BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ: DI NATURALITI PENIAENEAFEZIORLE SERIE I. — VOLUME IX. CATENERINEORELTO= 1895 NAPOLI R. TIPOGRAFIA FRANCESCO GIANNINI & FIGLI Cisterna dell’Olio, casa propria 1396 PERS e ANA VENAETONANO I PINE SINO EST) BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DI NATURALISTI SAU MSÙIIAII 77777 ‘Gj3X * JUN; nà 4 197 i Ai Va O) DS ; Wie / VAL muse U® BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ: DI NATURALKTI EENKOENITAPFESOESEE SERIE I. VOLUME IX. 1895 F'ascicolo PErimo (Pubblicato il 15 Agosto 1895 ) NAPOLI R. TIPOGRAFIA FRANCESCO GIANNINI & FIGLI Cisterna dell’ Olio, casa propria 1595 Intorno ai centri nervosi dell’ Orthagoriscus (Tetrodon ) mola. Notizie anatomiche e critiche di Giunio TAGLIANI. (Tornata del 3 Marzo 1895) L’ Orthagoriscus mola appartiene a’ pesci pelagici del Tirreno, se non rari, non frequenti. Gli esemplari esaminati quasi tutti son pervenuti nelle mani degli studiosi in condizioni ben altro che soddisfacenti, sicchè pochissimo si è potuto appurare dell’ anato- mia di questa specie, la cui esatta conoscenza, di certo, avrebbe contribuito molto a illustrare taluni punti della morfologia ittio- logica. Anche le sommarie notizie, che qua e là si trovan disperse, non sempre sono conformi al vero, e quel che è peggio, ben spesso, vengon riferite da altri con veste travisata. Ciò considerando, stimo utile di esporre l’ esterna configurazione del cervello di questo sin- golare abitante de’ mari, e di dare poche altre notizie sull’ ana- tomia della midolla spinale, a complemento e rettifica di quanto già da me in proposito è stato pubblicato altrove [9]. !) I rapporti tra il volume del cervello e della cavità cranica for- maron lo studio prediletto de’ zoologi, che, primi, sì occuparono dell’ anatomia esterna de’ centri nervosi ne’ pesci, e notarono, e giustamente, come nell’ Ormagoriseus mola il cervello con tutti i suoi involucri non occupasse che una parte ristrettissima della ca- vità del cranio. Ma bisogna arrivare alla classica dissertazione del- l’Arsaky [1] e alla memoria dell’ Harting [3] °), per avere le prime notizie sulla midolla spinale di questo Gimnodonte, e a’ re- centi lavori dell’ Ussow [7], del Vignal [11], del Moreau [5] e del- l Haller [2], per trovarvi alcune considerazioni anatomiche, non sempre esatte, sul cervello. Gl’involucri meningei, che rivestono il cervello e la midolla, sono di connettivo lasco ; da essi partono, attaccandosi alla pa- rete interna del cranio, e sovra tutto alla volta, setti e trabecole !) I numeri grassi nelle parentesi quadre rimandano a’ corrispondenti numeri dell’ indice bibliografico. 2) Non mi è riuscito finora di consultare direttamente la memoria dell’ Hart- ing, e, non avendo potuto trarre vantaggio alcuno da quello, che troppo som - mariamente ne riferiscono e 1° Ussow e il Trois, ho stimato assai meglio di sorpassare senz’ altro sulle citazioni de’ mentovati autori, anzichè pericolare in errori e inesattezze di critica. 1 0A GRECI più o meno sviluppate, nelle cui maglie scorre, quale mezzo di protezione, un liquido siero-gelatinoso. Nello speco rachideo il connettivo diviene più compatto, e circonda, come in una guaina fibrosa, la coda equina. Le affermazioni dell’ Arsaky [1 pag. 4], del Vignal [11 pag. 370] e dell’ Ussow [7 pag. 632], che, cioè, il cervello e la midolla oc- cupino non solo la cavità cranica, ma anche una piccola parte dello speco vertebrale, sono assolutamente inesatte. Il Moreau |5 pag. 56] sostiene giustamente, invece, che la midolla spinale fi- nisce nel cranio; è, però, in errore quando parla di un rigonfia- mento terminale abbastanza voluminoso, che a me non è riuscito mai di trovare, nemmeno su di un esemplare dissecato ancora vivo. Dal cono terminale della midolla, contrariamente alle ferme denegazioni dell’ Ussow [7 pag. 637] e del Moreau [5 pag. 56] ‘), parte, confuso tra’ nervi della serrata cauda equina, un lunghis- simo e sottile filum terminale, che 10 ho seguito sulle sezioni per la lunghezza di poco più di 20 centimetri. Dove il filum terminale sl arresti e come non posso dir per ora. L’ Haller ha veduto e di- segnato il filum terminale, ma ha voluto dargli una strana inter- pretazione [2 pag. 205; tav. XIII fig. 1-2]. Egli ha pensato che l’ultimo paio de’ nervi spinali di senso, all’ uscita dall’estremo caudale delle colonne superiori, decorresse sulla faccia dorsale delle colonne inferiori, e che emergesse all’ estremo di queste , i due nervi rimanendo sempre strettamente accollati, simulando un filum terminale. Se V Haller avesse potuto studiare la struttura 1) Riguardo al filum terminale così il Moreau scrive : « D’après Vulpian, la moelle de ce poisson aurait aussi un filum terminale qui manquerait seulement de ganglion caudal. Malgré l’autorité du savant physiologiste, je ne suis mnulle- ment convaincu de ce mode de terminaison ». Ora il Vulpian [13 pag . 313-314] dice: « Chez le Poisson-lune, la moelle épinière se termine bien certainement vers la partie posterieure de la cavilé craànienne, par deux «ordons très-gréles et contigus, d’apparence ligamenteuse, répondant aux deux moitiés de la moelle, et que lon perd presque aussitot de vue, au milieu des nombreua nerfs qui forment une touffe volumineuse en arrière de la moelle. Le canal vertébral, ouvert Jusquà lextremité du corps, ne contient que les prolongements de cette touffe con- stituant la queue de cheval. Il n'y a pas de cordon grisàtre situé au miliew des nombreux nerfs qui constituent cette queue de cheval, comme chez lo Bau- droie; et, à l’extrémité postérieure du canal vertébral, on ne trouve aucun ren- flement ganglionnaire terminal ». Io non rilevo per nulla dalle precedenti pa- role, come ha cercato di rilevare il Moreau, che il Vulpian abbia avuto esatta conoscenza del /ilum terminale; mi pare, piuttosto, che della sua presenza o mancanza l’illustre fisiologo non si sia preoccupato gran fatto, e che del modo di terminarsi della midolla spinale dell’ Orthagoriscus mola, non abbia potuto formarsi un concetto chiaro abbastanza. Li o ROD interna dell’ ultimo tratto della midolla, il quale gli andò nelle manipolazioni malauguratamente rovinato , avrebbe espresso, ne son sicuro, ben altra opinione, e anche un po’ diverse sarebbero state le sue deduzioni morfologiche. Chè noi dobbiamo nella midolla spinale dell’ Orthagoriscus mola non già t ro- vare un semplice fatto di concentrazione della sostanza nervosa, dovuto, come avanza l’Haller [2 pag. 249], al rac- corciamento del corpo dell'animale, ma uno sviluppo vi- cariante della sua porzione intracranica, per supplire alla funzione soppressa della porzione intrarachidea trasformata in filum terminale. Quali cause, poi, ab- hian contribuito a stabilire questo peculiare atteggiamento della midolla spinale nell’ Orthagoriscus mola non oso indagare ; man- cano affatto su’ Plectognati ricerche embriologiche , dalle quali fosse possibile la deduzione di un'ipotesi, tale da far fronte, con relativa sicurezza, a una critica sana e imparziale. Le ricerche del Trois [10 pag. 1302-1304] sulla Ranzania (Orthagoriscus) trun- cata, superficialissime per ciò che riguarda il sistema nervoso, dell’Haller stesso [2 pag. 208-211] sul Zetrodon cutaneus, le mie non ancora a termine sul Balistes capriscus, sul Lophius piscato- rius, sulle Trigla e sullo Zeus faber non gittano luce abbastanza per una soluzione prossima di sì importante problema morfologico de’ centri nervosi. A condizioni puramente individuali deve ascriversi, se la mi- dolla sia di qualche millimetro più lunga o più corta del cervel- lo. L’Haller [2 pag. 202 e 204] stabilisce, su di un solo esemplare esaminato, che la midolla sia sempre più lunga del cervello ; le misure mie , istituite su tre esemplari, confermano invece i dati del Moreau [5 pag. 56], che la midolla è più corta del cervello, non computatovi, s'intende, il filum terminale. Per studiare convenientemente il cervello è necessario di al- lontanare gl’ involucri meningei con estrema delicatezza. I lo bi anteriori sono piccoli in confronto de’ lobi ottici, e di forma prismatico-ovoidale ; essi sono l’uno all’altro accollati per le facce mediali, e divergono appena nella loro porzione anteriore , non così esageratamente, però, come vuole l’Haller [2 pag. 203, tav. XIII fig. 1]. Ove si faccia astrazione di un leggerissimo solco cir- colare, che occupa il margine laterale di ciascun lobo, non ho os- servato mai quelle notevoli impressioni (windungsartige Eindriicke), di cui parla il mentovato autore. In avanti e in sotto de’lobi an- teriori si trovano gl’impercettibili bulbi olfattorii, da cui par- tono esili nervi olfattorii, riposanti su’ nervi ottici. SS 0 I lobi ottici (lobi centrales) hanno forma ovoidale, quasi sfe- rica, e sono sviluppatissimi, certo in rapporto al cospicuo svilup- po degli occhi; essi sono strettamente tra loro accollati per le facce mediali e posteriormente toccano il cervelletto, sì da coprire per intero la valvula cerebelli, come hanno bene ritratto nelle loro figure 1’ Arsaky [4 tav. II fig. 8] e il Vignal [11 pag. 371 fig. 1 e 12 pag. 145 fig. le 3], e, meglio ancora, l’Ussow [7 tav. XXVI fig. 6]. Non conformi al vero sono e il disegno de’ lobi ottici e la descrizione che di essi l’Haller espone [2 pag. 203-204 tav. XIII fig. 1]. L’Haller dice : « Nel mesencefalo i lobi centra- les sono sviluppati molto, così come nel Tetrodon ; una notevole differenza tra queste due forme di Plectognati sta nel fatto : che mentre nel Tetrodon i lobi centrales, meno ben arrotondati , si accollano strettamente per tutta la loro lunghezza e ricovrono tutto il rimanente mesencefalo, urtando posteriormente al cer- velletto ( Hinterhirn), nel primo, nell Orthagoriscus mola cioè , essi possono solo anteriormente venir a contatto pe’ loro mar- gini interni, mentre posteriormente divergono in modo note- vole, sì da limitare uno spazio triangolare, nel quale viene a trovarsi allo scoverto la valvula cerebelli ( Fritsch), altrimenti eminentia lobata (Baudelot). » Un’ assoluta corrispondenza, invece, come io debbo fermamente ritenere, è ne’rapporti di posizione tra’ lobi ottici e 11 cervelletto e dell’Orthagorisceus mola e di altri Plectognati, quali il Tetrodon cutaneus |2 tav. XIII fig. 3], il Tetrodon lunaris |4 pag. 45; tav. V fig. 71 a] e il Balistes ca- priscus. Mi sia permesso qui di movere spassionatamente un appunto all’Haller, come quegli, che più a noi vicino e con maggior lar- ghezza, ha riferito su’ centri nervosi della specie in questione. Sono state le ricerche di quest’osservatore condotte proprio sul l’Orthagoriscus mola o su di un altro Gimnodonte ? Se veramente la figura da lui dataci corrisponde alla più scrupolosa esattezza, o il materiale di studio fu esaminato non fresco, o non in sito nel cranio , ma nuotante in un liquido , previo allontanamento delle meningi con manovra poco delicata di trazione , sicchè i lobi anteriori in avanti, i lobi ottici posteriormente, ne’ punti di loro minor resistenza, han dovuto venire divaricati. E una grave circostanza milita ancora in favore del dubbio , che io sollevo. Come va che sono sfuggite completamente all’Hal- ler le gigantesche cellule de’nuclei spinali accessori? Mentre nel suo pregevole lavoro egli affida sì largo posto a divagazioni spe- culative, non una parola spende per negare o affermare la pre- Mil) e senza di questi notevoli elementi nervosi, veduti la prima volta dall’Ussow [7 pag. 639; tav. XXVII fig. 13] e da me ultimamente meglio illustrati | 9 pag. 255-256 ]. Io non debbo pensare che strappando bruscamente le meningi, sieno state strappate anche le cellule giganti, perchè, in tal caso, non avrebbero dovuto sfug- gire all’Haller i due fascetti accessorii, situati dorsalmente e di lato al canal centrale, tanto più che egli giustamente nota l'assenza delle grosse fibre del Mauthner [2 pag. 218], con le quali facil- mente avrebbe potuto scambiarli. Nè è lecito supporre che, in questa specie, i nuclei spinali accessorii ora si trovino ed ora no, che è proprio il sistema nervoso centrale quello, che, meno degli altri, sl presta a troppo notevoli variazioni individuali. E, poi, ho tro- vato nel Lophius piscatorius e nel Lophius parvipinnis, come pure nel Bulistes capriscus e nella Trigla lineata, di cui riferirò prossi- mamente, le cellule giganti de’ nuclei in parola (lobi nervi lateralis del Fritsch) con tale sorprendente costanza e in numerosi indivi- dui molto giovani, e in individui di mole notevolissima , sì che ritengo per fermo che non debba e non possa diversamente av- venire per l’OrMhagoriscus mola. I nervi ottici sono molto sviluppati e s’imcrociano in avanti de’lobi anteriori, quello di sinistra passando su quello di destra; immediatamente presso il punto di emergenza hanno forma di due bendelle ripetutamente plicate. In sotto del punto d’incrocio de’nervi ottici sta una voluminosa ipofisi, che riposa in una escavazione ovoidale della metà ante- riore della parete cranica inferiore. Posteriormente all’ ipofisi seguono i lobi inferiores, anch’ essi bene sviluppati, i quali vengono di lato a contatto con i lobi ottici. Il cervelletto ha un discreto sviluppo ed è scutiforme-ovoi- dale, con la faccia superiore molto convessa, specie nel segmento posteriore; esso ricovre affatto la fossa romboidale e si estende anche di uno o due millimetri a ricovrire la faccia dorsale della midolla spinale, un portamento, che è più accentuato ancora nel Balistes capriscus. La midolla allungata, alquanto corta e larga, si restringe posteriormente in un colletto , il quale può chiaramente vedersi, quando si solleva un tantino il cervelletto. L’Arsaky nelle sue figure ritrae la midolla spinale dell’Or- thagoriscus mola come se fosse costituita da una serie impari di gangli, situati 1’ un dietro l’altro [1 tav. III fig. 8 e 10]. Il Ge- SIRIO genbaur !) nelle diverse edizioni del suo classico manuale di A- natomia comparata ha riprodotta una delle figure dell’ Arsaky , esagerandola anche un tantino; e il Claus, ispirandosi ad essa, nella quarta edizione della sua zoologia, afferma che alla origine de’'nervi spinali nell’ Orthagoriscus mola corrispondono rigonfia- menti impari della midolla. L’Ussow, in una nota preliminare [6], parla di rigonfiamenti pari veduti sulla faccia dorsale della mi- dolla spinale di questo pesce, e pensa che sieno dilatazioni meta- meriche del segmento anteriore, e li omologa a’'primi gangli della catena ventrale degli Articolati. Nel suo lavoro più esteso , al quale mi riferisco esclusivamente nelle citazioni critiche , lavoro riprodotto dopo qualche anno integralmente in lingua russa [8], lo stesso autore, riparlando di questi rigonfiamenti, ch’ei chiama lobi accessorii dissimulati o lobi pseudo-accessorii [7 pag. 639 e 642], ritorna sul concetto già precedentemente enunciato, e li ascrive a una persistenza di uno stato embrionale della midolla spinale [7 pag. 641], anzi aggiunge che i lobi spinali accessorii del- l’Orthagoriscus mola, come quelli del Lophius piscatorius, sembrano presentare de’ caratteri provvisorii [7 pag. 639]. Poichè degl’individui osservati, quelli pescati a Messina offri- vano evidentissimi i rigonfiamenti in questione, mentre ne difet- tavano quelli pescati presso l'isola d’Ischia, 1’ Ussow crede possi- bile una variabilità individuale nella costituzione anatomica ester- na del midollo spinale dell’ Orthagoriscus mola [7 pag. 635]. Io sospetto che il materiale di Messina fosse in condizioni di studio peggiori che il materiale d’ Ischia, e che inoltre l’TJssow abbia ') Relativamente alla figura dell’ Arsaky [1 tav. Ill fig. 8], riprodotta dal Gegenbaur |Grundziige der vergleichenden Anatomie. — Leipzig 1859. S. 491 fig. 156 A; II Aufl. Leipzig 1870. S. 736 fig. 244 A.— Grundriss der verglei- chenden Anatomie. — Leipzig 1874 S. 533 fig. 258 A; II Aufl. Leipzig 1878 S. 535 fig. 289 A.|, il Vignal [11 pag. 369-370] così si esprime: « A mon retour à Paris j'ai consulté le mémoire d’Arsaky, mémoire dans lequel il étudie la moelle de l’Orthagoriseus mola, qu'il nomme Tetrodontis Mola, et je n'y ai pas vu que cet auteur dit que la moelle de cet animal fiùt formée de ganglions, ou méme qu'elle presentàt des renflements; une seule chose, à mon avis, peut expliquer la raison pour laquelle Gegenbauer eùt pu penser qu’ Arsaky ait cru que la moelle de ce Vertébré était formée par des ganglions, e’ est un des dessins joints à la thèse de cet auteur ». Io son di parere, invece, che il Gegenbaur abbia voluto schematizzare di più la figura dell’ Arsaky, riferendosi, forse, anche al se- guente passo della memoria del naturalista epirota [1 pag. 9], completamente sfuggito al Vignal: «....... de Tetrodonte mola id tantum observans, funem eius medullae spinalis superiorem tum a lateribus, tum, et multo quidem ma- gis, a parte superiore, incisuris quinque, minime tamen profundis, simili modo esse divisam ». STE ritenuto per vero quanto apparteneva ad artifizii di una tecnica deficiente. Pare che alla descrizione dell’ Ussow siasi ispirato il Wiedersheim nelle prime edizioni del suo manuale, quando in- voca i rapporti esterni della midolla spinale dell’ Orthagoriscus mola, per venire in appoggio del concetto di una neuromeria primitiva (palingenetica) del tubo midollare, sicchè l’ inarticolata midolla spinale de’ Vertebrati sarebbe derivata da una forma pri- mitiva pari ed articolata. Nella terza recentissima edizione l’illu- stre Professore di Freiburg non accenna più a tali rapporti e decisamente sostiene il concetto del Froriep, per cui la neurome- ria sarebbe un fatto secondario (cenogenetico) e meccanico , di- pendente, nè più, nè meno, dalla comparsa de’ somiti. Nè il Vi- gnal [11 pag. 369-370 e 372 e 12 pag. 146], nè 1’ Haller [2 pag. 200 e 202; tav. XIII fig. 1] hanno mai notato rigonfiamenti di sorta, meno ancora il Moreau, che non vi accenna neppure, e negli individui da essi esaminati la midolla spinale si è presen- tata sempre liscia del tutto. Per quanto io avessi con la massima diligenza cercato di scoprire anche il minimo accenno a una di- visione lobare della faccia dorsale della midolla spinale, ne’ tre individui da me studiati, ho dovuto definitivamente convincermi della completa assenza di rigonfiamenti speciali, e della esattezza, a questo riguardo, delle osservazioni del Vignal e dell’Haller. Napoli, Stazione Zoologica, 3 Marzo 1895. P. S. La dissezione di due giovani Orthagoriscus mola vivi, messi, per cortese liberalità del Cav. Salvatore Lo Bianco, a mia disposizione, mi ha fornito la riconferma di quanto sopra ho e- sposto. Aggiungo poche altre parole. Anche nell’ Orthagoriscus mola, come in tutti 1 Teleostei, il volume relativo del cervello, è minore negl’ individui adulti che ne’ giovani. In un individuo di m. 0,70 il cervello occupava intorno a un decimo del cavo cranico, mentre ne’ due ultimi esemplari, lunghi circa mezzo metro , il volume suo rappresentava un sesto o poco meno del volume della cavità cranica. È certo, come del resto ha lasciato giustamente notare l’ Harting, che negl’ individui adulti, lunghi oltre il metro, il volume e il peso relativo del cervello debbano scendere enor- memente. Se davvero l Orthagoriscus mola sia quello tra’ Teleo- stei, che, più degli altri, abbia il cervello piccolissimo , in rap- porto alla mole del corpo, non saprei affermare categoricamente. Tale notevole picciolezza relativa del cervello io ho osservato anche in un gigantesco esemplare di Lophius piscatorius , e, tra | DO | le tante specie di Teleostei avute in esame, pare che debba oc- correre anche nell’ Uramoscopus scaber e nelle Scorpaena, per quanto meno accentuatamente. Infine nell’ Orthagoriscus mola i lobi an- teriori rimangono nel loro ulteriore sviluppo, di fronte alle altre parti del cervello, assai indietro, mentre uno sviluppo straordi- nario assume l’ipofisi, che, nascosta ne’ giovani individui in sotto de’ lobi ottici, negli adulti si spinge in direzione orale, al di là de’ lobi anteriori, sì che questi, per intero, e i nervi ottici e ol- fattorii, nel loro tratto prossimale, vengono a riposarvi sopra. Napoli, Stazione Zoologica, 2 aprile 1895. BIBLIOGRAFIA 1. A. Arsargy—De piscium cerebro et medulla spinali dis- sertatio inauguralis. Halae 181. 2. B. Harrer — Ueber das Centralnervensystem, insbeson- dere iiber das Ritckenmark von Orthagoriscus mola. Morphol. Jahrb. Bd. XVII (1891), S. 198-270, TA. XIII-X V. g. P. Hartine — Notices zoologiques, anatomiques et hi- stiologiques sur l’ Orthagoriscus ozodura; suivies de considérations sur lostéogèenèse des Téleostéens engénéeral. Amsterdam 1868. 4. G. 0. Mame — Studien iiber das Gehirn der Knochenfi- sche. Bihang till. k. svenska Vet.-Akad. Handlingar Bd. XVII (1891) Afd. IV, n. 3, mit dò Tafeln. 5. E. Morrsau — Histoire naturelle des Poissonsde la Fran- ce T. I Paris 1881. 6. M. M. Ussow — Ueber einige KEigenthiimlichkeiten im Bau des Nervensystems bei Trigla und Orthagori- scus(Russisch). Arbeîten d. St. Petersburger Ges. d. Naturforscher Bd. VII (1876), Sì LXXII: Ref. v. Hoyer in: Hofmann-Schwalbe?s Jah- resber. ib. d. Fortschr. d. Anat. u. Physiol. Bd. V (1878), S. 292-293. 7. M. M. Ussow — De la structure deslobes accessoires de la moelle épinière de quelques poissons osseux. Ar- chives de biol. t. III (1882), p. 605-658, pl. XXVI-XXX. 8. M. M. Ussow — I lobi accessori della midolla spinale de’Teleostei. Kasan 1886. Con 4 tavole. (& il precedente lavoro sem- plicemente riprodotto in lingua russa. Quantunque apparso qualche anno dopo, in esso non è tenuto conto del lavoro del Vignal pubblicato nel 1881). 9. G. Taguiani— Ricerche anatomiche intorno alla midolla spinale dell’«Orthagoriscus mola». Mon. Zool. Ital. Anno V (1894), p. 248-258. ea 10. E. F. Trois — Ricerche sulla struttura della Ranzania truncata. Atti d. ÈR. Ist. Ven. di Sc. Lett. ed Arti. Ser. VI, t. II (1884), p. 1269-1306 e 1543-1560, tav. XII-XIV e XVI. 11. W. VienaL — Note sur l’Anatomie des centres nerveux du mole (Orthagoriscus mola). Moelle et bulbe. Archi- ves de zool, expérim. et génér. t. IX (1881), p. 369-376, pl. XXI. 12. W. Vienar — Sur les lobes accessoires de la moelle dn mole (Orthagoriscus mola). Comptes red. hebd. des séances et Mémoires de la soc. de biologie (Paris) Sér. VITI, t. ITI (1886), p.: 144-146. 