BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. 1879. — Anno X. 1879. — Anno X. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Volume Decimo N. 1 a 12. ROMA, TIPOGRAFIA DI G. BARBÈRA. 1879. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° I e 2. Gennaio e Febbraio 1879. X'XKo* ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1879. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. 1°. — Bollettino. — Si pubblica regolarmente in fascicoli bime- strali di 5 o più fogli di stampa ciascuno, formanti un vo- lume annuo di 500 e più pagine, con tavole ed incisioni in- tercalate nel testo. Il prezzo dell’ abbuonamento annuo è di L. 8 per V interno e di L. 10 per l’estero. Gli abbuonati ricevono gratuitamente la copertina ed il frontespizio del volume. — Ad annata compiuta i volumi annuali rilegati si vendono al prezzo di L. 10. — I fascicoli separati si vendono al prezzo di L. 2 ciascuno. — La serie incomincia coll’anno 1870. II0. — Memorie per servire alla descrizione della Carta Geo- logica d’ Italia. — Pubblicazione di gran formato corre- data da tavole, Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Volume I; Firenze 1871. — Introduzione — Studii geo- logici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui minerali delle valli di Danzo, di G. Struver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descri- zione geologica cieli ’ Isola d’ Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica ita- liana (Parte Ia, Gasteropodi sifonostomi ) di C. D’ Ancona ; fascicolo 1°, con sette tavole. — Prezzo Lire 35. Volume II, Parte la; Firenze 1873. — Introduzione. — Monografia geologica dell ’ Isola d’ Ischia, di C. W. C. Fuchs, con Carta geologica e incisioni nel testo. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attra- versata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo -Elvetica, di F. Giordano, con Carta geologica e due tavole di Sezioni. — Appendice alla Memoria sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con una tavola. — Malacologia pliocenica italiana (Parte Ia, Gasteropodi sifono- stomi), di C. D’Ancona, fascicolo 2°, con otto tavole. — Prezzo Lire 25. Volume II, Parte 2a; Firenze 1874. — Studii geologici sidle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, Parte 2a, con due tavole. — Prezzo Lire 5. Volume III, Parte la; Roma 1876. — Il gruppo vulca- nico delle Isole Ponza, monografia geologica di C. Doelter, con tre tavole e una Carta geologica. — Geologia del Monte Pisano, di C. De Stefani, con una tavola. — Prezzo Lire IO. {Continua.) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Jl° lei — Gennaio e Febbraio 1879. SOMMARIO. Avvertenza. Cenno intorno ai lavori del Comitato Geologico nel 1878. Note geologiche. — I. L’àge des couches à Hipparions, par Th. Fuchs. — IL Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrionale, per D. Lovi- sato. (Continuazione.) — III. Sui dintorni di Roveredo nel Trentino, per M. Vacek. — IV. Sulla struttura geologica della parte meridionale della catena di Monte Baldo nel Veronese, per A. Bittner. — V. Le rocce erut- tive della parte occidentale del Trentino, per C. Doelter. Notizie bibliografiche. — I. Cafici, Da Vizzini aLicodia; Siracusa, 1878. — I. Cafici, Studi sulla geologia del Vizzinese ; Catania, 1878. — D. Lovi- sato, Il Monte di Tiriolo ; Catanzaro, 1878. — A. De Zigno, Sopra un nuovo Sirenio fossile scoperto nelle colline di Brà in Piemonte; Roma, 1878. — A. De Zigno, Aggiunte alla ittiologia dell’epoca eocena; Venezia, 1878.— R. Lepsius, Das westliche Sud-Tirol; Berlin, 1878. Notizie diverse. — Società Toscana di Scienze naturali. — La questione delle argille scagliose. — L’ eruzione fangosa di Paterno. — Analisi chimica dello spinello di Tiriolo in Calabria. Cenno necrologico. — Bartolomeo Gastaldi. Errata-Corrige. AVVERTENZA. Il Bollettino del Comitato Geologico ; il quale entra ora nel suo decimo anno, proseguirà ad escire in puntate bimestrali, presentando quanto vi ha di più recente in fatto di studi geologici, specialmente concernenti l’ Ita- lia, tanto per parte di geologi nazionali che di fore- stieri. Lo stesso darà pure di tempo in tempo come pel passato il resoconto dei lavori per Y avanzamento della Carta geologica,|e presenterà in più il resoconto degli Atti del Comitato direttore, atti, che prima ve- devano la luce saltuariamente in altre pubblicazioni - 4 - del Ministero. Si incomincierà nel presente numero col R. Decreto 23 gennaio die ricostituisce il personale del Comitato stesso. Non è inutile a questo punto il ripetere alcune av- vertenze. Anzitutto, quella che in una pubblicazione di tal genere in-8°, ed a puntate bimestrali d’ un numero molto limitato di fogli per non eccedere una modica spesa, non è possibile lo accogliere delle Memorie volumi- nose, nè tavole di gran dimensione o di complicato e costoso disegno. Una parte del materiale è bensì costi- tuito da articoli originali appositamente scritti, come, per esempio, nell’ ultimo numero del 1878, ma la mas- sima parte è naturalmente costituita da semplici tran- sunti delle Memorie che vedono per lo più la luce nelle pubblicazioni periodiche di diversi Istituti scientifici na- zionali, come F Accademia de’ Lincei, quella delle Scienze di Torino, F Istituto Lombardo ec., non che di parecchi dell’ estero. Ora è da avvertire che stante il numero talvolta grandissimo di tali pubblicazioni nei diari scientifici no- strani ed esteri, e nei vari rami della geologia e pa- leontologia, non è materialmente possibile al Bollettino il riferire su di tutte, nè tampoco il riportarne un esatto elenco generale, e ciò sia pel lavoro grandissimo di compilazione che esigerebbe, sia perchè tali pubblica- zioni delle diverse Accademie ed Istituti vedono sovente la luce riunite in grossi volumi, i quali soltanto com- paiono e sono distribuiti molto tempo dopo che le Me- morie furono presentate dai loro autori. Il Bollettino adunque deve limitarsi a far cenno delle Memorie principali che più interessano F argomento della geolo- gia italiana in relazione ai lavori della Carta che si sta ora rilevando, ovvero di quelle che venendo comunicate in tempo al segretario del Comitato, non perdono inte- ramente il merito dell’ attualità. — 5 — Altra avvertenza importante, e da ripetersi qui, si è che nel riferire, soventi testualmente, le opinioni de- gli autori delle Memorie, sia circa a principii di geolo- gia teorica che a fatti geologici, la redazione del Bol- lettino, a meno di espressa dichiarazione, non intende farsene garante, ma soltanto di esporre fedelmente le suddette opinioni ed i fatti quali vengono dagli autori rappresentati. I lavori o Memorie di maggior lena, corredati al- T uopo di grandi carte e profili o di tavole di fossili, devono, come è noto, venir pubblicati in volumi di gran formato, detti Memorie. Di queste non escirono finora che i due primi volumi e la prima metà del terzo ; e la causa di tale scarsità si fu in gran parte la notevolissima spesa di simili pubblicazioni, se fatte a dovere, ed in parte la convenienza di attendere che i recenti e dettagliati studi in corso permettano ai loro autori di compilare delle Memorie di merito ineccepi- bile e concludenti sulla geologia italiana. A suo tempo quindi verrà ripresa tale pubblicazione delle Memorie, mentre il Bollettino proseguirà nel compito di presentare a brevi e regolari intervalli il riassunto di ciò che nel campo geologico si va facendo tanto dall’ uffìzio del Co- mitato che dai cultori della geologia, in relazione prin- cipalmente allo scopo del Comitato medesimo. Atti relativi al Comitato Geologico. In seguito alla perdita avvenuta dei geologi Curioni e Gastaldi, membri del Comitato geologico, e dietro al- tre considerazioni, il Ministero venne nella determina- zione di ricostituirlo con un numero maggiore di mem- bri, al che provvedeva col R. Decreto 23 gennaio, che qui si riferisce : - 6 - UMBERTO I PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D’ IT ALIA. Visto il R. Decreto del 15 dicembre 1867, N° 4113, relativo alla costituzione del Comitato Geologico ; Visto il R. Decreto del 15 agosto 1873, N° 1421 (Serie 2a), che determina le norme per la formazione e la pubblicazione della Carta geologica del Regno. Considerato che Y importanza dei lavori della Gran Carta d’ Ita- lia dà luogo a problemi la cui soluzione vuole essere maturata- mente preparata, discussa col concorso di un competente numero di persone perite nella materia ; Sulla proposta del Ministro d’ agricoltura, industria e com- mercio ; Abbiamo decretato e decretiamo : Art. 1. Il Comitato geologico istituito presso il Ministero di agricoltura, industria e commercio, è composto di 7 membri no- minati con nostro Decreto e scelti fra le persone le più versate nelle dottrine geologiche e minerarie. Art. 2. Fanno parte di diritto del Comitato stesso : L’ Ispet- tore capo del Corpo Reale delle Miniere ; Il funzionario dello stesso Regio Corpo, incaricato specialmente della direzione dei lavori geologici ; Il Direttore della Stazione agraria che specialmente si occupi di mineralogia ; Il Capo dell’ Istituto topografico militare. Art. 3. Il Comitato ha un presidente, nominato ogni anno con nostro Decreto fra i suoi componenti. Nel caso però che il Ministro d’ agricoltura, industria e com- mercio intervenga alle adunanze, a lui ne spetta la presidenza. Un impiegato dell’Ufficio centrale Geologico compierà le fun- zioni di segretario. Art. 4. Il Comitato si aduna in sessione ordinaria nel mese di Gennaio d’ ogni anno, ed in sessione straordinaria ogni qual volta il Ministro di agricoltura, industria e commercio ne ravvisi convenienza. Nelle sedute ordinarie si rende specialmente conto al Comitato dei lavori eseguiti nell’ anno precedente. L’analoga relazione consentita dal Comitato, sarà dal nostro Ministro d’ agricoltura, industria e commercio presentata al Par- lamento. Art. 5. Ai componenti del Comitato geologico che non dimo- rano nella Capitale, sono pagate le spese di viaggio, oltre ad una indennità giornaliera di L. 15. Art. 6. È abrogata qualunque disposizione contraria al pre- sente Decreto. Ordiniamo che il presente munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’ Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo os- servare. ^ V Lato a Roma, addì 23 gennaio 1879. Firmato : UMBERTO. Controfirmato : MAJORANA- C AL ATABI ANO. Per copia conforme : G. Gramegna. Con altro Decreto poi del 2 febbraio, venivano fatte le seguenti nomine dei 7 membri di cui nell’ art. 1° : Prof. Giovanni Capellini, Bologna. Prof. Gaetano Giorgio Gemellaro, Palermo. Prof. Giuseppe Meneghini, Pisa. Prof. Giuseppe Ponzi, Roma. Prof. Arcangelo Scacchi, Napoli. Senatore Giuseppe Scarabelli5 Imola. Prof. Antonio Stoppani, Firenze. Il prof. Meneghini venne, colla stessa data, nominato presidente per V anno 1879, a norma dell’ art. 3°. - 8 - CENNO INTORNO AI LAVORI DEL COMITATO GEOLOGICO NEL 1878. Il rilevamento regolare della Carta geologica d’ Italia nella scala del 50,000, iniziato in Sicilia nel 1877 per opera degli Ingegneri del R. Corpo delle Miniere a ciò destinati, fu prose- seguito con tutta regolarità nel 1878 dagli stessi due ingegneri- geologi che aveva lavorato in quel primo anno, ai quali verso la fine del 1877 aggiungevasi un terzo, allora ritornato dagli studi all’ estero. I rilevamenti vennero come prima eseguiti su carte ingrandite alla scala del 25,000, tali quindi da potervi indicare tutti i più minuti dettagli di qualche interesse industriale; ed ai tre fogli già fatti di Girgenti, di Caltanissetta e di Piazza Armerina, si aggiungevano in breve quelli di Palma e di Licata, e un po’ più tardi anche quello di Caltagirone; fu inoltre verso la fine dell’ anno portato a buon punto il rilevamento del foglio di Santa Caterina, il quale può ritenersi come uno dei più com- plicati della intiera zona solfifera siciliana. Nello stesso tempo gli operatori tracciarono buon numero di sezioni attraverso le regioni industrialmente più importanti, e formarono una colle- zione di roccie e di fossili che già figura in parte nelle rac- colte scientifiche dell’ Ufficio geologico. Dei fogli ora citati i primi cinque, unitamente ad un foglio di sezioni, poterono figu- rare alla Esposizione universale di Parigi, dove furono presentati tanto in quarti di foglio sciolti alla scala del 25,000 quanto riuniti in un solo quadro in quella del 50,000. Ai tre ingegneri finora destinati al lavoro di Sicilia si aggiunse verso la fine del 1878 un quarto di ritorno dall’estero, e questi sarà più spe- cialmente incaricato dello studio di alcuni lembi staccati della zona solfifera che si trovano nella parte occidentale dell’ isola. Un secondo centro di rilevamento in grande scala fu nel 1878 iniziato nei dintorni di Roma per opera del personale tecnico addetto all’ Ufficio geologico, il quale vi ha dedicato per ora il tempo che le ordinarie occupazioni lasciavangli disponibile. Per il rilevamento di dettaglio 1’ ufficio si vale della carta dei dintorni della capitale in 27 fogli alla scala del 25,000 ed a — 9 curve di livello, da poco tempo pubblicata dal R. Istituto to- pografico militare, mentre per il rilevamento sommario o di semplice ricognizione nelle parti più lontane, in mancanza di altre carte, fa uso di quella dello Stato Maggiore Austriaco nella scala dell’ 86,400. Della prima carta furono nell’ anno por- tati a compimento i fogli di Ponte Galera e Fiumicino, e quasi ultimato quello di Maccarese ; della seconda fu studiata la vallata del Tevere da Roma infino ad Orte, comprendendovi il gruppo del Soratte da un lato e la regione sino ai monti Lucani e Ti- burtini dall’ altro, nonché la vallata dell’ Aniene da Tivoli insino a Subiaco, estendendosi dal lato di mezzogiorno ai monti Pre- nestini ed a parte dei Lepini. Nell’ anno corrente saranno tali esplorazioni continuate e si spera di poterle estendere ad altre parti meno conosciute della provincia, come pure si rileveranno in dettaglio i fogli al 25,000 di Roma, Maglianella, Monte Mario e Castel Giubileo, coi quali si avrebbe la carta in scala suffi- cientemente grande della città e degli immediati suoi contorni. Con la scorta poi di lavori già esistenti, specialmente del pro- fessore Ponzi, delle ricognizioni ora cerniate e di un rilievo som- mario della regione laziale fornito dall’ ingegnere Di Tucci di Yelletri, P Ufficio potè redigere una carta geologica di buona parte della provincia romana nella scala del 250,000 ; tal carta fu pubblicata per cura della Direzione di Statistica in un atlante annesso ad una monografia della provincia fatta in occasione della Esposizione internazionale di Parigi. Dopo i due centri ora citati di rilevamento regolare, cioè, eseguiti da personale del R. Corpo delle Miniere, devesi ancora aprirne un terzo nella regione marmorea delle Alpi Apuane, pel quale havvi già destinato una parte del personale operante ; e ciò sarà fatto non appena sieno pronte le carte in grande scala occorrenti per simile lavoro di dettaglio. Infatti le pratiche da tempo iniziate a questo scopo coll’ Istituto topografico militare sortirono buon esito, e nello scorso anno veniva eseguito il rile- vamento nella scala del 25,000 della parte centrale di quella catena, quella appunto che maggiormente interessa P industria dei marmi ; non si attende adunque altro se non che tali carte sieno stampate per dare principio al lavoro geologico. In questa misura avanzavano pure i lavori staccati, o pre- — 10 — paratorii che dir si voglia, eseguiti da personale estraneo al R. Corpo delle Miniere, che erano in corso al cadere del 1877 in due diverse parti d’ Italia. Primo di questi fu quello delle Alpi Occidentali che da buon numero d’ anni tenne occupato il Gastaldi insieme ad alcuni collaboratori, e che sgraziatamente viene ora interrotto per V avvenuta morte di quell’ egregio scien- ziato, nel momento appunto che alcune scoperte di fossili fatte nella parte meridionale di quella catena gli aprivano un nuovo orizzonte di investigazioni nei terreni d’ epoca secondaria fino ad ora mal noti o del tutto sconosciuti. Nei primi mesi dell’ anno potè il Gastaldi allestire per 1’ Esposizione di Parigi una gran carta di tutto il suo rilevamento nella scala del 50,000, la quale si estende dal Lago Maggiore insino ai dintorni di Mondo vi, e cioè per tutta la cerchia delle Alpi Occidentali ad eccezione dell’ alta valle d’ Aosta non ancora abbastanza conosciuta. L’ altro lavoro a cui si accenna è quello della regione metallifera toscana, eseguito per conto del Comitato dai signori Lotti e De Stefani, il primo dei quali completava nel 1878 i due fogli di Montalcino e di Grosseto della Carta dello Stato Maggiore Austriaco in scala dell’ 86,400, mentre il secondo rilevava per intiero il foglio di Montepulciano e dava quasi ultimato quello di Arezzo della stessa carta. Anche questo lavoro staccato può dirsi vicino al suo termine, inquantochè cogli ultimi rilevamenti eseguiti la zona metallifera di Toscana fu sommariamente esplorata quasi per intiero. Colle carte rilevate dai signori Lotti e De Stefani P ufficio potè preparare per 1’ Esposizione di Parigi un quadro geologico della Toscana Centrale, comprendente otto fogli della già citata carta austriaca, e che si estende da Lucca sin quasi ad Orbetello in un senso e dal mare sino oltre Firenze nell’ altro. La Esposizione internazionale tenutasi in Parigi nel 1878 offrì al Comitato Geologico l’opportunità di presentare un saggio dei lavori fatti, i quali peraltro dovettero di necessità essere in numero limitato, come limitati sono i suoi mezzi fìnanziarii e il personale operante e ancora troppo vicino il tempo nel quale si iniziarono lavori regolari di rilevamento. Ciò non pertanto le poche cose esposte erano sufficienti a dare una idea di quanto fu fatto e di quanto si potrà fare in avvenire col nuovo indi- rizzo dato a questa istituzione col Decreto del 1873, ed il giurì — 11 — internazionale volle ricompensare i suoi sforzi accordando al Co- mitato il Diploma d’onore equivalente alla gran medaglia d’oro. Giova però aggiungere che ugual premio fu dato al nostro Isti- tuto topografico militare, come pure che furono dal più al meno premiati quasi tutti i lavori esposti dai geologi italiani. Senza qui ripetere le cose dette in altra occasione, 1 basterà dare lo elenco delle carte esposte dall’Ufficio geologico, distinguendole in due categorie secondo che riguardano lavori eseguiti diret- tamente dal personale dell’ufficio o facente parte del Corpo delle Miniere, ovvero lavori di geologi privati eseguiti per incarico e sus- sidiati dall’Ufficio stesso. — Lavori della prima categoria : 1° Carta generale d’Italia nella scala di 1 per 600,000 compilata sui lavori finora pubblicati ed anche inediti dei varii autori che studiarono qualche parte d’ Italia, e coi rilevamenti sommarii appositamente eseguiti in Basilicata e in Calabria dai signori De Giorgi e Lo- visato per incarico dell’ Ufficio ; 2° Carta d’ Italia nella stessa scala, sulla quale furono indicate con appositi segni le miniere in corso di lavorazione o semplicemente riconosciute, non che i principali stabilimenti metallurgici; 3° Carta geologica di parte della regione solfifera di Sicilia nella scala del 50,000, compren- dente i cinque fogli sovraindicati ed un foglio di sezioni : a questa carta andavano uniti anche i fogli di campagna al 25,000 ; 4° Carta geognostico-mineraria di parte della regione metallifera della Sardegna meridionale, nella scala di 1 per 10,000; questo lavoro fu eseguito dagli ingegneri del E. Corpo addetti all’ uf- ficio minerario di Iglesias ; 5° Rilievo del Monte Etna colorato geologicamente, nella scala del 50,000 per la planimetria, doppia per l’altimetria. — Lavori della seconda categoria: 1° Carta geo.- logica delle Alpi Occidentali nella scala del 50,000, del profes- sore B. Gastaldi (premiata con medaglia d’ oro) ; 2° Carta geo- logica della Liguria centrale, comprendente quattro fogli della carta al 50,000, del prof. C. Mayer (premiata con medaglia d’argento); 3° Carta geologica della Toscana centrale, nella scala di 1 per 86,400, rilevata dai signori Lotti e De Stefani2 1 Vedi Rapporto inserito nel Bollettino del 1878, n° 11-12. J II signor De Stefani ha anche esposto per proprio conto alcuni fogli della Carta geologica delle Alpi Apuane all’ 86,400 ; questo lavoro venne pure rimu- nerato con menzione onorevole. Tra gli altri lavori privati esposti per conto — 12 - (premiata con menzione onorevole) ; 4° Carta e sezione geologica dello stretto di Messina nella scala di 1 per 25,000, del profes- sore G. Seguenza coadiuvato da uno degli ingegneri del R. Corpo (premiata con menzione onorevole). Nuovo aumento acquistarono in quest’ anno le collezioni di minerali e roccie dell’ Ufficio 'geologico e per le raccolte inviate dagli operatori a corredo dei loro rilevamenti e per i doni fatti da diverse persone ed istituzioni; fra queste giova notare alcune interessanti raccolte di minerali, roccie e materiali da costruzione di paesi esteri provenienti dalla Esposizione di Parigi, fra cui una bella collezione di materiali da costruzione del Giappone. Fra le nuove raccolte italiane va segnalata quella dei minerali delle miniere solfuree di Romagna apprestata per cura dell’ufficio mi- nerario del distretto di Ancona, ed altra di roccie della riviera ligure di ponente raccolte per cura dell’ ufficio di Genova. Il numero totale dei pezzi ora esistenti nelle collezioni del Comi- tato può ritenersi non inferiore ai 14,000. Qualche aumento si è pure verificato nella raccolta dei campioni a grande dimen- sioni dei materiali italiani usati nelle arti edilizie e decorative, e specialmente di esemplari appartenenti a provincie che non erano affatto rappresentate o lo erano scarsamente. La biblioteca e la raccolta delle carte ebbero pure un discreto aumento e per le compere fatte e più ancora per doni di persone e società scientifiche con le quali l’ ufficio trovasi in reciproco scambio di pubblicazioni. Attualmente il numero dei volumi si può calcolare a non meno di 3000 e quello delle carte geologiche a fogli 250 circa. Fu regolarmente continuata la pubblicazione del Bollettino , il quale va sempre più acquistando in importanza per i lavori originali dei geologi italiani e stranieri che in esso veggono la luce. A questo proposito gioverà ricordare che la più ampia libertà di vedute è lasciata ai singoli autori e che la redazione del periodico non si assume la responsabilità per le opinioni espresse negli articoli che vengono accettati per la pubblicazione. L’ Ufficio geologico ha per la prima volta nel 1878 destinato degli autori, vennero premiati con medaglia d’ argento quelli dei professori Ponzi e Taramelli, e con medaglia di bronzo quelli del defunto Curioni e del senatore Scarabelli. - 13 — una piccola somma nel suo bilancio alla provvista di materiale scientifico, e oltre ad un certo corredo di barometri aneroidi, di termometri, di bussole per i lavori di campagna, si è procurato tutto T occorrente per V assaggio dei minerali al cannello, un apparecchio fotografico da campagna ed un microscopio per lo studio delle roccie con tutto il necessario per la preparazione delle sezioni sottili. Da ultimo gioverà ricordare come in que- st’anno l’ufficio abbia finalmente potuto disporre di qualche somma per incominciare a provvedersi delle scaffalature necessa- rie per le collezioni e per la biblioteca. La somma totale spesa nel 1878 per la carta geologica fu di L. 42,000 distribuita come segue: Assegni ed indennità fisse al personale dell’ ufficio centrale L. 10,570 Indennità per lavori di campagna 17,355 Provvista ed ingrandimento di carte 1,084 Spese d’ufficio e di posta 2,513 Pubblicazione del Bollettino 2,160 Provvista di libri e carte per la biblioteca . . 1,737 Provvista di materiale scientifico 2,609 Scaffalature 1,817 Allestimento di carte per P Esposizione ... 668 Spese varie 1,487 Totale . . . L. 42,000 Per il corrente anno 1879 1’ assegno fu portato alla cifra di L. 57,000, delle quali però L. 10,000 sono destinate a coprire le spese di trasloco dell1 Ufficio geologico dall’attuale sua sede in altra, onde a dir vero la somma disponibile per i lavori geo- logici non sarebbe che di L. 47,000. Oltre a ciò conviene notare che nel 1881 si radunerà in Bologna il secondo Congresso geo- logico internazionale 1 e che 1’ ufficio dovrà sin d’ ora fare ese- guire alcuni lavori speciali da presentarsi in quella circostanza, lavori che arrecheranno al bilancio di quest’ anno un aggravio da calcolarsi a non meno di L. 10,000, di maniera che la somma realmente disponibile e da dedicarsi intieramente ai lavori in corso, verrebbe ancora a diminuirsi di tanto. P. Z. 1 Vedi Rapporto citato. 14 - NOTE GEOLOGICHE. I. L’àge des couches à Hippcirions , par Theodor Fuchs. Dans le N° 9-10 du Bollettino Geologico, 1878, se trouve une communication de M. De Stefani, 1 dans la quelle il conteste de nouveau Page pliocène des couches de Pikermi en énumérant une longue sèrie de géologues et paléontologues renommés et il- lustres, dont il réclame l’autorité pour refuter l’opinion récem- ment émise par moi. J’avoue sincèrement que je n’aime pas beaucoup que quel- quTm réclame des autorités dans des questions scientifìques, et que je préfère en tous cas de voir opposer des faits à mes vues. La décision des questions stratigraphiques n’est pas une question d’esprit ou de génie ; elle ne dépend que du hasard heureux de pouvoir faire des observations décisives. Quand on veut déjà citer des autorités, qu’on ait du moins la précaution de citer ceux qui se sont occupés en vérité du sujet en question, mais qu’on n’énumère pas, par hasard, une sèrie de noms, appartenant tous, c’est vrai, à des savants fameux et célèbres, dont la plupart cependant, seraient bien étonnés sans doute de se voir appeler juges pour faire la distinction entre le miocène supérieur et le pliocène inférieur en Italie. Tout en rendant mes hommages aux études littéraires éten- dues de M. De Stefani, il faut regretter qu’étudiant tant d’ceu- vres ne touchant pas notre question, M. De Stefani n’ait pas regardé de plus près l’ouvrage qui doit ètre considéré chef- d’ceuvre dans le cas présent, c’est à dire: Gaudry, Animaux fossiles et Geologie de V Attigue. Peut-ètre trouvera-t-il encore Poccasion de combler cette lacune et alors il verrà ce que chacun peut voir qui prend la peine d’étudier de plus près cet ouvrage, 1 Sull’ epoca degli strati di Pikermi. — 15 — que M. Gaudry regarde les couckes de Piìcermi pliocène et non miocène, cornine M. De Stefani semble supposer erronément. 1 Mon savant ami mentionne aussi, que tous les géologues au- trichiens regardent cornine miocène supérieur et non comme pliocène les couches à congéries et le Delvederschotter, et il dit quii me fallait savoir ce fait. Je le sais en effet, mais je sais de plus, que cette opinion n’est qu’un use provisoire parmi les géo- logues autrichiens, puisque en Autriche il manquait jusqu’à pré- sent tous les points d’appui pour résoudre cette question d’une manière décisive. D’autre part il sera sans doute bien connu à mon adversaire très-honoré, que les couches à congéries de la Russie méridionale furent déclarées pliocène par Murchison, Yerneuil, Keyserling et après eux par la plupart de géologues russes, mais je n’ai jamais cité cette opinion comme épreuve de ma vue, sachant bien que cette manière de voir est plutot une supposition, qu’une opinion fondée sur des observations décisives. M. De Stefani mentionne aussi, que les couches d’eau douce de Simorre et Sansan sont considérées généralement miocène moyen et non miocène supérieur. C’est bien juste, mais la mème faune de mammifères se trouve de mème en Autriche dans le second étage mediterranéen (Tortonien) et dans l’étage sarma- tique, et précisément la mème faune se retrouve depuis dans la mollasse d’eau douce de la Bavière et de la Suisse, à Giinz- burg, Kàpfnach, Elz, Winterthur et Oeningen. Cependant tous ces dépòts, sont considérés miocène supérieur, mème en partie pliocène inférieur non seulement par la plupart des géologues autrichiens, allemands et frangnis, mais, pour ce que j’en sais, aussi par tous les géologues italiens. — Et cette opinion a d’autant plus d’importance qu’ici les couches ossifères se trou- vent en combinaison avec des couches marines fossilifères nor- males, tandis que de Simorre et Sansan on ne sait rien d’autre que les couches d’eau douce reposent sur un banc d 'Ostrea crassis- sima. Cette conchyle cependant se trouve également dans le miocène inférieur, moyen et supérieur, et en conséquence ne prouve rien pour les couches superposées. 1 Voyez Blanford, The Pikermi and Siwalik Faunas pliocene, not miocene. ( Nature , 1878, 501.) - 16 — A cette occasion je constate avec plaisir, que notre très- honoré ami, s’est enfin convaincu que les lignites de Monte Bamboli avec Amphicyon et Hyotherium sont plus anciens qu’ils ne le sont ceux de Casino avec Hippotherium et avec des Anti- lopes, une opinion qu’il combattait vivement il y a peu de temps. Panni les géologues qui se sont occupés dans le dernier temps avec le plus grand succés, des relations stratigrapliiques des couclies d’eau douce tertiaires de l’Europe, M. Sandberger occupe le premier rang. Son grand ouvrage Die Land-u. Siiss- ivasserconcìiylien der Vonvelt est bien connu par M. De Ste- fani; M. Sandberger où place:t-il donc les couches à Hippothe- rium de Pikermi et Cucuron? il les place dans le pliocène et non dans le miocène ! Yoilà une autorité qui vote en ma faveur. Cependant je viens de déclarer que je n’aime pas reclamer les autorités et que je préfère toujours de fonder mes vues sur les faits; laissons donc les autorités et passons aux faits. La Grece. — Quant à la Grèce il suffit de renvoyer à l’ouvrage ci-mentionné de Gaudry. Celui-ci déclare pliocène les couches de Pikermi, et les faits nombreux, tant stratigraphiques, que pa- léontologiques, indiqués par lui sont tellement convaincants, que je crois superflu de revenir aux observations que j’ai été dans le cas de faire moi-mème, et par lesquelles les vues de M. Gau- dry sont confìrmées parfaitement. L’ Italie. — En Italie la décision de la question dépend prin- cipalement de la position qu’on veut attribuer au calcaire de Piosignano, qui se trouve immédiatement sous les couches à con- géries avec les hipparions. Ce calcaire regardé d’abord par moi comme un calcaire de Leytha miocène, fut déclaré plus tard par M. De Stefani comme un dépòt còtier pliocène. Cependant des études plus approfondies m’ont appris, que ni Pune, ni l’autre de ces opinions répond exactement à la réa- lité et qu’il faut regarder ces dépòts comme un membre inter - médiaire entre le miocène et le pliocène, ordinairement séparés d’une manière tranchante. Le caractère dominant est celui du miocène, mais il manque à ces couches déjà une sèrie d’espèces répandues généralement dans cet horizon, tandis qu’un nombre d’espèces pliocènes commencent à apparaìtre. Nous connaissons de ces dépòts généralement très-riches en — 17 — fossiles à-peu-près 40 espèces de coquilles, mais parrai ces 40 espèces il n’y a ni YAncillaria glandiformis, ni la Pseudoliva JBrugadina, ni la Pyrula rusticula, ni la Cardita Jouanneti, cras- sicosta ou nudista, ni la Lucina pomum, leonina ou columbella, tanclis que nous trouvons Cardium echinatum, Modiola modiolus, Pecten varius et Pecten comitatus Fontannes,1 c’est-à-dire 4 espè- ces regardées typiques pour le pliocène et pour les formations plus récentes. Toutes ces circonstances augmentent encore d’importance par une relation faite par M. Capellini dans un Mémoire publié dernièrement dans les Memorie della Beale Accademia dei Lincei.2 D’après cette relation, se trouve près de Colognole, non loin de Rosignano, un dépòt isole de calcaire gris et de mollasse ferru- gineuse duquel l’auteur cite les fossiles suivants: Pleurotoma, sp. Ancillaria glandiformis , Lam. Botella subsuturalis, D’ Orb. Latrarla óblonga, Chemn. Venus midtilamella, Lam. Venus Haidingeri, Ho era. Cytherea Pedemontana, Agass. Cardita crassicosta, Lam. Lucina columbella, Lam. Arca diluvili Lam. Yoilà une faune franchement miocène, mais en ménie temps quelle différence entre cette faune et celle du calcaire de Rosi- gnano ! différence qui ne peut pas ètre expliquée que par une différence de l’àge. Si donc le calcaire de Rosignano s’éloigne du miocène typi- que, en s’approchant du pliocène, ce fait nous porte à supposer de toute vraisemblance, que les couches d’eau douce superpo- sées doivent ètre considérées corame pliocène inférieur et non plus comme miocène. La vallèe dii Bhòne et la Provence. — En partant de la bouche du Rhòne, jusqu’au delà de Lyon, toute la vallèe du Rhóne est remplie avec des couches miocènes marines dans lesquelles on peut facilement distinguer deux divisions prin- 1 J’ai vu un exemplaire typique à deux valves de cette espèce, prove- nant du calcaire de Rosignano dans la collection de M. Michelotti à Turiti. a Capellini, Il calcare di Leilha, il Sarmatiano e gli strati a Congerie nei monti di Livorno , di Castellina marittima , di Miemo e di Monte Catini. Roma, 1878. 2 — 18 cipales, l’une, plus ancienne, qui corresponcl au premier étage mediterranéen du bassin de Vienne (miocène moyen), l’autre plus jeune, qui représente le second étage mediterranéen du bassin de Vienne, c’est-à-dire le Tortonien (miocène supérieur). Ces deux divisi ons furent déjà distinguées avec toute l’exacti- tude pour les environs de Cucuron, par Tournouér et Fischer (G-audry, Animaux fossiles du moni Léberon) et depuis confir- mées et poursuivies dans toute l’étendue de la vallèe du Eliòne dans une sèrie de travaux excellents de M. Fontannes. Dans la division plus ancienne, qui comprend peut-ètre aussi le niveau de Schio, sont comprisi le calcaire de Saint-Paul-trois-chà- teaux, les sables avec Terebratulina calathiscus , et la mollasse de Cucuron; dans la division plus jeune au contraire, les marnes de Cabrières à Cardita Jouanneti, et les sables de Tersanne à Nassa Michaudi. Au dessus de ces dépòts marins, tortoniens, suit de toute la longueur de la vallèe du Rhòne une formation puissante d’eau douce, ou mème terrestre, composée de calcaires et de marnes blanchàtres et de limons rouges, contenant des lignites et les ossements des Hipparions et des Antilopes, qu’on trouve en par- tant de Cucuron dans une fonie de localités jusque mème dans la ville de Lyon (Croix rousse). Cette formation d’eau douce et terrestre est de nouveau sui- vie par des dépòts marins qui cependant appartiennent déjà au pliocène et qui à leur tour sont surmontés par les couches à congéries de Bollène, et par ceux-ci à Potamides Basteroti de Montpellier. Nous avons donc à distinguer deux fois dans la vallèe du Rhòne, l’influence d’eau douce parrai la sèrie des couches mio- cènes et pliocènes; une fois dans les couches à congéries de Bollène et dans les couches à Potamides Basteroti de Montpel- lier et Visan, et l’autre fois dans les dépòts étendus d’eau douce de Cucuron, Hauterive, Meximieux etc. Quant aux premières, elles sont pliocènes sans doute, étant pla- cées au dessus du pliocène marin. Quant aux seconds, leur po- sition dans le système ne peut ètre déterminée par les condi- tions stratigraphiques, parce qu’étant intercalés entre le tortonien et le pliocène, ils peuvent ètre attribués avec la mème raison à 19 — l’un comme à l’autre. Mais dans cet horizon se trouve la faune des mammifères de Pikermi, et Pikermi étant pliocène d’après Gaudry, la faune de ces couches parie en.faveur d’un àge pliocène. Dans le mème horizon près de Meximieux se trouve, as- socile aux coquilles de Hauterive, une riche flore, qui a fourni il y a peu de temps les matériaux pour une monographie de M. Saporta ( Becherches sur les végétaux fossiles de Meximieux. — Arch. du Musée d’JListoire naturelle de Lyon, 187 6). Cette flore présente un caractère très-jeune; elle contient une serie des espéces actuelles, et est déclarée pliocène par l’auteur. Mème la flore parie donc en faveur d’un àge pliocène de ces couches. L’Allemagne et la Suisse. — Dans la vallee du Rhin, en Suisse et en Bavière, les Hipparions, associés au Mastodon longirostris , se trouvent dans des dépòts fluviatiles superficiels, d’un aspect quaternaire, qui sont certainement plus jeunes que les couches d’eau douce d’Oeningen. L’Autriche. — Dans PÀutriche les couches sarmatiques contien- nent la faune de Sansan et de Simorre avec Mastodon angu - stidens, Dinotherium Cuvieri, Anchitherium Aurelianense, Bistri- odon splendens, etc. , de la mème manière que cette faune se trouve à Oeningen, Kapfnach, Giinzburg, et la faune d’Eppels- heim et de Pikermi avec les Hipparions, avec le Mastodon longi- rostris et avec les Antilopes n’apparait qu’au dessus des couches sarmatiques. Ce sont brièvement les circonstances sous lesquel- les la faune de Pikermi se trouve en Europe, et tous les faits rapportés portent à croire que la faune en question doit ètre attribuée au pliocène et non au miocène. Dans une communication que je viens de publier dans les Verhandlungen du 1",. le. Geologischen Beichsanstalt 1 je tàchais de prouver qu’on avait confondu jusqu’à présent deux faunes essenti ellement difìerentes sous le nom de faune mammalogique pliocène. La plus ancienne de ces faunes est caractérisée par Masto- don Borsoni, Mastodon arvernensis, Tapirus, des Antilopes, et par l’absence des genres JEJlephas, Hippopotamus, Eguus et Bos, et 1 Ueber neue Vorkommnisse fossiler Sàugethiere von ,Teni Saghra in Rurae- lien und von Ajnàesko in Ungarn, nebst einigen allgemeinen Bemerkungen ùber die sogenannte plioccene S àug et hier fauna. - 20 - fut trouvé jusqu’à présent dans les localités suivantes: à Bribir en Dalmatie, à Theresiopel et Ajnàcsko en Hongrie, à Taman et Nowotscherkask en Russie, dans les couches tertiaires supé- rieures de la Romanie (couches à Paludines?), à Fulda en Al- lemagne, dans le Suffolk-crag d’Angleterre, dans le pliocène inférieur de l’Auvergne et dans les couches d’eau douce de Montpellier. La faune plus jeune, au contraire, se caractérise par Elephas meridionali s, Hippopotamus major, Eos etruscus, Bhinoceros le- ptorhinus, Equus, Ursus, par l’absence des genres Mastodon et Tapirus, et se trouve dans les localités suivantes: Yeni Saghra en Roumelie, dans le Forestbed en Angleterre, à Saint-Prest près de Paris, dans le pliocène supérieur de PAuvergne, à Dufort dans le département de Gard, et dans le lignites de Leffe près de Bergamo. La première de ces faunes présente la plus grande ressem- blance à la faune de Pikermi, tandis que la seconde se rattache d’une manière insensible à la faune quaternaire. La me me opi- nion fut déjà prononcée il y a 20 ans par feu Lartet, 1 mais elle ne fut pas acceptée , parce qu’on trouvait mèlés les types caractéristiques de ces deux faunes dans le Norwich-crag, à Asti, et dans les dépòts fluviatiles de la vallèe d’Arno. Je ne veux aucunement contester Pexactitude de ces observations, mais je crois que la contemporanéité paftielle de ces deux faunes ne prouve d’aucune manière, que, regardée d’un point de vue plus général, l’une de ces faunes ne soit plus ancienne et l’autre plus jeune. Nous trouvons par exemple aussi dans le Forest-bed, P Elephas meridionali et P Hippopotamus major avec Elephas primigenius, Cervus megaceros, Cervus elaphus etc. , mais certainement per- sonne ne mettra en doute que, regardé d’une manière générale, YElephas meridionali ne soit pas plus ancien que ne l’est YEle- phas primigenius. Si nous regardons la longue sèrie de faunes mammalogiques tertiaires d’un point de vue purement zoologique, nous trouvons 1 Sur la dentition des proboscidiens fossiles et sur la distribiition géo- graphique et stratigraphique de leurs débris en Europe. (Bull. Soc. géol. France, XVI, 1858-59, pag. 469.) — 21 — une des démarcations les plus prononcées et essentielles entre la faune de Sansan avec Anchitherium et celle de Pikermi avec Eippotherium, parce que c’est le moment où l’ancien régime des Pachydermes cède sa position dominante au régime des Ru- minants. Je crois me trouver d’accord à cet égard avec M. Gaudry, qui s’exprime (l. c., pag. 339) sur cette question dans les termes sui- vants : « Si mème on considerai que le Leptodon de Pikermi rappelle les animaux de la première époque tertiaire, et que le Dryopithecus , découvert a St.-Gaudens dans un terrain analogue à celui de Sansan, se rapproche des grands singes de Pépoque actuelle, on serait dispose à croire la faune de FAttique plus vieille que celle du miocène moyen; mais à ces faits on peut opposer ceux qui suivent: le genre hyène, commun à Pikermi, n’a encore été signalé que dans le miocène supérieur; le 'Ma- stodon Pentelici, est une forme intermédiaire entre le Mastodon angustidens du miocène moyen de Sansan et le Mastodon arver- nensis du pliocène d’Auvergne ; le Bhinoceros pachygnathus diffère des espéces du premier et du second étage miocène, tandis qu’il ressemble aux rhinocèros vivants ; Fhipparion de Grèce est plus éloigné du Palceotherium éocène que les chevaux vivants; au lieu que F Anchitherium de Sansan et de POrléanais a plus de rapports avec les Palceotherium qu’avec les chevaux; enfin les girafes et la midtitude des antilopes trouvées dans V Attigue annoncent la proximité des temps modernes. Ainsi Fàge auquel doit étre attribuée la faune de Pikermi est, je pense, un peu plus récent que la séconde époque mio- cène, caractérisée par V Anchitherium de Sansan et d’Orléans. D’autre part, il est plus ancien que Pépoque pliocène, marquée en Europe par l’apparition des éléphants. Quel nom assigner à cette phase intermédiaire? Faut-il l’appeler dernière époque mio- cène ou première époque pliocène? Si Fon veut conserver le partage du terrain tertiaire en éocène, miocène, pliocène, il se- rait bon de ne pas donner trop d’inégalité à ces trois termes ; pour cette raison, « j’aimerais appliguer à Vàge de la faune de Pikermi V expression de pliocène inférieur plutót gue celle de mio- cène supérieur; cependant, comme la plupart des géologues soni habitués à ranger les couches à hipparions dans le terrain mio- 22 — cene, je suivrai provisoirement leur exemple , de crainte d’ intro- durre quélgue confusion. 5 » Dans un travail précédent* M. De Stefani a tàché de prou- ver, que les couclies d’eau douce, qui se trouvent intercalées entre les dépòts marins de Sienne, ne sont que la continuation des couclies fluviatiles du Yaldarno, et il donne une liste complète des coquilles qui se trouvent dans ces deux dépòts pour con- firmer cette assertion. Dans cette énumération on trouve 18 espèces du Yaldarno, et 37 de Sienne. Panni ce grand nombre d’espèces il n’y en a que six communes aux deux localités, c’est-à-dire: Dreissena ple- beja , TJnio atavus, Valvata piscinalis, Bythinia tentaculata, Me- lania curvicosta, Helix italica. En faisant abstraction d "Helix italica, les 5 espèces restantes se trouvent aussi dans les couclies à congéries de la Grèce et de FAutriche et si M. De Stefani déclare contemporaines les couclies de Sienne et celles du Yaldarno, s’appuyant sur ces 5 espèces, il faut alors par conséquent mettre au mème niveau les couclies à congéries de la Grèce et d’Autriche. Dans une petite communication, publiée par ce mème auteur, il y a peu de temps, dans les Verhandlungen du le. Ic. Geoh Reichsanstalt 3 il mentionne qu’il ne pouvait pas trouver une indication sur la présence de Mastoclon Borsoni dans les couches de Belvedere, dans Pouvrage de M. Vacek sur les Mastodonts d’Autriche. Cette indication se trouve pourtant, et certes à page 10, où se trouve mentionnée une molaire typique de M. Borsoni pro- venant du Belvedersand de Nickelsdorf près de Strass-Sommerein (Hongrie) et figurée sur pi. YI, fig. 4. De mème M. Yacek 1 Je sais bien que M. Gaudry dans tous ses ouvrages postérieurs avait appellé miocène supérieur les couches de Pikermi, mais lorsque tous les fait stratigra- phiques indiqués par lui dans sa Geologie de l’Attiqtie prouvent incontestable- ment que ces couches doivent ètre considérées pliocènes, et lorsque il ne con- tredisait jamais ces faits, c’est bien clair que cette manière d’agir n’est qu 'une concession faite 'provisoirement à l’usage général. 2 Molluschi continentali fino ad ora notati in Italia nei tempi pliocenici. (Atti della Società Toscana, 1876, II, 130.) 3 Das Verhàltniss der jùngeren Tertiàrbildungen Oesterreich-Ungarns zu den Pliocdn b ildungen Italiens. (Verh. Geol. Reichsanst. 1878, 202.) 23 - mentionne qu’une molaire fragmentaire, provenant du gisement fameux de Baltavai montre la plus grande ressemblance avec M. Borsoni, et que le Mastodon de Pikermi, déterminé comm e M. turicensis par M. Gaudry, est bien distinct de cette espèce et est beaucoup plus voisin au M. Borsoni. Dans la mème communication M. De Stefani dit, que les congéries, les buccardes et les Melanopsides provenant des couches à congéries de l’Europe orientale sont tout à fait dif- férentes de tout ce qu’on trouve dans les couches pliocènes d’eau saumàtre d’Italie. Cela peut ètre, mais ce qu’il est de plus sur c’est que des congéries, des buccardes et des mélanopsides du mème type se trouvent près de Bollène au dessus des couches marines pliocènes, comme cela fut prouvé par les travaux nom- breux de M. Fontannes. L’année passée j’avais l’heureuse occasion de pouvoir visiter ces contrées et je me suis persuadé de Pextrème exactitude de ces travaux, et je ne puis que confirmer toutes les indications, données par ce savant habile et consciencieux. Je me croyais ètre obligé de mentionner cela comme appui de mes vues. Pour le cas que des recherches postérieures prou- veraient fausses les indications géologiques faites par M. Gaudry et moi, ou que des observations nouvelles les contrediraient d’une manière décisive, je suis prèt, ne me croyant pas infail- lible, de modifier mes vues. Mais je demande décidément, qu’on in’oppose des faits et non des noms fameux; je me soumets vo- lontiers aux faits, mais jarnais aux autorités. Rem. — Après avoir rédigé cètte note, je trouve dans le Bulletin de la So- ciété géologique de France, de l’année passée, pag. 213, une communication de M. Pomel qui nous informe qu’on avait trouve près d’Oran dans un gisement d’eau douce, superposé aux couches pliocènes marines, et regardées contempo- raines aux couches d'eau douce de Montpellier par Tournouèr, des debris in- contestables des Hipparions, associés aux restes de grands Ruminants. Je crois parfaitement superila de remarquer combien cette découverte in- teressante parie en faveur de mes vues. - 24 - IL Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrionale T del dott. Domenico Lovisato. Continuazione (Parte II* , Gap. I). — Vedi Bollettino 1878, n° 11-12. Volgendo a settentrione, le formazioni terziarie si sviluppano più potenti, inclinando fortemente a Nord, sovrapposte al con- glomerato granitico, che ricopre le rocce gneis-granitiche, le quali si mostrano ancora fino a metà della bella strada, che conduce alla stazione ferroviaria. Sono rocce per lo più rosse, ma con grosse vene biancastre e qualche filoncello di gneis dioritico bigio a grana assai più minuta di quella del granito. Sotto il nuovo camposanto le rocce primitive sono coperte da un conglo- merato recente, che coi detriti formatisi posteriormente forma P ottimo terreno vegetale degli stupendi oliveti, che adornano quelle pendici. Verso Ovest il primitivo si ritira, forma una specie di an- fiteatro ricoperto da pochi mammelloni di argille marnose re- centi, e solo nelle vicinanze di Corigliano Calabro abbiamo i gneis accompagnati dai graniti, che affiorano in alcuni speroni sotto la pittoresca borgata, fabbricata sopra lo stesso gneis. Un affio- ramento molto avanzato di granito presentasi sulla destra sponda del torrente Ucino : è quasi della stessa natura di quello di Me- suraca con grossi cristalli di feldispato bianco. Le sabbie ter- ziarie in colline allungate s’ avanzano fino alla larga strada che congiunge Rossano a Corigliano e servono quasi a separare i frequenti corsi d’ acqua, che poco appresso corrono in piano nella vasta e paludosa pianura, sede un tempo dell’ antica città di Sibari. Anche su queste colline arenose, come a Rossano, vege- tano lussureggianti e molto prosperi gli olivi fino là dove queste incontrano le argille marno-ferruginose del miocene, dalle quali visibilmente è segnalata la divisione. In queste marne ferrugi- nose sotto la montagna denominata Del Dative nell’ alto Cino, si trova qualche filoncello della solita lignite che tanto fece sbiz- zarrire più d’ uno in Calabria. I mammelloni terziari s1 innalzano, divengono più fitti fino alla ridente posizione di Corigliano. — 25 — Corigliano è per la massima parte fabbricato sopra una collina di gneis a minuti elementi. Gli strati di questa roccia quasi in decomposizione contengono poco granito colla direzione generale da N.O. a S.E. Si vede affiorare il gneis fino nella parte alta della città e forma anche il dosso più basso, su cui sta il Collegio. Quivi le rocce cristalline sono ricoperte da argille mar- nose ferruginose, che nella parte superiore portano sabbie argil- lose rossastre, ocracee, mescolate a ciottolini colla stratificazione quasi orizzontale. Si estende questa formazione gneissica verso Sud e S.O., va a congiungersi colla massa centrale silana e dal- T altro lato scende fino al Cino da una parte ed al Coriglianeto dall’ altra.1 Da Corigliano a Longobucco ricompariscono le formazioni ter- ziarie, che riempiono la sinclinale fatta dalle rocce cristalline di Corigliano, le quali perciò vengono a formare quasi una cupola. Non tardano a mostrarsi i gneis accompagnati dai graniti bigi, che abbiamo incontrato prima di salire alla sella, dalla quale per la prima volta abbiamo veduto Rossano. Con essi alternano le dioriti comuni ed anche la porfirica, analoga ad una varietà che si trova sulle sponde delle Fiumarelle di Catanzaro. Continuano per lungo tratto sempre le medesime rocce fino a che compa- riscono i graniti di Longobucco, tre ore prima d’arrivare al paese, ed i torrenti portano giù grande quantità dell’ arenaria varie- gata, che abbiamo trovato già sopra Campana e lungo i con- fluenti del Trionto. Molto prima d’ arrivare alla selvaggia posizione di Longo- bucco, il sentiero corre lungo il Trionto, che porta giù le rocce più superbe: graniti rossi a grana fina ed a grana grossolana, graniti carnicini con magnifici cristalli di feldispato dalle faccie lucentissime, graniti grigi, graniti bianchi assieme a tutte le va- rietà di gneis che colle arenarie variegate del verrucano, colle puddinghe dell’ arenaria variegata e cogli schisti più vari, fanno 1 Que’ di Corigliano opinano che a 10 chilometri (2 ore circa) sotto della città nella direzione N.N.O., esista ancora là dove si trova il Casino Favilla un condotto dell’antica Sibari, e procedendo più abbasso alla così detta Torre del Ferro vi sieno diversi sotterranei, che si vuole mettessero in comunicazione la città di Sibari colla posizione di Cassano o meglio coll’ attuale stazione di Buf- faloria. Però è opinione generale che la ricca città stesse sulla sinistra sponda del Crati anziché sulla destra. — 26 - del letto eli quell’ impetuoso fiume torrentizio un vero museo eli mineralogia e di petrografia. Gli schisti si stendono come altret- tanti lenzuoli negli altipiani silani sopra le rocce granitoidi ; nè mancano fra essi ad occidente di Longobucco gli schisti clori- tici, che spariscono del tutto nella direzione di San Giovanni in Fiore, comparendo invece su tutte quelle vaste ondulazioni di terreno, che percorriamo, micaschisti ordinari, micaschisti d’un colorito rosso oscuro ed altri schisti ricchissimi di noduli e di vene di quarzo, che disseminati su quegli estesissimi piani si vedono spiccare colle loro belle tinte bianca, rossa ed azzurra fra le felci e le altre erbe selvatiche, che sole signoreggiano tutte quelle alture. Sulle due sponde del Trionto troviamo gneis granitici grigi e bianchi, che resistono poco o nulla ai colpi del martello e si decompogono totalmente, sebbene all’ apparenza si mostrino com- patti, solidissimi. Alterna con essi, specialmente coi gneis oscuri un gneis dioritico, che come in grosse lenti od in grandissimi arnioni od anche in piccoli banchi comparisce fra la massa gneis- sica: fu forse la diorite che successivamente trasformandosi ci diede quei gneis e quei graniti. Vengono finalmente i graniti rossi che ci accompagnano fino a Longobucco e formano tutte quelle bizzarre piramidi che in forma di ardite aguglie cingono il bacino sul quale sta la misera e tanto temuta borgata, alla quale si arriva per un erto e diffìcilissimo sentiero fra le rocce granitiche sulla destra sponda del Trionto. I grossi cristalli di feldspato rosso gareggiano in bellezza cogli altri di tinta bianca candida e carnicina, dando origine alle più belle varietà di graniti, molti dei quali sono la continua- zione ed hanno gli analoghi in quelli di Rossano. Sulla destra sponda del Trionto si vedono dalla selvaggia po- sizione della borgata (794 m.) le rosse arenarie variegate del Verrucano, adagiate sulle rocce granitiche, venire dalla parte a mezzogiorno di Corigliano e dirigersi sulla destra attraverso il Trionto. Questa’ arenaria micacea di color rosso cupo della po- tenza di 30 m. circa si volge verso Bocchigliero e Campana e per la sua grande rassomiglianza a quella del Trias inferiore del Veneto e di Lombardia, siamo tentati ad ascriverla a questo piano. Gli strati colla inclinazione E.S.E. e colla direzione da — 27 — Nord a Sud sono ora a grana minutissima ed ora grossolana; contengono talvolta grossi ciottoli, fra i quali meritano speciale menzione quelli di serpentino e di steatite, i quali manifestano già da soli un’ età più antica del Trias per le masse serpenti- nose di Calabria, che esamineremo in appresso. I graniti a con- tatto colle rocce triassiche sono ridotti come farinosi. A queste arenarie per lo più rosso-cupe sono sottoposte altre grigie colle stesse condizioni stratigrafiche e della potenza di 100 e più metri ; con queste alternano altre meno variegate con minor inclinazione, in posizione discordante, divenendo gli strati talora perpendicolari e quindi da riferirsi ad un piano più antico. Viene nuovamente V arenaria compatta grigia con vene bianche, che formano come un reticolato, quindi arenarie compatte in la- melle della potenza di 40 a 50 cent., che inclinano diversamente sulla sponda sinistra del Trionto, mentre sulla destra grossa alluvione quaternaria a picco e della potenza di forse un centi- naio di metri mostra che il fiume correva un tempo in letto assai più alto dell’ attuale e forse che prima che questa alluvione, de- positata da una sponda all’ altra, fosse corrosa eravi un ristagno o lago esteso fino al piano che s’ incontra, quando da Corigliano si viene a Longobucco. Queste ultime arenarie hanno la complessiva potenza di 300 e più metri e probabilmente continuano così fino al piano di Cappella di Tonte Tura o Madonna di Tonte Tura. Mi si disse che in quella località si trova lo schisto arde- siaco e più oltre un calcare compatto con selce piromaca alter- nato con straterelli d’ argilla, che adoperano quei valligiani come pietre da arrotare i rasoi, ma che ritengo non si possano rife- rire alla varietà denominata novacolite o schisto coticolare. La notte mi sorprese ed in seguito il tempo mi mancò per portarmi a visitare quella località : e tanto maggiormente mi duole di non aver esplorato quella regione in quanto che forse sotto il Trias si potrebbero trovare altri membri più antichi come del per- miano, del carbonifero, ec. fino alla zona delle pietre verdi, che abbiamo già veduto passando su pel Trionto da Calopezzati a Cropalati, e chi sa che esistendo questi membri accennati non contengano qualche straterello di carbon fossile. È forse V unico sito nella Calabria superiore, nella quale si potrebbe trovare il - 28 — litantrace, essendo invero tutta lignite quella, che in tutte queste contrade passa sotto il nome di carbon fossile : la lignite si pre- senta quasi dovunque compariscono depositi miocenici, ma ge- neralmente i giacimenti sono poveri e la qualità del combusti- bile fossile non è ottima. Da Longobucco al bacino del Trionto sotto Cropalati si impiegano quattro ore ed il sentiero costeggia o passa addirittura pel fiume. A S.E. di Longobucco si arriva alla contrada Riginella pas- sando sempre sui soliti gneis e graniti rossi alternati coi grigi, coi bianchi, sopra i quali si mettono schisti grigi ferruginosi e gneissici di color ruggine con molta ocra di ferro. In quella lo- calità denominata da quei terrazzani col nome di Sasso di molti colori sviluppasi una curiosissima formazione calcare alternante cogli schisti gneissici menzionati ed amalgamata colla pasta della diorite porfirica, che in quei luoghi accompagna i graniti. È un calcare primitivo molto antico, dalle tinte più vaghe, donde il nome imposto al sito. In quel calcare ricco di mosche di galena argentifera e di incrostazioni stalattitiche, troviamo abbondantis- sime le ossidazioni di ferro e di rame, le quali appalesano qui quelle importantissime miniere, che là ed in tutti quei contorni si coltivavano ancora al principio di questo secolo. Qui si ca- vava il rame, ma più abbondantemente la galena argentifera in matrice di calcare, di fluorina e di schisti subordinati ai gneis ed ai gneis granitici. Qualche campioncino di rame di Longo- bucco, che mi sembrò nativo, presenta bellissimi cristalli di Zi- guelina, consimili a quelli che si ottengono dalle fucine nella penultima preparazione del rame rosetta , e pare provenire dalla decomposizione di solfuri. In tutti quei contorni, che si riducono a speroni granitici, che s’ avanzano al Trionto, separati da orri- bili burroni inaccessibili si trova la galena, ma come più ricche vengono indicate le contrade Riginella, Cerzito, Acqua di Ra- dica, Vallone di Angelo Amato, Vallone della Galanza,1 Carratò, Salamona, Sant’ Angelo ed Argenteria andando verso Corigliano. A Riginella si ottennero i più ricchi risultati e ad Acqua della Radica negli anni 1828-29-30-31 e 32 se ne scavarono dagli Inglesi 1800 cantari. Furono in seguito poste in oblio tutte quelle miniere e sven- 1 Galanza è il nome che i naturali danno alla galena. — 29 turatamente oggi lo sguardo cade sopra le rovine, che ricoprono tutti gli antichi escavi, abbandonati più che per qualunque altra cagione per incuria dei lavoratori e per l’ ignoranza superstiziosa degli abitatori, che fanno pensare anche oggi all’uomo preisto- rico, al lavoratore della pietra. La massa granitica di Longobucco spingesi ad occidente fin sotto Acri, ad oriente fino nei pressi di Bocchigliero ed a N.E. fino a Rossano. A mezzogiorno di Longobucco, dirizzando il passo per San Giovanni in Fiore, il sentiero passa erto, sebbene non difficile su pel Vallone della Galanza in mezzo a gneis granitici bianchi e rossi, fra i quali giganteschi castagni vengono a ren- dere forse più orribili quelle località. Ad un’ ora dal paese sia- mo già nella regione degli abeti, misti a faggi, che finiscono per predominare fino alla cima. Quivi cessano repentinamente e del tutto i faggi, prendendo il loro posto i pini là dove co- mincia quella serie di altipiani ondulati, ricoperti quasi dovunque da alluvione recente, dalla quale però spesso affiorano gli schisti quarziferi, che si possono vedere in tutte le parti elevate della Sila. Fra essi si mostrano le formazioni gneissiche, una delle quali va a congiungersi colla massa di Acri e colla granulite di San Giovanni in Fiore e col lembo della più recente formazione cristallina orientale. Gli schisti grigi, gli schisti argillosi ed i micaschisti, alter- nano fra loro e cogli schisti quarziferi passando gli uni negli altri insensibilmente, spesse volte decomposti alla loro superficie, sulla quale troviamo libera grande quantità di quarzo che mo- stra gli arnioni e le vene che formavano nelle masse schistose. Monte Nero (1880 m.), il punto più elevato della Sila, s’eleva a S.O. di San Giovanni in Fiore. Da questa grossa borgata ri- pido e difficile sentiero fra dossi nudi di granulite attraversata da gneis più spiccati conduce al grosso fiume torrentizio Arvo, che confluisce nel Neto, poco sotto San Giovanni in Fiore, com- preso fra questi due corsi d’ acqua. Sulla sponda destra, sebbene largo, ripidissimo, sassoso, difficile ergesi il simulacro di via, che ben meglio potrebbesi chiamare letto di torrente, fra le me- desime roccie, più abbondanti di gneis, coperti da qualche schisto chiaro coll’ inclinazione predominante ad Est e colla direzione da N.O. a S.E. I dossi arrotondati colle loro superficie in decom- 30 - posizione sono spogli di ogni vegetazione, se vogliansi eccettuare le felci, che invadono tutte quelle belle regioni. Solo di tanto in tanto quasi oasi comparisce qualche gruppo di faggi, non di pini, che s’ incontrano appena ad un’ ora e mezzo da San Giovanni in Fiore. A Feradia di Marino si trova la conserva di neve ad un1 ora dalla grossa borgata. Masse, o meglio dirò grosse lenti granitiche, interrompono il gneis centrale ; fra queste merita menzione quella che a Tetra dei Tizzi o Colle Jura interrompe la granulite ed i gneis fonda- mentali. Io credo che questi graniti non si debbano considerare come roccie speciali, come roccie molto differenti dai gneis, ma invece che si debbono riguardare come una perfezione di quelli avvenuta coi secoli insensibilmente. Ripeto ciò che già dissi altra volta; pur troppo in poco tempo ho dovuto percorrere la Sila ed altre vaste regioni, e mi dolgo di non aver potuto fissare lo studio, come avrei desiderato sopra un gruppo speciale di roccie, sopra uno dei punti cristallini, tanto importanti delle belle re- gioni calabresi; ma nel passaggio non ho potuto vedere ombra di separazione fra i gneis e questo granito, il quale quindi si dovrebbe proprio considerare come gneis colla struttura cangiata. Sopra questa massa granitica vi sono giganteschi blocchi ar- rotondati, taluni di alcune centinaia di metri cubi : uno di questi massi presenta la lunghezza di 10 metri, la larghezza di 5, e 1’ altezza di 6. È curioso il loro arrotondamento, che in luoghi più settentrionali potrebbe trarre in errore lo studioso portan- dolo col pensiero al periodo glaciale, concorrendovi in ciò il grande numero dei blocchi e fino ad un certo punto anche la loro disposizione. Gli schisti ricoprono ancora le roccie cristalline, e così s’ar- riva fino al piede del cono allungato a base ellittica, che forma la vetta di Monte Nero. I pini di dimensioni colossali hanno ce- duto interamente il posto ai faggi, che d’ ora in poi formano i boschi silani. Le pendici orientali e quelle a N.E. di Monte Nero ne sono interamente ricoperte. Rivoletti di acqua gelata corrono fra le insenature e nella densissima ombra di quei faggi met- tono a nudo un lembo di dioriti e di gneis dioritici, che, sten- dendosi sopra quell’ altura come lenzuolo, costituiscono quell’ al- tissimo dosso, dalla cui cima, chiamata telegrafo, dal colossale 31 — tronco di piramide, che servì come punto trigonometrico agli ufficiali che fecero il rilevamento topografico della Sila, lo sguardo si spinge sopra tutte e tre le regioni in cui abbiamo diviso la Calabria settentrionale e la vista è impagabile. I gneis dioritici divengono molto bianchi, sono ricchissimi di feldispato, che molto ricorda la sillimanite, sono in istraterelli colla vera diorite, di- retti da N.N.E. a S.S.O. colla inclinazione quasi perpendico- lare, predominando quella a N.G. Ad occidente, a Sud-Ovest ed a N.O. per lungo tratto, talvolta a vista d’ occhio, si stendono piani verdeggianti, morbidamente ondulati, ma senza un albero, e solo in distanza, e qua e colà compariscono i pini ed i faggi a formare dei gruppi isolati, mai folte boscaglie, come ci vengono descritte nella Silva brezia dagli antichi autori. Quelle pagine sem- brano un mito pel dilettante che oggi attraversi le regioni silane. Grosse nuvole a. Sud e S.O. non mi permisero di risolvere il problema del panorama che di lassù si gode verso la Calabria meridionale, la Sicilia e le Isole Lipari. Al bacino d’ Agnara, che ben si delimita dalla vetta del Monte Nero, si arriva da San Giovanni in Fiore passando su granuliti e su gneis. L’ Ampollino, altro grosso confluente del Neto, e che mette in esso sulla sua destra sponda ad un’ ora e mezzo da Co- tronei, attraversa questo lussureggiante, ubertoso e verde bacino, che in bellezza nulla ha da invidiare ai ridenti e tanto rinomati piani della Svizzera : tutto all’ intorno di questo bacino s’ elevano dolci colline e facili monti colle pendici abbellite da prati e da boschi, che infondono tanta allegria nell’ animo del visitatore. L’ Ampollino esce ad Est attraversando una massa schistosa e si getta nella bassa valle sottostante per . confluire poi nel Neto. Dolcemente sale il sentiero ed all’ altezza del dosso che termina questo bel piano ricominciano i pini, che conducono nuovamente sulle roccie schistose, le quali ricoprono i gneis, attraversati da vene e piccole lenti granitiche al punto della Difesa, chiamata Tripiroi, punto al quale siamo arrivati da Cotronei e da Petilia Policastro. Eitornando indietro ad occidente di Corigliano le rocce non s’ avanzano verso la valle del Orati, ma si tengono agli alti dossi, sui quali stanno San Giorgio Albanese (430 m.), Vaccarizzo (429 m.), San Cosmo (372 m.), La Macchia (437 m.). Sono le stesse rocce di Corigliano, che verso Macchia vengono accompagnate dalle — 32 — dioriti, che assieme alle rocce serpentinose ed amfìboliche hanno maggiore sviluppo a San Demetrio Corone e nel prolungamento, che con qualche interruzione dirigendosi a N.O. va fino a Spezzano Albanese (336 m.) sulla sinistra sponda del Grati. In queste rocce gneissiche stendonsi da San Giorgio Albanese a Vaccarizzo e da qui fino nelle vicinanze di San Cosmo a guisa di lenti più o meno grosse dei depositi di calcare bianco sac- caroide, che per la tessitura eminentemente cristallina e per la sua generale bellezza si confonderebbe col marmo di Carrara, se non vi fossero ad inquinarlo piccoli cristalli di pirite in penta- gonododecaedri. La considerevole massa, che attraversa San Gior- gio Albanese si dilata anche a Nord e si protende fino a due ore circa dalla consolare, ricomparendo sotto le argille mioceni- che, ricoperte dal pliocene più recente, che forma una serie in- finita di colline arrotondate su tutta la sponda destra del Grati fino sotto Terranova di Sibari. Questo calcare suscettibile di levigatura e che somministre- rebbe un bellissimo marmo, offre eccellente pietra da calce ol- treché alle località di San Giorgio Albanese, di Vaccarizzo, di San Cosmo e di Macchia, anche ad Acri, a Corigliano e qualche volta anche a Rossano. Chi fa la consolare vedrà grande numero di fornaci di calce, le quali per la più parte vengono alimentate dai pezzi di quel calcare portati dal fiume Malfrancato. La giacitura di questa bella massa calcare, la sua struttura eminentemente cristallina ci fan riguardare questo calcare come primitivo. 11 piano nel quale ora scorre il Malfrancato è basso, paludoso, limaccioso da gareggiare con quello del Grati. Tanta è la materia che qui portano i torrenti a valle dalle pendici settentrionali della Sila, che il Cino innalzò il suo letto in modo da ridurlo ad un livello maggiore del piano alluvionale nel quale è stata gettata la ferrovia, e da esigere forte muragliene che quella difenda dalle sue irruenti acque. Ma si potranno fare tutte le riparazioni suggerite dalla scienza, si potranno spendere mi- lioni e milioni, che le linee ferroviarie calabre saranno sempre rovinate, sia perchè sbagliate e sia ancora per le condizioni misere nelle quali il diboscamento condusse il paese. È spa- ventevole il vedere certe povere borgate come si trovino sul- T orlo del precipizio e come imminente sia la loro rovina ! San Demetrio Corone prende la sua pietra di calce dalla massa giurese, che come isola si stende dalla sponda destra del Grati verso Sud e si porta sulle sponde della Calatrella a due ore circa dalld borgata. A Macchia le rocce cristalline prendono altra direzione : vol- gono a N.O. ed attraversando il Grati si spingono fino a Nord di Spezzano Albanese in vicinanza della sponda destra del Co- stile, uno dei più grossi e più esiziali confluenti del Crati. È nella regione Covella in vicinanza alla fontana dello stesso nome, che la strada passa sopra un’ amfibolite in decomposizione, la quale più avanti verso Est lascia veder rocce gneissiche attraversate da vene numerose di quarzo, che presentano lo stesso grado di decomposizione. Gli strati di queste rocce inclinano ad Est spe- cialmente, dirigendosi da N.E. a S.O. : sopportano a Nord il plio- cene, mentre verso Spezzano e Terranova di Sibari vengono ri- coperte da una massa apparentemente staccata di calcare giu- rese, nella quale sotto Terranova di Sibari il Crati s’ apre il varco e corre in una gola strettissima, che cominciando a Tarsia finisce sotto la borgata superiormente ricordata. Da questo cal- care giurese a Spezzano Albanese vengono completamente rico- perte le rocce primitive, le quali compariscono solo ad occidente del paese sulla strada, che conduce a San Lorenzo del Val- lo (339 m.), fabbricato sopra argille plioceniche : sono straterelli di quarzo schistoso, che inclinano verso la valle del Crati. Si piega la formazione calcare giurese a S.E. di Spezzano e la ca- vità viene riempita da marne argillose del pliocene, che sono in comunicazione colle altre di Terranova (312 m.), che così bene vengono usate da quei terrazzani. Solo prima d’ arrivare alle prime case del paese affiora nuo- vamente il calcare, depositato sopra micaschisti e schisti di un bellissimo color verde. Qui conviene notare un fenomeno curioso, che dovunque il calcare giurese è in contatto colle rocce primi- tive e specialmente colle roccie schistose, mostra esso tanta ana- logia con esse, che senza osservarlo attentamente il più esperto geologo ne rimarrebbe ingannato ; più che di calcare bisogne- rebbe definire quegli strati di argille schistose con vene di cal- care. Il suo aspetto lamellare colle contorsioni, che spesso si veg- gono nelle rocce schistose, le vene di calcite, che sembrano — 34 - assolutamente di quarzo, gli imprimono tal carattere che asso- Ultamente si crede di trovarsi nel dominio del micaschisto. I geo- logi vengono rimproverati di fare abuso della teorica delle rocce metamorfiche, ma qui in Calabria il metamorfismo s’ impone ai visitatore e nella lotta coi principii contrari resta vinto special- mente quando cominciata la discesa al Grati trova che questo calcare lamellare alterna con schisti micacei e schisti micacei con calcare di color verde e con cipollini schistosi superbi, pur di color verde. Inoltre dovunque il calcare si trova in contatto coi micaschisti, cogli schisti verdi, cogli schisti argillosi, esso non soltanto ne ha con essi una rassomiglianza, ma offre anche una tessitura più cristallina ed un colorito più bigio. Mentre quanto più dagli schisti ci allontaniamo e tanto più si può riconoscere in questo calcare la natura giurese, a meno che non venga provato che sia di un’ età più antica come del Trias superiore, non mai però del Lias o dell’ Infralias, mancandone assolutamente i caratteri. Nei pochi momenti che passai in quella località non ho potuto veder ombra di fossili ; desidero che altri di me più fortunato con maggior tempo ed in condizioni più favorevoli possa regalarci quei fossili caratteristici ed emettere quel verdetto paleontolo- gico al quale pel primo io renderò omaggio. L’ illustre vom Rath 1 dice di aver trovato in quel calcare dei resti di crinoidi ed ag- giunge il dotto professore di Bonn, che Sùss in un calcare della stessa natura presso Terranova trovò foglie di mica, osservando che questo fenomeno non è tanto comune nei calcari. Le mie indagini e le mie ricerche nella Calabria settentrionale mi fecero vedere invece che la comparsa della mica nel calcare è fenomeno comunissimo : tale anzi e tanta è la quantità di mica per entro al calcare da prendere campioni di quello per rocce granitoidi addirittura, specialmente in quelle masse che vengono inquinate da altri minerali ; basti a tal uopo citare la maggior parte dei calcari cristallini della catena littorale, la maggior parte delle masse calcari sulle falde occidentali della Sila e specialmente quella superba del casino del principe a N.E. di Luzzi sulla si- nistra del Mucone, che confluisce sul Grati fra Acri e Luzzi. Che quanto più ci allontaniamo dagli schisti e tanto più il 1 Ein Ausflug nach Calabrien, Bonn, 1871, pag. 136. - 35 — calcare va prendendo la natura giurese lo vediamo esaminando direttamente la serie dei suoi strati. Infatti dal calcare schistoso, rassomigliante al micaschisto passiamo ad un calcare lamellare, i cui strati si fanno più grossi fino al calcare compatto, bigio, con numerose vene di bianca calcite. Gli straterelli calcarei che as- sumono tutte le colorazioni, dalla bianchiccia alla oscura, li tro- viamo ricoperti da un’ argilla verde, cinerea o rossigna, la quale fa appena effervescenza cogli acidi, appena fonde ad uno smalto bianco e diviene azzurra nella soluzione di cobalto. L’ aver trovato ripetute le stesse condizioni litologiche sotto il paese di Malvito nella catena littorale mi fece pensare al fatto, che con una potente sinclinale attraverso il Grati questa massa fosse congiunta con quella, che formasse un deposito contempo- raneo, che quindi 1’ altra valle del Orati si debba riguardare come una grande fessura nella quale le rocce cristalline, che vediamo a Spezzano Albanese, a San Lorenzo del Vallo e più avanti a San Demetrio Corone, a Santa Sofia d’ Epiro, a Bisi- gnano da una parte e nella catena littorale dall’ altra si sieno qui inabissate e quindi nel periodo giurese la parte della valle del Orati da qui fino a Cosenza fosse un vasto lago od un ba- cino di mare più profondo prima che i depositi terziari più re- centi deponendosi sulle sponde venissero a colmare la valle. Questo calcare a Terranova di Sibari inclina fortemente a S.O. e T altro scende da Malvito al fiume che mette poi nel- T Esaro sulla sua destra sponda. L’ Esaro, confluente del Orati, riuscirà per la Calabria forse più esiziale del Coscile. Sicché la massa calcare, attraversata dal Orati, e che noi fino a prova contraria assegnamo al giurese, rappresenterebbe da questo lato le ultime rugosità di quel gigante Apennino, che nella catena littorale mandò molti altri rampolli più avanti e che qui si spingerebbe fino nell’ avvallamento di San Brasso a mattina di Tarsia, dove sparisce sotto le sabbie plioceniche, che formano tutti i colli, detti Le Conche, spingendosi sulla destra del Orati fino alle coste di Santa Sofia d’ Epiro. Le rocce cristalline ricompariscono ai lati della Calatrella sulla cui sponda destra bisogna portarsi per andare a San De- metrio Corone : i micaschisti ricoperti da calcare schistoso scom- paiono sotto il pliocene ricchissimo di fossili e le rocce primitive — 36 - non ricompariscono die ad un’ ora da San Demetrio Corone, nel piano denominato della Cannella. Dapprima troviamo gneis dio- ritici alternati con filoni e strati di tenacissima e superba dio- rite, nella cui massa si scorgono frequenti macchie rosse, che osservate attentamente mostrano granati in decomposizione. Le chinzigiti ancora cominciano qui a mostrarsi : è la prima volta nel giro fatto da Catanzaro per le falde meridionali, orientali e settentrionali della Sila, che noi troviamo nuovamente le rocce con granati, sebbene in questi ultimi tempi in una roccia rac- colta alle pendici meridionali sopra Magisano e Zagarise li abbia trovati abbondantissimi e molto minuti : è probabilmente V al- mandino e la roccia che lo comprende forma un tenacissimo schisto argilloso forse nello stadio di metamorfosi in porfido quar- zifero. Le rocce a granati mancano assolutamente sulle falde me- ridionali della Sila ad eccezione dell’ angolo da Catanzaro a Ser- sale; non compariscono affatto sulle falde orientali e mancano anche sulle pendici settentrionali fino a San Demetrio Corone : la zona adunque delle pietre verdi nella quale dobbiamo com- prendere tutte le rocce a granati in Calabria, e che per lo più formano quella bellissima roccia, alla quale abbiamo imposto il nome di chinzigite bisogna dire proprio che in taluni punti è poco sviluppata e che nella maggior parte si sia inabissata special- mente dal lato orientale come abbiamo già osservato.1 D’ora in poi invece le rocce a granati prendono grande sviluppo e noi le troviamo potentissime in tutta la valle del Grati, tanto alle falde occidentali silane, quanto nella catena littorale, e come vedremo in seguito esse non mancano neppure nel gruppo del Reventino. Degno di nota e rimarchevole è poi il fatto generale che pre- sentano queste rocce, le quali talvolta sembrano composte quasi esclusivamente di granati: esse compariscono quasi tutte sui limiti dei depositi terziari. Infatti tutte le troviamo sulle sponde dell’istmo terziario e nella valle del Crati. Sembra quasi che gli agenti più antichi, ai quali le rocce granitoidi centrali de- vono il loro sollevamento, la loro provenienza, abbiano atteso la cooperazione degli agenti più recenti per produrre queste particolarità ; quindi in noi il diritto quasi di ascrivere agli anti- chissimi terreni cristallini il gneis centrale, il gneis fondamen- 1 Bollettino 1818, n° 11 e 12, pag. 479-80. — 37 — tale, le granuliti ed i graniti cui quelli per cambiamento strut- turale hanno dato origine, ed ai terreni cristallini i più recenti tutte le altre rocce granitoidi sollevate dalle prime, e quindi quelle comprendenti granati : s’ intende che queste ultime rocce cristalline, che abbiamo chiamato più recenti, si devono tutte ascrivere al precarbonifero, potendo essere devoniane, siluriane e forse anche più antiche ancora. L’ amfìbolite che pure accompagna le dioriti superiormente menzionate, è così ricca d1 amfibolo, che nella vicinanza del paese dal lato occidentale troviamo V amfibolo cristallizzato verde e nero in masse isolate accompagnare la formazione serpentinosa, che manifestasi in tutta la sua bellezza al dosso Mundo sopra il Collegio di San Demetrio Corone. Questa massa continua il suo sviluppo a N.O. e si spinge sotto il Collegio nella località Bellezza, sulla sinistra della strada che dalla ridente borgata (521 m.) scende nella valle per condurre a Corigliano Calabro. Questa considerevole massa serpentinosa, appartenente indubbia- mente al prepaleozoico, come tutte le altre masse di serpentino in Calabria ed accompagnata oltreché dalle roccie e specie mi- nerali sopra mentovate, si collega a Sud e S. E. colle dioriti, colle eufotidi più superbe, colle chinzigiti, e con altre bellissime rocce bianco-verdognole tendenti talvolta al gialliccio. Pochi luoghi come la zona che si stende da San Demetrio Corone a Santa Sofia d’ Epiro (550 m.) offrono tanto interesse pel geologo e pel mineralista: tutte le varietà di rocce più antiche sono riunite, e presentano forse maggiore interesse dell’ aggruppa- mento importantissimo di Catanzaro. Quivi le due zone distinte di roccie cristalline, procedendo specialmente verso Acri, sono messe in evidenza; quella del gneis centrale, delle granuliti pri- mitive fondamentali e V altra delle pietre verdi, che, qui più che in qualunque altro luogo, hanno il maggiore sviluppo. Da San Demetrio Corone si sale per erto sentiero sopra gneis in decomposizione fino al dosso arrotondato, dopo il quale appena si vede la strada dirupata che conduce a Santa Sofia d’ Epiro, costeggiata da pericolosi burroni. I gneis ben presto vengono interrotti e sostituiti dalla maggior parte delle rocce che abbiamo trovato nel basso, che qui ricompariscono e ad esse si aggiungono in maggior abbondanza le chinzigiti più varie e — 38 - più stupende. Intanto la massa gneissica si dirige a Sud verso Acri e compiendo un arco circolare rientrante fra Santa Sofia d’ Epiro e Bisignano, è ben delimitata dal terziario che potente- mente qui torna a svilupparsi. In questa zona molto interessante fra San Demetrio Corone e Santa Sofia d’ Epiro oltre le rocce che abbiamo già ricordato e le amfiboliti, di cui le analoghe abbiamo visto prima d’ en- trare al paese, compariscono molte varietà di dioriti, qualche superba eufotide con pegmatiti estesissime e gneis accompagnati da schisti epidotici. L’ eufotide è per lo più a grana assai mi- nuta, ciò che forse potrebbe impedire di vedere in essa una diorite. Di queste bellissime rocce converrebbe fare delle sezioni levigate pel microscopio, perchè la sola densità non somministra una diagnosi assai sicura per distinguere una diorite da un’ eu- fotide. Riuscirà molto interessante lo studio delle piastre polite preparate colla maggior parte di queste superbe rocce, per de- terminare specialmente le condizioni distintive della sfaldatura delle particelle oscure, che possono essere amfibolo o diallaggio, e delle particelle lucide del feldispato, che magnificamente spicca fra quelle masse pietrose, talvolta d’ un bianco candido. Anche per le curiose pegmatiti dobbiamo lasciare una lacuna per determinare con esattezza le sostanze minerali che le inqui- nano, e che non sono poche, non mancando fra esse i minerali metalliferi. Esse compariscono per lo più verdognole con grani rossi e bruni, la natura dei quali non ho potuto ancora conoscere per la loro estrema piccolezza ; la sostanza verde ha pur bisogno di essere accuratamente esaminata. Le dioriti si presentano verso 1’ alto così ricche d’ amfibolo, che divengono quasi nere: altre varietà sono a grana fina, a grana grossolana, a pasta persicina e si seguono nella direzione di Bisignano. In tutti quei burroni compariscono fra le dioriti e le chinzigiti rocce pure verdognole gialliccie composte di quarzo specialmente, e mica con minerali inquinanti. La zona delle pietre verdi, alla quale dobbiamo pur ascrivere anche questa roccia, è ancora troppo poco studiata, perchè noi possiamo dare un nome speciale a questa qualità di roccia: tuttavia essendo certamente molto epidoto disseminato in quelle masse, specialmente nel bur- rone prima d’ arrivare al Monte Ciuca, crediamo per ora oppor- - 39 — tuno di chiamarle schisti epidotici. Il Monte Ciuca, fino dal 1860, è coltivato a bosco foltissimo, e bene riuscirebbe, se qualcuno almeno si curasse di tenerlo a dovere : tutti gli altri dossi sono brulli, senza un solo albero. Del resto, tutte queste rocce della zona delle pietre verdi , che così bene si sviluppano da San Demetrio Corone a Santa Sofia d1 Epiro, passano per transizioni insensibili dalle une alle altre : V illusione è al massimo grado ; sembra di essere là nelle Alpi occidentali in una di quelle zone così meravigliosamente descritte da quel potentissimo ingegno del Gastaldi, troppo presto rapito alla scienza, all’ Italia. Io vedo quaggiù in questo estremo lembo d’ Italia continentale la riproduzione esatta del cristallino delle nostre Alpi settentrionali ed ampiamente svilup- però queste mie vedute in appresso, quando mi dovrò special- mente fermare sulle formazioni serpentinose, che ripeto qui in Calabria sono tutte da riferirsi alle rocce più antiche, sollevate dai gneis e dalle granuliti centrali. S’avanzano i gneis sotto Santa Sofia d’ Epiro fino ad 8 chi- lometri circa dal Crati, dove sono ricoperti dalle sabbie plioce- niche, che pure fanno altrettanto mezz’ora sopra Bisignano (403 m.), costruito su mammelloni di sabbie argillose, le quali s’ elevano direttamente dalla valle del Crati, che qui sotto corre come grosso fiume, le cui acque sempre torbidissime si devono passare sulla schiena d’ uomini, che taglieggiano i malcapitati. Il gneis, per la più parte in decomposizione, che s’ incontra sulla strada d’ Acri, è in parte dioritico, ma nelle vicinanze della grossa borgata rassomiglia molto al micaschisto con pinite. Com- prende questa roccia piccoli nuclei ed arnioni di mica, special- mente fra Bisignano ed Acri lungo la bellissima strada carroz- zabile. Sopra queste rocce che probabilmente appartengono, come abbiamo già detto, al gneis centrale, si stende qui ancora un piccolo lembo dell’ altra zona delle pietre verdi , le quali si svi- luppano poi più potenti sotto forma di chinzigiti e di graniti albitici, procedendo da Acri verso le alte montagne di Buzzi nell’ arco rientrante del primitivo centrale, già accennato. {Continua.) — 40 - III. Sui dintorni di Rover edo nel Trentino , nota di M. Vacek. 1 Dal capo della seconda sezione dei geologi dell’ I. R. Istituto austriaco, mi fu affidato in quest’ anno il rilevamento del foglio Roveredo-Riva della carta dello Stato Maggiore che connettesi ad occidente del territorio dei Sette Comuni. La regione rappresen- tata in questo foglio comprende la zona fra il corso superiore del- l’Astico e la Valle Lagorina; inoltre, ad eccezione delle dirama- zioni settentrionali, il tratto dell’ Orto d’Àbramo, come anche la metà settentrionale del Monte Baldo che staccasi orograficamente per mezzo del profondo intaglio della Valle Aviana dalla metà meridionale. Il foglio comprende per conseguenza i più prossimi dintorni di Roveredo, territorio conosciuto geologicamente pei lavori del professor Benecke, e che offre dei dati preziosi per 1’ ultima divisione generalmente accettata del giura nel Tirolo meridionale. lo non mi intratterrò qui su tale argomento, e noterò sol- tanto riguardo alle ooliti di Capo San Vigilio, che esse hanno un grande sviluppo nel Monte Baldo e, come lo dimostrano chia- ramente i profili dalle due parti della valle della Some, ad oriente di Brentonico, giacciono sull’ orizzonte a fossili vegetali di Noriglio. Il giacimento ad ammoniti, che del resto fra Torri e Capo San Vigilio non trovasi già dentro, ma sopra la gran massa delle ooliti, non fu potuto rinvenire da me finora nella valle della Some, sebbene le ooliti anche qui come a Torri, acquistino verso la parte superiore la stessa struttura petrogra- fia, cioè divengano calcari rossastri di aspetto cristallino. La difficoltà di scuoprire un piano della potenza di pochi decimetri come quello che racchiude la fauna di San Vigilio, spiegasi prin- cipalmente pel fatto che nella valle della Some si ha da fare soltanto colle testate degli strati, mentre che nella strada da Capo San Vigilio a Torri sono scoperte per lungo tratto le su- perficie degli strati medesimi. 1 Dalle Verhandlungen der k. k. geol. Reichsanstall , 1878, N. 15. — 41 - Le osservazioni sul Monte Baldo accordansi quindi con quelle fatte dal professor Lepsius nella parte occidentale del Tirolo meridionale a proposito del giacimento di queste ooliti, come pure con quelle del professor Zittel sull’ Apennino centrale. È notevole la circostanza, che le ooliti che formano nel Monte Baldo e nell’ Orto d’ Abramo un potente giacimento tra 1’ orizzonte di Noriglio e il calcare ad ammoniti, e che hanno una grande importanza nella struttura interna di queste due masse montuose, mancano affatto nella conca meridionale dei Sette Comuni, cosicché qui immediatamente sui banchi a Terébra- tula Rotzoana riposa il calcare rosso ammonitico. Le prime tracce di questo orizzonte trovansi nella conca settentrionale dei Sette Comuni a Sud della Cima Mandriola e della Cima Vezena, e di là avvicinandosi sempre più alla struttura oolitica caratteristica che raggiungono nel Monte Baldo, come pure aumentando in po- tenza, continuano sopra Lavarone e Folgaria verso la valle elei- 1’ Adige e il Monte Baldo. Il calcare ammonitico, come anche il Biancone è grandemente ridotto in tutto il Monte Baldo settentrionale ed ancor più nel tratto montuoso dell’ Orto d’Àbramo. Per contro la potenza della Scaglia forma un notevole contrapposto a quella del Biancone, specialmente nel gruppo dell’Orto d’Àbramo. Mentre, ad esempio, sotto il più alto vertice della catena, il Bondone Cornicello, la potenza della Scaglia, che per la regolarità del giacimento può esattamente apprezzarsi, ascende ad oltre 500 piedi, appena scuopresi il Biancone al piede della massa della Scaglia, cosicché sembra che qui la Scaglia talvolta stia a rappresentare il Bian- cone. L’ inverso ha luogo nei Sette Comuni : presso Gallio, ad esempio, come presso Bondone Cornicello, sopra la Scaglia ri- posa un lembo eocenico, cosicché in ambedue queste località si ha da fare con tutta la potenza della Scaglia, e nondimeno questa presso Gallio appena può raggiungere i 100 piedi. L’ eocene trovasi nel territorio limitrofo ai Sette Comuni, situato ad oriente della valle dell’ Adige, soltanto in un piccolo lembo tra Folgaria e San Sebastiano. Una grande estensione e potenza la raggiunge per contro nel tratto montuoso ad occidente del corso dell’ Adige nel Monte Baldo cioè e nell’ Orto d’Àbramo, alla cui costituzione esso prende una parte essenzialissima. Sono — 42 in gran parte potenti calcari nummulitiferi, fra i quali stanno intercalati banchi di calcare corallino e talvolta anche a Nulli- pore, raramente poi, e per lo più nelle parti superiori, banchi di marne sabbiose. Un membro importante dell’ eocene, che non manca quasi mai, è formato da un potente giacimento di tufo che si insinua tra le masse eoceniche, e in modo tale che le masse più grandi del calcare eocenico stanno sopra i tufi, mentre la parte sottostante è in generale esigua e varia di potenza da luogo a luogo. Eccezionalmente sembra in qualche luogo mancare affatto queste parte inferiore dell’ eocene, cosicché i tufi verrebbero allora a riposare direttamente sulla Scaglia. Tali casi sono dif- ficili a verificarsi, poiché il soffice tufo è sempre fortemente dila- vato presso il suo affioramento, e quindi non è ben chiaro il suo limite inferiore. In molti punti ove supponeva che i tufi dovessero riposare immediatamente sulla Scaglia, dovetti persuadermi della presenza di un banco di calcare eocenico, benché della potenza di pochi piedi, fra la Scaglia e il tufo. I tufi mostrarsi dapper- tutto, ove sono di fresco messi a nudo da corsi d’ acqua, benis- simo stratificati, specialmente, ad esempio, nel letto del torrente immediatamente ad Est di Besagno, e in molti punti nella valle della Some. Trovansi anche a luoghi interposti ai tufi letti di schisti marnosi scuri, come, ad esempio, in un punto immedia- tamente sulla strada sopra Tierno, meglio però anche nella strada da Valle a Pannone a Nord di Loppio. Tutte le piegature, salti e spostamenti, che hanno luogo in gran numero nelle pendici orientali del Monte Baldo, come anche nell’ Orto d’Àbramo e che ne rendono più difficile lo studio, inte- ressano pure i tufi eocenici ; e poiché essi per la loro struttura poco solida facilmente si frantumano, così favoriscono in alto grado la denudazione delle masse eoceniche sovrapposte, circostanza questa che non facilita certamente le osservazioni. Dalla descrizione della struttura geologica del gruppo mon- tuoso ad Ovest di Val Lagorina, fatta dal professor Benecke, si acquista V opinione che le pendici orientali del Monte Baldo e dell’ Orto d’ Àbramo si presentano come semplici ripiani sovrap- posti l’uno all’altro a guisa di gradini, e che quindi si ha da fare con alcuni lembi isolati di masse sedimentarie, intercalate senza - 43 — altra connessione con una massa basaltica eruttiva. Il profilo, a pag. 6 della la parte delle Geognostisch-pdlàontologische JBeitràge, esprime anche meglio questa opinione e risveglia involontaria- mente l’ idea che qui le eruzioni basaltiche stiano in dipendenza causale colle perturbazioni strutturali. Una osservazione più detta- gliata dimostra però che le condizioni di struttura sono di gran lunga più complicate di quel che appariscono nei profili del pro- fessor Benecke ed eziandio, per quanto riguardano le nostre lo- calità, nei profili del professor Lepsius, e che i tufi stratificati che formano pure un membro della serie sedimentaria, come tutti gli altri membri delle formazioni del Baldo e dell’ Orto d’ Abramo, si comportano passivamente di faccia a quelle forze che presiedettero alla struttura stratigrafìca di ambedue quei gruppi montuosi, alla stessa guisa che tutti gli altri sedi- menti. Ove appariscono quelle speciali perturbazioni, che il pro- fessor Benecke ritiene come regolari in tutto il versante orien- tale dell’ Orto d’Àbramo e del Monte Baldo, esse mostransi ad una più attenta, osservazione come di natura puramente locale, e limitata veramente ; e non quali ripiani, ma effettivamente quali assoluti spostamenti originati dalla rottura di successive anti- clinali rovesciate, le quali ultime, allorché tali perturbazioni sieno sufficientemente seguite, divengono sempre più complete. Un esempio evidente eli questo genere è offerto dalla pen- dice che passando per Besagno giunge fin presso Brentonico. Ad eccezione della parte più settentrionale molto denudata, gli strati inclinano sopra la pendice ripidamente verso oriente, e quanto più ci si avvicina verso Brentonico tanto più vi si ap- poggiano gruppi di formazioni più giovani, finché in prossimità del villaggio, anche la piattaforma di calcare eocenico inferiore, che immergesi sotto i tufi ad oriente di Cruzano, affiora di nuovo con una forte piegatura e va ad appoggiarsi, senza di- scontinuità sotto il paese di Brentonico, verso il prossimo ter- razzo. Sull’ altipiano eocenico stendesi anche la formazione tu- facea, qui non denudata, in modo continuo da Cruzano fin entro la sella dietro Castel Brentonico e di là più oltre verso Ca- stione, essendo così ristabilita 1’ unione tra le masse tufacee di Besagno e Castino affatto isolate dalla valle di Loppio. Simili circostanze si ripetono nelle pendici orientali del Monte — 44 — Baldo settentrionale e dell1 Orto d’Àbramo meridionale, che quivi conservano una struttura molto complicata, mentrechè le pendici occidentali da ambedue i lati presentano condizioni di giacimento molto regolari. Ciò avviene specialmente nelle pendici occidentali del Monte Baldo ove gli strati, quali gigantesche tavole, possono esser seguiti dalla cima fin entro il lago di Garda. Analogo, sebbene non così completamente indisturbato, è il versante occidentale del gruppo dell’ Orto d’Àbramo. Esso è at- traversato da due spaccature parallele; però, fatto notevole, non corrispondenti all’andamento N.E. — S.O. della piegatura princi- pale dell’ Orto d’Àbramo, ma correnti esattamente da Nord a Sud ; in esse il labbro occidentale della spaccatura è sollevato sul- 1’ orientale, cosicché anche le masse poste ad Ovest della rottura appariscono un po’ più lungi sul declivio rialzate. La più alta delle due spaccature comincia subito sotto il Bondone Cornicello nel tratto superiore della Val Donego, e sembra continuare in linea retta fin presso Terlago. La dolomite e i calcari gialli in- feriori trovansi qui immediatamente a contatto colla Scaglia e coll’ eocene. Dappoiché quest’ ultime rocce producono un suolo adatto per pascolo, e le prime, ordinariamente sterili, sono nel caso più favorevole coperte di scarsi arbusti, godesi dalla cima del Bondone Cornicello il più istruttivo panorama, non essendo in alcuna direzione la vista impedita da vegetazione arborea. La spaccatura più bassa è contrassegnata dalla stretta valle nella quale son situati i villaggi di Calavino, Lasino, Stravino e Cavedine. Lo spostamento sembra esser qui piccolissimo, im- perocché dai calcari grigi dell’ orizzonte di Noriglio sul fianco orientale della vallecola, si passa di nuovo agli stessi calcari nel fianco occidentale. Se teniamo conto dei dati che si ottengono dall’ angolo d’ inclinazione degli strati sulla pendice orientale della vallecola, della larghezza di questa ultima e della potenza media dell’ orizzonte di Noriglio, dovrebbero già affiorare nel fianco occidentale della valle strati più giovani, se non fosse avvenuto alcun sollevamento nel labbro occidentale della rottura. La valle sembra del resto fortemente ampliata dalla attività gla- ciale, mentre più in alto nella pendice orientale verso il Bon- done Cornicello trovansi dappertutto i più bei ciottoli striati, i quali furono dalle acque lavati del minuto detrito. — 45 - Sulla costituzione interna della pendice orientale dell’ Orto d’Àbramo offre una chiara idea un profilo che può immaginarsi passare dai dintorni di Calliano in direzione N. 0. attraverso la Bastornada e il Bondone Cornicello, e che può osservarsi in fatto senza difficoltà. Scendendo dal Bondone Cornicello nella Val di ' Gei, scorgesi in direzione N.E. , presso a poco sopra Cimone, una parete sporgente, che ci rappresenta in sezione trasversale il versante orientale della cresta principale dell’ Orto d’Àbramo, e può ‘osservarsi come qui gli strati ripiegansi con ampia curva ! ed a poco a poco inclinano verso il monte. La stessa inclina- zione nelle formazioni più giovani, specialmente nella Scaglia che per la sua colorazione rossa offre un orizzonte facilmente rico- noscibile da lungi, può osservarsi chiaramente in tutto il. pen- dìo della catena principale fin sotto lo Stivo, il vertice più meridionale della cresta. La Valle di Cei corrisponde ad una sin- clinale elevata che si continua di qui fino nella Valle di Ronzo senza interruzione, ed è riempita di formazioni eoceniche. Dalla valle di Cei sollevansi di nuovo gli strati verso la Ba- stornada che sta dinanzi al Bondone Cornicello, e formano una , gran piega di cui può osservarsi facilmente una magnifica se- zione nei pressi di Calliano. Questa flessione è ad un livello al- quanto più basso di quello della cresta principale ; possiede però una struttura analoga, poiché anche qui il fianco orientale è molto più raddrizzato di quello occidentale. Verso 1’ Adige gli strati ripiegansi di nuovo alquanto in alto e formano quella sporgenza che il prof. Benecke descrisse nei dintorni di Nomi. Questo promontorio non appartiene veramente più per rispetto alla sua struttura all’ Orto d’Àbramo, ma piut- tosto all’ altra pendice della Val Lagorina, poiché essa trova la sua immediata continuazione nel piccolo lembo eocenico presso Volano. Lo stesso vale anche per le rupi eoceniche tra Isera e Ravazzone, come anche per quella porzione del Monte Baldo orientale che veduta dai dintorni di Mori presenta condizioni di giacimento tanto chiare e regolari, quale venne raffigurata dal Benecke nell’opera citata. Tutte queste parti della montagna compariscono soltanto come gli ultimi lembi, fortuitamente separati dal corso del- T Adige, di quel gran mantello di masse sedimentarie che ri- - 46 — cuopre il nocciolo cristallino di Recoaro e nella sua intiera esten- sione, massimamente verso Ovest presenta una costituzione tanto regolare. Solo nella parte più occidentale della regione ove riscon- trasi questa regolarità, comincia V accennata direzione N.E.— S.O. delle piegature che formano il Monte Baldo e V Orto d’Àbramo e colpisce il fatto che in ambedue comparisce un rovesciamento verso S.E. mentrechè le pendici di N.O. sono relativamente depresse e regolarmente costituite tal fenomeno rammenta il noto fatto delle Alpi settentrionali, cioè che ivi le piegature strapiombano prevalentemente verso N. 0. Presso V Adige riuni- sconsi due zone di struttura diversa, di cui V occidentale pre- senta forti perturbazioni stratigrafiche prevalentemente in dire- zione N.E. S.O. nelle piegature rovesciate principalmente verso S.E., mentrechè nella orientale tutto si passa tranquillamente e la direzione delle piegature, ove compariscono, è in preva- lenza E. — 0. Le alture lungo la Val Lagorina offrono quindi sotto l’aspetto strutturale un particolare interesse, inquantochè incon- trasi colà l’ influenza di molti centri di struttura, di cui ciascuno sembra rappresentare un certo gruppo di fenomeni strutturali corrispondenti, e precisamente fra di loro collegati in modo che il corso dell’Adige in senso ristretto non forma il limite delle due zone, ma questo trovasi in gran parte ad occidente del corso fluviale ai piedi delle alture del Baldo e dell’Orto d’Àbramo. IV. Sulla struttura geologica della parte meridionale della catena di Monte Baldo nel Veronese, per A. Bittrer.1 La porzione meridionale del Baldo dividesi orograficamente in due parti nettamente distinte, una orientale che sta a rappre- sentare un basso gradino ed una occidentale molto più elevata che costituisce il crine principale del Monte Baldo. Il tratto orientale più depresso è contrassegnato da una strut- tura geologica straordinariamente semplice. Dai più profondi strati 1 Dalle Verhcmdlungen der k. k. geol. Reichsanstalt , 1878, N. 17. — 47 — che qui compariscono allo scoperto fino a quelli del terziario rela- tivamente recente, tutte le formazioni si succedono fra loro colla più grande regolarità. Nella parte settentrionale di quel tratto della valle dell’ Adige che percorre questa contrada e nella Valle Aviana presentasi con grande potenza la dolomite principale (Hauptdolomit) ; essa immergesi a poco a poco verso S. e nelle vicinanze di Rivalta e Brentino raggiunge il fondo della valle. Seguono immediatamente sopra di essa calcari bianchi con se- zioni di brachiopodi, talvolta a struttura oolitica. Rocce af- fatto analoghe costituiscono V insieme di quelle alture dirupate, fino che si scende ai terrazzi del Biancone. È degno di nota che qui, a cominciare dalla Valle Aviana verso S., i calcari grigi propriamente detti, cioè V orizzonte degli strati di Noriglio e Rotzo, appena sono riconoscibili al loro caratteristico sviluppo. Le rupi scoscese costituite dai calcari liassici (ed infraliassici ?) lasciano distinguere quasi in ogni punto sulla destra riva del- l’ Adige tre masse sovrapposte 1’ una all’ altra, tra le quali sono stesi due terrazzi più o meno evidenti, che ripetono la loro ori- gine dalla ineguale durezza delle rocce. Il terrazzo inferiore cor- risponde senza alcun dubbio all’ orizzonte degli strati di Nori- glio; però anche là dove possono attraversarsi, come in Valle Aviana, o sotto la Madonna della Corona, non è possibile di tro- vare scoperte in miglior modo le rocce marnose grigie tipiche : vi si distinguono soltanto strati più calcariferi giallo-chiari con numerose sezioni di brachiopodi e gasteropodi difficilmente iso- labili, che si è costretti ad accettare quali rappresentanti colà dei calcari grigi. Superiormente la massa principale della roccia è costituita da calcari analoghi, talvolta anche colorati in giallo vivo, e da bianca oolite, alternanti con strati grigi o giallicci più marnosi, in cui trovansi, prodotti dalla degradazione, dei rilievi di articoli di Crinoidi, spine di Cidariti e piccole Rinco- nelle. Uno di questi letti marnosi in particolare è più potente- mente sviluppato e fu causa della formazione del più elevato dei precitati terrazzi. Ciò che segue sopra di esso fino al margine dell’ altipiano è quasi esclusivamente costituito da pura oolite. Sovr’essa riposa, formando come dovunque l’acuto spigolo del- l’altipiano, V Ammonitico rosso nei cui letti più profondi furono sco- perti gli strati conosciuti col nome locale di strati a transversarius — 48 — e superiormente il calcare a diphya; segue una zona di pascoli alpini formatisi in causa della facile decomposizione del Bian- cone; superiormente elevasi ia Scaglia e le erte muraglie cal- caree dell’ eocene inferiore. La Scaglia è qui talvolta, come dal- l’ altra parte dell’ Adige presso Breonio e Sant’Anna, tanto sviluppata quanto il calcare noduloso ammonitifero ; di Echinidi contiene soltanto frequentemente il Cardiaster italicus. 1 lesso il limite fra la creta e l’ eocene scuopresi in moltissimi punti un orizzonte tufaceo ; in altri luoghi i banchi inferiori del- 1’ eocene sono calcareo-marnosi e contengono incluse masse tufa- cee ; sotto 1’ aspetto petrografico essi assomigliano perfettamente alle rocce corrispondenti per età dei monti veronesi, per esempio, di Castello Illasi e di Castagne sopra a Marcelise ; qui come là esse contengono piccole Nummuliti anfisteginiformi ed Operculine. Però non manca eziandio una terza maniera di formazione degli strati di contatto, ma sembra limitata alle regioni più nordiche come nel vicentino. In una escursione all’ Altissimo di Nago ese- guita in compagnia del signor M. Vacek, ci avvenne di imbat- terci negli strati tipici di Spilecco, colle loro Rinconelle, Tere- bratule e denti di Lamna, situati in alto sulle pendici orientali di questo monte ; senza dubbio essi dovrebbero trovarsi anche immediatamente presso il paese di Nago, come si conoscono già da gran tempo anche più oltre a N. presso Trento (vedi Suess, Gliederung des vicent. tert. Gehirge; Site. d. k Ak d Wiss LVII, 1868, p. 270). Il limite inferiore dell’ eocene corrisponde quindi quasi esat- tamente a quello del Vicentino e del Veronese. Ciò che segue al disopra vedesi raramente bene distinto. Osservansi dapprima alcuni calcari compatti nei quali compariscono le grosse forme di Nummuliti del principale calcare nummulitifero del vicentino. Sovr’ essi stendesi quasi costantemente un piano di tufi e di basalti. I calcari che succedono più in alto, spesso potentemente sviluppati, sono caratterizzati dalle loro frequenti inclusioni di Nullipore. Nella parte più alta della serie le rocce divengono più mar- nose e terrose e racchiudono qua e là numerose Orbitoidi e Operculme di specie identiche a quelle degli strati di Priabona cominciando finalmente ad alternare con letti marnosi azzurri e — 49 — bruni che di quando in quando sviluppansi isolatamente. Alcuni di questi strati son ripieni di Briozoi, altri constano per intiero di piccole Nummuline, alla stessa guisa delle identiche forma- zioni di Laverda. Qua e là possono raccogliersi dei petrefatti sciolti che contribuiscono alla determinazione approssimativa della loro età; quel poco che potè venire raccolto riducesi in gran parte a pettini ed echinidi. Una località che promette di esser molto fossilifera trovasi presso Pannone verso il N., sopra Loppio ad occidente di Roveredo, nel distretto rilevato dal Yacek. Le parti superiori marnose dell’ eocene racchiudono qui delle specie di pettini e di spondili che presentano molta analogia con alcune specie degli strati di Priabona : però trovasi insieme molto fre- quentemente anche il Pecten arcuatus Mich. che per i tufi di Sangonini e per le marne di Laverda presso Marostica è tanto caratteristico ; quindi le grandi ostriche grifeiformi della Val di Lonte presso Vicenza e. ordinariamente più in alto, gli echinidi fra i quali specialmente i Clypeaster, che talvolta sembrano do- versi riferire alla specie Clypeaster Breunigi degli strati di Castel Gomberto. Anche gli Euspatanghi che vi si associano, sebbene mal conservati, ricordano parimente le specie di questo genere che occupano il posto principale nel complesso della fauna degli echinidi negli strati di Castel Gomberto, quindi specialmente V Eusp. ornatus. Non puossi veramente dedurre da questa scarsa raccolta di fossili una decisa determinazione cronologica ; P aspetto litologico e P habitus della fauna accennerebbero ad una corrispondenza cogli strati di Laverda ; il Pecten arcuatus è in questi sempre il fossile di guida, però esso trovasi, secondo recenti osserva- zioni di Hoernes ( Jahrbuch XXVIII, p. 18 e seg.) anche in piani più recenti, come negli strati di Schio presso Belluno ; nel Vi- centino per contro esso è appena conosciuto nei veri e propri strati di Castel Gomberto. I Clypeaster invece sembra che non trovinsi nel vicentino in strati più antichi di quelli di Castel Gomberto ; presso Marostica compariscono anche in strati al- quanto più antichi. Tutto calcolato si può conchiudere che nel- T eocene del Monte Baldo è rappresentato anche il gruppo in- feriore degli strati eocenici, ossia l’oligocene del Vicentino. Que- sti ultimi strati riempiono la conca che stendesi ad oriente sotto 4 — 50 — la cresta principale del Monte Baldo, e che verso Nord è occu- pata da estese pasture alpine, mentre nella sua parte meridio- nale più depressa è situata una parte di quell’ aggruppamento di case sparpagliate che chiamasi Ferrara di Monte Baldo. Il piede orientale della cresta principale del Monte Baldo è coperto da masse colossali di detriti della pendice in parte ce- mentati, sotto i quali stanno nascoste quasi per tutta la esten- sione le formazioni eoceniche. Giganteschi blocchi delle rocce del vertice, quivi esclusivamente composti di belle dolomiti bianche, giacciono sparsi in quelli altipiani alpestri. Solo nei profondi intagli comparisce il sottosuolo terziario, specialmente a Nord e a Sud dell’Alpe Mezzuomo, come anche sul suolo austriaco immediata- mente presso il confine italiano. Gli strati superiori marnosi con Federi arcuatus, Euspatanghi e Clipeastri provenienti dal Monte Cerbiol, volgonsi qui subitamente in alto e si sollevano rapida- mente dal piede del Monte Baldo. Salendo verso le alture del Baldo incontransi qua e là sempre sovr’ essi le testate dei calcari compatti eocenici che giacciono in profondità, con inclinazioni parimente fortissime verso oriente ed anche verticali. Mancano però inferiormente la creta e il giura, nè apparisce la probabilità della loro esistenza, poiché pochi passi più sopra ai precitati calcari compatti eocenici incontrasi già la dolomite principale. Queste stesse condizioni di giacitura possono osservarsi verso Sud fin presso Ferrara ; soltanto in prossimità di questo luogo, nel punto ove le pendici del Baldo sono attraversate da alcune profonde solcature, si ha occasione di osservare per la prima volta ai piedi della cresta principale anche rocce più antiche dell’ eoceniche. Uno scosceso dirupo accompagna qui per un pic- colo tratto il piede del Monte Baldo ; esso consta nella sua parte interna di calcari gialli, a cui esternamente si appoggiano gli strati verticali del rosso ammonitico e del calcare a diphya, più oltre il Biancone in strati contorti e raddrizzati, quindi la scaglia in banchi rovesciati ; sotto di essa comparisce ancora una traccia delle già rammentate rocce marnoso-calcaree della parte più antica dell’ eocene corrispondente all’ orizzonte di Spilecco. Sol- tanto un poco più verso oriente ci troviamo di nuovo sul fianco orientale, leggermente declive a ponente della conca eocenica. La gola ad Ovest sopra Ferrara rappresenta ad evidenza una - 51 — spaccatura trasversale. Mentre a Nord di essa presentasi una de- • pressione eocenica, verso Sud elevasi molto più in alto un gruppo montuoso irregolarmente accidentato che consta esclusivamente di oolite e calcare giallo coi loro banchi di Crinoidi ed in un punto (presso Moje, a ponente di Coltri) anche con Belemniti e che rappresenta una massa avanzata di strati più antichi, stac- catasi verso Est dal tratto rettilineo della cresta principale. Presso il contatto di questo terreno giurese verso la zona eoce- nica in quel punto assottigliata, non scorgesi alcun raddrizza- mento dell’ eocene ; anche la giacitura del calcare giurese non è menomamente chiara. Fatta astrazione da questa parte e dalle pendici meridionali del Baldo di cui sarà fatto cenno più oltre, quasi tutto il re- stante della massa del Monte Baldo presentasi quale un si- stema potentemente sviluppato di quei calcari che comprendonsi sotto il nome di calcari gialli ed oolite di San Vigilio. Tutta questa massa inclina verso il lago di Garda ed invero dolce- mente nella parte meridionale, ripidamente nel Nord, ove la direzione generale degli strati taglia quella del crinale sotto un angolo acutissimo. Corrispondenti ad esso compariscono già nelle parti più profonde di quelle selvagge incavature, tra le principali sommità, dei calcari che per contenere frequentemente sezioni di grandi Terebratule e gigantesche Chemnitzie forse devono ritenersi quali rappresentanti dei calcari grigi. Inferior- mente comparisce nelle pendici orientali del maggior vertice la dolomite principale. Essa contiene qua e là una assai rile- vante quantità di fossili, Dactylopore, eleganti gasteropodi affini alle Bissoe e Turritelle, Mytili, grandi pettini a coste piane, specialmente poi brachiopodi, fra i quali una specie straordi- nariamente analoga alla Terebratula gregaria degli strati di Kossen. Sfortunatamente son tutti conservati soltanto in forma di modelli interni. I calcari gialli presentano anche qui inter- stratificati i loro letti marnosi ; qua e là compariscono pari- mente fra essi dei banchi giallo-grigi, marnosi e molto silici- feri ; in questi potè rinvenirsi una fauna di Rhynchonelle povera di forme, ma ricca d’individui che ricorda quella dei Tredici Comuni a cui può esser benissimo identica. Vi sono delle forme che consuonano perfettamente colla Eh. Glesiana, trovata in un — 52 — piano corrispondente e descritta recentemente da Lepsius, altre si accostano moltissimo alla Rii. Vigila Lepsius degli stessi strati. Le pendici occidentali dei Monte Baldo sono più del ri- manente uniformi ; per diverse ore camminasi sopra la superficie di uno stesso strato dei calcari gialli che soltanto qua e là sono profondamente solcati da botri selvaggi e dirupati che corrono in linea retta dalla principale sommità verso il lago. Gli strati superiori sono anche qui molto ricchi di banchi di Trochiti, con- sistenti in gran parte di ooliti ed a luoghi di un vero tritume di conchiglie, fra cui Brachiopodi, Cidariti e Gasteropodi ele- gantemente ornati appartenenti a specie di Pleur otomaria. Strati più giovani giuresi compariscono qua e là al piede presso la spiaggia del lago ; gli strati della creta appaiono soltanto m due punti lungo la spiaggia, nei piccoli promontori di Mal- cesine e Torri ove rinvengonsi pure poche tracce di strati eocenici : un terzo punto simile sembra essere quella lingua di terra coperta di detrito, fra Cassone e l’ Ascensione, insieme colla piccola isola Trimelone che le sta dinnanzi probabilmente costituita da rocce eoceniche. Dal lato Sud della catena principale apparisce una piegatura nella direzione e gli strati del calcare giallo inclinano qui dalla sommità del crinale, fino ad una certa distanza, così dolcemente verso Sud come sopra il lago verso Ovest. Nei precipitosi di- rupi sopra Caprino e Pesina, ha luogo tuttavia una brusca pie- gatura, in forma di ginocchio, di tutta la massa, al di là della quale il Biancone, la Scaglia e gli strati eocenici che formano qui il piede del monte, vanno ad appoggiarsi contro di esso con discoi danza. Una transizione graduata da questa disposizione di strati rovesciati e diretti da Est ad Ovest alla inclinazione oc- cidentale della cresta principale, può osservarsi assai bene nelle pendici di S.O. e di Ovest del Monte Belpo, sulle quali i di- versi membri delle formazioni, già riconoscibili da lungi perla diversa colorazione, si presentano a guisa di fogli incurvati, pas- sando in una conca pianeggiante, allungata da Nord a Sud, la cui estremità settentrionale si può seguire per una notevole di- stanza sino sopra il villaggio di Montagna. Il ramo occidentale di questa conca del resto è reso irregolare dalla demolizione degli strati superiori, talmentechè qui le masse detritiche già- 53 — ciali coi loro blocchi di porfido quarzifero e di granito, riposano immediatamente sulla superficie denudata del calcare giallo e della oolite di San Vigilio. Sarebbe qui il momento opportuno per far menzione del ce- lebre terreno giurese del Capo San Vigilio. In una escursione eseguita in compagnia del signor Vacek in questa località, ci persuademmo che la pretesa correlazione dell’ oolite di San Vi- gilio cogli strati a Murchisonce, non è del tutto esatta, poiché così può far nascere V idea che gli strati a Murchisonce rappre- sentino un membro intermedio della oolite. Che ciò non sia pro- priamente così, venne dimostrato da Waagen {Zone des Am. Sowerbyi, pag. 53) contrariamente a quanto fu detto dal Benecke. Gli strati a Murchisonce trovansi infatti sopra la massa princi-* pale dell’ oolite bianca che forma presso il Capo San Vigilio, come altrove, potenti pareti rocciose, e fanno parte di un com- plesso di rocce rosse, giallicce, biancastre e variamente colorate che forse potrebbersi con molta ragione ritenere equivalenti al piano immediatamente superiore della divisione fatta dal Bene- cke, cioè agli strati a curviconcha. Certamente nel piccolo spazio che separa gli strati a Murchisonce dalle rocce a Posidonomya qui ugualmente sviluppate, trovansi ancora alcuni banchi chiari, talvolta anche oolitici; però nelle spaccature, quando vi sta racchiuso il banco a Murchisonce che può considerarsi come costituente la loro parte superiore, compariscono alcuni banchi di cui la roccia chiara, particolarmente sabbiosa e caratteristica, fa sospettare che la sua massa consista di minutissime Posido- nomie o di un loro detrito. Del resto il fatto che la Terebratula curviconcha e le sue affini son poco appropriate, come caratteri- stiche nella determinazione cronologica di zone ristrette, è provato anche da ciò che nello strato a Steph. fallax fu trovata ugualmente una forma che stando alla figura di Oppel, non può distinguersi assolutamente dalla Ter. curviconcha, mentre che da un giacimento di un livello appena un poco diverso si conosce una specie che scambiasi con tutta facilità colla Ter. Aspasia liassica. In ogni caso, non si può andare errati ammet- tendo che il significato di strati a curviconcha sia più ampio di quello di strati di Klaus, o di rocce a Posidonomia alpina, e che anche gli strati ad Amm. Murchisonce appartengano alla parte — 54 — inferiore di quel complesso di marmi varicolori, sviluppati al di sopra di un potentissimo sistema di masse calcaree chiare, in gran parte a struttura oolitica, di cui finora non si è potuta fissare esattamente V età. Poco lungi dall’ estremità meridionale del Monte Baldo, emer- gono di mezzo al detrito glaciale due altre cupole rocciose for- mate di rocce terziarie. Gli strati più profondi che qui compa- riscono allo scoperto son quelli stessi che incontraci nella strada da Cavajon verso Incaffì, cioè letti marnosi con piccole num- muliti e rari esemplari di Pecten arcuatus, come anche con frammenti di Macropneustes ; succedono inferiormente alcuni letti di arenaria verde con numerose sezioni di Scutelle, banchi di solido calcare a Nullipore, le superficie degli strati del quale sono talvolta intieramente ricoperte di pettini a coste piatte ed ampiamente rotondeggianti, come sogliono comparire negli strati di Schio, e nella parte più alta una massa potente di calcare bianco in gran parte formato da detriti di Echinodermi. Il tratto orientale più depresso del Monte Baldo è interrotto presso la strada Ceraino-Caprino ; ne formano la continuazione, la cupola isolata del Castel di Rivoli, e più oltre le rupi della Chiusa che dall’ altra parte stanno in immediata connessione colle formazioni giuresi superiori (oolite e calcari gialli) del Monte Pastello. La grande spaccatura all’ oriente dell’ Adige che separa la dolomite dal sottostrato giurese dell’ altipiano di Sant’Anna e Breonio, sembra che vada a cessare quindi più a Nord presso a poco nelle vicinanze di Dolce. Fu già accennato nella occasione che fu presentata la carta dei Tredici Comuni (V. Verhandl. , 1878, pag. 59) che la costi- tuzione geologica, in generale molto semplice, di questa regione montuosa resta influenzata da due fattori, cioè da grandi pie- gature dirette da Est ad Ovest, e da una spaccatura corrente da Nord a Sud. Non vi può esser dubbio che in questo distretto le piegature debbano ritenersi longitudinali e le spaccature tra- sversali. Ciò non è così evidente ad Ovest dell’Adige. Gli strati nel Sud del Monte Baldo son veramente diretti da Est ad Ovest, però passano gradatamente nella inclinazione occidentale della cresta principale del Baldo. Le spaccature in direzione meri- — 55 — diana, che attraversano questa regione, hanno comune la carat- teristica che le loro diramazioni orientali son più profonde delle occidentali, e che per ciò l’ intiero gruppo apparisce come un sistema di gradini isolati elevantisi a sempre maggiori altezze da Est verso Ovest ; P elevazioni che fiancheggiano la spaccatura ove corre l’Adige, sono le più notevoli di tutte le orientali, e vengono solo superate più oltre da quelle della spaccatura del Baldo, che porta ad una così considerevole altezza sopra il terziario la dolomite principale. Quest’ ultima rottura mostrasi però evidentemente prodotta per una piegatura obliqua, e questa maniera di origine unita- mente alla conseguente posizione quasi verticale degli strati, imprime a queste porzioni occidentali del monte il carattere di catene indipendenti, le quali hanno assunto una direzione Nord- Sud normale alla direzione generale. V. Le rocce eruttive della parte occidentale del Trentino , per C. Doelter.1 Mentre le rocce eruttive all’ Est del Tirolo meridionale furon già studiate da numerosi scienziati, in grado di gran lunga mi- nore lo furono quelle della parte occidentale. Dobbiamo quindi esser grati al prof. Lepsius di essersi sob- barcato alla fatica di uno studio esatto di questi poco noti gia- cimenti. Essi possono esser così divisi : 1° Tonalite e Granito. Epoca Azoica ; 2° Porfido quarzifero. Epoca Permiana ; 3° Microdiabase. Ròth, calcare di Buchenstein, strati di Wengen ; 4° Porfirite. Muschelkalk e calcare di Buchenstein ; 5° Nonesite. Strati di Raibl. Mentre adunque nel S.E. del Tirolo le rocce eruttive sono tutte triasiche ed appartengono quindi ad un solo piano, nella 1 A proposito dell’ opera La parte occidentale del Tirolo meridionale del prof, dottor R. Lepsius. Berlino, 1878. — 56 — parte occidentale si avrebbe, secondo Lepsius, un caso ben di- verso, che è alquanto sorprendente. Specialmente là, secondo la descrizione, le rocce più basiche si accordano perfettamente coi melafìri del Tirolo meridionale; questo nome però è scrupo- losamente evitato dal Lepsius che lo rimpiazza con quello di Microdiabase. E una scoperta nuova che la roccia principale delle pietre verdi tanto sviluppata nel Tirolo e nel Veneto sia una porfirite; io potrei accennare in proposito che nel S. E. del Tirolo lo studio della pietra verde a Buchenstein e a Wengen, dette per risultato che in ogni caso la matrice principale della pietra verde è un porfido quarzifero e che due analisi da me eseguite di queste rocce, dettero un alto tenore in silice, cosicché la questione non sembra ancora risoluta. Un resultato importante degli studi del signor Lepsius è quello d’ avere formulato i sei principii seguenti sulle formazioni di con- tatto al limite della Tonalite e del calcare conchigliare ; essi sono: 1 La massa di Tonalite dell1 Adamello è un membro pas- sivo nella formazione del monte ; 2 I calcari triassici son convertiti in marne ove trovansi a contatto colla Tonalite ; 3° La causa del metamorfismo è riposta nella stessa To- nalite ; 4° Maggiore è la prossimità delle rocce granitiche tanto più forte è l1 alterazione metamorfica ; 5 I calcari triasici al cpntatto coi silicati sono ripieni di quaizo, mica, ortose, tormalina, orniblenda, augite, fassaite, gra- nato, vesuviana, epidoto, vollastonite (più oltre anche pirite) : 6 I trochiti del calcare conchigliare sono conservati nel marmo, però solo nei punti più distanti dalla Tonalite. Il Lepsius trae dalla proposizione la la conclusione che la Tonalite non venne a contatto coi calcari triassici come lava incandescente ; deve notarsi brevemente che la parola passivo è qui usata in senso affatto diverso da quello ordinario e preci- samente in un senso appropriato a ingenerare confusione nelle idee ; con ciò intendesi finora col Suess di indicare quelle masse di cui è dimostrato che soffersero un sollevamento lungo tempo dopo la loro formazione, cioè tali che non ebbero alcuna influenza — 57 - sulla costituzione di una montagna, quindi tutte le masse eruttive alpine sono passive ; ed è strano die il Lepsius chiami attive le rocce eruttive giovani, fluite quali lave, mentrechè per i più antichi graniti che non fluirono in correnti, che non possiedono alcuno indizio di stratificazione, e son precipuamente caratte- rizzati da una diversa maniera di formazione e giunsero alla superficie allo stato solido, impiega il nome di passivi. Il Lepsius conclude allora che è impossibile che la Tonalite sia triasica, poiché i prodotti di contatto, che debbono la loro origine assolutamente alla Tonalite, si formarono molto più tardi di quest’ ultima ; il concetto che essa appartenga all’ epoca azoica non sembra dimostrato abbastanza. Se io adunque dalla presenza soltanto dei prodotti di contatto, non posso stabilire, senza una più esatta osservazione locale, la età più giovane della Tonalite, devo però sempre osservare che per analogia di con- dizioni in Val di Bondola e a Flemme, cui accenna anche Lepsius, questa deduzione non sarebbe troppo arrischiata ; dobbiamo guardarci tuttavia dalla strana conclusione che, dacché le con- dizioni al contatto fra la Tonalite e i calcari sono così chiare (?) non possa cadere alcun dubbio, che anche le analoghe rocce erut- tive di Predazzo siano azoiche ; V arditezza di tale asserto ap- parisce ancora quando Lepsius sostiene che nell’ ultima località non sono sufficientemente note le condizioni geologiche e non ancora studiate dai geologi. Osserva in seguito il Lepsius che non esistono graniti erut- tivi più recenti, mentrechè gli studi dell’ ultimo anno appoggiano essenzialmente 1’ esistenza di graniti più giovani.1 Devesi allo stesso autore di aver fatto notare l’ analogia delle formazioni di contatto da lui scoperte con quelle del Tirolo orien- tale ; però avrebbe fatto meglio ad astenersi dalle deduzioni che vi si rannodano. A\\o scopo di schiarire la formazione dei pro- dotti di contatto della Tonalite, il Lepsius ammette che la massa granitica giacesse a circa 20,000 piedi sotto i micaschisti ed altre rocce stratificate e che più tardi nell’ epoca terziaria fosse portata in alto allo stato solido e che la sua temperatura alquanto ele- 1 II Sigmund constatò nel granito di Predazzo la presènza di inclusioni vetrose. — 58 - vata in contatto coi calcari triassici desse luogo alla formazione eli minerali di contatto. Questa spiegazione alquanto complicata non potrà convincere molti. In ogni caso 1’ epoca azoica della Tonalite dovrebbe esser posta fuori di ogni dubbio, ma anche ciò ammettendo dovrebbero trovarsi altre spiegazioni diverse da quelle date dal Lepsius. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. I. Cafici. — Da Vicini a Licodia. — Siracusa 1878. Id. — Studi sulla geologia del Yizzinese . — Catania 1878. Sono due brevi Memorie che si completano a vicenda e che hanno per oggetto lo studio geologico di una regione siciliana pochissimo conosciuta sinora. Alla prima Memoria offre argomento quel tratto di suolo che si stende tia Vizzini e Licodia nell’ ultimo lembo meridionale della provincia di Catania. Il terreno sul quale è fabbricata la prima di dette città è di natura vulcanica e consiste in basalti, tufi basaltici e peperini poggianti sopra roccie di sedimento. Il basalto si presenta sotto forma di correnti, e spesso offre la caratteristica divisione poliedrica, i cui elementi sono talvolta convertiti in elissoidi sfaldantisi a strati concentrici. I peperini racchiudono piccoli grani basaltici, frammenti calcarei, spati cal- carei e sono attraversati da vene di quarzo e di calcite. In- sieme al peperino si trovano frammenti e bombe di natura basaltica, e qua e là esso è attraversato da dicchi basaltici che per essere più resistenti sporgono dalla superficie. Tal roccia è quella che domina in tutto il territorio preso ad esame: meno estesi sono i tufi basaltici in sottili straterelli di colore bruno nerastio e giigio, con aspetto litoide, ma che per leggiera scossa si riducono in minute scheggie. A un certo tratto della strada che congiunge Vizzini con Li- codia cessano le roccie vulcaniche e compariscono le sedimentarie — 59 - sotto forma di calcari, di arenarie e di marne fossilifere; più lungi si trovano anche dei gessi in grossi ammassi cristallini ed asso- ciati con bitume, i quali sono intimamente connessi con le altre roccie di sedimento e debbono la loro origine al metamorfismo del calcare operato dalle emanazioni vulcaniche. Il terreno più antico è costituito dalle argille marnose azzurre plioceniche che difficilmente si vedono e solo nelle profonde spaccature : i fossili non vi sono rari e sono benissimo conservati, fra cui caratteri- stica la Cleodora pir amidata L. Alle marne succede una arenaria argilloso-calcarea a struttura terrosa, raramente compatta, facile a disgregarsi; contiene pochi resti di molluschi e una quantità di fucoidi ed altri avanzi probabilmente vegetali; sono comuni e in gran numero la Terebratula grandis Bl. e la Lucina bo- realis L., mancanti affatto nelle marne inferiori. Quest’ arenaria appartiene probabilmente al piano Siciliano. Ultimo della serie è un calcare grossolano, sabbioso e cavernoso, friabile e con aspetto terroso : è quasi per intiero formato di resti organici marini cementati insieme dal carbonato di calce. Le cavernosità sono talvolta riempite da limonite terrosa. Il deposito presenta un’ indole assolutamente littoranea e sembra possa ascriversi all’ epoca postpliocenica. La borgata di Licodia trovasi su questo terreno. L’Autore chiude la prima Memoria col riassumere la storia di quella regione, dal depositarsi dei primi sedimenti pliocenici insino all’ epoca nella quale assunse 1’ attuale sua configurazione, e finisce coll’ accennare ad alcuni resti di industria umana da esso rinvenuti in quei dintorni. Nella seconda Memoria l’Autore completa lo studio sulla geo- logia del Yizzinese, illustrando un vasto tratto di suolo che com- prende il più grandioso fra i centri vulcanici della Val di Noto. Se dalla linea precedentemente studiata volgiamo al nord in direzione di Militello, trovansi gli stessi materiali vulcanici, pre- valendo il peperino, spesso alternanti con una sabbia marina a nuclei di limonite terrosa e ricca di tritumi di conchiglie ; in alcuni punti vedesi uno strato di marna bianca leggermente sabbiosa, ricca di Ostree, su cui poggia la sabbia anzidetta; talora questa marna collegasi con uno scisto argilloso impregnato di bitume, che esposto per lungo tempo all’ aria prende quasi - 60 — P aspetto di lignite. In una località sola cessano le roccie anzi- cennate ed incomincia una potente formazione calcarea d’ epoca probabilmente miocenica che si estende in direzione di N.O. : la roccia è di color bianco, dura e compatta, quasi priva di resti organici, e con rari noduli di limonite terrosa. In generale tutte le altre parti del territorio preso in esame offrono le stesse masse di materie vulcaniche eruttate dai due crateri di Monte Altore e di Monte Lauro (la più alta cima della Val di Noto) alter- nanti con sabbie passanti talvolta a vere ghiaie con elementi vulcanici ; in alcuni punti vedonsi affiorare anche le argille plio- ceniche: una sola località offre un ammasso di gesso cristallino con grande potenza, nelle fessure della quale vedesi la marna coi soliti schisti bituminosi. In generale la costituzione del suolo vizzinese è assai uni- forme ; per tre quarti esso è coperto da materiali d’ origine vul- canica, riposanti sopra roccie di sedimento di solito orizzontali e fra di loro concordanti, e riferibili al piano Messiniano, allo Astiano, al Siciliano ed al Sahariano. L’ eruzione delle roccie basaltiche, con tutta probabilità, ebbe luogo nel periodo Astiano e si continuò più o meno interrottamente nei due successivi, raggiungendo un massimo d’intensità nell’ ultimo, e forse quando già l’uomo abitava quelle contrade. D. Lovisato. Il Monte di Tiriolo. — Catanzaro 1878. Questo lavoro è una interessante monografia geologica di quei- l’ ultimo e quasi isolato sperone della Sila, nella Calabria setten- trionale, che si vede al N.O. di Catanzaro nella direzione di Tiriolo e sulla strada che mena a Cosenza. Il nucleo di questa montagna nuda e biancheggiante consta essenzialmente di dioriti porfiriche e quarzifere, accompagnate da altre varietà che spic- cano su di esse pei loro svariati colori e che poco si assomi- gliano a quelle di tutto il resto della Calabria. Queste roccie cristalline non hanno grande estensione dal lato meridionale, e spariscono ora sotto il terziario recente, ora sotto schisti com- pattissimi di colore grigio e verdognolo, talvolta rassomiglianti ai gneis ed ora sotto micaschisti e schisti argillosi. Fra siffatte — 61 — masse di roccie diverse, una attira maggiormente' V attenzione dell’ osservatore che già conosca le contrade dell’ alta Calabria : è dessa di colore verde oliva e riferibile ad una modificazione di schisto argilloso che trova il suo massimo sviluppo nella ca- tena littorale dovunque appare il calcare bigio riferito al piano giurese. Dalla parte settentrionale si estendono pure questi schisti, cui la massa dioritica rompe in qualche punto per affiorare, scomparendo -finalmente più al nord sotto i micaschisti ricchis- simi di mica argentina. Ad oriente del pari le dioriti sono in- teramente coperte da micaschisti, da schisti talcosi, i quali sono per lo più mascherati e coperti da conglomerati delle ultime for- mazioni. Sopra la massa di dioriti che forma il nucleo del monte di Tiriolo, e più raramente sopra le formazioni schistose, si adagiano terreni calcarei; ed un lembo di questi costituisce l’alta vetta del monte. Le due varietà di diorite che formano la massa del monte di Tiriolo sono la quarzifera e la porfirica; la prima sviluppata superiormente, mentre la seconda vedesi di preferenza verso la base. La prima, secondo l’analisi del vom Rath, consta di pla- gioclasio, di quarzo, di orneblenda e di augite disseminati in forma di grani e cristalli in una pasta grigio-verdastra e spesse volte rossastra : 1’ osservazione microscopica dimostra che questa pasta è ripiena di granelli bruni di clorite, che i cristalli di mica, di orneblenda, ed anche quelli di augite, racchiudono una grande quantità di granelli rossastri piccolissimi, probabilmente granati. La diorite porfirica invece presenta nella massa generale una pasta oligoclasica verdastra oscura, compatta, sparsa di cri- stalli e di granelli minutissimi di felspato bianco, con poco quarzo e con rarissimi cristalli di orneblenda e di augite; talora vi si trova 1’ epidoto distribuito nella massa ed accentrato di solito in taluni punti più che in altri. Entro tali masse serpeg- giano flloncelli di altra roccia, la quale oltre agli elementi del felspato e dell’ anfibolo comprende ancora granato ed in gran numero nitidi cristallini trasparenti di distene. Le masse calcaree succitate appartengono probabilmente a due epoche distinte, primitiva la prima, cretacea 1’ altra. È da ri- ferirsi alla prima epoca un calcare bianco-zonato, ed anche gri- — 62 — giastro, che facilmente si divide in lamine, alternante nella parte inferiore con straterelli di calcare carbonifero : il cappello del monte invece è formato da una massa isolata di calcare frecciato, ora giallo-rossastro ed ora bianco e rosso, e talvolta bianco compatto con frattura concoidale. Quest’ ultimo calcare è ricchissimo di fossili, tutti però in cattivo stato di conservazione; essi sono caratteristici dell’ epoca cretacea ed analoghi a quelli del Turoniano di Monte Cavallo nel Friuli. Altri lembi di questo calcare, appartenente alla formazione del calcare apenninico, si trovano sparsi in varie parti del gruppo della Sila, e tutti si mostrano fra di loro collegati per modo da rendere il loro iso- lamento più apparente che reale: essi rappresentano dei fram- menti di grandi masse calcaree depositatesi in altrettanti bacini locali esistenti nel seno delle roccie primitive. Tali depositi sa- rebbero contemporanei con quelli dell’ Apennino meridionale, ma da questi affatto staccati, come lo è ad esempio la massa del Monte Gargano separata pel Tavoliere delle Puglie dalla massa apen- ninica, colla differenza che quest’ ultima sarebbesi staccata dalla catena in modo violento, mentre i primi non avrebbero sin dal- P origine avuto comunicazione alcuna coll’ Apennino. Il calcare antichissimo finalmente che si vede abbastanza sviluppato sotto il paese di Tiriolo, è quasi del tutto privo di fossili ; per forza di metamorfismo esso è in alcuni punti divenuto saccaroide e ricco di minerali diversi come l’ idrocrasio, il granato, lo spinello azzurro, la pirite, la calcopirite, la blenda e l’epidoto. A. De Zigno. — Sopra un nuovo Sirenio fossile scoperto nelle colline di Brà in Piemonte. — Eoma 1878.1 Il dottor G. D. Bruno stampava nel 1839 una Memoria nella quale descrisse alcune ossa fossili di un sirenio scoperte nelle colline di Montiglio nel Monferrato, formandone la specie Chei- rotherium subapenninum ; questi avanzi venivano nel 1872 ripresi in esame dal Capellini e dal medesimo attribuiti ad una specie Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei, Memorie della classe di scienze fisiche , matematiche e naturali , voi. II. - 63 del nuovo suo genere Felsinotherium. Altri resti di sirenii si sco- privano nel seguito in varie parti d’ Italia, e furono illustrati specialmente per opera del Capellini e del De Zigno, il quale ultimo ci dà ora la descrizione di un nuovo fossile i cui resti furono trovati nel dicembre del 1876 dal professor Craveri nelle colline delle vicinanze di Brà in Piemonte. Questi avanzi, con- sistenti in un ammasso di ossa ridotte in frantumi, vennero esa- minati dal Gastaldi, il quale con lungo e paziente lavoro riesciva a ricostituirne un bellissimo cranio, eh’ esso ritenne appartenere ad un sirenio affine all’ Haìitherium Berresti del Gervais, e che inviò all’ autore per un ulteriore studio. Nella località dove fu rinvenuto il fossile, le marne e le argille del terreno miocenico superiore sono ricoperte da marne e da argille azzurrognole dell’ epoca pliocenica, sulle quali si adagiano delle sabbie gialle contenenti conchiglie marine della stessa epoca. A queste sabbie sovraincombe direttamente uno strato ghiaioso, nel quale si scoperse una rilevante quantità di ossa di pachidermi e di ruminanti ; questo è alla sua volta ricoperto dai depositi quaternarii. Gli avanzi del sirenio furono trovati entro le sabbie marine plioceniche soggiacenti allo strato ghiaioso, e quindi sono da riferirsi ai più recenti depositi del pliocene. L’Autore crede adunque che il sirenio di Brà abbia vissuto nel gran golfo del Po verso il finire dell’ epoca pliocenica, durante la quale pur vissero il Cheirotherium subapenninum di Bruno, V Haìitherium Berresti di Gervais ed i Felsinoterii del Capellini, forme tutte che appar- tengono allo stesso tipo generico caratteristico dell’ epoca plio- cenica. Il fossile di Brà, nel mentre presenta tutti i caratteri dei Felsinoterii, svela però alcune differenze che lo distinguono dalle altre specie di questo genere, per cui l’Autore lo riferisce ad una specie nuova e ne fa il suo Felsinotherium Gastaldi. Con la scoperta di questo nuovo felsinoterio, il numero dei sirenii fossili fin qui trovati in Italia, viene portato ad otto specie, delle quali l’Autore presenta la distribuzione geologica e geografica in apposito prospetto. La Memoria è accompagnata da sei tavole nelle quali sono dati i disegni degli avanzi descritti. — 64 — A. De Zigno. — Aggiunte alla ittiologia dell’ epoca eocena. Venezia 1878.1 Dopo la splendida illustrazione degli ittioliti veronesi com- parsa nella classica opera dell’ Agassiz, fu per qualche tempo cpinione generale che V argomento fosse esaurito e che a nulla di nuovo condurrebbero le nuove ricerche: se non che alcuni anni dopo P Heckel dimostrava erronea tale credenza con la scoperta di non poche specie nuove di pesci veronesi, di cui pubblicò le descrizioni nella sua opera sui pesci fossili dell’ im- pelo austriaco. Fu allora che varii dei nostri paleontologi si mi- sero ad esaminare con attenzione gli ittioliti sparsi nelle diverse collezioni del Veneto o che si rinvenivano negli scavi del Bolca, e riuscirono a scoprirvi delle specie prima non avvertite ; fra questi vanno annoverati il Molin, il Massalongo, il Lioy, il Bas- sani e specialmente il De Zigno, il quale, facendo seguito ad altre dotte sue pubblicazioni su questo argomento, descrive in questa ultima tre nuove specie di pesci scoperte di recente negli scavi fatti a Monte Bolca, con le quali si porta a 41 il numero delle specie nuove trovate dopo la pubblicazione dell’ Agassiz. Di queste tre specie la prima appartiene al genere Semiophorus , che sinora non si trovò in altri luoghi e puossi ritenere proprio dei depositi del Bolca, la seconda al genere JRhinobatus , di cui finora non si era mai trovata alcuna specie allo stato fossile, e la terza al genere Torpedo , apparso per la prima volta nel periodo eoceno e tuttora rappresentato da parecchie specie viventi nei mari del- l' epoca attuale. Di questi tre fossili l’Autore dà una descri- zione particolareggiata ed accompagnata da figure accuratamente eseguite. R. Lepsius. — Das westliche Sud-Tirol . — Berlin 1878. È un grosso volume nel quale sono raccolti i risultati degli studi fatti dall’Autore dal 1875 al 1878 in una regione sinora po- 1 Dalle Memorie del R. Istituto Veneto, voi. XX. — 65 — chissimo conosciuta delle Alpi meridionali e che si stende dall’ A- dige al gruppo dell’ Adamello in un senso e da Merano al Lago di Garda nell’ altro. Chi conosce le difficoltà, talvolta grandissime, che si incontrano nelle ricerche geologiche sulle Alpi, potrà com- prendere quanto lavoro abbia costato all’ Autore siffatta illustra- zione di un paese che geologicamente potea dirsi finora quasi incognito. Alpestri montagne dolomitiche, difficili a percorrersi, occupano l’area ora indicata; una lunga serie di formazioni, dagli schisti cristallini al trias e dal giurese al terziario vi è svilup- pata ampiamente, e roccie eruttive intersecano di frequente questi terreni di sedimento. Pel suo carattere speciale, per ricchezza di fossili e per potenza, la formazione triasica vi acquista fra tutte le altre un particolare interesse. Dopo un capitolo di introduzione nel quale trattasi dello aspetto geologico generale del paese, incomincia 1’ Autore la sua descrizione col parlare della topografìa delle singole regioni che lo compongono. Il primo fatto che cade sott’ occhio è la esistenza di diverse catene montuose parallele correnti in direzione da N.N.E. a S.S.O. , le quali dal lato di ponente si appoggiano alla gran massa del Monte Adamello. Due principalmente sono queste linee di monti, costituiti in gran parte da calcari e da dolomiti: la prima ad oriente dell’ Adamello è quella che dalla massa do- lomitica di Monte Lanino, fra il Lago di Garda e quello di Idro, si dirige verso nord pei gruppi di Monte Gaverdina e della Cima Tosa, per finire all’isolata elevazione del Gali; la seconda incomincia a Piva sulla sponda settentrionale del Lago di Garda e continuandosi pel Monte Casale, Monte Gaza e Monte Paganella, piega leggermente verso nord e va ad unirsi coll’altra alla stessa cima di Gali. Alle due accennate può aggiungersi una terza catena che, ad oriente della seconda ed ugualmente diretta, è formata dalla linea di Monte Baldo, fra il Lago di Garda e la valle dell’Adige, che si continua al nord col gruppo detto Orto d’ Abramo. Dopo gli schisti cristallini e pochi lembi di terreno permiano, che in quella regione rappresenterebbero i sedimenti più antichi, succedono in ordine cronologico le formazioni triasiche con uno sviluppo di gran lunga superiore a tutte le altre ; infatti la po- tenza complessiva di tali formazioni fu calcolata dall’ Autore a 5 — 66 ben 7000 piedi, dei quali 4800 apparterrebbero al solo trias superiore: vengono quindi le formazioni del lias e del giura, rappresentate da quattro piani liassiei e dal calcare a diphya ; minore importanza hanno i terreni cretacei del Biancone e della Scaglia, sinché la serie viene chiusa dal calcare nummulitico, dall’ arenaria miocenica, dal detrito glaciale e dal terreno allu- vionale. Nè meno sviluppate sono le roccie massiccie, delle quali P Autore presenta la seguente serie cronologica : Azoico : tonalite dell’ Adamello ; granito presso la Malga Mondifra e del Monte Croce presso Lana. Permiano: porfido quarzifero di Bolzano, Val di Rumo, Val Rendena, Tione, Val di Daone, Condino, Val Trompia, ec. ; por- fido retiniti co di Auer. Trias inferiore : microdiabase di Monte Ario, Val Serimando presso Collio, Bovegno in Val Trompia ; microdiorite presso Collio e del Monte Laveneg. Trias medio : porfirite di Bovegno ; microdiabase di Cesovo in Val Trompia; microdiorite di Val Bondol e dei dintorni del Casino Cleoba; porfirite con tufo di pietre-verdi di Val di Scalve e del Dosso Alto in Val Trompia; porfido augitico dell’ Alpe di Seiss, dei monti di San Cassiano e della Val di Fassa. Trias superiore : microdiabase basaltico (nonesite) della Mendola. Dopo la deposizione degli strati di Raibl, V attività vulcanica nelle Alpi meridionali ebbe un lunghissimo periodo di sosta, du- rante il quale si formarono i sedimenti della Dolomite principale, dell’ Infralias, del Giura e della Creta ; fu solo al principio del- T epoca terziaria che di nuovo si aprirono le bocche vulcaniche per emettere le grandi masse di dolerite, di basalto, di trachite e di fonolite del Vicentino e degli Euganei. In un lungo capitolo si danno le speciali descrizioni geologiche delle varie parti nelle quali l’Autore divide la regione studiata; esse sono le seguenti: il gruppo dell’ Adamello ; il gruppo di Monte Lanino ; quello di Monte Gaverdina ; quello di Monte Ca- sale e Monte Gaza; quello della Cima Tosa; quello del Monte di Non ; finalmente i monti della Val Trompia e della Val di Scalve. Questo argomento della geologia descrittiva, fu ampia- mente trattato dall’ Autore e tale parte dell’ opera riesce per — 67 — noi assai interessante come quella che tratta di molte località italiane. Chiudono il lavoro un capitolo di osservazioni strati- grafiche generali, riferentisi specialmente alla struttura delle masse montuose ed alla formazione delle valli e dei laghi, ed un altro di notizie paleontologiche nel quale è data la descri- zione dei diversi fossili trovati dalla base del trias insino al- l’arenaria miocenica. L’ opera è corredata da una bella carta geologica a colori nella scala del 144,000, da incisioni intercalate nel testo e da dieci tavole, delle quali sette di fossili, la più parte appartenenti a specie nuove, e tre di sezioni geologiche annesse alla carta. NOTIZIE DIVERSE. Società Toscana di Scienze naturali. — Nell’ adunanza del 12 gennaio 1879 di questa società ebbe luogo una interessante discussione sopra argomento importantissimo per la geologia italiana, e che qui riproduciamo per intiero togliendola dal re- lativo processo verbale. Il socio De Bosniaski parla del carattere della ittiofauna fos- sile e della stratigrafia dei piani a congerie, formazione gessifera e del tripoli del Gabbro e suoi dintorni. Ricorda di avere altre volte accennato all’importanza paleontologica che offre questa località per la ricchezza della sua ittiofauna, e di avere presen- tato alla Società in più volte1 41 spècie di pesci ad esse appar- tenenti. Ne fa ora rilevare la somma importanza per le divisioni sistematiche di quei terreni, mancando là altri fossili caratte- ristici, e d’altra parte essendo la più ricca e completa serie di questa vasta zona tanto estesa per gran parte d’ Italia. Nell’anno decorso ebbe agio di completare il materiale re- lativo a tal fauna, e di estendere le sue cognizioni coi viaggi 1 Vedi Processi verbali delle adunanze della Società Toscana di Scienze Na- turali, del 18 novembre 1877, 5 maggio e 7 luglio 1878. — 68 - in Sicilia, e con l’ aiuto specialmente della ricchissima collezione del prof. Capellini, posta gentilmente a sua disposizione. Questa formazione tanto distinta per i suoi caratteri litolo- gici e paleontologici è compresa fra il calcare di Kosignano, da Fuchs 1 ritenuto come ultimo membro del miocene, o mio-plio- cene e la base del pliocene marino, al quale fa insensibilmente passaggio. Il De Bosniaski distingue tanto gli strati quanto la fauna in due serie separate, una marina, l’altra di acqua dolce, che fu- rono fin ad ora generalmente tra loro confuse. 