BOLLETTLNfO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. 1880. — Anno XI. 1880. — Anno XL BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Volume Undecimo (IO della 2^ Serie) N. 1 a 12. ROMA, TIPOGRAFIA barbèra 1880. BOLLETTINO DEL R. OOMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie IL Voi. L (jennaio e Febbràio 1880. N.° 1 e 2. SOMMARIO. Ayteetenza. Atti relativi al Comitato Geologico, Memorie orig“inali. — I. Nota sulla serie dei terreni nella Regione solfifera di Sicilia, per gli ingegneri L. Baldacci e L. Mazzetti del R, Corpo delle Miniere. — II. La formazione gessosa del Vizzinese e del Licodiano (provincia di Catania). Nota dlppoLiTO Capici. — III. La Montagna del Suavicino. Osservazioni geolo- giclie e paleontologiche del dott Mario Cahavari. — IV. La Montagnola Senese. Studio geologico di Carlo De Stefani. (Continuazione). — V. Le Valli antiche e moderne dell'Umbria. Nota di A. Verri, capitano nel Genio, — VI. Argille scagliose e Galestri. Nota del prof. Gustavo Uzielli. Notizie bibliografiche. — Emil Stohr, JDie Raddoìarienfauna der Tripoli von Grotte, Provinz Girgenti in Sicilien; Cassel, 1880. — T. Taramelli, Santo di alcune osser- vazioni straiigrajìclie sulle formazioni precarhonifere della Valtellina e della Calabria ; Milano, 1879. — Dott. Alessandro Portis, Ì)i alcuni fossili terziarii del Piemonte e della Liguria appartenenti all'ordine dei Chelonii; Torino, 1879, Notizie diverse. — Fossili dei diaspri. — Sabbie vetrarie presso Fasano. Tavole ed incisioni. — Sezione passante per la Solfara a Monte Capodarso presso Caltanissetta, a pag. 13. — Sezione per Maiorchì Soprano e Contrada Barinotto a E. di Mirabella, ivi. — Sezione degli strati contorti di gesso e trubo nel Monte Can- natone a N. di Racalmuto, a pag. 14. — Sezione del Monte (grande ad 0. di Pie- traperzia, a pag. lo — Sezione fra Monte Saorni e Monte Bombare a S. di Bo- terà, ivi. — Sezione passante per il Cozzo Terravecchia presso Santa Caterina, a pag 24. — Sezione fra il Monte Mususino e la Poitella di Recattivo pre.sso S. Caterina, ivi. — Sezione fra Casa Fagaria e Contrada Turofìli presso Villarosa, a pag. 29. — Sezione passante per il Monte Garistoppa a N. di Caltanissetta, ivi. — Sezione per il Monte Marcassita a S, di Villarosa, a pag, 32. — Cardium se- midecussatum Calici, a pag. 47. — Tavola di fossili che accompagna la Memoria del Dott. Can avari, a pag, 54. — Sezione trasversale del Suavicino, a pag. 57. — Fossili del diaspro dell’eocene inferiore di Empoli, a pag. 128. AVVERTENZA. Con l’anno 1880 entra il Bollettino geologico nel suo 1 r anno, avendo il suo primo volume veduta la luce nel 1870. I primi 10 volumi sin ora pubblicati costituiranno una V serie (1870-79) incominciandone col 1880 la 2^ In vista della sempre crescente quantità delle materie da stampare, verrà con questa nuova serie introdotta una — 4 -* lieve riforma nei caratteri, pur conservando l’antico formato, al fine di non accrescere di troppo la mole dell’annuale vo- lume e la conseguente spesa. Il Bollettino proseguirà per ora ad uscire in fascicoli bimensili, e quanto alla materia contenuta si conserverà pure il sistema adottato nello scorso anno 1879, cioè di far pre- cedere agli articoli concernenti là geologia un breve reso- conto del progresso dei lavori come anche degli Atti con- cernenti il Comitato e delle misure amministrative circa all’ opera della carta geologica che nel frattempo possono essere emanate. — Questi Atti e misure amministrative di- verse, come R. Decreti, Regolamenti, Deliberazioni e simili, che hanno tratto all’organismo della nostra Istituzione geolo- gica ed al suo operato in varie epoche, dapprima non vede- vano,la luce regolarmente nel Bollettino stesso limitato alla materia puramente geologica, ma in altre pubblicazioni del Mi- nistero d’ Agricoltura, Industria e Commercio. Ciò lasciava una lacuna a cui si è creduto di rimediare con la riforma già in- trodotta nei volume ultimo, cioè del 1879. — Intanto a comodità di chi interessandosi albargomento della Carta geo- logica e delle vicende del Comitato abbia bisogno di cono- scerne le varie fasi e vicende dal principio sino ad oggi, si procurerà di riunire tutti questi Atti per ordine cronologico in un solo fascicolo da pubblicare come appendice alla V serie. Tornando alla materia del Bollettino, si rammenteranno ancora le due avvertenze state messe in fronte al primo fa- scicolo dello scorso anno: La prima è, che stante l’indole sua e la mole e spesa assai limitate, non è possibile accogliere nel medesimo lunghi articoli corredati di grandi carte e tavole, quali articoli devono piuttosto venire destinati ai volumi in gran formato delle così dette Memorie, di cui sperasi poter riprendere fra non 5 — molto la pubblicazione. Come pure^ non è sempre possibile il riferire nè in transunto e nemmeno con semplice annunzio, su di tutte le memorie ed articoli concernenti la geologia e paleontologia italiana che vedono la luce o per parte di pri- vati o nei diarii delle varie accademie ed istituti scientifici nazionali od esteri. Perciò, dopo fatto il debito posto nel Bollettino agli articoli originali, è giuocoforza limitarsi a far cenno solo di quelli più direttamente interessanti o che ve- nuti in tempo a cognizione delPuffìcio geologico, presentano merito speciale di attualità. La seconda avvertenza è che la Redazione, nel riferire ne’ suoi transunti i fatti geologici e le opinioni scientifiche degli autori delle Memorie, talora anche testualmente, non intende farsene garante, ma soltanto di esporre fedelmente le suddette opinioni o fatti, quali sono dagli autori pre- sentati. Si è detto sopra che si sperava di potere fra breve ri- prendere la pubblicazione delle Memorie in gran formato. Le circostanze aveano costretto sin dal 1876 a sospenderla. Per un lato la spesa ingente di ciascun volume che deve essere corredato di incisioni, tavole di fossili, vedute, ecc., non era consentita dal bilancio annuale del Comitato, pur troppo ri- masto ancora inadeguato ai nuovi bisogni Per altro lato, dacché si era incominciato (nel 1877) il rilevamento rego- lare della Carta in grande scala in alcune parti d’Italia, le Memorie avrebbero dovuto essere la metodica illustrazione delle parti di essa Carta che sarebbersi di mano in mano po- tute pubblicare. Molto è il materiale già più o meno pronto all’uopo, che venne nei decorsi tre anni preparato, talché molti fogli già potrebbersi sin da ora stampare ove si avesse la somma necessaria per le spese. Ma tale somma è relativamente assai grande, circa L, 80,000 ; nè sino ad ora egli — 6 — era possibile disporne. Nè devesi dimenticare che il testo di simili Memorie non può essere una semplice materiale de- scrizione dei terreni rilevati^ ma deve contenere importanti deduzioni geologiche in connessione ai terreni consimili di altre parti dell’ Italia e dell’ estero, e che perciò occorrono prima nuovi ed accurati studi! di fossili, verificazioni e con- trolli di rilievi e profili, mentre poi circa alla colorazione delle carte geologiche abbiamo ancora pendente la questione di massima demandata al congresso internazionale da tenersi nel 1881 in Bologna. Per simili considerazioni ed altre, che per brevità si omette di svolgere, si può ritenere essere stato increscevole, ma tuttavia prudente partito e consono a simil genere di lavori di lunga lena, il non avere preci- pitato nelle definitive pubblicazioni. Tuttavia per non tardare di troppo a far conoscere i risul- < tati che già si poterono raggiugere con gli studi ultimamente fatti, verranno d’ora innanzi inserite nel Bollettino della serie incipiente, alcune memorie sommarie relative alle di» verse regioni in corso di rilevamento, redatte dai geologi che vi sono rispettivamente addetti. Così nel presente primo fascicolo verrà inserta una prima relazione sulla zona solfifera di Sicilia che fu la prima re- gione presa a rilevare dettagliatamente; e nei successivi fa- scicoli seguiranno analoghe relazioni sulle Alpi Apuane, sul bacino siluriano iglesiente di Sardegna, e via dicendo. In tal modo, si sarà dato principio^ nella misura dei pochi mezzi ora disponibili, ad una serie di opportune e desiderate pubblicazioni, in attesa dei maggiori mezzi pecu- niari che si attendono per cominciare la stampa della Carta in grande scala con le sue definitive illustrazioni. — 7 — Atti relativi al Comitato G-eologico. La riunione annuale del Comitato dovette in quest’anno 1880 venire alquanto ritardata in causa sia delle aggiunte da farsi nel personale de’ suoi membri^ sia dei lavori prepara- torii da presentargli per ottemperare al voto della Commis- sione parlamentare dei bilanci e dietro il quale deve esso Co- mitato discutere e preparare gli elementi di un progetto di legge per lo stanziamento di fondi occorrenti al compimento della Carta geologica, come già venne praticato per la Carta topografica. Simile momentaneo ritardo però non compromette in nulla l’avanzamento degli ordinari lavori, essendoché questi lavori nel volgente anno del 1880 non sono che il prose- guimento di quelli già decisi nei due precedenti ed ancora nel 1879 riconfermati. Infatti, appena la stagione il permise, il personale dei geologi-operatori ritornò al lavoro di Sici- lia che per ora è il principale; e siccome premerebbe di avan- zarlo alacremente onde il rilevamento dell’Isola possa pre- sentarsi se non in totalità almeno nella massima parte com- piuto al congresso del 1881, così vennero aggiunti a quel personale i due allievi ultimamente giunti dagli studi. — Nelle Alpi Apuane eziandio prosegue il solito lavoro e così pure in Sardegna, ed altre località ; bene inteso nei limiti con- cessi dallo scarso personale e dalle risorse ora disponibili. Non è il caso di estendersi ora alla descrizione di questi lavori, come neanche su quelli di analisi di roccie ed altri prepa- ratorii che si stan facendo pel suaccennato congresso del 1881. — Dei medesimi renderà conto particolareggiato il rapporto annuale dell’ Ispettore preposto alla Direzione, e se ne farà cenno in altro numero del Bollettino. 8 — MEMORIE ORIGINALI. I. Nota sulla serie dei terreni nella Regione solfifera di Si- cilia, per gli ingegneri L. Baldacci e Mazzetti del E. Corpo delle Miniere. Incaricati del rilevamento della Carta geologica della zona solfifera di Sicilia, in continuazione a quello già iniziato dall’ingegnere prof. Mot- tura, incominciammo i nostri lavori nei primi giorni del febbraio 1877: nel 1878 venne aggiunto a prestare la sua opera nello stesso servizio r ingegnere Travaglia. Coir aiuto delle pregevoli memorie del prof. Mottura ci fu facile conoscere in poco tempo i caratteri litologici e le relazioni stratigrafiche dei diversi terreni della regione che dovevamo rilevare. Da quell’ epoca il lavoro fu continuato in modo che fu possibile presentare all’Esposizione del 1878 in Parigi i cinque fogli di Girgenti, Caltanissetta, Piazza Arme- rina, Palma e Licata dell’antica divisione. Alla fine del 1879 la massima parte della regione solfifera era rilevata alla scala di 1/25000, compren- dendo oltre i precedenti i fogli di S. Caterina, Leonforte, Caltagirone, Adernò e Karamacca con una superficie totale di chiloni. quad. 8200 cir- ca. ^ La continuazione del rilevamento ci ha condotto a modificare al- quanto la serie adottata dal prof. Mottura nelle sue memorie. Essa, come viene data dal prof, suddetto, fu da noi riconosciuta esatta fino ai trq^oli, ed è la seguente : Quaternario Pliocene (Incerto) ^ Alluvioni recenti. i Alluvioni più antiche : Terrazzi. ! Arenaria, sabbia, marne e conglomerati. Breccia conchiglifera grossolana detta < Tufo cal- careo. » ' Marne azzurre. 1 Calcare marnoso con foraminiferi detto « Trubo. > ^ I fogli in parola son quelli dell’ antica divisione della Carta di Sicilia, cioè riferiti al meridiano di Napoli. Ora venne divisa la Carta in nuovi fogli riferiti al meridiano di Poma, e che sono diversi dai primi, sia in posizione che in dimensione. — 9 — Gessi saccaroidi, cristallini, amorfi, fogliettati, ter- rosi, misti a calcare, sabbiosi, puddinghe gessose e argille bituminose dette « Tufi. » Calcare solfifero, tufi e gessi. Calcare siliceo concrezionato. Tripoli con scheletri di pesci con straterelli di cal- care marnoso simile ai trubi e di calcare ma- gnesiaco. Calcare corallifero. Argille^ sabbiose, salate, spesso con foraminiferi contenenti Salgemma e Kiidda o terra saponaria, alternanti con Arenarie e sabbie passanti spesso a Conglomerati ad elementi di varia grossezza e na- tura più o meno cementati. Argille brune rossastre di colore uniforme, molto scagliose con strati intercalati di arenaria quar- zosa dura e fissile. Calcare marnoso bianco contenente fucoidi, alberese intercalato con calcare nummulìtico e diaspri o calcare grigio a frattura concoide. Argille variegate scagliose contenenti strati di are- naria silicea ferruginosa e straterelli di schisti bi- tuminosi. Arenarie e calcari cloritici con vene epatiche e num- muliti. Calcare bianco compatto o brecciforme con num- muliti ed orbitulìne. Caratteri generali dei vari terreni della classificazione adottata. (Juiitcrnario. Tralasciando di parlare delle formazioni alluvionali recenti, ram- mentiamo soltanto che lungo la spiaggia da Terranova a Licata s’in- contrano delle sabbie sciolte formanti un cordone littorale che in vari punti si solleva per cuoprire una formazione alluvionale più antica, identica a quella estesissima della pianura di Catania. Questa formazione presenta tre distinti membri cioè: sabbie, con- glomerati e argille marnose. La collinetta su cui è fabbricata Terranova è costituita alla sua parte superiore da una arenaria a grani silicei cementati da carbonato Zona gessoso-sollìfera (Zona a Congerie) g Sarmatiano e Tortoniano ( Miocene inferiore Eocene superiore. Eocene medio — io- di calcio; alla base di questo strato e con passaggio quasi graduale d’are- naria suddetta diviene una puddinga a cemento calcareo sabbioso, co- stituita specialmente da ciottoli di roccie mioceniche ed eoceniche. I ciottoli piuttosto piccoli hanno la forma appiattita e rotonda, come quelli che il flusso e riflusso delle onde lascia in tutte le spiaggie. È da osservarsi che tanto le sabbie quanto i conglomerati si tro- vano a una altezza compresa dai 40 ai 70 metri sul livello del mare. Il conglomerato di cui sopra passa in certe località alla forma di ciottoli sciolti. Al di sotto della puddinga descritta si presentano delle argille az- zurrognole 0 giallo-rossastre, qualche volta impiegate per fare stovi- glie; esse sono certamente della stessa epoca della puddinga e formate a spese delle marne più antiche che s’ incontrano verso il nord, dopo traversata la estesa pianura alluvionale di Terranova. Pliocene. Nella zona da noi rilevata il pliocene è rappresentato da tre mem- bri distinti, cioè: 1. Sabbie, arenarie, conglomerati con lenti di marne intercalate; 2. Tufo calcareo conchiglifero ; 3. Marne azzurre. Sabbie. — Le sabbie generalmente sciolte, ma anche più o meno cementate, si sviluppano largamente, però qua e là interrotte, fra Cal- tanissetta e Eegalbuto e si estendono in certi punti fino alla costa S. 0. dell’isola; presentano un carattere di continuità speciale alla formazione pliocenica di Sicilia, carattere che va gradatamente perdendosi a mi- sura che si passa alle formazioni più antiche. Le sabbie, in generale di color giallo, passano qualche volta a un rosso cupo e in certe località si presentano completamente bianche. In esse trovansi spesso intercalati blocchi di arenaria compatta a cemento calcareo disposti in lenti più o meno estese. Questi blocchi in generale gialli all’esterno presentano nell’interno un nucleo azzurrognolo di forma esattamente simmetrica al blocco stesso. Sovente però dette sabbie passano ad arenarie formando in questo stato delle intere colline. Sempre intercalate nelle sabbie trovansi delle lenti di argilla, adatta per fare stoviglie e laterizii; e banchi di conglomerato a grossi ele- menti formati per lo più di roccie cristalline. Le lenti di argilla, quasi sempre di piccola potenza, si sviluppano qualche volta in superficie — 11 — in modo da far credere di esser passate sulle sottostanti marne az- zurre. Altre volte, come nelle vicinanze di Piazza Armerina ed Aidone, si presenta nelle sabbie stesse un banco di conglomerato di fossili forte- mente impastati da un cemento silico-calcareo, e di durezza sufficiente per essere usato come pietra da macine. I fossili che si rinvengono più abbondantemente in queste sabbie sono : Ostrea lamellosa Br. Pecten varius Lk. P. lacohaeus Lk. P. opercularis Lk. P. flexuosus Poli PecUmculus insubricus Br. Cardium echinatum Dsb. Cardium acttleatum Lk. VentiS muìtilamella Lk. Soldania mytiloides Br. Mactra subtruncata, Da Costa Nassa clathrata Lk. Natica millepunctata Lk. Chenopus pespeìecani Lk. Tufo calcareo. — In concordanza colle sovrastanti sabbie, e diviso da esse quasi costantemente da un banco di avanzi di ostriche, tra le quali è frequentissima V Ostrea lamellosa Br. si trova un tufo calcareo 'formato daU’agglomerazione di avanzi di fossili, che riceve in Sicilia diversi nomi presi dalle località in cui esso s’incontra. Esso ha un gran- dissimo sviluppo da Caltanissetta verso Castrogiovanni, dove raggiunge una potenza di 100 metri e un’altitudine di 1000 metri sul mare e giunge verso Est fino a Kegalbuto ; troviamo lo stesso tufo anche a Girgenti, dove forma l’altipiano su cui è costruita la moderna città e si estende fino al mare nella regione già occupata dalkantica Agrigento. E per questo fatto che il calcare in parola venne chiamato da diversi geologi col nome di calcare di Girgenti. II tufo come le sovrapposte sabbie presenta una continuità marcata, ed ha una tendenza generale a pendere verso il Sud, obbedendo in tal guisa alla legge generale della formazione terziaria di Sicilia a Sud delle Madonie. Ecco alcuni dei fossili che sono più frequenti nel tufo calcareo Pecten varius Lk. Vola lacobaea LL — 12 Pecten aduncus var. Eich. P. flexuosus Poli P. duMus Br. P ectiinculiis pilosus Lk. P. insuòricus Br. Venus verrucosa Lk. F. fasciata Br. Lucina ^p. Cypricardia lithophagella Lk. Purpura haemastoma Lk. Troclms patidus Br. Marne azzurre. — Sotto questa formazione si sviluppa quella este- sissima delle marne azzurre ; il colore azzurrognolo di queste marne non ne è però un carattere distintivo, poiché esso si riscontra quasi sempre nei tagli recenti fatti a qualche profondità nelle marne inferiori alla formazione solfifera. I caratteri propri di queste marne sono la loro ricchezza relativa di fossili e l’assenza di gesso e sabbia. Tra questi fossili sono frequen- tissimi : Pecten flexuosus Poli Venus muìtilanieìla Lk. Lutraria ohldnga Chmn. Tellina sp. Natica haelicina Br. N millepunctata Lk. Dentalium elepìiantinum Lk. B. sexayigulum Lk. Coì'òuìa gihha Olivi Turritella suhangulata Br. Nassa semistriata Metula mitraeformis Br. Pleuronectia cristata Br. Trochus sp. Murex sp. Chenopus pespelecani Lk. Schyzaster Scillae Ag. Schyzaster sp. ^ ^ Avvertiamo che la massima parte di questi fossili sono stati determinati nel museo della R. Università di Bologna dal Doti, Foresti per incarico del Prof. Comtn. G. Capellini. La concordanza di stratificazione, che esiste fra i tre membri de- scritti, è dimostrata da un grandissimo numero di sezioni naturali, tra le quali riportiamo solo le seguenti. ^ Sezione I. Passante per la Solfara a Capodarso i^resso Caltanissetta. Solfara Giordano 40“ S. E. M® Capodarso (480“] Strada per Piazza Fiume Moi —— 200 s. 35“ E. Sezione II. Per Maiorchi Soprano e Parinotto a E. di Mirabella Cimitero di Mirabella Maiorchi Finalmente notiamo che in alcune parti della regione solfifera, per esempio nei dintorni di Grammichele, si trovano in contatto delle roc- cie plioceniche dei basalti della stessa epoca. * Nelle sezioni i vari terreni sono stati rappresentati nel seguente modo : — 0, alluvioni — 1, Sabbie gialle, 2, Tufo calcareo, 3, Marne azzurre, 4, Trubi, 5, Gessi, 6, Strati solfiferi, 7, Calcare siliceo e calcare solfifero privo di zolfo, 8, Tripoli, 9, Calcare corallifero, 10, Arenarie e sabbie, 11, Conglomerati, 12, Marne sabbiose sa late, 13, Calcari marnosi a fucoidi e calcari nummulitici, 14, Argille scagliose va- riegate. La scala delle sezioni è di 1/25000 tanto per le lunghezze che per le altezze. — 11 — Miocene. Zona gessoso-solfifera. Truhi 0 calcare marnoso con foramlniferi. — I trubi formano la separazione fra il pliocene e la serie solfifera e benché essi siano di formazione indubbiamente marina ci sembrano da collegarsi con que- st’ ultima per le ragioni che in seguito esporremo. I trubi sono di composizione variabilissima, potendo essi passare dalla argilla quasi pura a un calcare vero e proprio. Contengono so- vente dei noduli di pirite di ferro. Quando la proporzione d’argilla non eccede il 15 per cento essi forniscono un ottimo materiale per calce idrau- lica; ne fanno fede le murature con esso eseguite nella galleria di Cal- tanissetta, dove si ebbe a combattere con grande affluenza d’acqua, e dove la calce idraulica ottenuta dal trubo fece ottima prova. È spesso difficile riconoscere a prima vista il senso di stratifica- zione di questa roccia, giacché oltre al piano di stratificazione propria- mente detto, essa presenta altri due piani di fissilità e sfaldatura presso a poco perpendicolari tra loro. Tante sono le variazioni che il trubo offre nella sua composizione, altrettanti può dirsi essere gli aspetti che presenta in campagna. Tal- volta a mala pena si giunge a distinguerlo da una marna pliocenica (come a Porto Empedocle) e tal distinzione sarebbe forse impossibile senza i numerosi foraminiferi che lo caratterizzano. Anche la potenza degli strati è molto variabile, e in generale può dirsi che gli strati sono tanto più grossi quanto maggiore è la proporzione d’argilla contenuta nella roccia. Le regioni formate di trubo si riconoscono in generale per il colore bianco e per Laspetto arrotondato che hanno le collinette di questa roccia. Fra le ragioni che ci fanno apparire il trubo collegato alla forma- zione solfifera è di grande valore la perfetta concordanza di stratifica- zione che quasi sempre si osserva fra il trubo e il sottostante gesso. Per dimostrare tale concordanza adduciaino qui alcuni esempii. Sezione TU. Strati cuiìtnrti (li (jesHo e truho nel Cannatone a N. di Raccdmuto. U 15 — Sezione IV. Taglio naturale del Grande ad 0. di Pietraperzia, (500«») Sezione V. fra 3/® Saorni e Bombare a S. di Butera M® Saorni M® Bombare (282™) 65° E 20° N. 15° N. 20 E. Sez. Ili, rappresenta un taglio naturale osservabile al Monte Canna- tone presso Racalmuto: vi si vedono i gessi molto ripiegati e contorti e i trubi che vi stanno sopra ne seguono fedelmente tutte le inflessioni. Sez. IV, mostra la sezione naturale del Monte Grande ad ovest di Pietraperzia ; anche qui i trubi offrono le stesse contorsioni e ripiegamenti del gesso sottostante. Sez. V, è una sezione da Butera al Monte Saorni : oltre la concordanza del trubo col terreno solfifero essa mostra una grande discordanza fra il trubo stesso e il pliocene. 11 trubo e sottoposto calcare siliceo hanno un’inclinazione di 65° E. 20® N., mentre il pliocene pende di soli 15® N. 20 E. Gli esempi di questa perfetta concordanza del trubo col terreno sol- tiferò sottostante e della discordanza col pliocene sono assai numerosi. Inoltre si osservi che nella massima parte dei casi lo zolfo è ac- compagnato dal trubo, e ne fanno prova quasi tutti i grandi giacimenti solfiferi di Sicilia come l’Iuncio, la Pernice di Eacalmuto, Sommatine, Fioristella, Grottacalda, Favara ecc. mentre non sempre la presenza del — 16 — pliocene implica quella del trubo. Così nella estesa zona pliocenica di Piazza Armerina il trubo non compare mai sotto le marne plioce- niche. ^ Argille delVepoca dei tnibi. — In varie regioni della zona solfifera s’incontra una formazione di argille marnose con strati di trubo inter- calati, oppure interposte fra il trubo e il gesso. La regione deH’Iuncio presso Caltanissetta ne offre un esempio im- portante; ivi le argille contenenti i trubi intercalati si continuano dal Monte Gessolungo fino al Monte Capodarso e possiedono tutti i carat- teri delle argille eoceniche, contenendo molti blocchi sparsi di calcari eocenici di varia natura. Il prof. Mottura nella sua rriemoria attribuisce l’origine di questa formazione a frane che hanno invaso il fondo di mare in cui si depo- nevauo i trubi. La stessa formazione è pure assai sviluppata fra la città di Naro ed il Monte Pernice ed è compresa fra i gessi di questo e i trubi che formano una corona di collinette alle falde del Monte di Naro. > A queste argille dell’epoca dei trubi ne abbiamo riferite alcune che frequentemente cuoprono il gesso o il calcare siliceo e che non presen- tano alcun carattere particolare per assegnarle all’epoca pliocenica. Serie solfifera. — È costituita dagli elementi seguenti: Gesso ed argille bituminose dette tufi, calcare solfifero e briscal e, calcare siliceo concrezionato. Gesso. — E la roccia più comune e caratteristica della formazione solfifera; si presenta sotto svariatissimi aspetti e con potenza variabile da pochi centimetri a più di cento metri. E raro incontrare i gessi in stratificazione regolare e tranquilla, vi predominano invece gli strati ondulati, sconvolti, piegati e rotti in tutti i sensi. Il prof. Mottura descrive nelle sue memorie le varietà di struttura presentate dal gesso; noi ne richiamiamo qui solo le principali. S’incontrano gessi 1” a grossi e larghi cristalli, a ferro di lancia; 2° a piccoli cristalli intrecciati gli uni agli altri, in modo da avere la disposizione detta dai Erancesi en pied d' alouette ; 3" subcristallini e saccaroidi, nel qual caso son detti dai minatori Siciliani marmurigno ; 4“ a grandi lastre sottili, balatini; 5“ compatti ed amorfi; 6” di compo- * Xel Museo di Palermo esiste im'Osfj'ea cochlear rinvenuta nei trubi, e di questa stessa specie se ne sono ritrovate anche nei tufi che accompag-nano lo zolfo alla miniera Montelunr/o presso la stazione di Campofranco ; dobbiamo alla gentilezza del professore G. Capellini la determinazione di numerosi esemplari della stessa specie raccolti nei trubi addossati ai calcari solfiferi di Monte Torre fra Barrafranca e Piazza Armerina. 17 sizione mista e contenenti notevole quantità di carbonato di calcio : for- mano allora una roccia a strati grossi da 20 a 30 centimetri, di struttura uniforme, come a Glaristoppa presso la stazione di Xirbi; 7“ terrosi e associati a sabbia, sviluppatissimi da Nicosia ad Alimena. Il gesso ricuopre in generale gli strati solfiferi, ma talvolta ne forma anche il muro in modo che essi vi restano intercalati: strati di gesso di notevole potenza, sottostanti al minerale solfìfero si osservano alle miniere di Comitini, Cozzo di Disi e Montelungo presso la stazione di Campofranco, a Gallitano e Eocca di Messana presso Sommatino e in varie altre solfare. In ogni caso però, sieno essi sovrapposti o sottostanti allo zolfo, i gessi sono quasi interamente privi di fossili; il Professor Mottura ha trovato qualche fossile nei gessi presso S. Caterina; a noi, mal- grado accurate ricerche, non fu dato finora incontmrne. I gessi sono talvolta alternanti, ma più spesso sovrapposti a banchi di argille bituminose, dette tufi dai minatori siciliani. In questi tufi a Buonpensiero presso Montedoro e in altre località s’incontrano degli ammassi di solfato di sodio: a Buonpensiero il solfato si presenta in vene di poca potenza sparse irregolarmente nelle argille e associato a vene di gesso. Non fu possibile segnare sempre sulla carta geologica queste due roccie con colori differenti, tanto più che i tufi ben di rado si presen- tano in strati, ma piuttosto in ammassi lenticolari non aventi alcuna re- golarità. Queste argille bituminose e il gesso formano in qualche caso la ganga del minerale solfifero. Arenazzólo. — Prende questo nome un deposito che non raggiunge mai una grande potenza, costituito di sabbie micacee e gessose sciolte 0 debolmente cementate: esso sta alla parte superiore dei giacimenti solfiferi oppure vi forma delle separazioni fra strato e strato, dette medi 0 partimenti. In casi eccezionali, come alla solfara Muculufa, fra Campobello e Licata, si osservano banchi di arenazzolo della potenza di 30 e più metri. Calcare perciuliato. — E così chiamato un calcare della epoca sol- fifera privo di zolfo, il quale forma talvolta gli affioramenti dei banchi solfiferi : esso è bianco a struttura compatta e uniforme, molto bitumi- noso e presenta numerosi vuoti disposti per lo più con una certa rego- larità, i quali dovrebbero essere riempiti dallo zolfo. Il calcare liato ossia bucherellato si considera come un indizio favorévole della presenza di un giacimento solfifero. 18 — Spesso esso possiede tutti i caratteri esterni del calcare siliceo e in tal caso è ben difficile distinguerlo da questo, a meno che, come a Rocca di Messana, presso Sommatino e in altre località, non lo si veda posare direttamente sul gesso, al contrario del calcare siliceo che gli è sempre sottoposto. Briscale. — È questo il più sicuro indizio della presenza del mi- nerale di zolfo e non è altro che il prodotto della trasformazione del minerale stesso avvenuta in presenza degli agenti atmosferici. Esso è analogo al così detto cappello di ferro di certi filoni metallici e come questo non si estende molto seguendo lo strato in profondità. Lo zolfo contenuto nel minerale agli affioramenti, in presenza de- gli agenti atmosferici subisce una lenta ossidazione e si trasforma poco a poco in acido solforico ; agisce allora sul carbonato di calcio della ma- trice e lo trasforma in un solfato di calcio idrato di struttura gra- nellosa e disgregata, di colore generalmente bianco-giallastro, che è appunto il hr (Scale. Una trasformazione del tutto simile si verifica nel minerale a ganga calcarea, estratto in buona condizione dalla miniera e lasciato per qualche tempo alle intemperie; esso diviene, come dicono i minatori, ìmbriscaìato. E dalla qualità, dairestensione e potenza degli affioramenti del bri- scale che si può nel maggior numero di casi dedurre l’ importanza di un giacimento solfifero. Un briscale bianco a struttura unita, granellosa, senza gesso in cristalli, nè calcare, dà indizio di uno strato ricco di zolfo, tanto più se in esso si osservano ancora parti di zolfo non trasformato. Se invece il briscale contiene cristalli di gesso, o se è aspiro., cioè ha ancora delle parti di calcare inattaccato, ciò indica che lo strato sarà povero. Può accadere che lo strato solfifero, essendo rimasto in gran parte scoperto, siasi quasi tutto convertito in briscale e non resti zolfo che nella parte più difesa dal contatto dell’aria. Un esempio di questo fatto è fornito dalla solfara Castelli presso Casteltermini. Gran parte del ver- sante sud-est di una collina vi è formato di briscale avente una potenza media di 2 metri che passa gradatamente a minerale sano; però la parte utilmente escavabile ha 2 soli metri di potenza. ^ Minerale di zolfo. — Gli strati di minerale solfifero presentano ^ Iq questa miniera si credette che con una galleria traversa secondo la potenza si potesse incontrare un altro strato solfifero; invece dopo traversati circa 100 metri di gesso sottoposto al primo strato si è giunti al tripoli senza trovare più zolfo. 19 — grandi sconvolgimenti e irregolarità non sempre indicate alla superfi- cie dalle accidentalità del gesso e dei trubi sovrastanti. Dall’esterno sono indicate varie ondulazioni e piegamenti degli strati, e alcuni rigetti di maggiore entità: le irregolarità mai indicate alla superficie sono quelle inerenti alla natura dello strato, come i fre- quentissimi cambiamenti di potenza, di struttura e di ricchezza, il pre- dominio di certe roccie come matrice ecc. Sovente invece di un vero strato non si ba che una serie di lenti o ammassi più o meno grandi e regolari di minerale, intercalati sia nel gesso, sia nel calcare, ma più spesso nel tufo. Sono numerosi i casi in cui i banchi solfiferi ragguar- devoli per potenza e per ricchezza vanno a mano a mano restringendosi 0 cessano bruscamente. Altre volte invece lo strato si va gradatamente impoverendo: quando la matrice calcarea diviene sempre più predomi- nante si dice che lo strato s incalcara. Talvolta dei rigetti di una certa importanza fanno scomparire bru- scamente lo strato deviandolo in alto o in basso dalla primitiva posi- zione. Esempi di biglie si hanno tra le solfare Uccello e Grande a Gai- lizzi, fra il Monte Cannattone e il Monte Pernice a Uacalmuto, fra le solfare S. Giovannello e Montelungo a Casteltermini, alla solfara Zubi presso S. Cataldo ecc. GIP strati solfiferi possiedono tutte le inclinazioni possibili dalForiz- zontale alla verticale, ma è regola riconosciuta dalla pratica dei mina- tori che essi si gettano quasi sempre dalla parte del mezzogiorno, se- guendo così la inclinazione geiierale dei terreni terziari. Vari esempi delle alternanze di strati, che hanno luogo nelle zol- fare sono mostrati dalle sezioni accompagnanti la carta geologica. Il minerale può essere a ganga calcarea, argillosa e gessosa: quando la ganga è calcarea e il minerale consta di stratèrelli alternati di zolfo e di calcare si ha la così detta struttura soriata. Nelle solfare presso Kacalmuto si è trovato del minerale a ganga silicea: questo fatto unito a quello della presenza dell’aragonite sta ad indicare che la deposi- zione dello zolfo ebbe luogo in acque ad alta temperatura. Gli strati offrono qualche volta delle accumulazioni irregolari di zolfo puro e in tal caso non è raro osservarvi delle geodi (garbère) con- tenenti dei cristalli di zolfo: si trovano stupendi cristalli di zolfo a Ci micia e a Briccicò presso Kacalmuto, a Cozzo di Disi presso la sta- zione di Campofranco, a Cianciana ecc. Minerali acccssorii, — Accompagnano spesso lo zolfo nei suoi gia- cimenti dei gruppi di cristalli di solfato di stronzio, di aragonite, di — 20 — calcite, di gesso : più raro è il quarzo e l’opale la quale assume una forma s talatti tica e presenta un colore bruno. Spesso il carbonato di calcio forma delle belle stalattiti cbe acqui- stano un aspetto brillantissimo quando vi sono incrostati sopra dei cri- stallini di zolfo, il solfato di stronzio, sì in cristalli completi cbe a cristallizzazione confusa è uno dei minerali più caratteristici associati allo zolfo ; il solfato di bario è assai più raro del precedente e si pre- senta in finissimi cristalli tabulari. Il minerale a matrice argillosa è quasi sempre bituminoso: un bello esempio della presenza dei carburi di idrogeno nel minerale si ha alla miniera Giona presso Racalmuto, dove si scava una qualità di zolfo a matrice di puro bitume. Nelle pareti delle miniere esposte da qualche tempo all’azione della atmosfera si formano spesso delle incrostazioni generalmente di solfati complessi, in cui il magnesio predomina. L’ing. Conti, del Corpo delle miniere, ha trovato alla miniera di Salvatorello presso Castro gio vanni un solfato di magnesio ed alluminio, cristallizzato in finissimi filamenti sericei, che molto probabilmente è della Picher ingite. Calcare siliceo concrezionato. — Questo calcare di aspetto caratte- ristico sì per la sua struttura, che per la forma che dà al terreno in cui si presenta accompagna sempre, meno rarissimi casi, i giacimenti solfiferi. E completamente analogo al cagnino delle solfare di Romagna ; la struttura non ne è omogenea, poiché oltre al contenere noduli di si- lice sparsi qua e là nella sua massa, esso è talvolta duro e compatto, talvolta friabilissimo, quasi farinoso e molto facilmente alterabile sotto l’azione degli agenti atmosferici. La presenza del calcare siliceo non implica sempre quella del minerale di zolfo; esso calcare è frequentis- simo in tutta la zona solfifera e vi forma delle creste di colline allun- gate tagliate quasi sempre a picco dalla parte più alta degli strati. Questa roccia, benché di grande durezza, é dotata di poca tenacità e vi sono frequenti rotture e dislocazioni di ogni genere. Se si considera che oltre alle suesposte condizioni di poca omogeneità di composizione e stratificazione e di poca tenacità gli strati di questa roccia posano spesso direttamente su una base di argille franose o ne sono separati soltanto dai tripoli, non deve maravigliare l’aspetto sconvolto e frasta- gliato che assume il terreno dove abbonda il calcare siliceo; non man- cano località dove sembra proprio che i massi di detto calcare sieno stati sparpagliati e disseminati sulle sottostanti argille; tali sono, per esempio, le vicinanze di Campobello. Frane estesissime in superficie, benché poco profonde si formano quasi sempre dietro le creste di cal- — 21 — care, e per Tefietto della denudazione si vedono grandi distese di massi di quella roccia rotolati e trasportati a grandi distanze dal punto di partenza. In certi casi la potenza del calcare siliceo raggiunge più di 50 me- tri, in altri invece lo spessore è piccolo, ma lo sviluppo in estensione è considerevole. Fra la Portella di Eecattivo sulla strada nazionale fra S. Caterina e Palermo e la regione Scala ad ovest di Marianopoli si estende una cresta di calcare siliceo, non interrotta per più di 15 chi- lometri: la potenza degli strati di rado vi supera i 30 metri. Intercalati col calcare siliceo si trovano talvolta straterelli di marna od anche di arenaria a cemento calcareo, molto friabile: se ne ha un esempio nella costa ad ovest di Licata. Nella parte superiore degli strati fra questi e il minerale solfifero stanno in generale degli straterelli di calcare marnoso detto agliara: è da osservarsi che si dà questo nome anche ad altri strati di marne indurite che sostituiscono i tripoli in al- cune località. Decomponendosi per l’azione delle intemperie e mischiandosi colle sottostanti marne od arenarie questo calcare fornisce una terra leg- giera propria specialmente alla coltivazione delle vigne e degli alberi fruttiferi. Sarmatiano e Tortoniano. Tripoli. — Al modo stesso che i trubi formano il confine della for- mazione solfifera dalla parte superiore, i tripoli la delimitano comple- tamente in basso e sotto di essi lo zolfo non si presenta più. I tripoli sono essenzialmente composti di avanzi organici silicei di Eadiolarie, Diatomee, Spongiarie, ecc., ma sempre contengono una sufficiente pro- porzione di calcare per dare sotto la azione degli acidi un’effervescenza viva ma poco durevole. Per dare un’idea della composizione dei tripoli, che è molto variabile, riportiamo qui le analisi eseguite dal prof. Mot- tura (I) sui tripoli di Caltanissetta, dal Frémy (II) su quelli di Licata, dallo Schwager (III) su quelli di Grotte : I. II. III. Silice 68,6 30,98 68,58 Allumina Ossido di ferro 1 3,6 i 17,54 1 0,33 11,51 1,84 Calce Magnesia • ■ • • [ 12,1 38,09 1 8,49 0,41 Acqua e materie organiche Anidride carbonica •••• 1 15,2 13,06 1 11,26 7,12 09,5 100,00 99,21 — 22 — Oltre gli avanzi microscopici di cui sopra i tripoli sono ricchi di pesci, libellule e vegetali fossili. I signori Fischer, Ehremberg, Sauvage, Stohr ecc. si sono occupati dello studio della fauna dei tripoli, ed il Sauvage descrisse cinquantatrè specie di pesci marini e dieci di pesci d’acqua dolce trovati nei tripoli di Licata. E possibile che i pesci di acqua dolce vi sieno stati trasportati dai fiumi, giacché la presenza dei numerosi- pesci marini e quella delle Kadiolarie e dei Foraminiferi non lasciano dubbio sulla origine marina dei tripoli: si aggiunga inoltre che in certe località, per esempio, sulla costa ad ovest di Licata si trovano intercalati nei tripoli banchi di marna contenenti conchiglie indubbia- mente marine. Nelle argille bituminose associate ai tripoli presso Grotte lo Stohr ha trovati numerosi Foraminiferi ; le specie più rappresentate sono le Noclosaria, Cristallaria, Globigerina, mentre vi mancano le Am- phistegina, Heterostegina, Polystomella. Questi studi e gli argomenti addotti dall’autore in parola portano a considerare i tripoli come rife- ribili al sarmatiano. Riguardo a queste argille bituminose di Grotte è però da osser- varsi che esse stanno in un piano inferiore a quello del calcare siliceo e sono quindi più antiche del tufo intercalato col gesso, che come si vide forma spesso la ganga del minerale di zolfo. 11 tufo situato fra il tripoli e il minerale si osserva bene sviluppato alla miniera Gibelina sulla strada da Racalmuto a Montedoro. Il tripoli ha generalmente una struttura listata e fogliettata; le impronte di pesci, insetti, vi si trovano sfaldandone gli straterelli. Vi sono intercalati strati di marne simili ai trubi e più spesso sottili stra- terelli di calcare magnesiaco grigiastro molto compatto e pesante. Riguardo alla potenza dei tripoli si osserva che d’ ordinario essa non raggiunge che pochi metri, ma in alcuni casi si hanno degli spes- sori veramente notevoli. Sotto il paese di Racalmuto, discendendo nel vallone che separa questo paese dalle zolfare della Pernice, si passa sulle testate di un banco di tripoli avente più di 60 metri di potenza: notevoli potenze di tripoli si hanno pure nelle vicinanze di Caltanissetta alla regione dell’Iuncio, nei dintorni di Yillarosa, al Cozzo Ragusetto presso Palma, in Contrada Cipolla fra Naro e Licata ecc. Quanto all’età geologica della serie solfifera le ultime ricerche pa- leontologiche hanno fatto riferire la formazione dei gessi lacustri dei terreni solfiferi alla zona a congerie corrispondente alla seconda suddi- visione del Messiniano di Mayer. A questo piano dovrebbe riunirsi il calcare siliceo inferiore al minerale di zolfo e i tufi sottoposti ai gessi che spesso contengono zolfo. I trubi sovrapposti alla formazione solfi- 23 fera rappresenterebbero la parte più elevata del Messiniano mentre i tripoli e le associate argille bituminose starebbero a rappresentare il sarmatiano. Al di sotto degli strati di tripoli succede una vastissima forma- zione di considerevole potenza costituita da marne argillose e sabbio- se. sabbie, arenarie e conglomerati più o meno cementati. È questa la continuazione della serie miocenica , che contiene come materia utile il salgemma. Questa formazione si allontana spesso per la sua stratificazione da quella dei sovrapposti tripoli: tale è, per esempio, il caso degli strati di argille sabbiose e sabbie con un banco di sale in- tercalato che si osservano nella galleria della solfara Giona presso Ra- calmuto. Infatti questa galleria traversa circa 70 metri di arenarie e marne mioceniche inclinate di 35° verso nord, quindi un banco irrego- lare di sale avente la potenza media di 2 metri ed entra in seguito al di là dei tripoli in una potente zona di gessi di varia struttura per arrivare dopo più di 300 metri allo strato solfifero quasi verticale di- retto S. 85“0 — N. 85° E : si vede quindi che qui la discordanza è quasi completa. Come si disse più sopra, la formazione bonsta essenzialmente di argille marnose con forarainiferi e più raramente con fossili ben con- servati, le quali o hanno straterelli di sabbia intercalati o ne conten- gono notevole quantità nella loro composizione: occasionalmente le sab- bie prendono un grande sviluppo e costituiscono potenti ed estesi ban- chi intercalati, sovrastanti o sottostanti alle argille; altre volte invece di sabbie si hanno vere puddinghe più o meno cementate ad elementi di svariata grossezza, che pure acquistano un’importanza considerevole. Calcare corallifero. — Nella regione del Landre sulla strada da S. Caterina a Palermo si incontrano dei monti di forma arrotondata e pianeggiante alla cima, o dirupati (Monte Mususino ecc.) costituiti di un calcare quasi interamente formato di coralli: la potenza di questo calcare è di circa 60 metri, e lo si vede posare sugli strati delle sab- bie e arenarie e formarvi delle alternanze. La posizione di questo cal- care è indicata dalle sezioni seguenti. Sezione VI. passante per il Cozzo Terravecchia presso Caterina. Barbara (880"“) Térravecchia (962"") — 24 — m 300 m. sul livello del mare. — 25 — Nella successione di queste diverse roccie non ci fu possibile scuo- prire una regolarità che indicasse il loro ordine di deposizione, anzi è ormai certo che una qualunque di esse può occupare nella ’ serie una posizione qualsiasi. "Infatti mentre vediamo degli strati di sabbie e con- glomerati formare la base della serie miocenica nella regione Turolifì a nord di Caltanissetta, poggiando essi direttamente sulle argille eoce- niche ed essendo qua e là coperti dalle argille intercalate con sabbie, si osserva il fatto inverso nella regione dei monti Mimiano, Castellac- cio ecc. presso Marianopoli; qui invece un potente strato di arenaria e sabbia occupa la parte più alta della serie posando sulle argille sab- biose compatte con foraminiferi e altri fossili {Bulla elongata^ Echinidi, Pinne ecc.) ed è direttamente sottoposto al calcare siliceo che forma la lunga cresta estendentesi dalla Portella di Pecattivo fino alla Eegione Scala. I fossili rinvenuti in varie parti di questa formazione, come appunto nella regione del Monte Castellacelo, nella valle del Bilici, presso il paese di Vallelunga ecc. benché non tutti in buono stato di conserva- zione, in parte esaminati dal prof. Gemmellaro, sono stati trovati tali da far riferire tutta questa formazione al miocene superiore e precisamente al piano Tortoniano. Fra questi i meglio conservati sono: Bulla elongata. Nassa pseudoclatìirata Mich. Nassa semistriata Br. Nassa limata Chemn. Nassa senilis Boderlein Mitra ehenus Lk. Pisania exculpta Duj ardili Solenomia sp. Venus sp. Diamo ora un’idea della differente struttura e composizione di que- ste roccie. Argille salate con o senza straterelli di sabbia. — Nei tagli recenti, quando non hanno ancora subite le influenze atmosferiche, presentano un colore grigio-azzurrognolo più cupo di quello delle marne plioceni- che, ed una grande apparenza di compattezza e solidità, apparenza ben di rado giustificata dai fatti; quando contengono straterelli di sabbia intercalati, che fanno penetrare l’acqua nell’interno della loro massa ca- - 20 gionaiido il loro stemperamento e sfacelo con somma rapidità, sono il terreno meno propizio che possa immaginarsi per le costruzioni stra- dali di qualunque genere. Molte delle ferrovie di Sicilia furono trac- ciate in questo terreno, talvolta perchè non se ne poteva fare a meno, spesso per non averne ben conosciuta la perfida natura: è troppo cono- sciuta la storia delle frane di Fiaccati, Altavilla, Fortolese eoe. perchè ne dobbiamo ora tenere parola. Anche quando vi mancano straterelli di sabbia ben determinati, ' queste argille contengono sempre una certa quantità di quella sostanza uniformemente disseminata nella massa: è singolare la rapidità con la quale in contatto deH’acqua si stemperano e si disfanno anche quando la loro esterna compattezza farebbe presagire una migliore riuscita. Questi caratteri franosi diventano poi molto più spiccati quando le ar- gille sono molto salate, come spesso se ne presenta il caso. Le sabbie intercalate a straterelli in queste argille o disseminate in esse sono sempre di color bruno, a grana fina e molto micacee. Queste argille sono ricche di gesso disseminatovi in cristalli lenti- colari e talvolta di ossido di ferro in straterelli o in arnioni piriformi, come fra But(ira e Terranova. Sulfjenima. — 1 depositi di salgemma stanno racchiusi in queste ar- «rille. talvolta in forma di enormi ammassi di cui non si conosce fin O ' ^ qui nè la potenza nè restensione, come a Eacalmuto, tal altra in masse lenticolari di })iù limitate dimensioni, come a Trabona presso Caltanis- setta. In quest’ ultima località le lenti di sale sono inviluppate quasi se-mpre da una crost^, di argilla ocracea e gessosa, che vien detta hri- scalc del sale, e che guida i ricercatori nella scoperta di questa sostanza. In certe saline al cloruro di sodio è associata la Carnallite di un bel color rosso chiaro ma in pìccola quantità. La presenza del sale nelle viscere della terra si manifesta per le trasudazioni di acqua carica di quella sostanza, che evaporando alla su- perficie del terreno vi lascia delle incrostazioni bianche visibili a gran distanza e dette occhi di sale. Nelle regioni in cui il sale è presente i ruscelli e torrenti hanno le acque molto salate e affatto inette agli usi domestici: sono ad acque salate i fiumi Salso, Salito, Limerà meridio- nale e molti altri. Queste argille contengono in certe località intercalati straterelli di scisti bituminosi e petroleiferi che vennero utilizzati come combustibile: se ne tentò anche, ma con poco frutto, la distillazione. Strati di questa natura, si rinvengono, per esempio, nelle vicinanze di Caltanissetta al vallone Bussitti, nelle vicinanze di Eaffadali ecc. — 27 Oltre agli scisti bituminosi in queste argille è contenuta la Riidda 0 terra saponaria, adoperata da molti in luogo di sapone. in generale, nelle stesse argille sono in attività le maccalube; que- ste manifestazioni vulcaniche sono costituite da sviluppo di gaz, special- mente acido carbonico e idrogeno protocarburato, che nel passaggio attra- verso il suolo trascinano con se fango spesso carico di sale e di carburi d’idrogeno e pezzi di roccie sottostanti. Intorno alle maccalube^ come a Caltanissetta e a Girgenti si trovano sparsi numerosi detriti rimescolati di calcari specialmente eocenici, il che sta ad indicare: 1. che l’attività delle maccalube doveva per il passato essere più forte che attualmente; 2. che l’origine di queste manifestazioni risiede certo in terreni inferiori ai terziari. Finalmente in alcune località, per esempio alla Madonna dell’Olio presso Buonpietro nel contatto fra i conglomerati e le argille prece- denti si ha una sorgente di acqua carica di materie bituminose e pe- trolio. Si hanno maccaìube a Terra Filata presso Caltanissetta, presso la stazione di Xirbi, presso Valguarnera dietro la zolfara Pecoraro-Flori- stella, fra Aragona e Girgenti, e presso Villarosa. Fra le maccalube deve annoverarsi anche la oramai celebre Sali- nella di Paterno, che ebbe una fortissima attività durante l’ultima eru- zione dell’Etna. Sabbie ed arenarie. — Dalle sabbie intercalate a straterelli nelle argille si passa a veri strati di varia potenza di sabbie a grana più grossa, più o meno terrose e più o meno solidamente cementate. In uno stesso strato si può passare dall’argilla più compatta all’argilla inter- calata con sabbia ed all’arenaria. Alcune di queste sabbie ed arenarie contengono una certa quantità di gesso. Di arenarie se ne distinguono numerose varietà: fra queste ricor- deremo quelle bianche a finissima grana, quasi sempre molto friabili, le arenarie a grana più grossa e a cemento calcareo, quelle colorate in verde dalla clorite, quelle a grana grossolana, a cemento gessoso e con vene di gesso cristallizzato o tabulare. Altrove gli elementi son costi- tuiti da grani di quarzo bianco arrotondati e di uniforme grossezza. Come accidentalità di queste arenarie noteremo che nella Eegione Mortomocciaro a N.O. di Caltanissetta si ha una lunga collinetta for- mata di questa roccia in cui, nel mezzo di uno strato potente parecchi metri, si osserva una vena di circa l'",50 di larghezza di quarzite duris- sima che passa gradatamente alla arenaria comune. Nella stessa lo- calità si vede intercalato ai banchi di arenaria uno strato di tufo — 28 — calcareo fossilifero composto di detriti di fossili miocenici. Il passaggio delle arenarie a quarziti si osserva anche presso Villarosa. Estese zone di sabbie ed arenarie mioceniche s’incontrano nelle vi- cinanze di Caltanissetta e particolarmente alla regione Turofili (V. se- zione 8), a Eortolese, a S. Caterina, a Villarosa eco. Nella regione Tu- rofili si ha un bell’esempio del passaggio di queste sabbie ed arenarie alle puddinghe : ivi gli strati d’arenaria, andando da N. 0. a S. E. verso rimerà, passano grado a grado a puddinghe ben caratterizzate, osser- vabili appunto nei tagli naturali del letto dell’Imera di faccia a Eor- tolese. Una particolarità che distingue tutte queste arenarie mioceniche da altre appartenenti all’ eocene è che in esse non si incontrano mai vene e cristallizzazioni di spato calcare, mentre queste abbondano nelle seconde e ne formano anzi un carattere litologico distintivo. Conglomerati. — La strada rotabile da Caltanissetta a S. Caterina, oltrepassata la stazione di Xirbi costeggia a ovest delle colline di gessi per lo più alabastrini: al di là di questa catena di collinette ne corre un’altra ad essa parallela formata dalle testate di grandi strati di con- glomerati a grossi ciottoli arrotondati, di roccie granitiche, anfiboli- che, ecc. Questi strati vanno ad immergersi sotto i gessi e si seguono benissimo per una lunghezza di circa 5 chilometri, e la località in pa- rola è una delle più interessanti per il loro studio. Sezione Vili. fra Far/aria e Turojili presso Villarosa M* Ficodindia Casa Fagaria (100^) Turofìli — 29 — 300 m. sul livello Jel mare. — ao — Infatti benché non vi si osservino tutte le varietà di conglomerati miocenici, mancandovi p. es. quella assai diffusa in altre parti di ciot- tolini di quarzo bianco cementati di calcare, e quella composta di ciottoli sciolti di arenarie, abbondante nella valle del Torto presso Vallelunga, pure vi si possono vedere le puddinghe a cemento calcareo durissimo, i conglomerati sciolti a matrice sabbiosa ed argillosa e infine il passaggio graduale di essi alle arenarie a grana fina. Nei citati dintorni di Vallelunga gli elementi del conglomerato non sono più di roccie cristalline, ma bensì in gran parte composti di are- narie eoceniche. Si ha un grande sviluppo di conglomerati di questo stesso genere presso Resuttano alla Balza di Getto, e lungo la vallata del Fiume Grande e dellTinera Meridionale. Miocene inferiore. Questa formazione che consta di argille molto scagliose e di arenarie fissili trovasi sviluppata a nord di Nicosia e nelle Madonie: ma nella zona da noi finora rilevata e percorsa non l’ abbiamo mai incontrata ben decisa. Solo in certe località, come a nord di Leonforte sulla strada per Nicosia e nei dintorni di Gagliano Castelferrato, si osservano delle argille di colore bruno-rossastro molto uniforme, che hanno un carattere eminentemente^ scaglioso e contengono in alternanza piccoli strati di are- narie nerastre dure e molto fissili. Questa formazione posa direttamente suiralberese, e benché non vi abbiamo trovati fossili, il suo carattere li- tologico ci fa credere che debba probabilmente rappresentare il miocene inferiore. Eocene. Calcare marnoso a fiicoidi e nummulitico. — L’eocene esordisce con una formazione di calcare marnoso bianco, disposto in strati di poco spessore, contenenti impronte di fucoidi: sono ad esso intercalati degli strati di un altro calcare gremito di enormi quantità di piccole nummuliti che raramente raggiungono il diametro di 5 a 6 millimetri. Sì il calcare a fucoidi (alberese) che l’associato nummulitico sono venati di spato cal- care che qualche volta si presenta informa di bellissimi cristalli. Insieme con questi calcari s’ incontrano pure degli straterelli di diaspri rosei, rossi, 0 neri, che raggiungono lo spessore di 5 a 10 cent, e che spesso conten- gono anche loro delle nummuliti ; in essi infine sono talvolta disseminati noduli di pirite di ferro, convertita in ossido per azione degli agenti at- — 31 — mosfe ri ci. Questi calcari spesso sono atti a dare buone calci idrauliche, ma, stante le vene di spato, che contengono, sono di difficile cottura nei forni ordinari. Alla base di questa formazione calcarea si cominciano a trovare strati alternati di argille marnose scagliose di colore generalmente rossastro, che divengono di più in più abbondanti discendendo, fino a passare de- finitivamente alla grande formazione delle argille marnose, scagliose e variegate contenenti esse pure gesso e ferro. Talvolta fra queste argille e i precedenti calcari se ne trova un altro bianco o grigio a frattura concoide, sempre venato di spato che come ì precedenti passa gradual- mente alle sottostanti argille. Argille scagliose variegate. — Queste argille sono in generale a grandi macchie irregolari rosse, azzurrognole, verdastre e cineree, ma per l’esposizione agli agenti atmosferici passano al color rosso bruno caratteristico della gran quantità di ferro in esse contenuto. Nei tagli recenti si presentano scagliose e talvolta in scheggio sottili quasi senza coerenza; contengono sempre ferro il quale spessissimo vi s’in- contra allo stato di carbonato incrostato d’ ossido, in grossi rognoni a forma di pera, costituiti di strati successivamente applicati lungo un asse. Oltre il ferro queste argille contengono gesso, che vi s’incontra spesso in cristalli prismatici o lenticolari. I calcari sovrastanti a queste argille si presentano sovente, pel ram- mollimento di queste, talmente rotti e sconvolti, che riesce impossibile di tracciare un limite di separazione fra le due formazioni: tale fatto si osserva, oltre che in molti altri luoghi, lungo la linea ferrata da For- tolese e Villarosa, dove nella valle d’erosione che ha denudato l’eocene si incontrano le argille variegate spesso affatto bianche per la gran quantità di detriti calcarei ad esse frammisti. Si deve al rammollimento di queste argille la parziale compene- trazione in esse dei sovrastanti calcari, i quali a prima vista si presen- tano come se ne spuntassero fuori : studiando però attentamente la posi- zione delle due roccie ed il regime delle acque provenienti dai calcari, si viene alla certezza della sovrapposizione del calcare all’argilla. — 32 ~ Sezione X. per il M*> Mnrcassita a S. di Villarosa. M® Marcassita (660™) Benché anche queste argille sieno di natura franosa, pure formano per quanto riguarda costruzioni stradali un terreno più solido che le argille mioceniche ; però se il gesso vi predomina, esse perdono la loro coerenza e in contatto coll’acqua passano facilmente allo stato di polti- glia che si spande come materia liquida. Arenarie silicee ferruginose. — Intercalati con queste argille s’ in- contrano strati di non grande spessore di arenarie durissime, costituite da grani silicei a cemento calcareo-ferruginoso. Benché dure e compatte, esse si spezzano facilmente in frammenti prismatici i quali in seguito ricuoprono per grandi estensioni le argille suddette. La posizione stratigrafica di queste arenarie é perfettamente visibile nel vallone Bovolo a nord di Resultano ; ivi un banco di circa 2‘" di potenza di queste arenarie si vede affiorare spuntando quasi vertical- mente fuori delle argille e formandovi un brusco risalto continuo per circa un chilometro. Oltre questo strato principale nella stessa regione si vedono intercalati alle argille straterelli minori della stessa arenaria e ammassi lenticolari di cinque e dieci centimetri di spessore di mine- rale di ferro. Nelle vicinanze di Caltanissetta presso Chiapparia esistono dei lembi di terreno costituiti da arenarie e calcari cloritici, contenenti nummuliti. La arenaria e il calcare sono traversati da vene di calcite che come nelle roccie precedentemente descritte qualche volta si concentra e si presenta in cristalli più o meno sviluppati. Queste due roccie offrono numerose traccie di fossili, disgraziatamente però in tale cattivo stato di conservazione da renderne impossibile la determinazione ; però vi si distinguono delle nummuliti, ed il loro confronto con altre di determinata posizione le fa rapportare all’ eocene medio. A tale orizzonte sembra che si dovrebbe pure riferire un calcare — 33 — concrezionato di color bianco, alcune volte alquanto terroso, altre volte a struttura brecciforme ec., che si incontra ai Pescazzi e a Chiapparia presso Caltanissetta, a San Benedetto presso la stazione delle Caldure e in altre località. Esso è pieno di avanzi di Orbituline, tra cui VOr- titulina complanata Lk: questi fossili convertiti in una materia bianca terrosa fanno sì che questo calcare prende in qualche punto una strut- tura quasi farinosa. Nel nostro lavoro di rilevamento non lo si è incontrato mai in grandi estensioni, invece lo si è trovato sempre in grossi blocchi sparsi in mezzo alle argille più recenti, in modo da farci supporre essere essi ^ sempre fuori di posto. Nei dintorni di Messina e di Termini Imerese la serie eocenica continua con altri terreni, ma nella zona solfifera propriamente detta noi non abbiamo incontrato che i membri suddetti. Con queste ultime roccie finisce (e qui giova ripeterlo, nella zona da noi rilevata) la serie terziaria; facilmente nella continuazione del lavoro ci incontreremo con altri membri di questa vasta formazione, che speriamo ci daranno un poco più di luce sulle relazioni stratigra- fiche esistenti fra le diverse parti dell’ eocene. Regime delle Acque. Le diverse roccie finora descritte si comportano molto differente- mente sotto l’azione delle pioggie : alcune, permeabili di loro natura e per la loro struttura come le sabbie, certe arenarie e conglomerati e certi calcari, se ne lasciano facilmente compenetrare e traversare, le conservano più o meno a lungo formando utilissimi serbatoi naturali 0 servono di veicolo alle acque per penetrare nelle viscere della terra. Così parallelamente alla circolazione superficiale dei ruscelli, tor- renti e fiumi se ne stabilisce un’altra sotterranea non meno importante a studiarsi e a conoscersi, specialmente nelle località ricche di miniere e dove si devono eseguire gallerie, trincee e altre opere d’arte per costruzioni stradali. È conosciuta la crisi attualmente traversata da gran parte delle zollare siciliane nelle quali dopo esaurite le parti più alte e superfi- ciali dei giacimenti si è giunti ora alle parti più profonde e si prova la necessità di grandiose opere di eduzione per liberarsi dalì’acqua affluente. — 34 — Esaminiamo per ordine come si comportano le diverse roccie sotto l’azione delle acque. Sabbie plioceniche. — Sono permeabilissime e danno acqua abbon- dante e di discreta qualità nel contatto colle sottostanti argille. Le fontane di Ziboli die forniscono attualmente l’acqua a Caltanissetta, quelle di Gerace e Gerracello die vi verranno fra breve condotte sgorgano fra le sabbie e le argille. Anche il territorio di Piazza Armerina, in cui abbondano le sabbie plioceniche, è ricco di sorgive d’acqua potabile. Siccome le sabbie formano il terreno più alto della serie terziaria siciliana, e i loro strati non lianno mai grande pendenza, le acque che vi si raccolgono sgorgano sempre alla superficie e non danno luogo a circolazione sotterranea profonda. Se le sabbie sono cementate, riescono assai meno acquifere. Tufo calcareo. — È meno permeabile alle acque e le lascia diffi- cilmente uscire quando ne è compenetrato, a causa delle piccole ma numerosissime cavità che presenta: malgrado ciò, non mancano esempi di belle sorgenti originate nei banchi di tufo, come quella di Pasquasia presso Capodarso. e quelle da cui si fornisce- d’acqua la città di Castro- giovanni. Le sottostanti marne azzurre sono assolutamente impenetrabili alle acque. Trabi. — Sono decisamente acquiferi solo nel caso in cui l’elemento calcareo predomina nella loro composizione : allora sono molto più fra- gili e fissili e offrono molti aditi alle acque di pioggia, lasciandole penetrare nell’ interno della loro massa. Quando vi predomina l’argilla, sono quasi impermeabili. Gessi. — Danno quasi sempre Tacqua al loro contatto coi tufi o con altre argille sottostanti. L’acqua proveniente dai gessi è sempre carica di solfato di calce, e spesso salata od amara, giacché non di rado stanno intercalati coi gessi straterelli di argille cariche di cloruro di sodio, solfato di magnesio, di sodio, e altri sali solubili. Giacimenti solfiferi. — Le acque che ne provengono sono frequen- temente cariche di acido solfidrico che si decompone in presenza del- l'aria lasciando precipitare lo zolfo, il che dà alle acque un’apparenza lattiginosa. L’odore caratteristico di queste acque solfidriche si sente a grande distanza ; esse sono chiamate in Sicilia acque mintene^ cioè pu- tride, e in certi casi servono di indizio per riconoscere la vicinanza dello zolfo. Calcare siliceo. — In grandi masse si presenta talmente, rotto e sconvolto che le acque vi penetrano in gran copia e vi sono ritenute — 35 — nelle numerose cavità che esso presenta : fornisce sorgenti copiose e di acqua abbastanza buona benché alquanto cruda. Un bell’ esempio di sorgente proveniente dal calcare siliceo si ba al Canalotto a sud di Marianopoli ; è degno di nota il fatto, che in vicinanza di questa abbondantissima sorgente ne sgorga un’ altra pure assai copiosa, proveniente da gessi, di acqua salata ed amara. Tripoli. — S’imbevono facilmente d’acqua, ma non sono atti a dare sorgenti. Argille sabbiose, sabbie, arenarie e eonglomerati del Tortoniano. — Senza parlare delle argille sabbiose che sono di loro natura attissime a inzupparsi d’acqua anche a notevoli profondità, ma che la ritengono senza dar luogo a sorgive, osserviamo che i grandi strati di sabbie, arena- rie e conglomerati di questa formazione agiscono come le sabbie e arena- rie plioceniche lasciandosi facilmente imbevere e traversare dalle acque. Solo siccome gli strati di queste roccie hanno in generale una forte inclinazione e vanno ad immergersi sotto gli strati più recenti, essi danno luogo ad una importantissima circolazione sotterranea, i cui ef- fetti si fecero sentire in molti lavori ferroviari in Sicilia : infatti a que- sta circolazione devono in gran parte attribuirsi le più importanti frane 0 l’affluenza d’acque, che resero tanto difficile la perforazione di certe gallerie (Fortolese ecc.). Quando gli strati d’arenarie e conglomerati suddetti sono quasi oriz- zontali e scoperti, al loro contatto colle sottostanti argille offrono sor- give numerose ed abbondanti. Tal fatto si osser.va, p. es., nei dintorni di Resuttano, nella Regione del Landre ecc. Anche i calcari coralliferi di questa formazione sono acquiferi. Alberese, caleare nummulitico. — Questi calcari pure al loro con- tatto colle argille scagliose variegate sottostanti danno acqua in abbon- danza : è anzi questo uno dei criterii, che ci ha mostrato più chiaramente la sovrapposizione dei calcari alle argille. Citiamo fra le sorgenti pro- venienti da questi calcari quelli del M. Marcassita presso Villarosa, di Chiapparia presso Caltanissetta, della Regione Tre Fontane presso Aragona, dei contrafforti del M. ludica, ecc. Argille seagliose variegate. — L’acqua le inzuppa facilmente alla superficie, ma al solito vi è ritenuta prigioniera: siccome queste ar- gille non contengono come le altre straterelli di sabbia intercalati, che vi conducono l’acqua all’interno, il loro inzuppamento non va in gene- rale molto al di là della superficie, quindi le frane nella più parte dei casi non vi hanno la importanza che assumono nelle argille mioceniche. Non mancano però esempi in cui le acque penetrando molto a fondo 3 — 36 — nelle argille per le numerose fessure, prodotte nei lunghi mesi di sic- cità, vi danno origine a frane considerevoli. In una regione dove le formazioni argillo-marnose occupano tanta parte del terreno, come la zona solfifera di Sicilia, è ristretto il numero delle località in cui sia possibile lo stabilirsi dei paesi e degli abi- tanti, poiché le argille di qualunque epoca non offrono una solida base alle costruzioni e nemmeno forniscono 1’ acqua occorrente per gii usi domestici e per T irrigazione. E per questo che non vi è alcun paese nella zona solfifera di Sicilia fabbricato esclusivamente sulle argille di qualsiasi genere e che si trova accentrata in pochi luoghi la popo- lazione agricola di vaste contrade. Kelazione fra la natura del terreno e la coltivazione. In quanto poi alla relazione fra la natura del terreno e la coltivazione, è da osservarsi che le argille marnose sono poco adatte alla vita degli alberi in genere : poiché oltre a non lasciare penetrare nel loro interno l’umidità necessaria, nei mesi di siccità estiva si fendono in tutti i sensi mettendo a nudo le radici delle piante. Vi prosperano però i cereali e certe leguminose più comuni, e dove vi si può avere un’irrigazione pe- renne non mancano ricchi agrumeti specialmente nelle argille plioce- niche ed eoceniche. 1 terreni sabbiosi di qualunque epoca e i tufi calcarei offrono agli alberi tutte le condizioni proprie al loro sviluppo, ed é in essi che s’ incon- trano le più belle piantagioni d’alberi fruttiferi, vigne, ecc. I trubi e i tripoli offrono un terreno molto favorevole per la vigna ; i ricchi vigneti di Eiesi p. es. sono sui trubi. Anche i calcari, specialmente il calcare siliceo, quando sono disgregati dall’azione dell’atmosfera, si prestano ot- timamente alla coltura degli alberi fruttiferi, del sommacco ecc. I din- torni di Aragona e di molti altri paesi sono ricchi di alberi fruttiferi piantati in terreno calcareo e nei trubi. L. Baldacci. Lod. Mazzetti. — 37 — IL La formazione gessosa del Vizzinese e del Licodiano {provincia d% Catania), — Nota d’IppoLiTO Capici. Nel dicembre del 1878 il professore Capellini facevami dono d’una sua Nota sulle marne glauconifere dei dintorni di Bologna, e qualche mese dopo, in seguito a mia domanda, con gentile sollecitudine spedi- vami una pregevolissima sua Memoria col titolo : Gli strati a Congerie e le marne compatte mioceniche dei dintorni d’ Ancona inserita negli Atti della Pi. Accademia dei Bincei. La lettura di questi due lavori m’ invogliò a scrivere la seguente Nota perchè fosse conosciuta in tutti i suoi particolari la formazione gessosa del Vizzinese e del Licodiano, e perchè potessero istituirsi i raffronti fra essa e quella d’altri luoghi già illustrati. Nel territorio di Vizzini, e più ancora in quello di Licodia-Eubea, la formazione gessosa e gli strati che le si associano assumono un con- siderevole sviluppo in estensione ed in potenza. Però la mancanza di profonde sezioni non permette di potere osservare in un sol luogo tutta la serie dei sedimenti sovraincombenti e sottostanti ai gessi cristallini ; quindi fa d’uopo dalle svariate osservazioni nelle diverse località rico- stituire il gruppo stratigrafico. Le marne calcaree biancastre contenenti in abbondanza P Osirea navicularis, ornata ancora di strisce paonazze, e sormontanti i gessi sono, segnatamente nel Vizzinese, le rocce più estese, più potenti e quelle che raggiungono le maggiori elevatezze, non solo fra i sedimenti che si collegano ai gessi cristallini, ma fra quelli ancora di data più antica e più recente. Presso M. Lauro s’innalzano ad oltre m. 700 sul livello del mare. Formano numerose serie di colline dalla cima tondeggiante, e di aspetto sterile e brullo ; d’ordinario s’inabissano sicché ben di rado la- sciano scorgere su quali strati poggiano; generalmente affiorano; ma qualche volta sono coperte da materie vulcaniche poco coerenti, o da rocce basaltiche. In un precedente mio lavoro sulla geologia del Vizzinese io consi- derava queste marne come mioceniche, e le rapportava al piano messi- niano credendole sottostanti al gesso cristallino. Però un esame più accurato e diligente mettevami in grado di co — 38 — noscere la posizione vera, nella serie stratigrafica, delle marne in que- stione, ed avendole scorte sovrastare ai gessi, pensai dovessero piuttosto spettare alla zona inferiore del pliocene antico. Queste mie vedute rettificate trovarono un’autorevolissima conferma in due lettere del professore Seguenza, i’una del 6 e l’altra del 16 del dicembre 1878, nelle quali mi si faceva osservare doversi le marne cal- caree biancastre riferire al piano vandeano. Esaminando infatti al mi- croscopio alcuni frammenti di detta roccia, il chiarissimo professore riconobbe che in essa si contenevano individui di Glohigerina, Orhu- lina, ecc. Questo risultamento è già abbastanza favorevole per la determina- zione deH’età sancleana della roccia, e sarebbe stato ben più soddisfa- cente se la prevalenza del calcare non ne avesse reso assai difficile lo stemperarsi neli’acqua. Nel Vizzinese e nel Licodiano segnatamente ove la formazione ges- sosa è sviluppatissima, ho potuto osservare la corrispondenza cronolo- gica dei gessi con taluni del Bolognese, della Toscana, dell’Anconitano e d’altrove. Nella contrada Tiepidi incominciano a mostrarsi, ed affiorando sempre si continuano a Mangalavite, Don Eerrante, Cuminureddi ed in altre località del territorio di Licodia-Eubea. Lungo la sezione naturale della Valle di Pupolordo, sul fianco si- nistro, veggonsi nel basso delle marne grigio-cenerognole, notevolmente potenti ed omogenee, ricche di Gasteropodi e segnatamente di specie e varietà di specie della famiglia delle Pleurotomidi ; specie e varietà quasi tutte proprie e caratteristiche del miocene superiore o piano tor- toniano del Mayer. La fauna di dette marne si compone pel momento delle specie se- guenti determinate col gentile concorso dei chiarissimi professori Bei- lardi e Seguenza, ai quali perciò rendo pubbliche grazie. Pesci. Carcìiarodon sp Oxyrina Desorii? Agassiz Molluschi. Gasteopoda. Cancelìaria lyrata Brocc. Cer itili am fimljriatum Michelotti — 39 — Ilarginella sp Typhis fisUiìosus Brocc. Murex spinicosta Bronn Fiisus terehrhius Bonelli — Terehra fusiformis Hoernes Terebra sp Nassa gramilaris Bors. Cassidaria sp Contis antediìuvianus Brocc. (Var. a spira abbreviata). Ancillaria obsoleta Brocc. frequente. Fleiirotoma spiralis Serr. non rara. Questa specie per mezzo d’alcune forme intermedie s’accosta, come bene osserva il professore Bellardi, alla Fi. rotata, Brocc., tuttavia essa ne è assai bene distinta per la sua forma generale. Ho esaminato tre esemplari, il maggiore dei quali raggiunge le dimensioni di quello figurato al num. 10, tav. I, dell’ opera del Bellardi : 1 molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. Detti esemplari hanno la carena un poco più sporgente di quella degl’individui tipici coi quali convengono per ogni altra particolarità di forma e d’ornamenti. Pleurotoma contigua Brocc. Questa specie raccolta per la prima volta dal Brocchi nelle crete senesi fu da lui tenuta distinta da un’altra sua specie, dalla Fi. turri- Olila, Brocc. proveniente dalla medesima località. Siffatta distinzione non è stata ammessa da taluni paleontologi che hanno creduto vedere nella prima specie nuli’ altro che una semplice varietà della seconda, ed hanno perciò riportato la PI. contigua, Br. nella sinonimìa della FI. turricida, Br. Il professore Bellardi, aH’incontro, nella parte seconda dell’or citata sua opera, mantiene la separazione stabilita dal Brocchi, fondandosi sopra quei caratteri differenziali che a me pure sembrano bastevoli a giustificare l’accennata distinzione. Il chiaro paleontologo torinese, esaminando parecchie centinaia di individui appartenenti alle due forme, e confrontando ambedue gli esemplari tipici del Brocchi, ha riconosciuto che la forma tipica della FI. contigua, Br. è in generale più piccola, con la spira meno lunga e meno acuta della forma tipica della Fi. turricula, Br. Quella ha la carena denticolata in tutti gli anfratti, questa invece ha nell’ultimo an- fratto ed in quelli mediani la carena sprovveduta di denti e guarnita di denticini nei primi anfratti soltanto. — 40 — La Fi. contigua^ Br. presenta nella parte anteriore deH’ultimo an- fratto una reticolazione derivante daU’intersecazione di numerose e ben distinte rughe longitudinali con le costicine trasversali. Siffatta retico- lazione manca nella Fi. turriciUa, Br. ove le rughe longitudinali della specie affine vengono sostituite da minutissime strie. Da ultimo nella Fi. turricnla. Br. le strie trasversali sono più pic- cole che nella PI. contigua, Br. la parte posteriore degli anfratti è più concava, e le costicine trasversali della parte anteriore deirultimo an- fratto sono minori di numero e fra loro più distanti. Paragonando alcuni individui della FI. contigua, Br. da me rac- colti nelle marne mioceniche dei dintorni di Licodia-Eubea, ed uno dei colli tortouesi, ch’io debbo alla gentilezza del prof. Bellardi, con parec- chi esemplari della Pi. turricuia, Br. provenienti dai depositi pliocenici d’Altavilla (Sicilia) e di Fossetta (Modenese), ho potuto ad uno ad uno verificare gli esposti caratteri differenziali i quali possonsi del resto in gran parte rilevare da un accurato esame comparativo delle due dia- gnosi del Brocchi e delle fig. 14 e 20 della tav. IX, appartenenti la prima alla Fi. contigua, Br. tipica e la seconda alla FI. turricula, Br. tipica. Tra questi estremi le modificazioni intermedie sono assai numerose e tali da rendere mal definiti i confini fra le due specie. Surcuia dimidiata Brocc. Surcula Fani Bell. Genota Craverii Bell. Driiiia sigmoidea Broun Ciavatuia semimarginata Lamk. (Var. C) Fiouauitia subterchraiis Bell. Doiichotoma catajdtracta Brocc. (Var. D) non rara. Gli esemplari che ho raccolto nelle marne mioceniche della Valle di Pupolordo e che ho riferito a questa specie, appartengono tutti alla medesima varietà avente forma generale, breve e tozza, carena spor- gente munita di 30 o più nodi non molto grossi, costicine e strie tra- sversali numerose ed elegantemente granose, suture non molto profonde, rughe longitudinali sottilissime e sinuose. Questa varietà s’ avvicina moltissimo alla Var. D di Bellardi (/ moli, dei terr. terz. del Piem. e della Lig.)\ ma differisce per alcune piccole particolarità, tali però da non impedire che ad essa vengano rapportati gl’individui dei dintorni di Licodia-Eubea, — 41 — èlitra Borsonii Bell. Natica millepimctata Lamk. frequente. Natica {Neverita) fusca De Bl. Chenopiis pespelecani L. Tarritella subangidata Brocc. Scalaria lamellosa Brocc. Xenophora testigera Bronn Turbo rugosus L. (opercula). . SOLENOCONCHIA Dentaliuru sexangulum L. JDentalium Bouei Desh. frequentissimo. Bentalium incertum Desh. Bentalmm octogonum Desh. Bentalium tricpuetrum? Brocc. Conchifera. Pholadomya sp. .... Corhula gihha Olivi Limopsis aurita Brocc. frequentissima. Arca (liluvii Lamk. frequente. Bleuronectia diiodecim-lamellata Gold. Ostrca cochlear Poli, (Var. 0. navicularis Brocc). Avicula sp Zoofiti. ZOANTARII APORI Trochocgathus sp Ceratotroclnis sp Flahellnm avicula? Michel. Questi fossili al pari di quelli delle marne compatte elvezianc e langhiane dell’ Anconitano si trovano concentrati, come ha già fatto no- tare il prof. Capellini, in alcuni punti, e sono poi, in generale, scarsis- simi e mancano quasi totalmente per grandi tratti. Risalendo la serie cronologica incontransi altre marne giallognole, alquanto compatte, contenenti nella loro parte superiore avanzi di Bris- sopsis e in abbondanza individui di Nassa semistriata, Br. sempre com- pressi e talvolta deformati. — 42 — Anche questo corrisponde perfettamente a quanto il prof. Capellini ha osservato nel Bolognese. Queste marne, talora con fucoidi, e quelle sottostanti a Pleuroto- midi, debbonsi riferire in complesso al miocene superiore al quale pure spetta se non tutta, per certo la massima parte della formazione ges- sosa che incomincia inferiormente con degli straterelli calcareo- sabbiosi affatto privi di resti organici. Seguono finalmente i gessi cristallini. Hanno una potenza di oltre cento metri, e coronano le vette d’una serie di colline lunga circa cinque chilometri la quale s’ addentra nel territorio di Licodia-Eubea. Nelle masse gessose prevale la cristallizza - zione a ferro di lancia di grandi e piccole dimensioni. Qui importami fare notare che fra i gessi cristallini, il calcare in- fossilifero, le marne a Nassa semistriata, Br. e le sottoposte marne gri- gio-cenerognole non esiste alcuna vera discordanza di stratificazione. Gli strati sono fortemente inclinati da S.O. a N.E. ; qualche volta da S.S-0. a N.N~E. In alcune località osservansi sotto al gesso cristallino peperini giallognoli e tufi basaltici ; altrove, ma sempre lungo la Valle di Pu- polordo, le marne a Nassa semistriata, Br. sono ricoperte da materiali vulcanici e mostransi fortemente metamorfosate. Sopra quella stessa serie di colline della quale or ora mi sono oc- cupato, ma nelTopposto versante prospettante E. S-E., riscontransi i me- desimi gessi cristallizzati quasi tutti a ferro -di lancia, e nella sezione della Valle del Passitello, sulle coste di S. Caterina, si fanno vedere in strati inclinati 45” circa verso S.E. Al Mulino Nuovo, ove si riuniscono per formare un solo torrente i due corsi d’acqua che prendono nome dalle valli già ricordate, termi- nano i gessi cristallini e con essi l’intera formazione gessosa. Lungo la sezione di Pupolordo, sul fianco destro, le marne grigio- cenerognole a Pleurotomidi si mostrano fortemente inclinate, e si coor- dinano stratigraficamente con le sovraincombenti marne giallognole coi calcari e coi gessi cristallini. Fra le marne grigio-cenerognole e quelle sovrapposte, sulle quali poggia la formazione gessosa, interpongonsi tufi basaltici e basalti. Nel territorio di Licolia-Eubea, contrada Mangalavite, e propria- mente nelle cave di S. Giorgio, compariscono i gessi cristallini strati- ficati e nell’egual modo inclinati per 45'’ circa verso S.E. Con perfetta concordanza vedonsi immediatamente sopra i gessi (come nell’ Anconitano, nella Toscana, nel Bolognese ed in non poche altre località) degli strati di melassa giallastra ricca di limonite, fa- — 43 — Gente qualche volta passaggio ad una marna sabbiosa. Hanno una po- tenza complessiva di m. 10 circa, ed ivi ebbi la fortuna di scoprire insieme alla caratteristica Congeria simplex, Barb. un buon numero di fossili proprii dell’orizzonte a Congerie e piccoli Cardi, dei quali ultimi, altri ancora avrei potuto specificarne se la durezza della roccia ove trovansi racchiusi non avesse reso assai difficile il liberarli. Sulle molasse a Congerie riposano concordantemente le marne cal- caree biancastre a foraminifere ed Ostrea navimlaris del più antico pliocene, come già fu notato dal professore Capellini in Toscana, nel- l’Emilia, nelle Komagne e nelle Marche. Ecco intanto 1’ enumerazione dei fossili che ho riscontrato negli strati a Congerie di S. Giorgio (Licodia-Eubea) e che ho determinato col generoso concorso che volle gentilmente prestarmi il chiarissimo geologo e paleontologo bolognese, al quale perciò mi professo pubblicamente riconoscentissimo. Molluschi fossili degli strati a Congerie di S. Giorgio. Gen. Melania Lam. 3Ielania curvicosta Desìi. Gli esemplari appartenenti a questa specie, raccolti negli strati a Congerie di S. Giorgio, per la maggiore lunghezza, per la minore pro- fondità delle strie e per la minore sporgenza delle granulazioni delle coste, s’ avvicinano più agli individui della Morea che a quelli prove- nienti dalle diverse località italiane. Jlleìania virgulata Ferussac. Questa specie non è meno frequente della precedente con la quale trovasi associata. Gli esemplari che ho scoperto a S. Giorgio sono di color bruno plumbeo chiaro con delle fiammelle composte di punti d’ un rosso di ruggine. Gen. Melanopsis Lamk. Melanopsis Bonellil Sism. frequentissima. Melanopsis TJnfourii Fer. frequentissima. Gen. Bithtnia Gray. Jìithgnia stagnalis Bast. frequente. Gen. Neritina Linn. Nerifina MiUinensis D’Anc. Var. frequente. (N. Zebrina, Yar.^. — 44 — Questa specie, come s’è compiaciuto scrivermi in questi giorni il pAf. Capellini, è molto polimorfa, e passa alla N. micans con la quale forse si confonde. Paragonando gli esemplari raccolti a S. Giorgio con quelli spedi- timi dal prof. Coppi sotto il nome di N, Mutinensis, provenienti da Val Fosco nel Modenese, ho trovato che i primi differiscono dai secondi per le seguenti particolarità : Per avere (quelli da me scoperti) minori dimensioni, spira breve, ottusissima e quasi inviluppata nell’ultimo an- fratto ; mentre negli esemplari modenesi mostrasi leggermente più acuta ed attenuata nell’apice. Inferiormente sono più appiattiti di quelli del Modenese, la callosità cclumellare è quasi piana; mentre conversa si presenta quella degl’in- dividui comunicatimi dal Coppi nei quali 1’ apertura è leggermente ri- stretta in avanti, laddove più grande e semicircolare presentasi quella degli esemplari di S. Giorgio. 11 colore di quest’ultimi è bruno olivaceo più 0 meno carico, raramente biancastro e la superficie è affatto imma- colata. In alcuni esemplari delle linee più scure s’allacciano fra loro in tutti i sensi venendo a formare delle areole regolarissime, come osser- vasi nella fig. 5, tav. II della Nota del professore C. d’Ancona Sulle Ne- ritiìie fossili dei terreni terziari superiori delV Italia Centrale^ inserita nel Ballettino Malacologico Italiano. Quelli di Val Fosco sono più lucidi, bianchi, ornati di linee spi- rali brune or continue, ora interrotte, qualche volta a zig-zag. Taluni invece, per l’incontransi delle linee brune, sono coperti d’areole bianche di forma svariatissima. Gen. CoNGERiA Partscb. Congeria simplex Barb. Congeria amigdaloides Bunker. Congeria clavaeformis Krauss. Congeria sub-Basteroti Tourn. vel Congeria clavaefor- mis var ? Questa specie è alquanto frequente nelle molasse di S. Giorgio, e fra le congeneri è la più abbondante. Essa presenta qualche analogia con la Congeria clavaeformis, Krauss. della quale potrebbe anche es- sere soltanto una varietà. Gen. Cardium Linn. Cardium Odessae Barb. Riferisco a questa specie alcuni Cardi esattamente corrispondenti — 45 - alla forma tipica pel numero delle coste, per il loro modo di distri- buirsi sulla superficie della conchiglia, per le dimensioni e per altro. Limgh. mm. 10 — -Largii, mm. 11. Cardium plicatum Eicliw. Cardium plicatum Jlichw. Yar. Corrispondente agli esemplari di Monte Acuto riferiti dal professore Capellini ad una varietà del Cardium plicatum. Cardium Castéllinense? Capei!. Eiferisco, dubitativamente, a questa specie un piccolissimo esem- plare di Cardio mal conservato, il quale per la forma generale, pel nu- mero delle coste (17-18) e per la loro disposizione offre qualche analogia con la specie di Castellina marittima. Cardium Uttorale Eichw. Questa specie, comune nel calcare a Congerie d’ Odessa, è la più frequente fra i piccoli Cardi degli strati a Congerie di S. Giorgio, e come il Cardium semisuìcatum, Eouss. è anteriormente e posteriormente priva di coste. Cardium semisulcatum Eouss. Gli esemplari di S. Giorgio tanto per la forma generale quanto pel numero delle coste, e per la superficie che, per mezzo di sottili solchi raggianti dall’apice verso il margine, apparisce in avanti semicostata, corrispondono alla forma tipica. Un solo esemplare differisce dagli altri per la forma della conchi- glia alquanto più larga ed inequilaterale, e sebbene a prima giunta ri- cordi il C. Scarahellii, Cap. pure non devesi confonderlo con la specie dedicata al geologo imolese; ma semplicemente considerarlo come un individuo giovane del C. semisulcatum. Cardium Fedrighinii Capell. Eiferisco a questa specie un piccolo Cardio perfettamente corrispon- dente e per la forma, e pel numero delle coste (28) agli esemplari delle Marche, illustrati e figurati dal professor Capellini nella memoria : Gli strati a Congerie e le marne compatte mioceniche dei dintorni di Ancona. Cardium praetenue Mayer. Cardium edentulum Desh. Cardium edentulum Desh. Yar. Cardium sp. aff. al C. Gourieffi. Desh. — 4G — A Monte Acuto ed al Trave il professore Capellini raccolse un Car- dio abbastanza frequente che giudicò affine al C. Gourieffi, dal quale differisce solo per le dimensioni. A S. Giorgio ne rinvenni uno che per la forma generale, pel nu- mero delle coste (28), per la loro maniera di distribuzione, per gl’in- terstizii angusti e per altre particolarità corrisponde perfettamente con quello figurato dal professore Capellini nella tav. IL fig. 5 della preci- tata Memoria; quindi anch’io lo considero come una specie affine a quella di Crimea è della Valle del liodano. Liingli. mm. 13. — Largh. mm. 14 Card Inni sp. aff. al G. Gourieffi? Desh. Nelle molasse di San Giorgio rinvenni alcuni Cardii i quali per la loro somiglianza col C. edule, mi fecero per un momento sospettare po- tessero avere rapporti col (7. sociale Krauss. La forma della conchiglia, la distribuzione delle coste, la ristret- tezza degl’interstizii ed altro, me li fanno, quantunque dubbiosamente, ravvicinare al C. Gourieffi, dal quale però differiscono pel numero delle coste che negli esemplari di cui si parla sono 25. Le ultime quattro o cinque anteriori sono poco appariscenti. Questo carattere dà loro una lontana somiglianza col C. semlsulcatum, Kouss. quindi non è impro- babile ch’essi siano una specie transitoria fra il C. semisulcatum ed il C. Gourieffi. Jjungli nini. 6, — Largh, mm. 7. Cardium carinatum Desh. Var. Cardium nova-rossicum Barb. Cardium sp. aff. al G. nova-rossicum Barb. Giudico affine al C. nova-rossicum un piccolo Cardio nel quale ho contato da 22 a 23 coste. E inequilaterale, ovato, tumido, rotondato an- teriormente e posteriormente. Le coste sono assai più larghe degli interstizii e regolarmente di- sposte su tutta la superficie della conchiglia. Il margine dorsale è leggermente curvo. Lungh. mm, 8 ^ — Largh. mm. 10 ^3. Cardium?,]). aff. al C. nova-rossicum? Barb. Kiferisco, dubitativamente, a questa specie alcuni piccoli Cardii nei quali si contano da 20 a 23 coste, e la forma della conchiglia s’appros- sima a quella degli esemplari tipici. Cardium semidecussatum 1. Cufici, sp. n. (V. la figura). — 47 — Fra i piccoli Cardii di S. Giorgio ve n’è uno il quale pure offrendo qualche analogia col C. nova-rossicum e col C. multistriatum, mostra caratteri tali da suggerirne la separazione. Il cattivo stato di conservazione deH’unica valva che tengo ad esame m’impedisce poter dare di questa specie una dettagliata descrizione. E quasi equilaterale, compressa, arrotondata posteriormente, al- quanto più larga che lunga, munita di 28 coste large quanto gl’inter- stizii 0 poco meno, e regolarmente disposte su tutta la superficie della conchiglia. Nella metà anteriore gl’interstizii sono segnati da sottilissime strie traversali ondulate, e le coste sono presso a poco lisce. Queste strie on- dulate, inegualmente discoste l’una dall’altra, si fanno assai più appa- riscenti nella metà posteriore, ed intersecandosi con le coste danno a questa parte del guscio un’apparenza scabrosa. L’angolo apiciale è molto ottuso. Cardium semidecussatum, Cafici. Liing. mm. 7 % — Largii, mm; 13 //. Interessa conoscere altri esemplari per vedere se i caratteri testé enumerati mantengosi costanti o pur no ; per potere cioè giudicare se la forma di cui è parola merita venir considerata come una specie di- stinta, oppure come una semplice deviazione determinante il passaggio da una specie ad altra affine. Cardium pseudo-catillus Abich. Questa specie è rarissima nelle molasse di S. Giorgio. L’unico in- dividuo raccoltovi (a somiglianza degli altri molluschi scoperti negli strati a Congerie dei dintorni di Licodia-Euhea) ha resistito alle alte- razioni del tempo assai meglio dei fossili dello stesso orizzonte della To- scana e delle Marche. L’esemplare di 8. Giorgio corrisponde perfettamente alla forma ti- pica dalla quale solo differisce pel numero maggiore delle coste. — 48 Liing. nini. 7 % - Largii, mm. 13 Lo riferisco al C. pseudo-catillus in seguito alFautoreTole giudizio del professore Capellini, al quale inviai Fesemplare perchè si compia- cesse esaminarlo. Cardmm Spratti Fuchs. Riferisco a questa specie alcuni Cardii i quali esattamente corri- spondono alla forma tipica, e solo ne differiscono pel numero delle co- ste che in luogo d’essere 30, come negli esemplari del Fuchs, sono 32 come in quelli raccolti dal professore Capellini a Monte Acuto. Lungh. min. 12 % — Largh. mm. 17. Cardium Suessi Barb. Fra i piccoli Cardii di S. Giorgio ho trovato un solo fossile meri- tevole di venir rapportato a questa specie. Tale scoperta è degna di considerazione, non essendosi prima d’ora rinvenuti in Italia, come scri- vevami recentemente il professore^ Capellini, esemplari appartenenti al C. Suessi. Lungh. mm. 8 — Largh. mm. 9. Cardium Suessi Barb. Var? Riferisco, dubitativamente, ad una varietà del C. Suessi un piccolo Cardio il quale differisce dalla specie precedentemente notata per la minore depressione delle tre coste occupanti la parte media della con- chiglia, per la minor prominenza della carena, e per la quasi totale as- senza dei tubercoli. Tutti gli altri caratteri sono identici. Cardium ohsoletum Eichw. e Var. Questa specie deve considerarsi come una delle più frequenti fra le congeneri rinvenute a S. Giogio, e per quanto ho potuto accorgermi dagli esemplari raccolti, è una di quelle che presentano maggiori in- stabilità nella forma e nelle ornamentazioni. Varia il numero delle co- ste, la prominenza della carena, la larghezza degl’interstizii, la propor- zione fra la lunghezza e la larghezza, ecc. Le variètà di questo tipo di forma sono quindi numerose, e fanno gradatamente passaggio, come ha fatto rilevare l’Hoernes figurandone le deviazioni, al Cardium Suessi, Barb. Ed ora perchè potessero meglio apprezzarsi gl’intimi rapporti tra la formazione gessosa del Vizzinese e del Licodiano, e la corrispondente dell’Anconitano e della Toscana, riserbandomi al termine di questa nota di porre in raffronto i caratteri litologici e stratigrafici, mi limiterò intanto a far rilevare, col seguente prospetto, le relazioni esistenti fra 49 — i molluschi fossili dell’orizzonte a Congerie e piccoli Cardii di S. Gior- gio (Licodia-Eubea) e quelli del corrispondente piano di Monte Acuto e del Trave (Anconitano), e della Earsica (Toscana). Pkospetto dei molluschi fossili degli strati a Congerie di S. Giorgio (Li- codia-Eubea) con V indicazione delle corrispondenti specie raccolte a Monte Acuto ed al Trave (Anconitano) ed alla Earsica (Toscana). INDICAZIONE DELLE SPECIE S. Giorgio M. Acuto j Trave Farsica OSSERVAZIOm 1 Melania curvicosta 1 esh _ * Una varietà di que- 2 Melania virgnlata Feruss — sta specie è stata rac- 3 Melanopsis Bonellii Sism — colta a Monte Acuto 4 Melanopsis Dicfoiirii Feruss — ed al Trave ; ma è 5 6 Bvhynia stagnalis Bast Neritina Mutinensis J^’Anc. Var. [N- zebrina Var.). ... differente da quella da me scoperta a S. Gior- gio. La varietà delle Marche è stata chia- T Corìgeria simplex Barb — — — — 8 Congeria amigdaloides Dunk — — — mata dal Neumayr: Cardium Oriovacen- se. 9 10 Congeria clavaeformis Krauss Gong sub-Basteroti Tourn. vel C. cla- vaeformis Var? 11 Cardium Odessae Barb — — — 12 Cardium plicatum Eichw. e Var. . . . — — — — 13 Cardium Castellinense? Capellini . . . — — — — . 14 Cardiicm littorale Eichw — — 15 Cardium semisulcatum Rouss — — — 16 Cardium Fedrighinii Capellini — — — n 18 Cardium praetenue Maver Cardium edentulum Desh — 19 Cardium edentulum Desh. var. {*) . . — 20 C. sp. aff. al C. Gourieffi Desh — — — 21 C sp. atf. al C. Gourieffi ? Desh. . . . — 22 Cardium carinatum Desh. Var — 23 Cardium nova-rossicum Barb — — — — , 24 C sp. aff. al C. nova-rnssicum Barb. . — 25 C. sp. aff. al G. nova-rossicum ? Barb. -- 26 Cardium semidecussatum I. Cafici . . — 2"I Cardium pseudo-catilhis Abich — — 28 Cardium Spratti Fuchs — — — 29 Cardium Suessi Barb — 30 Cardium Suessi Barb. Var ? — 31 Cardium obsoletum Eichw. e Var. . . — Studiando accuratamente i molluschi fossili degli strati a Conge- rie, incontransi negl’individui appartenenti a ciascuna specie del genere Cardium tali variabilità da superare quelle d’ogn’altro tipo di forma. Le modificazioni sono tante e così graduate che riesce spesso ben dif- ficile, per non dire quasi impossibile, il definire con precisione i confini dei varii gruppi specifici. Negli esemplari di queste forme trovansi moltissime deviazioni che irradiano verso specie affini, e in questo fatto mentro si ha da una parte un eloquentissimo esempio delle modificazioni che possono subire gli organismi, vi si riscontra dall’altra uno dei caratteri dei depositi che terminano superiormente la formazione gessosa; carattere in vero assai singolare poiché le accennate instabilità di forma e d’ ornamenti s’osservano in individui raccolti nella medesima località, sottoposti per- ciò alle stesse condizioni di svolgimento e vissuti in un periodo di tempo relativamente brevissimo. Anche in altre località del territorio di Licodia-Eubea, il quale può del resto considerarsi occupato per vasto tratto dalla formazione ges- sosa, appariscono colline interamente costituite di gesso cristallino. Esso in alcune località della contrada Donnapuma mostrasi impigliato nel- l’asfaUo d’un color nero lucente, ed esalante odore bituminoso. A Lincesia (territorio di Vizzini) le marne calcaree biancastre a foraminifere dello zancleano affiorano, e procedendo a S.E. vanno a ri- congiungersi con quelle che occupano buona parte del territorio di Buc- cheri. In una sezione artificiale osservansi inferiormente due considerevoli ammassi di gesso cristallino l’un dall’altro poco discosti e della potenza approssimativa di m. 12. Essi si continuano per molti metri ancora al disotto della superficie del suolo, come potevasi osservare quando non erano ancora ostruiti alcuni discavi di saggio fatti, or sono alquanti anni, dai lavoratori addetti alle cave. Immediatamente sopra i gessi notasi uno straterello di marna sab- biosa grigio-giallastra, con grani limonitici dell’ordinaria grossezza di pochi centimetri , ma raggiungente talvolta una potenza d’oltre un me- tro. Questa marna ricorda gli strati a Congerie e piccoli Cardii delle cave di S. Giorgio; ma per quante ricerche abbia già fatto non m’è riu- scito di trovarvi alcun fossile. Da ultimo, risalendo la serie cronologica, incontransi le marne calcaree biancastre a foraminifere ed Ostrea navi- cidaris potenti oltre una ventina di metri. Alcuni frammenti di dette marne in prossimità dei gessi sono divenuti bituminosi, come aveva già notato altra volta per marne di differente orizzonte, hanno acquistato forma fogliettata ed un color bruno nerastro. A Brasco, al Corvo, a Manli ed in altri luoghi ancora del terri- torio di Vizzini, le marne calcaree biancastre a foraminifere dello zan- cleano si mostrano notevolmente estese, ed or qua ed or là abrase dalla denudazione lasciano allo scoperto le sottoposte molasse e marne sab- biose giallastre e rossastre con grani limonitici, le quali, tanto per i caratteri litologici, quanto per la loro posizione corrispondono agli strati — 51 — a Congerie e piccoli Cardi, quantunque di detti fossili non presentino alcuna traccia. Ancor più in basso veggonsi marne gessose e gessi nei quali pre- vale la cristallizzazione a ferro di lancia. In alcuni punti le marne plioceniche diventano bituminose e fo- gliettate come quelle di Lincesia, e al pari d’ esse sono bene spesso sottoposte a rocce vulcaniche poco coerenti, quali peperini e tufi ba- saltici. Facendo la sintesi delle osservazioni stratigrafiche fin qui esposte, s’ottiene per la formazione gessosa del Yizzinese e del Licodiano, e per gli strati che le si associano alla base e superiormente la seguente cro- nologia stratigrafica, la di cui corrispondenza con quella delle analoghe formazioni dell’Anconitano, del Bolognese e della Toscana, già illustrate dal professore Capellini, apparirà più evidente dall’ unito prospetto di raffronto. YIZZINESE ] LICODIANO. ANCONITANO (Da Ancona al Conero). BOLOGNESE (Valle del Savena). TOSCANA (Monti Livornesi e di Castellina Marit.) ne calcaree bian- re a foramiaifere •-eniche. Marne plioceniche. Marne biancastre a foraminifere plioce- niche. Argille turchine marine plioceniche. Gessi carnicini in sottili lastre con struttura \sse giallastre e Molasse giallastre Marne sabbiose gri- fibrosa e squamosa. ne sabbiose ric- ricche di limonile, gio-scure con grani Marne compatte color ceciato, con grani di limonile, con jli Cardi e Con- con piccoli Cardi e limonitici.— Nessun limonitici e fossili d’estuario, intercalate coi Congerie. fossile. gessi. Gessi sub-saccaroidi biancastri con mac- chie carnicine, in glebe analoghe a quelle che !Ì cristallini con Gessi cristallini e Gessi cristallini con si trovano nella formazione gessoso- solfifera alli-zazione pre- nle a ferro di ia di grandi e pie- dimensioni, ne gessose. marne gessose. cristallizzazione pre- valente a ferro di lancia di grandi di- mensioni. Marne gessose. del Cesenate. Marne fine color ceciato con Cypris e filliti. Marne grossolane color ceciato con avanzi di Littorinella, Pseudtothelphusa, Neritina, Me- lanopsis. Calcare marnoso bigio con piccolissime Cy- torelli di calcare Straterello di cal- Straterello di calca- 1 pris e neritine. loso alla base care alla base dei re marnoso alla ba- / Calcare marnoso gessoso, compatto di color ^essi. ne giallognole enenti nella par- aiperiore avanzi ìrissoi)sis e nu- 3si individui di sa se’nis'riata. che volta fu- gessi. Marne con fucoidi. se dei gessi. ) Marne poco com- | patte e dure, facili a stemperarsi e be- ne spesso argillose le quali passano su- periormente ad al- tre marne ricchissi me d’ echinodermi bigio. Calcare marnoso giallastro a struttura sottil- mente fogliettata. Gesso granulare bigio con vene selenitose. Marne compatte bigie con gesso disseminato porfìricamente. Prima panchina, ossia gesso a ferro di lancia. Marne indurate fogliettate che nella po- sizione inferiore più grossolana contengono : filliti, larve di Libellula e Lebias crassicaudus. ne poco compat- rigio cenerogno- P Leurotomidi. quasi lutti riferibili al genere Brisso- e contengono in- dividui di Nassa se- mistriata, Brocc. Strati di gesso con sferoidi alabastrine. Marne più fine delle precedenti che npelu- tamente sono intercalate con altri strati di gesso con sferoidi alabastrine. 4 — 52 — Dopo tutto quanto è stato finora accennato riesce agevole intrave- dere la corrispondenza più o meno esatta della formazione gessosa del Yizzinese e del Licodiano con Ta-naloga dell’Anconitano, della Toscana e d’altrove, tanto per le relazioni stratigraficlie, quanto per i caratteri litologici e paleontologici. Questa corrispondenza è resa ancor più evi- dente dalla presenza d’un fatto già da altri avvertito : intendo parlare delle differenze che si notano nella fauna malacologica dei singoli gia- cimenti riferibili all’orizzonte geologico a Congerie e piccoli Cardi. Nè di minore importanza d’ altre formazioni gessose apparisce quella del Yizzinese e del Licodiano ; chè anzi se si pon mente al conside- revole numero di molluschi fossili incontrati nelle molasse e marne sabbiose di S. Giorgio, avuto riguardo alla limitatissima superfìcie ove furono raccolti, riesce facile convincersi della rilevante contribuzione che avrebbe dovuto apportarsi alla paleontologia malacologica dell’im- portantissimo orizzonte geologico a Congeria simplex, quando in modo diverso ci si fosse presentata la confìgurazione del suolo ; tale insomma da permettere l’esame degli strati sottostanti alle molto estese marne calcaree biancastre del più antico pliocene, che dovrebbero essere rap- presentati dai giacimenti a Congerie e piccoli Cardi, qualora non fos- sero mutate quelle condizioni che determinarono e favorirono il depo- sitarsi dei sedimenti caratterizzati dai fossili testò ricordati. Qui cadrebbe in acconcio dire qualche parola sopra due importan- tissime questioni geologiche già molto controverse : intendo parlare dell’età e delle origini probabili della formazione gessosa. Questa formazione, così bene distinta per i suoi caratteri litologici e segnatamente per Vhahitus littorale e salmastro dei suoi fossili, pre- senta una facies tutta propria, e perciò nettamente si differenzia e dal sottostante ultimo membro del miocene, e dalla sovraincombente base del pliocene marino. Pur nondimeno è si intimamente connessa con le due formazioni, soprattutto con la miocenica, che ben diffìcile riusci- rebbe smembrarla da una d’esse per aggregarla ad un’altra. Sembrami quindi più conveniente doversi considerare come una zona transitoria fra il miocene ed il pliocene, denominandola mio-pliocenica ; ma pur ritenendola come facente parte delia lunga formezione miocenica. Penso però non doversi attribuire molta importanza alle divisioni sistematiche, alle quali bene spesso la natura rifìuta d’adattarsi. Quanto all’ origine della formazione gessosa, sono inclinato a rite- nere come ipotesi più giusta fra quelle fatte fin qui, quella che consi- dera i gessi avvenuti per opera di numerose sorgenti termali solforoso- calcarifere, ed emanazioni solfo-idriche in acqua dolce ; e i sovraincombenti — 53 strati a Congerie e piccoli Cardi a deposizioni verificatesi in bacini lacustri indipendenti gli uni dagli altri, formatisi in seguito ad un sol- levamento generale e divenuti sempre più salmastri a causa di successivi abbassamenti, per la persistenza dei quali alla fine della formazione gessosa furono invasi dal mare nel cui seno incominciarono a deporsi le marne plioceniche. Però io son d’avviso che questioni generali di tanta importanza possono convenientemente risolversi solo quando potrà farsi assegna- mento sopra un interessante e ricco corredo di fatti e d’ osservazioni derivanti dallo studio accurato di tutte le formazioni gessose e gessoso- solfifere. Credo che ancora siamo ben lontani dal raggiungere questo ideale, e che non poche sono le lacune su tale argomento esistenti. Quand’ esse verranno colmate, le questioni d’ età e d’origine potranno affrontarsi con maggiore probabilità di successo ; perchè allora le con- seguenze che si ritrarranno, piuttosto che derivare da fatti isolati e da ristrette osservazioni, saranno, per dir così, la sintesi di tutti quegli studi preparatori ai quali per ora convien solo dedicarsi. Queste mie considerazioni, m’è grato rilevarlo, collimano con quanto ha già pubblicato il professore Capellini dal 1860 al 1874. 11 chiar. geologo bolognese in un’ interessantissima Memoria sulla formazione gessosa di Castellina marittima e i suoi fossili, pubblicata nel 1874 ed inserita negli Atti dell’ Accademia delle Scienze dell’ Isti- tuto di Bologna, dopo d’aver fatto notare che in Toscana, a causa d’un movimento di sollevamento accompagnato da grandi fratture, apparvero innumerevoli sorgenti calcarifere e solforose, passa ad esaminare il com- plesso delle roccie dei monti Livornesi e di Castellina marittima, e dall’interposizione di strati marnosi e calcareo-marnosi coi gessi argo- menta r intermittenza delle sorgenti testé ricordate, carattere proprio dei fenomeni vulcanici. Queste sorgenti (sempre secondo quanto ci ha fatto conoscere il prof. Capellini) ebbero un primo periodo di massima attività, poscia scomparvero e si rianimarono ad intervalli diversi. Dapprima l’intermittenza era di non lunga durata, d’onde la man- canza, e in seguito la scarsezza dei resti organici nelle marne interposte agli strati più profondi di gesso ; ma quando crebbe la durata dell’in- termittenza le piante e gli animali poterono svilupparsi. E in sul prin- cipio comparvero le larve di Libellula e i Lebias ; poi nella seconda fase del periodo oeningliiano prolungatasi l’intermittenza delle sorgenti solforose, e mercè la prevalenza del deposito argilloso, e la presenza d’una notevole quantità di calcare, svilupparonsi i Cypris, la Pseudothelphusa ed altri organismi. — 54 — Nel Bolognese i gessi che, tagliati d ii Savena, vanno da Mise- raszano a Monte Donato, sulla riva sinistra del fiume presentano un'interessante intercalazione di marne con avanzi di pesci come nelle cave di Monte Donato. ’ Nell’ Anconitano i Lebias e le larve di Libellula sono abbondanti nelle marne gessose superiori e intercalate coi gessi. ^ Questa interposizione di marne cogli strati di gesso non m’è riu- scito riscontrarla nel Yizzinese e nel Licodiano ove le sorgenti solfo- rose e calcarifere si mantennero per un tempo sufficientemente lungo in un periodo di costante attività, e completamente s’ estinsero solo quando il livello delle lagune littorali giunse sì basso che le acque marine vi penetrarono, quando cioè incominciarono a depositarsi le marne e le molasse ferruginose caratterizzate da una fauna caspica o d’acqua salmastra. Dalla costante attività delle sorgenti solforose ne conseguirono : la considerevole potenza degli strati gessosi, l’assoluta mancanza di rocce sedimentarie intercalate coi gessi e finalmente l’assenza completa d’una fauna lacustre. III. La Montagna del Suavicino. Osservazioni geologiche e paleontologiche del doti Mario Canavari. (V. T. P) 1. Descrizione topografica. 11 gruppo Suavicino si distende da S.S.E. a N.N.O. in una leggeris- sima curva convessa ad oriente, per una lunghezza di oltre Chil. 25 e ad una distanza dall’Adriatico di circa 70 chilometri. È limitata a S. dal fiume Potenza, a N. dal fiume Esìno, ad E. da un sinclinale con forma- zioni terziarie. A questo sinclinale segue la ellissoide dei monti cingulani, le cui ondulazioni orientali succedendosi in serie parallele di ubertose colline, vanno perdendosi verso l’Adriatico, in prossimità al quale sorge il monte Cornèro o d’Ancona. 11 sinclinale camerinese, al quale fanno seguito il monte Gemmo e la catena occidentale appenninica o ^ Capellini, Marne glauconifere dei dintorni di Bologna. * Capellini, Gli strati a Congerie e le marne compatte mioceniche dei dintorni d'Ancona. BplLàelR.Com.geol d'Italia Anno 1880. Tav;I. CaMTari dis. CiistofaTii liL lit.AcliParisJipenze e Hoina, — 55 del Catria, limita ad 0. il gruppo del Suavicino. Per altitudine e per isviluppo, dopo quelli del monte Corno, della Sibilla, del Catria, esso è uno dei più importanti dell’ Italia centrale. La massima cima, dalla quale prende nome il gruppo^ torreggia maestosamente sulle vicine non molto elevpute, per raggiungere l’altitudine di m. 1483 sul livello del mare. ^ Le altre vengono designate con i nomi di Dosso Yalonica, Dosso Promicio, monte Faeta, Brunito, Cimaglia, Cipollara, Porcarella e monte della Sporta. La montagna del Suavicino fa parte della giogaia orientale appen- ninica e si collega a mezzogiorno mediante i colli di Crispiero, il monte Letegge, il monte Favo ed il Fiegni, al gruppo Sibillino ; mentre al settentrione, ripiegando alquanto ad occidente, si unisce all’ alpestre monte Ginguno o di Frasassi, che può considerarsi come una sua ap- pendice. Si avvicina così alla catena del Catria, rimanendone però sem- pre distinta ; anzi se ne scosta di nuovo più al N. abbassandosi quindi successivamente sino a scomparire totalmente. Chi voglia esattamente conoscere 1’ andamento della cresta, 1’ oro- grafia e l’idrografia dell’intero gruppo, deve salirlo dal Dosso Yalonica. Pendici non molto erte conducono ad un esteso altipiano longitudinale, che arriva sino al monte Yallopara. Ad oriente scende il torrente In- tagliato, che incide il suo corso, pressoché da 0. ad E. tra il Dosso Promicio e il monte Faeta, per quindi bruscamente ripiegare a S. in vi- cinanza al villaggio di Fonte Cupa e congiungersi al fiume Potenza a N.E. del colle eocenico sul quale è posta la città di Sanseverino-Marche. Il monte Faeta dalla parte di S. presenta un’ampia valle, nella quale da N.O. a S.E. scorrono il torrente del Pozzo e quello di Sottacqua, che contemporaneamente ripiegando a S. insieme si connettono, riunendosi eziandio con il torrente dell’Elci, il quale tra mezzo a dirupi procede da E. ad 0. Questi torrenti avendo erosa tutta la formazione cretacea e parte della giura-liassica, ivi allo scioglimento delle nevi e alla caduta dei forti acquazzoni della state, impetuosi scorrono, ognora scavandosi letto maggiormente profondo. Ad occidente del monte Faeta si discende al colle miocenico sul quale si eleva marziale l’antico castello di Gagliole ‘ La prima notizia suiraltitudine del Suavicino dedotta barometricamente è data dal Calindri {Saggio stai. star, del Pont. St., eco. Perugia, 1829) il quale la fa ascen- dere a m. 1487, riportata anche dal Marcoaldi {Guida e stai, della città e coìti, di Fabriano. Fabriano, 1874). La cifra 1483 è tratta dalla carta topografica austriaca calcolata trigonometricamente e quindi da reputarsi come la più approssimata alla vera. 56 — e da qui a quello della città di Matelica, che insieme uniti costitui- scono la linea di spartiacque tra il bacino dell’Esìno e quello del Po- tenza. Dal monte Vallopara poi si discende fino ai villaggi di Poti e Yaldiola da cui ad occidente e ad oriente serpeggiano anguste gole ; la prima porta il suo tributo all’ Esìlio, l’altra al fiume Musone, il ramo principale del quale ha sue sorgenti nella parte orientale di monte Brunito. Questo monte ofire pendici ertissime ed è il primo d’ aspetto selvaggio che s’incontri ; si ha quindi ad E. una valle trasversale che diviene gola profonda presso il castello d’ilcito e che porta le sue acque al Musone. Costeggiando in seguito la vetta di monte Cipollara si arriva alla cresta di Salcignolo, ai fertili Fiani del Suavicino, dai quali, per oltre 400 metri s’ innalza minacciosa la sua vetta di forma pressoché conica. Essa è costituita di nuda e selvaggia roccia, termina in un angusto ripiano di un calcare bianco e durissimo, ed è cosa assai malagevole ascenderla dalla parte di N. e di IS.N.O. In questo massimo centro del sollevamento del gruppo, nel quale più potentemente si manifestarono le forze che lo causarono, le appa- renti stratificazioni del calcare appartenente, come vedremo, a tre oriz- zonti diversi — Trias superiore, Iiifralias e Lias inferiore — pendono fortemente ad oriente e ad esse con opposta inclinazione si sovrappone, per un forte spostamento di strati, il neocomiano (vedi la sezione). La linea di frattura è parallela all’asse maggiore dell’ellissoide. Le sommità di monte Cimaglia, la cresta di Salcignolo, la vet^-a del Suavicino e quella di monte Cipollara costituiscono un’ampia curva convessa ad oriente. Da essa si protende verso E. una linea montana sino al villaggio Frontale, verso 0. altra linea montana si dirige al paese Cerreto d’Esi ; e verso N.N.O. corre una linea di alture, sul cui termine è posto il castello di Dicano. Da monte Cipollara lasciando ad E. la pittoresca Val di Castro si arriva ai monti della Porcarella e da questi, ripiegando alquanto ad occidente, all’Esìno in cui ha termine il gruppo del Suavicino. — 57 — A corredo di questi pochi cenni topografici e di quanto si dirà in seguito intorno alla costituzione geologica del gruppo, credo utile di dare fin d’ ora la seguente Sezione trasversale del Suavicmo. 1. Trias superiore, — 2. lufraiias. (?) — 3. Lias inferiore. — 4. Lias medio. — 5. Lias su- periore. — 6. Oolite inferiore. — 1. Titonico e schisti ad aptici. — 8. Neocomiano — 9. Schisti a fucoidi. — 10 Calcare rosato e scaglia. — 11. Calcare marnoso eocenico. — 12. Molasse e argille mioceniche. II. Descrizione litologica e paleontologica dei terreni. 1. Trias superiore. « « Dal conte A. Spada e A. Orsini (1855), dallo Zittel (1869), dal Mici (1873) e per ultimo da me pure (1877-79) si riferì al Lias infe- riore quella massa imponente di calcari, che si rinviene o nelle gole più profonde dell’Appennino centrale come alle Foci di Cantiano, al Passo del Furio, al Casco di Pioraco, alla Gola di Frasassi, a quella delle Grotte di S. Eustachio presso Sanseverino-Marche, o nelle più alte cime montane, come al Catria ove ascende a 1400 metri d’altitudine, al monte Cucco a metri 1000 (F. Mici, 1 terr. delVUrh., 1873), al monte Brunito e al monte Cimaglia ad oltre 1300 metri, alla vetta del Suavicino a 1483 metri. Questi calcari talora costituiscono cupi burroni laterali, come a monte Nerone e a monte Cucco, o enormi scoscendimenti e spo- stamenti, come al Catria, al Vettore (Mici, 1. c.) e allo stesso Suavicino, e formano, nei molteplici gruppi montani ond’è costituito P Appennino centrale, gli assi di tutte le diverse ellissoidi di sollevamento. Sono ovunque sviluppatissimi, e raggiungono spesso, per quanto si può arguire laddove se ne scorgono le stratificazioni, oltre i 100 metri di potenza, senza potersi vedere la roccia sotto ad essi giacente. Litologicamente si presentano or bianchi come neve e luccicanti per spessa punteggiatura cristallina, or ceroidi o saccaroidi, pisolitici ed oolitici. Furono creduti dolomia, ma l’analisi chimica addimostrò non contenere essi che una ben lieve quantità di carbonato di magnesio. Si ritennero quasi privi di fossili, e l’unica Avicida Janus^ Mgh., caratteristica del Lias inferiore — 58 — nel Caiiipigliese, servì di guida per stabilire con qualche certezza la loro età. ^ » La parte inferiore di questi calcari si presenta sulla vetta di monte Brunito a strati di variabile potenza. Nelle fratture recenti e nelle in- terne superficie degli strati offrono una massa compatta, durissima, senza veruna traccia di resti organici fossili. Nelle superficie invece esposte all’azione degli agenti atmosferici si scorgono rare e piccole turricolate e numerosissimi tubetti cilindrici alcuni rotti, altri ben con- servati, tra i quali è evidentemente riconoscibile la G-yroporella triasina^ Schaur., caratteristica del Trias superiore di Eecoaro. Alcuni di quei tubetti cilindriformi alquanto incurvati, a superficie leggermente gra- nulosa-, trovano dei corrispondenti in quei problematici resti organici che dal Gùinbel (Die sog. Nuli., pag. 52, Monaco, 1872) furono desi- gnati col nome di Cilindreìla Siìesiaca. Habitus triassico hanno ezian- dio quei pìccoli gasteropodi che si sono accennati. Dietro tali osservazioni paleontologiche viene di conseguenza lo stabilire che i più antichi calcari che si appalesano al monte Brunito nel gruppo del Suavicino rappresentano il Trias superiore. Al Trias superiore riferisco eziandio la parte inferiore dei calcari che si riscontrano sulla cresta di Salcignolo, sulle vette di monte Sua- vicino e monte Cipollara, poiché, sebbene in essi non abbia ancora ri- scontrata alcuna traccia di Gyroporella^ occupano tuttavia il medesimo posto stratigrafico dei Calcari a Gijroporella del monte Brunito. Dire quale sia la potenza del Trias nel Suavicino e se totalmente debba ascriversi al Trias superiore riesce davvero impossibile ; poi- ché non se ne scorge la roccia sottogiacente e i calcari più bassi a quelli a Gyroporelìa sembrano essere del tutto privi di fossili; d’altro canto poi i calcari superiori, la parte più bassa dei quali riferisco al piano Betico (Infralias) e i rimanenti al Lias inferiore, presentano, come si é accennato, pressoché il medesimo aspetto litologico di quelli trias- sici. I soli dati paleontologici quindi che si potranno in seguito per avventura raccogliervi, potranno limitare con certezza i diversi piani in quei calcari rappresentati. Lo stesso calcare triassico si riscontra anche altrove nell’Appennino centrale, come per esempio negli strati inferiori a Frasassi, che affio- rano laddove scorre impetuoso il fiume Sentine. 11 Villa lo citò ^ M, Caxavaei, Sulla presenza del Trias nelV Appennino centrale. E,, acc. dei Lincei. Roma, 1879. — 59 — al monte Cornialeto, ^ supponendo esservi un rovesciamento di strati laddove, come feci già notare la stratificazione è affatto normale. Il Villa non è di questo parere e crede ^ che la roccia di cui io parlava non sia quella che ebbe a richiamare la sua attenzione. «Nel- l’Italia settentrionale il Trias appenninico, come già si è accennato, corrisponde al Trias superiore di Recoaro nelle Alpi venete, non che a quello d’Esìno in Lombardia; in Toscana ai Grezzoni delle Alpi Apuane, intorno alla cui età tanto si dispiuò. Con essi, i calcari triassici delTAp- pennino centrale hanno a comune moltissimi di quei resti organici così difficili a determinarsi con certezza, non che alcune piccole turricolate e l’intero habiitis della fauna, come si osserva paragonando gli esemplari raccolti nel Trias del Suavicino e quelli raccolti nei Gre^^oni, massima- mente di monte Corchia, prima di ogni altro dal De Stefani, il quale vi rinvenne anche una specie molto affine, se non identica, al Turbo soUtarius. Nelle Calabrie corrisponde poi agli strati grigio scuri, o biancastri a Gyroporeììa e a Turbo soUtarius scoperti dal dott. Lo- visato. ^ » 2. Infralias. Nel piccolo ripiano ond’è costituita la maggiore altura del Suavicino si manifestano, superiormente alle rocce triassiche, le testate di un Cal- care a inceoli gasteropodi con stratificazioni oscillanti tra i 4 e 15 cen- timetri di spessore e fortemente pendenti ad oriente. Questi calcari, come i sottostanti, sono bianchissimi e semplicemente sulle loro superficie esposte agli agenti atmosferici si osservano resti fossili di piccoli Ceri- thiunu Turriteììa, Tseudomelania, Xatica, e di altri gasteropodi. Nelle fratture recenti si ha una massa omogenea e semicristallina, nella quale nessuna traccia organica fossile si scorge ad occhio nudo. Per altro in alcune preparazioni microscopiche si osservano frequentissime sezioni e traccie di conchiglie. Parecchi di questi piccoli e indeterminabili gaste- ropodi sembrano avere notevole affinità con quelli della Dolomia princi- pale (Gauptdolomit) e del Calcare a lastre (Plattenkalk) delle Alpi, ^ Gio. B vtt. A’illa, Gita geologica sugli Appennini centrali della provincia di Pesaro e Urbino. Alt. soc. it. di scienze naturali. Milano, 1873. * M. CanavaPvI, Sui fossili del Lias inferiore nell' Appennino centrale. Att. soc. tose, di scienze naturali. Pisa, 1879. ^ Gio. Batt. Villa, La dolomia e gasirochene (?) nell' Appennino centrale, Att. soc.^it. di scienze nat. Milano, 1879. ^ M. Cajtavaki, Sulla presenza del TriaSy ecc. — GO — come anche con alcuni di quelli che si riscontrano nel Greszone delle Alpi Apuane; la maggior parte però presentano evidentissima analogia con quelli raccolti nel calcare nerastro infraliassico della Spezia e de- scritti dal Capellini. Si aggiunga poi che nel calcare sottostante al Lias inferiore che si presenta presso alla Grotta del Fott liccio al monte Eaeta e corrispondente a quello ora descritto della vetta del Suavicino, ho riscontrato una grande Ctiemnitzia {Fseudomelania) che ricorda quelle grandi Chcììinitzia del calcare d’Esìno e dell’Infralias lombardo, illu- strato dallo Stoppani, e che potrebbe considerarsi come una forma in- termedia tra la Ch. tumida, Horn. triassica e la Ch. pseudotumida, De-Stef. tanto frequente nel Lias inferiore del Monte pisano. Questi cal- cari, forse alquanto più antichi di quelli neri della Spezia, coi quali però dietro tutte le osservazioni paleontologiche accennate hanno le maggiori analogie, li attribuisco aH’lnfralias (Eetico). SuH’ala meridionale deU’ellissoide rinfralias si può osservare sem- plicemente nella gola profonda di erosione del torrente dell’Elci, che menzionai al monte Eaeta. Nel rimanente del gruppo si manifesta sem- plicemente laddove per un' forte spostamento di strati la volta dell’el- lissoide è rotta e sconnessa e le testate dei più antichi terreni emergono quasi orizzontali. Riguardo alla potenza a cui arrivi l’ Infralias del Suavicino si po- trebbero ripetere le medesime osservazioni che si fecero per il Trias. Sulle massime alture per altro sarebbe delimitato da decise stratifica- zioni, mentre la parte superiore ad esse ed il Trias avrebbero piutto- sto l’aspetto di una grande massa dolomitica. Ma tale fatto è puramente locale e non si manifesta nella parte meridionale del gruppo. Come pure non si osservano ad ogni passo in altre località della giogaia appenni- nica fatti che conducono a comparazioni feconde dei più importanti re- sultati, poiché è bene ricordare che tutti i monti dell’Appennino centrale hanno a comune la medesima storia geologica e tutti andarono soggetti agli stessi mutamenti. LTnfralias dovrebbe quindi estendersi in tutto l’Appennino, ove si manifesta quel gruppo di calcari, che, come si è ripetuto più volte, fu- rono ascritti al Lias inferiora; però non avendo ancora su di esso fatte particolari ricerche, non posso qui citare che quello osservato nella gola Frasassi. Questa gola taglia pressoché longitudinalmente il monte Gin- guno, e si trova quindi nell’asse di una piccola ellissoide, che può consi- derarsi come un’ appendice settentrionale a quella del Suavicino e non meno di questa importante e ricca di copiosissimi fossili. È stata testò — 61 — illustrata dallo Scarabelli; ^ in essa ho raccolto parecchi esemplari di roccia la quale presenta lo stesso aspetto litologico e racchiude i me- desimi piccoli gasteropodi che quella rinvenuta nella vetta del Suavicino. Nella provincia mediterranea l’Infralias dell’Appenino centrale trova poi il suo corrispondente in quel piano conosciuto dai geologi col nome di Eetico e che in Italia fu prima dallo Stoppani nelle Alpi lombarde e poi dal Capellini nei monti della Spezia descritto ed illustrato. Nel rimanente delle Alpi Apuane e nelle appendici minori di queste, nel Monte Pisano ad esempio, corrisponde poi a quei calcari, inferiori ai calcari ceroidi, e considerati già come infraliassici dal De-Stefani. 3. Lias inferiore. I calcari che insieme ai precedenti formano le diverse maggiori cime del Suavicino e che rimangono compresi tra l’ Infralias ed i calcari a Terebraiiila Aspasia Mgh., sono i corrispondenti dei calcari di Saltrio ed Arzo nelle Alpi lombarde, del marmo biancastro ad Aviciiìa Janus di Cam pi glia, del calcare a Chemnitzia (P seiidoinelania) psendotumida del Monte Pisano, e perciò appartenenti al Lias inferiore. La fauna di questi calcari presenta il medesimo habitus di quella del Monte Pisano, come ho potuto anche constatare dietro le ultime ricerche eseguite in questo monte dal De Bosniaski. Dei fossili raccolti nel Lias inferiore del Suavicino descrissi già i seguenti : ^ Liotia (non StraparoUus) circumcostata, Canav. ^ Fleitrofomaria cfr. rotundata, Munst. » cfr. Suessi, Horn. » sp. ind. Phasianeìla morencijana. Piet. Terehratula Midi, Canav. » cfr. sphenoidaìis, Mgh. TJiynchonella variahilis, Schl. » suavis, Canav. Cidaris, sp. ind. ‘ Scarabelli, Sugli scavi eseguiti nella caverna di Frasassi. Trans, r, acc. dei Lin- cei, Itoina, 1870. ® M. C.vxAVAPvi, Sai foss. del Lias inf. nell' Appennino cent. Atti soc. tose, di scienze nat. Pisa, 1879. ^ Il prof. Gemmellaro nel suo dotto lavoro: Sui fossili del calcare cristallmo di Casale e di Bellampo nella provincia di Palermo, pag. 340, mi fa osservare doversi la specie che io descrissi come StraparoUus attribuire al genere Liotia. — 62 — A questa lista si deve ora aggiungere V Emarginula Meneghiniana così frequente nel Lias inferiore delle Grotte di S. Eustachio, presso Sanseverino-Ararclie. Ho raccolto un esemplare di questa elegante con- chiglia nel medesimo banco fossilifero nel quale rinvenni gli altri sum- mentovati, cioè a Le Sassa presso Ficano. Dallo studio di moltissimi in- dividui di questa specie, provenienti tutti dal Lias inferiore delle Grotte di S. Eustachio, si rileva quanto variabile sia il numero delle costicine longitudinali, le quali non solo oscillano dalle 20 alle 40, come feci notare,^ ma talora in individui giovani non se ne contano che 14 o 15. Tale fatto viene ad avvicinare sempre più V Eìììarginula Meneghiniana con VE. Le- psinsì. Gemm. dei calcari cristallini di Casale e di Beilampo nei dintorni di Palermo, per modo che la specie siciliana potrebbe considerarsi forse come un individuo giovine deWE. Meneghiniana. L’illustre Gemmellaro che già fece rimarcare lo affinità grandissime tra queste due specie, probabilmente non avrebbe distinta dalla specie appenninica quella di Sicilia se avesse avuto in mano quei numerosi esemplari che si sono rac- colti nelle Grotte di S. Eustachio. Un altro fossile rinvenuto in questa stessa località e che credo op- portuno citare è il Solarium LorloU, Gemm. perfettamente identico a quello di Sicilia. 11 Lias inferiore nel gruppo Suavicino si manifesta nel massimo centro del sollevamento innalzato insieme all’Infralias e al Trias con rottura della volta, nell’ala meridionale dell’ellisse alla gola dei torrenti del Pozzo, di Sottàcqua e dell’ Elei, non che a nord-est dell’ala setten- trionale alla gola delle Sassi presso Ficano e alla Val di Castro. Il cal- care di cui esso risulta varia alcun poco da quello sottostante, e talora difatti si presenta cavernoso o brecciforme. Riguardo a tale proprietà litologica trova grande somiglianza con il coevo calcare cavernoso del Olente Pisano. Perde poi assai della sua bianchezza per divenire leg- germente tinto in roseo chiaro o in giallastro e in brunastro a cagione degli ossidi di ferro e di manganese che vi si riscontrano. E miniere infatti di tali minerali si hanno nella parte più recente del Lias infe- riore del Suavicino. La presenza del ferro nel monte Suavicino fu annunziata da un tal Albertino Bellenghi, monaco camaldolese, ■ sul principio del presente ‘ M. CanavapvI, loc. cit. * Questioni diverse per autorizzazione a far ricerche di ferro sui monti di Castelletta e Porcarella. Cingoli, 1870. — 63 — secolo; più tardi fu annunziato anche dal Calindri. ^ Si trova a monte Faggetto tra Oastelletta e Porcarella, a monte Kovellone, a monte Sfor- catura, a Fonte Pila, alle Vigne e in altre località; ma più abbondante al monte Faggetto la cui miniera viene indicata col nome della Porca- rella. I lavori di escavazione in tali posti sono sino ad ora meschina cosa, nè possono permettere un giudizio esatto sulla loro produttività avvenire. Altri giacimenti di ferro, forse alquanto più recenti, si riscontrano nel- l’Appennino centrale a Piobbico e sopra Gorga Cerbara ed Bramo e a monte Nerone, per i quali il Mici - accennava ad origine indubbiamente idrotermale. Allo stesso livello della miniera di ferro della Porcarella alle Sassa presso Ficano si ha una miniera di la quale, come quella di ferro, è oggi trascurata e quasi del tutto abbandonata. Le due zone nelle quali suddividesi il Lias inferiore della Toscana, si potrebbero distinguere nel gruppo Suavicino ; inferiore la fossilifera a facies prevalentemente di gasteropodi, mentre la superiore non è fos- silifera. Però è da rimarcare che tale divisione riescirebbe molto ar- bitraria, poiché ho osservato che di frequente nell’Appennino centrale anche nella parte superiore del Lias inferiore si raccolgono fossili iden- tici a quelli della zona più antica. Quindi è che si potrebbe concludere con maggiori probabilità che le due zone non sono distinte neU’Appen- nino centrale. 4. Lias medio. Immediatamente sovrapposti agli strati descritti del Lias inferiore e quasi in contatto con le miniere accennate, si trova nella montagna del Suavicino, come in tutti i gruppi dei quali risulta la giogaia cen- trale appenninica, un insieme di strati calcari compatti, a frattura scheg- giosa o concoide, ricchissimi ovunque di pirite di ferro. Questi calcari conosciuti col nome di pietra corniola ed utilizzati su larga scala come un eccellente materiale da costruzione, hanno ordinariamente un colore bruno-chiaro, qualche volta sono tinti in giallastro e più frequentemente carnicini e picchiettati in nerastro. 1 banchi di essi alternano con sottili strati di tenera marna o con arnioni e letti di silice, i quali raggiun- gono anche una spessezza di parecchi centimetri. Il Lias medio è sviluppatissimo nel gruppo Suavicino, e merita par- * CalindPvI, Saggio stai, star ^ ecc. Perugia, 1829. * F. Mici, 1 terreni dell Urbinate. TSyihìnQ 1873. — G4 — ticolarmente di essere ricordato quello che si manifesta al Campo delle Monnece presso Gagliole e ai Campi delV Aequa a monte Martino presso Ficano, per essere in queste località molto ricco di fossili. Nel restante deH’Appennino centrale il Lias medio si riscontra al Vettore e in tutto il gruppo Sibillino, al monte Nerone, al Furio, al monte Gemmo, alla Marconessa presso Cingoli, alle Grotte di S. Eustachio nei dintorni di Sanse verino-Marche, non che presso Monticelli sul lato orientale della campagna romana e in molte e molte altre località, con potenza differentissima, che oscilla dai quindici siii’oltre i cento metri, e quasi sempre presentando ovunque i medesimi caratteri litologici e paleontologici. Il conte A. Spada e il prof. A. Orsini ^ considerarono la parte più antica di questi calcari come corrispondente al piano ad Ammonites (Ariefites) hisuleafiis, Brug. del Lias inferiore. Più tardi lo Zittel ^ se- parava del tutto questi calcari dai sottostanti del Lias inferiore, e dietro alcuni dati paleontologici era con molta probabilità indotto a conside- rarli equivalenti del Lias medio. Negli esemplari poi àeìV Arietites hi- suleafus (Brug. sp.) dello Spada e dell’Orsini — non Brug. — conservati nel museo geologico dell’Università pisana, riconobbe V Harpoeeras Al- riovianum, Opp. specie del Lias medio. Paragonava i detti calcari del- l’Appennino centrale con il calcare grigio di Brescia (Medolo) ad Aego- ceras Taylori, Amaìtlteus maryaritatus^ con il calcare rosso e grigio di Campiglia e Spezia ad ammoniti, belemniti, atractiti, non trascurando però di fare osservare che « la fauna di essi sebbene offra un proprio e deciso carattere alpino, tuttavia nel suo complesso o almeno nel mag- gior numero delle sue specie non concorda con alcuna delle sino ad ora stabilite suddivisioni del Lias. Invero le forme più decise del Lias medio, come V Ammonites (Harpoeeras) Algovianus, V A.(Stephanoceras) Davoei, l’G. (Steph.) Regaszonii sono rari in ogni dove e superati in frequenza dai Falciferi a coste fine, che nell’insieme del loro habitus ricordano più che le forme del Lias medio, quelle del superiore, quantunque anche da queste differiscano specificamente. ^ » Per modo che supponeva che la parte superiore del ritenuto Lias medio dell’Appennino centrale potesse considerarsi come coeva degli Schisti a Posidonomya della Svevia, che rappresentano la zona più antica del Lias superiore. Tale supposizione viene ora paleontologicamente convalidata nel gruppo Suavicino dalla ^ Spada e Orsini, Quelq. ohs. fjéol. sur les Ap. de V Italie cent. Paris, 1855. ® Zittel, Geol. Beoh. a. d. Central-Ap, Monaco, 1869. ^ Zittel, ì. c.. pag. 43. 65 — presenza negli strati superiori del ritenuto Lias medio di una fauna di cefalopodi quasi del tutto identica, come vedremo, a quella del calcare rosso ammonitico del Lias superiore. E da notare però che la compa- razione della zona a Terebratula Aspasia Mgh. delFAppennino centrale con il calcare grigio di Brescia (Medolo) non è molto esatta. Poiché quantunque nel Medolo si trovino di frequente V Aegoceras Taylori, Amaìtlieiis margaritatus, Amaltheiis spinatus ed altre specie del Lias medio, tuttavia vi si riscontrano anche le più comuni e le più caratte- ristiche forme del Lias superiore, come sono V Harpoceras bifrons e Y Harpoceras comense. ^ Questa mescolanza di faune sta ad indicare pro- babilmente un passaggio tra la parte superiore del Lias medio e quella più antica del Lias superiore, come autorevolmente accennò anche il Meneghini; ^ sta ad indicare uno di quegli anelli intermedi di faune, così frequenti tra formazioni successive nella geologia italiana, e som- mamente interessanti nello sviluppo del regno organico. Nel gruppo Suavicino, e del pari in tutta la giogaia dell’Appennino centrale, la zona a T. Aspasia Mgh. è coetanea della zona omonima di Sicilia e da riferirsi decisamente al Lias medio, più antica quindi di quella dei calcari grigi del Medolo. È da rimarcare ancora che lo Zittel era indotto a sincronizzare la zona a T. Aspasia Mgh. dell’Appennino centrale con il calcare grigio del Medolo dal fatto di avervi rinvenuto parecchi brachiopodi, Terebratula Erbaensis, T. JRenieri, che in Lom- bardia si riscontrano insieme alle più caratteristiche forme di ammoniti del Lias superiore. Ma a tali osservazioni si possono opporre quelle ci- tate dal Gemmellaro, ^ il quale descrive della zona a T. Aspasia Mgh. di Sicilia parecchi gasteropodi e brachiopodi corrispondenti a quelli del Lias inferiore di Hierlatz, onde giustamente il Neumayr fa notare che essa zona « ripete nel Lias medio con la più grande precisione lo sviluppo della facies degli strati inferiori di Hierlatz, e dimostra ancora in un esempio assai parlante che un habitus totale di una fauna composta da diversi generi Pleur otomar ia^ Discoheìix^ Fjucyclus, Trochiis e Ghern- nitzia, bivalvi {Auomia, Placimopsis, Avicula, Lima, Pecten, Area) e pochi ammoniti non dà un punto preciso per la determinazione della età. » Quindi allorché le faune non possono risolvere con esattezza le ^ .1. Meneguini, Zes fo^s. du Medolo. Milano, in corso di pnbbl. * G. Meneghini, Paragone ixd. dei vari lembi di Lias sup. in Lombardia. Atti r. accad. dei Jjiricei. Roma, 1875. ^ G. G. Gemmellaro, Sopra ale. faune giur. e liass. di Sicilia. Palermo, 1874. ^ Neematr, Die Zone der T. Aspasia in den Sddalpen. Verhandl. d. k. k. g. Reicb., N. 11. AVien, 1877. -- G6 — questioni eli geologia cronologica è d’uopo ricorrere ad altri elementi e particolarmente a quelli dati dalla stratigrafia. Or dunque questa ci dice che la zona a T. Aspasia Mgh. dell’Appennino è immediatamente so- vrapposta al Lias inferiore e sottostante a calcari bianchi con una fauna ammonitica propria del Lias superiore. Si aggiunga inoltre che in essa si sono trovati anche resti di Amaìtheus sp. e di Lytoceras fimbria- fioìì, specie che di frequente si riscontrano nel Lias medio. Parec- chie forme poi del Lias medio deU’Appennino centrale ricordano quelle degli strati superiori di Klauss e alcune come Terebratula Aspasia, Bìnjnclìoneìla Briseis, Rhi/nchoneìla flabelliim, corrispondono con quelle raccolte nella zona a T. Aspasia Mgh. dei dintorni di S. Cassiano nel Tirolo meridionale. ‘ I fossili che ho rinvenuti nel Lias medio del gruppo Suavicino sono i seguenti: Lyfoceras fnnbriatitm, Sow. sp., Min. Condì., II, p. 145, tab. 164. « Les figures et les descriptions données par MM. de Buch et d’Orbigny font aisément reconnaìtre le Lyfoceras fmòriatum, méme lorsque on a à faire, cornine c’est malheureusement le cas plus fréquent, avec des échantillons incomplets. » (Meneghini, Fai. Lomb., p. 101), e come è pre- cisamente il caso di una porzione di giro di una tale specie raccolta nei Campi deìV Acqua presso Picano. Alcuni paleontologi, il Dumortier ad esempio {Quelq. foss. peu con- niis, ecc. Lyon, 1857), citano il Ijytoceras fimbriatiim come frequentis- simo nella parte inferiore del Lias medio e mancante in quella supe- riore. Il Meneghini invece riferisce a questa specie anche alcuni esem- plari del Lias superiore di Lombardia. Harpoceras Boscense, Keyn. in Zittel, Gcoì. Beob. a. d. Central- Ap., p. 32, taf. 13, fig. 3, 4. Lo Zittel scriveva che V Harpoceras Boscense è la specie più ca- ratteristica del Lias medio dell’Appennino centrale. Kiccamente è rap- presentata al Suavicino, ove nella località denominata Campi del- V Acqua, ne ho rinvenuti 10 esemplari, che si aggruppano nelle due varietà citate dallo stesso Zittel, a coste cioè più grossolane e a maggior spessore, corrispondente alla forma tipica del Reynès, e a coste più fine e a parte ventrale più arrotondata, per la quale il Meneghini aveva proposto il nome di Harpoceras Lavinianum {Foss. du Medolo). Harpoceras Alyovianum, Opp., I^alaeont. Mittlieil., I, p. 137. Due esemplari di questa specie raccolti nella località denominata ^ XErMATR, l. c. G7 — Il Cesarello a nord del villaggio di Roti corrispondono perfettamente, così per le proporzioni, come per la linea dei lobi e per la disposizione delle costole a quelli del Medolo, descritti dall’Hauer ( Ueb. d. Amm. a, dem sogen. Medolo, 1861) e figurati dal Meneghini {Foss. dii Medolo). Ai Campi delV Acqua predomina una forma che con qualche dubbio unisco alla precedente, differendone per il maggior numero delle coste nellultimo giro e un poco anche per la linea lobale, la quale si avvi- cina molto a quella deH’AT. Boscense, Eeyn. SteqAianoceras Vernosae, Ziti, sp., Geol.Beoì).,eGG., Pag. 35, Tav. 13, fig. 5, 6. Diam. 45”“. Alt. ult. giro 26/100. Spess. 20/100. Largii, ombell. 35/100. Conchiglia discoidale a rapido accrescimento, composta di 6 giri pianeggianti lateralmente e l’altezza dei quali supera di pochissimo lo spessore. ISeU’ultimo giro si contano 57 costi cine alquanto rilevate, tutte semplici, lievemente allargate nella parte ventrale in cui costituiscono un leggerissimo arco con la convessità rivolta in avanti e parecchie di- minuiscono talmente di rilievo da sembrare interrotte. Le ultime sono fortemente piegate in avanti e sono le più sviluppate, tutte le altre che precedono vanno diminuendo di rilievo e di curva, ma non diven- gono mai rette. I solchi tracciati tra due costicine consecutive sono al- quanto più ampi dei corrispondenti rilievi. La linea dei lobi è sconosciuta. L esemplare descritto è l’unico che io abbia raccolto nel Lias medio dei Campi delV Acqua. Esso differisce alquanto nelle pimporzioni dalla specie tipica dello Zittel, e si deve quindi considerare come una semplice varietà dello Steph. Vernosae, a cui lo rapporto. Bhyìloceras Mimatense, d’Orb. sp. Riferisco a questa specie una porzione di giro raccolto ai Campi delV Acqua. Esso sembra, per la proporzione e per la disposizione dei solchi, corrispondere all’ esemplare figurato dal Meneghini {Foss. du Medolo). JiClemnifes, sp. ind. Parecchi frammenti indeterminabili ai Campi delV Acqua. Aiilacoceras orthoceropsis, Mgh., Pai. lomh., p. 135. Moltissimi articoli di fragrnoconi appartenenti a ben 17 individui, dei quali 7 del Lias medio nel Campo delle Monneee presso Gagliole e i rimanenti nei Campi delV Acqua presso Ficano. Un esemplare rac- colto in quest ultima località è formato di 6 concamerazioni delle quali 1 anteriore ha il diametro di 33 millim. e di 20 millim. la posteriore: non presenta alcun indizio di sifone. Un esemplare raccolto al Campo 5 — GS — delle Monnece, e favoritomi dal signor Paggi ha dimensioni veramente grandissime ed è il maggiore fra tutti quelli sino ad ora conosciuti. Sopra una lunghezza di 250 millim. esso risulta di 6 articoli, dei quali r anteriore ha il diametro di 70 millim. e di 42 millim. il posteriore. In una sua faccia e in tutta la lunghezza dell’individuo si scorge una traccia limitata lateralmente da due linee spatiche del sifone, il quale misura 3 millim. di diametro nella parte anteriore, e successivamente restringendosi nella posteriore non arriva che ad avere una larghezza di 2 millimetri. V Auìacoceras ortJioceropsis, Mgh., e la Terehratoìa Aspasia, Mgh., sono i fossili più frequenti e più caratteristici del Lias medio nell’Ap- pennino centrale. Terehratuìa Aspasia, Mgh., Nuovi fossili toscani, pag. 13. Oltremodo frequente laddove si manifestano i calcari del Lias medio e di svariatissime dimensioni. Ne ho raccolti 40 esemplari nella Cor- niola inferiore dèi Campi cìeirA.cqtta e 7 nel Campo delle Monnece presso Gagliole; più frequentemente la varietà minor Zitt. che la varietà major Zitt., mentre poi nel restante Appennino sembra accadere il contrario: « La var. minor felle que M. Zittel l’a décrite et figurée est loien moins fréquente dans le Lias moyen de l’Apennin centrai que la var. major. » (Meneghini, Fai. Lomh., pag. 169). Terehratuìa Erhaensis, SuESS. in Pictet, Mei. paléont., Ili, p. 184, pi. 3, fìg. 8. Lue frammenti sufhcienti per determinarne con sicurezza la specie nei Campi delVAccpia presso Ficano e rinvenuti nel medesimo banco fossilifero in cui sono stati raccolti tutti gli altri fossili che si citano del Lias medio di tale località. Terehratuìa cerasulum-, Zitt. , Geol. Beoh. , ecc. Pag. 37, Tav. 14, fìg. 5, 6. Lue esemplari dei Campi delVacqua. Terehratuìa, sp. ind. Parecchi frammenti di piccolissime terebratule, indeterminabili, ho rinvenuto ai Campi delV Acqua e al Campo delle Monnece. Filli) nchonella Mariottii, Zitt. Geol. Beoh. , ecc., Pag. 41, Tav. 14, Fig. 17 a-d. I due esemplari che ho raccolti di questa elegante specie nel Lias medio dei Campi delV Accpua si allontanano alquanto dalla figura che ne dà lo Zittel per non avere ai lati del seno mediano le due o tre pieghe secondarie. Tale particolarità venne notata anche in alcuni esem- plari dallo stesso Zittel, come si rileva dalla descrizione della sua specie : — G9 — « Die Seitentheile tragen eritweder zwei bis drei ganz schwache Neben- falten oder sind ganz glatt » (1. c.). Bhynclionella pisoides, Zitt., Geol. Beoh., eco., pag. 41, Tav. 14, Fig. 15, 16. Tre esemplari, uno dei quali del Campo delle Monnece, corrisponde perfettamente a quello rappresentato nella fig. 16 dallo Zittel (1. c.), gli altri due dei Campi delV Acqua corrispondono invece a quello indicato con la fig. 15. Ehynchonella Paolii, nov. form., tav. I, fig. 1 a-d. Lungh. mm. 11, Largh. mm. 15, Spess. mm. 9. Conchiglia piuttosto piccola, un poco più lunga che larga, globu- lare, apice acuto, alquanto ricurvato, forame non ben visibile e racchiuso dalle due linee che costituiscono il deltidio, falsa area bassissima, leg- germente concava, non ben definita; valva perforata depressa, con un seno mediano amplissimo e poco profondo, limitato da due leggeri rialzi; valva brachiale abbastanza convessa, con un leggero lobo limi- tato da due pieghe ben distinte in corrispondenza al seno della valva perforata. Ambedue le valve sono ornate da sottilissime costicine che vanno perdendosi agli apici; se ne contano 6 nel seno mediano della valva perforata e 7 2 ^ 'ni a o a ® o S 3 a o o --v 'a OOO I I •a o ^02 ^ M 6 00 OS ai " a ’S s| ® « 03 03 02 f-t C 03 o a bo o a M m o “ a o 2 o ^ ‘bv’il 03 ^ 03 02 r a? 1 1 0 a MO 1 1 1 1 ri O) 1 1 co -Tti p4 <1 UJ o o Ph H O a I a il O s- a òo 03 03 a ^ a 'a oo I I — 155 — come un nucleo centrale attorno al quale gli strati numerosi del lias grigio ed i banchi dolomitici si accartocciano avviluppandoli replicata- mente. Un secondo ripiegamento lia luogo nel colle di Castelpoggio, non lungi dal contatto della formazione cretacea col lias. Questo ripie- gamento apparisce solo parzialmente, ma in modo assai chiaro sul tratto della strada che sta di fronte a Castelpoggio. L’ inflessione è inversa alla prima, benché non così completa a causa deU’abrasione preesistente e di quella fortissima operatavi dal torrente, il quale, profondamente lacerando al contatto gli strati diasprini, ha asportato in gran parte anche i basici. Dopo questa seconda inflessione gli strati ripigliano 1^, loro inclinazione normale ad ovest e vanno a formare il Colle Kuschetti, il cui vertice è costituito da un lembo isolato del calcare rosso, che riposa quivi sul grigio secondo l’ordine naturale di successione. Le cerniere delle due .inflessioni sono sensibilmente parallele fra loro ed alla, direzione generale di tutti gli strati della gran piega apuana, i quali serbano costantemente la direzione di N.N.O. Nelle varie escursioni dirette dal eh. prof. Capellini nella scorsa estate per istudiare gli strati dei monti nella Spezia, oltre alla identità perfetta di tutte le formazioni di quel classico golfo con quelle dei dintorni di Castelpoggio ora esaminate, mi è occorso avvertire anche colà il non perfetto accordo degli strati cretacei coi più antichi. Ad esempio, nel promontorio orientale, dalla baia di Fiascarino alla Serra gli schisti argillosi rossi mostransi in contatto col lias inferiore, e suHa strada per Ameglia, al luogo detto il Senato, gli stessi schisti riposano sul calcare cavernoso; neU’ecciclentale presso Corvara il calcare con selce cretaceo sta sulla dolomia infraliasicà. E poi degno dinota che la dire- zione generale degli strati nei due promontori è sensibilmente la stessa di quella poc’anzi indicata per gli strati delle Alpi Apuane ; ed è questo un argomento di più a raffermare i rapporti dei due gruppi montuosi ed avvalorare V idea che essi ripetano la formazione ed il sollevamento dalle stesse cause comuni. Ing. D. Zaccagna addetto al rilemmento geologico delle Alpi Apuane. — i56 — IL La Montagnola Senese, studio geologico di Carlo de Stefani. Continuazione. — Vedi Bollettino 1880, n. 1 e 2. Vili. — Pliocene. — Descrizione topografica e stratigrafica. Il pliocene si estende tutto intorno alla Montagnola, salvo nella sua porzione più meridionale fra Montarrenti ed il paese di Eosia, che la valle della Rosia divide, come ho detto a principio, dai monti di Torri e Brenna, continuazione materiale della Montagnola stessa. Nella carta del Giuli e meglio in quella del Campani si sono di- stinte le sabbie e le argille plioceniche nel lato orientale ed in piccola parte di quello occidentale della Montagnola; nel rimanente vengono indicati travertini, alberesi, e calcari cavernosi: però la cintura plioce- nica non è mai interrotta. Le argille ed i conglomerati pliocenici formano una lingua stret- tissima, benché continua, in fondo a quella depressione sinclinale che separa il fianco occidentale della Montagnola dal piccolo anticlinale dei monti della Selva formato da schisti triassici e da calcari alberesi. In fondo a quella depressione scorre verso mezzogiorno il fosso Bacheto e qualche altro fossatello che mette ben presto nella Rosia, la quale giunta sotto Montarrenti svolta ad oriente e confina la Montagnola : verso settentrione scorre pur sempre nel pliocene il fiume Elsa che sorge nella Montagnola sotto Molli ed ha poi foce nell’Arno sotto Empoli. Un jnccolo poggetto all’Osteria, lungo la strada che va dalle Rosie a Colle, segna lo spartiacque, appena manifesto all’occhio, fra la vallata deU’Arno nella quale affluisce l’Elsa e la vallata deH’Ornbrone maremmano dove affluisce la Rosia. Il pliocene in questo tratto segue presso a poco la direzione dei calcari cavernosi e degli schisti varicolori ivi segnati nella carta del Campani; e posa con discordanza, ora sul calcare cavernoso, ora sugli alberesi eocenici, o sui calcari e sugli schisti Lassici. Esso è costituito nella valle della Rosia, in specie verso l’Indicatore, da argille tenui tur- chine, atte a far mattoni, pel quale scopo anzi sotto il Poggione, fra la Rosia e la strada provinciale è aperta una cava che serve ad una pros - sima fornace. Nel fondo d’un fossetto, non lungi dall’Indicatore, negli strati più bassi delle argille plioceniche raccolsi fra gli altri fossili, Dentalium gadus Montf., Ringicula Imccinea Broc., Pecten opercularis L. molluschi rispondenti presso a poco a quelli di Monsindoli e della Co- — 157 — roncina presso Siena e caratteristici di mare piuttosto profondo, come ri- sulta pure dalla natura del sedimento. Per effetto della denudazione compariscono qua e là a monte, fino all’Elsa, i terreni sottostanti; a mezzogiorno gli strati pliocenici debbono essere connessi con quelli molto estesi della Val di Merse e sotto Spannocchia son sovrapposti a strati con lignite appartenenti al miocene superiore. Più a ridosso al fianco occidentale della Montagnola nel poggio sul qual sta Montarrenti fra la strada di Colle e la sinistra della Eosia, e più elevata delle argille di mare profondo sopra accennate, comparisce una roccia formata per lo più da cumuli irregolari di piccoli frammenti di calcare ceruleo cupo tutt’al più leggermente arrotondati. In apparenza questo conglomerato forma dei banchi che paiono pendere verso S.O. o verso B.N.E., -e che a volte son quasi verticali, talché venne considerato fin qui come un cal- care cavernoso antico ed in posto; ma questa supposizione si dimostra non esatta quando si faccia più minuto esame. Invero neU’estremità più occidentale del poggio, lungo il fossetto che, parallelo alla strada, dal- l’Indicatore scende alla Eosia, si scorge che quel conglomerato riposa sopra r alberese eocenico (fig. 6), il quale però, sebbene il fossetto seguiti ad andare più basso verso la Eosia e verso la Montagnola, spa- risce poi interamente ; sicché anco nel fondo dell’alveo ad ambedue le rive, cioè verso Montarrenti e verso Spannocchia rimane il conglomerato sopradetto. Insieme coi frammenti del calcare grigio-cupo vi si tro- vano non di rado ghiaietto, le uniche in quella massa, di marmo lias- sico, dei pezzi di schisti nodulosi triassici forse provenienti dal prossimo poggio di Cotorniano, e dei frammenti anche grossi di alberese eocenico che però non sono frequenti, ciò che si spiega col pensare che questa roccia forma la parte più bassa di quelle regioni, nè pare si alzasse colà, nemmeno nel passato, sull’ alto de’poggi. Il calcare che forma la massima parte de’ frantumi è ceruleo cupo, compatto, e soltanto sulle superfici è coperto da lucenti cristallini di calcite, come per via d’un in- dumento prodotto dalle acque. Esso non presenta differenza alcuna dal calcare titonico che forma tanta parte della Montagnola, salvo che non è cavernoso come accade nelle regioni superficiali di essa, ma è com- patto, come per esempio lungo la Eosia e come là dove fu meglio protetto dal circolare delle acque. Yi sono delle masse però costituite interamente da un fitto mucchio di questi frantumi cementati fra loro^ nelle quali tutto il calcare è diventato più o meno cavernoso, ciò che produce una grande illusione e farebbe dubitare più del solito che si trattasse d’una roccia cavernosa in posto, se in mezzo al calcare grigio cupo non si vedessero pezzetti di alberese, e se inferiormente a quelle masse compatte non si estendessero dei banchi aventi l’aspetto ordinario — '158 — del conglomerato e perfino sabbiosi. Per lo più i frammenti del conglo- merato sono staccati e isolati da una finissima sabbia argillosa la quale forse impedì che le acque interne li rendessero cavernosi. Ma quel che più importa, come risulta dalla fig. 6, anche negli strati più bassi si vedono alternare, o formare mandorle, delle sabbie giallastre, argillose, tenuissime, in strati ben distinti, nei quali è sparso qualche frammento di calcare grigio-cupo, ripiene a volte di minuti fossili e di frantumi di -specie non riconoscibili. 10 vi ho trovato i seguenti resti : Balanus sp. aff. tintinnabulo L., frammenti. JEchimis, piccola specie aff. microtuber culaio L. Moltissimi radioli. Ostrea sp. frammenti. Fecten pusio L. Frequente e talvolta in individui interi Non v’è dubbio perciò che si tratti di una formazione marina plio- cenica. Quei frantumi non ghiaiosi mostrano una provenienza non lontana. Però il calcare titonico donde essi derivano non si trova più là sul posto, al contrario di quel che accade in quasi tutto il resto della Montagnola; ina le rocce del lias inferiore rimangono allo scoperto fin quasi alla cima dei poggi. Nondimeno dalla presenza di questo aggregato pliocenico rimasto là intorno a Montarrenti e che una volta dovea avere estensione maggiore, si può dedurre che durante il pliocene quel calcare titonico esistesse colà o sotto o ben poco sopra il livello delle onde marine le quali appezzettandolo lo portavano a formare il conglomerato: quei fran- tumi poi qualche volta si dovevano affondare nelle sabbie e nello argille che si depositavano contemporaneamente. Con ciò si spiega come essi formino quasi dei banchi che sembrano avere una pendenza ardita sul- 1’ orizzonte e che precipitavano infatti dal piano molto inclinato della spiaggia, mentre le sabbie e le argille in mezzo al conglomerato for- mano degli strati interamente orizzontali. La Kosia sotto Montarrenti confina oggidì queste rocce plioceniche dalle rocce liassiche, ma un pic- colo lembo di conglomerato rimane ancora sconcordante sopra i calcari c gli schisti del Lias inferiore del piano B, accanto alla strada, sull’an- golo che viene formato dalla Kosia dove essa svolta d’un tratto per traversare la Montagnola. Sulla destra di questa, sotto Spannocchia, il conglomerato stesso seguita ancora un poco e poi si sovrappone al so- lito Lias inferiore. 11 Capellini {Atti Soc. It., T. 4, 1872) ritenne che questa roccia fosse un vero calcare cavernoso in posto, triassico secondo lui, e sup- pose che i prossimi marmi di Montarrenti appartenenti al lias si tro- vassero là sovrapposti al conglomerato, come in una conca sinclinale. — 159 Pantaneili e Lotti contrariamente al Capellini distinsero il detrito sul quale è situato il castello di Montarrenti e l’attribuirono al pliocene, od al miocene (pag. 386), seguitando, credo, un’opinione da me manifestata in addietro; ma tennero distinti gli strati che si trovano lungo la Rosia ed attribuirono questi, come il Capellini, al calcare cavernoso ordina- rio, affermando però eh’ esso è sovrastante e concordante coi calcari marmorei. Quel che ho detto mi dispensa dal ripetere la mia opinione in proposito. La discordanza fra le due rocce di sì diversa età è suffi- cientemente palese, e non si può attribuire ad una parte di questa roc- cia un’ età differente dall’altra. Procedendo verso lo spartiacque, s’incontrano sabbie gialle ed argille pur gialle simili a quelle del poggio di Montarrenti ; all’Osteria del Poggione dove si passa in Yal d’ Elsa subentra un conglomerato con frammenti irregolari e grossolani di varie rocce della Montagnola, ma specialmente di calcare cavernoso e di calcari biancastri, che a primo aspetto si prenderebbe per un’ antica roccia in posto : non vi mancano frammenti di schisto liassico e di marmo giallo. Sotto a quelle masse irregolari prevalentemente cavernose che forse trassero in inganno sulla loro età gli autori della Carta geologica di Siena, scendendo nell’alveo dell’ Elsa vien fatto di trovare strati regolari, benché non fossiliferi, di argille, che son quelle solite dell’epoca pliocenica, turchine, biancastre, o ^ Conglomerati molto simili di calcare ceruleo cupo cavernoso, ma appartenenti invece ad epoca miocenica, sono frequenti intorno ai poggi calcarei titonici od infra- liassici del Cornocchio e della Lecceta di S. Geraignano, anzi qualche volta nei luo- ghi più prossimi al poggio mal si distinguono dalla roccia stessa onde sono derivati. Se ne trovano tracce nell’anzidetto Poggio del Cornocchio, al Poggiarello ed intorno alla strada che dalla via provinciale volterrana conduce a Pignano. Più evidentemente distinti sono i C'^nglomerati del calcare ceruleo cupo simili a quelli di Montarrenti che s’incontrano sul crinale del poggio fra Monte Miccioli, anzi fra il Rastrello e Spicchiaiola lungo la strada da Poggibonsi a Volterra. Sopra il Rastrello un conglo- merato di ghiaietto di calcare cavernoso fa parte del miocene superiore e sta insieme con cristalli di gesso ; poco dopo, di faccia alla Castellacela, il conglomerato è for- mato da massi più grandi che quasi parrebbero in posto e sta sopra straterelli bene ordinati di alberese, tal quale come a Montarrenti; quivi potrebbe appartenere an- cora al miocene superiore, perchè in certi luoghi tuttavia vi si trovano dei cristalli di gesso. Nel poggio di Spicchiaiolina, per una estensione piuttosto ragguardevole, i massi del calcare avrebbero quasi l’aspetto di calcare cavernoso in posto, se insieme non vi si trovassero delle ghiaie d’alberese : ivi essi sono coperti dalle argille del Piano a Con- geriae e sono connessi con arenarie e sabbie fossilifere del Tortoniano, per cui ritengo abbiano a riferirsi a quest’ epoca. Que’ massi di calcare che si trovano tanto nel Tortoniano, quanto nel piano gessoso od a Congeriae, e che in ghiaiette stanno pure nel pliocene, si staccarono evidentemente dalla prossima roccia in posto, la quale du- rante il Tortoniano doveva essere anche più estesa al di là dei limiti nei quali la ridus- sero le denudazioni successive. 11 — reo — nere, e s’ internano alquanto nella Montagnola fra Radi e Palazzo al Piano ; riposano sopra l’alberese, e contengono dei banchi con ciottoletti discoidali di quarziti e di schisti Passici. Evidentemente questi strati argillosi hanno soherto delle alterazioni, giacché sono divenuti, come ho detto, a volte neri e fetidi, a volte scolorati e biancastri, e sono coperti da tenui croste di carbonato di soda. Parmi che questi sieno indizii di antiche emanazioni d’idrogeno solforato e di pntizze colle quali può essere connessa la sorgente d’ acqua minerale che appunto si trova là a poca distanza sotto Palazzo al Piano. Ivi intorno il plio- cene seguita lungo V Elsa abbastanza esteso, ma rimane poi strozzato fra il lias da una parte e l’alberese dall’altra, tra Scopeta e il Muli- gnone : poco dopo però la valle si allarga ed il pliocene comincia ad occupare liberamente tutte le colline, giungendo anche più alto sulle pendici delle rocce antiche, dove fu più rispettato dalla denudazione, e^ nascondendo qua e là alberesi, serpentine, calcari cavernosi e schisti Passici. A ridosso della Montagnola il pliocene s’interna alquanto nella valle di Gallena o Botro di mezzo. Affrico, Pieve a Scola, Bell’Aria, S. Chimento sono costruiti sul pliocene, o sopra la roccia più antica ma presso il pliocene. I poggi serpentinosi di Verniano, Bipostena, Coh lalto. Mollano, ed altri piccoli lembi di terreno eocenico, rimangono isolati in mezzo al pliocene sopra al quale alzano il loro vertice, per non parlare di quegli altri poggi parimente isolati i quali si innalzano sulla sinistra dell’ Elsa al di là della regione che mi sono proposto di studiare. Le rocce più antiche, come è naturale, continuano per certi tratti nascoste dal pliocene stesso nel fondo dei torrentelli : non sono poi sempre ben netti i limiti fra il pliocene ed il calcare cavernoso le cui masse in posto sono coperte da frammenti e da pezzi più o meno grandiosi, sconnessi e staccati che litologicamente farebbero parte della massa calcarea, ma geologicamente rappresentano una formazione plio- cenica. 