13. A. Vurprian — Legonssur la Physiologie générale et com- parée du système nerveux. Paris 1886. I corpuscoli surrenali di Stannius ed i corpìi del ca- vo addominale dei teleostei — Notizie anatomiche e mor- fologiche di V. DIAMARE. (Tornata del 3 marzo 1395) I. — 1 CORPUSCOLI SURRENALI DI STANNIUS Stannius !) descrisse per il primo, brevemente, alcuni corpic- ciuoli bianchi o gialletti situati nel rene di pochi teleostei, cor- picciuoli che, precipuamente per la loro posizione, per la presenza in essi di vasi sanguigni e per la mancanza di un condotto e- scretore , interpetrò per <« primitive capsule surrenali ». I suoi scarsi e vaghi dati istologici non sono meglio completati nei suoi posteriori lavori, *) che anzi, in questi ultimi, non pare abbia più una chiara idea della sua scoperta, giungendo persino a rite- nerli come organi non costanti e patologiche formazioni. Ecker 4 di poi ha meglio studiato i corpuscoli di Stannius, e, quantunque siasi spesso ingannato in riguardo alla struttura isto- logica, pertanto è il primo che, con un certo fondamento, asserisca esistere omologia tra essi e le capsule surrenali dei mammiferi. Dopo Ecker, il cui lavoro del resto è tenuto, a torto, in poco conto dallo stesso Stannius 3), Hyrtl 5) ha ritrovati i corpuscoli in pa- recchie altre specie di teleostei, e ne riduce tutta la struttura ad <« una massa granulosa, i cui nuclei appartengono probabilmente a globuli linfatici » (!). Finalmente un vago accenno alla presenza 1) Srannius — Ueber Nebennieren in Knochenfische — Miller’ s Archiv 1839 tab. IV p. 95. 2) SrannIius — Anatomie der Wirbelthiere — Berlin 1846 p. 118-119. 3) StanniUs — Z ootomie der Fische und Amphibien— Berlin p. 265 Q71 1854. 4) Ecxer — Recherches sur la structure intime des corps sur- renaux chez l’Homme et dans les quatre classes d’animaux. Amnal. d. scien. nat. Paris Ser. III (Zool) 1847 p. 111-113. 5) HyvrrL — Das uropoétische System der Knochenfische — Denkschr. d. Naturwiss. Classe d. k. k. Acad, Wien 1850. e {ji di questi corpuscoli lo troviamo nel trattato di Wagner ') e nel- l’articolo di Eberth ?) sulle capsule surrenali. Da questi in poi i corpuscoli di Stannius vennero completamente dimenticati, e gli autori si sono sforzati di trovare gli omologhi delle capsule surrenali nei teleostei, ora (Weldon 8), nella massa linfatica anteriore (Kopfmiere), ora in formazioni embrionali di cui non rimane alcuna traccia nell’adulto (Van Wijhe * Semon ?). Senonchè, non è guari, il Grosglik ®?), rispondendo ad Emery 5) che aveva trovato il pronefro larvale funzionante in teleostei adulti, accenna ai corpuscoli di Stannius, a proposito d’ una sua dottrina morfologica sulla capsula surrenale dei teleostei, riflesso , a sua volta, della teoria di Balfour *19) della separazione delle due sostan- ze, corticale e midollare della capsula surrenale, nei bassi vertebrati. Per il citato autore in fatti, nei teleostei la sostanza corticale sa- rebbe rappresentata dalla massa linfatica anteriore del rene, la so- 1) Wagner— Lehrbuch der Vergl. Anatomie der Wirbelthiere— Leipzig 1843 p. 287. i 2) Eserra — Die Nebennieren— Stricker's Handbuch der Gewebenlehre des Menschen und d. Thiere — Leipzig 1871 p. 508-516 Bd. 1. 3) WeLpon — On the suprarenal bodies of vertebrata — Quarterly Journal of Micros. Scienc. London p. 137 1885. 4) van Wyng — Ueber die Mesodermsegmente des Rumpfes und die Entwickelung des Excretionsystems bei Selachiern—Archiv. fir Mikr. Anat. Bd 32 1889. 5) Semon — Studien iiber den Bauplan des Urogenitalsystems der Wirbelthiere (Icthyophis) — Jena 1891. 6) Groserig — Zur Morphologie der Kopfniere der Fische — Zoo- log. Anzeiger VIII Jahrg. N.° 207 1885. 7) Groserigt—Zur Frage ueber die Persistenz der Kopfniere der Teleostier— Zoolog. Anzeiger IX Jahrg. p. 196 1886. 8) Emery — Studii intorno alla morfologia edallo sviluppo del rene nei Teleostei — Mem. Accad. Linceì — Roma Vol. XIII. Ser. III; 1881-82. 9) Barroor-Ueber die Entwickelung und der Morphologie der Suprarenalkòrper — Biologisches Centralblatt 1881-82, pag. 136-158. 10) BaLroor — The Works — Vol. III. p. 664 e seg. London 1885. Secondo questo eminente embriologo, il corpo soprarenale degli Elasmobran- chi (cuori ascellari di Leydig) sarebbe un derivato del simpatico; l’organo in- terrenale degli stessi pesci trarrebbe origine dal mesoderma : il primo, cioè il complesso dei corpi annessi ai ganglii simpatici sarebbe omologo della so- stanza midollare della capsula surrenale dei mammiferi, ritenuta in fatti come un derivato del simpatico, il secondo della corticale, cioé della parte mesoder- mica della capsula stessa. Tralasciando ogni apprezzamento su questa teoria, è chiaro che il Grosglik la segue, applicandola ai Teleostei. DEI, ere stanza midollare dai corpicciuoli scoperti da Stannius e studiati da Ecker. In questa breve nota esporrò qualcuno dei fatti più importanti della intima struttura. dei corpuscoli di Stannius, stralciandoli da un lavoro generale sulle capsule surrenali nella serie dei vertebrati, nell’ intendimento di contribuire ad una loro più esatta interpre- tazione morfologica, quale, a mio parere, non è quella del Gro- sglik certamente. Come Ecker intravide pel primo, i corpuscoli di Stannius sono formati di una capsula connettivale dalla quale dipende lo stroma interno, in cui sono racchiuse vescicole rotonde od ellittiche, con- tenenti cellule, granuli di grasso e nuclei. | Le mie ricerche modificano però molto le osservazioni di Ecker. Anzitutto, piuttostochè vescicole rotonde od ellittiche, si tratta di otricole tubulari le quali decorrono tortuosamente, circondate da una fitta rete di vasi sanguigni. In qualche specie le otricole con- servano calibro press’ a poco eguale, in altre invece presentano dei tratti più dilatati, ellissoidali o rotondi (le vescicole di Ecker), mentre in altre si mostrano ramose. Il contorno delle otricole si colora debolmente con i mezzi d’ in- tingimento (eosina); esse sono riempite di cellule piccolissime la cui parete non è molto nettamente visibile, sia per 1’ estrema pic- colezza, sia perchè sono molto stivate tra loro. I piccoli elementi presentano un protoplasma granulose che si colora abbastanza con l’eosina e contiene un piccolo nucleo ricco di granuli cromatici. Non ho mai trovato un cavo centrale nelle otricole; in qualche specie un certo interstizio tra le cellule più interne è riempito di finissime granulazioni. Il cavo però apparisce non di rado allorchè si esaminano cor- puscoli in dissoluzione, la quale, allorchè è completa, tutto il cor- puscolo sembra risultare di una massa granulosa piena di nuclei informi 1). L’ opinione di Hyrtl innanzi citata e quella di Stannius rela- tivamente alla natura patologica dei corpuscoli si spiega, oltrechè per l’ imperfetto metodo di tecnica seguito , coll’aver ritenute co- me proprie caratteristiche le rilevanti e svariate alterazioni post- mortali. Inoltre Stannius ha preso, senza dubbio, per genuini cor- puscoli, le cisti di entozoi che, frequentemente, si trovano nel rene; 1) Una mezz’ ora dopo la morte, anche d’ inverno, l’ interno del corpuscolo presenta già le descritte alterazioni. 2a opa come è risaputo esse soggiacciono, non di rado, ad un processo di sclerosi o calcificazione, ed appariscono dure e secche — sono questi 1 corpuscoli « duri e disseccati, privi di vasi » che egli scrive d’ aver trovati. Tutti i fatti descritti da Ecker relativamente alla genesi delle vescicole sono dovuti ad un ideale ricostruzione dei scarsissimi dati istologici che la dissociazione permettevagli di scorgere. Secondo Ecker in fatti il contenuto dei corpuscoli risulta di nuclei, cellule mononucleate, bi-tri-decem-nucleate;—passa dal nu- cleo alla cellula mediante la precipitazione del protoplasma intorno ad esso (e, scrive «< ciò potersi constatare nel modo più evidente » !); dalla cellula con un sol nucleo a quella con molti nuclei, ed in fine « quest’ ultima rassomigliaintale stato, ad una ve- scicola, è anzi una vescicola ». Io invece non trovo nei corpuscoli che otricole tubulari piene; che gli elementi di cui risultano possano moltiplicarsi è naturale supporre, certamente però non esistono le cellule ed i nuclei li- beri, nè la serie di forme intermedie sino alla vescicola. Ecker, dissociando, staccava lembi di vescicole i cui soli nuclei erano vi- sibili, poichè i limiti delle cellule non si possono vedere che su preparati colorati e sui tagli. Naturalmente un lembo, secondo i nuclei che conteneva, era da lui considerato come una cellula mono- bi-tri-plurinucleata. Si comprenderà allora facilmente come Ecker non solo non ha distinte le reali otricole tubulari, ma anche non ha veduto le piccole cellule che le formano. D’ altronde ognuno comprende il valore da annettere a siffatta embriologia fatta su corpi di giovani ma adulti lucci, come del pari quanto poco chiaramente avrà potuto vedere formarsi il pro- toplasma intorno al nucleo per precipitazione, sol perchè avrà trovati dei nuclei staccatisi, circondati da una zona più o meno scarsa di protoplasma, come se ne rinvengono nelle dissociazioni di tutti gli organi. Nè del pari esiste la membrana che involgerebbe, secondo lo stesso Ecker, il contenuto vescicolare del corpuscolo, formata, a suo parere, dal saldarsi delia parete esterna delle vescicole più esterne: il semplice fatto della presenza di gittate connettivali che separano in gruppi distinti (lobi) le otricole, prova già che è una gratuita assertiva. Ad ogni modo, lasciando da canto gli erronei apprezzamenti istologici di Ecker, scusabili del resto per l’ epoca in cui scri- veva (1847), le mie ricerche tendono ad appoggiare perfettamente le LS l’ opinione sua intorno alla affinità che trovasi tra i corpuscoli di Stannius e le glandule vascolari in generale degli altri vertebrati. E se tale dunque è la struttura dei corpicciuoli del rene quale analogia esiste tra essi e la sostanza midollare della capsula sur- renale? Ed ammesso pure che nei mammiferi questa sostanza de- rivi dal simpatico, quali prove militano in favore della genesi dei corpuscoli stessi dal simpatico ? Il Grosglik ') scrive che,nel Cyprinus carpio, « il loro contenuto risulta quasi esclusivamente di cellule tonde, poligonali, per lo più informi, con protoplasma granuloso, il cui carattere morfologico è completamente d’ accordo con quello delle note cellule midollari della capsula surrenale. » Io veramente non so che pensare delle sue cellule tonde, poli- gonali, informi e via dicendo. Grazie ad un lungo soggiorno nella Stazione zoologica (ed alla liberalità sopratutto del cav. Lo Bian- co) ho potuto esaminare i corpuscoli di numerosissime specie di teleostei ed ho trovato costantemente la struttura esposta sche- maticamente più sopra. Ora debbo credere che, nel caso, si tratti di omologie presupposte , non trovate. In verità la prima parte della teoria del Grosglik sulla separazione delle due sostanze della capsula surrenale nei teleostei, quella riguardante la sostanza corticale che verrebbe rappresentata dalla massa del Kopfniere, già strana dopo gli studii di Balfour *), dopo i lavori di Emery *4) e quello di Bizzozero e Torre ’) diventa insostenibile. L’ Emery infatti ha provato che essa non è altro che un ac- cumulo dello stesso tessuto interstiziale del rene ; tessuto che si sviluppa a spese del residuo mesonefrico non utilizzato alla for- mazione dei tubulmi uriniferi. Bizzozero e Torre °) hanno a loro volta dimostrato che in esso si formano i globuli rossi del san- 1) Grosaux.--Zur Morphologie der Kopfniere der Fische Zool. Anzeiger VIII Jahrg. p. 196, 1886. 2) BaLcouR. — On the nature of the organ in adult teleosteans and ganoids which usually regarded as the head-kidney or pro- nefros — Quarterly Journ. of Micr. science (2). Vol. 22 p. 16—1882. 3) Emeryr.-Studii intorno alla morfologia ed allo svilu p- po del rene nei teleostei. Mem. Accad. dei Lincei. Roma Vol. XIII Ser. III. 1881-82. 4) Emerr.—-Zur Morphologie der Kopfniere der Teleostier. Zoolog. Anzeiger Jahr. 8 p. 742, 1885. 5) Brzzozero E Torre. — Sulla produzione dei globuli rossi nellaclassedeivertebrati. Mem. Accad. dei Lincei. Roma Vol. XVIII 1883-84. SEE e gue, come Balfour aveva supposto; e Ziegler ') ha confermato le loro ricerche. Stabilita dunque la natura ed il significato morfologico di quel tessuto, nonchè la sua importanza nella emapoesi, ogni omologia con la sostanza corticale è affatto da scartarsi. Ora le mie ricerche non danno alla seconda parte un appoggio migliore. Pur ritenendo l’ analogia tra essi e la sostanza midollare, il Grosglik dice di non aver potuto investigare i rapporti che esi- stono tra 1 corpicciuoli di Stannius ed il simpatico. Io per con- trario ho appunto investigato cotesti rapporti ed ecco ciò che ho trovato. La faccia dorsale del rene (in cui ordinariamente sono situati i corpuscoli, in numero variabile, spesso pari) al pari della ven- trale e degli ureteri (in cui non di rado parimenti si trovano ) presenta una straordinaria quantità di rami ganglionari simpa- tici. Essi decorrono secondo le ramificazioni arteriose le quali spesso allacciano come capestri; ogni più piccola arteriola è prov- veduta d’un filetto in cui sono interpolati piccoli ganglii o cel- lule ganglionari. Stante dunque la vicinanza di questi corpuscoli al rene od all’ uretere sono sempre vicini al numerosi rami sim- patici del ricco plesso. Irioltre in una Scorpaena ustulata dal capestro ganglionare che allaccia alcune arterie estrarenali ho veduto spiccarsi direttamente un filetto e portarsi ad un’ arteriola che entrava nella capsula esterna di un corpuscolo di Stannius. In un altro esemplare di Scorpaena trovai la stessa immagine, anzi il ganglio era più vicino al corpuscolo e spiccava diversi ramuscoli di cui uno, molto esile, entrava con l’arteriola nella capsula. In entrambi i casi un certo numero di fibre saranno entrate e si saranno disperse con le ra- mificazioni interne dell’ arteriola; però giammai ho trovato gan- ghi o rami ganglionari nel parenchima vescicolare. Quindi a me pare proprio che si tratti di una semplice e necessaria vicinanza al ganglii simpatici, per le condizioni speciali di posizione dei corpuscoli, e che, i rapporti certi, non ideali, sieno di innervazione, prevalentemente vasale. Che, se in prosieguo si troveranno anche elementi ganglionari nell’ interno del corpuscolo, come io certamente non ho trovati, 1) Zieerer—Die Entstehung des blutes der Wirbelthiere. Bericht der Naturforsch. Gesellsch. Freiburg IV. Bd. 1889. ip non per ciò la natura di glandula vascolare del medesimo sarà meno certa, inquantochè è risaputo che se ne trovano più o me- no in tutti gli organi, senza che perciò fossimo autorizzati a sup- porre un rapporto genetico ad es. tra la milza, il timo, la tiroide, le glandule linfatiche e le vascolari in generale, etc. ed il simpatico. Diguisachè i corpuscoli di Stannius nella loro struttura e nei loro rapporti col simpatico, contrariamente alla opinione del Gros- glik (ed in parte anche di Stannius stesso) non ne accennano ad alcuno genetico : quindi si debbono ritenere come formazioni af- fatto distinte dal simpatico, ed ogni omologia con la sostanza mi- dollare della capsula surrenale (derivi o non derivi dal simpatico) è affatto arbitraria. To trovo per contrario notevoli analogie tra i corpuscoli di Stannius dei teleostei ‘e l’ organo interrenale degli Elasmobran- Chu) Anche a primo aspetto si scorge manifesta somiglianza tra i corpicciuoli incolori o gialletti, rotondi od ellittici, pari od impari, incassati nella faccia dorsale, qualche volta ventrale, del rene dei teleostei, e l’organo interrenale, specialmente di certe specie di Flasmobranchi es. Rajidi ( Raja, Torpedo ) in cui si può ridurre appunto ad un corpuscolo gialletto, qualche volta pari (£a)a), sl- tuato sulla faccia dorsale del rene. Se ai caratteri di posizione ed ai rapporti col rene noi aggiun- giamo l'esame della struttura troviamo che, parimenti, come me- glio dimostrerò a suo tempo, l’organo interrenale risulta di com- plessi otricolari chiusi °) immersi e sostenuti da uno stroma connet- tivale e da una fitta rete di vasi sanguigni. I rapporti col simpatico 1) Stannius credette invero che i corpi dei teleostei fossero , al pari dello interrenale, organi analoghi alle capsule surrenali; però i suoi concetti sono così mutabili e così scarse le sue cognizioni anatomiche ed istologiche al ri- guardo, che finisce, come feci notare, non solo col dubitare della loro esisten- za in tutte le specie, ma col ritenerli quali prodotti morbosi. 2) Come si vede, io sono d’accordo più con le prime osservazioni di Balfour anzichè con le recentissime di Chevrel, riguardo alla struttura dell’interrenale. In fatti il reticolo congiuntivo nelle cui maglie sono situati nuclei e masse gra- nulari. descritto da Cheyrel, come dimostrerò in un lavoro comparativo sul- l'organo interrenale dei sisi ed elasmobranchi, è l’effetto di alterazioni postmortali delle vescicole. Lo stroma connettivale al quale alludo è quello di Balfour, non di Chevrel. Alterandosi le cellule dei complessi, il protoplasma si mostra sgranato, le pareti, in sezione, sembrano maglie nel cui interstizio è situato il nucleo — questo è lo stroma di Chevrel. SAM 7 A si mostrano identici (vicinanza ed innervazione prevalentemente vasale). Le differenze cominciano allorchè troviamo le cellale delle otri- cole più grandi negli Elasmobranchi, la loro parete più evidente ; ma si tratta solo di varianti, ed il piano generale di struttura è fondamentalmente identico. | Nei limiti di questa nota io non posso entrare in discussioni relativamente al significato morfologico dell’ organo interrenale. Esiste al riguardo un dedalo di ipotesi e teorie, a cominciare da quella più volte cennata di Leydig ') e Balfour?) sulla separazio- delle due sostanze della capsula surrenale, corticale e midollare, nei bassi vertebrati, a quella più recente del Fusari 3), esclusivi- sta sino al punto da ritenere che nessuna parte della capsula sur- renale è omologa all’ organo interrenale. Pur, ripeto, non essendo questa l’ occasione migliore per tentare una qualsiasi interpreta- zione, non posso però esimermi, a questo riguardo, dal dichiarare che, in favore delle omologie tra 1 organo interrenale e per lo meno la sostanza corticale della capsula surrenale, sta 1’ intiera anatomia comparata. Le divergenze cominciano allorchè si è di fronte al quesito dell’ origine e natura della sostanza midollare ; se essa cioè derivi dal simpatico (Leydig, Balfour, Fusari), ovve- ro è una trasformazione della sostanza corticale (Gottschau 4). E mentre le mie ricerche provano la presenza dell’organo interre- nale nei teleostei, nè le mie stesse nè quelle di Chevrel ®) che, re- centemente, ha accuratamente studiato il simpatico dei teleostel, ci additano quella del soprarenale. Per ora fo notare la mancanza di questo derivato del simpatico, quantunque sia il caso di ulte- riori ricerche. È chiaro peraltro che, i corpuscoli di Stannius , come rappresentanti dell’ organo interrenale, nello stato attuale 1) Levpie. —- Lehrbuch der Histologie des Menschen und dex Thiere. Frankfurt, 1857 p. 188-192. 2) BaLrour.:—T he Works. Vol. III, London 1885 p. 664 e seg. 3) Fusari.—Contribuzione allo studio dello sviluppo delle capsule surrenali e del simpatico nel pollo e neimammi- feri. Archivio per le scienze mediche. Torino Vol. XVI. n.° 14 p. 249-301 ta- vola IV-VI. 4) Gorrscnau.—Structur und Embryonale Entwickelung der Nebennieren bei Saugthiere. Archiv. fir Anat. u. Phys. Anat. Abth. Bd. IX. pag. 412-458 taf. XVIII-XIX. 1889. 5) CHEVREL. -— Sur l’anatomie du Système nerveux grand sympatiquedes Elasmobranches et des poissons osseux. Arch. de Zool. Expér. Vol. 5 bis 19, 1890. DO ® — 13 — \ della morfologia delle capsule surrenali, debbono ritenersi, contra- riamente al Grosglik, come gli omologhi non della sostanza mi- dollare (soprarenale) ma, proprio inversamente, della corticale. II.—I CORPI DEL CAVO ADDOMINALE. Stannius, chiudendo il capitolo dove tratta dei corpuscoli surre- nali, parla, di speciali corpi che si troverebbero nel cavo addo- minale dei teleostei, « ora in numero di uno come nel Cottus e nel Cyclopterus al disopra della milza, or di due, come nel Zoarces, in cui il secondo è situato in prossimità dell’arteria epatica ». In altri dice che si trovano sul decorso dell’arteria celiaco-mesente- rica e delle appendici piloriche. Essi risulterebbero formati di un inviluppo esterno e « di un contenuto bianco-latteo , variabile molto che consiste di granuli di grasso e di cellule » di cui al- cune sarebbero grandi all'incirca quanto le cellule del cervello, altre avrebbero proprio l'aspetto ed il significato di cellule gan- glionari simpatiche. Ritiene che taluni di questi corpi si debbono riferire a glandule linfatiche mesenteriche ; altri a blastemi del simpatico. Impressionato dalla scoperta di Stannius e dalla novità del ca- so, mi posi a rintracciare 1 corpi in parola. In fatti nella regione percorsa dall’arteria celiaco-mesenterica, e sui suoi differenti ra- mi, nonchè tra le appendici piloriche sono stato fortunato d’im- battermi in corpicciuoli rotondi, più o meno grandi, che aserivo al corpi di Stannius. Senonchè , quest’ osservatore, ignorava che la regione percor- sa dai rami principali dell’arteria celiaco-mesenterica, quella tra la milza ed il fegato, sotto lo stomaco o le appendici piloriche, tra le due lamine mesenteriche, è appunto la regione in cui si addensa o si ramifica il pancreas '). Laonde anzichè di corpi del cavo addominale si tratta proprio di corpuscoli appartenenti al pancreas. Nel pancreas a tipo diffluente?), essi raggiungono le mag- giori dimensioni: ed io ne trovai qualcuno della grandezza di un pisello in un enorme Lophius piscatorius. Nel pancreas più com- patto i corpuscoli visibili ad occhio nudo sono scarsi, ed invece 1) Questa speciale disposizione del pancreas dei teleostei fu posta in luce più tardi dal Leeovis (Annal. des sciene. nat. V. Ser. Tom. XVII. 1872-73). 2) Tipo del Legouis (op. cit.) — a si trovano in gran numero piccoli corpi microscopici aventi la stessa struttura dei grandi. Esistono nel pancreas dei teleostei 1.° corpi visibili ad occhio nudo, sopratutto nel pancreas molto diffuso nel mesentere ( Lo- phius). 2.° Corpicciuoli microscopici più o meno rotondi immersi nel connettivo del pancreas senza alcuno speciale rivestimento. 3.° Speciali formazioni che io trovo analoghe alle isole o muc- chi di Langerhans del pancreas dell’uomo e dei mammi- feri. Questa distinzione è però soltanto apparente ed io l'ho fatta per comodo di descrizione, inquantochè si passa dall’una alle altre mediante una serie di forme intermedie, quindi si riferiscono a spe- ciali atteggiamenti di un’ unica formazione, sinora non descritta nei pesci, il mucchio di Langerhans. Pigliando come punto di partenza una microscopica formazio- ne del 3.