1° La fauna marina è quella del tripoli, è la più antica ; affiora solo al Gabbro al podere Nardi e al podere Cubbe, ma secondo il De Bosniaski non si trova a Paltratico, Scaforno, Ca- stelnuovo ove l’indicò il Capellini. Questa fauna, che presenta grande affinità con quelle di Licata, Cannetone, Mondaino e Orano, è composta da 33 specie, e fra queste due sole di acqua dolce, in numero d’individui scarsissimo, al più 3 per 100, mentre a Licata e Cannetone la proporzione ne giunge fino al 25 per 100. L’Ittiofauna del tripoli di Gabbro ha grandissima analogia con V attuale del Mediterraneo, e presenta una facies ìittorale salmastra, e ciò si verifica pure per i molluschi e secondo lo Stòhr anche per le diatomacee. Secondo il Sauvage, i pesci di questo piano di Licata hanno aspetto più meridionale dell’attuale, mentre al Gabbro, come dimostra il De Bosniaski, per la presenza delle vere Clupee (Arin- ghe) e di molte altre specie, che oggi hanno le loro analoghe nei mari più settentrionali e sono estinte nel Mediterraneo, 1’ a- spetto è più nordico, per cui si può ritenere che allora vi fosse comunicazione diretta con quei mari. Mancano dati sicuri per determinare l’età di questa fauna mediante paragoni con altre analoghe d’orizzonte accertato, come per esempio con quella di Licata, e di più 1’ habitus recente di essa fauna non offre per sè stesso basi sicure ad un’ esatta de- terminazione cronologica, essendo conosciuta la longevità dei pesci, che in certi casi possono attraversare anche parecchi pe- riodi geologici. 1 Studien ùber die Gliederung der Tertiàrbildungen Oberitaliens v. Theodor Fuchs aus dem LXXVII Bd. d. Sitzb. der k. Akad. d. Wissensch. Wien, 1878. - 69 — Crede il De Bosniaski, non ostante la scarsità degli studi in tal ramo di scienza per ciò che riguarda la fauna miocenica, avere in quei pochi casi, pei quali si può seguire il graduato sviluppo dei generi di pesci nella serie dei tempi terziarii, tro- vato argomenti per dimostrare che la fauna del tripoli appar- tiene in realtà al più recente periodo di sviluppo dell’ èra terziaria. Come prova di ciò egli cita il genere eocenico più antico, Anen- chelum Agass. del Flysch delle Alpi e dei Carpazi, che si co- nosce come Lepidopides Heck., nei terreni miocenici del bacino del Keno e di Polonia, e che sotto il nome di Lepidopus Cuv. si trova nel tripoli nel suo ultimo stadio di sviluppo, in cui vive anche attualmente nel Mediterraneo. Lo stesso prova per i generi del Gabbro, Acanthonemopsis, Equula, Gobius, parago- nandoli coi generi dei piani terziarii più antichi, che al Gabbro si trovano in ultima fase di sviluppo rimasto tino ad ora sta- zionario. 2° Le arenarie gessose e salifere sovrastanno al tripoli, e si estendono da Colognole, Pane e Vino, Paltratico, Scaforno a Castel Nuovo. In esse la fauna marina sparisce interamente, e vi si trovano solo pesci, molluschi, crostacei e piante di acqua dolce, piante terrestri e insetti. La fauna dei pesci si compone dei tre generi: Lebias, pre- valente, Leuciscus, Gobius con 8 specie. Il prof. Capellini pone la parte superiore di questi terreni, dividendoli in gessi superiori ed inferiori, alla base del pliocene, e gli equipara cogli strati a Congerie viennesi, mentre riunisce la parte inferiore alla formazione marina del tripoli e con essa la riferisce al Sannatiano. Il De Bosniaski invece dimostra che quell’ insieme di strati, che costituiscono la parte inferiore, caratterizzati litologicamente da schisti bianchi, marnosi, lamellari o laminosi con piccole sep - ■* tarie (forse getti di gas), contiene fossili speciali, pesci, crostacei, piante di acqua dolce e non ha nulla di comune col tripoli, ma che invece anche pel carattere paleontologico è intimamente con- nesso colla parte superiore. Questa porzione inferiore apparisce a Pane e Vino, e si estende interrottamente fino a Castel Nuovo, ma ha il suo più grande sviluppo fra la villa Lobin e la for- nace di Paltratico. — 70 - Intorno ai tripoli dimostra, che in tutti i luoghi, ove sono stati finora osservati, formano sotto tutti i rapporti geologici e paleontologici colla formazione gessosa una unità indivisibile, e che sono il resultato, la prima fase di un’azione comune, con- tinua. Non crede dunque giustificata la divisione proposta, che separa una parte dal miocene e ve ne lascia un’ altra. Illustrando poi -il gran cambiamento generale e sostanziale, che separa infatti cronologicamente questa zona gessoso-solfìfera a Congerie dai sottostanti calcari di Eosignano, e facendo rile- vare l’intima relazione e interferenza di questa zona col plio- cene marino, crede più razionale porre qui i limiti fra il miocene e il pliocene. Ritiene perciò di potere togliere questa zona dal miocene e metterla al pliocene, considerandola come una zona transitoria fra l’ uno e l’ altro. Questa sistemazione è appoggiata fa\V habitus giovanile e dalla grande affinità dell’ittiofauna del Gabbro con 1 attuale, come pure dalla posizione statigrafica, avendo il Fuchs provato che i calcari di Rosignano sono i rap- presentanti del miocene più recente. La natura salmastra delle acque in cui si formarono i tri- poli, fu spiegata con l’affluenza di grandi fiumi in un seno. tran- quillo di mare ; ma ciò non si può ammettere, perchè non vi si trova nessuna formazione indicante un delta. Crede invece che si potrebbe spiegare almeno in gran parte collo sviluppo di sor- genti termali, che là comparvero insieme al sorgere delle con- dizioni continentali, senza aversi allora deposizione di gessi, come avvenne in seguito quando il mare totalmente si ritirò. Ritiene che la formazione dei gessi avvenisse in acqua dolce, come lo prova la natura del deposito, per opera di numerose sorgenti termali solforoso-calcarifere e emanazioni solfoidriche come ul- tima fase dell’azione vulcanica di questa regione. Convalida questa spiegazione con la grande analogia di con- dizioni che ci presenta attualmente la regione del Mar Morto, ove in corrispondenza delle fratture una gran serie di sor- genti termali deposita analoghe argille gessose e salifere, e 1 analogia si spinge fino al punto che in quelle acque vivono numerose schiere di Cyprinodon , rappresentante attuale del ge- nere Lebias tanto numeroso e caratteristico delle formazioni gessose. — 71 — Concludendo propone il seguente schema di divisione di que- sti terreni, fondandosi sulla distribuzione dei pesci : PLIOCENE MARINO. Argille turchine — Sabbie gialle. / Gessi superiori J „ . 7 | ( Zona del Lei nas crassicaudus Ag. | stellinensis sp. n. j „ . . „ . . i Leuciscus ca l Gessi inferiori j j Argille compatte bigio-chiare i V Schisti cenerini giallastri ondulati / 1 di poco spessore ' Zona del Lebias tenuis sp.n. , Gobius Peruzzii sp.n. I Schisti bianchi marnosi a Lebias Z ignei, Gobius rnaximus sp. n., \ 1 Gobius Bussami sp. n., Leuciscus gabbrensis -sp. n. ! Tripoli con fauna marina a. Chip, gregaria sp. n. ec. MIOCENE MARINO. Calcare di Rosignano e suoi equivalenti. Il socio d’ Achiardi, mentre dice di non volere entrare nelle questioni cronologiche e paleontologiche, fa alcune obiezioni sul- T origine dei gessi, convenendo con il Bosniaski che la forma- zione del tripoli non debba separarsi dalla formazione gessosa, rappresentando essa la prima fase di tutte quelle deposizioni, che formano soggetto della presentata Memoria. Ammette che in seni di mare recluso, in lagune temporariamente o costante- mente intercettate dall’ oceano siasi formato il tripoli, ma si domanda poi se i gessi sieno l’effetto di una successiva evapo- razione di quelle stesse acque, che non sia mai giunta a tale da deporre il cloruro di sodio, o, come credeva il Bosniaski e con lui e prima di lui il Capellini e vari altri, sia anzi l’ effetto di emanazioni solforose in placidi laghetti di acqua dolce. L’ emanazioni di solfuro idrico sono accompagnate sempre dall’anidride carbonica, e se si abbia a che fare con sorgenti solforose, l’acqua medesima oltre ai due gas predetti suole tenere in soluzione anche più o meno di carbonato calcico, reso appunto solubile dalla presenza dell’ anidride carbonica. Ora il solfuro idrico per convertire in gesso il calcare conviene che ossidandosi completamente si trasformi in acido solforico, e ciò avviene alla superficie o presso alla superficie ove è libera l’ af- - 72 — fluenza dell’ ossigeno ed in particolar modo poi quando una roccia porosa agevoli quella ossigenazione. Tale è il caso dei gessi delle solfatare, dei soffioni boraciferi e di quanti altri consimili si possono comprendere sotto la generale denominazione di gessi metamorfici , formati a spese di calcari o rocce calcarifere per tal modo attaccate. Ma sì fatti gessi, abitualmente varicolori, impuri, spugnosi, fibrosi, leggieri, spesso anzi in forma di croste e degradanti fino all’ originario calcare mano a mano che si al- lontanano dal bulicame, nulla hanno a che fare con i gessi ala- bastrini decisamente stratificati e conservanti orizzontalmente la stessa fisonomia da un punto all’altro dello strato. Se invece V emanazione solfoidrica abbia luogo in un lago, o si abbia a che fare non più con acqua vaporosa ma liquida, allora del solfuro idrico non si ossida che l’idrogeno ed esso pure parzialmente; tanto è vero che anche a grande distanza dai laghi e sorgenti sulfuree si fa sentire il fetore di quella parte di gas solfoidrico, che non ossidato sfugge nell’ atmosfera. Da quel poco che si ossida a spese dell’ aria sciolta nell’ acqua si ha la formazione del solfo, che si deposita insieme al carbo- nato calcare. Per tal modo viene generalmente spiegata l’asso- ciazione delle calcite al solfo non solo negli odierni laghetti e sorgenti sulfurei del presente, ma sì nelle giaciture di solfo, come quelle, per es., della Romagna e della Sicilia. Ritenendo dunque come non probabile l’origine degli alabastri mercè di sorgenti solforose calcarifere entro laghi di acqua dolce, domanda al signor Bosniaski se per i nuovi studi possa escludersi affatto la possibilità di una formazione alternante, nella quale la deposizione gessosa fosse dovuta all’evaporazione di acque marine defluite prima di giungere alla condensazione richiesta per il deporsi del sale (NaCL); e le marne interposte, nelle quali soltanto furono ritrovati i pesci di acqua dolce (Lebias ec.), a una deposizione effettivamente avvenuta in laghi di acqua dolce succeduti alla precedente laguna, la vicenda per leggiere oscil- lazioni di suolo potendosi più volte essere ripetuta. Il socio De Stefani fa notare la importanza degli studi intra- presi dal De Bosniaski, e replica ad alcune osservazioni relati- vamente all’ età e alle orìgini probabili delle formazioni gessose. Quanto all’ età di quei terreni il De Stefani si rimette a ciò — 73 — che ne ha detto più volte: ricorda soltanto che il Bosniaski ha notato una volta di più come gli strati del Gabbro e gli altri analoghi sottostanno alla base del pliocene marino. Soggiunge che il Lyell divise anticamente il pliocene in due zone, older pliocene e newer pliocene , che più tardi denominò pleistocene o postplio- cene. Gli strati a Congerie sottostanno all’ older pliocene , ed in nessun luogo sono coetanei, come alcuno tentò provare, a que- st’ultimo terreno. Sotto V older pliocene il Lyell pose il miocene. Col progredire degli studii, si notò che nel miocene venivano riunite tre o quattro zone con faune diverse e rispondenti cia- scuna ad un periodo altrettanto lungo quanto tutto il periodo pliocenico, perciò si cominciò a distinguere il miocene inferiore od oligocene, il miocene medio (Schlier) ed il miocene superiore o tortoniano. Gli strati a Congerie pella fauna dei mammiferi e per altri caratteri erano attribuiti a quest’ultimo piano. Però essi sovrastano dovunque al periodo marino, e pella loro natura speciale sono altrettanto distinti dal piano marino sottostante quanto dal sovrastante pliocene marino. Rappresentano perciò una zona diversa pei suoi caratteri litologici, che può essere smembrata dal miocene, e pur ritenendola come facente parte di questa lunga età può essere detta, come alcuni proposero, mio-pliocenica. Quanto alla fauna dei pesci osserva che l’asse- gnazione del loro posto cronologico sarà anche più perfetta quando verrà paragonata non solo colla fauna odierna, ma anche con la fauna pliocenica immediatamente successiva e colla fauna immediatamente antecedente. Quanto alla origine dei gessi conviene con quanto ha detto il D’Achiardi, che cioè salvo nei casi nei quali avvenga un dissec- camento ed una evaporazione della sorgente, non si possano for- mare per deposizione di acque termali, giacché queste in Toscana ed altrove depositano solfo libero e travertini, cioè carbonato di calce, ma non solfato di calce. Soggiunge che il solfato di calce insolubile a grandi temperature è pochissimo solubile nel- l’ acqua a temperature più basse egualmente che a freddo, che perciò a produrre quei depositi di gesso in posto sarebbero oc- corse delle sorgenti sterminate : inoltre spesso, il solfato di calce disciolto in contatto di materie organiche e nelle sorgenti stesse si decompone in solfuro di calcio, quindi a contatto con l’ acido - 74 - carbonico delle sorgenti torna carbonato di calce ed idrogeno solforato. Il De Stefani crede che P ipotesi più giusta fra quelle fatte fin qui intorno la formazione dei gessi e dei sali che spesso gli accompagnano, sia quella che li attribuisce alla evaporazione di lagune e di paludi litorali, come avviene negli Shotts di Tu- nisi e d’ Algeria, intorno al Mar Nero ed altrove. Però egli sog- giunge che intorno al bacino Mediterraneo, dovunque si hanno terreni dell’ epoca mio-pliocenica si trovarono finora soltanto strati o d acqua dolce, o salmastri o formati entro acque soprassature di sali : soltanto nei conglomerati di Pikermi in Grecia si indi- cano alcuni molluschi decisamente marini, che perciò taluno dice miocenici, altri crede identici a specie viventi, per cui essendovi qualche confusione, questo fatto deve essere meglio schiarito. La universalità dei fatti suddetti e la mancanza di terreni ma- rini simili a quelli dell’ età antecedenti e successive, sembra mo- strare insufficiente P ipotesi di lagune littorali che venissero alternativamente disseccate, le quali, se l’ipotesi fosse vera, sa- rebbero sempre limitate, e punto continue, ma interrotte da seni di mare libero. Sembra perciò al De Stefani come già ritenne nella adunanza del dì 7 luglio 1878, che queste circostanze com- provino foise 1 esistenza in quell’epoca di un esteso mare chiuso senza correnti, rispondente presso a poco all’ odierno Mediter- raneo, nel quale mare, per mancanza di correnti che ne rendes- sei° uniforme la salsedine, i sali, a cominciare dai meno solubili, si depositavano nel fondo. In appoggio della sua opinione cita P esistenza dei mari chiusi d’ oggigiorno e specialmente del Mar Molto, in fondo al quale si depositano e gessi e sai comune, mentre nelle lagune circostanti e presso alla superficie intorno alla foce del Giordano sono frequentemente acque dolci o sal- mastre. Soggiunge, come ulteriore argomento che prova l’ana- logia fra i mari chiusi d’ oggi ed i mari del mio-pliocene, la mancanza in essi di coralli, briozoi, foraminifere, molluschi di tipo marino ed altri animali inferiori, e la presenza di molluschi e di pesci di natura differente. Soprattutto crede il De Stefani che sia di glande importanza peli’ argomento odierno la presenza dei Cyprinodon in alcuni casi nello stesso Mar Morto, ed in certe lagune circostanti, che sono molto più ricche di sali che non il Mediterraneo ; i quali Cyprinodon, che hanno il tipo dei - 75 — pesci d’acqua dolce ma abitano invece acque più salate, sono secondo il Bosniaski analoghi ai Lebias , i quali vissero durante il mio-pliocene in quei mari da cui si depositavano i gessi ed il sale marino. Il De Stefani termina facendo preghiera ai zoo- logi ed ai botanici di far conoscere distintamente le faune e le flore delle lagune e dei mari molto ricchi di sali : prega pure i geologi di appurare se in qualche luogo si trovino equivalenti veramente marini degli strati a Congerie: così le importanti questioni relative a tali argomenti potranno finalmente essere schiarite. Risponde il De Bosniaski che non può fare a meno di pro- vare una vera soddisfazione, vedendo che la sua comunicazione ha fatto sorgere una interessantissima discussione intorno a que- stioni generali di massima importanza, le quali oltrepassano di gran lunga il modesto programma che aveva di mira: lo sta- bilire solo l’ordinamento cronologico della piccola regione del Gabbro con lo studio de’ pesci fossili. È dispiacente però, che nella breve replica non può approfondire la questione, ma sol- tanto superficialmente sfiorarla. Non concorda colla ipotesi del signor De Stefani intorno alla esistenza, finito il miocene, di un vasto mare chiuso esteso per tutta l’ Italia. Basandosi tanto sopra i fatti paleontologici quanto sulla natura e configurazione del suolo, è piuttosto dì opinione che nella prima fase della formazione gessoso-solfifera, in seguito ad un sollevamento generale, si sieno formati dei bacini lacustri indipendenti gli uni dagli altri, i quali nel corso delle fasi suc- cessive si allargassero seguendo l’abbassamento, e divenendo sempre più salmastri, furono alla fine della formazione gessosa poco a poco invasi dal mare. Perciò non è del parere del si- gnor De Stefani sulla formazione dei gessi e solfi, senza però generalizzare e limitandosi soltanto al deposito dei gessi di Gabbro crede averne constatata la natura esclusivamente palu- stre, come lo dimostrano sufficientemente le piante, i pesci, mol- luschi, insetti e crostacei di acqua dolce, che si trovano negli strati intercalati fra i gessi, e in quelli che loro stanno al di sopra e al disotto. Crede potersi eliminare un’alternanza di formazioni marine e d’ acqua dolce cui alludeva il prof. D’ Achiardi, come pure — 76 — non opina che questo deposito si sia formato in acque sopras- sature, in condizioni analoghe alle attuali del bacino del Mar Morto, come lo ritiene il signor De Stefani. Nell’ acque soprassature di sali come quelle del bacino del Mar Morto non esistono organismi viventi. I Cyprinodon non vivono nel bacino del Mar Morto, ma in piccoli laghetti di acque termali adiacenti, e posti che sieno nelle acque del Mar Morto periscono istantaneamente. Dietro questi fatti, è piuttosto inclinato a ritenere, insieme col Capellini, 1 che l’ origine di questi gessi debba attribuirsi ad acque termali accompagnate da emanazioni di solfuro idrico ; e al socio D’Achiardi fa osservare come, se non possa ammettersi T origine degli alabastri per opera del solfuro idrico irrompente in laghi di acqua dolce, ammettendone le emanazioni non più entro ai laghi ma intorno ad essi, per il continuo dilavarsi della superficie ricoperta di croste di gesso per tal modo formate e successiva deposizione per la evaporazione delle acque dei detti laghi del solfato disciolto, si può aver modo di spiegare l’ origine lacustre degli alabastri. La questione delle argille scagliose. — L’ultimo fascicolo del Bollettino per il 1878 riportava dai processi verbali della Società tbscana di scienze naturali il sunto d’un discorso tenu- tovi dal chiarissimo prof. C. De Stefani sulla questione delle argille scagliose. Sono lieto ogni volta che veggo risorgere questo argomento, che stimai sempre della massima importanza per la storia fisica della nostra penisola, e tengo ad onore che il De Stefani abbia avuta la bontà di citare ripetutamente il fatto mio. Ma appunto per questo mi preme di rettificare una asser- zione erronea a mio riguardo, che or non è molto vidi anche in uno scritto del chiarissimo T. Fuclis, 2 ed è che io ritenga le argille scagliose prodotte da vulcani di fango. Io per vero non manifestai sull’origine di queste roccie alcuna idea ben pre- 1 La formazione gessosa di Castellina Marittima. Bologna, 1874. 2 Nella Memoria : Die Salsen von Sassuolo und die Argille scagliose, a pag. 8, dice : « Stoppani und Mantovani haben die Marne fragmentarie ebenso wie die talkigen Argille scagliose fùr eruptive Schlamm-massen erklart und das Zerfallen etc. etc. » — 11 — cisa; dissi chiaramente e ripetutamente di non poter accettare l’opinione dello Stoppani e dello Stohr, per la qualcosa m’ ebbi anche qualche osservazione dallo Stoppani stesso e dal Tara- melli nella Memoria, Del granito nella formazione scrpentinosa dell’ Apennino pavese. Ed ora sono più che mai convinto, che non trattisi punto di fanghi eruttivi, mentre, osservate le argille sca- gliose dell’Italia meridionale, sono condotto ad ammettere pie- namente le opinioni diverse, ma non discordi molto fra loro ed applicabili a casi speciali, di Santagata, Bianconi, Bombicci e, se non vado errato nel giudicare, anche del Capellini, che pei certo non è ultimo fra coloro che s’occuparono di quest’ ar- gomento. Del resto è inutile che io ripeta cose già dette, nè pel mo- mento ho in animo di confutare le opinioni del De Stefani, che, a parer mio, aggiungono assai poco alla questione, se pure non la rendono più intricata col voler eliminare persino quel poco di metamorfismo, che niuno, credo, fino ad ora aveva osato ne- gare alle problematiche argille e che nemmeno sembra voglia escludere l’illustre prof. Meneghini, quantunque proclive ad as- sociarsi alle idee del De Stefani. Nullameno mi permetto due brevi osservazioni. Il signor de Stefani spiega l’origine delle argille scagliose semplicemente col ritenerle depositi marini operatisi a grande profondità ; ciò che ebbe a dichiarare anche altra volta. Io gli contrappongo un solo fatto, del quale mi è , autorevole garanzia il prof. G. Seguenza. Nella provincia di Reggio Calabria sulla riviera del Jonio, e precisamente presso il paese di Brancaleone, esiste una estesissima zona di argille scagliose, di spessore come dice il Seguenza incalcolabile, seminata secondo il solito di vari prodotti minerali, come rognoni di ferro ossidato e carbonato, cristalli di selenite, frammenti diversi incrostati da manganite, arragonite, rognoni d’ogni forma e dimensione di baritina ec. In mezzo a tutto ciò una fauna ricchissima, non già di quelle caratteristiche delle grandi profondità oceaniche, sibbene com- posta per massima parte di grandi ostriche, delle quali, senza esagerazione- alcuna, si possono in poche ore raccogliere centinaia. A questo poi si aggiungono molte altre bivalvi dei generi Federi, Janira, Cardium, Dosinia, Cipricardia, Ciprina, Trigonia, Arca ec. , — 78 — e qualche grosso cefalopodo. Non faccio alcun commento, ma stimo opportuno d’ avvertire, che molti di questi fossili sono pro- fondamente alterati e non di rado con cavità geodiche tapez- zate di cristalli di calcite magnesiaca. Il prof. Seguenza ha già illustrata questa fauna con un lavoro di prossima pubblicazione e la riferisce al cenomaniano. La seconda osservazione che voglio fare si è per riguardo alla dichiarazione del De Stefani di non aver mai raccolti in nessun luogo nelle argille scagliose frammenti estranei alla for- mazione stessa. Benché quest’asserzione includa il dubbio sul- l’esattezza di quant’ altri ha detto intorno a questi terreni, io mi guarderò bene dallo stimarla priva di fondamento ; soltanto, (fra colleghi uno scherzo può passare) non vorrei che fosse una conseguenza del far troppo a fidanza con certi sinonimi. Pio Mantovani. Jj eruzione fangosa di Paterno. — In attesa di un articolo che P egregio prof. 0. Silvestri dell’ Università di Catania ha promesso d’ inviare per essere inserito nel nostro Bollettino , . diamo intanto le seguenti notizie preliminari sull’ eruzione fan- gosa, che, manifestatasi nel dicembre 1878, si continua tuttavia, sebbene con varia intensità, nelle adiacenze dell’ Etna. Numerose scosse di terremoto e rombi frequenti si notarono dal 4 ottobre al 19 novembre nella provincia di Catania e spe- cialmente nel territorio di Mineo. In dicembre tali fenomeni si rinnovarono accompagnati questa volta da un’ importante eru- zione di fango che scaturì in vari punti della località detta Salinella presso Paterno. Tale eruzione che andava da vari giorni perdendo la energia spiegata al suo apparire, irruppe con nuovo impeto da tutti i crateri la sera del 24 dicembre, dopo una forte scossa di terremoto che agitò con oscillazioni dapprima sussultorie poscia ondulatorie e dirette da scirocco a libeccio, tutta la parte orientale della Sicilia che comprende la provincia di Catania e parte di quelle di Messina e Siracusa. Questo fatto, la cui importanza a causa dell’ estensione da esso abbracciata è assai più notevole di quello dell’eruzione, deve con ogni ra- gione a questa ed ai precedenti terremoti di Mineo essere col- — 79 — legato ; potendosi osservare come il cratere centrale dell1 Etna si trovi con Mineo e Paterno su di una stessa linea rappresen- tante l1 asse della grande ellisse nella quale i terremoti spiega- rono più intensamente la tyro azione. L1 eruzione fangosa conservò molta attività durante i due giorni susseguenti al tremuoto del 24. Andò dopo progressiva- mente scemando per modo che attualmente una decina soltanto di crateri manifestano ancora un residuo di attività nel mezzo del bacino di eruzione, vomitando tranquillamente senza tremiti nè rombi; fenomeni che per lo innanzi accompagnavano sempre le eruzioni più tumultuose. Siccome V energia, così anche la natura del prodotto emesso nelle diverse fasi dell1 eruzione è notevolmente diversa. Attual- mente tale prodotto non è qui che un1 acqua fangosa spinta fuori con debole forza, la cui temperatura, osservata in ciascuno dei crateri, trovasi oscillare dalla ordinaria di 13° a quella abba- stanza notevole di 37°. Va accompagnata costantemente dallo sviluppo di abbondante materia gassosa e spuma petrolifera. Sul principio invece la materia eruttiva era rappresentata da un denso fango sgorgante con impeto straordinario in forma di getti elevati. La differenza di densità è poi tanto notevole, che 1* acqua che scaturisce al presente in mezzo al pantano di fango pro- dusse solchi di erosione alla superficie di esso, per aprirsi una via e dar luogo a ruscelli scorrenti nel declive formato dalla massa fangosa del primo periodo eruttivo, rimasta parzial- mente nel bacino a causa delle condizioni topografiche locali. La più gran parte di questo fango però si è vista fino a questi ultimi giorni fluire lentamente in forma di densa ed omogenea pasta ove lo consentiva la inclinazione del suolo, occupando il fondo delle vicine convalli ed introducendosi nei letti delle acque che irrigano le sottostanti campagne. L1 area occupata da questo pantano melmoso può valutarsi in complesso a 7 mila metri quadrati, e più si sarebbe ancora al- largato se verso le regioni più coltivate non si fosse opposto un argine al suo libero espandersi, circoscrivendolo nella parte più elevata col mezzo di muri espressamente costruiti ove mi- nacciava di invadere gli agrumeti ed i giardini. Laddove è ormai cessata ogni attività vulcanica più non re- — 80 - sta che una massa fangosa dura, la quale col progredire del- ! T essiccazione manifesta frequenti crepacci da cui sibilando sfug- gono le materie gassose emanate dal fango. I crateri tuttora attivi si manifestano invece a mo’ di grandi polle d’ acqua mi- nerale che spumeggiante scaturisce in mezzo al vasto lago pan- tanoso. Può stimarsi compresa fra i 18 ed i 20 ettolitri per minuto primo la quantità di liquido che è versata alla super- ficie del suolo da ciascuno dei crateri che ancora rimangono come residuo dell’ attività primitiva di questa eruzione. Analisi chimica dello spinello di Tiriolo in Calabria. 1 — Il dott. Lovisato trovò nel calcare cristallino del Monte di Ti- riolo presso Catanzaro assieme ad altri minerali una varietà di spinello, il di cui studio chimico sembrò di qualche importanza, onde è che io ne intrapresi Panalisi sopra piccola quantità rac- colta dallo stesso dott. Lovisato, e ne comunico qui sotto i ri- sultati. I cristalli di questo spinello sono opachi, di colore verde- azzurro carico, debolmente risplendenti, fragili, con frattura ir- regolare. La loro polvere è di colore bianco-verdiccio. II peso specifico fu trovato ===■ 3.70 a temp. 12°. La polvere introdotta per mezzo di un sottilissimo filo di platino nella regione fondente della lampada Bunsen non si fonde, ed emette una luce più debole di quella del platino, perciò po- tere emissivo debole ; ma se resta poi in quella regione per tre ore circa acquista un forte potere emissivo. Il minerale ridotto in polvere è insolubile negli acidi ordi- narii, ma se si riscalda con acido solforico concentrato si scio- glie in parte. Fuso il minerale con bisolfato potassico, si scioglie nell’acqua distillata lasciando un debole residuo bianco polveroso: Silice. Fatta l’analisi qualitativa si ha: ossidi di alluminio, di zinco, magnesio, ferro e traccie di un corpo, che precipitato dall’acido^ solfidrico in soluzione acida, si presenta con colore rosso-bruno, ed è solubile nel solfuro d’ammonio e nell’acido cloridrico con- centrato bollente. La soluzione cloridrica del detto corpo, posta : Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei ; Transunti, voi. III. Gen- naio 1879. — 81 — con zinco in una capsula di platino, annerisce la capsula, rea- zione caratteristica dell’antimonio. L’analisi quantitativa ha dato i seguenti risultati: Spinello == gr. 0,6018 Sb203 # 0,0021 — % = cr,35 — 0 °/0 := 0,05 AIA === 0,3830 — °/0 = 63,64 — 0 °/0 — 29,65 ZnO = 0,1281 — 0/0'= 21,28 — 0 °/0 = 4,19 MgO — 0,0743 — % Ifa 12,34 — 0 % = 4,93 FeO == 0,0273 — °/o 4,53 — O°/0= 1,00 0,6148 102,14 Rapporto dell’ ossigeno contenuto nei tre corpi isomorfi [ZnO, FeO, MgO] con quello contenuto nell’ AIA ~ 2 9229 "Ì) prossimamente. Rapporto dell’ ossigeno contenuto nei tre corpi isomorfi (ZnO, FeO, MgO) con quello contenuto nel Sb203 e nell’ AIA _1 1 2,9347 ~ 3 0- prossimamente. Quest’ analisi conduce alla formula ) Mg > |A12 j 04 astrazione fatta della anidride antimoniosa. Dott. Fr. Mauro. CENNO NECR0L0G1C0. Bartolomeo Gastaldi. — Gravissima ed inaspettata perdita faceva la geologia italiana per la morte di Bartolomeo Gastaldi . avvenuta in Torino sua patria il giorno 5 gennaio del cor- rente anno. Nacque il Gastaldi il 10 febbraio 1818 e dal padre, distinto avvocato, venne destinato dapprima a succedergli nella profes- sione; ed infatti nel 1836 laureavasi in legge nell’Ateneo torinese. Ma sino da giovanetto aveva dimostrato una tendenza speciale 6 — 82 allo studio della natura, e dotato di molto spirito d’ osserva- zione percorreva ripetutamente la collina di Torino per farvi raccolta di fossili che egli andava ordinando e studiando : infatti ; attese per qualche anno all’ avvocatura in obbedienza alla vo- lontà paterna, sino a che nel 1846 la sua vocazione era oramai fissata, e tutto dedicossi agli studii prediletti. Recavasi allora a Parigi, ove per parecchi anni attese con assiduità allo studio delle scienze naturali al Giardino delle piante, al Collegio di Francia, alla Sorbona, colla guida di valenti insegnanti che ren- devano allora quella città il convegno di studiosi d’ ogni parte d’ Europa. Ferveva in quel tempo grave quistione fra i geologi intorno alla origine delle colline moreniche, cui i meglio stimati attribuivano all’ azione di potenti correnti diluviali dovute alla subitanea fusione delle nevi alpine: solo alcuni svizzeri le di- chiaravano opera di ghiacciai antichi. Il Gastaldi studiò a questo scopo quei depositi erratici esistenti allo sbocco delle due val- late della Dora Riparia e della Baltea, e per primo in Italia ravvisò in quelle colline i caratteri glaciali, dichiarando che le tracce di un antico periodo glaciale in nessun luogo forse erano tanto evidenti come colà. Associossi allora al Martins che già conosceva gli analoghi depositi della Svizzera, e V opera pubbli- cata in comune 1 forma una delle più belle pagine della geologia italiana e grandemente contribuì alla soluzione del problema. Nel 1854 contribuiva con Quintino Sella al riordinamento di una importante collezione di minerali e rocce del Piemonte, for- mata parecchi anni prima dal Barelli e destinata a costituire il nucleo delle raccolte litologiche dell’ Istituto tecnico di recente fondazione. Nell’ anno successivo veniva nominato segretario di quell’istituto e contemporaneamente era incaricato di dirigere l’ufficio centrale delle privative industriali che si istituiva al- lora in Piemonte. Nè siffatte cure distoglievano il Gastaldi dai suoi prediletti studi, chè anzi in quegli anni pubblicava alcuni lavori di paleontologia ed altri che si riferiscono alla questione dei ghiacciai : nel 1860 poi, pigliando occasione da alcune sco- perte paleoetnologiche fattesi in Italia, diresse più specialmente la sua attenzione a quei nuovi studi lasciandovi ampie tracce di 1 Martins et Gastaldi, Essai sur les lerrains super ficiels de la vallèe du Po. - 83 - sua operosità ; ad esso si deve il merito di avere segnalato al mondo scientifico le terremare dell’ Emilia in un opuscolo pub- blicato nel 1861.’ Trasformatosi nel 1859 P Istituto tecnico nella attuale Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, il Gastaldi veniva nel 1860 no- minato segretario della Scuola stessa e nel 1861 incaricato del- T ufficio di assistente alla cattedra di mineralogia tenuta dal Sella, al quale succedette come professore ordinario nel 1863 ; fu appunto in quella occasione che egli fece dono alla Scuola di una ricca ed importante collezione mineralogica, che molte fa- tiche e non piccola spesa eragli costata, seguendo in ciò V esem- pio dato alcuni anni addietro dallo stesso Sella. Entrato risolutamente nella nuova via che egli erasi aperta, il Gastaldi la percorse in modo luminoso, e la geologia del Pie- monte gli deve moltissimo. Da quel momento si aperse un nuovo e più ampio orizzonte ai suoi studi, la catena delle Alpi Occi- dentali. L’ occasione fu data dalla riunione della Società di Scienze Naturali avvenuta a Biella nel 1864; per quell’ occa- sione il Sella volle preparare una carta geologica della regione che i membri della riunione -avrebbero visitata, e scelse a col- laboratori il Gastaldi ed il Berruti. La carta infatti fu in pochi mesi rilevata nella scala del 50,000, e da quel momento si formò nella mente del Gastaldi il disegno di un più ampio lavoro esteso a tutte le Alpi Occidentali. A tanta mole di studio egli consacrò per intiero gli ultimi 14 anni di sua vita, e il risultato ne fu una carta geologica dettagliatissima di parte delle Alpi piemontesi, nella scala del 50,000, la quale comprende 25 fogli della gran carta topografica del Piemonte. In sì lungo periodo di lavoro il Gastaldi ebbe campo di studiare V ordine di successione di tutta quella immensa varietà di rocce cristalline che costituiscono la massa delle Alpi Occidentali, e che prima erano considerate come formanti una serie di strati metamorfici di epoca secon- daria con potenti formazioni eruttive intercalate. Ad esso devesi la divisione di quei terreni nei due grandi gruppi del Gncis cen- trale, formante la parte più antica di tutto il sistema, e delle 1 Cenni su alcune armi di pietra e di bronzo trovate nell’ Imolese, nelle marniere del Modenese e del Parmigiano e nelle torbiere della Lombardia e del Piemonte. — 84 — Pietre verdi, ricoprente a guisa di mantello le rocce più antiche, il quale ultimo gruppo esso ritenne contemporaneo del Lauren- ziano superiore del Canada. I terreni superiori a questi ultimi prestarongli argomento di studio nei due ultimi anni, e ne con- cluse che nei medesimi trovasi rappresentata, più o meno com- pletamente, tutta la serie dal carbonifero insino al nummulitico. Il Gastaldi ebbe meritati onori e dal Governo e dagli scien- ziati italiani e stranieri. Era membro dell’ Accademia delle Scienze in Torino sino dal 1865, di quella dei Lincei in Eoma dal 1875 e dal dicembre 1867 apparteneva al Comitato Geologico di cui era uno dei membri più attivi : esso era inoltre uno dei XL della Società italiana delle scienze e socio corrispondente della So- cietà reale di Napoli, della Società toscana di scienze naturali, dell’Istituto Veneto, della Società geologica di Londra, del- T Istituto geologico di Vienna e della Società delle scienze di Danimarca. Oltre alla carica di professore presso la Scuola di Applicazione, esso copriva ancora quella di professore di geo- logia all’ Università di Torino, di direttore del Museo geologico e del Museo civico e di Consigliere comunale. La città di To- rino fu profondamente commossa alla notizia della sua morte, e solenni onoranze gli furono tributate dalla intera cittadinanza : essa deve molta gratitudine al Gastaldi per diverse ragioni e dimostrò di sentirla profondamente e durante la sua breve ma- lattia e all’ annuncio della inaspettata sua morte. Segue T elenco delle principali pubblicazioni del Gastaldi, disposte in ordine di data : B. Gastaldi. Appunti sulla geologia del Piemonte. Torino, 1853. Lettre sur P Anthracotherium de Cadibona. Paris, 1857. Su alcune ossa di mammiferi fossili del Piemonte. Mi- lano, 1860. Selci lavorate, oggetti in bronzo ed in legno trovati nella torbiera di Mercurago presso Arona. Pisa, 1860. Cenni su alcune armi di pietra e di bronzo trovate nel- P Imolese, nelle marniere del Modenese e del Parmigiano, e nelle torbiere della Lombardia e del Piemonte. Mi- lano, 1861. Cenni sui vertebrati fossili del Piemonte. Torino, 1861. Sugli elementi che compongono i conglomerati miocenici del Piemonte. Milano, 1862. — 85 — B. Gastaldi. Nuovi cenni sugli oggetti di alta antichità trovati nelle torbiere e nelle marniere d’ Italia. Torino, 1862. Antracoterio di Agnana, Balenottera di Calunga e Masto- donte di Mongrosso. Milano, 1863. Sulla escavazione dei bacini lacustri compresi negli anfi- teatri morenici. Milano, 1863. Ricerche sul periodo glaciale nelle Alpi. Torino, 1864. Intorno ad alcuni fossili della Toscana e del Piemonte. Torino, 1865. Sulla riescavazione dei bacini lacustri per opera dèi ghiac- ciai. Milano, 1865. Sulla esistenza del serpentino in posto nelle colline del Monferrato. Torino, 1866. Nuove osservazioni sull’ origine dei bacini lacustri. To- rino, 1866. Alcuni dati sulle punte alpine situate fra la Levanna ed il Rocciamelone. Torino, 1868. Scandagli dei laghi del Moncenisio, Avigliana, Trana e Mergozzo, con brevi cenni sulla origine dei bacini lacu- stri. Torino, 1868. Iconografia di alcuni oggetti di remota antichità rinvenuti in Italia. Torino, 1869. Raccolta di armi e strumenti di pietra delle adiacenze del Baltico. Torino, 1870. Su alcune antiche armi e strumenti di pietra e di bronzo o di rame provenienti dall’Egitto. Torino, 1870. Brevi cenni intorno ai terreni attraversati dalla galleria delle Alpi Cozie. Firenze, 1871. Studi geologici sulle Alpi Occidentali. Firenze, 1871-74. Cenni sulla costituzione geologica del Piemonte.Firenze, 1872. Deux mots sur la géologie des Alpes Cottiennes. Turin, 1872. On thè effects of glacier-erosion in Alpine valleys. Lon- don, 1873. I terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Torino, 1874. Sulla Cossaite, varietà sodica di onkosina. Torino, 1875. Cenni sulla giacitura del Cervus euryceros. Roma, 1875. Sui fossili del calcare dolomitico del Chaberton studiati da G. Michelotti. Roma, 1875. Spaccato geologico lungo le valli superiori del Po e della Yaraita. Roma, 1876. Frammenti di paleoetnologia italiana. Roma, 1876. Su alcuni fossili paleozoici delle Alpi Marittime e dei- fi Apennino ligure studiati da G. Michelotti. Roma, 1877. Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi piemontesi du- rante la campagna del 1877. Roma, 1878. B. Gastaldi e C. Martins. Sur les terrains superficiels de la vallee du Po, aux environs de Turin, comparés à ceux de la piaine L suisse. Versailles, 1850. B. Gastaldi e G. MortillEt. Sur la théorie de l’affouillement glaciaire. Milan, 1863. B. Gastaldi e M. Baretti. Sui rilevamenti geologici in grande scala i fatti nelle Alpi piemontesi nel 1875. Roma, 1876. ERRATA-CORRIGE. Nell’ elenco II della Nota Stoehr, Bollettino 1878, pag. 515 e seg., si devono fare le seguenti correzioni : Pag. 515. Le figure citate al Nb 21, sono riferibili invece al N° 22, Actinomma aeqiiorea. Pag. 516. Al N° 35 si deve leggere Crominyomma macroporum invece di micropora. Pag. 516. Dopo il N° 46 fu dimenticato l’indicazione della famiglia Dicyrtida. — Così tra il N° 46 e il N° 47 si metta 3. Dicyrtida , e dopo il 49, 4. Stichocyrtida. Pag. 516. Al N° 59 si deve leggere lagenoides invece di lagena. Pag. 517. Nel N° 107 la indicazione a si riferisce invece al N° 106. Pag. 518. La linea 6 va divisa in due, e invece di 7. Zygocyrtida 2. 2. 2. 3, mettere 4. Zygocyrtida.- . . 1.1. 1.2 3. Dicyrtida . . . . 1. 1. 3. 1. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Co- mitati Geologici e sul B. Comitato Geologico d’Italia. — Firenze 1871 L. 1.50 Idem. — Carta Geologica della parte orientale del- l’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000. — - Firenze 1871. . » 3. 00 F. Giordano. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, cbe deve essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia Italo-Elve- tica. — Firenze 1873 » 10. 00 Idem. — Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1873 » 5.00 C. W. C. Fuchs. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di 1 per 25,000. — Firenze 1873. ...» 3.00 G, Ponzi e Fr. Masi. — Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio all’ Esposizione Internazionale di Vienna. — Roma 1873 » 2. 00 Idem. — Catalogo sommario dei prodotti minerali italiani ec. — Roma 1873 » 1.00 P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta Geo- logica d’Italia in grande scala. — Roma 1875 . » 1. 50 G. Doelter. — Carta Geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone, nella scala di 1 per 20,000. — Roma 1876. » 2. 00 Per le commissioni dirigersi all’ Ufficio Geologico in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli, N. 5, od ai principali librai. Annunzi di pubblicazioni. A. Manzoni e G. Mazzetti. — Echinodermi nuovi della melassa mioce- nica di Montese nella provincia di Modena. — (Atti della Soc. Tose, di Se. Nat., voi. Ili, fase. 2.) — Pisa 1878; pag. 7 in-8° con tavola. G. Mero alli. — Sulle marmotte fossili trovate nei dintorni di Como. — Milano 1878 ; pag. 8 in-8°. A. Verri. — Avvenimenti nell’ interno del bacino del Tevere antico durante e dopo il periodo pliocenico. — Milano 1878; pag. 32 in-8° con una tavola. P. Zezi. — Indice bibliografico delle pubblicazioni italiane e straniere riguardanti la mineralogia, la geologia e la paleontologia della provincia di Roma, con un’Appendice per le acque potabili, termali e minerali. — Roma 1878 ; pag. 20 in-4°. A. Stoppane — Carattere marino dei grandi anfiteatri morenici del- imita Italia. — Milano 1878; pag. 80 in-4° con sei tavole. D. Lovisato. — Strumenti lìtici e brevi cenni geologici sulle provincie di Catanzaro e di Cosenza. (Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei; Memorie, serie 3a, voi. II.) — Roma 1878; pag. 22 m-4 con una tavola. G Ponzi. — Le ossa fossili snbapennine dei dintorni di Roma. (Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei ; Memorie, serie 3a, voi. 11.) — Roma 1878; pag. 30 in-4°. 0 De Stefani e D. Pantanelli. — Molluschi pliocenici dei dintorni di Siena. (Bollettino della Soc. Malacologica italiana, voi. IV, disp. 1 .) — Pisa 1878. A. e G. B. Villa. — Cenni geologici snl territorio dell’antico distretto di Oggiono. (Atti della Soc. It. di Se. Nat., voi. XXI, fase. 2°.) Milano 1878; pag. 20 in*8° con carta geologica. A. De Zigno. — Annotazioni paleontologiche. Aggiunte alla ittiologia dell’epoca eocena (dalle Memorie dell’Istituto Veneto, voi. XX).— Venezia 1878; pag. 14 in-4° con tre tavole. — Sulla distribuzione geologica e geografica delle conifere fossili. — Padova 1878; pag. 14 in-8° con tre tabelle. B. Gastaldi. — Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi piemontesi durante la campagna del 1877 (dagli Atti della R. Accademia dei Lincei; Memorie, serie 3a, voi. II). — Roma 1878; pag. 12 in-4° con due tavole colorate. 1 Capici. — Da Vizzini a Licodia, note geologiche. — Siracusa 1878 ; pag. 36 in-8° _ studi sulla geologia del Vizzinese. — Catania 1878; pag. 23 in-4°. A. De Zigno. — Sopra un nuovo Sirenio fossile scoperto nelle colline di Brà in Piemonte (dagli Atti della R. Accademia dei Lincei; Me- morie, serie 3a, voi. II). — Roma 1878 ; pag. 13 in-4° con sei tavole. G F Rodwell. — Etna, a history of thè mountain and of its eruptions. * — London 1878 ; pag. 146 in-8° con tavole e figure intercalate. D. Lovisato. — Il Monte di Tiriolo. — Catanzaro 1878; pag. 26 in-4°. T Taramelli — Sulla formazione serpentinosa dell’ Apennino pavese. (R Acc. dei Lincei ; Memorie della classe di Scienze fisiche ec. , voi. IL) — Roma 1878 ; pag. 57 in-4° con due tavole. M. Baretti. — Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi Piemontesi durante la campagna del 1877. (Idem.) — Roma 1878; pag. 10 m-4 con una tavola. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Marzo e Aprile 1879. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1879. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. — Bollettino. — Si pubblica regolarmente in fascicoli bime- strali di 5 o più fogli di stampa ciascuno, formanti un vo- lume annuo di 500 e più pagine, con tavole ed incisioni in- tercalate nel testo. Il prezzo dell’ abbinamento annuo è di L. 8 per V interno e di L. 10 per l’estero. Gli abbinati ricevono gratuitamente la copertina ed il frontespizio del volume. — Ad annata compiuta i volumi annuali rilegati si vendono al prezzo di L. 10. — I fascicoli separati si vendono al prezzo di L. 2 ciascuno. — La serie incomincia coll’anno 1870. •. Memòrie per servire alla descrizione della Carta Geo- logica d? Italia. — Pubblicazione di gran formato corre- data da tavole, Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Volume I ; Firenze 1871. — Introduzione — Studii geo - ; logici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole j ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle i Alpi Piemontesi e sui minerali delle valli di Lanzo, di j G. Struver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera j della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descri - j zione geologica dell 5 Isola d ’ Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica ita - I liana (Parte Ia, Gasteropodi sifonostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo 1°, con sette tavole. — Prezzo Lire 35. Volume II, Parte la; Firenze 1873 . — Introduzione.— Monografia geologica delV Isola d’ Ischia, di C. W. C. Fuchs, con Carta geologica e incisioni nel testo. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attra- 1 versata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo -Elvetica, di F. Giordano, con Carta geologica e due tavole di Sezioni, j — - Appendice alla Memoria sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con una tavola. * Malacologia pliocenica italiana (Parte Ia, Gasteropodi sifono- stomi), di C. D’ Ancona, fascicolo 2°, con otto tavole. — . Prezzo Lire 25. Volume II, Parte 2a; Firenze 1874. —Studii geologici sidle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, Parte 2a, con due tavole. — Prezzo Lire 5. Volume III, Parte la; Roma 1876. — Il gruppo vulca- nico delle Isole Ponza, monografia geologica di C. Doelter, con tre tavole e una Carta geologica. — Geologia del Monte Pisano, di C. De Stefani, con una tavola. — Prezzo Lire IO. (Continua.) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. N0 3 e 4. : — Marzo e Aprile 1879. SOMMARIO. Atti relativi al Comitato Geologico. Note geologiche. — I. Alcune osservazioni sui dintorni di Jano presso Vol- terra, per B. Lotti. — II. La formazione pliocenica dello Scandianese (pro- vincia di Reggio-Emilia)* per A. Ferretti. — III. Cenni geognostici e-geologici sulla Calabria settentrionale, per D. Lovisato. (Continuazione.) — IV. Il Trias di Recoaro nelle Alpi Venete, per A Bittner. —V. Rapporti fra i depositi terziari d' Italia ed il deposito delle sabbie d’ Anversa, per E. Vanden-Brqeck. Note mineralogiche. — Ancora sulle prehniti della Toscana, per A. Corsi. Notizie bibliografiche.— T. Taramelli, Sulla formazione serpentinosa del- VApennìno pavese; Roma, 1878. — E. von Mojsisovics, Dìe Dolomit-Riffe von Sùdtirol und Venetien. Beitràge zur Bildungsgeschichte der Alpen ; Wien, 1878-79. — A. Heim, TJntersuchungen ùber den Mechanisrnus der Gebirgsbildung im Anschlusse an die geologische Monographie der Tòdi- W indgàl len - Gruppe; Basel, 1878. — E. Vanden-Broeck, Esquisse géologi- que et paléontologique des dépóts pliocènes des environ d’Anvers, Ire partie ; Bruxelles, 1878. — G. F. Rodwell, Etna , a history of thè mountain and of its eruption ; 1878. Notizie diverse. — Antichi ghiacciai nelle Alpi Marittime.— Lo stato attuale del Vesuvio. Tavole ed incisioni. — Sezione nei dintorni di Jano in Toscana, a pag. 100. — Sezione nei dintorni di Gimigliano in Calabria, a pag. 133. ATTI RELATIVI AL COMITATO GEOLOGICO. Seduta del 17 marzo 1879 . Il Comitato geologico il quale venne ricostituito pel R. De- creto 23 gennaio 1879 (Vedi fascicolo precedente), convocato dal Ministro d’ agricoltura, industria e commercio, radunavasi in Roma il 17 marzo, -alle ore 10 antimeridiane. Intervennero il professor Meneghini, presidente, ed i membri professori Capellini, Ponzi, Stoppani, Cossa, il generale Mayo, direttore dell’ Istituto Topografico militare, gli ispettori Gior- dano e Pellati. Non poterono intervenire i professori Gemmellaro e Scacchi e il senatore Scarabelli. Essendo ammalato P ingegnere Zezi segretario ordinario del Comitato, suppliva a tale ufficio l’ ingegnere Sormani con V assistenza dell’ ingegner Pellati. - 92 - Dietro invito del presidente Meneghini, l’ ispettore Giordano presenta il rapporto sull’ operato nei due ultimi anni e sui pro- getti di lavori per V avvenire. Quel rapporto, dopo avere ram- mentato alcuni precedenti necessari a conoscersi sulle ragioni che impedirono di intraprendere sino quasi al 1877 un lavoro metodico, non che alcuni schiarimenti sul genere della Carta geologica in grande scala che si dovette preferire, e sul perso- nale adibito pel suo eseguimento; spiega come a malgrado la scarsità dei mezzi e del personale sin ora disponibili, vennero iniziati e condotti di fronte due sistemi di lavori: quello cioè me- I todico della Carta in grande scala, ed alcuni altri accessorii o di preparazione, anch’ essi necessari ed utili poi allo scopo finale. IP lavoro metodico, eseguito con personale di ingegneri di- j pendenti dall’ Uffizio geologico, si dovette iniziare nella zona j solfifera di Sicilia, sia per la sua importanza industriale, sia per- j chè di quella regione già si avea la nuova Carta topografica al 50/m. con curve, che mancava ancora per altri paesi d’Italia; e già nel tempo decorso se ne rilevò buona parte, e sarà fra altri due anni quasi interamente compiuta. Si incominciò pure un lavoro analogo nei dintorni di Roma con la nuova mappa al 25/m., e lo stesso si deve quanto prima iniziare nell’ impor- tante catena marmifera delle Alpi Apuane, della quale si ottenne ultimamente la mappa pure al 25/m., rilevata anticipatamente dietro istanza del Comitato medesimo. Il lavoro iniziato in questi tre punti dovrà essere regolar- mente proseguito negli anni seguenti, facendovi poi succedere altre zone da rilevare anche a scale diverse secondo le varie occorrenze, ed a misura che si avranno le relative mappe dal- l’ Istituto topografico. Fra i lavori accessorii o di preparazione, enumera quelli di alcuni professori che prestarono 1’ opera loro e j che il Comitato sussidiò in vario modo, lavori concernenti varie regioni d’ Italia, come quelli del Gastaldi, Curioni, Mayer, Ponzi, Lotti, De Stefani, Lovisato, De Giorgi, Seguenza, ec. , non che quelli di varii ingegneri del Corpo delle Miniere, tra cui uno molto importante sulla zona metallifera dell’ Ovest della Sardegna. Simili lavori servirono essenzialmente a compilare una Carta gene- rale d’Italia in piccola scala, cioè al 600/m., e che più tardi venne perfezionata sopra un’ altra mappa al 555/m. Questa Carta gene- i 93 - rale benché naturalmente provvisoria ed imperfetta, riesci molto interessante, e ne vennero da varie parti richieste delle copie. Una parte delle Carte di vario genere così eseguite nel. de- corso biennio figurò vantaggiosamente all’ Esposizione Universale del 1878 in Parigi, dove esse Carte ottennero cospicui premii. In occasione poi di quella Esposizione, ebbe luogo in Parigi il primo Congresso geologico internazionale per P unificazione dei lavori geologici, il quale decise che la sua seconda riunione avesse luogo nel 1881 a Bologna. Per tale occasione assai solenne per l’ Italia, dovranno essere preparati alcuni lavori brevemente nel rapporto specificati, dei quali dovrà pure occuparsi fin da ora 1’ Uffizio geologico d’ accordo col Comitato organizzatore, di cui è presidente il professor Capellini. Insiste poi il relatore sulla necessità in cui trovasi ornai il Comitato di avere a sua disposizione almeno un paleontologo, ed alcuni specialisti in chi- mica e mineralogia per intraprendere ex-novo lo studio delle rocce italiane e riformarne la classificazione, insistendo perchè una buona parte del lavoro venga allestita almeno all’ epoca del Congresso, specialmente per le rocce serpentinose. Infine egli riferisce sulle pubblicazioni attuali e future del Comitato, sulla sua biblioteca e sulle sue collezioni geologiche, sia scientifiche che industriali, lamentando la mancanza di un adatto locale, e quindi la impossibilità di sistemare una volta comodamente l’Uffizio geologico, i laboratorii tuttora mancanti ed un conveniente Museo per le collezioni. Tocca ancora la que- stione del personale adibito ai lavori, notando parecchie deficienze nella sua carriera e nelle retribuzioni, e proponendo lievi, ma effi- caci modificazioni per metterlo in grado di eseguire alacremente il suo mandato. Quanto al fondo annuo assegnato al Comitato per la Carta geologica, egli espone come da lire 12,000 che fu nel principio, venne gradatamente accresciuto negli ultimi anni collo estendersi del lavoro, sino ad essere pel volgente anno di lire 60,000 circa; che simile somma potrà bastare a rigore, purché però si provveda con qualche supplemento pei lavori straordinari che si esigono pel Congresso di Bologna. Terminata la relazione, il presidente apre la discussione. Il professore Stoppani espone le sue idee, che dice essere state sempre per principio contrarie a quanto venne fatto sin qui. ■ 94 - Egli non approva 1’ attuale organismo, secondo cui 1’ esecuzione della Carta geologica è affidata ad un Corpo d’ ingegneri di mi- niere sotto la direzione scientifica di un Comitato. Egli avrebbe voluto un Istituto geologico separato, diretto da una qualche sommità nella scienza. Dice che l’ indirizzo attuale degli studii : eseguiti da ingegneri, comunque sieno questi esperti in geologia, ha sempre una tendenza troppo utilitaria, come del resto il dimo- , strano le zone di territorio che si presero a studiare per le : prime, cioè zone ricche di sostanze minerali utili; che converrebbe , dare piuttosto all’ Istituto un indirizzo puramente scientifico, mentre le applicazioni alla pratica verranno poi a suo tempo, j Egli proporrebbe quindi che venisse mutata l’ organizzazione j creando un Istituto geologico separato con un direttore supremo, j A simile proposta rispondono l’ ispettore Giordano, in parte, j e i professori Capellini e Meneghini, osservando questi anzitutto che il volere discutere 1’ organizzazione istessa della Istituzione escirebbe dal compito del Comitato ora qui adunato. Quanto alle critiche dello Stoppani, si osserva che l’ indirizzo piuttosto pra- j tico ed utilitario dato ai lavori della nostra Carta geologica fu j non solo cosa creduta utile ed opportuna, ma una necessità pel paese nostro, mentre sarebbe stato pressoché impossibile ottenere dei fondi per simili studii senza far vedere che avrebbero essi servito ad avvantaggiare, ed il più presto possibile, come effet- i tivamente avvantaggiano V industria nazionale. Che lo avere af- j fidato l’esecuzione dei lavori ad un Corpo di ingegneri organizzato j e perito, non solo in scienza, ma anche nelle sue applicazioni, j non è cosa speciale all’ Italia, ma comune alla massima parte j delle nazioni che fanno la Carta geologica in grande scala, e per j cui vi è necessità anzitutto di cognizioni geometriche e tecniche ; precise onde evitare gli errori che altrimenti si potrebber com- mettere, e che la differenza di organizzazione per alcuni paesi esiste piuttosto nei nomi che nella sostanza della cosa; e che | infatti oggidì tutte le nazioni tendono a procurarsi al più presto j non solo una Carta scientifica in piccola scala, ma una Carta in scala la più grande possibile ed in vista appunto delle pratiche ; possibili applicazioni, sia all’ industria mineraria, che all’ agri- cola ed altri rami di applicazione. Il sistema da noi adottato j essere poi relativamente assai economico ed opportuno, non ne- ! - 95 - cessitando occupare tanti scienziati, cui dopo un certo tempo non si saprebbe più come utilizzare; che lo avere un direttore supremo è assai pericoloso, potendosi facilmente cadere nell’ esclu- sivismo ed anche in una via affatto erronea, in guisa da dover poi ricominciare il lavoro. Mentre ora il Corpo degli ingegneri geologi nostri è il braccio esecutore, mentre la testa direttrice sta nel Comitato, il quale essendo costituito da geologi reputati nel paese fra i più autorevoli, sempre sarà in grado di mante- nere T intrapreso studio nella via più giusta e sicura. Si replicano da parte ed altra varie ragioni di minor conto delle quali non è essenziale riferire dettagliatamente. Infine messa al giudizio la proposta Stoppani di aversi a mutare V or- ganismo della Istituzione, creando cioè un Istituto geologico spe- ciale con un direttore superiore, la medesima all’ unanimità degli altri presenti, non viene appoggiata. Il generai Mayo ed il professor Capellini osservano, che si potrebbe dare anche maggiore efficacia all’ attuale organizza- zione, od almeno rendere più pratica V opera del Comitato di- rettore, qualora singoli membri del medesimo assumessero di sorvegliare una data parte dei rilevamenti, riferendo per le mo- dificazioni che occorressero. Simile proposta viene accettata. In massima poi il Comitato, accettando le conclusioni e le proposte del relatore, tanto rispetto al proseguimento dei la- vori, che alle raccomandazioni fatte riguardo ai locali ed alla sorte del personale addetto ai lavori medesimi, fa voti di rac- comandare vivamente simili proposte al Ministero. Alle 3 pomeridiane, con la riserva di radunarsi nuovamente appena vi sia argomento essenziale da trattare, la seduta è sciolta. Alcuni giorni dopo venne rimesso al Ministero d’ agricoltura, industria e commercio il verbale della seduta. Quanto alla rela- zione dell1 Ispettore, la medesima, in accordo all1 art. 4 dell1 ul- timo R. Decreto 23 gennaio 1879, deve venire pubblicata negli atti parlamentari. Ora il Ministero, preso in considerazione il voto del Comitato e le proposte dettagliate che in base al medesimo gli vengono fatte a mano a mano dall1 Ispezione incaricata della esecuzione dei lavori, comincia con le opportune misure a provvedere onde le anzidette proposte possano avere il loro eseguimento. - 96 - NOTE GEOLOGICHE. I. 1 Alcune osservazioni sui dintorni di Jano presso Volterra, j lettera di B. Lotti all’ in g. P. Zezi. Il gruppo di Jano, costituito da colline poco elevate com- ' prese fra i due confluenti paralleli di sinistra dell Amo, 1 Era ad Ovest e l’Elsa ad Est, puossi considerare come l’estremo lembo j settentrionale della Montagnola Senese, oppure quale un anello i di congiunzione fra questa èd i Monti Pisani a N.O. da cui è I separato soltanto per mezzo della valle dell’ Arno. Sarebbe superfluo l’ insistere sulla importanza di questa lo- j calità celebre per avere offerto alla geologia toscana l’ unico | orizzonte fossilifero dell’ epoca paleozoica illustrato dai nostri | più valenti paleontologi Savi e Meneghini. Poco inoltre vi sa- j rebbe da aggiungere su tale argomento se, in vista dell’ eccezio- j naie interesse presentato da questa località^jon convenisse di j conoscerla più dettagliatamente sotto altri aspetti, studiando il j complesso delle formazioni che ivi compariscono e le loro reci- proche relazioni. Non stimo quindi affatto inutile di ti ascriverle j brevemente quei pochi appunti che potei raccogliere in una j escursione eseguita di recente in quella località in compagnia j dei professori Pantanelli e Bargellini del Liceo di Siena. Il terreno più antico di questo gruppo è, come lo attestano circa 50 specie fossili vegetali ed animali, il carbonifero supe- j riore costituito prevalentemente da schisti micaceo-argillosi gra- fitiferi grigi, neri e talvolta chiaro -lucenti, coi quali alternano j più volte arenarie micacee o psammiti carboniose della stessa j tinta, ma quasi affatto prive di fossili. Questa formazione è pure : cinabrifera e dette luogo, non sono molti anni, ad una notevole | lavorazione mineraria di cui osservansi tuttora i residui. Il ci- : nabro sembra trovarsi tra due piani di strati fossiliferi, disse- j — 97 - minato entro uno schisto argilloso nero nel quale son racchiuse geodi di quarzo, calcite e baritina. Il terreno carbonifero comparisce in una zona ristretta della lunghezza di quasi due chilometri nel versante occidentale del monte, e vien ricoperto immediatamente in basso dal pliocene che occupa tutta la sottostante valle dell’ Era. La direzione dei suoi strati è N. 20° 0., esattamente come nella Montagnola, e l’ inclinazione di circa 25° a N.E. ; essi presentaci quindi a giorno colle loro testate, immergendosi sotto la massa del monte, tantoché se ne può percorrere la serie ascendente risalendo la pendice tagliata quasi a picco da questo lato e alla cui base risiedono i meschini caseggiati di Jano e di Torri. Lo spessore di questo terreno, compreso quello messo in evidenza dai lavori minerari, può ascendere a circa 100 metri. Sopra il terreno carbonifero fanno seguito colla più perfetta concordanza strati di un’ arenaria rossa con schisti micacei vio- letti, e quarziti che più in alto poi divengono anageniti o pud- dinghe silicee. Non è raro osservare fra i componenti di queste ultime ciottoli arrotondati, talvolta assai grandi, di una roccia durissima costituita da una pasta apparentemente amorfa di un silicato di ferro in cui stanno disseminati porfìricamente cristalli di quarzo. A questa formazione siliceo-argillosa fa seguito in alto una massa imperfettamente stratificata di un calcare grigio scuro, quasi nero, cristallino, talvolta brecciforme, in più luoghi com- penetrato da una fitta reticolatura rossa di ossido ferrico. In un punto presso il Pian della Querce, questo minerale si è prodotto in sì gran copia, mescolandosi al detrito di quel calcare, da presentare una rimarchevole formazione di terra rossa che viene impiegata molto vantaggiosamente nei dintorni per la fabbricazione delle malte, alla stessa guisa della pozzolana vulcanica, della quale infatti ha preso il nome. Questo calcare, sebbene non sia cavernoso, corrisponde però litologicamente e stratigrafìcamente al calcare cavernoso infraliassico della Montagnola e di altre parti della Toscana ; credo che debba quindi ritenersi come rappresentante dell’ infralias. Le rocce di cui ho fatto cenno sembrano occupare soltanto la pendice occidentale del monte di Jano ; il crinale e tutto il - 98 — versante orientale son formati da rocce più giovani che discor- dano colle precedenti, e che debbono riferirsi ai periodi creta- ceo, eocenico e pliocenico. Presso Jano riposa in parte sul trias, in parte sul pliocene un travertino bianco nella maggior parte e compattissimo, in alcuni punti però grigio azzurro, saccaroide e alquanto celluloso. Poco sopra per la strada di San Vivaldo scuopresi sul trias un piccolo lembo di calcare infraliassico sul quale sta pure il tra- vertino. Scendendo a sinistra nella vallecola del Roglio, verso Vignale, incontrasi una piccola massa di strati diasprini bizzar- ramente contorti che si addossano senza alcuna relazione sul- P infralias e sono attraversati in ogni verso da vene di carbo- nato di ferro terroso scuro. A questi succedono, in serie ascendente e con perfetta concordanza, delle argille schistose rosse e ver- dastre a frattura concoide, untuose al tatto, identiche infine alle così dette argille scagliose di alcune località dell’ Emilia. Sulla via da Jano a San Vivaldo, presso il podere di Camporena, os- servasi in questa formazione un calcare terroso giallo dendritico con vene di carbonato di ferro. I caratteri petrografia, di questa formazione argilloso-diasprina la farebbero ritenere di epoca cretacea, e tale opinione sarebbe avvalorata dal fatto che sovra essa scuopresi qualche banco di un calcare bianco a frattura con- coide che accompagna di solito il nummulitico in altre località, e di calcare nummulitico trovasi infatti qui qualche frammento erratico di cui però non fu possibile scuoprire la sede. Più ol- tre presso Vignale, oltrepassato il Roglio, compariscono delle arenarie a strati sottili molto micacee con calcari alberesi di tipo eocenico, che vengono immediatamente ricoperte da sabbie giallastre indurite con fossili pliocenici. Poco lungi di qui sulla sinistra del Roglio in mezzo al pliocene comparisce un piccolo lembo di rocce ofiolitiche in cui prevale la steatite; esse ritro- vaci poi nell’ altro fosso contiguo più settentrionale detto il Botro alle Macine. Quivi la formazione serpentinosa consta di banchi o masse irregolari di una breccia costituita di frammenti di serpentina di grossezza variabile cementati da arragonite bianca ; accompagnano questa roccia noduli di steatite e un’ al- loisite con nuclei calcedoniosi. Nella sua parte superiore questa breccia serpentinosa va a confondersi cogli schisti galestrini che - 99 - la ricuoprono. Tanto qui come nell’ altro lembo serpentinoso so- pra citato veniva escavata pochi anni indietro per usi industriali la steatite, di cui se ne osserva anche adesso una notevole quantità. Lé rocce ofìolitiche sono molto sviluppate in questo gruppo quasi isolato della catena metallifera. Esse compariscono, oltre- ché nelle località indicate, sulla sinistra del torrente Evola sotto San Vivaldo, presso il ponte della strada di Montatone ; predo- minano fra Montignoso e il Castagno, ove son pure metallifere ed alimentano da qualche tempo un’ attiva escavazione di calco- pirite ; si ritrovano poi sotto San Leonardo a Sud di San Vivaldo, ove occupano quasi totalmente la vallecola elei Botro ai gabbri, e sono ricoperte da calcari alberesi forse eocenici, certamente però non più antichi della creta superiore, mentrechè riposano sulla massa del calcare nero infraliassico. La roccia predominante è qui la serpentina diallaggica che in qualche punto passa alla eufotide. Altri punti di affioramento delle roccie ofìolitiche sono Santa Cristina sopra Gambassi, e la Rimessa per la via di San Vivaldo ove emergono eli mezzo al pliocene, sempre accompa- gnate da calcari e schisti non più antichi della creta. Il lembo più interessante però, non per la sua estensione ma per le cir- costanze del suo giacimento e perchè offre certe peculiarità nelle rocce che lo costituiscono, è quello che comparisce presso Pala- gio o Casicelle, circa un chilometro distante da Torri per la strada del Castagno. Esso trovasi immediatamente a contatto cogli schisti carboniferi ed è ricoperto dal pliocene. Per tali condizioni di giacitura e per esser queste le sole roccie ofìoliti- che che compariscono da questo lato del monte, quindi quelle che formavano di preferenza soggetto di osservazione pei geologi che qui accorrevano a visitare le miniere cinabrifere e il terreno carbonifero, era facile di essere indotti, come avvenne di fatto, nella falsa opinione che tali rocce fossero sottostanti a quelli antichi strati e formassero il fondamento di tutte le formazioni stratificate dei monti di Jano. Una più attenta ispezione fa vedere però nel modo il più chiaro, che esse lungi dall’ essere sottoposte sono soltanto giustaposte al carbonifero, come ebbe ad osservare anche il De Stefani, ed anzi se ne può eziandio constatare in qualche punto la sovrapposizione. Del resto seb- - 100 - ( bene non si scuoprano gli alberesi direttamente a contatto colle roccie ofiolitiehe, si ritrovano però a pochi passi di distanza andando verso Torri, separati da esso soltanto da una piccola vallecola d’erosione, e non vi ha dubbio alcuno che tale con- tatto diretto si verifichi sotto il pliocene che ricuopre, come dissi, per una gran parte la massa serpentinosa. Gli stessi cal- cari alberesi presso Torri, proprio accanto al fabbricato della miniera, vanno ad appoggiarsi contro le testate degli strati car- boniferi. Unisco qui a schiarimento una sezione normale alla direzione degli strati paleozoici, presa in posto, nella proporzione di 1 ; 37,500 per le orizzontali : 1. Pliosene. — 2. Calcari alberesi e schisti eocenici o cretacei. — 8. Rocce ofiolitiehe. — 4. Calcare nero infraliassico. — 5. Quarziti e anageniti triassiche. — 6. Arenaria rossa e schisti micacei violetti (permiano ?). — 7. Arenarie, psammiti e schisti cinabriferi del carbonifero superiore. La roccia predominante in questo ristretto lembo ofiolitico è, come negli altri, la serpentina diallagica ; non manca però quella priva di diallaggio, la ranocchiaia, la steatite e un poco d’ asbesto. Ciò che vi ha di più singolare però si è una notevole quantità di semiopale o resinite talvolta trasparente come il ve- tro, talvolta opaca, cavernosa e colorata intensamente in verde dal sesquiossido di cromo, e di questa sostanza è pure impre- gnata una pasta steatitosa che sembra ravvolgere le masse irre- golari di quella resinite. Questa formazione steatitoso-opalina è sottoposta alla serpentina propriamente detta e si appoggia im- mediatamente sulle roccie antiche. Mi sembra chiaro, come apparisce anche dalla figura, doversi ritenere che il giacimento ofiolitico di Palagio formava un tempo una massa continua con quello di San Leonardo, da cui forse fu - 101 disgiunta in seguito alla erosione o ad un sollevamento avvenuto in epoca recente pel quale furono posti allo scoperto i terreni antichi. L’ età delle formazioni ofiolitiche di Jano, come quelle di tutta la Toscana e dell’ Emilia, deve quindi ritenersi compresa nei due periodi dell’ eocene e della creta. Una sola eccezione credo che debba esser fatta in proposito per certe rocce serpen- tinose che compariscono presso Calagrande nel Monte Argenta- rio. Esse sottostanno a tutti i terreni triassici, e fors’ anche più antichi, e constano di eufotide serpentinosa e diorite, le quali rocce divenendo schistose fanno passaggio nella maniera la più continua agli schisti del trias. È a notarsi che qui appunto ove le roccie ofiolitiche appariscono in rapporto con terreni antichi, trovatisi le dioriti, e che sian tali è dimostrato da grossi cri- stalli d’ orneblenda, mentrechè sono diabasi quelle che sogliono accompagnare le serpentine eocenico-cretacee delle altre località toscane. I monti di Janò, come probabilmente tutta quanta la Mon- tagnola Senese, emersero totalmente dal mare dopo il periodo pliocenico. Infatti il pliocene, che stendesi per ampio tratto tutto intorno alla loro base, ne occupa eziandio i punti più elevati, come San Vivaldo e San Leonardo, oltre 4Ò0 metri sul mare; oltredichè lo troviamo a poca distanza presso Volterra a 553 metri. Siena, 3 marzo 1879. IL La formazione pliocenica nello Scandianese (provincia di Reggio-Emilia), per Antonio Ferretti, parroco di San Ruffino. Guardando a questa mia parrocchia ed alle limitrofe di Ca- sal gran de, Dinazzano, Sant1 Antonino a S.E. e Ventoso, Jano, Borzano, Albinea, Montecavolo e Quattro Castella a N.O., poste alle falde degli ultimi rilievi subappennini settentrionali nella provincia di Reggio-Emilia, non può non vedersi che pog- giano su di un litorale marino, che a modo di cordone o fascia - 102 - termina il subappennino, e va perdendosi a mano a mano sotto le alluvioni quaternarie della gran valle padana. È costituito da imponenti dune di ciottoli discoidali, da banchi di marne silicee, intercalati con ammassi di argille azzurrognole, che vanno acqui- stando maggiore potenza coll’ internarsi nel subappennino, ricche di fossili d1 acqua dolce e marini. I ciottoli discoidali ora sono cementati da carbonato di calce e costituiscono un vero ceppo a piccoli e a grossi elementi, sviluppatissimo a Borzano poco lungi dalla parrocchiale, a Ventoso, su cui poggia la chiesa omonima, ed a San Ruffino lungo la riva destra del Riazzone; ora sonò soltanto impastati da una marna grossolana silicea giallastra che vi funge le veci del cemento. Hanno sempre una stratificazione ondulatoria ed inclinata sotto tutti gli angoli, e perfino anco verticale. I ciottoli portano attaccato alla loro super- ficie bene spesso ostriche ed anomie delle specie foliosa , lamel- losa, edulis, margaritacea, ellectrica, pellis serpentis ec. Non è raro il caso di trovare strati perfetti di tali ostriche, di tali anomie intercalati coi ciottoli. Le marne silicee concordano nella stratifi- cazione colla formazione precedente. Esse pure hanno striscie di soli pettini, di sole anomie, di sole ostriche concordanti colla loro stratificazione. Le argille azzurrognole finalmente mostranp una leggiera stratificazione, e non di rado sono soltanto un im- pasto caotico. Incominciano a mostrare una stratificazione spic- cata a qualche distanza dai ciottoli e dalle marne, orizzontale o quasi : impastano ovunque le stesse ostriche, anomie, pettini ec. delle due formazioni precedenti, e per di più come caratteristiche della formazione il Cardimi hians Br., le Sediaria lamellosa Br., pseudos calar is Br., torulosa Br., la Cassidaria echinophora Br., 1’ Ovida birostris Lk., la Pyrula reticulata Lk., la Xenophora testigera Bronn ec., con moltissimi stroboli di pino e pezzi di legno carbonizzato. Una tale formazione litorale nelle parrocchie succitate ha una larghezza da Nord a Sud di un buon chilometro, ed uno spes- sore apparente di circa cinquanta metri. Ovunque presenta sem- pre i soliti fossili, quantunque questi diminuiscano di continuo coll’ ascendere della formazione. A mano a mano che si accosta alle argille scagliose interstratificate coi calcari a fucoidi perde qual- che poco di sua natura, e con passaggio insensibile si converte - 103 - finalmente in una sabbia silicea finissima ed impalpabile grigia- stra, che impasta pezzetti di diaspro, di porfido, di serpentino, di petroselce, e persino anco di granito con molta mica. E que- sta formazione, da noi al tutto sconosciuta ai geologi, che mi interessa di porre in piena luce, e per la fauna che ha moltis- sima somiglianza con faune del Bolognese, della Toscana ed al- tre località d’ Italia e dell’ estero ; e per la sua posizione stra- tigrafica, che servirà forse a rischiarare non poco molte questioni del giorno. La formazione in discorso ha una stratificazione orizzontale o quasi, una lunghezza di un terzo di chilometro ed uno spes- sore apparente di circa sessanta metri. È bagnata dal Riazzone in questa mia parrocchia. A Nord fa seguito, come dicemmo, della formazione litorale, mantenendo sempre il medesimo livello e buona parte dei fossili ; ma a Sud trovasi a contatto immediato colle argille scagliose stratificate evidentemente colle calcari a fucoidi, e le copre qual pesante mantello in istratificazione af- fatto discordante. È quasi a contatto delle argille scagliose che la fauna, mentre conserva alcune delle specie litorali, si arric- chisce di moltissime altre di mare semichiuso e profondissimo. Mentre cessano quasi affatto le ostriche comunissime alla forma- zione litorale, mentre scarseggiano le veneri, le arche, i turbini; la fauna si aumenta di melarne, di jalee, di columbelle, di copia immensa di foraminiferi, di pesci e di crostacei. Tale forma- zione contiene una fauna brillantissima. Offro il catalogo dei fossili che ho potuto sin qui determi- nare con qualche precisione. 1. Hyalsea tridentata, Forshal 2. Anatipha Parlatorii, Lawley 3. Typhis fistulosus, Broc. 4. » tetrapterus, Bronn 5. Dentalium triquetrum, Broc. 6. » tetragonum, Broc. 7. » sexangulum, Lam. 8. » striatissimum, Desh. 9. Cadulus ovulum, Phil. 10. Pyrula reticulata, Lam. 11. Columbella. harpnla, Mich. 12. » thiara, Broc. 13. Scalaria lamellosa, Broc. 14. » torulosa, Broc. 15. Bulla lignaria, Broc. 16. Paludina stagnalis, Bast. 17. Pleurotoma monilis, Broc. 18. » postulata, Broc. 19. .» rotata, Broc. 20. Mitra cupressina, Broc. 21. Turritella vermiculata, Broc. 22. » quadr icarinata, Broc. 23. Limopsis aurita, Broc. 24. Mya panopsea, Broc. - 104 - 25. Eulima subulata, Don. 26. Melania curvicosta, Desìi. 27. Vermetus arenarius, Lin. 28. » intortus, Broc. 29. Nodosaria stringosa, Jan 30. » bacillum?, Defrance 31. » elegans, Micb. 32. » raphanistrmn, Lin. 33. » acicula, Lam. 34. » semen, Doderlein 35. Cancellarla mitreformis, Broc. 36. » calcarata, Broc. 37. » serrata, Bronn 38. » spinulosa, Broc. 39. Cristellaria semilunata, D’Orb. 40. » cassis, Lam. 41. » marginata, Soldani 42. Leda cuspidata, Phil. 43. » concava, Bronn 44. » nitida, Broc. 45. Turbo terebra, Broc. 46. Xenopbora testigera, Bronn 47. Cassidaria sechinophora, Lam. 48. Pectunculus granulatus, Broc. 49. Solarium simplex, Bronn 50. Pholadomia alpina? 51. Voluta fusiformis, Broc. 52. Voluta pyramidella, Broc. 53. Buccinum semistriatum, Broc. 54. » asperulum, Broc. 55. Flabellum apendiculatum,Broc. 56. Heliastraea Defrancei, Edwards 57. Natica millepunctata, Lam. 58. Ostrea cocblear, Poli 59. Murex vulpeculus, Broc. 60. Robulina simplex, D’Orb. 61. » calcar, D’Orb. 62. » cultrata, D’Orb. 63. » clipeyformis, D’Orb. 64. » echinata, D’Orb. 65. » ariminensis, D’Orb. 66. » inornata, D’Orb. 67. 3» imperatoria, D’Orb. 68. » glauca, D’Orb. 69. Trochus miliari s, Broc. 70. Nummulina radiata, D’Orb. 71. Polystomella crispa, Lam. 72. Kotalina Soldani, D’Orb. 73. Murex fusulus, Broc. 74. Corralium, sp. 75. Anoveria aurata, Van Beneden 76. Oxyrhina Agassizii, Lawley 77. Cancer, sp. E qui noto che molte delle conchiglie summentovate hanno i loro nuclei convertiti in un bellissimo marmo saccaroide nero colle tinte dorate dell’ iride. Una tale formazione con quasi tutti i medesimi fossili, e con un impasto litologico identico ripetesi a Ventoso, e precisamente presso la chiesa, ed a Ca1 de’ Caroli sulla riva destra del Tie- sinaro. Qui fa duopo avvertire che i gessi primieramente affiorano a San Ruffino, per mostrarsi poscia imponenti a Ventoso poco lungi dalla parrocchiale, e finalmente a Ca’ de’ Caroli ove si ergono in un’eminenza brulla e desolata con uno spessore apparente di ben ottanta metri, ed un buon chilometro di lunghezza. Giac- ciono di mezzo alle argille scagliose, e sono con queste eviden- temente stratificati, e si sostituiscono alle calcarie a fucoidi, le quali hanno il loro termine ove quelli incominciano. Ciò che - 105 - potrebbe lasciar dubbio a Ca’ de’ Caroli è fatto manifesto a Ven- toso in vicinanza della chiesa. Difatti passato appena questa a S.O. incontrasi tosto la così detta Costa Guidla , che non è al- tro che un lembo strettissimo delle argille azzurrastre conchi- fere, intercalate più volte colla formazione litorale superiormente descritta, che ha il suo massimo sviluppo presso le fornaci. Ora seguendo cotesta costa per un mezzo chilometro circa da Nord a Sud s’ arriva finalmente alle note cave del gesso Bassi e Pioppi. È colà che veggonsi i gessi in mezzo alle argille scagliose contorti, laminati, spezzati, divisi in mille prismi di uno spessore consi- derevolissimo, insieme alle calcari a fucoidi ; gessi e calcarie che in origine però manifestarono una stratificazione orizzontale o quasi, disturbata in seguito da una forza imponente che agì su loro in tutti i sensi. Ed è colà pure che cessano le calcarie e continuano i gessi, i quali finalmente si nascondono sotto i terreni terziari e secondari. Or bene, sono le sabbie silicee finissime ed impalpabili gri- giastre in discorso che coprono immediatamente in stratificazione affatto discordante tali gessi, e parte delle calcari a fucoidi a San Ruffino e Ventoso. Non solo ; ma girate attorno alle calcari a fucoidi, non interrotte e scoperte, convertonsi di nuovo insen- sibilmente nelle solite argille azzurrognole stratificate orizzon- talmente o quasi, che prolungansi sino a toccare Montebabbio e a coprire qual pesante mantello una parte della sua arenaria con una stratificazione pure affatto discordante. A Montebabbio le argille azzurrognole sono caratterizzate da un banco di ostri- che, e precisamente dell’ Ostrea cochlear Poli, e contengono quasi tutte le conchiglie della formazione litorale. Girate pur attorno non interrotte e scoperte all’ arenaria di Montebabbio, coprendola sempre in parte, si prolungano sino a Cadiroggio, sino a Casale in San Valentino. Ed è colà che hanno il loro massimo sviluppo, e sono caratterizzate da una fauna brillantissima di grandi pleu- rotome, di giganteschi coni, di ostriche, di perne, di arche, di inniti, di spondili, di turbini, di triton, di murici ec. Ed è pur colà che mentre produconsi verso Casteliarano e la parte occi- dentale di San Valentino, perdono la loro natura litologica, con- vertendosi di nuovo insensibilmente come a San Ruffino e Ven- toso in una sabbia finissima ed impalpabile grigiastra contenente 8 ; — 106 - pezzetti di diaspro, di porfido, di granito, di petroselce ec. È a Castellarano finalmente e nella parte occidentale di San Valen- tino, che questa sabbia copre immediatamente in istratifìcazione j discordante buona parte dell’ arenaria di Montebabbio colà ri- comparsa. La sabbia di Castellarano oltre di quasi tutte le con- chiglie delle argille azzurrognole, contiene le melarne, conchiglie d’ acque salmastri. A San Valentino all’ incontro contiene sole ; conchiglie d’ acque dolci, alla testa delle quali stanno le neriti. , Offro il catalogo delle conchiglie pure di queste due ultime ; formazioni : 1. Melania eurvicosta, Desh. 2. Melanopsis Bonelli, Sism. 3. Nerita mutinensis, D’Anc. 4. » Doderleini, D’Anc. 5. Paludina stagnalis, Basi. 6. » tentaculata, Lin. 7. Hemicardium pectinatum, Dod. 8. » telibergense, Dod. Tutte le formazioni, o meglio la formazione sin qui descritta, ! che io chiamo di San Valentino per avere in questa parrocchia il suo massimo sviluppo, da Ventoso, San Ruffino, Casalgrande e Dinazzano ai piedi del subappennino corre non interrotta e sempre scoperta sino a Castellarano, sino ai confini meridionali di San Valentino, per una lunghezza cioè di circa nove chilometri, con un’ eguale larghezza, e con uno spessore in media di circa metri sessanta apparenti. Al di là di queste due ultime parroc- chie non un ben che lieve indizio, non la minima traccia di tale formazione, non solo nel subappennino, ma ben’ anche nell’ Ap- pennino sino al suo dorso o crine. Al di qua di Ventoso, San Ruffino, Casalgrande e Dinazzano soltanto continuazione della formazione litorale suddescritta, che va perdendosi final- mente sotto i terreni di alluvione che colmano la gran valle padana. Dai fatti con tutta precisione sin qui esposti, panni si pos- san dedurre legittimamente vari corollari: 1° La non interruzione e V intercalazione delle argille az- zurrognole colla sabbia silicea grigiastra, accenna evidentemente a formazione compiutasi nel medesimo recipiente, non potendo essere a contatto orizzontale e scambiarsi tra loro sedimenti di recipienti diversi ; 107 - 2° Contenendo i terreni sin qui descritti tutta la serie del pliocene da noi, non è ammissibile la distinzione del pliocene in superiore, medio ed inferiore, ma soltanto in pliocene marino litorale o d’ alto mare, ed in pliocene terrestre lagunare o di acqua dolce ; 3° La stratificazione sempre discordante colle formazioni sottoposte sì delle argille azzurrognole che della sabbia silicea grigiastra colle calcari a fucoidi, coi gessi e colle arenarie di Montebabbio e Castellarano, mostra all’ evidenza che non possono raccogliersi in una sola formazione con queste ultime ; 4° Ascrivendo Casale in San Valentino al pliocene, al pilo- cene pure ascriver devonsi tutte le altre formazioni. Ora è noto essere Casale in San Valentino il corrispondente perfetto di Castel’ Arquato nel Piacentino, che esprime il plio- cene tipico. Dunque sono plioceniche le sabbie grigiastre di San Ruffino, Ventoso, Ca’ de’ Caroli, Castellarano, e della parte oc- cidentale di San Valentino stesso a foraminiferi, pesci, crostacei, melanie e neriti ; e per conseguenza sono plioceniche le marne a foraminiferi studiate dai Capellini nei dintorni di Bologna che riposano immediatamente sui gessi, le argille azzurre a Méla- nopsis e Melania scoperte dal De Stefani nella valle del Bolgione, corrispondenti a quelle di Stazzano e Sant’ Agata nel Tortonese, di Sivizzano, di Traversetolo, dell’ Imolese ed infinite altre. Una cosa però è a notare relativamente alle marne a fora- miniferi studiate dal Capellini, ed è che tra quelle marne e le marne a Brissopsis e Nassa semistriata ed i gessi che vi stanno di sopra per le osservazioni del chiarissimo geologo, non esiste alcuna discordanza di stratificazione, ma tutto si coordina come il rimanente degli strati che costituiscono la serie sovrastante alla formazione gessifera o gessoso-solfifera ; mentre la nostra sabbia ha una stratificazione affatto discordante dalla stratifica- zione dei sottoposti calcari e gessi, tanto più evidente in quanto che le calcarie ed i gessi da noi sono come dicemmo orribil- mente tormentati. Una linea ben netta di demarcazione separa le calcari a fucoidi ed i gessi dalle sovrapposte marne. Ed è questa linea che noi crediamo dividere nettamente il miocene dal pliocene. Ma allora come spiegare il fatto constatato dal Capellini ? Forse coll’ ammettere che lungo la Savena i gessi non - 108 - abbiano sofferto tormento di sorta, e portino la loro stratifica- zione primitiva orizzontale o quasi. Essendo sommersi nell’ epoca pliocenica poterono benissimo ricever su loro in egual stratifica- zione le marne glauconifere da affettare un’ identica formazione con esse. III. Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrionale, del dott. Domenico Loyisato. Continuazione (Parte IIa, Cap. I). — Vedi Bollettino 1879, n° 1-2. Le rocce gneissiche da Bisignano non s’incontrano che dopo mezza ora circa, a Serra di Cavallo ; sono schisti gneissici ricchi di ferro, in decomposizione alla superficie, ed attraversati da numerose vene di quarzo. Seguono gli stessi gneis di Santa Sofia d’ Epiro e come là d’ un colore oscuro, decomposti e pros- simi a formare terreno vegetale: hanno qualche rassomiglianza colla granulite di San Giovanni in Fiore, ma di quella sono molto più schistosi. Non mancano filoni-strati di diorite, spe- cialmente in vicinanza della così detta scansata di Cosenza, acqui- stando le rocce struttura più granitoide, dove un erto e diru- pato sentiero conduce al ponte del Mucone per andare a Luzzi. Il gneis è ricco di quarzo e di feldispato, che presenta una lieve tinta verde giallognola ed azzurrognola e non infrequente è la caolinizzazione; il quarzo è mescolato con epidoto. In prossimità del paese abbiamo la chinzigite, che possiamo dire d’ ora in poi essere la roccia che signoreggia sulle pendici occidentali della Sila. E accompagnata da gneis dioritici che divengono verdicci all’entrata in Acri (735 ni.), posta sopra un falso piano con pendìo franoso, il quale si continua fino al Mu- cone, che sulla sua sponda destra mostra già un magnifico gra- nito con albite e con mica nera in lamine irregolari. Passa questo granito insensibilmente ai gneis ed è accompagnato dalle stu- pende chinzigiti, già descritte, che si sviluppano più oltre anche assieme ai graniti rossi, che probabilmente si congiungono con - 109 - quelli di Longobucco e di Rossano. Scendendo pel Mucone si trova la massa di schisti grigi compatti e ferruginosi, che co- prono queste rocce cristalline granitoidi, tanto sulla destra che sulla sinistra sponda. Sulla destra contengono bei cristalli di quarzo jalino, inquinati dal ferro : i prismi esagonali, cui sono sovrapposte le corrispondenti piramidi, sono piuttosto corti. Queste masse schistose si sviluppano fino al bel ponte sul Mu- cone ed uno sperone si spinge sulla sinistra oltre il ponte stesso. Quivi sono ricoperte da detrito recente, mentre il pliocene non si sviluppa che un po’ più avanti sulla sinistra per andare a Luzzi. Sulla sinistra sponda ed in uno dei punti più elevati della Serra Filetta al Casino del Principe, che si può vedere anche dalla stazione ferroviaria di Luzzi, si sviluppa stupenda forma- zione calcarea. E un calcare durissimo compreso colle rocce gra- nitoidi e contiene oltreché granati rossi e verdi, qualche idocrasio e bellissima calcite bianca e rosea, ancora mica verde ed argen- tina, in minutissime laminette, feldispato, quarzo, pirite, ofite e grani gialli, che ancora non ho potuto determinare. Pure per questo calcare, che trova qualche cosa di analogo anche nella catena littorale, è necessario uno studio accuratissimo e sono persuaso potrà dare importanti risultati sotto 1’ aspetto mi- neralogico. A Luzzi (372 m.) si manifestano le chinzigiti, coperte in ta- luni punti dagli schisti quarziferi, che alla loro volta spariscono sotto le sabbie plioceniche ricchissime dei fossili più comuni dei terreni più recenti. Sopra Luzzi nella contrada Rovezzi altra massa calcare si trova nel dominio delle rocce cristalline : interrotta da quella del Casino del Principe per mezzo del torrente Riscioli, si di- rige dalla parte di Rose fino a Serra del Quarto verso il tor- rente Gidora. È un calcare saccaroide cenerognolo-bianco, e come eccellente pietra da calce è adoperato tanto da quei di Luzzi, che dagli altri di Rose, sebbene la parte bassa di questa ultima borgata consti di calcare schistoso impuro di color azzurro oscuro con venature di bianca calcite, che talvolta divengono così grosse da predominare nella massa come si può vedere a Sud di Rose, dove l’acqua detta le Fontanelle attraversa questa formazione : fre- quenti cristalli di pirite si veggono anche in questo calcare. - no - Prima d’ arrivare a Pose sulle sponde del torrente, discen- dente da valle Cersita, che corre a Nord del paese, la formazione j scliistosa si sviluppa, si abbassa verso il Orati e qui viene rico- perta dall’ argille plioceniche fossilifere. Dal basso all’ alto abbiamo : 1° Scbisti talcosi cinerei che sembrano calcari. 2° Scbisti antracitiferi con alquanta ocra di ferro, che svi- ; luppansi nella loro massima potenza sulla sinistra di quel corso d’ acqua. 3° Talcoschisti e scbisti azzurri che colla loro decompo- sizione danno una bellissima colorazione a tutti quei valloni circostanti. Superiormente trovansi poi ancora i micaschisti e talcoschisti con pirite, che con la sua decomposizione origina il solfato di ferro, che viene portato via dalle acque che corrono fra quegli straterelli, ragione per cui quella località si chiama la Cava del vitriólo. Questa formazione schistosa però poco elevasi sopra il tor- rente e viene ricoperta da sabbie gialle, sopportanti altre bian- chicce, e queste un conglomerato a grossi elementi, sul quale è fondata la sconnessa e screpolata borgata di Rose (433 m.), limitata fra due profondi burroni e colle case tutte puntellate. Il vicino Castiglione (413 m.) presenta le stesse infelicissime condizioni nei suoi miseri abituri, costruiti però sopra sabbie plioceniche, che ricoprono a monte i micaschisti, e che da qui si spingono fino sulla sponda destra del Crati, presentando burroni orribili a picco, ed il sentiero correndo tutto su sabbie sciolte. : Scendendo da Rose verso S.O. si cammina per buona pezza j sopra conglomerato, che lascia luogo alle sabbie prima d’ arri- j vare alle Fontanelle. Sopra gli schisti quarziferi, che formano ora tutto il versante fino oltre Castiglione Cosentino, si mette il calcare azzurrognolo già menzionato, ricchissimo di pirite. Il sentiero sale ertissimo sopra sabbie plioceniche, assai ricche di fossili, ma esso cambia continuamente di direzione e di posto per gli smottamenti continui delle formazioni terziarie, sulle quali P uomo non lascia crescere filo d’ erba. Gli schisti si ma- nifestano solo nell’ alto col far capolino qua e là dalle sabbie od . anche sulle sponde dell’ Arente, al quale s’ arriva ben presto e che ! - Ili - corre come la maggior parte elei torrenti calabresi in larghissimo letto : però qui sono queste formazioni molto ritirate ad Est. Gli schisti divengono, a mano a mano che si procede nella direzione di Cosenza, sempre più ricchi di quarzo, che finisce col costi- tuire grosse vene ed intieri letti : vi predominano schisti alquanto cloritici e schisti azzurri ; sopra di questi in un valloncello sulla destra sponda si distende un lembo calcare, staccato da quello di Rose, ad un’ ora forse dal sito dove il sentiero attraversa l’ Arente. Le due sponde sono costituite da conglomerato, che forma basse colline, sulle quali si porta il sentiero non tanto ripido, ma sempre da capre, e solo alla sommità dello spartiacque fra F Arente e piccolo valloncello che segue s’ incontrano le sabbie fossilifere analoghe a quelle dell’ altro versante. Appena al tor- rente Valle la Pantana i micaschisti fanno nuovamente capolino dalle sabbie plioceniche : sono molto contorti, alquanto lucenti e quarziferi ; s’ elevano maggiormente sulla sinistra, ma poi scom- paiono nuovamente ricoperti dalle solite sabbie. Ricompariscono al seguente piccolo vallone e continuano per buon tratto lungo il sentiero che conduce a Castiglione : sulla sua destra nulla si vede all’ infuori delle potentissime sabbie, che scendono fino al Orati. Coi micaschisti grigi alternano altri verdognoli, che all’ al- tezza della fontana di Castiglione sopportano già le sabbie gialle alternate con straterelli di ghiaia ed altri di ciottoli discoidali, su cui è fondata come sopra coltello la povera borgata. Le sab- bie hanno qui la potenza di oltre 200 metri, sono prive di fos- sili nella parte superiore, ricchissime nella parte inferiore, dove cedono il posto alle sabbie marnose, scendono a perpendicolo nel Crati e $i continuano fino a Cosenza ed oltre. Cosenza (215 m.), capitale della Calabria Citeriore, è co- struita nel fondo del mezzo ellissoide formante il Vallo, sopra le stesse sabbie gialle, che prima abbiamo incontrato : da queste però affiora nella stessa città in parecchi punti il gneis, che forma d’ ora innanzi F ossatura di tutte quelle montagne. La chiesa di San Francesco di Paola, che s’ incontra appena entrati a Cosenza da questo lato, è fabbricata sopra uno scoglio di questo gneis, contro il quale batte il Crati prima d’ unirsi al Busento sotto della città. - 112 - Ritornando addietro nella discesa di Castiglione troviamo che sotto gli schisti, i quali qui si mostrano per P ultima volta in uno sperone avanzato ad occidente di San Benedetto, ricoperti da conglomerato in magnifiche terrazze, separate da profondi burroni, compariscono i gneis, che formano tutte le erte pendici di San Pietro in Guarano, di Celico, di Spezzano Grande, di Spezzano Piccolo, spingendosi qui dal nucleo centrale della Sila, per ricevere sopra in appresso la zona delle pietre verdi. Nel vallone di Acquaferrata, che scende da Cona d’ Aria nella regione Costantinopoli, sulla sua sinistra sponda dalle chinzigiti, che di nuovo qui si trovano accompagnare i gneis, sgorga abbon- dante zampillo di acqua sulfurea ferruginosa. I gneis sono stupendi, consistenti, oscuri, cogli strati incli- nati ad Ovest colla direzione da N.E. a S.O. : alternano con essi straterelli o filoncelli più chiari, rassomiglìanti alla tonalite, dai quali vengono attraversati in tutte le direzioni. Fra questi gneis passa la strada, che da una parte va da Spezzano Grande (835 m.) a Celico (805 m.) e fino a San Pietro in Guarano, e dall’ altra per la Sila fino a San Giovanni in Fiore. Questi gneis sono assai ricchi di un feldispato triclino bel- lissimo, che forma con mica bianca in piccolissima quantità e quarzo una pegmatite, la quale all’ apparenza esterna si potrebbe prendere per una roccia formata da quarzo e sillimanite. La su- perficie di questo plagioclasio presentasi come damascata, ciò che potrebbe dipendere dalla connessione di due feldispati, d’ un ortoclasio e d’ un albite, o d’ un ortoclasio e d’ un oligoclasio, giacché sotto il microscopio non apparisce che quarzo siavi inerente. Conglomerato granitico ricopre queste rocce, sulle quali stanno ancora la elevatissima Altavilla, Lappano, Zuppano, Rovito : solo a San Benedetto (494 m.), come abbiamo già osservato, la for- mazione schistosa è ricoperta dalle sabbie terziarie con letti di ciottoli. Fra Casole e Spezzano Piccolo (721 m.) nelle vene di quarzo, che numerose compariscono fra i gneis, abbiamo minu- tissimi cristalli di tormalina. I gneis non sempre si vedono ricoperti dagli schisti, i quali solo nel vallone del Crati sotto Aprigliano (857 ni.) prendono nuovamente grande sviluppo. In questo largo burrone abbiamo 113 - dall’alto al basso: schisti grigi, schisti verdognoli, schisti clo- ritici, finalmente schisti antracitiferi, che probabilmente sono coricati sulla formazione della zona delle pietre-verdi , che qui in alcun punto non compariscono, mostrandosi solo nell’ alto la formazione gneissica della stessa natura delle rocce di Acri. Assume il gneis quella fìsonomia nelle vicinanze di Spezzano e facendo un arco rientrante ad oriente, dopo aver formato la base di Casole, si dirige a Pietrafitta, a Figline, a Cellara, e mostrandosi in tutto il suo sviluppo a Mangone ed a Santo Ste- fano, si spinge oltre la grossa borgata di Rogliano (827 m.) verso Marzi e Beisito sulla sponda destra del Savuto. Aprigliano è disteso sulle pendici di una collina di micaschisti e di schisti alquanto gneissici, tagliati dalla nuova strada, e di- viso'in una serie numerosa di frazioni, chiamate Rioni, ai quali dal Orati, che scorre sotto come piccolo torrente, si ascende per ertissimo sentiero. Sono aggruppamenti di case, dei quali i prin- cipali sono: Vico, Petrone, Curti, Agosto, Santo Stefano, Peta- lina, Le Pera (colla casa comunale), Guano (coi carabinieri), Pe- traro, Gruppa, ec. Gli schisti su cui sono costruiti questi rioni sono molto ricchi di feldispato bianco e di mica argentina. Sopra questi schisti, talora un po’ talcosi si stende fra i rioni Vico e Petrone una massa calcare, tagliata dalla strada, diretta da Est ad Ovest. È un magnifico calcare bianco niveo a grana minutissima, attraversato da qualche vena azzurrognola, talvolta rossastra, in molti punti mescolato agli schisti ed al quarzo. Non rinvenni in questa massa la pirite, che si trova nella maggior parte dei calcari primitivi della Calabria, nè fossili mi si appalesarono. Nu- merose masse calcari abbiamo nella zona di cui stiamo trattando, di natura molto differente da quella di Aprigliano, che hanno invece qualche lieve rassomiglianza con quella del Casino del Principe sulla sponda sinistra del Mucone. Una di esse si sviluppa dall’ alto di Spezzano Grande fino a Spezzano Piccolo : è un calcare molto impuro, compattissimo, selcioso, quindi durissimo, ottimo per pietra da costruzione, con- tenente cristalli verosimilmente di spinello e che abbisogna an- cora di studio per la completa determinazione. Analoghe masse, sebbene meno estese le troviamo sempre sopra le rocce cristal- line e fra di esse constratificate lungo la strada che da Casole - 114 - conduce a Pedace nella, località denominata Ciccerata, sulle sponde del Cardone, a monte di Pietrafitta, sopra il vallone Fe- trera fra Aprigliano e Mangone in diversi lembi, nell’ alto Sa- vuto, ove questo calcare che ha V aspetto in taluni punti come di una roccia granitoide, a somiglianza di quello della Ciccerata, si trova assieme ad una bellissima calcite azzurra con purissime stallatati bianche. Da Aprigliano al Cardone troviamo gli schisti argillosi e ros- signi, che sotto passano agli antracitiferi lucenti, coprire com- pletamente i gneis, mentre lungo il Cardone, incassato fra le più belle rocce cristalline, sono i micaschisti che ricoprono le chin- zigiti, le dioriti ed altre rocce granitoidi alternanti ancora con banchi di calcare antichissimo, da attribuirsi assieme alle rocce summenzionate alla zona delle pietre-verdi. Va notata special- mente una di queste dioriti in decomposizione, ricca di pirite, in strati fra i gneis sulla sponda destra del Cardone sotto Ma- glie : essa alterna con banchi di calcare impuro, assai ricco di minerali, e con grosse vene di feldispato accompagnato da larghe foglie di mica nera. Quattro masse calcari sulla destra, delle quali due sole si spin- gono sulla sinistra mostrano la stessa fìsonomia del calcare del Casino del Principe. In una varietà, però* alquanto saccaroide e bianca, si trovano rarissimi cristalli di color bruno di garofano e che sembrano veri spinelli. Questo calcare sciolto nell’ acido cloridrico mostra certi piccoli aghi polarizzanti, non colorati, oltre a certi grani che non sembrano quarzo perchè non danno una perla pellucida trattati con carbonato di sodio. È fenomeno non raro che si trovino vari minerali microscopici nei marmi, nei quali compariscono ora P uno ed ora V altro : i calcari calabresi sopì a gli altri meritano in questo riguardo uno studio speciale, nè du- bito punto che chimico e mineralista saranno largamente com- pensati delle loro ricerche e dei loro studi specialmente nei cal- cari delle falde occidentali della Sila ed in quelli della catena littorale. I cristalli di color bruno di garofano sono infusibili, sotto il microscopio polarizzante si mostrano isotropi, qualità che be- nissimo convengono allo spinello ; senonchè la loro polvere ri- scaldata su lamina di platino con soluzione di cobalto non di- viene distintamente azzurra ; però ciò può benissimo provenire 115 - dalla piccola quantità adoperata, avendo trovato solo due fram- menti di cristalli di quella sostanza, che sarebbe necessario avere in maggiore quantità- per poter fare una prova anche relativa- mente alla densità per riempire così del pari questa lacuna, che assieme alle molte altre debbo lasciare agli studiosi di queste regioni, chiamandomi per parte mia ben soddisfatto, se queste mie povere note potranno servire ad essi di guida. Gli schisti si tengono sempre alti e si spingono fin là dove allo sperone Petrone il Fiumicello mette nel Cardone, che qui prende la direzione quasi a Nord per ripiegarsi nuovamente ad oriente fino alla sua origine. Colle chinzigiti e coi gneis nella parte alta del Fiumicello, che scende da Tenna, troviamo roccia magnifica finora non rin- venuta in alcun altro sito della Calabria e per quanto le mie deboli cognizioni petrografiche me lo consentono credo non fu trovata in nessun altro luogo. Essa è composta di quarzo, mica, granato e sillimanite, una modificazione forte di gneis, ma man- cante assolutamente di feldispato. La sillimanite, che finora fu trovata soltanto in America, ora sarebbe anche in Calabria, ma solo come elemento collegante in bellissime fibre ondulate che rendono la roccia magnifica. Esaminato attentamente il giacimento per vedere se questo raro minerale si trovasse in vene, in fìlon- celli o formasse .noduli per entro la roccia^ che si sviluppa con- siderevolmente lassù, ne rimasi completamente deluso. Deside- rava scoprire, se fu la sillimanite di questa regione, che avea somministrato all’ uomo preistorico il materiale per formare le azze, che non infrequenti si trovano in Calabria di questa so- stanza. Ricerche ulteriori e più accurate di quelle che io abbia potuto fare sulla parte alta o fra gli strati di quella importan- tissima formazione potranno affermare o negare l’ esistenza in essa di parti isolabili di sillimanite e portare alla soluzione del problema che m’ era proposto. In ogni modo la sillimanite come elemento collegante in questa bellissima roccia non ci dà diritto di creare una nuova denominazione, motivo per cui la chiame- remo col nome di schisto micaceo con granato e con sillimanite. Altra sillimanite in maggior abbondanza, mescolata con quarzo e poca mica, si trova nella Calabria meridionale presso il Campo- santo di Monteleone, anche qui come nel Cardone, nelle stesse re- - 116 - lazioni colle chinzigiti, colla differenza che questa non contiene granato ed origina quindi uno schisto micaceo con sillimanite. A primo entro, giudicando dal grado di untuosità di questa j roccia, si direbbe che al quarzo fosse mescolato il talco, ma I procedendo all’ analisi si riconosce che quelle belle strie finis- j sime ed ondulate di sostanza bianca sono di sillimanite, perchè il minerale diviene azzurro colla soluzione di cobalto. Se 1’ uomo preistorico non avrà tratto il materiale pei suoi oggetti litici di sillimanite da quel giacimento, è però molto pro- babile che altra formazione analoga nella zona delle pietre-verdi , così ricca per varietà di roccie nel Monteleonese, gli abbia som- ministrato questa sostanza, trovandosi il maggior numero di armi e di strumenti di tale materia in quelle regioni. Della bellezza delle chinzigiti del Cardone, della loro decom- posizione, degli interclusi di feldispato triclino decomposto, e delle particelle verdi non cristallizzate di pinite, abbiamo già parlato nella enumerazione delle chinzigiti della Calabria settentrionale. Le roccie cristalline dell’ ultima zona trattata, da San Pietro in Guarano fino ad Aprigliano, quasi costantemente spariscono sotto conglomerato granitico disteso sopra le sabbie. Da Rogliano (627 m.) fino a Tiriolo, abbiamo quasi costan- temente i micaschisti e gli schisti argillosi micacei, che alternati spesso con schisti grigi e carboniferi, ricoprono tutte le altre roccie primitive. Carpenzano (620 m.), Soveria Mannelli (798 m.), Carlopoli (970 m.), Cicala (810 m.), stanno sopra queste roccie ed i colli dei comuni che si spingono fino a Nord del Monte di Tiriolo, sono tutti di micaschisto nei loro contorni. Queste roccie primitive si collegano a S. 0. da Rogliano a Tiriolo da una parte cogli schisti della catena littorale fra Carpenzano e Scigliano, e dall1 altra con quelli del gruppo del Reventino, fra Soveria Man- nelli e Tiriolo. I bianchi micaschisti di Cicala, tanto ricchi di mica, sono sopportati da schisti carboniferi molto sviluppati, con stratifica- zione quasi orizzontale, sopra un magnifico calcare lamellare venato, sotto al quale compariscono le roccie ofiolitiche, il ser- pentino cioè, ricoperto dalle oficalciti, le quali roccie poi dal vallone Yentrieri, facendo potente piegatura a Sud si sviluppano in tutta la loro potenza sulle sponde del Corace a Gimigliano. - 117 — Ma mentre sulla sponda destra del torrente Ventrieri, che corre sotto Cicala, il calcare sopra menzionato si mostra di 10 m. circa di potenza, sulla sinistra si eleva assai di più prendendo la direzione di Carlopoli coll’inclinazione a Nord e colla dire- zione da Est ad Ovest, alternato qui coi cloriteschisti, che man- cano sulla destra. Da Cicala abbassandosi nuovamente la forma- zione serpentinosa sotto la strada per Cosenza, ricoperta dai micaschisti di San Pietro Apostolo e di Serrastretta, ricompare al Reventino, e di là ancora si dirige alla catena littorale, dove, come vedremo, presenta considerevole sviluppo. Dirigendo il passo da Cicala a Gimigliano vediamo far ca- polino le roccie granitoidi in forma di gneis granitico bianco e carnicino, che s’ abbassa fino al Corace per elevarsi sulla sua sinistra sponda a formare dossi bizzarri, sopra uno dei quali, il più basso, sta la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, nella località Porto. Sotto corre il Corace, piano, placido in un bacino che in un periodo di molto posteriore al primitivo, al secondario e ad alcune formazioni anche del terziario, deve essere stato un vasto lago, esteso fino a Nord di Gimigliano fra Ferraro e Monte, dove ancor oggi possiamo vedere ricco deposito di sabbie ar- gillose terziarie e di argille, che si spingono fino a coprire la diorite porfirica, molto analoga a quella delle fìumarelle di Ca- tanzaro, che forma il dosso elevato, a cavaliere di Gimigliano Soprano dalla parte del burrone di Acqua Bollita. Questa dio- rite porfirica si estende al di là di quel dosso fino al colle della A olpe nella parte alta della regione San Biagio con predomi- nio di quella a tinta rossigna. Sopra di essa ancor prima di co- minciare la discesa il calcare, che troveremo estesissimo nel basso, imprende il suo sviluppo e passa a stendersi anche sul- l’ altro versante del burrone. È assai rassomigliante a quello dello Stelvio nelle Alpi valtellinesi, quindi appartenente agli strati più antichi del Trias, senonchè nella discesa al Melito, lo troviamo in potenti banchi sulla sua sponda destra ed in forma di grosse lenti ancora fra gli schisti anche sulla sinistra, e come calcare cristallino e con tutta la fisonomia del calcare primitivo, probabilmente dell’ epoca carbonifera. Oltrepassato il dosso di Acqua Bollita nella direzione di Ci- cala grosse frane nelle masse schistose, che si veggono al basso, - 118 - sopportate dalle formazioni cristalline più antiche, lasciano ve- dere ancora una volta la diorite porfirica. Gli schisti, che sono argillosi e grafitici pulverulenti, si ripiegano a formare vari mam- melloni, che sovrastanno al bacino Ferraro. Anche nel burrone di Acqua Bollita troviamo gli stessi schisti assieme ai filladici lucentissimi ed ai gneissici che vediamo ancora dall’ una e dal- p altra parte del Melito. Divengono più cristallini questi schisti nella parte altissima della sponda sinistra del Melito, dove s ar- riva percorrendo da Catanzaro la strada di conduttura dell’ acqua fino al Visconte, dove ha origine la Fiumarella: terreno erratico li ricopre prendendo la via accennata di Catanzaro, ma ben tosto sulla destra si veggono distesi gli .schisti carboniferi, i quali passano poi anche sulla sinistra a ricoprire quelle dioiiti mi- cacee, che abbiamo già veduto presso Pentone, e che costitui- scono quasi intieramente lo spartiacque fra il Corace e 1 Alli. I primi dossi che si presentano allo sguardo nella discesa al Visconte, sono mammelloni arrotondati di queste roccie diori- tiche in tale stato di decomposizione, che si direbbe quasi di trovarsi in zona di terreni recenti. Queste dioriti micacee, che, qua e colà assumendo il quarzo, vanno trasformandosi in gneis dioritici e poi in veri gneis in decomposizione, sono sopportate da roccie schistose . azzurro- verdognole con straterelli e nuclei di altre roccie schistose nere, come puossi vedere proprio al Visconte all’ origine della Fiumarella, dove adunque abbiamo dal basso all’ alto : 1° Roccie schistose azzurre verdognole alternate con stra- terelli e nuclei di altre roccie schistose nere. 2° Potentissimi banchi di diorite micacea, che si trasforma in gneis dioritico e poi in vero gneis, ma per lo più in decom- posizione. 3° Schisti carboniferi, consistenti in schisti micacei oscuri e schisti neri, ricchissimi di noduli e di vene di quarzo, ed in schisti grafitici, talvolta antracitiferi. Questi schisti del carbonifero, formano il mantello di tutti quei primi speroni di montagne fino nelle vicinanze di Ponte- grande, non presentandosi che qua e colà qualche lembo staccato di calcare, analogo a quello che vedremo formare il cappello del Monte di Tiriolo. - 119 - Nella parte più elevata di questo altipiano che torreggia in faccia a Gimigliano, vediamo da una parte la immensa forma- zione serpentinosa di Gimigliano, che si estende dalla sponda sinistra del Melito alla destra del Corace, presentando le più stupende varietà di roccie ofìolitiche, e dall’ altra verso N. E. vediamo le formazioni terziarie più recenti che concorrevano a formare il bacino recente più sopra menzionato. Però fra Fer- raro e 3R>nte, questi depositi terziari più potenti assumono un colorito rosso, . analogo a quello delle terre siderolitiche, e rico- prono totalmente le formazioni primitive consistenti qui in schisti grigi filladici alquanto lucenti, che alla loro volta sono coricati sopra la diorite porfirica più rossa di quella del Colle della Volpe. Più avanti passano sopra alcuni cloriteschisti e schisti micacei, che spariscono sotto le solite sabbie argillose assieme ad un cu- rioso conglomerato, formato da ciottolini angolosi fino quasi al fondo del burrone che mette nella valle del Corace, dove nuo- vamente manifestansi le stesse formazioni coll’ inclinazione a Sud e colla direzione da N.E. a S.O. Poco appresso sulle sponde del Corace e nel letto ricompare la formazione serpentinosa, che forma tutto il dosso elevato su cui stanno Gimigliano Soprano e Gimigliano Sottano, e si spinge^ ancora con considerevole sviluppo anche sulla sinistra del Melito che confluisce nel Corace al così detto Vuoto della Croce, dove i cloriteschisti hanno il loro pieno dominio. I bei serpentini mas- sicci, ma anche scheggiosi, presentanti liscie le loro superficie verdi-oscure, talvolta offrenti V aspetto per effetto secolare delle acque di cupole tondeggianti, sopportano potentissimi strati di oficalciti delle più belle varietà, e queste alla loro volta soppor- tano i cloriteschisti, ricoperti dai micaschisti, constratificati, ta- lora con calcari, che altre volte in forma di lenti in essi sono compresi. Non è un rapido passaggio che fanno queste roccie 1’ una nell’ altra, ma passano invece per mezzo di sfumature così delicate che la nostra volontà è tentata più a vedere in questo fatto V azione del metamorfismo che la successione della serie di roccie menzionate, che costantemente troviamo in questa ma- gnifica formazione serpentinosa ed in qualche altra della stessa Calabria settentrionale, come in quella del secondo gruppo del Reventino ed in quelle di Corica e di Lago nel terzo gruppo - 120 - di montagne, in cui abbiamo diviso tutta la Calabria setten- | trionale. Nello studio dei serpentini e delle roccie che li accompa- gnano, molti geologi si ruppero il capo, e se lo rompono tutto giorno, sia riguardo alla loro composizione, alla loro costitu- zione, alla loro formazione, al modo con cui si formarono, sia ancora per rispetto all’ epoca di loro formazione. Anzitutto prima d’ entrare nell’ argomento dell’ epoca di loro formazione, è da rilevarsi un fatto abbastanza importante, perchè generale nella Calabria, che tutti i suoi serpentini hanno una densità maggiore della più grande assegnata per quelli degli altri paesi. L’ aver ottenuto per vari campioni di serpentino di Gimi- gliano un peso specifico costantemente maggiore del limite mas- simo accordato dal Bombicci per questa roccia, che secondo l’ il- lustre mineralista di Bologna sarebbe di 2, 60, ‘andando appunto la densità, secondo lui, da 2,47 a 2,60, fece in me nascere il sospetto di un errore nei miei calcoli, sebbene questi ricevessero conferma nelle densità date per questa roccia da altri autori. Procedetti allora all’ esame dei pesi specifici dei serpentini delle varie altre formazioni ofìolitiche da me visitate ed ebbi il ri- sultato finale che i diversi serpentini della Calabria aveano la densità loro che andava da 2,611 a 2,634, offrendo una sola varietà del Beventino, quella di 2,558, ma d’ altra parte devo aggiungere che una roccia serpentinosa di Gimigliano mi pre- sentava pur anco la rilevante densità di 2,805 : il minimo peso specifico adunque dei serpentini della Calabria settentrionale sa- rebbe, secondo me, più grande dei maggiore dato per essi dal Bombicci. 1 Volli allora dettagliatamente esaminare le varie den- sità date per le diverse varietà di serpentino da autori stra- nieri, e trovai che secondo il Websky2 esse vanno da 2,3, pre- sentata da una varietà dell’ isola Calumet nel Basso Canadà, che sarebbe la retilanite di color giallo di cera, fino a 2,787 diesi * Bombicci, Corso di Mineralogia, voi. II, parte 2*, pag. 770. 2 M. Websky, Mineralogische Studien — Eine Sammlung wissenschaftli- cher Monographien — Erster Theil: die Minerai- Species nach den fùr das speci- fisches Gevncht derselben angenommenen und gefundenen Werthen, pag. 24, 27, 32, 38 e 63. Breslavia, 1868. - 121 - riscontra nella bowenite di Rhode-Island. Infatti esaminando gli studi relativi ai pesi specifici dei vari serpentini, fatti da autori stranieri, possiamo dare il seguente quadro : la retilanite di color giallo di cera, varietà dell’isola Ca- lumet nel Basso Canadà, secondo Kenngott, 1 da 2,362 a 2,381; la vorhauserite di Fassa in Tirolo, secondo Rammelsberg,2 2,45, e secondo lo stesso autore, la retilanite del Canadà da 2,476 a 2,525; il serpentino in generale, secondo Dana,3 da 2,50 a 2,65; il serpentino nobile, di Fahlun, secondo Rammelsberg,4 2,53; il serpentino di Tlam nel Canadà, secondo Kenngott5 2,546; il serpentino dello Zermatt, secondo Rammelsberg6 da 2,548 a 2,553 ; secondo lo stesso, il serpentino delle miniere di rame di Talov negli Urali 2,55, e del lago AusGhkul, pure negli Urali, 2,57 ; il serpentino in generale, secondo Naumann,7 da 2,5 a 2,7 ; la williamsite di Westchester, nella Pensil vania, secondo Rammelsberg, 8 da 2,59 a 2,64, e per lo stesso, la bowenite di Rhode-Island, da 2,594 a 2,787 ; il serpentino di Orford, nel Canadà, secondo Kenngott,9 2,597, e per pn altro della stessa località, secondo il medesimo au- tore, 2,622; il serpentino di Villa Vota alPo, secondo Rammelsberg, 10 2,644; e finalmente, accennando anche ad una varietà di roccia serpen - linosa, contenente labradorite, nella contea di Glatz, secondo Rammelsberg,11 2,912, enorme densità dovuta certamente alla 1 Dr Adolph Kenngott, TJébersicht der Resultate mineralogischer Fov^ schungen , pag. 57. Anno 1858. 2 C. F. Rammelsberg, Handbuch der Mineralchemie, pag. 525. Leipzig, 1860. 3 Edward Salisbury Dana, A Text-book of Mineralogy , pag. 328. New- York, 1878. 4 Opera citata, pag. 527. 5 Lavoro citato, pag. 57. 6 Opera citata, pag. 527. 7 Dr Carl Friedr. Naumann, Elemente der Mineralogie , pag. 258 della 5a edizione e pàg. 274 della 6a edizione. Leipzig, 1864. * Opera citata, pag. 525. 9 Lavoro citato, pag. 57. J0 Opera citata, pag. 525. 11 Opera citata, pag. 530. 9 - 122 - labradorite contenuta, giacché per essa il peso specifico non è mai inferiore a 2,61, raggiungendo perfino la cifra di 3 per una varietà del Mont Genèvre, secondo lo stesso Rammelsberg. 1 A questi risultati aggiungo i miei, pei serpentini della Cala- bria settentrionale, anche per le varietà che passeremo in rivista in appresso degli altri due gruppi di montagne: una varietà di serpentino che costituisce il Monte Roven- tino coi suoi satelliti, mi diede il peso specifico 2,55879; il serpentino di Lago sotto Monte Cocuzzo, 2,6113; il serpentino di Gimigliano, 2,6127; il serpentino di Confiditi, che apparterrebbe ancora al gruppo del Reventino, 2,6269 ; il serpentino della catena littorale dei monti presso Mon- grassano, Giogiu e Lauro, 2,6295; il serpentino del Dosso Mundo, sopra il Collegio di San De- metrio Corone, sponda destra del Crati, falde settentrionali- orientali della Sila, 2,6344; la roccia serpentinosa coll1 apparenza quasi di pietra ol- iare, senza però esserlo, e che si trova entro ai serpentini di Gimigliano, sulla sponda destra del Corace, 2,805. Messi a confronto questi risultati con quelli degli illustri au- tori sopra citati, ne trassi conforto nelle mie ricerche, e venni quindi a quella serie naturale di conseguenze che si possono dedurre dal fatto costante di questa fortissima densità presen- tata dai serpentini calabresi, e tanto più vi fui spinto in quanto che per altri materiali i miei risultati concordavano con quelli del Bombicci, in modo da escludere quindi qualunque dubbio sull1 esattezza dei risultati da me ottenuti anche pei serpentini, non potendovi esistere neppure quella divergenza costante di metodo di esperienza. È naturale quindi che noi dobbiamo pensare alla pressione sofferta da quelle masse serpentinose dopo l’epoca nella quale si depositarono; alla profondità nella quale si fecero quei de- positi e nella quale si trovarono anche in seguito con formazioni potentissime sovrastanti; alla temperatura, alla quale si sono costituite, e forse più di tutto questo al movimento molecolare 1 Opera citata, pag. 596. - 123 — al quale queste masse andarono anche in seguito soggette. Ma oltre queste cause, altre e più dirette si presentano alla mente dello studioso; essenziale quella di vedere a quali sostanze me- scolate nella massa serpentinosa si devono quei forti pesi spe- cifici dei nostri serpentini in confronto di quelli di molti altri paesi. La differenza nella densità dei serpentini di tutta la terra dipende primieramente dal fatto che i serpentini non possono essere mai una sostanza primaria , ma sempre secondaria , pro- dotta, cioè dalla decomposizione di amfìboli, di miche, di cri- soliti, ec., o meglio di roccie amfiboliche, micacee, crisolitiche, ec. cioè di roccie, che sovente non contengono soltanto questi mi- nerali nominati, ma anche altre particelle accessorie, quali la magnetite, la pirite, la cromite, ec. od almeno alcuni minerali che contengono ferro, cromo, ec. È naturale che una mescolanza metallica di tal genere debba occasionare una diversa ed au- mentata densità nei serpentini : aggiungasi che la maggior parte di essi è ricchissima di diallaggio, il cui peso specifico va da 3,20 a 3,35 secondo Dana,1 e da 3 a 3,34 secondo Websky. 2 Oltre di ciò, quando si parla di un serpentino, bisogna guardare in quale stadio di decomposizione noi troviamo per accidente T una o 1’ altra delle sostanze, che è in procinto della metamor- fosi in serpentino, in quale stadio di metamorfosi trovansi le masse complessive di roccie che passano a formare i veri ser- pentini, giacché noi riteniamo i serpentini come trasformazioni di altre roccie. E perchè non potranno essere originati dai mi- caschisti, dagli schisti cloritici e dai talcoschisti? Non rinchiu- dono queste roccie, che nella Calabria settentrionale si presentano dovunque assai meno antiche delle masse serpentinose, quasi tutti gli elementi costitutivi del serpentino, in modo che noi non dob- biamo esigere la supposizione gratuita della nascita misteriosa d’ alcuna novella sostanza, per avere un vero serpentino? E la mica, per non parlare dell’ amfibolo o di altri minerali, che com- pare come una delle parti integranti delle roccie schistose e gra- nitiche, non fornisce essa sola più che non convenga quanto oc- corre per formare un serpentino? Edward Salisbury Dana, A Text-book of Mineralogy, pag. 261. New- York, 1878. a M. Websky, Mineralogische Studien etc., pag. 69, 81, 82, 89. Breslavia, 1868. - 124 - Mettendo a confronto la formula chimica dell’ una e dell’altro o meglio i risultati delle analisi chimiche chiunque ne resta convinto. Infatti, secondo Bombicci 1 abbiamo per la così detta muscovite : 5102 A1203 Fe2 *03 FeO MnO MgO K20 Na20 F e talvolta an- che CaO ed anche Ch ; e per alcune varietà di mica secondo il Dana :9 5103 A103 FeO MnO CaO MgO K20 (Na20), Si02 A103 -Fe03 FeO CaO MgO K20 Na20 Li20, Si02 A103 Fe03 FeO MnO MgO K20 Na20 (Li20) H20 F, Si02 Ti02 A103 Fe03 FeO MnO MgO CaO Na20 K20 H20, Si02Al03Fe03Mg0Na20K20H20 F CI ; mentre pel serpentino, secondo Bombicci, 3 abbiamo la formola generale : Si2 (Fe Mg)3 O7 + 2 . . 3 aq ; e secondo Dana/ pel serpentino: Mg3 Si2 O7 — i 2 aq, e pel crisotilo che è più ricco d’ acqua : H2 Mg3 Si2 08 h- aq. Ad evidenza si vede dalla tabella messa in vista che la tra- sformazione del micaschisto, e ciò possiamo dire anche per le roccie gneissiche e granitiche, in serpentino, non suppone che una novella combinazione di elementi già esistenti, quindi le roccie serpentinose non sarebbero altro, secondo me, che roccie sedimentarie antichissime, che subirono delle grandi metamorfosi. Forse questo mio modo di vedere intorno alle formazioni serpentinose, e più ancora quanto in appresso dirò pure sul modo di loro costituzione, di loro generazione per dimostrare che i 1 Bombicci, Corso di Mineralogia , voi. II, parte 2», pag. 808. * Edward Salisbury Dana, A Text-book of Mineralogy , pag. 290-92. New- York, 1878. » Volume II, parte 2% pag. 767. * Pagina 328. - 125 - serpentini sono roccie sedimentarie e non plutoniche, e sull5 epoca antichissima, alla quale dobbiamo assegnarli in tutta la Calabria settentrionale, mi procureranno critiche severe da parte di coloro che finora scrissero di geologia, e ben m’aspetto ogni modo di opposizione. Mi permetto però di osservare che in Calabria le roc- cie serpentinose per eccellenza sono quelle che naturalmente sug- geriscono questa dottrina, chiara apparendo dovunque la successione costante della serie di roccie prima ricordate, le quali, ripeto, per sfumature quasi insensibili passano le une nelle altre. È quindi in Calabria più che in qualunque altro paese che va studiata la questione delle roccie serpentinose ; è in Calabria che potrà fare qualche passo sulla via della soluzione il problema dei serpen- tini, che tanta importanza ha per la geologia in generale e per quella del nostro paese in particolare. L’ analisi microscopica e con essa 1’ analisi chimica apporte- ranno immensi vantaggi a questa questione tanto discussa dai geologi di tutti i tempi, e specialmente da quelli che vissero in questo ultimo secolo. Giacche con tutte le circostanze superior- mente enunciate è coerente anche la diversità relativa dei risul- tati dell’ analisi chimica dei serpentini, ma qui si presenta anche V impossibilità di concedere un nome speciale, un nome singolare per ogni stadio della metamorfosi dell’ uno o dell’ altro minerale iu serpentino. Pur troppo vi sono mineralisti, i quali non conoscono felicità maggiore di quella di regalare al mondo un minerale trovato con un nome nuovo, senza prima farsi lo scrupolo di compren- dere il bisogno, per amore della . scienza almeno, di esaminare, se il loro procedere sia giustificato appunto nella scienza ri- guardo ai minerali che a quello da loro trovato sono prossimi nei sistemi; allo stesso modo che in oggi i paleontologi si stil- lano il cervello per cercare nuove specie di fossili ed i geologi per creare nuove suddivisioni di terreni, all’ unico scopo, che raggiungono poi completamente e gli uni e gli altri, di allon- tanare la gioventù dagli studi delle scienze naturali, facendo trovare ai neofiti una fatica della memoria anziché un lavoro della mente. Così parlando di petrografia, io avrei potuto per le bellis- sime roccie che formano la base dell’ altipiano di Catanzaro, e - 126 - clie si trovano ancora alle sponde delle due Fiumarelle, e su per quelle si sviluppano, ricomparendo a Tiriolo ed in altri luoghi ancora, io avrei potuto per il loro colorito, per le magnifiche tinte clic presentano, per la grana più o meno fina che le costi- tuisce, per gli elementi componenti, per gli inquinanti, creare divisioni e suddivisioni, e presentare, anziché tre tipi principali, 15 o 20 specie di quelle roccie. Una di queste varietà avrei potuto chiamare porfido rosso, ma domani avrei dovuto ritirare questo nome dinanzi all’ analisi chimica, la quale mi dimostre- rebbe contenere quella magnifica roccia rossa, che tanto sviluppo ha sulle sponde della Fiumarella di Sant’ Agostino, e che in tanta abbondanza trovasi nei conglomerati, sembrando essa comparire anche in quelli di Reggio, in mezzo alla bellissima pasta oligo- clasica rossa dei cristalli di plagioclasio, ma anche cristalli di mica cloritiforme, dei cristalli di orniblenda e di augite assieme a granuli arrotondati di quarzo, e spesse volte la massa inqui- nata da piccole mosche di pirite. E quale risultato avrei io raggiunto chiamando porfido una roccia consimile, e formando altrettante specie delle varietà che essa presenta? Quello di por- tare la confusione nelle giovani menti senza giovare punto alla scienza. È vero che da qualche illustre scienziato ebbi il rimprovero di aver introdotto il nome nuovo di chinzigite per una roccia che abbiamo già veduta molto estesa nella Calabria e che finora pas- sava nel numero dei gneis e dei graniti. Ma se non l1 avessi già fatto da un anno, le ulteriori osservazioni e gli ulteriori studi mi imporrebbero oggi di strappare quella stupenda roccia a granati dal numero dei graniti e dei gneis. Infatti, come po- tremo noi chiamare granito, sia pure anche granatifero, o gneis granatifero una roccia, che essenzialmente è composta di oligo- clasio, bellissimo feldispato triclino, di mica e di granato? Dove abbiamo V ortoclasio, che manca assolutamente, potendo solo talora, ma molto raramente, essere intrecciato in piccole parti- celle coll’ oligoclasio, presentando il feldispato sempre magnifi- camente le striature gemelle parallele caratteristiche del feldi- spato triclino ? È vero che il quarzo qua e là si manifesta in qualche campione, ma non mai in tale quantità da poter dar diritto di denominare quella roccia granito granatifero o gneis - 127 — granatifero. E chi sa lo studio microscopico e V analisi chimica e le investigazioni spettroscopiche quante altre roccie strappe- ranno dal gruppo dei graniti e mostreranno essere quelle rocce nuove oppure di doverle collocare in altra divisione, in quella delle dioriti od in quella delle eufotidi ! La Calabria sotto questo riguardo colle sue infinite varietà di bellissime rocce offrirà al petrografo largo campo per le sue investigazioni. Certamente che alla cieca e senza un’ analisi sicura, senza il verdetto del Chimico, non creeremo nuovi nomi per rocce e specialmente per minerali, giusta le osservazioni esposte. Così per esempio i nomi di boiccnite , di willicmsite ed altri, che abbiamo già citati per alcune varietà di serpentini, pel mineralista e pel chimico non hanno oggigiorno alcun valore, se eccettuiamo quello semplice- mente di indicare delle varietà. Lo stesso nome di bowenite ci richiama a quello che superiormente abbiamo osservato di dare un nome ad un minerale o ad una roccia senza un1 analisi. Infatti, Bowen 1 descrisse come nefrite un minerale verde chiaro di Smithfield, Rhode-Island, quel minerale che poi Dana 2 chiama col nome di bowenite e che in seguito 3 dopo le ricerche di Smith e di Brusii, accordandosi nella composizione coi serpentini ed anche nella durezza, assai maggiore nelle nefriti, continuò a chia- mare col nome di bowenite, ma però come varietà determinata di serpentino. E chi sa quante rocce c quanti minerali passano nei musei e nelle collezioni come nefriti, e che saranno invece serpentini, otiti, crisotili, quarzi verdi, pseudofiti, picrosmine, saussuriti, Tangiwai-nefriti, Kawakawa-nefriti, e quanti altri che passano sotto il nome di serpentino o di qualcuna delle sostanze or ora menzionate e che saranno invece delle belle nefriti! Sulla questione dei serpentini, come abbiamo già osservato, moltissimi geologi si ruppero il capo e specialmente ora se lo rompono sullo studio di quelle così importanti formazioni. Quasi tutti vollero e vogliono vedere nei serpentini e nelle rocce con- comitanti, rocce emersone, rocce plutoniche, le quali si forma- rono quindi per emersioni che ebbero luogo a parecchie riprese durante tutta la serie delle epoche secondarie sino al principio ' Americ. Journal of Science, 34G. Anno 1822. 3 Dana, System of Mineratógy, 265. Anno 1850. * Ibidem, 465. Anno 1868. (5a edizione, 1875.) - 128 - della terziaria : quindi questi riferiscono i serpentini all’ eocene considerandoli del tutto recenti, quelli all’ epoca triassica ; non molti pensarono che essi sieno rocce stratificate recenti e po- chissimi rocce stratificate antiche. Il signor prof. Lory espresse abbastanza recentemente perfino questa idea « che i serpentini emersero passando proprio per le soluzioni di continuità della crosta terrestre prodotte dagli spostamenti che sono per quel- l’ insigne geologo la base della geologia delle Alpi.1 » Dissi che quasi tutti i geologi videro nelle masse serpenti- uose rocce eruttive : infatti tutti le ritennero tali ad eccezione di Palassou e di Virlet, che le giudicarono sedimentarie e di Charpentier che non volle però su di esse portare giudizio. La questione dei serpentini, come già abbiamo osservato, accennando all’ ipotesi della loro produzione, tale apparendoci in tutta la Calabria settentrionale, è della massima importanza non solo per la geologia delle Alpi e dell’ Apennino, ma per quella ancora di altre regioni. Converrebbe quindi studiare bene, molto bene queste formazioni e nelle Alpi e nell’ Apennino, prima di scrivere delle semplici monografie disgiunte, che finiscono sempre coll’ aumentare la confusione dei nomi e delle idee. Siccome però la questione è vivamente eccitata, specialmente ai giorni nostri, ed i pareri dei geologi grandemente opposti, prevalendo anzi ancora 1’ opinione affatto opposta a quella che io ho potuto for- marmi studiando sul posto le masse serpentinose calabresi, cioè che i serpentini sone rocce eminentemente plutoniche ed anche recenti, così mi sembra del caso di esaminare le masse serpen- tinose che sono comprese nel colosso silano, accennando breve- mente a quelle degli altri due gruppi di montagne, sembrandomi di poter dare sopra di esse interessanti indicazioni, che forse potranno arrestare i voli della fantasia dei geologi, colpiti da singolari rassomiglianze esterne. Dice quel potente ingegno che fu il Gastaldi che questo di vedere sempre Plutone nelle formazioni serpentinose « è 1’ errore nel quale generalmente caddero i geologi che studiarono i Pi-' renei e 1’ Apennino. » E ben dicea quel sommo giacche chiunque 1 Parole con cui l’ illustre prof. B. Gastaldi, in una lettera all’ ing. Zezi, espone T ipotesi del prof. Lory.— j Bollettino del lì. Cornilato Geologico , anno 1876, - 129 - sia venuto quaggiù ed abbia esaminato le varie formazioni ser- pentinose della Calabria settentrionale deve prendere il posto nel numero dei meno fra i geologi, isolarsi quasi dirò, perchè deve concludere : 1° Che le formazioni serpentinose in Calabria non sono secondarie e tanto meno terziarie. 2° Che queste formazioni invece sono antiche assai, sempre anteriori al carbonifero. 