BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. 1882. — Anno XIII. . 1882. — Anno XIII. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Yolume Tredicesimo (3° della 2a Serie) N.la 12. ROMA, tipografia nazionale BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie II. Voi. III. Gennaio e Febbraio 1882. N.° 1 e 2. SOMMARIO. Lavori della Carta geologica. Memorie originali. — I. Sulla formazione dello stretto di Messina, nota dell’ inge- gnere E. Cortese, del R. Corpo delle Miniere (con Carta geologica e Tavola di sezioni). — II. Appunti geologici e idrografici sulla provincia di Salerno (cir- condarli di Campagna e di Vallo della Lucania), del dott. Cosimo De Giorgi (con Tavola di sezioni). — III. Sulla dosimetria del rilievo delle Alpi Apuane, nota di B. Lotti, Ingegnere nel R. Corpo delle miniere. Notizie bibliografiche. — A. Cossa, Ricerche chimiche e microscopiche su roccie e minerali di' Italia (1875-1880), Torino, 1881. — - M. S. De Rossi, Za meteorologia endogena (tomo II), Milano, 1882. — Bibliografia mineralogica e litologica per l1 anno 1881. Tavole ed incisioni. — Carta geologica dello stretto di Messina, a pag. 39. — Ta- vola di sezioni annesse alla medesima, a pag. 39. — Figure schematiche diverse, a pag. 10, 13, 23. — Tavola di sezioni unita alla nota del dott. De Giorgi, a pag. 55. AVVERTENZA. Il sensibile ritardo alla pubblicazione del presente fascicolo, è dovuto in parte alle formalità ultimamente dall’ amministrazione prescritte per qualsiasi stampa di scritti e di tavc.le, oltreché alla circostanza di aver dovuto cambiare editore. La Ti- pografia Barbèra, editrice già del Bollettino geologico sin dalla sua origine, avendo chiusa la succursale di Roma, dietro la morte del suo direttore Serafini, la stampa del Bollettino venne, dietro licitazione, affidata alla Tipografia Nazionale che succe- deva a quella del Barbèra rilevandone ed ampliandone il materiale. Lavori della Carta geologica. Nel 1882 verranno soltanto seguitati alcuni dei lavori di rilevamento in grande scala nelle regioni dove il mede- simo già era avviato o presso a compiersi nell’ anno prece- dente ; e si proseguiranno pure nei limiti dei mezzi dispo- nìbili le ricognizioni per il perfezionamento della Carta ge- nerale in piccola scala. Il programma di nuovi lavori non può ora ricevere sviluppo, principalmente pei motivi addotti già nell’ ultimo fascicolo dell’ anno precedente, la limitazione cioè a cui venne per diversi incidenti ridotto il personale operatore, come anche il doversi impiegare una parte sen- sibile dell’assegno di quest’anno, a saldare spese straordi- n i 3- — 4 narie incorse l’anno passato, specialmente in fatto di stampe di carte varie pel Congresso di Bologna. Del resto il rapporto annuale del direttore dei lavori al Comitato geologico, che verrà pubblicato nel prossimo fascicolo, darà conto di ogni particolare. Nel febbraio intanto dovea radunarsi il Comitato ac- cresciuto di altri geologi, quale già era stato convocato nel 1880 per l’esame di un progetto di legge per la Carta geologica, esame che era poi stato rimesso ad altr* epoca : ma stante l’impedimento di alcuni dei membri si dovette ri- mandare la riunione pei primi di marzo, onde soltanto nel successivo fascicolo del Bollettino si potrà rendere conto delle sue decisioni. I. Sulla formazione dello stretto di Messina , nota delPIng. E. Cortese del R. Corpo delle miniere. (Con Carta geologica e Tavola di sezioni). Dello stretto di Messina sarebbe forse inutile il richiamare le coor- dinate geografiche, che lo determinano; accennerò brevemente che esso è compreso fra 2 50' e 3J 10' di longitudine Est, (meridiano di Roma) e fra i 38’ 1' e 38° 16' di latitudine. Con tali dati si viene a conside- rare come stretto propriamente detto, il tratto di mare che si estende dal Faro fino al paralello che passa dal Capo di Alì al Capo Pellaro. Più al Sud, la distanza fra le due coste aumentando rapidamente, e la costa calabrese essendo limitata alla latitudine di 37° 55', si può consi- derare di esser già nel vero Mar Jonio. Il primo tratto a Nord, dello stretto, corre fra coste quasi paralelle, dal NE al SO; dalla Punta del Pezzo al Pellaro, la costa calabrese corre sensibilmente N.-S., quella siciliana fra la Pace ed Alì, corre verso S. SO. Ne viene che la larghezza minima dello stretto, essendo fra la Punta del Pezzo e Ganzirri, di 3500 m. è già di chilometri 5,500 fra Messina e la Catona, e di 17 fra il Capo di Alì e quello di Pellaro. I monti che formano la catena Peloritana in Sicilia, e quelli del- l’ Aspromonte, in Calabria, sono abbastanza elevati. Infatti nei Pelori- tani, cominciando da Monte Cicci alto 608 m. troviamo, scendendo al Sud, P Antennamare di 1131, lo Scuderi di 1252, e il Pizzo di Polo di 1238; nell’Aspromente, abbiamo la cima di Montalto a L940. Era il Capo Rasocolmo e il Monte Scuderi, la catena del Pelerò corre prossima alla costa; le alte cime della Calabria invece distano dal mare di più di 20 chilometri. Sulla costa calabrese, oltre ad una maggiore estensione di terreni alluvionali, riscontriamo a differenza della costa siciliana, una serie di piani, ben delineati, estesi, a differenti livelli, simili ad altrettanti terrazzi, o quali enormi gradini di ine- guale altezza che accedono alle cime dell’ Aspromonte. Di tali scaglioni non si hanno sulla costa occidentale del Pelerò, bensì sulla costa Nord, bagnata dal Tirreno, ne abbiamo due serie, una all’altezza media di 100 m. sul mare, l’altra a quella di 400 (Piano dei Rovelli, Campo Inglese). In Calabria, sulla costa orientale dello stretto, ne abbiamo a tutte le altezze: 100, 150, 200, 250, firo ai 1200 metri sul mare. Ascrivo la formazione di questi piani, all'azione terrazzante delle tempeste. Ora i venti predominanti, durante l’epoca quaternaria, sopra la costa Nord del Peloro e sull’occidentale della Calabria, dovevano essere gli stessi degli attuali, dappoiché la disposizione orografica era analoga, come dimostrerò inseguito. Tali venti predominanti sono : sulla costa calabrese il Ponente-Libeccio , il Libeccio , e il Scirocco -Messo- giorno \ Sulla costa Nord del Peloro, il Ponente-Libeccio, e il Greco- Levante, , che essendo opposti, concorrevano a dare i medesimi effetti. I primi, agendo con maggiore o minore intensità, e provocando burrasche più o meno forti, hanno agito sulla costa calabra, diffe- rentemente a seconda della disposizione delle coste. Questo spiega l’esistenza di tanti diversi piani a livelli differenti. I venti che battevano sulla costa dal Capo Rasocolmo alla Eiumara Gallo, provenendo dall’aperto mare, avevano azioni costanti, e le due serie di piani, corrispondendo a due sollevamenti distinti, dipendono dall’azione terrazzante di quelle tempeste. Premesse queste generalità sulla posizione dello stretto e sull’a- spetto delle sue coste, credo utile passare tosto alla enumerazione e descrizione dei terreni geologici che costituiscono quest’ultima. Sarò brevissimo in quanto riguarda la descrizione dei terreni, volendo in que- sto scritto occuparmi della geognosia dello stretto, piuttosto che della sua geologia. Questa ultima formerà oggetto di altro mio più esteso lavoro. Cominciando l’enunciazione dei terreni, da quelli più antichi, dovrò citare primi i micaschisti , gli gneiss e graniti antichi della catena Pe- loritana e dell’Aspro monte. 1 Riferisco qui le denominazioni dei marini dei luoghi. — 6 Sarà inutile il citare qui tutte le roccie subordinate a quelle tipi- che, e della stessa epoca geologica, che appaiono nelle due catene. Ac- cennerò solamente al calcare cristallino , ai calcifiri , ialomicii , pegma- titi ecc. che si trovano fra i micaschisti. Gli gneiss e i graniti che si ritrovano al Capo Peloro, sono poi comuni in Calabria, sopratutto fra Scilla, Bagnara e Palmi. I micaschisti danno montagne di aspetto severo, erte e scoscese; e ciò tanto più nei Peloritani, dove, senza piani intermedii, si innalzano quasi direttamente dal mare. Posteriore a questi terreni, abbiamo una formazione di schisti lu- centi, argilloso-magnesiaci, che appaiono al Sud di Scaletta, in Sicilia, e, dentro terra, poco al Nord del paralello di Pellaro, in Calabria. Questi schisti hanno pure altre roccie subordinate, calcari cristal- lini, graniti porfiroidi , felsiti , dioriti ed anfiboliti, ma non è qui il caso che io mi dilunghi nel descriverle partitamente. La formazione di cui parlo non appare del resto nella carta che accompagna questo scritto, ed ha, nella geognosia dello stretto, una parte pochissimo importante, rispetto a quella del terreno cristallino. Seguendo l’ordine cronologico di formazione, devo citare una serie di roccie che appare ad Alì e costituisce appunto il capo di quel nome. Si tratta di calcari compatti , calcari marnosi in straterelli, schisti , quar- ziti e anageniti , costituenti un insieme che chiamerò, per brevità, for- mazione $ Alì. Questa appare solamente sulla costa siciliana, nè mi fu dato riscontrarla in Calabria, fino ad ora h Non parlerò delle dolomie , calcari e conglomerati triasici, che in Sicilia cominciano al Capo S. Alessio, e continuano a Taormina, mentre in Calabria spuntano appena all’Est della Fiumara d’Amendolea. Meno interessante ancora è la formazione liasica, che appare a Taormina, nè ha riscontro in Calabria che sul versante orientale, a Canolo. Da queste formazioni antiche, si passa direttamente a quelle ter- ziarie, non essendo, sulle rive dello stretto, rappresentati in alcun mo- do il Giurese e il Cretaceo. Del terziario, V Eocene inferiore , rappresentato da arenarie più o meno argillose, o pure , e da conglomerati, si riscontra in Calabria, al- l’Est di Reggio, e presso Pellaro ; sulla costa siciliana appare al Sud del Capo S. Alessio. Nè YEocene medio, nè il superiore concorrono alla formazione delle due coste. Il Miocene inferiore appare soltanto al Capo dell’ Armi. 1 Dell’ epoca geologica degli Schisti lucenti e della Formazione di Ali , parlerò in altro mio lavoro. concernente la Geologia della Provincia di Messina. 7 — 11 Miocene superiore rappresentato da conglomerati , arenarie e ar- gille si trova presso la costa fra Messina e Scaletta, e sul versante Nord del Peloro; in Calabria al N.E. di Reggio non lontano dal mare; pic- colissimi lembi si presentano presso Piale e il villaggio di Pezzo. La Zona gessosa solffera , che si può considerare come un passag- gio fra il miocene e il pliocene, è rappresentata da calcari concrezio- nati, leggermente silicei, eguali ai calcari concrezionati passanti e quelli -solfiferi che si trovano nella Sicilia centrale. Tali calcari appaiono sul versante orientale del Peloro, presso Mes- sina, in varii punti, e sono poi molto sviluppati presso ai villaggi delle Masse, a Castanea, a Salice, al Gesso, ove sono accompagnati appunto da una formazione gessosa. Non se ne trovano sulla costa calabrese dello stretto. Del Pliocene appaiono tre formazioni, una dell’inferiore e due del superiore. Il pliocene inferiore è rappresentato dalle marne bianche a fora- minifere , dette in Sicilia Trubi. Sono talora delle vere marne, più o meno argillose, e tali appaiono in varie località: così presso Messina, dallo Scuoppo a Cammari, e fra la SS. Annunziata, S. Jachino ecc. Sono pure estese presso 1 villaggi delle Masse, ed in alcuni punti prendono l’a- spetto di arenarie bianche, quasi interamente costituite di gusci di fo- raminifere; i granelli però non sono sabbiosi, ma calcari. In Calabria si hanno le stesse marne in diverse località, fra Ro- sali e Fiumara, e presso Villa S. Giuseppe dove i fiumi hanno profon- damente intaccato le formazioni quaternarie; un piccolo lembo si presenta pure sopra il villaggio di Pezzo superiore. Sopra alle marne bianche, e talora direttamente sul calcare concrezio- nato, riposa pliocene superiore. Alla base di questo abbiamo un calcare, talora ripieno di Polipai , talora di Terebratule grandi e piccole, e di Echini. Sotto queste forme diverse si presenta ben caratterizzato presso il villaggio di S. Filippo, a Monte Montagna, fra Cammari e lo Scuop- po, e a S. lachino, nei dintorni di Messina, al Monte dei Centri e ai Monte Castellacelo, presso Salice. In Calabria ne vidi solo un piccolo lembo al villaggio di Pezzo. Al disopra, e probabilmente il rappresentante delle sabbie gialle si ha una formazione di calcare grossolano, granelloso, contenente bac- chette di Echini, polipai diversi ( Isis sopratutto), talora abbondanti fo- raminifere, oltre a bivalve diverse. Si trova tale formazione presso Messina, fra Cammari e lo Scuoppo, alla Massa di S. Giorgio, al Gesso, presso Salice. In Calabria forma il Monte Chiarella, e si estende all’Est e al S.E. di Reggio, talora sui — 8 — piani, talora messa a nudo sotto il quaternario, dalle erosioni dei tor- renti. Il Quaternario è rappresentato da ghiaie e sabbie poco cementate. Si hanno delle alternanze di straterelli ghiaiosi e sabbiosi, formanti colline abbastanza elevate, sulle due coste dello stretto ; 1’ elemento ar- gilloso vi è rarissimo. Esse sembrerebbero appartenere alla parte infe- riore del quaternario, mentre al quaternario superiore apparterrebbero altre agglomerazioni di ghiaie e sabbie molto più argillose. La distin- zione delle due formazioni si deve fare poiché, mentre gli stati della prima sono talora leggermente inclinati, quelli della seconda sono as- solutamente orizzontali, e discordanti coi primi. Dove non si ha discor- danza, la distinzione si può fare facilmente pel colore dei due depositi,, il primo essendo grigiastro, il secondo rossastro. Le alternanze di ghiaie e sabbie, in seguito alle erosioni, si dispongono sopra scarpate uniformi abbastanza ripide, ma regolari ; le altre sabbie più argillose danno dei veri appicchi che spiccano distintamente sopra le scarpate suaccennate. Le colline da Messina al Faro sono formate di quaternario, predomi- nando quello inferiore; i piani sul versante Nord del Peloro, sono rico- perti dal quaternario superiore; analogamente i piani bassi della costa calabrese, ed in questi, il quaternario inferiore spunta là dove le ero- sioni fluviali o marine hanno tagliata la formazione ricoprente. Le alluvioni moderne, sono formate di ghiaie, sabbie, e da qualche conglomerato cementato dalle acque che attraversano il pliocene, espor- tandone del calcare. Tali alluvioni formano le spiaggie di mare, i letti dei torrenti. Co- stituiscono la punta del Faro, e il Piano di Terranuova, quello che ab- braccia il porto di Messina. Di tutta la serie di terreni suaccennati, i quali si presentano più o meno in prossimità dello stretto, dovrei ora indicare i rapporti di formazione. Anche qui sarei portato a considerazioni , esclusivamente geognostiche, e che riguardano più P insieme della Sicilia, parte N.E. e della Calabria, parte meridionale, anziché lo stretto di Messina in particolare. Mi limiterò ad accennare certi fatti principali dilungandomi soltanto per quelli che interessano veramente la geognosia dello stretto. Il terreno cristallino, si presenta identico in Sicilia ed in Calabria, e doveva certamente formare una unica e grande isola, di cui noi ve- diamo ora la cresta correre dal Capo Tindaro presso Patti, per il Pizzo di Polo, ló Scuderi, a formare l’ossatura della Calabria. Per quanto ve- diamo ora dalle carte geologiche, quest’ isola avrebbe avuto una forma arcuata, e la convessità sarebbe stata rivolta a mezzogiorno. I terreni che vennero successivamente ad addossarsi al terreno pri- — 9 — mitivo, si disposero tutti sulla parte convessa; e così gli schisti lucenti si vedono apparire all’Ovest di Capo Tindaro, al Sud di Pizzo di Polo, al Sud e all’Est dell’ Aspromonte. 11 Trias si depose sopra gli scliisti lu- centi, ma sempre con analoga disposizione. Il Lias ed il Giurese, si mantengono sempre al Sud e all’ Ovest del Trias nel Messinese, conti- nuando così la successione concentrica dei terreni, e manifestando un sollevamento graduale dal Sud verso il Nord. In qualche modo, per me- glio precisare T idea, si tratterebbe di un sollevamento dalla parte ester- na dell’ isola arcuata, verso il suo centro di curvatura. Tale movimento si manteneva costante nell’ epoca triasica e per tutta 1’ epoca secon- daria. L’ eocene interiore, ricoprendo indistintamente il Giura-lias, il Trias*, e gli schisti lucenti, invade già il cristallino, presentandosi sui monti di Castroreale in Sicilia. Esso non arriva sul versante occidentale del- l’ Aspromonte, ma si presenta presso Reggio. Durante la sua formazione, il movimento di sollevamento durava ancora, in massima, come per le precedenti epoche geologiche, ma in seguito a depressioni diverse, il mare oecenico invadeva tutta T isola, oramai non più formata di solo cristallino. L’ invasione del mare oecenico si faceva più manifesta durante il periodo dell’ eocene medio, i cui depositi ( argille scagliose variegate) cominciano all’ovest di S. Stefano di Briga, e si estendono fino a S. Lu- cia del Mela ed a Patti. L ’ eocene inferiore che si trova presso Reggio dimostra già che la parte emersa dell’ isola si andava restringendo, mantenendosi fuori delle acque fino ad una linea che correrebbe fra Reggio e Forza d’Agrò. L’ eocene medio invece, colla disposizione dei lembi di esso che ora si trovano nel Messinese, dimostra che il mare girava già intorno al Piz- zo di Polo, e bagnava il versante Nord dei Monti Peloritani, di cui la cresta emersa era quella da Pizzo di Polo, Monte Scuderi, Anten- na mare,. all’ Aspromonte. Mancando V eocene superiore, il miocene medio e quello inferiore, arriviamo al miocene superiore che si trova abbastanza sviluppato sulla costa occidentale dello stretto. I ragionamenti che farò per questo periodo, valgono in massima anche per la zona gessoso solfifera e pel pliocene inferiore. Parlerò dunque delle tre epoche corrispondenti, in una volta sola, aggiungendo solo qualche osservazione particolare per 1’ una o per 1’ altra. I terreni del Tortoniano, del Messiniano e del Zancleano (di Se- guenza) sono rappresentati, come ho accennato: i primi da conglome- rati, argille e arenarie, i secondi dal calcare concrezionato, collegato — 10 — eventualmente con del gesso, gli ultimi dalle marne e calcari a fora- miniferi. 1 Noi troviamo tali formazioni, quasi sempre ben concordanti fra loro, sul versante N.O. del Capo Peloro, sulla riva occidentale dello stretto. Non ne troviamo, in Calabria, da Cannitello a Bagnara, nè sulla costa» nè sui monti ; ne abbiamo qualche lembo presso il Pezzo, a Piumara, Ro- sali, Villa S. Giuseppe e giù fino presso Reggio. In quelle epoche, esisteva dunque una insenatura, fra la catena Monte Scuderio-Mnte Cicci, e quella deli’ Aspromonte, i terreni si de- ponevano sulle due rive dell’ insenatura, e sul versante settentrionale, della prima catena di monti, ma le due erano ancora unitamente emerse. L’ isola che prima ho considerato, esisteva ancora; la sua ossatura o la sua cresta, era individuata da Pizzo di Polo, Monte Scuderi, Campo In- glese, Montalto, e tutto il seguito dell’ Aspromonte disposti presso a poco come nella seguente figura. Il lato Campo Inglese-Montalto, ancora completamente emerso, era una sottile cresta, che separava le formazioni terziarie deposte presso Messina, da quelle delle Masse, al Sud della quale si erano deposti i piccoli lembi di conglomerato miocenico, le marne a foraminiferi del pliocene inferiore, che si vedono al Pezzo, e gli altri terreni contempo- ranei che si trovano verso Reggio. Al Nord di quella cresta non si tro- vano formazioni terziarie fino a S. Eufemia di Aspromonte. 11 pliocene superiore si deponeva quasi analogamente a quello inferiore, e non avrebbe dovuto esserne separato, in quanto ho detto sin qui, se non fosse 1 Ho sempre taciuta l’esistenza di qualche lembo di Tripoli (Sarmatiano) che si trova all* Ovest di Monte Cicci, perchè tale formazione avrebbe poca importanza, in questo scritto. — 11 — per delle considerazioni che esporrò in seguito, e riguardanti l’oriz- zontalità che si riscontra nei suoi strati. Esso però non aveva ancora invaso la cresta dell’ isola, il mare ancora non comunicava attraverso .allo stretto. Al fine vediamo il quaternario interporsi fra il cristallino del Monte Cicci e quello di Scilla, e formare i fianchi dello stretto, dal Faro a Messina, in Sicilia, e dal Pezzo a Reggio in Calabria. In quel- P epoca geologica lo stretto era dunque formato, il mare era penetrato, « deponeva le ghiaie e sabbie che attualmente formano le colline delle due rive. L’isola di cristallino, considerata primitivamente, che era ve- nuta gradatamente ricoprendosi, dalla sua parte convessa, dei terreni primarii e secondarii, e che aveva già cominciata ad essere invasa dal mare in diversi punti e per varie estensioni, si era finalmente separata in due parti; V una rimaneva unita alla Calabria e formava un estremo d’Italia, l’altra parte, più piccola, rimaneva unita alla Sicilia, e ne for- mava la punta Nord-Est. Finita l’epoca quaternaria, si terminava pure quella serie di solleva- menti che avevano portato tutte le formazioni al livello attuale. Le al- luvioni moderne, sia marine, sia fluviatili, completavano il contorno delle terre, riducendole quali sono attualmente. Ho accennato al fatto che, durante l’epoca quaternaria lo stretto doveva già esser formato. La sua larghezza doveva esser molto mag- giore dell’attuale, estendendosi fra il Campo Inglese, e il Piano di Ma- turiti ed essersi poi diminuita per la deposizione di tutta la formazione ‘quaternaria, sulle due coste. Non ho però accennato alia causa che ha portato l’invasione del mare quaternario, sopra quel lato (Campo In- glese-Montalto) della cresta dell’ isola cristallina, o in altre parole, alla causa che ha prodotto la separazione dell’ isola. Sulla causa operante quel distacco della Sicilia dalla Calabria, si potrebbero fare due ipotesi : 1° D’ un abbassamento improvviso di tutte le terre emerse. 2° D’un avvallamento successo fra Monte Cicci e il Piano di Ma- li ni ti. Però tanto l’una quanto l’altra delle due ipotesi appaiono infon- date. Se un abbassamento si fosse prodotto, di esso avrebbero dovuto risentirsi anche le altre parti contigue della Sicilia e della Calabria. In tutta la catena Peloritana invece, non ci è dato trovare il qua- ternario a maggiori altezze di quelle che raggiunge, sotto Monte Cicci presso Rizzotti, 380 m. sul livello del mare; sotto il Campo Inglese presso Curcurace, si mantiene a 320 circa. Ne viene che V abbassamento si sarebbe manifestato soltanto all’Est del Monte Cicci; non al Nord, — 12 dappoiché il livello massimo raggiunto dal quaternario sul versante Nord del Peloro, e di 160 m. e molto meno al Sud e all’Ovest. In Ca- labria abbiamo il quaternario ad altezze molto maggiori, è vero, ma bisogna distinguere con quale quaternario abbiamo a fare. Quello che ricopre i piani di Matiniti, è ancora riferibile al tipo di quello di Curcurace, e così è quello di Fiumara, Sambatello, ecc; ma quello che appare a livelli superiori, è ben differente. Al piano della Melia sopra Scilla (650 m. in media), al Piano della Chiusa sopra Bagnara, (690 m.) ai Piani d’ Àspromonte(1150) abbiamo delle formazioni quaternarie non. riferibili affatto a quelle siciliane, o meglio a quelle proprie delle rive dello stretto. * 1 Ne viene dunque che P abbassamento, in seguito al quale il mare quaternario ha staccato la Sicilia dalla Calabria, deponendo delle ghiaie e sabbie sulle rive dello stretto, non avrebbe interessato che la parte compresa fra il Campo Inglese e il Piano di Matiniti, es- clusivamente, e non le parti contigue. La localizzazione, o meglio la limitatissima estensione del fenomeno, esclude la possibilità di un ab- bassamento. La seconda ipotesi porterebbe all’idea di un avvallamento avvenuto fra gli stessi punti fìssi. In geologia P ammissione di tali avvallamenti va fatta, a mio parere, con molta circospezione. Sopra un’ estensione di 10 chilometri circa, un avvallamento è una cosa grandiosa per quanto sia nulla in confronto alla grandezza di un continente o di un’ isola- come quelli che consideriamo. Un avvallamento sarebbe possibile am- mettendo due rotture ai due fianchi, le quali avessero staccato un im- menso pezzo di crosta terrestre, che sarebbesi abbassata sdrucciolando lungo i due piani di rottura. La cosa, diffìcile ad ammettersi, e, secondo me, più diffìcile ad av- verarsi, dovrebbe esser confermata da un’ analogia d’ aspetto topogra- fico ed orografico, dalle due parti. Accaduto P avvallamento dalle due parti dovremmo vedere le pareti, o i residui di queste, lungo le quali si produssero gli scorrimenti, analogamente disposte rispetto ai terreni sovrapposti, e con pendenze simili ecc. Invece di ciò abbiamo, in Sicilia, i fianchi cristallini di Monte Cicci e Campo Inglese, scoscesi, dirupati, ripidi, contro i quali si appoggiano i terreni quaternari con pendenze molto più dolci, contrastando singo- 1 Al Piano della Melia, a quello della Chiusa, si tratta probabilmente di depo- siti del pliocene superiore, analoghi a quelli di S Peri, Milanesi, Calanna, Monte Chia- rella ecc., i quali forse stabiliscono un vero passaggio fra il pliocene e il quaternario. I depositi dei Piani d1 Aspromonte sono chiaramente lacustri, o per lo meno di acqua dolce. — 13 — larmente nell’aspetto delle colline. In Calabria, abbiamo degli scaglioni di quaternario, con successive apparizioni di cristallino a Cannitello, sotto ai piani di Matiniti, fra questi e sopra, ossia, prendendo la cosa in grande, un dolce pendìo di terreni cristallini, che dal mare accede alle alte montagne, con qualche brusca interruzione, corrispondente ad un piano. Questa differenza nei profili del terreno cristallino, ci allontana anche dall’idea di un abbassamento prodottosi senza rotture fra il Campo Inglese e il Piano di Matiniti, poiché esso avrebbe dovuto esser massimo nel mezzo, e dare due inclinazioni consimili alle sponde cri- stalline che si riattaccavano ai due punti fissi. Respinte così le ipotesi di un abbassamento localizzato, e di un avvallamento brusco, sorge l’idea di un altro fenomeno, che produrrebbe bensì abbassamento e avvallamento, ma non sarebbe propriamente nè l’una nè l’altra delle due cose, e che soddisferebbe a quante altre osser- vazioni si possono fare in proposito. Questo fenomeno sarebbe una rottura unica, uno scorrimento, quello che i Francesi chiamano Faille , e che per mancanza del termine ita- liano corrispondente, chiamerò Faglia , come fecero altri. Consideriamo la posizione primitiva AB di un terreno geologico qualunque. Supponiamo che in C si manifesti un piano di rottura la cui traccia sarebbe CF; ammettiamo che succeda scorrimento dalla parte ACF e BCF, l’una sull’altra, lungo quel piano di rottura, ed avremo una vera Faglia. Fig. 2. Per semplicità ammettiamo che rimanendo fissa la parte BD del profilo primitivo, e la parte AC, non sia che la massa DCF, che scorre lungo CF, rispetto alla massa ACF, fino a che il punto C si trasporta in C‘. Il nuovo profilo del terreno, sarà divenuto dunque A.C.C'.D.B. In CC avremo un lato ripido, scosceso, la parete della faglia, in C'D uno meno ripido rappresentante il profilo primitivo del terreno, spostato. Non abbiamo ora da supporre altro che di avere in AC il Campo Inglese, in D la collina di Sparta, sopra al Piano di Matiniti, e se una — 14 — faglia si è prodotta fra i due, CCT) rappresenterebbe il profilo del terreno cristallino, dopo lo scorrimento. In CC'D si sarebbe generato lo stretto. Il fianco ripido CO' corrisponderebbe a quello del monte cristallino, fra il Campo Inglese e Curcurace, quello dolce CD, la linea che riuni- rebbe i cigli degli scaglioni cristallini, da Ferrito alla collina di Sparta. 11 mare quaternario invadeva lo stretto, e deponeva le sue forma- zioni sopra al cristallino. Sulla costa siciliana, tali formazioni sono sem- plicemente addossate, con evidentissima discordanza, alla parete del terreno sottostante; sulla costa calabrese, per la minor pendenza del profilo cristallino, e per i vari terrazzamenti di questo, già accennati avanti, la discordanza fra gli strati quaternarii e il profilo del terreno sottostante, è meno marcata. La faglia di cui parlo non avrebbe interessato solamente il cristal- lino, ma anche i terreni ad esso sovrapposti ed antecedenti all’epoca quaternaria. Essa non avrebbe portato solo lo spostamento di una parte dei terreni dal lato calabrese, rispetto a quelli dal lato siciliano, ma avrebbe prodotto un sollevamento del versante S.E del Peloro, con ab- bassamento di quello N.O, ed un sollevamento in Calabria, dalla parte di Scilla, Bagnara e Palmi con abbassamento relativo elei versante Sud del Montalto. Questi diversi abbassamenti e sollevamenti, hanno con- tribuito a dare allo stretto la forma di un imbuto, rivolto al Nord, e spiegano la maggiore accumulazione di quaternario a Peggio ed a Pellaro, mentre di fronte, sulla costa siciliana, vediamo scendere al mare i fianchi scoscesi del cristallino, fra Mili e Scaletta. Spiegano final- mente l’apparizione degli schisti lucenti, della fillade a Guidomandri, presso al mare, mentre in Calabria non appaiono che lontani dal mare e forse un poco più al Sud. Questi movimenti subiti dalla Calabria e dalla Sicilia, nelle parti vicine allo stretto, dopo il loro distacco, devono aver agito sopratutto sui depositi terziari, che non avevano seguito più quella regolarità di successione cui ho accennato per i precedenti. Infatti le Filladi, il Trias, il Lias ed il Giurassico, seguono una legge di successione ben marcata, un regolare addossamento l’uno sull’altro, e ciò nelle parti estreme al Sud dello stretto, e fuori di questo. Durante le epoche terziarie, e sopra- tutto nella miocenica e nella pliocenica, i terreni si deposero nelle vici- nanze dello stretto attuale, e il fenomeno che ha prodotto questo, deve aver interessato quelli, alterandone la posizione. Trascuro per ora il terziario che appare presso Messina; in primo luogo: perchè non offre particolarità notevoli, nè attinenti al fenomeno di cui parlo; in secondo luogo perchè sulle sue condizioni stratigrafiche parlerò più avanti. Con- sidero le masse terziarie deposte al Nord e Nord-Ovest del Capo Peloro; — 15 — in esse, la pendenza degli strati è variabile, ma predomina quella a N., variando dal N.E al N.O. Citerò qualche esempio: Alla fiumara del Tono, i calcari granellosi teneri, a foraminiferi, pendono di 40° a N.E; Fra S. Giorgio e Serra Pidda, il trubo pende al N. ; Sulla strada da Torre S. Rizzo al Gesso, il miocene superiore arriva alla pendenza di 35° a N.O. Questa pendenza predominante negli strati del terziario, in quella località, comprova quanto ho detto avanti, del sollevamento subito dal Capo Peloro, in seguito alla manifestazione della faglia. In Calabria, indipendentemente dal miocene e eocene delle vici- nanze di Reggio, considero il poco di miocene che si ha presso il Pezzo, e il pliocene inferiore di Pezzo, Fiumara e Rosali. Le pendenze, negli strati di questi terreni, sono tutte rivolte a S. o a S.O. Al cristallino che da Cannitello va alle case di Crinco, è addossato il conglomerato miocenico, di cui spunta qualche piccolo lembo presso Cannitello stesso,, sulla strada nazionale, presso Pezzo Superiore e fra Piale e Licandro. Sul miocene abbiamo direttamente le marne a foraminiferi, a Pezzo superiore, passando esse sotto al quaternario, vengono a spuntare di nuovo alla fiumara di Catona, a Rosali, e a Villa S. Giuseppe; ma in queste località sono direttamente addossate al cristallino. Queste pendenze stanno a provare il sollevamento da me accennato, per la costa calabrese, come conseguente alla faglia. Il pliocene superiore ed il quaternario appaiono pochissimo di- sturbati nella loro stratificazione. In ogni modo, le pendenze che essi presentano sono affatto indipendenti da quelle del miocene e del plio- cene inferiore. Abbiamo il pliocene superiore orizzontale, o quasi, nei dintorni di Messina, al villaggio di Gesso; in Calabria, a Calanna e Milanesi, a Monte Chiarella, a Monte Goni ecc. Verso JSpadalara, Catarratti ecc. mentre il pliocene inferiore appare, conformemente al miocene, formare una conca, il pliocene superiore, sembra averla riempita con strati orizzontali. Il quaternario presenta talvolta delle pendenze, non trascurabili, come quella di 15° E. a Valanca Chiana, presso il villaggio di Pace, o T altro di 25° N.O. in un vallone presso Azzarello; ma tali inclinazioni possono considerarsi come locali. Credo che le inclinazioni del quaternario dipendano esclusivamente dagli ulteriori sollevamenti, che hanno prodotto l’emersione delle terre littoranee dello stretto. In ogni modo, il quaternario superiore, quello più argilloso, di colore rossastro, è sempre perfettamente orizzontale. Quest’ultimo sarà forse di origine di acqua dolce, o meglio littoranea. — 16 ed appare sui piani del Faro superiore, in Sicilia, su quelli di Piale, Campo di Calabria, d’Argliillà, d’ Alfieri, di Sambatello, e sopra Gallico in Calabria. Riassumendo dunque, vediamo il pliocene superiore, ed il quater- nario, con stratificazioni orizzontali in genere, o inclinate indipendente- mente dalle pendenze mostrate dagli strati del pliocene inferiore e del miocene. La legge che sembra dominare nelle inclinazioni di questi ultimi terreni, al capo Peloro, e sulla costa calabrese dello stretto, non si può applicare a quelle degli strati quaternari : anzi questi vi contravvengono completamente, dappoiché pendono a N.O.. ad Azzarello e ad E. alla Pace. Ne possiamo dedurre che la causa perturbatrice, cbe ha agito sul miocene e pliocene inferiore, non agì sugli strati del pliocene superiore e del quaternario, o per lo meno che su questi agirono altri movimenti. Quel brusco sollevamento al Sud al Capo Peloro, e al Nord alla spiaggia da Pezzo a Scilla; che avrebbe seguito la faglia che distaccò la Sicilia, non va collegato con quelli prodottisi al momento deli’emersione delle formazioni più recenti deposte presso lo stretto. Ne viene che la faglia dovrebbe essersi manifestata alla fine del periodo del pliocene inferiore, ed avere interessato, coi movimenti di- pendenti, tutti i terreni deposti fino a quell’epoca. I terreni posteriori non furono disturbati che da movimenti ulteriori, dopo lungo periodo di tempo, ed indipendenti dalla faglia. La faglia sarebbe passata fra il Campo Inglese e i piani di Mag- niti, sul 3° lato della spezzata rappresentante la cresta di cristallino, ancora emersa (fig. I). Il cristallino che fra Curcurace e Cannitello era continuo, ne fu diviso in due parti, quella dal lato calabrese sdrucciolò lungo il piano di scorrimento, e il mare si fece strada frammezzo. L’importanza di questa faglia resulta evidentemente grande da quanto dissi sin qui. La formazione di uno stretto come quello di Mes- sina è già un fatto colossale di per sé stesso, anche quando esso stretto avesse minore influenza di quella che ha sull’ economia di questa parte del Mediterraneo. Ma io vorrei dare alla faglia in questione una ben più grande im- portanza, e prolungarne F azione verso il Sud e verso il Nord, a spie- gazióne di altri fatti geologici e tellurici, che si manifestano sul suo allineamento ; o in altri termini, collegherei ad essa altri fenomeni di quel genere che si produssero in Sicilia e Calabria. In Calabria abbiamo fra Scilla e Palmi, le ripe scoscese di ter- reno cristallino che si ergono a 200 o 300 m. sul mare, quasi a picco. Andando più verso il Nord abbiamo il golfo di Gioia, e la relativa bas- sura, indi la vallata del Mesima, che separa il Capo Vaticano, formato 17 di cristallino, dalla vera catena dell’ Appennino calabrese, che è pure dello stesso terreno e che forma 1’ ossatura della penisola. La vallata invece è nei terreni miocenici e pliocenici che si trovano così a sepa- rare la massa del Capo Vaticano dalla catena principale. Fra il golfo di Squillace e quello di S. Eufemia abbiamo una bassura coperta solo dal quaternario e da porzione del terziario, mentre è interrotta la catena cristallina che riprende più al Nord, a Catanzaro. A Filadelfia abbiamo le pietre verdi, che si estendono dal S.O. al N.E., in grandi masse, e che non appaiono più al Sud. In Sicilia, abbiamo al Capo d’ Alì, nna formazione di roccie diverse scomposte, differenti da quante altre si trovano nel Messinese e in tutta l’isola. Forse appartengono al Permiano, in ogni modo si stac- cano assolutamente di quanto le circonda, e sembrano emerse in quel luogo accidentalmente, dietro un’ azione violenta, che ne ha disturbata profondamente la stratificazione. Più al S.O. abbiamo presso a Taor- mina ed all’Ovest di essa, una quantità di faglie e di rotture, e delle masse di Giurassico e di Lias, che rompono la successione già accen- nata, dei terreni triasici, liasici, e giurassici, addossati alle fìlladi. Finalmente più al Sud ancora, l’Etna, il gigante dei vulcani europei, e al di là di esso, i basalti di Lentini e di Palagonia. Accennerò dunque ad una ipotesi, senza svolgerla maggiormente. Tenendo ferma la presenza della faglia nello stretto, come causa prin- cipale della sua generazione, si potrebbe supporre che essa corrispon- desse ad una immensa fenditura della crosta terrestre quasi esatta- mente rettilinea la quale, presa dal N.E. al S.O. avrebbe prodotto i seguenti fenomeni : 1. Il distacco della catena cristallina, al Sud di Catanzaro, corri- spondente alla formazione dei golfi di S. Eufemia e Squillace. 2. L’apparizione delle dioriti e pietre verdi, fra Cortale, Filadelfia e Pizzo. 3. La formazione della vallata del Mesima, in cui si depose il ter- ziario, dopo il distacco del Capo Vaticano dalla catena principale» 4. La formazione delle coste dirupate fra Palmi e Scilla. 5. Il distacco del terreno cristallino di Sicilia da quello di Calabria e la formazione dello stretto. 6. L’apparizione della formazione d’Alì. 7. I sistemi di faglie di Taormina. 8. La formazione dell’ Etna. 9. L’ eruzione basaltica nelle provinole di Catania e Siracusa. Di tutti questi fatti, io non mi occupo che di quello riguardante lo stretto; per gli altri, dovrò ancora fare osservazioni speciali, sopra- — 18 — tutto per il tratto da Pizzo a Catanzaro, che ancora non conosco bene. Era i giganteschi fenomeni come quelli della interruzione della catena cristallina in due punti, della formazione dell’ Etna, ecc. quello che io^ invoco, a spiegazione della formazione dello stretto di Messina, è forse* il meno grandioso L Ciò dipende forse dall’aver esso interessato una grande massa di roccie compatte e reshtenti. In ogni modo, il fatto esisterebbe. Sarebbe ora opportuno di parlare della forma del fondo dello stretto anche in appoggio della mia asserzione, che esso debba essere di roccie compatte e resistenti. Dagli scandagli fatti durante le campagne idrografiche, nel 187& e 1877, dalla nostra Marina Militare, risulta che fra S. Agata e il Pizzo corre una specie di istmo sottomarino, del quale la massima profondità sotto il livello del mare, risulterebbe di 120 m. Se da questo istmo si va verso il Paro, o al Sud, verso la Lanterna di Messina, si trova che le profondità vanno rapidamente aumentando a 200 e 300 m. e più. (Y. la tavola Ia.) Le curve della profondità di 100 m. sono due e corrono lungo le coste, una vicina alla Sicilia, passa circa ad un chilometro daS. Agata e a mezzo da Canzirri: l’altra si mantiene presso a poco alla stessa distanza della costa calabrese, fra Catona e Villa S. Giovanni, indi si distacca dalla riva e si spinge oltre il mezzo dello stretto, a circa due chilometri e mezzo dal Pezzo, per poi ritornare prossima alla spiaggia di Cannitello, dove passa a 400 metri di distanza, all’ incirca. In corrispondenza del Pezzo, abbiamo dunque che il promontorio si spinge in avanti, sotto il mare, tanto da avvicinarsi alla Sicilia, e formare l’ istmo sottomarino accennato. Delle forti correnti di marea che percorrono lo stretto, non é qui il caso di parlare in modo particolareggiato ; accennerò soltanto che esse possono in certi momenti, raggiungere velocità fortissime, di me- tri 2,50 al secondo. Dalla grande velocità delle correnti, dovrebbe de- rivare una differenza notevole di livello fra l’alta e la bassa marea,, tanto più che per la forma ad imbuto dello stretto, si dovrebbe avere nella corrente ascendente, un’ accumulazione di acqua e sopraelevazione assai forte. Questo fatto non si riscontra, e farebbe già nascer l’ idea 1 Secondo le idee esposte dal prof. De Dossi nella sua Meteorologia endogena i fenomeni sismici si farebbero risentire specialmente lungo le fenditure della eroe ,ta.- terrestre in direzione parallela e normale a queste. I terremoti, del 27 aprile \' jQl risentito a Messina, Paola, Catanzaro, e del 12 e 13 marzo 1882 risentito ad Ali,, starebbero a comprovare l’esistenza della fenditura quale io l’ho indicata. — io- di una corrente sul fondo tale da compensare, se non completamente almeno in parte, quelle della superficie. Lo stretto mette in comunicazione diretta due grandi mari, il Tir- reno e 1* Jonio, rispetto alle sterminate masse dei quali, quella che può passare per la sezione dello stretto, fra S. Agata e Villa S. Giovanni, é ben piccola. Quei due mari sono certamente soggetti a pressioni ba- rometriche diverse, il riscaldamento prodotto dal calore solare, i venti che vi dominano, devono essere diversi in generale, talora differen- tissimi; certo multiple e potenti devono esser le cause che tendono a produrre movimento della massa d’ acqua dell’ uno, verso quello del- l’ altro. Tali movimenti si tradurranno forse con correnti superficiali, che verranno ad alterare il regime stabilito, delle correnti di marea,, ma quante volte invece, e sopratutto per depressioni barometriche ine- guali, non genereranno delle forti correnti sul fondo? Adam Smith, che ha scandagliato una grandissima estensione di coste ed anche di mari profondi, e la cui pratica in simili ricerche deve essere indubbiamente incontestata, dice di non aver trovato il fondo, fra S. Agata e Pezzo, con uno scandaglio gittato a profondità ben mag- giore di quella massima trovata dagli operatori italiani (120 m.). Per ispiegare un tal fatto, escludendo V ipotesi di un errore nel sistema dello scandaglio, o nella determinazione del luogo in cui si fece, bisogna ammettere che una forte corrente inferiore trasportò lo scan- daglio e lo fece notevolmente deviare, in modo da non permettere la determinazione della profondità. Ho citato questo fatto, che verrebbe in appoggio alla supposizione che sul fondo dello stretto esistano delle forti correnti. Porse le campagne idrografiche, fatte dalla nostra Ma- rina coincidevano con epoche in cui la pressione barometrica e la tem- peratura esterna, essendo eguali pei due mari, le correnti inferiori non si producevano, o erano poco intense in modo da non influire sopra i resultati degli scandagli fatti, e da non essere avvertite. In ogni modo se esistono delle correnti inferiori, e questo pare ammissibile, esse dovrebbero esercitare delle azioni sul fondo, e fra le altre, corroderlo, ove esso non fosse resistente. Anche se non esistessero vere correnti sul fondo, le acque non dovrebbero cercare un più facile passaggio, o di riversarsi, dall’ una all’altra delle due depressioni sepa- rate da quell’istmo sottomarino ? Quella barriera naturale, che sta a col- legare le due coste, sembra dunque dover esser soggetta a delle azioni tendenti a distruggerla, in ogni modo a nessuna azione tendente a for- marla o a conservarla. Se esiste questo istmo, ai onta delle erosioni cui sembrerebbe es- ser soggetto, se ne deve inferire che esso è costituito da materiali re- 2 — 20 — sistenti e relativamente compatti. Se esso esiste ad onta che non vi sieno azioni tendenti ad agglomerare i detriti lungo di esso, è evidente che esso non deve esser formato da materiali sciolti o detritici. Esso sarebbe dunque un istmo di roccia resistente, ed io ammetto che ab- bia ad esser di cristallino. Sarebbe il rappresentante della cresta, an- ticamente emersa, di cristallino, che riuniva il Campo Inglese coi piani di Mariniti, e che fu spaccata e sprofondata per la faglia. Il fatto che una delle curve di 100 m. è prossima alla Sicilia, F altra si distacca dalla costa calabrese, spingendosi nel mezzo dello stretto, concorda an- cora bene coll’ esistenza della faglia, mostrando che anche il fondo del mare presenta un brusco pendio dalla parte della Sicilia, ed una dolce acclività dalla parte di Calabria: analogamente a quanto dissi sopra riguardo al profilo della roccia cristallina nelle due parti. La faglia essendosi prodotta avanti la deposizione del quaternario, ed il mare avendo invaso lo stretto, doveva esso avere una profondità massima di in. 500 almeno, essendoché i depositi di ghiaie e sabbia raggiungono la quota di m. 380 sotto Monte Cicci, e la quota minima fra S. Agata e il Pezzo è di 120. A tali profondità, le ghiaie e le sab- bie, quali sono quelle costituenti i depositi quaternarii del Faro, scen- dono difficilmente, ma si depongono e si accumulano sulle rive, pren- dendo quelle scarpate che loro convengono. L’agitazione del mare, da sè sola, basta a mantenere quei materiali detritici sulle coste, senza permettere che scendano a tali profondità. Il fondo dello stretto, ossia la parte più depressa dell’istmo, do- vrebbe essere scoperta dai materiali deposti nelle epoche posteriori alla faglia, e presentare quindi la roccia cristallina h Nel profilo I (A A) (Y. la tavola II) che accompagna questa mia nota, ho marcato esattamente il profilo del terreno, quale risulta dalle carte dello Stato Maggiore, e dagli scandagli del R. Ufficio Idrografico. Determinati sulla carta i limiti geologici, ne ho dedotto la linea rap- presentante il più probabile contatto fra il quaternario e il cristallino senza intermediario di altri terreni. Di questi, la sezione A A non incontra che il pliocene inferiore, presso la Fiumara del Tono e sotto la pianura di Sambatello. Nella prima località, le marne a foraminifere pendono al Nord, e fanno parte del sistema terziario del versante N. del Peloro, di cui ho parlato; nella seconda, si tratta di un lembo che sta fra il cristallino e il qua- ternario, si collega coi depositi di Villa S. Giuseppe e Rosali, ma non* ha seguito verso l’Ovest. 