. inn. Lydekker, rilevasi dallo scritto in pro¬ posito del Lydekker nella Palaeontologia Indica 6 che i cino* cefalidi che erano già rappresentati nel Pliocene delle colline sivalesi continuarono nel Postpliocene? ad esserlo nella fauna delle brecce ossifere delle caverne del Karnul coll’unico molare penultimo inferiore sinistro di fig. 5 e ha della Charnel-House Cave (assieme ai ben più abbondanti e significativi avanzi rap¬ presentati nella stessa tav. 7a figure 1-3, e attribuiti nella stessa pagina 28 allo ora vivente Scninopithecus entellus (Dufresne); il

1 Lydekker E., Calai, foss. Mamm. Brìi. Mus., part 1, London, 8n, 1885 (a pag. 4-5).

2 Lydekker R., In Palaeontologia Indica, ser. 10, Ind. tert. a. posttert. Vertebr., voi. 4, Siwal. Mammalia , sappi. 1, 1886 (a pag. 6-7, tav. 1, fig. 3, 3 a, Cynocephalus subhimalayanus H. v. Mey.).

3 Falconer IL, Palaeontological Memoirs and Notes, edit. 1868, voi. 1, Fauna antiqua sivalensis, pag. 298, (Baker and Durand, Subhimalayan foss. rem. of Dadoopoor Coll.), piate 24, fig. 1-2.

4 Lydekker R., In Pai. Indica , ser. 10, voi. 4, part 1, sappi. 1, 1886, pag. 7, tav. 1, fig. 4 (Cynocephalus Falconeri Lyd.).

5 Vide: Falconer H., Palaeont. Mem. a. notes, 1868, voi. 1, pag. 300- 302, tav. 24, fig. 3-4 (Semnopithecus aff. entellus). Et: Lydekker E., Calai, foss. Mamm. JBrit. Mas., part. 1, 1885, (a pag. 6: Cynocephalus sp.). Et: Lydekker R., Palaeont. Ind., ser. 10, voi. 3, part 3: Synopsis of Mam¬ malia , pag. 19 ~ 123 (Cynocephalus sp.).

6 Lydekker IL, In Pai. Indica , ser. 10, voi. 4, part 2 (Fauna of thè Karnul Caves), pag. 28, tav. 7, fig. 5, 5 a.

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quale molare se per stesso potè venire determinato come at¬ tribuibile ad un Cynocephalus della sezione Papio , non poteva però dare molto aiuto comparativo nella definizione iniziale del fossile di Roma.

E altrettanto si può dire dell’unico molare mandibolare pro¬ veniente dal pliocene superiore lacustre d’Ain-Jourdel; il quale per studio ed avvicinamento fattone da A. Gaudry all’organo omologo del Papio (sez. Choeropitliecus) porcarius Desm. costi¬ tuisce tutta la rappresentanza nel pliocene di Algeria (e quindi un interessante punto di considerazione per l’antica distribuzione* in Africa dei Cinocefali) del Papio atlanticus Thomas l. Per le dimensioni e i caratteri della costituzione del dente, era facile tenerlo lontano dal corrispondente (antepenultimo?) molare sul fossile di Roma.

Venendo poi al grande genere Macacus , nella sua sezione Macacus pr. d. non vi era che una specie fossile riconosciuta ed era il Macacus sivalensis Lyd. (affine, secondo il suo prin- cipal descrittore, al vivente M. rhcsus Audeb. dell’India setten¬ trionale e della China), rappresentata nel pliocene inf. delle colline sivalesi del Punjab da due frammenti di mascellari su¬ periori uno destro ed uno sinistro portanti ciascuno l’ultimo pre¬ molare ed i tre molari o loro tracce, rinvenuti nel 1877 da Mr. Theobald e descritti e determinati nel 1878 dal Lydekker nel Ree. Geol. Surv. of India, voi. 11, pag. 70 e voi. 12, tav. di fronte a pag. 52, fig. 2-3 e rifigurati e trattati nel 1886 2 mettendo di froute alle figure 9 e 10 delle facce palatine dei due frammenti fossili, sulla stessa tavola, con fig. 8, la faccia palatina di un mascellare integro di Macacus rhesus Audeb. Con ciò avevo davanti buone figure e ragionata determinazione del fossile indiano da poter escludere, oltreché non vi era cor¬ rispondenza completa delle parti comparative, comunanza di specie fra il Macacus sivalensis Lyd. e il nuovo fossile di Roma.

1 Thomas Pii., Recherches Stratigr. et Paléont. sur quelques form. d’eau douce de VAlgérie , Mém. d. 1. Soc. Géol. d. France, 3me sér., tome 3me, Mém. 2. Paris, gr., 1884, de pages 1-58, un tableau et une pianelle de coupes et 4 planches : 7-10. (Vedi pag. 14 e pianelle 4 (10) fig. 4).

2 Lydekker R., In Palaeontologia Indica , ser. 10, voi. 4, part 1, suppl. 1, 1886, pag. 5-6, pi. 1, fig. 9-10.

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Non ho poi negli attuali momenti avuto mezzo di control¬ lare alla sorgente la consistenza e la portata della notizia for¬ nita dallo Schlosser 1 circa l’esistenza allo stato fossile (o sub¬ fossile) nel Pleistocene di Giava (saranno quegli strati tufo- arenacei che Dubois chiama pliocenici e che altri qualificano pleistocenici dai quali provennero gli avanzi del Pithecanthropus erectus Dubois?) del « Macacus (Innuns) nemestrinus var. sa¬ rei (lana Deninger ». Ora ammesso che questi avanzi, apparten¬ gano essi al pliocene o al postpliocene o a formazioni ancora più superficiali, siano realmente fossili e rinvenuti in tale stato di conservazione e di parti tanto importanti dello scheletro da averne potuto permettere la determinazione così precisa fino alla specie e ad una razza o varietà della specie stessa e che questa specie è conosciuta e vivente sul suolo stesso dove noi la troviamo anche allo stato fossile ; può conseguirne che noi abbiamo prova della occupazione di tal suolo da parte della specie stessa rimontando a ritroso nelle formazioni a cominciar per lo meno dallo Alluviale o dal Diluviale o dal Pliocene su periore secondo l’età con altri mezzi accertata dal terreno che fornì i fossili della specie. Ma se poi la determinazione è, come dico stata tanto esatta da fissarsi sopra una specie magari dello stesso genere ma diversa da quella alla quale con tutte le do¬ vute precauzioni abbiamo attribuito il relitto fossile di Poma, ognun vede che non vi è la necessità di sapere quali siano le parti scheletriche di Macacus (Nemestrinus) nemestrinus Linn. trovate fossili a Giava dove la specie seguita a vivere (e donde posso avere in qualunque momento materiale scheletrico migliore di confronto come adesso ne tengo un cranio completo) per con¬ cludere che il relitto di Roma attribuito ad una specie di Ma¬ cacus (Innuus), sezione che è vivente e fossile ha una ben lon¬ tana distribuzione geografica, non può più esser comparabile confondibile specificamente col fossile di Giava.

E veniamo al sottogenere: Innuus, il quale oggidì non ap¬ pare rappresentato e distribuito geograficamente che dalla specie

1 Schlosser M., In Zittel’s Grundzuge der Palaeo zoologie, 2te Auf- lage neubearb. v. Broili, Koken, Schlosser. Muenchen, 8°, 1910-1911, 2te Abth., Vertebrata 1911, a pag. 555.

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Macacus (Innuus) innuus L., od Innuus ecaudatus E. Géoff., attualmente confinata nell’Africa settentrionale occidentale dal Marocco fino all’Algeria e forse nell’estremità meridionale oc¬ cidentale (Gibilterra), ma che forse in passato può avere avuto, particolarmente in Europa meridionale, espansione maggiore. Se V Innuus presente è costituito dalla sola specie or nominata, è desso invece quello fra i generi di quadrumani che ha raccolto il maggior numero di specie fossili (buone o meno buone che si sieno poi rivelate) particolarmente terziario-superiori ed europee.

Escludendo da questo genere e sottogenere il fossile prove¬ niente dai più antichi terreni in cui fossero stati segnalati, il fossile raccolto il 1839, nell’eocenico London Clay ed illustrato in due molari destri (ultimo e antepenultimo) mandibolari dal- l’Owen sotto il nome di Macacus cocaenus 1 nel 1846; poiché più tardi si ravvisò non trattarsi di denti di un quadrumane ma piuttosto di un altro mammifero ancor più decisamente bu- nodonte appartenente al sottordine dei Perissodattili e conosciuto sotto il nome di Hyracotherium cuniculus Owen; rimane una quantità di specie nominali di Innuus fossili che tutte quante provengono o da terreni pliocenici o da formazioni affermate o realmente constatate quali posteriori al Pliocene.

Infatti il più antico vero Innuus pare essere il Macacus (I.) priscus Gervais trovato al paro del Semnopithecus monspessu- lanus nelle marne d’acqua dolce 1 2 del pliocene inferiore di Mont¬ pellier. Trattasi 3, come si vede dal Gervais, di un frammento di ramo mandibolare destro reggente in serie naturale o rico¬ strutta i due molari precedenti l’ultimo, i due premolari, il ca¬ nino, l’incisivo esterno. (Un canino in più, trovato frantumato e isolato, è dal Gervais ritenuto come superiore destro). In man¬ canza del caratteristico molare ultimo mandibolare, tutto quel

1 Owen R., History of British fossi l Mammals and Bìrds. London, 8°, 1846, pages xlviii -+- 450, ili. by 238 woodcuts (a pag. 1-10, tìgg. 1-3).

2 Oppure marine come dice altrove (Zool. et Paléont. Générales, part. 2, pag. 27).

3 Gervais P., Zoologie et Paleontologie Frangaises, 2me édit., 1859, pag. 11, fig. 4, 5, 6. Et Zoologie et Paléontologie générales. Paris, 4°, 1867- 1869 . . . , part. 2, pag. 10, 27, pi. 5, fig. 5.

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che si può vedere sul po’ di relitti che rappresentano questa specie gervaisiana porterebbe addirittura (compresa la mole in complesso ed in dettagli) fino alla specie, alla identificazione della scimmia di Montpellier c,o\V Innuus innuus L. vivente del Marocco e alla ammissione che il nome specifico di 7. priscus datogli dal Gervais abbia più un senso stratigrafico che un si¬ gnificato di possibile eventualmente distinguibilità morfologica sul vivo.

Che se passiamo ad un’altra specie affermata pure pliocenica, V Innuus suevicus Hedinger 1891, noi veniamo allo stesso ri¬ sultato. L’Hedinger afferma aver trovato nella dura e calcari z- zata breccia ossifera dell’Heppenloch in Svevia 1 un completo arco mascellare superiore simmiesco che figura in tre posizioni parziali alla tavola quarta e munito quasi al completo dei denti sovrattutto molari e premolari. E studiandolo viene a concluder quasi ad una identità specifica del suo fossile qo\Y Innuus in¬ nuus L. od 7. ecaudatus Geoffr. (al quale assegna per habitat Gibilterra e poi Marocco, fino a Barberia ed Egitto) e viene alla conclusione che, come all 'Innuus fossile di Toscana è stato dato, avendo riguardo alla provenienza, il nome di Innuus fio- rentinus Cocchi, così al suo fossile svevo egli può proporre pure il nome di 7. suevicus Hedinger. Ed il Branco, nella prima parte del suo lavoro: TJeber Mmschcnhaenliche Zaeline del 1898 2, a pag. 16 (mentre in nota a piè di pagina ritiene necessario spie¬ gare per quali motivi Hedinger ritenne pliocenici, benché tro¬ vati in una caverna, gli avanzi dell’7. suevicus quando i Fran¬ cesi ritennero diluviali quelli dell’ Innuus trovati da Harlé nella Francia meridionale ed assieme pure una fauna di mammiferi diluviali in una breccia ossifera di crepaccio nel versante set¬ tentrionale dei Pirenei) scrive: «Àncora oggi vive sopra i di- » rupi di Gi brattar, artificiosamente protetto un branco di quel » genere di scimmie, Macacus ossia Innuus , che un tempo pra- » ticò i propri sollazzi sui candidi dirupi dell’Àlb. Hedinger

1 Hedinger A., Ueber den piiocaenen Affen des Heppenlochs. In Non. Jahrb. f. Min. Geol. u. Palaeont , Jahrg. 1891, lte Bd.j S. 169-177, Tafel IV.

2 Branco W., Die Menschenaehnlichen Zdhne a. d. Bohnerz der Schwà- bisehen Aìb. Teil 1. Jahresh. d. Ver. f. vaterl. Naturk. in Wiirttenberg, 1898, 8°, Stuttgart, S. 1-144, T. 1-2.

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» trovò i resti del medesimo in una caverna, lo Heppenloch » presso Kircheim sotto Teck e li ha descritti quali Innuus » suevicus. Essi possono appartenere all’epoca pliocenica » \

E realmente, per quelli che non vogliono veder pliocenica questa specie, si potrebbero invocare i dati di Harlé 5 il quale indica dalla Grotta di Montsaunes un Macacus (Innuus) iden¬ tificato collo Innuus innuus L. Questo venne chiamato Innuus innuus tolosanus Harlé, mentre venne poi chiamata col nome di Innuus innuus fossilis la stessa specie quando rinvenuta nella fauna dei crepacci di Gibilterra ed indicata coll’unico accenno che ne fa il Cai deron 1 2 3 a pag. 128 dicendo: « Quaclrumana: Penon of Gibraltar (?) (Imrie) ». (Altri per ciò invoca il Busk ma tanto Calderon, quanto Falconer, quanto Imrie, quanto Busk sempre riferendo le caverne ed i crepacci riempiti di ossa di Gibraltar a formazioni di breccia ossifera ottenute dopo il Plio¬ cene e magari assai lontanamente dal Pliocene).

Differendo di parlare di avanzi di questa specie che ap¬ paiano quali veramente subfossili ed in formazioni assai recenti non più europee ma africane e che porterebbero il nome di Innuus trarensis Pomel e poi di Innuus proinnuus Pomel, ri¬ cordiamo ancora che: in una regione assai più settentrionale che non sia la Spagna ed in terreno assai men contrastato quale immediatamente superiore al Pliocene, sono stati ripetutamente segnalati avanzi di quadrumane riferito al genere Macacus e poi successivamente a specie di esso genere sempre più prossima allo Innuus:

1 La fauna dell’Heppenloch e conseguentemente V Innuus suevicus Hed. vengono invece considerate come diluviali da Hiuton Martin H. C., Note on thè discovery of a bone of a Monkey in tlie Norfolk Forest-bed. London Geol. Mag. (5 sei-., voi. 5, pag. 440-444, tav. 23), 1908, e da Freudenberg Wilhelm: Die Fauna von Hundsheim in Niederósterreich. Jahrbuch der K. K. Geolog. Reichsanstalt, Band 58, 1908, Seite 197-222.

2 Harlé E., Catalogne de Paleontologie quaternaire des collections de Toulouse. Bull, de la Soc. d’Hist. natur. de Toulouse, voi. 31, 1898-1899, di 41 pag. con 18 fig. testo con 1 tavola.

3 Calderon S., On thè fossil Vertebrata hitherto discovered in Spaivi. Quart. Journal of t. Geol. Soc. of London, voi. 33. 1877, pag. 124-133 (a pag. 127 e 128).

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Dal brick-earth di Grays-Turrock, Essex (sommità del Cro- merien o base del Clactonien) si conosce per merito deU’Owen fin dal 1846 la figura del Macacus pliocaenus Owen 1 consistente in un piccolo frammento del mascellare sup. destro reggente il penultimo dente molare vero. E questo fu per lunghi anni l’unico e solo rappresentante della specie. Ma non fu mai trascurato per la sua esistenza pel terreno da cui provenne. Tant’è che non avendone il Boyd-Dawkins tenuta espressa cura nel far la storia delle successive estinzioni delle specie di mammi¬ feri nel Periodo Terziario 2 3 ed avendo egli a pag. 394 {Le forme caratteristiche del Pliocene superiore ) dichiarato che « colla scom¬ parsa del Macacus florentinus la famiglia delle scimmie scom¬ pare di frammezzo alla Fauna Europea»;’ pochi anni più tardi il Lydekker 1 nel primo volume del suo catalogo dei Mammiferi fossili nel Museo Britannico, a pag. 4, parlando appunto di questo esemplare e pur dichiarando parergli estremamente dub¬ bioso se l’esemplare sia sufficiente per la determinazione posi¬ tiva del genere cui appartenga « ed è molto probabile che esso » sia identico specificamente con una delle specie africane di » Macacus o di Cercocebus » viene in nota a piè di pagina a dirci : » Presumendo l’accuratezza della ordinale determinazione di » questo esemplare (sul quale ora non parvi dubbio ragionevole), » è oppugnabile la conclusione fatta dal prof. Boyd-Dawkins nel » Quart. Jour. Geol. Soc., voi. 36, pag. 394 (1880), che la fami- » glia delle Scimmie sia scomparsa di mezzo alla Fauna Eu- » ropea colla estinzione del Macacus florentinus del Pliocene » superiore ».

Dunque Lydekker più o meno accetta la attribuzione di Ma¬ cacus pliocaenus Owen fra gli Innuus quale I. pliocaenus Owen e, per fare l’appunto mosso al Boyd-Dawkins, accetta pure che

1 Owen R., Hist. of Brìt. foss. Mamm. a. Birds , London, 8°, 1846. pag. xlvi (Introduction), fig. 1, 2, 3.

2 Body-Dawkins W., The classification of thè Ter liary Period by means of tlie Mammalia. Quart. Journ. of thè Geol. Soc. of London, voi. 36, 1880, pag. 379-405. London, 8°.

3 Lydekker R., Catal. of thè foss. Mammalia in thè British Museum. Part 1 (Primates etc.). London, 8°, 1885.

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egli sia pleistocene, anzi lo dice espressamente: « from thè Pleis¬ tocene of Grays ».

Ma il Macacus (Innuus) pliocaenus Owen, pare nella stessa Inghilterra si è ravvisato più gin, proprio a contatto col Pliocene se non nei veli supremi dello stesso Pliocene superiore. E ce lo dice l’Hinton colla sua apposita nota del 1908 1 sopra il rin¬ venimento di un osso di scimmia (che non può essere che un Macacus) nel Forest-Bed del Norfolk. Trattasi della estremità distale di un omero trovato a West-Runton nella parte supe¬ riore dell’« Upper Freshvvater bed » (ghiaie e sabbie con mol¬ luschi continentali e d’acqua dolce sottostanti al ciottolame di base agli strati a Leda myalis). L’osso viene determinato come di Macacus e viene confrontato col Macacus trarensis Pom. (= M. proinnuus Pom.) rinvenuto nelle fosforiti o brecce ossifere di Ain Mefta presso Traras (Algeria), di cui è trovato alquanto più pic¬ colo. Intanto è suggestivo che un Macachino della prossimità àe\V Innuus che si è trovato per un molare nel Clactonien, si trovi per un omero di una specie molto affine, se non la stessa, nel Cromerien ; e che, in successive formazioni (generalmente di brecce ossifere) possa trovarsi e sul versante settentrionale dei Pirenei e nello scoglio di Gibilterra e sul margine mediterraneo dell’Africa presso Algeri.

E ad Algeri vogliamo venire. Nel 1892 compare una nota di A. Pomel 2 in cui si descrivono per la prima volta le ossa del braccio (omero) e della gamba di un macachino trovate nelle brecce ossifere o fosforiti di Am-Mefta presso Traras (Cranio e denti mancano affatto) a cui viene dato il nome di Macacus trarensis dalla località stessa di Traras. Le ossa vengon dette della stessa lunghezza delle corrispondenti di Innuus innuus però più robuste. Però nel 1897 per opera dello stesso Pomel le stesse stessissime ossa vengono riprese in considerazione e

1 Ilinton M. H. C., Note on tlie discover y of a bone of a Monlcey in thè Norfolk « Forest-bed ». London, 1908, Geological Magazine, ser. 5, voi. 5, fase. 10, pag. 440-444, pi. 23, tig. 1-3.

2 Pomel A., Sur ime Macaque fossile des Phospliorites quaternaires de V Algerie, « Macacus trarensis ». Paris, Comptes remi, hebdom. d. Séances de l’Acad. d. Se., 1892, pag. 157-160.

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figurate 1 con le stesse conclusioni di prima; ma il nome primitivo di Innuus trarensis Poni, si propone di sostituirlo con quello di Innuus proinnuus Pomel, cosa che gli autori successivi non hanno poi accettato (Trouessart per gli altri, a pag. 2(5 del Catalogus ; a pag. 16 del Quinquenn. Supplem.).

Infine Schlosser, a pag. 555 della 2a ediz. dei Grundziige der Palaeozoologie dello Zittel (2° volume), ci dice che Forsyth Major trovò da breve tempo (circa dal 1908 al 1910) numerose ma¬ scelle presso Capo Figari (non Capo Faro come colà sta scritto) in Sardegna. Nel 1914 ebbi nuova personale e verbale rela¬ zione col Forsyth Major. Seppi da lui che egli aveva scavato, per scimmie, abbastanza copiosi avanzi non soltanto dalle brecce e filoni ossiferi della Sardegna ma ancora della Corsica e ne stava tuttora estraendo e vidi parte della sua suppellettile. Le con¬ clusioni delle sue ricerche confidatemi debbo rispettare; ma per quel che posso arguire da cose da lui pubblicate a stampa, i filoni ossiferi da cui tali scimmie provengono sono, anziché pleistocenici preferibilmente pliocenici ; e il materiale, fra cui: quasi interi cranii con mandibola, e mascelle e mandibole intere e con denti di maschi, di femminee di giovani, portano a con¬ cludere si tratti sempre di specie identica o ben vicina allo Innuus innuus Linn.

Ed ora? Ora consideriamo il nostro oggetto di partenza che è il fossile di scimmia trovato nella estate del 1916 a Roma ai piedi del Monte Sacro. Colla scorta del citato studio di Ri¬ stori e di tutti gli altri lavori citati in questo mio scritto, esso è stato identificato per appartenente a una vecchia femmina di Innuus ( Aulaxinuus ) florentinus Cocchi, colla descrizione del quale datane dal Ristori concorda nella totalità dei caratteri generali e peculiari fino a corrispondenza completa nella forma e dimensioni singole dei singoli denti e loro parti. Ma, come è pressoché indiscernibile V Innuus florentinus dalla vivente specie Innuus innuus Linn., così viene il dubbio che al pari degli individui, e sono ora parecchi, trovati nel Pliocene superiore

1 Pomel A., Carte géol. de l’ Algerie, étant directeurs MM. Pomel et Pouyanne. Paleontologie, Monograpliies. Monogr. 11: Singe et liomme, par A. Pomel. Alger, 1897, 4°, pages 1-34, pi. l-2-2a-8(à pag. 5-12, pi. 3 et 2a).