3° Che esse sono rocce stratificate. Veramente prima di venire ad affermare questi così impor- tanti principii avrei voluto rivedere tutte le formazioni serpen- tinose della parte superiore della provincia di Catanzaro e quelle del Cosentino, ma mentre mezzi e tempo, congiurando contro di me da un lato ed il trasloco improvviso dalla Calabria dall’ al- tro, m’ impedirono di realizzare i miei progetti, venne la fortu- natissima combinazione di aver trovato sotto ai serpentini di Gimigliano le rocce stratificate, le quali finirono col darmi corag- gio ed esporre le mie idee in proposito, in aggiunta ai cenni già fatti sui serpentini in generale. • ■ i lare un' occhiata ai giacimenti di tali formazioni in queste provincie meridionali, osservare le relazioni ed i rapporti stratigrafici colle rocce primitive, triasiche, giuresi e perfino cre- tacee, non mai però eoceniche, per concludere che i serpentini della Calabria settentrionale e le rocce verdi che li accompa- gnano non sono secondari e tanto meno terziari. Giacche un piccolo lembo di cretaceo superiore o turoniaho nelle vicinanze di San Mango d’ Aquino, permettendoci per un momento di oltre- passare i confini del cristallino della Sila e di entrare negli altri due gruppi, è sopportato dai micaschisti carboniferi, sotto i quali si sviluppano le formazioni serpentinose, che, arrivando da una parte Ila sponda sinistra del Savuto, riprendono il loro sviluppo anche sulla destra nella catena littorale, riappa- rendo agli scogli di Corica, ad un’ ora da Amantea, ed esten- dendosi poi potentemente su pel fiume di Lago fino alla borgata omonima, dove i serpentini ne formano la base. Se esaminiamo i vari affioramenti dei serpentini che nella stessa catena littorale si manifestano, nella parte superiore di Grimaldi e specialmente poi nelle masse da Cetraro a Serra della - 130 - Contessa, in vicinanza della località chiamata Pantano dei Monti, troviamo che un calcare giurese li ricopre in taluni punti, dove le formazioni del carbonifero furono distrutte. Abbiamo di più : la puddinga dell’ arenaria variegata del Ver- rucano che attraversa il Trionto proprio a Longobucco nel cen- tro silano, contiene pezzi di steatite e di schisto serpentinoso ; tale comparsa da sola' fa indurre a priori l’antichità delle for- mazioni ofiolitiche di queste contrade, dovendo noi ascrivere al Trias inferiore quella formazione per la grande rassomiglianza che ha quell’ arenaria con l’altra del Veneto, riferita dal mio egregio amico Taramelli appunto al piano del Trias inferiore. Tutti gli altri serpentini sopportano schisti cristallini o schi- sti inquinati di sostanze carboniose, o si trovano alternati colle dioriti, colle eufotidi, colle amfìboliti, colle chinzigiti, come av- viene per la zona già passata in esame di San Demetrio Corone alle falde settentrionali-orientali della Sila e come vedremo av- venire per altra zona nella catena littorale. Il fenomeno curioso degno di nota, se bene ho saputo rilevare, sarebbe poi che le chinzigiti, le quali nel Monteleonese in prossimità di Monte Rosso contengono mosche e straterelli di grafite, formano quasi dovunque il limite estremo superiore della zona delle pietre verdi. Ed i serpentini del burrone Ventrieri sotto Cicala, che ab- biamo già descritti, non mostrano anche essi di essere assai più antichi del carbonifero ? Se 1’ esposto mostra da una parte che i serpentini in Cala- bria non sono secondari e tanto meno terziari, serve altresì per quanto sembrami alla conferma del secondo principio, cioè che essi appartengono ad un’ epoca più antica della carbonifera, sop- portando quasi dovunque rocce riferibili a quell’ età, quindi iso- croni con quelli delle Alpi occidentali, tanto bene illustrati dal Gastaldi, e con quelli della Lombardia. Resta la terza e più ardua questione, che i serpentini sono rocce stratificate. Abbiamo già detto che dall’ altura sulla sponda sinistra del Melito si scorge intieramente la formazione serpentinosa di Gi- migliano, che forma tutto il dosso elevato che iA>rta la grossa borgata, divisa in due : Gimigliano Soprano e Gimigliano Sot- tano. Da questa elevazione il sentiero molto pericoloso scende - 131 a precipizio ed erto al grosso torrente Melito, che, muggendo fra magnifici massi di serpentino, di oficalcite e di cloriteschisto, esce dalla tremenda chiusa, le cui pareti rocciose s’ ergono per- pendicolari : è un burrone d’ erosione che il selvaggio torrente si aprì in mezzo a quella più selvaggia posizione. Nella parte superiore abbiamo micaschisti, sui quali e fra i quali si svilup- pano, come abbiamo già veduto, lenti e banchi di calcare bianco saccaroide e di calcare zonato, che, abbassandosi fino al letto dell’ impetuoso torrente, si stendono anche sulla sua sponda de- stra, sulla quale meglio che sulla sinistra si vedono nettamente le formazioni serpentinose messe a nudo nel modo che si se- guono, cioè dall’ alto al basso : 1° Micaschisti o schisti cristallini, sopportanti banchi cal- cari ed alternanti con essi ; 2° Cloriteschisti della potenza dai 40 ai 50 metri, com- prendenti strati di altri schisti di color verde carico, compattis- simi, solcati da vene di quarzo d’ un bianco cristallino a super- ficie liscia e non grossa, da rassomigliare alle vene di calcite, con vene più grosse di schisti epidotici di color verde giallognolo chiaro d’ una durezza sorprendente ; 3° Oficalciti che s’ incontrano anche nella discesa al tor- rente lungo T ertissimo sentiero ; 4° Serpentini in masse compatte di color verde oscuro con qualche macchia d1 un rosso sporco lucente, a superficie grassa, attraversati qua e colà da vene di tessitura fibrosa di crisotilo, a filamenti ondeggianti d’ un color bianco verdastro lucente ed argentato, che ricordano y asbesto e l1 amianto, che raramente là si possono vedere in fibre cortissime. Il tutto inclina ad Est, E.S.E. e S.E. colla direzione da Nord a Sud. Nè qui vedonsi altre rocce, come si può osservare nello spaccato annesso, che da qui si spinge oltre la sponda destra del Corace. Questa sezione, che attraversa il dosso su cui sta Gimigliano, se ho saputo bene comporla, deve riuscire di sommo interesse per tutti quelli che si occuparono finora e si occupano oggi- giorno di rocce primitive, delle rocce cristalline in generale e delle formazioni serpentinose in particolare, giacché gli strati di calceschisti argillosi che sulla destra del Corace sulle sponde del — 132 - piccolo rivoletto, che mette in esso, compariscono sotto i ser- pentini, mettono in sodo la questione che le rocce ofiolitiche di Gimigliano sono rocce sedimentarie e non eruttive, non emerso- ne, non plutoniche. L’alpestre borgata di Gimigliano, divisa in due frazioni, come abbiamo già detto, cioè Gimigliano Soprano (590 m.) e Gimigliano Sottano (510 m.) è sopportata da queste rocce: la prima poggia per la massima parte sopra i cloriteschisti, poche case giacciono sulle oficalciti e pochissime sopra i micaschisti che nella parte alta ricoprono quasi dovunque le rocce verdi; la seconda sta pure sopra dosso costituito dalle rocce prima enunciate ed i banchi di cloritcschisti, che scendono a perpen- dicolo nel Corace e che costituiscono la famosa Petra Juozzi, mostrano quanto sviluppo abbiano anche qui quei magnifici schi- sti verdi. Volgendo ad occidente scende ripido il sentiero al Corace, che scavò il suo letto fra le oficalciti ed i serpentini, incisi nel modo più bizzarro in forma di cupole, di nicchie, di calotte sfe- riche, da quelle impetuosissime acque, che scendono da Serra di Pirro. Lungo il sentiero che a zig-zag conduce a precipizio al basso s’ incontrano alcune cave di oficalciti, che somministrano il materiale per gradini, per stipiti, per mensole a tutta la Ca- labria. Esse variano da quella a grana finissima all’ altra quasi interamente composta di serpentino, e da quella a tinta quasi assolutamente verde all’ altra a tinta rossa colle vene di calcite candida che fanno i più curiosi intrecci. I serpentini a cui le oficalciti passano insensibilmente sono compatti, ma talvolta scheggiosi, schistosi a frattura quasi concoidale, coi piani di frat- tura o di schistosità in questo caso spalmati d’ una particolare lucentezza verde chiara, dovuta forse alla grande quantità di crisotilo che contiene quel serpentino, eminentemente diallaggico, oppure la lucentezza è bianca, dovuta forse alle fibre d’ amianto disseminato per entro quella massa. Il miglior amianto è com- preso negli schisti serpentinosi della così detta Cona delle Timpe a N.E. di Gimigliano Soprano ; ma le fibre sono corte e così che trovandone anche in quantità, ciò che io non credo possibile, non potrebbe passare in commercio con molta utilità. Nelle forma- zioni ofiolitiche del Paventino, le fibre sono alquanto più lunghe, — 134 - ma sono sempre assai inferiori alla lunghezza voluta di 35 cen- timetri per passare utilmente in commercio. I eloritescliisti e le oficalciti presentano nei loro strati, nei loro bellissimi banchi di considerevole potenza, una generale in- clinazione a S.S.O. con un angolo forse di 50°, e la direzione da Nord a Sud : sulle due sponde intanto nella parte alta si met- tono sempre i micaschisti. Si continuano le stesse relazioni stra- tigrafiche procedendo oltre a ritroso della corrente fino al punto dove le formazioni serpentinose spariscono sotto schisti o sotto terreni d1 alluvione. È impossibile portare il piede sulla destra 0 sulla sinistra sponda del Corace per arrivare a questo punto: vi si giunge prendendo il sentiero che s1 incontra appena pas- sato il ponte, e che s’ inerpica sulla destra sponda del furioso Corace. Giunti all1 altipiano lo si percorre per mezzo chilometro circa prima di scendere nuovamente ai fiume. Quivi sulle due sponde si vedono sotto i serpentini certe roccie schistose nere con vene bianche : sono calceschisti argillosi ricchissimi di vene irregolari di bianca calcite che conservano la stessa inclinazione e la stessa direzione che abbiamo veduto per le oficalciti e pei cloriteschisti nella discesa. Sulle sponde poi d1 un rigagnolo che mette sulla destra nel Corace alternano quei calceschisti argil- losi di color nero, molto lisci ed alquanto lucenti con qualche banco di altro calceschisto stupendo, che qui mi si appalesò per la prima volta in Calabria : è granuloso o per meglio dire in una massa cinerea attraversata da una fittissima rete di linee molto fine si veggono infiniti grani grigiastri più oscuri. Questo sorprendente schisto calcare argilloso fa grande effervescenza co- gli acidi, e lascia per prodotto argilla grigia e poca silice. Sopra 1 banchi di questa singolare roccia, attraversata ancora da re- golari vene di bianca calcite, se ne mettono altri privi di vene di calcite, che fanno pochissima effervescenza cogli acidi e che costituiscono quindi delle argille schistose molto antiche: sopra stanno i serpentini. In questa località importante, dove si risolve il terzo pro- blema, cioè che le rocce serpentinose in Calabria sono stratifi- cate, abbiamo dal basso all1 alto, come si può vedere dalla se- zione già prima citata : - 135 1° Calcescisti argillosi oscuri lisci, con vene irregolari di bianca calcite; 2° Calcescisti argillosi di color cenere oscura, con quarzo, dall’ aspetto granuloso, con vene regolari di bianca calcite ; 3° Argilla scistosa oscura che alterna anche col numero precedente ; 4° Serpentini compatti, talvolta scheggiosi ; 5° Oficalciti in magnifici strati che costituiscono quasi al- * trettante varietà ; 6° Cloriteschisti comprendenti strati verdi più oscuri e vene di quarzo con altre di schisti epidotici ; 7° Micaschisti e schisti carboniferi. Mancano da questa parte i calcari alternanti cogli schi- sti precedenti, che vediamo invece sulle due sponde del Melito. Terreno erratico qua e colà ricopre i micaschisti. L’ inclinazione generale è S.S.O. e la direzione da N.N.O. a S.S.E. Se la mia sezione è ben composta, resta provato per le for- mazioni ofiolitiche di Gimigliano che esse non sono secondarie e tanto meno terziarie ma primitive, precarbonifere sempre, forse presiluriane o predevoniane ; inoltre che esse sono rocce strati- ficate e non ignee, non eruttive, non emersone, non plutoniche. Esse sarebbero isocrone con quelle delle Alpi settentrionali. Si noti che i serpentini sovrastanti ai calceschisti non comprendono, non racchiudono alcun frammento o detrito delle rocce sottostanti. Le frane cagionate dal diboscamento, le abbondanti alluvioni che d’ ora innanzi ricoprono ogni sorta di rocce, non m’ hanno permesso di vedere quale relazione passi fra i calceschisti ricor- dati sotto i serpentini ed il gneis granitico messo a nudo nella posizione ricordata di Porto alla cosiddetta Madonna di Costan- tinopoli. Ritengo però che quei calceschisti si appoggino a quelle rocce granitoidi e che anche queste facciano parte della zona ielle pietre-verdi. Qualche cosa di analogo alle masse serpentinose di Gimigliano troveremo nel gruppo del Reventino, e la ripetizione quasi esatta iella zona delle pietre-verdi di San Demetrio Corone vedremo in appresso nella catena litt orale da Cetraro a Serra della Contessa. Lo studio di queste masse serpentinose e delle rocce conco- - 136 - irritanti, che assieme a quelle formano la zona delle pietre-verdi , cioè dei terreni cristallini recenti, porta il geologo ad ammirare sempre più la perfetta analogia del cristallino della Calabria col cristallino del massiccio alpino. Se noi mettiamo assieme schisti cristallini delle Alpi occidentali, campioni di oficalciti, altri di eufotidi, di dioriti, di graniti, di gneis, con altrettanti delle Alpi calabresi, noi non sapremo poi discernere quale roccia appartenga alla settentrionale Italia e quale alla meridionale. L’ eufotide della catena littorale è perfettamente eguale, sia per colorito, sia per grandezza degli elementi componenti, con quella che nella collezione Gastaldi del R. Comitato geologico passa sotto il num. 299 (23622) come ciottolo dell’ alluvione della Dora a Salbertrand. Nel massiccio di protogino e di gneis protoginico fra Savona, il colle di Cadibona ed Altare, nel gruppo di monti nei quali i geografi pongono la separazione delle Alpi dall’ Apennino, dice il Gastaldi 1 che frequentemente incontrasi una roccia formata di feldispato, di quarzo e di una sostanza verde che ha 1’ aspetto della clorite, soggiungendo di aver trovato fra le rocce raccolte nel massiccio del Gran Cervino dall’ ingegnere F. Giordano, una che ha molta analogia con quella sopra citata. Il prof. Cossa in- caricato dello studio di quelle rocce, trovò che quella dei dintorni del Gran Cervino è identica per composizione all’ altra dei dintorni di Savona, e che il feldispato di ambedue le rocce è triclino. Eb- bene, in Calabria presso Cropani, abbiamo già veduto nel nostro giro intorno alla Sila 2 una roccia identica, che, sia per la po- sizione che occupa, sia per gli elementi che la compongono, dob- biamo certamente riferire alla zona delle pietre-verdi. Abbiamo inoltre in Calabria confermato un altro grande fatto che si presenta nelle Alpi della settentrionale Italia, cioè che la steatite verde appartiene ai terreni cristallini recenti e la bianca ai cristallini antichissimi ; infatti nella zona delle pietre-verdi di Pantano dei Monti fra Cetraro e Serra della Contessa, nella ca- tena littorale il serpentino comprende steatite verde smeraldino, mentre nelle rocce granitoidi centrali della Calabria meridionale 1 B. Gastaldi, Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi piemontesi du- rante la campagna del 1 877 . Reale Accademia dei Lincei, anno 1877-78, pag. 9. a Bollettino del R. Comitato Geologico , 1878, n° 11-1 *2, pag. 471. - 137 - presso Serra San Bruno ed Olivadi compare la steatite bianca. Abbiamo adunque che le rocce cristalline delle Alpi settentrio- nali essendo identiche con quelle delle Alpi calabresi, devono formare una serie non interrotta di masse pietrose. E se esiste questa perfetta identità, che noi osserviamo oltreché per la Sila, anche pel Reventino e per la catena littorale, specialmente nella numerosa serie di specie e di varietà di rocce che costituiscono i! massiccio delle parti più lontane d’ Italia, si abbia riguardo alla composizione, all’ aspetto, alla struttura, che all’ equivalenza geologica, potremo noi trovare diversi per antichità, per compo- sizione e per formazione i serpentini, le oficalciti, i calcari sac- carosi, i graniti della media zona italiana che affiorano in vari punti dell’ Apennino, che non è che una propaggine che unisce le settentrionali colle Alpi meridionali? A me sembra che no. La mia credenza sarà sbagliata? Si troverà che tatti i serpen- tini dell’ Apennino sieno eocenici ? Si troveranno serpentini emersori ? Tanto meglio, la sarà una nuova ed interessantissima pagina che si andrà aprendo nella geologia italiana, la quale farà certamente progredire la questione relativa alla natura ed all’ età delle pietre-verdi , il cui studio risalendo già ad un secolo, forma uno dei più interessanti quesiti per la geologia stessa. In ogni modo però resta accertato per la Calabria setten- trionale, che tutti i serpentini sono o paleozoici o forse anche prepaleozoici e che Plutone non fu mai a visitarli, come ritengo in generale che il plutonismo in tutta la Calabria sia pressoché un mito, quasi allo stesso modo che il sommo Gastaldi lo ritenne per le Leponzie, le Pennine, le Graie, le Cozie, le Marittime e per 1’ Apennino ligure. {Continua) IV. Il Trias di Becoaro nelle Alpi Venete , per A. Bittner.1 Il territorio triassico di Recoaro può risguardarsi siccome compreso entro la linea di frattura di un ripiegamento longitudi- nale o meglio ancora d’una convessità a cupola, la quale s’ estende 1 Dalle Vevhandlungen der k. k. geolog. Reichs., 1879, n. 3. IO - 138 - in profondità sino agli strati più antichi, e che fu potentemente amplificata dall1 azione degli agenti atmosferici : i fianchi di quella convessità rimasti fermi, hanno, partendo dal centro, quasi da ogni parte un pendio assai regolare e dolce, e soltanto dalla parte esteriore della montagna discendono più rapidamente. La spaccatura giunge in profondità sino al micaschisto argilloso, il quale tanto in Val di Tor Leogra, quanto in Val d1 Agno è denudato su di un grande spessore, ed a levante di Torrebelvi- cino si presenta sino alla pianura di Schio-Tiene, e con ciò in- direttamente sino al margine esterno delle Alpi. Sopra allo schi- sto giace un complesso considerevolmente sviluppato d1 arenaria di Gròden che si bipartisce in due orizzonti, V uno più basso a colorazione rossa, 1’ altro più elevato a tinta più chiara : in que- st1 ultimo appaiono i primi fossili, vale a dire, residui di piante, stati descritti dal De-Zigno (Meni. dell’ Ist. Veneto, 1862). Bel- lissime denudazioni si riscontrano in questo orizzonte, principal- mente sulla cresta elevata di Kovegliana che separa le due val- late principali ; fra esse meritano menzione quella di Spanesetta a Nord-Est, quella di Santa Giuliana e d1 Ulbe a Nord-Ovest di Becoaro e quella stupendissima fra Scocchi e Couegatti a Sud- Ovest della Valle de’ Signori : anche al Nord di Valli nei din- torni di Curtiana non mancano su questo orizzonte le denuda- zioni. Fa seguito una massa di calcare grigio chiaro, spesso pas- sato alla dolomite cavernosa che pel suo modo di giacitura è da equipararsi al calcare a bellerofonti del Tirolo Meridionale, con- traddistinto però dall1 ammanco quasi totale di fossili : soltanto a Spanesetta si rinvenne entro il medesimo una sezione che potea attribuirsi, sia ad un bellerofonte, sia ad un1 ammonite globosa. Questo calcare è il così detto Zechstein del Maraschini. Supe- riormente ad Ulbe la sua massa principale è oolitica, finamente cellulare. In molti luoghi questo calcare è strettamente collegato col susseguente orizzonte superiore, composto di rocce calcari e schistoso-marnose a colori giallo e grigio predominanti, le quali cominciano già a racchiudere de1 pietrefatti dello schisto di Wer- fen. Negli strati piatti e schistosi di questo gruppo appaiono le myaciti, le avicule ed i pecten dello schisto di Werfen : singoli banchi di calcare rossiccio, a struttura oolitica ricordano le di- — 139 - stinte ooliti del Monte Zacon in Valsugana e, a detta di Schau- roth e Benecke, contengono anche la medesima fauna, benché assai più povera. A questo livello sono singolarmente rimarche- voli dei banchi di calcare di color grigio che sono in parte tra- versati da venature granulari e da screziature verdi, e che mostrano un’incrostazione bruna o verdognola dei pietrefatti strettamente costipati fra loro, fra i quali si distinguono la Myophoria ovata , le myaciti, le posidonie, e qua e là anche dei gasteropodi. Questa roccia d’aspetto straordinario trovasi par- ticolarmente nelle denudazioni a piedi del Cengio Alto ; nella limitrofa Val Rotolon giace altresì un banco che ad ogni modo è d’ origine eruttiva, della cui natura però, se cioè sia roccia massiccia o tufo, deciderà soltanto una più minuta investiga- zione. Le partite di schisto di Werfen che fanno seguito su- periormente, sono colorate in rosso, sottilmente stratificate, sabbioso-marnose, e povere di pietrificazioni (Myaciti). È interes- sante la circostanza che nelle denudazioni della Val Centa il signor Vacek ha osservato precisamente il carattere petrografico testé indicato, e la medesima organizzazione di questi sedimenti più profondi. L’ intero complesso dello schisto di Werfen è limi- tato superiormente da una massa di calcari dolomitici cavernosi assai sagliente nella massima parte dei profili, coi quali calcari, e precisamente verso il loro limite superiore, sta in connessione a luoghi del gesso ; ciò specialmente nella Val Rotolon. Seguono quindi gli strati del calcare conchigliaceo di Re- coaro, ricchi di fossili e intimamente studiati nella loro fauna, nei quali Benecke distingue due orizzonti, 1’ uno inferiore mar- noso, caratterizzato da Encrinus gracilis e 1’ altro superiore cal- careo, caratterizzato da brachiopodi e da piante. Buoni punti di rinvenimento per la prima di quelle faune esistono specialmente nel Tretto (inferiormente a Rossi verso le Guizze di Schio) ed inoltre sulle falde meridionali del monte Enna, come altresì su quelle del Montenaro presso Casarotti, situate loro dirimpetto : questo orizzonte lo si riscontra inoltre bene svelato al disopra di Pozza sulla salita al Col di Posina, ed inoltre su amendue i lati dell’ estremità occidentale del dorso d’ Alba alle falde in- feriori del Pasubio ec. Sono parimente numerosi i punti ove si rinviene 1’ orizzonte - 140 - a brachiopodi : il Monte Enna, Rovegliana (a Nord della cre- sta), gli scavi al Sud di Val d’ Agno sono soprattutto distinti per la loro ricchezza di fossili. I calcari a brachiopodi fanno superior- mente passaggio a rocce prive di fossili, di colore per lo più bruno ed a frattura brillante, a decomposizione alquanto sabbiosa ; una roccia insomma che secondo Mojsisovics (Vedi Verh., 1876, p. 238), assomiglia ai calcari della fauna a cefalopodi di Dont, e che può esserle benissimo identica. Specialmente sviluppato è un tal livello nelle adiacenze immediate di Recoaro, ove costi- tuisce su quasi tutta V estensione che corre da Busellati alla salita del Monte Covellina, le lastre superiori della cresta mon- tuosa di Rovegliana, alquanto rapidamente inclinata a Sud ovvero Sud-Est: egli è pure rappresentato potentemente al disotto della catena scogliosa dei monti Spizze e Sorove ; ma già sulle falde Nord-Ovest del Monte Sorove egli assume un aspetto di dolomite cavernosa eh1 egli conserva anche al di là lungo il piede delle masse dolomitiche di Cima Campobrum, del Cengio e del Pasu- bio fino nella Val Posina. A Nord-Est di Valli, ai piedi del Zol- lota al disopra di Camperi, questi calcari ricompariscono colo- riti in bruno e brillanti ; ma un po’ più a Sud-Est, vicino a Ortigara, compaiono nuovamente sotto aspetto di dolomite. Sul- V Enna e nel Tretto sono essi ridotti d’ assai, e sembrano perfino mancare qua e là interamente entro la indicata organizzazione. Presso Recoaro sovrapporsi a quei calcari di Dont un com- plesso poco rilevante, ma pur nella massima parte dei siti fa- cilmente constatabile in cui predominano prodotti di color rosso marno-sabbiosi, unitamente a rocce arenose giallastre a carattere conglomeratico e brecciforme, paragonabili, secondo Mojsisovics, agli strati a cefalopodi di ValPInferna. Al disotto delle mura- glie a picco di Cima Tre Croci, anche questa roccia assume un carattere dolomitico e al disopra del gruppo di case denomi- nato Veregarte assomiglia affatto agli strati rossi di Werfen : anche questo livello lo si verifica lungo le radici del Cengio Alto e di Pasubio sino in Val Posina ; egli è eziandio ostensi- bile sopra Camperi al piè del Zollota e nella parte superiore della Vall’Arsa (dirimpetto, ad Ovest di Campo Silvano). Uno sviluppo singolarmente rilevante però lo prende sull’ Enna e nel Tretto ; e qui è possibile che anche i calcari di Dont sieno rap- — 141 - presentati in questa facies. Fin ora non si conobbero fossili appartenenti a questi strati (ad eccezione di un’ unica ed iso- lata citazione del Benecke, a pag. 44). Fa poi seguito a questi strati una potente massa di calcari che fino ai tempi recentissimi vennero costantemente confusi colle dolomiti dell’alta montagna, e che passarono per ciò come rela- tivamente recenti : persino Benecke nel tracciamento dei profili non ha oltrepassato questo livello. Soltanto alle più recenti indagini di Beyrich e di Mojsisovics dobbiamo una più esatta conoscenza degli ulteriori membri superiori del Trias che sono soprapposti all’ accennato livello rosso (il Keuper dei vecchi geologi). Alla base del calcare che qui tien dietro giacciono in alcuni punti, e specialmente nel Tretto e sul Monte Enna, anzitutto alcuni strati di calcari grigi, dai quali originano i così detti Encriniti del Tretto ( Dactylopora triasina ) diffusi in tutte le collezioni : a Sant’ Ulderico trovansi entro pezzi isolati di roccia, evidente- mente di questo livello, anche dei coralli della specie delle Tliamnastrcee , dei gasteropodi e qualche scarso residuo di bra- chiopodi. Ora la massa principale che vi è sovrapposta è un calcare di color più chiaro, di uno sviluppo spesso alquanto ooli- tico, assai di sovente, e specialmente sull’ Enna, oolitico gigan- tesco, che qua e là (Enna, Montenaro, Pian delle Fugazze ; in quest’ ultima località secondo Lepsius, pag. 87) contiene pur dei Dactilopori, i quali però appartengono ad una specie diversa. Nel Tretto questo calcare, che il professor Beyrich indica col nome di calcare del Monte Spizze presso Piecoaro, da una località par- ticolarmente rimarchevole, è soltanto poco sviluppato, ma cresce decisamente in potenza già dalla parte di Ovest sulla fila di scogli che da Sant’ Ulderico corre verso Santa Caterina; va a for- mare la vasta sommità dell’ Enna ; a Sud della Val Leogra le alture di Monte Castello di Pieve, del Cengio e Montenaro presso Piolo e la Cevellina; a Sud dell’Agno la catena non interrotta di scogli dei Monti Spizze e Sorove; difficile il tenergli dietro sui versanti della Cima Campobrum, ove parimenti è parzial- mente alterato e decomposto a guisa di dolomite cavernosa; ri- compare sotto il Cengio Alto e Pasubio assai chiaramente quale sedimento continuato, e trovasi inoltre anche in Val Posina con tipica costituzione. E come gli strati di Vali’ Inforna a lui im- - 142 — mediatamente soggiacenti, e gli orizzonti inferiori del calcare j conchigliaceo, così aneli’ egli viene nuovamente allo scoperto nelle j gole della Vali’ Arsa superiore in Tirolo. Il consigliere mon- j tanistico Mojsisovics stabilisce il parallelismo di questo membro di formazione, altamente importante pel territorio di Recoaro, colla Dolomite di Olendola del Tirolo Meridionale : secondo Stur ( aeoi . d. Steiermarìv, pag. 311) derivano da un corrispondente orizzonte i fossili del Monte Clapsavon nel briuli; nei pi obli recentemente pubblicati dal Lepsius, il calcare di Monte Spizze vi appare indicato come calcare d’ Esilio. I di lui strati supe- riori mostrano qua e là contenere dei fossili ; per lo meno s’ è riesciti a rinvenire sullo Spizze stesso (verso Fongara) in alcuni blocchi isolati delle grandi chemnizie e natiche, aventi V habi- tus di Esino, eccellentemente conservate ; ed anche negli scavi di Campogrosso in Tirolo compaiono gli strati superiori del cal- care di Spizze variamente pinti in rosso, scheggievoli e con in- tercluse sezioni di coralli, rhynchonellc, pecten ed altre bivalvi ; rocce consimili si mostrano sul piccolo altipiano di Camposi- loano, e saranno ben anco più diffuse. Pare che con questi strati superiori stieno in stretto rapporto dei calcari rossicci, gialli e bianchi, in parte brecciati che fanno aneli’ essi passaggio a cal- cari lastriformi concrezionati ed a rocce silicee. Entro ai primi si rinvennero sul versante Sud del Monte Spizze, sopra Fantoni presso Fongara, dei banchi di una specie di Daonella che secondo Mojsisovics s’ approssima più che altro alla D. parthanensis (li- mite superiore del calcare conchigliaceo). I calcari concrezionati j e silicei sono in molti punti ostensibili, ed in particolare presso Casa Creme a Sud-Ovest sopra Eecoaro, in oltre a ridosso dei serpentini della strada del Tirolo sopra Piazza in Val Leogra : i così pure a Sud-Ovest di Posina nelle spaccature dei pascoli alpini al piede delle muraglie dolomitiche del Pasubio : nel posto j ultimamente detto si rinvennero altresì dei frammenti di dao- 1 nelle entro una roccia rossa silicea: presso Creme si trovò un frammento di valva con rilievo che ricordava il Lytoceras Wen~ j gense. Questo orizzonte del calcare concrezionato e siliceo che prin- > cipia già ad accogliere interstrati di tufi, è ostensibile anche , nel Tretto, e qui pure come in Val Zuccanti è su questo oriz- j 143 - zonte che s’ aggira la escavazione di argille bianche, refrattarie, la quale costituisce un così distinto ramo di commercio dei din- torni di Schio. Sugli sterri rinvengonsi qui dei frammenti di tufi silicei verdi, che perfettamente corrispondono alla Pietra verde del Tirolo Meridionale ; oltre a ciò anche la costituzione petrografia delle altre rocce appartenenti a questo gruppo, come eziandio le scarse scoperte di fossili (vedi anche Mojsisovics, Verh., 1876, pag. 238, sulla scoperta di Beyrich in questo li- vello d’ un frammento d’ ammonite prossimo al Trachiceras Beitzi) danno a divedere che 1’ unica opinione che oggidì sia basata è quella sostenuta dal Mojsisovics che, cioè, questi strati si possano assolutamente equiparare all’ orizzonte di Buchenstein. Sopra questi strati fa seguito un’ estesa massa di tufi e di rocce eruttive massiccie le quali, da quanto sopra s’ è detto e dall’ analogia col Tirolo Meridionale, rappresenterebbero il livello di Wengen. La comparsa loro combinata con quella del sot- toposto calcare di Spizze (gli accennati depositi intermedi sono di tenue spessore) costituisce la caratteristica tettonica più rile- vante dell’ intero distretto. Sono rimarcabili per un terrazzo occupato su larghi tratti da pascoli alpini, il quale circonda quasi l’ intero bacino, come costituisce altresì la massima parte del sottosuolo della superficie abitabile del Tretto, occupa nel territorio di Astico estese aree al di sopra di Velo, come ezian- dio in Val Posina ed in Val Zara; passa parimente in Tirolo attraverso le due profonde intagliature poste a Sud ed a Nord del Cengio Alto, e qui, formando dei gradini in sommo grado accentuati al disopra delle profonde gole della Vali’ Arsa supe- riore, si protende in basso, internandosi assai per entro la valle ; risaltano specialmente due tipi delle rocce di questo orizzonte e, cioè, primamente rocce porfiroidi rosse, più raramente di colore oscuro e con interclusione di mica nera, le quali si daranno be- nissimo a riconoscere parzialmente per tufi ; secondariamente dei famosi melafiri ; tutti e due questi tipi sono diffusi sopra tutto quel territorio, e si può segnalarli tanto nel Tretto orientale che in Yall’Arsa : è interessante eziandio la comparsa di una bella . resinite nera sulle alture fra Casa Creme e Val della Lora. Dei melafiri faranno indubbiamente parte le rocce indicate dal Le- psius col nome di nonesiti del Tretto e della Scandolara : ciò - 144 - che però il detto autore cita sotto il nome di porfirite micacea j del Tretto è difficile a sapersi che sia, se si tien conto di quanto j egli ha detto sulle condizioni stratigrafiche del Tretto : stando alla descrizione, dovrebbero essere le rocce rosse del tipo primo nominato. Soltanto al disopra del livello eruttivo s1 elevano le masse dolomitiche dei culmini della montagna, le quali contengono nelle loro parti inferiori dei calcari di speciale struttura oolitica e fina- mente fettucciati che si potrebbero ben riguardare come i rap- presentanti del livello di San Cassiano. Sulla salita alla cima del Monte Zollota compaiono sopra una sottoposta dolomite più compatta delle rocce frammentizie di dolomite principale, e sul contatto di ambedue rinvengonsi traccie di calcari piuttosto mar- nosi senza poterli però seguitare su di un terrazzo continuato. Ciò costituisce V unico indizio eh’ io potei riscontrare nel terri- torio in discorso della possibilità eli1 esista un rappresentante del livello di Raibl. Depositi più recenti di quelli della dolomite principale non rinvengonsi entro il territorio di Recoaro che in un sol punto, cioè, nel gruppo dolomitico dei monti Sciopaore, Priafora e Zol- lota, ov’essi sotto forma di calcari grigi intercalati da banchi marnosi a bivalvi, e da numerosi banchi con Terebratula Bot- zoana coronano le singole cime più elevate le quali in parte tro- vansi a differenti livelli in causa di rigetti insignificanti. Sul Zollota sonovi anche dei frammenti isolati di ooliti più recenti e di calcari rossi ammonitici. La massa dello Sciopaore colle- gasi a mezzo di una cresta dolomitica assai bassa col Monte Sumano, i di cui strati, discendendo verso la pianura, acqui- stano una pendenza sempre più ripida, e sono al piede loro con- tornati da un1 angusta zona di formazioni giurassiche, fuori della quale sonvi qua e là adagiate delle sedimentazioni ancor più recenti alle quali appartiene il rinomato profilo rovesciato di Sant1 Orso. Più potentemente sviluppate sono le formazioni giu- rassiche superiori, le cretacee ed in parte anche le eoceniche sul margine esterno del Tretto fra Torre Timonchio e Torre Gogna. A queste fan seguito, presentandosi però più in là verso Sud, gli strati dello Scandolara i cui calcari grigi contengono come quelli del Zollota numerose Terebratula Botzoana e Be - - 145 — meri, e la cui cima è costituita da biancone, ed è separata a mezzodì dalle colline terziarie del Vicentino per mezzo di una rottura. Condizioni identiche predominano più verso occidente, e sono già state sbozzate brevemente in precedenti occasioni. Rimane ancora a far menzione delle rocce eruttive le quali, con giacitura anormale attraversando tutti i piani di formazione a principiare dal micaschisto argilloso, mostransi alla super- ficie in numerosi punti. Anzi tutto deve farsi qui risaltare i grandi ammassi che appaiono entro i sedimenti triassici, e che ben potrebbero essere in correlazione genetica colle summento- vate rocce eruttive del piano di Wengen. Le loro principali masse sono: quella del Monte Alba tra Val Leogra e Val Po- sina : la gran massa delle Guizze di Schio nel Tretto ; una più piccola interposta fra le due sopra Val dei Conti ; finalmente un esemplare ancor più piccolo tra la vallata principale del Leogra e la Val Fangosa sopra Contrada Pienegonda cui forse si asso- ciano parecchi altri punti secondari al Nord-Ovest ed al Sud- Ovest ili Starò. Le rocce di questi ammassi eruttivi sono, dietro una cortese informazione del signor F. Becke che ne intraprese l’ esame preliminare, delle porfiriti. Esse stanno dentro ai sedi- menti del trias inferiore, dai quali sono attorniate, a quanto pare senza perturbazione. Quasi ad ogni passo s’incontrano dei minori filoni e filoni-strati, senza per lo più poter loro tener dietro su lunghe estensioni. Bellissimi esempi di tali filoni sono già stati descritti ed illustrati dal Maraschini : ultimamente il Lepsius ci diede una descrizione delle rocce appartenentivi, e eli’ egli denomina microdiabasiche. Ma non fan difetto nemmanco rocce eruttive più recenti, alla di cui presenza altresì dobbiamo attenderci anche nei piani i più bassi di formazione, quanto a quella delle rocce soprammenzionate. Campioni di queste rocce provenienti dalla dolomite principale stati raccolti su diversi punti, diedero a riconoscere dietro più accurato esame per parte del signor Becke un’ evidente concordanza fra di loro ed una differenza non insignificante di fronte alla costituzione propria di masse eruttive indubbiamente triassiche ; per lo che già do- vrebbero venir ascritte senz’ altro ai basalti del territorio ter- ziario di Vicenza. Quanto alla stratificazione della montagna edificata coi sudde- - 146 - scritti membri, essa è in generale assai regolare ; tuttavia 1 in- tero territorio viene spartito in due porzioni tettonicamente in- dipendenti fra loro, da una linea di perturbazione assai nettamente marcata che corre in direzione Nord-Ovest attraverso la valle del torrente Gogna ed il col di Posina. La porzione Sud-Ovest di’ è la più grande (e che abbraccia il bacino di Recoaro propria- mente detto) mostra in direzione Nord una stratificazione piana ; il lato che confina a Sud è formato da strati che in parte sono disposti con inclinazione più risentita, e passa poi ai livelli più bassi dell’ alto Veronese e del Vicentino, attraversando la più volte ricordata pendenza degli strati la quale in alcuni punti è I spinta sino a costituire una rottura. I sedimenti più bassi messi j a nudo entro al bacino stesso discendono verso Est, montano ; verso Ovest ; cosicché pel carattere petrografia di essi, i gran- diosi scivolamenti delle soprapposte e più compatte masse cal- cari e dolomitiche sul loro molle basamento sono un feno- meno affatto generalizzato su questi versanti occidentali. Basti addurre ad esempio la Val Rotolon come quella che dà l’im- magine del più caotico sconvolgimento, ed i versanti che 1 at- torniano. La porzione orientale (cioè il Tretto) in contrapposto alla con- vessità piuttosto dolce del territorio di Recoaro, supposto inte- grato, rappresenta una ripiegatura più angusta, resa più ripida dalla compressione, ed i cui strati inferiori affiorano nel bacino della scaturigine Ovest del Timonchio, ed hanno a settentrione un’ inclinazione piana verso Nord, e nell’ ala meridionale sono raddrizzati verticalmente, mentre che le testate che corrono in direzione di Ruari, Pornaro e Nogare rappresentano il passag- gio dall’ un all’ altro modo di giacitura, ed al tempo istesso il completamento della ripiegatura a ginocchio, troncata obliqua- mente. D’ altronde fra Tor Gogna e Timonchio manca affatto la dolomite principale, mentre che col membro più recente che qui s’abbia del trias, eh’ è il melafiro del livello di Wengen, viene a collimitare su d’ una linea di frattura longitudinale il calcare giurassico il quale con giacitura rovesciata inclina a Sud, e dalla parte esterna appoggia sul cretaceo e sul terziario. L’ala orientale del territorio triassico di Recoaro (il Tretto) è in ge- nerale in posizione più bassa che 1’ ala occidentale, come lo di- - 147 — mostra chiaramente e quasi su d’ ogni punto il confronto fra i piani della formazione che al di qua ed al di là collimitano colla rottura : ciò diviene specialmente evidente colà dove la dolomite principale della massa dello Sciopaore collimita col calcare conchi- gliaceo della sezione occidentale. Ma nel mentre che la conves- sità della sezione occidentale va con uniforme pendio alla massa del Pasubio verso la valle dell’ Adige, verso Nord invece alla con- vessità del Tretto succede nel fondo della Val Posina una leg- giera sinclinale e sul versante Nord di questa valle un novello ripiegamento, con che V ala orientale che giaceva più bassa del- P occidentale venne portata allo stesso livello ; così che il Monte Majo costituisce già il perfetto analogo del Pasubio e la gran rottura non arriva più sino al Terragnuol. Un’ occhiata alla mappa ci apprende che la rottura in discorso è la continuazione immediata della nota linea di spaccatura di Schio, la quale in modo così perfettamente rettilineo scinde la montagna vicentina dalla parte della pianura di Thiene. Mentre qui però nei residui della depressa ala orientale si presentano a Sud-Est i più evi- denti fenomeni di sdrucciolamento, sembra che più in là, inter- nandosi nella montagna, abbia avuto luogo un fatto opposto ; sembra, cioè, che gli strati più vecchi dell’ ala occidentale eh’ è la più elevata, abbiano scivolato per dei tratti lungo gli strati più recenti dell’ ala orientale eh’ è sita più in basso. Questo caso si verifica specialmente laddove la dolomite principale di Zollota si affaccia alla spaccatura ; il calcare conchigliaceo dell’ altra ala è contro essa ripidamente raddrizzato. Un tale stato appa- rentemente affatto singolare non si potrebbe altrimenti spiegare (a meno che noi si considerasse quale rigetto del tetto di una ri- piegatura obliqua fratturata) che immaginandosi che la forma- zione della gran rottura e la depressione dell’ ala occidentale sia stato un primo atto cui tenne dietro come secondo feno- meno il proseguimento indipendente della increspatura d’ ambo le parti, e che durante una tal fase, visto che la increspatura della porzione orientale è di fatto più complicata e più ripida, sia avvenuto uno scivolamento degli strati meno tormentati dell’ ala occidentale sugli strati maggiormente perturbati dell’ orientale. I)a tale differente formazione di ripiegamenti da ambo i lati della linea di spaccatura, combinata colla posizione più bassa - 148 - dell’ una delle ali, ne consegue però al tempo stesso una dislo- cazione dell1 un’ ala rispetto all’ altra nella direzione stessa della ; rottura, la quale dislocazione in questo caso è senza dubbio di mera apparenza. Y. Rapporti fra i depositi terziari d’ Italia ed il deposito delle Sabbie d’ Anversa, per E. Vanden-Broeck.1 Un bacino geologico non potrà considerarsi perfettamente conosciuto che allorquando si sarà giunti a rintracciare le regioni profonde, litorali e costiere del mare che lo occupava, ed a poter sincronizzare le faune a facies diverse che caratterizzarono queste differenti regioni durante un medesimo periodo di sedimento. ] Una fauna profonda può essere stata contemporanea di due o tre facies litorali e successive, se le condizioni batimetriche, sempre uniformi nella prima regione, si modificarono verso i margini del bacino. Parimenti, una sedimentazione continua ed uniforme in un punto, può in un altro punto corrispondere a delle lacune, a dei rinnovamenti, a delle denudazioni. Quanto dicemmo riguardo alle diverse zone d’ uno stesso bacino d’ uno stesso mare, è applicabile in modo ben più sorprendente anche allo studio comparativo dei diversi mari d’ un medesimo oriz- zonte geologico, e tanto più che in allora è d’ uopo tener cal- colo delle differenze di latitudine, di clima, ec., le quali influi- scono grandemente, lorchè trattasi del confronto delle faune. Questi due punti sono di massima importanza in geologia e nonostante, tanto in stratigrafia che in paleontologia, non pare sempre che vi si accordi tutta la considerazione che un tal sog- getto si merita. In conclusione, quanto precede torna allo stesso che dire che uno studio preliminare dettagliato delle diverse regioni o zone 1 Dall’opera Esquisse géologique et paléontologique dea dépóts pliocène a des environs d’Anvers. Bruxelles, 1878. - 149 - d’ un medesimo bacino e dei diversi bacini di un medesimo oriz- zonte geologico deve assolutamente precedere ogni tentativo di sincronismo, se pur vuoisi arrivare a dei risultati ben fondati. Dietro tali riserve, noi possiamo tentare di vedere quali siano nella formazione terziaria d’ Italia i sedimenti che parreb- bero aver maggior relazione colle nostre sabbie cT Anversa. Sabbie inferiori. — Il periodo miocenico superiore è rappre- sentato nella regione meridionale della penisola italica da sedi- menti in generale ben sviluppati. È il Tortoniano di Mayer. Questo piano è composto, alla base, da elementi rimaneggiati, costituiti il più di sovente da un conglomerato a ciottoli cri- stallini, quindi, da argille marine e lacustri, da sabbie e da arenarie ed in certi punti, altresì da strati mollassici più loca- lizzati. I molluschi gasteropodi ed i lamellibranchi sono abbon- dantissimi nel Tortoniano, ciò che, in concorso colla presenza di argille lacustri, indica che il complesso di questi strati si ò de- positato ad una profondità mite. Secondo Seguenza il Tortoniano non conterrebbe che il 14 per cento di specie ancor viventi; ma una tale proporzione è in realtà un po’ più elevata. Ad ogni modo essa non sorpassa certamente il 20 per cento, come si può assicurarsene, esaminando le liste pubblicate dal Seguenza nel- r anno 18G2.1 Da un lato, il confronto della fauna tortoniana con quella delle sabbie inferiori d’ Anversa, e dall1 altro la considerevole differenza della proporzione procentuale delle specie viventi (14 a 20 per cento da un lato, e 47 a 51 per cento dall’altro) pongono pienamente fuor di dubbio che il Tortoniano rappre- senta un orizzonte geologico più antico che le sabbie inferiori d’ Anversa. Superiormente a questi strati miocenici mostrasi, particolar- mente ben sviluppato nella parte meridionale d1 Italia, T interes- sante deposito, descritto nel 1862 dal Seguenza, sotto il nome di Zancleano. Questo orizzonte al quale potrebbesi con tutta esattezza applicare la denominazione di mio-pliocene, nel senso eh1 egli 1 G. Seguenza, Notizie succinte intorno alla costituzione geologica dei ter- reni terziarii del distretto di Messina , pag. 84 in-4° con due tavole, 1862. 150 — determina in certo qual modo un passaggio insensibile fia i due periodi, è tuttavia assai nettamente caratterizzato sotto il punto di vista mineralogico e paleontologico. In generale egli posa con stratificazione concordante sul miocene (tortoniano) e dall oppo- sta parte passa insensibilmente agli strati, decisamente plioce- nici, del piacentino che lo ricoprono. Il piano zancleano componesi in generale di strati calcareo- marnosi o di marne bianche che raggiungono talvolta la potenza di 40 a 50 metri come nelle Calabrie. Egli possiede una fauna speciale ed assai caratteristica, composta per gran parte di bra- chiopodi, di poliparii e di foraminiferi. Tale circostanza, cui è d1 uopo aggiungere quella della povertà relativa di molluschi gasteropodi e lamellibranchi, indica una sedimentazione opera- tasi a delle profondità più considerevoli che non all’ epoca del deposito degli strati tortoniani. I dati che precedono ci permettono già d1 intravedere una differenza ben marcata fra le condizioni di sedimentazione dei primi orizzonti del bacino pliocenico italiano e quelle caratte- rizzanti la sedimentazione delle nostre sabbie infeiioii d Anveisa. In Italia la transizione dal miocene al pliocene è quasi in- sensibile : vi è stata contrassegnata da una lenta e progressiva evoluzione, sendochè i cambiamenti faunici osservati a differenti livelli sono attribuibili precipuamente alle modificazioni batime- triche od a quelle della composizione mineralogica dei sedimenti che ne furono la conseguenza. Ad Anversa, non vi fu mai mare miocenico e le acque plio- ceniche vi giunsero da Est susseguentemente ad una lacuna con- tinentale miocenica per la quale i depositi pliocenici succedet- tero agli strati oligocenici che s’ erano anteriormente depositati in questa regione. In Italia, la comparsa dei primi orizzonti pliocenici (zan- cleani) fu contrassegnata da una generale depressione del bacino, la quale durante un certo tempo fece sì che ai depositi poco profondi del tortoniano succedessero quelli a grande profondità del piano zancleano. Ad Anversa, al contrario, noi riscontriamo nelle sabbie infe- riori un deposito avvenuto a media profondità, che ha subito un graduale sollevamento e finì con una sospensione parziale di - 151 - sedimentazione. D’ altro canto si vedrà che il piacentino e V asti- giano, successi allo zancleano, indicano un sollevamento generale del fondo marino, mentre che ad Anversa noi troveremo in certi orizzonti delle sabbie mediane (sabbie a briozoarii) le vestigia di una fauna profonda, indicanti una depressione ben accentuata che tenne dietro al deposito delle sabbie inferiori. Queste sì rilevanti differenze nella storia dei due bacini mo- strano quanto sia difficile lo stabilire un dettagliato sincronismo fra queste due serie di strati, formatesi sotto sì differenti condi- zioni di sedimentazione e sotto l’ influenza d’ oscillazioni distinte. Lo zancleano, ben sviluppato nella provincia di Messina e nelle Calabrie, è in pari modo rappresentato nelle regioni media e settentrionale d’ Italia. Qui avremmo delle marne bianche o poco colorate, le quali talvolta assai difficilmente si distinguono dai depositi più recenti (piacentini) che le ricoprono soventi con stratificazione concordante. Seguenza indica una proporzione del 16 per cento di mol- luschi recenti nello zancleano ; ma questa proporzione dev’ essere più elevata, come già lo indica d’ altra parte V insensibile pas- saggio constatato talvolta fra lo zancleano e gli strati superiori o piacentini, i quali contengono più del 50 per cento di specie recenti. Sulle 127 specie di molluschi segnalati dal Seguenza nello zancleano, non ve n’ha che una trentina che si rinvenga nelle nostre sabbie inferiori d’ Anversa ; all’ opposto, osservasi in que- st’ ultime la maggior parte dei numerosi foraminiferi dello zancleano. I rapporti stratigrafici che in Italia collegano sì strettamente fra loro i depositi del tortoniano (miocene), dello zancleano (mio- pliocene) e del piacentino (pliocene inferiore) danno a compren- dere quanto sarebbe puerile il mettersi a ricercare in questa regione delle divisioni equivalenti a quelle osservate nei nostri depositi terziarii, formati in condizioni e sotto influenze cotanto differenti. Tutt’ al più si potrà dire, pel momento, che il deposito delle nostre sabbie inferiori dovette effettuarsi durante un periodo compreso fra la deposizione del tortoniano e quella degli ultimi strati piacentini : e se si esigesse una maggiore approssimazione - 152 - si potrebbe forse considerare le nostre sabbie inferiori come cor- rispondenti simultaneamente agli ultimi depositi zancleani ed ai primi strati del piacentino. Sabbie mediane e superiori. — Lo studio del pliocene italiano ci dà facilmente a riconoscere che quasi dappertutto le argille turchine del piacentino — le quali ponno essere considerate quali corrispondenti alle nostre sabbie mediane ed al Crag coral- lino _ sono ricoperte dalle sabbie gialle dell’ astigiano, deposito più recente, il quale rappresenta, a tutta 1’ apparenza, 1 orizzonte delle nostre sabbie superiori d ’ Anversa. Le marne od argille turchine, quasi sempre ricoperte dalle sabbie gialle,1 si riscontrano nel Nord d’ Italia, nella Liguria, al piè delle Alpi, nell’Astigiano, nel Modenese, nel Bolognese e nella Val d’ Arno. L’ identica serie di strati la troviamo nell’ Italia meridionale, ove essa distendesi lunghesso gli Apennini e soprattutto lungo la costa orientale d’ Italia. Le colline di Roma, il Monte Ma- rio, ec., sono località ben note ove tali depositi tuttora si ri- scontrano. In Toscana questi strati prendono un grande sviluppo ed è appunto in questa regione che rinvengonsi i depositi che pre- 1 Durante il nostro viaggio testé fatto nella Francia meridionale e nell’ Italia settentrionale abbiamo avuto replicatamente occasione di fare alcune osserva- zioni abbastanza interessanti sui depositi pliocenici di questi paesi. Vi abbiamo constatato delle curiose applicazioni dell’alterazione degli strati in causa degli agenti atmosferici, infiltrazioni superficiali, ossidazioni dei sedimenti, dissoluzione del calcare ec. ec. In molte cave, tagli e mattonaie le argille turchine rinven- gonsi sormontate da una zona irregolare, giallastra o rossiccia, al tatto fina- mente sabbiosa e che a primo tratto sembra ben distinta dall’argilla turchina eh’ essa ricopre. Tuttavolta è facile riconoscere che questo deposito giallastro sabbioso, — per nulla rappresentante l’orizzonte delle sabbie gialle astigiane — altro non è che la parte superficiale alterata dell’argilla turchina. I fossili della zona giallastra sono bene spesso friabili e decomposti, ovvero non sono talvolta rappresentati che da impronte cave : in tal caso il carbonato di calce delle con- chiglie venne disciolto e scomparve interamente. È a notarsi che le Ostrea ed altre conchiglie resistono talfìata alla dissoluzione degli elementi calcarei. La zona rossiccia, alterata che è sopraposta alle parti rimaste intatte delle argille turchine è stata assai di sovente ritenuta rappresentare un deposito spe- ciale e distinto. È per ciò che riteniamo cosa utile il richiamare l’attenzione dei geologi su questa interessante applicazione della tesi sulle alterazioni pro- dotte dagli agenti fisici. — 153 K sentano affinità maggiori col Crag corallino e colle nostre sabbie mediane d’ Anversa. In Sicilia le marne turchine e le sabbie gialle sono sosti- tuite, sul versante orientale delle montagne di Palermo, da una roccia calcare contenente una rimarchevole abbondanza di bra- chiopodi. Altri sedimenti, caratterizzati come ne’ dintorni di Mes- sina, per esempio, da una gran quantità di lamellibranchi del genere Pecten, ponno considerarsi come più recenti delle nostre sabbie superiori. I depositi pliocenici astigiani ricoprono generalmente dapper- tutto, nella penisola italiana, i depositi piacentini, ai quali tal- volta collegansi in modo insensibile. Ne risulta che la configu- razione delle terre e dei mari in questa parte d’ Europa non è stata gran fatto modificata durante le ultime fasi della sedi- mentazione pliocenica. Di più, in nessuna parte d’ Italia noi rin- veniamo i fenomeni di trasgressiva stratificazione osservati sotto le nostre latitudini più settentrionali, soggette, davvero, ad in- fluenze tutto diverse. Se aggiungasi a tali motivi le differenze di latitudine, di clima ec., si capirà facilmente non esser affatto possibile lo sta- bilire un sincronismo esatto fra queste due serie di strati co- tanto distinte. Non bisogna dimenticare tuttavia che una gran parte delle conchiglie plioceniche d’ Italia rinviensi negli strati d’ Anversa, in quelli del bacino inglese ec., e permette un’ap- prossimativa valutazione dell’ età comparativa dei depositi. Non ci è possibile discorrere degli strati pliocenici d’ Italia senza rammentare l’ intensità delle oscillazioni operatesi nel suolo di queste regioni dopo 1’ epoca pliocenica. Nel mentre che nelle nostre contrade il suolo non s’ è gran fatto sollevato, al più di qualche metro, sopra il livello del mare, si ponno constatare in Italia e sovrattutto in Sicilia, dei sollevamenti che portarono gli strati a più centinaia di metri di altezza. Così, in Sicilia, osser- vasi il pliocene recente a 900 metri al disopra del livello marino. Certi strati di quest’ orizzonte sono rappresentati da rocce dure e compatte quanto il marmo e che raggiungono uno spes- sore di più centinaia di metri. Nell’ isola d’ Ischia alcuni depositi marini formatisi inconte- stabilmente molto tempo dopo il deposito delle nostre sabbie ii - 154 - superiori d’ Anversa e che probabilmente appartengono all’ epoca quaternaria, furono grado grado sollevati sopra al livello del mare e trovansi oggidì ad 800 metri d altitudine. Tale ampli- tudine ragguardevole delle oscillazioni del suolo è dovuta pre- cipuamente all’ influenza dei fenomeni vulcanici che nelle predette contrade meridionali agirono con energia ed intensità ragguar- devoli. Possiamo già formarsene un concetto osservando gli ana- loghi fenomeni segnalati nel corso dei tempi istorici. La Corsica, la Sardegna, P isola di Malta, il litorale turco dell’ Adriatico e le isole di Corfù, Oefalonia, Zante, Cerigo, Milo e Negroponte, come eziandio la Morea ci mostrano soprapposti alle argille turchine subapennine, le quali costituiscono nella re- gione mediterranea un orizzonte costante, dei depositi più recenti i quali si riferiscono ora al membro più elevato della serie plio- cenica, ora all* epoca quaternaria. È sovente difficilissimo il di- stinguere questi due orizzonti, rappresentati entrambi da depo- siti marini, e di più, entrambi osservati assai addentro ne’ terreni e talvolta ad altitudini ingenti. Non v’ha dubbio che framezzo questi numerosi depositi non siavene un gran numero che assai esattamente rappresenti P orizzonte delle nostre sabbie superiori d’ Anversa. In certi punti della regione mediterranea parrebbe che P emer- sione dei depositi pliocenici sia dovuta a movimenti bruschi e reiterati, a dislocazioni prodotte da influenze vulcaniche ec., ma in altri punti è constatabile una emersione lenta, graduata, un movimento di sollevazione da cui rimasero affette regioni estese. Per tal guisa la Morea è circondata da una cinta orizzontale di depositi pliocenici che regolarmente distendonsi tutto all in» giro della penisola ad un’ altezza di tre a quattrocento metri . tale deposizione permette di scoprire con esattezza la configu- razione di questa regione all’ epoca pliocenica. NOTE MINERALOGICHE. Ancora sulle prehniti della Toscana , osservazioni dell’ Ingegnere Arnaldo Corsi. In questo Bollettino, nel fascicolo Ni 1 e 2, del T878, pub- blicava una naia nota Su alcune prehniti della Toscana, e, nel riportare alcuni resultati analitici da me ottenuti notava che, se questi conducevano alla composizione ordinaria delle prehniti, quelli anteriori del prof. Bechi riportati nel Bollettino, anno 1870, pag. 66, se ne discostavano assai ; il che, unito ad altre ragioni addotte, mi spingevano a metter da parte le due analisi, almeno in relazione a ciò che aveva impreso a trattare. Dopo alcuni mesi il prof. Emilio Bechi nel fascicolo VII dei suoi saggi di Esperienze agrarie, pag. 369, non so con quanta opportunità in tale pubblicazione, prendeva la parola per rispondere a tale ap- punto, e con linguaggio forse non troppo conveniente adduce va più o meno valide ragioni per giustificare il suo operato, non tralasciando anche di tirare qualche puntata a mio riguardo, spe- cialmente servendosi dei versi del divino poeta dei quali è solito ornare i suoi scritti scientifici. A caso e dopo vario tempo, io ed altri a cui poteva interessare la questione avemmo cogni- zione della cosa e mi affrettai subito a rispondere con una let- tera da pubblicarsi nel Bollettino. Sul punto però di mandarla lessi nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’ Italia, 1879, N. 57, un resoconto di una Nota del prof. E. Bechi presentata dal Sella alla R. Accademia dei Lincei Sulla préhnite e sulla laumonite di Montecatini, onde pensai bene di adoperare un solo scritto per rispondere ai due del prof. Bechi.1 Riporto alcune parole del primo scritto : « Or qui viemmi in proposito il dire, come un certo signor ingegnere, Arnaldo Corsi, m1 inviava tempo fa in attestato di 1 Ciò che dirò relativamente al secondo scritto, sarà servendomi soltanto ^el citato resoconto, non essendo ancora venuta fuori la Memoria originale. - 156 - profonda stima (come egli diceva) una sua scrittura pubblicata nel Bollettino del B. Comitato Geologico, nella quale mi faceva sotto sotto un cappellaccio, perchè in un minerale di Monteca- tini, da me chiamato col nome di roccia Prehnitoide, e in un altro minerale dell’ Impruneta, che sembra una Prehnite, non ci avevo trovata la quantità di acqua che egli crede di aver tro- vato nella Prehnite scaldandola fortemente. Prima di tutto dirò che ho notato P acqua che ho trovato effettualmente, prendendo il minerale asciugato a 100°, a fine di non dovere calcolare P acqua che sempre in maggiore o minore copia tiene il mine- rale ridotto in polvere, e non tenendo conto di altre sostanze che non sono acqua e che sfumano via col calore. Per questa singolarità o bizzarria che voglia dirsi, per appunto pubblicai tale analisi ; comecché non sia veramente caso nuovo nella Mi- neralogia, essendosi anche il Whitney abbattuto in una Prehnite affatto affatto anidra. Ma qui non è il luogo di discorrere di ciò » Nella prima parte del discorso precedente panni che il prof. Bechi intenda o cerchi di male intendere ciò che io diceva nel mio scritto rapporto alla sua roccia prehnitoide di Monteca- tini, poiché in quello non faceva a lui questione di acqua, ma della scelta della sostanza e di metodo analitico, come il let- tore potrà riscontrare a pag. 69, anno 1878, del Bollettino ,l cose delle quali non fa alcuna menzione nel suo primo scritto. Nel secondo poi riporta due analisi del suo minerale detto roccia prehnitoide, e tre analisi di prehnite cristallizzata di Monteca- tini. Sono grato al prof. Bechi di avere con queste tre ultime confermata la mia analisi, poiché difatti e i componenti e la 5 Così mi esprimeva: «Trattandosi di un minerale compatto la scelta non mi sembra troppo opportuna, e difatti l’Autore stesso ci dice che faceva effer- vescenza coll’acido cloridrico, dovuta a carbonato di calce che v’ era meccani- camente commisto, per lo che esso fu costretto a togliere questo col suddetto acido, notando come la roccia prehnitoide vi è affatto insolubile. Ora ciò non è, perchè la prehnite si scioglie è vero con difficoltà negli acidi prima della cal- cinazione, ma non v’ è affatto insolubile, quindi....... Del resto 1’ analisi della sua roccia prehnitoide (stando a quello che il prof. Bechi dice, Bollettino, anno 1870, pag. 66) dovrebbe essere invece quella di una prehnite vera, perchè levato via il calcare e non menzionando egli altro ingrediente, il residuo doveva essere prehnite. - 157 - composizione centesimale conducono, con abbastanza appros- simazione in tutti i casi, alla nota formula della prehnite ti- pica, salvo quelle piccole divergenze che in tutti i minerali ve- rificansi non solo da geode a geode, ma da cristallo a cristallo di una stessa geode. Aggiungerò, per ciò che riguarda 1’ analisi della roccia prehnitoide, che essa risulta corretta in questo se- condo scritto nel modo che io aveva detto, cioè il professore riporta V analisi e della parte solubile nell’ acido cloridrico al- lungato e di quella insolubile. Può avere importanza fino ad un certo punto però il conoscere separatamente V analisi delle due parti, solubile ed insolubile nel suddetto acido, poiché secondo il grado di concentrazione di questo, secondo la temperatura, secondo il tempo impiegato ed altro, le due parti possono va- riare il loro rapporto inquantochè in natura la insolubilità è solo relativa. L’ analisi, del resto, presenta solo importanza litologica, e nulla a mio vedere come analisi di prehnite, poiché si ha evi- dentemente un miscuglio di minerali, avendovi P autore trovato oltre il carbonato di calce una notevole quantità di acido bo- rico, il quale non può far specie, considerando che nelle geodi del gabbro di Montecatini non è infrequente la Datolite.1 Di più se con un calcolo facile togliamo dalla composizione totale della roccia prehnitoide la calcite riferentesi all’ anidride carbonica, e la datolite che può più probabilmente riferirsi all’ anidride bo- rica, vediamo che la residuale composizione non può senza lar- ghe concessioni riferirsi alla vera prehnite e quindi è probabile ancora la presenza di altri minerali, sia pure in lieve dose, che una accurata indagine microscopica e fisica forse più facilmente potrebbe rilevare. Del resto, da quello che resulta dagli scritti del prof. Bechi, la roccia prehnitoide sembra non essere altro che la sostanza di riempimento di una delle tante spaccature del gabbro, nelle quali si annidarono e si annidano zeoìiti ed altri minerali, riempita poi per eccesso di materiale il quale col tempo ha acquistato una certa uniformità di struttura. 1 Che questo acido borico possa riferirsi a datolite è in favore anche il fatto che secondo il Bechi la parte insolubile della roccia non contiene acido borico, cioè il minerale contenente boro è stato tutto scomposto, come è il caso perla datolite, che è facilmente decomponibile dall’acido cloridrico con deposito di silice gelatinosa, la quale allora sarebbe in parte nella composizione della parte solubile analizzata, in parte in quella della parte insolubile. 158 - Rispetto alla vera prehnite dell’ Impruneta analizzata dal prof. Bechi molto tempo addietro, e alla quale non capisce perchè io voglia dare il bando, sta il fatto che anche il D’Achiardi, se non aggiungeva V acqua, non poteva far rientrare la sua forinola nel tipo (R6, R"3, RYI) Si:?012, e anche facendo questo, aveva un ec- cesso considerevole di silice e quindi, concedendo pure che il professore avesse riscontrato una prehnite sodifera e potassifera, la quantità degli alcali non conduceva alla succitata formula e quindi non so davvero con quali ragioni il prof. Bechi dichiarava nella sua Memoria, trattarsi di vera prehnite, quando e i componenti e la composizione centesimale e la formula non erano d’ accordo coi medesimi dati relativi alla prehnite tipica. B che fa vedere che' egli analizzò semplicemente il minerale che aveva in mente che fosse prehnite, ma non si curò di trovare nè discutere la formula. Ecco perchè io scartava tale analisi dalle prehniti ma non ne metteva in dubbio la attendibilità, salvo però ricercan- done la formula in altra specie minerale.1 Riferendosi sempre all’ analisi precedente il prof. Bechi mi avverte che non è caso nuovo nella Mineralogia di prehniti 1 II prof.. Bechi dice che trovò meno acqua di composizione nella prehnite dell’ Impruneta, poiché nel mio caso vi potevano essere altre sostanze che po- tevano sfumar via nella calcinazione oltre che 1’ acqua di composizione, cioè acqua igrometrica, e vuol dir forse anche acido carbonico, le sole sostanze pro- babili nella prehnite, che possono dar perdita che nella calcinazione può rife- rirsi ad acqua. Ma siccome io non trovai calcite nel campione analizzato, e così negli altri, eccettuato in quello di Montecatini in leggerissima dose, come ac- cennai, così non so a quale altra sostanza egli voglia alludere, salvo che intenda riferirsi a tracce di azoto che egli pure non trovò nella prehnite dell’ Impruneta. In quanto all’ acqua ingrometrica, se il prof. Bechi ben leggeva il mio scritto, avrebbe visto che io dichiarava come l’ acqua che la prehnite contiene è per la massima parte espulsa coll’ arroventamelo, salvo una piccola parte derivante più probabilmente da un principio di alterazione del minerale che potrebbe dirsi acqua di alterazione , ed un fatto simile a questo avrà indotto tempo addietro il Rarnmelsberg (vedi Handbuch der Mineralchemie, pag. 868, 1875) a dedurre che si trattava in questa specie minerale d’acqua di combinazione. Notava in oltre come il minerale fosse stato polverizzato e pesato non tenuto a 100° circa per mie ragioni particolari che tralascio per brevità, ma ad una temperatura media s’ intende in atmosfera secca. Conservo tuttora il resultato dell’ acqua che un grammo circa del minerale perde scaldandolo sino a 120° circa, cioè 0.0005, differenza da non tenerne conto. Del resto si può bene calcinare una sostanza per scacciare 1’ acqua, ma non riguardare la totale perdita al fuoco come acqua, defalcando per esempio da essa il peso di altre sostanze volatili (quando esistano) calcolate successivamente. Quindi è inesatta la supposizione fatta dal Bechi nel suo scritto che ho riportato in principio. — 159 — affatto affatto anidre e mi cita in proposito quella analizzata dal Whitney. Il bello è che poi tralascia, dicendo di non volere di- scorrere di ciò. Invece sarebbe stato assai bene che il sullodato professore non avesse tralasciato di occuparsene, o solo si fosse data la pena di leggere tutto o almeno ciò che vien detto di questa prehnite dal Dana nel suo : Sistem of Mineralogy, a pag. 411, dal qual libro probabilmente l’autore deve avere attinta la no- tizia che riporto : « The Jacksonite or anhydrous prehnite of Whitney (1. c.) contains, according to Jackson and Brush, 4,7, 4,15 (J.) and 4,85 (B.) p. c. of water. The specimen analyzed by Whitney may possibly bave been calcined, as in some localities on Lake Superior it is customary to burn thè copper ore to free it from adhering rock.1 » Dal che resulta che la correzione che il prof. Bechi ha cre- duto farmi è per lo meno troppo avventata. Concludo dicendo, che quando il prof. Bechi pubblica analisi di minerali, non tralasci di riportare le osservazioni fisiche, cri- stallografiche e paragenetiche in special modo, che possano av- valorare maggiormente le sue asserzioni, poiché la nuda analisi chimica di un minerale non basta spesso per caratterizzarlo, al- trimenti il mineralogista avrebbe molto limitato il suo compito. Fino a che dunque il prof. Bechi insiste a ritenere una sostanza da esso analizzata per vera prehnite pel solo fatto della com- posizione chimica centesimale, che è ben lungi dal confermare il suo asserto, omettendo altre notizie, io credo che qualunque mineralogista non sia autorizzato a stare alle sue conclusioni. Del pari ad analoghe conclusioni non può stare un litologo quando il prof. Bechi dicendo di analizzare i componenti mine- rali di una tal roccia di Montecatini (Selagite) 2 analizza la mica trovata in una geode ed una materia trovata in noduli nella roccia, senza curarsi se trattasi veramente dei componenti normali della roccia e se questi sono in numero di due soltanto. 1 La Jacksonite o prehnite anidra di Whitney (loc. cit.; contiene, secondo Jackson e Brusii, 4,7, 4,15 (J.) e 4,85 (B.) per cento d’acqua. Il campione ana- lizzato dal Whitney probabilmente può essere stato (antecedentemente) calcinato, essendo usanza in alcune località del Lago Superiore di arrostire il minerale di rame, per liberarlo dalla roccia aderente. 2 Vedi Bollettino , anno 1870, pag. 74. 160 — NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. T. Taramelli. — Sulla formazione serpentinosa dell’ Apennino pavese. — Roma, 1878. Con questo titolo venne pubblicata negli Atti della Beale Ac- cademia dei Lincei, dello scorso anno, un lavoro interessantis- simo nel quale l’Autore prendendo occasione dal rilievo geolo- gico dell’ Apennino pavese si è specialmente occupato delle rocce ofioliticlie quivi assai sviluppate. Suo scopo è di cercare P inter- pretazione più razionale dell’ unità cronologica di queste rocce nell’ Apennino, unità già ammessa come probabile dai geologi, e di studiare le condizioni stratigrafiche delle ofioliti e delle rocce annesse. Nella prima parte della sua Memoria egli fa conoscere l’ an- damento della formazione serpentinosa nella zona da lui studiata che è compresa tra i meridiani di Genova e di Piacenza, la valle del Po ed il mare. In uno schizzo geologico unito alla Me- moria egli ha delineati i contorni delle masse serpentinose, gio- vandosi in parte delle carte del Pareto e del Sismonda. La parte più completamente da lui studiata, e meno cono- sciuta, è la valle della Trebbia a monte della stietta gola a nord di Bobbio, la valle della Staffora e buona parte delle valli del Curone e del Tidone. Cominciando dalle principali masse serpentinose più meridio- nali tra le valli dell’ Entella e del Vara passa a rassegna tutti gli affioramenti di questa roccia, sino agli ultimi nelle colline presso Zebedassi di Volpedo sulla sinistra del Curone. Prende quindi ad esame la catena uniforme e continua di montagne che dalle origini della Trebbia si protende in linea meridiana sino presso Yarzi, ed osserva che in esse non vi ha traccia di affio- ramenti serpentinosi ma risulta di calcari marnosi ed arenarie con qualche fucoide. Verso Ovest e verso Nord, su questa massa di terreni, che egli riferisce dietro il consenso di tutti i geologi all’eocene superiore (Tongriano inferiore, Flysch) si adagiano — 161 - discordanti gli strati del miocene inferiore. A oriente di questa catena lungo la sponda sinistra della Trebbia, succedono ad un livello inferiore le rocce concomitanti le serpentine, cioè le ar- gille scagliose e i gabbri rossi. Nel passaggio degli strati più profondi della formazione eoce- nica suddetta alla serpentinosa si osserva una fitta alternanza di rocce arenacee o arenaceo-calcari, ove non fu dall’Autore di- stinta alcuna traccia sicura di metamorfismo. Osserva poi che i grandi disturbi stratigrafici nella zona dei calcari marnosi ed arenacei, che segue da presso la formazione ofiolitica, sono co- muni alla formazione del Flysch alpino a strati poco potenti e poco omogenei, come anche ad altre formazioni scistose meso- zoiche, alle quali le rocce eruttive sono quasi affatto straniere. Tali contorsioni e dislocazioni delle serie arenaceo-marnosa in vicinanza delle rocce ofiolitiche sono comuni a quelle che inte- ressano la formazione ofiolitica stessa che presenta in sommo erado T alternanza di masse eterogenee e di assai disuguale po- tenza. Esse rappresentano quindi V efficacia e la forza del sol- levamento subito dalle une e dalle altre rocce, e resta escluso ogni effetto meccanico e metamorfico delle rocce ofiolitiche sulle sedimentari. I gabbri rossi si presentano a ridosso delle masse serpenti- nose. Le argille scagliose invece sono talora a contatto talora a breve distanza dalle serpentine ed anche si prolungano a distanze grandissime da queste. Pitiene che queste si ripetano a livelli geologici più recenti dell’ eocene superiore ; ma il massimo loro sviluppo coincide colla sedimentazione marnoso-arenacea che con- segue immediatamente alla formazione serpentinosa. I gabbri rossi sono strettamente legati alle serpentine. La zona serpentinosa che si estende da Montebruno di Tor- riglia sino ai limiti della pianura del Po non è continua ma rap- presentata da molti gruppi isolati più o meno vicini, decomposti alla loro volta in masse numerose per interstrati marnosi ed arenacei. Queste masse però secondo 1’ Autore vanno considerate come la continuazione di un’ unica massa infranta, contorta ed erosa ancora prima che si stabilisse V attuale tracciato orogra- fico, e poscia ancora dislocata ed infranta e profondamente sol- cata dalle attuali depressioni, per erosione. - 162 - Quanto ai rapporti stratigrafici delle serpentine colle roccie ad esse sottostanti ritiene potersi unicamente stabilire che que- ste rocce inferiori accennano ad una condizione di più uniforme e forse maggiore profondità nel fondo marino, quando non si era ancora formato il molto complesso mantello delle rocce che comprendono le serpentine. I calcari marnosi uniformi compatti poveri di fucoidi che si alternano con parecchi dei più profondi banchi di serpentina ai* Gerbidi di Bobbio confermerebbero questo suo modo di vedere. Egli ritiene che nessun fatto autorizzi a riferire queste rocce più profonde all’eocene medio, e che nei limiti delle attuali ricerche nessun argomento costringa ad as- segnare ad alcune delle serpentine affioranti nell’ area esaminata una data più antica del periodo tongriano. il che gli pare po- tersi ritenere anche per V area di massimo sviluppo delle rocce ofiolitiche della Liguria occidentale e nella Toscana. Ciò non esclude a priori che possano affiorare serpentine più antiche o più recenti, nella stessa guisa che nella serie della creta superiore e dell1 eocene e persino negli strati dell’ Aquitaniano, gli espan- dimenti di doleriti e di basalti del Vicentino si presentano a più livelli. Nella seconda parte passa a descrivere le varietà litologiche presentate dalla zona serpentinosa presa ad esame. Mantiene la distinzione delle rocce verdi apenniniche in prevalentemente ma- gnesiache ed in pirossenico-feldispatiche osservando essere le prime più abbondanti. Esse sono : Serpentina diallagica ed omogenea, serpentina brecciata. — Oficalci. — Ofisilici. — Ofite oligoclasica. — Serpentino amigdaloide con saussurite. — Serpentina affanitica. — Euritotalcite . — Eufotide. — Iperite. — Conglomerato granitico a pasta cloritica. — Clorito- scisto granatifero. In quest’ ultima roccia furono osservati dei ciottoli calcari angolosi per nulla alterati; si rinvennero pure nei conglomerati ofiolitici tali frammenti che avevano alla loro superficie un leggero colorimento cloritico. Tale tinta si nota pure nella su- perficie e commessure degli strati calcareo-marnosi che alternano colle serpentine diallagiche come pure negli strati originaria- mente alternanti colle argille scagliose e con esse infranti e con- fusi. Tale analogia fra questi due modi di leggera alterazione - 163 - del calcare sia nel frammento intercluso sia nell’ altro che al- terna colle formazioni ofiolitiche è argomento non dubbio al- T Autore per ritenere che se queste furono eruttive, la loro tem- peratura non è da paragonarsi a quella delle lave degli attuali vulcani nei quali gli interclusi hanno subita una profonda alte- razione. Essendosi V Autore occupato specialmente della stratigrafia e della litologia delle formazioni in discorso, non ebbe campo di trovare che pochi minerali nelle rocce stesse ; si ripromette però da future ricerche la scoperta anche in queste rocce del Bobbiese e della Liguria, della bella serie di zeoliti magnesifere dei giacimenti del Bolognese. Nella terza parte della Memoria passa in rivista i principali affioramenti serpentinosi dell’ Italia settentrionale e centrale. Co- minciando dai più meridionali egli segna per i primi quelli alla base del dosso trachitico del Monte Amiata e presso Alberona nella valle del Paglia. Passa poscia a quelle del Senese, a quelle del Volterrano. Ricorda le serpentine della Corsica, dell’ Elba e dell’ altre isole minori e gli sembra potersi ritenere, almeno con una lontana probabilità, che questa zona serpentinosa insulare ap- partenga ad epoca non diversa da quella della Toscana, della Li' guria e dell1 Apennino settentrionale. Passa quindi in rassegna la serie degli affioramenti della Toscana dal Monte Auto all’ Alpe della Luna, venendo a quelle dell’ Impruneta, di Monte Ferrato e a quelle assai sviluppate presso Firenzuola sul crinale del- 1’ Apennino. Osserva essere difficile assegnare un centro di espandimento di tali rocce e che il fenomeno di mineralizzazione di talune fra le più recenti rocce ofiolitiche, specialmente pei minerali cupri- feri, si restringe alla Liguria, alla Toscana occidentale ed alle isole dell1 Arcipelago toscano. Tale fenomeno secondo Savi e Me- neghini sarebbe posteriore al consolidamento anzi allo sposta- mento delle masse ofiolitiche per un periodo sismico corrispon- dente presso a poco allo stabilirsi del vulcanismo trachitico dell1 Italia centrale, ed alle più grandi eruzioni trachitiche nel vul- cano euganeo. Osserva con questi due autori che la comparsa delle serpen- tine non ha colla orografia della Toscana altro nesso che per - 164 - quelle accidentalità secondarie dovute a diversa compattezza tra le serpentine e la formazione del macigno e deir alberese. Le serpentine affiorano lungo le anticlinali erose di questa forma- zione con direzioni più meridiane dell’ asse apenninico. Tale di- rezione quasi meridiana si mantiene tanto negli affioramenti otìolitici liguri e bobbiesi e nel Piacentino come nella valle della Magra e del Vara e nelle serpentine della Garfagnana. Venendo alla Liguria oltre gli affioramenti osservati dal Pa- reto rammenta la vastissima zona studiata dal Mayer cosparsa di limitati e numerosi lembi di rocce arenacee del piano ligu- riano, alla base del quale periodo questi colloca la zona di mas- simo sviluppo delle serpentine. Nelle Alpi calcari a ponente di Varagine mancando le ser- pentine, secondo asserisce Pareto, P Autore ritiene che il man- tello mesozoico che separa P eocene della Liguria dalle rocce paleozoiche della valle del Vara tolga ogni continuità tra le ser- pentine eoceniche dell’Apennino e quelle paleozoiche delle Alpi occidentali, e conclude per ammettere tutto ai più nell’ Italia più orizzonti otìolitici, come si verifica nei Pirenei. Ripigliando la rivista delle zone ofioiitiche sincrone a quelle da lui esplorate, viene al versante settentrionale dell’ Apennino, dove ritiene che deve essere sciolto il quesito sulla genesi delle rocce ofioiitiche e sui rapporti colle rocce che le comprendono. Qui però le osservazioni fanno ancora difetto. Le masse ofioiitiche vi sono sparse e poco estese. Nelle provincie di Parma e Reggio le serpentine sono sempre subordinate alle due zone del macigno e dell’ alberese e sono con pari costanza associate alle argille sca- gliose. Nel Modenese e nel Bolognese nota lo smembramento ancpra maggiore delle ofioliti, la prevalenza delle rocce feldispatiche ed iperitiche, e la scarsità delle serpentine omogenee e diallagiche. Segue lo svolgimento di questa zona serpentinosa da Paullo a Torretta, a Monte Reni e all’Alpe di Covigliajo, sino a Firen- zuola ricordando quelle di Risano e di Sassuno nella valle del Sillario. Nota il diverso modo di presentarsi di questa zona ser- pentinosa dell’ Apennino settentrionale con quella del Bobbiese, e si astiene di darne spiegazione attendendo uno studio più ac- curato di quella regione. Il limite orientale delle formazioni ofioiitiche sarebbe segnato - 165 - da una linea meridiana da Imola all’ alta Valle Tiberina e com- prende col meridiano di Savona una distanza di circa 260 chi- lometri con un’ estensione di poco minore da Voghera al Capo Argentaro. Su questa superficie T Autore, ritenendo che la zona serpentinosa descritta non presenti che diversità di sviluppo, di potenza e di disposizione degli elementi litologici, e che essa costantemente si mantenga subordinata alla formazione del Li- guriano, e superiore all’ orizzonte nummolitico, verificandosi co- stantemente T associazione di queste serpentine e delle rocce feldispatiche annesse, colle argille scagliose e col gabbro rosso, ne conclude che senza affermare precisamente il loro livello stra- tigrafico unico si possa ammettere che la zona serpentinosa apen- ninica costituisca una formazione unica intercalata da rocce cri- stalline, di aggregati endogeni, di rocce sedimentari d’ apparenza assai singolare, e di calcari e di arenarie affatto normali, ma mancanti di fossili. Nella parte quarta della Memoria fa una succinta esposizione dei principali lavori riguardanti le serpentine eoceniche dei- fi Apennino prendendo ad esame le varie teorie enunciate in proposito. Come conclusioni fi Autore nell’ ultima parte espone breve- mente i fatti seguenti che ne emergono, e che propone come tesi da discutersi da chi non ne fosse persuaso : 1° La zona ofiolitica dell’ Apennino segna un livello geo- logico e non va oltre i confini dell’ eocene. Nessun argomento diretto egli trova contro questa opinione non divisa dalla mag- gior parte degli autori ricordati ; non essendo citata nè la pre- cisa località nè i rapporti stratigrafici di serpentine dell’ Apen- nino inferiori al piano nizzardo o superiori al piano liguriano. La moltiplicità degli orizzonti delle argille scagliose che egli non esclude, sarebbe un argomento indiretto, ma fa rilevare che la differenza tra le argille scagliose e le serpentine non è mi- nore di quella che esiste tra queste e gli alberesi o le arenarie del macigno. Con ciò egli non sostiene fi assoluto parallelismo di tutte le masse ofiolitiche in tutta la regione apenninica, nè esclude la possibilità che in talune località la zona ofiolitica possa rappresentare tutto od in parte il piano nizzardo, ma non crede che negli Apennini esistano serpentine mesozoiche o mio- - 166 - ceniclie. La continuità di questa zona è perfetta ove si abbia riguardo alle abrasioni enormi che essa ed i terreni eocenici so- prastanti subirono nell’ epoca miocenica al primo disegnarsi del- T orografia attuale ; 2° In questa zona le rocce ofiolitiche sono disposte a lenti stratiformi di poca estensione e di non grande potenza. Queste lenti sono intercalate in rocce sedimentari con i caratteri del Flyseh a fucoidi. La potenza di queste lenti supera raramente i cinquanta metri, con un’estensione al massimo, per alcune, di qualche chilometro ; 3° Gli interstrati e gli interclusi calcari e scistosi che si osservano nelle serpentine brecciate, nelle iperiti più o meno alterate e nei conglomerati granito-cloritici non mostrano aver subito profonda alterazione nè chimica nè molecolare. Noti am- mette quindi che la zona ofiolitica siasi trovata in condizioni tali di profondità sotterranea e sottomarina da subire in posto quell’ azione cristallogenica che ha profondamente alterate le rocce protozoiche, delle quali alcune identiche o simili assai alle ser- pentine ; ma che nessun interstrato conserva 1’ abituale struttura di sedimento marino. Dalla grande analogia tra le serpentine di epoche così differenti e di quella di altre rocce emersone per natura e per rocce concomitanti, si può al più trarre la conse- guenza che queste serpentine si mantennero poco alterabili dal- 1’ azione puramente metamorfica, quando nella loro massa cessa- rono le condizioni di temperie e di movimento cristallogenico alle quali dovettero la loro formazione, la loro emissione come lave sottomarine e le modificazioni subite appena dopo la loro emissione ; 4° Gli interstrati mostrano che le serpentine si formarono sul fondo di un mare non molto profondo, disabitato da animali fissi : l’ alternarsi dei depositi fu frequentissimo, e quindi gli strati di tenue potenza; i successivi spostamenti e le pressioni secondo varie direzioni produssero la scistosità dei medesimi ; 5° La zona ofiolitica è coperta da banchi molto più estesi che le lenti ofiolitiche, di rocce argillose molto ossidate e poco magnesiache. Tranne qualche evidente passaggio dalle iperiti al gabbro rosso, nulla autorizza a collegare la spiegazione della genesi delle serpentine a quella delle dette rocce. Queste però - 167 - si alternano con depositi puramente sedimentari. Questi gabbri e galestri sarebbero fanghiglie eruttive rimestate, o ciò che torna quasi lo stesso, depositi marini alterati contemporaneamente alla loro formazione per aggiunta di materiali di provenienza endo- gena. La concentrazione dei minerali che in essi abbondano sotto forma di ammassi o di rognoni, sarebbero di poco posteriori alla loro formazione, tale origine avrebbero facilmente i gessi dei galestri, per la loro forma massiccia diversi da quelli delle ges- saie a fìlliti mioceniche. Riconosce la quasi costante associazione di tali rocce proteiformi colla zona serpentinosa, ma osserva che in moltissimi siti la zona ofiolitica senza traccia di galestro o di gabbro rosso, riposa sotto e sopra i calcari e le arenarie a fucoidi, e che in molte maggiori estensioni di terreni abbondano i galestri con traccie di gabbro rosso senza alcun affioramento serpentinoso. Quella varietà di gabbro rosso che sarebbe un’ ipe- rite brecciata spesso metallifera, accompagna sempre le masse ofiolitiche; le varietà diasprigne sono, come i galestri che esse accompagnano di preferenza, meno dipendenti dalle serpentine ; 6° L’andamento stratigrafico della formazione liguriana non è punto alterato dalla presenza delle lenti ofiolitiche ; tanto queste che le altre rocce sono incurvate, rotte e spostate. Si osservano però a contatto delle masse compatte e più potenti delle serpentine, i massimi disturbi e fratture negli strati più plastici e più sottili che le comprendono, come accade in ogni alternanza di rocce di natura diversa e di potenza molto diffe- rente. Le modificazioni molecolari e cristallogeniche avvenute nelle lenti ofiolitiche non possono avere, per effetto dinamico, mo- dificato in modo rilevabile la posizione stratigrafica di quelle masse ; 7° Nella regione esplorata dall’ Autore e a quanto pare anche nell’Apennino settentrionale, non si è potuto constatare 1’ esistenza di dicchi di alcuna roccia ofiolitica attraverso le rocce cretacee ed eoceniche. Ritiene che per non protrarre indefinita- mente la questione sulla origine delle rocce ofiolitiche, occorre studiarle nei loro propri caratteri litologici e di mutue relazioni di parti. Da questo studio si potranno avere induzioni sulla loro origine che non avranno minor valore di quello che ebbero le induzioni analoghe per le altre rocce massiccie, come i melafiri - 168 - triassici delle prealpi e le tracliiti del Monte Armata, sull’ origine eruttiva delle quali non si ha dubbio, benché sieno ignote le vie per cui si espunsero ; 8° La parte prevalente quasi sempre nelle masse ofioliti- clie è la serpentina dialagica. I fenomeni di concentrazioni cri- stallogeniche non bastano a spiegare la comparsa di grosse lenti di questa roccia in mezzo a strati rimasti nel loro originario stato di composizione chimica e struttura molecolare. Non am- mette però che questo fatto possa spiegarsi col metamorfismo in sito poiché alla tenue profondità alla quale si trovò la serie ofiolitica al finire dell’ eocene, la temperatura non poteva esser tale da produrre un metamorfismo in sito, sopra un’ area così vasta. Infatti P emersione della serie delle rocce eoceniche av- venne molto per tempo, quindi il mantello delle rocce tongriane, che è d’ indole litorale, non dovette essere nè troppo potente, nò formato in mare molto profondo, e si può assegnare quindi una profondità di poco superiore ad un chilometro sotto il li- vello marino alla serie ofiolitica nell’ epoca tongriana. Perciò le rocce cristalline di questa serie se non poterono formarsi in sito prima del miocene inferiore, dovettero comparire in seno a rocce marine in un mare poco profondo per mezzo di eruzioni sotto- marine di magma magnesiaci o feldispatici, nei quali si può ammettere una certa differenza originaria, per non dare troppo valore ai fenomeni di concentrazione; 9° Le eufotidi, le euritotalciti, le ranocchiaie che talora si presentano come dicchi, ma più sovente come amigdale limi- tate (sempre però nelle rocce ofiolitiche), sono probabilmente dovute a concentrazione cristallogenica avvenuta poco dopo la eruzione dei magma magnesiaci nella cui massa quelle rocce si generarono ; ammettendo però che questi magma dovevano essere originariamente diversi ; 10° Anche le iperiti, le serpentine amorfe od oolitiche, le serpentine affanitiche hanno probabilmente un’ origine eruttiva ; 11° Le vene di crisotilo, di asbesto, di calcite dinotano rilegature delle masse ofiolitiche gradatamente spostate, contorte ed infrante nel sollevamento posteocenico ; 12° Il conglomerato graniti co-cloritico passante alle ser- pentine ed alle iperiti è molto sviluppato nella parte superiore - 169 della zona serpentinosa, e non mancano interstrati di esso nelle argille scagliose. Supponendo una genesi endogena delle ofioliti, può la sua presenza dar lume nell’ indagare la roccia dalla quale per processi chimici si potevano preparare i magma serpéntinosi, a qualche migliaio di metri sotto il fondo marino. Ma la spie- gazione di tal conglomerato o granito cloritico, nel seno delle masse ofiolitiche e tra il gabbro, e perfino fra i banchi del ga- lestro, gli pare assai difficile. Da queste conclusioni crede l’ Autore di poter definire le rocce ofiolitiche, siccome quelle tra le rocce eruttive sottomarine, che subirono nella loro massa le più profonde modificazioni cristal- logeniche, appena dopo il loro espandimento nel fondo dei mari, a seconda della varia natura chimica dei magma generalmente fangosi, più o meno magnesiaci e composti di minerali chimica- mente idrati e quindi anche per questo incapaci di produrre per la emissione del vapor acqueo i più appariscenti fenomeni vulca- nici, anche nel caso che fosse stata permessa tale emissione dalla non grande profondità marina. Oltre allo schizzo geologico di cui abbiamo dato cenno, vanno unite alla Memoria due tavole di sezioni e di profili della re- gione con maggior dettaglio studiata dall’Autore. E. vox Mojsisovics. — Die Dolomit-Biffe von Sudtirol linci Venetien. Beitràge zur BildungsgeschicMe der Alpen. — Wien, 1878-79. 1 Quest’ opera, d’ importanza capitale per lo studio delle no- stre Alpi dolomitiche, contiene la descrizione geologica dell’ Alpi meridionali comprese fra la valle della Pusteria al Nord, l’Adige all’Ovest, la Piave all’Est e i dintorni di Belluno e della Val- sugana al Sud; tale descrizione è basata sui rilevamenti ese- guiti in parte dall’ autore medesimo ed in parte sotto la di lui direzione immediata dai signori C. Doelter e R. Hoernes, negli anni 1874-76 per conto dell’ I. R. Istituto Geologico Austriaco. 1 Da un rapporto pubblicato nelle Verhandlungen der k. k. geolog. Reichs- anstalt. 12 - 170 - L’ opera consta di quasi 600 pagine in ottavo grande, con 30 figure in fototipia eseguite sugli originali fotografici, di 110 in- cisioni in legno e della carta geologica d’ insieme della regione montuosa tirolese e veneta alla scala di 1 ; 7500Ò, composta di 6 fogli in cromolitografia (di cui 3 del formato di 38 per 68 cen- timetri, e gli altri di 38 per 54). La pubblicazione di tale gran- dioso lavoro venne resa possibile da una cospicua sovvenzione per parte deirAccademia imperiale delle Scienze di Vienna. Il Mi- nistero della Guerra e l’ Istituto geografico militare permisero la ristampa della nuova carta topografica della monarchia Austro - Ungarica per la regione geologicamente studiata dall’ autore. La distribuzione della materia richiese una triplice riparti- zione del testo. La prima parte che comprende quattro capitoli porta per titolo : Introduzione generale alla storia geologica delle Alpi. Nel capitolo primo : Considerazioni generali sulla Corologia e Cronologia degli strati terrestri , 1’ autore il quale notoriamente è partigiano delle teorie di Lyell e di Darwin, somministra al- cune indicazioni per una Logica formale della geologia storica. Egli fa nette distinzioni fra le diverse gradazioni corologiche degli strati terrestri e crea per le forme analoghe ed anomale assunte dai fenomeni, delle nuove denominazioni comparative, come lo indica il seguente prospetto : Medio di formazione. Spazio di formazione. | 1 Condizioni fisiche DEL LUOGO DI FORMAZIONE. Maeino, terrestre. Provincie. Facies. ( 1 Isomesico < Isotopica | Eterotopica 1 ■ Isopica. ' Eteropica. ' Isopica. [ Eteropica. 1 li Eteromesico. ..... f Isotopica ! i f Isopica. | Eteropica. | 1 \ Eterotopica {- 1 1 Isopica. j Eteropica. - 171 - Queste denominazioni che nei capitoli seguenti vengono im- piegate di continuo in modo pratico sino alla fine del libro, di- mostransi non soltanto comodissime, ma altresì molto utili, poi- ché impongono delle distinzioni esatte e conseguenti. L’ autore tratta quindi del parallelismo evidente nella storia dello svi- luppo geologico del mondo antico e moderno, esamina la natura delle tanto lamentate lacune nei documenti geologici ed indica il modo con cui potrebbe essere provato un accordo de’ fatti geo- logici colle ipotesi della teoria di derivazione. Chiudono queste considerazioni alcuni rimarchi sulla classificazione delle forma- zioni sedimentarie. Le zone paleontologiche basate sulla filoge- nesi, le quali simultaneamente sono 1’ unica misura relativa geo- logica del tempo e che potrebbero definirsi le fasi dello sviluppo di faune o flore isotopiche ed isopiche , unicamente rispondono alle esigenze delle unità cronologiche. Esse sono grandezze equi- valenti e fra loro comparabili.1 Il capitolo secondo fornisce un’idea generale delle condi- zioni paleogeografiche delle Alpi e tratta della decisa differenza genetica fra le Alpi orientali e le occidentali. Il capitolo terzo : Prospetto delle formazioni permiane e me- zosoiche délVAlpi orientali con ispeciale riguardo al Tirolo Me- ridionale, contiene una dettagliata ripartizione sistematica delle formazioni permiane e triassiche delle Alpi orientali, corredata dei necessari dati corologici e liste di fossili ed un prospetto che a preferenza riflette unicamente le condizioni corologiche dei sedimenti giurassici e cretacei della provincia mediterranea. Ac- compagnano questo esteso capitolo alcune tabelle sulla riparti- zione delle zone nella provincia mediterranea e juvavica del trias nel mare triassico germanico, come nella provincia me- diterranea e nella media Europa alla fine del periodo giurese cd al principio del cretaceo. Il capitolo quarto tratta della Costituzione orotettonica del Tirolo Meridionale. La seconda parte dell’ opera abbraccia le descrizioni di det- taglio della regione rappresentata dalla carta geologica. In con- formità alla tendenza del libro, di comprovare, cioè, anche geo- 1 Di questo primo capitolo daremo un sunto nel prossimo fascicolo. - 172 - gnosticamente i cambiamenti di facies delle formazioni nonché e sottocarniche già teoricamente ammessi in anteriori scritti, come eziandio di chiarire l1 estensione e le condizioni di strut- tura dei banchi dolomitici, l’indirizzo principale della descri- zione viene rivolto a questi fenomeni e la maggior parte delle allegatevi illustrazioni servono a questo scopo. Nella carta che contiene 47 divisioni geologiche, amendue le formazioni etero- piche del periodo triassico dolomitico sono suddivise secondo il loro valore cronologico e contraddistinte a mezzo di tratteggi. La ripartizione della materia nella seconda parte risulta dal se- guente prospetto : Cap. 5. Le Prealpi settentrionali ed occiden- tali.— Cap. 6. I monti tra Fassa e Groden. — Cap. 7. I monti fra Groden ed Abtey. — Cap. 8. Il gruppo Sella e l’altipiano de’Badioti. — Cap. 9. L’alta regione fra Gader, Bienz e Boita. Gap. IO. L’ alta regione fra Bienz, la Brava, Boita e la Piave. — Cap. IL Le alte Alpi di Zoldo, Agordo e Primiero.— Cap. 12. Il distretto vulcanico antico di Fassa e di Fiemme. — Cap. 13. Il massiccio di Cima d’ Asta e la catena Lagorai. — Cap. 14. La regione montuosa depressa al Sud della spaccatura Valsugana-Cadore. — Cap. 15. I dintorni di Belluno. La terza parte intitolata: Sguardo retrospettivo , contiene le deduzioni risultanti dalle descrizioni di dettaglio circa le masse dolomitiche e circa la tettonica di quella catena di montagne. Quanto ai primi 1’ autore dimostra che le masse principali dei banchi dolomitici norici e sottocarnici, le quali accompagnano le Alpi orientali dalla parte di Nord e di Sud, fanno ufficio di barriera od argine all’ antica montagna insulare occupante il po- sto dell’ attuale zona media delle Alpi meridionali. La presenza di Aioli non è constatabile in alcun luogo. Il modo d’ esposizione e lo stile sono in quest’ opera rigorosa- mente scientifici come lo esige ogni partecipazione di nuove, ori- ginali ricerche. L’ autore fu ad ogni modo sollecito di adattarsi all’ intelligenza dei colti ceti, profani alla scienza, sia evitando pro- lisse ripetizioni, sia colla chiarezza e precisione dei concetti ; per modo che 1’ opera si presta in modo esimio per l’ individuale am- maestramento nelle geologiche speculazioni. Un testo di geologia non può impartire che i principii fondamentali della scienza : la retta intelligenza, la capacità di vedere e pensare geologicamente — 173 - non possono mai acquistarsi che a poco a poco coll’ osservazione della natura. A tutto questo è ottima guida il presente libro. Coll’ unitavi mappa geologica alla mano, illustrata sia dal testo che da numerose vedute e profili, è possibile a chiunque il quale col sussidio di un buon trattato siasi famigliarizzato coi preli- minari della scienza, d’ impossessarsi in breve tempo della tecnica geologica per quel tanto che è indispensabile per bene compren- dere i fenomeni geologici e per gustar con vero spirito le bel- lezze della natura. A. Heim. — Untersuchungen uber den Mechanismus der Gebirgsbilditng im Anschlusse an die geologische Mono- grafie der Todi- Windgdllen- Grappe. — Basel, 1878; clue volumi con atlante.1 La presente opera segnala grandi progressi in diversi argo- menti di geologia meccanica. L’ autore, discepolo dell’ esimio Escher von der Linth, non è solamente compreso d’ entusiasmo per la sua scienza, ma altresì si dà a riconoscere quale ingegno aperto e perspicace, qual vero indagatore che, come speriamo, presterà ancora dei servigi essenziali alla geologia alpina. Ab- biamo letto la di lui opera con gran piacere, qualche capitolo lo leggemmo due volte, e consigliamo instantemente i nostri col- leghi in materia, ed in ispecialità i geologi alpini, di procurarsi eccitamento ed erudizione collo studiare da se stessi quest’opera istruttiva. Il libro di Reyer sulla fisica dei vulcani e sulle rocce erut- tive ed il presente lavoro di Heim sulla meccanica della forma- zione delle montagne potrebbero benissimo annoverarsi fra i più importanti lavori de’ tempi odierni nel campo della geologia fìsica per lungo tempo stato trascurato. Il primo volume contiene la descrizione geologica dettagliata del gruppo Todi-Windgàllen, quindi una connessa descrizione del famoso ripiegamento doppio di Glarn cioè del più grande rove- 1 Dalle Verhandlungen der k. k. geol. Reichs. - 174 - sciamento di strati che si conosca il quale s’ estende sopra una superficie d’ oltre 1135 chilometri quadrati, e da ultimo una maestrevole descrizione del processo di formazione della valle. Il secondo volume quindi s’ occupa semplicemente delle ri- cerche generali sul meccanismo della formazione delle montagne. Un riassunto pubblicato dall’ autore stesso sotto il titolo : Sul sol- levamento ed increspamento della crosta terrestre , Basilea, 1878; prova chiaramente quanto sia difficile di abbozzare con poche e brevi proposizioni il contenuto di tali ricerche. La novità del soggetto, come pure il modo d’ esposizione se- guito dall’autore esigono che si studi il libro in extenso e non si rimanga paghi di un arido elenco del contenuto. Ad accennare però di che propriamente si tratti, aggiungonsi qui alcuni brani di un indice della materia pubblicato dall’ autore stesso nel Neues Jahrbuch di Leonhard e Geinitz (Disp. 1, 1879): Nella prima parte che tratta della trasformazione meccanica delle rocce nella formazione delle montagne è la prima volta, per quanto noi sappiamo, che si esaminano in connessione fra di loro tutti quei fenomeni, sinora stati accennati soltanto per inci- denza, di flessioni, di schiacciamenti, di stiramenti, di lacera- zioni, di strutture schistose trasversali ec. E pientrechè la scienza sino ad ora si soffermò di fronte a tali fenomeni, più che altro per semplicemente constatarli, qui si viene a sapere che il materiale petrografico, sia prima che dopo la trasforma- zione, era di già precisamente così solido come oggigiorno e che la trasformazione si è compiuta sopra un materiale già indurito. Vengono quindi compendiati in 16 diverse Leggi del feno- meno le più importanti osservazioni recenti sulla trasformazione senza rottura. Come un novello ramo di geologia microscopica è qui iniziata 1’ analisi della microstruttura prodotta dalla tra- sformazione meccanica delle rocce. Vien provato che la trasfor- mazione meccanica può produrre perfino delle trasformazioni chi- miche. La spiegazione della trasformazione petrografia è concepita come segue : « Ad una certa profondità, sotto la superficie della terra, le rocce sopportano un carico molto superiore al loro po- tere resistente. Questa pressione si propaga in tutte le dire- zioni, dimodoché una pressione generale orostatica corrispon- - 175 - dente alla pressione idrostatica agisce per ogni senso sulle par- ticelle delle rocce. In conseguenza di ciò le rocce di natura sommamente vetrosa vengono tradotte in uno stato di plasticità latente. Se ora sopravviene una perturbazione d’ equilibrio per causa d’ una nuova forza, — la spinta orizzontale generatrice delle montagne — avviene allora la trasformazione meccanica, senza rottura a questa profondità e con rottura a profondità troppo piccole ed in presenza di materiali di natura più fragile. » La parte seconda tratta della formazione dei massicci cen- trali. Questi sono ripiegamenti della crosta terrestre i quali in ragione della profondità e del carico sopportato dagli scbisti cri- stallini dai quali sono in massima costituiti, si svilupparono in una facies meccanica un po’ diversa che non i ripiegamenti delle usuali, più recenti rocce di sedimento ; nei primi il clivaggio ha cancellata in molti punti la struttura primitiva, nel senso di un aumento di uniformità nella disposizione schistosa. Qual’ epoca di formazione dei massicci centrali V autore, ge- neralizzando i risultati ottenuti per le masse centrali della Sviz- zera settentrionale, cita la terziaria superiore. Quest’ opinione potrebbe incontrare dell’ opposizione.1 L’ ultima parte è intitolata : Sulla struttura e formazione delle catene montuose. Le dislocazioni nell’ interno delle catene montuose vengono coordinate sinotticamente, e vien proposto un metodo semplice di denominazione per facilitarne l’ intelligenza reciproca. Quindi viene numericamente determinata la spinta di compressione della crosta terrestre mediante lo sviluppo dei ripie- gamenti nelle Alpi e nel Giura ed apprezzata e misurata sino all’ 1 °/0 scarso per la formazione di tutte le montagne che giac- ciono sul meridiano passante per le Alpi centrali. Gli ultimi ca- pitoli contengono delle ricerche sulla diffusione e distribuzione della spinta orizzontale nella crosta terrestre, sopra l’ ordine di successione del sollevamento delle ripiegature di una catena montuosa e finalmente sui rapporti delle catene coi continenti e con altre montagne, come eziandio sopra le cause ultime della formazione delle montagne. 1 \edi Von Mojsisovics, Die Dolomitriffe von SùcUirol und Venetien , pag. 530. -176 - E. Yanden Broeck. — j Esquisse géologique et paléontolo- gique des dépóts pliocènes des environs d’Anvers. Pre- mière partie. — Bruxelles, 1878. Il terreno pliocenico, il quale è assai scarsamente rappresen- tato in tutto il Nord-Ovest d’Europa, ad eccezione della costa orientale d’ Inghilterra, è al contrario bene sviluppato ad An- versa ove forma un tipo presso che classico: malgrado però l’in- teresse destato da questo deposito, esso non era ancora stato 1’ oggetto di un lavoro complessivo bastantemente completo, oltre a che molti problemi erano tuttora insoluti. Parecchi geologi s’ occuparono dello studio dei terreni pliocenici sui quali è pog- giata la città d’ Anversa : ma, non essendosi fin ora pubblicato nessun lavoro complessivo su questi strati i cui rappresentanti sono poco sviluppati in altre località del Nord-Ovest d’Europa, la Memoria del signor Yanden Broeck verrà consultata con vivo in- teresse. D’altra parte essa raccomandasi all’ attenzione degli scien- ziati per la grande quantità d’ osservazioni e di risultanze nuove che contiene. L’ autore s’è dedicato particolarmente a delineare di bel nuovo le condizioni di sedimento de’ diversi depositi d’ ognuno degli orizzonti geologici eh’ egli passa in rassegna. Accomunando i dati forniti dalla stratigrafia, dalla litologia e dalla paleontologia, ebbe soprattutto di mira la ricostituzione dei rapporti, la di- stribuzione ed i successivi dislocamenti dei depositi litorali, costieri e di profondità, avvenuti durante le fasi diverse di se- dimentazione del bacino d’ Anversa. Il periodo d’ emersione, se- gnalato dalla lacuna esistente nella sedimentazione il quale separa le sabbie d’ Anversa dalle soggiacenti argille oligoceniche viene dall’ autore riferito all’ oligocene superiore ed al miocene. Per conseguenza le sabbie glauconitiche conchiglifere generalmente ascritte al sistema Diestiano di Dumont e che da qualcuno de’ nostri geologi sono considerate mioceniche, appartengono alla serie pliocenica tal quale la intende il signor Vanden Broeck. L’ autore, abbandonando gli appellativi di sistema Diestiano e di sistema Scaldisiano proposti dal Dumont, divide le sabbie — 177 — d’ Anversa in tre piani da lui denominati : Sabbie inferiori d’ An- versa ; Sabbie mediane d’ Anversa ; e Sabbie superiori d’ Anversa. Delle sabbie glauconifere diestiane del Dumont egli se ne fa il piano delle sabbie inferiori d’ Anversa, il quale è suddiviso in tre sotto-piani od orizzonti che sono : le sabbie a Panopcea Menardi, le sabbie a Pectunculus pilosus e le sabbie ghiaiose d’ Anversa. La parte superiore delle sabbie glauconifere d’ Anversa è in generale ricoperta d’ un esile stratto di sabbie verdi, d’ ordinario sprovviste di fossili e dai geologi sempre considerate come co- stituenti uno speciale e distinto deposito. Il signor Yanden Broeck riconobbe in tali sabbie non altro che una zona superficiale di locale alterazione delle sottoposte sabbie glauconitiche. Egli ci mostra che ad Anversa la sabbia verde comprende non solo la parte superficiale alterata e priva di fossili delle sabbie a Panopcea e delle sabbie a Pectunculus, ma altresì uno speciale deposito sino al giorno d’ oggi ignorato. I depositi costituenti il sistema scaldisiano di Dumont erano sino ad ora divisi in due piani denominati crcig grigio e crag giallo dietro la colorazione dei sedimenti. Il signor Yanden Broeck ci dimostra essere falsa una tal di- stinzione basata sulla colorazione dei depositi, giacché in origine tutti i sedimenti scaldisiani erano grigi. Quelli che divennero gialli o rossi non devono un tal cambiamento di colore che ad una ulteriore azione d’ alteramento, risultante dall’ infiltrazione delle acque pluviali. D’ altra parte egli riconobbe in fra questi strati un livello di scoscendimento e di denudazione ben mar- cato, il quale corrisponde ad un’ esattissima demarcazione stra- tigrafica e paleontologica. Ed è appunto ad un tal livello ch’egli colloca la separazione fra le sabbie mediane d’ Anversa e le sabbie superiori. Le sabbie mediane, rimaste in generale intatte e grigie, divengono gialle e rosse, se alterate. Le sabbie supe- riori, formando un deposito più superficiale, sono in genere al- terate e gialle ; epperò sono rimaste grigie tuttevolte che delle cause proteggitrici impedirono la produzione dei fenomeni d’ in- filtramento e di alterazione. Il signor Yanden Broeck distingue nelle sabbie mediane d’ An- versa due facies differenti, di cui 1’ una, di carattere litorale, è caratterizzata dall’ lsocardia cor e da una fauna speciale, mentre - 178 - V altra di’ è un deposito d’ un mare più profondo, è caratteriz- zata dall1 abbondanza dei briozoarii. La Memoria contiene una quantità grande di dettagli nuovi sugli elementi faunici di questi due depositi ritenuti sincronici dall1 autore. Dai numerosi nuovi dati fornitici dall1 autore risulta che il giacimento a Terebratuìa grandis deve riferirsi alla zona delle sabbie a briozoarii appar- tenente al piano delle sabbie mediane d1 Anversa. Nei capitoli relativi alle sabbie superiori d1 Anversa V autore tende a distinguere gli strati rimaneggiati e ad elementi fau- nici eterogenei dai depositi forniti di conchiglie in situ ed a fauna pura i quali sono relativamente poco sviluppati nelle sabbie superiori. La maggior parte dei depositi in situ dell1 orizzonte delle sabbie superiori d1 Anversa è rappresentata dal deposito litorale delle sabbie a Trophon antiquum . Sotto il titolo di considerazioni generali e di riassunto l’au- tore passa in rassegna i risultati ottenuti nel corso del suo la- voro ed attira l1 attenzione sui punti nuovi o sui più importanti delle sue ricerche. Un quadro sinottico e cronologico del bacino d1 Anversa fa- cilita l1 esposizione delle scambievoli relazioni fra gli strati. Da ultimo un abbozzo topografico accompagna questa Memoria, indi- cando nonché tutte le località menzionate nel corso dell1 opera, i giacimenti fossiliferi dei dintorni d1 Anversa. Il libro abbonda di fatti nuovi e di osservazioni importanti, e faciliterà per certo agli studiosi la conoscenza del bacino plio- cenico di Anversa per mezzo di un dettagliato confronto coi de- positi sincronici di altre località d1 Europa. G. F. Rodwell. — Etna, a history of thè mountain and of its eruptions. — London, 1878. È un libro che in poche pagine compendia esattamente e con esposizione facile ed amena quanto di più interessante venne detto e fatto sino da tempi remotissimi per illustrare la descrizione e l1 istoria del più famoso vulcano del mondo, come l1 autore stesso — 179 - lo denomina. Tale compendio è arricchito da osservazioni e ri- lievi del signor Kodwell medesimo che visitò di recente questa località. La letteratura più o meno scientifica di tutte le epoche e di diverse nazioni che all’ Etna si riferisca, v’ è posta a con- tribuzione, ed anzi vi è passata in rapida rivista dall’ autore, dalle liriche citazioni in Pindaro ai più moderni lavori scientifici di Waltershausen, di Lyell, di Baltzer e di Silvestri. All’ espo- sizione delle condizioni fisiche e topografiche, segue la descri- zione d’ una ascensione fatta dal signor Bodwell nell’ agosto 1877, la quale ai scientifici dettagli aggiunge il brio e la poesia dello stile, ispirati da grandiose bellezze naturali. Alla breve istoria e descrizione delle località adiacenti e circonvicine, è dedicato un capitolo del libro, ed uno più esteso alla storia cronologica delle eruzioni di questo vulcano. Settantotto eruzioni, da quella avvenuta ai tempi di Pittagora a quella dell’aprile 1874, vi sono ricordate; molte di esse descritte, alcune fra le più famose, meno succintamente; a mo’ d’ esempio l’eruzione del 1669 e quella del 1852. Il carattere uniforme di tutte queste eruzioni è ri- marcato dall’ autore, che in brevi e concisi termini riassume i fenomeni che tutte le precedono e susseguono. L’ ultimo capitolo è dedicato a dettagli strettamente scientifici sulla geologia e mineralogia della montagna. La vecchia divergenza fra i geologi sulla genesi del cratere v’ è ricordata; la classificazione delle rocce è tolta da Elie de Beaumont ; la mappa geologica da Hof- mann, come la più conveniente, secondo l’ autore. Le osserva- zioni posteriori di Lyell, e la costui teoria del doppio asse e doppio centro d’ eruzione sonovi illustrate da carte e profili. Ammessa dall’ autore per la formazione geologica dell’ Etna come vulcano sottomarino 1’ epoca postpliocenica ed il periodo glaciale per le prime di lui eruzioni subaeree, egli accenna al- 1’ ulteriore incremento della massa montagnosa per 1’ accumularsi e il sovrapporsi successivo ed intermittente delle lave e delle sco- rie, accennando però all’ impossibilità di farsi un’ esatta idea del- l’ antichità incalcolabile della montagna. Corredano questo capi- tolo descrizioni ed autorevoli analisi dei minerali principali che compongono le lave dell’ Etna — labradorite, augite, olivina e ferro titanato — nonché d’ altri comuni prodotti e di qualche - 180 — più raro, fra cui il siderazoto;1 soprattutto i lavori pubblicati nel 1S67 dal professor Silvestri gli servirono di guida. Ma la parte più scientificamente importante del libro, come quella che realmente entra nella sfera delle apprezzabili contri- buzioni alla conoscenza dell’ Etna, è costituita dall’ esame micro- scopico e dall’ analisi chimica di una speciale sostanza rinvenuta dall’ autore presso la sommità del gran cratere, e più ancora dall’ analisi al microscopio polarizzatore di sezioni sottili di lave di epoca varia da lui raccolte nella sua escursione, le quali ana- lisi microscopiche furono eseguite dal signor F. Rutley della Geological Sitrvey. Quella trovata dal signor Rodwell, è una sostanza bianca, friabilissima, a struttura vescicolare. Al microscopio mostra cristalli di feldispato, di aspetto granuloso o fioccoso entro ma- trice bianca, semiopaca e granulosa, sparsa di cavità. Air analisi chimica mostrò contenere circa 70 per cento di silice, poi allu- minio, ferro, magnesio, calcio, potassio e piccolissime quantità di acido solforico con traccie di ammoniaca e sodio ed un venti per cento d’ acqua. Dall’ analisi microscopica del signor Rutley, di lave del 396, 1535, 1603 e 1689 risulterebbe che i loro principali e costanti componenti sono: feldispati, olivina, augite, magnetite, una ma- teria vitrea amorfa, e probabilmente anche ferro titanato. I fel- dispati plagioclasi sono i prédominanti; loro subordinata è la sanidina. La materia vitrea è per lo più interclusa nei cristalli di feldispato, qualche volta in quelli di augite ed olivina, ma sempre però allo stato microlitico. Oltre che di materia vitrea T analizzatore osservò interclusioni di materia costituente le rocce circostanti alle lave. Queste lave sono caratterizzate dall’ analiz- zatore per basalti plagioclasi ed incidentalmente per basalti ad olivina. Il disegno di due sezioni sottili, con un ingrandimento di 35 diametri, accompagna la relazione. 1 Vedi Bollettino, 1877, n. 5-6, pag. 200. 181 - NOTIZIE DIVERSE. Antichi ghiacciai nelle Alpi marittime.1 — La presenza di antiche morene sul litorale ligure non era fin ora stata am- messa che in modo vago, senza che si fosse mai indicata una località precisa ove la si potesse constatare. Questo forse dipende fino ad un certo punto dalla ripugnanza che quivi si prova a pensare che un così magnifico paesaggio abbia potuto giammai essere invaso dai ghiacciai. Tuttavia basta un po’ di riflessione per comprendere che gli antichi ghiacciai non dovettero essere estranei a questo versante delle Alpi, dal momento che le loro tracce si trovano così abbondanti nel versante piemontese. Si sa infatti, per le ricerche del compianto Gastaldi, che esistono depositi glaciali ben caratterizzati nei dintorni di Cuneo, senza parlare dei magnifici e celebri anfiteatri morenici della Dora Ri- paria e della Dora Baltea. Non sarebbe ragionevole lo ammet- tere che la calotta di ghiaccio che a Cuneo discendeva a 435 me- tri sul mare, a Rivoli a 400 e ad Ivrea a 250 metri, non si sia pure distesa sul fianco opposto della catena. Dovevano per conseguenza esistere tracce d’ antichi ghiacciai nel Dipartimento delle Alpi marittime. Dopo averle inutilmente cercate nei din- torni di Nizza e lungo il litorale ligure, il signor Desor ha finito per trovarle ad una ventina di chilometri nell’ interno, al piede delle masse di calcare giurese che formano là i contraf- forti delle Alpi marittime. Il deposito morenico s’incontra sulla strada che da Levens si dirige alla valle del Varo per la Roc- chetta ad un’altezza sul livello del mare di 520 metri. Esso risulta di una mescolanza alla rinfusa vii blocchi con ciottoli e melme a questi aderenti. I blocchi sono di protogino, di gneis, di arenaria eocenica e di diverse varietà di calcari. Lo stato attuale del Yesuvio.2 — Dopo la grande eruzione del 1872 il vulcano rimase calmo fino al dicembre 1875. A que- st’ epoca cominciò un nuovo e lentissimo periodo eruttivo ; una parte del fondo del gran cratere rimasto dopo T eruzione del 1872 si sprofondò, e si scorse un po’ di fumo, poi la parte sprofon- data cominciò a colmarsi, mentre che un piccolo cono di eru- zione formatosi lateralmente lasciava sfuggire una colonna di 1 D i una comunicazione del signor Desor all’ Accademia delle Scienze in Pa- rigi ; seduta del 7 aprile 1879. 2 Da una comunicazione del signor Semmola alla stessa Accademia: seduta del 28 aprile 1879. - 182 - fumo: inoltre cominciarono a colare ad intervalli piccole lave nell’ interno del vecchio cratere. Attualmente il grande cratere del 1872 è quasi interamente colmato ; il nuovo cono di eruzione si è gradatamente sollevato e si accresce di guisa che oggi ha raggiunto il livello dell’ orlo del vecchio cratere ; fra pochi mesi questo cono si eleverà al difuori. Le lave colano in modo inter- mittente, ora più ora meno, ma sovente con molta calma. Dalla bocca di eruzione non esce che una colonna più o meno abbondante di vapore acqueo, e spesso dei pezzi di lava incan- descente ne sono lanciati con rumore. Le lave si spandono tal- volta sul lato nord del cono, ed allora le si vedono da Napoli : esse si versano da questo lato perchè 1’ orlo superiore del cra- tere vi è meno elevato, essendo stato demolito in seguito alla fenditura che si aprì nell’ eruzione del 1872. Le fumarole delle lave nell1 interno del cratere sono rare e deboli ; l’ intermittenza ed il piccolo volume delle lave che colano si oppongono alla loro durata. Al contrario le fumarole sono frequentissime e vivacis- sime sulle pareti interne del vecchio cratere. Tutte queste fu- marole sono acide, arrossano la carta di tornasole e danno va- pore acqueo. Dovunque ho trovato dell’acido carbonico, ma è più abbondante nelle fumarole lontane dalla bocca di eruzione, dietro la regola già esposta dal Palmieri. Lo svolgimento del- P acido solforoso è pure abbondante ed in certi luoghi la respi- razione ne è incomodata. S’ incontra dovunque del sesquicloruro di ferro, del cloruro di sodio ed un poco di cloruro di rame, qualche po’ di letunnia ed inoltre della teucrite, e del solfato di calcio. Nei prodotti volatilizzati che raccolsi in una incavatura di lave affatto raffreddate, si trovavano delle incrostazioni bian- che, di sapore salato, che si sarebbero prese per del cloruro di sodio: sul parere del professor Palmieri se ne fece l’analisi; trovai che al cloruro di sodio era mescolata una quantità con- siderevole di carbonati alcalini. Si trova così confermata la pre- senza dei carbonati già' stata constatata dall’esimio Direttore dell’ Osservatorio del Vesuvio. Quasi nello stesso luogo, dove fu- rono trovati i carbonati, una fumarola dava quasi esclusivamente dell’acido carbonico e del vapor acqueo. Ho cercato con un mi- crofono, un telefono Bell ed una pila, di studiare i movimenti raicrosismici del fondo del cratere ; ma sia a causa della gran calma del vulcano nel giorno della mia osservazione, sia per altra cagione, non ottenni resultati assolutamente sicuri quantunque il telefono ripetesse con perfetta nettezza i movimenti del mio oro- logio che aveva posto sulla base del microfono. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Co- mitati Geologici e sul B. Comitato Geologico d’Italia. — Firenze 1871 L. 1. 50 Idem. — Carta Geologica della parte orientale del- V Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1871 ._» 2.00 F. Giordano. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia ltalo-Elve- tica. — Firenze 1873 » 10. 00 Idem. — Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1873 » 3.00 C. W. C. Fuchs. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di 1 per 25,000. — Firenze 1873. ...» 2. 00 G. Ponzi e Fr. Masi. — Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio all’Esposizione Internazionale di Vienna. — Roma 1873 » 2. 00 Idem. — Catalogo sommario dei prodotti minerali italiani ec. — Roma 1873 » 1. 00 P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta Geo- logica d’Italia in grande scala. — Roma 1875 . » 1. 50 G. Doelter. — Carta Geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone, nella scala di 1 per 20,000. — Roma 1876 » 2. 00 Per le commissioni dirigersi all’ Ufficio Geologico in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli , N. 5, od ai principali librai. Annunzi di pubblicazioni. D. Lovisato. — Strumenti litici e brevi cenni geologici sulle provinole di Catanzaro e (li Cosenza. (Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei; Memorie, serie 3a, voi. IL) — Roma 1878; pag. 22 m-4 con una tavola. G. Ponzi. — Le ossa fossili subapennine dei dintorni di Roma. (Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei ; Memorie, serie 3% voi. II.) — Roma 1878; pag. 30 in-4°. 0. De Stefani e D. Pantanelli. — Molluschi pliocenici dei dintorni di Siena. (Bollettino della Soc. Malacologica italiana, voi. IV, disp. la.) — Pisa 1878. A. e G. B. Villa. — Cenni geologici sul territorio (lelP antico distretto di Oggiono. (Atti della Soc. It. di Se. Nat., voi. XXI, fase. 2°.) Milano 1878; pag. 20 in-8° con carta geologica. A. De Zigno. — Annotazioni paleontologiche. Aggiunte alla ittiologia dell’epoca eocena (dalle Memorie dell’Istituto Veneto, voi. XX).— Venezia 1878; pag. 14 in-4° con tre tavole. — Sulla distribuzione geologica e geografica delle conifere fossili. — Padova 1878; pag. 14 in-8° con tre tabelle. B. Gastaldi. — Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi piemontesi durante la campagna del 1877 (dagli Atti della R. Accademia dei Lincei; Memorie, serie 3a, voi. II). — Roma 1878; pag. 12 in-4° con due tavole colorate. 1. Cafici. — Da Vizzini a Licodia, note geologiche. — Siracusa 1878 ; pag. 36 in- 8° — Stndi sulla geologia del Vizzinese. — Catania 1878; pag. 23 in-4°. A. De Zigno. — Sopra un nuovo sirenio fossile scoperto nelle colline di Brà in Piemonte (dagli Atti della R. Accademia dei Lincei, Me- morie, serie 3a, voi. II). — Roma 1878 ; pag. 13 in-4° con sei tavole. G F Rodwell. — Etna, a hìstory of thè mountain and of its eruptions. — London 1878 ; pag. 146 in-8° con tavole e figure intercalate. D. Lovisato. — Il Monte di Tiriolo. — Catanzaro 1878 ; pag. 26 in-4°. T Taramelli — Sulla formazione serpentinosa dell5 Apennino pavese. (R. Acc. dei Lincei ; Memorie della classe di Scienze fìsiche ec. , voi. II.) — Roma 1878 ; pag. 57 in-4° con due tavole. M. Baretti. — Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi Piemontesi durante la campagna del 1877. (Idem.) Roma 1878; pag. 10 in-4 con una tavola. A. Cossa. — Sul serpentino di Verrayes in valle (P Aosta piagli Atti della R. Accademia dei Lincei, serie 3a, Memorie, voi. II).— Roma 1878; pag. 7 in-4° con quattro tavole. G. G. Gemmellaro. — Sui fossili del calcare cristallino delle Montagne del Casale e di Bellampo nella provincia di Palermo (Sopra alcune faune giuresi e liasiche di Sicilia; fase. 6°). — Palermo 1879, m-4 con tavole. G Ponzi. — Della zona miasmatica lungo il Mare Tirreno e specialmente delle Paludi Pontine. — Roma* 1879 ; pag. 54 in-8° con tavola. T. Taramelli. — Appunti geologici sulla provincia di Belluno. — Mi- lano 1879; pag. 43 in-8°. G. Omboni. — Le nostre Alpi e la pianura del Po. Descrizione geologica del Piemonte, della Lombardia, del Trentino, del Veneto e deli Istria. — Milano 1879; pag. 496 in-8° con figure intercalate. M. S. De-Rossi.— La meteorologia endogena; tomo primo. — Milano 1879 ; pag. 360 in-8° con cinque tavole. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° 5 e 6. Maggio e Giugno 1879. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1879. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. I». _ Bollettino. — Si pubblica regolarmente in fascicoli bime- strali di 5 o più fogli di stampa ciascuno, formanti un vo- lume annuo di 500 e più pagine, con tavole ed incisioni in- tercalate nel testo. Il prezzo dell’ abbinamento annuo è di L. 8 per l’ interno e di L. 10 per l’estero. Gli abbuonati ricevono gratuitamente la copertina ed il frontespizio del volume. — Ad annata compiuta i volumi annuali rilegati si vendono al prezzo di L. 10. —I fascicoli separati si vendono al prezzo di L. 2. ciascuno. — La serie incomincia coll anno 1870. Il» Memorie per servire alla descrizione della Carta Geo- logica d’ Italia. — Pubblicazione di gran formato corre- data da tavole, Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Volume I ; Firenze 1871. — Introduzione — Studii geo- logici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui minerali delle valli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottdra, con quattro tavolo. — Descri- zione geologica dell’ Isola cT Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica . — Malacologia pliocenica ita- liana (Parte Ia, Gasteropodi sifonostomi ) di C. D’ Ancona ; fascicolo 1°, con sette tavole. — Prezzo Lire 35. Volume II, Parte la; Firenze 1873. — Introduzione. — Monografia geologica dell’ Isola d’ Ischia, di C. W. C. Fuchs, con Carta geologica e incisioni nel testo. Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attra- versata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Flvetica, di F. Giordano, con Carta geologica e due tavole di Sezioni. — Appendice alla Memoria sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottdra, con una tavola. — Malacologia pliocenica italiana (Parte Ia, Gasteropodi sifono- stomi), di C. D’ Ancona, fascicolo 2°, con otto tavole. — Prezzo Lire 25. Volume II, Parte 2a; Firenze 1874. — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, Parte 2% con due tavole. — Prezzo Lire 5. Volume III, Parte la; Ptoma 1876. — Il gruppo vulca- nico delle Isole Ponza, monografìa geologica di C. Doelter, con tre tavole e una Carta geologica. — Geologia del Monte Pisano, di C. De Stefani, con una tavola. — Prezzo Lire IO. {Continua.) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. 1V° 5 e 6. — Maggio e Giugno 1879. SOMMARIO. Atti relativi al Comitato Geologico. Congresso geologico internazionale del 1881 in Bologna. Note geologiche. — I. Relazione sull’eruzione dell’Etna, per L. Baldacci. L. Mazzetti e R. Travaglia. — II. La Montagnola senese, per C. De Stefani. — IH. Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrionale, per D. Lovi- sato. (Continuazione ) — IV. Le formazioni plioceniche a Montegibbio (prò- vincia di Modena), per A. Ferretti. — V. Gli strati di arenaria e piante fossili di Recoaro, per C. W. Gùmbel. — VI. Considerazioni generali sulla Corologia e Cronologia degli strati terrestri, per Ed. von Mojsisovics. Notizie bibliografiche. — C. Doelter, Die Producte des Vulcans Monte le)ìU; Wien, 1878. T. Taramelli, Appunti geologici sulla provincia di Belluno; Milano, 1879. - G. Omboni, Le nostre Alpi e la pianura del Po descrizione geologica; Milano, 1879. Notizie diverse. — L’ eruzione dell’ Etna. — Ricerche chimiche sulle lave degli Ernici. Tavole ed incisioni. Carta geologica che va unita alla relazione sull’eru- zione dell Etna, a pag. 201. — Sezioni geologiche nella Montagnola senese, a pag. 213, 214 e 223. ATTI RELATIVI AL COMITATO GEOLOGICO. Come già veniva esposto nell’ ultimo numero del Bollettino (marzo-aprile), avendo il Comitato geologico nella sua seduta del 17 marzo approvate con poche modificazioni le proposte conte- nute nel rapporto dell1 Ispettore delle Miniere sul proseguimento dei lavori della Carta geologica, il Ministero accordava che l’Uf- fizio geologico attendesse all’ esecuzione, coi mezzi disponibili, dei lavori medesimi ; ed intanto, a tenore dell’ art. 4 (3° alinea) del R. Decreto 23 gennaio 1879, provvedeva a che tale rap- porto venisse stampato negli Atti parlamentari. Fra i lavori così approvati, è principale per ora V avanza- mento della zona solfifera di Sicilia che si fa sul terreno con fogli della Carta topografica a curve ingrandita al 25,000. Si spera che tra questa e parte della prossima campagna tale zona va- stissima e doppiamente interessante possa venire ultimata. - 188 - Essendosi intanto ottenuti i primi fogli della Carta al 25,000 testé fatta dall’Istituto topografico, della catena delle Alpi Apuane, vennero per ora delegati al rilevamento geologico dettagliato di tale catena due geologi del Comitato .sotto la direzione supe- riore del prof. Meneghini, presidente del Comitato stesso, con riserva di aggiungervi altro adatto personale a misura che se ne avrà disponibile. Anche per Roma e dintorni si stanno procurando le Carte e i mezzi, onde proseguire il già iniziato lavoro di rilevamento in grande scala, con speciale riguardo alle condizioni della sotter- ranea idrografìa, e a tuttociò che può interessare il progettato miglioramento della Campagna romana. Intanto che procede il lavoro regolare in grande scala, di- versi lavori secondari preparatorii vengono avanzati, uno dei quali è la riproduzione di una Carta generale d’ Italia in piccola scala (555,555) stata prima preparata per 1’ Esposizione di Parigi del 1878, nella quale vennero coordinati il meglio possibile i lavori parziali dei diversi geologi sino al presente conosciuti. Malgrado che simile Carta non possa considerarsi per ora che come un abbozzo generale, tuttavia già rappresenta assai razionalmente la generale disposizione delle nostre formazioni geologiche. Una copia venne presentata al Parlamento, ed alcune altre si stanno preparando per Ministeri che la richiedono. Simile Carta però non può ancora venire pubblicata, ed anzi si va concedendone copia con molta riserva stante le molte correzioni di cui ha tuttora bisogno. Uno dei lavori importanti ultimamente iniziati, è lo studio • ex-novo delle nostre rocce massiccie, fondato sulle analisi chi- mica e cristallografica, e la di cui direzione venne ora affidata al prof. Cossa della Stazione agraria di Torino e membro del Comitato geologico. Egli verrà coadiuvato da mineralogisti scelti fra giovani che abbiano P istruzione in scienze naturali e mate- matiche richieste per simile specialità. Finalmente l’Uffizio geologico attende ora anche a coadiu- vare con P opera sua i lavori preparatorii pel Congresso geolo- gico internazionale che dovrà aver luogo nel 1881 in Bologna. Riguardo a tale Congresso, la cui importanza venne fatta cono- scere in altro articolo pubblicato alla fine del 1878,1 si daranno « Vedi Bollettino 1878, n. 11 e 12, pag. 541. - 189 - d’ ora innanzi le più essenziali informazioni in appositi articoli ( Vedi più avanti). Quanto al locale che occorrerebbe per P Uffìzio del Comitato geologico, suoi laboratorii e collezioni, segue tuttora la deficienza già tante volte lamentata. Ultimamente, senza abbandonare an- cora l’ex-convento di San Pietro in Vincoli, trasferivasi provvi- soriamente da una parte all’ altra di quell’ edificio, ed ora si attende il ristauro dell’ ex-convento della Vittoria per trasferir- visi. Però ove prenda corpo P idea di procurare ornai locali più grandiosi e sufficienti per tutte le collezioni agrarie e minerarie ed altre esistenti o da formarsi in Roma, anche il Comitato geologico potrà ivi trovar posto per le sue officine e collezioni onde poterle porre degnamente in vista del pubblico. CONGRESSO GEOLOGICO INTERNAZIONALE DEL 1881 IN BOLOGNA. Già nell’ ultimo fascicolo del Bollettino Geologico del 1878 (pag. 541) veniva annunciata la seconda riunione del Congresso geologico internazionale, stata decisa nell’ ultima seduta di quello tenutosi per la prima volta durante P Esposizione del 1878 in Parigi. Nella notizia allora pubblicata si spiegava lo scopo ed il programma di quella riunione che avrà luogo nel 1881 e per la quale venne scelta la città di Bologna. Si riferiva in quella notizia la nomina stata fatta a Parigi stesso del Comitato orga- nizzatore, composto di vari geologi italiani, sotto la presidenza del prof. Capellini ; la nomina pure di due Commissioni inter- nazionali che devono preparare i lavori del Congresso bolognese, 1’ una per l’ unificazione della colorazione delle Carte e P altra per quella della nomenclatura delle formazioni geologiche, oltre ad una terza per la nomenclatura delle specie in paleontologia e mineralogia ; le quali tre Commissioni dovranno aver comuni- cato i loro rapporti prima del fine del 1880. Il Comitato organizzatore italiano, la cui sede venne pure fissata in Bologna dove è specialmente rappresentato dal presi- dente prof. Capellini, procedeva intanto alla sua ulteriore orga- 190 - nizzazione. Ed anzitutto essendo nei primi dell’ anno 1879 de- ceduto il membro prof. Gastaldi, veniva nominato a sunogarlo il prof. Stoppani dell’ Istituto superiore di Firenze. Venivano quindi nominati a segretario generale del Congresso il prof. T. Taramelli; a segretari ordinari i signori Foresti, Malvezzi e Simoni *, a tesoriere il senatore G. Scarabelli. Accettarono farne parte come membri onorari, il sindaco di Bologna, il rettore dell’ Università, il presidente dell’ Accademia, il presidente della R. Deputazione di Storia Patria ed il diret- tore della R. Scuola d’ applicazione degl’ ingegneri di quella città. S. M. il Re Umberto, che da principe già avea assistito come protettore al Congresso preistorico internazionale tenutosi nel 1871 in quella stessa città, accettava ora, dietro presenta- zione di un indirizzo fattogli dal presidente ’e dal deputato Q. Sella, T alto protettorato del Congresso geologico del 1881. Rimane presidente onorario, quale venne proclamato a Pa- rigi, il presidente della R. Accademia dei Lincei, Q. Sella. ° intanto le due Commissioni internazionali per la colorazione delle Carte e per la nomenclatura delle formazioni geologiche, nominarono rispettivamente, la prima : a presidente Selwyn rap- presentante del Canadà ; a segretario Renevier rappresentante della Svizzera ; la seconda : a presidente Hébert rappresentante della Francia ; a segretario Dewalque rappresentante del Belgio. Secondo le norme poi stabilite a Parigi, ciascuno dei rap- presentanti delle due suddette Commissioni internazionali, do- vendo nominare nel proprio paese un Comitato locale per lo studio della relativa questione, i due rappresentanti di esse per P Italia, Giordano e Capellini, nominavano i rispettivi Comitati come segue : Per la colorazione delle Carte : Capellini, Ornboni, Scarabelli, Taramelli; per la nomenclatura geologica: Cocchi, Gemmellaro, Meneghini, De Zigno. Il Comitato organizzatore veniva poi dal suo presidente riu- nito in Roma il 17 e 18 marzo scorso, allo scopo di convenire sulle norme generali pei preparativi e per i lavori speciali che oltre a quelli delle sunnominate Commissioni sarebbe stato op- portuno di preparare pel Congresso, onde agevolarne il compito per un lato, e per P altro renderne più copiosi gli utili risultati. Fra i lavori la cui opportunità venne riconosciuta d’ accordo - 191 - anche con il Comitato geologico, che teneva seduta nel tempo stesso in Roma, havvi la preparazione della Carta geologica som- maria di alcune parti dell’ Appennino toscano e bolognese, che potrebbero essere visitate dai convenuti al Congresso. Egualmente si convenne per lo studio chimico-mineralogico delle rocce ita- liane da fare ex-novo con i sistemi moderni, onde poter proce- dere alla riforma ornai necessaria della loro classificazione. Uno studio speciale o monografia delle formazioni serpentinose tanto sviluppate e sotto varia forma in Italia, sarebbe anche molto opportuno e adatto al caso. Ad alcuni di simili lavori già venne posto mano con V opera combinata dell’ Uffizio geologico, del presidente del Comitato or- ganizzatore e di alcuni professori che presteranno la intelligente loro opera. Intanto il presidente del Comitato diramava in data del 30 aprile la circolare d’invito al Congresso di Bologna, la cui apertura venne fissata al lunedì 26 settembre 1881. La quota per essere ammesso come membro del Congresso è fissata per chiunque a L. 12. Ad agevolare le informazioni ed il concorso al Congresso vennero nominati vari membri delegati nelle principali località d’Italia. All’ estero possono funzionare quali membri delegati i membri delle Commissioni internazionali. Si unisce il testo francese della circolare, seguita dalla nota che vi è annessa dei membri del Comitato organizzatore, dei membri delegati, e delle due Commissioni internazionali per gli studi preparatorii del Congresso sovra menzionati. Congrès Géologique International 2me Session — Bologne 1881 (Ouverture 26 septembre). S. M. IIUMBERT I r ROI D’ITALIE, haut Protecteur — Sons le pa- tronage de la ville de Bologne — Président d’honneur Q. Sella (Président de l’Académie R. des Lincei). Bologne, 30 Avril 1879. Monsieur, Le Congrès géologique international, qui s’est réuni pour la première fois en 1878 à Paris, a décidé, dans la séance de ciò- - 192 - ture, que sa deuxième réimion aura lieu en Septembre 1881 à Bologne (Italie). Dans la mème séance le Congrès, tout en con- servant au Bureau de Paris ses pouvoirs jusqu’à l’ouverture de la Session de 1881, a nommé pour préparer cette Session un Comité d’organisation composé d’un certain nombre de géologues italiens. Ce Comité a fixé son siége dans la ville mème de Bo- logne. Dans le but d’obtenir plus sùrement de la prochaine Session un résultat pratique, le Congrès de Paris a, dans la mème séance, adopté les dispositions suivantes: 1° Deux Commissions internationales sont nommées avec mandat d’étudier les deux questions ci-après, formant le fond dii programme : a) Unification des figurés géologiques ; b) Unification de la nomenclature géologique. Une troisième Commission est chargée d’étudier la question des règles à suivre pour établir la nomenclature des espèces en minéralogie et en paléontologie. 2° Ces Commissions devront envoyer leurs rapports avant la fin de 1880 au Comité d’organisation, qui les fera imprimer et distribuer aux membres inscrits, avant l’ouverture de la Session. Le programme détaillé indiquant les jours des séances, les excursions, etc., sera distribué avec les rapports des Commissions, et, en tout cas, avant l’ouverture de la Session mème. Les personnes qui désirent ètre inscrites cornine membres dii Congrès sont priées d’en faire la domande plus-tòt possible, en s’adressant soit au Secrétariat du Comité d’organisation (Bolo- gne, 65, Via Zamboni), soit à l’un des membres des Commissions internationales, soit enfìn à l’un des membres délégués du Co- mité. Dans leur demande elles doivent indiquer exactement leurs nom, prénoms, qualités et demeure. La cotisation pour ètre membre du Congrès est de douze francs (12 fr.). Le recu du Trésorier donne droit à la carte de membre, ainsi qu’au compte rendu et autres publications ordi- naires du Congrès. Les cartes de membre seront délivrées au bureau du Con- grès à Bologne, à partir du 20 Septembre 1881. Agréez, Monsieur, l’expression de nos meilleurs sentiments. Le Président du Comité d’organisation J. Capellini. Le Secrétaire général T. Taramelli. NB. Les envois de fonds doivent ètre expédiés nominativement à M. J. ScaraMli, Trésorier, 65, Via Zamboni, Bologne (Italie). — 193 - COMITÉ D’ORG-ANISATION. Président : CAPELLINI J., prof, de geologie à l’université de Bologne. Membres honoraires: Le SYNDIC de la ville de Bologne. — Le PiECTEUR de Puniversité B. de Bologne. — Le PRÉSIDENT de l’Académie des Sciences de Plnstitut de Bologne. — Le PRÉ- SIDENT de la B. Deputazione di Storia patria pour les provin- ces des Romagnes. - — Le DIRECTEUR de l’École R. d’applica- tion pour les ingénieurs à Bologne. Membres titulaires : GEMMELLARO G., prof, de géologie et de minéralogie à Puniversité de Paierme. — GIORDANO F., ing. inspecteur en chef des mines, Rome. — GUISCARDI G., prof, de géologie à Puniversité de Naples. — MENEGHINI J., prof, de géologie à Puniversité de Pise. — OMBONI J., prof, de géologie et de minéralogie à Puniversité de Padoue. — PIRO- NA J., prof, délégué de Plnstitut vénitien au Congrès de Paris, Udine. — PONZI J. sénateur, prof, de géologie à Puniversité de Rome. — STOPPANI A., prof, de géologie à Plnstitut sup. à Florence. Trésorier : SCARABELLI J., sénateur, Imola. Secrétaire generai : TARAMELLI T., prof, de géologie et de minéralogie à Puniversité de Pavie. Secrétaires: FORESTI L. Dr, aide au musée de géologie à Bologne. — MALVEZZI C.t0 Dr N., membre de la R. Deputa- zione di Storia patria. — SIMONI L., naturaliste. Membres délégués du Comité d’organisation. Anca b.n F., Paierme. — Axerio ing. J., Milan. — Baretti prof. M., Turin. — Bassani doct. F., Padoue. — Bechi prof. E., Florence. — Bellardi prof. E., Turin. — Bellucci prof. J., Pé- rouse. — Bombicci prof. L., Bologne. — Botti chev. U., Lecce. — Campani prof. J., Sienne. — Ciofalo prof. X., Termini Ime- rese. — Cocchi prof. I., Florence. — Cornalia prof. E., Milan. — Cossa prof. A., Turin. — D’Achiardi prof. A., Pise. — D’An- cona prof. C., Florence. — De Bosis prof. F., Ancone. — De Giorgi prof. C., Lecce. — De Stefani doct. C., Sienne. — Do- derlein prof. P., Paierme. — Forsyth-Major doct. C., Florence. — Grattarola prof. J., Florence. — Issel prof. A., Gènes. — Lawley chev. R., Pontedera. — Lioy comm. P., Vicence. — Lotti ing. B., Massa Marittima. — Lovisato prof. D., Sassari. — Man- zoni c.te A., Bologne. — Marinoni prof. C., Udine. — Marchese ing. E., Sardaigne. — Mayo général E., Florence. — Molon — 194 - ing. F., Vicence. — Niccoli ing. H., Ancone. — Perdati ing. N., Rome. — Ragazzoni cliev. J., Brescia. — Scacchi prof. A., Na- ples. __ Sequenza prof. J., Messine. — Silvestri prof. 0., Ca- tane. — Spezia prof. G., Turili. — Strobel prof. P., Paride. — Struever prof. J., Rome.— Testore ing. J., Iglesias.— Toso ing. P., Caltanisetta. — Uzielli prof. G., Modène. — Zezi prof. P., Rome. — Zigno b.n A., Padoue. COMMISSIONS INTERNATIONALES : Pour l’unification des figurós géologiques. Président: M. Selwyn, directeur de la Commission géologique du Canada. Secretaire : M. Renevier, professeur à PAcadémie de Lausanne (Suisse). Membres : Pour l’Australie, MM. Liversidge, professeur à Puniversité de Sydney.— Pour PAutriche, De Hauer, directeur de Plnstitut géologique d’Autriche.— Pour la Belgique, Dupont, directeur du Musée d’histoire naturelle de Bruxelles. — Pour la Bavière, Guembel, professeur à Puniversité de Munich. — Pour la Grande-Bretagne, Ramsay, directeur général du Geological Sur - vey . — Pour l’Espagne et le Portugal, Ribeiro, directeur de la Commission géologique du Portugal. — Pour les États-Unis, Le- sley, directeur de la Commission géologique de Pensylvanie. — Pour la France, De Chancourtois, ingénieur en chef des Mines, professeur à PÉcole des Mines. — Pour la Hongrie, De Hantken, directeur de Plnstitut géologique de Hongrie. — Pour PXtalie, Giordano, inspecteur en chef des Mines. — Pour la Russie, De Moeller, professeur à Plnstitut des Mines de Saint-Pétersbourg. — Pour la Scandinavie, ToIiell, directeur de la Commission géo- logique de Suède. Pour l’unification de la nomenclature géologique. Président : M. Hébert, membre de Plnstitut, professeur à la Faculté des Sciences de Paris. Secrétaire: M. Dewalque, professeur à Puniversité de Liège (Belgique). Membres : Pour l’Allemagne, MM. Roemer, professeur à Puni- versité de Breslau. — Pour l’Australie, Liversidge, professeur à Puniversité de Sydney. — Pour le Canada, Sterry-Hunt, pro- fesseur à l’institut technologique de Boston, membre de la Com- mission géologique du Canada. — Pour la Grande-Bretagne, Hu- ghes, professeur à Puniversité de Cambridge. — Pour PEspagne - 195 - et le Portugal, Vilanova, professeur au Muséum de Madrid. — Pour les États-Unis, J. Hall, géologue en chef des États-Unis. — Pour la Hongrie, Szabo, conseiller royal, professeur à Buda- pest,— Pour l’Italie, Capellini, professeur à Puniversité de Bo- logne. — Pour la Boumanie, Stephanesco, professeur à Bucha- rest. — Pour la Russie, Inostranzeff, professeur à Puniversité de Saint-Pétersbourg. — Pour la Suède et la Norvège, Lund- green, professeur à Puniversité de Lund. — Pour la Suisse, A. Favre, professeur à Pacadémie de Genève. Commission chargée d’étudier, avant le proehain Congrès, la question des règles à suivre pour établir la nomenclature des espèces. # Pour la paleontologie : MM. Cotteau, ancien président de la Société géologique de France. — Douyillé, ingénieur des Mines. — Gaudry, président de la Société géologique, professeur au Muséum. — Gosselet, professeur à la Faculté iles Sciences de Lille. — Pomel, sénateur. — DeSaporta, correspondant de l’Institut. Ponr la minéralogie : MM. Descloizeaux, membre de Plnsti- tut, — Jannettaz, ancien président de là Société géologique, mai- tre des conférences à la Faculté des Sciences de Paris. NOTE GEOLOGICHE. I. Eduzione sull’ eruzione dell’Etna, per L. B allacci, L. Mazzetti e R. Travaglia.1 (Con Carta geologica annessa.) Caltanissetta, 6 giugno 1879. L1 attuale periodo eruttivo dell’ Etna può dirsi cominciato fino dal 4 ottobre dell’ anno decorso, epoca nella quale ebbero luogo numerose scosse di terremoto accompagnate da rombi sotterranei a Mineo e in altre località della provincia di Catania. Alla fine di dicembre dello stesso anno a N.E. del paese di Paterno, pre- cisamente alla Maccaluba detta Salinella, a breve distanza dalla celebre sorgente gassosa ferruginosa dell1 Acqua grassa, dopo l 'Ingegneri addetti al rilevamento geologico in Sicilia. violenti scosse di terremoto cominciò a scaturire dalle fenditure del terreno una massa di gaz accompagnata da acqua salata, fango e sostanze bituminose. Questa eruzione continuò per più di un mese con grande violenza, tanto da lanciale il fango li- quido e le altre materie in colonne alte 7 od 8 metri, e durava tuttavia, benché con poca attività, nei mesi di marzo e aprile, epoca delle nostre visite a tale località. La superficie del terreno è costituita alla Salinella di Paterno da lava antichissima di epoca e origine indeterminata, che cuo- pre per uno spessore medio di una ventina di metri le sotto- stanti argille e arenarie del Tortoniano, e che si estende tutto attorno lasciando scoperto soltanto il masso basaltico su cui è fabbricato il castello di Paterno. Ai primi di marzo 1879, quando noi visitammo la Salinella di Paterno per la prima volta, P attività era tutta concentrata in quattro piccoli crateri di 0m, 50 a lm di diametro che spin- gevano fuori fango liquido e salato e gaz, specialmente acido carbonico e idrogeno protocarbonato, facendo sentire un gorgo- glio particolare non dissimile da quello che avviene nei tubi di una grossa pompa. Di tanto in tanto erano slanciati a piccola altezza dei frammenti di roccia tolta alle pareti della fenditura, su cui i crateri stavano allineati : questa fenditura aveva una direzione da Nord a Sud, e P area occupata dalle materie erut- tate non sorpassava un ettaro. Una circostanza degna di nota è che mentre la temperatura delle materie provenienti dai crateri più grossi raggiungeva i 33° C. coll’ aria ambiente a 12°, quella di altri piccoli crateri vicini non era che di 7° C. E presumibile che tal differenza di temperatura sia da attribuirsi a maggiore e più rapido svolgi- mento di gaz disciolti e trascinati nell’ acqua eruttata. In tutto questo periodo non è a nostra conoscenza che il cratere principale o il resto della montagna accennassero ad alcun risveglio di attività : anche alPepoca della nostra seconda visita alla Salinella (10 aprile) P eruzione continuava debole e tran- quilla, senza arrecare perturbazioni nemmeno alla vicinissima sorgente dell’ acqua grassa sopra ricordata. Si dice che al pre- sentarsi della attuale eruzione, questi fenomeni sieno compieta- mente cessati. - 197 - Nell’ articolo inserito nel Bollettino Geologico di quest’ anno 1 sulla eruzione fangosa di Paterno, fu già notato che il paese di Mineo, centro dei primi terremoti, e la Salinella di Paterno formavano col cratere centrale dell’ Etna una sola linea retta, rappresentante 1’ asse della grande ellisse, nella quale i terre- moti spiegarono più intensamente la loro azione. Ora è da os- servarsi che l’ attuale centro di eruzione sta esattamente sul prolungamento di detta linea, su cui pure si trova il Monte Mojo ultimo cratere a Nord della montagna, apertosi in epoca ignota in mezzo ai terreni di sedimento. Non si ha notizia che le altre Maccalube, cioè quella di Sciacca, di Girgenti ec., abbiano presentato qualche risveglio, ma è certo che dopo il 3 corrente in quella di Terra Pilata presso Caltanissetta si aveva un leggiero aumento di attività. La presente eruzione cominciò a manifestarsi sul versante S.O. del monte nella cui parte superiore si apersero alcune bocche di emissione che per breve tempo vomitarono fumo e poca quantità di lava. Questa discese per circa due chilometri facendo temere danni ai paesi di Adernò e di Biancavilla. Aper- tosi però uno sfogo sul versante Nord, 1’ attività di quelle bocche cessò interamente. Sul versante Nord 1’ eruzione ebbe principio il 26 Maggio e si manifestò con forti scosse di terremoto nei territorii circo- stanti al centro eruttivo. Questo è situato a circa 2000 metri di altitudine, a distanza in linea retta di 7 chilometri a N.N.E. dal cratere centrale e precisamente alla falda occidentale del Monte Nero, da cui ebbe luogo la grande eruzione del 1646. Tra il Monte Nero ed il Monte Palomba si aperse nella sera del 26 una lunga spaccatura, la cui forma simile a una S si presume dal presente allineamento dei crateri. Notizie raccolte sul luogo portano a credere che al principio della eruzione la parte più alta della fenditura svolgesse una immensa quantità di fumo e di cenere che venne trasportata dal vento a grandissime distanze, e che cuoprì tutta la parte N.E. dell’ isola, riversan- dosi principalmente sui vicini paesi di Linguaglossa, Castiglione, 1 Vedi fascicolo 1-2, pag. 78. - 198 - Francavilla ec. La lava cominciò a sgorgare e a scorrere poco dopo, portando lo sgomento nei vicini paesi per la incertezza della direzione che avrebbe presole forse anche per la poca conoscenza della topografia del monte. La corrente trovò una via naturale nella depressione che esi- steva fra la lava del 1646 e le lave più antiche a ponente di essa ; e per questa discese dapprima rapidamente finche scor- reva sulla parte più declive della montagna, che ha circa il 22 °/0 di inclinazione. Il grande declivio e i fianchi della valle preesi- stente che formava letto alla colata, mantennero quest’ ultima stretta in modo da non sorpassare per i primi 4 chilometri i 50 metri di larghezza. Al bosco di Collabasso (proprietà del comune di Castiglione) la lava cominciò ad arrecare qualche danno bruciandovi quercie ed altre piante di alto fusto, e formò quindi in una parte più inclinata una vera cascata di fuoco che tuttora si mostra più incandescente del resto, continuando in seguito sempre entro la depressione che prende da ivi in giù il nome di Vallone Passo Pisciavo. Durante questo tratto la lava si avanzò con una velocità media di 120 metri all’ora; in seguito, a poco più di 1 chilo- metro a monte della strada nazionale Taormina-Termini, sempre nel Vallone Pisciaro, trovato il terreno più pianeggiante ebbe luogo un notevole rallentamento, che fu dapprima attribuito a una diminuzione di attività dei crateri, e contemporaneamente la corrente si allargò sulla fronte dando luogo a diramazioni laterali che poi non proseguirono. È a questo punto che la lava incominciò a invadere e a devastare ricchi terreni coltivati a cereali, vigne e nocciuoli. Continuando in queste condizioni, cioè rallentando il suo cam- mino e allargandosi sempre, traversò lo stradone dirigendosi verso il fiume Alcantara. La sera del 3 giugno abbiamo misurata la fronte d’ avanza- mento, che aveva la larghezza di circa 300 metri e la velocità di 15 a 20 metri all’ora. In quella sera la colata aveva percorsi dai crateri circa 9 chilometri e giungeva all’ incontro dei Vallone Pisciaro con un suo confluente occidentale distante dal fiume Alcantara un mi- gliaio di metri. Il terreno minacciato dalla lava in questa località è sempre più pianeggiante e forma la larga e ben coltivata valle dell’ Alcantara, sulla cui riva sinistra sorge il piccolo villaggio di Mojo, che solo per ora ha a temere dalla lava. L’ altezza della corrente che non supera da principio i 6 metri, raggiunge 14 metri allo stradone e tocca in qualche punto i 20 metri. Di giorno 1’ aspetto generale della eruzione dal basso non è molto imponente, giacché la lava è poco fluida e scorre entro il suo sacco di nera scoria. I crateri sono involti in densa nube di fumo, e solo di tanto in tanto qualche fugace bagliore rivela la presenza dell’ interno focolare. Tutta la corrente è cupa con fu- marole sparse qua e là; solo negli ultimi due chilometri del suo percorso, sotto T interna pressione, il sacco di scorie si rompe e massi infuocati franano lungo i fianchi con uno scroscio para- gonabile a quello di un tetto di tegole che rovina. È solo allora che si può per un istante vedere la massa incandescente. Lo stesso fenomeno si presenta alla fronte, ma con più grande in- tensità, e reso più vivo dalla frequenza di queste frane, dalla velocità con cui la corrente procede, e dai chiari bagliori delle piante incendiate. A questa distanza appena si sentono i boati dei crateri. Di notte invece questa immensa corrente si mostra per la maggior parte infuocata, specialmente nella cascata già descritta e alla fronte di avanzamento ; una vivissima luce rossastra parte principalmente dai crateri più bassi, e fra il fumo e le fiamme si vedono anche a questa distanza, di più che 9 chilometri, bal- zare a grande altezza e ricadere miriadi di pietre infuocate. Ben altro però è lo spettacolo che si ammira recandosi pro- prio alle bocche d’ eruzione ; a misura che la distanza diminui- sce i boati divengono sempre più sensibili e sul posto divengono talvolta quasi assordanti. La pioggia di cenere è incessante, e riesce molestissima, specialmente se portata con violenza dal vento e accompagnata dai gaz asfissianti dei crateri. Dall’ alto del Monte Nero (2050m) si dominano tutti i crateri allineati ai piedi di questo, lungo una linea a forma di S; non tutti presentano eguale attività ed anzi l’efflusso continuo della lava sembra ora solo concentrarsi in quelli più bassi. - 200 - Partendo dal punto più alto della grande fenditura si nota a S. 0. del Monte Nero una striscia di lava già raffreddata, di sotto alla quale Y attività si manifesta solo per dense emissioni di fumo, che son lanciate fuori a intermittenze. Il primo cratere attivo è all’ altezza della base del Monte Nero a 15CT circa ad Ovest di esso, e più basso si ha un’ altra fenditura, con varie piccole bocche; un gruppo di altri quattro crateri attivissimi è a N. 0. del Monte Nero stesso e un’ ultima bocca più bassa e più a ponente, presenta la massima violenza nell’ efflusso della lava. La lunghezza di questa fenditura raggiunge certamente gli 800m. Lo spettacolo veramente maestoso e imponente che si presenta la notte dalla cima del Monte Nero è impossibile a descrivere. Mentre da un lato il cratere più basso vomita senza tregua lava e fiamme, dall’ altro nelle bocche di quattro crateri sovrastanti si vede gonfiarsi, ribollire ed abbassarsi il liquido infocato, ora quasi calmarsi e farsi più tetro, ora presentarsi con abbagliante splendore : ogni tanto in qualche istante di calma relativa, la lava ha tempo di solidificarsi alla superficie, a in- tervalli soffioni fiammeggianti la screpolano, e a un tratfo tutta questa crosta si solleva, si infrange con rumore spaventoso e i detriti lanciati a grande altezza ricadono in pioggia di fuoco tutto all’ intorno per aumentare il cono del cratere. Di tanto in tanto il vicinissimo cratere più alto richiama a sè 1’ attenzione dello spettatore coi suoi boati e colle violente proiezioni di sassi incandescenti che gli cadono a poca distanza. Più in alto (a 2300 metri) tra due monti, che sembrano il Pizzillo e lo Scoperto, si elevano di continuo densi globi di fumo e ceneri, e immensi nuvoloni si inalzano continuamente e con grande velocità dal cratere centrale, sviluppandosi in spire vor- ticose, e portando la cenere a enormi distanze. Anche ai piedi del gran cono centrale si è aperta una bocca che pure manda fuori gran quantità di fumo e di cenere. È da notare una certa periodicità nella attività di questi crateri ; i boati non sono continui, anzi talvolta 1’ efflusso della lava e le proiezioni di scoria infocata avvengono quasi senza ru- more: altre volte invece il rumore è veramente non interrotto, e può solo paragonarsi da lontano a quello di un vivo bombar- — 201 — (lamento. A parte però queste alternanze V attività è stata finora in media costante, e nessun indizio porta a credere che debba per ora variare o cessare. I terreni coltivati distrutti fino al 5 giugno cominciano poco a monte della Strada Nazionale e certo non superano i 150 et- tari ; però ben più grande sarà il danno se la lava continua ad avanzarsi nella ubertosa valle dell’ Alcantara e se chiuderà, come è probabilissimo, il letto del fiume. La cenere o lapillo, a grossi grani ai crateri, e tanto più fina quanto più grande è la distanza cui venne trasportata, ha già raggiunto presso le bocche più di 15 centimetri di spessore, e seguita a cadere senza posa, specialmente sulla parte orientale della montagna: il giorno 5 giugno i territori di Giarre, Man- gano, Acicastello, Acireale erano coperti da un grigio lenzuolo di più che un centimetro di questa materia salata ed acida, che continuando recherà certo gravissimi danni ai raccolti di quelle ricche regioni. Caltanissetta, 9 giugno 1879. Nella sera del 6 giugno la lava si era arrestata a circa 150 metri a valle della strada che conduce alle case Sannazza, percorrendo così dal 3, giorno della nostra visita, un 350 metri, e rimanendo ad una distanza di 650 metri dal fiume. Da quella sera in poi V eruzione sembra completamente cessata. La carta annessa a questo rapporto mostra il cammino pei corso dalla lava fino alla sera del 6 giugno e la posizione relativa delle bocche di eruzione. L. Baldacci. L. Mazzetti. R. Travaglia. 