1 Negli scandagli marcati sulle carte dal R. Ufficio Idrografico, troviamo appunto indicato roccia , sul fondo dello stretto, in quella località. — 21 — Dal profilo del fondo del mare ho dedotto approssimativamente la posizione della faglia, ed essa è marcata nella sezione indicata. In prossimità della faglia ho indicata un’accumulazione di materiali de- tritici. Essi possono non esser marcati al loro vero posto, perchè dipen- dono dalla posizione della faglia, e questa potrebbe non essere perfet- tamente esatta. Ma è certo che una faglia importante, accompagnata da scorrimento di una parte rispetto all’altra, deve essere accompagnata da tali accu- mulazioni speciali proveniente dalla frantumazione della roccia. Per la sua importanza, la faglia dovrebbe pure essere accompagnata da molte altre fenditure accessorie, paralelle o no ad essa; in tutte esse forme- ranno un sistema, ma non potendone determinare l'estensione, mi li- mito a segnare la probabile posizione della foglia principale, e il senso della sua inclinazione, non la vera pendenza del piano di scorri- mento. Al S.E. di Messina, vediamo che il cristallino da Croce Cumia, scende a Monte Cristina, a Monte Calvario, e, attraverso alla Fiumara di Bordonaro riprende sotto Monte Pietrazza, passala Fiumara di Caul- inari e si mostra a Forte Gonzaga, penetrando fino entro la città di Messina. In una nota sulla formazione del Porto di Messina, che for- ma appendice a questa, ho indicato che la generazione della penisola su cui sta la Lanterna, deve dipendere dall’esistenza di uno scoglio di cristallino, in quelle prossimità. Si avrebbe dunque una barriera cristal- lina che separerebbe il terziario di Monte Mangialupi da quello di Monte Montagna; essa, partendo da Monte Apostoli, con altitudini sempre mi- nori, sparirebbe sotto al quaternario entro Messina, indi sotto Fallu- Tione moderna, ed andrebbe poi a riattaccarsi, sul fondo dello stretto, colla grande massa del Monte Cicci, davanti Cannavoja. Questa barriera cristallina, colla catena di Monte Ariella, Colle Molimenti e Monte Cicci, formerebbe una specie di conca allungata dal :Sud al Nord, e slabbrata al N. e all’E. dal mare quaternario e dall’at- tuale. In questa conca si è deposto il terziario, che vi resta abbracciato e rialzato sui bordi. Gli strati del miocene superiore, dalla zona ges- sosa solfifera e del pliocene inferiore, pendono al N. 0. se rialzati dalla barriera cristallina Monte S. Apostoli, Forte Gonzaga, cioè alla parte orientale della conca; pendono poi al S. E. presso Collereale, S. Michele, Scala, Cammari, rialzati dalla cresta dei monti cristallini. Il pliocene superiore e il quaternario che ricoprono quei terreni in qualche punto, non danno più la disposizione a fondo di battello, ma sono perfetta- mente orizzontali. — 22 Quella barriera cristallina indicata, si doveva andare a riunire alla cresta da Campo Inglese ai piani di Matiniti. I mari terziarii l’inva- sero, stabilendo il fianco dell’isola cristallina, lungo la cresta Antenna- mare-Monte Cicci. I mari terziarii e posteriori, invadendo quel fianco, vi deposero i terreni tortoniani, messiniani, e zancleani, arrivando fino- alla barriera, ancora emersa, fra Campo Inglese e la Calabria. La faglia che lacerò questa barriera, ha rialzato un poco il fianco siciliano del cristallino, mentre, dalla parte calabrese, egli sdrucciolava lungo il piano di rottura. La linea Forte Gonzaga-Monte Apostoli, marcata dal cristallino,, rappresenterebbe la parte sollevata in modo da schiacciare fra essa e la cresta dei monti, dall’ Ariella al Cicci, le formazioni terziarie, dando loro la forma di fondo di battello, e formando la conca di cui ha parlato. 11 quaternario, ed anche il pliocene superiore, invadendo tutto lo stretto deposero i loro strati orizzontali anche in quella località. Le pen- denze che ora si riscontrano in esse, sono indipendenti dalie azioni che formarono la conca di cui parlo e dipendono esclusivamente dagli ulte- riori sollevamenti. Una piccola faglia che corre sensibilmente E-O., si riscontra pressa la Badia di S. Paola. Essa ha rigettato il calcare concrezionato con- tro il trubo, e ciò si vede bene in due valloncelli contigui. La parte al Nord della faglia tu rialzata rispetto a quella al Sud. Nella carta geo- logica, che accompagna questa nota, ho trascurato di tracciare, quella faglia, poiché di pochissima importanza. L’origine di quella rottura con scorrimento deve essere appunto effetto della compressione che subirono i terreni terziarii fra il cristallino di Monte Cicci, e quello bruscamente sollevato di Forte Gonzaga. Un fatto da notarsi è quello che il quaternario si depose ^"discor- danza col miocene e col pliocene, coll’inferiore sopratutto; la cosa è e- videntissima là dove gli strati quaternarii mantengono bene la loro o- rizzontalità. Un esempio chiarissimo si ha fra Scirpi e Catarratti, dove un lemba quaternario posa, all’O. sul miocene, all’Est sulle marne a foraminiferi, in qualche punto coll’intermedio del pliocene superiore. Il profilo N. II (B C D) è tracciato per una delle punte del Monte Cicci, la punta della collina di Ogliastri, e traversa lo stretto, per fi- nire alla regione Cotone, in Calabria. La sezione viene così a tagliare tutto il terziario di S. Jachino, e poi il quaternario di Ogliastri. Essa passa per la parte slabbrata della conca di cristallino suaccennata; il lembo di questa apparirebbe circa alla — 23 — profondità di 100 m., l’altro labbro sarebbe al vallone di Collereale; fra i due avremmo il miocene e il pliocene, a forma di fondo di bat- tello. Il quaternario coprirebbe i due terreni posandovisi in discor- danza. Il profilo N. Ili, (EFG) che passa per Monte Montagna, Forte Gon- zaga, la Lanterna di Messina, e traversa lo stretto, per finire a Samba- tei lo, taglia ancora la conca di cristallino fra la Fiumara di Bordonaro e quella di Cammari. 11 miocene forma un poco il fondo di battello, ma il pliocene, che è quasi esclusivamente del superiore, è perfetta- mente orizzontale (non tenendo conto di una piccola faglia che sta fra Monte Montagna e Catarratti). La stessa sezione traversa poi la città di Messina, entro la quale, presso al Noviziato, abbiamo ancora il cristallino, e taglia poi il porto. Per Posservazione fatta precedentemente, circa 1’esistenza di uno ■scoglio cristallino sotto alla Lanterna, ho marcato che in quel punto l’alluvione moderna posa sul cristallino, direttamente. Il quaternario di Messina passerebbe sotto al Porto e finirebbe con- tro il cristallino, sotto al Lazzaretto. Nel tracciamento dei limiti geologici, là dove non aveva dati suf- ficienti per segnarli, ho adottato il principio di marcare con linea piena quelli dei quali sono certo, e con linea punteggiata quelli più ipotetici, o dipendenti da considerazioni diverse e non direttamente dalle osser- vazioni geologiche. Un fatto riscontrato in tutti i profili fatti attraverso lo stretto, e ne feci molti all’infuori dei tre qui citati, mi aiutò molto per il trac- ciamento dei limiti fra il quaternario e il cristallino. Tutti "i profili fatti mostrano una forte scarpata nel tratto presso terra, indi un cam- biamento di pendenza del fondo, facendosi questo meno inclinato. La forma predominante, anzi generale sarebbe la seguente. Fig. 3. X* x Xx* Xx x*x* x*xXxXxX Se*-***** X X X X X X x X X X X X X X La parte AB avrebbe una pendenza maggiore di quella BC. Io ascrivo questo fatto alla maggior resistenza all’erosione, offerta dal fondo in BC, rispetto a quella in AB. Si potrebbe obbiettare a questa mia idea, in diversi modi. 1° Che il punto B è quello che segna il limite dell’agitazione pro- dotta dalle tempeste, e quindi il punto al quale si deve arrestare l’ero_ sione sul fondo. — 24 2° Che il tratto BC è pianeggiante per il deposito dei materiali- alluvionali e detritici. 3° Che la scarpata AB indica la parte di costa lambita ed erosa dalle correnti di marea. Risponderò alle due prime obbiezioni, facendo osservare che quel punto B, si trova a diverse altezze ; cosi nel profilo I, sulla costa sici- liana è alla quota -100, sulla costa calabrese a -70; nel profilo li, è per le due, rispettivamente a -100 e -30; nel profilo III, sulla costa cala- brese è a -140. Se il cambiamento di pendenza dipendesse dall’azione erosiva delle agitazioni prodotte dalle burrasche, quel punto B dovrebbe avere una quota più costante nei varii punti, e sopratutto sulla stessa costa, soggetta alle stesse tempeste e della stessa intensità. Quella varia- zione di pendenza non può esser poi legata in alcun modo colla cor- rente di marea, poiché queste sono relativamente molto superficiali, e certo la loro azione non si farebbe sentire nemmeno alla quota di -30 la minima che abbiamo per il punto B del profilo II. L’accumulazione di detriti poi, dovrebbe pure spingersi ad una pro- fondità più uniforme, ed in ogni modo resterebbe a spiegare come si potesse generare alle profondità di -100 e -140, lasciando la scarpata precedente più ripida; queste osservazioni distruggerebbero anche la 3* difficoltà che potrebbe sorgere contro la mia asserzione. Mi attengo dunque all’idea che la variazione di pendenza nel punto B, dipende dalla differente durezza e resistenza . del tratto AB e del lato BC. Mi sono valso di ciò per far passare dal punto B il limite fra il quater- nario e il cristallino, dappoiché il quaternario è più erodibile delle roccie cristalline, e, pei ragionamenti precedenti, queste si dovrebbero trovare sul fondo dello stretto. Naturalmente, i limiti segnati basandosi su tali considerazioni furono tracciati punteggiati, essendo evidente- mente ipotetici. Credo però che non abbiano a scostarsi dal vero, e ne sono tantopiù fàcilmente convinto, poiché quei limiti resultano ben re- golari e quali generalmente si presentano per un terreno che ha subito pochi movimenti, come appare per il quaternario dello stretto. Il profilo I taglia la piccola massa di pliocene inferiore, che sta sotto la pianura di Sambatello, sulla riva sinistra della fiumara di Gallico. Quella massa di marne a foraminiferi , è la continuazione di quella di Villa S. Giuseppe, e delle altre più grandi, di Rosali e della fiumara di Catona; essa deve rappresentare l’ultimo lembo del terziario che sta fra il Pezzo e Gallico. Questa parte di terziario della costa ca- labrese, è separata da quella che appare un poco più al Sud, a Monte S. Nicola, da uno sperone di cristallino, che già si vede segnato presso Gallico, e che si avanza molto anche per la fiumara di Scaccioli. Su — 25 — questo cristallino posa direttamente il quaternario, e ciò si vede bene lungo il torrente S. Biagio e lungo quello di Scaecioli, nei quali Tero- sione avrebbe dovuto mettere a nudo i terreni intermedi se avessero esistito, il terziario cbe appare poi al Sud, è rappresentato dal conglo- merato del miocene superiore, e se ne ba un piccolo lembo sulla riva destra dello Scaccioli, al Monte S. Marino, ed una grande massa sulla riva sinistra, a Monte S. Nicola. Le marne plioceniche non appaiono più al Sud, e non si ritrovano poi che sulla costa orientale, sul Jonio. Quelle che si vedono apparire fra le due fiumare di Gallico e Catona sono dunque indipendenti dal terziario che si ha al Sud dello sperone cristallino di Gallico, sperone che ricorda un poco, sulla costa calabrese, la barriera cristallina di Monte Pietrazza e Forte Gonzaga, segnata in Sicilia. Il profilo I taglia questa piccola massa di pliocene, indi il cristal- lino sottostante, poscia di nuovo il quaternario. Le marne che spun- tano a Villa S. Giuseppe, dall’altra parte della fiumara, sono sepa- rate da quel piccolo lembo, per mezzo del cristallino; mi sono cre- duto autorizzato a supporre che le marne a forami ni feri sieno limitate al N.E. della sezione, e che questa incontrasse sempre il quaternario a contatto col cristallino. Sarebbe mancata anche qualunque indicazione, per segnare del pliocene sotto al quaternario in corrispondenza del Piano d’Argillà e di Yilla S. Giovanni. La stessa sezione passa, in Sicilia, assai prossima all'ultima punta del terziario delle Masse, allo sbocco della fiumara del Tono. Ivi spunta pure il cristallino, ed ho segnato una piccola sezione di pliocene, quale ultimo sperone che va a morire fra il cristallino e il quaternario. Il profilo li taglia il pliocene inferiore a Cengrisi, allo sbocco del torrente Rosali nella fiumara di Catona, taglia poi il quaternario, e, conformemente a quanto ho detto per la sezione precedente, il primo terreno verrebbe a finire e si avrebbe un contatto diretto, ed assai vero- simile, fra il quaternario e il cristallino. Il profilo III finalmente, passa in quella regione in cui il quater- nario posa direttamente sul cristallino formante lo sperone di Gallico. Da tutto quello che precede resulterebbe, che tutto il fondo dello stretto è costituito dal cristallino. Naturalmente vi saranno delle accu- mulazioni di parti sciolte diverse, detriti, fanghi od altro, ma la vera natura geologica del fondo, dovrebbe esser di roccia cristallina. Le di- stanze fra i piedi delle scarpate quaternarie, sulle due rive, varieranno per i diversi profili segnati, e dovrebbe variare pure l’importanza del- Faccumulazione di materiali frammentari, che ho segnati in prossimità della faglia. — 26 — Cercherò ora di riferire le deduzioni tratte, all’idea di un passaggio sottomarino dello stretto di Messina. Non sarà qui il caso di mostrare l’importanza di un tal lavoro. Riunire intimamente e con modo rapido e sicuro la Sicilia colla penisola sarebbe di un’utilità assai grande sotto moltissimi punti di vista. L’at- tuale sistema di comunicazione è penoso, richiede un tempo lunghis- simo per imbarco, traversata e sbarco; richiede lo scarico delle merci dai treni, il carico sul vapore tragittante, lo scarico da questo e il ricarico sul treno dall’altra parte dello stretto. Gli stessi cambiamenti sono assai incomodi per le persone, e che diremo poi dei casi nei quali il vapore non può accostare ai ponticelli che vanno alla ferrovia, e lo sbarco e l’imbarco va fatto col mezzo delle barche? LI commercio fra la Sicilia e l’alta Italia verrà enormemente faci- litato dalle linee ferroviarie, Palermo-Messina e Reggio-Eboli ; lo scambio dei prodotti sarà più rapido, e più facile lo scambio di idee per l’ab- breviato e facilitato percorso. Se si potesse riuscire a collegare quei due punti, Reggio e Messina, con una ferrovia, quanto si guadagnerebbe ancora in rapidità, economia e sicurezza di comunicazioni? Ma io non mi spingerò a considerazioni economiche e politiche, su tali questioni non sarei competente, nè opportuno sarebbe il parlarne qui. Per la comunicazione, mediante una ferrovia, fra la Sicilia e la Calabria, abbiamo due sole soluzioni: una vera galleria sottomarina;© un tubo deposto sul fondo del mare entro il quale correrebbero i treni. Del primo fu studiato un progetto completo dall’Ing. Gabelli, e da lui fu presa l’iniziativa per riconoscere se attuabile ed al caso anche per l’attuazione di esso. Interrogato nel mese di ottobre 1881, sulla natura geologica dei terreni col quale si avrebbe avuto a che fare, diedi allora i profili geologici attraverso allo stretto, quali mi erano richiesti. Mi trovai quindi ad aver emesse le mie idee, tantopiù concretate, in- quantochè rapplesentate con sezioni ben definite. Ho creduto bene ora di esporre in iscritto, giustificare le ipotesi che mi condussero alla spie- gazione della formazione dello stretto, e al tracciarne le sezioni geolo- giche quali ora presento unite a questo scritto. Questo è quanto feci nella parte che precede. I fatti principali che vengo a stabilire sono due: 1° L’esistenza di una grande faglia, causa della formazione, dello stretto ; 2° La mancanza sul fondo dello stretto dei terreni terziari e qua- ternari che appaiono sulle coste. Dei due, l’uno è propizio alla costruzione di una galleria, l’altro vi è contrario. — 27 — La permeabilità del terreno cristallino è indubitatamente grande, ma è certamente minore di quella delle sabbie e ghiaje del quaternario, sarebbe dunque un vantaggio per la galleria sottomarina il traversare il primo piuttosto che il secondo terreno. Oltrecciò 1’ avere a che fare €on roccia in posto, solida e resistente, anziché con ammassi di materiali sabbiosi e ghiajosi, è certamente preferibile, per un lavoro di quel genere. Indipendentemente dalle altre parti dello stretto, consideriamo quella fra S. Agata e il Pezzo; ivi la distanza fra le due rive è la mi- nima, ed ivi si progetterebbe sempre la comunicazione fra la Calabria e la Sicilia, qualunque essa fosse, coincidendo pure la minore profondità di mare. In quella linea, o in altra prossima, altri 1 hanno posto sopra al cristallino, la successione del miocene superiore, del pliocene infe- riore, e del quaternario. Io mettendo che il fondo dello stretto è di cristallino, in seguito alle osservazioni indicate avanti, vengo a stabilire un fatto che dovrebbe facilitare e rendere possibile la costruzione della galleria, meglio di qualunque altra ipotesi fatta sulla costituzione geologica del fondo dello stretto. Ma davanti a questo fatto importantissimo, dell’esser la roccia so- lida quella che costituisce il fondo, abbiamo l’altro pure di grande in- teresse, dell’esistenza della faglia. Sulla presenza di essa ho citato tutte le prove che mi fu dato raccogliere, e che, ai miei occhi ne rendono certa l’esistenza. Senza di essa d’altra parte, male si spiegherebbe an- che la natura esclusivamente cristallina del fondo, per la quale non si avrebbe più che la resistenza all’erosione delle correnti sottomarine, a comprovarla. La faglia, avendo Timportanza a cui ho accennato, potrebbe non essere formala da un solo piano di rottura, ma più probabilmente, do- vrebbe constare di un sistema di rotture e fìssurazioni, il quale corri- sponderebbe a tucte le azioni che accompagnano uno sconvolgimento di quel genere. Se fosse anche un solo piano di rottura, dovrebbe esser accompa- gnato da un’accumulazione di parti frammentarie anche lungo di esso. L’acqua vi penetra allora facilmente, e forse vi soggiorna, la roccia deve aver perdute tutte le sue buone qualità in quel punto, ed essere tras- formata in un materiale detritico. E evidente che un traforo, in quella parte prossima alla faglia, o in cui si trova il sistema di fessure accen- nato, sarebbe lavoro di grande difficoltà, e perchè nasconderlo ? forse impossibile. Non mancano esempi di faglie, anche presentanti numerose 1 V. pagina seguente. 28 — fenditure accessorie, nelle quali l’enorme pressione delle parti laterali,, tiene tanto serrate le pareti in contatto da escludere qualunque idea di ulteriori movimenti, e da ridurre a nulla quasi, la parte frammen- taria e quindi la disposizione ad abbondanti penetrazioni d’acqua. Nel nostro caso, l’enorme pressione laterale non manca, ma mancheranno assolutamente le potenti vene acquifere, inserite lungo i piani di rot- tura e di scorrimento? Non potendo rispondere nè affermativamente, nè negativamente,, devo limitarmi ad esporre gli inconvenienti ed i pericoli fortissimi cbe possono presentarsi nella parte dello stretto ove passa la biglia. Po- trebbe essere cbe essi non esistessero, o si limitassero ad inconvenienti superabili; non è meno per questo che io devo accennare come resi- stenza della faglia, abbia ad essere un fatto che osteggia anziché fa- vorire l’attuazione del progettato traforo. Se con potenti mezzi si fosse sicuri di vincere forti difficoltà di quel genere, si potrebbe spingersi nell’opera, fidando però che le difficoltà rimanessero tali, senza invadere il limite delle impossibilità. La soluzione di un problema così arduo è difficile a darsi. L’attua- zione del progetto costituirebbe però un gran trionfo per il progresso;, per le difficoltà dipendenti dalla ripidità delle coste, dalla ristrettezza e profondità dello stretto, la riuscita sarebbe ammirata da tutti e da- rebbe lustro al paese nostro. Accennando alla difficoltà geologica che si può presentare, non voglio osteggiare il progetto, ma* anzi mettere in guardia contro di essa in modo che, preparandosi cogli acconci mezzi,, la riuscita sia più probabile se non sicura. Dello stretto di Messina si è già occupato precedentemente il pro- fessore Giuseppe Seguenza fino dal 1876; susseguentemente se ne occupò l’ing. Pellati, Ispettore nel R. Corpo delle Miniere, ed una carta geo- logica in gran parte fatta dal primo, in qualche punto modificata dal secondo, con una sezione geologica fra Pace e il Pezzo, figurava all’Espo- sizione di Parigi del 1878. 1 1 L' ing. Navone presentava nel 1870 un progetto di galleria sottomarina fra la Calabria e la Sicilia, come tesi di laurea, alla Scuola degli ingegneri di Torino. In quel progetto l’autore dà uno spaccato geologico lungo l’asse della galleria, dal quale- risulterebbe cbe il fondo dello stretto è formato dai terreni cristallini ; non dando egli le ragioni cbe lo condussero ad ammettere tal fatto, non posso riconoscere se esse sono fondate o meno. Nel tempo in cui preparava questa nota non mi fu dato- di avere fra mano il lavoro dell’ ing. Navone; avendolo potuto consultare più tardi ri- chiamo qui il nome dell’ autore, come un altro cbe si è occupato della geologia dello* stretto, non per osservazioni dirette, ma per informazioni raccolte, come egli stesso* dichiara. — 29 — Nelle sezioni date, il fondo dello stretto resulterebbe formato dal terreno quaternario, al di sotto di questo il terziario, rappresentato da uno o due dei suoi membri, indi il terreno cristallino, ad una grande profondità. Sia che il cristallino sia segnato come formante una conca, il cui profilo a fondo di battello fu conservato dalle formazioni successive, sia che i terreni più moderni sieno marcati in completa discordanza colle rive cristalline in modo da far pensare ad uno sprofondamento, i pro- fili degli autori suaccennati differiscono essenzialmente dal mio. I tratti caratteristici di questo, che come ho accennato nella nota precedente, sono la presenza del cristallino sul fondo dello stretto e la faglia , non sono affatto indicati nei profili degli altri. E inteso che parlo qui dei profili dal Pezzo a Ganzimi o alla Pace, quelli cioè che interessano dip- più la galleria sottomarina, la quale si troverebbe appunto tra il Pezzo e S. Agata. Gli altri profili dati da me, non possono confrontarsi con alcun al- tro corrispondente, di altro autore, poiché non conosco ne sieno stati tracciati. Le ragioni che mi hanno condotto a segnarli quali sono, stanno esposte nel corso della nota sulla formazione dello stretto. Appendice. Sulla formazione del Torto di Messina, Il Porto di Messina, non può a meno di impressionare, per la sua forma e per la sua disposizione, che lo fanno rassomigliare quasi ad un bacino scavato artificialmente, piuttosto che ad una formazione naturale quale esso è. La forma del porto si può dire circolare, ove si faccia astrazione dalle irregolarità ebe presentano sempre le coste e sopratutto quelle sabbiose. La spiaggia sulla quale siede Messina, forma l’orlo occidentale del bacino; essa ha una leggiera concavità rivolta all’Est, la tangente nel punto di mezzo della curva è sensibilmente rivolta dal Nord al Sud. Dal così detto Piano di Terranova, che forma in gran parte la spiaggia meridionale del bacino, si stacca una lingua di terra, curva, che viene a chiudere il porto, lasciando un’apertura di imbocco, larga appena 350 metri, rivolta al Nord. Se la forma interna del porto è abbastanza regolare altrettanto non si può dire della lingua di terra che lo chiude all’Est e al Nord, e in parte al Sud. Essa è stretta presso la Cittadella, molto più larga — 30 — (circa 500 metri) alla Lanterna, e si assottiglia poi al gomito che fa, in corrispondenza del Lanternino, per terminare in punta al Forte S. Salvatore \ La parte più littoranea del suolo di Messina, il piano di Terranova e il braccio di terra di cui ho parlato, sono formati di ghiaie e sab- bie, identiche a quelle che ancora attualmente si. trovano su questa costa di Sicilia, dalla punta del Faro a S. Alessio, ed a quelle che for- mano la Piana di Barcellona e Milazzo. Negli scavi fatti per il bacino di carenaggio, si trovarono delle alternanze di banchi irregolari, ar- gillosi, ghiaiosi e sabbiosi, ma ciò si spiega facilmente dappoiché i ma- teriali alluvionali dovevano esser di varia natura provenendo da loca- lità diverse. La cementazione delle ghiaie e delle sabbie è facile a spiegarsi, dato P enorme volume di marne bianche e di calcare concrezionato, che le acque hanno dovuto erodere ed asportare dai dintorni di Mes- sina, per lasciare unicamente quei piccoli lembi che si possono vedere sulla carta dello stretto. La cementazione è tanto forte, che di questo conglomerato si fecero persino delle macine da mulino. 11 cemento calcare ha unito fortemente gli elementi che sono di per sé stessi assai duri. Al Capo S. Andrea e al Capo Taormina, sulle spiaggie, col cemento calcare proveniente dai monti Basici e dolomi- tici, si generano anche attualmonte di quei conglomerati tanto duri da farne macine. Nella piana di Milazzo, vale a dire nell’istmo della penisola di tal nome, fu rinvenuta una zanna di elefante, rotta e un poco sciupata alla superficie; nell’interno però l’avorio si vede ancora ben conser- vato. E probabile che, se gli elefanti non vivevano nelle vicine parti emesse, quando si formava quell’ istmo, per lo meno quel resto vi sia stato portato durante la formazione e prima dell’emersione di esso. Non mi consta che di tali resti organici sieno stati trovati a Messina o nel piano di Terranova. Del resto la definizione geologica del ter- 1 L’antico nome eli Messina era Z anele, proveniente appunto dalla forma falcata di quella lingua di terra che abbraccia il porto. Il nome fu cambiato circa 6 secoli avanti l’era cristiana, per il seguente avvenimento. Alla seconda guerra di Messene con Sparta, caduta Ira (6G2 a C.) l’ultimo ri- fugio dei Messeni, questi si raccolsero dapprima al Monte Liceo, in Arcadia, poi, chia- mati da Anaxilao, pure Messeno e re della colonia Lorica di Leggio, vennero in Calabria. Coll’aiuto di quel principe gli Zanclcani furono vinti e soggiogati, i profu- ghi Messeni fondarono una nuova colonia, e, in ricordo della patria lontana e dis- trutta, la chiamarono Messene. — 31 — reno costituente quelle parti, è esattamente espressa dalle parole : ghiaie e sabbie dell’ alluvione moderna. Premessi questi cenni intorno alla natura delle spiaggie che chiu- dono il porto di Messina, passerei ora alla questione della sua forma- zione. Parlerò più propriamente sulla formazione della lingua di terra che chiude il porto, anziché del porto in sé stesso, perchè se quella non esistesse, naturalmente mancherebbe il porto ed inoltre la costa avrebbe il suo andamento regolare dalla Punta del Faro, fino al Capo d’ Alì, senza promontorii nè golfi. Si tratta dunque di un’anomalia, sopra questa spiaggia tanto rego- lare, ed è questa anomalìa che devesi cercar di spiegare. Parmi che una spiegazione sul generarsi di quella lingua di terra che porta i due Forti e la Lanterna, debba cercarsi in una causa co- stante, regolare, permanente, e non nelle azioni irregolari e saltuarie delle tempeste; questa causa costante sarebbe la corrente di marea,, anzi le correnti che giornalmente scendono e risalgono il canale. Le tempeste ci potranno dar ragione del trovare, fra i minuti ciottoletti e le sabbie, che formano i conglomerati, qualche grosso ciottolo, strap- pato dal fondo, e portato in alto sulla riva ; esse ci potranno spiegare qualche irregolarità nei banchi di ghiaie, sabbie e conglomerati, ma non possono esser quelle che hanno generato quella penisoletta. I venti, e le tempeste per conseguenza, non possono formare dei depositi lontani dalla costa, lasciando nel mezzo delle profondità rilevanti come quelle del porto di Messina, che, eccetto presso le coste, non sono mai infe- riori a 30 m., ed arrivano ad un massimo di 58. Nelle correnti, dunque, e nelle correnti soltanto, dobbiamo ricer- care la causa della formazione del porto. Per le deduzioni che ne do- vrò trarre, è indispensabile premettere delle osservazioni sul regime delle correnti nel porto e nello stretto. Tali osservazioni furono fatte in gran parte da me, in parte sono tolte da un rapporto concernente la campagna idrografica, fatta dal R. Piroscafo Washington nel 1877. Le mie osservazioni tendevano a procurarmi il modo di scoprire la causa generatrice della penisoletta della Lanterna. Si trattava di una causa che ha agito per molto tempo e conti- nuamente, fino a che, raggiunto un massimo di effetto, ha cessato di produrre, limitandosi a conservarlo, il banco di ghiaie e sabbie in- dicato. Per una azione così permanente, non avevano per me impor- tanza le correnti occasionali, prodotte da diversa pressione barometrica o diversa temperatura in un punto del mare piuttosto che in un altro da venti impetuosi ecc. Limitai dunque lo studio alle correnti periodiche o di marea, e 32 — riguardo a questa mi sono procurate le altre notizie dal rapporto della E. Marina. È noto che il Mediterraneo ha una marea piccolissima, e che si considera nulla nei porti come Napoli, Livorno, Genova, Marsiglia eec., ma nell’ Adriatico per esempio, la marea è più rilevante, tanto che a Venezia stessa, nella laguna, si vedono spesso delle differenze di 0,50 o 0,60 fra il livello della bassa e quello dell’alta marea. Questo fatto, di una marea più forte, è comune a tutti i bracci di mare stretti o chiusi, rispetto ai mari più aperti; è per esso, che la marea dell’ A- tlantico, sempre rilevante, arriva fino ai 14 e 15 metri nel porto di Brest, ed è fortissima nella Manica. Il canale di Messina è stretto, e si restringe tanto, verso il Faro, che la distanza minima, fra la Sicilia e la Calabria è in quel punto di soli eh. 3,500. Questo stretto fa comunicare il Tirreno coll’Jonio e col mare A- fricano, quindi è naturale che in esso, specialmente dove si restringe,, la marea sia più sensibile. Il dislivello fra le due maree, nel porto di Messina, raggiunge talvolta i 30 centimetri, essendo tal altra molto minore, e ciò dipendentemente da quelle cause che, sempre e dovun- que, agiscono sull’intensità di questo fenomeno marino. Così le correnti di massima intensità, e quindi le più forti maree, si hanno alle Sizigie , cioè alla luna piena e luna nuova, ma principal- mente in corrispondenza al plenilunio e il giorno seguente. Se poi il vento di S.B. è stabilito da qualche tempo, la corrente scendente co- mincia più presto. La corrente del flusso si chiama montante ed è diretta al Nord, la corrente di riflusso si chiama discendente , entra dal Faro e va verso il mezzogiorno. La corrente dominante prende il nome di rema dagli a- bitanti delle coste dello stretto. Quando la corrente è ben stabilita, si chiama corrente lavata. Considero prima il regime della corrente montante, poi quello della discendente; le indicazioni che darò qui, si potranno facilmente seguire sulla carta dello stretto che accompagna questo scritto. La corrente montante viene dal Jonio, e si dirige al Nord; essa comincia circa 2 ore dopo il passaggio delia luna al meridiano. La cor- rente si inflette alla Punta del Pezzo, in Calabria, ed esce dal Faro. In generale, quando questa corrente è in azione, si producono delle pic- cole correnti in senso contrario, laddove si ha un seno o un incavo nella linea della costa. Queste correnti inverse sono più o meno rile- vanti, secondo che è più o meno ampio il seno in cui si generano. Ho cercato nella carta, di manifestare la maggiore o minor importanza — 33 — delle correnti, colla differente lunghezza delle freccie che ne indicano la direzione. Gosì ad esempio, vediamo delie piccole correnti inverse nei piccoli seni formati dalle fiumare, sulla costa da Messina al Faro, ne abbia- mo una più rilevante alla Catona, una abbastanza forte a Ganzirri, che si genera fra questo paese e il Faro, una ancora più forte alla Ma- rina di Porticello, presso Cannitello; una non molto forte si produce fra la Lanterna e il Lanternino. E naturale che questa corrente mon- tante produca molte più correnti inverse di quello che vedremo fare dalla corrente discendente; essa passa per sezioni sempre più ristrette, infatti, come accennai, se fra Reggio e Galati abbiamo 12 chilometri, ne abbiamo 6 fra la Catona e la Lanterna, 4 1[2 fra il Pezzo e la Pace, 3 1[2 al Faro. Ne viene che una sopraelevazione tende a prodursi, e dove si presenta un seno, cioè un allargamento, anche piccolo, di se- zione, Facqua si riversa e genera una corrente contraria alla principale. Queste correnti inverse, tornando ad incontrare la principale, ten- dono a formare dei vortici, in generale insignificanti: i tre più grandi sono: quello del Pezzo, quello della Lanterna, e quello di Ganzirri. Questi vortici sono meno importanti di quelli generati nelle stesse località dalla corrente discendente, e sono, rispetto a questi, spostati al Sud, appunto per il fatto che la corrente ne proviene, e distrugge ap- pena le incontra, le correnti che provengono dal Nord. La corrente di flusso, o montante si determina prima in Calabria, ed arriva al Faro prima che presso Messina il flusso sia già dichiarato. Passata la punta del Pezzo, presso la costa calabrese, si generano le scale di mare che danno un movimento simile a quello generato in mare dall’elica di un vapore che va all’indietro. Dalla marina francese si spiega tale fenomeno coll’urto della cor- rente contro degli altifondi, in modo che essa si rallenta, e delle masse d’acqua, sospinte dal fondo alla superficie, generano quella forma di gorghi, disposti in serie. Alla punta del Pezzo, abbiamo bensì la con- tinuazione del promontorio sul fondo del mare, con una specie di alto- fondo, come fu accennato avanti e come si rileva dalla forma della curva di 109 metri di profondità, nella carta dello stretto. Bisogne- rebbe ammettere che la corrente arrivi a delle profondità di 80 m. almeno, se non di 100, per avere l’urto col fondo e il rimbalzo delle masse liquide. Forse le scale di mare risultano daH’insieme di tanti gorghi, formati dall’incontro della corrente montante cogli ultimi resti della corrente discendente. Nel porto di Messina la corrente, muovendo verso il Nord, esce per l’imbocco, da tutta la parte centrale. Lungo la spiaggia, dalla parte — 34 — della città, e fino a poca distanza dalla riva, si ha una piccola corrente di- scendente, un’altra più rilevante si genera per lo sbocco della corrente dal porto, dopo passato il Forte S. Salvatore, in una sezione più larga. Questa corrente, che sarà larga al più 30 m., alla punta del Forte, si genera alla zona di calma presso di questo, lambe il Forte, entra nel porto, e lungo il Lazzaretto e la Fortezza, va a congiungersi con quella che lambe la città; le due insieme si gettano di nuovo nel fi- lone della corrente del porto. La congiunzione di quelle due correnti ha luogo in faccia ai Magazzini della Dogana, e quivi abbiamo ten- denza alFinterrimento. La corrente scendente, o di riflusso, entra dal Faro circa 4 ore prima del passaggio della lana al meridiano, e si dirige verso il Pezzo; stabilita da circa due ore fra il Faro e il Pezzo, la corrente si inflette e va verso il porto di Messina, alla lanterna di S. Panieri. Giuntavi dopo circa un’ora, si rivolge verso la punta di Peggio e poi discende allargandosi e perdendo moltissimo della sua intensità; 1 al passaggio della luna al meridiano, tutto il canale è in riflusso. La corrente entra al Faro per una sezione strettissima, è spinta da tutta la rilevante massa del Tirreno, rilevante sopratutto per la sua esten- sione. Appena passato il Faro, la sezione si allarga, una corrente contraria si produce, ed abbiamo il vortice di Ganzirri, più forte che per la montante,, ma non molto pericoloso. Tale vortice è più al nord di quello prodotto dalla montante, 2 e ciò si ripete per gli altri due, la ragione essendo la stessa di quella data parlando dell’altra corrente. Al Pezzo abbiamo restrin- gimento di sezione e cambiamento di direzione; una corrente ascendente lambe la costa di Villa S. Giovanni ed abbiamo un nuovo vortice, que- sta volta molto più forte che per la marea montante. Per il restringi- mento ed il cambiamento di direzione, la corrente ha subito un rigur- gito, ed appena passata la punta del Pezzo, l’acqua si riversa da quel piccolo battente, si ha in quel punto una specie di risacca, ossia mare agitato, e fortemente se spira il vento di scirocco o di mezzogiorno, con- trario alla corrente. La corrente procede al S.O. verso Messina; lasciando un momento da canto il porto colle sue correnti speciali, abbiamo a considerare un nuovo restringimento di sezione, prodotto dalla penisoletta della Lan- terna, e cambiamento di direzione. Abbiamo dunque una sopraelevazione 1 La velocità delle correnti nello stretto, può giungere fino a 5 miglia all'ora, cioè fino a m. 2,60 al secondo. 9 La distanza segnata sulla carta è esagerata, dovendosi indicare i due vortici ben distinti; in realtà essa è molto minore. — 35 — con rovesciamento dell’acqua rigurgitata; e questo è tale che in certe stagioni, quando la corrente è più forte, essa produce il rumore di un fiume corrente sopra una rapida; in quel punto il mare è sempre agi- tato se domina la corrente scendente, ed agitatissimo se spira il sci- rocco. Nel formare quella caduta, la corrente incontra anche, presso riva, la corrente inversa formatasi lungo la costa siciliana, sempre per l’al- largamento di sezione; si produce, quasi di fronte al Lanternino, un vortice importante, poiché la corrente rimontante è abbastanza forte ; esso è talvolta fortissimo, quasi come quello del Pezzo, più di quello di Ganzirri. La corrente discendente urta dunque in parte contro il Lanternino, una parte va a formare il vortice e poi scende colla corrente principale, un’altra parte lascia una zona di calma, va a lambire il forte S. Sal- vatore, si ripiega su sè stessa e muore. Un’altro filone, proveniente dal largo, entra nel porto, arriva di fronte alla riva dei magazzini della Dogana, si biforca, una parte risale, terra terra, lambendo la città e continua colle piccole correnti di S. Francesco di Paola ecc. un’ altra parte, lungo la Cittadella e il Lazzaretto, arriva al Forte S. Salvatore, si ripiega su sè stessa e si rimette nel filone che entra, senza trovar modo di uscire. Dunque, all’imbocco, al forte S. Salvatore, una corrente entra quando la principale esce, ma nessuna esce quando entra la prin- cipale, ciò spiega la sopraelevazione sensibile per l’alta marea, ma an- che la poca differenza fra la alta e bassa marea del porto. Dalla parte di città invece, per una piccola distanza dalla riva, abbiamo sempre cor- rente inversa da quella dominante. Descritto il regime delle correnti periodiche dello stretto del porto di Messina, veniamo ora a dire come tali correnti possono aver dato origine alla lingua di terra che forma il porto. Senza dubbio, supposto che essa sparisse, le correnti -salirebbero e scenderebbero il canale colle solite correnti inverse. Sparirebbe il gorgo della Lanterna, colla rela- tiva risacca, nè si vedrebbe alcuna causa atta a riprodurre quel banco. Sembrerebbe dunque che la questione fosse ancora irresoluta e irreso- lubile. Ma, consideriamo la forma del piano di Terranova e della peni- sola della Lanterna; 1 il primo, piano ed ampio, presso la cittadella di- venta ristrettissimo, si direbbe che in quel punto abbiamo un istmo più basso ancora e più stretto della penisola. In seguito viene questa larga 1 Citiamo piano di Terranova esclusivamente la parte su cui sta là stazione della ferro via, fino alla Cittadella, quantunque a Messina tale nome si dia anche alla parte che ho chiamata la penisola della Lanterna. Si vedranno più avanti le ragioni per cui ho in- trodotto tale distinzione. 3 — 36 — -500 ra. al suo punto massimo e poi sempre più stretta fino a finire in punta; essa è pochissimo elevata sul mare, e lascia il porto esposto ai venti di S.E., N.E. e Nord, unico difetto di esso. Il piano di Terranova fu formato dalle alluvioni delle fiumare di Cammari e di Porta Legna, che sono abbastanza importanti, ma nè le alluvioni nè le maree potevano condurre i detriti a formare la peniso- letta, senza un’altra condizione. Consideriamo che in corrispondenza della Lanterna la lingua di terra è molto più larga che altrove; osserviamo che dalla grande massa cristallina di Monte Ariella, Monte Inchiosa, Monte Antennamare ecc., un contrafforte si distacca, e, in parte coperto dal miocene, appare sotto Monte Pietrazza, continua al Porte Gonzaga e penetra fino entro Messina. La Lanterna è in prolungamento di quel contrafforte, e tutto porta ad ammettere che il seguito di esso, fosse pure sotto forma di scoglio, venga a trovarsi sotto la Lanterna stessa. lo mi sento sicuro dell’esistenza di questo scoglio, senza del quale sarebbe impossibile trovare una spiegazione per la generazione del porto. Tale scoglio doveva essere sommerso, ma non dimolto, doveva avere una forma allungata dal nord al sud, fra la Cittadella e il Lanternino. Mi spingo a dire che doveva esser di cristallino, e non di conglomerati o arenarie, o di calcari per le seguenti ragioni. In primo luogo esso è bene sull’allineamento di Porte Gonzaga, Monte Apostoli, ecc., seconda- riamente, le arenarie e i conglomerati tortoniani, e il calcare concre- zionato della zona gessoso solfifera, le sole roccie dure che si riscon- trano nei dintorni di Messina non sono tali da dare uno scoglio isolato; esse sono facilmente disgregate, il conglomerato e le arenarie, perchè il cemento è siliceo e poco tenace, il calcare perchè concrezionato e poco omogeneo. Una prova di quanto dico si ha dai continui guasti che si vedono portare in queste roccie dalle acque alluvionali ordinarie. Ne consegue che di tutte le formazioni dei dintorni di Messina, il solo cri- stallino poteva dare uno scoglio, abbastanza alto dal fondo, e che resi- stesse all’azione disgregante del mare. Finalmente, nello scritto che pre- cede, ho mostrato come quello scoglio farebbe benissimo parte del lembo di una conca cristallina, slabbrata al N.E., in cui si depose il terzia- rio che ancora dimostra bene la forma di fondo di battello. In quello dei profili che taglia il porto di Messina, il III, ho supposto che dalla parte del porto, quello scoglio fosse coperto dello stesso quaternario che appare in città, restandone scoperto all’esterno. Ammessa l’esistenza dello scoglio, bisogna spiegare come l’alluvione moderna, si è spinta a collegarlo colla riva e ciò mediante un banco di forma speciale, come quello di cui parliamo. La penisola di Milazzo, — 37 — dalla città fino quasi alla Lanterna, è formata da uno scoglio cristal- lino (micaschisti e gneiss); le alluvioni dei due torrenti Corriolo e Mela, dopo aver generata la piana di Barcellona, si sono avanzate insieme, e quelle due fiumare, una all’est ed una all’ovest, hanno costituito l’istmo che ora collega il lontano scoglio di Milazzo coi monti di S. Lucia e di «C astroreale. Un fatto analogo poteva esser accaduto a Messina, però in questo caso lo scoglio non era emerso. Riportiamoci all’epoca in cui il piano di Terranova era generato fino al punto in cui ora trovasi la stazione?* poco più al largo, un chilometro circa, esistéva uno scoglio quasi a fior d’acqua. Dove ora esiste la Cittadella si aveva un canale, e il canale di S. Salvatore era molto più largo dell’attuale, direi anzi che lo scoglio essendo paralello alla riva su cui ora sorge Messina, si aveva in fram- mezzo un solo canale, continuo fra i due punti ove ora sorgono i due forti. La corrente montante deviata all’Est dalla costa, tendeva a passare all’Est dello scoglio, e a portare al Nord le alluvioni delle fiumare di Bordonaro, Cammari e Porta Legna; un piccolo filone si introduceva pel canale della cittadella, e dava in parte una corrente inversa per il seno formato dal piano di Terranova; una parte continuava al Nord. Quella corrente inversa era rinforzata dall’altra generata dal filone principale presso S. Francesco di Paola, e che lambe la città; le due insieme spaz- zavano la riva di Messina e portavano i detriti al Sud ; all’incontro col filone che entrava al corrente della Cittadella, quella corrente inversa era distrutta, abbandonava i detriti, ed interrava, prolungando il piano di Terranova. A provar questo fatto osserviamo che anche attualmente quella corrente tende ad interrare il porto, nel punto segnato da una croce, sulla carta. Lo scoglio, fra la corrente principale che lo lambiva all’Est, e il filone che si dirigeva al Nord, formava una zona di calma, s quindi su di esso si deponevano i materiali portati lungo le coste dalla corrente montante. La corrente discendente poteva portare solo pochi detriti e leggeri, dalle fiumare del Nord ; la parte che entrava nel canale com- preso fra lo scoglio e la riva, urtava contro il piano di Terranova, una parte si ripiegava ed andava a lambire la riva della città, come fa ora una parte usciva, ed una terza, distendendo i detriti della costa, li por- tava verso lo scoglio e li deponeva. Questa corrente, che ancora esiste nel porto, interra ancora nel punto segnato sulla carta. Lo scoglio dunque si andava rivestendo di materiali alluvionali che, stante la zona di calma in cui si trovavano, potevano anche cementarsi. 11 risultato era un ingrandimento dello scoglio un contedemporaneo avan- — 38 — zarsi del piano di Terranova ; ciò spiega come il canale clie passava fra mezzo si dovesse fare sempre più angusto e meno profondo, ed i detriti dovevano sempre meglio passarlo per andare a formare la penisola, Forse a quel canale corrispondeva sempre una depressione, della quale si profittò poi per fabbricare la cittadella e circondarla da fossati. Mano a mano che lo scoglio andava dilatandosi e tendeva ad emer- gere, le correnti ne conservavano la forma allungata verso il Nord: quella dell’ Est, più forte, lo lisciava, lasciando poche irregolarità nella sua linea esterna, quella interna, più debole lo lasciava dilatarsi più irregolarmente. Però la zona di calma, segnata fuori del forte S. Sal- vatore, doveva già prodursi, in forza della corrente discendente, ma forse un poco più all’Est; i materiali sospesi tendevano a depositarsi ma erano trasportati sempre più all’Ovest, dalla corrente inversa alla discendente, che saliva lambendo il Lazzaretto. Il banco pigliava una forma assottigliata e cominciava a piegare all’Ovest, ad un certo punto del suo avanzamento, cominciò a generarsi la corrente inversa della montante che vediamo entrare nel porto lambendo il Forte. Questa cor- rente secondaria, debole al principio, si faceva sempre più forte col l’avanzamento del banco e il restringimento dell’ imbocco del porto; ad un dato momento essa fu abbastanza forte per impedire l’avanza- mento di quel banco, aiutata nelle altre ore della giornata dalla cor- rente discendente che entra in porto. I detriti giungevano scarsi o non giungevano, più, fino alla punta della penisoletta, ed infatti vediamo che essa è più bassa del resto della lingua di terra; il canale di imbocco rimaneva aperto e profondo. Un sollevamento generale che fece emergere il piano di Terranova e la costa di Messina, portò ad emersione anche la penisoletta, fino allora sommersa o a fior d’ acqua, il canale alla Cittadella si chiuse, e il porto era formato. Tale sollevamento è forse lo stesso di quello che si vede segnato sugli scogli e sui promontorii calcari fra Capo S. An- drea e Giardini, ove appare chiaramente che il mare giungeva a 2,50 o 3 metri più in alto del livello attuale. Una volta emersa completamente la penisola della Lanterna, si sta bilivano definitivamente: l’andamento della corrente discendente prin- cipale, le piccole correnti che agiscono attualmente, il vortice della Lan- terna, e quindi si formava il piccolo seno fra la Lanterna e il Lanternino e si accentuava la punta sporgente su cui sorge quest’ultimo. Non pretendo di aver trovato Tunica possibile esplicazione per la formazione del porto di Messina, certo posso dire che da due anni che mi trovo sul luogo, nessuna più ammissibile di questa, a mio riguardo, mi si offerse alla mente, e che tuttora, date le condizioni di profondità Jloll. del 11. Anno 1882 Tav. 1 . I F. CORTESE ) ,.Com.geol. d' Itali; SCHIZZO GEOLOGICO dello STRETTO di MESSINA colla indicazione delle correnti marine PER. 1’ Ing. E. Cortese del R.Corpo delle Miniere Serie elei terreni 4 f tu mone moderna 'ogni con renzion.iJi f/j "" f -p :tv : SEZIONI GEOLOGICHE DELLO STRETTO DI MESSINA (Scala di 25000) Profilo I fAAJ Il P? d 'Arginila s 14; - -P ■ Profilo II ( BCDÌ Profilo Ili (EFC) ;T “ Porto c MM) „„ H c_ j : L "r1 | r ' imK' Stretto « )? Cai ■; : V V ; v'v ; v;V »W -f4 0° Stretto H • p f -> . '■* , i"01 Patena P Rosali 1 "■ mi ■ 001 tup <«f> _ 1 .JÉÌ.lì .jjmirji, - • •• • •• •• : - ; .