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del Val d’Arno di sopra come del Val d’Arno di sotto di I. flo- rentinus siano da identificarsi colla vivente specie linneana anche quegli altri individui di Innuus florentinus che vengano per avventura a rinvenirsi fossili nei terreni intertufacei d’acqua dolce (Pliocenici!) di Tenuta Fiscale a Monte Sacro o di altri consimili giacimenti romani.

E come Innuus florentinus del Pliocene superiore valdar- nese e di Roma (nel quale ultimo anche Falconer 1 ammette la coesistenza di pochi mastodonti, molti elefanti, rinoceronti ed ippopotami oltre al resto) oltre all’essere quasi sicuramente iden¬ tico col vivente I. innuus , è pure quasi sicuramente identico collo Innuus priscus Gervais del Pliocene inferiore di Mont¬ pellier; e non possono sottrarsi a questa identità il Pliocenico 1. suevicus dello Heppenloch, il Pliocenico superiore (Forest- bed) Innuus pliocaenus Owen, i posteriori Innuus innuus fossilis ed Innuus I. tolosanus, e neppure quelli ultimamente estratti dai filoni ossiferi pliocenici della Sardegna e della Cor¬ sica ; così ne viene di conseguenza che Innuus innuus Linn. o chiamiamolo pure per la circostanza ad uso Pomel Proinnuus innuus Linn. gode di larghissima diffusione così stratigrafica che geografica conoscendosi in Europa e poi in Africa dal Plio¬ cene inferiore ai tempi moderni nei quali accenna ad estin¬ guersi. Nei tempi pliocenici occupò l’Europa occidentale dal¬ l’Inghilterra fino alla Svevia ed alla Francia meridionale; e non si allargò in Spagna mentre per la Tirrenide passava lar¬ gamente nelle grandi Isole Tirreniche e nell’ora continente italico. E per questa via passava nel postpliocene nel continente afri-

1 Falconer H., Palaeontological Memoirs and Notes del 1868, voi. 2. Vedi a pag. 206 il passo seguente scritto nel 1857 prima che Falconer separasse Rhinoceros etruscus e 1 ih. hemitoechus dal Eh. leptorhinus di Cuvier: «La presenza od assenza della specie caratteristica -di Masto¬ donte, vale a dire Tetralophodon Arvernensis, non deve poi apparire di positivo significato quando esso o non è stato trovato oppure solo raris¬ simo nei terreni pliocenici attorno a Roma, mentre le stesse specie di elefanti fossili, Rhinoceros ed Hippopotamus coi loro associati vi si tro¬ vano al paro che negli strati subapennini propriamente detti. Nei depositi inglesi comprendenti la serie dal Crag fino agli strati fluviali di Grays- Thurrock quattro di queste specie di proboscidei fossili coi medesimi Rhi¬ noceros leptorhinus ed Hippopotamus major sono stati incontrati assieme ».

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cano dove veniva ad isolarsi dalla sua patria di origine ed a prosperarvi limitatamente mentre il rigor del clima avvenuto in Europa lo bandiva dalla Europa stessa.

Ed in Europa non ritornava che schiavo; fuggendo dalla schiavitù si fissava e si riproduceva, talor per tempi limitati quale « marroon », sullo scoglio di Gibilterra. Tant’è che A. G. Smith in una notizia pubblicata sul Zoologist del maggio 1862, scritta in seguito ad osservazioni ed informazioni personalmente assunte sopra luogo, dopo che egli aveva pressoché perduta ogni fede alla presenza doW Innuus a Gibraltar, viene a concludere nel modo seguente: «Dal 1855 il Comandante della piazza (di Gi- » braltar) li protegge in modo particolare ed inscrive con ogni » cura la loro apparizione ed il loro numero. Io trovo nel suo » registro che li si vede almeno una volta ogni dieci giorni, » talora un po’ più sovente ; che essi sloggiano in estate come » in inverno sempre per sfuggire al vento. Nel 1856 se ne con- » tavano dieci ma questo numero è cascato poco a poco a quattro. » La colonia va disgraziatamente contro a completa estinzione » poiché i quattro superstiti son tutti dello stesso sesso. Non si » troverà frammezzo ai numerosi ufficiali di Gibraltar un uomo » così volonteroso, benevolmente interessato a cercare sulle coste » di Barberia, paese col quale si hanno oggidì così frequenti » e fertili comunicazioni, qualche « magots » che si metterebbero » in libertà sullo scoglio? Noi potremmo allora sperare che questa » specie tornasse a moltiplicarsi e che l’ordine il più elevato dei » Mammiferi continuasse ad essere rappresentato in Europa».

Nella Ostéographie des Primatès (il di cui frontispizio stani pato porta la data del 1841) l’ultima delle monografìe con pa¬ ginazione a ciascuna propria di cui essa consti (pag. 1-68) porta il titolo: T)e Vancienneté des primatès à la surface de la terre ed in essa vengono trattate parecchie questioni di zoogeografìa e di paleozoogeografìa a riguardo appunto ai quadrumani. Fra l’altre a pag. 25 è posta la questione: Y a-t-il des Primatès en Europe?, questione tutta inerente e ridotta al punto: Le Magot à Gibraltar. E cominciando dalle affermazioni pubblicate da lmrie nel 1798 in proposito e citando quelle di M. de Frey- cinet, M. Foville, M. Guyon viene a concludere a pag. 27 col passo seguente: « Quindi non è questa una ragione per ammet-

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» tere che queste scimmie non sono realmente che delle scimmie » marrons siccome lmrie l’ha pensato da assai tempo, le quali, » fuggite dalle case di Gibilterra, si sarebbero propagate per » qualche tempo, allorché le circostanze si saranno mostrate e » continuate favorevoli, e che saranno al fine di un certo tempo » scomparse nel caso contrario, per mostrarsi di nuovo in se- » guito ad una nuova emigrazione?

» Chi sa persino che gli Inglesi, detentori di questa parte » della Spagna non rilascino di tempo in tempo dei nuovi in- » dividili quando il numero ne è troppo diminuito o che più » non ne esistono ? La cura che essi prendono perchè non si » uccidano quelli che vi si riscontrano, le storie senza dubbio » esagerate narrate dai sottufficiali incaricati di accompagnare » i viaggiatori e tra l’altre di quello che ha detto il dott. Fo- » ville che nel 1837 si conoscevano a Gibraltar tre o quattro » strupi di scimmie ciascuno di trenta a cinquanta individui » rifrantisi all’est od all’ovest della montagna, secondochè il » vento soffia dall’Ovest o dall’Est, mi paiono assai ben forti-

» ficare questa supposizione . E d’altronde se il Magot fosse

» stato realmente nella sua terra natale, perchè non ha egli » penetrato nel resto della Spagna come giustamente lo fa os- » servare il dott. Karnbur?

» Mi pare dunque molto probabile che non esistano real- » mente delle scimmie viventi in Europa e che il « Magot » è » a Gibraltar quello che è il porco-spino su la costa di Napoli, » un animale importato 1 come lo è certamente oggidì il Macaco » nelle isole : di Francia e di Borbone.

1 Qui il Blainville solleva una questione analoga a quella deWInnuus sul YHystryx, questione cui si potrebbe pure in modo analogo rispondere evocando tutte le specie di istrici finora fatte conoscere allo stato fossile cominciando dalle oligoceniche e mioceniche ed andando alle plioceniche e postplioceniche in India ed in Europa; ma particolarmente, fra le eu¬ ropee, 1 ’H. major Gerv. Plioc. Montpellier (Francia), VH. refossa Gerv. et Croiz. Alvernia, PI. sup., VII. leucura fossilis (od hirsutiro stris fossilis) Nehring, Pleistoc. Europa m., 1 ’Hystrix sp. F. Major (od H. etnisca Bosco) valdarnese, ed i numerosi avanzi di istrice fossile da me trovati nei terreni tufaceo-conglomeratici a grandi pachidermi di Roma, fauna di Ponte Molle.

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» Tuttavia non debbo nascondere che un autore assai antico, » Procopio, dice in un passaggio del libro quinto della sua Storia, » che nascono in Corsica delle scimmie quasi simili alla specie » umana. Ma io non trovo accennato questo fatto che ».

Io ho fatto precedere allo scritto (fra il 1835 ed il 1840) del Blainville quello del 1861, dello Smith, il quale ribadisce, alla distanza di almeno una dozzina di anni dopo, le afferma¬ zioni, i dubbi, e l’ipotesi del Blainville. La precisione dell’af¬ fermazione di quattro individui superstiti, tutti dello stesso sesso e quindi necessariamente infecondi, portava alla necessaria con¬ seguenza che quella generazione avrebbe ben presto dovuto soc¬ combere e sparire totalmente e in breve volger di anni, quindi almeno mezzo secolo fa. Quindi, se oggi realmente si possano constatare individui di Innuus ecaudatus aggirantisi in libertà sulla montagna di Gibraltar ed attorno alla fortezza omonima, ciò vorrà dir soltanto che il final desiderio espresso dall’inglese Smith è stato esaudito dagli ufficiali inglesi di Gibraltar e che così si è ripetuto il fatto e l’ipotesi a cui ricorreva il Blainville per spiegar la stentata presenza della specie su di un terreno che da lungo tempo più non gli era adatto o che forse non aveva mai occupato; in quanto l’evacuazione della specie, oggi vivente sul margine meridionale del Mediterraneo, dalle aree meridionali europee in cui la specie stessa abitò fin verso e dopo la chiusa dei tempi pliocenici, è chiaramente dimostrato (dalle sue reliquie fossili schierate lungo il sistema corso-sardo da un limite e lungo l’odierno continente italico dal limite op¬ posto) essere avvenuta lungo l’area tirrenica oggidì occupata appunto dal mare dello stesso nome. L’area tirrenica prospetta appunto la Barberia (Algeria, Tunisia, Tripolitania). In Algeria cominciamo a trovar subfossili V Innuus nel tardo quaternario assieme all’uomo dalle figure rupestri. Dall’Algeria l’ Innuus potè diffondersi verso occidente al Marocco e all’Atlante: Dal resto della Barberia la stessa specie più o meno stentatamente attraversò la Cirenaica fino a contatto dello Egitto. Dalla Bar¬ beria in genere poterono in seguito esser condotti per qualsi¬ voglia scopo individui in schiavitù in Europa e preferibilmente sui margini settentrionali del Mediterraneo prospettanti quelli meridionali dove la specie ancora alligna. I figli di alcuni di

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questi schiavi prosciolti o discioltisi possono in qualche punto più favorevole (Gibraltar) essersi ripetutamente riuniti e propa¬ gati dando così, temporaneamente, la debole illusione di una specie oggi africana vivente libera in Europa.

NOTIZIA SUPPLETIVA.

In una assai recente pubblicazione di Wilhelm Freudenberg (qual è quella: Die Saugelhiere des alteren Quartàrs von Mit¬ teleuropei mit besonderere Berucksichtigung der Fauna von Hunds- heim und Deutschaltenburg in Niederòsterreich ; nebst Bemer- kungen uber verwandte Formen anderer Fundorte , stampata nel 1914 in grande quarto a Jena nelle Geologische und Palaeon- tologische Abhandlungen, volume 12 della seconda serie o 16 della serie completa, a pag. 455-672 del volume ed 1-220 del lavoro e dotata di 20 tavole (29a-48a del volume) e 69 figure intercalate nel testo), si trova una importante notizia interessante la diffusione in Europa del sottogenere Innuus al volgere della formazione pliocenica od immediatamente o quasi dopo la chiusa di essa. Così trascrivo subito due piccoli brani da questa me¬ moria, il primo dalla pag. 81 (o 533 del volume) che suona: « La fauna di Puspok-Furdo viene inoltre completata da alcune » specie da essenzialmente vecchio-quaternari giacimenti di altre » località. Così si rinvenne in Csarnóta (Baranya), Ungheria » meridionale, il Macacus praeinnuus Kormos, un Magot, pa- » rente con quello di Heppenloch (Hedinger) », dunque V Innuus suevicus, «di Grays-Thurrock (Owen) », dunque VI. pliocaenus, » e Montsaunès (Harlé) », dunque VI. innuus tolosanus Harlé. Ed il secondo passo della pag. 80 (o 532 del volume) che suona : « Questi denti provengono da Puspok-Furdo e si rinvennero in » riempimento di caverna con avanzi di una fauna decisamente » più antica che non sia quella di Hundsheim. Ha Hundsheim » un’età medio-diluviale, così corrisponde la fauna di Puspok- » Fardi) (Vicinanze di Budapest) a quella del Forestbeds di » Cromer ed a quelle di Mosbach e Mauer nei loro strati più » profondi. In Puspok-Furdo si rinvenne infatti Antilope Jaegeri

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» Rutimeyer, che mi è cognita dal Forestbed (British Museum, » Coll. Savin) e dai Bolmerzen svevi. Si trovarono inoltre... ».

Col secondo passo trascritto, che nella memoria precede il primo, si fìssa adunque l’età del deposito di Puspbk-Furdó e per conseguenza di quello di Csarnóta quali coevi dei Forestbeds di Cromer; mentre con quello primo trascritto si accenna alla esistenza nel deposito di Csarnóta e quindi nella Ungheria me¬ ridionale di un Innuus che può esser come gli altri citati rin¬ venuti fossili specificamente identico col vivente africano Innuus innuus Linn.

A parte il fatto che colla denominazione imposta a questa nuova specie di Macacus praeinnuus, impostagli dal Kormos, si occupa un nome già precedentemente adoperato da A. Pomel per il « magot » rinvenuto fossile o subfossile nelle fosforiti del- l’Algéria di Macacus proinnuus e che come il secondo è caduto nella sinonimia del vivente Innuus innuus Linn. coll’aggiunta tutt’al più del suppletivo: fossiìis passando per il sinonimo conferitogli dallo stesso Pomel di Macacus, meglio Innuus tra- rensis , così deve cadervi il primo: Noi abbiamo, in conseguenza dell’avvenuta materiale constatazione nel 1912-1913 per merito di Theodor Kormos dello Innuus innuus fossile sul suolo del l’Ungheria meridionale in giacimenti coevi al Cromeriano in¬ glese che appunto il detto Innuus occupava dell’Europa cen¬ trale e meridionale un fuso o tronco di fuso compreso fra i meridiani e 20° orientale di Greenwich quindi per 20 gradi di latitudine essendosi questi gradi aumentati ad un tratto di circa cinque da quando il margine estremo di diffusione dei suoi rappresentanti fossili europei si arrestava contro ai mate¬ riali constatati nellTtalia continentale, provincia di Firenze e provincia di Roma. Il quadrilatero comprendente al largo tutti i rinvenimenti europei fin qui segnalati della specie è poi de¬ finito a Nord parallelo 55° o meglio 53° ed a Sud dal paral¬ lelo 35° o meglio 34° ossia al massimo per 20° gradi di longi¬ tudine od al minimo per soli diciassette tali. Pigliando il massimo, noi abbiamo di conseguenza che il margine meridionale dell’area passata di diffusione della specie si viene parzialmente a so¬ vrapporre al settentrionale margine di distribuzione attuale della specie stessa. Poiché ad oriente del decimo meridiano orientale

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Gfreenwich il margine settentrionale dell’Africa si sprofonda con¬ siderevolmente sotto il 35° parallelo e, corrispondentemente, le due penisole italica e balcanica si protraggono non foss’altro che colle loro appendici staccate o frammenti insulari alquanto al disotto del 35° parallelo stesso per venir a contatto col margine settentrionale africano come vi veniva più ad occidente e diret¬ tamente il margine meridionale della Penisola iberica.

Per questa osservazione si comprende come, data la esten¬ sione dell’ Innuus protratta nel Pliocene e Postpliocene inferiore verso oriente fino alla base settentrionale della Penisola Balca¬ nica, non occorra modificare l’ipotesi della graduale migrazione della specie lungo la Tirrenide a Sud ad occupare il margine settentrionale attuale africano. Basta allargare la stretta strada, prima limitata alla sola Tirrenide, verso Est a comprendere la Balcanide; e poi, senza forzare l’ipotesi della specie giunta me¬ ridionalmente sul suolo oggi africano in un sol punto e poi emigrata a destra ed a sinistra per venirsi a diffondere dal Marocco fino allo Egitto, possiamo aver una discesa regolare da Nord a Sud e più rettilinea per venirla ancora a diffondere sovrattutto nella regione compresa dalla Tunisia fino alla Ci¬ renaica.

[ras. pres. 28 dee. 1916 - tilt, bozze 5 maggio 1917].

FLORA FOSSILE DELL’ IMOLESE

Comunicazione del socio prof. D. Sangiorgi (Tav. XV)

Nel Museo Civico di Imola sono conservate numerose filliti, trovate, verso la metà del secolo scorso, nelle colline a sud- ovest della città. Queste filliti con altri avanzi vegetali, vennero in luce in seguito a scassi di terreno eseguiti a scopo agricolo, in una proprietà del dott. Giuseppe Cerchiari, il quale le rac colse diligentemente, le preparò, e le lasciò in dono al detto Museo.

La località in cui vennero trovate è la stessa che ha dato importanti resti fossili di vertebrati, quali Elephas antiquus Falc., Rhinoceros megarhinus Chryst., Hyppopotamus sp., pure donati al Museo dal dott. Cerchiari, il quale si rese benemerito verso la sua città, per molte altre pregevoli raccolte da lui fatte e tutte donate al Civico Museo.

Negli scritti dello Scarabelli, sapientissimo illustratore della Geologia romagnola, la località precisa del rinvenimento delle ossa e delle filliti è indicata col nome di Casa Belvedere, che è una abitazione colonica prossima alla villa che fu del dott. Cerchiari: nelle carte topografiche, e negli scritti geologici pubblicati dallo Scarabelli ', il punto del rinvenimento è segnato nel Rio Pratella, che trovasi alla sinistra e in basso della suddetta Casa Belvedere.

Le carte geologiche della regione pubblicate dallo Scarabelli, dal Capellini, dal Bombicci, dal Sacco, riferiscono il terreno nel quale furono rinvenuti i resti fossili animali e vegetali ora ricor -

1 Scarabelli G., Una parola sulle ossa fossili dell' Imolese. Annali di Scienze Naturali, Bologna, 1846.

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dati, al pliocene superiore. Ma non subito fu fatto un tale riferi¬ mento. Il primo a dare una determinazione geologica del giaci¬ mento, fu appunto lo Scarabelli, che, in una lettera all’amico An¬ tonio Toschi, espresse l’opinione che esso terreno dovesse riferirsi alle sabbie gialle del pliocene superiore.

Però pochi anni dopo, forse per la presenza nello stesso gia¬ cimento di avanzi di vertebrati terrestri, di molluschi d’acqua dolce, e di fìlliti, fu indotto a modificare la prima sua idea, e in altra lettera, pure diretta al Toschi, è di avviso che le ossa fossili, le filliti e gli altri avanzi organici, siano compresi nel quaternario 1 e precisamente in formazioni ciottolose e palustri di esso. Ma posteriormente ancora, in seguito a nuove indagini paleontologiche e stratigrafiche, ritorna alla prima opinione, che cioè il giacimento ossifero e fìllitifero sia di formazione marina e riferibile alla parte alta o recente del pliocene. E in seguito tutti gli autori che si sono occupati della geologia locale, sono andati d’accordo in tale riferimento cronologico del giacimento imolese.

Per quanto riguarda in particolare la natura litologica della roccia che racchiude le filliti, è da osservare che non si tratta delle classiche sabbie gialle dell’Astiano. Più che una sabbia è un’argilla finissimamente sabbiosa e calcarifera, con micro¬ scopici granelli di quarzo, olivina, e laminette di muscovite. La finezza del deposito ha tutto il carattere di un deposito for¬ matosi in acqua tranquilla, fuori, se non lontano, da forti cor¬ renti trasportanti materiale grossolano. La roccia è generalmente intensamente colorata dal solito ossido idrato di ferro, ma spesso per la grande prevalenza della parte argillosa sulla sabbiosa, si accosta alle marne plioceniche del piacenziano.

Oltre le filliti, si trovano frustoli di vegetali, e altri avanzi che si possono raffrontare taluni alle cupole delle ghiande di querele e altri a samare di acero, pei quali però non ho osato alcuna determinazione specifica generica.

1 Scarabelli G., Sopra i depositi quaternari delVImolese. Rettifica di alcune opinioni intorno alla giacitura delle ossa fossili. Lettere di G. Sca¬ rabelli al chiarissimo dott. Antonio Toschi. Annali di Se. Matem. e Fis., pubblicati in Roma, gennaio 1852.

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Di organismi animali, prescindendo dalle ossa di vertebrati sopra ricordate, troviamo impronte di bivalvi ( Cardìum) e ab¬ bastanza numerose foraminifere. E poiché le foraminifere pos¬ sono dare il carattere del deposito, e con esse si possono istituire rapporti eventualmente esistenti fra altri giacimenti analoghi italiani, ho creduto opportuno darne l’elenco completo. Non è da escludersi che alcune di esse possano essere di deposito secondario, ossia non provengano da terreni più antichi del plio¬ cene superiore, e siano stati trasportati nel giacimento imolese dalle acque correnti.

Come si può rilevare dall’elenco più sopra riportato, la flora fossile dell'imolese nel giacimento di Casa Belvedere, è di tipo prevalentemente pliocenico. Sono forme, nel complesso, che si trovano nei principali giacimenti pliocenici italiani. Sono spe¬ cialmente i giacimenti di Mongardino, ed i giacimenti, in com¬ plesso, del Yaldarno Superiore, che presentano le maggiori ana¬ logie col giacimento dell’imolese.

Potrà parere eccessivo il numero di specie riscontrate in una formazione sola e di limitata estensione come quella esplo¬ rata, e potrà sembrare strana la concomitanza in uno stesso gia¬ cimento di forme vegetali di habitat diverso. Ma questo fatto si è constatato in molti altri giacimenti fìllitiferi italiani, e per spiegarlo basta supporre, ed è ragionevole supposto, che le cor¬ renti litorali accumulassero nello stesso giacimento tutte le forme che i corsi d’acqua, provenienti da lontano, da zone altimetriche diverse, avevano portato al mare.

Elenco delle foraminifere trovate assieme alle filliti

NEL GIACIMENTO DI CASA BELVEDERE PRESSO IMOLA.

1. Nodosaria consobrina d’Orbigny.

2. » rotundata d’Orbigny.

3. Cristellaria calcar L.

4. » vortex Fieli t. e Moli. sp.

5. Uvigerina nodosa V. B. d’Orbigny.

6. » pygmaca d’Orbigny.

7. Orbulina universa Lam.

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8. Globigerina bulloides d’Orbigny.

9. » triloba Reuss.

10. Biscorbina urbicularis Terquem.

11. Truncatulina Dutemplei d’Orbigny.

12. Rotalia Beccari L. sp.

13. » Soldanii d’Orbigny.