14 - 202 - IL La Montagnola senese, studio geologico di Carlo de Stefani. I. — Descrizione topografica. La Montagnola senese propriamente detta si estende circa nove chilometri a ponente di Siena, con direzione da N. a S. È confinata a mezzogiorno dalla valle della Rosia, tributaria del- F Ombrone, la quale serve di confine per un certo tratto anche a ponente, finche con leggerissimo e quasi impercettibile cam- biamento di pendenza si passa nella valle dell’Elsa che nasce appunto nella Montagnola, e confinando questa a ponente, ma in direzione opposta a quella della Rosia corre poi verso l’Arno. La Montagnola negli altri lati, cioè a settentrione ed a levante, è confinata dalla Staggia e da una serie di collinette plioceniche fra le quali e la Montagnola si dilungano i piani alluvionali detti Pian del Lago, Pian del Ponte, e Pian di Rosia. I signori Pan- tanelli e Lotti estendono il nome di Montagnola senese a tutti i poggi i quali vanno da Gambassi nella provincia di Firenze fino alla Farina presso Pari. Però se col nome di Montagnola senese si comprendono qualche volta anche i poggi a mezzogiorno della Rosia, niuno ha mai dato quel nome ai poggi di Gam- bassi, di San Gemignano, di Camporbiano e del Cornocchio, i quali si estendono a settentrione di quella depressione di Colle che secondo i citati autori interromperebbe la Montagnola sud- detta, e che d’ altronde fanno parte non della sola provincia di Siena, ma anche di quelle di Firenze e di Pisa. Io per conse- guenza limito il mio dire a quella regione che 1’ uso comune, le carte geografiche, e P abitudine degli scrittori antecedenti, hanno denominata Montagnola, e che resta confinata nei limiti dianzi descritti, comprendendo anzi pure la sua porzione più set- tentrionale che ha il nome di Montemaggio. La lunghezza massima della Montagnola da S. a N. fra Mon- teriggioni e la Rosia è di circa 16 chil. ; la massima larghezza di circa 11 chil. - 203 - Il vertice è quasi uniforme, ed il punto più elevato è la Cappella del Castellare nel Montemaggio alta 663 metri. Nondi- meno la Montagnola ed il Montemaggio paiono anco più bassi di quel che sieno, perchè tutto intorno hanno delle collinette plioceniche le cui vette si corrispondono quasi ad un medesimo livello, e che sono già alte di per sè da 340 a 400 metri. II. — Cenni bibliografici. Se non erro il primo che parlando di geologia facesse men- zione, però incidentemente, di rocce della Montagnola e proprio dei marmi di Montarrenti, fu Giovanni Arduino.1 Ma P illustre Brocchi fu il primo geologo che visitasse que’ nostri terreni e che ne desse qualche cenno. Indipendentemente dai colli subapen- nini dei dintorni di Siena, e di altri luoghi circostanti alla Mon- tagnola, egli cita le serpentine di Pieve a Scuola e di Lornano come pure le rocce dei dintorni di Celsa e Lucerena : riconosce poi eh essa, per la sua natura geologica fa parte della giogaia apenninica.2 * Qualche cenno litologico sulle rocce si trova nel Dizionario del Piepetti," ed un insieme di osservazioni ancora più impor- tanti e degne di nota si trova nella carta mineralogica della To- scana pubblicata dal Giuli nel 1843. 4 II calcare cavernoso è quivi indicato come calcarea compatta , però confuso coll’ alberese. V’ è distinto in parte il marmo, ritenuto come calcarea primitiva. Sono pure segnati in modo distinto i serpentini di Pieve a Scuola già notati dal Brocchi ; il pliocene spesso calcareo dei dintorni di Sovicille viene designato come travertino antico. Un’ altra descrizione litologica un poco particolareggiata, ma solo dei dintorni di Lucerena, nella quale si fa parola di quei marmi e degli schisti, fu fatta dal Begni nel 1848. 5 1 G. Arduino, Saggio mineralogico di lythogonia e orognosia. ( Atti del- l’Accademia dei Fisiocritici, tomo V.) Siena, 1774. 2 G. B. Brocchi, Conchiologia fossile subapennina, voi. I. Milano, 1814. 8 E. Repetti, Dizionario geografico-fisico-storico della Toscana. Firen- ze, 1833. * G. Giuli , Carta geografica di mineralogia utile della Toscana. Fi- renze, 1843. G. Begni, Ispezione geologica dei terreni sottoposti a Luciarena nel Senese in luogo detto la Montagnola. Livorno, 1848. - 204 - Intanto veniva pubblicata 1’ opera del Savi e del Meneghini 1 che doveva porre il fondamento della geologia di Toscana e cbe, determinando meglio che non fosse fatto per l1 innanzi 1’ età dei vari terreni di quella regione, preparava in gran parte i criteri! coi quali si sarebbe potuto fare uno studio più esatto della geo- logia senese. Della Montagnola però è fatto appena qualche cenno, e viene ricordato VAmmonites margaritatus d’ una tavola di marmo giallo senese che si trova nel Palazzo Pitti per di- mostrare che quel marmo poteva essere liassico. Per trovare uno studio redatto in modo scientifico, speciale per la Montagnola, bisogna venire all’ anno 1862. In questo tempo infatti il Campani pubblicava i risultati delle osserva- zioni sue e di altri.2 Egli distingue gli schisti, il calcare caver- noso, i marmi che ritiene sovrastanti a quello, e l’alberese; pub- blica un taglio del Capellini, lungo il torrente Rosia, e secondo suggerimenti di questo geologo fondati sulle osservazioni fatte alla Spezia, attribuisce il calcare cavernoso al Trias superiore , insieme con le quarziti e con le anageniti più antiche, mentre crede che i marmi possano rappresentare una porzione dell’ In- fralias. Lo stesso Campani pubblicava nel 1865 la Carta geologica della provincia di Siena 3 con alcune maggiori notizie relative anche alla Montagnola. Calcare cavernoso, anageniti e schisti vio- lacei di Ptosia sono ancora attribuiti al Trias, i calcari ammo- nitiferi, salini, bardigli, e gli schisti associati sono considerati ancora infraliassici ; gli schisti del lato occidentale della Mon- tagnola propriamente detta, dalla valle di Gallena a Scorgiano, che come vedremo sono sottostanti ai calcari cavernosi, secondo le proposte del Savi, vengono distinti col nome di Schisti vari- colori, e ritenuti d’ epoca giura-liassica, insieme cogli schisti dei dintorni di Tegoia e di Marmoraia. L’ alberese veniva attribuito all’ Eocene. Nel Congresso dei naturalisti Italiani che si tenne in Siena 1 P. Savi e G. Meneghini, Considerazioni sulla Geologia della Toscana. Firenze, 1851. 2 G. Campani, Geologia — Siena e il suo territorio. Siena, 1862. 8 G. Campani, Saggio della costituzione geologica. ( Annuario corografico amministr adivo della provincia di Siena.) Siena, 1865. - 205 - nel 1872 fu parlato della Montagnola senese, e questa fu pure visitata dai convenuti.1 Nella seduta d’apertura il presidente Campani lesse una succinta descrizione di essa e di tutti i con- torni di Siena.2 Nella seduta del 24 settembre il marchese Chigi espose alcuni cenni sulla natura litologica dei dintorni di Ceti- naie.3 Più tardi vennero pubblicati i risultati d’ alcune di quelle osservazioni : ed il Capellini pubblicò 4 per la prima volta un ta- glio lungo il torrente Rosia, e per la seconda volta, non per la prima, come’ incidentemente è detto dai signori Pantanelli e Lotti, il taglio sotto Monte Luco già reso noto dal Campani nel 1862. 11 Calcare cavernoso, la Quarzite e PAnagenite vengono da lui conservati nel Trias; gli schisti violacei sottostanti, che egli ri- teneva più antichi della quarzite e dell’ anagenite, forse per in- duzione di ciò che si verifica altrove, secondo gli ordinamenti che il Capellini aveva adottato pelle rocce della Spezia, sono attribuiti al Permiano, alcuni dei marmi di Montarrenti con certi calcari bigi e con schisti talcosi vengono lasciati nell’ Infralias, mentre la massa del calcare marmoreo, tornando alle idee più esatte del Savi e del Meneghini, è riferita, benché con esitazione, al Lias. L’ Achiardi poi avendo osservato che intorno alla Montagnola i terreni pliocenici sono sollevati del pari che i terreni più antichi, e contrastando ciò coll’ idea che in allora si aveva della Catena metallifera la quale si supponeva fosse in una regione di spro- fondamento, mentre dovunque vi si trovano le stesse circostanze della Montagnola, scrisse una Nota 3 intesa a provare che que- sta piccola regione montuosa aveva una storia diversa da quella della Catena anzidetta, ed essendo sollevata in epoca recente, apparteneva alle colline subapennine. In questo frattempo basandomi sugli studi del Coquand, del- l’ Hoffmann, del Pareto, di Savi e Meneghini, di Cocchi e di Ca- * Atti della Società italiana di scienze naturali, voi. XV, 1872 pag 198 216. 217, 218. a Ibidem. G. Campani, Sulla Storia naturale del territorio di Siena pag. 250. 3 Pag. 218. * Ibidem. Tav. 4a. A. D Achiardi, Paragone della Montagnola Senese con gli altri monti della catena metallifera della Toscana. {Boll. R. Com. geol., voi. III. 1872.) - 206 - pellini e sui miei, io dimostravo che i calcari cavernosi della To- scana attribuiti allora al Neocomiano erano per la massima parte Infraliassici, che gli schisti sottostanti ai calcari cavernosi in- fraliassici ed accompagnanti la zona marmorea delle Alpi Apuane, nella quale avevo trovato dei fossili, erano triassici, combat- tendo gli ordinamenti nel Permiano e nel Carbonifero che erano stati proposti in talune località ; dalle rocce poi sovrastanti al- T Infralias ed appartenenti al Lias inferiore distinguevo il Lias medio. Questi ordinamenti che cominciai a proporre nel 1874 furono confermati dappoi in tutta la Toscana e nell’ Emilia, e nel 1875 li applicavo alla Montagnola che avevo cominciato a visitare.1 Attribuivo infatti al Trias gli schisti micacei più an- tichi, all’ Infralias i calcari cavernosi, ed alle due zone del Lias inferiore i marmi, cioè alla zona più antica i marmi bian- chi, alla meno antica quelli gialli. Poco dipoi ritornavo a tale questione2 con altri argomenti stratigrafìci, confermavo che i marmi bianchi e gialli della Montagnola sebbene fino allora fossero stati ritenuti d1 incerta epoca erano geologicamente identici ai marmi ceroidi ed a quelli saccaroidi del rimanente della Toscana, esclusi i marmi saccaroidi triassici delle Alpi Apuane. Nel 1876 ripetevo alcune osservazioni sul calcare cavernoso e sulla terra rossa' della Montagnola per mostrare chela caver- nosità dell’ uno e la formazione dell’ altra erano fenomeni este- riori ed in parte conseguenze della emersione di quella regione : 3 ripetendo poi gli ordinamenti già adottati, proponevo di distin- guere col nome di piano A la zona inferiore del Lias inferiore, cioè i marmi bianchi compresi quelli della Montagnola, e col nome di piano B la zona superiore dei marmi rossi o gialli.4 In ultimo poi sostenevo come la storia della Montagnola non fosse 1 C. De Stefani, Un brano di storia della geologia toscana a proposito Od una recente pubblicazione del sig. Coquand. (Boll. R. Com. geol.: voi. VI. 1875. ) 2 C. De Stefani, Dell’ epoca geologica dei marmi dell’Italia centrale. (Boll. R. Com. geol., voi. VI. 1875.) * C. De Stefani, Geologia del Monte Pisano. (Mem. R.. Com. geol., voi. Ili, 1876, pag. 26.) 4 Per errore tipografico, corretto nell’ errata-corrige, nel quadro finale dei terreni ( Geologia del Monte Pisano) il piano A è denominato piano B, e vice- versa. - 207 — affatto diversa da quella della rimanente Catena metallifera, come essa pure rappresentasse la continuazione del sollevamento delle Alpi, e come non si trovassero in essa, nè in altre delle giogaie ^contigue, tracce di sprofondamenti più o meno recenti. L’ anno dipoi in altro breve scritto manifestavo l1 opinione,1 in accordo con quello che aveva detto 1’ Achiardi, che la Mon- tagnola, almeno durante una gran parte del pliocene, fosse ri- dotta a semplice scoglio sottomarino. Quasi contemporaneamente il Pantanelli pubblicava 2 una carta geologica dei dintorni di Siena nella quale figurava una parte del calcare cavernoso posto, per via delle mie prime osservazioni, ne\V In fr alias. Finalmente, nel 1878 i signori Pantanelli e Lotti scoprivano alcuni fossili nei marmi della Montagnola e pubblicavano alcune loro idee sulla disposizione stratigrafica dei marmi stessi,3 pro- vando per la prima volta che questi erano sottostanti e non sovrastanti ai calcari cavernosi dello stesso luogo. III. — Descrizione dei terreni. — Trias. Siccome la Montagnola è costituita da una elissoide la cui volta poco elevata sopra i terreni circostanti ha un raggio gran- dissimo ed una curvatura molto dolce, così avviene che gli strati suoi più antichi non si palesino verso le cime e, se non per ec- cezione, dentro le vallette laterali. Essi rimarrebbero quasi in- teramente nascosti se la valle della Rosia, relativamente molto profonda, non traversasse a dirittura tutta la piccola giogaia da una parte all’ altra, perpendicolarmente al suo asse, formando anche il limite meridionale di essa. In questa valle si vedono gli strati più antichi dei quali ora passo a discorrere, ma limi- tati a poca altezza sopra P alveo del torrente e con una potenza che non è maggiore di 300 metri. 1 Sulle traode attribuite all’ uomo pliocenico nel Senese. ( R . Acc. Lincei.) Roma, 1877. * D. Pantanelli, Dei terreni terziari dintorno a Siena. ( Atti d. Acc. dei Fisiocr itici.) Siena, 1877. 3 D. Pantanelli e B. Lotti, Sui marmi della Montagnola Senese. (Boll. J Fi. Com. geol., voi. IX. Roma, 1878.) - 208 — Essi sono rappresentati esclusivamente da schisti fìlladici e da quarziti o più raramente da anageniti. Gli schisti fìlladici simili in tutto ad una lavagna sono argillosi, lucenti e quasi sericei e formano degli strati molto ben distinti e sottili secondo i quali si sfaldano senza difficoltà per modo che ne risultano delle superfici in parte piane in parte leggermente ondulate e scabre a cagione della irregolarità della sfaldatura. Rocce come questa se ne trovano in tutti i piani, fin nell’ Eocene superiore e nel Miocene, e per quanto l’ aspetto loro sedimentario non sia precisamente quello che oggi hanno, pur si vede che in ori- gine esse erano vere e proprie argille le quali col tempo e colla pressione hanno acquistato la durezza, la lucentezza e la facilita di sfaldarsi. Il colore di quegli schisti è per lo più violaceo, ma talvolta anche ceruleo o biancastro, o di rado verdastro e un po’ cloritico. Quando questi schisti sono più quarzosi assu- mono un’apparenza nodulosa e somigliano molto agli schisti no dui osi triassici di Serravezza. Le quarziti, sempre damouriti- che o sericitiche e granulose sono più compatte e formano dei banchi più alti e più grossolani degli schisti, quantunque nelle particelle che le compongono si veda manifestissimo l’ anda- mento della stratificazione secondo il quale va anche il verso più facile della rottura. Per la loro compattezza però si pos^ sono rompere per ogni lato senza grave pericolo di scheggiarle, talché giovano a fare macine da mulino. Quando se ne facciano delle sottili sezioni, si vedono costituite quasi intieramente da granelli quarzosi e da pagliette sottilissime parallele alla stra- tificazione di mica bianca argentina la quale rientra nel ter- mine piuttosto vago e generale delle sericiti , e dà un aspetto leggermente sericeo alle superfici degli straterelli. Si aggiungono dei minutissimi grani di clorite i quali per essere molto nume- rosi, per quanto microscopici, danno un colorito verdastro alla roccia, tanto nei frammenti quanto nelle masse in posto. Vi sono poi de’ granelli rossi o giallastri interamente solubili negli acidi e costituiti solo da ossido di ferro : dubito che in origine potes- sero essere piccoli cristalli di pirite, ma oggi sono esclusiva- mente formati d’ocra rossa o gialla. L’ocra medesima spalma frequentemente alcune fenditure o peli, ed in questi casi vi si aggiungono alcune macchiette nere probabilmente d’ ossido di - 209 — manganese. Questa roccia si può dire un poco analoga a quella che da Savi e da altri era detta un tempo steaschisto e che è molto abbondante nel Trias del Monte Pisano e delle Alpi Apuane, il cui tipo si può dire più frequente alle miniere di cinabro di Ripa.1 Non è però un vero steaschisto, ma piuttosto un mica- schisto sericitico 0- sericito-schisto od una quarzite damouri- tica. Fra questo sericito-schisto e la roccia della Montagnola v’ è però qualche diversità, perchè in quest’ ultima si aggiunge la clorite mancante affatto nella prima, e la sericite -è molto meno abbondante : per questa ragione ho ritenuto la roccia della Montagnola come una quarzite, essendo noto che le rocce cui è adattato questo nome sono ben lungi dall’essere tutte esclusivamente costituite di quarzo, bastando che questa ma- teria vi sia di gran lunga predominante. Qualunque poi sia il nome che le si vuol dare, credo non sia luogo a dubitare che si tratti di una roccia accozzata, la quale in origine era com- posta di sabbia divenuta poi arenaria nella quale, pel filtrare delle acque, lentamente si segregarono e si combinarono gli elementi cloritici, sericitici e ferrei, i quali rappresentano tutto ciò che oltre all’acido silicico entrava nella composizione della sabbia suddetta. Per quanto io non abbia punto il proposito di trattare quest’argomento, pur credo, fondato sopra altre ana- lisi d’ arenarie e di quarziti, che se chimicamente si analizzasse codesta quarzite della Montagnola, che vi si troverebbero i me- desimi componenti di una sabbia quarzosa odierna, colla sola differenza forse che in quella mancherebbero i carburi d’ idro- geno ed i sali alcalini facilmente portati via dalle acque, e che vi si troverebbero aggregati chimicamente e mineralogica- mente quegli elementi che in queste sabbie sono soltanto mec- canicamente riuniti. Il far eseguire analisi chimiche in massa delle rocce anche recenti, parafi l’ unica via per uscire dalle tenebre nelle quali molti si trovano quando parlano dell’ origine delle antiche rocce, e per confermare in modo sperimentale ciò che oggi possiamo dubitare dietro a qualche induzione soltanto. 1 L Achiardi in un importante lavoro sulle Miniere di Mercurio in Toscana {Atti Soc. Tose. se. nat., voi. Ili, 1877) afferma che la roccia bianca nella quale sono i filoni di cinabro di Ripa è sempre schisto micaceo e mai quar- zite (pag. 135): questa però vi è tanto abbondante quanto quello. - 210 - % Tanto nelle quarziti che negli schisti, ma più frequentemente nelle prime, si trovano dei filoni di quarzo : nelle quarziti ho trovata anche qualche rara volta 1’ Ottrelite come nel Trias delle Alpi Apuane. Un1 altra roccia che è pur chiaramente accozzata è V anagenite : forma pur essa delle masse compatte in strati grossolani, ma con stratificazione visibile anche nei singoli fram- menti. Questa roccia che è fra le più notevoli del Trias to- scano e che si ripete con aspetto poco diverso in certi piani superiori, è formata qui nella Montagnola da ghiaiette (grosse fin quanto una nocciola e disposte per piatto secondo la stra- tificazione) di quarzo grasso bianco o per lo più roseo che al- ternano con laminette sufficentemente grosse di materia bianco- verdastra non dura ed un poco untuosa, la quale pe’ suoi carat- teri non è certamente talco e credo si possa avvicinare alla solita sericite. Le ghiaiette del quarzo sono manifestissime sulle super- fici corrose di certe anageniti triassiche delle Alpi Apuane, del Monte Argentaro, del Monte Pisano e di Jano, e sebbene non mi sia imbattuto qui nella Montagnola nelle identiche apparenze, pur anche limitandosi ad osservare la massa della roccia non si po- trebbe negare eh’ essa si componga di frantumi rotolati. Colle ghiaiette del quarzo vi sono, come in tutte le anageniti dei luoghi sopra ricordati, ma in quantità minore, delle ghiaiette di un silicato nero duro fin quasi più del quarzo, che nelle Alpi Apuane si trova frequentemente in posto a contatto dei filoni di ferro negli strati più antichi del Trias, e qualche volta ^pon appa- renze cristalline raggiate. Il peso specifico secondo V Achiardi ne è 2, 93 — 2, 96 e si fonde facilmente. Ecco tre analisi di simili frantumi del Monte Pisano fatte dallo Stagi e pubblicate dall’ Achiardi (Min. della Toscana, voi. II, pag. 248) : I li in Na20 2,1 2,7 2,2 CaO 5,7 5, 5 5, 9 MgO 4,8 4,8 4,9 |>l2]v,03 26,0 26, 2 25,8 [*V]V,03 14, 7 14, 5 14, 7 SiO2 46, 5 46, 1 46, 3 99, 8 99,8 99,8 211 - Sull’ origine accozzata di questa roccia eh’ è una vera pud- dinga, può cadere ancor meno dubbio che sull’ origine delle quar- ziti, giacché gli elementi grossolani di essa la dimostrano. Il bello sarebbe sapere da che roccia provengano tutte quelle ghiaiette di cui non è ben conosciuta P origine : mi parrebbe però che fosse meno oscura dell’origine di certe altre rocce cristalline le quali si trovano in terreni più recenti di queste medesime regioni. Il quarzo bianco e roseo è abbondantissimo nelle rocce delle Alpi Apuane e del Monte Pisano sottostanti alle anageniti ed il silicatò nero anzidetto, nelle Alpi Apuane, forma delle masse e fin dei banchi abbastanza grandiosi nelle vicinanze dei filoni ferrei, mentre non so che sia stato trovato finora in altre regioni. Concludendo, la supposizione che que- ste ghiaie derivino da luoghi poco lontani e dalla medesima Catena metallifera non sarà vera, ma non si potrebbe portare il minimo argomento per dimostrare che sia falsa. Il fatto è che le ghiaie delle rocce cristalline le quali si trovano nel macigno apenninico dell’Eocene medio e che quasi certamente provengono dalle Alpi sono di gran lunga differenti da queste delle anage- niti triassiche. Fuori della Montagnola si trovano anche delle ghiaiette di schisti e di altre rocce sedimentarie che qui man- cano. La presenza esclusiva ed almeno la prevalenza delle ghiaie di quarzo e del silicato nero, si spiega ben facilmente colla du- rezza loro che le rendeva resistenti e ne impediva lo sbriciola- mento e la dispersione, mentre le altre rocce che quasi di certo dovevano trovarsi in posto con quei minerali vennero spappolate e sparse. Ciò potrebbe mostrare che i terreni donde quelle ghiaie venivano, se non erano fuori della regione di cui parliamo, non erano nemmeno immediatamente contigui al luogo nel quale si formarono le anageniti, giacché se ciò fosse stato vi si trovereb- bero tracce eziandio di altre materie. Un altra osservazione che viene naturale dalle cose premesse e che ha la sua importanza per la storia del Trias e di tutta la Catena metallifera toscana, si è che in quel tempo nel quale si formavano le anageniti che si trovano comunemente dalla Spezia alla Montagnola, nella zona superiore del Trias, doveva esservi, in luoghi non lontani, qualche terreno emerso. Questa os- servazione sta in accordo con quello che si osserva nel Trias in — 212 — tutta F Europa centrale ed orientale secondo gli studi del Moj- sisovics, e colle stesse forme litologiche variabili del Trias to- scano le quali accennano a divisioni ed a limitazioni del mare di que’ tempi. Questa medesima .supposizione ci può dar la chiave per ispiegare la natura un poco salmastra che accenna alla vicinanza di qualche litorale, di taluni strati dell’ Infralias i quali immediatamente succedono al Trias nei monti della Spezia, nelle Alpi Apuane, nel Monte Pisano e nell’ isola d’ Elba. Per concludere, le rocce triassiche della Montagnola sono : Filladi, Quarziti e Anageniti rispondenti originariamente ad argille, sab- bie od arenarie, e conglomerati quarzosi. Mancano interamente in questa zona tracce di calcari. Per quanto riguarda P ordine di queste rocce noterò che co- munemente le filladi formano la zona superiore, e quei pochi strati i quali formano il nucleo più interno della maggiore di quelle piegature di cui parlerò fra poco sono esclusivamente quar- zitici. La medesima quarzite però insieme coir anagenite la quale è piuttosto rara forma dei banchi qua e colà anche nelle fil- ladi superiori. Sebbene in questi strati non sieno molte ripie- gature nè grossolani scontorcimenti, pure in qualche luogo nel quale dei banchi isolati di quarzite sono rinchiusi nelle fìlladi si verificano dei fenomeni notevoli che del resto si vedono in tante altre formazioni quando si trovano strati di una roccia dura dentro un’ altra assai più plastica, come per esempio ac- cade dell’ alberese entro le argille galestrine dell’ Eocene supe- riore e di altri piani. Senonchè il fenomeno qui, sebbene abbia luogo in piccole proporzioni, è più notevole perchè tutti gli strati circostanti sono nell’ insieme pochissimo disturbati. Per esempio nel fianco orientale di una piccola piegatura anti- cipale lungo la strada n lungo il fiume non lungi dal Salto della Sposa si vede qualche strato di quarzite rotto e spezzato in mezzo a filladi più ripiegate del solito. La fig. 1, inserita nella pagina seguente, varrà meglio di qualunque discorso. Ho discorso di queste rocce come di rocce appartenenti al Trias, sebbene non contengano fossili, per la loro analogia con quelle contemporanee del rimanente della Toscana e specialmente con quelle di Jano e delle Alpi Apuane la cui posizione strati- grafica è più chiara. Credo che P ordinamento di queste rocce - 213 - nel Trias, dopo gli ultimi studi da me fatti, si possa ritenere come abbastanza certo : così resta confermata V opinione più an- tica del Pilla e specialmente quella del Pareto che appunto ri- teneva queste rocce conosciute col nome di Verrucano 'Come triassiche. Rammenterò qui che il nome di Verrucano fu in- trodotto nel 1832 dal Savi per indicare un esteso gruppo di rocce toscane riconosciute poi appartenenti a varie epoche, ma per lo più triassiche e in parte carbonifere, rocce mancanti di fossili e credute in sul primo trasformazioni di terreni secondari. Lo Studer applicò il nome di Verrucano ( Index sur Petrogra- phie) ad alcune rocce delle Alpi dove ancora non s’ eran trovati Fig. 1. fossili, e che litologicamente somigliano alle nostre toscane: i geologi svizzeri adoprano ancora il medesimo nome per quelle rocce che pur si sono riconosciute appartenenti in parte al Trias e in parte al Carbonifero. Qui in Toscana per quanto sia incerto e perciò adattato a casi pure un poco incerti lo si potrebbe limi- tare al Trias : infatti, quando fu proposto, il piccolissimo lembo carbonifero di Jano non era ancora scoperto, e gli schisti sot- tostanti ai marmi delle Alpi Apuane e più antichi del Trias non erano conosciuti. Mi resta a parlare della disposizione orografica di queste rocce della Montagnola, e questo nuovo punto di vista è certo dei più meritevoli di considerazione nello studio della piccola - 214 - Giogaia. Ved. Fig. 2 (nella proporzione di 1 a 30 mila per le lunghezze e per le altezze). I colli della Selva e di Cotorniano più bassi e più stretti molto della Monta- gnola corrono paralleli a po- nente di questa , separati dalla depressione nella quale vanno per una parte l’Elsa, per l’ altra la Rosia. Essi sono formati da alberese e da schisti triassici simili a quelli della Montagnola , i quali, come si può vedere anche dall’ annessa figura , formano una piega anticli- nale; lo spaccato qui aggiunto traversa la piega intorno alle Cetine di Cotorniano dove nel Trias medesimo è una miniera di Stibina, prodotta, stando alle apparenze, da putizze e da sorgenti mine- rali non antiche. Quel sin- clinale vien separato dalla Montagnola da una serie di strati pur essi ripiegati pa- recchie volte, ma quasi oriz- zontali, di alberesi e d altre rocce appartenenti all’ Eo- cene superiore coperte da strati pliocenici non piega- ti, ma tuttora tali e quali furono depositati, anzi in qualche luogo un poco più a mezzogiorno della Montagnola fra l’ al- berese ed il pliocene sono degli strati lignitiferi del miocene superiore. Gli strati pliocenici ed eocenici anzidetti giungono fino al piede occidentale della Montagnola dove s’ innalza una piega anticlinale di rocce basiche delle quali parlerò poi, cui - 215 - succede una curva sinclinale la cui parte visibile sopra il foi^o del torrente è formata da strati di un calcare ceruleo cupo più recente del Lias. La porzione orientale di questa conca più breve assai della porzione occidentale, si sovrappone d’ improvviso ed in modo discordante sopra un primo anticlinale di schisti trias- sici la cui parte superiore è formata dagli schisti veri e propri più o meno quarzosi, mentre la porzione più centrale che si ma- nifesta lungo la strada ed il torrente Rosia è formata dalle quarziti cloritiche. Gli strati di questo anticlinale da una parte pendono ad Ovest, dall’ altra ad Est, e sebbene non sieno molto inclinati sull’ orizzonte, pure a volte soffrono delle parziali con- torsioni di cui appunto un esempio è nella Fig. 1. Dopo breve tratto a levante del nucleo delle quarziti, gli schisti formano una conca sinclinale e s’ innalzano poi in una nuova curva anti- clinale più piccola, i cui strati poco inclinati sull’ orizzonte pen- dono da una parte, al solito verso Ovest, dall’ altra vanno verso N. E. o verso N.N.E. : il punto più centrale di questa piega è poco sotto il ponticino della via provinciale che sta a monte del Ponte Santa Lucia. Scendendo il torrente circa 100 passi dopo il Ponte di Santa Lucia, gli schisti triassici dopo aver conti- nuato un poco quasi orizzontali si rialzano a formare una terza piccola piega anticlinale, pendendo con poca inclinazione verso O. S.O. Il nucleo visibile di questa nuova piega è proprio ad una graziosa cascatella della Rosia, 1’ unica in tutto quel tratto nel quale il torrente costeggia e limita la Montagnola. A valle di questa cascata il Trias pende verso Ovest: si fanno poi poco più di 100 passi e sopra il Trias direttamente si vedono per la prima volta i marmi basici i quali seguitano lungo la valle disposti in una evidente conca sinclinale abbastanza ragguar- devole, di cui parlerò poi. Traversati questi marmi s’ alza disotto ai medesimi una quarta pieghetta anticlinale degli schisti sempre poco pendenti sull’ orizzonte, alla quale succede una quinta non ragguardevole curva con strati pendenti da una parte verso O.S.O. o verso Ovest e dall’ altra verso Est. Nella por- zione orientale di questa quinta piega succedono degli strati un poco calcarei del piano basico ricoperti poi da calcari caver- nosi più recenti del Lias, un poco avanti all’ incontro del Rigo- taglio, i quali calcari formano là un sinclinale piccolissimo ed — 216 — adivano appena al livello del torrente. Ma passato il Rigo- i taglio dove le strette della Rosia cominciano ad allargarsi v’ è una sesta ed ultima piegatura anticlinale degli sciasti triassici coperti poi tutto intorno dal calcare cavernoso il quale nasconde anche la porzione più orientale di essi verso la pianura. Così questi schisti triassici formano nell’ interno della Mon- tagnola lungo la valle della Rosia sei piccole pieghe anticlioali che divengono sette quando si aggiunga la piega di Cotormano che forse non è semplice neppur essa, e si possono paragonare alle pieghe parallele che si formano in una tovaglia quando non sia bene stesa sulla tavola : ma di questo parlerò meglio alla fine quando avrò discorso anche delle altre piegature formate da rocce più recenti elei Trias. _ j Oltre che nella valle della Rosia le quarziti e le anageniti probabilmente del Trias compaiono a Personata sotto Cetinale coperte e circondate dal calcare cavernoso. Ne parlò il Chigi nel Congresso degli Scienziati del 1872 ; probabilmente esse appari- scono là ad uno dei lembi esterni della Montagnola, perchè fanno parte di una delle piccole pieghe anticlinali più esterne, scoperte dalla denudazione. IY. — Lias inferiore. § 1. Piano À. Sopra le rocce che ho attribuite al Trias succedono quelle del Lias inferiore, rimanendo così un intervallo che. avrebbe do- vuto essere occupato dall’ Infralias come in tutti gli altri luoghi della Catena metallifera più a settentrione della Montagnola. Que- sta mancanza dell’ Infralias parrebbe dovesse attribuirsi all’emer- sione o almeno ad un certo sollevamento della regione in quel tempo, la qual supposizione potrebbe avere qualche indizio di conferma nella formazione già ricordata, sul terminare del Trias, di anageniti e di conglomerati, i quali con molta verosimiglianza accennano alla vicinanza di terre emerse: potrebbe addursi anche un altro fatto non meno importante, quello cioè della presenza di strati con apparenza salmastra nell’ Infralias della Spezia, delle Alpi Apuane, del Monte Pisano e dell’ Elba, i quali pure possono mostrare la vicinanza di litorali e di terre emersi.. - 217 — Ad ogni modo l’Infralias sembra mancare interamente nella Montagnola, ed i marmi bianchi del piano più antico del Lias inferiore succedono immediatamente agli schisti filladici triassici. Il passaggio dagli scbisti al marmo è brusco ed improvviso, ciò che confermerebbe la discordanza di tempo fra una roccia e 1’ altra : però, sebbene sia difficile esaminare i punti di contatto fra le due rocce, pure per quel che si può vedere dall’ anda- mento degli strati contigui non si potrebbe dedurre V esistenza di una vera discordanza di stratificazione. La sovrapposizione immediata del marmo bianco agli schisti si vede soltanto in po- chi luoghi, giacché per solito questi schisti sono ricoperti dal calcare cavernoso più recente del marmo, pure si può ve- dere e studiare fra la terza e la quarta piega anticlinale de- gli schisti che già ho descritta a valle della cascata (Fig. 2), fra le quali pieghe il marmo forma un piccolo sinclinale a fondo di battello, ed estendendosi poi un poco nell’ alto rimane isolato, per via del calcare cavernoso, dalle altre masse marmoree della Montagnola. Nello spaccato dato dal Capellini e che ho citato nel primo capitolo, questo marmo non comparisce ; nella figura di Pantanelli e Lotti esso viene indicato, ma forse perchè questi non poterono esaminare i precisi rapporti stratigrafici, vi appa- risce isolato dagli schisti e separato da questi almeno per via d’ una falda, sebbene gli schisti adiacenti sien segnati secondo la verità, come facenti parte di due curve anticlinali diverse. Io, ad onta di certe difficoltà del terreno, ho studiato anche questa massa, ed ho potuto esaminare quasi in tutti i suoi punti i rapporti stratigrafici. Per far ciò, come per istudiare tutta T importantissima spaccatura naturale della Rosia, mi sono gio- vato non solo delle sezioni lungo la strada che troppo spesso vengono coperte da tritumi e da rigetti superficiali, ma anche delle sezioni che si possono vedere salendo un poco sul dorso del poggio, e specialmente' di quelle che sono allo scoperto lungo 1 alveo della Rosia, che per la loro quasi assoluta continuità molto si prestano a dare un’ idea delle cose. Il calcare bianco in tutti i suoi strati è cristallino, anzi a dirittura saccaroide, e a volte pellucido ; è compatto, traversato talora da filoni di calcite, e forma degli strati grossi che però sono a mala pena visibili, anzi qualche volta non si riesce nem- 15 - 218 - meno a rintracciarli, perchè il verso degli strati medesimi rimane confuso colle crepature che trinciano il marmo in tante altre direzioni. È cosa ben conosciuta che le arenarie, come per esem- pio il macigno eocenico, le tracliiti e i calcari marmorei sono per lo più crepati e trinciati in ogni senso, e solo v’ ha diffe- renza nel grado minore o maggiore di questa trinciatura, la quale potrebbe mascherare interamente l’andamento delle stra- tificazioni. La direzione di queste crepe secondarie corrispondenti ai piani di ritiro della roccia merita di essere studiata, e fre- quentemente si trova eh’ essa è in rapporto determinato coi piani della stratificazione, e quasi generalmente perpendicolare a que- sta. Cotale fenomeno, che è molto analogo a quello della foi- mazione de’ prismi basaltici, e che si verifica soltanto nelle rocce meno plastiche, deve essere effetto di un disseccamento, e la direzione delle fessure ha forse rapporto colla direzione delle pressioni maggiori sofferte dalle rocce stesse. I lavoratori dei marmi delle Alpi Apuane danno il nome di contro e di secondo alle crepe secondarie, mentre chiamano verso la stratificazione ; il contro è perpendicolare, il secondo è parallelo alla linea di pen- denza degli strati. Del resto, di cotali fatti ho parlato a lungo altrove ( Considerazioni stratigrafiche sopra le rocce più antiche delle Alpi Apuane, 1875, pag. 13), e credo che le mie parole potrebbero essere applicate anche alle altre rocce che si trovano nelle medesime circostanze dei marmi delle Alpi Apuane, come sono appunto i marmi della Montagnola. In questi, con qualche attenzione si può vedere la stratifica- zione, quando si ponga mente al verso secondo il quale la roc- cia si’ sfalda più facilmente ed in piani più estesi, ovvero ai veli schistosi, ed alle zone alternanti di rocce calcaree un poco dif- ferenti, le quali palesano evidentemente la direzione degli sfrati. Questa poi si manifesta alla prima in quei casi nei quali gli strati schistosi alternano coi marmi. Questi marmi bianchi della Montagnola, sono scavati e ado- perati pur essi per usi ornamentali, e i più adattati sono quei banchi i quali alternano con straterelli schistosi, nei quali il calcare è più compatto e più lavorabile. Il miglior marmo sac- caroide candido si troverebbe però nelle masse più estese e più uniformi, se in queste il marmo non fosse crepato, trinciato e — 219 — traversato da peli in tutti i sensi, oltre all’ essere spesso mac- chiato da mosche di colore ceruleo cupo le quali guastano la massa candida. La minore estensione, la minore compattezza, la minore uniformità e soprattutto la minore omogeneità, rendono questi marmi bianchi di gran lunga inferiori a quelli delle Alpi Apuane, i quali per l’ insieme di tutti i loro caratteri rimasero finora e rimarranno sempre certamente senza rivali. Un’altra differenza fra i marmi delle Alpi Apuane e quelli della Montagnola è nel- T età, giacché i primi sono triassici ed i secondi sono Rasici, come dirò meglio da ultimo. Vi sono bensì analogie dal punto di vista litologico, se non dal punto di vista artistico, nella struttura saccaroide, nella candidezza, nella disposizione a strati e nell’ alternanza con rocce schistose. I veli schistosi che alle volte sono veri e grossi strati alternanti coi marmi della Mon- tagnola, rispondono alle così dette madrimacchie delle Alpi Apuane che dimostrai essere unicamente ed esclusivamente stra- terelli schistosi, e non aver che fare con un preteso concentra- mento d’ impurità sperse nelle masse calcaree prima che queste diventassero bianche e saline. È noto che circa fino al 1830 i nostri marmi eran ritenuti eruttivi, e chi ne voleva dare qual- che spaccato geologico li figurava come filoni che traversavano rocce schistose ; chi li avesse descritti come veri strati a prin- cipio del secolo non sarebbe stato creduto da nessun altro che da sé stesso, come oggi niuno crederebbe chi li dicesse an- cora veri filoni o dighe. La stessa sorte è toccata un poco più tardi ai calcari cavernosi, ed accadrà poi per altre rocce. Dal 1830 fino a quattro o cinque anni sono, que’ marmi sono stati ritenuti come sedimentari, ma il Repetti, seguito poi dal Savi, dal Bombicci e da altri, introdusse nella scienza l’ ipotesi o il pregiudizio eh’ egli aveva ascoltato da un caporale cavatore di marmi e che qualcuno dei cavatori (non però tutti, nè dei più pratici) ha tutt’ oggi, che i marmi si sieno formati per una spe- cie di epurazione delle materie schistose contenute nei medesimi, le quali si ritirarono a formare le madrimacchie e lasciarono libero e puro il calcare. Io però, partendomi dai fatti, conclusi che le madrimacchie erano veri strati schistosi, che i marmi, anche quelli statuari, formavano dei veri e propri strati e delle mandorle di spessore variabile, limitate a certe zone speciali, ac- - 220 - compagnate e circondate da schisti e da calcari non marmoiei. Qualcuno portò a paragone coi marmi gli alabastri della Castellina, e paragonò le fliadrimacchie alle argille ; ma qualunque sia 1 ori- gine loro, gli alabastri formano nuclei e glebe circondate dal- T argilla, e questo non è certo il modo di trovarsi dei marmi : se quelle ììiadrimacchie poi fossero minerali definiti non si avrebbe difficoltà di riconoscerli dovuti ad un concentramento operato nell’ interno della roccia, ma si tratta di straterelli schistosi, e niuno ha spinto finora l1 affinità chimica alla potenza di formare arenarie e schisti di struttura indefinita, ciò che sarebbe la ne- gazione dell’ affinità stessa. Rimarrebbe poi a domandarsi come mai de’ calcari impuri anche antichi restino sempre impuri o insudiciati da minerali definiti, come granati, cloriti, idio- crasie ec., senza che questi formino massa a sè, e lascino i cal- cari diventar puri ed omogenei ; ed anche si potrebbe domandare perchè in tanti luoghi, anzi potrei dire in quasi tutti i luoghi dove sono delle madr macchie, cioè degli straterelli di schisto, il marmo non è puro ed omogeneo : alla sua volta poi è del marmo buonissimo dove non è traccia di madremacchia. Ma que- ste son discussioni da farsi a tavolino, e pel caso nostro sono direi quasi platoniche, giacché la questione delle madrimacchie e dell’ origine dei nostri marmi si risolve sul posto e non si deve decidere senza essere partiti dall’ osservazione dei fatti. Le apparenze de’ marmi stessi, anche di quelli della Monta- gnola, ci fanno credere che avessero origine da una sedimenta- zione di materia calcarea tanto più pura e più omogenea quanto più il marmo è puro ed omogeneo, nella quale materia, an- che per la sua omogeneità, meglio poterono operare le forze chimiche le quali indussero una disposizione cristallina nelle mo- lecole degli stessi calcari. Ho udito qualche volta proporre la supposizione che questi marmi fossero in origine banchi di co- ralli. Per quanto riguarda i marmi Rasici e triassici della To- scana, la struttura microscopica non porge il minimo fondamento a questo dubbio; se i coralli vi fossero se ne dovrebbero trovar tracce, come si trovano tracce delle conchiglie e dei crinoidi, e come ne’ calcari ippuritici ed in altri calcari anti- chissimi si trovano in tutta la massa tracce dei corallari che per P intiero li costituirono. In parte possono avere una ori- - 221 — gine chimica sottomarina, che sappiamo non essere impossibile ne’ calcari ; o più probabilmente furono originati da cumuli di tritumi e di minutissimi resti organici simili a quelli che for- mano la creta, e che per effetto di quei cambiamenti che resero il calcare cristallino dovettero, parmi, necessariamente rimanere trasformati e perdere ogni traccia del loro primitivo organismo, cosa che non è accaduta ai gusci degli animali più grossi, come le conchiglie ed i crinoidi, e che non sarebbe accaduta alle parti parimenti solide dei coralli e d’altri simili animali. Nella regione settentrionale della Montagnola la formazione dei marmi è molto frastagliata ed intercalata fra strati schi- stosi ; non ne apparisce però se non la parte superiore che fa passaggio appunto ad una grossa formazione schistosa, e per mi- nori tratti s’ estende il marmo bianco più puro come nella regione meridionale. Questo si manifesta particolarmente ne’ poggi che formano il vertice della Montagnola intorno a Lucerena, Mar- moraia e Quegna (Fig. 3). Ivi sopra il marmo bianco, per esem- pio fra Lucerena e Marmoraia, si trovano degli strati di calcare ceruleo cupo, cristallino, simile al bardiglio, e a volte analogo al bardiglio di Campiglia ; a mezzogiorno di Lucerena ed in pa- recchi altri luoghi esso marmo bianco è coperto da un marmo pur bianco o giallastro pieno di crinoidi ed intersecato da frequenti strati schistosi del quale parlerò meglio nel paragrafo seguente. Ed ora darò qualche cenno più preciso della estensione e della disposizione orografica di queste masse marmoree, co- minciando dal mezzogiorno della Montagnola e dal taglio sì im- portante della Rosia del quale già ho descritto gli strati trias- sici. Or dunque partendoci dal Ponte sulla Rosia sotto Montar- renti e venendo a Siena, sotto certi conglomerati e sabbie plio- ceniche e sotto alcune rocce che formano il piano superiore del Lias inferiore si trova una prima distinta cupola anticlinale di calcare marmoreo bianco, i cui strati inclinati sull’orizzonte di circa 40 gradi pendono dalla parte di Montarrenti verso 0. o S.S.O., e dalla parte di Siena verso E. e N.E. Le fessure del contro scendono per lo più verso E. perpendicolari all’ inclinazione, almeno nella porzione ‘più occidentale della cupoletta : gli strati triassici sottostanti non appaiono in verun luogo. La forma a cupola di questa massa non è riconosciuta nel taglio del Capei- 222 — lini nè in quello di Pantanelli e Lotti ; però la si vede dove gli strati sono più palesi, come, almeno per la sua porzione orien- tale, nell1 alveo della Rosia. Ad occidente la massa è coperta come dissi da schisti e da calcari pur liasici, ad oriente lo è da una conca sinclinale di calcare grigio cupo più recente del Lias che esaminerò poi. A mezzogiorno essa termina nei colli di Span- nocchia ; a settentrione si estende per gran tratto nella porzione occidentale della Montagnola formando la pendice di questa verso la Rosia, scoperta quasi interamente, o coperta da pochi schisti liasici sotto Palazzo al Piano, Radi ed altri luoghi, fin verso la valletta del Botro di mezzo. Il marmo in certi luoghi di questo tratto forma anche il vertice della Montagnola, ma per lo più ivi si nasconde sotto agli schisti ed ai cipollini pure apparte- nenti al Lias inferiore e sotto ai calcari cavernosi che formano quasi esclusivamente la pendice orientale della Montagnola, hel tratto ora accennato si può dir che il marmo si estende a modo di parallelogrammo, ed alla base della Montagnola verso occidente si nasconde sotto i terreni pliocenici ed eocenici. Ivi sono aperte le cave più estese : non mancano qua e là tracce di fossili come Chemnitziae ed altre univalvi che furono indicate anche da Pantanelli e Lotti. Seguitando il solito spaccato naturale lungo la Rosia e passato il sinclinale del calcare grigio cupo, come pure il primo, il secondo, ed il terzo piccolo anticlinale degli schisti triassici, fra quest’ultimo ed il quarto anticlinale rimane adagiata una conca sinclinale del marmo bianco quasi coi soliti caratteri e colle solite univalvi indistinte. Più spesso che marmo è un grezzone o calcare compatto rossastro o gial- lastro trinciato in tutti i sensi e rotto minutamente. Esso forma là una specie di lente non molto estesa che apparisce quasi solo lungo la valle ed è isolata e coperta in modo discordante dal cal- care ceruleo più recente. Le stratificazioni, dove si possono distin- guere, vanno come gli schisti sottostanti con piccola inclinazione sull’ orizzonte ; si confondono però facilmente col contro e si è per non aver posto mente se non a questo che Pantanelli e Lotti affermarono essere gli strati quasi verticali e fortemente incli- nati, nè poterono verificare la vera posizione sinclinale di quel marmo, la cui osservazione poi è resa difficile dagli abbondanti rigetti che ricoprono la pendice del monte. - 223 - Santa Colomba. „ Lucerena. to £ Pietralata. Bellaria. Una estensione di rocce più recenti nei monti di Simignano e Balli, fra Molli e Pernina, interrompe totalmente e separa i marmi della regione meridionale della Montagnola, dai marmi della regione settentrio- nale. Questi formano cer- W tamente, anche in questa regione mediana ed in quella settentrionale, al- meno una parte del man- tello della Montagnola, che però rimane nascosto dalle rocce sovrastanti e si palesa soltanto nel ver- tice dei poggi situati fra Pernina, Cetina, Lucere- na, Marmoraia, Quegna, la Sanese e Pietralata (Fig. 3), ed anche in que- sti luoghi è spesso coper- to da schisti del piano più recente del Lias infe- riore. Nel tratto di paese dianzi accennato il ver- tice de’ poggi risponde anche con precisione al vertice dell1 anticipale , per cui verso Siena i marmi pendono di solito verso Est, mentre dalla parte opposta pendono ad Ovest o ad O.N.O. Nel marmo stesso si trovano colà filoncelli di quarzo. Se le valli laterali fossero un poco profonde non vi ha dubbio che sotto il calcare cavernoso e gli schisti si tornerebbe a trovare in qual- che luogo il marmo, giacché la pendenza degli strati è piccolis- *0 c I £ 'T' cj eq « .9 'a » g .9 o ^ 2 ■s* 2 1 •IcS co . ® £3 c3 8.3 S_ ® © CO o . e CO 03 i: ® s g 3 Vedi Neomayr e Paul. Gli strati a Congerie e mudine della (Atti dell’Ist. Geol., voi. VII). Slavonia - 289 — in allora noi potremo equiparare la totalità delle zone dell’ un territorio alla totalità delle zone dell’ altro territorio. Un’ equi- parazione però delle singole zone non sarebbe fattibile e il più delle volte per ciò solo inattuabile, perchè il numero delle zone sarebbe dispari. D’altronde dove regioni eterotopiche non sono nettamente distinte, i punti d’ appoggio pel parallelismo crono- logico verranno forniti da forme qua e là fluttuanti. Per le formazioni eteromesiclm valgono in sostanza, come ben s’ intende, gli stessi principii. Considerando noi 1’ organizzazione paleontologica delle zone come base d’ una classificazione cronologica sistematica , non disconosciamo però per nuli’ affatto la opportunità di ulteriori gruppi abbraccianti un certo numero di zone. Una triplice gra- duazione in piani, periodi ed epoche ci sembra pratica. Soltanto tengasi d’. occhio che i distinti gruppi non divengano troppo disparati ; non ci lasciamo indurre ad assegnare allo spessore (d’ altronde puramente locale) di singole zone un’ influenza de- terminante. L’accrescimento non uniforme delle odierne formazioni ma- rine prova che lo spessore è un fattore affatto secondario. Pro- durrebbe una inutile confusione il voler già ora rovigliare la delimitazione e denominazione dei gruppi principali (epoche e periodi). Importanti translazioni e spostamenti etero topici po- tranno opportunamente essere utilizzati come linee di confine, ad onta eh’ esse non abbiano propriamente che importanza locale. Sarebbe desiderabile però un accordo sul significato delle indi- cazioni terminologiche. Le espressioni formazione, étage, periodo, epoca, vengono oggidì adoperate in modo assai diverso, per la parte come pel tutto. Ogni altra scienza studia assiduamente attorno ad una terminologia stabile e conseguente. L’ appellativo formazione io lo vorrei a preferenza d’ ogni altro bandire dalla serie dei termini cronologici, sendo esso applicabile con vantag- gio anche in senso puramente petrografico e montanistico. La denominazione dei distinti gruppi è per vero rimessa al bene- placito degli autori, ed i nomi primamente dati stanno sotto 1’ egida del diritto di priorità ; pur tuttavia sarebbe a deside- rarsi che venissero prescelte pei gruppi puramente cronologici solamente delle denominazioni astratte, prive di un significato — 290 — qualunque. Nomi locali e nomi di facies sono indispensabili, come corologiche indicazioni, nelle descrizioni geologiche. Sentesi così di Soventi affermare che l’esplorazione strati- grafica d’ Europa è in sostanza terminata ; che sul campo della paleontologia non v’ è più a raccogliere che una meschina rispi- golatura e che soltanto le remote contrade offrono materiale pro- duttivo per lavori geologici. Noi non deprezziamo il vantaggio scientifico che il geologico dissodamento di regioni incoltivate apporta con sè, ed ammiriamo la costanza dei coraggiosi pionieii che mettono a repentaglio salute e vita per tale missione. Noi siamo tuttavia d’ opinione che presentemente la scienza coll’ ap- profondire l’ investigazione entro la cerchia dei paesi colti e nei musei paleontologici, ritrarrà un guadagno altrettanto ricco; poiché qui il lavoro più importante e più difficile è ancora da farsi. Sul terreno dell’investigazione cronologica e dello studio filogenetico schiudesi un nuovo campo di lavoro, quasi vergine, che promette abbondante ricompensa. In grazia delle cure fati- cose della scuola oppeliana, oltrepassarono lo stadio dei primi lavori preliminari le nostre cognizioni sull’epoca giurese del- 1’ Europa centrale, ed in parte sul giurese mediterraneo. Per il trias delle Alpi possediamo modesti elementi. Tutto il rimanente giace là inutilizzato. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. C. Doelter. — - Die Producte des Vulcans Monte Ferru. Wien, 1878. In un precedente lavoro (Il Vulcano di Monte Ferra in Sar- degna) riportato in sunto nel Bollettino Geologico del 1878 (pag. 406 e seg.) il signor Doelter trattò precipuamente della geologica struttura di quel vulcano, citandone in via quasi som- maria i molteplici prodotti. In un posteriore lavoro inserito nel voi. 39° delle Memorie della classe di scienze matematiche e naturali dell’ I. e R. Accademia delle. Scienze di Vienna, 1’ Autore - 291 - anzidetto estese i propri studii all’ analisi dettagliata mineralo- gica e chimica di essi prodotti, traendone deduzioni interessan- tissime per la geologia dell’ isola, per avere con esse affermato, rettificato, ed esteso le cognizioni che già si possedeano sulle di lei roccie eruttive più recenti, la natura intima delle quali venne da lui posta in luce secondo i criterii della moderna investiga- zione scientifica. Senza entrare nei particolari della petrografia descrizione e delle analisi dei singoli gruppi, tipi e varietà di roccie, lo che escirebbe dal limite di un resoconto puramente bibliografico, presenteremo lo schema di questo importante lavoro, sofferman- doci a preferenza sulla parte sintetica del medesimo, siccome quella che riassume il vantaggio scientifico derivacene. L’ Autore anzitutto, riportandosi alla prima sua opera sul vulcano di Monte Ferru, scolpasi della poca importanza eh’ egli attribuì alle di lui fonoliti, delle quali non avea in allora av- vertita tutta l’estensione: dimodoché i gruppi geologici e tipi mineralogici ivi indicati ottennero in questo nuovo lavoro qual- che essenziale modifica: necessario quindi riportar qui la più recente classificazione di quei prodotti, e ciò tanto più in quanto che l’ Autore nel nuovo ordinamento si è basato sui risultati dell’ analisi mineralogica e chimica. Tale ordinamento che rap- presenta al tempo stesso lo schema del lavoro, è il seguente : A) Roccie d’ epoca meno recente appartenenti ai dintorni di Monte Ferru : 1. Riolite, 2. Trachite, 3. Andesite orneblendica. B) Roccie recenti, ossieno lave del Monte Ferru: I. Trachiti e fonoliti. 1. Trachite sanidinica plagioclasica, 2. Trachite sanidinica augitica (e tufo), 3. Fonolite trachitica, 4. Fonolite normale. II. Basalti plagioclasici di Monte Urtica e di Pozzo Maggiore. III. Basalti leucitici id. Le trachiti recenti ed i basalti vengono distinti dal punto — 292 — di vista geotettonico in roccie che si presentano sotto forma di filoni ed in roccie formanti correnti, ossieno colate: quest ul- time sono le predominanti. Le fonoliti trachitiche sono distinte in nefeliniche, che ap- partengono alla classe delle trachiti ed in leucitiche che appar- ! ; terrebbero ai basalti. Nel vulcano in parola esisterebbero soltanto le prime, ed anche queste relativamente povere di nefelina. I basalti si suddividono oltre che in plagioclasici e leucitici anche in basalti con olivina ed in basalti senza olivina. Questi due tipi diversi sono però nella descritta regione intimamente collegati fra loro : egli è per ciò, come eziandio per la mancanza in es°si di sanidina e per la costante presenza di orneblenda che 1’ Autore non ritenne di classificare fra le andesiti augitiche 1 basalti plagioclasici di Monte Ferru privi d’ olivina. Dalla descrizione petrografica, analisi mineralogica e chimica di circa cinquanta varietà di roccie, rileviamo singolarmente : Che fra le roccie meno recenti il tipo più esteso e d im- portanza reale è la trachite, il cui habitus però sarebbe riolitico ; Che i tipi di roccie recenti contengono tutti delle va- rietà di passaggio dall’ uno all’ altro tipo ; Che l’elemento predominante nelle lave trachitiche e to- nolitiche è la sanidina, mentre invece nelle basaltiche, di cui le veramente importanti sono le plagioclasiche, riscontrasi una certa j costanza di rapporto fra le quantità dei tre elementi costitutivi principali che sono augite, olivina e magnetite, per guisa che predominando 1’ olivina sarebbe rara 1’ augite e viceversa, e dove i predomina la magnetite sarebbero scarsi gli altri due elementi; Che mentre il vulcano maggiore di Monte Ferru avrebbe a preferenza eruttato lave basaltiche plagioclasiche, i piccoli vulcani adiacenti avrebbero prodotto quasi esclusivamente lave basaltiche leucitiche; Che mentre si hanno fra quei prodotti le anzidette due qualità tipiche di lave basaltiche, manca anche qui il tipo in- termedio, d’ altronde generalmente raro, cioè a dire, ì basalti leucitici feldispatici. , Principale risultato delle investigazioni del signor Doelter e la scoperta di un nuovo gruppo della serie geologica delle roccie eruttive recenti dell’isola di Sardegna, il gruppo, cioè, delle — 293 - trachiti e fonoliti, il quale va intercalato fra quello delle tra- ehiti anfiboliche del La Marmora e quello dei basalti del mede- simo. L’ esistenza poi di fonoliti meno recenti, supposta da que- st’ ultimo, rimarrebbe a giudizio dell’ Autore tuttora dubbia. Dalla descrizione ed analisi dei prodotti passa l’Autore a riassumerne e commentarne la composizione mineralogica e chi- mica. In base alla prima egli conclude che quattro soltanto sono le specie di roccia veramente importanti in questo vulcano e negli adiacenti, vale a dire : 1° trachite sanidinica, 2° fonolite, 3° ba- salto feldispatico, 4° basalto leucitico. I tufi vi sono rari ed in ogni caso non sono veri tufi. Anche le fonoliti normali son rare, ma all’ incontro vi sono molto diffuse le roccie di transizione dalla trachite alla fonolite. Queste due sarebbero coetanee ed in nessun altro vulcano sarebbe così evidente come in questo V amal- gamazione di lave trachitiche colle fonolitiche. Queste avrebbero chiuso il periodo d’ eruzione dal vulcano interno, più antico: dopo un periodo di sosta sarebbe succeduto un periodo di eruzione basaltica, ma esteriormente all’ antico vulcano interno, vale a dire, dai fianchi dello stesso. L’ Autore consacra quindi un lungo articolo alla discussione sul modo di formazione dell’ olivina nei basalti e specialmente in quelli di Sardegna. Egli divide 1’ opinione di Rosenbusch che, cioè, tanto 1’ olivina a grosse concrezioni clastiche, quanto quella disseminata si formi entro i basalti medesimi per via di secre- zione dal loro magma, opinione eh’ egli appoggia su dati specu- lativi e concreti. Tale secrezione avverrebbe in primo luogo nel focolare interno vulcanico prima dell’ eruzione, e in forma di masse più o meno rilevanti : durante T eruzione queste verreb- bero fratturate in grani, i quali resterebbero disseminati nella lava entro cui durante il raffreddamento continuerebbe la se- crezione dell’ olivina in forma di cristalli. Dall’ analisi chimica V Autore desume che grandissima è la differenza di composizione delle singole lave che sortirono dal vulcano principale; che questa però è sostanzialmente identica a quella dei prodotti analoghi d’ altri vulcani, coi quali appunto l’ autore istituisce dei confronti. Paragonando dappoi le diverse analisi fra loro, egli fa risaltare la correlazione fra la chimica composizione e 1’ età relativa dei prodotti di Monte Ferru: — 294 — Quanto più recenti sono le roccie e tanto più sono basiche, del ; che non intende però fare una legge generale per tutti i vulcani, per quanto la medesima sia frequente: queste relazioni sono speciali alla peculiare natura del focolare interno; lo che l’Au- tore avvalora con degli esempi. Rileva inoltre che in questi prodotti anche il peso specifico è in certo qual rapporto coll’ età dei medesimi : è maggiore nei più recenti, e con ciò sarebbe in ragione inversa del loro tenore in silice: or siccome i prodotti più basici e specificamente più pesanti provengono da profondità maggiori, così nel vulcano di Monte Ferra le eruzioni sarebbero principiate in prossimità alla superficie terrestre, dalla quale poi a poco a poco si sarebbono discostate. . Confrontando quindi i prodotti di questi vulcani Sardi con quelli in particolare del resto d’ Italia, 1’ Autore dimostra che sono essenzialmente differenti gli uni dagli altri: i primi avreb- bero piuttosto analogia con quelli dei vulcani d’Alvernia. Riassumendosi da ultimo, conclude: Che il gran vulcano di Monte Ferru è caratterizzato da eruzioni di roccie trachitiche e fonólitiche, di basalti feldispatici e leucitici, come altresi dalla,' scarsezza di formazioni tufacee: in esso le roccie più acide sono le più antiche e la basicità dei prodotti aumenta col decrescere dell’ età relativa. _ t '* Nessun altro vulcano presenta in così ristretto spazio tanta varietà di prodotti come questo di Monte Ferru, il quale perciò, anche per la sua stessa struttura geologica, deve ritenersi as- j sieme ai piccoli vulcani adiacenti fra i più interessanti che mai si conoscano. .. I lavori del signor Doelter, come pure V alto interesse eh egli addimostra ne’ suoi scritti pei punti da lui visitati e nei quali promette di rivenire per estendervi ancor più i suoi studi, oltre al vantaggio d’ arricchire la geologia italiana di nuove, molto apprezzabili contribuzioni, offrono quello altresì di richiamar seriamente l’attenzione dei nostri scienziati su di un paese che a detta dell’ Autore stesso può somministrare ancora dei lumi sopra importanti questioni d’ interesse generale. - 295 — Appunti geologici sulla provincia di Belluno, per il professor T. Taramelli. — Milano, 1879. Questa Memoria letta dall’ Autore nell’ adunanza geologica del Congresso di Varese nel settembre 1878, è a ritenersi come prolusione ad un importantissimo lavoro cui diede mano lo stesso Autore per incarico della Deputazione provinciale di Belluno, vale a dire alla Carta geologica di questa provincia. L’Autore non si dissimula la difficoltà dell’ impresa, giacché non trattasi qui di terreno vergine di studi, sibbene alacremente già percorso ed ancora attualmente investigato dà distinte capacità geologiche specialmente estere, talché vennero posti in luce momenti di cui conviene tener stretto calcolo e sollevate questioni che possibil- mente bisogna decidere in mezzo a discordanze talvolta spicca- tissime. E con tanto maggior senno conviene procedere nel la- voro, in quanto che il medesimo si collega strettamente a tutta la geologia alpina sulla quale sonosi a quest’ ora compiuti dei lavori di pondo che potrebbero elevare la pretesa di servir di base ad ogni altro ulteriore. Riveduta rapidamente la costituzione topografica del terreno bellunese, l’Autore ne schizza la costituzione stratigrafica, ac- compagnandola con informazioni di qualche dettaglio laddove ha un carattere peculiare o s’ affacciano importanti quesiti da scio- gliere. Movendo dai terreni protozoici, costituiti dai calcari sac- carosi del Comelico e dagli scisti quarzo-micacei ed argillo-mi- cacei dell’ Agordino, fa notare 1’ esistenza di una vasta formazione iperitica eh’ egli descrive, contenuta assieme ai calcari saccaroidi nella zona scistosa del Comelico ; della qual formazione reste- rebbe a rintracciare la genesi, come altresì a precisare la rela- zione fra essa e la zona scistosa dell’ Agordino, argomento que- sto sul quale 1’ Autore viene già in questa Memoria a qualche conclusione importante. Di maggior momento sarebbe la serie dei terreni mesozoici che in detta provincia misurerebbe un quat- tro chilometri di potenza con tale sviluppo di affioramento e con così chiari caratteri ne 9 suoi vari piani, da fare di quella pro- vincia una regione tipica. E qui accenna l’ Autore alla necessità - 296 — di semplificare e coordinare a pochi tipi generali la stratigrafia alpina meridionale, nella quale lamenta confusione ed inutile moltiplicità di piani, ed espone quindi la serie dei terreni quale egli la intravede in ordine alla tanto vagheggiata unificazione della serie prealpina. I terreni triassici, che sono anche fi più sviluppati ed impor- tanti nella provincia, e sui quali maggiormente s’estende l’Au- tore, vengono da lui distinti in inferiori e superiori, caratteriz- zati i primi da depositi litorali e da un imponente sviluppo di formazioni vulcaniche, mentre i secondi lo sono da una preva- lenza di terreni calcareo-dolomitici ; distinzione questa che cor- risponde al concetto di una divisione dei terreni triassici prealpini in base alla cessazione dei fenomeni endogeni ed allo incomincia - mento della generale sommersione, la guade riconduceva le condi- zioni di formazione delle grandi masse dolomitiche. Il trias infe- riore viene da lui diviso in cinque gruppi principali, dai quali risulta eh’ egli comprende in esso rocce attribuite da altri geo- ioghi al permiano, e quelle costituenti il cosiddetto trias medio. A questo accenna anche 1’ Autore nel descrivere e commentare i vari gruppi. Questi gruppi sono : 1° La zona dei porfidi quarzosi od augitici, coi conglome- rati del servino e colle arenarie micacee non fossilifere, sotto- stanti alla principale zona gessifera; 2° La zona gessifera principale, colle dolomie cariate, colle marne cineree e coi calcari marnosi neri a foraminifere ; 3° Le arenarie, i calcari marnosi o micacei o cloritici, a Naticella costata ; 4° Le pietre verdi, i tufi augitici, gli scisti ad Halobia e le colate di porfidi augitici ; 5° I tufi augitici fossiliferi, le zone calcareo-dolomitiche a Gyroporella ed a spongiari, i tufi marnosi di San Cassiano e le marne iridate, al limite superiore delle formazioni vulcaniche o di aggregati vulcanici. Il trias superiore è ripartito in due piani dolomitici, vale a dire, nella dolomia inferiore o metallifera e nella dolomia supe- riore o a Megalodon, mentre il terreno raibliano intermedio o non presenterebbe estensione importante o mancherebbero tuttora al- i — 297 - l’Autore esatte indicazioni sul decorso sicuro, indiscutibile del medesimo. Non avendo 1’ Autore compiuto gli studi definitivi sul mate- riale raccolto nelle sue visite alle regioni calcari alpine, di- chiara di non essere ancora in grado di offrire risultati nè molto sicuri nè molto abbondanti sulle formazioni infraliasica, basica e giurese, per le quali la serie dei terreni da lui consta- tata sarebbe però assai semplice ; infrattanto, accettando prov- visoriamente per la formazione liasico-giurese delle prealpi la serie proposta dallo Zittel, 1’ Autore la dichiara esattamente rap- presentata nel Bellunese, cioè : Il lias a facies di Noriglio sa- rebbevi rappresentato da dolomie e da calcari grigi a Terebratula Renieri ; il lias superiore a facies lombardo, da rocce brecciate ad Ammonites bifrons e da calcari oolitici ; all’ oolite inferiore corrisponderebbero dei calcari oolitici, mentre un piano ad Am- monites Humfresianus rappresenterebbe V oolite media. Il titonico da ultimo vi sarebbe sviluppatissimo, mentre mancherebbero rap- presentanti dei calcari gialli a Rhynconella bilobata. Non avendo V Autore nel suo rilievo già iniziato toccata la porzione cretacea del Bellunese, si limita a richiamare quanto è già noto in proposito, e ad indicare il materiale da lui raccolto, lo studio definitivo del quale, egli ritiene, confermerà quanto già fu scritto dal De Zigno sulla fauna e sull’ epoca di analoghe formazioni della Trevigiana e del rimanente delle prealpi venete. Nella serie terziaria, che venne esaminata dall’Autore sol- tanto di volo, egli fa precipuamente notare una marcata discor- danza fra gli strati eocenici e miocenici, la quale proverebbe come almeno a levante del Brenta , probabilmente per tutta la regione prealpina , carnica e giulia, fuvvi un periodo di emersione tra V eocene ed il miocene. E mentre accenna alla possibile esi- stenza dei periodi tortoniano e liguriano e del Flysch alpino, nota la mancanza nel Bellunese di una formazione nummulitica quale è caratterizzata nel Friuli, e la totale mancanza di forma- zioni sarmati che e plioceniche, marine; numerosi invece gli esempi di fenomeni preglaciali, dei quali V Autore rammenta V impor- tanza per la colleganza loro ad importanti questioni di geologia alpina. L’ ultima parte del lavoro è dedicata alle formazioni glaciali 20 - 298 — e postglaciali, nella quale discorre della colleganza fra i sistemi diversi di ghiacciai, le morene ed i massi erratici di varie lo- calità, della potenza loro nelle due fasi del periodo glaciale e relativa posizione delle fronti dei ghiacciai, dei depositi a ca- rattere morenico e di quelli a carattere alluvionale, descrivendo a tal proposito il bacino d’ erosione di Lamon attraversato dal torrente Cismon ed in cui è sviluppato un meraviglioso sistema di morene e di formazioni lacustri ed alluvionali di arrestamento morenico, sull’ età delle quali 1’ Autore si pronunzia. In quanto alle condizioni stratigrafiche della provincia, egli accenna semplicemente ai profondissimi disturbi cui andarono soggette le numerose di lei formazioni, i quali misero in evi- denza principalmente le discordanze fra i terreni protozoici ed il trias inferiore, fra 1’ eocene ed il miocene. L’ Autore conclude col ritenere che perciò appunto il terri- torio bellunese sarà importante per gli studi orografici e strati- grafici a preferenza che per i paleontologici ; perche rappresenta una lunga serie di gruppi montuosi, con formazioni pressoché eguali, ma ciascuno con peculiare rapporto tra la potenza di que- ste e con speciali e sempre assai interessanti relazioni strati- grafiche. GL Omboni. — Le nostre Alpi e la pianura del Po, Descrizione geologica. — Milano, aprile 1879. Il professor Giovanni Omboni, ben noto e benemerito autore di lavori geologici popolari, ha ora dato alla luce un nuovo libro col titolo sopra indicato. I materiali di quest’ opera raccolti con molta diligenza e assai dettagliati, erano da lui destinati alla compilazione di una se- conda edizione della sua Geologia dell’ Italia, ma non essendo ancora esaurita la prima, decise di pubblicare un nuovo libro come appendice all’ opera stessa. Questo lavoro si compone di tre parti e di un riepilogo. Nella prima si occupa del Piemonte, nella seconda della Lom- bardia e Svizzera italiana, nella terza del Veneto, del Trentino e dell’ Istria. - 299 — Di ognuna di queste regioni osserva dapprima la generale orografia, passando in rassegna le diverse catene di montagne, le valli, le pianure; ne esamina la struttura, cita le opinioni dei diversi autori sull’ età dei terreni, tessendo così la storia dei progressi degli studii geologici; dà quindi la serie generale dei terreni di esse regioni. Poscia conduce il lettore ad esaminare dettagliatamente tutte le località più interessanti per la geologia, facendone una descrizione chiara ed amena, indicando i terreni che vi si presentano, i fossili, i minerali e i materiali utili che se ne ritraggono, e sempre colla scorta e colla citazione dei la- vori e delle carte esistenti ad esse relative, di guisa da fornire così anche una utilissima e completa bibliografìa geologica. Nel riepilogo riprende ad esame le diverse rocce e i terreni dai più antichi ai più moderni, indicandone la natura litologica, i principali affioramenti, P andamento, i rapporti fra di essi, i fossili caratteristici e i diversi piani in cui si dividono. Parla per ultimo dei diversi centri di sollevamento e dei nuclei cristal- lini secondo il Desor e altri. Due note sono aggiunte al libro, in una delle quali P Au- tore si occupa degli anfiteatri morenici in rapporto alla contro- versa questione della loro origine lacustre, marina o terrestre, citando e discutendo le idee del professore Stoppani in propo- sito. Nell’ altra nota, ricorda P ultima memoria del Gastaldi sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi piemontesi, nella quale ven- gono da questi rettificate alcune idee circa P età di certi ter- reni del Chaberton e di altri luoghi. Il libro del professor Omboni di cui abbiamo dato un bre- vissimo cenno, è corredato da molti spaccati, abbozzi di carte e da altre figure intercalate nel testo. Questo lavoro, che a detta dell’Autore non è destinato ai Geologi provetti, riescirà utilissimo ai giovani che si dedicano allo studio della Geologia italiana, ed è a desiderarsi che, come ne mostra P intenzione, P Autore possa presto completare un tale lavoro colla descrizione geologica di tutte le altre parte d’Italia. - 300 — NOTIZIE DIVERSE. L’ eruzione dell’ Etna. (Brano di lettera del professor Pio Mantovani diretta alla Redazione il 5 giugno.) — L’ eruzione av- viene in una spaccatura, che si estende in direzione S. N. dal Monte Frumento fino a mezzo chilometro circa sotto il Monte Nero, quindi per una lunghezza di oltre due chilometri. Il .Monte Fru- mento non dà che vapori e nembi di cenere ; la lava vi è a grande profondità e solo se ne sentono i ribollimenti accompagnati ad in- tervalli di qualche minuto da veri ululati, cui quasi sempre tiene dietro una scossa di tremuoto e più forti detonazioni ed espulsioni di materie dai crateri di sfogo formatisi nell’ attuale eruzione. La deiezione delle lave succede alla base del Monte Nero, ossia nell1 ultimo tratto della spaccatura ad un1 altezza di circa 1700-1600 metri sul livello del mare. Il lunedì, 2 corr., giorno in cui io mi trovava là sopra, erano ben costituiti due crateri di nere scorie formanti coni elevati forse un centinaio di metri con una bocca del diametro di 40 o 50. Ma piccole aperture qua e là lungo il crepaccio davano esplosioni cacciando gran quantità di scorie e formando altri piccoli coni, che però vedemmo non aver lunga durata, poiché un1 esplosione li costruiva, l’altra li distruggeva. Può quindi ritenersi che due sono i coni formati per intero dalla pre- sente eruzione, distanti fra loro meno, così mi parve, di mezzo chilometro ed ambedue collocati alla base del Monte Nero, sul suo versante N.N.O. Sulla lava espulsa corrono moltissime esagerazioni. La cor- rente era ieri non più lunga di 15 chilometri, e per 12 si conserva di una larghezza non superiore ai 100 metri, traversando regioni boschive ed incolte. Negli ultimi 3 chilometri giungendo in luoghi pianeggianti s1 allarga facendo ventaglio, così che alla fronte avrà poco meno di un miglio. Ieri sera dicevasi che aveva invaso P Alcantara, ma io non lo credo, giacché la lasciai martedì cne ne distava un chilometro progredendo con tal lentezza che sem- brò stazionaria dal 31 di maggio al 2 giugno. Io mi prendo la libertà d’ inviare pel Comitato geologico un campione delle ceneri cadute a Reggio il 28 prossimo passato, un altro di quelle che il 2 corrente cadevano dal Monte Fru- mento : aggiungo un frammento di scoria cadutomi ai piedi ed un esemplare della lava come è al punto in cui traversa la via Linguaglossa-Randazzo, nel qual punto la valle è chiamata Passo Pisciaro. Pio Mantovani. Ricerche chimiche sulle lave degli Ernici. 1 — Avendo il dottor W. Branco1 2 studiate geologicamente e petrograficamente le lave dei vulcani degli Ernici, nella valle del Sacco, ho cre- duto utile intraprenderne lo studio chimico. In questa nota mi limiterò a dare i risultati delle analisi che mi fu dato eseguire sulle lave di due di quei vulcani detti di Giuliano e di Pofi. Le lave si mostrano di color grigio-scuro con polvere grigio- chiara ; quella però di Giuliano presenta una leggiera sfumatura rosea. Il loro peso specifico è presso a poco uguale, essendo quello della prima 2,85, e della seconda 2,81 (temp. 15° C.). La polvere introdotta per mezzo di un filo di platino nella re- gione fondente della lampada Bunsen, si fonde in un vetro nero opaco non magnetico. La lava del vulcano di Giuliano ridotta in polvere gelatinizza parzialmente cogli acidi. L’ acido nitrico a caldo ne scioglie 24,10 %; dopo fusione però è completamente attaccata. L’acqua distillata ha poca azione su di essa; facen- dola agire in tubi chiusi alla temperatura di 200° ne scio- glie 1,96%. L’analisi qualitativa, delle due lave, ha dato: ossido di al- luminio, di magnesio, di calcio, di potassio, di sodio, protossido e perossido di ferro, tracce di ossido di rame; anidride silicica, fosforica e tracce di anidride carbonica ed acqua; di più tracce non dosabili di ossido di manganese, e bario e litio visibili allo spettroscopio. 1 Dai Transunti della R. Accademia dei Lincei, seduta del 4 maggio 1879. * Atti della Accademia dei Lincei. Classe Scienze Fisiche ec., tomo III, voi. I, 1876-77. - 302 L’ analisi quantitativa ha dato; Giuliano SiO2 46,22 P205 0,52 A1203 22,47 Fe203 8,97 FeO 0,78 CaO 12,18 MgO 3,35 CuO 0,30 K20 5.42 Na20 1,02 Perdita di peso per calci- | Q 56 c nazione (CO2 ed acqua) j ’ TOV79 per la lava di: Pofi 47,64 0,51 18,52 6,44 1,19 11,66 2,41 0,23 ,10,05 1,82 0,72 101,19 Roma, Istituto Chimico, maggio 1879. Sebastiano Speciale. Ay^ viso. — In vista delle numerose richieste di esem- plari dei volumi 1° e 2° del Bollettino (anni 1870 e 1871) che da qualche tempo erano esauriti, la Redazione sta provvedendo alla ristampa dei medesimi, per modo che in breve potranno essere rimessi in vendita. La Redazione. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Co- mitati Geologici e sul B. Comitato Geologico d’ Italia. — Firenze 1871 L. 1.50 Idem. — Carta Geologica della parte orientale del- V Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1871 • » 2. 00 F. Giordano. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia Italo-Elve- tica. — Firenze 1873 » 10. 00 Idem. — Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1873 » 3.00 C. W. C. Fuchs. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di 1 per 25,000. — Firenze 1873. ...» 2.00 G. Ponzi e Fr. Masi. — Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio all’ Esposizione Internazionale di Vienna. — Roma 1873 » 2. 00 Idem. — Catalogo sommario dei prodotti minerali italiani ec. — Roma 1873 ♦....» 1. 00 P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta Geo- logica d’Italia in grande scala. — Roma 1875 . » 1. 50 G. Doelter. — Carta Geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone, nella scala di 1 per 20,000. — Roma 1876 » 2.00 Per le commissioni dirigersi all’ Ufficio Geologico in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli , N. 5 , od ai principali librai. Annunzi di pubblicazioni. I. Cafici. — Da Vizzini a Licodia, note geologiche. — Siracusa 1878 ; pag. 86 in-8° Studi sulla geologia del Yizzinese. — Catania 1878; pag. 23 in-4°. A. De Zigno. — Sopra un nuovo sirenio fossile scoperto nelle colline di Brà in Piemonte (dagli Atti della R. Accademia dei Lincei; Me- morie, serie 3a, voi. II). - Roma 1878 ; pag. 13 in-4 con sei tavole. G. F. Rodwell. - Etna, a history of thè mountain and of its eruptions. — London 1878 ; pag. 146 in-8° con tavole e figure intercalate. D. Lovisato. — Il Monte di Tiriolo. — Catanzaro 1878 ; pag. 26 in-4°. T. Taramelli — Sulla formazione serpentinosa dell5 Apennino pavese. (R Acc dei Lincei ; Memorie della classe di Scienze fisiche ec., voi. II.)'— Roma 1878; pag. 57 in-4° con due tavole. M. Baretti. — Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi Piemontesi durante la campagna del 1877. (Idem.) Roma 1878; pag. 10 m-4 con una tavola. . A. Cossa. — Sul serpentino di Yerrayes in ralle d’Aosta (dagli Atti della R. Accademia dei Lincei, sene 3a, Memorie, voi. II).— Roma 1878, pag. 7 in-4° con quattro tavole. G.G. Gemmellaro. — Sui fossili del calcare cristallino delle Montagne del Casale e di Bellampo nella provincia di Palermo (Sopra alcune faune giuresi e liasiche di Sicilia ; fase. 6°). — Palermo 1879 , m-4 con tavole. G Ponzi — Della zona miasmatica lungo il Mare Tirreno e specialmente delle Paludi Pontine. — Roma 1879 ; pag. 54 1^8° con tavola. T Takamelli. — Appunti geologici sulla provincia di Belluno. — Mi- lano 1879; pag. 43 in-8». . ■ G Omboni. - Le nostre Alpi e la pianura del Po. Descrizione geo logica del Piemonte, della Lombardia, del Trentino, del Y eneto e dell Istria. — Milano 1879; pag. 496 in-8° con figure intercalate. M. S. De-Rossi. — La meteorologia endogena; tomo primo. — Milano 1879; pag. 360 in-8° con cinque tavole. R. Lawley. — Resti fossili della Selache trovati a Ricava presso Santa Luce nelle Colline Pisane. — Pisa 1879 ; pag. 8 m-8°. O Sella. — Delle forme cristalline delP anglesite di Sardegna ; sunto della prima parte. (Atti della R. Accademia dei Lincei, sene ó , Transunti, voi. III.) — Roma 1879; pag. 10 in-4 . A. Issel. - Appunti paleontologici; 4° Descrizione di due denti d ele- fante raccolti nella Liguria occidentale. — Genova 1879, pag. 16 m 8 • D Lovisato. — Sulle ehinzigiti della Calabria. (Atti della R. Accademia deY lincei, serie 3a, Memorie, voi. III.) -Roma 1879; pag. M m-4 . G E. Pozzi. — Sopra alcune varietà di protogino del Monte Bianco. Torino 1879; pag. 14 in-8°. A. Ferretti. — Scoperta di una fauna e di una flora miocenica a facies tropicale in Montebabbio. — Milano 1879; pag. 15 m-8 . 0 F Parona. — Il pliocene dell* Oltrepò Pavese ; osservazioni strati- grafiche e paleontologiche. — Milano 1879; pag. 114 m-8° con carta geologica a colori. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° 7 e 8. Luglio e Agosto 1879. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1879. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. ' — Bollettino. — Si pubblica regolarmente in fascicoli bime- strali di 5 o più fogli di stampa ciascuno, formanti un vo- lume annuo di 500 e più pagine, con tavole ed incisioni in- tercalate nel testo. Il prezzo dell’ abbuonamento annuo e di L. 8 per l’ interno e eli L. 10 per l’estero. Gli abbuonati ricevono gratuitamente la copertina ed il frontespizio del volume. — Ad annata compiuta i volumi annuali rilegati si vendono al prezzo di L. 10. —I fascicoli separati si vendono al prezzo di L. 2 ciascuno. — La serie incomincia coll anno 1870. jo Memorie per servire alla descrizione della Carta Geo- logica d’ Italia. — Pubblicazione di gran formato corre- data da tavole, Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Volume I; Firenze 1871.- — Introduzione — Studii geo- logici sulle Alpi Occidentali , di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sm graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui minerali delle valli di Lanzo di G. Strììver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfijera della Sicilia, di S. Mottura, con quattro tavole. — Descri- zione geologica dell ’ Isola d’ Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica ita- liana (Parte Ia, Gasteropodi sifonostomi) di C. D Ancona ; fascicolo 1°, con sette tavole. — Prezzo Lire 35. Volume II, Parte la; Firenze 1873.-1^^^. Monografia geologica dell’ Isola d Ischia, di C. W . . uch , con Carta geologica e incisioni nel testo . — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attra- versata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo -Elvetica, di F. Giordano, con Carta geologica e due tavole di sezioni. — Appendice alla Memoria sulla formazione terziaria netta zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con una tavola.— Malacologia pliocenica italiana (Parte Ia, Gasteropodi sifono- stomi ), di C. D’Ancona, fascicolo 2°, con otto tavole. Prezzo Lire 25. Volume II, Parte 2a; Firenze 1874. — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, Parte 2a, con due tavole. — Prezzo Lire 5. Volume III, Parte la; Poma 1876. — Il gruppo vulca- nico delle Isole Ponza, monografia geologica di C. DOM.TBB, con tre tavole e una Carta geologica. — Geologia del Monte Pisano, di C. De Stefani, con una tavola. — Prezzo Lire io {Continua.) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. il0 7 e 8. — Luglio e Agosto 1879. SOMMARIO. Atti relativi al Comitato Geologico. Note geologiche. — I. Relazione sulla eruzione dell’Etna, peri signori Bla- serna, Silvestri e Gemellaro. —II. Sulla recente eruzione dell’Etna, per H. De Saussure. — III. Osservazioni chimico-microscopiche su alcuni pro- dotti della recente eruzione dell’Etna, per A. Cossa. — IV. La Montagnola senese, per C. De Stefani. (Continuazione.) — V. Cenni sulla costituzione geologica del Tavoliere di Puglia, per E. Niccoli. — VI. Le formazioni mioceniche nel subapennino di Reggio e Modena, per A. Ferretti. Note mineralogiche. — I. Della Szabóite e delEOligisto di Biancavilla sul- l’Etna, per A. von Lasaulx. — La scoperta del minerale di stagno in Italia, e sua relazione colla lavorazione del bronzo presso gli antichi, per A. H. Church. Notizie bibliografiche. — A. Cossa, Sul serpentino di Verrayes in Valle d’Aosta ; Roma, 1878. — M. S. De Rossi, La Meteorologia endogena; Mila- no, 1879. — G. Capellini, Gli strati a Congerie e le Marne compatte mio- ceniche dei dintorni d’Ancona; Roma, 1879. — Idem, Balenottera fossile delle Colombaie presso Volterra; Roma, 1879. — Idem, Breccia ossifera della Caverna di Santa Teresa nel lato orientale del Golfo di Spezia; Bologna, 1879. — C. F. Parona, Il pliocene dell’ Oltrepò pavese , osserva- zioni stratigrafiche e paleontologiche; Milano, 1879. — G. Meneghini e A. D’Achiardi, Nuovi fossili titonici di Monte Primo e di Sanvicino nel- TApennino centrale; Pisa, 1879.— M. Canavari, Sui fossili del Ras infe- riore nell’ Apennino centrale; Pisa, 1879. — A. Issel, Descrizione di due denti d’elefante raccolti nella Liguria occidentale ; Genova, 1879. — D. Lo- „ visato, Sulle Chinzigiti della Calabria; Roma, 1879. Notizie diverse. — Gli strati fossiliferi a fosfato di calce della Carolina del Sud. — Scoperta paleontologica. — Origine dei diaspri. Tavole ed incisioni. — Tavola topografica che va unita alla relazione sulla eruzione dell’ Etna, a pag. 309. — Sezioni geologiche nella Montagnola senese, a pag. 335 e 346. — Tavola di sezioni annessa alla Nota dell’ ingegnere E. Nic- coli sul Tavoliere di Puglia, a pag. 356. ATTI RELATIVI' AL COMITATO GEOLOGICO. Nei fascicoli già pubblicati (N* 1 a 6) del Bollettino del vol- gente anno 1879, già venne reso conto delle disposizioni state dal Comitato geologico adottate per i lavori da eseguirsi du- rante V anno medesimo. Questi lavori procedendo ora regolar- mente, non è il caso di ripeterne qui la descrizione, . riservandosi a riferire nei futuri fascicoli sulle novità degne di nota che — 308 — potessero occorrere. — Sin da ora intanto può annunciarsi che il bisogno da tanto tempo lamentato di un proprio e più adatto ; locale per gli uffizi, laboratorii e collezioni dell’ Istituto geolo- gico sarà probabilmente quanto prima soddisfatto. Il Ministero d’Agricoltura, industria e commercio infatti, avendo ornai potuto raccogliere la occorrente somma, diede ora le opportune dispo- sizioni perchè il locale del vecchio convento della Vittoria, di sua proprietà, venga al più presto riattato in modo da servire allo scopo, provvedendo in pari tempo al provvisorio ricetto delle sue collezioni agrario-forestali. È sperabile che più tardi possa il medesimo Ministero disporre di fondi bastevoli ad elevare sul bellissimo terreno, della estensione di un ettaro e mezzo, che esso possiede a lato di detto convento e lungo la via Venti Settembre, edifizi definitivi adatti e bastevoli ai numerosi ed utili servizi che ne dipendono, e che ora mancano più o meno di conveniente locale. ERUZIONE DELL’ETNA. Nel precedente fascicolo (N1 5-6) del Bollettino , veniva in- serita una prima relazione, in data 6 giugno, e corredata di carta, della eruzione dell’Etna avvenuta in fine del maggio scorso, relazione scritta dagli ingegneri Baldacci, Mazzetti e Travaglia addetti al rilevamento geologico della Sicilia. — In- tanto, in data 5 giugno, veniva, dai Ministeri d’Agricoltura, in- dustria a commercio e dell’Istruzione pubblica, nominata una Commissione composta dei professori Blaserna, Gemellaro e Sil- vestri, col mandato di recarsi tosto sul sito e studiarvi il feno- meno sotto i diversi punti di vista scientifici. —Essendo il pa- rossismo eruttivo stato violento assai ma breve, la Commissione giunse sul sito quando già era cessata la eruzione veramente detta, onde dovette piuttosto occuparsi a raccogliere e commen- tare i fatti avvenuti. In ciò fare però potè efficacemente essere aiutata dal professor Silvestri, il quale, risiedendo in Catania, era subito accorso sul luogo al principiar del fenomeno, e già ne avea redatta una lunga descrizione. La suddetta Commissione trasmise poi al Ministero in data 17-19 giugno la sua relazione, la quale viene qui appresso inserita con il corredo di una speciale ta- vola topografica. - 309 - Si fa seguire a tale relazione della Commissione, una Nota nella quale si riferiscono ulteriori dati contenuti in una seconda comunicazione dei sunnominati ingegneri-geologi, dati specialmente relativi al definitivo volume della lava eruttata, ed all’ ultima fase dei fenomeni eruttivi. — Una seconda Nota contiene il sunto d’ un articolo del giornale belga La Mense, il quale commentando la prima relazione dei nostri geologi, ne deduce alcune interes- santi conseguenze per la teoria del vulcanismo. NOTE GEOLOGICHE. I. Relazione della Commissione nominata dai Ministeri di Agricoltura , industria e commercio e della Pubblica istruzione , per lo studio della eruzione dell’Etna del 26 maggio 1879. (Con tavola annessa.) Eccellenza, I. Con data 5 giugno V. E. diede alla Commissione sottoscritta T onorevole incarico di recarsi al più presto in Sicilia per stu- diare sopra luogo 1’ eruzione dell’ Etna che allora infieriva. Nella sera del 7 la Commissione si riunì in Catania, vi sta- bilì il programma delle proprie ricerche, e deliberò di andare all’ indomani per Piedimonte e Linguaglossa alle nuove bocche di eruzione, onde incominciare tosto le sue investigazioni. Contro ogni aspettativa, V eruzione, che si era annunziata con un apparecchio scenico formidabile e con inaudita violenza, ebbe, forse per quest’ ultima ragione, vita breve. Il giorno 6 era già notevolmente diminuita, il 7 poteva dirsi del tutto cessata. Quando la Commissione si portò sopra luogo, il vulcano era già entrato in quel periodo di azione lenta e tranquilla, che si distingue col nome di solfatara. Fortunatamente uno dei componenti la Commissione, il prò- - 310 — fessor Silvestri, che risiede in Catania ed ha fatto dello studio dell’ Etna una delle sue principali occupazioni, potè fin dal primo annunzio della conflagrazione avvenuta visitare i punti interes- santi. Egli consegnò le sue osservazioni nella qui annessa rela- ! zione, stampata prima che la Commissione fosse nominata; rela- zione che pareva dovesse essere l’ introduzione, e divenne invece parte principale degli studi della Commissione. Il di cui compito, vista l’inazione in cui il vulcano era rien- trato. non poteva essere che questo : di raccogliere tutte le no- tizie possibili per vedere se era il caso di completare o di mo- dificare in qualche punto la bella relazione del professor Silvestri, di studiare poi con dettaglio, in questo periodo di calma, il meccanismo dell’ eruzione, e di sottoporre all analisi chimica i prodotti secondari dell’eruzione. II. Dall’ insieme di tutte queste investigazioni risultano i seguenti fatti : 1° L’ eruzione avvenne simultaneamente in due fianchi op- posti dell’ Etna : sul versante S.S.O. sopra Biancavilla e sul versante N.N.E. sopra Bandaio e Castiglione, e più esatta- mente nella direzione di Mojo. I primi sintomi se ne ebbero il giorno 26 maggio, alle ore 8 pomeridiane. Si formarono due squarciature, sulle quali comparvero le bocche eruttive : all’ altezza di 2680 metri sopra Biancavilla, a quella di 1940 metri dal lato opposto di Mojo. Queste squarcia- ture hanno in diversi punti diversa larghezza, la quale in mas- sima arriva fino a 40 metri ; talvolta la squamatura è sostituita da molte fenditure strette, che seguono complessivamente l’an- damento generale della stessa. Le due squarciature poi non sono isolate, ma sono congiunte fra di loro per mezzo di una conti- nuazione che passa dall’ una all’ altra attraverso il cratere cen- trale dell’ Etna. Questo fatto importante era già stato osservato dal professor Silvestri. La Commissione ha potuto constatarlo sul versante N.N.E. col mezzo di una lunga serie di fumaioli tut- tora attivi che si estendevano dal sito dell’eruzione fino al grande cratere. Dal lato opposto di Biancavilla, nel momento in cui la Commissione ha fatto le sue osservazioni, erano già cessate le - 311 — manifestazioni esterne. Ma tutto porta a credere che anche da questa parte l’osservazione del professor Silvestri sia esatta, e che in fondo si sia formata una sola squamatura, la quale spacca l’alto della montagna, e va dalle bocche eruttive del versante N.N.E. attraverso il grande cratere fino alle bocche del ver- sante S.S.O. Nel suo andamento attraverso la montagna essa ha la forma di una S allungata, il di cui asse orizzontale ha la considerevole lunghezza di dieci chilometri circa ( vedasi la ta- vola annessa). 2° L’ eruzione della lava dal lato di Biancavilla incomin- ciò all’altezza di 2680 metri, un poco sotto alla base del Monte Frumento meridionale. La squamatura da cui uscì la lava è lunga un chilometro. La lava, giunta al di sopra del più elevato dei tre monti, detti della Grotta degli Archi, vi si accumulò e ne riempì la cavità crateriforme; poi, fermandovisi, circondò con due correnti la base del monte e si biforcò costituendo due di- ramazioni, una delle quali, la minore, scorse verso JBiancavilla ; V altra, la maggiore, si diresse verso Adernò. La quantità di lava uscita su questo versante è poco rilevante, messa in con- fronto con quella uscita sull’ altro, e per rapporto alla grandio- sità del proprio apparecchio eruttivo. La sua percorrenza è di due chilometri, il suo spessore di pochi metri, ed il suo volume non può stimarsi al di sopra di due milioni di metri cubici. Essa è passata sulla nuda superficie della lava del 1607 senza produrre danni. E eminentemente scoriacea, con parti sporgenti filamentose, ed intorno alle bocche eruttive si trova un numero considerevole di bombe vuote e spugnose. Il che prova che la lava, prima di uscire, doveva essere tormentata da grandi quan- tità di gas ed avere una temperatura elevata. L’ eruzione durò da questa parte dalla sera del 26 fino a circa la mezzanotte del 27 maggio, dunque poco più di 24 ore. Il giorno 14 giugno la lava era già completamente raffreddata, tranne in pochi punti vicini alle bocche eruttive. Lungo i due fianchi della squarciatura si osservano tuttora conservati strati piuttosto potenti di neve, coperti e protetti dai materiali erut- tati. Se questa neve si trovasse, per la sua esposizione, meno sotto 1’ azione dei raggi solari o se i materiali eruttati, che la ricoprono, fossero stati più abbondanti, in modo da formare uno — 312 — strato dello spessore di uno o di due metri, si verificherebbe l’interessante fatto, di veder sotto la protezione delle scorie trasformata in neve perpetua una neve destinata tutti gli anni a scomparire. La presenza, inoltre, di grossi strati di neve se- zionati lungo le labbra della squarciatura, ha determinato la formazione di rilievi longitudinali di lava, la quale ha dovuto appoggiarsi sulle pareti verticali della neve. La neve poi scom- parve e mise al nudo i rilievi medesimi. 3° L’ eruzione sul versante N.N.E., verso Mojo, è stata molto più considerevole e presenta tutti i caratteri di un appa- recchio eruttivo imponente e completo. Vi si trova un centro di proiezione di tutto il materiale frammentario, il quale centro si è costituito presso la base del il fonte Piszdlo, tra questo e il Monte Scoperto, all’altezza di circa 2400 metri. Secondo le os- servazioni del professor Silvestri esisteva in quel punto un’am- pia voragine, formatasi nell’eruzione dell’agosto 1874 e rimasta aperta e profonda. Per cui, secondo ogni probabilità, il nuovo centro di eruzione si è innestato su quello del 1874, ed ha creato in breve tempo un cono di dimensioni considerevoli, il quale eruttava a grande distanza fumo, cenere, lapilli, e scorie, e il 10 giugno non era ancora del tutto spento. Esso è situato a un li- vello di 900 metri inferiore a quello del grande cratere centrale, e dista da questo in linea orizzontale 5 chilometri, mentre la sua distanza è di due chilometri circa dal principio delle bocche eruttive, le quali sono comprese nello spazio tra il Monte Nero e il Monte Timparossa, chiamato erroneamente sulla carta dello stato maggiore Monte Palomba. Nell’ intervallo tra il nuovo cra- tere e le prime bocche eruttive il suolo si presenta tutto solcato da fenditure longitudinali e sconnesso per movimenti e avvalla- menti di recente avvenuti. Queste fenditure fanno capo alla grande squarciatura, larga 30 metri circa, che prosieguo, fino al Piano delle Palombe soggiacente al Monte Nero . Su questa squarciatura, per una lunghezza di 800 metri circa, si trovano le bocche eruttive. Secondo le osservazioni del professor Silvestri vi si erano costituite, nel primo periodo di grande attività, due grandi voragini eruttive, poste, V una, su- periore, tra il Monte Nero e la Timparossa, V altra, inferiore, sul Piano delle Palombe. La prima, di minore importanza, la- - 313 — sciava vedere sette bocche distribuite in semicerchio intorno ad un centro, ove riunivasi tutta la lava che usciva dalle singole bocche. Nella seconda voragine, più importante, non si poterono contare le bocche per i molti vapori che la occultavano ; ma dalla grande energia che vi regnava, si dovevano giudicare molto numerose. Il dì IO giugno, visitando minutamente e da vicino, questo apparato si trovò notevolmente modificato. Si osservarono spro- fondamenti nella prima voragine eruttiva, che fecero sparire P aspetto dei primi giorni; e la voragine inferiore, ricchissima di bocche eruttive, anziché comparire isolata da quella superiore, fu trovata in continuità di questa, per mezzo di quattro bocche intermedie, che mostravano un principio di formazione conica ri- masta rudimentale per la poca attività. Per cui si conclude, che tutta la squarciatura da questo lato, dalla parte superiore alla parte inferiore presenta a brevi intervalli un seguito numeroso di bocche eruttive, distribuite a guisa di bottoniera, di cui le più elevate e le più basse mostrarono maggiore attività per l’ uscita della lava. La lava eruttata da questa parte, presenta per volume, per lunghezza percorsa e per danni prodotti un’ importanza di gran lunga maggiore di quella uscita sul versante di Biancavilla. Circa alla superficie occupata, una Commissione d’ ingegneri governa- tivi e provinciali, sotto la direzione dell’ ingegner Rapisardi, si occupa a determinarla, collo scopo di fissare esattamente i danni prodotti per la distruzione di boschi e di vigneti. La Commis- sione sottoscritta spera quindi fra breve di poter aggiungere a questa relazione una carta esatta, che fìssi il corso della lava {vedasi la tavola annessa). Essa stima, da molti dati raccolti, il volume di questa non inferiore di 50 milioni di metri cubici, mentre il volume di quella uscita sul versante S.S.O. tocca tutto al più i due milioni. 1 La lava, minacciando il fiume Alcantara ed il paese di Mojo, ha percorso in pochi giorni un tratto di 11 chilometri circa. Le sue pendenze non sono state molto forti. Nei primi giorni, scen- dendo giù dalla montagna, le pendenze oscillarono tra 11° y2 e 12° y2; dal Passo Pisciavo fino al fiume la pendenza scese rapi- Vedasi più avanti la Nota della Redazione. - 314 cìamente fino a 4° 72 e finalmente a 3° 49', ragione per cui la | lava si allargò notevolmente, ma non progredì più oltre. Ali Ponte del Passo Pisciano, dove il corso della lava interruppe la via nazionale, che da Linguaglossa mena a Randazzo, questa si presenta con una larghezza non minore di 1200 metri. Essa ha su questo versante un carattere assai meno scoria- ceo, e presenta anzi i caratteri propri alle grandi eruzioni. La corrente, nell’ interno, è formata di lava massiccia, a struttura porfirica ; esternamente è ricoperta con uno strato notevole di blocchi frammentari e di detrito, che presto si raffreddarono. Un fatto notevole sono i molti alberi, che trovammo rovesciati sui bordi della corrente, nè bruciati, nè carbonizzati, ma semplice- mente disseccati. 1 Per la stessa ragione la Commissione ha po- tuto, fin dal 10 giugno, colle guide, con sei muli e col bagaglio, passare la corrente della lava, larga 100 metri, in un punto chia- mato Passo di Spezzajno, al Collebasso. La lava infine conserva anche questa volta il tipo delle moderne lave dell’Etna, è cioè prevalentemente pirossenica con carattere delle lave doleritiche. III. Dal complesso dei fatti osservati si può concludere, che l’ul- tima conflagrazione etnea del 26 maggio 1879 presenta alcuni caratteri in parte nuovi e molto spiccati. Sono i seguenti : 1° Si forma una squarciatura enorme, che spacca l’estre- mità della montagna da un versante all’ altro. 2° L’ eruzione si presenta simultaneamente sui due fianchi opposti, e ad altezze diverse; ragione per cui cessa presto dal lato più alto e prende più vigore dall’ altro. 3° L’ apparato eruttivo è imponente e grandioso, per le grandi distanze che corrono tra i suoi diversi elementi costitu- tivi, ed anche perchè vi è compreso, in modo più diretto del 1 solito, il cratere principale. 4° Il primo periodo dell’ eruzione è straordinariamente vio- lento, ma contro ogni aspettativa, dopo soli 11 giorni cessa l’eru- | zione della lava; fatto che trova forse la spiegazione naturale nell’ esteso e facile sfogo, che i vapori, il vero elemento motore, hanno avuto attraverso alla grande squarciatura fatta. 1 Vedi la Nota della Redazione. 315 - 5° Nei centri abitati e posti lungo il perimetro dell’ Etna, lo squarciamento della montagna ha fatto sentire soltanto deboli ondulazioni senza produrre nè danni, nè timori. L’eruzione venne all’ improvviso. Questo carattere di tranquillità che ha accom- pagnato 1’ esordio eruttivo, si spiega con ciò, che questa volta venne in parte utilizzato 1’ apparecchio dell’ eruzione del 1874, eruzione che rimase abortita. IV. Per lo studio possibilmente completo dei fenomeni grandiosi che accompagnarono la recente eruzione, rimane ancora l’esame dettagliato della lava e degli altri prodotti vulcanici. Tale stu- dio richiede tempo e la continua presenza sui luoghi. Una se- conda questione interessante riguarda la fisionomia nuova dei punti che furono il teatro dell’ ultima conflagrazione vulcanica. Questa questione si risolve col mezzo di fotografìe fatte con di- scernimento. Quanto le fotografie sieno utili, si riconosce consi- derando che esse consegnano alla scienza la memoria esatta dei mutamenti avvenuti. La Commissione quindi non crederebbe di aver compiuto il suo mandato, qualora non avesse provveduto all’ una ed all’ al- tra questione. Essa ringrazia V. E. di aver approvato le tratta- tive col fotografo Tagliarmi di Palermo, il quale aveva già reso buonissimi servigi alla Commissione governativa, che ebbe l’ in- carico di osservare nel 1870 1’ ecclissi solare in Augusta. Essa affidò ora al collega professor Silvestri la cura di condurre a termine le fotografie e l’ analisi chimica dei prodotti vulcanici, coll’ incarico di presentare a V. E. una relazione suppletiva delle sue ulteriori ricerche. Ma essa non può separarsi senza richiamare l’ attenzione del Governo sopra alcuni punti importanti che interessano la vulca- nologia. L’ Italia possiede, senza parlare dei minori, due grandi vulcani molto e troppo attivi, uno dei quali l’Etna, è addirit- tura uno dei più importanti della terra. L’Italia deve farne una questione di decoro nazionale, che le grandi eruzioni fossero stu- diate con tutti i mezzi che la scienza moderna richiede. Dopo che, da 30 anni in qua, si convenne di lasciare da parte le ima- ginose e precipitate teorie, e di studiare invece con cura i fatti* - 316 - la vulcanologia ha fatto progressi rapidissimi. Ora la Commis- sione crede che per andare avanti e per risolvere le questioni rimaste dubbie, occorrano nuovi mezzi di ricerca. Questi mezzi dovrebbero essere preparati per tempo e con calma, e dovreb- bero aver quella forma speciale, richiesta dalle speciali condi- zioni, in cui le ricerche dovranno farsi. La Commissione conosce il grande interesse che V. E. prende a queste questioni, ed è perciò che essa ha V onore di fare le seguenti proposte : la Una questione importante riguarda i vapori e gas in- candescenti che escono dai crateri eruttivi nel momento della loro maggiore attività. Lo spettroscopio può farci conoscere questi corpi e fornire forse gli elementi che un giorno serviranno a farci conoscere la temperatura nell’ interno delle bocche eruttive. La Commissione, coll’ aiuto del professor Macaiuso della K. Uni- versità di Catania, aveva preparato uno spettroscopio abbastanza adatto e V aveva portato ai nuovi crateri ; ma la cessazione bru- sca dell’ eruzione ha frustrato le sue speranze. Non giova però dissimularsi la grande difficoltà che presenta tale ricerca. Quando i coni eruttano massi incandescenti, quando il suolo trema sotto i piedi e le guide vi abbandonano, le osservazioni non possono avere la necessaria sicurezza ed estensione. Per poter risolvere la questione in modo veramente soddi- sfacente, occorre uno spettroscopio di forma speciale, munito di un cannocchiale di tre o quattro pollici di apertura e che per- metta di osservare con esattezza a uno o due chilometri di di- stanza. Allora si pianta V istrumento in un punto sicuro e in una o più notti si può risolvere una serie di questioni tutte im- portanti. Questo spettroscopio dovrebbe costruirsi fin d’ ora, nella forma più adatta al trasporto coi muli, e dovrebbe permettere misure molto precise. La Commissione propone che sia collocato nel nuovo laboratorio, che si tratta di erigere per il professor Silvestri in Catania. Con ciò P istrumento potrebbe essere immediatamente utilizzato. 2a La Commissione applaude al felicissimo concetto del Governo, di costruire alla Casa degli Inglesi, sotto la direzione del comm. Tacchini e a 2942 metri di altezza, un Osservatorio — 317 - rii fisica celeste e eli meteorologia. Essa desidererebbe che fra i vari lavori da eseguirsi in quell’ importantissimo Osservatorio, vi fossero anche contemplate le misure esatte della gravità fatte col mezzo di un pendolo speciale e in diversi punti dell’ Etna. La Commissione crede che con una serie di misure eseguite in punti bene scelti, il pendolo fornirebbe dati importanti per de- durne con qualche sicurezza, la forma interna della grande mon- tagna vulcanica. 3a Sarebbe importante, che nei punti favorevoli situati nella periferia dell’Etna, ove si trova un ufficio telegrafico, e possibilmente nell’ufficio stesso, fossero eretti piccoli Osserva- torii sismici i quali dovrebbero essere in relazione col nuovo la- boratorio del prof. Silvestri in Catania, al quale sarebbe così affidata la direzione di tutte queste osservazioni. Anche nel nuovo Osservatorio etneo dovrebbero eseguirsi osservazioni sismiche e vulcanologiche, almeno per la parte dell’ anno in cui 1’ Osserva- torio sarà accessibile, e con istrumenti possibilmente perfetti. La Commissione crede che il numero dei piccoli Osservatori! sismici andrà sempre più estendendosi, e che il laboratorio del prof. Sil- vestri a Catania sia destinato a divenire il centro di una serie importante di ricerche vulcanologiche. V. La Commissione sottoscritta, prima di separarsi, coglie que- sta occasione di ringraziare 1’ egregio signor prefetto di Catania comm. Basile e il sottoprefetto di Acireale cav. Sborni, dell’aiuto franco e cordiale prestato. Essa ebbe, mercè le loro cure e le loro indicazioni utilissime, facilitata di molto la via, e ha po- tuto compiere i suoi lavori in un tempo relativamente breve. Essa prega quindi V. E. a voler esprimer loro questi sentimenti di riconoscenza. Catania, 17 giugno 1879. Di V. E. Devotissimi Pietro Blaserna. Orazio Silvestri. Gemellaro. - 318 APPENDICE. Il martedì mattina, 17 giugno, mentre la Commissione riu- nita aveva già compilata la presente relazione, alle 8 ant. meno IO minuti, si sentì a Catania un terremoto assai forte, con oscil- lazioni ondulatorie dirette da ponente a levante, le quali ebbero una durata di circa 10 secondi, presentando due massimi d’ in- tensità quasi da dirsi due scosse, una immediatamente successiva all’ altra. Poco dopo questo fatto giunsero telegrammi a Catania di gravi disastri avvenuti in causa del terremoto sul versante orientale dell’Etna, e specialmente nei paesi di Bongiardo, S. Ve- nerina e Dagala, nonché nelle campagne adiacenti. Appena saputo ciò, la Commissione partì immediatamente per verificare sui luoghi i fatti avvenuti, ed ivi potè costatare quanto segue: Il terremoto del 17 giugno, alle 8 ant., mentre fu ge- neralmente avvertito in tutta la zona orientale dell’ Etna, pre- sentò un massimo d’ intensità, dimostrato da una quasi generale distruzione dei fabbricati e dei muri stradali, in un’ area che abbraccia circa due chilometri di larghezza per quattro di lun- ghezza diretta lungo un raggio che parte dal cratere centrale dell’Etna e segue l’andamento di E. S. E., nella quale area i danni maggiori, che rappresentano il centro di massima azione, si sono manifestati a partire da un livello di 500 metri sul mare, e scendendo ad un livello di 200 metri. In questa area sono comprese le contrade di S. Michele, Guardia, Linera, i paesi di S. Yenerina, Bongiardo e la borgata di Dagala. Questo centro di massima azione è rappresentato da una specie di ellisse, il cui asse maggiore corrisponde al detto raggio dell’ Etna, nel quale il movimento, che fu come una spinta dal basso all’ alto e determinò oscillazioni sussultorie, si comunicò ai due lati del- l’ellisse con oscillazioni ondulatorie per la distanza di oltre 20 chi- lometri. Si ritiene che le oscillazioni ondulatorie si propagarono da ponente a levante, come chiaramente ci fu manifestato dal modo come i muri si mostravano rovesciati ( vedasi la tavola annessa). I centri abitati e i fabbricati sparsi nelle campagne, da un lato e dall’ altro del centro di massima azione, che risentirono - 319 - le sole oscillazioni ondulatorie, non soffrirono danni di qualche entità ; mentre questi furono gravissimi in tutta V area di suolo agitata dal moto sussultorio. Questa specie di moto fu bene ca- ratterizzata, oltreché dall’ entità dei danni, anche da alcuni fatti da noi specialmente osservati. Per esempio, abbiamo veduto ge- neralmente gli stipiti delle porte e finestre, formati dalla pietra bianca di Siracusa, schiacciati in modo da mostrare evidenti segni di una compressione avvenuta dal basso in alto ; e la medesima direzione del movimento era manifesta dai dislocamenti dei pa- vimenti e delle chiavi degli archi. Il terremoto del martedì, 17, mattina, non fu isolato: fu pre- ceduto da altre scosse, che si sentirono solo nel centro di mas- sima commozione. Esse avvennero, la prima il 15 giugno, alle 2 ant., la seconda il 16, alle ore 6 1/2 pom., la terza lo stesso giorno, alle ore 8 pom. Queste scosse che furono solo ondulato- rie, non produssero danni, ma servirono a mettere in allarme la popolazione, la quale perciò si determinò a stare il meno pos- sibile nelle proprie abitazioni : questa circostanza, insieme all’ ora in cui avvenne il terremoto del 17 (ora in cui la maggior parte della popolazione era già al lavoro campestre), fece sì che la mortalità si ridusse a soli IO individui, tutte donne, con un nu- mero di feriti notevole, ma non proporzionato alla grande di- struzione avvenuta di tutti i casolari disseminati nelle campagne e del maggior numero delle fabbriche di Bongiardo, S. Yenerina e Dagala. Dopo la scossa fatale delle 8 ant. del giorno 17, si sono av- vertite altre due: una nello stesso giorno 17, a ore 11 pom., l’altra il 18, alle ore 4 e 5 minuti ant. Furono assai forti a S. Venerina, Bongiardo e Dagala; però si sentirono a breve distanza, e in nessun luogo produssero nuovi danni. Concludendo, si può dire : 1° Che la testé improvvisamente cessata eruzione ha messo in movimento il versante E. S. E. dell’ Etna ; 2° Che il centro di commozione è rappresentato da una ellisse, il cui asse maggiore segue V andamento di un raggio della montagna ; 3° Che in questo centro tutti i danni finora avvenuti, che presentano un carattere di generale distruzione, con poche ec- - 320 - cezioni di fabbriche più solidamente costruite, furono cagionati dalla sola scossa del martedì, 17 giugno, a ore 8 ant., meno 10 minuti. Catania, 19 giugno 1879. Di Y. E. Devotissimi Pietro Blaserna. Gemellaro. Orazio Silvestri. NOTE ALLA RELAZIONE. I. A conferma e complemento della Relazione presentata dagl’ Ingegneri delle Miniere su questa eruzione già pubblicata nell’ultimo Bollettino, diamo qui in sunto le ultime comunicazioni fatte dagl’ ingegneri si- gnori Baldacci e Mazzetti con data del 24 luglio. Dalle misure eseguite in luogo con opportuni strumenti risulta che la larghezza della corrente di lava sul versante N.N.E. al taglio dello stra- done presso le case Favazza e Proto è di metri 340. Questa larghezza è la media per circa 2 chilometri e mezzo, ed è di poco inferiore alla mas- sima che in uno spandimento sotto lo stradone non arriva a 400 metri. La sua altezza massima in questo punto è di 16 metri, e la media può ritenersi approssimativamente di 13 metri. La larghezza di 340 metri va gradatamente diminuendo a monte, tanto che a 2 chilometri circa sopra lo stradone non vi ha più che una larghezza media di 130 metri. Risalendo a 5 chilometri dallo stradone, cioè più alto che la metà del cammino percorso dalla lava, si osserva una larghezza di soli 80 metri che va sempre diminuendo avvicinandosi ai crateri. L’ altezza media della corrente in tutti questi punti non supera certo i 4 metri, poiché essa presenta anche degli avvallamenti nel senso lon- gitudinale i quali lasciano in vario punti scoperti il terreno preesi- stente come presso Casa Cimino ec. Coi dati precedenti possiamo ora calcolare approssimativamente il volume della lava tenendosi sempre entro limiti larghissimi, certo su- periori ai veri. Per chilometri 2§ X larghezza 340m X altezza 13m = 11,050,000 » 3 » 130m » 4 = 1,560,000 » 5 i » 60m * 4 = 1,320,000 Totale W C* 13,930,000 - 321 — Aggiungendo anche un terzo di questa cifra per i vuoti preesistenti nel terreno, vuoti che sono in minime proporzioni essendo il letto della corrente piuttosto pianeggiante e regolare, si arriva ad un totale di 18000000 di metri cubi.1 La corrente di lava è ora quasi raffreddata eccetto che nella parte più larga vicino allo stradone dove si notano ancora una dozzina di fumarole che sviluppano in debole quantità vapor acqueo, e vari cloruri, specialmente sale ammoniaco. A causa dei numerosi blocchi di scorie sciolti e franosi che formano il sacco della corrente è oltremodo mala- gevole il camminarvi sopra. E degno di nota che la corrente si è formata da sè quasi due argini laterali composti dei massi di scoria che già raf- freddati cadevano lungo i fianchi della corrente e restavano sul posto: dentro questi argini la lava più fluida ha percorso il suo cammino ora presentando una superficie rigonfiata al filone, ora rigata da profondi avvallamenti longitudinali, ora invece depressa verso l’ asse. Non è a farsi alcuna meraviglia se gli alberi che restavano dai lati degli argini sopra descritti non venivano abbruciati ma ben solo sradicati ed essiccati. IL La relazione degli Ingegneri del R. Corpo delle Miniere pubblicata nel fascicolo precedente, veniva per cura del signor V. Rouhy (Direttore Generale della Società della Nouvelle Montagne nel Belgio) tradotta in francese e fatta pubblicare nel giornale La Mense di Liegi. Alla tradu- zione egli fa seguire alcune interessanti considerazioni che crediamo bene di qui riprodurre. «Se si studiano (egli dice) accuratamente le diverse circostanze con- tenute in questo rapporto, se ne dedurranno numerosi fatti all’ appoggio della teoria che pone il laboratorio delle azioni vulcaniche ad una pro- fondità relativamente debole sotto la superficie della terra ; i condotti lavici non si estendono che alle camere esistenti nei terreni solidi, ad una distanza che non è grandissima sotto il suolo, camere nelle quali hanno luogo col concorso dell’ acqua le decomposizioni delle rocce, delle materie metallifere ec. ; i gas ed i prodotti liquefatti risultanti da queste reazioni chimiche s’ accumulano nelle camere durante un tempo più o meno lungo dipendentemente dall’ ostruzione più o meno completa dei condotti per le materie laviche che li riempiono al cessare d’ un’eruzione e che vi si sono solidificate per raffreddamento ; più è completa questa ostruzione, più sarà grande l’ intervallo fra due eruzioni e più conside- revole la pressione alla quale saranno sottoposti i gas che si produrranno. Questa compressione a seconda delle circostanze potrà essere di molte 1 II volume di 50,000,000 di metri cubi indicato dalla Commissione dietro i dati raccolti, è solo spiegabile considerando che la larghezza della lava allo stra- done, venne dalla Commisione stessa ritenuta non minore di Ì200 metri, mentre nel fatto sarebbe in media assai minore, come risulta dalla Carta rilevata dietro domanda della Commissione stessa. 22 — 322 — atmosfere, e quando sia sufficiente a vincere l1 ostacolo che si oppone j all’ evacuazione o a squarciare il terreno, si produrrà una nuova eruzione, avranno luogo deflagrazioni delle parti combustibili dei gas e saranno accusate da rombi sotterranei e da terremoti. Allorquando le materie suscettibili d’ essere decomposte saranno esau- rite, ciò che a lungo andare dovrà accadere, il vulcano allora entrerà j nella categoria dei -vulcani spenti. Non è affatto necessario ricorrere all’ ipotesi di fessure prolungatesi- j attraverso tutta la crosta solida della terra per metter capo al nucleo | centrale che si suppone ancora allo stato di fusione ignea ; se così fosse j si potrebbe trovare originale che la natura, di solito così grande e così j maestosa quando agisce, avesse creduto necessario di conservare dei con- j dotti capillari per rigettare alla superficie del globo un eccesso di ma- j teria che non è che un atomo a paragone della sua massa. Se i vulcani j avessero sorgente dalla massa centrale ignea, colle dimensioni che le j si attribuiscono i fenomeni vulcanici avrebbero un' importanza ben al- trimenti calamitosa e non si limiterebbero alla ejezione di alcuni piccoli sbuffi di vapore, di fumo e ad alcuni grani di materie laviche, che, mi- surate alla nostra stregua, ci sembrano importanti, ma che a fronte delle j masse da cui si fanno provenire sono un nulla. La teoria che suppone che i crateri dei vulcani sono le bocche aperte I dei condotti che mettono la superficie della terra in comunicazione col j nucleo liquido che si pretende esistere, non è più razionale di quella che j attribuisce ai filoni metalliferi un’ analoga origine detta ignea e attri- buisce quindi a loro una continuità a tutta profondità. Le fenditure nelle j rocce presso la superficie della terra, non si sono esse pure prolungate attraverso tutta la crosta solidificata, per permettere a delle materie ! metallifere fabbricate nel preteso grande crogiuolo del nostro pianeta j di elevarvisi o di deporvisi per sublimazione a costituire i filoni metal- liferi. Queste sostanze deposte furono prodotte da un genere di feno- meni analoghi a quelli che regolano la formazione delle materie vulca- j ni che, e danno luogo alle acque termali che permettono la precipitazione j di sostanze metallifere nelle spaccature dei terreni. Tali fenditure si sono allargate più o meno secondo la natura delle rocce formanti parete e j la virtù dissolvente delle acque, ed hanno dato luogo a dei filoni più o meno larghi o a degli ammassi di volumi più o meno considerevole. In , certi casi, le precipitazioni si sono fatte entro cavità superficiali ed hanno prodotto gli ammassi superficiali ec., ec. Il formato d’ un giornale non consente lo sviluppo e 1’ enumerazione delle molte prove all’ appoggio della teoria che esclude ogni intervento delle materie ignee o dei gas che possono esistere sotto la parte solida del nostro pianeta, e che attacca seriamente le teorie dei sollevamenti delle montagne, delle direzioni dei filoni ec., ec., che furono da questo secolo ammesse dai geologi come abbastanza soddisfacenti alle esigenze della scienza. » — 323 — II. Sulla recente eruzione dell’ Etna, Nota del signor H. De Saussure.1 (Letta all’Accademia delle Scienze in Parigi il 7 luglio 1879.) Tralasciando la parte storica dell’ avvenimento di cui l’Etna fu ultimamente il teatro e limitandoci ai soli fatti che potevano constatarsi subito dopo 1’ eruzione, cioè dall’ 8 al 14 giugno, rias- sumeremo qui le principali osservazioni a cui essi diedero luogo. 1° La massa dell’ Etna è stata divisa da una spaccatura nella direzione presso a poco di nord a sud. Sul versante me- ridionale, tale spaccatura si è fermata a metà del pendio pie- gandosi verso ovest ; nel versante nord essa si prolunga fino al piede della montagna. Però la fenditura non ha prodotti grandi spostamenti, come avvenne al Vesuvio nel 1872 ; 1’ enorme massa dell’Etna sembra abbia opposto alla spinta una resistenza in- finitamente più possente. Il cono centrale benché si trovi sulla linea della fenditura non si è aperto da alcun lato. L’aspetto generale di questa spaccatura non è altro che quella di una zona di 100 a 200 metri solcata da una quantità di fessure più o meno parallele, e che nel suolo, coperto di terra sciolta, non hanno più di un metro d’ apertura : nelle località, ove esse attraversano, le rocce presentano una larghezza più considerevole ; gli orli della spaccatura non furono punto smossi ; non vi fu nè alzamento nè abbassamento, ciò che esclude T idea d’ un sollevamento di strati. In compenso si osserva sul percorso delle fenditure un certo numero di punti d’ esplosione ove per solo effetto dei gas e senza che sia uscita alcuna lava, le rocce furono rotte e proiettate. Vapori acidi sfuggono da tutti questi punti. 2° Il cratere centrale non sembra che abbia emesso lava : esso si è limitato a lanciare una pioggia abbondantissima di ce- neri e di blocchi. Questi ultimi sono di due sorta. Gli uni rotti ‘ A complemento delle relazioni degli Ingegneri delle miniere e della Com- missione ministeriale ritiensi opportuno pubblicare la presente nota dell’egregio signor De Saussure come quella che contiene nuovi dati e nuove osservazioni e conclusioni assai interessanti. La Redazione. - 324 - ad angoli vivi e composti di lava ordinaria provengono evi- dentemente dalla rottura del fondo del cratere : gli altri in nu- mero assai più piccolo smussati sugli spigoli e formati di una lava antica (< doleritica ) sono certamente stati staccati da parti più profonde del condotto vulcanico. Questi blocchi, di 1 m. c. al massimo, sono stati lanciati a parecchi chilometri di distanza. 3° Da quanto ho potuto giudicare, le lave hanno fatto eru- zione in tre punti diversi. A) Sul versante meridionale, un po’ al disotto del cono a circa 2600m d’altitudine, la corrente è sgorgata dalla spac- catura ed è colata verso sud-ovest nella direzione di Adernò, ed incontrando per via un’ antica prominenza si è divisa in due branche. Questa colata non ha che 2 chil. e mezzo di lunghezza. B) Sul versante nord il suolo della montagna si è aperto ad un’ altitudine un po’ maggiore di quella dell’ eruzione del ver- sante sud, e si è formato in questo punto un piccolo cono che era ancora attivissimo il 13 giugno. Esso emetteva una grande quantità di vapore e lanciava ad intervalli delle scorie incan- descenti. Le lave uscivano dalla fenditura, e versandosi per una distesa di 3 o 4 chilometri sopra quelle del 1865 sono giunte sino al piede del gruppo dei coni di Monte Scoperto e Monte Nero su- periore 1 il quale fece deviare 1’ estremità della colata verso est. C) La terza colata è uscita fuori in un punto situato più in basso quasi a metà costa della montagna in un burrone che divide il Monte Timparossa dal Monte Nero inferiore. Le lave si sono aperte la via da diverse crepature ; ma questi di- versi rigagnoli si sono presto confusi in una sola grande cor- rente. Questa colata di gran lunga più considerevole si è avan- zata sino nella valle dell’ Alcantara, che limita a nord il piede della montagna. Il suo percorso è di circa 10 chil., la sua lar- ghezza alla parte inferiore circa di 600 metri. Al suo punto di origine è sorta una moltitudine di piccoli coni allineati a destra della colata, secondo l’ asse della spaccatura, e addossati alle falde del Monte Nero e dei suoi annessi. Questi coni sono composti di lave e di scorie agglutinate. I tre più considerevoli che for- 1 Sul versante nord dell’Etna vi hanno due montagne di questo nome senza parlare d’ un terzo Monte Nero, posto sul versante meridionale, e del quale qui non si tratta. — 325 — mano il mezzo della catena hanno da IO a 15 metri di altezza mentre i loro vicini che li precedono e li seguono vanno gra- datamente abbassandosi. I più piccoli dell’ altezza di un uomo non sono che rigonfiamenti di lava. Più in basso in mezzo alle lave si osservano le ruine di due altri coni, la parte centrale dei quali è stata portata via : soltanto i lati hanno resistito e formano dei tronchi foggiati a chiglia, del resto poco elevati (8m a 10m). 4° Le due colate più elevate, cioè quella del versante sud e quella superiore del versante nord furono le prime a uscir fuori. La prima è sgorgata il 27 maggio, e può ritenersi che anche la seconda si sia prodotta nello stesso momento, quan- tunque si abbiano ragguagli meno positivi a suo riguardo. La colata inferiore, molto più tonsiderevole, sembra aver fatto eru- zione il 28 maggio. Tostochè le lave ebbero trovato questa uscita più bassa cessarono dal versarsi dalle regioni superiori. 5° Le lave delle due colate superiori si sono espanse sopra campi di neve. Esse non hanno fuso che una parte di questa neve il cui spessore era di parecchi metri. Le masse incande- scenti, mescolandosi all’acqua di fusione e alla cenere che ca- deva in abbondanza hanno prodotto una specie di pasta metà ignea e metà fangosa. Ciò spiega lo strato di fango secco che copre queste falde dL lava, non che i blocchi di cui esse sono cariche. Il 14 giugno la lava benché riposasse sopra uno o più metri di neve, era ancora caldissima alla superficie ed incandescente nei suo spessore. La neve, ovunque si scorgeva a traverso le fen- diture della lava, non sembrava punto subire 1’ azione di un forte calore. Sembrava al contrario protetta efficacemente contro P ir- radiamento del calore dalla parte raffreddata della colata di lava, ed accadeva d’ incontrare un grosso blocco di neve quasi a fianco di una bocca che lanciava ancora delle scorie. La colata inferiore del nord presenta su di una parte del suo tragitto lo stesso carattere. Essa cominciò infatti coll’ attra- versare delle estensioni di neve che si prolungavano ancora a qualche distanza al disotto del Monte Timparossa e le ha inte- ramente fuse. Noi non parliamo però qui che dello strato infe- riore delle lave, giacché gli ultimi deflussi della colata non hanno più incontrata neve: essi hanno formato al disopra del primo letto un piano di lava nuda che se ne distingue perfettamente. - 326 - 6° Sembra che le lave in ciascuna colata sieno uscite fuori simultaneamente da un certo numero di punti situati lungo il percorso della spaccatura. Siccome questa fenditura segue ab- bastanza esattamente la direzione della massima pendenza, le colate così scaglionate le une al disopra delle altre si sono rag- giunte e confuse in una sola. Si spiegherebbe così, in modo spe- ciale, la formazione della lunga corrente del nord. Essa risulte- rebbe di diverse colate poste l’ una all’estremo dell’altra e riunite in una sola. Tale supposizione si appoggia sui seguenti fatti : In primo luogo si osserva sul percorso di tutte le colate di lava parecchi coni o bocche, in parte ancora conservati * come pure delle cavità di lava con cratere indicanti in modo incon- trastabile la presenza di centri eruttivi.1 In secondo luogo, su tutto il percorso, la grande colata segue e ricopre la spaccatura della montagna, ed è naturale il pensare che questa direzione sia stata determinata da una serie di sor- genti che stavano lungo la fenditura piuttosto che da qualunque altra causa. La spaccatura non continua, è vero, attraverso la valle dell’ Alcantara, oltre 1’ estremità delle lave ; ma non lungi da questo punto se ne trovano delle ramificazioni. Specialmente si osserva sulla strada stessa di Randazzo che fu tagliata dalle lave, una fenditura stretta da cui esce una quantità di piccole fumarole. Per ultimo le lave sono comparse quasi subitamente e nello stesso tempo su tutto il fianco della montagna dalla loro origine al Monte Nero sino al punto in cui esse intercettano la strada da Linguaglossa a Randazzo : se la corrente fosse uscita' da una sola sorgente posta a Monte Nero, un tale tragitto non avrebbe probabilmente potuto effettuarsi che in parecchi giorni. 7° L’ accumulamento delle lave nella parte inferiore del loro percorso raggiunge delle proporzioni enormi malgrado la pendenza abbastanza rapida sulla quale esse riposano. In alcuni punti in particolare al disopra della strada di Randazzo lo spes- sore non può calcolarsi meno di 40 metri, e le cifre sarebbero forse più considerevoli se si potesse valutare lo spessore al mezzo 1 La grande colata del nord non presenta, è vero, questi centri che nella sua parte superiore, ma mostrerò in seguito che ne esistono non meno, benché non apparenti, anche nel resto della sua lunghezza. - 327 - della corrente dove le lave hanno colmato la depressione del suolo occupata dal letto di un ruscello. Per il defluire delle ma- terie in fusione che essa ricopre, la superficie solidificata si ab- bassa, qua e là e subisce delle depressioni longitudinali che la solcano con profondi burroni. Lo spessore straordinario delle lave nel punto indicato si spiega probabilmente per il fatto che a fianco del deflusso regolare che accumulava le materie incan- descenti verso la parte inferiore della colata, nuovi sgorghi usci- vano fuori in questo luogo al disotto delle lave, per la spacca- tura e rigonfiavano questa massa già viscosa e poco scorrevole. Questi sgorghi non furono osservati direttamente, ma se ne può dare per prova le depressioni, risultanti da sprofondamenti nella spaccatura, che si delineano a misura che le lave si raf- freddano e ancora i crateri di sprofondamento formati a gradini concentrici, prodotti evidentemente dal ritiro della lava in un condotto sottoposto. Uno di tali crateri si vede immediatamente al disopra della strada sulla sponda sinistra della colata. Un centro eruttivo esiste pure all’ orlo della strada sulla sponda de- stra. È da supporsi che il suolo fosse traversato in questo punto da una fenditura traversale che eruttò una certa quantità di lava. I centri d’eruzione non hanno potuto rendersi palesi che nella parte superiore della colata, e ciò a causa del piccolo spessore delle lave. La forza della corrente nella parte media, 1’ accumu- lamento della materia viscosa nella parte inferiore, impedirono ai coni di formarsi al disopra dei diversi centri di eruzione. Le lave spazzavano e travolgevano tutto nel loro proprio movimento. 8° Le fumarole sono meno numerose sulle lave dell’ Etna di quello che non fossero su quelle del Vesuvio nel 1872. Ve ne sono pochissime che emettino dei vapori solforosi, e suppongo che quelle provengano da profondi meati. L’ acido carbonico e l’acido cloridrico dominano, ma i chimici vi scopriranno anche altri vapori poiché 1’ odore, assai diverso da quello delle fuma- role del Vesuvio rammenta un po’ quello di legno verde carbo- nizzato senza che possa in alcun modo attribuirsene la causa a vegetali abbruciati poiché quest’ odore si trova nelle fumarole delle lave poste al disopra del limite della vegetazione, e in quelle dell’ orlo del cratere principale. Il sai marino, tanto abbondante nel Vesuvio, qui lo è assai - 328 - poco, ma T azione prolungata delle fumarole potrà aumentarne la quantità. Le efflorescenze si sviluppano col tempo ; fra l1 8 e il 14 giugno non facevano ancora che cominciare.1 Sopra i coni ancora incandescenti si vedeva, come sempre, depositarsi molte efflorescenze gialle, formate principalmente di percloruro di ferro. In alcuni punti prendevano un colore ver- dastro, che indicava la presenza del cloruro di ferro (e di rame?). 9° La grande spaccatura della montagna con le sue dira- mazioni è scoperta per una lunghezza di 2 a 3 chil. da Monte Nero inferiore sino all’ altipiano che si estende a sud di Monte Pizzillo, dove essa scompare di nuovo sotto la colata dell’ eru- zione superiore. Su questo tratto si è formato un cono di ceneri che non ha dato lava. 10° La natura mineralogica delle lave che si solidificano ora sembra essere la stessa di quelle di tutte le lave dell’ Etna di questo secolo. Esse si compongono di una pasta augitica rac- chiudente piccoli cristalli di feldispato plagioclasio. 11° Eruzioni diffuse. Gli strati di neve che si estendono al disotto della colata superiore all1 est di Monte Nero superiore e del Monte Tamagruppi furono traversati da migliaia di piccoli getti gassosi che hanno deposto sulla superficie di essi un1 infinità di noduli composti di efflorescenze gialle ove domina il perclo- ruro di ferro. Altri getti più considerevoli e numerosissimi hanno stemperate le ceneri sottoposte e le hanno trasportate attraverso le nevi per formare alla superficie di queste delle placche di fango acido cariche di efflorescenze diverse. Il 14 giugno queste placche di 0, 30 al m. di diametro erano semisecche. Molte fra esse erano state rotte e sollevate da nuovi getti di vapore, La neve è tutta su estensioni variabili cosparsa di queste placche di fango eruttivo disseminate a pochi metri le une dalle altre. Alla superfìcie dei campi di neve l1 abbondanza delle efflo- rescenze è tale che essi presentano da lontano un colore giallo citrino. Noi supponiamo che la diffusione dei gas non avendo po- tuto prodursi nella neve stessa ha dovuto effettuarsi negli strati delle ceneri soggiacenti, e che l’eruzione ha attraversato lo strato di neve un po’ dappertutto a piccoli getti, gli uni sotto forma gas- 1 Fu il 5 o il 6 giugno che le lave avevano cessato di avanzare. — 329 — sosa, gli altri più violenti sotto la forma di vapori carichi di fango disciolto che essi trasportavano alla superfìcie. 