• .• . ; ; ;/,v- * ESSI . _ E.#.* 39 — del porto e dello stretto, il regime delle correnti, la costituzione di quel banco di sabbie e ghiaie, se dovessi cercare una nuova spiegazione del fatto, mi sarebbe impossibile e ricadrei su quella ora esposta. Fi- nora nessuno ha emesso una teoria sulla formazione del porto di Mes- sina, se la mia è falsa, valga per un primo tentativo. II. Appunti geologici e idrografici sulla provincia di Salerno ( circondava di Campagna e di Vallo della Lucania) del Doti Cosimo De Giorgi. (con Tavola di sezioni) La provincia di Salerno è una delle più estese d’ Italia, come la Basilicata, e delle più importanti per le ricerche del naturalista ; e intanto è stata fin qui una delle meno esplorate e delle meno co- nosciute. Qualche studio parziale, e nemmanco recente, lo abbiamo del territorio di Salerno, e del vago anfiteatro di monti che circondano questa città, e continuano a settentrione fino alla valle del Sarno, e di alcune contrade dei due circondarli di Salerno e di Campagna, abba- stanza note peri loro fossili raccolti e descritti dal eh. Frof. Oronzo Gabrie- le Costa; ma a partire dai fiume Sete fino al capo Palinuro ed al promon- torio della Licosa non v’ è nulla, ch’io sappia, di ricerche geologiche, neppure nel Coup d'oèil sur la constilution géologique des provinces mè- ridionales du Boyaume de Naples scritto, molti anni sono, dal russo De Tchihatcheff. Questa zona ho appunto esplorato nella primavera e nell’estate del 1881 per incarico del E. Comitato geologico italiano; e di questa esplo- razione riferirò qui i risultati. Per procedere con ordine comincierò innanzi tutto dalla catena o- rografica del Monte Alburno, che fiancheggia ad occidente l’altra gran- de catena dell’Appennino lucano, sebbene non abbia con questa, a pa- rer mio e come dimostrerò, nessuna relazione nò litologica, nè geolo- gica e quindi neppure alcuna dipendenza, e sebbene formi una catena a sè, con l’asse generale paralello a quello dell’ Appennino. E qui, a scanso di equivoci per Appennino intendo coi geografi quella catena montuosa che forma il displuvio fra i tre mari Adriatico e Jonio da una parte e Tirreno dall’altra. Basterà intanto dare un’occhiata alla più recente carta geologica d’Italia, pubblicata dal nostro Comitato — 40 — geologico in occasione del Congresso internazionale di Bologna dell’an- no scorso, per persuadersi che a [questo asse centrale dell’ Appennino corrispondono terreni di epoche geologiche molto diverse e perfino al- cuni che emersero dal mare nell’ultimo periodo del pliocene. Il Monte Alburno divide le due valli del Tanagro e del Calore, en- trambi affluenti del fiume Seie, ch’è il più importante di tutta questa provincia. Traverseremo in tre punti la valle del Calore a diverse al- tezze, secondo che c’interneremo in essa, fino alle origini del fiume, e così potremo esplorare tanto il fondo della valle che le colline che sor- gono alle due sponde del fiume e si addossano su montagne molto e- levate sul livello del mare. Procedendo sempre da N. E.,versoS.O., traver- sataquesta valle, troveremo una seconda catena littoranea, meno promi- nente di quella di Alburno e paralella a questa, che si estende da Ca- paccio vecchio fino a Magliano Cilento, continua nei monti di Laurino e va a far capo nel gruppo montuoso del Monte Cervati, per congiun- gersi colle ultime diramazioni Sud-orientali dell’Alburno. Lasciata la valle del Calore a Laurino, per la gola del torrente Trienico, valicheremo il Monte Rettara e discenderemo nel circonda- rio di Vallo della Lucania e nel Cilento propriamente detto. Qui pure lo studio dei terreni riesce interessante pel geologo, sebbene le diffi- coltà delle esplorazioni crescano a mille doppii per la mancanza delle vie, per l’asprezza dei monti, che in molti tratti hanno pendenze così ripide da stancare i più intrepidi alpinisti. Comincieremo l’esplorazione dal Monte Sacro o della Madonna di Novi, e di là scenderemo nelle valli dell* Alento, della Centola, dei Mingardo e del Bussento, descrivendo i principali contrafforti che di- vidono una valle dall’altra. Daremo uno sguardo al Monte Bulgheria, che tanto orograficamente che geologicamente mi sembra non potersi riferire a nessuno dei sistemi orografici del Salernitano e forse rappre- senta un frammento di catena sprofondato nel mare fra il Cilento e le Calabrie. L’ultima escursione la faremo nel Cilento propriamente detto, cioè in quella regione che orograficamente e geograficamente si stende per la maggior parte intorno al Monte della Stella, ed occupa tutta quella zona del circondario di Vallo compresa tra la sponda destra dell’A- lento e il Mar Tirreno, ed in alto è limitata dal fiume Solofrone e dalla Piana di Pesto, anch’essa importante per le formazioni dei tra- vertini, dai quali uscirono quelle maestose colonne dei tempii di Net- tuno e di Vesta e quei massi enormi che ancora si vedono nelle mura di quell’antica città. Le difficoltà che incontra il geologo nell'esplorazione di queste con- — 41 — tracie non sono però quelle risultanti dalla mancanza delle vie e dalla frequenza dei burroni, il più delle volte inaccessibili, o dal ripido pen- dio delle montagne, ma riguardano principalmente le sue ricerche scientifiche. Per quanto grande sia la varietà delle rocce, e l’analogia di queste con quelle della Basilicata, dell’ Appennino centrale e del Gruppo appulo-garganico, e sebbene riescano piuttosto facili le deter- minazioni stratigrafiche, per altrettanto la mèsse paleontologica qui è molto scarsa, e su vaste estensioni di territorio scarsissima. Ho incon- trato però minori difficoltà qui che nella limitrofa Basilicata. Dove i fossili sono anche più rari su tutta la zona da me esplorata dove ho incontrato dei calcari, ho sempre rinvenuto tracce o frammenti di fossili o degli esemplari superbi e ben conservati. Dove invece predominano le arenarie, gli argillo-schisti o gli schisti galestrini, là mi riuscirono più ardue le indagini, e molte volte non ho potuto trovare che i resti di una flora crittogamica pochissimo sviluppata. In questi casi mi son giovato del criterio stratigrafico e di quello di analogia e lo dichiaro qui perchè essendo stata rapida e sommaria la mia esplorazione in questa estesa zona d’ Italia, non potrò molte volte pronunziarmi sull’ epoca precisa di una formazione per la mancanza del criterio paleontologico. Quindi la carta geologica di questa regione, che ho presentato al R. Gomitato geologico, non deve considerarsi che come un primo abbozzo, e dovrà subire necessariamente molte corre- zioni, quando si porrà mano allo studio particolareggiato di ciascuno dei luoghi da me traversati e dei molti che non ho potuto neppur visi- tare. Allora forse si troveranno anche i fossili in alcune delle zone sum- mentovate, e la determinazione geologica sarà più sicura. Ciò che ho* detto per la Basilicata, in gran parte da me esplorata, ho voluto ripe- terlo anche qui prima di cominciare lo studio dei terreni da me attra- versati nel Salernitano. I materiali raccolti nelle mie esplorazioni trovansi tutti depositati nel Gabinetto del R. Comitato geologico ; e le determinazioni di molti fossili sono state eseguite in parte dal mio illustre maestro il Prof. Giu- seppe Meneghini. Se la via lunga e il tempo relativamente breve asse- gnato alle mie ricerche e lo scopo di queste non mi avessero sospinto innanzi senza tregua, io avrei desiderato fare una esplorazione com- piuta di quattro luoghi, che mi parvero i più importanti pel geologo cioè il Monte Alburno e la catena parallela del Monte Soprano e di quelli del Monteforte di Trentinara e di Giungano; il Monte Sacro e il Centaurino; il Monte Bulgheria, fino al promontorio Palinuro ; e il monte della Stella e i colli adiacenti, ma indipendenti, della Licosa — 42 — del Tresino. Mi riserbo di ritornarvi quandochessia e terminare gli studii già iniziati. Oltre la parte geologica di ogni zona darò anche un breve cenno sulla relativa idrografia, cioè tanto sulle acque scorrenti in superficie che su quelle che traversano delle zone acquifere, o sono inghiottite dalle voragini o dai pozzi assorbenti, e sulle fontane naturali e sulle acque minerali. Questo studio mi aprirà la via alla ricerca delle ca- gioni che hanno influito a determinare la presente configurazione di questo lembo della penisola italiana e continuano tuttavia. Accennerò pure, ma di volo, i materiali da costruzione e le ricchezze minerarie, a dir vero molto scarse, nel suolo di queste contrade. Mentre nella parte meridionale della provincia di Salerno oggi sì vanno eseguendo molti lavori importanti per la costruzione delle due strade ferrate Eboli-Polla-Sala Consilina-Castrocucco, e Battipaglia-xAcro- poli-Rutino-Ascea-Policastro-Castrocucco, io spero che questi brevi cenni potranno riuscire utili agli ingegneri incaricati della direzione ed esecu- zione di quei lavori, i quali si troveranno senza dubbio di fronte a gravi difficoltà per frenare gli scoscendimenti del suolo e il franamento delle gallerie, specialmente nel secondo dei due tronchi summentovati. Ho detto sopra che tutti i lavori fin qui eseguiti sulla geologia di di questa zona del Salernitano si riducono a ben piccola cosa. Poche notizie e molto inesatte troviamo nell’ opera del Tchihatcheff 1 da noi ricordata anche parlando della costituzione geologica della Basilicata. Di fatto egli resta in dubbio se riferire le rocce calcaree di queste con- trade al periodo cretaceo o al giurassico, mentre sono in generale molto fossilifere e di non difficile determinazione, come vedremo. Partendo dal criterio di analogia, egli propende a considerarle piuttosto giuresi, mentre in quelle formazioni abbondano i fossili cretacei, e il giurese è invece molto limitato tanto nel Cilento che nella Basilicata, nelle Pu- glie e nelle Calabrie. Le masse giuresi che secondo il Tchihatcheff si estenderebbero da Cetraro fino al golfo di Salerno vanno tutte ringio- vanite, eccetto in qualche piccolo tratto lungo la costa del mar Tirreno. In questa opera si vede però chiaramente ohe il geologo russo non ha esplorato nessun tratto del circondario di Vallo della Lucania e di quello Campagna fra il fiume Seie e le marine di Ascea, di Policastro e di Castellabate. E perciò nella sua carta geologica tutto il Salernitano figura come giurese che, secondo 1’ A., si estenderebbe fino a Montetorte irpino a Laura, a Sarno, a Baronissi ed a Cava dei Tirreni. 5 Pierre de Tchihatcheff. — Coup la stratificazione della roccia, che sulla sponda destra è diretta da N.E. a S.O. con affondamento di 28° al S.O. Gli strati variano in altezza da m. 0,50 a 1.20; 2° il passaggio diretto dal calcare cretaceo alle are- narie mio-plioceniche addossate sul calcare. Questo calcare in alto è biancastro e poco compatto; in basso di- venta molto duro, è bruno e siliceo e contiene in copia le conchiglie o frammenti dell’ Hijopuriles cornupastoris della H. alata e della H. or- ganisans. La sua stratificazione concorda perfettamente con quella della sponda sinistra del Calore per direzione, e varia solo per la inclina- zione che da questo lato è N.E. 14° S.O., e le testate degli strati si mo- strano abbassate verso il margine libero della spaccatura. Da Controne andando a Castelcivita si costeggia sempre l’Alburno e si lascia a dritta la valle del Calore. Dopo qualche chilometro si tra- versa la collina sulla quale riposa Castelcivita, e che, sebbene divisa da un vallone dal resto dell’Alburno pure appartiene allo stesso gruppo orografico e s’innesta col monte Civita, che raggiunge quasi i 1000 me- tri sul livello marino. Si può scorgere nella sezione 5a. Nella sezione 5a tutto il nucleo di contrafforte è formato del solito calcare compatto a ippuriti, che alla base è ricoperto da un grosso banco di detrito calcareo in parte sciolto, in parte cementato. Castelcivita giace sul vertice d’un picco isolato che ha i suoi strati fortemente inclinati N.E. 40° S.O. con pendenza verso la valle del Calore. Gli strati sono in basso intercalati da piccoli sedimenti di un’ argilla cenerognola o ros- sastra, a frattura scagliosa. Presso il convento di S. Francesco, a Sud del paese, sul calcare si addossa un’arenaria giallastra che ha la stessa inclinazione del calcare ed è analoga a quella incontrata nel bacino fra Sicignano e Petina, e come questa rappresenta molto probabilmente il cretaceo superiore. Discendendo verso il Calore l’arenaria è ricoperta dalle brecce e 4 — 52 — dai conglomerati calcarei, nei quali sono scavate le trincee della via provinciale da Casteìcivita a Ottati. Proseguendo oltre verso questo paese al 11. 6 S. Giovanni torna ad affiorare il calcare compatto cretaceo colla stessa direzione e inclinazione notata sopra, ed è ricoperto dalla terra- rossa che vi forma un bel mantello e si distende fino alla base del monte. In questa ho trovato perfettamente isolate le bellissime conchiglie fossili delle ippuriti e delle caprotine. E del tutto simile a quella che ricopre le colline cretacee delle due province di Bari e di Lecce e riem- pie i seni e le spaccature delle rocce calcaree, dal disfacimento delle quali essa deriva. Quando s incontra sulle arenarie o sugli argilìo-schi- sti è sempre stata trasportata dalle acque. Si trova in copia sull’alti- piano culminante del Monte Alburno e in tutti ì crepacci verticali 'della corona del monte’; anzi essa mantiene ed alimenta quella meschina flora fanerogamica e crittogamica che vegeta a stento su quelle balze ardi- tissime. La colorazione in rosso scuro delle arenarie addossate ai cal- cari deriva il più spesso da infiltramenti delie acque ricche di sesquios- sido di ferro che forma la base di questa terra rossa. Traversata la Timpa di Aquara e discendendo verso Ottati osserve- remo rAlburno nel suo lato meridionale che guarda la fiumara della Fa- sanella, affluente del Calore, e si prolunga verso S.E. nella direzione di S. Angelo Fasanella e di Corleto. Una contrada dove si può fare una stupenda collezione di rudiste è denominata Mnr agitone delle Scarambe fra Ottati e S. Angelo. Qui rAlburno presenta le tracce di un antico scoscendimento alto circa 250 m. dal picco della via provinciale fino ^alla Grotta dell’ Avi so. Più oltre ancora nella Contrada Millicupo, prima di giungere a S. Angelo lo stesso calcare cretaceo è stratificato "N.E. 13° 8.0. e lo stesso paese di S. Angelo giace sopra uno sperone dell’Al- burno. La grotta S. Michele, a poca distanza dal paese, interessante più all’occhio dell’artista che del naturalista, ha la sua vòlta formata dalla parete inferiore di uno strato inclinato da N.E. a 8.0 , come nel resto del monte. Un’ultima sezione Pho rilevata nel colle sul quale sorge il Santuario della Madonna della Penna fra S. Angelo Fasanella e Corleto Monforte. Yi si scorge chiaramente il passaggio dal calcare compatto cretaceo a ippu- riti all’arenaria probabilmente eocenica, che si trova poi a S.O. nelle colline di Bellosguardo e di Eoscigno e corona la base dei monti cretacei di Sacco e di Corleto. L’arenaria è giallastra, quasi niente cementata e presenta delle macchie azzurrognole. Ha una stratificazione discordante con quella del calcare sottoposto che conserva inalterata la sua dire- zione da N.E, a &.O., con inclinazione di 28® verso S.O. Quest’ arenaria è divisa da straterelli di argilla con ossido idrato di ferro e d^ un’ar- gilla scagliosa contenente frammenti poliedrici di calcare compatto bianco molto probabilmente derivante dal vicino Monte Alburno. Dall’insieme dei fatti suddescritti mi pare che risulti chiaramente che la emersione generale del Monte Alburno avvenne sul finire del periodo cretaceo ed i fossili che vi si trovano in copia ( Hìppurites , Badiolites , Caprotina , Pleur otomaria, Nerinaca) mi hanno indotto a ri- ferirlo in gran parte al cretaceo medio, in piccola parte al cretaceo inferiore. Xe arenarie che abbiamo trovato nelle valli del Tanagro e del Calore rappresenterebbero invece il cretaceo superiore. Che se paragoniamo la struttura geologica del Monte Alburno con quella della Basilicata e delle Puglie, troveremo eh’ esso ci presenta una maggior simiglianza di caratteri petrografia e paleontologici con que- sti ultimi che con i primi. Mentre nella Basilicata il cretaceo con ca- rattere appenninico è prevalente, e quello con carattere alpino è limi- tato al Monte Marmo ed all’ Appennino da Muro lucano a Potenza, tutto il cretaceo che forma le più elevate colline pugliesi è costituito di solo calcare compatto a rudiste come quello dell’ Alburno, e come questo è sempre ricoperto dalla terra rossa corrispondente strati grafi- camente a quella dei monti del Carso, della Dalmazia e dell’Albania. I fossili dell’Alburno sono perfettamente identici, anche nelle specie, a quelli da me raccolti sulle colline di Martina, di Ceglie messapico, sulle Serre di Buffano e di Specchia, alla selva di Fasano, e dal Baretti sulle Murge di S. Eramo, di Gravina, di Altamura e di Minervino Murge. Pare quindi che le formazioni calcaree del gruppo appulo-garga- nico, geologicamente indipendente dall’ Appennino, interrotte nella zona mediana della Basilicata e sostituite da altre litologicamente diverse, ritornano di bel nuovo nel Salernitano al Monte Alburno, e poi traver- sata la valle del Calore, nei monti di Koccadaspide e di Felitto. Bap- presentassero queste due catene parallele un altro asse di sollevamento lungo il Tirreno, come le Murge rappresentano quello che fiancheg- gia l’Adriatico? La corrispondenza di queste pieghe di montagne nella direzione orografica generale, nella struttura litologica e nella disposi- zione stratigrafica e nei fossili che contengono, merita certamente lo studio del naturalista e del geografo, oggi che la geografia, smessi gli antichi sistemi e certe definizioni e divisioni dottrinarie, vuol es- sere illuminata dalle scienze positive, alle quali porge i primi materiali di fatto. * Due parole sulla idrografia del Monte Alburno. La speciale conformazione dell’altipiano di questo monte ci spiega T enorme volume di acqua raccolto nelle sue viscere e che scaturisce alla — 54 - base o a mezza costa di esso ed alimenta le fontane dei paesi sopra no- minati. Questo altipiano è ondulato e presenta qua e là dei rilievi e delle depressioni molto forti e spesso delle spaccature profondissime. Questi ba- cini di depressione si convertirebbero in laghi, se le acque non trovas- sero un’ uscita circolando entro le fessure del monte. E sono queste spac- cature che terminano in alto a mo’ di cavità imbutiformi, quelle che rac- colgono tutte le acque scorrenti sull’ altipiano e le inghiottono, come le voragini e i pozzi assorbenti che si trovano tanto spesso alla base e sugli altipiani delle Murge pugliesi, ovunque si determini un gomito di inflessione degli strati calcarei. Son del tutto simili ai famosi emposieux ' del Giura, descritti dal Desor, e a quelli del Carso e della Grecia. In altri luoghi le fontane sono alimentate da acque derivanti dalle pioggie e dalla fusione delle nevi e che scorrono sulla superficie degli strati calcarei fra banchi di breccie sciolte e di materiali detritici, e allora sciolgono molto carbonato di calce e divengono incrostanti e ge- nerano i travertini. Son questi i due modi generali della circolazione delle acque nel- l’ Alburno. Come tipo del secondo or descritto, citerò la fontana all’Est di Sicignano, e le altre sorgenti che vengono fuori alla base dell’ Al- burno, o a mezza costa del Monte al Groffolo; tutte ricche di sali cal- carei e incrostanti. Migliori sono invece le acque che alimentano le due fontane di Postiglione a 600 m. di altezza sul mare ; ma queste deri- vano dalle viscere del monte. La più importante di tutte le sorgenti alla base dell’Alburno è quella della Grotta dell’Àviso alla base della Costa della Difesa a 1500 m. al S. E. di Ottati. Da questa grotta esce fuori un torrentaccio che muovo molti mulini. È un vero fiume sotterraneo che sbocca nella fiumara della Easanella. Per cercare P origine di quest’ acqua, bisogna salirò sull’altipiano dell’ Alburno, alla contrada detta Lago a Lupi della Camera. Qui noteremo una serie di voragini naturali destinate a inghiottire le acque di un vastissimo bacino in cavità sotterranee. Da queste escon fuori le sorgenti con fortissima pressione. Di queste gore, una ne ho veduta anche in Contrada Pàstane, ai Sud di Sicignano poco lungi dal paese e inghiotte le acque che scendon precipitose dai fianchi dell’Alburno. Un terzo tipo, meno ancor frequente, è quello delle sorgenti che vengon fuori dai banchi di arenarie addossate sui calcari compatti, e che funzionano da zone impermeabili, come alla base del monte di Castel- Civita e nella valle del Calore. La stessa idrografia si trova nelle Murge pugliesi, soltanto in que- ste la poca elevazione sul mare non permette di aver acque fluenti in Anno 1882 . Tav. III. ( C DE GIORGI MI. del R.Com. qeol. d’ Italia. y Fiffl Sezione dalla Stazione di Sicignano al vertice del M. Alburno Fig IV Sezione da Controne al Ponte cui F. Calore . Calcare compatto bianco ippuritico f mesocretaceo ) 4reruzria giallastra / cretaceo super. } 3. Breccie e conglomerali calcarei- . 7. Calcare comparto cretaceo . 2 . Arenaria mio - pliocenica. Fig. Il Sezione dal Monte Forlogo al Monte Alburno Figr. V Sezione dal M. Alburno al F. Calore vello del Mare § •3} cu Ni :S( N % ^3 o 1 § .I4 7 Calcare compalio grigio a rudiste 2. -Arenaria cretacea- . 7. Calcare compatto ippurilico. _ 2.Arenaria miopliocenlca- 3. Conglomerati e breccie yualern-aric~ 4AGuvù?ni recenti. Fig. HI. Sezione generale del M Alburno dal F.Tanagro alla fiumara della Fasanella Fig. VI. Sezione sotto il Monte Madonna della Penna Livello del Mcu'e 7. Calcare compatto a 7iidzstey. 2. -Arenaria eocenica. Zzi. C. Virano , Roma-. DO superficie, ma soltanto corsi sotterranei. Yi si notano però anche qui le voragini che o direttamente, o traversando prima sedimenti plioce- nici e miocenici, vanno a far capo nelle spaccature dei calcari cretacei o eocenici. Il terzo tipo sarebbe rappresentato dalle acque scorrenti at- traverso i sabbioni calcarei e sulle argille turchine. Il parallelo litolo- gico e geologico, da noi fatto sopra, trova quindi il suo riscontro an- che nella idrografia tra il gruppo appulo-garganico e la catena del Monte Alburno. III. B. Lotti ingegnere nel R. Corpo delle miniere. Da qualche tempo lo studio comprensivo dei rapporti reciproci fra i rilievi continentali e le depressioni marine, non che quello della forma e disposizione dei rilievi stessi, hanno messo in evidenza alcuni fatti di somma importanza per la geologia, i quali possono essere riassunti nella seguente formula generale che riporto testualmente dal recente Traile de Geologie di A. De Lapparent, pag. 79. « Toute grande ligne de hauteurs émergée ou non, est une aréte saillante formée par l’ intersection de deux versants inégalement inclinés. Le plus abrupt plonge vers une grande depression, habituellement oc- cupèe par la mer; le moins raide s’abaisse doucement, sous la forme d’ ondulations successives, vers une dépression moins marquée, qui le plus souvent peut rester continentale. Le pied du versant abrupt est Farete en creux d’une intersection inverse de la première et dont le talus à pente moderée reusoute peu à peu jusqu’aux régions de profon- deur moyenne des océans. » A questa legge cui obbediscono tutte le grandi catene montuose del globo sembrerebbe sottrarsi il nostro piccolo ma interessantissimo gruppo delle Alpi Apuane. Può vedersi infatti nelle due sezioni trasversali ul- timamente rese di pubblica ragione *, che il punto culminante di ciascun profilo trovasi piuttosto ravvicinato alla depressione sinclinale del Ser- cliio che a quella tirrena e che l’inclinazione generale del terreno è di poco più che 6° per ambedue i versanti, limite massimo del resto, cui giungono le inclinazioni generali delle catene montuose. 1 Lotti. — Za doppia piega cf Arni ec. Boll. Geolog. 1881, n° 9 e 10. 56 — Lo stesso verificasi quasi costantemente per un gran numero dii profili paralleli condotti traversalmente alla ellissoide. Questa apparente anomalia è però facilmente spiegata, quando ri- flettasi che la legge suesposta ha la sua ragione d’essere nella genesi stessa delle catene montuose e quindi deve trovarsi verificata più .nel loro antico profilo originario che in quello attuale modificato da nu- merose e svariate cause. Se adunque, colla scorta delle condizioni geo- logiche o tettoniche del nostro gruppo, tentiamo di ricostituirne il profilo originario, troviamo che esso pure si acconcia perfettamente alla forinola generale. Ognuno potrà persuadersi di questo fatto' esaminando le due sopraindicate sezioni generali 1 ed altre pubblicate dal collega ing. Zaccagna 2 e ricostruendo, a seconda dell’ andamento delle pieghe ivi rappresentate, 1’ antico profilo trasversale delle Alpi Apuane. Ag- giungo però a schiarimento le seguenti brevi considerazioni : Gli strati, fatta astrazione dalla regione più interna per entro la quale si verificano numerose pieghe e rovesciamenti, sono costantemente più inclinati nel versante tirreno che in quello del Serchio. Nella re- gione circostante a Massa e Carrara, si hanno inclinazioni molto vicine alla verticale, specialmente nelle rocce più giovani dall’ eocene fino al trias, mentre che nella Garfagnana queste stesse rocce, salvo leggere ondulazioni, si mantengono quasi orizzontali. Le più antiche rocce paleozoiche, in strati sempre molto inclinati e frequentemente verticali, compariscono in una zona longitudinale as- sai più prossima alla depressione tirrena che a quella del Serchio., L’asse deH’anticlinale formato da queste rocce, cioè della piega mag- giore del gruppo dista dal litorale, cui mantiensi parallelo, di circa due quinti dell’ ampiezza dell’ intiera ellissoide. Queste ed altre considerazioni che più agevolmente possono dedursi dallo esame delle citate sezioni geologiche, dimostrano nel modo più evidente come anche le Alpi Apuane non si sottraggono, come poteva sembrare alla ispezione di semplici profili, alla legge sopra enunciata. La ragione per cui i profili non trovansi in accordo colle condizioni tettoniche, per appoggiare la detta legge, deve ricercarsi principalmente nel fatto che le rocce centrali paleozoiche sono costituite esclusivamente da schisti, sui quali la denudazione si è esercitata in modo che sono 1 Lotti. — La doppia p'ega ec. 1. c. 2 Lotti e Zaccagna. — Sez. geologica attraverso la regione centrale apuana; Boll. GeoL — Voi. XII, 1881. — Zaccagna. — Escursione geologica nel Carrarese , iblei. — 57 — "ben lungi dal formare essi stessi le maggiori altezze del gruppo, come richiederebbero le loro condizioni tettoniche. Son lieto di potere oggi dedurre tali interessanti conseguenze dalle nostre sezioni, già da qualche tempo pubblicate e scevre perciò da pre- concetti ordinariamente inevitabili. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. À. Cossi. — Ricerche chimiche e microscopiche su roccie er minerali et Italia (1875-1880). — Torino, 1881. L'esimio Autore, che, quale direttore del laboratorio chimico della Stazione agraria di Torino si era fino dal 1874 accinto allo studio chi mico e mineralogico delle principali rocce del Piemonte, ebbe nel 1879 l’incarico dal Reale Comitato geologico di eseguire delle ricerche chi- miche e microscopiche sulle collezioni di rocce latte a corredo della Carta geologica d’Italia. 1 risultati dei suoi lavori petrografìe! eseguiti dal 1875 a tutto il 1880 e in gran parte già pubblicati negli Atti di diverse accademie, vennero nel decorso anno per ordine del Consiglio direttivo della Stazione agraria, riuniti in questa interessantissima pub- blicazione. Nelle premesse l’Autore fa risaltare l’importanza che nelle ricerche petrograficlie ha uno studio chimico diligente e dettagliato delle rocce, accompagnato da tutte quelle indagini che contribuiscono a far ben co- noscere la natura e le proprietà delle rocce stesse, e che servono talora a stabilire differenze caratteristiche fra rocce omonime ma diverse per rispetto alla loro giacitura ed età. Espone quindi i procedimenti prin- cipali dei quali si valse nella ricerca e nella determinazione qualitativa e quantitativa degli elementi costituenti le rocce, indicando i metodi ana- litici segniti da altri chimici. Nota l’importanza di studiare il modo nei quale le rocce si com- portano sotto l’influenza scomponente dei diversi agenti, e ciò tanto per darsi ragione della loro costituzione molecolare quanto per ricavarne delle norme utili per l’agricoltura. Accenna quindi ai diversi metodi ideati per la separazione dei differenti minerali che compongono le rocce non omogenee. — 58 — Venendo ai resultati dell’ osservazione microscopica, dimostra con alcuni esempii come questa e l’analisi chimica si prestano vicendevole aiuto, notando anche qui come l’esame microscopico dei frammenti di rocce che costituiscono il terreno coltivabile, rechi grande vantaggio alle ricerche chimiche applicate alla agricoltura. Per le sue ricerche petrograficlie l’Autore ha preparate non solo delle sezioni sottili piccole per le osservazioni microscopiche, ma anche delle sezioni molto più grandi, di circa 70 cm. q. applicate su lastre di vetro, che esaminate colla lente servono a dare una idea della strut- tura complessiva della roccia meglio delle pìccole sezioni, specialmente quando essa è poco omogenea. Ad ottenere queste sezioni grandi l’Au- tore ha fatto uso di una macchina ingegnosa eseguita dietro disegno dell’ing. Berruti e ne da una dettagliata descrizione sommaria. Egli ha in questa guisa ordinata una collezione di circa 1800 sezioni piccole e 800 grandi che figurarono nel Congresso geologico internazionale di Bologna; esse si riferiscono a circa 900 rocce italiane, in gran parte for- nite dal Reai Comitato geologico. Di queste dà un elenco ordinato in gruppi. In questo volume, che ci auguriamo possa essere seguito da altri vengono descritte le rocce e i minerali seguenti: Sienite, Diorite quarzifera porfiroide, Diabase peridotica, Felspato co- rindonifero, Molibdenite, tutte del Biellese, Onkositi di altre parti del Piemonte, diverse Lherzoliti e Serpentine pure del Piemonte. Serpentine della Toscana; Eufotide dell’Isola d’Elba; Eufotidi e Serpentine di Monte Ferrato (Prato). Serpentine dell’Appennino bobbiese. Rocce serpentinose del Gottardo. Stilbite del ghiacciaio del Myage (Monte Bianco). Cristalli microscopici di rutilo nell’Eclogite di Val Tournanche. Rocce del pe- riodo silurico dell’ iglesiente (Sardegna). Predazzite periclasifera del Monte Somma. Allume potassico dell’isola Vulcano. Cenere e lava del- l’Etna (eruzione 28 maggio 1879). Rocce della Valtellina. Ollenite, roccia anfibolica del Colle dell’Ollen. Contiene inoltre una relazione dei processi impiegati per la pro- duzione artificiale della Sellaite, ed un’esposizione delle osservazioni e delle esperienze fatte per la ricerca dei metalli della Cerite. Molte di queste analisi, nelle quali l’Autore fu coadiuvato dal pro- fessore Pecile, dal dott. Zecchini e dall’ingegnere delle miniere Matti- rolo, sono accompagnate da figure delle sezioni sottili in 12 tavole cro- molitografiche ed egregiamente eseguite. — 59 — M. S. De Rossi — La Meteorologia endogena. — Tomo IL Milano 1882. Nel 1° Tomo di quest’ importantissimo lavoro, del quale fu dato cenno nel Bollettino 1879, l’egregio Autore, colle analisi sperimentate delle varie forme che possono assumere le oscillazioni del suolo, ci aveva dimostrato come le eruzioni e molto più i terremoti, variano di grado dalle grandi e disastrose commozioni del suolo, alle impercetti- bili vibrazioni telluriche. A queste ultime è in gran parte dedicato il 2° Tomo testé pubblicato. Esso è diviso in due libri : nel primo, col ti- tolo di Microsimografia, l’Autore si occupa appunto di quei terremoti vasti ed insensibili, che però si manifestano coll’agitazione del pendolo .«imografico. Comincia a tessere la storia della prima scoperta dei moti micro- sismici del suolo, moti che già avvertiti e non appurati nei passati tempi, furono dalle accurate osservazioni del Bertelli ben determinati ed ana- lizzati a mezzo dei diversi ingegnosi apparecchi da lui inventati, e che sono dall’Autore figurati e descritti. Esaminata la controversia sorta tra il Bertelli ed il Prof. Monte, Direttore dell’ Osservatorio metereologico di Livorno, sulla causa dei moti microsismici dei pendoli, che questi attribuiva a cause esteriori di vibrazione meccanica del suolo, e le diverse esperienze fatte dall’uno e dall’ altro, viene 1* Autore a parlare dei risultati di un grandissimo numero di osservazioni da lui istituite in Roma e a Rocca di Papa, e dei confronti con quelle fatte a Bologna, a Firenze ed al Vesuvio. De- scritto il metodo seguito negli esperimenti ed i fatti risultatine, espone questi in tre specchi corrispondenti a tre periodi diversi di osservazioni. Dalla discussione di questi risultati impugnati dal Monte, P Autore è -condotto a dimostrare la realtà dei moti microsismici sostenuta dal Bertelli, del quale cita diversi brani di memorie da lui dedicate a questo argomento. La sismologia per completare i suoi elementi, abbisognando di ri- cerche più vaste intorno a terremoti microscopici, era importante lo organizzare le osservazioni microsismiche in Italia, e l’Autore ci espone come egli a questo scopo d’ accordo col Bertelli proponesse si facessero osservazioni in diversi luoghi, con un unico piano e metodo generale perchè esse Rescissero paragonabili fra di loro; passa quindi in rasse- gna le norme sia per la scelta del luogo che per gli apparecchi da adottarsi, descrive varie specie di tromometri proposti, e da le nor- — 60 — me per la valutazione e la registrazione dei moti, aggiungendo poi la descrizione di varii ingegnosi strumenti grafici sismici e mierosismici da lui inventati. A ciò fa seguito una rassegna dei primi quaranta osservatorii microsismici italiani, nella quale fa conoscere i nomi di co- loro che primi si dedicarono a questi studii e descrive le condizioni locali dei diversi osservatorii. Uno degli ultimi capitoli di questo primo libro viene dall’ Autore dedicato ad un nuovo e potente mezzo di analisi, cioè al microfono ap- plicato alle indagini sismologiche. Ricordati i primi fatti die diedero origine alle ricerche microfoniche, riferisce le esperienze da lui ese- guite con questo istrumento a Rocca di Papa e quelle successivamente eseguite sul Vesuvio e alla solfatara di Pozzuoli. Dal paragone dei fe- nomeni avvertiti in queste due località e quelli pure constatati a Roma, a Rocca di Papa e nel Vicentino, l’Autore è condotto a concludere avere il microfono rivelato terremoti microscopici anche in questi luoghi, e quindi messo fuori di dubbio l’esistenza e la verità delle vibrazioni microsismiche del suolo. E qui l’Autore entra a parlare delle esperienze fatte col micro- fono messe in confronto colle osservazioni microsismiche eseguite col tro- nometro normale e col microsi mografo, e mostrando di quanta utilità sia quello strumento per siffatto studio. Il riassunto dei risultati ottenuti nelle indagini microsismologiche è argomento dell’ ultimo capo del 1° libro, ed è uno dei più importanti per le notizie che somministra sulle diverse modalità dei moti micro- sismici e loro modo di manifestarsi, sulle analogie fra i moti micro- sismici e i sismici, sulle relazioni tra gli agenti esogeni e quei feno- meni, e finalmente sugli indizi preventivi che le osservazioni microsis- miche possono dare dei terremoti. 11 secondo libro, benché non interamente dedicato alla microsismo- logia, ne completa però la trattazione, poiché coll’ esame particolareg- giato ed ordinato delle notizie e delle osservazioni sui fenomeni endo- geni italiani da modo di indagare le relazioni fra i fenomeni sismici ed i moti microsismici In esso l’Autore presenta dapprima i quadri grafici dei periodi sismici e microsismici italiani dal 1873 al 1880, nei quali sono indicati i terremoti colla loro intensità massima diurna, le curve del moto medio microsismico, le curve barometriche e quelle puteali non che tutti gli altri fenomeni più interessanti che hanno relazione con moti sismici. Di ciascun periodo fa un esame particolareggiato, deducendone conclu- sioni di grande rilievo. In un quadro numerico riassume infine tutte le date dei giorni di. — 61 — massimo sismico per tutti gli anni ai quali si riferiscono i quadri grafici, e da questo apparisce un periodo decadico fra i massimi ed un cerco indizio di periodo annuale che si manifesta in certe date preferite per ciascun mese. Segue poscia un’ analisi delle ore periodiche delle singole scosse nei periodi sismici, e questa pure accompagnata da quadri orarii com- parativi delle scosse avvenute in Italia, coi massimi microsismici osser- vati: ogni quadro rappresenta un periodo sismico. A meglio mostrare 1’ intima relazione fra i diversi centri di atti- vità endogena in Italia l’Autore viene ad un esame topografico dei pe- riodi sismici e microsismici. Espone quindi una serie di fatti sulle re- lazioni fra i terremoti e le fasi di attività vulcanica, dai quali è con- dotto a concludere che le fratture tutte della crosta terrestre italiana, sieno proprie del vulcanismo o della catena alpino-appenninica, costi- tuiscono un grande apparato di azioni vulcaniche che si manifestano con diversa intensità, in ragione diretta cioè della potenza della causa ed inversa della resistenza degli ostacoli. L’ attività vulcanica si mani- festa ordinariamente nei meati dei vulcani attivi e con grado minore in quelli senza crateri delle sorgenti termali e sulfuree fra i monti; ma quando si mostra ove non vi è traccia di forza endogena attiva, ivi il geologo riconoscerà passare una fenditura che immediatamente o mediatamente fa capo alle screpolature vere vulcaniche. Cosichè i fe- nomeni di orografia alpino-appennina si collegano col vulcanismo ita- liano, e le attuali eruzioni vulcaniche ed i terremoti non sono che la fase odierna e il complemento dei fenomeni spettanti alla emersione e formazione della penisola italiana. L’ importanza e la connessione che hanno i vulcani nei fenomeni sismici dell’ intera penisola conduce l’Autore ad ammettere che questo agente qualsiasi dei fenomeni vulcanici e sismici circola nel suolo in forma di vere correnti, ed appoggia questa sua asserzione con una serie di osservazioni da lui fatte e che egli stesso espone. La coincidenza dei fenomeni sismici con le pressioni barometriche e la temperatura e le fasi dei vulcani attivi risultanti da una serie di fatti, gli è argomento a confermare l’esistenza di queste correnti, por- tando così nuova luce a questa nuova ricerca della Meteorologia en- dogena. Nel penultimo capo di questo libro egli svolge i precetti pratici da seguirsi nelle osservazioni di meteorologia endogena, dando le indi- cazioni generali sull’organizzazione degli osservatori! sismici, propo- nendo una serie di dati da ricercarsi nello studio dei terremoti ed k mezzi opportuni alla loro determinazione. - 62 — Nell’ ultimo capo, fatto un riassunto generale dell’ opera, espone cosi i tre primi dati nuovissimi e fondamentali che derivano dall’esame della parte sismica nella Meteorologia endogena. « 1. Abbiamo cono- « sciuto nelle fratture geologiche l’apparato di circolazione del terre- ne moto e la sua meccanica azione. 2. Abbiamo appreso la sua forma « di burrasche periodiche e di correnti dinamiche; 3. Abbiamo rico- « nósciuto nelle vibrazioni microsismiche l’ intiera vita e lo svolgimento « del fenomeno sismico, del quale prima non conoscevamo che disor- « dinatamente i massimi negli inaspettati e violenti terremoti. » Qui ricordando il passo gigantesco che nelle indagini microsismiche fece fare il microfono e le prove numerosissime per esso raccolte sulla natura positivamente endogena delle vibrazioni, osserva come esso non solo riveli il fatto materiale delle diverse forme di vibrazioni terrestri, ma ci mostra ancora che esse sono la conseguenza di fughe e di ten- sione di vapori; provando così che la energia endogena risiede princi- palmente nelle reazioni delle interne accumulazioni dei gaz. Venendo all’applicazione di questi studii alla geologia osserva come i risultati geologici dell’ endodinamica contemporanea ci potranno essere di guida nell’ esame retrospettivo delle epoche geologiche, mostrando in somma essere la Meteorologia endogena un campo fecondissimo di applicazione ai più ardui problemi della fisica terrestre e della geologia. Questo volume oltre a parecchi quadri grafici e numerici presenta molte incisioni nel testo, e fa onore alla casa Dumolard di Milano che ne intraprese la pubblicazione. BIBLIOGRAFIA MINERALOGICA E LITOLOGICA per l’anno j 881. 1 Antonio D’ Achiirdi. Su di alcuni minerali della miniera del Fri- gido presso Massa nelle Alpi Apuane. — Società Toscana dì Scienze Naturali , adunanza del di 13 marzo 1881. 1 minerali qui descritti sono : Calcopirite, accompagnate da Siderite, quarzo ecc; Pirrotite, la cui composizione chimica è: Solfo 39,65; Ferro 1 Sotto questo titolo sono ricordati o riassunti quei lavori di mineralogia e litologia italiana (o di autori italiani), che non furono pubblicati nel Bollettino, o di cui nel Bollettino non venne fatto antecedentemente alcun cenno. — 63 — 58,18; Nichelio 2,17, da cui la forinola (Ee, Ni)7 Si8; — e una nuova specie la Frigidite , affine al panabase, in masse granulari, male ed incompletamente cristallizzate (cubo ed emitrapezoedri); dens. 4,8; con la composizione (così determinata dal Dott. Angiolo Eunaro) : Solfo 31,234; Antimonio 27,001; Rame 20,391; Eerro 13,369; Nichelio 7,969; Argen- to 0,36; Zinco tr; tot. 100. L’Autore propende a ritenere, (anche ammet- tendo la possibilità di altre combinazioni) che sia un’associazione di tetraedite (monometrica), e di calcopirite (dimetrica). — A. Arzruni ed S. Koch. Uber den Analcim. — Zeitschrift fur Kry- stallographie etc. B. V , 5 , 1881. E uno studio fisico, ottico specialmente, intrapreso su questa spe- cie minerale, per cui, come per tante altre, è viva la questione se il suo sistema cristallino sia realmente il regolare, oppure se i suoi cri- stalli apparentemente siano monometrici (regolari), e sostanzialmente siano costituiti da elementi di simmetria inferiore, uniti in un tutto a simmetria più alta. Il materiale studiato proviene dalle isole Kerguele, e dalle isole dei Ciclopi. La conclusione degli Autori è : che E analcime sia sostanza di per sè ed originariamente regolare, e che le anomalie osservate si debbano riferire ad azioni meccaniche che hanno indotto nella massa una dispo- sizione molecolare anormale. E. Bamberger. Beclii’s sogenannter « Picranalcim » von Monte Ca- tini. — Zeitschrift fur Krystallographie etc. VI, i, 1881. Rifatta la storia del ritrovamento e dello studio del picranalcime fatto dal Prof. Bechi, vien qui riportato un nuovo studio fisico e chimico su cristalli di questa specie provenienti dalla stessa località. Il Signor S. Koch sulla parte cristallografica annunzia che essi non hanno nes- suna differenza col comune analcime. Chimicamente il Signor Bamber- ger ha trovato: Silice 57,08; Allumina 21,51 ; Soda 13,63; Potassa 0,32; Acqua 8,32, che corrisponde perfettamente con quella dell’ analcime. Il prof. Bechi aveva dato per il picroanalcime questa composizione : Silice 59,374; 59,875. Allumina 22,083; 22,083. Magnesia 10,25; 10,00. Soda 0,45>; 0,45. Potassa 0,015 ; 0,015. Acqua 7,651; 7,688. — 64 — Domenico Basso, Dimostrazione eli una proprietà geometrica dei raggi rifratti straordinarii nei mezzi rifrangenti uniassi Atti della B. Accademia delle Scienze di Torino : Adunanza del 16 gennaio 1881. Un raggio di luce semplice cada sopra un corpo birifrangente, es- sendo la faccia rifrangente parallela all’asse ottico. Dei due raggi ri- fratti che ne risultano quello che dicesi ordinario giace sempre nel piano d’incidenza; 1’ altro, cioè lo straordinario è generalmente diretto fuori del piano d’ incidenza, eccettuato il caso in cui questo sia paral- lelo o perpendicolare all’asse. In altri termini il piano di rifrazione straordinaria, cioè il piano in cui giacciono il raggio straordinario e la normale alla faccia rifrangente, fa in generale un certo angolo col piano di rifrazione ordinaria, il quale si confonde sempre col piano d’ incidenza. — L’ angolo ora indicato gode di una proprietà, finora inavvertita, che si formula così: « L’angolo che il piano di rifrazione straordinaria fa col piano di incidenza è indipendente dall’angolo di incidenza. » Per cui variando la direzione dei raggio incidente in un determinato piano di incidenza, si sposta bensì dentro al cristallo 1 direzione del raggio straordinario, ma la proiezione di questo raggio sulla faccia rifrangente resta immobile : analogamente a ciò che succede della proiezione del raggio ordinario, la quale si confonde sempre colla traccia del piano d’incidenza. Tale proposizione è dimostrata col mezzo del calcolo. Giuseppe Basso. Studi sulla riflessione cristallina. — B. Accade- mia delle Scienze di Torino : adunanza del 13 Marzo 1881 — La memo- ria presentata dal Prof. G. Basso è divisa ne’ seguenti paragrafi : 1. Pre- liminari (Lavori di Eresnel, Cauchy, di Neumann, di Mac Cullogh, di Cornu) ; 2. Conservazione delle forze vive eteree alla superficie che se- para due mezzi trasparenti ; 3. Relazioni generali fra le velocità vibra- torie dei moti incidente, riflesso, rifratto; 4. Verificazioni: Ricerche spe- rimentali. Con questa memoria il Prof. Basso presenta non una teoria com- pleta intorno a questa sorta di fatti ottici, ma un procedimento, il quale permette di investigarne razionalmente le leggi, in casi abbastanza generali senza far uso di postulati sostanzialmente diversi da quelli ac- colti da Fresnel e sulla cui ammissibilità non si può elevare ragione- vole dubbio. Egli ha cercato modo di dare a questi un carattere di maggiore generalità così da poterli estendere ed applicare anche ai- mezzi omogenei birifrangenti. I principii su cui 1’ Autore si appoggia per giustificare la legittimità di tale estensione sono i seguenti : — 65 1° Se un raggio di luce polarizzata cade sulle superficie di un mezzo birifrangente, le vibrazioni eteree nei raggi incidente, riflesso o rifratto, sono sensibilmente rettilinee e normali al rispettivo piano di polarizzazione. 