14. Nonionina boueana d’Orbigny.

15. » granosa d’Orbigny.

16. » depressala (W. J.).

Elenco delle filliti

TROVATE NEL GIACIMENTO DI CASA BELVEDERE PRESSO IMOLA.

1. Carpinus grandis Ung.

2. Quercus mediterranea Ung.

3. » brutta Tenore.

4. » sp. ind.

5. Juglans acuminata Al. Br.

6. Myrica cfr. latiloba Heer.

7. Salix integra Goepp.

8. Populus latior Al. Br.

9. » leucophylla Gaud. et Str.

10. Laurus Ganariensis Webb. V. pliocenica Sap. et Mar.

11. » nobilis L. V. pliocenica Cavara.

12. » princeps Heer.

13. » Guiscardii Gaud. et Str.

14. Persea speciosa Heer.

15. Bezoin antiquum Heer.

16. Cinnamomum lanceolatum (Ung.).

17. Oreodaphne Heeri Gaud.

18. Rhus cfr. Pyrrhae Ung.

19. Acer integrilobum 0. Webb.

20. Koelreuteria oeningensis Heer.

21. Celastrus Bruckmanni A. Br.

22. Ilex theaefolia Gaud. et Str.

23. Berchemia cfr. multinervis (Al. Br.)

FLORA FOSSILE DELL’lMOLESE

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24. Rhamnus ducalis Gaud.

25. » Eossmaessleri Ung.

26. Platanus aceroides Goepp.

27. Crataegus pyracantha Pers.

28. Cassia lignitum Ung.

29. Acacia sotzkiana Ung.

30. Leguminosites Pyladis Gand. et Str.

31. Vaccinimi acheronticum Ung.

32. Fraxinus ornus L. sp.

Carpimi» grandis Ung?

(Tav. XV, fig. 1).

Heer 0., Flora tertiaria Helvetiae , II, pag. 40, tav. LXXII, f. 11; t. LXXIII, f. 3 b.

Questa forma è rappresentata da diversi esemplari, assai bene conservati. Le foglie sono ovali, ellittiche, della lunghezza media di circa cm. 7, per cm. 4 di larghezza. Per le dimen¬ sioni e proporzioni, sono riferibili al tipo descritto e figurato dal Sismonda '. 11 numero delle nervature secondarie è minore di quanto si riscontra nella forma figurata dal Heer, poiché arrivano in tutte a dodici appena. Le nervature terziarie sono visibili solamente in alcuni esemplari. La dentellatura del mar¬ gine fogliare è poco evidente.

Quercus mediterranea Ung.

Gaudin Th. Gli. et Strozzi C., Contributions à la Flore Fossile Ita- Henne, 2a Meni., pag. 46, pi. IV, f. 16, 19-22.

Ho un’impronta e contro impronta del giacimento imolese di questa forma, benissimo conservate. Solo le dentellature del lembo non sono neH’esemplare troppo evidenti. Trattasi cer¬ tamente di una foglia non a completo sviluppo, non arrivando le dimensioni al limite minimo che si riscontra nelle numerose filliti illustrate dall’Heer nella fiora elvetica. La foglia è subo-

1 Sismonda E., Matériaux pour servir à la paleontologie du terrain tertiaire du Piemonte pag. 39, t. XII, f. 7, 8.

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vale, con l’apice discretamente acuminato. La base è un poco arrotondata. I nervi secondari manifestamente craspedodromi e in numero da 6 a 7 circa.

Quercus brutia Tenore

(Tav. XY, fig. 2).

Gaudin et Strozzi, 4a Mem., pi. Ili, fig. 2, 8, 4, 5.

Un solo esemplare assai bene rappresentato dalla impronta e contro impronta. Nella classica opera dell’Heer, non trovo il riferimento per questa fìllite. Potrebbe riferirsi a una forma vi¬ vente, benché la grande eterofillia di questa e delle specie af¬ fini, lasci assai incerti sopra un esatto riferimento.

Sono rimasto dubbioso specialmente fra la forma descritta dal Tenore, e la Q. Cerris vivente. Fra le due, illustrate dal Gaudin e Strozzi, non sono indicati i caratteri distintivi. Le ner¬ vature secondarie sono all’incirca nello stesso numero. La lo- batura, che non è del resto carattere costante nemmeno nelle foglie di una stessa pianta, è pure pressoché identica. Per l’an¬ damento delle nervature, assai rettilineo, l’ho riferita piuttosto alla Q. brutia Tenore, che alla Q. Cerris che le ha più curve.

Quercus sp. ind.

(Tav. XV, fig. 3).

È un’impronta conservata assai bene. Non trovo da rife¬ rirla ad alcuna delle numerose forme descritte e figurate dagli autori.

La nervatura mediana primaria é appena accennata nel suo

tratto prossimo al picciuolo: le secondarie, ai lobi, non avver-

. \

vertibili. E per la lobatura, somigliantissima a quella caratte¬ ristica nelle foglie del genere Quercus, che mi sono deciso al riferimento generico.

La lunghezza è di cm. 5 e la larghezza di cm. 2,2. Pre¬ senta da 4 a 5 lobi laterali, arrotondati, che non intaccano molto profondamente, specie alcuni, il lembo fogliare.

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Juglans acuminata Al. Br.

Heer., FI. tert. Helv., Ili, pag. 88, t. CXXVIII, CXXIX, f. 1-9.

Con molta indecisione ho riferito un’unica impronta del gia¬ cimento imolese, alla forma comune in molti depositi plioce¬ nici d’Italia.

La foglia, per il numero delle nervature e per il loro an¬ damento, che non raggiunge il lembo fogliare, per la dissimetria basilare, e per l’assieme di altri caratteri morfologici principali, corrisponde alla diagnosi degli autori. Ma la mancanza, per erosione dell’esemplare, dell’estremità dell’apice, e altri caratteri differenziali secondari, non riscontrabili nelle filliti esaminate rendono assai dubbiosa la collocazione specifica di questa foglia.

Myrica cfr. latiloba Heer.

(Tav. XV fig. 4).

Heer, FI. tert. Helv., II, pag. 176, t. CL, f. 12-15.

Impronta e contro impronta della pagina superiore. La fo¬ glia è allungata, con due o tre lobi bene sviluppati per ogni lato: l’apice ottuso, il picciuolo assai sviluppato. La nervatura mediana, è distinta e corre fino all’apice, presso a poco con la stessa grossezza. Le nervature secondarie, da 6 a 8 per lato, non sono molto marcate e si staccano con angolo acuto dalla nervatura primaria, leggermente divaricando, fino al margine della foglia.

Le dimensioni sono di cm. 2,6 di lunghezza, per cm. 1,1 di larghezza.

Si identifica specialmente alla fig. 15 dell’Heer.

Le Miricaeee, sono forme generalmente più antiche, e la latiloba, alla quale di più si assomiglia, non è specie italiana. Per questo ho limitato il riferimento alla somiglianza con la forma descritta dall’Heer.

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Salix integra Goepp.

(Tav. XV, fig. 5).

Heer, FI. tert. Helv., II, pag. 32, t. LXVIII, f. 20-22.

Gli esemplari imolesi, corrispondono bene alla figura data dall’Heer, ma non alla figura che si trova nel Gaudin e Strozzi per la stessa specie.

È nel numero delle nervature secondarie che diversificano es¬ sendo queste nel S. integra del Gaudin e Strozzi, in numero assai superiore.

Nel tipo imolese invece le nervature sono poche e non molto distinte, corno si osserva nei tipi della flora elvetica. E per quanto il carattere non abbia molto valore, pure anche le di¬ mensioni e le proporzioni fra la lunghezza e la larghezza del lembo fogliare ravvicinano alla forma dell’Heer.

Populus latior Al. Br.

(Tav. XV, fig. 6).

Heer., FI. tert. Helv., II, pag. 11-15; IH, pag. 173, t. LIII-LVII.

Nel deposito imolese ho trovato un solo esemplare di questa grande foglia che corrisponde abbastanza fedelmente alle figure e descrizioni dell’Heer, sia per la morfologia generale del lembo fogliare, sia per il numero e l’andamento delle nervature pri¬ marie e secondarie.

Fra tutte le varietà stabilite dall’Heer per queste foglie, più di tutte si accosta al P. Latior v. cordifolia (p. 12-13, t. LV).

Le maggiori dimensioni del comune P. latior, rappresentato dal vivente P. canadensis, la maggiore larghezza rispetto al¬ l’altezza, il margine grossolanamente dentato, mi hanno indotto ad assegnarlo a tale suddivisione. Un carattere che può far sor¬ gere qualche dubbio sulla esattezza della determinazione, è che al picciuolo il lembo fogliare presenta una sensibile incurvatura rientrante : il che non si riscontra in modo così accentuato nei tipi illustrati dall’Heer. Ma tale carattere differenziale, può essere esagerato apparentemente, pel fatto che l’impronta nell’esem-

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piare del Museo d’Iraola non è in una superficie piana ma in una superficie curva, e precisamente convessa, di guisa che la foglia risulta parzialmente accartocciata sulla roccia entro cui è fossilizzata.

Populus leucophylla Ung.

(Tav. XY, fig. 7).

Gaudin et Strozzi, Sur quelq. gis. d. feul. fos. de. la Tose., la Meni., pag. 29, pi. IV, f. 1-5, pi. XII, f. 4.

\

E rappresentata da una sola foglia, ben conservata, man¬ cando solo di qualche porzione marginale.

Si identifica alla forma di Montajoue, figurata dal Gaudin e Strozzi, forma che nella Flora Tertiaria Italiae di Squinabol e Meschinelli è messa assieme al P. canescens Smith.

Il P. Lcucophylla Ung della Flora fossile di Mongardino figu rato dal Cavara 1 presenta un minor numero di nervature se¬ condarie, le quali formano, a differenza del tipo imolese, un angolo più acuto con la nervatura principale o primaria. La nervatura mediana nella foglia in esame, è assai più grossa delle laterali secondarie.

Laurus canariensis Webb. var. pliocenica Sap. et Mar.

(Tav. XV, fig. 8).

Cavara, FI. Foss. Mongardino, pag. 50, t. Ili, f. 12.

La raccolta imolese ha diverse belle impronte di questa ele¬ gante forma, impronte che pur presentando qualche differenza di poco conto, possono riferirsi agli esemplari illustrati dal Ca¬ vara nell’opera sul giacimento di Mongardino.

Le foglie sono sub-coriacee, ellitico-lanceolate, attenuate alla base. Il nervo mediano, o primario, è grosso, tenui e poco distinti sono gli 8-10 secondari. Non si scorgono biforcazioni nei nervi secondari: e manca quella rete a maglie pentagonali e il re¬ ticolo minuto ed elegante, che caratterizzano le filli ti di Mon¬ gardino. L’espansione massima del lembo fogliare è oltre la

1 Cavara, Flora fossile di Mongardino, pag. 43, t. Ili, f. 2, 5.

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metà delle foglie: carattere questo che pure la distingue dall’L. Nobilis L. var. pliocenica Cavarra.

Laurus nobilis L. var. pliocenica Cavara.

(Tav. XV, fig. 9).

Cavara, FI. Foss. Mongardino, pag. 50-52, t. IV, f. 7, 14; t. V, f. 1.

La determinazione di questa fillite non mi è stata facile, non per la conservazione dell’impronta, che è buona, ma perchè non ho trovato una corrispondenza perfetta, nelle varie filliti confrontate nei diversi autori. Per molti caratteri potrebbe es¬ sere riferita al Laurus Canariensis Webb. var. pliocenica, e anche il Cavara fa notare la somiglianza delle due forme. Ma oltreché per le ragioni esposte dal Cavara, mi sono indotto ad unirla al L. nobilis L. var. pliocenica per il minor numero delle ner¬ vature secondarie e per la biforcazione delle nervature terziarie. Inoltre in molte foglie, tale biforcazione non ha luogo all’estre¬ mità, come troviamo nelle filliti di Meximieux, ma più vicino alla nervatura mediana. Però in qualche esemplare di dimen¬ sioni più piccole, le diramazioni, come negli esemplari di Mon¬ gardino, sono oltre la metà della foglia. Queste biforcazioni in molti casi sono ben evidenti solamente vicino alle nervature secondarie. In qualche esemplare però, le biforcazioni avven¬ gono verso l’estremo della nervatura, ma sono così poco evidenti da riuscire pressoché invisibili tanto la ricongiunzione quanto il reticolo, caratteri questi specifici nell’impronta di Mongardino.

Laurus priuceps Heer.

(Tav. XV, fig. 10, 11).

Heer., FI. tert. Helv., II, pag. 77, t. LXXXIX, f. 16, 17.

Sono diverse impronte ben conservate riferibili a questa specie. Per alcuni caratteri si scostano dal tipo illustrato dal¬ l’autore. Sono forme piccole, strette, lanceolate lunghe cm. 4-5, larghe cm. 1. Il nervo mediano è assai evidente senza essere però così robusto e grosso come in generale riscontriamo nei

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laurus. I nervi secondari, 6-7, sono deboli, appena visibili, non molto incurvati, con accenno a biforcazioni verso il loro estremo.

Delle forme dell’Heer. assomiglia al L. Swoszowiciana Ung, la quale appunto è ritenuta, da diversi autori, la forma mio¬ cenica del L. princeps Heer \ Nell’opera del Gaudin e Strozzi il L. princeps paragonabile al tipo imolese è quello illustrato con le figure 4, 5 della t. 7 1 2. Anche per la forma imolese torna giusta l’osservazione del Cavara 3, che siano cioè da riportare alcune di queste forme al Laurus canariensis var. pliocenica: poiché molti esemplari rappresentano probabilmente foglie non completamente sviluppate.

Laurus Guiscardii Gaud. et Strozzi.

(Tav. XV, fig. 12).

Gaudin et Strozzi, Contr. FI. foss. It., 2a Mem., pag. 36, pi. IX, f. 10, t. X, f. 1.

Non ho che un’impronta della pagina fogliare superiore, e non completa, mancando alla destra di una parte del lembo: ma si ricostituisce totalmente l’esemplare con la restante por¬ zione sinistra, assai ben conservata.

Si scorgono distintamente le granulosità caratteristiche di molti Laurus.

È una foglia di forma ovale con l’apice, e anche più la base, assai ottusi. Quindi dei tipi figurati dal Gaudin, corrisponde specialmente a quello illustrato nel primo Contributo 4 . L’altra forma, illustrata pure dagli stessi autori nel secondo Contributo 5, è meno ovale, e presenta un apice più acuto. Non si scorgono nell’esemplare del giacimento imolese le tracce di verruche ascellari al distacco delle nervature secondarie. La nervatura principale è ben marcata: poco distinte le 7-8 nervature se-

1 Heer, FI. tert. Helv., II, pag. 50, t. LXXXIX, f. 5.

2 Gaudin et Strozzi., Coni. FI. Foss. It ., 2a Mem., pag. 48.

3 Cavara, FI. foss. Mongardino , pag. 51.

4 Gaudin et Strozzi, Contr. FI. foss. It., la Mem., pag. 36, pi. IX, f. 10, pi. X, f. 1.

5 Idem, op. cit., 2a Mem., pag. 48, pi. Vili, f. 8.

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conciarie, che s’incurvano sensibilmente al margine, specialmente quelle terminali o superiori. La lunghezza è di cm. 4 la lar¬ ghezza cm. 2,4.

Persea speciosa Heer.

(Tav. XY, fig. 13).

Heer, FI. tert. Helv., II, pag. 81, P. XC, f. 11, 12.

Di questa specie, che trovasi in tutti i principali giacimenti pliocenici italiani, ho diverse impronte, assai ben conservate.

Il lembo fogliare elegantemente ellittico, il nervo mediano grosso, il picciolo forte e robusto, l’esilità dei nervi secondari, che sono appena visibili, distinguono questa elegante forma e l’iden¬ tificano ai tipi già descritti e figurati dagli autori, per quanto vi si possano rilevare lievi differenze morfologiche.

La foglia della P. speciosa Heer, è un po’ più allargata nel mezzo e quindi proporzionalmente appare meno allungata. E la stessa differenza si nota nella P. speciosa del Yaldarno h

La forma di Mongardino 4, benché non troppo ben conser¬ vata, è maggiormente paragonabile alla forma imolese.

Molte altre foglie più piccole dello stesso giacimento sono probabilmente forme giovanili della stessa specie.

Benzoin cfr. antiquum Heer.

(Tav. XV, fig. 14).

Heer, FI. tert. Helv., II, pag. 81, t. XC, f. 1-8.

Numerose impronte corrispondenti abbastanza bene alle dia¬ gnosi degli autori. La forma è prevalentemente oblungo-ellittica, con la base alquanto ristretta. Il margine è in alcune, grossolana¬ mente e irregolarmente dentato, tanto da dare al margine stesso un andamento ondulato. La nervatura mediana è assai robusta; le nervature secondarie sono in numero da 6-10: le superiori di esse generalmente si incurvano un poco verso la rachide o

1 Idem, op. cit., pag. 47, P. VII, f. 7.

? Cavara, FI. foss. Mongardino, pag. 53, t. IV, f. 10.

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nervatura mediana. In alcuni esemplari, le nervature secondarie, verso l’estremo marginale, si biforcano assai regolarmente.

Le dimensioni variano da cm. 4,1 per 1,5 a cm. 2,6 per 1,5. Sono quindi esemplari piccoli, e di forma più allungata dell’or¬ dinario.

Cinnamomum lanceolatum Ung.

(Tav. XV, fig. 15).

Heer, FI. tert. Helv., II, p. 86, t. XCIII, f. 6-11.

Due soli esemplari di foglioline di dimensioni assai limitate, arrivando appena alla lunghezza di cm. 4 e alla larghezza di cm. 1,8.

Le tre nervature sono grosse, assai rilevate : la mediana assai di più delle due laterali, che corrono pressoché parallele ai margini, fino verso l’apice, che però non raggiungono, almeno in modo evidente. Come pure non si scorgono diramazioni oltre le due ora menzionate staccantesi dalla nervatura mediana.

Una delle filliti è incompleta, mancando dell’apice e di parte del lembo fogliare. Questa forse potrebbe ascriversi al C. poli- morphum al quale corrisponde per le dimensioni, e perchè il lembo fogliare accenna appunto ad una maggiore espansione nel suo tratto mediano. Ma dato lo stato imperfetto di conser¬ vazione, non ritengo opportuno di differenziarla dall’altra. Del resto, per queste filliti deirimolese torna opportuno quanto os¬ serva il Cavara nel suo lavoro a proposito di questa forma : che cioè è difficile tenere distinte le tre specie di Cinnamomum lanceolatum, polymorphum , e Scheuzeri, rappresentando il C. lan¬ ceolatum molto probabilmente forme poco sviluppate o rachitiche del C. polymorphum o del C. Scheuzeri.

E questo può dirsi specialmente per l’esemplare ch’io ho sotto esame, perchè il lembo fogliare è incompleto e non per¬ mette di distinguere se le due nervature laterali raggiungano l’apice mantenendosi parallele al margine, oppure come si ve¬ rifica nel C. Scheuzeri, senza arrivare all’apice, si attacchino al margine stesso.

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Oreodapline Heerii Gaud.

(Tav. XV, fig. 16).

Gaudin et Strozzi, Contr. à la FI. foss. it ., 2a Mem., pag. 48, pi. Vili, f. 26.

Sono diverse foglie non molto grandi, quindi assimilabili per tale carattere alle forme del senigagliese

Il lembo fogliare allargato oltre la metà della sua lunghezza, l’apice bruscamente appuntato dopo tale espansione, la nervatura mediana ben grossa e robusta, e il numero delle nervature se¬ condarie da 4 a 5, di cui le inferiori lunghe decorrenti al margine del lembo, e le superiori fortemente arcuate, costituiscono tanti caratteri diagnostici che convalidano la giustezza del riferimento.

Però è d’uopo qui avvertire che non tutte le figure date dagli autori corrispondono ai caratteri peculiari delle foglie imo¬ lesi. Così, mentre le figure del Cavara sulla Flora di Mongar- dino 1 2 sono specificamente corrispondenti, non altrettanto lo sono quelle della Flora Toscana illustrate dal Gaudin 3. Ma non ho esitato per questo nella determinazione specifica, perchè mi sono affidato a quanto hanno scritto tutti gli autori che si sono oc¬ cupati di filliti, sia pure ottimamente conservate : che cioè la determinazione basata sulle impronte fogliari, data la immensa differenziazione delle foglie, non solo in una stessa specie, ma in uno stesso individuo (secondo la posizione e il grado di svi¬ luppo, ecc.), non ha un valore assoluto e positivo, ma sempli¬ cemente il significato di collocare in uno stesso gruppo forme presentanti un complesso di caratteri simili.

Rhus cfr. Pyrrliae Ung.

(Tav. XV, fig. 17).

Heer, FI. tert. Helv., Ili, p. 84, pi. CXXVI, f. 20-28.

Ho due o tre impronte non ben conservate per le quali non azzardo una diagnosi specifica definitiva.

1 Scarabelli e Massalongo, FI. foss. Senig., pag. 231, t. XXXVII, f. 15.

2 Cavara, FI. foss. Mongardino, pag. 53, t. IV, f. 8, 11, 12.

3 Gaudin et Strozzi, Contr. à la FI. foss. it., 2a Mem., pag. 48, pi. Vili, f. 26.

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Acer integrilobum 0. Web.

(Tav. XV, fig. 18).

Heer, FI. tert. Helv., Ili, t. CXVII, f. 15-22.

Non ho che un solo esemplare, impronta e contro impronta, non completo, essendo in parte mancante la foglia delle estremità dei lobi.

VA. integrilobum descritto e figurato da Herr non si iden¬ tifica esattamente alla forma in esame, avendo questa i due lobi laterali alquanto più sviluppati del lobo mediano.

Il corrispondente nella flora fossile elvetica, è VA. decipiens, identificato nella flora del Miocene superiore di Sinigaglia, con VA. trimerum var. decipiens \

Koelreuteria cfr. oeningensis Heer.

(Tav. XV, fig. 19).

Heer, FI. tert. Helv., Ili, p. 73, t. CXXI, f. 20.

Non ho che un’impronta e contro impronta, e nemmeno com¬ pleta, perchè manca del lembo fogliare una parte prossima al picciuolo.

Dalle dimensioni e dai caratteri generali dell’intero lembo e da quelli dei lobi, si può capire che trattasi di una foglia terminale ancora poco sviluppata.

Date le condizioni dell’esemplare mi limito a un riferimento generico, molto più che la forma tipica manca in orizzonte geo¬ logico simile all’Imolese, nei principali giacimenti italiani.

Celastrus Bruckmanni Al. Br.

(Tav. XV, fig. 20 e 21).

Heer, FI. tert. Helv., p. 69, t. CXXI, f. 27-38.