11 pliocene poi forma qua e là dei piccoli lembi isolati sulle pendici della Montagnola ; per esempio Scorgiano è sopra un’isola plio- cenica circondata da calcare cavernoso. Tra Pieve a Scola, S. Chimento e l’Elsa il pliocene è frequentemente costituito da conglomerati, a for- mare i quali concorre in massima parte l’Eufotide che costituisce quasi interamente, come ho detto altrove, il Monte Vasoni ed i poggi di Mol- lano. I minerali componenti l’Eufotide nelle ghiaie rimaste si lungo tempo nel mare sono spesso profondamente alterati, e il diallaggio o bastile vi si è convertito in altro minerale, probabilmente in piroscle- rite. Air Eufotide si aggiungono ghiaie di diaspro rosso, di selce nera, e benché meno frequentemente, di schisti Lassici o triassici, di calcari ca- vernosi, e di calcare con selce del lias medio. Banchi di ghiaie si segui- — 161 — tano a trovare del resto anche verso Colle, sebbene prevalgano le sabbie gialle; negli strati inferiori non mancano però le argille nelle quali sono frequentemente dei banchi di fossili, e nel Botro del Molinuzzo, non lungi dalla sua entrata nell’Elsa, ho raccolto Dentalium sp., Cancellaria coro- Desh., ed altri fossili prettamente marini, di mare non molto pro- fondo, rispondenti presso a poco a quelli di Larniano e Montaperto presso Siena. A settentrione i terreni pliocenici sono costituiti per lo più da sab- bie gialle accompagnate da ghiaie, formate già prevalentemente da rocce eoceniche o cretacee provenienti, a quanto pare, dal Chianti. Essi occu- pano tutte le ultime pendici della Montagnola, indicate nelle carte di Siena come eoceniche, sulle quali sono situate le cure di Castello, Strove e Abbadia, e si estendono fino nell’ altipiano a Santa Giulia, Acqua- viva, il Casone dove cominciano estesissimi banchi di travertino. Ho già detto a principio come da questa parte le rocce infraliàssiche e liassi- che si estendano oltre la Montagnola in lembi a volte piccolissimi, l lembi intorno alla Staggia sotto Kencine, Busona e Lornano, sono cir- condati appunto dal terreno pliocenico, di sotto al quale spuntano fuori di tanto in tanto. Un piccolo lembo di pliocene separa pure in qualche luogo il calcare cavernoso dalle serpentine di Trasqua. Sul pliocene sono i paeselli di Rencine e Lornano. Vi si trovano pure Monteriggioni e la fattoria di Stommennano situati ad un’altezza maggiore che non le pen- dici inferiori circostanti della Montagnola, e poco meno che isolati sul calcare cavernoso che quasi da ogni parte li circonda. Uguali caratteri ha il tratto fra Lornano ed il Poggiolo, curva situata sur una collina pliocenica pur essa discretamente elevata al di sopra del calcare ca- vernoso il qaale a ponente la sorregge. Anche qui, lungo tutti i tor- rentelli, e fin sulla strada del Casino, compariscono dei piccolissimi tratti del calcare anzidetto in posto. Ciò peraltro che forma il carattere più strano di questa regione a N. ed a N. E. della Montagnola, nella quale i calcari cavernosi con lievissimo declivio vanno a nascondersi sotto le rocce più recenti, è 1’ estensione dei banchi formati da fram- menti e masse irregolari dello stesso calcare, che vengono pure traversati colla strada ferrata da Siena a Poggibonsi. Questi nelle carte del Giuli e del Campani per un certo tratto vengono considerati come calcari alberesi eocenici, e per un tratto come travertini postpliocenici; nella carta del Campani bensì una parte è indicata come pliocenica. Non è facile comprenderne a prima vista la vera natura, chè, al vedere que’ gran massi cementati ed accumulati gli uni sugli altri, si prendereb- bero per calcari titonici in posto; ma un esame più attento ne fa ve- dere la disposizione a banchi e 1’ alternanza con sabbie e con argille — 162 — anche fossilifere, come pure l’adagiarsi regolare sopra gli strati a Congeriae della Staggia, nei quali d’ un tratto cessano come per in- canto simili masse tanto abbondanti negli strati marini pliocenici im- mediatamente sovrapposti. Non è difficile poi, ripeto, il trovare quà e là, in mezzo a quei banchi irregolari, delle punte di calcare cavernoso veramente in posto e non sconvolte nè rotte. Questi frantumi di calcare infraliassico secondo me debbono la loro origine solamente allo scom- bussolamento avvenuto in sui luoghi per via del mare che batteva sugli scogli, costituiti da una roccia di per sè crepata e cavernosa, facilissima a smuoversi e ad andare in frantumi. Oltre che dai frantumi del cal- care cavernoso il pliocene dei luoghi mentovati è costituito da ghiaie provenienti dal Chianti, da sabbie gialle e talora da argille litorali; i fossili sono quasi esclusivamente marini e di mare non molto pro- fondo; non mancano però degli strati con fossili marini che mostrano un leggero grado di salmastrosità come si verifica più a mezzogiorno di Siena, la quale cosa deve parer naturale quando si pensi che quivi, come presso Siena, era tanta vicinanza fra il Chianti e la Montagnola e tanto frastagliamento d’ isolette e di scogli intorno ai quali facilmente si potevano formare delle piccole lagune. Di alcuni fossili marini di questi strati, di presso Staggia, benché un poco lontani dalla Montagnola, dette un elenco il Pantanelli. {Acc. Fis. Rapp. ann. 187 6 \ 1878). Venendo a mezzogiorno del Poggiolo e di Opini si entra nel campo di quei terreni dei dintorni di Siena dei quali già altrove detti una descrizione molto estesa. {Str. plioc. di Siena, 1877), e di cui più che 500 molluschi fossili furono illustrati da me e dal Pantanelli. ^ Sarà inutile perciò che io tenti porgere qui un sunto delle osservazioni già fatte sopra questi terreni ghiaiosi, sabbiosi ed argillosi, così variati e cosi ricchi di fossili, dove si trovano in pochi passi riunite tutte le circo- stanze di formazione, che altrove bisogna cercare sopra grandi esten- sioni, destinati, secondo me, a restare per un pezzo quasi tipici dei ter- reni pliocenici mediterranei. Qui ripeterò quel che dissi a principio, che cioè il calcare cavernoso comparisce al di sotto del pliocene sulla de- stra del Pian del Lago e nel fondo della Pressa sotto Belriguardo, nei quali luoghi si vedono, immediatamente a contatto di esso, ghiaie plio- ceniche formaterda calcari alberesi e da altre rocce eoceniche e qualche volta dal calcare cavernoso. Il Pian del Lago, il Pian del Ponte ed il Pian di Eosia separano le colline plioceniche dalle pendici titoniche della Montagnola. Però alcune collinette plioceniche ad Ampugnano, a ^ 0. De Stefani e D. Pantanelli, Molluschi pliocenici dei dintorni di Siena. Bull. Soc. Mal. It., voi. Ili, 1878. — 163 — Malignano e sotto Sovicille si estendono anche a contatto immediato del titonico. Quivi, ad Ampugnano ed altrove, presso le rocce calcaree più antiche, fa parte del pliocene una panchina calcarea con JPecten latissi- mus Eroe, e vari altri fossili. 11 pliocene, come fu notato già dal Capellini e dall’Achiardi, copre qua e là le pendici più basse della Montagnola, for- mando lembi piccolissimi ed isolati, non però le vette di essa donde fu portato via dalla denudazione. Un lembo o due molto isolati ed un poco fossiliferi si trovano sotto Santa Colomba ed in qualche altra parte della Montagnola. Disposizione generale degli strati pliocenici ed origine delle ghiaie. Compiuto cosi il giro dei terreni pliocenici, passerò a dire alcune cose generali intorno alla loro disposizione. Prima di tutto il trovarli da ogni parte della Montagnola mostra che quando quelli si depositavano, questa era isolata e distinta dai monti vicini, cioè dal Chianti e perfino dai colli così prossimi della Selva; soltanto era connessa coi monti di Torri e di Brenna oggi divisi dalla stretta e relativamente profonda valle della Eosia fra Eosia e Montarrenti. La posizione poi del pliocene spesso tanto alto sulle pendici stesse della Montagnola, ed il fatto ch’esso forma le colline circostanti, talora poco meno alte della Montagnola, in- sieme con molti altri provano ad evidenza come già indicai altrove {Tracce delVuomo plioc., pag.6) che la Montagnola era quasi del tutto sommersa, meno forse la cima più alta intorno, alla Cappella del Ca- stellare. Invero i poggi pliocenici di Marciano, Montalbuccio, Beicaro, Siena ad oriente della Montagnola, sono poche centinaia di braccia sot- tostanti al vertice di essa; i poggi pure pliocenici di Casole, Mensano e di Monte Guidi ad oriente sono poco più bassi; quelli di Eadicondoli, per tralasciarne altri più meridionali e più lontani, sono poco meno che ad eguale livello. Credo perciò non si possa dubitare che se la Mon- tagnola, in qualche tempo del pliocene non fu del tutto sommersa, formò tutt’al più uno scoglio quasi a fior d’acqua. Infatti intorno alla Monta- gnola non si trovano nel pliocene nè ligniti nè fossili terrestri, i quali invece si trovano prossimamente al Chianti che era in quel tempo, in parte, certamente emerso. Dalla Montagnola poi non derivano ghiaie se non per brevissimi tratti poco lontani, insieme con frantumi irregolari, quali il mare può produrre operando sui terreni anco a qualche pro- fondità dalla sua superficie. Invece fino a ridosso delle sue pendici orien- tali si estendono dovunque le ghiaie provenienti dal Chianti che era emerso. — 164 — Nelle pendici settentrionali ed occidentali della Montagnola, benché quivi pure a non molta distanza da essa sieno altre colline eoceniche, non si trovano nel pliocene se non terreni prettamente marini: ad oriente invece, particolarmente fra il Poggio di Lecceto e Monte Riggioni, si trovano cogli strati marini anche degli strati salmastri e di laguna. Le ragioni di questa differenza stanno in ciò, che i poggi eocenici ad occi- dente della Montagnola erano durante il pliocene, come sono anche oggi, molto più bassi della Montagnola e pur essi completamente sommersi, trovandovisi fino in cima le sabbie plioceniche; perciò non si poteva dar luogo alla formazione di lagune ed a conche- d’acque o dolci o salmastre. Invece ad oriente, come ho detto, si estendeva il Chianti che era emerso. Un altro fatto importante è questo, che soltanto ad oriente ed a settentrione della Montagnola si trovano banchi frequentissimi di ghiaie d’alberese, di pietraforte, di calcari cretacei con foraminifere e d’altre rocce ben ca- ratteristiche del Chianti: ad occidente invece non se ne trova più una traccia, sebbene, ripeto, vi sieno pure colline eoceniche. Ciò prova, se- condo me, che la Montagnola benché non emersa, se non forse in pic- cola parte, formava pure un grandioso argine che arrestava nel fondo il cammino delle ghiaie provenienti dal Chianti, e mostra altresì, quando anche non vi fossero altri argomenti, che quelle ghiaie dovevano pro- venire di verso oriente. Ma non alla Montagnola soltanto si arresta l’osservazione di cotali fatti che nelle profondità dei mari odierni non possiamo verificare coll’occhio, ma che possiamo vedere negli asciutti fondi de’ mari pliocenici. Nella stessa posizione appetto al Chianti nella quale è la Montagnola sono anche i monti antichi di S. Gemignano e del Cornocchiu. Or sebbene quei monti di antiche rocce sieno molto lon-* tani dai monti eocenici, pur le loro pendici orientali sono coperte da piccole ghiaiette di rocce eoceniche e cretacee evidentemente provenienti da oriente, mentre esse mancano completamente nelle pendici occidentali donde non si scorgono colli si estesi e sì elevati di rocce simili. In altri casi però, nelle regioni prossime, per dare spiegazione della presenza di ghiaie plioceniche estranee, almeno in apparenza, alle formazioni geologiche del monte che ricoprono, conviene ricorrere a criterii differenti. Intorno al Monte Pisano, da Montecchio a Nugola, si trovano nel pliocene ghiaie di selci, di calcari e di altre rocce le quali mancano oggi nella porzione meridionale di quel monte. Così pure negli strati pliocenici circostanti ai monti titonici e- Lassici di Chianciano, Sarteano e Cotona si vedono in quantità ghiaie di rocce eo- ceniche le quali mancano nella parte oggi più visibile di quei monti, mentre sono rarissime le ghiaie delle rocce più antiche. Cotali fatti si spiegano quando si ricorra colla mente a que’ tempi nei quali le ghiaie — 165 si formavano. Da allora in poi uno spazio di tempo incommensurabile, ed una denudazione che potremmo dire sterminata, ha portato via tanti strati che prima esistevano e che in que’ tempi pliocenici fornivano ghiaie e materie alle nuove rocco ed ai conglomerati in formazione. Le ghiaie delle antiche rocce intorno al Monte Pisano e le ghiaie delle rocce eoceniche intorno ai monti toscani della Val di Chiana rappre- sentano appunto gli unici rimasugli di rocce che prima del pliocene avevano -una certa estensione e formavano mantello ai monti, nascon- dendo le rocce più vecchie e che oggi sono già interamente scomparse. La scomparsa di quelle rocce, nella parte superficiale del Monte Pisano è oggi completa; ma non è tale nei monti della Yal di Chiana se non nelle parti più elevate sopra il livello degli strati pliocenici. Sotto il livello di questi strati, nel fondo dei torrentelli più bassi, si trova ancora in posto la roccia eocenica, identica a quella che formò le ghiaie che in antico doveva coprire anche le cime. Osservazioni generali sul pliocene toscano. Mal si comprenderebbero la vera età geologica e le varie circo- stanze del pliocene senese, quando non lo si considerasse in rapporto cogli altri terreni pliocenici ; sicché mi trovo condotto a fare alcune osservazioni generali, come già feci pel piano a Congeriae. Or non è molto, io (Moli. cont. Atti Soc. Tose. Il, p. 134 e seg.) ed il Major (Cons. mamm. plioc. e postpl. Atti Soc. Tos. Il, 1876) abbiamo constatato che i terreni lacustri pieni di mammiferi fossili del così detto Yal d’Arno superiore, e, meglio si direbbe, dei dintorni di Montevarchi, invece di essere un termine superiore del pliocene rispondono esatta- mente ai terreni pliocenici marini: questo l’aveva provato il Savi da un gran pezzo, ma i più de’geologi non toscani che non avevano visto quei terreni avevano introdotto a loro riguardo delle confusioni deplorevoli e non esatte. 11 Fuchs che vi si era pur esso attenuto, ha poi riconosciuto almeno per un certo tempo l’esattezza delle nostre osservazioni (Glied. d. jùng. Tert. Ober-It., pag. 13, 1878) ; ^ sebbene poi in un lavoro più recente * 11 Fuclis nel descrivere la sua vìsita al Museo de’ Fisìocritici in Siena parla della quantità de’ mammiferi pliocenici che vi sono raccolti, e dice che se questi te- sori non fossero a lungo rimasti ignoti nel Museo Senese, egli, come gli altri, non avrebbe in addietro ritenuto i terreni marini senesi come più antichi di quelli del Val d’Arno. Per esattezza convien dire che la maggior parte di que’mammiferi fossili provengono dai terreni lacustri del Val d’Arno ; non mancano però specie identiche dei terreni marini senesi, ed una buona parte degli esemplari provenienti da luoghi cono- sciuti erano già stati almeno citati negli scritti' del Capellini e di altri, per non dire — 166 — abbia cambiato di nuovo idea ; ^ in questo suo ultimo lavoro egli dice che la fauna de’mammiferi del Val d’Arno non è la fauna degli strati pliocenici marini d’Italia, e la pone nel quaternario inferiore ; prende la fauna del vero pliocene italiano (lasciando da parte gli strati a Congerie), ne fa una mescolanza con mammiferi che non vi hanno che fare, e questa mesco- lanza divide in due porzioni che attribuisce una ad una zona pliocenica inferiore (da non confondersi con la zona di Pikermi) e l’altra ad una zona superiore. Ecco brevemente le due porzioni di fauna come sono divise dal Fuchs : Porzione superiore, Pleiostocenica secondo Euchs : Eleplias meri-- cìionalis, Hippopotamus mmor, Bìiinoceros etruscus, Equus Stenonis,. Eos etriiscus, etc. Porzione inferiore, Pliocenica superiore secondo Fuchs. Mastodon arvernensis, M. Borsoni, Tapirits priscits. Antilope Cor di eri, etc. Siccome non si accordavano colle sue idee certe cose che avevo dette io e certe altre che aveva viste nei Musei italiani, egli se ne sbriga con due parole. D’un certo Bos etruscnSy che io trovai negli strati inferiori del pliocene marino di Siena e ch’egli crede invece particolare al quaternario inferiore, dice che fu da me trovato nel letto d’un torrente «in Thalbette.» Non so chi glielo .abbia detto: io no di certo che colle mie mani scavai quella mandibola. Se il Fuchs si fosse rammentato di consul- tare il mio scritto Sugli strati pliocenici dei dintorni di Siena (Bull. E. Coni. geol. 1877) a pag. 174, e nella fig. 4 (giacché diedi anche uno spac- cato degli strati), avrebbe trovato come io appunto vi descrivessi lo strato preciso donde scavai quel fossile, che se si trova quasi sotto un ponte, non era però nel letto d’ un torrente. Di un Elephas meridio- nalis che egli vidde nel Museo di Siena e che gli fu detto provenire da strati marini del Senese dove era stato trovato poco tempo avanti alla sua venuta, siccome lo ritiene come il Bos appartenente al quaternario, egli domanda se è proprio vero che provenga dal pliocene marino se- della mandibola di Mastodonte dei terreni marini di Monte Follonico illustrata e ben figurata dal Baldassarri fin dal 1767. Del resto, anche non parlando dei dintorni di Siena, mammiferi terrestri nei terreni marini subappennini delia Toscana ne sono stati citati e determinati per lo meno da altrettanto tempo quanto i mammiferi del Val d’Arno superiore. Lascio Brocchi, Giuli, Bepetti, Targioni ed altri antichi, e per non parlare se non dei più recenti che prima di Sandberger, di Fuchs e di altri, parlarono di mammiferi terrestri nei terreni marini pliocenici toscani e ne determinarono la specie, indicherò sopra tutti il Savi, il Major, e il Capellini, e il Cocchi e Falconer, e me ed altri. ^ Tu. Ftjchs, TJeher neue Vorkommnisse foss. etc., nehst ein. Beni, uber die soge-^ nùnnte plioccine Sciugethier fauna. — Verh. d. k. k. geol. Reichs.* 1879. — 167 — nese, e perchè hr questo caso io non l’abbia mai citato ne’miei scritti. Se l’avessi citato, forse avrebbe avuta presso di lui la stessa fortuna del JBos etruscus; ma ad ogni modo non yìq iìqi Moli ascili continen- tali perchè ancora non era stato trovato e perchè non citai a p. 135, se non poche località che avevo sulla punta delle dita; non ne parlai nella Descrizione degli strati pliocenici di Siena, perchè era stato tro- vato in altra parte diversa da quella di cui discorrevo. Ma quel che non ho detto prima lo posso dire ora: e dirò che VE. meridionalls ve- duto dal Fuchs nel Museo di Siena è stato trovato negli strati indub- biamente pliocenici marini del fosso Amano presso S. Gernignano. Fra qualche centinaio di mulluschi i quali formavano degli strati al di sopra e che furono raccolti dal Pantanelli, si trovano le specie seguenti che scelgo fra quelle oggi estinte e fra quelle dello strato più recente. Il Pantanelli stesso determinò le specie. Cardila intermedia Eroe., Ostrea pusilla Eroe., Decten flaloel- liformis Eroe., Venus islandicoìdes Lek., V. Amidei Mgh., Dentalium fossile Gmel., Conus Mercati Eroe., Mar ex truncatalus For., Triton lieptagonum Eroe., Nassa loollenensis Tourn., N. Tournoueri De Stef. et Pant., Terehra pertusa East., Turritella varicosa Eroe., T. vermicu- laris Eroe., Solarium simplex 'Qrowa, P grami della plicosa Eronn, Bis- soina pusilla Eroe., Nematurella etnisca De St. Del resto non cè da sgomentarsi a trovare V Elephas meridionalis negli strati pliocenici marini, giacché vi è in abbondanza ; oltre che a S. Gernignano, e per parlare soltanto delle colline pisane dove sono terreni che conosco da per me, lo citerò a Lari, S. Regolo, Peccioli, Terricciola : gli esemplari sono nel Museo di Pisa e li può veder chiunque : anche nel Museo di Siena chi vuole può vedere resti del suddetto mammifero trovati negli s.trati inferiori del pliocene marino fra il lago di Chiusi ed il Trasimeno. Il Fuchs mette, insieme coi due mammiferi sopra citati, nel quater- nario anche il Bhinoceros etruscus, sebbene egli vedesse in un certo luogo negli strati marini pliocenici del Senese, in Val di Pugna, lo strato medesimo dal quale fu levata una mandibola di quella specie; sebbene egli potesse esaminar questa nel Museo di Siena dove si trova, e sebbene io, anche degli strati dove questa fu trovata mi ingegnassi dare uno spaccato ed una descrizione ed indicare la po- sizione precisa (Desc. str. plioc. di Siena p. 175, fig. 5). lo credo che nel suo viaggio attorno al pliocene italiano questi strati nei quali furono raccolti il PJiinoceros ed il Dos sopradetti sieno gli unici che egli ha veduto di posizione precisa donde fu tolto qualche mammifero fossile. Le cose che ho dette di sopra mi dispensano dal discutere — 168 — gli altri casi, tanto più che ciò sarà fatto dal Major con maggiore autorità ch’io non abbia e col fondamento di 40 casse di fossili scavati or ora nel pliocene marino di S. Romano. Ricorderò soltanto che il Mastodon Arvernensis^ ben lungi dall’essere tra i mammiferi carat- teristici degli strati inferiori del pliocene marino, è di quelli che si trovano spesso più abbondanti negli strati più recenti. Il Masto- don Arvernensis è tra i fossili più comuni del pliocene marino ; so che vi è stato trovato a Montopoli, Palaia, Montefollonico, San Mi- niato, in Val di Pesa. Non sia grave al Puchs aprire il mio scritta- rello Sui fossili pliocenici dei dintorni di S. Miniato. (Boll. Mal. It, 1874) e leggervi un elenco di 231 molluschi certamente pliocenici i quali tutti sono più antichi di parecchi resti di Mastodon trovati più volte negli strati superiori, in cima ai colli, a Coiano ed a S. Quintino presso S. Miniato, alcuni dei quali resti, poco dopo il loro ritrovamento, vennero anche presentati alla Società toscana di scienze naturali dal socio Pieragnoli. Quanto al Mastodon Borsoni, il Puchs ha ragione a dire che si trova, per quanto pare, solo negli strati più antichi ; anche un Tapinis sino ad ora, vale a dire in due soli casi per P Italia, non è stato trovato che in questi. Hippopotamus maior non è però punto esclusivo degli strati più recenti, giacché ne fu trovato qualche dente ne’ più antichi strati marini al Ponte a Elsa : nemmeno VEquus manca agli strati più antichi nel Val d’Arno, a Montopoli col Mastodon A^'ver- nensis, ed in altri luoghi. Spero che questi fatti convinceranno il Puchs il quale ha detto che si sottomette volentieri ai fatti e mai alle au- torità. Relativamente agli stessi terreni pliocenici io manifestai l’opinione che tutti i varii termini di Astiano, di Piacentino e di Zancleano adot- tati per distinguere come si credeva, parti differenti e più o meno an- tiche del pliocene, erano interamente sinonimi fra loro e rappresenta- vano soltanto aspetti o litorali o d’alto fondo dei terreni pliocenici marini (Moli. Cont. pag. 157 e seg., 1876). Le altre osservazioni che ho fatte di poi ne’ terreni pliocenici di tante regioni d’ Italia, dall’ Asti- giano alla Toscana, al Lazio, alle Calabrie ed alla Sicilia, mi hanno persuaso sempre più nella opinione suddetta. Ed anche questa vedo che almeno per ora è stata accettata dal Puchs il quale riconosce che le sabbie d’Asti tipiche rappresentanti del piano Astiano sono coetanee alle marne ed alle argille fine a pteropodi del Vaticano (Glied. d. jùng. Tert. Ober It., pag. 11, 1878). Parò per altro qualche osservazione alle parole del Puchs che po- trebbero dar luogo a qualche equivoco. Egli dice; « Le sabbie d’ Asti, lungi dal rappresentare la zona più giovane del pliocene (comeriten- — 169 — goiio, dice egli, il Mayer e quasi tutti i geologi italiani), equivalgono alla zona più antica. » Conviene però osservare che, siccome dirò fra poco, il Fuchs considera come zona più giovane dei pliocene quel piano che noi diciamo postpliocene o quaternario e che altri distingue col sino- nimo di pliocene recente {newer pliocene). Ora nè al Mayer, nè a nessun geologo italiano o straniero è mai venuto in mente finora (ed è question di fatto) di equiparare le sabbie di Asti e gli strati analoghi al quater- nario 0 pliocene recente; cioè alla zona pliocenica superiore di Fuchs, da non confondersi però col pleiostocene dello stesso autore ; ma tutti invece le considerano come la zona superiore di quel terreno che il Fuchs dice pliocene antico, mentre le argille e le marne come quelle del M. Yaticano sono poste nella zona inferiore, cioè, per dire come di- cono gli altri, nel Piacentino, o Zancleano, od in parte Messiniano. Ora sarebbe inesatto credere che le sabbie d’Asti, tipo del cosi detto piano Astiano, rispondano soltanto alla zona inferiore del plio- cene 0, per adottare il termine di Fuchs, del pliocene antico. Le sab- bie d’Asti invece sono la zona litorale del pliocene, e corrispondono nei diversi luoghi e nei varii strati tanto alla zona iilferiore quanto alla zona superiore di esso pliocene così detto antico, precisamente come il preteso piano Piacentino o Zancleano o Messiniano superiore rappresenta una zona d’ alto fondo in tutto contemporanea a quell’ al- tra litorale. E inutile io soggiunga che quando parlo di pliocene lo intendo in quel senso che venne stabilito da chi primo introdusse la distinzione ed il nome, cioè dal Lyell. 11 Lyell distinse da principio il neiver pliocene e V older pliocene ; ma poi denominò la prima zona, pleistocene^ e questa detta poi meglio postpliocene fu ritenuta come quaternaria mentre V older pliocene fu ritenuto come vero pliocene. Io, attenendomi all’ ultima di- stinzione del Lyell, denomino pliocene l’un terreno e postpliocene l’altro: il Seguenza con una differenza che è puramente di nomi designa l’uno come pliocene antico 1’ altro come pliocene recente. Il Fuchs per il momento ammette pure questa distinzione e pone nel pliocene antico gli strati di Messina, Gerace, Siena, Asti etc. , nel pliocene recente gli strati di Eodi, Taranto, Lentini, M. Mario etc.: soggiungendo che vi è tanta distinzione fra un piano e 1’ altro quanta ve n’ è fra il primo ed il secondo piano mediterraneo nel miocene viennese. (Glied. d. tert. Ober It. pg. 12, 1878). Il Fuchs ha in ciò completamente ragione; ma io ho voluto aggiun- gere le antecedenti osservazioni, perchè dalle parole sue potrebbe parere aver egli proposto pel primo quelle divisioni che sono antiche quanto il nome di pliocene. 170 — Aggiungerei qualche altra osservazione intorno a ciò che il Fuchs dice dei nostri terreni pliocenici, chiedendo venia se m’occupo anche di cose minute, delle quali avrei tralasciato di parlare, se ne avesse discorso altri che un geologo il cui nome è ben noto, come il Eucbs. Egli, nell’ esaminare una serie di 17 fossili ben determinati delle sabbie d’ Asti, mostra meraviglia come si sieno ritenute queste rappresentanti della serie superiore del pliocene, mentre da quei fossili viene loro ma- nifestamente (egli dice) un carattere assai antico, che ricorda molto il carattere degli strati miocenici di Gauderndorf nel Viennese (loc. cit. pg. 39). Ora tra i 17 fossili da lui citati non ne sono che 2 {Tapes Basteroti e llytilits aqicitanicus), se pur quest’uitima specie è ben de- terminata, le quali, trovate in origine entro strati miocenici, siano poi state scoperte nel pliocene in parecchi luoghi. Un’altra, il Clijpeaster aìtus, è specie miocenica, e la forma del pliocene d’ Asti e degli altri luoghi che si riteneva in addietro identica a quella, secondo il Seguenza, è il C. pliocenicus Seg. differente. Le altre specie si trovan tutte, è vero, anche nel miocene; ma 7, cioè una gran parte {Solen vagina, PolUa le- gimen, Tellina planata, T. lacunosa, Lutraria rugosa, Tugonia ana- tina, Cardium Jiians) sono anche viventi e le altre 7 (PsammoMa Ba- steroti Broun (P. Lahordei Bast.), Yenus unibonaria, Gytlierea pedemon- tana, Avicula plialaenacea, Berna Soldani, Becten latissimus, Spondylus crassicosta) furono in origine fondate sopra individui pliocenici italiani e vennero solo più tardi trovate nel miocene. Passerò di volo sopra un’altra questione che riguarda da vicino i no- stri terreni pliocenici; cioè sulla supposizione manifestata e sostenuta dallo Stoppani che i mammiferi fossili negli strati marini pliocenici iden- tici in tutto, come si è detto, ai mammiferi dei terreni lacustri del Val d’Arno superiore, sieno caratteristici dell’ epoca glaciale. Non accennerei qui quest’opinione, se lo Stoppani si fosse limitato unicamente ad affermare la esistenza di ghiacciai contemporaneamente alla formazione dei de- positi pliocenici; ma siccome quella opinione trae chi la segue a rite- nere che i nostri terreni non siano più pliocenici ma quaternarii, così debbo dirne qualche cosa. La fauna de’ mammiferi pliocenici, e questo lo affermano gli studi dei paleontologi, è oggi completamente sostituita da una fauna diversa: nè soltanto quella fauna pliocenica esiste più, ma di mezzo fra la medesima e la fauna attuale ne è un’ altra meno antica di quella pliocenica, ma pur essa alterata ed in non piccola parte estinta. Ora precisamente questa fauna intermedia è quella che fin qui si riteneva come caratteristica dell’epoca glaciale quaternaria e che si diceva essere vissuta ed essersi diffusa in un periodo di freddo. Da una parte all’ altra d’ Europa infatti si trovano fossili, soltanto nei terreni — 171 — quaternarii, mammiferi i quali abitano oggi o nei monti più nevosi o nelle regioni circostanti al polo: nei sedimenti quaternarii marini i quali non s’ incontrano se non nelle regioni più meridionali e nelle più settentrionali d’ Europa, essendo il resto del continente in quell’età già emerso, si trovano fossili dei molluschi, e non pochi, i quali oggi vivono soltanto nei mari d’ Islanda, di Norvegia e di Groenlandia. Si- mili depositi marini hanno lo spessore di 500 metri e più, e salvo in parte le sabbie del Monte Mario, non hanno che fare niente colle sabbie cosi dette Astiane, veramente plioceniche, le quali dallo Stoppani sono considerate contemporanee ali’epoca glaciale. Lo Stoppani ritiene essere stato il periodo glaciale, coetaneo al massimo sviluppo de’ ghiacciai, un’epoca di caldo, non di freddo come si ritiene comunemente e come si parrebbe a primo aspetto a chi ode parlare di ghiacciai. Ammesso ciò, la fauna dei mammiferi e dei molluschi polari, che pare sia vissuta in una epoca di freddo ragguardevole, sarebbe vissuta, non prima de’ ghiacciai, perchè troppo recente e meno antica della fauna rinchiusa nel pliocene, bensì dopo l’epoca glaciale. Così si sarebbe avuta un’epoca nella quale i ghiacciai coprivano mezza Europa, senza freddo, ma anzi beata per tepide aure, ed un’ epoca con freddo polare e con migrazione di animali da Nord a Sud, senza sviluppo di ghiacciai. Mi limito a citare queste conclusioni e lascio ad altri il coordinarle co’fatti, ma per parte mia concludo sul punto che solo m’importa per ora, che cioè quand’anche de’ ghiacciai fossero realmente esistiti durante l’epoca pliocenica, la fauna e la flora dei terreni di quest’epoca è talmente distinta dalla fauna e dalla flora dei periodi successivi, che non si può per niente sopprimere la netta esi- stenza del pliocene allo scopo di riunirlo al -quaternario o postpliocene. Al pliocene bensì succede e in terra ed in mare un’epoca molto lunga, durante la quale si depositarono 500 e più m-etri di strati marini, la quale epoca ha una fauna che è abbastanza distinta e da quella odierna e da quella pliocenica, per cui a ragione va attribuita ad un periodo più recente dei terreni che io dico pliocenici, cioè al postpliocene o quater- nario. Se questo postpliocene, così inteso, non fosse esistito per lo in- nanzi, bisognerebbe ora inventarlo: se poi ghiacciai esistettero solo du- rante il pliocene, questo vorrà dire che l’epoca glaciale è più antica di quel che si crede, ma non già che l’epoca pliocenica sia più giovane di quel che si supponeva prima. — 172 — Questioni sulV orografia delV epoca pliocenica. Il Pantanelli, da alcuni fatti che egli dice avere osservati nei din- torni di Chianciano, cioè dalla sovrapposizione di alcuni strati d’ alto fondo ad altri che non lo sono, e da indizi che egli trova in altre parti di Toscana, cioè dalle alternanze di strati salmastri e marini le quali si verificano frequentemente, trae ragione a chiedere se nei tempi più antichi del pliocene esistesse un mare caspico salmastro, ovvero se la regione italiana fosse più sollevata che non di poi. Secondo lui, in que’ primi tempi, presso i littorali non poco profondi, si depositarono strati salmastri, mentre più tardi vi si estese un mare profondo. ^ Il Lotti, osservando in più luoghi che il pliocene ricopre direttamente le vette di parecchie regioni montuose della Toscana, senza intermezzo di terreni miocenici, afferma che « per spiegar questo fatto che credo trovi ri- scontro nella maggior parte dei gruppi della catena metallifera, mi sembra ragionevole e sufficente T ammettere un periodo d’ abbassa- mento nei monti della catena stessa, corrispondente alla fine del miocene e al principio del pliocene, e un successivo sollevamento du- rante la sedimentazione degli ultimi terreni pliocenici. In favore di questa ipotesi, che in ultima analisi è conforme alle idee del Savi e del Suess sullo sprofondamento della catena metallifera m un’ epoca rela- tivamente recente, ha portato ultimamente un contributo di molto va- lore il professor Pantanelli con un suo lavoro sul pliocene di Chianciano.» (v. loc. cit.). 2 Lo stesso Lotti poi, parlando del pliocene che si trova di- discordante sulle rocce eoceniche del Monte Amiata (che non fa parte della catena metallifera) sino ad 800 metri, soggiunge: « Il fatto di un potente sollevamento postpliocenico verificasi dappertutto nell’Italia cen- trale, come verificasi l’ altro, meno conosciuto, ma non meno evidente, di un notevole abbassamento pliocenico. » ^ Premetto che qui si parla del pliocene, ond’ io intendo limitare il mio discorso al pliocene. Se nel periodo anteriore mio-pliocenico sia esistito 0 no un mare avente caratteri speciali, se vi fossero allora forti sollevamenti od abbassamenti, come sembra, non è qui luogo a discu- tere; nemmeno voglio questionare se durante il pliocene vi fossero. ^ D. Pantanelli, Sul pliocene dei dintorni di Chianciano (Bull. E,. Com.geol., 1878). ^ B. Lotti, Il giacimento antimonifero della Selva presso Pari, le putizze e le sor- genti sulfuree di Petriolo, e il giacimento ramifero del Santo. (Bull. R. Com, geol. 1878, pag. 85; . 1 ® B. Lotti, Il Monte Amiata. (Boll. R. Com. geol, 1878, pag. 369). — 173 — come suol essere frequentemente in ogni regione, delle oscillazioni locali e delle alternanze di solleyamenti ed abbassamenti. Io esamino la que- stione da un punto di vista generale, e intendo di studiare presente- mente: 1° se nel principio del pliocene, inteso questo come l’intendiamo il Lotti, il Pantanelli ed io, vi fu in Italia un mare caspico più o meno generale, nel quale si depositarono strati salmastri; 2'^ se nel primo pe- riodo del pliocene vi fu uno sprofondamento già avviato per l’ innanzi 0 cominciato appena allora. Premetto però che mentre attendo siano pubblicati gli argomenti i quali debbono provare « il fatto poco conosciuto ma molto evidente (secondo il Lotti) dell’abbassamento pliocenico, » io mi dovrò limitare a riferire in questa discussione i fatti abbastanza conosciuti fin qui e molto generali, i quali per ora provano, secondo me, il caso contrario. Quanto al mare caspico, non avrei se non a ripetere e con maggiori ragioni quello che già dissi altre volte parlando degli strati salmastri dei dintorni di Siena, prima che quelle supposizioni fossero mosse e dal Pantanelli e dal Lotti. Dicevo cioè « non si potrà dubitare in modo al- cuno che gli strati salmastri segnino un orizzonte generale nei nostri strati pliocenici e denotino una condizione speciale dei mari contem- poranei, perchè dessi alternano più volte e sono sovrapposti a strati prettamente marini, nè si trova la continuazione loro negli strati forma- tisi lontano dalla spiaggia. Essi rappresentano semplicemente un terreno depositatosi in lagune litorali. » (Strati plioc. di Siena, pag. 60 — 1877). Secondo il quadro che pubblicai, accettato anche dal Pantanelli (De Stefani e Pantanelli, Mol. ^ìioc. di Siena, pag. 10 — 1878), i terreni più antichi del Senese, e sono anche i più antichi del pliocene, sono litorali e marini, con leggere tracce di salmastrosità derivanti probabilmente dall’avervi avuto prossima foce acque dolci. Credo che nella valle del Bozzone più verso il Chianti rispondano a questi degli strati decisa- mente salmastri che stanno immediatamente sopra gli strati mio-plio- cenici della valle del Bolgione e del Casino ; ma noterò altresì che vi alternano pure alcuni strati con Cerithiwn ettropaeum May. decisa- mente marini e senza ombra di salmastrosità con aspetto simile a quello degli strati ghiaiosi inferiori del Riluogo. Se dunque vi troviamo de- gli strati salmastri antichi, questi si spiegano per la vicinanza del lito- rale; al largo v’era il mare libero. La cosa è ancora meno discutibile pei dintorni di Chianciano visitati da me pure. Noto che il Pantanelli cita qui gli strati salmastri, che sono numerosi e degni di nota, o im- mediatamente a ridosso del monte formato dai calcari cavernosi titonici, ovvero a non grande lontananza da quello che durante il pliocene,^ sebbene di assai poco, doveva essere emerso: il terreno più basso della — 174 — regione da lui esaminata e da lui stesso citato, che è eziandio uno dei meno vicini al monte, cioè il terreno che si trova all’ incontro dei tor- renti Ribussolaie e Yarco al Lupo, è marino. Il terreno più profondo e più antico di tutta la Val di Chiana, anche sotto Chianciano, è un’ar- gilla di mare piuttosto profondo, con Cardium hians, e con vari altri fossili prettamente marini; e ciò che io dico combina colle stesse osser- vazioni e cogli stessi spaccati studiati dal Verri nei fianchi opposti della Val di Chiana sotto Città della Pieve. Non è dunque il caso di fondare sulle circostanze di questi luoghi la supposizione che nel principio del pliocene si formassero dappertutto strati salmastri : nè è il caso di fondarla altrove, chè, prescindendo dagli strati miopliocenici del Senese e di alcuni luoghi di Maremma sopra i quali si trovano strati plioce- nici più 0 meno litorali, in Vài di Pine, in Val d’ Era, dove quei terreni hanno tanto maggiore estensione, e fino in Val di Cecina dove fra inio-pliocene e pliocene sembra essere concordanza assoluta, in questi luoghi, dico, al mio-pliocene sovrastano direttamente strati pliocenici, non litorali, ma di mare profondo. E inutile quindi insistere più oltre contro la supposizione che nel primo periodo di quegli strati, dal Pan- tanelli attribuiti al pliocene, vi fosse un mare caspico. Quanto alla seconda supposizione, se cioè nel primo periodo del plio- cene abbia avuto luogo uno sprofondamento che secondo il Lotti sarebbe stato abbastanza considerevole, le osservazioni fatte fin qui sono d’ac- cordo, secondo me, nel combatterla. Non è da ora infatti che tanti geo- logi hanno preteso dividere il pliocene in due piani, uno superiore di sabbie gialle, uno inferiore di argille turchine, cioè uno superiore x^stiano con fossili litorali, uno inferiore Piacentino o Zancleano con fossili d’alto mare. Cito queste tendenze comuni nei geologi, perchè mostrano se non altro l’esistenza di un fatto abbastanza generale, cioè della succes- sione di depositi litorali a depositi non litorali, lo ho dimostrato che quasi dappertutto presso i litorali si trovano depositi con fauna così detta Astiana; lontano dai litorali si trovano argille con fauna così detta Piacentina o Zancleana; ma è pure un fatto che da una parte al- l’altra d’Italia, senza che si possa perciò pretendere come tanti fanno di fondarvi differenze d’età, si trovano in molti e molti luoghi sabbie e faune litorali sovrapposte alle argille ed alle faune di mare profondo. Ciò si trova pure, e deve essere noto al Pantanelli ed al Lotti, nel Se- nese e nella Val di Chiana: mai si trova il fatto contrario, ad eccezione di piccole e locali alternanze. Ciò vuol dire che, o riempimento o sol- levamento che fosse, un mare meno fondo succedeva ad un mare più fondo: e lascio considerare come ciò si accordi con l’affermazione del Lotti. Questo creduto abbassamento contemporaneo al pliocene, seguito — 175 da un sollevamento postpliocenico od anche pliocenico, secondo il Lotti, conferma le idee del Suess e del Savi sullo sprofondamento della catena metallifera. Questa afiermazione mi fa sospettare che il mio ottimo amico non abbia letti gli scritti del Savi e del Suess relativi a quel- Targomento : invero i fatti citati sopra dal Lotti, o veri o ipotetici che siano, non hanno che fare colle idee del Suess, il quale riteneva la ca- tena metallifera formata da una serie montuosa unica della quale si sarebbe poi sprofondato il fianco occidentale marittimo che poi non sa- rebbe più ricomparso, mentre il fianco orientale si sollevava. Nè hanno maggiormente che fare colle idee del Savi il quale nel 1839, non cono- scendo allora nessun lembo pliocenico intorno alla catena metallifera, ammetteva che questa si era tutta intera sprofondata durante l’epoca postpliocenica, mentre d’altro lato si sollevavano cogli strati pliocenici le colline appenniniche ; fatto diametralmente contrario a quello da cui si parte il Lotti che afferma aver trovato il pliocene intorno o in cima a tutte le vette della catena metallifera. {Continua). Ili. I terremoti delle epoche suhappennine ; nota del Prof. G. Ponzi. Poiché fu osservato dai geologi che le assise plioceniche comune- mente si trovano in giacitura orizzontale, e ricchissime di reliquie or- ganiche, se ne dedusse essere stata quella un’ epoca felice e non affatto turbata da sconvolgimenti di natura. Che sia stato un periodo di calma esteriore, è una verità che nessuno può mettere in dubbio ; ma non per questo oggi possiamo credere che tutte le epoche suhappennine passas- sero tranquille. Imperocché le stesse materie di cui si compongono i sedimenti che le rappresentano, la loro giacitura, le fenditure che l’at- traversano, e i fossili stessi che contengono, concordemente accennano ad una serie di perturbamenti nell’ equilibrio tellurico, succeduti uno dietro 1’ altro fino ai tempi nostri, lasciando le traccie indelebili del loro funesto passaggio. Se ci facciamo ad esaminare la scala strati grafica delle nostre col- line, sarà facile scorgere che, le marne vaticane attribuite al miocene superiore, furono depositate sotto forma di melme nel fondo di un alto mare, popolato da una gran quantità di esseri, alcuni dei quali abitano 12 — 176 — ancora il nostro Mediterraneo, altri si estinsero, altri emigrarono in regioni quasi tropicali. ^ L’ aspetto di questa fauna indica parimenti giorni tranquilli e sereni, ed un clima più caldo di quello che oggi regna presso di noi. Però nella loro giacitura quelle marne sono soluto di continuità, o attraversate da fratture, da salti, e perfino spostate dalla loro naturale orizzontalità. Fatto che senza dubbio dice, essere andate soggette dopo la loro deposizione a sovvertimenti del suolo, o a un periodo di violentis- simi terremoti. Quale sia stato il centro sismico di tali oscillazioni tellu- riche, fin qui non possiamo sapere, perchè quelle assise non s’incontrano che alle radici del Monte Vaticano. Quanto durassero tali agitazioni di natura, neppure possiamo dire : solamente vediamo che con esse venne segnato il fine dell’ epoca miocenica, e col ristabilimento dell’equilibrio planetario ebbe principio la pliocenica. Ma le deposizioni attribuite a quei tempi, parimenti ricchissime di fossili, indicanti il ristabilimento dell’ ordine, non si trovano distese e concordanti nella giacitura sulle marne mioceniche. Avvegnaché si riscontrano topograficamente circoscritte e limitate sotto forma d’isole scorrenti lungo la spiaggia tirrena, e sorgenti dal terreno quaternario per segnare il cammino di un dislocamento della crosta terrestre, o di quel salto che determina la costa italiana. La prima costituisce il Capo d’ Anzio, poco rilevata, la seconda si fa scorgere a fior di terra nelle vicinanze di Palo, la terza presso Civitavecchia parimenti depressa, finalmente la quarta, più prominente delle altre, forma la collina su cui è posta la città di Corneto, alle cui radici scorre il Marta, emissario ♦ del lago Vulsinio. Le roccie del pliocene inferiore, di cui si compongono tali isole, si possono esaminare sulla sponda sinistra di quel fiumicello, presentandosi nel modo seguente. Sorge in basso dal suolo una formazione gessosa, costituita di grossi cristali di selenite, legati da un cemento argilloso, a cui sovraincom- bono letti marnosi, e sopra questi potenti banchi di una calcaria, ora concrezionata, ora farinosa, o tinta dal ferro, a cui fu dato il nome di Macco, piena zeppa di fossili, anche di grossa mole, di fisonomia plio- cenica, fra i quali si fanno distinguere le Amfistegine, in tanta quantità, da mentire una calcarla colitica. Queste assise sono rilevate da solle- vamento sofferto : al capo d’ Anzio segnano un angolo di 45 gradi, ma a Corneto chiaramente si vede un brano di quelle roccie rialzato fino a qualche centinaio di metri sul livello del mare. Da un tale stato di cose mi sembra poter argomentare una ripe- ^ Ponzi, I fossili del Monte Vaticano. — Atti della R. Accademia dei Lincei, 1876. — 177 — tizione di ciò che avvenne al finire deU’epoca miocenica, cioè che dopo la deposizione tranquilla di tali sedimentazioni, si suscitarono nuove agitazioni sismiche, e così violenti da mettere a soqquadro il suolo, e cambiarlo nella sua forma geografica. Il centro d’ irraggiamento di quei terremoti pliocenici, propagati fino a grandi distanze, mi sem- bra non avere errato, quando venne da me attribuito ad una seconda emanazione delle trachiti della Tolfa, per averle rinvenute contempo- ranee e in relazione concordante. Conviene ora tornare a Koma per esaminare quella parte della scala delle assise subappennine, che si mostra sulla fiancata destra della gran valle del Tevere. Quivi troviamo in basso, alle radici del Monte Mario, le marne turchine della Farnesina, attribuite al pliocene medio per i loro numerosi fossili ; poi le sabbie gialle siliceo-calcarie, che resero tanto celebre quella collina per la ricca fauna del pliocene superiore che conten- gono, nella quale apparisce qualche reliquia elefantina : le breccie che gli succedono, risultanti di detriti calcarei, rotondati pel trasporto dai pros- simi monti giure'si, ancor esse comprendenti avanzi di grossi pachidermi, le quali segnano il principio del periodo quaternario, ovvero l’epoca diluviale, o il diluvio appennino : finalmente i tufi vulcanici dei tempi glaciali, senza fossili marini, sebbene ultimi depositati dalle acque salse, e perciò diffusi a ricuoprire la superficie del suolo circostante. Tutti questi letti in genere concordano fra loro nella giacitura orizzontale ; ma non presentano quelle fenditure e salti che abbiamo notati nelle roccie precedenti. Costituiscono tutte le bassure subappennine, e intro- ducendosi fra i monti maggiori ne circoscrivono le radici, disegnando canali, bacini, stretti, ec. Sembrerebbe a prima vista che tutte quelle stratificazioni fossero state depositate durante una lunga calma nella na- tura, ma bisogna avvertire che si trovano ben al di sopra del livello del mare tirreno, e la loro altezza si fa sempre maggiore di mano in mano che si procede verso il centro della penisola, ed inoltre, che le faune rac- chipse nel loro seno, nell’ascendere delle assise, assumono aspetti diversi per indicare un mare sempre meno profondo. Si noterà altresì che le sedimentazioni vulcaniche sono limitate entro i confini di un grande golfo, che al N.O. di Koma si estende a toccare il confine toscano, sul- l’asse del quale si trovano i crateri vulcanici spenti, da cui uscirono tutte quelle materie eruttive. Queste osservazioni accennano chiaramente ad una storia di avve- nimenti tellurici nello svolgimento di quelle lunghe epoche, i quali, a mio credere, sono i seguenti : Che dopo r ultima emersione degli xippennini, l’ estensione della — 17B — penisola italica era rappresentata da un lungo arcipelago, presso a poco come oggi sono le coste della Dalmazia; Che durante la deposizione delle marne e sabbie plioceniche regnava ancora un clima più caldo, sotto un cielo sereno, ma interrotto da leg- giere pioggie per alimentare e mantenere la vita sulle terre emerse ; Che però quella temperatura lentamente si veniva abbassando, come viene indicato dalle differenze delle faune dal finire dell’epoca mioce- nica al declinare della pliocenica ; Che nel decorrere di tutti questi tempi tutta intera la penisola italica gradatamente si , veniva rialzando, e nella emersione le acque scolavano sui due laterali pioventi, e perciò gli esseri viventi in quelle acque si sostituivano da pelagici in littorali ; Che per questa lenta emersione senza alterazione delle assise sub- appennine, scomparve il primitivo arcipelago, e l’Italia si rese un pro- lungamento delle Alpi marittime; Che durante questo innalzamento del suolo, giunto il rafiredda- mento a condensare i vapori, ebbero origine tremende burrasche atmo- sferiche, e pioggie dirottissime che trascinarono in basso e diffusero le breccie diluviali sulle sabbie gialle ; Che il freddo sempre più avanzando, le acque si convertirono in nevi : ed ecco il periodo glaciale propriamente detto, o 1’ epoca delle morene sulle altitudini dei monti maggiori ; Che a quest’epoca si manifestò il più grande vulcanismo, special- mente sul piovente tirreno, coll’apertura sotto le acque del mare di una serie di crateri, costituente la zona vulcanica italiana, rappresentata dai vulcani Vulsinii, Ciinini, Sabatini, Laziali, Ernici, di Rocca Mon- fina, dei Campi fiegrei, della Somma ec. ec. dai quali uscirono le ma- terie dei sedimenti che presso di noi rappresentano 1’ epoca glaciale ; Che durante questo singolare periodo eruttivo tutta la terra venne messa a soqquadro da violentissimi terremoti, sintomi patognomonici della vulcanicità, i quali profondamente ne sfigurarono l’aspetto geo- grafico, riducendola allo stato attuale. Imperocché a questi sovvertimenti si deve ascrivere il sollevamento del Vaticano e del Monte Mario ^ come altresì lo sprofondamento del monte pisano dimostrato dal Savi, le sommersioni maltesi, la separazione della Sicilia, 1’ apertura di Gi- bilterra e del Bosforo, la creduta scomparsa dell’ Atlantide ec. ec. Di fatti le fratture che produssero il salto sul quale corre il Tevere attra- verso Roma, si trovano in relazione col prossimo centro eruttivo dei ^ Po^rzi, Dei Monti Mario e Vaticano, e del loro sollevamento. Atti della R. Ac- cademia dei Lincei, 1875. — Ì79 - vulcani Sabatini, e perciò non dubitiamo di considerare la zona vulca- nica italiana, come altrettanti irraggiamenti sismici che cambiarono faccia all’ Italia per la loro violenta intensità. Ma le manifestazioni della vita terrestre non cessarono colica decli- nazione del vulcanismo glaciale; bensì continuarono col decorrere dei tempi posteriori, quando anche la temperatura della terra si veniva rialzando. I sedimenti marini dell’epoca alluvionale, risultanti di sabbie più 0 meno ferruginose, sotto forma di una zona, scorrono su tutte le spiaggie italiane con fossili in gran parte identici a quelli che ora vi- vono nei nostri mari. Tali depositi, giustamente detti da Eisso delle spiaggie emerse, si trovano ad un livello, ove le acque marine non giun- gono più perchè evidentemente sollevate da un lento continuo moto ascen- dente come nei tempi pliocenici. Correva l’epoca^ alluvionale, allorché per il ritorno del calorico la natura si rianimava dai danni sofferti, e per fusione delle nevi mon- tane scorrevano enormi masse di acqua ad inondare le bassure. Allora spenti i crateri glaciali, il fuoco si concentrò nel Lazio, per risorgere a nuova vita eruttiva nel seno dell’ atmosfera. Per ben quattro volte il fuoco si riaccese nel paese latino ^ fino a raggiungere i tempi storici, e sebbene in grado decrescente, nulladimeno le eruzioni dovettero es- sere violentissime ed accompagnate da agitazioni sismiche parimenti tremende e sovversive. Imperocché anche dopo la scomparsa del fuoco latino, restarono i terremoti per continuare ancora, e per indicare che quel fuoco non è peranche spento del tutto. Scomparse lo confiagrazioni laziali, la manifestazione della vita vulcanica si trasferì nelle regioni inferiori della penisola, recando seco il corteggio dei terremoti che hanno più volte messa a soqquadro l’Ita- lia inferiore. L’ Etna, il Vesuvio e l’incessante attività dello Stromboli, una delle Eolie, sono restati come residui del gran periodo vulcanico glaciale passato sulla terra avanti l’epoca nostra. Oltre questi centri sismici di natura vulcanica ve ne hanno tanti altri in cui non comparisce all’esterno alcun segno di eruzioni, ma in vece si trovano in relazioni intime coi grandi dislopamenti che frazio- nano tutta l’Italia. Era questi si annovera il gran bacino deH’Umbria, celebre per i grandi terremoti sofferti che distrussero Foligno, Beva- gna, gli Angeli, Bastìa ed altri di quei disgraziati paesi. Sull’alto ap- pennino si ricordano i tremendi terremoti che distrussero più volte la città di Norcia; e sul littorale quei di Livorno, per dimostrare che ogni contrada può divenire teatro di devastazioni e mine. Lungo sa- rebbe voler fare un quadro dei terremoti moderni, e perciò rimandiamo ^ Ponzi, Storia dei Vulcani laziali. Atti della R. Accad. dei Lincei, 1875. — 180 — il lettore al Bullettino del vulcanismo italiano del prof. M. vS. De Bossi, dove si trovano registrati colla più grande esattezza tutti i fenomeni endogeni del suolo italiano. ^ Parlando de’ movimenti a cui va soggetta la superficie terrestre, non possiamo preterire quello che incessantemente si compie sotto i nostri piedi senza che ce ne accorgiamo. Tali innalzamenti tellurici scoperti da più di un secolo e mezzo nella Svezia, poi nel Groenland, poi da vari anni avvertiti da me sulle spiagge romane, e da altri notati sulle coste della Liguria, della Sicilia, di Sardegna, a Malta, a Bodi, a Cipro, e sulle coste d’ Africa, ^ sembrano presentarci un fenomeno generale di vita planetaria nel nostro globo. Fatti di grande importanza sui quali qualche geologo ha già espressa la propria opinione, considerando la scorsa della terra soffice e pieghevole come la pelle di un animale, destinata a compiere larghissime e lentissime ondulazioni in virtù di forze endogene. Ma in qualunque modo si voglia spiegare un fatto di tanta impor- tanza, sorge sempre il problema, se questi movimenti siano una specie particolare di terremoti, ovvero appartengano ad un ordine di fenomeni diverso, che ancora non conosciamo. Sebbene ambedue di natura dina- mica, nondimeno esistono fra loro differenze notevoli. I veri terremoti si appalesano sempre con azioni violente in diverso grado, concentrate in un punto da cui irraggiano onde che si propagano all’ intorno, di brevissima durata e capaci di sbaragliare e sfigurare vaste contrade. Al contrario i lenti movimenti non si rendono sensibili se non dopo il corso di molti anni, allorché si avvertono i cambiamenti di rapporto fra la terra e il mare, compiuti senza alcuna violenza. Ma non basta, perchè, se consideriamo che questi lenti movimenti di ascensione ci compariscono fino dalle epoche subappennine col graduale sollevamento dell’ Italia e dei continenti; se facciamo attenzione alla loro ricomparsa colle spiaggie emerse dei tempi quaternari, e finalmente nell’epoca moderna, sorge un gravissimo dubbio se l’azione sollevatrice sia stata continua attraverso tutti i tempi trascorsi, e solamente sospesa 0 confusa nei periodi dei sovvertimenti vulcanici, glaciale e latino, siccome avviene della corrente littorale che si sospende nelle tempeste per riprendere il suo corso al ritorno della calma. A dire il vero, se è logico che gli effetti corrispondano alle cause. ^ M. S. De Rossi, Bullettino del vulcanismo italiano. Periodico geologico e ar- cheologico, Roma. * Boccardo G., Sismo-pirologia^ terremoti., vulcani^ e lente oscillazioni del suolo. — Genova, 1869. — 181 — converrebbe credere che fossero due fenomeni distinti fra loro, e perciò derivati da due cause diverse. Io però non ardirei pronunciarmi per ora sopra un fenomeno che richiede studio e lavoro per essere ben cono- sciuto : e perciò di sommo interesse sarebbe che i geologi dirigessero le loro ricerche ed osservazioni su questo importante argomento, onde raggiungere un gran guadagno nelle facoltà dello spirito umano. Però non posso fare a meno di accennare agli studi che oggi si fanno in questo ramo di scienza terrestre, e alle cognizioni che ogni giorno si vengono acquistando per il loro progresso. Nel già citato Bullettino del Vulcanismo italiano, dal lodato prof. M. S. De Bossi sono registrati i suoi pazienti lavori e quelli dei suoi collaboratori distribuiti in diverse parti della penisola, e a distanze poste in iscambievole relazione fra loro. Per mezzo di delicatissimi istromenti microsismici e di microfoni giunse l’autore a percepire non solamente le più minute oscillazioni che non possono essere altrimenti avvertite, ma eziandio i continui rumori sotterranei che si ascoltano specialmente in certi punti della superfìcie del suolo. Questi lavori danno origine ad una scienza nuova che il De Bossi chiama: Meteorologia endogena, diretta a scuoprire i più piccoli moti vitali che incessante- mente si compiono nelle parti più recondite del pianeta terrestre. Grua- dagni preziosissimi che, avanzando sempre più nella cognizione di questi fenomeni, ci lusingano, verrà un giorno in cui meglio ragionando sull’eco- nomia del pianeta, verranno messi in evidenza i tanti fatti che ancora ci sono celati da un misterioso velo. Ma v’ha ora un quesito da sciogliere. La storia geologica degli avvenimenti che abbiamo narrati si verifìca in tutte le altre regioni del nostro globo ? Se tutto è armonizzato nella natura, se tutto ciò che abbiamo esposto deriva da oscillazioni nell’ equilibrio planetario, se l’Italia è parte integrale di esso, non si saprebbe comprendere come questa regione avrebbe potuto fare eccezione al compimento delle fun- zioni vitali di un essere creato. Laonde tutti i fatti avvenuti nel pas- saggio del gran cataclisma vulcanico-glaciale devono essere stati speri- mentati da tutta intera la massa terrestre. Difatti per tutto si trovano le bassure subappennine, costituite presso a poco degli stessi terreni e distese su tutte le radici dei monti maggiori, per cui la geografìa terziaria dovea risultare molto diversa dalla nostra: per tutto i dislo- camenti e le fratture accusano le ripetute violenze sofferte dopo la deposizione degli strati nettuniani : per tutto le breccie sovrastanti alle sabbie accennano alle tremende burrasche diluviali scaricate sulle alti- tudini montane, e ai torrenti che ne derivarono e le trascinarono in basso: per tutto i terreni morenici discesi nelle convalli, quali reliquie — 182,— del periodo glaciale : per tutto la superficie dei continenti e le isole seminate di crateri vulcanici spénti, lasciati dalle grandi eruzioni con- temporanee ai freddi glaciali : per tutto gli effetti dei grandi terremoti che cambiarono la faccia della terra, riducendola all’aspetto geografico che ora presenta : per tutto i testimoni residuali delle vaste inondazioni prodotte dalla fusione delle nevi e dei ghiacci, allorché si rialzava la terra all’equilibrio normale: finalmente per ciò che sappiamo sembra logico che anche i lenti movimenti del suolo siano generali a tutte le terre emerse. Per questo stato di cose siamo portati a concludere che i terre- moti, i quali hanno tante volte agitata la terra, si devono sempre con- siderare come oscillazioni, entro certi determinati confini, deH’equilibrio che regge e mantiene in vita, non solamente tutti gli esseri, ma altresì r immensa e indefinita mole del creato. Kiassumo adunque ciò che ho detto nel seguente quadro sinottico: Miocene superiore. Marne inferiori del Monte Vaticano. — Dopo la loro deposizione, terremoti violenti per causa ignota i quali fratturarono quelle assise e le spostarono. — L’Italia è rappresentata da un lungo arcipelago. Pliocene inferiore. Calcarie del Macco con argille e gessi di Corneto. — Terremoti vio- lentissimi succeduti alla loro sedimentazione, concomitanti una seconda emissione di trachiti della Tolfa, con sollevamento ed emersione di brani delle suddette roccie lungo la spiaggia tirrena, Anzio, Palo, Civi- tavecchia, Corneto. Pliocene medio. Marne della Farnesina presso Boma. — Tempi tranquilli. Pliocene superiore. Sal)ì)ie gialle del Monte Mario. — Durante la deposizione di queste marne e sabbie, un graduale e lento sollevamento di tutta la penisola in massa, colla emersione dei terreni subappennini e colla scomparsa dell’arcipelago primitivo, per cui 1’ Italia resta legata alle Alpi Ma- rittime. Diluviale. Breccie marine senza materie vulcaniche. — Seguita il lento solle- vamento. Atmosfera burrascosa. Pioggie dirottissime, e torrenti che trascinano nel mare i detriti dei prossimi monti, (diluvio appennino). — 183 — Glaciale. Conglomerati vulcanici delle campagne romane e viterbesi. — Terre- moti violentissimi concomitanti le eruzioni sottomarine da cui sono vomitati quei materiali. Si manifesta la zona vulcanica italiana sul pio- vente tirreno nella più grande attività. Mare burrascoso. 1 crateri emergono e si fanno atmosferici. Alluviale. Breccie fluviali con materie vulcaniche nelle grandi vallate. — Lento sollevamento collo scuoprimento delle spiaggie emerse. Grandi inondazioni per la fusione delle nevi. Terremoti violenti per causa delle eruzioni vulcaniche del Lazio. Moderna. « Terreni in via di formazione. — Lento innalzamento del suolo. — Terremoti moderni derivati dai vulcani laziali non interamente spenti, e da altri punti delle fratture della crosta terrestre che attraversano la penisola italica. IV. Osservazioni intorno a certe roccie amfiboliche della Ligu- ria, a proposito d'Anna nota del Prof. Bonney concer- nente alcune Serpentine della Liguria e della Toscana, per A. IssEL. Keputo gran ventura per noi studiosi della geologia italiana che gli stranieri si occupino dei nostri terreni, si accingano alla soluzione degli ardui problemi geologici presentati dal nostro paese, prendano parte attiva alle nostre discussioni e controversie e vi portino la luce d’una critica imparziale e sagace. Moltiplicandosi le osservazioni sotto punti di vista svariati, interpretandosi i fatti con criterii e metodi nuovi, la verità non può mancare di farsi strada con vantaggio grande per la scienza. Senonchè, dal canto nostro, non dobbiamo esser meno cauti neH’ac- cogliere certe opinioni per ciò solo che sono emesse da dotti che non parlano la nostra lingua, e c’incombe il dovere di vegliare a che non ci — 184 — vengano dal di fuori nuovi errori ad aggiungersi ai nostri, anziché os- servazioni ed apprezzamenti di cui possiamo giovarci. Questi riflèssi mi furono suggeriti dalla lettura di una memoria del prof. Bonney sopra alcune serpentine della Liguria e della Toscana, alla quale mi permetterò di muovere qualche appunto, cogliendo intanto il destro per rettificare un errore in cui caddi anni sono e per porgere più precise e complete notizie su certe singolarissime roccie del Geno- vesato. L’autore esordisce col trattare nei seguenti termini delle serpentine a ponente di Genova : ^ « Lasciando questa città per la strada di Begli s’incontra dapprima la serpentina un po’ a ponente di Cornigliano, dove una piccola spor- genza forma un promontorio nel mare. La roccia è di un color verde cupo e tanto decomposta da non meritare un esame microscopico. Pure l’aspetto generale, la forma, la struttura ecc. sono affatto quelle della serpentina del Capo Lizard (Cornovaglia). Dubito ben poco che la massa non sia intrusiva, benché le costruzioni mi abbiano impedito di trovare il nesso attuale colle vicine roccie sedimentarie. Questa può vedersi a circa un metro dalla serpentina. E un argilla indurita di apparenza scistosa, molto frantumata e traversata da vene calcari, sembrando in- somma come se avesse subito l’intrusione di una roccia ignea. » Il piccolo promontorio del S. Andrea, situato tra Cornigliano e Se- stri, cui evidentemente si .riferiscono le parole del prof. Bonney, risulta infatti di una roccia di color verde carico, variegata di paonazzo e di rossiccio, dotata di una particolar lucentezza che si accosta a quella dei silicati magnesiaci, roccia simile nell’aspetto alla serpentina, che fu presa più d’ima volta per tale, ma che non é affatto serpentina. Si tratta invece di una amfibolite, come dimostrano la sua struttura microscopica, la sua composizione e i suoi caratteri fisici, tra i quali una fusibilità assai maggiore di quella delle ofioliti. Passando a trattare del posto che questa roccia occupa nella serie strati grafica, convien notare dapprima che nell’uscire dalla città di Ge- nova per la Porta Lanterna, si costeggia la base di una collina poco elevata (sulla quale s’innalza la caserma di S. Benigno), collegata alle altre maggiori di cui risulta il grande anfiteatro orografico del Golfo di Genova e come questo formata di un calcare più o meno marnoso, con fucoidi e nemertiliti, calcare appartenente ad una delle divisioni supe- riori dell’eocene (piano liguriano di Mayer). ^ Note sopra alcune serpentine della Liguria e della Toscana del Prof. T. G. Boir- ney. — Bollettino del B. Comitato geologico^ 1879, N. 9 e 10, pag. 461. — 185 Le stratificazioni del calcare, regolarissime in quella località, si possono vedere tagliate quasi normalmente alla direzione nella cava Bo- nino e più innanzi, in testata, nella ripida balza che termina la collina verso ponente. Ivi gli strati sono diretti verso N.E. ed inclinati di circa 70" a 80" verso S.E. Procedendo oltre nella medesima direzione, cioè verso ponente, il calcare rimane coperto lungo la riva del mare dalle costruzioni e in parte anche da depositi alluviali della Polcevera, torrente che divide il comune di Sampierdarena da quello di Cornigliano. Verso l’estremità occidentale di quest’ultimo paesello, sulla riva destra del torrente suac- cennato, ir calcare ricomparisce per breve tratto, lungo la via nazio- nale, in banchi raddrizzati, contorti, tormentati, scistosi, intersecati di vene calcitiche, conservando però l’ andamento loro prevalente verso N. E. e r immersione a S. E. Che questi banchi sieno proprio la con- tinuazione del calcare eocenico di Genova e di Sampierdarena non se ne può dubitare, anche prescindendo dalla concordanza già avvertita, osservando la medesima formazione tra le alture di Granarolo e il monte Gazo. 11 contatto fra il calcare e l’anfibolite è situato immediatamente a levante della Badia (Villa Peirano) e prima che, presso la strada, fosse coperto da recenti edifizi, vi si scorgeva una vena di quarzo, interposta fra le due roccie. Il calcare è superiore all’amfibolite. Questo contatto è assai spiccato, assai appariscente e nulla di più naturale che desti l’idea, in chi l’osservi, di una roccia d’intrusione che confina con altra di sedimento alterata e metamorfosata dalla prima. Tuttavolta, dopo attente indagini, son venuto nella persuasione che si debba interpretare in modo assai diverso. L’anfibolite era originariamente a parer mio una ròccia argillosa molle che giaceva al di sotto di un calcare un po’ più antico distinta- mente stratificato e solido. Entrambi, allorché a poca distanza (circa un chilometro e mezzo), si verificò l’eruzione di una massa ofiolitica, su- birono una metamorfosi non direttamente per opera della serpentina, ma in virtù di copiosissime acque calde e minerali da cui questa fu ac- compagnata. La roccia argillosa per la sua maggiore alterabilità diede luogo alla formazione di una nuova specie litologica, l’amfibolite; il calcare senza perdere la propria individualità, diventò siliceo, duro, scistoso, quale lo vediamo attualmente. La mia osservazione sarebbe destituita di qualsiasi valore se non potessi recarne la prova. Questa si ha, se non m’inganno a partito, nei mutamenti che la stessa massa d’amfibolite subisce ad una certa distanza — -186 — da Sant’Andrea, verso settentrione. Infatti, se dalla Badia si raggiunge Torre Spronata, poi si ridisoende verso Sestri Ponente, si osserva lungo il sentiero, màssime nell’ultimo tratto, che la roccia si fa decisamente argillosa ed assume distinta stratificazione e struttura scistosa. Ivi si coglie sul fatto il passaggio graduato della roccia acquea alla meta- morfica. Nulla di più legittimo adunque che il considerare V amfibolite di Sant’Andrea come rappresentante un banco argilloso inferiore al calcare a fu coidi, tanto più che poco lungi, nella stessa città di Genova, e pre- cisamente in piazza Carignano, affiorano parecchi banchi di questa natura, i quali furono in parte asportati dai lavori di sterro testé ese- guiti in questa località. Quanto alla ipotesi secondo la quale attribuisco il metamorfismo delle roccie eoceniche presso le formazioni serpentinose, non alle ser- pentine stesse, ma ad acque termali e minerali, è connessa a tutto un sistema di cui ho dato cenno in questo stesso periodico. ^ Ricorderò solo in proposito che l’estensione delle aree metamorfosate alla periferia delle serpentine e i minerali accessorii che si incontrano in queste aree sono validi argomenti a favore del mio sistema. Da un’altra parte, cioè nel comune di Borzoli, ^ ove la roccia amfi- bolica si accosta alla serpentina propriamente detta, subisce altri mu- tamenti interessanti, in virtù dei quali assume forme litologiche affatto diverse da quella che presenta nella località di Sant’Andrea. Se la con- sideriamo fra il contatto e la località denominata Cabianca, la vediamo nelle fratture fresche, di color verde scuro, traente al bigio, e sulle su- perfici lungamente esposte agli agenti amosferici bruna o bruno-ver- dastra con macchie rubiginose ; la sua struttura è un po’ scistosa; ha la frattura ineguale, scabra, talora un po’ scagliosa, e il tutto ruvido ; pesa specificamente 2,50 ; la sua durezza oscilla tra 5 e 6. Al can- nello si comporta come amfibolo assai ricco di ferro. La particolarità più notevole di questa pietra si è di mostrarsi quà e là per piccoli tratti gremita di bolle, cellette e pori. Le cellette o bollicine variano assai nella forma e nelle dimensioni ; talvolta sono sferoidali, ma più frequentemente ovoidi od elittiche; in qualche caso, per l’allungamento eccessivo, si fanno lineari. La loro orien- tazione per piccoli tratti sembra costante e corrisponde a quella di una imperfetta scistosità della roccia che sembra accompagnata localmente da ^ Conclusioni di uno studio sui terreni serpentinosi della Liguria orientale. — BoìleUino del R. Comitato geologico^ 1879, n. 11 e 12. * Questo comune comprende parecchie frazioni sparse fra la Polcevera e il Ohia- ravagna ; qui si tratta della principale situata lungo un sentiero che mette a Panigà. — 187 — oscura stratificazione. Le dimensioni di questi vacui son tali che abitual- mente capirebbe in ciascuno un chicco di grano, ma son pur numero- sissime le cellette più minute e perfino microscopiche. In pochi punti e per breve estensione le soluzioni di continuità diventano più ampie e irregolari e comunicano fra loro, rendendo la pietra come cavernosa e cariata; essa però non acquista mai l’aspetto di scoria. V. Quanto alla frequenza delle cellette e bollicine sopradescritte, va- ria pur molto da un punto aU’altro senza causa apparente ; ove sono più fitte se ne contano perfino venti per centinietro quadrato. Nei tratti in cui la roccia è più ricca di vacui si osservano sottili fenditure rettilinee che, talora,, intersecandosi, circoscrivono piccole aree poligone. Tali fessure hanno i caratteri di quelle che si producono per contrazione della massa, in certe roccie, mentre passano dallo stato pastoso al solido. Essa è attraversata in alcuni punti da vene di calcite saccaroide magnesiaca (dolomite ?) candidissima, che talora si dilatano producendo come piccoli ammassi del medesimo minerale. Alla sua superficie si os- serva quasi sempre un intonaco bruno attirabile dalia calamita, che sembra un prodotto di alterazione superficiale. La medesima sostanza che, almeno per gran parte, appartiene alla specie magnetite ^ è pur con- tenuta in piccola quantità neH’interno delle cellette. In alcuni saggi si vede pure un rivestimento tenuissimo di clorito in squammette verdi assai lucenti. Finalmente come minerali accessorii, debbo pur segnalare nella stessa roccia tenui vene e compenetrazioni di epidoto e piccoli adunamenti di un plagioclasio a geminati ricchi di strie. Verso la chiesa parrocchiale di Borzoli e nella piccola cava aperta presso il camposanto del villaggio, la pietra di cui tengo discorso di- venta insensibilmente più compatta, più omogenea, più dura, diversa di colore, passando dal verde al cinereo traente un po’ al paonazzo. In quel punto le cellette non mancano, ma difficilmente si distinguono, perchè tutte ripiene da un minerale ora bianco ed opaco, ora translucido e bi- gio oppure débolmente rosso, il quale è invariabilmente calcite talora tinta da sali di ferro. Denominerò la prima specie litologica cioè l’amfibolite vacuolare coschinoìite da hosMnon, in greco cribro, crivello ; e la seconda, la va- rietà a cellette ricolme di calcite horzoUte, dalla frazione principale del comune di Borzoli, nella quale si presenta il suo affioramento. (V. la se- zione geologica a pag. 188). ^ Immèrgendo in una soluzione satura di solfato cuprico la sostanza di cui si tratta, ridotta in polvere finissima, si avverte dopo qualche tempo che una piccola parte di essa si copre di rame metallico e che la soluzione somministra le reazioni del ferro. Da ciò si inferisce che il minerale contenga ferro nativo. — 188 — — 189 — Le sezioni sottili delle due roccie presentano una materia incolora, diafana, minutamente granosa (che si colora assai debolmente quando sia illuminata dalla luce polarizzata) commista ad un’altra materia di co- lor grigio verdastro translucida che costituisce macchiette irregolari, sfumate, nella prima. Yi abbondano poi opaciti in forma di frustoli o fuscelletti con orientazione costante. La materia bianca è inquinata qua e là da macchie gialle sfumate che a mio credere provengono dalla al- terazione delle opaciti. Il margine delle cellette nella coschinolite manca di opaciti ed offre quasi sempre una tinta gialla che attribuisco alla alterazione del minerale di ferro. Tra questi materiali s’incontrano poi non comunemente granuli e microliti imperfetti d’un verde più vivo, nei quali ravviso tutti i caratteri dello epidoto. La sostanza bianca essendo fusibile in smalto bigio, insolubile ne- gli acidi, mi sembra un amfìbolo privo di ferro ; la materia bigio-ver- dastra si comporta come la prima al cannello, ma si scioglie a caldo nell’acido cloridrico e, siccome sembra confondersi per mezzo di lievi sfu- mature colla prima, sarei inclinato a considerarla come un amfìbolo fer- rifero (actinolite). Le opaciti presentano alla luce riflessa uno splendore decisamente metallico; di più sono attirahili dalla calamita, solubili nell’acido ni- trico, e non somministrano coi reattivi segni di titanio. Credo perciò che possano ascriversi alla magnetite. Siccome però, quando sono isolate e trattate con una soluzione di solfato cuprico, si ottiene sopra una pic- cola porzione di esse un deposito di rame metallico, mentre la soluzione diventa ferruginosa, arguisco da ciò che contengano una tenue proporzione di ferro nativo. Nella borzolite si può agevolmente verifìcare, col microscopio come ad occhio nudo che ìe cavità sono ripiene di calcite. Inoltre d’ ordina- rio la materia bigio-verdastra è in questa varietà meno copiosa rispetto alla bianca e le opaciti sembrano all’ incontro in maggior numero. Nella coschinolite normale due quinti della massa sono costituiti dalla materia bianca, due quinti dalla bigia, e il rimanente dall’opacite, non tenendo conto dell’epidoto. Sifiatta struttura è ben diversa da quella della serpentina che ora è fibrosa, ora glandulosa, con opaciti di forma irregolare. Altra modificazione notevolissima della roccia amfibolica consiste in ciò che nella parte superiore della collina, e massime verso ponente, cioè avvicinandosi al contatto, assume forma variolitica e i vacui scompa- riscono. I suoi globuli sono colà grigio-verdastri e poco distinti dalla massa, sia pei caratteri esterni sia pel modo di comportarsi al cannello, motivo per cui li credo costituiti prevalentemente di un amfìbolo. — 190 — Propriamente al contatto si trova un’altra variolite un po’scistosa a piccoli globuli di color verde scuro. Questa, esaminata al microscopio, si manifesta nella pasta simile alla coschinolite, sia per la struttura sia per la composizione mineralogica. I globuli poi vi appariscono formati di una materia omogenea, translucida, d’un bel verde smeraldo che sembra puro amfibolo. Tanto la pasta quanto i globuli sono agevolmente fusi- bili al cannello e poco o punto attaccabili dagli acidi. Il contatto fra la roccia amhbolica e la serpentina s’incontra lungo il rio che corre tra Panigà e Borzoli a circa 700 metri dalla parrocchia di questo nome e si riconosce difficilmente perchè in parte coperto da de- triti e da terra vegetale. Esso è accompagnato in certi punti dalle so- lite breccie ofiolitiche. Immediatamente presso il contatto, nell’alto del rio, l’amfibolite si converte in variolite talvolta un po’ scistosa. La serpentina suaccennata costituisce come una sorta di dicco cu- neiforme, quasi verticale, di circa un centinaio di metri di potenza, di- retto da N.E. a S.O., sui cui fianchi, assai inclinati a N.O. e a S.E., si ap- poggia Tamfibolite a guisa di mantello. Nella sua parte immedmmente situata sul fianco S.E. della serpentina la roccia metamorfica è poco visibile, perchè quasi tutta coperta dall’abi- tato e dai campi recinti di mura di Panigà, ma si può osservare per breve estensione a poche centinaia di metri di distanza sul torrente Chiara- vagna, convertita in bellissima variolite a grossi elementi. Ivi confina col calcare preterziario del monte Gazo, ^ il quale si presenta lungo il contatto ripiegato, contorto, indurito ed iniettato di vene calcitiche. Descritta così sommariamente la massa amfibolica del capo di S. An- drea colle sue attinenze immediate, soggiungerò che ninno avrebbe mo- tivo di mostrarsi meno severo di me per la svista in cui cadde il prof. Bonney, perchè io stesso commisi il medesimo sbaglio. Or sono parecchi anni, quando per la prima volta mi imbattei nella strana roccia vacuolare sopra descritta, essendomi assicurato che si trova in continuazione colla pietra del Capo di S. Andrea citata da varii au- tori come serpentina, e non avendo avvertito il contatto di essa colla vera serpentina, perchè come dissi è parzialmente coperto da detriti, supposi che si trattasse d’una roccia ofiolitica che fosse stata origina- riamente attraversata da copiosi vapori mentre era nella condizione pastosa; e parendomi che questo fatto potesse spargere qualche luce sulla questione delle pietre verdi, mi affrettai a darne comunicazione al compianto professor Gastaldi, che appunto allora attendeva alla illu- strazione delle ofioliti alpine. * La data di questa calcare, riferita dal Pareto al cretaceo, non è ancora rigo- rosamente determinata. — 191 — L’eminente geologo, esaminati i campioni trasmessigli da me a cor- redo della mia nota ed avendo pregato il prof. Spezia di sottoporli ad alcuni saggi, concluse che la roccia non è vera serpentina, ma proba- bilmente amfìbolite e che i suoi caratteri non si confanno coll’idea espressa da me d’una roccia la quale siasi trovata allo stato molle o pastoso sotto l’influenza d’un’alta temperatura, mentre si sviluppavano in essa abbon- danti vapori. « In quei vani, in quelle cavernosità, in quelle soluzioni rettilinee di continuità io non posso vedere altro, mi scrisse, che lo spazio una volta occupato da qualche sostanza minerale ora tutta o in parte scomparsa per decomposizione. » La lettera nella quale esponevo il fatto e la risposta del prof. Ga- staldi vennero alla luce negli Atti della B. Accademia delle Scienze di Torino, ^ Intanto le cbbiezioni mossemi dal mio illustre contradditore mi indussero ad imprendere più diligenti ricerche, e così fui condotto a scoprire il contatto della coschinolite colla serpentina, la transizione della medesima alla variolite da una parte e ad una forma stratificata e scistosa dall’altra e finalmente la forma spillitica dell’ amfibolite o borzolite. Dopo il nuovo studio che ho fatto dell’amfibolite vacuolare di Bor- zoli son venuto nella conclusione che le cavità di essa risultano proba- bilmente, come supponeva il Gastaldi, da una corrosione di acque acide. Credo inoltre che tale corrosione debba essersi prevalentemente esercitata a spese dell’opacite e dell’amfibolo più ricco di ferro e per conseguenza più solubile. La forma, la disposizione, le dimensioni delle cellette non si accordano però coll’ipotesi che queste possano derivare dal disfacimento o dalla soluzione dei globuli di una variolite preesi- stente, quantunque le due varietà di roccie variolitiche segnalate nella medesima formazione siano affini, per composizione mineralogica e strut- tura microscopica alla coschinolite. Resta a spiegarsi il singolare allun- gamento e stiramento, se così posso esprimermi, dei vacui e questo io l’attribuisco ad una scistosità più o meno inoltrata, avvenuta forse po- steriormente alla corrosione. Quanto alle fenditure rettilinee, almeno quanto a gran parte di esse, non ho motivo di rinunziare alla mia prima interpretazione secondo la quale le consideravo come fratture di ritiro il che non implica peraltro la condizione di un’alta temperatura subita dalla massa, potendosi produrre fratture consimili pel passaggio di una roccia dallo stato pastoso al solido in virtù del prosciugamento. Rispetto alla borzolite, ravviso in essa una roccia amfibolica vacuo- * Voi. X, Adunanza dell’ll Aprile 1875. 13 — 192 — lare a cellette posteriormente riempite da un minerale solubile intro- dottovi dalle acque, la calcite ; il qual modo di vedere è confermato dalla circostanza che la varietà litologica di cui si tratta si trova a bre- vissima distanza dal calcare a fucoidi da cui probabilmente proviene il materiale contenuto nelle cellette. D’altronde, consigliato dall’esperienza a procedere in simili materie colla maggior cautela, mi tengo pago di esporre queste mie interpre- tazioni come semplici ipotesi. V. I dintorni di San Quirico d' Orda, studiì geologici del dott. Vittoeio Simonelli. San Quirico d’ Orcia è una terricciuola del Sanese, che vanta ben pochi diritti all’ attenzione, se si consideri dal lato storico, artistico o industriale : interessantissima invece per i suoi dintorni, che offrono al naturalista, e in modo particolare al geologo, campo di osservazioni e di ricerche, tanto più importante in quantochè da molti anni trascurato affatto. Fu principalmente nel secolo scorso e nel cominciare del presente che molti ed insigni naturalisti visitarono e studiarono le vicinanze di San Quirico. Primo tra essi fu l’ illustre botanico Micheli, che, nell’an- no 1733, scorrendo per varie parti dello stato di Siena, anche quivi raccolse pietre e conchiglie, che poi descrisse nella relazione di questi suoi viaggi, pubblicata da Giovanni Targioni. ^ Studii ben più profondi e particolareggiati sul Sanquirichese si debbono ad Ambrogio Soldani, a quel miracolo di pazienza e di dot- trina, di cui tanto giustamente si onora la scienza italiana. Nel suo Saggio orittografico^ pubblicato nel 1780, esso descrisse con l’esattezza che lo caratterizzava, molti dei materiali costituenti il suolo di quei dintorni: annoverò le tante specie di fossili e particolarmente di mi- croscopiche conchigliette che vi si rinvengono; e senza perder di vista le idee sintetiche, benché assorbito da così minute ricerche, seppe^ ^ Taegioni-Tozzetti Giovanni, Relazione di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana. Vedi nei T. IX e X la Relazione del viaggio di Pierantonio Micheli per varie pa^'ti dello Stato Sanese^ fatto V anno 1733. — Firenze, lllG. 193 — con mirabile sagacia, sollevarsi alle indagini più generali sull’ origine di quei terreni. ^ Giorgio Santi, in quella sua preziosa opera dei Viaggi per la To- (stampata in Pisa dal 1795 al 1806), s’intrattenne brevemente a parlare del territorio di San Quirico, rammentandone alcuni minerali e fossili interessanti. Descrisse poi con cura speciale la celebre sorgente termo-minerale di Bagno a Vignoni, delle cui acque dette anche una analisi qualitativa, relativamente assai buona. Anche ad Emanuele Eepetti, all’ autore del celebre Dizionario fisico storico della Toscana, si debbono alcune notizie di una certa im- portanza : esso parlò di San Quirico in una lettera diretta all’ Hoffmann, in cui dava relazione di una sua gita al Monte Amiata, fatta nel 1826. ^ Nel 1833 il prof. Giuseppe Giuli dava esteso ragguaglio dei fossili e dei minerali della comunità di San Quirico, in una memoria intitolata^ Trattato fisico-medico delle acque minerali dei Bagni di Vignone in Val d' Orda. Ma questo lavoro, non scevro d’ inesattezze, aggiunge poco 0 nulla alle notizie lasciateci dai precedenti, specialmente per la parte paleontologica. Eu, ad ogni modo, l’ ultimo pubblicato sull’argo- mento che attualmente ci occupa. Eiunirono bensì copiose collezioni dei prodotti naturali sanquiricbesi i dottori Bartolommeo e Bonaven- tura Nispi, troppo modesti per accingersi a pubblicazioni di sorta sulle loro raccolte, ora sciaguratamente disperse. Nè maggior vantaggio può ormai trarre la geologia dalle ricchissime collezioni che il prof. Ga- sparo Mazzi avea formate nei dintorni di San Quirico e di Pienza, giac- ché, quantunque religiosamente conservate dall’avv. D. Mazzi, suo figlio, hanno perso importanza per la mancanza di qualunque indicazione re- lativa alle località. A fossili e a roccie sanquirichesi accennarono pure, ma brevemente, il Brocchi, nella sua Conchiologia, il Campani nelle sue numerose pub- blicazioni sulla geologia del Sanese, il Meneghini, nei suoi Studii sugli echinodermi neo genici della Toscana; ma nessun altro si è dato cura di studiare di nuovo, completamente, accuratamente, la regione di cui facciamo parola. lo non ho certo, col lavoro che presento, la pretesa di riempire la lacuna testé deplorata ; nemmeno ho la pretesa di un tentativo ad hoc. ^ Dello stesso vedi anche la Testaceographya ac zoophytographya parva ac micro- scopica ove qua e là si parla di cose sanquirichesi. Questa lettera del Repetti fu inserita nel num. 119 (anno 1830) del giornale y Antologia, di Firenze. ® Nella Storia naturale di tutte le acque minerali della Toscana, compilata dallo stesso Giuli, questa memoria fu riprodotta per intiero. — 194 — Ho solo il modesto desiderio di cooperare a quest’effetto, mettendo in luce alcune delle più interessanti particolarità di quel territorio, e cer- cando, così, di richiamarvi sopra l’ attenzione di altri più valenti. Cenni orografici e idrografici sulla regione studiata. Il paese di San Quirico d’Orcia sorge su di una collinetta, a 420 me- tri, circa, sul livello del mare. L’osservatore che dal vertice di essa collina muova lo sguardo sul territorio aggiacente, vede chiuso l’orizzonte tut- t’ all’ intorno da una serie non interrotta di elevazioni. A mezzogiorno s’innalza maestosa la gigantesca cupola trachitica del Monte Amiata, a cui fanno coorte lo Zoccolino, il Monte Labro, ed altre elevazioni minori. A S.S.E. succede il monte di Kadicofani, costituito d’ argille cineree sormontate da colonnati di basalto e da cumuli di scorie te- friniche, e poco dopo, a S.E., 1’ elevata montagna di Cotona, tutta cal- cari, scisti, ftaniti, la quale si prolunga ad E. e ad E N.E. in una gio- gaia più depressa, che si stende poi continuata fino a Montepulciano. Ad 0. sorgono i poggi di Montalcino, principalmente formati d’alberese, di macigno, di cicerchina. A N., infine, l’orizzonte è limitato da una lunga linea di sterili collinette marnose. Lo spazio racchiuso entro questa cerchia di elevazioni non ci pre- senta rilievi montuosi di grande entità; generalmente non abbiamo che una successione « di piccole elevazioni e depressioni di suolo, così sva- riatamente disposte, da far prendere a quell’ insieme, come ebbe a dire un naturalista per altra località, quasi l’aspetto di un mare in burra- sca pietrificato. » Stato di cose dovuto alla natura prevalentemente argil- losa del terreno, che è quindi facile a fendersi in crepacci, insignifi- canti dapprima, ma che, per le azioni idrometeoriche, acquistano in breve carattere di veri burroni, spesso larghi e profondi. Indipenden- temente da ciò, le sole elevazioni di qualche momento sono le colline di San Quirico e di Pienza, il così detto Poggio di S. Ansano, che si al- lunga in direzione N.E.-S.O. da San Quirico alla foce dell’ Asso, e per ultimo i due monticelli su cui s* innalzano Castiglione (m. 600) e Eocca d’ Orcia (m. 550). Le acque del bacino delimitato dalle elevazioni cui testé accenna- vamo, son raccolte dall' Orcia, il principale, forse il s(do importante dei fiumi del territorio. Scaturisce esso dalle pendici occidentali della montagna di Cotona, ad un’altezza di circa 930 metri sul livello del mare, e si dirige dapprima verso Nord, raccogliendo le acque dei tor- renti Gucenna, Landola, Gragnano, Miglia e Formone; dopodiché, de- generato in larga fiumana, si spinge verso ponente, ricevendo da si- — 195 — nistra la Veliera e 1’ Onzola, e da destra il Sambuco, la Tresa, il Kigo e r Asso. Dopo la confluenza dell’Asso, 1’ Orda piega verso Mezzogiorno per il tratto di circa due chilometri; poi nuovamente s’inflette verso Ovest, ricevendo da sinistra il fiumicello Ente (ingrossato dall’ Ansido- nia e dal Vivo), i torrenti Kibusieri e Trisolla, da destra molti fossi, come il Ginepraio, lo Spagnolo, il fosso dei Mulini ecc. Si getta final- mente nell’ Ombrone, a non gran distanza da Monte Antico, avendo com- plessivamente percorso un tratto di circa 50 chilometri ^ sopra un letto amplissimo e senz’ argini di sorta. Sembra che il tratto dell’alveo dell’ Orda interposto tra lo sbocco del Kigo e quello dell’Asso, si sia formato in epoca relativamente re- cente, per la corrosione operata dalle acque sulle roccie del monticello di Castiglione e di quello della Kipa, che ora formano le due sponde op- poste e che un tempo dovettero esser riuniti. Il Santi ^ ed il Giuli ^ son d4 opinione, che, prima che il fiume si facesse strada per questa gola, allagasse gran parte della Val d’Orcia, costituendola invera pa- lude. Fatto che sarebbe dimostrato ad evidenza da una formazione calcarea con molluschi di palude, di cui il Giuli dice di aver osservate le traode sulla destra del fiume, poco prima di giungere al ponte della Poderina. Oltre r Orda, 1’ unico corso d’acqua che pur meriti qualche cenno è 1’ Asso. Questo fiume scaturisce non lungi da Trequanda, e si dirige dapprima verso Ovest, solcando costantemente dirupi argillosi : dopo che vi sono imboccatele acque dei fossi che scendono verso E., dal colle di Trequanda, verso N., da M. Calvoli e da M. Alceto, piega verso mez- zogiorno, e viene a lambire da rupe su cui sorge il castello di S. Gio- yan d’ Asso. Poco dopo riceve da sinistra il torrente Prove e si avanza, mantenendosi press’a poco in direzione costante, fino alla via romana che taglia presso Torrenieri. Di là spinge il suo corso tortuoso fra i poggi di San Quirico e quelli di Montalcino, accoglie le acque della Tuoma, del Ributoli ecc.. e si scarica finalmente nell’ Orcia, poco sotto il castello della Ripa, antico forte dei Salimbeni. Mi resta ora a precisare i confini della regione a cui io ho limitato le mie ricerche geologiche. Lascio da parte i confini comunali, per at- tenermi a quelli più naturali, e nello stesso tempo più comodi, che mi * Tolgo questa cifra dalla Monografia del Comune di Castiglion d’ Orcia, pre- giato lavoro del Cav. Dott. A. Bottoni, pubblicato per l’esposizione regionale agraria del 1879 in Genova. ® Santi, L. c., p. 280. ^ Giuli, Trai. Jis. med. delle acque minerali dei Bagni di Vignane^ pag. 22. — 196 — vengono somministrati da alcuni dei corsi d’ acqua rammentati più so- pra. Se prendiamo infatti a Sud il corso dell’ Orda dal punto in cui vi imbocca l’Asso a quello in cui riceve il Sambuco, a levante l’intiero corso del Sambuco medesimo, a settentrione il fiume Tuoma, dal podere detto Bagnola al punto in cui sbocca nell’ Asso, a ponente infine il corso dell’Asso, dalla confiuenza della Tuoma alla foce, noi veniamo a deli- mitare esattamente uno spazio di terreno di figura quadrilatera, che è quello appunto a cui ho per ora ristretto i miei studii. La lunghezza del lato meridionale di questo quadrilatero è di circa 4 miglia it. da 60 al grado, quella del lato orientale di 3 ; di 4' e mezzo quella del setten- trionale e di 3 quella dell’occidentale. Benché lo spazio sia tanto angusto, la varietà dei terreni vi è ab- bastanza notevole. I periodi dell’ epoca terziaria son tutti rappresentati; r eocene da arenaria macigno e da schisti galestrini, il miocene da cal- care fetido con ligniti ; il pliocene da argille, da sabbie, da calcale ecc. Una imponente formazione di travertino rappresenta i terreni del- l’epoca post-terziaria. Sorgenti minerali differentissime per composi- zione chimica, per caratteri fisici, per effetti terapeutici, fanno testimo- nianza della diuturna attività dell’ interno del globo. Numerosissimi sono i fossili, ma quasi sempre mal conservati e di difficilissima de- terminazione : se si tratta di vertebrati, non troviamo che qualche fram- mento d’ osso 0 qualche dente isolato ; dei molluschi, degli echinoder- mi ecc., non ci restano per lo più che i nuclei o i modelli, non di rado deformati e compressi, talora spatizzati o piritizzati. Descrizione geologica. Premesse queste notizie generali, veniamo allo studio dettagliato della geologia sanquirichese, esaminando prima le formazioni più re- centi e scendendo successivamente alle più antiche. Nell’esame parti- colare dei varii terreni, cominceremo dall’ esporne i caratteri litologici e r ubicazione, per venir poi a parlare della loro posizione stratigrafica e degli avanzi organici che racchiudono. Epoca quaternaria. Terme Vignonesi e Travertini — Tracce dell’ uomo ^preistorico. Circa 3 chilometri al S. di San Quirico, alle falde del colle su cui sorgono gli avanzi del castelletto di Vignoni, è situata una celebre sor- gente di acqua termominerale, fin da tempi remotissimi conosciuta ed apprezzata per le sue proprietà terapeutiche. Iscrizioni che si conser- — 197 — Yano tuttora nel luogo, documenti che esistono negli archivi di Siena, mostrano in qual pregio Y avessero i Komani, e come nel Medio-Evo ed in epoche successive vi avessero ricorso molti ed illustri, tra cui, per citare un solo, Lorenzo il Magnifico. ’ Le Terme Vignonesi furono anche argomento a studii ed a lavori scientifici numerosi. Michele Savonarola, Ugolino da Montecatini, Mengo da Faenza, il Gentile, Andrea Baccio, furono i primi a parlare delle varie sostanze che le mineralizzano; ma lo fecero nel modo strano e confuso che solo era consentito dalla chimica dei loro tempi. E così che il Savonarola ^ immaginò vi si trovasse ferro, allume e rame, e che il Baccio volle che oltre a queste materie vi fosse ancora lo zolfo. Teofilo Grifoni, accademico intronato e collega fisiocritico, pubblicò nel 1705 i suoi studii, o meglio, le sue fantasticherie sullo stesso sog- getto in un curioso opuscolo, ^ pieno zeppo di citazioni, da cui si rileva «evidentemente (dice FA.), che la miniera del Bagno di Vignone è il sale et il solfo, uniti con molta terra. » Questo libretto, prescindendo dalle bizzarrie che contiene in fatto di chimica (tra cui singolarissima quella di annoverare tra i componenti dell’ acqua minerale anche una materia dolce, simile al miele), merita l’attenzione per la teorica con cui il Grifoni vuol dar ragione dell’elevata temperatura dell’acqua vi- gnonese. Incomincia dal mettere in ridicolo, secondo il vezzo dei tempi, le idee di Empedocle, del Bangio, del Kircher, secondo cui quel calore dovrebbe ripetersi da fuoco ardente nelle viscere della terra: 1’ A. trova più razionale ammettere « che ’l caldo sia lavoro della sola fermenta- zione più 0 meno gagliarda, prodotta nei profondi seni della terra, al- lorché le acque, prima imbevutesi di molecolette sulfuree, saline o d’al- tra simil natura, s’incontrano nel loro viaggio in alcuna sorta di terra, la quale, unita con questi sali, o sciolta con facilità dai medesimi, fa che nasca da una tal combinazione quell’ intima inquietezza e fermento chiamata dai filosofi col nome di fermentazione. » A questi studii succedono quelli fatti nel 1733 per ordine del Mar- chese Alessandro Chigi, che dettero per risultato un’ analisi inserita nelle aggiunte all’edizione napoletana (1787) degli Opuscoli fisici e chimici di Torberno Bergmann. Ma per trovare qualcosa veramente at- tendibile, bisogna venire al saggio qualitativo che il Santi istituì su queste acque nel 1798, mostrando come contenessero in soluzione poco acido carbonico, moltissimo carbonato calcare, molto solfato di calce, ^ Jervis G., I tesori sotterranei d' Italia — Roma, 1874. Voi. 2“. ’ Savonarola. Michele, De Balneis et Thermis. — Venezia 1553. Gap. XIII. ^ Grifoni dott. T borilo, Osservazioni intorno alV acqua di Vignone. — Siena, 1705. — 198 — mediocre quantità di solfato di soda, appena sensibile di carbonato di ferro. ^ La prima analisi quantitativa si deve al Griuli, che allo studio completo delle Terme Yignonesi, consacrò la voluminosa memoria in- titolata Trattato fisico-medico delle acque minerali dei Bagni di Vi- gnone in vai d' Orcia^ di cui abbiamo già fatto cenno. I risultati di quest’ analisi sono esposti nella seg. tabella. Veicolo acquoso 14352 Vz Idroclorato di m?ignesia — 72 » di calce — 72 » di soda 1 Solfato di magnesia . . » 1 — » di calce 5 — Carbonato di feiro . . » 1 — di calce 33 — » di magnesia 7 — Gas acido carbonico (Volumi 12). — — Silice e materia estrattiva 2 Peso totale dell’acqua imp®. . . . . . Grani 14400 Una nuova analisi, infine, fu fatta nel 1839 da D. Luigi Bonaparte dei Principi di Canino, e dal prof. A. Targioni Tozzetti, che trovarono r acqua di Bagno a Yignoni costituita come segue: * ACQUA DEL VASCONE P.sp. 1,002 Anidride carbonica 0 5885 Cloruro di sodio 0 4588 Carbonato di calcio 0 0143 » di ferro 0 2657 Solfato di calcio 0 7055 » di magnesio 1 3948 » di sodio 0 0669 Silice (tracce). Materia organica 0 2087 Peso totale delle materie disciolte.. 4 6976 Veicolo acquoso 995 3024 Totale . . 1000 0000 L’ acqua minerale sgorga impetuosa e frammista ad enorme quan- tità di gas acido carbonico e d’aria, dal fondo di una grandissima vasca^ ^ Santi Giorgio, Viaggi per la Toscana (Pisa 1798), v. t. II, pag. 281. ^ Credo che quest’ analisi sia pubblicata soltanto nel corso di Botanica medico- farmaceuiica e di Materia medica, del prof. Ant. Targ. Tozzetti. — 199 quasi di un laghetto. Dietro ripetuti esperimenti è stato accertato che la quantità d’acqua emessa è di circa 2461 litri al minuto, ossia di 35,400 ettolitri al giorno; cifra questa che ci rende ragione del come, dòpo aver servito ai bagni, il rigurgito della gran vasca possa dar moto a più mulini, situati a differenti altezze sugli scoscesi e pittoreschi dirupi sottostanti alle Terme. I varii autori che hanno parlato delle acque di Vignoni, non si trovano d’accordo nello stabilire il loro grado di temperatura. Il Santi, nel 1793, le trova calde di 43° 75: centi gr.; il Giuli, nel 1832, le trova invece a +45^, cent.; il Campani, nel 1862, ne stabilisce la temperatura a 46", 25 cent; infine, stando alle osservazioni del Dott. Pico Cantucci, la loro temperatura attuale sarebbe di -h 52^ cent. Una differenza di più che 9 gradi, quale si riscontra tra le osser- vazioni del Santi e quelle del Cantucci, sembra non si possa spiegare in altro modo, che ammettendo avere sperimentato i varii osservatori in stagioni differenti o in punti diversi della vasca. Ma, per l’appunto, osserviamo che il Santi ed il Giuli, che hanno ottenuto le cifre più basse, si son posti nelle condizioni in cui la temperatura deve esser più elevata. Infatti il Santi ci dice di aver fatto le sue osservazioni in agosto, ed il Giuli asserisce di aver collocato il termometro nell’aper- tura circolare che esiste nel fondo della gran vasca e per cui zampilla r acqua minerale. Sicché sembra piuttosto necessario ammettere che la temperatura di essa acqua, per cause che non staremo ad indagare e a discutere, abbia variato, e sia in successivo aumento. Questo fenomeno ce ne rammenta un altro con cui ha una certa analogia, e che si verifica pure al Bagno di Vignone. A circa 150 m. dalla sorgente principale, n’ esiste un’ altra, la cui composizione fu dal Santi trovata identica a quella dell’ acqua della gran vasca, da cui solo dif- feriva per esser fredda. Il Giuli, studiando nel 1832 le Terme Yignonesi, trovò che quest’ acqua aveva perduto i caratteri di minerale, e conte- neva solo leggerissime quantità di gas acido carbonico, di solfati e di altri sali a base di calce. Dopo vario tempo, però, 1’ acqua ritornò ad essere acidula, e, nel 1877, io la trovai ricca di anidride carbonica li- bera, di carbonato acido di calce, di solfati, di cloruri e di ferro. La sua temperatura (all’ ombra, in agosto) era di + 22‘’.C. Kitornai a vi- sitare la sorgente nel settembre del 1878, e, con mia grande sorpresa, ritrovai T acqua minerale nello stesso stato in cui la vide il Giuli, vale* a dire con caratteri quasi identici a quelli dell’ acqua potabile. Il sa- pore acidulo, prima così spiccato, era ridotto appena sensibile, e le sostanze disciolte in così piccola quantità, da potersene a malapena ri- conoscere la presenza coi reattivi. — 200 — Ora, passando dalla causa all’effetto, verrò a descrivere Timponente formazione calcarea a cui le acque medesime han dato luogo. Kicca, come 1’ abbiamo veduta, di anidride carbonica, 1’ acqua mi- nerale esercita con somma potenza la sua azione dissolvente sul calcare che incontra nel suo corso sotterraneo, e lo deposita poi, dando luogo alla formazione della massa enorme di travertino che vediamo presso il Bagno a Vignone. Il calcare depositato dalle acque termali è primitivamente assai cavernoso, poco tenace, spesso friabile ; ma con 1’ andar del tempo le cavernosità vengon riempiute da nuovo carbonato di calce che vi si pre- cipita, e allora diviene duro e compatto. I paesani sogliono chiamare Simgnoni i calcari fragili e cavernosi, e riservano il nome di Travertini alle varietà resistenti e compatte. Bianchissimi di colore, teneri alla cava ma resistenti alle intemperie, che non fanno che indurirli mag- giormente, questi ultimi forniscono un ottimo materiale da costruzione. « Ne fan testimonianza, dice il Santi, ^ gli ornati di antiche fabbriche, e specialmente la bella facciata del Duomo di Pienza, il di cui traver- tino, esposto da più di 3 secoli alle ingiurie dell’ aria e a tramontana, pur conserva integra la sua candidezza e la sua solidità. » La massa del travertino raggiunge, nella porzione occidentale, l’e- norme spessore di 60 metri. Ci presenta un bell’ esempio di stratifica- zione inclinata per semplice effetto d’ incrostazione, giacché segue a puntino l’inclinazione della collina (costituita da schisti galestrini alter- nanti con calcari argillosi e compenetrati qua e là da roccie ofiolitiche) e termina bruscamente alle sponde dell’ Orda. « E chiaro che quella massa si sarebbe dilatata chi sa fino a quale distanza, se non fosse stata continuamente interrotta dal fiumicello, che seco travolge 1’ acqua in- 'Crostante, e arresta in pari tempo 1’ incrostazione. » ^ Secondo il parere dei naturalisti che hanno visitata la regione, questi travertini debbono distinguersi in antichi e recenti. I più antichi sono dal Bepetti ^ giustamentente paragonati a quella calcaria d’acqua dolce che occupa gli altipiani tra Monte Eeggioni e Colle, sovrapposta alle sabbie gialle plioceniche. Essi incominciano poco al disopra del casale di Bagno a Yignone, e si stendono poi largamente a N.E. del casale me- desimo. Differiscono dagli attuali per relativa posizione e per tessitura ^ Loc. cit. ^ Stoppani, Corso di Geologia. (Milano 1874) voi. I. pag. 804. ® Repetti, Escursione geologica al M, Amiata fatta nel 4826. Lettera a F. Hoffmann nell’ Antologia del novembre 1830. — 201 — meno compatta, anzi, assai cellulosa. Il Campani ^ li riferisce al periodo pliostocenico e li ritiene quindi contemporanei a quelli delle Galleraie, di San Filippo e di Chianciano. Nel travertino recente si raccolgono fossili ed in modo particolare finiti. Eari vi sono gli avanzi di vertebrati, e tra questi io non posso segnalare che il modello mutilato del cranio di un bove, che è forse il Bos huhalus Lin. Tra gl’invertebrati vi abbondano i molluschi, e se- gnatamente la Ciclostoma elegans. il Bulimus decoUatus e varie Elici. Tra le piante predominano: Querms pedunculata — Alnus glutinosa — Salix sp. — Bhamnus frangala — Bdiamnus sp. Come a completare lo studio delle formazioni più recenti dei din- torni di San Quirico, non credo inutile spender qualche parola anche sulle rare traccie che l’uomo preistorico ha quivi lasciate di sè. Anche per il passato si conoscevano alcuni manufatti litici prove- nienti da questa località ; nel R. Museo di fisica e storia naturale di Firenze ^ si conservano due accette in giadeite, un frammento di scal- pello in roccia serpentino-steatitosa rotto al terzo superiore ed una punta di scalpello pure in giadeite, che furon raccolti nei dintorni di San Quirico dal Marchese Bonaventura Chigi. E, al dire del Campani, ^ lo stesso Chigi ha raccolto altri prodotti dell’antica industria umana, e segnatamente varie asce, presso il castello di Viguoni. Altre notizie sullo stesso soggetto trovansi nel Bullettino di Paletnologia italiana, anno II, pag. 128. Io poi non ho potuto raccogliere che due cuspidi di freccia, una abbozzata appena, l’altra completissima, e qualche scheggia di molto dubbia autenticità e quindi di nessuna importanza. La cuspide completa è in piromaca grigio-giallastra: è lavorata con molta cura, ma la sua forma è tozza, poco elegante. La sua mas- sima larghezza è di millimetri 21, la massima lunghezza di millim. 34 (compreso il peduncolo, che, da solo, misura millim. 9), il massimo spessore di millim. 8. Delle due faccio una è pianeggiante, l’altra con- vessa. Il peduncolo presenta su ambe le facce uno spigolo saliente, lon- gitudinale, mediano, onde la sua sezione risulta una losanga. Le due alette non sono nè incavate nè tagliate orizzontalmente, come per lo ^ Campani, Memoria sulla costituzione geologica e sulle acque minerali e potàbili della Provincia di Siena. * Trovo queste indicazioni nel Catalogo delle collezioni paleo-etnologiche del Museo di Firenze, pubblicato dal prof. Igino Cocchi. * Campani, Sulla storia naturale del territorio di Siena. — (Discorso pronunciato neira],ertura della VI riun, della Soc. It. di Se. Nat. in Siena, il 27 settembre 1872). — 202 — più si osserva: ma invece il loro lato inferiore è quasi piano, e fa an- golo ottuso col peduncolo. Questa freccia rivela un’arte già avanzata, e, certamente, se sulla maggiore o minore perfezione dei lavori deiruomo fosse giusto stabilire delle distinzioni cronologiche, dovremmo per lo meno riferirla alla fine deH’epoca archeolitica. • L’altra cuspide poi, che come ho già detto, è appena abbozzata, è in piromaca di color rosso epatico. E lunga 4 cent., larga 33 millim. Una delle sue faccie è piana, ottenuta, a quanto pare, con un sol colpo. L’altra faccia presenta fino spigolo longitudinale di andamento assai irregolare, molto più vicino al margine sinistro che al destro. E lavorata con pochi colpi, ma netti e ben assestati. Epoca terziaria Periodo pliocenico. I terreni pliocenici son molto sviluppati nei dintorni di San Quirico, dove anzi ci si presentano con forme litologiche e con caratteri paleontolo- gici comparativamente assai più svariati che in altre parti di Toscana. Infatti, oltre alle tipiche sabbie gialle ed argille turchine, vi troviamo calcari, arenarie, conglomerati, che differiscono tra loro, in parte per il tempo, in parte per le condizioni in cui si effettuò il loro deposito. Lo studio che ho fatto di questi terreni parrà, com’è certamente,, molto incompleto, specialmente per ciò che riguarda la distinzione e la sincronizzazione dei varii piani. Per alcuni di questi terreni, la maggiore o minore antichità è messa in evidenza dalla successione in senso verticale, e per questi non ho esitato. Ma per quelli che ho trovato in lembi isolati a riposare imme- diatamente su rocce di un periodo affatto differente, non ho potuto azzardare conclusioni premature. In un rapido sguardo sul pliocene sanquirichese, noi vediamo supe- riormente, prima di tutto, un grossolano conglomerato prevalentemente calcareo, con fauna schiettamente pliocenica, sovrapposto alle sabbie gialle che in alcuni punti riposano su sabbie rossastre con resti di vegetali finitati, a cui succedono sabbie cineree molto compatte. Que- st’ultime in altri casi, son ricoperte invece da un conglomerato, che io chiamo « conglomerato a Clypeaster pliocenicus Seg. ^ > per esserne questo il fossile più caratteristico. Un’ arenaria cinerea, grossolana. * Il Clypeaster che si trova qua e là uel pliocene italiano, era in addietro confuso col C. altus Lch. cui infatti è molto vicino. IJ Sequenza lo ha recentemente distinto col nome di C. pliocenicus. — 203 — poco compatta, sovrasta in alcuni punti a questo conglomerato, che in altri soggiace ad argille gessifere a Crenaster Soldanii Mgh. Abbiamo poi altre argille più o meno marnose, più o meno sabbiose, ed un cal- care gialliccio a nullipore, che l’aspetto litologico farebbe creder mio- cenico, se i criteri! paleontologici non lo mostrassero invece evidentemente pliocenico: e tanto delle argille quanto di questo calcare, non possiamo stabilire le relazioni con i terreni precedentemente enumerati. Passiamo ora allo studio dettagliato di questi varii terreni, mante- nendo l’ordine con cui li accennavamo testé Conglomerato a Panopaea Faujasii. — Circa tre chilometri a po- nente di San Quirico, s’innalza in mezzo alle argille turchine una colli- netta alta poche diecine di metri, conosciuta col nome di Poggiarello, Questa collinetta, ripida e scoscesa specialmente dal lato meridionale, è costituita per la massima parte da sabbie gialle o giallo-biancastre con straterelli di ciottoli calcarei, e con avanzi di tronchi di piante traforati dalle teredini. Il vertice di questa piccola elevazione è occu- pato da un banco di conglomerato grossolano, prevalentemente calcareo, di color giallastro. Il suo spessore oscilla dai due ai tre metri e la sua orizzontalità è perfetta. La roccia è piuttosto compatta, e gli ele- menti che la costituiscono, tal’ora son così piccoli che prende l’aspetto di un’arenaria, tal’altra così grandi che passa ad una puddinga. Ritroviamo questo conglomerato, nelle stesse condizioni e con gli stessi caratteri, presso i poderi limitrofi di Riguardino e Orianera. In quest’ultiraa località, e precisamente sulla sponda destra di un fosso detto delle FonC, il conglomerato, che ha quivi lo spessore medio di un metro, è sovrapposto ad uno strato di sabbie gialle (m. 1,65) ricche di fossili, tra cui i più caratteristici sono il Solen ensis L. e la Tellina lacunosa Gm. Alle sabbie succede uno strato di puddinga calcare a cemento arenaceo, a cui probabilmente sottostanno altre sabbie. Abbondano i fossili in questo terreno, ma ridotti per lo più a mo- delli interni e quindi raramente determinabili. La specie più comune è la Fanopaea Faujasii Basi, onde il nome con cui io ho designato la roccia. Le altre poche da me riconosciute, sono enumerate qui sotto : Conus Mercati Broc. Turritella tornata Broc. iKenopliorus infundihulum Broc. Turbo rugosus Lin. JDolium sp. ind. Ostrea sp. ind. Fecten maximus Lin. sp. — 204 - P. opermlaris Lìti. sp. Finna sp. ind. F ectiinciiliis sp. ind. Falanus tintinnabulum Lam. Sabbie gialle. — La regione occupata dalle sabbie gialle si rico- nosce a colpo d’occhio, anche da grandi distanze, per la rigogliosa vege- tazione che la ricopre. Vi prosperano specialmente l’olivo e la vite, la cui cultura si arresta, quasi improvvisamente, là dove esse sabbie ces- sano per dar luogo alle sterili argille. Queste sabbie, o tufi (come le chiamano in paese), non ci presen- tano, per quel che sia della loro natura litologica, caratteri speciali : constano, al solito, di grani quarzosi e calcarei più o meno tini, liberi 0 agglutinati da un cemento calcareo, che, se è molto abbondante, im- partisce aU’insieme compattezza pietrosa. Son ricche d’idrossido di ferro, a cui evidentemente debbono la loro colorazione; riscaldate ad una certa temperatura, si fanno più brune e divengono fosforescenti. L’estensione in superficie delle sabbie gialle è piuttosto limitata. Costituiscono da sole la collina su cui è fabbricato San Qnirico, e l’altra vicinissima, detta dei Cappuccini ; si estendono piuttosto largamente a N.E., ed anzi una zona stretta e lunga di esse sabbie si protende in que- sta direzione fino a Pienza, seguendo approssimativamente il fianco destro della strada che da San Quirico conduce a questa città. Ma a N.,a S. e ad E. esse sabbie si arrestano ben presto, per ceder luogo alle argille e ad altre formazioni che descriveremo in seguito. Qua e là poi troviamo le me- desime in lembi isolati, come, p. es., al Foggiar elio, ad Orianera, al Mu- lino della Tuoma, ecc. Gli strati di sabbia gialla son sempre press’a poco orizzontali : nei rari casi in cui sono inclinati, l’angolo che fanno con l’orizzonte non sor- passa 9® 0 10®. Non saprei dare indicazioni precise sul loro spessore complessivo, giacché questo varia da poche diecine di centimetri a molti metri, secondo i vari luoghi. Alternano molto frequentemente con le sabbie gialle straterelli di ciottoli promiscuamente calcarei e silicei, tal’ora sciolti, tal’altra collegati in puddinga da cemento arenaceo. Strati di questo genere raggiungono notevole sviluppo al N. del paese, e segnatamente nei poderi di Fi- palla e di Fian della Fieve. In quest’ultimo luogo, tra gli elementi della puddinga (che forma un banco dello spessore di oltre 4 metri) insieme coi ciottoli di alberese, di arenaria compatta ecc., se ne tro- vano molti di agata e di calcedonia, che potrebbero benissimo servire come pietre ornamentali. < Tra queste agate, scrive il Soldani, se ne — 205 — rinvengono alcune brizzolate, ripiene di corpi marini per lo più micro- scopici, come di Porpiti, Nautiliti, Ammoniti di varie specie, tutti silicei e legati da sugo quarzoso. » Questi corpi marini non sono che Forami- niferi e specialmente Dentalinoidee, appartenenti a vari generi che non ho potuto determinare, perchè non possono esaminarsi che sole sezioni. Qua e là, sporadicamente, si rinvengono nelle Sabbie gialle tracce di vegetali fossili carbonizzati. Così al Poggiarello troviamo nuclei di teredini avviticchiate insieme e frammiste a piccoli pezzi di lignite, ed a Rifigliuoli vediamo nel tufo uno straterello di carbone, che al micro- scopio presenta un tessuto prosenchimatoso, con vasi punteggiati ed anellati. La fauna poi è tutt’altro che ricca. Abbondano gl’individui, ma il numero delle specie è limitatissimo. Anche la conservazione degli esem- plari lascia molto a desiderare, onde la brevità del seguente elenco che comprende le specie da me potute riconoscere. Splioerodus cinctiis Ag. Paro, Collimbuti. JDolium denticulatum Desh. Earissimo. Ibid. Pleurotoma sp. ind. K. Ibid. Dentaìium sp. ind. E. Ibid. Hyalea sp. ind. Terebratula sinuosa Eroe. E. Tufaje di Bonello. Ostrea edulis Lin. Comunissima ovunque. 0. lamellosa Eroe. C. Collimbuti. Anomia ephippium Er. Ibid. Fecten opercularis Lin. sp. C. Convento dei Cappuccini^ podere delV Inferno, ecc. Pinna tetragona Eroe. E. Collimbuti. Cardium edule Lin. Cc. Collimbuti. Isocardia cor Lin. sp. E. Costilati. Tellina lacunosa. Grm. Er. Orianera. Solen ensis? Er. Ib. Clavagella sp. ind. Er. Presso Costilati. Teredo varicosa Mgh. (in museo). C. Poggiarello. Scili master Scillae Ag. Tu f aie di Co stilati. Cidaris tessurata Mgh. E. Collimbuti. Planulina Ariminensis D’Orb.C. Rifigliuoli. Sabbie rossastre. — Litologicamente queste sabbie non differiscono dalle precedenti che per il colore: le incontriamo in un’estensione li- mitatissima, a S.E. del paese e proprio appena usciti da questo. La — 206 — località ove meglio si possono studiare, è la così detta Aja della Torre^ lungo la strada dei Canneti. Quivi, sotto uno strato di sabbia gialla dello spessore di circa due metri, si scorge uno strato di sabbia rossic- cia poco tenace, che riposa sopra altro strato di sabbia di color tur- chino. Lo strato di sabbia rossiccia è qua e là interrotto da ammassi di sabbia cinerea compatta, quasi pietrosa, che mi sembrano meritare una certa attenzione. Sono di forma svariata: tal’ora amigdaloidi, tal’altra ovali 0 subsferici. Le dimensioni non sono meno svariate: dai 50 o 60 centimetri, vanno ad 1 metro e mezzo e a 2 metri. Contengono sempre nel loro interno un avanzo organico per lo più vegetale, come, per esem- pio, un ramo di conifera carbonizzato, uno strobilo di Pinus etc. Credo che la loro formazione possa avere una spiegazione analoga a quella generalmente adottata per i moduli di silice della creta bianca: credo, cioè, che i corpi organici abbiano agito come centri di attrazione del cemento sia calcareo, sia siliceo, che ha collegato i granelli di sabbia, e che le stesse sostanze organiche abbiano, decomponendosi, determinato un grado differente di ossidazione nel ferro che colorava la sabbia, e quindi dato luogo alla tinta cinerea degli arnioni medesimi. 1 fossili che ho raccolto in queste sabbie e che per lo più son ri- dotti a semplici modelli, sono i seguenti : Natica sp. ind. R. JDentali'um sp. ind. Rr. Ostrea edulis Lin. C. Cardium hians Eroe. C. C. edule Lin. Oc. Cardila intermedia Eroe. sp. Cc. Venus sp. ind. C. Lutraria elliptica Lek. R. Teredo Soldanii Mgh. (in Museo) C. T. varicosa Mgh. (in Museo) C. Hemiaster major Desor, C. Pinus Haidingeri Ung. R. P. Santiana Gaudin e Strozzi, R. Arenaria grossolana del fosso di Stro^zavolpe. — Nelle ripe del fosso di Strozzavolpe, affluente del Rigo, vediamo adagiarsi sul conglo- merato a Clypeaster pliocenicits, di cui parleremo tra poco, uno strato di arenaria piuttosto compatta, di color cinereo, ricca di frammenti di conchiglie, che esala, strofinata, un leggero odore bituminoso. Dietro gentile concessione del prof. Fausto Sestini, questa roccia fu analizzata nel Gabinetto di Chimica agraria deirUuiversità di Pisa, dai — 207 — miei amici signori Niccolò Pellegrini e G. Molina. Essi, usando il me- todo Schlossing, la trovarono costituita come segue; Scheletro ®/o • • 62,68 f Silice e silicati . , 24,25 Scheletro < Terra fine 7o • • 37,32 j Calcare 38,43 100,00 62,68 (Sabbia 35,60 Argilla ........ 1 0,82 Calcare 40,90 Perdita a fuoco 7,00 y Solubili e perdite . . . . 5,68 100,00 La natura dell’unica località in cui s’incontra quest’arenaria, non mi permette di aggiungere altri particolari stratigrafici. Son costretto a limitarmi ad accennare i pochissimi fossili che vi ho raccolto. Ostrea sp. ind. Cc. Anomia sp. ind. C. Fecten pusio Lin. sp. K. Diplodonta sp. ind. E. Cardila intermedia Lin. Cc. Tellina sp. ind. Cc. Sealaria sp. ind. E. Balanus sp. ind. C. B. pustularis Lek. E. Conglomerato a Clypeaster pliocenicus. — Il Micheli fu il primo a dar notizia di questa roccia, che chiamò « minutissima sabbia asso- data, e convertita in una specie di pietra cicerchina, cioè : Saxum sa- hulosum, ex minutissimis lapillis compositum. » Il Soldani, dopo di lui, la descrisse minutamente sotto il nome di Tistio, nel suo Saggio Crit- tografico. Il Giuli ^ finalmente, la rammentò appena, chiamandola, con la sua solita inesattezza di espressioni, « Calcaria conchigliacea molto compatta. » Si tratta di un conglomerato costituito da frammenti angolosi o arrotondati, promiscuamente silicei e calcarei, riuniti da un cemento ora argilloso più o meno ocraceo, ora argilloso-calcareo. Il volume di questi sassolini eccede di rado quello di una lenticchia. Il colore com- ^ Op. cit. 14 — 208 — plessivo della roccia varia dal bianco cinereo al rosso aranciato, al rosso sangue. E adoperato frequentemente nelle costruzioni, ma presenta l’in- conveniente di alterarsi alle intemperie disgregandosi: meglio si adatta a servir come pietra pei focolari. Questa sorta di materiale è assai abbondante nei dintorni di San Qui- rico. Si estende principalmente al S. e al S. S. 0. del paese, ma si trova anche ad 0. (Poder della Posa) e ad E. (Valle etc.) La potenza della formazione è massima al S., nel luogo detto le Tane, ove raggiunge circa i 15 metri. In generale però non sorpassa i due a tre metri. Il conglomerato in parola riposa generalmente sulle sabbie argil- lose cerulee, e qua e là si mostra ricoperto da cumuli di argilla cene- rognola selenitifera, ove si trovano in grande abbonianza quegli scu- detti di echinodermi chiamati dal Soldani Trochitae e Lapides oculares, e descritti poi sotto i nomi di Grenaster Soldanii e di C. ornatus dall’il- lustre prof. Meneghini, nel suo lavoro sugli echinodermi fossili neogenici di Toscana. La fauna del conglomerato a Clypeaster pliocenicus Seg. è la seguente : Capitodus suhtruncatus ]\Iunster. Rr. Notidanus primigenius Ag. Rr. Oxyrhina sp. ind. R. Fusus lignarius Defr. C. F. longirostris Eroe. C. Nassa reticulata L. sp. 0. Bolium sp. R. Comis sp. ind C. Pleurotoma sp. ind R. ^ Mitra fusiformis Br. R. Cypraea sp. ind. R. Natica millepunctata «'Lek. Oc. Turritella vermicularis Br. C. Vermetus intortus Lek. R. Nenophorus infundihulum Br. Rr. X crispus Kòn. C. Bentalium sp. ind. C. Bulla sp. ind. R. Hyalea depressa Daudin Rr. ^ È stata impossibile la determinazione di queste e di «lire specie di univalvi, perchè non se ne trovano che i modelli, assai deformati dalla compressione. 209 — Terebratuìa pedemontana Lek. Rr. Fecten latissimus Br. E. P. jacobaens Lin.? E. P. sp: ind. (Forse il P. pusio L.) E. Ferna Soldanii Desh. E. Modiola barbata L. sp. E. Fectunculus glycimeris L, sp. Co. Isoeardia cor L. sp. C. Cardita intermedia Br. sp. Ce. • Venus Agassisi C. Lutraria elliptica Lek. E. : • Fanopaea sp, ind. Er. Faìanus tintinnabnlnm Lek. C.- Serpula sp. ind. Er. Clypeaster pìiocenicus Seguenza. Ce. Flabellum Boyssianum C. Sabbie assnrrognole — Alle sabbie rossastre eon resti di. vegetali fluitati ed al conglomerato a Clypeaster pìiocenicus^ sueeedono sabbie azzurre o eenerognole più o meno eompatte, spesso assai rieebe di pa- gliette di miea. Predomina generalmente in esse la parte silieea, ohe ne eostituisee quasi i 7 deeimi. Il loro spessore giunge fino a circa 6 metri. La loro estensione non è grande : per lo più si trovano in lembi isolati, di superficie limitatissima. I fossili vi sono assai rari, come lo dimostra la brevità dell’ elenco seguente: Cardium edule L. Cc. Venus islandicoides Lek. C. Tapes sp. ind. E. Tellina sp. ind. E. Scliisaster canaliferus Lek; C. Debbo aggiungere che in queste sabbie si trovano molti Eizopodi che io non ho ancora determinati. . * Argille — Buona parte del territorio Sanquirichese è costituita, sfortunatamente, da argille marnose, talvolta compatte, tal’ altra incoe- renti perchè ricche di sabbia, sempre ribelli alla coltura e disadatte alla vegetazione. — Abbiamo già detto come, (in seguito alla proprietà che ha 1’ argilla di dividersi in crepacci che le pioggie cambiano a poco a poco in burroni) questo tratto di paese si mostri conformato in guisa da giustificare il vecchio paragone con un mare in burrasca. Il colore ordinario delle argille è il cinereo o il turchiniccio: talora sono però anche decisamente turchine o tendenti al giallo. Varia som- — 210 — inamente è la proporzione di marna e di sabbia che contengono: le più pure (Cerrecchio-Costilati) servono alla fabbricazione di materiali Jaterizii, e potrebbero servire anche a quella di maioliche grossolane. Contengono, tra i minerali accessorii, la Spercbise, che vi si trova in gruppetti calcitrapoidi baculari o globosi, spesso anche discoidali, com- pressi e somiglianti a piccole monete antiche, onde il nome di Quattrini del diavolo, dato loro dal volgo. Di gran lunga più abbondante vi è la Selenite, che si trova spesso in cristalli notevoli o per la grandezza delle dimensioni, o per l’eleganza degli aggruppamenti, Yi si trova anche la Manganite o biossido di manganese, ma in glebe erratiche e certamente provenienti dai terreni galestrini. In varii luoghi, per ultimo, si vedono le argille coperte da una bianca efflorescenza di Sale di creta, ossia di solfato e carbonato di soda. Due parole sulle sorgenti minerali che scaturiscono nelle argille, sono assolutamente necessarie per render questi cenni un poco più com- pleti. Sono tre, tutte dello stesso tipo, salino-jodiche, disposte su di una linea diretta approssimativamente da N. a S. La più settentrionale è nel podere di Ombicciuolo, presso il fosso detto di Renaio, a forse 20 passi dalla via romana. Un’ altra sgorga nel podere di Yegliena, presso il fosso di Strozzavolpe. La terza, finalmente, scaturisce presso il fiume Orcia, nel luogo detto Salto alle Pecore. Sembra poi che questa linea di sorgenti si prolunghi anche oltre l’Orcia, perchè nel podere Acq_ua salata, scaturiva in grande abbondanza un’acqua tanto ricca di saima- rino, che la povera gente del vicinato se ne serviva, senz’ altro, per i bisogni domestici. Anche adesso, tuttoché rotta e soffocata nel 1767 dagli appaltatori della pubblica finanza (come narra il Santi ^ ), questa sor- gente è manifesta tuttora per uno scarso ma continuo stillicidio. Poco si sa di preciso sulla composizione chimica di queste acque minerali. L’ analisi di quella del Salto alle Pecore, fatta dal Giuli nel 1833, lascia molto a desiderare. ^ Ed è, nonostante, 1’ unica che si ^ Op. cit. voi. I. pag. 845 e seg. ^ Ecco quest’ analisi, tolta dal Trattato fisico medico delle acque di Vignoni. Carbonato di Magnesia Acqua impiegata . Once 25. Composizione del residuo salino. Grani Carbonato di Calce . Solfato di Magnesia . Solfato di Calce . . Idroiodato di Calce . Idroiodato di Magnesia Idroiodato di Soda . Idroiodato di Potassa 10 — 2 — 18 — - V. 12 — 15 — 200 1 V. Totale . Grani . 259 — Credo probabile che invece di Idroiodato di Calce, Magnesia e Soda, si debba leggere Muriate delle stesse basi. — 211 — conosca, se si fa eccezione da qualche saggio qualitativo che io feci su quella di Ombicciuolo nel 1876, e che non sto a riportar , qui. La potenza della formazione argillosa deve certamente essere enor- me, giacché non è possibile vederne la terminazione nemmeno nei bur- roni più profondi. 11 Brocchi dice bensì che in certe colline di San Qui- rico si vede d’argilla sovrastare ad uno strato di ghiaie con conchiglie: ma evidentemente ciò si riferisce alla sovrapposizione delle argille a Stellaster Soldanii Mgh. al conglomerato a Clijpeaster plioceniacs Seg. Le argille dei dintorni di San Quirico, e più specialmente le argille compatte, sono tanto sterili di resti organici quanto lo sono per il ca- rattere agricolo. Fatto questo che, già osservato da Murchison ^ e da Brocchi, si spiegherebbe, secondo quest’ultimo, con l’agitazione prodotta nelle acque dalle correnti costanti, che rimescolando i fanghi sottoma- rini dovettero molestarne gli abitatori, e costringerli a domiciliarsi altrove. Io propenderei invece a credere che questa povertà di fossili derivi da profondità di deposito. Le argille sabbiose sono vere oasi in questo deserto. Gli avanzi organici vi son talora così numerosi, che c’è quasi da dubitare, a prima giunta, se si tratti di un’accumulamento artificiale, o di un fenomeno unicamente dovuto a cause naturali. Per citare un esempio, nella sola località detta Selva piana, in forse 30 metri quadrati di superficie, ho raccolto non meno di 3000 denti di pesci, che appartengono ad una quarantina di specie differenti di questi vertebrati: e oltre ai denti di pesce, vi ho trovato otoliti di Delfino, denti di Coccodrillo, ittiodoruliti, vertebre, ossa, in nr)tevole quantità. Nel seguente elenco sono enumerati gli avanzi organici da me rac- colti nelle argille dei dintorni di San Quirico. Il segno -h indica le specie che provengono dalle argille sabbiose; il segno * quelle provenienti dalle argille compatte : DelpJdnus Giulii Lawley. C B, sp. ind. K.+ Balenottera sp. ind. (Vertebre) B. + Trionyx sp. ind. B. + Crocodilus sp. ind. B. Pharyngodopilus alsinensis Cocchi. C. Ph. superhus Cocchi. Br. Ph. Soldanii Cocchi. Br. ^ M CTKCHISON’, Sulla struttura geologica delle Alpi^ degli Appennini e dei Carpazi. Vedi traduzione italiana (Firenze, 1851), pag. 231. — 212 — Dentex Munsteri Mgh. Kr. Chrysophris Agassizi E. Sismonda. Oc. Capitodus siibiruncatus Milnster. C.- + Umbrina Fecchiolii Lawley. E. + Biodon Seillae Ag. E. Sphaerodus cinctus Ag. Oc. + * Galeocerdo JEgertonii Ag. sp. C. + G. Capellini Lawley. E. + G. depressidens Siraonelli (inedita). Er Squatina B’Anconai Lawley. E. Notidanus primigenius Ag. E. + Glyphis Urcianensis Lawley. E. + Hemipristis serra Ag. E. + Sphyrna prisca Agass. E. + Frionodon siihglancus. Lawley. E. Carcharodon etruscus Lawley. E. C. minimus Lawley. C. + Oxyrhina cquadrans Ag. E. + O. Agassi zi C. + 0. Besorii Ag. C. * 0. Laivley Simonelli. (inedita). Er. “f- Lamna Z^eZ/#Genimellaro. E. L. Hopei^ Ag. Cc. + L. contortidens. Ag. + L. dubia Ag. Cc. ^ Selacìie aurata Yan Beneden. Er. ^ Trygon sp. ind. E. Mìjliobates sp. ind. E + M. microrhizus Delfortrier. E. + Ftychodus sp. ind. ^ Er. Murex sp. ind. C. * Buecinum sp. ind. C. Nassa semistriata Br. sp. E. ’ Pleurotoma Coquandi Bellardi. C. * P. brevirostrum Sow. C. P. turricula^r. BN Natica helicina Br. Cc. * ^ A proposito della scoperta da me fatta del genere Ftychodus nei terreni pliocenici, vedi il processo verbale delFadunanza del 14 marzo 1877, della Società Toscana di Scienze Naturali. — 213 — Natica miììepunctata. Lek. C. * Cerithium tricinchtm Br. B. * Aporrhais sp. ind. R. * Turritella triplicata Br. sp. C. * T. subangulata Br. sp. C. Scalaria sp. ind. K. Troebus sp. ind. K. * Dentalium elephantimim L. C. * B. sp. ind. (forse il B. tetragonum Broc ) C. * Grypìiaea cochlear Poli. Oc. + * Janira maxima L. sp. K. + Isocardia cor L. sp. E. * Panopaea sp. ind. E. * Bitrupa incurva Eenier. Cc. * Cancer sp. ind. (Olieloniti) C. Ceratotrochus duodecim costatus Goldf. C. Cydaris rosaria Br. (Eadioli) Er. C. Milnsteri E. Sisra. (Id.) C. Nodosaria sp. ind. C. + Bentalina cristallina D’Orb. E. + Nonionina Soldanii D’Orb. E. + Cristellaria galea F. et M. C. -i- Rohulina echinata D’Orb. C. * Orhulina universa D’Orb. E. + Triloculina inornata D’Orb E. * JBiloculina depressa D’Orb. E. B. contraria D’Orb. E. Calcare a Nullipore. — A S.O. di San Quirico s’innalza una giogaia poco elevata, le cui acque scendono in parte all’Asso, in parte all’Or- cia, e che, termina là appunto ove questi due fiumi confluiscono. Essa giogaia, che, nella sua p rrte più prossima al paese, ha ricevuto il nome di Poggio di S. Ansano, è costituita prevalentemente da schisti e da calcari argillosi, che presso il Castello della Eipa si appoggiano sul ma- cigno, e son ricoperti dalle più recenti formazioni terziarie nelle vici- nanze di San Quirico. La porzione più elevata e pianeggiante di questa giogaia, è occupata da un gran banco di calcare terroso, gialliccio, pieno zeppo di Nullipore, che si estende principalmente in direzione N.E.-S.O. Coloro che prima di me si occuparono della geologia di questa regione, poco o punto si curarono di questo calcare. Anche il Diuli, nel- — 214 — l’opera, già tante volte citata, sulle acque del Bagno a Yignone, ne parla vagamente come di « un terreno giallognolo che evidentemente dimostra la lunga ^dimora del mare, essendo tutto composto di un nu- mero infinito di spoglie di molluschi, dai più grandi a quelli microsco- pici, separati o coaliti insieme dalla calce carbonata e formanti la cal- carea conchigliacea, o, come dai marmisti si dice, Lumachella. » Quando studiai per la prima volta questo terreno, ingannato dal suo aspetto litologico, lo credei assolutamente miocenico, e come tale lo qualificai in una delle adunanze della Società Toscana di Scienze Na- turali. Più tardi, l’esame accurato della sua fauna mi mostrò che si trat- tava invece di semplice pliocene. Il calcare a Nullipore di San Quirico, per il suo colore e per la sua compattezza, somiglia assai alla panchina miocenica di Kosignano ; ma se ne distingue per la straordinaria abbondanza delle Nullipore, che spessissimo lo costituiscono quasi da sole. Esso riposa in stratificazione discordante sugli schisti galestrini ; questi ultimi son sollevati in anti- clinali piccoli e molto ravvicinati, le cui gambe fanno con V orizzonte un angolo di circa 36“, mentre il calcare a Nullipore è affatto oriz- zontale. I fossili sono abbondantissimi in questo terreno, ma, disgraziata- mente, sono in generale assai mal conservati : ce ne rimangono i soli modelli interni, spesso, per giunta, convertiti in spato calcare. Ecco la enumerazione di quelli da me raccolti e determinati : Strombiis coronatus Defr. Oc. Fiisus Ugnar iiis Defr. R. Cassis crumena Rr. Conus striatulus Br. R. C, sp. ind. R. y Cypraea amigdalum Br. R. C. sp. ind. R. Natica sp. ind. Rr. Cerithium scabrum Olivi. Oc. C. vuìgatum Brug. C. Turritella tornata Br. C. Siliquaria anguina L. sp. R. Scalaria sp. ind. Rr. Rissoa sp. ind. R. Trochus sp. ind. R. Mitra sp. ind. R. Dentalium gadus Mont. Rr. 215 — Bulla sp. ind. K. Waldheimia MenegJiinii Simonelli (inedita). E. W. tetraptica Simonelli (id.) E. Becten opercularis L. sp. G. Pecten sp. ind. C. Pinna tetragona Br. Er. Arca Noè L. C. Cardtum. papillosum Poli. C. Lucina loorealis Lin. sp. Oc. Jjiplodonta rotundata Mont. Oc. Venus sp. ind. E. Panopaea sp. ind. E. Cancer sp. ind. (Cheloniti) C. Cidaris tessurata Mgh. (Eadioli) Oc. Echynociamus sp. ind. E. Nonionina communis D’Orb. C. Polgstomella crispa D’Orb. Cc. B'ullmina sp. ind. E. Virgulina sp. ind. E. liotalia sp. ind. C. OrbuUna universa D’Orb. C. Biscorhina sp. ind. E. Triloculina sp. ind. C. Nuheculospira Sanguiricensis Simonelli b Er. Lythothamnion sp. ind. Cc. QUADRO RIASSUNTIVO DEGLI STRATI PLIOOENIOI SANQUIRIOHESI. (l) Dkpositi litoeali. eS si 3 *7' «0 « tì cc 2 © © '© © tì* ^ © ® © © •s o c o r '5^ O) i- rD cr<' c> S •S rCl o ' <0 0) T3 1^1 cjO <5:) ,0 ^ ts*=^ «f 2%^ S 'rS -S ^ ^ -s • r- 1 « i ^'1* o rb s o ^ ^ "Sé <=> ^ i-s «3 -S ^ rO OQ J5 ^ ^ ce s F 9^1 CB O ' •n c ci OÌ 0(2)'=’ o) e ^ g g ^i| o g ^ N g O 5; 9 t* g “J - S —I g — 220 — * La parte superiore di questo terreno della Tagliata fu nella mia pubblicazione sui Petrefatti del modenese riferita 2IV Astiano 0 pliocene superiore, cosa che in oggi non credo di potere più ammettere ; abbenchè il Doderlein istesso ^ sia indeciso ed ora lo rapporti ad un piano superiore alle marne turchine ed ora ad altro inferiore senza decidersi 0 per l’uno 0 per l’altro ; da tale confusione mi pare natù, l’asserzione non troppo giusta del medesimo Doderlein (1. c. pag. 16) ove dice che la zona astiana del modenese è oltremodo ricca di fossili rife- rendo a detta zona, da quanto emerge a pag. 55 (1. c.), i fossili del così detto, da esso, Rio Cantone il quale è la branca del Rio Girizzaga ove sorge il terreno che io ora denomino tabiano 0 pliocene inferiore, costi- tuendo il terzo piano dei plioceni pel modenese ; ove, se vengono levati i fossili di questo terreno dagli altri del vero astiano, assai limitato e quasi mancante nella provincia di Modena, ne risulta appunto, in con- trario di quanto afferma il Doderlein, la scarsità dei fossili astiani e Fabbonclanza piuttosto dei tabianesi. Nel primo mio catalogo dei fossili miocenici e pliocenici denominai tale terreno un gres e secondo il Doderlein sarebbe un conglomerato. Nella precennata località della Tagliata trovandosi ad immediato con- tatto con le argille scagliose, parecchi degli elementi di queste si sono confusi ed immedesimati con quelli del terreno tabiano ed i molluschi litodomi hanno perforato i massi calcarei delle argille istesse e talvolta, benché più raro, anche quelli di macigno molassa. Questo luogo della Tagliata, che meglio potrebbe essere indicato con le denominazioni di Ca de Grana e Ca del Cuculo, che sono due piccole possidenze, ove il terreno tabiano affiora, trovasi quasi a due ore di distanza dal Castello di Maranello. Percorrendo dal basso all’alto il Rio Grrizzaga fino dove hanno termine le marne turchine alla sinistra di detto Rio, il terreno tabiano comparisce in testata di pochi metri di po- tenza con forte inclinazione al nord, assai maggiore di quella delle marne turchine, come è espresso dallo schizzo, ove l’andamento delle diverse linee di tratteggio rappresentano pressoché la naturale inclinazione degli strati nei singoli terreni. Come già dissi in principio, la direzione del terreno tabiano è da levante ad occidente : egli si rende pur manifesto in diversi altri punti, tra cui i principali a me noti sono, movendosi da tramontana, i seguenti. Al nord di Montegibbio a metà circa della strada Vandelli che dal paese di Sassuolo conduce al Castello di Montegibbio istesso, egli si mostra come una sabbia giallastra grossolana ricca in Poly stornella crispa Lk. ; dopo questa situazione, dirigendosi a levante, viene la predetta della ^ Note tllustr, la Carta Geologica del Moderi. Memoria III, pag. 16. — 221 Tagliata ove seziona un intiero colle che spiove all’est nel Kio Grizzaga ed aH'ovest nella Fossa di Spezzano e non già nello Spezzano semplicemente, come dice il prof. Stoppani ; ^ errore che mi dimenticai di avvertire nella mia Nota sulle Salse edita in questo Bullettino del B. Coni. Geol. Ital. voi. VI. Procedendo oltre sempre nella prestabilita direzione, il terreno tahiano apparisce a Puianello nei Pii Pagalo, Nicciola e Forcella del Guerre, ove più che altrove si compone di grossi elementi ed è scarso di fossili. Al di là del Panaro si vede in Zenzano a Ca de Cristoni nel co- mune di Savignano, nel qual luogo ha una potenza assai maggiore che in tutte le altre località, ove più spesso è formato da sottili elementi; per cui meglio potrebbe essere chiamato una marna sabbiosa giallastra indurita. Forse le sabbie gialle inferiori dei geologi bolognesi vanno ascritte a questo terreno del tabiano, come parmi rilevare dal prof. Capellini nella sua Memoria sul Felsinoterio (pag. 7). In questa circostanza debbo avvertire in contrario senso di quanto dice lo stesso professore (1. c.) che i frammenti di Bhinoeeros megarhinus raccolti nel modenese, che in oggi si riducono a quattro o cinque, non appartengono al terreno tabiano o sabbie gialle inferiori, ma sibbene, come già dissi nella Nota illustrativa per uno di quei frammenti, - al terreno diluviano, e come ho potuto meglio confermare, quando vennero scoperti altri frammenti di mandibola, da me posseduti per cortese dono del signor A. Fornieri di Livizzano e L. Besini di Saliceto Panaro, che li hanno trovati quegli al Castellaeeio in Livizzano e questi 2^ Montebarello in Solignano. Nelle quali località il terreno tabiano certamente non si trova, e quello che ivi esiste, il diluviano, non può essere confuso col preindicato, tanto per la sua naturale giacitura, quanto per la mancanza dei fossili marini non solo nelle due indicate località, ma anche in qualunque altra dove è il di- luviano. Quantunque in appresso segua il catalogo delle singole specie fossili da me raccolte nel terreno tabiano, pure non sarà fuori di proposito che qui indichi quali sieno le più comuni o più rare nelle varie accen- nate località. Così per la Tagliata, come più abbondanti e caratteristiche, posso annoverare la Cerithiopsis scabra Oliv. , Monodonta mammilla Andr.,‘ Pallia plicata Eroe., P. fusidus Eroe., Murex Phyllonotus eri- status Eroe., Nassa prismatica Chem., Conus striatulus Eroe., Turritella striatissima Dod-mihi, Turbonilla, interstincta Mont., Bissoa calatìius Forb., P. parva Da Cost., B. Tiberiana mihi, B. cancellata Da Cost , B. nana Pbil., Bissoina pusilla Eroe., B. decussadaM.oni., Turbo rugosus Eroe. , Mitra collumbellaria Scac., M. incognita L., M. lutescens Lk., ^ Corso di Geologia, voi. 1, pag. 393, ecc. — 222 — Chiton corallinus Riss., an pulchelhis Phil. Fra le specie esclusive o più rare posso per ora indicare V Ovula adriatica Phil., 0. carnea Ik... Odontostoma excavatum Phil., Cerithiopsis Crosseana Tib., C. bilineata Phil. , Venas excentrica Agas. e Cardium pectinatum Eroe. Questa ultima non sarebbe molto rara nel deposito, ma è difficile l’estrarla in esemplari buoni, essendo tutti frantumati. Nella medesima località si trovano anche i molluschi litodomi più o meno rari, e sono la Clavagella Brocchi Desh. , Gastrochena duhia Penn., Gastrana fragilis Moni , Saxica rustica L., Lithodomus Avitensis May., Arca dactiloides Dod.- niihi, olim an barbata L. , Ostrea UtJwdoma Dod.-mihi, Jouannetia semicaiidata Desh. E opinione del D.r Tiberi che questa ultima sia una nuova specie anziché l’accennata. I raggiati vi sono espressi da qualche Bsammoechinus e dall’ Echtjnociamus pyriformis Agas. I Briozoi vi abbondono e tutti gli indicati nell’elenco sono di questa località, abbenchè il D.r Manzoni nelle sue .pregiate pubblicazioni voglia sostenere a torto che non ve ne siano che pochi. Le 60 specie circa qui nominate furono da me raccolte in un’area non superiore ai 100 metri quadrati ed in pochi anni, perchè da prima erano a me sconosciuti ad eccezione di quelle poche specie gigantesche in confronto delle altre e che sono anche comuni a più terreni, quale il Myriosoon truncatum Pali. , la Celìepora tubigera Bron., e VEschara cervicornis Lk. Fra le specie più frequenti posso accennare Membranipora calpensis Bus.. M, irregularis D’Orb., Lepralia coccinea Johst., L ùtriculus Manz., L. decorata Reuss, L. cupulata Manz., Celìepora retusa Manz., Retepora cellulosa Lk., Crisia Hornesii Reuss, Hornera frondiculata Lk. Tra i zoofiti o coralli la Vioa Buvernoy Mieli., la Cleodora coespitosa Lk. Dei vegetali il comu- nissimo Lithothamnium pliocehicum Gùmb. Gli ora accennati fossili della Tagliata sono più propri di quella parte che scola nel Rio Grizzaga e costituisce il Rio Cantone del Doderlein, perchè gli altri della parte più elevata ed occidentale del colle, che versa nella Fossa di Spezzano, sono alquanto differenti al pari anche della natura del terreno istesso, il quale è più abbondante in sabbia gialla ed è quello che avevo rappor- tato al terreno astiano o pliocene superiore, che oggi poi per più accu- rate osservazioni non mi pare di poterlo affatto distinguere da quello del Rio Cantone, perchè si corrispondono nella inclinazione e nell’essere sottostanti alle marne turchine ; come viene espresso dallo schizzo, I pochi petrefatti che quivi si raccolgono sono sovente formati di puro spato calcare giallastro e appartengono al Conus striatulus Eroe., Cerithium vulgatum Brug., Columbella subulata L., Follia plicata Broc., P. fusulus Broc., Nassa limata Chem., Vermetus intortus Lk., ed altri già indicati nella mia pubblicazione su i petrefatti. Le principali — 223 — specie non petrefatte di questa porzione di tabiano o della Ca del Cu- kistrix Eell. . . » reti culata Ren. » semicostata Eell. P. » Philiberti Mich. „ » Leufroyi. » . . » in fiata Jan. . . . » anceps Eickw. . . Daplinella Romanii? Lib. . Mangelia crenulata Lib. » clatbrata De Ser, » angusta Jan . . megastoma ab. Erug. . . "Vanquelini Payr nana Scac sulcatula Eonelli .... attenuata Mont bracbystoma Phil. . . . barpula Eroe Testae? Eell 134 Natica millepunctata Lk. .... . 135 » belicina Eroe 136 » macilenta Phil. ...... 137 Cancellarla lyrata Eroe 133 » varicosa » ..... 139 Pyramidella plicosa Eronn . . . ‘ . 140 Odontostoma conoideura Eroe. . . . 141 » Warrenii Tomp. . . . 142 » minutum? Adam . . . 143 » spirale Mont .... 144 » excavatum Phil. . . . 145 » nanum ab. Erug. . . . 146 Turbonilla costellata Grat 147 » gracilis? Eroe. . . . . 143 » interstincta Mont . . . 149 » indistincta » . . • • 159 » striata Mont.an Strobellia- na Coceoni 151 » trici nota var. striata Jeff. . 152 Chemnitzia terebellum Phil 153 Eulimella acicula 154 » Scillae Scac 155 Eulima distorta Desh 150 » Carmelae ab Erug . . . . ab Erug C.S.I. c.s. i. p. р. с. s.i c.s. c.s.i. р. с. s. р. с. s. c.s. i c s. р. 'P-. с. i. c.s.i, c.s. 157 Aclis ascaris Turt. . . . 158 Niso eburnea Risso . . 159 Mathilda cocleaeformis ? var nana mihi 160 Cerithium vulgatum Erug. . . 161 » varicosum Eroe. 162 Triphoris perversa L. . . • 163 Cerithiopsis scabra Oliv. ^ . . 164 » Crosseana Tiberi . 165 » spina Parts. . • 166 » ferruginea Erug. . 167 » tubercularis Mont. 168 » bilineata Hor. . . 169 Chenopus pesgraculi L. . . . 170 » pespelecani » . . 171 Vermetus intortus Lk, . . . 172 Caecum trachea Mont. . . . 173 » glabrum » . . . • 174 Turritella vermicularis Eroe. . » Strobelliana? Cocc. » subangulata Eroe. . » tricarinata » » striatissima Dod-mihi Scalaria communis Lk. . . . » frondosa J. Serv. . » torulosa Eroe. . . . » corrugata »... » babilonica Eronn . . P- c.s. 175 176 177 178 179 180 181 182 183 р. , C.S. с. s.i.. <‘•«.1. Cl. c- ■ ^C.s.ì. \c.{. c.s.i. p- •c.s.i je.i. ‘c s.i c.s. c.s.i • lc.s.1 ■p. jC.Ò. 'c.s. -c.s. c.s. ÌP- c.s. s. c.s.i c.s i c s. c s. i. c.s.i c.s.i c.s «.| c.s. «. c.s. i} c s.i. р. с. s. c.s. р. с. s. c.s.i c.s. р. с. s. 184 Rissoina pusilla Eroe c.i. 185 » decussata Mont. . . . • ii C.S. 186 c.s 187 » calathus Forb. et Han. . . . j c.s. 188 » calathiscus Mont ....•• c.s. 189 » parva Da Costa . . . • • p- 190 » Testae? Arad c.s. 191 » cancellata Da Costa .... p- 192 » dictyi'phora? Phil 193 » 194 » 195 » cimicoides Forb c.s. 196 » costata Adams 1 197 » 198 » Zetlandica Mont c.i! 199 » variabilis Miihlf c.s. 200 » Tiberiana mihi P'\ 201 » c.s\ 202 » Alleryana Tiberi 203 » snbcrenulata? Schw. p.' 204 » Manzoniana mihi C.S 205 » auriscalpium Lin p- р. _ C.S.I с. s. i р. с. s. 208 Lacuna parva mihi. 207 Solarium Philippia simplex Eron. 208 » Torinia fallaciosa Tiben 209 Xenophora crispa Konig. . . • 210 Circulus striatus Phil 211 » formosissimus ab. Erug. 212 Caliptraea chinensis L. . . . ■ 213 Crepici ula unguiformis Lk. . . 214 Phasianella pulla L 215 Turbo rugosus L 216 » sanguineus L 227 — i?17 Trocliiis magus L j}]8 » Ziziphinus cingulatus Broc. . |}19 Trochus Ziziphinus miliaris Broc. . . 220 » » conili US? L. . . 221 » » cinguliferus Lk. . >22 » » exasperatus Penn. !ì23 » » striai US L. . . . :!24 » Gibbula crispula! L. . . . ■ 125 Monodonta mammilla Andre. . jì26 » corallina L. . . . ,i27 » Wieilloti Payr. . . 1(28 Oyclostoma Cluterianum Clar. . !'.29 Haliotis Volhynica Eich. . . . :30 Scissurella aspera Phil. . . . ol Fissurella graeca L 32 » gibba Phil .... 33 Emarginula conica Shuni. . . 34 » clathrateformis Eich. 35 » eloug-ita? Costa. . 36 Gadus incurviis Reo, .... 37 Chiton pulchellus Phil. . . . 38 » marginatus Penn. . . . 39 ■ » discrepans Brow. . . . 40 » Cajetanus Poli .... 41 Bulla utriculus Broc 42 » miliaris » .... 43 Utriculus obtusus Mont. . . . 44 Ainphisphira concinna S. Wood 45 Cleodora pyramidat i L. . . . 46 » infundibulum! Wood . c,s, lì. c.s. i. lì. p. p. p. р. с. i. c.i. p. p. p. р. ^ с. i. p. C.I. p. C.S. i р. p- c s. с. i. c.s. c.s.i. р. p- с. s. c s. Hyalea tridentata? Gmel . Terebratula ampulla Broc» » sinuosa » Terebratella Megerlia truncata » * Morisia anomiodes Argiope decollata Ohem. . » cuneata Risso . . » ? eusticta Phil. . Rhynconella bipartita Broc Crania abnormis? Def. Anemia ephippium L. , . » costata Broc. . . » . squamala L. . . » patelliformìs L. . » aculeata? Miil. . » striata Broc. . . Ostrea coclear. Poi. . . » lamellosa Broc. » italica? Cocconi. . » edulis L » » var corrugata Bro » ^ » » pusilla » » lithodoma Dod mihi Pecten opercularis L. . . » scabrellus Lk. . . » Reussi Har. . . . » pusio Perni. . . » Vola maxima L. . » » Jacobaea » . » Janira flabelliformis Def » » var. laevis Cocconi Scai р. с. s i s.i c.i. р. с. s. p. p. p. р. с. s. c.s. c.s. c.s. i c.s. C.S. l. C.S.I c.s. р. с. s. c.s. c.s. i p. c s.i C.S.I, р. с. s.i. р. с. s. c.s. c.s. 278 Ilinnites crispus Broc 279 Radula squamosa Idr 280 Plicatula rnytilina Phil. . . . . . 281 Modiola subclavata Lib 282 Lithodo mus avitensis May 283 Arca Noae L 284 » diluvii Lk 285 >> clathrata Defr 286 » barbata L 287 » lactea L 288 » obliqua Phil 289 » dichotorna Ilbrnes varietas mihi 290 Pectunculus glycimeris L 291 » stellatus Gmel. . . . 292 Limopsis aurita? Broc 293 » anomala Eichw 294 » » var. tabianensis mihi 295 Nucula nucleus L 296 » decipieus Phil 297 Leda commutata Phil 298 » concava Broun. 299 » Malletia transversa? Ponzi . . 300 Chama gryphoides L 301 » squamata Desh 302 Lucina spinifera? Mont 303 Montacuta substriata Mont. . . . 304 Circe minima Mont 305 Astarte f lisca Poli 306 » silicata Da Costa .... 307 Cypricardia coralliophaga Gm. . . 308 » transilvanica Hòr. . . 309 Cardium multicostitura Broc. . . . 310 » papillosum Poi 311 » Laevicardium pectinatumL. 312 Cardila senilis Wood 313 » proboscidea? Michtt. . . 314 » antiquata L 315 » elongata Broc 316 Ve nus excentrica Agass 317 » fasciata Da Cost 318 » fasciculata Reuss 319 » multilamella Lh. .... 320 » vindoboueusis? May. . . . 321 » ovata Pena , 322 Cythaerea rudis Poi 323 Tapes eremita Proc. 324 Venerupis irus L 325 Petricola lithophaga ? Retr. . . . 326 » cycladiformis Dod-mihi . . 327 Tellina serrata Reu 328 » nitida Poli 229 » planata L 330 G astrana fragili s L. ...... 331 Sindosmya aiupelina? Ren, . . 332 » anguiosa » ... 333 Lutraria eliptica Lk 334 Mactra Hemimactra triaugula Ren. . 335 Corbula gibba Oliv 336 Panopaea glycimens Born 337 ThiMcia distorta Poi 338 Gastrochena diibia Penn p. p. P- c.s. z. c.i. c.i. c.s.i. c.s. р. с. s. c.s. i. c.s. i. c.s. р. с. s. %. p- c.s i. c.s.i. р. с. s. c.i. c.i. р. с. s. р. с. s. p. p. р. с. s. i. р. с. s. t: р. c s. с. i. р. с. s. p- c.s.i. р. с. s.i. c.s. p. p. p. р. с. i. c.s. p- p- c.s. c.s. c.s.i. c.s i. c.s. i. p- c.s. c.s. P‘ — 228 — 339 Saxicava arctica L 340 » rugosa » .... • • < c.s. 341 Clavagella aperta Sow. . • . p. 312 » Brocchi Lh. 343 Pholadidea Jouannetia semicaud.?Desh. ^ 344 Cidaris Desmoidi n sii Sism. . . p. 345 Psammoechinus mirabilis Nic. . p. 346 » homocj^phus Syn. P- 347 Echinociamus pyriformis Agas. p. 348 Hemiaster rotundus Laub. p. 349 » phrynus Dosh. . . . p. 350 Schizaster Scillae Desm. . . . 351 Gorgonia patula? Lamor. . . p. 352 Corallium ' ? p. 353 Caryophyllia clavus Scacc. . . c.s. 354 Dendrophyllia cornigera Lk. c s. 355 » clavigera? » c.i. 356 » trifurcata Michtt. p. 357 Scrupocellaria elliptica Beuss . p. 358 Salicornaia farcimioides John. . c.s. 359 Miriozoum truocatum Pali. . . 360 Aetea auguina Hind .... p. 361 Membranipora catenularia Jon. . p. 362 » anguiosa Beuss . P\ 363 » trifolium Wood. c.i. 364 » irregularis D. Orb. p. 365 » calpensis Busk. . p. 366 » Bosselii And. p. 367 » Oceani D’Orb. . p. 368 » subtilimargo Beuss. . c.s. 369 » annui US Manz. . c.s. 370 » aperta Busk. . . c.s. .371 Lepralia decorata Beuss ... p. 372 » coccinea Johns. . p. 373 » scripta Beuss. '. . . p. 374 » cibata Pali 375 » annulutopora Manz. c.s. 376 » disjuncta Manz. . . p. 377 » venusta Eichw. . . . p. 378 » squamoidea Beuss . . p. 379 reticulata » . . c.s. 380 » cuculiata Busch. . . p. 381 » pertusa? Johnst. . . p. 382 » spini fera » . . c.s. 383 » morrisiana Busk. . . p. 384 » cupulata ]d[^nz. . . . p. 385 » ansata var. Johnst. . . p. 386 » utriculus Manz. . . . p. ‘387 » elegantula? »... p. 388 » granulifera? Beuss p. 389 » chilopora » p. 390 Cellepora retusa Manz. . . . c.s. 391 » pillerà Michtt. . . . p- 392 » pauciosculata » . . p. 393 » punctata Manz. . . p. Sain 394 Escliara foliacea Lk. . . 395 Eschara liclienoides Lk. . 396 » cervicornis Lk. . 397 Biflustra delicata A ad. . 398 Ketepora cellulosa Lk. . 399 Oupularia umbellata Defr. 400 » canariensis? Busk 401 Crisia Edwarsii Beuss . 402 » Hornesii » 403 » eburnea L. . . . 401 Alecto Castrocarensis Manz 405 » repens S. Wood. . 406 Tubolipora congesta Beuss 407 Idmonea serpens L. . . 408 » fenestrata? Eorb. 409 Frondipora Marsilii Blain. 410 Hornera frondiculata Lam. 411 Postulophora rugulosa Manz. 412 » proboscina » 413 Diastopora expansa » 414 » Berenicea striata J 415 Defrauda cumulata Michelin 416 » mediterranea Blain. 417 Oeriopora globolus Beuss. 418 Heteropora steli alata? » 419 Vioa Duvernoy Michel. . 420 » Pectinata Michtt. . 421 Nodosaria conica Sol. 422 Lingulina carinata D’Orb. 423 Marginulina raphanus? L. 424 Oristellaria cassis Lk . . 425 Hauerina alternans Costa 426 Polystomella crispa Lk. . 427 Botalia Partschiana D’Orb. 428 » Screbersii » 429 Truncatalina lobata » 430 Astigerina planorbis » 431 Guttalina commimis D’Orb. 432 Polymorphina ovata » 433 » complanata » 434 Textularia agglutinans » 435 Spiroloculinà canaliculata » 436 » excavata » 437 » badensis » 433 Triloculina gibba » 439 Quinqueloculina ungeriana » 440 » loiigirostra » 441 » agglutinans? » 442 » Partschi >> 443 » rugosa? » 444 Adelosina laevigata » 445 » pulchella » 446 Lithothamnium ramosissimum? Beuss 447 » pliocenicum Giins 448 Fagus sylvatica L. ... . . P‘ le.s. Ic.s.f. I c.s. \C.8. Ic.S.i. jC.S. \C.8. C.5. le.s.j. jP- jC.S ?. \c.s. \p- p- P‘ p- P‘ p- p’ c.s.i. p- c.s. c.s.i. P' c.s.i. C.S.Ì. c.i. c.s. P' c.s. ' c.s. р. с. s. c.s. I c.s. P- : \c.s. [ c.s. ! C.S.i.i р. ' с. s. ! c.s. ì c.s. c.s. ' P- ! p- I p^ >. — 229 NOTIZIE BIBLIOORAPICHE. Eomolo Meli. — Note geologiche sui dintorni di Civita- vecchia. — Roma, 1879. (Estr. d. Mem. d. Gl. di Scienze fis., mat. e natur.. Serie 3, Voi. V, della R. Accad. dei Lincei. Anno CCLXXVII). Da questo resoconto d’iina escursione fatta dalFAutore lungo il lito- rale romano da Palo a Corneto,’ intesa a ricon'dscerne più dettagliata- mente la costituzione geologica, se rileviamo confermate per buona parte le osservazioni fattevi da precedenti geologi, constatiamo altresì arricchito da nuove contribuzioni il materiale di studio sin qui raccoltovi e spe- cialmente il paleontologico e più che tutto quello relativo alla fauna del terreno quaternario più recente, sviluppato lungo quella spiaggia, dei fossili del quale non si possedeva che il ristretto catalogo del Bleicher. La formazione geologica più antica, costituente tutti i contorni mon- tuosi di Civitavecchia, è rappresentata da arenarie siliceo-calcari micacee {macigno) alternanti con scisti argillosi {scaglia rossa), cui tengono dietro superiormente calcarie argillose palombine, analoghe olV alberese toscano. Queste roccie, nelle quali ' non venne fatto alPAutore di scoprire traccia di fossili, 0 soltanto indizi! insignificanti, vengono da esso ritenute ap- partenenti all’eocene medio e superiore per la loro analogia litologica e di giacitura con quelle delle vicine contrade sulla destra del Plora. Questa formazione costeggia il mare, ricoperta dal quaternario marino, e spingesi a sud di Civitavecchia sino a formare il Capo Dinaro per poi ripiegare verso i Monti del Sasso ; mentre verso nord-ovest venne seguita sino alle Cave del gesso, ove i suoi strati sono alterati, sconvolti, rad- drizzati pel contatto colla cupola trachi tica di Monte Rozzo. Questa trachite differisce litologicamente da quelle del Viterbese e del Monte Amiata ; s’accosta invece a quella della vicina Tolfa. A tre chilometri da Civitavecchia sulla via cornetana l’Autore rilevò l’esistenza di un lembo di terreno spettante al pliocene inferiore, costi- tuito da uno strato di sabbione giallastro, grossolano, indurito, fossili- fero, adagiato su d’un banco di grossi ciottoli d’arenaria e coperto dal quaternario marino. I suoi fossili, tra cui una nuova specie di Pecten {Pecten Ponzii), ricordano quelli del maceo di Palo e Corneto. Dal quinto miglio della via cornetana sino a Corneto, le colline risultano costituite — 230 — da sabbie gialle pliocenicbe con fossili ben conservati, e l’Autore ne estrasse alcuni esemplari di cui offre la lista. In nessun’ altra località- dei dintorni di Civitavecchia appariscono depositi pliocenici. I depositi quaternari, antichi e recenti, sono sviluppati lungo la spiaggia senza internarsi gran fatto entro terra : l’antico è ad un livello elevato sul mare, non oltre i 40 metri, ed è rappresentato da arenaria grossolana {scaglia riccia') a cemento calcareo, composta di granellini di sanidina, silice, calcare ed augite, con frammenti di conchiglie ma- rine spatizzate. Il quaternario recente, costituito da arenarie grossolane, brune, quasi ferruginose, analoghe anche per età alla panchina di Li- vorno ed alle formazioni quaternarie di Sicilia e Sardegna, contiene grande quantità di materiali vulcanici ed è ricchissimo di conchiglie fossili appartenenti a specie tutt’ ora viventi. Di questi fossili l’Autore presenta un ricco elenco in cui sono enumerate 133 specie, coll’ indica- zione della località da cui provengono e della fonte scientifica che le descrive e figura. Tutte queste specie ad eccezione d’una sola {Ceriiliium sp. ? — Corneto) vivono tutt’ora nel Mediterraneo. L’elenco non è definitivo, ma attende d’essere completato da ulteriori studi specialmente per ri- guardo ai zoofiti ed alle conchiglie di pi-ccola mole. In molti punti del litorale il quaternario presenta delle zone di fori praticativi dal Litho- domns ìithophagus, Lin., dal quale fatto i geologi trassero la conseguenza di un lento sollevamento del litorale romano durante l’epoca quaternaria. Da ultimo, vennero constatati dalLAutore nella località 1 monteroszi sulla via cornetana e su tutta la spianata ove sono gli avanzi delle Terme taurine^ depositi di travertino i quali in quest’ultima località racchiu- dono frammenti di calcare bianco cristallino a frattura minutamente.' lamellare o saccaroide. A. Manzoni. — La geologia della provincia d,i Bologna. — Modena, 1880. Con questa Memoria, pubblicata noiV Annuario della Società dei Na-- turalisti di Modena l’Autore si propone di fare una hreve, chiara e succosa esposizione di guanto di hen accertato si conosce intorno alle condizioni geologiche della provincia di Bologna^ non tralasciando di far rilevare guanto vi rimane da accertare e da porre in evidenza, per stimolare al- V osservazione ed alla ricerca chiungue potesse esservi indotto dalV oppor- tunità e dalla naturale inclinazione. Accennate le attuali condizioni idrografiche ed orografiche del paese. — 231 — stabilita in base ad esse ed alla diversità delle facies geologiche resi- stenza di due, distinte zone, l’appenninica e la subappenninica, l’Autore descrive con parecchi capitoli la natura e la costituzione dei terreni che le formano, il modo di distribuzione di quest’ultimi nella provincia,, i caratteri specifici delle roccie, la loro genesi e la correlazione fra le medesime, non dimenticando l’influenza che esercitano sull’aspetto gene- rale della regione in cui predominano, ed altresì nella vegetazione della medesima. Il macigno, il calcare screziato, lo scisto galestrino, l’argilla scagliosa, il calcare alberese, il calcare a fucoidi, ecc. sono trattati piut- tusto diffusamente nei primi capitoli, come costituenti del Flysch ap- penninico e della base della zona subappenninica. Un iìitero capitolo è quindi consacrato alle roccie serpentinose, nel quale l’Autore riproduce come spiegazione dell’origine delle serpentine l’ipotesi dei geologi americani, ossia la cosi detta intrusione ìaccolitica,^ la quale per dette roccie sarebbesi manifestata durante la fine del ^periodo eocenico nel seno della formazione del Flysch, che a qiiel tempo era m corso di sedimentazione ecostituiva il fondo di un mare ampio e relativa- mente profondo. La genesi delle serpentine comprenderebbe due fasi,. Luna d’intrusione, la seconda di concentrazione cristallina e di consoli- dazione; l’azione metamorfosante delle stesse sulle roccie includenti, se non rilevante e profonda, sarebbe stata però tale da produrre i gabbri rossi e la scagliosità delle argille e dei galestri: epperciò, senza dare alla presenza delle salse e dei vulcanetti fangosi dell’Emilia quella grande importanza intravedutavi da altri geologi che riferiscono ad eru- zioni fangose sottomarine l’origine del Flysch appenninico e delle ser- pentine, 1’ Autore ravvisa in detta formazione puramente un sedimenta marino di natura detritica, stato mineralizzato e modificato dall’ accen- nata intrusione dei magma ofiolitici, escludendo al tempo stesso la di- stinzione fatta da altri di serpentine di varia età entro del Flysch e r esistenza di argille scagliose mioceniche. Un sesto capitolo abbraccia i terreni miocenici subappenninici, tra i quali la formazione appellata delle molasse quarzose mioceniche la cui età, miocenica inferiore, più che dallo scarso patrimonio dei fossili ver- rebbe stabilita da rapporti stratigrafici ed in ispecie dalla connessione di detta formazione con quella della melassa serpentinosa ad echino- dermi del Bolognese e del Modenese ; la qual ultima, pei caratteri pa- I geologi americani chiamano roccie di intrusione loccolitica certi ammassi dì roccie che, fattisi strada allo stato di la-va o di magma lungo ima fessura sotterranea,, si sono espanse in forma di grandi lenti piano-convesse nell’ interposizione di strati orizzontali di una data formazione. — 232 — leontologici, risulterebbe quale formazione di spiaggia e mare sottile, ed appartenente per età al miocene medio. Segue 1’ esposizione del terzo terreno miocenico, ossia del così detto Schlier, formazione di mare vasto e profondo e contemporanea in parte alla melassa serpentinosa, ma, a differenza di questa, perdurata altresì per tutta l’epoca miocenica su- periore. Passando poi a trattare in due susseguenti capitoli dei terreni plioce- nici, TAutore espone primamente la formazione solfo-gessifera, d’ori- gine lagunare, interposta fra i terreni miocenici marini ed i pliocenici marini, e rappresentante un locale momento di sospensione nel processo sedimentare di mare relativamente profondo. La serie dei piani costi- tuente nel Bolognese una tal formazione venne scoperta e studiata dall’Autore alle cave del Santagata presso Gesso, ove le marne gial- lastre sottostanti ai gessi ricorderebbero i tripoli, senza però offrirne i fossili caratteristici. Nei terreni pliocenici della provincia, non dissi- mili per natura e suddivisione geologica dai congeneri di tutta Italia, l’Autore marca di notevole la presenza di avanzi fossili dimostranti l’in- tervento contemporaneo di una fauna e flora terrestre, mentre d’altro lato la abbondante presenza di materiali appartenenti al Flysch rivele- rebbe l’origine dei sedimenti pliocenici bolognesi come dovuta al rima- neggiamento del Flysch medesimo. Il penultimo capitolo tratta dei terreni postpliocenici, di scarsissimo sviluppo nel Bolognese; e nell’ultimo, intitolato : originarie condizioni della regione montuosa del Bolognese^ e che può dirsi la sintesi delle prece- denti esposizioni, l’Autore tesse la storia geologica della regione in di- scorso, accettando, per ispiegare la formazione Flysch^ la nota ipotesi della preesistenza di un’ antica catena peninsulare preterziaria a strut- tura alpina, sprofondatasi poi al chiudersi del periodo eocenico, e ciò 2)}' oh abilmente in contrasto col sollevamento che, a datare dall' intrusione sotterranea delle roccie ofiolitiche, si sarebbe iniziato per la regione del Flysch appenninico. Chiude la Memoria un Prospetto riassuntivo della serie stratigrafica dei terreni del Bolognese. K. voN PfliTSCH. — Neuere BeobacMungen in den Apen- ninen, — 1880. Questa relazione compendia le ' osservazioni geologiche fatte nel Maggio 1879 dall’Autore insieme al prof. Beyrich durante un’escursione di pochi giorni in quella parte dell’ Appennino centrale situata a N.E. — 233 — del gran clinale e compresa a un dipresso tra la Valle del Metauro, la catena laterale del M. Catria e del M. Cucco e quella del M. San Vi- cino e la Val deH’Esino; presso a poco adunque nel territorio medesimo che fu visitato nel 1868 dallo Zitte! e da esso ampiamente descritto geologicamente e paleontologicamente con un lavoro pubblicato nel Benecke, Geogn, pai. Beitràge, 1869 ed inserito per estratto nel voi. I, 1870, (pag. 17 e seg.) di questo Bollettino. Le apprezzazioni geologiche dell’ Autore confermano quasi intera- mente quanto il suo predecessore ebbe qui a rilevare, e Tunica sostan- ziale differenza la troviamo nella tendenza dell’ Autore a sospettare piuttosto per triasico anziché per appartenente al Lias inferiore il cal- care massiccio giallo-chiaro o bianco che si presenta per il più antico prodotto nella serie delle formazioni costituenti T Appennino percorso. 