2° Il principio di continuità, inteso nel senso attribuitogli da JYesneì, è applicabile al passaggio della luce attraverso alla superficie dei mezzi bi rifrangenti. 3° Nel far uso del principio della conservazione delle forze vive si deve tener conto della densità dell’ etere, la quale può sempre esser rappresentata dall’ inverso quadrato della velocità con cui nell’etere stesso si propaga il movimento luminoso. Per conseguenza in un mezzo omogeneo ed isotropo, la densità dell’etere è la stessa in tutte le parti ed in tutte le direzioni, ma ciò non è più vero per un mezzo aniso- tropo o birifrangente. quantunque omogeneo. In mezzi siffatti, la costi- tuzione dell’ etere si deve concepire analoga al modo di struttura che si ammette pei cristalli; devesi cioè far capo al concetto del amile- lopipedo elementare che Bravais, Beer ed altri dimostrarono così fe- condo e conforme alle leggi della cristallografia. Perciò in un corpo birifrangente l’etere è distribuito in modo che le sue particelle incon- trate da una retta condotta in una direzione qualunque, sono a dis- tanze successivamente uguali ; però la distanza fra due successive par- ticelle cambia di valore col cambiar della^direzione secondo cui la retta attraversa il cristallo; 4° Il moto vibratorio che penetra in un cristallo birifrangente uniasse si scinde in due onde rifratte ; le vibrazioni che costituiscono 1’ onda ordinaria sono normali al piano in cui giacciono il raggio or- dinario e l’asse ottico; le vibrazioni dell’onda straordinaria, sono pa- rallele alla intersezione del piano di questa onda col piano passante per il raggio straordinario e l’asse ottico ; 5° Quando il moto incidente è polarizzato in un determinato piano, il rapporto fra le velocità vibratorie corrispondenti al raggio ordinario ed al raggio straordinario è prossimamente uguale alla co- tangente dell’ angolo contenuto fra il piano di polarizzazione del rag- gio incidente ed il piano di questo raggio e dell’asse ottico. Questo principio si confonde prossimamente colla nota legge di Malus ed è perciò ammissibile almeno entro quei limiti per cui la detta legge venne sperimentalmente verificata. H. Baumhauer. Ueber den Nephelin. — Zeitschrift fiir Kry stallo- graplvie etc.. VI , p. 209. Lo studio cristallografico, ottico e dei fenomeni di corrosione sui — 6G — cristalli di questa specie provenienti dai proietti calcarei del Vesuvio ha condotto 1* autore alle seguenti conclusioni : 1° I fenomeni che si manifestano alla corrosione dei cristalli di nefelina per mezzo dell’ acido fìuoridico (o del cloridrico) e tanto le figure quanto le faccie di corrosione concludono decisamente per la esistenza della emiedria piramidale (e respettivamente della trapezoe- drica) in unione all’ emimorfismo secondo l’asse principale; 2° I cristalli di nefelina sono sempre geminati e precisamente predominano due leggi; piano di geminazione secondo so P 2; e piano di geminazione OP. Questa geminazione produce una quadruplice po- sizione delle figure di corrosione, amlogamente a quanto avviene nella quadrigeminazione del quarzo. Luigi Bombicci. Nuovi studi sulla poligenesi dei minerali. Parte se- conda. — Memoria letta all' Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna , il 23 Dicembre 1880. (Pubblicata nei 1881). L’ argomento svolto in questa seconda parte è riassunto nel seguente sommario : Due nuovi fenomeni di cangiamento nello stato fisico dei solidi : 1° liquefazione prodotta in un cilindro d’ acciaio, a freddo, da un disco che vi gira dappresso senza toccarlo. Cenno descrittivo della macchina di Reese detta a disco fondente. Obiezioni alle idee espresse sul fenomeno della fusione apparente, a freddo: spiegazione basata sulla induzione ma- gnetica fra il disco e il cilindro rapidamente giranti in presenza V uno dell’altro, proposta in vece di quella che farebbe derivare il fenomeno dall’aria proiettata dal disco sul cilindro; 2° Riscaldamento sopra 100" C. di pezzi di ghiaccio senza fusione rapida, ma con evaporazione sen- sibile, ottenuta in uno spazio ad aria molto rarefatta. Esperienze del Carnelley sul passaggio dei solidi allo stato liquido, in ordine alle pres- sioni del mezzo gassoso nel quale si trovano. Continuazione della rasse- gna degli stati fisici complessi della materia inorganica. — Allo- tropie. — Isomerie. — Solidità poligenica nei cristalli e nelle masse cri- stalline. Luigi Busatti. Alcuni minerali dell’ Elba. Società Toscana di Scienze Naturali : adunanza del dì 8 Maggio 1881. I minerali descritti provengono da Rio, Elba; e sono: Farmacosiderit.eì verde tendente al giallo, in forma di cubi ; tetraedri ed emiicositetraedri, che riveste la limonite.. Manca l’analisi quanti- tativa. Dufrenite in piccole masse sferoidali, brune a contorni verdastri a struttura fibrosa. Determinata solo qualitativamente. — 67 — Limonite bruna in forma mammellonare, a struttura fibroso-radiata. Peso sp. 3,83-3,89. Pirolusite in esilissimi aghetti intrecciati a modo di feltro; o in masserelle bacillari fibrose, nelle cavità della limonite cellulare. Un prisma isolato dalla massa bacillare mostrò una forma trimetrica, colla base, e dubitativamente il pinacoide 010. Arsenicopirite : completamente convertita in limonite, e solo rico- noscibile per la forma e particolarità cristallina. Maurice Chaper. Sur le gisement de la dawsonite de Toscane. — Bulletin de la Societé minèralogique de France \ A. 1881, p. 155. s L’ autore completa le nozioni che in una nota antecedente il si- gnor Priedel (Bull Soc. Minèr • Fr. 1881, p. 28) aveva comunicate. La Dawsonite sarebbe stata ritrovata nelle fessure delle roccie marnose che si trovano in parecchi altri punti, e particolarmente in tutta la regione dei torrenti Siele, Zolfarata, Senna, rimarchevole per l’abbondanza del cinabro. Arnaldo Corsi. Sul polluce elbano. — Rivista Scientifico-Industriale, Anno 1881, pag. 254. — Firenze, 1881. E una breve nota sulla forma cristallina di alcuni belli esemplari di polluce recentemente trovati a Grotta d’Oggi, (S. Piero in Campo, Elba) dal doti G. Poster. Le forme osservate sono: cubo, icositetraedro (211); rombododecaedro, forma nuova: e dubitativamente un tetraesae- dro (210). Alfonso Cossa. Sulla stilbite del ghiacciaio del Myage (Monte Bianco). — R. Accademia dei Lincei : adunanza del 2 gennaio 1881. La stilbite si trova ad un’altezza di m. 3700 su una spaccatura del gneiss. Già Alfonso Favre l’aveva ritrovata insieme ad altri minerali. Lucentezza vitrea; perlacea sulla sfaldatura. Dr. 3,5, Peso sp. 2,14-2,18. L’analisi diede : (Teorico) Acqua 18,28 17,23 56,47 57,41 19,09 16,43 7,74 8,93 tr. — Silice Allumina Calce Soda — 68 — Alfonso Cossa. Sulla Ollenite, roccia amfibolica del Monte Ollen. — lì. Accademia dei Lincei. Transunti. 1880-81. La roccia consiste di attinolite, in cui sono racchiusi numerosi cri- stalli microscopici di rutilo, epidoto incoloro e titanite. Alfonso Cossa. Ricerche chimiche e microscopiche sulle rocce e mi- nerali d’Italia. Torino, Bona, 1881. 11 prof. A. Cossa ha raccolto in un grande volume i suoi lavori di chimica e mineralogia sulle rocce italiane, i quali egli ebbe a compiere sia in causa del suo ufficio come direttore del laboratorio chimico della Stazione Agraria di Torino, sia per incarico del Comitato Geologico che gli affidava altresì la creazione di un nucleo di lavoratori nel campo della petrografia. Alcuni dei lavori raccolti nel volume sono già stati pubblicati ; al- tri sono nuovi; di tutti vien qui riportato l’elenco, che è quindi buon testimonio dell’attività di quella stazione agraria. Conviene però notare che non è la meno interessante parte del lavoro, la prefazione; in cui sono indicati i metodi seguiti nelle ricerche analitiche; e che grande valore hanno le tavole in litografia e cromolitografìa per la illustra- zione di varie sezioni osservate, e degli spettri d’assorbimento che al- cune di esse manifestano. I varii capitoli trattano dei seguenti argomenti: Sienite del Biel- lese. — Diorite quarzifera porfiroide di Cossato (Biella). — Diabase pe- ridotifera di Mosso nel Biellese. Feldispato corindonifero del Biel- lese. — Molibdenite del Biellese. — Onkosite del Piemonte. — Produzione artificiale della Sellaite. — Lherzoliti del Piemonte. — Serpentine del Piemonte. — Serpentine del littorale toscano e dell’isola d’Elba. — Massa serpentinosa di Monteferrato (Prato in Toscana). — Serpentino dell’Ap pennino Bobbiese. — Rocce serpentinose del Gottardo. — Stilbite del ghiacciaio del Myage (Monte Bianco). — Cristalli microscopici di rutilo nell’eclogite di Yal Tournanclie. — Rocce del periodo silurico nel terri- torio d’Xglesias (Sardegna). — Predazzite periclasifera del Monte Somma* — Allume potassico dell’isola Vulcano. — Cenere e lava dell’Etna (eru- zione del 28 maggio 1879). — Granato verde di Yal Malenco (Valtel- lina). — Rocce della Valtellina. — Ollenite, roccia amfibolica del Colle dell’Ollen. — Diffusione dei metalli della cerite. A. Daaiour. Nouvelles analyses sur la jadéite et sur quelques roches sodifères. — Bulletin de la Societé minéralogique de Fra /ce, A. ISSI, p. 157. 69 — Fra le analisi di varii esemplari ve ne sono tre che si riferiscono a campioni trovati in Italia. — Esse sono : (L) (O) (P) Silice 58,51 55,82 56,74 Allumina. . . 21,98 10,95 10,02 Ossido ferrico . . 1,10 5,63 4,69 » cromico. — — 0,03 Calce 5,05 13.42 14,00 Magnesia. . . . 1,70 9.05 9,1 Ó Soda 11,84 6,74 5,40 Potassa .... tr. tr. tr. . 100,18 101,66 99,98 Densità 3,35 3,22 3,32 L’analisi (L) fu eseguita su un campione della collezione Pisani, e che portava un’etichetta: Gruner Jaspis oh M. Viso in Fiemont ; che invece ha tutti i caratteri della giadeite. L’analisi (0) su una roccia verde, cristallina, dura e fusibile come la giadeite, raccolta in posto presso S. Marcello in Piemonte, in un filone sottile nella quarzite bianca. L’analisi (P) si riferisce ad un pezzo proveniente dalla Yal d’Aosta, in ciottoli sulla strada da Aosta al piccolo S. Bernardo. Esso è verde erba; a struttura cristallina, e fibrosa. Densità, fusibilità, durezza simi- lissime a quella delle giadeite. A. Daubrèe. Substances cristallines produites aux dépenses de me- dailles antiquesimmergées dans les eaux thermales de Baracci, Com. d’Ol- nieto (Corse). — Comptes Bendus, 92, Janvier 1881. Insieme a prodotti di sulfurazione, vi si scorgono cristalli che sono costituiti da stagno, rame e zolfo. C. Doelter. Krystallographisch-chemische Studien am Yesuvian. — Zeitschrift fur Kristallographie. A. Y, p. 289. Fra le varie località che hanno dato il materiale di studio sono ci- tate quelle di Ala e del Vesuvio. La conclusione della parte cristallografica, — 70 — è secondo l’Autore, che le differenze fra i valori angolari che dovreb- bero essere uguali non sono di tal natura da lasciar supporre che la vesuviana non sia dimetrica. H. Foerstner. Ueber Cossyrit, ein Minerai aus den Liparit-laven der Insel Pantellaria. — Zeitschrift fur Krystallographie, etc. Y, p. 348. Una notizia sufficiente di questo amfibolo triclino si trova nella nota di Foerstner, Bull. Com. Geol. 1881, pag. 530. C. Friedel. Sur un nouveau gisement de Dawsonite (hydro-carbo- nate d’aluminium et de sodium) et sur la formule de ce minèral. — Bulletin de la Societé mirièralogique de France , 1881, pag. 28. Il nuovo giacimento è a Pian Castagnaio (Toscana), ed è un’ are- naria quarzosa dolomitizzata, talvolta argillosa. Nelle fessure di questa roccia si trova il minerale in piccoli fiocchi bianchi o grigiastri, fibroso- radiati. L’analisi ha dato; Allumina 36,25 — 35,53; Soda 19,17 — 19,00; Acido carbonico 29,52 — 28,67; Acqua 12,00; Magnesia 1,39; Calce 0,42. La formula assegnatagli dall’Autore è: Al, {CO, Nafi {OH)4 Luigi Gambari. La miniera ferrifera del Forno Yolasco. — Bivista Scientifico-Industriale — Firenze, A. 1881, p. 212. La miniera prende nome dal villaggio omonimo, mandamento di Gallicano, provincia di Massa e Carrara. Fu coltivata dagli antichi, poi abbandonata ed ora pare che si debba avviare a nuova prosperità. Il giacimento è un filone-strato fra i talcoscisti e il calcare, con salbanda di argilla e pirolusite : è costituito da magnetite più o meno alterata localmente in limonite; inquinato da pirite bianca. Un’analisi diede 65,10 0/o di ferro metallico. Un’ analisi completa del prof. Orosi diede: Protoss. di ferro 26,25 Sesquioss. di ferro 57,18 Silice 6,60 Pirite 1,71 Allumina 0,28 Carbonato calcare 6,95 Ossido di manganese 0,75 Solfo determinato direttamente 0,28 Fosforo e rame tr. — 71 — Giuseppe Grattarola. Mineralogia generale secondo J. D. Dana, 1868. Quadro sinottico di tutte le specie minerali conosciute fino a tutto settembre 1881. — Tipografia II Giusti. Firenze, 1881. Giuseppe Grattarola. Guida e pianta del museo e laboratorio di mineralogia nel R. Istituto di studi superiori, pratici o di perfeziona- mento in Firenze. — Firenze, Tip, successori Le Monnier, ottobre 1881. È una pubblicazione fatta per comodo dei visitatori di questa parte dell'Istituto recentemente trasportata e sistemata nella nuova sede, piazza S. Marco, n. 2. Le materie contenute in questa pubblicazione sono : I. Cenni storici sull’istituzione e sull’insegnamento della mineralo- gia nell’Istituto di Firenze. 1. Istituzione e progresso delie collezioni mineralogiche. 2. Insegnamento della mineralogia. II. Notizie sulle condizioni e sull’ordinamento della mineralogia. 1. Museo. 2. Laboratorio. III. Cenni sulle varie collezioni. 1. Collezione litologica generale. 2. Collezione litologica applicata (pietre lavorate). 3. Collezione mineralogica generale in ostensione. la classe. Elementi nativi. 2a » Solfuri. 3a » Cloruri. 4a » Fluoruri. 5a » Ossidi. 6a » Idrocarburi. 4. Collezione mineralogica generale fuori ostensione. 5. » » italiana. 6. » dei prodotti minerari italiani. 7. » per l’insegnamento. 8. » Targioni. 9. » Demidoff. Duplicati per cambi. IY. Laboratorio.. Biblioteca — Cataloghi — Collezioni d’insegnamento — Strumenti — Sala delle operazioni analitiche — Sala delle bilancie — Sala della pre- parazione dei minerali e roccie — Sala dello spettroscopio — Sala del goniometro. Y. Lista dei donatori. — 72 — K. Haushofer. Ueber das Verhalten des Dolomit gegen Essigsàure. — Sitzungsberichte der Akademie des Wissenschaften. Miinchen, 1881. pag. 220. Fra le varie dolomiti studiate è citata quella del Monte Somma ; essa contiene 58,86 0/0 di carbonato calcare, 38 0/0 di carbonato ma- gnesiaco: 4,80 0/0 di carbonato ferrico: è finamente granulare, bianca come la neve. Arnold von Lasaulx. Mineralogische Notizen. Ueber einige àtnài- scbe Mineralien. — Zeitschrift fur Krystallograpliie eie. V, 4, 1881. La prima parte di queste notizie Mineralogiche rende conto dei se- guenti minerali. 1. Cielopite. Scoperta e primamente'descritta da Sartorius von Wal- tershausen e da lui riferita ad un feldispato. Secondo Eammelsberg essa sarebbe da riportarsi alla mejonite. I suoi cristalli si presentano come tavolette rombiche, assai pic- cole, con apparenza triclina, poligeminati come i plagioclasi in gene- rale. Durezza circa 6; Densità (col metodo dei joduri di mercurio e di potassio) — 2,682. L’analisi di Sartorius diede: Silice 41,45; Allumina 29,83; Ossido ferrico 2,20; Calce 20,83; Magnesia 0,66; Soda 2,32; Potassa 1,72 ; acqua 1,91; totale 100,92. La cielopite si trova nelle druse delle dolerite delle isole dei Ci- clopi presso Trezza (Etna) in tavolette innumerevoli, accompagnando l’analcime. 2. Analcime. L’ analcime dell’ Etna, è troppo conosciuto per ripor- tare qui lo studio dell’Autore. E invece conveniente notare che l’Au- tore spiega le anomalie ottiche dell’ analcime non già coll’ ammettere riunioni regolari di elementi birifrangenti e biassici, ma supponendo azioni meccaniche che agissero opportunamente in direzioni particolari. 3. Mesolite — Natrolite — Thomsonite. 4. Ilerschelite. Di questa specie è fatto uno interessante studio ot- tico-cristallografico. G-. La Valle. Studio cristallografico di due cloroplatinati del D. Ciamician. — R. Accademia dei Lincei , maggio 1881. I due composti studiati hanno per formula: (C5 H4 CI N. H Cl)2 Pt Cl4 + H2 O (C5 H10 CI N. H Cl)2 Pt Cl4 -h H2 O 73 — I due composti sono ambedue monoclini; il primo con le costanti a: b: c == 1,1966: 1: 1,1718; B = 70° 12'; il secondo a: b: c = 1,2093: 1: 1,0938: B = 66° 4' 48. Domenico Lovisato. Sopra gli strumenti in selce di E. Fischer. — Traduzione con aggiunte. — Sassari, Chiarella 1881. Dopo una breve introduzione è data la traduzione del lavoro del valente petrografo, rendendo così un servigio non lieve alla etnografia e petrografia italiana. Nell’ aggiunta, il traduttore passa in rassegna i lavori del Prof. Pantanelli. Domenico Lovisato. Cenni critici sulla preistoria calabrese. — R . Ac- cademia dei Lincei ; Seduta del 3 aprile 1881. Dato un rapido cenno della collezione di roccie e minerali rac- colta nella Calabria da Leopoldo Pilla; di alcuni oggetti importanti pel suo studio, conservati a Roma nel Museo Kircheriano, e compene- trato della necessità di determinare di pianta buona parte del mate- riale e di correggerne un’altra parte ; lamentato che i migliori esem- plari litici preistorici trovino loro esclusivo spaccio all’estero dove sono comprati a caro prezzo, l’Autore dà in principio la descrizione di alcuni oggetti preistorici che in una sua antecedente memoria aveva lasciato indeterminati; e si occupa in seguito col rendere conto dello studio fatto su 68 nuovi pezzi, mentre annunzia che altri, non ancora deter- minati, faranno oggetto di un’altra pubblicazione. Di questi 68 esem- plari, 49 sono di roccia dioritica, nelle rimanenti 19 sono rappresen- tate le seguenti roccie (o minerali) : scisto amfibolico, scisto argilloso, verde antico, tremolite, eclogite, giada, nefrite, fibrolite, saussurite, ser- pentina, cloromelanite. 11 resto della comunicazione è una rivista cri- tica e polemica di pubblicazioni di varii autori, la quale conclude colla sentenza che la cloromelanite, la giadeite e la nefrite sono esotiche per tutta Italia, anzi per l’Europa intera, e che in altre parti del mondo dobbiamo rivolgere lo sguardo per la loro provenienza. Pantaleone Lucchetti. Un amfìbolo senza magnesia. — Memorie dell' Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna ; Adunanza del \7 feb- braio 1881. Studiando un porfido amfibolico della provincia bergamasca, l’Autore ha determinato la natura singolare dell’amfibolo che caratterizza quel porfido. — Tale amfìbolo ha tutte le caratteristiche fisiche e cristallo- grafiche della specie, ma non la composizione la quale (media di due analisi) è la seguente: silice 36,775; ossido ferroso 22,892; id, ferrico — 74 — 14,463; allumina 15,130; ossido di manganese, tracce; calce 5,144; ma- gnesia 0,928; soda 3,998; potassa 0,417; perdita 0,253; totale 100.000; peso specifico 3,075. Sebbene si accosti per qualche rispetto aH’arfvedsonite, pure questo amfìbolo ne é ben distinto ; per cui l’Autore gli da un nuovo nome : Ber- gamaschi. Pantaleone Lucchetti. Il gruppo naturale in mineralogia ed il dimorfismo in accordo colla legge del Mitscherlich. — Memorie del- V Accademia delle Scienze dell' Istituto di Bologna: adunanza del 17 feb- braio 1882. Prendendo occasione dal ritrovamento di un antibolo senza ma- gnesia (bergamaschite) l’Autore fu indotto a studiare i gruppi naturali in mineralogia, e particolarmente della specie mineralogica. — Richia- mando la definizione della specie, data dal prof. Bombicci (l’insieme dei corpi naturali inorganici in cui alla parità di comportamento fisico si associa la costanza della chimica composizione), alle quali ultime parole egli sostituirebbe « la costituzione chimica conforme »; richiamando la legge dell’isomorfismo del Mitscherlich, che l’Autore tradurrebbe « I corpi, che hanno la molecola costituita da egual numero di atomi iso- valenti, sono dotati delle stesse fìsiche proprietà » ; e ricordando infine che la più grave objezione alla legge dell’ isomorfismo è il fatto del dimorfismo, l’Autore comincia intanto a togliere questo ostacolo. Egli ritiene che vadano errati coloro che attribuiscono il dimorfismo ad una diversa distribuzione degli atomi della molecola; poiché ogni tentativo per arrivare a questa diversa distribuzione rimane senza esito; e pro- pone invece che debbano essere aumentati gli Atomi costituenti per arrivare ad una distribuzione diversa. Così un carbonato calcare CaO C02, avrebbe per simbolo della sua molecola O II C / \ O 0 \ / Ca — 75 — che rimane uguale se il numero degli atomi non varia; mentre si avrebbe im altro carbonato calcare colle stesse proporzioni centesimali degli elementi colla formula O il c X \ 0 o X Ga \ 0 \ Ca X 0 X II o E se il primo carbonato calcare è per es. calcite, il secondo sarà aragonite; o reciprocamente. E così estendendo a casi analoghi il fatto del dimorfismo o poli- morfismo ridotto ad un caso di polimeria , (fatto comune nella chimica organica) quello non potrà più offuscare la chiarezza della legge di Mitscherlich. Così non si potrebbe più dire che lo stesso corpo si pre- senta in forme (oppure ha proprietà fisiche) differenti; perchè la mo- lecola del carbonato di calcio calcite , non ha la più lontana rassomi- glianza con quella del carbonato di calcio aragonite , e dovrebbero •essere segnati con simbolo differente. — In tal modo la specie avrebbe un significato più esteso e nello stesso tempo più preciso. Carlo Marinoni. Sui minerali del Friuli. — Annuario Statistico per Za Provincia di Udine. — Udine, 1881. Francesco Mauro e Buggero Panebianco. Biossido di Molibdeno. — B. Accademia de Lincei : Seduta del 5 giugno 1881. E una Memoria essenzialmente chimica; ma che interessa da una parte la formazione dei minerali o composti chimici cristallizzati; e dall’altra è uno studio cristallografico dei cristalli ottenuti. I cristalli sono dimetrici: c — 0.5774. — Le forme osservate sono: 110, 100, 510, O01, 101, 201, 301, 401, 111, 332, 221, 311, 312; 532, 411. Francesco De Memme. I ferri titanati e le sabbie magnetiche della Liguria. Giornale della Società di Letture e Conversazioni Scientifiche di Genova. — Genova 1881. 76 — L’Autore, riferite le definizioni della specie date da Bombicci, Dana, Girard; le sue forme cristalline; le formule chimiche adottate nei varii trattati; citate le località italiane ove furono ritrovati ferri titanati, studia se le sabbie della Liguria, citate da alcuni come giacimento di ferro titanato, lo siano realmente. Egli ha trovato che la sabbia rite- nuta come ferro titanato è fortemente magnetica, solubile parzialmente neH’HCl ; peso specifico assai prossimo a quello della magnetite. Le altre ricerche non lasciano all’Autore nessun dubbio che si tratti di vera magnetite, nemmeno titanifera; ma solo qua e là inquinata da titanio. — ■ Il giacimento originale di questa magnetite è uno schisto micaceo, grigio argentino, al di sopra di Pegli, a destra di Yarenna. Dante Pantanellt. Su alcune rocce della Montagnola Senese. — Società Toscana di Scienze Naturali: adunanza del 13 marzo 1881. Le osservazioni microscopiche di cui è parola si riferiscono a rocce delle serie comprese fra le anageniti triassiche ed il calcare ca- vernoso. Tali rocce sono: anageniti, fìlladi, marmi, calcari schistosi, calcari cavernosi. Dante Pantanellt. Note di micropaleontologia e di micropetrogra- fia. — Società Toscana di Scienze Naturali : adunanza del dì 8 maggio 1881. Sono studiate le rocce eoceniche del Chianti, cioè il calcare scre- ziato e nummulitico, le arenarie, gli alberesi, i calcari marnosi e le terre rosse del Senese. , Dante Pantanelli. Bocce della Sardegna. — Società Toscana di Scienze Naturali: adunanza 3 Luglio 1881. — L’Autore ha studiato tre rocce in cui erano stati rinvenuti trilobiti. Una, giallognola, schistosa, si scolora sotto l’azione di un acido a caldo, ma non si altera cogli acidi a freddo; in sezioni sottili presenta un aggregato di minutissimi frammenti feldispatici; qualche dubbia lamella di mica; piccolissimi frammenti di quarzo ; e piccole macchie ocracee disperse nella massa. L’altra, giallo-grigia, con elementi più grossolani, è costituita da fram- menti di feldispato ortoclase, con frammenti di quarzo e rare lamelle di mica; a caldo cogli acidi si scolora. La terza è rosso-scura, con ele- menti anche più grossi, e vi è riconoscibile qualche raro cristallo di plagioclasio, e vi si ritrovano pure scarse laminette micacee. 11 feldispato di queste tre rocce, secondo l’Autore avrebbe una du- rezza superiore al quarzo. — I Sigg. D’ Achiardi e De Stefani sospet- tano che la sostanza ritenuta come feldispato sia invece silice. 77 — G. vom Rath. Vortrage und Mittheilungen. — Sitzungsberichte der niedérrh. Gesellsch. etc. zu Bonn : Sitzungen vom 8 novémber 1830, 3 januar und 7 februar 188 i. Fra i minerali qui studiati è riportato un minerale del Vesuvio si- mile alla cuspidina. E. Renevier. Le Congrès géologique international de Bologne, Se- ptembre et Octobre 1831. — Bibliothèque universelle — Archives des Sciences Physiques et Naturelles — N* 12, 15 De'cembre 1881. Il Sig. Renevier rende conto in modo chiaro e succinto dei lavori del Congresso. — Conviene qui farne memoria per i giudizii assai be- nevoli che egli esprime sui Musei e Laboratorii mineralogici dell’ Uni- versità di Bologna e dell’Istituto di studi superiori in Firenze. L. Ricciardi. Ricerche chimiche sui depositi di tufi vulcanici nella provincia di Salerno. — Catania 1881. L. Ricciardi e S. Speciale. I basalti della Sicilia. — Gazzetta Chimica , 1831. Concludono così: 1° I basalti della Sicilia sono tutti idrati. — L’acqua d’ idrata- zione è variabile nei basalti indecomposti da 0,72 a 9,26 per cento ; questa quantità aumenta certamente in quelli decomposti, di fatti ab- biamo che oscilla da 3,82 a 19,08 per cento. 2° I basalti decomponendosi formano un terreno plastico argil- loso, fertile. La fertilità di questi terreni deve attribuirsi alla grande quantità di anidride fosforica ed agli alcali che costantemente si sono rinvenuti nelle rocce. Dolomieu descrivendo a Faujas de Saint-Fond i basalti dei dintorni di Lisbona, conchiude, che il detrito della roccia basaltica del Portogallo, forma i migliori terreni per l’agricoltura di quelle contrade. La fertilità dei terreni basaltici compresi nel distretto vulcanico di Val di Noto ce ne dà una incontestabile prova. 3° I basalti decomposti differiscono da quelli indecomposti, per- chè costantemente nei primi si rinviene una maggiore quantità di silice, come rilevasi dalle analisi eseguite sui basalti decomposti della timpa Rosa, timpa Ignazio, della trincea Arcile, Cannitello e Basalti. Fa ec- cezione, il basalto decomposto di Aci-Castello ih quale contiene una quantità di silice inferiore a quella trovata nel basalto indecomposto ; questo tatto può spiegarsi con la scomparsa, quasi completa, delle Zeo- liti, di cui è tanto ricca la roccia indecomposta. 4° La quantità di anidride fosforica e di calce diminuisce nella roccia decomposta. — 78 — Diminuiscono pure la magnesia e gli alcali, ed a preferenza la potassa. I sesquiossidi di ferro e di alluminio aumentano nei basalti decom- posti. L’ossido ferroso invece, in alcuni diminuisce sensibilmente, od in altri scompare del tutto. H. Rosenbusch. Sulla presenza dello zircone nelle roccie. — R. Ac- cademia delle Scienze di Torino , adunanza del 16 giugno 1881. Nuova contribuzione per dimostrare che i cristalli incolori, unias- sici-posi tivi, che s’incontrano nelle rocce quarzifere antiche sono real- mente zirconi e non rutilo, come lo prova l’assenza del titanio. Francesco Sansoni (P. Groth). Chemiseh-krystallographische Unter- suchungen aus dem mineralogischen Institut der Universitat Strasburg. — Zeitschrift fur Krysta llogr ap Me, V, 295. II Prof. Groth ha riunito sotto questi titoli lavori eseguiti nel suo laboratorio, e fra gli altri quello del Dott. F. Sansoni che colà attende a studii mineralogici. Questi ha descritto cristallograficamente l’isobu- tirrato di bario. F. Sansoni e A. Fitz. Ueber Doppelsalzeder Fettsaiiren. — Zeitschrift fiir Kry stailo gradine, etc. VI , p. 67. I composti studiati chimicamente (A. Fitz) e cristallograficamente (F. Sansoni) nell’ Istituto Mineralogico dell’ Università di Strasburgo sono: Propionato di calcio e bario; — id. di calcio e stronzio; — id calcio e piombo; — altro propionato di calcio e piombo; — id. di ma- gnesio e bario; — ld. di magnesio e piombo; il propionato ed acetato di bario, l’ameisenato ed acetato di sodio; l’isobutirrato ed acetato d bario; ed un sale doppio di varii metalli e varii acidi. Arcangelo Scacchi. Nuovi sublimati del cratere vesuviano. — Ren- diconto della R. Accademia di Napoli, — Gennaio 1881. Sono quattro diverse sostanze: 1° una massa bianca granulare, ana- loga alle geyserite, anidra ed insolubile nel sale di fosforo. Densità 2,287. Probabilmente è un nuovo stato della silice. — • 2° Neociano , az- zurro, in cristalli monoclini, piccolissimi, impiantati sulla sostanza pre- cedente. E un sili cato di rame anidro, inquinato da sostanze eterogenee, — 3° Sostanza bianca feltrosa, analoga alla bissolite, difficilmente fusibile e difficilmente solubile dall’acido cloridrico a caldo. La soluzione con- tiene molta calce. — 4° Cristalli giallo bruni, sulla lava, in forma di tavolette rombiche a contorno esagonale. Insolubile negli acidi. — 79 — Tutte e quattro queste sostanze appaiono come generate contem- poraneamente dalla sublimazione. Arcangelo Scacchi. Notizie preliminari intorno ai proietti vulca- nici del tufo di Nocera e di Sarno. — B . Accademia dei Lincei : adu- nanza del 5 giugno 1881. L’Autore, dopo aver ripetutamente visitate le tufare di Fiano (a breve distanza dal traforo che precede la Stazione di Codola) da cui provengono dei particolari esemplari di proietti vulcanici, dà di ‘questi ultimi una sommaria descrizione. — Alcuni di questi, i più frequenti, sono costituiti internamente di fìuorina clorofana, cui si associano dei cristalli aciculari bianchi (probabilmente una specie nuova, formata da fluoruro di calcio e magnesio, del sistema romboedrico, che l’Autore propone di chiamare Nocerina), poi altri cristalli oblunghi, bruni (pro- babilmente amfibolo): sono ricoperti da un involucro micaceo, in cui si trovano talvolta altri cristalli bianchicci in forma di prismi esago- nali, che l’Autore ha determinato come microsommite. Questi projetti stanno liberi nel tufo in una cavità che ha la medesima loro forma ma alquanto maggiore; e questo dimostra che tali prodotti erano dap- prima di maggiore dimensione, che fu in seguito rimpicciolita per causa di interno metamorfismo. Di altri minerali contenuti in questo projetto l’Autore terrà parola in avvenire. Altri projetti, che si possono dire calcarei, contengono calcite in proporzioni assai variabili; talvolta la mica, e sempre la fìuorina. Essi sarebbero frammenti di rocce calcaree sotterranee, projettati durante l’esplosioni vulcaniche, e che in seguito più o meno si metamorfosarono. I projetti della prima specie (micacei) non sarebbero anzi che projetti calcarei, completamente alterati. L’Autore dà poi i caratteri geologici e geognostici dei tufi in di- scorso che non rivelano le bocche eruttive, ma la lasciano supporre nel luogo stesso dove i tufi si ritrovano; e fa risaltare il fenomeno carat- teristico del vulcano di Fiano che è la grande abbondanza di fìuore da esso emanato. In modo analogo si conportano i fatti pel tufo della Cappella di S. Yito, presso Sarno; ed è possibile, secondo le osservazioni fatte dal prof. Scacchi nella Campania, che simili vulcanetti siano stati frequenti alle radici dei monti calcarei dell’Italia meridionale. » Arcangelo Scacchi. Sul legno carbonizzato del tufo di Lanzara. — B. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli: adu- nanza del 10 settembre 1881. — È una nota essenzialmente geoio- — so — gica; ma di cui occorre qui far cenno per le notizie petrografiche che sono date intorno al tufo di Lanzara. Esso è giallastro ; contiene so- stanze fluorifere (diverse da quelle del tufo di Fiano); presenta in forma ora di vene, ora di nidi, certi aggregati di grossa sabbia costituiti da rotti cristalli di ortoclasio vitreo e frammenti di lava, arrotondati per azione di acque in movimento. Cablo De Stefani. Studi microlitologici pel Paleozoico e pel Trias delle Alpi Apuane. — Società Toscana di Scienze Naturali , adunanza del 13 marzo 1881. Gli studi furono fatti su varii calcari a Lithothamnion ? ed Evinospon- gia del Pizzo d'Uccello e varii grezzoni fossiliferi del Carchio, del Pisa- nino, del Sumbra, dell’Altissimo e del Corchia, tutti fossiliferi; e sopra la massima parte delle rocce delle Alpi Apuane, di cui però è dato soltanto un rapido cenno, avendone l’Autore fatta la descrizione in altro suo lavoro. « BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie IL Voi. III. Marzo e Aprile 1882. N.° 3 e 4 SOMMARIO. Memorie originali. — I. Sulla separazione degli schisti triassici da quelli paleozoici nelle Alpi Apuane, nota di B. Lotti, Ingegnere nel R. Corpo delle miniere. — II. Le marne plioceniche del Monte Mario, nota dell’ ingegnere R. Meli. — III. La frana di Castelfrentano nel 1881 (da un rapporto dell’ ingegnere E. Niccoli). Notizie bibliografiche. — L. Gatta, L'Italia, sua formazione , suoi vulcani e terre- moti', Milano, 18S2. Tavole ed incisioni. — Sezioni geologiche nelle Alpi Apuane, a pag. 88. — Sezione dei dintorni di Castelfrentano (Abbruzzi), a pag. 97. PARTE UFFICIALE. — Verbale dell’Adunanza 9 Marzo 1882. — Relazione an- nuale dell’Ispettore Capo al Comitato Geologico (1881-82). — Verbali delle se- dute 6, 7, 8 Marzo 1882, della Commissione per la Carta Geologica. Come venne annunciato in testa al precedente fascicolo del Bollettino, avea luogo nei primi del decorso mese di marzo, oltre che la ordinaria riunione del Comitato geologico, anche quella del Comitato medesimo accresciuto di altri geologi per l’esame di un progetto di legge relativo al com- pimento della Carta geologica, riunione che era stata riman- data dopo il Congresso internazionale di Bologna. I verbali delle sedute sono riferiti nella parte ufficiale in fine del fa- scicolo. Come pure vi sono il verbale della seduta del Co- mitato ordinario, insieme al rapporto annuale del direttore dei lavori della Carta geologica, dai quali documenti risulta, senza necessità per ora di ulteriore esposizione, lo stato dei lavori stessi e del loro proseguimento nel volgente anno. 82 — MEMORIE ORIGINALI. I. Sulla separazione degli schisti triassici da quelli paleozoici nelle Alpi Apuane — Nota di B. Lotti, ingegnere nel R. Corpo delle Miniere. È noto che la formazione calcareo-marmorea delle Alpi Apuane resta compresa fra due serie schistose, di cui la inferiore ci offerse di recente fossili indubbiamente paleozoici dei generi Orthoceras ed Actino- crinus , mentre la superiore deve riferirsi al trias, perchè compresa fra i calcari ad Avicula contorta e la detta formazione calcareo-marmorea a fossili triassici. Però questa formazione calcareo-marmorea non trovasi ovunque fra le due zone schistose, nè il suo spessore è costante. Essa costituisce una grande amigdala che, a cominciare dal Saineto sulla destra del torrente Frigido presso Massa, va continuamente ingrossando nel Carrarese, fa il giro della ellissoide passando per la valle di Vinca, per la Tambura, pel Sumbra e pel M. Altissimo, indi, tenuto conto dei ripiegamenti e di un probabile spostamento orizzontale presso il Giar- dino in Versilia, prosegue pel M. Corchia e per Stazzema, terminando in cuneo sopra i monti del Bottino presso Serravezza. Da questo punto a quello dal quale siamo partiti, cioè per un tratto di oltre 12 chilo- metri, si hanno soltanto delle piccole amigdale marmoree isolate ed è appunto in questo tratto che la separazione degli schisti triassici da quelli paleozoici ci ha presentato sempre le più grandi difficoltà. Nè tali difficoltà erano prodotte soltanto dalla mancanza dell’oriz- zonte calcareo, ma eziandio, ed assai più, dalla grande analogia litolo- gica fra gli schisti delle due serie, analogia che in alcuni punti diven- tava identità per causa, come vedremo, di alcune complicazioni strati- grafiche, finora inavvertite, che ivi hanno luogo. Tale somiglianza, che in questo tratto fa degli schisti triassici e di quelli paleozoici un insieme apparentemente inseparabile, è tanto più da rimarcarsi inquantochè non si verifica affatto laddove alle due zone schistose stanno interposti i marmi. Quivi, cioè in tutta la porzione settentrionale, orientale e me- • ridionale del gruppo, gli schisti superiori triassici sono costituiti da ®adi violette e verdi, arenarie a cemento calcareo, ardesie nere, diaspri, ftaniti e schisti che potremmo chiamare ferriferi perchè conten- gono», colepi vedremo giacimenti di limonile; invece nella porzione oc- — 83 — eidentale e specialmente nel tratto fra Seravezza e Massa, ove la formazione calcareo-marmorea presenta le accennate discontinuità, sono costituiti da micaschisti, talcoschisti, cloritoschisti, schisti sericei, quar- ziti micacee e poche anageniti alquanto simili a quelle del Monte Pi- sano. Nella valle di Vettolina presso la Tambura si può trovare il pas- saggio fra gli schisti del primo gruppo e quelli del secondo. Infatti gli schisti diasprini, ftanitici e ardesiaci che formano la cresta fra il Ri- sanino e lo Zucco dell’Alto o vertice del monte Tambura, passano a veri micaschisti, pure associati a diaspri, nella valle di Yettolina e nella costa dirupata che sovrasta a Resceto. Anche gli schisti metalliferi delle valli d’Arni e d’Arnetola, del Forno Yolasco, di Stazzema e di Yal di Ca- stello, strettamente associati alle arenarie e agli schisti ardesiaci di quelle località, e che possono rientrare fra i micaschisti, servono a rannodare gli schisti del primo gruppo a quelli del secondo. Gli strati paleozoici presentano invece dovunque maggiore unifor mità e sono rappresentati prevalentemente da micaschisti nodulosi e schisti gneissici. Sono inoltre caratterizzati dalla presenza di lenti di calceschisti ad Orthoceras e di schisti grafitiferi. Ad ogni modo però non sarebbe stato estremamente grave il com- pito di separare le due zone schistose se avessimo potuto stabilire fin da principio nettamente i notati caratteri litologici di ciascuna di esse, ma a ciò si opponevano vari fatti di ordine stratigrafico. Noi trovavamo micaschisti nodulosi e, ciò che più monta, schisti gneissici e grafiti- feri superiormente ai marmi del Carchio, nella valle di Montignoso, presso Altagnana e altrove. Anche il De Stefani citava fra le rocce trias- siche gli schisti gneissici del Monte Carchio come un fatto degno di nota. 1 11 criterio litologico non poteva adunque guidarci in tanta oscurità e, appoggiati alla perfetta concordanza strati grafica, concludemmo che nell’area in questione una separazione netta e razionale fra il trias e il paleozoico non era possibile. Ciò equivaleva naturalmente a riunire in una sola formazione le due serie schistose fra le quali sono rac- chiusi i marmi, ed esprimemmo varie volte questo concetto che pure il De Stefani già aveva espresso colle seguenti parole : < Le rocce finora nominate (schisti inferiori ai marmi e schisti superiori) stanno fra loro •strettamente connesse e sempre hanno gli strati reciprocamente concor- danti. 2 » Nè ad esso concetto si opponevano, come egli volle dipoi, fatti paleontologici, perocché fino ad ora null’altro ci disse la paleontologia 1 De Stefani — Considerazioni eco. — Boll, geol . Voi. V. p. 215. 2 De Stefani, 1. c. Voi. VI, p. 77. — 84 — se non che una parte di queste rocce è triassica e l’altra paleozoica. In quanto al trias noi non possiamo accettare completamente l’opinione del De Stefani che lo riferisce alla sua parte superiore, cioè al piano Carnico. Le tracce dei fossili trovate nei grezzoni, alla base di una pila di strati triassici della potenza di oltre due chilometri, sono tutte spe- cificamente indeterminabili e sarebbe troppo contrario allo spirito delle moderne investigazioni se si volesse arrischiare la fissazione di un piano geologico su alcune impronte vuote, incomplete sempre e del resto ra- rissime, 1 ritenute dal De Stefani di Turbo solitarius. Qualora poi do- vesse darsi tanta importanza a tali resti imperfettissimi, potremmo no- tare che nei cipollini della Brugiana e di altre località, cioè, in rocce8 di gran lunga più giovani nella serie triassica di quelle che contengono il supposto Turbo solitarius, si trovano frequenti articoli di un crinoide, probabilmente dell 'Encrinus liliiformis e come tale ritenuto dal De Stefani; ora è noto che Y Encrinus liliiformis è abituale del Muschél- kallc. In quanto al paleozoico pareva probabile anche al De Stefani2 3 * * * * che quelle rocce calcaree ad Orthoceras ed Actinocrinus 3 potessero spettare ad un piano non più antico del carbonifero; e siccome fra esse ed il trias vi è sempre un certo spessore di scliisti che potevano rap- presentare il permiano, non potevasi escludere una continuità fra le for- mazioni del trias e del paleozoico. 11 De Stefani che crede di poter sin- cronizzare le rocce fossilifere paleozoiche delle Alpi Apuane con quelle carbonifere di Iano, avrà pure osservato che là appunto le rocce triassi- che e le paleozoiche sono riunite in una stessa formazione schistosa, con- tinua -che nello spessore di non più che 200 metri comprende tutto il sistema triassico, il permiano e il carbonifero superiore. Quindi nessun fatto paleontologico, nè stratigrafico, nè litologico, opponevasi allora al nostro concetto, perchè una stessa formazione rocciosa, cioè, un com- plesso di strati di natura, simile, depositatisi con continuità e in con- dizioni analoghe durante un lungo lasso di tempo, può comprendere due o più periodi geologici consecutivi. Ma lo studio di nuovi e alquanti migliori esemplari di fossili pa- leozoici fecero nascere il dubbio nel prof. Meneghini, direttore dei nostri 1 Un solo esemplare esiste nel Museo di Pisa e nessun altro fu veduto dal prò- . fessore Meneghini. 2 Proc. verb., Soc. tose. Se. nat. — Gennaio, 1882, p. 83. 3 È inesatto che questa roccia sia come dice il De Stefani (Boll. Agrario di Massa, n. 4, 1881) la più antica non solo delle Alpi Apuane, ma della penisola dalle Alpi Marittime alle Calabrie. Essa trovasi nella parte superiore della serie schistosa paleozoica poco sotto ai calcari triassici. Nel Frigido presso Caglieglia comparisce alla base degli schisti unicamente perchè non sono messe allo scoperto le rocce più antiche. — 85 — lavori, che potessero riferirsi ad un periodo molto più antico, forse de- voniano o siluriano, ed il prof. Taramelli, che visitava meco una delle località più interessanti per lo studio di queste rocce fossilifere, i din- torni di Mosceta, esprimeva la stessa idea, trovando una notevole ana- logia fra queste formazioni e quelle siluriane delle Alpi Gamiche. Anche il Coquand aveva già riferito gli schisti ampelitici di Levigliani (schisti che accompagnano costantemente i calcari ad Orthoceras) al siluriano per la notevole somiglianza cogli schisti ampelitici siluriani dei Pirenei. Per contribuire alla soluzione del problema mi decisi a verificare con osservazioni stratigrafiche e litologiche accuratissime, se era pos- sibile di riscontrare negli schisti delle due zone tali caratteri differen- ziali da giustificare la supposizione di un hiatus così grande fra le loro respettive epoche d’ origine. Torna utile rammentare qui come il Coquand e il Cocchi, i quali ammettevano appunto una tal discontinuità fra le due zone schistose, si trovarono costretti a riunire agli schisti inferiori, quelli, riconosciuti dipoi come superiori, che abbiamo detto presentare notevoli analogie coi paleozoici e che compariscono nel tratto summentovato, ove la for- mazione calcareo-marmorea è discontinua; ritenendo, conseguentemente, le poche masse calcaree isolate del M. Costa, di Trambiserra, del Carchio e del Campaccio come posate, con marcata discordanza, sugli schisti, invece che in essi inserite. Se ci facciamo ora ad esaminare i caratteri differenziali fra gli schisti indubbiamente triassici e quelli paleozoici vediamo tosto che non è possibile trovarli nella loro natura mineralogica, ma che giova assai più il tener conto delPinsieme delle loro fisiche proprietà. Così, ad esempio, è fuori di dubbio che trovansi micaschisti e talcoschisti in ambedue le zone schistose; sono micaschisti paleozoici quelli che abbiamo compreso sotto la denominazione generica di schisti nodulosi; sono mica- schisti triassici la maggior parte delle rocce schistose sovrapposte ai marmi; sono talcoschisti paleozoici quelli che vengono scavati come pietra refrattaria presso Cardoso 1 e sono invece talcoschisti triassici quelli della cava Frediani presso Camajore. Pure l’aspetto ed altri carat- teri esteriori dei micaschisti e talcoschisti sono notevolmente diversi 1 II De Stefani (Considerazioni et. Boll. Geol. Voi V. p. 212) confonde questi talcoschisti coi cipollini cloritici che vengono scavati pure nei dintorni di Cardoso come materiale decorativo, dicendo che < nel canale del Cardoso si ha una serie di ■cipollini fra i quali uno verdastro cloritico scavato come pietra refrattaria ». Un ci- pollino non può essere refrattario. nella serie triassica e in quella paleozoica e servono a meraviglia per tenerli separati laddove manca l’orizzonte calca reo-marmoreo. 1 Presso la Porta nei monti del Bottino tra Pinfralias e la formazione marmorea comparisce un piccolo spessore, forse non più di due metri, di micaschisto lucente associato ad un cloritoschisto quarzoso in cui stanno inserite piccole mandorle calcaree che fanno passaggio ai sottostanti cipollini cloritici. 