Il giacimento imolese ha dato molte impronte di questa forma caratteristica, che io comprensivamente includo tutte nel C. Bruck-

1 Massalongo e Scarabelli, FI. foss. Senig., t. XV-XVI, f. 10; t. XVIII, f. 4, 6, 7; t. XLI, f. 15.

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D. SANGIORGI

manni, benché, a voler sottilizzare, si potrebbero distribuire in parecchie specie della flora elvetica figurate dall’Heer. Vi sono le forme tipiche identificabili perfettamente al C. Bruclcmanni per aspetto generale, per il numero fisso delle nervature secon¬ darie, per il picciuolo ben distinto, ma non molto sviluppato ; altre fiditi vi sono più piccole, rotondeggianti, in cui non si vedono tracce di nervature secondarie: queste potrebbero rife¬ rirsi al C. minutulus A. Altre ancora sono munite di un pic¬ ciuolo lungo, robusto, terminato da un rigonfiamento d’attacco, carattere questo proprio del C. crassifolius A. L. Br.

Ma non ho creduto di dover fare tante suddivisioni speci¬ fiche, molto più che le due specie ultime ricordate non le vedo citate nei principali giacimenti neogenici d’Italia. Inoltre perchè non parmi naturale che in un giacimento di limitata estensione come è quello dell’Imolese, si possono avere, per uno stesso ge¬ nere, delle differenziazioni specifiche tanto numerose.

llex theaefolia Gaud. et Str.

(Tav. XV, fig. 22).

Gaudin et Strozzi, Contr. FI. Foss. It ., 2"1 Mera., p. 53, pi. VII, f. 11, 13.

Sono diverse impronte a diversi stadi di sviluppo. Le più adulte raggiungono appena in lunghezza i cm. 4, dati dagli au¬ tori come limite minimo. La forma elegantemente lanceolata, l’apice discretamente acuto, le dentellature nelle parti superiori del lembo, e la tenuità delie nervature secondarie, costituiscono un assieme di caratteri, che rende la determinazione sicura.

Non si avverte se le nervature siano ramose e camptodrome: di conseguenza non è visibile la rete poligonale che è inter¬ posta tra dette nervature secondarie.

f

Bercliemia cfr. nmltiiiervis (Al. Br.) Heer.

Heer, FI. tert. Helv., Ili, pag. 77, t. CXXIII, f. 9-18.

I pochi esemplari dell’Imolese non si possono identificare con la specie presentata dall’Heer, anche perchè lo stato di con¬ servazione non è troppo buono.

FLORA FOSSILE DELL’lMOLESE

295

Corrispondono tuttavia, per quanto è dato vedere, nella forma generale del lembo fogliare e nel numero e disposizione delle nervature secondarie.

Ma anche perchè la B. muìtinervis è specie che trovasi ge¬ neralmente in formazioni più antiche, ho creduto più prudente proporre una determinazione riservata.

Rhamuus ducalis Gaud.

(Tav. XV, fìg. 23).

Gaudin et Strozzi, Feuill. foss. de la Tose., pag. 39, pi. IX, f. 6-9.

Idem, Contr . FI. foss. It., 2a Meni., pag 54, pi. VII, f. 8; 4a Meni., pag. 22, pi. I, f. 18

Il Museo d’Imola non possiede che un esemplare costituito da un’impronta e contro impronta di una stessa foglia.

Pure notandosi alcune differenze, non trovo da riferirla meglio che alla forma di Montajone. La differenza più notevole si ri¬ scontra nel rapporto fra la lunghezza e la larghezza: la foglia dell’Imolese essendo alquanto più stretta rispetto alla larghezza. Il margine è finamente dentato: la nervatura mediana è ben distinta, mentre pressoché invisibili sono le nervature secondarie.

La lunghezza è di cm. 2,5, la larghezza cm. 1,2.

Rhamnus Rossmaessleri Ung.

(Tav. XV, fig. 24).

Heer, FI. tert. Helv., Ili, pag. 80, t. CXX1V, f. 18-20.

Il giacimento imolese ha fornito parecchie impronte, che, dopo qualche esitazione, mi sono deciso a riferire alla forma descritta dall’Unger e riportata dall’Heer. Delle diverse forme figurate da quest’ultimo, corrisponde di più a quella che presenta i mar¬ gini integri. Vi differisce nella forma del lembo fogliare, che negli esemplari imolesi è maggiormente arrotondato all’apice.

1 Unger, Gener. et sp. plani, foss Vindobonae, 1850.

296

D. SANGIORGI

Così pure il E. Rossmaessleri della Flora Senigalliese 1 è più rigonfio e meno allungato. Il numero dei nervi secondari è di circa 12, biforcati all’estremità: le diramazioni di terzo grado pare si anastomizzino fra loro.

Platanus aceroides Goepp.

Heer, FI. tert. Helv., II, pag. 71, t. LXXXVII e LXXXVIII, f. 5-15.

La determinazione dell’unica fillite è assai dubbia, dato il suo cattivo stato di conservazione.

Mancano le parti apicali dei lobi. Però per quanto di questi è dato vedere, si scorge che essi sono assai più prominenti del tipo illustrato dall’Heer. Potrebbe quindi, per questo carattere, identificarsi col P. cuneifolìa Goepp., ma come giustamente fa notare il Cavara 2, ormai è ritenuto da tutti che il P. cuneifolia, non stia a rappresentare che una forma di riduzione, quasi di passaggio, del P. occidentalis vivente.

Crataegus pyracantlia Pers.

(Tav. XV, fig. 25).

Gaudin et Strozzi, Contr. FI. foss. lt., 4a Mem., pag. 26, pi. VII, f. 7-9.

Ho potuto esaminare l’impronta della pagina inferiore di una foglia. Essa è di forma perfettamente ovale, il picciuolo è obliterato, quindi non è possibile constatare se esiste il ca¬ rattere assegnato alla specie nella diagnosi « foliis longe pe- tiolatis ».

Per quanto non ben distinti per lo stato di conservazione, sono tuttavia visibili ad un esame accurato al margine del lembo, le smerlature caratteristiche. La nervatura mediana è ben sa¬ liente, e sono pure ben marcate 7-8 nervature secondarie, de¬ correnti in modo rettilineo al margine, con angolo di circa 30°. La rete del lembo non è molto evidente. Le dimensioni sono: lunghezza cm. 3,5, larghezza cm. 1,8.

1 Massalongo e Scarabelli, FI. foss. Senigall., pag. 381, t. XXVI, XXVII, f. 26; t. XXXI, f. 6.

2 Cavara, FI. foss. Mong., pag. 46.

FLORA FOSSILE DELL’lMOLESE

297

Cassia lignitum Ung.

(Tav. XV, fig. 26).

Heer, FI. tert. Helv., Ili, pag. 121, t. CXXXVIII, f. 22, 28.

Gaudin et Strozzi, Fenili, foss. de la Tose., pag. 41, pi. XII, f. 13, 14; Contr. FI. foss. It., II, pag. 56, pi. IX, f. 4.

Sono numerose impronte che io riferisco alla forma del- l’ Unger. Più che ai tipi figurati dall’Heer, si identificano con le forme della Toscana. Predominano le foglie ovali sulle lan¬ ceolate. La costola o nervatura mediana è assai robusta: quasi invisibile le nervature secondarie. Le dimensioni medie arrivano ai era. 2,2 di lunghezza per cm. 1,04 di larghezza.

Acacia sotzldana Ung.

Heer, FI. tert. Helv., Ili, pag. 131, t. CXL, f. 1-12.

Massalongo e Scarabelli, FI. foss. Senìg., pag. 435, t. XXXV, f. 4-10.

Anche di questa fogliolina ho poche impronte. Ho esitato nella determinazione, non essendo specie dei classici giacimenti pliocenici italiani. Ma nessuna figura e descrizione nei diversi autori da me consultati corrisponde maggiormente di questa.

La massima larghezza non è al mezzo della foglia, ma spo¬ stata alquanto verso l’apice. Il nervo mediano è intero, e benché minutissimi, sono visibili alcuni nervi secondari, che più che incurvarsi verso la costola mediana, si allargano verso il mar¬ gine della foglia.

La lunghezza è di cm. 1,5, la larghezza di cm. 0,5.

Leguminosites Pyladis Gaud.

(Tav. XV, fig. 27).

Gaudin et Strozzi, FI. foss. It., 6a Mem., pi. I, f. 5.

Attribuisco una impronta del giacimento imolese a questa forma del giacimento del Valdarno Superiore. Essa è ben con¬ servata e per tutti i caratteri complessivi corrisponde alla dia¬ gnosi degli autori.

298

D. SANGIORGI

La fogliolina è ellittica con picciuolo ben evidente e svi¬ luppato. La nervatura primaria, alla sua base, è, relativamente alla foglia, abbastanza saliente: poco visibili le nervature se¬ condarie.

Le dimensioni all’incirca sono: lunghezza cm. 2, larghezza

cm. 0,8.

Yaccinium acheronticum Ung.

(Tav. XY, fig. 28).

Heer, FI. tert. Helv., Ili, pag. 10, t. CI, f. 29.

Ho tenuto distinte molte impronte da \V Acacia sotzkiana, con la quale hanno molti caratteri morfologici comuni. Sono stato indeciso nel riferimento specifico, fra il V. reticulatum e il V. acheronticum. Mi sono deciso per il secondo, per la forma della base, che è più rotondeggiante, per la tenuità dei suoi nervi secondari, e, per quanto è dato vedere in una impronta, per la « reti venoso interposto », fra i nervi secondari.

Le dimensioni raggiungono a stento i limiti minimi asse¬ gnati a questa specie: lunghezza cm. 1,5, larghezza cm. 0,7.

Fraxinus Ornus L. sp.

(Tav. XV, fig. 29).

Gaudin et Strozzi, FI. foss. It., 4a Meni., pag. 23, pi. V, f. 1-5.

Questa forma linneana recente nella Flora fossile dell’i- molese è rappresentata da due impronte. I caratteri generali sono bene evidenti per quanto gli esemplari non siano completi, ma mancanti della porzione basilare. Vi riscontriamo oltre la forma lanceolata del lembo, la smerlatura del margine abba¬ stanza evidente, specialmente verso l’apice, essendone la parte di base che esiste quasi priva. La foglia ha un picciuolo non molto sviluppato e il nervo mediano si mantiene assai marcato fino all’apice. Si contano sei nervi secondari. Le dimensioni sono piuttosto piccole, raggiungendo a stento i cm. 3 di lun¬ ghezza per cm. 1,1 di larghezza.

Quadro comparativo delle Filliti fossili dell’ Imolese.

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302

D. SANGIOK.GI

SPIEGAZIONE DELLA TAV. XV

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Carpinus grandi s Ung.

Quercus brutia Tenore.

» sp. ind.

Myrica cfr. latilóba Heer.

Saìix integra Goepp.

Populus latior Al. Br.

Populus leucophyllci Gaud. et Str.

Laurus canariensis Webb. V. pliocenica Sap. et Mar. » nobilis L. V. pliocenica Cavara.

» princeps Heer.

» Guiscardii Gaud. et Str.

Persea speciosa Heer.

Benzoin antiquum Heer.

Cinnamomum lanceolatum Ung.

Oreodaplme Heerii Gaud.

Blius cfr. Pyrrhae Ung.

Acer integrilobum 0. Webb.

Koelreuteria cfr. oeningensis Heer.

Celastrus Bruchnanni A. Br. ex theaefolia Gaud. et Str.

Bhamnus ducalis Gaud.

» Bossmaessleri Ung.

Crataegus pyracantha Pers.

Cassia lignitum Ung.

Leguminosites Pyladis Gaud. et Str.

Vaccinimi acheronticum Ung.

Fraxinus ornus L. sp.

[me. pres. 28 dee. 1916 - ult. bozze 5 maggio 1917].

Boll. Soc. Geol. It«l , Voi XXXV (1916),

( D. SANGIORGI ) Tav. XV.

ELIOT - ALZOL AR

IL PERMIANO DEL MONTE PISANO E I SUOI TIPI MESOZOICI DI FOSSILI

Comunicazione del socio ing. B. Lotti

Cambiato il nome della località, copio il titolo di questa breve nota da una memoria di Ch. A. White 1 sopra un feno¬ meno paleontologico che presenta una strettissima analogia con quello del Monte Pisano, ove il prof. Fucini ha rinvenuto ed illustrato di recente 2 una fauna di tipo mesozoico nel verrucano permiano che egli vorrebbe ora riferire al Weald.

Tale fenomeno è ormai del resto già acquisito alla scienza dopo i lavori di W. Waagen nell’India, di G. G. Gemmellaro 4

1 White Ch. A., The Texan Permian and its mesozoic types of fossils. (Bull, of thè U. S. Geol. Survey, n. 77, 1891). I fossili studiati dall’ A. provengono dal Texas settentrionale e da strati che fornirono una co¬ piosa fauna di vertebrati del Permiano pubblicata dal prof. E. D. Cope (Sj] stemati c catalogue of thè Permian Vertebrate Fauna of Nortli Ame¬ rica. Trans. Am. Pliil. Society, voi. XVI, 1888, pagg. 285-288). Una parte di questi fossili (conchiglie) furono riconosciute dal White come specie del Coal-Measure, ma un’altra parte di essi era costituita da forme non pubblicate appartenenti a tipi di età mesozoica, « tantoché, come egli dice, se esse sole e senza altre indicazioni di fatti correlativi fossero state sottomesse al paleontologo questi non avrebbe potuto in alcun modo riferirle ad un periodo più antico del Trias ».

2 Fucini A.. Fossili wealdiani del verrucano tipico del Monte Pisano. (Palaeontographia italica, XXI, 1915).

Waagen W., Salt Punge Fossils. (Meni. Geol. Survey of India, Pa- laeont. Indica, s. XIII, I, 1879-1887 e IV, 1889-1901). L’À. fece la sco¬ perta importantissima di molte specie di molluschi appartenenti a tipi mesozoici associate ad una caratteristica fauna carbonifera.

4 Gemmellaro G. G., La fauna dei calcari con Fusulina della valle del fiume Sosio in prov. di Palermo. (Giorn. di Se. nat. ed economiche, voi. XIX, 1888, ed I Crostacei dei calcari con Fusulina, ecc. (Meni. Soc. Ital. delle Scienze, voi. Vili, s. 3a, n. 1). Questi studi sui crostacei, come i precedenti sui cefalopodi e gasteropodi della stessa formazione, dimostra¬ rono non solo che quasi tutti questi fossili sono nuovi ed alcuni appartenenti

304

B. LOTTI

in Sicilia e di A. Karpinsky 1 in Russia. Si tratta della pre¬ senza di forme di conchiglie di tipo mesozoico in istrati indub¬ biamente riferiti al Permiano o al Permocarbonifero sia per la loro posizione stratigrafica, sia per la presenza di faune e flore caratteristiche.

Il verrucano del Monte Pisano, nel quale furono raccolti i fossili studiati dal Fucini, venne attribuito al Permiano prima per il posto che esso occupava nella serie dei terreni, poi per la ricca flora in esso raccolta dal De Stefani 2 e studiata dal De Bosniaski 3.

Non tenendo conto della dubbia Orthoceras trovata dal Savi nella valle d’Asciano, non completamente svalutata dal Fucini, e nemmeno delle dubbie trilobiti che sarebbero state trovate dal prof. Canavari 4, i primi fossili animali, pochi di numero, fu¬ rono trovati dallo scrivente e studiati dal Tommasi 5 il quale, senza poterne determinare le specie, riscontrò in essi una grande somiglianza con fossili molto più antichi del Trias e li attribuì con probabilità al Permiano.

Le sue determinazioni sono le seguenti:

Ichnites Verrucae n. sp.

Pecten (?) sp.

Sanguinolaria (?) sp.

Allorisma (?) sp.

a generi non conosciuti, ma ancora che i Brachimi avevano parecchi rappresentanti nel periodo permocarbonifero, mentre tino allora gli avanzi più antichi di essi, e sicuramente conosciuti, provenivano dalla serie giu¬ rassica superiore.

1 Karpinsky A., Ueber die Ammoneen der Artinslcstufe, etc. (Mém. Acad. Imp. Se. de Sl Pétersbourg). Furono dall’A. riconosciuti caratteri mesozoici in molti cefalopodi del Carbonifero e del Permiano dell’Ar¬ menia, della Russia e di altre parti dell’Europa.

2 De Stefani C., Flore carbonifere e permiane della Toscana. (R. Isti¬ tuto di studi superiori di Firenze, 1908).

3 De Bosniaski S., Flora fossile del verrucano nel Monte Fisano. (Proc. verb. Soc. tose. Se. naturali, VII, 1890, pag. 184).

4 A proposito : perchè dice il Fucini dubbie queste trilobiti e perchè dice sarebbero state trovate ? Lo furono o non lo furono ?

5 Tommasi A., Note paleontologiche. (Boll. Soc. geol. ital., IV, p. 217).

IL PERMIANO DEL MONTE PISANO

305

In molto maggior copia furono raccolti fossili in questi strati dal prof. Fucini e di recente ne fu da lui pubblicato lo studio nella Palaeontographia italica diretta dal prof. M. Canavari. La dotta memoria è illustrata da cinque tavole, quattro delle quali totalmente occupate da bivalvi e la quinta da impronte vegetali e fisiologiche determinate dubitativamente nel genere e nella specie.

Fra le conchiglie, non tenendo conto delle specie nuove o dubbie, si notano : 4 specie di Gervillia, 1 di Perna, Mytilus, Modiola , Unio, Tancredia, Cardinia, 32 di Cyrena, 1 di Lu¬ cina, 2 di Cyprina e 3 di Corbula.

L’autore nota la mescolanza di specie d’acqua dolce con al¬ cune decisamente marine e la strana mancanza di gasteropodi e ne deduce che la formazione verrucana si depositò alla foce di un estuario o in prossimi littorali in accordo colle forme lito¬ logiche e colle impronte di passi di rettili. Dall’elenco delle specie risulta poi, sempre secondo l’autore, che la fauna trova la più estesa corrispondenza con quella del Weald e del Giura superiore dell’Hannover e che sopra 46 specie di esatta o per lo meno, come egli dice, di migliore determinazione, ben 40 si rinvengono nell’Hannover e quasi tutte nel Weald di tale regione. Osserva inoltre l’autore che in confronto coi mol¬ luschi del Weald dell’Hannover la fauna del Monte Pisano, oltre alla mancanza di gasteropodi, presenta, forse per cernita fatta nella sedimentazione, individui generalmente più piccoli e non ha quelle specie di lamellibranchi con grandi conchiglie, quali sarebbero molte delle Unio illustrate dal Bunker e dallo Struckmann.

Lo stato di conservazione di questi fossili del Monte Pisano non è il più favorevole per una esatta determinazione e ciò fu già riconosciuto dall’autore a pag. 58, quando confessa che i molluschi fossili da lui raccolti e studiati «son sempre rappre¬ sentati dal modello esterno per cui il loro studio è stato sempre molto difficile ed incerto »... e che « senza la pazienza e la perizia nell’arte fotografica del prof. Merciai non avrebbe po¬ tuto ottenere nitide rappresentazioni di fossili così imperfetti e così malamente conservati » ; basta, del resto, osservare le ripro¬ duzioni fotografiche delle tavole. La roccia, uno scisto verde

306

B. LOTTI

quarzo-sericitico granulare, non era la più adatta per una perfetta conservazione ed è quindi lecito il dubbio se le specie corrispon¬ dano in realtà a quelle determinate. Alcuni degli esemplari studiati dal Tommasi e che ora si trovano nella collezione del nostro Ufficio geologico, erano certamente fra quelli meglio con¬ servati; eppure egli non credè di poterne determinare con si¬ curezza nemmeno il genere.

Il Fucini ha potuto determinare circa 40 specie su quegli imperfetti e mal conservati esemplari ed io non vorrei elevare alcun dubbio su queste determinazioni ben conoscendo lo scru¬ polo e la coscienza con la quale l’egregio professore ed amico conduce le sue investigazioni paleontologiche, ma francamente dichiaro di non essere persuaso della rigorosa corrispondenza degli esemplari da lui studiati con le specie figurate e descritte dagli autori cui egli si riferisce. Io non posso addentrarmi in un esame che esula dalla mia competenza, ma vorrei far notare, come esempio, che la Gervillia arenaria del Monte Pi¬ sano è molto meno arcuata, meno obliqua, molto meno inequi- laterale della specie figurata, tra gli altri, dal Maillard 1 ; che anzi la figura del Maillard è straordinariamente simile alla Gervillia longa Geinitz, rappresentata e descritta dal White 2 3 e raccolta negli strati indubbiamente permiani del Texas. Questa specie del Geinitz proviene dalla formazione carbonifera e per¬ miana del Nebrasca e la sua indiscutibile somiglianza colla G. arenaria del Purbeek figurata dal Maillard dimostra lo scarso valore cronologico attribuibile a questa specie di fossili. Anche gli esemplari della G. obtusa del Monte Pisano sono meno obliqui degli esemplari figurati dallo stesso Maillard :5 ; questi ultimi hanno l’ala posteriore assai larga, piatta, troncata ad angolo retto, mentre l’anteriore è piccola, arrotondata alle estremità, molto convessa e separata dal resto della conchiglia per mezzo d’una depressione molto netta e brusca; ora mi sembra che negli esemplari del Monte Pisano l’ala anteriore sia molto svi-

1 Maillard G., PurbecTcien du Jura (Palaeont. Suisse, tav. Ili, fig. 35, 36, 1884).

2 White Ch. A., loc. cit.

3 Idem, loc. cit., tav. Ili, fig. 37, 38.

IL PERMIANO DEL MONTE PISANO

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lappata, acuta alla estremità e non sia nettamente separata dal resto della conchiglia. Così anche mi sembra molto difficile che il piccolo esemplare mal conservato, riferito alla Verna JBou- chardi , possa paragonarsi agli esemplari tipici del De Loriol ', come del resto lo stesso Fucini riconosce. Altrettanto dicasi per la Gorbula inflexa, per la Cyrena carinata e per altre.

Se poi il Fucini avesse consultato la memoria di William King sui fossili permiani dell’Inghilterra 1 2 3 avrebbe trovato nella tav. XIV riprodotte parecchie forme aventi una straordinaria analogia con quelle del Monte Pisano e nelle fig. 38, 39 e 40 ( Bakevellia Sedgwìclciana, King del Permiano) avrebbe ve¬ duto rappresentate con straordinaria rassomiglianza la Ger- villia arenaria Roem. fig. 35 e 36 tav. Ili del Purbeckiano del Maillard 2 e la Gervillia longa Geinitz del Permiano del Texas, rappresentata dal White 4. Saranno soltanto rassomi¬ glianze, va bene, ma esse, oltre alla persistente analogia di certe forme del Permiano e del Purbeck, stanno a dimostrare come facilmente in fossili così mal conservati si può essere tratti in errore.