12° Correnti di fango. Delle correnti di fango hanno fatto eruzione in gran numero tutto all’ ingiro del cono centrale. Ne spiego 1’ origine nel modo seguente : La sommità della montagna prima dell’ eruzione era coperta di neve. Durante 1’ eruzione tutto il cono è stato penetrato da vapori i quali venendosi a condensare su questo mantello di neve l’hanno fuso a poco a poco. La copertura del cono composta esclusivamente di ceneri mescolate a pietre, e quindi eminente- mente porosa* s1 impregnò così di una massa d’ acqua che dovette tendere ad ammassarsi di più in più al basso del pendio. Quando il sopracarico del liquido diviene troppo forte esso si apre una uscita verso il basso e fa eruzione sotto forma di torrenti di fango violentissimi e rapidi che si spandono nei pendìi facenti seguito a quelli del cono e sino nella valle del Bove. Io fui te- stimone d1 un’ eruzione di questo genere, che poco mancò non mi costasse la vita, ed ho osservato le tracce di una quantità di altri cataclismi analoghi su di una parte del contorno del cono. III. Osservazioni chimico-microscopiche su alcuni prodotti della recente eruzione delV Etna , fatte da A. Cossa. (Dai Transunti della R. Accademia dei Lincei, adunanza del 15 giugno). L’ egregio dottor Pio Mantovani, professore di Storia natu- rale a Pveggio di Calabria, ebbe la cortesia d’ inviarmi un sag- gio della cenere dell’ Etna, caduta in quella città il giorno 28 dello scorso mese di maggio, e mi fornì in tal modo V occa- sione di fare alcune osservazioni, di cui comunico i principali ri- sultati. La cenere ha un colore grigio-nerastro, è finissima : messa nell’ acqua non impartisce a questa reazione acida. Colla calamita se ne può estrarre circa il 12,5 °j0 in peso di magnetite. Osser- vata al microscopio si scorge che essa è formata principalmente - 330 — di frammenti di cristalli di feldispato Iridino, di augite, di gra- nuli di magnetite e di un gran numero di scheggie di vetro variamente colorate, e finalmente di qualche raro ammasso di microliti tra loro aggruppati a guisa di feltro. Come tutte le ceneri vulcaniche finora osservate, così anche questa della recente eruzione etnea è caratterizzata dal gran numero e dalla varietà delle inclusioni contenute nei suoi com- ponenti cristallini, e in special modo nelle scheggie di vetro. I frammenti di feldispato sono affatto incolori ; non presen- tano alcuna traccia di decomposizione ; in molti di essi scorgonsi nettamente le linee di geminazione caratteristiche del feldispato triclino. Tutti i cristalli di feldispato contengono in gran copia cavità ora rotonde, ora elittiche, e più spesso di forma irrego- lare riempite di vetro di colore cinereo. È da notarsi che quasi sempre il vetro interposto nel feldispato della cenere è munito d’ una o più bollicine vuote, le quali mancano affatto nella ma- teria vetrosa inchiusa nei cristalli di feldispato della lava. In qualche frammento di feldispato le cavità contenenti materia ve- trosa sono disposte parallelamente alle linee di geminazione del cristallo. In minor copia del vetro trovansi inchiusi nel feldispato cri- stallini aciculari di augite e di apatite, e più raramente ancora dei piccoli cubi di magnetite. In un minuto cristallo di feldi- spato rinchiuso in una scheggia di vetro rossastro osservasi con un fortissimo ingrandimento una cavità contenente vetro, e che è perfettamente modellata sulla forma del cristallo. La maggior parte delle scheggie di vetro ha il colore gri- giastro dell’ ossidiana di Lipari, quando è osservata in sezioni sottili. Altre hanno un colore rossiccio che sembra con grande probabilità prodotto da spalmature di ossido ferrico. Il vetro che .involge i granuli più grossi di magnetite è qualche volta colorato in verde. Tutti i frammenti di vetro, qualunque sia il loro colore, sono riempiti da un numero grandissimo di microliti, dei quali la massima parte presentano la forma dell’ augite. In questa cenere dell’ Etna sono scarsissime le lamine di ferro micaceo, e mancano affatto i cristalli di feldispato orto- tomo e di leucite ; caratteristici i primi delle sabbie dei vulcani - 331 delle Isole Eolie, e i secondi delle sabbie e delle ceneri vesu- viane. Dai saggi chimici che ho potuto finora eseguire risulta che la cenere dell’ Etna raccolta a Reggio di Calabria, nel suo stato naturale di aggregazione, contiene circa il 18 °/0 di sostanze so- lubili, o per meglio dire decomponibili dall’ acido cloridrico. Sono componenti di questa cenere : V anidride silica, 1’ anidride tita- nica, 1’ anidride fosforica (in piccola quantità), V ossido ferroso, F ossido ferrico, V ossido di manganese, la calce, traccie di ma- gnesia, la soda e la potassa. Coir osservazione spettrale si os- servarono ben nette le reazioni caratteristiche della strontiana e della litina. Posteriormente mi furono gentilmente inviati per cura della baronessa Costanza Gravina campioni di cenere e di lava del- l’ Etna raccolti nelle vicinanze di Giarre nel giorno 2 di questo mese di giugno. La cenere per la sua composizione minera- logica, eccettuata la maggior grossezza de’ suoi componenti, è affatto simile a quella di Reggio di Calabria. La lava ha un aspetto scoriaceo, e V esame microscopico di alcune sezioni sottili mette in evidenza che essa è costituita per la massima parte da grandi cristalli di feldispato triclino disse- minati porfìricamente in un impasto costituito da minutissimi cri- stalli dello spesso feldispato, da cristallini d’ augite, di magnetite e da poca materia vetrosa di color bigio. Tutti i cristalli di feldispato hanno una struttura più o meno manifestamente zonare, che si rende palese senza bisogno di ri- correre all’ osservazione nella luce polarizzata, per il modo re- golare col quale sono disposte le particelle di vetro rinchiuse nei cristalli. Questa materia vetrosa è in piccoli ammassi di forme irregolari e affatto privi di bollicine. Associato al feldispato trovasi nella lava P augite in cristalli ben distinti, inquinati da poca magnetite. Non è raro di trovare dei cristalli di augite contenenti un cristallo ben distinto di feldispato, il che si spiega assai facil- mente ricordando la fusibilità molto maggiore dell’ augite, in con- fronto di quella del feldispato. Gli spigoli ben netti dei cristalli di feldispato e di quelli di augite, P identità della materia vetrosa contenuta nel feldi- - 332 - spato, con quella che si trova nel magma che forma l’ impasto della lava, sono fatti che a mio parere parlano contro l’ opinione di coloro che ritengono che gli elementi cristallini preesistano allo stato solido nella lava fusa. IV. La Montagnola Senese , studio geologico di Carlo de Stefani. IY. — Lias inferiore. (Continuazione. — Vedi Bollettino n. 5-6.) § 2. Piano P. Sopra il marmo bianco con perfetta concordanza succedono schisti cipollini e calcari, colorati da ossidi di ferro. Lungo il solito spaccato della Rosìa (Fig. 2), intorno alla prima cupoletta dei marmi dalla parte d’occidente verso Montarrenti, al marmo saccaroide bianco succede immediatamente il marmo ceroide giallo che manca poi nella porzione orientale dove il marmo bianco è ricoperto senz’altro da calcare scuro più recente del Lias. Il sopradetto marmo ceroide giallo è quello stesso così bello e così conosciuto nel commercio col nome di giallo di Siena. Esso è discretamente compatto, piuttosto ceroide che saccaroide, di color giallo miele o giallo d’ oro dovuto all’ ossido di ferro, e prende un bel pulimento ; quasi sempre è traversato da piccole vene schistose per lo più violacee che gli danno l’aspetto di mischio e che non ne diminuiscono la vaghezza. Non si trova però in masse compatte molto grandi, talché se è molto adattato a far tavoli e lavori in piano secondo il verso, non servirebbe a lavori profondi da farsi al contro , come vasi, statuette od altro, giacché certamente sverzerebbe. Qui lungo la Rosìa forma strati molto distinti alti ciascuno circa un decimetro, ed ha la potenza di circa 20 metri ; pende verso S.S.O. con pendenza presso a poco di 40 gradi : essendo però impuro, in quel punto non si preste- - 333 - rebbe a lavori di sorta. Esso continua a formare dei lembi più o meno estesi sopra il marmo bianco nel fianco occidentale della Montagnola sulla sinistra della Rosìa ed ivi anzi sono aperte le famose cave dette di Montarrenti. Queste cave e le altre prossime son quelle che esclusivamente hanno dato al com- mercio il vero giallo di Siena, essendoché il marmo di Lucerena pur nella Montagnola, ma nella regione settentrionale, benché giallo e di Siena è più smorto e meno bello, nè può in alcun modo competere col marmo di Montarrenti e dei dintorni. Da queste cave proviene senza dubbio quella grande e bella tavola che si vede in una delle gallerie del Palazzo Pitti, comunemente riconosciuta di giallo di Siena. In questa tavola,1 si vede una bella sezione di Ammonites che il Meneghini ha attribuito ai- fi A. margaritatus D’ Orb.; Pantanelli e Lotti ritengono che questa tavola col relativo Ammonites sia di dubbia provenienza; ma per verità le Guide, e tutti quelli che hanno parlato delle gallerie di Pitti hanno sempre indicata la tavola come di giallo di Siena; e probabilmente vi saranno i documenti che ne atte- stano fi origine. Il vero giallo di Siena è del resto un marmo così distinto che non vi ha pericolo di confonderlo con altri: in Italia non' v’ è di certo un altro marmo di quel colore e di quel- fi aspetto, e credo anzi che un marmo simile non sia conosciuto nemmeno fuori, giacché anche i forestieri quando ne hanno bi- sogno per qualche piccolo lavoro ornamentale cercano il giallo di Siena. Quella di Pitti non è, del resto, fi unica Ammonites trovata nel marmo anzidetto : udii raccontare più volte che il padre Angeloni v1 avea trovato una o due piccole Ammoniti, ed il Meneghini mi ha affermato più volte che altre Ammoniti egli vide in una tavola di giallo di Siena a Padova. Io confesso il vero che in moltissime tavole del marmo anzidetto ho sempre guardato se trovavo sezioni di fossili, ma non mi riesci vedere se non dei punti spatici frequenti che potrebbero essere tracce di crinoidi. Infatti questi sono frequenti nei marmi gialli e nei calcari che ne tengono il posto, intorno ai poggi di Montarrenti, e per una maggiore resistenza opposta alle intemperie sopra- 1 Nel mio scritto Dell’ epoca geologica dei marmi dell’Italia centrale {Boll. R. Com. geol., pag. 212, 1875) dissi erroneamente che questo Ammonites era VA. fìmbriatus Sow. - 334 - vanzano alla superficie della roccia; Pantanelli e Lotti li indi- carono per i primi, ed aggiunsero di aver trovato intorno alle cave di Montarrenti anche un’ impronta forse di Ghemnitsia. Degli strati schistosi sono spesso intercalati ai marmi gialli, ma si sviluppano meglio superiormente a questi, e conservano quasi sempre tracce di carbonato di calce. Alle volte sono veri cipollini, e non di rado contengono delle lenti calcaree; nè man- cano i casi nei quali il calcare stesso predomina. Quegli schi- sti somigliano assai agli schisti filladici del Trias, che però nella Montagnola non sono mai calcarei. Essi pure sono vere fìlladi argillose, rasate, lucenti, quasi sericee, sebbene in generale un poco meno delle filladi triassiche : formano strati ben distinti ed hanno i colori più varii, cioè verdognoli, giallastri, biancastri, leonati, rossi, violetti o brizzolati. Lungo la Rosta, sopra il marmo giallo raggiungono T altezza di circa 10 metri, pendendo al solito verso S.S.O., e sono co- perti da un metro o due di calcare gialliccio schistoso, nel quale si trovano alle volte dei filari come di selce, notati anche da Pantanelli e Lotti. Però piuttosto che di vera selce, come quella sì frequente nel Lias medio, si tratta di una specie di quarzo molto somigliante a quello che forma i filari detti cani tìel marmo ordinario di Solaio nelle Alpi Apuane. Sulla sinistra della Rosta però questi schisti e questi calcari schistosi s’ estendono ben poco, giacché quasi sempre rimangono scoperti i marmi gialli e bianchi sottostanti ; aumenta invece la loro estensione nell’ alto del pog- gio e verso il fianco orientale di esso, dove si sviluppano fra Molli e le Reniere, frequentemente con aspetto di cipollino ver- dognolo o biancastro o giallo; e colà si nascondono poi sotto ai calcari cavernosi. Anche lungo tutta la Rosta non si trovano più fuori del luogo indicato a principio se non quasi all’ estremità orientale dello spaccato fra la quinta e la sesta piega anticli- nale degli schisti triassici un poco prima che la Rosta incontri il Rigo taglio. Quivi per breve spazio si estendono sopra il Trias degli schisti bianchi calcarei già indicati da Pantanelli e Lotti, e forse tengono -in parte il luogo dei marmi bianchi che sono sì sviluppati a poca distanza. (Fig. 2.) Seguitando il cammino verso il settentrione della Montagnola devesi dire che gli schisti e i cipollini di questa non compari- - 335 - scono più per un certo tratto nel vertice fra Molli e Pernina e nelle pendici orientali sottogiacenti a Tegoia e Balli, nemmeno nel fondo ai botri scavati in mezzo al calcare cavernoso. Nelle pendici occidentali invece, le masse dei marmi verso settentrione al di là delle fonti dell’Elsa e verso il Botro di mezzo vanno a sparire, mentre acquista un grandissimo sviluppo la zona degli schisti e dei cipollini. Questa, scendendo lungo V Elsa, s’ incontra un poco prima di Scopeta, e forma tutte le pendici del Botro di mezzo che scorre relativamente profondo in un largo imbuto al quale scendono come stecche d’ un ventaglio tanti fossatelli scavati tutti nello schisto e nel cipollino, mentre le cime dei poggetti circostanti di Simignano, dell’ Incrociata, di Montrano e del Castellacelo sono formate dal calcare cavernoso. Lo schisto ha i soliti caratteri ed i colori più differenti, ma per lo più è lionato : quasi sempre è calcareo ed anzi si rimane incerti se dirlo schisto calcareo o calcare scliistoso : il calcare marmoreo forma dei piccoli banchi qua e là, e si tentò perfino aprirvi delle cave, però sempre senza risultato, giacché è impossibile trovarvi delle discrete saldezze. Il calcare suddetto a volte è ceruleo cupo come bardiglio, e molto scuro. Negli schisti poi si cominciano a trovare dei filoni molto irregolari di quarzo con vene di oligisto specolare lucente, delle quali do una piccola figura presa dalla superficie di uno strato, per dimostrare le diramazioni del quarzo. 1. Oligisto. — 2. Quarzo. — 3. Fessure dello schisto. Questi filoni di quarzo e di oligisto danno l’ idea di vene, non già penetrate a grandi profondità, ma superficiali o per - 336 — meglio dire limitate alla formazione schistosa nella quale si trovano formate dentro le fessure di questa per accumulazione del quarzo e dell’ ossido di ferro tolti agli strati più ricchi di questa materia. Circa a quest’ origine, dirò così locale di mol- tissimi filoni minerali non può cadere dubbio, giacché appunto in mezzo alle quarziti ed agli schisti quarzosi si vedono filoni di quarzo, in mezzo ai marmi son filoni di calcite, in mezzo ad argille gessose son filoni di gesso, i quali per lo più non pas- sano da una roccia all’ altra. Inoltre i sopraddetti filoni d’ oli- gisto e quarzo della Montagnola, traversano alle volte oltre gli schisti anche i calcari, ma solo in modo limitato e non lungi dai punti di contatto fra le due rocce. Anche negli spaccati lungo la Rosìa, non si vede la calcite passare dai marmi agli schisti, nè il quarzo dalle quarziti e dagli schisti andare ai marmi. In questo tratto di paese non è facile farsi un’ idea molto precisa della direzione e dell’ inclinazione degli strati a cagione degli scontorcimenti cui questi vanno soggetti. Più a monte in- torno a Simigliano sembra scendano per solito verso O.N.O. ; ma scendendo verso la base della Montagnola vicino all’ Elsa e per gran tratto poi verso Bellaria e San Chimento pendono quasi generalmente verso S. E. (Fig. 3), vale a dire contro al vertice della Montagnola. Qua nel basso poi gli schisti non sono calcarei ed hanno unicamente l’ aspetto di filladi rosso-vinate, biancastre, verdognole e talora cerulee ; intorno a Bellaria vi sono anche schisti verdi o violacei, e quarziti verdognole. A questi strati così inclinati si sovrappongono, con discordanza grandissima e con inclinazione quasi perpendicolare, gli alberesi che stanno colla formazione serpentinosa, per esempio nei dintorni di Bellaria. La natura litologica, quando mancano gli strati calcarei, può aiutar poco a distinguere gli schisti del Trias da quelli della zona di cui parlo ora, ed io per causa della pendenza a S. E., che ho sopra notata, rimango dubbioso se si tratti di un piccolo rovesciamento quale si verifica tanto frequentemente nelle roccie schistose alla base dei monti, ovvero di una piccola piegatura secondaria simile a quelle che si trovano allo scoperto più a mezzogiorno lungo la Rosìa, piegatura rimasta lì interrotta, nel qual caso potrebbe anche darsi che gli schisti là in basso ap- partenessero al Trias e fossero sottostanti ai cipollini ed agli schi- 337 - sti liassici senza V intermezzo dei marmi bianchi. Il considerare però che salendo verso il crinale della Montagnola lo schisto diventa calcareo, acquista la pendenza ad Ovest, e si pone sopra ai marmi che formano, lì sopra Pietralata e Scorgiano, il culmine della Montagnola, mi farebbe credere che si trattasse di una sem- plice e parziale inversione, anteriore ad ogni modo al depositarsi dell’eocene. Un poco a settentrione di Bellaria, verso San Giumento e Scorgiano, quegli schisti medesimi che acquistano pendenza re- golare verso Ovest si immergono sotto ai calcari cavernosi di Mag- giano e Scorgiano. Piccoli lembi di essi nei quali predomina il ci- pollino molto schistoso ricoprono qua e là, con pendenza ad Ovest, la formazione abbastanza estesa dei calcari che formano la cupola dell’ anticlinale ed il vertice della Montagnola ne’ monti fra Per- nina, Lucerena, Marmoraia, Quegna, la Sanese, Pietralata e la Sughera. Questi marmi per la loro natura molto schistosa, almeno nella porzione superiore sono da attribuirsi al piano di cui parlo : ad occidente del vertice pendono verso Ovest o presso Mar- moraia verso O.N.O., ad oriente scendono verso Est avendo così una direzione quasi meridiana. La parte più centrale, l’ho già detto a suo luogo, è formata ivi dal marmo bianco, che però è sempre un poco schistoso ; sopra vi sono degli strati marmorei di colori differenti alternati sempre con grossi strati di schisto. Presso Lucerena, dalla parte di Marmoraia vi ha del bardiglio simile un poco a quello di Campiglia : medesimamente intorno a Lucerena ed intorno al culmine del poggio si sviluppa il marmo ceroide bianco o giallastro corrispondente perfettamente al giallo di Montarrenti e degli altri luoghi prossimi, ma più smorto e meno saldo nè altrettanto adattato a far buona figura: le solite venuzze di color ceruleo o violaceo lo traversano, e vi sono frequenti dei veli tenuissimi di schisto sericitico e delle dendriti di manganite. Al solito è spaccato e crepato in tutti i sensi : a volte poi è un poco più saccaroide ; non manca il cal- care di colore rossastro. Vi sono intercalati piccoli straterelli di selce che si trova qualche volta in questo piano geologico che fa passaggio al calcare ricco di selce del Lias medio, per esempio nell’ Alpe di Corfino ed a Sassorosso nell’ Apennino settentrio- nale in vai di Serchio. Questi calcari in alcuni punti sono zeppi di crinoidi, e Pantanelli e Lotti ne trovarono due specie meglio conservate che dal Meneghini vennero giudicate Pentacrinus cfr. 25 - 338 - p silonoti Qstd., e MÙlericrinus sp. Questi crinoidi tutti sputici, si vedono sporgere sulle superfici della roccia, ovvero nelle se- zioni. Pantanelli e Lotti ne raccolsero nel fosso delle Vignacce, al Podere del Piano e a Fonte Pescina.; io ne ho raccolti nei dintorni stessi di Lucerena e in tutti i luoghi dove compariscono gli strati dei marmi giallastri o rossastri, la qual cosa mi per- suase che oltre all’ identità litologica e stratigrafica vi è anche identità paleontologica fra i calcari gialli dell’estremità setten- trionale e quelli dell’ estremità meridionale della Montagnola. Degli schisti violetti alternano con questi calcari, da prima in piccole masse; ma poi essi finiscono col predominare, ed ivi a oriente di Lucerena e di Marmoraia, vale a dire nelle pendici verso Siena si estendono alquanto, in fondo ad alcune vallecole, coperti poi all’intorno dal calcare cavernoso. Essi hanno i ca- ratteri soliti e particolarmente nella porzione inferiore sono più o meno calcariferi, con strati di cipollino o a dirittura di cal- care ceroide. Sono al solito lucenti, rosso vinati o epatici, o violetti o verdi, colori tutti intensi o molto vaghi a vedersi che denotano la presenza di molto ossido di ferro ; il cipollino è ver- dognolo. Una bella serie di questi strati si vede sotto Lucerena ; inesattamente Pantanelli e Lotti la ritennero sottostante ai marmi gialli e bianchi mentre loro sovrasta. Questa formazione schistosa deve avere una potenza di parecchie centinaia di metri, tanto più quando si pensi che una porzione deve essere stata portata via, standovi sopra discordante il calcare cavernoso. Dei filoni di quarzo con dell’ oligisto la traversano frequentemente. La parte superiore della formazione è costituita da uno schisto calcare o cipollino, lucente, molto schistoso, formato per lo più da alternanze di calcare con sericite o talco simile a quello che si trova tanto frequentemente nei cipollini delle Alpi Apuane. Questo cipollino deve essere molto alto, ma siccome è coperto dal calcare cavernoso comparisce soltanto in alcuni luoghi più bassi e per brevi tratti. Lo si trova infatti ai due lati della vaL lecola sotto Celsa, dove pende verso Est, come pure un poco a levante di Luciano sulla strada rotabile, in fondo ai due botri che sono a mezzogiorno e a settentrione di Cetinale, ed un poco a levante di Pernina e del podere del Chiostro. Altri lembi di questa formazione schistosa si trovano a mezza costa del poggio a ponente di Caiano, quasi nascosti al solito - 339 - dal calcare cavernoso che li ricopre con brusco passaggio. Essi hanno i soliti caratteri ed i soliti vivaci colori, e vi alternano dei calcari ceroidi in strati alti anche un metro. Qualche volta negli schisti sottostanti o sovrastanti sono delle fessure perpen- dicolari ai marmi stessi che però non traversano : alcune di esse sono tutte riempite da concrezioni calcaree e da filoncelli di cal- cite, altre non sono riempite che a mezzo. Questo è bell’ esempio di fenditure prodotte da movimenti superficiali, i quali per la diversa resistenza degli strati hanno agito soltanto sugli schisti ; le fessure poi sono state riempite dal carbonato di calce tolto dalle acque medesime alle rocce del luogo che hanno formato così dei veri filoni. A mezzogiorno di questi luoghi si torna agli schisti ed ai cipollini di Molli e delle Reniere dei quali ho discorso a principio. Rimane ora a paragonare queste rocce della Montagnola con quelle delle regioni vicine ed a fissare meglio quale sia l’età loro. Le Chemnitzice e le altre univalvi nel marmo bianco lungo la valle della Rosìa non sono per ora determinabili. Nel marmo giallo invece e negli strati ad esso equivalenti sono stati trovati i seguenti fossili, che già ho citati. Ammonites sp. Montarrenti. Moltissime sezioni d’ Ammo- nites spesso indeterminabili si trovano sulle superfici dei cal- cari ceroidi rossi con vene argillose sì frequenti in Toscana ed appartenenti alla porzione più recente del Lias inferiore, cioè a quel piano del Lias inferiore che provvisoriamente distinsi col nome di piano B. Quei calcari salvo il colore rosso invece che giallo sono litologicamente e stratigraficamente identici ai marmi gialli della Montagnola. Ammonites margaritatus D’Orb. nella tavola di Pitti. È specie di Montarrenti per solito propria del Lias inferiore, la quale dietro studi del Meneghini viene indicata in Toscana nel Piano A, cioè nella porzione inferiore del Lias inferiore a Canapiglia e alla Spezia, nel Piano B a Gerfalco e a Canapiglia, e nel Lias medio a Soraggio : probabilmente alcune forme cui è applicato questo nome sono un poco differenti dal tipo. Chemnitzia sp. Indicata da Pantanelli e Lotti nelle vicinanze delle cave di Montarrenti. Simili impronte rare in Toscana, nel Lias inferiore del Piano B cominciano ad essere frequenti negli strati immediatamente sottostanti, e potrebbe darsi che in questi, tosto sotto il marmo giallo, fosse stata trovata quella Chemnitzia . - 340 - Pentacrinites sp. Montarrenti, Lucerena, ec. I frammenti non essendo troppo ben conservati noi} si potrebbe dire di preciso a quali specie appartengono. Però per la forma loro simile a quella del P. scalaris Goldf., del P subsulcatus Munsi, ec., si può dire che non sono più antichi del Lias inferiore. Infatti qualche Pen - tacrinus viene indicato anche nel Trias, ma il tipo suo è abba- stanza diverso dai P. del Lias inferiore. Pentacrinus cfr. psilonoti Qnstd. Fosso delle Vignacce. L una delle specie meglio conservate, e fu esaminata dal Meneghini. Millericrinus. Fosso delle Vignacce. Secondo il Meneghini al cui esame questa specie fu sottoposta da Pantanelli e Lotti, essa ha qualche affinità col M. Hausmanni ed al M. adneticus. Secondo il Meneghini questo fossile e P antecedente non appartengono cer- tamente ad un periodo più antico del Lias inferiore. Quest’ ultima conclusione risulta con uguale certezza dall’ in- sieme degli altri fossili e dalle altre circostanze : ma si può dire ancora qualche cosa di più preciso. Da altre circostanze, dallo studio dei fossili nella lumachella e nel calcare ceroide del Monte Pi- sano dedussi che i medesimi « appartengono certamente al Lias inferiore, ma non bene alla porzione più antica perchè hanno alquanto maggiore rapporto coi fossili del Lias medio che con quelli dell’ Infralias » ( G-eol . M. Pisano, pag. 34). Or sopra questa lumachella stanno gli strati con crinoidi cui succedono calcari rossi e gialli del Piano B. L’ orizzonte degli strati a crinoidi in quella serie stratigrafica è piuttosto costante nel Monte Pisano e nelle Alpi Apuane, e pare lo sia ancora qui nella Montagnola dove esso sta appunto sopra al marmo bianco còme nel Monte Pisano. Dagli ultimi due fossili accennati in essi, e specialmente dal Millericrinus, risulta che gli strati a crinoidi della Montagnola come la lumachella del Monte Pisano, anzi più assai di questa, hanno analogia con strati più recenti del Lias inferiore anziché con strati più antichi, e questo torna colla loro posizione strati- grafica. Partendoci poi anche dagli altri pochi fossili sopra citati, io non esito ad affermare che paleontologicamente i marmi gialli, gli strati a crinoidi e tutte insieme le rocce schistose e calcaree le quali sovrastano ai marmi bianchi della Montagnola apparten- gono al Piano B, del Lias inferiore dell’ Italia centrale. Del resto, già prima, e cogli altri argomenti litologici ed in parte strati- grafici, ero arrivato alle medesime conclusioni (Dell’ epoca geo- - 341 - logica dei marmi dell’ It. cent. — Boll, del R. Gom. geol., 1875, pag. 214). Infatti le analogie nella serie degli strati e nelle ap- parenze litologiche non potrebbero essere maggiori fra le rocce marmoree e schistose della Montagnola, e le rocce di altri luoghi della Catena metallifera nei quali i piani liassici sono già stati ben distinti. Il marmo rosso ammonitifero tanto diffuso nelle Alpi Apuane, nelle vette nell’ Apennino dell’ Emilia ed in altri luoghi, è in tutto simile al marmo giallo della Montagnola salvo nel colore che non è giallo d’ oro nè giallo smorto, ma rosso, semplicemente per un diverso grado di ossidazione del ferro ; nel Mónte Pisano a Santa Maria del Giudice si trova anzi, nella medesima zona, del marmo giallo smorto di cui qualche volta fanno tavolini e che senza esser così bello come il marmo di Montarrenti ha pur molte analogie con quello di Lucerena. In- torno a Lucerena poi col calcare giallo si trova anche del cal- care rosso. Nè si può dire che la presenza degli schisti, anzi la loro quasi esclusiva prevalenza negli strati sovrastanti ai marmi gialli, diano a questo piano nella Montagnola un carattere esclu- sivo e ben distinto dagli altri strati analoghi della Catena me- tallifera. L’ essere schistoso ed argilloso è carattere generale del Piano B ed anche dei calcari che ne fanno parte. Per mostrare come ciò sia noto da un pezzo mi limiterò a riprodurre le cose che io ho dette qualche anno fa appunto nel parlare dei calcari rossi ammonitiferi e delle rocce concomitanti delle Alpi Apuane e del Monte Pisano ( Consid . strat. su le rocce ant. delle Alpi Apuane e del Monte Risano, 1874-75). « Il calcare rosso intensa- mente argilloso, qualche volta verdognolo o bianco ed anche giallo a Santa Maria del Giudice (nel Monte Pisano) è spesso alter- nato da straterelli di schisti rossi o verdi, o lionati, e talora are- nacei, ed in generale forma banchi di piccola potenza.... A co- minciare dalle cave di San Giuliano fin verso Lucca il calcare compatto rosso o verdolino forma una cintura continua sopra ai calcari ceroidi; frequentemente è inquinato da straterelli schi- stosi e non contiene fossili ; talora è ceroide esso pure e serve per marmo » (pag. 68). Nelle Alpi Apuane « in un estremo lembo della massa calcarea di Porta che guarda immediatamente sulla sinistra del canale di Montignoso verso la pianura, stanno degli straterelli del calcare rosso intensamente colorato, argilloso e schistoso.... Alle prime case di Carrara, sulla sinistra del fiume poco sopra — 342 — le segherie di Walton, il calcare rosso ricomparisce e forma dei banchi di qualche metro intersecati da straterelli di schisti verdi e rossi » (pag. 70). Nel lato orientale dell’ elissoide il calcare rosso, talora anche verdastro, e con straterelli di schisto lionato, incomincia nel monte di Roggio.... « A Yergemoli è accompa- gnato da strati discretamente alti di schisto arenaceo liona- to » (pag. 71). Dalle cose dette si può vedere intanto che la presenza degli schisti in questo Piano B non è affatto esclusiva della Montagnola; soltanto in questa essi raggiungono uno svi- luppo che non hanno altrove, il quale fatto può dare un carat- tere alquanto speciale al Lias del Senese. Come non vi ha dif- ferenza sostanziale nel Piano B così non ve n’ ha nel marmo bianco sottostante che attribuisco al Piano A del Lias inferiore. Lo stesso marmo bianco fossilifero si trova a Campiglia : un cal- care bianco cristallino pure fossilifero occupa la medesima posi- zione stratigrafica a Gerfalco e si trova a Montieri ed in altri luoghi delle Maremme ; lo stesso marmo che quasi non ha altra differenza da quello della Montagnola se non nei fossili ben di- stinti e già studiati, si trova nel Monte Pisano. Per farla corta, in tutti i luoghi della Catena metallifera in Toscana nei quali # si trova il Piano A del Lias inferiore, questo è rappresentato da calcari fossiliferi o identici o molto analoghi a questi marmi bianchi della Montagnola. Il medesimo piano nell’ Apennino cen- trale, studiato ultimamente dal Canavari, è rappresentato da cal- cari bianchi non marmorei, ma molto analoghi a quelli di Ger- falco e di Montieri. Nel settentrione delle Alpi Apuane nei monti della Spezia, e nell’ Apennino dell’ Emilia, esso è rappresentato invece da un calcare grigio cupo pur esso fossilifero. Le analogie da me addotte mi confermano che eziandio il marmo bianco della Montagnola appartiene al Piano A del Lias inferiore. Questo mi conduce ad allontanarmi dall’ opinione di Pantanelli e Lotti i quali affermarono che i marmi senesi « non hanno corrispon- denti petrograficamente nel Lias delle località limitrofe » (pag. 395), indotti a ritenere ciò forse dal non aver distinto il marmo giallo superiore da quello bianco inferiore e dall’ aver preso a fonda- mento il dubbio che « converrebbe trasportare detti marmi dal Lias inferiore alla parte superiore del Trias » (pag. 385). Essi ritennero che « potrebbero esser gli equivalenti del nostri marmi, alcuni straterelli di calcare un poco ceroide notati dal De Ste- 343 - fani sotto F Infralias al poggio della Lecceta nel Monte Pi- sano » (pag. 394) dimenticando che i marmi senesi con fossili da loro riconosciuti in nota come Lassici inferiori non potevano cor- rispondere a rocce sottostanti e più antiche di un calcare nel quale io avevo trovato fossili riconosciuti come Infraliassici. Un’ altra idea nella quale non mi trovo d’ accordo coi sopraci- tati geologi è quella che i marmi senesi formino « lenti le quali dallo spessore di pochi metri possono assumere il diametro di chilometri » (pag. 389). Questo realmente accade pei marmi triassici delle Alpi Apuane, e si può dire anche in parte pel Piano B del Lias inferiore ; ma il Piano A in tutta la parte pe- ninsulare cP Italia, anche nella Montagnola, è rappresentato sol- tanto da calcari, e gli schisti della Montagnola sono, come si è detto, sovrastanti al marmo bianco, la cui formazione è estesa e continua. Accennerò anche un’ altra opinione degli stessi, vale a dire che « a Gerfalco la potente massa dei calcari bianchi sot- tostanti ai rossi contiene un gran numero di specie del Lias me- dio, e non può certamente ritenersi come uno dei più antichi membri del Lias inferiore » (pag. 395) nella quale opinione il Pantanelli e il Lotti si fondavano, dato il caso che i marmi se- nesi fossero stati Lassici, della qual cosa non erano ben certi, per mettere nel Lias anche i calcari cavernosi sovrastanti i quali alla lor volta sarebbero stati rispondenti ai calcari cavernosi sottostanti a calcari di Gerfalco : così questi calcari marmorei avrebbero formato una zona superiore del Lias inferiore, mentre i calcari cavernosi ed i marmi bianchi e gialli della Montagnola ne avrebbero fermato la zona inferiore. Però nella suddetta af- fermazione relativa ai calcari di Gerfalco v’ è una inesattezza, e non è giusto dire che in essi esista un gran numero di specie del Lias medio. I fossili finora conosciutivi sono i seguenti : Federi Rathianus De St., P. Hierifalci De St., P. N ardii Mgh., Avicuìa Janus Mgh., Chemnitzia Nardii Mgh., Terebratula Aspa- sia Mgh., Ammonites ìaevigatus Sow., A. difformis Em., A. Hier- latzicus H., A. stella Sow., A. cylindricus Sow. Tolte alcune specie peculiari, le altre sono certamente caratteristiche del Lias inferiore (Piano A) : soltanto VA. cylindricus viene indicato, con qualche incertezza, anche nel Lias medio del Monte di Cetona e la T. Aspasia pure giunge dal Lias inferiore al medio. Del resto credo aver dimostrato sufficientemente che il cal- - 344 — care bianco di Gerfalco è coetaneo al marmo bianco della Mon- tagnola, come il calcare rosso di là è coetaneo al calcare giallo di qua. Il calcare cavernoso di Gerfalco cbe sta sotto al Lias manca nella Montagnola ; ed il calcare cavernoso cbe nella Mon- tagnola sta sopra il Lias inferiore è più recente come vedremo. Giacché ho fatto un paragone fra il Lias inferiore della Mon- tagnola e quello degli altri luoghi della Catena metallifera, darò una serie delle zone nelle quali pel momento, secondo me, quel terreno può essere diviso. I fossili finora trovati nel Lias infe- riore della Toscana li ho già enumerati altrove (G-eol. M. Pis ., pag. 37 e 38) : il numero loro non è molto ragguardevole, e forse perciò le analogie fra i fossili, particolarmente fra quelli del Piano A, dei luoghi differenti, paiono minori di quel che non siano in realtà. Nondimeno sulle osservazioni paleontologiche e sui rapporti stratigrafici credo che si possa ritenere sufficien- temente fondata la divisione generale proposta nel seguente quadro : Lias medio. 1 o 1 2 Schisti filladici e cipollini della Montagnola, di Yergemoli nelle Alpi Apuane ec. Calcari argillosi verdi, rossi e gialli della Montagnola, di Campiglia, Gerfalco, Monte Pisano, Alpi Apuane, Spezia, Apennino dell’ Emilia, Cetona, Prata, con Arieti, Bele- mniti, Atraxiti ec. © - © •fH Ss < Ph I V1 Calcari ceroidi bianchi, rossi, giallastri con crinoidi, Penta- crini, Millericrini, Eugeniocrini ec. , della Montagnola, del Monte Pisano, delle Alpi Apuane. «M .s % •PH Hi ^ ! 1 2 Lumachelle del Monte Pisano con Pleur otomar ics, Chemnitzice, Neritopsis, Bissoincs. Calcari cerulei cupi con Pentacrini delle Alpi Apuane e del- l’Apennino dell’ Emilia. o Hj • rH Ph Calcari bianchi di Campiglia, Gerfalco, Montieri e del- l’ Apennino centrale con Avicula Janus, Teréhratuia , Pecten ec. 1 Calcari cupi della Spezia con Pleurotomarice, MynconelU ec. Infralias. — 345 — Prima di chiudere il mio discorso sul Lias della Montagnola, dirò che ne’ conglomerati pliocenici che si trovano fra Pieve a Scola e San Chimento nel fianco occidentale di essa, insieme con ghiaie di eufotidi, di schisti filladici e di calcari del Lias infe- riore, ho trovato dei pezzi, sebbene non molto frequenti, di cal- care ceruleo scuro con filari di selce identico nell’ aspetto a quello che per solito forma il Lias medio nella Catena metanifera, e ben distinto dal calcare gialliccio del Piano B, il quale contiene i cani di quarzo intorno a Montarrenti e da quello con selce di presso Lucerena. In posto però non si trovano tracce di quel calcare. Questo mi fa credere che nelle età passate ne esistesse qualche strato sopra gli schisti del Lias inferiore e che col plio- cene ne sieno sparite le tracce, rimaste appena in alcune ghiaie. Lo stesso fatto, a proposito del Lias medio, mi è accaduto di osservarlo nelle pendici occidentali delle Alpi Apuane, dove alla foce della valle di Camaiore sotto le Pianole, intorno a Monte Preti presso Pietrasanta, ed all’ estremità del Monte di Porta verso Montignoso, al piede di calcari appartenenti alla parte più recente del Lias inferiore, ho trovato più o meno abbondanti pezzi di calcare con selce del Lias medio che ora non esiste più in posto, ma che deve essere seppellito lì a poca profondità, avendo lasciate le sue tracce nei pochi e dispersi frantumi su- perficiali. V. — Calcare cavernoso. ( 'Titoniano .) La massima parte della Montagnola, e quasi potrebbe dirsi tutte le sue pendici settentrionali ed orientali sono formate dal Calcare cavernoso, del quale passo a parlare. Esso è la più re- cente fra le rocce che costituiscono 1’ antico nucleo di questo lembo della Catena metallifera, e siccome il sollevamento non ha spinto gli strati più interni fino alle vette del poggio, così è avvenuto che il Calcare cavernoso le copre quasi tutte, forman- done tanto i vertici che le pendici laterali. Soltanto qua e là nel fondo delle valli, o dove la corrosione è stata più profonda, e nelle cime dove fu strappata la cuffia sovrastante compaiono le rocce inferiori al calcare medesimo. Questa maggiore corrosione, - 346 - prescindendo dalla profonda spaccatura rispondente alla valle trasversale della Rosìa, ebbe luogo nelle pendici orientali della Rosìa fin quasi a Scor- giano, e nei poggi tra Pernina e Marraoraia che stanno nel centro della Montagnola, ed ivi appunto, oltre che in altri ru- scelletti per piccoli tratti, com- pariscono le rocce liassiche. Del rimanente tutte le pendici oc- cidentali e settentrionali (Fig. 5), il Poggio della Lecceta e il Mon- te Maggio, che è il punto più alto della Montagnola, sono co- stituiti dal calcare cavernoso. Per la natura litologica di que- sto, che ora descriverò, è molto spesso diffidi cosa discernere la roccia in posto da un con- glomerato o breccia irregolare che ha un’ estensione grandissi- ma, giacché ricopre molta parte della Montagnola, e ne’ suoi li- miti esteriori si confonde coi conglomerati ghiaiosi della stes- sa roccia i quali fanno parte degli strati marini pliocenici. La roccia primitiva nondimeno apparisce più distinta lungo la Staggia sotto Monte Riggioni, in alcune altre vallate del Monte Maggio e ne1 poggi fra Pernina, Molli e Sovicille, sopra Cetinale e Caiano da una parte, sopra Montrano e Simignano dall’ al- tra, come pure intorno a Per- q - 347 - sonata e per brevissimo tratto lungo la Rosta fra il poggio di Montarrenti ecl il Ponte di Santa Lucia. In quest’ ultimo luogo il calcare con apparenza compatta giace rinchiuso in una conca sinclinale confinata a ponente dal piccolo anticlinale del marmo bianco e sdraiata a levante, dove gli strati della conca sono assai meno alti, sopra gli schisti triassici. Questo lembo è notato nel taglio figurato dal Capellini come se fosse inferiore ai marmi, e perciò è ritenuto contemporaneo al calcare infraliassico, la qual cosa dubitavo io pure a principio : nel taglio figurato da Pantanelli e Lotti non viene accennato. Ivi lungo la Rosìa, il cal- care non fu come altrove lungamente esposto all’ azione delle acque superficiali, sia perchè situato a qualche profondità, sia perchè difeso dalle rocce meno permeabili circostanti, perciò si è conservato compatto più che in qualunque altro luogo. Esso è sempre più o meno dolomitico, di colore ceruleo cupo ; e nelle superficie da qualche tempo esposte all’ aria appariscono macchie angolose chiare in un fondo più scuro, che son poi quelle le quali cedono il posto alle cavernosità. Ivi gli strati, che non si riconoscono mai quando il calcare è cavernoso, sono ben distinti e vi si vede la pendenza ad 0. nella porzione occi- dentale, ad E. o a N.E. nella porzione orientale. Sono senza fos- sili, ed alle volte vi alternano strati di calcare terroso giallastro, nè mancano straterelli sottili di schisto scuro. Per le sue ap- parenze litologicne, questo calcare è identico a quello che sta sopra il Lias superiore alle Mulina nel Monte Pisano. Fuori di qui il calcare è sempre più o meno cavernoso, nel qual caso non si può distinguere dal calcare cavernoso che al- trove fa parte dell’ Infralias ; per descriverlo infatti basterebbe che io ripetessi quello che ho detto altre volte del calcare in- fraliassico dei Monti di Pietrasanta o dei Monti Pisani. Non sta in masse compatte ed uniformi ; ma è spesso dolomitico, quasi ceroide, di colore ceruleo cupo o bigio chiaro, di rado bianco, poco omogeneo, colla superficie coperta da reticolature promi- nenti, irregolari, che rispondono alla porzione della roccia meno solubile nell’ acqua ; spesso è chiazzato da macchie angolose più scure concentrate qua e là nella massa in linee molteplici senza direzione unica. In rispondenza a queste macchie od ai fram- menti angolosi sono quasi sempre delle carie divise da tenui - 348 - pareti occupate da un nucleo che ne riproduce la forma, benché non le riempia esattamente, che è composto di carbonato di calce e di magnesia in proporzioni variabili, a volte ridotto in polvere finissima che sotto le dita si sfarina, ed ha colore or bianchis- simo, or giallastro, or cenerognolo, or grigio scuro. Frequente- mente tutto il nucleo è sparito, ed allora rimangono delle ca- vità angolose separate da tenui pareti e talora tappezzate da concrezioni o da cristalli di calcite. Evidentemente tali fenomeni furono prodotti dalla circolazione delle acque nei meati di un calcare punto omogeneo. Qua e là comparisce una massa calcarea rossa o gialliccia, ripiena pur essa di frammenti di calcare ceruleo e di carie, avente tutti i caratteri di una carinola. In quel disor- dine di masse senza direzione mancano tracce di stratificazione, e queste non sono svelate nemmeno da altri caratteri, come sa- rebbe F alternanza di veli schistosi i quali mancano, potrei dire, interamente. Soltanto nel calcare cavernoso dei dintorni di Per- sonata e di Cetinale mi sono imbattuto qualche volta in tenuis- simi straterelli di calcare schistoso e di schisto argilloso lucente leonato o rossastro, la qual cosa mi confermava se non altro che le masse circostanti erano in posto. Una di quelle piccolis- sime mandorle sotto Cetinale è diretta da N.O. a S.E., e gli strati, poco meno che verticali, pendono leggermente verso N.E. Da cotale mancanza di stratificazione nella massa del calcare cavernoso avviene che non sempre si possa giudicare convenien- temente in quali rapporti essa stia cogli schisti sottostanti e coi marmi che qualche volta a dirittura le stanno sotto. I dintorni di Gelsa, Luciano, Cennina e Personata sono poco adattati a ri- solvere la questione, perchè gli schisti e i marmi sono coperti da tritumi e da brecce che sono in massima parte avventizie e non hanno se non forse molto raramente ed in modo incerto P apparenza di masse in posto. La stessa incertezza si verifica per lo più nei poggi di Scorgiano, San Chimento e Simignano. Ad ogni modo in questi luoghi, come intorno a Caiano, a Balli e a Molli, il calcare cavernoso copre direttamente lo schisto liassico che presenta il dorso, nè vi sono tracce di sconcordanza, nè contrapposizioni di testate schistose a superfici calcaree. Alle volte lo schisto è soggetto a contorsioni parziali, le quali indu- cono una disposizione non ripetuta nelle masse sovrastanti, ma — 349 — questo fatto che vidi spesse volte aver luogo anche fra schisti e calcari appartenenti quasi alla stessa unità di tempo, non po- trebbe provare P esistenza di una discordanza, potendo derivare soltanto dal differente impulso dato a rocce di natura litologica diversa nei movimenti del suolo. Lungo la porzione più occiden- tale del taglio della Rosìa (Fig. 2), nel primo sinclinale il calcare che ivi, come fu detto, è più compatto e in istrati più distinti, posa per una parte, senza apparente discordanza di stratificazione, sul marmo bianco appartenente al Piano A del Lias inferiore, per l’altra sta sugli schisti triassici senza che di mezzo vi sia alcun piano del Lias. Parimente nell’ estremità orientale della valle verso il Rigotaglio e verso il paese delle Rosìe, il calcare ca- vernoso sta direttamente sulle quarziti triassiche, essendovi ap- pena in un luogo alcuni strati calcari del Lias ; e sul Trias pure sta nei dintorni di Personata. Secondo tutte le apparenze, non trovandosi discordanze di stratificazione molto palesi fra gli uni strati e gli altri, non si potrebbe affermare che qui nella Montagnola si fossero manife- stati sollevamenti di qualche importanza innanzi alla formazione del calcare suddetto. Ma nello stesso tempo posando quel cal- care ora sul piano A, ora sul piano B del Lias inferiore, ed ora sul Trias, è necessità riconoscere che vi fu interruzione nei sedimenti e che questi soffrirono verosimilmente delle denuda- zioni. Perciò si può già riconoscere che il calcare di cui par- liamo si depositò in un’epoca notevolmente più recente del Lias inferiore. Questo pel limite inferiore del calcare. Quanto al suo limite superiore, soltanto nell’ estremo settentrionale del Monte Maggio, sulla destra della Staggia lo si trova direttamente sottoposto agli alberesi ed alle serpentine di Lornano e Rencine che dimo- strerò appartenenti all’ eocene superiore. Quivi si vede una di- scordanza notevole anche nella stratificazione fra le due rocce d’ età diversa, come del resto si verifica tutto intorno alla Mon- tagnola fra gli strati più antichi di questa e gli strati eocenici. Da ciò si può dedurre che il calcare cavernoso avea già sofferto dei movimenti con le altre roccie prima che si depositasse P eo- cene superiore, e eh’ esso pare in rapporto un poco più stretto coi terreni liassici che non con quelli eocenici. Negli altri luoghi - 350 - il calcare cavernoso sta sotto rocce mioceniche e plioceniche troppo differenti d’età e troppo discordanti per potere offrire un criterio approssimativo a determinare, senz’ altri paragoni, 1’ età di esso. Dovendo limitarsi dunque a quello che si vede nella Monta- gnola ci sarebbe poco da dire, giacché i fossili mancano inte- ramente. Ci dovremmo limitare a riconoscere eh’ esso calcare è più recente del Lias inferiore e più antico dell’Eocene supe- riore, aggiungendo che pare più vicino alle rocce della prima epoca che non a quella della seconda. Per dire qualche cosa di più bisogna ricorrere a paragoni con le regioni circostanti. Ch’ esso risponda al calcare cavernoso infraliassico di tanti altri luoghi della Toscana, non è nemmeno a dubitare, giacché l’ Infralias sta sotto il Lias inferiore, e questo calcare sta sopra. Se non l’avessi veduto in rapporto con qualche altra roccia più antica, non mi sarei rischiato a ritenerlo differente dal calcare infraliassico, anzi, se dappertutto avessero predominato le brecce come nella porzione settentrionale della Montagnola, non avrei escluso il dubbio, per quanto poco verosimile, che quelle fossero state portate da qualche regione non lontana nella quale pre- dominasse il calcare infraliassico in posto. Nondimeno poiché evidentemente si tratta di un calcare cavernoso più recente del- Infralias, aggiungerei che si possono notare alcune piccole ma importanti differenze fra questo calcare e quello infraliassico: nell’ultimo si trovano spesso, coi frantumi calcarei, frammenti di schisto verde che finora non ho incontrato nel primo, benché non veda difficile che in esso pure ne sieno. Notevole è la pre- senza quasi generale di strati di calcare terroso con schisti verdi alla base dell’ Infralias, mentre di essi non è traccia sotto il^ calcare cavernoso della Montagnola. Più importante ancora è la mancanza nel calcare senese, non dirò degli schisti a hatrilli sì frequenti nell’ Infralias, ma di quei fossili così caratteristici di questo piano in Toscana, di cui è pieno quasi ogni piccolo lembo di calcare infraliassico nei Monti della Spezia, nell’ Elba, nelle Alpi Apuane e nel Monte Pisano, fossili d’ altronde che sebbene non si determinino specificamente, pure, pel loro aspetto, non si confondono con altri. Soltanto sulla superficie di alcuni massi del calcare senese più a lungo esposte alla lenta azione dissol- - 351 vente delle acque piovane, ho veduto qualche volta delle gra- nulazioni, come di roccia formata da minutissimi detriti organici, come ho visti e notati nel calcare ^cavernoso delle Mulina e dei luoghi prossimi nel Monte Pisano, che è concordante, anzi inti- mamente collegato cogli schisti del Lias superiore. I signori Pantanelli e Lotti (pag. 394) dicono che « reste- rebbe a stabilirsi se i calcari cavernosi, in Toscana e nelle Alpi Apuane, segnano un orizzonte geologico ben determinato. » Egli è gran tempo che si riconobbe i calcari cavernosi in Toscana e nelle Alpi Apuane appartenere a due orizzonti geologici, per lo meno, ben distinti e ben determinati. È noto che il Savi, par- tendosi dal calcare cavernoso delle Mulina, che attribuiva al neocomiano, riteneva neocomiani tutti i calcari cavernosi della Toscana. Il Capellini ed il Cocchi provarono che nei monti della Spezia e nelle Alpi Apuane vi erano dei calcari cavernosi più antichi eh’ essi riferivano al trias; ed io poi mostrai che se il calcare delle Mulina e di qualche parte delle Alpi Apuane fra Bruciano e Yergemoli era più recente del Lias, però la più gran parte di cotali calcari nel resto della Toscana apparteneva al- T Infralias. Che fosse noto il nome di calcare cavernoso esser dato « a calcari di epoche e di condizioni geologiche disparate » fu affermato da altri e da me fin nel mio primo lavoro geolo- gico sul calcare cavernoso nei colli di Pietrasanta (Pisa 1871). Non è esatto quindi il dire con Pantanelli e Lotti che il calcare cavernoso in Toscana « sia compreso sempre fra i calcari liassici e le diverse formazioni triassiche » (pag. 394). Ora che il calcare cavernoso della Montagnola sia infralias- sico, come io stesso ritenevo in passato, P ho provato impossi- bile. Palliane a paragonarlo col calcare cavernoso del piano so- vrapposto, attribuito dal Savi insieme cogli altri più antichi al neocomiano, e da me, che ne distinsi P età recente, riferito pure benché provvisoriamente al neocomiano od al titoniano. Prima di seguitare dirò subito che P analogia, anche nelle differenze notate sopra col calcare infraliassico, non potrebbe essere mag- giore fra il calcare senese, ed i calcari cavernosi delle prossime regioni, i quali appartengono certo al piano più recente. Nella Geologia del Monte Pisano (pag. 46) ho descritto il calcare cavernoso delle Mulina e quello che forma tutti i pros- - 352 - simi lembi nel Monte Maggiore, e fra Rigoli e Ripafratta : feci pure notare la sua analogia col calcare cavernoso che si trova nella valle di Gallicano, fra Bruciano e Vergemoli, e cogli altri calcari non cavernosi di alcuni luoghi delle Alpi Apuane e del- F Apennino settentrionale. Attribuii queste rocce, benché in modo incerto, ripeto, al titoniano ed al neocomiano. Ulteriori studii mi hanno mostrata V esistenza di questa roccia in parecchi altri luoghi nella Toscana meridionale, e mi hanno dato argomenti per schiarire vie meglio la sua età geologica. Nel Monte Pisano il calcare cavernoso delle Mulina è sovrapposto a schisti certamente appartenenti al Lias superiore dei quali fanno parte alcuni strati con una specie molto vicina alla Posidonomia Pronni ; la strati- ficazione molto evidente in alcuni strati di calcare mostra eh’ esso è interamente concordante collo schisto liassico. Nella Monta- gnola Senese, come si è veduto, manca ogni traccia del Lias medio e del Lias superiore, ed il calcare riposa sopra rocce più antiche, in modo però che a volte parrebbe concordante con que- ste, come pure è nel Monte Pisano. È vero però che ancor quando la concordanza apparente della stratificazione esistesse in ambe- due i luoghi, qui nella Montagnola fra il calcare e le altre rocce diverse esiste un distacco evidente e subitaneo : ciò spieghe- rebbe come appunto in rispondenza a quel distacco avrebbero potuto trovarsi il Lias medio ed il superiore come si trovano nel Monte Pisano : ad ogni modo le circostanze non mostrano che vi debba essere diversità di tempo fra il calcare cavernoso della Montagnola e quello delle Mulina. Ma in una regione molto più vicina alla Montagnola quello stesso calcare è assai svilup- pato e sta sopra rocce fossilifere anche più recenti del Lias su- periore. Questo avviene ne’ monti che si estendono nel Senese, a ponente della Val di Chiana, da Trequanda a Sicilie, Monte- follonico, Chianciano, Cetona e San Casciano. Il calcare caver- noso di questi luoghi identico a quello della Montagnola frequente si trova sopra rocce schistose del Lias superiore, altrettanto ric- che di fossili, quanto ne sono povere nel Monte Pisano. Nel Monte di Cetona, in uno degli strati fra il Lias superiore ed il calcare cavernoso suddetto, in un calcare marnoso un poco roseo ho trovato abbondantissima una specie molto affine e forse identica all1 Ammonites Murchisonce caratteristica del Dogger. 353 - Da ciò viene chiarito che il calcare cavernoso dei luoghi men- tovati, come pure quello della Montagnola, del Monte Pisano ec. è più recente del Dogger. Ciò non basterebbe di certo a de- terminarne P età. D1 altronde in moltissimi luoghi sopra quel calcare si trova una interruzione più o meno grande nei sedi- menti; nei lembi citati nella Val di Chiana, non vi ha superior- mente altra roccia, se non che il calcare va acquistando degli straterelli silicei ; nella Montagnola si fa un salto fino all’ eocene superiore. Nel Monte Pisano e nelle Alpi Apuane sopra di esso e sopra ai calcari non cavernosi equivalenti stanno frequente- mente degli schisti e dei calcari screziati, che ho attribuito alla Creta media, e che certo non sono più recenti di questa. Però nelle stesse Alpi Apuane, fra quelle rocce riferibili perdo meno alla Creta media e le rocce rispondenti al calcare cavernoso, sit trova un altro terreno che è del resto frequentissimo nell’Apen- nino centrale, e non raro nell’ Apennino settentrionale, od è un calcare compatto, ceruleo, con selce. Io finora riunivo questo calcare con selce al calcare cavernoso, ritenendo P uno più o meno equivalente dell’ altro, ed attribuendo anch1 esso al titoniano od al neocomiano; però con più accurate osservazioni, ho potuto persuadermi che il calcare con selce forma una zona più re- cente del calcare cavernoso, e che i due terreni appartengono ad età un poco diversa. Anche nel Monte Pisano poi, e propria- mente nel Monte Maggiore dalla parte di Pupe Cava, ho visto che il calcare con selce è ben distinto e sovrapposto a quello cavernoso. Si è quel calcare con selce che trovato da Murchison a Prato Fiorito nell’ Apennino Lucchese fu attribuito al neoco- miano, per via di una rozza impronta di Crioceras che egli cre- dette riconoscervi, nella quale determinazione fu poi seguito da Savi e Meneghini e da me. Ora per quanto in quei luoghi pro- prio non si sien trovati fossili, pure io credo che la determina- zione d1 età fatta dal Murchison sia esattissima. Infatti, se i fossili mancano nella Toscana, si trovano proprio a’ suoi confini nell’ Apennino centrale e nell1 Umbria, ed il calcare neocomiano di quelle regioni si estende a ponente fino a Castiglion del Lago, e all1 Isola minore, ed in altri luoghi intorno al Trasimeno. Ora fra i calcari neocomiani dell1 Apennino centrale, e quelli detti neocomiani dal Murchison e da me, nella Toscana, non v1 ha la 24 — 354 più piccola differenza nella natura litologica, come pure com- bina la posizione stratigrafica. Io perciò non dubito che uguale sia pure 1’ età geologica. Con ciò il calcare cavernoso di cui parliamo, rimane limitato fra il Dogger inferiore da una parte ed il neocomiano dall’altra. Nello stato presente delle nostre cognizioni adunque, io lo riterrò per il momento rappresentante, come in parte ritenevo nel passato, dell’ epoca titoniana. Un buon argomento in favore di questa supposizione è una certa analogia litologica di alcuni lembi di esso calcare col calcare fossilifero titoniano dell’ Apennino centrale. Fissata così un poco meglio 1’ età dei calcari cavernosi della Montagnola, rimarrebbe a paragonarli con altri di regioni adia- centi i quali, per l’ oscurità dei rapporti stratigrafici, si rimane incerti se attribuirli allo stesso piano titoniano, ovvero al- l’ Infralias. Nella medesima serie della Catena metallifera di cui fa parte la Montagnola, sono i poggi di Jano illustrati anche recentemente da me e dal Lotti. Anche qui, sopra gli schisti triassici si trova del calcare cavernoso, al solito punto o poco diverso da quello della Montagnola; ma io, sebbene non vi trovassi traccia di fossili, l’ho attribuito all’ Infralias, non solo perchè 1’ ho veduto succedere immediatamente alle anageniti del Trias, ma perchè fra queste ed esso calcare compatto, alle Pie- trine ed altrove sono degli strati di calcare terroso con schisto verde, che, siccome ho notato più in addietro, mi pare caratte- ristico della porzione inferiore dell’ Infralias. Ecco dunque in una regione molto prossima, ed assai sviluppati, dei calcari caver- nosi d’ età differente. Difficile, è determinare l’ età dèi calcari cavernosi del Cornocchio e della Lecceta di San Gemignàno, da me ritenuti infraliassici nel quadro posto in fondo alla Geo- logia del Monte Pisano, i quali stanno in mezzo e servono quasi d’ anello di congiunzione fra i prossimi calcari infralias- sici di Jano e quelli titoniani non meno prossimi della Mon- tagnola. Ricorderò che intorno a Camporbiano ho veduto in qualche luogo dei massi o dei frantumi frequenti di schisti trias- sici uguali a quelli di Jano, ma non in posto, chè per ora non ne ho vedute tracce nel fondo dei torrentelli di quei dintorni da me visitati. Potrebbe darsi che siano portati dall’ uomo dai poggi non lontani di Jano, ma mi sembra più verosimile che si — 355 — abbiano a trovare là vicino in qualcuno dei luoghi finora non esplorati. La sovrapposizione diretta del calcare cavernoso a schisti triassici farebbe ritenere che quello appartenesse all’ Infralias ; ma sappiamo che eziandio il calcare titoniano della Montagnola riposa a volte sul Trias. Perciò mi tengono incerto la impossi- bilità di fondarsi sopra differenze litologiche, e la mancanza di rapporti stratigrafici di quella roccia di Camporbiano con altre, essendo la medesima sottostante a dirittura a terreni molto più recenti, vale a dire ad alberesi e serpentine dell’ eocene supe- riore, ovvero ad argille e sabbie mioceniche e plioceniche. La ragione che ridusse cavernoso il calcare dolomitico titoniano della Montagnola è la medesima che rese cavernosi i calcari coetanei e quelli infraliassici di altri luoghi ; vale a dire il con- tinuo passaggio delle acque. Per ispiegare questo fenomeno e per darne le ragioni, non avrei che a ripetere quello che dissi del calcare infraliassico cavernoso del Monte Pisano (Geol M. Fisano, Parte II, Capo II), aggiungendo questo nuovo esempio, vale a dire che lungo la Rosìa dove il calcare è più difeso, non è diventato cavernoso come negli altri luoghi dove fu a lungo esposto alle intemperie. Potrei anche aggiungere che i frantumi calcarei del conglomerato pliocenico di Montarrenti, benché for- mati sotto le acque marine, non sono cavernosi, oppure diven- tarono tali solo per fenomeni posteriori e recenti, dove le masse furono più strettamente accumulate e meno difese dalle sabbie argillose. Questo potrebbe indurci a ritenere che il fenomeno della cavernosità sia affatto superficiale e prodotto in epoca re- cente dalle acque circolanti presso P esterno che facilmente por- tarono via taluni elementi e lasciarono cavernosa la roccia di per sé già molto eterogenea. Tanto è ciò vero che questi calcari dell’ Infralias e del titoniano,- sebbene compatti, quando sieno esposti per lungo tempo alle intemperie nelle mura esterne degli edifizii, cominciano a diventare cavernosi. {Continua.) - 356 - V. Cenni sulla costituzione geologica del Tavoliere di Puglia , deir ing. E. Niccoli,1 con tavola annessa. Nella vasta zona che comprende gran parte del Tavoliere al sud-est di Foggia e si estende fino alle adiacenze di Canosa sulla destra dell’ Ofanto, ove termina la catena delle Murge, il terreno superficiale, che è appena mascherato da un lieve spessore di umo o terriccio, apparisce generalmente formato da una crosta di calcare poroso o terroso, spesso conchiglifero ed in alcuni luoghi abbondantissimo di resti di polipai, il quale riposa sulle note sabbie gialle del subappennino e per la sua tenacità, in particolar modo nella pianura del Tavoliere, oppone un grave ostacolo alle piantagioni d’ alberi, servendo piuttosto ai pascoli e alla coltivazione dei cereali. Due sono le principali qualità di calcare che vi si possono distinguere a seconda della composizione della pietra e dell im- piego che può ricevere, quando sia convenevolmente preparata, nell’ agricoltura come materia fertilizzante : 1° il calcare mar- noso che costituisce la cosiddetta crosta del Tavoliere; 2° il cal- care a briozoi, chiamato volgarmente tufo , delle colline che soi- gono dal lato meridionale del paese di Canosa. Quest’ ultimo sarebbe il più importante per l’ agricoltura, come quello che conterrebbe una dose sensibile di fosfati, dovuta probabilmente all’ infinito numero di polipi ed altri molluschi che rimaselo se- polti nella roccia. La crosta oltreché nella rammentata zona, trovasi in tutto il resto della parte pianeggiante, che va dolcemente declinando dalle falde degli Appennini insino all’ Adriatico ; in una parola essa è il fondo immediato di tutti i terreni del Tavoliere. Così nella visita che io feci col signor Tonnoni allo scopo di ricono- scere la importanza di quella roccia come materiale da emenda- mento, ebbi occasione di osservarla anche nei dintorni di Fog- 1 Da un rapporto dello stesso ingegnere all’ Ispettore del R. Corpo delle Miniere. Pig. 1? Sezione del terreno alle cave di Argilla presso Cerignola Fig. 2?" Schizzo delle cave -M o Itola presso Caaosa- Cave MoltoLoy Fig. 3* Schizzo delle cave Storcili presso Carnosa — 357 — già, dove in più punti mostrasi a fior di terra, mancando Pesile strato vegetale. Di modo che può dirsi che il calcare marnoso, cui si attribuisce qualche pregio quantunque sia povero o affatto privo di fosfati, è estesissimo. Più particolarmente esaminai la formazione in discorso nelle vicinanze di Cerignola, che fu il nostro primo punto di sosta. I luoghi visitati furono la Masseria Fiordalisi a circa 7 chilo- metri a ponente del borgo di Cerignola, la Masseria del Toro del signor Raffaele Palieri posta più verso maestro, e la Masseria delle Torri della casa La Rochefoucauld a 6 chilometri verso ostro. Dovunque vennero praticati degli scavi d’ assaggio al du- plice oggetto e di riconoscere la natura e la potenza del banco calcare, e di raccogliere dei campioni. Questo banco offre dappertutto identiche condizioni al punto di vista litologico e stratigrafìco. Ricoperto per lo più da uno strato di 20 a 40 centimetri di terriccio nerastro, carico di os- sido di ferro e di sostanze organiche, apparisce nella sua parte superiore di color giallo sporco con macchie o fasce brune, cor- rispondenti ai diversi letti di stratificazione, e di struttura assai compatta, sebbene poroso come può benissimo vedersi colla lente, tanto che occorre il piccone per romperlo. Dopo pochi colpi però la parte dura è rotta e inferiormente scopresi una massa sciolta, formata dallo stesso calcare, ma più bianchiccio e in minuti fi ammenti o granelli. Direbbesi quasi una sabbia se non avesse l’aspetto assolutamente terroso. Lo strato duro, dello spessore di 20 centimetri circa, è la crosta propriamente detta ; di rado racchiude fossili, e quando vi si rinvengono è difficile determinarli perchè sono in fram- menti e in istato di disgregazione. Vi ho notato dei pettini, ba- lani, pinne, come pure delle conchiglie d’acqua dolce o terrestri, quali le limnee, le paludine, le elici ed altre. Secondo poi affer- mano i pratici dei luoghi, vi si troverebbero pure degli avanzi dell industria umana, come armi ed utensili ; il che dimostrerebbe essere il deposito d’ epoca molto recente. Frammista inoltre colla medesima crosta, o forse nella sua parte superficiale soltanto, trovasi qua e là una materia d’ aspetto simile al descritto cal- care, ma più tenera e soggetta a sfarsi a contatto dell’ aria, ca- dendo in minutissima polvere. Gli abitanti del sito la distinguono 358 - col nome di buffona, e non V adoprano nelle costruzioni mentre prescelgono a quest’uso la crosta che ha la proprietà d’indurirsi rimanendo esposta all’ azione atmosferica. La buffona eminente- mente molle e che si polverizza presto, viene anche denominata tallone. Osservando colla lente tanto 1’ una che 1’ altra varietà, vi si riscontra la silice in polvere estremamente tenue, bianca lattiginosa o candida, e tal fiata in cristallini a spigoli arroton- dati, che potrebbero essere di feldispato. La silice sembia in quantità preponderante, entrando anche nella composizione della massa bruna la quale al pari delle venature bianche è spugnosa come una pomice. Ciò. può aver dato origine all ipotesi, che alla formazione della crosta del Tavoliere abbiano conti ibuito altresì dei prodotti vulcanici. Nè l1 ipotesi è inverosimile ove si consi- deri che la pianura del Tavoliere è dominata dal "Vulture a di- stanza non tanto ragguardevole ; all’ epoca in cui questo vulcano era in attività, le più minute particelle delle materie dal me- desimo rigettate, come i lapilli e le ceneri, potevano benissimo coll’ aiuto dei venti essere trasportate fino al seno di mare in cui operavasi per altre vie la deposizione del calcare. Il fatto sa- rebbe poi corroborato anche dalle esperienze eseguite a Cerignola da qualche costruttore di fabbriche, per ottenere della calce dalla nominata buffona ; questa materia assoggettata alla cottura avrebbe somministrato della calce con proprietà idrauliche assai pronunziate ; il che proverebbe la presenza dei silicati d’ allu- mina e della silice in notevole quantità. L’ altro calcare, che è preferito per la cottura perchè più compatto, non fornisce in- vece che calce ordinaria e piuttosto magra, probabilmente per- chè contiene buona porzione di magnesia. Noi possiamo intanto stabilire, che la crosta superficiale ri- sulta di due materie distinte; anzitutto del calcare duro in quantità prevalente, che non merita punto V appellativo di mar- noso, essendo costituito da carbonato di calce con magnesia e deboli traccie di silice e allumina ; poi del calcare tenero emi- nentemente siliceo ed argilloso, che sta sul primo e che può quindi riguardarsi di formazione posteriore. Il resto del banco, come ho accennato, consta di terra cal- care sciolta o debolmente agglutinata, il cui nome volgare è car- paro o carpano ed anco carpine. In alcuni siti la parte inferiote - 359 - del banco è un calcare bianco sporcante quasi farinaceo, simile alla creta, il quale potrebb’ essere utilizzato nella pittura come il bianco di Spagna o nell’ arte ceramica per la formazione delle paste di alcune terraglie, attesa la sua grande purezza ed estrema tenuità. Un bell’ esempio di tale sostanza pulverulenta, si ha in un terreno del La Rochefoucauld situato in prossimità del borgo di Cerignola, nel luogo detto dèlia Madonna delle Grazie a nord- est dello stesso borgo; ivi percorrendo una stradicciuola incas- sata nel terreno, si scorge dalle due parti il banco quasi intie- ramente costituito dalla farina calcare, mentre la crosta dura sovrastante si riduce a pochi centimetri. È conosciuto col nome improprio di gesso, e fu anche, per la sua leggerezza, supposto un carbonato di magnesia; ma in sostanza non è altro che un semplice carbonato di calce con scarsissime traccie di ferro ed allumina. Lo spessore del carparo varia da un metro a lm, 30 ; per cui la potenza complessiva del banco calcare, compresa la crosta superiore, risulta di lm, 20 a lm, 50. Raramente si riscontra una maggior grossezza. In una fossa scavata presso la Masseria Fior- dalisi, osservai il carparo per la grossezza di 80 a 90 centimetri, e la crosta dura di 20 centimetri appena. Ivi come altrove il carparo, che riposa sopra un deposito di strati alternanti di sabbia e argilla, è sensibilmente umido, in special modo quando è di recente scoperto. Questa umidità permanente è facile a spiegarsi, considerando che la crosta superficiale non è allatto impermeabile alle acque pluviali e che lo stato di divisibilità dello stesso carparo da un lato, e 1’ esistenza di strati argillosi inferiori dall’altro, sono condizioni atte a favorire la conserva- zione delle acque filtranti nell’ orizzonte in discorso. Ma da un’altra ragione deve pur ripetersi un tal fatto; dal trovarsi cioè il calcare impregnato di cloruri ed altri sali igroscopici, i quali si manifestano in maggiore o minor copia anche nelle acque dei pozzi scavati nello stesso terreno. Pertanto questa specie di ristagno d’acque poco sotto la superficie del suolo non è forse ultima fra le cause che danno luogo all’ influenza malarica che regna durante i mesi estivi in quella regione. Il terreno sottostante alla crosta si osserva meglio alle cave della creta (argilla) che s’incontrano sulla destra della via nazio- nale per Barletta a quattro chilometri circa da Cerignola. In - 360 - quelle cave gli strati di sabbia e argilla rimangono scoperti per quattro o cinque metri; gli strati sono di poco spessore e più sottili quelli d’ argilla, con tendenza però ad ingrossare in pro- fondità ; nei superiori più prossimi al banco calcare vi si vedono inclusi, in vari allineamenti, dei noccioli o globuli della stessa sostanza del carparo, ma che si accosta alla creta farinacea sopra descritta.' Il calcare aveva quindi già fatto comparsa prima che fosse cessato il sedimento delle sabbie e delle argille; proba- bilmente il processo di deposizione continuò non interrotto e solo sull’ ultimo il materiale cambiò di natura (Vedi la tavola an- nessa, Fig. 1). Il terreno ora accennato, per quanto si può scorgere nei tagli sempre poco profondi delle cave o delle fosse aperte dagli agricoltori, sembra affatto privo di fossili. Questi, come si è ve- rificato nello scavo di alcuni pozzi, si rinverrebbero più in basso, ossia nel grosso deposito d’argilla turchina che succede alla sabbia gialla. Proseguendo il cammino verso Canosa per la strada che si dirama dalla via nazionale, e piegando a destra dopo un altro chilometro di percorso, si raggiunge bentosto la Masseria delle Torri. Quivi il terreno comincia ad essere alquanto accidentato, poiché ci avviciniamo alla valle dell’ Ofanto e ai monti delle Murge; ma non è dissimile, geologicamente, dagli altri terreni della parte piana della stessa regione. Sono tuttavia degne di attenzione le acque incontrate coi pozzi presso la detta Masse- ria e V altra vicina di Monte Arsente. I pozzi non oltrepassano la profondità di dieci metri, a cui si trova il grosso banco im- permeabile d’ argilla turchina ; a tale profondità le acque sgor- gano abbastanza copiose per alimentare i fontanili o abbeveratoi esterni, al qual uopo però debbono essere sollevate per mezzo di norie per un’ altezza di sette a otto metri. In generale le acque di questo primo livello sono potabili ; ma spesso accade di incontrarne di salate che non servono nè agli usi domestici nè per abbeverare il bestiame. Così a Monte Arsente un pozzo scavato a quest’ ultimo scopo, dà un’ acqua carica di sali, fra i quali sembra predominante il solfato di magnesia. Lo stesso fatto si riscontra in alcuni pozzi di Cerignola, variando solo il grado di soluzione salina. - 361 - Da quanto mi venne riferito da un capomastro muratore di Cerignola, che ha avuto sovente ad occuparsi dell5 escavo dei pozzi, ad un livello inferiore, cioè sotto il banco argilloso alla profondità di 27 metri, si troverebbe un secondo orizzonte acqui- fero molto più ricco del primo, e la cui acqua è più leggera e più pura. Nessuno dei due piani acquiferi ha mai dato acque zampillanti ; ma per contro, in peculiar modo dall’ inferiore, si ottiene T acqua in straordinaria abbondanza. È questa una circo- stanza assai favorevole di cui potrebbe grandemente avvantag- giarsi 1’ agricoltura, non richiedendosi una forza motrice troppo dispendiosa per inalzare V acqua alla superficie del terreno. E già, sebbene su scala non tanto vasta e al solo scopo di abbe- verare il bestiame, se ne giova la casa La Rochefoucauld che anche per altri rispetti è benemerita dell’ industria agricola del Tavoliere coi perfezionamenti introdotti in tutti i lavori alla me- desima attinenti, dando un esempio che dobbiamo augurarci di vedere sempre più imitato dagli altri proprietari di quella uber- tosa contrada. Il predetto capomastro mi fornì pure interessanti notizie in- torno alla costituzione del sottosuolo attraversato dai pozzi ; dalle quali risulterebbe la seguente serie stratigrafica generale pel centro del Tavoliere. 1° Strato di umo di 30 centimetri in media. 2° Crosta comprendente la crosta dura superiore con fos- sili marini e d’ acqua dolce, e il carparo o calcare terroso, per lo spessore variabile da lm, a lm, 50. 3° Alternanza di sottili strati di sabbia e argilla con traccie di carparo nei filari superiori, per una potenza complessiva di 8 metri. 4° Deposito di sabbia gialla di altri 8 metri di potenza. Alla base di questo uno strato d’ arenaria compatta, cui corri- sponde la prima vena d’ acqua. 5° Deposito di 9 metri di argilla turchina, contenente alla base dei banchi di ostriche. L’ argilla ha color giallognolo nella parte superiore, ed assume gradatamente la tinta azzurra (piom- bina) verso il basso. 6° Sabbie e conglomerati che costituiscono il secondo oriz- zonte acquifero più ragguardevole. - 362 - Questa serie, toltane la crosta, varia naturalmente da un punto all’ altro, sostituendosi fra loro i diversi materiali, oppure assottigliandosi od ingrossandosi tale o tal altro deposito. Nel complesso però si verifica che le sabbie gialle occupano la parte più elevata presso la crosta calcare, e poi viene V argilla cbe giace su altre sabbie o conglomerati. Codeste sabbie sono tutte composte «di elementi calcarei cementati dalla stessa sostanza oppure dall’ argilla ; gli elementi variano moltissimo di grossezza e dai più minuti che compongono le sabbie propriamente dette, si passa ai grossi ciottoli che danno luogo ai conglomerati si- mili nella struttura alle note gomfoliti. Abbiamo adunque tutti i caratteri del terreno subappennino, e possiamo ammettere che i depositi del Tavoliere appartengono all’ ultimo periodo terziario. Forse la parte superiore è riferibile al pliocene recente od anche in parte al terreno postpliocenico; e si formò a spese dei calcari più antichi, come il calcare a briozoi e i travertini che abbondano appena oltrepassato V Ofanto, essendovi molta analogia fra questi materiali e il calcare della crosta. Le sabbie e le ghiaie del subappennino s’incontrano svilup- patissime anche lungo il littorale dell’ Adriatico, specialmente nel tratto d’ Ortona e Fossacesia, ove sono disposte a ripiani o ampie terrazze a otto o dieci metri sul livello del mare. In quella parte il terreno in parola riposa sui depositi miocenici ; nel Ta- voliere invece è presumibile che ricuopra direttamente il ter- reno secondario che vediamo estollersi a nord nel gruppo isolato del Monte Gargano ed a sud nella diramazione delle Murge. L’ altra formazione di maggior momento al punto di vista delle applicazioni agricole, sarebbe il calcare a briozoi di Ca- nosa di Puglia. Appena oltrepassato V Ofanto s’ incontra Canosa al piede dell’ ultimo promontorio delle Murge, alla distanza di 14 chilo- metri da Cerignola. Il paese è posto sul pendìo meridionale d’ un colle argilloso che sorge come isolato dai monti più elevati, che s’ allineano in catena nella direzione di sud-est. La sua altitu- dine sul mare può giudicarsi di circa 200 metri a confronto di quella di Cerignola che risulterebbe di 117 metri. Il terreno tanto nella valle quanto sul fianco settentrionale di detto colle, - 363 - è in gran parte coperto da materie d’ alluvione ; ma non sì tosto attraversato il borgo di Canosa, percorrendo la strada che porta in Basilicata, presentansi allo sguardo le bellissime cave del tufo cozzigno, aperte sino alla profondità di 10 a 12 metri al di sotto della superficie. Le cave da noi visitate sono quelle del signor Mottola e quelle del signor Storelli in contrada San Pietro. Altre cave di minor conto esisterebbero sul lato nord andando verso Andria ; ma non avendo potuto trattenerci a lungo a Canosa, dovemmo rinunziare alla loro visita come pure ad una escursione nei din- torni che ci avrebbe permesso di completare lo studio di quei giacimenti. Contuttociò credo che le osservazioni fatte nelle due cave predette basteranno per dare un’ idea dell’ importanza del calcare a briozoi, oggetto principale dello studio di cui venni in- caricato. Del resto io ebbi facilitato di molto questo studio, mercè le agevolezze dei sunnominati proprietari e le loro indica- zioni utilissime. Le cave sono quasi in contiguità V una dell’ altra e presso a pòco della stessa estensione. Comprendendo anche le antiche escavazioni abbandonate, V area nella quale il calcare trovasi scoperto o riconosciuto può essere di tre o quattro ettari. Il calcare viene scavato per materiale da costruzione ; a tal ef- fetto si praticano col piccone delle incisioni in senso verticale ed orizzontale, e si divide la roccia in tanti parallelepipedi a base quadrata di 20 centimetri, e della lunghezza di un mezzo metro incirca ; così conciata la pietra serve ottimamente pei muri di fabbrica, prestandosi anche come paramento este- riore; non serve peraltro pei pezzi di decorazione, in quanto non è suscettibile di essere tagliata a spigoli vivi, attesa la sua friabilità. Si preferisce la qualità a grana fina, ma s’ impiega eziandio quella di grana mezzana ; la massa grossolana, in cui prevalgono le grosse conchiglie, viene scartata.- Procedendo col suindicato metodo di lavoro vengono a poco a poco a formarsi degli intagli verticali nei quali è messa a nudo la struttura e la stratificazione della roccia. Sulle ampie pareti delle cave, alcune delle quali scendono a notevole profondità, scorgesi una graduale diminuzione dall’ alto verso il basso, nella grossezza degli elementi costituenti la roccia ; il che può essere - 364 - il resultato dello schiacciamento dovuto alla pressione che aumenta coll’ accrescersi della massa soprastante. Di ciò si avvalgono i cavatori per andare in cerca della pietra più fine, aprendo degli scavi a guisa di pozzo quadrato al di sotto del piano della cava. A prima giunta la pietra presenta il carattere tufaceo che deve aver dato origine al suo nome volgare di tufo cozzigno ; ma osservata più da vicino, essa rivela la sua speciale struttura molto simile a quella colitica o pisolitica. Tale struttura deriva dall’ infinito numero di spoglie di briozoari che concorrono quasi esclusivamente a formare la roccia. I piccoli corpi rotondi bu- cherellati, e per lo più cavi come gusci incrostanti, sembrano principalmente appartenere ai generi Eschara e Cellepora ; ma colla lente si scoprono anche altre forme che potrebbero rife- rirsi ad altri generi, specialmente al genere Tubulipora. A questi resti di polipi si mescolano pure non di rado altri avanzi di molluschi, come pettini, ostriche ed altri. Le conchiglie man- tengono ancora il madreperlaceo degli esseri viventi ; sono più frequenti nei banchi superiori. La pietra ha una tinta giallastra uniforme e decisa; ha l’aspetto terroso quantunque composta di globuli calcarei abbastanza duri e fra loro incrostati ; è disposta in grossi banchi di due o tre metri di potenza, che appena si distinguono sulle pareti delle cave tutte rigate orizzontalmente dal piccone. Nelle cave Storelli che seguono dopo le prime del Mottola, sempre sulla sinistra della strada per Melfi, i piani di stratificazione sono più visibili e potei riscontrare colla bussola, una direzione N. 60° E. con una inclinazione di 25° verso N.N.O. Tale inclinazione per cui i banchi corallini stanno addossati alle falde dei colli subordi- nati alle Murge, accennerebbe al movimento subito dai banchi medesimi nell’ ultimo stadio del sollevamento dei monti delle Murge. Infatti i banchi in parola, oltreché a nord e ad est al di là di Canosa, continuano, per quanto mi fu riferito, anche a sud nel territorio di Minervino, sullo stesso versante dell’ Ofanto ; e formerebbero quindi una specie di cintura o atolla attorno alla cresta delle Murge, la quale in principio era probabilmente di poco elevata sul mare e poi s’ inalzò facendo emergere colla disposizione attuale i banchi predetti (Vedi la tavola annessa, Fig. 2 e 3). — 365 — Son degne di nota le antiche tombe che si vedono scavate nella parte superficiale della roccia. Sono ampie cavità di figura trapezia, alle quali si accede per una buca che si trova in cor- rispondenza della parete anteriore o porta, cui è posta la lapide. Le medesime si fanno rimontare ai primi tempi greco-italici. Evidentemente la facilità con cui la pietra può essere intagliata, indusse quei primi abitatori a stabilirvi le loro necropoli. I cavatori assegnano a tutto il deposito calcare una potenza di ben 60 metri, in cui entra per un terzo superiormente il tufo grossolano (tufo cozzigno) e per gli altri due terzi in basso il tufo fino (tufo liscio). Al letto di questo deposito si trovereb- bero le solite sabbie gialle, che abbiamo veduto essere pure il letto ordinario della crosta del Tavoliere. Per quanto concerne la natura fosforica della pietra, la qua- lità a grana mezzana ossia più prossima a una pisolite, secondo le esperienze del signor Tonnoni, sarebbe la più ricca in fosfato di calce e quindi meglio delle altre si adatterebbe all’ ingrasso dei terreni. Questa qualità, come abbiam visto, costituisce gran parte degli strati attraversati colle cave, e sebbene non vi abbia un limite definito tra il tufo grossolano della superficie e quello a grana minuta degli scavi più profondi, pure si può ritenere che la pietra che dovrebbe essere prescelta per lo scopo suac- cennato sia abbondantissima, avuto riguardo alla grande esten- sione e potenza del deposito in cui si trova profusa. Colla formazione di questo calcare si connette forse un’ altra formazione apparentemente più recente, che ebbi ad osservare poco fuori di Callosa nel recarmi a Barletta. È il vero tufo cal- care o travertino simile a quello tanto conosciuto dei dintorni d1 Ascoli sul Tronto. Esso apparisce nelle sezioni lungo la strada, in strati di 30 à 40 centimetri di spessezza, disposti in senso inclinato, nei quali si distinguono a colpo d1 occhio i tratti ca- ratteristici della roccia. Tale formazione deve essere molto svi- luppata, giacché il travertino o calcare tufaceo non solo è usato come pietra da costruzione nella stessa Canosa, ma anche in altre borgate e città delle Puglie, come vedesi ad esempio a Barletta ed a Foggia. - 366 VI. Le prime formazioni mioceniche nel subapennino di Leggio e Modena , per Antonio Ferretti, parroco di San Ruffino. Dissi nelle ultime due Note (vedi Bollettino Geologico, marzo- aprile, maggio-giugno) che una linea ben netta di demarcazione separa nel Reggiano le sabbie silicee, grigiastre a crostacei, fo- raminiferi e resti di Selache dai sottoposti gessi, e che questa linea si prolunga nel Modenese ed è pur quella che separa il fango di Montegibbio a brachiopodi e Schizaster canaliferus, e la sabbia silicea grigiastra ad Ancillaria glandiformis e Btychacan- thus Faujasii di rio Videse e Montebaranzone, dalle sottoposte calcarie a fucoidi interstratificate colle argille scagliose, e dal sottoposto calcare cristallino a lueine, cioè il miocene dal plio- cene. Ed è qui ora il momento di far vedere che il mio non è un semplice asserto, ma una verità suffragata da fatti, che non potranno forse disconoscersi da chicchessia. Nelle due provincie di Reggio e Modena, e segnatamente nella prima, sono sviluppatissime delle calcarie e delle arenarie compatte, menzionate dallo Spallanzani, dal Brocchi, e da molti altri naturalisti, ma forse non per anco ben determinate relati- vamente alla loro natura litologica ed al posto che occupar de- vono nella gran pila dei terreni sedimentarii. Lo studio di co- deste calcarie ed arenarie forma il soggetto della presente Nota. Una calcaria pure purissima, contenente appena un po’ d’ar- gilla, il 5 od il 6 per cento, è a San Ruffino, di colore grigio di perla, a frattura liscia, terrosa, un po’ concoide e priva di lustro, che calcinata, dà un ottimo cemento, da superare forse in bontà tutti i cementi d’ Italia, conosciuta sotto il nome di calce mora di Rondmara, per estendersi sino a questa parroc- chia, ed essere specialmente colà ove se ne fa un brillantissimo commercio. È perfettamente amorfa, per nulla saccaroide, e le poche vene spatiche che 1’ attraversano tortuose, reticolate, ondeggianti, non diversamente dalle suture che uniscono le ossa del cranio, non la pregiudicano in alcun modo. I depositi di co- desta calcaria sono inesauribili. Le parrocchie di San Ruffino, 367 - Ventoso, Jano, Eondinara ed altre, ne sono costituite quasi let- teralmente. In tutte le suindicate località affiora sempre di mezzo alle argille scagliose : anzi, a chi bene osserva, non può non farsi palese che è interstratificata evidentemente con queste. A Ca1 dei Caroli in Ventoso possono vedersi di contro alle cave dei gessi da -ben trenta strati di calcarie dello spessore di pochi centi- metri in stratificazione orizzontale o quasi, intercalati con al- trettanti strati di argille scagliose essi pure dello spessore di pochi centimetri. A San Ruffino, lungo la sponda destra e sini- stra del Riazzone possono vedersi pure innumerevoli strati di calcaria alternanti con strati di argille. Di più, è in questa par- rocchia ultima che possono ammirarsi strati dello spessore di più metri di calcaria, percorrenti in lunghezza da un buon terzo di chilometro, portati direbbesi in groppa delle argille scagliose. Per lo più però la calcaria è in mezzo alle argille divisa in un1 in- finità di prismi di tutte le dimensioni e di tutti gli spessori, man- tenendo sempre gli spigoli acuti e taglienti, le fratture comba- ciantisi, lo spessore dei prismi di uno strato eguale sempre allo spessore dei prismi del medesimo strato, quantunque spostati o dislocati. Cosa che non fu punto avvertita da chi credette che le calcarie si trovassero in mezzo alle argille scagliose come inter- clusi, escludendone la interstratificazione. È fatto che sempre e poi sempre (almeno da noi) le calcarie da principio formavano un tutto stratificato orizzontalmente o quasi colle argille, e fu solo in seguito che vennero smosse, contorte, laminate, pieghettate a C, a zig zag, con delle curve le più ardite e sorprendenti, e divise in un numero infinito di prismi che tante volte giacciono entro le argille, come i ruderi di città smantellata. Codesta cal- caria è priva affatto di fossili, e la ragione ne è forse P abbon- danza del gas acido carbonico, sapendosi quanto questo e tutti i gas acidi siano poco favorevoli alla vita e alla conservazione delle spoglie animali e vegetali. A Ventoso una tale calcaria contenendo il 12 e sin anco il 15 per °f0 d’ argilla, dà un ottimo cemento idraulico, essendo noto come P argilla o silicato d’ allu- mina imbevuto d’ acqua vi crei un silicato idrato, cioè una vera zeolite, che cementa tutta la massa e la indura quasi istanta- neamente. A San Ruffino a contatto della calcaria sin qui descritta stanno due altre calcarie, una di colore rosso languido-carnicino, - 368 — per essere forse imbevuta di perossido di ferro o manganese disciolto; l’altra è di colore bianco. La prima assomiglia alla pietra forte di Toscana ed al calcare rosso ammonitico delle Alpi, onde fece sospettare ad alcuni geologi che dovesse con- tenere gli ammoniti e che rappresentasse da noi T epoca della Creta. Quest’ epoca però nel nostro Apennino io la credo un mito. Il fatto si è che codesta calcaria rossastra, quando non è inquinata di sabbia silicea in straterelli che la rendono scissile, ha tutti i caratteri della calcaria di color di perla superior- mente descritta. Calcinata essa pure dà un ottimo cemento. È interstratificata colle medesime argille scagliose. Non è sopra o sotto alla calcaria color di perla, ma la sostituisce e forma un tutto continuato colla medesima. La seconda (forse per la troppa magnesia, e poca o nessun’ allumina) calcinata ed imbevuta d’ acqua anziché indurire si rammollisce, e si cuoce soltanto per appagare T ingordigia degli appaltatori i quali possono fram- mischiarvi tutta quella quantità di sabbia che loro talenta ed ingannare gl’ inesperti per sembrare sempre grassa pel suo colore bianco chiaro. Essa pure non è nè sopra nè sotto alla cal- caria color di perla e rossastra, ma le sta a contatto e forma un tutto continuato con loro. Queste due ultime calcarie (forse per la diminuzione del gas acido carbonico e la presenza della magnesia) contengono abbondanza strabocchevole di fossili, gor- gonie, rettili, annellidi e fucoidi di mille e svariate qualità. Per quanto le abbia perlustrate, non vi ho mai scorto la minima traccia d’ ammonite. Solo nella calcaria bianca a San Romano ho rinvenuto una superba vertebra di Oxirina che misura nel suo diametro orizzontale mm. 76 e nel verticale mm. 36. A Montegibbio, San Michele de’ Mocchietti, Montebaranzone, Rocca Santa Maria, Rocca Tagliata, Montagnaria, Pujanello, Den- sano, Guiglia ec. sta una calcaria cristallina la quale contiene copia immensa di lueine e di coralli. Relativamente a questa cal- caria, per non ripetere cose già dette, rimetto il lettore a quanto ne ho detto in altra Nota (vedi Bollettino Geologico, maggio- giugno 1879). Tutte le calcarie sin qui descritte, insieme alle argille sca- gliose interstratificate, sono immediatamente coperte con indif- ferenza per la massima parte sì a nord che a sud dalla forma- zione pliocenica litorale co’ suoi lembi di mare, colle sue lagune — 369 — e laghi, cioè da tutte le formazioni del pliocene, che riempiono i bacini lasciati dal sollevamento di quelle, in stratificazione sem- pre e poi sempre discordante. Finalmente non costituiscono dei rilievi a rosario, ma sibbene delle catene che per lo più non interrotte corrono forse parallele all’ asse dell’ Apennino per più d’ una provincia. Una di queste catene prendesi da Montarmone sulla riva sinistra del Secchia e pel castello di Dinazzano, il Monte dei Bossi in Casalgrande, del Vangelo in San Ruffino, di Figno in Jano, della Casa del vento in Borzano, Salvarano, Ciano, prolungasi non interrotta sino al fiume Enza, cioè percorre tutta la provincia di Reggio. Un’ altra di queste linee prendesi da Pujanello Modenese, presso il torrente Panaro, e per Torre Ta- gliata, Nirano, Montebaranzone, prolungasi sino ai Monti della Croce di Castellarano e San Valentino, sino a San Romano, Vi# signolo, Pecorile e Canossa sull’ Enza nel Reggiano, cioè, attra- versa le due provincie di Modena e Reggio. Non debbo qui dis- simularmi che qualche volta le argille scagliose con cui le calcarie sono interstratificate, ne le hanno fortemente metamorfosate, per cui possono trarre in inganno circa la loro natura primitiva. Non è raro il caso finalmente che le calcarie imbevute di perossido di ferro o manganese disciolto, e rotte, contorte, laminate, fran- tumate siano state in seguito insieme unite per autocementa- zione, da dar luogo ad un superbo sasso ruiniforme di non poca importanza nell’ edilizia. Una tale roccia può vedersi a Borsano nella provincia di Reggio poco lungi da Santa Margherita. Un’ arenaria è a Paullo, San Romano, lungo la sponda de- stra e sinistra di Fazzano, a Montebalbio, a Castellarano ed a San Michele di Mocchietti, nelle due provincie di Modena e Reg- gio. Non è un’ arenaria comune, cioè un impasto di granuli quarzosi con mica, o cemento calcareo o siliceo; non è un im- pasto di materie cristalline, quarziti, gneis, graniti, talcoschisti, micaschisti, anfibolo, serpentini, calcari ec. con molta mica a cemento calcareo-siliceo. Anche in ordine a una tale arenaria, alle formazioni che la coprono, ai fossili che contiene, e all’epoca a cui deve ascriversi, per non ripetere cose già dette, rimetto il lettore alla mia Nota stampata negli Atti della Società Ita- liana di scienze naturali di quest’ anno, e letta a Varese Y anno scorso, in proposito della scoperta fatta in quell’ arenaria a Monte- babbio di due bellissimi tronchi di Cicadea e gigantesche ostriche. — 370 — Per cui resta solo a fissar V epoca delle calcarie. Ma qui confesso che mi trovo fortemente scoraggiato, vedendo che il Doderlein, riconosciuta negli immensi strati di tali calcarie un’ unica formazione colle argille scagliose, per essere stato tro- vato non so in quali calcarie intercluse, credo un ippurite ed un ammonite, il tutto senza più ascrive all’ epoca della Creta. Le gorgonie, gli annellidi, i rettili, e le fucoidi, certo offrono un troppo incostante criterio per una precisa determinazione. I resti di Oxirina sono comuni al miocene ed al pliocene. È V arenaria però di Montebabbio e Castellarano che ci pone sulla strada onde ottenere il desiderato intento. Richiamo alla memoria tre fatti capitali da me antecedente- mente constatati : 1° Chi si porti alle cave del gesso Bassi e Pioppi in Ventoso, poco lungi dalla parrocchiale, vedrà tosto colà le calcarie sin qui descritte ed i gessi cristallini starsene insieme indifferentemente in mezzo alle argille scagliose, per perdersi poscia sotto i terreni terziarii più recenti o posterziarii; 2° Chi ascenda il Riazzone in questa mia parrocchia, letteralmente com- posto dei carbonati calcari interstratificati colle argille scagliose, quasi alle origini del medesimo troverà che i carbonati calcari stanno indifferentemente insieme con un’ arenaria sui generis , che finalmente li sostituisce nei loro sconvolgimenti e nella loro interstratifìcazione colle argille scagliose, arenaria identica perfettamente a quella di Montebabbio e Castellarano ; 3° Chi per- corra i due fianchi della catena ove torreggia il castello di Montegibbio, non che il rio Bizzocchi in San Michele de’ Moc- chietti, non potrà non vedere i carbonati calcari alluminosi e magnesiaci starsi pure indifferentemente insieme col calcare cri- stallino a lueine, e con un’ arenaria che alla loro volta li sosti- tuiscono nei loro sconvolgimenti e nella loro interstratifìcazione colle argille scagliose, per ergersi poscia in un’eminenza brulla e desolata a Montebaranzone, e lungo il detto rio un’ arenaria pure perfettamente eguale a quello di Castellarano e Montebabbio (vedi le note citate). Ora noi sappiamo che P arenaria di Montebabbio e Castel- larano corrisponde perfettamente colla molassa o Nagelfluhe della Svizzera ed è 1’ equivalente pei fossili del bacino di Vienna, a cui non mancano per la perfetta uguaglianza i depositi d’ acqua dolce più recenti che la coprono immediatamente, caratterizzati — 371 - dalle melarne e dalle neriti (vedi le note citate). Per cui ap- partenendo al miocene V arenaria di Montebabbio e Castella- rano, al miocene è pur giocoforza ascrivere i gessi, le calcarie tutte sin qui descritte, non die la calcaria cristallina a lueine, colle argille scagliose intercalate. Il so che questo modo di vedere è contrario a quello del Manzoni, relativamente al calcare a lueine studiato nel Bolo- gnese e nel Faentino. Quest’ autore crede che il calcare a lu- eine stia alla base dei gessi, e riscontra in lui Y equivalente del calcare siliceo del Mottura che sta sovrapposto allo strato di tripoli nella formazione solfifera di Sicilia, e pare che il tutto col Fuchs voglia attribuire al pliocene inferiore. Oltreché lo Stòhr nella galleria dello Stretto e nella miniera di Sinatra, vicina allo Stretto, non ha trovato un tale calcare e nemmeno una separazione distinta tra tufo e tripoli; oltre a quanto ho detto io superiormente, faccio osservare: se i gessi appartengono al pliocene, a che devesi ascrivere la sabbia grigiastra a cro- stacei, foraminiferi e resti di Selache di San Ruffino e Ventoso che sta loro evidentemente di sopra discordemente?; se il cal- care a lueine appartiene al pliocene, a che dovrassi ascrivere la sabbia grigiastra di rio Videse e Montebaranzone ad Ancillaria glandiformis, e Ptichacanthus Faujasii, che gli sta evidentemente di sopra in stratificazione discordante?; se il calcare a lueine appartiene finalmente al pliocene, a che dovransi ascrivere i fan- ghi di Montegibbio a brachiopodi e Schizaster candliferus che lo coprono immediatamente, ed in istratifìcazione pure discor- dante ? Se alcuno poi sospettasse che i fanghi di Montegibbio intercalati colle marne giallastre plioceniche non contenessero lo Schizaster canaliferus non ha che a visitare la mia collezione, o percorrere il rio Fossetto, e se ne persuaderà, e la natura del nucleo ne tradirà il fango in discorso. E qui non posso accogliere il dubbio che il calcare a lueine del Bolognese e del Faentino diversifichi dal nostro, per conte- nere pur quello valve di mytilus o modiola , di ostriche, ed as- sumere le lueine proporzioni gigantesche, e portare i gusci al- cune volte ben conservati, al dire dello stesso Manzoni. I fatti capitali di sopra riportati e sanciti con tutta preci- sione fanno pur cadere gli apprezzamenti del Doderlein. 372 - NOTE MINERALOGICHE. I. Della Szabóite e dell ’ Oligisto di Biancavilla sulV Etna , note di A. yon Lasaulx.1 I. — Szabóite. Fra i punti geologicamente più interessanti del versante esterno dell’ Etna va annoverato il Monte Calvario di Biancavilla (a 300 metri sul livello del mare), situato ad Ovest del vulcano, a ridosso del grande stradale che con una curva di 140 chilometri gira attorno alle di lui falde. La roccia del detto monte appare a prima vista diversa dalle lave che attorniano l’ Etna, e perciò appunto il signor Sartorius von Waltershausen la comprese fra le trachiti. Questa roccia forma parte dei più antichi prodotti del vulcano, e corrisponderebbe alle rocce che si presentano nella parte inferiore di Val del Bove e nella Val Giacomo affatto si- mili ad essa, e che qui appartengono al nucleo del vulcano. Senonchè da un più accurato esame petrografìe/) risulta che anche questa roccia non diversifica essenzialmente dalle altre rocce dell’ Etna. L’ unica differenza sta in questo, eh’ essa andò soggetta ad una completa decolorazione, dipendente specialmente dalla decomposizione della magnetite. Entro una pasta giallo- rossiccia giacciono cristalli di plagioclasio chiari e vetrosi, pic- cole augiti verdognole e molti granelli color ruggine di magnetite decomposta. Anche servendosi del microscopio, non si veggono tracce di olivina ; però alcune intersezioni rosso-brune sono da ritenersi per la forma loro sicuramente per olivina. Ad ogni modo questa roccia, in seguito a tale secondarietà dell’ olivina, s’avvicinerebbe piuttosto alle andesiti augitiche. La roccia si presenta in depositi alternanti con tufi di color grigio chiaro, che parimenti soggiacquero a decolorazione, e co- stituisce con essi l’ intera collina, levandosi contro 1’ Etna con 1 Vedi P. Groth, Zeit. fur Kry$tall. und Min., B. Ili, H. III. Leipzig, 1879. — 373 — inclinazione piuttosto ripida. Tanto negli strati poco coerenti di tufo che fra le connessure della roccia stessa, trovansi in buon numero dei cristalli talvolta assai grandi e straordinariamente sviluppati, e delle lamine di ferro oligisto, di cui descriverò in seguito e con maggiori dettagli le forme. Accenna inoltre il Sar- torius von Waltershausen, del quale tengo delle notizie mano- scritte su questo punto, che parimenti sulle facce di sfaldatura della roccia si trovano unitamente all’ oligisto innumerevoli cri- stalli di brookite di color rosso-bruno, lunghi circa 5 millimetri, ed insieme ad essi degli aghi verdi, trasparenti di augite con lucentezza quasi metallica. Questi dati sulla presenza della broo- kite passarono inoltre in molti libri d’ insegnamento in seguito a precedenti informazioni del signor Sartorius ; a mo1 Il d1 esempio, nella Mineralogia di Blum, nel Manuale di Descloiseaux ed in altri ; ed a ciò sono forse da attribuirsi altre indicazioni di te- nore più generico sulla presenza della brookite nell’Etna o in Val del Bove. All’ occasione eh’ io visitai nell’ ottobre dell’ anno scorso il Monte Calvario di Biancavilla in compagnia del mio egregio amico Orazio Silvestri, 1’ attenzione nostra era principalmente rivolta a rinvenire questa brookite. Ed in fatto sulle faccie di spaccatura della roccia trovammo subito assieme all1 oligisto i cristallini accennati dal Sartorius, di color rosso-bruno e in qual- che cosa simiglianti alla brookite, cioè alla combinazione : — u oo P. oo P. co P2 : anche V angolo prismatico lo trovammo pros- simo al retto. Senonchè sul posto stesso e così decisamente io riconobbi in essi la forma corrispondente a quella dell1 augite, che pensai trattarsi di una varietà speciale di questa ; e perciò raccolsi quanto materiale mi fu possibile, per assoggettarlo più tardi all1 analisi. E tanto più la* mia attenzione venne eccitata dalla presenza del detto minerale, in quanto che indubbiamente corrispondeva con quello del Mont Dorè, da me già veduto in Lione all1 occasione di un viaggio ed al quale accennerò in se- guito. Quasi contemporaneamente all1 arrivo delle mie spedizioni di minerali da Sicilia mi giunse il lavoro del signor prof. A. Koch,1 in cui egli descrive i nuovi interessanti minerali del 1 Tschermak, Min. u. petrograph. Mittheil. , 1878, VI, pag. 350 e seg. — Il lavoro originale trovasi nelle Verhandl. der ungar. Akad., 1878. - 374 - Monte Arany in Transilvania. Non dubitai un istante sull’ iden- tità del minerale di Biancavilla con la nuova specie minerale stabilita dal Koch colla denominazione di Szabóite ; identità che mi venne confermata da parte dello stesso prof. Koch, al quale inviai dei frammenti dei due minerali da me raccolti. La Szabóite di Biancavilla si presenta in cristallini della lun- ghezza massima di 0,5 a 2 millimetri, di forma tabulare assai sottile e per lo più di color rosso-bruno. Di pieno accordo col professor Koch, credo aneli’ io di dover ritenere detti cristalli per triclini, ad onta della grande loro somiglianza colla comune combinazione dell’ augite. Koch trovò anche dei cristalli termi- nati con quattro tetartopiramidi. Nei cristalli di Biancavilla io non ho potuto osservare altro che due facce piramidali anteriori e soltanto raramente due domi; di regola uno solamente. Pari- menti mancano costantemente le facce della zona dell’ asse ver- ticale indicate dal Koch come brachipinacoidi ; invece è frequente la faccia di base. I cristalli hanno sempre la forma tabulare sot- tile per il predominio della brachipinacoide. Pur troppo anche i cristalli di Biancavilla sono per la più parte appannati e per la loro piccolezza non è possibile misu- rarli col goniometro a riflessione : ciò fu fattibile in via appros- simativa, soltanto per la zona prismatica. Servirono di controllo alcune accurate misure degli spigoli di questa zona, disponendo in posizione verticale i cristallini sotto al microscopio. Sulle ta- volette orizzontalmente disposte vennero misurati gli angoli piani dei cristalli. Le misurazioni diedero i seguenti valori per gli angoli della zona dell’ asse verticale : a>P oo ; odP'=46°,30' co P oo * 00 T — 46°. 00 P' ; oo'p = 87° — 88° =87°, 30' sopra oo P co 00 P' 1 oo T = 92°, 30' = 92°, 30' ) sopra lo spigolo. 1 valori desunti dalla misura, mediante il microscopio, dei contorni dei cristalli, concordano assai da vicino con quelli ot- tenuti da Koch. — 375 - Per conseguenza i cristalli di Bianca villa rappresentano la seguente combinazione : 00 'P (1 ÌO) ; ooP' (110); ooP oo (010); 'P (111) ; P'(lll); 0 P (001) ; 2 P' oo (021); 2 T oo (021). I cristalli descritti da Koch i quali sono terminati da tutte e quattro in un tempo le faccie piramidali, potrebbero ben es- sere soltanto geminazioni della forma semplice, esclusivamente osservata nei cristalli di Biancavilla, e della medesima confor- mazione di quelle dell’ augite ; lo che non mi fu possibile deci- dere col materiale del Monte Arany, statomi inviato dalla gen- tilezza del signor Koch. Anche i cristalli di Biancavilla mostrano quella striatura verticale,* spesso assai fitta sulla oo P oo citata dal prof. Koch per la Szabóite. Essa spicca qui in modo speciale nei fini aghi, allargati in forma prismatica allungata. Dette strie sono indub- biamente fenomeni d1 accrescimento, originati da avvicendamento di faccie prismatiche e pinacoidali. Al microscopio si riconoscono indizi di direzione di clivaggio mercè le più o men numerose fessurazioni che corrono presso- ché, ma non affatto, parallele agli spigoli di combinazione della piramide col prisma e visibili nel profilo. Queste fessurazioni spiccano in modo affatto speciale anche per la ragione che pa- rallelamente ad esse ed all’ asse verticale trovasi depositato un pigmento rosso-bruno, color ruggine, a minutissimi lembi irre- golari bensì, ma però sempre distesi nella direzione delle fes- sure o delle strie verticali. Talvolta riesce malagevole il decidere se veramente vi sia fessurazione, o trattisi piuttosto semplice- mente di una interposizione delle lamelle di ossido ferrico pa- rallela al profilo esterno dei cristalli. La striatura obliqua orizzontale citata da Koch spicca anche in qualche singolo cristallo del nostro minerale, quantunque non così fina, ma però ben regolarmente sul bordo chiaro del mede- simo. Molti cristalli sono per una metà pieni zeppi di interposi- zioni di ossido ferrico, la quale metà è perciò di color bruno- ruggine ed opaca, mentre T altra metà si mantiene translucida. Però si trovano anche dei singoli cristallini pressoché trasparenti - 376 - perfettamente, che permettono di ben determinare il pléocroismo che in loro chiaramente s’ osserva. Appaiono di color giallo ver- dognolo chiaro lorchè V asse' verticale è disposto parallelamente alla sezione principale del nicol inferiore ; e di color giallo bruno nella posizione perpendicolare alla precedente. A nicol incrociati le tavolette, in sezione adunque brachi- diagonale, mostrano che la direzione secondo la quale ha luogo la massima oscurità declina di 2 a 3 gradi da quella dell’ asse verticale, la qual misura di declinazione la si trova assai corri- spondente in tutti i cristalli translucidi. Fissando con della cera uno dei sottilissimi prismi aghiformi sulla punta di un ago, e collocandolo su di un porta-oggetti in maniera che lo si possa ruotare attorno al proprio asse il quale deve coincidere coll’asse dell’ ago, si riescirà ad osservare anche il piano di oscurità in una sezione pressoché macrodiagonale. I valori da me in tal guisa ottenuti non si corrisposero ; essi importarono al massimo 22 gradi. Ora, quanto meno la semplice determinazione, avvenuta del resto solo approssimativamente, degli angoli della Szabóite, che solo di pochissimo differiscono da quelli dell’augite, pare auto- rizzarci ad ammettere una forma triclina pe’ suoi cristalli, tanto più indubbiamente ne emerge il carattere triclino dai sopra ci- tati caratteri ottici. Tanto nelle tavolette trasparenti del Monte Arany, poste a giacere sulla oo P oo , quanto in quelle di Biancavilla, non m’ è riuscito, anche adoperando dei forti obiettivi (Winkél 7), di ot- tenere al microscopio ed alla luce convergente un’ immagine di interferenza, quantunque ciò riesca assai facilmente con laminette d’augite di eguale piccolezza e sottigliezza. Scorgesi in allora il polo obliquamente emergente dell’ uno degli assi ottici, che nell’ augite forma coll’ ortopinacoide un angolo di 68° 14', con una declinazione adunque di 21° 46' dalla normale. Quest’asse ottico lo si dovrebbe scorgere anche nella Szabóite. Da ciò credo di poter supporre che qui il piano degli assi ottici abbia una posizione differente che nell’ augite. Un confronto della po- sizione dei piani assiali nella babingtonite e nella rhodonite do- vrebbe qui interessare. Per quest’ ultima, secondo i dati di Des- cloizeau, il piano degli assi ottici si troverebbe perpendicolare — 377 — alla faccia che corrisponderebbe ad una faccia prismatica del- l’ augite. L’ esame chimico eh’ io feci de’ cristalli di Biancavilla si li- mita ad un’ analisi al cannello. Sono difficilmente fusibili ; colla perla di borace danno la reazione del ferro ; con quella di fo- sfato un debole scheletro siliceo. In causa delle particelle di os- sido ferrico che con straordinaria abbondanza sono frammiste in parte anche nei cristalli del Monte Arany, il tenore in ferro, quale l’ottenne il prof. Koch, è un po’ troppo elevato. Ma però una gran parte del ferro rinvenuto deve ritenersi nel minerale stesso allo stato di ossido ferroso ed allora 1’ analogia colla co- stituzione chimica della babingtonite, già accentuata da Koch, risalterà maggiormente. Calcolando tutto il ferro allo stato di ossido ferroso, ne risulta per la Szabóite una forinola che s’ ap- prossima a quella della rhodonite e dell’ augite. Avuto riguardo a questa analogia singolarissima nella costi- tuzione chimica, pare singolare che il Koch non ponga in rap- porto anche la forma triclinica della Szabóite coi rappresentanti triclinici del gruppo dei pirosseni, cioè, colla babingtonite e colla rhodonite. La vicina analogia degli angoli prismatici della Szabóite con quelli della babingtonite e rhodonite è immediatamente evidente qualora si dia a quest’ ultimi la posizione che loro as- segna con piena ragione il Groth.1 La sfaldatura dà le facce prismatiche; e ponendo verticali le facce corrispondentivi, degli altri angoli ancora vengono a corrispondere a sufficienza con quelli della Szabóite. Ciò essendo, il prisma misura nella rho- donite 87° 38', e gli angoli Rhodonite. Szabóite. 00 p 00 ; co 'p = 43° 50' 46°. oo P oo ; oc P' = 48° 32' 46" 30' oo P oo ; oo P' = 45° 59' 45° 1' oo P oo ; oo 'P = 41° 39' 42° 23' Cosicché in allora la Szabóite può ben riguardarsi quale membro triclinico del gruppo pirossenico assai prossimo alla stessa augite. Anche la Szabóite del Monte Calvario, come quella 1 Groth, Tabell. Uebersicht d. Min., pag. 102. — 378 — del Monte Arany, e V oligisto che 1’ accompagna sono prodotti 'di semplice sublimazione. Le condizioni alle quali si presenta sono affatto analoghe a quelle della Szabóite di Arany. In seguito a decomposizione i di lei cristalli diventano perfettamente tor- bidi, il colore rosso ruggine, che d’ altronde neanch1 esso è il colore originale, passa al giallo d’ oro, cioè al colore dell’ ossi- drato ferrico ; un processo affatto simile è presentato dalla cro- sta gialla che attornia i ciottoli di colore rosso sanguigno del diaspro. In tal caso i piccoli cristallini decomposti assomigliano ad esilissime festuche di paglia disseminate in mezzo all’ oligi- sto. Questi cristallini giallo dorati si mostrano soltanto alla su- perfìcie, mentre che nell’ interno della roccia, nelle piccole di lei cavità, si trovano solo i cristalli trasparenti di color ruggine. Nei campioni di roccia del Monte Calvario da me raccolti non rinviensi la pseudobrookite, cioè il secondo dei minerali del Monte Arany descritti dal prof. Koch. II. — Oligisto. L’ oligisto che si rinviene nelle connessure delle roccie di Monte Calvario presso Biancavilla, è dei più belli della sua specie. I suoi cristalli si distinguono non tanto per la grandezza loro (i più grandi cristalli tabulari non hanno oltre a 2 centimetri di diametro), quanto piuttosto pel perfetto sviluppo delle forme, il quale è raro nell’ oligisto vulcanico, e pel loro habitus multi- forme. Ed anche nelle nostre collezioni questa varietà di mine- rale è sin’ ora stata rarissima, e specialmente si può asserir ciò in punto a bei cristalli ; e perciò io li ritengo ben meritevoli di una descrizione dettagliata. Nei cristalli da me raccolti non si presentano facce nuove : osservai in essi le forme seguenti : (1011) (Olii) (0112) (0221) (0116) (2243) R, — R, — 7,R, — 2R, — VeR, 7» P 2, (1123) (1120) (2135) (6245) (0001) 2/s P 2, oo P 2, % R3, %R3, OR., Tutte le facce sono senz’ altro determinabili col sistema delle zone, senza ricorrere a misure o calcoli, fatta unica eccezione — 379 — per — y6 R (0116) che vedesi specialmente in alcuni dei cri- stalli gemini, di cui si. parlerà in seguito, sopra al — y2 R (0112), avvicinandosi con quest’ ultimo e causando l’ arrotondamento dello spigolo fra — Va R (0112) e oR (0001). Per conseguenza riesci difficile V ottenere dei riflessi sicuri. La media di 8 letture diede per l’angolo fra la base e — 7# R (0116): 14° 30'; per l’an- golo tra — Ve R (0116) e — Va R (0112): 23° 42'; gli angoli calcolati dell’ inclinazione di — Ve R (0116) a oR (0001) e ri- spettivamente a — Va R (0112) sono : 14° 42' 19" e 23° 32' 41". — R (Olii) è una faccia eh’ in genere è rarissima: venne osservata nei cristalli d’ oligisto dell’ Elba.1 Essa presentasi in un cristallo, come smussamento retto dello spigolo di y3P2(2243) con spigoli paralleli a diritta e a sinistra. Tutti i cristalli mostrano una parte delle facce incompleta- mente sviluppata e con cavità a tramoggia. E soprattutto ciò si osserva nella faccia del romboedro principale, più raramente poi anche in quella del prisma oo P2 e della base. Le facce di Va?2 (2243) sono sempre perfettamente piene e liscie ; quelle del prisma co P2 (1120) lo son quasi sempre. Sulle basi vedesi la striatura correre parallelamente agli spigoli formati dal con- troromboedro colla base. In nessuno dei cristalli esaminati rin- vengonsi le predette forme tutte assieme in combinazione. Esse formano, combinate in modo assai vario, tipi diversi di configu- razione ai quali tutti è comune la tendenza ad un raccorcia- mento di forma tabulare. Il tipo più frequente è il tabulare pronunciato, consistente per lo più in cristalli tabulari assai sottili colle faccie margi- nali R (1011) e 00 P2 (1120). Di regola, ma però assai subor- dinatamente, vi si collega anche — Va R (0112). Talvolta predo- mina il prisma, in maniera che su tutti gli angoli solidi appaiono gli spigoli verticali del prisma. Uno dei cristalli, pel sensibile sviluppo in larghezza del prisma col quale son combinati la base ed il romboedro principale (quest’ ultimo però piccolissimo), potè essere indicato come tipo prismatico. Parimente frequente è il tipo romboedrico, bellissimo e re- golarmente sviluppato. Predomina R (1011) ; co P2 (1120) forma 1 Hessenberg, Min. Mitth. Neue Folge 5 Heft., pag. 42. — 380 uno smussamente ristretto degli spigoli laterali ; la base è ri- dotta d’assai, e — 1/2 R (0112) si mostra subordinato. I cristalli sono spesse volte deformati per l’ estensione di due opposte facce del prisma e del romboedro. In alcuni cristalli compare lo scalenoedro yB R3 sotto aspetto di ristretto smussamento retto degli spigoli di combinazione di R con — Va R- Dal pronunziarsi delle facce piramidali 4/3 P2 (2243) contem- poraneamente ad un raccorciamento più o meno basico, formasi un tipo piramidale. In alcuni cristalli la base non presentasi che subordinata affatto ; i più sono costantemente di forma grossamente tabulare. Questi sono anche i più ricchi di facce. In altri cristalli si aggiungono eziandio — ye R (0116) e — 2R (0221). In alcuni cri- stalli di questo tipo trovasi anche lo scalenoedro 2/5 R3 (6245) come smussamento retto degli spigoli di combinazione di R (1011) con y3 P2 (2243). Le geminazioni sono straordinariamente frequenti in detti cri- stalli. Esse sono formate tanto secondo la legge osservata nei cristalli del Vesuvio, del Plaidterkopf nel territorio del Lago di Laach 1 ec., secondo la quale P asse di geminazione è la normale al protoprisma ; quanto secondo P altra legge : Asse di gemina- zione la normale ad R. La prima si presenta soltanto nei cri- stalli tabulari sottilissimi. La geminazione in allora è sempre accompagnata da una distorsione dei cristalli nella direzione dell’asse di geminazione e con ciò altresì di un asse cristallo- grafico secondario. Da questo prendono un aspetto lanceolato. Si può dire che nella base non è visibile nessuna linea di giunzione geminale, ma però la geminazione risulta chiara- mente da ciò che le facce opposte del R (1011), singolarmente allungate, non sono, parallele, come dovrebbero essere se si trat- tasse di un semplice cristallo, ma invece tutte e due fanno colla base, verso la quale sono inclinate amendue, ma con direzione opposta, un angolo di 57° 37' ( Kokscharow ). Però in altri cristalli scorgesi chiaramente anche una linea scorrente sopra oR e che va a finire alla punta della lancia : allora qui le due metà non si coprono esattamente. Una striatura a barba di penna che si di- parte dalla linea di giunzione fa ancor più risaltare quest’ ultima. 1 Vom Ha.th, Poggd., Ann., 128, 428. - 381 - L’ altra legge di geminazione riscontrasi in quasi tutti i cri- stalli, tanto in quelli a forma tabulare, quanto in modo specia- lissimo in quelli in cui predominano facce piramidali. Le geminazioni soggette a questa legge vennero più volte descritte, ma però in genere rimasero rare. Breithaupt 1 fu il primo che emise tal legge, coir annotazione che essa si presenta soltanto nei cristalli tabulari. Dopo di lui la descrissero ed il- lustrarono con figure : Kengott 2 per 1’ oligisto del San Gottardo, vom Rath 3 per un oligisto vulcanico di Stromboli, le di cui forme pare assomigliassero assai ai cristalli di Biancavilla, Hessenberg 4 per le ordinarie combinazioni dell’ Elba. Groth 5 descrive un cri- stallo tabulare d’ oligisto di Salm Chàteau nel Belgio, apparte- nente alla collezione mineralogica dell’ Università di Strasburgo, nel quale sono interpolate molte lamine geminate secondo R (10 fi). Tuttavia il tipo delle geminazioni di Biancavilla è affatto speciale. Le ordinarie geminazioni secondo questa legge sono qui pure conformate in guisa che su di un cristallo tabulare sono piantati parecchi e talvolta molti cristalli più piccoli, in maniera che essi hanno in comune coll’ individuo principale una faccia di R (1011). Le basi dei piccoli individui formano colla base dell’individuo maggiore su cui son piantati un angolo di 64° 45' 52". I piccoli cristalli sono disposti in fila l’ un dietro T altro, ed in tal modo hanno allora origine tre sistemi di tali file i quali si incrociano fra loro. Parimenti sui cristalli del tipo tabu- lare si veggono piantati parecchi individui geminati secondo le facce alterne di R (10 II). Però in allora nei cristalli di questo tipo si rinvengono altresì geminazioni costituite da soli due indi- vidui di eguale grandezza, affatto simili a quelli dell’isola d’Elba disegnati da Hessemberg. In quest’ ultimi si osserva altresì una singolare estensione dei cristalli parallelamente al piano di gemi- nazione : in questo caso sono specialmente le facce del — - 1/2 R (0112), quelle del — -1/ 6 R (0116) arrotondato e che di quando in quando presentasi, e la faccia di base che si mostrano estese in lun- 1 Handbuch d. Min., Bd. Ili, pag. 809. * TJébers. Min. Forsch., 1862-65, pag. 234. * Vom Rath., 1. c., pag. 430. 4 Mitth. Neue Folge., 6, pag. 52. * Die Mineraliensammlung der Univ ., pag. 75. Strasburg, 1878. - 382 - ghezza. In tal caso i due individui congeniti sono perfettamente di eguale grandezza, e la geminazione vista lateralmente ha la forma di coda di rondine. Le facce del — 72R (0112) farebbero al disopra del contatto di geminazione dei due individui un angolo saliente assai ottuso di 11° 44' 38", all’ incontro i due — 7« R (10ì6) for- merebbero un angolo rientrante di 15° 45' 28". Le piccole facce di R (1011) a destra e sinistra del contatto di geminazione for- mano un angolo di 8° ; i prismi giacciono in un piano ed i loro spigoli orizzontali s’ intersecano sotto un angolo di 64° 45' 52". Le facce delle piramidi 7s P 2 (2243) che s’incontrano al contatto di geminazione fanno tra loro un angolo di 29° 52' 52". Geminazioni aventi questa* forma a coda di rondine si riuni- scono in gruppi assai vaghi ed in guisa che le une sono pian- tate dentro le altre, nella direzione del prolungamento dell’asse di geminazione, mediante gli angoli ottusi delle basi. Si riconosce che tutte le singole geminazioni sono sviluppate come prette ge- minazioni per incrociamento, senonchè le parti posteriormente sporgenti hanno piccolissimo sviluppo. In questi aggruppamenti di geminazioni si può distinguere assai bene la giacitura delle facce dei diversi individui, lu giacitura parallela stanno tutte quante le facce esterne di R (1011) disposte a destra e sinistra del piano di contatto di geminazione : esse sono al tempo stesso prospicienti : altrettanto dicasi delle facce prismatiche e pi- ramidali. II. La scoperia del minerale di stagno in Italia , e sua rela- zione colla lavorazione del bronzo presso gli antichi. 1 — Nota di A. H. Church. (Traduzione dall’ Iron di Londra, 1879, N. 343.) Sul principio del 1875 nel proseguire alcune escavazioni per ematite, nelle vicinanze di Campiglia Marittima, alcuni massi di 1 Relazioni di questa scoperta furono comunicate allaR. Accademia de’ Lincei in due Note di F. Blanchard, lette il 6 febbraio 1876 e 2 giugno 1878 da Q. Sella, e riprodotte in sunto nel nostro Bollettino 1876, n. 1 e 2, e 1878, n. 9 e 10. - 383 - un minerale pesante, bruno-grigio, attrassero 1’ attenzione del- P assistente ai lavori, il quale pose a parte un pezzo della pietra a cagione del suo peso non comune. Il signor Blanchard, inge- gnere delle miniere, che visitava frequentemente quelle esca- vazioni, presa conoscenza di alcuni frammenti del minerale, li spedì a Londra, dove nell’ ottobre 1875 furono trovati essere di cassiterite, con piccola quantità di carbonato di calce e se- squiossido di ferro. Le due seguenti furono le prime analisi fatte di questo minerale : 1 Biossido di stagno . Sesquiossido di ferro Carbonato di calce . Piombo e bismuto. . Non valutate .... 100,00 100,00 Stagno metallico ...... 72,52 » 59,15 » Campiglia Marittima è una piccola città di circa 7000 abi- tanti, compresi i suoi dintorni, situata a quattro miglia dalla costa della Toscana, e a trentacinque miglia a nord-est di Li- vorno. Il distretto Campigliese, in parte montuoso ed in parte piano, merita di essere conosciuto dal minatore per la notevole attività spiegata dagli antichi in escavazioni e tentativi di ri- cerche di miniere; questa infatti è stata principalmente la causa che fece recentemente risorgere P industria mineraria in questa regione. Fu in uno degli antichi scavi fatti dagli Etruschi o dai Ro- mani a due miglia di distanza a sud-ovest di Campiglia, che fu fatta la scoperta della cassiterite. L’ antica miniera, ora cono- sciuta sotto il nome di Cento Camerelle, consiste di un numero di piccoli scavi collegati da altrettante gallerie tagliate nel- 1’ ematite e nel calcare nei fianchi della collina, detta Monte Fumacchio. La infiltrazione di acque calcaree durante più di duemila anni ha depositato una crosta stalagmitica di 5 a 6 Essiccati a 100° c. I ii "2,40 •/. 75,18% 05 CO 4,00 » 3,34 » 19,64 » — tracce 0,77 » 1,18 » 1 Analisi del dott. G. Rosenthal. - 384 - pollici di spessore sopra i mari delle vecchie gallerie, che furono probabilmente abbandonate prima, o all’ epoca della distruzione di Populonia (etrusca città vicina) fatta da Scilla, durante le proscrizioni. Nel medio evo e nelle epoche successive, sembra che gli scavi fossero poco o nulla continuati nel Campigliese, benché proseguissero, attivamente nel vicino Massetano; cosicché le Cento Camerelle rimasero non più disturbate sino ai tempi affatto recenti. Nel 1858 il signor Blanchard che dimorava nelle vicinanze quale direttore ed ingegnere della miniera di rame del Temperino, 1 visitò V antica miniera in compagnia del signor Simonin, e la trovò abitata da legioni di pipistrelli, donde si era accumulato un considerevole deposito di guano sufficiente, essi pensavano, a formar oggetto di un’utile speculazione.2 La storia moderna della miniera comincia da questa data; nel 1872 il si- gnor diario n cominciò gli scavi per ematite, rimuovendo le con- crezioni calcaree che si erano formate sopra le vene. Nel 1873 essa venne nelle mani dei suoi attuali proprietarii e fu lavorata per minerale di ferro. La vena di cassiterite fu scoperta a circa 15 metri a po- nente delle antiche lavorazioni, la sua direzione era dapprima quasi da est a ovest. Essa variò grandemente in dimensione e direzione, essendo talora da 5 a 7 metri di larghezza, e di quando in quando restrigendosi a pochi centimetri. Qualche volta la cassiterite era completamente sostituita dall’ ematite, colla quale essa era associata. Il calcare circostante appartiene al Lias inferiore. Col procedere dell’ escavazione si trovò che la cassi- terite veniva dal letto orizzontale di minerale, in cui furono scavate le Cento Camerelle sui bordi esterni del quale si mostrava in tasche irregolari e fenditure nel calcare. Si fece così palese che gli antichi lavori dovevano esser stati fatti per V estrazione della cassiterite, e quando seguendo le fenditure queste erano raggiunte, vi si trovò nel rimuovere le concrezioni dai muri 1 Questa miniera è notevole per le grandi escavazioni etrusche, fatte per rame o zinco in un largo dicco di Amfibolo ed Ilvaite, traversata da due vene di pirite cuprifera. Le escavazioni consistono in pozzi e alte camere sotterranee con angusti passaggi, e sopra di esse una specie di galleria da lavoro aperta ai due estremi detta La gran miniera. 2 Sur la découverte de la Cassiterite (Canapiglia Marittima). Rendiconti della R. Accademia de’ Lincei, voi. Ili, 2a serie. Roma, 1876. - 385 - della vena, più o meno abbondanti tracce di quel minerale. Il Monte Fumacchio, in cui furono praticate . queste escavazioni è per sè stesso un oggetto di molto interesse geologico. Esso prende il suo nome da vapori che si possono vedere durante i mesi d’ inverno, uscire da fenditure nel calcare. Questo fenomeno si osserva in altre colline del Campigliese specialmente in una località a circa due miglia a ovest del villaggio di Suvereto, detta Buca del Fico, dove è ora una grotta con un’ atmosfera umida e calda, causata evidentemente da un corso sotterraneo di acque calde attraverso la montagna?. Da alcune fenditure del Monte Fumacchio entro la montagna, spira una forte corrente d’ aria che può essere causata dal passaggio di un corpo d’acqua interno. Comunque ciò sia, è certo che a circa un miglio a sud alle Caldane scaturiscono acque calde provenienti da nord. Quivi sono dei bagni caldi che erano frequentati ai tempi dei Romani, ma che ora sono andati in disuso. Un simile nesso sotterraneo fra le sorgenti termali si suppone esistere a Monte Rotondo, colla regione dell’acido borico, distante dal Campigliese circa 25 miglia. Il minerale di stagno estratto dalla miniera di Cento Came- relle, conteneva una quantità considerevole di perossido di ferro, che costituiva infatti la ganga principale del filone. L’ aspetto dei più ricchi campioni di minerale ottenuti, era grigio con solo un leggero lustro metallico ; i cristalli sono molto piccoli e delle forme più comunemente osservate, prismi dimetrici con sommità ottaedrica. Questa è la prima scoperta di cassiterite in Italia, se se ne eccettuino i piccoli e rari cristalli geminati,1 che furono trovati associati col berillo e colla lepidolite nel granito torma- linifero dell’ Elba. Più prossimo al mare che a Monte Fumac- chio, in continuazione della stessa lin^ di colline, si eleva con minor pendio Monte Valerio fra la strada e i boschetti di olivi che giacciono a sud e a sud-est della sua base. Giù da questo pendio della collina scorre un canale, e la roccia vi è denudata. Il calcare è cosparso di roccia scistosa : sui pendìi verso sud vi è una considerevole altezza di argilla alluvionale. Frammenti di roccia si trovano alla superficie più o meno logorati dall’ acqua, 1 Bombicci, Corso di Mineralogia. Torino, 1876. 26 - 386 - ed altri si incontrano racchiusi nell’ argilla. Yi sono considerevoli vene di ematite nel calcare in prossimità della base della collina da questo lato, specialmente in un posto ove i Romani o gli Etruschi fecero considerevoli scavi, e che è conosciuto col nome di Cava Vecchia, dove furono trovati antichi picconi e lampade di rame e bronzo. Moderni scavatori seguendo le tracce di questi primi minatori hanno estratto considerevole quantità di ferro da queste vene, ed estesero le lavorazioni nel luogo da lungo tempo ab- bandonato da essi. I lavori antichi sono più rozzi che alle Cento Camerelle e non presentono gallerie o camere, ma semplicemente consistono in uno scavo in pendio che segue l’andamento del filone, e fatto evidentemente per 1’ estrazione dell’ ematite. Vi sono parecchie miniere antiche con tale carattere nelle vicinanze di Monte Rombolo in una catena di colline parecchie miglia al nord, ora solo frequentate dalle capre e dai pipistrelli. Nelle escavazioni fatte in vicinanza della Cava Vecchia, e talora anche nella miniera stessa e nelle naturali cavità del cal- care, si accumula del gaz acido carbonico in quantità sufficiente a spegnere le lampade dei lavoratori. In recenti esplorazioni alla Cava Vecchia furono trovati nel- 1’ argilla dei pezzi di roccia disaggregata, e fra questi alla pro- fondità di 30 o 40 piedi s’ incontrarono dei pezzi di cassiterite durante la primavera del 1876. Essi erano differenti in appa- renza da quelli delle Cento Camerelle ; di color rosso simili ad ematite, ma contenenti 40 a 50 °/0 di stagno. Esaminando accu- ratamente i pendìi della collina sopra la miniera, non si potè scoprire alcuna vena di minerale per dar ragione dei massi di- sgregati sparsi al di sotto, ma nel campo a sinistra del canale si scoprirono frammenti di minerale di stagno molto simili in apparenza alla roccia scistosa più copiosamente sparsa all in- torno, ma che non conteneva cassiterite. Nella Cava Vecchia i frammenti di cassiterite che furono frequentemente trovati disse- minati nell’argilla, contenevano 61 % di stagno, ma non forni- vano per la loro posizione indizio a scoprire 1’ origine dei fram- menti di minerale di stagno. Uno o due piccoli pozzi, tentativi di ricerca, si trovarono nella vicina macchia riferibili probabil- mente agli antichi. Continuando l’ esplorazione nelle vicinanze fu fatto un esame — 387 — all’ est del Monte Fumacchio nel posto detto la Cavina, dove una piccola vena di ematite era stata messa allo scoperto nel 1875 ed abbandonata per la sua minore importanza. Un poco sopra questa piccola escavazione, il caporale di ser- vizio osservò il principio di una lavorazione antica situata nella stessa vena, i muri esterni della quale portavano tracce di cas- siterite. Il lavoro qui consistè dapprima nella rimozione del cal- care contenente solo tracce di minerale di stagno, finché la gal- leria raggiunse un’ apertura nella roccia, le cui pareti erano coperte da concrezioni calcaree. In questa si trovò qualche quan- tità di una terra rosso-chiara amorfa, contenente dell’ arseniato di ferro associato con cassiteli te. Accompagnavano la cassiterite rame, bismuto e piombo in piccola quantità come alle Cento Ca- merelle. Questo minerale rosso ha la composizione seguente : 1 Essiccato a 100° C. Biossido di stagno 13, 85 °/0 Kame, bismuto e piombo .... 0, 28 » Acido arsenico 20, 10 » Silice 6, 86 » Calce 10, 65 » Sesquiossido di ferro ed allumina. 43, 61 » Acqua di combinazione 5, 68 » 101,03 Stagno metallico 10, 89 °/0. Nel 1877 furono estratte da questa vena circa 63 tonnellate di minerale di stagno ; alle Cento Canterelle, minerale di miglior qualità, ne fu estratta una quantità di 21 tonnellate. Nel principio del 1878 fu aperta una nuova miniera di sta- gno tre miglia a nord, ed in un’ altra catena di colline situate al piede di Monte Rombolo, già prima menzionato. Questa loca- lità è nota col nome di Botro ai Marmi, dall’ antica cava etrusca ora pochissimo lavorata.2 Affatto vicino ad essa si presentano numerose vene di ematite che attraversano il calcare saccaroide. Sul fianco di Monte Calvi le antiche miniere sono numerosissime ed ampie, alcune probabilmente essendo ancora inesplorate dai 1 Analizzato dall’ Autore. 2 Dicesi che questa cava abbia fornito il marmo per la cattedrale di Firenze. - 388 — moderni, ed altre esaurite dai primitivi lavoratori. Profondi pozzi eseguiti con molta cura s’ incontrano talvolta nei boschi che co- prono i fianchi montuosi, altri, come la Buca del Colombo e la Buca del Serpente, penetrano verticalmente nella sommità della collina. È notevole in questi due casi, che niun frammento di minerale di alcuna specie fu osservato alla bocca del pozzo, co- sicché probabilmente in tutti vi erano gallerie o passaggi con- ducenti all’ esterno in qualche luogo nei fianchi della collina. Fra le vene di ematite al Botro dei Marmi fu osservato un mi- nerale pesante, amorfo di color bruno-chiaro, due campioni dei quali diedero all’ analisi : 1 Essiccato a 100° C. i li Biossido di stagno .... 3,25% 2, 17% Ossido di piombo 39, 12 » 7, 99 » Ossido di zinco 0, 35 » 1, 41 » Sesquiossido di ferro . . . 1, 71 » 6, 43 » Allumina . . 0, 34 » 4, 92 ». Protossido di manganese . — 0, 37 » Calce 20, 92 » 30, 28 » Acido carbonico (trovato). 16, 44 » 23, 77 » Magnesia 0, 58 » 4, 12 » Acido arsenico. ...... 14, 54 » 3, 98 » combinato con PbO. Silice 0, 16 » 10, 33 » Acqua combinata 0, 60 » 2, 37 » Acido fosforico 0, 15 » 1, 42 » Solfo — 0, 28 » Cloro 1, 41 » 0, 37 » sostituisce T ossigeno. 99, 67 100,08 Questo minerale differisce nella composizione da quello di Monte Fumacchio, stantechè P arseniato di piombo rimpiazza P arseniato di ferro nella ganga. La cassiterite stessa è di color verde grigio e di elevato peso specifico. Questo filone aveva nel 1878 una direzione nord e sud con un’ inclinazione di 40° a 54° verso ovest. ‘Iln0! analizzato dall’Autore, il n° II da W. E. Dawson. - 389 - A ponente vi è un tratto di terreno a livello coperto di ce- spugli, chiamato il Campo alle Buche per il numero dei fossi e pozzi ivi scavati dagli antichi. La vigoria con cui erano con- dotte queste escavazioni da quei primi lavoratori, senza polvere, senza dinamite e senza la forza del vapore è veramente note- vole ; quei resti abbondanti della loro industria darebbero a di- vedere che i filoni minerali di questa regione rendevano loro un prodotto metallifero di grande valore. I pozzi al Campo alle Buche hanno talora la profondità di 40 a 50 piedi, qualcuno credo sia più profondo, in essi si trovarono tracce di piombo e di rame, furono evidentemente abbandonati come non rimune- rativi. Le seguenti analisi rappresentano la composizione dei mine- rali delle varie provenienze enumerate. I. — Balìe Cento Canterelle . I II IH IV Biossido di stagno. . Sesquiossido di ferro Ossido di manganese Silice Carbonato di calce . Non valutato . 25,90% . 20,15 » . tracce ' 1 53, f 5 » tracce 23,34% tracce 8,43» 68,23 » 71,00% 53,50% 100 100 Stagno metallico. . . . . 20,37 » tracce 55,85 » 42,08 » IL — Ba Monte Valerio . V VI VII Vili IX X XI Biossido di stagno. . Sesquiossido di ferro Allumina Silice Non valutato . 59,80 6,18 . 2,13 . 3,35 . 30,50 . 4,22 22,2 43,61 49,96 67,97 59,34% 100 Stagno metallico. . . . 47,03 ,86 17,3 34,30 39,31 53,45 49,67 » — 390 — XII. — Monte Fumacchio (< Gavina e Cento Cameréllé). Minerale grezzo. Bismuto Acido arsenico .... Acido fosforico .... Sesquiossido di ferro allumina Calce Acqua combinata e umi- dità Silice Acido carbonico ec., non XVI Biossido di stagno. 24,83 7, Sesquioss. di ferro. 4,23 * Protoss. di mangan. 0,22 » Ossido di rame. • • ) _ Ossido di piombo . ) Ossido di bismuto. — Acido arsenico ... — Calce 38,13 > Magnesia non Acido carbonico . . 29,96 » Acqua combinata . non yalut. Residuo della siliceo combust. insolubile 1,56 Non valutato .... 1,29 » Stagno metallico, 100 19,53 > XII XIII XIV XV 0,64 % 10,04 7. 64,487. 88,39 70 — tracce — — tracce — tracce tracce — tracce — — 12,16 » 7,91 » 7,73 » 4,24 » 48,20 » 42,72 » 6,12 » 2,19 > 0,66 » 0,52 » 1,67 ■» 0,73 » 0,22 » — — — “ 1,47 * 2,27 » 1,16 » 0,51 » 0,85 » 2,12 » 8,72 » 2,98 > 35,80 » 34,42 » 10,12 » 0,96 » 100 100 100 100 0,50 7. 7,90 7. 50,727, 69,53 7. IV.— La ; Gavina. XVII XVIII XIX XX 0 11,92 7. 62,73 7o 6,93 7. 9,347. 16,61 » 9,58 » 25,31 » 23,70 » 0,97 » 0,22 » V 0,97 » 0,28 » — 0,47 » ) 0,99 » 0,05 » 3,47 » 8,58 » 2,44 » • 21,95 » 10,77 » 25,58 » 16,69 » non yalut. 0,53 » 1,22 > 3,85 » > 17,24 » 7,59 » 18,20 » 13,10 » non yalut. 1,19 » 3,97 » 3,49 » » 28,07 » 4,14 > 7,09 » : 27,18 | Si02 = 25 Al2Oa = l * 4,21 » — A1203: = 0,98 » — 100 100,69 99,82 100,34 ► 9,37 » 49,34 » 5,45 » 7,34 » ,65 - 391 — V. — Minerale lavato ; Monte Fumacchio. XXI XXII XXIII Grossolano. Minuto. In polvere. Biossido di stagno . . • 73,32% 94,15% 96,98% Sesquiossido di ferro. . 8,71 » 2,66 » 1,00 » Calce 2,19 » 1,36 » Acido carbonico . . . . . 18,36 » 0,53 » 0,00 » 100,39 99,53* 99,34 Stagno metallico . . . • 57,67% 73,76% 76,38% VI. — Minerale di Monte Bombolo. XXIV XXV XXVI XXVII Biossido di stagno ( 7o 3,02% 0,60% — 7 / 0 Sesquiossido di ferro . . . 68,80 » 6,06 » 13,78 » 14,30 » Ossido di piombo 6,86 » 1,08 » 0,75 » 12,18 » Acido arsenico 5, » — 0,96 » 6,93 » Ossido di rame — 0,20 » 0,12 » 0,33 » Ossido di zinco — — 1,10 » — Silice 1,81 » 5,14 » 19,59 » 6,00 » Non valutato 7,19 » 4,58 » 21,98 » 16,07 » Calce 5,24 » ) Acido carbonico j 79,94 * 41,12 » 44,13 » Acqua combinata . 5,10 » non valut. non valut. non valut. 100 100 100 Le analisi sotto i numeri I, II, v , vi, VII sono del dottor G. Rosenthal ; quelle dei III, IV, Vili, XII al XIX dell’Autore; così pure i numeri XXI al XXIII; i nu- meri IX, X, XI, XX, XXIV, XXV, XXVI e XXVII sono di W. E. Dawson. Una duplicata determinazione del n. XVIII diede Fe203 = 9,61 MgO = 0,58, As2°5 = 3,48; Sn02 ■+■ residuo insolubile = 66,75 per cento. Il processo frequentemente usato da me nell’analisi di questi minerali (Che- mical News, 30 novembre 1877) consisteva nel sottoporre il residuo siliceo inso- lubile ad una corrente d’ idrogeno per due ore, allorché lo stagno diveniva so- lubile in acido diluito od in cloruro ferrico acido. Quando il minerale originale era così trattato, 1 acido arsenioso si sublimava frequentemente e si condensava in lucenti ottaedri trasparenti nella parte più fredda del tubo. Veniamo ora a considerare le probabili relazioni che questa scoperta ha con V antica manifattura del bronzo di questo paese. - 392 — Per far questo dovremo riportarci aP progresso comparativo delle arti metallurgiche, soggetto che peraltro è alquanto oscuro. Il signor Emilio Burnouf ha cercato di scoprire V origine della fabbrica del bronzo all’ est dell’ Asia, evidentemente per porla nelle vicinanze delle ben note località da cui presente- mente si estrae minerale di stagno.1 Egli attribuisce agli zingari, o meglio ai loro antichi progenitori, Y aver propagato la cono- scenza della fusione dei metalli per tutta 1 Europa e 1 Asia. Non è peraltro possibile che nel corso di quaranta secòli le lo- calità che erano un tempo famose per la loro ricchezza mine- rale, abbiano potuto essere abbandonate e dimenticate o lasciate come non remunerative ? Anche nei periodi storici ciò si è visto. L’ argento di Chalube, V oro di Pactolo, lo stagno di Lusitania e di Gallizia, il bronzo di Cipro e di Etruria,2 non sono ora più da gran t?mpo tenuti in conto. Non sembrerebbe quindi ne- cessario andar in cerca della manifattura originaria nel lontano Oriente quando i moderni archeologi pongono il luogo d’ origine della civiltà nell’ Asia occidentale. Il taglio della pietra, V inta- gliare nella roccia i sepolcri ed i templi, la costruzione di que- gli edifizi i resti dei quali formano la delizia e lo stupore degli antiquari, di certo coincide con una conoscenza superiore- delle arti della civilizzazione, e questa conoscenza dipende certamente dallo stato avanzato della metallurgia nei paesi a cui ci rife- riamo. Le tombe ed i templi di Licia scavati nella roccia, le antichità di Lidia e gli avanzi nelle valli dell’ Eufrate e del Tigri, rivelano una primitiva civilizzazione che può dimostrarsi aver esistito nel remoto Oriente. Noi crediamo che future ricei- che in questi distretti nell’ Asia minore ci faranno scoprire i resti di una primitiva industria metallurgica che sembra aver esistito un tempo presso questi luoghi. Sembra certo che l’età della pietra dominava ancora nel- P ovest dell’ Europa quando i Pelasgi 3 emigrando dall’ Arcipe- lago Greco verso ponente, fondarono le loro colonie sulle spiaggie 1 Banca e Malacca. 2 In Toscana però alcune delle antiche miniere di rame hanno dato un ricco prodotto, specialmente quella di Montecatini vicino all’antica Volterra. 8 I Ciclopi- (fonditori di metalli) del Peloponneso si dice fossero una tribù di schiatta pelasgica. - 393 - d’Italia, Francia e Spagna. Essi portarono seco la più perfetta conoscenza dell’ arte metallurgica, che alcuna nazione a quel tempo sembra aver posseduto. Essi avevano perfetta conoscenza dei metalli preziosi, argento e oro : il rame, il piombo ed il bronzo erano usati da loro famigliarmente.1 Era questa propria- mente P età del rame e del bronzo, e lo stagno quindi era evi- dentemente conosciuto benché di rado, o mai trovato nelle loro antiche sedi. Ai giorni nostri pochi sono in confronto gli oggetti di uso fatti con questo metallo, e ai tempi loro la stagnatura del ferro era probabilmente sconosciuta. I fabbri di metallo di Omero ne conoscevano 1’ uso, benché ciò fosse alquanto raro.2 Nell’ antico Egitto come nella Grecia di Omero, sembra che lo stagno fosse tenuto in qualche stima.3 Benché si sieno trovati esemplari di ferro 4 e di bronzo dell’ età di circa tremila anni, 1 Provato ad esuberanza dalle ricerche del dott. Schliemann a Micene, Tiro e Troia. 8 Sull’ autorità dell’illustre signore W. E. Gladstone. 8 Sul finire dell’anno 1875, una mummia che era stata portata dall’Egitto da lord Eustace Cecil, fu svolta sotto la direzione del sig. R. G. Soden Smith del South Kensington Museum. Oltre una striscia di metallo bianco non fu trovato nulla entro i lini del corpo imbalsamato. Questa striscia di metallo era aderente alla pece che stava sul petto in contatto colla carne, l’usuale posizione dell’ emblema dello scarabeo. Era priva d’ ogni ornamento o incisione, ma pre- sentava il contorno di uno scarabeo alato nella forma che avrebbe dovuto avere se la mummia fosse -stata di prima classe, un tale scarabeo essendo un emblema d’ immortalità presso gli Egiziani. L’ età della mummia deve riferirsi a non più tardi di 600 a 700 anni avanti Cristo. Era interessante lo accertare la natura del metallo di cui era composta la piccola lamina. Facendo un saggio qualitativo di un piccolo frammento, si provò che era stagno puro, non avendovi scoperto nè oro, nè argento. Poiché non si potè ottenere materiale suflìcente per una com- pleta analisi, fu fatta una esatta determinazione del peso specifico del campione. La cifra cosi ottenuta fu 7,379 a 16 gradi cent., un numero molto prossimo a quello dello stagno puro, cioè 7,29 a 7,373. Nel Museo Britannico, al Louvre e nel Museo Egiziano a Torino, vi sono diverse piccole lastre di metallo, che furono parimente trovate nello spogliare mummie egiziane. Dove esse sono marcate sono generalmente descritte, come « argento — piombo — metallo bianco » o metallo misto, e nel maggior numero dei casi sembra contengano stagno, se non lo sono interamente. Che gli antichi Egiziani avessero famigliari parecchi usi dello stagno come negli smalti o nei bronzi, era noto da lungo tempo ; ora sembrerebbe stabilito che essi conoscevano lo stagno nello stato chimicamente puro. La piastra di stagno pesava grammi 4,031 collo spessore di mm. 0,3; era larga 18 mm. e lunga 93 mm. (A. H. Church, Chemical News, 1877.) 4 Un pezzo di ferro fu trovato nella grande Piramide, ed un altro sotto la base di una Sfinge a Tebe. Layard ne trovò campioni a Nimrod, naturalmente quasi distrutti dalla ruggine. - 394 - essi non ci danno il bandolo dell’ origine della metallurgia, poi- ché i monumenti egiziani primitivi sono quelli di una razza che aveva ottenuto una considerevole esperienza nelle arti della ci- viltà (Dr. Birch). I resti lasciati dai Pelasgi dietro di loro in Italia sono rappresentati principalmente da muri di pietra tagliata rozzamente, che limitano il luogo un tempo occupato dalle loro città. Alcune delle più antiche miniere etrusche possono aver avuto origine al tempo loro. Comunque sia, è certo che gli Etru- schi venendo dopo di essi continuarono V opera da quelli comin- ciata e vi lavorarono con notevole diligenza durante i dieci secoli della loro vita nazionale. Dapprima probabilmente la prin- cipale arte metallurgica fra essi fu la manifattura del rame, quindi quella del bronzo, quando la loro perizia raggiunse il più alto grado, epoca che corrisponde al sorgere della loro vita po- litica. In questo periodo i bronzi etruschi e gli ornamenti in oro ed argento erano i più stimati in Europa. A questo succedette il trionfo dei Romani e la precedenza dell’ età del ferro, che segna la decadenza e lo estinguersi del potere politico e la ruina delle manifatture dell’ Etruria. ( Continua .) NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. A. Cossa. — Sul serpentino di Verrayes in Valle d’ Aosta. Roma, 1878. (Dalle Memorie della R. Accademia dei Lincei , voi. II). Questo lavoro analitico del signor A. Cossa ha per oggetto un serpentino nobile trovato in massi abbondantissimi dentro una fanghiglia morenica presso Verrayes allo sbocco della valle di Saint Barthélemy, sulla giacitura del quale mancano sin ora dati precisi: per induzione lo si può ritenere intercalato ai calcescisti o ai calcari cristallini della valle. Il diligentissimo lavoro del- B Autore comprende oltre la descrizione della roccia, la deter- minazione del di lei peso specifico (2,564 in media), 1’ osserva- zione ad occhio nudo di sezioni sottili, V analisi microscopica e - 395 - chimica della medesima. Questo serpentino risulterebbe composto principalmente di due minerali: serpentino e magnetite; que- st’ ultimo con due varietà di inclusioni di cui 1’ una è ritenuta dall’Autore enstatite od altro dei silicati magnesiaci ordinaria- mente associati al serpentino, 1’ altra peridoto. L’ analisi quan- titativa diede i risultati seguenti: i li Anidride silicica. . . . . . 40,90 40,86 » fosforica . . . . . tracce tracce Magnesia . . 41,31 41,37 Ossido ferroso . . 4,70 4,59 » cromico .... . . 0,02 0,03 » di nichelio. . . . . 0,08 0,09 » di calce .... . . 0,02 0,03 » di manganese . . . tracce tracce Acqua . . 