1 micaschisti vanno continuamente acquistando mag- giore sviluppo verso N.O. al disopra delle amigdale isolate della Costa, di Trambiserra, del Careliio e del Campaccio. Sempre conservando più o meno il carattere della lucentezza, loro conferito da una mica bianca argentina, possiamo enumerare molte varietà spiccate di tali mica- schisti. Così, ad esempio, troviamo un micaschisto composto quasi esclu- sivamente di mica argentina presso Pasquilio nei dintorni del M. Car- chio, una varietà un poco più quarzosa predomina nelle alture circo- stanti, nel Fragolito e nei monti fra Pietrasanta e Seravezza ; un’ altra varietà notevole è un micaschisto, che dirò brecciforme, perchè costi- tuito, almeno in apparenza, da frammenti di micaschisti di vario colore e di varia natura. Esso predomina presso Riomagno e nel M. Canala ; presso Trambiserra involge completamente quell’amigdala marmorea, dimodoché una piccola porzione di tale schisto ad essa amigdala sot- tostante deve riferirsi al trias, rappresentando probabilmente la zona elei grezzoni che ivi manca. Questi schisti brecciformi si ritrovano poi presso Montignoso e nel Frigido fra Canevara e Capannelle. Nei monti di Ripa e di Strettoia, non che in vari punti di quelli di Massa predomina un micaschisto costituito da grani assai grossi di quarzo e dalla solita mica argentina; po- trebbe dirsi un micaschisto anagenitico; esso fa passaggio infatti ad una vera anagenite, o conglomerato di ciottoli quarzosi con cemento micaceo, molto somigliante a quella dei monti di Pisa. Essa incontrasi soltanto presso Strettoja e Massa associata a fìlladi e ad arenarie silicee, cui sovraincombono immediatamente i calcari infraliassici, ed è qui sol- tanto che riscontrasi qualche analogia col verrucano dei detti monti; per tutt’altrove gli schisti delle Alpi Apuane, siano triassici, siano paleo- zoici, non presentano, almeno a chi li abbia osservati ripetutamente e dettagliatamente, veruna somiglianza con quelli del M. Pisano. Fra gli schisti della serie triassica merita speciale menzione una roccia singolare, sfuggita sinora alle ricerche di coloro che ci prece- dettero nello studio geologico delle Alpi Apuane. E una roccia porfirica racchiusa fra quelli schisti che dicemmo ferriferi , i quali accompagnano 1 Gli schisti di Cardoso e di Camajore furono riconosciuti dal Dott. L. Busatti costi- tuiti da talco e quarzo in granuli. — 87 — i giacimenti di magnetite del Tórno Yolasco, di Stazzema e di S. Anna in Val di Castello. È ormai posto fuori di dubbio die la presenza di questa roccia è intimamente collegata ai giacimenti ferriferi suindicati. Essa non forma nè dicchi, nè filoni e neppure strati continui ben definiti, ma comparisce in masse lenticolari di piccolissime dimensioni. Già il prof.Cossa avea riconosciuto in questa roccia una porfirite ed ora l’ing. Mat- tirolo mi fornisce i seguenti dati analitici. « La roccia porfìroide consta essenzialmente di una massa fondamentale feldispatica, microcristallina, in cui stanno disseminati granuli di quarzo, un minerale talcoide e un minerale nero che sembra essere amfibolico e, come in generale l’am- fibolo, è dotato di dicroismo marcatissimo. Finora però non è comple- tamente escluso che possa essere pirosseno. Il feldispato è ortosio; allo spettroscopio notasi la presenza del potassio. Non vi si vedono feldi- spati triclini; non v’ha mica.» E questa una roccia eruttiva? Ha una qual- che relazione colle rocce porfiriche e granitiche dell’Elba, di Campir glia, di Gavorrano e del Giglio pure in connessione, almeno di luogo, coi giacimenti ferriferi? Sono questioni importantissime cui non può darsi in questo momento una risposta ragionevole. Ritornando ora al soggetto potremo concludere che colla scorta dei caratteri mineralogici e segnatamente di quelli fisici delle due serie schistose, riconosciuti e studiati accuratamente laddove sono sepa- rate dalla zona calcareo-marmorea, puossi facilmente tenerle distinte laddove essa manca. Ma restava ancora a sciogliere una difficoltà e la più grave. Dissi più sopra come si notassero con sorpresa nell’alto della valle di Montignoso e nella zona delle rocce superiori ai marmi degli schisti evidentemente del tipo dei paleozoici, gneis cioè e schisti nodulosi cui si associano eziandio quelli schisti grafitiferi che ordinariamente accom- pagnano i calcari ad Orthoceras. Queste stesse rocce, non esclusi gli schisti grafitiferi, possono seguirsi poi nel canale del Campaccio fino ad Altagnana e quivi chiaramente sovrapposti ai marmi. Se non si fosse potuto dare una diversa interpretazione a questi fatti sarebbe stato vano ogni tentativo di separazione fra gli schisti triassici e quelli paleozoici e fa meraviglia come il De Stefani insista su tale separa- zione litologica pur mantenendo nel trias le forme più caratteristiche della serie paleozoica. Presso il contatto colla massa marmorea del Carchio può osservarsi che i detti schisti a tipo paleozoico invece di inclinare regolarmente verso S.O., come avrebbe portata la supposta loro sovrapposizione ai marmi, inclinavano in verso opposto, fatto già notato dal De Stefani \ 1 De Stefani, Considerazioni ecc. — Boll. Geol ., voi. V, p. 208. — 88 — il quale lo interpretava come una parziale inversione degli schisti trias- sici. Presso il Campacelo gli schisti a tipo paleozoico sono decisamente sovrapposti a quella massa marmorea; ma qui occorre un altro fatto importante, vi si trovano cioè anche dei grezzoni sovrapposti ai marmi. Ricordo qui che i grezzoni , o calcari compatti e criptocristallini fossi- liferi, trovansi costantemente alla base dei marmi ; soltanto nel Carra- rese ne compariscono alquanti al di sopra, ma si distinguono da quelli inferiori per vari caratteri e segnatamente per non offrire traccia di fossili. Or bene questi del Campaccio son fossiliferi. Anche nei Carchio fra gli schisti a tipo paleozoico, supposti triassici, e i marmi, stanno alcuni strati di grezzone fossilifero. Fig. /. M. Belvedere Campaccio F. Naro Fig. 2. F. Tascio M. Carcliio so- N.E. Livello del mare. ° — a' Schi&ti nodulosi, gneissici e grafitici (paleozoico) b — b' Grezzoni fossiliferi (trias) c Marmi (idem) d Calcari con selce (idem) e Micaschisti lucenti (idem). — 89 — Le figure (1) e (2) che rappresentano due sezioni parallele attra- verso le masse calcareo-marmoree del Campaccio e del Carchio nella proporzione di 1/25000, chiariscono meglio i fatti suaccennati e ne mo- strano la interpretazione proposta. Con questa le due masse calcaree, invece che amigdale al contatto fra gli schisti triassici e quelli paleo- zoici, vengono riguardate come porzioni di una piega concava, sincli- nale nella fig. (2), isoclinale nella fig. (1). Le ragioni in appoggio di quest’ultima interpretazione, ed in parte già accennate, sono di un va- lore incontestabile. Abbiamo infatti : 1. Che gli schiiti a, ar e i calcari fossiliferi b , br sono identici. 2. Che gli schisti a! della fig. (2) son disposti in anticlinale, come resulta dalla osservazione diretta, e come già si ammetteva benché con diversa interpretazione. 3. Che la massa marmorea del Carchio fig. (2) presentasi effet- tivamente come nella sezione, cioè adagiata sugli schisti e limitata la- teralmente da due strati di grezzone fossilifero, che vcdonsi riunire in basso a fondo di battello sul crinale che unisce il Carchio al Fragolito. 4. Che nei punti x e y, ove fu posto il limite fra gli schisti trias- sici e quelli paleozoici, si ritrovano per gli uni e per gli altri quei ca- ratteri differenziali che abbiamo veduto esistere fra le due serie schi- stose. Per la fig. (2) questo punto trovasi precisamente nella valle di Montignoso pochi passi sotto la segheria Griorgini. 5. Che presso Canevara sui lati del torrente Frigido, ove la piega concava e la susseguente convessa vanno a terminare e a raccordarsi ad un piano, gli schisti, nei quali soltanto esse svolgonsi mancando quivi la formazione calcareo-marmorea, si presentano appunto convergenti in alto e leggermente inclinati conforme alle notate accidentalità strati- grafiche. Potrebbe opporsi che nei punti x e y non si ritrovano i rami cal- carei delle due pieghe concave ; ma è facile rendersi ragione di questo fatto se si pensa che le masse calcaree, attraverso le quali passano i due tagli, sono conformate in amigdale di piccolissime dimensioni. An- che senza di ciò non sarebbe meno facile una spiegazione riflettendo ohe le masse calcaree rigide dovevano comportarsi molto diversamente dalle schistose plastiche di fronte alle pressioni che produssero i sollevamenti e le piegature, e che quest’ultime rocce per la loro plasticità potevano ravvolgere e quasi direi inghiottire i frammenti delle prime, dimodoché possono ragionevolmente supporsi continuare in profondità nei punti x e y le masse calcaree sulle quali si sarebbero richiusi gli schisti superiori e inferiori. — - 90 — Quest’ultima considerazione potrebbe anche renderci conto della discontinuità delle masse calcareo-marmoree nella regione presa in esame^ Certo che in essa regione la formazione calcarea deve essere stata ori- ginariamente di piccolo spessore, ma forse continua e le discontinuità che ora vi si riscontrano potrebbero riguardarsi come conseguenza di rotture avvenute nella sua massa rigida per effetto di forti pressioni che agirono in modo da farne ravviluppare e inghiottire alcuni fram- menti dalle prevalenti masse schistose. Stabilita la esistenza di questa nuova piega M. Carchio-Canevara e spiegata così la presenza di rocce a tipo paleozoico nella zona schi- stosa stratigrafìcamente superiore ai marmi, ci è lecito concludere che la serie degli schisti triassici è nettamente distinta da quella degli schisti paleozoici. Vediamo ora cosa si verifica presso il contatto degli schisti paleo- zoici cogli strati calcarei triassici. Il De Stefani contro l’opinione del Coquand e del Cocchi sostenne già la perfetta concordanza di queste due serie di rocce e la spinse tant’oltre da trovare fra loro un passaggio litologico come resulta dalla seguente sua considerazione: «Negli strati superiori delle masse cri- stalline (schisti paleozoici) le descritte alternanze degli elementi calca- rei si fanno sempre più frequenti e si hanno dei cipollini che si po- trebbero riferire tanto alla massa dei calcari superiori come a quella degli schisti inferiori. 1 » Se realmente si fosse potuto constatare questo passaggio graduato,, sarebbe stato necessario riconoscere l’unità di formazione nelle due se- rie schistose laddove mancano i marmi; ma tale transizione non esiste e i cipollini citati dal De Stefani son forse quelli da noi chiamati cal- ceschisti ad Orthoceras. Il contatto fra gli schisti paleozoici e i grezzoni è dei più spiccati; da strati di puro micaschisto si passa bruscamente a banchi regolaris- simi di calcare compatto o criptocristallino, alquanto magnesiaco, sce- vro affatto dagli elementi degli schisti sottostanti. Tanto colpì i primi osservatori questo brusco passaggio che non dubitarono di ravvisare fra le due serie di rocce una grande discontinuità di deposito e una forte discordanza. Che la discordanza non esista è provato dai rapporti stra- tigrafìci fra i calcari ad Orthoceras e i calcari triassici sovrastanti. Sa- rebbe difficile escluderla pel solo fatto della apparente concordanza fra i piani di clivaggio degli schisti e la stratificazione dei calcari, poiché in forza delle pressioni cui soggiacquero, il clivaggio della roccia pla- 1 De Stefani - Considerazioni ecc.; B>11. geol., Voi. V, p. 137. — 91 — stica doveva appunto disporsi parallelamente alla faccia della roccia rigida die faceva ostacolo al libero assettamento delle sue particelle. Concludiamo che se non esiste discordanza fra le rocce paleozoiche e le triassiche non può revocarsi in dubbio un brusco passaggio litolo- gico quindi una probabile discontinuità fra queste e quelle; che per conseguenza le condizioni stratigrafiche come le litologiche concorrono a stabilire una netta separazione fra il trias e il paleozoico delle Alpi Apuane. Ricapitolando avremo adunque : 1. Che gli schisti triassici sono distinguibili da quelli paleozoici anche nel tratto ove la formazione calcareo-marmorea è discontinua. 2. Che le rocce paleozoiche sono prevalentemente schisti gneis- sici e nodulosi, mentre fra quelle triassiche, sempre nel tratto suindi- cato, predominano i micaschisti lucenti con tutte le gradazioni di composizione, mancandovi però sempre il gneis. # 3. Che questa distinzione, basata piuttosto sui caratteri esterni che sulla composizione mineralogica delle rocce, non era possibile fino a che si ammettevano, come fu fatto fino ad ora, nella serie triassica rocce evidentemente del tipo delle paleozoiche. 4. Che tali rocce compariscono nella zona di quelle triassiche per effetto di ripiegamenti. 5. Che il contatto fra gli schisti paleozoici e i calcari? triassici è brusco, ed accenna ad un hiatus corrispondente ad un più o meno lungo intervallo di tempo. 6. Che finalmente i dati stratigrafici e litologici non si oppon- gono a che i fossili offertici dalle rocce paleozoiche possano riferirsi ad uno dei periodi più antichi della serie paleozoica. IL Le marne plioceniche del Monte Mario. Nota dell’Ing. R. Meli. Sulla sponda destra del Tevere nella pianura, immediatamente sot- tostante alla maggiore elevazione del Monte Mario, a poco più di 2 Km. da Roma in prossimità della via di Porta Angelica, venne impiantata su vasta scala una fornace continua di laterizi d’ ogni specie diretta dal signor Ing. Carlo Du Houx. Per l’argilla occorrente alla fabbri- cazione dei laterizi fu aperta una cava alla base del Monte Mario, praticando una forte incisione entro il fianco del monte. La cava è a pochi passi dalla fornace continua, e dista neppure di un 300 m. dal viale di Porta Angelica. 92 — La sezione verticale, fatta nella base del sopraccennato monte, ha messo allo scoperto una serie di strati, costituiti da marne grigio-ce- nerine, del tutto identiche, sia per la forma litologica, sia per i fossili che vi ho rinvenuto, a quelle del Monte Vaticano e delle colline a questo circostanti. Gli strati sono diretti da N-N.O. a S-S.E., deviando da N. verso 0. di un angolo, che, misurato colla bussola, mi risultò di pressoché 50°. L’inclinazione degli strati è di circa 11° con una oriz- zontale; l’angolo d’inclinazione ha il suo vertice verso N.E., e perciò l’apertura è rivolta verso le colline vaticane. In un accesso, che feci alla cava Du Houx, potei raccogliere e no- tare i seguenti fossili : Pholadomya vaticana Ponzi, forma tanto vicina alla Pii. Loveni , rinvenuta da Jeffreys nei dragaggi d’alto fondo, eseguiti nel 1873 nel Mediterraneo. 1 Tellina longicallis Phil. Nucula solcata Bromi. Malletia transversa Ponzi (Solenella). Àmussium duodecim-lamellatwn Bronn (Pecten). Ostrea cochlear Poli. 2 1 Nella ricca ed interessante raccolta di fossili neogenici del Piacentino, pos- seduta dal sig. Dott. Luciano Aragona a Robecco d’Oglio (Cremona), bo veduto un esemplare di Pholadomya , identica assolutamente a quella delle marne vaticane. L’e- semplare fu rinvenuto insieme ad alcuni Hemiaster canaliferus d’Orb. nelle marne del pliocene inferiore presso il torrente Arda, lungo la strada, costruita qualclie anno fa, tra il paese di Vernasca e Lugagnano Val d’Arda. * Questa specie mi fu comunicata dal signor Benedetto Mazzoni, il quale con singolare attitudine e rara intelligenza si occupa ora di studi geologici. GU esemplari dell’ O. cochlear Poli, rinvenuti nelle marne del Monte Mario, pre- sentano presso a poco la forma tipica, ma non offrono un grande sviluppo, avendo dimensioni minori degli esemplari viventi. Nelle soprastanti sabbie grigie e gialle (pliocene superiore) si rinviene rarissima- mente questa specie, non segnata finora nei cataloghi del Monte Mario. Ne ho un -esemplare estratto a Villa Madama, e due valve isolate delle sabbie gialle alla Far- nesina. Alcune altre valve ho estratto dalle sabbie gialle della Valle dell’Inferno, in una nuova località fossilifera, che trovasi entro la detta valle, oltre la tenuta Braschi : Tra queste ho una valva superiore della lunghezza di nini. 70, con una larghezza di ,mm. 55 ; dimensioni, che accennano ad un grande individuo. Tutte le valve rinvenute spettano ad una varietà dell’ 0. cochlear. assai vicina alla var. alata riportata nell’ in- teressante monografia del Foresti: Dell' Ostrea Cochlear Poli, e di alcune sue varietà. — Mem. Accad. Scienze dellTst. di Bologna 1880 ». Ma dove ho rinvenuto questa specie in grandissima abbondanza, si è nelle marne .grigio-chiare, le cui testate si mostrano sul bordo del mare, formando falaise , o costa — 93 — Lunatia fusca Blaiuv. (Natica). » bivaricosa Ponzi (Natica). Argonauta (frammento da riportarsi all’M. biarmata Ponzi). Dentalium elephantinum Lin. Hemiaster canaliferus D’Orb. Cidaris remiger Ponzi (con numerosi radioli). Alcuni piccoli otoliti od ossetti dell’appareccliio uditivo di pesci. Prammenti di legni, e coni di Pinus. Oltre questi fossili, rinvenni numerose impronte di pteropodi nelle superficie di stratificazione delle marne. Yi notai impronte di: Cleodora py ramidata Lin. ('Clio). Balantium Ricciolii Calandr. (Cleodora). Creseis acicuìa Rang (Cleodora) Diacria trispinosa Lesueur (Hyalaea). Rinvenni ancora parecchi foraminiferi tra i quali riportai un bel- l’esemplare di Cristellaria cultrata Montf. (Robulus). Basta poi osservare le specie, che ho ora indicate, sebbene in nu- mero ristretto, per rilevare che quelle marne rappresentano un deposito marino di alto fondo (lo che viene anche accennato dalla natura lito- logica delle roccie), e che sono identiche assolutamente a quelle del Vaticano racchiudendone i medesimi fossili. Ad eccezione infatti del- 1’ Ostrea Cochlear Poli, tutte le rimanenti specie si rinvengono nelle marne, già ben conosciute * 1 dei prossimi colli vaticani e gianicolensi. Pino ad ora nessuno scavo avea messo allo scoperto gli strati co- stituenti la base del Monte Mario in quella località, quantunque per l’andamento del terreno, e per essere il Monte Mario in continuazione non interrotta coi colli vaticani, nessun dubbio potesse aversi sullo roccie esistenti alla sua base. Infatti da quasi tutti coloro, che si oc- elevata, nel tratto tra Capo d’ Anzio e Torre Caldara (54 Km. da Roma). I molti esemplari clie lio ricavato da queste marne sono da riferirsi alla var. alata Poresti. (Vedi fig. 2, 3, 7 della tav. I e II della indicata memoria) ed alla var. navicularis Brocc. (Vedi fig. 4, e 5 della Tav. I e II mem. cit.) 1 Ved. Van den Hecke, Lettre à M. Leshayes sur les fossiles des marnes du Va - tican. — (Bull. d. la Soc. Géol de France, 2. Serie. Voi. XV. 1858 pag. 372-374). Ponzi G., I fossili del bacino di Roma e la fauna vaticana — R. Accad. Lincei, Voi. XXV. Serie IIP 1872. Ponzi G., I fossili del monte Vaticano. — Atti R. Accad. Lincei. Serie IIa, Tomo 3o 1876. — 94 — cuparono della costituzione geognostica di quel monte, venne giustamente accennato che alla base dovevano trovarsi delle marne grigie. 1 Proseguendo verso N. le stesse marne continuano per non grande tratto, formando sempre la base del monte ; si mostrano ancora ad una distanza di poco più di un Km. dalla cava Du Houx, precisamente nella piccola valletta che divide il Monte Mario dal monte della Farnesina, e poi scompaiono oltre il monte della Farnesina, nè più appariscono verso N. negli immediati dintorni di Roma sulla destra del Tevere, es- sendo visibili solo le sopragiacenti sabbie plioceniche, le ghiaie senza materiali vulcanici ed i tufi. Invece a S. della menzionata fornace le marne si succedono con continuità, . e si mostrano alla salita della via Trionfale fino alla quota di circa 90 m. sul mare, nella collina, sulla cui sommità venne fabbricato il casino del Tivoli, alle radici dei colli entro la Valle dell’ Inferno, sulla Via delle Mura dietro il giardino pontificio, sul Monte Vaticano nell’ interno di Roma, sulla via Àurelia circa il primo Km., nelle colline che guardano la via delle Fornaci fuori Porta Cavalleggeri, nella via del Gelsomino 2, al Gianicolo 3 e circostanti colline, (Monte delle cave della creta sotto al Gianicolo, ecc.) 1 La sezione geologica del monte Mario, intercalata nel Catalogne des fossiles du monte Mario par Ragnevai , Ponzi , Van den Bieche (Versailles 1854) segna esatta- mente le marne inclinate d’ un angolo compreso tra 8U e 10°. Anche il Conti segna bene le marne nella sezione geologica, annessa al suo opuscolo € Il Monte Mario ed i suoi fossili subappennini - Roma 1864 (la ediz.) e Ferrara 1871 » Altri spaccati geologici del Monte Mario, nei quali sono indicate le marne, si hanno nelle seguenti memorie : Murchisox R., On thè geologica} structure of thè Alps , Appennines, and Carpa - thians (Nel Quarterly journal of thè geol. Society of London 1849) Ved. pag. 296 fìg. 40, e pag. 2-33 della traduzione in italiano fatta dal Savi e dal Meneghini (1851). Ponzi G., Sulla storia fìsica del bacino di Roma (Annali di scienze matemat. e fi- siche - Roma 1850 - Vedi tavola annessa alla memoria) - Sulle oscillazioni sismiche di- luviali - R. Accad. Lincei sess. IV. - 1871 - Vedi i due spaccati geolog., i quali poi sono ripetuti nell’ altra memoria : Pei monti Mario e Vaticano e del loro sollevamento. R. Accad. Lincei, serie II» Tom. 2° 1875) — Karrer F., Per Boden der Hauptstddte Europa"1 s — Wien 1881 (Ved. la sezione geologica inserita nella pag. 63). Tralascio di citare memorie di altri autori, giacche evidentemente questi non fecero che copiare più o meno esattamente le sezioni geologiche, che ora ho indicate. * Tra i più importanti fossili, pervenuti nel decorso anno al Museo di Geologia della R. Università di Roma dalle marne delle sopracitate colline, devo indicare una prima falange, perfettamente conservata, di un ruminante, e due frammenti di Sepia (cfr. S. offcinalis Lin.). Questi fossili furono estratti dalle marne della cava Laudani fuori Porta Cavalleggeri. 3 Le marne furono incontrate nel taglio, praticato nel 1867 per la strada rota- bile, che dalla via Garibaldi sale alla Chiesa di S. Pietro in Montorio, ed erano in- dinate di un angolo di circa 10°. — 95 ecl affiorano ai Monti del Truglio, al Monte delle Piche nella trincea della ferrovia Roma-Magìiana. 1 Le marne grigie di tutte queste località, sono da riportarsi al piano inferiore dei pliocene, ed, in generale, giudicando dai fossili sino ad ora avuti, (specialmente da quelli estratti nella cava Lanciani in Yia del Gelsomino) la fauna offre delle analogie con quella delle marne grigie di Orciano Pisano. Nel punto in cui è stabilita la cava Du Houx, gli strati di marna giungono verticalmente alla metà circa dell’altezza del monte (65 metri sul mare) giacché si mostrano a livello del piazzale dinanzi la "V illa Madama, il cui fabbricato è quasi soprastante al taglio ora eseguito. Se quindi il lavoro di scavo delle marne verrà continuato ancora entro il monte, la sezione giungerà a mostrare le sabbie grigie marnose, che devono succedere alle marne, e lo strato di sabbie gialle fossilifere, dai quali due strati contigui vennero estratti tutti i fossili, spettanti al pliocene superiore, che trovansi nelle collezioni come provenienti dal Monte Mario. Mancando affatto questi due strati nelle prossime colline, che formano catena a S. del Monte Mario, sarà importante di rilevare se questi strati riposino in giacitura concordante colle marne, ovvero se offrano una serie discordante. Nella sezione attuale della cava Du Houx si rimarcano parecchi dislocamenti, taluni avvenuti prima che fossero deposti gli strati su- periori, giacché la faglia non attraversa questi ultimi, ripetendosi quivi quanto si osserva nelle cave aperte alla base dei colli vaticani e gianicolensi. La maggiore di tali faglie mostrasi nella sezione, incli- nata di un angolo di 3 1° rispetto la verticale; la faglia traversa tutta la sezione, e sembra doversi continuare anche nei sopragiacenti strati non messi allo scoperto. In sezione il piano di dislocamento è ben pre- cisato, e le due superficie sulle quali avvenne lo scorrimento, sono a contatto fra loro. In altra faglia ho osservato invece tra le due su- perficie di rottura, un cuneo di riempimento, costituito pure da marne però rimescolate, e deposte evidentemente dopo la frattura e salto de- gli strati. Alle marne non erano addossati, depositi quaternarii delle allu- vioni del Tevere, sebbene le prime formino in quel tratto la sponda de- stra del grande alveo tiberino. Ciò dipende dal fatto che la corrente alluvionale batteva evidentemente in corrosione la base del Monte Ma- rio, mentre poco più a monte deponeva le sue ghiaie ed i suoi sedi- 1 POXZI G., Sui lavori della strada ferrata di Civitavecchia da Roma alla Ma - gluma. — - (Atti Accacl. Nuovi Lincei, Sessione VII del 13 Giugno 1858). — 96 — menti (cave di ghiaia alla Farnesina. Ponte Molle, Tor di Quinto ecc.) e di fronte sulla opposta sponda si formavano i travertini (Monti Pa- rioli, Pincio ecc.) Se potrò avere altri fossili delle marne del Monte Mario non man- cherò di pubblicarne le specie. III. La frana di Castelf ventano nel 1881 (da un rapporto ine- dito dell’Ingegnere E. Niccoli.) 11 paese di Castelfrentano, di 5000 abitanti circa nel Circondario di Lanciano, provincia di Chieti (Abruzzo Citeriore) fu nel luglio del de- corso 1881 il teatro di grave scoscendimento o frana che travolse parte dell’abitato e lasciò in perenne minaccia il rimanente. Fra le visite dei tecnici andati a studiare il sito ebbe luogo quella dell’ingegnere delle miniere del Distretto di Ancona, Sig. Niccoli che si recò ad esa- minare il fenomeno principalmente al punto di vista geologico, insieme coll’Ispettore forestale della provincia di Chieti Sig. Andrea Schinardi. Il rapporto del suddetto ingegnere, del decembre ultimo, dovea insieme ad altri venire pubblicato dal Ministero d’Agricoltura, Industria e Com- mercio, ma essendovi poi stata sospensione, sembra opportuno il pub- blicare almeno un cenno sommario su di quell’evento e sulla sua causa, come argomento che può interessare non poche altre località le quali si trovano in consimili condizioni. L’abitato di Castelfrentano trovasi alla sommità di un dosso colli- noso alto circa 400 met. sul mare, che sorge fra due corsi d’acqua, il rivo Feltrino all’est che si scarica nel Moro, ed il rio Pantano al S.O. che dà origine al Gogna affluente del Sangro. L’altezza del paese al disopra di quei rivi non è molta, cioè metri 140 sul Feltrino e metri 160 sul Pantano, mentre la distanza oriz- zontale ai medesimi non e minore di 700 metri, onde l’inclinazione delle pendici, aventi una scarpa di circa 5 per 1, è assai mite. La sezione che si unisce qui avanti, diretta nel senso SO.-NE. da una sufficiente idea della forma e costituzione geologica di questo colle sul quale sta l’abitato. Lo scoscendimento ebbe luogo sul versante orientale, quello cioè che scende al Feltrino. Certi sintomi già non mancavano essendo stati, a quanto pare, segnalati e sino da tempi assai antichi, i pericoli cui FR4NA J)I CASTELFRENTANO 97 — 98 — poteva dar luogo il pertinace dissodamento che andavasi facendo della pendice costituita da terreno di natura argillosa. Ed anche poco prima dell’evento del luglio ultimo si aveano segni di qualche grande distacco nel terreno, ma il fatto superò forse l’aspettativa. Il 31 del luglio verso il meriggio cominciò un abbassamento generale del suolo su quella pendice orientale con scorrimento verso N.E. sino al fondo della valle del Feltrino. Tale movimento durò sino a notte avanzata formando una frana imponente che occupa circa un Km. di lunghezza su mezzo di larghezza. Il volume della massa entrata così in movimento sarebbe non meno di 9 milioni di m. cubi. Lo stacco con abbassamento cominciò nell’abitato istesso le cui prime case con gli orti circostanti, la strada orientale e varie altre abitazioni sparse sulla pendice; furono totalmente travolte. La superficie del terreno si spronfondò presso al villaggio di circa 30 metri rigonfiando quindi nella parte inferiore della valle; e la frana per le pareti ripide e levigate fra cui è incassata, pei rigon- fiamenti e risalti della superfìcie e le estese e profonde fessure tra- sversali, rivestì come di solito l’aspetto di un ghiacciajo od anche di un corso di lava. Nè i movimenti cessarono dopo questo grande sco- scendimento, poiché a diversi intervalli altre fette di terreno ancora si staccarono, aiutandovi i terremoti che poco dopo tormentarono quella regione, e poi nel novembre e decembre le forti pioggie sopravvenute. Il palazzo del sindaco già pericolante venne allora travolto; e sempre poi esiste la minaccia di danno ulteriore. Tanto più che nelle depres- sioni della frana si sono formati qua e là dei laghetti, le cui filtrazioni sino al letto di scorrimento della medesima, tendono naturalmente a fare vieppiù scorrere e discendere al basso quella massa incoerente. Limitandoci ai pochi cenni suesposti per ciò che concerne la descri- zione del fenomeno, vediamo ora la causa del disastro. La medesima consiste al certo principalmente nella natura intima del terreno costi- tuente quella pendice, la quale produce un disfacimento lento ma con- tinuo e profondo nella sua massa, e senza che vi abbiano contribuito scorrimenti di strati inclinati, e nemmeno a quanto pare dei movimenti provocati da esterne erosioni, come invece ne è il caso in altri scoscen- dimenti. Ed è perciò appunto un caso assai singolare che a simile causa intima possa unicamente ascriversi un moto repentino e su così vasta scala. Ciò risulta infatti dallo esame geologico e chimico di questo terreno. La collina su di cui siede Castelfrentano è di terreno terziario pliocenico, a strati prossimamente orizzontali, costituiti quasi per intero di marna argillosa grigio-giallognola sovente mista a sabbia, la quale vi forma anche qua e là dei letti o banchi di qualche estensione. Tale — 99 — sabbia che a siti è agglutinata da cemento calcareo marnoso, ma gene- ralmente piuttosto sciolta, forma poi un banco continuo di 8 metri circa di potenza, sovra la sommità del colle, sul quale banco è co- strutto l’abitato. Quanto al terreno argilloso che sta al disotto, vi si può distinguere una prima zona di circa 40 metri di spessezza di argilla impura ferruginosa che passa inferiormente ad un’argilla omogenea e di colore turchino più deciso, la quale sembra poi continuare inde- finitamente nel basso, in quanto che non se ne scopre la base in nes- sun luogo dei dintorni. L’argilla della zona superiore contiene un sensibile miscuglio di sabbia la quale contribuisce a renderla permeabile all’acque sino a notevole profondità, acqua la quale deve giungervi dall’alto in certa quantità in causa del banco di sabbia piuttosto sciolta e quindi per- meabile che costituisce la parte superiore del colle. La suddetta zona superiore di argilla poi oltre al contenere molte sostanze organiche è pure impregnata, benché in piccola dose, di cloruro di sodio o sale comune e contiene inoltre del solfato di calce, ed altri sali solubili ed insolubili. Infatti i pozzi di Castelfrentano che sono scavati in questo terreno argilloso non danno che acqua salmastra, oltrecchè piuttosto scarsa, e solo nei pozzi escavati a distanza dal paese nelle argille azzurre inferiori si ha dell’acqua potabile. Ai bisogni della popolazione viene supplito, però in poco larga misura, coll’acqua di pozzi assai lontani e con quella raccolta in cisterne nell’abitato stesso. Yi ha qui adunque nell’argilla sottostante alle sabbie superficiali una composizione simile a quella delle argille salate dei terreni mioce- nici, la cui instabilità è pur troppo conosciuta e fatale alle opere pub- bliche in Italia e specialmente in Sicilia dove simile terreno abbonda. Il miscuglio di sabbia che ajuta la penetrazione delle acque, e la pre- senza di sali solubili, sono infatti circostanze fatali per la conservazione della solidità del terreno, onde malgrado la orizzontalità degli strati ed il mite pendio della superficie le condizioni geologiche di Castel- frentano presentavano realmente condizioni molto svantaggiose, cioè oltre modo favorevoli all’imbevimento della massa del terreno argilloso per l’azione delle acque piovane, e quindi ai suo disgregamento in una massa di molle poltiglia che è poi la materia delle frane di scorri- mento superficiale come quella qui verificatesi. Le argille infatti della pendice, e quelle sovratutto della parte superiore che sono salifere, quando sieno messe a scoperto dal dissodamento cominciano e fendersi nei tempi secchi e talvolta sino a gran profondità. Al sopravvenire delle pioggie la massa s’imbeve e diventa molle e scorrevole. Yi si aggiunge in altre stagioni l’acqua che come fu spiegato vi trasuda dall’alto in 100 — modo più o meno perenne ed alla quale si aggiungeva pur talvolta quella che si perde dalle cisterne dell’abitato non sempre provviste di un rivestimento a perfetta tenuta. Col tempo adunque la massa superfi- ciale disciolta va naturalmente aumentando di spessore, abbassandosi vieppiù la zona o letto ancora solido sul quale può scorrere, sinché la spinta al basso della massa incoerente vincendo l’attrito si determina 10 scorrimento. Deve qui notarsi come anticamente, cioè prima del 1815, la pen- . dice ora franata, fosse ancora coperta di boscaglia; ma qui come altrove 11 bisogno di produzione agricola spingeva a dissodare, e non mancò, per quanto ne restano le memorie, di farsi luogo ben presto a qualche movimento del terreno specialmente nella parte superiore del versante : proseguiva tuttavia il dissodamento, e dal 1831 in poi succedevano altri e maggiori movimenti, anche con la rovina di parecchie case. Le principali devastazioni della superficie boscosa avvennero però dopo il 1860 unitamente all’estendersi del brigantaggio e dopo allora la frana venne accentuandosi in modo allarmante, con avvallamenti ed anche con nuove rovine sinché nell’estate del 1881 il pericolo giunto all’apogeo venne sancito dall’improvviso e grave fatto stato descritto. L’estensione della frana occupa una superfìcie di circa 36 ettari, ma vi sono inoltre due zone laterali di terreno franoso che ne aumen- tano l’estensione sino a 55 ettari. E pur da notare che oltre questa frana si notano qua e là per le circostanti pendici indizii di movimenti, salvo sul dosso occidentale del Colle della Selva che è al nord dell’a- bitato dove l’esistenza dello strato sabbioso più o meno scevro di argilla, la minore inclinazione e l’esistenza di un piccolo bosco di querele sta- tovi conservato, assai contribuiscono alla stabilità. Sul versante S.O. però che è assai ripido, si manifestano pure già indizii di movimenti che potrebbero essere i precursori di qualche grande frana, e quasi è da stupire che già non siasi ivi prodotta. in conclusione emerge da quanto venne esposto, come sia ora ben critica la situazione di Castelfrentano e come sia estremamente arduo il problema di provvedere alla sua conservazione. La parte settentrio- nale dell’abitato, che come fu sovraesposto ritrovasi in posizione meno svantaggiosa, non presenta imminenti pericoli; ma la parte meridionale che costeggia la frana e dove il terreno argilloso è ora allo scoperto, può dirsi irremesibilmente compromessa, come vi sono pure compro- messe le strade di comunicazione coi vicini paesi. Per ora non si può pensare che a limitarvi i danni e diminuirvi i pericoli, sia demolendo sen- z’altro le case già dirute per allegerire gli strati superiori d’argilla che vi sono tagliati verticalmente, sia provvedendo il più prontamente possibile 101 — alla perfetta tenuta delle cisterne, non che al pronto scolo di quelle acque le quali soffermandosi, come fu detto, nelle anfrattuosita della grande frana orientale minacciano di ingrandirla ancora approfondan- done sempre più il letto di scorrimento. Quanto ad un rimedio generale pronto, efficace ed economico, esso non esiste in simili condizioni geologiche. Il male essenzialmente con- siste nella natura dell’intero terreno che costituisce la .massa del colle e sovratutto la sua parte superiore su cui sta l’abitato, e che lo rende soggetto ad un processo di disfacimento lento ed incurabile. Unico rimedio in questo, come in tanti altri casi consimili, sarebbe il sottrarne più o meno completamente la massa al contatto delle acque tanto super- ficiali che di quelle della sotterranea percolazione. A ciò, come è noto, può provvedere sino a certo punto anzitutto un buon sistema di canali impermeabili praticati nell’esterno per raccogliere ed evacuare pronta- mente le acque piovane, non chè un sistema di fognatura nella frana già prodottasi; e quindi il tenerne la superficie salda e boscosa. Una infatti delle cause del male può attribuirsi al dissodamento eseguitosi pei decorsi anni per dare il terreno alla coltura più o meno intensiva, la quale pel continuo rimestio della superficie del suolo provoca e favo- risce la penetrazione delle acque piovane; e così se'nza estendersi a trattare dei rimedii locali poco sopra cennati in ciò che concerne l’abi- tato, non vi sarebbe altro rimedio generale e preventivo che ritornare la superficie delle plaghe più compromesse e pericolose allo stato natu- rale primitivo, cioè ricoprirle del manto vegetale protettore e con- servarle tali con qualche sagrifìzio della produzione agricola. Un simile rimedio già per antica esperienza riconosciuto efficace, è il solo appli- cabile in casi consimili, e tale venne pure consigliato in un caso non meno interessante, quello del Colle alle Croci ossia di S. Miniato a Firenze sul quale stanno insigni monumenti ed il nuovo giardino pubblico. Il terreno vi è di costituzione consimile se non identica, e vi è pure attaccato dalla stessa malattia di lento discioglimento interno. Sino dai tempi del medio evo il Leonardo da Vinci, il Michelangelo, il S. Gallo, Pallavolo e successivamente i principali maestri dell’arte, che se ne j occuparono, non poterono suggerire altro rimedio, se non quello di pro- teggerne la superficie dalla penetrazione delle pioggie con la pronta evacuazione loro dalla superficie ed il rimettere questa a saldo mediante opportuna coltura erbosa e boschiva. — 102 — NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. L. Gatta. V Italia, sua formazione, suoi vulcani e terremoti. — Milano, 1882 Il libro del quale qui sopra indichiamo il titolo non è un trattato di geologia, ma, come lo stesso Autore dichiara nella sua prefazione, un’opera di carattere popolare intesa specialmente a diffondere nozioni esatte su tutti quei fenomeni di origine endogena, che concorsero per dare al nostro suolo l’attuale sua configurazione. Yi sono quindi esposti e discussi i fatti di natura fìsica o meccanica i quali successivamente sonosi avverati sul nostro globo, ed hanno prodotto per lungo volgere di secoli degli sconvolgimenti tali da mutarne completamente la faccia. Questo libro, benché non esente da qualche menda diffìcilmente evi- tabile in un lavoro di tanta mole, riescirà tuttavia sempre utilissimo per lo scopo al quale è diretto e sarà letto con profitto da ogni per- sona la quale, senza volere addentrarsi troppo nelle quistioni di endo- dinamica, desideri acquistare un buon corredo di cognizioni su questo* interessante ramo della geologia. Per darne una idea sufficiente faremo qui un breve cenno di cia- scuno dei dieci capitoli nei quali l’opera è divisa. Cap. 1. — Incomincia con la esposizione di una serie di dati sul- l’aumento del calore a profondità dedotti da osservazioni fatte in pozzi di miniere, in lunghe gallerie ferroviarie e sulFacqua dei pozzi arte- siani: si espongono quindi le principali teorie ed ipotesi proposte sullo stato interno del globo, dalla antica di una massa affatto fluida rico- perta da sottile crosta solida, insino alla più moderna di un globo quasi intieramente solido. Cap. 2. — Yi si parla della origine della terra desunta dalle ipo- tesi di Kant e di Laplace, e si discute a lungo la questione della sua età assoluta calcolata in base al progresso attuale della denudazione operata dagli agenti esterni. Cap. 3. — In questo l’Autore esamina le successive variazioni di forma cui andò soggetta la terra, ed espone le teorie proposte dai geo- logi delle diverse scuole per spiegare la formazione delle catene mon- tuose. Cita gli esperimenti del Daubrèe e ne deduce interessanti con- seguenze sulla deformazione degli strati e sulla trasformazione del movi- — 103 — mento in calore interno della terra, e quindi la sua influenza sul me- tamorfismo delle roccie e sulle azioni vulcaniche. Cap. 4. — Questo lungo capitolo è dedicato particolarmente al sol- levamento delle Alpi e dell’Appennino ed alla formazione della zona vulcanica italiana. Dopo alcune considerazioni generali sul sollevamento delle montagne, l’Autore tratta della probabile formazione dei nostri maggiori rilievi, ed espone alcune delle teorie proposte, fra le quali quella dello Scarabelli sul probabile sollevamento curvilineo delle Alpi: accenna pure alla natura alpina dei terreni costituenti la Corsica, la Sardegna, non che la Calabria e l’angolo N.E. della Sicilia, come anche alla esistenza di un’altra catena anteriore all’ Appennino, ora in gran parte sommersa. Parla quindi distesamente della regione vulcanica del- l’Italia centrale e meridionale e delle nostre isole vulcaniche, facendone risaltare l’allineamento secondo determinate direzioni. Dopo un cenno dei vari fenomeni di vulcanicità secondaria (soffioni boraciferi, fontane ardenti, emissioni di gaz diversi, ecc.) non infrequenti in Italia, l’Autore entra nella questione delle apparenti variazioni del livello marino os- servate da lungo tempo lungo le coste italiane ed altrove, e ne trae la conseguenza delle lentissime oscillazioni del suolo. Cap. 5. — Tratta di alcuni fenomeni della vulcanicità periferica, come le salse o vulcani di fango, i Geysers, le fumarole, solfatare, ecc. Accenna ai grandi vulcani di fango della regione del Caspio, indi a quelli più modesti di Nirano, di Querzola e di altre località dell’Ap- pennino settentrionale, nonché alle maccalube della Sicilia. Parlando dei Geysers espone le diverse ipotesi proposte per spiegare la intermittenza delle loro eruzioni. Dopo di avere accennato ad altri fatti di vulcani- cità secondaria, l’Autore entra in alcuni particolari sull’intervento del- l’acqua nelle eruzioni vulcaniche, sulla fluidità delle lave, sullo sprigio namento di gaz e vapori dalla loro superfìcie, sulla formazione delle bocche vulcaniche e sui fenomeni che precedono ed accompagnano le eruzioni. Cap. 6. — E questo dedicato alla spiegazione dei grandi fenomeni del vulcanismo di primo ordine, e particolarmente al modo di forma- zione ed alla natura delle lave, non chè alle cause determinanti le eru- zioni vulcaniche, insistendo sulla necessità dell’intervento del vapore acqueo e sulla parte che gli spetta nella formazione delle lave. Chiù- desi con alcune considerazioni sul modo di infiltrazione dell’acqua nelle viscere della terra, e in particolare nei crateri dei vulcani. Cap. 7. — Come applicazione delle idee esposte nel precedente ca- pitolo, l’Autore entra con questo in molti dettagli sui vulcani della pe- — 104 — nisola e delle isole italiane, dal Vesuvio insino alle estreme isole di Lam- pedusa e di Linosa. Parlando dello Stromboli, accenna alla regolare intermittenza delle sue eruzioni, discute la spiegazione propostane da Mallet e ne presenta un’altra più attendibile. Il capitolo termina con alcune considerazioni sul nesso esistente fra le eruzioni vulcaniche con terremoti e con le variazioni atmosferiche. Cap. 8. 9. e 10. — Gli ultimi tre capitoli sono destinati complessi- vamente ai fenomeni sismici, incominciando dai fatti che ordinariamente preannunciano la venuta dei terremoti e dagli apparecchi indicatori dei movimenti del suolo, ed arrivando alle diverse teorie sulla origine e sulla trasmissione dei terremoti, non che alle moderne applicazioni del microfono e del telefono alle osservazioni sismiche. L’opera è corredata da figure intercalate nel testo, fra le quali una bella veduta del tempio di Serapide presso Pozzuoli e da tre tavole, di cui una mostrante la disposizione dei terreni vulcanici in Italia ed un’al- tra speciale ai vulcani dell’Italia centrale. Da ultimo diremo che V edizione è molto bene riuscita e fa onore alla casa Hoepli di Milano che curò la pubblicazione del libro. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie II. Voi. III. Maggio e Giugno 1882. N.