11 bisogno di un più attento esame in proposito è però sentito dall’Au- tore, i cui argomenti a favore della predetta ipotesi sarebbero per ora limitati a qualche carattere petro grafico della roccia, al rinvenimento in loco di residui fossili simiglianti a Giroporelle, alla constatata pre- senza delTInfralias inferiore ed alla grande potenza di detto calcare in confronto del tenue spessore di tutti i banchi interposti fra esso ed il cretaceo inferiore. La parte rocciosa del territorio descritto è costituita principal- mente dal detto calcare massiccio, assai cavernoso, entro al quale cor- rono incassate le anguste gole de’ fiumi, le quali segnerebbero la di- rezione di corsi di caverne preesistenti. A circa m. 100 sopra il livello attuale delle acque di questi fiumi incassati scorgonsi numerose ed evidentissime traccie dell’ erosione dei medesimi, l’origine delle quali, in base al progresso d’erosione rilevato dall’Autore per alcuno di quei fiumi durante un periodo di circa 2500 anni — progresso misurato sui resti d’ opere idrauliche degli antichi romani — dovrebbe rimontare al periodo pleistocenico o al diluviale antico. Il Lias superiore, ricco di Falciferi, è secondo l’Autore talvolta rappresentato nella regione in discorso da un calcare grigio chiaro, anziché, come d’ ordinario, da calcare rosso e marnoso e dù marne rosse ; nel Giurassico poi il piano titonico che in qualche località, p. e. a Pianelle in Val Montagnana dovrebbe essere superiore al mas- simo di potenza indicato dallo Zittel (6 metri), paleserebbe nonostante tale esiguo suo sviluppo parecchie suddivisioni paleontologiche, quali sarebbero, degli strati inferiori a Terebratula triangola e ad Ammo- niti della famiglia delle Aspidoceras, e degli strati superiori ricchi di Eterofilliti. Le osservazioni dell* Autore si estendono altresì alla serie dei ter- — 234 — reni terziarii, cui lo Zittel accenna soltanto ^er incidenza e che si mo- strerebbero in giacitura uniforme nelle colline e nei gruppi montuosi situati ad occidente della catena del Catria colla seguente disposizione dal sotto in su : 1®. Marne grigie e calcari marnosi con scarsi residui di pesci e di Echini, 2®. Argille di colore oscuro a grandi septarie e con banchi in- tercalati di roccie calcaree, sabbiose e sabbioso-rnarnose, con accumu- lazioni locali di residui vegetali e. d’ insetti (Dipteri). 3®. Arenarie e marne grigie conchiglifere (Ostriche e Tecten cf\ scahrelìus). 4®. Gessi e prodotti solfiferi : spettano a questo terreno le sor- genti solfifere e con esse le estese solfare del Pergolese. (? Miocene medio od inferiore). Formazioni terziarie più recenti non vennero constatate. L’xlutore da ultimo accenna a singole bombe vulcaniche che si ri- scontrano nel terreno diluviale di Fabriano, costituito essenzialmente da frammenti di scaglia, probabilmente slanciate da ovest oltre la ca- tena degli Appennini, e chiude la propria relazione ricordando un banco non insignificante di travertino nei pressi di Yalleremita sopra Fabriano, appartenente all’alluvionale inferiore, ovvero al diluviale su- periore. NOTIZIE DIVERSE Ricerche di fosfato di calce nelle Puglie. — Nel n. 7-8 del Bollettino del, 1879 veniva riportata parte di un rapporto dell’ in- gegnere delle miniere E. Niccoli sopra alcuni depositi calcarei as- sai estesi nelle Puglie, quali sono la così detta crosta del Tavo- liere, ed il tufo 0 calcare a briozoi delle vicinanze di Canosa, ed altre località. La visita del Niccoli a tali depositi era stata principal- mente provocata dalla notizia che i medesimi fossero stati trovati più 0 meno ricchi di sostanze fertilizzanti, sia in fosfato di calce, sia in nitrati e cloruri alcalini. Fin dal 1877 il prof. Tonnoni che avea pra- ticate indagini nel sottosuolo della Capitanata, in una sua Memoria all’ associazione agraria di Cerignola, segnalava la presenza di simili — 235 — sostanze in tali depositi, accennando alla possibilità di utilizzarli come base ad ammendamenti per l’agricoltura. In generale un deposito che contenga anche solo 2 o 3 per cento di fosfato può già venire conside- rato come suscettibile di utile applicazione. La parte veramente attiva, cioè l’acido fosforico, entra nel fosfato puro, pel 43 per cento circa ; onde il suddetto deposito, che conterrebbe più dell’l per cento in acido fosfo- rico, corrisponderebbe sotto tale rapporto ad un comune concime di stalla che ne contiene appunto simile proporzione. Ora le analisi praticate su quei depositi pugliesi avrebbero allora indicato un tenore non inferiore airi per cento, ed in un campione persino il 5 per cento di acido fosforico. Simili dati erano tanto più incoraggianti in quanto che vasta assai è l’estensione di quei depositi; ed il prof. Capellini e il De Giorgi avevano anche segnalato un calcare di recente formazione e fosforifero sin presso il Capo di Leuca. E qui cade anche bene di rammentare la nota rife- rita a pagina 413 del medesimo numero 7-8 del Bollettino, sull’esistenza nella Carolina del Sud (Stati Uniti d’America) degli strati pure recenti, ossia postpliocenici, detti di Ashley, contenenti molti avanzi fossili ed in pari tempo copiosi noduli di fosfato, al punto che colà danno alimento ad una profittevole escavazione per l’uso agricolo. E vero che in quegli strati americani il fosfato pare sia il prodotto di ablazione di giacimenti che esistono in terreni più antichi; ma era ad ogni modo cosa degna di riguardo la eguaglianza di età geologica e lo essersi constatata già nei depositi pugliesi l’esistenza del prezioso fecondante. Ci rimaneva da verificare la reale proporzione del fosfato sovra estensioni un po’ vaste di quei terreni pugliesi in modo da riconoscere se il trovato avesse un pratico valore ; su del che crasi a priori sollevato il dubbio. Infatti riguardo ai nitrati e cloruri alcalini, si poteva osservare a priori^ essere poco probabile resistenza loro in quantità sensibile in simili depositi superficiali, poiché essendo quei sali molto solubili, doveano es- sere stati da lungo tempo asportati dalle acque piovane che nei climi no- stri sono piuttosto abbondanti. Quanto alla proporzione del fosfato nel cal- care a briozoi, in quanto possa il medesimo provenirvi dai residui del corpo dei molluschi stessi, dessa non può esservi molto grande : a meno che vi sia poi stata accresciuta da ulteriori depositi, come sarebbero le coproliti dovute a deiezioni di altri animali, ovvero per ablazione da depositi più antichi, come sarebbe succeduto per gli strati di Ashley in America. Tali dubbi non tardarono a realizzarsi, quando i campioni inviati sin dal 1877 al laboratorio della stazione agraria di Torino vi furono esaminati dal prof. Cossa, il quale li trovava poverissimi tanto di sali — 236 — solubili, che di fosfato. Così pure trovava il prof. De Giorgi per quelli di varie località del Leccese, ed il calcare poi con piccoli arnioni di fosfato preso dal prof. Capellini presso al Capo di Leuca, saggiato a Bologna, non avrebbe dato che mezzo per mille di acido fosforico. Ad ogni modo, poiché ora nuovamente s’era parlato dei calcari delle Puglie come possibili materie da ingrasso fosforifero, fu giudicata assai opportuna la visita dell’ing. Niccoli, che venne praticata in compagnia del medesimo prof. Tonnoni. Il Niccoli, oltre allo studio della stratigrafia di cui rese conto nel succitato suo rapporto, raccoglieva numerosi cam- pioni nelle varie località, i quali furono poi negli scorsi mesi sotto- posti ad accurate analisi nello stesso laboratorio della stazione agraria di Torino sotto la direzione del medesimo professore Cessa. Avute queste analisi, il Niccoli completava il suo rapporto, concludendo colla poca o ninna importanza di quei depositi pugliesi considerati come materie da ingrasso. Ecco ora le cifre di tali ultime analisi. Fra i diversi campioni raccolti ve ne erano 7 delle varie qualità di crosta specificate nell’articolo già stampato, e 4 del calcare a briozoi delle principali fra le descritte cave di tufo ivi usato come pietra da taglio. La ricerca deH’acido fosforico venne fatta ripetendo sempre le operazioni per maggior sicurezza. Il risultato fu pur troppo meschino, e conforme a quello già trovato nel 1877, talché non si credette nemmeno più necessario di analizzare tutti i campioni ricevuti nel laboratorio. Acido fosforico per cento Crosta dura di Cerignola 0,036 id. ' id 0,048 id. detta Buffon a 0,050 id. id 0,031 Carparo 0,025 Tufo (calcare a briozoi) 0,065 Vedesi adunque che il tenore in acido fosforico non raggiunge nem- meno 1 decimo per cento! Quanto ai sali solubili, fu egualmente nega- tivo il risultato. Si può quindi concludere che per quanto consta dalle investigazioni sin qui eseguite, la ricchezza in fosfato ed altri fertilizzanti dei depo- siti superficiali delle Puglie e della Terra di Otranto non é tale da poter dessi venire praticamente utilizzati. Ricerca di fosfati in altre parti d’Italia. — Anche altre indagini già fatte in diverse località d’ Italia diedero sin’ ora pur troppo il me- desimo risultato negativo. — 237 Vario assai è il modo di giacimento del fosfato di calce nella na- tura, come anche ne è varia assai la struttura e 1’ aspetto. Nelle meteoriti metalliche provenienti dagli spazi celesti, non è in- frequente il fosforo, ma vi esiste non ossidato, bensì allo stato di fosfuro di ferro. Sul globo nostro trovasi il fosfato di calce, talora assai puro, cristallizzato, e dicesi allora apatite ; tal volta, anzi sovente, è amorfo o terroso e dicesi allora fosforite. Come modo di giacimento, trovasi talora 1’ apatite in vene più o meno grosse che a guisa di filoni metalliferi intersecano terreni preesi- stenti, come in certi luoghi di Spagna (Logrosan), Portogallo, etc. Trovasi pure in lenti, venule, masse ed arnioni assai ricchi dentro a terreni an- tichissimi come negli Stati Uniti e nel Canada, ed anche in certe roccie vulcaniche. Talvolta infine ritrovasi concrezionata in zone come le stallat- titi rivestendo pareti di cavità o spacchi di altri terreni, come in certe località di Francia nei terreni giuresi. Allo stato amorfo o di fosforite, esiste in lenti più o meno estese, in arnioni, ed impregnazioni qua e colà in certi strati calcarei o scistosi delle varie età geologiche, dal carbonifero al terziario ed anzi, come ve- demmo, anche nei più recenti. Il terreno dell’epoca cretacea inferiore (gault) nè è il più ricco, e lo contiene allo stato di noduli, da alcuni ri- tenuti per coproliti, da altri per cogoli prodotti da sorgenti. Tali noduli sono talora così copiosi da permettere proficue esca.vazioni, come ha luogo in vari paesi della Francia, Grermania, Kussia ed Inghilterra. Fra i depositi più recenti poi si può citare la tangiie^ melma marina attuale delle coste di Normandia. In Italia esistono pressoché tutti i rappresentanti geologici dei terreni nei quali soglionsi in altri paesi rinvenire i fosfati, ma pur troppo non si trovarono in essi dei giacimenti praticamente apprezzabili. E cosi, per es., nelle Alpi, specialmente nelle occidentali, trovansi terreni cri- stallini antichi ritenuti equivalenti a quelli dell’ America, ma sin’ ora non si conoscono in essi che piccole vene di apatite, associata sovente al ferro titànato negli scisti talcosi di Val Maggia, e del Gottardo. Mol- te ricerche od analisi si fecero indarno in diversi altri terreni. Nel 1868 ring. F. Giordano essendo al Congresso Scientifico di Vicenza, udito dal farmacista Zanon che certi calcari dei monti di Belluno fossero stati ritrovati assai ricchi di fosfato (certe parti sino al 20 e 30 per cento), si recava sul posto alla confluenza della valle Desedan in quella del Brenta, a raccoglierne campioni. E un calcare assai compatto, bi- giastro, ritenuto, dell’epoca giurese superiore. Ma tutti i campioni rac- colti, stati poi saggiati dal chimico E. Bechi in Firenze, diedero meno di un centesimo per cento di fosfato ! Pare che i campioni saggiati dal Zanon — 238 — fossero frammenti caduti e trascinati da vette sovrastanti, onde non sarà forse impossibile, con ulteriori ricerche su quei monti, il ritrovarne delle zone più ricche. In certe roccie vulcaniche basiche, come in certe lave del Vesuvio, delle Lipari e della Terra di Lavoro, riscontrasi pure il fosfato, ma in trop- po piccola quantità. Su venti roccie vulcaniche della provincia di Caserta analizzate dal prof. Ferrerò direttore della Stazione agraria di quella xjittà, la roccia più ricca fu un augitofiro che conteneva non più di 0,95 per cento di acido fosforico. Nel calcare a briozoi delle Puglie, sul quale tanto da taluni spera- vasi, vedemmo quale fu il risultato delle ricerche ultimamente pratica- tevi. Abbiamo ancora in certe parti d’ Italia, come nella valle del Po, le così dette terramare^ depositi di antiche abitazioni preistoriche, le quali contengono traccio di fosfato ma sono di inconcludente risorsa. Il succitato chimico E. Bechi, il quale fece in molti anni molte ana- lisi di roccie italiane sospettate più o meno fosforifere, non trovò mai ^osa di vera pratica importanza. Dopo simili infruttuose ricerche dovrassi rinunciar ad ogni speranza di ritrovare i fosfati in Italia? — Simile giudizio non parrebbe ancora interamente giustificabile. Come vedemmo, gli indizii non ne mancano in vari dei nostri terreni geologici, i quali in altri paesi ne sono ricchi. Ulteriori ricerche si possono ancora tentare, purché bene dirette nei luoghi di maggiore probabilità. Sarà compito dei rilevatori della Carta geologica in grande scala il portare in tale lavoro la loro speciale attenzione sopra l’argomento; e le loro indicazioni potranno riuscire conducenti alla definitiva solu- 5:ione dell’ interessante problema. La formazione gessoso-sol fifera nei dintorni di Messina. — Come seguito alla memoria sul terreno solfifero di Sicilia inserita nel fascicolo precedente del Bollettino, l’ ing. Mazzetti ci ha mandato una breve nota illustrativa di un lembo dello stesso terreno da esso rinve- nuto nei dintorni di Messina, e che per mancanza di spazio pubbli- cheremo nel numero seguente. Questo terreno, del quale per quanto è a nostra cognizione non fanno parola gli autori che trattano della geologia di quei luoghi, ri- posa, come quello della grande formazione dell’ interno dell’ isola, sul tripoli ed è ricoperto dal truho, ossia dalle marne bianche a forami- nifere. Consta di marne, gessi e calcari, ma è privo della parte utile, cioè dello zolfo. Per notizie più dettagliate rimandiamo il lettore al fascicolo successivo. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO II’ITAIIA. Serie IL Voi. L Màggio e Biugno 1880. N.°5 e 6. SOMMAKIO. Atti belativi al Comitato Geologico. llemorie originali. — I. La sezione di Licodia-Eubea e la serie dei terreni nella regione S.E. della Sicilia. Nota dell’ ingegnere E, Travaglia del E. Corpo delle Miniere. — II, La Montagna del Suavicino. Osservazioni geologiche e pa- leontologiche del dott. Mario Car'Avari. (Continuazione e fine). — III. La Mon- tagnola Senese. Studio geologico di Carlo I)E Staeani. (Continuazione). Estratti e riviste. — Note di una escursione geologica alle Alpi orientali lombarde di 0. W. Gììmrel. (Estratto da una Memoria inserita nei Een diconti della E. Accademia delle Scienze di Monaco, anno 1880). Notizie bibliografiche. — T, Taramelli, Il Gonion Ticino meridionale ed i paesi finitimi, Berna, 1880. — T. Taramelli, Sulla determinazione cronologica dei por- fidi luganesi, Milano, 1880. — G. Scarabelli Gommi Elamiri, Sugli scavi ese- guiti nella caverna detta di Fresassi, Eoma, 1880. — G. Meneghini, Nuovi fos- sili siluriani di Sardegna, Eoma 1880. — A. De Zigno, Sopra un cranio di coc- codrillo scoperto nel ierrtno eoceno del Veronense^ Eoma, 1880. — A. De Zigno, Nuove osservazioni sull Halitermm YeroneseNL.. Venezia, < 1880. — G, Mercalli, Contribuzioni alla geologia delle Isole Lfiari, Milano 1879. — Arnold von Lasaflx, Jjer Aetna. Tavole ed incisioni. — Sezione geologica dei dintorni di Licodia-Eubea, pag. 246. PARTE UFFICIALE. — Verbali delle adunanze 17 Marzo 1879; 8, 9, 10 eli Giu- gno. 1880. Atti relativi al Comitato Gleologico. Cessate le cause di ritardo di cui si è fatto cenno nei precedenti fascicoli del Bollettino^ il Comitato Geologico potè finalmente tenere le sue ordinarie sedute annuali ne’ gior- ni 8, 9 e 11 del mese di giugno ed una seduta straordi- naria il 10, alla quale furono invitati anche altri geologi e distinti scienziati non facenti parte del Comitato. Alla seduta del giorno 9 presieduta dal professore Me- neghini intervennero i signori prof. Ctàpellini,prof. Cossa, prof. Gemmellaro, ing. Giordano, generale Mayo, ing. Pellati, se- natore Scarabelli, prof. Stoppani ; si erano scusati i signori prof Ponzi e Scacchi. L’Ispettore Giordano, capo deH’Uffìcio Geologico, pre- — 240 — sento la sua relazione sui lavori fatti nello scorso anno colie proposte sui lavori delFanno corrente. Tale relazione fu ap- provata air unanimità. I professori Meneghini, Capellini e Gem-- mellaro, i quali in base ad un voto espresso nell’adunanza del marzo 1879 erano stati incaricati della direzione scien- tifica dei lavori in alcune delle zone di rilevamento, fecero le più ampie dichiarazioni a lode dei rispettivi ingegneri rilevatori che si mostrarono operatori accurati ed intelligenti e perfettamente adatti allufficio che è loro affidato. Essendosi quindi osservato che in seguito all’esperienza delle passate campagne può essere opportuno di regolamene tare i rapporti fra il Comitato e l’Ufficio Geologico e .spe- cialmente fra i membri del Comitato che hanno la direzione scientifica dei lavori in una data zona ed i relativi geologi operatori, si è designata una Commissione colTincarico di formolare un regolamento interno da presentare àll’approe vazione del Comitato nell’adunanza del giorno successivo. Tale Commissione risultò composta dei signori Meneghini presidente. Capellini, Gemmellaro, Scarabelli, e Pellati relatore. Essa si riunì la sera del giorno stesso, e concretò il progetto di regolamento interno che nell’adunanza del 10 giugno il Comitato discusse ed approvò con alcune modificazioni. Nel giorno lO il Comitato, rinforzato di alcuni geologi e scienziati estranei stati invitati dal Ministero, sì adunò per l’esame del progetto di legge formolato dall’Ispettore Gior- dano per la Carta Geologica. Gli invitati erano i signori : generale Bertolé-Viale, professore Cocchi, barone De Zigno, professore Guiscardi, generale Mezzacapo, professore Omboni, generale Pescetto, professore Pirona, professore Seguenza, ingegnere Sella, professore Strùver, professore Taramelli. Man- carono i signori Cocchi, Guiscardi, Mezzacapo e Seguenza. La seduta fu aperta dal Ministro Miceli, che poco dopo cedette la presidenza al prof. Meneghini. Il professore Tara- — 241 melli, appoggiato dal professore Stoppani, presentò alcune osservazioni di massima in opposizione al progetto, sostenendo che la Carta geologica deve essere fatta con norme diverse da quelle adottate coll’attuale organizzazione, cioè sostituendo all’attuale Comitato regolatore e al Corpo di ingegneri di miniere esecutori^ un Istituto geologico indipendente e con direzione unica. Queste obbiezioni del Taramelli furono in sostanza la riproduzione di quelle già presentate dallo Stop- pani nella seduta ordinaria del 17 marzo 1879, le quali fu- rono dalla unanimità degli altri membri del Comitato tro- vate insussistenti. Neanche in questa adunanza straordinaria esse incontrarono favore, e fu dimostrato, specialmente dal- l’onorevole Sella, che l’attuale ordinamento, frutto degli studi delle varie Commissioni che ebbero ad occuparsi dell’argo- mento, è più liberale, risponde meglio alle esigenze della scienza e dell’industria e dà maggiori garanzie per la riuscita del lavoro. Tuttavia furono invitati i professori Taramelli e Stoppani a concretare meglio le loro idee e a presentarle sotto forma di un progetto da contrapporre a quello pro- posto dal capo del rilevamento geologico. Ma non essendosi essi trovati pronti a farlo fra pochi giorni e sulla conside- razione che non può aversi molta speranza che il Parlamento possa in questo scorcio di sessione esaminare ed approvare il progetto di legge di cui si tratta, si decise unanimemente di pregare il Ministero a rinviare le sedute della Commis- sione ad altra epoca e di fargli istanza perchè continui al Comitato ed alTUfficio Geologico tutti i maggiori mezzi di cui può disporre acciò i lavori intrapresi o da intraprendersi siano condotti colla più grande energia possibile. Nel giorno 11 il Comitato ordinario tenne un’ ultima adunanza nella quale discusse alcune disposizioni di dettaglio per l’esecuzione delle deliberazioni adottate nelle sedute pre- cedenti e per assicurare il compimento dei lavori che devono — 242 — figurare al Congresso internazionale che sarà tenuto in Bo- logna nel settembre del 1881. Essendo stato deciso in una delle sedute ordinarie che i verbali delle adunanze^ come pure tutti gli atti ufficiali riferen- tisi al Comitato vengano pubblicati nel Bollettino in una Parte Ufficiale^ così viene incominciata col presente fascicolo la inser- zione di tali atti, che per maggiore economia e comodità vengono stampati in caratteri più minuti e collocati alla fine del fascicolo con numerazione speciale, e disposti in modo che alla fine dell’annata si possano staccare le parti ufficiali dai vari fascicoli e riunirle in un solo complesso da mettersi in fine del volume o da tenersi a parte. Nel presente fascicolo si crede opportuno di dare, oltre ai verbali delle quattro sedute sovraindicate, anche quello della seduta del 17 marzo 1879, perchè fu questa la prima dopo il Decreto che ha stabilito l’organizzazione attuale com- pletata poi con le decisioni prese in quella e nelle adunanze ordinarie di quest’anno. Nei fascicoli successivi verranno ri- portate le relazioni originali dell’Ispettore capo sulle varie parti del servizio negli anni 1879 e 1880, Intanto i lavori di rilevamento in campagna procedono colla solita alacrità, e già nelle sedute del Comitato si potè esporre la carta al 50,000 di una vasta regione della Sicilia che si estende in direzione Est-Ovest da Acireale a Girgenti. I lavori ripartiti ora colà in tre gruppi con due operatori per ciascuno sono diretti al completo rilevamento dell’isola. Importanti esplorazioni furono fatte in quest’ultimi tempi attraverso i terreni secondari dei monti di Palermo e di Tra- pani, nelle formazioni antiche dei monti Peloritani e fra # quelle vulcaniche e basaltiche del Catanese e del Siracusano. Furono pure rilevati notevoli lembi delle dette regioni se- guendo specialmente la zona terziaria in tutte le varietà colle quali essa si mostra nelTlsola. — 243 — Delle Alpi Apuane furono pure esposte alcune tavolette al 25,000. In questa regione si stanno ora compiendo dai nostri operatori, sotto la direzione del professor Meneghini, molte esplorazioni che rettificano le osservazioni sommarie degli autori che in precedenza ebbero ad occuparsi della sua geologica costituzione. Dei dintorni di Roma fu presentato al Comitato il rileva- mento alla scala di 1 a 25,000 della zona che si estende da Cerveteri ai Monti Prenestini ed al Vulcano Laziale. Nella prima metà di maggio fu poi fatta dal personale del- rUfficio Geologico centrale una rapida ricognizione lungo la progettata linea ferroviaria Roma-Sulmona, della quale già furono comunicati i risultati alPUfficio tecnico incaricato della redazione del progetto, specialmente per quanto si ri- ferisce alla perforazione di alcune importanti gallerie che si trovano lungo quella linea. I lavori di rilevamento topografico e geologico alla scala di 1 a 10,000 della regione Iglesiense e del Fluminese sono terminati. Si sta ora eseguendo nell’ufficio minerario d’Igle- sias una riduzione di quella carta alla scala di 1 a 25,000, di cui entro quest’anno sarà intrapresa la pubblicazione con una descrizione della regione stessa sotto il punto di vista geologico e minerario, e con copiose notizie di idrografia sotterranea. La Direzione. — 244 — MEMORIE ORIOINALL L La sezione di Licodia-Eubea e la Serie dei terreni nella regione S. E. della Sicilia. Nota dell’ingegnere K. Tea- VAGLIA del E. Corpo delle Miniere. Gli ingegneri Baldacci e Mazzetti, miei colleghi nel rilevamento della Carta geologica di Sicilia, pubblicarono nel primo numero del Bollettino Geologico di quest’anno, la serie dei terreni terziari riscon- trati nel rilevamento della regione solfifera dell’isola. Il barone I. Cafici pubblicò nello stesso numero una sua nota sulla formazione gessosa del Licodiano e del Yizzinese. Avendo io rilevato nei primi mesi di quest’anno la regione, nella quale sono compresi i gessi illustrati dal Cafici, credo opportuno dar qualche ragguaglio su questa regione pubblicando la sezione di Licodia- Eubea, allo scopo sopratutto di collegare l’interessante lavoro del Cafici con quello del nostro rilevamento della Carta geologica di Sicilia. Giova notare fin d’ora come gli studi del Cafici, fatti isolatamente, siano venuti a confermare la esattezza della serie dei terreni terziari, già fissata dai miei egregi colleghi fino dai primi mesi del 1878, quando si compì il rilevamento dei cinque fogli, inviati poi all’esposizione di Parigi, serie che io, venuto appunto in queU’epoca a prender parte ai lavori di rilevamento, ho trovato di dovere fedelmente seguire. Sulla successione dei terreni di quella serie non cade oramai alcun dubbio, e solo ne resta discutibile la divisione, essendo ancora tanto contrastata la posizione cronologica della formazione gessoso-solfifera, come la sua origine e la estensione dei diversi plani che abbraccia. L’esistenza della formazione gessosa in questa parte della provincia di Catania mi era già nota dalla antica sezione del Prévost, il quale indica i gessi a Mineo, e dal nome di un vallone a levante di Mineo, indicato sulla carta topografica colla denominazione di Vallone del Gesso. Già nel 1878 rilevando la parte orientale del foglio di Caltagi- rone e nel 1879 rilevando la parte meridionale del foglio di Rammacca, aveva avuto occasione di vedere sviluppati alcuni terreni, che indica- vano chiaramente essere la serie riscontrata nel centro della Sicilia esattamente ripetuta in questa località. Mi riuscì quindi di sorpresa il vedere in due brevi note del signor Cafici sulla geologia del Yizzinese e del Licodiano, delle quali fece cenno il Bollettino nel primo numero del 1879, indicati i gessi come calcari metamorfizzati dalle eruzioni vulcaniche, invece che gessi sedimentari collegati agli altri terreni della — 245 — formazione. Il barone Cafici però, invogliato in seguito, come egli dice, dagli studi del prof. Capellini sui gessi di Toscana e delle Romagne, a studiare questi di Licodia e Vizzini, portò col suo recente lavoro una utilissima contribuzione alla geologia dellMsola. Dal raffronto tra la nota del Cafici e la nostra serie apparisce evi- dente, che le marne inferiori ai gessi illustrati dal Cafici sono le stesse che sottostanno alla formazione gesscso-solfifera del resto della Sicilia e da noi già ritenute del Tortoniano. Nel nostro rilevamento è soppressa ogni suddivisione di tali marne, comprendendosi così nello stesso piano anche le marne a Nassa semistriata Br. Il Cafici ebbe la fortuna di trovare località ricche di fossili, e portò così un contributo alla fauna miocenica di Sicilia, mentre generalmente quelle marne, tanto svilup- pate nell’Isola, sono poverissime di fossili. Sopra ì gessi, il Cafici ebbe la fortuna ancora maggiore di trovare nella cava di San Giorgio, poco distante dalla sua villa, gli strati a congerie con una ricca fauna, che gli permisero di stabilire il sincro- nismo della formazione gessosa del Vizzinese con quelle già illustrate dal Capellini nel continente, confermando così quanto da molti anni era già stato indicato dall’ ingegnere Mottura, nelle sue preziose me- morie sulla formazione solfifera di Sicilia, e quanto si era già stabilito nella serie del nostro rilevamento. Gli strati a congerie non si sono riscontrati in nessuna altra parte della regione gessoso-solfifera, e anche in questa località sono pochis- simo sviluppati, e non si possono indicare nella nostra Carta al 50,000, nella quale rimangono uniti coi gessi. Noterò qui che, oltre alla caya di San Giorgio, fossili degli strati a congerie furono recentemente trovati dal signor Cassetti, aiutante ingegnere nella mia sezione, anche alla cava Brasco a 5 km a N.E. delle stesse cave di San Giorgio a N. del monte Timpasecca. Devo qui rilevare che i gessi hanno un’estensione maggiore di quella indicata dal Cafici, presentandosi essi verso N. in parecchie località, molto sviluppati, sino a Mineo a 12 km più a N. di Licodia e verso S. sino al piano Malaria, sulla riva destra del Durillo, e più che a 5 km a S. del mulino nuovo di Licodia indicato dal Cafici come estremo meridionale del bacino. Oltre ai tre piani delle marne del Tortoniano, dei gessi e degli strati a congerie, il Cafici accenna infine alle marne calcaree a forami- niferi, con cui comincia la formazione marina, successiva alla forma- zione gessoso-solfifera, senza far cenno degli altri terreni ai quali aveva accennato nelle sue prime note. 11 rilevamento della regione di cui si tratta avendomi dato occa- sione di studiare anche gli altri terreni, credo interessante dare la sezione completa di Licodia-Eubea. Sezione geologica dei dintorni di Licodia-Eebea. 246 w m a ^ 5 (U > o i I c3 ^ Ti &0 S ' ■ ce Ph O fl o o c O g ’a ce 9 ^ o oe (D o !z; evi 2 'S rd O o O ‘5 ^ ® Spadae, Mgh. Lytoceras dorcadis, Mgh. » cornucopiae, Y. et B. Questa fauna ammonitica è prettamente identica a quella delle note Marne rosse di tutto l’Appennino centrale e della calcaria.rossa di Lom- bardia. (jli Harpoceras comense, radians,- discoides, i Phylloceras Nil~ soni, selinoides sono copiosamente diffusi e in pari tempo rappresentano le forme più decise del Lias superiore. Oltre poi alle ammoniti, costituenti uno dei dati più sicuri alla cronologia geologica, un’altra famiglia d’esseri organici, le foraminifere, ^ ScAEABELLi, Sugli scavi eseguiti nella Caverna di Frasassi (provincia di Ancona) Roma, 1880. Oanavari, Sulla presenza del trias nelV Appennino centrale. — Roma, 1879. • K. V. Feitsch. Neuere Beoh. in den Ap. : Zeitsch. der Wissensch, Ver. in Halle an d. Saale, 1880. 17 — 256 possono aiutare a separare la calcaria roseo-cliiara o grigiastra liassica superiore deH’Appennino, dalla consimile media* E difatti la corniola superiore esaminata al microscopio risulta di un insieme di piccole fo- raminifere e di frammenti diversi di conchiglie in prevalenza. Tra le foraminifere vi abbonda una forma monotalamica del genere Folymor- phina, che trova molta analagia con la Folymorphina simplex, Terq. et Berth. delle marne del Lias medio (zona inferiore agli strati ad Amaltlieiis margaritatits) d’Essey-Lès-Nancy in Francia; rarissime si riscontrano sezioni di Cristallariae e di logge separate o riunite d’altre foraminifere da ripartirsi tra i generi Nodosaria e Bentalina., La corniola inferiore (Lias medio) è anche indubbiamente costi- tuita da resti organici, ma può dirsi formata da minuti frammenti di conchiglie e da moltissimi crinoidi, senza traccia di foraminifere, al- meno in tutte le preparazioni esaminate. L’accennato carattere micropaleontologico, che sembra fino ad ora abbastanza certo per la separazione della corniola delFAppennino in due periodi successivi, si cita sotto le debite riserve, poiché tra le fo- raminifere osservate non havvene alcuna esclusivamente caratteristica del Lias superiore e d’altronde in periodi diversi questi esseri organici ripeterono pressoccbè le medesime forme. Se poi la corniola superiore corrisponda alla zona della Fosidono- mya Bronni, Grold. come manifestò lo Zìttel, o a quella del Lytoceras jurense, Ziet., lo si discuterà in seguito, dopo di aver descritto le marne rosse, con le quali l’aggruppo. Intanto osserverò solo che nell’Appennino centrale come Lias superiore bianco, oltre a quello df^l Suavicino, si deve mezionare quello di Frasassi, in cui rinvenni un Harpoceras hi- frons, ed ammoniti del Lias superiore vi raccolse lo Scarabelli ; e quello di monte Pietralata al Furio. Nell’Italia settentrionale ricompariscono calcarie biancastre e bigie del Lias superiore, assai rassomiglianti alle appenniniche, ma più compatte, al monte Erto nel Friulano, scoperte dal Tarameli! e dal Pirona, con una fauna del tutto identica e con pressoché eguale distribuzione di forme alle calcarie dei Campi del- VAccpia, e con le stesse sezioni microscopiche di conchiglie e di fora- minifere. Le caratteristiche marne rosso-mattone e i calcari rossastri ammo- nitiferi del Lias superiore si riscontrano al Fian di Colonne presso Monte Martino (Ficano), al Cesarello e 2IV Acqua delV Olmo ; mancano poi totalmente nell’ala meridionale, in cui sono sostituite dalla corniola superiore; e mancano eziandio alle grotte di Frasassi e a quelle di S. Eustachio, ^appendici che seguono il gruppo Suavicino, le prime al Nord, le seconde al Sud. — 257 — Le marne e le calcarie rosse menzionate corrispondono per i ca- ratteri petrografici e paleontologici a quelle che si rinvengono a monte Catria, Nerone, Pietralata (Furio), Gemmo, Guaito o Fargno, al gruppo della Sibilla, alla Marconessa, ai monti di Narni, a Cesi (Umbria), a monte Subasio e in altre località appenniniche, non che poi alle marne e alle calcarie rosse di Lombardia e di tutta la provincia mediterranea. Sebbene esse siano nell’Appennino così frequenti, tuttavia non assumono grande sviluppo e si presentano piuttosto in lembi anziché in stratifi- cazioni continue, e la rinomanza loro antica, ora giustificata dalla co- scienziosa opera del Meneghini, (Monogr. du cale, rouge amm. ecc.) la debbono più che ad altro al numero stragrande di fossili che racchiu- dono. Ecco la fauna raccolta nel marne del Lias superiore del Suavicino : Harpoceras hifrons Brug. » comense d. B. » discoides Zi et. » radians Rein. » complanatum Brug. » Levesguei d’Orb. » sternale d. B. Hammatoceras insigne Schubl. Aegoceras subarmatum Y. et B. Stephanoceras Besplacei B’Orb. Fhylloceras Capitanei Cat. » Spadae Mgh. » Nilsoni Héb. » JJoderleinianum Cat. > selinoides Mgh. » sp. ind. Lytoeeras dorcadis Mgh. » cornucopiae Y. et B. Fosidonomya Bronni Gold. Turbo sp. ind. Astarte sp. ind. Fucoides sp. Oltre ai citati fossili, il calcare marnoso rosso racchiude anche un grandissimo numero di foraminifere, delle quali può dirsi totalmente costituito. In più di 40 preparazioni microscopiche si è osservato che i generi Cristellaria, Nodosària, Dentalina, tra le Lag&nidae. vi pre- dominano. Una sezione di Cristallaria corrisponde per la forma e per la — 258 disposizione e le forme delle logge alla Cristallaria impleta, Terq. et Berth. del Lias medio di Francia, ma ne diversifica per le dimensioni e per il numero delle logge, carattere d’ altronde variabilissimo in que- sto genere ; tra le P olymorpJiinae la più frequente è una forma mono- talamica identica a quella menzionata della corniola superiore. Al ge- nere Lagena dubbiosamente riferisco alcune specie. La famiglia delle Glohigermidae è rappresentata da parecchie sezioni di logge sferiche irregolarmente aggruppate, che appartengono al genere Gloòigenna; la qual cosa viene a comprovare la presenza delle Glohigerinae, che dal Trias si facevano ricomparire nella Creta inferiore, nel periodo lias- sico, come già avevano fatto notare il Terquem ed il Berthelin. ^ Medesima struttura e medesima origine organica hanno tutti i calcari marnosi rossastri del Lias superiore nell’ Appennino centrale, mentre diversificano alquanto dalla corniola superiore dello stesso oriz- zonte. Parecchie sezioni del calcare marnoso ammonitifero del Lias superiore di monte Gemmo, Guallo, Catria, Subasio si identificano con quelle del Suavicino. La fauna ammonitica del Lias superiore citata, tanto della corniola superiore, quanto delle marne rossastre, è una fauna piuttosto recente, predominando per la massima parte specie della zona a Lytoceras jurense; onde verrebbe a comprovarsi 1’ opinione che manifestai ^ in- torno all’ età della calcaria terrosa rossa di monte Gemmo, identica a quella del Suavicino e di tutto 1’ Appennino centrale, che cioè dovesse riferirsi probabilmente alla parte superiore del Lias superiore. Tale conclusione si troverebbe ora contraddetta dall’avervi rinvenuta la Po- sidonomya Pronni, specie invece caratteristica della parte antica del Lias superiore. Nella provincia mediterranea non è raro il caso di osservare me- scolanze di faune che ebbero successivo sviluppo nella provincia del- r Europa centrale, e quindi da noi comparsa, per così dire, precoce di tipi e persistenza di altri che al di là delle Alpi più tardi comparvero e prima perirono. Tal fatto accade per il Lias medio, si ripete ora per il Lias superiore e vedremo verificarsi anche per il Titonico. Pos- siamo quindi dire che la fauna del nostro Lias superiore rappresenta un solo sviluppo, una sola zona paleontologica che ha il valore stra- tigrafico delle due zone estralpine nelle quali suddividesi il Lias su- periore. ^ TEKauEM ET Berthelin, Ét. microsoop. des Marnes du Lia^ moyen d' Essey-Lis- Naney. Mém. Soc. géol. de France. — Paris, 1875. ** Atti della Soc. Toscana di Scienze naturali. Processi verbali, 1878. — 259 — 6. Oolite inferiore. Alcuni strati calcarei biancastri o giallognoli succedono alle Marne rosse ammonitifere del Lias superiore. Essi hanno litologicamente molta analogia colla calcaria titoniana, alla quale li riunii quando visitai per la prima volta il gruppo Suavicino. A tale erronea conclusione ero in- dotto anche dal fatto che in tutta la montagna si riscontravano svilup- patissimi gli schisti ad aptici, i quali, come fu osservato dallo Zittel con la calcaria ad Hammatoceras fallax si escludevano. Ora poi pella precisa determinazione della età di queste calcarie, che servono di base alla formazione titoniana, hanno avuto notevole importanza due specie caratteristiche dell’oolite inferiore (Unter Dogger), lo Stephanoceras Bay- leanum ed il Simoceras scissum, ambedue raccolte ai Campi delV Acqua presso Ficano. Simili calcarie si riscontrano al Campo delle Monnece presso Gagliole e in altri posti del gruppo, ma sempre prive di fossili. Sulla estensione poi del Dogger inferiore nell’ Appennino centrale poco si ha a dire. Si trova a monte Nerone e al monte Pietralata (Furio), in cui è molto fossilifero e caratterizzato dall’ Hammatoceras fallax. La sua esistenza alla Marconessa è indicata (Zittel) da un esem- plare di St. Bayleanum conservato nel museo geologico di Pisa ; al monte Cucco da altro esemplare della stessa specie, che si trova nella collezione paleontologica di Firenze. La serie colitica rimane cosi limitata in poche località e circoscritta alle calcarie ad Hammatoceras fallax, a Stephanoceras Bayleanum ed a Simoceras scissum, le quali raggiungono ben poca potenza. Nelle Alpi venete invece, che tante analogie presentano coll’Appennino, alle impor- tanti calcarie colitiche ad H. fallax e ad Harpoceras Murchisonae, im- portantissime formazioni succedono, prima d’arrivare al tifoni co inferio- re ; tra le quali le Posidonomyengestein, gli strati a Posidonomya alpina, tengono forse il primo posto. Probabilmente nell’Appennino la serie coli- tica non è del tutto interrotta come si crede, poiché non ha guari ebbi campo di osservare un calcare rosso, durissimo, costituito quasi esclu- sivamente di una piccola conchigliola, che il Meneghini riconobbe molto affine se non identica alla Posidonomya alpina ; era proveniente dai monti della Bocchetta presso Pergola. Nella montagna del Suavicino poi, al Campo delle Monnece, raccolsi erratico un ammonite che corri- sponde al P erisphinctes patina, Neum. dei Macrocephalen-Schichten. Finché nuovi dati paleontologici non condurranno ad ulteriori re- sultati, la pochissima difiusione dell’oolite, la quale più che in istrati 260 continui si manifesta in isolati lembi, ed anche laddove esiste corri- sponde semplicemente ad alcuno dei molteplici piani nei quali si sud- divide e nelle Alpi venete e nella provincia mediterranea, porterebbe a concludere che, dopo ripetute oscillazioni di suolo, sul terminar deiroolite media, l’Appennino centrale, che già da tempi ancor più remoti andava gradatamente sollevandosi, diventasse terraferma. Fu allora che gli agenti atmosferici in gran parte distrussero V oolite già formata, gli elementi della quale servirono per costruire nuovi terreni, e arrivarono ad esportare forse in parte anche il deposito marnoso al certo litorale 0 di basso fondo del Lias superiore ; ma non molto durò tale stato di cose, chè, succeduto un movimento di abbassamento, dovè ancora essere ricoperto dal mare, nel quale dovevano depositarsi le calcarie del tito- nico con la stessa fauna ea anche in alcuni punti col medesimo aspetto litologico di quelle di tutta la provincia mediterranea. 7. Titoniano inferiore. Il titoniano inferiore è molto sviluppato al Suavicino e raggiunge una spessezza che oscilla dai 10 ai 15 metri. Nell’ala meridionale del- l’ellissoide si presenta sotto la forma d’una calcaria bianco-verdastra durissima, che riposa sopra la corniola del Lias superiore ; nell’ala set- tentrionale invece risulta di una calcaria rosso-mattone marnosa o mar- morea, ed anche brecciosa, stratificata, intercalata da schisti rossastri, raramente verdognoli, selciferi ad aptici e susseguente agii strati cal- carei a Stephanoceras JBayleanum dell’oolite inferiore ; nella parte cen- trale poi si compone inferiormente di schisti verdastri ad aptici e su- periormente di calcaria biancastra. Crii schisti ad aptici costituiscono una facies del titonico, a cui furono riportati anche dallo Zittel, ^ sebbene per 1’ addietro li ritenesse distinti. In essi non si rinvengono altri fossili che aptici. Le calcarie invece rappresentano una facies a cefalopodi. Nel seguente quadro è indicata la fauna riscontrata nel titoniano del Suavicino : * Die Fauna der alt. Ceph. fuehr. Tith..^ p. 306. Cassel, 1870. Geol. Beoh. aus den Central-Ap. Miiiiclieii, 1869. — 261 -- Titonico bosso La Sa ssa presso Ficano Titonic Campi delle Monnece presso Gagliole )0 BIANCO Monte Cimaglia Belemnites conophorus, Opp. . . . ♦ » subfusiforrms, B. . . . * — — » cfr. semisulcatus, Miinst. * — — » cfr. Gemmellaroi, Zitt. . — * — » sp. ìnd * * Aptychus punctatus^ Voltz . . . * - * ■ » Èeyrichi^ Opp * «= « » latus, H. V. M * * — . > exculptus, Sch, . . . . » sp, sp. (cellulosi) . . . ♦ * Lytoceras polycyclum. Neum. . . . — # — » quàdrisulcatum, d’Orb. , . * * — » sp.\nà..{c,iv.quadi'isulcatum) * — — • » montanum^ Opp * * » sutile, Opp — * — » sp. ìnd * — — Phylloceras serum^ Opp • * — » sp. ìnd. (cfr, serum) . . * — — » ptychoicum^ Qiienst. . . — * ♦ » sp. ind. (cfr. ptychoicmn) * . . — — » Kochi, Opp * * )► mediterrayieum^ Neum. . — * — » cfr. Silesiacum Opp. . . * — — Oppelia trachynota^ Opp — ♦ — (?) » ’sp. ind — — Haploceras elimatwn, Opp. . . . # • — » verrucifermn, Mgh. . . — « — : Simoceras Volanense, Opp. * — » catrianum, Zitt. . . . — * — » admirandum^ Zitt. . . . — « — Perisphinctes Alhertinus^ Oat. . . * * — » contiguus, Cat. . . . * * — » transitorius^ Opp. * * — » eudichotomus^ Zitt. . — # — » senex^ Opp — * — » yeron, Zitt. ... ; — * Aspidoceras Avellanum^ Zitt. . . . * * — » sp, ind, (cfr. Avellanum) * — __ » cyclotum, Opp. . * » — » Èogoznicense^ Zeusch. . * — — » Montisprimi^ Oanav. . » apenfiinicum, Zitt. . . » longispinum, Sow. . . » cfr. pressulum^ Neum. ■ 1 * * * * — 262 — Titonico bosso Titonico bianco La Sassa presso Ficano Campi delle Monnece presso Gagliole Monte Cimaglia Nautilus sp. ind * — — Bhynchoteuthis titonica, Mgh. . . * » denticulata.^ Oanav. . * — — Terebratula triangulus.^ Lam. . . * — — Serpula sp. ind — * • — Tutti i fossili menzionati sono stati raccolti pressoché nello stesso strato, quindi riesce impossibile al Suavicino suddividere il titoniano in più zone. 11 medesimo fatto accade a Monte Primo e in altre loca- lità deH’Appennino ; il Pritsch^ per altro, al Pianello in Yal Monta- gnana, avrebbe potuto riconoscervi due suddivisioni paleontologiche, l’una inferiore a T. triangulus e ad ammoniti del gruppo degli Aspidoceras ; l’altra invece superiore con prevalenza di Fìiylloceras. Ma al Suavicino ho riscontrato la T. triangulus nel titoniano rosso, laddove invece gli Aspidoceras non si trovano molto frequenti, mentre non si è trovata nel titonico bianco che racchiude molte specie di Aspidoceras. Al Monte Primo rinvenni in un unico strato una fauna titoniana ricchissima con prevalenza di Phylloceras e con T. triangulus: alle grotte di S. Eusta- chio la T. triangulus è insieme commista ad Aspidoceras e a Phyl- loceras. Mi sembra quindi poter concludere che la fauna del titoniano del- l’Appennino rappresenta un unico sviluppo, e che non permette per ora suddivisioni in due o più zone. 8. Terreni cretacei. 1 terreni della creta si succedono al Suavicino nel seguente ordine ascendente: a) Calcaria rupestre (Neocomiano), h) Schisti a fucoidi, c) Calcaria rosata, d) Scaglia. ^ Neueì'e Beoh. in den Ap. ; Zeitsch. der Wissensch. Ver. in Halle an d. Saale. 1 880» — 2G3 La calcaria rupestre è bianca, simile alla maiolica di Lombardia, stratificata a lastre sottili, spesso scagliosa, con traccio di silice ; avvolge Tellissoide a mantello ; ad oriente inclina non molto e ricomparisce poi neH’anticlinale dei monti ciogulani, ad occidente invece va a formare il letto del sinclinale settentrionale del bacino terziario camerinese, per poi rialzarsi e andare a costituire il dosso occidentale della catena del Catria. Al settentrione non limita perfettamente il gruppo e si collega con quella del monte della Kossa; e a mezzogiorno è connessa con quella delle ultime propagini nordiche del gruppo della Sibilla. Ordinariamente questa calcaria è nell’ Appennino centrale povera di fossili e poverissima è precisamente quella del Suavicino. L’unico fossile che vi riscontrai è un frammento di Terebratula che appartiene alla T, euganensis^ Pict. caratteristica del neocomi ano. Gli schisti a fucoidi che susseguono la calcaria rupestre, si appa- • lesane qua e là in lembi e pochissimo sviluppati mentre grande sviluppo assumono la calcaria rosata e la scaglia, che indicano l’ultimo orizzonte della creta. Lo Spada e l’Orsini, sopra alla calcaria neocomiana riponevano la calcaria ad Hippurites, quindi la calcaria rossa chiara o scaglia, e final- mente g)i schisti a facoidi, che sono già eocenici. Una vera ippurite conservata nel museo di Pisa, e che il Meneghini denom ino Hippurites pavonis,^ raccolsero essi al Suavicino; ma per isfortuna non è indicato il luogo preciso di ritrovo ; probabilmente essa proviene dalla parte superiore del calcare rupestre, il quale starebbe a rappresentare in quasi tutto l’Appennino centrale quella zona ippuritica sviluppatissima che si riscontra al Gran Sasso d’Italia e quindi al Gargano e in altre parti delle Puglie e dell’ Italia Meridionale. Ippuriti dell’ Appennino sappiamo che esistono nelle collezioni private del Piccinini alla Pergola e del Toni a Spoleto, e che non abbiamo ancora esaminate; esse sona però sufficienti per stabilire l’esistenza della formazione ippuritica o al- meno di scogli ippuritici isolati nell’ Appennino centrale, come avevano già annunziato lo Spada e l’Orsini. Al disopra della scaglia succedono i terreni terziari, marne e schisti a fucoidi, molasse intercalate di argille ; le osservazioni che ho fatte in questi terreni sono poche, nè molti i fossili raccoltivi ; mi riservo quindi in un’altra nota a descrivere il periodo terziario nel Suavicino e colle- ^ Così denominata, perchè identica ad una Hippurites frequente in un marmo- rosso con macchie circolari bianche, il quale si rinviene nei ruderi di Roma e che i lapidari chiamano occhio di pavone. — 2(34 garlo con quello di altre località appenniniche per stabilire quelle con- dizioni geologiche, che determinarono la maggior parte degli attuali rilevamenti e dell’intera orografia delle Marche e deirUmbria. ili. La Montagnola Senese^ studio geologico di Carlo de Stefani. Continuazione. — Vedi Bollettino 1880, n. 3 e 4. IX. — Terreni postpliocenici e recenti. § 1. — Travertini. 11 travertino non si estende ad immediato contatto della Montagnola. La roccia indicata dal Giuli come travertino intorno a Monteriggioni e lungo la Staggia è, come già dissi, sabbia pliocenica o conglomerato pliocenico di calcare cavernoso. Il travertino che il Giuli ed il Campani indicano sotto Sovicille è una panchina pliocenica. Però quella roccia assume una estensione maggiore che in qualunque altro luogo di Toscana, nel fianco settentrionale, a poca distanza della Montagnola, anzi intorno ai gruppi isolati di roccia antica i quali, come ultime propaggini sotterranee di essa, si dilungano intorno alla Staggia, sotto Castiglionalto e sotto Santa Lucia. Sarebbe un poco fuori di luogo far qui la descrizione di questi grandiosi banchi di travertino i quali si formano tuttora per opera dei torrenti, piuttosto che fiumi. Foci, Elsa, e Staggia, ed altri minori. Essi occupano tutto l’altipiano di Colle e si estendono per una parte fino a Poggibonsi nella regione più bassa della Val d’ Elsa, per l’altra a Chiusi presso Montauto, al Colombaione e a Buliciano nella regione alta dei colli fino a non grande lontananza dai poggi eocenici di Brentine e Monte Miccioli. I loro banchi sono sempre più o meno orizzontali e riposano quasi sempre sulle sabbie gialle plioceniche, le quali formano il pendìo delle vallate, mentre i travertini ne occupano il fondo ed il vertice. Qualche volta però essi occupano anche la parte superficiale delle pendici meno ripide. A volte sono molto compatti, nel qual caso «i scavano in parecchi luoghi come pietra da costruzione e da orna- mento; a volte sono spugnosi o terrosi e quasi polverulenti ; a volte alternano con terra rossa, o con argille palustri e con ghiaie, partico- larmente nel fondo delle valli. I fossili sono abbondantissimi ed esclusivamente terrestri o d’acqua dolce : vi si trovarono resti di Bos^ di Equus, di Canis lupus e d’altri — 2G5 — animali identici o quasi identici a quelli odierni. Predominano però i molluschi, anche questi appartenenti senza diversità o con diversità piccolissima a specie viventi in Toscana, benché non tutte, a quanto pare, si sieno conservate oggi in quei medesimi luoghi. Non do alcuna lista di cotali fossili, chè sarebbe incompleta, ^ perchè sono abbondan- * Il prof. Paiitanelli ha pubblicato un elenco di 26 molluschi terrestri o d’acqua dolce dei travertini di Colle e Staggia ; sono le specie seguenti: Limax cinereus List? Succinea Pfeifferi Rossra'., Hyaìina UziellU Issel, H. olivetorum Grael., Helix rotundata H. ohvolutn Miilh, H cnntiana Mtg., H. ammonis A. Sch. {H. neghcta Drap.), H. varinhilis Drap., H. nemornlis MiilL, Chondrus tridens MiilL, Stenogyra decollata L., Acicula acicula Miill., Velletin lacmtris L., Limnae.a palmtris L., L. ovata Drap. L. pere- gra Miill., Planorhis umhilicatus Miill., Cyclostoma elegans Drap., Bythinia tentacutata L., B. Boissieri Charp. Amnicola apennina Olessin [A. macrostoma non Kust.),iBeZ^mnf7m thermalis L., Valvata piscinalis Miill., Neritina JiuvùdiUs L., var. areolata D’Anc., Pisi- dium italicum Clessin casertanum (P. non Poli) (D. Pantanelli, Molluschi post-pliocenici dei travertini della prov, senese^ Bull. Soc. mal. it. voi. V, 1879, p. 152). Il Pantanelli da qaeste specie e da altre che cita ne’ travertini di altri luoghi deduce che « il carattere di questa fauna sarebbe prima di tutto locale, tre sole specie in quarantadue non essendo peranco state trovate in Toscana, in secondo luogo sa- rebbe a notarsi la prevalenza delle forme settentrionali. » Non partecipo a questa ultima opinione, giacché, come ho detto sopra, sono di parere che, salvo piccolissime differenze, la fauna malacologica de’ tr-avertini risponda in tutto e per tutto alla fauna odierna toscana, ciò che dimostra l’età recentissima degli strati in cui si trova. Infatti il Pantanelli cita fra le 42 specie, la Limnea glabra Miill., ed il Planorhis rotundntus Poir. , di Chianciano, specie settentrionali mancanti alla Toscana ; però a mio avviso la prima è l’apice di una L. stagnalis L., la seconda è il P. spirorbis L., che è indicato nel Pisano e che probabilmente vive nel senese. h'JIelix gregaria^ Zieg. di Armaiolo citata con dubbio, che sarebbe specie meridionale, non la conosco, per cui ne tacerò. Le altre specie sono tutte essenzialmente toscane, quantunque pro- babilmente non tutte vivano oggi proprio intorno a quei luoghi nei quali si trovan fossili. La Hynlina TJzieMii Is., e la Belgrandia thermalis L., son proprie dell’ Italia centrale ; il Chondrus tridens Miill. , è spesso rappresentato dalla varietà rigonfia che tende al C. pupa e che non si trova a nord della Toscana. La Pupa frumentum Drap., ha già quei caratteri della sfriatura e dei denti che l’avvicinano alla var. apennina Charp., dell’Italia meridionale e l’allontanano dalla varietà dell’ Italia settentrionale. 11 sig. E. Valentini in altro scritto sulle Conchiglie fossili nel travertino di Ascoli Piceno (Bull. Soc. mal. it. voi. V, 1879, pag. 234), dopo avere enumerato pur esso 42 specie, dice « che fra tutte queste specie mancano le propriamente meridionali, e che invece vi si trovano di quelle che attualmente appartengono soltanto all’Italia boreale. Quindi si può ritenere che la valle del Tronto all’epoca della formazione del travertino avesse una temperatura media piò bassa della presente. » Secondo la mia opinione, non vedo nell’elenco del Valentini alcuna specie che appartenga soltanto all’ItaTia boreale, anzi, per quanto so, tutte le specie indicate si trovano anche in parecchie altre regioni piò meridionali della valle del Tronto. Alcune poi [Helix apennina Porro, H. setipila Z. ^ H, ligata IsluW., Clausilia piceata Zieg., C, leucostigma Z. var. candidilabrisf Porro) non risalgono o risalgono ben poco piò a settentrione della valle. Perciò è a ritenersi che la fauna di que’ travertini, sebbene forse qualche specie non viva piò in quegli stessi — 266 — tissimi e rappresentati da buon numero di specie. Tutti però mostrano, come dicevo dianzi, un’età recentissima, pur lasciando da parte quelli che restano chiusi nei travertini i quali abbondantemente si formarono in epoche storiche e durano a formarsi tuttora. Non so che vi sieno state raccolte finora quelle impronte di piante in non piccola parte estinte le quali si trovano nei travertini di Massa marittima, di lano, e della Maggiore presso Monsummano. Non è improbabile che s’abbiano ad incontrare in alcuni degli strati più antichi nei dintorni di Colle; ma ad ogni modo ritengo che la massa di questi travertini sia più re- cente degli altri ora nominati. Quelli infatti si trovano in luoghi elevati terrazzati e solcati dalle acque : la loro formazione poi è cessata da un pezzo : anco indipendentemente dai fossili che contengono si può dire adun- que che siano più antichi. Ai travertini di Colle paiono invece contempo- ranei, almeno nella massima parte, quelli che per lo più durano tuttora a formarsi, di Kapolano, Montalceto, Asciano, Monte Catini in Val di Nie- vole, Monsummano, Dofana, Chianciano, Sant’Albino, Yignone, S. Filippo, ec. Essi sono poi certamente più recenti delle argille palustri e lignitifere della Castellacela presso Bellavista e della Marsiliana in quel di Massa Marittima, le quali argille con Melanopsis flammulata De St., By- tJiinia Meneghiniana De St., e parecchie altre specie non estinte appar- tengono al periodo più antico del postpliocene. Per concludere, questi travertini di Colle si riferiscono al periodo postpliocenico più recente ed all’epoca odierna. Coll’affermare che non sono più antichi del postpliocene, col dire anzi senz’altro che sono travertini cioè calcari formati da acque sorgive ricche di carbonato di calce, si viene implicitamente a dire che sono po- steriori all’emersione di questi luoghi. E non solo son posteriori all’emer- sione ma ben anco sono in parte contemporanei, ed in parte posteriori al terrazzamento, cioè alla formazione delle vallate per opera dei fiumi che hanno solcato le colline plioceniche. Infatti, poiché essi occupano le cime dei colli, il fondo piano delle valli, e le superfici piane dei luoghi, è equivalente in tutto alla fauna odierna dell’Italia centrale, la qual cosa mo- stra l’f^tà recente anche dei travertini d’ Ascoli Piceno. Del resto dirò che non solo nei travertini i quali, ripeto, sono per la massima parte recentissimi, ma nemmeno in altri terreni appartenenti ai periodi più antichi del postpliocene, io ho trovato mai finora (sebbene altra volta credessi il contrario), molluschi terrestri o d’acqua dolce dalla cui presenza si potesse argomentare cow cer- tezza l’antica esistenza d’un periodo di freddo nel tempo in cui viveano. Il contrario si verifica invece pe’ molluschi marini. Le cagioni di queste differenze stanno forse in ciò che i molluschi terrestri e d’acqua dolce sono eminentemente locali, cioè confinati a luoghi speciali, e le loro emigrazioni, troppo tarde, non hanno luogo senza che si alteri per lo più il loro tipo. — 267 — terrazzi lungo le valli medesime, è naturale dedurre che i più bassi, cioè quelli più prossimi al fondo delle valli, non poterono formarsi fino a che la denudazione non scese a quel livello, e che i più alti sono anche i più antichi. Questa regola però va intesa con discrezione, po- tendo darsi che in certe circostanze la formazione dei travertini più ele- vati non sia, almeno in parte, più antica dei travertini più bassi. In certi luoghi poi quel criterio non basta a stabilire una differenza d’età, , come per esempio nei dintorni di Sarteano, dove, sebbene si ma- nifesti alla prima una serie di stupendi e perfetti terrazzi, pure il travertino occupa tutto il monte da Sarteano fino all’ Astrone per modo che non vi si possono far distinzioni, e seguita a formarsi anche nel- l’alto. La formazione di questi travertini è noto esser dovuta ad acque cariche di carbonato di calce disciolto allo stato di bicarbonato pel- l’ahbondanza dell’acido carbonico contenuto nelle medesime. Venendo all’aperto l’acido carbonico sovrabbondante si svolge e si perde nel- l’atmosfera, ed il carbonato di calce, mano mano che ha luogo quello svolgimento, diventando meno solubile, si deposita e forma il travertino, 0 l’osteocolla od il tartaro che dir si voglia. Il fatto è abbastanza cono- sciuto ed è ammesso da tutti, sicché non occorre spendervi molte pa- role. Kicorderò soltanto come pel bicarbonato di calce e pegli altri bicarbonati avvenga ben diversamente dagli altri sali sciolti di frequente nelle acque, ai quali, nella massima parte dei casi, per essere depositati, non basta una semplice reazione avvenuta al contatto della sorgente coll’atmosfera ; ma, come nel caso del solfato di calce e di altri sali, occorre una evaporazione dell’acqua e un disseccamento della sorgente. Perchè un’acqua depositi travertino occorre dunque eh’ essa abbia traversato delle masse calcaree e che ne abbia disciolte delle particelle. E proprio il caso che si verifica presso tutti i banchi di travertino della Toscana e dell’ Umbria, per non dire d’altri luoghi, i quali si trovano a contatto di calcari, e ciò si verifica pure colla maggiore evidenza pelle acque tartarose di Colle le quali sgorgano in una estesa regione posta fra la Montagnola ed i Monti di S. Glemignano e del Cornocebio, il cui sottosuolo a poca profondità è formato da calcari spugnosi tutti bucherellati, cioè dal calcare caveraoso infraliassico, il quale forma i poggi suddetti e spunta in tutti gli altri poggetti contigui al di sotto di una veste tenuissima formata da calcari marnosi eocenici. L’Acbiardi {Paragone d. Moni. Sen. etc., 1872), sembra ritenere che i travertini, compresi quelli della regione che ora esamino, si sieno formati posteriormente ai sollevamenti perchè questi hanno prodotto interruzioni o rotture nelle rocce, sicché essendo aperto l’ adito alle — 268 acque, codeste sciolgono il calcare e lo tornano a depositare alla su- perficie. Peraltro parmi non v’abbia necessità di supporre cotali rotture e sconnessioni negli strati. Per quali principii si formino le sorgenti lo sappiamo ormai tutti, e sappiamo che le acque, in specie quelle che sor- gono intorno ai monti, possono venire da profondità relativamente rag- guardevoli passando a traverso i pori, i meati, le fessure degli strati originate anche senza bisogno di forze sollevatrici. Queste acque sciol- gono ciò che ritrovano per via, e la soluzione, che è più difficile e più limitata quando si tratta di rocce argillose o silicee, è quasi inevitabile ed abbondante quando si tratta di roccia calcarea. Basta dunque am- mettere che V acqua traversi un calcare perchè dessa sciolga il carbo- nato di calce, e lo scioglierà tanto più facilmente quanto più il calcare sarà spugnoso ed eterogeneo, e da quanto maggior tempo sarà stato traversato da acque le quali abbiano allargato ed aumentato i meati preparando cosi maggiori superfici di contatto pelle acque successive. Queste circostanze appunto si trovano intorno alla Montagnola e con esse viene spiegata in modo naturale la formazione dei travertini, senza cluopo di ricorrere col pensiero a forze interne produttrici di crepe e di fessure. Peraltro, oltre alle enunciate circostanze dirò così strati grafiche, altre ne occorrono che direi chimiche ; aggiungendo a questo proposito che non mi pare sia spiegato ancora tutto il gioco pel quale si possono for- mare i travertini. Sarò costretto perciò a fare alcune ipotesi, ve rosimili, e forse anche vere, acciocché discutendole gli altri, possano stabilire viemeglio la successione dei fenomeni. Oltre al contatto di acque e di calcari negli strati interni della terra è necessaria la dissoluzione in quelle acque di una quantità d’acido carbonico equivalente a quella che si svilupperà poi alla superficie, senza di che non potrebbe essere di- sciolta una quantità di carbonato di calce eguale a quella che formerà il travertino. Sicché si ha maggior deposito di travertino nelle acque ricche d’acido carbonico ; mancanza di quel deposito ancorché le acque sorgano da calcari, quando manca l’ acido carbonico, di cui del resto quantità piccolissime si trovano, potrebbe dirsi, in tutte le acque. L’acido carbonico, per solito, è più abbondante nelle regioni vulcaniche e nelle acque termali le quali provengono da maggiori profondità ; ora quasi generalmente sono appunto queste acque termali le quali, allorché tra- versano degli strati calcarei, danno luogo alle più estese formazioni di travertino. Adunque per avere un deposito di travertino sono propizie e quasi indispensabili due circostanze; acque termali, e strati calcarei più o meno superficiali. In Toscana precisamente, per non parlare se non delle regioni che conosco meglio, tutti i luoghi dove si formano i tra- — 269 vertini, ad eccozioQe dei dintorni di Colle, esistono sorgenti calcarifere termali al piede di monti calcarei. Soltanto intorno a Colle in Val d’Elsa, le acque calcarifere più abbondanti non sono termali: ve ne sono però qua e là intorno di termali e calcarifere, e potrebbe darsi che le prime perdessero il loro calore avvicinandosi alla superficie o combinandosi con acque fredde comuni. Dal vedere poi che le acque termali non sono calcarifere e non formano travertini se non escono in contatto di rocce calcaree superfi- ciali, sarei tentato di credere che la soluzione del carbonato di calce avvenga all’ esterno non lontano dalle sorgenti ; ma per affermare ciò occorrono altre osservazioni; come pure occorrono altri studi per dire se l’acido carbonico, il quale poi deve formare il bicarbonato di calce,, sia prodotto, almeno qualche volta, da reazioni che avvengono primie- ramente a contatto del calcare, ovvero se preesista sempre per altre cagioni nelle acque. Certo è che le acque termali da cui si depositano i travertini sono ricche di solfuro idrico, di cloruri e di altri sali anche a base di calce, formati forse questi ultimi dopo rincontro delle acque coi calcari ; e non è punto improbabile che venendo quelle acque a con- tatto coi calcari si formino delle reazioni per cui si svolga da una parte acido carbonico che poi reagisce sul rimanente calcare contribuendo a scioglierlo, e si produca dall’ altra qualche sale di calce che viene la- sciato sul posto 0 viene portato via dalle acque stesse. Se oggi nei dintorni di Colle non si verifica sempre la formazione dei travertini per opera delle acque termali, queste però v’ erano ab- bondanti nel passato, e lo dimostra là comune frequenza della fossile Belgrandia thermalis L., che vive tuttora in molte acque termali della Toscana. E un fatto notevole che mentre i travertini sono tanto estesi nella Toscana, nell’ Umbria e nel Lazio, dove quasi ad ogni passo sono sorgenti minerali e termali, essi mancano, o sono poco frequenti, in Piemonte, in Liguria, nelTEmilia, nelle Romagne, ed in altre regioni d'Italia, la qual cosa si deve alla maggiore scarsità delle acque anzidette. Nei tempi trascorsi dall’emersione dell’Italia centrale ad oggi, cioè dai primi tempi del periodo postpliocenico in poi, i travertini cominciarono a formarsi e la formazione loro era un poco più frequente sul primo che non oggi; ciò insieme con molti altri argomenti dimostrerebbe che erano più abbondanti allora le sorgenti termali e le manifestazioni dell’ attività vulcanica. I sofi&oni boraciferi, i quali, relativamente ad altri fenomeni sono stati magnificati molto meno di quello che meritavano, le putizze o sor- genti di solfuro idrico, le mofete o sorgenti d’acido carbonico, le terme.. — 270 — i travertini e simili fatti più comuni ancora nel passato, quando pure s’aggiungevano sorgenti silicifere al Monte Amiata, a Jano, ed altrove, sono in connessione intima colle eruzioni vulcaniche (basaltiche e tra- dì itiche) le quali hanno turbata la Toscana in sul principio dell’epoca postpliocenica. ^ I fatti che' sopra ho indicato sono appunto più frequenti in mezzo alla regione vulcanica della Toscana e del Lazio, e sono poi tuttora meno rari nelle immediate adiacenze del Monte Amiata e degli antichi gruppi trachitici. Prima di terminare il paragrafo farò almeno un accenno di un’altra specie di depositi formati dalle acque, vale a dire delle ghiaie alluvio- nali che si trovano lungo la valletta della Rosìa, dove questa traversa la Montagnola, fino a qualche altezza sull’alveo del torrente e special- mente nei piccoli piani terrazzati più bassi. Son ghiaie, grosse quanto una zucca, di calcari cavernosi, di marmi, e specialmente di schisti triassici, tutte rocce levate di li a breve distanza. La quantità é mag- giore nella parte orientale della valle presso la sua entrata in quella regione di lievissimo pendio che forma il piano delle Rosìe, e presso la confiuenza del Rigotaglio che è il primo fosso un po’ grandicello il quale entri nella Rosìa. Questi cumuli ghiaiosi sono terrazzati, e si vede così ripetuto nella valle della Rosia, sebbene in piccole propor- zioni, quel fenomeno che ha luogo, in modo assai grandioso in tutte le vallate maggiori della Toscana, anzi di tutta la penisola italiana, a riprova dell’ incessante sollevamento che pian piano la innalza. I depositi delle ghiaie recenti e l’ incisione loro per l’altezza di 7 od 8 metri sopra il libello de’ fiumi son fatti molto comuni in Toscana, specialmente nelle valli che scorrono in mezzo a terreni pliocenici. Questo si vede, per esempio, nelle valli della Torà, della Fine, dell’ Ombrone maremmano, dell’ Orda, ed in altre. § 2*^. Conglomerati hrecciosi superficiali^ Brecce ossifere e Terra rossa. Si è già veduto parlando del Pliocene come tanto a Montarrenti quanto nei poggi a N. E. e ad E. della Montagnola fossero molto svi- luppati dei conglomerati formati a spese del calcare ceruleo cupo che forma tanta parte della piccola giogaia. Non esitammo nell’ attribuire quei conglomerati al pliocene, perchè spesso ghiaiosi, privi di terra rossa 0 inquinati da questa soltanto per circostanze posteriori, disposti a strati più o meno distinti, alternanti con sabbie e con altre rocce plioceniche e spesso anche fossiliferi. Vedemmo pure come il pliocene ^ V. C.De Stefani, Tose, di se. nat. Adunanze 5 maggio e 10 novembre 1878. — 271 — i,’ innalzi assai intorno alla Montagnola e come i conglomerati del cal- care ceruleo a Montarrenti sieno molto alti in contiguità della Monta- gnola stessa. Ora debbo parlare di una roccia costituita pure da conglomerati del medesimo calcare, la quale ba diffusione ancora maggiore, ma non si distingue per alcuno de’ caratteri che sono speciali ai conglomerati pliocenici, ed ha l’aspetto di roccia formata non già in seno ad acque 0 marine o dolci, ma all’aperto sulla superficie emersa del monte e per effetto di cause atmosferiche od esteriori. Tutti i poggi della Lecceta, del Monte Maggio, e gli altri a set- tentrione di Cetinale e di Scorgiano, specialmente nelle regioni meno alte dove il pendio è più dolce, sono coperti da masse di tritumi irre- golari formati a spese del calcare cavernoso ed intimamente connessi con questo, che ne ricoprono la superficie, e nascondono le pendici del monte anche dove esso manca. Qualche volta si vedono sporgere dal terreno de’ massi cavernosi ma più compatti almeno nell’apparenza e più grossi, e si crederebbe aver da fare collo stesso calcare cavernoso; ma anche quelli sono costituiti da un cumulo di tritumi, che poi, cer- cando bene, s’ incontrano in banchi irregolari sotto al masso che era oggetto di dubbio. Nelle cavità, negli scavi artificiali, lungo le strade, e specialmente dove aprono qualche cava per levare la ghiaia pelle strade, si vede l’accumulazione dei tritumi che svela la vera natura e la profondità cui giunge la roccia sulla quale si cammina. Essa è tutto un impasto di frammenti per lo più piccoli di calcare cavernoso, non ruzzolati ma irregolarmente angolosi, cogli spigoli però non mollo con- servati, pigiati uno addosso all’altro per modo che spessissimo sono tutti improntati, ciò che dimostra almeno una certa antichità nella loro formazione. Sono poi tutti cementati dallo stesso carbonato di calce, sebbene quasi sempre facilmente si disgreghino alla superficie, e sono traversati da cavità e da fessure ripiene di terra rossa che involge pure 1 frantumi superficiali. Intorno al Monte Maggio, a Fungaia, Santa Colomba e Eiciano, si vede in questa massa pur qualche frammento di calcare ceroide bianco liassico anzi nell’ alto sotto Gelsa, questa roc- cia predomina. Non può cader dubbio che questa breccia sia for- mata quasi interamente a spese del calcare cavernoso, il quale in- fatti per la sua natura disgregabile eminentemente vi si presta, e che questo calcare brecciato non sia nella sua posizione e nella sua forma originaria. Fossili marini rinchiusi nella massa non ve ne sono ; nè vi sono banchi regolari che racchiudano vere ghiaie od al- ternino con sabbie ed argille fossilifere plioceniche, per cui non può cadere dubbio che la roccia non è d’età pliocenica. D’altronde il con- 18 272 — glomerato veramente pliocenico di Montarrenti giunge assai alto più di questi conglomerati brecciosi di cui parlo ora, per cui se anche questi fossero pliocenici, non mancherebbero d’avere i medesimi caratteri ma« rini di quello. Anche la presenza della terra rossa, la quale, come dirò, è affatto superficiale, mi fa credere che la formazione di quelle brecce a spese del calcare cavernoso che prima doveva esistere in quei luoghi,, e che venne quasi interamente rotto e disperso dalle intemperie sul posto medesimo, sia cominciata soltanto dopo l’emersione, tutt’al più al finire del pliocene, ed abbia durato lungo tutta 1’ epoca postpliocenica fino ai dì nostri. Tutto prova che si tratta di un fenoìneno di corrosione superficiale avvenuto forse in principio lungo il litorale del mare plio- cenico e compiuto poi daH’opera delle acque e dalle altre forze così dette atmosferiche. in molti luoghi, specialmente nei posti un poco pianeggianti, in mezzo a quei frantumi si vedono come dei crateri circolari e dei pozzi i quali al solito assorbono l’acqua che vi cade, precisamente come ac- cade più in grande nelle così dette doline, catavotra, emposieux, ecc. In qualche luogo, in mezzo ad alcune fessure, come accade spesso nei monti calcarei, si trovano delle brecce nelle quali ossa di mammi- feri sono cementate dal carbonato di calce insieme con terra rossa e con pezzetti di calcare. A Cerbaia fu trovata nel calcare marmoreo impuro una spaccatura riempita di breccia ossifera. Nel Museo dei Fisiocritici in Siena è un grosso frammento di questa breccia, e vi ho notato una mandibola che mi pare attribuibile al Cervus capreolus specie tuttora vivente nelle Maremme ed in Val di Merse donde giunge talora ai confini della Mon- tagnola, sebbene si trovi in via d’estinzione per la caccia che le vien fatta. Nel Museo suddetto è pure qualche frammento di breccia ossea del Sanese Tutti i conglomerati di cui ho sopra parlato e le pendici calcareé della Montagnola, specialmente dove si trova il calcare cavernoso anche in posto, sono ricoperte più o meno dalla terra rossa la quale nasconde in parte, presso i confini colla roccia calcarea, anche le pendici formate dagli schisti. Essa porge il suolo alla ricca vegetazione boscosa che ri- | copre i poggi. Sarà inutile che io descriva i caratteri già ben conosciuti i di questa argilla rossa costituita prevalentemente da silicato di allumina ! e da ossido di ferro. Piuttosto converrà che io discorra delle opinioni ma- | nifestate intorno aU’origine sua. In uno scritto recente il Taramelli ha j voluto osservare come nelle pubblicazioni ultime relative alla terra rossa | di taluni luoghi dell’Italia centrale non sia stato tenuto conto della sua j ipotesi sull’origine eruttiva sottomarina della medesima. Siccome, ch’io j 273 — sappia, nessuno fuori di me si è ultimamente occupato di terre rosse deir.talia centrale, compresa anche la terra della Montagnola, ^ ritengo l’osservazione come fatta a me, per cui verrò ad esaminare l’ipotesi del Tarameli], tenendo conto specialmente dell’ultima pubblicazione sua re- lativa a queU’argomento, ^ e soggiungendo che se non lo feci prima si fu perchè ero persuaso dell’origine di essa, non sottomarina, nè eruttiva, nei luoghi di cui parlavo. Però è tale l’autorità che il Tarameli! si è acquistato co’ suoi studi, ed è tale l’accuratezza positiva e la logica della massima parte delle osservazioni sue, che dall’autorità di lui po- trebbero prendere apparente fondamento anche deduzioni non deri- vate da stretto metodo sperimentale quale si conviene alla geologia : perciò ben volentieri vengo a manifestare un poco più estesamente l’opi- nione mia che è diversa da quella a cui è giunto il Tarameli!. La terra rossa, come ammette il Tarameli!, è « argilla prettamente alluminosa con 16 a 20 per cento di sesquiossido idrato di ferro. » (p. 103). Nè litologicamente, nè chimicamente (secondo le analisi di John, di Abich e di Gùmbel) la terra rossa ha somiglianza coi fanghi vulcanici di nessuna parte d’Italia nè di fuori d’Italia ; e questo argomento avrebbe dovuto essere il primo ad esaminarsi per vedere se fra le due rocce sia analogia o no. Ma pure ammessa l’origine sottomarina di quella terra, la qual cosa potrebbe essere ritenuta anche da chi non ne ammetta l’origine per via di vulcani di fango, come mai quella non forma veri strati? come mai non vi si trovano fossili marini ? come mai non alterna con rocce evidentemente sedimentarie ? come mai, il Taramelli, osservatore positivo, afferma, ed io lo ripeto perchè è vero, come mai « non un fu- coide, non una conchiglia, non un coprolite, non un’ incerta orma di anellide e nemmeno la struttura stratificata ponnosi addurre come ar- gomenti diretti dell’origine sottomarina della terra rossa? »Qome mai «tranne qualche osso di mammifero di specie vivente e le conchiglie terrestri, affatto superficiali, per quanto abbia potuto constatare, nessun avanzo organico può dirsi veramente coetaneo colla formazione in ^ C. De Stefani, Di alcune conchiglie terrestri fossili nella terra rossa della pietra calcare di Agnano nel Monte Pisano (zitti Soc. Tose., Voi. I, 1875). — Oeol. Mont, Pis., 1876, pag- 26, 72. — Rassegna semestrale delle scienze fisico -naturali in Italia y Voi. I, 1875, pag. 134. ^ T. Taramelli, Descriz. geogn.del Margraviato d'' Istria. — Milano 1878, Gap. V. Nella recente Lettura al R. Istituto Lombardo (Rendic. Ser. IL Voi. XIII, Fase. X e XI, 1880, p. 261) « DelV origine della Terra rossa sugli affioramenti di suola calcare » il prof. Taramelli abbandona T idea dell’ origine endogena di questo deposito , riconoscendolo dovuto a fenomeno chimico lentissimo di demolizione meteorica. Nota della Redazione. — 274 — discorso e da esso travolto e sepolto ? » (pag. 108). Per ispiegare la mancanza della stratificazione il Taramelli paragona quel terreno alle argille scagliose da lui pure, com’è noto, ritenute per vulcaniche, e dice che « quella mancanza di una struttura stratificata sia semplicemente la conseguenza del fatto che ad esso mancò la pressione per altro de- posito sovraincombente. Se alle argille scagliose apenniniche fosse del ])ari mancata la pressione, ad esse mancherebbe quella schistosità che le distingue » (pag. 109): si noti poi che il Taramelli attribuisce la terra rossa al miocene. Ma io domanderei, per quale ragione i terreni pliocenici e fino quelli postpliocenici argillosi, ai quali « mancò la pres- sione per altro deposito sovraincombente, » e che sono pure più re- centi del miocene, abbiano tracce evidenti e palesi di stratificazione da quanto le argille scagliose, mentre poi la terra rossa, secondo Taramelli, miocenica, non ne ha. Domanderei inoltre per quali ragioni le argille scagliose che il Taramelli ritiene vulcaniche' alternino in tutti gli oriz- zonti con rocce sedimentarie fossilifere e quasi in tutti gli orizzonti a dirittura contengano nel loro seno infinita congerie di fossili marini come foraminifere e radiolarie, mentre la terra rossa mai contiene fossili marini, mai alterna con rocce sedimentarie, mai è almeno sot- tostante, come le vere argille scagliose, a rocce manifestamente sedi- mentarie più recenti, che dal miocene in poi, non sono mancate in tutte le regioni nelle quali si trova oggi la terra rossa. 11 Taramelli, forse per aver letto in un mio scritto qualche cosa di relativo appunto ai calcari cavernosi, ai travertini ed alle terre rosse della Montagnola {Geol. Moni. Pis., pag. 26, 1876), afferma che nel- ITtalia centrale abbiamo un grande « sviluppo del terreno siderolitico » (ed è vero come è vero altrove) « fenomeno incominciato in epoca del pliocene recente, stante chè la terra rossa riposa quivi sotto i travertini. > (pag. 136). Ora in realtà nell’Italia centrale, anzi nemmeno altrove, la vera terra rossa non si trova nel pliocene antico o recente, lacustre nè marino, del quale fanno parte a volte presso i monti calcarei, come presso la Mon- tagnola, delle sabbie fossilifere rossastre che poi passano alle sabbie gialle, ma che non hanno che fare con quel terreno. Invece la terra rossa qual- che volta si trova proprio, come già dissi, o alternante, o sovrapposta, per esempio nel piano di Colle, alla formazione dei travertini, che è quanto di più recente e di più terrestre si può notare fra le rocce del- r Italia centrale. Ma se non dicessi che questo direi ancora poco a ri- prova della formazione per niente marina della terra rossa. È noto che in Toscana il mare pliocenico ricopriva le sommità della massima parte dei colli circostanti al crinale principale apenninico, ed i terreni plio- cenici ricoprono anche oggi in lembi interrotti le cime di quelle col- 275 — line calcaree e non calcaree. Ora neppur una volta si trova un poco di terra rossa sotto a quelle sabbie od a quelle argille plioceniche, mentre di sopra ne troviamo spesso in quei lembi che sono a contatto di rocce calcaree infraliassiche o liassiche. Dunque non stratificazione, non fossili marini, non alternanze con rocce sedimentarie, non sottoposizione a rocce parimente sedimentarie; con questi argomenti negativi parmi non si possa sostenere l’origine vulcanica sottomarina della terra rossa, 11 Taramelli parlando della terra rossa del Carso dice che rimane dimostrata l’epoca miocenica della medesima. Vedendo che egli mette nel pliocenico antico le « alluvioni sarmatiche » (pag. 117) ed attribuendo forse questo nome al così detto piano Sarmatiano, ne verrebbe che secondo lui la terra anzidetta si sarebbe formata sotto il mare almeno nell’età del Tortoniano cioè anche del così detto Calcare di Leitha. Se ciò fosse, parmi che di questi terreni sedimentari dell’epoca Tortoniana che sono tanto estesi intorno all’Adriatico, s’avrebbe a trovare traccia colla terra rossa deiristria: sarebbe poi anche a spiegarsi come mai nelle rimanenti re- gioni intorno all’Adriatico, la terra rossa, fra le altre rocce, ricopre in Grecia e nell’ Italia meridionale anche il calcare di Leitha Tortoniano al quale si vorrebbe fosse contemporanea. Il Taramelli per affermare l’età miocenica della terra rossa si fonda principalmente sul seguente ragionamento. Egli dice: « L’emersione delle Alpi Giulie meridionali si colloca nel periodo delle alluvioni sarmatiche: eome parmi di poter fare mi limiti delle attuali conoseense; » contemporaneamente alla emer- sione, egli afferma, « una quantità d’acque acidule percorse le masse calcari praticandovi cavità amplissime» (pag. 117). «L’erosione di queste grotte a cavità fu un fenomeno anteriore al modellamento della super- ficie degli altipiani, perciò secondo il Taramelli o contemporaneo o poco lontano e conseguente all’ eiaculazione del terreno siderolitico. Che questa terebrazione non potesse essere antecedente o contemporanea alla formazione del deposito siderolitico, lo dimostra la generale indi- pendenza dei due fenomeni. Dove la terra rossa ha potuto penetrare nelle grotte le trovò già incrostate e vi entrò dal di sopra ed in te- nuissima quantità. Ciò non toglie che vi siano d’altra parte filoni e ca- vità punto incrostate ove la detta terra rossa è stipata... e questi pos- sono rappresentare talune delle vie tenute da esso terreno siderolitico quando fu eruttato » (pag. 116). Aggiungo che il Taramelli ha rinun- ciato in gran parte all’idea che le cavità nel calcare rappresentino le bocche pelle quali la terra rossa fu eruttata: ma ad ogni modo se questa si trova dentro alcune cavità, come dice il Taramelli, è a supporsi che quelle fossero già formate prima che la terra rossa vi entrasse. — 276 — Ho riportato alcune delle conclusioni del Tarameli! per mostrare come in esse si veda a mio parere la lotta fra il geologo sperimentato e positivo il quale tiene conto scrupoloso dei fatti, ed il geologo che ha stabilito una teorica a priori. Ma seguitiamo a parlare della terra rossa in generale. Ho detto , col Taramelli che non vi si trova nessun fossile marino, nè, aggiungo ora, palustre, o lacustre, o fluviatile. Crii unici fossili che vi si trovano se non abbondantissimi, nemmeno molto rari, sono, lo dirò insieme col Ta- ramelli « qualche osso di mammifero di specie vivente » ed anche postplio- cenica, « e le conchiglie terrestri » viventi, o postplioceniche, più o meno antiche. Tutte quante le brecce ossifere sono formate da intima connessione di frammenti ossei e di terra rossa cementata da carbonato di calce: in tutte le caverne ossifere le ossa dei mammiferi in parte attribuibili a specie estinte o scomparse dal luogo, si trovano involte nella terra rossa, e con questa alternano frequentemente stratarelli di concrezioni calcaree stalag mitiche. Cito dei fatti che possono essere noti a chiunque abbia scavato delle caverne e delle brecce ossifere, e lascio alcuni esempi speciali che potrei citare di mio. Non mi parrebbe giu- stificato perciò, date queste premesse che ognuno può verificare a pia- cer suo, quel che il Taramelli dice, che cioè « la mancanza dei fossili è più problematica nell’ipotesi di un’origine esogena e subaerea della terra rossa ;» (pag. 108). « La estensione di questo deposito, la sua uni- formità e la mancanza di fossili terrestri escludono l’ipotesi di una for- mazione continentale » (p. 110). Ricorderò soltanto come, da quello che ho detto dianzi e che dirò poi, risulti che la terra rossa è il deposito più continentale che dar si possa, paragonabile soltanto a quei depositi che per caso si formassero coll’arrestarsi dei pulviscoli svolazzanti nell’aria. Chi pone mente alle cir- costanze della vita e della morte degli esseri terrestri, comprenderà come essi non rimangano noìVìiumus e nel suolo asciutto nella stessa guisa che gli esseri viventi in colonie numerose nelle lagune, nei la^hi e nei mari rimangono nel fondo senza poterne sfuggire. Gli esseri ter- restri più delicati, come insetti, anellidi ecc., dopo morti si alterano e si disperdono subito; gli altri, forniti di guscio o di scheletro calcare, compresi i molluschi, hanno una mobilità ed una diffusione uniforme assai grande: quando muoiono, anche dove non è l’uomo, i loro cada- veri sono preda frequente di altri animali: ed è noto che, pure indi- pendentemente da ciò, le ossa non si conservano dappertutto ma in molti luoghi, poste entro terra, prontamente si disfanno. Quello poi che rimane sulla superficie viene slavato e portato via dalle acque anche poco abbondanti e non si ferma se non quando trova qualche ostacolo — 277 — che non può oltrepassare. Ciò spiega come nella terra rossa superficiale e più umida, le ossa e le conchiglie non durino a lungo e non si tro- vino, mentre si accumulano nelle caverne e nelle fessure, ravvolte dalla terra rossa medesima. Quello che si è detto spiega soltanto che la terra rossa è super- ficiale e d’origine terrestre, ma non spiega ancora l’origine sua che ci è svelata da altri fatti. Il Tarameli! afferma con giustissima osservazione che « nelle regioni arenaceo-marnose dell’Istria centrale e del Friuli, tutto all’ingiro e nel mezzo degli altipiani ove la terra rossa è svilu- patissima, questa non è punto accennata nè da depositi nè da filoni. Essa è esclusiva alle regioni calcari » (pag. 105). 11 Tarameli! dice che di questo « non ci meraviglieremo punto, qualora noi pensiamo alla somma erodibilità della formazione arenaceo-marnosa ed all’epoca relativamente remotissima, alla quale appartiene il terreno siderolitico rispetto al periodo d’erosione che plasmò le valli » (pag. 106) ; anzi da questo ra- gionamento e da quella mancanza della terra rossa sulle arenarie de- duce un argomento « logico » (pag. 107) per provare l’età miocenica di essa e per provare « che non ^può essersi formata in un periodo di emersione dopo il pliocene antico.» Non solo nell’lstria e nel Friuli, ma clapertutto « la terra rossa è esclusiva delle regioni calcaree. » Qui nella Montagnola gli schisti triassici sottostanti ai calcari non sono coperti, se non presso i confini col calcare, di terra rossa : nel Monte Pisano e nelle Alpi Apuane ed altrove dove è schisto, arenaria o argilla non è terra rossa; ne comparisce invece dove è un lembo, per quanto piccolo, di calcare. Che le rocce non calcaree sieno d’ordinario più erodibili e più soggette alla denudazione che non le rocce calcaree le quali oltre che ad una erosione meccanica sono soggette ad una erosione chimica, non lo ammetterei volentieri : ma lo lascio giudicare ai geologi. E un fatto pure che la terra rossa non si trova per lo più sui calcari marnosi ed arenosi ma su quelli più puri e più soggetti ad erosione chimica. Kiassumendo le cose che ho detto concluderò, che la terra rossa non mostra tracce di formazione marina o lacustre, che essa si for- ma in terre emerse ed in epoche recentissime, che si trova esclusi- vamente sulla superficie dei calcari. S’intende che io qui non parlo di quel terriccio rossastro accompagnato da ghiaie, d’origine alluvionale recente, che si trova negli altipiani diluviali e nel fondo delle valli anche nelle regioni granitiche, schistose, ed arenacee : a quello non si- riferisce nemmeno il Tarameli!, e del resto ha caratteri differenti dalla terra rossa delle rocce calcaree. L’accordo della terra rossa e delle rocce calcaree, è ammesso come fatto incontestabile da tutti anche dal Neumayr e dal Fuchs, i quali propongono altre ipotesi per ispiegare — 278 — Torigine della prima. Il Neumayr, partendosi dagli studi di Carpenter^ Wiwylle Thompson, ed altri, ritiene che la terra rossa rappresenti l’ac- cumulazione di un fango a gloòigerinae nelle maggiori profondità dei mari, dove il carbonato di calce delle glohigerinae stesse verrebbe di-^ sciolto, rimanendo solo l’ossido di ferro. Contro questa ipotesi, in quanto dà alla terra rossa un’origine sottomarina, ripetasi quello che ho detto di sopra. Il Fucbs ritiene che qualunque calcare, anche se non è un fango a gloòigerinae, possa dare un residuo ferruginoso, e crede che la formazione della terra rossa sia un fenomeno terrestre relativo alle cir- costanze climatologiche dei varii paesi, talché nei climi umidi si forma il terriccio vegetale, nei climi asciutti si forma la terra rossa. Il Taramelli afferma giusta, come ritengo anch’io, la conclusione del Fuchs, « che qualunque calcare può dare un residuo ferruginoso » (pag. 131) che è quanto dire una terra rossa: ma soggiunge, «non ne viene per conseguenza che tale sia l’origine del terreno siderolitico. » In questo caso non vedrei ragione che la terra rossa non dovesse es- sere affatto il prodotto d’una causa che, a confessione di tutti, la può produrre. 11 Neumayr trovò che il calcare purissimo di Cherso nel- ristria contiene 44 centomillesimi di silicato d’allumina, al quale cor- rispondono novecento millesimi d’ossido di ferro. Il Taramelli confuta, e con ragione, l’opinione del Neumayr, che la soluzione di quel silicato dal calcare sia avvenuta nelle profondità dei mari : egli poi non ricerca se quella dissoluzione abbia potuto avvenire alla superficie per opera delle acque terrestri; ma credo che la supposizione di questo fatto non sarebbe inconciliabile, anzi sarebbe in pieno accordo, con quanto il Ta- ramelli afferma, seguendo i dettati della geologia, circa alla formazione delle grotte nei calcari del Carso « protratta per lunghissimo volgere di secoli, talché T erosione ha potuto produrre un effetto sorpren- dente » (pag. 123). Del resto, tutti i calcari più compatti possono produrre, quando siano disciolti negli acidi, un residuo ferruginoso più o meno grande, e contengono quel silicato d’allumina e quell’ossido di ferro che il Neu- mayr trovò nei calcari del Carso. È quest’ossido di ferro che rimane frequentemente solo nel fondo dei mari, a formare il così detto red clay, dopo che le gloòigerinidae e le altre foraminifere che formereb- bero calcari rimangono, per cagioni non troppo ben determinate, di- sciolte. Quando però il red clay si forma in fondo ai mari, acquista ca- ratteri decisamente sedimentaci diversi dalla terra rossa superficiale che si forma per la dissoluzione dei calcari dopo la loro emersione: una volta ammessa la preesistenza dell’cssido di ferro nei calcari, la formazione della terra rossa viene da sé, durante lunghissimo volgere — 279 — di secoli, nelle regioni emerse. Le acque atmosferiche, sempre fornite- di acido carbonico, disciolgono chimicamente il carbonato di calce, come disciolgono i colli di solfato di calce e di cloruro di sodio ; quella so- luzione chimica avviene più facilmente nei calcari puri e compatti che in quelli marnosi ed arenacei. Il puro carbonato di calce viene pron- tamente portato via dalle acque o ridepositato paro in qualche altro luogo: il residuo ferruginoso o rimane nel posto, o se è disciolto come bicarbonato di ferro viene ridepositato prontamente come ossido di ferro a contatto dell’aria, o viene fissato dai vegetali. La terra rossa rappresenta puramente lo scheletro delle masse calcaree le quali furono già distrutte: quel che accade in piccolo nei nostri gabinetti ai calcari che si disciolgono in un acido forte e quel che accade in natura nelle profondità de’ mari là dove le masse foraminifere perdono il loro cal- care, si ripete con maggior lasso di tempo ai calcari che si disciolgono' nelle acque superficiali contenenti acido carbonico. Per esporre più completa la storia delle opinioni manifestate fin qui relativamente alla terra rossa dell’Italia centrale, ricorderò che già il Puggaard, ^ relativamente alla terra rossa delle Alpi Apuane e spe- cialmente a quella della Cappella, contenente pur essa e molluschi ed ossa di mammiferi fossili, opinava che fosse prodotta da accumulazioni di ceneri vulcaniche, ferruginose, le quali avessero accompagnato le eruzioni serpentinose e metallifere della Toscana. Egli manifestava questo suo modo di vedere contro alle idee del Savi, il quale aveva ritenuto che la terra rossa sulle montagne calcaree della Toscana fosse stata originata da correnti d’acqua acidula, le quali avevano contem- poraneamente prodotta la corrosione di quelle montagne. (Lettere sul Campigliese, 1829, N. Giornale dei Letterati, pag. 222). Poco di poi il Capellini opponendosi alla pretesa origine vulca- nica della terra medesima, e parlando specialmente dei monti della Spezia, riteneva che fosse stata prodotta da sorgenti termali e aci- dule, e talora ferruginose, dopo l’emersione dei calcari. ^ Finita la descrizione dei terreni che costituiscono il suolo della Montagnola ne presento la serie unita nel seguente quadro rias- suntivo : ^ E. PuGGAAKi), Sur les calcawes lìlutonisées dei Aljjes Apuennes et du M. Pisano. (Bull. Soc. Géol. de France, 1859-60). ® G. Capellini, Della presenza del ferro oolitico nelle montagne della- Spezia.. Genova, 1860. — 280 — Specchio dei terreni della Montagnola. Età dei terreni. Natura delle rocce. Recente e Quaternario Conglomerati brecciosi, superficiali, di calcare cavernoso ; brecce ossifere; terra rossa; travertini Ghiaie allu- vionali della Val di Rosìa. Pliocene. Conglomerati brecciosi di Montarrenti ; conglomerati di calcare cavernoso della Valle della Staggia. Sabbie gialle, ghiaie, ed argille turchine ; panchine d’Ampu- gnano e d’altri luoghi. Miocene superiore; zona superiore. Marne salmastre dei dintorni del Casino. Eocene superiore. Arenarie compatte ; schisti marnosi ; calcari alberesi. Eu- fotidi; euritotalciti. Titoniano ? Calcari cerulei scuri compatti della Val di Rosìa; cal- cari cavernosi. Lias interiore. Piano B. Schisti filladici ferruginosi della Val d Elsa, e dei poggi di Lucerena, Celsa, Pernina, Cetinale, Molli, Calano; cipollini e schisti calcarei dei suddetti luoghi e della Val di Rosìa Calcari a encrini di Montarrenti, Lu- cerena, etc. Marmo giallo di Siena, di Montarrenti, Lucerena, etc. con Ammonite s Margaritatus D’orb. Piano A. Marmo bianco dei poggi di Montarrenti, e della Val di Rosìa con Chemnitziae e tracce di altri fossili. Trias superiore. Filladi; schisti nodulosi, quarziti, anageniti, della Val di Rosìa e di Personata. {Continua), 2S1 — ESTRATTI B RIVISTE. Note di una escursione geologica alle Alpi orientali lombarde di C. W. GOmbel. (Estratto da una Memoria inserita nei Rendiconti della B. Accademia delle Scienze di Monaco, anno 1880). Questa escursione nel paese che s’estende ad ovest di Storo, di Val Bona e del Lago d’idro, e della quale venne per incidenza fatta menzione in una precedente Memoria, inserita in estratto in questo stesso Bollet- tino, ^ ebbe per oggetto principale di verificare se costì esistessero, o meno, quelle condizioni che si riferiscono al quesito della continuazione dalla parte d’ovest degli strati à' arenaria a piante fossili e del calcare a Bellerophon, constatati a Neumarkt ed a Eecoaro, al limite fra i terreni paleozoici ed i mesozoici. Una tale esistenza pareva verosimile pel fatto che già presso Collio nella Val Trompia erasi constatata la presenza delle formazioni permiana e triasica inferiore, rappresentata la prima da scisti a piante fossili caratteristiche, la seconda dai cosid- detti strati di Seiss a Bosidonomya Clarai, i quali nel Tirolo meri- dionale ed a Eecoaro sovraincombono immediatamente alle arenarie inferiori a Yoltsie ed al calcare a Bellerophon. Constatata che s’avesse l’esistenza di tali strati frammezzo le due citate formazioni, le .condi- zioni strati grafiche dei medesimi avrebbero efficacemente contribuito a determinare in modo definitivo se gli strati di Becoaro e di Neumarld doveano essere riferiti al permiano od al trias, come, al contrario, dall’esame della regione in discorso avrebbe potuto altresì risultare o che gli scisti a vegetali fossili di Collio altro non fossero che una facies speciale di quelli di Neumarkt-Eecoaro, ovvero anche che que- st’ultimi s’andassero sempre più stremando verso ovest sino a sparire completamente. Riva e Val Ampola. — Uno sguardo al lato orientale della regione situata fra il lago di Garda e quello d’Idro ci dimostra ch’ivi predo- * Gli strati d'arenaria a piante fossili di 'Recoaro per 0. W. Gììmbel, Bollettino del R Comitato geologico, anno 1879, n. 5-G. — 282 — minano depositi terziarii, fortemente inoltrati per entro la frattura del Garda dalla parte nord, i quali rivelano un’antica, vastissima insenatura lacustre che spiiigevasi sino alle montagne più elevate. Questi depositi, svilappati sul margine orientale e settentrionale di detto seno, sono rappresentati o dai cosi detti strati di Spilecco a BhyncJionella poU- morpJia ai quali tien dietro superiormente il calcare nummulitico, ovvero da più recenti strati marnosi a foraminifere, ovvero anche, come sarebbe nell’isolato M. Brione, da un basamento di calcare mummulitico al quale soprastanno arenarie marnose glauconitiche, ricche di pietrefatti ed in particolare di varie specie di Pecten; alle quali roccie sovraincombono marne grigio-chiare, assai poco fossilifere. Queste arenarie e marne per rimpressione che ne lasciano le condizioni loro stratigrafiche e pel com- plessivo carattere loro paleontologico sembrerebbero appartenere all’oli- gocene inferiore, mentre invece la determinazione delle specie fossili rinvenute negli anzidetti strati glauconitici persuaderebbe il Fuchs a ritenere quest’ ultimi per equivalenti àeWarenaria verde di Belluno e per conseguenza riferibili quanto essa agli strati di Schio. All’estremità di Riva, sulla strada al lago di Ledro, incontransi calcari neri, ricchi di petroselce, analoghi a quelli di Bezzecca in Val di Conzei, riconosciuti appartenenti al lias inferiore. A questi, senza formazione intermedia alcuna — e ciò in causa d’ avvenuta dislocazio- ne — fa seguito immediato una dolomia principale, di color chiaro, la quale superiormente passa al Plattenkalk e forma non solo Berte rupi della sponda del Garda sin’oltre la cascata del Fonai, ma estendesi sino al di là del lago di Ledro. La dolomia principale occupa una vasta sinclinale a ripiegature secondarie e ad ondulazioni, in cima alle quali, e non prima, si presentano depositi d’epoca più recente. E parimenti, non prima di toccare la sponda meridionale del lago d’Idro s’incontrano, dopo lunga interruzione per chi vien da levante, le marne fossilifere della formazione retica rappresentate da frammenti di roccia derivati dall’imminente M. Tremazzo, mentre che sul lato settentrionale, tra Pieve di Ledro, Bezzecca e Tiarno s’aggiungono a questi depositi anche dei lembi di strati basici i quali formano una ripiegatura che s’avanza da nord sino alla Valle di Ledro e che poi rapidamente svaniscono verso sud-ovest. L’imboccatura della Val d’Ampola è attorniata da altre e potenti montagne di dolomia principale, mirabilmente ricca di Gyro- porella vesiculifera di cui sono impregnati tutti i banchi lungo la stra- da, sin presso la discesa verso Storo, ove il detto fossile è associato in uno e stesso banco alle specie le più caratteristiche della dolomia J9rm- cipale , quali sarebbero Bicerocardium Jani , Megalodon triqueter, Turì)o solitarius ed Avicula exilis. Gli strati dolomitici proseguono ~ 283 — ancora un buon tratto in giù verso Storo, ma non ostante il rapido approssimarsi del limite inferiore del trias non vi si riscontrano strati calcarei d’epoca più recente, chè per tali non si potrebbero considerare quei calcari neri scistosi che si trovano verso Storo, perchè intimam^^nte collegati colla dolomia, non ostante che le frequenti squame di pesce inclu' sevi ricordino gli scisti asfaltiferi di Seefeld. Anche la ripida costa che s’attraversa per andare da Ponte Caffaro alla strada di Bagolino è co- stituita inferiormente da dolomia principale la quale prosegue senza interruzione sino a Ponte Reinieri, ad ovest del quale s’estolle mae- stoso il Dosso Alto formato da calcare bianco di Wetterstein da cui la dolomia che s’affaccia dalla parte di sud rimane separata per via Noiis prendrons pour exemple le mot terrain, qui est un de ceux dont od a le plus étrangement abiisé. Ainsi, dans le méme ouvrage, on lira tantót le terrain jurassique, tantot lo. formation jurassiqiie ; plus loin le terrain secondane^ puis le terrain coralhen^ et enfìn ce méme mot applique à ime conche accidentelle, de quelques mè- tres d’épaisseur et de quelques kilomètres d’étendue. Plusìeurs personues emploient le pluriel et disent les terrains jurassiques^ ce qui n’a plus de sens. Nnus pourrions en citer enfin qui, après avoir terrain jurassique en formùtions^ et les formatiors en subdivisent de nouveau ces étages en terrains ! Q\xe penserait-on de 1’ esprit philosnphique d’ iin zoologiste ou d’ un botaniste qui se servirait du mot classe^ tantót au pluriel, tantót au singulier, ici dans son acception la plus large, là pour les mots ordre, famille, genre ou méme espèce?.... Nous avons temi à rappeler tout d’ahord ce passage de Pémiuent géologue fran- 9ais. Il nons a frappò dans notre jeunesse, nous l’avons toujours eu pi’ésent à l’esprit et il n’a pas moins d’ actualité aujourd'hui qu’ en 1847. Commen^ons par le mot terrain: l’usage Ini a donné une signification assez pré- cise. 0’ est un ensemble de rocbes de méme origine (neptunienne, plutonienne, gey- serienne ou tellurienne) formées pendant une méme grande époque. * Exemples : ìe terrain devonien^ le terrain carbonifere^ le terrain jùrassique. Ce sera, si l’on yeut, no- tre unite de premier ordre, et le congrès qui suivra celili de Bologne aura sans doiite à s’occuper de déterminer le n ombre des terrains et leiirs limites. Quelques écviyains emploient ce terme au pluriel : c’est, croyons-nous, à tort, On ]ie peiit pas dire les terrains devoniens^ les terrains jurassiques^ puisqu’il n’y a qii’iin ter- rain devonien, un terrain jurassiqiie ; mais on peiit parfaiteraent dire les terrains pri- maires^ les terrains mésozo'iques. Beaiicoiip d’ aiiteiirs emploient cornine synonymes de les termes ou période. Sans voiiloir supprimer ces deiix mots — comme on le verrà tantót — nous croyons qu’il faut y renoncer dans Tacception susdite, On a méme employé corame synonyme de terrain le mot système, aiiqiiel, comme nous allons le voir, il est inclispensable d’ attribiier un sens plus restreint. Oet usage est dù à rinduence des géologiies anglais, qui, n’ayant pas dans leur langue, à ma connaissance, une expression correspondant à terrain^ ont souvent, à partir du Silurian System, ernployé le mot System dans ce sens. Tout récemment, un géologue amóricain a proposé de naturaliser en anglais le terme fran9ais ; il serait fort heiireiix de voir terrain tradiiit par- terrane. L’expression period, si souvent employée par les aateiirs anglais, e.st défectueuse, comme nous venons de le dire : elle a un sens grammatica! tout différent. Pour les divisions de premier ordre d’im terrain, nous troiivons usités les mots système, étage, formation, période. Ces deiix derniéres dénominations doivent étre rejetées. Des deiix autres, il faut nécessairement choisìr la première ; car étymolo- giquement, un système est un compose de parties coordonnées entre elles, tandis qu’uu étage semble indivisible et ne sitggère à l’esprit qiie l’idée de superposition. * Certains géologues semblent disposés à supprimer cette condition (méme ori- gine). Sans vouloir discuter si cette suppression est convenable ou pratique,- nous fe- rons remarquer que cela est indifférent à la questi on qui nous occupe- — 333 — Les divisions de deiixièiue ordre, d’ après cela, doivent porter le nom étages, Qaeìq^ues auteurs emploient de préfóreuce le mot gruupe ; mais nous peosous que la plupart i' appliquerout plus voloutiers aux soiis divisious des étages, parfois appe- lées sous-étages; expression que, d’ ailleurs, nous ne voudrious puint proscrire. De méme qiie les difterents terrains soiit désigiiós par des expressions univoques dólermiuóes, de méme ou doit, selon nous, employer des déuomiuations analogues polir les systèmes. Par exemple, nous employons depuis lougtemps, sans les avuir créés, les expressions système rhénan^ système eifelien, système famennien^ pour signitier les trois grandes divisions du ter ain devonien. Cela est incuntestableinent préfórable aux dénominations système inférieur du terrmn devonien^ système moyen du terrain devo- men, système supérieur du terrain devonien. Beaucoup d’ aiileiirs, il est vrai, écliappent aux inconvénients de ces longues expressions par ces tournures abrégées ] le terrain devonien inféneur.! le terrain devonien moyen., /e terrain devonien supérieur ; mais les gram- mairieus condamiient sans pitié un pareli langage. Tonte ópithète jointe à un sub- stantif doit lui étre applicable 5 or, un terrain ne peut jamais étre ni inférieur, ni moyen., ni supérieur. Nous peusons qu^on pourrait aussi suivre la méme règie pour les étayes des systèmes, et que leur désignation p'ar des épithètes spéciales serait avantageuse. Si nous ne sommes pas plus catégorique, c’est que les subdivisions de cet ordre ne sont ordinairement applicables qu’à des bassins plus ou moins limités ; ce qui fait qu'elles échapperont probablement longtemps encore à la critique des congrès géolo- giques internatiouaux. Arrétons-nous un moment dans l’ elude de la subdivision des terrains, et don- nons un tableau qui résumé notre manière de voir. Prenons pour exemple le terrain Jiirassique ; voici sa division en systèmes et en étages d après M. E. Renevier. TERRAIN. JURASSIQUE SYSTEMES. PoRtlaxdiex . . CORALLIEN . . Oxforrien . . . Étages. Purbeckien. Porti an di en. Kimméridgieii ÌSéquanien. Rauracien. Glypticien. IArgovieu. Divésien. Kellovien. Bathorien . . Bradfordien. Vésulien. Bajncien. Aalénitn. Il est bien entendu qu’il ne peut s'agir ici de discuter cette classificati on en elle-méme. Nous voulons seulement donnei’, à titre d^exemple, ime application de no- tre méthode et nous croyons devoir prendre pour cela la classification proposée par ^ Tableau des terrains sédimentaires. Lausanne, 1874. 334 — un autre géologue. Nouh ferons seulement ime observaticu. Nous pensons qu’nn mot ne, peiit, sans graves iuconvénients, étre pria dans un sena tantót large, tantót reatreint; et par conaéquent, nona emploieriona excluaivement, dana le tableau ci-deaaua, le terme portlandien, aoit pour exprimer un spstème, aoit pour exprimer un étage. Notre métliode eat donc fort voiaine de celle que le aavant profeaaeur de Lau- aanne a fait connaìtre, il y a aix ans. La difference conaiate, juaque ici, en ce que nona ne voyona paa dhitilité à prendre, cornine il l’a fait, lea mota période^ époque^ dge pour respectivement aynouymea de terrain^ sgstème, étage. Eevenona aux expreaaioua qù’il nona reate à exàminer, et pour ce taire, auivons r ordre ascendant de la claaaificatiou en commen^ant par la conche. Li conche eat P élément primordial dea terraina atratifiéa. Tona lea auteura. a’ac- cordont à la definir ime masae comprise entre deux jointa de atratificcition aucceaaifs. A notre avis, il faut a"* * en tenir là et éviter aoisfneusement d’employer ce mot pour un assemblage de conches^ choae pour laquelle lea mota ne manquent point. ^ Le mot conche, qui eat fran^aia, a pour aynonyme mirate, qui vient du latin. Il inanque en anglaia. óette langue nona offre stratnm, qui est strale, et hed, qui est /iV. En francais, ce mot Ut désisfne plus’ spécialement dea couchea minces oii peu cohérentes que P on veut distinguer de cellea entre lesquelles elles sont intercalées; de méme que le mot hano signifìe dea couchea plus puissantes ou plus cohérentes. C’ est ainsi qiPon dit : dea hancs calcaires séparés par dea lits schisteux. Dans ces der- niers temps, lea auteura de diversea traductions d’ ou\rages anglaia ont employé le mot Ut dana un sena plus étendii, où il devieut aynonyme de conche. Cette innova- ^ion ne nous parait pas heiireuse. Un ensemble de couchea que Pon veut distinguer dea autres peut recevoir lea noma de sèrie, assise, zone. * Le mot sé7'ie est vagite et indéterminé. Il ne réveille d’ autre idée que celle cf’une succession de couchea que Pon veut envisager à part. Ce peut étre un inconvénient; c' est souvent un avantage. Une assise est un ensemble de couchea qui ont certains caractères pétrographi- ques et souvent paléontologiques communs, et qui constitue une sous-division à'étage. C’est un synonyme de sous-étage, ou de gronpe. ^ Ceci a’ applique au mot conche pria au singulier. L’emploi de ce mot au pju- riel ne présente pas d’ inconvénient, selon nous, du moment où Pon ne lui attribue pas un sena détérminé et une place spéciale dans la sèrie dea subdivisions. Nous di- rions les conches tertiaires ausai bien que les couches de Maastricht ; et ici, le mot roches. fort uaité à Pétranger, peut étre substitué à couches. Oe qui iraporte, à notre avis, c'est que ce mot couches n’ait pas un rang détérminé dans la sèrie dea termos de la classification. * Dans nos charbonnages, nos ingénieur désignent souvent une sèrie de couches de houille (avec les roches intercalées) par le mot de traini par exemple, le tram dea houilles maigres (par ellipse pour le train dea couches de houille maigre). De méme ila, emploient le mot de stampe pour désigner P ensemble dea couchea interpn- sées entre deux couches de houille déterminées Ces mota peuvent passer, croyons- nous, du langage de Pexploitation dans la langue géologique . Mais souvent on dési- gne abusivement les couches de houille sona le nom de veines. C’est le langage des ouvriers ; les géologues devraient se rappeler que ce mot a una autre signification et éviter de Pemployer dans ce sena. — " 335 — Le mot zone est un aiitre synonyme de ces deiix derniers termes, avec cette cir- costance que la zone est caractérisée par des fossiles spéciaux, je dirais méme volon- tiers par telle ou telle espèce qui sert à la dénommer; par exemple, la zone à Am- monites angulatus. Voilà, croyons-nous, les seuls termes que Ton puisse continuer d’ appliquer à •designer des masses minérales, et le sens qu’il conviendrait de leur attribuer. Restent les mots formation^ dépot^ période. etc. Gomme beaucoup de mots frangais à désinence semblable, le mot formation a diverses signifìcatious. Tantót c’est l’ action de former, tantót F action par laquelle ime cbose se forme ou est formée, C’est dans ce deuxiéme sens, très usité en geo- logie, que nous parlons de la formation des rocbes, de la formation des monta- gnes, etc. Mais depuis longtemps les géologues luì ont donne une troisième signification, la cbose formée ; par exemple, les formations schisteuses^ les formations calcaires. Il y a plus. Partant des idées qui régnaient au commencement de ce siècle sur Fhistoire ■de la terre, Humboldt a défìni ime formation un assemblage de masses minérales oSrant par tonte la terre les mémes rapports généraux de composition et de gisement, de sorte qu’on les suppose formées à la méme époque. Et comme on considéra d’abord les grandes divisions, ce mot de;VÌnt équivaleut de terrain^ et méme fut employé de préférence dans ce sens. Depuis lors, les idées générales ont bien changé, mais cet emploi du mot a per- sistè. En tout pays, on citerait de nombreux exemples, méme dans les écrits les plus récents, où le mot formation est synonyme de tèrrain. On l’emploie plus rarement comme synonyme de système. Nous croyons cependant qu’il faut abandonner cet usage et renoncer à attribuer à ce mot une idée de durée définie, de premier ordre, comme pour terrain, ou de deuxiéme ordre, comme pour système. Mais nous ne suivrions pas jusqu’au bout cer- tains confrères qui voudraient, enlevant à ce mot tonte acception de chose formée^ ne lui laisser d’ autre signification que celles que nous avons indiquées, c’est-à-dire action de former, ou mode suivant lequel une cbose s’ est formée. Pour nous, il n’y a nul inconvénient à parler de formations calcaires, de formations granitiques ou gneis- siques, de formations cVeau douce, etc. Nous irions méme jusqu a admettre 1’ emploi de ce mot pour signifier les masses minérales formées à une époque doni on ne veut pas préciser V importance . Ainsi, par exemple, on peut avoir à compnrer un terrain et un système, ou un étage : nous ne voyons pas quel terme on pourrait employer pour les désigner à la fois s’ il était interdit de dire ces deux formations. Le mot dépot a une signification analogue, mais plus restreinte. On l’emploiera pour désigner des masses qui se sont produites pendant une période ou dans un espace lirnité. Nous venons de citer le mot période : c’est ancore un de ces mots qui ont donné lieu à confusion et dont il importe de réglementer l’usage. Dans le langage ordinaire, période signifie ordinairement un espace de temps dé- terminé. Les géologues ont eu de nombreuses occasions de F employer dans ce sens, pour ìndiquer les diverses divisions de F bistoire de la Terre. Mais la confusion où 22 — 336 — r on était tombe à Tendroit des mots formation^ Urrain^ système^ étage^ a conduit plu- sieiirs savants à lui donnei- une sigoitìcation plus précise, de sorte que, dans leur langage, période signifie les masses niinérales formées durant un espace de temps déterrniné, qui est ordinairement une epoque de premier ordre. En ce sens, pérv.de est absolunaent synonyme de terrain. Nous inclinons à penser que c’est là une source nouvelle de confusion, et nous proposerions de rejeter tout empiei de ce mot dans le sens de masses d'une epoque déterminée. La méme observation s’applique naturellement aux mots époque, àge^ ère : il nV a pas lieu, selon nous, de modifier leur signification babituelle, relative au temps pour leur en donner une autre, relative à la matière. Pour parler en termes plus généraux, nous ne trouvons que des inconvénients à prendre ces expressions, ou d’autres analogues, comme synonymes des mots terrtrin^ système, étoge^ ou tous autres qui seront reconnus pour designer nos grandes divisions des terrains. Il faut éviter d’employer deux mots pour exprimer une seule cbose. Nous n’avons aucune observation à presenter en ce moment sur' les groupes que Fon a constitués par la réunion de plusieurs terrains, si ce n’est que nous acceptons à la fois les termes primaires, secondaireSy... paléozoiques, mésozoìques et paléolithi- ques, mésoUthiques..,. Nous ne pouvons terminer sans appeler l’attentiòn sur le mot métamorphmne. Peu à peu certains auteurs lui ont donné une telle extension qiFil comprendrait toutes les modifications que les roches, ont subies depuis leur formwtion. A notre avis, il est nécessaire d’en revenir à la signification primitive et de réserver cette expression pulir les changements (pbysiques ou chimiques) qui provi ennent de causes internes, et de cesser de P applique!* aux modifications dont la cause est à la surface du globe et notammeut aux altérations dites météoriques. MEMORIE ORieiNALL I. Sttùdi stratigrafici sulle formazioni liassicìie e cretacee dei dintorni di Camajore e Pescaglia (Alpi- Apuane), Nota di B. Lotti, ing% del R. Comitato geologico d’Italia. - (Con tavola annessa). Descrizione generale. — La regione di cui imprendo una breve descri- zione geologica trovasi alla estremità 8. S. E. dell’asse maggiore della ellis- soide apuana. Ne ra.ppresentano le principali elevazioni il M. Matanna (131 7"“), costituito intieramente da rocce liassiche e infraliassiche ; il M. Croce (1314”), cretaceo nella sua vetta, infraliassico nella sua pendice — 337 )ccidentale ; il Monte Pigliene (1232“), pure cretaceo nella parte più elevata 5 nel fianco meridionale, liassico in tutto il rimanente: il M. Frano (1220™) ;o’ suoi contrafforti, M. Pedone (1011™), M. Spranga (693“), M. Ei- elione (590“), formati nella maggior parte di rocce cretacee ; il M. Va- imona (814'") e il M. Rondinaia (739""), che sono i più meridionali, li cui la vetta è cretacea e le pendici Nord e N. 0. liassiche, mentre mi loro fianchi meridionali si adagiano fino ad una altezza di circa 300 metri le arenarie eoceniche ed i calcari nummulitici. Queste più recenti formazioni, seguendo la disposizione ellissoidale di tutti i ter- reni che compongono il gruppo apuano, recingono in un ampio semi- ierchio, colla concavità rivolta a N. 0., i terreni secondari, e sono rap- presentate a Nord e a N. E. nelle cospicue elevazioni del Colle delle Baldorie (1189”), del M. Poraglia (986”), dell’ Alpe della Pescaglia 1083“), e a S. E., Sud, e S. 0. da una serie di colli che non superano li molto i 500 metri. I terreni secondari nel complesso sono distribuiti concentricamente li terziari e sempre nella parte più interna in ragione della loro an- tichità ; però le profonde solcature, che attraversano questo tratto di paese, fanno vedere i membri inferiori della serie in vari punti della sona spettante ai terreni più giovani, risultandone per tal guisa appa- rentemente irregolare la distribuzione sul piano geologico dettagliato. ^ Così, ad esempio, il torrente Pedogna co’suoi affluenti paralleli di si- aistra solcano intieramente la zona delle rocce cretacee, mettendo però i nudo nel loro letto e sulle sponde le sottostanti formazioni liassiche 3 infraliassiche. Lo stesso fatto si verifica pei due rami paralleli della lurrite Cava presso Palagnana e presso Pascoso. L’affioramento regolare delle rocce infraliassiche e liassiche, diret- Amente dovuto al sollevamento ellissoidale della regione montuosa ipuana, è rappresentato in questo estremo lembo di essa per le prime ialle elevazioni del M. Lieto (1016™), del M. Gabberi (1109”), del Pro- finto (1177™), del M. Nonna o di Nona (1300™), del M. Forato (1223™) 9 della Pania della Croce (1859'“), che formano un frastagliato crinale semicircolare sovrastante a picco nella sua parte concava ai terreni triassici dell’alta valle della Versilia ; per le seconde dal M. Ciurlaglia, rlalla pendice Nord del M. Frano e dal crinale che riunisce questo al M. Ma- tanna, crinale formante spartiacque fra i tributari del Serchio e il Lom- bricese che invia le sue acque torrenziali al mare per mezzo del fiume * Le presenti considerazioni si riferiscono’’ per la maggior parte alla Tavoletta ad 1/25000 di Pescaglia, nel rilevamento geologico della quale fui operosamente coadiuvato dall’Aiut. Ing. P. Fossen addetto ai lavori geologici delle Alpi Apuane. 338 — di Camajore. e dal M. Matanna stesso. Presso Lorabrici i terreni liassici vengono coperti dal cretaceo, che - si sovrappone direttamente all’ in- fralias, passano forse sotto il piano alluvionale di Camajore e sotto i terreni eocenici dei colli di Pedona per quindi immergersi sotto la pianura littofale di Viareggio. I terreni postriassici fiuo agli eocenici inclusivamente, che neU’in- sieme sono distribuiti regolarmente in zone concentriche facendo il giro deir ellissoide, appariscono completi ed assai sviluppati ai due suoi estremi e nel lato orientale, mancano affatto o sono appena parzial- mente rappresentati da lembi isolati nel lato occidentale fra Massa e lo sbocco della valle di Camajore, La direzione dell’asse maggiore della ellissoide, che è quella gene- rale degli strati in tutta la sua parte mediana, è N.K.O. — S.S.E.; non già quella N.N.E. — S.S.O. come indicava il De Stefani. ^ Anche Savi e Meneghini avean posto la direzione di questa linea da a S.47°E., cioè presso a poco quella • suaccennata. ^ La lunghezza di questo asse limitata agli affioramenti opposti delle rocce eoceniche ascende a circa 36 chilometri, quella dell’ asse minore a 18, cioè alla metà del primo. Le formazioni liassiche e cretacee deH’estremità N.O. della ellissoide sono state illustrate dettagliatamente dall’ egregio mio collega ing. Zaccagna ^ che accennava eziandio alle correlazioni stra- tigrafiche e strutturali con quelle che vado a descrivere. Terreni liassici. — Il fosso dei Colli che scende dal Monte Prano fra il Monte Penna e il Monte Riglione, benché formatosi a spese delle rocce cretacee, di che fa testimonianza qualche lembo rimasto presso Falcigoli, fa vedere ne’ suoi precipitosi dirupi e nel suo angusto letto la maggior parte delle formazioni liassiche. L’affioramento più basso scuopresi nel fondo del fosso sotto il Monte La Torre, e consiste in pochi strati di calcare rosso accompagnati da schisti calcareo-argillosi rossi e violetti. Vien tosto ricoperto dai calcari con selce cretacei del Monte La Torre e del Monte Riglione, ma ritorna a comparire poco sopra presso alla fonte di Metato, d’onde può seguirsi senza interru- zione fino al Monte Matanna passando per Falcigoli, Dorella, Querceto, ^ De Stefani, Considerazioni stratigr. sulle rocce 'più antiche delle Alpi Apuane^ ecc. Bollettino del E,, Comitato Geologico d’Italia, Voi. V, p. 134, Eoma, 1874, e Geologia del Monte Pisano^ Memorie del E. Comitato Geologico d’Italia, Voi. HI, parte I, p. 149, Eoma, 1876. * Savi e Meneghini, Considerazioni sulla geologia toscana^ p. 242, Firenze, 1851. ^ Zaccagna, Osservazioni stratigrafiche sui dintorni di Costelpoggio {Alpi Apuane). Bollettino del E. Comitato Geologico d’Italia, numeri 3 e 4, Eoma, 1880. 339 - Piazzone, o Pimone, e sopra la Grotta aH’Onda. ’ Il calcare rosso è as- sociato costantemente ad un calcare grigio col quale alterna ripetuta- mente, come può osservarsi nella maniera la più evidente nel Monte Matanna e lungo il ciglione che lo riunisce al Monte Frano e che li- mita ad Est la valle profonda del Lombricese. ^ Ordinariamente però il calcare grigio predomina in basso e ve n’è sempre un certo spessore, benché, come vedremo, talvolta di pochi metri, fra il calcare rosso e il calcare grigio-cupo infraliassico. Nessun fossile è stato offerto fino ad ora nell’Alpi Apuane da questo calcare, nondimeno, per la sua alter- nanza col rosso e per essere fossilifero in altre località, non vi è dubbio che debba esser riferito al lias inferiore. ^ 11 calcare rosso, di cui è inutile descrivere i caratteri perchè affatto identico a quello di altre località ben conosciute, ha offerto lungo il descritto affioramento nor- male fra Metato e Ealcigoli, nel Monte Ciurlaglia, presso Querceto e nel Monte Matanna varie ammoniti del genere Arietites fra le quali VA. hisulcahis Brug., e VA. Conybeari Sow., secondo le determinazioni del prof. Meneghini, direttore dei nostri lavori geologici nelle Alpi Apuane. Il lias inferiore resta limitato in basso da calcari grigio cupi, cui stanno interposti schisti calcareo-argillosi con Bactrilli. Gli scbisti a Bactrilli possono osservarsi presso la fonte di Metato, presso il Monte Penna per la via da Metato a Gasoli, e sopra la Grotta aH’Onda per la via del Crocione. Quivi rinvengonsi pure calcari grigi con piccoli fossili ri- dotti in limcnite che, secondo il Meneghini, possono riferirsi per la maggior parte alle specie: Chemnitzia Gordieri Cop., Ch. aciitispirata Cop., Cerithium sociale Gop., Turbo inornatus Terq. et P., Turbo sub- pyramidalis d’Orb., e calcari neri con Avicula contorta Fort., Pli- catula intusstriata Emmer., Cardita munita Step. Alla fonte di Metato gli schisti con Bactrilli {Baciryllium striolatum Heer) son separati dal calcare rosso ammonitifero, soltanto da una diecina di metri di calcari grigi, fatto che ha riscontro in altri punti, come vedremo. La separazione fra il lias e V infralias si fa sempre diffìcilmente quando non compariscono gli schisti a Bactrilli ; potrebbe osservarsi che ^ I nomi dei luoghi citati nella presente nota son quelli stessi che trovansi sulle tavolette al 25,000 della Carta del nostro Istituto Topografico Militare ; però, non corrispondendo talvolta alcuni alla denominazione volgare, verrà unito al nome erroneo il vero nome in carattere corsivo. ^ Questa alternanza era già stata notata dal Bombice! in una lettera al Savi. ® Alia Spezia vi corrispondono calcari grigi e schisti ammonitiferi (Capellini, Descrizione geologica dei dintorni di Spezia., Bologna, 1864). Nei Monti Pisani e nei monti di Avane sono ordinariamente in questo livello calcari bianchi, ceroidi, fossiliferi- — 340 — i calcari grigi del lias sono ordinariamente più chiari di quelli dell’in- fralias e sono inoltre ceroidi, méntre quelli infraliassici sono piuttosto subcristallini, ma tali caratteri non son sempre costanti, nè sufficienti per farne un’esatta ripartizione. I calcari rossi del M. Matanna, del M. Ciurlaglia e di Ealcigoli sono interamente colorati e presentano discrete saldezze, tantoché po- trebbero forse alimentare una escavazione proficua. Sul vertice del M. Matanna, ove questo calcare è maggiormente scoperto, furono infatti praticate recentemente delle escavazioni dipoi abbandonate forse per la difficoltà dei trasporti in località tanto accidentate e per la considere- vole altezza cui si trovano. Il M. Ciurlaglia e Falcigoli offrirebbero probabilmente condizioni più vantaggiose per una tale impresa.] I calcari rossi e grigi del lias inferiore che abbiamo presi in esame e che rappresentano l’affioramento normale più interno di queste for- mazioni nel campo della cupola elissoidale apuana, vengono ricoperti immediatamente dagli strati Massici più giovani ed in parte dai cre- tacei, per ricomparire poi nuovamente, in conseguenza di flessioni secon- darie e della denudazione, dall’altra parte dello spartiacque sopraindi- cato, nell’alto delle valli della Turrite Cava e della Pedogna. Nel punto ove la strada che da Torcigliano va a Gombitelli traversa il fosso Lucese, vedesi, sulla destra di esso, affiorare il calcare rosso, con direzione N.N.E. — S.S.O. e inclinazione verso E. S. E., racchiuso fra due serie di strati di calcare grigio con poca selce, ed esso stesso ne contiene. Sotto il calcare grigio con selce, continuando a salire verso il M. Pedone, succedono strati a Fosidonomya Bronni ^ ; al disopra invece, pienamente concordante, il calcare grigio infraliassico con schisti a Bactrilli. Si ha qui, adunque, evidentemente una inversione di strati. Salendo la pendice del M. Rondinaja, sulla sinistra del fosso, sopra il calcare infraliassico affiorano di nuovo il calcare rosso e il grigio con selce, quindi gli strati a Bosidonomifa^ essendo la direzione e il verso della inclinazione come nella destra. Trattasi adunque di un anticlinale inclinato, quale viene rappresentato in sezione dalla Fig. 2. E facile poi verificare che i due affioramenti, sulla destra e sulla sinistra, appar- tengono alio stesso strato che bruscamente ripiegasi attraversando il fosso circa cento metri più a valle. Da questo punto i due affioramenti di calcare rosso divergono fra loro ; il primo, traversando il ramo più ^ A. schÌHrimento di alcuni dubbi manifestati dal De Stefani (^Atti Soc. Tose, di Se. nat.. Proc. verb. p. 84) faccio notare che ogniqualvolta cito gli strati a Posido- nomya Bronni intendo parlare espressamente ed esclusivamente di rocce che racchiu- dono quel fossile. — 341 — alto della Pedogna e il suo tributario, il Rio "delle Campore, giunge fino a Porte, o alla Farle, ove sparisce sotto le formazioni più giovani per ricomparire poco più oltre a Nord nella vallecola della Turrite presso le Capanne. L’altro percorre la costa settentrionale del M. Ron- dinaja e del M. Valiraona, traversa la Pedogna presso alla contìuenza col Rio delle Campore, seguesi interrottamente sulla costa S. 0. del M. Pigliene sulla sinistra del torrente fino a Rianchiana ove lo traversa per ricongiungersi a Porte coll’altro affioramento. Lo strato passa quindi sotto la grande massa prismatica di calcare con selce cretaceo del M. Pi- gliene per ricomparire nel suo versante N.E. presso Groppa^ e Sasso- rosso sulla destra del fosso della Pescagliora, ove tutti gli strati sono nuovamente rovesciati, come lo indica la sezione (Pig. 5). Di qui in lembi interrotti si può seguire il calcare rosso per Palagnana fin sulla pen- dice meridionale del M. Croce, o M, delle Piane, ove ricongiungesi coll’affioramento normale del M. Matanna. I calcari rossi con Arietiti delle Capanne di Pascoso e del Crocione sono al tempo stesso la con- tinuazione degli strati di Pescaglià e di quelli di Porte e del Piazzone che ricompariscono al disotto degli strati Lassici più giovani. Quivi presso la fornace da calce, come alla fonte di Metato e a Lucese, sotto due 0 tre metri di calcari grigi Lassici sottostanti al rosso, si hanno schisti zeppi di BactrilL. ’ L’andamento degli strati dei calcari Lassici inferiori grigi e rossi viene seguito da tutte le altre formazioni Lassiche più recenti. Esse constano di calcare grigio chiaro con selce e di strati calcareo-argillosi con Fosldonomya Bronni. Il calcare con selce, ordinariamente grigio chiaro, ha presso a poco la stessa struttura del rosso e presenta frequentissime concrezioni Lmo- nitiche caratteristiche ; anche le rare ammoniti e tracce di ammoniti e di Anlaeoceras, che ha offerto, son sempre Lmonitizzate. Sebbene riposi ordinariamente sopra al calcare rosso, può in qualche punto alternare con esso, fatto che si verifica, come abbiamo veduto, presso Lucese ed anche più chiaramente presso Sassorosso di Pescaglia (Y. Fig. 5) ; nè tale calcare esiste dappertutto nella regione presa in esame. Esso è assai ^ Il De Stefani [Atti dolla Soc. Tose, dì So. nat.. Proc. verh., luglio 1880 p. 81) dice elle nelle A.lpi Apuane sono almeno due piani ben diversi di rocce liassiebe rosse. Nell’area studiata da me e dal Zaccagna,, che già comprende una buona parte del gruppo apuano, esiste una sola parte liassica rossa e questa caratterizzata dagli Arie- titi. Vi è un altro calcare rosso nelle Alpi Apuane, che il De Stefani diceva liassico {Boll, del P. Comit. geul. d'Italia — Yol. VI p. 40) ma dimostrato cretaceo dalle os- servazioni del Zaccagna, [l.c.) perchè sovrapposto agli strati a Posidonomya Bronni. — 342 — sviluppato sotto il M. Matanna, ad Est, fino al Crocione, presso le Ca- panne, a Porte e a Sassorosso ; manca od è appena rappresentato presso Metato, Ealcigoli, a Lucese e nel, M. Valimona. Nei punti ove i calcari con selce del lias mancano, come, ad esempio, presso la Fonte di Me- tato ed un poco più a monte nel fosso dei Colli, gli schisti con Posi- donomya Bronni si sovrappongono direttamente, con piena concordanza e continuità agli schisti calcareo-argillosi violetti intimamente asso- ciati al calcare rosso ammonitifero ed essi pure ammonitiferi. La serie del calcare con selce liassico, ove è maggiormente svilup- pata, come al Crocione (Y. Fig. 3), presentasi così costituita dal basso all’alto : 1) calcare rosso ammonitifero alternante col grigio ; 2) calcare grigio ceroide con selce in strati di circa 15 centimetri; 3) calcare grigio in strati sottili di 1 centimetri senza selce; 4) pochi strati di calcare con selce; 5) nuovi strati sottili di calcare senza selce come il 3). Questi strati son disposti in una curva sinclinale di guisa che ri- trovasi la stessa serie scendendo dal Crocione alle Capanne per la via di Pascoso. Piu oltre presso Nampizzo, sulla stessa strada, ove cade la sezione (Fig. 4), al calcare rosso ammonitifero vedesi sovrapposto con perfetta concordanza di stratificazione, ma con brusco cambiamento di colore, il calcare grigio con selce liassico. Come fu già accennato, rarissimi sono i petrefatti nel calcare con selce di queste località. Oltre ad alcune tracce indeterminabili presso Ki trogoli, fu ritrovata dallo scrivente una piccola ammonite limonitiz- zata a Sassorosso presso Pescaglia che dal Meneghini fu riconosciuta per un^ Harpoceras Buthenense Keynés. Nei luoghi ove fu riscontrato più ricco di fossili, come a Corfino, Val di Secchia, Sassigrossi, Kepole, Soraggio e Cotona, vi si rinvennero varie specie citate dal De Stefani nella Geologia del M. Pisano a pag. 85, fra le quali predominano quelle del lias inferiore: ed al lias inferiore, come intimamente colle- gato al rosso ammonitifero, lo ascrissero il Savi e il Meneghini. '' La posizione stratigrafica e la presenza di alcune specie caratteristiche in- dussero invece il De Stefani ^ a dichiararlo lias medio. Fu già notato poco sopra che ove manca il calcare con selce lias- sico, e ciò avviene di frequente, gli strati a Posidonomya Bronni ripo- sano direttamente, senza ombra di discordanza e con passaggio graduato sul calcare rosso ad Arietiti, come ognuno può verificare presso la Fonte ’ Savi e Meneghini, Consid. etc. pag. 48. * De Stefani, Geologia del M. Pisano^ Mem. etc. pag. 85. — 343 — di Metato, e poco sopra sulla sinistra del fosso die scende da Falcigoli, per la via da Metato a Falcigoli e in tanti altri punti di questi din- torni ed anche altrove fuori delle Alpi Apuane. In alcuni luoghi, come ad esempio sulla strada fra Torcigliano e Lucese, il calcare grigio con selce liassico riducesi ad uno o al più due strati dello spessore com- plessivo di forse metro. Questi fatti notevolissimi, unitamente all’altro deH’alternanza dei due calcari grigio e rosso, potrebbero far sospettar che le quattro formazioni rocciose, calcare grigio, calcare rosso, calcare grigio con selce e schisti calcareo-argillosi a Posidonomya Bronni pos- sano essere facies di uno stesso periodo geologico. Pare infatti che anche il Cocchi riferisse tutte queste formazioni al lias inferiore. ^ Ma lasciamo le opinioni e ritorniamo ai fatti. Gli strati con Posidonomya Bronni, che fino ad ora nelle Alpi Apuane non erano conosciuti che a Eepole ^ ove li aveva trovati il Capellini, ® sono potentemente sviluppati nelle località che stiamo studiando e sono somma- mente interessanti sia per la scienza che pel rilevamento geologico, poiché senza di essi sarebbe stata assai laboriosa la separazione del calcare con selce liassico da quello cretaceo, essendone pressoché uguale l’aspetto litologico. Essi accompagnano dovunque i calcari ammonitiferi e sono costantemente ricoperti, dal calcare con selce cretaceo. Una fra le molte sezioni, altrettanto semplice quanto istruttiva ed importante (V. Fig. 4), si ha nella pendice N. 0. del M. Pigliene. Vedesi quivi il calcare con selce liassico assai sviluppato separato nettamente da quella cretaceo da una zona potente di strati a Posidonomya ed é in questo punto e nei dintorni che si possono fare i più istruttivi confronti fra le due formazioni litologicamente analoghe. Vedremo in seguito che non mancano per esse fortunatamente caratteri differenziali notevoli. Gli strati a Posidonomya Bronni, che secondo la maggioranza degli autori rappresentano il lias superiore, sono costituiti prevalentemente da schisti calcareo-argillosi grigio-chiari, verdastri, grigio-cupi, neri ardesiaci e paonazzi, e da schisti puramente argillosi gialli e scuri ocracei. E in questi ultimi che compariscono di preferenza le impronte della Posidonomya Bronni. Fra gli schisti grigi stanno intercalati dei calcari a lastre, nella cui pasta grigio-cupa stanno disseminati piccoli frammenti calcarei più chiari e più cupi, arrotondati, della grossezza di un pisello. Questi frammenti compariscono chiaramente nelle superficie esposte all’ intemperie , mentre sono appena accennati nella frattura ^ Capellini, Descrizione geologica dei dintorni di Spezia, pag. 54. — Bologna 1864* ^ De Stefani, 1. c. pag. 87. ^ Capellini, 1. c. pag. 52. 344 — fresca. Crii scliisti gialli o scuri ocracei, porosi, leggerissimi, i soli che Don offrano traccia di calcare , son quelli nei quali compariscono quasi esclusivamente le impronte di Posidonomya, e soltanto in questi furouo fino ad ora avvertite. E facile persuadersi però che essi schisti altro non sono che il prodotto della alterazione di quelli calcareo-ar- gillosi nei quali, sebbene non appariscano, son pure contenuti i medesimi fossili. Si possono infatti ottener campioni in parte decomposti con numerose impronte di fossili, in parte inalterati che ne sono apparen- temente privi ed omogenei; minutamente osservando però, non è difficile seno prime qualche traccia anche nella parte calcari fera inalterata della roccia. Furon raccolti esemplari di schisti calcarei inalterati in cui osservansi tracce abbastanza sicure di Posidonomya ed uno in speciale modo notevole perchè trasformato quasi totalmente in quella roccia, porosa, gialla, allappante, fossilifera ad eccezione di una piccola por- zione centrale ellittica: la parte alterata presenta zone concentriche a quella inalterata attestando nel modo più evidente il progresso della decomposizione. Il fenomeno della apparizione delle impronte nella parte decomposta degli schisti calcareo-argillosi a Posidonomya è dovuto ad un processo analogo a quello per il quale son messi in evidenza i fossili racchiusi in pressoché tutte le rocce calcaree che ne sono appa- rentemente prive, allorché siano state esposte agli agenti atmosferici; una benché minima differenza, che pure deve esistere, nella composi- zione fra la porzione di roccia derivata dal fossile e quella circostante deve naturalmente condurre ad effetti diversi nella decomposizione, che nel caso della roccia in parola consisterebbe nella sottrazione per mezzo di acque esterne ed interne del carbonato di calce. Osservando poi l’in- sieme degli strati a P. Bronni, vedesi predominare in essi lo schisto calcareo-argilloso, in masse compatte non tanto facilmente sfaldabili, mentre lo schisto giallo tipico non comparisce che in pochi punti e talvolta solo alla superficie ; e non si può assegnare ad esso un posto determinato nella serie perchè si trova indifferentemente nella parte superiore, media e inferiore della formazione. Anche il quarzo, latti ginoso che è tanto caratteristico degli schisti gialli, porosi, trovasi in masse irregolari ed in vene nello schisto calcareo. Ad onta dello straordinario sviluppo di questa formazione non com- pariscono in essa rocce diasprine ed arenacee, quali vengono citate dal De Stefani ^ in località limitrofe. I diaspri o, com’egli dice, le quarziti ricche di ossido di manganese della valle di Camajore fra Nocchi e De Stefani, 1. c., p. 87. — 345 — Torcigliano, non fanno parte della zona a Posidonomya Bronni ma del calcare con selce cretaceo che vi sta immediatamente sopra. Terreni cretacei, — Il calcare con selce, che suppon'^o cretaceo ma che potrebbe essere in parte anche più antico, sempre però più recente del lias superiore, è straordinariamente sviluppato in questa parte del gruppo apuano. Nei dintorni di Camajore forma, come fu già indicato, il M. Frano e le sue appendici il M. Pedone, il M. Spranga, il M. Riglione e il M. Rondinaja; in quei di Pescaglia ne sono costi- tuiti il M. Croce, il M. Pigliene, il M. Valimona, il M. Acuto e il M. Primo. Immergesi quindi presso Pascoso e lungo la linea della Pe- scagliora sotto i calcari nurnmulitici e le arenarie del M. Poraglia e dell’Alpe della Pescaglia, per ricomparire poscia più oltre verso N. E. nel M. dei Frati e nella valle del Rio del Diavolo che sbocca nella Turrite Cava presso Fabbriche. Questo calcare con selce, a differenza di quello liassico, presenta vari aspetti ; talvolta è grigio-chiaro, estremamente fìssile, talvolta gri- gio-cupo; in alcuni punti come presso Peralla, Agliano, nel M. Pigliene e a Pescaglia è bianco, leggermente roseo o verdastro e ceroide. La selce è disposta in strati regolarissimi di circa 10 cent, di spessore in mezzo ai banchi del calcare grigio -chiaro e grigio-cupo parallelamente ai piani di stratifìcazione, per cui risultano listati, mentre comparisce in nuclei ellissoidali, allungati ed anche in forme bizzarre nel calcare bianco, roseo o verde-chiaro. Intercalati agli strati del calcare con selce stanno costantemente banchi di un calcare screziato a foraminifere. Ti sono pure costantemente associati diaspri varicolori, spesso manganesi- feri, che presentansi in masse lenticolari, grandiose nel M. Frano, nel M. Rondinaja e nel M. Pigliene, limitate a pochi metri di estensione presso Torcigliano e altrove. Queste masse diasprine sono regolarmente interposte fra due serie di strati calcarei, di cui quella superiore è più potente ed è formata da calcari di tinta variabile ma ordinariamente chiara, quella inferiore invece è sempre di calcare grigio-cupo. I ban- chi di calcare screziato trovansi tanto nella prima che nella seconda serie. Il passaggio dai calcari con selce ai diaspri si fa per gradi e con alternanze, come lo prova la seguente sezione naturale che ognuno può verifìcare facilmente scendendo dal M. Riglione verso Summonti o Se- monti. Si ha quivi in serie ascendente : 1) calcare grigio cupo con selce e calcare screziato in strati re- golari di circa 25 centimetri di spessore (metri 100) ; 2) diaspri varicolori in strati sottili di circa 8 centimetri come i filari della selce racchiusa nei calcari (metri 40) ; 34:6 3) diaspri e ftaniti con sottilissimi strati di calcare verdastro metri 25); 4) calcari schistosi verdi chiari con strati silicei che hanno l’ap- parenza di un cipollino e che passano gradatamente al 3) e al 5); (me- tri 10); 5) calcari verdi chiari e rosei con noduli ellissoidali di selce-- (metri 15) ; 6) calcari verdi e rosei con scarsa selce (metri 40); 7) calcari grigi con nodoli e vene irregolari di selce e banchi di calcare screziato; 8) calcare grigio imperfettamente stratificato senza selce alternante con sottili letti di schisto verde argilloso. Tutti questi diversi strati succedonsi colla più perfetta concordanza. Le amigdale diasprine, visibili anche da lungi, e i banchi di calcare screziato a foraminifere costituiscono i più spiccati caratteri differen- ziali fra questa e la formazione del calcare con selce liassico. Un altro ottimo carattere differenziale sono le concrezioni limonitiche frequen- tissime, come fu detto, nel calcare liassico, mentre mancano affatto in quello cretaceo. Lo spessore enormemente più grande della formazione cretacea in confronto di quello della analoga liassica, non che la tes- situra alquanto diversa dei due calcari ed altri più minuti particolari che si sottraggono all’attenzione dell’osservatore di passaggio, ma cha non possono sfuggire a chi ha battuto in tutti i versi e ripetutamente queste località, concorrono alla loro netta distinzione. Tutti questi ca- ratteri, di un gran peso allorché trattasi di assegnare il posto a dei calcari con selce non limitati alla loro base dagli strati a Posidonomya Bronni, sono quasi superfiui nel caso nostro potendo disporre largamente di quel prezioso orizzonte. Il calcare con selce cretaceo fu riferito da Savi e Meneghini ^ al piano inferiore della Creta ossia al neocomiano, contro l’opinione del Pilla e del Cocquand che lo consideravano come un rappresentante del Giura. Anche il Murchison ^ lo ritenne per neocomiano avendo creduto di riconoscere le forme di un Crioceras nel calcare con selce di Prato Fiorito neH’Appennino Pistoiese. Agli stretti di Giarreto nella Val di Magra sotto, alle rocce eoceniche comparisce un calcare ceroide, proba- bilmente corrispondente a quello di cui si tratta, nel quale il Cocchi ^ ^ Savi e Meneghini, Considerazioni, ecc. p. 37. ^ E.. MePvCHISON, On thè yeological structure of thè Alps., Appennines and Car~ pathians. 2 I, Cocchi, Di un lembo titonico in Val di Magra., Bollettino del R, Comitato Geologico d'Italia, numeri 9 e 10, 1870 t — 347 — rinvenne belemniti ed aptici, e specialmente VA. punctatus Wolf, che, secondo Zittel e Meneghini appartengono al titoniano. Nel Carrarese a questa formazione calcareo-diasprina, dietro gli studi del Zaccagna, ^ corrisponderebbero schisti e calcari rossi aventi alla base masse diasprine assai potenti che in complesso presenterebbero grandi analogìe cogli strati della Val di Magra. Nel Monte Annata ^ sotto il nummulitico si ha una serie pressoché identica a quella del Carrarese ; sono schisti e calcari rossi, schisti argillosi rossi manganesiferi, ftaniti e diaspri. 11 De Stefani ^ riferisce al titoniano un calcare ceroide roseo o verdognolo con tracce poco distinte di fossili che comparisce sulla destra del Serchio al disotto del calcare con selce che egli pure ritiene neocomiano. Nei luoghi da me studiati quel calcare, o almeno un calcare simile, non tro- vasi alla base della formazione ma sopra i diaspri, come fu già detto, e sotto di essi succede costantemente una nuova serie di strati di calcare grigio-cupo con selce e banchi di calcare screziato. Disgraziatamente in tanta incertezza, ad eccezione di alcune fucoidi molto somiglianti a quelle eoceniche, trovate presso Fibbiano in straterelli calcareo-argillosi sottili interposti ai calcari con selce, non è stato possibile fino ad ora di rinvenir fossili di qualche valore nè in questi calcari, nè nei diaspri che vi stanno associati, cosicché è forza attenersi alle analogie litologiche e alle correlazioni stratigrafiche per fissar loro un posto con- veniente nella serie dei terreni. Ciò che vi ha di certo si è che tanto questa come la formazione di Castelpoggio è compresa tra due orizzonti ben determinati, la zona a Posidonomya Bronni inferiormente e la zona nummulitica superiormente. È dunque necessario indagare quali rap- porti stratigrafici esistono fra questa formazione calcareo-diasprina e i due piani fossiliferi per vedere se debbasi ravvicinare all’uno piutto- stochè all’altro. Che esista una discontinuità di tempo fra 1’ epoca geologica degli «trati a Posidonomya Bronni e quella del calcare con selce, non vi ha dubbio alcuno, e si desume, più che dalla discordanza degli strati, non sempre incontestabilmente chiara, dal fatto che il calcare con selce, in un’area relativamente ristretta, riposa indifferentemente su rocce di età diverse. Lo troviamo infatti presso Mommio nelle colline di Viareggio, ^ D, Zaccagna, 1. c. ^ Lotti, Il Monte Amiata^ Bollettino del E,. Comitato Geologico d’Italia, Voi. IX, pag. 366. ® De Stefani, 1. c., pag. 92. ^ Che i calcari con selce di Mommio, di Cittadella e di Montramito nelle colline di Viareggio siano cretacei e non Passici come li ritiene con insistenza il De Stefani {Rassegna Settimanale di politico^ ecc , numeri 123 e 130, Doma, 1880), oltreché dalla — 348 — sopra agli schisti triassici ; presso Lombrici e nel M. Croce sull’infralias compatto e cavernoso; nel iVJ. Valimona e nella pendice S. 0. del M. Pi- gliene sul lias inferiore e sull’infralias, mentre più di frequente ripo- sano sugli strati a Posidonomya. Anche lo spessore di questi strati è variabilissimo ; di pochi metri nel fosso dei Colli, di centinaia presso Campo all’Orzo, C. Bianca, M. Kondinaia, ecc. Per citare un esempio molto significante, nel M. Valimona sulla strada di Fibbiano questi strati presentano una notevole potenza, poco sopra nello stesso monte ad una distanza orizzontale di forse 300 metri si riducono a nulla, e i calcari con selce si sovrappongono successivamente sulle varie formazioni lias- siche. E inoltre degno di nota il fatto della diversa direzione che presen- tano in un medesimo luogo gli strati cretacei e i sottostanti liassici e in- fraliassici. Mentre ad esempio nel M. Prano i primi sono costantemente diretti da N. 0. aS. E. i secondi lo sono daN.E. aS. 0. e ciò avviene perchè le formazioni liassiche presentano una serie di ripiegamenti e di distor- sioni orizzontali e verticali cui non partecipano le formazioni sovrastanti. Questi fatti, ai quali se ne potrebbero aggiungere altrettanti, men- tre sarebbero insufficienti per dimostrare la discordanza quando si ve- rificassero separatamente in località notevolmente distanti fra loro, sono di un valore incontestabile nel caso nostro, ed attestano ad evidenza la emersione e conseguente denudazione dei terreni liassici e dei sotto- stanti prima della sedimentazione dei calcari con selce, cioè un fatto geologico che richiese per compiersi un lungo lasso di tempo. Stabilita la discordanza fra i terreni liassici e quelli immediata- mente sovrapposti, già riconosciuta del resto dal Suess/ dal De Stefani, ^ dal Zaccagna ^ e da altri, vediamo d’indagare le correlazioni stratigra- fiche fra la serie calcareo-diasprina e i terreni terziari immediatamente sovraincombenti. Se non era sempre facile determinare esattamente i rapporti di posizione fra gli strati cretacei e i sottostanti per mezzo della misura diretta dei loro angoli d’inclinazione al contatto, ben più difficile sa- lerò struttura caratteristica risulta dal fatto che ad essi stanno associati i soliti diaspri Mommio) e i banchi di calcare screziato (Cittadella) che non compariscono mai nel liiiS. almeno in questi dintorni. Oltre di che resterebbe un problema la mancanza in questa località dei calcari liassici inferiori ed infraliassici, qualora si dovessero rite- nere quei calcari con selce come liassici. Può ag’giuo^'ersi che quivi in modo speciale osservasi la concordanza e il passaggio graduale fra questi calcari e la serie nummu- litica sovrastante. ^ Srzss. — iJie EnUteìiung der Alpen. p. 117. De STEFA>'q 1. c., p. 133. * Zaccagna, 1. c. p., 144. — 349 — rebbe questa determinazione al passaggio fra essi e i terreni terziari, poiché mentre nel primo caso l’ osservazione era favorita ordinaria- mente dalla nudità del terreno e dalle profonde solcature che ne facilitavano lo studio, nel caso presente il terreno vegetativo, le colti- vazioni, la scarsità, di sezioni naturali e la natura stessa delle rocce formano altrettanti ostacoli per tali osservazioni. Le rocce che, almeno in quest’ area, trovansi a contatto col calcare con selce sono o schisti rossi galestrini associati ed alternanti con ban- chi calcarei nummulitiferi, o i calcarei nummulitiferi stessi, o diretta- mente le arenarie eoceniche. E fuori di dubbio che gli schisti e i cal- cari nummulitici sono strettamente collegati fra loro e colle arenarie, di maniera che possono mancare gli uni o gli altri ed anche ambedue, senza che manchi ])er ciò la continuità, almeno relativa, nei sedimenti. Troviamo infatti le nummuliti negli ultimi strati dell’ arenaria, per esempio nel fosso della foce presso Massa e per la via da Pescaglia a Pascoso presso la Madonna della Solca; troviamo, anche più di fre- quente, fra r arenaria e il calcare con selce soli banchi di calcare num- mulitifero senza schisti interposti, ad esempio presso Camaiore sotto il M. Piglione e . alla Eocella fra Pascoso e Palagnana, e non è raro il caso che al disotto delle arenarie non compariscano nè schisti, nè cal- care nummulitico, ma immediarnente il calcare con selce, come avviene presso Nocchi, ad Ovest di Gombitelli e altrove. In tal caso il piano nummulitico può esser rappresentato dagli ultimi strati dell’ arenaria 0 dai primi del calcare selcifero, tanto più che lo stesso calcare num- inulitico racchiude di frequente le selce (C. Gallena, Pescaglia, Fabbri- che ecc.) e non differisce dall’altro che per contenere quel genere di fo- raminifere; non vi è quindi ragione per ammettere una vera e propria discontinuità nella serie. In quei punti dove le accidentalità del terreno permettono di esa- minare con più accuratezza il passaggio fra i terreni eocenici ed i cre- tacei, come nel fosso di Semonti presso Camajore, osservasi la seguente serie discendente: 1) arenarie; 2) schisti grigi e calcare nummulitico (metri 12) ; 3) schisti argillosi verdi e rossi con sottili strati irregolari di cal- care grigio 0 verde (metri 20). 4) calcare grigio in grossi banchi imperfettamente stratificato al- ternante con sottili letti di schisto verde argilloso (metri 27) ; 5) calcare grigio come il precedente con nodoli e vene irregolari di selce. A questo fanno seguito con perfetta continuità gli strati del calcare — 350 — con selce di cui è intieramente formata tutta la costa occidentale del M. Frano. Gli schisti argillosi che accompagnano di solito il nummulitico sono ampiamente sviluppati nei dintorni di Pescaglia, fra la Turrite e Eio del Diavolo presso Fabbriche, sopra Fiano e a Gombitelli ; si osservano pure, sebbene in minor copia, presso^ Camaiore fra Misciana e Pieve; mancano o sono appena rappresentati fra Pieve e Gombitelli. In que- st’ultima località sulle strada che va a Nocchi, presso la chiesuola di S. Eocco, le arenarie si sovrappongono direttamente e senza apparente discordanza sul calcare con selce che presso il contatto è in strati sot- tili colle superficie spalmate di un argilla schistosa rossa o verde. Que- sti strati corrispondono evidentemente a quelli segnati coi numeri 3 e 4 della serie sovraesposta. Devesi notare eziandio che la selce trovasi quasi dappertutto negli strati nummulitiferi presso Pescaglia, a Gombitelli e nei dintorni di Camaiore, ed è un fenomeno frequentissimo in altre regioni, come nel M. Amiata, a Gerfalco, a Campiglia e altrove. Sembra adunque che calcare nummulitico, schisti argillosi rossi e verdi, talvolta con strati di calcare similmente colorato, calcari grigi con 0 senza selce con letti sottili argillosi rossi o verdi, sieno forma- zioni di passaggio fra l’arenaria e la grande serie calcareo-diasprina, formazioni che si sostituiscono fra loro, secondo che predomina l’ele- mento argilloso 0 quello calcareo. ^ In tutta l’area che abbiamo preso a descrivere non si osserva mai la sovrapposizione di queste formazioni a strati più antichi di quelli del calcare con selce cretaceo, di guisachè si possa essere autorizzati a riconoscere fra i terreni terziari e i secondari una marcata disconti- nuità nella sedimentazione e nel tempo, come si vide avvenire appunto fra i terreni cretacei e i Passici. Si potrebbe obiettare a questa asser- zione che si hanno calcari con selce e diaspri sotto il nummulitico a Mom- mio, a Cittadella e a Montramito, mentrechè presso Pedona, nelle stesse colline, il nummulitico e le arenarie sovraincombono direttamente alPinfra- ^ Rocce eoceniche più giovani delle arenarie incontransi soltanto a Montemagno in questi dintorni e constano di calcari argillosi schistosi o pietra coltellina^ calcari albe- resi, schisti galestrini e calcare psammitico somigliante alla pietra forte. Questa for- mazione calcareo argillosa si continua poi e predomina presso Luciano e in tutta la conca di Stiava nelle Colline di Viareggio. Secondo il De Stefani [Rassegna Settima- nale di politica., ecc., numeri 123 e 130. Roma, 1870), sarebbe cretacea, ma a que- sto suo modo di vedere si oppone recisamente la diretta soprapposizione di essa alle arenarie e quindi al nummulitico, sovrapposizione che può osservarsi dappertutto al contatto, ma con più chiarezza presso il vertice del M. Meto, nel fosso di Bargecchia, alla Margina presso Luciano, al Torrazzo, e nel fosso del Fondaccio' sotto Pieve a Elici. — 351 — lias e al trias, e lo troviamo parimente sul trias nella collina delJ’Ospe- dale presso Massa. Potrebbesi supporre adunque che la formazione cre- tacea sia stata quivi asportata per opera della denudazione, quindi un fenomeno che richiedeva un lungo periodo di tempo per compiersi, quindi una discontinuità cronologica. Ma osservando che ciò avviene in una gran parte del lato S.O. dell’anticlinale apuano dalla foce della valle di Caraaiore fin presso Carrara, può ragionevolmente supporsi che que- sta zona continua di territorio si trovasse nel periodo cretaceo in condi- zioni tali da non potervisi formare deposito di sorta, e questa opinione sarebbe convalidata dal fatto che i sedimenti cretacei, che mancano nella citata collina dell’Ospedale, incominciano a mostrarsi con uno spes- sore di pochi metri e chiaramente concordanti colle sovrapposte arenarie fra Massa e Carrara, ed acquistano sempre maggiore potenza col pro- gredire .verso il Nord. Ed anche la natura litologica della formazione cretacea del Carrarese molto diversa da quella cronologicamente corri- spondente del Cam aiorese, ^ concorre a dimostrare le differenti condi- condizioni orografiche e batimetriche in cui trovavansi in quell’epoca queste estreme zone dell’antica cupola ellissoidale apuana. Un altro argomento apparentemente contrario alla concordanza o continuità fra gli strati secondari e i terziari risulterebbe dal fatto che fra Pesca- glia e Pascoso lungo il contatto la formazione del calcare con selce trovasi considerevolmente assottigliata. Così mentre nel M. Prano e nel M. Pigliene presenta uno spessore di oltre 600'" lungo, quella zona di contatto riducesi a 300 metri ed anche a meno (V. fig. 5). Sarebbe forse il caso di ravvisare in ciò l’effetto di una denudazione ; però non sembra, poiché gli strati del calcare con selce che quivi compariscono sotto il nummulitico non sono i più antichi, cioè i calcari grigio-cupi, ma quelli chiari ceroidi più recenti, ed inoltre è qui dove meglio si osserva la loro concordanza coi terreni superiori. Presso la Eocella sótto il num- mulitico stanno calcari in strati sottili, di circa 2 cent, di spessore, fra i quali alcuni banchi di una brecciola e di un calcare grigio, screziato, con selce, senza nummuliti, che tosto convertesi in basso in un calcare biancastro ceroide, con rari noduli di selce, simile a quello del M. Pi- gliene. Andando verso Palagnana la serie è completa, e sotto il calcare bianco succedono i diaspri, quindi i calcari grigio-cupi che riposano sugli schisti a T osidonomija Bronni (Mezzana) o sull’infralias (M. Croce). An- dando invece verso Pascoso spariscono gradatamente i calcari grigio-cupi inferiori e i diaspri, e restano solo i calcari biancastri ceroidi e gli al- tri superiormente ricordati. * Zaccagna. 