13,40 13,08 100,43 100,05 Merita attenzione il fatto della assoluta mancanza dell’ allu- mina, il quale unitamente ai risultati dell’ analisi ottica che rivelano in quel serpentino la presenza di silicati magnesiaci non alluminosi, darebbe appoggio alla teoria della genesi dei serpentini, da minerali non alluminosi, o quanto meno poveri d’ allumina. Tale genesi del serpentino di Verrayes e dei ser- pentini di Corio e di Favaro coi quali l’ Autore confrontò chi- micamente il primo, sarebbe confermata anche da esperimenti da esso lui fatti, fondendo questo serpentino senz’ addizione di so- stanza alcuna ed ottenendo con ciò una massa costituita di pe- ridoto e d’ enstatite. Questo lavoro la cui importanza è evidente, sia dal lato ge- nerale scientifico, che in particolare per lo studio intimo del ma- teriale geologico italiano, è riccamente illustrato da figure co- lorate, rappresentanti le sezioni sottili della roccia ed i fenomeni osservati all’ analisi microscopica, le quali sono per nitidezza e per esecuzione distintissime. - 396 — S. M. De Rossi. — La Meteorologia endogena. Tomo I. — Milano, 1879. Con questo titolo V esimio e studiosissimo Autore del Bol- lettino del Vulcanismo italiano e di altri pregevoli lavori, ha dato alla luce un libro che, sia per la novità della materia, sia per la diligenza con cui furono raccolte e coordinate le osserva- zioni dei fenomeni tellurici, sia infine per la forma elegante ed amena, non può che riescire interessantissimo a quanti si occu- pano di queste ricerche. Gli studii dei fenomeni di origine endogena più o meno con- nessi col vulcanismo o separati dal medesimo, comparati con le ricerche minute nelle fasi giornaliere del vulcanismo, aprono T orizzonte della nuova scienza che egli chiama meteorologia endogena. Oggetto e scopo di questo lavoro è di dimostrare il risultato degli studii odierni in Italia intorno ai fenomeni endogeni, e di additare le norme ed i mezzi sperimentali per organizzare le osservazioni e gli osservatori speciali di tale nuova materia scientifica, inaugurando così un nuovo ramo di studii. Questo primo volume è diviso in due libri. Il primo si oc- cupa dell’ esame generale dei fenomeni endogeni prendendo per base il concetto della Endodinamica tellurica dello Stoppani ; ma mentre questo considera l’assieme dei fatti avvenuti in grande nei periodi geologici, 1’ Autore ne fa un esame particolareggiato e giornaliero. Egli divide in quattro specie i fenomeni endogeni, due delle quali spettano all’ ordine vulcanico, le altre due ne sono sepa- rate, quantunque in realtà i fenomeni vulcanici spieghino qualche azione sui non vulcanici, e questi alla loro volta sembrino aver parte nel vulcanismo. Queste specie sono: 1° Terremoti ed oscillazioni insensibili del suolo ; 2° Fenomeni eruttivi; 3° Circolazione sotterranea delle acque ; 4° Fenomeni elettrici e magnetici terrestri. Nei diversi capi di questo primo libro l’ Autore tesse la storia degli studii fatti dal 1873 al 1878: espone una serie di - 397 - osservazioni sui fenomeni magneto-elettrici, sulla variazione di livello nelle acque, sulla variazione di temperatura e di mine- ralizzazione nelle acque termo-minerali e dei gas eruttivi; sulla forma geologico-meteorologica dei fenomeni eruttivi e sismici di cui fanno parte i terremoti e le lente oscillazioni del suolo. Nel secondo libro prende a speciale esame il terremoto con- siderato isolatamente. Dopo avere esposto lo stato degli studii sismologici in Italia prima degli studii moderni, viene ad esporre le osservazioni e gli studii fatti negli ultimi tempi sul terremoto ; la relazione di esso colle fratture vulcaniche, verificata dai dati forniti dalle conosciute descrizioni di terremoti e dalle lesioni visibili ancora degli antichi monumenti, derivandone precetti ar- chitettonici da seguirsi nelle costruzioni in luoghi soggetti alle commozioni telluriche. Dà poscia alcuni saggi d’ analisi e di .carta sismica dei terremoti del 1873 e del 1874, nello scopo di esporre non solo il resultato degli odierni studii e delle leggi che se ne possono derivare, ma anche di svolgere il metodo da seguirsi nelle ricerche, fornendo a chi voglia dedicarsi ai medesimi studii gf insegnamenti opportuni per V osservazione dei fenomeni en- dogeni. Venendo per ultimo a discorrere delle diverse forme del ter- remoto, le esamina in relazione ai centri di radiazione e alla coincidenza dell’ ora ; espone le diverse forme di vibrazione si- smica, numerando e descrivendo la varietà degli scuotimenti non che le relazioni che passano tra le onde sismiche terrestri, ed i segni delle medesime nei pendoli sismografici. Questo volume, che sarà seguito da altro il quale sotto il titolo di Microsismologia tratterà degli studii sul terremoto che l’ Autore chiama microscopico, è corredato da diverse tavole fra cui due carte sismografiche, e una topografica delle fratture vul- caniche e dei crateri del Lazio, non che da molti quadri e pro- spetti con dati statistici di grande importanza. - 398 - G. Capellini. — Gli strati a Congerie e le marne compatte mioceniche dei dintorni d’ Ancona. — Roma 1879. (Dalle Memorie della B. Accademia dei Lincei , serie III, voi. 3°). . Ai molti studi già in addietro pubblicati dall’Autore sugli Strati a Congerie e loro equivalenti di varie località italiane ed estere ne aggiunge colla presente Memoria un altro rilevantis- simo, a fine di constatare principalmente che : la formazione ges- soso-solfifera del versante settentrionale ed orientale dell 5 Apen- nino, non solo rappresenta complessivamente la formazione gessosa terziaria superiore detta Toscana, ma che taluna delle arenarie e marne gessose superiori dei due versanti dell’ Apennino con- tengono eziandio i medesimi fossili . Premessa una succinta istoria delle precedenti scoperte e pubblicazioni dell’ Autore sugli Strati a Congerie, mercè le quali questo orizzonte geologico andò acquistando in Italia non minore importanza di quella raggiunta nella geologia dei terreni terzia- rii d’ Austria-Ungheria e del mezzogiorno della Russia, e dopo avere accennato allo sviluppo d’ esso orizzonte in Toscana, die risulta sempre più esteso per le nuove investigazioni dell’Au- tore stesso non per anco rese di pubblica ragione, passa questi a descrivere quella parte di versante orientale dell’ Apennino posta fra Ancona ed il Monte Conero, nella quale rinvenne strati che indubbiamente si riferiscono all’ orizzonte fossilifero a Con- gerie e piccoli Cardi della valle del Marmolaio in Toscana. La esposizione delle stratigrafiche condizioni di questa regione è illustrata da una sezione de’ terreni in direzione N.O. — S.E., vale a dire, parallela all’ Adriatico e prospettante questo mare. La formazione gessifera, ossia gli strati a Congerie (gessi o marne gessose, e da ultimo sopra queste le molasse con Cardi e Congerie) poggia sulle marne sarmatiane con fucoidi, le quali soprastanno alle marne compatte elveziane-langhiane. Le marne compatte corrispondono esattamente, non solo pei caratteri litolo- gici, ma eziandio per i rapporti stratigrafici e pei fossili, alle marne mioceniche di Jano, San Leo, Luminaso, Chiusa di Ca- salecchio, Paderno ec. nel Bolognese, alle analoghe del Pie- monte, alle molasse marnose mioceniche del Modenese e del - 399 - Reggiano, alle marne appellate Schlier dell’ Austria Superiore, e con esse, secondo 1’ Autore, potrebbero essere utilmente com- parate anche le marne di Wielicska, quelle di Odeasca e Yalein de Munte in Valachia, talune di Ungheria ed in parte almeno perfino le marne di Boom nel Belgio. Relativamente alle marne compatte in genere, V Autore cita un fatto notevole, degno della maggiore attenzione, cioè il miscuglio nelle medesime di specie fossili relativamente recenti e perfino attuali con tipi che si cre- derebbero cretacei. Riserbandosi egli a discutere a fondo in altra occasione le ragioni per le quali nel maggior numero dei casi ritenga impossibile separare dall’ Elveziano le marne compatte e molasse marnose langhiane, si limita ad accennare che tale difficoltà pratica, oltre che dai caratteri litologici, è avvalorata dalla concomitanza del Nautilus Aturi con la Lucina JDeìbosi. Quanto alle marne a fucoidi delle ripe d’ Ancona, 1’ Autore fa riflettere che per la loro giacitura sopra le marne compatte con fossili del miocene medio, ed inferiormente alla formazione gessoso-solfifera, non si possono ritenere eoceniche, ma tutt’ al più appartenenti all’ Elveziano superiore, o meglio ancora al Tor- toniano : accenna alla scoperta in esse di fossili decisamente sar- matiani, e segnala da ultimo all’ attenzione dei geologi e dei paleontologi la scoperta di alcuni avanzi di foca eh’ egli descrive ed illustra, raccolti nelle ripe del così detto Trave 1 le quali sono costituiti da marne compatte mioceniche ; avanzi che oltre ad accrescere la scarsa lista dei giacimenti di foche fossili, hanno pure grande importanza, perchè, per ora, sono i più antichi resti di questi animali scoperti in Italia , ed inoltre ci confermano che non tutte le marne compatte, inferiori alla formazione gessoso- solfifera nel versante delV Adriatico, sono così antiche come taluno avrebbe voluto farle ; ina che una parte di esse corrisponde per- fino alle sabbie verdi , porzione superiore delle sabbie nere del Belgio. L’ Autore, senza entrar per ora in maggiori indicazioni sulle marne compatte dei dintorni di Ancona, ne dà la lista dei fossili principali colle indicazioni delle diverse località speciali dalle quali provengono gli esemplari studiati. L’ Autore quindi dopo avere, riparlando della formazione ges- * Diga naturale che si protende in mare costituita dalle testate degli strati di molassa. - 400 - soso-solfifera anconitana, dichiarato eh essa non differisce dolici formazione gessoso-solfifera della Toscana, poiché non solo contiene i medesimi, fossili ma in gran parte corrispondono ancora i ca- ratteri litologici, e dopo alcune indicazioni sull’analogia delle rocce immediatamente soprastanti ai gessi e loro intercalate, e di quelle che terminano superiormente la formazione anzidetta colle corrispondenti di Toscana, passa alla ragionata descrizione dei diversi fossili eh’ egli vi ha raccolto, corredandola di bellis- sime tavole illustrative. Rimandando alla Memoria dell’Autore per la conoscenza dei dettagli descrittivi e di comparazione, ci limitiamo ad indicare i generi e le specie descritte, allo scopo altresì di porre in vista quelle specie e varietà affatto nuove, della scoperta delle quali spetta il merito all’ Autore medesimo. Molluschi fossili degli strati a Congerie di Monte Acuto e del Trave : Melanopsis ? sp. ( Melanopsis Bonellii, bismonda ?) , Bithynia rubens, Menke ; Gongeria simplex, Barb. ; G. amigda- loides , Dunker ; G. clavceformis, Krauss ; Cardimi Odessa, Bar- bot, ; C. Abichi, Hoernes ; G. Abichi, R. Hoernes, var. G. anco- neetanum, Cap. ; G . plicatum, Eichw. var.; G. Fuchsii, Gap.; G. Castellinense, Cap. ; G. Majeri, Hdrn. ; G. semiculcatum, Reuss ; C. Scarabellii, Cap. ; G. Fedrighinii, Cap. ; G. sp. aff. al G. pra- tenue, Mayer ;.C. edentulum, Desh. var., syn. G. Oriovacense? Neum., C. nova-rossicum var., Cap.; G. sp-. aff. Gourieffi, Desh., G. bollense ? Mayer; G. carinatum , Desh. var.; G. carinatum, Desh., var. major, Bayern ; G. carinatum, Desìi., var. elongatum, Cap. ; C. nova-rossicum, Barb. ; G. Spratti, Fuchs. ; G. laviuscu- lum , Cap. ; G. Faoluccii, Cap. Segue un prospetto comparativo dei detti fossili con la in- dicazione delle principali regioni nelle quali se ne incontrano le specie principali, il quale deve servire a farne meglio apprezzare i rapporti colle corrispondenti formazioni finora studiate in Europa. Finalmente l’Autore da quanto espose riguardo alle condi- zioni stratigrafiche e paleontologiche del terreno a Congerie dei dintorni d’ Ancona desume le seguenti conclusioni : Che l’esatta corrispondenza della formazione gessosa della Toscana con la formazione gessoso-solfifera delle Romagne e delle Marche resta ora accertata per la fauna malacologica comples- sivamente identica nelle due regioni ; - 401 - Che le differenze che si notano fra la fauna degli strati a Congerie dei dintorni di Castellina Marittima e quelle dello stesso piano dei dintorni d’ Ancona confermano il fatto che in quasi tutti i giacimenti riferibili a questo orizzonte geologico s1 incontrano alcune specie nuove ; Che tanto in Toscana che nelle Marche, per ora, si verifica che T insieme dei fossili, e soprattutto i piccoli Cardi a coste sottili, accennano alla parte inferiore degli strati a Congerie, ossia a quel sotto-piano che fu indicato col nome di Strati a Valenciennesia ; Che gli strati a Congerie italiani, di cui fanno parte i gia- cimenti di zolfo delle Romagne, delle Marche e della Sicilia, ed inoltre gessi saccaroidi di gran pregio, quali gli alabastri di Ca- stellina e Volterra, depositi di ligniti e petrolio, resine fossili, come T ambra polieroica di Sicilia e delle Romagne, collegandosi intimamente coi giacimenti di salgemma, di ligniti, calcedonio, succino ed altri materiali utili, tutti indubbiamente miocenici, sarebbe opportuno di non disgiungere troppo intimamente fra loro questi due gruppi tanto omogenei ; Che mentre V Autore sarebbe disposto ad ammettere nel Mes- siniano superiore (base del pliocene) gli strati superiori a Con- gerie, che non vennero sin’ ora trovati fra noi, troverebbe di tutta convenienza il ritenere come termine superiore dei nostri terreni miocenici la formazione gessoso-solfifera italiana, ossia i nostri strati a Congerie con piccoli Cardi, la quale pe’ suoi depositi d’ acqua salmastra (con Cardi degli Strati a Valencien- nesia) vi si presta agevolmente ; mentre che se tale limite fra pliocene e miocene si volesse stabilire inferiormente ad essi, si incontrerebbero difficoltà a precisarlo, in causa principalmente d’ altre rocce concordanti e collegate con essi strati e portanti i caratteri paleontologici miocenici : altro vantaggio immediato dell’ accettazione della proposta dell1 Autore sarebbe pur quello di poter così risparmiare di dover ricorrere alla equivoca distin- zione d’ un gruppo di strati mio-pliocenici o plio-miocenici. 27 - 402 - G. Capellini. — Balenottera fossile delle Colombaie presso Volterra. • — Roma, 1879. (Dalle Memorie della R. Accademia dei Lincei , serio III? voi. 3°). Una novella contribuzione allo studio delle balene fossili di Toscana, a cui già da tempo s’ è dedicato l1 Autore e dal quale attendiamo una completa monografia delle medesime, l’abbiamo intanto nella presente Memoria colla quale egli illustra gl’ in- completi avanzi di un misticeto eh’ era sepolto nelle più antiche marne plioceniche dei dintorni di Volterra, e che 1’ Autore, at- traversando come meglio ha potuto molti degli ostacoli frappo- stigli allo studio dei medesimi, non già da madre natura, ma da poco delicato sentire in fatto di scienza per parte di altre per- sone, ha potuto decifrare sino al punto da riconoscere in essi quelli di una balenottera spettante probabilmente al genere Ple- siocetus. A caratterizzare il terreno in cui vennero trovati, egli cita anche i più importanti fra i pochi fossili invertebrati incon- trativi simultaneamente, e’ cioè, il Pecten concitatus e 1’ Ostrea cochlear e segnatamente la varietà grande che fornì al Mayer il tipo della costui Ostrea Brocchii per l’ identico terreno del Pia- centino. Colse quest’ occasione 1’ Autore per accertarsi personal- mente del preciso sito di rinvenimento d’altri avanzi di balenottera volterrana, da lui già precedentemente illustrati 1 ed appartenenti alla specie Cetotherium Gortesii : egli trovò che i medesimi erano stati scavati in un podere fuori le mura della città di Volterra e ad una elevazione di circa 500 metri sul mare negli strati più recenti del pliocene volterrano. Noi uniamo i nostri ai voti espressi dall’ Autore nella chiusa della sua pregevole Memoria, che, cioè gli avanzi della balenot- tera delle Colombaie non restino più a lungo abbandonati in preda a mille cause di degradazione, e che le premurose cure dei signori Italo Chierici e Ottavio Ferrini (fattore della signora Maddalena Sermolli-Matteoni, proprietaria del podere ove si rinvenne il fos- sile) per salvare quelle ossa, abbiano almeno il compenso della ri- conoscenza da parte degli studiosi. 1 Capellini, Sulle balene fossili toscane. ( Atti della R. Accademia dei Lincei , serie 2a, tomo III. Roma, 1826.) - 403 — G. Capellini. — Breccia ossifera della Caverna di Santa Teresa nel lato orientale del Golfo di Spezia. — Bolo- gna, 1879. (Dàlie Memorie dell' Accademia di Bologna, serie III, tomo X). Questo lavoro è una estesa illustrazione di una importante scoperta geologica avvenuta nell’agosto 1876 in occasione dei lavori di fortificazione del Golfo di Spezia, i quali rivelarono l’ esistenza di una piccola caverna contenente della breccia ossi- fera ferruginosa a circa 47 metri sul livello del Mare Mediter- raneo ed a 140 metri di orizzontale distanza dal medesimo, entro ad un calcare cavernoso triasico formante il piccolo pro- montorio, detto Punta di Santa Teresa, situato fra San Terenzo e Pertusola. Ad una completa descrizione paleontologica (illu- strata, oltreché da numerose note storiche, bibliografiche e di osteologia comparata, da tre bellissime tavole litografiche), dei resti fossili che erano accumulati nell’ anzidetta caverna e nei quali predominano quasi esclusivamente quelli di Hippopotamus cmphibius, L. var., segue una dotta ed erudita notizia storica degli studi anteriori sugli Ippopotami viventi e fossili fino dal decimosesto secolo, delle più antiche tracce dell’ Ippopotamo in Italia e dei principali giacimenti ove se ne incontrano avanzi, fino all’ epoca della scomparsa di questo animale dal nostro paese. E uno studio comparativo fra i depositi di Santa Teresa e quelli di altre regioni italiane ed estere, dal quale risultano i rapporti tipici e cronologici fra i medesimi, ed al quale si collegano con- siderazioni d’ ordine superiore di climatologia geologica e di ar- cheologia preistorica. C. F. Parona. — Il pliocene delV Oltrepò Pavese. Osservazioni stratigrafiche e paleontologiche. — Milano, 1879. (Dagli Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, voi. XXI). Quella parte di provincia pavese che si trova sulla destra del Po, limitata ad Est dal torrente Bardonezza, ad Ovest dal torrente Curone, a Nord dalla Via Emilia e a Sud dalla valle - 404 - dell’ Ardivesta formò oggetto di accurato studio stratigrafico e paleontologico per parte del dottor Carlo Fabrizio Parona assi- stente al Museo di Geologia della K. Università di Pavia; la- voro speciale e dettagliato dal quale le nostre cognizioni sulla geologia dell’ Apennino ricevono notevole incremento, ed alcuni quesiti di cronologia stratigrafìca lume e soluzione. Dei nume- rosi precedenti lavori geologici intorno al terziario superiore apen- ninico l’Autore tenne stretto conto per coordinarvi i propri studi e per dedurre dal confronto loro coi risultati di quest’ ultimi l’affermazione de’ propri criterii e le vicende in genere dell’epoca pliocenica lungo P Apennino settentrionale di cui fa parte il territorio investigato dall’ Autore. Indicata la delimitazione della regione dove il pliocene è svi- luppato, l’Autore ne descrive le condizioni orografiche e geolo- giche, corredando questo capitolo di una mappa geologica ed idrografica alla scala di 1 a 50,000 e di tre profili o spaccati geologici; indica le cause di formazione dei bacini idrografici che tutti concorrono a quello del Po, ammettendo per la gene- ralità delle valli corrispondenti l’origine per erosione, subordi- natamente al modo di sollevamento dei terreni subapenninici, che può averne occasionato il primo incassamento. Alla valle dell’ Ardivesta attribuisce origine di spaccatura. Dalle valli sa- lendo ai monti, 1’ Autore divide questi ultimi in tre zone, ba- sandosi sulla differente loro altitudine ch’egli indica pei prin- cipali d’ ogni zona unitamente alla loro costituzione, passando quindi alla descrizione di opportuni profili da cui rilevasi l’or- dine di successione e l’importanza dei terreni costituenti la stu- diata-regione. Ne risulta che tre distinte formazioni caratterizzano il pliocenico della medesima, e cioè: una formazione marnosa alla quale è sottoposta una formazione conglomeratica che riposa su di una formazione gessosa; in qualche punto la prima formazione è direttamente adagiata su questa ultima, dal che trae argomento l’Autore per affermarsi nell’opinione che le due prime formazioni non si possono distinguere in due periodi, vale a dire che non si possano ritenere come costituenti due piani distinti, sema in- contrare ostacoli nei rapporti stratigrafici e di fauna. Quanto alla formazione gessifera 1’ Autore la considera limite fra il mio- cene ed il pliocene, ossia, per la generalità e costanza sua nella - 405 - catena apenninica come V orizzonte il più sicuro , fra gli altri del terziario medio e superiore, e però più adaito ad esserne il separatore. Circa poi alla pertinenza di essa formazione gessifera al miocene ovvero al pliocene, l’Autore, appoggiato a dati strati - grafici e paleontologici, si pronunzia pel secondo. Circa ai confini superiori del terreno pliocenico subapenninico dell’ Oltrepò Pa- vese, P Autore, premesso che dalie osservazioni paleontologiche risultò che il detto terreno appartiene al Messiniano superiore e medio, li riscontra nella formazione argillosa di San Colom- bano sulla sinistra del Po, la quale costituirebbe V unico lembo manifesto nella provincia di Pavia del piano Piacentino, espor- tato del resto dall ■ erosione padana, o coperto dal potente mantello delle alluvioni. Quanto poi ai banchi di sabbia che lungo le falde delle colline oltrepadane pavesi ricoprono il pliocene, l’Autore li ritiene appartenenti al 1° periodo glaciale per la relazione stretta che risulta evidente fra queste sabbie e quelle di San Colom- bano, ritenute, unitamente a quelle dell’Astigiano, rappresentanti, secondo P opinione di Stoppani e Taramelli, il terreno glaciale. L’ Autore riepiloga quindi in un esteso capitolo i fatti e con- clusioni cui giunsero i diversi autori che s’ occuparono del ter- ziario apenninico e specialmente del pliocenico lungo l’Apennino settentrionale, seguendo un ordine cronologico, dalle osservazioni del professor Sismonda agli studi del Foresti, del- Capellini, del- l’ Issel, ec. ec., concludendo coll’ esprimere il modo con cui esso Autore interpreterebbe ed associerebbe molti dei fatti dai mede- simi e da lui stesso rilevati. Le più salienti conclusioni sarebbero: Che sul finire dell’ epoca miocenica avvennero grandi feno- meni sismici che sconvolsero le formazioni terziarie apenniniche, durante i quali si formò probabilmente la grande spaccatura corrispondente presso a poco all’ asse della valle padana ; Che dopo un certo periodo continentale, effetto di perdu- rato movimento ascensionale, subentrarono continue oscillazioni che non impedirono che le formazioni plioceniche si depositassero concordanti nei loro piani stratigrafici ; Che primo effetto di un moto discendente fu la formazione delle argille gessifere, la cui fisionomia di deposito maremmano accenna ad un lido che lentamente si sommerge ; - 406 - Che continuando l’ abbassamento si depositarono le marne, i conglomerati e le sabbie, costituenti, colle argille gessifere sud- dette, il terreno Messiniano {medio e superiore ) al quale si de- vono riferire le formazioni plioceniche dell’ Oltrepò Pavese ; Che in un mare ancor più profondo si depositò sopra il Messiniano il terreno Piacentino, durante la formazione del quale i movimenti oscillatorii sarebbero rimasti sospesi per un tempo piuttosto lungo; Che dopo la formazione del Piacentino sarebbe avvenuto un sollevamento graduato e continuo, durante il quale sarebbesi depositata la serie Astiava, la quale man mano che s’avvicina all’ Apennino pavese decresce e qui s’ unifica colla formazione delle argille di San Colombano ; Che quest’ ultimo sollevamento finì coll’ esporre alla libera atmosfera gli attuali continenti ; cosicché colle formazioni del- V Astiano si chiuderebbe la serie delle sedimentazioni del plio- cene classico. A tali conclusioni l’Autore fa seguire un quadro comparativo delle formazioni plioceniche dell’ Apennino settentrionale, e con esso chiude la prima parte del suo lavoro, vale a dire, le osser- vazioni stratigrafiche. Nella seconda parte, osservazioni paleontologiche, l’Autore accenna ai principali depositi fossiliferi, sì nella zona dei con- glomerati che in quella superiore delle marne sabbiose, e quindi dà opportuni specchietti di confronto desunti da un maggior qua- dro comparativo col quale chiude l’ opera ed in cui è dimostrato il grado di diffusione delle specie fossili dell’ Apennino pavese nelle altre regioni dell’ Apennino settentrionale, 1’ Autore ritrae gli argomenti paleontologici, sia per confermare le proprie de- duzioni stratigrafiche, in base alle quali egli assegnò tanto i conglomerati che le marne sabbiose al Messiniano superiore, quanto per escludere 1’ associazione del Piacentino ad 'essi depositi. Un elenco di 150 specie fossili, nel quale fra le molte utili indicazioni è pur citato per ogni specie, l’Autore che dà la figura meglio corrispondente all’esemplare sulla fauna del versante set- tentrionale apenninico nei quali la stessa specie è rappresentata, chiude questa seconda ed ultima parte di lavoro unitamente al già menzionato quadro sinottico comparativo. - 407 - G. Meneghini e A. D’ Achiardi. — Nuovi fossili atonici di Monte Primo e del Sanvicino nell’ Apennino centrale. — Pisa, 1879. (Dagli Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. IV, fase. I.) Questo nuovo contributo dei due geologi toscani alla fauna titonica dell’ Apennino centrale comprende la dettagliata descri- zione di cinque specie novelle della famiglia dei cefalopodi pre- sentate dal professor Meneghini, e di una nuova specie di co- rallario esibita dal professor D’ Achiardi. Una bellissima tavola litografica illustra la descrizione. Le anzidette cinque specie sono : la Pìiylloceras Canavarii Mgh. ; esemplari raccolti dal si- gnor Canavari e dall’ abate Ludovici. Pei caratteri esteriori avrebbe molta somiglianza col Phylloceras heterophylloides Opp., ed anche per le proporzioni col Pii. Manfredi, Opp., ma appar- terebbe evidentemente alla serie del Ph. tatricum Pusch. , e non a quella del Pii. Capitanei Cat., alla quale spettano quelle due specie. Nella stessa serie per altro del Ph. tatricum sarebbe notevole, quale specie comparativamente recente, per la poca composizione della sella laterale. Le dimensioni dei tre esemplari raccolti sarebbero ; Diametro 59mm 62mm 84mm Altezza dell’ ultimo giro . . 0,56 0,59 0,60 Spessore massimo ...... 0,34 0,35 0,35 Larghezza dell’ ombellico . . 0,10 0,09 0,06 2a Simoceras Ludovicii Mgh., esemplari rinvenuti dai si- gnori Canavari e Ludovici. Avrebbe delle somiglianze col Sim. Favarense Gemm., e costituirebbe nella serie del Sim. Agrigen- tinum Gemm. un settimo termine e quasi un passaggio al tipo del Sim. Venetianum Zitt. Dimensioni dell’ esemplare raccolto dall’ abate Ludovici : Diametro 145mm Altezza dell’ ultimo giro 0,26 Spessore massimo dello stesso. ... 0,19 Larghezza dell’ ombellico 0,55 — 408 - 3a Aspidoceras Montisprimi Canav., esemplare raccolto dallo stesso signor Canavari. Avrebbe dei caratteri comuni con V Aspidoceras Avellanum Zitt. ed Aspidoceras insulanum Gemm., della serie dé\V Aspidoceras liparum Opp. Ma mentr’ essa sarebbe eminentemente distinta dalla prima per 1’ ampiezza dell’ ombel- ico, pel gran numero e per la direzione dei tubercoli spinosi, dovrebbesi riguardare come distinta anche dall’ Asp. insulanum da cui principalmente differirebbe per il contorno ombelicale rotondato anziché angoloso ed acuto, oltre agli ornamenti este- riori del guscio, eh’ è tutt’ ora ignoto nella specie siciliana. Di- mensioni : Diametro 101mm Altezza dell’ ultimo giro 0,45 Massimo spessore 0,60 Larghezza dell’ ombelico 0,28 4a BliynchoteutJiis titonica, Mgh. Esemplari raccolti dal si- gnor Canavari. Questa specie non avrebbe somiglianza alcuna colla Eli. tennis Neum., e somiglierebbe alle Eh. minuta Neum. solo in quanto all’ angolo del pinnacolo col capuccio, e per le proporzioni delle due parti, ma con forme differenti; nè si po- trebbe ravvicinare ad alcuna delle forme del RhycJiolites acutus Quenst. Dimensioni di due esemplari: Lunghezza totale . gmm j rj mm Lunghezza del capuccio sulla linea mediana 4,5 10 Larghezza del capuccio fra le alette. 4,5 10 Larghezza del pinnacolo id 4,5 9 Spessore 2,5 6 5a Bhynchoteuthis denticulata, Canav. Tre esemplari rinve- nuti dallo stesso signor Canavari. Non avrebbe altra rassomi- glianza colla Bh. minuta Neum. che quella che si riferisce alle proporzioni fra capuccio e pinnacolo. Dimensioni dell’ esemplare più completo: Lunghezza totale 8m“ Lunghezza del capuccio nella linea me- diana 5 - 409 — Lunghezza del pinnacolo 3,5 Larghezza del capuccio 6 Larghezza del pinnacolo 4,5 Spessore 2,5 La nuova specie di corailario che al tempo stesso è il primo corallario titonico che si rinviene nell’ Apennino centrale fu de- nominata dal signor D’Achiardi. Trochocyathus Canavarii, D’Ach. Esemplare rinvenuto dal signor Canavari nel così detto marmo titonico di Monte Primo presso Camerino, assieme a molte ammoniti ed altri cefalopodi. Dei Trochocyathus conosciuti nessuno vi corrisponderebbe, differendo dal Tr. conulus Phill. sp. del gault per maggiori di- mensioni del polipaio, per la forma generale, per grande disu- guaglianza fra i setti dei cicli ec., differendo dal Tr. truncatus Zitt. del titoniano di Rogoznik nei Carpazii per maggiori dimensioni, per mancanza di affissione basilare, per ineguale estensione dei setti dei cicli ec. ec. e non assomigliando da ultimo a nessuno dei Trochocyathi giurassici. M. Canayapj. — Sui fossili del Lias inferiore nell’ Ajpennino Centrale. — Pisa, 1879. (Dagli Atti deVa Società Toscana di Scienze Naturali , voi. IV, fase. II.) La calcaria massiccia, raramente stratificata, a struttura cri- stallina e sovente oolitica o pisolitica, la quale sopporta gli strati a Terebratula Aspasia (Lias medio) dell’ Apennino centrale, e for- merebbe gli assi di tutte le diverse ellissoidi di sollevamento in questa centrale catena, venne riferita da tutti i geologi che studiarono il detto Apennino centrale al lias inferiore. La scar- sezza dei fossili non permise sin ora di sincronizzare con sicu- rezza questo piano geologico ad altri conosciuti del lias infe- riore italiano ed oltrealpino, al che più che altro servirono i caratteri litologici. L’ Autore in una sua precedente Memoria 1 ebbe già a ricordare come, visitando P Apennino centrale, rin- 1 Cernii geologici sul Camerinese e particolarmente su di un lembo titonico nel monte Sanvicino. (Boll, del R. Com. geol. , n. 11 e 12. 1878.) 27* - 410 - venisse alcuni strati fossiliferi del lias inferiore : anzi in essa inserì la nota della fauna riscontratavi. Nella presente Memoria egli ci offre una dettagliata descrizione comparata, illustrata da nitide figure litografiche, di tutte quelle specie d’ essa fauna che si poterono determinare, o che offono caratteri per poterle de- terminare, aggiungendo inoltre nel quadro sinottico, dimostrante il grado di diffusione delle specie nelle varie località della zona, tutte quelle specie determinate o meno, che prima di lui vi fu- rono raccolte e che si conservano nel Museo geologico di Pisa. Delle diciotto specie descritte in questa Memoria sette vi sono indicate come nuove e determinate, sei come indeterminate. Le prime sono : fra i Gasteropodi, Straparollus circumcostatus, n. sp. ; Emarginala Meneghiniana, n. sp. ; fra i Brachiopodi, Terehratula Eastachiana, n. sp.; Terébratula Midi, n. sp.; Bhyn- chonella suavis, n. sp. ; BJiynchonella, n. sp.?; fra gli Echino- dermi, Cidaris Icevis, n. sp. Specie non determinate sono: fra i Cefalopodi, 1 ArieMes ; fra i Gasteropodi, 3 Pleur otomarie ed 1 Solarium ; fra i Bra- chiopodi, 1 Terebratula. Dalle fatte comparazioni paleontologiche, dalle quali risul- tano per alcune specie moltissime analogie e per altre identità decisa con specie indubbiamente appartenenti al Lias inferiore ( Chemnitzia pseudotumida, De Stef., Phasianella morencyana , Piet, , Avicida lanus, Mgh.) l’Autore è condotto a concludere: Che si possa definitivamente stabilire che V orizzonte fossilifero della calcaria d’ apparenza dolomitica che forma nell9 .Apennino centrale gli assi di tutte le diverse ellissoidi di sollevamento ap- partiene al lias inferiore, e forse alla parte più antica; dacché, considerata dal lato litologico, detta calcaria avrebbe moltissime analogie con il calcare ceroide del Monte Pisano e di altre lo- calità della Toscana ; ed anzi, stando sempre però, come V Au- tore s’ esprime, nel campo delle probabilità, essa troverebbe qual- che confronto con i calcari cristallini delle montagne di Casale e di Eellampo nella provincia di Palermo, dei quali il Gemmél- laro sta ora illustrando la fauna. - 411 - A. Issel. — Descrizione di due denti d’ elefante raccolti nella Liguria occidentale. (Appunti paleontologici. Genova, 1879.) Questa novella contribuzione dell’ Autore alla paleontologia italiana non è una semplice descrizione dei due fossili rinvenuti sulle rive del torrente Nervia in territorio di Camporosso presso Yentimiglia, sibbene uno studio rigorosamente comparativo per determinare la specie e varietà cui appartennero, la posizione loro anatomica, V età loro individuale e geologica, e perfino la storia della fauna di cui fecero parte. Dallo studio anzidetto risulterebbe che i denti di Camporosso hanno appartenuto al comune Elephas primigenia, o Mammuth, e che rappresentano due quintimolari, V uno di destra, V altro di sinistra, di un in- dividuo che dovea da poco avere passati 9 anni d’ età, appar- tenente con probabilità alla varietà minore , cioè a quella a la- mine dentali più serrate. Il terreno che racchiudeva queste reliquie sarebbe un antico deposito della Nervia, riferibile al periodo postglaciale ; avrebbero quindi appartenuto a quella fauna originaria dell’Asia settentrionale che verso la fine dell’ epoca quaternaria emigrava in Europa, portandosi principalmente verso il sud-ovest, ove sarebbesi incontrata con una fauna di tipo più meridionale, che già occupava il paese. E qui l’Autore si estende a citare tempi, luoghi e terreni in cui sin ora si rinvennero sul nostro globo avanzi fossili della stessa specie; ragiona sulle con- dizioni della costei esistenza, sulle cause di sua estinzione e sui limiti assegnabili alla diffusione territoriale della medesima, sì nell’ antico che nel nuovo continente. Accennando da ultimo alle numerose scoperte di Elephas primigenius , fatte in Italia, dalla prima fra Moncalieri e Carignano, dovuta al professor Gastaldi, a quelle più recenti del Botti in Terra d’ Otranto e del Rivière nelle caverne ossifere presso Mentone, 1’ Autore opina che detta specie sia penetrata in Italia, seguendo le sinuosità delle coste provenzali e liguri e varcando gli speroni poco elevati che se- parano T una dall’altra le vallate del littorale; ipotesi che ver- rebbe efficacemente appoggiata dalla scoperta fatta a Camporosso. — 412 — D. Lovisato. — Sulle Chinzigiti della Calabria. Roma, 1879. (Dalle Memorie della B. Accademia dei Lincei, Serie 3a, voi* III.) La Calabria settentrionale fu oggetto di studii parecchi da parte del professor Lovisato come appare dai resoconti già in addietro pubblicati in questo Bollettino, ed un lavoro di maggior mole sulla geologia di quel paese, è presentemente in corso di pubblicazione in questo stesso periodico. L’ Autore infrattanto ci porge colla presente Memoria delle informazioni importanti circa i giacimenti delle rocce a granati che tanto sviluppo hanno in Calabria. Esso fa notare come le rocce granitoidi di Calabria contenenti il granato sieno senza confronto più sviluppate sui versanti meridionali ed occidentali del colosso silano, che altrove, e tutte sui limiti dei depositi terziari: e mentre egli ascrive- rebbe il gneis ed il granito centrale agli antichissimi terreni cristallini, farebbe appartenere le roccie granitoidi e quelle in- cludenti granati ai terreni cristallini più recenti. La più svilup- pata di queste rocce a granati massime nella Calabria Citeriore sarebbe quella composta di oligoclasio, granato e mica, che l’au- tore, adottando la denominazione proposta • dal Fischer per le rocce congeneri della Val di Kinzig nel Granducato di Baden, appella Chinzigiti : s’appoggiano al gneis centrale, alternano con dioriti e rocce affini, ed accennano a passare al gneis ed anche al micascisto. L’Autore descrive sei principali varietà di Chin- zigiti da lui osservate, indicando per ognuna la località ov’ è sviluppata, ed i caratteri degli elementi costituenti. Il granato predominante sarebbe 1’ almandino. L’ Autore chiude la sua Memoria con un catalogo ragionato dei principali minerali da lui raccolti nelle sue escursioni in Calabria: questi minerali sono: albite, amfibolo, amianto, anal- cimo, antracite, arsenio-pirite, asbesto, augite, azzurrite, baritina, blenda, calcite, calco-pirite, caolino e argille diverse, cinabro, clorite, crisotilo, diallaggio, diaspro, distene, epidoto, fluorite, galena, gesso ed argille bituminose e gessifere, grafite, granato, idocrasio, labradorite, lignite, limonile, magnetite, malachite, marcassite, marmi diversi, melanterite, menaccanite, mica, oligo- - 413 - clasio, opale e tripoli, ortoclasio, pinite, pinitoicle, pirite, piro- lusite, prehnite, quarzo, rame, salgemma, selce piromaca, seri- cite, serpentino, sillimanite, smaragdite, spinello (ricco di zinco e del quale venne pubblicata 1’ analisi nel fascicolo 1° e 2° del presente Bollettino ), talco, titanite, tormalina, zolfo. Di tutti questi minerali vengono date accurate indicazioni di località, per modo da concentrare in poche pagine molte pre- ziose indicazioni per chi volesse farne ricerca in quelle regioni. NOTIZIE DIVERSE. Gli Strati fossiliferi a Fosfato di calce della Carolina del Sud (Stati Uniti). — Fin dal 1868 il professor Holmes ed il dottor Pratt fecero conoscere V importanza economica ed in- dustriale di questi strati a fosforiti nodulose, assegnando ai me- desimi una vasta estensione nella Carolina del Sud ed una media potenza di 15 a 18 pollici. Più recentemente il professor Leidy in una sua Memoria: «Resti di Vertebrati degli Strati a fo- sfato della Carolina meridionale » comparsa nel Giornale del- l’Accademia di Scienze Naturali di Filadelfia (voi. Vili, parte III), porge le seguenti indicazioni sulla natura, sulla origine e sulla ricchezza fossilifera di tali strati, indicazioni che sono importanti a conoscersi. « Questi strati, conosciuti anche col nome di strati di Ashley a fosforiti della Carolina del Sud, sono composti di sabbie e di argille interpolate da masse porose, irregolari di una roccia più consolidata e ricca di fosfato di calce e di avanzi organici. » Secondo P opinione del professor Holmes questi strati ap- partengono al periodo post-pliocenico, in quanto soprastanno a degli strati essenzialmente pliocenici, i quali alla lor volta ri- cuoprono direttamente una formazione marnosa di età mio-eoce- nica, mentre poi il tutto è ricoperto dalle moderne alluvioni. » Le masse o concrezioni nodulose di roccia fosfatica com- prese negli strati di Ashley, sono irregolari di forma, variano nelle dimensioni da piccoli pezzi fino a masse del peso di — 414 — oltre 1000 libbre, contengono il 60 °/0, e più ancora, di fosfato di calce. Per di più includono numerose impronte e modelli di conchiglie delle stesse specie che si incontrano nelle sottostanti marne eoceniche o mioceniche, assieme ad una certa quantità di denti di pesci marini e di ossa di cetacei. » Questi noduli fosfatici sono perciò supposti esser derivati per rimaneggiamento dalla formazione marnosa sottostante. In- fatti queste masse nodulose, irregolari di forma e corrose alla superfìcie, hanno tutta V apparenza di esser state distaccate dal loro originario fondo di roccia marnosa, e quindi fluitate e ro- tolate dall’ azione ondosa per far parte di un successivo depo- sito marino, come lo provano la loro erosione e le traccie di numerose perforazioni prodotte da molluschi terebranti più re- centi, come Gastrochcena, Petricola, Pholas, ec. » In ordine al qual concetto si comprende come al tempo del depositarsi delle marne eoceniche o mioceniche abbiano potuto esistere in quelle spiaggie oceaniche delle superficiali e ravvici- nate plaghe marine, abitate da miriadi di amfìbi e di pesci, i quali possano aver forniti i materiali, che asportati dall’ oceano, e misti cogli avanzi decomposti degli animali del medesimo, ab- biano somministrati gli elementi necessari per la conversione della marna porosa in un composto fosfatico. » Ma oltre a questi noduli fosfatici, gli strati di Ashley con- tengono una notevole mistione di resti di animali marini e ter- restri, cioè, ossa, denti coproliti, conchiglie, ec. , che furono suc- cessivamente derivati dalle contigue formazioni di varia età, dal periodo terziario, fino a’ tempi comparativamente più recenti. » Fra gli avanzi di vertebrati prevalgono quelli di pesci e di cetacei, e fra questi specialmente i denti di squali e le ver- tebre di balene. Meno frequenti vi occorrono le vertebre ed i denti di altri grossi pesci, il pavimento dentale delle razze, i frammenti di guscio di tartaruga, le vertebre di coccodrillo, le casse timpaniche ed i denti di cetacei, le ossa di manatus, ec. Assieme a questi resti si rinvengono egualmente quelli di mam- miferi terrestri in parte estinti, in parte di specie tuttora vi- venti, e specialmente ossa e denti di elefante e mastodonte, megaterio, cavallo, tapiro, bisonte e cervo. Più di rado vi si raccolgono resti di Mpparion. - 415 — » I fossili, principalmente, consistono delle porzioni più dure dello scheletro e dei denti, di solito più o meno corrosi dalle acque, stando così ad indicare appunto la condizione di mare sottile e di forte azione ondosa alla quale si trovarono esposti. La maggior parte di questi fossili mostrano gli effetti perfo- ranti di molluschi litodomi, e specialmente quelli che sono stati derivati dalla formazione marnosa sottostante. Solo per i denti sembra che V avorio e la dentina li abbia protetti contro V azione terebrante di tali molluschi. » I fossili provenienti dagli strati a fosfato sono di un co- lore bruno ferrugginoso, e solo taluni sono bianchicci alla su- perficie. Quelli poi che si raccolgono lungo i fiumi che traver- sano tali strati sono in genere più o meno neri, e V avorio dei denti è di color grigio-ferro; mentre taluni di questi mostrano di aver servito di base a dei balani o a delle ostriche. » Lo stato di petrifìcazione di queste parti più dure e più resistenti dello scheletro, mostra esser consistito in una parziale e moderata perdita di osteina con sostituzione di ossido di ferro. » Dalla straordinaria varietà e profusione dei resti fossili degli strati di Ashley si può inferire che questi fondi marini formavano i ricchi ed abbondanti pascoli di una moltitudine di animali marini ed amfìbi. Nel primo periodo, cioè durante la deposizione della roccia marnosa, quivi accorrevano innumere- voli pesci cani, squali e razze, ec. Durante un periodo posteriore i continuatori e successori di questi grandi pesci fecero loro pasto dei carcami di grossi animali terrestri, come elefanti e mastodonti ec., i quali venivano trasportati giù al mare dai grandi e gonfi fiumi, nello stesso modo che anche attualmente si dice che mandrie di bisonti siano travolte giù al mare dalle acque del gran fiume Missouri. » Alcuni pochi degli avanzi di animali terrestri, che si tro- vano fossili negli strati fosfatici di Ashley (ed anche le por- zioni più delicate e spugnose delle ossa di questi), non offrono traccia alcuna dell’ azione violenta delle onde, e nemmeno por- tano gli attacchi basali dei balani e delle ostriche e le perfo- razioni dei molluschi litofagi. Questa serie speciale di fossili (di solito neri e più o meno fragili) si compone di ossa di ma- stodonte, megaterio, cervo, ec. , che senza dubbio rappresentano — 416 — gli avanzi di animali terrestri rimasti sprofondati ed impigliati nella zona paludosa degli strati di Ashley, dopoché questi fu- rono sollevati sul livello del contiguo mare. Di questa stessa provenienza sono, è da credere, i resti di ancora più recenti animali di terra, come animali domestici, ossa umane e strumenti di pietra, i quali occasionalmente si raccolgono negli strati a fosfato di Ashley. » Per la traduzione dall’inglese A. Manzoni. Scoperta paleontologica. — Nel calcare cristallino di Monte- gazzo in Fellina (provincia di Reggio-Emilia) che con Pietra- dura si unisce al calcare pur cristallino di Bismantova, e forma con quest’ ultimo un tutto petrografìcamente e geologicamente distinto, in mezzo a una bella serie di resti di pesci fossili, rap- presentati per lo più da denti di Hemipristis serra, Agas., Pagellus Aquitanicus, Delfor., Chrysophrys Agassisi, Sism., ec., ho trovato una rarità, che merita certo sia tosto annunciata. Una tale rarità è una specie di dente fossile sconosciuta sinora, per quanto io mi sappia, alla nostra Italia. Di fatti il Sismonda non 1’ ha tro- vata nel Piemonte, nè il Costa nel vecchio regno di Napoli, nè il Gemmellaro in Sicilia, nè il Lawley in Toscana, nè il Bassani nel Veneto. È il Galeocerdo latidens descritto dall’ Agasstiz, Rech. sur les poiss., voi. 3°, pag. 231, tav. 26, fig. 22-23, sotto il nome di Galeus latidens. Avendo il Bassani esaminati gli ori- ginali stessi delle figure dell’Agassiz che si conservano al Museo di Parigi, li ha trovati corrispondere perfettamente co’ miei. Sono due esemplari inchiusi in parte ancora nella roccia, con- servatissimi ed interi. Gli esemplari dell’ Agassiz sono di loca- lità sconosciuta. Tuttavia si sa, che il Galeocerdo latidens, visse nei mari eocenici e miocenici, giacché il Winkler P ebbe a ri- scontrare nel bruxellien (eocene medio) del Belgio, ed il Bassani potè esaminare alcuni esemplari di questa specie proveniente dalla molassa miocenica di Grignan (Dròme). A. Ferretti. Origine dei diaspri. — In una delle ultime adunanze della Società Toscana di Scienze Naturali in Pisa, il professor C. De Ste- fani espose le seguenti considerazioni che, qui riproduciamo dai processi verbali pubblicati da detta Società. I diaspri formano una delle rocce silicee più frequenti e più conosciute, in masse compatte, in strati estesi e regolari, alter- nanti per solito con schisti argillosi o con calcari. Predomina il color rosso essendo più raro il colore verde ed il giallastro do- - 417 - vuti tutti ad ossidi di ferro ; a volte il colore è turchino a quanto pare per via di materie organiche, o nero per T ossido di man- ganese, o corneo nel qual caso si ha un passaggio alla vera selce. Si trovano diaspri in parecchi piani delle rocce che formano F Apennino, vale a dire : 1° Nel lias superiore insieme a schisti calcarei ed argillosi ricchissimi d’ Ammoniti e d’ altri fossili, e più specialmente nella zona inferiore, nei poggi delle Serre di Rapolano, di Santa Ce- cilia, di Chianciano, . di Cetona, di Campiglia d’ Orda nel Monte Armata, ed a Torcigliano sopra Camaiore nelle Alpi Apuane, ec. ; 2° Nella creta media, insieme con schisti argillosi e fre- quentemente con calcari costituiti per T intero da minutissimi resti organici, nei Monti della Spezia, a Giarreto in Val di Ma- gra, a Barga e Montefegatesi nella Val di Serchio, nel Monte Maggiore che fa parte del Monte Pisano, a Monsummano, a Gello nei Monti della Castellina ed in vari altri luoghi dell’ Emilia e della Toscana nell’ alto Apennino ; 3° Nell’ eocene superiore con schisti argillosi e galestrini, con alberesi e con rocce serpentinose, al Romito nei Monti Li- vornesi, a, Monte Catini in Val di Cecina, a Montalcino nel sa- nese, nella Montagnola senese, ec. ec. Secondo le ipotesi fatte fin qui i diaspri citati si ritennero prodotti da metamorfismo. Alcuno li ritenne equivalenti ad ar- gille bruciate e divenute perciò rosse, come mattoni; altri li credette prodotti dall’ azione di acque silicee ad alta tempera- tura sopra schisti argillosi comuni, e spesso quest’ azione venne attribuita alla vicinanza delle rocce serpentinose. Che le serpentine non abbiano prodotto la formazione, dei diaspri si deduce da ciò che questi per lo più si trovano in piani geologici nei quali le serpentine mancano interamente. Che non sieno prodotto di argille bruciate a vivo fuoco od a lento calore lo prova la loro natura litologica, come si è detto, inte- ramente silicea, e affatto diversa da quella delle argille bruciate. Che non sieno elfetto di trasformazioni operate nelle argille, nè di altro metamorfismo, lo prova oltre alla suddetta loro natura non argillosa, il fatto che formano strati regolarissimi senza passaggi ad altre rocce diverse, ed alternanti d’ altronde, anche a brevissime riprese, con calcari e con argille che non mostrano le minime tracce di metamorfismo. Questi fatti escludono pure l’ipotesi che i diaspri sien 'dovuti ad acque silicee le quali avrebbero traversato gli strati e lasciato fra questi dei filoni strati di diaspro ; potrebbero invece far credere che si tratti di rocce sedimentarie, delle quali essi hanno nel maggior grado tutte le apparenze stratigrafiche. Notevole è la loro frequente alternanza più e più volte replicata con calcari d’ origine esclu- sivamente organica, formati da foraminifere, specialmente negli strati cretacei a Barga, a Montefegatesi ed altrove. 418 — Il De Stefani per ora ha esaminate alcune sezioni microspi- che del diaspro di Barga, e 1’ ha trovato costituito da un cumulo di minutissimi ed irregolari frantumi silicei fra i quali si vedono delle linee come spicule e delle cellule elissoidali schiacciate ed angolose alle estremità. Considerando nel complesso tutte le ap- parenze di queste rocce, il De Stefani ritiene che esse sieno di origine organica e si sieno formate per un cumulo di resti si- licei nel fondo dei mari. Egli rammenta che già V Ehrenberg ed altri trovarono dei diaspri che secondo loro si erano originati entro stagni di acqua dolce, per l1 accumulazione di resti orga- nici. È notevole la compagnia costante dei diaspri cogli ossidi idrati di manganese, per modo che quasi tutte le miniere di manganite dell’ Apennino, salvo quelle che hanno per ganga dei calcari come le miniere del Monte Argentare, si trovano nei diaspri di tutte le epoche, e quasi non vi ha diaspro nel quale non sieno tracce di manganite. Recenti studi hanno reso noto che V ossido idrato di manganese misto a materie silicee alquanto simili al diaspro, e denominato Pelagite forma strati e banchi nelle profondità dei mari, ed è, per quanto pare, d’origine or- ganica. Questo fatto può corroborare, secondo il De Stefani, T opinione che i diaspri, i quali sono quasi sempre accompagnati da Manganite si sieno formati per regolare sedimentazione di resti organici silicei. D’ Achiardi osserva che se per alcuni casi, e si parli pure* della sola Toscana, sia verosimile V origine marina dei diaspri, che si presentano intercalati a strati sedimentari pelagici, per altri crede doversi escludere; e cita esempi in cui ritiene il diaspro essersi prodotto per la silicizzazione effettuata da acque silicifere, da cui pur si producono V opale e il quarzo, che tal- volta e segnatamente quest’ ultimo, accompagnano diaspri e calcedonii. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Co- mitati Geologici e sul B. Comitato Geologico d’Italia. — Firenze 1871 L. 1.50 Idem. — Carta Geologica della parte orientale del- 1’ Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1871 » 2.00 F. Giordano. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deye essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia ltalo-Elve- tica. — Firenze 1873 » 10. 00 Idem. — Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze 1873 » 3.00 C. W. C. Fuchs. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di 1 per 25,000. — Firenze 1873. ...» 2.00 G. Ponzi e Fr. Masi. — Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio all’ Esposizione Internazionale di Vienna. — Roma 1873 » 2. 00 Idem. — Catalogo sommario dei prodotti minerali italiani ec. — Roma 1873 » 1. 00 P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta Geo- logica d’Italia in grande scala. — Roma 1875 . » 1. 50 G. Doelter. — Carta Geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone, nella scala di 1 per 20,000. — Roma 1876 » 2. 00 Per le commissioni dirigersi all’ Ufficio Geologico in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli, N. 5, od ai principali librai. Annunzi di pubblicazioni. . A. Issel. — Appunti paleontologici; 4° Descrizione di due denti d’ele- fante raccolti nella Liguria occidentale.-— Genova 1879; pag. 16 in-8°. D. Lovisato. — Sulle eliinzigiti della Calabria. (Atti della II. Accademia dei Lincei, serie 3a, Memorie, voi. III.) — Roma 1879 ; pag. 21 in-4°. G. E. Pozzi. — Sopra alcune varietà di protogino del Monte Bianco. — Torino 1879; pag. 14 in-8°. A. Ferretti. — Scoperta di una fauna e di una flora miocenica a facies tropicale in Montebabbio. — Milano 1879 ; pag. 15 in-8°. C. F. Parona. — Il pliocene delP Oltrepò Pavese; osservazioni strati- grafiche e paleontologiche. — Milano 1879; pag. 114 in-8° con carta geologica a colori. G. Capellini. — Breccia ossifera della caverna di Santa Teresa nel lato orientale del golfo di Spezia. (Dalle Memorie dell’Accademia di Bologna, serie 3a, voi X.) — Bologna 1879 ; pag. 26 in-4° con tre tavole. — Balenottera fossile delle Colombaie presso Volterra. (Dalle Memo- rie della R. Accademia dei Lincei, serie 3a, voi. III.) — Roma 1879 ; pag. 8 in-4°. — Gli strati a congerie e le marne compatte mioceniche dei dintorni di Ancona. (Dalle stesse.) — Roma 1879 ; pag. 26 in-4° con tre tavole. G. Meneghini e A. D’Achiardi. — Nuovi fossili titonici di Monte Primo e del Sanvicino nelP Apennino centrale. (Dagli Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. IV, fase. 1°.) — Pisa 1879; pag. 12 in-8° con tavola. M. Canavari. — Sui fossili del lias inferiore nelP Apennino centrale. (Dagli stessi Atti, voi. IV, fase. 2°.) — Pisa 1879 ; pag. 31 in-4° con tavola. C. F. Parona. — Contribuzione allo studio della fauna liasica di Lom- bardia. (Rendiconti del R. Istitito Lombardo, voi. XII, fase. 15°.) — Milano 1879; pag. 11 in-8°. L. Foresti. — Contribuzione alla conchiologia fossile italiana. (Memo- rie dell’ Accademia di Bologna, tomo X, serie 3a, fase. 1°.) — Bolo- gna 1879 ; pag. 20 in-4° con tavola. C. De Giorgi. — Note geologiche sulla Basilicata. — Lecce 1879 ; un vo- lume in-8° di pag. 152 con tavole in nero ed una carta geologica a colori annessa. G. Mazzetti e A. Manzoni. — Le spugne fossili di Montese. (Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. IV, fase. 1°.) — Pisa 1879 ; pag. 10 in-8° con due tavole. C. De Stefani. — Le acque termali di Pieve Fosciana. (Negli stessi.) — Pisa 1879; pag. 26 in-8° con tavola. L. Maggi. — Intorno alle condizioni naturali del territorio varesino. (Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, voi. XXI.) — Mi- lano 1879; pag. 30 in-8°. C. Marinoni. — Ulteriori osservazioni sulPeocene friulano. (Dagli stessi.) — Milano 1879 ; pag. 15 in-8°. N. Pini. — Contribuzione alla fauna fossile postpliocenica della Lom- bardia. (Negli stessi.) — Milano 1879 ; pag. 5 in-8°. L. Maggi. — Catalogo delle roccie della Valcuvia. (Negli stessi.) — Mi- lano 1879 ; pag. 19 in-8°. F. Sordelli. — Le Filliti della Folla d’ Induno presso Varese e di Pon- tegana fra Chiasso e Balerna nel Canton Ticino, paragonate con quelle di altri depositi terziari e posterziari. (Negli stessi.) — Milano 1879 ; pag. 23 in-8°. R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Bollettino N° 9 e IO. Settembre e Ottobre 1879. ROMA, TIPOGRAFIA BARBÈRA. 1879. PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. , Bollettino. — Si pubblica regolarmente in fascicoli bime- strali di 5 o più fogli di stampa ciascuno, formanti un vo- lume annuo di 500 e più pagine, con tavole ed incisioni in- tercalate nel testo. Il prezzo dell’ abbuonamento annuo è di L. 8 per V interno e di L. 10 per l’estero. Gli abbuonati ricevono gratuitamente la copertina ed il frontespizio del volume. — Ad annata compiuta i volumi annuali rilegati si vendono al prezzo di L. 10. — I fascicoli separati si vendono al prezzo di L. 2 ciascuno. — La serie incomincia coll’anno 1870. L° Memorie per servire alla descrizione della Carta Geo- logica d’ Italia. — Pubblicazione di gran formato corre- data da tavole, Carte geologiche ed incisioni intercalate nel testo. Volume I; Firenze 1871. — Introduzione — Studii geo- logici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. — Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui minerali delle valli di Lanzo, di G. Strùver. — Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. M ottura, con quattro tavole. — Descri- zione geologica dell’Isola d’ Elba, di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — Malacologia pliocenica ita- liana (Parte Ia, Gasteropodi sifonostomi ) di C. D’Ancona; fascicolo 1°, con sette tavole. — Prezzo Lire 35. Volume II, Parte la; Firenze 1873. — Introduzione. — Monografia geologica dell’ Isola d’ Ischia, di C. W. C. Fuchs, con Carta geologica e incisioni nel testo. — Esame geologico della catena alpina del San Gottardo, che deve essere attra- versata dalla grande Galleria della Ferrovia Italo -Elvetica, di F. Giordano, con Carta geologica e due tavole di Sezioni. — Appendice alla Memoria sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, con una tavola. Malacologia pliocenica italiana (Parte Ia, Gasteropodi sifono- stomi), di C. D’ Ancona, fascicolo 2°, con otto tavole. Prezzo Lire 25. Volume II, Parte 2a; Firenze 1874. —-Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di B. Gastaldi, Parte 2a, con due tavole. — ; Prezzo Lire 5. Volume III, Parte la; Roma 1876. — Il gruppo vulca- nico delle Isole Ponza, monografìa geologica di C. Doelter, con tre tavole e una Carta geologica. — Geologia del Monte Pisano, di C. De Stefani, con una tavola. —Prezzo Lire io. (Continua.) BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. N° 9 e 10. — Settembre e Ottobre 1879. SOMMARIO. Atti relativi al Comitato Geologico. Note geologiche. — I. Conclusioni di una Memoria del professor Gustavo Uzielli sulle Argille scagliose dell’Apennino. — II. La Montagnola senese, per C. De Stefani. (Continuazione.) — III. Note sopra alcune serpentine della Liguria e della Toscana, per T. G. Bonney. — IV. Studio geologico e petro- grafie© sulle Alpi dei dintorni di Chiavenna, per F. Rolle. — V. Sul mate- riale eruttato dal vulcano di fango di Paterno all’Etna e dai vulcani di fano-0 in generale, per C. W. Gumbel. Note mineralogiche. — I. Datolite e Scolecite del territorio di Casarza (Li- guria), per A. Issel. II. La scoperta del minerale di stagno in Italia, e sua relazione colla lavorazione del bronzo presso gli antichi, per A. H. Church. (Continuazione e fine.) Notizie bibliografiche. — F. Giordano, Relazione sulle Classi XVI e XVII (Geologia) della Esposizione universale del 1818 in Parigi; Roma, 1879. Notizie diverse. — Processo d’analisi chimica e microscopica delle roccie argillose. Tavole ed incisioni. — Sezione del Poggio di Montarrenti, a pag. 432. — Figura presa a Monteferrato presso Prato, a pag. 471. — Figure che accom- pagnano la Memoria del professor Issel, a pag. 532 e 539. ATTI RELATIVI AL COMITATO GEOLOGICO. Analogamente all’ avvertenza posta in fronte al precedente fascicolo del Bollettino, non è il caso nemmeno in questo di estendersi a dettagliati ragguagli sui lavori geologici in corso, consistendo i medesimi nel semplice proseguimento di quelli or-, dinati dal Comitato al principio dell’anno e già altrove indicati, onde qui si farà solo accenno dei principali. Preminente fra i medesimi è sempre per ora il lavoro di Sicilia, la cui zona solfifera è già per la massima parte rilevata sul terreno. Quanto alla coloritura dei fogli ^ià rilevati occorre ora un lavoro speciale, dipendente dalla circostanza che essendo stato deciso di riferire le mappe topografiche dell’ isola, come del resto d’Italia, non più all’antico meridiano di Capodimonte, ma a quello di Roma (Monte Mario), vennero aboliti quegli an- tichi fogli e adottati i nuovi riferiti al suddetto meridiano ; e - 424: — questi fogli sono interamente diversi dai primi sia in posizione che in dimensione. Occorre quindi un generale rifacimento della coloritura, riportandola sui fogli nuovi. Proseguì pure il rilevamento delle Alpi Apuane sulla nuova mappa al 25,000 abbenchè con personale ancora assai ristretto. In Sardegna viene ripresa, e sarà presto condotta a termine, la carta geologico-mineraria dell’ Iglesiente al 10,000, quasi tutta sul terreno siluriano, e di cui si spera pubblicare nel prossimo anno almeno un riassunto al 25,000. Qualche lavoro venne eziandio proseguito nell’Agro romano, abbenchè per la stagione calda alquanto ritardato, allo scopo di averne la carta geologico-idrologica di cui è cenno nel fasci- colo 5-6 del corrente anno. Per cura dell’ ufficio geologico venne stampata a colori un ab- bozzo di carta della Basilicata, lavoro del professor C. De Giorgi di Lecce, che contemporaneamente pubblicava una descrizione geolo- gica di quella provincia da esso studiata per incarico dello stesso ufficio; siffatto lavoro fu stampato come parte di quanto si sa- rebbe'dovuto pubblicare di quelle regioni dell’Italia meridio- nale, una volta qua^i sconosciute ed ora abbastanza note in grazia degli studi fatti dal detto professore e da altri. ° Della carta generale d’Italia in piccola scala (555,000) stata preparata per l’Esposizione del 1878 in Parigi, vengono tuttodì al Comitato delle richieste ; ma ' alle medesime si corrisponde con riluttanza e parsimonia, essendo simile carta per ora più che altro un abbozzo, il quale potrebbe essere oggetto di critica a chi non ne conosce lo scopo provvisorio. Tuttavia già ne ven- nero date copie al Ministero, al Parlamento ed a qualche Istituto. Circa alla Esposizione del 1878 in Parigi ed alla parte ivi presa dalla geologia venne nel frattempo pubblicata dal Mini- stero d’ Agricoltura, Industria e Commercio una relazione del- l’Ispettore capo delle Miniere, nella quale oltre al darvi rag- guaglio delle carte ed altri lavori geologici colà esposti, si tratta anche dell’origine e scopo del Congresso geologico internazionale che dovrà aver luogo nel 1881 in Bologna.1 Riguardo a questo Congresso del 1881 si andarono prose- 1 Vedi più avanti la parte bibliografica. - 425 - guendo i pochi lavori preparatorii già approvati ed iniziati, come è la mappa dell’ Appennino bolognese e parte del toscano sul quale potranno estendersi le escursioni dei geologi che vi prende- ranno, parte, carta della cui compilazione si occupava in modo spe- ciale il professor Capellini, presidente del Comitato organizzatore. Procede poi sempre ed assai alacremente lo studio chimico e microscopico delle nostre roccie e specialmente per ora di quelle serpentinose, stato nel volgente anno iniziato sotto la direzione del professore di chimica A. Cossa, al quale venne ora aggiunto un mineralogo specialista, Y ingegner Mattirolo, che fece appositi studi all’estero. Quanto alla scelta e raccolta dei campioni da stu- diare contribuirono con apposite escursioni il professor Taramelli per ì’ Appennino e le Alpi lombarde, il professor Capellini pel Bolo- gnese ed altre località dell’Italia centrale, il professor Lovisato per la Calabria, ed altri geologi per diversi altri punti d’ Italia. Intanto venne finalmente dato principio, a quanto dapprima era stato soltanto enunciato come una speranza, cioè alla riat- tazione dell’ ex-convento della Vittoria per destinarlo a sede del Comitato geologico e delle sue collezioni scientifiche ed indu- striali. Si spera che tale locale possa venire occupato definitiva- mente nel corso del prossimo 1880. NOTE GEOLOGICHE. I. Conclusimi di una Memoria del professor Gustavo Uzielli sulle Argille scagliose dell’ Apennino. Credo opportuno pubblicare il riassunto di alcune mie osser- vazioni sull’ intricato argomento delle argille scagliose. In una più estesa Nota darò una rivista dei lavori preceden- temente pubblicati su questo argomento, e mostrerò fino a qual punto possono accogliersene le conclusioni dopo i grandiosi feno- meni apparsi nella frana testé avvenuta alla Lama di Mocogno nella provincia di Modena. Siccome in questi ultimi tempi si è creduto da taluni oppor- 426 — tuno identificare i galestri alle argille scagliose, dividerò prov- visoriamente le rocce dell’ Apeunino cosi chiamate in tre giuppi fondati sui loro caratteri macroscopici. 1° Scliisti galestrini e galestri che presentano una sfalda- tura principale, in generale parallela al piano di stratificazione, e sfaldature secondarie, in modo che la roccia si sverza cioè si divide in frammenti irregolari, più o meno pseudopoliedrici, con frattura sensibilmente piana, e di rado imperfettamente concoi- dale. Questa roccia è prevalentemente siliceo-argillosa, mai molto effervescente cogli acidi. 2° Argille scagliose propriamente dette a sfaldatura con- coidale. Questa roccia è prevalentemente argillo-calcarea, e assai di sovente molto effervescente cogli acidi. 3° Materiale detritico, formato di frammenti di roccie eocene-cretaceo, identiche a quelle che costituiscono nell’ Apen- nino la formazione posta dal massimo numero dei geologi nel- P orizzonte del Flysch delle Alpi. • Benché il Bianconi, il Santagata, il Doderlein, lo Stòhr ed altri adoperino il vocabolo argille scagliose per questi due ultimi terreni, però li distinguono chiaramente V uno dall’ altro. Altri però ne parlano confusamente. Le conclusioni cui sono giunto nel mio lavoro sono le seguenti : 1° La materia argillosa sedimentaria depositata essenzial- mente nel fondo dei mari, può riferirsi in generale a un piccolo numero di tipi chimici ciascuno dei quali varia fra limiti ristretti. 2° Le argille sedimentarie possono assumere schistosità parallela al piano di stratificazione nell’ atto della loro deposi- zione. Questa schistosità, oltre ad essere accompagnata da piani di frattura secondaria e al potersi modificare per fenomeni chi- mici, può crescere in vario grado secondo V intensità colla quale si flettono i sedimenti di rocce più compatte (macigni, calcari ec.) fra i quali le argille più tenere sono comprese purché la fles- sione avvenga con sufficiente regolarità e senza rovesciamenti. In questo#caso le impronte fossili, preesistenti alle pressioni, pos- sono conservarsi dopo che queste hanno esercitato 1’ azione loro. A questo gruppo appartengono gli schisti propriamente detti. 3° Le argille sedimentarie assumono la pseudoschistosità e le forme pseudopoliedriche dei galestri e schisti galestrini quando - 427 - sono sottoposte a movimenti e pressioni irregolari o intermit- tenti, ma di rado a rovesciamenti su sè stessa per curve a pic- colo raggio della materia compressa. In seguito alle azioni mecca- niche hanno origine una serie di reazioni chimiche che modificano più o meno completamente la roccia. 4° Le argille sedimentarie assumono schistosità o piutto- sto frattura concoidale quando la formazione cui appartengono è sottoposta a flessioni e altre azioni che V infrangono molto irregolarmente. Qui pure esercitano azione modificatrice feno- meni chimici. Le azioni meccaniche esterne possono agire saltuariamente, senza però sconvolgere la stratigrafia di una formazione, ed allora le argille metamorfosate, a frattura concoidale, rimangono inter- stratificate nella posizione originaria ; altre volte le rocce più re- sistenti della formazione, mentre fluiscono e si muovono per curve a piccolo raggio insieme alle rocce più tenere, sono nello stesso tempo rovesciate le une sulle altre, infrante e disperse con la mas- sima irregolarità, frammiste in maggiore o minor grado alle argille a frattura concoidale, secondo che esistevano in maggior o minor grado nella formazione inalterata, le rocce dalla cui metamorfosi potevano provenire. Le argille sedimentarie metamorfosate in tal modo costituiscono essenzialmente le argille scagliose pro- priamente dette ; e i frammenti delle rocce resistenti, contem- poranee delle argille sedimentarie, il materiale detritico detto terreno delle argille scagliose. E da osservarsi però che, quando vi siano condizioni oppor- tune di pressione anche le rocce resistenti possono in grado maggiore o minore trasformarsi ed assumere schistosità o sca- gliosità. Questo caso però non sembra essere frequente nel- T Apennino. Le roccie resistenti talora si curvano senza modifi- care essenzialmente le loro proprietà fisiche. 5° Ai fenomeni meccanici che sono essenzialmente la causa della schistosità e della scagliosità delle argille, possono aggiun- gersene dei termici e degl’ idrici che ne modificano le proprietà fisiche e chimiche fra limiti variabili ; deve così avere azione, in alcuni casi, l’ aumento di temperatura, corrispondente all’ in- tensità delle azioni dinamiche esercitate, tali azioni devono agire tanto per modificare le proprietà fìsiche della roccia quanto per - 428 - essere origine di una serie di reazioni chimiche. È da notarsi, per altro, che 1’ aumento di temperatura è continuamente elimi- nato, perchè se le compressioni e le condensazioni sviluppano calore, dall’ altra parte le dilatazioni e la vaporizzazione del- 1’ acqua ne consumano, ed altro calore si dissipa per la condu- cibilità delle roccie. 6° Mancano i dati per affermare in modo perentorio se i cosiddetti serpentini (supponendoli eruttivi e fatta astrazione da quelli così chiamati, ma che sono rocce clastiche) hanno con- tribuito a trasformare le argille sedimentarie in argille scagliose propriamente dette. Ciò è probabile. È errore però il credere che questa sia una condizione necessaria. 7° Coloro che opinano doversi ritenere le argille scagliose dell’ Apennino come originate dalle salse, suppongono in gene- rale che queste emettano sostanze analoghe fra loro ; alcuni poi credono che queste siano argille scagliose. Vi sono invece nell’ Apennino due tipi ben distinti di salse. Le salse del primo tipo come quella di Sassuolo, emettono : 1° Nelle loro grandi eruzioni, insieme a fanghi e sostanze liquide e gazose, rocce prevalentemente eoceniche, e forse cre- tacee, più antiche delle circostanti, e in frammenti che danno al terreno 1’ aspetto di quello che ho chiamato detrito apenni- nic0 . __ 2° nella loro eruzione permanente che in generale non si alza o si alza poco al disopra del suolo, danno acqua fangosa e fango che prosciugandosi prende 1’ aspetto di marna sovente caratterizzata da numerosi vacui dovuti al gaz intercluso, senza però presentare alcuna scagliosità propriamente detta. Le salse del secondo tipo, come quella di Nirano, emettono insieme a gas e liquidi, fanghi analoghi al terreno circostante1 ed essi pure prosciugandosi non assumono mai una scagliosità propriamente detta. I prodotti gazosi di tali salse sono essen- zialmente quelli che provengono dalla decomposizione di sostanze organiche, e che emettono pure, talora, i pozzi artesiani che si usa forare nel Modenese. Questi pozzi infatti in taluni casi presen- tano temporariamente tutti i fenomeni delle salse di questo tipo. 1 Ciò si vede chiaramente a Nirano ove il fango eruttato è analogo alle argille plioceniche superficiali, e non ha nessuna analogia petrografia alle argille scagliose. — 429 - Non è escluso il caso, benché attualmente nulla di simile presentino le salse dell’ Apennino, che materia fangosa eruttata e sottoposta quindi ad azioni meccaniche, possa assumere analogie colle argille scagliose. 8° Negli Apennini la formazione eocenica costituita di strati alternati, sovente di piccolo spessore, di macigno calcare, marna e schisti argillosi è facile a dislocarsi in qualunque tempo, spe- cialmente ove T inclinazione del terreno concorda con l’ inclina- zione degli strati.’ In tali casi il dislocamento è prodotto dallo sdrucciolamento degli strati dovuto a sua volta alla presenza di schisti marnosi e di marne i quali, quando s’ inumidiscono per infiltrazione di acqua, si gonfiano ; 1’ aumento di volume origina un moto che può estendersi più o meno, mentre la natura dello strato inu- midito somministra una materia lubrificante atta a favorire il movimento degli strati più compatti. Nel terreno originato da tale dislocamento (terreno a torto chiamato dal Doderlein e da altri, delle argille scagliose) le rocce più dure e resistenti (ma- cigni e calcari) si presentano in frammenti, sovente con strie simili a quelle che si osservano nelle rocce del terreno glaciale ; le più tenere (schisti argillosi e marnosi) mentre mostrano, spe- cialmente in dati punti del terreno dislocato, le medesime strie, appariscono trasformate parzialmente o totalmente in argille sca- gliose, le quali sono più o meno abbondanti, secondo 1’ abbon- danza degli schisti e delle marne esistenti nella formazione (in generale eocenica) che trovasi in posto. Mai però, o in casi ec- cezionali nel terreno detritico detto delle argille scagliose si tro- vano gli schisti interstratificati della formazione in posto da cui provengono, ma solo vi si trovano frammenti delle rocce più resistenti (calcare e macigni) della formazione medesima.1 2 1 Nasce da ciò una conclusione importante per le costruzioni stradali, cioè che quando una via passa nell’ Apennino in terreni eocenici, bisogna tener cal- colo dell’ inclinazione relativa del terreno e degli strati, e far la strada preferi- bilmente sulle testate di questi e non col piano parallelo ad essi. Di ciò è lu- minoso esempio la frana avvenuta in quest’anno alla Lama di Mocogno, ove lo studio accurato della stratigrafia locale avrebbe evitato molte esitazioni ed in- convenienti occorsi nella ricostruzione del tronco distrutto della Via Giardini. 2 II Bianconi aveva già notato questo fatto, ma senza vederne abbastanza il valore che ha nella questione della origine delle argille scagliose. 9° Nel dislocamento o franamento di un terreno, è diffì- cile che non avvengano franamenti correlativi di altri terreni ; quindi nel terreno detritico apenninico (prevalentemente formato di materiali eocenici) 1 possono presentarsi frammenti di rocce con fossili propri a formazione di epoca diversa ; mai però fu- rono rinvenuti fossili nelle argille scagliose propriamente dette. 10° Mentre è possibile che nell’ epoca eocenica nell’ oriz- zonte del Flysch alpino, abbiano avuto luogo nell’ Apennino dislocamenti da cui ebbe origine in parte il terreno detritico che vi si riscontra, è da ritenersi pure che a produr tal terreno abbiano concorso azioni complesse ed estese prodottesi in tempi posteriori. E nello stesso modo che può essersi formato in pas- sato, esso può formarsi nell1 epoca attuale. Come vi è un ter- reno detritico formato di materiali eocenici, benché non contem- poraneo all1 eocene, così vi può essere un analogo terreno detritico cretaceo, non contemporaneo alla creta ec. Ma negli Apennini le condizioni litologiche e stra ti grafiche dell’ eocene fanno sì che questa formazione concorra principalmente, benché non totalmente, a somministrare materiali del terreno detritico, il quale, come ora si è detto, può formarsi in ogni tempo, e si forma tuttavia. Ciò appare in modo evidente nelle frane che (quando vi siano le condizioni strati grafiche opportune) avvengono di frequente nel- F Apennino; quindi il loro studio è di somma importanza per spiegare V origine delle argille scagliose e del terreno detritico di quelle montagne. 11° Il terreno detto delle argille scagliose presenta tutti quei fenomeni che accompagnano il movimento di materie solide più o meno disgregate, e che quindi sono analoghi, fatta astrazione da speciali perturbazioni, a quelli che appariscono nei ghiacciai, come pure a quelli che risultano dagli esperimenti sulla com- pressione, sulla frattura e sull’ efflusso dei corpi solidi. 12° Tanto le argille scagliose che i galestri, a cui pas- sano per gradi insensibili gli schisti sedimentari, hanno solo, 1 Non escludo, ben inteso, il caso che possano esistere detriti apenninici provenienti dal dislocamento diretto di formazioni cretacee e altre. Giova qui notare che la poca frequenza dei fossili può lasciare dubbi sull’ età dei terreni che dislocandosi costituiscono il detrito Apenninico e se debbono prevalentemente riferirsi all’ eocene o alla creta. -431 - come il calcare e il macigno, un significato petrografico. Le dif- ferenze che presentano tali roccie accennano essenzialmente a differenze nella intensità e nella direzione delle forze che hanno modificato od originato in loro la pseudopoliedricità, la scisto- sità o.la scagliosità. Quindi quelle roccie, che conviene tenere petrograficamente distinte nei loro tipi più salienti, possono peraltro prodursi in ogni tempo, e quindi non possono caratte- rizzare nessun orizzonte geologico. IL La Montagnola Senese , studio geologico di Carlo de Stefani. (Continuazione. — Vedi Bollettino n. 7-8.) VI- ~ Belle Eufotidi e delle altre rocce appartenenti all’ Eocene superiore. Le rocce appartenenti all’ eocene superiore si estendono in» torno alla Montagnola nella porzione meridionale del suo fianco occidentale e nelle pendici a N.E. Esse formano però lembi pic- colissimi, ed in certi luoghi quasi invisibili ad immediato contatto delle rocce antiche, mentre poco più lungi da queste, ed isolate alquanto da terreni pliocenici, formano delle colline più ragguar- devoli ed elevate. A distanze maggiori poi sono molto sviluppate nei Monti del Chianti, nel Monte Soldano e nei poggi di Monte Miccioli, di Monte Castelli, di Rocca Sillana, ec. ; ma non è mio scopo discorrere in particolare di questi luoghi. Dei lembi immediatamente circostanti alla Montagnola farò intanto la descrizione topografica e litologica, riserbandomi a discorrere da ultimo del modo di formazione e dell’ epoca loro, pei la qual cosa mi occorrerà fare dei paragoni coi terreni coe- tanei dell’ Apennino. Per cominciare dall’ estremità meridionale noterò il calcare alberese che si trova nella valle della Rosia (Fig. 2) fra il pog- gio di Cotorniano e la Montagnola, e più specialmente intorno all’ Indicatore a ponente del colle di Montarrenti, in strati che - 432 - sebbene rimangano in fondo alla valle sono assai ripiegati e scontorti benché si adagino quasi orizzontali sopra le rocce più antiche dei poggi suddetti. Il calcare, come tutti gli altri che hanno il nome volgare di alberese, è bianco-ceruleo, bianco-ver- dastro, o bianco-gialliccio, ma sempre di color chiaro ; è a volte pure marnoso, piuttosto compatto, in strati ben distinti : coi medesimi caratteri lo si trova in tutti gli altri lembi che ac- cennerò. Intorno all’Indicatore lo accompagnano degli schisti marnosi cerulei, e delle arenarie scure molto compatte e dure. Si estende a Sud e a Nord dell’ Indicatore, nascosto però dal pliocene (Fig. 6). Un brevissimo tratto ne comparisce poco più Fig. 6. Sezione delia strada provinciale sotto il poggio di Montarrenti. 1. Sabbie plioceniche. - 2. Breccia di calcare cavernoso, pliocenica. 3. Alberese. Eocene superiore. a Nord, a destra della Rosia al Mulinacelo, ed a sinistra presso la strada che va a Colle sopra il marmo Massico. Sul marmo parimente, ma assai basso e nascosto da conglomerati pliocenici, esso affiora ancora lungo 1’ Elsa poco sopra il ponte della strada di Colle ; ed affiora un’ altra volta più a Nord fra il Poderuccio e Scopeta in strati lievemente pendenti sul marmo, e nascosti dal pliocene. Tutti questi lembi piccolissimi debbono essere connessi fra loro ma non si vedono se non saltuariamente, pere e son molto bassi e coperti da terreni più recenti. E notevole in- tanto osservare la loro posizione poco inclinata sull’ orizzonte, a tale che mancano del tutto a qualche altezza sulla Montagnola ; notevolissimo pure, secondo me, è il fatto eh’ essi formano un fondo di battello quasi piatto, coperto da strati pliocenici affatto orizzontali, nel qual fondo scorrono verso mezzogiorno la Rosia, e verso settentrione 1’ Elsa che quasi si direbbe una continua- zione della prima. Nella parte opposta alla Montagnola, nei poggi di Cotorniano e della Selva, questo sinclinale si rialza alquanto - 433 - con inclinazione frequente verso N.E., e forma i piccoli poggi della Selva, dove trovai delle fucoidi, coprendo a mala pena le quarziti triassiche le quali spuntano alle Cetine, a Cotorniano, ed altrove in serie parallela alle rocce della Montagnola. Dove l1 Elsa incontra il Botro di mezzo che viene dalla Mon- tagnola, la vallata si apre anche di più, e la Montagnola stessa si dirige verso N.E. L’ alberese seguita ad immediato contatto della Montagnola, ma la base di questa non essendo ivi diret- tamente solcata da torrenti ed essendovi il pliocene più alto che non nei luoghi osservati fin qui, è difficile scoprirlo ; nondimeno se ne trova un poco nel fosso Regelli, passato Bellaria (Fig. 3), dove copre lo schisto rosso liassico con discordanza maggiore assai che d’ ordinario, perchè V alberese pende presso a poco verso ponente, mentre lo schisto pende a volte verso levante. Ivi intorno però, pur sempre a destra dell’Elsa, poco lon- tano dalla Montagnola, e staccate da questa per via di sabbie e di conglomerati pliocenici, le rocce eoceniche sono discreta- mente sviluppate. L’ alberese apparisce ancora intorno al Botro di mezzo, e altrove verso V Elsa, ed alterna qualche volta con sottili strati di un’ arenaria dura e compatta simile alla pietra forte cretacea. Si ritrova pure in quei dintorni un diaspro rosso o nero in masse stratificate ed in connessione intima coll’ eufotide che è la roccia ivi prevalente. Questa eufotide forma una serie di poggi tondi ed elevati, isolati gli uni dagli altri ed allineati quasi a modo di rosario. Sulla destra dell’ Elsa, dalla parte della Montagnola, essa costi- tuisce il Monte Vasoni o poggio di Collalto eh’ è dei più elevati, poi un poggetto più umile fra Mollano e la Casetta ed un’ altra piccola sporgenza in mezzo al pliocene fra la Casetta e il Botro di mezzo. Le masse un poco più ragguardevoli a sinistra del- l’ Elsa, appartengono allo stesso insieme, e costituiscono fra mezzo al pliocene, i colli delle Serre, di Querceto e di Mensano. Come in tutte le masse circostanti del Senese, del Fiorentino e del Volterrano domina quasi esclusivamente l’ eufotide, detta gabbro dai geologi tedeschi, la quale per essere stata lungamente» esposta alla superficie nei mari pliocenici è spesso alterata e pro- fondamente screpolata. Il diallagio è quasi sempre in cristalli — 434 — piccoli. Non è raro trovare nella massa una disposizione a zone che simula quella di veri strati, e che è parallela alle stratifi- cazioni degli alberesi circostanti 5 in questi casi la saussunite da sè forma delle zone bianche, che ripetutamente alternano con zone verdi di Serpentino dialagico. Qualche volta il diallagio è sostituito da una materia verdastra steatitosa e si ha una euri- totalcite. La saussurrite pare cambiata talora in conicrite e il dial- lagio in pirosclerite ; vi sono poi venature e filoni di magnesite e di giobertite, che spesso traversano irregolarmente la roccia, e che crederei prodotti per alterazione di questa successivamente alla sua formazione. Queste medesime apparenze di poggi isolati sono frequenti nelle serpentine, . nelle eufotidi e nelle rocce analoghe, e sono prodotte da una maggiore resistenza eh’ esse oppongono alle in- temperie, mentre gli strati che le circondano si lasciano più fa- cilmente sfasciare. Per quanto nelle masse d’ eufotide di Monte Nasoni e di Cobalto non possa citare esempii sì chiari di intercalazione di rocce stratificate quali altrove si vedono, pure V osservazione di esse è utile per contribuire alla decisione di alcune questioni. Infatti esse appariscono all’ esterno della Montagnola, e sopra al dorso degli strati liassici. L’alberese di Bellaria immediata- mente sovrastante agli schisti s’ immerge sotto alle eufotidi del Monte Vasoni e di Mollano dalle quali è separato per breve tratto di conglomerati e di sabbie plioceniche. Così pure gli alberesi e 1’ arenaria di verso P Elsa, quantunque pur essi stac- cati dall’ eufotide, si palesano sovrapposti a questa, e con stra- tificazione parallela a quella dell’ alberese di Bellaria ed a quella dei diaspri intercalati colla eufotide medesima. Non v ha dub- bio perciò che P eufotide di questi luoghi faccia parte, secondo il solito della formazione eocenica superiore, ed invece di pro- venire da strati profondi attraversando le rocce più antiche si trovi intercalata fra rocce sedimentarie di quell’ epoca eocenica. Dopo non breve tratto nel quale non si trovano tracce di terreni eocenici, le eufotidi e gli alberesi tornano a N.E. della Montagnola, sulla destra della Staggia (Fig. 5), sotto Trasqua, dilungati fra Rencine e Lornano. Dal punto di vista geografico - 435 - questa massa di rocce eoceniche non fa parte della Montagnola giacché ne è separata per una bassura riempita in parte di ter- reni pliocenici, in fondo alla quale scorre il torrente Staggia che appunto confina il Monte Maggio e la Montagnola ; però essa è nella continuazione materiale della Montagnola giacché il cal- care cavernoso dalla sinistra del torrente passa senza interru- zione alla destra, e si sottopone immediatamente alle eufotidi ed agli alberesi, i quali per giunta hanno la pendenza a ridosso della Montagnola stessa : anzi in un brevissimo tratto, anche lungo la ferrovia senese, si vede la sovrapposizione delle eufotidi e delle rocce che le accompagnano al calcare cavernoso. È chiaro perciò eh’ esse appartengono alla Montagnola e non al Chianti, le cui pendici si elevano a breve distanza divise però da una pic- cola conca sinclinale nella quale si sono depositati gli strati del miocene superiore e quelli pliocenici. Per effetto della diversa resistenza alla denudazione v’ è qua e là un poco di stacco fra T eufotide ed il calcare cavernoso, che più facilmente distrutto dalle acque resta alquanto più basso, ed in questo caso V inter- vallo è occupato da sabbie plioceniche, le quali poi da tutti i lati, fuor che a Sud, circondano la roccia eocenica. In questa pre- domina P Eufotide ; e V alberese vi forma alcuni strati intercalati. Per meglio determinare V età e V origine di cotali terreni conviene studiarli in rapporto con quelli che si trovano nelle re- gioni circostanti ; ed io comincerò col dire qualche cosa sulla di- stribuzione geografica dei serpentini nell’ Apennino settentrionale e centrale, abbreviando un poco il mio cammino e risparmiando inutili ripetizioni col presupporre almeno un poco provate le con- clusioni che trarrò da ultimo. Avverto che se la mancanza di tempo mi ha permesso di pubblicare solo in piccola parte le minute descrizioni dei singoli fatti, essa non m’impedirà ora di pubblicare almeno quelle con- clusioni generali alle quali sono giunto, coll’ osservazione e colla deduzione più positiva. Del resto posso andare avanti più franco dopo che, con miglior fortuna che per solito non accada in simili questioni, le osservazioni stratigrafiche già fatte da me altra volta sono state intieramente confermate dopo brevissimo tempo dal Lotti, e soprattutto dal Taramelli. La posizione adunque delle serpentine intorno all’ Apennino - 436 — viene più facilmente compresa quando si conosca la costituzione orografica dell’ Apennino stesso. Io mi partirò dunque da questa, richiamando quello che ho già detto altra volta ( Geologia del Monte Pisano, parte III, capo, II, § 2) e che ogni nuova osser- vazione da me fatta è venuta a confermare con nuovi argomenti. Son molte e diverse le opinioni intorno al punto nel quale deve essere posta la divisione fra 1’ Apennino e le Alpi, nè io pur troppo, non richiedendolo il mio argomento, posso fermarmi a passarle in rivista e a discuterle. Dirò per altro che la que- stione è soprattutto, anzi direi esclusivamente, geologica e se- condo me, da niuno fu studiata finora meglio che dal Pareto, per cui conviene fondarci sulle osservazioni di questi più che su qua- lunque altro. Or appunto il colle dell’ Altare segna la divisione fra monti che hanno la medesima natura delle Alpi Marittime, e monti che segnano il cominciamento orografico e geologico del- P Apennino. Tanto più marcata sembra quella divisione in quanto che al colle dell’Altare pare risponda un sinclinale fra P Apen- nino e le Alpi, mentre tutti gli altri colli che taluno ha voluto prendere come linea di separazione rispondono a semplici inci- sioni di strati uniformi da una parte e dall’ altra del colle. Si aggiunga che a Cadibona, presso al colle dell Altare, ii mio- cene passa continuo da una pendice all’ altra, cioè dal fianco tirreno e mediterraneo al fianco della valle del Po e dell’ Adria- tico, fatto che non si verifica più in tutte le Alpi occidentali e centrali, nè in tutto l’Apennino settentrionale e centrale. Questa divisione non impedisce che attorno alle Alpi marittime compa- riscano terreni recenti che sono caratteristici dell Apennino, come in mezzo all’Apennino ed a’ suoi fianchi appariscono rocce antiche quali di preferenza si trovano nelle Alpi. Ad oriente del colle dell’Altare principia l’Apennino il quale non forma un crinale unico siccome fu ritenuto fin qui, ma « si compone di una serie numerosa di anticlinali ben distinti, paral- leli fra loro, e scalati gli uni dopo gli altri da settentrione verso mezzogiorno, in modo che prima del termine di ognuno di essi, succede più ad oriente un anticlinale nuovo e più allungato, e così via. Nella stessa direzione dei singoli anticlinali si ele- vano poi verso il mezzogiorno, e sempre dalla parte del Tirreno, delle elissoidi minori » isolate, spesso formate di rocce più - 437 - antiche di quelle apenniniche, « le quali sono, per così dire, la continuazione meridionale di alcuna delle molteplici giogaie principali che formano il sistema apenninico, e si trovano poi alla lor volta sur uno dei fianchi, e precisamente sul fianco tirreno della giogaia la quale sta più ad oriente di essi. Il pro- filo dell’ Àpennino, in qualunque luogo si esamini, forma un an- ticlinale, il quale ha da ambedue le parti i suoi lembi interi e perfetti : da ambedue le parti si succedono piegature parallele, colla sola differenza, che quelle di verso il Tirreno sono per lo più isolate e staccate una dall’ altra da maggiori distanze, mentre le altre situate verso P Adriatico sono più continue e più pi- giate » (Geol. M. Pis., pag. 112) una addosso all’altra. Gli anticlinali primari dell’ Àpennino settentrionale che com- prende insieme l’ Àpennino Ligure e Toscano cessano nei monti di Città di Castello e di Gubbio che separano il sinclinale dei- fi alta valle del Tevere dal sinclinale della valle del Chiascio, è cedono il posto all’ Àpennino centrale il quale ha una struttura geologica totalmente diversa ed una forma orografica pure dif- ferente. Le elissoidi laterali e secondarie dell’ Àpennino setten- trionale terminano però tutte più a mezzogiorno del crinale maggiore di esso, cessando soltanto di fronte alla depressione vul- canica laziale, cioè di fronte ai vulcani di Bolsena, Latera, Mez- zano e Bracciano. Cominciando dalle elissoidi laterali più vicine al crinale apenninico le ultime propaggini loro sono le seguenti ; colli eocenici di Ponte San Giovanni sotto Perugia che terminano in faccia ai Monti Martani ; gruppo di Monte Peglia sulla destra del Tevere dove affluisce la Chiana e del Monte di Melezzole ; Monte Ruffino e d’ Allerona sulla destra della Chiana romana presso alla sua foce nel Tevere ; monti di Castellazzara e dei- fi Elmo sulla sinistra della Fiora ; Monte di Canino, e monti di Civitavecchia e della Tolfa. La regione apenninica compresa fra il colle dell’ Altare e i termini più meridionali che ora ho indicato, salvo le rocce an- tiche appartenenti alla così detta catena metallifera, e gli strati pliocenici orizzontali che ne circondano le pendici, è formata quasi esclusivamente di rocce eoceniche, le quali invece nell’ Àpennino centrale appariscono assai più di rado e con aspetto litologico interamente diverso, ciò che dimostra niuna distinzione essere 29 - 4B8 - meglio fondata di questa dell’ Apennino settentrionale dall’ Apen- nino centrale. Il fatto è che soltanto dell’ Apennino settentrionale ed in alcune pendici delle Alpi Marittime verso la valle del Po, cioè soltanto in questa regione costituita prevalentemente da rocce eoceniche, compaiono le serpentine e le rocce che con esse si collegano. Unicamente lo studio delle elissoidi e dei sinclinali dell’ Apennino, può offrire criterii per riconoscere un ordine nel succedersi delle serpentine, essendo inesatte od artificiali le serie proposte fin qui quando non si aveva una chiara idea di queste formazioni. Le serpentine e le rocce che le includono trovansi sempre ed esclusivamente nei lembi più esterni delle rocce apen- niniche, sieno antiche sieno recenti, e formano V ultimo termine delle formazioni dell’ Apennino depositate innanzi che questa giogaia emergesse nella forma attuale, prescindendo s’ intende dalle rocce mioceniche e plioceniche, le quali tutte con minore o maggiore discordanza ed in strati spesso quasi orizzontali si addossarono ai monti già formati in gran parte da prima. Per queste ragioni affermai altra volta che la formazione delle ser- pentine segna quasi il principio dell’ èra continentale della pe- nisola, e con maggior precisione segna il principio del formarsi degli Apennini settentrionali, nello stesso modo che la formazione delle rocce vulcaniche propriamente dette dell’ Italia centrale e meridionale, cominciata nel postpliocene antico, segna il principio del sollevamento regionale della stessa nostra penisola. Ricono- sciuti questi fatti fondamentali è ben facile riconoscere la posi- zione delle serpentine. Prescindendo dalle masse delle Alpi Marittime che il Ga- staldi pose insieme con quelle delle altre Alpi, e disse molto antiche; ma che in parte, dalle rocce che le accompagnano, ri- terrei potessero essere eoceniche, i lembi più occidentali nel- P Apennino compariscono fra Savona e Sestri Ponente, e furono studiati recentemente dal Mayer. Questo geologo li poneva a principio, nel 1875, nel laurenziano, secondo le idee del Ga- staldi ; dopo che io pubblicai il mio scritto sulle serpentine della Garfagnana, nel quale mostravo che queste erano eoceni- che, il Mayer ha riconosciuto non essere più antiche dell’ eocene ^ anche le serpentine liguri; anzi egli crede che siensi formate - 439 - pure durante vari piani del miocene, le quali incertezze dell’ au- tore possono mostrare forse che egli ancora non se n1 è fatta idea precisa. Per quel poco che ho visto di quella regione mi è sembrato riconoscere che le serpentine hanno posizione in tutto e per tutto identica a quelle del resto dell’ Apennino, e non sono più recenti nè più antiche dell’ eocene superiore. Un’ altra regione serpentinosa è quella che dall1 Apennino pa- vese viene a mezzogiorno fino alla Vara ed al Mare Tirreno : questa venne studiato recentemente dal Tarameli]*, le cui con- clusioni, frutto di attenti studi, per quanto riguarda i fatti si combinano interamente colle mie. Le serpentine continuano poi lungo tutto il versante occi- dentale dell’Apennino, al piede di esso, sotto più recenti rocce mioceniche, ed anche assai alte verso il crinale, per entro a quelle piegature parallele e pigiate verso V anticipale centrale che dissi succedersi in quelle regioni. Sono frequentissime ed estese in tutta V Emilia fino alle Romagne, dove gli ultimi lembi limitatissimi ed isolati compariscono nell1 Apennino di Forlì. Lo Scarabelli ne segna un piccolo lembo nella sua carta geologica del Forlivese, e lo attribuisce al cretaceo; non conosco preci- samente que1 luoghi, ma ho pratica dell1 Apennino fiorentino adia- cente e del vertice di esso donde le acque scendono alla Roma- gna, ed ivi alle estesissime arenarie eoceniche si sovrappone quella formazione degli alberesi solita a contenere le serpentine, che si estende pure nel Forlivese, ed in mezzo alla quale ap- punto è indicata dallo Scarabelli la serpentina, che perciò è a ritenersi pur essa eocenica. Frequentissime sono le serpentine, in Toscana, o nel fondo dei grandi sinclinali, come nelle valli superiori della Magra, del Serchio e del Tevere, o al piede degli anticipali, più raramente sulla sommità di questi ; anzi il loro sviluppo nella provincia di Pisa non è minore a quello che esse raggiungono nella Liguria occidentale. Nei monti d1 Allerona, Ruffino, Amiata, di Castiglion d’Orcia, di Selvena, e Argentaro, la serpentina giunge a1 suoi con- fini più meridionali. Merita d’essere ricordato che in questi luoghi essa forma lembi variati bensì ma talmente limitati, come nel- l1 altro estremo del Forlivese, che ciò non accade in altro luogo più a settentrione: oltre di che la roccia ha una forma pecu- - 440 — liare, come di eufotidi a piccoli cristalli, piuttosto alterate, ed accompagnate più che altro da rocce steatitose. Più a mezzo- giorno la roccia eocenica solita a contenere le serpentine, giunge ancora, ma senza di queste, nei monti di Canino e di Civitavecchia. Sono quattro i gruppi principali delle rocce che ho comprese col nome troppo generale di serpentine, adoperato da me più secondo V uso comune, giacché anche il popolo gli dà quel nome, che secondo il suo vero significato mineralogico. Questi gruppi, secondo me, sono i quattro seguenti : — graniti, diabasi, eufotidi o gabbro secondo i tedeschi, e serpentine. Lascio le argille ga- lestrine o scagliose, i gabbri nel senso dei geologi italiani, le arenarie, gli alberesi, le resiniti, le spiliti, le oficalci, le ofiselci, rocce o a dirittura sedimentarie o in parte metamorfiche, di- verse ad ogni modo dalle altre ricordate. Il granito della zona serpentinosa apennina si compone di clorite, quarzo, e ortose, spesso in lamine alternanti con albite ; è sostituito a volte dalla petroselce. Il diabase è formato da la- bradorite e pirosseno ; è quasi sempre erroneamente chiamato diorite e spesso viene confuso col serpentino. Con esso si con- nette il diabase porfirico, o porfido labradoriti^, con grossi cri- stalli di labradorite spersi nella massa pirossenica, il diabase variolitico con piccole varioliti di labradorite sperse nel piros- seno, e il diabase afanitico con struttura omogenea e compatta il quale risponde alla vera afanite eh’ è varietà della diorite. A volte poi col pirosseno del diabase si congiunge un poco di serpentino o tutta la massa che per solito è verde acquista un co- lore vinato per via dell’ossido ferrico, nel qual caso il più delle volte viene scambiata col gabbro rosso. Presso il gruppo della diabasé si potrebbe mettere la diorite, che però è molto rara. L’ eufotide si compone di diallagio e saussurrite, ed è tipo di un gruppo molto numeroso. Il diallagio può essere sostituito da iperstene, e si ha V iperite ; o da steatite, e si ha V euri- totalcite; od anche da serpentino, e si ha un’ eufotide serpen- tinosa ; od è accompagnato da altro pirosseno, e si ha una roccia che segna un passaggio al diabase, ovvero è sostituito da piro- sclerite, mentre la saussurrite è cambiata in conicrite, e ne ri- sulta una roccia molto frequente, per ora senza nome. A volte il feldspato invece d’ essere saussurrite è schietta labradorite, — 441 ovvero è oligoclasio, e si ha V oligoclasite, o è accompagnato da albite. Una roccia peculiare, appartenente a questo gruppo, è la ranocchiaia che fin qui fu ritenuto si formasse ne’ punti di contatto del serpentino coll’ eufotide, ciò che sarà in qualche caso, ma non è il più delle volte quando essa forma delle masse estese parecchi chilometri : essa è un impasto di labradorite o saussurrite, diallagio, steatite e serpentino, traversato da nu- merose vene di crisotilo, ed è più che altro effetto del meta- morfismo di rocce del gruppo delle eufotidi. Le serpentine finalmente sono a volte dialagiche, a volte steatitose, a volte oligofiriche, ed assumono pur esse per conse- guenza differenti aspetti. Alcune di queste rocce sono esclusive di certe regioni, altre sono predominanti in un luogo piuttosto che in un altro. I gra- niti cloritici si trovano soltanto nella regione serpentinosa set- tentrionale: non parlo del granito di Gavorrano in Toscana il quale, quand’ anche avesse colle serpentine i medesimi rapporti del granito cloritico, ciò che per ora non so, è però litologica- mente diverso. Le serpentine predominano nella Liguria orientale e forse nell’ Emilia settentrionale ; il gruppo delle eufotidi invece è più sviluppato nella Liguria occidentale e nella regione ser- pentinosa meridionale. Il gruppo delle diabasi si trova un poco per tutto ed è nell’ insieme altrettanto sviluppato quanto il gruppo delle vere serpentine : forse lo sviluppo suo maggiore è nei monti di Riparbella nella provincia di Pisa, nella Garfagnana e nella Lunigiana, dove prevale di gran lunga a tutte le altre rocce, e nei monti di Savona. Tutte queste rocce magnesiache e non magnesiache sono com- pagne inevitabili di un insieme di rocce sedimentarie formate da argille, schisti calcarei, calcari marnosi e alberesi ; e la pre- senza delle prime è indizio certo della prossimità delle seconde. Così pure soltanto in mezzo alle seconde si trovano le rocce serpentinose dell’ Apennino settentrionale, sebbene quelle si esten- dano a confini un poco più larghi nei quali le rocce serpentinose non compariscono. È tale dunque il rapporto fra queste sì differenti sorta di rocce che per conoscere intanto qualche cosa di più preciso sui serpentini potremo cominciar dal determinare P età delle rocce - 442 - sedimentarie che li accompagnano. La scarsità di orizzonti fos- siliferi caratteristici, e la difficoltà di rinvenirli spiegano l’ incer- tezza dell’ età alla quale i geologi hanno attribuito le masse serpentinose. Un orizzonte ben chiaro, sottostante alla zona ser- pentinosa, è il calcare nummulitico studiato dal Murchison pel primo, poi dal Savi, dal Meneghini e dal Caillaud, e riconosciuto caratteristico dell7 eocene inferiore. Nella Garfagnana lo indicai già a Torrita, a Soraggio, a Sassi, a Corfino, a Sassorosso, all7 Isola, a Monte Perpoli, a Sii- licano, nella Teserana, a Monte Altissimo, appunto alla base di quella massa di rocce che contiene le serpentine. Queste masse isolate che appaiono qua e là come piccoli scogli non conti- nuano, come dubitò il Taramelli, colle masse parimente isolate di Porretta le quali pure sottostanno alla lor volta alle zone serpentinose. Nella medesima posizione stratigrafica sono gli sco- gli nummulitici che appariscono sopra le masse liassiche e cre- tacee alla Costa dei Grassi nella valle d7 Ozola e del Dolo,, e nell7 alto Apennino dell7 Emilia. Potrei dare un elenco di tutti i luoghi dell7 Apennino e spe- cialmente della Toscana, nè sarebbero pochi, nei quali il calcare nummulitico si trova al disotto di rocce sedimentarie uguali .a quelle che contengono le serpentine, però prive di queste ; ma in questa occasione preferisco citare quei pochi casi nei quali, nella pila degli strati, si può vedere la successione di rocce ser- pentinose a rocce nummulitiche. Ai casi sopra citati, esistenti nel bel mezzo del crinale apenninico, ne aggiungerò un altro che merita d7 esser conosciuto, anche per la ragione che nelle elissoidi isolate laterali all7 Apennino in Toscana, dove pur le serpentine sono tanto sviluppate, è difficile trovare, non solo il calcare nummulitico, ma anche altre rocce sottostanti alle zone serpentinose, a meno che si tratti delle rocce molto più antiche che costituiscono la catena metallifera. Questo luogo nel quale si trova il calcare nummulitico è il Monte Amiata dove fu già indicato dal Lotti e dal Caillaud e dove è abbondantissimo ed in quantità maggiore della solita, nel monte della Yelona presso la stazione del Monte Amiata, ma specialmente nel Monte Labro e nei poggi di Castellazzara. Ivi intorno le serpentine nelle rocce sovrapposte al nummulitico sono frequenti benché sempre limi- 443 - tate. Il calcare nummulitico sotto la formazione serpentinosa fu anche recentemente trovato da Y. Simonelli nei dintorni di Ca- stiglione d’ Orcia. Resterebbe dunque chiarito che le rocce so- vrapposte al nummulitico, quindi anche le serpentine, sono tutt’al più eoceniche. Ma in queste rocce sono a farsi ulteriori divisioni, non senza importanza nel caso presente, giacché le serpentine sono limitate ad una sola zona di quelle rocce eoceniche più re- centi del nummulitico e mancano in altre. Fra le regioni geologicamente più sconosciute o più super- ficialmente note d’ Italia va posta la parte più montuosa del- T Apennino settentrionale come l’ ho delimitato a principio. A provar ciò basterebbe ricordare la supposizione generale rima- sta fino a poco tempo addietro, e forse tuttora, che 1’ Apennino sia più antico delle Alpi, e V incertezza e la confusione che re- gnano intorno ai terreni eocenici i quali pur costituiscono i quattro quinti del vertice montuoso. Fino dal 1876 nella Geologia del Monte Fisano (parte II, capo VII), dopo avere attribuito il calcare nummulitico all’ eo- cene inferiore, od almeno alla parte inferiore dell’ eocene apen- ninico, dividevo le rocce eoceniche sovrastanti in due zone, una inferiore coll’ arenaria detta macigno , ed una superiore colle argille galestrine, coi calcari marnosi od alberesi e colle ser- pentine. Nella giustezza di questa divisione mi confermarono le osservazioni ulteriori, onde tornai a parlarne alla Società Toscana di scienze naturali nell’adunanza del 7 luglio 1878 (Vedi Pro- cessi verbali, pag. XXYI). Ivi dicevo che nelPApennino l’ eocene è rappresentato dai seguenti piani : 1° Calcare nummulitico il quale forma piuttosto scogli che lembi continui. 2° Arenaria detta volgarmente macigno , estesissima nella giogaia centrale e più elevata dell’ Apennino dalla Liguria al- 1’ Emilia, alle Marche, all’ Umbria. 3° Rocce appartenenti al così detto piano liguriano od eocene superiore costituite da calcari, schisti e serpentine, « le quali sono molto sviluppate nella Liguria, mancano nel vertice dell’ Apennino dalla Liguria in poi, e sono molto estese invece nelle pendici laterali, che, specialmente verso il Tirreno, ne sono quasi per intiero costituite fino al Lazio. » _ 444 - Queste distinzioni dell’ eocene , salvo quella molto impor- tante del nummulitico, non furono riconosciute dal Savi, dal Ponzi, dal Mayer, dal Taramelli, dai geologi dell’ Emilia, nè da altri. Applicate nella carta geologica della Toscana che feci per incarico del Comitato geologico del Regno, non com- parvero nella copia mandata alla Mostra Universale di Parigi, forse perchè si volle accordare la Carta mia con quella delle regioni vicine, sebbene poi le sopraddette distinzioni sieno fon- date non meno geologicamente che litologicamente, cosa impor- tante, specialmente in occasione del nuovo criterio litologico che il Comitato adottò per la Carta del Regno. Ad ogni modo, quella divisione è stata verificata da me in quelle regioni che ho vi- sitate, del Piemonte, della Liguria, dell’ Emilia, della Toscana, come dell’ Umbria e del Lazio, e la sua importanza per V Apen- nino è generale. Non dico già che nelle arenarie della zona infe- riore manchino sempre gli schisti ed i calcari, nè che manchino le arenarie nella zona schistosa e calcarea più recente, ma co- tali strati eterogenei nelle due formazioni sono talmente limi- tati che non hanno maggiore importanza di quella che avrebbe un sassolino in un monte di rena. Il macigno è poco abbondante nel Monferrato, e pare invece più sviluppato nei monti a Ovest di Torriglia nella Liguria cen- trale ; se ne vedono poi qua e là de’ lembi sotto ai calcari ed alle serpentine lungo le Riviere. Nella Valle della Vara esso co- mincia ad assumere grande estensione e potenza di parecchie centinaia di metri, e seguita senza interruzione a formare i ver- tici di tutti gli anticipali apenninici successivamente scalati fino alla valle del Chiascio nell’ Umbria, dove succedono calcari Las- sici e titonici. Invece la zona calcarea e serpentinosa superiore, non meno sviluppata, forma in massima parte, con rocce più recenti, le pendici inferiori lungo la valle del Po, e lungo l’Adria- tico, oppure forma la porzione più bassa e quasi direi il fondo di presso che tutti i sinclinali maggiori, cioè delle vallate lon- gitudinali e del corso superiore dei maggiori fiumi tirreni. Nelle piccole elissoidi toscane, laterali al vertice principale, il macigno è molto limitato ; ma i lembi isolati che per lo più esso forma sono messi a partito dalle cave le quali forniscono le pietre da lastricati alle città toscane, come Firenze, Pisa, Livorno, - 445 - Siena. I lembi più meridionali di macigno, sottostanti agli albe- resi, li ho veduti nei monti fra Corneto e Civitavecchia, ed intorno a Santa Marinella, benché non indicati per intiero nella recente carta geologica della campagna romana pubblicata a cura del Comitato geologico su documenti esistenti. I calcari e gli schisti eocenici sovrastanti sono invece molto sviluppati, e ricoprono, il più delle volte con grandissima discor- danza le rocce carbonifere, triassiche ed infraliassiche della catena metallifera, mostrando che molta parte di questa, già da un pezzo formata, era, durante P eocene, completamente sommersa, della qual cosa ho discorso a lungo nella Parte III della Geologia del Monte Pisano. La disposizione di simili rocce è intanto ben degna di nota, perchè spiega pure la situazione di molti lembi serpentinosi. Per via di questa posizione del macigno sopra al calcare num- mulitico dell’ eocene inferiore, e sotto i calcari e gli schisti che segnano P ultimo termine dell’ eocene e sottostanno per lo più con discordanza notevole a rocce del miocene medio e superiore, ho attribuito il macigno stesso all’ eocene medio, ponendo nel- P eocene superiore gli alberesi e gli schisti. Queste due forma- zioni ben distinte ed ambedue di potenza straordinaria erano confuse nel piano liguriano, ciò che significa non potersi affatto accettare questo nome nel senso primitivo, e dover esso avere sorte uguale a quella dei nomi consimili di messiniano, piacen- tino, astiano, e di altri recentemente introdotti. Tutt’ al più il nome di liguriano, che io stesso usai provvisoriamente nel pas- sato, potrebbe venir limitato alla zona calcarea e schistosa supe- riore che infatti predomina nella Liguria, lasciando per ora P an- tico nome di etrurio, proposto dal Pilla, alla zona arenacea dell’ eocene medio che predomina nell’ Apennino toscano. Poste cotali distinzioni, mi sono dato cura di conoscere i fos- sili, sebbene sia comune opinione che non si possa distinguere nemmeno una roccia cretacea da una eocenica, sul fondamento dei così detti geroglifici, cioè di quelle impronte così frequenti nel flysch dell’ Europa centrale che è geologicamente analogo ai nostri terreni eocenici. Secondo le mie osservazioni invece, sebbene andate poco avanti, ho veduto che se certi resti sono comuni a parecchie formazioni, altri pare non lo sieno affatto. - 446 — Una conclusione definitiva peraltro sarebbe pel momento prema- tura, ed io mi limiterò a dare la nota dei pochi fossili che ho finora raccolti o notati in orizzonti ben determinati; taluni dei quali credo che nell’ avvenire potranno fissare con precisione T età dei terreni, anco indipendentemente dai loro rapporti stra- tigrafìci, ed altri serviranno a sincronizzare i lembi di differenti luoghi. Nell’ eocene medio segnerò per ora i fossili seguenti : Nummulites sp. Forma grandiosi banchi in mezzo all1 arenaria a Montebuono sul Trasimeno nell1 Umbria. Teredo sp. cfr. Norvegica Speng. È frequentissima per tutto nei tronchi legnosi fossili che formano la così detta stipite, eh1 è una varietà di lignite alternante coll1 arenaria. Della conchiglia non restano tracce ; ma la forma dei tubi ed i nuclei sono iden- tici nelle dimensioni e in tutto a quelli della T. Norvegica vivente e fossile nel pliocene, nel miocene e secondo taluno anche nel- l1 eocene. Io ne ho esemplari della Val di Piestro nel Pistoiese e della valle del Sauro tributario del Serchio. Reticalim 1 textum Heer. Non è raro negli strati schistosi che alternano nell’arenaria. Lo conosco della valle del Sauro al Ponte a Piastra e del Mugello (Sottini !). Secondo l1 Heer è un fossile della famiglia delle alghe. Lumbricaria sp. Ponte a Piastra nella Valle del Sauro. Palaeodyction majus Meneghini. Monte di Fiesole, Casola Valsenio, presso Lipiano. P. Strozzii Mgh. var. ? presso Corniglia nell1 Apennino parmense. Palaeomeandron elegans Peruzzi. Valle del Mugnone. Pinus sp. È questa, benché indeterminabile, la migliore im- pronta di vegetale terrestre che io conosca nelle tracce di lignite le quali si trovano sì frequentemente entro P arenaria. La raccolsi nella valle del Sauro. Nell1 eocene superiore conosco le impronte seguenti : Clupea 2 sp. n. di piccole dimensioni. Scomberoide 1 sp. varii frammenti. Percoide 1 sp. Serranus o Peryx. Varie squame. Tutte le suddette specie 1 Reticulum, novum genus. — Palaeodyction Heer 1858 non Palaeodyction Meneghini 1851. — 447 — di pesci si trovano nei Monti della Tolta sopra il macigno della zona antecedente -ed esistono in massima parte nel Museo del- P Università di Roma ; qualche frammento ne è pure nel Museo di Pisa. Il Ponzi accennò in generale questi pesci ed il Bosniaski recentemente, dietro mia preghiera, li esaminò e mi ha parteci- pato le determinazioni da lui fatte dietro alcune semplici osser- vazioni preliminari. Io spero che il dotto paleontologo vorrà portare la sua considerazione anche sopra questo importante ar- gomento. Il Bosniaski ha giudicato le sopra citate specie come eoceniche. Oxyrhina cfr. hastalis Ag.; l’Issel ne ebbe un frammento di dente dalla Colla della Sisa nella valle del Bisagno. Era conver- tito in rame nativo e si trovava nelle argille scagliose equiva- lenti a quelle nelle quali si trovano i serpentini. La presenza di simili resti di pesci convertiti in rame si verifica nelle mede- sime argille a Camporaghena nell’ Alpe di Mommio ed a quanto sembra pure nel Bolognese. Cylindrites zickzack Heer. In uno straterello d’arenaria alter- nante coll’ alberese presso il serpentino a Pontecosi nella valle del Serchio. Helminthoidea labyrinthica Heer (. Nemertilites ìumbricoides Me- neghini) Comunissima sulle lastre del calcare marnoso che ricopre per P estensione di parecchie diecine di metri quadrati, a minu- tissimi straterelli gli uni agli altri sovrapposti per P altezza di qualche decimetro. Apennino Bobbiese (Taramelli) e Parmense ; Lunigiana, Garfàgnana, Giuncugnano, Yardiano, Metra, Pieve San Stefano, Elba, Sassa in Val di Cecina, Botro del Giunco ma- rino nei monti della Castellina. Mi sembra che questa specie sia peculiare, od almeno sarà di gran lunga predominante, nei cal- cari marnosi che spesso formano una zona sottostante alla serie serpentinosa. Taonuras flabelliformis Fischer (Zoophycos brianteus Massa- longo), Filattiera in Lunigiana, Antignano nei Monti Livornesi, Volognano presso Pontassieve, Gigliano presso Pieve San Stefano in Valle Tiberina. Taenidium Fischeri Heer. Nel calcare sottostante alle ser- pentine, a Caniparola nel Sarzanese. Chondrites Targionii Brong. Castellina Marittima. - 448 - C. intricatus Brong. Botro del giunco marino nei monti di Castellina Marittima. C. affinis Sternberg, Monte di Fiesole. Nell’ arenaria da me attribuita all’ eocene medio non com- paiono le serpentine in nessun luogo dell’ Apennino. Ammesso che F aspetto litologico di questa zona, è ben riconoscibile per la prevalenza esclusiva delle arenarie stesse, ne viene eh’ essa pure può giovare a determinar la posizione delle serpentine nel caso che non giungano allo scoperto i calcari nummulitici. Per tal modo nei monti della Castellina e nei Monti Livornesi, e più propriamente nei dintorni di Gello Mattaccino, e fra Calatoia ed il Romito, la posizione della zona serpentinosa e dei soliti . calcari appartenenti all’ eocene superiore è schiarita dalla pre- senza del macigno appartenente all1 eocene medio nelle regioni più interne di quegli anticlinali. Posto così che le serpentine si trovano esclusivamente nella zona calcarea e schistosa dell1 eocene superiore, veniamo ad esaminare anche più da vicino questa zona, con quella bre- vità però che sola mi è concessa in questo momento. Nella so- pracitata adunanza della Società toscana espressi il parere che i calcari e gli schisti dell1 eocene superiore possano dividersi in tre zone; l1 inferiore formata da calcari marnosi con Hélminthoidea labyrinthica, la superiore da calcari alberesi più puri, e la me- diana rappresentata da schisti e da argille galestrine o scagliose propria delle serpentine e di tutte le rocce che le accompa- gnano. Questa successione, almeno in modo generale, non è discorde troppo da quella che il Taramelli ha ammessa recen- temente nel suo studio sulla formazione serpentinosa dell1 Apen- nino Pavese (Atti B. Acc. Lincei, 1878). Quantunque essa non debba accettarsi alla lettera, ma piuttosto come un ordine pre- valente delle varie zone, sembra però in fatto che le rocce ser- pentinose trovinsi soltanto nella zona media e nella superiore. Esse sono accompagnate di regola da argille galestrine o sca- gliose variamente colorate, e tutte insieme si comportano come si comporterebbe qualunque zona di rocce delle più distintamente sedimentarie. I banchi serpentinosi, li chiamerò così, seguono la disposizione medesima degli schisti e dei calcari della medesima zona, sono allineati in egual modo, sono nei medesimi rapporti - 449 - e fra loro e colle altre rocce, hanno le medesime discordanze, soffrono i medesimi movimenti. I banchi serpentinosi e le rocce concomitanti formano delle gran masse, a volte sovrapposte, a volte incastrate le une nelle altre, o limitate dalle altre rocce eoceniche superiori, o a volte quasi sole. Le serpentine, a volte, dopo aver raggiunto grandi estensioni spariscono, e se ne trovano dei lembi isolati qua e là ; ovvero sono rimasti semplicemente dei conglomerati ofìolitici ; o compaiono delle lenti di pura argilla a provare che se la serpentina manca, la zona in cui essa si trova seguita nel solito orizzonte. Nei banchi stessi poi ne’ quali le serpentine si trovano, queste alle volte formano dei lembi rotti e staccati, come accade in piccolo nelle esperienze fatte dal Dau- brée sui frammenti delle Belenniti chiuse in una massa di piombo che poi veniva laminato e pigiato. Attorno a quei gruppi, e, sal- misia, a quelle grandi patate di serpentina, gli strati sottili, spe- cialmente quelli degli schisti e dei diaspri, sono per lo più storti e ripiegati salvo poi a riprendere più in alto e più in basso la loro posizione normale. Si capisce come ciò avvenga ; l’argilla e lo schisto sono di pasta essenzialmente laminabile e malleabile come il piombo nelle esperienze di Daubrée ; la serpentina è dura, tenace e resistente come e più delle Belenniti calcaree : basta perciò che accada qualche movimento interno perchè si ab- biano fenomeni uguali a quelli indicati, che accadono sempre quanto più è diversa la resistenza e la tenacità delle rocce che sono a contatto, coni’ è appunto il caso delle serpentine e delle argille. Per effetto di quella posizione speciale dell’ eocene superiore apenninico, sconcordante molto frequentemente sopra rocce anti- che della catena metallifera, avviene che le serpentine, come le altre rocce della medesima zona, si trovano talora discordanti e fin poste verticalmente sulle testate di rocce carbonifere, trias- siche, e liassiche come si verifica a Iano, al Cornocchio, e come indicai a suo luogo nella Montagnola senese, non meno che nei poggi i quali formano la continuazione di essa. In alcuno di questi casi, i geologi passati i quali pure avevano riconosciuto 1’ età recente delle serpentine, ritenevano eh’ esse traversassero a mo’ di diga i terreni più antichi, la quale opinione non regge all’ esame attento dei fatti. È bene intanto notare che le serpentine non - 450 si trovano mai sotto queste antiche rocce ma esclusivamente al- 1’ esterno delle medesime. Altro fatto importantissimo per la storia delle serpentine, che è già stato notato dal Savi, dal Meneghini e dal Pilla e che io ho messo in luce a suo tempo per la Garfagnana, è la presenza di conglomerati ofiolitici nei quali, con ghiaie e frantumi di al- beresi, o di diaspri e d’ altre rocce sedimentarie, -si trovano ghiaie e frantumi di serpentini e di rocce simili. Nel pliocene e nel miocene questo fatto è già troppo conosciuto; ma io parlo qui dei conglomerati che succedono immediatamente ai serpentini, che sono intercalati fra- i banchi di questi e che fanno parte della stessa formazione eocenica superiore : essi furono citati da me e dai tre geologi suddetti, nella Valle Tiberina, a Libbiano, a Rocca Tederighi, in Garfagnana ed altrove. Altro singolare schiarimento alla storia che io son dietro a tracciare brevemente, verrà dato dai seguenti cenni intorno al modo reciproco di comportarsi fra i banchi serpentinosi e gli strati delle rocce indubbiamente sedimentarie. Si noti che io non cito se non i principali fra i casi da me osservati, e quelli che più facilmente potranno essere verificati da altri. Ho parlato altra volta di alcuni esempi che si verificano nella Garfagnana (Le rocce serpentinose d. Garf. — Boll. R. Gom. geol., 1876) e qui riporterò la serie delle rocce che si possono vedere in un taglio lungo la strada della destra del Serchio, sulla riva sinistra del torrente di Vagli : 1. Arenaria fissile alquanto alterata ; 2. Conglomerato rosso o verdastro con ciottoli d’ alberese, di diabase afanitica verde e di gabbro rosso; 3. Diabase verde screpolata con grossi cristalli di labra- dorite ; 4. Conglomerato come il num. 2 ; 5. Diabase come il num. 3 con prehnite, calcite, oligisto che erroneamente ritenni prima ziguelina ; 6. Gabbro rosso in massi arrotondati ; 7. Conglomerato verde arenaceo con elementi finissimi uguali a quelli del num. 2; 8. Conglomerato rosso a grandi elementi delle solite materie ; 9. Schisti turchini ed arenaria silicea. - 451 Nei Monti Livornesi e propriamente nei poggi del Romito lungo la strada litorale Livorno-Cecina, chi viene da Livorno incontra un’ estesa formazione di arenaria macigno appartenente all’ eocene medio, che è la più antica roccia dei monti Livor- nesi, e comparisce per non grande tratto denudata prossima- mente al mare nel Montacelo e nei promontori del Boccale e di Calatoia. Gli strati del macigno sono disposti ad anticipale sotto a quelli dei calcari che formano la massima parte dei Monti Livornesi, e se ne traversa 1’ asse al Botro di Calignaia dopo del quale gli strati arenacei pendono verso S.S.E. Un poco prima del torrentello che si può dire confini a ponente il promontorio del Romito succedono le rocce posteriori al macigno, e si può vedere benissimo la disposizione stratigrafica delle rocce ser- pentinose le quali formano il pittoresco promontorio e fanno sì che questo si avanza tanto nel mare a preferenza delle rocce circostanti. Ecco la serie degli strati nel luogo anzidetto ; aggiungo la misura d’ogni singolo banco che, non avendo meco il metro, presi a occhio sul posto: 1. Macigno sopra citato. 2: Alberese con un poco di schisto ceruleo friabile, metri 1. 3. Steatite verdognola* compatta, dura, metri 1/2. 4. Serpentino schistoso e con aspetto quasi argilloso in strati ben distinti, metri 1 y2. 5. Schisto con fucoidi, metri 1. 6. Altri strati di schisto con nodi di alberese. 7. Eufotide, metri 2 a 3. 8. Schisto in strati molto contorti, le cui contorsioni non si estendono però agli strati sottostanti, mostrando con ciò che la causa di esse è affatto superficiale. Negli strati superiori è rossastro ed alquanto alterato, metri 8 a 9. 9. Ftanite silicea dura e compatta, rossa o turchina in strati molto contorti, circa metri 7. 10. Eufotide, la quale comincia all’ Osteria del Romito e forma poi tutto il promontorio. Camminando ancora verso Quercianella si vedono altre alter- nanze di rocce sedimentarie e serpentinose, ma poi si entra nel- l’alberese, e non si ritrovano le rocce serpentinose rappresentate 452 - per lo più da ranocchiaie, se non passato il Botro dell’Arancio. Qui ne’ Monti Livornesi, come in tanti altri luoghi, anche le masse delle eufotidi o delle serpentine, dove sono più uniformi, sono divise a banchi o strati, i quali nella direzione e nel grado della pendenza hanno colla orografia del monte i medesimi rapporti che avrebbe qualunque altra roccia delle più chiaramente sedi- mentarie. Finalmente nei poggi del Cornocchio nella provincia di Fi- renze, sulla strada da Gambassi a Camporbiano, alla sinistra per chi viene da Gambassi passato Spilocchi, si vede la serie se- guente, cominciando dalla roccia inferiore che riposa sopra le grandi masse d’ eufotide del Botro dei Casciani : 1. Schisto calcare ceruleo in strati fìtti e sottili, ripiegati, spesso ripieno di due specie di fucoidi. 2. Eufotide quasi terrosa col diallagio ed il feldspato, disposti a strati alternanti di vario colore, paralleli a quelli dello schisto, metri 1/2. 3. Eufotide un poco alterata e terrosa che si divide in masse globulari, metri 2. 4. Gabbro rosso parimente alterato e divisibile in massi globulari, nel quale si vedono chiusi alle volte dei frantumi inal- terati di alberese, metri 1 7*. 5. Conglomerato di frantumi d’ eufotide e d’ alberese, me- tri 2 a 3. 6. Alberese in strati regolari ed uniformi. Per chi dubitasse trattarsi in taluno degli strati mentovati di rocce ricostituite e di frammenti cementati, dirò che que- sta cementazione e ricostruzione si verifica più volte, ma le ap- parenze della roccia sono allora molto diverse da quelle delle rocce primitive e si hanno i conglomerati, i tufi, le spiliti, le oficalci e le ofisilici, nelle quali senza fatica si riconoscono le stratificazioni delle rocce ordinarie. Negli stessi luoghi nei quali si trovano a contatto le più svariate rocce che fanno parte della formazione serpentinosa, esse non sono confusamente ammassate, nè disordinate nei loro rap- porti reciproci ; bensì formano quasi generalmente dei banchi intercalati ed alternanti con regola, che mostrano un certo or- dine di successione. Accennerò un esempio solo che si può riscon- 453 - trare nel Bosco di Villa in Garfagnana, uno eli que’ luoghi nei quali si trovano insieme le maggiori varietà di tutte le rocce appartenenti ai quattro gruppi da me distinti. Cominciando dunque dall’ alveo del torrente Mozzanella e salendo fino in cima al Sasso Cinturino si ha la serie seguente : 1. Diabase verde variolitico che si divide in masse globu- lari, e che verso Mozzanella posa sopra le rocce sedimentarie dell’ eocene superiore. 2. Alterna in esso un banco di granito cloritico, a volte sostituito da petroselce che si presenta sulla sinistra della Moz- zanella presso il Ponte, e sulla destra al Cornino. 3. Diabase compatto afanitico, verde. 4. Diabase verde porfirico. 5. Serpentino diallagico. 6. Ranocchiaia alternante con banchi molto regolari di euritotalcite diallagica. 7. Diabase variolitico rosso, che insieme col diabase va- riolitico verde, sempre sottostante, quindi più antico, è la roccia più frequente nella zona serpentinosa della Garfagnana e della Lunigiana. Questo diabase al Colle Cipollini è coperto di con- glomerati eocenici di diabase e di rocce sedimentarie. Dalle cose che ho detto qui, come da tutte quelle che avevo detto in passato, e da quelle osservate dal Taramelli risulta il seguente fatto incontestabile. I quattro gruppi delle rocce serpentinose e le altre rocce che in modo secondario le accompagnano nell’ Apennino settentrionale, formano ima sona precisa e ben distinta, alternante ed interca- lata con quella regolarità che è consentita dai caratteri litologici alle rocce sedimentarie della por sione superiore dell’ eocene. Da vari altri argomenti di cui non ho parlato qui, ma al- trove ( Sulle serpentine e sui graniti eocenici superiori della Gar- fagnana. — Boll, del Com. geol., 1878), conclusi che le rocce serpentinose non si potevano ritenere come metamorfiche, o per meglio dire come trasformate nel posto medesimo dove ora sono, la quale conclusione non si potrà combattere se non diniegando i fatti dai quali mi partii, e 1’ esistenza dei conglomerati frap- posti alle serpentine stesse, dei quali ho pure parlato in questo scritto. Risulta pure con evidenza dai fatti esposti che le nostre -50 454 — serpentine non sono rocce plutoniche, penetrate cioè dentro spac- cature formate dopo la deposizione degli strati nei quali si tro- vano rinchiuse. Due sole ipotesi rimangono, come dissi altra volta; le ser- pentine cioè sono sedimentarie, o sono vulcaniche, vale a dire emerse sotto forma di lava. Nè le difficoltà di ambedue queste ipotesi, per quanto fossero grandi, mi sgomenterebbero, nè mi distorrebbero dal riconoscere fatti di cui maggiore non potrebbe essere la certezza se vero è che esiste una scienza, o almeno un empirismo geologico. Io fin dal principio, come ora, ebbi in mente solo di stabi- lire dei fatti e di mettere il campo a rumore perchè fossero studiati ed accettati. Sulla verità delle ipotesi avremo campo di discutere quando tutti saranno d1 accordo almeno sopra le loro basi reali, ma intanto sarebbe sofisma de’ più gravi e de’ più dannosi negare un fatto, solo perchè le ipotesi proposte a spie- garlo non paiono soddisfacenti. Quanto a me ritengo cosa più verosimile che le serpentine siensi formate per via di eruzioni sottomarine. Che i porfidi e le diabasi, sieno eruttivi, molti già da un pezzo lo ritengono ; che tali possano essere alcuni graniti v’ ha pure chi lo ritiene. Quella certa unità pur prodotta da un cumulo o di forme quasi infinite, che si riscontra nella formazione serpen- tinosa, non è contraria all’ ipotesi di una origine vulcanica, tanto più quando si consideri che, pur come ne’ paesi vulcanici, v’ hanno delle regioni nelle quali predominano alcune specie di rocce a preferenza di altre, e nelle quali anzi v’hanno talora rocce che non si ripetono altrove. L’ abbondanza della magnesia e la frequenza del peridoto nelle serpentine come nei basalti, mostrano l’ affinità che passa fra queste due sorta di rocce pure abbastanza diverse, la cui diversità potrebbe derivare dalla varia profondità nella quale si originarono i fenomeni che produssero l’ emersione, o dalle varie circostanze che li accompagnavano. Alla formazione dell’ eocene superiore dell’ Apennino setten- trionale si sostituisca il postpliocene dell’Apennino meridionale ; agli alberesi ed alle argille di mare piuttosto profondo, si so- stituiscano le sabbie per lo più litorali ; ai graniti cloritici, alle serpentine si dia aspetto di trachiti, di rioliti ec., si avrà così — 455 — in mente, dal Monte Amiata alla Val eli Noto, una serie di rocce eruttive quasi continue, disposte a lenti ed interposte fra rocce sedimentarie, coi medesimi caratteri orografici e stratigrafici che le zone serpentinose hanno dal Monte Amiata al Colle del- T Altare. Alle mie conclusioni sono interamente conformi quelle del Taramelli. L’ unico punto, od almeno il punto principale intorno al quale siamo discordi, è quello che riguarda V origine del granito cloritico. Egli nel suo lavoro citato, ma più in un altro antecedente, Sul granito nella formazione serpentinosa delVApen - nino Pavese ( Atti del R. Istituto Lombardo, 1878), accetta il modo di vedere del marchese Pareto, che riteneva il granito fosse trasportato in frantumi dalle serpentine nell’ atto della loro eruzione ; supposizione logica per T illustre geologo genovese che attribuisce alle serpentine un’ origine plutonica sotto forma di filoni e di masse traversanti le spaccature degli strati più re- centi. Il Taramelli pure, in coerenza di questa idea, crede che quel granito dia la chiave per ispiegare la formazione delle rocce serpentinose, le quali sarebbero derivate nell’ interno della terra da trasformazioni di esso. In sostanza questa idea è quella mede- sima che fu manifestata la prima volta per le serpentine antiche della Calabria, dal Tchihatcheff ( Coup d’oeil sur la geologie des provinces méridionales du R. de Naples, Berlin 1842, pag. 27), e che fu per le medesime serpentine ripetuta recentemente da Lovisato ( Cenni geognostici e geologici sulla Calabria settentrio- nale. — Bollettino del R. Comitato geologico, 1878 , pag. 123). Questi autori, come il Taramelli, ritennero le serpentine derivate da trasformazioni de’ gneiss e de’ micaschisti avvenute però in posto ; con questa differenza che il Tchihatcheff riconobbe le ser- pentine calabresi ben differenti da quelle del Genovesato (e del rimanente Apennino), che secondo lui traversano rocce più re- centi in filoni, mentre il Lovisato vorrebbe riunire in un mede- simo piano le serpentine dell’ Apennino settentrionale (che egli non ha viste), con quelle delle Alpi e con quelle della Calabria. Il Taramelli non essendo poi disposto a ritenere come me, che esso granito cloritico sia effetto di un fenomeno uguale e pa- rallelo, ma indipendente da sembra vedere in quella roc quello che produsse le serpentine, ia frammenti del magma non ancora — 456 - sufficientemente alterato nè trasformato in serpentino e traspor- tato fuori tal quale. Egli poi adatta le denominazioni alla sua idea, vale a dire attribuisce a quel vero e proprio granito il nome di conglomerato granitico, soggiungendo che io pure pub- blicai la scoperta di questo conglomerato nella Garfagnana. Io però mi guardai bene dal dir ciò, giacché se trovai delle masse più o meno grandiose di granito in posto, non ho mai trovato conglomerati, sebbene questi possano esistere come esi- stono de1 conglomerati ofiolitici. I graniti della Lunigiana pure, dei quali parlarono il Cocchi e il Botti, non hanno forma di conglomerato ; il Pareto, ad onta delle sue idee sull’ origine del granito, accenna grandi masse e banchi estesi di esso, la qual cosa è indicata dal Taramelli medesimo, che perfino trovò ban- chi di quella roccia molto grandi e rinchiusi separatamente dalle altre rocce verdi nelle argille scagliose. I conglomerati di que- sto granito, se vi sono, avranno la medesima origine dei conglo- merati gabbrosi e serpentinosi, un’ origine cioè che dirò esogena e superficiale posteriore alla formazione o emersione della roccia da cui derivarono. Ben altra però è l’origine del granito in posto. Io ho trovato in esso quella medesima divisione a strati che si vede tante volte nella eufotide, e che è coerente alla stratigrafia della regione, divisione però che nei casi da me veduti non giunge mai a dargli un’apparenza gneissica. Spesso, ma non sempre, delle vene di clorite traversano il granito come una mica ed una tor- malina traverserebbe un altro granito qualsiasi : per solito la massa va tutta in frammenti che non sono punto effetto dello sfacelo di un conglomerato, ma sono angolosi rispondenti e penetranti gli uni negli altri, derivando essi esclusivamente da una screpolatura indefinita della roccia, originata nell’ iden- tico modo nel quale si originano le screpolature di certe tra- chiti, di certe arenarie e specialmente del macigno. Può essere che questa specie di frattura e le venature cloritiche abbiano fatto credere in qualche caso all’ esistenza di un conglomerato, ciò che però non si verifica nel fatto. Ora appunto ritengo che queste lenti di granito, a volte pur esse intercalate a strati se- dimentari, abbiano un’ origine identica, sebbene indipendente, a quella delle serpentine. Questa idea mi sembra preferibile al- 1’ altra di chi vuole che tali colline di granito sieno state portate — 457 — su dalle serpentine, mentre ne vediamo sempre masse grandi e non piccole, mentre non vediamo traccia delle altre rocce ne- cessariamente traversate dalle serpentine, e che pur dovrebbero essere non meno frequenti del granito, mentre poi vediamo que- sto in lenti eziandio dove non sono serpentine immediatamente contigue, cosa pur riconosciuta dal Taramelli ed ammessa da lui stesso come ostacolo al suo modo di vedere. Nè soltanto metto in dubbio le affermazioni del Taramelli, che il granito formi de’ conglomerati e che sia trasportato tal quale dalle serpentine ; ma quando si dovesse riconoscere V ori- gine vulcanica di queste rocce, combatterei l’ ipotesi che le ser- pentine derivino dalla trasformazione di un magma granitico, o sia pure di un gneiss e di un micaschisto. Lasciamo andare un argomento piuttosto secondario, questo cioè, che il Taramelli fonda la sua supposizione, a quanto pare, anche sull’ idea che simile granito o conglomerato granitico, come egli lo chiama, si trovi colle serpentine per tutto, mentre, come si è visto, manca nella regione meridionale delle nostre serpentine eoceniche e sotto forma di granito cloritico è esclusivo della formazione ser- pentinosa settentrionale : atteniamoci ad altri argomenti d’ indole più generale e più scientifica. È da notare che Tchihatcheff e Lovisato, per dare maggiore evidenza a questa stessa supposizione che il serpentino derivi dal micaschisto o dal gneiss semplicemente per una nuova com- binazione di particelle esistenti, citano e mettono a paragone la formola chimica della mica e la formola del serpentino. Non istarò a ripetere la composizione chimica di questi minerali, sup- ponendo che sia ben nella mente di coloro che terranno dietro al mio ragionamento. Ricorderò soltanto che mentre il serpen- tino è silicato idrato di magnesia, la mica è un silicato non idrato, il quale è in certi casi magnesifero, in altri no. Per li- mitarmi alle miche italiane, nella biotite, che è appunto mica magnesifera e parte principale appunto dei micascisti di Calabria, secondo alcune analisi, la magnesia è contenuta nella proporzione di l/2 ad 8 °lo • in alcune miche magnesifere dell’ isola d’ Elba, dette nacriti dal Savi, quella proporzione sale al 22 °/0 (Achiardi, Min. Toscana , II, 172), che per una mica è abbastanza ragguar- devole, ma sempre molto al di sotto della proporzione di ma- gnesia de’ serpentini. Gii alcali e l’allumina che si trovan sem- - 458 — pre nelle miche, mancano o sono poco abbondanti nelle serpentine : vi è insomma una differenza chimica palese a prima vista. Si ag- giunga poi che la mica non fa parte esclusiva dei graniti, d e' gneiss e de’ micaschisti, e quand’anche al più ne costituisse la metà, l’ altra metà è composta di feldspato e di quarzo, i cui componenti evidentemente sono quasi per P intiero di troppo in una serpentina. La quantità della magnesia e mettiamo pure dell’ ossido ferroso di quelle rocce, suscettibile d’ essere cam- biata in serpentina, è adunque più che minima. Non dirò certo che nelle sopra nominate rocce non esistano alcuni degli ele- menti costitutivi di quel minerale che diciamo serpentina, come di cento altri minerali ; ma nemmeno si potrà negare che un’ al- terazione di quelle masse in serpentina, se sono vere le leggi chimiche a noi conosciute, è insostenibile. Alterazioni nelle miche si verificano spesso, e se ne vedono molti esempi, dei quali, an- che col ragionamento, si può seguire il procedimento chimico : ma quelle alterazioni portano dalla mica alla clorite, non dalla mica al serpentino. Non solo poi nello studiare gli strati vediamo il menomo passaggio dal granito cloritico, alla serpentina; ma se studiamo questa al microscopio non vediamo tra i suoi componenti la più piccola traccia di minerale che presenti indizio di derivazione dal granito ; mentre, come tante volte è risultato da esperienze fatte e pubblicate sopra serpentine apenniniche, troviamo fre- quente e abbondante 1’ olivina (silicato di magnesia non idrato), la quale manca affatto ne’ graniti e si trova invece ne’ basalti. Se fra le rocce non sedimentarie ne sono due di composizione diversa fra loro, queste sono i graniti e le serpentine, come le trachiti e i basalti. Che un magma solo possa dare origine se- condo certi casi a una trachite o ad un granito, questa pare ipotesi fattibile, ed ingegnosamente ne discorse or non è molto il valente professor D’Achiardi; così potrebbe discutersi l’ipotesi che un magma possa produrre in taluni casi basalte, in altri ser- pentina ; ma che un magma acido, e ricco di materie che danno origine a feldspati, possa produrre una roccia magnesiaca, o che un magma serpentinoso possa dar luogo a roccie trachitiche e granitiche, questo mi pare inverosimile. Io crederei perciò che se tanto il granito quanto la serpentina hanno origine vulcanica, come sono disposto a credere, questi due gruppi di roccia mi- - 459 - neralogicamente così diversi, abbiano un punto di partenza af- fatto differente nelle materie che formavano il sottosuolo della regione dove esse si manifestarono. Il Taramelli manifesta V idea che le serpentine, qualunque sia il magma che le produsse, abbiano un’ origine vulcanica sotto- marina. Se questa ipotesi vien fatta per giustificare la mancanza di scorie e di vetri bollosi, la trovo ragionevole ; se la si volesse fare per ispiegare come le serpentine sieno litologicamente di- verse dalle comuni rocce vulcaniche mi parrebbe insufficiente. Si conoscono dei basalti e delle trachiti sottomarine, nè per que- sto i loro caratteri mineralogici sono differenti dalle rocce simili emerse. Per ispiegare V origine delle serpentine dell’ Apennino, quando si voglia escludere che sieno sedimentarie, occorre qualche cosa di più. La presenza in esse del peridoto, e di altre materie che hanno qualche analogia con minerali che si trovano nelle meteoriti e che forse per un’ idea preconcetta, siamo abituati a considerare come costituenti rocce antiche e profonde nel suolo terrestre, può far dubitare che le serpentine nostre abbiano ori- gine a profondità abbastanza ragguardevole. L’ emissione delle serpentine, sarebbe accaduta, secondo il solito, per via dell’ inter- vento delle acque, dopo la formazione di spaccature nella super- ficie terrestre. A formare le comuni rocce vulcaniche sembra ne- cessario, secondo le opinioni più accettabili, l’intervento di grandi masse d’acqua, e particolarmente delle acque marine, le quali, portano la presenza della soda tanto diffusa nelle rocce anzidette. Ora nelle rocce serpentinose si ritiene comunemente non esistere soda, ciò che parrebbe dovesse escludere P intervento delle acque marine. Però, qualunque sia il significato della presenza della soda, credo che le osservazioni più accurate faranno modificare un poco le opinioni che si hanno in proposito. Io conosco 1’ albite o feldspato sodico in molte diabasi ed in molte serpentine della Garfagnana e dei Monti Livornesi ; e l’ Albite stessa si trova nel feldspato de’ graniti cloritici, i quali, spesso accompagnano le ser- pentine. Del resto potrebbero quelle rocce essersi formate per P azione di acque che avessero perduta la salsedine per via della filtrazione a grande profondità, o per altre cagioni. Ad ogni modo queste che ho fatto ora sono ipotesi che io non intendo punto generalizzare, e cui non intendo dare mag- gior valore che non meritino, specialmente dacché si tratta di 460 — una questione della quale spesse volte si parla con imperfetta conoscenza dei fatti più fondamentali e con idee troppo generali e troppo precipitate. Il compito pel geologo è, almeno pel mo- mento, non quello di fare delle ipotesi, ma quello di constatare dei fatti senza generalizzare ; quanto ai fatti che io ho osservati e citati in questo capitolo, spero di essere stato abbastanza chiaro. Un’ apparente e piccolo disaccordo fra me e il Taramelli potè essere sospettato da alcune mie parole, forse non bene espresse, altra volta usate sull’ età della formazione delle serpentine, avendo io detto che esse « sieno venute allo scoperto » durante T eocene superiore. Con quelle parole io volli affermare unica- mente il fatto della formazione eocenica di queste serpentine, senza intaccare pel momento le ipotesi sulla loro origine, come avrei fatto se avessi detto che le serpentine durante V eocene « avevano fatto eruzione » ovvero che « si erano depositate. » Prima di terminare, tornando un poco addietro coi tempi, sarà bene ricordare che fin dal 1839, per la prima volta, il Savi provava che le serpentine toscane si erano insinuate ne’ terreni relativamente recenti attribuiti allora al cretaceo. Lo studio del Savi portò in quel tempo un vero rivolgimento nelle idee che si avevano sopra cotali rocce, credute sempre assai antiche, e ne sorsero lunghe polemiche le quali terminarono come la evi- denza de’ fatti voleva, cioè col trionfo delle idee del Savi, riconosciute unanimemente da quei geologi che erano e sono Bian- coni, Studer, Pilla, Meneghini, Fournet, Burat, Coquand: Tchi- hatcheff. Giova rammentarlo a chi volesse tener troppo conto dei dubbi manifestati recentemente da un illustre e compianto geo- logo, cioè dal Gastaldi, il quale aveva fatto suo oggetto princi- pale di studio le serpentine veramente antiche delle Alpi. Quattro anni sono, finalmente, io mostrai che le serpentine non potevano essere nè plutoniche, nè metamorfiche, e che avevano una posi- zione regolarmente interposta agli strati. Per ora non è avvenuta alcuna polemica intorno a questo punto, ma le osservazioni del Lotti e del Taramelli confermarono le mie; Pesame ulteriore dei luoghi non potrà a meno di rendere sempre più provata P esat- tezza dei fatti da me esposti, la cui prima scoperta e pubblica- zione deve essere attribuita come grande merito a Paolo Savi, il fondatore, insieme col Meneghini, della geologia toscana. (Continua.) - 461 — III. Note sopra alcune serpentine della Liguria e della Toscana del professore T. G. Bonney. (Dal Geological Magatine, N° 182, agosto 1879.) Malgrado l’ asserzione recisa di più di un geologo 1 del ca- rattere intrusivo delle serpentine di queste regioni sembra esi- stere tuttavia qualche incertezza su questo punto e più ancora sul carattere originario di questa roccia. Laonde il risultato del mio esame in alcune poche località, ed i miei conseguenti studi sulle roccie, può essere abbastanza interessante a giustificarne la pubblicazione. Incomincio dalle serpentine del litorale a ponente di Genova. Lasciando questa città per la strada diPegli s’incontra dapprima la serpentina un po’ a ponente di Cornigliano, dove una piccola sporgenza forma un promontorio nel mare. La roccia è di un color verde cupo e tanto decomposta, da non meritare un esame microscopico. Pure l’aspetto'generale, la forma, la struttura, ec. sono affatto quelle della serpentina del Capo Lizard (Cornova- glia). Dubito ben poco che la massa non sia intrusiva benché le costruzioni ne abbiano impedito di trovare il nesso attuale colle vicine roccie sedimentarie. Questa può vedersi a circa un metro dalla serpentina. E un’ argilla indurita di apparenza scistosa, molto frantumata e traversata da vene calcari, sembrando in- somma come se avesse subito l’ intrusione di una roccia ignea. Oltre Pegli si trova di nuovo la serpentina sulla riva del mare. Qui appena passate alcune case si manifesta considerevole quan- tità di breccia serpentinosa che può essere studiata nel dirupo ed in alcune piccole cave. Questo sembra a prima vista affatto si- mile ad un agglomerato essendo composto di frammenti di ser- pentina con alcuni di gabbro ed un poco di una roccia scura ardesiaca, in una pasta simile a cenere che mi rammenta per il 1 D’Achiardi, voi. II, pag. 180. — Stoppani, Corso di Geologia , voi. Ili, § 701. — Jervis, rmQuarterly Journal Geol. Soc., voi. XVI, pag. 480. - 462 suo aspetto i necks, così comuni nelle coste del Fifeshire. Siccome 10 sono stato lungo tempo ansioso di accertare se le serpentine sempre si presentino come vere rocce eruttive,, cioè come una corrente di lava alterata, tufo o conglomerato, esaminai questa sezione con gran cura, ma non fui capace sul posto di venire ad una conclusione positiva. Il gabbro è probabilmente l’ ultima roccia, intrusasi nella breccia e come io credo anche nella ser- pentina, benché l’ ultimo punto non fosse per me così chiaro come il primo. I due vicini promontorii a ponente consistono principalmente di gabbro. Questa roccia passa da una varietà a grana fina di un verde cupo tendente al bleu, difficile a distinguersi a poca distanza dalla serpentina, ad una varietà grossolana composta di un minerale bianco di saussurite e di una diallagia o augite di un verde cupo o quasi nera. La prima roccia rassomiglia as- sai ad alcuni gabbri della costa di Cornish, eccetto che il mine- rale pirossenico è meno metallico e la saussurite meno abbon- dante. Essa racchiude uno o due frammenti di roccia scistosa di aspetto piuttosto serpentinoso. Ho esaminato un pezzo del gabbro più compatto. A primo aspetto si vede che esso è stato fortemente alterato, la massa fondamentale risulta di una me- scolanza piuttosto confusa d’ un minerale chiaro talvolta granu- lare e di un minerale piuttosto fibroso chiaro che probabilmente è una varietà di orneblenda. In questi vi sono parecchi grani piuttosto grandi di ilmenite decomposta, alcuni grani si rasso- migliano a diallagia decomposta, ed una considerevole quantità di un minerale orneblendico che mostra qua e là distintamente 11 clivaggio dell’ orneblenda ; in altre si divide in pezzi alquanto fibrosi o lamellari, la maggior parte dei quali mostra un co- lore bleu cupo speciale. Assaggiando quest’ ultimo per dicroismo noi osserviamo che esso cangia da questo colore ad un giallic- cio oliva pallido, e troviamo che alla luce ordinaria trasmessa l’ultima tinta è vista in sezioni approssimativamente tagliate parallelamente alla faccia basale, mentre il color bleu si vede essere proprio della maggior parte delle sezioni tagliate ad an- goli retti con essa. Questo minerale dalle sue associazioni e dal modo di presentarsi sembra essere di seconda formazione, come ordinariamente è nel gabbro la parte costituita di orneblenda. - 463 - Vi ha poco dubbio che sia glaucofane.1 Vi sono pochi grani di epidoto e vari piccoli prodotti di decomposizione, benché ora non vi si distingua feldspato, credo che l’aspetto e la struttura della roccia ci giustifichi nel presumere che questo minerale era altra volta presente e possiamo quindi chiamarlo un gabbro -glau- cofane. Quanto alla roccia brecciata sopra menzionata, l’ impossibilità di ottenerne una lastra sottile rende difficile arrivare ad una conclusione. I grani non hanno aspetto angoloso o scoriaceo molto marcato. Vi si può riconoscere l’ ilmenite, la glaucofane ed un minerale pirossenico, e forse piccole quantità di serpentina e di una roccia orneblendica o cloritica. Non vi è nulla in essa che dia indizio speciale di una roccia vulcanica, e se è un agglome- rato sono sicuro che esso è connesso col centro del gabbro, non del serpentino. La roccia scistosa inclusa dà indizi di origine frammentaria, ma è stata molto alterata rammentando un po’ alcune delle rocce cenerognole del siluriano inferiore della Galles settentrionale. Ora però è principalmente composta di minerale orneblendico fibroso, fra il quale vi è glaucofane e minerali granulari terrosi, ferrite, ec. Vi sono pure tracce di diallagia decomposta associata con la glaucofane. Oltre questo posto, troviamo sulla spiaggia vicino a Pra una ardita eminenza, coronata da un antico forte, che si eleva sopra le sabbie ed ora isolata da un taglio della ferrovia. Essa è com- posta di serpentina brecciosa ; i frammenti angolari di un diame- tro variante da meno di un pollice ad un piede sono cementati da un minerale biancastro che sembra talora essere steatite, ta- lora calcite o aragonite, la massa totale è in condizione assai decomposta, ma mi sembra certo che essa abbia assunto la strut- tura brecciata in sito. A ponente di questo luogo, la spiaggia diviene per un poco piana e sabbiosa. La serpentina si estende evidentemente all’ in- terno per una distanza considerevole, ma siccome tutta quella che era visibile sembrava molto decomposta e non vi erano se- gni di cave, non abbandonai la costa. Anche qui non mi fu pos- 1 Varietà alluminosa di orneblenda. — 464 - sibile ottenere alcun buon campione delle roccie in posto. La spiaggia però, specialmente in vicinanza di Pegli, è sparsa di piccoli blocchi e ciottoli di serpentina verde-cupo che probabil- mente vennero trasportati dall’ interno dal torrente Varenna. Vi osservai due varietà : V una è una roccia di un verde molto cupo, quasi nera, con numerosi cristalli di bronzite molto simile alla serpentina nera di Cadgwith ; l’ altra alquanto più dura e quasi priva di cristalli inclusi. Quest’ ultima sembrava non offrire alcun probabile interesse al microscopio, e già pos- sedeva una scaglia levata da una roccia affatto corrispondente all’ altra ; cosicché, siccome questi campioni non sono in posto, non li ho studiati al microscopio ; invero per là loro generale identità apparentemente colle serpentine di Cadgwith 1 e di Col- monell,2 credo di essere giustificato reclamando per esse una pari origine senza ulteriore esame. La ferrovia da Genova alla Spezia attraversa una grande massa di serpentina che forma il profilo della costa per parec- chie miglia. Si vede dapprima a Framura e si estende sino a Bonassola, molto decomposta e presentando in certi punti una struttura sferoidale singolare. Il colore ne è talvolta rosso rug- gine, talvolta verdiccio. A sud di quest1 ultima località s’incon- tra una considerevole quantità di gabbro grossolano composto evidentemente di saussurite e di un pirosseno verdastro che lo costituisce. La serpentina è scoperta tutto lungo la costa ed evi- dentemente si estende all’ interno al di sopra di Levanto e a Mon- terosso. Proprio a nord di questo villaggio essa finisce, ed al- P uscita di un tunnel troviamo alla stazione una roccia di color cupo che ora è alquanto d’ aspetto schistoso e grandemente con- torta e compressa, ma sembra essere stata originariamente uno schisto con zone pietrose irregolari o concrezioni. Dopo aver traversato questa sezione nel treno tornai a Le- vanto, dove aveva osservato delle cave, allo scopo di esaminare la serpentina più minutamente. Da questa località la serpentina si estende considerevolmente all1 interno, a nord della borgata vi sono piccoli numerosi cavi e si ponno ottenere magnifici cam- pioni della roccia. Yi sono due varietà: una più comune, è una 1 Quarterly Journ. Geol. Soc., voi. XXXIII, pag. 890. * Quarterly Journ. Geol. Soc., voi. XXXIV, pag. 770. - 465 — roccia pavonazza o nericcia talvolta venata di un verde scuro : e con lamine cristalline di bronzite brillante, molto simile alla roccia già descritta ; fi altra di una tessitura più granulare e di frattura più scabra, ed anche più tenace al martello, di colore alquanto più verde e con minor splendore metallico nel minerale incluso ; a sud del paese vi ha pure serpentina, la prima roccia che si mostra sulla spiaggia è una breccia i cui frammenti ras- somigliano alla prima delle accennate serpentine e proprio sopra vi è un gran disco, largo circa sei metri, di un gabbro molto grossolano. Il gabbro è alquanto decomposto e risulta di saus- surite e diallagio, la prima decisamente predominante, ed i cri- stalli dell’ altro spesso di un pollice e talvolta di due pollici di diametro. Al di là di questo prevale la serpentina. Magnifici blocchi squadrati di bella serpentina brecciata giacevano vicini alla ferrovia in attesa d’ imbarco. Ricercando trovai che le cave erano distanti quattro o cinque miglia fra le montagne ; mi pro- curai quindi una guida e andai a visitarle. La strada passava sopra le cave già menzionate e girava intorno alla parte supe- riore del promontorio nord di Levanto, finché essa si volgeva sul burrone che discende a Bonassola. Il paese è per la maggior parte selvaggio ed incolto, un deserto di rupi serpentinose e blocchi scarsamente coperti di cespugli, di mortelle e di radi abeti. La serpentina è spesso molto scomposta, ma si trovano anche masse ove la roccia è ben conservata. Per i caratteri ge- nerali rassomiglia alla serpentina di Capo Lizard : le fessure sono frequenti ed irregolari, ma sottili, spesso intonacate di steatite bianca, la faccia superiore si fa bruna per fi azione atmosferica e spesso diviene scabra. In un punto la roccia esposta all’ aria mostra una struttura perfettamente sferoidale che per quanto mi consta non è comune nella serpentina. Un miglio circa al disotto della prima cava notai una massa di roccia sedimentare alterata, della lunghezza di cinque a sei metri, evidentemente inclusa nella serpentina: essa è di color rosso chiaro, è alquanto più dura della calcite ed è evidentemente una roccia argillosa indurita. Più in là a qualche distanza incontra un gabbro grossolano dei- fi aspetto ordinario. Apparentemente è intrusivo nella serpentina, ma sono entrambi così scomposti che non è punto facile il con- statarne i loro rapporti. - 466 - La prima cava è sui monti ad un’ altezza probabilmente non minore di 800 piedi sopra il mare, e le sommità circostanti sono più elevate di qualche centinaio di piedi tutti di serpen- tina. Questa cava offre V opportunità di esaminare la breccia, che ha una lunghezza di circa 36 metri ed uno spessore di forse 11. La bella struttura ed il colore si palesa facilmente gettando un po’ d’ acqua nella superficie. Più in alto, a circa dieci minuti di cammino, vi è un’ altra cava nella quale si pre- senta una roccia simile, e ve ne sono altre due o tre nelle vi- cinanze, sicché vi deve essere una considerevole estensione di questa breccia. Il risultato delle mie osservazioni sia nelle cave che nei grandi blocchi a Levanto (che furono poco meno istruttive) può così riassumersi. La serpentina è del tipo ordinario, ma la varietà rossa è tanto comune o forse più comune di quella verde cupo. 11 materiale cementante è calcite cristallina. La roccia è eviden- temente non un agglomerato ma ha assunta la forma brecciosa in posto. Per esempio, si lavora un blocco che sarà una massa di serpentino attraversata soltanto da poche fessure che furono riempite da calcite infiltratasi. Un altro mostrerà frammenti più minuti e talora un po’ spostati, la calcite più abbondante e più ampi gli spazi da questa occupati ; un altro non ci darà il ban- dolo della sua origine, ma sarà semplicemente una breccia di frammenti di serpentina cementato da calcite che sembrerà for- mare talvolta quasi la metà della roccia. Alcune parti presen- tano un’ intima mescolanza di serpentina pulverulenta e calcite, e qua e là delle sottili lamelle di minerali serpentinosi. Si può così avere una gradazione dalla roccia quasi intera fino alla sua completa fratturazione. Una superficie della roccia nella cava in- feriore mostra perfettamente questo fatto in uno spazio di circa quattro metri. Ho esaminato al microscopio delle lamine tagliate rispettiva- mente da un campione molto brecciato e da un altro appena venato di calcite. Esse confermano pienamente le opinioni sopra espresse e dall’ apparenza si può congetturare che la struttura brecciata si formò quando la roccia era già divenuta una ser- pentina. In una vi è porzione di una vena che contiene una va- rietà di orneblenda di color chiaro debolmente dicroica e un - 467 - minerale associato più simile ad un’ enstatite alterata ; proba- bilmente essi sono di seconda formazione. Credo che colla cal- cite sia intercristallizzata alquanta dolomite. Abbiamo dunque qui una massa di serpentina comune, la quale è stata ridotta in breccia in posto e consolidatasi di nuovo per infiltrazione di calcite. Ognuno che abbia molto esaminato la serpentina sul terreno ricorderà che la sua natura fragile e le sue sottili irregolari fenditure debbono essere causa del suo frantumarsi forse più prontamente che la maggior parte delle altre rocce. Tutta la regione montuosa che cinge la Riviera di Levante è stata grandemente dissestata e le sue rocce sono spesso molto contorte. Durante uno di questi perturbamenti, senza dubbio ebbe luogo lo schiacciamento. A quel tempo i calcari che ancora pre- dominano fra le rocce sedimentari intorno al massiccio serpen- tinoso, si estendevano senza dubbio al disopra di esso e T acqua che colava giù da essi, mentre andavano denudandosi, depositava il carbonato di calce CaC03 di cui era carica nelle fenditure della roccia sottostante. Ora questa è divenuta visibile essendo scomparsa ogni traccia della roccia un tempo sovrapposta.1 Oltre la sopraindicata breccia, ho esaminato al microscopio le due varietà di serpentine di Levanto sopradescritte. La lamina della roccia più granulare, è sembrata (con i Nicol incrociati) consistere principalmente di grani molto carat- teristici di olivina, separati da fili (di variabile grossezza) di serpentina i due minerali essendo presenti circa in quantità eguali. Vi sono i soliti nuclei di opacite. Insomma, T apparenza della massa fondamentale della lamina è così simile a quella che ho già descritta in una serpentina di Cornish 2 che il ripeterla è inutile. L’ enstatite e T augite, come constatai con saggi ot- tici ec., sono presenti e vi è forse anche un po’ di diallagio. Credo che il primo minerale predomini, ma riesce difficile il de- terminare il sistema cristallino di qualcuno dei grani. Gli endo- 1 Dovrei forse stabilire che non vi. è nulla a favore dell’idea che questo schiacciamento sia stat'o subitaneo, o associato con una qualche quantità eccezio- nale di calore. Può essere stato il risultato d’ una pressione continuata a lungo e producetesi ora qua ora là. È invero possibile che il processo di schiaccia- mento, e il cementarsi successivo, abbia potuto ripetersi più di una volta. 