° 5 e 6 SOMMARIO. Memorie originali. — T. Brevi cenni sulla geologia della parte N.E. della Sicilia, dell’ ingegnere E. Cortese del R. Corpo delle miniere. — IT. Appunti geologici e idrografici sulla provincia di Salerno (Circondarli di Campagna e di Vallo della Lucania) del dott. C. De-Giorgi( Continuazione). — III. Sulla zona di fori, lasciati dai Litodomi pliocenici, nella calcaria giurese di Fara-Sabina, nota dell’ ingegnere R. Meli. Notizie diverse. — Esecuzione della Carta geologica d’Europa decisa al Congresso di Bologna. Tavole ed incisioni. — - Tavola di sezioni unita alla nota del dottor De-Giorgi, pag. 149. — Quadro d’insieme della Carta geologica d’Europa, a pag. 160. MEMORIE ORIGINALI I. Brevi cenni sulla geologia della parte N.E. della Sicilia , dell’ Ing. E. Cortese elei R. Corpo delle Miniere. Parte I. — Terreni Paleozoici. Nella parte N.E. della Sicilia, quale starà per essere descritta nel corso di questa memoria, sarebbe da comprendersi tutta la parte al nord dell’Etna ed all’est delle Madonie, tutta la provincia di Messina insomma, con una parte di quella di Catania. La serie dei terreni che appaiono in questa parte della Sicilia è estesissima, compendia si può dire tutta la scala geologica dai terreni più antichi ai moderni, e molti con fisonomie affatto speciali. Dal punto di vista dell’orografia la provincia di Messina è relati- vamente complicata, quantunque però sia una sola la catena principale che la percorre. In questa catena principale dobbiamo distinguere due parti: una diretta sensibilmente dal N-E al S-0 va dal capo Rasocolmo, al nord di Messina, fino al monte Mandrazza, al sud di Novara; l’altra parte diretta quasi E-0 va dal monte Mandrazza fino al sud di Mistretta, dove poi inclina verso il S-O. — 106 — La prima parte, sopratutto nella parte più vicina a Messina, si può chiamare dei monti Peloritani, la seconda non avrebbe un nome proprio, altro che fra monte Pelato e monte Castelli, dove prende il nome di catena’ delle Caronie. Oltre questa serie continua di monti, abbiamo un gruppo di monti quasi isolato presso Taormina, e poi numerosi contrafforti che si spin- gono sopratutto verso la costa settentrionale della Sicilia, giungendo talvolta a formare dei promontorii. Fra questi contrafforti corrono lun- ghe fiumare che tutte vanno a gettarsi nel mare Tirreno, provenendo dal versante occidentale o settentrionale della catena principale. La ca- tena del Peloro si avvicina moltissimo alla costa jonica, e le fiumare, meno qualcuna verso la parte meridionale, hanno pochissima importanza. Fra T Etna e la seconda parte della catena principale abbiamo una de- pressione assai marcata, ed in quella scorrono due fiumi, uno, l’Alcan- tara, si getta direttamente in mare al nord dell’Etna, l’altro, il Simeto, ne lambe la base del vulcano, all’ est e al sud, e si scarica in mare a mezzogiorno di Catania. La cresta dei monti Peloritani va gradatamente ascendendo, ma rag- giunge delle altezze non molto considerevoli; dal Monte Antennamare, presso Messina alto 1130 m. circa, si passa con due colli più depressi al Monte Poverello alto 1278 m., e da questo egualmente per punti molto più bassi, si può raggiungere il Pizzo di Polo a 1288. La Rocca di Novara, che non appartiene però alla catena principale, è alta 1341 e il Monte Tre Fontane, piccolo contrafforte che da Monte Man- drazza tende ai monti di Taormina, raggiunge i 1374. Ma le cime più alte si hanno andando verso le Caronie ; rapidamente la cresta si eleva a 1433 m. al Monte del Moro, a 1752 al Serro del Ite ed a 1846 al Monte Sori che è il punto più elevato della provincia di Messina. Al di là di esso la cresta declina e le cime più aite sono quelle del Monte Pelato e Monte Castelli, ambidue a 1566. Ad onta della loro minore altezza però, i monti Peloritani sono i più scoscesi; in generatela loro base è piccola, profondi valloni corrono fra di essi, ed i loro fianchi sono ripidi. I monti delle Caronie sono più estesi, il pendio per accedervi più dolce. Percorrendo la strada littorale che da Messina va a Palermo, si vedono prima le cime erte e scoscese dei monti fino alla Rocca di Novara, poi una serie di monti pianeggianti che sono quelli che formano la cresta fra Monte Mandrazza e Monte del Moro, finalmente le vette, elevate sì, ma non scoscese, delle Caronie. Le fiumare che si incontrano su quella strada sono assai larghe, e portano dei volumi enormi di materiali alluvionali, le più estese es- — 107 — sendo però quelle di Kodì e quelle di Novara, che si gettano in mare fra Barcellona e Falcone. Credo preferibile il parlare più estesamente di queste fiumare e delle loro alluvioni, dopo aver parlato dei terreni che esse traversano ; in tal modo riescirà più facile lo spiegare la quantità e la natura dei materiali che trasportano e dar le ragioni della loro maggiore o minor importanza. Sembrandomi più conveniente il parlar prima della geologia della contrada considerata, e poi dell’ aspetto topografico, delle acque, ecc., mi darò tosto a descrivere i terreni che costituiscono questa parte della Sicilia. Comincierò dai più antichi venendo successivamente ai moderni, per dare poi infine un’ idea dei sollevamenti ed abbassamenti che hanno portato i diversi terreni in rapporto fra loro; in tal modo riescirà più facile a • comprendersi la loro relativa disposizione. Terreni Cristallini. Colla denominazione di terreni cristallini non intendo qui di com- prendere tutti i terreni azoici e massicci che si presentano nella provin- cia di Messina, ma bensì la parte più antica, quella corrispondente forse al Laurenziano e all’Uroniano, insomma la formazione centrale. Il laurenziano e l’uroniano, detti anche i terreni del micascisto, e dello gneiss, sarebbero appunto rappresentati in Sicilia da quelle roccie, principalmente dal micascisto. La formazione continua in Cala- bria, e con maggiore o minor predominio dello gneiss, del granito an- tico e di altre roccie contemporanee, costituisce l’estremità della penisola. I monti Peloritani, specialmente quelli che hanno veramente diritto a questo nome, sono costituiti dal terreno cristallino propriamente detto. Le roccie che costituiscono la massa del terreno in questione sono di variabile aspetto e costituzione, sebbene riferibili al tipo delle roccie a tre elementi, quarzo, feldspato e mica. Il quarzo e il feldspato non mancano mai ; talora si hanno due feldspati, ma il terzo elemento è rap- presentato dalla sola mica, nera o bronzata, tal altra dalla mica e dal- ì’anfìbolo insieme, e finalmente si possono riconoscere delle varietà in cui se l’anfìbolo non è solo, predomina almeno, e di molto, sulla mica. La roccia appena scavata ha un color grigio dorato, o grigio verdastro, a seconda che la mica è sola o vi predomina l’anfibolo ; esposta all’aria prende sempre un color grigio opaco. La schistosità è talvolta abba- stanza fina perchè la roccia possa chiamarsi realmente un micaschisto; altre volte essa è minore e la roccia rassomiglia piuttosto ad un granito con piani paralelli di clivaggio. — 108 - Frequentissime sono le venature di feldspato, talora assai grandi, ramificate, interrotte ; a volte delle vere masse as3ai estese. Contenendo un poco di quarzo si potrebbero chiamare pegmatiti e sarebbero o in- trusioni di quella roccia, nella massa micaschistosa, o concentrazioni di feldspato ortose con eliminazioni della mica e di quasi tutto il quarzo. Qualche volta, in quelle vene bianche di feldspato si trovano delle masse di mica in lamelle abbastanza grandi, ma si tratta allora di mica muscovite , bianchissima, insieme col feldspato, una specie di jaìomicte , senza minerali accessorii. Concentrazioni di mica biotite sono rarissime e sempre in piccole masse. Di venature pegmatitose ne appaiono ovunque ; basta percorrere la strada che da Messina attraversa la montagna al colle S. Kizzo per scendere poi a Spadafora, per vedere, nelle trincee scavate nei mica- scisto, delle grandi quantità di quelle venature. Una grande massa si trova a circa 5 miglia da Messina, ed in quella fu scavata una cava, per toglierne la breccia per la strada; tale materiale infatti è eccellente perchè, frantumato, si impasta coll’acqua e forma un fondo solido per la carreggiata. Un’ altra rilevante massa di feldspato si incontra percor- rendo la cresta dei monti, fra monte Ariella e Antennamare. In queste roccie non si trovano venature di quarzo latteo, o raramente. Le fiumare che scendono alla costa nord, come la fiumara Lavina, quella dei Corsari, ecc. mostrano dei blocchi rotolati di gneiss e altri di granito a fini elementi. Di quest’ ultimo non mi fu mai dato di tro- vare delle masse in posto ; forse delle masse sono disseminate nel mica- scisto, e non sono facilmente rintracciabili. Dello gneiss invece si possono facilmente vedere delle grandi masse ; si tratta di uno gneiss a cristalli di feldspato lunghi fino a 3 centimetri e più, colla macia ben marcata, e colla mica bronzata disposta quasi in lamine, in modo da rendere la roccia oltremodo fragile. Il feldspato è talora bianco, ed allora la roccia è grigia, ma qualche volta i cristalli sono rosa; lo gneiss viene un poco a rassomigliare ad una sienite, o per lo meno allo gneiss rosso della Scozia; esso non si presterebbe però a nessun lavoro di ornamento, in causa della fragilità che presenta, proveniente dalla disposizione della mica. Una massa di gneiss a feld- spato rosato si trova lungo il viottolo che scende da Salice al piano dei Comi e alla fiumara di Tarantonio; altro gneiss molto ricco di mica, in modo che è piuttosto nero che grigio, si trova anche presso Collereale, presso Kizzotti, e presso S. Michele. Di vero gneiss antico a cristalli ben definiti, mi fu dato vedere altre masse rilevanti ; una alla punta di Milazzo, ove si ha il passaggio degli — 109 — schisti micacei e un poco cloritosi, allo gneiss micascistoso, massa che si può veder bene lungo lo stradello che scende alla tonnara della Punta del Messinese ; un’ altra massa a feldspato rosato si trova presso Bafia sotto al Pizzo di Sughero. Uno gneiss in cui il feldspato è in cristalli minuti mescolati a cri- stalli di quarzo in modo da formare come una pasta bianca, e la mica bronzata è orientata e traversa la pasta biancastra, si trova presso monte Poverello e sulla via che dal piano di Margi scende alla Santissima. |È uno gneiss un poco dissimile dai precedenti ma appartiene ancora al sistema dei micascisti e degli gneiss antichi. Lo gneiss riapparisce in grandi masse in Calabria, presso Palmi. Tutto il resto della catena peloritana è costituita dunque da roccie cristalline con abbondanti venature feldspatiche. Una roccia però che appare abbondantemente intercalata al micascisto è il calcare cristal- lino. Esso appare in lenti parallele alla scistosità della roccia; si vede questa, pur mantenendo i suoi elementi, caricarsi di calcare, indi perdere ad uno ad uno i suoi elementi, ultima la mica, e passare gradatamente al calcare cristallino puro in masse più o meno grandi. Questo calcare è grigio o bianco, talora contenente delle strisele o dei cristalli di pirite di ferro, disseminati nella massa, più spesso pu- rissimo. Naturalmente serve per pietra da calce e dà una calce buonis- sima, che sarebbe migliore ove non fosse così primitivo il sistema di cottura. Tenendo dal Capo Rasocolmo al sud, la prima massa di calcare cri- stallino appare sul viottolo che da S. Michele sale alla Portella delle Masse per raggiungere le strade rotabili di Castanea e di Salice ; la stessa massa riappare al vallone di Badiazza. Dopo questa massa, ne appare in alto della fiumara di Mili, a Briga e Pezzolo ; molte masse si presentano sopra S. Lucia del Mela, a Rocca del Campo, Pizzo di Frara. ecc.; Monte Strassolito e Pizzo Cavallo ne sono coperti ; forma la cima del Monte Scuderi, dove ha la potenza di oltre 100 metri; si continua nei monti di Castroreale, e forma quasi interamente la parte superiore del Pizzo di Sughero ;, finalmente una grande massa appare a Capo Tindaro. Questo calcare cristallino, caratteristico, accompagna esclusivamente il micaschisto e le roccie analoghe, non si trova mai cogli gneiss ; non va poi confuso con altro calcare cristallino, egualmente bianco grigia- stro o grigio azzurrognolo, che accompagna un’ altra formazione che descriverò in seguito. Il micaschisto si altera facilmente agli agenti esterni, le venature di feldspato, l’abbondanza della mica, la sua natura poco tenace fanno sì — 110 — che l’acqua vi si infiltra facilmente, il gelo vi agisce fortemente, e le frane sono frequentissime. $u queste frane, la roccia resta talora gial- lastra, sgretolata con pendii rapidissimi: altre volte l’alterazione essen- dosi spinta più profondamente, la superficie di scorrimento della frana appare come di un’argilla sabbiosa, di color azzurrognolo, tanto ebe si crederebbe, da lungi, di aver a che fare con delle colline di argille azzurre, invece che con roccie cristalline. Un esempio di ciò si ha nelle frane cadute sul fianco di Monte Campone. In totale dunque la roccia è poco solida, e quantunque le pendici dei monti sieno scoscese e ri- pide, le frane sono comunissime. Le acque filtrano facilmente attraverso la roccia, ma sono poi ri- tenute forse dalle venature feldspatiche, che trasformandosi in una specie di argilla, alla superficie di contatto colla massa di roccia, diminui- scono la permeabilità di questa. Fatto è che si trovano sorgenti a tutti i livelli, e talvolta assai abbondanti; l’acqua è generalmente fresca ma poco aereata. Il terreno cristallino, cioè il micaschisto colle roccie affini, gneiss contemporanei, e calcare cristallino, comincia al Capo Rasocolmo, si mostra sulla costa nord, fino allo sbocco della fiumara di Tarantonio, forma la cresta dei monti, per Campo Inglese, Monte Cicci, Antenna- mare con un contrafforte arriva entro Messina, giunge al mare presso Tremestieri, e, coperto dal terziario in qualche punto, si spinge fino a Scaletta. Sull’altro versante giunge a Rometta \ S. Lucia del Mela, Ca- stroreale, si ferma a Bafìa, e il suo limite; passando dietro Pizzo di Palo, Pizzo Cavallo va a monte Scuderi e per Itala ritorna a Scaletta. Due masse isolate appaiono, una alla penisola di Milazzo, l’altra al Capo Tindaro. Al di là dei limiti indicati, il vero cristallino, ossia il laurenziano, non appare più, e si può dire realmente che esso costituisce tutta la catena peloritana, ed esclusivamente quella; esso si riattacca bene al cristallino di Calabria, ma non va confuso con altre formazioni mas- siccie che verrò descrivendo in seguito, cercando di farne risaltare le differenze. Il micascisto, lavorato alla superficie, dà un terreno sabbioso, leg- gero; disposto a scaglioni, con muricciuoli di sostegno, è spesso colti- vato e vi crescono bene le vigne; il grano vi prospera meno bene, e poco bene pure gli alberi fruttiferi, meno i gelsi. I fichi d’india vi si 1 La massa di cristallino, in gran parte coperta dal terziario appare ancora a Venetico e Roccavaldina, e fino al mare, presso Spadafora San Martino, al luogo detto Le due Torri . — Ili — attaccano come in tutti i terricci leggeri e sabbiosi. La vegetazione selvatica dominante è la felce, ma vi crescono pure altre erbe selva- tiche, le eriche, le mente, ecc. Di alberi, vi ho veduti piantati dei pini, ma non il Pinus pinea, e sui fianchi di Monte Poverello, Monte Scu- deri, ecc., delle querce e forse qualche cerro. L’aspetto dei monti è severo, sia per il loro colore cupo, sia per la ri- pulita dei fianchi e l’angolosità dei profili. I valloni, in causa delle molte frane, sono ripieni di alluvione, e da questa si vedon sorgere diretta- mente e scoscesi i fianchi delle montagne. Fillade. La formazione che si addossa immediatamente al cristallino, è una serie di schisti micaceo-argillosi e talora magnesiaci. Una grande quan- tità di roccie accessorie accompagnano questa formazione di schisti, ma sarà bene descriverle a parte una ad una, dopo aver descritto la formazione principale. Questi schisti sono lucenti, talora con vero splendore madreperla- ceo; sono finamente laminati e generalmente molto contorti. Il colore predominante è il nero grigiastro ; nei tagli freschi sono anzi perfet- tamente neri ; esposti all’azione atmosferica si fanno sempre più chiari, sempre tenendo sul grigiastro, talora però sono verdi, e tal altra ten- dono al giallastro. Dei partimenti, che tagliano in modo netto tutti i fogli di schisto, appaiono gialli per l’ossido di ferro. Sono frequenti le venature di quarzo bianco, opaco, di splendore grasso, in generale sottili ed irregolari, tanto più sottili quanto più 10 schisto appare nero e finamente laminato. Talora però queste vena- ture quarzose diventano più importanti o se ne hanno molte vicine; in tal modo si generano delle zone come quella che da Fiumediuisi ed Alì, corre a finire fra Novara e Fondachelli. Si tratta di una zona in cui le venature quarzose sono abbondanti, riavvicinate e talora assai larghe, ed è lungo questa zona che si tro- vano i minerali metallici della provincia di Messina. Dove queste venature quarzose sono così abbondanti, si trovano facilmente delle piccole masse cloritiche riunite al quarzo. Dal cristallino alla fillade non vi è passaggio graduale in generale, ma si vede benissimo che questa è sovrapposta a quello; però in alcuni punti la fillade assomiglia talmente ad un micaschisto, e il vero mi- caschisto sembra caricarsi talmente di elementi argillosi, che si cre- derebbe che dall’uno si passasse insensibilmente nell'altro. Questo fatto si manifesterebbe fra Pizzo Faleco e Pizzo Cavallo, presso Fiumedinisi, ed in altri dei monti presso quel paese, così al Pizzo di Strombo, fra 11 Pizzo Triari e il Pizzo Talmi; il Pizzo Scerrachè o Serrachè, sopra — 112 — Mandanice, sembrerebbe fatto di micaschisto ed estollersi in mezzo alla fillade. Ma esaminando meglio, si può vedere che tutta quella parte di micaschisto mal caratterizzato, diverso da quello tipico centrale, appartiene alla formazione degli schisti della fìllade. A Pizzo Cavallo poi, una grande massa di calcare cristallino caratterizza bene il ter- reno inferiore, e di questo si possono tracciare bene i limiti. Tenendo da Messina verso il sud, appare il primo lembo della fillade al Monte D’Arrigo, presso S. Stefano Mezzano, altri piccoli lembi appaiono sopra Pezzolo e a Monte Torrone, sopra Giampilieri, e, nei due luoghi, fra il calcare cristallino. Finalmente la gran massa comincia a Guidomandri ed Itala, e, non interrotta, continua ad Alì Superiore, Fiumedinisi, Pagliara, Savoca e fin presso Taormina, all’ ovest continua al monte Mandrazza e sopra Francavilla, entra tra la fiumara di Fantina e il vallone di S. Venera, spingendosi fin presso Bafìa, passa a Novara e al di là della fiumara dello stesso nome, e lungo questa e il vallone Pomarazzo, va a finire al livello di Tripi. Questa massa viene a passare sotto delle forti masse di eocene, fra le quali spunta dello gneiss, e riappare poi al di là della fiumara di Patti, a Librizzi a S. Piero di Patti, si spinge a Raccuja, a S. Angelo di Brolo, Gioiosa abbandonata, Gioiosa Marea, va per la fiumara di S. Angelo, per quella di Naso, mostrandosi sui fianchi a grandi altezze ; ripassa sotto all’ eocene e riappare in grande massa a Tortorici, S. Salvatore di Fitalia, Galati, Mirto Caprileone, S. Marco# d’Alunzio, nei monti di S. Agata di Militello, e finalmente gli ultimi lembi, a S. Fratello, e sopra l’Acquedolci. Presso al mare, oltre che a Gioiosa Marea e alla foce della fiumara di S. Angelo, essa giunge anche pel torrente di S. Carrà ed appare negli appicchi sopra la strada dal Capo d’Orlando alla fiumara Zappulla. Questa formazione è dunque estesissima, chè, ove non fosse rico- perta dal terziario e dal gneiss sarebbe limitata al nord da una linea passante per Guidomandri, Novara e Patti, e al sud da una passante per Letoianni, Tortorici, S. Fratello. I suoi rapporti col cristallino co- minciano a S. Stefano Mezzano, continuano per Guidomandri, Manda- nice, Pizzo di Polo e finiscono presso Bafìa. In tutto quel percorso si vede .bene che essa è sovrapposta alla formazione dei micaschisti. La formazione di cui parliamo, costituita essenzialmente di schisti, si potrebbe chiamare anche degli schisti lucenti, poiché essi sono real- mente tali, e sopratutto se esposti all’aria sono realmente lucidi. Intercalate cogli schisti si hanno altre roccie, e queste descriverò insieme alla fillade, descrivendo poi a parte altre, sovrapposte, colle quali si hanno passaggi graduali. Colla fillade descriverò dunque: — 113 — 11 granito di Savoca , ed una specie di grovacca che appar ien diversi luoghi. La felsite di Castelmola che appare poi in molte altre località. La pegmatite tormalinifera di Capo Calalvà. I calcari dolomitici e cristallini. I minerali diversi che Faccompagnano : grafite , gesso , minerali me- tallici. II granito di Savoca, sul quale è edificato il paese, è una roccia a fini elementi, dove si può riconoscere il feldspato, la mica ed un altro minerale che è probabilmente Fanfìbolo. L’aspetto infatti della roccia è quello di una diorite , contenente mica e un poco di quarzo. Questa roccia è dura se in massa, ma alla superficie è facilmente sgretolata dagli agenti esterni ; non servirebbe per esser lavorata collo scalpello perchè irregolarmente fragile. Un materiale analogo appare frequentemente, come intercalato nella fillade, e si presenta presso Novara, presso Librizzi, e fra S. Angelo di Brolo e Gioiosa Marea. E egualmente una roccia granitoide, che chiamai talvolta grovacca per la ruvidezza esterna; gli elementi, in granelli, si separano facilmente, è ancora una specie di granito dioritico, una roccia accidentale, in cui entrano evidentemente gli elementi dello schisto lu- cente solo che in granuli e cristallini invece che in minute particelle. Tanto il granito di Savoca, come questa specie di grovacca, sono di poca importanza, da citarsi soltanto perchè evidentemente contemporanei ed intercalati alla fìllade. In diverse località, e si può dire dovunque, la fillade è in grandi masse ; appare un materiale bianco verdastro o giallastro, ruvido al tatto, di costituzione apparentemente uniforme, che si rompe in frammenti irregolari, ma che mostrano però dei partimenti pianeggianti. La mag- gior massa di esso si presenta sul viottolo che da Taormina va al monte Yeneretta, sotto a Castelmola. Un pezzo raccoltovi dall’ing. Mazzetti e da me fu mandato al prof. Cossa, a Torino, perchè ne facesse l’analisi ; ne fu dedotto essere la roccia un felstone , ossia una felsite. Anche questa roccia è intercalata nella fillade; e ne è quindi contemporanea; natu- ralmente non è di alcun uso pratico, nè ha altra importanza di quella litologica. All’ovest di Patti, fra la Punta Petente e il Capo Calavà, appaiono delle roccie di natura complessa, assomiglianti talora ad una pegmatite, tal altra ad una leptinite. Presso la galleria del Capo Calavà è una specie di granito grigio biancastro, che ingiallisce all’aria come per effetto di sopraossidazione di ossido di ferro contenuto ; in altro luogo la roccia appare formata di due feldspati e contiene antibolo, finalmente — 114 — in certi luoghi è comune la tormalina nera. Di questo insieme eli roccie si hanno tre masse distinte, una della Punta Petente, una al di là del Capo Scoglio Nero, una al Capo Calava, sembrano però appartenere ad una sola e medesima, una specie di dicco sollevatosi e diramatosi nella massa degli schisti lucenti; certamente la massa più rilevante è quella che forma il Capo. Nella natura di questa roccia, che è dura e resi- stente, si può trovare la spiegazione dell’esistenza di quel promontorio sporgente in mare. Le filladi hanno un brusco contatto con queste roccie, rappresentato quasi sempre da una fenditura; nelle vicinanze di questa, si vedono gli schisti contorti, ripiegati, disturbati in molti modi; così da G-albato arrivando alla massa di Punta Petente, e al di là di essa , la massa di Scoglio Nero sembra insinuata nella fillade, quella di Capo Calava appare nuovamente con fenditura visibile e contorsione degli schisti. La fillade fra la massa dello Scoglio Nero, e quella di Capo Ca- lava, perde il carattere argilloso micaceo, e diviene un vero micaschisto lucente, simile ad una metamorfizzazione della roccia primitiva. Verso il Monte Pezze Calori, le roccie del Capo salgono a 450 m. sul mare, e la fillade vi pende al sud, come pende all’ovest al di là del Capo. Lungo le fenditure, talora sottilissime ma multiple, che si manifestano al con- tatto delle due roccie, si ha del solfo e dei sali, astringenti al gusto, probabilmente dei solfati alcalini. Alla Punta Petente si ha ancora un’uscita di gas solfidrico, e lo solfo e i solfati indicati devono dipendere appunto dallo sviluppo di gaz lungo quelle fenditure. La presenza di un poco di solfo la cui ori- gine era dovuta a quella causa, aveva fatto nascere delle infondate spe- ranze di una ricchezza solfifera per la provincia di Messina. Questi svi- luppi di acido solfidrico e forse di altri elementi, attualmente assai minori di quello che non furono altre volte, sono comparabili a quelli che anche attualmente si manifestano nel cratere di Vulcano, una delle Eolie, e sono appunto di natura vulcanica; essi si fecero e si fanno strada lungo le fenditure di contatto fra le roccie descritte e la fillade. In una mia breve nota sull’isola Lipari, aveva già accennato che i crateri della parte meridionale di essa, e quelli di Vulcanello e Vul- cano, nell’isola omonima, individuavano una fenditura importante diretta al sud. Questa fenditura si prolungherebbe in linea retta passando per la Punta Petente, e verrebbe a formare quella che passa per Randazzo e il cratere dell’Etna, già riconosciuta in modo indubbio. Accenno qui soltanto che sul suo passaggio si troverebbero la gran faglia sotto Gioiosa Vecchia riportante la formazione di Alì contro la fillade, e con pendenza caratteristica; le frane di Monte Saraceno, e di Raccuia, l’apparizione del trias sul fondo di un vallone al sud di questo paese, e quella del — 115 trias stesso e della fillade, sotto il lias e l’eocene, nel vallone di Pizzo Guardiola. Le roccie tipiche del Capo Calava sono: il granito bianco, con mica moscovite e feldspato brillante, tanto che si potrebbe chiamare una gra- nulite, ove gli elementi fossero più minuti, la roccia con tormalina nera, formata di quarzo e feldspato, ma con piccole masse disseminate di mica muscovite, a larghe lamine, e che si potrebbe dunque indicare come un intermediario fra la pegmatite e la jalomite a tormaline. Un’altra roccia accessoria sarebbe una specie di miacite , contenente appunto an- tibolo, ed un secondo feldspato bianco, che potrebbe esser la nefelinite. Queste roccie sarebb ero contemporanee fra loro, ed infatti la peg- matite, la miacite, e la granulite sono tutte corrispondenti al devoniano ; da molte considerazioni che verrò esponendo in seguito, risulterebbe che la fillade è molto anteriore, e quindi si avrebbe che realmente in quella località si è manifestato, attraverso agli scbisti lucenti, un dicco di materiali più recenti, e sarebbe quello che ha protetto gli schisti all’est e all’ovest dall’erosione delle onde, dando alla costa la conformazione attuale. Dei calcari dolomitici e cristallini appaiono veramente intercalati negli scbisti. Calcari dolomitici, saccaroidi, appaiono un poco al nord di Fiume- dinisi, alla fiumara della Santissima. È una massa, attraverso la quale la fiumara si è aperta uno stretto varco, di calcari magnesiaci, bianchi o rosacei, durissimi e che si lisciano sotto l’azione dell’acqua corrente. Veri calcari cristallini appaiono allo sbocco delle fiumara della Santissima, al castello di Belvedere, sopra Fiumedinisi, lungo la fiumara di tal nome, e in alto della marina di All; qualche altra massa si vede a Gioiosa Marea, alla Rocca di Gioiosa, a Gioiosa Abbandonata, ecc. Nelle masse che sono allo sbocco del vallone della Santissima e vi- cino a questo, nella fiumara di Fiumedinisi, si vede bene* lo schisto passare al calcare, divenendo sempre più tale, mantenendosi schistoso, fino a dare delle vere masse, intercalate, di calcare cristallino. Questo è più azzurrognolo di quello che si trova nel micaschisto, ed è meno finamente cristallino ; quello del castello di Belvedere, e quello dei pressi di Gioiosa è molto azzurrognolo, con venature più bianche; si mantiene cristallino, ma ha delle cavità ed è irregolare nella grana e nella strut- tura. La fillade che sta sotto a quella calotta di calcare presenta una quantità di vene spatiche, ciò che dimostra ancora un passaggio dallo schisto al calcare. Finalmente quello che sta per la fiumara di Fiume- dinisi, in basso, e l’altro di Mena e Sottano, sopra la marina di Alì, sono dei calcari di color scuro, tanto che la rottura fresca sembra — 116 — quella di un pezzo di acciaio : all’aria questo calcare prende esterna- mente un colore marrone scuro, come se contenesse del ferro e questo si ossidasse nelle faccie esposte, colorandole in tal modo. Questi calcari sarebbero buonissimi per calce, sopratutto quello del castello del Belvedere e l’altro a monte di Fiumedinisi ; sono bensì cri- stallini, ma si distinguono facilmente da quello del micaschisto per co- lore, struttura, grana, ecc., ed anche nel caso in cui si incontrassero vicini, sarebbe impossibile, dopo presa un poco di pratica, a confon- derli fra loro. Fra i minerali che accompagnano la fìllade, considererò prima la grafite. Di rado questa è veramente isolata in bacchette fra i fo- glietti di schisto; più generalmente lo schisto ne appare come impre- gnato e con esso si può segnare sulla carta come si farebbe con una matita dura. In diversi luoghi mi fu dato riscontrare questa tendenza grafitosa dello schisto, ma dove essa appare più marcata, e dove si può raccogliere qualche piccola massa di grafite, è al Monte Porco Spino, in alto della fiumara di Fantina, fra questo paese e Fondachelli, e sul monte precisamente presso le case Bellardi. La presenza della grafite coincide generalmente con una scarsità di vene quarzose. Gli schisti, nella località dove la contengono, prendono l’aspetto del legno annerito e fo- gliettato sotto l’azione delle intemperie, e quivi giustificano meglio che altrove la denominazione di lignite data comunemente dai contadini alla fillade. La presenza di questo minerale può aiutare a stabilire l’età della roccia sulla quale parlerò più avanti. Altro minerale che si incontra frequentemente negli schisti lu- centi, e precisamente dove questi lo sono maggiormente è il granato. Esso si presenta in cristalli grossi al più come un cece, colle faccie mal determinate, talché la forma del cristallo è quasi sferica; si può deter- minare però che la forma è quella più comune nel granato, del dode- caedro romboidale. Le località dove si trovano molti di questi cristalli sono il Monte Santa Domenica, presso Montagna Reale, il Monte Bala- vaggio e lungo la fiumara di Gioiosa. Per vero dire, di questi cristalli ve n'ha pure in gran copia in una località presso Messina, alla Portella dove si separano le strade che vanno una a Castanea, l’altra a Salice, in quel punto si dovrebbe avere il micaschisto del cristallino, almeno tale appare nella salita da San Michele alla Portella. Il prof. Seguenza porrebbe in quella località la fìllade, riunendovi pure una fluorina che si trova presso San Michele. Potrebbe darsi che un piccolo lembo degli schisti lucenti, in seguito a bruschi sollevamenti, fosse venuto a trovarsi incastrato in quel punto, fra il cristallino vero, quale appare verso Castanea e Monte Telegrafo, — 117 — In ogni modo si tratterebbe di una piccola massa isolata, e del rima- nente non sarebbe improbabile che il granato potesse ritrovarsi anche nei micaschisti antichi. A me non fu dato veder nessuno dei minerali metallici che mi fu detto essersi trovati a S. Michele, se veramente ve ne esistono, e se la fluorina va riunita alle roccie dell’epoca della fil- lade, si dovrebbe ammettere allora che in quel punto, corrispondente anche ad una depressione nella cresta cristallina, si abbia realmente un’intrusione di schisti lucenti posteriori fra i micaschisti antichi. Cito questo fatto, incidentalmente in certo qual modo, e non ho segnalato la presenza di questa fillade, quando ho parlato dei luo- ghi ove questa appare, perchè il fatto non mi pare ancora ben accer- tato, e perchè in ogni modo si tratterebbe di un caso isolato, in modo che questa massa non si potrebbe riunire in nessun modo alla grande massa di schisti lucenti che appaiono più al Sud. Altro minerale accidentale fra gli schisti è il solfato di calce. Si tratta di un gesso saccaroide, bianchissimo e puro, che appare in stra- terelli lenticolari o in amigdale, paralleli però o concordanti colla schi- stosità della roccia. Piccoli straterelli si trovano salendo da Mandanice pel viottolo che va a Pizzo di Faleco per scendere poi a Fiumedinisi. Un’ amigdala più grande, e che all’ epoca della mia visita era ma- scherata in gran parte da una frana recente, si trova in un valloncello che scende nella fiumara di Fantina, un poco al nord del* paese, in una contrada chiamata Fumi o Streva. E sempre bianchissimo, si taglia col coltello, e viene adoperato con- venientemente perchè scevro di qualunque impurità. Un’ altro solfato appare talvolta sulla superficie della fillade, ma questo non intercalato fra gli schisti, bensì sulle scarpate dove scorrono le acque che dilavano gli schisti superiori. Questo sale è il solfato di magnesia ; se ne vedono delle efflorescenze abbondanti in diversi luo- ghi, principalmente lungo la fiumara d’Alì, precisamente sotto al paese, altre lungo le fiumare di Fiumedinisi e della Santissima. Mi occorse di vedere anche abbondantissime queste efflorescenze in Calabria, sulla strada che da Melito va a Bagaladi, alla regione Colocchio. Questo solfato di magnesia, formato così in efflorescenze e non par- tecipante alla schistosità della roccia, è dunque un prodotto attuale, indipendente dalla formazione degli schisti. La formazione ne è spie- gabile, dappoiché le filladi contengono dei solfuri, ed abbondantissimi quelli di ferro e rame; inoltre gli schisti sono talora molto magnesiaci; ne segue che una reazione deve seguire fra il silicato di magnesia e l’ acido solforico che si genera colla decomposizione naturale delle pi- 118 — riti. L’ acido solforico allo stato nascente, per l’ossidazione dei solfuri è allora in grado di spostare l’acido silicico e di formare il solfato dì magnesia. Naturalmente si tratta di una di quelle azioni che si svol- gono spontaneamente, lentamente, ma che non ostante possono dare degli effetti abbastanza cospicui. Finalmente mi resta a parlare dei mineradi metallici che si tro- vano nella fillade. Ho già accennato che essi si trovano principalmente là dove le venature di quarzo sono più frequenti e più estese; infatti a Fiumedinisi, questo fatto si manifesta già e gli imbocchi delle vec- chie miniere si trovano infatto in prossimità di grandi venature quar- zose ; ma esso si manifesta tanto più presso Novara, dove la ganga dei piccoli filoncelli metallici è appunto quarzosa in generale. Un minerale che accompagna quasi sempre i solfuri metallici è il carbonato di ferro , cristallizzato in cristalli laminati, serrati fra loro, di un bianco sporco sulle fratture recenti, ma che all’ aria si copre di un velo di ossido, prendendo dei riflessi rameici. Di questo carbonato di ferro si possono prendere dei bellissimi campioni, sopratutto a Fon- dacheili, all’ acqua Menta, a Monte Pomaro, ecc., nelle vicinanze di Novara. I minerali metallici di cui ho già fatto cenno sono, come fu detto sopra, dei solfuri più o meno complessi ; il più abbondante è quello di piombo, a grana più o meno fina, cioè più o meno argentifero. Oltre ad esso il solfuro di ferro, la calcopirite, la stibina, e finalmente il rame grigio, che è come il riassunto di tutti i solfuri precedenti. Questo rame grigio, contenendo rame, piombo, antimonio, un poco di zinco, ar- gento, è del tipo della bournonite. L’insieme di questi minerali metallici, si può chiamare di galena con piriti diverse, entro una ganga quarzosa e di ferro carbonato; in certi punti si potrebbe credere di aver a che fare con filoni quantunque questi non appaiono mai molto potenti. Considerando l’insieme della formazione metallifera, vediamo un sistema di venature di quarzo, poi una intrusione di ferro carbonato, il braunspath dei tedeschi, e final- mente, al contatto fra i due, o nel quarzo, i solfuri diversi. Si avrebbe dunque una rifenditura fra il quarzo e il siderosio, colla intrusione dei solfuri, avvenuta posteriormente; tutti fenomeni che si. riattaccano be- nissimo ad una formazione di filoni. Talvolta è possibile prendere anche le inclinazioni e le direzioni dei filoncelli, e ad esempio, ne citerò qui alcune prese in parte da me, ed in parte tolte dalla memoria del- l’ingegnere Paillette : G Brandino. — Galena e calcopirite, direzione N.E. e N. 35° E.; inclinazione 20° S.E. e 10 ) S.E. — 119 — Fondacheìli. — Rame grigio, calcopirite e siderosio, direzione N.E. S. Luigi di Fondacheìli. — Rame grigio argentifero, direzione S. 70° E. e S. 15° E. Roccahtmera. risalendo la fiumara. — Gralena-stibina, direzione N. 25° E. Inclinazione 45° N.O. Ora farò rimarcare che le venature di quarzo si trovano per tutto negli schisti delle filladi, in regioni lontanissime da quelle ove passa la grande massa delle venature quarzose ; quantunque è facile che le venature di quel genere, anche piccole, coincidano colla presenza di qualche piccola massa metallica. L’isolamento delle intrusioni quarzose, la loro esiguità in molti punti fa vedere che non si tratta di una in- trusione ignea, proveniente dall’interno, nè dal passaggio di acque calde, contenenti la silice, provenienti pure da un centro unico, e che si spargevano nella massa degli schisti. Il quarzo doveva esser dunque il prodotto di una esudazione naturale della roccia, posteriore alla sua formazione, dappoiché le venature quarzose tagliano la schistosità della fillade, ma non molto posteriore. Si trattava dunque di una concentra- zione dell’ elemento siliceo che si trovava disseminato nella massa, forse col veicolo di acque percolanti in esso, e sotto l’azione di pressioni spe- ciali, che producevano delle fenditure negli schisti. In queste fenditure avveniva la concentrazione del quarzo. Ora i minerali metallici di cui ho parlato, sembrano presentarsi in filoni, ma questi sono poco potenti, discontinui, di natura variabile da un punto ad un altro, e spesso hanno più la forma di ammassi isolati che di filoni. In ogni modo la denominazione di vene sarebbe più appro- priata. Sarebbe dunque probabile che anche essi dipendessero da una esudazione, piuttosto che da una intrusione. Dicendo esudazione, non escludo l’ipotesi che delle emanazioni cariche dei minerali metallici, abbiano potuto venire daH’interno e deporre i materiali solidi nelle fen- diture che trovavano già aperte. Ora queste fenditure potevano e, direi, dovevano coincidere colle venature quarzose, già formate nelle fessure della roccia. Prima emanazione sarà stata quella del carbonato di ferro e posteriori quelle dei solfuri che hanno finito di riempire i vacui e le fessure. In molti punti sembra di avere a che fare realmente con delle lenti o dei rognoni di minerale, e questo potrebbe spiegarsi con una esudazione speciale in località dove si avevano delle cavità da riempire. Talvolta si hanno delle vere mosche di galena e, più specialmente di pirite e calcopirite nel quarzo, e questo non potendosi intendere come una parte brecciforme del filone, resta ancora l’ipotesi che la trasuda- zione metallica approfittasse di ogni piccola fessura, per deporvi i mate- riali che portava con sé. — 120 — Citerò ora le località principali dove appaiono i minerali metallici indicando anche quali sono i predominanti in ciascuna di esse; proce- derò dall’ Est all’ Ovest, cominciando da Ali, per finire a Sant’ Angelo di Brolo: Sotto il paese di Alì: Calcopirite e pirite di ferro. Presso Alì, fra Sottano e Ricupero : Solfuro di antimonio , e galena. Fiumedinisi, Contrada Dene e sotto il Castello del Belvedere: Galena , rame grigio , calcopirite, e ganga di carbonato di ferro , non abbondante. Roccalumera, Antillo, Liminna, Mandanice: Quarzo con mosche e venuzze di calcopirite , galena e rame grigio. Sotto Coliebasso, chiamato sulla carta Monte Sereno, e sotto Monte Po- maro presso la fiumara Fantina, nella località dette Argenterà, Oliveta, Armenia, Sant’ Amalia ecc.: Galena , rame grigio , pirite di rame, blenda, ma la galena più ab- bondante di ogni altro solfuro : ganga di ferro carbonato. Acqua della Menta, Fondachelli, S. Luigi, Rubino e Raccuja di Fon- dachelli, Fantina, Monte Ienchi: Noduli di rame grigio molto argentiferi , galena argentifera, cal- copirite, blenda. Contrada S.* Leo, Ficarelìi, Vallone di Terre Bianche, Cassandra sotto S. Basile, Brandino: Galena argentifera, calcopirite, poca blenda, scarso o mancante il rame grigio. Sotto Tripi nel Vallone Pomarazzo: Calcopirite. Fondachelli di Raccuja, Sant’ Angelo di Brolo : Calcopirite , galena. C. Fiumara e all’Acqua Fetente: Solfuro di antimonio e rame grigio. Dei minerali indicati, darò qualche proporzione dei metalli conte- nuti, per quelli delle vicinanze dei Fondachelli di Novara. Piarne piritoso dell' Argenterà: 86,5 % di rame ; 4,5 % d’argento. Oro in quantità tale da giustificarne l’estrazione. Pame piritoso di Santa Amalia : 23 % di rame ; 2,95 % d’argento. Oro meno che nel precedente. Galena di Ficarelìi: 60 % di piombo 1,675 % d’argento. — 121 — Galena di San Luigi e Collelasso: 61 % di piombo, 1,827 °/0 di argento. Da questi minerali fu fatta una estrazione regolare con gallerie, sotto il passato governo dell’Italia meridionale. Furono chiamati degli operai tedeschi per il trattamento metallurgico, e credo fossero perfino coniate delle monete coll'argento tolto dai minerali. Ma tutto il lavoro era in pura perdita e mantenuto dal governo, non essendo rimunera- tivo; e questo è facile a spiegarsi, vista la povertà e la piccolezza dei filoni, ovvero l’irregolarità degli ammassi che si dovevano estrarre. Ove si aggiunga la difficoltà di comunicazioni, la ripidezza dei fianchi di montagna su cui si dovevano far le ricerche e principiare le estrazioni, la cattiva qualità di roccia, che frana e sdrucciola su sè stessa, l’asso- luta mancanza di combustibile atto al trattamento metallurgico dei mine- rali, sarà facile comprendere come tutte le miniere sieno state abban- donate. Attualmente quando una frana o una alluvione importante mette a nudo dei filoncelli o degli ammassi di solfuri metallici, i contadini ne scavano qualche po’ o ne raccolgono le parti franate, per vendere poi i frammenti così ottenuti a qualche incettatore. Questi poi li rivende o li carica su qualche nave a vela che parte per l’Inghilterra, e là sono acquistati e trattati per estrarne il piombo, l’antimonio e l’argento. Già più volte fu tentato di formare delle società, principalmente di inglesi, per l’estrazione di quei minerali, ma nessuna arrivò a formarsi defini- tivamente. Sarà del resto una rovina per qualunque società Y intra- prendere tale estrazione, poiché la natura della formazione è tale da far vedere quanto poveri e irregolari saranno i filoni, e quindi meschino il prodotto. Bimane sempre la difficoltà di trasporto e l’impossibilità di trattamento sul luogo. Terminato di parlare dell’accidentalità e dei materiali accessori» più o meno utili, che presenta la fillade, darò per essa qualcuna delle notizie quali ho date per il terreno cristallino. Come ho accennato sul principio, questi schisti sono di un bel nero, e si mantengono quasi ver- ticalmente, nei tagli freschi ; prontamente si alterano, diventano grigi o verdastri, con partimenti giallastri, e franano. Nelle parti dove l’alte- razione è molto avanzata, queste frane sono imponenti. Basta percor- rere i dintorni di Novara, al Sud, per persuadersene; dalla C.da Terre Bianche, al basso di Monte Anavedda da Monte Mandrazza fino a Monte Sereno, si può dire che si ha una successione di frane. Lo schisto si trasforma in un materiale biancastro, argiìlo-sabbioso, che le acque alluvionali distruggono facilmente. La cresta fra Monte Mandrazza e Monte Pomaro è formata dall’incontro di due frane, di cui una scende al torrente di 9 I JSl n — 122 Fondaclielli, l’altra al torrente Zavianni, e chi percorre quella cresta deve Lr ben attento a non cadere nelle molte fessure che presenta; dopo un lungo seguito di pioggia è letteralmente impraticabile. La vegetazione selvatica è scarsa sugli schisti lucenti e direi nu infatti meno qualche albero di quercia o di cerro, i monti di fillade appaiono generalmente nudi. Coltivato, quel terreno può produrre bene la vigna, un poco l’olivo e il grano. Le acque filtrano traverso gli schisti, ma spesso si hanno de le sor- genti cariche di ossido di ferro, meno sensibile al gusto di quello che non sia alla vista per le incrostazioni rosse che le acque dWon°f Generalmente però i valloni si presentano asciutti, solo si trova dell’acqua quando sopra alla fìllade si hanno dei graniti porfiroid., o delle arenarie eoceniche, allora si ha generalmente abbondanza d acqua ^ ° Perequante non sia molta l’acqua che può filtrare nella fillade, essa è sempre in quantità tale da facilitare le frane che si producono in quel terreno. A dir vero per farsi un’ idea di quegli scoscendimenti bisognerebbe percorrere i luoghi e vedere realmente la importanza di qUelCerto le erosioni delle acque sono fortissime, e basti il gettare lo sguardo sulle carte, e vedere la larghezza dei valloni e delle fiumare scavate nella fillade; ad esempio il vallone di Fondachelli, a San ar- tino cioè a meno di 1 chilometro, in proiezione, dalla cresta, e già largo circa 400 metri; tutte le fiumare, ristrette quando passano attraverso altri terreni, a valle o a monte, si allargano enormemente nei punti cor- rispondenti alla formazione degli schisti. La quantità di materiali, trasportati dalle alluvioni è enorme, e non è difficile vedere da un anno all’altro, il fondo di alcuni valloni, e di alcune fiumare, sopraelevarsi di 2 e 3 metri; questo spiega quindi la larghezza di quei valloni. ^ Il fianco dei monti però resta abbastanza ripido e scosceso, ed il loro aspetto, se non è severo come quello del cristallino, e per lo meno abbastanza poco attraente. . , . . Non ripeterò qui le località dove appare la formazione, ne ì limiti che questa ha sulla carta geologica, dappoiché gli uni e gli altri fu- rono già indicati avanti, quando fu cominciato a parlare della for- inazione. Avendo quindi terminato quanto si riferisce alla fillade propria- mente detta, entrerò a partare di un’altra roccia, la quale, si riattacca intimamente ad essa, non per analogia litologica, ma per la sua or mazione che presenta dei passaggi graduati e strettissimi con que a — 123 — degli schisti lucenti. Intendo parlare dei graniti porfiroidi , che ora imprendo a descrivere. Graniti porfiroidi. Ho dato questo nome ad un insieme di roccie, cui a primo aspetto si darebbe quello di gneiss ; è bensì vero che questo nome, se appli- cabile alla più gran parte di quelle roccie, non lo sarebbe alla tota- lità. La denominazione di granito porfiroide indica meglio una roccia la quale, quantunque contenga gli elementi del granito, pure, per la dispo- sizione di questi, prende l’aspetto caratteristico dei porfidi feldspatici. Questo carattere, per indicarlo tosto, è quello della presenza di cri- stalli di feldspato, entro una massa più o meno omogenea, ma per lo meno costituita da elementi più minuti. Quando mi fu dato di incontrare questa roccia, e per lungo tempo dopo, la qualificai pure come uno gneiss ; però era evidente la diffe- renza fra questa roccia e gli gneiss antichi dei monti Peloritani. In primo luogo si tratta di uno gneiss a pasta talora giallastra, talora verdastra, con cristalli di feldspato spesse volte rosato, sopratutto nella pasta verde, ma tali cristalli non completi o meglio non netti, essi ma- nifestano la macia, ma non sempre, sono talora rotondeggianti, sempre a spigoli smussati in modo che la loro sezione non si presenta ben netta come negli gneiss antichi. Ho parlato di una pasta, in cui sono presi questi cristalli, ma veramente il nome di pasta si potrebbe ap- plicare soltanto dove essa è verdastra; nelle grandi masse di gneiss giallastro, la pasta è costituita da mica e quarzo, in granelli e pagliette in modo che la roccia è poco resistente. Alla superficie essa si sgretola facilmente, l’acqua vi penetra e ne stacca le parti estreme, le frane vi sono comunissime ; tutto ciò dipende dalla irregolare costituzione della roccia, di cui è perfino assai difficile il lavorare un campione col martello. Questo granito porfiroide comincia ad apparire colla fìllade; ve- nendo dalla catena dei monti Peloritani, verso il sud-est, lo incontrai per la prima volta a Pizzo di Polo, la più alta montagna di roccie cri- stalline, ma tutta circondata dalla fillade. Lo stesso materiale costi- tuisce pure la serra di Santa Nicoletta, presso Bafia; vicino al Pizzo di Polo, e presso Bafia, al Pizzo di Sughero, abbiamo ancora il vero mi- caschisto, coi suoi calcari cristallini, ed in quei punti si nota un pas- saggio brusco a questo granito porfiroide. Questo passaggio però è al- trettanto rapido, quanto l’apparizione della fillade in grande massa, al Monte Cretasso e sui monti alla destra del vallone di Sta Venera. Il Pizzo di Polo è formato alla base di fillade, e questa si dispone poi — 124 — nella fiumara Fantina, mentre sulla sinistra di essa e di quella di Sodi che le fa seguito, le creste sono formate dello stesso granito porfiroide. Così Monte Rossetto sopra Fantina, Pizzo la Rossa, Monte Jenchi, l’altra Serra Nicoletta da questa parte della fiumara, sono costituiti di quella specie di gneiss. Presso Rodi abbiamo un ultimo lembo di micaschisto con una massa di calcare cristallino proprio sopra il paese; questo lembo di vero cristallino fu portato in alto da una faglia, di cui parlerò quando sarò a descrivere l’eocene che ivi si presenta. Il granito porfiroide forma poi il Monte Barca, e il suo prolungamento fra il torrente Al- lume e la fiumara di Novara, appare sulla destra di questa, a Tripi, a Basico, arriva presso il Casino di Falcone, forma il Monte Saraceni e la cima di Monte Litto e scende a Oliveri. Al Capo Tindaro abbiamo la gran massa di calcare cristallino con micaschisto, ma il granito se- guita a Monte della Vigna, Monte Scarpiglia, appare lungo tutti i tor- renti, passa nei dintorni di Librizzi, va sui monti di S. Angelo di Brolo, a