° tipo da me indicato, piuttosto grossa, si scorge sul ta- gli, che essa è formata di otricole più o meno ben delimitate separate da vasi, risultanti di elementi molto piccoli, contenenti un nucleo grande all’ incirca quanto il nucleo delle cellule pan- creatiche. A differenza di queste ultime il protoplasma è scarso, st colora con difficoltà, ed apparisce appena granuloso e molto chiaro. Contrariamente alle otricole del corpuscolo del rene gli elementi di coteste formazioni hanno una parete molto ben vi- sibile. I contorni delle formazioni non sono sempre netti; spesso non è possibile scorgere alcun limite di separazione tra esse e gli acini del pancreas, sopratutto nelle piccolissime, e dagli acini stessi si differenziano solo per l’aspetto chiaro del loro protoplasma e per lo scarso colorito del nucleo. Le più grosse presentano un con- torno , giammai un vero involucro ; qualche volta la presenza di più abbondante connettivo che, mentre le separa dai vicini lobulini pancreatici, li rende meglio appariscenti, simula una capsula. | In quest’ultimo caso hanno forma esattamente sferica, laddove le formazioni molto stivate assumono forme irregolari. Non di rado se ne trovano di bilobe; qualche volta due sono unite da istmo molto stretto della stessa costituzione (come se tendessero a riunirsi '). I grandi corpi si trovano prevalentemente nel pancreas molto diffuso nel mesentere, la cui tela vi forma d’ intorno una sorta 1) Potrebbe anche darsi che tal tendenza sia una pura apparenza.— Queste forme si riscontrano sopratutto nel pancreas dei murenoidi. NOE di capsula. È da notare che il contenuto dei corpi, soprattutto molto grandi, non offre una spiccata aderenza alla capsula avven- tizia, contrariamente a quanto osservai a proposito dei corpi del rene in cui da essa dipende lo stroma nel quale sono situate le otricole tubulari. In fatti, sui tagli, nei corpi del pancreas, tra il contenuto e la capsula, si notano spazii più o meno grandi, ed il contenuto stesso mostrasi molto raggrinzato. Oltre & ciò esi- stono rilevanti alterazioni e disorganizzazioni nelle otricole. In sul principio 10 supposi che fossero dovuti ad una rapida decom- posizione post-mortale ; nei numerosi tentativi fatti con corpu- scoli strappati agli animali viventi e rapidamente fissati, costan- temente le ho rinvenute, laddove giammai le ho riscontrate nei corpi del rene, sia piccolissimi, sia molto grandi. Avendo avuto sott'occhio tutta una serie di forme intermedie io non esito a ritenere come analoghe tutte le formazioni da me descritte. Menato anche qui dalla descrizione di Stannius a rintracciare i rapporti che per avventura esistono tra esse ed il simpatico non ho trovato alcun fatto che possa giustificare l'opinione sua, che sieno, cioè, blastemi del simpatico. A prescindere che parlar di blastema (in individui adulti) è cosa insostenibile oggi, il simpa- tico si comporta con esse nella stessa guisa degli altri organi che innerva. È naturale che, trovandosi nel pancreas e nel mesentere, (in cui si diffonde quest’ organo) siano avvicinati ai numerosi ra- mi simpatici del mesentere ed al ramuscoli mesenterico -pancrea- tici. Qualche volta ho trovati in esse inclusi dei fascetti nervosi 1 quali vi erano penetrati dalla capsula mesenterica e l’ attraver- savano; nel maggior numero dei casi, ripeto, le contornano o pe- netrano tra le fibre della capsula e fuorescono. Nel loro interno non ho trovato ganglii, nè del resto, se ne avessi trovati, la struttura generale dei corpi giustificherebbe il sospetto d’ un rapporto genetico col simpatico. E la presenza dei nervi che si spingono, non di rado, nel loro interno, si spiegherà agevolmente quando si pensi (e ciò sarà tra poco meglio chiarito) che i corpi in discorso non sono altro che un derivato della so- stanza glandolare del pancreas, in cui esistono, come è noto, e nervi e gangli. Probabilmente a Stannius sarà accaduto, nel dissociare dei corpi, di includere nel preparato qualche vicino ganglio dei rami mesenterico-pancreatici. Del resto quanto egli espone sul conte- nuto dei corpi « bianco-latteo, ricco di grasso e di cellule, di cui alcune sono grandi o più piccole o all’incirca tanto grandi quanto RG Maia quelle del sangue, altre analoghe a quelle del cervello ed altre infine aventi tutto l'aspetto delle cellule simpatiche » ci può di- mostrare quale concetto avesse delle formazioni in discorso. Nel pancreas del coniglio Langerhans *) scoprì pel primo ta- lune formazioni risultanti di ammassi di cellule poligonali ,, con protoplasma chiaro, brillante, omogeneo, munite di un nucleo e di un nucleolo; egli le denominò semplicemente gruppi o muc- chi cellulari (Héuflein, Zellhiuflein) senza dare alcuna spiega- zione della loro natura, tranne ad accennare ad un certo rap- porto o vicinanza tra essi ed i ganglii nervosi. I lavori di Sa- viotti °) v. Ebner *) Kiùhne e Lea‘) Heidenhain °) Harris e Gow °) Renaut ") e qualche altro autore, non spiegano meglio la loro natura, moltiplicando anzi le ipotesi. Le ricerche sperimentali di Lewaschew *) rischiarerebbero in modo soddisfacente quelle enigmatiche formazioni. Egli riscontra forme di passaggio tra le cellule pancreatiche normali e quelle del mucchio ; anzi il mucchio di Langerhans si va formando a spese della metamorfosi regressiva dei singoli elementi dell’ aci- «no pancreatico; 1 vasi dell’ acino conservano la loro disposizione reticolare, soltanto per l’impiccolimento delle cellule essi si mo- strano più evidenti e più dilatati, perchè lo spazio diventa più ampio. A ciò è dovuto l’ aspetto di glandula vascolare dell’ am- masso. Non di rado egli è riuscito ad iniettare gli ammassi dal dotto pancreatico, e ciò proverebbe l’esistenza del dottolino pri- mario, mascherato dalla forma assunta dall’ acino stesso o com- 1) LANGERHANS — Beitrige zur mikroskopische Anatomie der Bauchspeicheldriise. Inaug. diss. Berlin 1869. 2) Saviorti — Untersuchungen iiber den feineren Bau des Pan- creas. Archiv. fiir Mikr. Anat. Bd. V 1869. 3) v. EsneRr — Ueber der Anfànge der Speichelgànge in den Alveolen der Speicheldriisen. Arch. fiir Mik. Anat. Bd. VIII. p. 481-513 1872. 4) KurgNE u. Lri. - Beobachtungen ueber die Absonderung des Pancreas. Untersuch. aus d. Phys. Inst. d. Universitit Heidelberg Bd. 11 Heft IV 1882. 5) HEIDENHAIN — Die Bauchspeicheldriisen — Hermann's Handbuch des Phys. (Absond. pag. 173) 1883. 6) Harris AND Gow — Note upon one or two points on the compa- rative histology of the pancreas — The Journal of Phys. 1893 p. 549. 7) Renaur — Sur les organes lympho—glandulaires et le pan- créas des vertébrés— C. R. de l’ Acad. des sciences. Tom. 49 p. 247, 1879. 8) LewascHew — Ueber eine eigenthimliche Verànderung der Pankreaszelle warmblitiger Thiere bei starker Absonder ungsthatigkeit der Driise — Arch. fin Mikr. Anat. pag. 453-485, tav. XVII, bd. 36 1886. Beggi plessi di acini. Ha trovato che, negli animali fatti morire di fa- me, essi si trovano, in generale, in numero più abbondante che in quelli sazii. Nei conigli ai quali furono somministrate dosi gene- rose di pilocarpina essi invece erano quasi del tutto scomparsi. Dalla somma dei suoi esperimenti ha dedotto che, allorchè l' at- tività secretoria del pancreas è stato molto stimolata, quelle for- mazioni spariscono, laddove aumentano nello stato d’inerzia del- l'organo. Quindi il mucchio di Langerhans rappresenterebbe una altra e più duratura forma di riposo del pancreas oltre quella descritto da Heidenhain come riposo periodico delle cellule dopo ciascuna secrezione, inquantochè i suoi singoli elementi possono riprendere la forma primitiva e ricostruirsi l’ acino pancreatico. In tal modo si spiega la deficienza dei mucchi negli animali pi- locarpinizzati, ed uccisi parecchi giorni dopo la somministrazio- ne del veleno. Dogiel') appoggia le vedute di Lewaschew in quanto alla de- rivazione dei mucchi dalla sostanza glandulare del pancreas, ma non ammette che possano ripristinarsi, inquantochè rappresen- tano una metamorfosi regressiva che finisce con la loro totale sparizione. Anche il Laguesse*) ritiene che si debbano riferire al pancreas; non può condividere però 1’ opinione di Lewaschew che siano, cioè, acini stanchi, inquantochè li ha trovati nel neo- nato e nel feto, in cui anzi si trovano in gran numero, diminuen- do alla nascita. Essi per contrario rappresentano un modo di ac- crescimento del pancreas ed una speciale funzione secretoria: cioè nello stato di acino pancreatico si ha una secrezione esterna , nello stato di mucchio di Langerhans, una secrezione interna, in- quantochè, per la sua struttura, rappresenta una piccola glandula vascolare i cui elementi si dissolvono in parte, mentre i granuli che si formano in altri vengono riassorbiti. A me in verità è riuscita molto oscura questa opinione del La- guesse, e non oserei sottoscrivermi ad essa, sopratutto tenendo presenti i lavori di Lewaschew e Dogiel. Comunque sia 1 citati autori sono di accordo nello ammettere che i mucchi di Langerhans derivino dalla sostanza glandulare del pancreas, sieno destinati a ripristinarsi (Lewaschew, Laguesse) o a sparire (Dogiel). ) DocueL-Zur Frage iiber die Ausfilhrungsgaànge des Pan- kreas des Menschen. Archiv fiir Anat. u. Entwickelungsgesch. 1893, p. 117-122. Tav. X. Nega la presenza del dottolino escretore. 2) Laguesse. Formation des îlots de Langerhans dans le pancréas. Oompt. rend. Soc. Biol. Paris—T. V. Ser. 9—1893, p. 8 19-20. on e. Gli studii da me fatti sul pancreas dei mammiferi fanno in- clinarmi a riferire parimenti la genesi dei mucchi al pancreas , per quanto però non mi forniscano argomenti per appoggiare di- rettamente le conclusioni di Lewaschew o quelle di Dogiel, sul loro destino ulteriore. Dal confronto però ho le prove le più convincenti per ritenere le formazioni da me trovate nel pancreas dei teleostei, come iden- tiche a quelle dei mammiferi ed uccelli. Im migliore occasione ritornerò sulle speciali modificazioni che esse presentano, ed estendendo le ricerche agli altri vertebrati a sangue freddo, tenterò se è possibile rintracciarne il significato ultimo, con una più ampia raccolta di fatti. Dall’ esposto si rileva che non sono affatto da confondersi i corpi del rene con quelli del pancreas, come a primo aspetto parrebbe. Oltre le differenze strutturali innanzi indicate, mentre una se- rie di forme intermedie provano la derivazione dal pancreas dei secondi, niente milita in favore di una analoga genesi renale per i primi. E mentre i corpi del rene, presentano una certa regola- rità nella loro disposizione (per quanto variabile sembri a chi giudicasse superficialmente ) i corpi del pancreas sono costante- mente irregolarissimi per numero e distribuzione. Sopratutto, la struttura dei corpi del rene è sempre uniforme, così nei piccoli come nei grossissimi, laddove nei corpi del pancreas si notano rilevanti alterazioni e disorganizzazioni. L’analogia strutturale è data dal solo fatto che i lobulini pancreatici in regresso assumo- no l’aspetto di otricole ed i vasi, più dilatati, diventano maggior- mente evidenti, ma i caratteri istologici dei rispettivi elementi sono molto diversi. Possiamo compendiare tutte le differenze in una distinzione embriologica capitale: i corpi del rene sono formazioni mesoder- miche e primarie, quelli del pancreas formazioni endodermiche e secondarie (derivati dal pancreas). Conchiudendo dunque: I corpuscoli surrenali di Stan- nius rappresentano l'organo interrenale nei te- leostei. Icorpidelcavo addominale scoperti da Stan- nius non sono glandule linfatiche mesenteri che, nè parti del sistema gran simpatico; dif Pista GRIS feriscono essenzialmente dai corpuscoli surrenali, e spettano al pancreas; essi sono analoghi alle cosidette isole o mucchi di Langerhans del pan- creas dell’uomo e dei mammiferi. Napoli, Stazione Zoologica, Marzo 1895. Sopra alcune piante a funzione mirmecofoba. — Nota di A. DE GASPARIS. (Tornata del 13 marzo 1895). Mentre lo studio sulla funzione mirmecofila ha dato tanta luce alla importante quistione della simbiosi, come risulta dalle osser- vazioni d’illustri scienziati come Belt e Delpino, il quale ha trat- tato la quistione in un modo assolutamente completo, esistono altre fuzioni, che pare abbiano uno scopo affatto opposto. In un gran numero di piante ') l’accesso alle formiche e ad al- tri insetti è reso impossibile dalla presenza di peli costituenti o- stacoli insormontabili. In un’altra categoria si trovano piante, le quali impediscono l’accesso mediante escrezioni viscose, così nella Bartsi& viscosa, Robinia viscosa, Linum viscosum, Euphrasia viscosa, Silene viscosa, Dianthus viscidus, Senecio viscosus, Holosteum glutinosum, Salvia glutinosa etc. La sostanza viscosa si trova frequentemente ed in più grande abbondanza sui peduncoli fiorali o sopra 1 fiori stessi. Nell Epimedium alpinum per esempio le foglie e le parti basse del fusto sono glabre, mentre i peduncoli sono ricoperti di peli glandulosi e vischiosi ed il numero dei piccoli insetti, che peri- scono sopra queste piante, è enorme. Un caso assai interessante a proposito della funzione mirme- cofoba è quello del Polygonum amphibium; i suoi piccoli fiori sono ricchi di nettare e sarebbero certamente visitati dalle formiche qualora non esistesse un fatto assai rimarchevole. La specie in quistione vive tanto nel terreno quanto nell'acqua; gl’individui, i quali vivono sul terreno sono coperti da un’ innumerevole quan- tità di peli glandulosi, vischiosi, che costituiscono una protezione efficace contro le formiche ; gl’ individui nati nell’ acqua, essendo naturalmente protetti, non sono coperti da questi peli. 1) LusBocx J. Les Fourmis, Vol. I, pag. 49, IO e Avendo avuto occasione di studiare alcune piante nelle quali tale funzione è oltremodo spiccata, ho creduto far cosa utile darne un cenno in questa nota. La Dombeya Ameliae Guill. 1) è un magnifico albero del Mada- gascar, esistente in ottimo stato nella nostra serra temperata da moltissimi anni. La funzione destinata a preservare le gemme e le foglie dalle formiche assume un carattere oltremodo interes- sante, poichè le parti sulle quali si compie siffatta funzione sono le basi, gli apici dei peduncoli e le parti basse delle foglie che circondano le gemme ; in modo che pare, la funzione sia proprio diretta ad impedire l’ ingresso alle formiche. Verso le ore mattutine delle giornate di està, vien fuori in grande copia dall’ apertura di alcuni dutti situati sulla parte slargata del picciuolo, proprio dove si partono le nervature della foglia, un liquido di consistenza sciropposa, di odore resinoso, di color giallo, il quale si spande e scende per circa quattro centimetri lungo il picciuolo e diventa fortemente vischioso dopo poco tempo ; dalle gemme vien fuori un liquido simile. Pare, che le formiche siano fortemente attirate dall’odore di questa sostanza, poichè in gran numero accorrono verso le parti, dove l’escrezione si compie e vi restano immediatamente impigliate; mentre è da notare, che le formiche hanno generalmente l’ abitudine di allontanarsi dai punti sui quali si trova del vischio, come mi è stato facile dimo- strare spalmando circolarmente alcuni fusti di piante frequentate da questi insetti. Anzi debbo in questo punto aggiungere, che mi e qualche volta riuscito di vedere le formiche adattare dei piccoli sassolini sul vischio sovrapponendoli in modo da ristabilire la via interrotta, la qual cosa ci fa supporre, che la sostanza escreta dalla Dombeya abbia un’ azione speciale in questi insetti in modo forse da inebbriarli, poichè è certo supporre che essi hanno completa conoscenza del pericolo. Sopra i peduncoli delle foglie di questa pianta si osserva sempre un grandissimo numero di formiche morte, frequentemente altri piccoli imenotteri, raramente qualche micro- lepidottero e qualche dittero; le specie, che più facilmente mi è occorso di osservare, appartengono tutte agli imenotteri. Esse sono: Lasius niger >» flavus 1) Guinuemn. Arch. d. bot. 1, 367.— VAn HourtE. Flore des Serres VI 225 tab. 605. Formica rufa L. I ligniperda Myrmica rubra Latr. (frequentissima) > caespitum Cymips fol L. Rhodites rosae L. Dopo molti giorni gl’ insetti immersi in questa sostanza subi- scono una speciale decomposizione e pare che siano lentamente distrutti. È difficile stabilire se questa escrezione sia destinata ad impe- dire alle formiche il trasporto o la difesa degli afidi nelle parti della pianta in via di sviluppo; ovvero sia destinata a proteg- gere la pianta da specie di formiche devastatrici, simili a quelle che nelle regioni tropicali di America, sono tanto frequenti, e che si attaccano anche alle foglie adulte, riducendole in frammenti 1). L’ altra pianta da me studiata è la Psoralea bituminosa , la quale anche presenta una escrezione limitata alla base dei pedun- coli ed alle parti circostanti alla gemma terminale. Le foglie di questa pianta presentano lunghi picciuoli e sono composte da tre foglioline ovali bislunghe o lanceolate; l’escrezione si compie alla base del picciuolo, che appare rigonfio e di un colorito bruno; nelle vicinanze della gemma terminale si ha una escrezione simile e più copiosa. La materia escreta è una resina di un colorito nerastro, di un odore fortemente bituminoso ed è attaccaticcia quando è di re- cente escreta, poscia si rapprende rapidamente. Anche in questo caso l’ escrezione è destinata a proteggere la pianta dalle escur- sioni delle formiche, essendo essa limitata ai soli punti di pas- saggio. Pare, che questa sostanza allontani le formiche semplicemente per l’ ingrato odore, poichè non mi è mai riuscito di vedere degli insetti impigliati; e qualche volta ho notato che, ponendo alcune formiche sulle foglie della Psoralea, esse o si lasciavano imme- diatamente cadere sul terreno o dopo aver percorso la foglia, ar- rivate alla metà del picciuolo, risalivano sulla foglia per ripetere più volte questa operazione. La Psoralea non sempre presenta spiccatamente il detto carat- tere; gli esemplari di questa specie, che meglio si prestano per 1), Belt. The naturalist in Nicaragua — Bares. H. W. The naturalist on the Amazons. SO ASI l’ osservazione di una escrezione abbondante, appartengono ai terreni lapillari nei punti più esposti ai raggi solari. Adunque da ciò che ho detto si rileva, che la localizzazione degli escreti, avverantesi lungo i picciuoli, ha per iscopo di pre- servare la pianta dalle visite degli insetti non alati, massima- mente dalle formiche, che in certo modo potrebbero arrecarle danno. Giordano Bruno nella storia della Geologia — Nota di Giuseppe DE LorENZO. (Tornata del 28 aprile 1895 ) Dopo che Kepler ebbe dato ai pensieri di Giordano Bruno, cui egli insigniva del nobile titolo di « defensor infinitatis », onorevole posto tra le idee che Galileo e altri astronomi a lui contempora- nei andavano esponendo, circa due secoli di silenzio pesarono sulla vita e sulle opere del filosofo Nolano, prima che una schiera di pensatori e di scrittori, quasi tutti tedeschi, da Jacobi e Schelling fino a Brunnhofer e Tocco, mostrasse quale vasta orma quell’in- gegno ha lasciato nella storia del pensiero umano. E quelli che, come Brocchi, Lyell, D’ Archiac e altri, hanno scritto di storia della Geologia, non han curato di conoscere quel che Bruno pen- sasse sulla costituzione della Terra, mentre, accanto alle limpide concezioni del gran Vinci e alle dimostrazioni audaci di Palissy, essi hanno accuratamente segnato le assurde disquisizioni di Mat- tioli e di Falloppio e le scempiaggini di un Olivi da Cremona. E pure nelle opere di Bruno germogliano di nuovo e con più vigore le sane dottrine della scuola di Pitagora, di Democrito e di Epi- curo da lui allargate e perfezionate, e devesi quindi riconoscenza a Tocco, e più specialmente a Brunnhofer, i quali ci hanno indi- cato, come la mente di Bruno precorse quasi all'evoluzione storica, anticipando sulla conoscenza della Terra molte delle idee da noi at- tualmente acquisite per naturale eredità di studî. Le idee geologiche di Bruno riguardano specialmente la mor- fologia della superficie terrestre, e fa non poca meraviglia trovare fra esse un’ audace affermazione, la quale par che anticipi di due secoli il risultato delle moderne misure geodetiche. Egli infatti nega che la superficie terrestre sia una superficie perfettamente sferica. Nel poema De Immenso et innumerabilibus questa idea si trova espressa nel Lib. IV, Cap. XVI con le parole: < Il quapropter forma est cognata globosa » ed è chiarita poi nel comento in pro- sa: « Nosque, sì ad umiversum Telluris globum respiciamus..... verius globosam machinam (minime tamen ad geometricam formam) agnosce- remus.» Nel Cap. XVIII ripete: « Nume iterum sensus, mentis re- vocato sub alas, Atque vides ut Tellus formam non usque globosam — 30 — Concipiat », e nel comento in prosa al Cap. XVII spiega: <..... quare necessario ab orbiculari illa partium unione recedit. Hac quoque ra- tione neque Tellus secundum reliquas partes sphaericitatem servare potest regularem illam; neque secundum totum, exacte. Necessarium est enim ab omni initio in illa prominere montes, subsidere valles, acquora protensa tum aquarum tum aridae conterminari..... ». Le ricerche di Laplace, Fischer, Pratt, Clarke, Thomson e Helmert (v. Helmert, Die mathematischen und physikalischen Theorien der hoheren Geodtisie) ci hanno appunto mostrato come e quanto il geoide differisca dall’ellissoide o sferoide teoretico, e le parole di Bruno sembrano quasi un oscuro abbozzo di queste ultimamente scritte da Eduard Reyer: « I materiali terrestri sono disegualmente mescolati ed inviluppati. In molte regioni dominano le masse ba- siche pesanti, in altre al contrario le leggiere. Un,corpo cosmico di tale natura deve già nello stadio liquido scostarsi dalla forma regolare di un ellissoide di rotazione. Se in regioni di raggi vi- cipi esistevano masse di varia densità, l’ equilibrio si stabilì quando la regione corrispondente alle masse più dense fu depressa più profondamente. Dunque durante lo stadio liquido non dovette for- marsi un ellissoide di rotazione, ma un geoide. ». Molto esatti e corrispondenti ai nostri concetti moderni sono i pensieri sulla morfologia statica della superficie terrestre, i quali si trovano sparsi tanto nelle opere italiane che nelle latine. Per le prime, non avendo potuto procurarmi la nuova edizione di La- garde, seguo quella vecchia di Wagner; per le altre mi attengo alla bella edizione curata da Fiorentino, Imbriani, Tallarigo, Tocco e Vitelli. Nella Cena de le Ceneri accenna in un punto (Wagn., I, 167) al modo complesso con cui sul nostro pianeta si integrano e si confondono la terra, l’acqua e l’aria, che non sono affatto disposte secondo il concetto aristotelico: «..... Questo aere, per il quale discorrono le nuvole e li venti, è