2 Quart. Journ. Geol. Soc., voi. X, sec. XXXIII, pag. 916. - 468 morfì di opacite sono alquanto più comuni del solito nell’ ensta- tite : vi è un poco di pirotite. L’ altra varietà compatta mostra un più completo passaggio alla serpentina. Non rima, ne olivina a mostrare polarizzazione cromatica benché qua e là vi sia qual- che grano con doppia rifrazione. In questa vi è pure, come era da aspettarsi, un po’ più di opacite. Essa forma spesso delle striscie continue; è più o meno frequente in grani (altra volta di olivina) o disseminati in ogni parte di essi o aggruppate verso T esterno. Vi sono 1’ enstatite e il diallagio, quest’ ultimo circon- dato da un orlo di un minerale serpentinoso entro il quale i piani di clivaggio principale sono continuati e sono spesso di- stinti da sottili linee di opacite. I clivaggi paralleli a ooP sono indicati da sottili linee di serpentina. La stessa vicenda è comune ad altre rocce serpentinose che io ho esaminate. Questo secondo minerale si può vedere con una lente a mano formare un orlo simile a talco, intorno al cristallo inalterato ; probabilmente esso è strettamente collegato a quel minerale. Yi è qualche piccolo grano di pirotite ed alcuna delle più minute opaciti e dicroica, ed è probabilmente manganese. Per gentilezza del prof. Liveing è stato esaminato per me un campione di questa seconda roccia nel laboratorio dell’ Università di Cambridge dal signor C. T. Heycock del King’s College, al quale rendo le più sentite grazie. Insieme con questa analisi riproduco per confronto quella di serpentina molto simile in apparenza dell’ Ayrshire e di Cornwal. Levanto. Balkamie. 1 Cadgwith.2 Peso specifico 2,705. Peso specifico 2,587. H20 j ; n’61 ! ; 14, 08 12, 35 FeS j [ tracce 0,41 Si02 .... 40, 47 38,29 38,50 AIA .... 4, 35 3, 95 1, 02 FeA ; [7,67 j [ 2, 53 4, 66 FeO ‘ 1 l 4,04 3, 31 CaO 0, 84 0, 57 1, 97 MgO 34, 59 35, 55 36, 40 MnO .... 0, 15 tracce — NiO 0, 49 0, 15 0, 59 Residuo. . . — — 1, 37 100, 11 99, 16 100, 58 1 Quart. Journ. Geol. Soc., voi. XXXXIV, pag. 771. » Idem, XXXIII. pag. 925. - 469 Tutti essiccati a 100° cent. Nel campione di Levanto vi era leggerissima traccia di C02. L’acido cloridrico scioglieva il 95,54 per cento della massa, lasciando 4,46. di residuo in una polvere amorfa leggermente verde. Il tenore dell’ allumina, qui come nel campione di Ayrshire, è più grande di quello che potessi cre- dere dacché non posso vedervi traccia di feldspato. Una parte di esso però può essere dovuto a materiali pirossenici, ed il resto a pirotite. È interessante la presenza costante del Nichel. Là mia visita seguente fu alle cave, dalle quali si ottiene il famoso verde di Prato, che è da secoli una delle più importanti pietre decorative della valle inferiore dell’ Arno. Esse sono a Fi- gline, villaggio a due o tre miglia da Prato. Anche qui la ser- pentina, per quanto si può vedere dalla ferrovia, occupa un con- siderevole tratto della regione montuosa, e sorge da sotto gli strati calcarei che sono così comuni in questa parte dell’ Apen- nino. Figline giace sulle ultime pendici della collina, e avvici- nandosi ad essa da Prato, si vede la serpentina (che ha il solito colore bruno rossiccio, o bruno verdastro, e il caratteristico aspetto dovuto all’ azione atmosferica) formare la sponda destra della valle, mentre sulla sinistra si mostra una roccia argillosa indurita, disturbata e sottilmente fessurata, che suggerisce col suo aspetto, come anche appare al contorno della massa serpen- tinosa stessa, che quest’ ultima è intrusiva. Le cave, che sono piuttosto numerose, sono poste sul fianco della collina dietro Fi- gline. Lasciando quasi direttamente il villaggio all’ estremità in- feriore, si viene sopra un gabbro grossolano del carattere co- mune, ma molto scomposto ; e dopo aver salito circa trenta metri si giunge alle cave di questa roccia, alcune delle quali di di- mensioni considerevoli. Il gabbro è grossolanamente cristallino, e consiste di plagio- clasio rassomigliante a labradorite in parte di color bleu cupo, parte mutato in bianca saussurite, e diallagio verdastro con uno splendore alquanto argenteo, i cristalli comunemente con un dia- metro che varia da */2 a 3/± di pollice, e alcune macchie di verde cupo che denotano probabilmente dell’ olivina alterata. Però la lamina che io ho avuto preparata, non mostra punto di quest’ ul- tima, ma consiste di plagioclasio più o meno alterato diallagio, augite comune, ed un poco di orneblenda di seconda forma- si — 470 — zione.1 La roccia è conosciuta nel luogo come pietra da macina, ed è scavata per tale scopo. Essa varia un poco nel quantitativo di diallagio e di feldspato, e per uniformità di cristallizzazione, ma nel complesso ha un carattere molto uniforme. Non ebbi tempo di tracciare i limiti di questa roccia, ma la grandezza della massa deve essere considerevole. Portandoci' a destra e salendo un poco, ci avvicinammo alla serpentina che forma qui all’intorno la parte superiore della collina. L’ attuale unione delle due rocce è celata dalla vegeta- zione, dalla terra e dai detriti, ma in un corso d’ acqua, ottenni una bella sezione che mi convinse che il gabbro era intrusivo nella serpentina. Le cave in quest’ ultima roccia sono ancora più numerose che nella prima, di guisa che, quantunque tutte le superficie naturali sieno molto decomposte, non vi ha difficoltà di ottenere una buona provvista di campioni. Il carattere generale della serpentina appare essere una massa fondamentale molto uniforme di un rosso cupo con una leggera tinta di verde, irregolarmente macchiettata dell’ ultimo colore; in questa sono sparsi cristalli piuttosto piccoli di minerale verde rassomigliante ad enstatite. Non sono rare sottili vene di stea- tite verde. In seguito a lunga esposizione, la roccia diviene d’ un verde grigio sbiadito e finamente fessurato, ma irregolarmente, le fenditure spesso rivestite di una pellicola di steatite bianca, che talora diviene oscura per 1’ esposizione. Nel suo aspetto ge- nerale la roccia è identica a quelle di già descritte e a quella ■ del Capo Lizard, tanto che dall’esame sul terreno soltanto si potrebbe ascrivere ad una stessa origine. Una lamina microsco- pica non mostra 1’ olivina inalterata, ma in parte, come in quella descritta ultimamente, è visibile una struttura indicante che an- che questa serpentina è una roccia olivinica alterata. Non vi trovo punto enstatite o augite inalterata, ma parecchi grani che si rassomigliano al minerale talcoso sopra descritto. In un’ altra lamina tagliata alcuni anni fa da un campione acquistato a Firenze 1’ enstatite mostra ancora deboli tinte ed un poco della serpentina dà nelle parti filamentose una leggera polarizzazione cromatica. 1 Un analisi del diallagio è data dal D’Achiardi, voi. Il, pag. 84 e del feld- spato (labradorite), idem, pag. 104. La roccia viene comunemente detta granitone, dai geologi toscani. - 471 - Ritornando dalle cave discesi nella vallecola sotto Figline, ed a breve distanza da questa trovai una roccia stratificata a fianco della strada. Questa era dapprima una roccia argillosa con con- crezioni avente V aspetto come se fosse stata molto compressa. Un po’ più vicino s’ incontra una roccia stratificata dura, i cui straterelli hanno una tessitura selciosa e frattura di un color rosso cupo.1 La particolare struttura sottilmente fessurata, l’aspetto di roccia che ha subito l’azione del fuoco e il contorno ondu- lato della superficie degli strati inclinati a 15° sulla serpentina, sono quasi insufficienti a provare che quest’ ultima è intrusiva. Ma rimontando per il letto del ruscello e salendo un po’ a de- stra si possono ottener prove più concludenti. Qui abbiamo la sezione rozzamente delineata nell’ annesso diagramma. Una balza di detrito D maschera veramente l’ attuale unione della serpen- tina colla roccia stratificata, ma lo stato della roccia nel piccolo dirupo è quasi sufficiente a provare l’ intrusione. Però guardando accuratamente intorno, trovo una prova completa. In A, a circa 4 metri da JB, punto estremo ove si mostra la serpentina, e a 6 metri dalla base del dirupo (misurati nel pendìo) e ad un li- vello più basso di pochi piedi, vi era una piccola lastra di roc- cia stratificata aderente ancora alla serpentina. Questa posizione pone fuori di dubbio il carattere intrusivo della roccia. Rapporto fra la serpentina e le rocce sedimentarie presso Figline. A. Roccia stratificata alterata. — B. Serpentina. — G. Roccia stratificata in posto. — D. Detriti. L’ esame microscopico di un campione della parte superiore di D, ha dato risultati interessanti. Esso consiste di una massa 1 Credo sia il gabbro rosso di alcuni autori. - 472 - principale molto finamente melmosa, in molte parti macchiata di un rosso cupo piena zeppa di minuti organismi, alcuni dei quali rassomiglianti a spicule di spongiari, spesso triradiate, altri simili a Policistine o Foraminiferi, come Orbulina o Lagena . Sembrano essere silicei, e la parte interna dà la croce nera di polarizza- zione aggregata. Due o tre sono di certo piccoli gasteropodi. Non è facile determinare la natura del residuo. Un eminente studioso di Microzoi, al quale io sottoposi la lamina, ritiene la maggior parte per Polizoi, un altro per Policistine e spicule di spongiari. Se posso presumere di esprimere la mia opinione, senza che ab- bia fatto speciali studi su tali organismi, questa sarebbe, che mentre alcuni certamente rassomigliano assai a Polizoi, altri sono simili in modo singolare a Policistine. Tutto ciò che appare come siliceo non può condurre ad alcuna conclusione, perchè può avere avuto luogo in date circostanze una sostituzione di materia. Non possiamo così da questi resti fissare P età geologica precisa della roccia, ma si può peraltro classificarli propriamente cogli strati im- mediatamente vicini, che sono, io credo, del cretaceo superiore. Nel Museo mineralogico di Firenze, il professor Grattarola (al quale sono molto tenuto per le informazioni sulle località ec.), mi mostrò una collezione di serpentino e gabbro dell’ Impruneta, a poche miglia dalla città. Esse hanno lo stesso carattere gene- rale che le sopraddette, ma entrambe le rocce erano molto de- composte, cosicché sentendo che non vi erano cave, non credei valesse la pena di visitare la località, poiché non avrei potuto apprendere di più di quello che si poteva dai campioni. Queste serpentine dunque, e senza dubbio parecchie altre zone isolate negli Apennini liguri, che non ebbi V opportunità di visitare, devono essere aggiunte al gruppo così rapidamente crescente delle rocce oliviniche alterate, d1 origine primieramente ignea. A queste appartengono pure, come già indicai le serpen- tine dell’ Elba, e nel nostro paese quelle del Capo Lizard, del- T Ayrshire, di Portsoy, colle altre parti della Scozia, e, come mostrerò in altra occasione, della Galles settentrionale. A queste devono pure essere aggiunte alcune delle serpentine alpine. Qui però è necessaria un’ accurata distinzione, poiché quantunque nelle Alpi vi sia senza dubbio la vera serpentina, alcuna delle rocce comunemente segnate sotto quel nome, lo ebbero impro- - 473 — priamente, essendo soltanto serpentinose, cioè rocce nella cui composizione entrano assai copiosamente altri minerali, e in molti casi sono semplicemente scisti serpentinosi. E impossibile non essere colpiti dalla frequente associazione della serpentina col gabbro : in queste quattro località in Italia, delle quali le due estreme sono separate da più di 120 miglia (e credo in molte altre), a Capo Lizard nel Cornwall, e nella costa dell’ Ayrshire, per parlare soltanto di quelle che ho visi- tate io stesso, noi abbiamo il gabbro intrusivo nella serpentina. Ciò è qualche cosa di più di una mera coincidenza. Questi gab- bri sono pure notevolmente simili 1’ uno all’ altro nell’ aspetto. Alcuni hanno asserito che la serpentina è il risultato della tra- smutazione di un gabbro. Ora che il microscopio è usato nella litologia, non credo che sentiremo più tale asserzione, che in molti casi era fondata su di un rapido esame nel terreno, ed ha raramente base migliore di quella del fatto che la serpentina è uno di quei minerali che può mostrare aspetti variati con solo piccoli mezzi. E spesso istruttivo il vedere come una roccia possa all’ occhio sembrare serpentinosa, che sotto accurato esame risulta principalmente composta di altri minerali. Anche la riflessione dovrebbe aver suggerito al litologo che il feldspato non è un minerale facile da togliersi da una roccia. Il caso del jalomicte, delle rocce tormaliniche ec., lo so, può essere citato, ma queste sono sempre comparativamente locali, mentre nel caso della ser- pentina noi avremmo da pseudomorfosare delle masse di gabbro che comprendono bilioni e bilioni di metri cubici così perfetta- mente, che non vi rimanesse traccia di feldspato, e con un agente così strano che si è trovato avere arrestata bruscamente la sua azione. I rappresentativi dunque degli alterati gabbri olivinici si troveranno nel gruppo delle Trottoliti, e dove gabbro e serpen- tina pura (cioè una roccia la massa fondamentale della quale consiste quasi interamente di un idrosilicato di magnesia con alcuni ossidi di ferro) sono associati, le due rocce sono d’ origine indipendente. Sarebbe bene, per i geologi viaggiatori, V osservare accuratamente i rapporti fra queste due rocce, notando special- mente se, come nei casi di cui sopra, il gabbro è la roccia più recente. Un altro punto interessante in connessione con queste ser- — 474 — peritine e gabbri, è che essi sono fuori di dubbio del cretaceo recente o della prima epoca terziaria,1 e tuttavia sono identici praticamente alle serpentine e gabbri, che sono quasi non meno certamente di epoca paleozoica. IY. Studio geologico e idrografico sulle Alpi dei dintorni di Chiavenna , pel dottor F. Rolle.2 Per incarico avuto dalla Commissione geologica della Sviz- zera l’Autore visitò negli anni 1875-76-77 i dintorni di Chia- venna, una parte del Canton Grigioni e parte del Canton Ticino, territorii che formano le cosiddette Alpi Retiche, allo studio delle quali già s’ erano applicati in addietro altri geologi, fra cui Desor, Escher, Studer, vom Rath, Theobald e Stoppani. Nelle presenti due Memorie V Autore non espone che una parte delle osservazioni da lui fatte in detta visita, quelle, cioè, che si ri- feriscono al territorio di Chiavenna, con riguardo però anche ai limitrofi. Nella prima di esse troviamo i fatti rilievi sulla strut- tura e sulla costituzione geologica del paese, nella seconda la descrizione e V analisi microscopica e talvolta chimica delle più importanti rocce costituenti quei terreni. I risultati delle di lui osservazioni essendo in parte nuovi, in parte confermando quelli ottenuti da precedenti investigazioni, riteniamo importante lo esporre succintamente il contenuto di questi lavori che ad ogni modo costituiscono senza dubbio una pregevolissima contribu- zione allo studio orografico, geotettonico e petrografico delle no- stre Alpi occidentali. 1 Jervis ( Quart . Journ. Geol. Soc., voi. XVI, pag. 480) afferma che la ser- pentina dialagica perfora il cretaceo superiore, ma non le roccie terziarie. Stoppani ( Corso di Geologia, \ ol. Ili, § 704) la pone, se ben intendo, circa nello stesso periodo. Entrambi parlano di serpentina compatta senza diallagio del miocene. Ciò io non ho visto. Vedi pure D’Achiardi, voi. II, pag. 181. 8 Estratto dalle due pubblicazioni seguenti: F. Rolle , Uebersicht der geologischen Verhàltnisse der Landschaft Chiavenna in Oberitalien. Wies- baden, 1878. — Idem, Mikropetrografische Beitràge aus den Rhàtischen Alpen. Wiesbaden, 1879. — 475 - L’ Autore divide orograficamente in quattro grandi sistemi montuosi o masse centrali le Alpi Retiche in generale ; divisione basata sul principio dell’ unità dì costituzione e di struttura , inau- gurato da Studer, coi principii del quale egli dichiara di con- venire in massima, come altresì con quelli sviluppati da Escher e da Theobald : differirne però in alcuni singoli punti. Cosicché a mo’ d’ esempio, mentre i due primi geologi stabilirono i sistemi od unità orotettoniche di Adula, della Bernina, delle Alpi ticinesi e dei laghi, e mentre Theobald ha separato in due grandi gruppi il sistema della Bernina, V Autore comprende in un sistema unico il primo e terzo, accetta interinalmente la suddivisione fatta da Theobald e costituisce dal canto suo un nuovo sistema denomi- nato del Liro. Talché, riassumendo, avrebbesi nelle Alpi Retiche : I. Il sistema del Liro : a) parte orientale, Gruppo della Suretta ; h) parte occidentale, Gruppo del Tambo. IL II sistema del Ticino : a) parte orientale, Gruppo di Adula; h) parte occidentale, Gruppo del Ticino. III. Il sistema della Bernina: a) parte orientale, Gruppo della Bernina ; b) parte occidentale, Gruppo della Disgrazia. IY. Sistema dei laghi. Tali sistemi, o masse centrali che dir si vogliano, altro non rappresenterebbero che fenomeni di ripiegatura con maggiore irregolarità che non nelle ordinarie ripiegature di strati, proba- bilmente in seguito a pressioni più energiche ed in senso vario, in forza delle quali nei punti cV intumescenza si sarebbero for- mate altre ripiegature aventi diversa direzione ed inclinazione. Le ragioni, d1 ordine orografico e geologico, sulle quali è basata la citata suddivisione in sistemi e gruppi, sono chiara- mente esposte : il criterio principale della prescelta delimitazione loro sta nella presenza di depositi più recenti delle rocce costi- tuenti il nucleo centrale dei sistemi. Questi depositi più recenti occupano concavità o sinclinali alpine, oppure sono insinuazioni più o meno profonde per entro ai depositi antichi. La separa- zione in sistemi basata sulla presenza delle valli traversali non - 476 - è, a mente dell’ Autore, ammissibile che al più come mezzo ad agevolare V orientazione e la conoscenza complessiva della regione. Le rocce che presero parte alla formazione di tutte indi- stintamente le montagne appartenenti agli stabiliti sistemi sono esclusivamente rocce di sedimento : nessuna roccia eruttiva vi ha partecipato. Il nucleo od asse di ogni sistema è costituito esclusivamente da rocce cristalline, delle quali la più antica e preponderante è il gneis (gneis ticinese) cui tien dietro in ra- gione d’ importanza il micascisto granatifero e staurolitico ed a questo, in quantità assai subordinata, lo scisto anfibolico. Fra le rocce meno antiche, ossia fra le così dette secondarie , hanno la maggior importanza gli Scisti di Biinden, probabilmente liasici, consistenti in scisti grìgi micacei, finitici, in scisti verdi più o meno cloritici, in calcari grigi, granulari, lastriformi, i quali unitamente a strati di micascisto e di gneis a mica verde formano zone assai estese in direzione, le quali con altre meno importanti di calcare triasico e di micascisto suddividono il paese nei grandi sistemi surriferiti. Togliamo dalla seconda Memoria dell’ Autore la riassuntavi classificazione cronologica delle formazioni o terreni costituenti il territorio studiato, per esporre quindi brevemente i limiti e la costituzione dei singoli sistemi e da ultimo le osservazioni dell’ Autore sulla conformazione e genesi delle montagne, vallate e laghi della regione percorsa. Giova premettere però che 1’ Autore stesso non ritiene deci- samente definitiva la serie cronologica dei terreni quale egli la espone, in causa delle difficoltà rilevanti, talvolta insuperabili, che si oppongono al geologo, sia per le condizioni fìsiche delle regioni stesse, sia per le condizioni geologiche, fra cui il meta- morfismo delle rocce, la mancanza dì fossili e la disordinata, sconvolta stratificazione, sia da ultimo per l’ insufficienza di adatto materiale topografico, massime per quella parte che viene a ca- dere entro il territorio italiano. Detta serie sarebbe in generale la seguente : 12. Tufo calcare ed altri terreni d’ alluvione, 11. Depositi dell’epoca glaciale, 10. Tufo calcare meno recente. Arenaria a detrito calcareo (Pliocene superiore, ovvero Pleistocene inferiore), - 477 — 9. Dolomite delle cime, dolomite delle scogliere. (Theo- bald) Giura medio (?) e Giura superiore (?), 8. Scisti grigi di Biinden (Lias ?), 7. Scisti grigi e verdi di Biinden con gneis a mica verde (a compararsi cogli scisti variopinti del Sole d’ oro presso Coira) (Lias ?), 6. Formazioni calcarea e dolomitica (calcare tegulare calcare di Hallstatt, calcare di Guttenstein ec.), 5. Verrucano sotto vari aspetti di metamorfosi cristallina (cui appartiene anche il Bofla-gneis a mica verde dell’ Hinter- rheins, di Roda e dei monti di Ferrera), 4. Micascisto superiore (Scisti di Casanna del Theobald, formazione carbonifera ?), 3. Micascisto inferiore, per lo più con granato e staurolite, 2. Gneis anfìbolico, localizzato, 1. Gneis per lo più a mica bruno ed affatto diverso dal gneis più recente a mica verde : alterna con strati di scisto an- fìbolico, di serpentino, di calcare granulare ec. Sistema del Liro. — Il nucleo od asse centrale del sistema è costituito da una zona di gneis a mica bruno e bianco, tal- volta granitico, la quale da ponente, cioè, dal Passo della For- cola, dal Passo di Lendine e dai monti del lago di Truzzo corre a levante, attraversata fra Cimaganda e San Giacomo dall’an- gusta e profonda valle del Liro o di San Giacomo, per formare col Pizzo Stella e col monte Gallegione la parte settentrionale della catena della Bregaglia. Detto asse centrale inclina a Nord, ed ha per tetto il micascisto cui soprastanno le formazioni tria- siche di Ferrera e di Avers, e quindi gli scisti di Biinden. Anche il riposo consiste in micascisto cui verso Sud fra Chiavenna e Castasegna vedesi sottoposta la zona del Lavez, composta di scisto anfìbolico con lavezzo, ossia pietra oliare, serpentino, granito gra- fico ec. ec., avente la stessa inclinazione ed adagiata su d’ una zona di gneis appartenente al sistema della Bernina o della Di- sgrazia. Tale successione stratigrafìca di gneis, zona di Lavez, micascisto e poi di bel nuovo gneis, non si presta alla costru- zione di un profilo di sinclinale : V Autore la ritiene enigmatica, non potendosi neanche affermare che il micascisto che forma il tetto della zona di Lavez ne sia il vero tetto. Ad ovest del — 478 - sistema del Liro corre N.N.O.— S.S.E. la zona degli scisti di Biinden di Hinterrhein, San Bernardino e Mesocco, inclinata Est, avente sul riposo il gneis micaceo del San Bernardino e dei monti della sorgente del Beno e per tetto il micascisto del Pizzo Sambo e del Passo dello Spluga. E qui pure occorre la mede- sima incertezza che pel profilo anteriore. Dalla parte Nord poi del sistema le circostanze sono ancor più complicate, succedendo ivi al micascisto nuovamente lo gneis, ma con caratteri affatto diversi da quelli del gneis dell’asse centrale, o gneis inferiore: seguono quindi calcari e dolomiti triasiche e sovr’ esse gli scisti di Biinden. Passando alla descrizione dei gruppi componenti il sistema, troviamo dapprima che V ammasso montuoso del Suretta colle sue due cime a 3025 e 3039 metri sul livello del mare è co- stituito in massima parte da un gneis verde il quale or si pre- senta con struttura massiccia e granitica (porfido di Bofla ), ora nettamente stratificato (gneis di Bofla ) e talvolta anche a strut- tura alquanto fìllitica (gneis cloritico o gneis talcoso). Dalle ana- lisi del professor Kenngott risulterebbe : che P elemento verde che è in esso, altro non è che mica magnesiaco di color verde contenente ferro, senza esservi traccia alcuna di clorite o di talco. E perciò la usata denominazione di gneis cloritico e di gneis tedeoso sarebbe affatto erronea e da abbandonarsi. Secondo l’Autore un tale gneis potrebbe essere nuli’ altro che il Verru- cano gneisico di Vorderrhein, cioè, YHelvetan-gneis dello Simni- ler; opinione in cui egli sempre più s’afferma, esaminando le condizioni di giacitura relativa di esso gneis sui diversi versanti del Monte Suretta, dalle quali si deduce che questa roccia ri- posa effettivamente sul micascisto ed ha per vero tetto il cal- care triasico. Frammezzo le complicate condizioni stratigrafìche di questo gruppo 1’ Autore avrebbe eziandio constatato che 1’ anti- clinale formata dal gneis del Suretta fu soggetta a doppia ripiegatura, vale a dire, nella parte Sud di essa ad una ripiega- tura meridiana inclinata Est, e nella parte Nord ad una ripie- gatura Est-Ovest inclinata Nord; la prima che 1’ Autore appella traversale sarebbe parallela al sistema di Adula, la seconda, detta longitudinale, corrisponderebbe alla direzione del sistema alpino in generale : tali ripiegature sarebbero però difficilmente rimar- - 479 cabili in causa dell’ avanzatissima degradazione sofferta dalle sommità delle anticlinali. La linea che da Spluga va sin oltre Campodolcino nella Val del Liro dopo aver attraversato il Passo dello Spluga e che divide il gruppo del Suretta da quello del Tambo è costituita prevalentemente da micascisto grigio, a lastre sottili, con mica dispostavi fìlliticamente. Theobald classificò le rocce di questa zona intermedia per scisti di Casanna, sul qual proposito è però da osservare che nè all’Autore, nè ad altri prima di lui fu pos- sibile separar nettamente questi scisti da quelli più antichi gra- natiferi, e che oltre a ciò i primi potrebbero equivalere, almeno in parte, anche al Verrucano, giacché il calcare triasico che al- trove riposa sullo gneis a mica verde, in Val di Lei ed a Ma- dris riposerebbe sui micascisti e sugli scisti di Casanna. L’ ammasso montuoso del Pizzo Tambo è formato da mica- scisto grigio, ricco di quarzo, ora fillitico, ora gneisico, che ad Est si spinge sin sotto al gneis del Suretta ed in qualche sito (al Passo dello Spluga) contiene dei giacimenti di falcare gra- nulare. Qui pure si hanno gli scisti di Casanna i quali, secondo Theobald, rappresentano un equivalente metamorfico del Carbo- nifero ; cosa difficile a provarsi, sendochè le rocce son divenute cristalline e non contengono più traccia di residui organici, al- T infuori di qualche isolato giacimento grafitico di poco momento. Le cime propriamente dette del Tamba constano di uno spe- ciale gneis fillitico, o meglio, di una roccia quasi granitica, a grana grossolana, e che si sfascia in blocchi somiglianti a granito. Il mica vi è grigio e finamente squamoso, il feldispato è a grossi grani ed a cristalli, il quarzo in quantità spesso subordinata rapporto al feldispato. Dal punto di vista geologico anche queste rocce apparterrebbero agli scisti di Casanna, ma pei caratteri loro petrografia se ne discostano affatto. Esaminando il terreno a Nord ed a Sud dello Spluga, l1 Au- tore rimarcò dal lato meridionale P ammasso calcareo di Andossi e della galleria dello Spluga, ch’egli ritiene per triasico unita- mente al gesso che affiora a Nord di Madesimo, il qual gesso altro non sarebbe che calcare triasico metamorfosato in forza di un processo tutt’ ora perdurante, come lo attesterebbero le sorgenti epsomitiche di Madesimo. — 480 Da ultimo una zona speciale, detta dall’ Autore sona della Forcola , s’ estende a Sud-Ovest del sistema del Diro, da Mesocco nel Canton Grigioni sino a Gordona presso Chiavenna, al di là del Passo della Forcola. Si compone di rocce che in genere si potrebbero classificare per micascisti, ma che talvolta rappre- senterebbero gli scisti fillitici di Casanna, tal’ altra la quarzite micacea, ed ora una transizione al gneis. In qualche sito (al Passo della Forcola, 2217 metri) contiene anche del calcare grigio- nero e dello scisto anfibolico. Più che ad altro parrebbe di dover riferire quella zona agli scisti di Casanna. Però le condizioni di sua giacitura rispetto alle zone contigue sono talmente intri- cate da non poter che con approssimazione decifrarvi la succes- sione stratigrafica. Evidentemente predominano tutto attorno ai- sistema del Liro i rovesciamenti ; ma neanche questi sono espli- cabili nei loro dettagli: una regolarità di condizioni stratigra- fiche non esiste che a Nord e N.E. del sistema, cioè, da Emet e Canicul fin oltre alla Yal di Lei e Madris, ove chiaramente risultano stratificati in ordine ascendente micascisti, calcare tria- sico e scisti di Fiinden. Sistema del Ticino. — La zona di gneis delle Alpi ticinesi forma col suo percorso un tutto unico col gruppo di Adula. Passa tramezzo il Passo della Forcola ed il Passo di Sant’ Iorio con una larghezza di 18 a 20 chilometri per entrare, attraversato lo spar- tiacque, nel territorio italiano in cui s’ estende fino al Piano di Chiavenna, al lago di Mezzola ed all’ estremità superiore del lago di Como. Poi a levante di questo avvallamento largo, profondo, colmato di depositi di alluvione le masse di gneis del sistema del Ticino proseguono nel sistema della Befnina, dal quale ul- timo quello non resta diviso che artificialmente dalla vallata anzidetta ; cosicché a rigore non si potrebbe ammettere che un unico, complessivo sistema. Il gneis predominante è a mica bruno, a struttura in lastre ; talvolta a struttura compatta, granitica ; rari e subordinati sono gli scisti anfibolici ed il serpentino. La direzione ne è variabile. Essa è 0. — E. nel territorio di Mesocco, Grono e Bellinzona fino alla Yal Mera ; N. — S. da Mesocco al San Bernardino e da Mesocco oltre Yal Calanca sino in Yal Blegno. Una zona di gneis anfi- bolico (gneis sienitico) larga da 1 a 2 chilometri distendesi a — 481 — Sud della zona di gneis normale sul fianco Nord di Yal Morob- bia. Essa a Nord del Passo di Sant’ Xorio, attraversa lo spartiacque e poi il Liro, e spingesi sino al Passo d’Adda situato all’ estre- mità inferiore del lago di Mezzola : quivi, interrotta dalla vallata, ricompare al di là di questa per proseguire verso Est lungo il fianco settentrionale della Valtellina. Con forte inclinazione Nord essa penetra sotto la zona di gneis e riposa sul micascisto ; co- sicché si avrebbe anche qui un caso evidente di stratificazione rovesciata, giacché la serie normale dal sotto in su sarebbe se- condo P Autore: gneis, gneis anfibolico e quindi micascisto. Detto gneis anfibolico è composto di quarzo, feldspato e mica bruno ; di sovente vi si rinviene epidoto e titanite. I micascisti talvolta appartengono agli scisti di Casanna, talvolta ai granatiferi, talvolta fanno passaggio al gneis. Nelle depressioni o sinclinali del mi- cascisto rinvengonsi depositi triasici di calcare e dolomite, a mo’ d’ esempio, fra Carena e il Passo di Sant’Iorio. A Nord di Gra- vedona una zona significante di calcare triasico costituisce il così detto Sass Peli, dirigendosi poi ad Est sino a Cinque Case sul lago di Como nel quale s’immerge per apparire, molto più elevata però, sulla sponda di levante, ma con una potente formazione di sci- sto verde (Verrucano) al di lei riposo, per proseguire unitamente a quest’ ultima sino oltre Dubino. Tali incassamenti triasici nel micascisto sono ritenuti dall’ Autore quali segni di una indecisa delimitazione fra i sistemi del Ticino e della Disgrazia ed il si- stema dei laghi, distinto dallo Studer. Sistema del Monte della Disgrazia e della Bernina. — E questa, come già si disse, la continuazione del sistema del Ticino al di là della Yal Mera e del lago di Mezzola. E per cui su di una larghezza di zona di circa 18 chilometri, da Chiavenna a Dubino, incontransi anche qui le medesime condizioni stratigrafiche e pe- trografiche che già nel sistema di ponente. Per la rappresenta- zione grafica in generale delle condizioni geologiche del sistema 1’ Autore si rapporta ai lavori del Theobald ; dichiara però di non poter convenire con questi nell’ adottata suddivisione della zona triasica di Dubino in molti piani, non avendo egli potuto riconoscere in questi terreni altra serie oltre quella che ha per membri il gneis, il gneis anfibolico, il micascisto, gli scisti verdi del Yerrucano, il calcare e la dolomite del trias. Lo scisto Ver- - 482 - rucano consiste interpolatamente di quarzo, di un minerale verde somigliante ad agalmatolite (e che ad ogni modo non è talco) e di poco mica bianco ; nessuna traccia in esso di resti organici e nemmanco nel calcare triasico. In Val Goderà poi e su ambo i lati del lago di Mezzola presentasi entro lo gneis del granito sotto forma di filoni, del quale sarebbe probabile, se non pro- vata, T origine eruttiva. Sistema dei laghi. — Questo comprende il terreno a scisti cristallini diretto E— 0. a mezzodì della Bernina, dei monti di Adula e delle Alpi ticinesi. L’Autore non ne studiò che un pic- colo tratto, sortendo questo sistema per la maggior parte, dal campo di studio statogli assegnato. Il micascisto, or granitifero, ora fillitico ( scisto di Casalina), ora gneisico, è la roccia riscon- tratavi, cominciando da Traona e Cosio fino a Colico, attraverso Delebio. La direzione ne è 0. — E. Rimarchevole è il fatto che sul fianco settentrionale della Val d’ Adda gli strati inclinano a Nord, immergendosi sotto il trias di Dubino, mentre dalla parte oppo- sta inclinano a Sud ; cosicché sembrerebbe che 1’ ampia valle dell’ Adda nella Valtellina inferiore seguitasse l’ andamento di una vòlta anticlinale erosa. Sulla sponda ovest del lago di Como le condizioni sono identiche alle già riscontrate ai Passo di Sant’Iorio. La linea anticlinale osservata nella Valtellina appare anche in Val di Dongo presso Garzeno, con che starebbe in rapporto un giacimento di calcare triasico nel micascisto di Bongo, che oc- cuperebbe una depressione o sinclinale parallela a quella occu- pata dal calcare triasico di Gravedona. Da Domaso a Gardeno corre per otto chilometri una zona di scisto anfìbolico nero nel micascisto, la quale sul principio è appena discosta un chilometro dal gneis anfìbolico, ma presso Gardeno ne dista già quattro chilometri. Piiassumendo quindi V Autore quanto ebbe occasione d’ osser- vare nei singoli sistemi, addiviene a concretare la serie cronolo- gica dei terreni più sopra riportata, delineando allo stesso tempo la struttura e configurazione caratteristiche del complessivo ter- ritorio. Egli lo riguarda come formato da un sistema assai com- posto di ripiegature, in causa della ripetuta, variata alternanza del già citato ripiegamento longitudinale col ripiegamento tra- versale, il quale ultimo però, a fronte della gran totalità del - 483 - primo, apparisce qual fenomeno puramente locale, da considerarsi piuttosto come un sistema di semplici increspature avvenute su punti di intumescenza, che opposero ostacolo al proseguimento della ripiegatura longitudinale. Una potente degradazione della superficie montuosa susseguì al ripiegamento, le vòlte anticlinàli rimasero esportate e laddove, come nella maggior parte dei casi, la ripiegatura ebbe luogo secondo un asse obliquamente inclinato all1 orizzonte, i tratti rimasti delle anticlinali presentano una suc- cessione di strati che non è regolare che in apparenza, mentre il vero ordine successivo vien rivelato da qualche specifico mem- bro stratigrafico che rinviensi inserito or qua, or là. L’ esistenza di un tale grandioso alternare di sinclinali ed anticlinali nel ter- reno cristallino di quei monti è soprattutto reso manifesto dai numerosi depositi di rocce più recenti che costituiscono zone li- mitate, interrotte, ma ad evidenza già appartenenti a complessi uniti, suddivisi poi e rotti in singoli appezzamenti dai posteriori fenomeni di ripiegamento e di degradazione. In alcuni siti le concavità occupate da tali depositi sono pa- tenti, altrove si possono con sicurezza ricostruire idealmente. I descritti sistemi poi, ossieno unità orotettoniche, sono a con- siderarsi quali convessità a superficie più o men degradata, accompagnate da ripiegature or parallele, or disposte su due direzioni pressoché normali fra loro, e delimitate da zone di terreni più recenti che sotto forma di depositi occupano le sin- clinali continuate, ovvero interrotte per ondulazioni del loro asse, o pure da zone di terreni che sotto forma d’ insinuazioni s’ ad- dentrano nei detti sistemi per essersi questi per effetto di pres- sioni spinti, quasi espansi sopra i primi. Tale spiccatissimo feno- meno è a mo’ d’ esempio rimarcabile su di una estensione di ben 40 chilometri attorno al sistema del Liro, da Spluga a Chia- venna. Talvolta le dette insinuazioni si presentano quali insena- ture o golfi ricolmati, come si osserverebbe per il gruppo di Adula e per quello del Ticino. Circa ai terreni in particolare costituenti la indicata serie stratigrafica l’Autore dichiarasi impotente a stabilire fra gli scisti sovrapposti al gneis ed all’ anfibolo-gneis una zona inappuntabile di scisti di Casanna : limitasi a supporre che una porzione di detti scisti vi appartenga in realtà, ma che V altra porzione, - 484 quella, cioè, contenente depositi di calcare e che trovasi sui limiti del calcare triasico appartenga al Verrucano : ritiene pro- blematica P età della sona di Forcola e della sona di Lave s di Chiavenna e Castasegna : per ora non può altro asserire se non clfe esse sono più recenti del gneis ; inclinerebbe a ritenere la prima anche più recente del micascisto, mentre la seconda po- trebbe trovar posto fra il micascisto e il gneis anfibolico. Al Ver- rucano, oltre allo scisto verde della Valtellina inferiore (da Cer- chio alla Chiesa di San Quirico, passando per Dubino), ascrive anche il gneis verde (Rofla-gneis,. Rofla-porfidò e gneis Glorifico) di Spluga, del Suretta e della Val del Reno, di Avers presso Ferrera, eh’ egli presume identico al così detto talcogneis o quar- zite talcosa del Vorderrhein e del Calanda presso Coira (Hel- vetan-gneis dello Simmler). Al Muschelkcdh ed al Keuper o forse anche al lias inferiore apparterrebbe la serie di calcari e dolo- miti saccaroidi che formano i grandi ammassi dell’ Avers e della Scha ms ed i calcari e dolomiti granulari depositati nelle ripie- gature degli scisti cristallini : al lias gli scisti grigi e verdi di Biinden , equivalenti, secondo io Studer, agli scisti a Belemniti del Lucomagno e di Novena. Ammette interinalmente come ap- partenenti al giura medio le masse calcari e dolomitiche a nord dello Spluga sino a Piz Beverin, la qual ultima regione però non venne dall’ Autore visitata. Ora, prima di passare all’ indicazione delle rocce più recenti, 1’ Autore fa due digressioni piuttosto importanti, delle quali l’una è intesa a sviluppare V ipotesi della primitiva colleganza in un solo tutto dei vari lembi triasici disseminati nel territorio visi- tato. Essi, secondo P Autore, hanno appartenuto a quella mede- sima formazione che a mezzodì attraversa il lago di Como ed a nord nuovamente ricompare potente presso Spluga e nell’ Avers. Prima del ripiegamento alpino il calcare triasico unitamente a più recenti formazioni ricopriva in tutta la larghezza il terri- torio compreso fra il lago di Como e la valle d’ Hinterrhein. In ogni caso sarebbe ammissibile una prolungata sommersione degli scisti cristallini, senza però poter stabilire se perdurasse anche al di là dell’ epoca triasica. Il ripiegamento alpino che ad ogni modo sarebbe avvenuto posteriormente al depositarsi degli scisti di Biinden o degli scisti a Belemniti ( scisti di Novena ) o forse - 485 — anche dopo il periodo giurassico, fu quello che ruppe 1’ assieme del deposito recente, dopo di che potenti erosioni che durarono lungo tempo degradarono le montagne, talché della prisca for- mazione triasica non rimasero che dei lembi qua e là in grembo alle concavità e fra gli avvenuti rovesciamenti degli strati. Questi lembi poi andarono soggetti ad ulteriori trasformazioni sotto T influsso dei processi di scambio avvenuto fra le diverse sostanze nell’ interne profondità dei monti, cosicché oggidì si presentano per lo più allo stato di calcari o dolomiti saccaroidi senza tracce di fossili. E mentre lo Studer nella sua Geologia della Svizzera, ammette per le Alpi dei Grigioni un antico mare continuato che le ricopriva ed opina che i lembi calcarei e dolomitici di esse servano di tratto d’ unione fra le zone a nord ed a sud del si- stema alpino e rendano verosimile per questi dintorni e per quelli anche più a levante una primitiva distesa di calcari oltrepassante la zona media delle Alpi, l’Autore trova di potere ammettere tale distesa anche per la regione situata a ponente. Ma mentre che le tracce di una tal formazione riunita, triasica, si possono seguire dall’ Alpe Andossi sul piano destro dello Spluga fino alla valle di Hàusernbach nella parte nord dei Grigioni, non è fattibile riconoscere alcun deposito triasico a ponente della linea Spluga, San Bernardino, Mesocco : gli scisti di Biinden riposano imme- diatamente sul micascisto. Da ciò si può inferire che il ripiega- mento alpino fu preceduto da un sollevamento a ponente appunto di detta linea, avvenuto prima che il trias si depositasse ed al qual sollevamento tenne dietro la sommersione dello stesso ter- ritorio prima che si depositassero gli scisti di JBiinden. Nella seconda digressione 1’ Autore accenna e discute le rile- vanti diversità che corrono fra la descrizione da lui data dei sistemi montuosi dell’ Alpi di Chiavenna e la rappresentazione figurata dei medesimi, quale è data dal professor Theobald nel foglio XX dell’Atlante svizzero di Dufour e nominatamente per la regione che si riferisce alla Goderà superiore, alla Val Ma- sino ed alla Valtellina inferiore. Il punto principale di dissenso sta nella costituzione petro- grafia del Monte Bassetta e della limitrofa Val dei Batti sulla riva destra dell’ Adda nella Valtellina inferiore. Secondo il citato foglio il Monte Bassetta sarebbe formato dalla zona granitica 52 — 486 - che come appendice o sperone si parte dal sistema granitico della Disgrazia, e, stremandosi sempre più, avrebbe fine presso la valle del lago di Mezzola. Questa prolungata insinuazione granitica sarebbe avviluppata entro zone laterali simmetriche di gneis anfi- bolico e di micascisto. L’Autore al contrario rilevò la totale man- canza di micascisto nella Val dei Ratti di cui la roccia esclu- siva è il gneis normale con intercalativi banchi di granito ; il Monte Bassetta poi è formato di puro gneis anfibolico con strati- ficazione a ventaglio, senz’ ombra di granito ; e come fu già al- tra volta accennato, a Sud del detto Monte, cioè, dalla parte dell’Adda il micascisto s’ immerge sotto questo gneis anfibolico e racchiude presso Rubino in una sinclinale a fianchi raccorciati un deposito di calcare triasico. A Nord poi del monte succede, come si disse, il gneis con banchi di granito; cosicché in defi- nitiva il profilo riesce chiarissimo, e cioè : roccia di fondo il gneis su cui si depositò prima del ripiegamento alpino P anfìbolo-sci- sto, quindi il micascisto, da ultimo il calcare triasico. Identica costituzione si rileva andando ad Ovest su tutto il percorso dal Passo d’Adda sino oltre il lago di Como ed il Passo di Sant’ lorio fino a Carena, colla differenza che da questa parte occidentale la stratificazione apparisce rovesciata, avendosi qui il micascisto sotto al gneis anfibolico e questo sotto al gneis normale. Le formazioni di epoca più recente degli scisti di Bùnden hanno importanza secondaria nella serie cronologica dei terreni della regione percorsa dall’ Autore. Anzi da detti scisti in su riscontrasi una significante lacuna nella serie, non avendo l’Au- tore rilevato al di sopra dei medesimi nelle Alpi di Chiavenria che una formazione preglaciale (alla cantoniera di Teggiate a Sud del monte Spluga) composta di arenaria a detrito calcareo, e qua e là potenti formazioni moreniche dell’ epoca glaciale con tutte le accidentalità loro caratteristiche (Pian della Casa ed Alpe Andossi), quindi del tufo calcareo postglaciale (ad Isola in Val del Liro) e da ultimo dei grandiosi coni di scarico sullo sbocco delle valli laterali. L’ ultima parte del lavoro è dedicata alla descrizione parti- colareggiata delle valli ed allo studio sulla conformazione di esse e dei laghi, quelli di Como e Mezzola compresi, al quale studio è strettamente collegata, secondo P Autore, la orografica strut- 487 - tura del terreno ; giacché se la natura della roccia e le condi- zioni stratigrafiche regolarono sino ad un certo limite la confi- gurazione delle principali creste montuose, non figurano però in modo alcuno quali momenti unici dello sviluppo dell’ odierna configurazione orografica. Molto maggiore è V influenza su di esse esercitata dai posteriori avvallamenti idrografici. E mentre in una porzione del territorio lo sviluppo dei sistemi montuosi si presenta come base della geologica struttura ed in senso più lato esercita la propria influenza altresì sulla configurazione delle creste e delle valli ed in un’altra porzione spicca maggiormente la correlazione fra zone estese in direzione e creste montuose, 10 studio sulla formazione delle valli attraverso l’ intero terri- torio somministra momenti più rilevanti per la costui configura- zione. La formazione delle valli dipende evidentemente in prima linea dall’ andamento dei sistemi montuosi e dei complessi di strati molto più antichi di esse, ma anche queste però s’aprono 11 cammino attraverso di quelli e figurano in generale come ul- timo e più spiccato momento nello sviluppo dell’ odierna confi- gurazione del suolo. Le principali valli citate dall’Autore sono : a) A Nord la valle d’ Hinterrhein o del Rheinwald sul territorio svizzero. b) A N.E. le valli meridiane di Madris ed Avers sul ter- ritorio svizzero, unitamente alla Val di Lei italiana. c) La valle del Liro o di San Giacomo che si distende dal Passo dello Spluga verso sud e la di cui direzione meridiana viene proseguita da Chiavenna in poi dalla Val Mera coi laghi di Mezzola e Como. il) La Val Mera superiore, ossia la Val Bregaglia che si congiunge colla precedente venendo da E.N.E. e che presso Ca- stasegna entra nel territorio italiano. é) La Valtellina o Val d’ Adda inferiore che provenendo da E. e da E.N.E. si congiunge al lago di Como. Tutte queste valli e molte altre laterali più piccole presen- tano alla loro origine superiore degli alti piani o circhi, gli uni agli altri sovrapposti a terrazza, e sui loro fianchi dei terrazzi pa- ralleli, più o meno completamente sviluppati ; queste conforma- zioni attestano il graduato sviluppo dell’ odierna configurazione - 488 - del suolo. Limitandosi al territorio rilevato, l’Autore descrive Val di Lei, Val del Liro, Val Bregaglia inferiore, Val Mera in- feriore coi laghi e Valtellina inferiore. Val di Lei. — Nel suo percorso N. — S. presenta quattro prin- cipali terrazzi, corrispondenti ad altrettante formazioni della valle, di età diversa; nella parte più elevata abbiamo il gradino o terrazzo di Alpe Motala (2325 metri sul livello del mare) che sarebbe il più antico; a 350 metri più in basso il terrazzo di Alpe Crot; a 100 metri circa sotto di questo la larga spianata di Sant’Anna e da ultimo il tratto ripido e ristretto a gola pro- fonda, col quale la Val di Lei raggiunge la Val del Reno presso Avers, e che appartiene all’ epoca più recente. La valle non attraversa che micascisto il quale nella parte superiore di essa è diretto E. — 0. ed inclina a S., mentre nella di lei parte infe- riore è diretto N. — S. con inclinazione E. ; cosicché la Val di Lei sarebbe dapprima una valle traversale e da ultimo una valle lon- gitudinale. Val del Liro. — Questa dal Passo dello Spluga (2117 metri sul livello del mare) va sino a Chiavenna (317 a 332 metri), dap- prima sotto forma di largo circo (Pian della Casa), poi di gola impraticabile (Cardinello), quindi di valle ristretta da frane e deie- zioni. Dall’ esame delle quote d’ elevazione delle cime e dei passi delle due catene che racchiudono la parte superiore della Val del Liro si può dedurre eh’ essi rappresentano i residui di un antico altipiano mediocremente inclinato a Sud (del 15 o 20 per 1000), nel quale le acque col concorso dell’ azione erosiva degli agenti atmosferici scavarono valli profonde; di questo an- tico altipiano non sarebbe rimasto più che uno scheletro che colle sue creste e co’ suoi culmini attesterebbe V originaria alti- tudine del suolo. In amendue le culmini sono pressoché identiche; passi alpini. Noi abbiamo : Nella catena occidentale e Pizzo Tambo . . . . 3276 m. Cima di Baldiscio . 3038 » Pizzo del Quadro . 3025 » Passo di Baldiscio. 2358 » Passo Bardan ... 2588 » Passo della Forcola 2217 » catene laterali le altezze dei altrettanto dicasi di quelle dei Nella catena orientale Pizzo Suretta. . . . 3025 m. Pizzo di Val Sterla 3025 » Pizzo Stella .... 3129 » Passo di Madesimo 2280 » Passo di Lei. . . . 2400 » ec. ec. 489 - Il Passo dello Spluga, alto soltanto 2117 metri, sarebbe stato più profondamente eroso in grazia della natura poco compatta della sua roccia (micascisto scaglioso della zona di Casanna). Anche in questa valle i numerosi circhi scaglionati coi ben di- stinti terrazzi dei suoi versanti provano che V odierna configu- razione del suolo è dovuta all’ erosione delle acque ed alla de- gradazione per parte degli agenti atmosferici. A riordinare in orizzonti gli sparsi avanzi di circhi e di terrazzi manca per tutta la regione di questa valle un sufficiente corredo di carte topo- grafiche quotate. La parte più culminante della Val del Liro la troviamo nel- P ampia Val Loga che si può considerare come origine di quella. A questo primo terrazzo tien dietro il Pian della 'Casa (1904 m.) che è il punto in cui Val Loga sbocca in Val del Liro. Questo secondo terrazzo prosegue a S.E. verso la cantoniera della Stuetta (1870 m.) e più a S.O. oltre Alpe Boffalora, che amen- due sono terrazze laterali, mentre ad Ovest il Liro s’ ingolfa nella profonda gola del Cardinello, rappresentante un gradino assai più basso (1300 metri circa), da dove poi raggiunge il piano o bacino d’isola (1277 m.). Allo sbocco del Cardinello ri- levasi un terrazzo su cui sta il villaggio Ai Torni (1300 metri circa), il quale è probabilmente un’ antica e più elevata valle del Cardinello, a quella guisa che la vai del. Palude dolcemente in- cassata nel terrazzo Stuetta — Boffalora rappresenterebbe la vai .superiore del Liro in un’ epoca assai remota. La Val di Made- simo e la Val Febbrara (1600 a 1800 m.) laterali e confluenti della Val del Liro sono alte valli la cui età corrisponde forse a quella della Val Loga, del Pian della Casa e della Val Pa- lude. Sulla riva orientale del Liro ed a Sud del Pian della Casa e di Stuetta rilevasi un altro ben distinto terrazzo laterale su cui poggia il villaggio di Pianazzo (1400 m.), d’ epoca più recente ed in cui sbocca il Madesimo che pochi passi più in là preci- pita nel Liro, formando una famosa cascata di circa 170 metri. Sotto Isola abbiamo il largo bacino piano di Campodolcino (1183 m.); tra Campodolcino e Chiavenna (317 a 332 m.) molte valli laterali immettono nel Liro, le quali nella parte loro su- periore rappresentano ampie alte valli di molto elevate al di- sopra del Liro attuale. Fra queste merita menzione la Val del — 490 Drago (orizzonte di Pianazzo) nella quale sbocca la Val di Truzzo (orizzonte del Pian della Casa e di Stiletta). Fondi di valle ancor più elevati s’ incontrano, per esempio, ad Est di Pizzo Truzzo, superiormente al terrazzo laterale dell’ Alpe Servizio di Sopra (orizzonte della Stiletta), ove scorgonsi scaglionati fra loro tre distinti circhi. Fa? Bregaglia inferiore. — Sbocca in Val del Diro da Est ed E.N.E. Castasegna, luogo il più ad Ovest nella Bregaglia sviz- zera, ha 720 metri d’elevazione; a N.E. di esso troviamo Soglio (1088 m.) su di un largo terrazzo laterale, inclinato a precipizio sulla Val Mera e che prosegue sul territorio italiano al di là di Val Lovere, formando il terrazzo di Sommasassa, al quale orizzonte sembra appartenga anche V alta valle di Alpe Cantone al disopra di Savogno. Anche a Sud della Bregaglia rinvengonsi nel territorio italiano dei terrazzi consimili e circhi scaglionati, pei quali però mancano affatto i dati topografici ed altimetrici. Dalla parte settentrionale della Bregaglia, a N.O. sopra Santa Croce, incontrasi il terrazzo di Prigalun ad un livello inferiore ai precedenti (590 m.). 11 terrazzo di Aurogo che ad Est della Mera cui egli attraversa è elevato di metri 10 sulla mede- sima, mentre ad Ovest di essa lo è di 30 metri, presentasi quale accumulamento di grandi blocchi di gneis, per lo più granitico, da cui sono costituite* le creste dei monti su ambi i fianchi della valle. Origine prima di questo terrazzo può essere stata una morena traversale dell’ antico ghiacciaio della Mera, stata più tardi ricoperta dai blocchi provenienti dalle montagne che si elevano sullo sfondo : anzi sul lato Nord della valle, ove V accu- mulamento è maggiore ed i blocchi più colossali, è manifesto il franamento avvenuto del fianco della montagna: più difficile a spiegarsi è la formazione del terrazzo dalla parte Sud ov’ è spia- nato. Forse non esiste nemmanco la morena, e tutto devesi al secolare accumulamento di detrito proveniente dai monti circo- stanti : nessun indizio vi si rileva di materiale proveniente da grandi distanze. Un’altra prova dell’imponente degradazione cui sono sog- getti i versanti della Val Bregaglia 1’ abbiamo nel noto frana- mento di Piuro a 3 chilometri ad Est di Chiavenna. Quella bor- gata, stando alla cronaca, sottostava sulla riva destra della Mera ad un’ erta pendice di scisto anfibolico (il così detto Monte Conto) - 491 - che sarebbesi franata sopra di esso il 4 settembre 1618, seppel- lendolo con un altro villaggio prossimo (Schilano). Al! Autore, che visitò il posto, risulterebbe invece che la catastrofe venne causata dalla discesa per scivolamento di macerie accumulate sui fianchi della montagna e che il preteso Monte Conto altro non sarebbe stato che un terrazzo laterale formato da blocchi isolati e da detrito. I cumuli delle macerie sul luogo dell’ infortunio non si elevano a più che 8 a 12 metri sopra la parte piana ancor visibile sulla quale stava Piuro, e consistono in una miscela di ciottoli e ghiaie, disseminata di grandi blocchi di gneis, mica- scisto e lavez, aventi sino a 4 e 7 metri di lunghezza e per la massima parte fortemente arrotondati, anzi alcuni di forma quasi sferoidale: dimodoché è evidente che un tale arrotondamento fu anteriore allo scoscendimento avvenuto. D’ altronde a 100 e 200 metri sopra il sito istesso, lungo le erte pendici dei monti si scorgono anche oggidì identiche accumulazioni di blocchi e di sfasciume, le quali sotto V influenza di pioggie perduranti potreb- bero rinnovare quando che sia lo scoscendimento avvenuto nel 1618. Ogni altra versione sarebbe puramente leggendaria. Val Mera inferiore. — La Val Mera, a partir da Chiavenna, prende la direzione meridiana della Val del Liro e con una lar- ghezza di 1 72 a 3 chilometri raggiunge il lago di Mezzola e più a Sud quello di Como che ne rappresenta la naturale con- tinuazione. Essa in tal modo costituisce il così detto Pian di Chiavenna che un dì formava forse V estremità superiore del lago di Como, sino a che venne colmato dalle torbide del Liro e della Mera. Numerose valli profondamente incassate vi sboccano as- sieme a poderosi torrenti ed a coni di scarico che sporgono in essa e sempre più s’ avanzano, testimoniando così la rapida de- gradazione dei monti circostanti. Principali coni di scarico sono : dal lato di levante quello di Stova presso Prata, e dal lato di ponente quelli di Coloredo, Menarola e Gordona: quest’ ultimo che in parte è forse d’origine morenica si eleva sino a 1006 metri sul mare, cioè, sino a 600 o 700 metri sopra il fondo della valle, ed è composto di ciottoli che sono in parte cementati a conglomerato. Tra Chiavenna ed il lago di Mezzola si incontrano antichi fondi di valle elevati, fra i quali ad Est la Val Bodengo e ad Ovest la Val Goderà. - 492 - Nella prima il piano o terrazzo su cui sta il villaggio di Bo- dengo corrisponderebbe in via d’ apprezzamento all’ orizzonte di Soglio nella Bregaglia (1088 m.) od a quello di Menarola (1006 m.); altri terrazzi laterali accennano all’antico fondo di essa più elevato. Nella Val Goderà il terrazzo che nella di lei parte superiore si protende sino al villaggio omonimo può essere di poco inferiore all’ orizzonte di Bodengo e di Soglio. Anche sui fianchi del lago di Mezzola rilevansi dei terrazzi come nella Val Mera superiore e nella Val del Liro. Sul fianco Ovest ab- biamo il terrazzo che porta il villaggio di Albonico, il quale più a S.S.O. si presenta come un’ ampia alta valle situata a circa 100 metri sopra il lago. L’ampia valle dell’ Adda che a S.E. del lago di Mezzola sbocca in Val Mera, separa, prolungandosi verso N.O., questo lago da quel di Como per tre a quattro chilometri mediante il così detto Pian di Spagna. L’orizzonte del lago di Como deve essere di 3 metri inferiore a quello del lago di Mezzola ; amendue questi laghi formavano anticamente un lago unico che probabil- mente si estendeva ad Est nella Valtellina inferiore o più in su sino al di là di Chiavenna : la separazione avvenne in forza dei depositi di materiale di trasporto dell’ Adda al costui sbocco nella Val Mera, depositi che più tardi sotto forma di fina sab- bia argillosa grigia ed incoerente continuarono a lungo ad ele- vare quivi ed altrove il fondo delle valli, come lo attesta la co- stituzione del suolo della Val d’ Adda sino all’ insù di Delebio e della Val Mera superiormente al lago di Mezzola sino a Som- maggia e Samolaco. Probabilmente sotto a queste sabbie si rinverrebbero coni di scarico composti di materiale più grossolano. Valtellina inferiore. — Questa sbocca al disopra di Colico nel piano del lago di Mezzola e di Como con una larghezza di 2 e poi di 3 chilometri. I versanti di questa valle hanno la stessa struttura di quelli della parallela Val Bregaglia inferiore. Un altipiano lo si riscontra sul versante nord all’ Alpe alla Piazza (650 m. sul lago di Como, 840 sul mare) a settentrione di Mo- nastero. Rappresenta un’ ampia alta valle, leggermente inclinata con direzione E. — 0., la quale a mezzodì ripidamente sbocca in Val d’ Adda di cui rappresenterebbe l’ antico fondo. Altro di- stinto terrazzo parimenti sul versante nord, ma più basso sop- 493 - porta i villaggi di Cercino e Cino (105 m. sul fondo di Val d’ Adda ; 355 circa sul mare) situati al limite fra la coltura della vite e quella del castano : egli dovrebbe corrispondere al- T orizzonte di Prigalun nella Bregaglia (590 m.) che segna esso pure lo stesso limite fra le due colture ed al quale può rife- rirsi anche il terrazzo di Albonico sulla destra sponda del lago di Mezzola. Con ciò avrebbesi, tanto nella Bregaglia inferiore che nella Valtellina inferiore, un sistema di terrazzi paralleli a due a due, di cui V uno sarebbe di circa 500 m. inferiore al- l’altro e l’inferiore troverebbesi a 70 o 100 m. al disopra del- 1’ attuale fondo della valle. L’ attuale bacino del lago di Como evidentemente non è che una valle di erosione formata dal corso delle acque provenienti da Val Mera e Val d’ Adda, la qual lascia vedere al disopra di sè più antichi ed elevati fondi, specialmente sulla sponda N.O. del lago. Distinto fra questi è il largo altipiano di Pellio e Liro a N.O. di Gravedona, a circa 840 m. sul mare od a 650 m. sul lago, cioè, all’ orizzonte dell’ altipiano di Alpe alla Bazza. Da quanto sopra si può concludere che il terrazzo di Soglio in Bregaglia (1088 m.), quello di Val Bodenzo ad 0. di Val Mera, quello di vai Cederà ad est di Val Mera appartengono tutti ad un medesimo orizzonte al quale pure si riferiscono gli altipiani di Alpe alla Piazza in Valtellina inferiore e di Pellio e Liro sulla riva destra del lago di Como. Difficile riesce proget- tare tale orizzónte nella vai superiore del Liro : vi corrispon- derebbe forse 1’ altipiano di Pianazzo sulla strada dello Spluga (1400 m.), lo che essendo, si avrebbe un’ antica valle decorrente da Pianazzo sino alla Piazza e a Pellio per 30 chilometri con una inclinazione di circa il 18 1/2 per mille. Più malagevole ancora riesce il riportare in vai superiore del Liro la proiezione del terrazzo inferiore della Bregaglia (Prigalun), del lago di Mezzola (Albonico) e della Valtellina in- feriore (Cercino e Cino) : verrebbe forse a cadere presso Lirone sulla strada dello Spluga (857 m.). Se i dati che P Autore ha potuto raccogliere qua e là sulla configurazione orografica delle regioni del Liro, della Mera e dell’ Adda sono scarsi e mancanti di stretta connessione fra loro, lo si deve alle sfavorevoli condizioni in cui s’ è trovato per rap- - 494 - porto al materiale indispensabile a tali studi, alla mancanza, cioè, già altre volte accennata di buone carte topografiche ed ipsome- triche. Serviranno tuttavia ad additare 1’ esteso compito riservato in queste contrade al geologo. La determinazione dei più elevati circhi ai quali metton capo le più antiche fra le alte valli rico- nosciute e la formazione di una carta ipsometrica dei medesimi sarebbe già per sè un lavoro difficile sì, ma ricco di pregevoli risultati, come quello che servirebbe a gettar qualche luce sulla conformazione della massa montuosa nei tempi remotissimi e sulle altitudini sopra il livello del mare alle quali ebbe co min - ciamento V erosione mediante le più antiche valli tuttora rico- noscibili. Altro quesito a sciogliere sarebbe quello di determi- nare se i sistemi di valli più antiche i quali possono essere seguitati dallo Spluga sino al lago di Como valendosi degli alti- piani e dei terrazzi laterali abbiano conservato inalterato il prisco andamento loro e conseguentemente se il posteriore sollevamento delle Alpi meridionali sia avvenuto soltanto sul versante che è prospiciente alla pianura lombarda con accompagnamento di rot- tura, ovvero se detti sistemi antichi sieno stati rotti qua e là essi pure da sollevamenti traversali : quesito questo che sul ter- ritorio italiano non potrebbe pel momento, stando all’ Autore, ottenere una soluzione. Formazione dei laghi. — Oltre ai maggiori laghi di Como e di Mezzola trovansi sul territorio descritto parecchi piccoli laghi alpini situati per lo più all’ origine superiore delle valli e sulle selle dei monti. Fra questi ultimi, il cui numero, secondo certe carte, sale a 20, secondo altre sale a 30, i più importanti sono il lago di Acqua Fraggia nella Bregaglia a Nord e sopra Savo- gno ad un’ altitudine di circa 2000 m., ed il lago di Truzzo sul fianco Ovest della Yal del Liro a N.O. di Chiavenna alla mede- sima elevazione poco presso. È rimarchevole che il numero mag- giore dei laghi alpini trovasi sulla metà Nord del territorio di Chiavenna, cioè, sui fianchi della Yal del Liro ed a Nord della Bregaglia, lo che potrebbe accennare ad una certa relazione fra la formazione dei laghi e quella dei ghiacciai. Le pareti sporgenti delle rocce vi si mostrano lisciate e specialmente le facce interne delle dighe o briglie di roccia che attraversano e chiudono lo sbocco dei laghi. L’ Autore ritiene che la maggior parte di quei 495 - laghi alpini debba la propria origine ad un ineguale insolcamelo del fondo della valle per opera delle masse degli antichi ghiac- ciai scorrenti sovra esso fondo : pare che questi all’ estremità superiore delle valli contenessero maggior copia di blocchi e fran- tumi di rocce, in seguito a che la erosione del suolo sarebbe stata massima in detto punto. Fra i laghi alpini spetta il primo rango al lago di Truzzo che occupa T orlo anteriore dell’ alta valle di Truzzo la quale è laterale e più antica della Val del Drogo a N.O. di Chiavenna. Detto lago estendesi N.O. — S.E. per oltre un chilometro di lun- ghezza e la di lui valle trovasi a 200 metri a picco sopra la A al del Drogo nella quale precipita per gradinate e cascate il torrente Truzzo. Una sbarra o briglia di gneis è frapposta traversalmente fra il bacino del lago ed il precipizio ; e dalla parte del lago essa è lisciata ed incavata ad arco piatto, in forza dell’ azione erodente del ghiacciaio. Il torrente la scavalca in un punto di essa reso più depresso dalla medesima azione erodente. Superiormente al lago il fondo della valle s’ inalza al di sopra di esso con un gradino a picco di 15 a 20 metri d’altezza, cosicché la Val di [ruzzo consterebbe di due piani o terrazzi contigui, di un su- periore, cioè, che sarebbe anche il più antico e rappresenterebbe il primitivo andamento della valle, e di un inferiore, più re- cente e più approfondito, costituente una gola d’ erosione che avrebbe dato occasione alla formazione del lago; questa gola poi nella sua porzione anteriore, prossima all’ orlo del precipizio, è più approfondita che non superiormente in forza dell’ azione dei ghiacciai alla quale però avrebbe resistito la sbarra di gneis che chiude il bacino; dalle quali circostanze si può conchiudere: Che 1’ alta valle sul cui margine anteriore giace il lago è più antica della Val del Drogo formatasi a 200 metri al di sotto di quella e di cui avrebbe spostata la direzione. La formazione di Val di Truzzo sarebbe contemporanea a quella di Val Loga. Che dopo avvenuto tale spostamento ebbe luogo in Val di Truzzo un’ ulte- riore erosione che formò in essa un secondo fondo più basso il quale attualmente costituisce la parte posteriore del lago. Che al principio dell’ epoca glaciale la Val di Truzzo possedeva già superiormente un terrazzo di metri 20 d’ altezza attraversato da una gola dO 36,08 19,34 ! 35,22 . 8,63 i Acqua 100,00 100,04 101,00 99,40 100,0 100,00 100,00 99,27 1 Questo è incassato in uno scisto argilloso e contiene apofillite. 2 In una amigdaloide, con apofillite e calcite. 8 In geodi di calcedonio, con ametista. 4 Vedasi intorno alla datolite di Bergen Hill la monografìa di Dana nel- V American Journal of Science, 1872. 5 Ivi in una amigdaloide. - 537 - che in alcuni punti della Toscana e dell’ Emilia, in connessione colle rocce serpentinose, e a Baveno sul Lago Maggiore, nel granito. In Toscana la celebre miniera di Montecatini somministrò datolite, impiantata alla superficie del gabbro rosso e entro no- duli di calcopirite nella pasta stessa del filone. Nel Modenese la località di Toggiana arricchì i nostri musei di eleganti cri- stallizzazioni di questa specie, tolte parimente ai gabbri rossi ed associate a calcite. Finalmente fu ancora segnalata, poco tempo addietro, a Casal di Bombiana (nel gabbro rosso), presso Lizzo (nell’ eufotide alterata) e a Bisano (nel gabbro rosso di quella miniera ramifera), località tutte del Bolognese. A queste provenienze aggiungo ora il territorio di Casarza, in cui, a differenza delle altre località, il minerale non si trova sparso in minute particelle, ma costituisce P elemento prevalente per un buon tratto di un cospicuo filone. La calcite la quale, come dissi, suol trovarsi associata al mi- nerale sopra descritto nel filone di contatto del Bargonasco, si presenta sempre in cristalli, i quali rivestono le pareti delle geodi e delle fenditure, e sono quasi costantemente impiantati sulla datolite. Questi cristalli misurano abitualmente dai 10 ai 15 millimetri di lunghezza, ed offrono forme di svariati rom- boedri, tra i quali, principalmente, il primitivo e V equiasse. Essi presentano poi il più delle volte faccette di modificazione rife- ribili ad altri romboedri. Salvo poche eccezioni, i cristalli di calcite sono tutti a faccie più o meno curve e ineguali, a su- perficie appannate, increspate e ondulate, con lucentezza pingue- dinosa particolare, per la quale si direbbe che sono unti d’ olio. In alcuni la curvatura delle faccie va unita a distorsione. Altri sono debolmente ma distintamente opalescenti. Ho detto che tali cristalli, salvo poche eccezioni , hanno le faccie curve, perchè ne vidi alcuni assai più minuti degli altri, in forma di romboedri assai prossimi al cubo, nitidi, lucenti e a faccie piane. Le misure al goniometro di riflessione non sono possibili con qualche esattezza che in questi ultimi. Il professor D’Achiardi avverte a ragione, in una sua Nota sulla calcite della Punta alle Mele (Elba) 1 che la curvatura delle 1 A. D’Achiardi, Sulla calcite della Punta alle Mele , Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, III, fase. 2. - 538 - faccie, in molti cristalli, è congenita, dovuta cioè, « come chi di» cesse al succedersi di tante posizioni successivamente e lieve- mente degradanti assunte dalle particelle cristalline nel loro de- porsi, onde invece di aversi un piano, ne risulta una curva; e siffatte faccie lungi dal potersi esprimere con un simbolo solo, ne richiederebbero tanti quanti punti (e sono innumerevoli) si possono supporre in questa curva da esse tracciata ; » mentre in altri, come per Y appunto in quelli della Punta alle Mele, è do- vuta sicuramente ad acque acidule che vi abbiano corso sopra più o meno a lungo. Ora io non dubito che così sia avvenuto della calcite di Casarza, e di fatti da questa è facile conseguire per sfaldatura dei solidi a faccie piane e lucide, i quali immersi in una debole soluzione acida sv sformano e si appannano. In alcuni esemplari testé raccolti nell’ avanzamento della gal- leria, la calcite assume configurazioni di crosta mammellonare, coperta di piccoli rilievi cristallini e per tal carattere, come pure per la translucità e la lucentezza cerea, ricorda la prehnite.1 Riguardo alla scolecite di Yallegrande, è a notarsi prima- mente che si presenta in masse sferiche o sferoidali fìbroso- raggiate o lamelloso-raggiate di variabili dimensioni, misurando le minori meno di un millimetro di diametro e le maggiori fin 26 millimetri. Queste piccole masse sono talvolta incomplete, ri- ducendosi ad una frazione di sfera, d’ ordinario alla metà. Altra particolarità degna di menzione si è che le sferette si trovano sempre impiantate nella parte più superficiale delle fenditure e delle altre soluzioni di continuità, generalmente sopra i cristalli di calcite o frammezzo ad essi. Pochi esemplari di piccole dimen- sioni riposano direttamente sulla datolite. Vuoisi pure avvertire che, in forma di noduletti meno regolari, la scolecite si trova pure, per breve tratto, al muro del filone, nella losima serpen- tinosa e nella serpentina alterata che ne costituisce da un lato P incassatura. In questa i noduli zeolitici sono piuttosto piccoli, fitti, schiacciati, e sporgono sulla superficie speculare della roccia che corrisponde allo stacco, come globuli d’ una variolite che 1 Questa specie che a Montecatini e nel Bolognese accompagna la datolite, non fu ancora incontrata in Liguria, ma certo vi si troverà perchè vi sono fre- quentissime le condizioni che sogliono presentare i suoi giacimenti. — 539 - fosse rimasta lungamente esposta all’ azione degli agenti atmo- sferici (fig. 2). Le sferette maggiori s’ incontrano prevalentemente in quella parte del filone la cui materia è breccia ad elementi serpentinosi relativamente abbondanti e a pasta di datolite impura microcristal- lina. Esse son di forma regolare, ma un po’ scabre alla superfìcie. All’ esterno il loro colore è bianco sudicio ed hanno lucentezza terrosa; internamente si pre- sentano costituite di lamelle fibrose, ir- radianti dal centro, d’un bianco puro con lucentezza tra la pinguedinosa e la madreperlacea, sulle fratture facili che corrispondono alle faccie prismatiche di cristalli elementari; la polvere loro è candida. Le sferette di questa specie non sono comuni e si mo- strano solo ove i materiali dell’ eufotide sembrano aver subito più profonda alterazione. Nelle parti del filone in cui la dato- lite si trova in maggior copia e in cristalli più nitidi e volumi- nosi e in cui, per converso, son più radi e minuti i ciottoletti di serpentino e i residui d’ eufotide, la scolecite, sempre in forma globulare, apparisce più abbondante, ma in sfere più piccale e meno compatte, con struttura cristallina più distinta. Alcune di tali sferette sono cave, risultando di innumerevoli cristallini pri- smatici brevissimi, strettamente stipati, e danno ricetto talora ad una seconda sfera concentrica di scolecite, cava ancor essa, occu- pata da una terza più piccola e vuota, oppure da un nucleo cen- trale della stessa materia (fig. 3). Si dà anche il caso che la datolite ricopra di un involucro cristallino le masse scolecitiche, ma per lo più queste si trovano in contatto con cristallizzazioni di calcite, e avviene in certi esemplari che la calcite stessa, assumendo in con- tatto della scolecite una struttura Scolecite gIobalar8 sulla caIcite' fibrosa, e facendosi subopaca accenni come ad una graduata tran- Fig. 2. Scolecite nella serpentina alterata. - 540 - sizione tra le due specie. Gli intervalli tra una buccia scolecitica e T altra e la cavità centrale, ove esiste, son talvolta parzialmente occupati da piccoli romboedri di calcite. Vi hanno esemplari, raccolti presso l’avanzamento della galle- ria, nei quali la scolecite in glomcruli bianchi, opachi, simili a globuli omiopatici, si trova impiantata su cristalli di calcite e di datolite, questa ricoperta in tal caso da un sottilissimo intonaco subopaco. Di tali glomeruli ve ne hanno a superficie liscia od irta di sot- tilissimi e radi cristalli, quali aghiformi, quali contorti a guisa di filamenti cotonosi. Taluni che ad occhio nudo sembrano com- patti si risolvono al microscopio in una agglomerazione di sottili filamenti come di bambagia. Altri globetti, translucidi e vitrei, osservati sotto lieve ingrandimento, presentano alla superficie dei piccoli rilievi diretti in vari sensi che sembrano corrispondere a spigoli di piccoli prismi. Esaminando al microscopio la polvere che si ottiene sgreto- lando un frammento di una delle sferette formate di strati con- centrici, sembra che risulti di prismetti basati a faccie rettan- golari, assai schiacciati, vitrei, incolori e trasparenti. Le masserelle di scolecite anche più voluminose offrono alla superficie loro lievissima resistenza all’ azione penetrante di una punta d’acciaio, quando sia diretta verso il centro; ma in- ternamente la durezza loro, sperimentata in direzione normale alle faccie di sfaldatura, non è minore di 4, 5. A tal durezza, che tuttavolta sembra scarsa in confronto di quella che varii autori assegnarono alla medesima specie,1 va unita, negli esemplari pieni e compatti, una tenacità non comune. La determinazione del peso specifico eseguita sopra uno dei più puri ed omogenei, diede una volta 2, 33, un’altra 2, 23. Nel tubo d’ assaggi, la scolecite di Yallegrande sviluppa acqua in discreta quantità e odore di materia organica bruciata. Al cannello, se sia ridotta in polvere e in tenue copia, si fonde non difficilmente in smalto bolloso bianco. Bagnato con soluzione di nitrato di cobalto e poi arroventato, il minerale diventa azzurro. L’ acido cloridrico lo discioglie completamente a caldo e dà luogo a deposito di silice gelatinosa. 1 5,5 secondo Dana, Landgrebe ed altri. - 541 - I consueti reattivi, mentre rivelano nel nostro minerale la presenza dei suoi componenti normali che sono, come ognun sa, la silice, 1’ allumina, la calce e P acqua, scuoprono in esso un po’ di magnesia, elemento che fu pur riscontrato nella datolite.1 Ecco d’ altronde i risultati di una accurata analisi quantita- tiva di questa scolecite, analisi di cui son pur debitore alla cor- tesia del professor Emilio Bechi: Anidride silicica 46, 65 Allumina 25, 82 Calce 14,44 Magnesia 0,11 Acqua 13,00 Anidride borica 100, 02 Si conoscono parecchie analisi quantitative di scolecite che credo utile di trascrivere in nota, affine di facilitare i confronti.2 4 La ragione di questo fatto deve ricercarsi nella giacitura comune ai due silicati. Analogamente le specie datolite, picroanalcime, picrothomsonite, por- tite, sloanite, schneiderite, savite, caporcianite ed altre, che s’incontrano nei gabbri rossi alla periferia del celebrato filone di Montecatini o nella pasta dello stesso filone, son tutte più o meno magnesiache, perchè generate sotto l’ influenza e col concorso delle serpentine, roccie eminentemente magnesiache (D’Achiardi, Mineralogia della Toscana , voi. II, pag. 184). 2 Ecco le analisi di cui è sopra parlato : 1 I. di. Staffa (*) (Fuchs). CTS rG = I M I 1. Feroe (4) (Fuchs). Islanda (5) (Waltershausen). Muli (6) (Scott). Indie orientali(7) (Taylor). Indie orientali (8) (Taylor). Anid. silicica. 46,75 48,94 49,0 46,19 46,6 46,214 46,72 46,87 Allumina. . . 24,82 25,98 26,5 25,88 25,8 27,000 25,90 25,32 Calce 14,20 10,44 15,3 13,86 14, 13,450 13,71 13,80 Soda 0,39 0,48 0,45 Potassa . . . 0,13 Acqua .... 13,64 13,90 9,0 12,12 13,6 13,780 13,67 11,46 99,80 99,26 99,8 96,53 100,0 100,444 100,00 100,03 ( 1 ) (2) (4) Journal de Schweìgger, tom. Vili, pag. 353 (secondo Dufrenoy). (3) Annale8 dee mines , serie 2a, tom. XII, pag. 8. (8) Landgrebe, Mineralogie der Vuleane, Cassel e Leipzig, 1870, pag. 339. (6) Edimburgh Philosoph. Journ., tom. LIII, pag. 282. Nel Traité de Mineralogie di Dufrenoy (voi. IV, pag. 149) si dà erroneamente come provenienza di questa zeolite l’isola di Malta anziché l’isola di Muli. I7) (8) American Journal , serie 2a, tom. XVIII, pag. 410. - 542 - Le cifre ottenute dal professor Bechi si discostano poco dalle medie generali e coincidono quasi perfettamente con quelle re- cate da Sartorius di Waltershausen nella sua. analisi della sco- lecite d’ Islanda riportata da Landgrebe, prescindendo ben inteso dalla piccola quantità di magnesia e dalle traccie d’ anidride bo- rica segnalate dal Bechi nel minerale del Bargonasco e che in altre varietà non s’ incontrano. Le analisi centesimali riferite in nota conducono alla formula Ca Al Si* * 3 *010 -+- 3H20, i cui elementi furono in varie guise ag- gruppati da diversi autori. Una delle formule razionali più ac- creditate è la seguente ALO3, Si O2 -f- Ca 0, Si O2 3H20. 1 Bom- bicci preferisce l1 espressione Si Ca O3, Aq -h Si Al2 O3, Aq 4- Si H2 O3 che corrisponderebbe alla formula d’ una labradorite, nella quale ciascuna delle molecole componenti fosse monoidrata. 2 I basalti, le amigdaloidi, le fonoliti e, in generale, le roccie cosiddette trappiche, sono il consueto giacimento della scolecite o mesotipo calcifero. In tal condizione si trova a Bernfiord e ad Eskifiord nell’ Islanda orientale, nelle isole Feroe, nelle isole dì Staffa e di Muli, a Talisker nel Mittelgeberge, nella Val di Fassa e in Finlandia. Presso Clermont, in Francia, s’ incontra annidata sotto forma di noduli, nei tufi basaltici. Nella valle di Cachapual (Chili) la ricetta, secondo Domeiko, un porfido zeolitico (una amigdaloide per Landgrebe), insieme alla stilbite, e ad altre zeo- liti. Nell’ Alvergna costituisce, come dissi, dei noduli e presso Puna, nell’ Indostan, certe sferette raggiate di 15 a 18 millimetri di diametro, senza dubbio somiglianti a quelle del Bargonasco.3 II B. Museo mineralogico di Torino possiede svariati cam- pioni di scolecite in piccoli adunamenti globulari, fasci fibrosi e cristallini aciculari raccolti alla Mussa presso Ala di Stura (Pie- monte), in roccie verdi un po’ scistose (talcoscisto o cloritesci- sto). La medesima specie si trova, coi suoi caratteri tipici, nelle lave pirosseniche dell’ Etna e del Vesuvio e certamente in altre roccie vulcaniche italiane. Non credo però che si sia rinvenuta mai, prima d’ ora, nelle formazioni ofìolitiche. * Naumann, Elemente der . Mineralogie , ediz. 8a, pag. 337. * Bombicci, Corso di Mineralogia, ediz. 2a, parte 2a, pag. 965. 3 Vedonsi esemplari di scolecite (in grossi fasci bacillari) di Bohr Ghat Kan- dalle, altra località indiana, nel museo mineralogico dell’ Università di Roma. - 543 - I reciproci rapporti, e certe particolarità di struttura e di giacitura dei tre minerali sopradescritti mi suggeriscono alcune induzioni per ispiegare la genesi loro. II filone di Vallegrande sarebbe, a parer mio, un condotto pel quale, dopo 1’ emersione della serpentina, e probabilmente in dipendenza di questo fenomeno, circolarono acque minerali, forse calde, dotate di azione meccanica relativamente energica e di proprietà corrosive dovute, io credo, prevalentemente ad anidride carbonica disciolta. Queste acque, operando meccanicamente, asportarono alle roccie che lambivano dei piccoli frammenti, e quindi li depositarono, dopo una fluitazione più o meno lunga ed un conseguente logoramento, ov1 era più debole la corrente, in- sieme alla melma magnesiaca ed argillosa prodotta da una divi- sione più inoltrata. Intanto, dilavando, da un lato, grandi masse di serpentina, esse ne scioglievano l’ anidride borica che in piccola proporzione, ma costantemente, va compresa tra i loro componenti; e dall1 altro, inducendo nell1 eufotide profonda alterazione, le to- glievano gran parte della calce e della silice impegnate nel suo feldispato. Così si trovarono in presenza gli elementi della datolite, la quale non tardò a formarsi e a cristallizzare occupando gran parte della soluzione di continuità rimasta tra le due roccie, e cementando insieme i materiali detritici accumulati dalle acque. A poco a poco le proprietà del mestruo si modificarono, a quanto pare, in tal modo che, mentre esso non aveva più che poca o punta azione sulla serpentina, continuava però a scomporre la saussurite dell1 eufotide. Allora si formarono verosimilmente la calcite e la scolecite. 1 In generale la prima ebbe origine avanti la seconda e dopo formata fu parzialmente attaccata e corrosa dalle medesime acque in seno alle quali era nata e forse fornì la calce alla scolecite posteriormente formata. I geologi sono generalmente inclinati, per antica abitudine, ad ammettere che gli svariati materiali contenuti nei filoni e disciolti nelle sorgenti minerali (che sono per così dire filoni in formazione) provengano direttamente dalle regioni più profonde 1 Se prima la corrente acquea era stata calda, è chiaro che quando avveniva la formazione della calcite la sua temperatura doveva essere poco diversa dalla ordinaria. - 544 - della crosta terrestre o, per servirmi di un’ espressione che l’ uso ha consacrata, dalle viscere del globo. Siffatto modo di vedere non si fonda, nella pluralità dei casi, sopra alcun valido argo- mento. D’altra parte lo studio minuzioso delle roccie dimostra che bene spesso i medesimi materiali si trovano diffusi nelle for- mazioni superficiali, e quantunque la proporzione loro relativa sia tenuissima, pure rappresentano in complesso ingenti quantità di materia. Orbene, valutando i fatti indipendentemente da ogni idea preconcetta, mi sembra probabile che le azioni idrotermiche abbiano appunto per effetto di sceverare taluni di questi corpi dagli altri, di adunarli entro cavità sotterranee o in certe roccie permeabili, formando filoni, ammassi, compenetrazioni, al qual effetto pur concorrerebbero, comunque in minor grado, lenti fenomeni molecolari di concentrazione, d’ epigenesi e di cristal- lizzazione. In breve la dottrina delle cause attuali, quando si tenga gran conto del tempo e delle condizioni particolari a ciascuna località, mi sembra quasi sempre utilmente applicabile alla soluzione dei quesiti relativi alla genesi dei minerali. L’ ipotesi secondo la quale 1’ anidride borica della datolite potrebbe esser fornita dalla serpentina non è gratuita, imperocché dopo aver scoperto che le roccie ofiolitiche di varie località della Toscana e segnatamente del monte di Caporciano sono boracifere, il professor Bechi si accertò della esistenza di quel medesimo composto in alcuni campioni di serpentina, comunicatigli da me, raccolti per l’appunto nella Valle del Bargonasco.1 Secondo ogni probabilità anche la datolite del Rio di Castel- lino presso Lizzo, nel Bolognese, si originò nel modo che io venni esponendo. Pusulta infatti dalla illustrazione fattane due anni or sono dal professor Bombicci che questo minerale s’ in- contra nelle fenditure di una eufotide alterata prehnitifera con passaggio all’ ofìsilice. 2 Tal varietà di roccia, potè fornire indub- biamente alla datolite la sua anidride borica. 1 La presenza di composti azotati nella serpentina, pur dimostrata dal Bechi, ci dà ragione parimente dell’ odore di sostanza organica bruciata che si sviluppa riscaldando la datolite. 2 L. Bombicci, Contribuzioni di Mineralogia italiana , pag. 7 e seguenti, Bologna 1877. - 545 - IL La scoperta del minerale di stagno in Italia , e sua relazione colla lavorazione del bronzo presso gli antichi. Nota di A. H. Church. (Traduzione daU’/ron di Londra, 1879, n° 7-8. Continuazione, vedi Bollettino, n° 7-8.) Le miniere etnische del Campigliese possono generalmente essere ascritte alla seconda di queste epoche, e le cave dell’ Elba alla terza. 1 In queste grandi miniere di ferro il lavoro era con- dotto con tale vigore che i detriti gettati a parte nel corso delle escavazioni antiche, sono state valutate a 100 milioni di tonnellate. 2 II minerale era fuso principalmente nella Maremma toscana, benché V isola, dice lo storico romano,3 fosse illuminata di notte per i fuochi dei forni metallurgici, dal qual fatto è de- rivato il nome di Etalia o Isola di fuoco. Furono trovati pezzi di quel ferro speculare caratteristico, sparsi per più di cento miglia lungo la costa toscana dirimpetto all’ Elba, mescolati con scorie ferruginose, residui di fusioni e di fonderie. Populonia, la Pupluna degli Etruschi, situata a sud del Cam- pigliese, in un promontorio marittimo rimpetto all’ Elba, era il porto e P emporio per il quale erano distribuiti i prodotti della ricchezza mineraria. Le mura pelasgiche dell’ antica città che ancora restano in piedi, e la effigie di Vulcano, che figura nei suoi bronzi e monete di rame, sono ad evidenza di un’ antichità più grande di quella che si può dedurre dagli storici romani. Si dice che questa città fosse stata dedicata agli Dei sotterranei che custodiscono i tesori della terra. In quei tempi, la pianura, ora silenziosa della Cornia, risuonava del frastuono del fabbro 1 In Italia come nell’ Egitto, nella Grecia ed in Assiria però sono stati trovati campioni di ferro probabilmente tanto antichi quanto i più antichi bronzi cono- sciuti. Due altari per sacrificii furono trovati nella tomba Regulini-Galassi a Cervetri (l’ antica Cere) posti sopra tripodi di ferro. L’ ignoranza evidente del principio dell’ arco dimostrato dalla costruzione della tomba la farebbe considere- volmente più antica della Cloaca massima. Canina asserisce essere essa coetanea della guerra di Troia. 2 L. Simonin, L’Ile d’Elbe et ses mines de fer: Etudes et explorations. 8 Plinio, Storia Naturale. — 546 - che riduceva il metallo in utensili ed in armi. Le foreste che un tempo coprivano i fianchi delle colline circostanti, sono scom- parse onde farne carbone per la riduzione e fusione dei minerali. Si potevano vedere triremi e galere far rotta per l’Elba, altre ritornare col loro carico di minerale, mentre vascelli d’ altri porti dell’ Etruria erano all’ àncora nel porto di Populonia. Ora vi esistono solo pochi segni rimasti a ricordare 1’ attività che una volta regnava in questo paese. 11 contadino coltivando il terreno vi trova oggetti di metallo, bronzi, monete, amuleti, scarabei d’ argento, oro e rame, e masse particolari di piombo, testimoni di quell’ antica industria, oggetti che furono, non vi ha dubbio, fatti in vicinanza dei minerali pro- venienti principalmente dalle colline campigliesi. Il sistema che adottarono i Romani quando il dominio delle miniere di Campiglia venne sotto il loro controllo, fu piuttosto di proibire che di incoraggiare 1’ escavazione. Una legge del Se- nato vietava l’utilizzazione delle miniere italiane1 in vista di incoraggiare le intraprese minerarie nelle colonie e nelle lontane provincie della Repubblica. Un’ altra ragione era probabilmente quella di impedire la distruzione dei boschi in quei distretti ove esistevano fonderie, mentre le grandi pioggie esportavano il ter- reno dalla roccia rendendo così sterili i fianchi dei monti. Ciò si può vedere oggidì ove i carbonai hanno denudate le montagne della loro copertura, il che fu recentemente proibito. È stato oggetto di qualche controversia se Populonia fosse il porto della grande città di Vetulonia2 che si dice esistesse in qualche luogo della Cornia, o se fosse una città indipendente. Gli antichi scrittori però parlano di Populonia come di una città distinta, la città delle miniere. È stato scritto più di una doz- zina di articoli sopra le monete di Populonia: le sue proprie monete portano la scritta Pupluna e la effigie di Vulcano, e sul rovescio, un martello e tanaglie. I lavoranti nei campi, che ora coprono le ruine, trovano continuamente monete di bronzo, di 1 Populonia fornì il ferro a Scipione sul finire della seconda guerra punica. (Livio, xxviii, 45). 2 La situazione di Vetulonia è smarrita affatto. Alberti asseriva la sua sco- perta in un bosco fra Campiglia e Populonia, dove però ricerche recenti non riescirono a scoprire le ruine che egli descrive {Etruria, per G. Dennis). — 547 - rame e eli argento, ed in tale quantità da far credere che qui probabilmente esistesse una zecca dove la coniazione era fatta per la distribuzione generale. Nel Museo del signor Desiderj 1 da lui formato sul luogo, si veggono molti oggetti curiosi in rame e bronzo ricoperti di car- bonato e probabilmente da cloruro di rame. Yi si ponno osser- vare le lampade, i picconi, le vanghe degli antichi cavatori, che erano usate nelle miniere di Populonia dai lavoratori etruschi. La cortesia che si trova nella casa del proprietario, e la stu- penda vista dell’ arcipelago toscano rendono doppiamente inte- ressante una visita a questa località. Strabone2 parla di miniere abbandonate che egli visitò nei dintorni di Populonia; egli si riferiva evidentemente alle esca- vazioni etrusche distanti dieci miglia in vicinanza di Campiglia, perchè non vi sono miniere d’ importanza più vicine a quell’ an- tico luogo. Sembra abbia esistito una popolazione etnisca nello spazio interposto o pianura, dove ricerche ben organizzate metterebbero probabilmente in luce avanzi archeologici di valore. Fra i con- tadini di Campiglia corrono tradizioni e racconti di scoperte importanti di tesori d’oro e d’argento nei campi presso alla città. Tali racconti sono frequentemente accompagnati da tali dettagli da meritare qualche credenza. Ci fu indicata una località a circa mezzo miglio al nord di Campiglia, dove in una vigna, in un sito chiamato Fucinaia, furono trovati alla profondità di circa tre metri dalla superficie, due vasi di terracotta contenenti una quantità di pezzi d’ oro ottagonali, alcuni dei quali, il nostro narratore asseriva aver egli stesso veduto a Campiglia. Questa scoperta dicesi essere stata fatta da due lavoranti, non nativi di Campiglia, i quali ultimamente se ne partirono col loro tesoro. Proprio sotto Populonia, in una località chiamata Porto Baratto, vi è un cumulo smisurato di antica scoria che giace sulla spiag- gia. Una grande quantità fu evidentemente esportata dalle onde. Questa scoria è ricca in protossido di ferro e proveniva certa- mente dalla fusione del ferro speculare dell’Elba. Essendo la silice il costituente principale nella ganga del minerale, i fon- 1 II proprietario del tenimento. * Geografìa (V, 223). - 548 - ditori, sembra abbiano ricorso all’ ematite calcare del Campigliese allo scopo di formare un miscuglio fusibile per i loro forni. Era questo un altro vantaggio nel portare a questa costa il minerale Elbano. Questa è però soltanto una delle grandi accumulazioni di scoria che devono trovarsi nel Campigliese : naturalmente nella serie dei secoli trascorsi dai tempi etruschi, la vegetazione crebbe, fiorì e decadde sopra questi monacelli artificiali di detriti, ed una nuova flora è sorta sul terreno formatosi, celando i cumuli all’ occhio dell’osservatore. Se la posizione di Yetulonia si è per- duta, ben possono essere passati nell’ oblio i luoghi delle fonderie. Avvicinandosi a Campiglia da Populonia, si arriva alle sor- genti termali o Caldane, già descritte. Quivi proprio vicino ad un ampio stagno di acqua calda, esisteva una volta una fondelia. Pezzi di minerale dell’ Elba si trovano mescolati a scoria nera ferruginosa. Il signor Blanchard facendo ricerche in vicinanza di questa località, trovò nel 1878 un pezzo di minerale che aveva la seguente composizione : 1 Sesquiossido di ferro 92, 29 °/o Allumina 0, 74 » Protossido di manganese 0, 32 » Ossido di zinco 0, 25 » Ossido di rame 0, 13 » Ossido di piombo tracce Arsenico tracce Calce.. 0,41 » Magnesia 0, 67 }) Acido fosforico 0, 1 1 » Solfo 0, 16 » Acqua non valutata 2, 06 » . , . , , , n [ Silice 2, 30 » Residuo insolubile della ) £ioss qj stagno. 0, 34 » combustione 2,86 /. { Non valutato. . . 0,22 » 100, 00 °/0 1 II piccolo tenore di stagno tanto in alcuni dei minerali stanniferi del Campigliese come nelle antiche scorie può facilmente essere sfuggito all’ osser- vazione dei primi analizzatori. La cassiterite non si presenta nella forma di ben definiti cristalli neri che sono caratteristici dei depositi della Cornia, la sua presenza quindi può raramente accertarsi colla sola ispezione oculare. Il miglior metodo per determinare rapidamente 1’ esistenza dello stagno nei minerali è di fondere con borace e carbonato di soda il residuo siliceo insolubile ; la soluzione quasi neutrale che così si ottiene nell’ acido idroclorico trattata coll’ idrogeno solforato, lascia precipitare il solfuro di stagno di color giallo sporco. Potrebbe - 549 - Traversando le colline a Fucinala, a mezzo miglio a nord di Canapiglia, si viene ad una serie di piccoli poggi estendentesi lungo una valle per la quale scorre un piccolo rio. Questa loca- lità, come il suo nome lo denota, era un tempo una grande fon- deria etrusca. I poggi sono composti di scorie, residui gettati della fusione. Entro questa scoria vi sono pezzi di mattoni coi quali erano costruite le fornaci, unitamente a carbone e a me- tallica : vi furono pure trovate monete e scarabei. Questa scoria è stata usata per racconciare e far strade, per segnare confini ec. dalla gente del paese, la quale ha curato di tenere scoperte le accumulazioni. Qualche pezzo ricco di rame si osserva incrostato di carbonato verde, ma la maggior parte è probabilmente tanto povera in rame, quanto le scorie rigettate delle nostre fonderie.* 1 A lato di Fucinaia si trova la miniera etrusca, detta la Gran Cava, una escavazione in pendìo a guisa di tunnel in un ampio dicco di amfibolo ilvaite e porfido, contenente pirite di rame ed un poco di calamina. Al disotto di questa escavazione sulla stessa vena vi sono sei o sette larghe camere pure antiche, alle quali si perviene per mezzo di pozzi della profondità da 50 a 100 metri. Nella prima metà di questo secolo queste escavazioni furono pro- seguite, ma il lavoro non riuscendo vantaggioso, esse vennero infine abbandonate nel 1861. Il signor Blanchard, che in questa materia ha molta esperienza, ha sospettato che vi fosse un’ altra serie di antiche escavazioni fra la Gran Cava e le accennate ca- mere inferiori. Il signor Simonin, che visitò la località nel 1858, dà una perfetta descrizione dell’ interno dell’ antica miniera, una descrizione che si accorda coll’ esperienza di altri, e che si adatta, più o meno, ad altre antiche miniere di origine analoga, situate tuttavia esser sorto in mente che il Sn02 nativo non è perfettamente insolubile nell’ acido idroclorico concentrato bollente trovandosi tracce percettibili di esso in soluzione in questo dissolvente. A Monte Fumacchio è stato trovato un mi- nerale che contiene il 10,82 per °/0 di Sn02 solubile nell’acido idroclorico di- luito, mentre il 3, 60 per % rimane insolubile. L’ ossido di stagno solubile è evi- dentemente combinato con ossido di rame come uno stannato di rame. Il signor I. H. Collins ci riferisce che è stato trovato uno stannato di zinco naturale nel quale Sn02 è pure solubile. ‘ Simonin ha notata la povertà di rame di questa scoria (La Toscane et la mer Tyrrhénienne). Osservazioni simili sono state fatte a Cipro. Anche in Ispagna, a Rio Tinto, le scorie rigettate erano molto povere in rame contenendone soltanto 0,14 % (I. H. Phillips). 56 - 550 - nella stessa regione.1 A nord-est di Canapiglia sta la proprietà della Gherardesca, in origine del Conte Ugolino, menzionato da Dante, che incontrò una morte violenta durante le civili discordie di Pisa nel 1278. Quelle colline sono ricoperte da folti boschi ancora abitati da cinghiali e camozzi, -e non tocchi da miniere moderne. Là vi è una quantità di pozzi verticali, taluno dei quali difficile a tro- varsi, nascosti come essi sono dalle piante della foresta. I nativi li chiamano buche, credendo che esse sieno accidentali ta natuiali. Le buche al Ferro, e alcune altre a Terra Possa, sono forse le più facili a trovarsi. Le prime consistono in pozzi verticali ed escavazioni aperte sopra alcune vene di ematite, ed in vicinanza dei lavori sta un cumulo di detriti del minerale. L’ oggetto delle altre escavazioni, non è così evidente, devono trovarsi vicino ad essa frammenti di minerale di rame e di galena. S’ incontrano nei boschi altre escavazioni in forma di pozzi profondi, con aper- ture ristrette, che probabilmente non furono esplorate in tempi recenti. In una valle nelle colline della Gherardesca, vi sono di- verse accumulazioni di scorie, e all’ ingiro s’ incontrano frammenti di minerale e di mattoni che erano usati nella costruzione delle fornaci, i quali indicano il posto di una fonderia. Più lungi ancora da Populonia presso la piccola borgata di 1 Muniti di funi e lanterne noi discendemmo in queste profonde caverne. Era facile per noi seguire nelle pareti della roccia metallifera le tracce della bietta o del martello appuntato che venne per lungo tempo usato a rompere le masse resistenti. Le impronte sono così fresche come se fosse lavoro di ieri. Talvolta 1’ escavazione è fatta esternamente o a cielo aperto come dicono 1 mi- natori ed ivi la vena appare in tutta la sua larghezza ed altezza. Qualunque punto’ si visiti si resta meravigliati dalla grandiosità delle camere di proporzioni gigantesche succedenti» Luna all’altra e comunicanti per stretti passaggi. Que- sti ultimi talora si prolungano fino all’esterno come cammini d’aria intesi a ventilare i lavori. Intorno alle camere la cui altezza colpisce il visitatore, sono disposti dei blocchi a guisa di gradinata per la quale i lavoranti salivano a ta- gliare la roccia. Per non perdersi in questo laherinto noi fissammo qua e cola delle candele accese che ci servivano à trovare la via al ritorno. Nulla può dipingere la solennità che queste caverne sotterranee comunicano col loro silenzio e colla loro immensità. Il suono monotono dell’acqua cadente dalle pareti ad intervalli regolari è la sola, cosa che interrompe la calma di questa strana solitudine. Nes- sun suono penetra dall’esterno e gli stessi animali che cercano un ricovero nelle cavità difficilmente si avventurano nell’interno trattenuti da una specie di timore . i sorci ed i pipistrelli si stabiliscono prudentemente all’ entrata delle gallerie e s’inoltrano cautamente nelle loro visite (La Toscane et la Mer Tyrrhénienne). - 551 - Castagneto, si trovano altri depositi di scorie, ma non possiamo dare particolari sulla loro situazione. Ora se gli Etruschi facevano il bronzo colla cassiterite na- tiva nelle vicinanze di Populonia, è assai probabile che alcune delle scorie del Campigliese porterebbero indizio di tale mani- fattura. Per mezzo di un esperimentato ed intelligente minatore del paese assai pratico della località, furono ottenuti campioni di queste scorie nel 1878, i quali insieme ad alcuni altri che l’autore aveva presi, furono analizzati con i resultati che ora si daranno. Le scorie, come vengono trovate, mostrano generalmente una superficie grigia o bruna, qualche volta rossa per perossido di ferro. Quando sono spezzate, o dove non sono alterate dagli agenti atmosferici, sono quasi nere. Portano segni di completa fusione, e sono generalmente cristalline. Non vi abbiamo scoperto grani di metallo. Il signor Simonin ci dà le seguenti analisi delle scorie di Fucinaia e di Gherardesca. 1 Fucinai a. Silice 50, 0 % Protossido di ferro . . 35,0 » Ossido di piombo. . . 4, 0 » Ossido di zinco .... 3,5» Ossido di rame .... 2, 0 » Magn., calce, allum. . 5, 0 » Solfo, cobalto, mang. tracce 99, 5 0/o Egli non menziona la presenza dello stagno in alcuna scoria del Campigliese ; infatti non apparisce che egli aspettasse di trovarlo. Parlando dell’antica manifattura del bronzo, egli dice: « Questo metallo non esistendo in alcun luogo in Toscana, gli Etruschi debbono averlo ricevuto dai Fenici e dai Cartaginesi, i quali lo ricercavano nell’ Atlantico alle isole delle Cassiteridi.2 » 1 Ann. des Mines, XIV, 1858. ’ La Toscane et la mer Tyrrhénienne. Plinio allude alla storia delle Cassi- teridi come di una favola, e rammentala Gallizia e la Lusitania in Ispagna come le sorgenti allora conosciute dello stagno ( Storia Naturale , xxxiv). Ai suoi tempi però la manifattura del bronzo doveva esser stata in gran parte surrogata da quella del ferro. GhEKABDESCA. Piombo 2, 0 0/o Rame 0, 5 » - 552 - Lo stesso autore parla di metalline di rame e piombo a Fu- cinate e alla Gherardesca, contenenti da 10 a 12 °/0 di rame e 30 a 35 °/0 di piombo, che s’ incontrano in piccola quantità. Mentre sono, io credo, piuttosto rare le antiche metalline di piombo, si sono trovate in Sardegna e nella Spagna delle scorie in grande quantità, contenenti da 30 a 35 °/0 di piombo. Analisi di scorie antiche: Scoria Caldana. 1. Scoria Caldana. 2. Scoria Bottaccio a Caldana. Scoria Porto Baratto (Populonia) Scoria Gherardesca Ifia ! di Capallotil p. °/o P- °/« p- % P- °/o P- 7o P- °/o Sesquiossido di ferro . . Protossido » • • Allumina 9,70 29,89 31,63 4,41 71,88 8,23 76,49 2,57 - — Protossido di manganese Calce Magnesia Potassa. 1,66 10,72 1,34 0,61 7,66 0,84 0,07 1,19 0,76 0,45 0,60 1,32 0,64 - — 0,57 — — — Solfuro di rame Occiilr» Hi 7inrn 0,22 0,57 1,20 1,02 42,14 4,71 1 1,46 0,12 tracce. 0,20 0,31 0,31 Ossido di piombo .... Zolfo 0,29 0,40 2,55 2,52 3,29 Acido fosforico 0,41 0,15 0,34 — — I Silice 32,64 15,74 14,20 29,34 30,13 Biossido di stagno . . . 0,11 non valut. 0,91 — — 98,57 — 100,36 96,76 — - Togliendo ossigeno sosti- tuito da zolfo 0,15 100,21 In due dei campioni di sopra, nei quali non è data la de- terminazione dello stagno, questo metallo può esservi in piccola quantità. Il peso specifico delle scorie varia notevolmente,1 stando fra 3 1 Simonin dà il numero straordinariamente basso di 2, 76. {Ann. des Mines, xiv, 1858). - 553 - e 4 nel maggior numero dei casi. Le seguenti sono le poche determinazioni che abbiamo fatte. Peso specifico. Scoria Caldana. Scoria Bottaccio a Caldana. Scoria Via Capitoti. Scoria Porto Baratto. Scoria Gherardesca. Scoria Fucinala. a. 6. C. a. a . a . a. verde con Cu. b, Scoria nera. 3,48 3,65 3,74 3,06 3,72 4,00 3,59 3,79 3,42 Il peso elevato di una scoria fornisce sovente qualche crite- rio per conoscere se essa sia ricca in piombo od in rame. I si- licati di ferro raggiungono raramente un peso specifico maggiore di 4, 1 e non lo eccedono mai se vi sia il 30 °/0 di silice. Nel Campigliese non ho trovato alcuna scoria ricca di piombo. Yi sono parecchi metodi possibili che, più o meno probabil- mente possono essere stati seguiti nella manifattura di quelle varie leghe usate dagli antichi, designate ora collettivamente come bronzo. Non è necessario di dare relazione sulla natura e . composi- zione degli ornamenti, monete, statue, armi ed utensili che furono disseppelliti nel suolo italiano, così ricco in tesori sepolti, durante il medio evo e nei tempi successivi. Questi si possono vedere in ogni grande museo in Europa, e furono così frequentemente de- scritti dagli archeologi moderni che la maggior parte di noi è famigliare cogli oggetti d’arte eleganti e delicatamente lavorati, i quali solo commemorano la perizia degli artefici etruschi, i fabbri ed i vasellai dell’ antichità. Basti il notare che la ricerca di qualche succedaneo più duro del legno e meno fragile e più facile a lavorarsi della pietra, fece nascere la scoperta dell’ uso del rame e stagno, ed i metodi di procurarseli. Questo ebbe luogo in parecchi paesi circa nello stesso tempo, purché lo svi- lupparsi dell’ intelligenza delle comunità producesse questo biso- gno, e dove naturalmente fossero abbondanti i minerali di rame. È pure possibile che il primo rame usato sia stato il nativo, ciò però non darebbe indicazione dei mezzi usati nella produzione artificiale. In epoche posteriori, ancora però anteriori al comin- ciare della storia autentica, dallo stesso bisogno derivò la me- — 554 — scolanza di questi metalli producendo così bronzo più duro, come fusibile, e più durevole che il rame solo. In tempi ancora più recenti il ferro parimenti supplantò il bronzo nelle armi e negli arnesi taglienti ed anche nelle statue.1 Ai giorni nostri V acciaio prende la precedenza per le sue proprietà più pregevoli. Merita di essere notato che il bronzo degli antichi è di due specie : quello contenente zinco e quello privo di questo metallo. L’ultimo è probabilmente il più antico 2 e certamente appartiene ad un’ epoca distinta. Però 1’ Aes romano contiene di rado zinco. Il piombo si trova in alcuni bronzi, come è nel bronzo moderno da statue, e deve essere stato aggiunto come metallo agli altri costituenti la lega. Il cobalto, il ferro, V arsenico e parecchi al- tri metalli quando sono presenti furono introdotti come impurità in uno o più dei costituenti, o altrimenti provenivano dal mine- rale da cui si traeva lo zinco. La manifattura del rame sembra essere stata V operazione preliminare nella fabbrica del bronzo. I fonditori producevano prima una metallina di rame, i resti della quale s’ incontrano nelle fonderie.3 Vi è una sostanza chiamata da Plinio Pompholyx, citata da lui come un prodotto dei lavori di fusione del rame (xxxiv, 33), che dà odore di rame coll’ aceto ed un cattivo gu- sto alla lingua. Egli parla pure di un prodotto ottenuto dal torrefare le piriti fino a che esse divengono una terra rossa la quale subisce ulteriore trattamento. La stessa sostanza è pure prodotta nei forni da rame, il rame scorre nei recipienti, le sco- rie sfuggono dal forno, mentre il diphryx rimane indietro.4 Esso si può scoprire quando ponendolo nella lingua sia percettibile il sapore di rame. Queste descrizioni si riferiscono evidentemente alla metallina di rame o al solfato di rame cioè alla metallina torrefatta. Fra i residui metallici trovati a Troia vi furono sco- perte certe piccole palle rivestite esternamente di verderame, supposte dal Dr. Schliemann essere proiettili da fionda usati dai 1 Plinio, Storia Naturale, xxxiv, 40. 2 Nei bronzi analizzati dai signori Damour e Percy, trovati dal dottor Schlie- mann a Troia e a Micene non vi era zinco. 3 Nella valle di Aosta vi sono centinaia di tonnellate di metalline risultanti dalle fusioni in tempi antichi e medioevali. 4 xxxiv, 37. — 555 — guerrieri troiani. Dal signor Damour di Lione vennero analizzati dei frammenti di una di queste palle e si trovò consistere di sottosolfuro di rame, il che serve a mostrare che a quei tempi la metallina di rame era conosciuta.1 Calcolato per Cu2S Solfo 19, 50 °/0 20, 38 % Rame 79,66 » 79,62 » Ferro 0, 08 » Sabbia 0, 20 » 99, 44 °/0 100, 00 °/0 La metailina di rame era poscia torrefatta o calcinata sopra terra silicea od in contatto di materiali silicei finché se ne ot- teneva una perfetta riduzione in rame metallico. Il rame così ot- tenuto, fuso con 10 o 20 °/0 del suo peso di stagno, costituiva la lega di cui erano formati gli oggetti più antichi in bronzo. Esponendo al calor bianco la lega di rame e stagno mescolata con carbone e calamuia si sarebbe ottenuto il bronzo zincifero: oppure il bronzo può essere stato dapprima prodotto con un processo simile a quello tuttora usato nella Galles del Nord ed in alcune parti della Germania 2 abbruciando insieme rame, car- bone e qualche minerale o ossido di zinco artificiale, essendo poscia questo rame fuso con stagno. * Forse sotto certe circostanze i bronzi possono essere stati fatti con un processo diretto, da un minerale previamente tor- refatto, o da materiali contenenti quantità di solfo trascurabili. Sottoponendo gli ossidi di rame, di zinco e di stagno insieme a riduzione alla presenza di qualche fondente, si produceva la lega direttamente dai minerali. I forni usati nel Campigliese erano molto simili, per la co- struzione, ai forni catalani : la posizione in cui i loro avanzi si trovano più frequentemente, è sopra di una prominenza, in una piccola valle dove si può valersi del tiraggio naturale più po- tente. Erano anche frequentemente usati soffii artificiali. 1 Troia ed i suoi avanzi. 2 li processo del bronzo a calamina. - 556 - A Fucinala i fondenti necessari per la fusione preliminare, erano presenti come ganga nel filone del minerale ; ilvaite, am- fibolo e minerali porfirici formanti parte del largo dicco in cui si trovano le vene. Nei fianchi dell’ Acquaviva presso Fucinaia vi sono numerosi pozzi piccoli più o meno profondi dai quali era estratto V amfibolo per servirsene nella valle sottostante. Que- sti fondenti ferruginosi danno spiegazione del tenore elevato di ferro presente nelle scorie. Alle Caldane esisteva evidentemente una fonderia di stagno distinta da quelle delle miniere di rame e zinco sul fianco di Monte Calvi, alla quale era probabilmente portato il metallo. Quantunque a nostra conoscenza non sieno stati in tempi mo- derni trovate in queste località verghe di rame di stagno o di bronzo, un’ accurata esplorazione nei luoghi indicati ed anche in altri qui non ricordati non può mancare di portare alla luce oggetti di considerevole interesse ed importanza relativamente a questo soggetto. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. Esposizione universale del 1878 in Parigi. Glassi XVI e XLIII. - Geologia. - Relazione di Felice Giordano, Ispettore nel R. Corpo delle Miniere. Questa relazione è divisa in due parti : I. Carte geologiche all’ Esposizione del 1878 in Parigi ; II. Congresso geologico in- ternazionale. Questa parte seconda abbraccia due capitoli: 1° Con- gresso geologico internazionale, tenuto nel 1878 in Parigi; 2° Sessione seconda del Congresso geologico internazionale da tenersi nel 1881 in Bologna. Dalla prima parte della relazione apprendesi come la mostra delle carte geologiche fosse in complesso assai ricca, ma che considerata dal punto di vista puramente geologico riuscisse in- feriore all’ aspettazione, ed altresì, per una distribuzione carto- grafica non troppo adatta, mancasse della voluta unità e chia- rezza. Senza addentrarsi in una dettagliata descrizione di tale esposizione, lo che a mente del relatore non presenterebbe un proporzionale interesse nè per novità, nè in vista del desiderato progresso di tale ramo, la relazione passa concisamente in ras- 557 - segna le varie nazioni esibitrici, soffermandosi maggiormente su quelle die contribuirono realmente a detto progresso. In armo- nia con tale principio, vi troviamo divise le nazioni esponenti in due categorie : la Nazioni che esposero raccolte di carte no- tevoli per effettivo merito e per qualche novità indicante studio e progresso : Francia con Algeria ed altre sue colonie, Belgio, Svezia e Norvegia, Svizzera e qualche Stato germanico minore ; 2a Nazioni che inviarono sol che pochi saggi i quali poco o nulla presentavano di notevole. Quasi tutte le altre ; notando però che la Germania e gli Stati Uniti d’ America non esposero. Accennati in breve i pochi saggi esposti dall’ impero austro- ungarico, fra cui commendevoli carte geologico-industriali, dal- F Inghilterra, dalla Russia che presentò ricche carte geognostico- minerarie, dall’ Olanda esibente grandi mappe geologiche delle sue colonie, dal Lussemburgo con una carta generale al 4Q/m, dalla Spagna, dal Portogallo e dalle nazioni fuori d’ Europa fra cui il Canada con belle carte generali e minerarie, V Australia, il Giappone ec., la relazione passa al secondo gruppo di nazioni, alla cui testa troviamo la Francia la cui esposizione cartografica era di gran lunga la più ricca e completa. La relazione, senza intralasciare di accennare alle esibite carte industriali minerarie, a quelle cP idrologia sotterranea, alle geologico-agronomiche, agronomiche e geologo-industriali di Francia e colonie, alle carte in rilievo, ai modelli relativi ai progetti di un mare interno sahariano e di un tunnel attraverso lo stretto di Calais, soffer- masi in specialità a parlare della nuova gran Carta geologica generale in formazione, alla scala dell’ 80/m e di cui erano espo- sti ben 70 fogli. Rende noto V organismo adottato per redigerla, basato' sui dati della fatta esperienza, espone criticamente il si- stema prescelto di figurazione delle mappe, la quale costituisce una delle principali difficoltà pratiche nella redazione delle carte geologiche ed alla cui risoluzione, nel senso altresì d’ addivenire ad una internazionale unificazione di sistema, attese già, benché senza definitivo risultato, il primo Congresso geologico interna- zionale tenutosi in allora a Parigi. Qualunque d’ altronde possa essere il risultato ultimo del sistema figurativo adottato dalla Francia, eh’ è quello dei colori uniti {teintes plates) con esclu- sione di segni di tratteggio convenzionali, è evidente però che V esperimento di questa nazione sarà altamente utile a tutte quelle altre che, come P Italia, non sono ancora siffattamente avanzate nel lavoro della loro carta geologica d’ aver dovuto già adottare norme definitive di figurazione. Anche il Belgio occupa uno de’ primi posti in fatto di carte geologiche, non tanto pel numero ed estensione loro, quanto pel genere, avuto soprattutto riguardo al futuro perfezionamento di tali lavori. La relazione fa menzione della Carta generale belga al 160/m à teintes plates sussidiate da fini rigature ; di carte re- se * - 558 — «■iemali di minerarie, d’ una carta idrografica interessante pel- li indicazione a curve dell’ alta marea nei tempi antichi ed at- tuali • ma fa risaltare precipuamente la nuova Carta geologica intrapresa di recente alla scala del 20 /,„ con sezioni al 5/m. Per o«ni distretto essa è doppia; V una è del sottosuolo , l’altra del suolo ■ la prima indica esclusivamente le formazioni geologiche profonde, la seconda quanto si vede alla superficie : il sistema di figurazione prescelto per la prima è quello dei colori uniti : per Fa seconda è misto ; colori e segni. Nell’ esposizione della Scandinavia la sezione svedese era piu ricca ed istruttiva di quella della Norvegia, le cui carte mine- rarie industriali riuscirono interessantissime. La Svezia ha pre- sentato come la Francia ed il Belgio i migliori tipi di carte geologiche dettagliate, utili tanto alla scienza che alle costei applicazioni. Sopra tutte distinguevasi la nuova Carta geologica in corso, alla scala del 50/*, della quale erano esposti circa 40 fo°li. Il sistema di figurazione è a tinte semplici ; parecchie for- mazioni secondarie però sono distinte da segni, generalmente colorati. ... . . La Svizzera oltre a diverse carte e rilievi parziali assai in- teressanti, presentò un bel saggio della sua Carta geologica ge- nerale in via di formazione, alla scala del 100/». L’ organismo adottato per redigerla è differente che non altrove: sotto la sor- veglianza di un Comitato geologico federale si utilizzano lavori parziali e staccati di differenti geologi svizzeri e stranieri, ese- guiti su d’ una serie già prestabilita di terreni geologici : anche i\ sistema di figurazione di’ è misto di colori, segni e lettere iniziali fu prestabilito dal Comitato. Ad onta delle presumibili discrepanze che un tal sistema privo di unità di collaborazione lascia prevedere, non sembra che sin1 ora siensi verificati gravi inconvenienti : il detto modo di figurazione riesci comodo, chiaro e meritevole d’ essere imitato. . . Quanto all’ Italia la relazione rammenta le molteplici cause che impedirono a questa nazione di dedicarsi prima della poli- tica riunione delle di lei parti alla compilazione di una carta Geologica regolare; tesse V istoria dei provvedimenti governativi presi in proposito sin dai primordi del regno d’Italia e delle vicende che ne impedirono o ritardarono l’ attuazione ; espone T organizzazione progressiva ed ultima del Comitato geologico, ed i frutti della di lui operosità fino all’ epoca dell’ Esposizione di Parigi, nella quale figurarono diversi saggi cartografici ita- liani che se non furono molto numerosi, non mancarono di me- rito e provarono che anche l’ Italia, benché postasi tardi sul cammino del reale progresso in questo ramo speciale, seppe tut- tavia raggiungere un livello tale da far ritenere che sviluppando una maggiore attività di quella sin’ ora consentitale dalle circo- stanze, potrà toccare risultati non inferiori a quelli già raggiunti — 559 — dalle nazioni più progredite. Fra i saggi esposti meritarono mag- gior considerazione quelli della nuova Carta topografica al 50/m ed al 100/m presentati dal R. Istituto topografico di Firenze, e quelli della nuova Carta geologica al 50/m esibiti dal R. Comi- tato geologico. Questi due espositori ottennero in premio il Di- ploma d’onore. Altri espositori (Ved. Bollettino 1878, N. 11 e 12) si ebbero condegne distinzioni. La seconda parte della relazione espone i precedenti, lo scopo ed il risultato di un primo Congresso geologico internazionale tenutosi nel 1878 in Parigi durante V Esposizione, le ragioni che fecero prescegliere l’ Italia e nell’ Italia Bologna come sede di un secondo Congresso nel 1881, il programma di quest’ultimo, o-li utili risultati che se ne possono attendere e finalmente quali preparativi e lavori oltre quelli delle Commissioni speciali dovreb- bero venire allestiti per assicurare il buon esito del Congresso. Che il programma del primo Congresso fosse piuttosto gene- rico e più che altro un appello a tutte le questioni sulle quali potea esistere dissenso fra i geologi e per conseguenza vastissimo ed indeterminato venne già detto in altro breve rapporto inse- rito nel presente Bollettino (num. 11 e 12 del 1878) ed è pro- vato altresì dalla totale mancanza di risultati immediati avuta da quel Congresso ad onta delle molte conferenze tenute, delle tante Memorie lette o presentate, del molto materiale geologico esibito. Di guisa che il compito di studiare a fondo e possibil- mente risolvere alcune delle questioni principali del suo pro- gramma dovette venir riserbato all’ opera di un secondo futuro Congresso. Un utile ammaestramento però si ritrae dal detto in- successo, quello, cioè, di dover limitare a poche e ben determi- nate questioni ogni e qualunque programma avvenire, se pur vuoisi poter calcolare su di un risultato realmente utile e per- manente. _ il t n L’organizzazione ed il programma generale del secondo Con- o-r esso, da tenersi in Bologna nel 1881 vennero già pubblicati nel n° 5 e 6 nel Bollettino di quest’ anno. Gioverà nondimeno ricordare il detto programma per la connessione sua colle posteriori anno- tazioni e proposte della relazione. I principali temi prescelti fu- rono: 1° Unificazione dei colori e segni (figure) delle carte geo- logiche ; 2° Unificazione della classificazione e nomenclatura delle formazioni geologiche ; 3° Norme da seguirsi per stabilire la no- menclatura delle specie, sia paleontologiche che mineralogiche. Di questi temi venne bensì trattato nel primo Congresso, ma, si può dire, quasi per incidenza: dotte Memorie vennero in al- lora presentate in proposito dai signori Renevier, Chancourtois, Rutot, Fuchs, Huguenin, Villanova, Cope, ec. ; ma, come ben os- serva la relazione, V unificare la nomenclatura ed il figurato geo- logico d’ urna frazione anche piccola dei terreni della crosta del globo è lavoro che pub esigere giorni e giorni di discussione . — 560 — E quindi ove si tratti di estendere tale studio a tutte le serie dei terreni , nello stato odierno delle cognizioni ed intelligenze fra i diversi paesi , non v’ ha forse tempo assegnabile che a priori possa asserirsi bastevole. Circa i motivi che, dietro mozione del Sella e del Capellini, fecero prescegliere V Italia e nell’ Italia Bologna a sede del fu- turo secondo Congresso geologico internazionale, il relatore li scorge principalmente nei titoli stessi che V Italia e Bologna po- teano vantare ad una speciale considerazione per parte dei geo- logi esteri, siccome quelle che in fatto di studi e scoperte nel campo della Geologia precedettero di gran lunga le altre nazioni e che, almeno dal secolo XVI in poi, possono presentare una nu- merosa falange d’ illustri cultori di quella scienza, quale non po- trebbe vantarla migliore qualsiasi altro popolo. Il suolo stesso dell’ Italia, come quello che presenta non poche località che a seguito di antichi e recenti studi divennero quasi tipo al resto del mondo, sia per le formazioni geologiche, sia per le rocce che presentano, deve altresì aver contribuito colla propria attrattiva alla scelta predetta. Quanto a Bologna in particolare vari sono i titoli speciali che la resero meritevole dell’ accordatale prefe- renza, fra cui 1’ essere stata centro europeo del movimento scien- tifico dei due o tre ultimi secoli, la di lei benemerenza in fatto di studi e di progressi geologici come lo dimostra la numerosa schiera di scienziati che vi ebbero stanza dalla fine del cinque- cento ai nostri dì, V interesse speciale geologico che presentano i di lei dintorni, 1’ antichità e ricchezza del di lei Museo di geo- logia e paleontologia, lo splendido successo che, per organizza- zione e direzione commendevoli, ottenne il Congresso interna- zionale d’antropologia ed archeologia preistorica tenutovi nel 1871. Circa i presumibili risultati del Congresso eli Bologna, tenuto conto della vastità e difficoltà dei problemi, non è ammissibile che si riesca neanche in questo ad esaurire l’ impostosi pro- gramma, ad onta che con saggio provvedimento sieno state sin dall’ epoca del primo Congresso istituite delle Commissioni per istudiare e preparare le soluzioni dei posti quesiti coll’ obbligo di presentare il risultato de’ loro studi prima della fine del 1880. Tuttavia si avrà la probabilità di vincere almeno una parte delle difficoltà, d’iniziare ed avanzare il lavoro al cui compimento dovranno attendere i successivi Congressi. Ma per aver proba- bilità, dice la Relazione, di qualche risultato occorrerà che il la- voro venga ben preparato e le discussioni nel Congresso siano trat- tenute nei limiti della questione e non sia più permesso di perdere i due terzi del tempo, generalmente già troppo breve, in letture e discussioni non strettamente collegate allo scopo essenziale. Tale deC essere il compito rispettivo sia delle Commissioni internazio- nali che devono preparare il lavoro , sia di chi dovrà regolare e dirigere le discussioni del Congresso. - 561 - I lavori da ultimo che oltre a quelli delle tre Commissioni internazionali si dovrebbero allestire in Italia per 1’ epoca del Congresso, senza parlare de’ preparativi riferentisi all’ accoglienza ed ospitalità ai membri del Congresso, al locale di riunione, al- r ampliamento e ristauro del Museo universario, comprendereb- bero per sommi punti : 1° L’ esibizione di qualche saggio dei re- centi lavori che si stanno eseguendo, sia dall’ uffizio geologico sotto la direzione scientifica del Comitato, sia anche da partico- lari istituti e privati geologi. Fra i primi lavori prenderebbero posto la carta in grande scala della regione solfifera di Sicilia, quella in grande scala delle Alpi Apuane, quella analoga dei din- torni di Roma, quella generale 100,00 : 53,73 tracce 21,04 5 1,21 1,05 8,17 2,88 2,66 5,67 — 100,41 Ultimo residuo, ammon- tante a . . 52,6 % • ! 14,10 2,80 20,65 13,64 8,00 4,10 6, 71 100,00 Si riferisce alla parte estratta dal ma- gnete e solubile in acido cloridrico diluito (32 °/0 della polv. estratta). ! 50,97 20,49 11,93 - 9,17 4,03 0,43 2,98 — 100,00 Analisi complessiva della lava del- l’ Etna del 1865, per Fouqué. 