Piraino, dall’altra parte della fiumara, a Monte Grezzina e Monte Cipolla presso Brolo, e va a finire con un ultimo lembo sotto Naso. Il granito porfiroide, non ha, si può dire, rapporti diretti col mi- caschisto, meno a Pizzo di Polo, a Pizzo Joglìeni presso Bafia e al Capo Tindaro; in quei pochi luoghi di contatto si vede che il granito è su- periore al micaschisto. Ma il terreno col quale quella roccia ha vera- mente dei rapporti diretti, è la fillade. Comincio dai ripetere che colla fìllade appare anche il granito porfiroide, ed osservo che in tutto il versante Nord della catena, dove del resto appare unicamente la roccia in questione, se i fianchi dei monti sono formati di fìllade, le creste sono però costituite da quella serie di graniti. In moltissimi luoghi si osservano i passaggi, ma io citerò unicamente le falde del monte di Piraino, lungo la strada provinciale da Messina a Palermo, fra le fiumare di Gioiosa e quella di S. Angelo di Brolo, perchè è una località facile a visitarsi. Quivi si presenta un fatto che si riscontra anche alle falde di Pizzo la Rossa, di Monte Barca, lungo le fiumare di Gioiosa e di S. Angelo, ecc. Si vede la fillade perdere a poco a poco l’aspetto schistoso, diventare una roccia verde simile ad una diorite, cominciare a caricarsi di cristalli rosati di feldspato, mal definiti, pas- sare a quella roccia porfiroide a pasta verde, e finalmente trasformarsi nel vero granito porfiroide, grigio giallastro, che forma la cima della montagna. Questo fatto mi occorse di riscontrare chiarissimo anche in Calabria, sulla strada da Melito a Bagaladi, appena passato il paese di Gorio. Si avrebbe dunque un passaggio dalla fìllade alla diorite, da questa alla diorite porfiroide, e finalmente al granito porfiroide. Il fatto da stabilirsi è questo, il granito porfiroide è superiore alla — 125 — fillade, e posa su questa. Per accertarsene, basterà considerare come lungo tutte le fiumare, gli schisti lucenti sieno alla base e l’altra roccia formi le creste dei contrafforti ; citerò le fiumare di Fantina, di Novara, di Gioiosa, di S. Angelo, di Naso ; nel vallone Pomarazzo, che è stret- tissimo, proprio sotto Tripi, si vede una punta di fillade cbe appare sul fondo, fra due pareti quasi a picco, formata di granito; l’esempio citato alle falde del monte di Piraino è poi convincentissimo e oltre- modo chiaro. Stabilito questo fatto, ne risulta cbe il micaschisto e lo gneiss an- tichi, non devono aver niente a che fare con questa roccia gneissiforme, e che questa va invece rilegata al sistema degli schisti lucenti. Fra questi e il granito abbiamo veduto appunto dei passaggi graduali, che non permettono di scindere l’una cosa dall’altra, intendendo cioè che la forma litologica le distingue bene, ma che la formazione è una sola. A questo granito porfiroide si riattaccherebbe anzi un’altra roccia schistosa, simile pure alla fillade, e passante a questa ; una specie di schisto micaceo, con antibolo e cristalli di feldspato, una specie inter- media fra lo schisto anfibolico e lo schisto maclifero. Questa roccia, che in qualche punto passa quasi ad una diorite, si trova sopratutto nei monti fra S. Angelo di Brolo e Patti, sui due lati della fiumara di Gioiosa e sulla destra di questa si spinge quasi sino al mare, ma quivi passa al granito porfiroide; sulla riva sinistra si trova al monte Castelluccio, nella cresta che separa la fiumara accennata, da quella di S. Angelo, ma verso monte, al Monte Centarbori, e verso mare, alla cappella S. Costantino, abbiamo già lo stesso passaggio. Anche questa roccia è sovrapposta alla fillade; infatti questa spunta nel fondo delle fiumare; del resto essa dà il passaggio completo al granito porfiroide, dunque deve occupare esattamente lo stesso livello. Questi graniti porfiroidi formano generalmente delle montagne abbastanza elevate, così Pizzo di Polo (1287,7) Pizzo la Possa (1066,7) Monte Barca (750) Monte Saraceni presso S. Angelo (1103); essi però sono tali che si alterano agli agenti esterni e decadono facilmente. La roccia presenta dei clivaggi marcatissimi, e non manca di altri si- stemi di fessure, nelle quali penetrando P acqua, questa scuote forte- mente la parte esterna e ne causa facilmente la caduta; è per tal ragione che le frane sono comunissime nei monti formati di questo materiale. Queste frane lasciano dei piani di scorrimento biancastri, ricoperti di una specie di sabbia, e talora ripidissimi; basterà citare le frane di Pizzo la Possa, Monte Catanesi, Monte Barca e Monte Saraceni. Alcuni dei monti di granito porfiroide. i più bassi, sono rivestiti di vegetazione e principalmente di quercie e cerri ; i più elevati sono — 126 nudi, o rivestiti sui fianchi di eriche talora assai sviluppate a forma di arbusti ; insieme a questi crescono altre piante, mente, cardi sel- vatici, ecc., ma in generale poche o punte felci. Come ho già indicato, le acque che filtrano in copia per queste roccie, si fermano quasi in totalità agli schisti lucenti sottoposti ; allora si generano i torrenti e le fiumare; però in queste, per la grande lar- ghezza, e l’ accumulo di detriti, sopratutto della fillade, l’acqua, anche se abbondante, sparisce presto. Nel vallone Santa Venera all’epoca delle visite da me fattevi, in aprile e giugno, mentre si aveva a monte una grande quantità di acqua, poiché ivi la fiumara correva ancora sugli schisti; più a valle 1’ acqua si trovava a correre sulle alluvioni, e prima di giungere al torrente Ruzzolino (fiumara Fantina) era comple- tamente scomparsa. Avviene sovente, avendo bisogno d’acqua, di poterla ottenere scavando col martello il deposito di detriti per 50 o 60 cen- timetri; s’incontrano facilmente dei filetti di acqua che corrono sotto la superficie. Età geologica degli schisti lucenti e del granito porfiroide. F tempo ora di dire a quale epoca geologica io ritengo appar- tenere le roccie sin qui descritte. Ho mostrato come si abbia, di- rettamente riposante sui micascisti, una gran massa di schisti lucenti contenenti anche dell’anfibolo; e passanti o racchiudenti, come coetanee, altre roccie, quali delle dioriti e roccie analoghe (granito di Savoca e grovacca), della felsite e dei calcari cristallini. In Calabria, salendo da Bagaladi sul Monte S. Angelo, ho trovato la fillade alternante con grandi masse di dioriti e di diabasi. Stabilita l’assoluta contempora- neità della fillade con quelle roccie, basterebbe poter fissare l’epoca cui quelle appartengono, per aver risolto il problema. Le dioriti, le diabasi le felsiti, sono riferibili a terreni molto antichi, e precisamente al cambriano superiore o al siluriano inferiore : ammettendo che appar- tengano a quest’ultima epoca, vi dovremo riferire anche la fillade, per conseguenza; e per avvalorare il mio asserto, verrò ora a dare le prove che ho potuto raccogliere. Tacerò che i calcari intercalati negli schisti lucenti potrebbero stare a rappresentare il cipollino, che appartiene alla stessa epoca. Citerò invece lo schisto maclifero e lo schisto anfi- bolico, che in qualche modo possono esser ben rappresentati dalla fillade, sia perchè essa contiene talora antibolo in quantità non indif- ferente, sia perchè caricandosi di feldespato per passare al granito porfiroide ricorda veramente lo schisto maclifero; ora quei due schisti appartengono realmente all’ epoca indicata. Ma sopratutto, vediamo quali sono i minerali accidentali degli schisti citati: quarzo, granito , — 127 — grafitei dunque esattamente quelli della fillade ; osservo ancora che la sola grafite basterebbe già ad indicare che la roccia appartiene ad epoca antica, molto più antica dell’ antracitifero ed anche del de- voniano. Nella fìllade troviamo il gesso ; ora quali sono le roccie antiche che ne contengono ? le argille triasiche ne hanno di cristallizzato; il permiano d’Inghilterra ne contiene pure, ma egualmente in cristalli; il gesso della fìllade è saccaroide. Ora nelle Alpi, non abbiamo noi degli schisti micaceo argillosi, talvolta dei veri micaschisti, quantunque non quelli centrali, contenenti del gesso bianco saccaroide, intercalato nella schistosità della roccia? E non sono quegli stessi schisti che contengono i grossi cristalli di granato, in dodecaedri romboidali, pro- venienti dal Sempione e dal Gottardo? Per le filladi siamo dunque in faccia a terreni antichissimi sotto tutti i rapporti, con moltissime analogie colle roccie tipiche appartenenti all’epoca geologica accennata; ma non mi fermerò qui nel citare le ragioni che mi condussero a sta- bilire che la fillade appartiene al siluriano inferiore. Dei minerali me- tallici accidentali si trovano negli schisti anfibolici e cloritici, e gli schisti lucenti della Sicilia (e della Calabria) contengono i minerali metallici accidentali. Finalmente, sopra alla fillade, talora con passaggio graduale, è vero, abbiamo qualche schisto un poco diverso, ma sopra- tutto i graniti porfiroidi, ben caratterizzati, da non confondersi cogli gneiss, cui assomigliano per la struttura. Or bene i graniti porfiroidi, contemporanei del resto coi graniti tipici, sono del siluriano egual- mente, e non del siluriano superiore, ma realmente della parte media o tendente all’ inferiore, di quell’ epoca geologica. Dunque tutto concorre a far persuasi di questo, che cioè la forma- zione degli schisti lucenti, con le roccie che ne dipendono, e l’altra dei graniti porfiroidi, che è intimamente legata alla prima, rappresentano in Sicilia, e quindi in Calabria, l’epoca siluriana parte inferiore e forse l’antesiluriano. Il prof. Seguenza, nei suoi scritti sulla geologia del Mes- sinese e del Reggiano, ha chiamato la fillade uno schisto carbonifero. Colle osservazioni precedenti mi par di provare abbastanza chiaramente che gli schisti lucenti sono molto più antichi, ma bramerei conoscere poi quali forze telluriche hanno potuto, dall’epoca carbonifera in poi, metamorfosare una formazione di quell’ epoca in una contenente cri- stalli di granati, venature di quarzo, e sopratutto generare dei gra- niti porfiroidi, sovrapposti alla fillade, e non emessi traverso ad essa, contenenti grossi cristalli di feldspato nella pasta granitica. Come si spiegherebbe in una roccia carbonifera la presenza della grafite, l’aspetto semi cristallino degli schisti stessi, il gesso intercalato e i minerali, che — 128 — per la natura delle ganghe (quarzo e carbonato di ferro) manifestano un’età molto maggiore di quella del carbonifero? Finalmente, se esaminiamo le roccie massiccie carbonifere, non tro- viamo che dei porfidi, trapp porfirici, melafiri, varioliti, petroselci, ecc., tutti materiali con una pasta omogenea feldspatica ed in essa cristalli di labrador, di quarzo, per i porfidi quarziferi, della clorite per le vario- liti, ecc. In quell’epoca tutte le roccie massiccie hanno già perso il ca - rattere di cristallinità che si ha negli scbisti anfibolici e macliferi, nelle dioriti, nei graniti porfiroidi, poiché le paste sono omogenee, macrogra- ficamente parlando. ■ Le roccie del siluriano inferiore, e quelle che ho descritte per la Sicilia, sono bensì di semplificazione, rispetto ai micaschisti antichi, al gneiss tipico, o a quello micaceo o talcoso, ma non sono ancora al grado di semplificazione che abbiamo per l’anfìbolite, la pegmatite, e la ialo- mite propriamente dette, ecc., che appartengono già al devoniano. In quelle roccie manca completamente il diallagio; minerale che appunto vediamo apparire per la prima volta nel devoniano. Le roccie che abbiamo al Capo Calavà, e sue vicinanze, e che ho stabilito essere della pegmatite tormalinifera, una specie di miacite, e granito a mica bianca, apparterrebbero appunto al devoniano, sareb- bero cioè più recenti della fillade; e di questo già parlai, accennando come gli scbisti sono sollevati e gettati dai lati dal sollevamento, simile ad un dicco, di quelle roccie. Questo fatto, ove non avessi citato suffi- cienti prove in precedenza, ne sarebbe una, per dire che la fillade è anteriore al devoniano; quindi siluriana; non essendo necessario a pro- varlo, quel fatto servirà però a confermarlo. La pegmatite e la j aiomite tormalinifera, contenenti quarzo e mica, feldspato, e cristalli di tormalina nera, la miacite formata di nefelina, ortose, antibolo, e il granito, fatto di quarzo, feldspato e mica bianca, sono assolutamente roccie devoniane, e quindi l’età delle roccie del Capo Calavà resta ben fissata. Stabiliti questi fatti, risulterebbe che in Sicilia abbiamo rappre- sentati : Forse il laurenziano e forse l'uroniano , coi micascisti e gneiss cen- trali; il siluriano, mancando il cambriano, dalla fillade, e roccie ac- cessorie, e dai graniti porfiroidi ; ih devoniano , dalle roccie del Capo Calavà. Mancherebbe l’antracitifero e il carbonifero, e si verrebbe ad un terreno, che potrebbe rappresentare il permiano, ma che per ora mi limiterò a descrivere col nome di formazione di Alì , non essendone ben accertata l’epoca geologica. 11 descriverlo che ne farò prima del — 129 — trias, servirà a provare che lo ritengo antecedente a questa epoca geo- logica; vedremo di quali roccie ed elementi si compone. Formazione di Alì. Questa formazione appare nelle vicinanze di questo paese, è appunto quivi che la ritrovai per la prima volta, ed è in quella località che è principalmente sviluppata; di qui la ragione della denominazione impo- stale. Venendo lungo la costa orientale della Sicilia, verso il sud, la forma- zione appare appena passata la fiumara dTtala e continua fino alla ma- rina d’Alì, elevandosi ad un’altezza di circa 350 m. sul mare. Fra i due punti indicati la formazione è continua, meno che presso un vallone che scende da Monte Meliano, attraverso la contrada Granice, dove, per una certa estensione, spunta la fìllade. Al piano di Mollarino, che ha la quota massima di 103, e presso la Marina di Alì, sulla collina fino ad un'altezza di 139 m., vi è del quaternario che ricopre la formazione. Questa appare ancora in un altro punto della provincia di Messina, al di là di Patti, sul fianco orientale della montagna di Gioiosa Vecchia e che scende fino al mare a Saliceto. In quella località si hanno delle roccie identiche a quelle di Alì. Quantunque la formazione di cui parlo abbia veramente poca im- portanza per l’estensione che occupa, ne ha però per la sua diversità da qualunque altra che si presenti, non dirò soltanto nella provincia di Messina, ma anche nell’intera Sicilia. Questa specialità è già un tatto degno di nota ; lo è poi immensamente la varietà di materiali che si presentano l’uno presso all’altro. Comincierò a descrivere la serie che si presenta presso ad Alì e al Capo di Alì per parlare poi di quella che si ha presso Patti. Venendo dalla Marina d’itala si comincia a trovare fino ad un’al- tezza di 340 m., una quarzite violacea durissima, che si stacca affatto dalla formazione della fillade, sulla quale essa si appoggia. Siccome il fianco della montagna è molto ripido di per sè stesso, è evidente che la superficie di separazione degli schisti lucenti e di quelli quarziti deve essere a generatrici molto inclinate. Per dippiù la schistosità della fìl- lade non presenta affatto una pendenza così forte, nè pare che gli schisti vadano a disporsi in concordanza sotto le quarziti; la stratificazione di queste è difficile a riconoscersi, ma nei luoghi dove la si può stabilire, si vede chiaramente che gli strati vanno ad urtare, in perfetta discor- danza, contro gli schisti lucenti. Passato il secondo vallone che si incontra andando verso Alì, si pre- senta una gran massa di roccie, tutte di un bel colore violaceo, bene stratificate, e che arrivano fino ad un vallone dove rispunta la fillade. 130 — estendendosi così per più di un chilometro. Si tratta di una successione di schisti, arenarie schistose e conglomerati a piccoli elementi, talora alternanti con passaggi graduali dagli uni agli altri e talora senza di questi. Quantunque il contatto fra queste roccie e le quarziti violacee descritte, sia un poco mascherato dai detriti, pare veramente che esse vadano a disporsi sotto alle quarziti. Gli schisti violacei sono ben laminati, talché la loro superficie è lu- cida, sembrano principalmente argillosi, quantunque non completamente, e infatti vi si scorgono degli elementi cristallini ; questi però sono così minuti e tanto ben distribuiti nella pasta, che questa ha quasi l’aspetto omogeneo. Gli schisti passano gradatamente a delle arenarie violacee» che si mantengono però schistose, talché si potrebbe dire che non sono altro che parti dello schisto, in cui gli elementi non hanno raggiunto la tenuità voluta per formare una pasta omogenea ma sono rimasti allo stato di granelli; nella massa sono disseminate delle minute pagliette micacee. Sempre rimanendo schistose, queste arenarie si vedono cari- carsi di ciottolini bianchi, di quarzo latteo, di grossezza variabile da quella di un grano di miglio a quella di nocciuola, generalmente ango- losi, ma talvolta rotondeggianti; oltre questi, si trovano altre piccole masse irregolari, di un materiale bianco verdastro, quasi cloritico, qual- che volta disposto a lamina, nel qual caso se ne può avvertire l’untuo- sità al tatto. Questo materiale è forse della feìsite , proveniente dalla fìllade. Le arenarie, caricandosi di questi elementi estranei, perdono della loro schistosità, o almeno questa è meno manifesta; si hanno dei ban- chi più o meno grossi, ma la tendenza allo sfaldamento si manifesta sotto il colpo del martello; la pasta si mantiene dello stesso color vio- laceo carico, e lungo le sfaldature essa è pure lucente. Si ha così una specie di conglomerato a piccoli elementi, e che ove potesse lavorarsi, darebbe una discreta pietra da ornamento; dove i ciottolini di quarzo e dell’altro materiale indicato predominano, e la pasta è in piccola quan- tità, la roccia meriterebbe il nome di anagenite , in ogni modo potrebbe convenientemente riferirsi al verrucano o almeno rappresentare una va- rietà di esso. L’arenaria, presentando talora la mica, potrebbe denomi- narsi una josammité. Traversata la massa sovradescritta, si arriva ad un luogo dove spunta la fillade, e questa si attraversa per circa mezzo chilometro, spingen- dosi essa pel vallone fino a 400 m. circa dal mare. Al di là della fil- lade riappaiono gli stessi materiali, arenarie e anageniti, e schisti, che a contrada Granice appaiono sopra gli schisti lucenti fino a 300 m. sul mare. Coll’intermezzo di nuovi schisti violacei, lisci, si arriva ad un cal- — 131 — care grigio a straterelli, che forma il Capo di Alì, e si metterebbe sotto alla serie di roccie descritte. Questo calcare forma la riva sinistra di un piccolo valloncello che scende da Alì e si vede all’uscita della gal- leria; esso è a straterelli alti 8 o 10 centimetri, e abbastanza regolari; fra l’uno e l’altro si hanno delle zone sottili, alte 2 o 3 centimetri, di un materiale più tenero e giallastro, che resta più facilmente corroso, in modo che tali interstratificazioni appaiono incavate. Passando il val- loncello, si hanno ancora per poco gli stessi calcari, ma poi questi di- vengono più bruni, a strati più grossi; sono allora veri calcari compatti, di bell’aspetto, ma che alla superficie si alterano alquanto, diventando giallastri. Nelle zone interstratificate si hanno egualmente delle parti argillose, e certi strati poi sono formati di una specie di marna, con vene sottili o meglio fogliettature di calcare spatico. In queste parti dunque, il calcare compatto si scinde nella marna e in calcare spatico, separati. La parte marnosa, alterata all’aria, diventa quasi argillosa, giallastra, rigabile facilmente anche coll’unghia. Passata la serie dei calcari bruni, appaiono sotto ad essi, degli schisti violacei analoghi ai precedenti, talora con fogli di color giallastro, essi divengono più silicei, e si direbbe talvolta che si cambiano in una quarzite eminentemente scbistosa, fino a che arrivano a dei veri diaspri rosso-violacei, non tanto schistosi, ma in straterelli di tre o quattro centimetri di spessore. Questa serie si ripete un’ altra volta con nuovi schisti, diaspri ed altri schisti ancora, sempre mantenendo le stesse forme e gli stessi aspetti litologici. Abbiamo poi di nuovo, e per un certo tratto, dei calcari a strati più o meno grossi, affatto analoghi ai precedenti. In totale si ha dunque un’ alternanza di schisti violacei e gialla- stri con quarziti, schistose, diaspri rosso-violacei e calcari bruni più o meno potenti, sottoposta all’altra alternanza di schisti, arenarie e con- glomerati, descritta sopra. Al piccolo valloncello che viene dalla contrada Arese e passa sotto la spianata di Mollarino, appaiono delle arenarie rosacee, che formano la riva destra di esso; tali arenarie presentano ancora una sensibile schistosità, sono a grana abbastanza minuta, e rappresentano con co- lorazione diversa gli stessi caratteri litologici delle arenarie violacee arrivando pure a contenere dei ciottolini di quarzo ; sarebbero dunque nuove anageniti inferiori alle precedenti, separate dalle alternanze descritte. Fino a questo punto venendo dal Capo di Alì è facile pren- dere le pendenze delle roccie, quella è variabile nei diversi punti ed è talora fortissima; è però quasi sempre rivolta al N.E. o al N. 30° E. Al di sotto delle arenarie rosacee appaiono, sopra un lungo tratto, — 132 — delle roccie decomposte, formanti una massa facile agli scoscendimenti ; le frane vi sono intatti comuni, ed una rilevante cadde nell’ inverno 1879-80. I materiali che formano questa parte, sono gli stessi che si incon- trano sulla strada comunale che dalla marina sale ad Alì Superiore e lungo la marina di All. Si tratta di un alternanza di quarziti, quarziti schistose e schisti argilloso-quarzitici ; dove le quarziti sono piuttosto farinose, si hanno i facili scoscendimenti. Le quarziti solide, che ap- paiono sopratutto lungo la fiumara di Alì, sono di un bel rosa, con venature di quarzo bianco, durissime, presentano alle volte delle super- ficie giallastre di tatto untuoso, simili a quelle citate per le arenarie violacee. Passano talvolta gradatamente allo schisto violaceo molto lu- cente, più spesso a quarziti, schistose e schisti giallo-grigiastri pure quarzitici. Frammezzo a questi stanno pure le quarziti un poco argillose, fa- cili a sgretolarsi sotto l’azione prolungata degli agenti esterni; in queste roccie è scavato il valloncello lungo il quale si sviluppa la strada; ai due lati di esso si hanno due masse di quaternario di cui una scende fino al mare, l’altra verso la fiumara. Lungo questa si possono ricono- scere pendenze affatto diverse da quelle prese lungo il mare ; gli schi- sti e le quarziti pendono al N.O. o N. 30° 0., sembrerebbe che un’ anti- cipale passasse fra la Marina di Alì e Alì Superiore, diretta dal nord al sud. L’ ultima alternanza descritta, di schisti e quarziti, sarebbe il membro inferiore della formazione di Alì di cui gli altri membri, succes- sivamente addossati l’uno all’altro, si vedono andando verso Scaletta, lungo la strada della marina. Kisalendo la fiumara, non troviamo, so- vrapposti alle quarziti nè i calcari nè i diaspri, come dall’altra parte, si giunge invece a delle roccie affatto nuove, limitate fra la fillade e le quarziti; una massa si presenta all’altezza di 70 m. circa, sul livello della fiumara, sulla riva sinistra di essa, ed una in basso, sulla riva destra. Si tratta di un calcare irregolare, principalmente affumicato ma con qualche venatura di aspetto brecciato, qualche volta vacuolare, e ad esso accompagnato, del gesso in masse enormi. Questo gesso è in taluni punti cristallizzato a ferro di lancia, in altri è semisaccaroide come quello che si trova nelle marne del Keuper; è molto diverso dal gesso bianco saccaroide della fillade, e facilmente tinto in nero o af- fumicato : viene scavato però ed adoprato in paese e fuori. Il calcare descritto potrebbe benissimo chiamarsi una carniola, e ha del resto tutti i caratteri di questa, e gli converrebbe il nome tedesco di Rauhalh {calcare ruvido). Come le carniole sono frequentemente accompagnate dal gesso, — 133 — così abbiamo qui in grandi masse anche questo materiale. Nè il cal- care affumicato nè il gesso, presentandosi verso mare, non si possono considerare come un vero membro della formazione di Alì ; siccome si presentano sopra alle quarziti rosacee, che pendono al N.O. e si met- tono quindi sotto ad essi in apparente concordanza, si potrebbe dire che la carniola ed il gesso formano una lente intercalata in quelle roccie. All’ infuori di tale ipotesi, bisognerebbe ammettere una perfetta discor- danza fra quei due materiali, e la serie alternante di quarziti e schi- sti, e quindi con tutta la formazione di Ali. Le roccie di questa si potrebbero intanto riassumere nella seguente serie discendente : 1° Quarziti violacee ; 2° Schisti , arenarie (psammiti) e conglomerati (anageniti) violacei ; 3° Schisti e diaspri violacei, calcari bruni, compatti, alternanze ; 4* Quarziti rosacee, schisti quarzitici giallastri, schisti violacei, al- ternantisi, contenenti carniole e gessi. Tutta questa serie è in perfetta discordanza col terreno inferiore, cioè colla fillade, e ncn appare in alcun altro luogo del versante orien- tale del Messinese; i suoi contatti colla fillade sono bruschi, e dall’una formazione si passa all’ altra senza vedere come gli schisti lucenti va- dano a mettersi sotto alle varie roccie di questa serie, colle quali sono in contatto. In una mia nota sulla formazione dello stretto di Messina ho accennato ad una gran fenditura, che provenendo dalle Calabrie ed avendo prodotto lo stretto medesimo, continuerebbe fino all’ Etna, e passerebbe appunto dal paese di Scaletta e presso Alì 1. Tale fenditura spiegherebbe l’apparizione della formazione descritta, bruscamente ri- portata in contatto della fillade, lungo una parete di faglia. Questa faglia è visibilissima in diversi punti, e fra gli altri sulle due rive della fiumara di Alì, ma specialmente in un piccolo vallone che scende dalla contrada Coli ; seguendo un piccolo sentieruolo da pedoni, che si dirama da quello che va a Croce, e scende al basso, si arriva al bru- sco passaggio della fillade ai conglomerati violacei : le roccie essendo tagliate a picco, si vede magnificamente la fenditura, sottilissima, riem- pita da poco materiale detritico, e i banchi di conglomerato che ven- gono ad urtare contro gli schisti lucenti : rari sono i casi in cui una faglia si presenta così chiaramente. Nella nota citata ho accennato come T esistenza di quella fenditura si accordasse bene col fenomeno dei ter- remoti risentiti talvolta ad Alì, fra i quali uno recente, il 12 e 13 marzo 1882. Secondo le idee moderne sui fenomeni sismici, quali sono 1 Sulla formazione dello stretto di Messina . Boll, del R. Comitato Geologico d’Italia. Anno 1882, mim. 1 e 2. — 134 — espresse dal Prof. De Rossi nel tomo I della sua Meteorologia Endo- gena, è appunto lungo tali fenditure importanti della crosta terrestre, e normalmente ad esse, che si risentirebbero tali fenomeni. La fendi- tura da me stabilita, oltre al collegarsi ai fenomeni vulcanici, perchè passerebbe pel cratere dell’Iena, darebbe ragione delle manifestazioni telluriche avvenute lungo di essa, quindi anche di quelle risentite ad Alì, presso il quale paese essa passerebbe. La formazione descritta, appare soltanto in un altro punto del Mes- sinese e della Sicilia, e precisamente presso Patti. Se dal Saliceto si sale verso le rovine di Gioiosa Abbandonata, ci troviamo sempre sopra un terreno affatto diverso da quelli circostanti, che sono il quaterna- rio, il tufo pliocenico e la fillade. Qui tutta la serie è rappresentata dagli schisti, arenarie e conglomerati violacei; soltanto in un valloncello appare la fillade, e su poca estensione, ma la discordanza fra le due formazioni è marcatissima; la pendenza degli strati della più recente è rivolta ad ovest, ed essi non arrivano che a 50 m. circa sotto la cresta del monte, ricoprendone il versante orientale ; essi vengono dunque ve- ramente ad urtare contro la fìllade. Alla parte superiore delle anageniti violacee, appaiono degli schisti violacei un poco frammentarii, di poca potenza : questi mi occorse di vedere altra volta in un piccolo burrone che scende a Rocca Ru- merà, al contatto fra la fillade e il quaternario; in questa località sono visibili su piccolissimo tratto, ed hanno pure uno spessore limitatissimo, 30 o 40 centimetri. La linea di separazione fra i due terreni, la fillade e la forma- zione di Alì, sotto Gioiosa Abbandonata, è veramente netta, e tale è il limite geologico fino al Sorrentino ; fra il crocevia di Casa Todaro al Cicero è invece accidentato, come avviene generalmente fra due terreni di cui uno sovrapposto all’ altro. La disposizione particolare su quel tratto si potrebbe dunque spie- gare con una faglia che avesse fatto ribassare il terreno più moderno rispetto a quello più antico, dandogli perfino una pendenza tale che sembrerebbe penetrare entro a questo. Ma di questa faglia io ho già parlato avanti; essa sarebbe anzi una fenditura, e quella importantis- sima, che provenendo da Lipari andrebbe a passare pel cratere del- l’ Etna ; come è riconoscibile alla Punta Fetente, essa lo è qui pure, ed è altrettanto chiara di quella di Alì, anche senza presentarsi nelle sue intersezioni con valloni. Nelle vicinanze di Patti non appare dunque che il N. 2 della serie di Alì, mancando completamente le quarziti violacee, e le alternanze inferiori, ma V identità delle roccie è manifesta. — 135 — La formazione di Alì non si presenta mai in rapporto con terreni triasici, ma il trias della provincia di Messina è costituito da roccie completamente diverse ; in nessuno dei suoi membri mi fu dato di tro- vare dei fossili, talché la determinazione esatta dell’età essendo impos- sibile, per ora, ho dato a quell’ insieme di roccie il nome di formazione di Alì, essendo presso a quel villaggio che la rinvenni per la prima volta. Il fatto che rimane stabilito è che questo terreno è posteriore alla fillade ; la presenza del gesso non è sufficiente per dire se esso stia a rappresentare il permiano o il trias inferiore, in Sicilia. Il gesso si trova nel permiano d’ Inghilterra, ed il gesso di Stassfurth è pure del permiano superiore, e starebbe sopra al Zechstein, insieme colle arenarie micacee dei Yosgi. Gli inglesi che colla formazione del New Eed Sandstone, comprendono il permiano e il trias inferiore, raggrup- pano nel New Red Sandstone, le psammiti dei Yosgi e la formazione gessifera di Stassfurth colle arenarie variegate (Buntersandstein) ; i te- deschi metterebbero il gesso di Stassfurth nel passaggio fra il Zechs- tein e il Buntersandstein, i francesi finalmente pongono le psammiti dei Yosgi nel permiano superiore. La formazione di Alì, presenta delle psammiti e del gesso, in certe parti poi si assomiglia molto al verrucano, e potrebbe forse rappre- sentare in Sicilia il permiano superiore, come già accennò in una sua nota il prof. Seguenza. Il prof. Cocchi pubblicava, nel Bollettino del R. Comitato geolo- gico, nel 1870, delle note geologiche sopra Cosa, Orbetello e Monte Ar- gentaro; la serie stabilita pel monte Argentaro dall’autore, è la seguente: Trias superiore Calcare del Gongaro. f Calcare cavernoso. Trias medio ( Carniola con gesso. f Quarziti superiori. Trias inferiore ] ( Schisti. Termico ì Anageniti. Quarziti, schisti e calcari subordinati. f Schisti ardesiaci e steaschisti. Carbonifero J Ardesie bianche e brune. ( Micaschisti. Parlando degli schisti ardesiaci, color grigio piombo più o meno scuro, che si incontrano lungo la strada che da Port’ Ercole va al Monte Argentaro, il prof. Cocchi dice che « essi sono assai più profondi nella 136 — serie, e geologicamente distanti dalle anageniti >. Delle anageniti dice che esse stanno sotto alle quarziti associate a schisti più o meno quar- zosi, e specialmente nella parte superiore ad un calcare spatico listato. Finalmente aggiunge che l’anagenite non costituisce una forma essen- ziale, costante, del terreno al quale appartiene, ma che invece è una forma di circostanza, o accidentale alla formazione, che è precisamente il verrucano. In una mia breve visita fatta al monte Argentaro, passando un poco rapidamente sulla strada indicata, mi colpì la rassomiglianza fra quel punto ed i monti di Alì. Gli schisti ardesiaci ed i micaschisti rammen- tano la fillade, ma sarebbero in tal caso, secondo me, più antichi del carbonifero; in ogni modo anche il prof. Cocchi accenna che essi devono esser molto più antichi delle anageniti. Le roccie sovrapposte a tali schisti poi hanno fortissime rassomiglianze con quelle della formazione di Alì; come vedemmo, anche in questa abbiamo quarziti, schisti e cal- cari compattUalla base,’ indiai conglomerati violacei sovrapposti, che possono chiamarsi anageniti, e che io stesso riferii al verrucano; su questi poi stanno nuovi schisti violacei e le quarziti superiori dello stesso colore, ma questi due membri sono ad Alì troppo intimamente legati ai precedenti, e quindi se i primi sono permiani lo saranno anche gli ultimi, mentre nella serie dell’Argentaro sarebbero posti dall’autore nel trias inferiore ; però l’analogia della serie è rimarchevole e potrebbe darsi che gli schisti e quarziti superiori dell’Argentaro non fossero ve- ramente triasici. Nella formazione di Alì abbiamo i diaspri rossi, fra gli schisti silicei, e si avrebbe analogia con quanto si trova al monte Argentaro, secondo il Repetti; egli infatti riferisce che nelle balze del capo dell’ Uomo, e in altre località, si vedono dei diaspri consociati al verrucano. Finalmente anche ad Alì abbiamo le carniole con gesso, ma esse non sembrano appartenere al trias medio, come supporrebbe il Cocchi per quelle dell’ Argentaro. Per ammettere ciò bisognerebbe supporre una grande discordanza fra esse e la serie precedente; inoltre starebbe sempre il fatto che nel trias medio in nessun’ altra parte del Messinese, nè prossima nè lontana da Alì, si trovano calcari gessiferi. In ogni modo una grande analogia si accenna fra le due regioni, e con un maggiore studio del monte Argentaro si potrebbe stabilire com- pletamente. Il supporre permiana la formazione di Alì, sarebbe dunque avvalorato anche da quanto ha stabilito il Cocchi per quella dell’ Ar- gentaro. La formazione di Alì non appare mai in rapporto col trias; i vari membri di questo si trovano sempre ed esclusivamente in con- — 137 — tatto colla fillade, e coi terreni liasici ed oolitici. Ciò impedisce di stabilire il rapporto di età fra quella formazione e il trias, mi dà però il modo di stabilire una netta separazione fra i terreni paleozoici della parte di Sicilia che considero, e quelli secondarii . Era i primi si avreb- bero dunque : Il Laurenziano e 1’ TJroniano ; 11 Siluriano ; Il Devoniano ; 11 Permiano; Fra i secondari avremo: Il Trias , il Lias, 1’ Oolite , il Cretaceo e questi verrò descrivendo nella seconda parte. (Sarà continuato.) IL Appunti geologici e idrografici sulla provincia di Salerno {Circondar ii di Campagna e di Vallo della Lucania ) del Dott. Cosimo De-Giorgi. (Con Tavola di sezioni). (V. Bollettino 1882, fascicolo N. 1-2.) IL Dal Monte Soprano al Monte Cervati — La Valle del Calore. Di fronte al lato sud-occidentale del Monte Alburno corre un’altra catena di montagne parallela a quella dell’Alburno, e chiude dalla parte di occidente e di mezzogiorno la valle del Calore. Questa catena si solleva dalla grande pianura quaternaria di Pesto, a pochi chilometri di distanza dalle rovine di quest’antica città. Forma da prima il monte sul quale sorgono i ruderi di un fortilizio diroccato, là dov’era Capaccio Vecchio (metri 386. sul livello del mare) ; poi il Monte Soprano (m. 1082 s. m.) a ridosso di Capaccio Nuovo ; e prose- guendo sempre nella stessa direzione assile del Monte Alburno, cioè da NO a SE, si va sempre più rialzando in modo che al Monte Vesole, al SO di Roccadaspide, raggiunge i 1200 m. sul mare, al Monte Varco Cervone i 1097 m. ed al Monte Chianiello tra Felitto e Monteforte Cilento i 1317 m. Quindi si abbassa di nuovo, ed al Monte Faito, presso Magliano Vetere, giunge a 1166 m. e sul vertice del picco calcareo sul quale riposa l’abitato di Magliano i 728 metri. 10 — 138 — La catena giunta a questo punto par che finisca; ma nel fatto è soltanto interrotta da una profonda spaccatura, nel fondo della quale scorre il torrente Trienico, uno dei più copiosi affluenti del fiume Ca- lore, nel lato sinistro della vallata. Continua nella medesima direzione sunnotata, e colla stessa struttura litologica e geologica, nelle montagne di Laurino, che salgono a maggiori altezze di quelle di Monteforte Ci- lento, e vanno tutte a far capo al Monte Cervati (1898 m. s. m.), ch’è il vertice più elevato dei monti di tutta la zona meridionale del Saler- nitano. Profondissimi burroni tagliano per lungo queste montagne nella direzione da nord a sud, al mezzogiorno di Laurino ; e nella loro con- figurazione sembrano degli immensi muri calcarei appoggiati ai vasti altipiani dei monti Caravello e Raialunga, nei quali si trovano i ver- tici della Costa Laura a 971 m. sul mare, della Serra del Cigliatore al sud di Piaggine a 1195 m.,rdel Monte Caravello a 1273 m., del Monte dei Cavalli a 1344 m., del Monte Rotondo a 1388 m. e della Raja di Ro frano , ch’è l’ultimo limite del terreno cretaceo a carattere alpino, a 1516 metri sul mare. Dal Monte Cervati partono poi i contrafforti settentrionali che co- stituiscono i Monti di Sacco (da 1163 a 1601 m.), e il Monte Motolo (1700 m.) che, come abbiamo accennato nel paragrafo precedente, pei monti del Corticato si lega alla catena dell’Alburno. Tutte le altre mon- tagne all’ovest di Teggiano, di Sassano e di Buonabitacolo, che limitano da questo lato il Vallo di Diano, sono una dipendenza della stessa ca- tena del Cervati e raggiungono considerevoli altezze sul livello marino da 1000 a 1470 metri. Torniamo ai monti di Capaccio. Parallela al Monte Soprano ed al Monte Alburno corre una terza serie montuosa più breve e più bassa delle due precedenti. E detta Monte Sottano, e s’innesta col Monte Soprano presso il Monte Vesole, sicché potrebbe anche dirsi un contrafforte di quest’ultimo. Sul dorso del Monte Sottano riposa il piccolo paese di Trentinara (604 m.), e a mezza costa quello di Giungano (200 m.). Il monte raggiunge nella sua cima più ele- vata i 630 m. ed a guardarlo nell’insieme pare isolato da tutti i lati; ma di fatto non è che interrotto da un profondo e largo burrone che scende dal monte di Trentinara e versa le sue acque nel fiume Solofrone. L’aspetto generale di queste due catene di montagne, più vicine ai mar Tirreno di quella dell’Alburno, è molto singolare perchè riproduce in certo qual modo la fisonomia dell’Alburno. Nel lato che guarda a NE, cioè dalla parte di Roccadaspide (m. 350 s. m.), di Castel S. Lo- renzo (357 m.) e di Felitto (323 m.) la catena del Monte Soprano e di — 139 — Monteforte si solleva a piano dolcemente inclinato fin quasi al culmine elei monti, ed è contornata verso la base da collinette sulle quali ripo- sano i paesi summentovati. Nel lato opposto che guarda il Cilento il paesaggio è invece aspro e terribile; i fianchi dei monti sono dirupati, a fortissimo pendio, e per lunghi tratti le frane dell’orlo superiore ci fan ricordare la corona del Monte Alburno. Che questo non sia un fatto puramente accidentale apparirà più chiaro nelle sezioni stratigrafiche che ora descriveremo, e nelle quali si rivela la causa che ha dato ori- gine a tutte queste forme orografiche considerate nel loro insieme. Un’altra particolarità degna di nota sono le gole, o profondissime spaccature, che si incontrano spesso alla base di queste montagne, pa- rallele all’asse delle medesime, soprattutto nella valle del Calore. Nel- l’Alburno ne abbiamo trovato una sotto Controne; ma qui invece sene rinvengono parecchie. Una prima è tra Felitto e Magliano, e rappre- senta una grande frattura a due anse, alla base del Monte Faito, in fondo alla quale scorre in un letto ristrettissimo il fiume Calore. La collina sulla quale sorge Felitto, e le altre due, al sud di questo paese, denominate la Costa e Monacello (m. 592 s. m.) formavano in origine un tutt’uno col Monte Faito; ma si distaccarono nell’epoca terziaria e la- sciarono libero il passaggio al corso del fiume Calore. Un’ altra frattura, parallela come la precedente all’asse della ca- tena, resta a mezzogiorno di Laurino e di Valle dell’Angelo. Anche in questa è facile riconoscere il distacco avvenuto della collina di Laurino (m. 540 s. m.) e del Monte Pesco Rubino (792 m.) dalla catena sudde- scritta. Di fatti il lato settentrionale di questa zona distaccata ci pre- senta un piano dolcemente inclinato, mentre quello di mezzogiorno, di contro alla catena ed al Monte dei Cavalli, è dirupato e scende quasi a picco sul fiume Calore, che, anche qui come a Felitto, è profondamente incassato. Non tutte però le fratture sono parallele all’asse della catena. Ve n’ha di quelle perpendicolari, e sono state prodotte dal primitivo sol- levamento della grande massa montuosa del Cervati, e quindi ampliate dall’erosione meteorica, dalle frane e dagli scoscendimenti. Una per es. è quella surriferita, e nella quale scorre il torrente Trienico. Altre, ve- ramente spaventevoli per la loro lunghezza e profondità si incontrano al sud di Laurino e di Piaggine Soprane. La valle sottana (o vallone di Laurino), la valle soprana , il vallone di Corduri sono le più rilevanti. Possono rassomigliarsi a burroni che corrono per 5 a 10 chilometri di lunghezza fra montagne calcaree; e sul fondo raccolgono le acque che zampillano ordinariamente alla base di queste spaccature. Da alcune — 140 — di queste polle, denominate le Festole di Cervati ha origine il fiume Calore al S. E. di Piaggine e a circa 1100 m. sui livello del mare. Due parole sulla valle del Calore. Essa occupa tutto lo spazio com- preso tra il monte Alburno e questa catena, che dal monte di Capaccio va sino al Cervati. 11 fiume, a partire da Eelitto sino ad Albanella, scorre in un vasto letto fra basse colline, che non superano generalmente i 300 m. sul mare e scendono a piano molto inclinato nei due versanti della valle. A maggiori altezze adergono i colli di Altavilla silentina (Piano delle Uose , 434 m.) e il Monte Doglia (454 m.) ad est di Albanella, la Timpa di Albanella (360 m.) e quelle di Aquara (350 m.) e di Bello- sguardo (560 m.) e il Monte Salandro (693 m.) a tramontana di Laurino. Tutte queste colline presentano una costituzione geologica affatto diversa da quella delle due catene sopra descritte. Osserviamola. La catena del Monte Soprano, il contrafforte del Monte Sottano, presso Capaccio, le montagne di Eelitto, di Magliano e di Laurino fino al Monte Cervati sono esclusivamente costituite di calcare compatto bianco simile a quello del Monte Alburno. Invece nella valle del Calore predomi- nano le colline a base di arenaria e di argilla. Studiamole paratamente nelle sezioni stratigrafiche. Roccadaspide (v. Tav. IY, fig. VII) sorge sopra una collina, la quale al NO si addossa sul Monte Yesole, ed è isolata negli altri quadranti. La roccia della quale è formata, tanto nella parte superiore che a piè del- l’abitato, è un calcare compatto bianco a ippuriti. Il Monte Yesole è anch’esso costituito di calcare duro, spatico, grigio, a frattura concoide sparso qua e là di granuli di glauconia che in alcune contrade gli danno un aspetto verdastro. Uscendo da Roccadaspide, sulla via provinciale che conduce ad Al- banella, nella contrada Le Rupi, ho trovato nella roccia calcarea i gusci spatizzati d eìY Hippurites sulcatus , e potei raccogliere degli esemplari di radioliti, fre i quali una specie molto affine alla R. Taramellii Pir. Questo calcare è stratificato da NO a SE e ciascuno strato varia in altezza da 50 a 90 centimetri. Si osservano in questa trincea molte spac- cature verticali. Nella parte più alta del monte ho trovato poi, sempre nello stesso calcare compatto grigiastro, una Pseudomelania sp. e fram- menti ben chiari di nerinee e di rudiste. Nella contrada Scanno al NO di Roccadaspide, addossato al pre- cedente, si rinviene un calcare inclinato 50° da ovest ad est, con pen- denza verso est. È di un color grigio traente al bluastro e contiene del carbone; percosso dà un forte odore bituminoso. Qui ed altrove vien chiamato pietra palombina , ed è sempre discordante nella stratificazione col sottoposto calcare cretaceo. Contiene le valve di cardii, del Pecten — 141 — operculaps , del P. JBesseri , frammenti di spatanghi, il Lejocidaris hi- strix e molte foraminifere. Appartiene alinocene a carattere alpino e lo vedremo più chiaramente alla base dei monti di Laurino. È chiuso a SO e a NE tra le formazioni cretacee; di fatti nella contrada Volpara, salendo verso Albanella e al Monte Pietra cupa ritorna il solito calcare compatto ricco di ippuriti e di radioliti. Questa pietra palombina viene scarsamente adoperata come mate- riale da costruzione, perchè è meno dura della pietra viva , che forma il nucleo del monte e serve a lastricare le vie interne dei paesi e per imbrecciare la strada provinciale. In una grande pietraja che ho os- servato nella via da Eoccadaspide a Castel S. Lorenzo, a 200 m. dal primo di questi paesi, non trovai neppure un frammento di ippurite, men- tre i ciottoli e i massi franati del Monte Vesole ne sono ricchissimi. La pietra palombina ora è di color grigio-azzurrognolo, compatta e a frattura litoidea, ora è colorata in giallo sporco dall’ ossido di ferro o in color seppia dal bitume. Scendendo verso il Calore, su questa pietra si trova addossata una arenaria argillosa giallastra mio-pliocenica, che nell’altro versante riposa sul macigno dei colli di Albanella, appartenente all’ eocene superiore. Questa arenaria, nella contrada Ponte rotto, dov’ è tagliata da alte trin- cee, presenta degli strati sottili a stratificazione ondulata, contiene della mica e dà effervescenza cogli acidi. È poverissima di fossili. Sotto 1 azione dell aria e della umidità si sfalda in romboedri regolarissimi. E analoga a quella che ho incontrato alla T. Parpezio, presso il ponte di Castelcivita sotto Controne. Soltanto qui si addossa sul calcare com- patto ippuritico. Guardiamo ora la sezione geologica da Eoccadaspide a Capaccio (v. la Fig.a Vili.). I monti calcarei di questa catena, siccome abbiamo accennato, terminano a tramontana a mo’ di sperone allungato e di- retto da SE a NO, all’acropoli di Capaccio vecchio e sono circondati alla base in parte del calcare eocenico con carattere alpino, in parte dall’arenaria eocenica con carattere appenninico. Girando intorno al monte di Capaccio vecchio, per passare sul ver- sante occidentale del monte Soprano, ho riscontrato la seguente strati- grafia d’alto in basso : 1° Calcare compatto bianco o grigio, a fattura concoide, a ip- puriti. (Parte alta del Monte Soprano.) 