parte de la terra; per che sotto nome di terra vuol lui (il Nolano) e deve essere così al pro- posito, che s’ imtenda tutta la macchina, e tutto l’animale intiero che consta di sue parti dissimilari: onde li fiumi, li sassi, li mari, tutta l’aria vaporosa e turbulenta, la quale è rinchiusa ne gli al- tissimi monti, appartiene a la terra, come membro di quella, o pur come l’aria, che è nel pulmone et altre cavità de gli animali, per cui respirano, si dilatano le arterie, et altri effetti necessaril a la vita s' adempiscono. » E più avanti, a pag. 169: « Però per gli altissimi (monti) non intendiamo, come l’ Alpe e li Pirenei e simili, ma come la Francia tutta, ch’ è tra dui mari, settentrio- nale Oceano, e australe Mediterraneo; da quei mari verso l’ Al- — 31 vernia sempre si va montando, come anco da le Alpe e li Pire- nei..... per che secondo la verità tutta questa isola Britannia è un monte, che alza il capo sopra l’ onde del mare Oceano, del quale monte la cima si deve comprendere nel loco più eminente de l’i- sola..... » Nel grandioso dialogo De l infinito universo e mondi, allarga e approfondisce sempre di più il suo pensiero ( Wagn., IL, 60 e 61): « In questi dunque astri, o mondi, come li vogliam dire, non altrimenti s’ intendono ordinate queste parti dissimilari secondo varie e diverse complessioni di pietre, stagni, fiumi, fon- ti, mari, arene, metalli, caverne, monti, piani, et altre simili spe- cie di corpi composti, di siti e figure, che ne gli animali sono le parti dette eterogenee..... Chi non vede che da per tutto de la terra escono isole e monti sopra l acqua..... Chi non sa, che nelle pro- fonde caverne e concavitadi de la terra son le congregazioni prin- cipali de l’ acqua ?..... Lascio, che l’ altitudine de l’ acqua sopra la faccia de la terra, che noi abitiamo, detta il mare, non può es- sere e non è tanta, che sia degna di compararsi a la mole di que- sta spera; e non è veramente circa, come gl’ insensati credono , ma dentro quella..... » Questi concetti sono trattati con maggior precisione nel poema De Immenso et Innumerabilibus. Nel Lab. IV, Cap. XVI, v. 48, nota la poca importanza delle monta- gne ove le si paragonino alla mole della Terra: « Excusant, cum se adtollunt versum aethera montes, Hos mihil ad magnam Tel- luris ducere molem Plusquam et exigui repolito in corpore sulci. In porri passim asperitas tuberesque figuram Non ilo variant..... » E nel comento in prosa al Cap. XVII: « Quamvis montium celsitudo et vallium imitas, umiversam terrae rotumditatem variare videantur, haec apud vulgariter hac de re definientes, respeciu totius, iudican- tur quasi tuberositates vel asperitates illae in superficie pomi; ut et certe non potest esse globus adeo artificialiter perpolitus, in quo, quamvis minimum; ad sensum alterare videantur, sic tamen suppres- storum eminentiorumque partium differentia. Nobis vero et montes altissimi sunt et valles profundissimae , in quibus tam qui degunt, non magis se esse in plamtie existimant, quam alti alibi vere sint..... Stc totius Galliae regionem montem unum esse comperio, qui sen- sim ab Oceano septemtrionali crescit usque in Alverniam ubi est eius cacumen, ex Occidente a Pyreneis montibus qua fluit Garumna, ex Oriente a Rhodano, ex Meridie a Mediterraneo mari ; vulgariore autem oculo iudicantibus ti soli videntur esse montes, qui repentina eminentia promptius adsurgunt, ad sensumque nostrum elati super plano mole sua sensibilis horizontis aspectum imperturbant: sed haud aliter inter sensum vulgarem atque sensum philosoplicum interest, MO GE quam ‘inter oculum formicae et humanum..... » Più tardi, nel Lib. V, Cap. XIII, v. 48, insiste sulla esiguità dei veli liquidi che noi chiamiamo mari: « Lecirco maris non plus valet esse profundum, Quam siet excelsi a sublimi vertice montis Usque ad subiectas ra- dices illius..... Milla conferte passinm post haec diametro Telluris, veniatque proportio lecta fideli Mensura, et videam nun sudorque ex- tra amimalis Pellem, aut membranae eriguae spissamen habendum Im proprio genere esse minus, quam sit mare in isto. » E nel co- mento in prosa aggiunge: « Minima pars aquae (si ad totam com- paretur qua Telluris corpus compingitur) est haec quae maris umi- versi speciem refert..... Mare non extra Tellurem, sed interiora Tel- luris tenet, si umiversum astri corpus inspiciamus, ut saepe dictum est. » Tutto il Cap. XI del Lib. VI è quasi una sintesi delle idee di Bruno sulle relazioni di quantità e di limiti intercorrenti fra il mare e la terra, e io ne trascrivo qui il riassunto datone da Tocco nel suo lavoro Le opere latine di Giordano Bruno (pagina 2353): « Egli è vero che i mari coprono la superficie della terra, ma la profondità loro non è certo maggiore delle più alte montagne le quali giacevano pur un tempo nel fondo dei mari, come lo at- testano i vestigii in esse scoperti di nicchi e conchiglie marine. Non si può dunque dire nè che il mare circondi la terra, nè la terra il mare, ma luna e 1’ altra formano come un tutto, cui so- vrasta l’ aria, allo stesso modo che mal si direbbe il sangue ricin- gere le arterie e la cute degli animali. E se pur si voglia pre- scindere dall’ aria, certo non il mare ma i monti toccano più da vicino il cielo. » Oltre a questi concetti teoretici di indole gene- rale il Nostro non trascura di fare delle osservazioni analitiche : così nel comento in prosa al Cap. III del Lib. IV nota l’allinea- mento dei vulcani sulle coste marine e attribuisce le eruzioni vul- caniche ad azioni chimiche esercitate dall’ acqua sui materiali della crosta terrestre: « Apud nos nusquam inconsistere sine aqua vide- tur ignis, et validiores flammas humiditate simplicis aquae alimus, alitur Vulcanus, Vesuvius et Acthna vicinitate maris, ignes etiam veluti mortui, aqua (ut in calce viva constat) excitantur. >» E più tardi, nel Lib. VI. Cap. XIV, v. 11, considera tutte le manife- stazioni vulcaniche e termali come modificazioni di uno stesso fe- nomeno: « Hinc Thermae, hinc calidi fontes, hinc sunt freta salsa, Sulphurei hinc montes; hinc est bitumen amarum, multiplici hine Stygius regioni aperitur Avernus, Hinc celebris Siculis praeruptus hiatibus Aethma, Cinerei hinc montes, vidui partusque Vesevi, Vul- cani, Lypares, Prochitue, Ibernacque fucinae..... « Bellissimi sono i versi del Cap. IX nel Lib. VI, in cui descrive la circolazione delle pr LE SE acque sotterranee: « Ste gyrant lymphae, terrae excurrendo per al- vum, Non etenim magis ascendunt vaga flumina nostras Ad parteis, quam descendant repetendo profundum, Ut rursum emergant, instau- ratique reportent Mud idem fontes, quod iam retulere. Quid esset, Quodam mi gyro naturac cuneta redirent Ortus ad proprium rur- sum; si sorbeat ommeis Pontus aquas, totum non restituatque perenni Ordine, qui posset rerum consistere vita ? » A mostrare quanto le su accennate idee di Bruno si avvicinino a quelle della moderna geografia fisica, basta leggere questi pe- riodi di Die Entstehung der Alpen, in cui uno dei principi della attuale Geologia, Eduard Suess, spiegando gli stessi concetti, ado- pera quasi le medesime parole del filosofo Nolano: « Es ist nun vor Allem nòthig, dass man sich gegenwàartig halte , wie gering doch die Dimensionen jener Runzeln der Erdoberfliche , welche wir Gebirge nennen, im Verhéltnisse zum Durchmesser des Plane- ten sind... Kann man wohl auch die Erde in Hiillen theilen, deren Jede allerdings in vielfacher Verbindung mit der nachstfolgenden steht. Die erste ist die Atmosphére, die zweite die Hydrosphàre, die dritte di Lithosphire. Die Hydrosphire gibt Diinste in die Atmosphire ab, diese verdichten sich und kehren zuriick. Die poròsen Theile der Lithosphire nehmen Wasser auf, lassen es circuliren und als Quellen wieder aufsteigen. Viel Wasser wird chemisch gebunden. Fortwàhrend werden lose Theile der Litho- sphéàre an tiefere Stellen getragen..... Die Unebenheiten der Ober- fiche der Lithosphire und das unzureichende Volum der Hy- drosphére bringen es mit sich, dass die letzere unvollstàndig ist und durch diese Unvollstàndigkeit entsteht der Gegensatz von Meer und trockenem Land.....» Brunnhofer nel suo Giordano Bru- nos Weltanschauung notò come il Bruno anticipasse di molto quelle idee sulle elevazioni delle masse continentali di cui si tenne sco- pritore Oskar Peschel nei suoi Neue Probleme der vergleichenden Erdkunde. Io fo qui osservare con quanta serenità di giudizio il Nostro riconoscesse l’assurdità dei vari Diluvi universali sparsi nelle antiche leggende religiose. Nello Spaccio della bestia trion- fante (Wagner, II, 235), Giove, temendo la critica degli uo- mini sulla universalità del Diluvio, manda ad essi l’ Aquario con l’incarico di raffermarli nella religiosa convinzione: « Vada a trovar gli uomini, e sciorli quella quistione del Diluvio, e dichia- rar come quello ha possuto essere generale, per che s’ apersero tutte cataratte del cielo; e faccia, che non si creda oltre, quello es- sere stato particolare, per che è impossibile, che l’ acqua del mare e fiumi possa li doi ambi emisferi ricoprire, anzi nè pur (n) (9) RENI I E un medesimo citra et oltre i tropici e l’ equinoziale..... » Solo ultimamente Eduard Suess in Das Antlitz der Erde ha chiara- mente dimostrato a che si riduce il Diluvio universale: « Das unter dem Namen Sintfluth bekannte Naturereigniss ist am un- teren Euphrat eingetreten und war mit einer ausgedehnten und verheerenden Ueberfluthung der mesopotamischen Niederung ver- bunden..... Die Traditionen anderer Voòlker berechtigen in kei- ner Weise zu der Behauptung, dass die Fluth iber den Unter- lauf des Euphrat und Tigris hinaus oder gar iber die ganze Erde gereicht habe ». Ma se nell’ osservare l arditezza delle idee di Bruno sulla mor- fologia, che io ho chiamata statica, della superficie terrestre grande è stata la nostra meraviglia, questa cresce non poco quando si passi ad esaminare i pensieri di lui sulla morfologia che dirò di- namica, pensieri che con ragione trassero il Brunnhofer ad escla- mare: «< Von wahrem Erstaunen wird man aber ergriffen, wenn man Bruno’s Ideen iiber die allmàlig vor sich gehenden Veràn- derungen der Erdoberfliche und ihrer Temperaturverhaltnisse liest. » I concetti infatti manifestati in questo campo dal filosofo epicureo trecento anni indietro sono appunto quelli che servono di base alla moderna Geologia, e io ne riporterò i principali, spi- golando qua e là nelle sue opere. Nella Cena de le Ceneri (Wagn., I, 169) si trova: « L’Alpe e li Pirenei sono stati altre volte la testa d’ un monte altissimo, la qual, venendo tutta via fracassata dal tempo, che ne produce in altra parte per la vicissitudine de la rinovazione de le parti de la terra, forma tante montagne particolari, le quali noi chia- miamo monti. » Questo periodo par quasi un vaticinio delle pa- role pronunziate da Eduard Suess due anni or sono a Géorlitz nella sua conferenza Ueber nevere Ziele der Geologie: « Was wir als Gebirge vor uns sehen, sind die mehr oder minder abgetra- genen Ruinen jener viel michtigeren Hòhen, welche die Natur einst aufbaute. Hat man gelernt, die urspringliche Gestalt dieser Ruinen im Geiste annàhernd wiederherzustellen, so erlangt man ein wesentlich anderes und weit grossartigeres Bild der meisten Gebirge. » Nelle pagine 191, 192 e 193 si legge: « Però a questa massa intiera, de la qual consta questo globo, questo astro, non essendo conveniente la morte e la dissoluzione, et essendo a tutta natura impossibile l’ annichilazione, a tempi a tempi con certo ordine viene a rinovarsi, alterando, cangiando, mutando le sue parti tutte..... E questo l’ esperienza d’ ogni giorno nel dimostra; che nel grembo e viscere de la terra altre cose s’ accogliono, et PIRO IE altre cose da quelle ne si mandan fuori..... Però quel, che fu et è mare, non sempre è stato e sarà mare; quello che sarà et è stato terra, non è, nè fu sempre terra; ma con certa vicissitu- dine, determinato circolo et ordine, si de’ credere, che dov'è l’uno, sarà l’ altro, e dov’ è l’ altro sarà l’ uno..... Le quali mutazioni veg- giamo farsi a poco a poco, come le già dette, e come ne fan ve- dere le corrosioni di monti altissimi e lontanissimi dal mare, che, quasi fusser freschi, mostrano li vestigii de l’ onde impetuose. È ne consta da l’ istorie di Felice Martire Nolano, quali dichiarano al tempo suo, ch'è stato poco più o meno di mill’ anni passati, era il mare vicino a le mura de la città, dov è un tempio, che ritiene il nome di Porto, onde al presente è discosto dodici milia passi. Non si vede il medesimo in tutta la Provenza? Tutte le pietre, che son sparse per li campi, non mostrano un tempo es- ser state agitate da l’ onde?..... » Quando in questo stesso lavoro Bruno cerca di spiegare perchè queste modificazioni della super- ficie terrestre sfuggano agli uomini, la sagacia delle sue osserva- zioni richiama allo spirito il finissimo racconto di Kidhz scritto da Mohammed Kazwini, l’arguto scrittore arabo del secolo deci- moterzo. Nell’ altro dialogo De infinito umiverso e mondi ritorna in campo il medesimo argomento (Wagn., IL, 94): «..... tutte le parti de la terra si cangiano successivamente di sito, luogo e tem- peramento; mentre per longo corso di secoli non è parte centrale, che non si faccia circonferenziale, nè parte circonferenziale, che non si faccia del centro, o verso quello. » In varî punti del poema De Immenso si accenna alle stesse quistioni. Nel Lib. IV, Cap. VII, v. 74 è scritto : « Nam mare quam procul ex una regione recessit, Tam prope se ad reliquam convertit, quamque retusa Unius adtendis tumidi sublimia montis, Subdita tantundem sublato tergore vallis Consurxit, verrensque solum vis fluminis, alveum Permutansque cavat circum exraequatque rotando Campis, se sursum iubet ultro adtollere monteis, Planitie humilius se sub- sternente ». Nel Lib. V, Cap. XII , v. 39 si trovano i bellis- simi versi: « Sed rursum corpus telluris contueamur, Et videumus ubi tanta ipsum in mole pusillum, Nec primo reputemus cam tellu- ris haberi Partem contectam maribus non ordine eodem Distinctam in planum, valles, montesque superbos; Nam quae nunc pontus su- per occupat, haec aliquando Sydera tranquillo spectabant acre pro- na; Et contra maris aspicimus vestigia celsis Montibus impressa, celsa usque cacumina sursum ». E nel comento in prosa al Cap. XVIII del Lib. VI: « Omnia circuunt, et Telluris partes, et ma- Bano GRISO ria, et flumina variant, infleco refleroque quodam maturae ordine, vicissitudines: sicut materia hinc inde, influendo effluendoque, va- gatur, ita etiam circa materiam, formae. ». Finalmente tutte le idee di Bruno sui cambiamenti della su- perficie terrestre si trovano condensate e cristallizzate in questi stupendi e limpidissimi periodi dello Acrotismus camoeracensis : « Effluxus igitur influrusque partium continuus est in terra, sicut et in animalibus particularibus ; unde evenit ut partes centra- les quandoque circumferentiales evadant, vicissimque de circumfe- rentia centrum, aliasque locorum differentia repetant. Hinc continue facies telluris variatur, ut modo mare sit, ubi undae fuerant, modo montes appareant, ubi valles subsederant, (quodque frequentius ap- paret) modo vaporum exaltatio, modo pluviarum casus eveniat, modo lutosum aliquid in lapides inspissetur, modo spissi lapides in pul- verem resolvantur; in quibus ommibus nullum violentum concesserim sed naturalem prorsus omnem motum: ilud enim violentum tantum- modo appello, quod extra vel contrae naturae opus atque finem contigerit. > Se da quel che si è fin qui detto traspare come nelle opere di Bruno siano contenuti i principî fondamentali della moderna geo- logia per ciò che riguarda i cambiamenti della superficie terre- stre, dall’ altro, che ora aggiungerò, risulta chiaramente che nel giudicare della lentezza e della naturalità con cui questi cambia- menti si verificano il Bruno, passando al di sopra di Descartes e di Leibnitz, si rivela quasi un precursore di Lyell. Già la frase dell’ Acrotismus camoeracensis qui innanzi citata : c..... im quibus ommibus nullum wviolentum concesserim, sed naturalem prorsus omnem motum..... » riassume in sè l’idea capitale che informò più tardi i Principles of Geology, ma il filosofo Nolano non manca di esplicare il suo concetto sia nelle altre opere latine, che nelle ita- liane. Nella Cena de le Ceneri (Wagn. I, 192 e 193) infatti egli dice: « E da questo, che li fiumi si cascano, proviene, che per ne- cessaria conseguenza si tolgano i stagni e mutinsi li mari; il che però accadendo successivamente circa la terra a tempi lunghis- simi e tardi, a gran pena la nostra, e di nostri padri la vita può giudicare..... Però come veggiamo , che molti luoghi, che prima erano acquosi, ora son continenti, così a molti altri è sopravve- nuto il mare. Le quali mutazioni veggiamo farsi a poco a poco..... » E nell’ altro dialogo De l infinito universo e mondi parlando della luna, la cui costituzione egli ritiene analoga a quella della terra si esprime così (Wagn. Il, 58): «.... la sua faccia non vien cangiata se non per grandissimo intervallo di etadi e secoli, per VOTO Il corso de’ quali li mari si cangiano in continenti, e li continenti in mari. » Nel poema De immenso , imaginando di poter guar- dare la terra dalla luna (Lib. III, Cap. IV, v. 19), scrive: « E lunae specula huc igitur si advertere lumen Concessum fuerit , quod tu concedere posses Ipse tibi sapiens, mentisque profunda re- visens, Quid (rogo) comprendes aliud quam lumen et umbram, Op- postum ad solem quae dat mare, et insula semper? Horum permul- tis loca sunt variantia seclis Pauxillo, ut vix cognoscat generatio praesens: Qui fit ut et possint discrimina tanta videre Longinqua usque adeo spectantes e regione ?..... » E nel Cap. II del Lib. IV, continuando la medesima imagine : « Splendens nostra maris spe- cies cum corpore opaco, Tempore praesenti quum prospiciantur ab hisce Oris, credentur per plurima secla fisse. Obvia forte secus ? Nunquid Cerealia regna, Neptuni imperiumque datas confundere sorteis, Contemerando suos fines, magis ista videbit Gens, quam mon- strarit longa experientia nobis? Quam modica est illic multo varia- tio seclo, Incola ne proprius vix ullam existimet esse?..... Per quae mosse licet, sero quantumlibet aevo, Tethios ut Cereris prata obruit, haccque vicissim Pascere Pana iubet tumidi per tergora montis, Qui quondam, scopuli in specie, surgebat ab antris Coeruleum excipiens agitantem Prothea phocas. Exigua est nimium ‘in tanto variatio fiuxu Temporis, in nostrae vultu Telluris adacta.... I nume, crede. homines istos, aetatibus actis Permultis, potwisse aliquid Telluris in orbe Mutatum vidisse magis, quam Cynthiae in ore De mostro li- cuit mundo..... ». In questa Nota ho cercato di raccogliere dalle opere di Bruno quei punti principali 1 quali mostrano, che il forte filosofo epicu- reo, come nella sintesi cosmogonica etica e metafisica, così anche nella sintesi particolare della conoscenza della Terra ha esposto idee chiare e profonde, che racchiudono i principî fondamentali della scienza moderna ; e così restano ancora una volta confer- mate le parole del nostro De Sanctis, che quante volte l’umanità, stanca di aggirarsi nell’ infinita varietà, sente il bisogno di risa- lire al tutto ed uno, le si affaccia sull’ ingresso del mondo mo- derno la statua colossale di Bruno. Della ramificazione nelle Solanacee—Studio di GiusEPPE Viro. (Tornata del 24 marzo 1895) L’emersione degli organi assili fuori delle ascelle foliari, feno- meno che si riproduce in tante specie di piante angiospermiche appartenenti a famiglie diverse, ha dato luogo a non poche contro- versie ed in certi casi furono proposte da varii autori ben quattro o cinque interpretazioni differenti. Intanto può ritenersi col Delpino !, che la legge, la quale governa l'emersione degli assi principali, segnatamente degli assi fiorenti, sia una sola in tutte quante le fanerogame. Tutte le ramificazioni, salvo quelle provenienti da gemme av- ventizie, debbono essere fondate all’ascella delle foglie e sempre che l'emersione degli assi riesce estrascellare, ciò è dovuto ad ade- renze organiche ovvero ad altro fenomeno. Se questo punto di vista è conforme al vero, cade l'ipotesi ac- campata dal Warming °) e dal Pedersen ?) per alcuni casi, nella famiglia delle Solanacee; ipotesi fondata sopra una pretesa bipar- tizione del punto vegetativo. Veramente non può negarsi, che talvolta avvenga una siffatta vera dicotomia. Lo stesso Delpino *) ne ha riscontrati esempii bellissimi nella Olea europaea ed in altre piante; ma era un puro fenomeno teratologico, dovuto a sdoppia-. mento. ; Eliminata l’interpetrazione del Warming e del Pedersen, non restano possibili, che due interpetrazioni. Si tratta nei singoli casi o diun monopodio o di un simpodio. Ben si comprende, che, 1) Sento il dovere di esternare all’Illustre Professore Federico Delpino, Di- rettore del nostro R. Orto botanico, i sensi della mia più viva riconoscenza, per gli ammaestramenti da lui ricevuti nelle presenti mie ricerche. 2) Warmine.—Recherches sur la ramification des Phanerogames, principalement au pointdevue de la partition du point végé- tatif Copenhagen 1872. : 5) Rasmus Pepersen.—H v ilken rolle spiller vaxtspidsens Klow- ming ved forgrenigen hos blomster-planterne. Copenhagen 1873. 4) FepERICo DeLPINo.—Teoria generale della Fillotassi. Atti della R. Università di Genova. Vol. IV. P. II. pag. 209. Genova 1883. Logi dato un monopodio, se gli assi contraggono per certo tratto ade- renza coll’asse generatore, essi riescono sollevati sopra della loro fondazione ascellare e quindi emergono estrascellarmente. Dato poi un simpodio, l’ emersione estrascellare di certi assi si riduce ad una mera apparenza, perchè si tratta, non già di vera emer- sione, ma di una semplice deflessione, accompagnata da un re- pentino straordinario assottigliamento. Adunque, qualunque volta si presenti un tale fenomeno, ove se ne voglia indagare la vera natura morfologica, necessita dapprima investigare e porre in chiaro se si tratta di un monopodio o di un simpodio. Ma qui sta la grave difficoltà, questo è il nodo della questione. Vi sono simpodii monopodiiformi, che hanno tutte le appa- renze di monopodii e credo pure, che esistono monopodii sim- podiiformi, che hanno tutte le apparenze dei simpodii. Forse tali sono i tralci delle Ampelidee e delle Cucurbitacee; ma non posso insistere sopra ciò, perchè i risultati degli studii al riguardo, fatti fin qui, sono tutt'altro che definitivi e soddisfacenti. La grave difficoltà di risolvere tali questioni spiega la strana discrepanza delle opinioni manifestate dagli autori riguardo alla famiglia delle Solanacee. Essendo intricatissima la ramificazione di queste piante ed essendo numerosi i fallaci aspetti di aderenze degli organi assili e fiorali, non è facile portar giudizio tra le due teorie monopodiale e simpodiale, per stabilire la legge, che governa la composizione morfologica di dette piante. Avendo fatto oggetto dei miei studii questo interessante pro- blema, intendo esporne qui i risultati. Con queste ricerche !) credo di portare un nuovo contributo di osservazioni, le quali da una parte dimostrano affatto erronea l'opinione di quei, che col Warming ritengono queste forme come monopodiali, da un’altra parte mettono in evidenza gli errori, nei quali sono incorsi gli autori, che hanno riconosciuto la forma sim- podiale in queste piante, come il Duchartre °), l’Eichler °), il Van Tieghem ‘ ed altri. 