Non nego che nell’insieme dei fossili descritti dal Fucini esistano delle analogie con faune giurassiche deH’Hannover, di Boulogne-sur-mer e di altre località erciniane, ma tale carat¬ tere mesozoico fu riconosciuto, come fu detto più sopra, a forme fossili trovate insieme ad altre decisamente permiane o pernio- carbonifere dal White, dal Gemmellaro, dal Waagen e dal Karpinsky; quindi questo carattere d’insieme non può avere un valore cronologico decisivo se non viene sussidiato da argomenti stratigrafici e litologici. Se questi dati fossero tali da accordarsi con le indagini paleontologiche, nulla si opporrebbe al riferi¬ mento della formazione in parola al Weald, ma se essi fossero assolutamente contrari a tale riferimento si dovrebbe, io domando,

1 De Loriol et Pellat, Monograph. pai. et géol. de la forni, jurassique de Boulogne-sur-mer (Mém. Soc. phys. et d’hist. nat. de Genève, tav. XXIV, p. la, tav. XXI, fig. 1, 1874-75).

2 King W., A Monograph of thè per mian fossils of England (Palaeon- tographical Society, London 1850).

3 Maillard G., op. cit.

4 White Ch. A., op. cit.

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B. LOTTI

forzare la stratigrafia e la tettonica, misconoscendo i risultati acquisiti dagli studi e dai rilevamenti geologici, dai più antichi ai recenti, non solo nel Monte Pisano ma anche nelle prossime Alpi Apuane e in tutta la Toscana, o piuttosto riconoscere nel fatto del ritrovamento di fossili di tipo mesozoico nel Permiano un altro esempio di promiscuità da aggiungersi a quelli del Texas, della Sicilia, dell’India e della liussia? Per me non esiste alternativa; i fossili descritti dal Fucini non possono aver va¬ lore cronologico decisivo. Non dimentichiamo a questo proposito che nel periodo wealdiano si riprodussero in varie parti del- FEuropa, specialmente in regioni a tettonica erciniana, condi¬ zioni d’ambiente analoghe a quelle del Permiano e si ebbero quindi nuovamente formazioni sedimentarie clastiche, lacustri e d’estuario, con depositi di combustibili fossili; è logica quindi la supposizione che in simili circostanze e in tali regioni anche la fauna e la flora dovessero presentare notevoli analogie nei due periodi geologici. Ma in Italia, come in altri paesi a tet¬ tonica alpina, le condizioni d’ambiente della vita permiana fu¬ rono molto diverse da quelle della vita nel periodo wealdiano. Il nostro periodo wealdiano, specialmente nella parte centrale della nostra penisola, è contrassegnato da formazioni argilloso- diasprine che denotano condizioni di mare profondo, mentre quello permiano fu da noi, come nelle regioni erciniane, un pe¬ riodo continentale.

Vediamo ora di dimostrare che stratigraficamente e litoio gicamente il verrucano del Monte Pisano non può riferirsi al Weald, ad altro piano del sistema mesozoico.

Ciò invero fu già da me fatto in una pubblicazione del 1888 1 alla quale potrei senz’altro rimandare; credo però opportuno di sintetizzare e riassumere in un quadro i fatti in essa esposti ed analizzati, per facilitare al lettore la comprensione di un pro¬ blema che tanto interessa la geologia della Toscana.

Per spiegare la stratigrafia e la tettonica del Monte Pisano conviene compararla a quella delle Alpi Apuane 2, che è la più

1 Lotti B., Un problema stratigrafico nel Monte Pisano. (Boll. Comit. geol., 1 e 2, 1888).

2 Zaccagna D., Carta e sezioni geol. delle Alpi Apuane. (Boll. Comit. geol., 4, 1897).

IL PERMIANO DEL MONTE PISANO

309

completa, ed a quella dei gruppi mesozoici che ad essa stanno dintorno quali: i Monti della Spezia, la Pania di Corfino, la Val di Lima, Borgo a Mozzano e i Monti d’Oltre Serchio ; que¬ st’ultimo gruppo distante solo 1500 m. in media dalla estre¬ mità NO del Monte Pisano.

A tale oggetto riporto nel quadro qui unito la serie dei terreni dall’alto al basso, a cominciare dall’Eocene, dei Monti d’Oltre Serchio, delle Alpi Apuane e del Monte Pisano, facendo notare che la serie del primo gruppo, per la parte compresa fra l’Eo¬ cene e il Lias, è identica a quella degli altri gruppi circostanti alle Alpi Apuane, a quella dei gruppi di Monsummano e Mon¬ tecatini Val di Nievole e di altri della Toscana, non che a quella delle catene mesozoiche dell’Umbria e delle Marche. Nei Monti della Spezia la serie delle Alpi Apuane si ritrova dall’Eocene fino a gran parte del Trias.

La successione delle formazioni nel quadro è quale effetti¬ vamente si presenta nei tre gruppi mesozoici notati. Nei Monti d’Oltre Serchio e nella parte NO del Monte Pisano la loro di¬ sposizione fino al Lias inferiore inclusive è isoclinale con pen¬ denza verso NO, ciò che significa o che in corrispondenza della Valle del Serchio, che separa i due gruppi, esiste una faglia o che sotto lo strato quaternario svolgesi una sinclinale. La enorme massa di verrucano che costituisce il Monte Pisano propriamente detto, ossia il gruppo del Monte Serra, può avere forse una tettonica un po’ più complicata, ma nell’insieme è rappresentato da una cupola grossolanamente circolare. In cor¬ rispondenza della Valle di S. Maria del Giudice si verifica un accidente stratigrafico che porta gli strati inferiori del verru¬ cano (scisti a flora permiana) della vallecola del Guappero, presso S. Lorenzo, in Vaccoli a brevissima distanza dal Lias inferiore di Vaccoli L

La parte del quadro più attinente alla questione è quello che comprende il Giura superiore. Nella serie del Monte Pisano noi troviamo in quella posizione stratigrafica un complesso di for¬ mazioni (i, k, 1, m), che manca affatto nel corrispondente in-

1 Lotti B., Due parole sulla posizione stratigrafica della flora fossile del verrucano nel M. Pisano (Boll. Coinit. geol., 2, 1891).

310

B. LOTTI

tervallo della serie delle Alpi Apuane e di quella dei Monti d’Oltre Serchio. Lo spessore di questo complesso eterogeneo di terreni non è inferiore ad un chilometro e di esso non vi ha più traccia non solo nelle Alpi Apuane e nei Monti d’Oltre Serchio ', ma nemmeno in tutti gli altri gruppi mesozoici cir¬ costanti. Anche nei Monti della Spezia, a Montecatini Val di Nievole e nelle catene secondarie dell’Umbria e delle Marche questo periodo del Giura superiore è rappresentato da diaspri, scisti e calcari scistosi con aptici, ossia da depositi di mare pro¬ fondo e in nessun luogo da rocce ad elementi clastici grossolani. Questa formazione scistoso-diaspriua si ritrova con identici ca¬ ratteri, come hanno fatto notare lo Zaccagna 1 2 e il Taramelli 3, nelle prealpi bresciane e nella Lombardia in genere.

Il quadro ci indica poi che le formazioni (i, k, 1, m) in¬ truse nella serie giurassica del Monte Pisano trovano la loro esatta corrispondenza in gran parte di quelle retiche e triassiche delle Alpi Apuane ed in quelle (o, p) del verrucano del Monte Pisano stesso.

Come spiegarci dunque l’intrusione di queste formazioni nella serie giurassica del Monte Pisano, intrusione, più che eccezio¬ nale, unica nella serie dei terreni mesozoici della regione? Io ne detti la spiegazione nella mia nota, più sopra citata 4, invocando l’intervento d’un’anticlinale ribaltata, di cui la gamba inferiore fu schiacciata, stirata e rotta, dando così luogo ad un accaval¬ lamento o faglia inversa, fenomeno frequentissimo nelle Alpi Apuane e nell’ Appennino, e cercai di suffragare tale spiega¬ zione con una serie di considerazioni cui rinvio il lettore.

Il nocciolo della questione risiede per me in questo fatto dell’assenza assoluta di rocce clastiche del tipo verrucano nella zona del Giura superiore dei gruppi mesozoici più volte citati. Se, anche ridotte ai minimi termini, di queste rocce clastiche,

1 Ugolini R, Descr. g eoi. dei Monti d’Oltre Serchio (Ann. Univ. To¬ scano, XXV, 1905).

2 Zaccagna D., I dintorni di Brescia e la pietra del Botticino (Boll. Comit. geol., 4, 1913-14).

3 Taramelli T., Spiegazione della carta geol. della Lombardia. Pavia, 1890, ed altre memorie.

4 Lotti B., Un problema stratigrafico, ecc.

IL PERMIANO DEL MONTE PISANO

311

riconosciute con analisi microscopiche e chimiche indubbiamente appartenenti al gruppo del verrucano, venisse constatata la esi¬ stenza nella detta zona giurassica, sarebbe allora il caso di proporsi la soluzione del problema in base agli attuali dati pa¬ leontologici.

Ma il Fucini, non potendo trovare queste rocce fuori del Monte Pisano fra gli strati diasprini del Giura superiore, in¬ voca in appoggio della sua tesi il fatto che nei dintorni di Gros¬ seto furono da me osservati degli strati d’una roccia clastica cui io detti il nome di pseudoverrucano e che si trova imme¬ diatamente sotto allo Eocene. Però queste rocce del pseudover¬ rucano non potranno mai scambiarsi con quelle del verrucano permiano e ne dissi altrove le ragioni *; lo spessore poi di questi strati è minimo non superando forse 7 o 8 metri, mentre il vero verrucano che, come ad esempio al Collecchio presso la stazione d’Alberese, trovasi a meno d’un chilometro di distanza, ha una potenza di diverse centinaia di metri. È questa la lo¬ calità che meglio prestasi per confrontare i due terreni e dal confronto risulta immediatamente la differenza notevole che esiste fra loro. Il conglomerato del pseudoverrucano, appena rappre¬ sentato, è bensì composto di elementi quarzosi provenienti ma¬ nifestamente dal prossimo verrucano, ma essi sono nettamente angolosi e la pasta che li lega non è sericitica, come in quello del verrucano, che anzi può dirsi che la massa cementizia manca affatto nel primo. Fra gli elementi silicei si notano poi diaspri rosso mattone e selce nera che non si trovano nel conglomerato del prossimo verrucano e sono invece in istrati fra gli scisti argil¬ losi mangauesiferi che racchiudono il conglomerato. Mancano inoltre fra questi scisti quelle numerose varietà di scisti rasati, scisti ardesiaci, quarziti e scisti quarzitici che si osservano nel vero verrucano.

Le rocce dello pseudoverrucano sono poi intimamente colle¬ gate per passaggi agli scisti argillosi policromi eocenici o tutt’al

1 Lotti B., Note descrittive sul rilevamento geol. delle tavolette di Or- betello, Talamone e Grosseto (Boll. Coniit. geol., 1, 1891); Verrucano e pseudoverrucano in Toscana (Ibid. 4, 1910); Sopra un ciottolo siliceo del verrucano (Ibid. 4, 1911).

312

B. LOTTI

più senoniani, che passano superiormente al nummulitico e con esso alternano, e non si saprebbe mai con qual criterio attri¬ buirle al Giura superiore che in questa parte della Toscana manca completamente, mentre il flysch eocenico e questi strati senoniani sovrappongonsi direttamente e con discordanza ai ter¬ reni liassici, retici e permiani.

La tesi wealdiana del Fucini, se provata, porterebbe al ri¬ sultato della coesistenza, che egli infatti ammette, nel Monte Pisano di due verrucani, uno giurassico ed uno permiano, i quali nella valle del Guappero, dove fu raccolta la nota flora antracolitica, verrebbero a contatto senza alcun fenomeno stra¬ tigrafico o litologico che serva a distinguerli. Niente d’impossi¬ bile in ciò; ma un fatto analogo si dovrebbe ripetere nel gruppo di Jano presso Volterra dove lo stesso verrucano, con tutte le forme di quello del Monte Pisano, si addossa con perfetta con¬ cordanza e passaggio a strati scistosi con flora e fauna del Carbonifero superiore 1 e il ripetersi dello stesso fatto in due località assai distanti fra loro, mentre è naturalissimo se il verrucano è permiano, non lo sarebbe altrettanto se dovesse ritenersi giurassico.

Si potrebbe poi chiedere: da dove e da quali formazioni questo terreno giurassico avrebbe tolto i suoi elementi clastici di quarzo filoniano come sono manifestamente quelli del con¬ glomerato del verrucano? Questi elementi si trovano in tutte le formazioni clastiche del Permiano, come, ad es., in quello della Costa d’Oro in Francia, e sappiamo che essi provengono da ter¬ reni prepermiani circostanti ricchi di filoni quarzosi più o meno metalliferi 2, ma per la formazione di un verrucano giurassico nell’area della Toscana occidentale non sapremmo immaginare un terreno adatto a fornire questi elementi. Si trovano è vero nell’Eocene, nel Miocene e nel Pliocene ciottoli di graniti, por¬ fidi, micascisti, gneiss ed altre rocce cristalline probabilmente arcaiche, ma elementi di queste rocce sono affatto sconosciuti

1 Lotti B., Alcune osservazioni sui dintorni di Jano presso Volterra, (Boll. Comit. geol., 3 e 4, 1879).

2 Lotti B., Die geschichteten Erzlagerstdtten und das Erzlager von Cap Garonne in Franlcreich (Zeits. f. prakt. Geologie, 8, 1901).

IL PERMIANO DEL MONTE PISANO

313

nel verrucano, quindi non può essere da questi terreni arcaici che un verrucano giurassico avrebbe potuto attingere i suoi ele¬ menti, essendo in quell’epoca tutta la penisola italiana ed anche gran parte della zona alpina coperta dal mare, e nemmeno d’altra parte li avrebbe potuti trovare nei terreni secondari pregiuras¬ sici perchè quasi intieramente calcarei. Per trovarne la prove¬ nienza bisogna quindi immaginare condizioni geografiche tali che poterono verificarsi bensì nel periodo continentale permo-carbo- nifero, ma non nel giurassico.

Nessun appoggio dunque può trovare la tesi del Fucini nei dati stratigrafici, litologici e paleogeografici, i quali tutti sono, anzi, ad essa decisamente contrari.

Il fenomeno della interposizione di calcari dolomitici caver¬ nosi, arenarie, scisti, calcescisti e anageniti fra strati del Giura superiore, verificatosi nel Monte Pisano, non si ripete in nes¬ suno dei numerosi gruppi mesozoici circonvicini, in altri della Toscana, dell’Umbria e delle Marche e nemmeno nelle Prealpi Lombarde, mentre quelle formazioni intruse si trovano dovunque altrove al loro posto originario cronologicamente fissato dai fos¬ sili: cioè nel Retico, nel Trias e nel Permiano.

I dati paleontologici in questo caso dovrebbero essere asso¬ lutamente indiscutibili per aver valore contradittorio di fronte alla tesi stratigrafica e la determinazione dei fossili non dovrebbe lasciar sussistere il minimo dubbio. Nel caso nostro infine biso¬ gnerebbe dimostrare che la presenza di quei fossili di tipo me¬ sozoico nel Permiano è un assurdo paleontologico e non che essi costituiscono una indicazione ; la quale sarebbe sufficiente- mente probatoria per terreni sconosciuti di regioni inesplorate ma non per terreni di cui la posizione stratigrafica e l’età son fatti ormai acquisiti alla scienza, non solo in Italia ma anche in buona parte dell’Europa.

A me pare quindi che molto maggior vantaggio sarebbe de¬ rivato alla scienza dalla erudita memoria del prof. Fucini se, limitatosi alla constatazione del carattere mesozoico dei fossili, avesse voluto intitolarla come io ho intitolato questo breve articolo.

[ms. pres. 28 dee. 1916 - ult. bozze 25 maggio 1917].

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NOTA PRELIMINARE

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UNA CAVA DI MATERIALI ARGILLOSI, REFRATTARI, CHE STA ATTIVANDOSI NEI DINTORNI DI ROMA

Nota del socio prof. R. Meli

Sulla sponda destra del Tevere, a monte di Roma, a N.N-E della città, sulla Via provinciale Tiberina presso Fiano Romano (circa 2 km. a valle dell’abitato) nella località « Prata-lata » si stanno ora eseguendo sterri per rimpianto e l’esercizio di una grandiosa cava per sfruttarvi le diverse qualità di argille e terre refrattarie, e, principalmente, per l’estrazione di un ma¬ teriale bianco, che sul luogo è qualificato come caolino, ed è spedito allo Stabilimento di ceramica di Viterbo, ove è usato, misto ad argille plastiche, per le ceramiche ordinarie.

Il materiale in parola è amorfo, compatto, bianco, forte¬ mente allappante, a frattura concoide, pellucido sugli spigoli, un po’ dolce al tatto, d’aspetto simile a gelatina indurita, o a porcellana in massa. Ha una densità di 2,17. Messo nell’acqua manca assolutamente di plasticità; si rompe sotto la pressione in frammenti angolosi, non in polvere, avendo numerose sm¬ elasi nella massa, dovute al coartamento, che ha subito la so¬ stanza per disseccamento. Anche i piccoli frammenti non sono \

plastici. E rigato dal ferro, e, a sua volta, non riga il vetro. Si presenta in masse irregolari, le quali, uell’interno e nella parte centrale, sono molto allappanti, aderendo fortemente alla lingua, ma gradatamente va diminuendo l’allappamento verso la superficie esterna, e quivi si cambia il minerale in una so-

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318

R. MELI

stanza bianco-verdognola, d’aspetto porcellanico, simile per co¬ lore alla Prelmite verdognola. Non fa alcuna effervescenza, anche a caldo, con gli acidi.

Il forte allappamelo, la mancanza assoluta di plasticità coll’acqua, la sua compattezza, il suo aspetto porcellanico e non terroso, fanno dubitare ad una semplice ispezione macroscopica, che si tratti di un caolino tipico; d’altra parte, la sua forte densità lo fa escludere dalla Giobertite, o Sepiolite, più comunemente detta schiuma di mare \ colla quale presenta parecchi caratteri comuni. Per le sue apparenze sembrerebbe quella varietà di Gio¬ bertite, che si cava a Baldissero e perciò detta Baldisserite. Un’analisi chimica della Giobertite di Baldissero fu fatta sul principio del secolo XIX da Giobert e trovasi riportata da Brard C. P., Nouveaux élcments de Mineralogie, ou manuel du Mi - neraìogiste voyageur, etc. Seconde édition, Paris, avril 1824,

1 La schiuma di mare ha una densità da 1,2-1, 6 e una Du = 2,5. Come è noto, trattasi di un silicato idrato di magnesio, con la forinola Mg2 Si3 O8 -+- 2H20. (De Lapparent A., C'ours de Mineralogie, Paris, F. Savy, 1884, in-8 gr., pag. 407. Ved. Magnesite). Dana J. assegna al suddetto minerale la durezza tra 2-2,5. (Dana J. D. and Brush G. J., A System of mineralogy. Fifth edition, London, 1871, in-8 gr. Ved. pag. 456-457, ove parla anche del minerale di Bandissero (sic) e della inesatta applica¬ zione del nome di Magnesite dato a questo minerale).

Nella VIa edizione ( The System of Mineralogy of James D/cight Dana, 1837-1868, Descrittive mineralogy. Sixth edition by Edward Salisbury Dana. New York, 1892, ved. pag. 680) è segnata la Du = 2 2,5 e la densità = 2, per la Sepiolite.

Naumann-Zirkel (Elemente der Mineralogie , XVa edizione, Leipzig, 1907, in gr., ved. pag. 695) dànno per la Schiuma di mare la mede¬ sima forinola sopra trascritta. Invece, De Lapparent, nella sua ultima edizione ( Cours de Mineralogie, Quatrième édition revue et angmentée, Paris, 1908, in 8°, pag. 549), segna la forinola H8 Mg2 Si3 O12 = Mg2 Si3 O8 -+- 4H20, ossia, con 4 molecole d’acqua, in luogo di due.

Kobell segna per la Sepiolite (. Meerschaum ) la densità 1,5, ved. Kobell v. Fr., Tafeln zur Bestimmung der Miner alien, Neunte vermehrte Auflage, Munchen, 1869, in 8°, pag. 88.

Brauns Reinhard, Il regno minerale. Traduz. con note e aggiunte per E. Artini, Milano, F. Maliardi, 1905, con atlante di 91 tav., considera la Sepiolite come il prodotto della decomposizione di altri minerali e specialmente del serpentino. Ved. pag. 355-356.

All’isola dell’Elba fu rinvenuta mista a carbonato di magnesio.

MATERIALI ARGILLOSI NEI DINTORNI DI ROMA

319

in 8. Ved. pag. 97. Alla pag. seguente, 98, è stampato che tale minerale del Piemonte è « employé dans plusieurs manu- factures de porcelaine, au lieu et place du kaolin ». Ma la schiuma di mare è decomposta dall’HCl e si ottiene silice ge¬ latinosa. Ciò non si verifica per il nostro minerale. La parte esterna delle masse, di color verdognolo, penso che sia silice idrata omogenea, var. resinite. Io credo che si tratti di un si¬ licato idrato di alluminio (argilla), in cui una parte dell’allu¬ mina possa essere forse sostituita dalla magnesia. Del resto, non essendo sufficienti i caratteri fisici per la precisa determina¬ zione della specie, occorrerà ricorrere alla analisi chimica per fissarla.

D’altronde, è noto che la magnesia nei caolini può sostituire in parte l’allumina e ne dànno esempio i materiali usati nei prodotti ceramici di Vinovo nel circondario di Torino, ove si hanno fabbriche di stoviglie, tenute in pregio appunto perchè nell’argilla adoperata è contenuta magnesia, sostituente in parte l’allumina, sempre allo stato di silicato idrato, la quale mag¬ giore durezza ai lavori di ceramica.

Del resto, la Giobertite è talvolta unita alla calcedonia, al¬ l’opale, alla resinite, alla schiuma di mare, alla Baldisserite, al Caolino. Tutti questi minerali si rinvengono, per esempio, l’uno associato all’altro, a Baldissero -Canavese a 13 km. da Ivrea ‘. In quel giacimento si trovano insieme: Giobertite, bianca, compatta, silicifera, con resinite, e con una varietà terrosa di Giobertite, detta Baldisserite. Ma vi si ritrova anche la Sepio- lite, o schiuma di mare, unita alla Giobertite ed al Caolino.

L’argilla bianca di Diano si trova in adunamenti ed in lenti irregolari interstratificata in mezzo a marne tripolaeee1 2, ad

1 Secondo Jervis (I tesori sotterranei dell'Italia, parte I, Regione delle Alpi, Torino, 1873, (op. cit.) pag. 128, n. 285) tutti i suddetti minerali furono osservati alle falde orientali della montagna, detta il Bricco Rosso, presso Baldissero.