1* c. 23 — 352 — L’assottigliamento delle formazioni sedimentarie è, del resto, un fe- nomeno naturalissimo clie verificasi anche nei depositi attuali in vici- nanza delle spiagge, e che tal fenomeno sia avvenuto nel caso nostro appunto lungo una zona littoranea, mi sembra sufi&cientemente attestato dalla presenza dei banchi di puddinghe a foraminifere e a nummuliti. Ma lasciamo da parte gli apprezzamenti di fatti ai quali altri potranna forse dare interpretazione diversa. Ciò che vi ha di certo si è che in quei punti ove è possibile esaminare la zona di contatto fra i calcari num- mulitici e i calcari con selce, come ad esempio, presso il M. Croce, nel fosso Semonti presso Camaiore e alla Focella presso Pascoso, si osserva la più perfetta concordanza fra i loro strati e graduato passaggio. Ammessa adunque la discontinuità di tempo fra questa forrnaziorie, per ora paleontologicamente indeterminabile, e gli strati Lassici a Fosidonomya Bronni e la continuità relativa fra essa e gli strati num- inulitici dell’eocene inferiore, non potremo a meno di riferirla al periodo cretaceo : e se una porzione de’ suoi strati dovesse paleontologicamente ritenersi neocomiana ed altra titoniana, sarebbe pur sempre necessario ammettere che questo periodo geologico fu totalmente impiegato nella sedimentazione di calcari con selce e di diaspri. ^ Illustrazione delle sezioni. (V. la tavola annessa.) — Devesi pre- mettere che le qui unite figure illustrative piuttostochè sezioni ideali dedotte dalle misure stratigrafiche prese sul terreno, possono dirsi veri 0 propri spaccati naturali quali presentansi direttamente all’osservazione, in grazia della forma profondamente accidentata e della nudità del ter- reno in questa regione. ^ Dagli stadi del collega ingegnere Travaglia [La Sez. di Licodta-Euhea eco. Boll. lì. Comit. geol. d' Italia^ num. 5 e 6, 1880) risalta la massima analogia litologica fra questo e il terreno cretaceo della Sicilia in parte riccamente fossilifero. Calcar con selce son pure citati nel cretaceo dell’Appennino da vari autori, ed ultimamente dallo Scarabelli e dal Canavari. [Boll, del R. Comit. geol. d'Italia, n. 5 e 6.) Il cretaceo dell’Appennino anconitano, secondo lo Scarabelli, offre la seguente serie discendente continua coi sovrapposti terreni eocenici : 1) Calcare grigio o rossiccio con selce cbe l’A. sincronizza colla veneta' 2) Scbisti policromi [creta inedia secondo Zittel) ; 3) Calcare bianco con noduli di selce [neocomiano secondo Zittel) ; 4) Calcare gresiforme giallastro con letti di selce e fossili titoniani. Xel gruppo del Suavicino, secondo il Canavari, si ha la seguente serie pure di- scendente e continua coi terreni eocenici : 1 ) Calcare rosato e scaglia ; ' 2) Schisti a f uccidi j 3) Calcare rupestre bianco, simile alla maiolica lombarda con tracce di silice’ riferibile al neocomiano. 4) Calcari rossi e bianchi con fossili titoniani. — 353 — La scala è identica tanto per le orizzontali che per le verticali, per cui i profili, dedotti dalle mappe a curve orizzontali del nostro Isti- tuto topografico militare, rappresentano, ridotti ad - ^ , i veri prò- ^oOOU fili di quelle ingenti masse montuose. Gli angoli d’inclinazione degli strati nelle varie sezioni sono quelli stessi dati dalla misura diretta alla superficie o quelli ridotti allorché, come nella fig. 1, la sezione è obliqua alla linea di direzione degli strati ; possono quindi variare neH’interno, e ciascuno potrà interpretarne nel modo creduto migliore l’andamento sotterraneo, sempre subordina- tamente alle misure superficiali. Anche i punti di contatto fra le varie formazioni rocciose lungo la linea del profilo sono esattamente al loro posto. Sezione dal Fosso Lombricese sotto Gasoli al vertice del M. Vali- mona. — La sezione Fig. 1 passa per il vertice del M. Frano ad oriente di Camajore, ed allo scopo di accogliervi alcuni punti interessanti, come il Fosso Lombricese ove compariscono le rocce triassiche, la cima e la parete quasi a picco del M. Ciurlaglia e la cima del M. Valimona nel tratto a 6, risultò inclinata di 70° sulla direzione degli strati Lassici ed infraliassici e di 40’ su quella degli strati più giovani, non coinci- dendo, come fu accennato più sopra, la direzione delle due serie di strati. Quindi l’inclinazione degli strati cretacei nel tratto indicato ap- parisce leggerissima e fortemente discordante con quella degli strati Lassici e lo spessore degli strati stessi è apparentemente esagerato. GL strati più antichi compariscono nel Fosso Lombricese e sono costituiti da cipollini presso il contatto coU’infralias e da schisti are- nacei e ardesie nere al disotto. Il calcare infraliassico nella sua parte più bassa non è stratificato, ma si presenta coll’ aspetto ordinario del calcare cavernoso; più in alto nel M. Ciurlaglia diviene nero, stratifi- cato e fossilifero. L’infralias non può mai nettamente separarsi dal Las inferiore, poiché si passa da quello a questo per gradazioni insensibili. Notasi soltanto una qualche differenza nella tessitura del calcare, essendo quello infraliassico subcristallino e quello del Las inferiore ceroide. Anche il colore, ordinariamente grigio-cupo nel calcare infraliassico e grigio-cinereo nel Lassico, può in qualche modo aiutarne la distinzione. Sul crinale che riunisce il Ciurlaglia al M. Frano osservansi suc- cessivamente in serie ascendente tutti i piani Lassici, cioè l’accennato calcare grigio, che alla Spezia ed altrove é ammonitifero, il calcare rosso con Arietiti, pochi strati di calcare grigio chiaro con selce e gli schisti calcareo-argillosi con Posidonomya Bronni. Su questi riposa discordante la formazione calcareo-diasprina cretacea avente alla base una pila di strati di circa 100 metri di potenza, costituiti da calcare 354 — grigio-cupo con selce e calcare, pure grigio-cupo, screziato, sui quali fa seguito una massa di diaspri e ftaniti varicolori, quindi nuovamente calcari con selce, ceroidi, chiari, verdastri e rosei subito sopra i diaspri, grigi più in alto fino al vertice. Scendendo verso Lucese torna au affiorare tutta la serie liassica ed infraliassica ma rovesciata fino a Lucese mentre si ritrova in posizione normale risalendo il M. Yalimona ; con questo però che percorrendo il monte lungo la linea della sezione trovasi il calcare con selce cretaceo sul lias inferiore, mentrechè de- viando alquanto verso S.O. , sempre sulla pendice del monte, vedesi successivamente sotto di esso il calcare rosso, il grigio con selce liassico e gli strati a Posidonomya JBronni, Da questo fatto mi son creduto autorizzato a segnare neH’interno della sezione sotto il calcare cretaceo tutta la serie liassica. La disposizione degli strati Lassici e infraliassici presso Lucese indica chiaramente che trattasi di un anticlinale inclinato escavato in comba. Sezione dal M, Pedone alla cima del M. Bondinaja. — La Fig. 2 rappresenta una sezione quasi parallela alla precedente, presa più in basso nella valle del torrente Lucese, la quale riproduce le stesse con- dizioni stratigrafiche dei terreni Lassici e infraliassici. Questi ultimi però non vi compariscono che per una piccola parte, poiché le dimen- sioni della piega vanno riduceiidosi a misura che scendesi a valle, ed i calcari con selce Lassici vi si vedono estremamente assottigliati. La sezione è normale alla direzione di tutti gli strati nel tratto a ò, leggermente obliqua su quella degli strati Lassici ed assai più su quella dei cretacei nel tratto h c. Anche qui gli strati del calcare con selce cretaceo sono divisi in due serie da una massa diasprina amig- dalare che comparisce nella pendice N. 0. del M. Rondinaja, ma non si prolunga dall’altra parte del fosso nel Monte Pedone. Sulla costa S. E. del M. Rondinaja presso la strada che da Fibbiano va a Gombi- telL vedesi il calcare nummulitico, con pochi schisti rossi, sovrapposto con perfetta concordanza al calcare cretaceo. Le specie nummulitiche più frequenti sono, secondo le determinazioni del prof. Meneghini la N. Pamondi Dfr. e la N, striata D’Orb. Sezione attraverso il crinale che riunisce il M. Prano al M. Ma- tanna presso il Crocione. — La sezione Fig, 3 tàglia la curva sin- clinale degli strati Lassici accennata nella Fig. 1 fra il M. Ciurlaglia e la C. Bianca, in un punto più settentrionale prossimo al M. Matanna. 11 calcare con selce liassico vi è notevolmente sviluppato ed i calcari rossi e grigi, sebbene complessivamente presentino pochi metri di po- tenza, alternano più volte fra loro in modo irregolare alla stessa guisa — 355 ■— che nel M. Matanna. Dal lato N. E. presso la fornace da calce, poco sotto il calcare rosso ammonitifero possono raccogliersi schisti con bactrilli. Sezione sulla pendice N. 0, del M. Pi gliene. — Quivi pure, Fig. 4, è sviluppatissimo il calcare con selce liassico, separato da una zona di strati a Posidonomya Bronni da quello cretaceo. La cima del colle di Nampizzo e una parte del crinale per la lunghezza di circa un chilo- metro è formata dai diaspri, ma sovr’essi succedono nuovamente nel prolungamento della sezione calcari con selce biancastri ceroidi che formano tutta la porzione prismatica più elevata del M. Pigliene. I diaspri fanno poi un giro quasi completo intorno a questo monte pas- sando a mezza costa su’suoi versanti S. 0. e N. E. separando costante- mente una zona inferiore di calcari con selce grigio-cupi, da una su- periore di calcari pure con selce, ma chiari e talvolta rosei e verdastri. Sezione dal M. Pigliom a Pescaglia. — Nella sezione, Fig. 5, oltre ad un secondo anticlinale inclinato più orientale degli strati Lassici ed infraliassici, osservasi presso Sassorosso una ripetuta alternanza del calcare grigio-chiaro con selce col rosso pure con selce, ciò che conferma la loro intima associazione. Quivi presso, poco più in basso, vengono escavati nel- l’infralias grossi banchi di un bel calcare nero talvolta brecciforme o venato di giallo come il portoro, ^ talvolta cosperso di piccoli corpi bianchi, a sezioni rettangolari, frequenti nell’infralias, che sembrano residui di distaili di couzeranite. Ciò che vi ha in questo taglio di più rimarchevole si è V assotti- mento della formazione calcareo- diasprina cretacea e il modo con cui si effettua. Mentre nel M. Pigliene abbiamo le -due zone di calcare con selce separate dai diaspri, presso Pescaglia non comparisce che la parte superiore, cioè il calcare con selce chiaro, ceroide, cui sovrappo- nesi con passaggio graduato il calcare nummulitico esso pure selcifero. Sembra quindi che il deposito diasprino e quello della zona inferiore del calcare con selce si riducessero gradatamente a nulla all’epoca della loro sedimentazione, certamente per le condizioni batimetriche del mezzo in cui avveniva. Sezione attraverso il M. Croce dalValta valle della Versilia al Colle delle Baldorie. — La Fig. 6 rappresenta un taglio naturale, tal quale vedesi dalle alture di Palagnana, che dalla Foce di Colleone o del Forno Volasco, passando per il vertice del M. Croce, va al Colle delle ^ Il portoro, oltrecchè in questa località, viene scavato anche presso Carrara, a differenza di ciò che è riferito dal De Stefani nell’articolo del n. 123 della Rassegna Settimanale del 1880. — 356 — Baldorie. In un brevissimo tratto si passa qui dai terreni marmiferi triassici rappresentati da scbisti e cipollini alle arenarie eoceniche attraversando tutta la serie . ad eccezione delle formazioni liassiche Quindi il calcare con selce cretaceo, avente alla base pochi schisti cal- careo-argillosi che sembrano rappresentare i diaspri, riposa brusca:- mente sul calcare infraliassico fossilifero nero, mentre a poche centi- naia di passi più in basso verso Sud sovraincombe al calcare rosso ammonitifero, e poco più oltre, sulla destra della Turrite, agli strati a Fosidonomya Bronni. Sul calcare con selce fanno seguito schisti rossi e verdi e strati di calcari grigi spalmati alla superfìcie di argilla rossa 0 verde, quindi calcare nummulitifero ed arenaria eocenica. Livello del mare. — Scala 1 : 50,000. Finalmente nella annessa fìgura (Fig. 7) si rappresenta, ridotta ad 1/50,000, la curva seguita dagli strati liassici e più particolarmente dal calcare rosso, supposto tagliato da un piano verticale, cominciando dal suo affioramento più interno presso Campo all’Orzo fìno a Pescaglia. Da Campo all’Orzo a Porte si ha il sinclinale stesso attraversato più a Nord dalla sezione Fig. 3 e più a sud dalla sezione Fig. l,nel tratto dal M. Ciurlaglia alla C. Bianca. L’anticlinale alquanto ripiegato presso Porte è quello stesso, molto ridotto però nelle dimensioni, rappresentato nelle fìgure 1 e 2 e scavato in comba dal fosso Lucese. Fa seguito ad esso verso Est altro sinclinale da Porte a Sassorosso, che interessa anche gli strati cretacei del M. Pigliene, Fig. 5, quindi un nuovo anticlinale, inclinato dalla stessa parte del primo, che può osservarsi nella stessa Fig. 5 da Sassorosso al fosso Pescagliora. Il primo sinclinale, che svanisce più a Nord verso il M. Matanna, allargasi notevolmente verso Sud sotto Anno 1880 Tav — 357 il M. Frano, come è indicato dalla Fisj. 1. Anche l’anticlinale inclinato di Porte, che si perde presso le Capanne di Pascoso, slargasi verso Sud fino ad un certo punto situato presso a poco alla confluenza del fosso Carnpore colla Pedogna; al di là ristringesi di nuovo per ridursi a nulla presso Torcigliano nel fosso Lucese. Il secondo sinclinale mantiensi all’ incirca colle stesse dimensioni nell’area entro la quale può osservarsi. La sua falda orientale rovesciata perdesi verso Nord, presso P iscoso, sotto le rocce cretacee ed eoceniche, mentre a Sud cambia bruscamente direzione da N. 0. presso Sassorosso divenendo N. E. presso Villabuona per ripie- gare nuovamente verso N. 0. presso Pescaglia formando li secondo anti- clinale inclinato. Piuttostóchè due anticlinali a sezione trasversale costante si hanno adunque in questo campo due cupole ellissoidali alquanto irregolari col- 1’ asse maggiore diretto a N. N. 0., come quello della cupola principale apuana. Merita considerazione il fatto delle/orti contorsioni presentate dagli strati liassici e infraliassici, cui non parteciparono, o parteciparono in grado molto minore, le formazioni superiori e le inferiori, tanto più che esso trova riscontro non solo nell’altra estremità della ellissoide apuana, come apparisce chiaramente dalla sezione di Castelpoggio del Zaccagna, ^ ma anche in altri gruppi della Catena metallifera; nonché 1’ altro della direzione delle pieghe secondarie anticlinali parallela a quella della piega principale e del verso costante del loro ribaltamento, da cui si può aver luce sulle cause e sulla indole del sollevamento di questa regione. II. Su di alcuni fossili ter ziarii di Monte , Falcone Appennino nella provincia di Ascoli-Piceno. Contribuzione alla paleontologia marchigiana di Alessandro Mascarini. Monte Falcone Appennino s’eleva a metri 923 dal livello del mare, e a men di cento metri dal vertice di esso sorge l’ ameno e ridente paesello dello stesso nomo. Questo monte è superiormente costituito da enormi banchi di sabbia grossolane per lo più gialliccie e convertite per gradi in arenaria più o meno resistente e talvolta tanto forte negli Zaccagna, 1. c. — 358 — strati intermedi, da potere ottimamente servire per selciare le strade. Queste sabbie, certo incoerenti da prima per essere fondo di mare, si sono così cementate mediante l’azione di acque cariche di carbonato di calce. Infatti non è raro trovare nella roccia arenaria delle cavità e delle piccole vene tappezzate e riempite di limpidi cristalletti di calcite, e numerosi fossili a modello spatico. In questa superiore formazione l’andamento degli strati sempre orizzontali o pochissimo inclinati segue un generale parallellismo; ciò che appunto dimostra che durante il pe- riodo di tempo nel quale gli strati superiori di Monte Falcone si depo- iievano non avvennero spostamenti repentini o dislocazioni del suolo nella regione da essi occupata. La mancanza assoluta di coralli in questi banchi di arenaria e la prevalenza di molluschi acefali come Pettini, Ostree, Cardii ed Anemie in confronto dei Gasteropodi che vi sono assai scarsi, e finalmente l’abbondanza straordinaria dei Cirripedi sessili del genere Balanus, mi fa ritenere esser questa una formazione eminen- temente littorale. Al disotto di questa formazione vi ha un altro deposito, pure ab- bondantemente fossilifero, il quale, sia per la stratigrafia, sia per la posi- zione, sia per la fauna, sia finalmente per altri caratteri, distinguasi benissimo dalla prima. E di vero formano alternativamente questo de- posito due roccie: l’una silicea, assai dura, a grani finissimi, a tessitura compatta e tenace, a strati assai esili che in alcuni casi, quantunque di diversa origine, presenta non lontana rassomiglianza colla vera quar- zite grigia di altre località e che, come essa, tramanda scintille se è percossa dall’acciarino. Spesso è zeppa di piccolissimi molluschi acefali che non sono stati ancora determinati e vi domina il Pecten flahelli- formis del Brocchi. L’altra roccia che alterna colla suddescritta è una sabbia più grossolana, con associazione prevalente di argilla marnosa da farla passare in alcuni casi alle vere marne. Osservando in posto quest’ultima roccia sembra anch’essa avere una certa tal quale tenacità e durezza, ma esposta agli agenti atmosferici facilmente si sgretola, la- sciando liberi i fossili che contiene. Entrambe poi rivelano strati discor- danti e sconvolti, effetto non dubbio di repentini e violenti sollevamenti. Questi strati sono di colore grigio più o meno chiaro, ma sempre ten- dente all’ azzurrino. Finalmente anche la piccola fauna raccoltavi si mostra un po’diversa dà quella del deposito superiore, poiché unitamente ai molluschi aeefali vi si rinvengono non infrequenti i Gasteropodi, non che denti di squali e qualche echinoderma, il che accenna a deposito di mare più profondo. Al disotto di entrambe queste formazioni in vari punti situati assai più in basso ho potuto rilevare un’arenaria, a lastre di vario spessore, alternante col gesso, nella quale, ad eccezione di varie 359 — impronte di foglie mal determinabili, ^ non ho mai rinvenuto altri fossili. Sommamente difficile si è certo lo stabilire con qualche precisione a quale dei due periodi terziari, miocene cioè e pliocene, appartengano gli strati fossiliferi di M. Falcone Appennino, dimodoché sono ancora in dubbio su questa importante quistione. E tanto più inquantochè diversi scienziati ai quali ho comunicati vari fossili di detta località mi hanno manifestato in proposito pareri diversi. Ciò non pertanto per la stra- tigrafia, per la posizione topografica, per l’altezza superiore ai 500 metri dal livello del mare, per le condizioni e natura litologica della roccia, e finalmente per alcuni fossili che, vivendo ora in regioni tropicali, ci provano un clima più caldo dell’attuale, opino che il deposito superiore di M, Falcone Appennino appartenga 2^. pliocene inferiore o piano Zan- cleano del Seguenza, mentre l’ inferiore, specialmente per la presenza del Carcìiarodon megalodon, dello Schwaster Scillae e di altre specie mioceniche, potrebbe riferirsi con qualche probabilità al miocene supe- riore, ma ad un piano più recente del Tortoniano e forse equivalente del Messiniano del Mayer. In ogni modo ho intendimento di fare più minuziose ricerche a M. Falcone Appennino, di raccogliervi altri fossili meglio conservati e determinabili di quelli che ora esistono nella mia collezione, di studiarne meglio la stratigrafia e spero in tal modo di riuscire a determinare a quale periodo ed a quale piano deU’èra ceno- zoica le suddette formazioni appartengano. I fossili sono abbondantis- simi in questi terreni, ma disgraziatamente alcuni di essi sono assai mal conservati e di qualche specie ci rimane il solo modello interno spesso per giunta convertito in spato calcare. Ecco intanto l’elenco di quelli da me raccolti e determinati. (1) Di \vri arenaria delle falde del monte dell’Ascensione, clie ritengo identica alla sunnotata, il mio egregio amico M, Canavari lia potuto determinare le seguenti specie di piante che si consertano nella mia collezione: Populm mutahilis, Heer. Carpinus oeningensis, Ung. Quercus 7nyrtilloides, Ung. Quercm chhrophyìln ^ Ung. Potamogeton Pruckmanni, A. Br. Andromeda vaccinifolia, Ung. — 360 — PESCI. Formazio- ne iiif. 1 Carcliarodon megalodon, Agassiz * 2 Carcharodon latissimus, Costa * 3 . Oxyrbina Agassizi, Lawley * 4 Oxvrhina xipbodon, Agassiz * 5 Lamna cuspidata, Agassiz * Di tutte queste cinque specie di pesci solo nel deposito inferiore di M. Falcone Appennino si sono rinvenuti denti conservatissimi che in parte sono stati da me determinati col numeroso materiale di confronto esistente nel Museo di Geologia della E. Università di Napoli, in parte dal dottor Mario Canavari. E qui si noti che uno stupendo esemplare di Carcliarodon latissimus misura un’altezza di 75 mm. mentre la lar- ghezza della base è di mm. 79. CIRIlIPEDr. Questi animali destano la meraviglia di chi visita gli strati di M. Falcone Appennino, sia per la straordinaria copia che di un genere di essi ivi si rinviene, sia per la loro particolare conservazione. Il genere Baìaniis è il solo che sinora ci abbia mostrato i suoi rappresentanti nei terreni di cui ci occupiamo, rappresentanti che per lo più si rin- vengono fissi ai molluschi gasteropodi ed acefali, ai ciottoli, agli scogli e qualche volta anche ad individui del loro medesimo genere. Difficile al sommo è la determinazione della specie in siffatto genere d’animali, allorché per essere rimasti a lungo sepolti sotto le viscere della terra o abbiano perduti gli opercoli, o siasi la conchiglia riempita di roccia tenace ed impossibile ad estrarsi, come precisamente avviene per gli esemplari di M. Falcone che del resto sono mirabilmente conservati. A ciò aggiungasi la variabilità della forma che in tutto il genere Balanus, ove più ove meno, si modifica sempre dai corpi ove gli individui sono aderenti. Ciò nullameno per la ingente quantità degli esemplari raccolti in parecchi anni e per il numero non meno grande degli individui spez- zati a colpi di martello onde rintracciarne gli opercoli, per i numerosi confronti stabiliti e finalmente per l’esame che ne hanno fatto e i con- sigli che mi hanno dato e l’egregio amico conchiologo dottor N. Tiberi — 361 — e l’illustre paleontologo G. Seguenza, si può quasi con certezza stabilire che i Balanus raccolti a M. Falcone Appennino appartengono alle se- guenti specie e varietà: Formazione snperiore Formazione inferiore 6 llalaniis concavus, Broun # — 7 Balanus concavus Bronn. var. oblonga — n. for * — 8 Balanus Canavarii, Mascarini — Sp. n. . . . . — ♦ 9 Balanus tulipiformis ? Ellis — 10 Balanus spongicola, Brown’s — * 11 Balanus spongicola, Brnwn’s var, pliocenica, Seguenza .... * — 12 Balanus scutorum Seguenza * — 13 Balanus balanorum, Mascarini — Sp: n. . . . — 11 Balanus concavus^ dì cui il Darwin dà la diagnosi e la figura nel- r opera A Monograph on thè sub-class cirripedia, pag. 235, tav. 4% fig. 4M*, da quasi tutti gli scrittori di paleontologia italiana è stato con- fuso col B. tintinnabulum di Linneo; cosi il Brocchi, il Sismonda, il Costa, il Calcara ed altri anche nei nostri giorni. A questo proposito però il Seguenza, che è l’unico in Italia che abbia fatto uno studio tanto accurato e minuzioso sui Cirripedi, dice che fra tutti i Balani di molti luoghi d’Italia da lui visitati, non ha potuto riconoscere della specie di Linneo un solo individuo. Oltre ciò si osservi che il Brocchi a pag. 421, voi. 2°, della Conchiologia fossile subappennina dice che gli opercoli della specie linneana sono graticolati nella superficie mediante Vincro- ciamento di strie elevate trasversali con altre longitudinali ; ca- rattere distingue invece il Balanus concavus. Questa specie molto co- mune allo stato vivente ed allo stato fossile, è notevole per la sua grande variabilità sia nelle. dimensioni, sia nella forma, ma è be n distinta per i caratteri delle valve opercolari. Abita attualmente nei mari del Perù e della California e nell’Arcipelago Filippino, e si rinviene fossile in molti luoghi d’Italia. E la specie più ovvia nell’arenaria superiore di M. Falcone Appennino dove se ne rinvengono esemplari stupendi e tanto grandi da potersi quasi chiamare Balani giganxì. La varietà distinta col nome di oblonga differt a typo testa semper atgue valde oblonga ; forse potrebbe riferirsi al B. cylindraceus var. c. — 362 — del Lamarck, ma rientrando questo nome fra i sinonimi del B. concavus del Broun, ho creduto di distinguerla coll’ epiteto di oblonga, essendo sempre di forma assai allungata e cilindrica e rinvenendosi per lo più in gruppi di molti e grandi individui. La specie notata al N. 8 è stata ritenuta dagli egregi signori Tiberi e Seguenza quale specie distinta dalle altre sinora descritte e pubbli- cate, 0 perciò nel darne in questa memoria una succinta descrizione mi piace appellarla col nome del mio amico M. Canavari. Eccone intanto la diagnosi : Balanus Canavaeii, Mascarini: Balanus, testa regolari conica, lon- gitudinaliter afcjue tenuiter costata, parictihus et basi scd non radiis poris pcrforatis, orificio plerumgue parvo atque dentato, sento..., Btani. basis 35-20; rimae- 18-9 ; alt. 31-10 mm. Il Balanus Canavarii ha la conchiglia regolare conica, a coste lon- gitudinali leggermente rilevate, colle pareti e la base, ma non i radii, perforate, coH’apertura il più delle volte piccola e dentata, collo scudo.... e qui mi conviene di arrestarmi non potendo notare i caratteri che con- tradistinguono gli opercoli, ossia gli scudi ed i terghi, poiché per quante ricerche abbia fatto non mi è riuscito di rintracciarne alcuno negli in- dividui raccolti a M. Falcone Appennino che sono riempiti di durissima roccia. Aggiungerò solo essere una bellissima specie che per la sua re- golarità e per le forti strie delle pareti anche a colpo d’occhio si distingue dalle molte forme del B. concavus col quale presenta una lontana ras- somiglianza, specialmente se si considera la grandezza. Oltre ciò, il Balanus Canavarii si presenta sempre in individui isolati, al contrario del B. concavus che di preferenza si trova in gruppi di più o meno individui. Finalmente è da osservare che la specie descritta si rinviene sempre negli strati inferiori di M. Falcone Appennino, mentre il B. con- cavus è la specie più abbondante degli strati superiori. Il diametro della base in questo Balano varia da 35 a 20 mm. ; quello dell’apertura ^ da 18 a 9 e l’altezza da 34 a 10 mm. ; e ciò mostra come anche questa specie sia variabilissima in grandezza. Biferisco dubitativamente al Balanus tulipiformis, Ellis {Philosoph. Transactions, voi. 50, tav. 30, fig. 10, 1758) la specie notata al N. 9 della presente memoria, perchè, mentre da un lato la forma e gli altri caratteri esterni degli esemplari raccolti in M. Falcone Appennino, com- binando perfettamente con quelli dell’ autore che posseggo anche allo stato vivente, mi consigliano la fatta determinazione, dall’ altro il non poter ravvisare nei medesimi esemplari ÌSi perforazione dei radii, carat- tere salientissimo della specie in discorso, mi fa essere un po’dubbioso su tale quistioue. — 363 — Non molto comune a M. Falcone Appennino è il Baìanus spongi- coìa, Brown’s {lllustrations of thè conchology of Great Britain, tav. 7, fig, 6, 1827)] tuttavia tanto della specie tipica, quanto de\\‘d var. plio- cenica del Seguenza, ma forse più di questa che di quella, si raccolgono ivi esemplari di mirabile conservazione che figurano nella mia raccolta, sia in individui isolati, sia in individui attaccati alle seguenti specie di molluschi : Ostrea lamellosa, Brocchi; Pecten opercularis, Linneo; Pecten dubius. Brocchi; Natica rnillepunctata, Lamarck; Turritella tornata. Broc- chi; Nassa serrata. Brocchi. Del Baìanus scutorum, Seguenza {Ricerche paleontologiche intorno ai Cirri pedi ter ziarii della provincia di Messina, tav. 1, f%g. 5-8) non ]\o sinora rinvenuto che un solo esemplare su di uno scudo del B. eon- cavus, e perciò mi dispenso dal parlarne più a lungo e rimando i let- tori alla citata classica opera del geologo messinese. Finalmente il N. 13 appartiene ad una nuova specie trovata egual- mente a M. Falcone e che, sia per il suo piccolo volume, sia per altri caratteri, mi sembrò diversa dalle altre descritta. La appellai Balanus halnnorum, perchè attaccato sulle pareti e la base di un Balanus con- cavus Bronn ed eccone la succinta descrizione: Balanus, testa minima, conica, parutiìms laevibiis, radiis semper angustis, scuto.... Diam. hasis 3, rimae 1, alt. 1 112 mm. Neppur di questa specie che ha la conchiglia piccolissima e conica, le pareti leggiere e i radii sempre ristretti, posso aggiungere i carat- teri degli opercoli e per la sua stessa piccolezza e per essere sempre riempita di dura roccia. Su di un solo individuo del Balanus concavws ve ne sono quarantotto della specie in discorso. MOLLUSCHI. Molti sono i molluschi che si rinvengono a M. Falcone Appennino ; noterò pertanto i principali contradistinguendo colla lettera m le specie ridotte a semplici modelli. Classe Gastekopoda, Cuvier Formazione superiore Formazione inferiore 14 Murex sp. m — *{\) 15 Fusus sp. m — * (1) L’asterisco indica in quale delle due formazioni la specie sia stata raccolta. 364 — — — — ■ — Classe Gasteropoda, Cuvier Formazione sup^riore Formh/.ioue inferiore 16 Nassa serrata, Brocchi — m 17 Nassa prismatica, Brocchi — 18 Cassis sahuron, Lamarck 19 Cassidaria echinophora, Linneo * __ 20 Ficula sp. m * 21 Natica sp. m - ♦ 22 Natica Josephina, Risso #• 23 Natica Bilwynii, Payraiideau — * 24 Natica olla, M. de Serres — 25 Natica millepiinctata, Lamarck * * 26 Scalaria teniiicostata, Michaud * 27 Solarium vorticosum ? Brocchi m * — 28 Cypraea sp. aS. alla Q.pyrum, Gmelin. m — * 29 Turritella striatissima, Doderlein * 30 Turritella tornata. Brocchi * * 31 Chenopus pespelecani, Linneo * — 32 Vermetus arenari us, Linneo * 33 Trochus sp. w . * 34 Stomatella imbricata? Lamarck . . . — # 35 Dentalium sp. m — ♦ Dai suddetti G-asteropodi le specie che meritano particolar menzione, sia per la copia stragrande degli esemplari, sia per la buona conserva- zione degli individui, qua,ntunque sempre riempiti o di roccia arenaria 0 di spato calcare, sono: Nassa serrata, Natica Josephina, N. mille- piinctata, Turritella tornata, Vermetus arenarius. Gli esemplari più grandi della Turritella tornata misurano una lunghezza di 100 mm. ed un diametro maggiore di 25 mm. — 365 Classe Acephala, Cuvier Foniiaziouo superiore Formazione inferiore 36 Gastrochaena dubia, Peunant ~ - 37 Panopaea glycimeris, Born, m — 38 » » var. Faujasi, Ménard, m — * 39 C orbala gibba, Olivi - — 40 Mactra triangula, Renieri m # * 41 Lutraria elliptica? Lamarck m . • — 42 Donax semistriata, Poli - * 43 Venas islandicoides, Lamarck « * 44 Tapes votala, Basterot . . . . •. * 45 Dosiaia exoleta, Lioneo — 46 Bosinia lapinas. Poli — * 47 Lacina borealis, Linneo ’ . . . — * 48 Cardi a m sp. m * - 49 Cardiam acaleatam, Linneo, m * — 50 Cardinm bians, Broccbì, m * — 51 Isocardia cor, Linneo, m * - 52 Mytilns ednlis, Linneo * — 53 Modiola adriatica, Lamarck * — 54 Pinna Brocchi, D’Orb * — 55 Arca sp. m * — 56 Arca snbantiqnata, B’Orb. m * — 57 Pectancalns insabricns. Brocchi * — 58 Pecten opercnlaris, Linneo — 59 Pecten varins, Linneo . * — 60 Pecten dnbius. Brocchi — * 61 Pecten maxiraas, Linneo * — 62 Pecten Jacobaeas, Linneo * — 63 Pecten flabelliformis, Brocchi * — 366 — Classe Acephala, Cuvier Foniiaziono superiore Formazione inferiore 64 Pecten cristatus, Brocchi * — 65 Pecten pjxidatiis, Brocchi — * 66 Lima hians, Gmeliu , . . — * 67 Anomia ephippium, Linneo * — 68 A.nomia caepa, Linneo * — 69 Ostrea sp * — 70 Ostrea lamellosa, Brocchi * — 71 Ostrea lamellos^, Brocchi var — * 72 Ostrea plicatula, Gmeliu * — 73 Ostrea cyathula, Lamarck — * 74 Hinnites crispus, Brocchi * — Assai ben conservate sono le otto specie di Pecten, così pure la bel- lissima Lima liians, le Anomie e le Ostree. Delle specie modellate poi alcune sono così caratteristiche da potersi esattamente determinare. Con quali specie infatti si potrebbero per avventura confondere il Carditim hians, V Isocardia cor e la Panopaea glycimeris? Finalmente ripetiamo qui che negli strati di M. Falcone Appennino e più specialmente nei superiori l’abbondanza degli acefali è tanta da formar essi un vero im- pasto di conchiglie e di loro modelli, impasto che di consueto viene adoperato come materiale di costruzione. Classe Beachiopoda, {Lhioyd) Davids 75 I Terebràtula ampiilla, Brocchi (Formazione inferiore). Di brachiopodi a M. Falcone non ho trovato sinora che un solo rap- presentante ed è la specie surriferita. Forse in seguito sarò fortunato di rinvenirne delle altre. ECHINODERMI. 76 ^ Psammechinus miliaris, Agassiz 77 j Psammechinus monilis, Desor 78 Schizaster Scillae, Agassiz — 367 — Finalmente ho rinvenuto eziandio a M. Falcone Appennino fram- menti di Asterias sp. e di Scytaster sp., che quantunque indetermina- bili, pure ci mostrano come l’ordine degli asteridi sia ivi rappresentato. E qui prima di dar termine al presente lavoro debbo pubblicamente attestare i sentimenti della mia gratitudine agli illustri scrittori di paleontologia e conchiologia prof. Giuseppe Seguenza e dottor Nicola Tiberi, i quali non solo tanto gentilmente mi hanno determinate varie specie a me dubbie, ma ancora hanno avuto la cortesia di aiutarmi coi loro valevoli consigli e giudizi. Debbo pure ringraziare gii amici di M. Falcone signor Conte G. Felici, egregio sindaco di quel municipio e signor D. P. Domizi, i quali in più incontri mi sono stati di guida nelle mie escursioni e mi hanno spedito fossili da loro stessi raccolti. Ascoli-Piceno, 15 agosto 1880. 111. La Montagnola Senese, studio geologico di Cablo de Stefani. Continuazione e fine. — Vedi Bollettino 1880, n. 5 e 6. X. — Storia orografica. Uno degli scopi ai quali deve essere diretta la geologia è quello di ricostruire la forma della terra nelle epoche passate e di studiare le forze varie le quali hanno prodotto la disposizione dei piani e dei monti. Non v na chi non veda che per far ciò occorrono degli studi molto lunghi, molto precisi, e diretti anche con metodi speciali: non deve fare meraviglia per questo che pochi sieno quelli che se ne occupano, e po- chissimi quelli che ne prendano cura quando altri ne discorre. Un’ altra conseguenza la quale deriva da queste premesse, si è che fino ad oggi, per la grande imperfezione di cotali studi, non si possono dedurre leggi gene- rali sulla formazione delle giogaie montuose, bastando dire che le teoriche stabilite ed accettate da taluni sono più o meno fallaci e manchevoli. Per dire qualche cosa che forse può giovare alla storia dell’ origine dei monti, espcri ò, da questo punto di vista, alcune cose che riguardano la Monta- gnola. Kicorderò adunque che ivi sopra le rocce triassiche manca Fin- fralias e succede il lias inferiore; dalla parte superiore di questo si fa un salto fino ad un terreno forse titoniano, però senza che negli intervalli SI abbiano tracce di forti sollevamenti montuosi e di evidenti discordanze di stratificazione. Dal titoniano si fa un altro salto all’ eocene superiore il quale sta a contatto colle rocce più antiche per modo da mostrare che 24 — 368 — esse erano già prima sollevate presso a poco nel modo in cui sono ora. Finalmente daU’eocene superiore si passa alla zona più recente del miocene superiore ed al pliocene che stanno orizzontali intorno alla ]\Iontagnola. Dopo il pliocene essendo tutto il paese soggetto ad un sol- levamento regionale, si formarono per la prima volta i depositi, che dirò continentali, dei travertini, delle ghiaie alluvionali, delle brecce, e della terra rossa. Si può dire intanto che il primo sollevamento il quale formò della Montagnola una giogaia distinta, per quanto forse subacquea, deve essere molto antico. Infatti i terreni eocenici, miocenici e pliocenici le stanno intorno e sopra con straordinaria discordanza. Quanto aH’eocene supe- riore, è cosa molto importante a notarsi che i terreni di quest’ epoca ricoprono con grandissima irregolarità, e senza legge costante, come già dissi altre volte, non solo le rocce antiche della Montagnola, ma quelle di tutta la Catena metallifera, e ciò mostra, ripeto, la grande anterio- rità di questa, come pure la sommersione totale, almeno di una gran- dissima parte di essa, e fra gli altri suoi lembi la Montagnola, durante l'epoca dell’eocene superiore. Nella Montagnola, non si trova l’eocene superiore sulle vette in lembi ora continui, ora isolati dalla denuda- dazione, come ne’ monti del Cornocchio ed altrove; ma non manca la prova che dessa pure dovea essere sommersa, e questa è data dall’ al- tezza alla quale giungono i calcari alberesi di Lornano. Questi pendono a ridosso della Montagnola per modo che se oggi sono interrotti dalla denudazione, un tempo però dovevano ricoprirla assai di più. Le rocce dell’ eocene superiore si trovano lungo tutte le pendici occidentali, ed in parte sopra le pendici a N. E. : a mezzogiorno del fianco occiden- tale e più a settentrione stanno sopra il Lias inferiore : ma per solito nascondono il calcare cavernoso. Nel fianco N. 0., dove gli schisti di Gallona, Pieve a Scola e Pietralata rimangono scoperti per lungo tratto, si ha bellissimo esempio di discordanza, che del resto trova perfetto riscontro in altri luoghi della Catena metallifera. Ivi, come notai, gli strati dell’ alberese ed i banchi delle serpentine sono perpendicolari a quegli schisti; infatti i primi pendono presso a poco a N. E., i secondi a S. 0. La sovrapposizione diretta, che è nascosta quasi sempre dai ter- reni pliocenici, si può vedere benissimo intorno a Bellaria. Alcuni geo- logi i quali suppongono che la terra ed i monti si sieno formati il giorno avanti a quello nel quale scrivono, spiegherebbero senza dubbio quei casi, i quali hanno la loro spiegazione nelle storie orografiche passate, colla supposizione di faglie e d’altri simili accidenti. Il miocene superiore sta presso la Montagnola, nel fiancò N. E. Il pliocene la circonda tutto intorno in strati orizzontali. Dopo che tutta la piccola giogaia fu sommersa durante 1’ eocene superiore, un solleva- mento operò ancora sulla medesima,-, e, sebbene non si possa dir nulla della sua storia durante il miocene inferiore e medio, sembra che nel miocene superiore e nel pliocene, la facesse, benché d’assai poco, innal- zare sopra le onde. Dopo il pliocene tutta la regione si innalzò, ed il sollevamento regionale, innalzò anche la Montagnola questa insieme con tutti i lembi di rocce antiche e recenti del paese per largo tratto cir- costante. A riassumere anche meglio la disposizione delle rocce antiche della Montagnola, dirò che gli strati del trias sono completi ed interamente coperti da rocce più recenti ; nel fianco occidentale per grande tratto la denudazione ha messo allo scoperto gli strati liassici portando via il titoniano, in gran parte, almeno durante il pliocene. Nei fianchi setten- trionale ed orientale il titoniano circonda in generale la Montagnola. Quanto al modo per il quale avvenne il sollevamento montuoso più antico, è già buon argomento di studio lo spaccato lungo la Rosia (fig. 2) di cui ho parlato man mano nel descrivere le rocce, e che qui riepilogo, esponendo anche brevemente in quali punti esso differisca dalle figure che ne diedero i geologi Capellini, Pantanelli e Lotti. Partendoci da occidente dai piccoli poggi di Cotorniano formati da una o più piega- ture di schisti triassici, troviamo una estesa valletta il cui fondo è co- stituito da strati di alberese eocenico in origine forse orizzontali e poco l'ilevati addosso alle antiche rocce circostanti, i quali però, forse per- 'chè pigiati tra le rocce antiche di Cotorniano e quelle della Monta- gnola, sono replicatamente e fortemente storti e piegati. Sopra P al- berese, sempre nel fondo della valle, sta il pliocene in strati oriz- zontali e colla regolarità originaria, anche nel poggio di Montarrenti. Cominciano là le piegature della Montagnola le quali sono 7, non molto ardite, ed alternate, coin’è naturale, da 6 piccoli sinclinali. Nella prima piega comparisce soltanto il marmo bianco appartenente al piano A del lias inferiore, coperto ad occidente da strati appartenenti anche al Piano B; nella piega sinclinale che succede è posato il calcare caver- noso titoniano. Le altre 6 pieghe sono formate dagli schisti triassici, salvo che nella conca sinclinale fra la terza e la quarta piega appari- scono di nuovo i marmi suddetti, come fra la quinta e la sesta, pure nel sinclinale, si trovano alcuni altri strati calcarei liassici insieme al calcare titoniano, il quale poi regolarmente sovrapposto alla sesta piega termina lo spaccato verso la pianura. Nel disegno che ho fatto ho cer- cato attenermi al vero più che ho potuto; quindi non occorrerà aggiun- gere che nessuna di quelle piegature sinclinali può essere detta molto più ragguardevole delle altre e che non è nel loro ordine alcuna certa legge. — 370 — Il Capellini nel suo taglio suppone 1’ esistenza di una sola piega anticlinale invece delle 7, pone i m irmi del lato d’occidente, dove hanno forma d’anticlinale, in un sinclinale, e coerentemente a questa idea con- sidera come sottostante ai marmi il calcare ceruleo titonico che si trova a metà della vai di Eosia e che sta in un sinclinale sopra i marmi, ponendo pure allo stesso livello e considerando inferiore ai marmi il conglomerato pliocenico del calcare ceruleo di Montarrenti scambiato per roccia antica in posto. Pantanelli e Lotti distinguono due anticlinali negli schisti più an- tichi, ed in mezzo a questi pongono il marmo bianco che si trova in- torno al Ponte di Santa Lucia, senza però averne conosciuta la posizione stratigrafìca adagiata in un sinclinale fra la terza e la quarta delle pieghe da me descritte. Il marmo della porzione più occidentale non viene considerato come formante un anticlinale ma viene posto come regolarmente sovrastante agli schisti antichi. Il calcare ceruleo cupo che si trova lì a mezzo della valle non è indicato, e la roccia di Montar- renti è ritenuta solo in parte pliocenica, mentre in parte viene ancora attribuita al calcare cavernoso che ho considerato come titonico. Per l’estremo orientale verso il paese di Kosia, tanto il taglio del Capellini quanto quello di Pantanelli e Lotti presentano giustamente gli schisti antichi sotto al calcare cavernoso. Di queste piegature che si palesano per buona ventura a cagione del profondo alveo della Kosia non si vedono tracce ben manifeste nel restante della Montagnola, la qual cosa non può affatto escludere che esistano. Anco seguitando il pendio esterno nell’alto, sopra la Valle della Kosia, non si sospetterebbe il numero delle piegature più interne, giac- ché la superficie è coperta uniformemente, verso oriente dal calcare cavernoso, verso occidente dalle rocce liassiche, ed apparisce come un anticlinale semplice ed unico. Nondimeno per molti indizii si può ra- gionevolmente ritenere che di tali pieghe interne, le quali poi verso la superficie si vanno semplificando, ne esistano anche nelle altre parti della piccola giogaia. Questo parrebbe dalle piegature degli schisti Lassici assai estesi nella valletta del Botro di Mezzo, dalla profondità cui giungono gli strati del calcare titoniano, anche nelle valli e in rispon- denza al vertice del monte fra Simignano e Balli, quasi che ivi rispon- dessero ai sinclinale che pur si manifesta nella Valle della Kosia, e final- mente dalla presenza degli schisti triassici a Personata in uno dei lembi più esterni della Montagnola. Ad ogni modo, se noi esaminiamo soltanto i profili più esterni della Montagnola, dove gli strati sono meglio di- stinti, vediamo che questa almeno superficialmente forma un anticlinale unico. — 371 Nella Descrizione orografica, Capo II, della Geologia del Monte Tisano affermai che per solito la direzione geografica di una giogaia non è d’accordo coll’asse orografico ma gli sta sempre più o meno obli- qua, principalmente per effetto delle denudazioni che spogliarono i monti dopo il loro sollevamento. Però nella Montagnola si verifica il fatto de- gno di nota che la direzione geografica combina colla direzione degli strati e coll’asse orografico. Questa direzione, come risulta anche dalle pendenze degli strati che via via ho citato, è da S. a N. ; soltanto nel- Testremità meridionale v’è qualche incertezza, tendendo essa qualche volta da N.N.O., a S.S.E., ciò che del resto apparisce pure alquanto nella direzione generale dei poggi da Simignano alla Rosia. Non lascerò di notare che appunto in questa direzione da Simignano in poi verso S., a ponente della Montagnola si estendono i poggi della Selva e di Go- torniano diretti all’ incirca da N.N.O. a S.S.E. ; e potrebbe darsi che questi avessero avuto qualche azione nel determinare il modo del sol- levamento dell’estremo più meridionale della prossima Montagnola. La pochezza della forza sollevatrice ha fatto sì che la piccola gio- gaia sia ben poco alta sulle colline circostanti e sul livello del mare, e che le rocce più antiche, cioè gli schisti triassici, non compariscano nei vertici ma solo in fondo alle vallate più profonde ; per quella ragione altresì, gli strati non sono mai rovesciati nè raddrizzati, e, specialmente quelli più interni e più antichi hanno inclinazioni non forti, e mai tali come s’incontrano in altri lembi assai più elevati e più estesi della Ca- tena metallifera. Potrebbe ora dirsi qualche cosa dei rapporti fra la Montagnola Senese e il Chianti; a prima vista, e quando non si badasse alle rela- lazioni stratigrafiche ed orografiche troppo evidenti, parrebbe che gli alberesi e le serpentine di Rencine e Lornano, invece di connettersi colia Montagnola formata quasi interamente di rocce antiche, si connettessero col Chianti, che appunto in massima parte è costituito da alberesi e da altre rocce eoceniche. Del resto in quella direzione di Rencine e di Lor- nano la Montagnola è distante pochi chilometri dal Chianti; ma questa distanza si va facendo sempre più grande, giacché la prima si dirige a S. ed il secondo va prima a S.E., e poi ad E., rimanendo fra una gio- gaia e l’altra i terreni pliocenici quasi orizzontali. Del resto non saprei trovare rapporti orografici fra la Montagnola che fa parte della Catena metallifera ed è un sollevamento antico, ed il Chianti che fa parte del- l’Apennino e cominciò ad esistere solo in epoca più recente. Anche in molti altri casi, per solito, non ho trovato stretti rapporti fra i lembi singoli ed isolati della Catena metallifera antica, e di lembi dell’Appen- nino recente, ed i sollevamenti che formarono l’Appenhino, solo in modo — 372 — molto secondario e quasi per un effetto regionale operavano sulla (7a- tena metallifera preesistente. Questo è un fatto abbastanza chiaro per chi studii attentamente la geologia toscana, onde io dedussi una certa passività delle giogaie più antiche appetto ai recenti sollevamenti che produssero l’Appennino. Eimarrebbero a dire due parole sul modo per cui potè formarsi la spaccatura della Vaile della Rosia, non tanto per la cosa in sè, quanto per la supposizione possibile da parte di qualche geologo che la valle sia stata prodotta da una falda (faglia) e da movimenti improvvisi. Le scuole antiche, prima che la geologia fosse avviata per l’odierna strada positiva e sperimentale, facevano grande uso di falde, di sprofondamenti, di sollevamenti improvvisi, sostituendo continuamente V intervento di forze prepotenti e quasi direi soprannaturali al l’agire lento ed al corso regolare delle forze naturali. Anche oggi alcune scuole belghe e fran- cesi danno gran giuoco alle falde nella storia geologica della terra, nè mancano geologi i quali dovunque sia una vallata od una conca ne at- tribuiscono l’origine a qualche contrasto subitaneo di sprofondamenti e di sollevamenti. Vi sono d’altra parte de’geologi, tra i quali meritano menzione alcuni svizzeri, e particolarmente il Rùtimayer, l’Heim ed altri, il cui parere mi sembra migliore, i quali affermano le vallate esser dovute esclusivamente ag’li effetti della corrosione delle acque : e molti credono che le falde non sieno il più delle volte che un modo di spie- gare quei fatti geologici che non si sono compresi, o che non si son potuti studiare. Quanto alla Valle della Rosia, sia che venga esaminata la parte destra o la parte sinistra o l’alveo che in taluni punti è bene allo scoperto, non vi si vedono tracce di falda ; le pendici circostanti sono qua e là terrazzate e coperte di ghiaie, argomento dei più evi- denti per provare che la valle è prodotta dal successivo affondarsi del- l’alveo del torrente, fenomeno che dura tuttora, in conseguenza del selle- evamento generale della Toscana. La Montagnola in corrispondenza alla Valle della Rosia si abbassa un poco e vi rimane segnata quasi la pre- senza di una regione un poco depressa ; d’altra parte i colli intorno a Spannocchia a ponente della Montagnola sono abbastanza alti e non si aprono se non verso la Rosia; perciò non fa meraviglia se le acque circostanti furono richiamate verso questa parte, e dirigendosi ad oriente tagliarono a poco per volta la vallata. Paragonando la Montagnola cogli altri lembi della Catena metalli- fera, non troverei in essa impronte speciali e differenze se non qualcuna nelle apparenze litologiche e stratigrafiche. Dal punto di vista litologico notai a suo luogo che, sebbene in molti altri luoghi si trovino abbon- danti schisti nel Piano B del lias inferiore, pure nella Montagnola essi — 373 — sono più estesi che altrove. Stratigrafìcaniente è degna di nota la man- canza del calcare infraliassico, il quale probabilmente manca pure in taluni altri degli antichi lembi montuosi contigui. La mancanza delie rocce che dovrebbero essere fra il lias inferiore ed il titoniano è co- mune con parecchi altri lembi appartenenti alla porzione meridionale della Catena metallifera. Del resto alla Montagnola si possono applicare nella loro totalità quelle osservazioni che feci a proposito della Catena metallifera. — {Geologia del M. Fisano, Parte III.) Da fatti che sono quasi generali in Toscana dedussi che la cosi detta Catena metallifera, cioè la più antica protuberanza montuosa della regione, cominciò ad avere origine, sia emergeado sulla superficie dei mari, sia rimanendosi coperta da questi, dopo l’epoca liassica. Quella Catena poi venne formata da tante piccole serie di ellissoidi isolate e distinte, o sommerse a guisa di scogli subacquei o poco emerse, disposte a modo di rosario, o meglio a modo di arcipelago. Una di queste ellis- soidi fu la Montagnola senese. Nel fare la storia della Catena metallifera, come d’ogni altro sistema di monti, non si deve credere che le sue ellissoidi tutto d’ un tratto e tutte insieme si sviluppassero; bensì il sollevamento ebbe origine len- tamente ed a poco per volta, ond’è che nelle regioni più centrali e più litorali verso l’odierno Tirreno ebbe anche antichità maggiore, e vi troviamo grande interruzione fra le rocce più antiche e l’insieme di quelle altre più recenti. Invece nelle ellissoidi più orientali e più ad- dossate 0 anche internate neH’Appennino e disposte lungo l’Adriatico, fra le rocce antiche e le recenti vi è assai meno interruzione, talché devesi credere che quivi il sollevamento abbia cominciato in tempi molto posteriori. Questo si può cominciare ad applicare all’ellissoide di Monsummano, ad oriente del M. Pisano, poi a tutte le altre ellissoidi di Kapolaiio e Montalceto, di Trequanda, Sicilie, Montefollonico, Caselle presso Montepulciano, Chianciano e Monte di Cetona, le quali formano il culmine della sponda sinistra della vai di Chiana tosca,na, e per ul- timo a tutte le altre ellissoidi che si estendono più ad oriente nell’ Um- bria e nelle Marche. So bene che queste mie conclusioni dedotte già da un pezzetto dal- l’esame dei fatti, non si accordano punto con quelle che Heim {Unter- sucìmngen uòer den Mechanismus der Gehirgshildiing, Basel, 1878), intese dedurre per le Alpi centrali afìermando che prima dell’eocene e forse anche prima del miocene non si verificarono mai in quei luoghi sollevamenti e piegature montuose, ma soltanto forse innalzamenti regionali ed orizzontali. Quei geologi che hanno già studiato le Alpi centrali diranno la loro opinione su ciò ; quanto alla Catena metalli- 374 — fera^ non sarebbe giustificato chi volesse applicarle le conclusioni del sopra citato geologo. Non mi voglio dilungare ora intorno a questo argomento, del quale parlai pure non brevemente altra volta. Kicorderò solo che quando si vedono le rocce eoceniche, alle volte quasi orizzon- tali, a piedi dei lembi della nostra Catena, ovvero con stratificazione interamente discordante ricoprirne le cime; quando si vedono quelle rocce con la massima indifferenza e senza legge alcuna salvo quella di una generale discordanza, coprire indistintamente le rocce di qua- lunque piano della Catena anzidetta, è forza concludere che questa avesse una individualità spiccata e distinta, non solo come sollevamento piano ed orizzontale, ma come piegatura montuosa, prima della forma- zione dell’eocene. Notai a principio del capitolo come l’asse del sollevamento nella Montagnola sia diretto da N. a S., e con un poco (l’incertezza da N.N.O. a S.S.E. nella sua porzione più meridionale. E di somma importanza notare che quell’asse orografico della Montagnola si accorda interamente con quelli importantissimi del Monte Pisano, e delle ellissoidi varie delle Alpi Apuane Non vi contraddice neppure la forma a cupola quasi per- fettamente rotonda del piccolissimo lembo intermedio di Jano. Con que- sta osservazione si può già scoprire, almeno in una gran parte dei lembi della Catena metallifera, una certa regola che non avevo notata altra volta nel parlare dei medesimi. {Geol. M. Fisano). Geograficamente le Alpi Apuane, il Monte Pisano, il poggio di Jano, quelli di 8an Gemignano e del Cornocchio, e la Montagnola, sono lembi della Catena metallifera che fanno seguito gli uni agli altri, disposti tutti su una medesima linea, un poco inclinata appetto a quella deirAppennino, diretta da N.O. a S.E. Orograficamente essi formano una serie di ellissoidi i cui assi non sono rispettivamente sulla conti- nuazione gli uni degli altri, ma sono diretti, come ho detto, da N. e a S. , e sono paralleli fra loro, e tanto più situati rispettivamente verso oriente, quanto più il lembo montuoso è meridionale. In questo fatto si ha una corrispondenza notevole con quello che accade nella giogaia tanto più recente dell’ Appennino settentrionale e centrale. (V. Geol. Monte Fisano. Parte ultima, cap. II, § 2). Le cose dette dei lembi sopranominati si possono estendere a quell’ ultima serie di rocce antiche la quale forma la continuazione materiale ed imme- diata della Montagnola Senese, a mezzogiorno della Kosia fino al fiume Ombrone. I vari lembi sopra ricordati sono frammezzati da terreni eocenici e miocenici, ma per lo più dalle sabbie plioceniche. Dalle Alpi Apuane alla Montagnola, più ad occidente, non sorge allo scoperto altro lembo della Catena metallifera^ salvo i monti della Spezia nella porzione settentrionale ; a mezzogiorno della Montagnola bensì sorgono — 375 — varie altre ellissoidi. Ad oriente di quel tratto invece sorgono le ellis- soidi minori di Mommio, Sassalbo. Soraggio, Alpe del Bujo, Alpe di Corfìno, Yalbona, Val d’Ozola, Acquabuona, Val di Lima, Monsuramano, Monte Catini di Val di Nievole, e Serre di Eapolano. Le ellissoidi delle rocce per massima parte eoceniche sono numerose ed estese ad occidente, e ad oriente formano la serie di quegli anti- clinali disposti a scala, che costituiscono l’Appennino. Tutte le osservazioni fatte mi dispensano pure dal discutere le ipo- tesi del Savi e del Suess, anche a proposito della Montagnola. Credo inutile tornare sulla questione e ripetere quello che ho già detto della Catena metallifera Toscana, e quello che dirò altrove delle Alpi Cala- bresi, almeno fino a tanto che non sia chi metta in dubbio gli argo- menti da me posti innanzi e gli studi da me fatti. Del resto la teorica antica del Savi e quella recente del Suess, relativa alla storia della Catena metallifera^ per quanto in apparenza sembrino partire dalle medesime supposizioni, pure sono basate sopra concetti e sopra idee molte diverse. Il Savi nel 1839, non essendo allora conosciuti come lo furono poi i terreni terziarii toscani, e credendo di non trovare cotali terreni intorno e sopra i lembi della Catena metallifera, ritenne che questa non si fosse sollevata ol anzi si fosse sprofondata in epoca re- cente mentre l’Appennino si sollevava. 11 Suess nel 1874 e nel 1875, ritenendo per quanto pare la Catena metallifera come un lembo unico od almeno come una serie semplice ed unica di lembi, e supponendo che non fosse intersecata nè accompagnata dalla parte del mare da lembi montuosi eocenici, ritenendo in fine, per deduzione dalle afferma- zioni del Savi, che quei lembi fossero costituiti tutti da strati pendenti verso FAppennino. cioè verso Est e mostrassero gli strati più antichi colle testate ad Ovest di facciata al mare Tirreno, dedusse che nello svilupparsi, la Catena metallifera come le altre catene montuose avea sollevato un fianco solo, verso la terra, mentre l’altro si era sprofondato e inabissato nel mare. Chi conosce, anche poco, la geologia dell’Italia centrale, sarà persuaso che ambedue le ipotesi sono ben lontane dal rispondere ai fatti che loro sono direttamente contrarii. La mancanza di spazio e di tempo, impedisce la inser- zione nel presente fascicolo già in stampa, di un articolo ul- timamente inviato dal Barone Cafici, Sul Calcare a Selce pi- romaca e su quello ad Ecliinidi e grandi bivalve del S. JE. di Sicilia^ nel quale V Autore aggiunge importanti documenti all’asserto ne^ suoi scritti precedenti sull’argomento. — Verrà pubblicato nel prossimo numero. 376 — Risposta ad una osservazione del sig. Carlo De Stefani, per T. Fuchs. ^ In un lavoro del sig. Carlo De Stefani, apparso nel Bollettino Geo- logico del corrente annO; ^ trovo a pag. 87 il seguente passo: « Ed ora prima di terminale dirò che il sig. Fuchs mi ha fatto carico d’aver messo gli strati di Monte Bamboli in Toscana nel mede- simo orizzonte con quelli del Casino, anzi d’aver « combattu vivement » l’opinione contraria ? ! ! Non so dove il Fuchs abbia tolta l’ ispirazione di sostenere « vivement » questa peregrina opinione che piacque poi anche al Major. Io. quelle tre o quattro volte nelle quali, sebbene per incidenza, ho parlato degli strati di Monte Bamboli, li ho riconosciuti esplicitamente e senza mezzi termini più antichi di quelli del Casino. » Giacché pare che il sig. De Stefani non possa rintracciare il passo da me citato, mi permetto di farlo avvertito trovarsi il medesimo in quel suo noto lavoro « Molluschi continentali, ecc. ^ » Dapprincipio avevo l'idea di riportare letteralmente tutti quei brani in cui egli sostiene la contemporaneità delle ligniti di Monte Bamboli e del Casino, ma me ne dovetti astenere essendomi presto convinto che a ciò mi sarebbero occorse molte pagine. Mi permetto perciò di rimandare l’onorevole mio sig. collega alle pagine 148, 149, 150 ed eziandio al quadro finale. Quivi egli troverà, forse con sua grandissima sorpresa, com’egli tratti delle ligniti di Monte Bamboli non già per incidenza, bensì difiusamente ed a fondo; le di- chiari non già più antiche, ma esplicitamente e senza mezzi termini contemporanee alle ligniti del Casino ; citi in appoggio di tale sua opinione l’autorità del Major: ritorni in una sua osservazione generica esplicita- mente e fermamente su questo punto ; e come anche nel suo quadro finale ponga le ligniti di Monte Bamboli nello stesso orizzonte con quelle del Casino. Credetti di dover fare questi rimarchi per non lasciare ne’ miei colleghi l’impressione ch’io abbia mai attribuito falsamente cosa alcuna a chicchessia. In quanto agli altri attacchi del sig. De Stefani, non stimo di do- vermene occupare. * Per considerazione di equità viene inserita questa risposta del geologo tedesco Th. Fuchs relativa a scritti del sig. De Stefani stati antecedentemente inseriti nel Bollet- tino : ma la Redazione intende evitare qualsiasi futura polemica. * La Montagnola Senese. Gap. VII. — Bollettino Geologico, 1880, pag. 73. Atti Soc. Toscana, voi. II, 18'76, pag, 130. 377 — NOTIZIE BIBLIOeRAPICHE. G. Capellini^ Gli strati a congerie e la formazione ges- soso-solfifera nella provincia di Pisa e mi dintorni di Livorno, Eoma^ 1880. (Estratto dalle Memorie d. Gl. d. Scienze fis., mat. e hatiir. della R. Accad. dei Lincei. Anno CCLXXVII). La regione su cui versano questi nuovi studi stratigrafìci e paleon- tologici della formazione gessoso-solfifera è quella compresa nella Carta geologica dei monti livornesi, di Castellina marittima e di una parte del Volterrano. dell’Autore medesimo, e della quale è imminente la pub- blicazione nella scala di 1 a 100,000. Movendo dai dintorni di Livorno, l’Autore segue passo passo lo svi- lupparsi e gli andamenti di detta formazione ed i suoi rapporti colle limitrofe, nelle valli principali della Pine, della Cecina e dell’Era e nelle vallate secondarie: passa quindi a più particolareggiata ana- lisi di taluni lembi della formazione medesima i quali offrono speciale interesse per V apprezzamento delle diverse forme litologiche e dei rap- porti stratigrafici, ma sopratutto pei fossili. Fra i molti punti inte- ressanti descritti e talvolta anche illustrati da disegni di sezioni in grande scala inseriti nel testo, ricordiamo: Quello che in Yalle della Fine rimane compreso tra Parrana nuova e Colognole lungo le rive del Mora, il quale, a giudizio dell’Autore, presenta la più completa ed im- portante sezione che mai idear si possa traverso gli strati miocenici dei monti livornesi; la località detta alle Porcarecce, pure in Yalle dèlia Fine,, sulla destra della Sanguigna, avente una sezione di parte degli strati a congerie la quale concorre a stabilire i rapporti che collegano tra loro i depositi della medesima formazione sparsi in disparate località delle valli della Fine e del Marmolaio ; altro punto alla Farsica sul lato sinistro della Fescera in Yalle del Marmolaio, ricco di fossili degli strati a con- gerie, fra cui alcuni nuovi; altro in Yaì di Cecina o meglio nella vai- lecola del Ritasso, al Poder nuovo sotto Monte Rufoli, ove alle argille plioceniche sottostà una formazione d’acqua dolce e lignitifera in cui sono intercalate marne glauconifere e cloritiche con una fauna marino- salmastra, riferibili alla formazione gessoso-solfifera, oppure alla sarma- tiana. Altra località indicata come degna della maggior attenzione anche ~ 378 — dal punto di vista industriale, è quella di Fonte a Bagni pure in Val di Cecina, ove la formazione gessosa è accompagnata da minerale di zolfo: importante poi in generale la Val di Cecina perchè in essa pre- valentemente viene a far parte della formazione gessoso-solfifera infe- riore anche il salgemma. Nella stessa Valle, al podere 11 Lepre^ sulla sinistra del torrente Lopia, gli strati a congerie presentano importanti rapporti litologici con quanto venne constatato nei monti livornesi e spiegano le relazioni stratigrafiche della formazione in discorso con quella sarmatiana. Nella Valle dell’Era la formazione gessosa presso Torri mette in chiaro i rap- porti intimi dei gessi colle panchine e marne sarmatiane, ed il suo studio in tal punto è indicato come opportuno per giungere a meglio precisare l’etcà ed i rapporti dei diversi membri degli strati a congerie e del sar- matiano di Toscana. Fra la Sterza di Lajatico e la Cucinella la forma- zione gessoso-solfifera offre d’interessante la parziale sostituzione dei conglomerati ai gessi e le relazioni de’ primi colle sopraposte argille plioceniche: importante inoltre in detto punto la stessa formazione pei fossili scopertivi sì in addietro che più di recente dall’Autore, fra i quali ultimi un genere nuovo, cioè, VUnicardium nelle marne a Melanopsis impressa e con esso molti altri tipi che tutt’ assieme rendono questo giacimento uno de' più importanti per lo studio dell’ evoluzioni dei mol- luschi nell’adattamento graduale dalVacgua dolce all’acqua salmastra e poscia all’acqua decisamente marina. All’esposizione stratigrafica della formazione gessoso-solfifera tien dietro la descrizione dei principali molluschi che vi si rinvennero, premessa una nota speciale sul Pecten Comitatus Font, caratteristico delle argille plioceniche inferiori, colla quale l’Autore riconosce l’iden- ticità di detta specie con quella da lui indicata in addietro come va- rietà del Pecten denudatus. Tale descrizione, corredata da otto tavole d’accuratissimi disegni di fossili, è costantemente accompagnata dalla esposizione de’ criteri su cui n’è basata la specificazione e da quella dei rapporti tra le descritte specie e le affini od identiche degli strati a congerie d’altre regioni italiane ed estere. Tali fossili sono quelli degli strati a Melanop)SÌs Bonellii, o porzione superiore della formazione ges- soso-solfifera, sviluppati principalmente nei monti livornesi ; quelli degli strati a JMelanoposis impressa, o porzione media di detta formazione, nella Valle della Sterza di Lajatico; e finalmente quelli degli strati a JM'lanopsis Bartolinii, o porzione inferiore degli strati a congerie nella stessa località. Parecchi fra essi vennero già illustrati dall’ Autore in precedenti lavori: senonchè i nuovi studi e le più recenti scoperte lo consigliarono a rivenire su gran parte di essi per meglio precisarne i — 379 — caratteri, i rapporti e l’eqiiivalenze ed il posto loro spettante nella serie stratigrafica della formazione gessoso-solfifera. Alla lista dei detti fossili premettiamo una succinta notizia sul nuovo genere Uniocardium, rappresentato sin’ora da una specie unica, Unio- cardium Meneghina Gap., alla cui scoperta venne più sopra accennato. Sono due i giacimenti toscani ne’ quali sin’ora venne constatata l’esistenza del genere, e vale a dire nel predetto giacimento marnoso a Melanopsis impressa e nel così detto mattatone o marna argillosa che ricopre le ligniti di Monte Bamboli ; circostanza quest’ ultima rilevantissima, per la quale questo giacimento lignitifero rimarrebbe collegato a quello della lignite di Monte Vaso, inferiori tutti e due agli strati a congerie con Melanopsis impressa ed ai conglomerati calcareo-ofiolitici rossastri. Le conchiglie di Monte Bamboli erano state provvisoriamente distinte dal prof. Meneghini col nome di IJnio eastaliaeformis, quelle della Valle della Sterza ricevettero dapprincipio dall’Autore il nome prov- visorio di JJnio cardiodes ; ma riconosciuta in appresso l’identità delle due specie, egli, pei caratteri che presenta il nuovo tipo, intermedi! fra quelli del genere Cardium e quelli del genere Unio^ adottò la de- nominazione di Uniocardium. A) Fossili degli strati a Melanopsis Bonellii — Melania curvicosta Desb. var., Melanopsis Bonellii Sism., M. Bufourii Fer. var. a., Hydrohia Escoffierae Tourn. sp., B. Fontannesi Gap., B. etnisca Gap., B. cingu- lata Gap., B. acuta Drap, sp., Neritina mutinensis d’Anc., Bisidium priscum Eicbw,, P. solitarium ! B . propinquumB^^ra.. Bisidium trigonum cap. , Cardium solitarium Krauss, C. praetenue Mayer, C. nova-rossicum Barb., C. Spratti Fuchs, C. suhtile? ? Mayer, C. squa- mulosum Desb., Cardium sp., C. B anticapaeum Bayern., C. castellinense Gap., C. Bartschi? Meyer , C. carinatum DqAì., C. paucicostatumUQAi.^ C. Abichi E. Hornes, Congeria simplex Barbot., C. rostriformis Desb., C. amigdaloides Dunker, C. subcarinata Desb. B) Fossili degli strati a Melanopsis impressa nella valle della Sterza di Laiatico. — Melanopsis impressa Krauss, Valvata Tournoueri Gap., F. minima Fuchs, V. variabilis Fuchs var., Bydrobia incerta Gap., E. elegantissima Frid., Melania inaspecta Fuchs, AL turbinelloides Fuchs, Bithynia (Bydrobia) margaritula Fuchs ^yg.^Bithynia (Bydrobia) proximoides Gap., Neritina obtusangula Fuchs, N. Anconae Gap., N. Bi 'onni D’Anc., Lymnaeus sp., Cardium Laivley Gap., C. desertum Stol., C. protractum Eicbw., C. Savii Gap., C. cypricardioides Gap., Unio- cardium Meneghina Gap., Congeria minor Fuchs. C) Fossili degli strati a Melanopsis Bartolinii nella valle della Sterza di Laiatico — Melanopsis Bartolinii Gap., M. buccinoidea Fer., — 3Ó0 il/, acicularis? Fer., Melania suturata Fuchs, M. appianata Fuchs, Hydrohia (Littorinella) obtusa Sancì, sp., H. (Paludina) immutata Frfld. Bythinia sp., Valvata piscinalis Muli., Neritina grateloupiana Fer., Congeria clavaeformis Krauss var,, C. Deshayesi Gap. Le conclusioni che l’Autore deduce da suoi studi sulla formazione gessosa-solfifera della provincia di Pisa comparata colle formazioni ana- loghe nel bacino del Poetano, in Crimea, in Grecia e neU’Austria-Un- gheria, sono di massimo momento, siccome quelle che tendono a stabi- lire il posto degli strati a congerie nella serie cronologica dei terreni, a delimitare nettamente il limite loro col pliocene inferiore, colla for- mazione sarmatiana e quello di quest’ultima col tortoniano o calcare di Leitha, ed a determinare infine la corrispondenza delle diverse por- zioni di formazione gessoso-solfifera della provincia pisana con quelle delle anzidette regioni estere. In relazione a quanto sopra l’Autore pro- pone la, seguente suddivisione stratigrafica colla quale chiude l’impor- tantissimo suo lavoro, notando in fine del medesimo che debbasi coordi- nare a quanto in esso trovasi esposto tutto ciò che fu da lui pubblicato in addietro sulla stessa regione e sullo stesso argomento. Pliocene inferiore. Marne a Fecten Comitatus, Ostraea cochlear var navicularis; Pteropodi e Forami ni fere. STRATI A CONGERIE 0 FORMAZIONE GESSOSO-SOLFIFERA. Strati a Cardi i; Congeria rostriformis ; Mela- nopsis i onelli ; llydrohia Escofjierae. Marne a Cyprìs con filliti, insetti, pesci. Marne a M-elanopsis impressa; Hyàro'bia in- certa ; Salvata Tournoueri; Uniocardium Meneghina; Congeria minor ; Cardium. Conglomerati calcareo-serpentinosi rossastri con legni silicizzati. 3Iiocene superiore. 3Iiocene superiore. / shayesi (0. sub-Basteroti). Marne a Melanopsis Bartolinii; Melania sutu- rata; Congeria clavaeformis ; Congeria Le- I SARMATIANO. ORIZZONTE DEI TRIPOLI DEI MONTI LIVORNESI. Conglomerati calcareo-serpentinosi e sabbie mar- nose con / arites ; Astraea; Tapes gregaria; Ostraea lamellosa^ ecc Tripoli 0 strati equivalenti con copiosi avanzi di pesci, insetti, molluschi, fllliti, ecc. Calcare grossolano di Rosignano con molluschi e coralli. Marne a Ceriihium piclurn; Fleurotoma ; lly- drobia; Cardium. — 381 — Miocene medio. TORTONIANO 0 CALCARE DI LEITHA *4 [Miocene sup. di parecchi autori ) ^ Calcare sajpbioso e marne con Ancillaria glan- di formi s ; ('ardita Jouanneti: Lucina Co- I lumhella; Ostraea digitalina, ecc ' Conglomerati inferiori calcareo-serpentinosi dei \ monti livornesi. T. Taeamelli, Monografia stratigrafica e paleontologica del Lias nelle provincie venete. — Venezia 1880. (Premiata dal R. Istit. Ven. di Scienze, Lettere ed Arti nel concorso dell’anno 1879). Per un’area d’osservazione cotanto vasta e complicata qual è quella che l’Autore ha percorso in tempo relativamente brevissimo e per la quale importava anzitutto stabilire una base certa, l’esistenza, cioè, non isolata, non ristretta a qualche singola regione, della formazione lias- sica, non potè vasi attendere una monografia nello stretto significato della parola, ma piuttosto un lavoro a prevalente carattere di generalità il quale poi dovesse servire di cardine a più dettagliati studi e pubbli- cazioni. E tale si presenta quest’opera colla quale l’Autore si propose principalmente di constatare i più salienti fatti relativi al sistema giura-liassico del Veneto e di coordinarli in ragione de’ vicendevoli rap- porti statigrafici, anziché di esaurirne la serie e stabilirne la esatta cronologia: al che pare ben lungi dal prestarsi non solo 1’ entità del materiale di studio sin’ora raccolto, ma altresì lo stadio sin’or raggiunto dalle questioni che vi si riferiscono. Di quello e di queste l’Autore tesse l'istoria critica nei preliminari del suo libro, pone in luce le gravi dif- ficoltà inerenti al compito assuntosi, i limiti impostisi e quanto rimanga a fare tutt’ora, non intralasciando a questo riguardo d’ inculcare che l’ulteriore lavoro di dettaglio debba essere a preferenza opera di noi italiani, sia per nazionale decoro, quanto per evitare giudizi! subiettivi che risentono, cioè, l’influenza di una condizione geologica di cose che certamente è diversa da quella de’ nostri paesi. L’Autore percorse l’ intera regione delle Prealpi venete dal Garda all’Isonzo, spingendosi entro ed attraverso le valli principali e secon- darie e giungendo sino alle Alte xàlpi, rilevandovi la serie dei terreni compresi fra il trias e la creta, descrivendone condizioni e rapporti 382 — j in 21 paragrafi, corrispondenti ad altrettanti gruppi territoriali o lo- calità tra le più importanti per condizioni tectoniclie, stratigranche e paleontologiche. Una tavola di spaccati geologici, ed altra di paesaggi, il tutto rilevato e disegnato dall’Autore stesso, accompagnano fornite di molte spiegazioni la prima parte della Memoria, vale a dire, la stra- tigrafica. In questa le venete Prealpi vengono divise in orientali ed oc- cidentali, prendendo a limite divisorio la valle del Brenta. Delle prime è trattato nei primi nove paragrafi che comprendono il gruppo del M. Baldo tra il Garda e l’Adige, e quindi sulla sinistra di quest’ultimo la Val di Fumane e i monti Pastello e Pastelletto, le valli di Pantena, di Squaranto, d’illasi, di Chiampo, dell’Agno, dell’Astico, di Posina e d’Assa, la salita di Pedescala e l’altipiano de’ Sette Comuni. La posizione strati grafica tanto discussa delle importantissime zone o piani 2(. Gervilia Buchti, a Terehratuìa Botsoana e Renieri, ad Ammonites Murchisonae, a Lithiotis ec, ec., la particolare tectonica dell’altipiano dei Sette Comuni, il carattere ed importanza della sua flora fillitica già illustrata dal De Zigno, sono argomenti che l’Autore vi ha ampiamente sviluppati. Pas- sando alle Prealpi orientali, nove paragrafi sono dedicati al sistema giura-liassico del paese tra il Brenta ed il Piave. Oltre alle valli dell’Ampezzano tirolese, furono oggetto principale di studio le valli del Tesino e del Cismon, i dintorni di Lamon, il monte Pavione, quelli sopra Cesio, Santa Giustina e Sospirolo nel vallone di Belluno, 1’ alti- piano di Montetorondo, i monti a nord, sud ed est di Agordo, il monte Serva e la valle dell’Ardo: dalle quali ricerche emergono equivalenze di terreni or con quelli del sistema prealpino occidentale ed ora con quelli del Friuli occidentale, l’importanza speciale d’alcune zone fossi- lifere quali, per es., quelle di Campo Torondo e Sospirolo, i rapporti fra i terreni giura-liassici co’ più antichi e più recenti, ed in generale le condizioni stratigrafiche complicatissime, la scarsezza o totale defi- cienza di elementi stratigrafici e paleontologici, e con ciò il novero grande di quesiti che per ora rimangono insoluti. Gli ultimi capitoli riguardano la regione a sinistra della Piave tra questa e il Tagliamento e la regione tra quest’ultimo fiume e l’isonzo. In esse meritarono spe- cialmente attenzione i dintorni di Longarone, Zoldo ed Erto pei ricchi depositi di fossili Lassici e titoniani, la valle Clautana, i monti Verze- gnis, Najarda ec. per la loro fauna liassica ed infraliassica, per i depo- siti di piroscisti passanti a ligniti ec. ec. Un riepilogo delle fatte os servazioni accompagnato dalla serie dei terreni giuresi che con riserbo l’Autore propone per le venete Prealpi ed un quadro comparativo de’ medesimi con quello delle regioni alpine ed appenniniche chiudono questa prima parte dell’opera. Fra le considerazioni più importanti notiamo I — 383 — quelle che si riferiscono alle relazioni tettoniche, dalle quali ultime l’Autore desume tre principalissimi gruppi di fatti; e cioè: 1. una pri- mitiva, assai maggiore estensione e potenza della formazione liassico- giurese nelle Prealpi orientali ; estensione che dovea essere continua su tutta la dolomia infraliassica, con una potenza di circa 500 metri sino al neocomiano e resa ancor maggiore dalle sovrapposte formazioni cre- tacea ed eocenica media e superiore: 2. l’alterazione profonda per frat- ture, salti, ripiegature sofferta da questo potente ed uniforme assieme in seguito al sollevamento posteocenico; 3. l’esistenza nell’area percorsa da ovest ad est di tre diverse direzioni principali di sollevamento, pas- santi bruscamente l’una all’altra e formanti complessivamente un’ ampia cerchia attorno alla depressione adriatica. Tali direzioni sono: 1’ una a N.E.N. tra il Garda e la valle dell’ Astice, la seconda a N.E. , dalla valle dell’Astico all’origine della Piave nel Comelico, la te’^za ad E., dalla Piave all’Isonzo. Il sollevamento fu certamente progressivo ; e colle di lui direzioni coincidono le più importanti dislocazioni o fratture, quella, cioè, a ponente del Garda, quella Valsiigana-Comelico e quella della vòlta carnica, oltre ad altre non meno importanti e parallele, tra cui quella a nord di Belluno, altra da Claut a Starasella ec. ec. All’ anzi- detto sollevamento corrispose più verso S 0. 1’ abbassamento d’ una re- gione già esistita in corrispondenza dell’euganea e sulla quale divam- parono i vulcani eocenici. Dopo l’eocene subentrò il periodo continen- tale e con esso l’individuamento delle valli ed in genere le profonde modificazioni portate dalle abrasioni e denudamenti. E opinione inoltre deH’Autore che la suddetta grande e generale oscillazione sia stata com- plicata da oscillazioni parziali in vario senso e per aree più o meno ri- strette: la quale ipotesi è appoggiata da fatti, comprovati dalle medesime relazioni tectoniche constatate. Riproduciamo integralmente la proposta SERIE ASCENDENTE DEI TERRENI Gl CRESI NEL VENETO. A — Veneto occidentale» 1. Infralias o Retico, partim; poco noto; comprende i calcari e le dolomie, se pur ne esistono superiormente alla dolomia a Turbo so- ìitarins di Monsummano. 2. Sinemuriano, o Lias propriamente detto; ignoto, 3. Toarciano o sopraliassico; del pari ignoto, 4. Batlìoniano; «) Zona a Gervillia Buchii, forse sopraliassica; b) » Terebratula Rotsoana e fìlliti con JSBgalodon ; c) Calcare a LitJiiotis; d) Zona di S. Virgilio, ad H. Murcliisonae e) » a P osidonomya alpina 2o — 384 — 5. Oxfordiano; comprende forse la maggior parte dei calcarei incarnati, sicuramente poi la zona a Felt transversarium di Erbezzo e di S. Corona. Credo che vi spetti anche il banco corallino di Cavalo, dei fossili del quale stanno occupandosi i signori Meneghini ed Achiardi e di cui già comparve una breve nota di specie. 6. Il Coralliano è ignoto. 7. Il Portlandiano comprende la principale zona ammonitica la quale solo raramente presenta alla base la Ter. diphya. mentre in alto invece della T. janitor presenta la T. diloda di Catullo o Catulloi Pic- tet. La zona ad As. acanthicuìn, sviluppatissima nei Sette Comuni, è meno ricca di fossili nel Veronese, ove prevale la zona a Phyll. psycoimm. In alto si fonde col neocomiano, al quale pare esclusiva la Ter. dipliyoides. B — Veneto orientale. 1. Dolomie e calcari bianchi a Conchodon del M. Amariana ; cal- cari marmosi a Plicatula intusstriata del M. Verzegnis; zona a piroscisti di Longarone, Claut, Tramonti, Resia ec. (Retico, partim). 2. Dolomia a Rhynclionella tetraedra di Sospirolo; calcari mar- mosi a PJiync. varians di M. Najarda; calcari selciosi, ooliti {Sine- muriano). 3. Zona acefalopodi di Igné e di Erto con H. hifrons, H. Mercati, Phyll. Nilsoni ec. {Toarciano o Sopraliassico). 4. Pochissimi strati di calcare grigio o di oolite sopra il prece- dènte ad Erto e presso Longarone; calcare ])ianco, marmoreo, ad Asp, Hiunphresianum di Campotorondo {Bathoniano). 5. Forse le brecce con ostrea della Venzonazza e la zona con ammoniti mal conservate tra le dolomie del M. Cavron, sotto Seren, nonché il tenuissimo banco interposto tra il piano sopraliassico ed il Kimmeridgiano d’Erto, spettano a questo piano, da studiarsi da capo. 6. La fauna di Polceaigo a Ca,rdmm coralUnum, Piceras arieti- niim, Pligmatis Bruntutana e Ccj^rpatica potrebbe rappresentare il Coralliano. 7. La zona ammonitifera principale delPAmpezzano, dell’altipiano di Campotorondo, di Cesio e di Podenzoi presso Longarone spetta sicu- ramente al piano ad Asp. acanihicum. 11 piano a Ter. dilatata cat. sembra mancare. Sulla zona di Podenzoi segue la scaglia inferiore, quivi rosea e mandorlata; altrove si passa al biancone, che però non si os- serva a levante della chiusa di Fadalto. — 385 — La parte seconda « Note paleontologiche » contiene la descri- zione delle specie fossili di Erto, Longarone ed Igné ritenute dall’Au- tore per sicuramente liapsiche. Otto tavole di figure disegnate dall’Au- tore medesimo rappresentano le 32 specie descritte, delle quali tre sono nuove, e le altre appartengono a specie già note nel Lias d’altri paesi, e sono specialmente comuni alla fauna liassica dol bacino del Sodano, a quella delle Alpi svizzere, a quella di Lombardia ed a quella di To- scana e dell’ Appennino centrale. Le specie descritte sono : Belcmmites sp., Attlacoceras, cfr. orthoceropsis Mgh., Aulacoceras, cfr. indunense Stopp. sp., Aulacoceras, cfr. Stoppami i\Igh., Nautilus astacoides Toung et Bird, NavMlus semisiHatus d’ Orb., Fhylloceras DoederleinianumC^it.sp., Phyìl.Nilsoni Hebert, Pìiyll. Mimatense d’Orb., Amaltheus Guihalianus d’Orb., Am, cf. spinatus Bruguiers, Lythoceras cornucopiae Young et Bird, Lyt. Forojidiense Mgb., Aspidoceras Pironai Agh., Stephanoceras Pes])lacei d’Orb. sp., Strph. crassiùm Young et Bird, Aegoceras suharmatum Toung et Bird, Aeg. Birchi Sow. sp., Harpo- cpvas hifrons Bruguiers sp., Harp. Mercati Hauer, H. comense De Bucb, H. variabile d’Orb. , H. Lilli Hauer, H, aalense Zieten, H. ra- d/ans Keinecke, H. subcarinatum Y. et Bird, Hamatoceras Becissi Hauer, H. insigne Scbiibler, Arietites Conybeari Sow., A. rotiformis Sow., A. ohtusus Sow., A stellaris Sow. G. UziELLi. Sopra le Pietre-verdi di Renm, Modena, 1880. (Estratto à-OÌV Annuario della Società dei Naturalisti di Modena. Anno XIV, fase. 2). In questa prima parte di studio analitico di quelle rocce essenzial- mente anfiboliche e feldispatiche che nell’Appennino si mostrano sorgere in mezzo alle così dette argille scagliose o in genere fra il terreno detri- tico appenninico e che vengono designate o col nome più generale ài pietre verdi nel significato loro dato dal Gastaldi, o con quello più specifico di rocce serpentinose o di serpentini, vengono esposti i risultati di accurato esame chimico e microscopico istituito sopra la breccia ofiolitica di Benno nel Modenese, la quale unitamente all’eufotide costituisce i due principali tipi di pietre verdi che s’incontrano in detta località. Tali risultati sono importantissimi anche per le interessanti conclusioni cui danno occasione circa l’origine stessa di dette roccie e dei serpentini in genere. Premessa — 386 — rindicazione de^li elementi originari fondamentali di cui sono costi- tuite in genere le pietre verdi del Modenese ed indicati tutti i possibili prodotti di loro alterazione. l’Autore passa ad esporre i caratteri fisici della suddetta breccia desunti dall’esame microscopico e quindi gli ele- menti chimici e mineralogici di cui si compone, quali gli risultarono dall’osservazione delle sezioni sottili al microscopio polarizzatore coadiu- vata da chimiche reazioni e dall’analisi qualitativa della roccia stessa. In definitiva, detta breccia si comporrebbe di una mescolanza di silicati magnesiaci idrati, difficilmente, in massima parte, attaccabili dagli acidi : e più particolarmente da oligoclasio alterato per sostitu- zione di ossido di calcio e di ossido di magnesio a- quello di sodio e di potassio, da diversi tipi di plagioclasio, da calcite, magnetite, silice amorfa e da uno speciale silicato non esattamente determinabile appellato interinalmente viridite Ma prima di passare alle conclusioni deducibili dagli ottenuti risultati analitici, l’Autore ci espone altresì quelli avuti dall’esame della stessa pietra verde o serpentino di Renno di cui sono formate alcune colonne situate nel cimitero di Modena, esame ch’ebbe per iscopo di constatare i vari gradi o termini d’alterazione cui la roccia va man mano soggetta, ultimo dei quali sarebbe la trasformazione in quella materia verdastra più sopra indicata col nome di viridite e che risulterebbe, seguendo man mano il processo di trasformazione, essere un silicato idrato impuro, mescolato a carbonato di calc.io. Parrebbe altresì risultare che originariamente la pietra verde di Renno fosse co- stituita da una pasta diabasica che a temperatura non troppo elevata coinvolse elementi frammentizii e che per la trasformazione nel seno stesso della terra de’propri elementi subì la metamorfosi per cui da roccia acida divenne basica. Da ciò tutto l’Autore intravederebbe altresì la possibilità che anche altre roccie dell’Appennino, tra cui le iperiti e le ipersteniti, fossero, in alcuni casi almeno, non altro che prodotti secon- dari di un diabase normale. L. Burgerstfjn e F. Xoe, Geologische Beobacìdungen im siìd- licliPM Calahrim. (Estratto dal LXXXI voi. dei Resoconti dell’Accad. imp. della Scienze. Parte 1, fase, d’apifie 1880), Da questa rapida generale rivista delle condizioni orografiche e geologiche dell' estrema Calabria compresa tra l’Jonio ed il Tirreno — 387 — compilata in base ad osservazioni proprie ed ai molti studi in addietro pubblicati da altri autori, rimane confermato il carattere alpino del- r Appennino meridionale, massime per riguardo alla giacitura e na- tura delle roccie non stratilicate e degli scisti cristallini. E parlando delle prime, gli Autori designano qual circostanza degna di nota il fatto, che non soltanto nella Calabria settentrionale e media, ma altresì nella l^arte meridionnle della penisola non si presentino che qitelle roccie mas- sicce le quali hanno i loro equivalenti nelle roccie massicce delle Alqji, ed inoltre che in questa meridionale regione d’Europa manchino affatto le granititi oscure^ g^igi^a & rosse dell’ Europa settentrionale. Le formazioni geologiche constatate fin’ora con certezza in questa parte estrema d’ Italia sarebbero ; 1. Terreno fondamentale a rocce non stratificate ed a rocce scistose, 2. Calcari mesozoici del piano titonico, 3. Terreno cenomaniano, 4. » terziario antico (eocene ed oligocene), 5. >' superiore (miocene e pliocene), 6. » quaternario e 7. » d’alluvione. ^ Per ogni singola formazione gli Autori in base alle proprie escur- sioni ed alle osservazioni altrui espongono Testensione e la potenza sin’ora note, natura e condizioni degli strati e rocce costituenti, i fossili caratteristici e per alcuna anche i giacimenti di minerali utili segna- lativi. Tra le rocce non stratificate notiamo due tipi diversi di granito, cioè il granito di Serra con rassomiglianza alla tonalite alpina, ed il granito di Jejunio, passante al granito gneissico. Nella classe delle roccie stratificate fondamentali si contano il gneiss tipico ed il granatifero, con passaggi al micascisto. Degli scisti cristal- lini sono indicati Targillo-scisto antico, tipico, Targillo-scisto micaceo, la finite micacea con transizioni al granito ed al gneiss (filliti gnois- siclie). Passando ai terreni stratificati meno antichi, il titoniano v’ è rappresentato da un calcare fossilifero durissimo bianco o giallastro, ovvero bianco o roseo, giacente tra la fillite e la formazione terziaria antica, il quale dalle località in cui venne sin’oggi constatato ricevette il nome di calcare di Consol ino- Stella. 11 terreno cenomaniano fu riscontrato constare di marne argillose caratterizzate da Ostree che vi abbondano colle seguenti specie : Ostrea Overwegi Coq., 0 . flabellata d’Orb., 0. Africana Coq. ed Ostrea Stfphax Coq. Al terziario antico piuttosto esteso o meglio aU’oligocene rappre- sentato da conglomerati ed arenarie apparterrebbero anche i conglo- — 388 — merati di Pontedattilo, già ritenuti in addietro per cretacei o giurassici e perfino liassici o carboniferi : tale opinione degli Autori è basata su semplici argomenti di analogia stratigrafica e petrografica. Strati di La- verda, Flyscli tipico ec., rappresentano l’eocene. 11 terziario recente, estesissimo, in cui predomina il pliocene, distinguesi qui dall’ inferiore oltre che pei fossili abbondanti, per l’orizzontalità de’ suoi strati, di fronte a quelli comunemente rialzati del terziario antico. Numerosi fossili miocenici e pliocenici, tra cui una ricca fauna a foraminifere, furono raccolti e classificati dagli Autori. Ne diamo la lista. Fossili miocenici di Vena di Sopra, presso Monteleone : Ceritkium lignitarum Eicbv., Pecten Besseri Andr., Bdhynia sp , Ostrea crassissima Lam. e marne ad Heterostegine. Clavidina comnmnis d’Orb., Plecaniitm spec., Lagena sp., Nodosaria raplianistrum d’Orb., Cristellaria calcar d’Orb. (var. cultrata), Cr. inor- nata d’Orb., Poìyniorpliina prohlema d’Orb., Orhulina imiversa d’Orb., Glohigerina buUoides d’Orb., Gloh. triloha à'Orh., Discorhina planorhis d’Orb., Truncatuìina Dutemplei d’Orb.. Trunc. lohatula d’Orb. Fossili pliocenici di Riaci presso Stilo. Nassa semistriata Brocc., Chenopus pes pelecani PhiL, Murex mnìtflameUosus PhiL, Pleurotoma cf. oheliscus Desm., Turbo rugosusL., Trochus fiìosus PhiL, Natica sordida PhiL, Bentalium elephantinum L., Beni, eataìis L., Lucina borealis L., Nucula Poli PliiL, Leda excisa PhiL, Leda nitida Brocc., Limopsis aurita Brocc., Pectunuclus pilosus L., Arca cf. barbata L., Pecten jacobeus Barn., P. flabelliformis Brocc., P. scabrellus Brocc., Ostrea lamellosa Brocc., Isis sp., Ceratocgatìius communis Seg., Conotrochus typus Seg., Ampliihelia scuìpta Seg., Amphi- helia Sp., Biplohelia Meneg hiniana Seg., B. Boederliniana Seg. Fossili pliocenici di S. Nicola sul versante ovest della Serra; Murex multilamellosus PhiL, Fusus pulcliellus PhiL, Pleurotoma liarpula Brocc., Pi. modiola, Cancellaria sp., Lucina, borealis L., Astarte fusca Poli, Spondyìus gaederopus Brocc., Balanus sp., Lophohelia Befrancei E. e H., Terebratula vitrea Born. Corredano da ultimo questa Memoria una carta geologica colorata, alla scala di 1 a 500,000 ed una tavola con tre profili, corrispondenti a tre differenti escursioni geologiche praticate dagli Autori. NOTIZIE DIVERSE 5 teireiii isalsìiiosi e la Flllasera. — Il Ministero di agricol- tura, industria e commercio rivolgeva il 16 marzo ultimo all’ingegnere delle miniere di Caltanissetta la lettera seguente: « Fu osservato in Francia che i terreni sabbiosi si oppongono con- siderevolmente alla propagazione della fillossera. La società degli agri- coltori di Francia, col concorso del Ministero d’ agricoltura, organizzò, neH’anno 1880, un’escursione nei paesi viticoli francesi per constatare i progressi dell’invasione fillosserica e i risultati ottenuti dai diversi trat- tamenti tentati; e nel rapporto che la Commissione internazionale pre- sentò vien confermata questa refrattarietà delle sabbie alla propaga- zione dell’insetto. » La Commissione seppe infatti che nel dipartimento di Vaucluse le vigne soccombettero nei terreni argillosi e compatti; e che i vitigni ripiantati resistettero soltanto in quelli contenenti più o meno sabbia e tanto più lungamente quanto maggiore era la proporzione della sabbia. » La Commissione assistette poi ad un esperimento che sembra di- mostrare incontestabilmente Fazione della sabbia sulla fillossera. In una fossa profonda metri 0,80, riempita di sabbia, si ripiantarono due viti- gni di due anni aventi le radici coperte di fillossera. Un mese, dopo eseguita la piantagione non venne fatto di vedere alcun insetto. Sradi- cati i ceppi non presentarono che traccio di antiche ferite, ma nelle barbe nuovamente formate fu impossibile rinvenire un insetto, od un gonfiore per piccolo che fosse. » Infine fu osservato nella radice di una vite che attraversava due strati di terreni, l’uno argilloso, sabbioso l’altro, che la parte della ra- dice che attraversava lo strato argilloso era coperta di fillossera e di nodosità, mentre l’altra che attraversava la sabbia era sana ed intatta. » In seguito a queste osservazioni venne introdotto in alcuni punti della Francia, con successo, Fuso di insabbiare i terreni che si vogliono piantare a viti. » La resistenza assoluta alla fillossera non si può ottenere che nelle sabbie pure, che cioè presentino al massimo grado i caratteri esteriori della sabbia : elementi estremamente tenui e mobili, scevri da ogni mi- scuglio plastico suscettibile a diminuirne la. loro mobilità. La sabbia, — 390 — w, per assicurare alle vigne la vita e la resistenza alla fillossera, deve es-^ sere pura e fertile ; non di una purezza chimica che trae seco la steri- lità, ma che contenga in proporzione conveniente gli elementi che co- stituisccno la pianta. » La Commissione internazionale, dopo d’aver descritto vari vigneti piantati in terreni sabbiosi, venne alla conclusione, che la resistenza dovuta alla sabbia può riguardarsi come dimostrata; che questa resi- stenza cresce coU'aumento della sabbia e della silice e, secondo il si- gnor Bojer, che ha fatto in proposito studi speciali, che nei terreni sabbiosi, ove la vigna resiste ai pidocchio della vite, la proporzione della calce non sorpassa il 12 per cento. La Commissione raccomanda quindi la piantagione nelle sabbie, la quale permette una cultura tem- poraria abbastanza lunga e assicura una completa indennità in quelle che godono uno stato di purezza fisica e di fertilità. » Come sarà noto alla S. V., entro la circoscrizione di codesta pro- vincia fu segnalata la presenza della fillossera e potrebbe avvenire che malgrado tutte le cure e tutte le disposizioni date per prevenirne la diffusione, non si raggiungesse un completo effetto favorevole, e si do- vesse deplorare in codesta isola, cosi ricca di vigneti, la distruzione di parte di essi per effetto della fillossera. » In tale evenienza, che si spera non sarà per verificarsi, la S. V. comprende di quanto giovamento potrebbe essere ai proprietari di vi- gne, il poter subito ricorrere al mezzo suggerito dalla Commissione francese, vale a dire a mettere a profitto, per piantarvi vigneti, i ter- reni sabbiosi, che presentassero le necessarie condizioni per la prospe- rità delle vigne, ovvero, ove il tornaconto economico lo permettesse, in- sabbiare con uno strato più o meno profondo, i terreni già invasi dalla fillossera. Per poter far ciò è necessario conoscere fin da ora se, dove e 111 quale quantità, esistano neU’isola depositi di sabbie, che presentino ad un tempo la maggior possibile purezza fisica, cioè immunità da mi- scugli plastici, grande mobilità e tenuità di elementi e una proporziono calcarea atta a fornire alle vigne il necessario nutrimento. » Questo studio io affido ora a codesto ufficio delle miniere e prego la S. V. di voler dare a tutti gli ufficiali da lei dipendenti, addetti al servizio minerario e a quello geologico, le istruzioni necessarie perchè nelle loro escursioni essi portino la loro attenzione su questi terreni e depositi sabbiosi, e prendano nota di quelli che loro sembrino adatti ad essere piantati a vite, o ad essere esportati, per uso di altri terreni. » Essi raccoglieranno inoltre dei campioni di tali sabbie che sa- ranno analizzati sia presso il laboratorio di codesta scuola mineraria^ o della stazione agraria di Palermo o di altri istituti pubblici, e pren- — 391 — derauiio nota altresì di tutti i dati tisici e statistici che possano far conoscere in via approssimativa il prezzo di costo dello scavo di tali sabbie e del loro trasporto. » per il Ministro » F. Amadei. > Il 20 aprile l’anzidetto ingegnere cosi rispondeva : « La carta geologica di Sicilia venne pressoché ultimata per tutta la zona zolhfera, cioè per tutta quella grande estensione compresa fra Siracusa e Catania, limitata a nord dalla catena delle Madouie ed a sud dai terreni in parte secondarii e in parte terziarii dei dintorni di Modica, Noto al capo Passero. » Per i terreni della suddetta zona coll’aiuto delle carte geologiche, stante i particolari litologici in essa segnati, puossi desumere la grande estensione dei terreni sabbiosi ; qualora poi fosse provato che le sabbie plioceniche e mioceniche posseggono oltre la comprovata fertilità anche le condizioni fìsiche e chimiche necessarie per la immunità delle viti dalla fìllossera, sarebbe possibile per questa regione trarre molte de- duzioni sulla condizione avvenire deH’industria vinicola. » Se è vero che la fìllossera non può allignare nei terreni sabbiosi, è a sperarsi che la Sicilia avendo in gran parte le sue vigne nelle sab- bie non verrà a risentire gravi danni. Molti terreni sabbiosi poi essendo suscettibili di essere piantati a vigna, puossi ritenere che quand’anche l’isola non potesse contare più sulle vigne piantate nelle marne e nei calcari, potrebbe tuttavia aumentarne ancor sempre 1’ estensione. Una semplice ispezione sulle carte, basta per vedere quale ampia estensione abbiano le fertili sabbie del pliocene: geologicamente sono esse le stesse che prendono tanto sviluppo nei feraci dintórni d’ Asti. Molti terreni sabbiosi trovansi pure intercalati nelle argille del miocene inferiore^ essi però hanno per estensione un’importanza molto minore delle sab- bie plioceniche. » jSielle zone ancora da rilevarsi le sabbie plioceniche forse hanna relativamente ancora maggiore estensione. Da Trapani a Marsala sono estesissimi i vigneti tutti in sabbie plioceniche, però assai argillose. La regione compresa fre Alcamo e Partinico fìno al mare è un vigneto solo tutto su sabbie plioceniche sovrastanti al tufo calcareo. Tra Calatafìmi ed Alcamo le vigne sono piantate nel tufo calcareo, nelle sabbie e con- glomerati miocenici. » Perchè coll’aiuto delle carte fìnora ultimate sia possibile desumere il genere di coltura adatta ai singoli terreni ed in special ‘modo in quali — 392 — località possa attecchire la vigna, conviene dividere i terreni viticoix dell’isola in tre principali gruppi: » 1° Terreni eruttivi ; » 2“ Terreni sabbiosi; » 3° Gessi, calcare, tripoli, marne. » Le argille hanno sviluppo grandissimo neH’interno dell’isola, esse però non sono punto adatte alla coltivazione delle vigne. Nel pliocene s’incontrano le argille dette azzurre segnate col n. 3 nella carta. 1 cal- cari marnosi detti trubi (n. 4), contengono potenti banchi di argille inter- calati fra i trubi stessi. Estesissime poi sono le argille del miocene in- feriore segnate nella carta n. 9. » Tutte queste argille non possono, senza correzioni del terreno, mantenere nè la vigna nè piante d’alto fusto. In estate dal maggio al settembre, siccome non piove, le argille producono profondi e larghi crepacci, i quali mettendo allo scoperto le radici sarebbero senz’altro causa dell’ essicamento delle viti. Tutte queste argille dunque mentre sono feraci per la coltura dei cereali e delle leguminose non possono dare vita alle vigne. Sono desse quelle che formano in Sicilia i così detti terreni scapoli, cioè senza alberi, sempre coltivati a frumento e fave, rinomate poi d’ altra parte per le straordinarie frane cui esse danno origine. » Le piante d’alto fusto e le vigne possono attecchire nei terreni seguenti : » Sabbie del pliocene n. 1 della carta geologica ; > Tufo calcareo » 2; » Trubi » 4; » Calcare zolfifero > 6 ; » Sabbie del miocene » 9a. » Karamente nei calcari soprastanti alle argille variegate dell’eo- cene ; e finalmente nelle roccie vulcaniche. » Roccie vulcaniche. — Gran parte delle vigne della provincia di Catania, quelle delle Isole Eolie, alcune nei dintorni di Licodia e Viz- zini sono piantate nei terreni vulcanici. Non tutte le roccie vulcaniche sono atte alla vegetazione ; le vetrose, per esempio, sono aride comple- tamente e non danno vita nemmeno al fico d’india che sempre pel primo si pianta quando vuoisi coltivare una regione di lave. » Quando le lave sono feldispatiche e sotto Tinfluenza degli agenti atmosferici di natura facile a decomporsi e quando abbonda la potassa, tali lave si adattano in modo eminente alla coltura delle vigne. Ma più che la lenta trasformazione della superficie delle lave v’ha un altro ele- mento che prèsto rende le regioni laviche atte alla coltura, cioè i sedi- — 393 — menti di ceneri che ad ogni eruzione vengono a depositarsi per larghe estensioni e per potenze di alcuni centimetri; tali ceneri tenuissime e feldispatiche sono pei terreni un concime fertilissimo e producono d’al- tra parte il terreno mobile necessario alla vegetazione. Nelle ultimé eruzioni tutto il cono dell’Etna venne coperto da siffatte ceneri, ed io sono d’avviso che il vantaggio generale apportato da tali pioggie di ce- neri tanto fertili cadute su una così grande estensione di terreno su- però di gran lunga il danno lamentatosi della distruzione di boschi e di qualche noccioleto. » Sono dunque le ceneri dell’Etna in special modo che possiedono una così prodigiosa fertilità ; in generale poi tutti i terreni costituiti da prodotti eruttivi frammentari. A Catania chiamasi vino del bosco quello proveniente dai terreni vulcanici, e vino delle terre forti quello proveniente dalle vigne piantate su sabbie e conglomerati alluvionali quaternari. Catania, Acireale, Griarre, Riposto, Piedimonte, Linguaglossa, Adernò e Paternò coltivano i terreni eruttivi parte a vigna e parte ad agrumi. » Le ceneri per natura fisica si avvicinano molto alle sabbie sciolte e mentre contengono tutti gli elementi per far vivere rigogliosamente la vigna, forse la loro scioltezza e, la mancanza d’argilla potrà rendere quelle regioni immuni dalla fillossera. Dovendosi fare esperimento sul grado di attitudine dei diversi terreni a combattere la fillossera, forse non riescirà senza importanza l’osservare se le ceneri dell’Etna posseg- gono come le sabbie la stessa proprietà. Una tale scoperta servirebbe se non altro a tranquillizzare le popolazioni di quelle regioni. » Le Isole Eolie hanno superbi vigneti, Lipari poi ha il suo terri- torio coperto interamente da vigne. Nell’isola Vulcano, venuta meno la fabbricazione dell’acido borico, per uno spostamento dei sofidoni ema- nanti tale acido, il proprietario dedicasi ad estendere la coltivazione delle vigne in quell’isola che per l’attività vulcanica di cui è ancora dotata, pareva dovesse essere ribelle alla vegetazione. » I basalti della provincia di Siracusa sono meno fertili delle roc- cie eruttive dell’Etna, il più delle volte sono aridi; non mancano però vigne nei prodotti eruttivi frammentari degli antichi vulcani che pro- dussero dei basalti intercalati nelle roccie terziarie di quelle località. > Dei tre centri principali vinicoli siciliani che sono Catania, Vit- toria e Marsala, puossi dire dunque che il primo ha le sue vigne in gran parte nelle roccie vulcaniche. » Sabbie plioceniche. — Nei terreni terziari, di cui è composta gran parte dell’isola di Sicilia, incontrasi un piano estesissimo di sabbie nel pliocene ed un altro, molto meno esteso nel miocene (Tortonìano). Ba- — 394 — sta osservare le carte geologiche per vedere come le sabbie plioceniche s’incontrano formanti tanti piccoli isolotti nelle regioni più interne del- l’isola e prendono estensioni grandissime presso il mare africano. » Mentre a Caltanissetta, Pietraperzia, Barrafranca, Delia, ecc., le, sabbie hanno delle estensioni relativamente ristrette, il circondario di Piazza comprende pressoché esclusivamente terreni formati da sabbie plioceniche. Da Caltagirone al mare per un’estensione di cento cinquanta mila ettari incontransi sabbie plioceniche di cui solo piccola parte sono coltivate a vigne, tutto il resto a bosco di sughero. Biscari, Niscemi e Vittoria hanno il loro territorio pressoché tutto in queste sabbie. » L’agricoltore siciliano tiene in molto pregio i terreni formati da sabbie, tanto più neirinterno dell’isola dove predominano le argille pla- stiche che non comportano le piante. Da tali terreni egli ha l’acqua che ne scaturisce per uso domestico, per gli orti : su di esse fabbrica case e pianta oliveti e mandorleti. Una distinzione quindi marcatissima di coltura osservasi in due limitrofi terreni quando é argilloso l’uno e sab- bioso l’altro. Se noi incontriamo neH’interno dell’isola poche vigne ed abbondanza di mandorleti ed oliveti, nelle sabbie plioceniche, credo che un tale fatto debbasi attribuire all’esiguo consumo di vino fatto da que- ste popolazioni molto sobrie. La difficoltà dei trasporti ne impedisce l’esportazione, la quale riesce molto più facile per un prodotto di mag- gior valore com’é quello della mandorla. Le sabbie plioceniche in go nerale sono molto calcarose ed hanno sovente intercalate lenti di argilla. Il calcare é talvolta tanto predominante che le sabbie si presentano sotto forma di arenarie cementate da un cemento calcareo. » Analisi fatte nel laboratorio della scuola mineraria dall’ingegnere C. Conti su sabbie plioceniche dei dintorni di Caltanissetta diedero la seguente composizione: » Materie terrose ottenute per levigazione . o o 12,00 » Sabbia calcarea . 29,80 31,00 > Sabbia silicea . 61.20 57.00 Too'oo 100.00 » A questa forte quantità di calcare devesi la pessima qualità delle acque che bevonsi a Caltanissetta, tutte calcarose, aventi gr. 0,3 di ma- terie minerali per litro d’acqua. » Le sabbie plioceniche si mostrano alcune volte molto argillose e gli strati essendo tutti pressoché orizzontali, succede che l’erosione tal- volta mette a nudo uno strato di argilla intercalata nelle sabbie che viene alla superficie per mescolarsi colle sabbie stesse. » Verso Trapani e Marsala le sabbie plioceniche sono alquanto ar- I 395 — gillose. Da Alcamo a Partiriico al mare, dove non coltivansi altro che le vigne, le sabbie sono eminentemente ferruginose, 1’ argilla è in pic- cola proporzione e vi domina l’elemento calcareo. » Sabbie del miocene. — Alla base della zona zolfifera abbiamo una estesa zona di argille contenente grandi lenti di sabbia e conglomerati. Questa zona è sviluppata in ispecial modo verso le Madonie; si hanno i vigneti nelle regioni dove le lenti di sabbia hanno qualche estensione. Nei comuni di Villarosa, Resuttano, Vallelunga, Leonforte, Nicosia, Alia, Regalbuto, si coltivano vigneti su queste sabbie mioceniche. La loro estensione (che nella carta si vede rappresentata con tratteggi rossi S)a) è di gran lunga minore di quella delle sabbie plioceniche, almeno nella zona solfifera rilevata. Fra Calatafimi ed Alcamo vi sono pure molte vi- gne piantate nelle sabbie e conglomerati miocenici. Le sabbie mioceni- che sono molto silicee, talvolta cloritiche, in certe regioni cementate da cemento gessoso. Dove il cemento venne sciolto dalle acque le s ab- bie sono silicee e di gran purezza, epperciò molto adattate per le co- struzioni. « Con un’analisi fatta su sabbie impiegate per la costruzione del gran tunnel di Marianopoli fu trovata dall’ingegnere Conti la seguente composizione ; » Materie terrose (argilla) ottenute per levigazione 5,00 4.50 10,00 9.00 ( Calcarea 8.30 6,10 9,60 8,10 > babbia , 39 4^ 3949 32^99 100,00 100.00 iw^o ib^o^o > Puossi in generale ritenere : » 1° Che le sabbie mioceniche sono poco estese nella Sicilia; » 2^ Che esse si presentano in molti punti prive di argilla, molto silicee e dotate di scarse quantità di calcare. » Le sabbie quaternarie sono relativamente poco estese, s’incontrano al faro di Messina e nelle antiche dune di Palma di Monte Chiaro ed in quelle che formano un cordone littorale fra Terranova e Licata di una lunghezza di trenta chilometri circa. Esse s’incontrano in colline di dieci a quindici metri di altezza, sono eminentemente sciolte ma sterili. » Gesso, tripoU, calcare. — Il gesso non si presta ad alcuna colti- vazione, non dà vita che ad uno scarso pascolo. » Il tripoli è pochissimo esteso in Sicilia; esso potrebbe benissimo servire per la vite, ma difficilmente s’incontrano vigne nel tripoli. Nel calcare zolfifero o siliceo, di origine lacustre, mentre attecchi- scono alberi di alto fusto, non incontrasi vigna che dove il calcare si — 396 presenta molto disaggregato, cosi dicasi del tufo calcareo pliocenico, il quale si presenta pure quasi sempre coltivato ad uliveti e mandorleti. Non manca però il tufo calcareo decomposto alquanto sabbioso coltivato a vigne. » Trubo, — Molto più estese sono le vigne piantate in un calcare mar- noso a fo raminifere detto in paese trubo. Una tale marna può essere talvolta molto calcarosa tanto da formare una buona calce idraulica ; altre volte co'ntiene piccolissima quantità di calce. » Nelle carte geologiche il trubo viene rappresentato col numero 4 e con tratteggi sopra una tinta rossa, intercalati coi trubi esistono tal- volta potentissimi banchi di argille non atte alla vigna, presentanti tutti i caratteri delle argille del miocene inferiore; tali argille sono segnate in rosso senza tratteggi. Sono nel trubo le vigne di Riesi. La maggiore estensione di vigne piantate nel trubo s’incontra a Siculiana, che fornisce il vino a tutto il circondario di Girgenti. Ristrette esten- sioni di vigne di alcuni ettari incontriamo nel trubo in tutti i comuni dove questo terreno trovasi presso l’abitato. V! Vizzini e Licodia hanno le loro vigne in un calcare secondario molto alterato e rassomigliante litologicamente al trubo. » Riassumendo conchiudo: » V Che i vigneti in Sicilia sono in gran parte nelle roccie erut- tive e nelle sabbie plioceniche ed in minor quantità nelle sabbie mio- ceniche ; » 2° I vigneti nelle marne sono relativamente poco estesi ed il mag- gior centro è Siculiana ; sono in minore estensione a .Riesi ; » 3° Le sabbie pliocenice e mioceniche s’incontrano talvolta inter- calate con argilla, ma puossi ritenere che in ogni località esistono punti ove esse sono poco argillose però sempre calcarose e per conseguenza da ritenersi convenienti per Tinsabbiamento delle viti; » 4° Le antiche dune formate di sabbie sciolte del cordone litto- rale fra Terranova e Licata credo convenienti per un esame allo scopo di farle servire all’insabbiamento delle viti infette di Riesi. > Queste, sono le considerazioni, che quantunque generali, non credo senza utilità allo scopo di poter tosto precisare meglio su quali terreni . debbasi portare l’attenzione ed eseguire analisi, nell’intento di conti- nuare in Sicilia gli studi iniziati in Francia sui rapporti fra lo svi- luppo della fillossera e la natura del terreno in cui son piantate le vigne. » L' ingegner e delle miniere del distretto di Caìtnnissetta » P. Toso. » — 397 — SStiidl iiil€i*oseopici clS roceSe italiasae. — 11 prof. D’Achiardi prendendo occasione dalle indagini microscopiche del prof. Pantanelli sui diaspri della Toscana mercè le quali quest’ultimo vi scoperse la pre- senza delle Madiolarie, sottomise ad un identico esame un gabbro-rosso tipico ed una soprastante roccia diasprina dei monti del Terriccio, fra le quali due roccie esiste nella catena serpentinosa toscana una noto- ria connessione ed altresì un’apparente transizione. Senoncbè ora dai risultati d’ analisi delle loro sezioni sottili apparirebbero indipendenti tra loro, sia per costituzione e struttura che per origine. Ed in fatti nel mentre che la roccia diasprina si mostrò quasi totalmente costi- tuita da Badiolarie, il gabbro-rosso sottostante ne risultò privo affatto ed oltre a ciò di struttura eminentemente cristallina; cosicché se ne verrebbe a concludere essere la prima di dette roccie decisamente se- dimentare e la seconda invece ipogea e quindi d’origine al tutto indi- pendente dalla roccia connessa. Non meno interessanti sono i risultati ottenuti dal sig. Canavari il quale sottopose a studio microscopico vari calcari e marne spettanti al lias superiore dell’Italia media e settentrionale. Riassumendone le os- servazioni, si avrebbe che le marne rosse ammonitifere dell’Appennino centrale (M. Grennaro, M. Guallo, M. Nerone, gruppo Suavicino, M. Ca- tria ecc.) e quelle d’Erba e Yalraadrera in Lombardia, come eziandio i calcari ad Harpoceras di M. Erto nel Friuli e di M. Cotona in Toscana, i calcari ad Harpoceras e quelli a Philloceras dell’Appennino centrale (gruppo del Suavicino, M. Pietralata, M. Ginguno) contengono più o meno frequenti avanzi di foraminifere dalle quali e principalmente dai generi Cristalleria, Nodosaria e JDentalina sarebbero costituite quasi totalmente le marne rosse anzidetto : meno frequenti si troverebbero nel calcare di M. Erto, ancor meno in quello di M. Cotona, scarse poi e rappresentate prevalentemente dal genere Polymorphina nel calcare deH’Appennino centrale, costituito invece da frammenti di conchiglie indeterminabili. All’incontro il calcare marmoreo rosso di Bicicola in Lombardia sarebbe formato quasi per intero da crinoidi, da frammenti di turricolate e di belemniti, ed il calcare grigio di Pilsone, Posteria e Tavernolo nel Bresciano sarebbe privo affatto di residui di conchiglie. Fclclii^pato di PaaiteIlaB«ia. — Nel Bollettino dell’anno 1877, pag. 460, vennero inserite alcune notizie riguardanti un lavoro del sig. H. Pòrstner sulle varietà di feldispato contenute nelle roccie tracbi- ticbe dell’isola di Pantellaria, lavoro pubblicato nello Zeitschrift fiir Kry-^ — 398 — stalìograpliie etc. Yol. I, Disp. 6, pag. 547 e nel quale il predetto autore ha classificato la varietà di Monte Gibele per ortose sodico monoclino, co- stituendo perciò un esempio di dimorfismo pel composto NaAl Si ^0*. Il sig. Klein già nel 1878 pubblicava nelle Naclirichten v. d. Kònigl. Geseìlsch. d. Wissensch. z. Góttingen, N. 14, alcuni appunti tendenti a com- provare che la detta varietà di M. Gibele dovea ritenersi invece per feldispato oligoclasico. Presentemente, ripetuta l’analisi ottico-microsco- pica della medesima, il sig. Klein confermò con una recente Memoria inserita nel JSfeues Jalirhuch f. Minerai. Geol. u. Palaeontologie, la sua precedente opinione, avvalorandola di un dettagliato resoconto delle estese e minutissime sue nuove investigazioni e dei paragoni da esso lui istituiti con altri feìdispati plagioclasici ed illustrando lo scritto con parecchie figure cristallografiche. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie IL Voi. 1. Settembre e Ottobre 1880. N.° 9 e 10. SOMMAEIO. Atti belativi a.l Comitato Geologico. CoNGKEsso Geologico Inteenazionale del 1881 ijsr Bologna. Avvertenza. Memorie originali. — I. Sulle condizioni geologiche e termiche della grande Gal- leria del S. Gottardo. Nota dell’ing. F. Giordano Ispettore nel R. Corpo Mi- niere. — II. Sulla serpentina del San Gottardo, del prof. Aleonso Cossa. Estratti e Riviste. — Sulle condizioni geologiche dei monti del Lago di Como. Nota di C. W. Gììmbel. (Da una Memoria inserita nei Rendiconti della R. Ac- cad. delle Scienze di Monaco^ 1880). Notizie bibliogralBLclie. — G. Terrigi, Fauna Vatiqana a foraminiferi delle mhhie gialle nel pliocene suhappennino superiore, Roma, 1880. — G. Ponzi, Sui lavori del Tevere e sulle variate condizioni del suolo romano, Roma, 1880. (Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei.) — R. Meli, Sulla natura geologica dei terreni incontrati nelle fondazioni tabulari del nuovo ponte di ferro costruito sul Tevere a Ripetta, Roma, 1880. (Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei.) — D. Pan- TANELLi, I diaspri della Toscana e i loro fossili, Roma, 1880. (Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei.) — A. D’Achiardi, Coralli giurassici dell' Italia set- tentrionale, Pisa, 1880. (Estratto dagli Atti della Società toscana di Scienze natu- rali, voi. IV, fase. 2.) — F. Cardinali, Cenni geologici sui dintorni di Pesaro. Strati a congerie e piccoli cardii: conglomerato poligenico, Pesaro, 1880. — G. A. Tuccimei, I colli pliocenici di Maqliano Sabino. Contribuzione alla storia dei ter- reni subappennini, Roma, 1880. (Estr. dal periodico Gli studi in Italia, anno III, voi. II.) — Fr. Marolda-Petilli, Ricerche geologiche sul bacino idrograheo di Muro Lucano, Lecce, 1880 — E. Spreaeico, Osservazioni geologiche nei dintorni del lago d' Orta e nella Val Sesia. (Memoria postuma), Milano, 1880. Tavole ed incisioni. — Tavola in colori che accompagna la Memoria dell’ ing. Gior- dano, a pag. 450. Sezioni della Galleria del San Gottardo, a pag. 411. — Profili diversi del San Gottardo, a pag. 428, 432 e 446. Atti relativi al Comitato {geologico. Nel decorso bimestre (settembre-ottobre) proseguirono, in quanto la stagione lo permetteva, i lavori del rileva- mento in Sicilia e nelle Alpi Apuane col solito personale, oltre a diversi studii secondarii in varie parti della penisola. In Sicilia presentava speciale difficoltà la distinzione — 400 — da farsi tra vari piani dei terreni mesozoici che sono so- vratutto sviluppati nell’ angolo N. 0. dell’isola e verso Pa- lermo ; perciò il prof. Gemmellaro recavasi coll’ ingegnere Baldacci incaricato di tale rilevamento all’ esame sul sito delle catene calcaree che rinchiudono la così detta Conca d’ oro, da Qapo-Gallo e Monte Pellegrino a Misilmeri, esten- dendosi poi al Monte S. Calogero sovra Termini ed a Ler- cara. Nelle ricerche dei fossili l’ ing. Baldacci venne coadiu- vato dal Sig. Bocca, secondo assistente di geologia al museo delP università. Le ricognizioni del prof. Gemmellaro doveano estendersi nell’ ottobre anche alle regioni di Siracusa ; ma le pioggie fecero rimandare a più tardi. Sul fine dell’ ottobre gli ingegneri Mazzetti e Cortese, addetti all’angolo N. E., e poco dopo il Baldacci vennero provvisoriamente al continente dove potranno coordinare i loro studi! nell’ufficio geologico; rimasero al lavoro nel- l’isola Eing. Travaglia coll’ aiut. Cassetti à proseguire nel- l’angolo S.E., e ring. Anseimo a riconoscere le formazioni recenti lungo la costa dell’ angolo N. 0. Nelle Apuane proseguiva il solito rilevamento per opera degli ing. Lotti e Zaccagna ed aiut. Fossen, estendendosi ora alle parti più scabre della catena, lo Zaccagna verso il Sagro ed il Lotti verso Arni e le Panie. L’ispettore Pellati, ritor- nato a vedere l’ andamento e distribuzione dei lavori, ri- feriva sui risultati dei medesimi, i quali assumono ogni giorno maggiore importauza anche per la definitiva classificazione dei terreni antichi di questa catena. — Già venne ricono- sciuta l’esistenza di una seconda anticlinale obliqua alla prin- cipale della catena e se ne può vedere lo sviluppo per una distesa di circa 3 chilometri da Benara sotto Gronda su per le falde del Vestito verso il monte Sella. La direzione di que- sta anticlinale si approssima alla N»0.-S.E. — 401 Nell’ ottobre poi, i signori Lotti e Fossen studiando minu- tamente la base del Monte Corchia dove principiano gli scisti antichi sottostanti ai grezzoni vi ritrovarono diverse ortoce- ratiti. Il punto in cui fu fatta questa importante scoperta stava a non più di 20 metri sotto ai grezzoni medesimi. Altri fossili furono rinvenuti nella parte superiore del terreno marmifero, di forme però assai difficili a decifrare. Questi avanzi organici di sommo interesse vennero consegnati al prof. Meneghini pel relativo studio. L’ ing. Testore tornato nell’ autunno per qualche tempo alle Apuane estendeva diverse ricognizioni al N. 0. sino oltre alla cresta che separa la valle di Magra da quella di Borgo- taro, studiando la linea per cui deve passare la lunga galleria della nuova ferrovia fra Parma e Spezia. — L’ ingegnere Zac- cagna fu poi qualche tempo distaccato a collaborare col prof Capellini nel rivedere alcune parti dell’ Appennino Bo- lognese. Infrattanto aveano luogo le escursioni affidate a diversi professori per le ricognizioni e studii in diverse parti d’Ita- lia, specialmente per quelli delle serpentine. — Il prof. Lo- visato riprese nel settembre il suo studio nelle Calabrie; il prof. Degiorgi nel Salernitano, dove però non potè per ora proseguire per sconcerto di salute. — Il Dott. Canavari del Comitato proseguiva il suo studio del M.*® Suavicino, nel- r Appennino centrale. — Nel nord il prof Tarameli! praticava una escursione nelle Alpi marittime e, nella Liguria occiden- tale mentre il prof. Issel coll’ ing. Mazzuoli intrapresero lo studio delle importanti masse serpentinose di Levante. — In Toscana l’ ing. Capacci compieva lo studio particolareggiato della massa di M.^® Ferrato sopra Prato. Intanto il prof. Cessa, coll’ aiuto degli ing/ Mattirolo e Cornagliotto, proseguì i suoi studii analitici sui saggi delle — 402 — rocce medesime inviatigli dai diversi raccoglitori nelle suin- dicate località. Degli altri lavori speciali concernenti il futuro Con- gresso del 1881 in Bologna, si rende conto nell’ apposito seguente articolo. CONGRESSO GEOLOGICO INTERNAZIONALE DEL 1881 IN BOLOGNA. NeH’ultimo numero del Bollettino (luglio-agosto) venne assai mi- nutamente riferito sull’operato sin’ ora per la preparazione del Congresso del 1881, e segnatamente sui lavori delle due Commissioni internazio- nali istituite per l’unificazione dei colori delle carte e per quella della nomenclatura geologica. Riguardo all’unificazione della colorazione venne colà riportata la Circolare del 1° maggio 1880 con cui a nome del Comitato organizzatore veniva bandito un concorso per la soluzione pratica di tale problema, almeno per le carte d’insieme a piccola scala. Infrattanto la Sotto Com- missione italiana istituita per quest’oggetto, avanzava il suo lavoro, in quantocbè dopo fatte varie prove di colorazione tentando di approssi- marsi in quanto era possibile alle idee esposte dalla Sotto Commissione francese nella seduta del 2 aprile u. s. in Parigi, fini per compilare una scala cromatica la quale sarebbe per ora ravvisata la più conveniente ad una Carta generale d’Italia al 1/500,000, mentre eccettuati pochi punti la stessa concorda assai bene con quelle adottate dalla massima parte delle altre nazioni. Intanto le notizie avute dai varii paesi esteri mostrano che si vanno nei medesimi nominando le Sotto-Commissioni locali, e preparando riu- nioni e lavori per concorrere all’esito della Sessione del 1881. Già nell’ articolo sul Congresso inserito nell’ultimo numero del — 403 — Bollettino si fè cenno delle riunioni tenutesi nei primi giorni di aprile ultimo scorso in Parigi fra diversi membri delle due Commissioni in- ternazionali per l’unificazione dei colori e della nomenclatura geologica e delle deliberazioni ivi prese. È il caso di rammentare come in quella occasione vennero anche presi dei concerti per il completamento delle Sotto-Commissioni di varii paesi. Cosi la Sotto-Commissione francese della nomenclatura venne co- stituita dai signori Hébert, presidente, Delesse, Lory, Potier, De-Kouville, Vélain. Per la Svizzera, avendo il suo presidente Alphonse Favre fatto conoscere che le sue occupazioni lo impedivano, venne offerto l’incarico al figlio : poi fu conferito definitivamente allo stesso E. Kenevier già rappresentante dell’altra commissione internazionale. Per la Svezia, furono annunciati, Lundgreen presidente, Kjerulf, Johnstrupp, Fòrnebohm, Linnarsson. Per la Eumania, Stefanesco presidente, Battea, Pilidi. Per l’Austria mancava ancora il rappresentante nella Commissione internazionale della nomenclatura: ma allora il Mojsisovics dell’Istituto geologico di Vienna, andato a Parigi per rappresentarvi il v. Hauer nella Commissione dei colori, accettò il mandato di rappresentante del- l’Austria nella detta Commissione della nomenclatura, incaricandosi quindi come presidente della pronta formazione della Sotto-Commis- sione austriaca. Intanto per cura dei medesimi v. Hauer e Mojsisovics (presidenti delle due S. Commissioni austriache pei colori e per la nomenclatura), veniva ultimamente convocata a Vienna una riunione dei geologi resi- denti nella capitale e nelle provincie, per intendersi sul modo di par- tecipare al Congresso di Bologna. Intervennero i sig. Abich, Burger- stein, Doli, Dunikowsky, Fuchs, v. Hauer, v. Hochstetter, Karrer, Koch, Mojsisovics, Heumayr, Paul, Eeyer, Stache, Suess, Szombathy, Tietze, Toula, Uhlig, Vacek, Woldrich : e mandarono il loro assenso alle con- clusioni Bittner, Stur, Teller e Tschermak. — Vennero formolati alcuni voti importanti, dei quali il Comitato organizzatore italiano terrà il massimo conto. Il concorso dei colleghi austriaci è di molta importanza per la geologia in genere e per l’Italia in particolare, la quale ha un territorio limitrofo sul quale parecchi di essi eseguirono importanti studii. Il loro contributo al Congresso di Bologna sarà quindi validissimo. Della Spagna e Portogallo recò notizie recenti il prof. Capellini che fu a Madrid e Lisbona in occasione del Congresso preistorico te- nutosi in quest’ ultima città nel settembre scorso. La definitiva com- — 404 — posizione delle due Sotto-Commissioni locali, è la seguente: per la coloritura delle carte Eibeiro presidente, Delgado, Malheiro, Vilanova, De-Castro, Botella, i primi quattro pel Portogallo, gli ultimi due per la Spagna; per la nomenclatura: Vilanova presidente, Mallada, Solano, Martin, Eico, Kibeiro, Delgado, Choffat, i primi cinque per la Spagna, gli ultimi tre pel Portogallo. Si ebbero buone notizie dall’Australia. Il prof, Liversidge delPUni- versità di Sydney, rappresentante delle varie Colonie australiane in am- bedue le Commissioni internazionali, diramava stampata la sua comuni- cazione alla Società Eeale della Nuova Galles del Sud, nella quale esprimeva la speranza di poter presto organizzare le due Sotto-Com- missioni locali ; e poi in data 20 settembre ultimo scriveva a Bologna che egli, insieme ad altri, sperava potere intervenire al Congresso. L’Australia è paese giovane ancora alle scienze, ma molto attivo. Le carte geologiche vi sono iniziate, ma lungi dallo esservi molto avanzate, onde gli studii di unificazione nella coloritura e definizione dei terreni geologici vi possono avere uno speciale interesse. L’Inghilterra non avea avuto rappresentante nel Congresso del 1878 almeno nelle Commissioni internazionali allora nominate per lo studio dei due anzi indicati argomenti. Però la lacuna venne più tardi colmata con la nomina del Eamsay a rappresentante in quella dei colori, ed in ambedue di Thomas M.® Kenny Hugues deU’università di Cambridge. — Nell’au- tunno del 1879 il signor Hugues si rivolse al Consiglio della Società Geologica inglese, il quale lo consigliò a cercare la cooperazione dei principali geologi del paese riunendoli in un Comitato che avrebbe allora potuto accingersi a cooperare agli scopi del Congresso da te- nersi nel 1881 a Bologna. La cooperazione che poteva sperarsi da un paese come l’Inghilterra dove la pubblicazione della carta geologica è già molto avanzata, non era tanto in vista dell’ unificazione della scala dei colori, ma piuttosto per l’argomento più vasto della classificazione e la no- menclatura dei terreni geologici, nelle quali è forse possibile lo introdurre colà modificazioni e riforme. Ed infatti il detto prof. Hugues preparò dei rap- porti e delle proposte cui egli si propone di sottoporre all’esame dei colleghi del Comitato suddetto che si trattava di formare. Ora con suo manifesto del 23 settembre u, s., il prof. Hugues fa sommariamente conoscere quanto ei fece in proposito di accordo col prof. Prestwich vice-presidente della So- cietà Geologica, e dà i nomi dei geologi dei quali ottenne l’adesione per formare il suddetto Comitato. Yi sono inscritti 47 nomi nei quali figurano i più reputati geologi e naturalisti d’Inghilterra. Basterà notare oltre al suddetto Prestwich, i signori: Eamsay direttore del Comitato geologico — 405 — inglese, Gelide e Hulì direttori rispettivamente delle Carte geologiche di Scozia ed Irlanda, Etheridge presidente della Società geologica e pa- leontologo del Comitato, Haughton professore al Trinity College in Lon- dra, Duncan professore al King’s College, Dawkins id. a Manchester, Adams professore a Cork, Evans a Hempstead, ed E. B. Tanney al Trinity College di Cambridge, che è il segretario. I geologi del Nord-America che con la loro riunione del 1876 a Filadelfia furono i fondatori di simili Congressi internazionali, e com- parvero numerosi a quel di Parigi, non mancheranno alle loro promesse di concorrere e con speciali lavori e con delle caratteristiche collezioni. Nelle notìzie sul primo Congresso del 1878 era stato esposto, come ol- tre alle due Commissioni internazionali per la colorazione e nomenclatura, era stata istituita in Parigi una terza commissione per lo studio delle regole da seguire nella nomenclatura delle specie, sia in paleontologia che in mineralogia. Questa commissione interamente francese, è com- posta ; per la paleontologia da A. Gaudry presidente. Cotteau, Douvillé, Gosselet, Pomel, Saporta; per la mineralogia da Decloizeaux e Jannetaz. Sinora non crasi ancora potuto far cenno nel Bollettino dei lavori di questa Commissione : ma ora si presenta un’occasione opportunissima, perchè il presidente della medesima pel ramo della paleontologia, in- viava ultimamente al professore Capellini, presidente del Comitato or- ganizzatore, una lettera nella quale egli espone l’operato sinora e quanto si intenderebbe di preparare pel Congresso di Bologna. Simile lettera dell’esimio paleontologo francese presenta sufficiente interesse perchè convenga di qui pubblicarla. Faris^ 48 octohre 4880. A Monsteur Capellini, Président du Comité d^organisation du Congrès international de géologie^ a Bologne. Mon chee CONEKÈEE, Dans le Bulletin du Comitato geologico d’Italia, voiis avez parie des travaux de la Commissìon pour riinification des figurés géologiqiies et de la Commission pour Piinifi- cation de la nomenclature géologique. Sur la proposition de M.rs Gosselet et Jannettaz^ le Congrès de 1878 avait institué ime troisième Commission chargée d’étiidier avant le prochain Congrès la question des règles à suivre pour établir la nomenclature des espèces. Les lecteurs de la belle publication du Comité géologique d’Italie sont peut-étre ^ 406 — dèsireux d*'avoir quelques renseignements sur ce qu’a fait cette Commìssìou. Elle s^est réunie une fois en janvier 1880 et plusieurs fois en avril. Gomme la nomenclature des espèces minérales est très differente de celle des plantes et des animaux, les paléontologi- etes ont peùsé que leiirs propositions devraient rester distinctes de celles des minéralogi- etes. M.r Douvillé a étó nommé secrétaire de la Section de la nomenclature des espèces fossiles. Ce choix nous a paru excellent, parce que M.r Douvillé est le collaborateur de M.' Bayle dans le vaste travail de relevé des espèces fossiles dont vous avez vu sans doute les matériaux à l’Ecole des Mines de Paris. M.y Douvillé nous a présenté un rapport sur la question des règles a suivre pour la nomenclature des espèces. Après avoir entendu ce rap- port et s'étre livré à des discussions approfondies, le Oomité a arrété un premier projet de règles pour la nomenclature paléontologique qui devra étre soumis au Congrès. Ce premier projet et le rapport de M.r Douvillé seront bientót imprimés et envoyés aux personnes qui s’occupent plus spécialement des questions relatives à la nomenclature des animaux et des plantes fossiles. Lorsque notre Section de paléontologie aura re^u leurs observations, elle se réunira de nouveau, et alors elle arrétera le projet défìnitif qu’elle devra présenter au Congrès de Bologne. Soit que nous regardions les espèces comme des formes isolées, iiidó- pendantes les unes des autres, soit que nous les considérions simplement comme représen- tant les pbases diverses d etres qui poursiiivent leur évolution à travers les àges, nous Bommes toiis d’accord sur la nécessité de conserver les noms appelés noms d’espèces, car sans eux nous n’aiirions plus de points de repère pour nous retrouver au milieu des etres innombrables de la nature présente et passée. C’est poiirquoi je pense que le Congrès de Bologne comme le Congrès de Paris s’intéressera aux efforts de ceiix qui tachent d’amé- liorer la nomenclature des espèces. Veuillez, mon cber confrère, recevoir l’expression de ines sentiments affectueux. Le Président de la Section de nomenclature des espèces fossiles Albekt Gaudrt Mentre all’estero si lavora ai preparativi per presentarsi al Con- gresso che avrà luogo in Italia, sentesi vieppiù da noi la necessità di prepararsi a fare condegnamente la parte che ci incombe. Già venne al- trove riferito dei lavori di carte, bibliografìe, collezioni e studi di rocce, che si van preparando. Ora però diviene urgente la parte materiale, per così dire, dei preparativi in Bologna. Il museo geologico e paleontolo- gico sovratutto devesi alquanto ristaurare e poi corredare di vetrine e mobilio per ricevere le collezioni che si incominciano a mandare dal- l’Italia e dall’estero. Occorrerà pensare in tempo ad avere fondi per — 407 — tutti i lavori di segreteria, redazioni, escursioni, ecc. e poi per la pronta stampa finale del resoconto generale il quale dovendo essere corredato di figure e di carte esigerà una spesa di qualche riguardo. Il governo e municipio che nel 1878 telegrafando al Congresso di Parigi, assunsero nobilmente l’impegno di soddisfare agli obblighi che impongono simili «venti di importanza internazionale, e che già fornirono nel 1880 qual- che somma per iniziare i lavori, non dovranno mancare ad assicurare in tempo utile i mezzi indispensabili per il pieno successo. AVVERTENZA. Nel precedente numero del Bollettino era stata annunciata la pub- blicazione nel presente di un articolo del Sig. I. Cafici Sul Calcare a selce pir amaca e su quello ad Echinidi e grandi bivalve del S. E. di Sicilia : ma avendo ora l’Autore manifestato il desiderio di completarlo con nuovi studii ed escursioni, ne viene rimandata la pubblicazione al numero prossimo. 27 — 408 — MEMORIE ORiaiNALL I. Siille condizioni geologiche e termiche della grande galle- ria del S, Gottardo. — Nota dell’ing. F. Giordano Ispettore nel K. Corpo delle Miniere (con tavola annessa). Cenno preliminare sull’apertura della Galleria. Il 28 febbraio 1880, avvenne rincontro dei due rami Nord e Sud della grande galleria del monte S. Gottardo, dopo anni 7 V2 circa dai suo incominciamento, cbe avea avuto luogo negli ultimi mesi del 1872. Questa galleria, della lunghezza di quasi 15 chilometri, destinata a mettere in comunicazione ferroviaria la valle del Ticino con quella della Reuss in Cantone di Uri, cade interamente, insieme alle sud- j dette due valli, su territorio della Confederazione Svizzera; e perciò i tutta l’opera della linea, che va dal Lago Maggiore sino a Fluelen sul Lago de’ Quattro Cantoni, benché soggetta alla sorveglianza di una com- missione composta di rappresentanti delle tre potenze sowentrici della medesima (Italia, Germania e Svizzera), venne posta sotto il diretto 1 controllo del governo federale. Ad una compagnia assuntrice veniva da questo affidata l’opera intera; e la compagnia poi a sua volta, dopo |( un esperimento di licitazione, nell’agosto del 1872 accordava a cottimo •; r esecuzione del grande traforo all’ assuntore ginevrino Luigi Favre. Questi, vincendo nella gara altri offerenti, avea promessa la galleria. i interamente finita e transitabile per 1’ ottobre del 1880, cioè nel lasso '* di soli 8 anni, mentre altri stimavano a ciò necessari 9 anni almeno. I L’Italia che per il felice eseguimento, compiuto nel 1870, del primo ì grande traforo alpino pel monte Frejus (detto comunemente benché al- | quanto impropriamente del Cenisio), per gli studi teorici e scientifici |? già fatti sul Gottardo e per la ingente quota di sua partecipazione alla 1 spesa, avea tanto interesse all’esito di questa seconda opera, non potè * così prendervi una parte diretta. La nazione però seguiva lo avanzare di tale opera con vivo interesse al punto di vista umanitario, poiché dei ;; numerosi operai impiegati al lavoro interno della galleria circa il 90 per cento erano italiani. Ora tale lavoro era arduo assai. Oltre agli ordinari • i — 409 pericoli dei lavori sotterranei dipendenti in parte dalla varia solidità della roccia, in parte dal sistema di escavazione adottato, vi sono quelli permanenti del calore, umidità e cattiva ventilazione. Il calore tal- volta eccessivo ha per prima origine quello naturale della roccia che cresce con lo internarsi nelle viscere del monte, e su tale argomento già erasi fatto qualche studio preventivo, come anche se n’eran fatti sulla natura delle rocce da attraversare. L’umidità, altro grave ele- mento di malsania, dipende in parte dalla quantità d’acqua che esce dalla roccia, quantità che pure si potrebbe sino ad un certo punto prevedere con un accurato studio geologico. La buona o cattiva venti- lazione poi durante l’apertura della galleria, se in gran parte può di- pendere dai sistemi di lavoro e dai mezzi tecnici adottati, è tuttavia strettamente collegata alle condizioni fisiche ed idrografiche dèlia catena da perforare, e fra altre a quella di potersi procurare alle due bocche una forza motrice sufficiente tanto per la compressione dell’ aria, che per l’aspirazione dei gaz caldi e corrotti, ed infine per altri usi che col progresso dell’arte delle gallerie si potranno trovare convenienti. Quanto infine alla ventilazione permanente della galleria, dopo cioè che sarà eseguita, essa dipende non solo dalla relativa altitudine dalle due bocche, ma molto pure dalla direzione dei venti dominanti e da altre condizioni del clima della regione. Vedesi da ciò quale complesso di studi di geologia e di fisica ter- restre, oltre a quelli tecnici ed economici, venga altamente interessato nell’esecuzione ragionata di un’opera di tal genere. La scienza geolo- gica specialmente vi può essere molto utilmente applicata, mentre essa stessa per contro può trarre profitto dai molteplici dati di fatto cui tale opera può fornirle, i quali riusciranno poi utilissimi per la previsione delle condizioni di altre opere di simil genere. Nell’ esecuzione dell’an- zicennata galleria del Cenisio, eransi raccolti bensì varii dati, ma sgra- ziatamente non si volse sufficiente premura sin da principio allo studio completo dei diversi fenomeni, specialmente a quelli della temperatura e della legge del suo incremento nell’interno. Dei termometri appropriati furono colà posti entro la roccia soltanto negli ultimi giorni precedenti l’incontro dei due rami e dal solo lato d’Italia; e fu a mala pena se quando mi recai colà nel dicembre del 1870 per presenziare quell’incontro pote- ronsi raccogliere alcuni dati termometrici che mi permisero di scrivere sull’ argomento un breve articolo nel Bollettino Geologico del 1871. ^ Pel Gottardo la cosa procedè molto diversamente ed al massimo ^ Queste esperienze si poterono allora eseguire stante^le disposizioni date dall’ing. Borelli direttore del traforo a Bardo neccliia. — 410 — vantaggio della scienza geo-termica. Già vari studi geologici preliminari erano stati fatti, come si dirà più sotto, da geologi italiani ed esteri. Intanto la compagnia assuntrice del traforo stabiliva sin da principio in Airolo un uffizio speciale sotto la direzione dell’ ingegnere geologo Maurizio Stapff, con l’unico scopo di studiare e raccogliere tutti i datifgeolo- gici, termici, idrografici, e fisici di vario genere, cui l’esecuzione di quella grande opera avrebbe senza dubbio fornito. Fu quindi stabilita una serie perfetta e completa di osservazioni, i cui dati, oltre allo essere stati oggetto di varie memorie, si andavano registrando giornalmente in un profilo a scala molto grande, cioè di 1/200. Una parte dei dati raccolti già venne dall’ingegnere Stapff pubblicata; però, stante un in- gombro di lavoro avvenuto di poi nell’ ufficio federale di Berna, molte parti sono in ritardo, e solo nel settembre ora decorso si ebbe un riassunto a scala di 1/25000 del profilo geologico generale, insieme a qualche dato riassuntivo sulla questione della temperatura. Intcìnto nel febbraio del corrente 1880, poco prima dell’ incontro, l’ingegnere V. Zoppetti del K. Corpo Miniere, fatta una accurata visita alla galleria, avea steso un particolareggiato rapporto sulla medesima, toccando però specialmente del sistema adottato pei lavori di escava- zione e per la ventilazione, in vista della gran questione igienica degli operai. Circa poi ai risultati geologici, era assolutamente necessario lo attendere le ultime pubblicazioni ufficiali svizzere, e ciò fu la causa principale del ritardo da me frapposto a pubblicare qualche cenno sul- l’argomento. A migliore dilucidazione dei risultati geologici e fisici ottenuti dalle osservazioni praticate durante l’escavazione della galleria si unisce una tavola contenente due profili riassuntivi desunti dalle pubblica- zioni ultime dell’ing. Stapff e ridotti alla piccola scala di 1/50,000 cioè : 1. Profilo geologico. 2. Diagramma indicante la distribuzione della temperatura nell’in- terno della montagna. Prima però di occuparsi di tali risultati scientifici, conviene citare ancora alcuni dati relativi alla esecuzione della galleria stessa. La sua lunghezza era stata calcolata preventivamente mediante triangolazione in 14,920 met., tutta senza pozzi. La bocca Sud presso Airolo, sta all’ al- titudine di 1145 met. sul mare, e quella Nord presso Goschenen a 1109'", onde una differenza di livello di 36 m. fra le due bocche. In previ- sione delle acque da scolare, ambi i tronchi aveano una lieve salita verso l’interno, cioè nel ramo Nord di 5,82 e nel ramo Sud variante da 1 a 2 %o con il punto culminante interno all’altitudine di metri 1154,60. — 411 — La sezione, ossia vano interno della galleria, adatta per due binarii, ha 8 met. di larghezza per 6 met. di altezza nel mezzo, e stando alle previsioni consone alla pratica in rocce anche assai dure, dovea essere interamente rivestita di muratura. Il sistema di escavazione adottato fu quello detto heìga o francese che consiste in aprire la piccola galleria detta di direzione, (o di avan- zamento), di m. 2,50 X 2,50, la quale precede la grande definitiva, nell’aprirla dico, non già nel basso di questa come nel sistema detto in- glese e che si praticò al Cenisio, bensì nell’ alto della sezione medesima. Questo sistema belga è relativamente più spicciativo ed economico: ma può avere talvolta l’inconveniente di prestarsi male ad una pronta riu- nione e scolo delle acque che vengono dall’avanzamento, e quindi meno conveniente nei casi in cui si possa prevedere che tali acque saranno alquanto copiose. Quanto al sistema di ventilazione adottato, nemmeno fu felice ; ma non è il proposito di qui trattarne. Ottimi invece furono gli impianti per la perforazione meccanica, sia nel genere dei compressori dell’aria (sistema Colladon) sia nelle mac- chine perforatrici. Queste furono di vario sistema: Mac-Kean, Dubois- Frangois, Ferroux, etc. ed in generale molto efficaci, sorpassando i ri- sultati ottenuti al Cenisio, dove, a vero dire, si dovette dapprima passare per lo stadio di scuola. E da notare come l’avanzamento della piccola galleria di direzione procedette assai più rapido nelle rocce alquante dure purché omogenee che non nelle tenere, come certi scisti calca- riferi e gneiss semisfatti che s’incontrarono in qualche tratta della gal- leria. Nel traforo del Cenisio il più rapido avanzamento in buona roccia non passò m. 3 o m. 3,50 per parte in 24 ore, mentre al Gottardo si ebbero m. 4, e m. 4,25. Ma non mi estenderò qui ulteriormente sovra questi dati tecnici, come nemmeno sulla materia, igienica : sui quali argomenti del resto si ebbero varie relazioni sia dall’uffizio svizzero che da vari autori privati, e di cui rende poi conto particolareggiato il summenzionato rapporto dell’ ing. Zoppetti. Ciò che spicca frattanto nella storia dei lavori di questa grande opera, si è che, a malgrado delle gravi difficoltà incontrate in certi punti per terreno inconsistente, per l’acqua e per calore, come verrà detto più sotto, il suo eseguimento fu rapidissimo e presso che entro i limiti — 412 — della previsione dell’ impresario, la quale da principio era stata giudi- cata alquanto temeraria da persone tuttavia molto competenti. Ora abbenchè rincontro dei due rami della piccola galleria di direzione sia avvenuto sin dal febbraio del 1880, la galleria aggrandita, cioè portata tutta alla sezione di m, 8 X m. 6 e murata, non potrà es- sere finita che alla metà forse del 1881, cioè in poco meno di 9 anni. E da notare però che l’impresa Eavre fu da principio assai contrariata dallo stato finanziario della compagnia, onde pretende esserne avvenuto un certo rallentamento nei lavori.^ Ad ogni modo, anche un tempo di 9 anni in tutto per quasi 15 chilometri, dà una media di quasi 1700 metri all’ anno di galleria finita, il che segna un bel progresso nell’arte di aprire le grandi gallerie a foro cieco. Se di tale progresso siamo debitori in massima parte all’importante sperimento del Cenisio eseguito dai noti ingegneri del governo italiano, non poco si deve pure ai meccanici esteri che poscia inspiravano tanta fiducia all’imprenditore Eavre. Questi periva il 19 giugno del 1879 di morte improvvisa, mentre assisteva al lavoro dentro il traforo allora tuttavia incompiuto ! L’opera veniva poscia proseguita dal Bossi suo suc- cessore, con la stessa alacrità. Già sino dal decembre del detto anno 1879, i lavoranti del ramo Nord aveano udite le esplosioni delle mine sparate nel ramo Sud; ed allora restavano ancora 400 metri da perforare. Verso sera del giorno 28 feb- braio 1880 una sonda di esplorazione di circa 3 m. spinta avanti nella roccia dal lato Sud sfondò la parete di tale spessezza che ancora rima- neva, penetrando nel ramo Nord. L’indomani 29 le ultime mine aprirono interamente la breccia e la prima comunicazione per piccola galleria fu un fatto compiuto. L’incontro dei due rami ebbe luogo assai esat- tamente tanto in livello che in direzione; poiché nel primo non si ebbe che una differenza di 5 cent.^ e nella direzione uno di 33 cent., diffe- renza insignificante e che si farà sparire neH’allargamento. Simile esat- tezza d’incontro, che pure ottenevasi al Cenisio, non deve ormai stupire, conoscendosi la precisione delle relative operazioni geodetiche e degli strumenti usati nelle medesime. Una certa differenza invece venne riscontrata nella lunghezza, che era stata valutata in 14,920 m. e risultò invece, almeno dietro le prime misure, di 14 912”', 40, cioè circa 8 m. in meno. Nel traforo del Cenisio ve- niva pure trovata una differenza nella lunghezza, ma in più. La lun- ' Ldmpresa, dietro il contratto, sarebbe passibile di una multa di fr. 5000 per ogni giorno di ritardo dopo il Ottobre 1880. — 413 — ghezza era stata calcolata pel Cenisio a 12,220 m. circa, mediante una triangolazione appoggiata ad una vecchia base del 1817. Tale lunghezza crasi già raggiunta il 23 decembre 1870 con gli spunti dei due rami Nord e Sud, mentre una sonda di circa 5 m. cacciata dal ramo Sud verso quello Nord dava ancora in piena roccia. Yi era dunque un certo ri- tardo invece che un anticipo all’incontro. Il rumore del lavoro del ramo Sud ossia di Bardonecchia, era stato udito dai lavoranti del ramo Nord quando vi era ancora una distanza di 120 m., però non risultava se non si fosse già potuto udire prima, come avvenne al Gottardo. Sul fine poi al Cenisio udivansi distintamente anche i colpi di piccone, ma, cosa notevole, i lavoranti del ramo Sud udivano tali colpi come se provenis- sero dal lato sinistro della loro galleria d’ avanzamento ; fenomeno do- vuto probabilmente alla direzione obliqua degli strati calcarei. Intanto mentre ritenevasi che la perforazione sarebbe stata compiuta verso il 20 del decembre, si fu soltanto nel pomeriggio del 25 che la sonda esplora- trice diede alfine il sospirato suono cadendo nel vuoto del ramo Nord; e la cerimonia dell’ultima breccia ebbe luogo il successivo 26. Non vi fu neppure colà errore sensibile nel livello e nella direzione: ma la lunghezza trovata fu di 12,233‘m. a vece di 12,220, cioè di 13. m. in più. Un fatto ancora che va menzionato relativo al Gottardo, ossia agli studii primitivi che si fecero della grande galleria, ed è che quando per la esecuzione della medesima si addivenne al rilevamento in grande scala di un piano topografico con esatto profilo, si trovò una sensibile differenza tra questi e le indicazioni della carta topografica svizzera al 1,50000 che era stata la base dei primi studii preliminari, lo pure avea dovuto servirmi di tale carta amplificata colla fotografia nello studio che avevo fatto di questa catena nel 1871; e così avean dovuto fare gli altri, prima dei suddetti appositi rilevamenti. Or dunque si trovò che la linea tracciata fra le due bocche Goscbenen ed Airolo sulla detta carta, scartavasi assai da varii punti del terreno sotto ai quali invece passava effettivamente, e tale scarto avea luogo dove verso Est, dove verso il lato opposto. Per esempio, negli ultimi chilometri al Nord, verso Goscbenen, mentre la linea vera della galleria passa più volte sotto il torrente Keuss, invece secondo la carta al 1/50000 avrebbe lasciato questo rivo interamente all’Ovest. In alcuni tratti risultava una differenza in distanza orizzontale persino di 200 m. — Simili inesattezze in una mappa assai reputata, possono sino ad un certo punto attribuirsi non al primitivo rilevamento, della medesima, ma piuttosto agli spostamenti più 0 meno grandi che succedono nella riunione delle diverse tavolette contigue del rilevamento stesso, sovratutto lungo le linee di frontiera, — 414 — come è qui il caso. Intanto però simili inesattezze ponno dare ragione di certe differenze che si riscontrarono poi tra i profili geologici pre- ventivamente studiati e quello reale trovato nell’esecuzione della galle- ria, come sarà detto a suo sito. Dopo questi cenni preliminari sulla grande galleria del Gottardo, vengo ad un rapido esame di ciò che fu riconosciuto dalle numerose osservazioni fatte durante la sua esecuzione. — Tale esame si può sud- dividere in 4 parti: Geologia — rocce incontrate ; Acque ; Temperatura ; Alcune applicazioni pratiche. Geologìa — Rocce incontrate. Diversi studii preliminari erano stati fatti sul Gottardo da geologi nazionali ed esteri. Già nel 1865, quando ancora pendeva incerta la scelta fra le linee rivali del Lugomagno, Spinga e Gottardo, il nostro Ministero facea percorrere le tre catene da una Commissione geologica composta del prof. A. Sismonda, prof. A. Stoppani ed ingegnere F. Giordano. Tale Commissione venne in qualche sito accompagnata dai geologi svizzeri B. Studer, Escher (v. d. L.) e Eritsch. La medesima presentò per ognuna delle tre catene varii profili tutti a diverse altezze, tra cui pel Got- tardo uno che non molto scostavasi dalla direzione stata poi nel 1873 adottata. E però da osservare che simili studii della Commissione ita- liana erano soltanto sommari per rispondere all’esigenza del momento. ^ Circa a natura e consistenza di rocce da attraversare, non risul- tava da simile studio una differenza notevole a vantaggio o scapito di uno dei tre succitati passaggi: ma delle considerazioni commerciali fecero poi preferire il Gottardo, la cui esecuzione veniva quindi affidata alla compagnia assuntrice da principio menzionata. Questa, dopo fatti eseguire gli studii tecnici, avea fissato in massima verso il fine del 1871 il tracciato della ferrovia. Siccome il lavoro di questa dovea fra breve darsi ad appalto e che studii geologici particolareggiati ancora non ^ Comunque sommario, lo studio allora fatto del Gottardo diede risultato ben prossimo a ciò che fu poi la realtà, e ciò non solo come dice l’autore, per essere stata, la Commissione italiana accompagnata da geologi svizzeri (i quali non fornirono an- cora che delle indicazioni generali), ma molto pure per proprio lavoro. — 415 — esistevano, credetti bene occuparmene, perfezionando così 1’ esame al- quanto sommario fattone con la Commissione del 1865 di cui ero stato relatore. NeH’autunno del 1871, mi recai sul sito con i due giovani ing. Alessandri e Momo allora operatori del Comitato geologico residente in Firenze, e con la collaborazione dei medesimi feci uno studio li cui ri- sultati vennero poi pubblicati nel Voi. II delle Memorie del detto Co- mitato (anno 1872) in un articolo corredato di una carta geologica e di varii profili. Debbo però fare osservare che neanche simile studio po- teva avere un valore assoluto, perchè a quell’epoca non era tuttavia definitivamente fissata la situazione della galleria, potendo ancora an- dare soggetta a qualche variazione: e quando io mi recava sul sito più non vi erano gli ingegneri tedeschi incaricati dei tracciamenti, onde mi mancavano indicazioni sicure sulla precisa linea da studiare. Perciò presi il partito di studiare due linee alquanto diverse, aventi ambedue la bocca Nord presso Goschenen nel punto istesso (a 1110 m. sul mare), ma le rispettive bocche Sud in punti diversi; cioè 1’ una presso Albi- nengo poco ad Ovest d’Airolo a 1155 m. sul mare, l’altra assai all’Est sotto Madrano ed a 1070 m. Questi due profili doveano comprendere fra loro quello che sarebbe poi stato definitivamente fissato: ma simile incertezza e la circostanza di non avere allora a disposizione dei profili esatti ed in grande scala della montagna, fecero sì che anche questo studio non poteva avere, come già dissi, che un valore relativo, ben- ché sufficiente allo scopo. ' Finalmente nel 1873, il geologo Fritsch eseguiva uno studio sulla linea definitiva della galleria, accompagnandolo con una carta presentata come contributo alla carta geologica della Svizzera. Ora egli è interessante di paragonare i dati di questi varii studi! presuntivi, comunque non tutti pretendano ad assoluta esattezza, con i risultati della perforazione, quali furono poi esattamente osservati e descritti dall’ ing. Stapff, e di cui una idea sommaria si può avere dal profilo comunque ridotto a piccola scala disegnato nell’annessa ta- vola Qui appresso intanto si presentano iri un quadro li dati princi- pali dei tre sovradescritti studii del 1865, 1871 e 1873, di fronte a quelli verificatisi nella galleria. 1 varii terreni o banchi, con le relative spessezze vi sono raggruppati in certe grandi masse di cui sarà fatto cenno poco sotto. L’enumerazione poi delle varie serie di rocce vien fatta procedendo dalla bocca Nord ossia di Goschenen verso quella Sud 0 di Airolo. — 416 Commissione italiana del 1865. [Òisffionda^ Stopparli Gioì'- dano r.) — Studio lungo un tracciato ipotetico — lunghezza 14800 m. — altitudine bocca Nord Ilio m. sul mare — bocca Sud 1150 m. — Successione delle rocce dalla bocca Nord Terso quella Sud. o3 ce Ing. Giordano 1871. — {Coi OQ Sig. Alessandki e Momo) — ■ To cu Studio su profilo tratto dalla car- Td ta svizzera, e che passa poco ad ce N ovest di quello stato p^i eseguito ce ts: N CU — lunghezza 15070 m. — bocca N OJ CO co OD Nord Ilio m. — bocca Sud co CQ Q- U1 1155 m. m met. met. Gneiss granitoide dalla bocca Nord sino al Ponte del Diavolo — scistosità verticale — sovente clivaggio orizzontale .... Gneiss scistoso micaceo . 350 Scisti talcosi, talora con vene di quarzo, neri e te- neri nei dintorni di Ander- matt, e con 100 m. circa di calcare cristallino . . 1000 Lunga serie di scisti micacei passanti a gneiss, con qualche massa serpentinosa e dioritica ol- tre Andermatted al Kastelhorn, talora con intermisti antibolo e vene quarzose. Direzione E.N.E. (come in generale tutta Li ca- tena) — Scistosità e stratif. pri- lua inclinata al Sud, poi al N^rd, formando il ventaglio — (non impossibile qualche zona grani- toide delle masse ad Ovest) Scisti micacei e talcosi, con molti cristalli di granato ed an- fìbolo (ornibleuda), talora pas- santi a vere anfiboliti, general- mente molto dure e con vene ed arnioni quarzosi — Direzione N. E. cica e pendenza forte al N. 0 Avvertenza. — Questa Com- missione la quale avea l’incarico di uno studio comparativo delle linee del Gottardo, Lugomagno e Spinga, non potè che studiare sommariamente le varie linee e loro varianti. Del Gottardo pre- sentò altri due profili a livelli superiori. 2,200 1,350 8,000 3,150 14,800 Granito più o meno omogeneo con grossi felspati — Fissilità verticale con frequente clivaggio orizzontale ' — Direzione gene- rale delle zone N. 60® E. in me- dia, cioè circa E. N. E. . . . Gneiss più o meno scistosi, stessa direzione .... 350 Calcare cristallino mica- ceo (cipollino) a lastre — Strati quasiverti cali (Sisup- pone qui la sua continua- zione sino alla profondità - almeno della galleria, cioè 300 m) 130 Scisti micacei bigi, pas- santi a gneiss — alterna- no presso Andermatt con scisti nericci calcariferi , 870 Scisti micacei e gneiss scisto- si alternanti con zone più o me- no anfibolifere — Una zona ser- pentinosa può trovarsi a circa 5200 m. dalla bocca Nord ed una anfibolifera di 300 a 400 m. corrispondente al Kastelhorn, masfumantesi nelmicacisto 6310 Gneiss con fili e noccioli di quarzo talora assai grossi 16S0 Docce scistose come le pre- cedenti più o meno anfibolifere, passanti talora ad anfibolite in massa, tenace . . , . 2,910 Micacisti passanti a gneiss, granatiferi e con vene quar- zose — Direzione N. 50 a 55® E, pendenza al N. 0. 620 Avvertenza. — In una variante supposta passare all’Est di Airolo e colla bocca Sud a soli 1070 m. si incontrerebbe del calcare dolo- mitico, con carniola, anidrite e gesso, roccie assai acquifere, so- pra alla suddetta bocca Sud. 2,200 7,990 3,530 15,070 — 417 D. T. Fritsch nel 1873. f Con- tribuzione alla carta geologica Svizzera). — Studio sul vero profilo stato poi adottato per l’e- secuzione — lunghezza 14920 m. — bocca Nord 1109 m. — bocca Sud 1145 m. bo m met. Risultato della galleria sta- ta realmente eseguita (1880) dietro le osservazioni deW Ing. Stapff — • Lunghezza 14920 ni. ^ bocca Nord 1109 m. bocca Sud 1145 m. — punto culminante 1154,60. tc CL, met. Gneiss granitoide . . . . Gneiss ordinario, circa , . 460 Calcare cipollino (Lias a Giura) 340 Scisti sericitici e cloritosi. 1,310 Gneiss micaceo passante al gneiss vero Gneiss con tre zone di sci- sti anfibolici, e con pietra oliare passante a serpen- tina (Gigenstaffen eKastel- horn) Micascisti quarziferi. . MicascistifGlockethiirm- li) Gneiss (Lago della Sella) Micascisti e gneiss con aghi di antibolo verde (al- pe Sorescia) 5,135 640 150 300 250 325 Gneiss micaceo con due zone ^in complesso 313 m.) di scisto anfìbolico 1,650 Micascisti e gneiss con aufibolo verde e con tre zo- ne (in complesso 285 m.) di scisti anfibolici . . . 1,500 Micascisto con inclusa della carniola (87 m.) pres- so la bocca Sud. . . . 625 2,235 2,110 6,800 3,775 14,920 Gneiss granitoide, compresa una zona di 417 m. di gneiss ordinario Gneiss detto di Ursern, e zone di gneiss bigio-verdastri, quar- ziferi 520 Scisti neri e calcare ci- pollino Gneiss sericitico, con zone di micascisti calcarei, e scisti neri Scisti neri (della strada deirOberalp) con varie in- tercalazioni 295 465 125 Gneiss micaceo (Gurschen, Guspis, Sorescia) con strati di micacisti (Glockenthiirmli circa 100 m.ì, gneiss (della Sella 950 m.), gneiss anfibolicoedanfibolite (in complesso circa 480 m.), serpentino (440 m.), gneiss quar- zoso Micacisti felsitici con scisti verdi, banchi anfibolitici, e mi- cacisti calcarei .... 345 Micacisti felsitici, con scisti verdi granatiferi, sci- sti quarziferi, micacisti ne- ri granatiferi, anfibolite . 