1) Nel presente lavoro ho esteso i miei studii a parecchie specie della fa- miglia, ricorrendo al metodo della morfologia comparata. — Fino poi a qual punto ai caratteri morfologici di queste specie corrispondono i caratteri in- terni istogenetici, farò rilevare in altro lavoro, che ho in animo di completare. ) Duonarmre.—Eleménts de Botanique 1867. 3) ErcHLer.—Bluthendiagramma 1875 4) Van Trecaem.—Traité de Botanique 1584 Prima di procedere all'analisi delle specie da me esaminate , torna utile far precedere uno sguardo complessivo sulle istruttive omologie generali e parziali, che si rilevano presso le Solanacee, quanto alla composizione delle colonie, degl’individui componenti le colonie, delle loro diverse caste e dei loro organi. Perchè poi queste omologie riescano più chiare ed evidenti, è necessario ri- correre ad una speciale nomenclatura, che propongo in via prov- visoria, senz’altra pretesa, allo scopo di segnalare con proprio e distinto nome le suddette omologie. Le piante appartenenti alle Solanacee sono colonie, le quali offrono una regolarità di struttura tale da poter essere espressa con formole algebriche assai semplici. Tutti gl’ individui sono sessuali e terminati tutti o da fiori o da infiorescenze (cime scorpioidi, monocasii, dicasii semplici o ra- mificati). Le caste degl’individui in una colonia sogliono essere cinque, cioè : la l’individuo primario, che procede dall’allungamento della piumetta embrionale e che è come il piedistallo di tutta la colonia ed è inoltre il fondatore del simpodio di primo ordine; 2a gl’individui ripetitori della pianta, designati a fon- dare una nuova colonia parziale, di svolgimento simile a quella» da cui sono stati generati. Essi sono prodotti dalla parte infe- riore dell’individuo primario e perciò meritano il nome d’in- dividui anafitici; 8a gl’individui, che forniscono il secondo, terzo ecc. membro dei simpodii d’ogni ordine. Sono di natura più robusta ed il loro caule fortissimo, innestandosi a lato del caule materno, si rettilinea con esso e sembra continuarlo; meritano perciò il nome d’indi- vidui continuatori (d’un dato simpodio); 4a gl’individui fondatori di nuovi simpodii, i quali distinguerò col nome d’individui anasimpodici o innovatori; 5a gl’individui, che provengono da una sopragemmazione ossia da un fenomeno di ecblastesi e che perciò si denomineranno indi- vidui ecblastetici. Per individuo in largo senso s'intende (nel nostro caso) una gemma e il suo sviluppo. Ma la gemma propriamente non è che l'individuo allo stato nascente. Quindi possono distinguersi 1° la gemmula (embrionale); 2° le gemme anafitiche; 3° 1e gemme continuatrici; 4° le gemme anasimpodiche; 5° le gemme ecblastetiche. Gemma e individuo in astratto è una cosa sola, ma in pratica conviene distinguere tre stadii cioè, 1° gemma rudimentale ossia — 441 — gemma dormente; 2° gemma fogliata ossia gemma quie- s cente; 3° individuo (funzionante). La gemma rudimentale rimane perpetuamente tale e non si sviluppa a meno che l’amputazione della vegetazione soprastante non riverberi in essa l'eccedenza di forze, che altrimenti non avrebbero sfogo. Essa dorme. La gemma fogliata giunge fino a sviluppare le foglie prime, ma poi, salvo casi di amputazioni e lesioni di parti soprastanti, non si sviluppa di più. Essa riposa. L'individuo funzionante acquista solo esso maturità, svolgendo foglie, fiori e frutti. Quanto alla collezione degl’individui, oltre la pianta, la quale è il complesso di tutti i simpodii, conviene distinguere un sim- podio di primo ordine, fondato sull’individuo primario; un numero indeterminato di simpodii di secondo ordine, fondati sopra indi- vidui anasimpodici, prodotti dal simpodio primario; un numero indeterminato di simpodii di terz'ordine fondati sopra individui anasimpodici prodotti dai simpodi! secondarii e così via dicendo. Dopo gl’individui, la nomenclatura concerne gli organi ossia le foglie. Variabile è il numero delle foglie prodotte da ciascun individuo. L'individuo primario è quello, che ne produce di più. Spesso ec- ‘cedono la trentina. Vengono poi con produttività fogliare decre- scente gl’individui anafitici, gl’individui anasimpodici, gl’individui ecblastetici. Il minor numero di foglie per solito tocca agl’individui continua- tori. In poche specie sono polifilli, in parecchie sono. quadrifilli o trifilli, in molte sono difilli, monofilli e perfino afilli. Consideriamo il caso più generale, la varietà delle foglie ne- gl'individui polifilli. In un individuo polifillo, di qualunque ordine esso sia ea qualunque casta appartenga, bisogna distinguere dap- prima la foglia ultima prodotta, che è la più importante e che chiameremo col nome appropriato di teleutofillo. Rispetto a questa tutte le altre foglie occupano una posizione inferiore e furono prodotte anteriormente. Le denomineremo catafilli. Frai catafilli giova notare il catafillo superiore, immediatamente sotto- posto e subopposto al teleutofillo, al quale diamo il nome di c a- tafillo dominante. Il catafillo, che viene subito dopo, talvolta nella sua funzione rivaleggia col dominante. In questo caso merita di essere distinto col nome di catafillo aggiunto. Le restanti foglie, non diversificando tra loro, le denomineremo catafilli Inferiori. | O TI Questa distinzione di foglie è giustificata dalla diversità della loro funzione in ordine alle gemme o individui, che si formano alla loro ascella. Nell’individuo primario infatti, i catafilli inferiori producono alla loro ascella esclusivamente gl’individui anafitici. Negl’individui successivi invece, producono all’ ascella gemme o individui ana- simpodici. Negl’individui poi di qualunque ordine, così nel primario come nei successivi, il catafillo dominante e il catafillo aggiunto, quando questo esiste, producono individui anasimpodici. Se esiste sola- mente il catafillo dominante, ha luogo nna dicotomia; se esiste anche il catafillo aggiunto, succede una tricotomia. Grande significato negl’ individui di qualunque ordine hanno i teleutofilli. È dalla loro ascella, che partono esclusivamente gl’in- dividui continuatori dei simpodii. E quando vi ha formazione di gemme ecblastetiche, è pure esclusivamente dalla loro ascella che queste si producono. Di più questi teleutofilli, salvo in alcuni casi, come nella Petunia, contraggono, per un tratto più o meno lungo, aderenza coll’asse dell’individuo continuatore, generato alla loro ascella. Questa aderenza talvolta è di pochi millimetri, tal’altra invece può superare il decimetro, come nella Physalis, nel Capsi- cum ecc. Per regola generale, in ogni individuo il vigore vegetativo del prodotto ascellare decresce dall’alto verso la base. Così massimo è tal vigore pel prodotto ascellare del teleutofillo , minore per quello del catafillo dominante, ancora minore per quello del ca- tafillo aggiunto, minimo per quello dei catafilli medii e minimissimo per quello dei catafilli inferiori, ove spesso si pronunziano gemme dormenti. Se gl’individui sono trifilli, vi ha soltanto presenza del teleu- tofillo, del catafillo dominante e dell’aggiunto. Se gl’individui sono difilli, esistono solamente il teleutofillo ed il catafillo dominante. Gli altri catafilli mancano, non per aborto, ma per insita natura della specie. i Se gl’individui sono monofilli, esiste solamente il teleutofillo. Le brattee di Hyosciamus sono teleutofilli. Se gl’individui sono afilli, allora è il caso, non di mancanza, ma di aborto, e la foglia abor- tita è il teleutofillo. Si hanno allora le cime scorpioidi nude e la revoluzione scorpioide è determinata in gran parte da questo aborto. Questa nomenclatura non è che un riflesso della grande rego- larità, che domina nella costituzione delle colonie presso le So- lanacee, per quanto diversifichino le une dalle altre nei diversi generi e spesso anche nelle diverse specie d’un genere. Adoperando la suesposta nomenclatura, posso descrivere con brevità le specie prese in esame. Lycopersicum cerasiforme. Dun. Questa specie presenta una struttura affatto regolare e sem- plice , che si discerne con facilità e fu quella, che m’ illuminò completamente nelle mie ricerche. Una pianta ben nutrita si divide fin dalla base in molti tralci robusti e lunghissimi, ciascuno dei quali rappresenta un simpodio regolarissimo. Ho scelto un lungo tralcio di primo ordine , che verso la base aveva prodotto un tralcio di secondo ordine al- quanto meno lungo, il quale a sua volta aveva prodotto un tral- cio sempre più debole di terzo ordine. Ebbi così a studiare la composizione morfologica di tre tralci, uno di primo ordine, lun- go circa tre metri, uno di secondo ordine, lungo circa due metri e mezzo, e uno di terzo ordine, lungo circa un metro. Ciascuno di essi è decomponibile colla massima evidenza in individui o membri simpodialmente uniti. La composizione del tralcio di primo ordine è la seguente. L’in- dividuo primario produsse sei foglie, delle quali 1’ infima e la quarta con gemma dormente alla loro ascella, la seconda e la terza con gemma sviluppata ma quiescente, la quinta, o catafillo domi- nante, producente all’ascella il tralcio di secondo ordine, la sesta, cioè il teleutofillo, avente all’ascella il secondo individuo continua- tore del simpodio. .Si noti, che il teleutofillo ha contratto aderenza con esso per circa un centimetro. Dopo ciò l’individuo primario, gittato da banda, termina in una cima scorpioide nuda, semplice, di circa otto fiori. L'individuo secondo continuatore produsse tre foglie, delle quali il catafillo inferiore con una gemma quiescente all’ascella, il ca- tafillo dominante con un tralcio abortito, il teleutofillo col terzo individuo del simpodio, cui aderiva per circa due centimetri. Dopo ciò l'individuo secondo si gitta da banda e termina in una cima scorpioide semplice di otto fiori. L'individuo terzo continuatore produsse tre foglie, delle quali l’ infima con gemma dormente all’ ascella, il catafillo dominante con gemma quiescente, il teleutofillo avente all’ ascella il quarto individuo continuatore, col quale ha contratto aderenza per circa tre centimetri. Di più aveva all’ascella una piccola gemma ecbla- stetica. Dopo ciò l'individuo terzo si getta da un lato terminando in una cima scorpioide simile alle precedenti. di AD L'individuo quarto continuatore produsse tre foglie, di cui il catafillo inferiore con un tralcio abortito all’ ascella , il catafillo dominante con un tralcio pure abortito, ma meno debole del primo , il teleutofillo col quinto individuo continuatore del sim- podio. Qui è manifesta la legge, per cui nei membri simpodiali poli- filli il vigore vegetativo delle gemme cresce dal basso all’alto. L'individuo quinto è pure trifillo, Il teleutofillo aveva all’ascella il sesto individuo continuatore del simpodio e di più una gemma ecblastetica assai vigorosa ma quiescente. L’aderenza del teleuto- fillo è qui salita a ben quattro centimetri. Dopo ciò l’ individuo si gitta da banda a somiglianza dei precedenti. Gl’individui sesto, settimo, ottavo hanno sviluppo eguale ai pre- cedenti, ma all’ascella del catafillo inferiore si svolge un rigoglioso tralcio di secondo ordine, composto di più individui, di cui l’infe- riore è pentafillo, gli altri tutti trifilli. Gl’'individui nono, decimo, undecimo...... sono in via di sviluppo e costituiscono la cima vegetante del tralcio. In questa specie, adunque, si tratta indubbiamente di un sim- podio regolarissimo, composto d’individui costantemente trifilli. Dimostrata la natura simpodiale dei tralci del Lycopersicum, resta a dimostrare la simpodialità delle infiorescenze, con cui ter- minano i singoli individui simpodici. Le cime scorpioidi hanno per lo più da 8 a 13 fiori, Ciascun pe- dicello è generato da quello dell’ ordine antecedente, come spe- cialmente può vedersi osservando l’ultimo, il quale si vede emer- gere lateralmente come un piccolo bottone. Se questo non si svolge, la cima è terminata; se, in caso di maggior robustezza, si svolge, allora produce un asse di più, e così di seguito. In alcune infiorescenze, tutti i fiori abbozzati sono venuti a completo ed integrale sviluppo, così queste infiorescenze sono to- talmente definite ed il decimo, undecimo, ecc. fiore, che avrebbe dovuto ancora venire, se non altro in uno stato rudimentale, rimane totalmente abortivo per esaurimento. In queste infiorescenze, l’ultimo fiore è sempre evidentemente un’ emanazione dell’ asse precedente. i In ogni caso queste cime scorpioidi sono nude. Per altro credo di poter considerare come indizii di foglie abortite o brattee certe nodosità, che si scorgono nel mezzo di ciascun pedicello. Ciò in- dicherebbe, che la brattea è rimasta aderente per la parte infe- riore del pedicello e non si è svolta oltre l’ aderenza. EROI (2 UA Petuma nyctaginiflora. Juss. (Tav. I, fig. 1 @) Siccome in questa specie tutte le foglie sono libere e non hanno contratto alcuna aderenza radiale con altri organi, così non è punto mascherato il vero andamento della ramificazione, che pro- cede simpodialmente colla massima regolarità. Ecco come si co- stituisce il simpodio. L’individuo primario, dopo essersi notevolmente elevato, produ- cendo in ordine quinconciale un numero variabile di foglie alterne (di 19 e più), con altrettante semme all’ascella di esse o dormenti o, talune, quiescenti, verso il suo apice produce un catafillo do- minante ed un teleutofillo, approssimatissimi, in guisa da sembrare opposti. Appena fatto ciò, esce (estrascellarmente ben si può cre- dere) in forma di peduncolo unifloro e così termina. All’ascella del catafillo dominante si svolge una gemma robusta anafitica, la quale si sviluppa in un individuo anafitico, che, dopo aver prodotto circa una diecina di catafilli, con gemme dormenti o quiescenti all’ ascella, termina ugualmente con un catafillo do- minante e con un teleutofillo. Dopo di che fiorisce. Dall’ascella, invece del teleutofillo, si svolge la gemma continua- trice, dando luogo ad un individuo continuatore del simpodio. Questo individuo, nato in tal maniera, si allunga alquanto, pro- duce un teleutofillo ed un catafillo dominante opposti e poi fiorisce. Nel rispettivo nodo succede quel che abbiamo visto nel nodo precedente e così di seguito. Si noti, che in ogni membro il teleutofillo è un poco più gran- de del catafillo dominante e resta alquanto più alto dello stesso. In tal modo si continua e si va completando la formazione del simpodio primario , fino ad esaurimento , mediante la conti- nuata aggiunta di nuovi membri difilli. In qualche caso ho con- statato, che il loro numero si eleva fino ad una quindicina ed è variabile secondo la robustezza della pianta. Non si può adunque desiderare uno schema (tav. I, fig. 1), più semplice e più regolare di simpodio, ove la provenienza d’un in- dividuo da quello dell'ordine antecedente è innegabile ed inoppu- gnabile. Questa specie è interessante per varii fatti caratteristici. In primo luogo per la polifillia straordinaria degl’indi- vidui anasimpodici, per cui, laddove questi pochissimo differi- scono dagl’individui anafitici, differiscono invece , straordinaria- mente dagl’individui continuatori. Vedremo come, in altre specie REA tali termini di dissomiglianza e di somiglianza sieno affatto inver- titi. E per verità, già nel Zycopersicum è minima la differenza tra gl’ individui anasimpodici, che sono quinquefilli , e gl’ individui continuatori, che sono costantemente trifilli. In secondo luogo, per la libertà dei teleutofilli , i quali nel maggior numero di piante Solanacee sono più o meno altamente aderenti all’ asse generato alla loro ascella. In terzo luogo questa specie è interessante per 1’ estrema ap- prossimazione del catafillo dominante al teleutofillo, in guisa tale da simulare un nodo oppositofogliare. Siccome poi in ogni mem- bro simpodiale , ad ogni aggiunta di un nuovo individuo conti- nuatore , si dà un’ approssimazione consimile di altre due foglie, alternando le foglie di un nodo con quelle del nodo soprastante e del nodo sottostante, ne risulta un’ apparenza di decussazione. Laonde questa pianta, che è essenzialmente alternifogliare , nei tratti simpodiali riesce decussata. In tale decussazione tutti i te- leutofilli sono disposti in due serie da un lato (lato esteriore) e tutti i catafilli dominanti in due serie dall’ altro lato (lato inte- riore). Di tutto questo dà ragione il diagramma espresso nella figura (Tav. I, fig. 1, c). Cresce poi l’ importanza di questa pianta per altri motivi di maggior. rilievo. Questa forma di Solanacea apparentemente sembra confermare la teoria di coloro , che fanno derivare la cima scorpioide , che è un monocasio per eccellenza, da un dicasio, ove un solo dei mem- bri in ogni nodo si sviluppi mentre 1’ opposto abortisca. Ed in Vero, a prima vista, essendo nei nodi opposte (subopposte) le fo- glie, sembrerebbe, che un ramo del dicasio sia rappresentato dalla gemma continuatrice e l’altro ramo dalla gemma ripetitrice. Ma questa teoria , forse vera'in altri casi di piante di altri ordini, qui non trova applicazione ed è fallace. Infatti, nel dicasio , i rami sono equivalenti morfologicamente , sono rami della stessa natura morfologica. Evidentemente qui non è questo il caso. Di più si consideri, che la composizione di siffatti simpodii nelle Solanacee è affatto indipendente dal numero delle foglie nei sin- goli membri, Se qui si hanno membri bifilli, abbiamo già visto, che nel Lycopersicum i membri sono. trifilli e vedremo, che, in altre Solanacee 1 membri simpodiali sono polifilli, monofilli, afilli. Di più si ha una dimostrazione dell’insussistenza di questa teoria, nella Petunia stessa. Nei simpodii di questa pianta talvolta l’ infimo membro è tri- fillo (Tav. I, fig. 1, b) e allora si ha conseguentemente un’ acco- SSA LT E modazione diversa; cioè vi sono inferiormente due foglie opposte, dalle cui ascelle parte una gemma ripetitrice polifilla alternifoglia- re, e più in alto si libera il peduncolo e la foglia, che produce all’ascella la gemma continuatrice. Adunque qui il simpodio è indubbiamente un monocasio, non deducibile da nessun dicasio. Salpichroa rhomboideum. Miers. (Tav. I, fig. 2). La costituzione simpodiale di questa specie offre caratteri spe- ciali ed è interessante rilevarli. In questa specie, il catafillo dominante di ciascun membro (bi- fillo) è approssimato al rispettivo teleutofillo. All’ascella del cata- fillo dominante si sviluppa una gemma anasimpodica, la quale dà luogo ad un individuo anasimpodico. Con questo la foglia ascellante contrae aderenza sino al nodo successivo. Nel qual punto il primo individuo anasimpodico produce similmente un catafillo dominante ed un teleutofillo. All’ ascella di questo si sviluppa un individuo continuatore di secondo ordine, ed all’ascella del catafillo dominante si sviluppa una gemma anasimpodica, la quale sovente dà luogo ad un individuo anasimpodico di secondo ordine. Tanto il teleu- tofillo, quanto il catafillo dominante contraggono aderenza coi ri- spettivi assi generati alla loro ascella ; e così nei membri suc- cessivi. All’ascella poi del teleutofillo dell’ individuo primario, si svi- luppa un individuo continuatore del simpodio. Si noti però, che il teleutofillo non contrae aderenza col nuovo individuo nato alla sua ascella. In tal modo si comportano i successivi individui con- tinuatori del simpodio principale. Datura Stramonium. L. (Tav. I, fig. 3). Ogni individuo simpodico è bifolio. All’ascella di ciascuna fo- glia si svolge un individuo. Sono tutti simili e morfologicamente equivalenti, salvo che, uno, l’ inferiore, è costantemente più de- bole e l’altro, il superiore, opposto o subopposto , è più robusto. Il primo corrisponde all’ individuo ripetitore, il secondo all’ indi- viduo continuatore della serie. L’ individuo ripetitore, però, oltre all’essere più debole è anche refratto rispetto all’ asse generatore. In altre specie di Datura, a nodi più contratti, e però a seguito di Sd membri dei simpodii molto più numerosi e robusti, vi è lo stesso modo di costituzione. In questa specie , tanto il catafillo domi- nante quanto il teleutofillo di ogni membro contraggono aderenza sovente straordinariamente lunga coll’asse dell’ individuo rispet- tivo nato alla loro ascella. In ciascun membro il teleutofillo pre- senta sempre la sua lamina maggiore di quella del catafillo do- minante. Withania sommifera. Dun. La costituzione simpodiale di questa specie è analoga a quella della specie precedente. Salvo che, raramente le gemme anasim- podiche, prodotte all’ascella del catafillo dominante, si sviluppano in individui anasimpodici robusti. Dove poi nella Datura spunta un fiore, nella Wtkhania spunta un’ ombrella multiflora. Capsicum annuum. L. Il simpodio è costituito da individui bifilli, a foglie opposte e per solito non molto elevate in alto. Poichè queste foglie sono quasi sempre fertili alla loro ascella, così le piante di questa spe- cie riescono ramosissime per dicotomie ripetute in breve spazio, e non vengono a formare quei simpodii monopodiiformi tanto spiccati in altre specie. Physalis pubescens. L. (Tav. I, fig. 4) La struttura simpodiale di questa specie è la stessa di quella della specie precedente, salvo le seguenti modificazioni. Raramente nei membri simpodiali le due foglie sono fertili alla loro ascella e, quando questo avviene, il fusto si biforca. Inoltre il teleutofillo ascellante al nuovo asse continuatore del simpodio, ha con esso un’aderenza assai lunga per tutto un internodio. In siffatti sim- podii allungati vi è questo di particolare, che nell’ ascella delle piccole foglie, ossia dei catafilli dominanti dei singoli membri, es- sendo sterili, non vi è il menomo accenno di gemme dormenti ; così le foglie mancano di quell’allungamento picciuolare aderente, che è tanto considerevole nei teleutofilli e sembra perciò, che il pedicello sia scaturito all’ascella delle piccole