2 Un materiale con diatomee fu rinvenuto presso Riano, a non grande distanza dalla cava di materiale refrattario di Fiano-Roma.no (Ved. Bo¬ netti F., Sopra il rinvenimento di un materiale diatomifero presso Riano. Negli Atti d. pont. Accad. de’ Nuovi Lincei, anno LXII, Sessione 17 gen¬ naio 1909).

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R. 5IELI

argille giallastre, brune (terre bolari), a sabbie grossolane un poco argillose, giallo-brune ferrifere (Lelim), che si rinvennero anche sulla sommità del Monte Mario, anni indietro, negli sterri fatti pel fortino militare e che si osservano in altre località del territorio romano e sulla costa del mare, per es. tra Anzio e Nettuno sopra il macco e si continuano dopo Nettuno, S. Rocco, Foglino, ecc.

La cava, lavorata all’aperto, è distante circa 1 km. dalla via provinciale Tiberina ed ora si stanno escavando trincee, le quali metteranno in evidenza l’estensione di quel giacimento e permetteranno di vedere la successione degli strati depositatisi in un bacino, ove ristagnavano acque dolci e tranquille.

Tutta la serie di argille e di marne tripolacee deve poi ri¬ posare sopra il grande banco di travertino, che si estende da Scorano fin oltre Fiano Romano sulla riva destra del Tevere L

I Sul travertino di Fiano Romano vedansi : Clerici E., Il travertino di Fiano Romano. Nel Boll. d. R. Comit. Geologico d’Italia, anno 1887, num. 3-4, pag. 99-121.

Del Torre Giacomo, t)i alcuni travertini. Studio fisico -chimico. Roma, 1883, in-8 gr. di pag. 16. Vi è riportata l’analisi chimica dei travertini di due cave di Fiano, cioè, della cava del Porto e di S. Sebastiano presso Fiano. (Ved. pag. 12, n. 7, e pag. 13, n. 8). La memoria è pubblicata nel- V Annuario del lì. Istituto Tecnico di Roma, Annata Vili, 1883, pag. 22-37.

Pellati Nicolò, I travertini della Campagna romana. Nel Boll. d. R. Comitato Geol. d’Italia, anno 1882, n. 7-8, pag. 196-221, con una carta dimostrante la situazione dei giacimenti e delle cave di travertino nella Campagna romana. (Ved. pag. 202-203, Cave di Fiano).

II travertino di Fiano è citato dal Corsi, il quale così ne parla: «... presso Fiano vi sono bellissimi travertini e di quelli fu ricoperto «il magnifico esterno della Basilica Vaticana». Corsi Faustino, Delle pietre antiche trattato. Edizione 2\ Roma, Salviucci, 1833, in-8. Ved. pag. 76. Le stesse parole sono ripetute nella III edizione del suddetto trattato (Roma, G. Puccinelli, 1845, in-8) alla pag. 76.

Il travertino di Fiano è anche segnato nel Catalogo ragionato dei pro¬ dotti minerali italiani, ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero d’Agr., Ind. e Comm. all’ Esposizione internazionale di Vienna , ordinati e descritti dal prof. G. Ponzi e F. Masi. Roma, Coltellini e Bassi, 1873, in-8 gr. Ved. pag. 26, n. 73.

Nel travertino di Fiano Romano fu constatata dal Clerici la presenza della Vitis vinifera Finn. (Clerici E., La Vitis vinifera fossile nei dintorni di Roma. Nel Boll. d. Soc. Geol. ltal., voi. VI, 1887, fase. 3, pag. 403-408).

MATERIALI ARGILLOSI NEI DINTORNI DI ROMA

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Il travertino affiora in più punti sulla via provinciale tra Sco¬ rano e Fiano, e sotto Fiano furono aperte ed esercitate le cave di tale roccia nei secoli scorsi, estraendo il travertino, messo in opera nella costruzione della chiesa di S. Pietro in Vaticano; una trentina di anni indietro, fu di nuovo cavato per essere impiegato in Roma nel rivestimento esterno dei muraglioni dei Lungo-Tevere, insieme ai travertini estratti dai grandiosi de¬ positi di Orte e della pianura sotto Tivoli

Nel pozzo in muratura, che si sta costruendo a poca di¬ stanza dalla via provinciale Tiberina per fornire di acqua po¬ tabile gli operai della cava e i fabbricati, che sono in costru¬ zione per il deposito dei camions, necessari al trasporto dei materiali argillosi dalla cava alla stazione ferroviaria di Monte¬ rotondo sulla opposta sponda del Tevere, si trovò, alla profon¬ dità di m. 15 sotto il piano di campagna, un banco di travertino, che dovrà essere attraversato. Probabilmente, dopo il travertino, si incontrerà lo strato acquifero nelle ghiaie, le quali dovrebbero essere sottostanti al banco. Difatti, più a monte della località in parola, cioè, nelle ultime cave, oggi abbandonate, di tra¬ vertino sotto Fiano Romano, oltrepassato il punto, ove si tra¬ ghetta il Tevere con la scafa, si può osservare che i travertini riposano su ghiaie di alluvioni antiche. Queste ghiaie potreb¬ bero essere la continuazione di quelle, che in potenti banchi si vedono alla stazione ferroviaria di Montorso (oggi di Poggio Mirteto) sulla opposta riva del Tevere, e delle altre, che sulla sponda destra si vedono a Borghetto (ora stazione di Civita - castellana-Magliano Sabino), a Gallese, tra la stazione ferrovia¬ ria di Gallese e quella di Orte. In queste tre ultime località le ghiaie riposano sopra i terreni pliocenici con fossili marini, ma sotto il diroccato castello di Borghetto, e nella valle del Treia alla salita di Civitacastellana nella località « I sassi ca¬ duti » le ghiaie in parola stanno sotto al grande banco di tufo giallo, litoide, con pomici nere, sul quale è fabbricato il paese. Tale banco di tufo fu profondamente inciso dai corsi d’acqua della regione, e presenta burroni a pareti verticali, scavati nel

1 Pellati N., I travertini della Campagna romana. Nel Boll. d. Coni. Geol., anno 1882, n. 7-8 (meni, citata).

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predetto tufo; esempio, i burroni, che si osservano a monte e a valle del ponte di Civitacastellana, nei dintorni di Sutri, Nepi, Castel S. Elia, ecc.

Nella cava, che sta attivandosi, affiora, a una diecina di metri appena dal binarietto Decauville di servizio, un calcare dolomitico, grigio-scuro, compatto, a frattura scheggiosa, di facies analoga ai calcari retici, esistenti nella parte opposta della val¬ lata Tiberina, alla base dei monti Cornicolani, Lucani, a Mar cellina sotto il Monte Gennaro, a Molitorio Romano, a Moncone. Tale calcare prosegue nelle cojline a monte e deve continuare nel sottosuolo (ricoperto dai terreni pliocenici, vulcanici e de¬ tritici, dai quali a intervalli affiora e spunta fuori) nella dire¬ zione dell’isolato Soratte. Difatti, emerge in più punti e costi¬ tuisce rilievi, come nei dintorni di Fiano Romano, presso le nuove sorgenti, che si vogliono raccogliere e condurre per for¬ nire l’abitato di altra acqua potabile, e più oltre, sempre verso il Soratte, a monte dell’ora riempito laghetto di Leprignano. Credo che il calcare, affiorante a Prata Lata, a giudicarne dalla sua facies , dalla sua situazione topografica e dalla tettonica dei suoi strati inclinati verso N-W, debba riportarsi al piano retico. In tal caso sarebbe la roccia più antica che si mostri negli im¬ mediati dintorni di Roma sulla destra del Tevere. Io non vi ho potuto trovare fossili in una gita affrettata, che vi feci nello scorso ottobre, ma con ulteriori e più accurate ricerche è spe¬ rabile che vi si possa rinvenire qualche fossile, il quale serva alla determinazione dell’epoca di quei calcari L

1 Nella carta geologica da 1 a 100.000, pubblicata nel 1888 dall’Uf- ficio Geologico (foglio di Palombara-Sabina), sono indicate a N. di Fiano- Romano masse di calcari liassici, che spuntano fuori, a guisa di isole, dai circostanti terreni. È pure indicato il calcare, affiorante a Prata Lata, ma è riferito alinocene medio. È poi segnato di retico alla base del So¬ ratte, a N-W del monte.

Di eocene e di oligocene nella regione romana sulla destra del Te¬ vere non conosco affioramenti all’infuori di quelli, che si mostrano a Bus¬ sano e Capraniea di Sutri (sulla linea ferrata Roma-Viterbo) e che si collegano con le rocce sincrone dei monti Ceriti, tolfetani e di Civita¬ vecchia.

E vero che nei proietti lanciati dai vulcani sabatini e che si tro¬ vano racchiusi nei tufi gialli della Valchetta, della Celsa e nei tufi grigi

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Ritornando al caolino, questo importante materiale, cosi ri¬ cercato nelle industrie ceramiche, era già conosciuto e indicato, da oltre un secolo, nella provincia di Roma.

Si trova, infatti, alla Bianca nei monti di Tolfa (circondario di Civitavecchia) ove è cavato ed usato da oltre mezzo secolo per mattoni refrattaria

G. Jervis segna il caolino di Tolfa nel suo libro: I tesori sotterranei dell' Italia. Parte II, Regione dell’ Appennino e vul¬ cani attivi e spenti dipendentivi. Torino, E. Loescher, 1874, in-8, e dice solamente « che fu sperimentato ottimo per la fab¬ bricazione della porcellana ». (Yed. voi. II, pag. 493).

G. Ponzi nel suo lavoro: La Tuscia Romana e la Tolfa (R. Accad. dei Lincei, 1876 77, Classe di se. tìsiche, mat. e nat., Serie 3a, voi. I), scrive un capitolo sul caolino di Tolfa e narra le vicissitudini che ha subito l’esercizio e lo sfrutta¬ mento di quella cava. (Ved. pag. 52-53 dell’estr.) l. Ma lo stesso autore scrisse anteriormente una nota Sull’origine dell’ Allumi¬ nile e del Caolino della Tolfa. Atti d. Accad. pont. dei Nuovi Lincei, voi. XI, Sessione VII del 13 giugno 1858. Fu anche riconosciuto ed escavato nei dintorni di Civitacastellana e della stazione tramviaria di Ponzano presso la via Flaminia.

La presenza del caolino alla Tolfa è facilmente spiegabile, perchè proviene dalla alterazione del sanidino delle rocce erut¬ tive tolfetane (li pariti, traehi-andesiti), che in cristalli macrosco¬ pici e qualche volta abbastanza voluminosi, vi è disseminato come uno dei minerali costituenti quelle rocce eruttive mo¬ derne.

Il caolino nelle valli sotto Civitacastellana si presenta in lenti di limitata estensione, irregolari, disseminate nei terreni di alluvione. Perciò, quantunque conosciuto fin dagli ultimi anni

(li Peperino (località tutte sulla via Flaminia) si sono rinvenuti frammenti di calcari, più o meno alterati, del tipo alberese (lo che prova che nel sottosuolo dell’area, occupata dalla conoide dei vulcani sabatini, debbono certamente trovarsi gli strati dell'alberese), ma è pure vero che strati eocenici od oligocenici non affiorano visibili nei dintorni di Fiano-Romano.

1 Nella cartina geologica della Tuscia Romana (tav. I), annessa alla memoria del Ponzi, è segnata la formazione di travertino sotto Piano Romano, della quale si è parlato sul principio della presente nota.

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del secolo XVIII, non ha potuto essere sfruttato regolarmente. Esso proviene dalla alterazione delle leuciti della grande cor¬ rente di leucotefrite, la quale si mostra subito dopo il ponte di Ci vitacastellana e si continua fino nella valle del Tevere, giun¬ gendo al Km. 68 della linea ferroviaria presso Borghetto. La roccia sopra indicata contiene cristalli icositetraedri [211] di leu¬ cite in tanta quantità da risultare la leucite il componente prin¬ cipale nella massa della roccia. Là, dove affiora questa leuco¬ tefrite, nella parte superiore presenta le leuciti allo stato ter¬ roso e caolinizzate. Le acque meteoriche, dilavando la superficie della predetta corrente lavica, hanno poi riunito, in fondo alle vailette circostanti, il caolino, che si trova sparso irregolarmente in lenti nelle ghiaie di alluvione.

La corrente di leucotefrite, che si rimonta da Borghetto fino al ponte dementino di Civitacastellana, fu notata, per la sua appariscente macrostruttura porfirica, fin dalla metà del se¬ colo XVIII. Ne parlarono, tra gli altri naturalisti vissuti nel secolo predetto: Desmarest (1773), D’Aubreuil et Guenée (1774), De Saussure H. B. (1776), Sage (1784), De la Lande (1790), Petrilli G. (1791), Salmon U. P. (1799), von Buch (1799, 1801), e, sul principio del secolo XIX: Pini E. (1801), Bureau de la Malie (il quale colloca il cratere, dal quale uscì la corrente lavica, presso il Ponte Felice) ‘, Breislak S. (1801, 1811, 1818), Brocchi G. B. (1814, 1817), Procaccini Ricci V. (1821), Haus- mann J. F. L. (1822), Pareto L. (1844), Spada-Medici L. (1845), ecc. Questo ultimo fa osservare che i cristalli di leucite nella lava di Borghetto sono cambiati in caolino (caolino, pseudomorfo di leucite icositetraedra). Il Salmon poi, fin dal 1799, scrisse una memoria speciale sulla roccia in parola col titolo: Mémoire sur un fragment de basalte volcanique tire de Borghetto, ter- ritoìre de Home. La memoria fu letta all’Accademia fisico-ma¬ tematica di Roma ed è pubblicata nel Journal de physique, de chimie, d’histoire naturelle et des arts par J.-C. Delamétherie, tome XLV1II, Paris, 1799, pag. 432-442. Sulla corrente di

' Invece G. Jervis avverte giustamente che la lava leucitica discese dai monti Cimini verso il Tevere a Borghetto (Jervis G., I tesori sotter¬ ranei dell’Italia , parte II (op. cit.), pag. 518, n. 2067).

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Bor gli etto e su questa località ho stampato un elenco di pub¬ blicazioni nella mia: Breve relazione delle escursioni geologiche eseguite con gli allievi della lì. Scuola d' Applicazione per gli ingegneri di Roma nelVanno scolastico 1891-92 con indicazioni bibliografiche su Borghetto, Caprarola, Bagnala ed appendice bibliografica su Viterbo. Roma, Tip. d. R. Accad. dei Lincei, 1893-97, in- 1 6, di pag. 261. (Ved. le note a piedi delle pagg. 10-20). Ma quel mio lavoro, essendo stato stampato in un ri¬ strettissimo numero di copie, è quasi sconosciuto ed è introva¬ bile, perchè oggi assolutamente esaurito.

Un altro giacimento di caolino trovasi sulla destra del Treia, nella località « Ponte Ritorto » a breve distanza dalla stazione di Ponzano della tramvia Roma-Civitacastellana, il cui binario è collocato sulla via Flaminia. La cava è parimenti sulla destra di chi percorra questa via, venendo da Roma L II materiale fu estratto e, anni addietro, fu adoperato anche nelle fabbriche locali di ceramiche; ma, essendo inquinato dall’ossido di ferro, ne fu sospesa la escavazione. Questo giacimento si presenta su¬ periore ad una estesa formazione di un eccellente travertino, assai compatto, che è escavato dalla Società Lazio 1 2. Il caolino di questa località fu lavorato dal Volpato sul principio dello scorso secolo, ed il Volpato ottenne una concessione da Leone XII in data 15 settembre 1826 relativa al suddetto caolino. Però era conosciuto prima della fine del secolo XVIII. Difatti, Gian- vincenzo Petrilli nel suo libro: Gabinetto mineralogico del Col-

1 Di questo giacimento è fatta parola nella mia memoria: Cenno delle escursioni geologiche eseguite con gli allievi ingegneri della li. Scuola d’ Ap¬ plicazione di Roma, nelVanno scolastico 1907-08. Roma, 1908, in-16, con 4 vedute (Ved. pag. 7).

2 Sulle cave di travertino di Ponzano, esercite dalla Società Lazio, cfr. R. Meli, Relazione delle escursioni tecnico-geologiche eseguite nel 1915 con gli allievi ingegneri della R. Scuola di Applicazione di Roma (alla Salina di Corneto- Tarquinia, a Civitacastellana e dintorni). Roma, 1916, in-16. Ved. pag. 10.

Le cave di travertino di Ponzano, esercite dalla Società Lazio, sono segnate nella carta topografica, nella scala di 1 a 500.000, annessa alla sopra citata memoria del Pellati (ved. n. 6, col nome di cave di Civita¬ castellana).

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legio Nazareno descritto secondo i caratteri esterni e distri¬ buito a norma dei principii costitutivi. Roma, Lazzarini, 1791-92, voi. 2, in-8, scrive alla pag. xix del voi. I: « non dovremo noi » ricercare le preziose argille, che si formano dalla decompo- » sizione delle sostanze vulcaniche, essendosene trovate a Civi- » tacastellana delle bianche null’affatto inferiori alle tanto rino- » mate del Vicentino » e, nello stesso volume, parlando della terra da pipe, dice: «appartiene a tale specie l’argilla bianca e untuosa rinvenuta non ha molto nelle vicinanze di Civitaca- stellana». (Ved. voi. I, pag. 194).

•v

E anche indicato dal Brocchi nel suo Catalogo ragionato di una raccolta di rocce disposto con ordine geografico per ser¬ vire alla geognosia dell’Italia, Milano, I. R. Stamperia, 1817, in-8. (Ved. pag. 140, n. 13 e specialmente n. 14).

11 caolino di Civitacastellana è parimenti menzionato dal Gialli , che riporta le stesse parole del Brocchi, avvertendo (e qui il Galli prese un equivoco) che tale argilla bianca non era stata adoperata nella fabbrica di terraglie l.

Ma le notizie più importanti sul caolino di Civitacastellana e della Tolfa si trovano nell’interessante lavoro dell’ing. Lam¬ berto Demarchi, I prodotti minerali della provincia di Roma. Roma, Eredi Botta, 1882, in-8 (Estr. d. Annali di Statistica pubblicati dal Ministero di Agricoltura, Industria e Comm., Voi. 2, Serie 3a). Ved. pag. 109-117.

Campioni dei caolini di Tolfa e Bussano di Sutri, nonché un mattone refrattario fabbricato col caolino della prima loca¬ lità, furono inviati alla Esposizione internazionale di Vienna del 1873, come può rilevarsi consultando il Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio, (op. cit.) alla pag. 61, n. 221 e pag. 63 n. 232.

Per altre indicazioni sui caolini della provincia di Roma si può leggere : Zezi Pietro, I caolini e le argille refrattarie in Italia (Boll. d. R. Comit. Geolog., voi. VI, 1875. Ved. pagg. 305-307 e 318).

1 Galli A., Cenni economi co-statistici sullo Stato Pontificio con ap¬ pendice. Discorso sull’Agro romano e sui mezzi di migliorarlo. Roma, Tip. Camerale, 1840, in-8. Ved. pag. 135.

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Più recenti dati statistici sulla produzione del caolino della nostra provincia si possono avere sfogliando i volumi della Ri¬ vista del servizio minerario, che annualmente sono pubblicati dal Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio (Ispettorato delle Miniere), nei quali volumi sono contenute notizie e dati numerici per ciascuna annata sui Caolini, Argille refrattarie, Magnesite, ecc.

Le ulteriori escavazioni, che stanno^ eseguendosi per siste¬ mare la cava di Prata Lata nei pressi di Fiano Nomano, per¬ metteranno di valutare l’importanza e l’estensione del giacimento del materiale refrattario, estratto e messo già da qualche tempo in commercio, non che faranno rilevare la sezione geologica e, con essa, il posto, che esso occupa in quelle rocce quaternarie, depo¬ sitatesi sulla destra del grande alveo diluviale del Tevere. L’ana¬ lisi chimica servirà a fissarne la specie. Non dubito, però, che si tratti di caolino, (forse misto in piccola parte a qualche altro silicato idrato di magnesio), il quale nella parte esterna delle masse dovrebbe passare a una delle tante varietà di silice idrata, od opale L

1 Nella provincia di Roma è stato rinvenuto l’opale. Alla Tolta tro¬ vasi una bella varietà di' resinite gialla, a frattura nettamente concoide. Nelle rocce trachitiche di Allumiere, in mezzo alle quali si hanno i fi¬ loni di Allnmite, sembra che si sia trovato an'che l’opale nobile. Io l’in¬ dicai sulle notizie datemi dal card. T. Mertel, nativo di Allumiere, e ne feci una comunicazione alla Soc. Cfeol. Ital. nell’Adunanza tenutasi in Roma il 25 ottobre 1896 (Boll. d. Soc. Geol. ital., voi. XV, 1896, fase. 3°, pag. 456-457; ved. ancora: Rivista di Mineralogia e Cristallogr. ital. di¬ retta da R. Panebianco, voi. XVII, 1897, pag. 64-65). Del resto, Brocchi (1817) citò l’opale comune, bianco-giallognolo alla Cava Grande presso Allumiere nella roccia liparitica, entro la quale si scavano i filoni di Allnmite e nella Allnmite stessa concrezionata (Brocchi G. B., Catalogo ragionato (op. cit.), pag. 132, n. 27 e pag. 133, n. 41). Sullo stesso mi¬ nerale di Allnmite di Tolta lo Spada Medici nel 1845 indicò la Ialite; anche il Bombicci (Corso di Mineralogia, 2a ediz., Voi. II, pag. 639) ac¬ cennò il semiopàle ad Allumiere. Lo Struver (1876) confermò il ritro¬ varsi della ialite nelle lave laziali. Più recentemente Washington citò l’opale (var. jalite) nella Ciminite e Fantappiè (1899) segnò l’opale nei Minerali nuovi od in nuove condizioni di giacitura della regione Ciminu,

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Quantunque le notizie, ora date, sieno da considerarsi come preliminari ed incomplete, tuttavia ho creduto di pubblicarle, stante l’importanza tecnica e scientifica presentata dal mate¬ riale caolinico, scoperto a pochi chilometri da Roma. Mi ri¬ serbo di tornare sull’argomento, quando avrò studiato, e la gia¬ citura, e la qualità del materiale sopraccennato.

Roma, 31 ottobre 1916.

[ms. pres. 13 nov. 1916 - ult. bozze 23 maggio 1917].

ANTICA E RECENTE PIANURA DEL CHIESE

STUDIO GEOLOGICO

Nota del socio sac. F. Caldera

Preliminare.

\

E questo un modesto contributo allo studio sulle alluvioni del Chiese, o diremo meglio del sistema del Chiese, poiché è difficile assai nelle epoche antiche seguire le traccie e le scor¬ ribande dei fiumi. Come è noto essi percorrono il continente a linee serpeggianti, volgendo or qua ed or le loro quete o tu¬ multuose acque. Nel quaternario hanno i fiumi limitato assai le loro scorrerie, restringendosi nei limiti che presentano at¬ tualmente.