119,27 18,54 6,98 5,62 10,38 3,76 2,22 3,45 CI. 0,14 100,36 Id. id. dell’ eruzione del 30 gen- naio 1865, per Fuchs. Se primieramente si paragoni il risultato dell’ analisi comples- siva colla composizione chimica della lava dell’ Etna delle eru- zioni del 1865 (di quella della recente eruzione io non avea an- cora materiale a mia disposizione) ne risulta immediatamente la grande analogia. Una sostanziale differenza non la si riscontra che nel tenore in ferro e sodio, la quale può forse spiegarsi con ciò che la cenere nella sua traversata, pur nondimeno rilevante, dall’ Etna sino a Reggio (oltre a 75 chilom.) abbia perduto in forza di separazione aerea una porzione delle particelle pesanti, ricche di ferro e sia con ciò divenuta più povera di ferro della lava originale. Forse lungo il medesimo tratto è caduta altresì dell’olivina in minor proporzione. È assai rimarchevole l’alquanto debole differenza fra le analisi parziali coll’acido solforico, col cloridrico e persino di queste con quella dell’ ultimo residuo. Si sarebbe inclinati ad ammettere che perdurando più lungamente il trattamento cogli acidi, questi, ad eccezione della magnetite - 608 - e della quantità insignificante di minerale augitico, avrebbero finito per dissolvere l’ intera massa vitrea. Ancor più singolare è il modo di comportarsi della massa ricavata mediante T ope- razione più volte ripetuta del magnete, nella qual massa l’acido cloridrico decompone quasi la parte avente ì’ identica composi- zione di quella che vien disciolta dagli acidi in genere nella ce- nere complessiva. Soltanto la quantità di ferro e di titanio è nella prima un po’ maggiore. L’ alto di lei tenore in titanio viene ad appoggio dell’ ipotesi che il minerale ferrifero magnetico vi sia contenuto allo stato di ferro titanato magnetico. La natura di questa cenere me la fa ritenere per lava fran- tumata eh’ era già solidificata e non quale prodotto di polveriz- zazione di lava fluida dovuto all’azione di vapori esplodenti. VI. Osservazioni fatte nei distretti zolfiferi di Sicilia dal signor A. YON Lasaulx. (Estratto da una Memoria inserita nel Neues Jahrbuch far Minerai, Geolog. u. Paleont. Jahrgang, 1879, fase. 5, 6 e 7.) Queste osservazioni che il signor Lasaulx ha praticate nel- 1’ ottobre 1878 nei distretti zolfiferi di Sicilia riflettono la geo- logia e mineralogia di questi terreni, i quali nonostante i mol- teplici e dettagliati studi di cui furono sin’ ora oggetto presentano tuttavia vastissimo campo a disquisizioni, massime di cronologia stratigrafìca e di genesi litologica. Nella parte strettamente geologica, l’ Autore che si dimo- stra completamente al fatto dei risultati sin’ ora ottenuti dal- L osservazione scientifica, riassume concisamente le condizioni stra- tigrafiche della formazione zolfifera di Sicilia e i di lei rapporti colle formazioni più o meno recenti che la racchiudono, non in- tralasciando di porre in evidenza le lacune a riempirsi, i dubbi ed i quesiti a risolversi. E discorrendo dapprima delle forma- zioni formanti base a detti terreni, ci fa rilevare tra l’altre cose che se 1’ esistenza del piano titonico è indubbiamente constatata in Sicilia, la di lui estensione però è ben lungi dall’ esservi pre- 609 - cisata : la di lui esistenza anche nel sud dell’ isola è anzi intrave- duta dall’Autore il quale accenna alla probabilità che la maggior parte dei calcari formanti la base della formazione terziaria e riguardati dai geologi ora per giurassici, ora per cretacei, ap- partenga invece alla predetta epoca intermedia avente i propri equivalenti nelle Alpi meridionali e nei Carpazi, ai calcari dei quali quelli di Sicilia corrisponderebbero, altresì per caratteri esterni e paleontologici. La separazione poi di tali calcari titonici dai veramente ter- ziari, intimamente collegati ai primi, costituirebbe uno dei tanti quesiti che alla geologia ed alla paleontologia rimarrebbero tut- tora da risolvere nell’ isola ; fra i quali quello altresì di stabi- lire se ed a quali strati terziari dell’ Europa settentrionale sieno per corrispondere i calcari terziari siciliani. Colla stratigrafia della formazione terziaria 1’ Autore descrive eziandio coi loro più salienti caratteri gli inclusivi depositi di salgemma, la formazione zolfifera propriamente detta e la ges- sosa che questa e quelli accompagna, estendendosi piuttosto dif- fusamente sui primi eh’ egli raffronta poi coi depositi di sal- gemma della Germania settentrionale dei quali la serie stratigrafica corrisponderebbe in modo spiccante a quella dei depositi siciliani, abbenchè in questi ultimi manchino quasi affatto i sali potassici. E tuttavia opinione dell’ Autore che ad onta di una tale cor- rispondenza i depositi salini di Sicilia sieno d’epoca più recente di quelli di Stassfurt e s’ approssimino piuttosto ai depositi neo- genici di Wieliczka, sebbene la costituzione di questi non pre- senti un sì alto grado di analogia come i primi nominati. Circa i gessi l’ Autore, considerando che i medesimi si pre- sentano tanto alla base che al dissopra dei depositi non solo di salgemma, ma eziandio di zolfo, ritiene non sia agevole lo sta- bilire decisamente se debbano ritenersi più antichi della forma- zione zolfifera, ovvero, almeno in parte, contemporanei ad essa, ancorché si rivelino d’origine marina a differenza delle marne e calcari zolfiferi, indubbiamente d’ origine lacustre. In punto agli strati zolfiferi l’ inuguale distribuzione loro, le varianti stratigrafiche osservate nei singoli punti, la natura di- versa de’ giacimenti inducono l’Autore ad escludere pei medesimi l’unicità di formazione, sibbene a riguardarli come singoli ba- - 610 - cini isolati o riuniti in gruppi. Più avanti poi, in base al modo speciale di giacimento degli zolfi ed ai rilevati rapporti parage- netici dei diversi minerali che si rinvengono negli strati zolfiferi, P Autore è condotto ad ammettere due distinti periodi di for- mazione dello zolfo, ma un’ unica origine prima, la vulcanica, dovuta, cioè, ad emanazioni provenienti dagli strati profondi del suolo. Il primo e più antico periodo coinciderebbe colla deposi- zione avvenuta nell’ epoca terziaria, all’ esordire della vulcanica attività nell’ isola, dei calcari e delle marne con cui alternano gli strati di zolfo. Questi apparirebbero indubbiamente quali de- positi di sorgenti termali contenenti acido solfidrico e carbonato di calcio, formatisi sul fondo di bacini lacustri più o meno estesi. Un esempio recente di un tal modo di formazione ci è offerto, secondo V Autore, dall’ odierno processo della solfatara di Tivoli nel cui bacino avviene tuttodì la deposizione di zolfo, di carbo- nato di calcio e d1 altri minerali, anche a strati alternati, e ciò secondo la regolarità delle variazioni nel grado di concentrazione delle acque contenenti anidride carbonica, carbonato di calcio, solfato di calcio, idrogeno solforato, stronziana e ferro. La co- siddetta struttura foriata degli strati zolfiferi di Sicilia altro non sarebbe che una conseguenza di una consimile regolarità di va- riazioni nelle quali quasi quasi s’ intravederebbe V influenza dello alternarsi delle stagioni. Al secondo e più recente periodo apparterrebbe invece tutto lo zolfo che si rinviene depositato nelle cavità degli strati e nelle spaccature che li attraversano. Tali depositi sarebbero avvenuti dopo T emersione per sollevamento del fondo dei bacini, in se- guito a che la formazione di strati sarebbe divenuta impossibile, ma, sendo perdurate le emanazioni vulcaniche, si sarebbero for- mate delle sublimazioni entro i vuoti esistenti negli strati, ov- vero, incontratesi le prime con sorgenti termali ascendenti, ne sarebbero rimaste assorbite e trasportate traverso gli antichi strati, dando luogo ad un reiterato alternamento di soluzione di questi e di depositi entro cavità, spaccature e commessure. Inol- tre può essere altresì avvenuto che le acque filtranti dal sopras- suolo ovvero delle sorgenti discendenti in un punto per salire in un altro s’ abbiano arricchito di zolfo al contatto delle anzidette emanazioni e 1’ abbiano quindi depositato dall’ alto in basso sotto - 611 - forma stalattitica. Tale varietà di condizioni sarebbe, a mente dell’ Autore, perdurata sino all’ epoca attuale ; soltanto l1 inten- sità delle emanazioni sarebbe diminuita coir avvenuto decremento d’ attività nelle vulcaniche manifestazioni : dovessero queste au- mentare e per un eventuale abbassamento del suolo rinnovarsi i bacini interni dell’isola, ne conseguirebbe indubbiamente una no- vella formazione zolfifera. Una parte delle osservazioni dell’ Autore concerne altresì la tettonica dell’ intera serie di strati terziari : alla quasi orizzontalità costante ed alla regolarità degli strati pliocenici più recenti fan contrapposto la maggior inclinazione, spinta sino alla verticalità, dei soggiacenti strati della vera formazione zolfifera e le com- plicate dislocazioni loro. La possibilità dei rovesciamenti sareb- bevi palese, ed opportune indagini in proposito varrebbero a spiegare certe anomalie rilevate nella successione degli strati di essa formazione. Alcune principali dislocazioni per rigetto nel bacino zolfifero di Lercara vengono descritte e figurate dall’Au- tore il quale nei rigetti in genere, del resto poco ancora stu- diati, troverebbe la spiegazione d’ alcune grandi differenze di livello constatate nei banchi zolfiferi di certi distretti siciliani, e tali da simulare parecchi giacimenti di minerale gli uni sovrap- posti agli altri. La parte mineralogica della presente Memoria è la più estesa : contiene la descrizione e paragenesi dei minerali rinvenuti sin’ ora nei giacimenti zolfiferi dell’ isola. Detti minerali sono : calcite, aragonite, gesso, celestina, barite, quarzo, opale e me- lanoflogite. Calcite. — È distinta in due varietà morfologiche. I cristalli dell’ una rinvengonsi sulle facce di commessura fra strati di calcare e strati di zolfo : domina in essi lo scalenoedro R3 svi- luppato con un polo soltanto : più raramente i romboedri E e —73 ed il prisma combinato coi medesimi. I cristalli isolati e sviluppati con tutti e due i poli presentano geminazioni sem- plici e doppie : piano di geminazione una faccia basale ovvero anche di — R. Con questa prima varietà va per solito associato lo zolfo che avviluppa parzialmente gli scalenoedri di calcite ed è a sua volta avviluppato da quest’ ultima. La seconda varietà presentasi in druse i cui cristalli hanno soventi le forme — 2R - 612 - ed R a spigoli arrotondati in modo speciale e colle facce con- vesse per T aggruppamento ipoparallelo di piccoli individui riu- niti in modo da formare un nuovo cristallo grande. Questi cri- stalli arrotondati formano a lor volta dei gruppi somiglianti a strobili espanti di pino. Finalmente la calcite rinviensi entro le cavità degli strati in forma di graziose stalattiti steliformi, a struttura granulare e tappezzate di minutissimi cristalli : so- venti sulla superficie esterna delle medesime sono deposti cri- stalli principalmente di celestina. Aragonite. — Rinviensi costantemente sulle basi dei calcari zolfiferi, in cristalli talvolta giganteschi. Sono geminazioni limi- tate da facce basali e prismatiche, aventi aspetto esagonale. Il differente orientamento degli individui combinati a geminazioni produce sulle facce basali un marezzamelo dal quale puossi in ogni caso dedurre il numero e positura degli individui compo- nenti. Oltre a ciò rinvengonsi forme di aragonite composte di cal- cite, vale a dire, calcite tramutata per paramorfìsmo in arago- nite, d’ordinario per sovrapposizione di scalenoedri R3 sulle facce d’ aragonite : susseguendo poi la dissoluzione ed esportazione del cristallo d’ aragonite formante nucleo, rimane uno scheletro vuoto di cristallo che grado grado si riempie di calcite; cosicché alla fine l’intero cristallo d’ aragonite risulta composto di un’aggre- gazione di scalenoedri. Interessanti esemplari, principalmente del distretto di Girgenti, rappresentanti gli stadi intermedi di un tal processo ne danno a conoscere il progressivo andamento che l’ Autore descrive ed illustra. Dall’ osservazione di tali stadi p Autore deduce trattarsi qui di pseudomorfosi per riempimento ed involgimento di natura affatto meccaniche, escludendovi inte- ramente il metamorfismo e la perigenesi molecolare, talché per questa ed altre speciali condizioni, fra cui le rimarcatevi inter- mittenze di processo, le pseudomorfosi di Girgenti non sarebbero da comprendersi nel gruppo delle vere paramorfosi, mancandone loro la reale caratteristica. desso. — Astrazione fatto dal gesso che si presenta allo stato di roccia, lo si rinviene negli strati zolfiferi a bande sot- tili od in concrezioni a cristalli più o meno sviluppati. Egli si presenta anche a druse i cui cristalli sono bene sviluppati ed immediatamente sovraposti allo zolfo. La combinazione ordinaria — 613 — presenta solamente faccie di oo P. 60 P 00 . — P a forma grossa tabulare: parecchi esemplari però mostrano la forma 00 P. 00 P 00. — P. 5/6 P2. 5/9 P » già descritta dall’ Hessenberg (Minerai. No- ticeli., Ili, pag. 1) e geminazioni della stessa combinazione. Le facce terminali predominano talvolta al punto da far scomparire affatto le prismatiche ; sono inoltre convesse ed arrotondate, in guisa che i cristalli assumono P aspetto decisamente lenticolare. Alcuni cristalli di gesso di Comitini presentavano le facce dissemi- nate di piccoli cristalli di zolfo colla forma della piramide semplice. Celestina. — É frequentissima in forma di bellissime druse con cristalli ricchi di forme nelle quali sono tre i tipi più co- muni, già dettagliatamente descritti dall’Auerbach (Sitcungsber. d. Wien. Akademie, 1869, LIX, I) ed illustrati dallo Schrauf (Schrauf’s Atlas, V dispensa, Fig. 5, IO, 11, 17, 24). Il primo tipo è caratterizzato dal costante predominio delle facce prisma- tici! coJP ; le facce terminali sono rappresentate da P. 2P. OP. 2P 00. P 00. y2P 00 con quasi sempre il brachipinacoide 00 p 00 ; più di rado anche le piramidi 3P 3/2 e 4P4. Nel secondo tipo, oltre al prisma a> P, predominano la piramide 3P e il doma 2P 00. Il terzo tipo è tabulare, predominandovi il brachipinacoide 00 P 00. I cristalli sono perfettamente incolori, ovvero in tutto 0 in parte azzurri; raramente son gialli ed opachi in causa di zolfo frammistovi meccanicamente 0 depostovi per avvenuta riduzione del solfato. I campioni di celestina raccolti dall’ Autore si prestarono per eccellenza allo studio dei rapporti paragenetici dei diversi mi- nerali della formazione zolfifera di Sicilia. La celestina presen- tasi, sia immediatamente sul calcare zolfifero, sia sulla calcite che ricopre quest’ ultimo ; sulla celestina trovansi depositati cri- stalli di calcite più recente. Le forme stalattitiche sono quelle che a preferenza ostentano i più bei fenomeni di paragenesi, veggendosi stalattiti steliformi di calcite cosparse di cristalli trasparenti di celestina disposti in modo da simulare delle pic- cole ramificazioni che si dipartono radialmente dallo stelo, rico- perte anch’ esse da calcite stalattitica la quale, tutto od in parte avvolgendole, pende da esse a guisa di finissimi veli : su questi poi veggonsi lucenti cristalli di zolfo, avvolti essi pure da un’esile crosta di calcite. Talvolta grossi cristalli di zolfo sono come in- fissi all’ estremità dello stelo stalattitico. Dai rapporti di giaci- - 614 - tura, quali la rimarchevole inclinazione degli strati e la verti- calità delle stalattiti che pendono dai medesimi, l’Autore inferisce ì’ età più recente di quest’ ultima, e dalla posizione costante- mente superficiale dei cristalli di zolfo sulle ramificazioni stalat- titiche l’ origine di essi, dovuta alle soluzioni medesime che formarono gli stalattiti. La presenza però anche dello zolfo di sublimazione depositatosi da sotto insù a guisa di stalagmiti vi è constatata, nel qual caso egli assume 1 aspetto di aggre- gati di cristalli scheletriformi e filiformi formanti un tessuto per- fettamente simile al feltro sul quale sono depositati cristalli di zolfo formatisi nei primo modo sovradescritto, cioè, per via umida. Altro campione, proveniente da Lercara, presentava della calcite scalenoedrica (R3) giacente su di una commessura di cal- care zolfifero ; sulla calcite era depositata celestina in grandi cristalli, ricoperta a sua volta da una grossa crosta di quarzo su cui stavano cristalli di zolfo : quest’ ultimi ed il quarzo erano poi ricoperti da calcite sulla quale vedevansi infissi piccolissimi cristalli di zolfo. Barite. — La di lei presenza non è molto diffusa. Trovasi sulla calcite che incrosta le fenditure dei calcari, ovvero sopra stalattiti di calcite. I piccolissimi cristalli sottilmente tabulari della medesima presentano la combinazione: coPco. oo P2.Pco. Formano aggregazioni flabelliformi giallo-brune disposte soventi a gruppi sferiformi. Quarzo. — È raro in generale e sempre allo stato di sottili incrostazioni sugli altri minerali, fra le quali quelle che rico- prono lo zolfo in cristalli si palesano al microscopio quali aggre- gati di cristallini di quarzo ben sviluppati. Anche la silice amorfa si presenta in queste pellicole quarzose sotto forma di piccole semisfere a struttura rugosa, od a strati concentrici, ovvero fibroso-raggiata. Anche dal lato paragenetico queste incrosta- zioni offrono dell’interesse, presentandosi dei cristalli di zolfo rivestiti dalle medesime le quali alla lor volta sono ricoperte da una crosta di zolfo ; il tutto perfettamente orientato col cri- stallo nucleo, cosicché l’ insieme forma un nuovo ed unico cri- stallo di zolfo. Tale alternarsi di quarzo e zolfo si ripete anche parecchie volte in uno stesso cristallo. Opale . — Non è assolutamente rara negli strati zolfiferi. La - 615 - troviamo in forma di fino tessuto d’ origine stalattitica ricoprire la calcite e lo zolfo, assomigliando in ciò alla jalite anche per le forme guttulari che assume : conseguentemente opina 1’ Autore che si debba ritenere questa opale per vera jalite, colorata in bruno cupo da elemento eterogeneo bituminoso. Sovente il quarzo e gli altri minerali si mostrano ricoperti da un esile strato bianco pulverolento, dell’aspetto e coi caratteri della silice concrezionata e che l’Autore inclina a ritenere piuttosto quale prodotto di de- composizione per influenza dell’acido solforico. Fenomeno identico venne già descritto dallo Zepharovieh nei giacimenti zolfiferi di Swoszowice ( Jaìirb . d. geol. Reichsanstalt, 1869, XIX, pag. 227). Melanoflogite. — Questo minerale stato già descritto dall’Au- tore (N. Jaìirb. f. Min ., 1876, pag. 250) rinviensi come il quarzo e 1’ opale sotto forma di sottili incrostazioni, talvolta unitamente al quarzo. Bari i cristalli che presentino nettamente la forma cubica caratteristica. Dall’ osservazione degli esemplari avuti 1’ Autore si persuase sempre più che la melanoflogite costituisca una specie minerale a sè, la cui costituzione chimica non possa tardare ad essere pienamente decifrata. Dai rapporti paragenetici presentati dai suddescritti mine- rali non si potrebbe però, a giudizio dell’ Autore, dedurre una determinata successione genetica dei singoli minerali: soltanto l’aragonite apparirebbe esclusivamente appartenere all’ epoca più remota, non presentandosi mai come formazione recente, lo che si spiegherebbe coll’ avvenuto abbassamento di temperatura delle soluzioni da cui più tardi ebbero origine gli altri minerali, sem- prechè potesse stabilirsi indubbiamente a priori che 1’ aragonite non possa originare che da soluzioni aventi temperatura elevata. Con un tale abbassamento di temperatura potrebbe avere certa qual connessione la circostanza rimarcata altrove che, cioè, il posteriore penetramento delle soluzioni minerali entro le cavità sia avvenuto, almeno in parte, dal dissopra all’ ingiù. La calcite, la celestina e la barite si presentano bensì come prodotti d’ epoca più remota, ma si rinvengono anche sovrapposte con vece ripe- tuta a minerali d’ epoca più moderna. Da ultimo, la più recente formazione spetterebbe indubbiamente, oltre che allo zolfo il quale si rinviene in tutte le epoche, al quarzo, all’ opale ed alla melanoflogite. - 616 - VII. Note geologiche sulla Basilicata. Riassunto di una Memoria del professor C. De Giorgi.1 Questo lavoro, del quale offriamo un riassunto che valga a porne in chiara evidenza V importanza grandissima, per avere T esimio Autore intrapreso con esso a colmare una delle più vaste lacune esistenti nella conoscenza della costituzione geologica d’ Italia meridionale, è diviso in tre parti principali : la prima di esse tratta dell’ orografia ed idrografia della Basilicata, sin’ ora poco o male conosciute ; la seconda s’ occupa della litologia e geologia di essa, comparate altresì a quelle di limitrofe pro- vinole e del resto d’Italia; la terza parte, in fine, intitolata: Litologia e idrografia industriali della Basilicata, indica le ric- chezze del sottosuolo lucano e le acque potabili e minerali dei circondari di Potenza e di Melfi. L’Autore indica modesta- mente quale oggetto di questa sua monografia quello di tracciare soltanto le prime linee sulla orografia, idrografia, litologia e geologia della Basilicata; mentre che invece la dettagliata sud- divisione delle parti principali, le minute ricerche, le particola- reggiate descrizioni, i paralleli istituiti, i quesiti sollevati e le illustrazioni che corredano 1’ opera, formano di essa piuttosto la base sulla quale il lavoro da lui iniziato e già assai sviluppato dovrebbe essere portato a compimento. Orografìa e Idrografìa. Orografia della Basilicata. — Situata questa provincia fra quelle di Bari, Lecce, Foggia, Avellino, Salerno e Cosenza, è ba- gnata ad oriente dal mare Jonio per il tratto compreso tra la foce del Bradano e quella del torrente San Nicola; ad occi- dente dal Mediterraneo, dalla foce del fiume grande la Noce al punto in cui lo sperone collinare del Monte Spina (746 m. sul livello del mare) si tuffa in mare. 1 Pubblicata in Lecce con carta geologica a colori e diverse tavole di sezioni. - 617 - La costa jonica è pianeggiante; di poco elevata sul mare, ha fondo sabbioso ed argilloso ed una spiaggia larga da 2 a 5 chi- lometri fiancheggiata da dune elevate di 2 a 5 metri sul mare, solcata da grossi fiumi e torrenti, malsana pei frequenti ristagni. Essa presenta i caratteri di una costa soggetta a continuo in- terramento, come in generale il golfo di Taranto, mentre la costa mediterranea, montuosa, rocciosa, a picco, senza spiaggia, rap- presenta una corrosione che formò già un gradino di 20 a 50 m. d’altezza sul pelo delle acque. All’ infuori dell’ accennata zona lungo T Jonio, la quale è ve- ramente pianeggiante, e di una zona d’ altipiani posti qua e là lungo il corso ed alla foce dei più grossi fiumi, il terreno della Basilicata è tutto montuoso, sendo il di lei lato orientale occu- pato dalle Miirgie, o colline che la dividono dalle Puglie, mentre la catena dell’ Appennino principale coi numerosi suoi contrafforti e diramazioni copre il rimanente del paese. L’ Appennino dei geografi, quello, cioè, che forma il gran di- spluvio che dà acqua ai tre mari posti attorno all’ Italia meri- dionale, entra in Basilicata fra i circondari di Melfi e di Potenza, con direzione da ponente a levante, per formare dapprima l’ Appen- nino di Muro lucano, di Bella e di Avigliano, con cime che si elevano da 1231 m. (Monte Pierno) a 1425 m. (Monte Santa Croce) sul livello marino.1 Fra le più interessanti per la geo- logia della Basilicata va notato il Monte Carmine i di cui con- trafforti formano i bacini idrografici del Basento, del Bradano, dell Ofanto e della fiumara d’ Avigliano. È ad esso che, secondo alcuni geografi, si rannoderebbe il sistema di quelle colline dette Murgie e Serre delle provincie di Bari e di Lecce, che però, dietro le osservazioni dell’ Autore, sarebbero invece indipendenti affatto dall’asse maggiore dell’ Appennino. Dal Monte Carmine il displuvio appenninico volge a Sud per formare li Foy d’ Avigliano, di Potenza e di Picerno, dei quali le più alte cime toccano dai 1350 ai 1367 m. Questi monti pre- sentano di singolare delle lunghe e larghe spaccature verticali, prodotte da sprofondamento di sottostanti terreni, ricolme in 1 Le altezze segnate nell’ opera si riferiscono tutte al livello del mare, ed in parte furono estratte dalle carte dell’ Ufficio topografico militare, in parte rilevate dall’Autore a mezzo del barometro. 40 — 618 — parte da .detriti di terreni sovraincombenti. Queste spaccature lasciarono in posto grandi masse isolate che P erosione meteo- rica ha bizzarramente foggiate, dando loro P aspetto di ruderi ciclopici. Da li Foy l’ Appennino si abbassa sino ad 800 m. laddove è valicato dalla strada Potenza-Vietii e dalla ferrovia Potenza- Salerno : forma un altipiano detto di Sant’Aloja che divide P una dall’ altra le valli del Basento e del Seie. Proseguendo nella stessa direzione Nord-Sud, riprende la prisca forma ed eleva- tezza, con vertici da 1164 m. (Monte Pano) a 1577 m. (Timpa d’ Albano), sino a formare P intricato nodo corografico del Monte della Maddalena coi numerosi di lui contrafforti. Proseguendo sempre verso Sud sino a Montesano, P Appennino forma picchi elevati da 1340 m. (Monte Li Cozzi) a 1432 m. (Monte del Bosco), cui tengon dietro le scoscese e dirupate Coste I Monti (1200 m.) e la Serra dei Cecchetti, dai profondi burroni e col picco il più elevato, detto di Fontanalunga (1385 m.), quindi gli altipiani di Mandrano (1038 m.) e di Mandranello, già fondi d1 antichi laghi, i picchi isolati di Serra Bandiera (1282 m.), del Monte Cirio (1344 m.) e del Monte Lo Serrone (1504 m.), per abbassarsi di nuovo sino a 830 m. presso Montesano, al punto in cui viene attraversato dalla strada che dal Vallo di Diano va a Moliterno. Da Mcntesano il displuvio piega a Sud-Est, quindi riprende e conserva una direzione generale Nord-Sud fino nel circondario di Lagonegro, ove rapidamente volge a Sud-Est. In questo tratto abbiamo fra le principali altezze il Monte Calvarosa (1261 m.), il Monte Papa Nicola (1240 m.), ec. , a levante delle quali sta il più esteso e pianeggiante altipiano della Basilicata meridio- nale, vale a dire l’altipiano di Maorno (830 m.). Da Monte Papa Nicola formante due bacini idrografici, di- scendenti P uno nell’ Agri, P altro nel Calore, P Appennino si eleva ognor più sino al Monte Pollino, il gigante della Basilicata, le sue cime acquistano un aspetto che ricorda le Prealpi. Di contro a Lagonegro sta la catena del Serino coi tre picchi di Monte Senno (1753 m.), Madonna di Serino (1889 m.) e Monte di Papa (2006 m.) dal qual ultimo scaturisce il Sinni, fiume importan- tissimo di Basilicata. Di qui sino a Serra Botonda (1281 m.) il displuvio appenninico s’ abbassa nuovamente e viene attraversato - 619 - dalla strada Lagonegro-Latronico ; ma poi sino al Pollino si ri- solleva colle cime del Monte la Spina (1643 m.), del Monte Zac- chena (1589 m.) e del Monte Alberico. Qui ripiega di bel nuovo a Sud per formare il dosso del Monte della Salvia le cui cime, il Grattaculo ed il Crispo, s’ ergono rispettivamente a 1895 e 2020 metri. Da ultimo, rigirando a guisa d’ anfiteatro, forma i fianchi del già citato Monte Pollino le cui cime si spingono sino a 2243 m. e che divide con direzione da ponente a levante la Basilicata dalla Calabria. In tutto il percorso della catena P azione trasformatrice degli agenti meteorici e delle acque è in grado eminente manifesta nella rapida degradazione e conseguente trasformazione conti- nuata delle creste e dei fianchi delle montagne. I numerosi contrafforti della catena centrale che si staccano dalla medesima con direzione eh’ è in generale normale al di lei asse e si protendono ad oriente ed occidente di essa, rag- giungono talvolta delle elevazioni maggiori che non la catena principale; le vette di queste sono per modo allineate da rie- scire parallele al detto asse appenninico; di guisa che un tale allineamento indurrebbe a ritenere ancor qui un altro asse di sollevamento, lo che verrebbe confermato dalla geologia crono- logica, di cui in seguito. I più importanti contrafforti orientali sono: 1° Quello che si stacca dal gruppo del Monte Carmine e con direzione O.N.O.— E.S.E. va a finire, sempre più abbassandosi, presso PJonio, traversando i circondari di Potenza e Matera. Forma vette che raggiungono i 1100 m. d’altezza, altipiani, av- vallamenti e da ultimo colline che si confondono colla pianura lungo l’Jonio. 2 Quello che si diparte dai Monti della Maddalena e si distende a levante, formando colle molte sue diramazioni un si- stema di monti fra la vai del Basento e quella della Camastra sin oltre Trivigno. o Altro che staccasi dagli stessi monti che il precedente e colle sue ramificazioni tortuose comprende parte delle vallate dell’ Agri e del Basento e tutta la valle della Salandretta e del Cavone, formando anfiteatro attorno ai territorii di Abriola, Cal- vello e Laurenzana. Giunto al Monte Caperino (1456 m.), ad Ovest — 620 — di Laurenzana, si suddivide in cinque altri contrafforti secondari di cui 1’ uno diretto a Nord forma le dirupate catene di Castelmez- zano (1000 m.) e di Pietrapetrosa (1082 m.), dall’ aspetto di pira- midi aggruppate, colle cime seghettate che si elevano di 600 m. sulla vallata percorsa dalla ferrovia Potenza-Trivigno. Altro ramo principale diretto Nord verso Olivato di Lucania ripiega a Sud- Est al Nord di Garaguso e si spinge fino ai terrazzi dell’Jomo, formando fra via le colline di Salandra, di Ferrandina e di Pisticci. Del contrafforte principale le più elevate montagne sono il Monte Volturino (1836 m.) ed il Monte di Viggiano (1725 m.). Fra i profondi burroni intagliati nella base del Volturino è me- raviglioso quello delle così dette Pietre Caldare, enorme e stretta apertura nel calcare bianco compatto, dalla quale scaturisce il fiume la Terra. 4° Il contrafforte diretto Ovest-Est, che divide la vallata dell’ Agri da quella del Sinni e va a perdersi verso 1’ Jonio nelle colline di Tursi e nei piani ondulati dell’ antica Policoro, stac- casi dall1 Appennino al Monte Serino (1793 m.) e forma colle sue diramazioni le creste di Monte Raparo che si spingono sino a 1762 m. e quelle delle Alpi di Latronico col Monte Armiz- zone (1427 m.) ed il Monte Alpi con vette che toccano sino a 1906 m. Le Alpi di Latronico presentano la fisionomia della ca- tena del Gran Sasso e della Majella: la ricchezza in boschi, in prati naturali ed in marmi e la caratteristica fisionomia di questi luoghi, tanto poco noti ed esplorati, li rendono meritevoli d’es- sere segnalati in modo speciale allo studio dei naturalisti ed all’ esplorazione degli industriali che riscontreranno in essi le Alpi apuane della Basilicata. 5° Altri minori contrafforti si staccano dal Monte Zacchena, dal Crispo e dal Pollino con altezze superiori ai 1200 metri. Fra i contrafforti occidentali il più importante è quello che si diparte dal Monte Fontanalunga e forma i monti di Serra, Monte Cavallo (1396 m.), Timpa delle Rose (1448 m.), ec., ai quali tien dietro la gola di Vietri e quindi il Monte Marmo (La Rotonda, 1240 m.) che si slarga nei bracci orografici che dividono la vai del Landro dalle fiumane di Tito e di Picerno, e forma ad oriente la Gola di Romagnano. - 621 - Altro contrafforte staccasi alla Costa del Capraro e forma il Monte Caccovello (1512 m.) e la Serra di Maratea (1283 m.), che s1 affondano nel Mediterraneo. Le montagne di cui fu parola presentano fisionomie diffe- renti : parte di esse ha uua fisionomia decisamente appenninica, parte subappenninica, vale a dire, propria di quelle catene col- linari che in tutta Italia fiancheggiano i due versanti della ca- tena mediana. I monti a fisionomia appenninica, costituiti in Basilicata da arenarie e da scisti argillosi e silicei, s’incontrano lungo lo sparti- acque centrale da Ruvo del Monte e da Bella fino alla catena del Monte Pollino e nei numerosi contrafforti orientali ed occi- dentali del detto displuvio centrale. Le rilevanti altezze pre- sentate da queste montagne (1000 a 2000 m.), le loro vette di- stese in lunghezza, ma ristrette in cima e talvolta seghettate, avvallate a pareti inaccessibili, i loro fianchi franosi, solcati da burroni d’ erosione e di scoscendimento e da spaccature dovute a sollevamenti, sono caratteri speciali all’ Appennino del resto d Italia e speciali anche alle Prealpi. Nei colli subappenninici invece che occupano il lato orientale di Basilicata predominano sabbie, ciottoli, argille; le altezze sono inferiori a quelle del- P Appennino, le cime hanno aspetto piuttosto di piattaforma che s’allarga ad altipiano; la configurazione n’ è arrotondata, ap- piattita,. E mentre nell’ Appennino si mostra prevalente P azione di forze endogene, incessantemente perdurate sino sul finire delle formazioni terziarie, sulle colline subappennine invece spiegarono e spiegano tuttora un’ azione più potente che nell’ Appennino le forze esogene, del che testimoniano, le gole profonde, i dirupi, i precipizi, i fianchi denudati, la grande e continua mobilità del terreno ; la qual’ ultima però riscontrasi anche nell’ Appennino, dovuta in gran parte al continuo, non razionale diboscamento : vari esempi ne adduce P Autore il quale fa voti perchè abbia freno un abuso che reca seco le più fatali conseguenze. Circa poi alle relazioni esistenti fra P Appennino di Basilicata e le già menzionate colline delle Puglie, che sotto il nome di Murgie e di Serre formano una doppia serie di cui P una lungo l’Jonio, l’altra lungo l’Adriatico, vi è da osservare: Che la loro posizione topografica, la loro struttura geologica e litologica, - 622 - affatto diverse da quelle delle colline di Basilicata e Capitanata, le fanno riconoscere come affatto separate ed indipendenti da queste ultime, nè possono ritenersi quali derivazioni o continua- zioni dell1 Appennino. Esse trovano piuttosto riscontro nel Monte Gargano il quale altresì per posizione e struttura è indipendente dalle colline di Capitanata, intermedie fra esso ed i contrafforti appenninici. Cosicché, a mente dell’ Autore, il Gargano, le Murgie del Barese e le Serre del Leccese formerebbero un distinto si- stema orografico ch’egli denomina Gruppo Appulo-Garg artico, appartenente ad un asse di sollevamento fiancheggiante V Adria- tico, interrotto per lungo tratto sulla costa pliocenica degli Abruzzi e che ricompare al Monte Conero presso Ancona. Un secondo asse di sollevamento V avressimo, come già venne accennato più sopra, nell’ allineamento delle principali vette di alcuni contrafforti orientali di Basilicata, ed al quale corrispon- derebbero altresì i contrafforti del Gran Sasso e della Majella. Al terzo asse appartiene il displuvio centrale, ossia 1’ Appen- nino dei geografi. > # Un quarto asse finalmente" lo si rinverrebbe nel versante tir- reno di Basilicata sull’ allineamento delle principali vette dei contrafforti occidentali, da Brienza a Baivano, e che si prolunga nei monti salernitani. Zona vulcanica della Basilicata . — Questa è rappresentata unicamente dal Monte Vulture, cratere di un vulcano estinto. È situato in circondario di Melfi e rappresenta il principale centro delle antiche eruzioni: centri secondari sono i crateri della Braida e di Melfi. L’ area vulcanica è assai estesa nei ter- ritorii di Melfi, Rionero, Barile, Rapolla, Atella e Ripacandida, s’estende ad oriente sino a Venosa e circonda Melfi anche dalla parte di tramontana; occupa tutta l’estensione del bosco di Monticchio fino all’ incontro dell’ Ofanto, nel gomito che questo fiume fa inforno al Vulture, ed in basso fino alla fiumara di Atella. Il Vulture sorge isolato nel mezzo di un vasto altipiano ondulato la cui media elevazione è di 500 a 600 m. e eh’ è costituito in gran parte dalle deiezioni del vulcano. La base di questi è larga una ventina di chilometri ; in alto si ristringe a due. La di lui cima presenta sette vertici dei quali i più elevati sono il Vulture o Pizzuto di Melfi (1329 m.) ed il San Mi- — 623 - chele (1263 m.). Una serie di valli radiali e di speroni collinari, di gole, di burroni si distende sino alle falde della montagna, gi- rando tutto attorno ai gruppo vulcanico. L’ antico cratere è a forma di staffa di cavallo, coll’ asse maggiore diretto E— 0., cioè, parallelamente al fosso di scolo dei laghi di Monticchio ed al Vallone dei Grigi. Solo ad occidente la cerchia è interrotta nel tratto attraversato dall’ Ofanto. Il diametro minore è di circa due chilometri, il maggiore di sei. Ad onta che gli agenti meteorici abbiano alquanto mutata la configurazione originaria del Vulture, scorgesi però dall’ alto del Pizzuto il fondo del primo cratere d’ eruzione, che corrisponde al centro dell’ area occupata dal recinto attuale : altro cono più piccolo vedesi nel lato meridionale dell’ anfiteatro. A questo cono interno corrispondono le colline denominate Serra Alta (987 me- tri), Serra Faraona, Capo di Volpe e Mangusa dei faggi la Croce, costituenti dei lembi staccati del piccolo recinto e formate da rocce litologicamente diverse da quelle del grande recinto. Fra i due recinti corre un profondo avvallamento semicircolare che forma il Vallone dei Grigi ed il Varco della Guadaniella. Il Val- lone dei Grigi rappresenterebbe gli ultimi avanzi del primo cra- tere, mentre i laghi di Monticchio rappresentano il secondo. La elevazione di questi sul mare è di 652 m. ; la vetta del San Michele s’ inalza a più di 600 m. sul piano delle loro acque. Questi laghi, di forma ellittica, alimentati da polle sotterranee, hanno profondità diversa : quella del più piccolo è di 47 m. ; quella del maggiore che trovasi 250 m. ad Ovest del primo è di soli 15 m. Le acque di amendue mantengono costantemente lo stesso livello, il che accennerebbe ad una comunicazione sot- terranea fra di loro. Il Vulture, estinto, secondo V Autore, prima della comparsa dell uomo, non conserva oggidì che poche manifestazioni della potenza endogena, come si vedrà nella storia sua geologica. È da notare intanto eh’ egli si trova situato in posizione interme- dia tra i due assi di sollevamento, cioè, fra il Gruppo appulo- garganico ed il vero Appennino. Altro vulcano estinto della stessa zona è quello formante la collina su cui sta la città di Melfi, a 531 m. sul mare. Ha forma conica, perfettamente isolata, base ellittica, circondata per - 624 - tre quarti dal torrente Melila. L’ antico cratere vuoisi si tro- vasse laddove sorge oggidì il castello del principe Doria, a N.O. di Melfi. Dista sette chilometri dal Vulture dal quale è indipendente. Idrografia della Basilicata. — Tanto F idrografia od irriga- zione superficiale, quanto la sotterranea, sono estesissime. Ad onta però che i bacini idrografici sieno sviluppatissimi, relati- vamente scarso è il tributo di acque e di materiali solidi che i fiumi di questa provincia portano ai due mari Adriatico e Jonico, a differenza di ciò che si nota nel versante tirreno. I più importanti corsi d’ acqua sono : I. L’ Ofanto che ha le sue origini nell’ Appennino salerni- tano fra Nusco e Caposelle : delimita a settentrione la Basilicata e sbocca nell1 Adriatico fra Barletta ed il lago di Salpi. Sono di lui influenti : 1° la fiumara di Atella la quale raccoglie tutte le acque della parte Nord dell’ Appennino lucano e suoi contrafforti, e quelle che scendono dal recinto esterno del Vulture ; 2 1 Oli- vento che ha il suo letto fra i terreni vulcanici della parte Est del Vulture ; II. Il Bradano, fra la cui foce e quella del predetto Ofanto corre una zona quasi rettangolare prolungata N.O. S.E. per formare le provincie di Bari e di Lecce, priva affatto di fiumi e torrenti. Nasce nelle colline a Nord di Avigliano e, allar- gando sempre più il suo alveo pei numerosi influenti, sbocca nell’ Jonio ; III. Il Basento che trae le sue origini dal Monte Arioso a Sud di Potenza e sbocca parimenti nell’ Jonio, formando un magnifico delta, dopo aver attraversata una pianura acquitrinosa e malarica ; IV. Il Cavone, alimentato dalle acque della Salandrella. Origina dai contrafforti del Monte Caperino e mette foce nel- B Jonio ; V. L’ Agri che s1 interna fin sotto le balze appenniniche e forma una larga valle, fertile, industriosa, popolata, che attra- versa quasi tutta la Basilicata. Nasce dalla Timpa del Lupo, dal Monte del Bosco e dalla Serra Calvello ; riceve fra i mag- giori influenti il torrente Sauro ed entra nell’ Jonio con un delta molto pronunziato e sporgente ; VI. Il Sinni, la cui vallata riceve tutte le acque della cor- - 625 - tina appenninica che si distende dai Monti di Lagonegro al Gruppo del Pollino. A questa catena corrisponde un vastissimo bacino acquifero che versa la maggior parte delle sue acque nel- l’ Jomo, ove giunto il Sinni forma un magnifico delta ed una bella pianura larga circa IO chilometri. Egli nasce dalle pendici orientali dei Monti del Papa, riceve il Cogliandrino, il Serra- potamo, il Sermento ed il Pubbio ; VII. Sboccano nel torrente Bianco il quale immette nel Seie, fiume del Salernitano che va al Tirreno, due fiumi di Ba- silicata, cioè il Landro ed il Platano che discendono dall’ Appen- nino di Muro lucano e dai contrafforti di Tito e di Brienza. Il primo percorre una meravigliosa vallata, fiancheggiata da rocce argillo-scistose tagliate in tante forme diverse, ora di colonne a picco sul fiume, ora di pilastri poliedrici isolati od aggruppati fra loro e colorati di rosso-violetto o di verde cupo. Il Platano risulta dall’incontro delle fiumare di Tito e Picerno e da altri torrenti appenninici e giunge al torrente Bianco anzidetto, per- correndo la profondissima Gola di Bomagnano. In generale si può conchiudere : Che la maggior quantità delle acque fluviali si scarica nell’ Jonio ed una piccola soltanto nell’ Adriatico e nel Tirreno ; che la direzione generale delle valli dei fiumi principali risulta sempre normale alla linea assile, rap- presentata dall’ Appennino e quindi parallela alle linee dei con- trafforti appenninici ; che i fiumi più copiosi sono l’ Agri ed il Sinni e perciò anche i loro delta più rilevanti, perchè la loro corrente prevale su quella del mare, mentre pei fiumi minori le due correnti s’ equilibrano. PTn fatto curioso che s’ osserva nel sistema idraulico di Ba- silicata è la scomparsa dal soprassuolo di gran parte delle acque che sotto forma di sorgenti abbondanti o di gonfi torrenti si mostrano sui dossi o al piè degli Appennini, scomparsa dovuta in gran parte all’ assorbimento per parte delle rocce. Queste acque divenute sotterranee formano vaste zone e bacini acquiferi ed una vasta rete di irrigazione sotterranea che per estensione ed importanza industriale, a giudizio dell’Autore, supererebbe la rete idrografica esterna. Le sorgenti che s’ incontrano a diverse altezze e fino sulle cime più elevate dei monti sono prove evi- denti di tale irrigazione sotterranea. Esempio di torrente che - 626 - scompare dal soprassuolo 1’ abbiamo in quello che scorie nella valle della Peschiera a N.O. di Abrióla : a mezza valle egli scom- pare sotto i massi calcarei e non ricompare più che sotto forma di sorgente presso il ponte della strada che da Abrióla mena alla Madonna di Monteforte. L’ importanza industriale di tale rete sotterranea è avvalorata dal fatto che gli studi recente- mente fatti per fornire d’ acque potabili la limitrofa provincia di Bari furono rivolti non già ad utilizzare le acque del sopras- suolo della Basilicata, bensì quelle del suo sottosuolo e princi- palmente le acque sottostanti alle sabbie e ghiaie alluvionali dei territorii di San Gervasio e di Venosa, quelle sgorganti dal tufo vulcanico presso Atella e le polle sotterranee che alimentano i laghi di Monticchio. Litologia e Geologia. Serie litologica. — La natura delle rocce costituenti il suolo lucano differenzia grandemente da quella delle componenti i ter- reni delle limitrofe provincie pugliesi. Nel versante orientale di Basilicata predominano le rocce silicee e le argillose che le danno aspetto e configurazione orografica caratteristici. Queste rocce sempre identiche si estendono non solo verso V Jonio, ma altresì verso V Adriatico fino alle ultime pendici occidentali delle Mur- gie baresi ; nella zona però del Vulture sono ricoperte o modi- ficate dalle rocce vulcaniche. Invece nelle provincie di Bari e Lecce predominano le rocce calcaree e mancano affatto le silicee e gli argillo-scisti che formano il nucleo di molte montagne di Basilicata. Moltissima analogia invece corre fra le rocce della Lucania e quelle dell’ Appennino centrale. Le arenarie, gli scisti argillosi, le argille scagliose e gli scisti galestrini trovano i loro corrispondenti nell’ Appennino toscano, ligure, bolognese, ec. Nel versante occidentale dell’ Appennino lucano predominano le rocce calcaree sulle arenarie e sulle argille : queste ultime colmano le valli, rivestono le basse pendici dei monti e son meno svilup- pate di quelle dell’ opposto versante. Rocce calcaree s’ incon- trano nell’ Appennino di Muro lucano, di Avigliano e di Potenza: i contrafforti che si distaccano dai Foy, dall’ Arioso e dai Monti della Maddalena sono affatto simili a quelli del versante orien- - 627 - tale. Nei Monti di Brienza, di Tito e di Yietri V elemento cal- careo è sostituito da quello siliceo ed argilloso. Nella Memoria la serie litologica vien tenuta distinta dalla geologica : nella prima sono enumerate e descritte le diverse rocce ed indicata la loro distribuzione topografica e posizione stratigrafica ; nella serie geologica, di cui in seguito, le rocce medesime sono considerate nelle diverse formazioni geologiche. A tale distinzione fu indotto V Autore dall’ aver osservato che molte rocce si ripetevano colle stesse forme e caratteri nelle diverse formazioni ed anche in piani differenti di uno stesso terreno, e non potevano quindi ritenersi come tipi di quelle e di questi ; ed inoltre dalla considerazione che appunto in causa di una tale ripetizione il carattere litologico veniva a scemar talmente d1 importanza laddove mancava il criterio paleontologico per stabilire la cronologia dei terreni, da doversi anteporre ad esso il carattere stratigrafico. La serie litologica è divisa in quattro tipi, cioè, in rocce calcaree, in argillose, in silicee ed in cristalline, aggruppando in ciascun tipo le varietà intermedie e le metamorfiche. Oltre a ciò sono notate quelle rocce che vengono adibite per usi industriali, facendone rilevare i confronti colle identiche rocce delle altre parti d’ Italia. Bocce calcaree. — Comprendono : i calcari compatti e marmo- rei, i calcari argillosi, sabbiosi e bituminosi ed i conglomerati e calcari lacustri. Le rocce calcaree in genere sono molto estese in Basilicata ; occupano soprattutto lo spartiacque appenninico ed i maggiori contrafforti, elevati più di 1000 metri sul mare. Man mano che si va avvicinandosi alle colline fìancheggianti V Jonio quelle rocce si affondano sotto masse ingenti di arenarie e d’ argille. Calcari compatti e marmorei. — Tipo loro è il marmo bianco dell’ Alpe di Latronico nel Lagonegrese. Nella Serra Santa Croce è bianchissimo e saccaroide come quello di Carrara ; in qualche altro punto di detto gruppo di monti lo si trova attraversato da venature e fasce cineree. Biposa sulla serpentina la quale forma il nucleo di detta catena. Le concentrazioni silicee o spatiche sono frequenti in questi marmi compatti, massime nei giallo- gnoli e nei grigiastri. Il calcare grigiastro è la varietà più fre- - 628 — quente in Basilicata e presenta grandi analogie nella struttura molecolare e atomica e nelle condizioni stratigrafiche coi calcari compatti delle provincie di Bari e di Lecce e del Monte Gar- gano. Presentasi a strati di 0, 50 ad un metro di potenza, con inclinazione che varia dappertutto, e le cui forti ondulazioni attestano gli avvenuti sollevamenti ed abbassamenti delle rocce ; ha frattura concoide, e fra strato e strato vi sono intercalati dei cristalli di calcite lamellare, ovvero straterelli di calcare argilloso. Altra varietà è il calcare oolitico ad elementi elissoidali e sferoidali di un millimetro ad un centimetro e più di diametro, a cemento calcareo con poca silice. Vene spatiche traversano in tutti i sensi gli strati che hanno uno spessore massimo di 0,50 a 1,30 metri; se ne trovano anche dello spessore di 0, 1 a 0, 05 che si sfogliano come un calcare lamellare. Fra gli strati trovasi ora del calcare argilloso compatto, ora strate- relli d’ argilla a facce allisciate come un marmo pulito ; alliscia- mento prodotto dallo sdrucciolamento degli strati in causa della forte inclinazione loro. L’ Autore in qualche sferetta di questo calcare riconobbe la tessitura dell’ orbulina e della nodosarìa. Il luogo principale in cui si presenta è nel fondo della Gola di Romagnano. Altra varietà di calcare assai estesa in Basilicata è quella dei calcari brecciformi coi quali non sono da confondersi le brecce che trovansi alla base degli altipiani calcarei e che derivano da frammenti di rocce rotolati e agglutinati da cemento calcareo o siliceo. I calcari brecciformi appartengono ad età più remota. Se ne hanno due tipi, cioè, brecce poligeniche a frammenti an- golosi di calcare compatto bianco, di calcare spatico e di gial- lastro, mescolati a frammenti di selce nera, piromaca o verdognola e con ciottoli quarzosi frantumati ; e brecce a frammenti minuti, prevalentemente calcari, da rassomigliare alle brecciole. Più rara è la brecciolina a cemento rosso, minutissima. Detti calcari brec- ciformi ora sono regolarmente stratificati ed ora formano le falde dei monti nei punti del loro massimo avvallamento. Si hanno inoltre calcari compatti con tracce d’ argilla e di ossidi di ferro e manganese e con granuli di silicato di ferro : fra questi vi è una varietà di calcare alberese che non forma banchi di grande potenza, in contatto con argilloschisti presso Potenza ed - 629 - in qualche altro punto. Ha color giallastro, talvolta bruno, o bluastro, o cenerognolo, grana piuttosto grossolana ma omogenea, frattura largamente concoide, durezza fra 3 e 4 (scala di Mohs). Passa in alcuni punti al calcare detritico o paesino. Un’ ultima varietà di calcare compatto è il fossilifero, cui si riferiscono i calcari ad ippuriti e a nummuliti dell5 Appennino lucano e suoi contrafforti ed i calcari a lumachelle di Forenza. Calcari argillosi, sabbiosi e bituminosi. — Gli argillosi abbon- dano in Basilicata e possono utilizzarsi alla confezione di calci e cementi idraulici. Formano strati di 0, 40 in. a 0, 50 m. di po- tenza che si sfaldano facilmente in prismi, di color azzurrognolo, talvolta traente al verdastro** o al grigio; hanno tessitura omo- genea a grana fina. Limitati sono i calcari sabbiosi, conosciuti sotto i nomi di tufi, càrpari, màzzari, a norma della durezza loro e della quan- tità di argilla e magnesia che contengono. Sono ricchi di fossili terziari, friabili, porosi, arenacei, giallastri o biancastri: pog- giano sui calcari compatti formanti il nucleo delle Murgie baresi. I calcari bituminosi, talvolta ricchissimi d’ idrocarburi, non sono infrequenti. I calcari dolomitici si trovano spesso associati ai compatti 6 formano, ora una dolomite compatta ed ora rendono la roccia più facilmente alterabile agli agenti esterni. II calcare gessoso, da ultimo, forma delle masse stratificate ed intercalate nell’ argilla bluastra. Conglomerati e calcari lacustri. — I conglomerati constano di ciottoli calcarei, argillosi e silicei, sciolti o cementati da incro- stazioni calcaree o silicee, o dal sesquiossido di ferro: formano talvolta vere puddinghe. Generalmente prevale in essi la silice. Frequenti, ma limitati sono i travertini a struttura, ora po- rosa, friabile, cellulosa, ora compatta. Contengono molte volte minerali accessorii, come pisoliti di argilla ocracea, o materie bituminose, ovvero conchiglie lacustri spatizzate (limnee, pla- norbi, bitinie). Bocce argillose. — Queste comprendono le argille plastiche, figuline, ec., le argille calcari, le marne gessose, le argille ocracee e smettiche e finalmente gli scisti galestrini e le argille scagliose. Le rocce argillose formano quasi la metà dei terreni di Ba- - 630 — silicata ; costituiscono per lungo tratto lo spartiacque appenninico e si protendono nei di lui contrafforti e diramazioni collinari: si estendono nelle valli soprattutto del versante orientale e da un lato si affondano nell’ Jonio, dall’ altro si confondono cogli analoghi terreni della Capitanata e della Terra d1 Otranto. Per un gran numero di graduali passaggi queste argille si connettono in un senso alle rocce silicee, nell1 altro alle marne ed alle rocce calcareo-argillose già descritte. Argille plastiche , figuline, ec. — Occupano, in Basilicata, come nel Barese e Leccese, bacini limitati ed isolati; il più sovente sono intercalate ad argille sabbiose. Esse derivano dal rimaneg- giamento operato dalle correnti terrestri o marine. Sono omo- genee e tenaci, formano coll1 acqua una pasta glutinosa, capace di modellarsi e di resistere ad altissime temperature con appena traccia di fusione in causa della piccola dose di calce che con- tengono. Hanno color grigiastro, dipendente o da materie orga- niche o dalla presenza del solfuro di ferro, i cristallini del quale sono talvolta visibili ad occhio nudo, per esempio, nell1 argilla figulina di Venosa. Riscaldate, assumono un color rosso carat- teristico : servono alla confezione di maioliche ordinarie e di la- terizi decorativi. Argille calcari, marne gessose. — Le colline subappennine sono formate quasi esclusivamente di argille calcari, analoghe alle marne subappennine che formano V Astigiano in quasi tutta Italia. Difatti esse sono la continuazione della zona argillosa che per P Abruzzo e la Capitanata discende nella Basilicata, dal fiume Bardano al Monte Pollino. Hanno colori diversi, sono men pla- stiche che le precedenti e scarsamente impiegate alla confezione di laterizi. Formano strati di una complessiva potenza di 100 a 600 metri. Contengono una piccola quantità di silice, massime in prossimità delle arenarie appenniniche e spesso vi si trovano disseminati grani di quarzo e scagliette di mica; ma a norma che si discende verso l1 Jonio esse diventano sempre più pure. Da analisi comparative risulta che tanto le argille sabbiose di Basilicata, quanto le leccesi contengono dal 18 al 24 per cento di calce; la calce predomina nelle leccesi, mentre nelle lucane predomina la silice cristallizzata ed amorfa. Anche nel versante occidentale di Basilicata sono sviluppatissime. - 631 — Nelle argille calcari spesse volte suol trovarsi del gesso; in tal caso si hanno marne gessifere turchine o verdognole, facil- mente divisibili in grandi lamine sulle quali si osservano cri- stallini di selenite. Dette marne sono talvolta intercalate da strati di gesso e costituiscono un lembo della zona mio-pliocenica che taglia longitudinalmente tutte le colline subappennine del ver- sante orientale. Argille ocracee e smettiche. — - Le argille ocracee o bolari di Basilicata sono costituite da silicati di allumina, colorati in rosso 0 in bruno dall’ ossido ferrico. Esse ricoprono diverse formazioni geologiche, principalmente le più antiche, e corrispondono lito- logicamente alla terra rossa del Friuli e degli altipiani calcarei del Carso ed al bolo che ricopre le colline calcaree del Leccese, del Barese e del Monte Gargano. Questa terra rossa risulta dalla deposizione del ferro conte- nuto in alcune sorgenti ferrugginose, o rappresenta una delle manifestazioni secondarie dell1 attività vulcanica : ed infatti si può assistere alla sua formazione attuale alla base del Vulture la cui attività non è del tutto spenta, ove ricchissime sorgenti ferrugginose, acidule, magnesiache e saline sgorgano dal suolo nell1 àmbito del cratere. L’argilla ocracea che copre le più an- tiche formazioni trovasi nelle stesse condizioni stratigrafiche del Leccese, del Barese, del Gargano, dell1 Aquilano, del Carso e dell1 Albania. Altre volte dette argille derivano dal disfacimento degli scisti argillosi rossi, o sono argille sabbiose con variabili quantità di arenaria rossa frammistavi : in tal caso esse ricoprono 1 terreni più recenti. Si trova poi presso Vietri una varietà di argilla smetica di color verde-grigiastro, traente al giallo, cal- carifera, fusibile, un po’ plastica che senza essere una vera terra da gualchiera contiene una certa quantità di magnesia e di ferro. Scisti galestrini e argille scagliose. — Gli scisti galestrini for- mano alcuni contrafforti dell1 Appennino lucano. Sono rocce argil- lose compenetrate di silice idrata, di pasta omogenea e finissima, con tendenza a sfaldarsi in lamine ed in frammenti poliedrici. Assumono tutte le tinte e gradazioni dal rossastro al violetto, al verde, al giallo, al ceruleo, ec. L1 analisi li dichiara silicati di allumina, calce e ferro con tenuissime dosi di carbonato di calcio e magnesio. Alle intemperie si disfanno rapidamente in scaglie - 632 - minute che scendono nel fondo delle valli : di qui 1’ aspetto va- riabile che assumono le creste di alcuni monti lucani. Talvolta gli scisti galestrini alternano con stenterelli di selce nera,, verdastra o rossa, risultante dalla completa epigenesi su- bita dallo scisto argilloso ; tal’ altra alternano con banchi di are- naria; altrove sono metamorfosati dall’azione della serpentina. Le argille scagliose sono analoghe a quelle del Bolognese, del Modenese e del Parmigiano. Mancano affatto nel Leccese e nel Barese. Sono sovrapposte, ora ai calcari cretacei, ora alle are- narie : hanno superfìcie lucida, colore grigio-azzurrognolo ; si disgre- gano facilmente in minutissime scagliette a margini assottigliati. Gli strati variano di spessore da 0, 15 m. a 0,60 m. e con- tengono qua e là frammenti di marmi compatti o di arenarie: è qui notevole come la roccia includente manchi assolutamente di fossili, non già la roccia inclusa. Nella catena del Pollino passano alle argille scistose e vanno ad addossarsi alle montagne granitiche delle Calabrie. Bocce silicee. — Le rocce silicee costituiscono i più grandi contrafforti dei due versanti appenninici. Mancano nel Gruppo ap- pulo-garganico, ma hanno i loro corrispondenti nell’ Appennino centrale e nel meridionale. Comprendono le arenarie colle loro varietà, le ftaniti, le rocce silicee propriamente dette, le rocce diasproidi, le concentrazioni silicee dei calcari, degli argilloscisti, degli scisti galestrini, le puddinghe, i conglomerati, le brecce silicee, le sabbie sciolte o cementate ed infine i graniti, le ser- pentine, i tufi vulcanici e le rocce pirosseniche. Arenarie. — Son formate da sabbie silicee legate da cemento calcareo, argilloso, ferruginoso o siliceo. Minerale accessorio, il mica. Durezza dal 2 al 7; assumono tinte assai diverse ed hanno tessitura, ora fina, ora grossolana. Talvolta assumono i caratteri del vero macigno i cui strati sono sparsi di mica che forma sulla superficie loro dei veli lucidi con splendore metallico. Il macigno forma il nucleo di molte montagne. Altra varietà è al tutto simile alla pietraforte di Firenze: è compatta, calcarifera, micacea. Forma la base di parecchi con- trafforti appenninici. Altre arenarie calcarifere, giallastre contengono fossili ma- rini; altre sono scistoso-micacee. - 633 — Ftaniti , concentrazioni silicee, rocce diasproidi. — La ftanite mostrasi in Basilicata dovunque gli scisti argillosi subirono una silicizzazione più o meno completa. Alterna in alcuni luoghi cogli scisti galestrini, come già si disse. È una roccia di color rosso- vinoso traente al violetto, inattaccabile dagli acidi, di una du- rezza media fra il feldispato ed il quarzo. Da essa si passa sovente alle rocce diasproidi. Rocce ftanitiche e diasproidi si mo- strano frequenti allo stato frammentizio nei ciottoli delle grandi valli, lo che attesta la loro estensione rilevante nei monti di Basilicata. Oltre a ciò le diasproidi rinvengonsi in qualche punto (Vallone di Muro lucano) allo stato di ciottoli e di blocchi er- ratici unitamente a blocchi erratici di granito : di tale fenomeno problematico tratta in seguito l’Autore. Le rocce diasproidi hanno ineguale durezza, presentano colori diversi fra i quali anche delle belle tinte vivacissime, forme dendritiche e macchie. Altre volte la silice forma delle concentrazioni elissoidali o subsferiche in mezzo ai calcari compatti bianchi e talvolta nelle arenarie. Queste concentrazioni quarzose o di selce piromaca bianca sono analoghe a quelle del Flint' e delle calcarie del poggio San Lorenzo in provincia di Roma costituite da Biancone col quale ha molta somiglianza un calcare compatto bianco di Basilicata. Puddinghe, conglomerati, brecce silicee. — Accompagnano le calcaree a struttura identica e ricoprono tanto le antiche che le recenti formazioni : s’ incontrano, sia stratificate nei monti che nei contrafforti appenninici, fra le arenarie, le argille e gli scisti aigillosi. Le vere puddinghe silicee stanno sui contrafforti più elevati, mentre nelle colline e negli altipiani littoranei sono sem- pre mescolate alle ghiaie calcaree. Alla base dei monti assumono le forme di brecce a frammenti angolosi. Talvolta sopportano le sabbie gialle, silicee : quest’ ultime trovansi tal fiata legate da ce- mento calcareo ed assumono l’aspetto di un gres calcarifero. Bocce cristalline. — Sono limitate a due soli tratti : nel Mel- fese e nel Lagonegrese. Sono vulcaniche nel primo caso, serpen- tinose nel secondo. Il granito e le rocce feldispatiche si trovano soltanto a blocchi erratici disseminati nei burroni appenninici, come si trovano disseminati nel Salernitano, nell’Avellinese e nella Capitanata. 41 - 634 - Le rocce vulcaniche appartengono tutte al Monte Vulture eh’ è il solo vulcano estinto nel lato orientale dell’ Appennino. Le ceneri, le polveri, i lapilli ed i materiali trasportati dalle acque occupano un’ area assai estesa, massime a Nord-Est del vulcano, ad Ovest del quale si ergono invece monti calcarei senza traccia di vulcanismo. Le serpentine lucane trovansi a non grande distanza dalle grandi masse di graniti, di gneis e di scisti cristallini, argillo- micacei ed orneblendici che passano talvolta alla diorite scistosa e che formano il nucleo delle due catene jonica e tirrena della Calabria superiore. Bocce pirosseniche, tufi e sabbie del Vulture. — Le lave che s’ incontrano nell’ anfiteatro interno ed esterno del Vulture verso Barile e Bionero appartengono al tipo dell’ augitofiro. Sono rocce pirosseniche di color grigio-verdastro traente al nero, con tessi- tura cristallina : frequenti sono i cristalli di pirosseno-augite dis- seminativi. Altre volte, alla base del monte fra Bionero e Barile ed altrove le lave sono decisamente anfigeniche e contengono nella massa basaltica di color nerastro molti cristallini di leu- cite. Al Monte San Michele predominano le lave pirosseniche. Nel recinto interno del Vulture, alla così detta Fontana dei Giu- mentari, trovansi nella lava augitica dei cristalli di olivina e delle scaglie di mica. Fra i minerali accessorii lo Scacchi rinvenne la gismondina, 1’ hauyna ed il ferro ossidulato titanifero magnetico. Più copiosa è 1’ hauyna nelle lave del vulcano di Melfi e serve a distinguerle dalle lave del Monte Vulture. Le lave sono ricoperte da sabbie, tufi e conglomerati vulca- nici che si estendono ad una distanza di 3 a 5 chilometri dal cono centrale, tanto nella direzione di Bionero che verso il piano su cui sta il bosco del Monticchio. Sabbie e conglomerati or sono sciolti ed or cementati da ossido e da silico-carbonato di ferro, in modo da costituire solide puddinghe. Appartengono a questa serie anche i conglomerati pirosse- nici, le sabbie e ceneri brune rossastre o grigie derivate dal detrito delle rocce vulcaniche anzidette e che trovansi ad una certa distanza dal Vulture con tracce di regolare sedimentazione. Queste sabbie, legate dal carbonato di calce, costituiscono il tufo di Melfi. — 635 - Serpentine e blocchi granitici. — Prendendo a tipo la serpen- tina del colle Guardiola presso Latronico, questa roccia è di color verde cupo, a superficie grassa, a pasta poco omogenea, con tessitura quasi scagliosa: è affatto simile alla serpentina della Toscana e del Modenese. È spesso venata dal diallaggio cristal- lizzato ed assume i caratteri delle ofìcalci laddove sostiene le imponenti masse calcaree convertite in calcari saccaroidi. I blocchi di granito che trovansi nei burroni appenninici rag- giungono dimensioni di 2 metri cubi e più. Mancando la Basi- licata di rocce feldispatiche in posto, dovrassi cercare la prove- nienza loro nella vicina Calabria, la sola fra le provincie limitrofe nella quale il granito è sviluppatissimo. Secondo Scacchi e Pal- mieri, proverrebbero appunto dai monti calabresi, staccativi e trasportati poi dalle acque marine violentemente agitate, e prima dell1 emersione del continente lucano. A spiegare però la gran frequenza di quei blocchi sul versante meridionale appenninico di Basilicata, del Salernitano e dell1 Avellinese, mentre son raris- simi nei monti intermedii, l1 Autore ne collega la provenienza collo sprofondamento di un esteso tratto dell1 Appennino e col trasporto operato dai ghiacci nuotanti sul mare che occupò quel- l1 area sprofondata. L1 azione delle correnti terrestri rimarrebbe esclusa dal fatto che quei blocchi, sebbene incuneati in altre rocce, pure mostrano ancora degli spigoli a taglio vivo. L1 Appennino lucano, quando ciò avvenne, non era emerso che nella sua parte superiore, e le rocce intermedie fra questo gruppo orografico e i monti di Calabria sono di epoca più recente. Riservandosi l1 Autore di accuratamente studiare il parallelo fra detti massi erratici e le rocce granitiche della Calabria ci- teriore, pone il quesito: Se i blocchi granitici di Muro lucano, di Laurenzana, di Laviano e del Monte Gargano potrebbero mai per avventura ritenersi far parte di quei frammenti di continente alpino che, secondo gli studi del Capellini e del Suess, sarebbe subissato e scomparso contemporaneamente al sollevamento prin- cipale dell1 Appennino la cui formazione sarebbe in gran parte dovuta ai prodotti di denudazione di esso continente. Serie geologica. — La descrizione della serie geologica di Ba- silicata, oltre che da numerose sezioni geologiche intercalate nel testo, è illustrata da una carta geologica cromolitografata, alla - 636 — scala di 1 a 400 mila, la quale al tempo istesso illustra la co- rografia ed idrografia della provincia. La serie cronologica dei terreni e la loro suddivisione in piani comparabili a quelli delle altre provincie d’Italia vennero stabilite dall’ Autore precipuamente sui caratteri litologici e stratigrafici, più che sui paleontologici, coi quali ultimi però egli ha potuto stabilire alcuni orizzonti molto estesi che hanno perfetto riscon- tro con altre contrade appenniniche. Della stratigrafia si valse per completare la classificazione dei piani intermedii o superiori quando erano poveri o mancanti di fossili. Sotto il punto di vista generale la serie geologica di Basi- licata non è molto estesa, essendo racchiusa fra il piano Titonico ed il terreno alluviale recentissimo. È importante pel grande sviluppo delle formazioni terziarie d’ origine marina e lacustre, che occupano tutta la zona orientale fino al mar Jonio e si spin- gono fin presso la catena centrale cretacea: nel versante tir- reno formano masse isolate. Di esse formazioni terziarie la più estesa è la pliocenica, quindi la eocenica, mentre il miocene non forma che dei bacini isolati. Le formazioni secondarie occupano invece a preferenza la zona occidentale di Basilicata fino al confine colle piovincie di Salerno e d’ Avellino, e comprendono tutta la catena appenninica da Pescopagano al Monte Carmine e da questo per Potenza e Lagonegro fino al Monte Pollino. A Sud si confondono coi ter- reni pur secondari della Calabria. Rimettendo il lettore all’ opera stessa ed alla carta geologica annessavi pei dettagli di distribuzione geografica della serie, ci limitiamo a riportare principalmente la costituzione caratteri- stica dei terreni formanti ogni singola epoca e le più importanti comparazioni instituite dall’ Autore coi terreni geologici del resto d’ Italia. Èra mesozoica. — *■ 1° Epoca giurese . — I terreni giuresi rin- vengonsi a lembi principalmente nell’ asse dell’ Appennino e nelle grandi spaccature de’ suoi contrafforti (Gola di Romagnano). Sono costituiti da calcare oolitico stratificato, ricco principalmente di nerinee fra le quali la Nerinea quinqueplicata Gem., incontrata dal professore Saverio Ciofalo nei terreni di Termini Imerese e delle falde del San Calogero in Sicilia. Nella sua parte supe- - 637 - riore il calcare giurese è ricco di coralli fossili ; mancherebbero le ammoniti che abbondano invece assieme agl’ inocerami nel giurese dell’ Aquilano (Gran Sasso). Il giurese di Basilicata in qualche punto sottosta ai calcari cretacei (di Monte la Rossa, Monte Rotondo, ec.), altrove si mostra a nudo fra essi ed addos- sato alle serpentine (S.O. di Latronico, N. di Laurìa). 2° Epoca della creta. — Le formazioni cretacee sono fra i terreni secondari della Basilicata le più sviluppate. Formano tutti i monti e contrafforti del displuvio centrale. Il cretaceo assume qui diversi aspetti come nell’ Appennino centrale, giacché ora si mostra con carattere decisamente alpino, ora con carat- tere appenninico; nella prima forma predominano le rocce cal- caree compatte (gruppo del Monte Marmo, Appennino ad ovest di Potenza, Appennino di Muro lucano, ec.) ; nella seconda predo- minano le rocce silicee e argillose (Foy di Potenza e di Picerno, monti della valle del Basento, del Lagonegrese, ec.). I calcari a facies alpina sono caratterizzati dalla gran quantità di rudiste che vi si rinvengono mescolate alle acteonelle ed a scarse ne- rinee. Nel Monte Marmo, per esempio, V Autore raccolse bellis- simi esemplari di Hippurites sulcatus, Defr. ; H. cornu vaccinum, Brogn. ; H. organisans, Desm. ; Eadiolites cornupastoris ; Acteo- nella Icevis, d’ Orb. ; Nerinea sp Caprina Aquilonii, d’ Orb., caratterizzanti il Mesocretacco, piano Turoniano. In generale il cretaceo alpino è più sviluppato al Nord dell’ Appennino lucano, mentre in basso predomina il cretaceo appenninico. Il primo tro- verebbe riscontro nei calcari compatti del Gruppo appulo-garga- nico ( Turoniano e Senoniano in parte), in quelli dell’ Appennino di Ariano sottostanti alle argille scagliose, nei calcari a rudiste del Monte Pellegrino in Sicilia, della Majella, del Gran Sasso, ec., negli Abruzzi, nei calcari compatti del Carso, del Friuli, ec. Il cretaceo appenninico, i cui terreni corrispondono per la maggior parte ai piani superiori del cretaceo ( Senoniano d’ Orb.), è co- stituito dalla pietra forte (colline di Tricarico, Serra di Corletto e di Laurenzana, dei Foy, di Pietragalla, ec.), dall’ alberese (Valle Latiera presso Potenza), dalle argille scagliose e scisti galestrini, continuazione di quelli dell’ Appennino d’ Ariano (contrafforti di Pignolo, altipiano di Sant’Aloja, catena del Pollino, ec.). Occupa un’ area molto estesa, e sebbene povero di fossili ha tali rela- - 638 - zioni stratigrafiche col calcare ippuritico da doverlo riferire al- 1’ èra mesozoica. I caratteri litologici sono a ciò insufficienti, perchè le stesse rocce, all’ infuori della pietra forte, si ripetono poi nell’ eocene superiore lucano. Il cretaceo appenninico trova il suo riscontro nell’ Appennino centrale : alla sezione geologica da Napoli a Foggia, disegnata dal professore Capellini nella sua opera : Sui terreni terziari d’ una parte del versante settentrio- nale dell’ Appennino (Bologna, 1876), corrisponde esattamente quella dal Monte Marmo a Potenza. Oltre a ciò gli corrispon- dono alcune argille scagliose, fossilifere di Calabria inferiore (marina di Bove e Ferruzzano) sincrone del mesocretaceo del Messinese, ec., in Sicilia. Pietraforte, alberese e scisti galestrini formano il cretaceo dell’ Appennino toscano e della Spezia. Dai fatti esposti risulterebbe che le formazioni cretacee di Basilicata appartengono alla creta media e superiore; quanto alla inferiore o piano Neocomiano rimane per ora insoluto, causa la mancanza dei fossili, il quesito se vi possa appartenere il cal- care bianco con arnioni di selce, che forma principalmente la massa del Monte Volturino, del Picco della Pietra presso Tri- carico, ec., il quale litologicamente potrebbe ritenersi sincrono della majolica dei Monti lombardi. Èra oenozoica. — 1° Epoca eocenica. — Anche i terreni di quest’ epoca i quali costituiscono la maggior parte dei contraf- forti appenninici di Basilicata si presentano con doppia facies, cioè, colla alpina e coll’ appenninica. Nell’ eocene alpino predo- minano i calcari e le arenarie calcarifere ; nel V appenninico le are- narie (macigno) con qualche alternanza di calcari e di scisti argillosi, poi gli argilloscisti a fucoidi, P alberese eocenico e le argille scagliose eoceniche. L’ eocene di Basilicata ha tale cor- rispondenza con quello del rimanente Appennino da permetterne, ad onta della sua povertà di fossili, la suddivisione in tre piani distinti, vale a dire, in eocene inferiore, medio e superiore, che trovano i loro corrispondenti nell’Appennino d’Ariano e di Lace- donia e nei terreni sincroni dell’Appennino toscano, ligure e dei monti della Sabina. L’ eocene inferiore è caratterizzato da calcari bianchi o nera- stri a nummuliti e più raramente da brecce e grès calcariferi parimenti nummulitici. Fra le nummuliti sono da annoverarsi - 639 - principalmente : Nummulites nummularia, d’ Orb. ; N. compla- nata, Lmk.; N. Lyélli; N. curvispina, Mgh. ; N. striata, d1 Orb. ; N. Icevigata, Lmk. ; N. perforata, d1 Orb., ec. Il calcare nummulitico di Basilicata lo si riscontra in fram- menti erratici nei monti di Ariano, nella provincia di Leggio calabrese, di Messina, di Palermo, in quella di Lecce, ma con nummuliti di specie differente ; si estende al Monte Gargano ed a quelli di Lacedonia nell’ Avellinese. I calcari nerastri, le pud- dinghe e le arenarie nummulitiche di Basilicata corrispondono al nummulitico alpino del colle di Tenda. L’ eocene medio, assai sviluppato in Basilicata, è costituito da un’ arenaria corrispondente al macigno dell’ Appennino setten- trionale e della valle del Serchio nelle Alpi apuane. L’ arenaria- macigno forma il nucleo di molti contrafforti dell’ Appennino lu- cano ; riposa ora sulle arenarie cretacee, ora sul Nummulitico inferiore, ora sugli scisti galestrini. Questo piano eocenico è po- verissimo di fossili (impronte di nemertiliti e condriti), ma potè essere stratificamente determinato, perchè in qualche luogo (vi- cino a Potenza) riposa, come si disse, direttamente sull’ eocene inferiore. Oltre che all’ eocene dell’ Appennino corrisponde al Fly- sch a fucoicli di Liguria, al macigno del Pizzo di Sevo sul Tronto, all’ arenaria eocenica della costa ligure orientale e dei monti della Spezia ed al piano JSartoniano della provincia di Leggio calabrese. L’ eocene superiore consta ora di calcari ad orbitoidi, ora di scisti argillosi a fucoidi e di alberesi : queste rocce sono addos- sate al macigno, ovvero intercalate ne’ di lui strati superiori. Le rocce litologicamente simili a quelle del cretaceo si distinguono da queste ultime pei frammenti di rocce interclusivi. I calcari ad orbitoidi corrisponderebbero a quelli descritti dal Seguenza nell’ oligoceno della provincia di Messina ed al piano Liguriano (Mayer) dell’ eocene di Leggio calabrese. Come qui anche in Ba- silicata sono essi intercalati fra i calcari argillosi fucitici o fra gli argilloscisti o fra le arenarie, ciò che rende assai difficile P orientarsi in questo piano e tanto più che gli strati si mo- strano contorti, ripiegati, rovesciati. Gli scisti argillosi a fucoidi e gli alberesi corrispondono a quelli della valle del Serchio e di tutti i contrafforti dell’ Appen- - 640 - nino toscano, agli scisti a fucoidi di alcuni monti dell’Aqui- lano, ec. Le rocce argillo-scistose passano gradatamente, come nell’ Appennino di Ariano, alle argille scagliose che contengono brani di calcari ad orbitoidi o di arenaria-macigno. 2° Epoca miocenica. — I terreni miocenici affiorano in po- chissimi punti, formando lembi isolati, più o meno estesi, prin- cipalmente sul versante orientale dell’ Appennino : appoggiano ora sul cretaceo, ora sull’ eocene. Sono costituite ora da arenarie a grossi elementi o da conglomerati, ora da marne sabbiose gri- giastre contenenti accessoriamente gesso e lignite, ora da cal- cari compatti o da argille quarzose e da molasse. Il miocene lucano pare che lo si possa dividere in due piani, vale a dire, nel miocene vero (Mayer) ed in quello formato dagli strati mio-pliocenici ( Messiniano di Mayer) che risalgono sino a confondersi col pliocene Astigiano. Il miocene vero (. Langhiano , Elveziano e Tortonianó) è co- stituito precipuamente da conglomerati e da arenarie. Causa la grande scarsità di fossili dovette questo piano venir definito ricorrendo alle condizioni stratigrafiche. Le falde, a mo’ d’ esem- pio, della Serra del Cedro fra Grassano e Tricarico sono coperte da argille sabbiose plioceniche, il vertice risulta di conglomerati e puddinghe i cui strati sono inclinati di circa 10°, lo che rivela un sollevamento post-miocenico : ed infatti questi strati sono discordanti da quelli delle argille sabbiose ed oltre a ciò rive- lano origine fluvio-marina, mentre gli ultimi sono esclusivamente marini e si depositarono quando gli strati sottostanti s’ erano già sollevati. Gli strati mio-pliocenici ( Messiniano ) comprendono il Messi- niano inferiore o Sarmatiano, il Messiniano medio ed il Messi- niano superiore (Materiano di Mayer e Zancleano in parte). Al Messiniano inferiore si riferiscono : 1° i conglomerati a Trochocyathus arenulatus, Ponzi, delle colline presso Picerno, ri- posanti sulle argille scagliose e sulle* marne a fucoidi ed aventi sopra di sè le argille azzurre plioceniche ; 2° le argille sabbiose, con o senza nullipore, di Ferrandina e d’ altre località ; 3° le marne azzurre a foraminifere del Poggio Cavallo, a sud di Po- tenza, con Gerithium pictum, Eecten cristatus , P. opercuìatus, Pectunculus glycimeris , Turritella comunis , Nassa prysmatica, - 641 - Ostrea cochlear , ec. ; 4° le argille di Calvello, di Laurenzana, del Piscone pizzuto, ec. Il Messiniano inferiore di Basilicata sarebbe analogo a quello descritto dal Capellini nel Bolognese e Forlivese e dal Ponzi nelle marne del Monte Vaticano riferite parte al Tortoniano , parte al Messiniano di Mayer. Il Messiniano medio occupa tutto il lato orientale dei con- trafforti lucani ed è rappresentato, come nella limitrofa provincia d’ Avellino, dalle marne gessifere contenenti lignite e petrolio. Le gessose o bituminose del Potentino corrispondono a quelle dell’ Abruzzo chietino e teramano e a quelle del Bolognese. Sono ricoperte dalle marne azzurre plioceniche, o sostengono le argille sabbiose astigiane , riposando su marne biancastre a fossili flu- viatili. Il gesso si presenta sempre in masse interrotte e spora- diche.; la lignite e gli scisti bituminosi sono intercalati alle marne. In generale questo piano corrisponde alla formazione ges- soso-solfifera del Bolognese e Forlivese, alle marne gessifere di Gerace, agli strati a congerie di Castellina marittima, al Messi- niano della Calabria, ec. Il Messiniano superiore si presenta con due facies . Una è rappresentata dall’ arenaria gialla di Tricarico, composta di sabbia silicea e calcarea con grani di mica disseminati e ricca di fram- menti di briozoi, di coralli, di molluschi e di echinodermi, spa- tizzati o convertiti in limonite. Fra questi si notano il Peden scabrellus , V Ostrea cochlear, il Lejocydaris histrix, la Megerlia truncata, ec. Per cui questo sottopiano di Tricarico partecipa dell’ Astigiano o meglio dello Zancleano di Seguenza, sviluppa- tissimo nella Calabria inferiore. L’ altra facies è stata descritta dal Mayer sotto il nome di Materiano o strati di Matera. La roccia è costituita da un cal- care sabbioso, grumoso, bianco, molto fossilifero, addossato al cretaceo e che s1 affonda sotto le argille turchine plioceniche. Quest’ altro sottopiano appartiene al Gruppo appulo-garganico. Abbonda di residui fossili, fra cui pettini, terebratule, ceriti], coni, ostriche e frammenti di cetacei e pesci. È quindi analogo a quello descritto dal Mayer nel Tortonese, nei dintorni di Nizza Monferrato, a Cassano, ec., e dal Capellini nel Bolognese e Senese. 3° Epoca pliocenica. — I terreni pliocenici costituiscono sul - 642 - versante orientale di Basilicata tutte le colline che fiancheggiano i suoi più grandi fiumi per oltre due terzi del loro corso prima di metter foce nell’ Jonio. Procedendo di basso in alto si com- pongono : 1° d1 argille turchine ; 2° d’ argille sabbiose ; 3° di sabbie gialle. Una sezione geologica, presa salendo dal fondo della valle del Basento fino al paese di Grassano, incontra dapprima le argille turchine d’ una potenza complessiva di circa 400 m. ; quindi argille sabbiose giallastre, fossilifere che passano alle sottoposte argille turchine ; poscia sabbie gialle tipiche di una potenza com- plessiva di 60 m., divise da strati di arenaria bruna più dura, poco cementata e scarsissima di fossili. Negli strati superiori sono intercalate da ciottoli silicei ; da ultimo, terreno alluvio- nale. Altrove (da Bernada alla Lama di Sant’Angelo) mancano le argille sabbiose, vale a dire, le sabbie gialle riposano sulle argille turchine ; quest1 ultime si elevano talvolta sino a 260 me- tri sul fondo della valle (Basento) : in altra parte (Colle di Po- tenza, pressi di Vietri, ec.) mancano le sabbie gialle. I terreni pliocenici si elevano fino a 900 e 1000 m. sul livello del mare (Monte Pietracolpa sulla via da Potenza a Pietragalla). E men- tre le sabbie gialle sono scarsissime di fossili (Ostrea, Pecten ), ricche ne sono le argille sabbiose e più ancora le turchine. Nelle argille sabbiose troviamo : Venus casina, Lin. ; V. ovata , Penn. ; Cythercea chiane , Lin. ; Pecten cristatus, Bronn ; P. operculatus, Lin. ; P. Jacóbceus, Lin. ; Cardium edule, Lin. ; Nucula sulcata, Bronn, ec. ; nelle azzurre si raccolgono : Nassa mutabilis, Desh. ; N. prysmatica, Brocchi ; N. subclathrata, d’ Orb. ; N. semistria- ta, Brocchi ; Natica pseudoepiglottina, Sism. ; N. millepunctata, Lmk. ; Chenopus pes peleccini, Lin. ; Turritella comunis, Risso ; T. tricarinata, Brocchi ; Lentalium elephantinum, Lin. ; D. enta- lis, ec. Cosicché il pliocene della Basilicata si presenta con due piani caratteristici: V Astigiano (Pareto) cui spettano le argille turchine e le sabbiose, come nella provincia di Reggio calabrese ; ed il Siciliano (Doderlein) cui spettano le sabbie a fossili ma- rini, le quali per le loro relazioni col terreno quaternario rap- presenterebbero il passaggio fra i terreni pliocenici ed i recenti. Era neozoica. — Formazioni quaternarie. — Si rinvengono sulle colline e nelle valli subappennine del versante jonico di Ba- - 643 silicata. Sono costituite, ora da depositi fluviali di ciottoli e ghiaie, ora da sabbie marine contenenti pochi fossili, identici alle specie viventi nel Mediterraneo. Detti sedimenti fluvio-ma- rini o lacustri, tanto estesi nel subappennino dell’Italia centrale, anche qui ricoprono o s’intercalano alle sabbie gialle ed assu- mono grande potenza, formando altipiani terrazzati, sollevati da 100 a 300 m. sul mare. Si possono distinguere due piani : uno inferiore o Sahariano (Mayer) e 1’ altro superiore o Dilu- vium appenninico (Mayer). Il primo è caratterizzato dalle sabbie gialle subappennine de- positate sul fondo maremmano pliocenico, povere di fossili, in- tercalate da straterelli di arenaria più dura e calcarifera o da banchi di ciottoli silicei provenienti dal cretaceo i quali danno ai conglomerati del Sahariano molta analogia col Delvederschotter del bacino di Vienna. È da attendersi la scoperta in questo piano di vertebrati simili a quelli già rinvenuti nel Bolognese, nel Leccese, nella Liguria ed altrove. Il secondo piano si mostra sotto forma di conglomerato di ciottoli elissoidi di calcare, flysch, quarzi, selci, diaspri, argillo- scisti, arenarie, calcari dendritici ed anche serpentine. In qualche luogo (Ferrandina, 480 m. sul livello del mare) riposa su sabbie giallastro-brune aventi i caratteri del Loess, come nella pro- vincia di Reggio calabrese. Ai depositi recentissimi si riferiscono anche i travertini che ricoprono ora il pliocene, ora il quaternario, ora il terreno vul- canico di Basilicata. Contengono molluschi terrestri e piante appartenenti alle specie viventi. Anche 1’ archeologia preistorica ha potuto in Basilicata rac- cogliere qualche documento dell’ età della pietra, massime nel Materano ; in complesso però la paleoetnologia vi è ancora in embrione. Nella gola del Monte Marmo fra Baivano e Romagnano sulla sponda sinistra del fiume si scorgono gli avanzi di una gora ossifera. Entro un sabbione tufaceo, chiuso fra 1’ alte pareti del detto monte, si rinvennero denti ed ossa appartenenti a buoi, a cavalli, ad orsi, a jene, ec. Lo stesso deposito, ma più circo- scritto, esisteva anche sulla sponda destra. Tutto l’insieme la- - 644 scia supporre che la gran spaccatura, lunga 12 chilometri, che attraversa il Monte Marmo sia avvenuta nell’ epoca quaternaria, ad affermare il che concorrerebbe anche lo stato non corroso nè allisciato degli strati che su ambo i lati del burrone si cor- rispondono. In tal caso, prima che avvenisse la spaccatura le acque provenienti dall’ Appennino superiore avrebbero formato un lago nel bacino di San Quirico di Muro col pelo elevato da 60 ad 80 metri sul fondo del medesimo e 420 sul mare. A tale altezza infatti sulla Costa di Riso sotto Baragiano si trovarono conchiglie lacustri e frammenti di legno carbonizzato e fluitato addossati alle argille e sabbie plioceniche. Resterebbe a sapersi se un tale sedimento sia contemporaneo od anteriore alla prima comparsa dell’ uomo. Altri bacini lacustri s’ incontrano nella val- lata dell’ Agri, nel piano di Maorno, ec. Dall’ insieme dei fatti osservati l’Autore desume l’istoria generale delle formazioni geologiche di Basilicata, della quale rileviamo i più importanti momenti. I più antichi terreni lucani rimontano al termine dell’ epoca giurese ed ai primordi della cretacea, prima del qual tempo il Tirreno si confondeva coll’Adriatico e col Mediterraneo, rico- prendo le Puglie, il Gargano e le isole annesse. L’ immersione del continente, fatta eccezione per qualche limitato sollevamento sui primordi del cretaceo, rivelato dalle isolette titoniche del Lagonegrese, durò sino al tramonto dell’ èra mesozoica, alla quale epoca emerse il cretaceo, costituendo con una catena non inter- rotta di monti l’ embrione dell’ Appennino lucano coi principali suoi contrafforti; la direzione generale dei monti cretacei fu da N.O. a S.E.; questo sollevamento, sotto l’impulso di una doppia pressione, dal basso in alto e laterale da Est ad Ovest, fu accompagnato da generali e parziali dislocamenti degli strati cretacei, mentre al tempo istesso sugli assi di frattura scaturirono emanazioni gaz- zose e sorgenti idrotermiche che produssero il metamorfismo delle argille scagliose e furono causa dell’ assoluta mancanza di fossili nelle medesime. Sui primordi dell’ èra cenozoica i terreni cretacei subirono un graduale abbassamento sotto il livello del mare; l’eocene si - 645 - presenta da un lato coi caratteri di deposito di mare profondo (calcare nummulitico) e dall’ altro con quelli di deposito di mare superficiale (scisti a fucoidi). Sul finire dell’ eocene, lorchè s’ini- ziava un nuovo sollevamento generale, avvenne 1’ eruzione della serpentina di Basilicata, che modificò i calcari titonici e cre- tacei, riducendoli in qualche tratto saccaroidi : la serpentina lu- cana sarebbe contemporanea alle rocce serpentinose della Garfa- gnana e dell’ Emilia. Emerso anche 1’ eocene, le correnti terrestri e marine produssero 1’ erosione che diè luogo alla formazione dei conglomerati, arenarie ed altre rocce del miocene che, ora cir- conda 1’ eocene, ora apparisce a tratti isolati e s’ interna tra i contrafforti appenninici. Altrove (circondario di Matera) 1’ abbas- samento dei terreni cretacei sarebbe avvenuto in un’ epoca post- miocenica ed i detriti dei calcari battuti dal mare avrebbero formato i sabbioni ( vulgo tufi) coi fossili caratteristici del Me$- siniano superiore. Il sollevamento graduale continuò ancora nel- 1’ epoca pliocenica ; il Mediterraneo erasi già ritirato verso il Salernitano, e l’Jonio ricopriva ancora una metà di Basilicata all’ Est dell’Appennino : a spese delle rocce già emerse formaronsi le argille turchine, le sabbiose e le sabbie e conglomerati ma- rini del pliocene che s’ andò sollevando lentamente e costituì come un gran piano inclinato dall’ Appennino al mare, piano rive- lato anche oggidì dai conglomerati pliocenici inferiori che si tro- vano sui vertici delle colline e dalla stratigrafia e decrescente livello di quest’ ultime fra le quali corrono le valli d’ erosione dei grandi fiumi. Notevole fu lo sviluppo della vita nel mare pliocenico con una fauna, ora di mare superficiale, di basse co- stiere e di piccoli estuarii alimentati da polle di acqua dolce (Mar piccolo di Taranto), ed ora con una fauna di mare profondo, sincrona alla precedente. Il numero delle specie estinte vi supera il 25 per cento. Sul tramonto del pliocene si sollevò pure la gran pianura di Capitanata detta Tavoliere di Puglia e le acque dell’ Adriatico si divisero da quelle dell’ Jonio : e si fu allora che il Gruppo appulo-garganico si riunì al continente. Sul finire del pliocene apparve il Monte Vulture coi vulcani minori di Melfi, del quale la prima esplosione molto probabilmente avvenne prima della — 646 — comparsa dell’ uomo, dopo 1’ emersione del terreno subappenninico il quale si mostra sempre sottoposto ai depositi vulcanici, mentre il quaternario ed il travertino sono loro sovrapposti: gli strati poi dell’ eocene e del cretaceo che sopportano il terreno vulca- nico si mostrano rialzati e ripiegati in vari sensi : il calcare cre- taceo s’ incontra in massi isolati nella fanghiglia vulcanica. Tanto il Vulture che il vulcano di Melfi si trovano nella stessa zona intermedia fra T Appennino ed il Gruppo appulo-garganico, du- rante il sollevamento dei quali, che fu massimo sul finire del pliocene, si determinò una frattura assai profonda in questa zona, che dette luogo alla esplosione del Vulture il cui cono d’ eru- zione crebbe in altezza più che in estensione, pel difficile scolo delle lave fuori del cratere. Il vulcano di Melfi si rivela come centro di eruzione, indipendente da quello del Vulture. Alla prima esplosione del Vulture seguì un lungo periodo di tregua, durante il quale il cratere si ricolmò coi depositi incoe- renti trascinati dalle acque, e l’orlo di esso formò come una grande muraglia semicircolare su cui sorgono oggidì i sette pic- chi, compresi fra il Monte Vulture ed il Monte San Michele. Una seconda eruzione fece scoppiare la vòlta del cratere e sprofon- dare tutta la parte occidentale dell’ anfiteatro, formando un av- vallamento in cui si formò un secondo cono, rappresentato in giornata dalle colline di Terralta, Terra Faraona, ec., che cin- gono i laghi di Monticchio nei quali si convertì il cratere, spento die fu completamente il vulcano. Polle ricchissime di acido car- bonico, acque ferruginose e saline rimasero come ultime tracce di manifestazione delle forze endogene, in mezzo al continuato, tuttora persistente lavoro di demolizione esercitato dalle acque dell1 epoca quaternaria. I depositi di quest1 ultima epoca vennero prodotti da grandiosi fiumi pliocenici che trasportarono nelle valli il detrito dei monti fino alle colline fiancheggianti Y Jonio e pro- seguirono ad incassare il loro alveo fra le rocce incoerenti del pliocene. Effetto di tali alluvioni sono i conglomerati poligenici sugli altipiani terziari ed il terrazzamento nella valle del Bra- dano : l1 enorme volume di materiale che giungeva al mare ve- niva respinto dal flutto marino e si formava la bassa pianura che resta alle falde dei colli littoranei ; ma dove la corrente ter- - 647 - restre vinse l’opposta del mare si formarono invece dei delta alla foce dei fiumi. Sui monti della Lucania crescevano intanto dense foreste fra le quali s’ aggiravano animali terrestri (buoi, cavalli, rinoceronti, elefanti e mastodonti, ec.) che lasciarono le loro ossa nelle gore ossifere o fra le sabbie quaternarie : i bacini lacustri si prosciu- garono e le depressioni si appianarono, ricolme dalle frane e dagli scoscendimenti. E fu in questo recentissimo periodo che comparve 1’ uomo la di cui presenza ci viene rivelata da scarsi documenti. La terza parte dell’ opera che, come venne indicato nel prin- cipio di questo riassunto, tratta della litologia e idrografia in- dustriali di Basilicata, accenna all’ abbondanza ed eccellenza dei materiali decorativi e da costruzione, alla presenza di scisti ricchi di bitumi e di indizi di buone ligniti, alla frequenza di acque minerali di distinto valore terapeutico, e finalmente all’ ab- bondanza e bontà delle acque potabili. ira 1 materiali da costruzione riconosciuti buoni meritano speciale menzione le lave pirosseniche del Vulture o del vulcano di Melfi ed alcune varietà di arenarie compatte, di pietraforte e di macigno : fra i decorativi, i marmi e le serpentine di La- tionico, i calcari spatici di Monte Marmo, le brecce poligeniche di Cancellara, la brecciolina di Melfi, il calcare a lumachelle di Forenza ed il carparo giallo di Matera. Abbonda la Basilicata di argille da laterizi, d’ argille figuline e sinottiche. E mentre sono scarsi i calcari per calci grasse, vi s’ incon- trano invece frequentemente quelle utilizzabili per calci idrau- liche e per cementi idraulici, specialmente nel Lagonegrese e lungo i fiumi e torrenti di Basilicata : come cemento s’ impiegano altresì a preferenza le vere sabbie vulcaniche del Vulture, che sotto questo rapporto sono considerate come una vera ricchezza per quei paesi. Il gesso poi abbonda nel miocene lucano dalle colline di Melfi fino a quelle del Lagonegrese, ed in esso sono aperte molte cave. La lignite s’ incontra a strati intercalati nelle marne argil- lose : la migliore rinviensi a San Chirico Rapare, la quale per - 648 - la sua densità, per l’ aspetto e peso del coke sarebbe interme- dia fra la lignite delle Bocche del Rodano e quella di^ Dax e delle Basse Alpi. Il professore Michele Coppola ne fece 1’ analisi i cui risultati sono : Acqua determinata a 100°. . . Materie volatili combustibili. . ( Carbonio Calce : 46, 14 ... q Ceneri _ 8, 25 45, 61 41,86 4,28 Totale . . . 100,00 Densità: 1,30; aspetto del coke: frammentario. Il detto analizzatore ritiene che il potere calorifico di questo combustibile sia compreso fra 5991 e 6839 calorìe. Scisti bituminosi che bruciano facilmente e con fiamma densa, intercalati fra strati di sabbia carboniosa e con essa incassati nelle argille, rinvengonsi fra Cancella™ e Vaglio e nei monti di Laurenzana. Quanto alle acque minerali sono frequenti le solfuree delle quali le migliori sorgenti e più adatte ad essere allacciate si trovano a piè del Vulture. Nell’ interno ricinto di questo vul- cano rinvengonsi interessanti sorgenti d’ acque acidule e ferru- ginose di cui le più importanti sono nella contrada la Fran- cesca, ove venne già eretto uno stabilimento balneario che potrà divenire uno dei primi d’ Italia se i proprietari continueranno negli intrapresi miglioramenti. In genere queste acque contengono molta anidride carbonica libera, una variabile quantità di bicarbo- nato di calcio e di solfato di ferro, tracce di cloruro di magne- sio, di bicarbonato e di cloruro di sodio. L’ Autore rinvenne prèsso Atella, nel vallone Imperatore, una sorgente contenente molto sesquicloruro di ferro, della quale non s’ è pensato ancora di trar partito. La zona più ricca di acque potabili è quella che si distende intorno al Monte Vulture. Fra gli altri torrenti quello la Fran- cesca vi è alimentato da acque che sgorgano da una trincea na- turale in tale abbondanza da movere alcuni mulini presso lo — 649 — stabilimento balneario anzidetto. Nel resto di Basilicata le acque abbondano altresì e specialmente a grande elevazione sulle coste dei monti, al che già fu accennato discorrendo dell’ idrografia di questo paese. L Autore conclude l’ opera sua, riassumendo brevemente i risultati ottenuti dai suoi studi oroidrografici e litogeologici, corredandola di succinte notizie sugli studi de’ più illustri esplo- ratori del suolo lucano che lo precedettero e specialmente su quelli del conte di Tchihatcheff e dei professori Scacchi e Pal- mieri. Dal canto nostro facciamo voti, affinchè V esimio Autore piosegua nel difficile assunto cui con tanto zelo ed annegazione si è dedicato, e che il di lui esempio sia seguito da altri, non meno strenui e profondi osservatori ; cosicché questa parte di suolo italiano abbia veramente a raggiungere in un non lontano avvenire quel posto importante fra le altre provincie della pe- nisola, che l’Autore le ha preconizzato. Riproduciamo 1’ esteso quadro comparativo fra le formazioni geologiche della Basilicata e quelle corrispondenti in altre parti d’ Italia, che riassume e completa i fatti descritti ed i paralleli istituiti nel corso dell’ opera. 42 — 650 - i QUADRO COMPARATIVO tra le formazioni Secondarie, Terzian EPOCA terreno. PIANO. BASILICATA. GEOLOGICA. Diluvium o Sahariano 'piano Conglomerati poligenici prevalentement : licei nelle colline di Bernalda, Pisticci, ] randina, Montalbano, Tursi, Rotondella. Travertini di Atella, di Melfi, dei Fri di Calvello, di Marsico Nuovo, ec. . « 1 Gore ossifere di Baivano e depositi laci « ti i 1 del piano di San Quirico di Muro. © I Stazioni preistoriche neolitiche di Potè Si 0 © 1 Matera, ec. a z 55 Sahariano (Mayer) e Pliocene Sabbie gialle e conglomerati di Berrn © fa a la 03 H in parte. di Grassano, di Montalbano, ec. H Siciliano o Pliocene in parte Sabbie marine e conglomerati inferiori (Doderlein). fossili marini di Bernalda, Pisticci, < i 1 sano, ec. « H O ' Astigiano (Pareto). Marne sabbiose giallastre fossilifere o gille azzurre di Potenza, di Calvello, t c£ sticci,di Grassano, di Ferrandina,di Sai cangelo, di Tursi, di Chiaromonte, ec. « | Messiniano Superiore o Zan- Arenaria gialla di Tricarico e di Ca 1 cleano in parte. con briozoi, coralli, brachiopodi e fora) © / fere. W li Si \ Sabbioni calcarei di Matera, di Gravi » Spinazzola, ec. © > matiano. presso Picerno. Marne sabbiose a nullipore di Ferrane V " Argille del Piscone pizzuto, di Calvello 1 Laurenzana. H Marne azzurre a foraminifere del Fo O 3 o Cavallo, ec. ■«4 03 e> co Miocene vero (Mayer). — Torto- Conglomerati e arenarie della Serra niano , Elveziano e Langhiano. Cedro fra Tricarico e Grassano. K SS Argille quarzose del Gallitello. S H 2 » © N e ! S è 1 Eocene Superiore. — Ligurico Calcare ad orbitoidi di Pietrafesa, di Ra - (Mayer). Oligocene in parte. la, di Melfi e del Lagonegrese. fa Alberese, argille scagliose superiori, sci s ' galestrini e schisti a fucoidi. 1 Eocene Medio . — Piano Barto- Arenaria-macigno nei monti di Laureo; I niano (Mayer). e di Calvello fra Potenza ed Abriola, di s SS stronuovo, Sant’ Andrea e del Melfese, o W 1 1 -rjfpl Eocene Inferiore o nummulitico. Calcare a nummuliti di Montocchio, dei 1 — • Piano Parigino (D’ Orb.). sci, dei monti di San Fele, da Pietra^ 1 1 a Forenza, e di Melfi. Cretaceo Superiore. — Senonia- Pietraforte delle colline di Tricarico, c ' no (D’ Orb.) e Cenomaniano in Serra di Corleto e di Laurenzana, dei parte . di Pietragalla, ec. i o Argille scagliose e schisti galestrini » o frammenti di rocce meso-cretacee, nei © s Eh trafforti appenninici di Pignola e nell’ © OS o «© piano di Sant’ Aloia, e nella catena del « O 1 lino nel Lagonegrese. " § H Alberese dei pressi di Calvello, di Pc 3 fa ee OS K za, ec. a Ch 1 - 653 - INCIA DI LECCE. PROVINCIE DI BARI, POGGIA ED AVELLINO. CALABRIE. ITALIA SETTENTRIONALE E centrale; SICILIA. oni calcareo-mar- Dn Pachyacanthus bbioni presso Ga- 0 Calcare a Lucina po- mum inferiore, di Gesso e di Brisighella nel Bo- lognese. Marne inferiori ai gessi in Paderno. * Marne sabbiose e pud- dinghe con o senza nul- lipore di Stazzano, mar- ne azzurre a foramini- fere e marne bituminose nerastre di San Mar- zano, ec. re leccese con li squalidei e con di cetacei e di caratteristici ; è •abile alla calca- mi alta. Argille azzurre torto- niane di Monteleone e e di Benestare, analoghe a quelle del Messinese. Sabbie e calcari elvezia- ni di Gerace. — Argille e conglomerati langhia- ni di Stilo, Siderno, ec. Marne, conglomerati, sabbie quarzose, molasse e calcari a cellepore del Bolognese e del Forli- vese, in parte tornonia- ne, in parte elveziane e langhiane. •e a orbitoidi del- fina di Tricase, erra di Taviano Liste e dei colli )vigno. Calcare ad orbitoidi della valle di Bruzzano e delle colline sotto Brancaleone. Schisti a fucoidi del Monte Affilano, di Ascoli, del Pizzo di Sevo e di Monte Luco nell’ Aqui- lano. Corrisponde in par- te al Flysch delle Alpi. amente potrebbe i a questo piano compatto bianco ii di San Nicola Vlezio.il macigno affatto nel Lee- Argilla grigia schisto- sa, alternata con are- naria quarzoso-micacea, e conglomerati polige- nici addossati ai calcari a grandi nummuliti di Guardavalle, di Stigna- no, ec. . Arenaria-macigno eo- cenica della costa orien- tale della Liguria, dei ’ monti della Spezia e del- l’ Appennino toscano e centrale. e nummulitico ita Cesaria, di ,diOstuni e della a presso Otranto. Calcare a nummuliti del Monte Gargano e dei monti sulla sponda sinistra del Cervaro e da Lacedonia a Melfi. Calcari a nummuliti del Reggiano, che tro- vano il riscontro con quelli del Messinese e del Palermitano. Terreno nummulitico delle Alpi fino alla Si- cilia. Calcare del Messi- nese di Rocca Impala- lastro e Mazzarino, ec. no le rocce cor- lenti litologica- . quelle della Ba- ll cretaceo su- ora è formato calcare bianco imo di fossili, ?li strati supe- i calcari a rudi- menti di Ostuni irtina. Argille scagliose e schi- sti galestrini dei dintor- ni di Ariano (Galleria di Monte Calvo) e della Valle superiore del Cer- varo. Pietraforte nelle argille scagliose della valle del Cervaro con fucoidi ino- cerami e nummuliti. Calcare compatto bian- co dell’altipiano barese presso 1’ Adriatico. Corrispondono alle stesse forme petrografi- che, tanto estese e ca- ratteristiche nell’ Ap- pennino toscano. Calcare diCastelbuono, presso Termini Imerese, sincrono al calcare a Sphcerulites del Monte Pellegrino presso Pa- lermo. - 654 - •V EPOCA GEOLOGICA. TERRENO. PIANO. 1 | BASILICATA. « S » | ■ S Terreno cretaceo. Cretaceo Medio. — Cenomania- no (D’ Orb ). Calcare compatto a rudiste e eoa se nerinee ed acteonelle ( Piano Turonio.no ) Monte Marmo, dell’ Appennino di Mure cano, dei monti di Vaglio, delle Murgi Matera, ec. Calcare roseo di Vaglio. i Cretaceo Inferiore. — Neoco - miano (D’ Orb.). i \ Calcare bianco con arnioni di selce Picco la pietra, del Monte Volturino, monti di Abriola e di Lagonegro? Giurese. — Piano Titanico Calcare compatto oolitico a nerinee si o (,Oppel). stanti al calcare a rudiste nel Monte Mai 33 -fi nell’ Alpe di Latronico e nei monti di < ai D Chirico Raparo e di Lauria. 3 o 1 ® 1 - 655 - NOIA DI LECCE. PROVINCIE DI BARI, POGGIA ED AVELLINO. CALABRIA. ITALIA SETTENTRIONALE E CENTRALE; SICILIA. ri compatti bian- rigi dei monti di a, di Ostimi, di di Roccaforzata, itaglie, di Caro- da Otranto a da Buffano a ia, ec. Conten- puriti e radioliti e nerinee. Calcari compatti a ru- diste del Monte Gargano (Monte Sant’ Angelo). Idem alla base dell’ Ap- pennino di Ariano, cor- rispondenti sotto alle argille scagliose. Argille scagliose fos- silifere della marina di Bova e dei territorii di Brancaleone e di Fèr- ruzzano. Calcare compatto a ru- diste del Monte Morrone, Majella e Gran Sasso e Monte Luco (Abruzzo). Calcare compatto del Carso. Calcare roseo del- P Appennino centrale (Neoc. in p.). Marne brunastre di San Giovanni di Caccamo alle falde di San Calo- gero con ostree tipiche. Calcare ad ammoniti della valle del Calore, presso Benevento. Corrisponde alla maio- lica dei Monti lombar- di con ammoniti? Alla maiolica delle Prealpi venete, dei Colli Euga- nei e del Veronese? Calcare compatto a ne- rinee del Monte Gargano (Pilla) ? Nel lato orientale della provincia di Reggio-Ca- labria, calcare a nerinee {Piano Pitonico). . Calcare del Monte Co- dazzo nella Calabria me- dia ? Calcare compatto a ne- rinee del piano titonico del Castello di Termini e del burrone Tre pietre alle falde di San Calo- gero in Sicilia. Calcare giurassico ad ammoniti delle Alpi e dell’ Appennino. - 656 - NOTÌZIE BIBLIOGRAFICHE. M. Baretti. — Studi geologici sidle Alpi Graje settentrionali . Roma, 1879. (Dalle Memorie della E. Accademia dei Lincei, voi. III.) Lo studio geologico delle nostre Alpi occidentali procede ala- cremente, di che ci fa ampia testimonianza il presente lavoro del professor Baretti, facente seguito immediato ad altro già pub- blicato dal medesimo Autore nel 1877 col titolo di : Studi geo- logici sul gruppo del Gran Paradiso , e di cui venne rilevata T alta importanza nel Bollettino geologico di detto anno, pag. 227. E mentre questo primo lavoro riassumeva tutte le osservazioni raccolte nelle Alpi Graje orientali durante i lavori di rilevamento geologico cominciati nel 1866 e terminati nel 1875, abbracciane una superficie di circa 2000 chilometri quadrati, la presente mo- nografia compendia gli studi fatti durante le campagne dal 1876 al 1878, nelle quali il suddetto rilevamento si estese a tutto il residuo versante meridionale della Val d’Aosta per un’area di circa 600 chilometri quadrati, delimitata da una linea perime- trica di circa 123 chilometri di sviluppo. Questi recenti studi se valsero a corroborare opinioni già concette e nel primo lavoro enunciate circa 1’ origine e le con- dizioni dei terreni cristallini antichi e recenti, fornirono indica- zioni affatto nuove per la conoscenza dei terreni sovrapposti ai cristallini e notevolmente sviluppati in questa parte dell’ Alpi Graje : fra essi principalmente quelli ricchissimi di antracite, rap- presentanti secondo ogni probabilità il periodo carbonifero. Premessi dei cenni orografici generali a designare la posi- zione ed i limiti della catena principale e delle secondarie colle loro diramazioni, dal complesso dei quali rimane stabilito che le Alpi Graje settentrionali costituiscono un tratto d’ unione tra due ellissoidi di sollevamento alle quali sono interposte, tra 1’ ellis- soide, cioè, del Gran Paradiso (Alpi Graje orientali) e quella* del Monte Bianco (Alpi Pennine occidentali), lasciando in disparte - 657 - V ellissoide delle Alpi Graje occidentali, 1’ opera si divide in tanti capitoli quante sono le valli o i gruppi di valloni indipendenti, e per ognuna di quelle e di questi ci dà la descrizione topo- grafica, la litologica (con indicazione dei materiali utilizzabili) e la stratigrafìca, in rapporto altresì colla generale orografia ed idrografia della regione. A tali descrizioni parziali son dedicati i primi quattro capitoli; il quinto offre un riassunto generale del già esposto, discutendo altresì alcune divergenze d’ opinioni fra T Autore ed altri geologi, massime circa al valore cronologico delle rocce formanti il versante sinistro della Valle della Thuille, che, secondo V Autore, sarebbero prepaleozoiche, e, secondo altri, d’ età più recente. Dal detto riassunto risulta che le rocce cri- stalline antiche non sono rappresentate nell’ area cui si riferisce il presente lavoro, sibbene che la serie cronologica dei terreni constatativi sarebbe la seguente: 1° Terreni cristallini recenti, o sona delle pietre verdi, rap- presentate da gneis, micascisti feldispatici, micascisti, calcescisti, calcari cristallini, scisti talcosi, serpentine, pietre ollari, amfibo- liti, quarziti ; 2° Terreni del carbonifero a grès, scisti alluminosi-talcosi- carboniosi, puddinghe ; 3° Terreni secondari a calcari dolomitici, quarziti tabulari bianche, gessi; 4° Terreni quaternarii, cioè, morene, detriti in posto, allu- vioni, frane, clappeys, tufi. Il sesto capitolo tratta del periodo glaciale nelle Alpi Graje settentrionali; ed oltre alla descrizione dei singoli ghiacciai com- prende anche V istoria loro, il loro andamento nell’ epoca di mas- simo sviluppo ; la quale esposizione è illustrata da una Carta cromolitografata di dette Alpi, durante T anzidetto periodo, nella quale sono distinti gli odierni ghiacciai e le aree occupate da quelli antichi e dalle morene recenti éd antiche. Il settimo ed ultimo capitolo finalmente è consacrato ad uno studio speciale e dettagliato sui giacimenti antracitiferi della Valle della Thuille, nell’ intento di far risaltare la grande impor- tanza industriale che potranno avere, massime per la Val d’Aosta, una volta che anche questa sia collegata per mezzo di ferrovia al resto d’ Italia. Procedendo dal basso all’ alto, l’Autore passa — 658 — in rivista i numerosi livelli d’affioramento delle antraciti su ambo i versanti della valle, indicando le condizioni stratigrafiche, la potenza, la qualità, ec., dei giacimenti, i lavori di esplorazione e di coltivazione praticativi e 1’ analisi chimica dei prodotti. Chiudesi questo capitolo coll’ esposizione di alcune partico- larità tecnico-economiche relative all’ annuale escavazione di an- tracite alla Thuille, al costo d’ estrazione, al prezzo di vendita, al consumo, ec., e da ultimo con un paragone coi giacimenti d’antracite di Savoia, ai quali i descritti risulterebbero supe- riori in valore, sia per ricchezza che per situazione, mentre per bontà di prodotto non sarebbero di gran che inferiori. Dal con- fronto poi coi carboni svizzeri, quelli della Thuille risulterebbero superiori. L’ Autore finisce coll’ esprimere la fiducia che i cenni da lui esposti facciano prendere in considerazione questi nostri gran- diosi giacimenti di antracite dell’ Alpi occidentali, e colla pro- messa di dedicarsi con ogni cura a radunare tutti quei materiali che potranno servire a tesserne la descrizione accurata e completa. Oltre alla già accennata Carta del periodo glaciale, illustrano questa monografia: una carta geologica ed una carta oro-idro- stratigrafica, due tavole di spaccati geologici, un piano dimo- strativo del giacimento antracitifero presso la Thuille e due vedute colorate, 1’ una del Monte Favre, 1’ altra del lago e ghiac- ciaio del Kuitor. D. Pantanelli. — Sugli strati miocenici del Casino (Siena) e considerazioni sul miocene superiore. — Roma, 1879. (Dalle Memorie della R. Accademia dei Lincei, voi. III.) Abbiamo in questo lavoro una novella contribuzione alla co- noscenza di una zona, la cui importanza ci è rivelata dai molti studi di cui fu oggetto per parte di distinti geologi ed altresì dalle sorte divergenze circa il valore cronologico dei di lei strati, caratterizzati da una fauna e flora che accennano ad un orizzonte geologico a facies speciale. (Vedi Bollettino, 1877, 1878.) L’ Autore, premessa in via d’ introduzione la storia biblio- grafica relativa a detta zona, ne descrive in primo luogo gli — 659 - strati eh’ egli, colla maggioranza degli autori, ritiene indubbia- mente appartenenti al miocene superiore: i principali argomenti ad appoggio sono poi svolti nell’ ultima parte della Memoria. Una Carta geologica cromolitografata, alla scala del 75 mila, correda questa descrizione e precisa i limiti della zona in di- scorso. Quest’ ultima o poggia direttamente sul calcare cavernoso infraliasico o sui calcari eocenici, ovvero sparisce grado grado sotto i terreni pliocenici. E qui P Autore solleva in certo qual modo la questione se lo strato di ghiaie provenienti dal calcare cavernoso e che ricoprono immediatamente alcuni lembi della zona non appartenga piuttosto alla medesima che non al plio- cene. Marna grigia finissima con Melania curvicosta, quindi marna grigia con avanzi di JDreissena e con Helix senensis, poscia ima marna ricca di fossili vegetali alla quale sottosta un banco di lignite di 4 metri di spessore coltivato in parecchi punti ; in seguito argille grigio-chiare poverissime di fossili, che in pro- fondità passano ad una marna bianca, zeppa di Dreissena simplex per ritornare poi argillose e ricche di fossili (generi Mela- nia, Melanopsis, Nematurella e Meritino), sono le rocce costi- tuenti la serie degli strati del Casino, procedendo dall’ alto al basso, valutata dall’ Autore di una potenza di circa 200 m., senza che però con tale spessore sia raggiunto il miocene medio. Il giacimento lignitifero poi facente parte della serie è superior- mente costituito da una marna bruna, o meglio, da un impasto d’ argilla, di frantumi vegetali (Chara, ec.) e di detriti di con- chiglie (. Dreissena , Melanopsis , Melarne , Nematurelle, Paludi - na , ec.), cui sottosta un primo strato di torba o lignite molto argillosa, ricco d’ avanzi di vertebrati, quindi il vero banco di lignite xiloide costituito da materiale fluitato, riposante sulle argille grigio-chiare sopraccitate. In qualche punto della zona manca lo strato di torba predetto. Alla descrizione stratigrafica tien dietro P enumerazione dei fossili vegetali ed animali della zona colla descrizione comparata delle specie più importanti o nuove, illustrata da quattro tavole di bellissime figure cromolitografate, disegnate dall’Autore medesimo. Notiamo specialmente fra i molluschi : Helix senensis, Pant. ; Nematurella silvestriana, Pant. ; Prososthenia minuta, Pant. ; Me- lania Laideijana, Pant.; M. elegantissima, Pant.; M. Stefaniana, - 680 - Pant. ; il lelanopsis Soldaniana , De Stef. *, Neritina Capellina, X ant. , tra i vertebrati: Tapyrus priscus, Kaup. ; Hipparionl... sp.; Bus erymanthms , Gaud., var. minor ; Hippopotamus Hipponensis, Gaudry; Cervus elsanus, Major; Dremotherium ?... sp.; Antilope Cor dieri, De Crist.; Eryomys . . . . sp.; IcJititerium sp., ec. Nell’ ultima parte dell’ opera, ossia nelle considerazioni geo- logiche, gli strati del Casino vengono paragonati ad altri di To- scana e di più lontane regioni, dei quali è indubbia la posizione, ed in base a considerazioni d’ordine paleontologico vengono con- fermati per appartenenti al miocene superiore e stabilita la loro corrispondenza, o meglio, il loro proseguimento nel resto di To- scana e d’ Italia. Quanto alla facies speciale di quest’ orizzonte geologico, l’Au- tore ne riconosce il carattere caspico come di tutte le forma- zioni del miocene superiore, e dopo svolte molte considerazioni d’ ordine geologico e fisico-chimiche per escludere l’ ipotesi del- V origine endogena dei depositi di gesso, zolfo e sale che s’incon- trano nel miocene superiore, o più esattamente, per dimostrare che detta ipotesi sarebbe più complicata di quella fatta dall’Au- tore la quale dedurrebbe 1’ origine loro dalla naturale concen- trazione in bacini chiusi, espone da ultimo le circostanze secondo le quali egli intende che abbiano avuto luogo i depositi del Ca- sino e quelli che in Toscana con i medesimi direttamente si collegano ; circostanze che si riassumono in un periodo di solle- vamento dei terreni terziari cominciato incirca all’ epoca del- 1’ eocene medio con una conseguente formazione di isolate lagune poste a diverso livello, delle quali le più basse (altimetricamente) divennero salmastre perchè chiuse ed accolsero perciò una fauna correlativa, mentre le più alte, comunicanti colle inferiori e più addentro nel continente (fra le quali il Casino), acquistarono una fauna più decisamente d’ acqua dolce : continuando il solleva- mento, le acque fluviali si concentrarono nei bacini più bassi ed il gesso e i sali si raccolsero nel fondo di essi. Dopo varie oscil- lazioni che spiegherebbero le alternanze nei depositi salini del miocene superiore, sarebbe succeduto un periodo d’ abbassamento in causa del quale la salsedine d’ alcune delle lagune chiuse sa- rebbe diminuita per 1’ avvenuta congiunzione loro colle più alte e la fauna degli strati a congerie avrebbe potuto nuòvamente - 661 - generalizzarsi, fino a tanto che il mare pliocenico ebbe ripreso il suo dominio, ricoprendo quasi tutti i depositi anteriori. Cor- relativamente a ciò, T Autore si riserba di rendere di pubblica ragione le molte osservazioni da lui fatte per le quali ritiene che una buona parte dei sedimenti pliocenici inferiori siensi de- positati durante un periodo d’ abbassamento, conseguenza neces- saria di un antecedente periodo di sollevamento. D. Loyisato. — Nuovi oggetti litici della Calabria. Roma, 1879. (Dalle Memorie della R. Accademia dei Lincei, serie 3a, voi. III.) Dobbiamo all’ assidue ricerche dell’ Autore, già benemerito per antecedenti scoperte e pubblicazioni relative all’ età della pietra in Calabria, una novella raccolta di 116 oggetti litici provenienti da questa medesima regione, i quali coi 116 pezzi già da lui descritti ed illustrati in due precedenti Memorie di cui fé’ cenno anche questo Bollettino (1878, pag. 534 e seg.) co- stituiscono già un’ importante collezione del genere, ad arric- chire ed illustrare la quale l’ Autore non risparmiò nè studio, nè tempo, nè fatiche. Anche di questi nuovi oggetti il campo di rinvenimento fu la Calabria settentrionale ed il Monteleonese ed anche per essi le sostanze componenti, ora sono estranee alla regione perlustrata ed ora costituiscono rocce indigene e per lo più calabresi : sennonché alle diverse sostanze indigene enume- rate nelle antecedenti pubblicazioni dell’ Autore hassi qui da aggiungere il serpentino del quale era notata l’ assoluta man- canza fra gli oggetti litici calabresi e che ora invece è rappre- sentato da tre fra i pezzi recentemente raccolti ; cosicché anche questa roccia tanto frequente in Calabria avrebbe somministrato armi ed altri utensili ai popoli preistorici : rimarrebbe tuttora escluso il granito. Astraendo dalla parte puramente paleontologica della presente Memoria, cioè, dalle considerazioni sull’ età prei- storica o meno delle caverne della Calabria settentrionale, dai commenti sugli oggetti rinvenutivi, dalle osservazioni sul pro- babile esito di nuove più accurate ricerche che l’Autore con- - 662 - biglia in esse caverne ed in altri punti di Calabria e d’ Italia in genere, dall’ enumerazione e dalla illustrata descrizione degli oggetti raccolti comparata con quella di congeneri esistenti in altre collezioni, dalle notizie storico-statistiche riguardanti in ispecialìtà oggetti litici di sostanza esotica (giadeite, giadane- frite, cloromelanite), troviamo in questa nuova pubblicazione come nelle precedenti buon numero di notizie e ragionamenti d’ inte- resse strettamente mineralogico e geologico. Oltre alla descri- zione d’ alcune fra le caverne visitate dall1 Autore nella quale accenna al modo più razionale di formazione delle medesime, egli ne rileva le brecce ossifere racchiusevi e le paragona ad altre di età più o meno nota ; distingue le varietà di selci rinvenu- tevi e ne ricerca le analoghe in posto nelle formazioni geologi- che della regione, o ne indica la rassomiglianza con selci di età constatata. Per moltissimi degli oggetti descritti vennero da lui determinati oltre ad altri caratteri fìsici la durezza ed il peso specifico e soventi P una e l’altro paragonati a quelli registrati dalla scienza per minerali e rocce congeneri, commentandone le emergenti differenze. L’Autore completa inoltre le notizie date in antecedenti Memorie circa la giacitura originale di alcune sostanze componenti gli oggetti litici calabresi e particolarmente riguardo alla sillimanite che egli già rinvenne fra gli elementi di una roccia situata poco lungi da Cosenza nella zona delle pietre verdi e che contiene oltre a sillimanite anche quarzo, mica e granato ; roccia eh1 egli interinalmente denomina schisto mi- caceo con sillimanite e granato : altra roccia ancor più ricca di sillimanite associata a quarzo e a poco mica venne da lui riscon- trata poco lungi da Monteleone nella medesima zona ; roccia eh’ egli denomina schisto micaceo con sillimanite. Estendendosi anche in questa Memoria largamente sulla pro- venienza delle sostanze esotiche componenti gli oggetti litici, l1 Autore ci dà diffuse notizie sulla giadeite e sulla nefrite ed interessanti confronti tra specie e varietà affini di derivazione extra-europea ed altresì tra questa ed il campione unico di ne- frite rinvenuto in Europa al principio di questo secolo presso Schwemsal nella Sassonia prussiana, descritto nel 1815 dal Breithaupt, analizzato dal Fischer, dal Claus e dal Fellenberg, riportando le analisi chimiche dei due ultimi scienziati e più - 663 — avanti quelle eseguite dal Fischer e dal Damour su altri cam- pioni parimenti di nefrite, probabilmente americana. Coll’ erudita rivista poi degli oggetti preistorici di nefrite e giadeite sinora rinvenuti in Europa V Autore si prefìsse di segnare i più stretti limiti al campo d’ indagine per risolvere , se possibile , il problema della provenienza della nefrite e riconoscere qual fondamento abbia V emessa ipotesi : che han dovuto esistere in Europa uno o più giacimenti di giada nefrite e di giadeite, ora sepolti od esauriti. E mentre egli perviene a concludere che tutte le loca- lità nelle quali furono trovati oggetti di dette sostanze sembrano essere confinate in zone abbastanza ristrette ed in punti situati fra i 37° e 52° di latitudine Nord, in generale nelle zone com- prendenti il massiccio delle Alpi settentrionali e delle Alpi cala- bresi, non osa ancora emettere un definitivo giudizio escludente la probabilità di detta ipotesi, ma si limita a ritenere che i depositi cui T uomo preistorico ricorse per aver materiale per le sue armi e strumenti debbano a preferenza ricercarsi non nell’ Europa continentale, sibbene in regioni tuttora inesplorate da questo lato, quale, per esempio, la Sardegna o meglio ancora l’Affrica; confermando così un’ opinione che troviamo già espressa nelle precedenti di lui pubblicazioni. P Di Tucci. — Saggio di studi geologici sui peperini del Lazio. Roma, 1879. (Dalle Memorie della R. Accademia dei Lincei , serie 3a, voi. VI.) Nuove ed accuratissime ricerche sulla giacitura geologica, struttura, diffusione dei peperini nel distretto vulcanico laziale condussero V Autore della presente Memoria a conclusioni che in parte completano, in parte modificano i risultati di anteriori inve- stigazioni e con ciò le tràttene deduzioni e le ipotesi stabilite circa la natura e 1’ origine di dette rocce. L1 Autore particola- reggia e discute con rigorosa logica i fatti da lui osservati in posto, e già nella prima parte del suo scritto, vale a dire, nelle osservazioni generali, espone argomenti atti ad indebolire P ipo- tesi che fa derivare il peperino da un rimpasto di materiale in- - 664 - coerente, operato esternamente al cratere da pioggie accompa- gnanti i parossismi eruttivi. Dalla tettonica poi della roccia stessa, da certi caratteri fisici, dalla di lei struttura, dalla natura e condizione degli interclusi deduce la prossima analogia dei pe- perini colle lave e V identità dei fenomeni che quelli e queste accompagnano. Nella seconda e terza parte della Memoria è trattato in particolare della diffusione dei peperini e delle relazioni loro coll’ altre rocce vulcaniche del sito e coi centri diversi di eru- zione. Per ragion di distribuzione e di epoca vengono essi sud- divisi in peperini del cratere centrale ed in peperini dell’esterno ricinto craterico. Fatti ed argomentazioni principalmente di tet- tonica orografica e stratigrafica tenderebbero a comprovare che la formazione dei peperini non sia circoscritta alla regione dei laghi ; che questi non furono il centro eruttivo dei medesimi, ma che piuttosto l’origine di tali rocce sia identica e promiscua a quella delle lave e d’ altri prodotti vulcanici coi quali sono as- sociate e bene spesso s’alternano; conseguentemente essi sareb- bero stati eruttati sia dal cratere centrale dei monti albani, sia dal cratere dell’ Artemisio e monti tusculani, sia da altri crateri minori e sempre in epoche di piena attività ignea della regione laziale. Con ciò l’ Autore escluderebbe l’ ipotesi di altri periodi di vulcanismo laziale posteriori a quelli caratterizzati dai crateri citati e tanto meno poi di un periodo di decadenza rappresen- tato ne’ suoi prodotti dai peperini. L’ osservazione poi dei mol- teplici fatti e principalmente 1’ esame della struttura del terreno in cui s’ aprono i laghi d’ Albano e di Nemi indussero l’Autore ad ammettere, oltre alle due epoche d’ attività vulcanica cui cor- risponderebbero i centri suaccennati, una terza remotissima, an- teriore all’ attività laziale propriamente detta ; epoca rivelata da avanzi del ricinto e della stessa cavità craterigena del vulcano col quale 1’ attività di quel periodo si sarebbe manifestata. Una quarta parte della Memoria contiene osservazióni petro- grafiche sui peperini e la congettura sul modo di loro forma- zione. L’Autore distingue il peperino in due classi, peperino propriamente detto e lapis gabinus, ed accennate alle limitate differenze tra la serie di minerali contenuti dai peperini d’epoca diversa, estendesi nello studio delle lave intercluse in rottami - 665 ne’ medesimi, ed in quello del predetto lapis gabinus; e dal- 1’ analisi dei fatti osservati conclude per la probabilità di un1 ori- gine identica pel peperino e pel lapis gabinus , entrambi i quali sarebbero il risultato di una nuova elaborazione subita nell’ in- terno de’ crateri più recenti dalle lave appartenenti all’ antichis- simo vulcano di cui sopra : questi crateri le avrebbero poi emesse in uno stato di magma vischiosi, molto analoghi a quelli che si freddarono in lave. La comparsa dell’ una o dell’altra delle in- dicate rocce sarebbe a ripetersi dal differente stadio di avanza- mento di una tale elaborazione al momento in cui si determi- nava una fase d’ eruzione. Le rocce calcaree e marnose poi che si riscontrano incluse nei peperini avrebbero appartenuto a dette lave primitive, le quali se le sarebbero appropriate nell’ attraver- sare il terreno della regione alla quale si soprapposero i prodotti vulcanici. La parte quinta ed ultima della Memoria è dedicata all’esame della struttura del terreno in cui giace il Laghetto di Giuturna, situato a circa due chilometri e mezzo ad Ovest della città di Albano. Anche qui i fatti osservati confermerebbero le con- clusioni cui fu guidato l’ Autore da’ suoi studi sui crateri maggiori, sia riguardo all’esistenza di un periodo di attività vulcanica prelaziale, sia sull’origine dei peperini, sia sull’iden- ticità di questa con quella del lapis gabinus. L’ opera è illustrata, oltreché da alcune sezioni e profili inseriti nel testo, da una carta in piccola scala, ridotta colla fototipia da quella originale all’ 1/25000, nella quale è data la distribuzione dei peperini nella regione laziale ed altresì di quelle lave ed altri prodotti vulcanici che coi detti peperini laziali hanno rapporti geologici diretti. A. De Zigno. — Annotazioni paleontologiche sulla Lithiotis problematica di Gumbel. — Venezia, 1879. Nella serie degli strati che soggiace costantemente ai marmi rossi e gialli del Vicentino, del Veronese e del Tirolo meridio- nale e che pei fossili eh’ essa contiene, nonché per essere collo- co — 666 — cata al disotto del calcare a Posidonomya alpina rappresente- rebbe nelle Alpi venete 1’ oolite inferiore, forma potenti ed estesi banchi una specie di marmo, di color bigio oscuro, vagamente screziato di bianco da grosse vene spatiche bizzarramente dis- seminate sul fondo, le quali sono dovute ad un corpo organico spatizzato di cui, per le osservazioni praticate dall’ Autore e da illustri naturalisti, rimase indubbiamente accertata la spettanza al regno vegetale. Per determinare la classe e famiglia cui riferire questa pianta V Autore stesso provocò con una Memoria inserita nel 1871 negli Atti dell’ I. B. Istituto geologico di Vienna il concorso dei paleofitologi, al quale invito corrispose poco dopo V illustre pro- fessore C. W. Giimbel con una Memoria pubblicata come appen- dice ad un suo lavoro sulle Nullipore negli Atti della B. Acca- demia delle scienze di Monaco (cl. II, voi. XI, p. I, 1871) in cui descrive il fossile in argomento, denominandolo Lithiòtis proble- matica, ed esternando P opinione che appartenga alla classe delle Alghe e, cioè, al gruppo stesso cui appartiene il genere JJdòtea di Lamark. Una tale opinione viene nella presente Memoria del barone De Zigno combattuta con argomenti basati su rigorosa analisi anatomica, microscopica delle singole parti componenti il fossile e sull1 osservazione della costui complessiva struttura ; argomenti avvalorati, oltreché dal parere d’altri insigni paleofitologi con- cordi nell1 escludere dal detto fossile i caratteri delle Alghe, anche dal fatto che il medesimo rinviensi di sovente convertito in vero litantrace, alla formazione del quale non si prestereb- bero le Alghe, perchè soggette a decomposizione putrida analoga all1 animale. Senza pretendere di risolvere la questione, al che non sareb- bero ancora sufficienti i fatti studi, i raccolti materiali e le autorevoli opinioni emesse, l’Autore limitasi a riconoscere qual risultato da ciò ottenuto l1 esclusione di detta pianta dall1 appar- tenere ad alcuna delle famiglie conosciute ; dal -che acquisterebbe probabilità l1 ipotesi eh1 essa fosse piuttosto il tipo d1 una famiglia particolare vissuta e spentasi durante l’ epoca giuresè, non ve- dendosene alcuna traccia nelle formazioni anteriori o posterióri a detta epoca. - 667 - La Memoria è illustrata da una tavola litografata rappre- sentante la Lithiotis in grandezza naturale, dei frammenti della stessa e delle sezioni ingrandite delle di lei parti. Lethcea geognostica. I Theil. Lethcea paleozoica von Ferd. Roemer. — Stuttgart, 1880. Dall’ esame di questa prima parte di un’ opera d’assai vasta mole, destinata a descrivere ed illustrare i fossili più caratte- ristici dei terreni geologici, si ha argomento a ritenere che con essa rimarrà soddisfatto in gran parte il sentito bisogno d’ un libro d’indole generale il quale sia a livello dell’ingente pro- gresso realizzato sin’ oggi dalla geologia mediante soprattutto il frazionato lavoro delle investigazioni speciali. L’ opera del signor Roemer la quale abbraccia le quattro di- visioni maggiori dell’ èra paleozoica, vale a dire, il siluriano, il devoniano, il carbonifero ed il permiano, consta di due parti. La prima d’ esse eh’ è generale e serve d’ introduzione è un’ espo- sizione ragionata e comparativa della suddivisione, della geogra- fica estensione, dello speciale sviluppo in alcuni paesi, dei ca- ratteri petrografia e paleontologici, non solo d’ ognuna delle formazioni predette, ma altresì delle principali suddivisioni loro. Tale esposizione eruditissima è riccamente corredata da tabelle comparative, da citazioni e note esplicative ed inoltre da un catalogo degli studi di paleontologia generale francesi, tedeschi ed inglesi pubblicatisi dal 1804 al 1878 sulle formazioni paleo- zoiche. La seconda parte del lavoro del signor Roemer è speciale; contiene, cioè, la sistematica indicazione e la descrizione de’ fos- sili paleozoici, e in essa è fatto largo uso del metodo ragionato e comparativo. E mentre per ogni famiglia fossile vi troviamo indicati i caratteri fisiologici, il grado di geologica diffusione e quello d’affinità o meno con famiglie viventi, abbiamo inoltre pei generi e le specie le' forinole, colle specie tipiche illustrate nel testo da figure e da sezioni anatomiche, la distribuzione geologica e l’ istoria letteraria : il tutto è corredato da un atlante — 668 — di 62 tavole in cui le figure de’ fossili sono ordinate secondo la cronologia dei terreni die caratterizzano. Ci è grato da ultimo il poter affermare che quanto ad accu- ratezza ed a bellezza d’edizione rimane anche questa volta con- fermata la distinta riputazione acquistatasi dalla Ditta editrice (E. Schweizerbart’sche Verlagsbuchandlung. E. Koch. Stuttgart) colla pubblicazione di molte altre opere di serissimo impegno. NOTIZIE DIVERSE. Pesci fossili di Montegazzo. — Pubblico una prima lista di resti di pesci fossili trovati nel calcare cristallino compatto di Montegazzo in Fellina (prov. di Reggio-Emilia) che, come dissi altra volta, con Pietradura si unisce al calcare pur cristallino compatto di Bismantova, e forma con quest’ ultimo un tutto pe- trograficamente e geologicamente distinto. Nel ciò fare rendo le più sentite grazie ai distinti paleontologi Lawley e Bassani, che in’ aiutarono di lumi e di confronti per la classificazione. Cl. Pesci comuni od ossei. Ord. Sparoidei, Cuv. Tribù degli Sparidi propriamente detti, Cuv. Gen. Chrysophrys, Cuv. Sp. Chrysophrys miocenica, Bassani. Gen. Pagellus, Cuv. Sp. Pagellus Aquitanicus, Delfor. Tribù dei Dentati, Cuv. Gen. Dentex, Cuv. Sp. Dentex Munsteri, Meneghini. Cl. CONDROPTERIGI, 0 PESCI CARTILAGINOSI A BRANCHIE FISSE. Ord. Selacoidei, Cuv. o Plagiostoma, Dumer. Tribù delle Lamnide, Cuv. Gen. Odontaspis, Agas. - 669 Sp. Odontaspis contortidens, Agas. Gen. Otodus, Agas. Sp. Otodus sulcatus, Geinitz. Gen. Oxyrhina, Agas. Sp. Oxyrhina hastalis, Agas. Gen. Carcharodon, Smith. Sp. Carcharodon megalodon, Agas. Tribù delle Carcaridi, Guv. Gen. Hemipristis, Agas. Sp. Hemipristis serra, Agas. Gen. Galeocerdo, Mailer ed Henle. Sp. Galeocerdo latidens, Agas. Sp. Id. minor, Agas. Gen. Prionodon, Mailer ed Henle. Sp. Prionodon subglaucus, Laivley. Gen. Glyphis, Agas. Sp. Glyphis Urcianensis, Laivley. Tribù delle Rajadi, Cuv. Gen. Raja propriamente detta, Cuv. Sp. Raja antiqua, Agas. Tutte le suindicate specie di pesci a Montegazzo sono rap- presentate da denti. A. Ferretti. Sulla presenza del Trias nell’ Appennino centrale. — Mentre si stanno preparando le tavole litografiche che devono accompagnare uno studio da me fatto sulla montagna del Sua- vicino,1 credo intanto poter con certezza annunciare la presenza del Trias superiore nelPAppennino centrale. Nelle vette mediane del gruppo Suavicino, sotto alle incli- nate più antiche stratificazioni del Lias inferiore, compariscono numerose testate di strati calcari bianchissimi e luccicanti come neve per frequenti punteggiature cristalline. In quelli di essi strati che immediatamente succedono ai Massici abbondano i re- sti di minuti gasteropodi finora indeterminati, ma che nell’in- 1 Sanvicino, come ora si dice volgarmente, è corruzione dell’ antico nome Suavicino, - 670 - sieme offrono grande somiglianza con quelli del calcare infralias- sico della Spezia e del Monte Pisano. Nei successivi e più profondi abbondano invece i resti ben riconoscibili di Gyropo- rélla triasina, Schaur. identica a quella di Recoaro. Il piano con verosimiglianza attribuito all’ Infralias (Retico) si riscontra pure sotto il Lias inferiore a Frassassi ed al Gran Sasso d’ Italia. La Gyroporella triasina caratterizza anche il cal- care grigio scuro raccolto dal Lovisato in Calabria. M. Canavari. . ’ • ■< Sui terreni terziari superiori dei Monti livornesi. — Il signor Sigismondo De Bosniaski espose nell’adunanza 6 luglio u. c. della Società Toscana di scienze naturali alcune sue recenti in- vestigazioni paleontologiche e stratigrafiche, mediante le quali gli studi da lui precedentemente fatti sui terreni terziari del- l’Alto Livornese e singolarmente sugli strati compresi tra il flysch ed i terreni plioceni marini ricevettero notevole incremento ed alcune sue precedenti deduzioni, particolarmente sul valore cro- nologico dei tripoli del Gabbro, rimasero modificate. Per i det- tagli sulla natura ed importanza dei precedenti studi dell’ Au- tore rimettiamo il lettore alle dispense 1 e 2 del Bollettino del corrente anno, ove sta riportato per intero il resoconto dell’adu- nanza 12 gennaio 1879 della predetta Società scientifica. I ri- levantissimi risultati poi delle enunciate recenti investigazioni, e le divergenze fra le nuove ed antecedenti deduzioni, oltreché dal disegno che qui riportiamo di una sezione dei terreni ter- ziari studiati, esibita dall’ Autore a corredo della propria espo- sizione, si rilevano dalle di lui proprie conclusioni secondo le quali i tripoli di Toscana si troverebbero nelle medesime condi- zioni stratigrafiche degli altri tripoli italiani insulari e peninsu- lari fin’ ora osservati, ed il sincronismo dei medesimi col secondo piano mediterraneo del Suess, oltre che dai rapporti stratigrafici, risulterebbe tanto dal carattere della flora che da quello del- l’ittiofauna da essi racchiusa. La serie poi degli strati soggiacenti ai tripoli e sovrapposti immediatamente al flysch apparterrebbe invece con molta probabilità al piano tortoniano e sarebbe a riguardarsi in parte come un equivalente dei tripoli : la molassa serpentinosa ed il calcare di Rosignano i quali stanno sopra i - 671 tripoli rappresenterebbero un equivalente marino della forma- zione sarmatiana e formerebbero il limite superiore del miocene. Da ultimo la formazione gessosa, separata dai tripoli del pre- detto sedimento marino cui rimane sovrapposta mentre sta al disotto delle marne a pteropodi ed è superiormente costituita dal piano d’ origine salmastra a Congeria simplex ed a piccoli cardii, mentre inferiormente consta di scisti marnosi bianchi e di argille ed arenarie gessose, sarebbe a considerarsi per que- sta sua porzione inferiore contraddistinta specialmente da un1 it- tiofauna a carattere idrotermale, quale deposito di laghi d’ acqua dolce alimentati da numerose sorgenti termali. Abbozzo di una sezione dell’ èra terziaria al Gabbro tracciata lungo il Bio Sanguigna. s. o.s.o. Strada , Gabbro. — 2. Alberese o schisti galestrini. — 3. Puddinga ofiolitica. — 4. Marne indurate e argille marnose in alternanza con marne schistose con fossili in parte salmastri e in parte marini. — 5. Tripoli con fauna marino-salmastra. — 6. Arenaria a piccoli elementi con indeterminabili con- ebiglie marine. — 7. Calcare concrezionato con fossili identici a quelli del calcare di Rosignano (Pecten sp. n., intermedio fra il P. aduncus Eichw. e il P. Bosniaski De Stefani e Pantanelli t= P. di Rosignano, Loripes miocenicus Michl., Arcopagia cfr. crassa Penn., Cardita Jouanneti Desm., Tro- clius sp., Cladocora sp.). — S. Molassa serpentinosa a Ostrea cochlear, Tapes depressa Mgh. ec.1 — 9. Argille gessose a Lebias crassicaudus , L. intermedius , Libellula sp. sp. — 10. Schisti bianchi con pesci d’acqua dolce: Leuciscus, Gobius, Ather ina, Lebias ; insetti, crostacei. — 11. Strati a Congeria simplex e piccoli Cardii. — 12. Marne a Pteropodi. G. Capellini, Il calcare di Leitha, il Sarmatiano, ec., pag. 20. Roma, 1878. Scoperta paleontologica. — Lo stesso signor De Bosniaski riferì nella seduta 9 novembre della Società Toscana di scienze naturali di avere trovato impronte di piedi di uccelli, non per anco determinate in quanto al genere, negli schisti marnosi bianchi della formazione gessosa, e precisamente negli strati a Gobius del Gabbro. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1879. (Volume Decimo.) Avvertenza pag. 3 Atti relativi al Comitato Geologico 5 Id. là. * . . ’. ’ ’ 1 91 Id- Id- 187 Id- Id- 307 Id- *d. 423 là- là. 571 Congresso geologico internazionale del 1881 in Bologna 189 P. Zezi. — Cenno intorno ai lavori del Comitato Geologico nel 1878 . 8 NOTE GEOLOGICHE. Ih. Fuchs. — L’age des couches à Hipparions 14 D. Lovisato. — Cenni geognostici e geologici sulla Calabria setten- trionale (continuazione) 24 M. Vacek. — Sui dintorni di Roveredo nel Trentino 40 A. Bittner. — Sulla struttura geologica della parte meridionale della catena di Monte Baldo nel Veronese 46 C. Doelter. — Le rocce eruttive della parte occidentale del Trentino. 55 B. Lotti. — Alcune osservazioni sui dintorni di Jano presso Volterra. 96 A. Ferretti. — La formazione pliocenica nello Scandianese (provin- cia di Reggio-Emilia) 101 D. Lovisato. — Cenni geognostici e geologici sulla Calabria setten- trionale (continuazione) 108 A. Bittner. — Il Trias di Recoaro nelle Alpi venete 137 E. Vanden-Broeclc. — Rapporti fra i depositi terziari d’ Italia ed il deposito delle sabbie d’Anversa 148 L. Baìdacci, L. Mazzetti e P. Travaglia. — Relazione sull’eruzione dell’Etna 195 C. De Stefani. — La Montagnola senese 202 D. Lovisato. — Cenni geognostici e geologici sulla Calabria setten- trionale (continuazione) 224 - 674 - A. Ferretti. — Le formazioni plioceniche a Montegibbio (provincia di Modena) Pa2* 238 C. W. Giimbel. — Gli strati d’arenaria a piante fossili di Recoaro. 249 Ed. von Mojsisovics . — Considerazioni generali sulla Corologia e Cro- nologia degli strati terrestri •••••• P. Blaserna, 0. Silvestri , Gemellavo. — Relazione della Commissione nominata dai Ministeri di Agricoltura, industria e commercio e della pubblica Istruzione, per lo studio della eruzione dell’ Etna del 26 maggio 1879 H. De Saussiire. — Sulla recente eruzione dell’Etna 323 A. Cossa. — Osservazioni chimico-microscopiclie su alcuni prodotti della recente eruzione dell’ Etna 329 C. De Stefani. — La Montagnola senese (continuazione) ....... 332 E. Niccoli. — Cenni sulla costituzione geologica del Tavoliere di Puglia . 356 A. Ferretti. — Le prime formazioni mioceniche nel subappennino di Reggio e Modena 36(5 G. Uzielli . — Conclusioni di una Memoria sulle Argille scagliose dell’ Appennino 425 C. De Stefani. — La Montagnola senese (continuazione) 431 T. G. Bonney. — Note sopra alcune serpentine della Liguria e della Toscana 461 F. Bolle. — Studio geologico e petrografico sulle Alpi dei dintorni di Chiavenna 474 C. W. Giimbel. — Sul materiale eruttato dal vulcano di fango di Paterno all’Etna e dai vulcani di fango in generale • 506 A. Issel. — Conclusioni di uno studio sui terreni serpentinosi della Liguria orientale 572 B. Lotti. — Sopra un nuovo piano di calcare nummulitico 583 C. De Stefani. — Argille galestrine ed argille scagliose 587. 0. Silvestri. — La doppia eruzione e i terremoti dell’Etna nel 1879. £90 C. TV. Giimbel. — Le ceneri vulcaniche dell’ Etna 605 A. von LasaulXi — Osservazioni fatte nei distretti zolfiferi di Sicilia. 608 C. De Giorgi. — Note geologiche sulla Basilicata 616 NOTE MINERALOGICHE. A. Corsi. — Ancora sulle prehniti della Toscana 155 A. von Lasaulx. — Della Szabóite e dell’ Oligisto di Biancavilla sul- 1’ Etna 372 A. E. Church. — La scoperta del minerale di stagno in Italia, e sua re- lazione colla lavorazione del bronzo presso gli antichi (continuaz.) 382 A. Issel. — Datolite e Scolecite del territorio di Casarza (Liguria). 530 A. E. Church. — La scoperta del minerale di stagno in Italia, e sua relazione colla lavorazione del bronzo presso gli antichi (con- tinuazione) • • • 545 675 - NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. J. Cafìci. — Da Vizzini a Licodia. — Siracusa, 1878 Pag. 58 Id. Studi sulla geologia del Yizzinese. — Catania, 1878 . . ivi D. Lovisato. — H Monte di Tiriolo. — Catanzaro, 1878 60 A. De Zigno. — Sopra un nuovo Sirenio fossile scoperto nelle col- line di Brà in Piemonte. — Roma, 1878 62 A. De Zigno. — Aggiunte alla ittiologia dell’ epoca eocena. — Ve- nezia, 1878 64 R- Lepsius. — Das westliche Sùd-Tirol. — Berlin, 1878 ivi T. Taramelli. — Sulla formazione serpentinosa dell’ Appennino pa- vese. Roma, 1878 160 Ed. ven Mojsisovics. — Die Dolomit-Riffe von Siid-Tirol und Venetien. Beitràge zur Bildungsgeschichte der Alpen. — Wien, 1878-79. 169 A. Heim. — Untersuchungen ùber den Mechanismus der Gebirgsbil- dung in Anscblusse an die geologiche Monographie der Tòdi- Windgàllen-Gruppe. — Basel, 1878 ; due volumi con aitante. . . 173 E. Vanden-Broeck. — Esquisse géologique et paléontologique des dépóts pliocènes des environs d’Anvers. Première partie. — Bruxelles, 1878 176 G. F. Rodiceli. — Etna, a history of thè mountain and of its eruptions. — London, 1878 178 C. Doelter. — DieProducte des Vulcans Monte Ferru. — Wien, 1878. 290 T. Taramelli. — Appunti geologici sulla provincia di Belluno. — Mi- lano, 1879 295 G. Omboni. — Le nostre Alpi e la pianura del Po. — Milano, 1879. 298 A. Cossa. — Sul serpentino di Verrayes in Valle d’Aosta. — Roma, 1878 394 M. S, De Rossi. — La Meteorologia endogena. Tomo I. — Mi- lano, 1879 396 G. Capellini. — Gli strati a congerie e le marne compatte mioce- niche dei dintorni d’Ancona. — Roma, 1879 398 G. Capellini. — Balenottera fossile delle Colombaie presso Volterra. — Roma, 1879 402 G. Capellini. — Breccia ossifera della Caverna di Santa Teresa nel lato orientale del Golfo di Spezia. — Bologna, 1879 403 C. F. Parona. — Il pliocene dell’ Oltrepò pavese. Osservazioni stra- tigrafiche e paleontologiche. — Milano, 1879 ivi G. Meneghini e A. D\ Achiardi. — Nuovi fossili titonici di Monte Primo e del Sanvicino nell’Appennino centrale. — Pisa, 1879 . 407 M. Canavari. — Sui fossili del Lias inferiore nell’ Appennino cen- trale. — Pisa, 1879 409 A. Issel. — Descrizione di due denti d’ elefante raccolti nella Ligu- ria occidentale. — Genova, 1879. 411 - 676 - L. Lovisato. — Sulle Cliinzigiti della Calabria. — Roma, 1879. Pag. 412 F. Giordano. — Esposizione universale del 1878 in Parigi. Classi XYI e XLm. - Geologia 556 M. Baretti. — Studi geologici sulle Alpi Graje settentrionali. — Roma, 1879 656 D. Pant anelli. — Sugli strati miocenici del Casino (Siena) e consi- derazioni sul miocene superiore. — Roma, 1879 658 D. Lovisato. — Nuovi oggetti litici della Calabria. — Roma, 1879 . 661 P. Li Lucci. — Saggio di studi geologici sui peperini del Lazio. — Roma, 1879 663 A. Le Zigno. — Annotazioni paleontologiche sulla Lithiotis proble- matica di Giimbel. — Venezia, 1879 665 F. Roemer. — Lethrea paleozoica. — Stuttgart, 1880 667 NOTIZIE DIVERSE. Società Toscana di Scienze naturali 67 La questione delle argille scagliose (P. Mantovani) 76 L’eruzione fangosa di Paterno 78 Analisi chimica dello spinello di Tiriolo in Calabria 80 Antichi ghiacciai nelle Alpi marittime 181 Lo stato attuale del Vesuvio . . 1V1 L’eruzione dell’Etna (P. Mantovani) 300 Ricerche chimiche sulle lave degli Ernici (S. Speciale) . 301 Gli Strati fossiliferi a fosfato di calce della Carolina del Sud (Stati Uniti) (A. Manzoni) 413 Scoperta paleontologica. (A. Ferretti) 416 Origine dei diaspri Processo d’analisi chimica e microscopica delle rocce argillose . . . 561 Pesci fossili di Montegazzo (A. Ferretti) 668 Sulla presenza del Trias nell’ Appennino centrale (M. Canavari). . . 669 Sui terreni terziari superiori de’ Monti livornesi 670 Scoperta paleontologica 671 Cenno necrologico (B. Gastaldi) 81 TAVOLE ED INCISIONI. Sezione nei dintorni di Jano in Toscana 100 Sezione nei dintorni di Gimigliano in Calabria 133 Carta geologica che va unita alla Relazione sull’eruzione dell’Etna. 201 Sezioni geologiche della Montagnola senese 213 Id. Id. 214 Id. Id. 223 Tavola topografica che va unita alla Relazione sulla eruzione dei- fi Etna .D 309 Sezioni geologiche della Montagnola senese 335 ld. Id. 346 — 677 — Tavola di sezioni annessa alla Nota dell’ing. E. Niccoli sul Tavo- liere di Puglia Pag. 356 Sezione del Poggio di Montarrenti . 432 Figura presa a Monteferrato presso Prato 471 Figure che accompagnano la Memoria del prof. Issel 532 Id. Id. 539 Sezione attraverso le colline di Massa (Alpi Apuane) 585 Sezione dei terreni terziari al Gabbro (Monti livornesi) 671 PUBBLICAZIONI DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Continuazione.) I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Co- mitati Geologici e sul B. Comitato Geologico d’Italia. — Firenze, 1871 L. 1.50 Idem. — Carta Geologica della parte orientale del- F Isola d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze, 1871 » 2. 00 F. Giordano. — Esame geologico della Catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata dalla grande galleria della ferrovia Italo-Elve- tica. — Firenze, 1873 » 10. 00 Idem. — Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di 1 per 50,000. — Firenze, 1873 » 3.00 C. W. C. Fuchs. — Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di 1 per 25,000. — Firenze, 1873 . . .» 2.00 G. Ponzi e Fr. Masi. — Catalogo ragionato dei prodotti minerali italiani ad uso edilizio e decorativo spediti dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio all’ Esposizione Internazionale di Vienna. — Panna, 1873 » 2.00 Idem. — Catalogo sommario dei prodotti minerali italiani, ec. — Roma, 1873 » 1.00 P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta Geo- logica d’ Italia in grande scala. — Roma, 1875 . » 1. 50 G. Doelter. — Carta Geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone, nella scala di 1 per 20,000. — Roma, 1876 » 2. 00 Per le commissioni dirigersi all’ Ufficio Geologico in Roma, Piazza San Pietro in Vincoli, N. 5, od ai principali librai. Annunzi di pubblicazioni. { , 1). Pantanelli. — Molluschi post-pliocenici dei travertini delia Pro- vincia senese. — Pisa, 1879; pag. 12 in-8°. D Lovisato — Nuovi oggetti litici della Calabria. (Memorie della R. Ac- cademia dei Lincei, voi. III.) — Roma, 1879 ; pag. 33 in-4° con una tavola. A De Ziqno. — Sulla Lithiotis problematica di Giimbel. (Memorie del R. Istituto Veneto, voi. XXI.) - Venezia, 1879 ; pag. 7 in-4» con una tavola. I. Regazzoni. — Le marmotte fossili dei dintorni di Como. (Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, voi. XXII.) — Milano, 1879 ; pag. 5 in-8°. F. SoRDELLt. — Sulle piante fossili recentemente scoperte a Besano nel circondario di Varese. (Idem, voi. XXII.) Milano, 1879 , pag. 14 in-8°. P Polli e P. Luchetti. — 1 minerali di ferro delle Valli bergamasche. (idem, voi. XXII.) — Milano, 1879; pag. 35 in-8°. P. Di Lucci. — Saggio di studi geologici sui peperini del Lazio. (Me- morie della R. Accademia dei Lincei, voi. IV.) Roma, 1879, pag. 40 in-4° con Carta geologica. T. Taramelli. — Sunto di alcune osservazioni stratigraflclie sulle for- mazioni precarbonifere della Valtellina e della Calabria. (Rendi- conti deli’ Istituto Lombardo, voi. XII, fase. 19°. ) — Milano, 1879 , pag. 10 in-8°. G. Capellini. — Sul calcare screziato con foraminifere dei dintorni di Torretta. — Bologna, 1879 ; pag. 8 in-8°. M. Catjatmi. — Sut fessili (lei Lias Inferiore nell’ Appennino centrale. (Dagli Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, voi. IV, taso. 2 .) — Pisa, 1879; pag. 31 in-4° con tavola. C. F. Parona. — Contribuzione allo studio della Fauna liasica di Lom- bardia. (Rendiconti del R. Istitito Lombardo, voi. XII, fase. 15°.) Milano, 1879; pag. 11 in-8°. L. Foresti. — Contribuzione alla conehiologia fossile italiana. (Memo- rie dell’Accademia di Bologna, tomo X, serie 3a, fase. 1°.) Bolo- gna, 1879; pag. 20 in-4° con tavola. C. De Giorgi. — Note geologiche sulla Basilicata. — Lecce, 1879 ; un vo- lume in-8° di pag. 152 con tavole in nero ed una Carta geologica a colori annessa. G. Mazzetti e A. Manzoni. — Le spugne fossili di Montese. (Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. IV, fase. 1°.) Pisa, 1879; pag. 10 in-8° con due tavole. C. De Stefani. — Le acque termali di Pieve Fosciana. (Negli stessi.) — Pisa, 1879; pag. 26 in-8° con tavola. L. Maggi. — Intorno alle condizioni naturali del Territorio varesino. (Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, voi. XXL) Mi- lano, 1879 ; pag. 30 in-8°. C. Marinoni. — Ulteriori osservazioni sull’Eocene friulano. (Dagli stessi.) — Milano, 1879; pag. 15 in-8°. N. Pini. — Contribuzione alla Fauna fossile post-pliocenica della Lom- bardia. (Negli stessi.) — Milano, 1879; pag. 5 in-8°. L. Maggi. — Catalogo delle roceie della Valcuvia. (Negli stessi.) — Mi- lano, 1879 ; pag. 19 in-8°.