foglie. Quindi ogni nodo ha foglie gemine, fuorchè dove si ramifica, perchè in quello si è sviluppata una lunga aderenza picciuolare. Oa Atropa Belladonna. L. La forma simpodiale di questa specie è la stessa di quella della precedente. Si noti però, che laddove è affatto abortita la gemma all’ascella dei catafilli dominanti in ciascun membro , all’ ascella dei teleutofilli si trova sempre una gemma iperblastetica allo stato di quiescenza, ciò che non ha luogo nella Physulis. Solanum sisymbrifolium. Lam. I membri simpodiali sono bifilli, a foglie allontanate. Queste non contraggono affatto aderenze cogli assi nati alle loro ascelle, in modo che la struttura simpodiale di questa specie è del tutto semplice ed evidente. Ogni individuo poi termina in una cima scorpioide nuda, di 5 a Y fiori, la quale emerge oppostamente al teleutofillo. Le cime scorpioidi del Solanum sisymbrifolium ripetono lo stesso tenore delle infiorescenze del Lycopersicum, ma con minore produttività fiorale. Altre specie di Solanacee presentano siffatte infiorescenze. Le ombrelle della Withania, dell’ Jocroma ecc. pos- sono considerarsi come infiorescenze scorpioidi contratte. Solanum nigrum. L. (Tav. I, fig. 5). Gli studii fatti sulle specie precedenti mi schiusero la via ad intendere la struttura morfologica del Solanum migrum, la quale, se prima mi sembrava una questione affatto irresolubile tanto colla teoria monopodiale, quanto colla simpodiale, mi si è poi palesata oltremodo chiara ed evidente. Infatti le colonie del Solanum nigrum (e talune varietà policrome, miniate, gialle, verdi), per quanto in apparenza complicate, sono regolarissime. Nella costituzione di queste colonie abbiamo la se- guente repartizione d’ individui. Individuo primario polifillo a fil- lotassi in perfetta regola quinconciale. All’ascella dei catafilli in- feriori, il cui numero è variabile secondo la robustezza della pianta, da 10 a 20 anni e più, si sviluppano altrettanti individui anafitici. Di questi, alcuni rimangono allo stato di gemme quie- scenti, altri, nel maggior numero e quasi tutti in caso di gran- de nutrimento e robustezza, si sviluppano e fondano altret- tante colonie aggiunte alla principale. Il catafillo dominante pro- duce all’ascella un individuo anasimpodico, con cui contrae ade- 4 SR er renza fino al primo internodio ed emerge sotto apparenza di fo- glia geminata, e si ha il caso di un’apparente dicotomia. Il te- leutofillo poi, produce all’ ascella 1’ individuo continuatore e con esso contrae aderenza. Tanto l individuo anasimpodico quanto l’ individuo continuatore sono entrambi bifilli a foglie disgiunte; cioè, il catafillo dominante emerge alla base di ciascun membro, ed il teleutofillo si libera in alto. In caso di eccezionale robustezza, all’ascella del teleutofillo di ciascun membro si sviluppano indi- vidui iperblastetici. Questi hanno due piccole foglie e terminano in una piccola ombrella. Altro non producono, se sono deboli. Ma, se sono più robusti, all’ascella del teleutofillo si produce un secondo membro analogo. In conclusione, lo sviluppo del Solanum nigrum avviene con perfetta evoluzione matematica e vi si contano ben cinque cate- gorie d’individui; cioè 1, individuo primario polifillo ; 2, un nu- mero variabile (5 a 10 e più) d’individui anafitici; 3, un numero indefinito d’individui anasimpodici, costantemente bifilli ; 4, un numero indeterminato d’individui continuatori (ne ho contati si- no a 15), tutti bifilli; 5, un numero scarso d’individui iperbla- stetici. La spiegazione qui data intorno alla costituzione delle colonie di questa specie è tanto chiara da non lasciar luogo a nessun dubbio. Fui però alquanto sorpreso scorgendo, come varii autori, anche fra quelli che ammettono per le Solanacee la struttura simpo- diale, siano incorsi in gravi errori circa questo punto. Il Van Tieghem 1) cita le infiorescenze del Solanum nigrum come un caso di concrescenza del pedicello fiorale col fusto e colla fewille mère. Ora i peduncoli di Solanum non offrono alcun tratto di con- crescenza. Essi emergono come peduncoli e sono continui col- l’asse, di cui sono la terminazione. La figura 162 poi, riportata dall’autore, oltre ad implicare que- sto errore, è anche sbagliata, perchè in essa la foglia opposito- peduncolare emerge ad un livello inferiore all’ emersione del pe- dicello. Questo fatto non avviene mai nelle Solanacee, ove anzi è piùo meno, spesso moltissimo, sollevata sopra di esso per ade- renza contratta coll’asse nato alla sua ascella. Tutto al più è allo stesso livello come nella Petunia. DO piciu 02/00) POR O Questo errore è ripetuto 4!) ove dice: « Dans les Solanum chaque article du sympode se termine... par une cime; de plus le pédi- celle y est concrescent avec le rameau né au dessous de lui Jusque vers le milieu du premier entrenoeud. ». Il Duchartre cita ?) il genere Solanum come un esempio di a- derenza assile dei peduncoli e adduce una figura rappresentante un frammento di Solanum quineense. La figura è esatta, ma l’in- terpretazione è sbagliata. L’Eichler riporta *) una figura del Solanum nigrum, ove trat- teogia la pretesa saldatura della parte inferiore del pedicello fio- rale, che in tale ipotesi avrebbe generato sè stesso; il che non può essere. L'Eichler dice di riportare le interpretazioni da Wydler, co- sicchè l'errore dipenderebbe da quest’ultimo autore. S'intende poi come i detti autori rispetto al Solanum siano in- corsi in tale errore, derivato dal confronto di questa specie coll’Atropa e colla Datura. In queste il pedicello si libera imme- diatamente dal seno delle sue due foglie, che sono opposte (una però è sollevata assai per aderenza), laddove il pedicello del So- lanum si libera colla foglia inferiore molto allontanata dalla su- periore. Insomma, nell’ un caso 1 singoli membri bifogliati dei simpodiit hanno foglie approssimate fino ad opposizione, laddove nel caso dei Solanum le due foglie d’ogni membro, non che op- poste, sono distantissime l’una dall’altra. Eichler e Wydler non hanno interpretato questa differenza, che è pura differenza di sviluppo e non implica nessuna differenza morfologica e nessu- n’aderenza pedicellare. La mia interpretazione trova una dimostrazione inoppugna- bile nella osservazione degli stadi primi di tali organi, ove fin dall'inizio manca ogni aderenza pedicellare. Questo è il caso, in cui l’ organogenia , 0, più precisamente , l’ indagine degli stadi anteriori e delle sommità vegetative serve a chiarire le vere re- lazioni morfologiche. La ragione di ciò si comprende assai bene, perchè in questi casi gli stadii anteriori sono più regolari, non essendo ancora avvenute quelle eccedenze e deformazioni, che in seguito hanno luogo per insolita ineguaglianza di sviluppo. 1) Op. cit. pag. 485. 2) Op. cit. pag. 537. 3) Op. cit. Parte I. pag. 200. La One Solanum glaucum. Dun. (Tav. I, fig. 6) È} questa una pianta cespitosa, che mette dei robusti polloni spiccatamente rettilinei o semplici o parcamente ramificati (con appena due o tre rami). Anche questi polloni sono simpodii e ogni membro continuatore del simpodio col suo robusto caule si adatta tanto bene al caule generatore, che pare trattarsi di un monopodio e non di un simpodio e allora i peduncoli infiore- scenziali sembrano aver proprio contratto aderenza coll’ asse del monopodio per un buon tratto. Ma non è che un’apparenza, molto istruttiva per altro. L'indagine degli stadii anteriori dimostra chiaramente, che anche qui si tratta di un simpodio. TI membri simpodiali sono tutti straordinariamente polifilli e questa è una circostanza, che ha favorito la produzione per ogni pollone di un’insolita apparenza monopodiale. È bene far seguire qui 1’ analisi di alcuni polloni, che ho esa- minati. Pollone (tav. I fig. 6) tripartito, cioè A, B, C. L’ individuo pri- mario 4 ha un numero di foglie, che non ho potuto contare, perchè reciso alla sommità. Le ultime sue foglie corrispondono al catafillo dominante c ed al teleutofillo #. Il catafillo dominante produce all’ascella il ramo 5.Il teleutofillo è senza dubbio ascel- lante all’ individuo € continuatore del simpodio. Ma chi ricono- scerebbe qui la vera sua natura per la strana apparenza mono- podiale assunta dalla continuazione del simpodio? i TL’ individuo €, secondo continuatore , ha sette foglie , delle quali il catafillo dominante ha all’ascella una gemma dormiente e il teleutofillo è ascellante all’asse del terzo individuo continuatore ed emerge un poco più sollevato, come il teleutofillo analogo t. L'individuo terzo conta nove foglie. Dall’ ascella del catafillo dominante si sviluppa una diramazione , che non analizzeremo, perchè sarebbe una vipetizione inutile. Dall’ascella del teleutofillo sl sviluppa il quarto individuo continuatore del simpodio. La fo- glia ascellante è sollevata oltre due centimetri sul peduncolo fio- rale emerso. L'individuo quarto produce sei foglie. Del resto come sopra. L’ individuo quinto ha otto foglie, come sopra. L’ individuo sesto ed ultimo ha sei foglie, come sopra. A NZASI Branca B. Individuo primario (relativamente) 16 foglie » secondo 6 > » terzo td » » quarto GUCE » quinto ed ultimo 8 » Robusto pollone rimasto semplice. Individuo primario con oltre una ventina di foglie. Individuo secondo con 54 foglie. > terzo TOO > quarto D 0 » quinto ed ult. 4 0? È inutile far seguire altre analisi, perchè i risultati concorda- no tutti. Adunque la forma simpodiale di questa specie è interessante, perchè il numero delle foglie nei singoli membri simpodici è va- riabilissimo (da 30 a 20, a 10 a meno), e perchè è uno dei casi più notevoli in cui il corpo del membri simpodiali decorre tanto stranamente da sembrare a dirittura un monopodio. E ancora da notare, che tutti i catafilli inferiori di ciascun membro simpodiale hanno all’ascella una gemma, la quale è sem- pre dormiente eccetto quella, che è all’ascella del catafillo domi- nante, la quale si sviluppa in un nuovo individuo anasimpodico. All’ ascella poi dei teleutofilli di ciascun membro vi è sempre una rudimentalissima gemma iperblastetica, che normalmente non si sviluppa mai. In sostanza, per chi giudica dalla semplice ispezione d’un pol- lone adulto o invecchiato , è impossibile non prenderlo a prima vista per un monopodio. Manca ogni carattere esterno di diffe- renze; tanto più che l’anomala estrascellarità del peduncolo fio- rale può aversi in conto di una saldatura di asse proveniente dalla foglia e gemma inferiore, cui infatti sovrasta. Era interessante seguire la fillotassi nei singoli membri di questo simpodio monopodiiforme. Nei singoli membri le foglie sono disposte in perfetto ordine quinconciale; ma occorre un fenomeno singolare. Seguendo la di- rezione della spirale in un membro e passando alla fillotassi del membro successivo , avviene sovente, che la direzione dell’ elica fillotassica s’inverte; di sinistrorsa diventa destrorsa e viceversa. Ma molte volte ancora la spirale è omodroma non solo per due membri successivi, ma talvolta ancora per tre membri simpodiali. Non so capire le ragioni di questa differenza. Prevalendo il caso, in cui ad ogni aggiunzione la direzione s'inverte, abbiamo allora SE e la quasi unica prova macroscopica, che si tratta propriamente di struttura simpodiale, giacchè la direzione s’ inverte precisamente colla prima foglia del nuovo membro del simpodio. Così anche questa specie conferma la mia interpretazione in- torno alla vera struttura tectologica delle Solanacee. Solanum Dulcamara. L. Pianta subscandente a lunghi tralci. Ciascun tralcio è un sim- podio spesso lungo parecchi metri. Ogni membro del tralcio è polifillo con un numero di foglie, che decresce considerevolmen- te dal basso all’alto. Così in un lungo tralcio o simpodio l’indi- viduo inferiore (primario) aveva 23 foglie, con una gemma dor- mente all’ ascella, una inferiore soltanto sviluppatasi in tralcio secondario. L'individuo successivo (secondo) continuatore ha 12 foglie soltanto ; 1’ individuo terzo 9, il quarto 8; il quinto ed ultimo 6. Adunque qui abbiamo la decrescenza proporzionale alle cifre 23, 12, 9, 8, 6, All’ ascella delle foglie sta una gemma o dormiente o quiescente o sviluppata in simpodio d’ordine successivo, a quanto pare senza regole fisse. Questi numeri sono soggetti a variare a tenore della vigoria della pianta. In ogni caso si ha, che i membri dei simpodii sono polifilli a un alto grado. Nicandra Physaloides. Gaert. (Tav. I, fig. 7) Questa specie è interessante a studiare perchè, avendo le sue foglie spiccatamente decorrenti sia nella regione aderente picciuo- lare sia nella fillopodiale, conferma in ogni punto la teoria del simpodio solanaceo da me data. 2 È una pianta, che secondo la robustezza si divide in più bran- che, le quali si comportano tutte ad un modo. L'individuo primario di primo ordine è polifillo , con gemme ripetitrici per solito dormienti, salvo le due o tre foglie verso l apice, che hanno gemme svolgentisi. Proprio all’ apice , dove l’asse primario termina nel fiore , cioè esce sotto forma di pedi- cello unifloro, a destra ed a sinistra (meglio a 2/8 di circonferen- za) vi sono due gemme, una continuatrice e 1’ altra, l’inferiore, ripetitrice. Le foglie ascellanti all'una e all’altra gemma contraggono ade- renza col relativo asse. Però l’ascellante all'asse continuatore li- bera la sua lamina ove si rende libero il pedicello fiorale di se- condo ordine, esso pure unifloro. Questo nuovo membro è mono- fillo e l’unica sua foglia è ascellante all’asse continuatore di ter- zo ordine, con cui si connette ed eleva; e così, via dicendo, sì ha una successione d’individui tutti uniflori e monofilli con per- fetta corrispondenza alla figura (Tav. I, fig. 7). Qui I’ inclimazione del simpodio è manifestamente incurvata invece di essere excurvata e scorpioide. Ma la ragione è evidente. È il grande sviluppo delle coste fogliari, che ha controbilanciata, anzi superata la forza pre- mente dei teneri pedicelli fiorali, laddove notoriamente succede l’opposto nelle inflessioni scorpioidi, sia perchè le foglie sono com- pletamente abortive, sia perchè sono ridotte a piccole e deboli brattee. Ho avuto occasione di esaminare una pianta di grandi dimen- sioni, che produceva un robusto ceppo. Così ho potuto constatare una struttura mirabilmente regolare e razionale. Il robusto individuo di primo ordine aveva prodotto altri ven- ticinque catafilli, all’ ascella dei quali si erano svolti individui a- finatici. Ciascuno di questi ripeteva naturalmente l andamento all’ indi- viduo primario , essendo polifillo con catafilli aventi all’ ascella gemme quiescenti, che gradatamente dal basso all’alto diminuivano di forze. L’infimo individuo aveva 19 foglie, gli altri rispettiva- mente 17, 16, 16, 15, fino al supremo, producente solo 8 catafilli, oltre i due catafilli aggiunti e dominanti, ed i teleutofilli. Dopo ciò, l’ imdividuo primario termina in un fiore; ma prima produce, quasi allo stesso livello, due catafilli, 11 dominante e 1 ag- giunto, opposti l’ uno all’ altro, ed 31 teleutofillo. T'utti e tre con- traggono aderenza per un tratto più o meno lungo coll’ asse pro- dotto all’ ascella. Il teleutofillo aderisce al secondo membro del simpodio principale; il catafillo dominante aderisce ad un robusto individuo anasimpodico, e il catafillo aggiunto anche ad un indivi- duo anasimpodico , ma meno rigoglioso. Così in questo punto il fusto si tricotomizza. L’ individuo anasimpodico sviluppato all’ ascella del catafillo aggiunto svolge tre catafilli inferiori, due catafilli opposti, I ag- giunto e il dominante, e il teleutofillo. Dopo di che esce sotto forma di pedicello unifloro, producendo così sotto il fiore un’ al- tra tricotomia (secondaria), i cui assi ripetono il tenore della tri- cotomia primaria. Identico è lo sviluppo dell’ individuo anasimpodico , svilup- pato all’ascella del catafillo dominante, salvo una maggiore vigoria in tutti i suoi prodotti. Esso svolge quattro catafilli inferiori in- LE vece di tre, ecc. L’ individuo poi, nato all’ ascella del teleutofillo primario , forma il secondo membro continuatore del simpodio, principale. Esso è monofillo, cioè manca affatto del catafillo do- minante, e produce soltanto il teleutofillo, alla cui ascella si forma il terzo membro del simpodio, esso pure monofillo. Così il quarto, il quinto membro,... tutti monofilli. In tutti i membri simpodiali Il teleutofillo contrae plenaria aderenza coll’ asse generato alla sua ascella fino al nodo soprastante. E notevole, che all’ ascella d’ ogni teleutofillo vi ha lo sviluppo d’una grossa gemma ecblastetica, la quale rimane allo stato di quiescenza, salvo accidentali lesioni. Così compiesi la vita coloniale di questa singolare regolarissima specie, la quale visibilmente inizia le cime scorpioidi fogliate. Hyosciamus niger. L. In questa specie, il simpodio è costituito regolarmente da indi- vidui monofilli, analogamente alla specie precedente. Si noti però, che i teleutofilli vanno riducendosi a semplici brattee, alla quale riduzione è dovuta in parte l’ inflessione della cima scorpioide pronunziata in questa specie. OSSERVAZIONI. I diversi tipi di simpodii, esaminati nelle Solanacee, possono ri- ferirsi al tipo rappresentato dalla Petunia, tipo che abbiamo os- servato essere affatto semplice e regolare. Infatti il tipo di simpodio di questa specie spiega i membri bifilli oppositofogliari, a foglie aderenti, quali abbiamo incon- trati in non poche specie. Ammettendo in questa forma (Petunia), che il catafillo dominante d'ogni membro del simpodio principale contragga aderenza col- l'individuo nato alla sua ascella, si ha il tipo del simpodio della Salpichroa. Se, tanto il catafillo dominante, quanto il teleutofillo d’ ogni membro, restano aderenti ai rispettivi assi, cui ascellano, si ha la forma simpodica della Datura ecc. Il tipo della Petunia spiega i simpodii a foglie geminate tanto frequenti nelle Solanacee, segnatamente nel genere Physalis. Per arrivare a questa spiegazione occorre soltanto ammettere , che la grande foglia ascellante all’ asse continuatore abbia nella propria regione picciuolare contratto aderenza coll’ asse stesso sino CSSZini al nodo superiore. Così la sua lamina maggiore si vedrebbe emer- gere dal fianco della lamina fogliare minore, costituendo una coppia di foglie geminate, delle quali 1° una, la maggiore, appar- tiene all’ asse generatore, l altra la minore, all’ asse generato. Da questa forma alla spiegazione dei simpodii a membri mo- nofilli della Nicandra, del Hyosciamus ecc.. non vi è che un passo. Basta ammettere 1’ aborto o la mancanza di formazione della fo- glia minore e della relativa gemma ripetitrice. E finalmente, dato l’ aborto di questa lamina, che corrisponde al teleutofillo , si hanno le cime scorpioidi nude (Tav. I, fig. 8), che abbiamo studiate nelle infiorescenze del Lycopersicum, ece. CONCLUSIONE. La ramificazione delle Solanacee è ridotta alla legge, che governa le diramazioni normali delle fanerogame; ciascuna delle quali pre- suppone un organo ascellante. L’estrascellarità degli assi, che si avvera nelle piante di questa famiglia non è dovuta nè a sdoppiamento di assi, nè a concre- scenze assili. i Le piante delle Solanacee presentano una struttura regolarissima, che deve ritenersi essenzialmente simpodiale. In questo caso l’e- mersione estrascellare degli assi fiorali si riduce ad una mera ap- parenza,trattandosi d’una deflessione dell'asse accompagna- ta da un repentino assottigliamento. Avendo riguardo al numero e posizione delle foglie prodotte dagl’ individui continuatori dei simpodii, nonchè alla natura delle gemme prodotte alle ascelle di queste foglie, possono riconoscersi diversi tipi di simpodii, che riassumo nel seguente quadro. I CHET polfilli Solanum glaucum _ S. Dulcamara. tetrapentafilli S. argenteum. S. auriculatum. trifilli Lycopersicum ce- rasiforme. / ‘ libere. Solanum sisymbri- | allontanate folium ‘| aderenti, Solanum nigrum. entrambe. Petumia. libere bifilli a foglie una sola . Salpichroa. © | entrambe Se; SRaS RS Datura, Capsicum. Di approssi- ertili i ARPLOSS all’ ascella) «n mate 3 | (subopposte) Td all’ascella del ‘n I | teleutofillo u- 2 aderenti | na gemma 1- = (nella re-Je infime di|perblastetica. da SCA ciascun Atropa. 9 ciuolare al- Li S meno le su-f{PYem or ste- \periori). rili È (salvo dove il 32 , Carlo mancanza di 3% | sl biforca) = | tale gemma 6 | Physalis, Withania monofilli a foglie normali. Nicandra physa- | (a foglie sempre (isofilli) loides. più o meno al- tamente aderen- se E : nella recionel® foglie ridotte o bratteali 3 | ti nella regione S ofilli Hyosciamus. picciuolare) (eterofill1) | afilli. Cime scorpioidi nude Lycopersicum cera- | siforme. | Solanum sisymbri- | folium. R. Orto Botanico, Napoli Marzo 1895. TAVOLA I. Fig. 1 a. Petumia nyctaginiflora. I, individuo primario con c catafillo dominante % » » » » » » e t teleutofillo ; a individuo anasimpodico. II, individuo continua- tore del simpodio con c’, catafillo dominante e #, teleutofillo; a’individuo anasimpodico.... 1 b. Id., I, individuo trifillo; c, e’, catafilli; £, teleutofillo; IT, individuo conti- nuatore. 1 c. Id. Diagramma t, t,’ #,” teleutofilli; c, c, c,” catafilli dominanti; a, @. 9) da gemme anasimpodiche. Salpichroa rhomboideum. I, individuo primario con t, teleutofillo libero, c, catafillo aderente all’individuo 4, anasimpodico. II, individuo con- tinuatore con # teleutofillo libero e e’, catafillo aderente all’ indi- viduo anasimpodico. Datura Stramonium. I, individuo primario con #, teleutofillo aderente all’ individuo II, continuatore, e c, catafillo dominante aderente al- l’ individuo a, anasimpodico, che decorre presso a poco identico; ©, teleutofillo aderente; c’, catafillo dominante aderente, ecc. Physalis pubescens. I, individuo principale con t, teleutofillo aderente e c catafillo dominante. II, individuo continuatore, ecc. Solanum nigrum.I, Individuo primario con #, teleutofillo aderente, c,ca- tafillo dominante aderente; a, individuo anasimpodico, II, individuo continuatore, t, teleutofillo e’ catafillo dominante; a’ individuo ana- simpodico £, gemma ecblastetica ... Solanum glaucum.A,individuo primario con c, catafillo dominante e #, teleutofillo. C, individuo continuatore; B, individuo anasimpodico. Nicandra Physaloides. I, individuo primario , t, teleutofillo aderente; TI, individuo continuatore con #, teleutofillo aderente, ec... Cima scorpioide nuda. I, individuo primario. II, individuo continua- tore, ecc. Intorno a’ così detti lobi accessorii e alle cellule gi- ganti della midolla spinale di alcuni Teleostei. — Notizie storiche anatomiche e morfologiche preliminari di Giu- LIO TAGLIANI. (Tornata del 50 Giugno 1895) È in tempi remoti abbastanza, nel 1685, che il Collins ') per il primo vide e disegnò, senza però descriverle, quelle simgolari prominenze mammillari, che si sollevano dalla faccia superiore della midolla spinale delle Trigle, immediatamente dietro della fossa romboidale. La scoverta del Collins. passò inosservata, pare, anzi, ignorata del tutto, chè di essa non è fatta menzione nè dagli anatomici contemporanei, nè da quelli del secolo XVIII. L’Arsaky ?) ci dette la prima descrizione di queste prominenze o lobi accessorit nelle Trigle, breve ma esatta; e volle anche, pur rimanendo nel dubbio, stabilire un certo rapporto tra la presenza loro e lo sviluppo notevole delle pinne pettorali. Pochi anni dopo il Tiedemann 3), studiando la 7yigla adriatica, affermò recisamente, che le prominenze spinali rappresentassero un aumento della sostanza nervosa armonizzante con lo sviluppo de’ nervi destinati alle pinne pettorali e in modo speciale alle appendici digitiformi, organi di progressione e di tatto. Il Cuvier e il Valenciennes 4), il Gottsche °), lo Stannius 9), il 1) S. COLMI, — System of comparative Anatomy. Vol. II (1685) Tab. 70 Fig. 3. The lower region of the Medulla oblongata of a Gurnard. (La citazione è Gatto dal lavoro del Tiedemann). 