691 Micascisti granatiferi bi- gi con scisti quarzitici, mi- cascisti calcarei, straterelli isolati di anfibolite, termi- nando con carniole (83 m.), e morena 1,142 2,010 2,316 7,417 3,178 14,920 * Veramente la lunghezza stata trovata il giorno dell’ in- contro (29 febbraio 1880) era soltanto di 14912,40 m. Questo quadro è quello stesso riportato dall’ ing. St:ipff. 418 — Lo Stapff, nella sua memoria che accompagna questo quadro ed il profilo, fa molti paragoni fra le previsioni di detti studii ed i risultati riconosciutisi poi nella galleria : nel che egli sembra attribuire a quelli studii un po’ troppa importanza. Tuttavia si può vedere da tale esame comparativo, come in generale le previsioni furono poi giustifi- cate dal fatto. Ed anzi V accordo è anche maggiore in sostanza di quanto appaia dal quadro, poiché bene esaminando le serie di terreni e rocce delle varie colonne, la differenza nel più dei casi soltanto con- siste nelle denominazioni alquanto diverse che li diversi autori credet- tero di usare per delle rocce od eguali o molto analoghe in composi- zione ed apparenza. Tale leggera divergenza è tanto più tollerabile, in quanto che negli studii preliminari, oltre al doversi osservare le rocce soltanto quali presentavansi alla superficie, non si era potuto praticare sulle medesime quello studio mineralogico e chimico che venne po- scia fatto con calma e coi mezzi occorrenti negli anni decorsi e sulle rocce profonde trovate nella escavazione della galleria. Ora un cenno su quanto venne realmente osservato. Il suddetto geologo della Compagnia, nei suoi periodici rapporti pubblicati poi dal Consiglio Federale, e nelTultima memoria che accom- pagna il profilo, entra in minutissime descrizioni di tutte le rocce incon- trate; ma in un articolo sommario come questo non è necessario lo estendersi a simili particolari. Come anche converrà trascurare per brevità l’esame orografico della regione con le interessanti osservazioni che vi sarebbero da fare, specialmente riguardo alle grandi erosioni che le meteore pro- dussero alla superficie. Qui non si farà che qualche cenno sui tratti prin- cipali e caratteristici della geologica costituzione di quella catena. Ed anzitutto, se si considera la intera linea di ferrovia, che va dal Lago Maggiore a quello dei Quattro-Cantoni, per le due valli del Ti- cino e della Reuss, separate dalla catena centrale traversata dalla grande galleria, vi è degna di nota la quasi costante natura dei ter- reni che detta via attraversa. A tale proposito rimando al profilo tra- sversale di tutta la catena alpina ammesso alla mia Memoria sovra citata del 1871 (Voi. II delle Memorie, Com. Greol. 1872). Le due dette valli sono quasi ovunque incassate fra assai rapide pareti di roccia cri- stallina, un bel gneiss granitoide a nuclei o cristalli feldspatici assai marcati, roccia solida e bene adatta come pietra da costruzione. Il pro- filo longitudinale di queste valli presenta in varii punti degli erti scaglioni di questa roccia, per superare i quali con la ferrovia si è dovuto ricorrere allo spediente di gallerie elicoidali, salienti cioè a spi- rale nell’interno del monte e di 600 m. di diametro, dette gironi. Ve ne — 419 — sono cinque: una nella valle della Heuss, e quattro in quella del Ticino, cioè presso Griornico e Faido. Al piede di una di queste notansi nelle rocce di quelle cavità dette marmitte dei giganti, dovute al lavorìo di antiche cascate. — La zona di questo gneiss nel solo lato Sud della catena ossia nella valle del Ticino, presenta la notevole estensione di al- meno 60 chilometri. La catena centrale invece che è attraversata dalla grande galleria, presenta una certa varietà di rocce: cioè nel centro ancora del gneiss a banchi raddrizzati ; e fra questi intercalate molte zone di scisti mi- cacei. anfibolici e calcarei, con anfìboliti, ed infine anche di banchi di calcare più o meno cristallino. Questi ultimi trovansi però concentrati in sole due zone parallele Luna al piede Nord, l’altra al piede Sud della catena medesima, cioè lungo le vallate di Ursern e del Ticino. Le varie rocce poi di questa catena centrale si presentano in banchi affatto rad- drizzati con la direzione stessa della catena (E.N.E.), e con la spiccata disposizione a ventaglio, quasi come al Monte Bianco. Prendendo poscia ad esaminare partitamente la costituzione di questa stessa catena nel suo profilo traversale, lo Stapff credette di poterne suddividere il complesso in varii e distinti gruppi, che sarebbero : nel mezzo la mossa del Gottardo veramente detto, che comprende i gneiss più 0 meno micacei di Gurschenalp, Guspisthal, della Sella e di So- rescia, con talvolta delle intercalazioni di roccia anfibolica e serpentino^a. Al Nord di questa massa, vi sono gli strati formanti la così detta conca di Ursern (Ursern mulde) (1) nei quali vi è la gran depressione di An- dermatt attraversata presso Aìtekirche dai banchi di calcare cipollino. Più al Nord infine verso Goschenen trovasi una seconda zona saliente di gneiss granitoide detto la massa del Finsteraarhorn, perchè sta sul prolungamento di questo gran risalto cristallino delle Alpi Bernesi. Al lato S. della catena presso Airolo si sviluppa una seconda serie di strati raddrizzati che corrono lungo la parte superiore della valle del Ticino ivi diretta come la catena stessa. Questi strati essen- zialmente costituiti di scisti, ora calcarei, ora più o meno anfiboliferi e di calcari dolomitici con carniole e gessi, formano la così detta coìica del Ticino (Tessin mulde), parallela e geologicamente corrispon- dente a quella di Ursern nel lato opposto della catena. (1) Non si ha per ora un vocabolo generalmente accettato in Italia, per espri- mere la mulde dei tedeschi, cioè quel complesso di strati ripiegati e compressi insieme a forma di U, e così frequente nelle catene alpine. Lo Stoppani la direbbe madia, dal nome del recipiente domestico di simil forma in cui si fa la pasta. Nell’incertezza ancora esistente lo chiamo per óra conca. — 420 — La predescritta suddivisione della catena del Gottardo in varie grandi masse fatta principalmente dietro la disposizione e composizione de’ suoi banchi, è di molta importanza al punto di vista della genesi e forma- zione della catena stessa, come verrà a suo luogo accennato. E poi da notare preventivamente che nell’interno della montagna si incontrarono, sovratutto in certi tratti, dei forti ripiegamenti degli strati che mascheravano assai la generale verticalità e la disposizione a ventaglio della stratificazione e scistosità. Oltre a ciò vi sono in talune zone di rocce delle fessure o clivaggi, secondo piani normali alla sci- stosità; e di tale fenomeno si ha notevole esempio nella gran zona di scisti più 0 meno anfiboliferi e granatiferi del versante Sud sovrastante ad Airolo. ^ Numerose poi ed importanti sono le spaccature o faglie nella montagna di cui talune protese sino alla superficie ed acquifere, sovratutto laddove passano sotto a rivi, stagni o letti di ghiacciài. Le principali di queste faglie coi relativi spostamenti vennero geometrica- mente rappresentate in proiezione nel profilo dello Stapff, ed anche riprodotte in parte in quello al 1/50,000 della nostra tavola. Questo pro- filo fa anche vedere taluna delle conche, ossia ripiegature U (mùlde), allo stato, bene inteso, di ipotesi, come per esempio, quella dei banchi di calcare cipollino con scisti sericitici di Ursern sotto la valle di An- dermatt; argomento di assai vivo interesse. Einalmente in più d’un sito il felspato della roccia ha sabito una notevole decomposizione trasformandosi più o meno in una massa cao- linica inconsistente, e ciò sino a profondità grandissima. Tale per esem- pio è il caso dello gneiss di Ursern sotto la piana di Andermatt, dove la galleria che ivi passa a più di 300 met. li ritrovò ridotti a stato molle e dotati d’ enorme pressione che fu causa di difficoltà e spesa gra- vissima. In altri punti nel ramo Sud per esempio, sotto il vallone di Guspis si trovò simile decomposizione dello gneiss a delle profondità sotto la superficie anche di oltre 1200”. Simile fenomeno, unitamente a quello di certe copiose sorgenti trovate nello stesso ramo Sud della gal- leria, entro roccie di loro natura sufficientemente compatte, riuscivano piuttosto imprevedute e di dannose conseguenze. Teniamo ora ad esaminare un poco più partitamente la natura ed entità di ciascuna delle masse principali delle rocce attraversate ; sem- pre procedendo dalla bocca Nord a quella Sud. Il gneiss granitoide della massa del Finsteraarhorn apparve in ge- nerale abbastanza omogeneo, con i suoi clivaggi verticale ed orizzontale. ' Tedi Fig. 3, pag. 432. — 421 — e tuttavia senza grandi fessure o faglie, e poco o punto permeabile alle acque. I componenti essenziali della roccia sono felspato (l’ortoclasio mi- croclina di Sjogern ed il pagioclasio), il quarzo vitreo, e la mica di varie specie tra cui frequente qui, come in altre zone della montagna, la biotite magnesifera. Il quarzo contiene perlopiù bollicine mobili. — Intercalate alla massa gneissiaca sonvi poi qua e colà delle curiose zone di scisto micaceo e talcoso, ed altrove delle vene euritiche. Varie cavità 0 druse vi si ritrovarono con le pareti tappezzate di cristalli. La direzione generale della massa del Finsteraarborn è circa quella suindicata cioè N. 64® E. e la scistosità quasi verticale'V) con lieve pen- denza al Sud. — La sua totale potenza nella galleria è di 2010 met. Sotto al cosidetto Urnerloch, dove il vasto bacino di Andermatt viene a restringersi nell’ angusta gola in cui passa la unica Keuss per poi precipitarsi nelle orride cascate del Ponte del diavolo (Teu- fels-brùcke), si passa alle rocce costituenti la così detta conca (mulde) di Ursern. Queste sono essenzialmente diverse dalle precedenti, con- stando bensì parzialmente di gneiss, ma alternante in vari siti a dei scisti ricchi di sericite, o mica potassica, ed anche a scisti calcariferi neri per interposte particelle carboniose, e finalmente a dei banchi di vero calcare più o meno cristallino, detto dallo Stapff cipollino, e che corrispondono ad un notevole affiorimento di esso visibile sullo stradone presso l’Altekirche. In questo punto la galleria passa a 305 metri circa di profondità sotto la superficie che è la pianura di Andermatt. Il calcare cipollino di cui si tratta, incontrato verso 2600 m. dalla bocca, vi presentò una totale potenza di circa 200 m., comprese varie intercalazioni dei sud- detti scisti. Il medesimo è cristallino, sovente diviso in piastrelle, al- quanto dolomitico, e contenente della mica, felspato, quarzo, grafite e piriti ; i quali ultimi minerali gli danno diversi colori. Li scisti calcariferi concomitanti, accuratamente esaminati, lasciarono travedere delle trac- cie di resti organici non però facili a distinguere : poiché le opinioni dei vari paleontologi variarono fra resti di crinoidi, accennanti a ter- reno giurassico o liassico, e semplici fucoidi, ovvero anche a corallari od altri organismi inferiori. II gneiss di Ursern presenta pure esso delle belle druse, tra cui sin da principio (a 2050 m.) se ne trovò una di parecchi metri di lunghezza e tappezzata di cristalli di minerali diversi, quarzo, felspato, adularla, calcite, fluorina, apatite, apofillite, titanite, oligisto, pirite di ferro, e molta clorito. Lo Stapff accenna come cosa degna di nota l’esistenza di — 422 — simili cavità a delle profondità grandissime, talora anche di oltre 1600 m. sotto la superfìcie; perché ciò proverebbe che quando le medesime for- inavansi le masse della montagna non potevano più essere in stato pa- stoso. Un fenomeno importante di questo gneiss di Ursern è quello già prima avvertito, cioè di presentarsi in certe zone interamente decom- jjosto dalla superfìcie sino a gran profondità, per esempio, quello della galleria che è a più di 300 m. La roccia, per l’alterazione del felspato divenne argillosa e molle e perciò capace di produrre un’enorme pressione. Una zona di 75 m. circa di tale roccia inconsistente trovata alla distanza di 2766“ dalla bocca nord cagionò gran lavoro di rifacimento. Dapprinci- pio l’impresa, a quanto pare, non vi curò abbastanza la puntellatura e l’esatto riempimento dei vuoti sulla volta, onde avvennero poi gravi movimenti. Si dovette già riprenderne tre volte la muratura rifacendola in successivi anelli e con pietra granitica scelta, portandone infìne la spessezza sino a 3“00 nei piedritti, 1“50 alla volta e 0“70 nell’arco ro- vescio. Si spera che con tali dimensioni il rivestimento possa resistere. Però il costo della galleria sarà qui enorme: poiché mentre in generale il prezzo di cottimo non passava 3500 a fr. 4,000 al metro lineare di galleria tutta ultimata con la sua muratura, mvece in una tratta si- mile a questa si dice raggiungerà fr. 20,000 al metro. Egli è opportuno frattanto il notare che qui come al Cenisio, ed in altre di simili gallerie dove pure si prevedevano delle rocce abbastanza solide, la speranza di evitarne almeno in parte la muratura, andò svanita. Le fessure e vene della roccia, e la sua facile alterazione all’aria umida, rendono necessario un rivestimento generale. E tale rivestimento viene fatto nel lato Nord con buone pietre del gneiss di Gòschenen, e nel lato Sud con quello delle cave di Dazio sotto Airolo- Secondo le presunzioni dello Stapfi ei sarebbe verso i 4325”" dalla bocca Nord, che si passa dagli strati della conca (mulde) di Ursern, a quelli della massa centrale del Gottardo, massa essenzialmente compo- sta di gneiss micaceo. — Tale distinzione della catena in una massa cen- trale con i due laterali bacini a U (mulde) di Ursern e del Ticino, è uno di quei grandiosi concepimenti geognostici applicati a questa come ad altre catene alpine, i quali vengono in mente quando si cerca un modo razionale di spiegarne la curiosa stratigratìca disposizione. Senza discu- terne pel momento l’esattezza, siamo tuttavia indotti con lo Stapff ad ammetterla, quale si vede disegnata nel profilo. Gli strati di calcari e di scisti calcàriferi con resti organici, doppiamente ripiegati, formereb- bero secondo tale ipotesi la parte più recente della formazione, cioè I — 423 — probabilmente giurese, sotto a cui potrebbero quindi succedersi il lias, il trias ecc., altri membri discendenti della serie geologica. L’ipotesi di questa conca (mulde) era di molto rilievo, sia scien- tifico che pratico, perchè da tale ipotesi dipendeva la previsione se simili calcari sarebbersi, o non, protesi in basso sino alla profondità della galleria. Simili calcari infatti, attraversando il bacino di Andermatt certamente ripieno delle acque dei vari fiumi ivi confluenti, potevano es- sere stati estremamente acquiferi; e qualora il fondo di esso bacino non fosse per avventura ricoperto da uno strato argilloso protettore, avreb- bero potuto produrre un afflusso d’acqua grandissimo e molto incomodo nella galleria. Ora la suddetta previsione non era tanto facile. Sul ri- flesso della entità di quella zona calcarea di Altekirche a strati rad- drizzati, cui avevo riconosciuta sovra estensione grandissima (vedi Carta Geol., nella Memoria del 1871), io avevo concluso essere probabile il suo protendimento in basso almeno sino al livello della galleria; e così pure avevano argomentato Stapff .e Fritsch. Altri invece opinavano diversa- mente, e Tassuntore L. Favre, per esempio, riteneva tanto certa la man- canza del calcare a tale profondità che nel novembre del 1873 avea scom- messo una somma di fr. 10,000 contro chi sostenesse il contrario. Nel- l’ottobre e novembre del 1874, venne invece ritrovato esso calcare come sovra fu detto, benché non così potente come alla superflcie. — Quanto all’ acqua, fortunatamente deve essersi veriflcata l’ipotesi del fondo ar- gilloso protettore nella conca di Andermatt, poiché se ne ebbe bensì una certa quantità, ma per nulla formidabile, cioè 30 a 40 lit. al 1" nel suo massimo. Passiamo alla grande massa centrale del Gottardo, la quale si estenderebbe per circa 7417 m., cioè sino a 3178 m. dalla bocca Sud. Le roccia predominante nel medesimo è un gneiss micaceo, assai fina- mente scistoso il quale prende aspetto alquanto diverso nelle varie re- gioni della montagna come sono 1’ alpe di Gurschen, di S. Anna, valle di Guspis, alpi della Sella e di Sorescia, nelle quali ultime località presenta in generale il tipo di un gneiss normale. E inutile il descrivere qui simili varietà di una stessa roccia, lo avea accennato nello studio del 1871 alla possibilità che qui in qualche punto il gneiss divenisse gra- nitoide, poiché questa varietà molto spiccata e che si attraversa per gran spazio sullo stradone fra Airolo ed Ospenthal, si vede innoltrarsi con grandi ed acute masse verso Est sino a poca distanza dallo linea della galleria. Nè sarebbe stato un male che questa galleria avesse in- contrato un nucleo molto grande di roccia granitoide, poiché la sua omogeneità, e la qualità di essere sotterreaneamente più tenera che 28 — 424 — alla superficie, ne rendono la perforazione assai più agevole : mentre con le roccie scistose variabili di durezza ed a stratificazione e scistosità oblique all’asse della galleria, il colpo dei perforatori andando più o meno deviato, vi riesce assai più contrastato e penoso il lavoro. Ma pur troppo di simile roccia omogenea non si trovò punto nella linea della galleria stata eseguita. Trovossi invece ben sviluppata la massa serpentinosa stata prevista sotto Gigenstaffel, ed anzi mentre alla superficie non ne appare che una potenza di un centinaio di metri si trovò regnare nella galleria dai 4870 m., sino ai 5310 m. dalla bocca Nord, cioè con più di 400 m. di potenza. Simile ingrossamento in profondità anzi che essere dovuto a forma lenticolare potrebbe essere solo apparente, come assai ingegnosamente mostre- rebbe r ing. Stapff. Essendovi in quel sito diverse faglie nella massa tutte con scorrimento nel medesimo senso, potrebbe essere avvenuto che varie parti del banco medesimo siensi portate sulla linea della galle- ria le une dopo le altre in guisa da simulare quivi una massa sola assai più potente. — Questa roccia, abbenchè a siti assai talcosa e simile ad una oliare, fu trovata assai tenace e difficile alla perforazione, tal- ché r avanzamento giornaliero della piccola galleria, mentre passava 4 m. nelli gneiss non potè qui mai superare m. 2,50. — Le acque poi emergenti dalla medesima furono trovate relativamente più calde di quanto portava la regola ordinaria. Questa serpentina del Gottardo, fu studiata dal prof. Fischer, da Sjo- gren di Svezia e del nostro prof. Cossa in Torino. La medesima è per lo più assai talcosa, talché diviene talvolta quasi scistosa, e contiene inoltre disseminati, del ferro-magnetico, granati, piriti, ecc. Riferisce Stapff che Fischer la giudicò proveniente da decomposizione di olivina, di cui si vedono ancora qua e là molti grani intatti nella massa serpentinosa : mentre Sjògren avrebbe trovato che provenga invece da decomposizione di un pirosseno romboide. Vi sarebbe cosi una diversità di veduta fra i due mineralogisti. 11 Cossa, che studiò diversi campioni provenienti da varii punti della .galleria, giunse a risultati che spiegherebbero l’ap- parente anomalia. 1 campioni presi più al Nord, constano in prevalenza di una roccia pirossenica, intermedia fra il vero pirosseno e l’ enstatite e la cui decomposizione produsse il serpentino. ^ Vi è mista un poco di olivina pure in decomposizione. Verso il mezzo della massa, l’olivina predomina, e vi è già in gran parte passata in serpentino. All' estremo ^ Seguitando una norma che ritengo giusta, scrivo serpentina f. la roccia, e ser- pentino m. il minerale, o silicato magnesiaco con acqua che forma la sostanza carat- teristica della roccia medesima. — 425 — Sud della massa predomina alfine la serpentina già fatta simile alle altre delle Alpi, proveniente da decomposizione del peridoto, e conte- nente come esse delle traccie di nichelio. Queste serpentine del Gottardo non possono dirsi diallagiche perchè il minerale pirossenico sopra de- scritto non ha il carattere del diallagio, e secondo il medesimo Gossa diffe- riscono da quelle dell’ Appennino perchè prive affatto delle laminette di bastite che sono caratteristiche della maggior parte di queste ultime. ’ Ed egualmente a seconda delle previsioni, riscontravasi più oltre la roccia anfibolica apparente alla superficie sovratutto sulle vette del Kastelhorn; soltantochè simile roccia, che lassù presentasi in massa no- tevole, va sparpagliandosi in profondità nella roccia gneissiaca circo- stante, onde la galleria non ne attraversava che varie zone assai esili. Tale fenomeno del resto era preveduto nel mio quadro del 1871, onde parmi che la relazione dell’ autore dia a questo riguardo troppa im- portanza alle cifre materiali, che in quel quadro eransi riferite soltanto per fissare le idee. Ora per brevità salterò su di altri particolari delle rocce di questa parte centrale della catena, e solo citerò che i minerali ac- cessorii in esse sparsi e quelli delle druse, sono in genere li stessi già menzionati per la massa del Finsteraarhorn, più pochi altri come r epidoto, albite, ferro spatico, anatasio, gesso in cristallini ed in cro- ste, piriti diverse anche arsenicali, blenda, molibdenite, ec. La massa gneissiaca centrale del Gottardo è nettamente separata dalla conca o mulda del Ticino, per mezzo d’una spaccatura argillosa. E tale mulda incomincia con roccie anfiboliche scistose le quali poi coir avanzare verso la bocca Sud alternano più e più volte con strati di micascisti felspatici, quarziferi, anfiboliferi, granatiferi e calciferi. Verso la bocca infine tagliasi per un’ 80 m. circa la roccia calcareo-do- lomitica, che ivi forma in fondo alla valle del Ticino una assai larga zona costituita dal calcare in vario stato passante alla dolomite ed alla carniola cavernosa e friabile ed intermezzato anche di quarzite scistosa di anidrite e di gessi. Queste rocce calcareo-gessose sono poco solide e molto acquifere; nè fu certo una fortuna che la bocca della galleria abbia (forse per necessità di tracciato) dovuto stabilirsi in simile punto nel quale inol- tre la superficie era ricoperta di detriti morenici ed alluviali. Senza arrestarci ulteriormente sulla composizione delle rocce di questa zona basterà accennare che generalmente il risultato della galle- ‘ V. Relazione del Gossa in questo medesimo fascicolo, pag. 450. — 426 — ria confermò assai bene anche in questa parte le previsioni degli stu- dii. Si vide inoltre che tùtti quegli strati scistosi oltre al pendere qui notevolmente al Nord presentavano una certa incurvatura generatasi nella formazione del grande ventaglio. La direzione media della stra- tificazione e scistosità risulta nella galleria di N. 50^ E, cioè all’incirca eguale a quella che mostrasi alla superficie. Oltre ciò la roccia in que- sto lato presenta il marcato clivaggio^ in senso normale alla scistosità, di cui si è fatto cenno alquanto sopra, ed il quale non è senza in- fluenza sull’ afflusso delle acque nella galleria, afflusso che riuscì in questo ramo Sud assai più copioso che non nel ramo opposto. Quanto a minerali disseminati nelle rocce di questa conca del Ti- cino, essi sono pur sempre in massima parte quelli trovati nel resto del monte e già sovra menzionati, più alcuni' pochi, come distene, tormalina, pirite cuprica ed oro. Quest’ ultimo occorse alla distanza di circa SCO metri dalla bocca in un piccolo filone che taglia la roccia di scisto an- fibolico e granatifero. L’oro vi è contenuto in una lega coll’argento del tenore del 50 per cento, però in minima quantità, sotto forme di fili e lamelline sovra cristalli di spato calcare, e con accompagna- mento di cristallini di quarzo e di pirite ferrifera. Come termine alla rapida descrizione delle roccie della catena dei monte S. Gottardo attraversata dalla galleria, si presenta il seguente quadro tolto dall’opera stessa, che dà l’elenco dei diversi minerali dis- seminati nelle rocce e nelle druse, distribuiti secondo li quattro grandi gruppi di strati nei quali venne supposta suddivisa la catena medesima. (Segue il quadro) ^ Vedi fìg. 3, pag. 432. — 427 — Massa del Finsteraarhorn Conca d’Ursern Massa del Gottardo Conca del Ticino . MASSE 0 GRUPPI DI STRATI + 4- + + Pirite di ferro + + + 4- Quarzo 4- 4“ 4" -f- Calcite 4-444 Apatite co < + -l" + + Clorite 4- ‘l 4" 4 Adiilaria + + + + Mica + -l- 4- 4 Epidoto , 4- 4- 4- 4- Titanite 4- -h 4- Pirite magnetica 1+44- Ferro oligisto speculare 14 4-4- Rutilo o 4 4 4 Gesso P ) L 4 4 Ferro limonitico B' co co < j 4 4 Amianto IO 1 ' + 4 Albite 5 t— 1 4 4- Molibdenite 2 p + 4 Fluorina Pirite arsenicale Bi 4- Apotìllite s E2. ^ 4 Blenda i + Marcassite Or \ j_ Anatasi a 4 Desmina \ 1 Zooliti (in aghi) 4 Oro 4- Pirite di rame + Magnetite + Arragonite 4- Ferro spatico 4- Distene 4- Tormalina to W t— ' H-* co co Oì to In totalità Quadko dei minerali che si trovano disseminati nele rocce del monte S. Gottardo, attraversato dalla gran galleria. — 428 -> Nellarticolo sul Gottardo da me scritto nel 1871 (II Yol. Memorie del Comitato geologico), io avea avventurato di esporre qualche ipotesi tanto sulla origine della struttura a ventaglio che sulla età e genesi delle rocce di questa catena. — Circa all’età delle rocce io non avevo al- lora quasi alcun dato, poiché di fossili distinti non si erano ritrovati, come tuttora non se ne trovarono nemmeno nella zona tanto ricca di calcare delle valli del Ticino e di Canaria al sud della catena; e sol- tanto, come fu detto, alcune traccie supposte di crinoidi eransi vedute nella zona calcarifera di Andermatt presso Altekirche, traccie che avreb- bero potuto fare supporre una età o giurassica o liassica. Però al colle di Niifenen nell’estremità Ovest della suddetta zona del Ticino, esiste un calcare con belemniti. Tale fatto permetterebbe di attribuire anche a tale zona un’età corrispondente a quella del calcare di Altekirche. Ora tanto questo calcare, come quello di Nùfenen trovandosi con tutta pro- babilità nel mezzo delle rispettive conche (miilde), rappresenterebbero gli strati più recenti delle medesime ; quindi gli strati latistanti di scisti calcariferi, anfibolici, granatiferi, infine gli gneiss della massa di mezzo, potrebbero rappresentare dei terreni di più in più antichi, sino al car- bonifero ed oltre ancora. Questi successivi terreni sarebbero divenuti cosi cristallini per le azioni idro-termali sui depositi oceanici di quelle epoche geologiche, e tanto più sviluppate quanto più erano questi an- tichi e profondi. Quanto alla disposizione a ventaglio dei banchi e della scistosità, della massa centrale fiancheggiata come è dalle suddette due conche o mulde calcarifere di Ursern e del Ticino, il modo più ovvio di spiegarne l’origine, pareva essere pur sempre quello di un sollevamento a forma di volta della parte centrale, avvenuto per enorme laterale pressione dovuta al naturale corrugarsi della crosta terrestre; fenomeno accom- pagnato e seguito da diuturne immense erosioni che poco a poco ridus- sero la superficie della catena allo stato in cui ora trovasi. E del resto la ipotesi applicata da A. Favre e Lory al Monte-Bianco e da Heim poi a va- rie catene a ventaglio della Svizzera compreso lo stesso Gottardo. ^ Fig. 2. ^ Vedi Atlante dell’opera Gehirgshildung di Heim del 1878. — 429 Simile ipotesi fu bensì oggetto di obbiezioni per parte di B. Studer almeno per certi punti del Monte-Bianco e del Todi : contuttociò vedo che oraloStapff, il quale deve esserne competentissimo, l’addotta come la più naturale. Il medesimo procede anzi a dimostrare come in quella guisa che le due zone laterali calcarifere formanti le due conche di Ursern e del Ticino si corrispondono come due parti d’un’antica continua for- mazione, cosi anche le due parti o metà laterali Nord e Sud degli gneiss scistosi e dei scisti anfìboliferi, granatiferi, ecc., della massa centrale del Gottardo, si corrispondono assai bene ne’ diversi loro strati, come parti di un’unica formazione più antica ancora, la quale sarebbe stata dapprima sollevata a volta nel suo mezzo e poi vieppiù compressa fino a rimanerne gli strati così schiacciati gli uni contro gli altri da formare l’attuale venta- glio. E calcolando la totale potenza che i depositi costituenti tale forma- zione doveano avere in fondo all’antico oceano il quale ricopriva il sito di questa regione italo-svizzera, trovasi che nel sito dove ora sta Airolo (dove era forse più profondo), contava forse non meno di un 15,000 metri di po- tenza. Egli è facile il figurarsi come gli strati inferiori di simili potenti depositi soggetti naturalmente ad assai elevata temperatura e forte pres- sione abbiano potuto subire-, sia allora sia pure nei successivi movimenti, tali variazioni di mineralogica ricomposizione e struttura da presentare poi l’attuale cristallinità e scistosità con infinite varietà e gradazioni, ed an- che con varie iniezioni di roccia rimasta ancora pastosa in zone vicine già più 0 -meno consolidate. In conclusione lo studio dettagliato del geologo tedesco, confermerebbe ora pienamente anche nei minimi particolari la ipotesi previamente espressa sulla curiosa formazione di questa catena. Quanto alla gran zona di gneiss granitoide omogeneo del Einster- aarhorn, che s’innalza così repente lungo il fianco nordico della conca di Ursern, sembra essa di età diversa, forse ancora più antica; e la sua massa cristallina, parte del gran tutto delle Alpi Bernesi, sarebbe sorta per effetto di un altro di quei grandi movimenti geologici le cui orme stanno pure grandiosamente impresse nella struttura di alcune parti della stessa catena centrale. Acque. Gli stridii geologici preventivi aveano fatto presupporre che in al- cuni tratti della galleria del Gottardo sarebbersi probabilmente incon- trate delle acque in certa quantità. Veramente l’esempio del Oenisio, dove, malgrado l’estensione grandissima (quasi 10,000 m. su 12,230) di roccia calcarea che è generalmente molto permeabile, non si era quasi punto incontrata dell’acqua, avea forse generata un po’ troppa confidenza. — 430 — la totalità non orasi avuto colà fra ambe le bocche che un afflusso massimo e teinporario di 6 a 7 litri per secondo: talché si fu sovente costretti di portare l’acqua per inafflare i fori di minad E forse tale penuria non fu estranea al grave inconveniente colà verificatosi dalla parte di Modano dove si dovette forare un banco di 400 metri di durissima quarzite. La copiosa e finissima polvere silicea eccitata durante la perforazione mec- canica, agì talmente sui polmoni dei minatori, che più tardi moltissimi ne perirono. La mancanza di filtrazioni al Cenisio si spiega però assai fa- cilmente per la forma esterna del monte in genere assai declive, e senza molte vallicene e depressioni colme d’acqua. Al Grottardo, salvo in qualche punto, le roccie apparivano di loro natura poco o nulla permeabili, onde senza un minuto e sagace studio era difficile prevedere un notevole af- flusso: nè tale previsione, per quanto io sappia, venne a priori avanzata in modo preciso da chi fece li studii. Nell’articolo dame scritto nel 1871, avevo tuttavia segnalato due punti che potevano essere assai acquiferi; l’uno sotto al calcare di Altekirche, e l’altro nella tratta presso la bocca Sud, specialmente qualora si fosse posta questa bocca ad un livello cosi basso da tagliare la formazione calcareo-dolomitica della valle Ticino. Il fatto fu conforme alla previsione ; però nel punto di Altekirche verifica- vasi fortunatamente l’ipotesi più favorevole stata allora enunciata, cioè che in fondo al bacino la testata del calcare fosse coperta da un letto argilloso ; onde l’acqua ivi incontrata non raggiunse che un moderato volume inferiore a 30 o 40 litri al secondo, volume che andò poi an- cora diminuendo. Anche alla bocca Sud si ebbe dell’acqua sin da prin- cipio ed ivi assai abbondante, come sarà detto più sotto. Ma non po- che sorgenti si manifestarono anche negli altri tratti della galleria, cioè attraverso la gran zona di gneiss e scisti varii della massa centrale ciò che pare non fosse da alcuno preveduto. Ecco una breve enumerazione di quanto venne in proposito osser- vato nel corso dei lavori. Pochissima acqua si ebbe nella zona di gneiss granitoide del Fin- steraarhorn malgrado il suo clivaggio: e questa poca acqua si osservò corrispondere perloppiù ai punti dove 11 galleria passava sotto il tor- * Le rocce incontrate al Cenisio furono, dal Nord al Sud ossia dalla Francia verso r Italia, come segue: Arenarie e scisti antraciferi 2096"' Quarzite 388 Calcari, dolomie, gessi 355 Calcari scistosi con noduli quarzosi 9392 12231 — 431 — • rente Keuss a più di 200 metri di profondità. Giuntosi ai suddetti cal- cari di Altekirche a 305 m. circa di profondità sotto la superficie, ap- parve l’acqua assai copiosa, ma tuttavia nella moderata quantità sopra indicata di meno che 30 litri al secondo. Avanzando si trovarono ancora varie altre sorgive. A 4120 m., quando si entrava nella massa centrale, l’ef- flusso totale era di circa 37 litri al secondo, e con una temperatura media di 18°. Avverto, quanto alla temperatura delle sorgive emergenti nella galleria, che la medesima sarà data più sotto con alcune speciali os- servazioni. Per ora basta accennare che in genere tale temperatura è eguale o poco diversa, dove in meno dove in più, da quella della roc- cia da cui emergono: e perciò la medesima va pure crescendo con l’avanzare verso il mezzo della galleria. Il ruscello poi che ne risulta ed esce dalla bocca, ha naturalmente una temperatura eguale ad una media fra quelle delle sorgive più o meno copiose che lo costituiscono. Quando la galleria di questo lato Nord passò sotto la valletta di Fel- sen ebbe altre sorgive, tra cui una a 1500 m. riconosciuta piena di mi- nimi bacterii viventi. Eppure l’altezza di roccia ivi sovrastante era di 970 m. La temperatura delle acque vi era di 26° !/^. Non poche fra le sorgive incontrate e specialmente quelle sotto la piana di Andermatt ed altre a 4500 metri dalla bocca erano più o meno impregnate di acido solfidrico riconoscibile all’odore, e venute all’aria deponevano pellicole di solfo, di gesso, ed ossido di ferro. — il volume totale al suo massimo da questa parte Nord non passò 50 litri al secondo, e andò poi diminuendo sino a rimanere ora in media di 20 litri circa. Nel ramo Sud assai maggiore si incontrò l’afflusso dell’acqua. Sin da principio, attraversando un 80 metri di calcare dolomitico di varia strut- tura, si ebbero filtrazioni di 30 e più litri, e procedendo quindi negli scisti fessurati del piede della catena, si aveano a 2000 metri dalla bocca circa 200 litri. A 2100 metri (luglio 1878) si ebbero nella stagione di maggiore afflusso 348 litri, e questo fu il massimo di tutti ; poiché mentre nell’avanzare si incontravano ancora nuove sorgive, diminuiva però la portata di quelle indietro. E poi anche il deflusso totale dimi- nuì col tempo come suole accadere nella fognatura di un terreno pregno di acque. Dopo i 6400 metri, cioè verso il centro della montagna, le sor- give furono insignificanti. Il suindicato fenomeno, che cioè, con lo avanzare della galleria, l’arrivo dell’acqua mutava di posto ma senza crescere proporzionalmente di quantità, traeva evidentemente la sua spiegazione da quel sistema di cli- vaggi intersecanti la scistosità, il quale è tanto visibile nel versante meri- dionale della catena, per cui l’interno del monte è ivi tutto interciso da una rete di fessure più o meno permeabili e fra loro comunicanti. — 432 — ìFig. 3. La quantità del deflusso andò poi, come fu detto, diminuendo come accade di un serbatoio che si va esaurendo, riducendosi dair*in- dicato massimo alla media di 230 litri al secondo, che è l’attuale. Di questi 230 litri, un 37 circa escono dalla parte più internata, cioè oltre i 2180 metri dalla bocca, corrispondente alla massa centrale del Got- tardo, mentre gli altri 193 escono dagli scisti della conca del Ticino, dove appunto esiste nella roccia l’anzidescritta rete di fessure. Se que- sta quantità di 230 litri, che è la media nell’ultimo decorso anno 1879-80, debba tuttavia diminuire, non può asserirsi tuttavia, ma occorrerà per saperlo l’esperienza ancora di qualche tempo. Ho detto che la portata di 230 litri è l’attuale quantità media del- l’efflusso: e ciò perchè la portata è soggetta a sensibili variazioni tanto nell’uno che nell’altro ramo della galleria. La portata infatti delle sor- genti, anche dopo che queste sonosi ridotte al loro stato più o meno permanente, va oscillando alquanto con le stagioni dell’anno. Esse sono più copiose nella state, quando cioè fondono le nevi de’ ghiacciai e cor- rono copiosi i rivi, toccando il massimo nel settembre ed ottobre ; men- tre diminuiscono poi nei geli invernali che arrestano le acque, toc- cando il loro minimo nel marzo ed aprile. La temperatura delle ac- que varia anche alquanto colla loro quantità, essendo più bassa quando questa è maggiore, più alta nel caso opposto. Nel ruscello di 230 li- tri che esce dalla bocca Sud, la temperatura della massa d’acqua mi- surata a 200 m. prima della bocca stessa, varia ora da 11^’ al fine della state a 13° verso il fine dell’inverno, quando cioè la portata è al mi- nimo, e variava da -f 8° a -f 11° quando durante l’apertura il volume era maggiore. Anche in questo ramo della galleria sono assai frequenti le acque solfuree e formanti dei depositi minerali. Quelle che sorgono alle distanze di 3427 m., 4400, 4700, sino a 6574“ sono pure abbastanza alcaline per sentirsene 1’ azione sulla pelle. Più oltre sono ancora epatiche, a 5870, 5962, 6260 e 6400 m. coi soliti depositi di solfo, gesso, ocre, ecc. Le acque così scaturienti nella galleria seguono di preferenza certe 433 — fessure o faglie. Anche se ne trovano dove sono di quelle zone flosce caolinizzate, non già però sortendo dall’interno della loro massa che è piuttosto asciutta, bensì lungo le loro pareti, dove la permeabilità non fu ancora ostruita dalle particelle argillose. Se ora si paragona la posizione delle maggiori sorgenti o gruppi di sorgenti incontrate nella galleria con l’orografia ed idrografia esterna della catena, si può agevolmente riconoscere, che tali gruppi corrispondono assai bene a delle località della superficie sovrastante dove esistono conserve di acqua o ghiacciai, o passano copiosi rivi, e che oltracciò la infiltrazione sotterranea è quivi stesso agevolata dall’esistenza di faglie più 0 meno marcate e di fessure nelle roccie quarzifere. Tali sono le località della Keuss, di Altekirche, la valletta di Felsen, il ghiacciajo di S. Anna, la valle di Guspis, e l’altra detta Vaitorta che attraversa il laghetto della Sella e via dicendo. Simile fatto, e l’altro curioso della sorgente piena di bacterii viventi sotto quasi 1000 metri di altezza di roccia, ed infine il loro crescere e diminuire alternativo nelle varie stagioni, sono prova che le filtrazioni delia galleria provengono più o meno di- rettamente dalle acque superficiali. Ora, che le masse rocciose di questa catena, e quelle sovratutto di gneiss, dovessero presentare una così li- bera permeabilità sino a delle profondità cotanto ragguardevoli, non era cosa facile a prevedersi, onde per tale oggetto il risultato del Got- tardo, così diverso da quello del Cenisio, riesce un dato esperimentale molto utile per casi consimili neH’avvenire. — Si può intanto citare un’ utile applicazione fatta durante l’avanzamento del lavoro, nel ramo Sud quando giunse a circa 6000 m. sotto la valle di Guspis. Qui l’apparenza di certe fessure superficiali fece sospettare che le stesse fossero acquifere an- che a gran profondità. La galleria in quel tratto centrale dovea essere quasi in piano: invece nella succennata previsione fu deciso in tempo di seguitarvi la pendenza 2 7^^ del rimanente, ciò che riuscì utilissimo. L’ esperienza stessa insegnerà poi certamente ad adottare in ca&i consimili di terreni acquiferi, un diverso sistema di escavazione, cioè il sistema inglese della piccola galleria di direzione nel basso della sezione, anziché quello detto belga della piccola galleria in alto, come venne sgraziatamente praticato al Gottardo. Col sistema stato qui adottato, av- viene che le acque affluenti tanto nella piccola galleria di direzione quanto nelle parti in cui si procede all’allargamento, non possono venire tosto raccolte dentro ad un proprio canale. Ciò infatti solo può praticarsi laddove la grande galleria già venne interamente ultimata, cioè per lo più ad un paio di chilometri e talora assai più dopo la galleria di direzione, mentre intanto tutta questa tratta in cui sono aperti i grandi lavori di allargamento in più gradinate, e quelli di muratura, ne vengono più — 434 — o meno inondati, con grande incomodo degli operai ed aggravamento dell’ umidità nella caldissima atmosfera della galleria. Nel succitato rapporto dell’Ing. Zoppetti sono descritti gli inconvenienti verificatisi per tale causa. Qui gioverà rammentare che da principio l’ing. Gerwig, allora direttore della Compagnia, avea fatta iniziare l’opera col sistema della piccola galleria in basso ; ma sovraggiunta l’impresa Favre, que- sta volle adottare altro sistema cui forse credette più conveniente ai siioi interessi, senza troppo valutare le nocive conseguenze che potevano derivarne. Temperatura. Già venne accennato a principio come l’argomento della tempera- tura riscontrata nei varii punti dell’ interno della grande galleria del Gottardo, presentasse un grande interesse sia scientifico che pratico, e che tale argomento, insieme a quello della geologia ed idrografia, venne studiato dall’ingegnere Stapff nel modo più accurato durante i tras- corsi 7 anni di esecuzione. 11 risultato principale di tale studio in quanto concerne il calore, doveva consistere nel ritrovare, se possibile, la legge dell’incremento che subisce la temperatura del terreno, ossia delle rocce in una data regione più o meno montuosa, con lo approfondarsi nelle sue viscere. Alcuni dati già si possedevano desunti da esperienze fatte nelle miniere ed anche mediante la temp. delle acque scaturienti da profondi fori artesiani. Da tali antiche esperienze era risultato che la temperatura cresce mediamente di 1 grado ogni 30 a 33 m., ed altrove anche di 40 m. di profondità. Simile incremento ha luogo a partire non proprio dalla superficie, la cui temp. troppo oscilla col calore esterno del- l’aria, bensì a partire da un dato punto sotterra, la cui profondità varia secondo la latitudine, e che nelle nostre è di circa 25 m. Sulla cifra del- l’incremento influiscono poi assai, sia l’altitudine del luogo sul livello del mare, alquanto la natura d^lle rocce, e molto la forma orografica esterna, come si vedrà poco avanti trattando della catena del Gottardo. Ora per po- ter riconoscere la legge d’incremento sotto una data località, ei convie- ne conoscerne anzitutto la temp. superficiale, ossia dello strato n temp. invariabile; temp. cui converrebbe ottenere da diretti esperimenti, a meno che si possa in modo indiretto dedurla con una certa appros- simazione. Nel mio articolo del Bollettino Geologico del 1871 sul- l’incremento di temp. al Cenisio, siccome non eransi colà fatte osserva- zioni termometriche alla superficie, salvo alle due bocche, io avevo do- vuto ricorrere a paragoni con altri monti vicini per ottenere la temp. media annua del suolo sul culmine della catena. Ne avevo de- — 435 — dotto per tale culmine, la cui altitudine sul mare è di 2905 m., la cifra di — mentre la massima temp. trovata nell’ interno sotto 1600 metri circa di roccia era di 29” Onde un incremento medio di V per m. 51 circa. Di simile, cifra, assai maggiore dei 30 o 40 m. ammessi nei casi ordinarii, si può agevolmente vedere la ragione, sia nella natura cristallina della imccia più permeabile al calore, sia e sovratutto nel profilo arcuato del monte, più propizio ad una rapida irradiazione di calorico in quella elevata e fredda atmosfera alpina die non lo sia quello piatto o concavo delle pianure o delle vallate. Vediamo ora che cosa siasi riscontrato al Grottardo dove si potè praticare, come fu detto, una serie di accurate esperienze coi mezzi più perfezionati. Simili esperienze furono fatte tanto sulla temperatura o clima esterno, che sulla temperatura della roccia, dell’ aria ambiente, e delle acque scaturienti nell’ interno della galleria. Ei sarebbe molto utile il descrivere gli ingegnosi ed accurati processi usati, le deduzioni teoriche e le forinole algebriche nelle quali lo Stapf credette poter tra- durre le risultanze. Ma il presente articolo non può eccedere certi li- miti, onde converrà restringersi a pochi cenni, evitando del resto di entrare in troppi particolari scientifici ed in formole di non comune portata. Frattanto si esibisce il diagramma (fig. 2 della tavola) che rappresenta, con curve diversamente colorate, l’andamento della tem- peratura; cioè quella media annua dell’aria esterna con linea azzur- ra, quella media del suolo con linea gialla e quella iniziale della roc- cia nella galleria con linea rossa. L’incremento di temperatura colla profondità in un dato punto del profilo vi è perciò rappresentato dalla distanza verticale fra le due ultime di dette curve cioè gialla e rossa. Esaminiamo rapidamente il sistema delle osservazioni state fatte per ottenere simili risultati. Le osservazioni meteorologiche esterne per stabilire i dati relativi al clima lungo questa catena furono eseguite valendosi di 4 osservatorii, cioè in Airolo, all’Ospizio, in Andermatt, ed a Groschenen. Quello del- l’Ospizio, posto sullo stradone ed a 2000 m. sul mare con registro tenuto dal padrone F. Lombardi a conto del governo svizzero, forniva i dati già da una lunga serie di anni. Con simili mezzi lo Stapff credette di poter stabilire una regola empirica mediante la quale si determina la tem- peratura media annua dell’aria in un punto qualunque del profilo della montagna. L’ andamento di questa temper. è quello indicato dalla curva azzurra segnata nel diagramma, e come si vede, la medesima sta per molta parte, cioè per tutta la zona centrale della montagna, sotto lo zero ; mentre alle due bocche Nord e Sud sta sopra, ed è rispettiva- mente di 4- 5°, 30 e + 6®. — 436 — Noterò qui, bencliè incidentalmente, come lo studio del clioia, spe- cialmente poi quello delle pressioni barometriche e della direzione e forza dei venti dominanti, è di massima importanza in una catena at- traversata da una grande galleria, avendo simili elementi una capitale influenza sulla futura sua ventilazione quando verrà aperta all’eserci- zio. L’influenza del vento venne riconosciuta massima nella pratica; talché, per esempio, nella galleria del Cenisio, quando soffia il sirocco 0 vento del Sud, l’evacuazione naturale del fumo vi è molto più dif- ficile malgrado la notevole differenza di livello fra le due bocche. Per trovare la terup. media del suolo usò lo Stapff un metodo in- diretto ma attendibile ed assai ingegnoso. Praticare dei pozzi o fori sino alla profondità della teinp. invariabile lungo quelle creste alpine e farvi delle osservazioni termometriche, sarebbe stata operazione costosissima e pressoché irapraticabile. Egli invece intraprese un paziente studio della temperatura delle varie sorgenti che scaturiscono lungo il pro- filo esterno della galleria, per dedurne la temp. media annua : ed in- tanto fece una accurata distinzione delle sorgenti medesime secondo la varia profondità da cui si poteva presumere venissero a giorno. Scar- tando quelle superiori provenienti dallo strato vegetale, o che troppo soggiornarono nel medesimo, come pure quelle provenienti da una al- quanto notevole profondità, e quindi troppo calde, rimaneva una cate- goria di sorgive facili a riconoscere anche alla loro mediocre portata e composizione, le quali devono emergere da una profondità media e tale che al più vi sono alquanto sensibili le mensili variazioni. Egli credette quindi di poter ritenere la temp. media annua di questo gruppo di sor- genti come eguale a quella media del suolo. Tale temp. è di -f- e 8* rispettivamente alle due bocche Nord e Sud, quindi s’abbassa sensi- bilmente (vedi nel diagramma la linea gialla) nei punti elevati della catena, raggiungendo lo zero circa nei due punti culminanti del Kastel- horn e Greno di Prosa, elevati di circa 2850 metri sul livello del mare. Ciò che si può osservare paragonando le due curve azzurra e gialla, si é il noto fatto fisico che la temp. del terreno é sempre al- quanto superiore a quella dell’aria sovrastante, essendo qui la minima difierenza di circa 2° nel basso presso alle due bocche, e la massima di circa 5° nei punti più elevati ossia più freddi della catena. Veniamo alla temp. della roccia. S’intende per questa la temp. iniziale cui la stessa possiede, prima che venendo attraversata dalla galleria abbia potuto subire sensibile alterazione. Questa alterazione si produrrebbe assai facilmente ove l’aria nella galleria fosse mantenuta molto fresca, v. g. a 15," nel quale caso in poche settimane potrebbe avvenire ^nche nella roccia e sino a certa profondità nella medesima un raffred- — 437 — damento sensibile. Per contro, qualora l’aria fosse più calda che la roccia, come accade talora in certi siti dove sono accumulati molti uomini con le loro lampade, la roccia può anche subire un lieve riscaldamento. Quanto al suddetto raffreddamento non puossi però presumere che abbia a divenire molto rapido nelle pareti protette, poiché enorme si è la quantità di calorico che l’ interno della montagna possiede e che len- tamente versa nella galleria. — Intanto mostrò l’esperienza che per avere la vera temperatura iniziale, è necessario e basta il misurarla allo spunto (vor-ort) della piccola galleria di direzione in momento opportuno, in cui si possa sospendere per alquanti giorni la perforazione (bohren) durante cui vi è raffreddamento per l’ingente quantità d’aria fresca introdotta. Per contro dopo lo scoppio delle mine, viene il periodo dello sgom- bro (schùttern) dei frantumi di roccia prodotto dalle mine stesse, e du- rante questo, cacciandosi meno aria, la temp. cresce d’ alquanto. La misura va adunque fatta sospendendo il lavoro ; poiché allora la temp. dell’aria nella piccola galleria é circa eguale a quella della roccia. E per riprova lo Stapff oltre alla temp. allo spunto (vor-ort) prendeva contemporaneamente quella della roccia a 150 metri indietro (hinter- ort) che é qualche volta un po’ maggiore. — Quanto ai termometri da adoperarsi, dopo molte prove si trovarono preferibili per la roccia quelli di Negretti e Zambra di Londra, detti protected-mining-thermo- meter^ lunghi m. 0,24 e con grosso astuccio metallico. I fori di mina in cui si introducono bene stipati con cenci, hanno m. 1,10, e la lettura si fa dopo due o tre giorni almeno. Per misurare poi la temp. dell’aria nella galleria, occorreva gua- rentirsi dalle influenze dei lumi, getti d’ aria, ecc. e perciò si usavano termometri pure di Negretti e Zambra con bulbo ricoperto da un invo- lucro protettore per 5 cent, di altezza, e con 2 mm. di spessezza di stearina o di sego. Per le sorgenti si usavano termometri a bulbo coperto e che si leggevano immersi nell’ acqua stessa alla scaturigine. Nelle fatte esperienze si trovò dunque che la temp. della roccia cre- sceva come era naturale, con lo internarsi nel monte, ed assai regolarmente benché con alcune oscillazioni. Queste oscillazioni, od apparenti anomalie, sono dovute a varie cause ; cioè anzitutto alla forma del profilo esterno del monte da cui dipende naturalmente la maggiore o minore irradia- zione del calorico nell’atmosfera; indi il potere calorifico vario delle rocce stesse, infine 1’ effetto di reazioni chimiche che si producono tanto nelle medesime che nelle acque circolanti nei loro meati. Veramente l’influenza del profilo esterno, ossia della esterna oro- grafia è la più facile a riconoscersi come ci mostra l’andamento della — 438 linea rossa nel diagramma (tav. fig. 2) che è in diretta relazione non solo con la maggiore o minore altezza di roccia sovraincombente, ma anche con la forma stessa del monte e di quelli che lo fiancheggiano. Infatti un dosso acuto ed isolato lascia sfuggire assai facilmente il suo calorico inter- no nell’ atmosfera mentre un fondo di bacino fatto a cratere, circondato cioè da monti tutt’ intorno, come per esempio la piana di Andermatt, deve ritenere molto di più il calorico, e quindi l’ incremento della temp. con la profondità deve essere ivi molto più rapido. Vediamo qualche cifra. La temp. della roccia alle due bocche è pari a quella media del suolo cioè circa -j- 8'\ — Sotto Andermatt a 2 chilorn. dalla bocca Nord, è me- diamente di 18', mentre al lato Sud, a simile distanza dalla bocca, è già di 25®. Ciò dipende da che il monte è assai più ripido e di forma massiccia al Sud, mentre al Nord il profilo ne è assai svariato per la esistenza della succeiinata bassura di Andermatt. — A 5000 metri poca è la differenza nei due lati, raggiungendovi la temp. 21“ al Nord e 23“ al Sud. — Finalmente nel mezzo della galleria, che è precisamente sotto i picchi del Aeipetligrat e Kastelhorn alti più o meno 2850 m. sul mare, la temp. della roccia si trovò in media di 30“ ; e questa fu la massima del Gottardo. Il punto culminante della galleria che sta sotto a quei pic- chi, è a m. 1154,60 sul mare, onde una spessezza di roccia sovrain- combente di 1700 metri circa. Siccome però quelle vette sono piuttosto acuminate e quindi senza influenza protettrice, volendo servirsi delle cifre per calcoli comparativi, si sarà maggiormente presso al vero, ri- ducendo alquanto simile altezza, per esempio a 1600 m. Ora la temp. media del suolo in quelle cime vedesi essere circa = 0“, onde l’ incre- mento medio di temp. in quel punto centrale della montagna riesci- rebbe di m. = 52,30 cioè circa 1“ per circa 52 m. od in altri ter- mini 0“,0190 per metro di profondità. Dietro altri dati Fincremento ri- sulterebbe un po’ maggiore, cioè 0“.206 ; ma non è il caso di fermarsi qui a sì piccole differenze. Al Cenisiò la cifra avuta pel punto centrale riusciva, come si vide, di 1“ per m. 51 l'g circa; onde tenendo in conto le incertezze di alcuni dati, è tuttavia sorprendente la concordanza di questi risultati. La differenza poi tra la temp. massima nel mezzo della galleria, che fu al Gottardo di circa 30“ bg» mentre al Cenisio fu solo di 29“ V2» abbenchè l’altezza di roccia sovraincombente sia quasi la stessa, perfettamente si spiega col fatto che la galleria del Cenisio trovasi ad un’altitudine sul mare di circa 150 m. superiore a quella del Gottardo, poiché sappiamo che la temp. media del suolo diminuisce da circa 1“ per ogni 190 metri di maggiore altitudine. — 439 — Torniamo nn momento alla piana di Andermatt, la quale si presenta come un cratere circondato nei varii lati da masse montuose più o meno alte. Abbiamo veduto poco sopra come la temp. media della roccia in galleria, a profondità di metri 305 sia quivi di 18®. La temp. del suolo vi è di -f 6® 3, onde restano circa 12® di aumento, cioè 1® per circa 25 metri. Nel mezzo poi di quella piana vedesi dal diagramma un massimo di 22®, 7 ; da cui dedotti i 6®,30 restano 16®, 4 d’ aumento cioè di 1® per meno di 20 metri, ed in altre parole di 0\053 per metro. — Invece, in altre località p. es. nel versante Sud sotto le cime dette Loita-Misura alte 2385 m. sul mare e con un’ altezza di roccia di oltre 1240 m., l’in- cremento fu il minimo (e forse anomalo) cioè di 1® per 62 m., ossia 0®,017 per m. — Fra i due citati estremi di Andermatt e di Loita-Misura, vi sono poi infiniti passaggi. Però T esempio della bassura crateriforme di Andermatt è la più caratteristica per dimostrare l’influenza delle masse montuose laterali ad impedire la dispersione del calorico. Tuttavia è qui il caso di rammentare come la natura delle rocce stesse ivi incontrate, cioè quei scisti nericci, sericitici, attraversati da acque le quali escono nella galleria più o meno epatiche, con depositi di solfo, gesso, ocra di ferro ec., e con un grado di temp. superiore al normale, indicano chiaramente l’esistenza in quel sito di chimiche reaziqni, quali sono per esempio la decomposizione delle piriti, la formazione di allu- mi, di caolini e simili, le quali d’ ordinario producono calore e quindi contribuiscono alla elevazione locale della temperatura. In altri casi certe reazioni chimiohe di decomposizione possono produrre invece raffreddamento, e ciò, unitamente alla diversa condut- tibilità e potere calorifico delle varie rocce, può generare nella temp. delle variazioni sensibili. Di ciò si terrà ancora parola, trattando della temp. delle sorgive interne ; ma può infrattanto notarsi che laddove più facilmente affluiscono delle acque dalla superficie, come per esempio nel ramo Sud dalla bocca sino a 2800 m., cioè sino ad oltre le cime di Loita-Misura, ivi si notano delle temp. relativamente più basse. La misura della temp. diQÌV aria nella galleria diede pure dei risul- tati interessanti, dei quali però si diranno soltanto poche parole. La temp. dell’aria va crescendo assai presto con T internarsi, ed in modo anche più sensibile e sovratutto più svariato che nella roccia. L’effetto della aera- zione naturale dalle bocche per diffusione, supposta pure la galleria allar- gata sino alle sue definitive dimensioni interne di 8 m. X 6 m., non giunge guari oltre ai 2 e 3 km. dalle medesime, e talora in tempi calmi e caldi a meno di 1 km. Oltre a simile distanza, occorrono mezzi artificiali. 29 — 440 — Nel caso attuale il mezzo usato dall’impresa consisteva semplicemente nello iniettare dell’aria compressa condotta coi tubi sino aH’ayanzamento, dove serve anzitutto alla perforazione meccanica. Oltre ciò, nei cantieri di lavoro d’ allargamento e muratura, dove vi è maggiore agglomerazione d’ uomini, si davano getti in quantità variabile secondo i bisogni. Avan- zando dalla bocca, il calore cresceva ben tosto in modo sensibile, e nel centro dei cantieri più attivi raggiungeva non solo, ma passava sovente il calore della roccia, salendo a 31° e 32^ e talvolta sino a 33" e 34°. Nella piccola galleria di direzione la temp., come poco sopra ve- demmo, dipende assai dallo stato del lavoro ; è minore cioè di quella della roccia ed assai fresca durante la perforazione (bohren), alquanto maggiore invece durante lo sgombro dei materiali (schùttern), divenendo allora di V a 2*^ talora anche 3® e 4“ superiore. Però ad un 100 o 150 m. indietro dallo spunto della galleria, la temperatura dell’aria diviene quasi costante, comunque si lavori o non all’avanzamento, ed eguale circa a quella della roccia. La necessità di essere breve mi impedisce di estendermi maggior- mente su quest’ argomento, e di trattare quello della futura ventila- zione della galleria nell’ esercizio del movimento ferroviario. Di ciò si farà tuttavia breve parola più sotto. Per terminare intanto con 1’ argomento della temperatura, resta a dire un cenno su quella delle acque. Già venne sopra indicato come la temp. delle medesime nella gal- leria può dirsi in termini generali eguale a quella delle rocce da cui scaturiscono; e così da pochi gradi che è presso le bocche (6'" circa), sale sino a più di 30° nel mezzo. Si è di più notato che dette acque pro- vengono più 0 meno direttamente dalla superfìcie per mezzo delle fes- sure 0 meati della scistosità e clivaggi, e molto più per certe fes- sure 0 faglie che dalla superfìcie si prolungano sino oltre la profon- dità della galleria. E la prova sta nello oscillare la temperatura delle medesime con la varia loro abbondanza nelle varie stagioni : essendo minima la temperatura quando abbondano le acque nel fon- dere delle nevi, e massima quando quelle soffrono una riduzione del gelo invernale. Stando a simile fatto, siccome la temperatura delle acque < esterne su quei monti è sempre assai bassa rispetto a quella interna i delle rocce, la temp. delle scaturigini interne dovrebbe essere sempre alquanto inferiore a quella delle rocce medesime. Ebbene, quantunque tale sia il caso di molte fra esse, e segnatamente verso le due estre- , mità della galleria, tuttavia ve ne sono parecchie, specialmente nella parte centrale, che hanno una temp. alquanto superiore a quella della 441 -- roccia. Così per esempio nel lato Nord, tra le distanze di 5167 m. e 6297 m. dalla bocca, eranvi sorgenti più calde della roccia di 1®, 2® e sino di 4^ 4. Qualche anomalia venne osservata alla superficie stessa, come per esempio nel laghetto della Sella in vai Torta, ove l’acqua inferiore è nell’inverno più calda di quella del laghetto del Gottardo, mentre non vi ha ragione per tale differenza. Sotto la piana di Andermatt, per esempio, vedemmo esservi uno straordinario incre- mento di teinp. con un massimo che non è tutto dovuto alla orografia locale. Quivi, come io altri punti assai, le acque più o meno minerali ed assai calde indicano delle reazioni chimiche le quali debbono avere luogo in seno alle rocce circostanti, sia per la decomposizione di piriti, sia per idratazioni ed altri fenomeni chimici. E bensì possi- bile che in qualche punto il calore dell’ acqua superiore a quella della roccia sia dovuto a che le vene di essa dopo essere discese a profon- dità maggiore di quella della galleria, risalgano per qualche meato a sgorgare nella medesima : ma devesi generalmente attribuire alle chi- miche reazioni, come del resto il proverebbe 1’ anomalia sovra citata della temp. invernale delle acque dei laghetti esterni del Gottardo. A proposito di queste diversità fra la temperatura delle rocce e delle acque scaturienti nella galleria, si può infine citare il seguente curio- so fenomeno verificatosi nella galleria stessa. La temperatura delle acque vi è generalmente inferiore a quella della roccia sintanto che non supera li 24® o 25®: al disopra di questo limite, la temperatura dell’ac- qua è superiore a quella della roccia, talora di 1® talora anche di 4®, come per esempio nel ramo Nord a 6300 m. dalla bocca. Ora ciò torna a dire che la temperatura dell’acqua è inferiore a quella della roccia verso le due bocche, cioè per 5 chilometri circa nel ramo Nord e 3 chilometri nel ramo Sud ; mentre è l’inverso per tutta la parte centrale lunga circa 7 chilometri. — La causa di tale fenomeno non pare sin’ ora bene spie- gata. 0 le acque di questa parte centrale della galleria vi sgorgano dopo aver circolato sotto di essa per effetto del maggiore battente cui stanno soggette; od anche vi hanno effetto le reazioni chimiche mag- giormente eccitate in questa parte centrale dal maggiore calore che re- gna nelle rocce. Dal sovraesposto circa a queste anomalie che presenta la tempe- ratura delle acque sotterranee, può trarsi intanto un utile ammae- stramento. Nelle ricerche a suo luogo citate per la legge d’incremento del calore con la profondità nella crosta terrestre, si credette fare uso, in mancanza di misure dirette, della temp. delle acque emergenti dai pozzi artesiani. Tale sistema, come vedesi, non può sempre meritare 442 - piena fiducia, poiché ove le rocce in profondità sieno di tale natura da poter subire, come non raro è il caso, delle chimiche alterazioni, la temperatura delle acque se ne risente, ed il risultato riesce inesatto. In taluni casi la differenza è notevolissima. Alcune applicazioni pratiche. Il ricco corredo di osservazioni geologiche, idrografiche e tecniche cui ci fornì l’opera del Grottardo, non deve già rimanere inutile alla società, ma deve e può infatti servire ad utili scopi. L’apertura dei grandi trafori senza pozzi è una ineluttabile necessità sovrattutto per l’Italia cosi ac- cerchiata dalle Alpi, e si direbbe provvidenziale che come essa fu la prima a tentare e riuscire in simil genere di lavoro, così li suoi operai sieno quelli che mostrarono sin da principio la maggiore attitudine alla scabra e penosa fatica che si richiede per la loro esecuzione. Ma che cosa sia il lavoro muscolare, a temperature di oltre 30 e 32' in aria umida e pregna di malsane emanazioni, ben lo sanno coloro che assisterono per 8 anni agli interni lavori del Gottardo. Al Cenisio, opera eseguita dal governo, si era adottato a tutta precauzione il sistema di scavo detto all’ inglese, cioè con la piccola galleria in basso: la ventilazione dei lavori era migliore, sia perchè si cacciava in galleria giornalmente un volume d’ aria compressa proporzionato al bisogno, sia perchè crasi adot- tato il buon sistema di isolare 1’ aria viziata e calda, attirandola in un compartimento apposito della galleria pel quale era poi evacuata fuori col mezzo di macchine aspiranti a ciascuna delle bocche. Per l’illumi- nazione veniva adottato il gaz appena fu possibile, e nelle mine esclusa la dinamite. stante le nocive emanazioni che produce quando non è, come di frequente, bene preparata. Al Gottardo si ebbe, è vero, nel centro una temperatura naturale di 1® circa superiore a quella del Cenisio, ma 1’ opera dell’ uomo pare non abbia fatto che aggravare le condizioni. Già vedemmo sopra come il sistema di scavo adottatosi, cioè con la piccola galleria in alto, non era quello conveniente al caso per lo scolo delle acque le quali sgra- ziatamente furono assai copiose. La furia di finire presto, portata daU’ob- bligo cui l’imprenditore si era sottoposto, costringeva ad accelerare quanto possibile e quindi ad allungare di molto la galleria in piccola sezione, ed altrove accumulare lavori su lavori, senza che fosse possibile commisurarli con le condizioni igieniche. Per le mine, in vista della rilevante economia risultante dalla dinamite rispetto alla polvere pirica, si fece uso di quella esclusivamente, bruciandone giornalmente da 150 a 200 kg. e più per ogni parte. Per l’illuminazione dei cantieri non il gaz, o la luce elettrica, — 443 — ma lampade fumanti mantenute dai singoli operai che stavano in nu- mero totale medio di 400 per parte e per ogni turno; 30 a 40 animali da tiro; ed infine non sufficiente cura per la pronta ed innocua rimo- zione delle deiezioni animali. Nè per ventilare i lavori posti in simili condizioni, venne punto seguito il sistema ovvio ed efficace di assor- bire in uno speciale compartimento l’aria calda e viziata: ma l’ Im- presa si limitò a cacciare nella galleria dell’ aria compressa, tanto all’avanzamento che nei cantieri di slargo, lasciando che lo sgombro dell’aria viziata da tanti fumi si facesse da se per l’intero vano delia gal- leria. Un simile sistema, mentre pel grande spreco che fa di forza motrice nel comprimere l’aria è molto costoso rispetto a quello dell’aspirazione, è inoltre imperfettissimo stante la miscela dell’ aria cattiva con la buona. '' Oltrecciò vi fu talora mancanza di sufficiente iniezione d’ aria. Per avere una discreta ventilazione dietro le buone norme, ei sarebbe occorso di cacciare entro ciascun ramo della galleria e nelle 24 ore, un volume d’ aria di 200,000 m^ a 250,000 m^ (calcolata a 0° ed 1 atm.) : mentre invece in certi tempi dell’anno, per esempio nei freddi invernali, non vi si potevano cacciar talora nemmeno 80,000 m^. Per disporre di aria bastante sarebbe occorso lo avere sempre pronta a ciascuna bocca una potenza di almeno 1200 a 1500 cavalli dinamici, mediante sufficienti derivazioni d’acqua dalla Eeuss e dal Ticino: mentre in quei periodi non se ne avea che metà. — Si è per tali motivi che a malgrado della bontà dei compressori impiegati, la ventilazione fu insufficiente, l’aria fu calda, umida e mefitica, e le sofferenze dei lavoranti furono abbastanza gravi. E perciò le cure e sussidii della Compagnia per il loro benessere, di cui non si può sconoscerle il merito, non poterono bastare a vincere il de- leterio effetto delle infelici condizioni qui sopra accennate, dipendenti in massima parte dai sistemi cui 1’ impresa della galleria credette di adottare. — Ma ora non mi addentro di più in questo argomento, che fu giustamente soggetto di speciali studi e discussioni anche nei con- gressi medici, e che infatti dovrebbe in fin fine essere il grande ob- biettivo di tutti li studi sulle grandi gallerie, per risolvere il problema di eseguirle senza grave sacrifizio di uomini. ^ ^ Si può osservare ciré stante le frane e stringimenti occorsi in vari punti al Gottardo per la cattiva qualità della roccia, sarebbe stato alquanto diffìcile 1’ appli- cazione del sistema del Cenisio. È anche da notare che da principio si erano prese delle disposizioni per adottarlo ; ma poi non vennero proseguite dall’imprenditore del tra- foro il quale si limitò a cacciare semplicemente dell’aria compressa nel modo sovra- indicato. ® In fatto di accidenti per scoppio di mine, cadute di massi, ecc., essi non furono — 444 — Ma poiché siamo suirargomento della ventilazione del Grottardo, lo finirò cennando come la permanente, quella cioè che potrà aver luogo dopo finita la galleria a tutta sezione, non è ancora permesso il pre- vederla. Al Cenisio, con una lunghezza di 12,230 m. e dove la bocca Sud essendo più alta di 132 m. di quella Nord dovrebbe esservi un forte tiraggio verso l’Italia, accade in certi tempi una stagnazione, ed il vento meridionale sovratutto lo ferma. L’inconveniente non è sempre grave du- rante il passaggio un po’ rapido di un treno di viaggiatori, poiché in tal caso il fumo suole cacciarsi nel lato del binario vuoto e non inco- modare : ma coi treni merci che risalgono, talvolta vi sono di ben perico- losi ristagni. Al Gottardo lungo 14,912 m., la differenza di livello fra le due bocche non è che di 36 m., onde l’influenza del barometro e dei venti sarà molto più predominante, e vi saranno probabilmente maggiori dif- ficoltà. Converrà quindi prevedere ad ogni evenienza un uso più o meno largo di mezzi artificiali, uso del resto non difficile stante la forza mo- trice esistente alle due bocche. Ciò premesso, vediamo come e sino a qual punto li studi e l’ espe- ri enza del Gottardo possano servire alla previsione delle difficoltà che si possono presentare in altre grandi gallerie e specialmente in quelle di cui potrebbe fra breve essere chiamata l’ Italia ad occuparsi, come quelle del Sempione o del Monte-Bianco, per la cui preferenza ferve ora assai viva discussione fra i rispettivi promotori esteri. I soggetti principali di esame devono essere, la durezza e solidità delle rocce, la filtrazione delle acque, il grado di calore nella parte centrale e le condizioni più o meno favorevoli per una buona ventila- zione, tanto durante l’escavazione che dopo, cioè nell’esercizio del traf- j fico ferroviario. L’esempio del Gottardo, il quale presenta nelle varie sue zone una I i molti: in tutta l’apertura sino al marzo 1880, si contarono circa 40 morti e 100 fe- | riti. La dinamite dà forse luogo a minori casi che la polvere pirica. ! Quanto alle malattie prodotte dall’ azione deleteria del lavoro nelle cattive con- I dizioni di alta temp. ed umidità, pare che furono realmente di non ordinaria frequenza | e gravità. Uscirono vari scritti sull’argomento. Oltre alla relazione del Dott. Oalderini j dell’Università di Parma che accompagnò l’ing. Zoppetti, si possono citare le seguenti: | memoria dei D.ri Concato e Perroncito sovra una specie di anemia od ankylostomasia attri- ; huita a vermi intestinali microscopici (ankilostoma duodenale, ecc.) ; memoria dei D.ri i Bozzolo e Pagliani dell’ Università di Torino che dissentono in parte dai precedenti , attribuendo piuttosto la causa del male al complesso delle malsane condizioni della ! galleria 5 memoria del Dott. tedesco Sonderegger inviato dalla Svizzera a studiare la ! cosa sul sito, e che concorda coi due ultimi nello attribuire gran parte del malé alle • tristi condizioni di quel lavoro sotterraneo. I — 445 — varietà di rocce assai notevole ed analoga tuttavia a quella delle sun- nominate due catene, ci porge ora utili ammaestramenti. Circa alla natura delle rocce, vi sono le due questioni della rapi- dità della perforazione ossia dell’avanzamento giornaliero della piccola galleria, e quello della solidità. Si vide che il miglior caso è quello delle rocce un po’ dure come li gneiss e scisti anche quarzosi, li quali oltre al reggere bene negli scavi permettono un avanzamento anche di 4 m. e più al giorno. Altri gneiss o micascisti a tessitura irregolare non permettono che avanzamenti di 3 m. a m 2,5 ; come pure le serpen- tine per la loro speciale tenacità. Cattive assai sono invece le rocce flosce e molto scistose, come certi calcescisti assai frequenti nelle Alpi, e li gneiss semiscomposti, ove l’avanzamento con le perforatrici è dif- ficile e non sempre si fanno m. 1,25. Pessimi poi per la solidità quelli gneiss e scisti micacei e calcariferi, contenenti piriti, e soggetti a trasfor- marsi in pasta caolinica, che gonfia con l’esposizione all’aria produ- cendo pressioni terribili. Vedemmo come simile alterazione si protende talvolta a notevoli profondità insieme a delle faglie acquifere, cioè a più di 300 met, sotto la piana di Andermatt ove generarono difficoltà gravissime, ed in altri punti a più di 1500 m. Il Cenisio ci avea dati alcuni ammaestramenti ma d’altro genere ; per esempio il banco di quar- zite che costò tanta fatica permettendo un avanzamento giornaliero di meno che 1 m. ed il terreno detritico alla bocca Nord. In quest’ultimo punto si credette di potere stabilire l’uscita in curva sovra un breve tratto di antico deposito morenico : ma i movimenti di questo furono poi tali in breve tempo che si dovette ora decidere di andare ad escire in terreno più solido, mediante un tratto nuovo di galleria da perforare di nien- temeno che 3 chilometri! Circa alla filtrazione delle acque in seno ai monti che hanno stratifi- cazione e scistosità disposte a ventaglio, come è in generale il caso delle catene centrali e per esempio del Monte Bianco, sono ben parlanti gli esempi sopra descritti della facilità con cui esse acque vi si infiltrano scendendo dai depositi o dai corsi superficiali ; e sovratutto laddove si no- tano strati quarzosi più o meno rotti, e fessure o faglie che tagliano la montagna, come per esempio sotto le valle di Gruspis ed il laghetto della Sella, ovvero anche dove esiste un marcato clivaggio, come sul versante al cui piede giace Airolo. Circa alla previsione della temp. che verrà probabilmente incontrata nella parte centrale di tali gallerie, già videsi come il risultato del Ce- nisio aveva permesso di preconizzare assai bene quella del Gottardo; ed ora li coefficienti d’ incremento sopra citati relativi a quest’ ultimo. permetteranno vie meglio una approssimata previsione per le future. — Però lo Stapff, autore di tante e precise osservazioni con germanica minuzia raccolte e compulsate, non limitandosi all’empirismo, volle fare di più; cioè volle trovare la legge d’ incremento della temp. del suolo con la profondità verticale sotto la superfìcie, presa come va- riabile indipendente, esprimendola con formola matematica. Egli cre- dette rappresentare la cercata legge con l’equazione di una curva para- bolica riferita ad un sistema speciale di assi. ' Fece poi due ipotesi : l’una in cui l’incremento di temp. sia espresso in funzione della sud- detta profondità verticale li, l’altra invece in cui essa sia in funzione della così detta minore distanza m, del punto che si considera dalla superfìcie. Fig. 4. Non credo opportuno, come già dissi, il riferire in un articolo come questo le formole e le varie conseguenze (sovente più teoriche che pra- tiche) cui il matematico maneggio delle medesime permette di dedurne. Io cennerò solo ad alcun risultato meno incerto. — Uno sarebbe che l’au- 3|iento di temp. mentre è realmente funzione della profondità, non vi è già esattamente proporzionale, ma decresce alquanto con la profondità medesima. — Migliore poi è la seconda ipotesi introdotta nelle for- mole, cioè di cercare 1’ aumento di temp. espresso in funzione della minore distanza m dalla superfìcie, distanza che sarebbe una nor- male alla tangente esterna. ^ L’ ipotesi infatti è più naturale in quanto tien meglio conto della forma orografìca la quale più influisce sulla irradiazione del calorico, e quindi la relativa formola fornirebbe dei ri- sultati migliori. Infatti in questo caso del (jottardo, tenuto conto di ' Studien iiber die Wàrmevertheilung im Gottard, Bern. 1877; e Stvdien uber der Eir^iuss der Erdw'drme auf die ausfuhrbarheit von Hochgebirgestunneln. Leipzig, 1879. * Essendo t raumento di temp . e m la minore distanza, la formola finale sem- plificata riesce; t = 00,014 -b 0,01016 {/ 36,1682 — 0,1278 m -f- 0,000103 m® suscettibile però di un’errore di de. 2* *^,45. Posto m rr: 1560 pel punto centrale del Gottardo ne risalta la temp. ivi rz 31®, 58 con la suddetta incertezza di de 2‘^,45. Però fatte le debite correzioni, la media temp. risultante secondo V autore sarebbe di 300,4L cioè la stessa trovata col termometro. — 447 — tutte le circostanze e correzioni, la media risulterebbe di circa, cioè quasi esattamente la cifra data dall’esperienza diretta. — Però se per questo punto centrale del Gottardo la coincidenza tra la formola e la pratica è quasi perfetta, non cosi può dirsi per altri punti dove e la diversa conduttibilità della roccia, e la forma del monte e il flusso delle acque, infine le reazioni chimicbe possono cagionare anomalie gran- dissime. — Comunque sia, degno è di nota un tentativo di teoria poggiato su dati esperimentali cotanto attendibili, ed i quali del resto già pos- sono per se stessi riuscire utilissimi in pratica. Veniamo quindi alle due progettate gallerie del Sempione e del Mon- te-Bianco. Diverse sono per ciascuna di esse le varianti di tracciato sin’ ora studiate e proposte. 11 Sempione presentasi quanto ad altitudine, nelle migliori condizioni, poiché con una galleria a foro cieco di poco più cbe 19 chilom., si può passare a soli 730 m. sul mare, cioè a circa 500 met. meno alto del Cenisio e del Gottardo, loccbè pel traffico delle merci è molto economico. Volendo poi salire verso li 800 m. come in uno dei progetti di Stockalper, la lunghezza è ridotta a poco più di 16 chilometri. — Ora* nel primo caso si avrebbe nella parte centrale della galleria un’ altezza di roccia sovraincombente di circa 2250'", con una temp. di + alla superficie; onde fatto il calcolo secondo lo Stapff troverebbesi la temp. della roccia nel mezzo di 47" circa. — Per la variante di Stockalper, con una media di 1800'" di roccia sovrastante, si avrebbe per alcuni chi- lometri nel mezzo una temp. di roccia di 40" circa. Pel Monte-Bianco il progetto più utile al traffico sin’ora studiato, sarebbe quello diretto fra Courmayeur e Chamonix, passante così sotto la massima depressione della catena che è il Col-du-geant ed il ghiac- ciaio del Tacul. Il punto culminante di tale galleria starebbe a 1074 m. sul mare, e la sua lunghezza pure di 18 1/2 chilometri, ma con soli 13 1/2 a foro cieco sotto la massa della montagna ; il resto sino alla bocca presso St. Didier in galleria sotto- valle suscettibile di pozzi. Anche qui per circa cinque chilomentri nella parte centrale si hanno altezze di roccia sovraincombente di circa 2400 m., onde vi risulterebbe una tem- peratura non minore che al Sempione, se anzi non maggiore stante l’in- fluenza protettrice delle grandi masse rocciose laterali del Monte-Bianco all’Ovest e delle Grandes-Jorasses alPEst. Volendo quindi adottare per que- sti passaggi le gallerie più basse, che sono le più convenienti sia per le opere di costruzione in quei rigidi climi che .pel futuro traffico fer- roviario, bisognerebbe attendersi ad affrontare nelle parti mediane delle medesime delle temperature di 40" sino a 47", mentre al Cenisio ed al Gottardo non si ebbero che 29° 1/2 e 30" 1/2. 448 — Quanto alle rocce da attraversare, abbiamo in ambe le linee la massa centrale per più chilometri di granito e gneis-talcoso (protogi- na), roccia assai soda ma perciò appunto assai vantaggiosa alla perfora- zione, abbenchè non esente poi probabilissimamente dalla necessità di un completo rivestimento. I terreni fìancheggianti sono di minor con- sistenza, almeno nel lato Sud del Monte-Bianco, ove sulla tratta di circa 5 chilometri si trovano varie zone di quei calcescisti con calcari dolo- mitici e gessi, che possono presentare non indifferenti difficoltà. A que- sto proposito però converrà attendere gli studii particolareggiati cui attendono ora gli ingegneri del governo e per la parte geologica il dottore Baretti. Ma tornando all’argomento della temperatura, certo assai formida- bile, di 47® 0 circa che vedemmo potrebbesi attendere nella parte cen- trale di simili gallerie, presentavasi tosto la quistione: come sarà pos- sibile il lavoro umano con simile calore, e non sarà essa un ostacolo presso che invincibile, a meno di gravissimi sacrifici di vite umane ? — Qui converrà distinguere i due periodi, dell’esecuzione della galleria e quello successivo dell’esercizio. Siccome in questo secondo è da presup- porre che dopo aperta libera comunicazione fra le due bocche potrà stabilirvisi, occorrendo anche con mezzi artificiali, un’attiva ventilazione, ei sarà piuttosto da considerare soltanto il periodo della escavazione, il quale per la parte calda centrale potrà tuttavia durare 3 o 4 anni. A tutta prima, viste le pessime condizioni igieniche del Gottardo con soli 30® 1/2 nella roccia, si è da molti ritenuta la cosa impossibile. — Era dunque il caso di esaminare seriamente tale questione, cioè del lavoro dell’ uomo nelle alte temperature. Ora sappiamo che assai studii ed osservazioni già si possiedono sulla medesima, ed il medesimo Stapff molto ne tratta nel- l’opera succitata {Einfluss der Erdeivdrme ec.). Anche il fisiologista Dubois- Keymond fece studii in proposito. Da simili ed altri studii e lavori, risulta anzitutto confermato il fatto, che il lavoro di cui l’uomo è suscettibile è sensibilmente minore alle alte temperature come quelle di 30” e più gradi, e che molto minore ancora risulta in un’atmosfera satura o quasi di umi- dità che non in atmosfera asciutta. Simile fatto del resto è bene confer- mato dall’ esperienza dei climi tropicali, e di certe miniere in condi- zioni eccezionali. Dalle cifre del Dubois-Beymond sulla possibilità del lavoro corporale in siti ad alta temperatura, risulterebbe che i limiti massimi accettabili sarebbero di 50° per un’atmosfera secca, e 40° per un’atmosfera satura di umidità. Sgraziatamente, egli è molto difficile in una galleria lo evitare completamente l’umidità dell’aria, anche procurando alle acque uno scolo migliore di quello infelicissimo del Gottardo, poiché la sola per- — 449 — spirazione di centinaia d’uomini produce sensibile effetto sull’aria. L’es- sicamento artificiale con assorbenti è cosa ardua e costosa trattandosi di volumi enormi e di dover agire in spazii molto ristretti : e la stessa difficoltà si presenta al raffreddamento artificiale dell’aria col mezzo di frigorifici. Per ora il migliore mezzo pratico di alleviare la cattiva con- dizione è quello di avere a disposizione molt’aria compressa e quanto possibile asciutta da distribuire nei lavori dove più ne occorre, provve- dendo poi bene inteso alla più pronta separazione dell’aria viziata e calda con il suo assorbimento in separato canale. Però la produzione dell’aria compressa è costosa assai per l’enorme spreco cui essa richiede di forza motrice, ed a simile ramo di spesa bis-ogna essere preparati. Il problema dunque della igiene dei lavoranti nell’ interno delle grandi gallerie è molto difficile, e resta sempre la prospettiva di dover far lavorare degli uomini in un’aria di temperatura prossima ai 50». Malgrado però simile prospettiva credo che, ben considerato il proble- ma, siasi alquanto esagerata la difficoltà, e che lo stato odierno delle risorse tecniche ne permetta la soluzione in condizioni accettabili anche dagli umanitarii. Infatti, oltre ai miglioramenti possibili, e che sarebbero sensi- bilissimi sulle condizioni del lavoro rispetto a quanto si fece al Gottardo, abbiamo l’esempio di varie miniere dove si lavora in condizioni certo non migliori. Non è raro nelle miniere di carbon fossile lo avere dei cantieri in fuoco che da anni ed anni si tengono chiusi per soffocarvi l’incendio, ma intorno ai quali pur si fa lo scavo del carbone e dove pel gran calore gli uomini benché debbano lavorarvi ignudi e con fre- quenti interruzioni, tuttavia non ne rifuggono. Così è pure in certe mi- niere di Inghilterra e di America dove passano sorgenti termali e dove la temperatura è altissima. Nel 1874 visitando nel Nevada (Stati Uniti ovest) le più profonde miniere argentifere del Comstock fui all'avanzamen- to di certe gallerie, dove la temp. della roccia non era minore di 65® e quella dell’aria 52°. Ivi però l’aria era assai asciutta, li minatori lavo- ravano solo a turni di mezz’ora, e così scambiandosi facevano tre ore di lavoro sulle 24. L’uso dei bagni freschi, ed un buon regime di vita (pos- sibile con dollari 4 al giorno come generalmente allora in California), facevan sì che anche quei lavoranti non rifuggivano da tal genere di lavoro. ^ Certo non si può considerare simile condizione se non come piuttosto eccezionale,® ma però è un’ importante esempio che anche a tem- ' Al Cenisio gli operai all’avcinzamento ed a certi lavori difficili eran pagati a cottimo e lucravano ottime giornate. Al Gottardo le cose, a quanto ci venne riferito, eran disposte in modo che nessuno ornai poteva farsi giornate maggiori di L. 4. * In un articolo postumo nell’ Eismhahn lo Stapff parla assai di questo caso del Comstock cui riguarda però come eccezionale e pericoloso. — 450 — perature superiori a 40® e sino ai 50^ e più, si può lavorare, e quindi trattandosi di poco tempo, le intraprese di simili lunghe gallerie si pos- sono considerare come eseguibili. — Ma per certo si dovranno applicare in casi consimili tutti li mezzi più perfezionati di cui sopra si è fatto parola: abbondante iniezione di aria asciutta procurandosi quanto occorre di forza motrice per ottenerla, separazione della viziata, pronto scolo delle acque mediante il sistema di escavazione con la piccola galleria in basso, distribuire bene i lavori d’allargamento ed usare in questi pure la perforazione meccanica, fare i trasporti interni con mezzi meccanici, luce elettrica, infine avvertenze igieniche le più rigorose, compresa una suffi- ciente paga agli operai. Tutto ciò naturalmente esclude la parsimonia e lo spirito di speculazione ; vale a dire che la galleria dovrebbe costare più cara. La medesima dovrebbe essere eseguita direttamente dai go- verni interessati od almeno con tale controllo dei medesimi che alme- no, senza trascurare l’economia, tutte le risorse della scienza moderna fossero applicate ai riguardi umanitari, evitando il grave rimprovero che un’ opera tale di civiltà venga in questo secolo compiuta con la ro- vina degli uomini impiegati al lavoro. II. Sulla serpentina del S. Gottardo, mì&àé. prof. Alfonso Cossa. Tra i campioni di roccie del Gottardo inviatemi dal signor Stapjff, . ingegnere geologo della galleria, per incarico dell’ingegnere Giordano, quelli che mi furono indicati come serpentine sono i seguenti : N. 96 raccolto a 4870,8 metri daU’imbocco Nord » 98 » » 5125,0 y> % » » 99 > » 5250,0 » » » » 100 » » 5306,2 » » » L’ingegnere Stapff nella lettera (novembre 1879), colla quale mi ac- compagnava i suddetti campioni, e più tardi nella sua recente pubblica- zione : Geologiseìies Trofil des S.t Gotthard in der Axe des grossen Tunnels. Bern, 1880, pag. 34 e 32, asserisce che la serpentina del Gottardo deriva dalla scomposizione di un olivina bruna, e che questo minerale si trova frequentemente indecomposto in grani visibili colla sola lente ed impegnati nella roccia. Kipete pure lo Stapfi che l’elemento fonda- mentale della serpentina del Gottardo è l’olivina. A questa opinione, che 1 Bolide! R. Comitato geol.dìtalia. SEZIONE GEOLOGICA DEUA GRANDE GALLERIA DEL SCALA di 1:50.000. Anno 1880. Tav. GOTTARDO f.Dietro il rilievo fattone durante l'esecuzione (1875 -1880) daJl'In^’^ Geologo della Compagnia M. STAPFF.) ^ SPARTIACQUE « li— -“AL MARE DEL NORD? AL MEDITERRANEO •— * 1 Cantone Cantone ìì'So- URI TICINO Schòllenen . I Annaberge § I t Gurscbeaalp Guspistbal 1“’ Alpe Sella '• Alpe Sorescia I? | « <»J S P ‘<1 ? ^ 1“* Alpe di Scipsms MASSA DEL F]NSTERAARH0RN}( CONCA II URSEREN ^ ^ Livello del Mare Metri 1000 2000 3000 4000 gr Gneiss grani ioide g u Gneiss di Ursern gn Gneiss con vene di euri te ^ sn Scisti neri ^ )|\ ss Scisti a sericite ^ c Cai care cipollino DISTRIBUZIONE della TEMPERATURA Paghe ( nella Montagm) 7460 7000 gm Gneiss micaceo g j id delia Sella g q id. guarzifero a f Rocce anfiboliche s o Serpentina SPARTIACQUE 7.000 m r Micasdsio feldspatico me id calcanPero mg id. granatiere mgn id. id nero Hflri s q Scisti quarros! a r Rocce anfìMi ■/. . c d Calcare dolomitico. ? 5 ^ 1 AL MARE DEL NORD AL MEDITERRANEO Cantone J t, Cantone URI ■ l TICINO ^ Annaberge Gurscbienalp o Schòllenen 5 -1 GÒSCHENEN | 'UvsUirap irtare j MÀSSA DEL FINSTERAARHORN 1 CONCA DI URSEREN | 7000 7460 7000 MASSA DEL GOTTARDO CONCA DEL TICINO Profilo del terreno a cielo aperto. uCaìleria. Temperatura della rocaa nella galleria di direzione * itfiì fPTTpno alla superficie. v^TTiTìfiratiira media dell aria all esterno- I- — 451 — è pur confermata dal professore Fischer, si oppone quella dell’ingegnere montanistico Sjogren (di Filipstad in Svezia) secondo il quale, il mine- rale che si osserva impegnato nella serpentina sopraccennata, non sa- rebbe olivina, ma bensì un pirosseno. Ecco i primi risultati delle mie osservazioni : Roccia n. 96 — (Preparati 510, 511, 1008, 1009, 1010, 1011 della mia collezione in piccolo formato. I preparati 510, 511 sono sezioni della roccia. I preparati 1008, 1009 sono sezioni della parte prevalen- temente pirossenica. I preparati 1010 e 1011 sono il residuo del trat- tamento coll’acido cloridrico della roccia). I componenti di questa roccia sono : 1*^ — Talco in lamine frastagliate, a superficie ondeggiante, incolore quando sono sottili e con riflesso argentino. Quando sono ammassate, le lamine prendono un colore leggermente verdastro. Questo minerale non è uniformemente distribuito nella roccia; ma in alcuni punti vi è accu- mulato a segno da impartirle una struttura scistosa. I saggi chimici non svelarono in questo minerale la presenza di alcali. Finora in tutte le serpentine delle Alpi da me esaminate non osservai la presenza del talco. Però l’associazione del talco al serpen- tino ed ai minerali serpentinogeni fu osservata in altre località; anzi il Dana cita una pseudomorfosi dell’enstatite in talco. E notorio che questo ultimo minerale non differisce dal primo che per la presenza di acqua. 2° — Minerale pirossenico. E in cristalli minuti, prismatici, in- trecciati confusamente tra loro, di un colore bruno verdognolo che ricorda quello dell’enstatite. Presenta una lucentezza madreperlacea sulle faccio di più facile sfaldatura. Osservato colla lente, presenta delle strie finis- sime parallele all’asse del prisma. Si fonde molto difficilmente, come l’enstatite, sui bordi in uno smalto di colore bianco-sporco non attira- bile dalla calamita. Non è attaccato affatto dall’acido cloridrico anche dopo un riscaldamento molto prolungato. Ho scelto dei frammenti della roccia privi per quanto fu pos- sibile di talco e quasi esclusivamente formati dal minerale pirossenico che sottoposi all’analisi chimica, e n’ebbi i seguenti risultati : Acqua 2,35 Silice . . . ‘ 51,73 Ossido ferroso con pochissima allumina 8,78 Calce li,75 Magnesia 24,60 99,21 — 452 — Intendo eseguire una nuova analisi su questo minerale, sacri- ficando il campione di roccia che mi rimane. Al microscopio questo minerale presenta una struttura lamel- lare con strie parallele fra loro. E dotato di doppia refrazione energica. 1 colori di polarizzazione sono molto più vivi di quelli del diallagio e dell’amfibolo. Cristallizza nel sistema monoclino. Crii angoli di estin- zione delle traccie dei piani di sfaldatura colla sezione principale del Nicol che osservai in molti cristalli sparsi nelle varie sezioni da me preparate sono: 26^ 15°, 20^ 18°, 14°, 17°, 16°, 11°, 0®. Crii angoli più frequentemente osservati sono quelli oscillanti fra 17° e 26°. L’angolo osservato più raramente (in solo due sezioni di cristalli) è quello di 0°. Le laminette che potei avere sono molto piccole e non mi permi- sero l’osservazione esatta col polariscopio di Descloizeaux. Esaminando le due laminette che presentavano un’estinzione parallela alla sezione principale del Nicol, col microscopio di Euess dal quale tolsi l’oculare, non potei osservare distinta la sola figura assiale che si appalesa quando si esamina una lamina di diallagio parallela alla faccia (010). Questo minerale non presenta traccie sensibili di dicroismo, in esso è manifesto il processo di serpentinizzazione. Esso costituisce Velemento principale della roccia. Differisce, a mio parere, dal diallagio che qualche volta si osserva nelle serpentine degli Appennini derivanti dalla decomposizione della eufotide (p. es., serpen- tina della Garfagnana), così per le direzioni di sfaldatura, come per la sua composizione chimica (ricchezza in magnesia), che forma di questo minerale un termine intermedio tra l’enstatite e il pirosseno propria- mente detto. La sua cristallizzazione monoclina impedisce però di ri- ferirlo alla diaclasite. 3. L’ Olivina si osserva nella roccia in questione in quantità rela- tivamente piccola. E in grani cristalloidi molto distinti a superficie zigrinata sua caratteristica; si distingue assai facilmente dal minerale pirossenico anche per le screpolature irregolari che presenta. Alcuni rari cristalli sono affatto indecomposti ; nella maggior parte invece, la decomposizione in serpentino è molto avanzata. 4. — Magnetite. E in piccole granulazioni sparse nella roccia in scarsa quantità. Esse aderiscono specialmente alle laminette di talco, e si trovano pure accumulate nei cristalli d’olivina in decomposizione. Sono anche qualche volta diffuse negli interstizii lamellari del minerale pirossenico. Il minerale magnetico contiene piccolissime traccie di cromo. Boccia N. 98^ — (Preparati 612, 513, 1012 della mia collezione in piccolo formato). I componenti di questa roccia sono gli stessi di quelli della roccia precedente, con la differenza però che l’elemento predominante è in questo caso l’olivina. Questo fatto oltreché essere dimostrato dalla os- servazione microscopica, risulta anche evidente con questo semplice esperimento : — Se si trattano quantità eguali di polvere delle roccie N. 96 e 98 con l’istessa quantità d’acido cloridrico, e si protrae il riscal- damento per tempi eguali, si vede che la polvere della roccia N. 96 rimane quasi indecomposta, mentre quella della roccia N. 98 si decom- pone tosto e quasi interamente con separazione di silice gelatinosa. Inoltre in questa roccia trovansi già delle plaghe intieramente convertite in serpentino. La magnetite è più abbondante che nella roccia N. 96, mentre il talco vi è in quantità minore. Roccie N. 99 e 100. — (Preparati 614, 515, 516, 617, della mia collezione in piccolo formato). Queste due roccie hanno una struttura identica, e sono vere ser- pentine simili a quelle delle Alpi, e delle quali ho già pubblicate pa- recchie analisi (serpentine di Corio, di Verrayes, del Pavaro, ec.). Esse derivano principalmente dalla scomposizione di peridotiti. Esaminate in sezioni sottili, si dimostrano costituite da una massa serpentinosa che presenta il fenomeno della polarizzazione per aggre- gazione. II minerale magnetico si trova in queste due roccie in molto mag- gior copia che nelle precedenti e vi è disposto sotto forma di maglie irregolari, indizio della loro provenienza dalla decomposizione della olivina. Queste due roccie contengono traccio di ossido di nichelio che non manca quasi mai nelle serpentine delle Alpi. Nelle due serpentine del Gottardo che ho esaminate, osservansi pure, ma in piccola quantità, lamine di talco e del minerale pirossenico sfuggite alla metamorfosi in serpentino. Da quanto brevemente ho riferito mi pare che si possa con- chiudere : 1. Che le roccie 96 e 98 non sono serpentine propriamente dette ma sono costituite da minerali (talco, pirosseno, olivina) suscettibili di trasformarsi in serpentina. Questa metamorfosi riesce evidentissima nella roccia N. 98. 2. Che la diversità di opinioni tra Stapff, Fischer e Sjogren trova una facile spiegazione nel fatto che nella roccia N. 96, il componente principale è realmente un minerale pirossenico; mentre nell’altra roccia N. 98, predomina l’olivina. — 454 SuU’esistenza e sulla prevalenza del minerale pirossenico nella prima di queste due roccie non vi può essere alcun dubbio. Kipeto che indi- pendentemente dai caratteri mineralogici, basta per convincersi il trat- tare la roccia N. 96, privata di talco, con l’acido cloridrico e sottoporre il residuo del trattaménto all’analisi chimica e microscopica. (Mi sarebbe stato gradito di poter osservare la roccia N. 97, che mancava nella spedizione fattami dall’ingegnere Stapff. Probabilmente in essa si potrà osservare un passaggio dalla composizione della roccia prevalentemente pirossenica N. 96, a quella prevalentemente peridctica N. 98). Le serpentine del Gottardo non possono chiamarsi diallagiche, perchè il minerale pirossenico non presenta i caratteri chimici proprii del diallagio. — Queste serpentine del Gottardo differiscono da quelle dell’Elba e di altre località degli Appennini, perchè sono affatto prive delle laminette di bastite, caratteristiche della maggior parte delle serpentine appenniniche. ESTRATTI E RIVISTE. SìiUe condizioni geologiche dei monti del Lago di Como; Nota di C. W. GtiMBEL. Da una Memoria inserita nei Rendiconti della R. Accad. delle Scienze di Monaco, 1880). In una precedente escursione nelle Alpi della Lombardia orien- tale '' si ebbe a constatare che gli strati di Collio a piante fossili, cor- rispondenti al Roililiegende e le arenarie rosse ^ equivalenti degli strati | di Gròden, si spingono dal lato occidentale sino a Fiumenero ; senonchè ! mancano quivi affatto nelle arenarie rosse i fossili vegetali che con- j traddistinguono tale formazione nel Tirolo Meridionale e nei dintorni di Recoaro : lo che toglie di poter equiparare le arenarie dell’ alta Lombardia orientale a determinate assise degli strati di Gròden, per j quanto le condizioni petrografiche e stratigrafiche non lascino dubbio ! alcuno sull’equivalenza delle due formazioni, lombarda e tirolese. B nem- | manco nei monti della Val JBrembana, che fanno seguito immediato a j ^ Vedi Relazione inserita in estratto nel Bollettino Geologico, numeri 6 e 6 del 1880, pagina 281. 455 — quelli della Val Seriana, si rinvennero sicuri indizi di fossili vegetali nelle arenarie di epoca più antica. Negli strati inferiori però delle are- narie dei monti ad est del lago di Como, tra Sellano e Kegoledo, le ricerche dei signori Escher e P. Merian constatarono la presenza della Voltaici lieteropìiylla Brogn. e (\.q\V Aethophyllum speciosum Schimp., specie caratteristiche del Buntsandstein. Questi ed altri importanti indizii dell’esistenza di formazioni a vegetali fossili, massime nei din- torni di Lugano, c’indussero a riprendere le nostre indagini, già spinte sino alla Val Seriana, attorno ai laghi di Como e di Lugano, princi- piandole sul territorio ad est del primo, vale a dire in Val Sassina e nei monti situati tra Bellano ed Introbbio. Movendo da Bellano verso Kegoledo scorgonsi anzitutto a piè di ripidi versanti roccie che indubbiamente appartengono agli scisti cri- stallini, quelle stesse cioè che sono immensamente sviluppate sul lembo meridionale delle Alpi e che per lungo tratto vennero eziandio attra- versate dalla ferrovia del Gottardo sino a Lugano. Questi scisti che per la loro lucentezza micacea furono in addietro ritenuti per micascisti e più recentemente denominati scisti di Casanna^ scisti sericitici, sono Caratterizzati daanterstrati quarzitici e gneissici che si ripetono sovente e pei quali vennero ritenuti ora appartenenti alla formazione dei più antichi scisti cristallini, ora alla carbonifera. Che se può esser dubbia al più la scelta fra la denominazione di micascisto e quella di fillite micacea, è certamente indubitato aversi a che fare con uno scisto cri- stallino tipico, appartenente ad una più recente formazione del periodo archeolitico. Superiormente a questo scisto cristallino si connette una quarzite gneissica, a scarsi elementi feldispatici, ma ricca di mica, la quale, quasi senza interruzione, costituisce lungo la via da Bellano fino a Introbbio la base immediata di una serie di strati di color rosso pre- dominante, la quale principia con argille sabbiose rosse e grigie, sovra cui stanno banchi di conglomerato grossolano e più minuto che alter- nano con strati di arenarie varicolori, con argille di color rosso intenso e con roccie grigie marnose schistose, le quali ultime predominano nella regione superiore. In questa parte relativamente superiore della serie, verso Kegoledo, rinviensi il ricordato giacimento a fossili vegetali con Voltzia heterophylla ed Aethophyllum speciosum^ oltre ad altre in- determinabili impronte. Ad onta che per la mancanza degli strati a Bellerofonti o della dolomia gialla che li sostituisce, non sia possibile un sicurissimo paragone di questi strati con quelli, parimenti a vege- tali fossili, di Kecoaro e di Neumarkt, pure l’impressione che ne risulta dal complesso delle circostanze è quella dell’identicità di orizzonte geo- logico ; lo che viene avvalorato eziandio dalla presenza sul tetto degli 30 — 456 — strati a vegetali fossili di Kegoledo della stessa marna grigio- verdastra indurita che si riscontra dalla parte orientale, ove rappresenta gli strati di Seiss. Quanto poi alla serie di conglomerati grossolani che già in addietro per la loro somiglianza con quelli del Rothliegende fu- rono giudicati appartenenti al medesimo, nulla hanno essi di comune con quanto si osserva a Collie e Fiumenero; sibbene somigliano esat- tamente a quei conglomerati delle Alpi orientali lombarde che dav vicino si connettono alle arenarie rosse, e che corrispondono a quelli di Grròden. Cosicché può asserirsi che sul lembo orientale del lago di Como manea affatto ogni traccia di giacimenti che equivalgono agli strati di Collio. L’abbondanza poi di ciottoli rotolati di porfido nei conglomerati di questa regione e specialmente nei pressi d’introbbio, non può venire spiegata che ammettendo come preesistenti alla deposizione dei suddetti conglomerati dei potenti ammassi di porfido lungo il lembo delle Alpi centrali costituite da roccie cristalline, dall’abrasione dei quali sia pro- venuto il materiale dei conglomerati della Val Sassina, non essendo sufficiente a giustificare siffatta abbondanza, nè le masse porfiriche af- fioranti nei dintorni del Lago di Lugano, e tanto meno le qualità di porfido da cui son queste formate, dalle quali diversifica affatto il por- fido dei suddetti conglomerati che risulta essere esclusivamente un ‘porfido felsitico quarzifero a pasta felsitica, ora finamente cristallina, ora semivitrea, a strie fluidali, ricca d’ortoclasio, povera d’inclusioni plagioclasiche e di mica. Alle predette marne grigio-verdognole, alter- nanti in parte con assise dolomitiche arenose rosse e gialle, e petro- graficamente come altresì per giacitura perfettamente corrispondenti agli strati di Seiss e di Campii, fanno superiormente seguito delle dolomie grigio-oscure o nerastre, a tessitura granulare cristallina, con crinoidee aventi l’habitus di Encrinus liliiformis, con sezioni di brachio- podi, gasteropodi e cefalopodi e talvolta con concrezioni di petroselce. Questa formazione, la quale costituisce una facies dolomitica del Mu~ sclielkalh inferiore, passa superiormente con rapidità ad un calcare com- patto, lastriforme, nero intenso, conosciuto sotto il nome di marmo di Varenna. Eiunendo questo profilo con quello che si presenta lungo la strada da Sellano a Varenna, ne risulta un quadro abbastanza completo della costituzione stratigrafica di queste più antiche formazioni sovrincombenti agli scisti cristallini, il quale si riassume come segue : a) Al tetto: calcare nero di Varenna. b) Seguono inferiormente con direzione ad h. 3-5 ed inclinazione di 50® a 60° sud-ovest i seguenti strati: — 457 — 1. Dolomia del Muschélhalk^ granulare cristallina, gri- gia e grigionera, con crinoidee e brachiopodi, della potenza di Metri 120 2. Dolomia calcarea grigia, lastriforme ondulata ... » 2 3. Marna indurita, giallastra, facilmente alterabile, ac- compagnata da dolomia gialla e da calcare cavernoso {Rauh- ivacke, qua e là probabilmente gessifera » 10 4. Scisto argilloso, rosso intenso, alternante con strati gialli e verdognoli » 6 5. Scisti marnosi duri, vetrigni, verde-grigi, superfi- cialmente gialli, identici agli strati di Seiss nei dintorni di Scbilpario » 25 6. Arenarie grigie, marnoso-calcari, dure, sottilmente stratificate con singolari inclusioni lenticolari di calcare nero » 30 7. Arenarie grigie, rosse, bianchiccie, per lo più a strati sottili, con intercalazioni argillose, e talvolta con singoli strati a sostanze carboniose frammistevi e con fossili vege- tali. Sulle faccie di stratificazione veggonsi escrescenze, sol- cature e ondulazioni e concrezioni vermiformi come di fo- raminiferi. Costituiscono il giacimento a vegetali fossili . . » 80 8. Arenarie rosse e grigie a strati potenti con letti isolati di conglomerato » 100 9. Scisto argilloso di color rosso intenso » 2 10. Conglomerati rossi, ricchi di quarzo » 6 11. Arenarie grigie e di color chiaro, ovvero rosso in- tenso 0 pallido, scisto argilloso e banchi di conglomerato con ciottoli rotolati di porfido » 15 12. Arenarie grigiastre e conglomerati grossolani senza ciottoli di porfido, simili agli strati di Manno dei quali sono probabilmente i rappresentanti » 10 Totale potenza, metri 405 c) Al riposo: quarzite gneissica ed inferiormente fillite micacea. Tale complesso di strati corre quasi parallelo alla Val Sassina da Bollano ad Introbbio passando per C. Panighetto, M. del Portone, Per- lasco e Corte nuova, traversa il vallone della Pioverna, e, seguendo la gola di Acquaduro con direzione quasi normale alla precedente e ri- volta verso il Pizzo dei Tre Signori, si getta nel territorio della Val Brembana, mostrandosi raramente allo scoperto, nel qual caso appalesa, come sarebbe tra M. del Portone e Perlasco, identica successione di strati, la quale, giudicando dai ciottoli del torrente, comprende altresì — 458 — il calcare nero di Varenna e persino il calcare d’Esino che costituirebbe le creste più elevate del territorio. Sul calcare d’Esino poi dei monti San Defendente e Sasso Mattolino, e cioè sul versante meridionale di questa scogliera calcarea, poggiano, come già lo ba dimostrato il Be- necke, le marne di Dossena Raihl. Potentemente sviluppata nei monti a nord d’Introbbio è una spe- ciale roccia granitica di cui si rinvengono abbondanti blocchi e fram- menti in Yal Sassina; roccia indicata dal Catullo come sienite dioritica. DalFanalisi però di sezioni sottili risulta invece essere la medesima un granito a grana fina, ricco di mica bruno, con ortoclasio assai alterato, poco plagioclasio e senza mica bianco. Scarsamente diffusa in esso vi è una sostanza grigiastra, tutt’al più assai debolmente dicroitica, la quale probabilmente è un augite od un anfibolo. Come elementi accessori rac- chiude alcun po’ di magnetite e di ferro titanato unitamente ad aci- cule isolate di apatite. Non ostante l’aspetto inalterato della roccia, ri- sulta dall’analisi microscopica che^i suoi costituenti feldispatici e micacei hanno subito una rilevante metamorfosi. Dai sovradescritti profili risulta che immediatamente al disopra della dolomia del Mtischelhalh viene la serie dei calcari neri, venati sovente di spato bianco e tecnicamente conosciuti sotto il nome di Marmi di Varenna^ i quali raggiungono considerevoli altezze sui ver- santi che rapidamente s’innalzano ad est della riva del lago di Como, verso Eegoledo, Bologna e Periodo. Massime sulla sponda del lago questa forma è caratterizzata da bellissimi ripiegamenti, da potenti inarcuazioni, da contorcimenti e sovrapposizioni a zig-zag dei suoi banchi calcarei per lo più sottili e spesso scistosi, alternanti con interi strati marnosi, ricoperti sulle faccio di stratificazione da una crosta argillosa, spesse volte lucente ; cosicché in forza dell’enorme sistema di ripiega- tura un medesimo assieme di strati ricompare più volte alla superficie e dà a questa formazione una apparenza di potenza che in realtà non possiede, talché può essere apprezzata a circa 120 metri soltanto. L’iden- ticità 0 quasi identicità di fossili caratteristici {Posidonomya Mous- soni Mer.), le condizioni di giacitura, i sovrincombenti ittioscisti di Periodo a stratificazione concordante e petrograficamente poco simili, appartenenti agli strati di Wengen^ sono tutti argomenti che giustificano la ammessa pertinenza dei calcari neri di Varenna alla formazione del Muschelhalh. Oltre a ciò questi calcari nei loro strati superiori, pros- simi ai detti scisti di Ferledo contengono arnioni di selce, che impar- tiscono loro una certa qual analogia coi calcari di JBuchenstein : tal fiata assumono altresì l’aspetto del cosiddetto calcare dell' Ortler, già da noi segnalato nelle Alpi lombarde orientali, nell’Ortler e nei Grigioni — 459 — in un precedente rapporto, e come facente parte del Muschelkalli. Co- siccliè amendue detti calcari sono facies dello stesso piq^no geologico del Musclielhalk. In tutta l’estensione del territorio di Varenna, Periodo, Bologna, Ghesazio, Kegoledo, Gittana e Parlasco si sovrappongono costantemente e uniformemente ai calcari di Yarenna i suddetti scisti di Perledo con- sistenti in strati sottili di marna calcarea e di calcare, tanto rinomati per la ricchezza loro in sauri e in pesci fossili. Calcari neri e scisti ittiolitici mostransi in prossimità della valle dell’Esino in un taglio na- turale poco al disopra di Perledo diretti ad h. 6. ed inclinati di 43® ad ovest. Seguendo la via verso Esino si giunge ad una dolomia im- mediatamente e concordemente sovraposta agli ittioscisti, coi caratteri petrografici della dolomia principale, ma più distintamente dolomitica (criptocristallina), dotata di speciale proprietà, mostrando essa sulle faccie di alterazione per effetto atmosferico, parallele a quelle di stra- tificazione, un’alternanza di tratti e parti decomposte, polverose, farinose, gialle con altre quasi inalterate e consistenti, di qualità più calcarea : scontinue soventi le prime, spesso formano grumi e gradatamente si confondono colle seconde. 1 quali caratteri speciali vanno scomparendo man mano che questa dolomia s’approssima al calcare tipico d’Esino, col quale spesso venne scambiata, mentre invece costituirebbe una re - gione inferiore del medesimo, pur appartenendovi, come già nelle Alpi del Tirolo meridionale dolomia dello Schlern e nell’Alpi settentrio- nali la dolomia di Zugspitz appartengono al calcare di Welter stein^ corrispondente per epoca e giacitura al calcare d'Esino. La presenza della Gyroporella anniilata, sia in questa dolomia che denominiamo dolomia d' Esino, quanto nel superiore calcare d’ Esino, come eziandio l’osservata transizione dall’uno all’altro, vengono a confermare la com- plessiva consistenza loro. Besta difficile lo stabilire un limite rigoroso tra il calcare nero di Varenna e l’ittioscisto di Perledo: però l’analisi chimica accenna ad una non insignificante differenza di costituzione, risultando dalla medesima che il primo non contiene che poca quantità di carbonato di magnesio e che il secondo ha pressoché la composizione della dolomia normale ; con che sarebbe un calcare quasi normale, con pochissima argilla, quasi uno scisto dolomitico per un quarto circa costituito da sostanza silico-argillosa, e contenente oltre a ciò del quarzo allo stato libero, come lo indica l’alto* tenore in silice (73 O/o) del suo residuo insolubile nell’acido cloridrico. Al calcare d’ Esino tengono dietro superiormente, dapprima gli strati di Dossena a Gervillia bipartita rappresentanti degli strati di Raibl, e sopra questi la vera dolomia principale : la quale successione — 460 — di strati, in causa dei colossali ripiegamenti e delle considerevoli dislo- cazioni che qui si presentano, non è però sufficientemente dimostrata. Cosicché più a sud da Varenna, e particolarmente tra Olcio e Grumo- Lierna, nuovamente predominano i calcari neri con direzione ad h. S ed inclinazione di 45° a nord-est e formano base al potente ammasso di strati d’Esino che dalla Val Meria s’innalza alla Cima di Pelaggia ed alla cresta lungo la sponda orientale del Lago di Como sino alla Capelletta di Vezio. Parimenti, rimpetto alla strada che dipartesi dalla principale per andare a Mandello trovasi nuovamente in posto il cal- care d’Esino, con inclinazione rivolta al lago, nel quale calcare vennero aperte ricerche di minerali di piombo e zinco che si presentano nelle condizioni identiche che nel calcare di Wetterstein dell’Alpi settentrionali e presso Raihl, Bleiberg, ecc., in Carinzia. I^è mancano lungo la sponda del lago, al medesimo rivolti con inclinazione ad est, gli strati di Dos- sena-Haibl a GervilUa bipartita e particolarmente sviluppati ampia- mente nelTangusta gola di Val Gerona tra Linzanico e Borbino, costi- tuiti da marne arenose verdi, rosse e brune con strati calcarei intercalati, dirette h. 3 con pendenza di 4® a nord-est e sovrincombenti al calcare d’Esino. Presso Introbbio, all’imbocco della Valle Acquaduro si presenta in primo luogo una fillite oscura a strati quarzosi diretti ad h. 7 ed incli- nati di 70° sud-est, mentre i banchi di conglomerato por firicoìmm.Qà\2i.- tamente sovrapposti corrono ad h. 12 con pendenza di 45® sud. Proba- bilmente tien dietro a questo complesso la dolomia nera che trovasi in posto presso Ponte Chiuso sulla via verso Lecco, e che petrograficamente, come altresì per le encriniti fossili che racchiude corrisponde al Mu- schelkalk di Eegoledo. Essa non è stratificata distintamente ed è diretta ad h. 3 con inclinazione a sud-ovest, mentre poi verso il tetto sul cro- cicchio di Barzio presenta struttura lastriforme distinta, con direzione ad h. 12 e pendenza di 80® a sud e sopporta una Rauhwache alquan+o potente. Dal complessivo aspetto del profilo però sembra che tra la dolomia oscura e la lastriforme, come tra questa e la Rauhwache sieno avvenute delle dislocazioni. Marne policolori, tufacee, a piccole con- crezioni verdi tondeggianti, appaiono qua e là sulla strada di Barzio sovrapposte alla Rauhwache, e probabilmente spettanti agli strati di Dossena-Raibl. Laddove la via di Barzio si ricongiunge nuovamente a quella prin- cipale di Lecco principia una nuova zona di roccie dell’aspetto della dolomia principale. E come tale vien confermata dai numerosi fossili caratteristici che vi si incontrano, massime rimpetto a Ballabio supe- riore, quali Gyroporella vesiculifera, Trochus solitarius, Avicula exilis, — 461 — JSIegaladon Gilmbeli e frammenti di Dieerocardium: per lo che rimane indubitato che anche ad Esino la dolomia principale tipica concorre essenzialmente alla costituzione di questa colossale formazione montuosa. Procedendo verso Laorca s’incontrano rare denudazioni di calcare nero a complessivo carattere infraliassico e qualche campione staccato, coi fossili caratteristici del Muschelkalk, quale è noto in Val Trompia; lo che è suflSciente a stabilire che anche nel territorio di Esino-Lecco esiste tale formazione in contrapposto alla formazione dolomitica svi- luppata a Yarenna-Bellano. E probabile che questo Muschellcalk trovisi in posto, nella profonda valle del Galdone ; sui versanti che discendono a Lecco non è possibile verificarne 1’ esistenza a motivo delle grandi accumulazioni detritiche ed alluvionali. Ad ovest della strada di Laorca e Rancio la montagna rapidamente si eleva, basandosi su di un terrazzo roccioso i cui strati si dirigono verso Sasso Stefano e che probabilmente sono una continuazione della dolomia prineipale che superiormente sop- porta forse gli strati di Dossena sopra i quali s’adagia il calcare bianco d’Esino, con giacitura capovolta. Volgendo da Lecco a sud-est verso i ripidi versanti di Germanedo e Belledo s’incontra di bel nuovo la dolomia principale come seguito della catena di Ballabio. L’ andamento costante dei suoi strati è qui di h. 9-10 con 45“ d’inclinazione nord-ovest. Un po’ a sud di Belledo ap- pariscono dal disotto della Dolomia gli strati infraliassici ad Avicula contorta^ composti di calcari marnosi grigi con marne intercalate carat- terizzate indubbiamente dai pietrefatti per strati d' Azzarda. Potenza media 400 metri; direzione h. 10; inclinazione 45® nord-ovest. Sottostà a questi strati un calcare maculato giallo e bianchiccio, dolomitico in parte, probabilmente rappresentante il DacJisteinkalh superiore. Inclinazione come sopra. Verso sud ed immediatamente sottoposto al Dachsteinhalh principia un sistema straordinariamente potente di calcari ricchissimi di petro- selce, privi di fossili se si eccettuino singoli Pentacrinus^ qualche rara alga della forma del Chondrites latus Giimb., e squame di pesci. E questa la medesima roccia da cui più ad ovest sono costituiti quasi esclusivamente grandi tratti del M. Generoso, e che ha singolare rasso- miglianza cogli strati Lassici di Algau delle Alpi settentrionali, e come questi la tendenza a passare a roccie ricche di silice ed a ripiegarsi con molteplici contorcimenti. In generale, al sud di Lecco, l’inclinazione di questi strati è parimenti nord-ovest come quella degli strati più antichi surriferiti, che a quelli sovraincombono, la quale anomalia si mantiene costante sino alle prossime testate montuose verso il Pizzo. Sin verso Vercurago il terreno è coperto da detrito alpino che impedisce — 462 — di riconoscere ulteriormente la serie degli strati succedentisi ; in questa località cominciano ad emergere scisti calcarei compatti, bianchi, rossi e verdastri, sì petrografìcamente che paleontologicamente per l’inclusovi Aptyclms aljjìmis caratterizzati per titonici ; i quali, massime per la straordinaria abbondanza di petroselce rossa che contengono, tanto si approssimano alla corrispondente formazione delle Alpi settentrionali. Anche questi strati titonici s’immergono sotto il Lias con pendenza co- stante verso nord-ovest. Tra gli strati liassici e gli strati giurassici ad Aptici- manca qui la serie di strati intermedi che trovasi altrove svi- luppata, a mo’d’esempio, presso Roveredo e sul lago di Garda, o a meglio dire mancano qui sufficienti denudazioni per poter giudicare dell’ esi- stenza o meno in questi dintorni del Lias superiore, del Dogger e degli strati giurassici ad Ammonites acanthicus. Gli strati immediatamente inferiori agli scisti ad Aptici, quali si rivelano nella gola di Galavesa ed a Calolzio sono costituiti da marna e calcare arenoso, grigi, terrosi che alterandosi diventano gialli, simili agli strati di Rossfeld del neo- comiano inferiore. Anche l’inclinazione di questi è a nord-ovest, eccetto che nei monti estremi di sud-est ove gli strati si ripiegano a cupola e con lieve pendenza s’abbassano verso sud. Questo rapido schizzo geognostico acquista grande importanza dando a conoscere un caso estesissimo di stratificazione capovolta anche nella parte occidentale delle Alpi meridionali ove un tal fenomeno è cotanto raro ; con che al lembo meridionale delle Alpi si ha l’esatta riproduzione delle condizioni esistenti sul lembo settentrionale. Tale circostanza viene a convalidare l’opinione nostra che, analogamente a quanto avverasi per quest’ultimo lembo, abbiasi a che fare anche nel lembo meridionale con una zona di calcare stratificato secondario e più recente; la qual cir- costanza altresì concorre a rendere inconcepibile il sollevamento alpino in forza di pressione unilaterale. Di fronte all’eminente ripiegamento a ventaglio degli strati nel tunnel del Gottardo, siamo ora più che mai convinti che il movimento che produsse il sollevamento alpino provenne dalla catena centrale, agendo dall’interno all’esterno ed esercitando la spinta in alto prevalentemente sulla parte mediana, mentre sui lembi esterni agi sospingendo in avanti e sopraspingendo, non già in forza di prevalenti masse ignee fluenti dall’interno o di vulcanici sollevamenti, sibbene quale conseguenza della contrazione di certe parti profonde della crosta terrestre, per cui le masse rocciose superiori costrette a limitato spazio dovettero disporsi a ripiegature e sollevarsi in altezza. NOTIZIE BIBLIO^IRAFICHE. G. TERRiai^ Fauna Vaticana a foraminiferi delle salile gialle nel pliocene subagpennino superiore. — Roma, 1880. (Dagli Atti delFAccad. Pont, dei nuovi Lincei. A, XXXIII, sess. IL) Come risulta dalla storia della paleontologia subappennina romana premessa dallo stesso Autore al suo lavoro, non vi ebbero finora, ad ec- cezione di qualche descrizione parziale, se non che semplici elenchi, più 0 meno imperfetti, della fauna microscopica a foraminiferi larga- mente rappresentata nei terreni terziari e specialmente nel pliocene del territorio romano. Uno studio diligente d'ogni specie, fondandola su dati certi e hen giustiftcati è il compito che l’Autore si assunse nel- r intendimento di riempire la lacuna patente in detta istoria, compito eh’ egli in modo degno di encomio imprese a disimpegnare colla pub- blicazione della presente monografia delle specie da lui raccolte nelle sabbie gialle de’monti Mario e Vaticano sulla destra sponda del Te- vere. A questa altre separate monografie terranno dietro riflettenti la fauna microscopica d’altre distinte località terziarie parimenti romane, la qual separazione monografica fu a bello studio preposta dall’Autore ad una descrizione complessiva per ragione che la facies della fauna può differenziare da un luogo alV altro per diflFerenze di mezzo, di spazio e di fisiche condizioni. Un esteso capitolo di questa monografia è dedicato alla storia fisica del Monte Vaticano, nel quale son passati in rassegna i lavori più im- portanti pubblicati sinora in proposito, aggiuntavi una interessante re- lazione su studi praticati dall’Autore sopra i terreni della sponda sini- stra del Tevere, i cui risultati furono già comunicati da una precedente di lui Memoria. '' Alcune pagine poi dello stesso capitolo sono incidentalmente dedi- cate a porre in evidenza i meriti scientifici del celebre geologo e paleontologo italiano Ambrogio Soldani, precursore dell’odierno indi- rizzo positivo della geologia e fondatore dell’analisi microscopica degli organismi fossili. Abbiamo inoltre un ragionato resoconto dei risultati raggiunti mercè gli scandagli delle navi inglesi Lightening, Forcupine ^ Considerazioni geologiche sul Quirinale. Atti della R. Accad. dei Lincei 1876-77,. serie III. Transunti, voi. I, pag. 209-10. 464 — e sopratutto del Challenger, fondato sui quali e seguendo le traccio del Soldani, l’Autore passa ad analizzare il sedimento sabbioso marino del Monte Vaticano per dedurne la genesi geologica e stabilirne il posto nella scala stratigrafìca. Nelle sue conclusioni egli ritiene che la fauna microscopiea vatieana debba essere considerata come appartenente al periodo terziario, epoca pliocenica e compresa nel terreno Astiano de- scritto dal Ponzi. Una importante addizione a questa parte di lavoro compendia il risultato • di più recenti investigazioni dall’ Autore praticate sui ter- reni della sponda sinistra tiberina, dalle quali emergerebbe l’esistenza ne’medesiini di un’ abbondante fauna a foraminiferi ad un dipresso simile a quella della destra sponda in depositi marini corrispondenti a quelli di quest’ultiina, e della quale fauna l’Autore offre l’elenco che noi qui stimiamo di dover riportare unitamente alla sommaria descri- zione delle assise includenti, in vista dell’alta importanza che tal fatto avrebbe per la storia geologica del bacino tiberino. Esso così si esprime : « Le assise subappennine della sinistra del Tevere, principiando dal più basso livello, sono marne compatte turchiniccie rinvenute alla profondità sotto il piano stradale di metri 22 e 24, e di metri 19,70 sul livello del mare. La sonda raggiunse altri metri 2,26 di profondità, e ne risultò sempre la stessa marna. Sovrasta un’argilla giallo-cinerea pallida a metri 21,23 di profondità, e di 20,71 sul livello del mare ; ha la potenza di 1,01 con avanzi vegetali misti a poca sabbia. Sovrain- combe a questa uno strato di metri 4,08 di argilla più giallastra, molto arenosa con fina mica alla profondità di metri 17,15 e di 24,79 sul livello del mare. Si adagiano su questa le sabbie gialle miste a poco fango marino in tutto simili a quelle della sponda destra. Hanno metri 1,50 di potenza, e si rinvengono a metri 15,65 di profondità ed a 26,29 sul livello del mare. » Accompagna tale esposizione una sezione geologica, cui fa contra- posto altra della sponda destra. « Nelle marne è contenuta la seguente fauna microscopica : » Lagenidi: Nodosaria raphanus Linn., TJ vig crina pygmaea D’Orb. » Glubigerinidi : Orbulina universa D’Orb., Globigerina bulloides D’Orb., G. triloba Keuss, Bulimina Buchiana D’Orb., Cassidulina laevigata D’Orb., Biotalia Beccarii Linn., Discorbina globularis D’Orb. Nummulinidi : Bolystomella crispa Linn. » Abbondano alquanto gli Entomostraci. » Nelle argille sovrastanti alle marne è racchiusa la seguente fauna un poco più abbondante e più ricca in specie : 465 — » Lagenidi: Glandulina laevigata D'Orh.. Nodosaria monilis ? Silvestri, N. calamus Silv., Frondicularia striata D’ Orb., Uvigerina x^yg- maea D’Orb. » Globigerinidi : Orhulina universa d’Orb., Globigerina òulloides D’Orb., Bulimina pupoides D’Orb., B. marginata D’ Orb., B. Buchiana D’Orb., Bolivina antiqua D’Orb., Boi. dilatata Reuss, Boi. punc- tata? D’Orb., Cassidulina laevigata D’Orb., Botalia Beccarii Linn. » Nummulinidi ; Polistomella crispa Linn., Nonionina asterizans F. et M. » Nelle argille con sabbia più abbondante e meno fina si rinvenne la seguente fauna: ' » Lagenidi: Nodosaria scalar is Batsch., JDentalina communis J)' Ovh., Uvigerina pygmaea D’Orb. » Globigerinidi : Orbulina universa D’Orb., Globigerina bulloides D’Orb., G. Biloba Reuss, Bulimina pupoides D’Orb., B. Buchiana D’Orb., B pyrula D’ Orb., B. aculeata ? D’ Orb., Virgulina Schreibersii Czizek, V.punctata? D’Orb., Bolivina antiqua D’Orb., B. punctata D’Orb., B. dilatata Reuss, Cassidulina levigata D’Orb., Trunca- tulina lobatula Walker., Botalia Beccarii Linn., B. Soldanii D’Orb., Discorbina globularis D’Orb. » Nummulinidi : Polystomella crispa Linn., P. striato-punctata F. et M., Nonionina asterizans F. et M., Non. umbilicatula? Montagu. » Le sabbie gialle contengono una fauna più scarsa, meno conser- vata, le cui specie sono : » Lituolidi ; Lituola (Haplofragmium) globigeriniformis ? Par. et Jonés. » Lagenidi : Dentalina communis D’ Orb., Frondicularia Dumontana ? Reuss, Uvigerina pygmaea D’Orb. » Globigerinidi : Globigerina bulloides D’ Orb., Bulimina marginata D’Orb., Bolivina antiqua D’Orb., Boi. punctata D’Orb., Cassidulina laevigata D’Orb., Piotalia Beccarvi D’Orb., B. Soldanii D’Orb. » Nummulinidi: Nonionina asterizans F. et M., Polystomella crispa Linn. » Seguono quindi alcune riflessioni sulla fauna vaticana, vale a dire, sulla distribuzione delle famiglie fossili microscopiche nelle diverse località del territorio, da cui l’Autore deduce condizioni distinte di habitat, di profondità ec. ec. in connessione con fenomeni endogeni, e colle quali egli rettifica ad un tempo qualche opinione propria emessa in proposito nella memoria Sui Bizopodi fossili dei terreni terziari di Boma, ec. ec. 1875. Riconosce egli nel deposito sabbioso del Monte 466 -fv? Vaticano e nella sua fauna una facies che non è, nè esclusivamente littoranea, nè di mare profondo, giacché mentre presenta famiglie di foraminiferi di spiaggia, non vi mancano parimenti alcune viventi a rilevante profondità : le une e le altre vengono da lui passate in critica rassegna per riguardo alle condizioni loro corologiche, concludendo infine coirammettere nella fauna in parola piuttosto un’ associazione delle predette diverse famiglie e per conseguenza una profondità media marina, confermata d’altronde anche dal carattere petrografico delle sabbie includenti : profondità ch’egli apprezza fra i 50 e 90 fathoms per alcune specie e fra 400 a 1200 per altre, ossia, fra i 100 e i 2400 metri. Quanto al metodo di classificazione adottato, l’Autore dichiara di attenersi alla via tracciata dai moderni specialisti inglesi, come la più attendibile per sani precetti e fondata con giusto criterio sullo studio rigoroso delVintima struttura del fossile. Passa da ultimo l’Autore alla descrizione ragionata, storico-compa- rativa delle singole specie, illustrando ciascheduna con nitidi disegni coi quali egli riprodusse fedelmente cpuanto gli esemplari gli offri- rono alia ispezione microscopica. Le specie descritte, e disegnate su quattro bellissime tavole, som- mano a 56 ed appartengono ai generi: Miliolina Williamson, Lituola Lamarck , Lagena Walker et Jacob, Nodosaria Larnarck, D’Orb., Cristellaria Lamarck, ossia Marginulina D’Orb., Polymorphina D’Orb., Uvigerina Jd'Orh., Globigerina D’Orb., SphaeroidinaD'Orh., Pul- lenia Parker et Jones , Textularia Defrance, ,Bigenerina D’Orb., Ver- neuilina D’Orb., Bulimina D’Orb., Virgulina D’Orb., Bolivina D’Orb., Pleurostomella Heuss, Cassidulina D’Orb., Biscorbina Parker et Jones, Planorbulina D’Orb., TruncatulinaD'Ovh., Pulvinulina Parker et Jones, Botalia Lamarck, Siphonina Heuss, Tinoporus Montfort, Pohjstomella ' Lamarck, Nonionina D’Orb. G. Ponzi. Sui lavori del Tevere e sidle variate condizioni del suolo romano. — Poma 1880. (Dagli Atti della E,. Accademia dei Lincei.) Le recenti profonde escavazioni eseguite sulle due rive del Tevere per i lavori di sistemazione del fiume nel tratto urbano, hanno dato occa- sione al prof. Ponzi di fare alcune osservazioni sui materiali costituenti la grande vallata tiberina, per le quali si venne a riconoscere una note- vole differenza di costituzione fra le due fiancate della valle. Sul lato — 4G7 — destro, nelle vicinanze di Ponte Sisto (l’antico Gianicolense), si trovò dapprima una serie di letti di materie sciolte, composte di sabbie, ghiaie ed argille, rimescolate senz’ordine e frammiste con sostanze orga- niche ed ogni sorta di manufatti : al di sotto di queste si rinvenne un gran deposito di fine marne, bigio-turchiniccie, compatte e contenenti fossili d’acqua salsa e terrestri dei generi Planorhis, Limnaea. Falu- dina, ecc., insieme ad impressioni di vegetali, e senza alcun indizio di in- dustria umana. I primi terreni sciolti e disordinati, per la loro giacitura propria, si rivelano come depositi alternatisi nei periodi di piena e di ma- gra del fiume prima che il medesimo avesse stabilito il suo alveo attuale: gli altri si debbono riferire al periodo quaternario, ossia all’epoca delle grandi correnti che hanno scavato l’ampia vallata tiberina ; la qualità delle materie e la regolarità del deposito accennano però ad una deposi- zione di acque tranquille, e ciò fa credere che la grande corrente si tro- vasse più a sinistra. Infatti sulla sponda sinistra non si incontrarono che materiali di trasporto, sabbie e ghiaie, nè per quanto si approfondissero gli scavi si poterono raggiungere le argille lacustri quaternarie ; que- sto fatto accenna che colà esisteva la corrente sino da quegli antichis- simi tempi. In queste escavazioni si rinvenne alla quota di 1"’,13 sul livello del mare un primo cranio umano, ed a quella di 0'",87 sotto il mare un se- condo ed un terzo cranio, insieme con frammenti di terre cotte ed altri prodotti dell’antica industria umana, rimescolati colle ghiaie del fiume. La situazione affatto anorrpale di questi avanzi umani viene dall’Autore spiegata colle irregolarità che doveva presentare il fondo del fiume, poi- ché nelle maggiori piene si producono ampie e profonde escavazioni che possono scendere sotto il livello marino. Per tale motivo tali scoperte fatte nel letto del Tevere, benché interessanti, non possono servire per determinare l’epoca della sedimentazione. L’Autore porta invece la sua attenzione sopra un altro fatto con- statato all’epoca della costruzione della ferrovia Koma-Civitavecchia e confermato in occasione degli studi sul Tevere, e cioè sulla differenza esistente fra la quota dell’idrometro di Pipetta e il livello del mare : infatti lo zero dell’idrometro, anziché a livello del mare, vi si trovava ele- vato nell’anno 1871 di 0”,971. Piuttostochè un errore degli ingegneri che nel 1821 stabilirono l’idrometro, egli ritiene che quella differenza sia il risultato di un lento ma continuo sollevamento del suolo, dimostrato anche dalla elevazione della spiaggia attuale ; ^ nel mezzo secolo decorso dal ^ Presso Anzio si cedono a bassa marea le fondamenta del porto di Nerone, emergere dall’acqna ; sulle scogliere di Civitavecchia i fori dei litodomi sono ad un altezza a cui il mare più non giunge. — 468 — 1821 al 1871 il suolo si sarebbe elevato in media di 19”'”', 4 all’anno. Coglie quindi occasione da questo fatto, per proporre alcuni quesiti di- retti a investigare la natura del movimento sperimentato dal suolo romano e a dedurre le conseguenze che tal movimento può determinare nel corso del Tevere. Accenna da ultimo alla vecchia e tuttora insoluta quistione se il Tevere abbia innalzato il fondo del suo letto dai tempi romani in poi, e conchiude col dire che la medesima non potrà dirsi finita se non quando siensi studiate le conseguenze che le variazioni del suolo pos- sono avere ingenerato nel corso del fiume. R. Meli. Sulla natura geologica dei terreni incontrati nelle fondazioni tubulari del nuovo ponte di ferro costruito sul Tevere a Bipetta. — Roma^ 1880. (Dagli Atti della R. Accademia dei Lincei.) L’ingegnere Meli dà relazione in questa nota di alcune osservazioni da lui fatte sui terreni attraversati nella fondazione del ponte di Ripetta. A partire dal fondo del fiume, che in media si trovava elevato di 2“', 10 sullo zero dell’idrometro (e quindi di oltre i 3 metri sul mare) si rin- vennero sotto la pila destra melme e sabbie di moderno trasporto sino a 2“,30 sotto lo zero, quindi sabbie grossolane con ghiaia minuta sino a 2“,92; da questo punto fino a 4'”, 42 si ebbero argille sabbiose d’acqua j dolce che poi passavano a marne plastiche : sotto la pila sinistra gli | stessi terreni, eccetto le marne plastiche che non vennero raggiunte. I frammenti di manufatti cessavano a 3"\90 sotto lo zero, e fra le quote 3“,90 e 8"^ ,90 si ritrassero, specialmente dalla parte sinistra, parecchie | valve di TJnio sinuatus Lamk. assai bene conservate; infine nelle sabbie | marnose della spalla destra a 6™ ,50 si trovarono vegetali insieme a | frammenti di legno, steli e foglie in gran copia, spettanti per gran | parte al genere Quercus, j In queste escavazioni del fondo del fiume, protratte sino a 10 ,17 | sotto lo zero dell’idrometro (e quindi a più di 9 metri sotto mare), ! non si incontrarono depositi marini, analogamente a quanto avvenne , j nelle osservazioni eseguite Tanno decorso nei Prati di Castello per lo | studio del progetto di nuovo inalveamento del fiume, quantunque le | profondità raggiunte sieno state maggiori (sino a 17”' ,22 sotto lo zero). Lo stesso fatto fu anche verificato nei lavori di fondazione del muro di — 469 — sponda presso Ponte Sisto, dove, rimossi i depositi delle recenti allu- vioni, si giunse ad una marna plastica grigia con molluschi terrestri e d’acqua dolce, sulla quale posa la fondazione del muro. Uguali risul- tati si ottennero nelle esplorazioni praticate sulla sponda sinistra ai piedi deir Aventino, nelle quali si raggiunsero i 16"", 46 sotto lo zero. Dai depositi alluvionali scavati a Pipetta, si estrassero parecchie specie di conchiglie, parte marine e parte terrestri o d’acqua dolce. Le prime sono erratiche, come lo dimostra il loro cattivo stato di conserva- zione, e provengono per certo dai depositi pliocenici di Monte Mario; le altre invece sono bene mantenute, di più recente deposizione e per la maggior parte ancora viventi nei dintorni. Fra queste ultime ha speciale importanza l’ Unio sinuatus Lamk, che ritrovasi anche nei de- positi diluviali e nelle alluvioni antiche della vallata del Tevere, le quali giungono ad altezza rilevante sull’attuale livello del fiume. Di questa interessante specie l’Autore dà una copiosa sinonimia, illustrandola con la figura in grandezza naturale. D. Pantanelli. I diaspri della Toscana e i loro fossili. Eoma, 1880. (Dagli Atti della P. Accademia dei Lincei). Nell’importante comunicazione fatta su questo argomento nell’adu- nanza 11 gennaio di quest’anno alla Società Toscana di Scienze natu- rali e riportata nel nostro Bollettino, Y Autore prometteva di occuparsi di uno studio più particolareggiato sulla fauna microscopica dei diaspri. Adempie ora colla presente memoria alla promessa fatta. Osservando che il significato della parola diaspro non è ben defi- nito in geologia e mineralogia, crede opportuno dapprima di darne la seguente definizione a maggior chiarezza di quanto dovrà esporre: Diaspro ; roccia silicea, varicolore opaca, a frattura concoide più o meno lucente, a volte vetrosa, costituita da silice amorfa unita a silice cristallizzata inquinata da ossidi metallici e terrosi spesso indistinta- mente cristallizzati nella massa della silice, nel maggior numero dei casi risultante da un fitto aggregato di avanzi di organismi a schele- tro siliceo e che trovasi in masse rilevanti e stratificate e tale da rag- giungere una vera importanza stratigrafica nella successione delle rocce considerata dal lato geologico. Esclude cosi dal novero dei diaspri tutte le rocce silicee che si trovano in arnioni o anche in strati nelle rocce calcaree. — 470 — Accennato all’ opinione dei geologi toscani circa l’origine dei diaspri viene a descrivere il loro modo di giacimento in Toscana. Essi si presentano nei varii piani geologici in masse stratificate a filari sottili separati da straterelli di materiali incoerenti, da strati di galestro e di rocce siliceo-calcari. La grossezza dei filari è uniforme, ma questi hanno una durezza variabilissima dal diaspro più compatto sino al galestro friabilissimo. La potenza degli strati è pure varia; ora si ri- duce a pochi filari intercalati nella massa dei galestri, ora questi sono nu- merosi e formano banchi di considerevole potenza. Il colore dei diaspri è j vario; predomina però il rosso. Fermandosi più specialmente aH’esame dei diaspri rossi come quelli da cui trasse le diverse forme dei fossili che prende a descrivere, osserva che essi risultano ordinariamente da un impasto di nuclei trasparenti di radiolarie. La pasta colorata nella quale trovansi gli avanzi fossili, è costituita da un miscuglio di silice amorfa e cristallizzata cosparsa di minute particelle irregolari di ossidi | metallici che talvolta riempiono l’ interno degli avanzi fossili, costi- | tuenti la massa principale dei diaspri. Sottoposta una lamella di dia- spro all’azione dell’acido cloridrico essa si decolora, e si perdono le tracce definite dei fossili, rimanendo al loro posto delle macchie tra- sparenti rotonde e spesso indeterminate sugli orli ; ciò proverebbe che j gli ossidi metallici sono semplicemente mescolati nella massa silicea e che è dovuto ad essi la delimitazione e quindi la possibilità di dìscer- nere la parte dei nuclei delle radiolarie ancora conservata. Nei diaspri più compatti e più uniformi gli avanzi di radiolarie | si presentano in maggior numero e con contorni più precisi, mentre | in quelli poco compatti, o attraversati da vene di quarzo o a frattura j terrosa gli avanzi stessi sono sempre incerti e confusi. Nelle ftaniti non | trovò tracce evidenti di fossili, i diaspri eocenici presentano i fossili | meglio conservati che i cretacei e i Lassici, sono poi sempre assai pO' i veri 0 ne mancano affatto i diaspri ricchi di concrezioni cristalline di ; silice 0 attraversati fittamente da venature di silice cristallizzata. Non ' gli venne fatto di trovare alcuna forma riferibile alle diatomee che ! probabilmente dovevano coabitare nei diaspri. I Quanto ai diaspri verdi, bianchi e grigi, osserva che essi offrono | al microscopio la stessa apparenza dei diaspri rossi, quando questi ven- I gono decolorati dagli' acidi; deve quindi attribuirsi alla deficenza della ; parte colorante il non scorgere in essi resti ben definiti di radiolarie. ; Soltanto da un diaspro grigio scuro ebbe una serie di forme ben de- j terminate. i i diaspri esaminati dail’Autore provengono da diverse località della | Toscana e da differenti piani geologici cioè dall’eocene superiore, dal I — 471 — cretaceo e dal lias superiore. Egli ne dà una descrizione indicando il loro giacimento in rapporto cogli altri terreni, e la accompagna con diverse sezioni. Il maggior numero di specie di fossili gli fu fornito dai diaspri eocenici. Questi si trovano di preferenza nei piani superiori intercalati ai galestri e spesso in prossimità delle serpentine. Al diso- pra degli strati dell’eocene e nella parte inferiore di esso, rappresen- tato dall’arenaria, non s’incontrano diaspri. I pochi esemplari di diaspri cretacei che l’ Autore ha studiati provengono da Barga e Monte Fegatesi nella provincia di Lucca; essi sono sottoposti al nummolitico, ed associati a strati di manganese e a calcari a fucoidi ricchi di foraminifere ; non gli è occorso di trovare in essi avanzi di fossili evidenti, e poiché i campioni esaminati presen- tavano tutti fitte fenditure riempite di quarzo e di silice amorfa, crede doversi attribuire a questo metamorfismo da essi subito la scomparsa dei resti fossili, osservando che tale alterazione ha pure riscontrata in molti diaspri eocenici e specialmente in quelli del lias superiore. Quanto ai diaspri liassici, quelli studiati dall’Autore provengono da Kapolano e dal Poggio Santa Cecilia; esse formano due grandi ban- chi separati da un calcare rosso-siliceo ricco di globigerine : gli strati inferiori sono formati da galestri ai quali sono associati strati di dia- spro e di manganese: dove questo abbonda i diaspri hanno color verde o nero e sono ricchi di forme fossili. Venendo alla descrizione delle specie, premette che attesa la dif- ficoltà incontrata nella loro determinazione in alcuni casi si è limitato ad assegnare solo il genere al quale ha creduto riferirle. Per le forme che gli parvero non rientrassero anche lontanamente in quelle cono- sciute ma però molto comuni e facili a rinvenirsi, ha proposto nuovi nomi generici; per le forme poi uniche o molto rare, ha preferito la- sciarle indeterminate cercando solo di descriverle e figurarle nel mi- glior modo. Nella classificazione ha seguito quella indicata da Hertwig (Ber Organisnms der Radiolarien, Jena 1879). II criterio che egli si è dovuto formare per P interpretazione delle sezioni si è che le radiolarie dovevano depositarsi in un fondo fangoso dove venivano circondate dal detrito loro e degli altri organismi con esse viventi : tale detrito non penetrava che in rari casi nel loro interno riempiendo solo le cavità superficiali imbutiformi; nel consolidamento poi del fango siliceo la silice penetrò nelle cavità interne conservando queste trasparenti. Si ha quindi nelle sezioni una specie di negativa dello scheletro delle radiolarie. Segue la descrizione dettagliata delle specie determinate e succes- si — 472 — sivamente quelle delle forme indeterminate, e sì le une clie le altre ven- gono figurate in una tavola. Le radiolarie conosciute e descritte finora, coll’ aggiunta di queste, oltrepassano il numero di 865 delle quali le fossili ascendono a 492. Di queste furono riscontrate viventi soltanto 57, dal che rilevasi una notevole sproporzione tra il numero delle specie fossili e il numero di quelle ad un tempo fossili e viventi. Il maggior numero delle specie fossili proviene dai terreni terziari superiori, sei sono della creta, due del trias. Le specie dei diaspri descritti dall’Autore presentano tutte forme nuove e dimensioni che ordinariamente sono sempre maggiori di quelle delle specie affini viventi. Quando l’ esame microscopico sia esteso a tutte le rocce calcaree e argillose della serie dei terreni compresa tra il lias e r eocene, così scarsa di fossili in Toscana, egli crede che si otterranno buoni criterii per la specializzazione degli strati in questo periodo. L’esame dei fatti esposti conduce l’Autore ad importanti deduzioni geologiche. Kicordata T opinione dei geologi toscani che ritennero' fin qui i diaspri originati da una silicizzazione posteriore alla loro depo- sizione per azione di rocce ignee o di sorgenti silicee, ad eccezione del De Stefani che pel primo negò ai dispri questa origine, viene a parlare dei diversi scandagli regolari praticati in quest’ ultimi tempi nelle grandi profondità oceaniche, scandagli che misero in luce la natura di quei sedimenti marini. Da questi risulta che i depositi di mare profondo sono prevalentemente silicei e constano di un’argilla rossa silicea supe- riormente alia quale trovasi un sedimento calcare non privo di silice contenente resti di spugne, di radiolarie e noduli di manganese la cui quantità aumenta passando all’ argilla rossa. Le radiolarie formano quin- di una fauna delle grandi profondità, e il loro numero va aumentando in confronto di quello delle politalamie colla profondità stessa. Per analogia di quanto avviene attualmente nelle grandi profondità marine, egli attribuisce ai diaspri una stessa origine ; essi rappresen- tano sedimenti marini avvenuti lontano dalle coste e a grandi profon- dità. 11 galestro, le ftaniti e tutte le rocce più q meno silicee che ac- compagnano i diaspri, come pure i calcari rossi che vi sono uniti, gli schisti a fncoidi e simili rocce, le cui lamelle microscopiche mostrano resti di globigerine, di orbitatine e di altri fossili, avrebbero avuto analoga origine. Le politalamie che non si riscontrano nei diaspri danno un criterio della profondità alla quale si sarebbero formati i fanghi che diedero origine ai diaspri, profondità che l’Autore crede per approssi- mazione potersi ritenere non inferiore a mille metri. — 473 — V^enendo all’ipotesi che attribuiva ai diaspri un origine metamor- fica dovuta a contatto o vicinanza di roccie ignee o ad altre cause plutonizzanti ignote, espone i fatti che contradicono a tali ipotesi e sono : 1° Lo spessore dei galestri, diaspri e ftaniti che talora raggiunge alcune centinaia di metri, e la loro grande estensione. 2^ La presenza di queste rocce non solo nell’ eocene ma anche nel cretaceo e nel lias, ove mancano serpentine e altre rocce eruttive a cui si possa attribuire 1’ azione metamorfica. 3° L’ essere le medesime nell’ eocene stesso sovente ben lontane dalle rocce eruttive. 4° La presenza talora di strati calcarei o di arenarie intercalati tra i galestri. 5'^ Il passaggio del galestro e sue varietà, all’alberese senza al- cuna transizione. 6® Le serpentine intercalate sovente tra gli alberesi senza che esse abbiano prodotto in questi alcuna modificazione. I galestri separati dalle serpentine, da strati calcarei inal- terati. 8° L’avere i diaspri conservate tracce di fossili mentre nella serie di queste rocce dovrebbero essere quelli più modificati per il mag- gior grado di silicizzazione prodotto da maggiore intensità dell’azione metamorfica. 9® L’ appartenere questi avanzi di fossili ad animali a scheletri siliceo. Quanto alla causa per la quale i diaspri, risultanti, come si è detto, dà un aggregato minuto incoerente, vennero convertiti in rocce compatte, l’Autore la ritiene la stessa, salvo la differenza dei materiali che convertì i fanghi calcarei in rocce compatte. Le une e le altre si comportano allo stesso modo rispetto a quella lenta circolazione acquea che s’ infiltra e penetra in tutte le rocce modificandone continuamente l’intima struttura: così mentre nelle rocce calcaree i nuclei dei fossili e le spaccature sono riempite di ccdcite, nei diaspri sono ripiene di guarzo. Non esclude che vi possano essere diaspri di origine non sedimen- taria ; la crede però un’eccezione assai rara e che verificandosi, tali rocce dovrebbero essere escluse dal novero dei diaspri per riportarle tra le rocce di silice concrezionata. Ammette pure che 1’ azione di una roccia ignea o di una sorgente minerale possa modificare l’intima struttura di una roccia colla quale si trova a contatto, limitatamente però alla cristallizzazione e alla nuova disposizione dei suoi elementi ed anche — 474 — all’ introduzione di nuovi non preesistenti; non mai che la loro azione ; si faccia sentire a forti distanze e che sia tale da cambiarne in modo i assoluto la chimica composizione. La presenza dei fossili negli strati sedimentari che accompagnano le serpentine ed il rappresentare essi una fauna di mare profondo semplifica, a suo parere la, questione sull’origine delle serpentine me- desime e oomproTa l’opinione dello Stoppani, seguita dal Tarameli], dal De Stefani e da altri geologi, ohe esse, cioè, sieno vere e proprie lave di trabocco sottomarine dell’ eocene superiore : l’Autore però si as- socia all’ opinione del De Stefani che limita il carattere di roccia erut- tiva alle serpentine e loro varietà, ritenendo sedimentari i diaspri, i galestri e le rocce affini. _ Un’ origine sedimentare infine assegna pure ai giacimenti di man- ganese dei diaspri toscani, sia per le radiolarie trovate in questi, sia per il fatto già ricordato della presenza dei noduli di manganese nei detriti marini profondi, più abbondante specialmente nelle argille rosse della zona degli abissi. La memoria è corredata da una bella Tavola nella quale sono ac- curatamente figurate 30 forme nuove di radiolarie. A. D’Achiaedi. Coralli gmrassici dell’ Balia settentriomh. Pisa, 1880. (Estratto dagli Atti della Società Toscana di Scienze naturali, yo\. IN , 2).' L’egregio professore, ben noto non solo per i suoi lavori mineralogici ma anche per gli importanti studii sui coralli fossili dei terreni terziarii, presenta in questa Memoria il risultato di nuove osservazioni su coralli giurassici. ‘ ... Eormano oggetto della Memoria i coralli provenienti in massima parte dalle località seguenti: Monte Pastello, (Provincia di Yerona). — Montone, (Nizza marit- tima). — Monte Cavallo, (Friuli). Di ognuna di queste imprende a descrivere le specie studiate, pie- mettendo che molte sono le specie nuove delle quali però parecchie furono già denominate se non descritte dal Meneghini. Egli si è quindi limitato a dare nuove denominazioni solo in quei rari casi nei quali lo studio di nuovi esemplari e di nuovi libri resero ciò necessario, conser- vando, del resto, scrupolosamente le denominazioni antiche. — 475 Cominciando da quelli di Monte Pastello riporta dapprima un brano di una descrizione geologica della località detta Cavalo alle falde di questo monte pubblicata nella Gassetta Ufficiale di Verona (1847, anno IH) dal Pellegrini e Pizzolari. Da questa risulta che la serie degli strati di queste località appartiene alle varie divisioni del giura, comin- ciando in basso dal lias con strati a Megalodon ; segue la grande oolite con una enorme quantità di polipai nella sua parte superiore, indi il rappresentante dell’oxfordiano. Data così un’ idea della posizione in cui furono trovati i coralli da lui studiati, passa a descriverne minutamente i varii esemplari confron- tandoli con quelli delle specie più affini già note e dando per ciascuna specie il numero degli esemplari esaminati. Dallo studio delle varie specie di coralli di Monte Pastello, tanto per quelle già conosciute altrove che per le nuove, ma ravvicin abili ad altre di diverso paese, ne deduce che il terreno a cui essi appartengono è indubbiamente oolitico e che nessuna specie appartiene all’oolite in- feriore. Mettendo a confronto le specie da lui trovate con quelle di altri paesi, trova che il maggior numero delle specie è comune agli strati coralliferi di Nattheim appartenenti secondo i più recenti studii alla parte inferiore del coralliano, in un piano un poco inferiore al coral- rag del Wiltshire. Anche le specie nuove, per la loro affinità con altre già note, con- fermano l’analogia cogli strati di Nattheim. Non essendovi però una identità vera e una perfetta corrispondenza tra le due località, ed aven- dosi qualche analogia con alcune specie della grande oolite, l’Autore ritiene che il piano da cui provengono i coralli di Monte Pastello debba ascriversi nella serie dei terreni fra la grande oolite e il coral-rag. ma di tanto più vicino a questo che a quella, di quanto è maggiore l’ana- logia delle faune. A risolvere definitivamente la questione ritiene però necessario lo studio degli altri fossili che trovansi abbondanti nei piani intermedii del Kelloviano e dell’Oxfordiano, poiché collo studio unicamente fondato sui coralli mancano i termini di confronto relativi a quei piani inter- medii e riesce quindi imperfetto il giudizio. Dallo studio dei coralli di Monte Pastello è condotto tuttavia a determinare, sebbene con certa larghezza, il piano corallifero di Cavalo come inferiore agli strati a co- ralli del Wiltshire non solo ma anche di Nattheim e verosimilmente dei dintorni di Cray (Haute Saone). In appendice ai coralli di Monte Pastello descrive alcuni altri polipai provenienti da varii luoghi della provincia di Verona, fornitigli dal De- Zigno, colle indicazioni di giacitura. Fra questi fa menzione di alcuni — 476 — esemplari di Monte Alba che per la loro struttura e per il colore grigio cupo della rocci a includente richiamano alla mente alcuni polipai devo- niani 0 carboniferi. Si limita per altro ad indicare le specie devoniane e carbonifere a cui esse più si accostano, risparmiando ogni ulteriore giudizio che coi dati che possiede potrebbe essere fallace. Segue la descrizione dei coralli provenienti dalle vicinanze di Men- tone. Questi sono racchiusi in una calcarea a grossa grana costituente un vero marmo corallino. Essi sono mal conservati, sicché la determi- nazione ne è molto difficile e talvolta impossibile. Soltanto se ne può comprendere la forma quando la corrosione della roccia che inviluppa i coralli ne rende sporgenti alcune parti alla superficie. Dallo studio dei polipai di Mentono gli sembra manifesto che essi pure appartengono all’oolite, ma ad un piano più recente di quello di Monte Fastello, poiché si riscontra una grande prevalenza di forme affini a specie note altrove nel coralliano, specialmente la presenza della Calamopliìjllia StoJcesi M. Edw. et H., specie tipica del coral-rag supe- riore del Wiltshire. Ne conclude quindi che il banco corallifero di Montone deve essere ascritto alla parte più alta del coralliano, il che é convalidato dalla com- parsa di due nuove specie la Criptocoenia incerta e la Fachygyra costata che si trovano pure nel piano titonico inferiore di Monte Cavallo nel Friuli. Lo studio degli altri fossili di questo piano non che di quelli dei piani sottostanti e superiori potrà anche qui risolvere definitivamente le questione. Intanto però l’Autore osserva che lo studio dei fossili nelle rocce stesse sulla destra del Taro fatto da Coquand, Poitier e da altri, confermano i risultati a cui esso é giunto collo studio dei coralli t raccolti nella calcaria bianca sulla sinistra dello stesso fiume. I polipai di Monte Cavallo inviati all’Autore dal prof. Pirona furono raccolti nel versante S. E. di questo monte sui poggi detti Costa Cer- vera e Costa S. Michele che fiancheggiano la valletta di S. Michele. Essi provengono in parte da un banco arenaceo ed in parte da un altro banco calcare, che sta sotto il primo. I molluschi sono della stessa spe- cie tanto nel calcare che nell’ arenaria. I polipai sono più frequenti nell’ arenaria e specialmente in quella di Costa Cervera. Tanto i coralli dell’arenaria che quelli del calcare sono in cattivis- | simo stato ; quelli però mostrano distintamente la loro intima struttura anche nell’interno, essendo diversa la natura del corallo calcare da quella della materia che ne riempie le cavità, mentre nei coralli del calcare la determinazione riesce difficile non potendo essi essere isolati ed es- sendo le loro cavità interne riempite della roccia calcare della stessa tinta del corallo. — 477 j- -■ Fa quindi precedere la descrizione delle specie dell’arenaria come quelle che sono più numerose e meglio conservate, poscia segue quella dei coralli del calcare. La conclusione a cui l’Autore è condotto dallo studio dei coralli di M. Cavallo, si è che questi confermano le deduzioni cronologiche che si traggono dall’esame dei molluschi fossili rinvenuti in questi stessi terreni. Cita perciò dapprima la memoria del Pirona sulla fauna fossile giurese dèi Monte Cavallo ^ dalla quale risulta che i calcari corallini di questa località sono contemporanei ai calcari a Terehratula janitor e Tereì)ratula dipliya del nord della Sicilia, al Weissen Jura d’Inwald, ai coralliano di Wimmis, al calcare di Plassen, ecc. che ven- gono tutte considerate come località tipiche del titonico superiore. Viene poscia all’esame delle specie dei polipai da lui descritte ed osserva che quantunque molte sieno le specie nuove, non vi mancano però quelle già note altrove, e che le nuove stesse presentano tali correlazioni con specie dei piani cronologicamente vicini da contribuire esse pure alla deter- minazione dell’età del piano corallifero di Monte Cavallo. Da questo esame risulta che nessuna specie è più antica dell’oolite, non solo, ma che ninna specie è più antica del coralliano. Delle 20 e più specie tro- vate nessuna è comune alla fauna di Monte Pastello che pure sarebbe immediatamente anteriore aU’infimo coralliano e forse alla parte più bassa di esso. Anche la natura tutta diversa delle specie fra queste due località e la facies più moderna della fauna di Monte Cavallo farebbe concludere che si ha a fare con un piano meno antico del coralliano inferiore. Dall’esame poi delle specie già note, risulta una prevalenza di specie del coralliano superiore tanto nell’ arenaria che nel calcare, il quale ultimo ha tre specie comuni colla prima ; onde si conferma l’opinione del Pirona, non esservi cioè essenziale differenza fra la fauna dell’ arenaria e del sottoposto calcare, presentando ambedue la mag- gior affinità con le faune note del coralliano superiore e dell’epiCo- ralliano. Rimangono dunque confermate dallo studio dei coralli le deduzioni tratte dal Pirona collo studio dei molluschi. Si ha a fare evidentemente colla parte più elevata del coralliano, anzi con qualche cosa di più re- cente; ritiene quindi col Pirona di essere nel titonico inferiore fatto a spese del coralliano superiore e del Kimmeridgiano. Ravvicinando le specie nuove tanto dell’ arenaria che del calcare, a quelle già note colle quali hanno maggiore affinità, l’Autore riesce alla stessa conclusione. Questo raffronto inoltre fa travedere in molti * Mem. Ist. Veneto di Leti, ed Arti^ voi. XX, 1878. — 478 — casi la trasformazione di queste faune dell’ oolite superiore dall’ una. all’altra. Delle tre faune coralliane principali descritte, quella di Monte Ca- vallo è dunque la più recente : la più antica è quella di Monte Pa- stello ed intermedia quello di Mentono; sono però molto più prossime^ se non del tutto corrispondenti cronologicamente, quelle di Montone e Monte Cavallo, mentre maggior distanza passa fra quelle di Montone e di Monte Pastello. Questa memoria è corredata da quattro tavole in cui furono dal- l’Autore figurate le nuovo specie di coralli descritte. F. Cardinali. — Cenni geologici sui dintorni di Pesaro. Strati a Congerie e piccoli Cardii: conglomerato poli- genico. — Pesaro, 1880. Questo lavoro presentato per tesi di laurea dall’Autore, è diviso in tre parti. Nella prima, dopo una rapida rassegna dei diversi autori che studiarono il territorio di Pesaro, egli dà la serie cronologica dei terreni Rappresentati nelle località da lui studiate. Premette di rite- nere colla scorta di valenti geologi che la formazione gessoso-solfifera faccia parte del miocene superiore, collocando nel pliocene la serie dei terreni ad essi soprastanti eccettuati però gli strati a congerie, che co- ronando la formazione gessoso-solfifera servirebbero di sicuro orizzonte per dividere il miocene dal pliocene. La forma litologica predominante per il miocene nelle località da lui visitate, è la melassa e la marna detta ì)ìgia dal Brocchi; vi sono però spesso intercalati straterelli di argilla schistosa passante gradatamente a marna, la quale facendosi man mano più sabbiosa passa ad una vera melassa : per il pliocene è la sabbia micacea ed il conglomerato poligenico; per il quaternario finalmente il terreno di trasporto della valle dell’Isauro o Foglia co- stituito di argille di sabbie e di ciottoli. Yenendo alla parte descrittiva passa in rassegna la cerchia di col- line più basse a cominciare da quelle tra il Monte Ardizzo e il fosso di Jore che si mostrano totalmente formate di sabbie calcaree e silicee con mica e colorate da ossido di ferro idrato. Queste sabbie passano dallo stato incoerente ad una vera arenaria : non vi si trovano fossili e solo si manifestano al microscopio, nelle lamine sottili,, delle forami- nifere che farebbero ritenere questa melassa un deposito marino. Le — 479 — sabbie contengono concrezioni calcaree e rari frammenti di lignite. Queste sabbie e molasse dette tufo si trovano pure nelle colline di No- vilara in istrati ben distinti e regolari e sotto di esse si scorgono lungo qualche frattura le marne mioceniche con straterelli di gesso fibroso. A Candelara si trova un’arenaria a cemento calcare passante talora ad una puddinga per la grossezza dei suoi elementi. A Monte dell’ Abate si veggono pure varie argille gessose e della marna turchiniccia. Sulla sinistra del Foglia si presenta una serie di colline simili alle precedenti con prevalenza di marne e molasse superiori ai gessi, e vengono dal- l’Autore specialmente ricordate quelle di S. Colombo per i gessi e quelle di Eoncagli e S. fermano per le ligniti. Nella parte seconda l’Autore si occupa più specialmente degli strati a congerie, e dopo avere brevemente accennato alla scoperta ed ai lavori del Capellini su di esse, viene a descrivere le particolarità del loro già- cimento nelle colline pesaresi. Nella serie di colline lungo il mare formanti le così dette Ripe da Pesaro a Cattolica avendo egli sco- perto nelle marne diversi esemplari di congerie e dei piccoli cardii, fece uno studio sulla giacitura di quelle marne e alla Punta degli Schiavi, ove tutta la serie dei terreni è visibile, ha rilevato una sezione dalla quale risultano quattro piani così distinti dal basso all’alto : Marne sarmatiane con fucoidi. Gessi ed argille gessose. Marne con cardii e congerie. Molasse con ligniti passanti superiormente a sabbie siliceo-cal- cari, con rognoni di arenaria. Le marne sarmatiane si presentano con una potenza talora di 50 metri: sono di color grigio e si sgretolano per gli agenti atmosferici in piccoli poliedri; sono intercalate da straterelli sfaldabili di argille nerastre assai dure che contengono fucoidi in gran copia, e avanzi di pesci; corrisponderebbero secondo l’Autore ai tripoli. Nel piano superiore dei gessi e delle argille gessose lo spessore degli strati d’argilla va diminuendo dall’alto al basso, mentre quello degli strati di gesso alternantisi con quelle va aumentando, come si vede assai bene nelle cave in vicinanza di Ginestreto. Alla Punta degli Schiavi il gesso trovasi in grandi cristalli lenticolari entro ad una roccia cenerognola detta gesso matto dai cavatori ; ivi si trovano pure noccioli di solfo nativo. Sopra e sotto lo strato del gesso matto vi ha uno strato di argilla turchina schistosa che tramanda odore di petrolio. Alla base dei gessi si hanno delle argille compatte a struttura zonata. 