La pianura che è presentemente oggetto di questo studio si inizia allo sbocco della Vallesabbia nel territorio di Yolciano; ha direzione da N a S e SO limitata a destra dai monti cal¬ carei di Pradaglio-Gavardo-Serle-Nuvolento-Rezzato, ed a si¬ nistra dalle colline moreniche ed alluvionali di Soprazocco- Villa di Salò-San Felice e di Manerba che percorrono tangenziali il lato OSO del golfo di Salò. L’estremo limite SO raggiunge la brughiera di Montichiari, il colle pliocenico di Castenedolo e volge poi ad arco di cerchio in senso N a collegarsi alle ul¬ time propaggini dei colli di Virle e di Rezzato. Complessivamente raggiunge il massimo di 125 kq. 1

1 Non è il caso di parlare di quel lembo di pianura del Chiese che esisteva nella valle di Salò fino a Gazzane (Volciano). Quella pianura certamente gunziana scomparve per la frattura Salò-Gazzane ed ora è coperta dalle colline moreniche mindelliane e rissiane dell’anfiteatro di Volciano.

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A sinistra del Chiese la pianura è più elevata in media dai 20 a 25 m. a confronto della pianura che è alla destra del fiume e per una larghezza di circa 8 chilometri fino al lago. Questo terrazzo che in massima parte è alluvionale, è sezio¬ nato nel senso della sua lunghezza da colline moreniche ed alluvionali a guisa di dune, mentre lungo la linea sinuosa del lago emergono le colline eoceniche di Manerba e di Portese (M. Sasso). Al vertice della pianura di questo grossolano trian¬ golo isoscele, ossia allo sbocco della Vallesabbia, si eleva il M. Covolo a m. 336 di sopraelevazione dalla pianura, solo, iso¬ lato e sembra eretto artificialmente a guisa di cono a sbarra¬ mento della Vallesabbia. A destra poi del fiume Chiese la pia¬ nura in generale si presenta abbastanza uniforme ed assai poco accidentata.

Aggiungo che il motivo del presente studio è stato determi nato da un concetto espressomi dall’egr. Prof. A. Cozzaglio, il quale giustamente ritiene di somma importanza lo studio della pianura per meglio rilevare le scomparse idrografie dei rilievi collinosi e montuosi, e perciò porgo all’egr. prof, e saggio con¬ sigliere i miei ringraziamenti.

Il Chiese nel terziario.

Ordinariamente le correnti continentali hanno un’origine quaternaria, ciò nullameuo qua e talvolta riscontriamo deie¬ zioni dell’epoca terziaria.

1. Il Chiese terziario, come ha motivo di credere ed ebbe a pubblicare l’egr. prof. A. Cozzaglio in L’aspetto geologico della Riviera Benacense da Salò a Limone, dalla grande barriera dolomitica del lago d’klro che faceva riscontro a quella pure dolomitica del lago di Garda, passava a quanto pare per la valle di Ledro (v. p. es. il conglomerato di Biacesa) e de¬ positava anche a Tignalga (Prahione) certe breccie dolomitiche che ora formano i conglomerati detti di Tignalga.

2. Nel messiniano il Chiese passando per gli altipiani di Degagna e di Vobarno depositava elementi calcarei cementati

ANTICA E RECENTE PIANURA DEL CHIESE

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a Corna Bnsarola (Volciano) e sulla scaglia rossa del S. Barto¬ lomeo (Salò) e non solo qui come subito vedremo \

Ora a determinare meglio la successione delle alluvioni del Chiese è bene notare che gli elementi di cui è costituito nella sua quasi totalità il conglomerato di Corna Busarola e del S. Bartolomeo, sono calcarei, delle formazioni liassiche, giuresi, con dolomie e Raibl rosso, e corrispondono agli elementi costitu¬ tivi della bassa Vallesabbia, Dobbiamo aggiungere ai cong-lome- rati sopranotati, quelli di M. Castello di Moscoline, del M. Singia, come pure i conglomerati di quota 277 a N delle Distillerie di C. Betteioni, pure appartenenti al territorio di Moscoline. A questi ci pare di poter aggiungere altri conglomerati coevi o di poco più recenti e cioè quelli che esistono coperti del fi. gl. mindelriss. presso C. Terzago di Limone (Gavardo).

Tutti questi agglomerati fortemente cementati sia per la loro ubicazione, sia per la loro morfologia, fanno credere che si deb¬ bano essi pure riferire al messiniano, come Corna Busarola ed il S. Bartolomeo. Difatti consideriamo :

a) che i conglomerati di Moscoline oltre contenere i me¬ desimi elementi del S. Bartolomeo e di Corna Busarola hanno la medesima compatta cementazione a grossi banchi con inter¬ clusi straterelli arenaceo dolomitici, come anche al S. Bartolomeo.

b) Il fluvio glaciale mindelrissiano, di cui dovremo occu¬ parci in questo studio, si addossa a questi depositi cementati dal lato NE e si protende ai fianchi di M. Castello e di M. Singia in forma collinosa e più elevata degli stessi conglomerati, così da formare con questi un semicerchio, intercettando l’avanzarsi del glaciale rissiano e vurmiano del Garda. Al di qua difatti non esiste che la pianura rissiana che va degradando sulla linea sinistra del Chiese.

c) La pendenza S dei grossi banchi di conglomerato, il dislivello ed il loro dislocamento, le multiple fratturazioni in vario senso, ci confermano che essi hanno subito l’effetto del-

1 Ho chiamato messiniano il conglomerato di Corna Busarola e del S. Bartolomeo, contro l’opinione di alcuni geologi basandomi sui recenti studii del prof. Cozzaglio pubblicati recentemente.

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l’abbassamento della pianura veneto-lombarda che si iniziò nel¬ l’Oligocene.

d) Dando uno sguardo anche alla planimetria ci vien fatto di constatare che partendo dal punto più alto cioè da Corna Busarola m. 474 1. m. fino a M. Castello (Moscoline) punto di arrivo quota 286, sopra un rettilineo di 8 chilometri abbiamo un dislivello di soli m. 188, quindi una percentuale di poco più del 2 °/o- Ciò considerato, non è assurdo, temerario considerare i conglomerati di Moscoline quali relitti di pianura messiniana, collegati a quelli di Corna Busarola e del S. Bar¬ tolomeo con dolce pendenza verso la pianura padana. Non as¬ surdo, temerario, ripetiamo, poiché anche il prof. Sacco nel suo studio geologico sull’anfiteatro morenico del lago di Garda cita messiniano il M. Orfano di Rovato, e messiniane le colline di Sale di Gussago, di Badia, di Fantasma come alcuni conglo¬ merati di Castenedolo. Ebbene, osservando le quote altimetri¬ che troviamo un rapporto che presso a poco equivale a quello di sopra citato poiché M. Orfano è a 402 del I. m., Sale di Gussago a 15 chilometri di distanza è a 173 m. di sopraelevazione del 1. m. con dislivello di m. 229 e una percentuale dell’ 1,5 °/0. Posti questi fatti, ci pare di poter conchiudere che i sunnomi¬ nati conglomerati sono certamente preglaciali e con tutta pro¬ babilità messiniani e coevi a quelli di Corna Busarola e del S. Bartolomeo.

3. 11 mare pliocenico deposita sul miocene del S. Bartolomeo le sue marne azzurre ricche di fossili studiati dal prof. Sacco. Per effetto dell’abbassamento della regione e del ritiro del mare fa seguito una fase continentale di grosse alluvioni sulla pia¬ nura rimasta in posto, ed era evidente. Noi possiamo osservare con vero stupore le cime del colle di S. Bartolomeo costruite da alluvione ad elementi triassici con arenarie e porfidi, con blocchi imponenti di calcare grigio e coperte attualmente da boschi e da erbe selvaggie che impediscono i rilievi di dettaglio. Ma questi elementi villafranchiani non sono a ceppo, ma sciolti e caotici.

Il villafranchiano a ceppo emerge qua e lungo la linea delle colline moreniche e al disotto di queste, come ad es., a Calvagese, secondo il prof. Cacciamali, il quale pure mette pre¬ glaciali le breccie bianche di Cilliverghe; ed anche il prof. Sacco,

ANTICA E RECENTE PIANURA DEL CHIESE

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nel citato studio, pone l’astiano ed il villafranchiano tanto a Castenedolo, come a Cilliverghe, ed il solo villafranchiano tra Calvagese e Cantrina (Bedizzole) L

11 villafranchiano venne anche riscontrato sotto l’alluvione della pianura a Paitone, ove in un pozzo praticato in casa del sig. Fracassi, ora Braga, si ebbe ad incontrare un conglomerato compattissimo ad elementi fini ed arrotondati e composto di sabbie calcaree e di ciottoletti alpini. E un ceppo a cementazione azzurra, motivo pel quale lo si attribuisce al villafranchiano.

E qui finisce per ora l’elenco dei relitti sporadici delle al luvioni del sistema del Chiese dell’epoca cenozoica ; ma dovremo ritornare a parlare del pliocene sulla fine del presente studio, quando diremo dei ciottoli alpini disseminati sul pendio e sui ripiani dei monti liassici sul percorso da Degagna a Rezzato.

Il Chiese nel quaternario.

Passano frattanto secoli inesplorati, il clima si fa umido e rigido. Sulle Alpi grandiose precipitazioni atmosferiche coprono di nevi e di ghiacci gli enormi rilievi dell’alta montagna. Le rigide fiumane glaciali scendono lungo i fianchi dei monti e per le valli che si vanno di mano in mano escavando. Le acque meteoriche per azione chimica, i ghiacci per azione dinamica limano, corrodono e smantellano le barriere rocciose e scendono a valle, in pianura una, due, tre e quattro volte, con larghi periodi di sosta. Nella pianura il ghiacciaio si ferma, si strugge e depone ad arco di cerchio la grande massa morenica di ma¬ teriali sfotti, triturati, come di elementi più grossolani e taluni di enormi dimensioni, i massi erratici, vere monoliti o stele di di un mondo misterioso e gigantesco. 11 sistema fluviale si svolge più grandioso ed imponente. Immensi corsi d’acqua, contributo dello sfasciamento dei poderosi ghiacciai, solcano le valli inci¬ pienti portando e trascinando con il poderoso tributo di de-

1 Riteniamo pure villafranchiani i conglomerati a SO di Dongaina (Moscoline) lungo la riva sinistra del Chiese. Essi sono ad elementi minuti bianchi e grigi, contenenti anche ciottoli alpini.

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triti, di sabbie e di ghiaje alle ampie depressioni continentali per costruire cogli stessi elementi le pianure attuali.

Perpendicolarmente alla linea dell’accennato abbassamento pliocenico del Lombardo-Veneto ed in conseguenza del frattu- ramento roccioso avvenuto della regione pedemontana, conside¬ rata come linea di partenza o estremo limite NE di detto ab¬ bassamento, e facilmente in prosecuzione di una linea di frattura valsabbina, si va scolpendo a poco a poco la Vallesabbia che prende la forma e la direzione attuali. Abbassatosi così il livello della pianura che stiamo studiando, il Chiese giunto a (razzane (Volciano), non più costretto fra l’arginatura dei monti, e libero di sè, scende verso Salò. Ma come sappiamo questa pianura ori¬ ginaria è scomparsa per abbassamento in seguito a frattura, ed è ora coperta da morene mi ndel liane e rissiane.

Perciò tra Salò (m. 64 1. m.) e Gazzane (media 243 1. m.), come a Tormini (m. 227 1. m.), abbiamo un dislivello di m. 179, e 163 sopra una linea di km. 3 con pendenza percentuale del 5,9 °/0 e del 5,4 %. Posto questo veniamo a giudicare le varie fasi costruttive della attuale pianura del Chiese e dei suoi periodi glaciali. Questa pianura si profila chiaramente al di del golfo di Salò lungo il margine 0 del lago e presenta tre se¬ zioni. La più profonda di esse è composta da due strati di fan¬ ghiglie gialle intercalate con strati di ghiaje e di sabbie assai fini, levigate ed arrotondate ; la seconda, di dette sabbie cal¬ caree ancora con accenni ad elementi alpini e di scaglia rossa. Al disopra insiste ove la morena wurmiana ed ove un inter¬ glaciale di cui diremo più avanti. Questa antica defezione allu¬ vionale prosegue per Portese e S. Felice. Più in non è facile riscontrarla, perchè va a mescolarsi al talvegh di una corrente prelacuale i cui materiali si riscontrano all’Isola Principe Bor¬ ghese, a S. Felice ed a Manerba misti a calcari eocenici asportati dalla pressione glaciale lungo il margine eocenico SO del lago L

Dopo S. Felice la pianura si va sensibilmente abbassando ad

*

1 Notiamo qui per coincidenza come pure il prof. Cozzaglio ha rile¬ vato a Manerba, Rivoltella, Desenzano, Padenghe ecc., elementi sporadici appartenenti alla pianura del Chiese. Anche il Taramelli ammette una corrente preglaciale sulla stessa linea, di cui non è facile determinarne la provenienza.

ANTICA E RECENTE PIANURA DEL CHIESE

335

un tratto, e pare lungo una linea di frattura Portese-S. Fe- lice-Raffa-Puegnago, ecc., così che da quota 140 e 150 ad 0 di S. Felice si discende a 77 a Pieve di Manerba, a 76 a Punta Sevino estremo limite E della pianura; ed il medesimo si nota lungo il percorso Raffa-Manerba, ove da 1 52 a Raffa la pianura si abbassò a 119 al crociale di Manerba. Anche i banchi ghiaiosi colle melme intercalate che al Cimitero di Salò esistono a più metri sopra il livello stradale, a punta del Corno (Portese) discendono sotto il livello del lago. Altra conferma dell’accennato abbassamento della pianura veneta. Ora motivi topografici e cronologici ci indu¬ cono ad ammettere che le sabbie e le melme suaccennate che si profilano al di del golfo di Salò lungo la linea Muro (Salò)- Portese fino al lago e che sono sottostanti alle morene ed al fluvioglaciale più recente, si debbano attribuire a pianura gun- ziana.

In una seconda fase del gunziano, il Chiese evidentemente piegava più a destra in direzione di Soprazocco, Moscoline, Calvagese, Carzago, Bedizzole etc. Su questa linea e sopratutto ad E di M. Covolo come a Soprazocco, a Villa (Salò), a Raffa. a S. Felice, a Manerba, a. Moscoline, Castrezzone, Carzago, Be¬ dizzole ecc., si ripetono variamente ubertosi lembi di pianura qua. e accidentata ed incorniciata da rilievi collinarii more¬ nici ed interglaciali. Questi ritagli, diremo così, di pianura alta della sinistra del Chiese, come la pianura di destra del fiume, presentano i medesimi materiali di sabbie e di g’hiaje calcaree grigie (elementi dolomitici), come lungo il margine estremo della pianura verso Salò di cui sopra. Questi materiali sono pure gunziani, ma le sabbie sono meno levigate e meno arrotondate, ciò che indica come la sosta della corrente in posto fu meno lunga, poiché come vedremo tosto il fiume deviò di nuovo verso destra portandosi sempre più in direzione Sud.

Nella pianura non si riscontrano elementi del intergla ciale, poiché evidentemente esso fu assai ristretto. La fluitazione del Chiese che in questo periodo certamente volgeva per Ga- vardo-Goglione, indi divagando in vario senso da sinistra a destra costruiva la pianura sottostante all’attuale, era di calma. Dai colli alluvionali e morenici di Moscoline-Calvagese-Be- dizzole, essa si estendeva in larghezza fino ai colli di Serie,

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P. CALDERA

Nuvolera e Rezzato e più in là. costruiva la pianura di Monti- chiari, Castenedolo, Ghedi, Montirone e Borgo Poncarale, ove gli elementi vanno a confondersi colle antiche deiezioni del F. Mella discendente da Valle Trompia. Forse in questo periodo, ma più facilmente nel interglaciale, il Chiese, superata la barriera roc¬ ciosa dei detriti cretacei esistenti tra M. Covolo ed il margine inferiore del saliente di Prandaglio, passava per Villanuova-Ga- vardo. Profonde escavazioni della pianura se esistessero potreb¬ bero fornirci dei particolari e renderci più esatto conto dei materiali fluitati senza, a mio credere, mutare, la natura degli elementi, l’epoca cui sono riferiti. Però è da notare che siccome queste sabbie grigie relativamente fine coprono una vasta estensione ed hanno uno spessore costantemente elevato, possiamo ritenere che la fluitazione normale fina durò anche lungo la fase mindelliana.

La seconda sosta glaciale, e diciamo sosta in senso relativo, poiché siamo convinti che l’azione glaciale non si estinse mai completamente sulle Alpi, ma che si debba ammettere una al ternativa di ritiri e di reinvasioni del rigido elemento, trovò la depressione padana già terrazzata e passò un lungo periodo di anni e di secoli nei quali l’azione dei fiumi e delle acque di disgelo fatta torbida e torrentizia invase nuovamente la pia¬ nura terrazzando le morene mindelliane del Garda, sovrappo¬ nendo l’immenso cumulo di ghiaie e di ciottolame sciolto e caotico in lunghe linee rilevate o dune, come si vogliano chia¬ mare, lungo i due margini estremi della Valtenese, come nella depressione di Gazzone (Volciano) a Pompignino (Vobarno); così pure nella pianura di Gavardo-Goglione-Ciliverghe-Castenedolo ecc., formando un terrazzo mediano lungo tutto il percorso della stessa pianura. Queste speciali dune del interglaciale si riuni¬ scono come al vertice di un angolo nei pressi di M. Covolo e di qui partono nelle varie direzioni per Villa (Salò), Ratfa, Por¬ tese, S. Felice; così per una linea quasi a questa parallela e più a destra da Soprazocco, Villa, Puegnago, ove pare finisca sepolta sotto le morene rissiane. Lungo il lato occidentale di questo angolo che è quello che segue il percorso sinistro del Chiese, le collinette interglaciali si iniziano a N di Gavardo, proseguono per Moscoline, Castrezzone, Calvagese, Carzago e Bedizzole ed altra linea è

ANTICA E RECENTE PIANURA DEL CHIESE

337

anche più esterna alla cerchia morenica e forma in gran parte i margini collinari immediati della sinistra del Chiese. Notiamo poi che questo interglaciale in alcune parti forma grossi banchi di conglomerato come ad es. a quota 193 sulla linea tramviaria Tormini-Villa e precisamente sopra C. Molini di Campoverde, ove esiste tutt’ora uno scaricatore d’acque, così a Moniga (Mo¬ scoline), Masciaga e Cantrina (Bedizzole). Altro particolare degno di nota si è che in varie località i medesimi elementi si trovano associati insieme e come in accantonamenti come i fossili; ad es. sopra Casa De Ziuis (Calvagese) vi sono dei conglomerati composti esclusivamente o quasi di calcari neri, ed i medesimi calcari neri, ma sciolti si rinvengono sopra la collina di Cili- verghe : così a N di Limone (Gavardo) abbiamo il silicifero sciolto, come pure sul colle di proprietà Goletti ancora a Cili- verghe.

Che tale formazione appartenga al interglaciale o min- del-rissiano è provato dal fatto che presso il Garda si rileva interposto fra la morena mindelliana e quella rissiana p. e nella località Zette di Salò in due luoghi, così a SO di Villa di Salò. Lungo la linea del Chiese in più luoghi ancora come nella Valletta di Torre di Mocasina, lungo la rampa che sale a Mocasina, a Carzago dietro la parrocchia; mentre a N di Limone presso la Chiesa della Madonna di Caravaggio, ove non giunse la morena rissiana, venne coperta da quella wurmiana. Anche i proff. Baldacci e Stella, che al loro tempo ignoravano i progressi che dovea fare più tardi la glaciologia per merito del prof. Penk, hanno riscontrato alluvioni intermoreniche in varie località sulla strada tramviaria Tormini-Villa. Nella piana Gavardo-Goglione-Ciliverghe-Castenedolo si ripete il medesimo fenomeno, in proporzioni meno elevate lungo la linea mediana della pianura formante un terrazzamento a dolci curve e con lieve espandimento anche fino ai piedi dei monti calcarei di Ga- vardo-Paitone ecc., sovrapposto alle sabbie grigie mindelliane e gu oziane.

Tale interglaciale è quasi esclusivamente composto di roccie alpine e quivi abbondano le tonaliti, i porfidi, le are¬ narie permiane, gli scisti finitici ecc., con pochi elementi di calcare. In proprietà Ferretti a Gavardo, tale alluvione è così

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F. CALDERA

sfatta e ferretizzata da servire alla fabbricazione di laterizia Il contrasto fra i materiali della pianura sottostante mindelliana e gunziana, con quelli che l’irruenza del fiume vi ha sovrap¬ posto nel citato interglaciale è stridente; al di sotto abbiamo le sabbie fini a calcari grigi, al di sopra al contrario un am¬ masso caotico di roccie grigie ed oscure con elementi grossolani e talvolta con massi enormi.

Ci permettiamo di aprire qui una parentesi, giacche l’ordine delle idee ci richiama alla mente un enorme macigno che esiste nella bassa pianura di Goglione ed è chiamato dal gergo popo lare col nome di Corna Mancina. Sorge a destra del Chiese ed immerge nel fiume dirimpetto alla rampa stradale di Moca- sina. Geologicamente è corna tipica o sinemuriano; morfologi¬ camente è simile «ad un dado gigantesco di me. 216 di volume. Come è là? Escludiamo l’idea che si tratti di un masso erratico del glaciale del Garda, e ci arride quella di ritenerlo un masso erratico del glaciale della vicina regione montuosa di Gavardo o di Paitone, ed innanzi tutto perchè quei monti sono costituiti di corna ed in secondo luogo perchè a quanto pare non si deve negare una azione glaciale per quanto limitata, avve¬ ratasi nelle nostre Prealpi. Se i ghiacciai enormi delle Alpi Passirie-Venoste e Bronie sono giunti sino a noi, perchè mai vorremo negare che il fatto medesimo si sia ripetuto, sebbene in miniatura al confronto, anche fra noi a 1000, ed anche a 700 m. sul 1. m. e compiere come quei ghiacciai un’azione disgregante, dinamica, nonché meccanica, portando alla pianura a 2 o al massimo a 3 chilometri di distanza dei massi staccati dai dossi rocciosi dei monti vicini? Li presso vi sono altri massi di corna sebbene più piccoli per una estensione di circa 25 mq., e più sotto altri a forma di monticolo. Questi avrebbero fatto contemporaneamente il medesimo cammino e per la stessa causa, compagni e satelliti del grande monolito la Corna Mancina. A questi potrei aggiungere l’accumulo roccioso di corna esistente alla destra del Chiese ad O del Ponte Olisi (Calvagese). Questi monticoli chiamati col nome di Mottclle costruiti da materiale assai grosso, angoloso emergente dalla pianura dell’interglaciale vogliamo attribuire alla la fase del glaciale ossia al gunziano ma non del Garda, ma dei colli vicini.