2) A. ARSAKY — De piscium cerebro et medulla spinali disser- tatio inauguralis. Halae 1815. 3) F. Trepemann — Von dem Hirn und den fingerfòormigen Fortsàtzen der Triglen. Meckel's Archiv. f. d. Physiol. Bd. II (1816) S. 103-110 Tfl. Fig. 4-6. 4 G. Cuvier et M. VALENCIENNES — Histoire natur alle des Pois- sons. Tom. I. Paris 1828. 5) C. M. GortscnE —V er sleichonde Anatomie des Gehirnsder Graàatenfische. Miller?s Archiv f. Anat. u. Physiol. Jahrg. 1835 S. 244-294, 433-486 TA. IV, VI. 6) H. Srannius— Das peripherische Nervensystem der Fi- sche. Rostock 1849. — Gi — Jobert 1), lo Zincone *) successivamente riportarono o confermarono quasi per intero le osservazioni del Tiedemann. A confutare le vedute del Tiedemann sorse prima 1 Ussow ?), poco dopo il Fritsch 4. L’ Ussow osservò che i lobi accessorii nelle Trigle e nell’ Orthagoriscus non potevano aver nesso alcuno con il maggiore sviluppo delle pinne pettorali, mancando essi nel Dactylopterus e negli Exrocoetus, e opinò, invece, che dovean rite- nersi quali dilatazioni metameriche della porzione anteriore del midollo spinale, determinate da una deviazione evolutiva ne’ pri- mordi della formazione del sistema nervoso. Le ricerche microscopiche furono iniziate dallo Zincone °). Egli ammise che le prominenze spinali nelle Trigle derivassero da un aumento della sostanza grigia centrale, espansa sulla faccia libera delle prominenze stesse in una specie di strato corticale, e che la parte centrale di esse fosse in prevalenza data dalle fibre radico- lari superiori. Descrisse pure, senza poterne precisare i rapporti, alcune grosse e rare cellule nervose, ch’ei denominò cellule com- messurali, situate in sopra della commessura dorsale, tra due pro- minenze dello stesso paio; notò la mancanza delle grosse fibre del Mauthner. Qualche anno dopo l’ Ussow 5) confermò in massima parte le osservazioni dello Zincone, concernenti la struttura anatomica 1) Josert — Etudes d’anatomie comparée surlesorganes du toucher chez divers mammifères, oiseaux, poissons et insectes, Ann. d. sc. nat. (Zool.) sér. V tom. XVI(1872) art. n. 5 pl. ITI- X, 2) A. Zycone — Osservazioni anatomiche sudi alcune ap- pendicitattili dei pesci. Rend. dell’Accad. delle sc. fis. e matem. Anno XV (1876) pag. 182-195 tav. I-II. 3) M. M. Ussow—Ueber einige Eigenthiimlichkeitenim Bau des Nervensystems bei Trigla und Orthagoriscus (Rus- sisch). Arbeiten d. St. Petersburger Ges. d. Naturfoscher Bd. VII (1876), S. LXXII: Ref. v. Hoyer in: Hofmann-Schwalbe s Jahresber. ib. d. Fortschr. d. Anat. u. Physiol. Bd. V (1878) S. 292-293. 4) G. Frirsca — Untersuchungen iiber den feineren Bau des Fischgehirns.— Berlin 1878. 5) A. Zincone— Sulle prominenze del midollo spinale delle Trigle. Napoli 1878. (Il lavoro dello Zincone mi è noto solamente per quello che ne riporta l’Ussow, e per quello che ne riferisce lo Schwalbe in: Hof- mann-Schwvalbe?s Jahresber. ib. d. Fortschr. d. Anat. u. Plysiol. Bd. VII (1879) S. 263-264). 6) M. M. Ussow—. De la structure des lobes accessoires de la moelle épinière de quelques poissons osseux. Archives de biol. t. III (1882) p. 605-658 pl. XXVI-XXX. BESROZA delle prominenze spinali, ed aggiunse nuovi particolari, non sem- pre esatti, bene spesso troppo ipotetici. A-ffermò che la zona cor- ticale de’ lobi accessorii dovesse considerarsi come un centro di origine di fibre nervose supplementari deputate a rinforzare in modo notevole le radici posteriori de’ primi nervi spinali, e che gli elementi cellulari, che concorrevano alla costituzione di essa, derivassero dalle cellule indifferenti della parete posteriore del tubo midollare primitivo. Abbandonò il primo suo concetto, e rivenne su quello del Tiedemann, per cui i lobi accessorii rap- presentavano una complicanza strutturale della midolla e de’ nervi, che se ne dipartivano, stabilitasi per lo sviluppo delle pinne pet- torali in organi aliformi e in appendici digitate. L’Ussow studiò anche, ma di volo, il midollo spinale del Lo- phius piscatorius e dell’Orthagoriscus mola; accennò alle omologie delle due prominenze claviformi di quello e delle colonne supe- riori (dorsali) di questo con i lobi accessorii delle Trigle, e rico- nobbe anche le omologie delle cellule giganti, cui dette il nome di cellule commissurali, con le cellale commissurali delle Trigle stesse. Notò anch'egli la mancanza delle fibre del Mauthner nelle Trigle, nel Lophius piscatorius, nell’Orthagoriscus mola e nel Da- ctylopterus volitans. Del midollo spinale del Lophius piscatorius trattò il Fritsch 1), rivolgendo l’ attenzione sua semplicemente sulle gigantesche cel- lule nervose, le quali sono annidate nella porzione anteriore del solco dorsale, per tutto il tratto segnato dalle prominenze clavi- formi. Il Fritsch si preoccupò sovra tutto della ricca vascolariz- zazione, ch’ei ritenne quasi una condizione necessaria alla vitalità delle cellule giganti, poichè a queste i capillari non solo darebbero il mezzo di sostegno, ma addurebbero anche i materiali nutritizii necessarii, specie l’ossigeno, alcuni attraversandone perfino il pro- toplasma. Seguì pure il decorso de’ cilindrassi nel midollo spinale e nel bulbo, sostenendo che essi in massima parte, sempre rima- nendo amielinici, si aggregassero alle fibre sensitive del trigemino, in minima parte a quelle del vago, accompagnandole fino a’ loro gangli di origine. E accarezzò anche l’ ipotesi che, al di là dei gangli, le fibre affondassero rispettivamente nel truncus lateralis trigemini e nel truncus lateralis vagi, innervando così tanto l'ap - 1) G. Frirsca. Ueber den Angelapparat des Lophius pisca- torius. Sitzungsber. d. kgl. Preuss. Akad. d. Wiss. zu Berlin Jahrg. 1884 S. 1145-1651. Ueber einige bemerkenswerthe Elemente des Cen- tralnervensystems von Lophius piscatorius. Archiv. f. mikr Anatom. Bd. XXVII (1886) S. 13-31 Tfl. ILI-IV. parato pescatore, quanto le strane appendici cutanee, che ornano il margine esterno del labbro inferiore. All’ assieme delle promi - nenze claviformi e delle cellule giganti il Fritsch assegnò la de- nominazione di lobus nervi lateralis. Studiò le cellule giganti del Lophius piscatorius anche il Rohde 1). Ki trattò solo de’ loro rapporti con il tessuto nevroglico, ed am- mise la strana ipotesi di una nevroglia intracellulare, la quale si risolverebbe nell’interno della cellula nervosa stessa, per ricosti- tuire diuturnamente il protoplasma, nevroglia intraprotoplasmatica, che, a sua volta, verrebbe rinnovata dall’incessante proliferazione della nevroglia intercellulare, meglio pericellulare. In tal modo la nevroglia non sarebbe più un tessuto nervoso, come vuole il Nan- sen e come inclina ad ammettere il Cajal con i suoi allievi, o un tessuto di sostegno, come avanzano la maggior parte de’ nevro- logi, o un tessuto, che assorbirebbe da’ vasi i succhi nutritizii, per trasportarli alle cellule nervose, come pensa il Golgi, ma una specie di materiale alimentare passivamente accumulato nel mi- dollo spinale e nell’ encefalo, e che le cellule nervose, a secondo de’ loro bisogni, ingloberebbero nel protoplasma e digerirebbero, per rigenerare sè stesse, Delle prominenze e delle cellule giganti dell’Orthagoriscus mola ha detto brevemente e superficialmente l’ Ussow; il Vignal ?) e l'Haller 3), che han trattato con maggior larghezza dell'anatomia interna della midolla spinale di questo pesce, non ne parlano. L’esiguo materiale, di cui disposi per la mia nota preliminare 4) non mi permise di omologare le così dette colonne posteriori del midollo spinale dell’Orthagoriscus mola alle prominenze claviformi del Lophius piscatorius. Ammisi 1 omologia delle cellule giganti tanto nell’ una, che nell’ altra specie, e stabilii alcuni probabili rapporti associativi tra’ centri spinali e bulbari, per mezzo delle cellule giganti. 1) E. Roape — Ganglienzelle und Neuroglia. Archiv. f. mikr. Anatom. Bd. XLII (1893) S. 423-442 Tfl. XXVI. 2) W. VienaL — Note sur l’Anatomie des centres nerveux du mole (Orthagoriscus mola). Moelle et bulbe. Archives de zool. expérim. et genér. t. IX (1881) p. 369-376, pl. XXI. 3) B. HaLLer — Ueber dasCentralnervensystem, insbeso n- _dere iiber das Ritckenmark von Orthagoriscus mola. Mor- phol. Jahrb. Bd. XVII (1891) S. 198-270 TA. XIII-XV. 4) G. Tagziani — Ricerche anatomiche intorno alla midolla spinale dell’ « Orthagoriscus mola ». Mon. Zool. Ital. Anno V (1894) p. 248-258. ne gi Cellule nervose omologhe alle cellule giganti del Lophius pi- scatorius e dell’ Orthagoriscus mola, ma sovra tutto a quelle del Balistes capriscus, sono .state descritte dal Rohon !) nella midolla spinale di embrioni e di adulti di T'rutta farzo. Il Rohon ha de- nominate queste cellule, cellule del Isissner, e le ha giustamente omologate alle cellule nervose giganti del midollo spinale dell’Am- phioxus lanceolatus, e alle cellule nervose dorsali (Minterzellen) del midollo spinale de’ Petromizonti; ha pure ammesso che avessero rapporti con le radici spinali dorsali omolaterali e contralaterali. A complemento di queste notizie storiche aggiungo che promi- nenze mammillari, simili a quelle delle Trigle, sono state notate dal Miller 2) nel Polynemus paradiseus, e dal Vaillant 3) ne’ Ba- thypterois e nel Dicrolene intromiger. Il nome di prominenze (Anschwellungen) dato alle formazioni spinali in parola, è assai meglio appropriato di quello di lobi ac- cessorî proposto dall’Ussow. Per la disposizione loro e per la for- ma, le prominenze nelle Trigle possono dirsi mammillari. D’ordi- nario, come nella Trigla corax, se ne trovano dieci, cinque da un lato e cinque dall’altro del sulcus longitudinalis superior, simme- tricamente disposte. Esaminate a debole ingrandimento le prominenze presentano all’ esterno uno straterello corticale di nevroglia e una massa centrale discretamente compatta. Lo strato corticale ha uno spes- sore pressocchè costante ovunque; qua e là, non di rado, s'ispes- sisce un tantino, spiccando anche verso l’interno piccole gittate. La massa centrale è, in prevalenza, di sostanza grigia; concorrono a formarla anche le fibre radicolari superiori. Un’osservazione attenta e minuziosa ci lascia notare che l’in- tima tessitura di queste prominenze non offre in vero, nulla di speciale. Se noi per poco ammettiamo che le corna grigie dorsali (superiori) abbiano assunto nelle Trigle, nella porzione anteriore del midollo spinale, uno sviluppo enorme intorno al punto di en- trata delle radici di senso, tale da spingersi fino alla periferia del 1) V. RoHtony — Zur Histiogenese des Rickenmarkes der Fo- relle. Sitzungsber. d. math.-phys. OI. d. k. b. Akad. d. Wiss. zu Miinchen Bd. XIV (1884) S. 39-57 TA. I-II. i 2) F. Mirer — Ueber den Bau des Rickenmarkes bei Poly- nemus. Berichte iiber die Fortschritte der vergleichenden Anatomie der. Wir- belthiere im Jahre 1845 S. 54-55, in Miiller?s Archiv. f. Anat. n. Physiol. Jahrg. 1844 — Vedi anche: Froriep's Neue Notizen Bd. XXX (1843) S. 74, 3) L. VAarranr—Les rayons tactiles des Bathypterois. Compt. rend. hebd. des séances de l’ Acad. des sciences Tom. CV (1887) pag. 619-621. I SRI midollo, e che la. nevroglia centrale si sia espansa a rivestirne la superficie libera, e se noi pensiamo ancora alla mancanza de’cordoni superiori (dorsali), fatto tanto ovvio ne’ Teleostei, la struttura di queste prominenze è bella e spiegata. E infatti lo strato nevro- glico corticale è una diretta emanazione della nevroglia centrale, e di questa ha tutti i caratteri, e la porzione grigia della massa centrale, a parte la mancanza di gruppi di grosse cellule, è, per l'aspetto e per la struttura, identica alla sostanza grigia delle corna ventrali. Sparse e immediatamente in sotto dello strato corticale e nella massa centrale si trovano in grande numero piccole cellule nervose tripolari e fusiformi a nucleo discreto e poco protoplasma. I loro intimi rapporti non sono chiari abastanza; forse si tratta di cellule nervose, che insieme alle cellule nevrogliche stabili- scono relazioni associative necessarie alla normale funzionalità de- gli altri elementi nervosi specifici. Menzione speciale meritano alcune rarissime cellule multipolari, poco meno grosse delle cellule motorie ventrali, situate in sopra della commessura dorsale, tra due prominenze simmetriche : il loro protoplasma è finamente granulare e fortemente cromofilo ; i rispettivi cilindrassi un po’ grossi si dirigono ventralmente e, assottigliandosi presto, si disperdono nella trama fibrillare grigia. Queste cellule, in tutta la regione delle prominenze, non superano le cinque o sei; in piccolo numero, da quattro a otto, se ne in- contrano ancora immediatamente dietro delle due prominenze po- steriori, sulla faccia dorsale del midollo spinale. Mancano davvero nelle Trigle le fibre del Mauthner ? Lo scarso materiale avuto a disposizione non mi ha permesso fin'ora di ri- solvere la questione in un modo o nell’altro. Fibre mieliniche no- tevoli per grossezza, rammentanti benissimo le fibre del Mauthner, s'incontrano nella porzione sopracommisurale dei cordoni ventrali, fin sotto il pavimento del quarto ventricolo. Il loro numero, al- meno nella Zrigla corax, non è costante come in altri Teleostei (Labrus turdus, Crenilabrus pavo, Labrax lupus, Zeus faber, Scor- paena porcus), potendosene talvolta trovar due per ogni lato, ra- rissimamente più. Il calibro di queste fibre è soggetto a discrete variazioni; talora sono grosse abbastanza tal’altra, invece, diven- tano così sottili da confondersi con gli altri tubi de’ cordoni ven- trali; e non è raro il caso di notare tra’ cordoni ventrali subcom- missurali fibre di un calibro anche maggiore e in un numero non esiguo. E probabile, non posso sicuramente dimostrarlo , che le più grosse fibre de’cordoni ventrali sopracommessurali abbiano rapporti D) —,,66 e diretti con alcune grosse cellule nervose, a protoplasma grossola- namente granulare e cromofilo , situate verso la base del corno anteriore, nel gruppo centrale. Si distinguono dalle cellule di questo gruppo specialmente per i loro rapporti: uno de’ dendriti (pro- cessi protoplasmatici), il più notevole per dimensione, va in dire- zione dorsale e laterale, verso il campo di entrata delle radici superiori, il grosso cilindrasse si dirige, un po’ ripiegato ad arco, in direzione mediale e ventrale, verso la regione delle grosse fibre. Nel Lophius piscatorius le prominenze hanno forma di due grosse clave disposte simmetricamente l’una accanto l’altra, a partire dal- l'angolo posteriore della fossa romboidale ; la parte grossa della clava sta in avanti, la parte affusata insensibilmente si disperde indietro sulla faccia dorsale del midollo spinale. Mentre nelle Tri - gle le prominenze si trovano in rapporto con lo speco vertebrale, nel Lophius piscatorius esse si trovano, con la corrispondente por- zione di midollo spinale, nel cranio, così come nell’ Orthagoriscus mola. L’intima loro tessitura non offre nulla di speciale, anche qui trovandosi esse principalmente costituite dalle corna dorsali e cir- condate da uno strato sottile di nevroglia, più spesso un tantino sulle facce mediali. i In mezzo alle due prominenze, in uno spazio di forma clavato- prismatica , denominato impropriamente solco longitudinale dor- sale, in sopra della commessura dorsale, si adagia in un tessuto nevroglico lasco, riccamente vascolarizzato, un numero notevole di gigantesche cellule nervose, visibili sulle sezioni anche ad occhio nudo. Questo gruppo di elementi nervosi, anche esso claviforme, non occupa tutta la lunghezza delle prominenze; in alto sì arresta, per lo più, a qualche millimetro dell’angolo posteriore della fossa romboidale, e in via generale si può stabilire che l’ estremo suo anteriore si trova sulla medesima linea dell’estremo posteriore del nucleo del X, in corrispondenza del segmento più largo delle pro- minenze ; posteriormente si arresta assai prima della coda delle prominenze stesse. Le cellule più grosse e numerose, cui meglio calza l’epiteto di giganti, costituiscono il terzo anteriore del gruppo. Cellule giganti, e con frequenza, ho veduto a’ lati del canal cen- trale, dorsalmente e in prossimità del gruppo cellulare centrale, aventi i caratteri e i rapporti delle cellule giganti situate tra le prominenze. Il corpo protoplasmatico delle cellule giganti, tutto pieno d’in- senature e di anfrattuosità, con dentriti esili, è finamente granu- lare e fortemente cromofilo; i granuli si accumulano in maggior numero nella zona interna, e nel margine esterno sono piuttosto SL gg rari; la grandezza loro varia un tantino, entro limiti ristrettissimi però, chè mai arrivano ad uguagliare i grossi granuli delle cellule spinali ventrali, mai, come in queste, assumono forma allungata a fuso. Il nucleo è voluminoso, e, ne’ caratteri chimici e fisici, ripete i nuclei di tutte le altre cellule nervose. Voluminoso assai è il nucleolo: esso nelle cellule più grosse presenta una membrana, talvolta finestrata, che si colora con una certa intensità, e un contenuto quasi incolore, in cui sono alcuni granuli più o meno grossi e tinti pallidamente. Il grosso cilindrasse si distacca da un punto qualunque del corpo protoplasmatico, situato, per lo più, di fronte alla faccia dorso- mediale delle prominenze; in questo punto il corpo protoplasma- tico è privo affatto di granuli, talora un po’ anfrattuoso, giammai perforato. I cilindrassi tutti costeggiano ad arco la faccia mediale delle prominenze, per un tratto più o men lungo, si affondano nella regione mediana dorsale del midollo spinale, a’ lati del canal centrale, ripiegano quivi verso l’ alto, e si raccolgono in due fa- scetti amielinici simmetrici, decorrenti, paralleli sempre al canal centrale, verso il bulbo, fin nel campo del vago e del trigemino. Ciascun fascetto amielinico raccoglie i cilindrassi delle cellule gi- ganti del proprio lato, molto di rado qualche cilindrasse passa nel fascetto contralaterale, decussandosi prima sul fondo del così detto solco longitudinale dorsale. Le cellule giganti, che si trovano in sotto della commessura dorsale, e a destra e a sinistra del canal centrale, inviano costantemente il loro cilindrasse dorsalmente nel fascetto amielinico del lato omologo. Ho praticato tagli in tutte le direzioni, avendo disposto di un materiale copioso, ma oltre il bulbo non mi è stato possibile seguire i due fascetti amielimici. Ricerche ulteriori potranno stabilire se veramente o no i cilindrassi delle cellule giganti prendano parte alla costituzione de’ nervi la- terales vagi et trigemini. Su’ rapporti delle cellule giganti con i vasi e la nevroglia non sempre si è stati esatti. Solo le cellule di minori dimensioni, spe- cie quelle del terzo posteriore, possono non contrarre rapporti con i vasi, tutte le altre vengono a contatto con i capillari, i quali, in numero vario, penetrano ne’ seni e negli anfratti, talvolta co- stituendo attorno alle cellule una specie di rete a larghe maglie, giammai, però, ne perforano il corpo protoplasmatico. La nevroglia circonda le cellule giganti, accompagnandone an- che il cilindrasse. Essa è lascamente disposta intorno a’ corpi pro- toplasmatici, dove più, dove meno abbondante, e penetra anche nelle insenature di questi, assieme a’ capillari. Gli esilissimi pro- PRI (12 PARA lungamenti gliali vengono a contatto tra loro e con il protoplasma delle cellule giganti, mai si fondono con esso, mai lo traversano. La presenza di una nevroglia intracellulare rimane per me asso- lutamente esclusa; al più si tratterebbe di un fatto postmortale. Intorno alle prominenze e alle cellule giganti dell’Orthagoriscus mola ho detto altrove diffusamente. Qui aggiungo: che le colonne dorsali sono omologhe alle prominenze claviformi del Lophius pi- scatorius, e presentano la struttura delle corna superiori; e che le cellule giganti non solo occupano il margine mediale delle promi- nenze, ma un certo numero si trova anche in sotto della commes- sura dorsale, a’ lat del canal centrale. Aggiungo pure che le cel- lule giganti dell’ Orthagoriscus mola per struttura e rapporti ram- mentano affatto le cellule giganti del Lophius piscatorius, con la differenza che la loro vascolarizzazione periprotoplasmatica è meno ricca, e più rada anche, intorno ad esse, è la nevroglia. Il midollo spinale del Balistes capriscus non ha, fin qui, costi- tuito oggetto di ricerche, forse perchè la sua configurazione ester- na, non discostandosi da quella della maggior parte de’ T'eleostei, non poteva richiamare in modo speciale l’attenzione degli studiosi. Mancano assolutamente prominenze spinali. La struttura interna ci rivela una costruzione midollare bene evoluta, quale si riscon- tra in molti Teleostei superiori, e quale certamente non troviamo in un altro Plectognate, nell’ Orthagoriscus mola. È da considerarsi in modo speciale lo sviluppo delle corna superiori; queste tuttavia, per quanto grosse, non raggiungono mai la superficie dorsale del midollo, essendone separate da un fascio di fibre radicolari arcuate, e solo nel tratto anteriore del midollo vengono a contatto diretto della pia meninge, senza mai far sporgenza allo esterno. Notevole è la presenza di un discreto numero di cellule giganti. Queste si trovano disposte, dietro della fossa romboidale, per breve tratto, su due file, al margine interno delle corna dorsali, di lato al solco longitudinale superiore, quelle di avanti a due a due simmetriche, le posteriori alternanti, sicchè su’ tagli ora appare quella di un