1 fossili di questo piano sono simili a quelli descritti da Massalongo e Scarabelli nella Flora del Sinigalliese e dal Capellini a Castellina — 480 — Mcirittima e in Yal di Magra ; gli avanzi di pesci che vi si rinvengono sono da distinguersi da quelli del piano sottostante. L’Autore riunisce in un gruppo le marne a congerie e la melassa superiore, osservando che ove mancano gli strati a congerie, questa posa direttamente sui gessi ; egli ritiene quindi che il loro depositarsi fosse contemporaneo, basandosi anche sul fatto che in Ancona ove si ha la stessa serie stratigrafica si trovano le congerie nella melassa, che le ligniti in noccioli si trovano tanto nelle marne che nelle molasse e che infine vi ha un passaggio graduato tra queste due forme litologiche. I caratteri delle marne a congerie sono simili a quelli delle marne sarmatiane, sia nel colore che nella frattura e nella composizione mi- neralogica. Le marne a congerie [del pesarese hanno in comune con quelle della Farsica in Toscana la presenza di grani di limonile, la quale talora ricopre anche i fossili ; solo ne differiscono per la ricchezza maggiore, in queste, di carbonato calcare. Dove la melassa giace direttamente sui gessi si presenta in istrati continui divisi da straterelli di marna e talora da strati tenuissimi di gesso; nella sua parte superiore passa ad un sabbione calcareo-siliceo- argilloso con rognoni di arenaria durissima contenente rare foramini- fere ; ciò fa ritenere all’Autore che una parte di questa formazione, che raggiunge talora 80 metri, costituisca la base del pliocene, avuto anche riguardo al fatto che il conglomerato misto, indubbiamente pliocenico, si appoggia costantemente ad essa. I fossili raccolti dall’Autore nelle marne a congerie appartengono tutti ai due generi Congeria e Cardium^ le specie sono le stesse de- scritte dal Capellini nella Memoria sulle marne mioceniche di Ancona. Dall’esame accurato di questi fossili risulta che fra gli individui della stessa specie e fra le specie dello stesso genere vi hanno così varie e graduate modificazioni, da rendere difficile il segnare il limite dei varii gruppi specifici. Egli attribuisce questo fatto sia al passaggio da una specie ad un’altra affine per mezzo di modificazioni, sia anche al mezzo in cui vivevano questi esseri ; perchè le acque selenitose e salmastre rendevano stentata la vita di quei molluschi, che cercavano perciò di adattarvisi modificandosi. Per questo fatto e per il cattivo stato di conservazione delle conchiglie ne riesce difficile la determinazione specifica. II catalogo delle specie raccolte è il seguente : Congeria simplex Barb. ; C. amigdaloides Dunk. ; C. rostriformis Desh. ; C. triangularis Partsch ; Cardium castelUnense Gap.; C. edentulum Desh.; C. AhieM Hòrns. ; C. Odessae Barb. ; C. carinatiim Desh. ; C. carinatum var. elon- gatuìn Gap.; C. plicatum Eichw. ; C. Gourieffi Desh.; C. ScarahelU Gap. ; — 481 — NeH’ultima parte l’Autore si occupa dei banchi di ciottoli poligenici che s’incontrano in diverse località delle colline di Pesaro, ciottoli cbe per la loro natura litologica attrassero già da tempo l’attenzione dei geologi. Uno dei giacimenti più importanti trovasi nelle vicinEmze della collina della Tomba a Ovest- Sud-Ovest di Pesaro: quivi si presentami taglio praticato per estrarre breccia che, come rilevasi da una sezione presentata dall’Autore, mostra alla base un banco di ciottoli calcarei, granitoidi porfirici, ecc., di grossezza varia da 4 sino a 15 centimetri di diametro. Essi formano una puddinga a cemento calcare con gusci di conchiglie fra cui molti frantumati ma pure molti intatti. Le specie principali sono: Ostrea j^leheia L.; 0. edulish.; JDentalmm fossile L. ; Arca infiala Eroe.; Voluta striata Eroe.; Nerita elieina Eroe.; Ttirho duplicatus Eroe. ; Anomia complanata Eroe. ; A. òiplicata Eroe. ; A-, or- hiculata Eroe.: Pecten Jacohaeus Linn. ; P. opercularis Limi.; Pectun- ciilus insuhricus Eroe.; Ccrithium viilgatum? Erug. ; Lucina sp. Brug. ; Superiormente a questo strato, di cui non si può valutare la potenza, se ne trova un altro di 3 metri di spessore costituito da sabbia siliceo- micacea con molte concrezioni calcari e conchiglie. Poscia un altro banco di ciottoli di un metro e finalmente le sabbie a mica dorata. Gli strati sono inclinati di 25° verso il mare. Passa quindi in rassegna altre località, ove i ciottoli sono sviluppatis- simi, e presenta un’altra sezione nelle vicinanze del Castello di S. Costanzo ove il conglomerato riposa sulle marne argillose fortemente raddrizzate che egli ritiene mioceniche. Da tale rassegna deduce che questi banchi ora sparsi sporadicamente nelle colline ma con direzione costante, furono deposti lungo il litorale del mare pliocenico. Yenendo all’esame della natura dei ciottoli osserva dapprima cbe essi si presentano mescolati senz’ordine di grossezza e di qualità, e che la forma ne è pure varia. Quanto all’importanza numerica di ciascuna specie, si ha l’ordine decrescente che segue : calcari ; porfidi e loro varietà ; gra- niti, protogini e sieniti; diabasi porfiroidi e quarziti; tutte le altre specie sono assai subordinate e talune rarissime come i basalti, ecc. Nelle roccie cristalline il feldspato è sempre alterato. Presenta quindi un catalogo descrittivo, di queste rocce per classi, di ciascuna delle quali, come delle varietà principali, ha istituito un^analisi microscopica col mezzo delle lamine sottili. Dall’esame accurato degli elementi di questo conglomerato, i quali egli divide in appenninici ed in alpini, conclude riguardo ai primi, es- sere essi i rappresentanti dei terreni giuresi, cretacei, ed eocenici del- l’appennino centrale, basandosi in parte sulla somiglianza litologica ed in parte sui dati paleontologici che l’esame dei ciottoli stessi gli ha I — 482 — fornito. Quanto ai secondi osserva che bisogna rivolgersi alle Alpi per trovare le rocce simili per natura a questi ciottoli. Da una rivista delle principali collezioni di rocce alpine l’Autore ha potuto persuadersi che soltanto nel Tirolo si rinvengono le maggiori analogie e rassomiglianze. Viene quindi alla ricerca del mezzo per il quale furono quei ciottoli trasportati : osserva perciò che i fossili trovati nel conglomerato essendo di specie quasi tutte viventi nel mare attuale, lasciano supporre che quel deposito avvenisse sul finire del pliocene; essi mostrano altresì che esso doveva formarsi in acque tranquille trovandosi moltissime conchiglie intatte quantunque fragilissime. D’altronde i ciottoli mescolati senza alcun ordine, in ragione del volume e del peso specifico, la forma ca- ratteristica costante di talune specie di essi che si mostrano non molto logorati, e lo stato di conservazione dei fossili, esclude che il trasporto possa essere avvenuto per mezzo di correnti fluviali. Kiflettendo quindi che nell’epoca in cui i ghiacci coprivano tutte le Alpi, i ghiacciai della valle dell’Adige, della Piave e del Tagliamento dovevano spingere le loro morene frontali direttamente nell’Adriatico, sembra all’Autore non improbabile l’ipotesi che i ghiacci galleggianti spinti dai venti e dalle correnti marine abbiano trasportato questi materiali, e come in quel- l’epoca le colline pesaresi erano in gran parte sommerse, ivi l’Adriatico doveva formare un seno tranquillo, dove i banchi di ghiaccio venivano a sciogliersi, depositando nel fondo i materiali detritici che trasportavano. G. A. Tuccdiei. 1 colli pliocenici di Magliano Sabino. Con- tribuzione alla storia dei terreni subappennini. — Koma, 1880. / (Estratto dal periodico Gh sfMcli in Italia, anno III, voi. II.) I Le colline descritto dall’Autore in questa Nota sono situate sulla ! sinistra del Tevere a circa 75 chil. al nord di Eoma e fanno parte di i quella catena di colline plioceniche che appoggiandosi ai piedi degli j Appennini corrono parallelamente al Tevere fino in vicinanza di Roma. i Da una sezione di questi colli presentata dall’Autore risulta una 1 serie di strati che in ordine discendente sono così disposti ; i 1. Sabbie gialle sottili talora concrezionate ; | 2. Ghiaie minute; j 3. Sabbie gialle concrezionate alternanti con sabbie sciolte e con- | tenenti : Fecten varius L., Cardium edule L., Cerithium vulgatum Brug., | — 483 — Ostrea lamellosa Br., Chama gryphina, Lamk. e frammenti di Pecten Jacobaeus L. ; 4. Sabbie grigie o turchine con molti Cerithium vulgatum e Car- cliiim edule: spessore 20 metri; 5. Sabbie gialle senza fossili; 6. Banco di lignite alterata: spessore 0,30; 7. Sabbie turchine con pochi fossili; Arca pectinata Br. , Arca diluvii Lmk., Cerithium vulgatum Brug. ; spessore 25 metri ; 8. Sabbie gialle piuttosto grosse, con banco di ostriche e Pinna nobilis. L.; 9. Sabbia giallo-grigiastra con molti frammenti di conchiglie : vi predominano Ostree ed Arca mytiloides Bv.; 10. Strato potente di sabbie grigio-turchine senza fossili; 11. Ghiaie grossolane alternate inferiormente con sabbie gialle : spessore 0,50; 12. Sabbie turchine indurite, di aspetto marnoso con Natica mil- lepunctata Larnk. ; 13. Sabbie grigie sciolte alternate con ghiaie rade che ingrossano discendendo ; 14. Sabbie giallo-rossastre con ghiaie rade e sabbie grigie al di sotto : 15. Sabbie turchine finissime intramezzate da un banco di ostri- che con Pecten varius. L. : spessore 15 metri ; 16. Altre sabbie turchine rimestate e sconvolte dalFacqua e dalla coltivazione con gran quantità di Cardium edule^ L. e Melanopsis nodosa^ Beruss. proveniente dallo strato sottoposto; 17. Lignite compatta in fogli orizzontali con fossili dello strato precepente, e Cerithium tricinctum, Br. : spessore 0,20. 18. Sabbia gialla sottile che si confonde insensibilmente colla pianura sopra la quale s’innalza di appena 20 metri e contiene le specie Cardium edule, L. Venus excentrica, Agas. e Gytherea pedemontana. Passa quindi in rassegna le località più importanti per ricchezza e varietà di fossili, riportando in un catalogo tutta la fauna fossile da lui studiata. Questa serie composta di 71 specie è così ripartita: specie estinte 16, viventi nel Mediterraneo 50, emigrate 5. Dalle particolarità riguardanti la frequenza e la distribuzione delle specie più importanti di questi fossili, dal loro stato di perfetta con- servazione e dal confronto con altri terreni di età ben determinata, l’A. viene a concludere che il pliocene di Mugliano rappresenta in gran parte il piano piacentino e che solo negli strati superiori si ha il prin- cipio dell’Astiano. Basandosi specialmente sulla presenza di fossili di — 484 specie emigrate, viventi ora in climi assai caldi, deduce che il clima di Magliano all’epoca pliocenica doveva essere subtropicale. Quanto alla profondità e alla natura delle acque in cui viveva la fauna di Magliano, ritiene che il mare profondo coi suoi fini sedimenti di sabbie argillose dovette alternarsi colle coste lambite dalla marea, colle spiaggie arenose e le acque salmastre ; che anzi queste acque a periodi, dovevano farsi quasi dolci, deducendolo dalla grande quantità di Mela- no_psis nodosa nei banchi di lignite, che alludono ad un trasporto di legname fluitato dalle correnti di terra. Il fondo marino dovette più d’una volta innalzarsi ed abbassarsi accogliendo alternativamente sedimenti più grossi con specie litorali e sedimenti più fini con specie d’acqua profonda. I tufi vulcanici terminano la stratigrafia delle colline di Magliano come di tutte le formazioni subapennine dell’altipiano romano. Quivi però si veggono solo in alcuni punti culminanti essendo essi in gran parte stati esportati dalle piogge e dai torrenti. Ffi. Marolda-Petilli. Bicercìie geologiche sul hacino idro- grafico di Muro Lucano. — Lecce, 1880. Questo bacino, geologicamente finora assai poco conosciuto, trovasi racchiuso entro monti di calcare ippuritico nella estremità nord-ovest della provincia di Potenza, per una estensione di 29 per 17 chilometri : la sua attitudine media può ritenersi di 350 a 400 metri sul mare, e quella dei monti che lo circondano di 1200 a 1400“ ; questa regione offre una’ delle maggiori altezze dell’Appennino meridionale, e si trova precisamente appoggiata allo spartiacque della penisola dal lato del Tirreno. Tale bacino, se non avesse una gora nel lato di sud-ovest per (love si scaricano le acque, si trasformerebbe ben presto in lago. L’Autore comincia coll’osservare che in tutta la vallata sono roccie di sedimento, ad eccezione di un punto nel quale si trovano traccio di una roccia eruttiva; è questo un basalto celluloso con cristalli di augite e grani di olivina alterati per ossidazione del ferro. Nessuna traccia di cratere od altro apparecchio vulcanico in quella località, ma solo un ammasso di blocchi a spigoli vivi risultanti dalla demolizione super- ficiale di una grossa dicca iniettatasi nel calcare prima ancora che questo fosse stato sollevato all’attuale livello. Il calcare formante l’ossatura della regione è quasi tutto bianco ed in talune località abbondante d’ippuriti : esso è tutto dislocato e le — 485 — stratificazioni vi si trovano in tutte le direzioni, ora oblique, ora ver- ticali, ora confuse e sconnesse. Non mancano qua e là vene di alaba- stro di bello aspetto. Sopra ai calcari riposa una formazione di arenarie eoceniche e di conglomerati nei quali si ritrovano impastati ciottoli di varia natura, fra cui molte varietà di granito : sulla sua superficie poi si vedono sparsi enormi blocchi granitici di forma irregolare e del diametro di parecchi piedi. Questa formazione è tanto più strana in quanto nei monti circostanti non si trovano graniti in posto, salvo a rimontare sino al gruppo della Sila in Calabria. Giova poi osservare come i graniti manchino nella parte inferiore della formazione, dove si rinvengono solo ciottoli di quarzo, di basalto e di calcare. Un lembo miocenico viene segnalato nei dintorni di Picerno, e final- mente havvi il terreno quaternario rappresentato da grossi ciottoli di calcare o c^i arenaria che ricoprono parte del fondo del bacino, e da qualche rara concrezione travertinosa. E. SpPtEAFico, — Osservazioni geologiche nei dintorni del lago d'Orta e nella Val Sesia, (Memoria post ama). — Milano, 1880. Il compianto Spreafico lasciò alcuni appunti sulla costituzione geo- logica della regione che sta a ponente del Lago Maggiore e comprende una zona di terreni paleozoici e protozoici sull’epoca dei quali non sono ancora del tutto concordi i pareri dei geologi. Ora questo interessante manoscritto venne ritrovato dal prof. Taramelli e fatto di pubblica ra- gione dalla Società Italiana di Scienze Naturali. L’opuscolo è diviso in 7 brevi articoli corrispondenti ad altrettante escursioni fatte in quei dintorni nell’aprile del 1870. Essi sono i seguenti : 1. Dintorni di Gozzano. — Si parla specialmente delle rocce granitiche affioranti nelle vicinanze, e ne dà una sezione diretta E.S.E.- O.N.O., nella quale abbiamo la seguente serie dall’alto al basso: ter- reno erratico; calcare liasico con brachiopodi ; breccia liasica porfirico- calcare; scisti micaceo-talcosi ; granito; serpentino; gneis della Stronar calcari saccaroidi ; sieniti e dioriti ; gneis della Sesia. 2. Da Gozzano a JBorgosesia. — Dà un’altra sezione diretta S.S.E.- N.N.O. nella quale sotto il terreno erratico afiiorano immediatamente i porfidi e quindi vengono gli scisti micaceo-talcosi e gli altri terreni sopra accennati. — 486 — 3. Da Borgosesìa al Fenera. — In questa direzione comincia ad apparire la dolomia a gastrochene (Dipìopora) che viene a contatto immediato col micascisto per effetto di un salto, che in alcuni punti ha abbassato la dolomia sino a farla sembrare inferiore al micascisto stesso. A questa dolomia, che rappresenterebbe il trias superiore, succedono alcuni calcari scistosi d’epoca probabilmente infraliassica, e quindi una formazione calcarea estremamente schistosa ed alternante con banchi di un’arenaria assai quarzosa; in questa ultima si trovano ammoniti di forma basica. In qualche luogo, sotto la dolomia anzidetta e sulla gran massa dei porfidi (permiano) esistono dei tufi e conglomerati porfirici rappresentanti il trias inferiore. 4. Dintorni di Varallo. — Qui assumono molto sviluppo gli gneis detti della Strona e le dioriti inferiori ad essi: sopra allo gneis sta il granito che lo ha iniettato e gli si sovrappose in grandioso espandimento. 5. Da Varallo a Bella, — Continuano gli stessi terreni. 6. Dintorni d’Orta, — Vi è sviluppatissimo il micascisto argilloso che forma gran parte della sponda del lago : grosse dicche di porfido si trovano iniettate nel medesimo. 7. Da Orla a Quarna e Bella. — Il micascisto anzidetto va ad adagiarsi su di una formazione gneisica assai analoga a quella della Strona e che corre per buon tratto della sponda del lago : a questa formazione incombe la gran massa granitica del Motterone che va a finire interstratificandosi tra i micascisti argillosi e quelli gneisici inferiori. Questo granito continua poi con quello che forma il gran nucleo della Val Sesia. Le osservazioni precedenti sono accompagnate da una serie di dati altimetrici calcolati in base ad osservazioni barometriche confrontate con quelle contemporanee fatte all’Osservatorio astronomico di Milano. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie II. Voi. I. Novembre e Dicembre 1880. N.°ll e 12. SOMMARIO. Atti belativi al Coimitato Geologico. CoxVGBEsso Geologico Inteknazionale del 1881 m Bologi^a Sicilia. Nota seconda dell’ ing. Eiccabd; TBAtAGLiT' - m SUOI fossili nella Provincia di Bologna, per A Manzohi e i bue del ghiacciaio del Mvage (MoSte Bianm^ J i' ^ Sopra una stil- “s vn’: ssi- “-tri-”- r.ii,rcrjz der K K. geol Reichsnnstalt, 1880, n. 13). — Sul crrltte^re^deB dimento a strati ricurvi, per C. W Gììmbel carattere delle roccie di se- .t" riy»’ «. Uf-.. >». snm), Pisa. J880. — G JIeneghini rÙil a Cucighana {Monti Pi- vincta di Verona, Pisa, 188U. — C F PÀkok^'^// 4 ^"4 Pro ^ suoi fossili, Roma, 1880. - L. ton Scte)™ « »n Mhinoreros Merckii, Jaeg. ; Jlém de l’Aoad ’ t'^ XXVII, 7, 1880 (co’n “rfoto itogi A V™ mtm, Roma, 1880. (Dalle Memorie della R Aoo«/ ~ Veeei, I vulcani Ci- eabelu Gommi Flamiei, DTs^HziJlflltltHa rTì •“ trionuk deW Appennino fra il Montone e la FogUa ForH^TsSO Atti relativi al Comitato Geologico. Nel trimestre ultimo del 1880 poco resta da segna- lare intorno ai lavori in corso, oltre quanto già se ne ri- leriva nella prefazione del Bollettino ultimo. Seguitò nelle Alpi Apuane il rilevamento in quanto la stagione il permetteva, essendosi verso la fine dell’anno dovuto cpn^^ i^egioni piu elevate, e trasportare intanto il centro dei lavori alla zona orientale. Nelle ricognizioni estese 488 — per studio di paragone ai terreni antichi dei Monti Pisani il sig. Lotti ritrovava traccio di vegetali non ancora deter- minati simili a lepido dendron^ oltre a segni di depositi lit- toranei delle così dette ripple-marJcs e bellissime goccio di pioggia. Intanto nel Novembre, il prof. Meneghini accompagnato dai rilevatori e dai sigg. Bosniaski e Canavari, recavasi a visitare le località ultimamente studiate dove si osservano nuove ed interessanti ripiegature dei terreni antichi state dai rilevatori determinate con esatti profili che saranno pre- sto pubblicati. Attraversava egli così la catena sino ad Arni, ritornando per il Ponte Stazzemese e la miniera del Bottino. Lo stesso professore studiava intanto le ortocer aliti state poco prima ritrovate negli ammassi lenticolari di calciscisti sot- toposti ai grezzoni nelle località di Fociomboli e Puntato, e ne determinava diverse forme specifiche di cui rese conto nella seduta del 14 Novembre della Società toscana di* scienze naturali. % In Sicilia proseguivasi il lavoro soltanto dai tre rileva- tori colà rimasti (Travaglia, Anseimo ed aiutante Cassetti), essendo gli altri (Baldacci, Mazzetti e Cortese) venuti all’ Uf- ficio geologico per le relative riduzioni delle carte. Prima di tornare all’isola, dove nella prossima campagna avranno da rilevare varie località dove sono terreni paleozoici e Las- sici, furono gli stessi a visitare alcune località di Toscana ove esistono terreni di simile età già assai bene conosciuti. Intanto il prof. Gemmellaro coadiuvava i lavori in corso con la determinazione dei numerosi fossili inviatigli dai ri- levatori, sovratutto dei terreni del Siracusano. In Sardegna, abbenchè il rilevamento della zona del bacino siluriano iglesiente che si era dapprima fissato di rilevare fosse stato nell’ ultima campagna ultimato, si cre- dette opportuno di aggiungervi ancora un tratto lungo il — 489 — mare dell’ ovest clie serve a meglio completarne la carta ; e venne perciò disposto per tale lavoro nella presente cam- pagna. Intanto il prof. Cossa assumevasi di esaminare nel suo laboratorio diverse roccie di quel bacino, ed il prof. Me- neghini faceva lo studio dei nuovi fossili raccolti, tra cui di varii trilobiti della zona degli scisti superiori al calcare me- tallifero, dal quale esame ormai risulterebbe essere quella zona non devoniana, come erasi dapprima potuto sospettare, ma essa pure siluriana. Non è il caso di estendersi a far cenno di altri lavori diversi cui attende l’ Uffìzio geologico, fra i quali alcuni preparatorii al Congresso di Bologna d’ accordo col Comi- tato organizzatore di questo. Di questi ultimi del resto si fa menzione nel seguente apposito articolo. — Egli è pero importante il far notare a scarico della responsabilità del Comitato suddetto, come i fondi dei quali il medesimo fece da gran tempo richiesta per avviare e condurre a termine in tempo utile i necessari preparativi di vario genere, e quelli per le spese inerenti al Congresso istesso che avrà luogo nel prossimo Settembre, non poterono ancora otte- nersi. — Una piccola somma era stata messa sul bilancio della Carta geologica dello scorso anno, per alcuni studi e carte da compiersi come contribuzione dell’ Ufficio geologico al Congresso, ma non si ebbero ancora fondi pei lavori pro- priamente detti del medesimo, i quali ammonterebbero ad una cifra relativamente cospicua. Siccome l’ impegno era di carattere internazionale, e stato accettato sin dal 1878 dal Governo italiano per mezzo del Ministero degli esteri, così il Ministero per avere tale somma avea sin dal giugno dello scorso anno preparato un apposito progetto di legge, da presentare al Parlamento d’ accordo col Ministero dell’Istru- zione Pubblica per altro simile relativo al Congresso geo- grafico pure internazionale, che deve aver luogo nel mese — 490 — istesso a Venezia. Per qualche circostanza contraria simili progetti non poterono allora, nè sino ad oggi, venire pre- sentati: si è bensì cercato di supplire a qualche più urgente bisogno con parte del succitato fondo disturbando gli studi cui era destinato, ma ora preme più che mai che venga senza altro ritardo provveduto con l’aspettata legge. CONGRESSO GEOLOGICO INTERNAZIONALE DEL 1881 IN BOLOGNA. Nell’ultimo numero del Bollettino venne riferito sul notevole movi- mento che si va ora eccitando presso le nazioni estere per prepararsi a prendere parte al Congresso geologico del 1881, e come interessar) tissime fra altre fossero le informazioni venuteci dall’Austria e dall In- ghilterra, oltre a quelle della Francia per parte sopratutto della Com- missione colà istituitasi per le regole da seguire nella nomenclatura delle specie sia in paleontologia che in mineralogia. ... Le ultime notizie non fanno che confermare lo svilupparsi di tale movimento con l’avvicinarsi delTepoca del Congresso. Notevole sopratutto è l’attività del numeroso Comitato dei geologi inglesi dei quali è stato dato il nome nel fascicolo ultimo. Infatti il medesimo oltre alla prima riunione del 22 settembre ultimo ne teneva altre tre m data 12^ novem- bre, 2 e 8 dicembre, nelle quali si suddivideva anzitutto il Comitato debitamente accresciuto di alcuni nomi, in altrettanti Sotto-Comitati per le singole grandi suddivisioni dei terreni geologici, e poi s intavolava la discussione sul vero significato da attribuirsi a molte delle denomi- nazioni più generalmente in uso per indicare i gruppi di terreni piu o meno grandi ed estesi, in cui la serie geologica può essere suddivisa. 11 vivo interesse preso dall’Inghilterra alle questioni di unificazione che formano il programma del Congresso di Bologna, come pure le proposte pratiche state già formolate dai geologi austriaci, sono della massima importanza per far sperare nel buon successo del Congresso medesimo. Intanto anche dalle altre nazioni si ebbe avviso degli studii iniziati o pressoché compiuti, specialmente dalla Francia, dalla Svizzera, c a a Spagna e Portogallo. Dall’Ungheria venne inviato al Segretario gene- rale il rapporto sulla unificazione della nomenclatura e dalla Russia quello per l’unificazione dei colori. Intanto non pochi dei geologi esteri già diedero avviso della loro — 491 intenzione di venire in persona al Congresso, e tra questi è importante il menzionare il Medlicott, Direttore del Geological Siirvey dell’India, il quale scrisse che verrà al Congresso di Bologna per attingervi norme onde colorire le carte geologiche di cui tiene una quantità pronta per la pubblicazione. In Italia procedono pure gli studi delle Sotto-Commissioni, come già fu detto nell’articolo del numero precedente, ed ora il Comitato orga- nizzatore attende i rapporti riassuntivi delle Commissioni internazio- nali, per farli stampare e distribuire in tempo ai membri del Congresso, prima della loro riunione. Anche la compilazione della Bibliografia geo- logica italiana che dovrà essere stampata e distribuita all’ apertura, venne quasi completata pel concorso dei volontari collaboratori nelle varie provincie. Intanto è grato Tannunciare che l’Accademia delle Scienze dell’Isti- tuto di Bologna deliberava sin dal maggio ultimo di ordinare, per ofirirla ai membri del Congresso, una ristampa dell’opuscolo dell’olandese De- Limiers Histoire de VAcademie appelée Vlnstitut des Sciences et des ArtSy étahli à Bologne en 1712, opuscolo stampato in Amsterdam nel 1723. Il medesimo verrà corredato di note ed aggiunte, e dell' elenco delle memorie pubblicate di poi dall’ Istituto medesimo. Il Municipio di Imola con lettera del 22 novembre formulava un invito al Congresso per una escursione a quella città, dove è degno di visita il suo gabinetto di Storia naturale ed a poca distanza la stazione preistorica di Monte Castellaccio dalla quale già vennero estratti nu- merosi oggetti. Il Municipio di Bologna fece intraprendere il ristauro assai costoso della sala del Liceo Eossini che verrà destinata alle adunanze. Per parte sua il Prof. Capellini dà opera a ristaurare ed a corredare con vetrine ed altro occorrente il Museo di Geologia e Paleontologia, nel quale si farà pure l’esposizione delle Carte geologiche e delle speciali collezioni di roccie e fossili che si stanno preparando per la circostanza. Bimane ora tuttavia che vengano al più presto assicurati i mezzi pecuniari indispensabili per far fronte alle spese, delle quali già si fece cenno nell’articolo ultimo; poiché se già si ebbe nel decorso anno qualche sussidio per i primi preparativi, nulla ancora si ha di stanziato pel 1881, anno nel quale vi saranno appunto da subire le suddette spese princi- pali pel Congresso medesimo. — 492 — MEMORIE ORIGINALI. I. Sulla determinazione cronologica del calcare a selce piro- maca e del calcare compatto e marnoso (forte e franco) ad ecliinidi e modelli di grandi bivalvi nella regione S. E. della Sicilia, Nota di Ippolito Capici. Nel numero 5 e 6 del Bollettino del R. Gomitato Geologico di que- st’anno è stata pubblicata una Nota dell’ingegnere Riccardo Travaglia, del R. Corpo delle Miniere. 11 lavoro ha per titolo : La sezione di Li- codia-Eubea e la serie dei terreni nella regione S, E. della Sicilia^ ed è interessante per ciò che riguarda il Neocomiano del Boschitello dal detto Travaglia scoperto ed illustrato. La parte dello scritto avente attinenza alla formazione gessosa del Yizzinese e del Licodiano, alle marne mio- ceniche dei dintorni di Licodia-Eubea, alla serie pliocenica ed alle rocce d’ origine vulcanica del territorio di Yizzini e di Licodia è di secondaria importanza, perchè non vi si contiene alcun fatto nuovo rilevante da po- tersi aggiungere a quanto è stato da me diffusamente scritto in proposito. L’ ultimo mio lavoro sulla formazione gessosa del Yizzinese e del Licodiano, assai benevolmente giudicato dall’egregio ingegnere Trava- glia, ed alcune osservazioni, che direttamente mi riguardano, fatte dal medesimo nella precitata sua Nota, giustificano a sufficienza il presente scritto, e mi porgono il destro di rettificare un errore nel quale egli è incorso, e di sollevare qualche dubbio sull’aggiustatezza di alcune sue determinazioni. Nella Nota dell’ingegnere Travaglia, già ricordata, l’autore com- piacesi asserire che il mio recente lavoro sulla formazione gessosa, ecc., ha portato una utilissima contribuzione alla geologia, dell’ Isola ; mi spiace però che abbia ancora voluto ricordare inopportunamente una opinione che io aveva espressa in antecedenti mie pubblicazioni, e che in seguito io stesso aveva, per mie proprie verificazioni, abbandonata e rettificata ; cosa che pur di frequente accade a chi studia e riferisce coscienziosamente su problemi geologici assai difficili. « Dal raffronto tra la Nota del Oafici (s(jrive l’ingegnere Travaglia) e la nostra serie apparisce evidente che le marne inferiori ai gessi il- — 493 — lustrati dal Cafici sono le stesse che sottostanno alla formazione ges- soso-solfifera del resto della Sicilia e da noi già ritenute nel Tortoniano. Nel nostro rilevamento è soppressa ogni suddivisione di tali marne, comprendendosi cosi nello stesso piano anche le marne a. Nassa semi- striata Br. » 10 so bene che non sempre riesce facile, anzi talvolta diviene a dirittura impossibile di limitare ciò che spetta al piano Sarmatiano e ciò che devesi riferire al calcare di Leitha e suoi equivalenti, ed in siffatto caso trovo giustificabile la soppressione d’ogni suddivisione nelle marne che sottostanno alla formazione gessosa propriamente detta; ma quando i due piani sono bene distinti per differen::e litologiche e pa- leontologiche, allora non posso ammettere la proposti soppressione avuto riguardo all’importanza geologica sempre crescente che di giorno in giorno va acquistando il piano Sarmatiano; nè posso per conseguenza associarmi all’opinione dello Stohr, secondo la quale viene attribuito al Tortoniano non solo il Tripoli di Sicilia che corrisponde a quello dei Gabbro, ma anche le argille marine poste fra i tripoli e la zona dei gessi e degli zolfi. Nel Licodiano, e particolarmente lungo il corso del torrente Pupo- lordo, tra i gessi e le marne grigio-cenerognole del Tortoniano a Fleu- rotomidi, Ancillaria obsoleta Br., Nentalium JBouei Desh., Limopsis au- rata Br., ecc., osservansi delle marne giallognole a Nassa semistriata Br., JBrissopsis, ecc., le quali non debbono venire confuse, come vorrebbe il Travaglia, con le sottoposte marne indubbiamente Tortoniane, ma es- sere considerate come equivalenti del piano Sarmatiano ; e come tali, dovunque esistono, dovrebbero venire differenziate nella carta geologica alla scala di 1 a 50 000. 11 professore Capellini nell’ ultima interessantissima ed elaborata sua pubblicazione sugli Strati a congerie e la formazione gessoso-solfi- fera nella provincm di Pisa e nei dintorni di Livorno pone nel piano Sarmatiano ad orizzonte dei tripoli dei monti Livornesi, i conglomerati serpentinosi e le sabbie marnose con Astraea^ Tapes gregaria, Ostrea lamellosa ecc., sottostanti alle marne a Melanopsis Bartolinii, Mela- nia suturata, Congeria clavaeformis, Gong erta Peshayesi (C. sub-Ba- steroti), i tripoli o strati equivalenti con copiosi avanzi di pesci, insetti, molluschi, finiti, ecc., il calcare grossolano di Eosignano con molluschi e coralli e finalmente le marne a Ceritìiium pictum, Pleurotoma, Hy- drohia, Cardium ; nel miocene medio poi colloca il Tortoniano o cal- care di Leitha. Fra le diverse opinioni emesse sugli equivalenti del piano Sarma- tiano, quella precitata del chiaro geologo della Università di Bologna, — 494 sembrami la più probabile, e le marne a Nassa semistriata dei dintorni di Licodia-Eubea poste al disotto della formazione gessosa, e sovrain- combenti alle marne grigio- cenerognole del Tortoniano, comunque da altri si pensi, per parte mia, lo ripeto, le considererò come nettamente distinte da ogni altra formazione, e come gli equivalenti veri del piano Sarmatiano. « Oltre ai tre piani delle marne del Tortoniano, dei gessi e degli strati a Congerie (prosegue il Travaglia) il Cafici accenna infine alle marne calcaree a foraininiferi, con cui comincia la formazione marina, successiva alla formazione gessoso- solfifera, senza far cenno degli altri terreni ai quali aveva accennato nelle sue prime note. » Nelle mie prime Note, ^ come ben dice l’ingegnere Travaglia, non mi arrestai alle marne calcaree biancastre a foraminiferi, Ostrea cochlear Foli var. 0. navicularis Br., ecc., del pliocene antico (trubi) ; ma feci cenno di altri terreni, ed assai prima del mìo egregio amico io distinsi negli antichi vulcani del Yizzinese e del Licodiano tre periodi d’ eru- zione : il primo miocene anteriore al Sarmatiano o per lo meno ante- riore ai gessi, il secondo pliocenico contemporaneo al depositarsi delle argille e posteriore ad esse, il terzo finalmente, ed a mio avviso il più lungo, post-pliocenico ed incontrastabilmente sub-aereo. 10 sono lieto che le osservazioni del Travaglia siano venute a con- fermare r esattezza delle mie precedenti osservazioni, e se nell’ ultima mia Nota inserita nel primo fascicolo del Bollettino Geologico di que- st’anno non feci cenno delle rocce vulcaniche che soprastanno alle marne grigio-cenerognole del Tortoniano, e delle altre rocce sedimentarie e vulcaniche posteriori alle marne calcaree biancastre a foraminiferi, ecc., del pliocene antico, fu solo perchè era mio intendimento di mostrare sempre più chiaro il sincronismo e più evidente la perfetta corrispon- denza della formazione gessosa del Vizzinese e del Licodiano con quelle già illustrate dal chiarissimo Prof. Capellini in Toscana, nel Bolognese e nell’Anconitano. Se mi fossi occupato delle rocce sovraincorabenti alle marne calcaree biancastre a foraminiferi, ecc., dello Zancleano, avrei oltrepassato i confini assegnati al mio lavoro. 11 territorio di Licodia-Eubea è senza alcun dubbio, sotto il rap- porto gelogico, una delle località più importanti dell’Isola, perchè in esso oltre alla formazione pliocenica e post-pliocenica, oltre alle rocce vulcani- che eruttate allo stato di magmi acquei cristallini ed a quelle provenienti da prodotti eruttivi frammentarii più o meno cementati, osservansi la for- ’ I. Cafici, Da Yizzini a Licodia. — Siracusa, 1878. Id. Studii sulla geologia del Vizzinese. — Catauia, 1878. — 495 — inazione gessosa assai sviluppata, non esclusi i caratteristici strati a con- gerie contenenti una ricca fauna caspica o d’acqua salmastra, i calcari del Neocomiano con Aptìiìjciis, Belemnites, Ammonitesi Ptychoceras, Sca^ phites, Terehratula, ecc., altre rocce spettanti alla formazione cretacea, e finalmente alcuni strati molto estesi e potenti con echinidi, modelli di grandi bivalvi, ecc. Nella parte inferiore del monte dell’ ex-feudo Boschitello, in prossimità di Licodia-Eubea affiorano piccoli banchi di calcare spettanti al piano Neocomiano. Questi calcari sono assai limi- tati in estensione, forse perchè, come sospetta il Travaglia, trovansi in parte celati dai copiosi detriti provenienti dagli strati superiori. Ai calcari del Neocomiano succedono in serie ascendente, e con perfetta concordanza, dei calcari fissili ancb’essi non molto estesi, nei quali nè io, nè l’ingegnere Travaglia abbiamo avuto la sorte di rinve- nire un solo avanzo d'organismo, sicché riesce impossibile il giudicare a quale piano debbonsi ascrivere. Il Travaglia sospetta che appartengano al cretaceo superiore, io invece preferisco sospendere pel momento qualsiasi giudizio sembran- domi assai arrischiata qualunque determinazione non avvalorata da alcun dato paleontologico o stratigrafico, nè ravvisando nell’assoluta deficienza d’elementi scientilici un solo fatto che induca a ritenere i calcari di cui è parola, posti senza trasgressione o discordanza di sorta tra il Neocomiano ed il cretaceo superiore, come spettanti al Chalk piuttosto che all’Aptiano, al Gault o al Cenomaniano. Ai calcari fissili infossiliferi soprastanno concordentemente con grande sviluppo e con una potenza di oltre 150 metri dei calcari bianchi, compatti, con interclusioni fli selce piroinaca d’ogni colore, ma generalmente nera, disposta in letti nella parte inferiore ed in noduli (li varia dimensione nella parte superiore. Nel monte dell’ex-feudo Bo- schitello e nelle circostanti elevazioni affiorano formando delle balze che si rizzano sulle pendici inferiori delle montagne. Questi calcari, dovunque esistono, per essere attraversati da un infi- nito numero di fenditure si presentano come un aggregato di grossi fram- menti disposti in strati, frammenti che mal si tengono fra loro saldi e che distaccandosi dalla roccia vanno ad accumularsi nel basso seppellendo, come accade nel monte dell’ex-feudo Boschitello, gli strati sottostanti. A proposito di questi calcari con selce piromaca il Travaglia così s’esprime a pagina 8 della sua Nota precedentemente ricordata : « Anche in questa formazione diligentemente percorsa in molte località non fu possibile trovare traccia alcuna di fossili e, solo per analogie litologiche con formazione di altre parti della Sicilia, sono in- dotto a ritenere provvisoriamente questi calcari per eocenici senza po- 33 — 496 — terne però precisare il piano. So che il sig. Cafìci ritiene invece questi calcari come appartenenti pure al cretaceo superiore, avendo trovato, non so in quali località, una sferolite ed alcune spongiarie che potreb- bero però appartenere ad uno dei due piani indicati più sopra. » Fin da quando io mi detti a ricercare i fossili dei dintorni di Mon- terosso-Almo e di Giarratana mi avvidi che i calcari a selce piromaca appartenevano alla formazione cretacea, e di ciò feci cenno in qualche mia precedente pubblicazione. L’ingegnere Travaglia ha creduto met- tere in dubbio l’esattezza della mia determinazione, ed ha per giunta sospettato che la Spìiaeritlites (che io non ho mai detto o scritto d’aver trovato nel calcare a selce piromaca) provenisse dal Neocomiano o dai calcari fìssili sovraincombeiiti. Nel calcare a selce piromaca ho solamente riscontrato uno spon- giario silicizzato che al professore Guiscardi è sembrato essere uno Staiironema Carteri, Sollas. a giudicare dalla forma. B qui giova notare che tanto il fossile precitato, quanto le altre specie del genere 8tau- ronema sono del cretaceo superiore (Chalk). Inoltre vi trovai alcuni fos- sili enigmatici (v. tav. LY e Y), anch’essi silicizzati, polimorfi, di varia dimensione ed ora liberi, ora aggregati. Y’è chi li ha ritenuti semplici noduli di selce piromaca; ma ciò non è ammissibile, presentando gli undici esemplari che io posseggo un carattere costante, quello cioè d’un cordone spirale, rilevato, rugoso che ravvolge la superfìcie da un capo all’altro. Alcuni hanno creduto ravvisarvi degli Spongiarii, altri delle Alghe 0 dei Briozoi. Alla perfetta concordanza di questi strati con i sottostanti sedi- menti incontestabilmente cretacei, alla loro natura litologica, e final- mente alla presenza in essi d’uno spongiario del genere Stauronema, s’aggiunge un altro fatto di singolare importanza, il quale non lascia alcun dubbio sull età cretacea dei calcari a selce piromaca: intendo parlare di quei banchi di calcare bianco compatto a Sphaerulites che soprastanno concordemente al calcare a selce piromaca sotto Monte- rosso-Almo. In questo calcare, e non in quello sottostante con silice, io ho rac- colto un frammento ed il modello d’una valva superiore di Sphaerulites. Le tracce d un altro fossile identico le trovò nel medesimo luogo il pro- fessore Capellini, quando in compagnia mia, dell’ingegnere Travaglia e dell’Ispettore Giordano recossi a Monterosso. Senza la contribuzione d’alcun dato paleontologico, e non tenendo conto della concordanza dei calcari a selce piromaca coi calcari neo- comiani e coi calcari fìssili infossiliferi, nè avendo avvertito la presenza — 497 — del calcare a Sphaerulites, l’ingegnere Travaglia non poteva per sole analogie litologiche, troppo spesso ingannevoli, determinare con preci- sione l’età dei calcari a selce di cui è parola, i quali, come abbiamo veduto, al cretaceo superiore e non all’eocene debbonsi definitivamente riferire. Il calcare a Sphaerulites che superiormente fa seguito al calcare a selce pironiaca presentasi in grossi banchi; è bianchissimo, molto duro e litologicamente identico al calcare compatto del cretaceo ‘supe- riore di Valdesi ed Addaura (Monte Pellegrino) le cui abbondantis- sime e belle Kudiste si conservano nel museo geologico della E. Uni- versità di Palermo. Gli succedono concordantemente dei calcari poco dissimili litologicamente dai calcari a selce ; ma in luogo di letti e di noduli di piromaca vi si osservano concrezioni sparse di focaia bianca. Al S.S.O. di Yizzini nella contrada Lincesia sotto alle marne cal- ' caree biancastre a forami niferi dello Zancleano, che spesso affiorano e talvolta sono ricoperte da rocce vulcaniche, s’osserva un banco di gesso cristallizzato con palese stratificazione, e tra le marne calcaree ed il gesso uno straterello di molassa ferruginosa che va riferito agli strati a congerie dei quali tiene il posto senza però offrirne i fossili caratte- ristici, cioè le congerie, i piccoli cardii, le melanie, le melanopsis, le ner itine, le hitìnjnie, ecc. Le marne calcaree del pliocene antico assai sviluppate ad B. ed a E.N.E. di Yizzini ove d’ordinario affiorano e di tratto in tratto compa- riscono di sotto ai peperini, ai tufi basaltici ed ai basalti, si continuano verso il S ed il S.S.O. di Yizzini. Talvolta affiorano, ma comunemente sostengono le argille turchine o biancastre dell’Astiano, le quali formano il fondo d’un vasto bacino chiuso al N. dalle elevazioni sulle quali è posta la città di Yizzini. All’estremità 0. della grande depressione or ora ricordata, e ad un dipresso lungo la strada Yizzini-Monterosso vi è il limite della serie pliocenica, i di cui strati sono quasi orizzontali, o leggermente inclinati verso O.N.O., con degli strati che pendono dolcemente verso S.E., e che appartengono indubbiamente ad una formazione più antica. All’estremo S. e S.E. del bacino, quasi a ridosso delle pendici costituite ’ dalla for- : mazione precitata, s’elevano alcune collinette (Poggio Foriere, Case pie- trerosse, Poggio dei Santi, Piano Farruggi) in gran j^arte costituite di i argille plioceniche (piano Astiano) le quali riposano concordantemente , sulle marne calcaree biancastre a foraminiferi del pliocene antico (piano Zancleano). Coronano le vette delle summentovate colline dei calcari grossolani ; giallognoli assai duri, pieni d’impronte e di modelli di molluschi bi- — 498 — vaivi. Talvolta questi calcari fanno passaggio ad una sabbia calcarea grossolana leggermente conglutinata, e perciò facile a disgregarsi. Detti strati calcarei potenti una quindicina di metri, concordanti ancb’ essi con i sedimenti sottostanti e che terminano in alto la serie pliocenica, non si trovano nelle vallecole circostanti, probabilmente perchè furono portati via dalla denudazione. Il Poggio Foriere, l’altura di Case pietrerosse, il Poggio dei Santi e da ultimo il Piano Farruggi costituiscono un allineamento che si pro- lunga fino a spingersi entro un’insenatura formata dai calcari che ho già detto essere più antichi delle marne calcaree (trubi) del pliocene inferiore non solo, ma eziandio delle marne del miocene superiore. Considerevolmente estesa e potente è la formazione dei calcari testé ricordati. Si sviluppa a N. tra Licodia e Vizzini e, a detta del Trava- glia, affiorando lungo la catena delle Iblee si prolunga fin quasi a Si- racusa. Io l’ho seguita nei territorii di Yizzini, Licodia-Eubea, Monterosso- Almo, Giarratana, Chiaramonte e Kagusa, e ovunque è costituita di calcari alternativamente compatti e marnosi (forte e franco) formanti montagne e colline a scaglioni. Questi calcari in prossimità di Monte- rosso-Almo poggiano sui calcari compatti con concrezioni di focaia bianca i quali, alla loro volta, come ho già detto, soprastanno ai calcari a Spliaenilites. Scarsissime vi sono le tracce degli organismi avuto riguardo al no- tevole loro sviluppo; ma nondimeno lunghe e pazienti ricerche mi hanno permesso di raccogliere, segnatamente negli ex-feudi Calaforno, Donna- scala, ed in generale nelle vicinanze di Giarratana, un discreto numero di fossili tra i quali ho ravvisato delle forme che mi hanno tenuto per qualche tempo dubbioso se gli strati che le contenevano dovessero ascri- versi alla formazione miocenica, o ad un’epoca più antica. Nel passato luglio il professore Capellini e l’ ingegnere Giordano • dopo d’avere percorso una buona parte dell’isola affine di rivedere i la- vori di rilevamento eseguiti in Sicilia dagl’ingegneri geologi, fecero una escursione a Yizzini ed a Licodia-Eubea. In quell’occasione il chiarissi- mo geologo deU’Università di Bologna visitando il mio gabinetto paleon- tologico si fermò ad esaminare con speciale accuratezza i fossili dei cal- cari compatti e marnosi di cui è parola, e mi fece notare la corrispon- denza delle Lucine ed altre bivalvi con quelle del macigno di Porretta, osservando in pari tempo che vi erano Aturie ed echinidi come quelli della melassa miocenica bolognese. Così fatta relazione di somiglianza tra alcuni fossili del calcare ad echinidi e modelli di grandi bivalvi nella regione S.E. di Sicilia, e quelli — 499 del macigno con bivalvi (Lucina) dell’ Appennino bolognese è di non poca importanza potendosi venire, come mostrerò in appresso, a delle con- clusioni rilevantissime. 1 calcari compatti e marnosi poggiano, come ho già detto, sul cre- taceo superiore; ma in nessun luogo io li ho trovati sottostanti ad al- tre rocce ; nè al Travaglia sembra essere occorso differentemente, poiché afferma che essi affiorano lungo la catena delle Iblee ove li ha forse seguiti. Scarsissimo è il numero dei resti organici che contengono, sicché ben di rado mi è riuscito di vedere coronate d’un soddisfacente successo le lunghe corse geologiche. Le Aturie non sono infrequenti; però gli esemplari s’incontrano in uno stato di cattiva conservazione: più abbon- danti si ritrovano gli echinidi, fra i quali vi sono delle forme molto im- portanti, ed i modelli di grandi bivalvi. Questi fossili si possono con ragione considerare come i più carat- teristici, non solo perchè raggiungono il maggiore sviluppo numerico, e si raccolgono nelle contrade più disparate e più distanti; ma eziandio perchè hanno i loro corrispondenti nella lontana, analoga formazione deU’Appennino bolognese. A tre chilometri circa da Giarratana, e propriamente nelle cave appartenenti ai fratelli Mineo, il calcare tenero (franco) alterna con sottili strati di calcare duro compatto (forte), e nell’ uno e nell’ altro, ma in questo più che in quello, osservansi, interclusi letti e noduli di selce piromaca rossastra e bruna; altrove (presso il mulino di Cala- forno) scorgonsi in mezzo al calcare forte grossi noduli di focaia di co- lor giallastro. La presenza eccezionale della silice nei calcari ad echinidi e mo- delli di grandi bivalvi, in nessun modo confondibili coi calcari a selce piromaca del soggiacente cretaceo superiore, mi fa nascere il sospetto che i blocchi di selce trovati dal Travaglia nei profondi valloni di Ra- gusa e di Modica, ma non rinvenuti in posto, potessero provenire dagli stessi calcari nei quali sono scavati i sovra mentovati valloni, piuttosto che dagli strati del sottostante cretaceo, come opina il Travaglia, al quale probabilmente non è occorso di costatare la silice nei calcari della for- mazione di cui si discorre. Ed ora ecco l’elenco completo dei fossili raccolti nella estesa e potente formazione dei calcari compatti e marnosi (forte e franco) della regione S. E. di Sicilia. Carcharodon megalodon, Agass. Lamna sp. j I 500 — Squamme di pesce. Atiiria Attiri (Bast.) frequente. Xenopliora sp. Canceìlaria sp. aff. C. amoena, Ph. Cassidaria fasciata, Borson, comune. Cassidaria sp. aff. C. mutica, Michelotti. Cassis Nemnayri, R. Hoer. Cassis sp. Fidila sp. aff. F, geometra, Borson. Ostrea coclilear, Poli, rarissima. Ostrea nmtahilis? Desh. comune. Ostrea teniiiplicata? Seguenza. Fecten anconitanuni, Foresti, comune. Fecten sp. Fleuronectia duodecimìamellata, Goldf. Lima miocenica, Sism., rara. Limaea sp. Pinna sp. Modiola? L eda sp. aff. L. pellucidaeformis, R. Hoer. Limopsis anomala, Eichw. Lucina sp. aff. L. Wolfi? R. Hoer. Lucina pomum, Hoderlein, comune, forse Lucina Delbosii, Mayer. Lueina spini fera Montg., var. L. hiatelloides, Bast. Lucina Bronnii, Mayer. Astarte Neumayri, R. Hoer. Astarte Neumayri? R. Hoer. Veyius Brongniartii? Payr. Cytìierea erycina? Lamk. Tellina sp. Esemplari appartenenti alla medesima specie sono stati trovati nelle marne d’Ancona. Tellina sp. Tellina sp. Tellina sp. Solenomya Doderleini, Mayer, comune. Solenomya Doderleini ? Mayer, framm. Fholadomya alpina? Matheron. Fholadomya sp. Teredo Norvegica? Spengi. — 501 — Forma comune nel miocene medio di Calabria. Spatangus piistulosus, Wright. Cidaris Adamsi? Wrigbt. Hemiaster sp. aff. H. Cotteaui, Wright, non raro. Brissopsis Grateloupii? Sism. non raro. Schisaster Desorii, Wright, comune. Conoclypeus sp. Eadioli d’Echinide (indeterm.) Flabellum extensum, Michelotti, non raro. Oltre le specie enumerate sonovene parecchie altre che non hanno potuto essere definite, fra le quali cinque o sei forme di grandi bivalvi frequenti e molto importanti. La roccia a cui aderiscono taluni fossili, ad esempio il Flabellum^ è tutta costituita di Globigerine, la quale cosa ci dimostra che gli strati della formazione in questione si depositarono in un mare notevolmente profondo. Un esame, anche superficiale, della fauna testé esposta ci rende av- vertiti dello strano e singolare miscuglio di specie relativamente re- centi con tipi che richiamano alla memoria forme alquanto più antiche. Un fatto identico è stato constatato dal professore Capellini nei fossili delle marne compatte mioceniche dei dintorni di Ancona. Ecco in fatto quello che si legge a pag. 10 della sua bella ed in- teressante memoria sugli strati a congerie e le marne compatte mioceni- che dei dintorni d’Ancona, inserita negli Atti della R. Accademia dei Lincei : « Il fatto più notevole pel paleontologo che studia i fossili di que- ste marne compatte, calcari marnosi, molasse marnose (secondo le di- verse varietà che presentano nelle diverse località) è il miscuglio di specie relativamente recenti, e perfino attuali con tipi che si credereb- bero cretacei. Questo fatto degno della maggiore attenzione si rileva specialmente negli echinodermi, ecc « Lo Scarabelli riferì AVOstrea vescicularis della creta la specie che nel catalogo precedente è indicata come Ostrea cochlear e che aveva indotto in errore anche il Pilla ; probabilmente anche Pechino raccolto alle falde del monte dei Cappuccini e dallo Scarabelli indicato come una Ananchites ovata, sarà stato uno di quegli echini che, senza essere cretacei, ricordano i tipi caratteristici di questa formazione. » Siffatta corrispondenza merita particolare considerazione perchè con- corre a rendere più manifesta la rassomiglianza delle ora mentovate 502 — marne anconitane con i calcari compatti e marnosi ad echinidi e mo- delli di grandi bivalvi della regione S.E. della Sicilia. Questi calcari, come lo attestano i loro caratteri paleontologici, deb- bono essere ascritti al miocene medio, e propriamente ai piani Lan- gliiano ed Elveziano ; quindi si possono reputare sincroni delle marne mioceniche ad Aturia e Spatanghi deU’Anconitano e del Bolognese, alle analoghe del Piemonte e della Liguria, alle molasse marnose mioceniche del Modenese e del Reggiano, alla Leccese inf. tufacea, allo Schlier dei geologi austriaci, al calcare di Malta, alle marne rupeliane di Boom (Belgio), ecc. ecc. Intanto riesce impossibile di stabilire una qualsivoglia separazione fra il Langhiano e l’Elveziano, non solo perchè la più grande unifor- mità litologica si riscontra nella intera formazione ; ma ancora, e spe- cialmente, per la concomitanza àoìV Aturia Atiiri e della Solenomya Do- derleini, che sono i fossili che più particolarmente caratterizzano il piano Langhiano, con la Lucina ponium che si ritiene come la forma più importante dell’Elveziano. Anche gli echinidi e gli altri fossili enumerati formano una fauna sola ed indivisibile. Gli avanzi organici dei calcari di cui ora ho discorso si trovano riuniti in alcuni punti, in altri mancano totalmente. In generale sono scarsissimi avuto riguardo al grande sviluppo della formazione ed alla notevole potenza degli strati. Una simile osservazione è stata fatta dal professore Capellini per i fossili langhiani ed elveziani deH’Anconitano, e dal professore Carlo Mayer per quelli langhiani della Liguria centrale. « Pauvre en fossiles en général, et semblant mème au premier abord n’en point contenir des tout, le Langhien en renferme cependant en abondance à tous les niveaux, mais par couches ou nids éparpillés et en général d’assez petite taille ^ » Nella potente formazione dei calcari alternativamente compatti e marnosi ad Aturia, echinidi, modelli di grandi bivalvi, ecc. estendentisi nei territori di Licodia-Eubea, Monterosso-Almo, Giarratana,Chiaramonte, Ragusa, non sono rappresentati altri piani all’infuori di quelli già no- minati : il Langhiano e l’Elveziano. Tanto negli strati più antichi, quanto in quelli più recenti si ri- scontrano sempre i medesimi fossili intimamente associati. Questo fatto, in concomitanza degli altri già esposti, mentre rende impossibile la se- ^ Chaeles Mayer, Sur la géuloyie de la Ligurie centrale^ etc. — Bulletin de la So- ciété Géologiqm de France^ 3. sèrie, t. V, p. 282, séance du 5 février 1877. — 503 — parazione dell’Elveziano dal Langhiano, ci dimostra evidentemente la non esistenza, nella formazione dei calcari di cui si discorre, del Tor- toniano e del Sarmatiano. Fin dal 1879 io avvertii per il primo la presenza di questi due piani nei dintorni di Licodia-Eubea, e d’entrambi m’ intrattenni a di- scorrere neH’ultima mia nota sulla formazione gessosa del Vizzinese e del Licodiano inserita nei primo fascicolo del Bollettino di quest’anno. Il Sarmatiano costituito di marne giallognole alquanto compatte mostrasi assai limitato in estensione ed in potenza, nè altri fossili io vi rinvenni all’infuori d’alcuni frammenti d’echini, e di numerosi esem- plari di Nassa semistriata, Brocc. Ben più abbondante è il patrimonio paleontologico delle marne grigio-cenerognole del Tortoniano, e tuttoché in esse non sia ancora riuscito, e forse non riuscirà giammai di raccogliere i fossili veramente caratteristici della formazione quali V Ancillaria glandi f or mis, la Bardita Jouamieti, il Buccinum miocenicum ecc., per motivi che mi riserbo di esporre in altra occasione, purnondiineno ebbi la fortuna d’imbatternii in altri avanzi organici propri del Tortoniano, e potei agevolmente con- vincermi che le marne grigio-cenerognole a Pleurotomidi per la loro stratigrafica posizione, per i loro caratteri litologici e più ancora per la fisonomia della fauna che contenevano dovevansi senza alcun dubbio ri- ferire al piano Tortoniano. Ora tanto questo, quanto il Sarmatiano si trovano in stretta con- nessione con la formazione gessosa, ultimo membro del miocene supe- riore, e si distinguono nettamente dai calcari compatti e marnosi del miocene medio dai quali si differenziano per i caratteri paleontologici e litologici, e con i quali, per quello che io so, non hanno nè anche di comune le località dove finora sono riuscito a discoprirli. Kesta quindi assodato che nella potente formazione di calcari al- ternativamente compatti e marnosi ad echinidi e modelli di grandi bi- valvi occupanti una buona parte della regione S.E. della Sicilia, e pro- priamente i territorii di Licodia-Eubea, Monterosso-Almo, Griarratana, Chiaramente, Ragusa, sono rappresentati i soli piani Langhiano ed El- veziano, nè vi è alcuna traccia del miocene superiore. Che se del resto abbiamo incontrato una qualche specie non estranea al Tortoniano non solo, ma eziandio a più recenti formazioni, abbiamo pure dovuto con- statare delle forme che si crederebbero cretacee, donde il fatto note- volissimo precedentemente esposto. Merita considerazione la corrispondenza delle grandi bivalvi del miocene medio della regione S.E. della Sicilia con quelle del macigno — 504 — di Porretta. Siffatta osservazione si deve, come ho detto innanzi, al Prof. Capellini, il quale però non ebbe agio di confrontare diretta- mente i miei fossili con quelli coi quali li giudicò identici. Se un dili- gente studio comparativo rafferma l’opinione del dotto professore della Università di Bologna, allora non potendosi revocare in dubbio 1’ età miocenica del calcare ad echìmidi e modelli di grandi bivalvi della re- gione S.E. della Sicilia, perchè ci viene rivelata da un complesso di fatti d'indole paleontologica, si è indotti a credere: 0 che il macigno deU’Emilia e della Toscana non è da riferire al così detto piano nummulitico dell’ eocene, la quale cosa non mi sem- bra possibile essendo stati rinvenuti nella formazione di cui è parola Nummuliti e forse altri fossili caratteristici del terziario inferiore. 0 che il macigno di Porretta con modelli interni di alquante grosse conchiglie di mare non è coetaneo, ma più recente della potente formazione del macigno dell’Appennino toscano e bolognese, laonde es- sendo questo eocenico, quello dovrebbesi ascrivere al miocene inferiore 0 medio. Questa seconda supposizione è, a mio credere, quella che meno si discosta dal vero, ed è avvalorata da una certa relaziono di somiglianza tra la fauna del macigno di Porretta " <^uella dei calcari alternativa- mente compatti e marnosi ad echimidi e modelli di grandi bivalvi della regione S.E. della Sicilia, e dal fatto significativo della totale mancanza nella formazione del macigno dei fossili caratteristici delle cave di Porretta. E qui mi sia concessa una parola di sincero ringraziamento ai chia- rissimi geologi delle Università di Bologna e Messina, prof. Gr. Capel- lini e prof. Gr. Seguenza pel gentile concorso prestatomi nella determi- nazione delle specie di già enumerate. Con la scorta di questi fossili io ho potuto stabilire incontestabilmente l’età miocenica dei calcari alter- nativamente compatti e marnosi ad echimidi e modelli di grandi bivalvi della regione S E. della Sicilia, e guidato dai caratteri paleontologici e da non dubbie analogie li ho rapportati indivisamente ai piani Langhiano ed Elveziano essendo promiscue le forme caratteristiche dell’ un piano e dell’altro. Con eguale certezza sono riuscito di assegnare al cretaceo i calcari bianchi compatti con interclusioni di letti e noduli di selce piromaca assai sviluppati nella medesima regione dell’Isola; ma non ho avuto dati bastevoli per dedurre con l’esattezza desiderabile a quale piano i detti calcari meritano di venire riferiti atteso lo scarso numero dei loro fossili, e la raccolta esigua che dei medesimi ho potuto fare. Però è probabile che essi spettino al cretaceo superiore, e questa verisimiglianza ,'Nn Anno 1880 Oiv. V. 1 LIT. BRUNO E SALOMONE, ROMA — 505 — si muterebbe ben tosto in certezza qualora l’esame microscopico dello spongiario silicizzato rinvenuto nei calcari dei quali si discorre, ed ora esistente nel Museo Geologico della R. Università di Napoli, venisse a confermare la determinazione fattane giudicando dalla forma. Comunque sia, io sono pago, non solanientte d’ avere raggiunto lo scopo che mi proposi nello scrivere la presente Nota, ’ ma eziandio di avere sollevato qualche dubbio, rettificato alcuni errori. IL La Sezione di Licodia Eubea e la serie dei terreni nella regione S. E, di Sicilia, nota seconda dell’Ing. Riccardo Travaglia. Nella noterella su questo argomento, inserita nel N. 5-6 del Bollettino di quest’anno, mi era riservato di pubblicare l’elenco dei fossili, raccolti nei terreni di quella sezione, e allora non ancora determinati. Ecco gli altri fossili del pliocene di Catalaria, col quale comincia a N. 0. la sezione, gentilmente determinati dal Dr. L. Foresti della Uni- versità di Bologna, per incarico del Prof. Capellini : Murex hrandaris L. » trunculus L. » craticulatus Br. ^ Aveva già terminato di .scrivere il presente articolo, ed era sul punto di spedire il manoscritto al R, Comitato Geologico, quando mi giunse una lettera del professore G. Capellini in data 22 dicembre 1880. Sono lieto di potere fedelmente riportare un brano della medesima avente rela- zione con quello che ho detto poco sopra circa l’età vera da assegnarsi al macigno di Porretta: « Dopo le cose viste in Sicilia e nuove ricerche fatte nel Continente, ritengo il macigno di Porretta molto più recente di quanto si credeva e di quanto bo ritenuto fino a qualche mese addietro. Si tratta di miocene medio, o tutto al più di miocene inf. porzione superiore ? » Sommamente importanti sono le conclusioni alle quali è giunto il chiar. geologo deirUniversità di Bologna in seguito ad uno studio diligentissimo. Nessuno meglio di lui può essere competente nella questione di cui si discorre, ed a lui spetta il me- rito d’ avere dissipata un’ erronea credenza la quale è stata finora generalmente ac- cettata. È quindi desiderabile che vengano presto riuniti in una Memoria e siano resi pubblici gli stridii del prelodato professore. Canceìlaria uniangulata (var.) Desh. JEuthria cornea L. Nassa reticìdata L. » serrata Br. » Cuvieri Payr. Cyclonassa pellucida Risso. Gassidaria echinophora Lk. Pleurotoma sp. Mangelia Vauquelinii Payr. Cypraea lurida L. ? Trivia Europaea Moutg. Natica sp. Cerithium rupestre Risso. Cerithiolum scabrum (var.) Olivi Turritella triplicata Br. Rissoa auriscalpium L. » crenulata Mich. » ventricosa Desin. Gibbuta fanulum Orni. » Fermoni Payr. ZizipMnus striatus L. » exasperatus Peno. Clanculus corallinus Orni. Fissurella costaria Bast. Patella ferruginosa Grml. Dentalium dentalis L. Tellina planata L. >> donacina L, » nitida Poli. Venus Rusterucii Payr. Gyiherea mediterranea Tib. Venerupis irus L. Astarte fusca Poli. Cardita sulcata Brug. » calyculata L. Loripes lacteus L. Diplodonta rotundata Montg. Cardium erinaceum L. » echinatum L. » oblongum Chmn. » tuberculatum L. — 507 — Arca barbata L. . Noae L. » tetragona Poli. » lactea L. Nucula nucleus L. Leda sp. A Francofonte, più a N. E. si trova del pliocene egualmente recente, nel quale, oltre a molte specie di questo e del precedente elenco, si tro- vano ancora le specie seguenti: Miirex congìobatìis L. Tellina pulchella Lk. Cardium paucicostatum Sow. Arca diluvii Lk. Sotto le marne del neocomiano, che affiorano alla parte inferiore del monte che è all’estremo S. E. della sezione, si trovano degli strati di calcare compatto, che costituiscono la parte inferiore delio stesso piano. In questo calcare mancano gli Aptyclms e scarseggia il Belemnites di- latatus, mentre vi abbondano gli ammonidi, difficili a separare dalla roccia e in pessimo stato di conservazione. Al primo elenco dei fossili del neocomiano, aggiungo i seguenti, .trovati nei pochi metri quadrati di queir affioramento di marne e calcari, studiati e determinati anche questi, come i primi, dal prof. Gremmellaro : Belemnites polygonalis Blainv. Haploceras grasianum d’Orb. frequente Acanthoceras angidicostatum d’Orb. Lytoceras sp. pross. al L. Buvolianum d’Orb, » subfìmòriatum d’Orb. Fhylloceras Morelianum d’Orb.? » Ronyanum d’Orb. > Gitettardi d’Orb. Oleostephanus incertus d’Orb. Nei calcari fissili che stanno tra il neocomiano e i calcari a selce soprastanti, i quali ultimi costituiscono per intero una estensione di 5 a 6 chilometri quadrati, trovasi qualche esemplare d’ una Terebratula indeterminabile. Sulla serie dei terreni miocenici, che cominciano a S. E. della se- zione e si estendono in tutta la regione S. E. della Sicilia per una su- perficie di circa 3000 chilometri quadrati, riservo di fare una dettagliata — 508 — descrizione a quando sarà studiato il considerevole materiale raccolto. La regione è intanto interamente rilevata, tranne per circa 200 chilo- metri quadrati al Capo Passero, e la serie stabilita con gli studi fatti sul luogo e la determinazione dei fossili di alcune località, fatta dal Prof. Gemmellaro, direttore scientifico del rilevamento geologico in Si- cilia, e dal Dr. De Blasii deirUniversità di Palermo. Ecco intanto un breve cenno sulla serie di tali terreni e sulla loro distribuzione nella vasta regione, da essi occupata. La serie corrisponde a quella di Malta data dal Euchs e comprende : una parte superiore, costituita di calcare di Leitha, calcare ad Heterostegine e marne di Baden ; una parte inferiore, costituita da una alternanza di calcari compatti e calcari marnosi, affatto simili questi ultimi a quelli dello zancleano. La sezione più completa si ha andando da levante a ponente da Palazzolo sin sotto a Chiaramonte. La cresta sulla quale giacciono Pa- lazz-olo Acreide e gli avanzi dell’antica Acre, è costituita da un calcare tenero del miocene medio, che, dai fossili finora determinati, corrisponde al calcare di Leitha. Sotto questa cresta, discendendo la falda sinistra del Tellaro, comincia una serie di strati di calcare, alternati con strati marnosi. Poco a poco questi ultimi si fanno più preponderanti, si passa a marne e ad argille, corrispondenti litologicamente alle argille mioce- niche del centro dell’isola e (dai fossili finora studiati) appartenenti pure al miocene medio. Nel letto del Tellaro affiorano, sotto le marne, dei calcari compatti in strati alternati con calcari marnosi, litologicamente identici a quelli che stanno sopra le marne. Tali strati costituiscono le creste delle col- line che sono sulla riva destra del Tellaro e sembrano rappresentare il passaggio dal miocene medio all’inferiore, se pure non appartengono decisamente a quest’ultimo. Le colline della riva destra del Tellaro sono formate ad anticlinale, cosicché gli strati che pendono tutti leggermente a S. E. si inclinano un pò a S. 0., verso l’Erminio, che succede, procedendo a ponente. Il letto delTErminio trovasi però su una sinclinale, in modo che sulla riva destra gli strati riprendono la pendenza generale verso S. E. Ne consegue che dentro l’Erminio si insinuano dal Nord le argille e il soprastante calcare del miocene medio sopradescritto, che costituiscono alcune alture dei dintorni di Giarratana. Anche le colline sulla riva destra dell’Erminio sono cosi costituite di straterelli di calcari compatti, alternati con strati di calcari marnosi e marne, disposti a scaglioni e in modo da parere appena appena ab- — 509 — baiidonati dal mare. E su queste colline di Scorzonara, Calaforno, ecc., che si trovano molti modelli di grandi bivalvi. Sotto tali calcari marnosi comincia la serie dei terreni inferiori costituiti di strati di calcare abbastanza potenti, separati da piccoli straterelli di calcari marnosi e talora di una roccia che pare una sab- bia a elementi calcareo- marnosi. Questi strati, che pendono sempre verso S. E. raggiungono la massima loro elevazione sopra Chiaramonte a quasi 1000 metri sul mare, e contengono rognoni e lenti di selce. Ancora a ponente i calcari inferiori si mostrano affioranti in tutta la loro potenza di 4 a 500 metri, e sotto di essi affiorano in un vallone sotto Chiaramonte i calcari a straterelli di selce, identici a quelli in- dicati nella sezione di Licodia. La parte più bassa dell’ affioramento, dove corrisponde la rottura del grande sollevamento di questa regione, è coperta dalla formazione pliocenica di Vittoria, corrispondente a quella di Catalaria, colla quale termina a N. 0. la sezione di Licodia. La sezione da Palazzolo a Chiaramonte, con piccoli spostamenti, si ripete in direzione da levante a ponente, sia montando verso nord sino alla regione dei basalti, sia scendendo verso sud, sin quasi al mare afri- cano. Le varie formazioni costituiscono delle strisele da nord verso sud e quindi una serie di catene, separate da profonde vallate, percorse queste ultime dai corsi d’acqua principali. E così che facilmente si con- cepisce la distribuzione dei varii piani in questa regione. Dalla vasta regione dei basalti, che trovasi a mezzogiorno della pianura di Catania, e i cui punti più elevati sono Monte Attore, tra Vizzini e Licodia, e Monte Lauro (quasi 1000 m.) presso a Buccheri, si staccano le tre catene di monti, detti delle Iblee. La catena occidentale si stacca dal Monte Attore verso S. S. 0. e arriva sino al mare al Capo Scalambri. È sotto questa che affiorano i calcari neocomiani e gli altri calcari, più antichi del miocene; ma essa •è tutta costituita dai calcari del miocene inferiore. Dalla cresta della catena comincia un grande altopiano inclinato a S. E. solcato da varii corsi d’ acqua pressoché paralleli, tra i quali TErminio, lungo il quale si ha sempre una sinclinale; sulla riva sinistra di esso delle colline ad anticlinale. Questo altopiano finisce al fiume Teli aro, che separa questa formazione dalla seguente. Verso mezzodì i gli strati non si immergono però tutti nel mare, ma in molti luoghi si terminano a picco, come ad esempio alle falaises di Spaccaforno, cre- dute terrazze postplioceniche dal Lyell; da tali picchi al mare si esten- ' dono formazioni posteriori, che si insinuano talora tra i calcari, e la : cui serie corrisponde a quella del centro dell’isola, dai gessi del miocene m. — 510 — superiore, ai trubi, argille, calcare grossolano e sabbie del pliocene, sino alla panchina quaternaria. Tutta la regione a sinistra del Tellaro, è costituita dai terreni del miocene medio e consta di due catene, le vere Iblee degli antichi, che partono dal Monte Lauro e sono separate dall’Anapo. L’una, l’Iblea intermedia, va da nord a sud, da Buscemi, Palazzolo sin quasi a Noto, e inclina poi verso S. E. arrivando sino alle Fontane bianche. La cresta della catena e 1’ altopiano a levante son costituiti di calcare di Leitha, del quale 1’ ultima località offre pietra eccellente e molti fossili. La falda verso il Tellaro è costituita di marne e calcari marnosi. L’Iblea orientale, P. maggiore degli antichi, o M. Megara, scende per Sortine, Melilli, Belvedere dal M. Lauro verso S. E. sino ai Cappuc- cini di Siracusa. Essa è tutta costituita di calcari del miocene medio, dei quali l’ inferiore è un vero calcare a Heterostegine identico a quello di Malta ; ma, verso levante, affiora per parecchi chilometri di estensione l’eocene inferiore, rappresentato da un calcare nummulitico, identico a quello del Capo Passero, sotto il quale, come in quest’ultìma località, affiorano V ippuritico e i basalti antichi. Il territorio di Noto, la valle dell’Anapo, la costa a levante delle Iblee sono pure costituite di terreni del pliocene recente e quaternarii. Th. Fuchs ha già illustrati gli strati sarmatici dei Cappuccini e del Plemirio; anche l’isola, su cui giace Siracusa moderna, che Fuchs indica tutta per pliocenica, e qualche altro punto della costa, sono costituiti in massima parte di oolite finissima o di calcare milliolitico dei più recenti piani del miocene. Ma a dirne più in dettaglio mi riservo, come ho detto, a quando tutto il materiale raccolto sarà stato convenientemente studiato, e potrò corredare la descrizione dei singoli piani coll’elenco dei fossili relativi. K. Travaglia. HI. Il Tortonicmo e i suoi fossili nella Provincia di Bologna. per A. Manzoni. Un eccezionale risveglio negli studi geologici della Provincia di Bologna sembra essersi verificato in quest’anno che volge al suo fine. Sia stato r approssimarsi del Congresso geologico internazionale, sia stata la smania di precipitare l’annunzio di qualche novità mal pondo- -- 511 — rata ; certo è clie l’anno 1880 dovrà venir annoverato fra i più produttivi in fatto di annunzi di scoperte geologiche in questa nostra Provincia. E chi si occuperà un giorno di seguire cronologicamente lo sviluppo storico di questi studi (in una regione intorno alla quale dal 1830 in qua sono state scritte non meno di 80 pubblicazioni), constaterà questo fatto, e ne giudicherà con mente imparziale. A questo eccezionale risveglio di studi e di ricerche geologiche ho preso parte anch’io ; ed anch’io sono venuto a capo di una scoperta che mi sembra sia di qualche importanza per la geologia e paleonto- logia del nostro territorio. Comincerò dal premettere alcune notizie sull’argomento che mi propongo di sviluppare. Esiste nella Provincia di Bologna una vasta e potente formazione conosciuta dai geologi del luogo più spesso col nome di molasse quar- zose succinifere di Loiano, di Vado, di Monzuno, ovvero con quello di puddinghe quarzose o granitello di Burzanella e di Carpineta; a se- conda che appunto questa formazione è stata studiata in questa o quella delle sue principali varietà litologiche e nelle diverse località. Io ne ho già parlato a lungo nel mio opuscolo La Geologia della Provincia ài JBologna 1880^ in principio del capitolo YI ; e non starò qui a ripe- tere quanto ne ho scritto indicandone le principali varietà litologiche, accennandone i rapporti stratigrafici, limitandone la distribuzione topo- grafica e riferendone l’età al miocene medio. Bensì mi limiterò ad aggiun- gere qui talune necessarie spiegazioni. Se io ho presa l’iniziativa in modo esplicito e deciso di riunire in un sol corpo di terreno le molte varietà di questa formazione, conglo- bandone i principali tipi delle sabbie micacee, delle molasse quarzose e della puddinga cicerchina, detta anche granitello, ciò 1’ ho fatto per ragioni petrografiche e stratigrafiche, ma non già per ragioni paleon- tologiche, giacché quest’ ultime fino a tutt’ oggi hanno fatto assoluta- mente difetto. Petrograficamente io aveva notato che fra le molasse quarzose di Vado e di Loiano ed il granitello di Burzanella non si riscontrava gran divario di materiali costitutivi; essendo che questi fossero princi- palmente composti di granuli o ciottolini di quarzo grasso, di roccie calcareo-arenacee dell’ Appennino, ed eccezionalmente da ciottoli e frammenti rotolati di roccie preappenniniche cristalline (o a tipo alpino che dir si voglia), come di granito, porfido, micaschisto e feldispato roseo. Stratigraficamente aveva osservato che in taluni luoghi tutto que- st’insieme di varietà litologiche si vedevano riprodotte 1’ una appresso all’altra con un contegno estremamente variabile ed incostante, e che in fondo tutta questa formazione riposava senza apparente discordanza 34 — 512 — e senza confini definiti sopra un potente deposito di marne argillose scure, estremamente friabili ed inconsistenti, al tutto spoglie di fossili. Aveva di primo tempo riscontrate queste condizioni nei monti di Africo e Borgo d’Africo e nel bacino del Rio Maranella sulla sinistra di Reno di contro alla Stazione di Riola, e più tardi anche in Yal di Setta presso la Quercia, ed in tutto il gruppo montuoso che s’interpone fra Setta e Reno. Senonchò, quanto alla natura di questo sottostante de- posito di argille scure non mi fu possibile rinvenirne notizia nelle pubblicazioni di geologia locale ; e quanto alla mancanza di fossili dovetti rassegnarmi a ritenere, sulle asserzioni del Bombice! e del Ca- pellini, che le molasse quarzose di Loiano e di Scanello fossero succi- nifere, e constatai io stesso sulle indicazioni del Santagata che nei din- torni di Pietra Colora queste molasse contenevano dei legni carbonizzati e silicizzati, dei quali era dato raccoglierne buon numero in posto e lungo i torrenti Anevo e Marrano. Tanto che al momento di scrivere il mio sovracitato opuscolo io ho chiamate succinifere queste molasse, ed ho espresso in buona fede il concetto che probabilmente provenivano da queste molasse i tronchi di Cicadee fossili trovati erratici nel fondo dei nostri torrenti, e delle quali la vera provenienza sfida tuttora le ricerche dei geologi. Quanto ai rapporti strati grafici cogli altri terreni, ho scritto che dove queste molasse si trovano in contatto collo Schlier, questo è sempre immediatamente soprastante, come è facile osservare nei frequenti con- tatti di queste due formazioni ; quali contatti si possono osservare nella regione montuosa che sta a sinistra di Reno a partire dal torrente Yenola in su, ed in quella interposta fra Reno e Setta circa da Ignano risalendo verso Montovolo. Per quel che concerne 1’ origine ed il modo di formazione, aveva senz’ altro scartata la fantastica ipotesi del Santagata, il quale si è compiaciuto di affidare a delle sorgenti geyseriane ed a non so quali mai altri strani sobollimenti l’accùmulazione di questo esteso deposito di materiali detritici. Invece consideravo in genere col Bianconi, col Capellini e col Bombice! queste molasse e queste puddinghe quarzose come deposito di mare litoraneo, derivato per forza di azione ondosa dallo sfacelo di roccie preesistenti appenniniche e preappenniniche. Anzi in questo concetto mi era confermato per avere negli ultimi tempi rac- colte alcune conchiglie marine nella puddinga quarzosa di Vado; conchiglie che io tenevo in massimo pregio di rarità. Tali essendo le mie cognizioni intorno alla formazione delle mo- lasse quarzose, io credetti allora dovermi uniformare all’ opinione pre- valente fra i geologi di questa Provincia riferendole al miocene medio : 513 — e quanto alle argille scure, fissili che aveva osservate costantemente alla base delle molasse, in mancanza assoluta di criteri paleontologici, pensai bene di riferirle al miocene inferiore. Senonchè, occupato più che altri mai a risolvere per il tempo del Congresso geologico internazionale tutte le questioni pendenti nella geologia di quella Provincia, e più che altri mai persuaso che non sa- rebbe onorevole il non saper render conto, se non pur del valore geo- logico, dell’ esistenza almeno di due fra le più potenti ed estese forma- zioni del nostro territorio, — io mi sono data la pena nell’estate scorso di esplorarle in tutte le direzioni, e sono riescilo dopo molte ricerche a veder coronati i miei sforzi. Mi trovava assieme al mio amico il Conte Francesco Masse! lungo il corso deiridige subito al di sopra del Monte delle Formiche, quando, ricercando con insistenza le argille scure, friabili, le quali stanno sotto alle molasse quarzose di Monterenzo e di Cassano, notai che queste in taluni punti contenevano delle piccole conchiglie. Verificai però nello stesso tempo che questi scarsi fossili non appena estratti andavano perduti assieme al pezzo di argilla che non tosto venuto in contatto dell’aria ed essicato si riduceva in un pugno di polvere. Dopo inutili tentativi per conservare questi preziosi fossili, mi persuasi assieme al mio compagno che non saremmo così presto riesciti ad ottenere dei ben conservati esemplari finché avessimo avuto che fare con delle argille infiltrate di umidità. Ci siamo quindi applicati ad esplorare col martello alla mano quei precipitosi scoscendimenti di argille che s’incontrano lungo i burroni ed i torrenti che scendono dalle colline di Cassano e dalle falde meridionali del Monte delle Formiche; e final- mente in un punto assai ristretto (della preziosa ubicazione del quale conserviamo per ora il segreto, a fine che altri non si faccia pavone colle nostre penne), dove si scoprono dette argille accidentalmente pro- tette contro l’infiltrazione dell’umidità, noi abbiamo avuta la buona fortuna di raccogliere delle belle Ancillarie assieme a buon numero di altre conchiglie, di echinidi, di coralli e foraminifere di tipo essenzial- mente tortoniano e tale da farci apparire chiara come la luce del sole la significazione geologica di queste argille. La nostra buona fortuna e la nostra compiacenza è stata completa quando, risalendo verso la fronte dirupata e lungo i fianchi del Monte delle Formiche, abbiamo constatato che queste argille passavano per gradi di successive varietà litologiche ed una roccia puddingoide for- mata pressoché esclusivamente di granuli di quarzo, come nelle più tipiche varietà di Vado, Monzuno e Loiano; e quando abbiamo riscon- — 514 — trato che questa melassa quarzosa conteneva le stesse Ancillarie e molti altri fossili a tipo egualmente tortoniano. Kisoluto così d’un colpo il problema geologico delle argille e delle molasse quarzose, ho pensato prima di pubblicarne i fossili di sotto- porli al giudizio ed alla revisione di qualche paleontologo di compe- tenza speciale ed incontestabile; ed a questo tìne io li ho trasmessi al mio amico Tb. Fnchs del Gabinetto mineralogico di Corte in Vienna ; il quale me li ha ritornati col catalogo rivisto e corredato dalle se- guenti annotazioni : Fossili delle argille tortoniane del Monte delle Formiclie poste sotto alle puddinghe quarzose. Molluschi. Ancillaria glandiformis^ Lam. Ancillaria obsoleta. Brocchi. Marginella marginata, Bon. Bulla sp. cf. clathrata, Duj. Fidila condita, Brong. Cassidaria cf. echinophora. Cassidaria sp. n. Natica millepunctata,^dim. Turbo fìmbriatus, Borson. Bentalium intermedium, Horn. jun. Bectcn duodecim-lamellatus, Bronn. Neera sp. n. Limopsis anomala, Eichn. Leda pellucida, Phil. Tellina sp. Echini. Schizaster. Brissopsis. Hemipneustes italica, Manz. e Mazz. COKALLI. Flabellum cf. Boissianum, M. Edm. Balanophyllia sp. Eoraminifere. Lingulina costata. Cristellaria cassis. Cristellaria calcar, var. clathrata. — 515 (1) « Die Fauna stimmt ganz und gar mit derjenige des Badner Tegels iiberein, u. z. sowohl Molusken * als Korallen und Foraminiferen. Die 3 Foraminiferen sind gerade diejenigen, welche Herr Karrer fiir die bezeichnendsten des Badner Tegels bali Irn Wiener Becken liegt der Badner Tegel allerdings regelmassig iìber den Grunden Schichten nach- dem aber beide im Tortonien geboren, so ist es wohl nicht allzu auf- fallend einmal das ungekehrte Verhaltniss zu finden. Wielleicht ist Ibr Badner Tegel auch in der That um ein Geringer alter |als der unse- rige, woflìr auch das Yorkommen von Bentalium intermedium sprechen wiirde, welches bei uns bisher nur im Schlier gefunden worden ist. Je- denfalls gehoren die Mergel aber noch im Tortonien. » ( * Mit einziger ^.usnahme des Bentalium intermedium Horn. jun., welches bei uns bisher nur im Schlier gefunden worden ist ; dodi ist diese Art dem Dent. Bouei aus dem Badner Tegel so ànhlich, dass darauf wohl kein grossen Ge- wicht gelegt werden kann). Fossili delle molasse quarzose tortouiane del Monte delle Formiclie poste sopra alle argille. Molluschi. Ancillaria glandi formis ^ Lam. Turbo carinatus^ Borson. Conus Buseìii, Micht. Conus Tarhellianus, Grat. cf. Pleurotoma calearata, Grat. Trochus patulus, Brocchi. Turritella Archimedis, Horn. non Brong. Bulla n. sp. Lucina miocenica, Micht. Lucina incrassata, Dub. Venus marginata, Horn. Venus multilamella, Lam. Leda nitida, Bronn. Cardium Turonicum, Mayer. Mytilus Haidingeri.'RòYn. (— My. Aguitanicus, Mayer?) Pecten cf, Besseri, Andrz. Pectunculus pilosus, Lin. (1) Ho riprodotto in tedesco le annotazioni favoritemi dal Fucbs. coralli raccolti nella zona di transizione fra le molasse 0 le argille tortoniane. CaryophylUa, sp. Caryophyllia inops., Reuss. Acanthocyathus VindohonensiSj Reuss. Acanthocyathus, sp. Ceratotrochiis multiserialis, Micht. Balanophyllia, sp. JBalanophyllia, sp. «Die Fauna entspriclit vollstàndig derjenigen von Girund u. Nie- derkreuzstàtten, welche idi der 2ten Mediteranstufe oder dem Torto- nien zuredine. Es sind Stiick fiir Stiick die bezeichnendsten und hàufig- sten Arten dieses Horizontes. Besonders hervorzuheberi ist Mytilus Rai- diriger welcber eigentlich den tiefenen Hornerscbichten angehbrt, in Grund u. Niederkreuzstàtten aber im Tortonien vieder erscbeint. » Questi per ora sono i fossili ch’io ho potuto raccogliere nelle ar- gille e nelle molasse quarzose tortoniane del Monte delle Formiche. Questi sono più che sufficienti per stabilire l’età e la posizione di questi terreni fino ad ora ritenuti come privi di fossili, e quindi all’ azzardo inscritti fra i terreni miocenici. Ulteriori ricerche potranno aumentare il numero di questi fossili, e dar luogo anche alla scoperta di qualche nuova specie e probabilmente anche render possibile un lavoro mono- grafico intorno a questa fauna tortoniana. Ma in ogni caso non potranno mai cangiare questi primi e decisivi resultati. In questi sta il valore della scoperta da me fatta ; per questi si colma oggi una considerevole lacuna e si risolve uno dei più incalzanti problemi nella geologia della Provincia di Bologna. Non già che io voglia far credere che la scoperta di questa fauna tortoniana sia in sè stessa p.n9i cosa straordinaria, specialmente finché limitata ai materiali sopraenumerati ; giacché io so quanto altri che le faune tortoniane del Modenese, del Piacentino (Vigoleno) e del Forli- vese (Sogliano) sono tutte più ricche e non meno caratteristiche di que- sta. Bensì io intendo signifiare che tale importanza è relativa alla Pro- vincia di Bologna, e va misurata dalla luce che porta sopra una vasta estensione di terreni fino ad oggi completamente trascurati ed imper- fettamente conosciuti. Si aggiunga che non è di piccolo momento il veder riprodotti in questi nostri terreni gli stessi fossili, uno ad uno, che nel classico Bacino 517 — di Yienna caratterizzano le ben note località di Baden per rispetto alle argille, e di Grund e di Niederkreuzstàtten per rispetto alle molasse, secon- do quanto ci afferma l’autorevole Th. Euchs. Io non credo che questa per- fetta ripetizione di forme fossili di Molluschi, Coralli e Forarninifere si verifichi, o per lo meno sia ancora stata verificata, per i depositi tor- toniani del subappenninò dell’Emilia; e per giunta nutro speranza di poterne in seguito accrescerne 1’ evidenza ed aumentarne 1’ importanza numerica. Lo sviluppo di queste argille tortoniane (che colla loro inconsistenza e facilità allo scoscendimento simulano da lontano il contegno delle ar- gille scagliose) è sovrattutto assai esteso e messo a scoperto a [destra ed a sinistra della Zena e dell’Idige sotto Barbarolo, sotto Castelnuovo di Zena, alla Torre, alla Guarda ed alle Uccellare. Già su alcuni punti di queste località io ho rinvenute traccie di fossili tortoniani ; però è il caso qui di ripetere, che per queste argille la presenza dei fossili sembra essere eccezionale, e che ad ogni modo la conservabilità dei medesimi è a discrezione dell’estrema friabilità della roccia in causa dell’infiltrazione dell’umidità. Le argille sottoposte alle molasse quarzose dei monti sopra la Quer- cia sulla sinistra di Setta — quelle che ne sono la continuazione della Quercia nella direzione della nuova stazione ferroviaria delle P loppe sotto alle montagne molassiche poste fra Setta e Beno — quelle che si incontrano risalendo il torrentello che di contro alla stazione delle Pioppo sale alle colline di Malfolle, formate a mezzo corpo di molasse quarzose e coronate alla cima di Schlier — quelle che compariscono oltrepassato Labbante al disotto delle stesse molasse — quelle che s’incontrano nel fondo del Kio Maranella e che vanno fino sotto alle molasse di Africo e di Borgo di Africo — quelle infine che sporgono, sorpassate le ar- gille scagliose, alla base di Monte Vigese dal lato di Keno — tutte queste argille scure, friabili all’eccesso sono state da me esplorate senza che per ora mi abbiano gratificato della benché minima traccia di fos- sili. Non per questo la loro natura tortoniana e la loro attinenza alle soprastanti molasse quarzose può venir messa in dubbio. Quanto alle molasse mi preme anzitutto di affermare, a rettifica di quanto ne ho scritto sulla fede del Bombice! e del Capellini, che, cioè, queste non sono succinifere. Le ambre di Scanello, invece di prove- nire dalle molasse, provengono da arenarie abbondantemente micacee, scure, carboniose, fogliettate, molto contorte e laminate, le quali affio- rano nella vigna del podere delle Torri nella tenuta di Scanello di pro- prietà del sig. Cav. Luigi Loup. Questa roccia succinifera, detta cala- stro dai paesani, non ha alcun rapporto colla molassa quarzosa ; e rap- — 518 — presenta invece, a mio credere, una delle tante modalità litologiche assunte presso di noi dalla così detta Pietraforte, ossia dalia Creta su- periore deir Appennino. Questa Pietraforte cretacea si trova a scoperto presso di noi specialmente nelle regioni subappenniniche in associazione alle argille scagliose ; e nella regione in esame forma i gruppi mon- tuosi di Scanello verso Monghidoro, e può venir studiata in sezione naturale e nelle sue molteplici varietà litologiche lun'go la strada na- zionale da Loiano a Monghidoro, e meglio ancora attorno e sotto Quin- zano sulla via che da Quinzano scende in fondo alla Zena e passa oltre per condurre a Bisano. Questa Pietraforte cretacea è quella che forma il Monte Venere, dove io ho incontrato un bellissimo Inoceramo ; ed è quella da cui provengono le ambre di Castelvecchio di Sassuolo (visi- bili colla loro roccia incassante, identica a quella di Scanello, nel Mu- seo di Parma), V Ammonite trovata dal Mantovani alla Costa de’ Grassi nel Keggiano, e le placche palatine di Ticodus trovate nel Santerno presso Firenzuola dal Dott. G. Carli di quel paese. Questa a mio credere, è Punica Creta che si possa ammettere nel nostro Appennino ; e questa, alla guisa di quella tipica della cava di Monte Eipaldi presso Firenze, non contiene Glohigerine. come io ho potuto riscontrare sulle prepara- zioni microscopiche favoritemi dal Dott. Cardinali. Se le molasse quarzose non sono succinifere, per contro mi è avve- nuto di riscontare che frequentemente danno luogo a delle sorgenti di acque solforose, come, ad esempio, oltrepassato Vado lungo la nuova strada di Val di Setta, e come a poca distanza dalla chiesa di Scanello ed in fondo al torrente Zena. In genere queste meschine sorgenti sol- forose sembrano legate alla presenza nel corpo delle molasse di strate- relli di argilla plastica, sulla superficie impermeabile dei quali le acque mineralizzate possono scorrere senza disperdersi. I fossili delle molasse quarzose del Monte delle Formiche non sono in genere in uno stato di conservazione molto lodevole : il guscio ne è divenuto come se fosse farinoso e si disgrega al più piccolo tocco ed in alcuni casi è totalmente soppresso per modo che i fossili non sono più riconoscibili che al loro modello interno. Le Ancillarie sono sempre le meglio conservate, forse in ragione della maggior solidità e resistenza del loro guscio. I Molluschi bivalvi prevalgono di assai sui gasteropodi per il numero degli individui se non pure per quello delle specie. I coralli sono rappresentati da delle colos- sali colonie di Cladocora e da un gran numero di altri coralli semplici. Questi ultimi abbondano specialmente e sono meglio conservati in certi strati intermedi alle molasse ed alle argille, nei quali i granuli di quarzo sono impastati in una marna scura, qua e là carboniosa e leg- — 519 — germente fetida. Dove le molasse sono ricche di fossili rendono un odore bituminoso e graveolente sotto i colpi del martello. Fossilifere ({ueste molasse io per ora non le ho incontrate che oltre Vado, verso la Torre di Castelnovo di Zena e sopratutto al Monte delle Formiche. Quanto agli elementi di fauna che questa duplice formazione delle molasse e delle argille tortoniane può aver comune cogli altri terreni miocenici del Bolognese, mi occorre constatare che le prime hanno a comune colle molasse serpentinose a Echinidi (formazione litorale dello Schlier) il Conus 'Buschi e quei fusti bacillari e talvolta dicotomi, che s’incontrano così di frequente nello Schlier stesso e nella melassa a Echinidi ed anche nelle roccie calcareo-marnose (roccie a Glo'bigerine) del nostro Appennino e che sembrano legati alla presenza dei Taonurus in tutte queste formazioni. Per le argille tortoniane la comunanza di elementi di fauna collo Schlier e colla melassa a Echinidi è anche meglio dimostrata dalla presenza deìV Hemipneustes italica, della Fidila condita, del Pecten duodecimlamellatus, dalla Cassidaria echinophora e dal Dentalium intermedium (come per quest’ultimo ha fatto notare 10 stesso Fuchs) ; e ritengo anche da un certo numero di coralli, se la cattiva conservazione di quelli dello Schlier rendesse possibile il con- fronto. La conclusione di questa dettagliata esposizione è che la serie dei terreni miocenici deH’Appennino bolognése da me proposta nel sovraci- tato opuscolo va modificata portando le argille scure, fissili tortonione nel miocene medio, e lasciando libero il posto del miocene inferiore per 11 macigno appenninico e per il calcare fetido di Bargi e Monte Cavallo a Lucina glohularis Desh., a Aturia Morrisi, a Cuvieria (non Alveo- lina secondo il Capellini), a Glohigerina, ec. ec. Se la prima parte di questa conclusione è una novità, frutto delle mie scoperte, non è tale certamente quella che riguarda la miocenicità del macigno e del calcare a Lucina glohularis. In Toscana il prof. Me- neghini ha sempre attribuito al miocene inferiore il macigno ed il calcare fetido a Lucina di Dicomano e di Ticchio nell’Appennino di Mugello. Presso di noi il prof. G. Giuseppe Bianconi, con un presenti- mento che avrebbe meritato maggior considerazione da parte de’ suoi colleghi (me compreso), scriveva poco prima di morire in proposito della miocenicità del macigno : ^ « Iniziando intanto una opinione non ancor divisa dai geologi, debbo innanzi tutto premettere che per me il terreno miocenico puro ^ Bianconi Prof. G. Giuseppe: Considerazioni intorno alla formazione miocenica deU V Appennino. — Mera. delfAcad. delle Se. di Bologna, Sez. 3, voi. VICI, 1877. — 520 e semplice assume un orizzonte molto più largo di quello che gli con- cedano i nostri geologi. Per me entrano in questo corpo lo Schlier di Paderno, di S. Vittore, di Montardone, di Vedriano e di Maranello, di Montecuccolo e de’ luoghi affini; la molassa di Vergato, i macigni di Porretta e di Granagliene ; le dune arenacee di Monzuno, di Montecuc- colo, di Gaiato, e le sabbie, ghiaie e molasse di Loiano e di Vado ; non escludo per ultimo il macigno di Sestola e del Cimone. Non faccio illusione a me stesso, nè so occultarmi che questi ravvicinamenti, gli ul- timi in specialità, figureranno senza dubbio alla mente dei geologi come gratuite e imaginarie supposizioni, in disaccordo dello stato attuale della scienza. Ma a sostegno di questa unità sì estesa del miocene appen- nino non mancano prove, e molte. » Io mi propongo di esporre in altro mio scritto le prove paleonto- logiche ultimamente raccolte della miocenità del macigno, e quelle che danno unità e complessione al gruppo dei nostri terreni miocenici. In- tanto riproducendo queste linee, che mi suonano aU’orecchio come il canto del cigno morente, mi par di render giustizia ad un uomo che, con tanto amore, e sopratutto con tanta modestia, ha coltivata la geo- logia del suo paese. Bologna^ decemhre 4880. IV. Sopra una sUlbite. del ghiacciaio del Myage (Monte Bianco)-, nota del Prof. Alfonso Cossa. Comunico i risultati dell’analisi eseguita sopra un minerale trovato dal Prof. Martino Baretti nel ghiacciaio del Myage e che io riconobbi essere stilbite (Desmina Breithaupt). Intorno al giacimento di questo minerale il Prof. Baretti mi comu- nicò le notizie seguenti: « Si trova in una fessura del gneiss all’eleva- zione di metri 3700 circa sulla costiera che dal ghiacciaio del Myage sale per VAiguille Grise verso il Dòme du Goiìter. L’andamento delia roccia in istrati quasi verticali od inclinati di 70"^ ad 80°; ad est 20° sud è a nord 25° est. Si dirige verso i Grands Mulets. La roccia presenta numerose fenditure oltre alla divisione per stratifieazione, fenditure generalmente oblique di 30° sul piano degli strati; è in una di queste fenditure che trovai a caso i cristalli del minerale ch’Ella riconobbe per stilbite. Alfonso Pavre nel suo lavoro geologico sul Monte Bianco dice che nella morena del Myage si trovano fra altri minerali dei granati, della fluorite incolora, della stilbite, della laumonite, e del mesotipo. » — 521 La stilbite del Myage è in masse fibrose e radiate di colore bianco, associate a pochi ma ben distinti cristalli di heulandite. Il minerale è perfettamente incoloro quando è in lamine sottili. La sua lucentezza è madreperlacea sulle faccie di più facile sfaldatura (100), e vetrosa nelle altre direzioni. La sua durezza è 3,5. La determinazione del peso specifico eseguita col picnometro diede i seguenti risultati alla temperatura di n- 15°. P 2,14 2^ 2,18 3^ 2,16 4^ ; 2,14 Media 2,15 Esaminato col microscopio polarizzante si mostra dotato di una doppia rifrazione molto energica, e presenta i caratteri di una sostanza trimetrica. Al cannello si gonfia in una massa vermicolare che fondesi in uno smalto bianco. Colora la fiamma in giallo rossastro, e coll’analisi spet- trale presenta solamente lo spettro del calcio. Esposto per alcune ore alla temperatura costante di 100 gradi perde parte della propria acqua di combinazione, che riprende parzialmente per la semplice esposizione all’aria. Si deacquifica completamente al calor rosso, trasmutandosi in una massa semifusa che non possiede più la facoltà di ricombinarsi col- l’acqua. Si decompone non troppo facilmente per l’azione dell’acido clori- drico con deposizione di silice polverulenta. L’analisi chimica quantitativa diede i risultati seguenti: Acqua 18,26 Silice 56,47 Allumina 17,09 Calce 7,74 Soda tracce 99,56 Calcolando la composizione teorica della stilbite si avrebbero le cifre seguenti: Acqua 1 7,23 Silice 57,41 Allumina 16,43 Calce 8,93 100,000 — 522 — Non conosco analisi di stilbite italiane (1) ; e confrontando le ana- lisi delle stilbiti di altre località indicate nelle opere del Dana e del Earamelsberg, si vede che colla maggior parte di esse concorda la com- posizione della stilbite del Myage. ESTRATTI E RIVISTE. 1. Sulle condizioni geologiche Nota di C. W. Giìmbel. (Da una Memoria inserita nei Bendiconti della R. Accademia delle Scienze di Monaco^ 1880). Dacché la geologia fu elevata a scienza i dintorni di Lugano non cessarono mai di essere oggetto d’ investigazione. Risulta però dalle Carte^ sin’ora pubblicate che, massime su certi punti, quali sarebbero quelli concernenti le masse porfiriche, la formazione fondamentale dell’in- tiera regione, il conglomerato di Manno e la dolomia di S. Salvatore, furono esternate opinioni disparatissime ; talché a dilucidazione dei me- desimi torna necessaria, come già pei dintorni del Lago di Como, una revisione da un punto di vista abbracciante una più ampia esten- sione di terreno alpino. Nella formazione fondamentale predominalo scisto, denominato tempo addietro micascisto, recentemente quarzite micacea, ovvero altresì scisto sericitico o scisto di Casanna. Complessivamente questo scisto presenta i caratteri della fillite extra-alpina colla quale ha comune altresì gli interstrati quarzitici, cloritici e. gneissici e perfino i grafitici, senza escludere però anche la locale frequenza di scisti a grande lucentezza micacea dai quali, come dal micascisto tipico, si possono staccare singole squamette di mica che sono flessibili senza rompersi, il carattere predominante però dello scisto di Lugano sta nell’ impossibilità di una tal separazione e nella mancanza di ela- sticità nei piccoli frammenti di roccia distaccabili. Anche il suo carat- tere chimico armonizza con quello delle filliti extra-alpine, risultando (1) Nel volume 2° pag. 117 della Mineralogia della Toscana del D’Achìardi, è pubblicata una analisi di una stilbite trovata nel granito di S. Piero in Campo (Elba) ed eseguita da un allievo del Prof. Bechi. Ma la soverchia quantità di soda (7 per cento), il difetto di allumina (9 per cento) e la presenza della magnesia (3 per cento) mi confermano il dubbio che questo minerale debba essere considerato come una specie nuova piuttosto che una stilbite. — 523 ~ dalla decomposizione parziale dello scisto mediante acido cloridrico una sostanza solubile simile alla filloclorite di quest’ ultime ed un residuo insolubile bianco, perlaceo, composto di quarzo e di sostanza micacea sericitica. AH’esame poi microscopico delle sezioni sottili lo scisto di Lugano presenta la stessa disposizione caratteristica degli elementi com- ponenti, che si riscontra nella fillite. Complessivamente adunque lo scisto in discorso tiene più a quest’ultima che non al micascisto ; dal mo- mento però che non esiste in natura una rigorosa distinzione tra filliti micacee e micascisti, poco importa dal punto di vista geologico se a quella od a questa classe di roccie vengano riferiti gli s£Ìsti cristallini di Lugano. Venendo da Bellinzona vedesi predominare il vero micascisto al- l’ascesa del M. Ceneri nella qual roccia venne praticata per massima parte la galleria ferroviaria. Gli strati, inclinati di 9 a 10 gradi verso sud-est, racchiudono frequenti banchi di roccia gneissica e quarzitica ; vi si rimarcano inoltre delle varietà più chiare, somiglianti ad eurite scistoide e contraddistinte da granati. All’altezza dello spartiacque verso il Lago di Lugano osservasi il passaggio graduato dello scisto ad una roccia quarzitica ed alla fillite con mutamento altresì di direzione ed inclinazione degli strati, circostanza che s’avvera replicatamente lungo il percorso, cosicché la giacitura non può dirsi costante. A Gasarago poi, ad est di Lugano, vedesi la fillite ricca di mica passare ad un di- stinto scisto anfibolico dioritico a stratificazione quasi concordante con essa; al piè del M. San Salvatore, tra Paradiso e S. Martino, la fillite micacea contiene intercalati degli strati nerastri grafitici. La roccia che immediatamente poggia sugli scisti descritti è il conglomerato bianco grigiastro di Manno che rinviensi al nord-ovest di Lugano sul margine della Val d’Agno presso Lamone. Dagli scarsi fos- sili vegetali che contiene lo si può giudicare appartenente al carboni- fero medio. È grossolano, a banchi potenti, a ciottoli di quarzo e di roccie primigenie, e per quanto ci risulta, privo di porfido ; singole intercalazioni arenacee includono piante fossili, già determinate dal Heer, e soltanto verso Gravesano è dato di riscontrare sopra di esso alcune roccie di più recente formazione, vale a dire, scisti arenosi, are- narie rosse e grigio-verdi, piene d’insolcature come quelle prodotte da litodomi, scisti argillosi di color rosso intenso corrispondenti al servino e marne sabbiose verdognole, esteriormente gialle per decomposizione atmosferica ; tutto ciò corrisponde a quel complesso di strati già da noi rilevato nell’ Alpi della Lombardia orientale al disopra degli Strati di Colìio ed indicato come Strati di Gróden e di Seiss, equivalenti al Buntsandstein, mentre il Conglomerato di Manno potrebbe equipararsi agli strati più bassi della formazione di Collio. Dunque anche sul Lago di Lugano le stratificazioni più basse, vale a dire meno recenti, costi- tituite prevalentemente da roccie carbonifere grigie, presentansi d’ordi- nario separatamente dalle più recenti, costituite principalmente dalla serie rossa. In connessione coll’arenaria rossa sta altresì una qualità retinitica di porfido rosso, rosso bluastro e giallognolo. Alla finite micacea anzidetta del M. San Salvatore s’appoggia con stratificazione discordante un potente sistema di roccie ; dapprima conglomerato rosso e quindi delle alternanze di arenaria rossa o vari- colore e di scisto argilloso rosso ; le arenarie rosse, manifestamente una formazione di spiaggia, includono un banco d’arenaria bianca a fossili vegetali il quale rammenta lo strato a piante fossili di Neuraarkt; tutte queste roccie somigliano in modo singolare a quelle del Bunt- sancìstein extra-alpino, i banchi inferiori del conglomerato racchiudono ciottoli di porfido, e con ciò differenziano essenzialmente dal Conglo- merato di Manno il quale sembra che qui sia mancante. Verso la parte loro superiore le arenarie passano a strati arenosi dolomitici discordanti, di color grigiastro e rossiccio {Strati di Seiss), e finalmente* a dolomia grigio-nerognola e chiara, con crinoidi ed altri fossili che la caratte- rizzano per appartenente al Musehelkalk. La circostanza poi che al M. San Salvatore lungo la strada da Lugano a Melide e sui cumuli di detrito lungo il versante si raccolgono oltre che a specie fossili del Mu- schelkalk molte altre appartenenti agli Strati di Esino verrebbe spiegata dal fatto che la parte superiore del monte suddetto a differenza del di lui piede settentrionale sarebbe costituita da dolomia di Esino ; questa e la dolomia a crinoidi sarebbero state portate ad immediato vicende- vole contatto da una dislocazione avvenuta lungo una grandiosa frattura di rigetto, principiante aH’incirca a S, Martino ed estesa in direzione sud-ovest traverso Carabbia e Figino-Brusimpiano : per tal fatto il cal- care nero di Varenna che di solito ricopre il Musehelkalk, ed altresì gli Strati di Berledo, se pur sviluppati, sarebbero rimasti soverchiati ed occultati. Le grandi masse detritiche che coprono il versante della mon- tagna rendono impossibile un’osservazione più diretta. Procedendo sem- pre verso Melide, sbuca fuori dal tritume un complesso di strati appar- tenenti probabilmente alla serie del conglomerato di Manno, fortemente alterati dal porfido nero che con essi si presenta alla superficie e continua a mostrarsi per un lungo tratto oltre Melide verso Morcote, finché appare, benché limitato, anche il tipico porfido rosso in filoni di varia forma, direzione e potenza traverso alla fillite micacea la quale perdura ostensibile lungo tutta la riva del lago da mezza via verso Mor- — 525 — cote sin presso Figino. Evidente è la pressione meccanica esercitata dalla roccia eruttiva sullo scisto cristallino per la quale questi appare ripiegato, rotto, contorto ; quanto poi all’ alterazione prodottavi per contatto, essa non può essere più constatata in causa della profonda alterazione secondaria esercitata lungo il contatto stesso dall’azione dell’acqua cir- colante, per la quale lo scisto venne trasformato in materia argillosa friabile. Presso Figino nell’insenatura montuosa che dal lago si dirige a Pambìo e Lugano incontrasi una roccia eruttiva rossa simile al por- fido rosso più comune, ma con una struttura cosi speciale da averla fatta ritenere per granito ; una roccia quasi identica rinviensi anche sulla opposta sponda a Brusimpiano e qua e là anche a Yalgana ed a Brinzio. All’incontro il porfido nero è più sviluppato dalla parte est e sud-est e specialmente a Maroggia e Bovio unitamente a filoni di por- fido rosso che lo compenetrano. Queste due qualità di porfido, rossa e nera, offrirono campo ad interpretazioni disparate sia circa 1’ età loro relativa, sia circa la fisica e chimica loro costituzione ; dimodoché ora riunite, ora distinte figurarono nelle Carte geologiche. Ultimamente le ricerche dello Studer, del Fischer, del Fellenberg e più ancora gli studi di Michel-Levy riescirono a stabilire sostanziali differenze fra le mede- sime sia di composizione che dì struttura e di età, le quali vengono confermate in parte, in parte modificate ed ampliate daH’esame da noi praticato sui campioni raccolti. Un campione, il meno alterato possibile, di porfido rosso di Bissone presenta, in una pasta compatta rosso-bruniccia, abbondanti particelle ton- deggianti ed angolose di quarzo, numerosi prismi di feldispato plagio- clasico per lo più di color rosso mattone (oligoclasio) ed altre maggiori secrezioni di feldispato carnicino o bianchiccio (ortoclasio) e da ultimo non pochi grumi nerastri di mica. Punti ocracei (pirite decomposta ?) e punti più chiari (trasformazione di plagioclasio in sostanza simile a litomarga) accennano a sofferta alterazione della roccia. L’esame micro- scopico delle sezioni sottili conferma il suesposto, ma oltre a ciò rivela nel campione una struttura che non è esclusivamente criptocristallina, sibbene accompagnata da innumerevoli secrezioni sferolitiche tra cui numerosi aghetti di feldispato, squamette di mica e punticini oscuri, che appaiono riuniti fra loro da una metastasi amorfa quasi indiscer- nibile. Alla luce polarizzata le sferoliti mostrano indistinta e frazionata la croce oscura sostituita da striature radiali in forma di facette. Anche le secrezioni quarzose sono circondate da una zona a strie radiali, e contengono bollicine, aghetti (apatite ?) e grumi tondeggianti di pasta. L’azione dell’acido cloridico sulla roccia si limita a scolorire compieta- mente il mica nero. — 526 — La roccia di color rosso mattone, che nelle vicinanze di Maroggia traversa a filoni non dubbi il porfido nero, presenta caratteri analoghi alla precedente. La pasta friabile compatta contiene pochi cristallini di plagioclasio rosso intenso, molti grumi di litomarga verde oliva, mac- chie bruniccio e granellini di quarzo limpido ; microscopicamente non vi si scorge nè ortoclasio, nè mica. Cogli acidi fa leggera effervescenza in causa di spato calcare depostosi nelle sue fessure. Le sferoliti micro- scopiche che spesso circondano le particelle di quarzo mostrano netta- mente la croce oscura e penetrano sino alle piccole perfette contenute nelle secrezioni di quarzo limpido. A Ciona, non lungi da Melide, esiste una varietà di porfido assai decomposta di color carnicino assai chiaro e ricca di quarzo, la cui pasta contiene singoli cristalli d’ortoclasio chiaro, grandi pezzi di quarzo limpido cristalliforme e macchie ocracee o nere di mica decomposto; mancavi 1’ oligoclasio. Nelle sezioni sottili la pasta presenta tessitura microcristallina con pochi aghetti e molti granellini di quarzo di forma irregolarissima e quasi senza metastasi; appena appena traccie di stria- tura fluidale e di tessitura sferolitica. Pressoché indeterminabili riescono certi piccoli gruppi nerastri nubiformi, mentre certi gruppetti di un bel color verde presentano talvolta i caratteri della pistacite. Le nume- rose bollicine dei quarzi contengono inclusioni liquide. Con ciò questa varietà di porfido serve di anello di congiunzione fra i diversi gruppi a pasta sferolitica ed a pasta microlitica. Una varietà assai rimarchevole è quella di Valgana al nord di Ya- rese. Di color chiaro, d’aspetto compatto, a malapena vi si distinguono secrezioni di quarzo e d’ortoclasio. L’esame delle sezioni sottili vi rivela una pasta finamente cristallina racchiudente particelle oscure pulviformi che assumono un raggruppamento sferolitico, e qua e là formano anche delle vere sferoliti. Il quarzo è a contorni rettilinei e per lo più a li- sterelle prismatiche disposte soventi a stella. Questa roccia evidente- mente presenta una forma intermedia tra le varietà sferolitiche e quelle varietà* che sono le più rimarchevoli di questa regione, denominate micropegmatitiche dal Michel-Levy. Fu appunto una tale struttura che fece ritenere per graniti una parte di questi porfidi. Tipo di tal varietà può ritenersi il porfido di Figino, che traverso altre gradazioni si col- lega indubbiamente ai porfidi rossi di Lugano. Microscopicamente risulta composto di cristalli chiaro-rossicci di ortoclasio sostituiti talvolta da grumi di litomarga bianco-verdognola, da oligoclasio rosso intenso, da quarzo limpido e da mica nero parcamente disseminatovi. La pasta si compone degli stessi elementi. Vi si scorgono inoltre non di rado grandi grumi d’ ocra ferruginosa e" di una sostanza nera, specie di Wad, ed — - 527 — oltre a ciò delle cavernosità angolose da cui sporgono cristalli di fel- dispato e di quarzo. Le sezioni sottili danno a scorgere quella struttura speciale che rammenta il granito grafico per la disposizione dei piccoli cristalli di quarzo tra le particelle opache di feldispato; lo che per- mette di ritenere questa roccia un porfido rosso a carattere di peg- matite. La roccia di Brihzio appartenente alla stessa varietà ha una strut- tura affatto criptocristallina, senza cavità e senza singolari secrezioni, sibbene ricca di grumi di litomarga. Gli elementi visibili ad occhio nudo sono il feldispato carnicino, il quarzo, il mica nero verdognolo e la pirite. La sezione sottile condivide colla varietà di Pigino la struttura grafica combinata però con disposizione stellare del quarzo e con una compenetrazione cristallina spinta sino alla forma più minuta ; con che l’elemento feldispatico appare meno individualizzato e soltanto delimi- tato in singole particelle ; egli racchiude una quantità di pulviscoli neri bene spesso raggruppati a guisa di sferoliti. A questi porfidi rossi più o meno chiaramente cristallini fanno contraposto i porfidi a carattere retinitico, in parte di color rosso in- tenso, in parte rossicci e di color grigio azzurro oscuro che si veggono a Gugliate, Ounardo, Grantola e Gravesano e che appartengono al gruppo dei porfidi rossi quarziferi e non già dei neri, giacché la loro pasta vitrea compatta consta non solo di sostanza amorfa a strie fluidali, ma contiene altresì secrezioni di quarzo granulare, di ortoclasio, di feldi- spato sanidinico e di una sostanza oscura simile a pinite, ed altre molte ma più piccole inclusioni di quarzo e feldispato. Spesso accenna altresì a passare alla struttura sferolitica. L’ analisi chimica praticata su campioni delle diverse varietà sud- descritte diede i seguenti risultati: I II III IV V Anidride silicica Ossido alluminico Ossido ferrico Ossido calcico Ossido magnesico Ossido potassico < )ssido sodico Acqua e perdite 74.64 14.64 1,12 1,01 0,72 4,01 2,36 2,12 71,84 16,32 3.32 0,36 0,52 4.32 2,13 1,48 75,04 13,12 2,12 0,40 0,34 6,32 2,44 0,76 74,56 13,52 2.04 0,32 0,44 4,94 3,48 0,64 76,40 12, CO 1.25 0,25 0.75 4.00 2.00 2.25 100,62 100,29 100,54 99,64 98,90 35 — 528 — I, II, ili, IV, V, Eoccia a tessitura sferolitica, da un filone di Maroggia ; » » microsferolitica, » » Bissone ; » » microgranulare e micropegmatitica, da una cupola a nord di Brinzio ; » > micropegmatitica, da una cava presso Figino : » > retinitica, da una cupola ad ovest di Grave- sano e Manno. Dal sopra detto si può dedurre che il costante carattere di questi porfidi rossi è un elevato tenore in anidride silicica, mentre la poca quantità di ossido magnesico accenna a debole concorso di mica. Il rap- porto tra gli ossidi potassico e sodico corrisponde all’incirca alla distri- buzione dei feldispati nelle sezioni sottili, con questo però che la parte maggiore dell’ortoclasio sta nella pasta. Parte dell’ossido calcico spet- terebbe all’oligoclasio ; l’ossido ferrico figura qual principio colorante; l’acqua infine sembra principalmente combinata alla sostanza del gruppo della litomarga, cotanto frequentemente scambiata colla steatite. Maggiore omogeneità di struttura e di composizione chimica riscon- trasi nei cosiddetti porfidi neri dei dintorni di Lugano. Il loro aspetto è a malapena porfirico, con pasta d’apparenza compatta e con scarse secrezioni di cristallini più chiari somiglianti a feldispato e d’altri più scuri simili ad orneblenda; contiene inoltre singole squamette di mica, raramente distinti granellini di quarzo e piccole particelle di magne- tite. Per quanto questa roccia presenti a frattura fresca un aspetto inalterato, pure la trasformazione da lei sofferta è significantissima. L’esame delle sezioni sottili vi discopre una pasta affatto microcristal- iina. raramente contenente metastasi amorfa. Detta massa componesi di piccoli aghetti che talvolta ingrandiscono a segno da mostrare alla luce polarizzata la striatura parallela del plagioclasio ; oltre a ciò di particelle mal disegnate che presentano le gradazioni azzurre e giallo- gnole dell’ortoclasio, di piccole macchiettine o laminette verdi di una sostanza cloritica, di squamette di mica e di grani neri di magnetite pulviforme. Numerosi, del resto, spiccano pel loro color chiaro trasparente i cristallini a contorni ben determinati e corrispondenti a quelli dei fel- dispati ; molti di essi si rivelano alla luce polarizzata per plagioclasio : la maggior parte però, lo che è caratteristico per queste roccie, sono trasformati per modo che il loro interno presenta svariati colori d’ag- gregazione ed esteriormente hanno il lembo contornato da una sostanza chiara e trasparente, talvolta a strie parallele coi colori del plagiocla- sio, talvolta a strie concentriche policrome come il quarzo, i caratteri 529 — del quale spiccano altresì esaminando a luce obbliqua le sezioni sottili non ricoperte ; cosicché tali secrezioni marginali si possono senza tema di errare ritenere per quarzo di formazione secondaria. Kara tra i fel- dispati è la presenza dell’ortoclasio; dal che sembra che le inclusioni del medesimo sieno rimaste decomposte ed abbiano ceduto il posto a nuove intrusioni posteriori di quarzo e di plagioclasio, abbeiichè anche anteriormente quest’ultimo vi abbondasse. Un altro elemento porfirico vi è disseminato in masse verdi coi caratteri e coi contorni dei cristalli d’antibolo. Trattata con acido clo> l’idrico questa «sostanza si scompone totalmente, talché se n’ ottiene una soluzione parziale ricca di ossido ferroso ed un residuo bianco amorfo ed opaco. Altre consimili inclusioni verdi, ma a forme irregolari, piut- tosto tondeggianti, si scorgono assai di frequenti nella pasta alla quale, unitamente alla magnetite, comunicano l’oscurità di tinta sua partico- lare. Questa sostanza verde offre i precisi caratteri della cloropite (vi- ridite) delle diabasi, e deve considerarsi in parte per prodotto di de- composizione deH’orneblenda, in parte per una trasformazione di mica e di sostanza intermedia. I di lei cristallini son talvolta circondati sui lembi da una sostanza granulosa nera che non é che in parte magnetite. E singolare poi che le più minute particelle verdi della pasta come molte altresì delle particelle di magnetite non si decompongono intera- mente sotto l’azione dell’acido, probabilmente per essere, ad onta della finezza delle sezioni, protette sempre da sostanza feldispatica che le rav- volge. Il mica bruno, fortemente dicroitico, viene scolorato dagli acidi, cosicché le sezioni sottili o la fina polvere rimangono di color bianco leggermente rossiccio. La lucentezza metallica e V azione del magnete servono a constatarvi la presenza del ferro magnetico. Oltre a rari gra- nellini di quarzo vi si scoprono aghetti minuti di apatite e nelle roccie di Brinzio anche l’epidoto. Dal sin qui detto risulta come l’ esame mi- croscopico confermi pienamente quanto già a prima vista apparisce, vale a dire che questa roccia va distinta dal porfido tipico e riferita al gruppo delle porfiriti ed in ispecie, pel rimarchevole di lei tenore in ortoclasio, al cosiddetto paleofiro del Fichtelgebirge. — 530 Le analisi chimiche da noi praticate su diversi campioni di queste porfìriti diedero i seguenti risultati : I II III IV V Anidride silicica 61,52 64,08 50,28 59,52 61,84 Ossido allnininico 19,96 19,52 19,24 13,02 14,60 Ossido ferrico Ossido ferroso 1,78 3,16 1 4,24 ■ 7,92 1,98 [ 11.08 1 6,68 Ossido calcico 3,86 3,40 4,21 1,90 4,48 Ossido magnesico 2,72 1,84 6,09 4,60 2,75 Ossido potassico 3,24 3,16 3,24 '3,86 2,92 Ossido sodico 3,28 2,52 2,81 3,02 5,52 Anidride carbonica 0,56 — . 0,40 1,16 0.36 Acqua e perdite 1,86 1,76 3,56 2,16 1,76 101,44(?) 100,52 99,73 100,32 100.91 1, Boccia deH’ammasso di Maroggia ; II, » di Bissone ; III, » della salita verso Maria del Monte, vicino a Brinzio ; IV, » dei dintorni di Kovio ; V, » lungo la ferrovia presso Melide. Dail’analisi poi della parziale soluzione che si ottenne trattando la roccia di Maroggia e quella di Brinzio con acido cloridrico fuori del contatto coll’aria, allo scopo di riconoscere la natura della sostanza verde intermedia, si ebbe : Maroggia 21,6 Brinzio 29,1 % Anidride silicica. . 34,54 30,90 Ossido alluminico . 18,72 16,08 Ossido ferrico, . . 8,09 19,90 Ossido ferroso . . 14,36 6,80 Ossido calcico . . 2,01 2,13 Ossido magnesico . 9,91 15,25 Ossido potassico . . 1,72 1,03 Ossido sodico . . . 1,77 0,62 Acqua 7,82 7,15 98,94 99,86 Confrontando tali risultati con quelli ottenuti dall’analisi della so- stanza verde contenuta nelle diabasi ed appellata cloropite, viridi te, ecc., ne è evidente la corrispondenza, quale maggiore non potrebbe attendersi trattandosi di minerali derivati da decomposizione e tuttora in via di — 531 — trasformazione. Conseguentemente la porfirite nera si collega nel modo il più stretto alle roccie di età più antica, e perciò riti crisi di non errare applicando la denominazione di cloropite a detto minerale verde da cui principalmente dipende l’oscuro colore della roccia. II. I terreni di sedimento nelle Giudicarle, osservazioni del Dott. A. Bittner. (Da una nota inserita nelle Yerhandlungen der K. K. geol. Reichsanstalt^ 1880, u. 13.) La regione percorsa dell’Autore e sulle condizioni geologiche della quale egli trasmise sotto forma di lettera una relazione al Consigliere superiore montanistico E. von Mojsisovics nell’agosto u. s., comprende quel tratto di Griudicaria che a nord di Tremosine e Bagolino si spinge sino a Tione e al fiume Sarca, e che, lateralmente alla gran linea di frattura, stendesi a ponente sino alle cime di Bruffione e del Frate, ed a levante sino quasi al lago di Garda ed alle Sarche sul laghetto di Doblino. Dette condizioni geologiche, riguardanti unicamente le roccie di sedimento, risultano dall’esposizione dell’Autore alquanto più com- plicate che non appaiano in precedenti studi d’altri geoioghi e princi- palmente per ciò che riguarda la tectonica dei terreni, affetta da di- slocazioni ed altri disturbi stratigrafici in genere, conseguenti da ripe- tute fratture longitudinali e trasversali, da ripiegamenti secondari e da altri fenomeni genetici. La parte montuosa a levante della linea di Giudicaria è quella che presenta la struttura più complicata, comparendo suddivisa in tante minori masse longitudinali in forza appunto delle accennate fratture; e di queste masse quella del M. Cadria risulta essere la più compli- cata per accumulamento di accidentalità tectoniche, fra cui altresì un rovesciamento parziale distrati. Una seconda massa comprende i monti Meris e Midelar, il dosso Toffìn-Tenera e le punte di Pianezze sopra Ballino; una terza è costituita dal gruppo Pari-Bocchetta; una quarta trovasi a sud di Limone sul lago di Garda. La più significante tra le fratture trasversali, quella che concorre a rendere assai complicati i rap- porti tra i primi due sistemi nominati, è quella che principia presso Cimego nella valle del Chiese, dirigesi ad est, traversa la cresta del Cadria tra M. Croma e Cima la Cingla, taglia la Val di Conzei e s’in- terna nella cresta di Toffin. L’intera massa montuosa lungo la frattura rimane spostata, per modo, che il crinale del Cadria appare sospinto per buon tratto in avanti verso ovest, cosicché strati i più eterogenei sono — 532 — a contatto immediato lungo la stessa linea di frattura. Altra frattura parallela alla suddetta taglia più a sud l’intera catena del Cadria ed apparentemente la rigetta ancor maggiormente verso ovest. In quanto poi alla natura geologica dei terreni componenti la re- gione percorsa dall’Autore, essa, com’è già noto per investigazioni pre- cedenti, è svariatissima, presentandovisi tutti i membri dal trias inferiore sino aH’eocene. 11 piano del Muscìielkaìlv viene suddiviso dall’Autore in due sottopiani, l’uno inferiore poco potente, a calcari poveri di fossili e superiormente talvolta dolomitici; 1’ altro superiore di straordinaria potenza, il quale a sua volta vien suddistinto in due livelli, Tinferiorè dei quali a calcari marnosi varicolori contiene la fauna ammonitica di Ponte di Chnego^ mentre il superiore a calcari neri alternanti con strati marnosi racchiude la fauna ammonitica di Prezzo. Questi due livelli presentatisi lungo l’intera linea di Griudicaria da Cirnego e Prezzo sino a Tione ed altresì più ad occidente di essa lungo le creste del Dos dei Morti e della catena del Penna, ove negli strati di Prezzo si riscontrano anche banchi a Baonella probabilmente parthanensis. Segue superiormente il calcare di Buchenstein^ sviluppato, se non molto potentemente, certo assai tipicamente: anch’esso contiene Daonelle, mas- sime a Prezzo e nella Cima Bruffione in Val Bondol. Il piano di Wen- gen ha il suo massimo sviluppo anch’esso nella parte occidentale della re- gione : diffusa generalmente nel medesimo è una fauna a piccoli cefalopodi e gasteropodi piritizzati (Prezzo, Dos dei Morti, Passo del Frate), tra cui dei trachiceri assai ben conservati. Tengono poi dietro calcari zonati ed oolitici appartenenti agli strati di San Cassiano. Gli strati di Raibl oltre che al M. Penna si presentano nella parte più profonda della linea di frattura di Giudicaria tra la dolomia di San Cassiano e la dolomia principale in una zona compresa tra Bologna, Forte Danzelino, M. Gaiola e Tione. La loro potenza è assai esigua, ma vi abbondano le pietri- ficazioni (modiole, gervillie, avicule e grandi mioforie). La dolomia priU' cipale, priva di fossili nella parte nord della regione, contiene in quella di sud, a Koccapagana, Cima Spessa, Cima Guardia, Tombra, la fauna di Storo. E qui le condizioni di giacitura della sua parte superiore, vale a dire, prossima all’infralias, sono talmente singolari da far apparire la dolomia principale superiore e gli strati inferiori dell’infralias scambie- volmente apposti e contemporanei. Ad incremento di quanto è già noto sull’estensione dell’infralias in questa regione, l’Autore accenna all’esi- stenza di una zona continuata di strati parimenti infraliasici lungo il versante occidentale del Cadria. Strati di calcari a Lithodendron ed una massa di calcare dolomitico formano transizione dall’ infralias al calcare selcifero Basico, poverissimo di fossili, il quale superiormente^ — 533 — assume habitus marnoso e contiene la fauna di carattere sopraliasico della Grlera in Yal Conzei, ostensibile tutto lungo i versanti della ca- tena Cadria-Gaverdina, come pure nelle masse montuose di sud-est. Subentrano quindi calcari silicei e marne, marne fettucciate, roccie frammentizie a crinoidi, calcari a Rhinconelle, rappresentanti il giurese ed anche in tutto od in parte gli strati di San Vigilio; vengono da ultimo esili strati di selce piromaca con scarsi banchi superiori aventi il carattere àolV Ammonitico rosso, i quali passano al calcare a Diphya che a sua volta malamente può venir separato dal Biancone con cui d’ordinario chiudesi la serie stratigrafica. La Scaglia e l’eocene presen- tano un’estensione limitata. Dal complesso delle constatate circostanze apparisce che in questa regione lo sviluppo della formazione giurese ed in specialità della basica diversifica in modo straordinario da quello che si presenta ad est del lago di Garda; e che per conseguenza sono minimi i termini di confronto esistenti tra le due citate regioni. ITI. Sul carattere delle roccie di sedimento a strati ricurvi. Il signor C. W. Giimbel nella seconda parte di una sua Memoria sulle condizioni geologiche dei laghi di Como e di Lugano ^ ci presenta uno studio particolareggiato sui fenomeni che si verificano negli strati ripiegati, costituiti da roccie per loro natura inflessibili : circostanza questa che tanto di frequente si verifica e con sì vari caratteri di curva- tura nelle nostre formazioni alpine, quanto in ogni formazione d’epoca relativamente antica; cosicché non è raro il rinvenirvi persino dei potenti e solidi banchi di calcare, di quarzite e d’arenaria piegati a forma di volta o di cupola, evidendemente dopo che la massa rocciosa ebbe raggiunta una perfetta solidità e rigidezza. Le grandiose e per lo più fortissime flessioni che sì osservano nei calcari neri di Yarenna lungo la strada al sud di Bollano sul lago di Como vengono additate dall’Autore come uno dei più belli esempi per lo studio di tali fenomeni, e tanto più interessanti in quanto che le medesime vi si trovano a fa- cile portata, le loro curve sono facilmente misurabili ed il colore cupa della roccia lascia distinguere agevolmente le sue fini fessurazioni e l’avvenuto riempimento di quest’ultime mediante spato calcare bianco. In molti casi negli strati ricurvi sono chiaramente palesi delle spaccature e delle fessure, sia aperte che riempite di materia argillosa ovvero otturate perfettamente da una sostanza minerale infiltratavi ; * Y. Bollettino Geologico, N. 9 e 10, 1880, pag. 454. — 534 — lungo le quali fessure la roccia, cedendo alla pressione laterale, s’è di- visa in frammenti disposti come i cunei d’una volta i quali poi spostandosi si adattarono a seconda della curbatura stessa assunta dagli strati. Talvolta invece l’osservazione superficiale non giunge a scoprirvi fenditura alcuna nemmeno sui punti di massima flessione ; talché la roccia sembra essersi curvata senza frattura. A spiegare un tal fenomeno l’Autore non ritien necessarie nuove teorie tìsiche e quindi manco quella della pla- sticità latente ad alta pressione stata ultimamente emessa dal pro- fessor Heim, clTegli respinge dal punto di vista sia teoretico che pratico. Giacché, astraendo pure dai dubbi che si potrebbero sollevare con- tro l’applicabilità di una tal teoria a corpi solidi non flessibili costituiti da molecole omogenee, non regge certamente il concetto di plasticità applicato a sostanze composte di frammenti eterogenei, quali sono la più gran parte delle roccie, mantenuti uniti non per forza di coesione, ma di semplice adesione ed in virtù di un particolare cemento. Come può mai concepirsi in masse ad elementi eterogenei quali si riscontrano nei gneiss, nei micascisti ecc., un uniforme passaggio allo stato pla- stico, 0 non piuttosto ammettere che 1’ elemento diventato plastico pel primo, sotto 1’ influenza della pressione avrebbe dovuto anche venir espulso dalla massa, a guisa di certi olii che vengono separati dal grasso ? E nemmeno può supporsi che un materiale qual si é quello da cui sono costituiti ordinariamente i calcari di sedimento, passato che fosse allo stato plastico, abbia potuto semplicemente incurvarsi senza perdere la forma della sua stratificazione, senza divenire per così dire eruttivo, come ciò avviene in fatto per le masse d’argilla. Oltreché nessun esperimento fisico ha provato sin’ ora che corpi so- lidi non flessibili deformati oltre al limite loro d’elasticità da una pres- sione abbiano al cessare di questa riacquistato la primitiva forma e rigi- dezza, non regge a provare l’azione della supposta plasticità latente nem- meno l’esempio addotto d’antiche escavazioni sotterranee le quali dopo più 0 meno lungo tratto di tempo decorso dalla apertura loro si richiu- sero spontaneamente : giacché l’osservazione ha provato che tale feno- meno non avviene che in roccie argillose, plastiche per natura, solide quanto ogni altra se allo stato di secchezza, ma che assorbendo acqua vengono per la pressione delle masse sovrincombenti rimosse dal loro posto, tu- mefatte, rese eruttive. E così può ben darsi che anche in un 'sistema di strati composti di assise argillose avvengano inflessioni senza rottura, come può altresì avvenire che roccie ricche di mica , piegate senza oltrepassare il limite d’elasticità, si mantengano definitivamente nella nuova posizione assunta, in forza di posteriore infiltrazione e solidifi- cazione di materie minerali : caso questo che del resto é raro. — 535 — Passando poi al campo dell’indagine e dell’osservazione diretta l’Au- tore in base di risultati da lui ottenuti dichiara di non avere incon- trato sin’ ora alcun caso di flessione senza frattura in roccie dotate di rigidezza naturale. Lo studio dei fenomeni d’incurvamento stratigrafico nei calcari di Varenna viene a confermare luminosamente il di lui asserto. In essi sono frequenti i casi di fenditure che ne accompagnano gli incur- vamenti delle quali molte vanno secondo la direzione stessa delle ripie- gature e concorrono più o meno radialmente al centro di curbatura ; ma sono frequenti altresì i punti in cui quest’ultima sembra essere av- venuta senza frattura. Il materiale raccolto da questi punti venne in sezioni sottili sottoposto all’analisi microscopica, la quale scopri in esso una mirabile quantità di fessurazioni, di spaccature, di venettp d’estrema finezza, tutte saldate da calcespato bianco e sufficienti a produrre uno spostamento della massa calcarea tale da adagiarla a seconda della curva- tura. Strati ripiegati il cui raggio di curvatura importava 0,15 0,30 ed 1 me- tro apparivano suddivisi da minute fenditure relativamente in 64,000 in 16,0000 ed in 9000 frammenti per ogni centimetro cubo, lo spostamento dei quali, prima dell’infiltrazione della sostanza spatica, è testificato dalla mancanza di corrispondenza osservata nella posizione di piccole pagliuzze carboniose entro frammenti immediatamente adiacenti. Dalla grandezza poi del raggio di curvatura si può facilmente calcolare quanto minimo dovea essere lo spostamento de’ frammenti richiesto da un incurvamento anche fortissimo dello strato calcare : approssi- mativamente lo spostamento occorrente, per esempio, ad un piccolo cubetto di un millimetro di lato per un raggio di curvatura di soli 25 centimetri sarebbe di un milionesimo di metro. E quindi evi- dente che simili spostamenti minimi rimangono impercettibili all’occhio nudo, e che perciò le flessioni di roccie rigide sembrano avvenute senza frattura e che il materiale relativo sembra presentare i caratteri di una roccia incolume, poiché le più minime fenditure vennero posterior- mente ricolmate da spato calcare, da sesquiossido di ferro, da quarzo ed altre sostanze minerali che portarono le roccie frantumate allo stato pristino di saldezza. All’incontro un raggio grandissimo di curvatura non richiede una suddivisione della roccia in parti minutissime per ot- tenere uno spostamento che riesca insensibile aU’occhio; poiché, a mo’ d’esempio, per un raggio di 50 metri basta per Tadattamento della roc- cia alla curva che le commessure di suddivisione vengano a distare Luna dall’altra non più di un decimetro. Con ciò rimane provato affatto inutile il ricorrere alla legge della plasticità latente per spiegare i fe- nomeni di flessione dei marmi neri di Yarenna, E ciò che vale per que- sti vale altresì per tutte in generale le roccie rigide, presentando tutte — 536 — una frantumazione più che sufficiente per spiegarne Tincurvazìone me- diante lo spostamento e la successiva ricementazione dei frammenti. Numerosi altri esempi di egual natura vengono citati dall’Àutore per corroborare questa sua opinione, tolti dalla dolomia principale tra Introbbio e Lecco, e dalle roccie marnoso-silicee del flyscli alpino anzi a proposito di quest’ultimo l’Autore annunzia una sua scoperta interessantissima, vale a dire, che tutte le varietà marnose del flysch e molte delle arenacee gli risultarono composte da un agglomerazione di acicule di spongiali cementate da sostanza marnosa. Tal fatto nuova ed imjyreveduto, dic’egli, si presta assaissimo a gettare una viva luce sulla origine del flysch e tanto più che un tale accumulamento di aci- cule è comihne tanto al flysch oligocenico alpino guanto al Wienersand- stein 0 ’Karpathensandstein ed altresì al macigno degli Appennini. Gli stessi fenomeni di ripiegamento e di frazionamento che nei calcari di Yarenna e nelle roccie del flijsch rinvenne l’Autore in molte altre roccie stratificate delle formazioni liasica e giurese alpina aventi grande analogia petrografica col flysch medesimo, altresì per risultare costituite in massima parte da acicule di spongiali come quest’ultimo. Cita in prima linea gli scisti d'Algau a selci e le masse di selce rosso degli strati giurassici ad aptici : quest’ ultime appariscono talvolta ri- dotte in polvere tra i cui elementi s’ è depositato nuovamente del quarzo che vi funziona da cemento. Anche la formazione terziaria al- pina, l’oligocene medio e superiore, presenta fenomeni di ripiegamento, tra cui l’Autore cita quelli degli strati a carbon fossile piceo di Mies- bach, Pensberg e Peissenberg nei quali la roccia, compatta in appa- renza, si presenta nei lavori di scavo evidentemente frantumata, men- tre il carbone stesso, ridotto . pulverulento, è screziato di bianco da calcespato infiltratovi. Anche il calcare fetido interstratificatovi, come eziandio gli strati marnosi presentano flessioni senza visibile frattura ; senonchè dall’esame delle loro sezioni sottili risultano i più fini frazio- namenti ed in questi gli spostamenti avvenuti per formare o delle volte 0 delle conche. Nè meno numerosi sono gli esempi di identici fenomeni in territorii extra-alpini, per esempio, nel calcare a climenie e nelle Uditi del Fichtelgebirge, negli strati del carbonifero e del postcarbo- nifero del Palatinato ecc., in base ai quali l’Autore riconferma non es- sergli mai capitato in mano alcuna roccia la quale, provenendo da stra- tificazione fortemente ripiegata, non si mostrasse sufficientemente smi- nuzzata per assumere mediante spostamento invisibile ad occhio nudo una posizione corrispondente all’ incurvatura. Ora, dal momento che un tale frazionamento esiste mercè cui sono possibili tali inflessioni di roc- cie solido-rigide senz’apparenza di rottura, è pur tolta la necessità di — 537 — applicar loro una proprietà speciale qual si è quella della plasticità latente. 11 sopracitato sminuzzamento indefinito delle roccie stratificate non è una scoperta nuova, sibbene cosa notoria e generalmente ammessa : del che fanno fede le opere deirHeim, del Rothplez e le osservazioni fatte dallo Stapff sulle roccie del tunnel del Gottardo. Ciò che si è messo sin’ora in dubbio fu questo, vale a dire, se tale frazionamento stia in genetica correlazione col fenomeno della curvatura degli strati dal mo- mento che qualsiasi pressione elevata, anche quando non ha per con- seguenza un incurvamento degli strati, produce una fratturazione più o meno sensibile. Anche su tal proposito l’Autore istituì delle ricerche comparative dalle quali gli risultò che una medesima roccia è senza confronto molto più sminuzzata nei punti ove è curvata che in quelli limitrofi ove non lo è, ed in cui le fenditure finiscono collo scomparire quasi totalmente. Secondo la fatta esperienza il grado di frazionamento sarebbe direttamente proporzionale a quello d’inflessione e di rigi- dità della roccia. Avverte poi 1’ Autore come tutto ciò si riferisca esclusivamente a roccie già solidificate prima dell’incurvamento e come egli non comprenda tra i fenomeni che a queste si riferiscono le ripie- gature a zig-zag che s’osservano negli scisti cristallini e specialmente nei micascisti e nelle filliti, nè le incurvature che assumono le croste argillose disseccandosi o le incrostazioni di calcare sopra arnioni di selce 0 quelle formatesi in giacimenti d’argille o di marne impregnate di umidità, non peranco consolidate o rammollite di bel nuovo dall’ac- qua ; nel qual caso può certamente avvenire che la massa argillosa marnosa venga spostata ed anche espulsa fuori. E questo un caso che si verifica per buon numero delle cosiddette pietrificazioni deformai e, al qual fenomeno altresì l’Autore estese i propri studi ed osservazioni. Ed anzitutto egli fa rilevare che tali pietrificazioni deformate rinven- gonsi ordinariamente in depositi argillosi e marnosi, più di raro in quelli calcareo-marnosi o arenaceo-marnosi, i quali tutti conservano, se allo stato umido, non completamente solidificato, un certo grado di plasticità. È da notarsi inoltre che tali deform.azioni si osservano quasi esclusivamente nei nuclei di conchiglie, mentre che invece negli esem- plari valvati le deformazioni sono accompagnate da fenditure e sminuz- zamenti lungo i quali avvenne o rottura o spostamento di parti. Sta il fatto poi sing()larissimo che in uno stesso strato si rinvengono alla rin- fusa nuclei deformati e valve non sformate ; come pure è constatata la presenza di tali deformazioni anche in terreni a strati per lo più oriz- zontali, mentre d’altra parte nei terreni a strati ripiegati tali anoma- lie non si rinvengono soltanto nei tratti inflessi, ma bensì diffuse in tutta — 538 — la roccia: ciò dimostrerebbe l’indipendenza assoluta di tali deformazioni dai ripiegamenti stratigrafici. Laddove però esse accompagnano que- st’ ultimi, sono rotte, piegate, dislocate come la roccia includente. Tale fenomeno di deformazione coinciderebbe, stando alle fatte os- servazioni, coir epoca in cui il materiale includente le pietrificazioni non essendo ancor solidificato ovvero anche posteriormente rammollito potè assumere in forza di pressione e di spinta laterale un certo mo- vimento al quale partecipò anche il nucleo e tutta l’ intera massa roc- ciosa. Dall’ esame di numerosi esemplari vai vati, massime di belemniti, ortoceratiti, steli di crinoidi ecc. affetti da deformazioni l’Autore ebbe a convincersi, senza eccezione alcuna, che tali fenomeni sono costante- mente accompagnati da fenditure, visibili per lo più anche ad occhio nudo, ma ostensibili in tutta la loro pienezza se s’osserva l’esemplare alla lente dopo averlo leggermente intaccato cogli acidi. Le fenditure sulla faccia convessa degli esemplari deformati si presentano divaricate e ripiene spesso di calcespato, mentre sulla faccia concava sono di una estrema finezza. Numerosi esempi vengono addotti in appoggio, e tra essi anche quelli stati citati e disegnati nell’ opera del professor Heim a sostegno della sua teoria sulla plasticità latente, e che invece a giu- dizio dell’Autore proverebbero precisamente l’opposto, essendovi mani- festo in tutti il solito frazionamento accompagnato da spostamenti la- terali di parti lungo le fenditure ed altri diversi fenomeni di frattura e ricementazione facilmente spiegabili senza ricorrere a detta ipotesi. Nello stesso ordine di fenomeni trovano posto quelli rimarcati nei cri- stalli di salgemma di Berchtesgaden e di Gòssling, che presentano dei cubi deformati e riempiti di nuovo di salgemma, ovvero vuoti e rav- volti entro una crosta di gesso : ad onta di ciò detti cristalli conser- vano un clivaggio normale. L’Autore ritiene che un tale fenomeno non sia prodotto da pressione, ma lo spiega ammettendo che l’argilla sa- lifera dopo essersi solidificata possa esser stata nuovamente impregnata d’ acqua la quale abbia poi disciolto i cristalli di sale lasciandone lo stampo nell’argilla stessa, la quale per essere ridivenuta plastica abbia potuto spostarsi per qualche pressione e con essa deformarsi i vuoti lasciati dai cristalli, nei quali vuoti poi riseccatasi la massa argillosa si sarebbe deposto anzitutto del gesso e poi nuovaménte del sale il quale ^ ne avrebbe perciò assunta la forma irregolare. La stessa spiegazione vale altresì pei cubi deformati e ripieni di sostanze rocciose anziché di sale, che si trovano soventi nel Róth e sulle faccie di stratificazione della marna keuperiana. Anche ai fenomeni di flessioni in semplici minerali si estese l’os- servazione dell’Autore il quale esaminò molti dei cristalli ricurvi che — 539 — si presentano sotto forma di lunghi prismi o di aghi, tra cui molte tormaline alpine, berilli, epidoti, quarzi, rilevando in tutti accompa- gnata la flessione da fenditure più o meno fini, divaricate ampiamente sul lato convesso e di estrema finezza sul concavo. Egli istituì inoltre col concorso del professor Bauschinger una serie interessantissima di esperimenti per indagare i caratteri che presentano i minerali sotto- posti a forte pressione, ed anzitutto quelli che più sovente concorrono alla formazione delle roccie. Si servi a tal uopo del grande apparato con cui il detto professore eseguisce i noti suoi esperimenti e sotto- mise in vario modo a pressione di 22,000 atmosfere alcuni cilindretti di minerale diverso (ortoclasio carnicino, quarzo, spato calcare ec.) aventi un centimetro quadrato di superficie e da mezzo ad un centimetro di altezza; dai quali esperimenti, di cui l’Autore cita i dettagli, egli potè chiaramente dedurre che i principali minerali costituenti la crosta terrestre non assumono carattere di plasticità sotto la ragguardevole pressione anzidetta. Le fatte prove spiegano inoltre come una massa minerale fortemente compressa possa penetrare entro interstizii e vacui di contatto, ma allo stato di fino sminuzzamento, e lì dentro col con- corso dell’acqua e dell’azione chimica possa riassumere lo stato com- patto e presentarsi in apparenza come sostanza compenetrata in forza della sua propria plasticità : anche la cosiddetta plasticità del ghiaccio sotto pressione elevata viene dall’Autore interpretata allo stesso modo: ha luogo, cioè, frantumazione e compressione dei minuzzoli entro le cavità, sviluppo contemporaneo di calore e conseguente formazione di acqua la quale, cessata la pressione, si riconverte in ghiaccio e rice- menta i frammenti compenetrati i quali per ciò presentano l’apparenza di una massa compatta. Eguali esperienze furono praticate su materiale roccioso (alabastro, calcare litografico), impiegando pressione di 26,000 a 26,500 atmosfere ed anche per questo si verificò come pei minerali l’ impossibilità di mutarne la forma senza indefinito frazionamento ; quanto poi alla sua consolidazione sotto la nuova forma assunta, essa risulterebbe prodotta dalla semplice adesione delle particelle fra loro. L’Autore conclude col ripetere che effettivamente nè 1’ osservazione naturale diretta, nè l’ esperimento hanno sin’ ora provato 1’ esistenza di flessione sema frattura di roccie solide, rigide, non rammollite dall’ac- qua ; e che a spiegare le inflessioni o deformazioni state sin’ ora osser- vate nelle roccie non sembra in generale necessaria l’ipotesi di una plasticità del loro materiale solido ed inflessibile. — 540 — NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. Arnold von Lasaulx, Der Aetna. — Yol. II, Lipsia 1880. Come già venne indicato in questo Bollettino ^ il presente volume comprende la descrizione topografica e geognostica dell’Etna e della regione circostante, lo svolgimento della sua istoria di formazione e la descrizione dei prodotti petrografici e mineralogici del vulcano : que- st’ultime due parti sono come si disse, lavoro esclusivo del Lasaulx, mentre la prima venne da lui ampiamente completata ; anzi la parte strettamente geognostica della regione etnea fu si può dire rifatta di pianta sulla base degli studi dell’Hoffmann e di più recenti osservatori, tra cui l’Autore medesimo: il tutto poi venne ordinato e compilato in modo da costituire un assieme collegato di osservazioni esatte e di de- duzioni scientifiche quale è richiesto da una vera e completa mono- grafia: coordinamento che il barone di Waltershausen, per morte pre- matura, non giunse ad effettuare. Come scorgesi, la parte eminen- temente scientifica dell’ opera è in questo secondo volume il quale esordisce con un rapido sguardo generale sulle condizioni naturali delia regione etnea, ricco altresì di erudizione storica e letteraria, e distinto per la pittoresca maestria e bellezza dello stile. Posizione geografica, condizioni topografiche e le derivantine di clima e di vegetazione, forma e struttura del vulcano, costituzione geologica dei terreni circostanti, rapporti etnografici desunti dalle tradizioni e dai monumenti, etimolo- gia della denominazione, sono gli argomenti succintamente svolti nel proemio anzidetto. I primi 6 capitoli riguardano specialmente la costi- tuzione stratigrafica della catena montuosa che fa corona all’antico golfo etneo stato colmato dai prodotti del vulcano che s’eleva nel suo mezzo. Della catena peloritana, dal Faro al Capo di Taormina, sono descritte quali roccie di più antica formazione sedimentaria il gneiss, il calcare grossolano e l’argillo-scisto sericeo: gneiss e scisto passano grada- tamente l’uno all’altro e formano un’unica formazione geologica, forse devoniana o siluriana, la sola che nell’isola sia metallifera A questa fa seguito immediato, senz’altra formazione intermedia, la giurassica alla quale appartengono per massima parte i calcari di Taormina, simili più ^ N. 5 e 6, 1880, pag. 317. — 541 ohe ad altri ai calcari ad aptici delle Alpi e dei Carpazii, e perciò titoniani. Le arenarie, con banchi secondari di calcare e di marne, che verso sud succedono ai calcari di Taormina e che hanno un’estensione gran- dissima, circondando per intero e senza interruzione tutta la regione etnea dalla parte di nord e di ovest e formando la base dello stesso masso centrale vulcanico, appartengono a diversi orizzonti geologici, of- frendo gli strati loro inferiori (rive dell’Alcantara) i caratteri del ma- cigno alpino, lo che li renderebbe equivalenti al flyscìi svizzero, men- tre i medi e superiori (arenarie da Carcaci a Brente, arenarie di Cen- turipe) apparterrebbero all’eocene superiore ed in parte anche al mio- cene. La formazione pliocenica ricca di fossili, e dei quali è data la lista, predomina a sud della linea Adernò-Carcaci lungo la quale essa sovrincombe evidentemente alle arenarie anzidette, ed è costituita essen- zialmente dalla così detta creta od argilla turchina con interstrati di sabbia e talvolta di gessi. Le fanno seguito sabbie gialle quarzose che più in alto alternano con conglomerati grossolani e gradualmente pas- sano ad un sistema in cui s’avvicendano esili strati di sabbie ferrugi- nose e di marne calcaree, i quali segnano il passaggio del pliocene ai depositi diluviali che dappertutto lo ricoprono, e i di cui strati più caratteristici sono costituiti dai cosidetti ciottoli o ghiaie ad elementi d’arenaria e di quarzo, più rado di calcare e di roccie cristalline, a cemento d’argilla o di sabbia grossolana. Soltanto gli strati superiori delle anzidette ghiaie diluviali cominciano a mostrare inclusioni di pro- dotti vulcanici, i quali consistono dapprima in bombe o ciottoli basaltici cui tengono dietro ceneri e tufi subaerei, alternanti con strati secon- dari di ciottoli, e con strati di scorie od anche di pomici. Ai tufi sono talvolta sovraposte immediatamente delle antiche correnti di lava al cui contatto rimasero calcinati e convertiti in una specie di pozzolana. Un esteso capitolo, il 7°, è quindi dedicato alla formazione basaltica più antica, vale a dire ai basalti e tufi postpliocenici di Motta S. Ana- stasia, di Paternò, delle isole de’ Ciclopi, della costa di Trezza e d’Aci Castello ; la qual formazione a giudizio dell’Autore risulterebbe non es- sere un prodotto di eruzioni dell’Etna, sibbene appartenere al gruppo vulcanico della valle di Noto. Nell’ottavo ed ultimo capitolo della parte geo gnostica, è accennato alle formazioni moderne, lungo la costa marina, le sponde e lo sbocco delle fiumare, vale a dire, alle alluvioni sabbiose della Plaia, ricche di ambra pregiatissima, al .travertino ed ai depositi detritici di trasporto lungo la spiaggia formati di elementi i più ete- rogenei 6 cementati talvolta dal calcare per modo da formare banchi di solida roccia. — 542 — La topografica descrizione del cono etneo e delle correnti di lava occupa 20 capitoli corrispondenti a quasi altrettante parti di un vero viaggio circolare attorno al vulcano, principiando da Catania ; la valle del Bove è oggetto di una speciale monografia a parte alla quale tien dietro la storia e descrizione del cratere elittico o primigenio e di quello posteriore del Piano del Lago, la cui stretta relazione col primo è resa ancor più evidente da grafica ricostruzione de’ relativi coni. Da ultimo vien descritto, seguendolo in tutte le sue fasi dai tempi di Strabene sino all’eruzione del 1879, il cono centrale dell’Etna. Lna tabella ipso- metrica di 312 punti più importanti della regione, calcolata dall’Autore sui dati barometrici lasciati dal Sartorius ed arricchita di molte osser- vazioni ipsometriche del Silvestri, mette fine alla parte prima del volume. La parte seconda, la vera genesi dell’Etna, indaga in un primo ca- pitolo non solo, l’epoca geologica ed i punti in cui esordì l’attività del medesimo, ma altresì il modo di formazione dell’antico golfo etneo, ri- sultato di una depressione terrestre posterziaria dalla quale l’Etna ripete la sua prima condizione d’ esistenza, indipendentemente dal generale lento sollevamento parimenti posterziario delle spiaggie al quale lo stesso golfo con tutta la costa sicula prese parte. Sul fondo di detto golfo principiarono le eruzioni vulcaniche formanti due distinti gruppi di punti d'emissione, del più antico de’ quali la situazione è indicata dai prodotti basaltici dell’ isole de’ Ciclopi, di Aci Castello, Aci Trezza, Val di Noto, mentre il secondo gruppo è quello da cui crebbe il cono centrale etneo. Quest’attività centrale postbasaltica ebbe principio sul finire dell’epoca diluviale. Le prime eruzioni furono certamente sub- marine, rappresentate da tufi diversi, con prevalenza dei palagonitici, da breccie a elementi basaltici, calcarei, marnosi, argillosi impastati da ceneri, poi anche da correnti di lave basaltiche iniettate tra gli strati terziari e tra’ tufi, o spantesi sopra quest’ultimi. Ciò riguarda più par- ticolarmente ii sistema eruttivo di Yal di Noto e il suo proseguimento verso nord fino al Pian di Catania, mentre i prodotti submarini del- 1’ Etna propriamente detto rimarrebbero coperti quasi totalmente dalla stessa mole del vulcano attuale. Le più antiche roccie eruttive di que- sto sistema hanno carattere andesite-augitico, e per un infinito numero di gradazioni si collegano ai moderni prodotti: sul loro proposito non può ancora decidersi se sieno anteriori o posteriori ai basalti antichi dell’al- tro sistema. Il secondo capitolo determina i periodi di formazione del cono centrale, maggiormente esplicata da profili di grafica ricostru- zione : nel primo periodo pel concorso di vari centri e rispettivi coni d’ eruzione, allineati sull’asse longitudinale della base 'elittica dell’ in- tera formazione centrale, si formò nella[_^’parte corrispondente al circo 543 — superiore della Val del Bove il primo gran cono elittico la cui distru- zione parziale coinciderebbe essenzialmente colla formazione della valle suddetta avvenuta in un secondo periodo : in un terzo periodo ebbe origine l’attuale cono più elevato circondato dal cratere quasi circolare detto del Lrigo, e finalmente sarebbesi formata col concorso di innumerevoli correnti di lava e di coni laterali la parte meno inclinata del sistema, ossia il mantello che circonda il cono centrale. Un terzo capitolo tratta dei sistemi e formazione delle spaccature vulcaniche e dei dicchi e dell’ azione di sollevamento esercitata da questi fenomeni sul cono 0 nucleo centrale, alla quale azione essenzialmente e forse esclusivamente è devoluto il maggior raddrizzamento od inclinazione degli interni strati del medesimo in confronto di quella del mantello esterno. La storia dello sviluppo del gran vulcano pel concorso di parecchi centri basata dapprima su rapporti stratigrafici vien confermata dallo studio della convergenza dei sistemi di spaccature e dicchi, il quale ri- vela indubbiamente l’esistenza di almeno 3 centri principali che dal ca- rattere predominante petrografico vennero appellati dall’Autore centro doleritico, centro anfibolico {grunstein-centriim) e centro fono litico, que- st’ultimo meno antico dei due primi: i diversi sistemi di dicchi spet- tanti ad ognuno di questi centri vengono nell’opera enumerati coll’ in- dicazione delle date di loro formazione. A spiegare poi la concorrente azione di sollevamento esercitata dalle spaccature e dai dicchi sul cono centrale, .l’Autore espone la teoria dinamica delle spaccature in genere della crosta terrestre e conseguenti fenomeni di movimenti e disloca- zioni, di spaccature di compensazione eco., applicandola al caso degli strati dell’Etna ed appoggiandola a reali osservazioni estese anche ad altri vulcani. Dalle spaccature o dicchi principali verticali passa l’Au- tore a spiegare la formazione e 1’ azione pur sollevatrice dei' dicchi orizzontali che lateralmente ai primi s’ iniettano negli strati, e che per- ciò furono da lui appellati dicchi d’ iniezione ; e tutti questi fenomeni osservati nel gran vulcano di Sicilia egli paragona ai consimili pre- sentati dal Vesuvio e spiega le differenze meccanismo d’amendue nelle condizioni diverse d’eruzione, preponderantemente laterale nell’Etna, centrale nel secondo. La teoria della formazione dei coni laterali, 1’ esposizione dei loro peculiari fenomeni, il calcolo matematico di posizione dei centri, sono ampiamente esposti nel quarto capitolo, cui pon fine l’elenco di 245 sistemi di crateri laterali, coH’indicazione delle rispettive coordinate, del numero delle bocche, della posizione loro meridiana rispetto al cono centrale, e della località in cui si trovano. Età, struttura, volume, provenienza delle correnti 36 544 — di lava, loro caratteri fisici superficiali ed interni e loro particolari fenomeni, sono gli argomenti svolti nel quinto capitolo. 