ANTICA E RECENTE PIANURA DEL CHIESE

339

Ora, tornando a noi, questo apparato di elementi alpini e di volume assai considerevole spiega renorme ammasso delle acque di disgelo della più potente e più estesa glaciazione, la min- dei liana, che trasportò lungi dallo sbocco della valle questo imponente e smisurato pondo di materiali caoticamente fluitati dalla irruenza delle acque.

Ora visitando le cave della pianura di Goglione, noi ve¬ diamo rivelarsi il lento passaggio dalle semplici sabbie grigie gunziane e mindel liane che sono alla base, ai materiali più grossi composti di roccie alpine che spiegano la torbida ed il torrentizio succeduti alle correnti tranquille e normali precedenti.

Qui si potrebbe far punto, che lo studio sarebbe finito, poiché oltre il interglaciale di cui si è finora parlato, il fiume ha così ristretto le sue acque che oramai non ha altro ufficio al- l’infuori di quello di rimaneggiare i materiali mindelliani e non presenta fluitazioni più recenti se non quelle che si riscontrano lungo la Yallesabbia, come a Pompignino, a Yobarno, a Sabbio. Ripetiamo che lo studio per sarebbe finito, ma realmente non possiamo fare a meno di presentare ai geologi due fatti sopra i quali richiamiamo una speciale attenzione. Intendiamo ora parlare delle così dette Mottelle e dei ciottoli alpini arrotondati che si trovano dispersi sui monti calcarei circostanti alla pianura ora studiata. Il fenomeno curioso non è sconosciuto ai geologi bre¬ sciani, ma non venne studiato. Tentiamo di sciogliere questa specie di nodo gordiano e di rubare il secreto a questa sfinge coll’interpretazione dei due fatti, ma senza la pretesa di essere infallibili.

Le mottelle alluvionali e depositi consimili

(Drift).

In una mia nota pubblicata nel giornale « La Sentinella di Brescia» deH’anno 1911 su la valletta di Mocasina ed in altra pubblicata nello stesso anno dal periodico «Illustrazione bre¬ sciana» ed intitolata : Pianura del Chiese, era d’avviso che le breccie bianche della vailetta di Torre di Mocasina si doves¬ sero a fenomeno oroidrografico, e che fossero di importazione

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F. CALDERA

del Chiese e quindi di natura alluvionale. Ho detto breccie perchè per la prossimità della loro origine, i monti cioè di Ga- vardo e di Paitone, non hanno potuto subire levigazione di sorta e molto meno l’arrotondamento, come avviene delle roccie roto late per la valle dall’azione dinamica dei fiumi ed ascriveva allora quel deposito al interglaciale. Ora dopo considerazioni in vario senso, mi sembra che esse debbano essere più antiche ed abbraccio volentieri l’opinione del prof. Sacco, il quale nello studio succitato rileva tra Calvagese e iCantrina i banchi con¬ glomeratici c strati arenaceo sabbiosi , talora con ci ottoioni a fa¬ cies morenica , attribuendoli al Villafranchiano ; ma il prof. Sacco non ha notato però, quello che pure ha notato a Castenedolo ed a Ciliverghe, le sabbie e marne gialle marino fossilifere , attribuen¬ dole all’ Astiano '.

Il collega H. Bonomini in una nota pubblicata nel Bollettino geologico dell’anno 1911 sosteneva una tesi contraria alla sue¬ sposta. Egli affermava allora che le breccie di Mocasina fossero di importazione glaciale. Duoimi di non potere accettare questo concetto dell'amico e di dover qui in parte ricalcare le mie convinzioni d’allora.

Delle breccie di Mocasina ne hanno fatto cenno il prof. Ra- gazzoni, Piatti, Cozzaglio; ne ha scritto il prof. Cacciamali in Appunti sull'anfiteatro morenico benacense, Pavia 1014. Egli attribuisce il conglomerato bianco ad azione fluviale gunziana; le breccie poi di calcare bianco le chiama pregunziane, colli¬ mando in ciò coll’opinione del prof. Sacco. Nel vallone di Mo¬ casina l’ammasso caotico breccioso di corna (che innegabilmente è più recente dei conglomerati ma di poco) si addossa a banchi di conglomerato che sono pure costituiti da breccia bianca e si internano nella vailetta e tengono normalmente una leggera pen¬ denza E. Questi conglomerati sono poi coperti dal fluvio-glaciale mindel-rissiano.

11 medesimo fenomeno si ripete due volte ancora sempre sulla sinistra del Chiese, la prima volta a poca distanza del

1 Si noti che tale deposito ha notevole importanza sia per la sua lun¬ ghezza, 200 m. circa, sia per la sua elevazione dal piano stradale per Mocasina, ed anche perchè contiene oltre le breccie bianche minute, molti elementi di dimensioni considerevoli, pure degli stessi materiali.

ANTICA E RECENTE PIANURA DEL CHIESE

341

vallone di Torre di Mocasina, dirimpetto a Corna Mancina, ove, sottostante alla morena e dirupanti sul Chiese, abbiamo gli stessi conglomerati sopra una lunghezza di 40 m. e per l’al¬ tezza di circa 10 in.; la seconda sotto l’altipiano di Cantrina (Bedizzole) e presso l’imbocco di Roggia Lonata, colle medesime proporzioni, ove stando a destra del fiume si scorgono ancora breccie bianche e conglomerati.

Breccie e conglomerati sono in questa località immediata¬ mente sovrapposti agli strati oligocenici che si scorgono emer¬ gere dal fondo del fiume, ma coperti dalle acque. Nel conglo¬ merato che anche qui strapiomba sulle acque del Chiese si scorge una caverna orizzontale al fiume che a quanto pare venne per¬ forata da un masso roccioso che vi si vede dentro; marmitta alluvionale ?

Le mottelle o drift sono piccole elevazioni di natura rocciosa, detritica e compatta che emergono dalla pianura. Oltre quelle sopra elencate che attribuisco ad azione glaciale locale, ne ab¬ biamo 3 altre; una nella campagna di Goglione Sopra sotto¬ stante ed anche in parte emergente di fianco a C. Vaisecchi, chiamata comunemente col nome di Maroca. Due altre sono nella campagna di Goglione Sotto e lungo una medesima linea ideale da N a S a destra del Chiese. Una di queste è situata in proprietà Gozzetti ed è la più elevata e più ampia a m. 4 di sopraelevazióne dal suolo circostante. Duecento metri più a S se ne scorge un’altra che si eleva circa un metro dal suolo coltivato, la quale pare si estenda nel sottosuolo più in dei pochi metri di superficie dalla quale affiora, poiché all’intorno il terreno è brullo e secco. La differenza morfologica di queste tre mottelle è facile rilevarla, poiché esse a confronto di quelle che seguono i margini del Chiese sono ad elementi assai ridotti e minuti in generale, mentre quelle sono costruite con mate¬ riali assai grossolani e quasi a stratificazione. Tanto le breccie di Mocasina, quanto le breccie bianche delle mottelle conten¬ gono vari elementi giuresi, cretacei con qualche accenno a roccie alpine.

Finalmente anche a Ciliverghe come a Castenedolo si ripete l’identico fenomeno. Sotto l’alluvione del interglaciale si riscon-

342

F. CALDERA

trano le breccie bianche ed i banchi a ceppo molto compatto, coi medesimi elementi giuresi ecc.

Premesse. la La pianura antica messiniana doveva nelle due località di Mocasina e di Cantrina formare una depressione per cui qui più che altrove doveano fluitare il maggior numero di materiali a breccia bianca.

2a II Chiese sovraggiungendo nel gunziano doveva creare due ellissoidi nelle due depressioni o due angoli ottusi con ver¬ tice logorante la conoide alluvionale precedente di Mocasina e di Cantrina e difatti quivi è evidente il lavoro di asportazione nella breccia e nel conglomerato.

Di tutto ciò che si è detto qui sopra mi convince che le breccie bianche di Mocasina e di Cantrina, sciolte e compatte che siano, come quelle delle Mottelle e di Ciliverghe si deb¬ bano attribuire al medesimo fatto, alla identica causale di flui¬ tazioni piuttosto locali, o di brevi corsi d’acqua scendenti dai monti calcarei di Gavardo, Paitone, Serie, ecc. ; ed ecco perciò a riscontro di queste conoidi le valli incise nella corna di detti monti. È evidente del resto supporre nel periodo villafranchiano grandi precipitazioni atmosferiche e forse anche glaciazioni che non dovevano soltanto essere come dissi ristrette alla Grande Alpe, ma allargate in proporzione anche nelle nostre prealpi e perciò le torrentizie franose escavatrici dei salienti e dei mar¬ gini dei colli pedemontani. Così ancora risulta evidente un altro fatto che dette breccie e conglomerati bianchi appartengono al¬ l’ultimo periodo del terziario, cioè al villafranchiano.

Così credo di poter dare una interpretazione se non esau¬ riente, almeno forse non del tutto errata delle Mottelle, come dei relitti brecciosi di Mocasina, di Cantrina e di Ciliverghe in una regione ove il predominio appartiene alle sabbie grigie come allo sfacelo caotico di roccie cristalline. Dopo questo è legittima una domanda. Come si spiega che nelle breccie bian¬ che si trovano elementi giuresi ed anche alpini? Rispondo che al disopra della corna abbiamo qua e in posto le formazioni giuresi, ed in secondo luogo, come dirò tosto, sui monti sunno¬ minati si rivela un leggero espandimento alluvionale di cotesti materiali cristallini.

ANTICA E RECENTE PIANURA DEL CHIESE

343

Ciottoli alpini esistenti sui monti calcakei.

Ed eccoci a parlare di questi enigmatici ciottoli che si tro vano facilmente nel terriccio, o sepolti nel ^ferretto dei monti calcarei sulla linea Degagna-Gavardo-Serle-Rezzato. Chi per¬ corre le balze di cotesti monti e sopratutto chi si ferma sugli spiani a 600 m. come a 400 ed anche a quote inferiori si im¬ batte con certa frequenza in ciottoli arrotondati di modesta gros sezza costituiti di graniti (tonalite, sienite, ecc.), varietà di porfidi, schisti micacei, arenarie rosse, ecc. Dinnanzi a questi fatti la mente corre a fare delle supposizioni e la più naturale è quella di ammettere a quelle altezze delle valli e delle correnti ora scomparse per un seguito di fatti difficili a rilevare. A chi co¬ nosce l’andamento di queste colline non deve riuscire difficile il ricostruire idealmente una valle, quando tenga conto di tutti i fatti di spiccata natura di terrazzamento tectonico. Difatti a poco dislivello dalle due quote 600 e 500 m. s. 1. m. possiamo seguire e rilevare ruderi di terrazzamento e dei talvegh, come a S. Martino di Degagna, a Corna Busarola, S. Bartolomeo, M. Covolo, a Prandaglio, a Strubiana (Gavardo), a Salzena e Marguzzo (Paltone), Tesio di Gavardo, Villa, ed alla Parrocchia di Serie. Qui la valle sprofonda unitamente alle formazioni gin- resi di Molvina nella valle di Bottinino. O il Chiese quindi o qualche altra corrente percorreva un giorno per quegli altipiani che nel loro muto linguaggio ci presentano levigati ed erosi quei margini e quei rocciosi rilievi.

Possiamo noi fissare dei limiti e determinarne l’epoca? Ve¬ diamo. Incominciamo col dire che ciò doveva essere avvenuto prima dell’abbassamento della pianura veneto-lombarda e prima del dislocamento stratigrafico delle nostre prealpi.

Si parla dai geologi di un corrugamento oligocenico ; è un dogma di fede che ci presenta la scienza. Ritengo che il dislo¬ camento delle masse in vario senso in basso e per riflesso anche in alto, nella regione in studio sia avvenuto un più in ri¬ tardo e cioè verso la fine del pliocene, altrimenti non saprei spiegare il pliocene del S. Bartolomeo di Salò. Lavorando di

344

F. CALDERA

induzione è fuori di dubbio che noi non iscorgiamo nella conoide del S. Bartolomeo attribuita al miocene e nemmeno nel conglomerato di Corna Busarola che rarissimi elementi alpini, perchè nel suo cammino a ritroso (catture) il Chiese non era ancora pervenuto ad incontrare i materiali cristallini o alluvio¬ nali od in posto, siano essi della Valcamonica per la valle di Daone, o siano del Trentino, o meglio del Tirolo. Questi ele¬ menti li scorgiamo più frequenti nella parte superiore del Vii lafranchiano, come è dato osservare sopra le marne del piacen- ziano del S. Bartolomeo, ove l’alluvione che ivi si trova è frammista ,con elementi cristallini, e potrebbe appartenere alla fase astiana, cioè all’ultima fase del terziario.

Così al medesimo periodo credo si debba attribuire l’espan¬ dimento di questi ciottoli alpini alle quote 600 e 500 ed anche

al disotto di queste sul tracciato sopra segnato Degagna-Ga-

\

vardo-Serle, ecc. E certo che la Vallesabbia non era ancora scolpita così profondamente come lo è ora, ma soltanto abboz¬ zata e perciò l’abbassamento della pianura benacense e per contraccolpo l’arricciamento ed il dislocamento, come il frattu- ramento multiplo ipogeo degli strati marnosi e calcarei dei colli marginali alla pianura ora studiata dovettero accadere alla fine del pliocene. Perciò gli elementi alpini ripeto disseminati sui colli pedemontani sono relitti del villafranchiano superiore.

Più tardi, forse verso la metà dell’epoca glaciale in seguito ad un secondo abbassamento della pianura pedemontana percorsa dal Chiese attuale, avvenuto per frattura in senso NS, il Chiese deviò in ultima fase seguendo l’attuale linea di frattura tan¬ genziale alle colline alluvionali e moreniche Gavardo-Moscoline- Bedizzole.

Tale è il concetto scientifico che lo scrivente si è fatto della poligenesi della pianura alta e bassa del sistema del Chiese nel terziario e nel quaternario, dal lago di Garda fino alla bru¬ ghiera di Montichiari-Castenedolo. Tali i criterii quali vennero esposti sulla origine delle Mottelle e dei ciottoli alpini sui monti calcarei Degagna-Gavardo-Serle-Rezzato.

Così il Chiese nato bambino in grembo alle nostre Prealpi, crebbe, diventò gigante fino a salire sui fianchi delle nostre Alpi dioritiche del Tonale e deH’Adamello ed a strappare brani

ANTICA E RECENTE PIANURA DEL CHIESE

345

a brani dagli artigli dell’aquila bicipite le nostre terre, come oggi fa anche il nostro orgoglioso esercito ed a ritornarle alla madre patria, cui per diversi titoli appartengono e sopratutto per i suoi meriti e diritti oroidrografici. Ora il Chiese come vecchio decrepito e paralizzato non esce più dal suo letto che si è preparato con tante fatiche, presentando a noi una veri¬ tiera immagine della vita umana, la quale percorre per tre punti di una linea che diremo antropologica, il punto di partenza cioè la nascita, il punto medio, ossia la virilità, e raggiunge finalmente l’estremo limite, ossia la morte.

Salò, 17 novembre 1916.

[ms. pres. 20 nov. 1916 - ult. bozze 28 maggio 1917].

-

l

INDICE

DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XXXV

Atti della Società.

FASC. PAG.

t. Consiglio direttivo per l’anno 1916 . ni

» Elenco dei Presidenti e delle sedi delle adunanze generali

estive . iv

•» Elenco dei Soci:

Soci onorari . »

Soci perpetui . »

Soci residenti in Italia . v

Soci residenti all’estero . xiv

» Elenco dei cambi . xvi

» Resoconto della prima adunanza ordinaria . xxv

» Appendice:

Meli R. Sopra una arenaria contemporanea, con¬ tenente monete, rinvenuta in Roma nell’alveo del Tevere nei lavori di fondazione del muro del Lungo-

Tcvere Raffaello Sanzio . xxxvn

Meli R. Presentazione di fossili, scoperti nei tufi vul¬ canici della valle del Sacco, presso il molino di Ga- vignano e sopra la sorgente dell’Acqua Meo, alla base del monte di Gavignano, in provincia di Roma. xlii Franchi S. Se l’Eocene sia rappresentato nella sin¬ clinale di Courmayeur . xlv

2. Commemorazione del socio prof. comm. Francesco Bassani

(G. D’Erasmo) . xlix

3. Resoconto della seconda adunanza ordinaria. . . > . . lxxvii

» Commemorazione del socio prof. comm. Giuseppe Tuccimei

(R. Meli) . lxxxix

» Commemorazione del socio prof. Carlo Bruno (F. Sacco) xcix » Commemorazione del socio prof. Pietro Zuffardi (C. F. Pa-

rona) .

» Commemorazione del socio Giorgio Marini (A. Neviani)

cvii

cxiv

348

INDICE

Memorie e Comunicazioni scientifiche.

FASC. * PAG.

2. Blengino A. Cenni geologici del circondario di Nuoro

nei rapporti fra coltura agricola e costituzione del suolo

(Tav. XI) . 145

» Bongo F. Osservazioni sulle salse dette « Bolle della Mal¬ vizza » nel territorio di Montecalvo Irpino, circondario di Ariano di Puglia (Tav. Ili) . 102

3. Caldera F. Antica e recente pianura del Chiese . . . 329

1. Checohia-Rispoli G. Per la conoscenza del fenomeno

carsico nel Gargano. Terzo contributo . 24

» Checohia-Rispoli G. Osservazioni geologiche sull’ Ap¬ pennino della Capitanata. Parte IV . 31

2. Checchi a-Rispoli G. Su alcuni Echini di eocenici del

Monte Gargano (Tav. I) . 81

3. Checohia-Rispoli G. Su alcune rocce a foraminifere

delVeocene medio della Capitanata . 235

2. Colomba L. Gesso di Sardigliano (Tortona) (Tav. II). 95

1. Craveri M. La conoscenza geologica del terreno nella

guerra moderna . 43

» De Stefano G. Il valore sistematico e filogenetico del si¬ stema dentario nella determinazione degli Flasmobra nchi fossili . 1

3. Lotti B. Il permiano del Atonie Pisano e i suoi tipi

mesozoici di fossili . 303

» Martelli A. Appunti geologici sull’isola di Scarpanto

(Tav. XIV) . 215

» Meli R. Nota preliminare intorno una cava di mate¬ riali argillosi, refrattari, che sta attivandosi nei din¬ torni di Poma . 317

» NevianiA. - Delle lediti (pietre figurate) (Tav. XII, XIII) . 189

» Porti s A. I primi avanzi di quadrumani del suolo di

Roma . 239

» Sangiorgi D. Flora fossile delVImolese (Tav. XV) . . 279

2. Serra A. Rocce eruttive e metamorfiche del nord della

Sardegna (Ozieri-Castelsardo) (Tav. IVaX). . . . Ili

Boll. Soc. Geol. Ital., Voi. XXXV (1916)

FRANCESCO BASSANI

tu in Thiene il 29 Ottobre iSj]

ni. in Capri il 26 Aprile 1916.

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FOT G D ERASMO

( CHECCHI A RISPOLI G. ) Tav I

Boll. Soc. Geol Ital., Voi XXXV (1916).

ELIOT. CALZOLARI » P E R R AR I O -MIL ANO

CAMPAGNA PHOT.

Boll. Soc. Geol. Ital., Voi. XXXV (1916).

( S © r ra ) T a v . IV.

Fig. 1

Fig. 2

(fot. dell'autore) Eliot, calzolari & ferRario-mk a* :

Boll. Soo. Geol. Ital., Voi. XXXV (19161.

i. Serra ) Tav. V.

fìr. b

Fi g- 4

(fot. deu.'autore)

ELIOT. CAuZCLAKl 4 TERRARIO M'LANO

Boll. Soc. Geol. Ital., Voi. XXXV (1916),

( Serra ) T av. VI

Fig\ 5

Fig. fi

(fot. dell'autore)

ELIOT. CALZOLARI IFERRARi'-.-M. a

Boll. Sco. Geol. Ital., Voi. XXXV (1916)

( Serpa ) Tav. VII

Fig. 8

(fot dell'autore)

ELIOT. CALZOLARI * FERR ARIO'

ULANO

Boll Soc. Geol. Ital., Voi. XXXV (1916).

( Serra ) Tav. Vili.

Fig. 9

Fig. 10

(fot. dell'autore)

ELIOT. CALZOLARI icERKARiO-MUÀ'’*C

Boll. Soc. Geol. Ifeal., Voi. XXXV (1916).

( Serra ) Tav. IX.

Fig. Il

Fig. 12

(fot dell'autore)

ELIOT. CAwZCLARI fc F E R R A R I O - M i L AN O

.

Boll Soe. Gaol. Ital., Voi. XXXV (1916).

( Serra ) Tav. X.

Fig. 13

(fot. dell'autore)

ELIOT. CALZOLAI. &. c t RR A R ' 0 - M I L ANO

La Società Geologica desidera permutare con altre annate od anche acquistare copie dei vo¬ lumi XXVIII, XXIX, XXX, XXXI e dèi fascicoli e del volume XXVIII, e del volume XXIX, 1-2 dei volumi XXX e XXXI del Bollettino.

Dirigere le offerte all’ Archivista ing. C. Crema, ''orna, via S. Susanna, 13.

Redazione del Bollettino.

Si raccomanda che i manoscritti ed i disegni delle memorie che si presentano pel Bollettino siano conformi alle disposizioni del Regolamento per le pubblicazioni, inserito nel volume XXXI, a pag. clxxxviii.

Prezzo di vendita dei Bollettini.

Per i volumi I, II, III, IV, V, VI lire 6; per i volumi XIII, XIV, XVI, XVII lire 10; per tutti gli altri lire 20.

A chi acquista direttamente dalla Società più di 2 volumi, si accorda lo sconto del 25 % ; più di 10 volumi del 40 %.

Per acquisti di meno che 3 volumi è accordato ai soli librai uno sconto del 20 %.

I Soci hanno diritto ad un ribasso del 60 % Per l’acquisto di una copia dei volumi pubblicati anteriormente al loro ingresso nella Società, anche acquistandoli separatamente.

L’indice dei primi 20 volumi è messo in vendita a lire 2 senza alcun ribasso.

II prezzo dei tascicoli separati verrà stabilito proporzionalmente a quello del volume cui appartengono.

E in facoltà del Consiglio di escludere dalla vendita isolata quei volumi che fossero ridotti a pochi esemplari, limitandola a chi acquisti una copia completa del Bollettino, od ai Soci che acquistassero la serie completa dei volumi pubblicati prima del loro ingresso nella Società. Facoltà analoga è accordata all’Archivista per la vendita dei fascicoli separati.

Il Presidente responsabile : Ing. Vittorio Novarese.