lato ora quella dell’ altro. I rispettivi cilindrassi si dirigono nella trama nervosa delle corna dorsali del proprio lato, e quivi, in pros- simità del canal centrale, si disperdono. Scarsi attorno ad esse i capillari e la nevroglia. Mancano sicuramente e nel Lophixs piscatorius, e nell’ Orthago- riscus mola, e nel Bulistes capriscus le grosse fibre del Mauthner. Dalle mie ricerche, esposte a sommi capi, ricavo le conclusioni seguenti. SERI Le prominenze spinali de’ Teleostei non rappresentano organi nuovi, nè complicanze strutturali del midollo spinale ; esse son date da uno sviluppo notevole delle corna dorsali. I momenti, che han determinato l’apparizione delle prominenze, debbono ri- cercarsi ne’ primordi della evoluzione embrionale (fatti meccanici), e non nella presenza di organi periferici speciali. Questi possono trovarsi (pinne aliformi e appendici digitate nelle Trigle, apparato pescatore e cirri labiali nel Lophius piscatorius), o mancare anche (Orthagoriscus mola), e inversamente possono aversi organi peri- ferici dello stesso valore morfologico e mancare le prominenze spinali (Dactylopterus, Exococetus). Insieme alle prominenze, almeno nelle specie fin qui studiate, mancando ancora ricerche sulla struttura del midollo spinale del Polynemus paradiseus, de’ Bathypterois e del Dicrolene intromiger, si presentano le cellule giganti; queste, pero. possono stare senza di quelle (Balistes capriscus, Trutta fario), anzi sembrano formazioni indipendenti. Le cellule giganti debbono apparire precocemente nell’embrione, e formarsi non a spese degli elementi della piastra dorsale del tubo midollare, da cui origina il solo setto ependimale superiore, ma a spese di taluni neuroblasti della piastra dorso-la- terale, i quali in maggior parte emigrano in alto, in minima parte restano sopra luogo, come lo attesta la presenza di cellule giganti a’ lati del canal centrale. TI significato delle cellule giganti rimane tuttavia oscuro; è pro- babile che abbiano rapporti indiretti, per mezzo del trigemino e del vago, con la linea laterale di senso; è anche probabile una certa relazione tra la presenza loro e la mancanza delle fibre del Mauthner. Intorno alle cellule giganti la nevroglia si raccoglie sempre in maggior o minor quantità, a secondo de’ bisogni, e non per dare a queste cellule nervose un semplice sostegno o per apportar loro, in un modo o nell’ altro, l’alimento, ma per associare la funzione di esse a quella di tutti gli altri elementi nervosi centrali. La nevroglia è un tessuto epiblastico nervoso, e come tale un tessuto attivo conduttore. Napoli, Stazione Zoologica, 30 Giugno 1595. Per Gavino Cano — Commemorazione fatta dal socio GiusEPPE JATTA, (Tornata del 24 marzo 1895) L’animo nostro, egregî colleghi, contristato dall’ annunzio doloroso della immatura morte del socio, Dott. G. Cano, trova oggi conforto nel rendere all’ amico defunto questo doveroso tri- buto di stima ed affetto. Della vita e della operosità scientifica di lui nel campo della Zoologia brevemente dirò, come meglio so e posso, procurando con ogni studio di tenermi lontano da qualsiasi esagerazione, che offenderebbe la memoria, a noi cara, dell’ estinto e la sincerità dei sentimenti nostri. Gavino il 24 maggio 1862 nacque da Ignazio Cano e da Maria Solinas in Sassari ed in questa città morì il giorno 3 mar- zo 1895, non avendo ancora compiuto il trentatreesimo anno di vita. Nel 1877, ancora giovanetto, perdè il padre e se ne accorò tanto da farne una grave malattia. Ristabilitosi comprese, che per lui non vi era tempo nè luogo alla spensieratezza giovanile. Divenne serio e malimconico. La sventura aveva fatto del fan- ciullo un uomo! Compenetrato dal sentimento di dovere verso la famiglia rinunziò il modesto patrimonio , lasciatogli dal padre, « vantaggio della madre e delle otto sorelle, e si dedicò con pas- sione ed ardore allo studio. Quando morì il padre, Gavino aveva già compiuti gli studi classici e, presa la licenza liceale, era stato dichiarato in seguito a concorso meritevole di occupare un posto nel Collegio Carlo Al- berto di Torino; ma, non potendo in quel tempo abbandonare la famiglia, continuò gli studii nella Università di Sassari. Quivi nel 1886 si laureò in Medicina e Chirurgia. Assistente alla cattedra di Zoologia si innamorò degli studii zoologici e dopo, che il prof. Fanzago per malattia dovette abbandonare l’insegna- mento , egli sentì il bisogno di svolgere in luogo più adatto la sua attività scientifica. Lasciò quindi l’isola nativa e si recò a Roma, ove divenne assistente al Museo di Zoologia di quella Uni- versità. Ansioso, com’egli era, di apprendere per potere poi spa- ziare nel campo della ricerca, sperava ivi lavorare serenamente e, tutto dedito allo studio, vivere tranquillo. Vana speranza ! Lo at- Sri paesi tendeva un’ amara delusione! Trascinato dalla perfidia degli uo- mini in una lotta bassa ed ingrata molto ebbe a soffrire. Torti ricevuti da coloro, da cui si doveva giustizia; raggiri tenebrosi, nei quali si tentava da più parti di attirarlo; accuse sanguinose, ingiuste e volgari non valsero ad abbattere la sua anima forte, a deviare la sua onesta e retta coscienza! Uscì vittorioso da quella lotta, benchè molto ne soffrisse nel fisico e nel morale. Lu- minosamente ed anche ufficialmente riabilitato venne a Napoli nel 1888, e noi avemmo allora l’occasione di conoscerlo, la ventura di annoverarlo fra i nostri socii più operosi, l'opportunità di stimarlo ed amarlo. Ottenuto un posto alla Stazione zoologica si dedicò con ar- dore ai suoi studii prediletti; contemporaneamente si iscrisse alla Università come studente di scienze naturali, conseguendone la laurea nell’anno 1890. Ebbe per concorso un posto di perfe- zionamento all’interno, poi la cattedra di scienze naturali per gl I- stituti tecnici ed ultimamente un posto di perfezionamento all’e- stero. Per necessità , lasciando a malincuore la Stazione zoolo- gica, andò ad insegnare nell’ Istituto tecnico di Modica; ove ben presto seppe guadagnarsi la stima dei superiori e dei colleghi, l’affetto degli scolari. La vita però, che egli prediligeva, era quella dello studioso. Il lavoro scientifico era per lui unica sorgente di vera con- tentezza. Laborioso, instancabile, paziente ed accurato lavoratore si appassionava della ricerca; si immedesimava nel problema scien- tifico, del quale volentieri soleva discutere con vivacità e calore! Con mirabile prontezza, messosi nell’indirizzo moderno degli studil zoologici, nei quattro anni, che serenamente potè dedicare al lavoro, mise insieme molte osservazioni importanti, di cui attestano le sue numerose pubblicazioni. I lavori del Dott. Cano vertono tutti sopra i Crostacei De- capodi; sono quindici e si possono dividere in tre gruppi. Un primo gruppo comprende i lavori esclusivamente sistematici : un secondo quelli, in cui si studiano le forme larvali dei Crostacei Decapodi: un terzo quelli, in cui si tiene anche conto dello svi- luppo embrionale e di questioni embriologiche di indole generale. I lavori sistematici fatti in gran parte sopra Crostacei esotici raccolti dalla CarAccIoLo, dal Raro e dalla Verror Pisani det- tero all’autore l'opportunità di acquistare quella estesa conoscenza di forme, che poi costituì la solida base alle sue ricerche morfo- logiche. Descrisse alcuni nuovi generi e molte nuove specie. Artirgi Tutti gli altri lavori mirano a stabilire per mezzo dello studio delle forme larvali i rapporti di affinità fra i diversi gruppi, fa- miglie, generi e specie di Crostacei Decapodi viventi nel nostro golfo. Descrisse molte nuove forme larvali; molte altre poco conosciute illustrò, e con le sue ricerche riuscì a portar nuova luce sopra la morfologia e la filogenesi dei Crostacei. Pervenne a. conchiusioni interessanti, che qui non posso tutte riportare; ma non mancherò di richiamare la vostra atten- zione sopra quelle, che, a me sembra, abbiano una importanza maggiore. Ricorderò, come a proposito dei T'alassinidi conchiuse, che tali Crostacei si sviluppino secondo una triplice serie evolutiva di forme strettamente affini e derivate da un unico tipo fondamentale (Axius) Studiando lo sviluppo postlarvale dello Sfenopus spinosus, vi riconobbe una forma di transizione tra i Peneidi, propriamente detti (Peneus, Sicyonia), e gli Eukyphotes. Descrisse nei Dorippi- dei un ciclo evolutivo , il quale è strettamente in rapporto con quello dei Brachiuri. Si occupò distesamente dei Cancridi ed os- servato, che fra essii Xantidi rappresentano forme più elevate ri- spetto all’Eriphia ed al Pilummnas, trovò, che la Pirimela ha uno sviluppo concordante interamente con quello di Carcinus moenas, e concluse proponendo un nuovo ordinamento della famiglia. Dimostrò, che gli Oxyrhinchi hanno rapporti stretti di affinità con la Latreillia, fra 1 Dromiacei, e propose dividerli in tre fami- glie (Inachidae , Parthenopidae e Majidae), cui assegnò precisa- mente i limiti, mentre ne stabili le sottodivisioni. E nel lavoro sopra lo sviluppo dei Dromiacei tentò sintetizzare in un ordina- mento sistematico tutte le sue osservazioni e rappresentare in un quadro i rapporti morfologici, risultanti dalla Storia dello sviluppo degli Anomuri e Brachiuri. Superate felicemente le molte difficoltà tecniche, nei lavori, in cui oltre che lo sviluppo postlarvale studiò anche l’ embrionale, si adoperò a portare nuova luce sopra la forma sastrulare, l’ori- gine e la formazione dei foglietti, 1’ origine e lo sviluppo degli organi. À me rincresce, che la natura medesima di tali ricerche mi impedisca di parlarne diffusamente. Negli ultimi anni malgrado, che dovesse dedicare parte del suo tempo all'insegnamento, ed il male, che lo ha condotto così im- maturamente alla tomba, lentamente rodendolo, togliesse energia all’ animo e forza al suo corpo, pure aveva menato a termine uno studio sopra il Phylosoma. Dal prof. Dòhrn era stato messo a sua disposizione un ricco materiale , parte prodotto di una lunga serie di ricerche fatte nel nostro golfo, parte proveniente dalla SRI peri raccolta della Vertor PisANI e parte dalle collezioni del Museo di Berlino. Il lavoro, di cui egli tante volte agli amici aveva par- lato, è rimasto inedito, ma forse era completo. So, che le tavole sono presentemente presso il nostro collega Dott. Russo, mentre il manoscritto, mandato al Ministero per il concorso di perfezio- namento all’ estero, ignoro, ove ora si trovi. A me consta, per averlo appreso dalla bocca dello stesso autore, che aveva ottenuti risultati importanti, fra 1 quali merita di essere notato quello di aver trovate alcune nuove forme di passaggio fra il Phyllosoma e lo Scellarus adulto. Tali forme, invano finora ricercate dagli stu- diosi, hanno un grande e speciale interesse per gli studii carcino- logici. Fo voto, che quest’ ultimo lavoro del nostro socio possa essere pubblicato sia per l intrinseco valore, che esso ha, sia perchè esso valga a mostrare quanto grande fosse in lui la passione per la ricerca zoologica, cui volle fino agli ultimi momenti dedicare con frutto ed amore la sua attività ed intelligenza. Questa la vita, questa la operosità scientifica del Dr. G. Cano! Toccato dalla sventura fin dai primi anni, la sventura lo accom- pagnò per tutta la vita breve, ma operosa. Anima onesta, sin- cera ed aperta: carattere tenace: mente colta: ingegno pronto fecero di lui un uomo stimato, un amico impareggiabile ed amato. Î triste, triste assai, egregî colleghi, vedere troncata una così travagliata esistenza proprio quando colui, che con tanta forza di animo l’aveva vissuta, era riuscito a guadagnare la stima dei buoni, ad imporre il silenzio a tutti i suoi nemici, e, combattuta vittoriosamente la sua aspra lotta della vita, intravedeva , forse per la prima volta, un lieto avvenire ! Bitto mala tristezza nostra deve trovare un conforto nel pensiero, che il socio, l’amico, di cui piangiamo la perdita, può essere additato come uno splendido esempio di virtù , che non frequentemente si tro- vano personificate negli uomini. La operosità scientifica del Dr. Cano dimostra ancora una volta, che malgrado le difficoltà, gli ostacoli, le privazioni e le amarezze della vita la meta agognata non è preclusa a chi vuole e fortemente vuole. E le vicende della sua vita mostrano ancora una volta, che il putridume del mondo non giunge mai a contaminare un'anima veramente onesta, la quale anzi al contatto di quello, come oro nel fuoco, fa rifulgere tutto lo splendore delle sue virtù. Vorrei metter termine al mio dire con una sincera parola di conforto per la desolata famiglia. Ma penso, che nessuna parola # Sg IA possa valere tanto a confortare, se è possibile, l’animo angosciato della madre, del fratello, delle sorelle e degli altri parenti, quanto il sapere, che il loro Gavino ha lasciata qui presso tutti coloro, che lo conobbero, grata e cara memoria di sè, e che questa So- cietà di Naturalisti in Napoli con affetto ne ricorda oggi e ne ricorderà sempre le rare doti di mente e di cuore ! Pubblicazioni del D.r Gavino Cano Crostaceiraccolti dalla Regia Corvetta Caracciolo nel viaggio intorno al globo durante gli anni 1881, 82, 83, e 84. Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli, Anno 2°, vol. 2°, fase. 29, 1888. Con tre figure nel testo. Crostacei del R. Avviso Rapido. Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli, Anno 2°, vol. 2°, fase. 2° 1888. S Crostacei Brachiuri ed Anomuri raccolti nel viaggio della Vettor Pisaniintorno alglobo. Studio preli- minare. Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli. Anno 3°, fasc. 1° 1889. Viaggio della R. Corvetta Vettor Pisani attorno al globo. — Crostacei Brachiuri ed Anomuri. (Con 1 ta- vola). Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli. Anno 3°, fasc. 2°, 1859. Specie nuove o poco conosciute di Crostacei Decapodi del Golfo di Napoli (con una tavola). Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli. Anno 4°, vol. 4°, fasc. 19, 1890. Morfologia dell'apparecchio sessuale femminile, glan- dole del cemento e fecondazione nei Crostacei De- capodi (con tavola). Mitlheilungen aus der Zoologischen Station zu Neapel, IX. Band., 4 Heft. 1890. Sviluppo postembrionale della Gebia, Axius, Callia- nassa e Calliaxis.—Morfologia dei Talassinidi (ta- viol'enquatiuro): Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli, Anno 5°, vol. 5°, 1891. Sviluppo postembrionale dei Gonoplacidi. Atti della R. Accademia di Scienze di Torino, vol. XXVI, 1891. Sviluppo postembrionale dello Stenopus spinosus. — Studio morfologico. Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli, Anno 5°, vol. 5%, 1891. Sviluppo postembrionale dei Dorippidei, Leucosiadi, Corystoidei e Grapsidi (con 3 tavole). Memoria estratta dal Tomo VIII, serie III, n. 4, della Società Italiana delle scienze (detta deù XL), 1891. ARTE Sviluppo postembrionale dei Cancridi (con due tavole). Bollettino della Società Entomologica Italiana, Anno XXITI, 1891. Sviluppo dei Portunidi. — Morfologia dei Portunidi e dei Corystoidei (con 3 tavole). Memoria estratta dal Tomo VIII, serie IIL® n. 6, della Società Italiana delle scienze (detta dei XL), 1892. Sviluppo e Morfologia degli Oxyrhinchi (con 3 tavole. Mittheilungen aus der Zoologischen Station zu Neapel, Band X, 4 Heft. 1892. Sviluppo dei Dromidei (con 2 tavole). Atti della R. Accademia di scienze fisiche e matematiche di Napoli ; vol. Wlfiserie 22m 21895. Dorippe.—Studio morfologico (con 2 tavole). Atti della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli; vol. VI, serie 22, n. 9, 1893. Per Oscar Visart. Commemorazione fatta dal Socio FeDE- RICO RAFFAELE. (Tornata del 9 giugno 1895) Pareva che la nostra Società, fatta di giovani, non dovesse avere altro ufficio che quello di raccogliere i frutti della giova- nile attività dei suoi membri, compiacersi del loro successi, in- coraggiare i loro passi nell’arduo cammino e plaudire alle vittorie riportate. Ma purtroppo eccoci, a breve distanza, riuniti per la seconda volta a compiere 1l mesto dovere di ricordare uno dei nostri rimasto a mezza strada, senz’ aver potuto raggiungere la meta. Fra pochi giorni compirà l’anno che il Dottore Oscar Visart fu ammesso come socio ordinario residente nella nostra Società , e quando cominciavamo a conoscerlo e speravamo aver acquistato in lui un altro amico e un attivo collaboratore ai nostri lavori , egli ci è stato tolto! — Ma il suo breve passaggio in mezzo a noi ha lasciato una traccia, che se ci conforta, permettendoci di conservare un durevole ricordo di lui, rende anche più amaro il rimpianto della sua dipartita, perchè ci fa pensare che egli, rima- nendo fra noi, avrebbe utilmente contribuito ai lavori della no- stra Società. Oscar Visart nacque nel 1863, in Santa Croce presso Como, dal conte Raffaele e dalla contessa Maria Platamone e compì gli studi universitarii parte a Torino e parte a Pisa, dove conseguì la laurea in scienze naturali. Fece poi il volontariato in un reggimento di Alpini. Appena libero, si dedicò agli studii prediletti, occupandosi di ricerche zoologiche e di anatomia comparata. Stette alcun tempo in Pisa, come aiuto del professor Richiardi, poi andò assistente a Cagliari, poi nella Scuola superiore d’ agricoltura in Portici. Lasciato quest’ ultimo posto, tornò al suo paese natio, dove spe- rava forse di ritemprare, in mezzo alle cure della famiglia, la malferma salute. Negli ultimi tempi visse in Napoli e lavorava , sperando di potere, in un prossimo avvenire, conquistare una ri ESS posizione che gli permettesse di continuare i suoi studii in con- dizioni più favorevoli. Ma il male, che da varit anni insidiosamente lo combatteva , andò rapidamente aggravandosi e lo condusse in breve alla tomba a soli 32 anni! Chi lo avvicinò negli ultimi anni della sua vita fu penosamente impressionato dal suo aspetto macilento e dalla sua voce fioca ; che chiaramente palesavano le gravi condizioni della sua salute. Egli, come tanti altri, s' illudeva, e, agitato da quella febbre di lavoro che, in casi simili, è spesso foriera di prossima fine, s’ affaticava a compiere alcuni studii cominciati, quasi temesse di non giungere in tempo ! Ma la fibra esausta mal rispondeva all’ar- dente volontà e spesso egli dovette cedere alla stanchezza e fu costretto a fare molto meno di quello che s’ era proposto. Pur nondimeno nello scorso anno, ultimo di sua vita, ei con- dusse a termine tre lavori, che sono stati stampati nel Bollettino della nostra Società, illustrandoli con tavole, che egli stesso, con non comune abilità incideva su pietra. Questi lavori contengono osservazioni intorno al tubo digerente degli Artropodi, studiato specialmente negli Insetti e nei Miria- podi. In uno, il Visart studia comparativamente 1’ istologia del mesointestino soffermandosi particolarmente sul processo di secre- zione delle cellule epiteliali; 1’ altro è esclusivamente dedicato alla rigenerazione cellulare dell’ epitelio intestinale, di cui già nel pre- cedente lavoro era fatto largo cenno. Il terzo ed ultimo è un con- tributo alla conoscenza delle glandule ceripare negli Afidi e nelle Cocciniglie, dove è accuratamente studiata la questione molto con- troversa della secrezione della cera e sono descritte le varie ma- niere di glandule deputate a questo ufficio e i diversi aspetti sotto cui la secrezione si presenta. . Da questi seritti del Visart, di cui mi son limitato a dare un brevissimo cenno, poichè molti fra noi ne hanno ascoltata la let- tura, appare com’ egli fosse accurato nella osservazione e dotato di buon senso critico, e come non si sgomentasse dall’ affrontare problemi di non facile soluzione, lo studio dei quali richiede lunghe e faticose ricerche. Le buone attitudini, che i lavori prodotti di- mostrano essere state in lui, si sarebbero certamente affermate e più completamente esplicate, se la sua energia non fosse stata fiaccata dal morbo. Chè, anzi, desta meraviglia il vedere tanta costanza e pazienza nel lavoro in un organismo stremato e pros- simo ad estinguersi. SITE La contessa Visart, cortesemente rispondendo a una mia lettera con cui le chiedevo alcune notizie biografiche del suo caro defunto, mi scriveva: « In quanto al suo ingegno, non tocca a me il giu- dicarne, a me tocca solo il dire che ho perduto un affettuosis- simo figlio ». Noi non avemmo il tempo di conoscere a fondo il Visart e di | poterne pienamente apprezzare le qualità morali ed intellettuali; ma la sua fine immatura lascia un vuoto in mezzo a noi ed io credo d’ interpretare un sentimento comune a tutti dicendo che noi sinceramente ci associamo al dolore della povera madre. PUBBLICAZIONI DEL D. OSCAR VISART Ricerche sul pigmento rosso dei Cromatofori dell’ Euglena sanguinea (Processi verbali della Società Toscana di Scienze Naturali, mag- gio 1890) Contribuzione allo studio del tubo digerente degli Artropodi. Ricerche istologiche e fisiologiche sultubo digerente degli Ortotteri. (Nota preventiva. Società Toscana di Scienze Naturali, 10 maggio 1891). Elenco delle specie Italiane appartenenti al genere Cala- thus. Descrizione di una varietà nuova del Calathus Giganteus, Var. Impressicollis, Mihi Ro verbali Società Toscana di Scienze Natu- rali 4 maggio 1890). Contribuzione allo studio del tubo digerentedegliArtro- podi. Rigenerazione cellulare e modalità della medesima nella mucosa intestinale, con tav. IV (Bollettino Società Naturali- sti di Napoli Serie I, Vol. VIII). Î Saggio di studio critico sperimentale su di un caso di mum- mificazione spontanea (Lo sperimentale, Firenze Tomo LXVI). Sugli Afidi delle piante e sui modi di combatterli, con par- ticolare riguardo alla Schizoneura Lanigera Hausm. (Boll. N. 22, R. Sc. Sup. d’ Agricoltura Portici). La Porthesia Chrysorroea L. Liparis Chrysorroea, bruco peloso degli Alberi da frutto (Bull. N. 23 R. Sc. Sup. Portici). Contribuzione allo studio deltubo digerente degli Artro- podi. Ricerche istologiche e fisiologiche sultubo dige- rente degli Ortotteri (Atti della Società Toscana di Scienze Naturali Memorie Vol. XIII). Contribuzione allo studio delle glandule ceripare delle Cocciniglie (Rivista di Patologia Vegetale Anno III, N. 1-4). Contribuzione allo studio del sistema digerente degli Artropodi. Sull’intima struttura deltubo digerente dei Er (OI Miriapodi (Chilognati), con tav. II e III (Boll. della Società di Naturalisti di Napoli Serie I, vol. VINI Contribuzione alla conoscenza delle glandule ceripare ne- gli Afidi e nelle Cocciniglie, con tav. VI. (Boll. della Società di Naturalisti in Napoli, Serie I, Vol. VITI. sO, di StlitA Serino: Napo pg 20 N BOLLETTINO DELLA 60 DI NATURALISEO Meneioo ae dr adi AR a vw cpr i Ponti NIAN INSTITUTION LIBRARIES f Ta \ef »2) (ET IITTKNA 3 9088