11 sesto è interamente de- dicato ad indagare 1’ origine della valle craterigena laterale del Bove; origine strettamente vulcanica, benché complessa, la quale s’ appalesa qual conseguenza di una serie ripetuta di catastrofi identiche che pro- dussero specialmente la violenta distruzione dei fianchi orientali di una serie di coni centrali di deiezione formatisi consecutivamente lungo una linea di spaccatura principale diretta a nord-ovest; distruzione che accompagnata anche da crollamenti localizzati diede origine alle pareti di cinta della valle senza che la forza di erosione vi abbia con- tribuito essenzialmente; bensì più tardi quest’ultima forza unitamente alle masse eruttate nella parte interna della valle sarebbe stata quella che ricolmando e livellando la prisca valle craterigena la portò allo stato attuale. Nel settimo ed ultimo capitolo di questa seconda parte del libro, dopo precisata maggiormente l’età relativa dell’Etna, l’Autore ne calcola r assoluta, non già servendosi degli insufficienti dati fin ora raccolti sui movimenti secolari del suolo, bensì in base alla periodicità delle eruzioni ritenuta si può dir costante, al volume medio della lava emessa in ogni singola eruzione, ed al volume totale della mole etnea. V a Tale età assoluta viene espressa dalla formola A = in cui ap- punto F è il volume totale del monte, a il numero d’ anni intercor- renti fra due consecutive eruzioni e ^ il medio volume dei prodotti^di ognuna di queste. Per V = 879267 milioni di metri cubi, a = 10 anni, n = 100 milioni di metri cubi, risulterebbe A = 87926 anni, ed il numero delle eruzioni eguale ad 8000. Mettendo invece a base di calcolo, anziché l’ incerto elemento della produzione d’ogni singola eruzione, quello della produ- zione di un intero secolo (2 chilometri cubici), 1’ età assoluta risulta essere di 43900 anni e di 4390 il numero delle eruzioni. Circa ai futuri destini dell’ Etna, l’Autore oltre ammettere come probabile che l’attuale cono centrale subisca la stessa sorte degli altri coni centrali che lo precedettero, riconosce nel lento sollevamento secolare del suolo etneo una circostanza che potrebbe metter fine all’attività del vulcano od al- meno indebolirla; e ciò per leggi puramente meccaniche, di pressione idrostatica, andando congiunto col detto sollevamento un abbassamento sempre maggiore del limite sino a cui ponno arrivare i deversainenti delle eruzioni laviche, ed un incremento sempre maggiore dello spes- sore e con ciò della resistenza della massa esternamente avviluppante il canale d’eruzione: e da ciò la sempre decrescente facilità di squar- ciamento e d’eruzione e da ultimo l’ impossibilità. — 545 — La terza ed ultima parte di questo volume intitolata 1 Prodotti delV Etna comprende tre suddivisioni, vale a dire, le roccie, i minerali ed i prodotti gazzosi e le sorgenti. Nella prima abbiamo la descrizione e le analisi microscopiche e chimiche dei basalti più antichi, ossia, pre- cedenti l’attività centrale, delle primitive roccie eruttive dell’ Etna pro- priamente detto, a caratteri di trachite, di fonolite e di anfibolite, delle lave antiche dei terrazzi, delle lave più recenti, delle ceneri e dei tufi sì preetnei che centrali. Un capitolo riassuntivo mette in evidenza i principali caratteri che contraddistinguono tra loro le roccie di età differente ; son divergenze basate su caratteri petro grafici per alcune anziché di composizione mineralogica, su ineguale proporzione dei me- desimi elementi chimici per altre. E mentre nei basalti antichi predo- mina l’augite sul plagioclasio, le lave più frequenti sono quelle in cui esistono proporzioni eguali dell’ uno e dell’altro minerale, rarissime le roccie eminentemente augitiche: il tenore più elevato in silice delle roccie a carattere trachitico, fonolitico ed anfibolico dipende in gran parte da posteriore trasformazione. La presenza dell’ orneblenda che sempre si rileva qual elémento preesistente agli altri elementi compo- nenti una stessa roccia non è quindi condizionata alla natura petrogra- fica della roccia. Identica la natura e costituzione dei tufi, eccezione fatta pei palagonitici che per la loro origine submarina andarono sog- getti ad una primaria trasformazione nella massa vitrea dei loro la- pilli, che non si riscontra nei prodotti dell’attività centrale. Le ceneri incoerenti si addimostrano sempre quali miscugli, in proporzioni diffe- renti, di magma fluido polverizzato e di frantumi di lave già solide, preesistenti. I minerali descritti ed analizzati nella seconda suddivisione formano i seguenti gruppi: I. Minerali di secrezione diretta dalle lave fluide : plagioclasio, augite, olivina, magnetite, apatite, orneblenda e mica. IL Minerali di sublimazione e di natura durevole: zolfo, zolfo- selenio, ferro oligisto, szaboite, breislakite, sale ammoniaco, atacamite, tenorite. in. Minerali di separazione da sorgenti fredde o termali, ovvero di decomposizione dei minerali del gruppo 1 : 1® sulfuri metallici : pi- rite, magnetite, calcopirite. 2*^ silicati anidri: granato, vesuviana, anor- tite (ciclopite), tremolite, asbesto, diopside. 3^ silicati idrati : zooliti : analcimo, mesolite, natrolite, thomsonite, fillipsite, herschelite, cabasite, idrosilicite ; opale, calcedonio. 4® Carbonati : calcite, dolomite, siderite, aragonite, malachite. 5® Solfati e fosfati : gesso, vivianite. IV. Prodotti dell’azione dei vapori e gaz delle fumarole sulle roccie e fra di loro, di natura poco durevole ; allume, vitriolo di ferro, salgemma, solfato basico d’alluminio, solfato di sodio e potassio, sol- fato di magnesia, realgar, gesso, carbonato di sodio ecc. La classificazione delle fumarole, l’analisi dei loro gaz, quella delle terme, delle salinelle ecc. ecc., formano argomento della terza ed ultima suddivisione. Oltre ai numerosi profili e vedute inserite nel testo accompagna questo volume la carta topografico-geologica della Val del Bove alla scala di 1 a 15 mille del Sartorius perfezionata e completata dal si- gnor Lasaulx. L> Accoi^ci, Sopra una caverna fossilifera scoperta a Oii- cigliana [Monti Pisani). — Pisa, 1880. La caverna illustrata dall’Autore trovasi al nord di Cucigliana in un piccolo lembo di calcare cavernoso, ritenuto di epoca infraliassica, for- mato da strati concordanti con gli schisti triassici sottostanti ; assai di frequente accade di vedere questo calcare rotto, pieno di fessure più o meno grandi, prodotte verosimilmente dalla circolazione delle acque; ed è appunto in una di queste grandi spaccature che si trova la ca- verna. Essa fu scoperta per caso neH’aprile del 1878, e comunica col- l’esterno mediante un piccolo foro a cui fa seguito una specie di andito irregolare che va sempre più allargandosi ; la sua lunghezza è di circa 22 m., la larghezza massima di circa 16 m. e l’altezza variabile da 1 m. a 5 m. Ora 1’ apertura esterna fu allargata per facilitarne 1’ accesso e mediante una scala di legno si può arrivare comodamente al fondo, ri- coperto da gran quantità di massi caduti dall’alto e livellati dalla solita terra rossa ; gli scavi finora praticati non hanno peraltro, ancora messo a giorno il fondo della caverna. Verso la metà dello scorso settembre fu incominciato uno scavo re- golare diretto dall’Autore, e il materiale estratto fa parte delle ricchis- sime collezioni paleontologiche dell’Università pisana ; questo scavo ha già portato alla luce gran quantità di resti fossili, ma è ancora ben lungi dall’avere messo a giorno tutti gli strati fossiliferi della caverna. Gli strati successivi sinora scoperti sono quattro, e cioè, incominciando dal basso: 1. strato di un metro e più di spessore, composto di fram- menti del calcare cavernoso cementati in parti da concrezioni calcaree ; negli spazii rimasti liberi si trovano frequenti ossa di Uhinoceros^ Eqtius, Bos^ Lupus^ Vulpes, Ursus, Felis.leo, F. antiqua, F. ìinx e più rara- — 547 — mente Hyaena. In questo stesso strato si trovano pure ghiaie di calcari diversi da quello entro il quale sta la caverna; 2. segue una zona for- mata di frammenti calcarei ravvolti in un tritume di corna di Cervus^ contenente dei pezzi più grandi delle stesse corna non che delle ossa, mandibole e denti pure di Cervus, raramente ossa à' Hyaena e più ra- ramente ancora coproliti. Non arriva che a 50 centimetri di spessore ; 3. uno strato quasi totalmente coproliti co con frammenti d’ossa di Cer- vus, Hos, Equus, Lepus, Sus, Meles ; la sua altezza varia da 50 a 80 centimetri ; 4. strato superficiale formato di terra rossa con frammenti di calcare, coproliti ed ossa, cranii e mandibole à" Hyaena, ossa e denti di tutte le suaccennate specie, meno quelle dei carnivori e del Rhino- ceros. Esso era alto all’incirca come il precedente ed era ricoperto da un incrostamento stalagmitico, nel quale erano cementate ossa di Hyaena in perfetta conservazione con avanzi di cervo e di cignale. Finalmente nel corridoio di accesso si trovarono, insieme coi resti di cignale, cervo e denti di elefante, anche dei resti di industria umana, cioè armi in selce, frammenti di terra cotta e pezzetti di carbone ; in vicinanza del- 1’ apertura poi e nella terra da essa esportata si rinvennero da ultimo dei denti umani appartenenti ad individui di differente età, e il cui stato di fossilizzazione è uguale a quello di tutti gli altri fossili della caverna. E a sperare che in progresso di lavoro si vengano a scoprire altri resti umani nella loro naturale giacitura. L’Autore dà una dettagliata descrizione delle varie specie finora trovate, corredandola con figure assai ben fatte dei pezzi principali ; e conchiude col ritenere quegli avanzi come appartenenti ad esseri vis- suti nell’ultimo periodo dell’epoca postpliocenica. G. Meneghini, Fossili oolitid di Monte Pastello nella pro- vincia di Verona. — Pisa, 1880. Il Monte Pastello presentasi come una eminenza finale della catena che costeggia la sinistra sponda dell’Adige, e che rimane staccato dal sistema dei Lessini mercè forte depressione traversa. Nell’anno 1857 i signori Pellegrini e Pizzolari scoprivano in un contrafforte di detto monte alcune belle impronte di piante fossili terziarie ed in una lettera al Massalongo descrivevano geologicamente il giacimento di queste filliti ; gli stessi inviavano contemporaneamente al Museo di Pisa per la de- terminazione alcuni fossili raccolti in una serie di strati oolitici, sot- toposti alla calcaria rossa ammonitifera, e che corrisponderebbe, se- condo i recenti studii del Taramelli, alla zona della Posidonomya aJpina. I Corallarii di quella collezione furono illustrati dal D’ Achiardi, ^ ed ora l’Autore vi fa seguito con la descrizione dei mollusclii che insieme vi si trovavano. Le specie descritte, delle quali parecchie nuove, sono in numero di 23 ed appartengono ai generi Alarìa, Brachytrema, Cirrhus, Pleuroto- maria, Tiirho?, Neritopsis, Cliemnitzia, Turritella, Cypricardia ? , Tri- gonia, Corhis, Arca, Cimillaea, Mytilus, Lima, Pecten, Phynclionella. La memoria è corredata da due tavole sulle quali sono egregia- mente disegnate molte delle specie descritte con particolare riguardo alle nuove. C. F. Parona, Il calcare liassico di Gozzano e i suoi fos- sili. — Koma, 1880. Nell’anfiteatro morenico che chiude a mezzogiorno il lago d’ Orta, e precisamente nei dintorni di G-ozzano, si elevano diversi affioramenti calcarei che da questa borgata vanno man mano abbassandosi verso il nord, sino a perderne ogni traccia prima di giungere a Bolzano sul lato orientale dei monti che racchiudono il lago. Essi rappresentano probabilmente i capisaldi di una formazione continua sepolta sotto i depositi glaciali. La roccia è un calcare rosso- giallastro assai compatto, ricco di geodi con bellissimi cristallini di calcite ; qua e là passa su- periormente ad una breccia calcarea con interclusi frammenti di schisto talcoso-micaceo assai alterato e grossi pezzi dello stesso porfido che apparisce in estese formazioni nei monti circostanti. Tanto nella parte puramente calcarea quanto nella brecciata vi abbondano i fossili, in specie brachiopodi e crinoidi, e in linea secondaria i lamellibranchi, i gasteropodi e le ammoniti. Dalle osservazioni dell’Autore e dagli studii comparativi dal me- desimo istituiti, risulta dimostrato che la fauna di questo calcare offre moltissima analogia con quelle degli strati a Terebratula Aspasia Mgh^ della Sicilia e delhAppennino centrale ; però le specie di Gozzano mo- strano uno sviluppo di dimensione molto maggiore, ed inoltre questa fauna manca della Terebratula anzidetta, mentre offre in numero stra- grande gli esemplari della Rhynchonella Scherma Gemrn. Per tale ana- * V. Ballettino, N. 9-10, pag. 474. — 549 — logia la fauna di Gozzano adunque deve essere riferita al lias medio piuttosto che all’inferiore. Fatta astrazione da un dente di Lepidotus, il quale peraltro non avrebbe alcun valore paleontologico, abbiamo nella fauna di Gozzano : Brachiopodi (Spiriferina 3 sp., Tereòratula 7 sp., Waldheimia 4 sp., Bhynchonella 11 sp.) ; Acefali (Pecten 2 sp., Lima 1 sp.) ; Gasteropodi {Chemnitzia 1 sp.) ; Cefalopodi {Harpoceras 1 sp.) ; Echinodermi (Ci- daris 2 sp., Pentacrinus 3 sp., Millecrinus 2 sp.). Di queste specie 17 sono nuove. Alla dettagliata descrizione delle specie l’Autore fa seguire un qua- dro comparativo nel quale sono indicati i giacimenti di ciascuna di esse in Sicilia, nell’Appennino centrale, nelle Alpi Lombarde, nelle Alpi Ve- nete ed in Austria. La memoria è poi corredata da tre tavole con figure di fossili accuratamente disegnate. ! L. VON ScHRENCK. Ber erste F%md einer Leiche von Rìii- noceros Merchii Jaeg, (Mém. de VAcnd. Imp. de S. Pétershourg. Tomo XXVII, 7. 4880) [con tre tavole fotolitograjiche). E noto come fino dal secolo passato sieno stati trovati nella Siberia del Nord avanzi di cadaveri di Elephas e di Bhinoceros. Uno scheletro quasi intero del primo fu trovato all’imboccatura della Lena e un capo del secondo a Wilui. Nel 1877 fu trovata in un affiuente della Jana al nord di Wercbojansk una testa di una nuova specie di Bhinoceros, che Scbrenck ha riferito al B, Merckii Jaeg. e dalle fotografie che accom- pagnano la minuta ed estesa relazione di questa scoperta, si può arguire il suo quasi perfetto stato di conservazione. Questa nuova scoperta potrebbe gettare molta luce sopra una que- stione non bene definita specialmente tra i paleontologi non italiani, del come debbano intendersi le tre specie B. etruscus Falc. del pliocene del Val d’Arno, B. hemitoechus Falc. e B. Merckii Jaeg. ambedue dei terreni quaternari se sono specie distinte. Brandt nella sua ultima monografia sui Rinocerontidi riunì V etruscus al Merckii, mentre Falconer gli aveva distin- ti, e poiché Vhemitoechus e il Merckii si ritengono sinonimi, sarebbe a de- terminarsi se veramente il Merckii debba considerarsi come una varietà etruscus. Veramente le differenze fra queste due forme sono tali da giusti- ficare una diversità specifica, non solo manifesta nelle forme adulte. — 550 — ma anche nei denti di latte che si posseggono di questi due rinoceronti, raccolti nel Yal d’Arno per Vetruscus e nelle caverne quaternarie per Vhemitoechus. Come si è detto, questo nuovo capo di rinoceronte potrebbe defi- nire la questione qualora si potesse veramente identificare colle specie simili del quaternario del Sud di Europa. Infatti non si potrebbe più allora considerare questa specie come una varietà etruscus e le due specie rimarrebbero distinte tanto stratigraficamente come per i loro caratteri zoologici. Schrenck confronta questo capo con quello di B. tichorìiinus di Wilui per quanto debbano le due specie riferirsi a due gruppi differenti, appartenendo questo ai ticorini o a setto nasale completo, mentre il Mercìzii appartiene agli emiteci o a setto nasale incompleto. Le diffe- renze notevoli fra questi due capi dimostrano sempre più quanto sia giusta l’opinione già espressa da F. Major {Bull. Comit. Geol. Ital.. voi. Y, pag. 97), cioè, che debbano porsi in disparte tutte le notizie date in Italia circa all’esistenza del B. Ucliorhinus, dovendo essere stata que- sta specie confusa con altre che tuttora abbisognano di una migliore determinazione. Questo capo come quello di Pallas e quello di Wilui è stato con- servato nel ghiaccio; la regione nella quale è stato raccolto ha per tem- teratura media annuale 16° sotto zero. La temperatura del mese di gennaio scende fino a — 48^; nell’estate arriva raramente a + 14°. D. Pantanelli. A. Verri, I vulcani Cimini — Roma, 1880. (Dalle Memorie della R. Accademia dei Lincei). E questa una dettagliata descrizione geologica di quella vasta regione che dal Tevere all’altezza di Borghetto si stende verso occidente ed ha nel suo mezzo l’ampio cratere di Yico con la piccola catena an- nessa del Monte Cimino. Questo territorio, benché sia stato oggetto di studio par parecchi geologi dal Brocchi insino al Ponzi, pure poteva dirsi per diversi rapporti assai poco conosciuto ; cosa lodevolissima fece adunque l’Autore pubblicando questa sua memoria corredata da una cartina geologica nella scala, invero troppo piccola, di 1 per 250,000. Dopo una rapida rivista bibliografica degli autori principali che trattarono del gruppo Cimino, l’Autore dà uno sguardo all’ aspetto ed alla topografia del territorio quale si può abbracciare d’ un colpo — 551 d’occhio dalla Tetta del Monte Soriano (1056'") che segna il punto cul- minante del sistema. Questo, di forma elittica, è circondato da un anello di monti più depressi, largo in media una diecina di chilometri: al nord altro anello di alture che circondano il lago di Bolsena, al sud un terzo attorno al lago di Bracciano; pel rimanente un altipiano on- dulato e intersecato da profondi burroni, nel fondo dei quali scorrono i torrenti. A maggiore distanza i monti della Sabina ad oriente, quelli di Monte Komano e della Tolfa ad occidente. Le acque corrono al Tevere da un lato, direttamente al mare dall’altro. I terreni di sedimento rappresentati in quella vasta estensione sono, a cominciare dai più bassi: V I terreni secondarii, eocenici e miocenici in lembi isolati che ségnavano le pendici laterali della grande vallata sulla quale si allinea- vano i sistemi vulcanici della provincia romana. Vi appartengono il Soratte e qualche piccolo affioramento fra Orte e Bassanello, che si rilegano al sistema dei monti di Amelia e di Narni; il Monte Basano, le alture di S. Giovanni in Bieda, di Barbarano, di Sant’Elia quali ap- pendici della Tolfa. 2" I terreni pliocenici assai sviluppati sulla sinistra del Tevere e sulla destra il corso del fiume e nella valle della Vezza:sono le solite argille, sabbie e letti di ghiaia calcarea mescolata con selci piro- mache. 3^ I terreni postpliocenici sotto forma di marne, sabbie e ghiaie, addossati ai pliocenici nella valle di Gallese, in quella di Civitacastel- lana, lungo la tiberina nel tratto intermedio, e distinti dai pliocenici per la presenza di materiali vulcanici rimescolati. Finalmente i traver- tini di Orte, quelli a ponente di Viterbo e di altre località. Per i terreni vulcanici le principali distinzioni litologiche, che pure corrispondono alle diverse epoche di eruzione, sono dall’ Autore stabi- lite come segue ; 1" Roccie con piccoli cristalli di sanidino ed abbondanti lami- nette di mica. Vi appartiene il cosidetto Peperino di Viterbo, la ne- crolite a piccoli felspati del Brocchi ed il tufo trachitico: esse si estendono a ponente, a settentrione ed a levante del Monte .Cimino, dai piedi di questo insino a Viterbo, a Vitorchiano, a Bomarzo, a Bas- sano ed a Bassanello, oltre ad un lembo isolato tra Vignanello e Fabbrica ed altro tra Poggio Aguzzo e San Giovanni di Bieda. La potenza della formazione varia da una diecina di metri verso il perimetro, a 20 o 30, ai piedi del monte. 2° Roccie con grossi cristalli di sanidino ed abbondanti laminette di mica. Vi appartiene la cosidetta Selce del Cimino, la necrolite a 552 — grandi felspati del Brocchi e la trachite a grandi cristalli. Eiposa sulla precedente e costituisce la massa principale del Monte Cimino. 3*^ Lave compatte e bollose con grossi cristalli di sanidino, gra- nelli di olivina e poche larainette di mica. Mostransi in colate prove- nienti dalla cima del Cimino e che si riversano nelle direzioni di So- riano e di Bagnaia : altre spuntano al piede del monte e si dirigono al nord passando direttamente sui tuli trachitici del N. 1°. 4'’ Lave compatte e bollose con grossi cristalli di sanidino e pirosseni. Vedonsi in colate sul Cimino e formano buona parte dell’orlo craterico di Vico. 5® Lapilli con cristalli di sanidino e di pirosseno. Stanno sopra i tufi del N. 1 e le lave del N. 3 in masse stratificate : sono probabil- mente sincroni con le lave del N. 4 e sono limitate al Monte Cimino. 6° Lave compatte e bollose con grossi cristalli di sanidino, con pirosseno e leuciti. Vi appartiene il leucitofiro porfiroide dello Stop- pani. Forma tutto il versante occidentale e settentrionale del cratere di Yico, parte dell’orlo di questo e l’isolato Monte Venere : ricoperte dai tufi posteriori, queste colate riappariscono più lungi in masse isolate tutto all’intorno del grande cratere. Altre colate isolate della stessa roccia vedonsi al nord di Viterbo, tra Borghetto e Civitacasfeellana, al sud di Nepi. Lo sviluppo massimo di queste lave corrisponde al bacino di Vico, nessuna traccia di eruzioni leucitiche esistendo sul Monte Cimino. 7° Tufo con sanidino, leuciti e pirosseno È il tufo lionato scuro del Brocchi, analogo a quello della Punta dei Nasoni presso Eoma. Questo tufo ha riempito tutte le depressioni esistenti attorno ai centri di emissione e forma quindi il suolo di tutto l’altipiano sino al Tevere, posando indifferentemente su qualsiasi terreno. 8° Lapilli con leuciti ed altri minerali. Sono connessi ai leucitofiri del N. 6 e ai tufi del N. 7, coi quali alternano indifferentemente, e come questi stanno nel raggio d’azione del sistema di Vico. La forma- zione principale di questi lapilli contiene in parte il cono del cratere di Vico e vi ricopre le lave dal lato orientale e meridionale. Altre masse estese di tali lapilli si vedono tra Civitacastellana e Eignano, tra Gal- lese ed Orte, e presso Attigliano sulla sinistra del Tevere. . Fra i fenomeni di vulcanicità secondaria conviene citare le numerose sorgenti minerali del piano di Viterbo, ed i grandi depositi di travertino dovuti ad antiche acque calcarifere. Alla dettagliata descrizione litologica l’Autore fa seguire la sintesi geologica delle manifestazioni vulcaniche del territorio dei Cimini. In- comincia col descrivere le condizioni del territorio durante il periodo — 553 — pliocenico ed i depositi essenzialmente marini che vi ebbero luoj^o ; parla delle prime manifestazioni vulcaniche che rimontano a queirepoca, e particolarmente delle eruzioni del tufo trachitico e delle trachiti a grossi felspati, le quali formano un’ isola in mezzo al mare pliocenico. Vi fa seguito il periodo postpliocenico con nuovo sviluppo di attività vul- canica nello stesso Monte Cimino e nella regione al sud di questo dove poi sorse il cratere di Vico: vennero finalmente le grandi eruzioni dei leucitofiri e da ultimo la emissione di una enorme quantità di tufo giallo che ha ricoperto tutta la contrada sotto forma di una massa fangosa. Ebbe luogo in seguito l’attuale assetto del territorio, accom- pagnato da fenomeni di vulcanicità secondaria che in parte tuttora durano. G. ScAEABELLi GoMMi FLAMINI, Descrizione della Carta Geo- logica del versante settentrionale dell’ Appennino fra il Montone e la Foglia — Forlì, 1880. ^ Questo importante lavoro, che forma parte della Monografia eco- nomica amministrativa della Provincia di Porli, è uscito testé alla luce accompagnato da una Carta geologica nella scala di 1 : 100,000 e da una tavola di profili. La Carta è una riduzione di quella rilevata dall’Autore nella scala di 1 : 50,000 dietro incarico della deputazione provinciale, e che già figurò nelle esposizioni di Bologna e di Porli, non che, in iscala ridotta, a quelle di Vienna e di Parigi, ove venne premiata con meda- glia di bronzo. Nell’introduzione alla sua memoria l’Autore da prima una descri- zione orografica ed idrologica della regione da lui rilevata : Essa ab- braccia quella zona del versante settentrionale dell’ Appennino dalla cresta di questo sino al mare, compresa lateralmente fra i fiumi Mon- tone e Poglia. Sull’orografia di questa regione mette in rilievo alcuni fatti che possono avere relazione coi fenomeni geologici che ivi si osservano; l’uno si è l’inflessione che l’asse centrale dell’ Appennino subisce al di- sopra delle origini del fiume Marecchia, per la quale il crinale del- l’Appennino fra il Poggio del Castagnolo ed il Bastione internandosi assai nel versante settentrionale forma una grande insenatura che ac- coglie le numerose sorgenti del Tevere; l’altro si è la convergenza delle ' Per Timportanza speciale di questo lavoro, la redazione ha creduto fare cosa opportuna nel darne un resoconto piuttosto esteso e dettagliato. — 554 — vallate deH’Arno e del Tevere verso quest’insenatura e la presenza tra queste due di un rilievo anticlinale che discende dall’Alpe di Catenaia fino al Mediterraneo in una direzione che coincide con quella della valle del Marecchia nel versante settentrionale. Osservando dall’alto il rilievo montuoso della regione studiata, si scorge che le montagne fiancheggianti le valli del Montone, del Monco, del Savio, non che quelle della Foglia vanno gradatamente abbassan- dosi fino all’incontro della pianura, tranne alcune prominenze che qua e là vengono ad interrompere questo progressivo decrescere e toncleg- giarsi dei crinali. Ma la stessa regolarità di andamento non si ha lungo la valle di Marecchia, si nota anzi una differenza notevole sia per la più svariata natura delle rocce, sia per il frastagliamento delle strati- ficazioni e per le diverse forme occidentali dei monti fiancheggianti questa valle. E qui l’Autore si ferma particolarmente a descrivere l’ampio ed elevato Monte di Carpegna (1407 “) come quello che in causa dei movimenti a cui partecipava dà ragione dello speciale atteggiamento delle stratificazioni che lo circondano e delle forme e posizioni varie delle masse in relazione con esso. Prima di venire alla descrizione geologica dà un’ esposizione som- maria di alcuni fatti orografici e geologici che si manifestano nella parte più prossima dell’Appennino centrale, che si eleva neU’Urbinate per seguitare neH’Abbruzzo, facendo rilevare come nella direzione S. Sò"" E. circa del Monte Carpegna esiste il principio d’una vasta elissoide che si va sempre più elevando verso S.E. fino a Monte Corno. La natura litologica ne è prevalentemente calcare e diversifica in modo notevole, specialmente nelle rocce cretacee, dalle corrispondenti toscane. Questo gruppo di masse calcari viene seguito tanto verso il Mediterraneo che verso l’Adriatico da diverse eminenze disposte ad intervalli in linee paralelle, formando anticlinali e sinclinali che prolungandosi verso N.O. accennano a continuare anche nella regione rilevata, mostrando così la relazione orografica fra le masse deH’Appennino centrale e quelle che prende a descrivere. Presenta quindi un prospetto sinottico in ordine stratigrafico di- scendente dei depositi rappresentati nella carta, osservando che non è che un riassunto di tutti i dati stratigrafici e litologici raccolti nel ter- ritorio perlustrato. Cretaceo. — Cominciando la sua descrizione dal terreno più antico, il cretaceo, accenna agli studi e alle scoperte per le quali venne con- fermata l’esistenza di un piano cretaceo in Toscana, risultante nella sua parte più alta di schisti galestrini varicolori, che accostandosi alla zona nummulitica eocenica contengono molte fucoidi e nemertiliti, e nella — 555 — parte più bassa di un calcare compatto alquanto micaceo detto forte. Espone quindi le osservazioni da lui fatte nel Monte della Yernia, località che sta più vicina alla regione che prende a descrivere e che nelia sua costituzione geologica si collega con quella della Toscana e con quella del versante adriatico. Da queste osservazioni viene accer- tata l’esistenza in quel luogo del cretaceo, nel quale gli schisti gale- strini fanno passaggio alle argille scagliose. I depositi cretacei che figurano nella Carta geologica sono una continuazione di quelli della Yernia: essi sono contrassegnati con una tinta generale, ma sono però tenute distinte le argille scagliose. Questi depositi costituiscono un lungo e regolare anticlinale sulla cresta del- l’Appennino dalle origini del fiume Foglia a quelle del Montone e for- mano l’ossatura sotterranea del rilievo del Monte di Carpegna, mostran- dosi in vari punti assai lontani e bassi in affioramenti curvilinei in rap- porto col sollevamento di questo monte. La larghezza trasversale che le rocce cretacee hanno nella carta fra S. Marino e poco oltre il Sasso Simone, continua con eguale estensione lateralmente al Catria fra Fos- sombrone e la Scheggia, mostrando così il nesso tra questo monte ed il Carpegna. La massa completa dei depositi cretacei è in generale costituita da tre tipi principali di rocce. Il primo cominciando dal basso è formato di calcari compatti o marnosi; il secondo di calcari psammitici, arenarie e schisti galestrini; il terzo di argille scagliose. Molte volte però si passa per graduale passaggio dall’una all’altra e talora manca l’uno o l’altro di questi piani. II calcare compatto è specialmente sviluppato alla base del Monte Carpegna costituendone la parte inferiore, mentre la parte superiore ne è eocenica: questo calcare consta di una roccia compatta a grana fina, biancastro, talvolta giallastro o cenerino e spesso a frattura concoide 0 scagliosa. Altrove si presenta però anche con varietà diverse di colore e di struttura, ma però assai circoscritte e limitate, assumendo vari nomi di pietra paesina, pietra porcina e pietra colombina. Non mancano in questo calcare lenti e straterelli o rognoni di si- lice. Lo spessore degli strati non eccede mai gli 80 cent., quello com- plessivo di tutti gli strati non può valutarsi con precisione mancando un affioramento sufficiente degli strati medesimi. Esso è sempre più o meno contrasegnato da fucoidi delle specie note : Fiicoides T arpioni Brogn., F. furcatus Brogn., F. intricatus Brogn., F. aequalis Brogn., o somiglianti a specie inedite esistenti nei musei di Pisa e di Firenze come — 556 — la Zosterites pelagica Menegh. e il Fucoides cocMeatus Menegh. Yeg- gonsi pure sulle superficie dei calcari nemertiliti della forma denomi- nata dal Meneghini N. Strosci e trovansi pure in questa roccia Inoce- rami e il Zoophicos Villae. I calcari psamrnitici {pietraforte dei Toscani) che vengono superior- mente non costituiscono gruppi ben definiti, ma qua e là qualche riu- nione di strati interposti sovente fra schisti ed arenarie, -rappresentando piuttosto una varietà locale di arenaria o di calcare anziché una roccia particolare indipendente. Le arenarie micacee o veri macigni sotto l’a- spetto litologico, sono di color verde o bigio, formano masse di poco rilievo o alternano molte volte con schisti; anche queste non rappresen- tano che transazioni dipendenti dalle condizioni locali del fondo marino in cui si formarono. La massa dei galestri invece, assumendo uno sviluppo maggiore in alcuni luoghi, conserva caratteri costanti. Il tratto di spar- tiacque appenninico tra il Bastione e Vergherete è costituito da un anticlinale di questi schisti con nemertiliti. II passaggio di questi tre tipi di rocco dall’ una all’ altra e anche comprovato dai fossili : cosi si trovano inocerami e Zoophicos tanto nel calcare che nell’ arenaria superiore, e le nemertiliti nei calcari e nei galestri, non che nelle argille scagliose. La potenza di tutte le strati- ficazioni relative al gruppo di rocce in esame non è ben determinabile, ma si può però ritenere superiore ai 200 metri. Venendo alle argille scagliose, l’Autore riporta quanto ne scriveva il Bianconi su quelle del Bolognese che non differiscono gran fatto dalle forlivesi. La loro estensione è qui considerevole, e circondano più par- ticolarmente il rilievo del Carpegna uscendo al disotto delle masse eco- nomiche che ne costituiscono la sommità. La loro stratificazione è fatta palese in vari punti della Carta che egli passa in rassegna e dimostra la loro età ed il rappresentare esse gli schisti galestrini. Ricorda la presenza di ossidi di manganese in queste argille come in quelle del Bolognese, che compenetrano frammenti di rocce calcari e rivestono e compenetrano pure frammenti di Ammoniti, Inocerami, Zoophicos. non che certe forme singolari di fossili cilindrici proprio della pietraforte e degli schisti galestrini. Di alcuni di questi fossili strani trovati nelle argille scagliose dà la descrizione, e non trovando in essi caratteri pei quali si possa riferire a genere conosciuto li chiama Azsarolia perfo- rata dal nome del primo scopritore. In queste argille si riscontra la barite solfata come in quelle del Bolognese, benché assai scarsa. E invece abbondante l’arragonite e vi si nota pure la pirite di ferro e il gesso in cristalli; questo però fa- cilmente proviene dalle vicine masse di gesso del miocene superiore. In 557 — alcune località vi sono argille imbevute di sostanze bituminose : dal- l’analisi fattane, però, risulta che la quantità di materia bituminosa è così tenue da non dar luogo ad applicazioni industriali. Concludendo lo studio sulle argille, l’Autore dice che esse hanno il più delle volte caratteri litologici, stratigrafici e paleontologici comuni colle rocce sottostanti, che essendo provato essere cretacee la pietraforte e gli schisti galestrini in Toscana, lo debbano essere egualmente le argille scagliose colle altre rocce cui sono inferiormente unite. Le varie parti- colarità delle medesime relative al colore, alla struttura e ai suoi componenti si spiegano ammettendo, come si propone di dimostrare, che le rocce cretacee abbiano partecipato a sollevamenti anche in prece- denza di altre più recenti deposizioni, per cui quelle masse potevano in vari luoghi formare isole, rialzi o bassifondi nei mari susseguenti. Non ammette lo smembramento di queste argille in diversi piani, sia per i fatti esposti, sia per la continuità che esse hanno nei loro peri- metri, e non essendo, nella loro estensione interrotte da interposizione di altri deposti come dovrebbe avvenire se appartenessero a piani di- versi. Nel Forlinese non vi è che un piano unico di argille scagliosi appartenenti al cretaceo, e tali pure crede quelle del Bolognese per i loro rapporti comuni coi calcari fucitici. Egli però limita il suo giudi- zio solo per quelle argille che contengono frammenti di calcare fucitici e che sono contemporaneamente in tale posizione da escludere la presenza inferiormente ad esse di rocce non cretacee. Gli affioramenti serpentinosi nella regione esaminata sono di poca importanza. Il maggiore di essi trovasi nell’ alta valle del Senatello ed è un’ ofiolite diallagica. Gli strati del calcare bianco fra cui si trova inclusa non presentano alcuna alterazione e conservano l’inclinazione e la direzione costante dalle due parti della valle. Un altro affioramento è presso Secchiano nella valle di Marecchia, ma assai pic- colo e quasi nascosto sotto depositi terziari : trovasi in vicinanza delle argille scagliose e lascia conoscere che sorga dalle argille medesime ; essa pure è diallagica, in alcuni punti è frammentaria e passa ad un gabbro rosso. Questi affioramenti si collegano molto probabilmente con quelli più importanti di Pieve Santo Stefano che si trovano allineati con questi in direzione 0. 40 S.-E. 40 N., che è pure quella del fiume Ma- recchia. Le osservazioni fatte dall’Autore su queste rocce in codesta parte dell’Appennino lo conducono ad abbandonare l’idea che esse pos- sano aver partecipato a formare il sollevamento dell’Appennino stesso. Eocene. — Le località ove esistono evidentemente le masse di cal- care nummulitico, sebbene non numerose, sono però sufficienti a pro- vare che la zona nummulitica eocenica fu quella che succedette imme- diatamente alle argille scagliose. Queste masse hanno in generale i caratteri del nummiilitico toscano. Nelle quattro località principali de- scritte daH’Autore, a Monte Gelli, a Barbette, a Sant’Agata di Feltria, 0 al Monte delle Trappole, questo piano è rappresentato da un calcare compatto bianchiccio costituito da piccoli nummuliti o da calcare are- naceo pure pieno di nummuliti e sempre sovrapposto alle argille sca- gliose 0 scbisti galestrini, e ricoperto ora da arenaria macigno ora da melassa miocenica. In questa zona nummulitica furono riconosciuti dal prof Meneghini i seguenti fossili, che bastano a caratterizzare la zona nummulitica eocenica: a Barbotto Orbitoides papyraceaB?iVihee, 0. stella Gilmbel, 0. nummulitica Giimbel, Nodosaria sp. Alveolina sp. : a monte Gelli Orhitoides sp., Nummulites Leymeriei d’ Orb., Nujnmulites sp., Alveolina sp. , Venendo all’esame delle località ove manca il calcare nummulitico, ricerca quali rocce lo sostituiscano * prende quindi a descrivere quanto in proposito si osserva nel rilievo del Carpegna, fra il Mareccbia e la Conca. In questo al cretaceo rappresentato in tutte le sue forme litologi- che, comprese le argille scagliose che tengono luogo dei galestri, succede una serie di oltre 100 metri di potenza di calcari bianchi o giallagnoli alquanto marnosi e fucitici unito a qualche strato arenaceo con scbisti interposti. Questi calcari, per i loro rapporti stratigrafìci e per la cor- rispondenza con quelli ove la serie è resa completa dal nummulitico, chia- ramente corrispondono all’alberese toscano. Qui l’Autore osserva come, mentre nelle località circostanti al Carpegna l’eocene insieme col cretaceo sono in discordanza coi terreni più recenti, lungo la cresta deH’Appen* nino da Verghereto sino alle origini del fiume Montone, essi sono invece ordinati con tutte le masse mioceniche ; dimostrando così che nella prima località avvenne un sollevamento nelle masse e forse anche una denudazione prima di ricevere i depositi ulteriori, nelle altre non subi- rono alcun movimento che soltanto si manifestò molto più tardo. Dove in luogo dei calcari eocenici suindicati si hanno invece delle arenarie, l’Autore per segnare il limite tra gli schisti galestrini e le arenarie cretacee unite ad essi e le arenarie eoceniche (macigno), si valse del carattere che nel piano più basso di queste esse si presentano ad elementi che si fanno sempre più grossi alTavvicinarsi delle rocce nummulitiche. Avendo potuto constatare tale particolarità litologica ove realmente esiste il nummulitico, ebbe modo di segnare i limiti inferiori delle arenarie eoceniche nei luoghi ove si presentano queste varietà di arenaria dette cicerchine dai Toscani. Passate in rassegna le varie località ove trovansi le stratificazioni del macigno, osserva col Pareto come queste arenarie prendano supe- — 559 — riormente un aspetto clie le accosta alle molasse. Tanto lungo la valle del Montone quanto nelle altre parallele, si hanno arenarie cenericcie micacee- poco consistenti, alternate uniformemente con argille schistose o nodulari prive di fossili : la forma schistosa si fa prevalente negli strati superiori che hanno una superficie ondulata come se nel deporsi fossero state battute dalle onde. Nota pure che in questo macigno non vi ha alcuno strato decisivamente calcare paragonabile al vero alberese. Conclude quindi che non si possono assolutamente stabilire i limiti precisi fra il macigno eocenico e le rocce simili cretacee dove man* cano i nummuliti o le cicerchine o se non si mostrano in vicinanza i calcari bianco-compatti del cretaceo. Litologicamente in tutte queste località le arenarie cretacee sono simili alle eoceniche e alle inferiori mioceniche; ne deduce quindi che il loro accumularsi fu graduale, continuato e senza che soffrissero sollevamento durante il loro deporsi. Soltanto nel rilievo del Carpegna e sue dipendenze, non esclusa Telis- soide del Catria, avvenne un sollevamento sul finire dell’eocene che non si estese nella parte delTAppennino che resta a N. 0. dello stesso monte. Miocene : JB or mi di ano. — Avvenuto il sollevamento di questa regione che l’Autore chiama Isola di Carpegna e mentre per l’azione delle onde ne era cominciata la degradazione col franare e stemperarsi delle ar- gille scagliose che seco trascinavano le formazioni sovrastanti, si for- mavano intorno alla base di quest’ isola nuove rocce calcaree. La parte inferiore di queste rocce è costituita da un calcare compatto bianco giallastro, talora con macchie scure, composto per la massima parte da corpi interi di Polipai e Briozoi, cui ad intervalli aderisce una pasta compatta calcarea formata con frammenti di echinidi, conchiglie, pochi nummuliti, non che molti altri frammenti di organismi indeterminabili. Queste rocce sono diposte come lenti ricoperte o no da altre forma- zioni, troncate a picco da una parte e talora appoggiate ad eminenze arrotondate con rapidi pendìi. Così si presenta nel monte Yernia e nel monte Titano a S. Marino nonché in altre località. Altrove invece è disposta orizzontalmente come al Sasso Simone o a conca come alle Balze sul Fumaiolo. La loro stratificazione è indecisa, lo spessore nè regolare, nè costante : al Monte Titano hanno una potenza di 100 me- tri, in altra località è di gran lunga minore. La roccia madreporica che forma la base di questi banchi calcari si modifica verso l’alto in una arenaria talora schistosa e terrosa di color giallastro con grani verdi ; tale passaggio indicherebbe la diver- sità di tempo e delle condizioni locali che presiedettero alla formazione di questi banchi. 37 — 560 — I banchi madreporici sono disposti intorno al rilievo del Carpegna: il più importante trovasi ove è la valle di Marecchia e pare circondare la piccola massa ofiolitica presso Secchiano ; forse fu questo un primo punto d’appoggio alle colonie dei coralli. Altro gran banco è quello già ricordato del Monte Titano, che forse era un tempo unito a quelli mi- nori di Yerucchio e Scorticata. Questi banchi per la loro disposizione rassomigliano ai Fringing reef o scogliere di contorno situate in mari poco profondi e non lontane dalle spiaggie. Questi calcari non hanno alcun rapporto stratigrafico colle rocce sottogiacenti. DalTesame risulta che essi' riposano su rocce diverse, cal- cari alberesi, galestri, argille scagliose, qualche volta su calcari num- mulitici, e ne deduce che essi cominciarono a formarsi non immediata- mente dopo il sollevamento della regione, ma probabilmente dopo un certo tempo nel quale le grandi degradazioni à^Wlsola di Carpegna fecero sosta, e le rocce franate acquistarono una certa stabilità per ricevere a ridosso le colonie dei polipai. Se quindi il sollevamento avvenne dopo che si erano deposti i calcari alberesi ed un poco di macigno, è probabile che la comparsa dei banchi coralligeni possa coincidere col finire delTeocene. I dati paleontologici se non conducono a definitive conclusioni, lasciano però intravedere che gli organismi animali inclusi nei calcari debbono attribuirsi ad un lungo lasso di tempo, cioè dal finire del- l’eocene sino forse al miocene medio, periodo che egli chiama òormi- diano col Pareto. Qui l’Autore dà una distinta dei fossili rinvenuti, dall’esame dei quali, e per ravvicinamenti geologici con altre località, conclude che la fauna di questi calcari è prevalentemente caratteristica del miocene inferiore. Venendo ai depositi che si formarono contemporaneamente ai banchi calcirri su ricordati, sia in vicinanza del rilievo del Carpegna, sia nei punti più lontani ed ove il sollevamento non era ancora avvenuto, osserva quanto ai luoghi più vicini non aversi fatti geologici ben determinati, poiché certi piccolissimi lembi di molasse qua e là addossate sulle ar- gille scagliose non danno criterio sufficiente a stabilire il loro livello; quanto ai più lontani, ossia nelle vallate laterali 2i\V Isola di Carpegna^ il miocene inferiore non potrebbe essere rappresentato se non alla base di quella serie potente di melassa cenerognola che si sviluppa dall’eocene superiore fino alla zona dei gessi, poiché ivi continuarono le condizioni locali precedenti nelle quali si formava il macigno. Queste molasse non hanno traccio di fossili, eccetto qualche frammento vegetale o piccole lenti di lignite. Le molasse stesse però nella valle del Senio in provincia di Kavenna e a Marradi in quella di Firenze contengono denti di pesci — 561 — della stessa specie di quelli trovati nei banchi del calcare. Benché sembri aU’Autore di vedere un certo sincronismo tra queste molasse ed i banchi calcari del miocene inferiore, non essendo però distinto il loro punto di contatto col miocene medio, ha segnato nella Carta le molasse colla tinta del miocene medio. Osserva infine, come queste molasse si trovino a suo vedere nelle condizioni stesse delle arenarie di Kodi in Sicilia rispetto al calcare del Castello dei Margi : questo contiene come l’altro briozoi, echinidi, e denti di pesce, ed è pure situato sulle argille scagliose; quella del pari, collocata talora sulle argille con resti di pesci è reputata sincrona colle altre arenàrie alternanti cogli strati superiori del calcare di Margi, e per conseguenza ritiene che questo calcare corrisponda al nostro e formi anche là scogliera, che le arenarie di Kodi corrispondano alle nostre molasse e che quelle argille sieno parimenti cretacee. Miocene: Langhiano-SerravaMano. — Proseguendo neH’esame dei terreni miocenici, si occupa dapprima della regione più lontana dal rilievo del Carpegna. Quivi alle molasse cenerognole passanti inferior- mente alle arenarie eoceniche succedono superiormente strati di molasse sempre più tenui interstratificati con altri più potenti e più marnosi. Ad eccezione della Lucina apjjennmica Doderl. che segna un certo orizzonte quasi costante nella parte superiore di questa formazione, essa è priva di fossili, sicché non si ha nessun preciso confine in basso coi macigni ed in alto si chiude colle stratificazioni del gesso. Ciò conferma che in questi paraggi duravano sempre le stesse condizioni geologiche senza intervento di alcuna oscillazione terrestre. Ma nelle vicinanze del Marecchia ove erano già emersi i terreni à^WIsola di Carpegna si verificavano altri fatti. Qui si osserva in diversi luoghi superiormente all’arenaria calcarea a briozoi o, ove questa • manca, sopra il calcare compatto, un conglomerato a grossi ciottoli calcari provenienti da rocce del Carpegna ed associati più o meno ad una molassa grigiastra senza fossili. In altri luoghi invece mancano questi depositi, o si hanno sola- mente grossi strati di molassa cenerognola simile al macigno. Queste anomalie litologiche in località cosi vicine tra loro sono da attribuirsi, secondo l’Autore, alla degradazione più o meno localizzata e variata delle masse emerse, facilitata da un vasto avvallamento o scorrimento nelle argille scagliose inferiori ai banchi a briozoi, verifi- catosi specialmente al nord del Carpegna. Indicando le diverse località nelle quali si osservano le suddette molasse a conglomerati e come esse trovansi giacenti su rocce diverse, rammenta che a Perticara ove questi depositi giacciono direttamente sulle rocce cretacee della Serra, si osservano nel conglomerato interstratificato di Monte Pincio dei — 562 — ciottoli nerastri che non provengono da rocce dell’alto Appennino, ma probabilmente da calcari antichi della catena metallifera della Toscana, il qual fatto manifesterebbe una comunicazione delle località esaminate con quelle montagne ed escluderebbe che fosse ivi emersa ancora la catena appenninica. In questi conglomerati mancano ciottoli di granito, di curiti, por- fidi e gneis; vi sono invece quelli di rocce serpentinose e piccoli grani di esse nelle molasse. La potenza di questi conglomerati è assai varia, ma non eccede mai i tre metri ; essi sono spesso intercalati con molasse. Queste, mentre hanno una grande potenza nelle vallate lontane dal Car- pegna, si fanno in vicinanza di questo monte più sottili. Il complesso di rocce ora descritte, caratterizzate nella parte supe- riore dalla Lucina appenninica e da molte sorgenti di acque salse e stratigraficamente dalla zona dei gessi, viene riferito dall’ Autore al Langhiano e SerravalUano. La presenza della Lucina appenninica nelle due località di Dico- inano nel versante toscano e di Martignano in quello adriatico, ad una distanza in linea retta di*appena 16 chilometri, proverebbe che se vi esistevano due mari, le loro spiaggie erano separate da una striscia di terreno così ristretta da escludere che ivi fosse un principio di vera catena appenninica: e siccome la presenza dei ciottoli nerastri a Per- ticara proveniente da monti al di là dell’Appennino attuale prova che questa catena non poteva esistere, l’Autore ne conclude che all’epoca in cui viveva la Lucina appenninica esisteva un mare continuato ove ora sorge l’Appennino e opina perciò che si dovrebbe ben cercare se buona parte dei macigni toscani, almeno nella loro parte più elevata, non sia da riferirsi al miocene inferiore e medio. Quanto all’epoca in cui cominciò a formarsi il sollevamento appen- ninico, l’Autore ammette che esso si facesse lentamente, e che durante il medesimo continuassero le deposizioni presso le spiaggie del mare, e gli strati di esse si sieno formati man mano più lungi da queste. Osservando poi che al disopra delle molasse del miocene medio si trovano in estesissima zona le formazioni gessifere, prodotto di acque dolci e salmastre, crede si debba ammettere che, perchè un tal fatto abbia potuto verificarsi tanto uniformemente in questa regione, sieno soppravvenute particolari condizioni altimetriche, che modificando so- stanzialmente le precedenti dessero luogo ad altre rocce ed esseri di natura tanto diversa. Ciò non poteva avvenire che per un sollevamento esordiente, il quale, facendo emergere alquanto le molasse dal mare ■allontanasse il lido di questo e facilitando alle acque dolci di sostituirsi alle marine, formasse delle lagune allungate con un andamento alì’in- — • 563 — circa quale ora si mostra delineato dagli affioramenti gessosi. Ili tiene quindi che la distanza dalla cresta dell’Appennino all’affioramento dei gessi rappresenti l’estensione delle masse che eransi alquanto sollevate nel periodo decorso, da quando cioè viveva la Lucina fino alla forma- zione dei gessi. A questo sollevaménto partecipavano pure le masse cretacee del Catria e del Carpegna e del Bolognese. La direzione però di questo sollevamento si fece alquanto diversa da quella del Catria, procedendo dalla Marecchia verso il Bolognese come se le masse sol- levantisi avessero trovato una resistenza costante e laterale dalla parte del Po, probabilmente esercitata dalle masse alpine in gran parte allora sollevate. Miocene: Tortoniano. — Viene ora l’autore ad occuparsi della formazione gessifera. Essa sta sulle molasse, in contatto colle più mar- nose e concordante con esse. E come queste sono scarse nel perimetro MlVlsoìa di Carpegna^ abbondando invece al di fuori, così la forma- zione in discorso appena indicata in quelle località acquista invece al- l’esterno un grande incremento. Descrivendo l’ordinamento stratigrafico caratteristico di queste rocce così importanti per le miniere di zolfo che contengono, l’Autore osserva come questa formazione sia disposta in tante ondulazioni parallele occupando quasi esclusivamente i sincli- nali delle stratificazioni esistenti in egual numero, tanto a N.O. che a N.E. della Marecchia, interrotte all’approssimarsi dei limiti MlVlsola di Carpegna, dalle masse della quale si mostrano affatto indipendenti nel loro andamento. Ciascuna di queste sinclinali viene passata in ras- segna dall’Autore descrivendo gli affioramenti, la disposizione strati- grafica, la varietà dei gessi e dei minerali di zolfo che contengono. Dall’esame dei diversi affioramenti risulta l’uniformità di livello che ebbero fra loro i bacini lacustri, e la precedente esistenza delle masse rialzate del Carpegna. Circa la potenza delle rocce formanti questo gruppo, osserva essere esse disposte a lenti più o meno allungate, a limiti irregolari e a spes- sore non costante. I gessi sono associati ad altre rocce senza alcuna legge che ne determini la riunione: essi passano gradualmente dallo stato cristallino al compatto o schistoso, e tale passaggio si verifica a preferenza per il lungo del versante anziché per il largo. Passa quindi a descrivere più particolarmente il coordinamento stratigrafico delle varie rocce di questo gruppo. Esso è costituito nella sua parte inferiore di una serie di scbisti argillo-silicei bianchi fogliacei con alternanza di marne contenente molti avanzi di pesci e di diatomee. In basso si collega colle molasse del miocene medio ed in alto col gesso in piena concordanza. L’Auiore presenta qui la. serie completa degli — 564 — strati di questo gruppo attraversati a Formi guano nella escavazioné di un pozzo. ’ Talvolta però gli schisti mancano o sono in alternanza cogli strati di gesso, tal’altra essi soli stanno a rappresentare la formazione ges- sosa come a Mondaino, ove le forme di ittioliti rinvenutevi sono simili a quelle di ’Formignano. Proseguendo la descrizione delle varie località ove questo gruppo più o meno si manifesta, e dei fossili in essi trovati, si occupa specialmente dei giacimenti solfìferi, e presenta varie analisi della pietra solfifera delle varie località. Espone alcune considerazioni sul processo di sedimentazicne delle rocce di questa formazione, dalle quali risulta che le acque dolci vi avevano gran parte e che tanto il gesso che lo zolfo si depositarono in seno alle acque, e che poscia si cristallizza- rono in mezzo alle altre rocce o contemporaneamente o successivamente. Quanto al processo di formazione o all’origine prima del gesso e dello zolfo, esso deve risiedere in un’azione metamorfica, contemporanea alla stessa deposizione degli elementi costituenti le rocce di questo gruppo, per l’azione del gaz solfidrico. Le rocce superiori al gesso e con questo collegate tanto per sovrap- posizione che per origine egualmente salmastra e di estuario risultano di conglomerati e da depositi di ligniti. Questi depositi sono special- mente caratterizzati nel Soglianese e presso Perticara, sia per la loro sovrapposizione ai gessi, quanto pei fossili in esso contenuti. 1 ciottoli di questo conglomerato risultano specialmente di roccie appenniniche e fra essi sono caratteristici quelli del calcare a briozoi: essi sono poi im- prontati e frantumati, indicando essi le enormi pressioni posteriori che subirono. L’esame dettagliato geologico e paleontologico di questi depositi in- duce l’Autore ad ammettere che essi si formarono nelle stesse condi- ^ Marne cenerognole e strati di molasse. Marne con straterelli di calcare e mo lassa. Marne con cogoli di gesso e di zolfo. Marne con strati sottili di molassa. Idem, idem, con sottili strati e venature di gesso. Marne. Gesso in grosso strato. Marne con masse sferoidali di gesso cristallizzato. Undici strati di gesso compatto alternante con marne e schisti con Lehias Crassicnu- dus Agas. ed altri ittioliti. Pietra zolfifera unita in basso col calcare. Marne con alternanze di schisti fogliacei con ittioliti diatomee e contenenti Arau- carites Sternhergii. Gopp., Sequoia hangàsorfi Hung., Camaecisparites Hardtii. Endl. Qaei'cus, ecc. Marne con piccole valve indeterminabili. 565 — zioni dei gessi, cioè in acque salmastre prossime a terreni emersi rico- perti di vegetazione, coll’ intervento di acque dolci, capaci pure di trasportare ciottoli e sabbie. Eitiene quindi col Pareto che il complesso di questi depositi tanto sottostanti cbe sovrastanti ai gessi, noncliè gli schisti fogliacei, presentano i caratteri del piano tortoniano. Fliocene : Piacentino. — La speciale natura ed estensione degli strati marini dei quali viene ora ad occuparsi PAutore, e talora la di- scordanza loro colle masse precedenti portano ad ammettere un movi- mento del suolo inverso al precedente, cioè un avvallamento che egli ritiene anziché ad una causa direttamente endogena, dovuto ad un asset- tamento delle masse appenniniche o a semplice movimento di altalena, in corrispondenza forse con un sollevamento delle Alpi, durante il quale si formava la depressione sulla linea della valle del Po. Tale avvalla- mento, limitato ad una zona stretta ed allungata di paese, poteva permet- tere che nelle parti più elevate si continuasse il deporsi del tortoniano mentre il mare invadeva le parti più basse : quest’abbassamento in ogni modo non cambiò sensibilmente il limite esterno delle terre emerse. La roccia che prima si presenta in questo nuovo orizzonte è un cal- care sabbioso concrezionato bianco giallastro, talora ròssiccio, costituito in gran parte di frammenti di conchiglie e forma un banco molto po- tente che si estende da Pietra Mora nel Faentino a Castrocaro sul Montone, giacente sulle marne sovrastanti ai gessi. Di là prosegue dopo breve interruzione sino a Meldola, poscia a Bertinoro, ove si appoggia discordante sulle molasse del miocene medio. Si presenta poi in lembi isolati in altre varie località occupando la sommità di colline ove si trasforma in molasse un po’ ferruginose. Questo calcare grossolano tufaceo non si ritrova più nel tratto di paese tra il Marecchia e la Conca, ma alla destra di questo, nel Pian di Castello, vi ha un vasto altipiano co- stituito di una sabbia grossolana conglutinata e puddingoide, che si trova in giacitura corrispondente a quella del calcare tufaceo, e quindi da ritenersi un rappresentante locale del medesimo, poiché contiene anche forme diverse di fossili identiche a quelle del calcare suddetto. Nel Pesarese questo piano è rappresentato dal noto conglomerato deri- vante da rocce cristalline non esistenti nell’Appennino e contenente specie di fossili comuni al pliocene inferiore. Sulla provenienza di questi ciot- toli l’Autore espone due ipotesi, cioè il trasporto dei ciottoli dalle Alpi avvenuto per mezzo dei ghiacci natanti, o l’esistenza nell’Adria- tico di monti con rocce cristalline. In appoggio a questa seconda ipo- tesi sta il fatto del Monte Conaro coi suoi strati cretacei e giuresi rialzati verso il mare in continuo stato di degradazione che forma la contro parte di un sinclinale rilevato parallelo all’ Appennino : ciò fa- 566 — rebbe supporre vi fosse stato ben oltre nel mare un affioramento ele- vato peninsulare di rocce cristalline da cui deriverebbero i ciottoli del Pesarese. Pliocene: Astigiano. — Al calcare tufaceo e alle rocce del piano ora descritto, che per i suoi fossili e per i caratteri litologici l’Autore ritiene un deposito decisamente litorale, sta sovrapposta una serie di stratificazioni costituita da marne molto fini, argillose e sabbiose, cono- sciute sotto il nome di marne subappennine. Nel Forlivese esse sono prevalentemente sabbiose e la loro potenza non è grande. Dove meglio si osservano è sulla destra del fiume Ronco inferiormente a Meldola ove si trovano in concordanza col calcare tufaceo. Esse sono di color chiaro turchiniccio, sabbiose e talora schistose formanti una serie di lOQ • metri di potenza e contengono parecchi fossili. Si palesano pure in varie altre località solcate dai torrenti d’acqua nel tratto di paese fra Capo Colle e il Marecchia. Alla Serra sotto San Marino poggiano in discordanza sulle argille scagliose e calcari tacitici e spuntano pure in mezzo ad esse alcune creste di calcari a briozoi mostrando che il ri- lievo del Carpegna partecipò anch’ esso a tutti i moti del suolo avve- nuti in questa regione. Alle marne sono sovrapposte delle sabbie formanti gli ultimi de- positi .marini di cui sono costituite le colline più basse di questa regione: esse contengono frammenti di ostriche, pettini e pettuncoli e molte foraminifere, non che avanzi di Hippopotamus, Bhinoceros leptorhinuSy Elephas antiqims, Cervns, ecc. Queste sabbie unitamente alle marne sottostanti sono generalmente rialzate verso l’Appennino; solo dalla Yentena procedendo al di là della torre di Jesi formano una lunga ed elevata conca sinclinale. Al tempo in cui si depositarono le sabbie si verificò un maggiore incremento nel sollevarsi deH’Appennino, pel quale l’ Italia assumeva quasi l’attuale suo rilievo montuoso. Le sabbie sovrapposte a marne in- dicano un cambiamento nella profondità delle acque marine; così mentre i depositi del piacentino indicano un abbassamento di suolo alle spiaggie pel quale le acque marine invadevano le lagune, le sabbie astigiane invece accennano ad un periodo di sollevamento, compiuto il quale, anche le sabbie cessarono dal depositarsi. In questo sollevamento però si produssero diverse fratture con faglie che sono dall’Autore dimo- strate con varie sezioni. Qui egli presenta il seguente prospetto delle varie quote a cui si trovano i limiti dei vari depositi formatisi nel versante appenninico, che rappresenterebbero, non tenendo conto delle degradazioni posteriori, le diverse quote di sollevamento subito dall’ Appennino nei diversi pe- — 567 nodi di emersione, mostrando nello stesso tempo che questo solleva- mento avvenne per gradi : Monte Carpegna colle sue rocce cretacee ed eoceniche trovasi elevato sul mare m. 1593 il Simoncello coi depositi del Bormidiano » 1534 Il Monte Spinello coi depositi del Serravalliano e Langhiano » 932 Il Monte di Sant’Agata Feltria coi depositi del Tortoniano . » 600 Tavoleto coi depositi del Piacentino » 440 Il Monte Luro coi depositi dell’Astigiano » 299 Fostpliocene antico e moderno. — Accentuatisi cogli ultimi sol- levamenti i sinclinali e gli anticlinali, si estesero e si ampliarono i corsi d’acqua già scorrenti sulle terre emerse, i quali dapprima, pochi in numero, ma dotati di grande potenza per la copia delle acque e per la forte pendenza, trasportavano grossi materiali originando alle foci lunghi ed estesi coni di deiezione. Bidotti poi i fiumi a minor portata, dovettero solcare le loro antiche deposizioni lasciando dei lembi qua e là in forma di terrazze, che si trovano appoggiate discordantemente sulle stratificazioni precedenti. Di tali terrazze se ne verificavano a diversi li- velli, le più elevate delle quali a 20 o 25 metri superiormente ai corsi at- tuali dei fiumi. Tali depositi terrazzati vengono dall’Autore passati a rasse- gna. Esaminandone i materiali, osserva che la natura dei ciottoli è quella delle rocce attraversate dai corsi d’acqua, ma sono più voluminosi di quelli trasportati dai corsi attuali. Lo spessore di queste breccie è ineguale, e nella parte superiore sono ricoperte da alluvioni terrose giallastre o brune con conchiglie terrestri di specie tuttora viventi e talora fram- menti di corna di cervo e denti di bue. Accenna pure alla presenza in questa regione di grossi blocchi di calcare a briozoi situati a grande distanza dalla loro sede lungo i fiumi o anche su eminenze. Il loro trasporto viene attribuito dall’Autore alle argille scagliose, che scivo- lando trascinarono seco i blocchi di calcare rimasti in esse impigliati, e successivamente per l’azione dell’acqua sulle argille stesse questi ri- masero abbandonati nei diversi punti ove si trovano. Accenna da ultimo ai depositi attuali e alla incertezza che nel Forlivese esistesse 1’ uomo fino dal tempo dei depositi terrazzati. La mancanza della materia prima per la formazione delle prime armi serventi all’uomo (la selce) fa credere che esso fosse qui da principio poco rappresentato e quindi gli indizi precisi della presenza della specie umana in questa regione si ha solo nell’epoca del bronzo. Trascriviamo qui da ultimo il prospetto sinottico dei terreni rap- presentati nella carta geologica. — 568 EPOCHE PERIODI PIANI NATURA 3HTOLOGICA DEI SINGOLI DEPOSITI PRINCIPALI UBICAZIONE TVTDT -nT'-nnCJT'T'T ! DEI DEPOSITI POST TERZIARIA TERZIARIA Post plioc. Pliocene Miocene SECONDARIA Eocene Cretaceo Attuale Antico r Astigiano Piacentino Tortoniano Serravalliano Langhiano Bormidiano Superiore Inferiore Superiore Alluvioni prodotte corsi attuali dai Alluvioni brecciose e ter- rose disposte in terrazze elevate Sabbie a ciottoli silicei Marne concbio'lifere Calcare tufaceo - Conglo- merato di rocce cristalline - Marne e sabbie Sabbie consolidate e marne Molasse a concrezioni glo- bulari : , conglomerato im- prontato : ligniti Gesso ed altre rocce solfifere Scbisti bianchi fogliacei f Marne arenacee j Conglomerato improntato 1^ Molasse a concr. globulari f Arenaria calcare giallastra [ a grani verdi : arenaria ce- nerognola Calcare compatto gialla- stro a Briozoi Arenaria (mac.) : scbisti Calcare marn. (alberese) Calcare nummulitico Calcare psammitico. Are- j naria, Scbisti galestrini , Argrille scaorliose 'j Rocce ofiolitiche Calcare compatto, bianco giallastro, cenerognolo In tutta la pianuu N. E. della via Eraiì Lateralmente ai C( dei fiumi Monto Ronco, Savio, Mar cbia, Eop-lia Nelle ultime più ba sporgenze dei colli Presso Meldola, < strocaro, Monte Lurc Meldola, Castrocf Bertinoro, Tomba, voleto Casanova Calisesi, I glianese. Monti di Pesi Soglianese , Moj Gelli. ì In tutte le miniere] zolfo j Polenta, Formignfu Monteveccbio, Monda Lungo 1 fiumi Moi ne, Ronco, Savio, Fo, Perticala, Urbiufj Biforco S. Marino, Fumaiiij S. Leo, Sasso Sid ne, ecc. S. Marino, Fumaiu S. Leo, Penuabilli, So ticata, ecc. i Monte delleTrapp M. Benedetto M. Carpegna M. Benedetto, Mo Gelli, Barbotto Tratto medio e sid riore del F. Marecclj Appennino j Seccbiano. Presso S natello I Pieve di Carpegn^ — 569 — NOTIZIE DIVERSE Tracliite micacea di Montecatini in Toscana. ^ — Sulla fine deir anno scorso il signor professore Capellini ebbe la compia- cenza di inviarmi da Montecatini di Val di Cecina (Toscana) un campione di roccia, esternando il desiderio ch’io ne descrivessi la co- stituzione mineralogica. Secondo una relazione del suddetto scienziato italiano, questa roccia, già indicata talora col nome di tracbite mica- cea, tal’altra con quello di selagite (ben inteso nel senso della nomen- clatura di Hauy e non già di quella di Cordier), ed ora con quello di minette od anche di andesite olivinica, forma un piccolo masso sul quale sta l’anzidetto villaggio toscano. Da ripetute e minute analisi della medesima risultò esser questa un più recente equivalente di una certa varietà di minette quale fin ora, a quanto io mi sappia, non fu rin- venuta in nessun’altra località, nè mai venne descritta. Lo che servirà a menar buona una breve dissertazione su questa roccia. Osservandola ad occhio nudo e con la lente, la roccia di Monteca- tini lascia scorgere entro una pasta verde grigiastra, affatto insolubile, a tessitura sgregata quasi terrosa, e che alitata tramanda odore argil- loso, dei cristalli di mica, fittamente costipati, a lamine sottili, di co- lor bruno scuro e a contorni esagonali, il diametro orizzontale dei quali giunge sino a 3 mm. Oltre a ciò vi si scorgono dei grani della grandezza di un pollice e dei rognoni di quarzo grigio compatto, i quali sono, a quanto pare, inclusioni eterogenee e talvolta prodotti secondari di meta- morfismo. In breve, Vhabitas della roccia è assolutamente quello della sienite micacea in forma di filoni denominata minette. Le sparse lamelle di mica colle lor facce di clivaggio a lucentezza metallica assorbono i raggi oscillanti sul piano principale di sfaldatura così completamente che le laminette basali non diventano trasparenti che lorquando sieno sottilissime: in tal caso risultano chiaramente bias- siche (l’angolo assiale esterno risultò di 7°-8^; più esatta misura non fu possibile nelle presenti condizioni d’ampiezza dellarco iperbolico); attorno alla bisettrice acuta la doppia rifrazione risulta negativa ; la dispersione u>?; il piano assiale è parallelo ad uno degli spigoli naturali ^ Da una comunicazione del prof. H. Roseubuscli inserita nel Keiies Jahrbuch 1880 voi. II. ed a uno dei raggi della Schlagflgur ^ la quale sol raramente riesce, ed è perpendicolare ad un raggio della Druckfigur ^ la quale qua e là si mostra naturalmente. Per conseguenza questa specie di mica ap- partiene al cosiddetto Meroxen della serie biotitica dello Tschermak. L’assorbimento è ì)=c (bruno rosso oscuro) > a (giallo). Delle lamelle di questo mica, staccate dalla roccia colla punta del coltello, si presentano all’analisi microscopica soventi riempite di grandi ed abbondanti in- clusioni duidoliquide, le di cui bolle di livello si movono spontaneamente. La determinazione specifica del fluido non potè mai riescire, giacché ogniqualvolta si riscaldavano le lamelle di mica queste si sverzavano. Nelle sezioni sottili non si ebbero mai a ravvisare di consimili inclusioni nella mica perchè, com’è naturale, erano svanite in forza della pressione eser- citata durante l’operazione d’assottigliamento. Anche la pasta a grana microscopicamente finissima ed omogenea risultò di un tessuto pres- soché olocristallino di limpidi cristalli di feldispato, di prismi d’ augite di colore verde chiaro od incolori, di scarse particelle metalliche e di granellini d’ olivina con base vitrea ma soltanto a fini pellicole. I limpidi cristallini feldispatici, inquinati talvolta da inclusioni in- determinabili presentano in parte dei profili quasi quadrati o rettan- golari, ma brevi ; in parte dei profili allungati, esili, listiformi. Di rado ‘osservansi delle geminazioni. I profili della prima specie mostrano so- venti e nettamente due direzioni di clivaggio che s’intersecano ad an- golo retto, nelle quali, come nei profili della seconda specie, le dire- zioni di massima oscurità si trovano parallele agli spigoli. Nei profili della prima specie scorgonsi ben di frequente due distinti assi formanti un piccolo angolo fra loro ed in modo che la bisettrice giaccia perpen- dicolarmente al profilo stesso, attorno al quale la doppia rifrazione ri- sulta essere negativa. I profili listiformi lasciano spesso vedere un asse sa- liente (la distribuzione cromatica manifesta chiaramente una dispersione orizzontale), raramente due, nel qual caso includono un angolo am- plissimo. In questo caso il carattere della dispersione non potè deter- minarsi esattamente. Si è potuto presumere la presenza di due feldispati, sanidina ed oligoclasio; presunzione che ebbe piena conferma coll’ope- rare la separazione meccanica del minerale ridotto in polvere, e ciò mediante una soluzione di joduro di potassio e di mercurio avente il massimo peso specifico di 3, 15 (sul quale galleggia la tormalina el- bana). Dal minerale polverizzato finamente ed introdotto’ a piccole por- zioni nella predetta soluzione si separò immediatamente una polvere verde grigiastra quasi incolora (augite), frammista a qualche po’ di mi- ^ Fig-ure date dai piani di scorrimento ed ottenute per percussione (Sclilagfigurj o per pressione (Druckfigar). — 571 nerale ferrifero e di mica. Diluita la soluzione sino ad avere la densità del quarzo si separò una seconda porzione di polvere (un misto di fel- dispato (oligoclasio) predominante e di alcun poco di quarzo e mica), ed' una terza ed ultima porzione di polvere precipitò dalla soluzione diluita sino alla densità dell’adularia. Applicando a quest’ultima porzione il metodo d’assaggio del Boricky s’ottennero molti cristalli di fluosili- ciuro di potassio e sodio, mentre la polvere di peso specifico del quarzo trattata identicamente diede molta quantità di fluosiliciuro di potassio e calcio. Le lamelle di mica che precipitarono assieme vennero facilmente separate dalla polvere ben lavata ed essiccata, col farle dapprima scor- rere a più riprese sulla superficie leggermente inclinata d’un foglio di carta da scrivere alquanto ruvida: le lamelle di mica vi rimangono aderenti per via, mentre la polvere feldispatica scivola in basso. La polvere augitica precipitata per la prima venne del pari depu- rata dalla mica, e da essa, servendosi del metodo del Boricky, si ottenne una reazione energica di calce e magnesia, una debole di ferro. L’augite, sempre di color verde chiaro, è ben cristalizzata, nella zona prismatica predomina oo P ^ • oo P ^ \ (100) (010) j subordinatamente oo P (110); piramidi terminali positive e negative. Sopra oo P oó (010) di cristalli isolati rimase determinato a 39" il piano di oscurità massima : prisrnetti sovrapposti a oo P 4 (100) mostrano un asse saliente obliquamente con due a tre anelli; in parecchi di essi scorgonsi anche due assi sa- lienti ma senza bisettrice ; conseguentemente sono geminazioni se- condo oo P óò (100). L’esponente di rifrazione dell’augite è molto ele- vato. E questi l’identico e preciso pirosseno che in ogni altra roccia erut- tiva di epoca qualsiasi si presenta unitamente al quarzo ed all’ortoclasio ed è diverso affatto dall’augite delle roccie eruttive basiche. Nella roccia in discorso non si rinvennero granuli d’olivina se non afiatto sporadici ed accessori, come in genere nelle minette d’ epoca antica. La rara materia vitrea contiene delle secrezioni opache. Quali prodotti di decomposizione vi si rinvenne del quarzo entro al quale penetrano spesso le punte dei cristalli d’ augite ; oltre ad esso della serpentina (?) verde fibrosa o della clorite (?) ed assai scarsamente della calce. Le pagine di fessurazione della roccia sono talvolta disseminate di piccoli cristalli di quarzo e ricoperte di lamine larghe e sottili di cal- cite le cui faccie basali hanno una singolare e forte lucentezza ma- dreperlacea. Alle faccie basali corrisponde una sfaldatura così perfetta come un vero clivaggio. Nei campioni alla mano non si veggono faccie — 572 — laterali. La sfaldatura secondo E e la doppia rifrazione negativa sin- golarmente accentuata non lasciano più alcun dubbio che questa sostanza appartenga ai carbonati romboedrici. L’energica etìer7escenza cbe se ne ottiene trattandola a freddo con acido cloridrico diluito indica la calcite. La soluzione nell’acido suddetto dà una fortissima reazione di calce^ una forte reazione di ferro, una debole di magnesia. Ca-istalli di C’elegtliaa sii Pefficaria (lioaiaag^Bia). — Il sig. Alessandro Schmid! pubblicò nel periodico ungherese Termèssetrajzi Fu- zeteli, IH trimestre 1880, uno studio decifratissimo su alcuni dei pre- detti cristalli che nella miniera zolfurea La Perticava nel Eiminese come nelle congeneri di Marazzana, Busca, Eormignano, ecc. si rinven- gono associati a molti altri minerali fra cui specialmente lo zolfo, iì gesso, la calcite ed il bitume. La conformazione ordinaria dei cristalli esaminati è la tabulare ; alcuni di essi però presentano anche la prismatica ch’è pur rarissima; in complesso sono 16 le forme semplici, che concorrono a costituirli tra cui 4 di nuove, la qual varietà e rarità di forme non può a meno di renderli interessantissimi. Diamo 1’ elenco delle medesime, distinguen- dole coi simboli del Miller e del Naumann e segnando con un asterisco lo forme nuove. Faccia terminale 001 Miller, 0 P Naumann Brachidoma Oli » Poo » Macrodoma * 2.0.11 » Vn » 104 » V.v Poo » * 207 » 2/ /7 Poo » 102 » V. Poo » Prismi 110 » 00 p » 120 » co P2 » Piramidi 111 » P » * 112 » •A P » ns » 'A P » 121 » 2 p2 » 122 » 1^2 » 142 » 2 p2 » * 277 » p3/ ^ /2 » 324 » •A PV2 » — 573 — Circa i rapporti paragenetici poi tra la celestina ed i minerali as- sociativi risulterebbe la serie seguente che principia col membro di più antica formazione: calcite, celestina, gesso, bitume e zolfo: tali rapporti sono identici a quelli recentemente rilevati dal Lasaulx nei minerali dei depositi solfiferi di Sicilia. ^ liieerelie géologiclie SSwaatS TilSiiirtSni. — 11 gruppo dei Monti di Tivoli, traversalmente in parte tagliato dal Fiume Aniene, può considerarsi come una piega orientale dei Monte Gennaro e deH’intera catena dei Monti Lucani. Nelle vicinanze di S. Antonio, sulla destra dell’Aniene, appariscono distinte stratificazioni di una calcaria bianca o leggermente carnicina^ nella quale in una gita fatta dal dott. Canavari nel luglio decorso in- sieme all’ingegnere Zezi, si rinvennero i seguenti ammoniti : Harpoceras Boscense Kein. — H. Lavinianum Mgb. Aegoceras Bavoei Sow. Stephanoceras crassum Y. et B. » Mortilleti Mgb. (o Stepli. acanthopsis d’Orb). Pliylloceras temiistriatum Mgb. (o P/^. Bartschi Stur?) » sp. ind. Questa piccola fauna induce a ritenere come liassica la calcarea in cui fu rinvenuta, e probabilmente come appartenente al lias medio. Qualche dubbio potrebbe nascere relativamente allo Stepìianoceras crassiun e al Phylloceras tenuistriatum o Ph. Partschi che sia : ma in ogni modo il primo, che è stato fino ad ora citato nella parte più antica del lias superiore, potrebbe poi arrivare anche alle più recenti zone del lias medio, considerazione che viene avvalorata dal fatto che l’esem- plare di Tivoli si scosta alquanto dalla tipica forma dello Steph. cras- sum Sow. Il Ph. tenuistriatum o Ph. Partschi è specie troppo incerta per potervi dedurre delle considerazioni cronologiche. Lo Stephanoceras Mortilleti Mgh è una specie della calcarea del Medolo per la quale il Meneghini (Monogr. ecc. nella Pai. Lomb.) accen- nava ad una età come di transazione tra il lias medio ed il lias superiore. Kestano in ogni modo, prescindendo dal Phylloceras sp. ind., come specie bene accertate V Harpoceras Boscense e V Aegoceras Davoei. Il ^ Bollettino Geologico., M. 11 e 12, 1819, pag. 613. — 574 primo caratterizza nell’ Appennino centrale gli Strati a T. As])asia Mgh., il secondo è decisamente del lias medio; alla parte superiore del quale il signor Canavari crede potere ascrivere la calcaria di Tivoli accennata. IViiovi fossili delle Al|>i Aptiaitie. — Nella adunanza del 14 novembre 1880 della Società Toscana di Scienze naturali il profess. Me- neghini presentò alcuni fossili rinvenuti dai signori Lotti e Fossen del K. Corpo Miniere nei calcescisti intercalati negli scisti inferiori, gueissi- formi di Fociomboli e Puntato ed in quelli superiori, ardesiaci o gra- fitici di Mosceta. I fossili rinvenuti nei primi sono sezioni longitudinali ben caratterizzate di Ortoceratiti a sifone visibile in alcuni esemplari, mentre in altri il medesimo è internato entro la roccia. Queste Ortoce- ratiti appartengono alle tre seguenti forme specificamente diverse : r Ortlioceras sp. Conchiglia conica a sezione circolare ; sifone centrale; angolo d’accrescimento di 12° circa; setti molto curvi, includenti conca- merazioni la cui altezza sembra irregolarmente varia, ma sempre di poco minore alla metà del diametro. 2° Ortìioceras sp. Conchiglia conica, a sezione circolare, sifone centrale, angolo d’accrescimento di 10'^ circa; setti molto curvi, includenti concamerazioni la cui altezza supera i 2/3 e raggiunge quasi i 3 4 del diametro: 3° Orthoceras sp. Conchiglia conica depressa a sezione ellittica ; sifone eccentrico, angolo d’accrescimento 8° circa; setti poco curvi e vicini; concamerazioni brevissime. Per questi caratteri e in base alle misure eseguite sugli esemplari il professore Meneghini ritiene di poter paragonare le due prime specie a note forme triasiche, mentre la terza troverebbe invece numerose analogie fra le specie paleozoiche, fra le quali però anche le due prime troverebbero maggior numero di ravvicinamenti che non in quelle del trias. Oltre alle predette forme il calcescisto di Puntato presenta una sezione limi- tata da due lati leggermente convergenti e nettamente troncata alle estremità. Sulla sua lunghezza veggonsi 9 segmenti trasversali, rilevati leggermente nel mezzo, ciascun de’ quali rapidamente s’attenua ai due lati, prolungandosi poi trasversalmente in sottile produzione lineare che prima di raggiungere il limite esteriore si sdoppia in due linee, le quali curvandosi vanno ad unirsi alle rispondenti del precedente segmento e del successivo; fra le estremità laterali dei segmenti assiali ed esse linee alternamente convergenti la superficie presenta leggere fossette. I residui fossili rinvenuti nei calcescisti intercalati negli scisti supe- riori di Mosceta sono in parte incompletissimi e riferibili dubbiosa- mente alla seconda delle forme suddescritte; altri sono riferibili alla ultima rimasta innominata; e mentre indubbiamente ne ripetono gli — 575 — essenziali caratteri, altri pur ne mostrano che vengono in sussidio alla determinazione ; talché dagli uni e dagli altri sembra potersi dedurre trattarsi di un corpo conico il cui asse è occupato da una serie di segmenti lenticolari, prodotti tutto aH’intorno in setti che rendono con- camerata la residua cavità, come, in molto maggiori dimensioni, nel- V Orthoceras tenui filum Hall, neìV Ormoceras crebriseptum Hall e nel- Y Actinoceras Bigsbyi Bronn. Ma potrebbero altresi i detti fossili altro non essere che resti di sifone nummuloide, rappresentanti esclusivamente i vuoti rimasti dalla scomparsa così dei setti e dell’ inviluppo sifonalo, come del deposito organico (anelli ostruttori) e del riempimento chimico 0 meccanico, rimanendo solo in dolomite il modello della cavità interna sifonale ed il velo penetrato nell’intervallo fra gli anelli ostruttori, fatto raggiante dalla pieghettatura della membrana sferoidale nel piano di schiacciamento, come jiqìY Actinoceras Uichardsoni Castelnau o nel- Y Actinoceras Bigsbyi Br. Dimodoché, lasciata pure in disparte la que- stione delle molteplici distinzioni generiche delle Ortoceratitidi, il prof. Meneghini, considerando che i più recenti inclinano ad unire anche gli Ormoceras di Stockes agli Actinoceras di Bronn, ritiene che sotto que- st’ultimo nome generico si possa inscrivere dubbiosamente il detto fossile enigmatico, riconoscendo in esso analogie maggiori coi fossili paleozoici, di quello che coi triasici. 88 / INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1880. (Volume Undecimo o Primo della Serie 2®.) Avv^ertenza Pag. 3 Id 407 Atti relativi al Comitato Geologico 7 Id. Id. 131 Id. Id. .239 Id. Id. . . .- 319 Id. Id. 399 Id. Id. 487 Congresso geologico internazionale del 1881 in Bologna 322 Id. Id. ' Id. 402 Id. Id. Id. 490 MEMORIE ORIGINALI. L. Baldacci e L. Mazzetti. — Nota sulla serie dei terreni nella Regione solfifera di Sicilia 8 I. CqficL — La formazione gessosa del Vizzinese e del Licodiano (provincia di Catania) 37 M. Canamri. — La Montagna del Suavicino. Osservazioni geologiche e paleon- tologiche , 54 C. De Stefani. — La Montagnola Senese. Studio geologico (continuazione) . . 73 A. Verri. — Le valli antiche e moderne dell’ Umbria 102 G. Uzielli. — Argille scagliose e Galestri 114 D. Zaccagna. — Rilevamento geologico delle Alpi Apuane. Osservazioni strati- grafiche nei dintorni di Castelpoggio 133 C. De Stefani. — La Montagnola Senese. Studio geologico (continuazione) . . 156 G. Ponzi. — I terremoti delle epoche subappenniniche 175 A. Issel. — Osservazioni intorno a certe roccie amfiboliche della Liguria, a pro- posito d’ una nota del prof. Bonney concernente alcune serpentine della Li- guria e della Toscana 183 V. Simonelli. — I dintorni di San Quirico d’Orcia, studii geologici 192 F. Coppi. — Del terreno tabiano modenese e de’ suoi fossili 218 — 578 — A. Travaglia. — La sezione di Licodia-Eubea e la serie dei terreni nella re- gione S.E. della Sicilia Pug. 244 M. Canavari. — La montagna del Siiavicino. Osservazioni geologiche e paleon- tologiche (continuazione e fine) 254 C. De Stefani, — La Montagnola Senese, Studio geologico (continuazione) . . 264 B. Lotti. — - Studi stratigrafici sulle formazioni liassiche e cretacee dei dintorni di Camajore e Pescaglia (Alpi Apuane) 336 A. Mascarini. — Su di alcuni fossili terziarii di Monte Falcone Appennino nella provincia di Ascoli-Piceno. Contribuzione alla paleontologia marchigiana. . 367 C. De Stefani. — La Montagnola Senese. Studio geologico (continuazione e fine). 367 T. Fuchs. — Risposta ad una osservazione del sig. Carlo De Stefani .... 376 F. Giordano. — Sulle condizioni geologiche e termiche della grande Galleria del San Gottardo 4C8 A. Cossa. — Sulla serpentina del San Gottardo 450 I. Cajìci. — Sulla determinazione cronologica del calcare a selce piromaca e del calcare compatto e marnoso (forte e franco) ad echinidi e modelli di grandi bivalvi nella regione S.E. della Sicilia 492 B, Travaglia. — La sezione di Licodia Eiibea e la serie dei terreni nella re- gione S. E. di Sicilia , 505 A, Manzoni. — Il Tortoniano e i suoi fossili nella provincia di Bologna . . .510 A. Cossa. — Sopra ima stilbite del ghiacciaio del Myage (Monte Bianco). . . 520 ESTEATTI E KIVISTE. C. W. Giimhel. — Note di una escursione geologica alle Alpi orientali lom- barde 281 Id. — Sulle condizioni geologiche dei monti del Lago di Como. . 454 Id. — Sulle condizioni geologiche dei monti del Lago di Lugano. 522 A. Bittner, — I terreni di sedimento nelle Giudicarle 531 C. W. Gumbel. — Sul carattere delle roccie di sedimento a strati ricurvi. . . 533 NOTIZIE BIBLIOGRAEICHE. E. Stòhr. — Die Radiolarienfauna der Tripoli von Grotte, Provinz Girgenti in Sicilien. — Cassel, 1880 118 T. Taramelli. — Sunto di alcune osservazioni stratigrafiche sulle formazionipre- carbonifere della Valtellina e della Calabria. — Milano, 1879 121 A. Portis. — Di alcuni fossili terziarii del Piemonte e della Liguria apparte- nenti all’ordine dei Chelonii. — Torino, 1879 123 R. Meli. — Note geologiche sui dintorni di Civitavecchia. — Roma, 1879 . . 229 A. Manzoni. — La geologia della provincia di Bologna. — Modena, 1880 . . 230 K. von Fritsch. — Neuere Beobachtungen in den Apenninen. — 1880. . . . 232 T. Taramelli. — Il Canton Ticino meridionale ed i paesi finitimi, — Berna, 1880. 301 Id. — Sulla determinazione cronologica dei porfidi luganesi. — Mi- lano, 1880. 305 — 579 — G. Scarahelli Gommi Flamini, — Sugli scavi eseguiti nella caverna detta di Fra- sassi. — E,oma, 1880 Pag. 306 G. Meneghini, — Nuovi fossili siluriani di Sardegna. — Roma, 1880 . . . .312 A. De Zigno. — Sopra un cranio di coccodrillo scoperto nel terreno eoceno del Veronese. — Roma, 1880 313 Id. — Nuove osservazioni sull’ Haliterium Veronense, Z. — Vene- zia, 1880 315 G, Merealli. — Contribuzioni alla geologia delle Isole Lipari. — Milano, 1879. ivi A. von Lasaulx. — Der Aetna, B. I — Lipsia, 1880 317 G. Capellini. — Gli strati a congerie e la formazione gessoso-solfifera nella pro- vincia di Pisa e nei dintorni di Livorno. — Roma, 1880 377 T. Taramelli, — Monografìa stratigrafìca e paleontologica del Lias nelle pro- vincie venete. — Venezia, 1880 381 G. Tlzielli. — Sopra le Pietre-verdi di Renno. ~ Modena, 1880 385 L. Burgerstein e F. Noe. — Geologiscbe Beobacbtungen im siidlichen Oalabrien. 386 G. Terrigi. — Fauna Vaticana a foraminiferi delle sabbie gialle nel pliocene subappennino superiore. — Roma, 1880 463 G. Ponzi. — Sui lavori del Tevere e sulle variate condizioni del suolo romano. — Roma, 1880 466 R. Meli. — Sulla natura geologica dei terreni incontrati nelle fondazioni tubu- lari del nuovo ponte di ferro costruito sul Tevere a Ripetta. — Roma, 1880. 468 D. Pantanelli. — I diaspri della Toscana e i loro fossili. — Roma, 1880. . . 469 A. D'Achiardi. — Coralli giurassici dell’Italia settentrionale. — Pisa, 1880. . 474 F. Cardinali. — Cenni geoligici sui dintorni di Pesaro. Strati a congerie e pic- coli cardii : conglomerato poligenico. — Pesaro, 1880 478 G. A. Tuccimei. — I colli pliocenici di Magliano Sabino. Contribuzione alla storia dei terreni subappennini. — Roma, 1880 482 F. Marolda-Petilli. — Ricerche geologiche sul bacino idrografìco di Muro Lu- cano. — Lecce, 1880 484 E. Spreajico. — Osservazioni geologiche nei dintorni del Lago d’ Orta e nella Val Sesia. — Milano, 1880 . 485 Arnold von Lasaulx, Der Aetna, voi. II, Lipsia, 1880 540 L. Acconci. — Sopra una caverna fossilifera scoperta a Cucigliana (Monti Pi- sani). — Pisa, 1880 546 G, Meneghini, — Fossili oolitici di Monte Pastello nella provincia di Verona. — Pisa, 1880 547 C. F. Parona, — Il calcare liassico di Gozzano e i suoi fossili. — Roma, 1880. 548 L. von Schrenck. — Der erste Fund einer Leiche von Rhinoceros Merckii laeg. — 1880 549 A. Verri. — I Vulcani Cimini. — Roma, 1880 550 G. Scarahelli Gommi-Flamini. — Descrizione della Carta geologica del versante settentrionale dell’ Appennino fra il Montone e la Foglia. — Forlì, 1880 553 — 580 — NOTIZIE DIYEESE. Fossili dei diaspri. Pag. 125 Sabbie vetrarie presso Fasano 130 Ricerche di fosfato di calce nelle Puglie 234 La formazione gessoso-solfìfera nei dintorni di Messina 238 I terreni sabbiosi e la Fillossera 389 Studi microscopici di roccie italiane 397 Feldispato di Pantellaria ivi Trachite micacea di Montecatini in Toscana 569 Cristalli di Celestina di Perticara (Romagna) 572 Ricerche geologiche nei Monti Tiburtini 573 Nuovi fossili delle Alpi Apuane 574 TAVOLE ED INCISIONI. Sezione passante per la Solfara a Monte Capodarso presso Caltanissetta ... 13 Sezione per Maiorchi Soprano e Contrada Barinotto a E. di Mirabella. . . .ivi Sezione degli strati contorti di gesso e turbo nel Monte Cannatone a N. di Ra- calmuto 14 Sezione del Monte Grande ad 0. di Pietraperzia 15 Sezione fra Monte Saorni e Monte Bombare a S. di Butera ivi Sezione passante per il Cozzo Terravecchia presso Santa Caterina 24 Sezione fra il Monte Mususino e la Portella di Recattivo presso S. Caterina. . ivi Sezione fra Casa Fagaria e Contrada Turofìli presso Villarosa 29 Sezione passante per il Monte Garistoppa a N. di Caltanissetta . . . , . .ivi Sezione per il Monte Marcassita a S. di Villarosa .32 Car diurni semidecussàtum Cafici Tavola di fossili del Suavicino 54 Sezione trasversale del Suavicino 57 Fossili del diaspro dell’ eocene inferiore di Empoli 128 Sezione tra Castelpoggio e la Dogana della Tecchia 154 Sezione tra il Caravagna e la Polcevera per Borzoli 188 Prospetto geologico delle colline della Tagliata 219 Sezione geologica dei dintorni di Licodia-Eubea 246 Tavola di sezioni delle Alpi-Apuane 356 Figura schematica annessa alla stessa ivi Sezione geologica della grande gallerie del San Gottardo 450 Sezioni della Galleria del San Gottardo 411 Profili diversi del San Gottardo 428, 432 e 446 Tavole di fossili dei dintorni di Licodia Eubea 504 — 581 — PAKTE UFFICIALE. Vedi in Jine dei fascicoli 3-6, 1-8, Verbale dell’ adunanza 17 marzo 1879 Pag. 3 Id. 8 giugno 1880 18 Id. 9 Id. 22 Regolamento interno proposto dal R. Comitato Geologico 27 Verbale dell’ adunanza lO^giugno 1880 28 Id. 11 Id 34 Relazione sul lavoro della Carta Geologica d’Italia (1879-1880) 37 Regolamento interno del R. Comitato Geologico (approvato con Decreto 10 lu- glio 1880) 74 Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1880 (Voi. I della Serie 2) . 577 .>'7^ V BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOftICO. Serie IP Anno P 1880. ATTI UFFICIALI. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE. Verbale dell’adunanza 17 marzo 1879. Alle ore 10 ant. si trovano presenti nelle sale del Ministero d Agricoltura, Industria e Commercio i seguenti membri del Comitato stati regolarmente invitati : Prof. Prof. Prof. Prof. Meneghini, Presidente Ponzi Stoppani Capellini Membri eletti dal Ministero. Prof. Cossa, direttore della stazione agraria di Torino Gen. Mayo, direttore dell’Istituto topografico militare Ing. Giordano, ispettore capo delle miniere Ing. Pellati, incaricato dell’ispezione dei lavori geologici Ing. Sormani, facente funzione di Segretario in assenza dell’ ing. Zezi impedito. Membri di diritto a ter- mini del R, Decreto 23 gennaio 1879. Sono assenti i signori Scarabelli, prof. Gemmellaro e prof. Scacchi impediti. I membri presenti cominciano dalTesame di varie carte e lavori delTUffizio Geo - logico esposti nella sala della biblioteca del Ministero. L’ispettore Giordano spiega sulle carte stesse la successione dei lavori di rilevamento eseguiti sia in Sicilia che in Sardegna, come pure il sistema adottato per la compilazione della carta generale d’Italia in piccola scala, e dà altri cenni sopra gli altri lavori presentati. Dopo ciò il presidente Meneghini invita i membri stessi alla seduta regolare, la quale viene aperta alle 10 e circa antimeridiane. II Presidente prega l’ispettore Giordano ad esporre lo stato attuale dei lavori fatti per il rilevamento della Carta Geologica. Giordano fa la sua esposizione riferendosi essenzialmente alla Relazione scritta e comunicata in precedenza ai vari membri, nella quale, dopo fatto cenno delle vicende e contrarietà subite in vari tempi dal Comitato, accenna ai lavori stati eseguiti dal '-1 1877 in poi, ed anzitutto ad una Carta d’insieme o di coordinamento compilata in base ai dati che si poterono ottenere nelle varie parti d’Italia sia dalle pubblicazioni fatte finora dai vari geologi, che dai documenti inediti, ed in parte de esplorazioni e verificazioni fatte appositamente per cura deirUfficio. Tale Carta, ch’era una necessità già prevista in antecedenti disposizioni, quantunque non possa considerarsi che come un semplice abbozzo, pure rappresenta quanto di più completo si ha al giorno d’oggi sulla costituzione geologica generale del suolo italiano, e sarà utilissima, colle debite rettificazioni che mano mano vi si andranno introducendo, anche per dirigere il rile- vamento regolare in grande scala. Viene quindi a parlare di esso rilevamento regolare in grande scala ed accenna le ragioni per cui fu incominciato di preferenza nella zona solfifera di Sicilia, le quali sono essenzialmente ; l’importanza industriale di tale zona, e la convenienza di avere dati esatti sopra la probabile durata delle miniere di zolfo; Tesser ivi i terreni terziari molto sviluppati e prestarsi quindi molto bene a stabilirne il tipo anche in relazione ad altre regioni d’Italia; e finalmente (ragione que- sta essenzialissima) 1’ aver potuto disporre della buona carta topografica di recente ulti- mata dalTIstituto Topografico militare, mentre tale carta mancava ancora per le altre parti d’Italia. Il rilevamento si fa in Sicilia su fogli al 25 000 ottenuti per ingrandimento fotografico della carta al 50 000 ; da tali fogli si riduce poi la carta al 50 000 quaTè prescritta. Insiste sulTimportanza di fare rilevamenti su carte in grande scala e cita l’esempio delTInghilterra, la quale condusse a termine poco fa, per viste analoghe a quelle che consigliarono il rilevamento della zona solfifera, Tinchiesta sui carboni. Si spera di avere alla fine della campagna in corso i od almeno i di detta zona completamente rilevata. I geologi occupati in tale lavoro prendono una duplice rac- colta di campioni di rocce e fossili, di cui una deve conservarsi nelTufficio centrale geologico ad illustrazione della carta, e l’altra rimanere nell’isola a comodo di chi volesse fare studi ulteriori. Per la determinazione dei terreni e specialmente dei fos- sili sono non di rado interpellati i geologi delTisola, come Gemmellaro e Seguenza e si ricorre anche ai professori Meneghini e Capellini e ad altre autorità in materia. Quando il lavoro della zona solfifera sarà più avanzato, e si spera che ciò possa essere fra un paio d’anni cioè pel congresso internazionale di Bologna, il Comitato sarà invitato ad esaminarlo accuratamente, e a suggerire le modificazioni che potessero occorrere sull a più acconcia classificazione dei terreni prima di presentare il lavoro stesso al pubblico. Anche in vista della sua importanza industriale era stato stabilito un altro cen- tro di rilevamento della Carta in grande scala nelle Alpi Apuane, regione ricchissima pei marmi che alimentano una delle nostre grandi industrie. Questa regione, sebbene già studiata da vari geologi, presenta ancora alcuni problemi scientifici da risolversi, per esempio quello dell’ età geologica dei terreni, i quali si spera potranno diluci- darsi cogli accurati studii che ora stanno per intraprendersi; ma sopratutto si pre- sentano in questa catena varie questioni di pratica geologica interessantissime a stu- diare per l’avvenire dell’industria stessa, e la cui soluzione potrà solo aversi da una carta geologica molto dettagliata. Mancava qui affatto la mappa in grande scala. L’Istituto Topografico militare si prestò alla sua formazione nella scala al 25 000 fatta appositamente, di cui il generale Mayo presenta ora all’adunanza le prime copie ri- prodotte dalle tavolette di campagna. Questo lavoro delle Alpi Apuane comincerà quanto prima e vi saranno destinati per ora due o tre geologi fra quelli disponibili. Si desiderava ancora procedere ad un simile lavoro geologico per l’Elba in vista par- ticolarmente dei rilievi che occorreranno per la nuova aggiudicazione che dovrà farsi fra breve di quelle miniere, ma la mancanza della carta topografica costringe a differire ancora. Mayo riferisce che la carta dell’Elba dovendo anche essere rilevata al 25 000, si procurerà di fare il possibile per accelerare simile rilevamento. Giordano. Un terzo centro di lavori fu iniziato nei dintorni di Roma e Campa- gna romana sia per la circostanza di avere già avuto ultimamente, in parte almeno, la mappa in grande scala, sia per la facilità di poterla compiere col personale stesso addetto all’Ufficio centrale geologico. Questo lavoro ha poi una speciale importanza in vista della bonificazione dell’Agro romano, al qual uopo si cercherà di mettersi d’accordo con chi ha l’incarico speciale di questo importante lavoro come s’è già fatto in parte col Oauevari, il quale ha raccolto dei dati sulla ubicazione e sulla altime- tria e portata delle sorgenti, i quali dati possono ricevere maggiore dilucidazione met- tendoli in relazione colla costituzione geologica del terreno nei, punti stessi. Un caso in cui si manifestò la convenienza di questi studi si presentò nelle recenti ricerche fatte per scoprire la causa delle dispersioni dell’ acqua che alimenta la fontana di Trevi. Questo lavoro nella campagna romana esigerebbe, per essere proseguito in modo regolare, alquanto più personale, ma si mette se non altro in A'ista per l’avvenire. La carta petrografica e mineraria della regione sud-ovest della Sardegna fu in- trapresa per opera specialmente degli ingegneri delle miniere addetti a quel Distretto per i provvedimenti che erano vivamente reclamati dalle compagnie e proprietari in causa delle questioni che si collegano alla conoscenza esatta della costituzione geolo- gica di quei terreni, ed anche per l’idrografia sotterranea di quelle miniere. Simile lavoro non richiede alcuna grave spesa pel Comitato, essendo stato compiuto quasi interamente dal personale del Distretto di Sardegna e fu accolto con molta soddisfa- zione dagli industriali dell’ isola ; esso sarà nella presente campagna esteso a tutta la regione iglesiente. E da osservare che questi lavori venivano anche molto opportuni per figurare alla Esposizione universale che dovea aprirsi a Parigi nel 1878. Oltre i lavori precedenti fatti direttamente dall’Ufficio geologico, il Comitato ha contribuito anche in altri mediante sussidi ed incoraggiamenti dati a geologi privati come al Gastaldi per le Alpi occidentali, al Curioni per la Lombardia, al De Stefani e al Lotti per la Toscana, al Mayer per la Liguria, al De Giorgi per la Basilicata, al Lovi- sato per la Calabria, ecc. I sussidi dati consistono essenzialmente in facilitazioni accor- date per la pubblicazione delle memorie e carte ed in qualche rimborso per le spese sostenute nelle escursioni e nella raccolta dei campioni di rocce. Per contro si ebbero da alcuni dei geologi menzionati collezioni di rocce e fossili ad illustrazione dei loro lavori. Uno studio speciale fu fatto anche a riguardo dello stretto di Messina ; tale stu- dio fatto dal Seguenza per la parte geologica, fu proseguito per la parte tecnica da ingegneri dell’Ufficio geologico allo scopo di rendersi conto della possibilità pratica di stabilire un passaggio sottomarino con ferrovia fra la Calabria e la Sicilia, passaggio intorno al quale già era stato fatto un progetto di massima dall’ ing. Navone. Ri- sultò da tale studio che sebbene i graniti e rocce cristalline della Calabria si conti- nuino attraverso lo stretto sino ai Monti Peloritani, tuttavia lo stretto medesimo è costituito essenzialmente da alluvioni molto permeabili alle acque entro cui non v’ è la possibilità di stabilire un tunnel, e che volendo fare questo nella roccia cristallina impermeabile converrebbe discendere a profondità tale che l’opera riuscirebbe prati- ealmente impossibile. L’Ufficio Geffiogico è passato per diverse fasi molto scabrose quanto al locale. Dapprima gliene venne assegnato uno assai meschino nell’ex-convento della Vittoria, poi ottenne provvisoriamente l’attuale presso la scuola d’ Applicazione a S. Pietro in Vincoli, ma mancando sempre di sufficiente spazio e di un locale definitivo, non ha mai potuto convenientemente coordinare le sue collezioni e particolarmente quella dei materiali da costruzione iniziata dal prof. Ponzi e che figurò in parte all’ esposi- zione di Vienna e che va di continuo completandosi. La difficoltà è ora anche maggiore, essendo costretti a mutare di nuovo e non sapendo ancora dove si anderà. La deficienza di locale si fa sentire anche per la bi- blioteca, la quale, sia per scambi di pubblicazioni che per opere che si acquistano coi pochi mezzi di cui si dispone, va ogni giorno arricchendosi. La scarsezza dei mezzi di cui dispose finora l’Ufficio Geologico non permise che di provvedere alcune delle più importanti pubblicazioni di geologia; così anche si potè appena far acquisto di pochi strumenti di campagna, come bussole, aneroidi, ecc.; un piccolo apparecchio fo- fotografico di cui si servì per qualche tempo il Gastaldi, un microscopio per lo stu- dio delle rocce che sarebbe stato molto importante di fare coi moderni processi, ma sotto questo riguardo si fece ben poco per mancanza di apposito personale od almeno di fondi per procurarselo e retribuirlo. Lo studio chimico e microscopico delle rocce meriterebbe infatti di essere intrapreso con mezzi più larghi e di potervi destinare un personale apposito. Anche allo studio dei fossili occorrerebbe fosse destinata qual- che persona speciale, perciò si è cercato di assicurare un giovane paleontologo, il Dott. Canavari ; il quaje sotto la direzione del prof. Meneghini dovrebbe attendere a com- pletare il tirocinio di paleontologo occupandosi fin d’ora della determinazione dei fos- sili per conto del Comitato. Ma il Ministero ha sospeso ogni misura a questo riguardo ed il Canavari trovasi ora in attesa delle disposizioni del Comitato. Quanto al mineralogo ed al chimico, la questione è più seria e occorrerebbe potere a tal uopo destinare qualche giovane ingegnere, ma bisognerebbe poterli retribuire convenien- temente. Urge fare diversi studi! accurati di rocce in vista anche del Congresso interna- zionale specialmente delle serpentine, il cui esame chimico e microscopico potrebbe essere di grande utilità ; ma siccome per procurarsi personale apposito addetto all’Uf- ficio Geologico occorrerebbe tempo, così per i lavori attinenti al Congresso si potrà rivolgersi a qualche chimico e mineralogista di vaglia già conosciuto. Riassumendo ciò che fu fatto finora e quello che converrebbe fare prossimamente, il Giordano esprime la sua opinione che convenga proseguire metodicamente i lavori di rilevamento incominciati cercando di perfezionarli di mano in mano che si esten- derà il campo di operazione. Quanto al personale, abbenchè per ispingere alacremente i lavori si dovrebbe accrescerlo di molto (ora è solo di 8 circa), osserva tuttavia che con 10 o 12 operatori in campagna e col necessario corredo di lavori d’ Ufficio, labo- ratorio, stampa ecc., si arriverebbe già ad- una spesa superiore alle 100,000 lire al- Tanno, e quindi converrà vedere se sia poi facile ottenerla in bilancio. Ritornando sull’esposizione fatta, dice di dovere aggiungere qualche parola sulle pubblicazioni fatte finora. Come si sa, queste furono essenzialmente il Bollettino e le Memorie. La pubblicazione delle Memorie fu da qualche tempo sospesa, ma ritiene che in principio si era andati un po’ troppo in fretta e si sieno pubblicate cose forse non sufficientemente maturate, e che esigono correzioni. Si fu appunto per tale ra- gione che non si è creduto di pubblicare sin da ora le relazioni dei nostri geologi operanti in Sicilia, e di questa riserva furono essi stessi ben lieti soprattutto dopo la loro visita ai giacimenti solfiferi di Romagna, nella quale hanno trovato qualche mo- dificazione da introdurre nella loro classificazione. Il Bollettino fu sovente ed è ancora veramente un po’ magro; ma la causa dipende in parte dalle esposte Vicende del Co- mitato, in parte dalla difficoltà di avere buoni ed originali articoli sulla attuale geo- logia d’ Italia. Qualche cosa dì più avrebbe potuto farsi, come p. e. estendersi al- quanto di più e con maggiore regolarità nel render conto degli atti del Comitato stesso. A questa mancanza si rimedierà nell’anno in corso in cui ai renderà conto di tutto ciò che concerne l’andamento dei lavori, gli atti del Comitato e dell Ufficio Geologico, e si inseriranno anche i rendiconti delle sedute del Comitato stesso. La pubblicazione delle memorie sarà ripresa quando sarà raccolto sufficiente materiale e si potranno dedurre conclusioni più sicure disponendo al tempo stesso di mezzi suf- ficienti, poiché la pubblicazione di un volume di memorie non costa meno di una die- cina di migliaia di lire. Quanto ai lavori, saranno da continuarsi quelli di rilevamento in Sicilia e da intraprendere fra breve quelli delle x\ìpi Apuane per non parlare della carta petro- grafica mineraria di Sardegna, la quale potrà essere compiuta nella presente campagna dagli ingegneri locali. Quanto ai lavori sussidiati, dopo la morte del Gastaldi si dovrà sospendere quello delle alpi occidentali anche per la mancanza di buone carte, es- sendo appunto l’Istituto Topografico militare occupato nella formazione della Carta nuova in sostituzione dell’antica dello Stato Maggiore Sardo. In Toscana resta ancora qualche cosa da fare per completare i lavori del De Stefani e del Lotti ; così pure v’è qualche impegno col Dott. De Giorgi per una carta in piccola scala della Basilicata, alla cui pubblicazione si sarebbe impegnato di concorrere il Comitato. In Calabria il Lovisato si propone di ritornare per dare Fultima mano agli studii che tanto servi- rono per la compilazione della Carta di coordinamento. Questi impegni possono im- portare al più una spesa di quattro o cinque mila lire. Passa in seguito all’esame del quadro della spesa proposta per il 1879 inserito nella sua relazione, e dà spiegazioni intorno alla ristampa dei due volumi 1870-71 del Bollettino di cui è esaurita interamente l’edizione e che pure occorrono per darne c^'pie a molte persone qbe ne fanno richiesta per completare la raccolta. In tale ri- stampa occorrerà far tirare 200 copie, essendo la tiratura ordinaria del Bollettino di 500 copie. Intorno alla spesa di lire 3500 per stampa di Carte geologiche, dice che essa si riferisce principalmente a quella della Basilicata del De Giorgi e ad alcune pra- Tiste per la Campagna romana. Insomma la cifra totale di lire 47,000 prevista oltre le lire 3000 per la collezione dei materiali di costruzione sarebbe a rigore sufficiente per andare avanti, ma se si potesse disporre di qualche cosa di più sarebbe meglio. Pel trasloco dell’ufficio che, come si disse, dovrà aver luogo quanto prima, furono stanziate in Bilancio lire 10,000, ma è probabile che dovendo provvedere un locale affatto nuovo, questa somma non sarà sufficiente: sarebbe quindi meglio convertire tale fondo per altri bisogni dell’ Ufficio Geologico e specialmente per lo studio delle rocce, per assicurarsi un personale futuro per la mineralogia, paleontologia e docima- sia. Quanto al locale, converrebbe che il Ministero provvedesse altrimenti. Occorre- rebbero un 3000 mq. di superficie distribuiti per esempio in tre piani di 1000 mq. cadauno, il che importerebbe una spesa di 800 a 400 mila lire. Sarebbe bene che il Co- mitato ne facesse speciale raccomandazione al Ministero, perchè altrimenti non si può andare avanti. 11 Ministero, a dir vero, è già preoccupato di questa questione, ma finora non si è potuto prendere alcuna deliberazione. Per un anno o due si potrebbe al rigore aggiustarsi in un locale provvisorio che sarebbe messo a nostra disposizione nell’ex-convento della Vittoria, ma in tal caso converrebbe rassegnarsi a tenere le col- lezioni nelle casse. Cossa si mette a disposizione del Comitato per le analisi chimiche e microscopi - che che potessero occorrere e si offre anche per addestrare degli alunni che fossero scelti per questi studi. Capellini prende atto della gentile offerta del Cossa e dice che la di lui opera potrà essere molto utile pei lavori sulle roccie che il Comitato si propone di fare per il Congresso internazionale. Giordano continua parlando del Congresso internazionale che deve aver luogo in Bologna nel 1881 ; dice che il Congresso di Parigi aperto il 20 agosto ultimo non ebbe sgraziatamente un programma ben definito che permettesse di fare qualche cosa di conclusivo. Le questioni che si era proposto di trattare erano la unificazione della classificazione dei terreni e della scala dei colori, ed una più uniforme nomenclatura delle specie mineralogiche e paleontologiche; ma poche delle memorie lette al Con- gresso trattarono simile argomento ; la maggior parte si riferivano a cose interessanti sì, ma affatto estranee. A tale Congresso si trovò presente il prof. Capellini quale rappresentante dell’Italia, assisteva pure il Sella e lo stesso Giordano. Fu fatta la mo- zione di scegliere, per la prossima riunione che deve aver luogo nel 1881, l’Italia, e per la sede delle adunanze la città di Bologna. Non fu prescelta Poma, prima perchè la stagione in cui deve aver luogo il Congresso (mese di agosto) è poco opportuna per ragioni igieniche, e poi perchè in Roma non si trovano ancora in pronto mate- riali sufficienti. D’altronde il municipio di Bologna si era gentilmente offerto ad ac- coglierlo ed il governo italiano aveva mandato un telegramma promettendo il più largo appoggio. La scelta di Bologna fu fatta ad unanimità, e fra gli applausi dei congre- gati. Le questioni da trattarsi nel Congresso di Bologna saranno relative alF unifica- zione della nomenclatura e colorazione delle formazioni. L’ Italia pòi ha buonissimi esempii di terreni che possono essere materia interessantissima per gli studi del Con- gresso, e particolarmente i terreni terziarii intorno ai quali si occuparono antichi geo- logi italiani, i cui lavori anche oggidì sono considerati come classici. E così pure per lo - 9 — studio della controversa questione delle serpentine, l’ Italia ha esempi molto interes- . santi, trovandosi nelle Alpi e nelle Calabrie le serpentine fra i terreni antichi, e nel- Fltalia Centrale fra terreni più recenti, il che diede luogo alla discrepanza di opi- nioni che tuttora esistono fra i geologi, sulla genesi di queste roccie. Pel Congresso di Bologna fu nominato da Parigi un Comitato organizzatore composto di geologi italiani e presieduto dal Capellini ; furono pure nominate tre commissioni internazionali le quali devono preparare gli elementi per la risoluzione delle tre suac- cennate questioni di unificazione che formeranno V argomento principale del Con- gresso. Il Comitato Geologico dovrebbe portare al Congresso di Bologna il suo contributo come, p. e., una mappa abbastanza dettagliata sia topografica che geologica dei din- torni di Bologna; una carta del Livornese estendentesi sino ai dintorni di Castellina marittima, e finalmente una carta che rappresenti in iscala sufficiente le masse ser- pentinose italiane accompagnata da sezioni esatte e monografie, da una buona collezione di tutte le varietà delle rocce ofiolitiehe ed altre che vi hanno relazione, colle rispet- tive analisi chimiche e microscopiche. Ciò porterebbe al Congresso un tale complesso di fatti che riescirebbe al certo molto gradito e preparerebbe probabilmente la via alla soluzione di una delle questioni geologiche più controverse che interessano tanto la geologia. Ma tale lavoro importa una spesa di qualche rilievo ed occorrerebbe che venisse perciò messa a disposizione del Comitato una somma sufficiente. Tuttavia appro- fittando dei geologi operatori deH’Ufficio Geologico che potrebbero lavorare sotto la di- rezione di alcuno dei benemeriti membri del Comitato nella stagione in cui non si può lavorare in Sicilia, crede che la somma di L. 10,000 sarebbe sufficiente per l’anno in corso ; della quale somma converrebbe che il Ministero facesse uno stanziamento straordinario a parte. Il Presidente invita i membri del Comitato a fare le loro osservazioni sopra l’espo- sizione fatta. Stoppani lamenta la mancanza di alcuni membri del Comitato e come non entri nella sua composizione un numero maggiore di geologi. Nota che dei presenti non sono che quattro geologi propriamente detti. Egli si dichiara contrario in massima al sistema adottato per la formazione della Carta Geologica e lo fu sempre come ebbe a dichiarare già nel Congresso del 1874. Egli sa benissimo che Capellini e Meneghini sono contrari alle sue idee, di Ponzi non sa come la pensi. Dice di non essere mai stato interpellato sulle questioni relative al Comitato salvo due volte, ma crede suo dovere di esprimere chiaramente le sue idee ; gli rincresce di fare opposizione al Giordano ch’è suo amico, ma non può farne a meno. Il Giordano non ci ha parlato dettagliatamente delle cose del Comitato che dal 1877 in poi; prima del 1877 non si è fatto nulla; ciò indica un difetto radicale organico dell’istituzione. Dal 1877 al 1879 si è lavorato molto, e riconosce quanta pena debba essersi data il Giordano per ottenere simile risultato, tornato allora dal suo viaggio di circumnavigazione. Durante il viaggio di Giordano il Comitato fu una istituzione acefala, poiché egli non riconosce l’ ing. Zezi come capo deH’Ufficio Geologico. Si è perciò rallegrato molto del ritorno di Giordano. Venendo all’esame dei lavori presen- tati, dice che la Carta d’insieme in piccola scala che venne presentata è un lavoro — 10 — che sarebbe stato fatto meglio da un geologo caturalista ; del resto tale Carta non è che il riassunto di lavori fatti da altri in cui, meno alcune verifiche, FUlficio Geolo- gico non ha avuto parte alcuna, e dubita anche del valore di tali verifiche. Della Carta del Curioni che il Comitato fece stampare, dice ch’è un lavoro per cui non si sarebbe dovuto prendere tanta pena perchè lavoro vecchio che avrebbe fatto onore trent’anni addietro, ma che non avrebbe meritato di essere pubblicato dopo i più re- centi progressi della geologia. Egli stesso ne aveva fatta una più recente che non venne mai pubblicata. Non parla della carta litologica mineraria della Sardegna che fu ammesso non essere lavoro del Comitato. La colorazione del rilievo dell’Etna non è vero lavoro di geologia, perchè si limita a segnare le colate di lava secondo le di- verse eruzioni. Egli non vede di lavoro fatto daH’Ufiicio Geologico che la carta della zona zolfifera della Sicilia, ma chi sono gli operatori? Il Regio Decreto di costitu- zione del Comitato non diceva che i semplici ingegneri delle miniere dovessero essere incaricati della formazione della Carta Geologica. Allo stesso modo il lavoro avrebbe potuto essere affidato all’Istituto topografico. Egli anzi darebbe la preferenza a que- st’ultimo. Nessuno dei geologi italiani che egli sappia ha preso parte alla compilazione di quella carta. Egli non conosce alcuno dei geologi deirUfficio, Gli studi che si ri- chiedono per essere ammessi nel Corpo delle Miniere non sono sufficienti per formare neanche un geologo principiante; le scuole delle miniere preparano ma non possono formare buoni geologi. Il Direttore della Carta Geologica sarebbe ora l’Ispettore delle miniere, ma non crede ch’egli pretenda ad essere competente in ciò e che d’altronde la di lui carica non è compatibile con tali attribuzioni avendo egli molto altro da fare, e non potendo quindi la direzione della Carta per lui considerarsi che come un incarico accessorio, mentre richiederebbe tutta l’opera d’un uomo il quale, anche con ciò, avrebbe molto da fare. Intenderebbe un Comitato che avesse azione non pura- mente consultiva ma il Consiglio delle miniere non è adatto a tale incombenza. Dice essere un fatto psicologico che gl’ingegneri delle miniere sono per natura contrari alla geologia e lo desume da ciò che nei loro lavori domina sempre il principio utilitario, ed aggiunge che l’utile deriva dalla scienza ma che il concetto utilitario non è am- missibile a priori. Lo spirito che deve informare il lavoro della Carta Geologica deve essere puro, non utilitario. La scienza non si preoccupa dell’utile ed ha i gomiti sdru- sciti, l’utile viene poi da sè. Il concetto utilitario è quello che ha consigliato a cominciare il lavoro dalla Si- cilia, ma anche in ciò trova la scelta inopportuna perchè la Sicilia è la regione geo- logicamente meno conosciuta in Italia. Egli aveva proposto d’ incominciare la carta delle Alpi per coordinare i nostri lavori con quelli di altri paesi, e perchè sulle Alpi si avevano già importanti studi fatti da geologi, sia nostrali che forestieri. Ad ogni modo egli ritiene che prima d’ arrivare alla scala del 50,000 si sarebbero dovuti fare studi in iscala minore. La difficoltà accennata della mancanza di carte in iscala suf- ficiente non sussiste pel Piemonte, il quale già possedeva quella dello Stato maggiore Sardo, e per la Lombardia si aveva quella dello Stato maggiore Austriaco. Ora si vuole andare alle Alpi Apuane, poi all’Isola d’Elba ; si faranno lavori a salti che non avranno alcun nesso fra di loro, le difficoltà verranno quando si tratterà di coordinarli tutti insieme. Quanto alle carte litologiche minerarie esse sono informate ad un concetto 11 ben diverso da quello della geologia. Insomma quanto fu fatto finora si può parago- nare al lavoro di un pittore che per fare un quadro comincia dall’occuparsi del fini- mento invece che dell’ abbozzo. Bisogna procedere secondo i progressi della scienza. Critica il Bollettino, che secondo lui non vai nulla. Dice che i riassunti bibliografici che in esso si trovano non danno esatta idea dei lavori cui si riferiscono e che gli autori se ne dispenserebbero volentieri. Si direbbe che il Bollettino è una pubblicazione fatta per far vedere che si fa qualche cosa. Ripete che il Comitato ha veramente in sè un vizio organico e che non si vedeva il bisogno di radunare i membri per met- tere lo spolverino su quanto fu fatto. Si dichiara molto favorevole al Congresso geo- logico internazionale e crede che tutti debbano cercare di contribuire alla sua riuscita, perchè si tratta dell’onore d’Italia. Conclude con pregare 1’ adunanza a votare la se- guente mozione : Che la formazione della Carta Geologica d’Italia sia tolta al Corpo delle Miniere e sia affidata ad un Istituto geologico creato appositamente. Giordano lamenta anzitutto che i membri del Comitato non abbiano potuto pren- dere visione del suo rapporto se non nell’ ultimo momento, trovandosi in detto rap- porto già la risposta ad una parte delle obbiezioni mosse dallo Stoppani. Infatti egli conosceva già in massima le opinioni dello Stoppani le quali furono espresse anche nel Congresso del 1874, di cui lesse i verbali, tuttavia risponderà ad alcune delle osser- vazioni fatte. Trova che nell’organizzazione del lavoro della grande Carta Geologica, secondo il vigente R. Decreto del 1873, la testa direttiva è il Comitato, il quale non è solo consultivo ma è anche direttivo, il Corpo delle miniere non è, per così dire, che il braccio esecutore, ed è utilissimo che l’esecuzione sia affidata ad un corpo re- golarmente organizzato e disciplinato. Zezi non fu mai, come suppone lo Stoppani, il direttore della Carta Geologica, fu soltanto il capo effettivo deU’Ufficio Geologico sotto la dipendenza dell’Ispettore delle Miniere, il quale alla sua volta non agiva che in re- lazione alle norme adottate dal Comitato. Lo Zezi, il quale, oltre all’essere segretario del Comitato e redattore del Bollettino, fu anche capo dell’Ufficio Geologico, si trovò per necessità qualche volta e nelle diverse peripezie l’apparente capo di tutto; ma non si deve fraintendere, nè credo che mai abbia voluto eccedere nelle sue attribuzioni. L’organizzazione attuale è quella del 1873, secondo la quale il presidente del Comi- tato era il Ministro ; in forza poi dell’ultimo Decreto di riordinamento (gennaio 1879) la presidenza spetta invece ad uno dei membri nominati dal Ministro. Non bisogna credere che l’esecuzione della Carta sia propriamente affidata al Corpo delle Miniere, ma lo è effettivamente ad operatori speciali presi in detto Corpo i quali ne costitui- scono veramente una sezione speciale. Infatti per geologi operatori si scelgono giovani che dopo avere compiuti gli studi generali alle scuole di applicazione, compiono al- l’estero un sufficiente tirocinio in vista della geologia, come nel Geologiool Survey od in altra analoga istituzione. Stupisce che lo Stoppani abbia detto che gli ingegneri delle miniere sieno incompatibili colla geologia ; gli studi degli ingegneri delle mi- niere sono quant’altri mai confacenti a tale scienza tanto più quando si richiede, come nel caso nostro, una particolare vocazione e uno speciale tirocinio, poiché come si disse degli ingegneri del Corpo delle Miniere, alcuni sono destinati al servizio ordi- nario, ed altri lo sono ora più esclusivamente al servizio geologico. Ammette che la Carta Geologica deve essere informata ai principii scientifici, ed infatti il motto messo in fronte allo stemma del Comitato è appunto « e scientia industria^ » ma non si può tra- scurare la parte industriale. Tale è il concetto che se ne ha anche negli altri paesi dove, come in Inghilterra, si fa la carta industriale nella scala di 1 a 10,000 circa senza però trasandare la carta scientifica. Il Belgio in una scala anche molto grande fa eseguire non solo la Carta Geologica ma anche l’agronomica; similmente si opera nella Svezia ed in altri paesi. Nella Sviz- zera il metodo è alquanto diverso consistendo nel raccogliere i lavori di vari geologi che operano isolatamente nelle diverse parti del territorio, ma il suolo della Svizzera non presenta molto interesse industriale, e d’altronde vi hanno ancora molte ragioni di dubitare che tale sistema non darà poi luogo a serie difficoltà. In Francia la Carta Geologica è fatta anche dagli ingegneri delle miniere. Elie di Beaumont e Dufrénoy erano anch’essi ingegneri delle miniere. La Spagna fa lo stesso. Il Geologiccd Survey d’Inghilterra in fin fine è unhstituzione analoga a quella del Corpo delle Miniere fa- cendone anzi parte una School of Mines e l’Ufficio della Statistica mineraria f Mining Records) ; lo stesso dicasi per gli Stati Uniti d’America che hanno una organizzazione quasi militare. Stoppani non sa quanto il rapporto del Giordano possa fargli cambiare d’opinione, e crede d’essersi formato un’ idea sufficiente delle ragioni da luì addotte anche stando solo a quanto fu esposto fin qui. Ritorna sugli appunti fatti allo Zezi di cui dice non voler parlare essendo il medesimo assente. Insiste nella sua opinione che il Corpo delle Miniere non sia psicologicamente adatto al lavoro della carta e dice che l’ingegnere può tornar utile al geologo, ma non è necessario che il geologo sia ingegnere. La que- stione principale è di vedere come si formano i geologi che hanno l’incarico del lavoro della carta. Egli non vede chi li diriga nè chi li metta sul campo. La geologia ha bisogno, non meno della paleontologia e d’ogni altra scienza, che un uomo se ne occupi ex-professo per tutta la sua vita. Dice che in un foglio della Lombardia fatto per mandato del Comitato Svizzero fu richiesta l’opera sua, del Negri, dello Spreafico e del Taramelli, ma che quei geologi non furono mai richiesti di nulla dal Comitato italiano. Non s’è mai voluto contare sui vecchi geologi e si pretende che giovani laureati ieri facciano la carta. Torna sull’argomento del vero direttore dell’ impresa e dice che il Comitato si raduna di rado e non può far molto ; quello che manca è un direttore che garantisca i lavori. L’Ispettore delle Miniere non mi pare atto alla direzione occorrendo un uomo che non abbia altro da fare. Si parla di Elie di Beau- mont, dì Murchison, ma non ha mai veduto chi faccia tale parte nel Comitato italiano. Si spera nell’avvenire, ma egli non ha fiducia, insiste pertanto che sia messa ai voti la sua proposta formolata come sopra. Capellini dice che il Comitato fu coll’ultimo Decreto ricostituito con più pratici criterii; se manca qualche membro che lo Stoppani avrebbe potuto desiderare, il Mi- nistero avrà avuto le sue ragioni per escluderlo. Col Decreto del 1861 furono stabilite le condizioni a cui devono soddisfare i geologi operatori. I geologi speculatori man- cano di molte nozioni che occorrono nella formazione delle carte geologiche come si fanno attualmente. L’aver voluto utilizzare in questo lavoro il Corpo delle Miniere può essere stato anche per viste d’economia affinchè quegli operatori che si rendessero col tempo disadatti pel servizio geologico potessero ancora altrimenti utilizzarsi ed — 13 — anche per non creare un personale che non si sapesse più utilizzare quando saranno finiti i lavori. Il movente della formazione delle carte geologiche fu per i governi di tutti i paesi quello di far conoscere il territorio; chi domandasse fondi soltanto per fare carte scientifiche difficilmente li otterrebbe. Trova che i geologi dell’Ufficio Geo- logico sono abili operatori di campagna, che daranno buonissimi risultati pratici sopra- tutto se vi si accoppierà l’opera di qualche membro del Comitato per dirigerli. Il dichiarare che il Comitato Geologico ha un vizio organico può essere molto pericoloso e compromettere l’esecuzione dell’ importantissimo lavoro. Sarebbe stato meglio se, come egli aveva proposto nel 1874, si fosse anche consultato alcun capo del Geologica^ Survey per il modo di eseguire i lavori, ma fu necessità fare come si fece, ed ora anziché scoraggiare dobbiamo accogliere quello che fu fatto come una necessità e trovare una via di mezzo che ci conduca a migliore perfezionamento. Ringrazia lo Stoppani della fiducia espressa a suo riguardo per quanto si riferisce al Congresso internazionale. Cassa appoggia l’idea che la scienza non deve poi troppo preoccuparsi dell’utile immediato, il quale viene poi da sè : p. e. nello studio delle roccie di cui si è occu- pato talvolta alcuno gli diceva : ma a che serve ciò ? Ora l’utile sovente non vedesi subito. • Capellini replica che però quando si vede l’utile prossimo ed immediato non e male l’andarvi direttamente. Stoppani aggiunge che non vede quale utile per la geologia possa ricavarsi dallo studio della zona solfifera. Giordano osserva al Oossa che non intende che la preoccupazione dell’utilità vada nel lavoro della Carta a discapito della parte scientifica ; che d’altronde, indi- pendentemente dal bene del paese, il dimostrare la parte utile di un lavoro è neces- sario per ottenere praticamente i fondi dal governo. Ritornando agli ingegneri delle Miniere, dice che una gran parte dei loro studi, cioè la chimica, la geologia e la mi- neralogia ec., sono certamente per lo meno la migliore preparazione per la geologia sia teorica che applicata Stoppani ha, se si vuole, avuto ragione a dire in massima che fino al 1877 si è fatto poco, ma ritessendo brevemente la storia dal 1861 in poi ne fa vedere la ragione. Una gran difficoltà, convien riconoscere, fu sempre quella di aver fondi sufficienti e aggiunge che se questi si ebbero finalmente, crede sia stato particolarmente in considerazione dell’utilità che poteva derivarne, come p. e. per l’importanza dello studio geologico circa alla questione economica dei solfi. Alcuni giovani già dopo il Decreto del 1861 erano stati mandati a fare i loro studi speciali all’estero; tornati in Italia quando erano stati tolti i fondi per la Carta Geologica, dovettero quindi occuparsi diversamente. Si fu per ciò che dopo il 1873 si dovè rico- minciare col personale e che solo nél 1877 si poterono avere ingegneri da mandare in campagna. Sarebbe stato desiderabile che non si fosse sollevata alcuna questione sopra l’utilità del metodo adottato che fra due o tre anni ; allora si avrebbe potuto mo- strare molto meglio la sua efficacia ed il Comitato avrebbe potuto esercitare meglio il còmpito che veramente gli spetta, di fecondare gli elementi di fatto raccolti e coordinarli ai principii della scienza. Migliorando alquanto le condizioni finanziarie del Comitato, si può sperare che entro due anni i lavori prenderanno maggiore sviluppo. Ritorna a parlare del metodo adottato in Svizzera ; e dice clie là il caso è diverso e poi converrà ancora attendere il risultato. Rispondendo a Stop pani, dice che capisce come il Taramelli non sia stato utilizzato, perchè quando anni sono si cercò di met- tersi in rapporto con lui, egli se ne dimostrava alieno. Si è cercato almeno d’avere il concorso di tutti, ma alcuni non vollero prestarlo. Stoppaiii sa benissimo che non ha mai voluto accettare alcun incarico dal Comitato, del quale si era dichiarato nemico sino dal 1874. Mayo. Dichiara di non sentirsi competente nelle questioni di geologia, ma che prende la parola solo per la qualche pratica che ha di ordinamento di lavori. Capi- sce che attesa la scarsezza dei mezzi prima accordati non si fosse fatto molto prima degli ultimi anni. Lo Stoppani negherebbe la competenza dei geologi oj)eratori, ma ad ogni modo pargli vi sia mezzo di accertarla. A tal uopo potrebbe il Comitato riunirsi più di frequente ed i suoi membri mettersi d’accordo incaricando ciaschedun membro del buon esito degli studi di una data zona di rilevamento. Concordi ed uniti con energico volere si potrà ottenere lo scopo. Stoppani rammenta un particolare discussosi nella Giunta istituita nel 1861. Al- lora non si potè concretare nulla ; il ministero incaricò quindi il Sella di fare un viaggio all’estero per studiare la questione; il progetto fatto dal Sella in seguito a questo viaggio fu quello adottato. Ma il concetto del Sella era ben diverso dall’at- tuale : egli voleva utilizzare semplicemente i mezzi che può fornire il Corpo delle Miniere, tanto è vero che lo Stoppani stesso e Gastaldi ebbero poi, quando il Sella era ministro, incarico da lui di recarsi in Inghilterra a fare studi per dirigere il lavoro della Carta; incarico che poi non ebbe seguito, essendo stati tolti i fondi a ciò desti- nati per ragioni di economia. Torna a manifestare la sua opinione che non crede necessario che il geologo sia anche ingegnere, che anche un prete ed un farmacista possono essere geologi, mentre un ingegnere di Miniere è troppo preoccupato delle viste utilitarie, tanto è vero ch’egli non sa aprire il compasso e tuttavia crede, dopo i suoi studi di oltre trent’anni, di potersi dire geologo. Ma sa andare a farsi aiutare quando gli occorre il sussidio dell’ingegneTe. Venendo alla scala del 25 000 o del 50 000’ dice che non la crede necessaria, ed infatti egli osserva che sarebbe inutile per certe località, come p. e. per la pianura lombarda. Insiste nella sua idea che si faccia prima la carta scientifica ; osserva poi che i membri del Comitato sono in massima parte professori dipendenti dal Ministero dell’ Istruzione Pubblica, e che sarebbe perciò meglio che anche il corpo operatore dipendesse dallo stesso Ministero. Giordano osserva non essere necessario che la Carta Geologica sia rilevata da per tutto ed unifórmemente al 25 o al 50 mila, ma che è importante fare studi in grande scala nei siti più interessanti, come, p. e., per la Sicilia, per le Alpi Apuane, mentre il resto potrà farsi a scale minori. Il Pt'esidente riassume brevemente quanto fu detto fin qui e deplora che manchino alPadunanza altri colleghi che avrebbero potuto apportare maggiori lumi. Venendo alla proposta che lo Stoppani ha chiesto sia messa ai voti, dice essere sua opinione che il Comitato non abbia diritto di votarla, essendo la medesima troppo radicale ed in opposizione al Decreto del 1873, che non è còmpito del Comitato di modificare. Ad ogni modo prega il Comitato stesso di pronunciarsi anzi tutto sulla questione di questa sua competenza. Stopparti dice che la pregiudiziale invocata dal Meneghini non può ammettersi e si appoggia alFordine del giorno contenuto nella lettera ministeriale d’invito all’adu- nanza, in cui è detto che il Comitato dovrà occuparsi anche delle proposte per il più opportuno indirizzo al regolare proseguimento dei lavori geologici. Il Presidente sostiene l’opinione poco anzi manifestata che non sia di competenza del Comitato di votare la proposta Stoppani. Giordano non sarebbe alieno che la proposta Stoppani venisse presa in esame, soltanto la vorrebbe alquanto modificata. Stoppani aveva enunciato semplicemente che secondo lui la Carta non dovesse essere fatta dagli ingegneri di miniere senza accen- nare al fatto che questi, a tenore dell’art. 1 del R. Decreto 1873, non agiscono che sotto la direzione del Comitato. Così formulata incompletamente la sua proposta po- trebbe suonare come un biasimo speciale di incapacità al Corpo degli ingegneri. È ne- cessario che almeno non si disgiunga quel corpo d’ingegneri ch’è il braccio esecutore dalla sua testa ch’è il Comitato. Quand’anche egli non ammetta punto le idee sfavo- revoli dello Stoppani a riguardo di quegli ingegneri, tuttavia conviene notare che la voce d’un rinomato professore può avere un’eco nel pubblico, specialmente nel pub- blico che deve accordare fondi. Ne vide un esempio nelle critiche ultimamente fatte e nel senso presso a poco di quelle dello Stoppani, benché molto generiche, dal de- putato Merzario, relatore del bilancio del Ministero d’ Agricoltura, Industria e Com- mercio. Simili voci, quand’anche infondate, hanno sempre per effetto di turbare l’animo degli amministratori e di renderli restii a lasciare eseguire i lavori con danno im- menso dei medesimi e scoraggiamento del personale. Potrebbe citare diversi incon- venienti pratici che già nacquero da queste critiche, ma per brevità se ne astiene. Conclude chiedendo allo Stoppani che formoli la sua proposta completa, come del resto è naturale dietro l’art. 1 del R. Decreto 1873. Stoppani modifica la dicitura della sua proposta. Il Presidente chiede al Comitato se deve mettere ai voti la proposta Stoppani così modificata dichiarando nuovamente che quanto a se non crede che il Comitato possa votare simile proposta, la quale implica la revoca delle norme già adottate dal Ministero, e sulle quali non deve più. farsi discussione. Tuttavia parlando categorica- mente in merito alla proposta stessa dice, che per un lavoro come quello che si tratta di compiere, condizione essenziale è l’esattezza geometrica dei rilevamenti e degli spac- cati presi sul terreno che gli ingegneri di miniere sono competentissimi ad eseguire. Con ciò si avrà una base che resterà immutabile e indipendente dagli apprezzamenti delle scuole geologiche, e la parte essenziale del lavoro non sarà soggetta a cambiare ogni dieci o dodici anni, ciò che avviene quando il geologo si fonda interamente a spaccati ideali fatti qualche volta nel gabinetto dietro reminiscenze di imperfette os- servazioni, ed informate a idee preconcette. Con simili esatte osservazioni, rilevate geometricamente sul terreno, resta anche più facile al geologo puro il dedurre le conclusioni teoriche che più interessano la scienza. Giordano ripete che la proposta Stoppani si possa mettere ai voti modificata cv)me sopra venne inteso, cioè comprendendo insieme ingegneri delle Miniere, Comi- tato e Direttore. Capellini dice che per togliere il mandato al Corpo delle Miniere bisognerebbe provare che i lavori fatti in Sicilia ed altrove non hanno valore. Quanto al Comitato, il votare la proposta sarebbe imporgli un biasimo che crede non meritato. Il Presidente dice che nell’interesse del paese e della scienza senza recriminazioni sul passato, spera che tutti siano disposti a cooperare pel buon andamento del lavoro ; crede che si potrebbe conciliare ogni cosa accettando la proposta dei Gen. Mayo, che cioè i lavori dei geologi operatori sieno posti sotto la direzione e sorveglianza di membri del Comitato per regioni. Così la scienza resterebbe nelle alte sue sfere e si gioverebbe delle mani e delle gambe dei geologi operatori. Capellini aderisce alla proposta Mayo, e desidera vi sia unito il suo nome avendo anch’egli «accennato a quella idea. Stoppani insiste perchè la sua proposta sia messa ai voti ; se sarà respinta, come ritiene, desidera che ne sia preso atto nel verbale, e la formula definitivamente come segue : Che la formazione e la pubblicazione della Carta Geologica d’Italia sieno affi- date non ad una sezione del Corpo delle Miniere sotto l’alta direzione scientifica di un Comitato Geologico, ma ad un Corpo di geologi formanti una istituzione a sè. Il Presidente domanda se questa proposta debba essere votata o soltanto inserta nel processo verbale. Pellati crede opportuno che la proposta sia messa ai voti, onde si conosca l’opi- nione dei singoli membri del Comitato in merito alla stessa. Cassa non crede necessaria la votazione e dice, che qualora il Comitato non Faccetti basta che dal verbale risulti non essere la medesima stata appoggiata. Il Comitato aderisce a che nel verbale sia dichiarato che la proposta Stoppani non è appoggiata. Il Presidente osserva che il Comitato dovrebbe ora occuparsi della proposta Mayo- Capellini colFindicare i membri del Comitato stesso che dovrebbero essere incaricati della sorveglianza dei lavori nelle varie regioni. Stoppani dice che il concetto delle regioni non gli va, che vi deve essere un Direttore generale della Carta Geologica, il quale abbia la responsabilità del lavoro anche ammettendo che alcuni membri del Comitato possano essere incaricati della sorveglianza di alcuni lavori. Vi deve essere una direzione scientifica unica. Giordano osserva che questa seconda proposta Stoppani non potrebbe accordarsi che con la sua prima generale ; onde non essendo quella stata appoggiata resta esclusa anche la seconda. Infatti colle disposizioni vigenti la direzione scientifica del lavoro spetta al Comitato il quale col Decreto attuale di ricostituzione può esercitarla tanto meglio in quanto ha un presidente eletto fra i suoi membri. La direzione della parte esecutiva spetta all’Ispezione delle miniere, la Direzione scientifica superiora resta ancora nel Comitato in massa, il quale è all’occòrrenza rappresentato più specificata- mente dar suo presidente. Il Presidente dice che i membri del Comitato dovendo non solo sorvegliare i lavori ma anche dare l’indirizzo sul modo di condurli ai geologi operatori, trova pra- tica la proposta Mayo-Capellini. Al risultato si arriverà praticamente col tempo. E 17 — neanche converrebbe mettere in modo permanente un Direttore scientifico generale nel senso proposto dallo Stoppani, perchè potrebbe influire a dare alla Carta un indi- rizzo troppo esclusivo nella parte scientiflca, indirizzo da doversi poi modificare fra pochi anni, e poi di nuovo più tardi. Conchiude pertanto che, ritenute queste basi, sieno attendibili le proposte dell’Ispettore. Giordano. Ora che dalle questioni generali si passa ai particolari, prega il Comi- tato ad esaminare un po’ più in dettaglio le sue proposte ed a pronunciarsi sul me- rito di alcuni provvedimenti indispensabili pel proseguimento dei lavori. Il Ministero si mostra talora alquanto restìo nell’adottare alcune proposte che gli vengono dall’Ispe- zione e perciò egli desidera che il Comitato manifesti il suo modo di vedere intorno ad alcune di esse, che, secondo lui, sono piuttosto urgenti. Vi è, p. e., la questione degli allievi all’estero, il cui assegno; specialmente quello pel viaggio d’istruzione, è insufficiente e che occorrerebbe perciò di aumentare, soprattutto quando gli allievi fanno viaggi annuali d’istruzione di cinque e più mesi. V’è il personale attualmente addetto ai diversi lavori, personale che ha una misera carriera in prospettiva, e non ha tanto da cavarsi le spese. Bisognerebbe retribuirlo un po’ meglio, il che potrebbe farsi per ora, sin che venga una nuova legge, mediante qualche congrua indennità o compenso anche temporario. Ed infine vi sono varie altre questioni consimili che sono in parte specificate nella, relazione, e pel rimanente possono formare oggeUo a suo tempo di apposite proposte. Stoppani chiede si metta prima ai voti la sua proposta di un direttore generale permanente della Carta Geologica d’Italia. Giordano replica che non crede possa farsi votazione dal momento che non fu approvata la di lui proposta fondamentale. Il Comitato non ammette la proposta Stoppani della nomina di un direttore ge- nerale permanente della Carta Geologica. Giordano torna sulle sue proposte relative al personale ed ai mezzi di azione dell’Ufficio Geologico e prega il Comitato perchè faccia una speciale raccomandazione al Ministero onde esse possano avere effetto in quanto che egli non può rispondere dei lavori di un personale che non sia contento e non abbia sovente il necessario nemmeno per far le sue spese. Allora converrebbe essere prima sicuri che gli im- piegati hanno rendite di casa propria, ciò che non si crede di esigere. Egli non fece mai che proposte affatto ragionevoli, ma vede talvolta nel Ministero una tendenza a fare poco o nulla. Potrebbe citarne vari esempi. Ora gli viene in mente precisamente a proposito del segretario del Comitato, redattore del Bollettino e capo immediato dell’Ufficio Geologico. A tale carica che prima era stata affidata all’ing. Demarchi poi passò all’ing. Zezi, sono annessi molti oneri, oltre quello sin ora lieve di segretario del Comitato ; vi sono occupazioni, oneri ed anche responsabilità amministrativa per il maneggio delle spese. In previsione di ciò dietro voto del Comitato a simile carica era stata annessa, come per altri uffici, un’indennità annua di L. 500 mentre ne sa- rebbero occorse almeno 1000. Ora da ultimo il Ministero credendo forse si trattasse solo del segretariato, intenderebbe di sopprimere anche quelle. Parla poi degli inge- gneri Sormanni e Lotti i quali da molto tempo prestano la loro opera al Comitato essendo entrati in servizio da sette anni, dietro esame di concorso colla qualità di geologi operatori, ma la cui posizione non venne, in seguito al nuovo decreto del 1873, più regolarizzata. Occorre di provvedere anche per questi onde abbiano una posizione definita quali ingegneri operatori. Non si estende per brevità ad altri casi, ma raccomanda che il Comitato si preoccupi di queste sue osservazioni che sono di molta importanza. Il Comitato approva che si facciano speciali raccomandazioni al Ministero in ap- poggio alle suespresse proposte dell’Ispettore, oltre altre contenute nella sua Relazione. Stopparli dichiara che restando il Comitato costituito com’è, egli non può conti- nuare a farne parte nè votare le proposte di dettaglio. Il Presidente osserva che nelle assemblee vi sono sempre le maggioranze e le minoranze e che queste dopo che hanno esposte le loro ragioni devono rassegnarsi alle deliberazioni dei più, e che non v’è ragione di ritirarsi quando gli altri sono contrari alle proprie opinioni. Stoppani non vuole essere d’ inciampo a nessuno ; egli non ha contro soltanto la maggioranza ma l’unanimità degli altri membri del Comitato. • Il Presidente prega il Prof, Stoppani di volere desistere dal suo divisamento preso ah irato. Stoppani si riserva di prendere le deliberazioni che crederà del caso. Dopo'fciò il Presidente rammentando che resta approvata in massima la Rela- zione dell’ Ispettore circa ai lavori eseguiti e quelli da eseguirsi con le aggiunte a suo luogo proposte ed accettate dal Comitato, e con le raccomandazioni insistite dall’Ispet- tore, dichiara chiusa la discussione e scioglie l’adunanza alle 3 pom. Il Presidente Firm. : G. MENEGHINI, Per il Segretario Firm. : 0. SoKMANi. Verbale dell’adunanza 8 giugno 1880. La seduta è aperta alle ore 12.10 pom. Sono presenti i signori: Prof. Meneghini, Presidente”! Prof. Capellini | Prof. Gemmellaro )> Membri eletti dal Ministero. Sen. Scarabelli | Prof. Stoppani J Prof. Cossa, direttore della stazione agraria di Torino Gen. Mayo, direttore delPIstituto topografico militare Ing. Giordano, ispettore capo delle miniere f Ing. Pellati, incaricato dell’ispezione dei lavori geologici J Ing. Zezi, Segretario. Membri di diritto a ter- mini del R. Decreto 23 gennaio 1879. Il prof. Ponzi con lettera al presidente si scusa di non potere intervenire per mal- ferma salute. — 19 — Il Presidente Meneghini dichiara aperta la seduta e domanda se alcuao ha osser- vazioni daffare al verbale delFultima adunanze (17 marzo 1879) del quale furono man- date a tutti i membri le bozze di stampa. Stoppani avrebbe avuto osservazioni, ma non le fece ij^norando che quello fosse lo scopo dell’invio del verbale. Capellini non ha osservazioni da fare. Gemmellaro non fu presente alla seduta, ma siccome nessuno dei membri allora presenti ha fatto dell’osservazioni al verbale ritiene che tutto sia proceduto reg“olar- niente. Scarahelli non ha osservazioni da fare. Stoppani afferma che nel verbale tutto fu riferito con esattezza, solo ha riscon- trato una certa durezza di espressioni in quanto riflette le osservazioni da lui fatte; dichiara però di nuovo che le sue idee vi sono esposte con sufficiente esattezza. Pellati dichiara che avendo avuto parte nella compilazione del verbale ha creduto opportuno per ritrarre fedelmente il carattere di quella adunanza che fossero riferito qua e là anche parole testuali dei vari interlocutori. Gemmellaro osserva che se si tratta della semplice forma il prof. Stoppani poteva mitigarla nelle bozze che gli furono spedite. Dopo brevi osservazioni del gen. Mayo e di altri il verbale è approvato all’una- nimità. Stoppani parla della breve relazione su quella seduta pubblicata nel Bollettino; la dichiara non del tutto esatta, dicendo che grava troppo su lui. Giordano chiede che si legga tale relazione, ma il prof. Stoppani ritiene inutile simile lettura e doversi riservare il tempo a cose più importanti. Giordano presenta al Comitato un saggio delle carte rilevate sinora ed espone som- mariamente il contenuto del suo rapporto sui lavori eseguiti nel 1879, stato anche da alcuni giorni distribuito a tutti i membri; presenta pure un piccolo quadro dimostra- tivo dello stato dei rilevamenti alla fine di detto anno. Parla prima dei lavori ordi- nari nei tre centri della zona solfifera siciliana, delle Alpi Apuane e di Roma, di ciascuno dei quali presenta un saggio nelle scale del -50,000 e del 2-5,000 ; passa quindi ai lavori straordinari, fra cui principale quello della zona metallifera di Sardegna al 10,000, e quello di revisione e completamento della piccola carta generale al 500,000. Meneghini aggiunge a questo proposito alcune osservazioni riguardo alla regione iglesiente. Dice che sebbene lo studio dei fossili non sia ancora ultimato, vi sono ra- gioni per sospettare che la formazione schistosa superiore, racchiudente arenarie e cal- cari intercalati, sia devoniana. Infatti lo studio dei fossili già determinati dimostra che gli schisti inferiori appartengano al siluriano medio ed i calcari intercalati nella loro parte superiore, al siluriano superiore; epperciò la formazione schistosa sovrastante alla interposta zona del calcare metallifero potrebbe essere continuazione del siluriano superiore, ma più probabilmente devoniana. La stromatopora trovata in tale piano ha in vero caratteri che la ravvicinano alla specie siluriana; ma l’analogia coi terrreni del- la Linguadoca porge argomento in favore a chi presumesse questo piano devoniano. Conviene quindi attendere l’esito di ulteriori studi e delle ricerche che ancora stanno facendosi dagli ingegneri sul terreno prima di pronunciarsi. — 20 — Giordano continua la sua esposizione accennando alla carta dell’ultima eruzione del- l’Etna, compilata dagli ingegneri addetti al rilevamento della Sicilia, ed a quella della Ba- silicata rilevata dal De Giorgi e pubblicata dall’ufficio. Da queste carte prende occasio^ ne per presentare le scale di colori adottate, indicando come sia stato necessario modifi- care d'assai la scala proposta dal Congresso del 1874, anche per uniformarsi ai colori più generalmente in uso. Per molti altri lavori di dettaglio (ricerca dei fosfati e si- mili) come pure per i lavori d’ufficio (raccolta di materiali, coL)rittira di carte, ecc.), si riferisce a quanto è esposto nel rapporto sopracitato. Accenna pure alle difficoltà provenienti dalla deficienza di adatto locale ed alla speranza che quello attualmente in costruzione possa essere in pronto per i primi del 1881. Parla della precaria con- dizione e della poca retribuzione del personale operante, e quindi delle difficoltà che si ebbero a superare per condurre i lavori con mezzi meschinissimi: attualmente le con- dizioni sono alquanto migliorate eie cose procedono abbastanza regolarmente. Fa in- fine parola dei lavori preparatori) pel Congresso da tenersi in Bologna nel prossimo anno e delle carte che si preparano come guida nelle escursioni da farsi in quella occasione, cioè quelle dei dintorni di Bologna e del Livornese rilevate dal professor Capellini. Altro lavoro di tal genere è la preparazione di una monografia sulle ser- pentine italiane, alla quale contribuiscono per la parte geologica i signori Taramelli, Issel, Lovisato ed altri, e per la chimica e micrografica il prof. Oossa, il quale ha ormai preparate le sezioni di circa 600 campioni di roccie serpentinose. Accenna in- fine agli studi per la unificazione delle tinte geologiche e della nomenclatura da pre- sentarsi a detto Congresso. In quanto al lavoro da eseguirai nel 1880 non havvi che da continuare i rileva- menti già avviati, spingendoli avanti il meglio possibile in relazione coi pochi mezzi di personale e di danaro di cui si dispone : in quest’anno il lavoro della zona metal- lifera di Sardegna sarà per certo ultimato e, se vi saranno i mezzi, forse anche pub- blicato. Si continuerà a perfezionare la carta al 500,000, togliendo le lacune che ancora vi esistono (Salernitano, Gargano, ecc.), e facendo una revisione di altre parti e in ispecie della catena alpina. Esprime finalmente il desiderio che il benemerito Istituto topografico possa rile- vare presto la regione meridionale della Sardegna e la carta dell’Elba al 25,000, e pubblicare sollecitamente la carta generale d’Italia al 500,000 e che faccia eseguire il rilievo delle Alpi Apuane e dei principali gruppi vulcanici, Mayo risponde che già si è incominciato a fare il plastico delle Apuane, che la carta della Sardegna si avrà fra 3 anni all’ incirca, quella dell’Elba potrà rilevarsi fra un paio d’anni, e che agli altri plastici si provvederà in seguito : la carta al 500,000 è in corso di lavoro e si spera sarà compiuta fra 2 o 3 anni. ScaraheìU dichiara di avere ricevuta un’ottima impressione da questa esposizione; ritiene quindi che le accuse che si fanno pubblicamente al Comitato sieno fuori luogo, e crede sia da lodarsi la operosità del Comitato stesso. Capellini fa osservazioni analoghe e si associa al voto di lode. Stoppani fa la distinzione fra Ufficio e Comitato Geologico e quindi non sa a chi dei due alluda lo Scarabelli : ritiene che il Comitato non abbia mai avuto parte attiva nei lavori e quindi non sia responsabile dell’andamento dell’impresa; esso sarebbe estraneo a tutti i biasimi pubblicati nei giornali, che invece si riferirebbero all’ufficio. Alla domanda del sen. Scarabelli se intende di associarsi nell’encomio all’ ufficio o se invece vuol sostenere che il Comitato non prese alcuna parte nei lavori, risponde che non può nè approvare nè disapprovare i lavori non avendo alcun mezzo di controllo della loro esattezza; in tal caso non vi sarebbe che una quistione di fiducia e non ne può avere in gióvani di fresco usciti dalle scuole e con preparazione insudiciente; esprime quindi sfiducia nel lavoro eseguito dagli ingegneri delle miniere, e si dichiara del tutto contrario al sistema in corso. Scarabelli osserva che tutto non si può fare da sè e che in simili grandi imprese bisogna avere fiducia anche nel lavoro degli altri, specialmente trattandosi di opera- tori che lavorano sotto la direzione dei singoli membri del Comitato. Meneghini aggiunge che il lavoro non è solo dei giovani operatori, ma anche dei membri del Comitato che lo dirigono e ne assumono la responsabilità. Se il sistema della sorveglianza non è stato applicato che da poco tempo, essendo tuttora il lavoro inedito e in corso di preparazione, la responsabilità dei membri si riferisce anche al lavoro precedentemente abbozzato. Giordano insistè nella stessa idea, aggiungendo che l’azione dei membri non è solo di sorveglianza, ma che il Comitato dovendo approvare ogni singolo lavoro prima di passare alla pubblicazione, la discussione dovrà essere fatta più tardi in presenza del membro che ne aveva la direzione. Gemmellaro crede sia anzitutto necessario di stabilire in modo netto quale sia il compito dei membri del Comitato ; in tal modo saranno tolti gli equivoci e spera si verrà ad una conciliazione. Meneghini approva questa idea di stabilire nettamente le attribuzioni del Comitato e quelle dell’ufficio, non che le relazioni fra i membri del Comitato stesso ed il corpo esecutivo. Nella seduta dell’anno scorso fu deciso in massima che la direzione scien- tifica dei lavori nei vari centri sia affidata ad alcuni dei membri del Comitato e ciò in armonia allo spirito dei decreti, del 1873 e 1879. Questa deliberazione ha già in parte ricevuto la sua applicazione sebbene con norme non perfettamente uniformi. Crede quindi cosa opportunissima che si definiscano queste norme con un regolamento interno. Gemmellaro. Circa la mozione Scarabelli dichiara che il Comitato Geologico, per diverse ragioni non essendo stato riunito da più d un anno, il merito di avere tanto spinto i lavori in questo ultimo tempo sia tutto della direzione; crede quindi bene di in- vitare a sua volta il Comitato a dare un voto di lode alla direzione stessa. Mago osserva che l’importante pel momento sia di operare e che le critiche del prof. Stoppani hanno assai minor ragione di sussistere dopo che fu stabilito il principio della sorveglianza da parto del Comitato: crede in simili lavori necessario l’intervento degli ingegneri, purché sorvegliati come si è detto. Si associa pure alla mozione Sca- rabelli, e riconosce veramente grande la quantità di lavoro fatto da poche persone in così poco tempo e desidera che il Ministero abbia a fornire i mezzi adeguati alla im- portanza dell’impresa. Meneghini dichiara che i lavori degli ingegneri delle miniere sono molto accurati, e che nelle Alpi Apuane ed in Sardegna furono da essi riconosciuti fatti importanti che erano sfuggiti agli osservatori precedenti. Invita quindi i membri a dare un voto di approvazione all’operato dell’ufficio ed alla relazione deU’ispettore. Il Comitato approva. — 22 — Lo stesso Presidente invita ancora i membri a definire le attribuzioni del Comi- tato per poi passare alla discussione delle medesime. Pellati crede si abbia a nominare una Commissione che le formuli per presentarle in una prossima seduta. Essendo accettata la proposta Pellati, il Presidente chiama a far parte della Com- missione i membri Gemmellaro, Scarabelli e Stoppani. Stopparli essendo in massima contrario al sistema, dichiara di non accettare in- carico alcuno. Meneghini non può comprendere come il prof. Stoppani sia tanto contrario; quando anche venisse adottata l'idea dello Stoppani di un Istituto Geologico converrebbe pure creare un corpo di ingegneri operatori o qualche cosa di equivalente ; ma essendovi il Corpo delle Miniere che ha dato prova di capacità e di attività, non crede siavi di meglio che affidargli il lavoro, tanto più quando questo è sorvegliato da distinti geo- logi. Chiede schiarimenti ai prof. Stoppani sui motivi della sua opposizióne. òtoppani dichiara di non volere aggiungere altro e di riservarsi ad esporre le sue idee quando si discuterà il progetto di legge pel compimento della Carta Geologica. Meneghini nomina la Commissione di cui sopra nelle persone dei signori Scara- belli, Gemmellaro, Capellini e Pellati; essa presenterà domani alle 2 pomeridiane la sua proposta. Per incarico del prof. Ponzi assente, lo stesso Presidente presenta la carta geolo- gica della provincia romana e domanda che la medesima sia dal Comitato presa in considerazione per la pubblicazione. Stoppani aderisce ben volentieri al desiderio del prof. Ponzi e fa voti perchè il Comitato, senza assumerne la responsabilità, possa pubblicarla. Dopo alcune osservazioni del Presidente e dell’ ispettore Giordano, il Comitato, appoggiando la mozione Stoppani, dichiara di ringraziare il prof. Ponzi e che sarà fatto quanto è possibile per appagare il suo desiderio, con raccomandazione speciale al Ministero per l’assegno di un fondo straordinario destinato a tale scopo. La seduta è levata alle ore 2.45; domani seduta alle 2 pom. Il Presidente Firm.: G. Meneghini Il Segretario Firm.: P. Zezi. \ E REALE dell’adunanza 9 GIUGNO 1880. La seduta è aperta alle ore 2.30 pom. Sono presenti gli stessi membri che assistevano alla seduta dell' 8 giugno. Si dà lettura del verbale della seduta precedente, che viene approvato dopo po- che osservazioni di alcuno dei membri. Il presidente Meneghini invita l’ing. Pellati a dare lettura del progetto di Pego- — 23 — lamento interno preparato dalla Commissione all’uopo nominata. Dopo la lettura del- l’iutiero progetto è aperta la discussione sui singoli articoli. « Art. 1. Il Comitato Geologico stabilisce nelle sue adunanze le zone In cui de- vono essere iniziati o proseguiti i lavori di rilevamento nelle campagne successive ed indica quelli fra i suoi membri che devono avere la direzione scieiititìca dei lavori in ciascuna zona o regione. Fissa al tempo stesso quelle norme generali che crede oppor- tune per i lavori da farsi in ciascuna delle dette zone o regioni. » Nessuno facendo osservazioni è approvato all’unanimità, € Art. 2. Il Comitato Geologico esamina nelle sue adunanze i lavori eseguiti nelle campague precedenti e discute le questioni e i dubbi che nei vari centri di ri- levamento fossero insorti intorno alla classificazione dei terreni e alla loro rappresenta- zione sulla carta. » Stopparli osserva che per ciò fare bisognerebbe che prima dell’ adunanza del Co- mitato ogni membro fosse prevenuto delle quistioni che in essa si dovranno risolvere e che ciascuno abbia cognizione dei lavori da approvarsi ; per ciò basterebbe un pic- colo rapporto della direzione o degli stessi operatori, onde i membri vengano alla seduta preparati. Capellini divide la stessa idea, quantunque creda sufficiente che il membro di- rigente un dato lavoro e che abbia riconosciuto qualche difficoltà, la presenti ai col- leghi onde discuterla insieme nell’adunanza. Scarahelli fa analoghe osservazioni. Gemmellaro ritiene però anche necessario che l’ ufficio di direzione ne avvisi prima i membri, o almeno partecipi ai medesimi un ordine del giorno sulla discus- sione da farsi. Pellati propone si aggiunga all’ articolo un allinea in questo senso : « Prima di ogni convocazione sarà a tal uopo diramata in tempo utile ai membri del Comitato una breve relazione sui lavori compiuti o da esaminarsi e sulle que-^ stioni che dovranno essere particolarmente discusse. » L’articolo così completato viene approvato. « Art. 3. Nessuna parte della carta geologica definitiva in grande scala potrà essere pubblicata senza l’approvazione espressa del Comitato Geologico.» Approvato ad unanimità. € Art. 4. Il Comitato stesso nomina ogni anno una Commissione di tre dei suoi membri che sarà detta Commissione di revisione^ a cui dovranno essere sottoposti tutti i lavori scientifici da pubblicarsi, come bollettino, memorie, carte parziali e studi preparatorii relativi alla Carta geologica. » Le riviste bibliografiche di lavori presentati da estranei al Comitato per l’in- serzione nel Bollettino saranno firmate dal revisore. » Stoppani crede quest’ articolo di difficile applicazione in ispecie pel Bollettino : alla osservazione del presidente che sarebbe all’uopo sufficiente la approvazione di uno solo dei membri della Commissione, risponde che si debba avere fiducia in un redattore responsabile. Cossa sopprimerebbe l’articolo lasciando ad un redattore di fiducia la respon- sabilità tanto della scelta dei lavori da pubblicarsi, quanto della rivista bibliografica ; ritiene che nella scienza si debba lasciare ad ognuno la massima libertà ; al più do- vrebbe essere approvato dalla direzione l’articolo cbe riguarda l’operato del Co- mitato. Capellini è di parere cbe si debbano stampare senza osservazioni i lavori dei membri del Comitato, ma che quelli degli estranei vadano sottoposti ad un serio esame, perchè altrimenti il Comitato sarebbe responsabile di tanti lavori di poco conto : in questo solo caso la Commissione eserciterebbe il suo ufficio. Mayo divide l’opinione del prof. Cossa della intiera libertà da accordarsi al redat- tore, tanto più che questo può sempre nei casi dubbi sentire in via privata il parere di qualche membro del Comitato. Dopo alcune osservazioni del Prof. Stoppani e di altri, 1’ articolo viene sop- presso. < Art. 5. I membri del Comitato a cui è affidata la direzione scientifica dei lavori in una data zona, danno in principio d’ogni campagna agli operatori che sa- ranno destinati dall’ Ufficio le istruzioni generali che crederanno opportune sull’ or^ dine dei lavori e sulle norme particolari da adottarsi nella classificazione dei terreni della zona stessa, come anche sul modo più conveniente per la rappresentazione dei medesimi, cioè figurato, profili e sezioni da scegliersi e da rilevarsi, vedute prospet- tiche ecc. » È approvato ad unanimità. « Art. 6. Sarà obbligo degli operatori di uniformarsi alle prescrizioni dei membri del Comitato cui spetta la direzione scientifica dei rispettivi lavori, di rendere rego- larmente conto dell’andamento dei lavori stessi, di prendere con essi le intelligenze per la determinazione dei fossili e delle roccie raccolte nelle escursioni, di comunicare gli abbozzi di campagna e le minute che indicano lo stato dei lavori nonché i lavori compiuti prima di trasmetterli all’UflEicio centrale. » E approvato ad unanimità. Art. 7. Nel caso che insorgano dubbi sul terreno dovranno gli operatori rife- rirne al rispettivo direttore scientifico, il quale provvederà o mediante ricognizione locale o in quell’altro modo che crederà opportuno. » E approvato ad unanimità. < Art. 8. Prima di spedire i lavori all’Ufficio centrale dovranno gli operatori ri- portarne il nulla osta del rispettivo direttore scientifico ; questo poi dovrà alla fine di ogni campagna mandare all’Ufficio suddetto una relazione sommaria sui lavori fatti, colle sue osservazioni sulla diligenza ed attitudine di ciascun operatore della pro- pria zona. In seguito ad osservazione del prof. Stoppani viene approvato con l’aggiunta: « .... la quale relazione potrà essere trasmessa ai membri del Comitato per la suc- cessiva adunanza. » Art. 9. Potranno essere ammessi come parte integrante della Carta Geologica lavori di geologi privati che siano stati approvati dal Comitato. » È approvato con l’aggiunta: « . . . . secondo lo spirito dell’art. 10 del P. Decreto 15, giugno 1873; » e quindi l’art. è modificato come segue : « Secondo lo spirito dell’art. 10 del P. Decreto 15 giugno 1873, oltre alla facoltà di incaricare del rilevamento di speciali regioni quei geologi privati i quali con pre- — 25 — cedenti lavori si acquistarono fama di buoni operatori^ il Comitato avrà anche quella di ammettere come parte integrante della Carta Geologica del Regno lavori di geo- logi privati, e che sieno riconosciuti esatti ed eseguiti secondo le norme da lui adottate. » Art. 10. L’ispettore capo delle miniere ha la direzione della parte esecutiva geologica votata dal Comitato ; da lui dipende per la disciplina il personale operatore ed ha la direzione tecnica di tutti i lavori, salve le disposizioni degli articoli precedenti. E approvato senza osservazioni, « Art. 11. Nel Bollettino Geologico saranno d’ora in poi inserti gli atti ufficiali del Comitato, cioè oltre ai decreti ministeriali e gli altri atti governativi concernenti la Carta Geologica, i verbali delle adunanze del Comitato, le relazioni annuali del- l’ispettore capo, le disposizioni relative al personale, ecc. Stoppnni propone una trasposizione di parole, per cui si direbbe : « Gli atti ufficiali del Comitato cioè i decreti ministeriali e le altre disposizioni amministrative concernenti la Carta Geologica, i verbali delle adunanze del Comitato, le relazioni annuali dell’ispettore capo, le disposizioni relative al personale, ecc., sa- ranno pubblicati nella parte ufficiale del Bollettino. > L’articolo è così approvato. Giordano a proposito di questo articolo osserva che nei Bollettini della serie (1870-79) mancano quasi affatto le notizie ufficiali colla scorta delle quali si possa rifare la storia del Comitato, e dice che a togliere questa lacuna ha disposto perchè in un volume di complemento siano raccolti tutti i dati ufficiali relativi a detto pe- riodo; presenta una parte di detto volume già stampata e domanda l’approvazione del Comitato per tale pubblicazione. Ad unanimità il Comitato non solo approva la pubblicazione, ma ringrazia l’ispet- tore Giordano per tale utilissimo lavoro. « Art. 12. Il presente Regolamento interno non va compreso fra gli atti destinati alla pubblicità e nel verbale dell’ adunanza del Comitato che lo approvasse basterà annunziare che il Comitato ha approvato il suo regolamento interno senza però rife- rirne il tenore. > Giordano non vede il motivo perchè il Regolamento non debba essere pubblicato, ritenendo necessario che ognuno sia informato delle norme che regolano le operazioni del Comitato. Cossa divide pienamente questa idea. Mago crede necessario che il Regolamento debba avere la approvazione ministe- riale e che perciò debba pubblicarsi. Scarahelli in massima non si opporrebbe alla stampa del Regolamento, ma osserva che le disposizioni in esso contenute potrebbero col tempo essere mutate e che quindi sia meglio non farlo pubblico; non crede poi necessaria 1’ approvazione ministeriale, trattandosi dì un Regolamento interno del Comitato. Mago replica la sua osservazione, osservando che la firma del Ministro darà mag- gior forza al Regolamento, nè pregiudicherà le varianti che 1’ esperienza farà giudicare utile introdurvi. Gemmellaro è invece del parere che il Comitato debba restare libero, e che quindi sia meglio non fare sanzionare dal Ministero il Regolamento interno. Meneghini crede anch’esso opportuno di provocare l’approvazione ministeriale per dare maggio” forza al Regolamento e quindi di pubblicarlo : propone quindi venga soppresso Particolo. La proposta è accettata e si vota per l’approvazione ministeriale e per la pubbli- cazione del Regolamento. Mnyo crederebbe altresì necessario di aggiungere un articolo nel quale si dica su qual fondo ed in qual misura saranno pagate le spese delle ispezioni dei membri del Comitato: anche per questo riguardo sarà tanto più necessario il visto ministeriale. Scarahelli è di parere che questo punto non debba entrare nel Regolamento in- terno, ma propone che debba essere espresso a parte come una preghiera al Ministro per modo da provocare un apposito decreto ministeriale. Cassa approva la proposta Scarabelli e desidera che nel verbale sia inserita la preghiera del Comitato al Ministro. Giordano aggiunge che nel decreto dovrebbe farsi parola anche della retribuzione da accordarsi ai gclogi estranei al Comitato ed incaricati di qualche lavoro. Messa ai voti la propiìsta Scarabelli è approvata. Stoppani domanda quali provvedimenti saranno a prendersi ogni qual volta in un centro di rilevamento non si trovi alcun membro del Comitato, oppure quello che vi si trovasse non potesse assumere la direzione del lavoro, ed adduce l’esempio del Ve- neto, della Calabria e di altre località. Dopo osservazioni del Presidente e dei membri Capellini e Mayo, si conviene di aggiungere all’art. 1" il seguente allinea: « Nel caso che per una qualche zona o regione nessun membro del Comitato possa accettare simile incarico, potrà dal Comitato stesso esservi delegato qualche geologo estraneo. In seguito a richiesta dell’ ispettore Giordano del come sarà retribuito il lavoro di quei geologi estranei al Comitato che a tenore del Decreto 15 giugno 1873, po- tranno essere incaricati di rilevamenti speciali, si conviene di riferirsi a quanto era stato disposto nel decreto del 12 dicembre 1861. Lo stesso deve valere per lavori già ese- guiti e che venissero accettati dal Comitato, computandosi il tempo e le spese occorse per tali lavori. Posto ai voti, Tintiero Regolamento modificato come fu detto sopra è approvato ad unanimità. Prima che si chiuda la seduta l’ispettore Giordano fornisce alcune informazioni in- torno al progetto di legge sulla Carta Geologica da discutersi nella seduta di domani dal Comitato rinforzato da altri commissarii chiamati dal Ministero. Riferendosi a quanto è esposto nella sua relazione stampata, parla della origine del progetto stesso motivato da un voto della commissione parlamentare del bilancio, e fa in succinto la storia delle pratiche che precedettero la compilazione del progetto, preparando in tal modo il Comitato alla discussione che dovrà avere luogo il giorno appresso. La seduta è levata alle ore 4.45 pom. , domani alle 12 meridiane, seduta della Commissione incaricata di esaminare il progetto di legge sulla Carta Geologica. Il Presidente Firm.: G. Meneghini Il Segretario Finn.: P. Zezi. — 27 — Segue il Eegolamento interno quale fu modificato ed approvato nella seduta del 9 giugno ; EEGOLAMENTO INTEENO DEL E. COMITATO GEOLOGICO. Art. 1. Il Comitato Geologico stabilisce nelle sue adunanze le zone in cui de- vono essere iniziati o proseguiti i lavori di rilevamento nelle campagne successive e indica quelli fra i suoi membri cbe devono avere la direzione scientifica dei lavori in ciascuna zona o regione. Fissa al tempo stesso quelle norme generali che crede oppor- tune per i lavori da farsi in ciascuna delle dette zone o regioni. Nel caso che per una qualche zona o regione nessun membro del Comitato possa accettare simile incarico, potrà dal Comitato stesso esservi delegato qualche geologo estraneo. Art. 2. Il Comitato Geologico esamina nelle sue adunanze i lavori fatti nelle cam- pagne precedenti e discute le questioni e.i dubbi che nei vari centri di rilevamento fossero insorti intorno alla classificazione dei terreni e alla loro rappresentazione sulla carta. Prima di ogni convocazione sarà a tal uopo diramata in tempo utile ai membri del Comitato una breve relazione sui lavori compiuti o da esaminarsi e sulle questioni che dovranno essere particolarmente discusse. Art. 3. Nessuna parte della Carta Geologica definitiva in grande scala potrà essere pubblicata senza l’approvazione espressa del Comitato GeoFgico. Art. 4. I membri del Comitato a cui è affidata la direzione scientifica dei lavori in una data zona, danno in principio di ogni campagna agli operatori che saranno destinati dall’Ufficio Geologico le istruzioni generali che crederanno opportune sul- l’ordine dei lavori e sulle norme particolari da adottarsi nella classificazione dei ter- reni della zona stessa, come anche sul modo più conveniente per la rappresentazione dei medesimi, cioè figurato, profili e sezioni da scegliersi e da rilevarsi, vedute pro- spettiche, ecc. Art. 5. Sarà obbligo degli operatori di uniformarsi alle prescrizioni dei membri del Comitato cui spetta la direzione scientifica dei rispettivi lavori, di rendere rego- larmente conto dell’ andamento dei lavori stessi, di prendere con essi le intelligenze per la determinazione dei fossili e delle roccie raccolte nelle escursioni, di comunicare gli abbozzi di campagna e le minute che indicano lo stato dei lavori nonché i lavori compiuti prima di trasmetterli all’Ufficio centrale. Art. 6. Nel caso che insorgano dubbi sul terreno, dovranno gli operatori riferirne al rispettivo direttore scientifico il quale provvederà o mediante ricognizione locale o in quell’altro modo che crederà opportuno. Art. 7. Prima di spedire i lavori all’Ufficio centrale dovranno gli operatori ripor- tarne il nulla osta del rispettivo direttore scientifico; questo poi dovrà alla fine di ogni campagna mandare all’Ufficio suddetto una relazione sommaria sui lavori fatti, colle sue osservazioni sulla diligenza ed attitudine di ciascun operatore della propria zona, la quale relazione potrà essere trasmessa ai membri del Comitato per la successiva adunanza. Art. 8. Secondo lo spirito delì’art. 10 del E. Decreto 15 giugno 1873, oltre alla facoltà di incaricare del rilevamento di speciali regioni quei geologi privati i quali con precedenti lavori si acquistarono fama di buoni operatori, il Comitato avrà anche quella di ammettere come parte integrante della Carta Geologica del Regno lavori di geologi privati e che sieno riconosciuti esatti ed eseguiti secondo le norme da lui adottate* Art. 9. L’Ispettore Capo delle Miniere ha la direzione della parte esecutiva geo- logica votata dal Comitato; da lui dipende per la disciplina il personale operatore ed ha la direzione tecnica di tutti i lavori, salve le disposizioni degli articoli precedenti. Art. 10. Gli atti ufficiali del Comitato, cioè i decreti ministeriali e le altre dispo- sizioni amministrative concernenti la Carta Geologica, i verbali delle adunanze del Comitato, le relazioni annuali dell’Ispettore Capo, le disposizioni relative al perso- nale, ecc., saranno pubblicati nella Parte Ufficiale del Bollettino. / Verbale dell’adunanza 10 giugno 1880. La seduta è aperta alle ore 12.15 pom. Fatto l’appello risultano presenti i seguenti commissarii: Bertolè Viale generale Ettore, deputato al Parlamento, comandante il Corpo di Stato Maggiore. Cape'lini Giovanni, professore alla R. Università di Bologna; membro del Comi- tato Geologico. Cossa prof. Alfonso, direttore della stazione agraria di Torino; membro del Comitato Geologico. De Zigno barone Achille, membro dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, alla R. Università di Palermo; membro del Comitato Geologico. Giordano Felice, ispettore capo delle miniere ; membro del Comitato Geologico. Mayo generale Emerico, direttore dell’Istituto topografico militare; membro del Comitato Geologico. Meneghini Giuseppe, prof, alla R. Università di Pisa, presidente del Comitato Geo- logico. Omboni Giovanni, professore alla R. Università di Padova. Pellati Niccolò, ingegnere capo delle miniere; membro del Comitato Geologico. Pescetto generale Federico, senatore del Regno. Pirona prof. D. Giulio Andrea, membro dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Scarabelli Gommi Flaminj Giuseppe, senatore del Regno; membro del Comitato Geologico. Sella ing. Quintino, deputato al Parlamento. Stoppani Antonio, prof. all’Istituto di perfezionamento di Firenze; membro del Comitato Geologico. Striiver Giovanni, prof, alla R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, alla R. Università di Pavia. — 29 — Non intervennero all’adunanza, benché invitati, i «ignori: Cocchi prof. Igino, già presidente del Comitato Geologico. Guiscardi Guglielmo, professore alla R. Università di Napoli. Mezzacapo generale Luigi, senatore del Regno. Ponzi prof. Giuseppe, senatore del Regno ; membro del Comitato Geologico. Scacchi comm. Arcangelo, senatore del Regno, professore alla R. Università di Napoli; membro del Comitato Geologico. Seguenza Giuseppe, professore alla R. Università di Messina. Assume momentaneamente la presidenza S. E. il ministro Miceli, il quale saluta gli intervenuti e li ringrazia di avere aderito all’invito del Ministero, confidando che il lavoro della Commissione riuscirà di grande utilità per stabilire su solide basi l’in- trapresa della Carta Geologica e fornirà ottimi elementi per la elaborazione del pro- getto di legge che il Ministero ha in animo di presentare al Parlamento. Dopo ciò cede il seggio al prof. Meneghini, presidente del Comitato Geologico. Funziona da segretario l’ing. Zezi. Il Presidente Meneghini espone quale sia lo scopo delPadunanza, cioè l’esame del progetto di legge per la form'azione della Carta Geologica, e invita i membri a fare quelle osservazioni preliminari che credessero opportune prima di procedere alla let- tura e alla discussione degli articoli dello schema di legge. Nessuno chiedendo la pa- rola, invita l’ispettore Giordano a dare lettura del progetto ed a fornire le necessarie spiegazioni all’assemblea. Giordano legge il progetto ed espone in poche parole quali furono le pratiche che ne hanno preceduto la compilazione, facendo inoltre un breve sunto del rapporto stampato e che fu distribuito a tutti i commissari. Lo schema fu studiato in seguito ad un voto della Commissione parlamentare per il bilancio del 1880, la quale invitava il Ministero a formularlo ed a presentarlo al Parlamento ; esso consta di due soli arti- coli ed è informato ai principii generali cui si fonda la legge in vigore per il rileva- mento e per la pubblicazione della carta topografica. Nel redigere il progetto il Capa dei lavori geologici è partito naturalmente dal principio di conservare la istituzione attuale che funziona regolarmente da tre anni, e per i calcoli della spesa si è basato sui dati che l’esperienza ha fornito in questo periodo di tempo. Osserva che malgrado le opposizioni fatte al sistema attuale, è questo che all’estero fu adottato quasi do- vunque essendo stato riconosciuto come il migliore. Ammessa adunque la conserva- zione dell’attuale sistema, egli ha istituito su questa base i calcoli di tempo e di spesa non che il procedimento per la pubblicazione e tutti i particolari concernenti il servizio. Conchiude col dire che se vi sono osservazioni è pronto a dare tutte la necessarie spiegazioni. Taramelli dice che le sue idee in proposito sono abbastanza note avendole anche esposte in una recente pubblicazione, e crede inutile di qui replicarle. Il progetto che si deve discutere esige una spesa assai forte ed il lavoro che per esso si farebbe dovrebbe essere così completo da soddifare non solo alle esigenze scientifiche ma da offrire an- cora delle applicazioni in vari rami dell’ industria ; con esso si promette una Carta in grande scala ed estremamente dettagliata, la quale possa servire alle industrie mi- nerarie e debba ancora presentare la espressione del terreno superficiale. Crede che una sola Carta non possa soddisfare a tante esigenze, ma occorrere per questo una intiera illustrazione di opere geologiche e paleontologiche a corredo della Carta stessa ; nessuna delle carte geologiche pubblicate può soddisfare ai bisogni dell’ agricoltura, occorrendo invece altri lavori per raggiungere lo scopo. È di parere che un Ufficio composto solo di ingegneri delle miniere non possa soddisfare a tante e sì variate esi- genze; essi tutt’al più faranno una carta litologica, mentre per avere una vera carta geologica bisogna ricorrere all’opera dei geologi naturalisti. Per rendere aduiiq^ue com- pleto il lavoro sotto il triplice punto di vista teorico, industriale e agrario, non serve l’attuale organizzazione; crede invece che una istituzione autonoma e che si occupi della parte teorica, con annesso un gruppo di persone addestrate nella parte applica- bile alle industrie ed all’agricoltura e coadiuvate dalle stazioni agrarie, potrà con mi- nore spesa conseguire quello scopo che non sarà mai raggiunto dal Comitato attuale. Giordano osserva che quando si parla di una Carta Geologica che deve servire alle esigenze dellhndustria e dell’agricoltura, si intende sempre una Carta teorica ma che presenti tutti gli elementi a studii ulteriori per le applicazioni: anche le carte in grande scala dei paesi esteri non sono complete in questo senso. Il progetto non pretende di soddisfare a tutti questi bisogni, ma solo di fornire gli elementi necessari a studii successivi su carte in grande scala ; e cita come esempio la Carta dei dintorni di Roma fatta di conserva con alcuni studii stati intrapresi pel bonificamento della Campagna romana. Anche per le industrie minerarie è necessario avere prima una carta in grande scala come quella in corso di rilevamento, la quale deve servire di fondamento a tanti altri lavori di applicazione. Non crede adunque di poter dare al progetto di legge tanta estensione; a misura che procederà il lavoro regolare si po- tranno avviare altri lavori accessorii nelle località che lo meritino, e per ciò fare con- verrà valersi del concorso delle stazioni agrarie e delle altre istituzioni che si occupano delle singole materie. Taramelli crede che per lo scopo scientifico non si debba fissare una scala gene- rale per tutta la Carta, ma bensì adottare scale più o meno grandi a misura della complicazione del terreno. In quanto alla organizzazione del lavoro si dovrà poi sempre discutere se TUfficio Geologico dia sufficienti garanzie di poter fare la Carta teorica, 0 se invece si debba lasciare questo incarico ad un Istituto Geologico, che pr‘rò non perda di mira le applicazioni di questa Carta. Sarebbe di certo utilissimo allagraria una carta che rappresentasse le condizioni chimiche, meccaniche e fisiche del terreno superficiale; ma non è di una simile carta che tratta il progetto. Delle Carte geolo- giche, come generalmente si fanno, fossero anche in grande scala, non devesi esage- rare l’ importanza : e piuttosto che la compilazione e la pubblicazione di una carta geologica in grande scala dobbiamo proporci un tale ordinamento degli studii geolo- gici in Italia che ne assicuri il reale e sempre crescente sviluppo. Piuttostochè una carta da farsi secondo il progetto ministeriale, occorre una istituzione che assicuri il collocamento ed un appoggio ai giovani naturalisti che escono dalle nostre Università; agli ingegneri delle Miniere spetta lo studio dei giacimenti Ùei minerali utili del no- stro paese. L’aiuto che questi possono portare alla Geologia ed alle sue applicazioni, non sembragli così rilevante da giustificare le basi del progetto ora in discussione. Crede che un Istituto Geologico potrà dare la carta compita prima del periodo di tempo assegnato dal progetto, lasciando inoltre una buona scuola di geologi che man- tenga il lustro della scienza nazionale. — 31 Sella esamina Fattuale organizzazione del Comitato ed i risultati che dit-de. Si ha in sostanza un Comitato al quale appartengono i geologi più eminenti del Regno, ed a cui spetta Palta direzione della Carta Geologica. E a sua disposizione un corpo di- sciplinato di operatori i quali per i loro studi di ingegnere, e per i loro studi di mi- neralogia, di Geologia, di arte mineraria nelle più riputate scuole minerarie, come per il loro tirocinio nel rilevamento geologico sono attissimi ad eseguire gli incarichi ad essi affidati dal Comitato. Finalmente il Comitato accoglie il concorso dei geologi i quali, o professori nelle università od altrimenti occupati, volontariamente si incaricano di qualche lavoro o di qualche carta speciale. Con questi concetti in 12 anni si spesero L. 285,000, le quali per la somma di 30,000 furono consacrate alle provviste di materiali indispensabili (libri, carte, stru- menti), per L. 50,000 alla pubblicazione del Bollettino e di Memorie di diversi geo- logi, e per L. 162,000 nei lavori di campagna: lavori che, come si disse, furono in parte compiuti da geologi non addetti al corpo delle miniere ed anche da alcuni dei più autorevoli membri del Comitato. Al sistema adottato si può contrapporre quello di un direttore unico, il quale se- condo il Sella se può avere nei primi momenti il vantaggio di unità di concetto e di maggiore vigoria, dopo qualche tempo diventa, come l’ha dimostrato l’esperienza di parecchi paesi, Timpedimento al progresso della geologia, scienza la quale va avanti più presto che ciascun uomo, e dopo pochi lustri anche in parti essenziali d’assai si muta. Il sistema del Cornitato è assai più liberale, perchè le diverse scuole sono in esso rappresentate, e perchè coll’introduzione dei nuovi geologi che si dimostrano di grande valore segue le trasformazioni della geologia. Egli crede però, come sempre credette, che il Comitato Geologico debba essere sussidiato da paleontologi, i quali determinino i fossili trovati dagli operatori, e da un gabinetto fisico-chimici nel quale si possano studiare le roccie come il richiede l’odierno stato della litologia, imperocché dice il Sella, tutte le roccie italiane sono a ristudiarsi, e salvo il Cossa nessuno o pressoché nessuno oggi in Italia studia sul serio le roccie. Egli conclude che non si può a suo credere seguire sistema diverso da quello che fu iniziato, salvo a provvedere alla istituzione di gabinetti e laboratorii speciali. Però se altre idee ci sono, non devono essere formulate soltanto come critica, ma formulate in proposta concreta, che la Commissione, il. Governo, il Parlamento possano esaminare. Egli invita perciò il prof, 'l’aramelli a formulare nettamente in nn progetto concreto le sue idee. Giordano prende la parola per osservare che il progetto provvede pure alla isti- tuzione di laboratorii speciali serviti da apposito personale di paleontologi, chimici e petrografi. Taramelli dice che non potrebbe sul momento presentare un contro-progetto com- pleto, ma che lo potrebbe preparare se gli fosse concesso un tempo sufficiente. De- sidererebbe però conoscere se è solo nella opposizione oppure se può sperare qualche aiuto nel còmpito di stendere un contro-progetto. Sella propone allora di rinviare la seduta al giorno appresso, e che in questa seconda adunanza il Taramelli presenti uno schema del suo progetto: così pure se altri, come ad esempio il prof. Stoppani a cui si attribuiscono idee diverse, avesse da presentare qualche variante al progetto, sia pregato di farlo per iscritto in quell’adunanza. Stopparli invitato ad emettere il suo parere dice che si trova in una posizione de- licata per alcuni precedenti e in special modo per la redazione del verbale della seduta del marzo 1879, nella quale esso non fa la migliore figura per esservi espresse le sue osservazioni con soverchia durezza. In quanto al progetto di legge non intende per la sua posizione eccezionale, nè di fare proposte nè di prendere parte alla discussione ; d’altronde i membri del Comitato e gli altri presenti conoscono appieno le sue idee contrarie alla organizzazione attuale. Si lamenta poi anche di non avere avuto alcuna lettera di partecipazione nè i documenti relativi alla presente adunanza. In quanto al sistema in vigore conviene che qualche cosa fu fatto per allargare le attribuzioni del Comitato: l’essenziale però sta nel rilievo il quale è fatto da giovani che non danno garanzia del loro sapere, in luogo di essere fatto da geologi provetti. Il progetto at- tuale non è in conclusione che quello presentato dal signor Sella nel 1861, col quale fin d’ali ora si proponeva di affidare il lavoro della Carta ad una sezione addetta al R. Corpo delle Miniere. Egli sin da quell’epoca ha combattuto questa idea, la quale incontrò seria opposizione da parte della Giunta consultiva allora adunata in Firenze, che propendeva per la proposta di un Istituto Geologico indipendente. Che se la proposta Sella venne accettata, lo fu unicamente per considerazioni d’ ordine econo- mico, avendo il Sella fatti considerare i molti vantaggi che si sarebbero ottenuti valendosi di un Corpo già costituito ed organizzato. Che poi lo stesso Sella fosse allora lontan o dall’ idea d’affidare il lavoro agli ingegneri delle Miniere è provato dal fatto che quando il progetto venne ripreso in considerazione dopo le visite fatte dal Sella agli Istituti esteri, esso volle dare incarico allo stesso Stoppani ed al compianto Gastaldi di portarsi in Inghilterra onde farvi studi pratici di rilevamento, per modo che al loro ritorno servissero di nucleo a due squadre di geologi pratici che dovevano formarsi. Peraltro il progetto non ebbe seguito per mancanza di mezzi, ma il fatto resta a dimostrare che lo stesso Sella aveva allora idee diverse dalle attuali. Conchiude col disapprovare affatto l’idea che il rilevamento venga eseguito da ingegneri delle miniere: nel progetto ora in discussione nulla trova che modifichi la organizzazione anzicennata, quindi non può appoggiarlo. Capellini essendo stato relatore della Giunta consultiva istituita nel 1861, può assicurare al preopinante a rettifica di quanto egli ha asserito che dalla Giunta fu propugnata una organizzazione analoga all’attuale. Crede poi necessario che si parte- cipi ai commissarii non facenti parte del Comitato il regolamento interno che sta- bilisce le relazioni fra il Comitato ed il^Corpo dei rilevatori, affinchè tornan dosi a di- scutere sull’ordinaraento abbiasi piena cognizione di causa. Sella si dichiara sempre felice di correggere le sue idee allorqua ndo riconosce che sono erronee, ma osserva che quando egli desiderava di valersi dell’opera dei geologi Gastaldi e Stoppani, partiva dallo stesso pensiero del 1861 e di oggi: un Comitato di geologi dirigenti, ed un corpo di operatori disciplinati che abbiano fatti gli studi degli ingegneri delle miniere. I professori Gastaldi e Stoppani, se fossero andati in Inghilterra a studiare l’organizzazione con cui si fa quella celebre carta geologica, sa- rebbero tornati in patria il più utile nucleo del Comitato dirigente, ed è gran peccato che le strettezze finanziarie abbiano interrotti i disegni d’allora. Egli ripete l’invito ai professori Stoppani e Taramelli di presentare un contro- progetto concreto. X ~ 33 — Quanto a quistioni personali, non ve n’è e non ve ne può essere alcuna. La stessa insistenza elle si fa per esaminare il progetto Stoppani è la miglior prova della gran- dissima stima che si ha di lui. Del resto il problema che ci vien posto avanti dal Go- verno è troppo superiore alle piccole questioni di persone per permettere che alcuno si astenga per questi motivi dal prendere parte alla discussione. Affine di procedere regolarmente occorre che i dissenzienti presentino il loro progetto: vista la stagione avanzata ed i gravi progetti che stanno davanti al Parlamento, non crede vi sia tanta urgenza e si potrebbe differire la seduta ad un altro giorno per la presentazione dei contro-progetti. Giordano osserva che anche restando sospesa la discussione del progetto, è ne- cessario continuare i lavori in corso, e ciò tanto più per la circostanza del Con- gresso internazionale da tenersi in Bologna l'anno prossimo. Chiede quindi che in tal caso il Comitato raccomandi al Ministero di fornire i fondi sufficienti per Tanno ven- turo, nella proporzione almeno del presente. Desidera inoltre che vengano interpellate le persone che hanno visto gli ingegneri delle miniere al lavoro onde dieno un giu- dizio su di essi. Gemmellaro risponde riguardo agli ingegneri addetti al lavoro in Sicilia che giu- dicandoli dal lavoro che sinora essi hanno fatto egli li ritiene pienamente in grado di rilevare una buona Carta Geologica. Meneghini fa analoghe osservazioni sugli ingegneri che lavorano nelle Alpi Apuane : sono giovani bene istruiti ed in possesso di quanto era già stato pubblicato su quella regione: il lavoro da essi fatto in pochi mesi è notevolissimo, e tale da modificare molte idee che prima si avevano sulla estensione e sulT epoca di certi terreni j in questo breve periodo essi hanno potuto fornire delle notizie nuove ed hanno riscon- trato dei fatti che ad altri osservatori erano sfuggiti. Capellini ha esperimentato alcuni di questi ingegneri e se ne fece un’ottima idea. Aggiunge che sino a quando si tratta di dirigere, i geologi professori sono indicati a tale ufficio, ma essere impossibile che essi si incarichino dei rilevamenti di dettaglio j è quindi necessario avere dei giovani attenti e capaci che li coadiuvino in questa bisogna. Sella riassume la discussione fatta ed espone lo stato della divergenza; insiste sulla necessità di tenere un* altra seduta per la presentazione dei contro-progetti, e crede si debba invitare il prof. Stoppani a dichiarare esplicitamente se e quando in- tende presentare il suo. Stoppani osservando che Tattuale progetto non potrà essere discusso in Parlamento tanto presto, crede si debba prendere un provvedimento per continuare i lavori senza pregiudicare la quistione, riservandosi di presentare più tardi il suo contro-progetto. Sella crede si possa formulare a tale scopo un ordine del giorno col quale si in- viti il Ministero a che il servizio sia continuato sino a quando verrà presentato il progetto. Siccome poi alcuni commissari non si possono trattenere in Poma per un periodo di tempo necessario alla preparazione del contro-progetto, visto che in questo scorcio di sessione il progetto non potrà essere discusso dal Parlamento, egli crede partito migliore di rimettere al novembre il seguito della discussione. Propone quindi che il Presidente chieda facoltà al Ministro di rinviare le sedute al novembre e che intanto sieno forniti i mezzi necessari per la continuazione del lavoro: in questa ipo- tesi i signori Stoppani e Taramelli avranno tempo di preparare il loro contro-progetto. Essendo adottata la proposta Sella, il medesimo, in seguito a preghiera del Pre- sidente, formula l’ordiiie del giorno seguente : . La Commissione, Udite le osservazioni fatte dai professori Stoppani e Taramelli, le quali condur- rebbero ad innovazioni nel progetto di legge sulla Carta Geologica ; Udito che fra qualche tempo le tradurrebbero in proposta concreta ; Considerata la poca speranza che in questo scorcio di sessione possa il Parlamento approvare il disegno di legge relativo alla Carta Geologica, Delibera : 1. Di pregare il Ministro a rinviare le sedute della Commissione al prossimo novembre ; 2. Di fargli istanza a continuare al Comitato ed all’ Ufficio geologico tutti i maggiori mezzi di cui può disporre, acciò i lavori intrapresi o da intraprendersi sieno condotti con la più grande energia possibile. Posto ai voti l’ordine del giorno viene approvato all’unanimità. Si stabilisce anche di comunicare a tutti i commissarii il Regolamento interno del Comitato. La seduta è levata alle 3 pom. ; domani a mezzogiorno seduta ordinaria del Comitato. Il Presidente, Fimi. : G. Meneghini. Il Segretario, Firm. : P. Zezi. Verbale dell’Adunanza 11 giugno 1880. La seduta è aperta alle ore 1 pom. Sono presenti i signori : Meneghini prof, Giuseppe, presidente. Capellini prof. Giovanni, Gemmellaro prof. Gaetano Giorgio, Scarabelli sen. Giuseppe, Stoppani prof. Antonio, Cossa prof. Alfonso, Giordano ing. Felice, Pellati insr. Niccolò, Zezi ing. Pietro, Segretario. y Membri eletti dal Ministero I J [Membri di diritto a termini del R. Decreto 23 Giugno 1879. — 35 Si dà lettura del verbale della seduta del 9 giug-no ; è approvato senza osservazioni. Il Presidente informa i presenti di avere dopo la seduta precedente scritta al- l’on. Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio la seguente lettera: Eccellenza, Roma^ iO giugno i880. La Commissione incaricata da V. E. di esaminare il progetto di legge sulla C;irta Geologica, adunatasi in conformità all’invito ricevutone dai membri aggiunti al Co- mitato geologico, prima di esaminare e discutere il progetto stesso, ha creduto oppor- tuno di prendere in esame la costituzione data al Comitato dai decreti del 1873 e del 1879. Il prof. TaramelM espose alcune considerazioni in forza delle quali dovrebbe, secondo lui, venir sostituito all’attuale Comitato un Istituto geologico autonomo. Avviata su di ciò la discussione, anche il prof. Stoppani pur dichiarandosi disposto a favorire e ad invocare i maggiori mezzi possibili al proseguimento dei lavori del Comitato, si pronunciò contrario ai principii sui quali esso è costituito. Invitati quindi i professori Taramelli e Stoppani ad esporre i principii ed il si- stema che a loro parere dovrebbero essere preferiti, essi non si trovarono pronti a farlo nè subito nè fra pochi giorni, esigendosi, per formulare un progetto di tanta importanza, un tempo non indifferente. L’Assemblea desiderando dar piena soddisfazione a tutte le opinioni e conoscere il fondo di tutte le opposizioni al sistema finora seguito, passò quindi alla votazione del seguente ordine del giorno che fu alla unanimità approvato. (Segue l’ordine del giorno adottato nella seduta precedente :) In conformità all’incarico avutone io dunque prego V. E. ad accordare la chiesta dilazione, convocando nuovamente la Commissione nel prossimo novembre. In nome poi e del Comitato e della intera Commissione insisto sulla preghiera diretta a V. E. che voglia intanto accordare i maggiori mezzi possibili per continuare i lavori iniziati o che stanno per iniziarsi, affinchè non abbiano a soffrirne ritardo, specialmente in vista al prossimo Congresso geologico internazionale che deve aver luogo a Bologna. Della E. V. Devotissimo, Firm.: G. Meneghini, Presidente del R. Comitato Geologico. Aggiunge che si recò in persona dal Ministro stesso a rendergli conto della se- duta e della risoluzione in essa adottata. Dichia,ra che S. E. il Ministro si dimostrò persuaso della necessità di differire le sedute della Commissione ed approvò il rinvio al Novembre. Egli crede in conseguenza che si dovrebbe preparare qualche cosa per la seduta, che terrà in novembre la Commissione per l’esame del progetto di legge della Carta Geologica, chiedendo informazioni sui lavori che si potranno fare nell’intervallo. Giordano osserva che oltre ai lavori ordinarli in Sicilia, nei dintorni di Roma, nelle Alpi Apuane e in Sardegna, nessun nuovo lavoro regolare sarà iniziato ; soltanto crede sarà necessario di preparare qualche altra cosa per il Congresso di Bologna, come ad esempio, la revisione della carta al 500 000 (di cui si potranno incaricare alcuni geologi olti’e quelli che già lo sono) ed il lavoro sulle serpentine del quale si occu- peranno sul terreno i signori Taramelli, Lovisato, Issel, Capacci, forse anche qualche ingegnere del Corpo delle Miniere o altre persone. Prima di sciogliersi il Comitato esprime il voto che i lavori in corso sieno in conformità della deliberazione presa nella seduta precedente, continuati con la mag- giore possibile alacrità e che perciò sia pregato il Ministero a fornire tutti i maggiori mezzi che gli sarà possibile di accordare; e che intanto, appena ottenuta l’approva- zione ministeriale al Regolamento interno, sia il medesimo pubblicato, facendolo prece- dere dai decreti del 1873 e del 1879, onde ciascuno possa formarsi un giusto concetto deH’ordinamento vigente. Non essendovi altre osservazioni, la seduta è levata alle ore 1.30. Data lettura del presente processo verbale, il medesimo viene approvato. Il Presidente, Firm. : G. Meneghini. Il Segretario, Firm,; P. Zezi. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. PARTE UFFICIALE. Relazione dell’Ispettore-C apo al Comitato geologico, SUL LAVOEO DELLA CARTA GEOLOGICA d’ ITALIA (1879-1880). Presento al P. Comitato geologico F annuale rapporto siilF andamento del lavoro della Carta geologica riferentesi al decorso anno 1879. Questo rapporto dovrà però, come di solito, constare di due parti : la prima con- tenente un sommario resoconto dei lavori eseguiti in detto anno, la seconda indi- cante quale abbia ad essere il proseguimento dei lavori medesimi nel 1880, e quali i mezzi da adibirvi. Dopo il rapporto ultimo stato presentato nella seduta del 17 marzo dello scorso anno 1878, il presente potrà farsi alquanto più abbreviato. In quello infatti trattan- dosi di riferire per la prima volta al Comitato il quale esso era stato poco prima ricostituito dal R. Decreto 23 gennaio|1879 ed accresciuto di nuovi membri, erasi creduto necessario di porgere come preliminare una informazione sulle origini e vi- cende del lavoro della Carta geologica e del Comitato stesso, sugli ostacoli per molto tempo sojBferti prima dipotersi regolarmente avviare (ciò che soltanto avveniva nel 1877) ed infine sullo stato delle cose al fine del 1878 e principio del 1879. — Si spiegava poscia per quali motivi si fosse dovuto incominciare un lavoro di dettaglio in alcuni punti un po’ disparati, come sono la zona solfifera di Sicilia, le Alpi Apuane o Car- raresi, la regione metallifera del S. 0. di Sardegna, regioni importanti per prodotti industriali, ed oltre ciò, la Campagna romana in relazione alla questione del suo bo- nificamento ora ordinato per legge. Oltre a tali studi da farsi su carte in grande scala, si doveano poi condurre alcuni lavori d’ altro genere, come un abbozzo della Carta generale d’Italia in piccola scala, lo studio chimico-microscopico di una parte delle nostre roccie cristalline, ed infine preparare materia e carte pel Congresso geo- logico internazionale del 1881 in Bologna. — Il rapporto terminava con i resoconti di ciò che si era fatto in campagna ed in uffizio, delle spese dell’annata decorsa e quella preventiva pel 1879, toccando poi in modo speciale delle condizioni non tmppo fe- lici del personale adibito ai lavori geologici e della necessità di renderne la carriera meno precaria. Tale rapporto, dopo consentito dal Comitato, venne presentato dal Ministero al Parlamento, fra i cui atti trovasi pubblicato. In quella stessa seduta del 17 marzo il Comitato, oltre al decidere sui la- vori da eseguire nel 1879, avea pur dovuto esaminare e discutere una questione di massima, se cioè si dovesse modificare l’attuale sua organizzazione. Il verbale della, seduta, al quale per brevità si rimanda, espone tutte le particolarità della discussione avvenuta. La conclusione fu che il Comitato non credette di proporre mutamenti ; però ad accrescere efficacia alla sua azione decise che ciascuno dei centri del rileva- mento della carta dovesse venire sorvegliato da uno o più de’ suoi membri, special- mente pel controllo delle osservazioni e della classificazione geologica da adottarvi. Del resto nel Bollettino geologico del decorso 1879, che seguitò ad escire in puntate bimensili, oltre al resoconto ordinario dell’ avanzamento dei lavori, si comin- ciò a porre in testa di ogni fascicolo un breve cenno sugli atti del Comitato stesso, che prima pubblicavansi soltanto in diversi annuari del ministero. Così si potrà ritro- vare ogni dato concernente la carta geologica, debitamente riferito nel Bollettino stesso. Al quale proposito dirò essere intenzione di chiudere la prima serie decennale del Bollettino, il quale con il 1879 raggiunse il suo decimo anno, con un volumetto di appendice nel quale, oltre all’ indice delle materie contenute nella intiera serie, sieno riportati per ordine cronologico tutti i R. Decreti ed altre importanti decisioni che dal principio del Regno emanarono sino ad ora per la Carta geologica. Opekato nel 1879. Lavori regolari di rilevamento. — Diciamo regolari quei lavori di rilevamento sovra connati che vennero intrapresi in grande scala, a partire da alcuni centri de- terminati e devono poi venire sistematicamente proseguiti. I principali tra questi sono per ora tre, come sopra fu detto : cioè la zona solfifera di Sicilia, le Alpi Apuane, e Roma; oltre poi al bacino siluriano d’Iglesias, il quale però forma un lavoro a parte. Il rilevamento in grande scala incominciato nel 1877 nella zona solfifera di Si- cilia, che ha per centro principale Caltanissetta, venne anche nel decorso 1879 prose- guito con il personale che già vi era dei tre ingegneri-geologi (Baldacci, Mazzetti e Travaglia), ai quali venne aggiunto un altro di recente tornato dall’estero (Di Stefano). Lavorarono il Mazzetti e il Travaglia nei fogli del centro ed orientali, gli altri in quelli occidentali. Si lavorò sino ad inoltrata stagione estiva non senza che taluno degli operatori soffrisse alquanto. Già, come sappiamo, nel 1878 era stata rilevata la parte centrale della zona, comprendente 5 fogli della carta all’ 1/50,000, i quali aveano anche figurato all’ Esposizione di Parigi, contribuendo non poco al premio che in quella era stato accordato al Comitato. Nel 1879 il rilevamento venne notevolmente esteso, comprendendo ora 8 fogli intéri della carta, oltre a due mezzi fogli verso Est, ed alcune parti già abbozzate al N. 0., ^ in tutto più di 9 fogli. Questi fogli sono di quelli antichi, cioè riferiti ancora al meridiano di Napoli e che comprendono caduno 875 chilom. quadrati, onde rappresentano una superficie territoriale di oltre 8000 chilom. quad., pari ad un quadrato di 90 chilometri di lato, poco meno del 1/3 della isola intera. Lo stato dei lavori al fine della campagna del 1879 è rappresentato nell’ unito diagramma nella scala di 1 a 2,000,000. ® La parte interamente rilevata già comprende la massima parte della zona solfifera che era l’oggetto essenziale del lavoro. Ne restano alcuni lembi all’ intorno, che si spera potranno venire compiuti nella cam- pagna del 1880, come sarà meglio spiegato più sotto. Il rilevamento sul terreno venne fatto al solito con carte artificialmente ingran- dite dalla scala del 1/50,000 a quella del 1/25,000, la quale ultima, come sappiamo, è necessaria per potervi segnare i più essenziali particolari geognostici di questa im- portante regione. Si presentano qui come saggio diversi fogli di questo rilevamento al 1/25,000, il cui complesso al dì d’ oggi già occuperebbe una parete di 5 met. X ^ metri. Simile lavoro necessitò per certo lunghe e ripetute perlustrazioni sul terreno, delle quali possiamo avere esatta idea, poiché sta nelle prescrizioni dei nostri rileva- tori non solo di tenere esatto registro giornaliero delle distanze percorse nelle loro escursioni, ma di segnarne il diagramma sopra la mappa stessa, la quale così parla all’ occhio più efficacemente. Ne presento qui qualche foglio come saggio. A suo tempo, quando il lavoro della zona solfifera sarà finito, o se vuoisi quando sarà finita l’isola intiera, si potrà presentare insieme alla carta geologica anche il complesso di queste distanze e loro diagrammi ; ciò che darà una precisa e non inutile idea di quanto la- voro occorra ad un dettagliato rilevamento. Intanto, dall’ esperienza del già fatto ri- sulterebbe per questa regione una percorrenza di poco inferiore a 4 chil. per ogni chil. quadrato. Nell’ autunno i tre geologi continentali vennero chiamati al P uffizio centrale dove occorreva un lavoro di tavolo non indifferente per ridurre l’eseguito rilevamento dai fogli di campagna al 1/25,000 a quelli del 1/50,000, scala questa delle carte che si dovranno a suo tempo stampare. In questa riduzione si trovò talora non poca diffi- coltà per rappresentare con sufficiente chiarezza le diverse suddivisioni del miocene e specialmente quelle del terreno solfifero Quest’ ultimo vi è costituito da 4 o me- glio 5 piani i quali sempre si conservano nell’ordine medesimo di sovrapposizione (calcari detti trubi; gessi; calcare con solfo; calcare silicifero quasi sempre sovrappo- sto ad un banco di tripoli). Ora questi piani si possono distinguere assai bene nella carta all’ 1/25,000, ma non sempre in quella al 1/50,000. In questa perciò si dovet- tero indicare solo 2 e talora 3 piani a vece di 4 o di 5 ; oltre ciò per l’ armonia generale dei colori di questa carta al 1/50,000 si dovette a forza di prove determi- nare una nuova scala o gamma dei medesimi, messa in accordo in quanto possibile con le norme generali sin’ ora dai geologi adottate. Si presentano qui dei saggi di * Al N. O., cioè nei fogli di Oammarata e Ciminna, il lavoro procedè meno ra- pidamente essendo ammalato il geologo Di Stefano, il quale dovette poi venire tempo- rariamente dispensato. ® La relazione era corredata da diagrammi dimostrativi dello stato dei rilevamenti, da campioni degli ultimi fogli rilevati e da altri quadri grafici. N. della Redazione, questi fogli che possono ora considerarsi come campioni della carta da pubblicare per la Sicilia. Devesi poi segnalare una novità occorsa nella carta topografica di Sicilia, che necessitò non poco lavoro supplementare anche per la colorazione geologica. L’isti- tuto topografico, qualche tempo dopo lacquisto della nuova capitale, adottava per me- ridiano comune a tutta l’Italia quello di Homa (Monte Mario), e presa per base la carta generale a scala del 1/100,000, che è quella da pubblicare, la suddivideva in fo- gli riferiti a tal meridiano ed aventi i loro lati di 30' in longitudine per 20' in la- titudine. La Sicilia comprende 27 circa di tali fogli le cui dimensioni materiali sono di 0"’,44X0'”)37, e rappresentano caduno sul terreno più di 1500 chilom. quadr. In- vece i fogli antichi in cui era divisa la Sicilia quale fu rilevata a partire dal 1862, erano riferiti al meridiano di Napoli e non aveano che 24'Xld^? ciò che alla scala del 1/100,000 corrisponde ad un foglio di 0“*,35X6“)25, rappresentando sul terreno una superficie di soli 875 chil. quad. — Questi antichi fogli erano dunque più piccoli, tanto che l’isola ne comprende 46 a vece dei 27 nuovi, e di più i loro rispettivi li- miti non hanno corrispondenza alcuna tra loro. D’ora innanzi non si farà più uso dall’ I- stituto topografico che dei fogli nuovi onde i geologi che sino ad ora aveano fatto uso degli antichi riferiti al meridiano di Napoli, dovranno abbandonare questi per lavo- rare sugli altri. Intanto per potersi preparare il lavoro avvenire, i nostri geologi nel fare il suddetto disegno della carta al 1/50,000 dovettero riportare i loro rilievi sui nuovi fogli, locchè non fu senza un qualche incremento di lavoro e il dover anche vincere qualche difficoltà materiale. Alla carta geologica della zona solfifera dovrà naturalmente fare corredo una me- moria illustrativa; ma è appena necessario l’osservare che prima di pubblicare simile memoria, la quale deve essere un lavoro importante e conclusivo, sarà bene che venga compiuto il rilevamento della zona intera, ed il medesimo inoltre debitamente con- trollato sia sul terreno che con lo studio dei fossili, ed i risultati poi vengono para- gonati a quelli ottenuti dagli studi ora in corso ne’ terreni analoghi, sia in Italia che fuori. — Tuttavia per non protrarre di troppo la descrizione di questo terreno, si co- minciava per pubblicare una memoria riassuntiva dei sigg. Baldacci e Mazzetti nel primo numero del Bollettino Geologico del 1880. Intanto veniva stabilito che della sorveglianza scientifica del lavoro di Sicilia fos- sero incaricati i due membri del Comitato, Gemmellaro e Capellini. Il primo, resi- dente in Sicilia, è già conoscitore della sua geologica struttura e de’ suoi fossili e coadiuvò molto de’ suoi consigli i nuovi operatori ; il secondo, è conoscitore delle con- simili formazioni geologiche nella penisola italiana ed anche in regioni estere, e pure contribuì allo studio dei fossili terziari siciliani che gli vennero portati dagli in- gegneri rilevatori. Una visita speciale sui siti avrebbe luogo per tale scopo nel 1880. Alle Alpi Apuane si pose mano soltanto allorché si ebbero i primi fogli della mappa, stata appositamente dallo Istituto Topografico' levata al 1/25,000, cioè nella primavera del 1879. Stante l’attuale scarsità del personale non vi si poterono per ora applicare stabilmente che tre operatori, cioè i due ingegneri Lotti e Zaccagna e l’aiu- tante-ingegnere Fossen il quale avea lavorato assai in Sardegna al rilevamento del territo- rio Iglesiente costituito da terreni antichi, insieme agli ingegneri che aveano rilevata — él- la bella carta geologico-mìaeraria di quella regione. Nell’autunno successivo andò pure alle stesse Alpi l’ingegnere Testore che dirigeva in Sardegna il lavoro della suddetta carta; ma circostanze particolari e la necessità di terminare tale lavoro lo richiama- rono poscia nell’isola. — Quanto alla direzione scientifica, venne affidata, come è noto-, al prof. Meneghini, presidente del Comitato, il quale per la sua abituale residenza in Pisa, e per la speciale conoscenza dei terreni della Toscana e dei fossili italiani, era nelle migliori condizioni per tale rilevantissimo compito. Come già cennavasi nel progetto dello scorso anno, questo rilevamento delle Alpi Apuane, fatto in base alla nuova mappa in grande scala, è un lavoro di dettaglio avente scopo tanto scientifico che tecnico. Quanto alla classificazione scientifica, devesi rammen- tare che già si aveano diversi studi di geologi toscani come il Savi, e quelli più recenti dei prof. Cocchi e De-Stefani, in varie parti della catena. Oltrecciò trovasi vicino il Golfo di Spezia, il cui braccio orientale che termina al Capo Corvo presenta una se- rie di terreni antichi dal Cretaceo sino almeno al Trias inferiore ed il cui studio po- teva riuscire utilissimo come termine di paragone. E già dalla carta geologica del detto Golfo al 1/50,000 pubblicata dal prof. Capellini nel 1863 poteva trarsi un utile ammaestramento. Perciò si è giudicato molto utile il far perlustrare anche i monti di Spezia dai geologi destinati alle Alpi Apuane, accompagnandovi il detto professore men- tre egli nella scorsa estate del 1879 attendeva ad un rilevamento più dettagliato, pro- fittando della nuova mappa al 1/25,000 che nel frattempo ne era stata pubblicata. Si ebbe intanto così un bel foglio che presenta una nuova carta geologica del Golfo di Spezia a detta scala, foglio che si collega direttamente ai fogli finitimi delle Alpi Apuane in modo da poter formare coi medesimi un complesso assai omogeneo anche per l’età delle formazioni. Questo foglio di Spezia essendo già rilevato, si potrebbe quandochessia stampare anche come saggio di prova per le future pubblicazioni. In- tanto il diagramma che qui si presenta, alla scala di 1/500,000^ dimostra lo stato dei lavori di rilevamento al fine del 1879. Oltre all’anzidetto golfo di Spezia che occupa il quadrante S. E. del foglio n. 95 della carta generale, sono già ultimate varie parti dei due fogli vicini, n. 96 e n. 104, che comprendono i dintorni di Massa e Pietrasanta. Queste parti finite comprendono almeno 4 foglietti o tavolette al 1/25,000, ciascuna pari ad un 16® di foglio della carta generale, in complesso un’area di 400 chilom. q., pari ad un quadrato di 20 chilometri di lato. Diverse altre parte poi dei dintorni già erano pure state perlustrate ed in parte rilevate, onde potranno essere fra pochi mesi anch’esse ultimate — Questo lavoro condotto con molto dettaglio sulla nuova Carta topografica, deve servire, come dicemmo, tanto allo scopo industriale quanto a rischiarare in modo definitivo la tuttavia controversa questione dell’età delle formazioni più antiche che si trovano in iquesta catena. Sin’ora non venne fatto di scoprirvi fossili caratteristici ben determinabili, ma 1* esattezza del rilevamento della stratigrafia potrà in ogni caso supplire in gran parte alla scarsità dei resti organici, e dai risultati già ottenuti si può confidare che questo lavoro delle Alpi Apuane riu- scirà esattissimo e concludente. Nel Bollettino Geologico del 1880 verrà pure incomin- ciato qualche resoconto dei risultati già conseguiti. Per i dintorni di Poma o Campagna romana, venne proseguito il rilevamento dal- l’ing. Zezi dirigente l’uffizio geologico, colla collaborazione degli ingegneri Sormani, Zaccagna, ed aiutante Perrone ; però ben presto l'ing. Zezi dovette rimanere solo al lavoro. Tale rilevamento fatto sulla mappa al 1/25,000 venne esteso entro il 1879 a 12 fogli o tavolette in detta scala, die rappresentano un’area di oltre 1000 cbilome- tri quadrati. In alcune parti della zona circostante a Poma, entro il raggio di 10 cbilom., il lavoro venne fatto di concerto con l’ingegnere R. Oanevari, incaricato dello studio del regime delle acque sotterranee e delle colture possibili, in relazione al ven- tilato problema del risanamento contemplato dalla legge del 1878. L unito diagramma al 1/500,000 mostra lo stato del lavoro fatto ài termine dell’anno. Intanto la carta generale a piccola scala (1/250,000) della Campagna romana, che nel 1878 era stata compilata per far parce della monografìa ordinata dalla Direzione di Statistica, radunandovi gli studi del prof. Ponzi e di alcuni altri geologi, ebbe nel 1879 una seconda edizione per la monografìa stessa, nella quale vennero introdotte non poche migliorie dovute a speciali verifìcazioni, nonché a comunicazioni dell’inge- gnere Di Tucci di Velletri, del capitano Verri, del professore Meli, ed alcun altro amatore della geologia. Però questa Carta può soltanto considerarsi per ora come un abbozzo generale che precede l’opera regolare e dettagliata ora in corso d’ ese- cuzione. In Sardegna venne proseguito il rilevamento del noto bacino siluriano metalli- fero deiriglesiente per opera degli stessi ingegneri addetti al servizio minerario del- l’isola (Testore, Zoppi, Lambert e Deferrari, e cogli aiutanti Eossen e Lentìni). Qui è d’uopo rammentare le condizioni speciali che rendono piuttosto lento l’avanzare del lavoro, cioè la brevità della stagione propizia, le altre occupazioni del servizio e del- l’insegnamento alla scuola d’Iglesias, e sovratutto la mancanza di Carta topografìca, onde i rilevatori stessi devono in questo caso far precedere la levata della mappa, che si fa alla scala del 1/10,000. Veramente, come già si è spiegato nel rapporto dello scorso anno, questa carta dell’Iglesiente non fa parte del lavoro ordinario del rileva- mento geologico come sono quelle di Sicilia, Alpi Apuane, ecc. sopra descritti, ma è uno studio speciale geologico-minerario molto dettagliato, sempre al duplice scopo pcien- tifìco e industriale. Il rilevamento eseguito sino alla fìne del 1879 comprendeva una superfìcie di territorio di circa 400 chilometri quadrati contenente la parte più inte- ressante del terreno metallifero. E tale lavoro riuscì di già praticamente^ utile a ri- schiarare diverse questioni, sia di miniere che di idrografìa sotterranea,, che interessa- vano specialmente la miniera demaniale di Monteponi, ora posta in vendita, e gli ob- blighi da imporre al suo nuovo acquisitore per lo scolo delle acque. Ma anche allo scopo scientifìco riuscì molto utile lo studio dettagliato di questo antichissimo fra i terreni nostri, cioè per la sua suddivisione in piani di età diversa. Questo terreno è essenzialmente costituito da scisti e da calcari subcristallini che si appalesano in va- ste e potenti zone più volte in apparenza alternanti e variamente rialzate e sconvolte. Alcune delle miniere di piombo e zinco che sono la ricchezza di questo distretto, si trovano in fìloni nei scisti, altre in masse di varia forma soltanto nei calcari, altre in- fìne al contatto delle due roccie. Sino ad ora ninna legge si ravvisava nella successione di queste roccie, come nemmeno nella disposizione dei giacimenti metalliferi in esse contenuti. Ma dopo gli ultimi lavori di dettaglio, quel caos apparente venne a dar luogo ad un ordine determinato, ed ora una sezione generale di quel terreno ci indica non più un alternare capriccioso di scisti e calcari, bensì una generale disposizione a ba- — 43 — cino semplicissimo, formato da tre concile o piani principali, Fimo di scisti inferiori, Faltro intermedio di calcare, e sovra ciò un altro piano di scisti con però infi^rcalate molte zone calcaree. Ora gli scisti inferiori clie riposano direttamente sui graniti, sono caratterizzati dai trilobiti ed altri fossili del siluriano antico di cui alcune nuove spe- cie vennero testé da quegli ingegneri ritrovate e dal professore Meneghini determi- nate. * In questi stessi scisti trovansi i grandi filoni di spaccatura di cui taluni pre- sentano le maggiori ricchezze metallifere. Nella gran zona calcarea sovrastante invece trovansi i numerosi giacimenti di piombo e zinco che alimentano la massima parte dell’industria mineraria, come Monteponi e simili; ma ciò che ora si potè riconoscere si è che tali giacimenti trovansi presso al contatto del calcare coi medesimi scisti in- feriori, dove pure vengono a giorno le poche ma ricche sorgenti di quella regione, come sono quelle di Domusnovas, Su Mannau, Gutturu Pala, ec. Gli scisti superiori con- tengono rinchiuse delle grandi amigdale calcari che sarebbero costituite da masse di corallarii, e benché forse ancora siluriani, ® 'diversificano però abbastanza per la fauna fossile tanto da potersi distinguere dagli inferiori, mentre poi si ha il fatto rilevante che al loro contatto coi calcari sottostanti mancano i giacimenti metalliferi di qual- che importanza. La necessità d’essere breve mi vieta di estendermi ad ulteriore de- scrizione di queste recenti scoperte che saranno di guida utilissima ai nostri industriali, mentre aprono nuovo orizzonte alla precisa conoscenza delle nostre geologiche forma- zioni. Esse sono una pratica dimostrazione del vantaggio degli studi dettagliati ed esatti condotti con perseveranza. Questo lavoro sull’lglesiente si sta ora completando, malgrado alcuni recenti disturbi avvenuti neh personale, e speriamo che fra non molto se ne possa fare una pubblicazione. Sicconie però la carta all’ 1/10,000, quale venne ri- levata, presenterebbe troppo grandi dimensioni (circa 2™, 50 di larghezza su 3,50 di altezza), se ne fece nell’uffizio dTglesias la riduzione tanto al 1/25,000 che al 1/50,000. Quest’uhima scala porta una dimensione di foglio assai comoda, 0™,50 naturalmente con sacrifizio di molti interessanti particolari. Sarà da decidere a suo tempo a quale delle due ultime scale convenga fare la stampa. Tali sono i lavori di rilevamento eseguiti nella campagna del 1879, lavori che si chiamano regolari perchè eseguiti in grande scala, con apposito personale (salvo la Sardegna) e sovratutto in centri dai quali il lavoro gradatamente irradiando deve poi formare la intera Carta geologica del Regno. L’area sin’ ora così rilevata rag- giungeva in complesso al fine del 1879 l’estensione di circa 10,000 chilometri qua- drati, pari cioè ad un quadrato di 100 chilom. di lato. Tale lavoro apparirà certa- mente non essere poca cosa ai pratici della materia, riflettendo che è V opera di sole tre campagne (1877-78-79), campagne assai brevi per le circostanze di stagioni e di clima, e di pochissimi individui, di cui taluni anzi non furono sul campo che assai tardi nei due ultimi anni. Tale lavoro poi apparirebbe certo molto soddisfacente ed ^ Vedi le sedute dei Lincei del 5 maggio 1878, 7 dicembre 1879 e 7 marzo 1880. I fossili ultimamente determinati dei scisti inferiori sono i Dalrnanites Lamarmorae^Dal- manites Testore% e la Conularia tulipa. In altre località si trovarono V Orthis magna^ e la Dictyomena corniculùta^ pure dal, prof. Meneghini determinate. ^Questi corallarii, sono per la maggior parte del genere Cyatophyìlum^vorai sin’ora non se ne rinvennero di bene determinabili. Ultimamente il prof. Meneghini determinò una Stromatopora^ (St. striatella) che sarebbe ancora siluriana. utile, tanto più che comprende regioni fra le più interessanti non solo alla scienza ma anche all’ industria, se gli fosse stato possibile di presentarne una bella pubblica- zione composta di carte geologiche corredate di sezioni, e memorie illustrative. Di tali carte già se ne sarebbero potute stampare così una cinquantina almeno delle or- dinarie dimensioni, con qualche volume di memorie, tavolo di sezioni, di fossili, ecc. Ma una tale pubblicazione debitamente eseguita ed in un numero un po’ grande di copie, oltre allo essere forse alquanto prematura, almeno in quanto concerne certe questioni scientifiche, avrebbe necessitata una spesa di forse L. 80,000. A simile ci- fra, stante le condizioni nostre, purtroppo non potè vasi nemmeno pensare. Lavori secondari. — Diamo per comodità questa qualificazione, benché non in- teramente esatta, a tutti i lavori non compresi nella categoria precedente, i quali consistono od in studi preparatorii e di carattere generale, come sarebbe F abbozzo di Carta al 1/500,000 di tutta Italia, ovvero lo studio anticipato e provvisorio di qualche tratto di territorio per speciali ragioni di attuale convenienza, ovvero anche lo studio di speciali questioni come quella delle serpentine d’ Italia e le altre che si collegano al Congresso internazionale del 1881 in Bologna. Simili lavori e studi sono aifidati talora ad operatori della sezione geologica, talora a geologi privati e professori di varie facoltà che ne accettano il compito. Taluni poi ne vengono eseguiti da privati geologi di loro iniziativa e che comunicati all’ uffizio geologico servono egualmente allo scopo. Si accenneranno qui appresso brevemente i principali fra questi lavori, bene inteso di quelli che vennero fatti o per incarico dell’uffizio geologico o dietro suo invito. Di quelli semplicemente comunicati all’uffizio rende conto d’ordinario il Bollettino bimensile. Eruzione delV Etna. — Tutti rammentano come nello scorso maggio il maggior nostro vulcano attirasse viva attenzione per una eruzione la quale mentre prometteva ai naturalisti una ricca mèsse di osservazioni, minacciava le proprietà di una vasta estensione di territorio. Fortunatamente il danno riuscì minore della paura destata, mentre poi eccitò seri studi fisici e geologici per parte di commissioni a ciò delegate, non che di privati studiosi ; e la creazione di nuovi e perfezionati osservatorii sul sito per lo studio del vulcanismo, tra cui uno sarà alla così detta Casa Inglese presso la vetta del monte. Apposita commissione nominata dal Ministero (professori Blaserna, Gemmellaro e Silvestri) tosto accingevasi a studiare i diversi fenomeni sismici e fisici dell’ eruzione, mentre i tre ingegneri dell’ uffizio geologico (Baldacci, Mazzetti, e Travaglia), che trovavansi nell’isola, accorsi tosto sulla faccia del luogo, inviavano una esatta relazione accompagnata da carta al 1/50,000 del corso della lava. Simile relazione vide la luce nel Bollettino,, insieme ad altre varie sullo stesso argomento del Giimbel sulle eruzioni fangose di Paternò nella china meridionale del monte, completando la monografia di quel grandioso fenomeno. Studio delle roccie. — Abbenchè lo studio delle nostre roccie, intendesi specialmente delle cristalline, coi moderni processi dell’ ottica applicata, congiunti all’ analisi chimica — 45 — non sia opera interamente nuova in Italia, * tuttavia la mancanza di uno studio si- stematico sulle nostre roccie principali lasciava una grave lacuna nella nostra petro- grafia. Perciò, come sappiamo, nello scorso anno il prof. Alfonso Cossa, direttore della stazione agraria di Torino e membro del Comitato, assumeva gratuitamente su di sè tale lavoro, in vista eziandio di poterlo presentare, in parte almeno, al Congresso inter- nazionale del 1881. Più tardi gli venne aggregato un ingegnere mineralogo (Mattirolo) cbe avea fatti su tale ramo studi speciali in Francia e Germania. Siccome però il campo era troppo vasto, tanto piò trattandosi di presentare già qualche risultato nel 1881, così venne deciso di incominciare con lo studio delle così dette wrc?/, e special- mente delle roccie serpentinose di varie età che tanto abbondano nelle Alpi nostre e nella Calabria, nonché nell’Appennino Ligure e Toscano. La ragione di questa scelta è in ciò, che tali roccie magnesiache di aspetto e proprietà caratteristiche, presentano ancora, quanto alla loro origine, un problema insoluto pei geologi; e l’Italia cifre esempi specialissimi i quali bene studiati possono condurre alla soluzione. Simile ri- sultato sarebbe uno dei lavori più interessanti che si potrebbe da noi esibire al cen- nato Congresso internazionale, ed è a conseguirlo che si indirizzarono gli studi. Di tale idea, del resto, già si era fatto cenno nel rapporto dello scorso anno, proponendo una specie di monografia delle nostre serpentine. Questo studio però implica due ge- neri di lavori, uno chimico microscopico di laboratorio, T .altro stratigrafico da fare sul terreno, cioè V esatto rilevamento della forma delle principali masse serpentinose la cui conoscenza è pure essenziale per studiarne la genesi. Ora vari geologi vennero invitati a quest’ ultimo studio delle masse sul terreno, mandandone in pari tempo grossi campioni al laboratorio del signor Cossa in Torino. Questo laboratorio comin- ciò quindi a riceverne numerosi saggi da varie parti d’Italia, sui quali cominciò quindi lo studio sia chimico che ottico su lastre sottili preparate nel laboratorio stesso. Le roccie inviate al laboratorio nel 1879 provenivano dalle seguenti località, ove erano state raccolte durante apposite escursioni dai vari geologi ìnfranominati. Dalle Alpi occidentali (Val-Tournanche), raccolte dal medesimo professore Cossa e dal- l’ingegnere Derruti. Dalle Alpi lombarde non che da varie regioni dell’ Appennino, dal prof. Taramelìi. Dal Gottardo (traforo) inviate dal Direttore geologico Stapff. Dalle Alpi Apuane, raccolte dagli ingegneri Lotti e Zaccagna addetti al rilevamento geologico. Dall’ Elba ed alcune località di Toscana dall’ ispettore F. Giordano. Da varie località di Toscana e Bolognese dal prof. Capellini. Dalla Calabria dal prof. Lovisato. Circa 500 preparati di tali roccie, tagliate in lastre sottili, erano già allestite in quel laboratorio nello scorso decembre, dì cui 300 in grande formato e 200 in pic- colo. Al Congresso di Bologna, si spera, se ne potrà presentare una raccolta di oltre a 1000 coi relativi studi. Non poche di tali roccie furono pur già nel 1879 chimi- camente e microscopicamente studiate, come, per esempio, quelle di Val-Tournanche, di Garfagnana e dell’ Elba, sulle quali ultime vennero pure dal Cossa presentate le analisi all’Accademia dei Lincei. ^ Sono noti i lavori del Bechi sulle serpentine ed altre roccie, del Bombicci, del Cossa medesimo, d’Achiardi, Grattarola, Issel, Sella, Spezia, Strùver, Uzielli, eco. Circa agli studi delle serpentine sul terreno per contribuire alla loro monografìa TÌ furono, come dissi, varie apposite escursioni, abbenchè sinora non sufficientemente protratte per averne risultati detìnitivi. Il professore Lovisato, nell’ autunno, ripetè una escursione nelle principali località di Calabria, dove già avea studiate le masse serpentinose, oltre alle altre roccie cristalline di quella montuosa regione, cbe sembra ripetere nell’ estrema punta d’ Italia gli stessi fenomeni delle Alpi. A sua volta il prof. Taramelli cbe dopo la Valtellina visitò pure nell’ autunno una parte della Ca- labria, raccolse, e comunicò al R. Istituto Lombardo importanti osservazioni, dalle quali risulta la relativa antichità delle roccie serpentinose di quella regione in ac- cordo a quanto già si ritiene stabilito per le Alpi piemontesi e lombarde. A questo riguardo però dell’ età delle roccie serpentinose alpine forse non poco vi è ancora da decifrare, mentre se talune appaiono realmente prepaleozoiche, altre invece, stando agli studi dei geologi francesi e di alcuno dei nostri, sarebbero triasiche. Pos- sono di poi citarsi le diverse osservazioni pubblicate nel Bollettino geologico del 1879, specialmente su quelle dell’ orizzonte eocenico in Toscana e Liguria dai professori De Stefani ed Issel e dell’ ingegnere Lotti sulla massa di Jano che egli avrebbe di- mostrato non essere altrimenti più antica delle altre di Toscana, in opposizione all’ an- tica idea che fosse sottogiacente al terreno carbonifero. Fosfati. — Non si cessò di ricercare anche in quest’anno e far fare saggi chimici su roccie le quali, dietro informazioni aventi qualche attendibilità, potevano conte- nere una dose sensibile di fosfato calcico. Le prove già fatte altre volte su di- verse roccie e terre e da chimici diversi, aveano fìnora fallito, ossia aveano pa- lesato soltante dei tenori insignifìcanti. Nel 1868 andai nella valle del Desedanj con- fluente della Piave, ove eransi trovati dei calcari, che, a detta del farmacista Zanon, do- veano essere molto fosforiferi. Ma i vari campioni saggiati poi dal Bechi a Firenze diedero meno deH'l 0/0. Lo stesso chimico mi assicurava che in quante roccie gli aveano indicate come fosforifere, nulla avea incontrato di valevole per la pratica. Il direttore Ferrerò della stazione agraria di Caserta trovò scarsamente I 0/0 di fosfato nella più fosforifera fra le roccie vulcaniche della provincia. Mentre certe formazioni di ter- reni antichi del Canadà si trovarono assai ricche di apatite, ossia fosfato di calce so- vente in bei cristallini, nei terreni delle nostre Alpi occidentali, che alcuni ritengono corrispondere ai canadesi, non venne sinora trovato alcun che di simile. Nello scorso 1879, veniva dal prof. Tonnoni' segnalato un deposito di calcare a briozoi molto esteso in certe località delle Puglie, specialmente presso Cerignola. L’in- gegnere Niccoli si recò a riconoscerlo (vedi Bollettino geologico fascicolo luglio-agosto) e ne mandò campioni al professore Oossa. La speranza di ritrovarvi una certa copia di fosforite era assai legittimata dall’ esistenza nella Carolina del Sud (Stati-Uniti) di un terreno che pare sia di eguale età e costituzione geologica, e trovato molto ricco di tale sostanza. Ma nelle analisi che ne fece ultimamente il detto prof. Oossa su svariati campioni, si trovò esservene meno di uno per cento. Carta generale in piccola scala. — Dopo che venne compilata con non lieve fatica una carta generale in piccola scala (al 555 555) coordinandovi, come meglio si è po- tuto, gli studi sinora conosciuti dei vari geologi, carta che si potè solo avere com- piuta nel 1878, sempre si è cercato di colmarne le lacune tuttavia esistenti e mig-lio- rarla nelle parti più imperfette. Per ciò ottenere vennero bensì utilizzati i lavori re- golari in corso, ma come questi procedono lentamente, si è cercato aiuto dai privati cultori o professori di geologia cbe aveano qualche tempo disponibile ricevendone le volontarie comunicazioni, od affidando loro speciali incarichi per determinate lo- calità. Pur troppo la scarsezza del tempo, non che dei mezzi di cui per ora il Comi- tato dispone, non permise di largheggiare in questo studio e che tuttavia, come già fu più volte spiegato, avrebbe un duplice vantaggio pel lavoro della carta geologica. Contribuirono intanto allo scopo : in Toscana gli studi del prof. De-Stefani, partico- larmente nei territori di Arezzo ed Orvieto e nella Montagnola Senese, del prof. Ca- pellini coadiuvato dall’ingegnere Zaccagna nei monti Bolognesi e Livornesi ed a Spezia, del senatore Scarabelli nella provincia di Forlì e nelle formazioni giuresi e liasiche dell’ Appennino centrale, del Canavari nei monti del Catria e S. Vicino dove rinveniva pure dei fossili triasici, del prof. De Giorgi nel Leccese e in Basilicata, del Lovisato, De Stefani e Taramelli in Calabria, del Ciofalo a Termini Imerese, e del Cafici a Vizzini, dove segnalò gli strati a congerie ; ed altri ancora che più o meno contribuirono alla conoscenza delle nostre formazioni geologiche. Sarebbe fuor di luogo 10 estendersi ora in simili studi ed il citare tutti i diversi autori che se ne occuparono. Del resto ne rende conto il Bollettino geologico dell’anno stesso. Intanto essendo simile Carta (al. 1/555 555) stata oggetto di molte richieste al- l’uffizio geologico, questo, malgrado la ripugnanza a metter fuori un lavoro tuttavia assai imperfetto, non potè rifiutarsi a fornirne diverse copie, di cui 2 al Parlamento (Camera e Senato), 1 al ministero d’ Agricoltura, Industria e Commercio, 2 al mini- stero dei Lavori Pubblici, 1 all’ Accademia de’ Lincei. Pur troppo, dico, che varie e non lievi lacune vi esistono , ancora. Le principali di tali lacune si trovano nelle regioni meridionali, cioè nell’ Abbruzzo orientale, nel Gargano, non che nella zona del Salernitano sino verso Lagonegro. L’ingegnere G. Bruno, amatore di geologia e residente in questo paese, dovea incaricarsi de’ suoi dintorni, ma il suo trasloco altrove ne lo impedì. — - Il dottore De Giorgi, professore a Lecce, il quale già molto contribuiva per la geologia del Leccese, avea pure perlu- strata per incarico del Comitato la Basilicata, di cui forniva un abbozzo di Carta geologica stato poi pubblicato a spese del Comitato stesso alla scala del 1/400 000. 11 medesimo professore dovrà proseguire le sue esplorazioni per colmare le due suc- cenate lacune in quelle poco conosciute località, ma private contrarietà lo impedirono di ciò fare nel decorso anno. Si spera si possa ciò compiere nel 1680, ed allora si avrebbe in quella parte, formante 1’ avampiede della penisola, un complesso di esplo- razioni sufficienti a darne una idea più esatta e perfezionarne la piccola carta. — Per la catena alpina non mancano, come è noto, diversi studi o fatti o in corso, come quelli del Taramelli nelle parti orientali, di Stoppani, Ragazzoni, Yarisco, Spreafico Rolle ed altri vari geologi lombardi nel centro, senza contare quelli di vari stra- nieri, del Gastaldi e del Baretti nelle occidentali, e del prof. Carlo Bruno nelle ma- rittime. Ma ormai questi diversi lavori andrebbero più intimamente tra loro coordi- nati onde farne risultare un complesso che presentasse più sicura armonia fra le varie parti di quanto si è potuto sin qui ottenere. Corretti così i principali difetti dell’ abbozzo attuale, si potrebbe presentare al Congresso del 1881 una Carta generale meno difettosa, tanto più se per quell’epoca fosse finita la nuova mappa topogJafica al 1/500 000 cbe venne ultimamente inco- minciata dall’Istituto Topografico. Ed anche si potrebbe prepararne una in rilievo 0 plastico, servendosi del bel modello (al 1/750 000) del capitano Cherubini. Paleontologia. — Dello studio dei fossili dei terreni che . si van rilevando si oc- cupano ora gratuitamente alcuni fra i distinti paleontologi facenti parte del Comitato stesso, esaminando i campioni che loro sono portati dai rilevatori sul terreno, o che raccolgono essi stessi nelle loro escursioni. Così per la Sicilia, idtre agli studi dei prof. Gemmellaro e Seguenza, si ebbe l’opera del prof. Capellini e del suo assistente nell’ università di Bologna dottor Fo- resti, che determinò molte specie del terreno terziario, avute dai geologi rilevatori. Già venne citato il barone Cafici che a Vizzini trovò il piano a congerie, e va pure segnalato l’ingegnere Stòhr, or residente a Monaco di Baviera, che scrisse una me- moria in tedesco sui foraminiferi del triboli di Grotte in prov. di Girgenti. Nel terreno siluriano dell’ Iglesiente in Sardegna, furono, come fu detto, rinve- nuti nuovi fossili, e. questi studiati dal professore Meneghini che già avea pubblicata in unione al generale A. Lamarmora la paleontologia della Sardegna. Egli potè ora determinare nuovi trilohiti., orthis ed aldini altri fossili dei quali diede la specie e il disegno in una memoria ai Lincei e che saranno a suo tempo pubblicati nel Bollettino. Non è il caso di passare qui in rivista i lavori di altri dei nostri paleontologi 1 cui .studi non sono in diretta connessione con i lavori attuali dell’uffizio geologico. Di parecchi dei medesimi rende già conto il Bollettino. È però il caso di segnalare alcuni lavori assai importanti di Mario Can avari, giovane paleontologo, stato nello scorso anno applicato ai lavori del Comitato geolo- gico, e lasciato per ora a lavorare a Pisa col prof. Meneghini. Egli già pubblicava in detto anno alcune memorie sui fossili del lias inferiore e medio, e sulla presenza del trias nell’ Appennino centrale. ‘ Lavori in uffìzio. — Questi comprendono assenzialmente la riproduzione a mano delle carte geologiche rilevate in campagna, ed alcune pubblicazioni. In fatto di pubblicazioni regolari, l’ uffizio geologico dovette ultimamente limi- tarsi al Bollettino, il quale proseguì ad uscire in puntate bimestrali, ed in numero di 500 copie, riportando od in articoli originali od in estratti da altre pubblicazióni, quanto vi è di più interessante in fatto di geologia, con speciale riguardo a quella d’Italia, inferisce inoltre -tratto tratto sull’avanzamento dei lavori in corso. L’unica novità introdottavi fu di aggiungere in capo ad ogni fascicolo una notizia sommaria sugli atti del Comitato geologico, cosa necessaria per far conoscere le vicende cui il medesimo poteva andare soggetto di tempo in tempo, e le misure di vario genere dal Ministero adottate a suo riguardo, non che le decisioni del Comitato medesimo ^ Atti della Società Toscana di Scienze Naturali del gennaio, ed Accademia dei Lin- cei del dicembre 1879. — 49 — riguardo alla Carta geologica. Simili atti prima vedevano soltanto la luce saltuaria- mente in altre pubblicazioni periodiche dei Ministero, e ciò era un difetto non lieve lasciando ignorare ai lettori del Bollettino dei provvedimenti che naturalmente erano di molta importanza. ^ Per rimediare a simile lacuna, si dovrà, come fu detto, pub- blicare in appendice al Bollettino del 1879, il quale chiude la prima serie decennale pel medesimo, un volumetto che contenga raccolti in ordine cronologico tutti i Decreti, decisioni ed altri argomenti relativi. ^ Del Bollettino si hanno molte domande, e le 500 copie che ora se ne tirano, appena bastano a soddisfarle. Un gran numero di copie serve agli scambi con' altri Istituti geologici, ed un certo numero viene pure venduto, producendo un introito annuo da 600 a 700 lire. Intanto essendo da qualche tempo esaurite le prime due annate 1870-71, ne venne fatta in quest’anno la ristampa a copie 200. Ora lo stesso bisogno incomincia a provarsi per alcuno degli anni seguenti. Come testé indicai, il Bollettino contò col 1879 il suo 10® anno. Coiren- trante 1880 viene iniziata una seconda serie decennale. In tale occasione si crede op- portuna qualche lieve riforma. Vista la quantità ognor crescente della materia, onde non accrescere di troppo la mole del volume e la spesa, si amplierebbe alquanto la lar- ghezza della pagina di stampa pur lasciando eguale il primitivo formato del volume. Verrebbe pure introdotta qualche altra miglioria, come quella di riferire sulla copertina il quadro del personale del Comitato e quello addetto ai lavori della Carta geologica. E qui sarebbe da considerare se non sia il caso di togliere una parte della responsa- bilità alla attuale redazione del Bollettino, ponendolo sotto la revisione di qualche membro del Comitato o di una Commissione composta di parecchi fra essi. Sin’ ora tale redazione restava interamente affidata al Segretario del Comitato. Vi sono parecchi casi, come per esempio quello dei transunti delle memorie di vari autori, in cui l’opera del redat- tore è assai delicata ed involge qualche responsabilità, e per altra parte anche nello accettare articoli sovente bisogna avere occhio onde evitare materia di polemiche. Per contro non si deve disconoscere che tale intervento di una Commissione involge nella pratica delle lentezze grandissime. Mi limito qui ad esporre il desiderio : che il Comitato istesso decida il partito da prendere. Quanto alle Memorie in gran formato delle quali rimase sospesa dopo il 1876 la pubblicazione, le circostanze istesse che aveano ciò consigliato impedirono sin'ora di riprenderla. Per un lato la spesa ingente di. cadun volume, che deve essere cor- redato di incisioni, vedute, tavole di fossili, ecc. non era consentita dalla somma di- sponibile nel bilancio annuale rimasta inadeguata ai nuovi bisogni. Per altro lato, dacché si era incominciato (nel 1877) il rilevamento regolare della carta in grande scala in varie parti d’Italia, le memorie avrebbero dovuto essere la metodica illu- strazione delle parti di essa Carta già rilevate. Molto invero é il materiale già al- 1’ uopo raccolto nei tre decorsi anni, talché a rigore si potrebbe qualche parte darne alla stampa. Ma se si rifletta alla importanza di queste Memorie, perché non solo ^ Il Bollettino incominciò con l’anno 1870. ^ D’ora in poi questo caso non potrà più rinnovarsi in grazia della pubblicazione di tutti gli Atti Ufficiali nel Bollettino. N. della Redazione. debbono contenere una esatta descrizione delle formazioni geologiche, coi loro profili e fossili trovati, ma anche il paragone della loro classificazione geologica con i ter- reni analoghi del resto della penisola ed anche di paesi esteri dove studi simili si vanno ora facendo, apparirà chiaro come sia stato e sia ancora oggi prudente il non precipitare conclusioni sulle quali si dovrebbe poi forse rinvenire. Si spera tuttavia che il ritardo non sarà molto, e se si avranno i fondi non indifferenti che necessi- tano per la stampa della Carta e sue illustrazioni, anche la stampa delle Memorie verrà ripresa per proseguire poi in modo regolare. Frattanto per non tardare di troppo a far conoscere alcuno dei risultati degli studi in corso, si comincierà ad inserire nella nuova serie del Bollettino che si apre col 1880, delle relazioni som- marie sulle varie regioni in corso di studio, come la Sicilia, Alpi Apuane, dintorni di Eoma, Sardegna, ecc., relazioni fornite dagli autori del rilevamento. Di pubblicazioni non periodiche, poco venne fatto per le stesse ragioni. Ed ap- pena si possono citare : La Relazione sull’ eruzione dell’ Etna degli ingegneri di Si- cilia con relativa Carta al 1/50 000, la quale venne poi anche inserita nel 3® fascicolo del Bollettino. Altre relazioni della Commissione speciale (Blaserna, Gemmellaro e Silvestri) vennero pure fatte stampare e poi inserite nel numero seguente. Sulla parte presa dalla geologia alla Esposizione del 1878 in Parigi e sul Con- gresso geologico internazionale ivi tenuto per la prima volta, venne stampato il rap- porto dell’Ispettore F. Giordano ^ che contiene molti particolari relativi alle carte geologiche delle altre nazioni, nonché 1’ origine del suddetto primo Congresso inter- nazionale, la decisione presa di tenere la seconda sua riunione a Bologna nel 1881 ed il programma di ciò che in questa si dovrà fare Tale programma molto diret- tamente ci interessa, perchè traccia la direzione dei lavori preparatori cui ci incombe di eseguire, dovendo del resto simile evento ridondare essenzialmente a nostro be- nefizio. Preparazione di Carte geologiche. — Causa alle circostanze poco sovra indicate, 1’ uffizio geologico non potè tuttavia incominciare la pubblicazione colla stampa della Carta geologica regolare malgrado che una bella superficie (più di 10,000 chilo- metri quadrati di territorio) sia già rilevata. E simile lavoro non potrà certo venire intrapreso se non venga prima assicurato il cospicuo fondo in danaro che per ciò si esige. Infatti per una pubblicazione di tal genere, la quale dovrebbe poter rivaleg- giare non solo in merito intrinseco, ma anche in merito artistico con le migliori di altri paesi, occorrono mezzi di esecuzione adeguati, cioè ottimi disegnatori, incisori e cromolitografi, oltre ai relativi apparecchi. Ciò non si improvvisa e si può solo ot- tenere quando si abbia una quantità di lavoro assicurato per qualche anno. "Però non mi arresto ora su tale argomento, del quale si dovrà trattare più a lungo in altro rapporto. La stampa di carte geologiche si limitò quindi a pochi saggi, editi occasional- mente e che sono: quella già sopra citata dell’eruzione dell’Etna al 1/50,000; una cartina abbozzo della Basilicata a scala del 1/400,000 che dovea accompagnare lo stu- dio fattovi d’ incarico del Comitato e di cui si è sovra riferito ; infine la carta al ‘ Esposizioni del 1878 in Parigi. — Classi XVI e XLIII. — Geologia. — Ti- pografia Eredi Botta. . — 51 1/250,000 della Campagna romana, a conto della Direzione di Statistica che doveva inserirla nella monografia di Doma. Vennero però ancora iniziate, e già trovansi avanzate assai, due carte geologiche deir Appennino Bolognese e dei Monti Livornesi, le quali accompagnate dalle rela- tive sezioni e descrizioni devono servire di base per certi lavori speciali ed escur- sioni durante il Congresso di Bologna. Queste carte, compilate dal prof. Capellini presidente del Comitato organizzatore del Congresso, con l’aiuto dell’ing. Zaccagna vennero ridotte per la stampa alla scala del 1/100,000 e si spera potranno otfrire in pari tempo un discreto saggio di lavoro cromolitografico. Tutte le suddette carte vennero eseguite nello stabilimento cromolitografico Vi- rano e Teano in Roma, del quale principalmente si servono i due ministeri di Agri- coltura, Industria e Commercio, e dei Lavori pubblici. Se però non fu dato stampare per quest’anno molte carte, assai lavoro invece fu fatto rieir uffizio geologico con disegno a mano, per riduzione dei lavori di cam- pagna e loro conveniente riproduzione, onde possederne copia in uffizio pronta per darla poi a suo tempo alla stampa. Le carte così disegnate sono tutte quelle del rilevamento di Sicilia, delle Alpi Apuane e dintorni di Roma ed alcune altre di cui conviene avere copia nell’uffizio centrale. Le carte di Sicilia sono quelle che diedero più lavoro, e per due ragioni principali, oltre a quella della maggiore estensione loro, cioè lo essersi dovuto fare il cambiamento dai fogli antichi ai nuovi riferiti al meridiano di Roma, e poi per essersi ridotta la carta dalla scala del rilevamento che è al 1/25,000 a quella del 1/50,000 che dovrebbe essere la scala della stampa definitiva. Questo lavoro di ri- duzione venne fatto prima dagli stessi geologi rilevatori, e quindi messo in copia. Sono circa 90 i fogli diversi (ossia tavolette) così disegnati, parte alla scala del rile- vamento, parte a quella del 1/50,000. Altro, ed assai tedioso lavo?*o di disegno fu la riproduzione in più copie della carta generale d’Italia in piccola scala (1/555,555) di cui venne a più riprese parlato. Molte erano le richieste di questa carta ; ma sapendo delle lacune ed imperfezioni sue, si fu restii a metterla in pubblico : tuttavia, come dicemmo sopra, già 7 copie ne vennero fatte e distribuite al Parlamento, al Ministero ed ai Lincei. Si tralascia di enumerare gli altri disegni di minor conto eseguiti nell’uffiziò, e soltanto si fa osservare che tanto lavoro di disegno e coloritura di carte richiese r opera di parecchi disegnatori, dei quali convenne perciò accrescere il numero, cbe è ora portato a 4. Essi vengono retribuiti a giornata di lavoro. Simili lavori di ri- duzione e colorazione di carte dovranno vieppiù moltiplicarsi, e sovratutto se si ri- tarderà ancora la stampa delle medesime, poiché sarà necessario in tal caso di sup- plire col disegno a mano onde averne almeno qualche copia da esibire e disponibile anche per il pubblico. Sì è perciò che 1’ uffizio deve essere autorizzato a procurarsi man mano il numero occorrente di artisti di questo genere per poter fare fronte alle possibili esigenze. Materiale scientifico deW uffizio geologico. — Questo comprende la Biblioteca, la raccolta di carte, gli strumenti scientifici, ed infine le collezioni di roccie, di fossili e materiali diversi. — 52 — Brevi parole basteranno per questo argomento, e quanto agli oggetti ora posse- duti dall’ uffizio geologico ne dà preciso ragguaglio 1’ elenco cbe si riferisce in ap- pendice. ^ La Biblioteca comprende ornai le opere ed i periodici principali concernenti la geologia e la paleontologia: però di quest’ ultima ci mancano ancora talune grandi opere classiche, come per es. quella di Barrande, le quali, stante il prezzo assai ele- vato, non si poterono tuttora acquistare. Del resto T ufficio è in relazione di scambi per mezzo delle sue pubblicazioni con i principali istituti nazionali ed esteri, ciò cbe gli procura gratis un certo corredo di libri e di carte. Il numero totale dei volumi, cbe al fine del 1878 era di circa SODO, s’accrebbe nel 1879 a 3300. In fatto di carte topografiche si tenne a corrente la raccolta di tutte quelle pubblicate dal nostro Istituto topografico ed inoltre se ne dovette provvedere un grande numero per T uso dei geologi in campagna, ciò cbe importa una certa spesa particolarmente per gli ingrandimenti fotografici dal 1/50,000 al 1/25,000 cbe si debbono procurare pel rilevamento dettagliato. In fatto di carte geologiche di altri paesi, non poche eziandio se ne ottengono per scambi o doni. L’unico acquisto di qualche entità fatto nell’ anno fu l’ intera rac- colta di quelle francesi al 1/80,000 che ancora interamente ci mancavano. Si deside- rerebbe pure avere la raccolta delle carte inglesi, di cui non si ha per ora che un certo numero di quelle più antiche. L’intera collezione è però posseduta dalla E. Ac- cademia delle scienze di Torino che la riceve gratis dal Geologieal Sm'vey di Londra. Simile invio veniva incominciato per iniziativa di Q. Sella nel 1860-Bl quando egli si occupava di organizzare in Torino l’uffizio geologico, ed allora era stata scelta la E. Accademia delle scienze come sito conveniente pel recapito di quelle carte. Egli sarà difficile l’ottenere che un secondo invio gratuito venga ora fatto dal go- verno inglese all’uffizio geologico di Eoma, perchè ornai il complesso delle sue pubbli- cazioni costituisce un valore molto cospicuo. Per ora chi vuol vedere quelle carte potrà trovarle nella suddetta Accademia. Intanto il numero di carte geologiche varie possedute dall’uffizio al fine del 1879 è di circa 1000 fogli. Di strumenti da geologo, ossia di quelli ordinariamente usati dai geologi nei loro rilevamenti in campagna, si ha un piccolo corredo che si va annualmente comple- tando a misura del bisogno. Il maggior numero consiste in bussole ed in barometri aneroidi tascabili, dei quali utilissimo è l’uso per riconoscersi con le nuove carte to- pografiche munite di curve di livello. I preferibili sinora provati, tenuto conto della comodità, son quelli di Hicks, del costo di 4 sterline circa, e che solo si adoprano dopo passati al controllo dal Padre Denza in Moncalieri. Quanto ai teodoliti usati pel rilevamento della Carta in grande scala dell’Igle- siente, essi sono imprestati dal Corpo delle miniere. È ora tempo che ai rilevamenti delle Carte geologiche e loro geometrici profili si accompagnino delle vedute paesistiche prese sia con camera lucida che con la fo- tografia, onde preparare poi delle figure da inserire nelle memorie illustrative che mo- strino al vivo i principali fenomeni di stratificazione talora così caratteristici delle V. Allegato B. geologiche formazioni. Già negli ultimi tempi si era fatto acquisto di qualche appa- recchio fotografico, ed il professore Gastaldi intendeva addestrarvi alcuno dei giovani geologi. La sua morte, avvenuta al principio del 1879, lasciò la prova in sospeso. Ora però che si spera non lontana la pubblicazione delle memorie illustrative dei rileva- menti regolari che stanno in corso d’esecuzione, è tempo di provvedere a che anche simili vedute sieno prese in tempo : e perciò già venne data istruzione ai vari gruppi di geologi di scegliere alcuni dei punti migliori. Quando Tuffizio geologico fosse de- debitamente impiantato, potrebbe avere a sua disposizione un paesista e fotografo de- stinato specialmente a simile lavoro : ma nello stato delle cose basterà valersi nelle diverse località, d’altronde assai distanti fra loro, di qualche artista locale, di cui ormai non vi ha più penuria pressoché in ogni provincia. Collezioni geologiche» — Queste realmente costituiscono la parte più importante del materiale così detto scientifico dell’uffizio geologico. Esse constano di due cate- gorie; cioè le collezioni scientijiche veremente dette, e quelle industriali ossia di so- stanze utili. Le prime comprendono le roccie e i fossili raccolti dai geologi nel rilevamento, come Corredo alla carta stessa. Secondo le istruzioni loro impartite, di tali collezioni deve essere inviato un doppio all’uffizio geologico, e l’altro rimanere depositato in qualche località centrale della regione che si va rilevando come sono ora Caltanis- setta. Massa, Iglesias e Roma. In tal guisa chi si rechi poi a studiare tali regioni vi ritroverà le relative raccolte in aiuto a’ suoi studi. La raccolta di materie utili si suole suddividere in due : quella delle sostanze minerali di uso industriale come sono i minerali metalliferi e quelli terrosi impiegati a fabbricare qualche prodotto ed i carboni ; e quella dei materiali di uso edilizio e decorativo, cioè per pietre da taglio, marmi diversi ecc., non che le terre cotte per r uso stesso. Ora dei materiali industriali non si è ancora incominciata una rego- lare raccolta, sia per mancanza di fondi, quanto per quella di un adatto locale per collocarvele. Invece , la raccolta di materiali edilizii già iniziata, come sap- piamo, sin dal 1812 da una Commissione presieduta dal professor Ponzi, e poi af- fidata nel 1873 all’ uffizio geologico con un assegno annuo di lire 3000, venne segui- tata, ed ora già comprende più di 4000 pezzi, compresi 750 laterizii e terre cotte. Quando alle collezioni, scientifiche, cioè di roccie e fossili, comprese quelle ce- dute da privati geologici, esse già comprendono circa 10,000 pezzi oltre 1800 di paesi esteri. Sgraziatamente, come già venne più volte esposto in altri rapporti, il completa- mento di tutte queste collezioni era sin’ora impedito dalla mancanza di un adatto lo- cale: poiché l’uffizio geologico sempre fu sin’ora in emigrazione, ed in Roma stessa veniva trasferito ripetutamente in diversi locali d’imprestito e provvisori, affatto in- sufficienti per collocare e mettere in vista del pubblico quanto già si possedeva. Ed ancora oggidì trovasi esso uffizio ospitato in poche camere nella Scuola di applica- zione degli ingegneri a S. Pietro in Vincoli, ed i materiali già raccolti devonsi tenere per buona parte incassati. Nuovo locale per V uffizio geologico e le collezioni. — Il Ministero di agricoltura, indu- stria e .commercio possiede, come è noto, nel sito detto S. Maria della Vittoria, lungo la via 20 Settembre, un ex-convento con annesso un terreno di circa 1 ettaro 1/2, dove, avendo mezzi, si potrebbero fabbricare locali sufficienti per qualunque uffizio come anche per musei, laboratorii e quant’altro occorresse al completo servizio di quel ministero. L‘’ex-convento era un vecchio e sdruscito edilizio nel quale trovavano ri- cetto, ma molto malamente, alcuni di tali servizi, come quello dell’Ispezione forestale, il laboratorio della Stazione agraria di Roma, e quello deiruffizio centrale . dei Saggi delle materie preziose, Tuffizio dei Pesi e misure, ed alcun altro. Anni sono vi era pure l’Uffizio geologico che poi dovette emigrare a S. Pietro in Vincoli. Il Ministero do- vette ora alfine decidersi a procurare miglior sede a quei diversi rami di suo servizio: e mentre sta progettando il modo di provvedervi convenientemente in modo definitivo, decise intanto di riattare il locale dell’ex-convento in modo da renderlo adatto a ri- cevere almeno le collezioni geologiche e quelle agrarie cui preme di mettere in vista del pubblico, nonché Tufficio geologico, e la stazione agraria istessa. Dopo vari studi si adottò il progetto dell’ing. R. Canevari ; e neirautunno ne venne dato l’appalto, e si spera che il nuovo edifizio sia pronto per la fine dell’anno 1880. Quantunque la grandezza di tale edifizio (35"™ X 28"™ in pianta) sia ben lungi da quella che si richiederebbe per un Istituto geologico rispondente a tutte le moderne esigenze, tuttavia non sarà poco benefizio per l’uffizio geologico il possedere una volta e stabilmente un locale discretamente capace. Sarebbe una palazzina a tre piani, di moderna costruzione mista, cioè muro-ferro-vitrea, con molta luce ed assai comodo. Quando tutto l’edifizio venga poi consacrato alla geologia, vi si potrà destinare il pian terreno con il cortile, che sarà coperto a vetri, alle collezioni più pesanti, come sono quelle dei materiali edilizi compresi grossi blocchi di marmi, graniti, ecc., non che dei minerali utili che più possono interessare il pubblico. Ai piani superiori sta- rebbero le collezioni scientifiche, la biblioteca, gli uffizi e le sale di disegno. A simile impianto dell’Istituto geologico e sue collezioni, mancherebbe tuttavia un accessorio di somma importanza e che sempre deve accompagnarlo, cioè un labo- ratorio chimico-docimastico, per lo studio scientifico delle roccie e per l’analisi e saggio delle sostanze utili all’industria. Per ora, come sappiamo, lo studio delle roc- cie per conto del Comitato venne intrapreso dal prof. Oossa nella stazione agraria di Torino, ma saggi docimastici ora non si possono fare. Questo stato di cose non può durare e presto o tardi converrà che l’Istituto abbia il suo laboratorio completo con almeno un mineralogo ed un paio di chimici stabilmente addetti. Però nell’ edifizio ora in costruzione simile laboratorio non troverebbe più sito, e converrà stabilirlo altrove. Ora la circostanza che lo stesso Ministero di agricoltura, industria e com- mercio deve pensare a provvedere sede stabile anche ai laboratorii della Stazione agra- ria, e dell’uffizio centrale dei Saggi, si presta a che si pensi a provvedere un conve- niente locale per tutti e tre i laboratorii pur rimanendo i medesimi tra loro separati. Sul terreno stesso della Vittoria vi ha comodità sufficiente, come fu detto, per eri- gervi qualunque edifizio grande e piccolo, onde, purché si abbia danaro, si potrà prov- vedere a tutte le indicate occorrenze. — Io non credo però di entrare pel momento in altri particolari riguardo alla questione del locale, delle collezioni e del laboratorio, perchè a provvedervi in modo conveniente occorrono somme notevoli, le quali non possono aversi nel bilancio ordinario. Così per esempio, pur lasciando a parte la spesa di costruzione degli edifizi a cui si provvederebbe con un capitolo speciale del bilancio • avremmo in vista per sole spese di arredo e. provviste: Arredo del locale per uffizio e collezioni geologiche (vetrine, scaffali, mobili di- versi, accessori, ecc.), L. 45,000. Arredo di un laboratorio chimico-docimastico e reattivi, L. 40,000. Completamento delle collezioni specialmente industriali, almeno L. 20,000. La manutenzione poi di queste collezioni esigerebbe un’ annua spesa di circa L. 6000. E la manutenzione del laboratorio in soli reagenti e consumi diversi, annue L. 10,000. Del resto, questo argomento del locale, collezioni e laboratorio forma ora oggetto di studio nel Ministero stesso, il quale anche si collega ad un progetto di Legge re- lativo al compimento della Carta geologica, su di cui devrò specialmente riferire al Comitato medesimo. Bilancio consuntivo del Ì819. — Chiuderò l’esposizione dell’operato nel 1879 con un riassunto delle spese occorse, le quali dovettero necessariamente venir contenute nei limiti della somma dal bilancio assegnata. Tale somma stanziata nel bilancio definitivo era di L. 57,000 di cui : Per il servizio ordinario della Carta geologica. L. 47,000 Per l’esecuzione dei lavori da presentarsi al Congresso geologico di Bologna » 10,000 Erano inoltre stanziate : Per la continuazione della raccolta dei materiali litoidi edilizi! e de- corativi » 3,000 Per concorso nelle spese di erezione del nuovo locale ad uso di Museo geologico agrario » 10,000 L’impiego che si ò fatto di queste diverse somme si rileva dalla dimostrazione che segue. Si noterà che le spese relative al servizio ordinario sono conglobate con quelle relative al Congresso del 1881. Non si è potuto a meno di far ciò pel motivo che le due somme si trovavano inscritte nello stesso capitolo ed articolo, ma per il 1880 se ne terrà conto separatamente. Grazie ai sopravvanzi che eransi avuti nel 1878, si è potuto spendere nel 1879 qualche cosa di più di quello che il bilancio stanziava, tanto per il servizio ordinario quanto per i lavori del Congresso e la collezione dei materiali da costruzione. Indennità fisse. — Stipendio del personale operatore fuori pianta (Sor- mani, Lotti, Zaccagna, Mattirolo, Cortese, Anseimo, Canavari, Vi- cari e di Stefano) L. 13,400,00 ‘ Disegnatori (Bertozzi, Bovini, Corsi, Moderni), » 1,785,00 * * ^ La durata in servizio degl’ infraindicati operatori non è stata la stessa per tutti. Il Mattirolo non incominciò che il 1 agosto ed i signori Cortese e Anseimo il 1 no- vembre al loro ritorno dall’ estero, il signor Vicari lasciò il servizio alla' metà del- l’anno per passare ad altra amministrazione. * Uno di questi disegnatori ha prestato servizio per 10 mesi dell’anno. Gli altri furono presi nel secondo semestre a misura del bisogno. Inserviente (Prato) L. Indennità di trasferte. — Trasferte dei membri del Comitato geologico » Trasferte del personale operatore fuori pianta e di quello appartenente al R. C. delle Miniere (Zezi, Testore, Toso, Zoppi, Lambert, Bal- dacci. Mazzétti, De Ferrari, Travaglia, Sormani, Lotti, Zaccagna, di Stefano, Fossen, Perrone, Gambera) > Sussidi per studi speciali. — Compensi ad alcuni professori non appar- tenenti nè al Corpo delle miniere nè all’ufficio della Carta geolo- gica . » Quota di concorso nelle spese della Commissione Ministeriale incaricata di studiare Teruzione dell’Etna (Blaserna, Silvestri, Gemmellarp). . » Pubblicazioni e spese varie. — Bollettino del 1879. Ristampa del Bollet- tino del 1870 e del 1871. Carta dell’ eruzione dell’Etna dei signori Baldacci e Mazzetti. Carta della Basilicata del signor De Giorgi. » Provviste di carte e libri, ingrandimento di Carte topografiche ed altre spese d’ ufficio. » Materiale scientifico » Rimunerazioni diverse » 960,00 645,70 18,299,43 5.350.00 1,400,80 ‘ 7,309,45 6,452,03 965,25 1.470.00 Totale L. 58,037,66 Per i materiali da costruzione si spesero L. 3222,85. Una buona parte di questa somma servì a far acquisto di una bellissima collezione di campioni squadrati e li- sciati dì roccie ornamentali dell’antica Roma messa in vendita dal Monte di Pietà. Finalmente le spese occorrenti per la costruzione del nuovo locale alla Vittoria assorbirono l’intéro fondo a tal uopo stanziato di L. 10,000. Personale. — Del personale stato impiegato ai diversi lavori della Carta geolo- gica, si diede già conto sommariamente nell’esposizione dei lavori istessi. Per averne precisa idea, se ne unisce un quadro in appendice ^ come nel rapporto dello scorso anno. Vediamo che in complesso gli ingegneri geologi stati impiegati più o meno sta- bilmente al lavoro della Carta geologica tanto in campagna che in uffizio ed in labo- ratorio, e non contando quei di Sardegna che attendono anche ad altri servizi, furono in numero di 10, più 3 aiutanti. Ai lavori di campagna non poterono lavorare un po’ continuatamente che 7 ingegneri ed un aiutante. Per completare il personale si deve menzionare un paleontologo, e 3 a 4 dise- gnatori neU’ufuzio. Nel novembre tornarono dagli studi all’estero due allievi ingegneri’ i quali doveano poi venire aggregati ai loro colleghi in quelle regioni dove fosse giu- dicato più urgente l’avanzamento del lavoro. Già nel rapporto dello scorso anno, per tacere di altri precedenti stati da me di- retti al Ministero, io avevo dovuto rappresentare assai vivamente le condizioni assai misere e precarie del personale ora impiegato al lavoro della Carta geologica, con- dizioni tanto più deplorevoli in quanto simile personale è costituito, come sappiamo, da individui scelti fra i più distinti ingegneri laureati, e quindi ancora passato a suc- ^ In questa spesa concorse per altra eguale somma il Ministero della Pubblica Istruzione, * V. Allegato A. — 57 — cessivo perfezionamento di istruzione speciale sia in paese che alFestero. Il genere di vita poi che questo personale deve condurre è dei più duri e gravosi anche per la borsa, tanto più quando si deve andare nelle isole, come è ora il caso. Oltre alla du- rezza della vita nei nostri monti ed in quelle isole, vi è da citare la circc»stanza che il solo accesso e recesso per le annuali ferie, o per un incidente di famiglia, importa allora all’individuo una spesa materiale di 300 a 40') lire per volta. Ora circa alla carriera ed onorarli, si deve osservare che in forza del Decreto costitutivo (del 1873), gli ingegneri addetti alla geologia dovrebbero far parte del Corpo delle Miniere. Ma siccome la pianta di questo Corpo è molto ristretta, e non venne aumentata a mi- sura che giungevano dagli studi gli allievi, così avvenne che fra gli ingegneri geologi sovra menzionati, solo o ebbero posto in detto Corpo, e 7 ancora lo attendono, fra i quali 2 sono già da più anni in servizio. Questi 7 sono considerati sin ora come straordinari e retribuiti a L. 200 mensili (ossia L. 2400 all’anno meno le deduzioni), che è lo stipendio degli ingegneri di 3* classe del Corpo. La loro posizione è quindi ancora precaria, e perciò tutt’altro che incoraggiante, mentre, come si vede, l’assegno loro non è certo troppo grasso. Nelle indennità di campagna poi, si è ancora rego- lati da vecchia legge del 1859, inadeguata sia ai tempi sia al genere dì vita che i geologi debbono condurre in campagne per lo più destituite di ogni mezzo di trasporto e sussistenza. Quanto agli aiutanti infine, si osserva che quelli da impiegare in geo- logia sono per lo più dei meno anziani, e perciò di 2^ e 3^ classe, i cui stipendi sono di L. 1600 a 1400 meno le solite deduzioni! Si sperava sempre che la Legge sul Ge- nio Civile (il cui organismo vale anche pel Corpo delle Miniere) stata nel 1878 pre- sentata dal ministro dei Lavori Pubblici, sarebbe giunta ad apportare rimedio. Ma sin ora tale legge non fu approvata. Per altra parte la pianta attuale del Corpo delle Miniere, contenente in complesso soltanto 23 posti dei vari gradi, è eccessivamente ristretta rispetto ai vari rami di servizio a cui il personale deve provvedere : onde almeno questa pianta dovrebbe venire oggidì alquanto ampliata e riformata, per darvi posto a qualche avanzamento al personale ora impiegato nel servizio geologico. E no- tisi che ciò potrebbe farsi a rigore senza un sensibile accrescimento di annua spesa. Mi limito a questi cenni sul tema ornai vieto delle condizioni del nostro perso- nale, per non parere tedioso ; e ciò dissi costretto da debito di coscenza, nonché dalla necessità di far sapere quanto sia duro a chi dirige dei lavori ardui e difficili il do- ver sempre procedere con un personale in simili condizioni materiali e morali pel quale sin ora non si potè ottenere alcun miglioramento. — Debbo però soggiungere che a-v endo fatto speciale insistenza presso il Ministero nostro onde si accordasse qual- che speciale indennità mensile, almeno ai geologi lavoranti in Sicilia, in conformità di quanto il Ministero dei Lavori Pubblici avea fatto per gli ingegneri colà addetti allo studio delle nuove ferrovie, detto nostro Ministero prese impegno di provvedere in tal senso pel nuovo anno 1880. Debbo infine far notare che le infelici condizioni sopra riferite in cui s’aggira at- tualmente la carriera di chi sì dedica alla geologia, furono anche una delle cause per cui non si è più creduto in questi ultimi anni di inviare nuovi allievi agli studi nè di impegnare altro personale. Eppure debbo dichiarare che quand’anche non si in- tenda di estendere il raggio e l’attività dei lavori attualmente incominciati, occorre- rebbe tuttavia di accrescere alcun poco il numero dei giovani operatori sul terreno, — 58 — senza contare che occorrerebbe qualche chimico speciale quando si avesse un labora- torio. — Infatti non si può dissimulare che l’ardua vita del geologo in campagna è facilmente soggetta ad incidenti e malattie, tanto più dovendo lavorare in paesi di abituale malaria. Già ne abbiamo prove anche ultimamente su di quelli occupati a stagione calda in Sicilia, ed uno di essi, benché dell’isola, dovette venire temporaria- mente dispensato dal servizio. Quindi occorre qualche individuo di riserva. — Per al- tra parte, oltre ai lavori normali del rilevamento, occorrerebbero studi e lavori stra- ordinari, e pure ùtilissimi, come sarebbe in questi tempi lo studio delle regioni, special- mente delle montuose, nelle quali si devono aprire le nuove ferrovie, con i frequenti loro trafori ; in altri siti per ricerca di acque sotterranee, ed altri simili incarichi. Per- ciò credo bene di prevenire che occorrerebbe di pensare a tempo a procurarsi qualche altro giovane operatore da mandar prima agli appositi studi, avvertendo bene d’ora innanzi a regolarsi nella scelta in modo da avere soltanto individui robustissimi di salute, e dotati della speciale vocazione alla vita del geologo. Da farsi nel 1880. Lavori da eseguire nel 1880. — Il lavoro del regolare rilevamento intrapreso nelle tre diverse regioni d’Italia a suo luogo specificate (Sicilia, Alpi Apuane e Poma) es- sendo di sua natura destinato ad estendersi gradatamente anno per anno, irradiando dai centri dove fu cominciato, è superfluo il dire che per ora in ognuna delle stesse regioni il lavoro di un anno non sarà che il seguito di quello dell’anno precedente. E siccome nel resoconto dell’operato n-sl 1879 venne indicato lo stato cui erano giunti i lavori al fine del medesimo, si può ora in poche parole indicare quale sarà il da farsi nel 1880.- — E tale pure sarà il caso per gli altri lavori secondari, sia di cam- pagna che d’uffizio, essendosi nel suddetto resoconto già sufficientem^ente indicato quale sia il corso delle operazioni cui accingersi e che si devono o possono compiere nell’anno che si incomincia. — Pochi cenni basteranno per conseguenza. In Sicilia si tratta di proseguire alacremente il rilevamento irradiando intorno al solito centro di Caltanissetta, servendosi però dei nuovi fogli riferiti al meridiano di Poma; onde anzitutto occorrerà di completare le strisce di questi ancora rimaste in bianco, e quindi estendere il lavoro all’intorno quanto più si possa. — Egli è pre- vedibile che la zona solfifera, la quale era il vero scopo del lavoro iniziato già dal- l’ingegnere Mottura e poi ripreso nel 1877 con gli attuali geologi, sarà, salvo qualche zona di poca importanza verso ovest, compiuta. E qui devesi rammentare che nel corso dell’anno istesso deve venir praticata la visita di ricognizione e controllo già sovra menzionata. Finita che sia la zona solfifera, dovrassi sospendere il lavoro in Sicilia, o prose- guirlo ancora in modo da potere poi, nel minor tempo possibile, avere ultimata l’isola intiera e presentarne così la Carta geologica completa ? Il Comitato avrà da pronun- ciarsi definitivamente in proposito. Però dallo stato delle cose e dai piecedenti, risul- terebbe non solo convenientissima, ma quasi necessaria la risoluzione nel senso affer- mativo. Il terreno terziario solfifero, abbenchè massimamente concentrato nella parte centrale-meridionale dell’isola, spinge diverse ramificazioni anche lontane al nord ed all’ovest : onde, rilevando queste, viene ad abbracciarsi la massima parte dell’isola, anclie in quelle parti dove trovansi altre formazioni più antiche, come la cretacea o la giurassica. Più di un quarto dell’ isola è ora rilevata, è con un po’ più di perso- nale ed un poco di sforzo, si potrebbe in altre due campagne, cioè già nel 1881 e pel Congresso di Bologna, presentare tutta l’isola, salvo, forse l’estrema sua punta oc- cidentale. L’isola intera anche ridotta al 1/50 000 presenterebbe col suo complesso un bel foglio delle rispettabili dimensioni di met. 7X4, che sarebbe di già un ma- gnifico campione dell’opera della nostra Carta. Intanto debbo prevenire che quando al fine dell’autunno convenne occuparsi della distribuzione del personale dei geologi in Sicilia, si tenne in mira simile idea, e vi si destinarono i due ingegneri da ultimo venuti dagli studi (Cortese ed Anseimo) in aggiunta ai quattro dello scorso anno (Bai dacci. Mazzetti, Travaglia, Di-Stefano). Uno di questi però (Di-Stefano) essendosi infermato, si aggiunse un aiutante (Cassetti). — Questo personale di sei operatori, sotto la sorveglianza dell’ingegnere distrettuale Toso, venne suddiviso in tre gruppi destinati ad avanzare Rispettivamente verso i tre angoli dell’isola, cioè: Verso N.O. (Palermo) — • Baldacci ed Anseimo. > N E (Messina) — Mazzetti e Cortese. » S.E. (Noto) — Travaglia e Cassetti. Suddiviso e coordinato in questo modo il lavoro, già gli operatori sono ora al posto ed attendono al rispettivo còmpito Questo còmpito, secondo le impartite istruzioni, è sempre consono allo scopo che si ebbe in vista con fare una simile Carta dettagliata ; cioè il rilevare con grande precisione tutti i fatti geologici aventi interesse scientifico, ma non trascurare le os- servazioni che possono interessare l’utile pubblico. Già in altre occasioni feci notare come, se si avesse fatta alcuni anni prima una simile Carta, si sarebbe, volendo, po- tuto risparmiare moltissimi milioni nelle ferrovie costrutte nell’isola. Altre applica- zioni si potrebbero citare, ma non è qui il luogo ; soltanto cade opportuno il segna- lare come la recente apparizione della filossera in alcuni vigneti dell’isola, ed il fatto, che pare riconosciuto in altri paesi, cioè che i vigneti piantati in terreni eminente- menti sabbiosi vadano esenti di quel flagello, eccitarono nuovo interesse sulla Carta geologica stessa. La grande estensione che nella medesima mostrano le sabbie plioce- niche ed alcune pure mioceniche, prestano argomento ad utili considerazioni ed esami che vennero dal Ministero ordinati. Per finire con la Sicilia, accennerò che fra i lavori di complemento si potrebbe anche eseguire fra breve il rilevamento del gruppo vulcanico delle Isole Eolie, ossia di Lipari, alcuna delle quali fu visitata lo scorso anno dagli ingegneri Toso e Bal- dacci. — Di queste isole l’Istituto topografico rilevò la mappa e fece anche il piano- rilievo 0 plastico di 1/25,000: avendo i quali rilievi, si potrebbe fare una monografia di questo interessante gruppo. A suo tempo poi si potrà pure rilevare la Pantelleria, di cui si ha già la mappa al 1/10,000. — Non fo però che accennare a questi ri- lievi delle isole minori, se non per estendere alquanto il programma dell’avvenire, il quale però sarà da eseguirsi soltanto in momento opportuno. Nelle Alpi Apuane si dovrà proseguire con l’attual personale, il quale ove non vi si destini pure stabilmente l’ing. Testure, sarebbe limitato ai tre, Lotti, Zaccagna ed aiutante Fossen. Tuttavia l’attività e perizia dai medesimi addimostrata nella scorsa campagna ci fa sperare che nel 1880 saranno rilevate altre sei tavolette, oltre alle quattro già eseguite nel 1879; e per la metà poi del 1881 potranno essere finite tutte le Alpi Apuane, di cui si ebbe la mappa al 1 /25,000, le quali, unitamente alla Carta del limitrofo golfo di Spezia del professore Capellini alla scala medesima, costituiranno un altro importante campione del regolare rilevamento in , grande scala. Alle carte rivedute saranno poi unite delle sezioni geologiche geometricamente esatte ed in scala uguale per le distanze ed altezze, non che delle vedute fotografate. — In seguito poi alla Carta geologica propriamente detta, ne verrà presentata un altra con le indicazioni relative ai marmi e loro cave ; le quali indicazioni potranno poi riportarsi, in parte almeno, sulla Carta geologica da stampare. Riguardo alle Alpi Apuane con l’ attiguo golfo di Spezia, resta da ripetere un desiderio già altra volta espresso, cioè che l’Istituto topografico possa fornire al più presto il piano-rilievo, di cui ha gli elementi nella sua mappa al 1/25 000, eseguen- dolo possibilmente senza esagerare le altezze. — Avuto siraile rilievo, si potrà colo- rarlo geologicamente, e presentarlo insieme alle altre cose al Congresso del 1881, dove costituirebbe certamente uno dei belli campioni di simil genere di rappresentazione. Per i dintorni di Roma egualmente non vi è che da proseguire irradiando pro- gressivamente intorno alla città. Qui però, al fine di corrispondere completamente alli) scopo dello studio che si è intrapreso, ci converrà procedere d’accordo con gli studi idrografici ed :igronomici che si vanno conducendo di fronte da varie amministrazioni per la completa risoluzione del problema del risanamento, imposto dalla Legge del deeeinbre del 1878. — Dell’Agro Romano infatti, e specialmente della zona di 10 chilom. raggio circostante alla città, egli è specialmente opportuno per gli scopi della suddetta legge di formare insieme alla carta geologica ordinaria in grande scala, anche la carta, della sotterranea-idrografia e quella geologico-agronomica. In ciò si lavorerebbe d’ac- cordo con le varie Commissioni già all’uopo istituite, e sovrattutto con la Stazione agraria di Roma, per la metodica analisi delle terre non che delle acque. Onde è da far voto perchè, in attesa di un buon laboratorio da impiantare per l’Istituto geolo- gico, venga intanto convenientemente rimontato quello della suddetta Stazione agra- gria, e si proceda quindi d’accordo negli studi che riguardano così importante argomento. Anche pei dintorni di Roma sarebbe interessante lo avere un piano in rilievo da potere dipingere geologicamente, con le relative sezioni, come si hanno per Londra^ Parigi ed in genere per le città sede di studi geologici. L’ Istituto topografico già ne formava uno assai bello alla scala di 1/10,000, ed esteso a parecchi chilometri intorno alle città, nell’occasiòne dello studio delle sue fortificazioni. Però questo piano-rilievo venne allora fornito esclusivamente agli uffizi militari. Si fa voto perchè possa averne anche l’uffizio geologico per lo scopo sopra specificato. E poiché si è in corso di esporre desiderii di piani in rilievo, debbo ancora men- zionare quanto ei sarebbe desiderevole lo avere quello del magnifico vulcano laziale, ossia dei Monti Albani, che sorge dalla Campagna romana. Questo rilievo formerebbe seguito e compimento a quelli degli altri nostri vulcani già dall’Istituto suddetto figu- rati in rilievo, come l’Etna, il Vesuvio e l’Isola Vulcano (Eolie). Resta a dire una parola della carta geologico-mineraria del bacino siluriano del- l^Iglesìente in Sardegna. Nella prossima campagna, malgrado alcuni disturbi in una parte del personale e la necessità in cui si è di rilevare anzitutto la topografia del terreno, si spera potere estendere il lavoro al nord e nord-est di Flumin’i sino a com- prendere il grande filone di Monte vecchio ed una parte deH’altipiaiio granitico di Arbus. Allora sarebbe il caso di arrestarsi, essendo compiuta la parte veramente interessante della zona siluriana metallifera che si aveva di mira. Qui potrà prosoguirsi col me- desimo personale degli ingegneri che sono addetti al servizio del Distretto e della scuola di Iglesias, come sin’ora si è praticato. — Più tardi, quando cioè si avrà la carta topografica dell’isola, sì potrà pensare a riprendere lo studio geologico per esten- derlo moggiormente all’intorno, specialmente al sud dove sì trovano ancora delle zone siluriane più o meno metallifere. Questa mappa però, la quale per la regione in di- scorso dovrebbe essere alla scala almeno del 1/25,000, non verrà forse dall’ Istituto topografico rilevata così presto. Siccome tuttavia si sta ora lavorando alla triangola- zione in quelle parti, non sarebbe forse impossibile all’Istituto, ove ne avesse ordine dal Ministero della guerra, di eseguire almeno quella parte che più ci interessa, e che sarebbe quella compresa nelle contigue metà dei due fogli. N. 225 e 233. — Poniamo quindi in nota anche questo desideraium fra i parecchi già rivolti al benemerito Isti- tuto topografico. Nò è questo l’ultimo che debbo esprimere in questa relazione. Fra i rilevamenti geologici di maggiore importanza, e dei quali premerebbe avere quanto prima il ri- sultato, debbo nuovamente menzionare l’ isola d’ Elba. Questa è importantissima per not, sia per le sue miniere di ferro delle quali appunto si dovrà neiranno 1881 de- cidere mediante nuovo contratto la sorte, sia per la geologia scientifica di questa iso- letta situata fra la Toscana e la Corsica e che presenta veri tesori. Anche di quest’isola ci manca tuttora la mappa, e ci occ'^rre che essa pure si faccia alla scala almeno di 1/25,000. — E poiché già la triangolazione preliminare si va pure aggirando og- gidì sulla prossima costa della Toscana, sarebbe necessario che venisse estesa all’isola, onde subito dopo se ne potesse fare la carta topografica. La superficie sua essendo poca assali, una breve campagna de’ mappatori bastarebbe a compierla. La carta geo- logica dettagliata dell’ Elba aggiunta a quelle delle Apuane e di Spezia, potrà dare molta luce sui principali problemi della nostra geologia, sin’ora non interamente riso- luti dagli studi, alquanto generici, che vi fecero alcuni dei geologi nostrani ed esteri. — In una escursione all’ isola fatta nella scorsa primavera ebbi campo di vedere qual- che novità in quanto concerno i giacimenti ferriferi. In alcuno di essi erano stat utilmente eseguiti grandi lavori di scavo e questi avevano rivelato quale inesatta idea si avesse sin’ora della loro forma, nonché della loro continuazione, la quale pur troppo non sarebbe indefinita come da molti credevasi. — Quanto alla geologia, vidi che, malgrado gli studi già iniziativi da valenti geologi, vi resta ancora moltissimo da fare, anzi da ricominciare, evitando ornai preconcette teorie per fondarsi invece sulla precisione dei fatti. — In tale occasione poi passando per Livorno vi trovai l’abbozzo di carta geologica in iscala del 1/20,000 e le collezioni di roccie dell’ingegnere E. Grabau del Corpo delle miniere, il quale avea seriamente iniziato lo studio dell’isola, ma pre- maturamente moriva nel 1865. I parenti di quel defunto mi fecero dono del tutto, ed io lo depositai all’uffizio geologico corno materiale utilissimo per l’occasione in cui sì potrà avere una buona mappa dell’ isola per riprendervi il lavoro definitivo della carta geologica. . Lavori secondari. — Pel proseguimento di questi poco rimane a dire, dopo quanto già venne man mano notato nella esposizione delPoperato nel decorso anno. Il perfezionamento della Carta generale in piccola scala è il la.voro che ora ci resta da proseguire con la maggiore possibile alacrità onde averla pronta pel 1881. Già fu detto che le regioni dove occorrono più verificazioni sono quelle degli Abbruzzi orientali, del Gargano e del 'Salernitano, per il che si aveva impegno col prof. De Giorgi, del quale doveasi intanto mettere in luce una carta in piccola scala del Lec- cese. Quanto alla nostra grande catena alpina, molto gioverebbe avere meglio coor- dinati gli studi non pochi fattine in varie parti da geologi nostri e stranieri, e giova sperare che alcuno dei nostri più versati voglia prestare a simile lavoro l’opera sua. Sin’ora, come già altrove dicemmo, non si possiede pur troppo una buona mappa d’Italia al 1/500,000, e ci dovemmo sempre servire di carte compilate da privati edi- tori e molto difettose. È dunque sempre più da far voto perchè Plstituto topografico, il quale già si sta occupando di compilarne una nuova a simile scala, ce la possa dare finita, almeno nella prima metà del 1881, onde avere il tempo di geologica- mente colorirla pel congresso di Bologna. E per la medesima occasione si potrà pure presentare in tal modo colorito un piano-rilievo dell’Italia intera, servendosi di quello al 1/750,000 molto bene eseguito dal Capitano Cherubini e riprodotto dal Paravia. « Congresso internazionale del 18 8 1 in Bologna. — Di questa scientifica solennità già si è detto abbastanza nel rapporto dello scorso anno, quale cioè ne sia lo scopo e quali i vantaggi che l’Italia principalmente ne deve ritrarre, ^ come anche quali sieno ì lavori che questa deve sollecitamente preparare per il compito principale che in questa occasione le incombe. Il Comitato organizzatore nominato nella riunione del 1878 in Parigi, composto di geologi italiani con presidente il prof. Capellini re- sidente a Bologna, già stabiliva nel marzo del 1879, d* *accordo con il Comitato geo- logico, i lavori speciali da preparare. In quanto concerne le due questioni princi- pali che formano come il programma del futuro Congresso, cioè 1’ unificazione dei colori delle carte, e quella della classificazione e nomenclatura dei terreni geologici, vennero nominate in Italia le due Sotto-Commissioni che dovranno specialmente oc- cuparsene * per concretare qualche proposta innanzi alle Commissioni internazionali prima della riunione del Congresse. Queste due Sotto-Commissioni non poterono sin’òra lavorare stante alcuni studi e concerti preliminari che eranvi da prendersi d’accordo anche con quelle di altri paesi. — Però neH’uffizio geologico si stanno intanto prepa- Tando alcuni elementi che serviranno all’uopo, come sono dei quadri in cui sono rappresentate tutte le scale o gamme di colori sin ora adottate nelle carte geologiche ‘ Vedi pure il rapporto di F. Giòrdano sulla Geologia all’ Esposizione del 1878 in Parigi. * La Sotto-Commissione per l’unificazione nella nomenclatura è composta dei si- gnori Cocchi, De-Zigno, Gemmellaro, Meneghini, con Capellini presidente; quella dei colori, da Capellini, Omboni, Taramelli, Zezi, con Giordano presidente. delle altre nazioni, nonché dai geologi italiani che pubblicarono qualche carta alquanto estesa. Ed a questo scopo medesimo serviranno principalmente le scale di colori che dopo varie prove si dovettero poi adottare nella carta al 1/50,000 del terziario di Sicilia, di quella al 1/25,000 della Spezia ed Alpi Apuane, e di alcune altre carte ora in corso di esecuzione. Intanto i lavori da proseguire nel 1880 per la preparazione al Congresso saranno essenzialmente : a) Compimento delle due carte geologiche del Bolognese e del Livornese al 1/100,000 già ora in corso di preparazione, ed alle quali converrà di aggiungere al- cuni profili e delle vedute illustrative. b) Proseguimento della monografia delle Serpentine in Italia, che consta di due ordini di studi : quello chimico-petrografico delle roccie che sarà seguitato nel labo- eatorio del prof. Cossa in Torino, e quello geognostico sul terreno, rilevando la gia- citura delle masse principali. Quest’ultimo studio, come già dicemmo, sarà proseguito con 1’ opera dei diversi geologi che già ne furono incaricati per 'varie parti dTtalia, principalmente dei pro- fessori Taramelli e Lovisato. Si diedero pure già disposizioni perchè se ne occupino alcuni ingegneri del Corpo delle miniere nei loro rispettivi distretti, come quelli di Firenze e Genova, giovandosi pure in tal caso delFaiuto dei geologi che mostrarono amore a studi di tal maniera. Quanto ai preparativi in Bologna, essi consistono anzitutto nella sistemazione mi- gliore possibile del museo geologico, sia per completarne le collezioni, sia per ren- derlo capace a ricevere quelle che saranno inviate dai vari paesi in vista degli scopi speciali del Congresso. A simili spese è già inteso che devono provvedere di concerto i due ministeri di Agricoltura, industria e commercio, e dell’Istruzione pubblica. In secondo luogo deve aversi a disposizione in Bologna un locale conveniente per le adunanza del Congresso, con sala capace di 400 persone almeno, e che si presti e per luce e sonorità allo scopo delle scientifiche conferenze. Dietro le investigazioni fatte, il migliore e forse l’unico sito a ciò conveniente sarebbe la sala del Liceo, che non è lungi daH’Un i vessi tà e dal Museo geologico. Vi occorrerebbero però grandi ri- stauri, che speriamo verranno eseguiti in tempo dal Municipio cui deve incombere si- mile lavoro, il quale del resto ne trarrà poi anche vantaggio per altri usi e altre circostanze. Tornando al compito speciale dell’uffizio geologico, il quale deve provvedere alla compilazione di certe carte ed alla esecuzione degli studi speciali sovraspecifi* cati, ei conviene aver presente che per tutto ciò occorreranno delle spese non indif- ferenti, per indennità di campagna, per disegni e stampa di carte, consumi di labo- ratorio, ecc. Si aggiunge il grande lavoro di preparazione e coloritura delle carte geologiche rappresentanti gli studi già compiuti dai nostri geologi nelle varie parti d’ Italia, e delle quali converrà presentare una o più copie al Congresso insieme a pubblicazioni illustrative di vario genere. Si esigerà quindi una certa spesa straordinaria. Nella preparazione del bilancio preventivo pel 1880 si portarono, è vero, in previsione per 1’ oggetto del Congresso del 1881 lire 10,000 ; ma simile cifra non venne già fissata in relazione al reale bi- sogno, il quale, per fare bene, sarebbe molto maggiore, bensì soltanto come una tein- poraria transazione fra quello e le continue esigenze dell’ economia ; onde io credo necessario prevenire che tale somma non deve ritenersi come definitiva. Bilancio presuntivo delle spese pel 1880. — L’ enumerazione assai partitamente fatta di tutti i lavori ordinari e straordinari che si dovranno eseguire nel 1880 sono la base al calcolo di cui si tratta» L’ aumento di personale avvenuto col 1"itorno dei due ultimi allievi che ora vennero destinati alla Sicilia, la maggiore spe.sa delle in- dennità di campagna in conseguenza alla maggiore estensione che si deve dare ai rilevamenti, il notevole lavoro di copiatura, riduzione e riproduzione di carte geo- logiche in uffizio, sono i principali elementi di accrescimento di spesa nel prossimo anno. Per tutto ciò tuttavia non si è ottenuto di portare in calcolo che un aumento di L, 11,800 sul bilancio dello scorso anno, il quale, come vedemmo^ era di L 47,000 senza contare però L. 10,000 straordinarie, destinate a preparativi pel Congresso di Bologna, onde risulterebbe il totale presuntivo : pel 1880 di L. 58,800 più le straordinarie pel Congresso in > 10,000 In totalità pel 1880 L. 68,800 Più vi sono sempre per il seguito della raccolta dei materiali edilizi . . » 3,000 Somma totale pel 1880 L. 71,800 Senza dilungarsi in ulteriori spiegazioni si espone nel seguente quadro la distri- buzione approssimativa di simile spesa. Presuntivo delle spese pel 4880. Onorari ed assegni vari al personale fisso non compreso nella pianta del R. Corpo Miniere (8 ingegneri, 1 paleont. , 1 commess»)) L. Indennità di campagna a tutto il personale operatore in pianta e fuori pianta (11 ingegneri, 3 aiutanti) »* Indennità di escursioni a diversi geologi per lavori speciali. » Indennità ai membri del Comitato per verificazioni degli studi, e medaglie di presenza » Stampa del Bollettino pel 1880. L. 2,800 ~] Disegnatori diversi » 3,500 Manutenzione Biblioteca » 1,000 | Acquisto e ingrandimenti carte pei lavori » 1,500 ^ » Spese di cancelleria, spese postali, trasporti, libri ed altro.. » 1,600 Strumenti scientifici, » 800 | Ripardzioni e manutenzioni locale, riscaldamento, spese varie. » 1,340 J 19,260 18,500 4,000 4,500 12,540 Totale delle spese ordinarie per la Carta geologica L. 58,800 Proseguimento collezioni di materiali edilizi » 3,000 Totale spese ordinarie L. 61,800 Spese straordinarie per lavori preparatorii al congresso geologico internazionale di Bologna. Indennità a vari geologi per escursioni per la monografia delle roccie ser- pentinose d’Italia, e studi delle Carte geologiclie del Bolognese e Livornese, ed altre missioni relatire » 4,800 Concorso alle spese di analisi delle roccie suddette nel laboratorio della stazione agraria di Torino. » 800 Spese di stampa delle suddette due Carte e profili relativi, fotografie, ecc. (acconti sul 1880) » 3,200 Indennità à disegnatori straordinari *, » 1,200 Totale pel Congresso di Bologna L. 10,000 Io credo dover qui ripetere come a malgrado dell’aumento di L. 11,800 sul bi- lancio delle spese ordinario, e delle 10,000 straordinarie pel Congresso internazionale di Bologna, la somma totale è tutt’. altro che adattata alle esigenze del molto lavoro d’ ogni genere cbe occorrerà di spingere ed allestire. Alcuni rami di spesa sono cal- colati a cifra insufficiente e nel complesso occorrerebbero per lo scopo almeno 10 mila o 15 mila lire di più. Ma cbi sa come si devono compilare i bilanci preventivi in mezzo alle difficoltà ed alle esigenze dell’ economia, conosce bene cbe sovente la somma cbe si inscrive non è già quella occorrente al vero fabisogno del lavoro, bensì una cifra minore, e quale il Ministero crede di potere accettare onde non passare nel complesso del suo bilancio una data somma dal medesimo a priori fissata. Si ri- media poi all’ insufficienza ottenendo qualche somma supplementare, o rimandando certi pagamenti all’ anno successivo. Io credo dover fàr presente simile circostanza in previsione delle difficoltà che potessero poi risorgere al compimento dei lavori occorrenti in quest’anno 1880, così pieno di esigenze, notando ancora cbe anche in esso anno mancherà pur sempre il danaro necessario per cominciare la pubblicazione regolare delle Carte e delle Memorie. Rammenterò infine che altre spese, e non lievi, sarebbero pure da inscrivere fra le straordinarie, inerenti alla prossima occupazione del nuovo locale per 1’ uffizio geologico e le sue collezioni, come sono 1’ arredo del locale stesso con altri scaffali e vetrine, il trasporto delle attuali collezioni, il loro completamento ecc., come venne a suo luogo specificato. Ma per simili ed altre spese assai forti, come anche per le regolari pubblicazioni, occorrerà ornai un provvedimento speciale che ponga anche fine alle continue strettezze ed all’ incertezza dell’ avvenire in cui Versa la intrapresa di questo lavoro. Tale provvedimento sarebbe una legge che stabilisca in modo de- finitivo un fondo sufficiente pel compimento e la pubblicazione di tutta la Carta geo- logica in un dato numero d’anni come già venne praticato per la Carta topografica. La Commissione parlamentare per l’esame dei bilanci emetteva infatti ultimamente il voto che un progetto di Legge a tale scopo venga quanto prima presentato, al Par- lamento : e ciò, dietro ordine del Ministero, sarà soggetto di altra apposita Relazione a codesto Comitato. V ispettore Capo , P. Gioebano. ALLEGATI. PERSONALE ATTUALMENTE (1879-80, APPLICATO AL LAVORO DELLA CARTA GEOLOGICA. Per dare un’idea del personale ora specialmente applicato alla Carta geologica, se ne riporta qui appresso la nota secondo lo stato alla fine del 1879, distinguendovi quello che è nella pianta del personale del R. Corpo delle Miniere da quello che a tale data non vi era compreso. PEK80NALE FACENTE PASTE DEL K. COKPO MINIERE. Direzione superiore i Ispettore capo nel Corpo {F. Giordano). ( Ingegnere capo id, (A. Pellati). All’uffizio geologico in Roma. P. Zezi. — Ingegnere di seconda classe - Capo dell’ uffizio e segretario del Comi- tato (onorario L. 2800 j. — Tiene questo posto sino dal 1869. G.B. Contarmi., — Ingegnere di seconda classe — Applicato all’uffizio nel 1879, special- mente per la redazione del Bollettino. Z. Baldacci., L. Mazzetti e R. Travaglia — Ingegneri di terza classe (onorari di L. 2400) — Applicati ai lavori di Sicilia. G. Manara e P. Fossen — Aiutanti di seconda classe (onorario 1600) — Applicati il primo all’ufficio centrale, il secondo alle Alpi Apuane. PERSONALE FUORI PIANTA. C. Sormani e B. Lotti — Ingegneri civili stati accettati al servizio sino dal 1872, come geologi-operatori dietro concorso (assegno L. 2400) — il primo è ora applicato aH’uftìcio centrale, il secondo alle Alpi Apuane. 1). Zaccagna e V. Bi-Stefano — Ingegneri che pure studiarono all’estero; il primo accettato come straordinario nel 1877, ed ora applicato alle Alpi Apuane, il secondo accettato idem al fine del 1878 e destinato alla Sicilia — al principio del 1880, chiese venire provvisoriamente dispensato per salute (assegno L. 2400). E. Cortese e M. Anseimo — giovani ingegneri tornati, dall’estero al fine del 1879 — accettati come straordinari con l’assegno di L. 2400 e destinati nel 1880 alla Sicilia. E. Mattirolo - Ingegnere applicato ai lavori chimici, presso il prof. Cessa in Torino (assegno L. 2400). M. Canavari — Paleontologo — per ora residente a Pisa. Vi sono poi nell’ufficio geologico quattro aiuti e disegnatori retribuiti a lavoro ed un inserviente a L. 960. MATERIALE SCIENTIFICO DELL’UFFICIO GEOLOGICO AL FINE DEL 1879. Elenco dei lavori eseguiti dalV Ufficio geologico. PUBBLICAZIONI. Bollettino: — Periodico in 8^ che esce a puntate bimensili: Dal 1870 al 1879, . vo- lumi 10. Memorie : — In 4° grande con tavole e carte geologiche : volume 1871 ; 2^ volume 1873-74; 3° volume (parte I) 1876. CARTE GEOLOGICHE COMPILATE NELL’fFEICIO 0 PER MANDATO DEL MEDESIMO OLTRE QUELLE CONTENUTE NEI TRE VOLUMI DELLE MEMORIE. Carte del rilevamento regolare; • Carta di Sicilia (Zona snlfìfera) N. 10 fogli dell’antica divisione pari a 18 tavolette della nuova alla scala di 1 a 50 000. Idem n. 72 tavolette o minute di campagna al 25 000. Carta delle Alpi Apuane (parte) u. 5 tavolette al 25 000. Carta dei dintorni di Roma (parte) n. 11 id. id. Carta dell’Iglesiente (lavoro degli ingegneri del Distretto di Sardegna) al 10 000. Carte diverse: Carta generale dellTtalia superiore e media al 600 000 compilata nel 1867. id. dell’Italia intera al 600 000 1878. id. id. al 555 555 ^ » 1879. Carta di Lombardia di Curioni al 172 800 stampata nel 1877. id id. id. al 86 400 (copia eseguita in ufficio). Carta dei dintorni di Roma del prof. Ponzi al 86 400 (copia eseguita in ufficio), id. della Campagna Romana al 250 000 stampata per conto della Direzione di Statistica in due edizioni, runa nel 1878, l’altra nel 1879.. id. dello stretto di Messina al 25 000 con profili, id. delle Alpi occidentali del prof Gastaldi (20 fogli) al 50 000. id. di parte della Liguria del prof. Mayer (4 fogli) al 50 000. id. di parte della Toscana di Lotti e De Stefani al 86 400. id. della Calabria (da originali di Lovisato e De Stefani al 50 000 e 250 000) al 50 000 id. della Basilicata (da originali del De Giorgi al 250 000) fatta stampare al 400 000. Carte ridotte al 50 OOO da lavori di vari autori : Carta di parte dell’Abruzzo settentrionale, del Lago Fucino e di parte del ter- ritorio di Campobasso del signor Montani. — Carta della Terra di Lavoro (parte) di G. Tenore. — Carta del Golfo di Napoli di vari geologi (Montani, Tenore, Puggaard, LerHon, Fucbsj. — Carta dell’Etua di Waltershàusen. PIANI-RILIEVI DIPINTI GEOLOGICAMENTE A VERNICE. Piano rilievo dell’Etna in zinco ramato (dell’Istituto topografico militare) nella scala del 50 000.. ^ Elenco degli oggetti di proprietà delV Ufficio geologico. (Libri, Carte, Collezioni, Strumenti, e Mobili diversi). LIBRI. L’Ufficio geologico, oltre le principali opere geologiche' e paleontobigicbe, possiede molte pubblicazioni che riceve in cambio delle proprie dai principali Istituti nazionali ed esteri. Il numero totale dei volumi oltrepassa ora i 3000. . CARTE TOPOGRAEICHE. Carta generale dell’Italia al 400 000 (Angeli) Fogli 24 id. id. al 500 000 (Sagansan) » 12 id'. id. al 600 000 (Ziiccagni-Orlandini) .... > 15 Carte dell’Istituto topografico militare al 50 e al 25 000 .... > 224 id. id. delle Provincie meridio- nali e Sicilia al 50 000 > 174 ^ Di quest’ ultima carta furono date due copie al Parlamento, una al Ministero d’agricoltura industria e commercio, due al Ministero dei lavori pubblici, ed una al- l’Accademia dei Lincei. ’ Di questo rilievo se ne fecero due esemplari. — 68 — Carta dell’ Istituto topografico militare dei dintorni di Roma al 25 000 ...... id. id. dei dintvirni di Firenze id. id. id. delle provincie napoletane al 250 000 Carta dello Stato Maggiore Austriaco all’ 86 400 (Lombardo-Ve- neto e Italia centrale) Riproduzione della medesima al 15 000 ........ Carte di diverse parti d’Italia su varie scale ........ Fogli 9 > 9 > 25 » 111 » 88 » 44 755 ^ota. — L’Ufficio possiede pure diverse copie di molte di (][ueste carte destinate al consumo per lavori di rilevamento e d’ufficio. CAKTE GEOLOGICHE. Carte generali . . Fogli 14 id. di varie regioni .d’Italia > 124 id. di Svizzera » 31 id. di Francia > 120 id. di Austria » 184 id. di Germania . > 110 id. di Inghilterra. . \ . . > 296 id. di altri paesi » 116 Totale. 995 COLLEZIONI. (comprendono le collezioni scientifiche e quelle di materiali utili). COLLEZIONI SCIENTIFICHE, Rocce minerali e fossili dei terreni studiati dai geologi dipendenti dal Comitato geologico 0 in relazione con esso: Rocce id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. id. delle Alpi occidentali (Gastaldi) .Campioni n. 665 minerali e fossili della Lombardia (Curioni) ..... > 4000 della Liguria occidentale ( Pellati 1 . > 144 minerali e fossili della Toscana i Lotti e De Stefani) . . > 630 delle Miniere solfif ere di Romagna (Niccoli) > 170 e fossili dei dintorni di Camerino (Canavari) > *45 e minerali dell’Umbria (diversi) > 58 id. e fo, ssili della Provincia di Roma (diversi). . . » 250 delle Isole Ponza (Dolter). > 27 e fossili della Basilicata (De Giorgi) )► 185 della Calabria settentrionale (Lovisato) > 914 dello stretto di Messina (Segnenza) > 30 e fossili dei dintorni di Termini Imerese (Ciofalo) ... » 72 minerali e fossili della zona solfifera di Sicilia (diversi) . > 182 7402 Collezioni diverse avute in dono od acquistate : Rocce delle Alpi Pennine (Gerlach) id. del traforo del Gottardo id. e minerali di VallTmperina id. e minerali dell’Elba (Grabau) .......... Minerali della Sardegna . Fossili dei terreni terziarii dell’ Emilia (Coppi e Aragona) . . id. del Senese ed altre parti della Toscana (Lawley e De- Stefani) Campioni n. 610 > 194 » 48 > 260 > . 85 » 490 > 513 2200 69 — Collezioni 'provenienti dalV estero : (avute Eocce minerali e prodotti metallurg-ici dell’ Ungher in cambio del Governo Austro-Ungarico) ^ -Tossili della Baviera ■ Eocce minerali e fossili del Cbiìì Eocce e fossili dell’ Egitto Eocce e minerali di Olorietz ’ (Èiissia] Eocce e minerali di Norveo-ia Minerali delle- Miniere di zinco deì Belgio Eocce e minerali dell’ Australia . . . ® id. e marmi del Canada Oanipioni n. 8-56 » Ilo » d40 ». 30 » 35 » 40 » 15 » 50 » 160 » 105 » 20 COLLEZIOl^I DI MATEEIALl ETILI. (Comprendono ; i materiali naturali da costruzione ( in pezzi squadrati con una o più faccio pulite delle vane provincia dello Stato). e da ornamento i laterizi ed 1761 . generalmente altre terre cotte Materiali naturali di costruzione e d’ornamento Eaterizi ed altre terre cotte . • • . . Roma (acquistate 'nel 1878) Marmi dell Umbria (antica collezione) .... Campioni n. 2893 » 755 » 320 » 90 STKEMENTI SCIENTIFICI. 14 Bussole tascabili. 2 Clinometri. 3 Baronaetri a mercurio (Fòrtin). 14 Aneroidi di vario modello. 1 Ipsometro. 1 Psicrometro. I Podometro. I Apparecchio per tagliar le rocce in lastre sottili. ^ ^ Cassetta da mineralogo (cannello ec,). Pantografo per riduzione di carte. Camera lucida. Camera oscura. 4058 Termometri diversi, lenti da tasca, martelli ecc. MOBILI. N. 10 Vetrine per collezioni. » 4 id. per la Biblioteca. » 5 Armadi ad uso libreria REGOLAMENTO INTERNO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. (Approvato il IO Ltjolio 1880) Il R. Comitato che è incaricato della direzione scientifica della Carta geologica del Regno, addivenne nelle sedute 8 e 9 giugno 1880, u, s., alla compilazione dello schema d’ un suo regolamento interno che stabilisce le norme più essenziali per il pratico eseguimento del suo mandato. Questo schema che già fu stampato nella parte ufficiale del Bollettino Geologico, 3® fascicolo del 1880 (Verbale della seduta 9 giugno), veniva poi con lievi modificazioni, approvato dal Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio in data 10 luglio u. s., e tale viene ristampato nel presente fascicolo facendolo precedere dai due R. Decreti costitutivi del 1873 e 1879, con un cenno di schiarimento. Esso Comitato, stato istituito con R. Decreto sino dal 1873, * non avea però allora potuto fare incóminciare subito dei lavori di rilevamento regolari ed in grande scala, per mancanza di mezzi e di sufficiente personale che conveniva prima prepa- rare col debito tirocinio. Si dovette perciò attendere sino agli anni 1877-79, nei quali si potè alfine avviare il lavoro dapprima nella zona terziaria solfifera della Sicilia, e poi nel 1879 anche nella catena marmifera delle Alpi Apuane, e nell’Agro Romano, pro- fittando delle nuove ed esatte mappe dell’ Istituto topografico militare. Un lavoro analogo ma in scala maggiore ed eseguito con mezzi speciali venne pure intrapreso, ed è ormai compiuto, nella regione siluriana metallifera dell’ Iglesiente in Sardegna. Mentre questi ed altri lavori secondari avanzavano assai alacremente in propor- zione dei mezzi disponibili, il Ministero, nell’intento di vieppiù rinforzare 1’ azione del Comitato, vi aggregava nuovi membri di diverse specialità, con un Presidente ’ Nel 1868 era già stato istituito in Firenze un Comitato per lo scopo medesimo, ma su basi alquanto diverse e con mezzi pecuniarii insufficienti. Tale Comitato veniva trasformato dal R. Decreto del 1873 in occasione del suo trasloco a Roma. ì ) — 71 — scelto fra i membri stessi. Ciò ebbe luogo col K. Decreto 23 gennaio 1879. Per suc- cessivo Decreto 22 febbraio il Comitato risultava composto dei seguenti membri : Capellini Giovanni, Professore di geologia aH’Università di Bologna. Gemmellako Giorgio, Professore di geologia aH’Università di Palermo. Meneghfni Giuseppe, Professore di geologia all’Università di Pisa. Ponzi Giuseppe, Professore di geologia alPUniversità di Roma. Scacchi Arcangelo, Professore di mineralogia all’Università di Napoli. ScAEABELLi Giuseppe, senatore, di Imola. Stoppani Antonio, Professore di geologia all’Istituto Superiore di Firenze. Membri di diritto: Mato Emerico, Direttore dell’ Istituto topografico militare. CossA Alfonso, Direttore della Stazione Agraria Sperimentale di Torino. Giokdano Felice, Ispettore Capo nel R. Corpo Miniere. Pellati Nicolò, Ingegnere Capo nel R. Corpo Miniere. Zezi Pietro, Ingegnere nel R. Corpo Miniere, Segretario. NB. Il Prof. Meneghini venne nominato Presidente pel 1879 e confermato pel 1880. Il Comitato così ricostituito, allo scopo di rendere praticamente più efficace la propria azione, nella sua seduta 17 marzo 1879 deliberava che alcuni de’ suoi membri assumessero la speciale sorveglianza e direzione scientifica dei lavori nelle varie zone 0 regioni in studio. E già nella scorsa campagna del 1879 simile deliberazione rice- veva parziale esecuzione ; mentre il professore Meneghini assumevasi la direzione per le A.lpi Apuane, e in parte dello studio di Sardegna, della quale isola già avea pubblicata nel 1857 la paleontologia nell’opera di A. Lamarmora, ed il professore Gemmellaro quella di Sicilia unitamente al professore Capellini per quanto concerne il confronto fra le forma- zioni dell’isola e le analoghe del continente. Restavano però a fissare meglio, anche dietro la fatta esperienza, alcuni particolari e modalità specialmente nelle relazioni dei mem- bri dirigenti con gli ingegneri operatori componenti l’Uffizio geologico, nonché con i geo- logi che non ne fan parte ma che possono tuttavia ricevere incarico di speciali lavori. Ciò venne fatto mediante il regolamento discusso e votato nelle sedute 8 e 9 giugno 1880 ‘ il quale venne poi con lievi modificazioni approvato dal Ministro in data 10 luglio succes- sivo. — Tale regolamento mentre serve a completare nell’applicazione i due Decreti costitutivi del 1873 e 1879, precisando l’incarico dei membri addetti alla scientifica direzione, serve anche a mesrlio chiarire l’ indole dell’attuale geologica istituzione, la quale si compone di un Comitato per la direzione scientifica composto dei più chiari geologi del paese, e di un Corpo di operatori tecnici ascritti al R. Corpo delle hR- niere, con facoltà però di usare anche l’opera dei geologi privati non ascritti al detto Corpo, quando presentino le necessarie guarentigie di capacità. Simile organismo venne adottato dietro il voto di competenti Commissioni composte dei geologi di tutta l’Italia e la recente esperienza delle altre nazioni. Ecco ora il Regolamento approvato, preceduto dai due R. Decreti costitutivi: ^ Vedi verbale delle sedute 8 e 9 giugno nel Bollettino geologico^ 3° fascicolo (maggio e giugno) 1880. Regio Decreto del 15 giugno 1873 che determina le norme per la formazione e pubblicazione della carta geologica d'Italia VITTORIO EMANUELE II, ecc. Visto il decreto reale in data 15 dicembre 1867, n. 4113, col quale fu costituito il Comitato geologico; Sentito il Comitato stesso; Sulla proposta del Ministro d’agricoltura, industria e commercio ; Abbiamo decretato e decretiamo: Art. 1. — La formazione e la pubblicazione della carta geologica d’ Italia sono affidate ad una sezione del Corpo reale delle Miniere sotto l’alta direzione scientifica del Comitato geologico, secondo le norme del presente decreto. Art. 2. — Il Comitato geologico si radunerà in Roma presso il Ministero di agricoltura, industria e commercio e sarà convocato dai Ministro. Art. 3. — Spetta al Comitato geologico di deliberare sulla classificazione dei terreni formanti il suolo italiano, di provvedere alla formazione della serie dei colori e segni coi quali i terreni stessi verranno indicati sulla carta, di accettare i lavori geologici presentati per la pubblicazione e di decidere intorno i lavori da pubblicarsi. Art. 4. — La sezione del Corpo reale delle Miniere, di cui all’articolo I, costi- tuisce l’Ufficio geologico, il quale si compone di ingegneri e di aiutanti geologi. Art. 5. — Per essere nominato ingegnere-geologo è necessario : 1" Avere ottenuto il diploma d’ingegnere in una delle scuole d’applicazione del Regno ; 2° Aver compiuto il corso speciale d’ingegnere delle miniere nella scuola estera che verrà designata dal Comitato ; 3° Aver compiuto un anno di tirocinio pratico nel Geologico! Suroey di Lon- dra od in altro istituto estero designato dal Comitato. Art. 6. — Per essere nominati aiutanti-geologi è necessario essere laureati in scienze naturali, ed in difetto, aver ottenuto la licenza in un istituto tecnico del Regno ed aver sostenuto un esame di geologia e di scienze affini in una delle scuole spe- ciali del Regno. Art. 7. — Air ufficio geologico sarà annesso uno speciale gabinetto, nel quale verranno disposti e classificati i minerali, i fossili e le roccie raccolte nei lavori di campagna. Saranno del pari riuniti al gabinetto i libri, le carte, gl’istrumenti esistenti in Firenze presso il Comitato geologico. Art. 8. — Per i lavori di campagna e per quelli di ufficio, da eseguirsi dagli ingegneri e dagli aiutanti geologi, saranno osservate le istruzioni approvate dal Co- mitato geologico Art. 9. — Ogni foglio pubblicato sarà vidimato dal Capo del! Ufficio geologico e porterà il nome degli operatori che eseguirono il rilevamento. Così verrà pur fatto per la pubblicazione delle descrizioni sommarie. ^rt. 10. — Il ministro potrà incaricare del rilevamento di speciali regioni quei geologi i quali con precedenti lavori si acquistarono fama di buoni operatori. Art. 11. — È sciolta la Commissione per la raccolta dei prodotti minerali ad uso edilizio e decorativo, stata istituita con Decreto Reale, jn data 24 marzo 1872, e le attribuzioni della medesima sono conferite al Comitato geologico. Art. 12. — I materiali raccolti dalla suddetta Commissione faranno parte della collezione dell’Ufficio geologico. Art. 13. — Il Ministro , d’agricoltura, industria e commercio è incaricato di ema- nare le disposizioni necessarie per resecuzione del presente decreto. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserito nella raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’ Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 15 giugno 1873. VITTORIO EMANUELE. Castagnola. Regio Decreto del 23 gennaio 1879 — {Riforma del Comitato geologico), UMBERTO I, ecc. Visto il Regio Decreto del 15 dicembre 1867, num. 4113, relativo alla costituzione del Comitato geologico ; Visto il Regio Decreto del 15 agosto 1873, num. 1421 (Serie 2^), che determina le norme per la formazione e la pubblicazione della carta geologica del Regno; Considerato che V importanza dei lavori della grande carta geologica dà luogo a problemi, la di cui soluzione vuol essere maturamente preparata e discussa col con- corso di un competente numero di persone perite nella materia ; Sulla proposta del Ministro d’agricoltura, industria e commercio Abbiamo decretato e decretiamo: Art. 1“ — Il Comitato geologico istituito presso il Ministero di agricoltura, in- dustria e commercio è composto di 7 membri, nominati con nostro Decreto e scelti fra le persone più versate nelle dottrine geologiche minerarie. Art. 2“ — • Fanno parte di diritto del Comitato stesso: L’Ispettore capo del corpo Regio delle Miniere ; il funzionario dello stesso Regio corpo, incaricato special- mente della direzione dei lavori geologici; un direttore della stazione agraria, che spe- cialmente si occupi di mineralogia, il capo dell’ Istituto topografico militare. Art. 3” — Il Comitato ha un Presidente, nominato ogni anno con nostro De- creto fra i suoi componenti: nel caso però che il Ministro d’agricoltura, industria e co.mmercio intervenga alle adunanze, a lui ne spetta la presidenza. Un impiegato dell’ufficio centrale geologico compierà le funzioni di segretario. Art. 4® — Il Comitato si aduna in sessione ordinaria nel mese dì gennaio di ogni anno, od in sessione straordinaria ogni qual volta il Ministro di agricoltura, industria e commercio ne ravvisi la convenienza. Nella seduta ordinaria si rende specialmente conto al Comitato dei lavori eseguiti nelFanno precedente. L’analoga relazione consentita dal Comitato sarà dal nostro Ministro di agricoltura, industria e commercio presentata al Parlamento. A.rt. 5“ — Ai componenti del Comitato geologico, che non dimorano nella ca- pitale, sono pagate le spese di viaggio oltre ad una indennità giornaliera di L. 15. Art. 6® — E abrogata qualunque disposizione contraria al presente Decreto. Ordiniamo che il presente Decreto, munito del Sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Degno d’ Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 23 gennaio 1879. UMBERTO. Maioeana Calatabiano. IL MINISTRO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO, Visto il voto del R. Comitato Geologico emesso nell’adunanza del 9 giugno 1880, Decreta : E approvato il seguente Regolamento interno del R. Comitato Geologico. Il Regolamento sarà inserito nel Bollettino Geologico. Dato a Roma, addì 10 luglio 1880. Il Ministro Luigi Miceli. REGOLAMENTO INTERNO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Art. 1. — Il Comitato Geologico propone nelle sue adunanze le zone in cui devono essere iniziati o proseguiti i lavori di rilevamento nelle campagne successive, e indica quelli fra i suoi membri che devono avere la direzione scientifica dei lavori in ciascuna zona o regione. Le proposte dovranno essere sempre in correlazione colle somme portate in bilancio e diventeranno esecutive dopo l’approvazione del Ministero. Il Comitato fissa le norme generali che crede opportune per i lavori da farsi. Nel caso che per una qualche zona o regione nessun 75 membro del Comitato possa accettare l’incarico della direzione scienti- fica dei lavori, potrà il Comitato far cadere la sua proposta su qualche geologo estraneo al Comitato stesso. Art. 2. — Il Comitato Geologico esamina nelle sue adunanze i la- vori fatti nelle campagne precedenti e discute le questioni e i dubbi che nei varii centri di rilevamento fossero insorti intorno alla classi- ficazione dei terreni e alla loro rappresentazione sulla carta. Prima di ogni convocazione sarà a tal uopo diramata in tempo utile ai membri del Comitato una breve relazione sui lavori compiuti o da esaminarsi e sulle questioni che dovranno essere particolarmente discusse. Art. 3. — Nessuna parte della carta geologica definitiva in grande scala potrà essere pubblicata senza l’approvazione espressa del Comitato Geologico. Art. 4. — I membri del Comitato cui è affidata la direzione scien- tifica dei lavori in una data zona, danno, in principio di ogni campa- gna, agli operatori che saranno destinati daH’Ufficio Geologico le istru- zioni generali che crederanno opportune sull’ordine dei lavori e sulle norme particolari da adottarsi nella classificazione dei terreni della zona stessa, come anche sul modo più conveniente per la rappresenta- zione dei medesimi, cioè figurato, profili o sezioni da scegliersi e da rilevarsi, vedute prospettiche, ecc. Art. 5. — Sarà obbligo degli operatori di uniformarsi alle prescri- zioni dei membri del Comitato cui spetta la direzione scientifica dei rispettivi lavori, di rendere regolarmente conto deH’andamento dei lavori stessi, di prendere con essi le intelligenze per la determinazione dei fossili e delle roccie raccolte nelle escursioni, di comunicare gli abbozzi di campagna e le minute che indicano lo stato dei lavori, nonché i lavori compiuti prima di trasmetterli all’Ufficio centrale. Art. 6. — Nel caso che insorgano dubbi sul terreno, dovranno gli operatori riferirne al rispettivo direttore scientifico, il quale provvederà 0 mediante ricognizione locale o in quell’altro modo che crederà op- portuno. Art. 7. — Prima di spedire i lavori all’Ufficio centrale dovranno gli operatori riportarne il nulla osta del rispettivo direttore scienti- fico; questo poi dovrà alla fine di ogni campagna mandare all’Ufficio suddetto una relazione sommaria sui lavori fatti, colle sue osservazioni sulla diligenza ed attitudine di ciascun operatore della propria zona, la quale relazione potrà essere trasmessa ai membri del Comitato per la successiva adunanza. Art. 8. — Secondo lo spirito dell’art. 10 del E. Decreto 15 giu- gno 1873, oltre alla facoltà di incaricare del rilevamento di speciali - 76 — regioni quei geologi privati i quali con precedenti lavori si acquista- rono fama di buoni operatori, il Comitato avrà anche quella di ammet- tere come parte integrante della Carta Geologica del Regno lavori di geologi privati riconosciuti esatti ed eseguiti secondo le norme da lui adottate. Art. 9. — L’ Ispettore Capo delle Miniere ha la direzione della parte esecutiva geologica votata dal Comitato ; da lui dipende per la disciplina il personale operatore ed ha la direzione tecnica di tutti i lavori, salve le disposizioni degli articoli precedenti. Art. 10. — Gli atti ufficiali del Comitato, cioè i decreti ministe- riali e le altre disposizioni amministrative concernenti la Carta Geologica, i verbali delle adunanze del Comitato, le relazioni annuali dell’Ispet- tore Capo, le disposizioni relative al personale ec., saranno pubblicate nella parte ufficiale del Bollettino. Con Decreto 30 luglio il Ministro disponeva che conformemente al voto espresso dal Comitato nella sua seduta del 9 giugno 1880 riguardo al modo di retribuire i lavori dei geologi privati che a tenore del R. Decreto 1873 e delF attuale regolamento abbiano eseguiti lavori stati accettati per far parte della carta geologica, gli autori riceveranno ad opera finita un’ indennità pari alla spesa che col loro lavoro verrebbe risparmiata al governo, computandosi il tempo e le spese occorse pel lavoro medesimo. Quanto alla indennità di viaggio ai membri del Comitato incaricati della dire- zione scientifica in qualche parte del territorio, la medesima comprenderà il rimborso materiale delle spese di veicoli (ferrovie, piroscafi, carrozze, cavalli, ec.), più, per tutte le altre una diaria di L. 20. r !