2° Brecce a conglomerati calcarei (sullo stesso monte da 250 a 100 m. sul mare.) 3° Travertini prodotti dalle sorgenti del fiume Capo di Fiume (Pianura di Pesto). — 142 — Salendo verso Capaccio nuovo, torna l’arenaria eocenica addossata sul calcare a rudiste, ctie mantiene nei suoi strati sempre la di- rezione sopra mentovata da SO a NE con pendenza al NE ed alla valle del Calore. Il paese di Capaccio è situato sul calcare compatto ippuritico, a mezza costa del Monte Soprano, che si eleva ad oriente dell’abitato fino a 1081 m. sul mare. 11 prof. Giuseppe Longobardi volle gentilmente favorirmi una stupenda collezione di ippuriti e di radioliti raccolte alla base di questo monte ; ed altre ne trovai anch’io sul Monte Costa dell’elce, al Nord del paese. Sono tutte degli stessi ge- neri e specie osservati dalla parte di Roccadaspide. Anche il Monte Sottano è formato della stessa roccia e presenta la medesima disposizione stratigrafica del Monte Soprano. E coperto di un mantello di terra rossa che nasconde tutto il calcare fino alla base del monte. Nel tratto intermedio fra un monte e l’altro s’incontra un bacino di arenaria eocenica la quale giunge in alto fino ad incontrare il ver- tice dell’angolo che il Monte Trentinara fa col Monte Yesole, e ricolma tutta l’insenatura fra questi monti. Di fatto nella contrada Bosco del barone de Marco ho trovato un’ arenaria analoga al macigno, divisa da straterelli di calcare argilloso di color giallastro, e ricchissima di mica ; e in altri punti si trovano interclusi degli straterelli di selce piromaca, come per es. nel taglio naturale del burrone sottostante al bosco. Cerchiamo ora di scoprire in quali relazioni stanno fra loro il monte Alburno e questi due che abbiamo descritto. La loro disposizione statigrafica forma una grande sinclinale, pie- gata a fondo di battello, e l’angolo della piegatura corrisponde alla parte più depressa della valle del Calore. L’ho disegnata nella IX sezione stratigrafica. Comincia dal Monte Sottano che ha gli strati inclinati da SO a NE con pendìo verso 1’ ENE. Segue il Monte Soprano che con- corda perfettamente nella stratificazione col precedente, e la pendenza è pure verso il Calore. Valicata questa valle, si trova il Monte Alburno il quale presenta invece una. stratificazione diretta da NE a SO, con pendenza al SO. In tal modo il ginocchio della sinclinale deve corri- spondere con molta probabilità, nel punto più centrale della vallata. Entrambe le due catene montuose sono formate dello stesso calcare e contengono i medesimi fossili. Le parti più depresse di questo grande bacino sono invece ricolme di sedimenti terziarii (eocene e mio-plio- cene) : e questi sono coperti alla lor volta dai depositi quaternarii ed attuali. Non è quindi improbabile che nel ginocchio di questa inflessione si siano prodotte, durante il sollevamento delle due catene montuose, — 143 — e per effetto di pressioni laterali, delle fratture verticali in tutta la serie degli strati ; le quali però sono oggi coperte dai sedimenti terziarii. Da Eoccadaspide, risalendo sempre lungo la valle del Calore verso Delitto, si incontrano le solite arenarie micacee eoceniche, che va- riano di colore dal giallastro al cenerognolo, ed ora sono sciolte e fria- bili, ora legate da cemento calcareo-argilloso. Su queste riposa il paese di Castel San Lorenzo. Nella contrada Genzano, tra questo paese e De- fitto, affiorano sotto l’arenaria gli schisti galestrini rossi o nerastri, che proseguono per lungo tratto ad ovest fin quasi alla base del Monte Varco Cervone ; ma da questo lato non ho potuto limitarle. Queste arenarie sono intercalate da straterelli di spato calcare. Qua e là si incontrano lungo la via provinciale dei grandi massi di calcare com- patto ippuritico, ma provengono dal torrente Valdicioffo e dalle alture del Monte Varco Cervone. Nella X sezione stratigrafìca vediamo Delitto collocato in cima ad una rupe, distaccatasi dalla base del Monte Chianello e divisa dallo stesso per un burrone tortuoso in fondo al quale scorre il Calore, un 150 m. più basso del paese. La rupe è di calcare compatto, e le vie interne del paese sono la maggior parte in pendìo, tagliate nel monte. Le pareti di questa spaccatura sono costituite, si da un lato che dal- l’altro della valle, di calcare siliceo grigio a ceritii ed a foraminifere eoceniche. Valicato il fiume, e passando alla sua sponda sinistra, segue la stessa stratigrafia. Ma poi salendo sul Monte Daito, ritorna il calcare compatto ippuritico del quale si possono osservare i fossili caratteri- stici nei frammenti rotolati dalle acque o dalle frane dalla parte più alta del monte. Questo fatto ho osservato presso il Ponte nuovo sul Calore nella contrada Madonna di Costantinopoli. Qui, alla base del monte, si presenta un calcare eocenico intercalato da strati di calcare glauconifero e bituminoso, molto • analogo alla pietra palombina , nel quale si nota chiaramente tra le fratture degli strati il bitume rap- preso. La roccia è di color grigio ceroide ed è divisa da lamelle di calcare spatico grigio oscuro contenente moltissime foraminifere. Sulla sponda destra del Calore, nel monte di Delitto, questo calcare è ric- chissimo di milioliti. Nella Difesa Lombi, a nord di Delitto, questo calcare diviene com patto siliceo, a frattura concoide, ed è ricco di orbitoidi e di nodo- sarie eoceniche. Lo stesso calcare si incontra alquanto modificato nella sua struttura nel colle al SE. di Delitto; e in questo, oltre i fossili summentovati, si trovano pettini, cardii e varii polipai. Anche questa roccia è simile alla pietra palombina della contrada Scanno presso Eoccadaspide, e ricopre la base delie montagne cretacee. 144 — La stratificazione di questo calcare è concordante nei due lati del burrone ad ovest di Eelitto, ma nel fianco destro della valle del Calore è più inclinata che nel sinistro; ed è diretta da SO a NE con pen- denza al NE. Forse un repentino abbassamento avvenuto alla base del Monte Faito avrà determinato questa frattura, che poi le acque del Calore hanno convertito in burrone. Da Felitto, procedendo verso Magliano, alla gola Tramonti, chiusa da un lato dal Monacello e dalla Costa, dall’altro dai monti di Ma- gliano, si torna a vedere il solito calcare compatto cretaceo a rudiste. Questa gola prosegue la spaccatura tortuosa che ora abbiamo descritto e forma un grande arco di cerchio che va a terminare allo sbocco del torrente Trienico. Cosicché una parte del burrone del fiume Calore è tagliato nel calcare eocenico a foraminifere ed un’altra nel calcare cre- taceo sottoposto, Sul primo si addossano, alla Serra Campitella e nella contrada Lago delle arenarie durissime contenenti condriti e nemerti- liti. Magliano riposa sopra un picco cretaceo, isolato ed altissimo nel quale apparentemente termina la montagna di Monteforte. Andando più oltre verso l’alta valle del Calore, dopo aver traver- sato il Monte Salandro, ci arresteremo a Laurino. Questo paese si trova ih una posizione del tutto simile a quella di Felitto, cioè sopra una collina isolata e distaccata dalla grande catena che scende dal Cervati a mezzogiorno dell’abitato. Anche qui nel fondo del burrone serpeggia il Calore che scende da Piaggine Soprane dopo aver valicato la gola del Monte Pesco Rubino. Osserviamone la struttura geologica e strati grafica nella fìg. XI. A sinistra si vede un contrafforte del Monte Piano, detto Costa di Laura, a fianchi dirupatissimi come già son tutti quelli dei monti al sud di Laurino. Esso è formato del solito calcare compatto cretaceo ad ippu- riti; e di fatto non è che la continuazione della catena di Monteforte Cilento. Segue il Vallone Sottano, o Vallone di Laurino, stretto e pro- fondissimo, e piegato ad arco, da prima nella direzione da sud a nord poi da SE a NO, dove sbocca nel Calore. Il fianco destro di questo vallone è costituito dal Monte dei Cavalli, anch’esso cretaceo, e nell’altro versante forma la parete del burrone di Laurino nel quale scorre il Calore. Alla base di questo lungo contrafforte, che ha il dorso strettis- simo e fianchi dirupati, appariscono i calcari compatti eocenici addos- sati al cretaceo e si stendono a tramontana e a NE verso Valle del- l’Angelo. Laurino riposa sopra un calcare bianco grigiastro in alcuni punti molto glauconifero. Esso contiene delle foraminifere eoceniche (milio- liti) analoghe a quelle di Felitto. Nel lato meridionale questo calcare — 145 — si addossa sul calcare compatto ippuritico, mentre a settentrione si affonda sotto gli schisti argillosi a fucoidi e sotto l’arenaria macigno. Alla Rupe Santa Sofia ho trovato sul calcare a foraminifere un altro cal- care, poco diverso da questo litologicamente, ma vi ho raccolto un bel- l’esemplare di Heliastrea Guttardi Mieli, sp. oligocenica. Discendendo lungo la via che conduce a Valle dell’Angelo, sul calcare eocenico si addossano degli argillo-schisti calcarei, stratificati, a frattura concoide ineguale, di color grigio azzurrognolo. Essi contengono molte fucoidi, tra le quali la Chondrites aequalis , JBrg. determinatami in alcuni fram- menti, e con altri fossili di questa contrada, dal mio chiarissimo maestro prof. Gf. Meneghini. Muoviamo ora da Laurino verso Piaggine Soprane. Al Monte Pesco Rubino troveremo in basso un calcare brecciforme derivante dal detrito di antiche frane, succedute dopo la spaccatura della base del monte. In alto è invece calcare ippuritico, come nella parete opposta della frattura, e la disposizione strati grafica conserva la direzione da S a N con affondamento sensibile verso il nord. La collina sulla quale riposa Valle dell’Angelo è formata di are- naria gialla eocenica, relativamente più recente del calcare compatto a foraminifere, anch’esso eocenico, sul quale si addossa verso Piag- gine Soprane. E il sottosuolo di questo paese, e la gola dei Corduri all’uscita dell’abitato, sono costituite di calcare eocenico, che al sud di Piaggine si addossa sul cretaceo il quale si aderge fino alla vetta del Monte Costa dell’Angelo, e prosegue in alto fino al Monte Cervati. Sincroni ai calcarei eocenici con carattere alpino, or descritti, sono i calcari rosei brecciati, capaci di bel pulimento, come i così detti marmi del Monte Gargano, e risultanti dal detrito delle rocce cretacee, legati da cemento calcareo, e la pietra palombina o calcare azzurro- gnolo bituminoso. I calcari s’incontrano presso Laurino nella contrada San Giovanni, lungo la nuova via che conduce a Stio e a Vallo della Lucania. La pietra palombina trovasi al Malvetano presso il ponte Vallone dei Granci, dove si osservano delle altissime trincee ricchissime di fos- sili terziari, meritevoli di esami più accurati e di ricerche più minute e dettagliate. Questi calcari eocenici proseguono ad oriente di Laurino, fino allo sbocco del torrente Trienico nel Calore, e sono ricoperti da un alto banco di conglomerati brecciformi risultanti da frammenti di calcare compatto e da alluvioni recenti. A mezzogiorno invece si addossano sul calcare cretaceo e cessano immediatamente entrando nella valle del Trienico. Questa valle larga da prima poi si va restringendo a mo’ di burrone, con pareti tagliate a picco nel calcare cretaceo. Rappresenta — 146 — una delle fratture trasversali o normali all’ asse delle montagne da Monteforte a Laurino, ed è profonda circa 150 metri. Campora resta a destra della valle e sul picco di un monte di calcare cretaceo, ta- gliato a NE dal fiume Torno, affluente del Trienico ; Stio invece è a sinistra sulle arenarie cretacee. Di queste torneremo a parlare, perchè sono sviluppatissime nel Cilento. La stratificazione dei calcari cretacei nella gola del Trienico è di- retta da S a N con affondamento al N cioè alla valle del Calore. Giunti sul vertice del Torrente Casaìicchio , al nord di Stio, potremo se- guire coll’oechio il versante sud-occidentale delle montagne di Magliano e di Monteforte, e notare T aspetto dell’ orlo superiore che piomba da oltre 200 metri di altezza nel Monte Eaito e nel Monte Chianiello; e visitando questo lato dei monti, lo troveremo costituito dello stesso calcare cretaceo ad ippuriti come il versante nord-orientale. Magliano Yetere, Capizzo, Monteforte riposano su questo calcare che ha una stra- tificazione diretta da SO a NE con affondamento a NE. Giunti a questo punto cerchiamo di raggruppare tutti questi ri- lievi stratigrafici per venire ad una conclusione più generale. Abbiamo veduto che variano moltissimo tanto la direzione che la inclinazione degli strati del calcare compatto cretaceo, tanto nel Monte Alburno come nella catena più vicina al Tirreno, da Capaccio Vecchio al Monte Cervati. Ma pure se le guardiamo nell’ insieme troveremo che entrambe sono costantemente dirette verso la parte più bassa della valle del Calore. Questo fiume scorre da prima sull’ orlo meridionale, poi a settentrione della valle, conformata a mo’ di una ellisse allungata e diretta nel suo più lungo diametro da SE a NO. Il contorno della valle è costituito dalle due serie orografiche sopra descritte ; e soltanto nel tratto fraControne e Capaccio Vecchio l’ellisse è interrotta per lo sbocco del Ca- lore nel fiume Seie. Nella fìg. XII rappresento schematicamente la stra- tigrafia dei monti cretacei che circondano la valle del Calore. La dire- zione delle frecce indica quella degli strati e la punta di esse è rivolta secondo l’asse di inclinazione dei medesimi. Resta in tal modo spiegata la piegatura degli strati a fondo di battello tra il Monte Alburno e i monti Soprano e Sottano presso Capaccio ; e si scorge chiaramente che durante l’emersione dei calcari cretacei le compressioni subite lateral- mente dagli strati non furono inferiori a quelle di basso in alto che spinsero gli strati fin quasi a 2000 metri sul livello marino. Nell’in- sieme di questa grande catena cretacea a carattere alpino che fian- cheggia il lato cccidentale dell’Appennino, ed è la sola che si incontri tra l’Appennino e il mar Tirreno, si ripetono tutti i fatti stratigrafici e geologici che si osservano nel gruppo appulo-garganico che resta — 147 — nel versante adriaco e jonico del lato sud-orientale dello stesso Ap- pennino. Ho accennato sopra che il fiume Calore scorre sempre verso l’orlo dell’ellisse; soltanto fra Castel S. Lorenzo e Castelcivita, la taglia per traverso. Tutta la valle è occupata dalle colline di Fogna (707 m.) di Roscigno (879 m.) di Bellosguardo (560 m.) e di Aquara che si pro- lungano al NO con quelle di Albanella e di Altavilla silentina, seb- bene tagliate a mezzo dal fiume. Queste colline sono formate di arenarie cenerognole micacee, e di scbisti argillosi a fucoidi, entrambi appar- tenenti all’eocene medio e superiore a sistema appenninico. Questi ultimi schisti, disfacendosi hanno prodotto quegli ammassi di detriti, di marne silicee e di argille micacee che ricoprono i fianchi e la base delle col- line e ricolmano fino a notevole altezza la valle del Calore e quelle dei suoi affluenti. Nella Timpa di Aquara (693 m.) si incontrano dei calcari argillosi molto micacei, ricchi di ossidi di ferro e di manganese, i quali si sfaldano in poliedri regolari, e trasportati in basso dalle acque pluviali lasciano a nudo il macigno che pare formi il nucleo o l’ossatura di tutte queste colline. Le argille sabbiose plioceniche si trovano andando dalla Scafa di Barizzo sul Seie, verso Albanella ed Altavilla Silentina, e continuano fino alla base della collina di S. Chirico, dove affiora un’arenaria giallo- scura molto friabile, a strati orizzontali, intercalati da argillo-schisti rossastri. Quest’ultima roccia che si estende dai colli di Albanella e di Altavilla fino a quelli di Roccadaspide e di Aquara è poverissima di fossili, ma stratigraficamente mi sembra debba corrispondere ai terreni mio-pliocenici del Mayer. Il vero miocene non l’ho mai rinvenuto nella valle del Calore. Presso il ponte della Losa affiora l’arenaria macigno che prosegue fino alla Timpa dell’Acqua fetente e fin sotto l’abitato di Altavilla, dove è alquanto modificata litologicamente. Nella parte superiore del Monte del Bosco, al SE di Altavilla, l’arenaria è intercalata da straterelli di calcare compatto siliceo, nerastro per l’ossido di ferro. Perciò la calce che qui si fabbrica con questo materiale è grigio-scura ed è molto magra; ma pure fa buona presa coi mattoni e colle lastre di arenaria, come ho potuto verificare in alcuni cementi dell’antico castello di Al- tavilla. % Quest’arenaria prosegue al Piano delle Rose, e verso Albanella, dove affiora sotto le arenarie argillose mio-plioceniche. Nella parte più alta della valle del Calore si incontra nelle colline di Castel S. Lorenzo, di Aquara, di Bellosguardo, di Roscigno, di Fogna ed al Monte Salandro. Da Ottati a Roccadaspide si rasenta la timpa di Aquara e si incon- — 148 — trano prima gli argillo-schisti a fucoidi addossati sul calcare compatto ippuritico del Monte Alburno con strati diretti da NE a SO e pen- denza verso il Calore. Su questi riposano delle arenarie micacee ricche di ossido di manganese. La parte più depressa della vallata del Calore ci mostra i depositi alluvionali che in alcuni tratti, dove l’alveo è molto largo, arrivano fino a 30 m. di altezza. Riassumendo, nella valle del Calore ho quindi trovato l’ordine se- guente nelle stratificazioni procedendo di alto in basso, ossia dai monti al fiume Calore: 1° Calcare compatto bianco, cretaceo , a rudjste. Nei due lati della valle. 2° Calcare compatto bianco, nerastro o azzurrognolo a ceritii, ed a foraminifere, in parte eocenico , in parte oligocenico. 3° Arenaria macigno. — Schisti argillosi a fucoidi. — Schisti galestrini rossi. — Eocene superiore e medio a sistema appenninico. Forma il nucleo delle colline. 4° Schisti argillosi, micacei con fìlliti. — Arenaria giallastra argil- losa. Strati mio-pliocenici di Mayer. 5° Argille sabbiose calcarifere plioceniche. 6° Conglomerati e brecce derivanti da antiche alluvioni. Qua- ternario. 7° Sabbie, argille e ghiaia dei corsi di acqua attuali. Alluvionale. Due ultime parole sulla idrografia del tratto esaminato. 11 fiume Calore, che dà il nome a tutta la valle suddescritta, trae le sue origini a mezza costa del Monte Cervati nel luogo detto le Fe- stole di Cervati. Qui a pie’ di una rupe alta 170 m. che scende quasi a picco dalla Serre di Cervati sbucan fuori dal calcare compatto due grosse polle che formano le sorgenti del fiume, a 1140 m. sul livello del mare. Così ha origine il fiume Bianco, che indi preùde il nome di Corduri e da Piaggine Soprane in poi di fiume Calore. A pie’ dei monti di Laurino e di Valle dell’Angelo si incontrano molte fontane assai copiose che escono dai crepacci dei calcari compatti, e sono alimentate necessariamente da copiose sorgenti sotterranee. Al cune di queste traggono la loro origine, come fui assicurato, dal Monte Cervati, sull’altipiano del quale si incontrano delle immani voragini che si empiono di neve nei mesi freddi; e difatto l’aumento delle acque in queste sorgenti coincide colla fusione delle nevi nei mesi di prima- vera e di estate. Una di queste è la Fontana Festola all’ovest di Laurino presso il Ponte la Festola ed alimenta di acque potabili la popolazione laurinese, sebbene contenga una discreta quantità di carbonati di magnesia e di Boi], del R. Corri. — Paris, 1853, pag. 124, Tav. VII, fìg. 5-12). Le rocce al di dietro del monte di Fara sono date come eoceniche in parecchie pubblicazioni del Ponzi. (Ponzi G. : Storia Jisica dell'Italia Centrale , R. Accad. Lincei 1871, pag. 9 dell’estratto), e trovo già detto dal Verri (loc. e pag. sopra cit.) che anch’egli rinvenne in quei dintorni rocce nummolitiche. 3 Anche nella calcaria di questa località si rinvennero Ammoniti. Ne osservai infatti alcune impronte e parecchi frammenti nel gabinetto dell’Istituto tecnico di Poggio Mirteto, ove sono conservati. 151 - dagli addossamenti pliocenici ed alluvionali, si presentano con una zona continua, di fori eseguitivi da litodomi. La calcaria giurese è tutta bucherata per un’ altezza di circa m. 4 al di sopra delle sottostanti rocce d’alluvione, e l’andamento della zona è quasi orizzontale. Le di- mensioni delle cavità sembrano identiche a quelle che attualmente si forma il Lithodomus lithophagus Lin. (Mytilus) nelle rocce calcari del nostro littorale tirreno, ed i fori sono uguali a quelli che troviamo, per es., alla Grotta delle Capre a due miglia da S. Felice al Monte Circeo. 1 Si può domandare, quando i litodomi abbiano scavato le loro abi- tazioni entro quelle calcarie, ed a quale specie debbano essi riferirsi ? Osservando la conservazione dei fori, e tenendo conto che la roccia perforata si mostra appena fuori dal terreno pliocenico, che in posizione discordante si trova sulle falde del versante esterno (o chi si rivolge al mar Tirreno) della catena, ritengo senza dubbio che tali perforazioni furono eseguite dai litodomi pliocenici, quando cioè il mare pliocenico bagnava le radici di quel gruppo di monti , e le aree , occupate oggi dalle campagne romane, viterbesi, orvietane, ecc. giacevano ancora som- merse.2 Quanto alla specie , io non ho potuto rinvenire nelle cavità alcun frammento della conchiglia per determinarla con esattezza. Ma, pren- dendo a calcolo la forma e le dimensioni dei fori, e confrontandole con quelle del vivente Lithodomus lithophagus (Lin.), si può conchiudere che la specie, se non era identica a questa, doveva essere assai vicina. Superiormente alla zona di calcaria perforata, ho rinvenuto nella 1 II Brocchi osservò già le perforazioni praticate dai litofagi nelle calcarie della Grotta delle Capre; si trovano infatti segnate al n, 16 della pag. 83 del suo « Ca- talogo ragionato di una raccolta di rocce disp. con ordine geografico per servire alla geo- gnosia deir Italia. » Milano 1817. Anche G. Moro rimarcò queste perforazioni nella medesima località ed in più luoghi alle falde del Circeo, lungo la via Appia a Terracina, al Pisco Montano. — (Yed. R. Accad. Lincei — Serie 3a. Transunti — Voi. I., fase. 3° — febbraio 1877, pag. 74 — Sul mare quaternario'). Il Lithodomus lithophagus (Lin.) è vivente, come si sa, nel mare Tirreno ; ne estrassi esemplari coll’animale dagli scogli calcari dell’antemurale del porto di Civi- tavecchia. 2 Nel pliocene le terre emerse nellTtalia centrale, formavano un frazionato arci- pelago. Yed. Ponzi, Storia fisica dell'Italia centrale (R. Accad. Lincei, Anno 1871, Ses- sione IV, pag. Ile seg. dell’ estratto). Yed. ancora la carta, rappresentante parte dell’ Italia media all’epoca pliocenica, che trovasi nelle due memorie : Storia Naturale del Tevere [Boll. Soc. Geogr., voi XII, fase. 1-2, 1875) ed II Tevere ed il suo Delta , ^Rivista Marittima, luglio 1876) sotto il titolo di: Idrografia dell'epoca pliocenica. — 152 — stessa località un banco di Ostree, affisse alle roccie. Si riferiscono alla Aledryonia cuculiata Bora (Ostrea) l. Predominano le valve inferiori, ma ne staccai esemplari completi con la valva superiore aderente. Un’altra zona di calcare bucherato dalle gallerie dei litofagi, fu rinvenuta dal Prof. Ponzi nei prossimi monti sabini di Roccantica sempre sul versante esterno, o tirreno, della catena, Nel Museo di Geologia della R. Università di Roma si trova un campione di calcaria bianca, un poco giallastra, identica a quella di Fara, tutta forata dai citati molluschi (Coll. Ponzi), 2 proveniente da Roccantica : ne vidi pure altri cam- pioni nel Gabinetto di Storia Naturale dell’Istituto Tecnico di Poggio- Mirteto. 11 Prof. Ponzi rimarcò pure altre perforazioni di litofagi nella calcaria di Gorga nei monti Lepini. 3 Anche il capitano Yerri ha os- servato lungo la strada, che da Narni va ad Amelia, a 6 km. da questa città alla quota di m. 276 il calcare in posto crivellato dai litofagi ; ed accenna pure una punta rocciosa parimenti perforata, che affiora presso Giove (Umbria) sulla sinistra sempre del Tevere 4. Rutili Gentili A. in una sua memoria, poco conosciuta, col titolo : Cenni sui sollevamenti deir Appennino dello Stato Romano 5, dopo avere osservato che « il nuovo pliocene offre uno stabile e rigoroso li- « vello sulle più esterne coste dei monti umbro-sabini » aggiunge che le calcaree dei monti si mostrano con meravigliosa spessezza bucherate dai litofagi. Infine trovo nel Brocchi 6 che G. Baldassarri nella sua Rela- 1 BoPvX I. — Testacea Mas. Caes. Vindob. — Vindobonae 1870 (pag. 14 tav. 6 fig. 11, 12. Ostrea cuculiata). — Chentt J. 0. — Manuel de Conchyliol. et de Paléontolog. conchyliol. — Voi. II Paris 1862- (pag. 197, fig. 1003. Aledryonia cuculiata ). Di questa specie recentemente mi furono portati belli esemplari provenienti dalle sabbie plioceniche di Schifanoia presso Narni (Umbria), e ne osservai alcuni esem- plari provenienti dal pliocene di Roccantica e dei dintorni di Poggio Mirteto presso il Prof. E. Nardi in quellTstituto Tecnico. 2 II prof. Ttjccimei al quale, durante la stampa, comunicai la presente nota, mi disse di avere anch’egli osservata la zona dei litodomi non solo a Coltodino, ma anche in altri due punti sul versante esterno di Fara, precisamente nel prossimo Monte di S. Martino. 3 Ponzi G., Sul sistema degli Appennini — Giornale Arcadico di Scienze, lettere, arti — Nuova serie, voi. XXIII 1860. (Vedi pag. 133-134.) Il calcare di Gorga e della Montagna di Sgurgola è ippuritico. 4 Verri A. Avvenimenti nell'interno del bacino del Tevere antico , durante e dopo il periodo pliocenico. ( Alti Soc. it. Se. Natur. Voi XXI. — Ved. pag. 14 dell1 estratto). ( 5 Vedi: Corrispondenza scientifica. Roma — Anno II, N. 1, 7 marzo 1849, pag. 3* 6 Brocchi G. B. — Conchiolog. foss. subapenn. ecc. Milano 1814 (Vedi. Tom. I, pag. XLII - XLIH e Tom. II pag. 596). ( Berlin, Dietrich Eeimer. Li£h.Anst.v;Ieoj5. Kraatz, Berlin. — 153 — zione delle acque minerali di Chianciano (1756) avverte « di avere os- « servato alle falde dei monti, che fanno corona al catino delle crete « senesi enormi scogliere, e particolarmente strati di calcaria sforac- « chiati dai vermi litofaghe » Si sa, d’altronde, che i litodomi sono littorali, e che la zona delle ! loro cavità indica con certezza una linea di costa a fior d’ acqua 1 ; sarebbe quindi interessante di conoscere esattamente le quote altime- triche dei punti in cui si mostrano le perforazioni, e di vedere così se giacciano nel medesimo livello orizzontale ; lo che mi propongo, almeno per la zona di Eoccantica, di fare in seguito. Intanto ho rilevato con apposita livellazione barometrica la quota del punto in cui appariscono le calcari giuresi bucherate presso la mola Paris a Coltodino, sulla rotabile che va a Para Sabina. A tale scopo mi sono servito di un Fortin spettante al Dott. 0. di Brazzà Savorgnan, del quale si conosceva la costante, ed ho confrontate le osservazioni barometriche e termometriche con quelle contemporaneamente lette nel E. Osservatorio del Collegio Eomano, favoritemi gentilmente dal Sig. Dott. Millosevich Vice-Direttore. Eidotta a 0° l’altezza barometrica letta, corretta per l’errore di capillarità, e tenendo conto anche della piccola influenza della gravità, la quota calcolata risultò di m. 268 14 l sul livello del mare '2. Questa quota si riferisce alla soglia della porta inferiore che sta sul lato del sopradetto fabbricato Paris, normale alla via rotabile, e rivolto verso il Monte di Fara. 1 < Lithodomus litliophagus Lin. (Littoral) Indicate coast-line at water mark, with certainty > (Forbes E. in Babbage Ch. Observations on thè tempie of Sernpis at Pozzuoli neaì' Naples eie. with a supplement. London, Richard and John E. 'Taylor, t 1847.) — Vedi. pag. 33. Lista delle Conchiglie rinvenute nella cavità delle colonne. 2 La quota altiraetrica, dedotta dalla carta dell1 Istituto militare topografico nella scala di 1 a 50000, sarebbe di pressoché m. 258, essendo il fabbricato della mola compreso tra le curve di livello 250, e 260 e supponendo l’andamento del ter- reno generato da una retta, che si muova, passando per le due curve orizzontali e riuscendo normale nel punto di contatto sempre ad una delle due curve. L’altezza calcolata fm. 268,14) s’avvicina a quella, alla quale Verri ha incontrato il calcare traforato tra Narni ed Amelia (m. 276). Ho già avvertito che lo spessore della zona bucherata a Coltodino è di circa m. 4, e siccome la quota m. 268,11 l è riferita alla parte inferiore della zona, così aggiungendo m. 4 si avrà m* 272,14 ; per la parte superiore. Non vi sarebbe quindi che una differenza di circa m. 4. tra le quote delle due località; del resto non è detto, nella citata memoria del Verri, che | questi abbia rilevato la quota con apposita livellazione, probabilmente si tratterà di un -valore approssimato. In ogni modo è importante di osservare che in queste due località la zona delle perforazioni trovasi pressoché allo stesso livello orizzontale. Anche Rutili Gentili (mem. cit., pag. 3) dice che la zona ricorre ad altezza co- stante; ma la quota, che egli assegna, è di m. 420. 11 — 154 — Non ho ritrovato nell’altro versante di Fara (che guarda la valle del Farfa) la zona dei litodomi; invece le ghiaie d’alluvione senza ma- teriali vulcanici, cementate fra di loro, s’appoggiano in più punti al calcare, e ricolmano la valle ad una altezza ben superiore ai 200 metri sul livello attuale del Farfa; questi depositi d’alluvione sono profonda- mente incisi dagli odierni corsi d’acqua. Può darsi che la detta zona sia ricoperta dalle alluvioni, ma in- tanto fo notare che mentre sulla pendenza esterna dei monti Sabini e Narnesi si notano le calcarie traforate in posto dai litofaghi, con una serie continua di terreni pliocenici marini, nell’interno dei monti, nella valle del Farfa (come in quella dell’Aniene), nelle molteplici mie escur- sioni, non ho trovato che ghiaie d’alluvione. La collina sulla quale trovasi Montopoli ha un cappello di ghiaie giacenti sopra un frammento di rocce calcarie, che si mostrano ben chiaramente sotto il paese, prospicienti sul ponte di Graniga, e sulla scorciatoia. I comuni di Frasso Sabino, Monte S. Maria, Castelnuovo di Farfa, Bocchignano, Poggio Mirteto, stanno sulle ghiaie d’alluvione. In- vece all’esterno dei monti si ha il pliocene con fossili marini. Così, co- minciando dall’Aniene sotto Tivoli, e rimontando verso l’alta valle del Tevere, alla radice dei monti s’incontrano roccie plioceniche marine a Vitriano ed a Marcellina sotto Monte Gennaro, a Formello sotto Monte Celio, a Mentana, Monterotondo, Grotta Marozza, verso Coltodino sotto Fara, a Montorso, (fornace di mattoni in prossimità della stazione), presso il torrente Galantino (sulla strada Montorso Cantalupo), Magliano Sabino, Otricoli, Schifanoia, Le Tigne, S. Tito presso Narni, ecc. Può dunque ammettersi col Verri che, mentre il mare pliocenico bagnava esternamente le radici dei monti Tiburtini, Sabini,. Narnesi nell’interno di questi deponeva il pliocene vallivo, rappresentato dalle masse di ghiaie. Secondo il Verri i depositi di ghiaie del territorio di Poggio Mirteto sarebbero dovuti alla Nera, che sboccava all’epoca pliocenica dalla gola di Configni, mentre quelli della valle del Farfa sarebbero prodotti dal Velino che vi scorreva per la valle di Belmonte e rappresenterebbero i depositi pliocenici di questi due fiumi l. 1 Verbi A. Sul canale 'pliocenico della Nera — Canale e delta pliocenico del Velino. — Atti della Società italiana di Scienze naturali — Voi. XXII. Anno 1879* (Ved. pag. 18 e 31). Verri A. 1 vulcani Ciminì (R. Accad, Lincei — Classe di scienze fisiche ma- tematiche e naturali. Serie 3*. Voi. Vili. Seduta 7 marzo 1880 — Ved. pag. 22 del- l’estratto). Verri A. Alcune note sui terreni terziari e quaternari prese negli ultimi viaggi nel bacino del Tevere. (Ved. pag. 5 dell'estratto). — 155 — I fossili finora rinvenuti nei depositi nella valle del Farfa, e dei quali ho notizia, si riducono ad alcune Heìix , estratte dalle marne cene- rine presso Bocchi gnano (alla fornace di laterizi), ad un frammento di zanna elefantina ad alcuni denti frammentarii di Hippopotamus maior Cuv. (2 primi premolari della mascella inferiore ed un frammento di molare) rinvenuti a Castel S. Pietro che osservai presso il signor Prof. E. Nardi, conservati nel Gabinetto dell’ Istituto tecnico di Poggio Mir- teto * *. I depositi della valle del Farfa hanno esatto riscontro nelle ghiaie della vallata dell’Aniene, a monte della caduta dì Tivoli; anche in queste furono rinvenute difese, e varie ossa di elefante 2. & Roma, 10 giugno 1882. NOTIZIE DIVERSE. Esecuzione della carta geologica d'Europa decisa al Con- gresso di Bologna. — Trascorsi circa otto mesi dacché fu tenuto il Congresso geologico internazionale di Bologna può riuscire opportuno il riferire su quanto venne nel frattempo intrapreso riguardo all’opera di maggiore importanza che in quel Congresso era stata decisa, cioè la carta geologica d’Europa in piccola scala da farsi con il concorso scientifico e pecuniario delle varie nazioni interessate. Già nella relazione del professore Capellini inserita nel fascicolo di settembre- ottobre del Bollettino del decorso 1881, era dato conto delle decisioni essenziali prese nel Congresso stesso riguardo a questo lavoro, il cui eseguimento venne affidato alla Direzione dell’Istituto geologico di Berlino (signori Beyrich e Hauchecorne) d’accordo con un Comitato internazionale. 1 Parimenti presso il Prof. Nardi, osservai parecchie grosse Heìix , alcune Hyalìne , ed un esemplare molto deformato dalla pressione delle roccie, che potrebbe riferirsi ad un Priamus helicoides Brocc. (Bulla), estratti dalle marne cenerine della fornace Eusebi a circa 1 Km. da Poggio Mirteto. * Ponzi G. Deir Aniene e dei suoi relitti (Attipontif. Accad. Lincei Anno XV. Sessione VI, 4 maggio 1862 — Ved. pag. 14 e pag. 30 dell’estratto). — 156 — La suddetta Direzione con sua circolare del gennaio ultimo ai com- missarii rappresentanti delle varie nazioni interessate, esponeva loro il progetto dalla medesima formulato per la esecuzione della carta. Eccone i tratti più essenziali : In conformità di quanto era già stato deciso a Bologna, la carta d’Europa da compilarsi sarà alla scala di 1: 1,500,000 e dovrà comprendere tutto il territorio europeo sino all’est della catena degli Urali e tutto il bacino del Mediterraneo ; con il che si vede cbe la carta dovrà com- prendere verso S.E. una grande zona di territorio asiatico (Asia-M inore e Palestina), ed al Sud tutta la costa settentrionale dell’Africa. Si unisce per dilucidazione il modello o quadro d’ insieme della carta stessa che era unito alla suddetta circolare. (V. Tavola annessa). In simili condizioni e con la prefissa scala di 1 : 1,500,000, le dimen- * sioni della carta riuscivano assai grandi, cioè di oltre 3m,70 X 3m,35, co- sicché era necessario onde fosse comodamente servibile, il dividerla in più fogli. La migliore divisione risultò quella in 7 X 7 ossia 49 fogli, ciascuno dei quali avrebbe così le dimensioni di circa 0m,53 X 0,48. Come meridiano medio della carta venne scelto quello a 13° Est di Parigi, che procura una disposizione abbastanza simmetrica delle varie zone della carta medesima. Con tali disposizioni, e con la suddetta divisione delle carta in 49 fogli opportunamente disposti, ottenevasi anche un’altro scopo, quello cioè di potersi comporre la carta parziale di ciascuna nazione mediante la riu- nione di un piccolo numero dei fogli stessi. Così si vede guardando l’unito modello, che si avranno le carte parziali della Francia, della Germania, dell’ Inghilterra, dell’ Italia e della Spagna, ciascuna con la riunione di 4 fogli ; dell’Austria-Ungheria e della Scandinavia con 6 fogli, e dell’ intera Russia con 20 fogli. Quanto al contenuto, ossia alla rappresentazione topografica di que- sta carta, naturalmente dovrà ridursi al minimo possibile, onde non riesca oscura e confusa, il suo scopo principale essendo quello di pre- sentare nettamente e mediante colori la geologica costituzione. Venne perciò deciso di sopprimere nella medesima la rappresentazione orogra- fica, cioè delle montagne, limitandosi a scrivere il nome delle catene e delle vette principali. La parte idrografica invece, cioè il corso dei fiumi e rivi, potrà venire indicato il più dettagliatamente possibile ; come pure saranno indicate le città principali e le località che presentano speciale interesse per la geologia. Si possono aggiungere con vantaggio le quote o profondità marine. 157 — Quanto poi alla rappresentazione orografica si preferisce di com- pilare una apposita carta ipsometrica alla scala medesima, da potersi unire alla carta geologica ; ma siccome simile carta non mancherebbe di cagionare una nuova e sensibile spesa, così si rimanda a più tardi e secondo le circostanze, la sua esecuzione. Per i nomi delle località si adotterebbe la regola generale di scri- verli in carattere latino e nella lingua speciale di ogni azione. Per i ti- toli e per le note generali verrebbe adottata la lingua francese. Grli elementi geografici per formare questa carta dovranno intanto venire provveduti al più presto dai singoli Stati alla Direzione di Ber- lino, la quale si è incaricata di provvedere alla sua compilazione con i migliori mezzi possibili. Ora la suddetta Direzione fa sapere nella sua circolare, che in at- tesa di provvedere a suo tempo all’esecuzione della parte cromolitografica della carta geologica, ha frattanto incaricato del lavoro per la parte geografica il noto stabilimento della ditta D. Reimer e C.adi Berlino sotto la direzione del sommo geografo prof. Kiepert. Tale disposizione sarebbe per sè sola una guarentigia di successo. D’accordo pertanto con la ditta anzindicata, la Direzione di Ber- lino studiò la questione della spesa totale occorrente per la pubblicazione della carta, da farsi intera entro un dato numero di anni, che al mas- simo può ritenersi di sei. Si trovò che le spese indispensabili per rim- pianto di simile lavoro, con remissione di almeno 900 copie della carta stessa, non potevano presumersi inferiori a fr. 90,000; la carta verrebbe così a costare fr. 100 (80 marchi) la copia. Questa cifra è un minimo assoluto con cui si crede poter far fronte alle spese indi- spensabili ; ma osserva la Direzione che per assicurare il successo del lavoro occorrerebbe poter contare sin da principio sovra una somma maggiore dei suddetti fr. 90,000, cioè di poter essere certi dello smal- timento di un numero di copie superiore alle prime 900 valutate al so- vracalcolato prezzo di L. 100 cadauna. Si osserverà che il prezzo di fr. 100 per copia, contenente 49 fogli corrisponde a poco più di fr. 2 per foglio, prezzo certamente mitissimo. E questo sarebbe un prezzo di favore appunto per i primi soscrittori, altrimenti non potrebbe tale carta fornirsi a meno di L. 125 (100 marchi) la copia. Del resto l’editore si impegnerebbe a fare, occorrendo, delle nuove successive edizioni della carta, per esempio, ogni 10 anni. Yeniamo al modo di pagamento, il quale dietro quanto venne con- venuto in Bologna, deve essere fatto dalle varie nazioni interessate e suddiviso in una data proporzione fra le medesime. — 158 — La Direzione di Berlino non volle chiedere alle varie nazioni del denaro da pagarsi a fondo perduto, ma stabiliva di chiedere unicamente il concorso pecuniario delle medesime, sotto forma di acquisto di un dato numero di copie della carta stessa al suindicato prezzo di lire 100 la copia. Il riparto, convenuto dietro apposita discussione tenuta al Congresso di Bologna, è il seguente. Le nazioni europee vennero distinte in due gruppi, l’uno delle grandi in numero di 8 e l’altro delle piccole in numero di 6. Le prime sono Austria-Ungheria, Francia, Germania, Inghilterra Italia, Kussia, Scandinavia, Spagna; le seconde Belgio, Danimarca, 0- landa, Portogallo, Bumania, Svizzera. La Turchia e la Grecia non ven- nero contemplate per la spesa, essendosi incaricata l’Austria di provve- dere gli elementi per la formazione della loro carta, mentre la Francia incaricavasi in egual modo di tutto il littorale africano lungo il Me- diterraneo. Ora le suddette grandi nazioni dovranno pagare gli 8[9 della anzi- cennata spesa minima cioè L. 10,000 caduna, mentre il gruppo delle mi- nori pagherà il 1[9 restante. I pagamenti sarebbero fatti a rate durante un sessennio. Il numero delle copie in più delle prime 100 che le varie nazioni si impegnerebbero sino da principio a prendere, sarebbero loro rilasciate al prezzo medesimo di favore, cioè L. 100 cadauna. Tali sono i dati principali relativi al progetto formulato dalla Direzione di Berlino per la esecuzione della carta geologica d’Europa. Le condizioni di tale progetto appaiono molto convenienti per le na- zioni che devono contribuire all’opera, e per altra parte la riconosciuta capacità delle persone e degli stabilimenti che furono incaricati della sua esecuzione porgono la maggiore guarentigia pel buon successo. Intanto la stessa Direzione di Berlino subito dopo diramata la cir- colare, pose mano al lavoro, cominciando con l’Italia per prepararne la carta geografica alla prefissa scala di 1,500,000. Ora, benché esistano in commercio assai numerose mappe dell’Italia, è da sapersi che pur troppo nessuna ancora delle medesime offre i requisiti di esattezza indispensabili. Questi requisiti si possono avere soltanto allorché gli elementi con cui venne formata la carta siano stati dedotti da un buon rilevamento topografico il quale in quasi tutti i paesi suolsi eseguire per mezzo o di un Istituto topografico o dal Corpo dello Stato Maggiore. Ora un simile rilevamento non era mai stato fatto, e nem- meno oggi lo è per l’Italia intera. Gli antichi governi in cui sino al 1860 era divisa l’Italia avevano quasi tutti fatto isolatamente eseguire delle carte topografiche dei rispettivi Stati, ma con varia scala e sistema, -- 159 onde ne riuscirono delle mappe di un grado di attendibilità molto di- verso e per talune parti assai basso. Lo Stato Maggiore italiano, ora Istituto topografico militare, intraprese nel 1861 il rilevamento al 50,000 della carta d’Italia, cominciando dalla Sicilia e procedendo poi grada- tamente dal Sud al Nord. Tale lavoro, che ormai venne esteso su più della metà del territorio italiano, non sarà però finito e pubblicato che fra altri 10 o 15 anni. Del resto una mappa a sì grande scala, e che per tutta l’Italia occuperebbe una parete alta circa 24 metri, non è certamente comoda ad usare per derivarne una carta di sì piccola scala come il 1^1,500,000 e che occupa un foglio di meno d’un metro d’altezza. L’Istituto topografico nostro, benché sia lungi ancora, come testé venne detto, dallo aver compiuto il totale rilevamento, aveva però inco- minciato già da qualche anno la pubblicazione di una carta generale di Italia in piccola scala, cioè al 1^500,000, la quale oltre al servire ad un infinità di altri usi, sarebbe pure stata opportunissima nella presente circostanza, perchè se ne sarebbe potuta tirare assai comodamente una buona riduzione al 1[1,500,000. Per la composizione però di simile carta, l’Istituto topografico dovea naturalmente far uso, per le parti di ter- ritorio non ancora dal medesimo rilevate, dei documenti migliori pree- sistenti, cioè delle antiche carte dell’Istituto geografico di Vienna ; tut- tavia per una carta a scala ridotta, simili documenti poteano presentare sufficiente esattezza. Ora di tale carta generale al lj500, 000 l’Istituto nostro avea già stampati alcuni fogli comprendenti la Sicilia e parte della Calabria; ma per diversi motivi tecnici tale pubblicazione venne ora momentaneamente sospesa salvo, speriamo, a riprenderla fra breve e compierla al più presto. Fatto è però che al momento ci manca una carta generale d’Italia a piccola scala, abbastanza esatta per venire accettata come base di un lavoro scientifico del genere di quello di cui si tratta. Tutte le carte esistenti in commercio, o non comprendono che una parte del territorio (come quelle del colonnello Scheda per l’alta e media Italia, e le nuove del Kiepert per l’Italia meridionale) o se sono generali, non presentano nessun requisito di attendibilità. La Direzione di Berlino pertanto, quando volle accingersi alla com- posizione di questa nuova mappa d’Italia, comunque piccola ma da farsi con buoni elementi, si trovò inceppata e dovette rivolgersi al nostro Ufficio geologico per studiare d’accordo una conveniente soluzione. Al momento il lavoro è abbastanza avviato, e fra non molto si spera avere una carta soddisfacente per lo scopo cui è destinata ; del che sarà reso conto a suo tempo. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie II. Voi. III. Luglio e Agosto 1882. N.° 7 e 8 SOMMARIO. Memorie originali. — • I. Brevi cenni sulla geologia della parte N.E. della Sicilia, dell’ingegnere E. Cortese del R. Corpo delle miniere ( Continuazione ). — II. Il nummulitico nella parte media dell’isola d’Elba e suoi rapporti colle rocce feld- spatiche ed ofioliticlie. Nota di B. Lotti, ing. del R. Corpo delle Miniere. — III. I travertini della Campagna Romana, per N. Pellati, ispettore delle Miniere. Notizie bibliografiche. — E. Nicolis. Note illustrative alla Carta geologica della Provincia di Verona. Verona, 1882. — G. G. Gemmellaro. Sul Trias della re- gione occidentale della Sicilia. Roma, 1882. Tavole ed incisioni. — Sezione geologica nell’isola d’Elba, pag. 192 — Tavola di- mostrante la distribuzione dei travertini nella Campagna Romana, pag. 221. MEMORIE ORIGINALI I. Brevi cenni sulla geologia della parte NE. della Sicilia, dell’ Ing. E. Cortese del K. Corpo delle Miniere. (Vedi Bollettino 1882, fascicolo N. 5 e C). Parte II. — Terreni Secondarli. Il secondario è scarsamente rappresentato nella provincia di Mes- sina ove si consideri la superficie sulla quale si mostra, ma lo è invece ampiamente per varietà di terreni e di forme litologiche. Mentre nella provincia di Palermo e di Trapani i terreni secondarii sono estesi sì, ma non cominciano che dal Trias superiore, in quella di Messina si hanno i rappresentanti del Trias medio e dell’inferiore ; questo fatto è del resto spiegabile, poiché è nella regione Nord-Est unicamente che appaiono in Sicilia i terreni paleozoici, come furono descritti nella parte prima, e si comprende come ivi possa apparire, di seguito ai terreni supposti permiani, la parte più bassa del Trias. 11 secondario, -cominciando da Forza d’Agrò e da Taormina, passa — 162 — per Novara di Sicilia, S. Piero di Patti e Raccuja e va a Tortorici, Oalati, Alcara e S. Fratello, d’onde, colle potenti apparizioni del Lias inferiore, va a sparire al littorale. Nei dintorni di Messina, Barcellona, Patti, non appare il secondario, ove si eccettui un lembo di cretaceo che si mostra al Sud di Barcellona. Il farne la geologia, e sopratutto la carta geologica, è abbastanza difficile; presso ad un picco di dolomia triasica è facile trovare un lembo di Titonico, come si può veder appa- rire, fra una massa di Lias superiore, uno scoglio di Lias inferiore; i contatti sono o mascherati dai lembi di Eocene sovrapposti, o alterati dai sollevamenti ulteriori, e della stratigrafia è quasi sempre impos- sibile formarsi un’idea netta. Ritengo dunque conveniente cominciare tosto la descrizione dei varii terreni, ordinatamente, per far poi un rapido cenno delle condizioni reciproche in cui si presentano. Trias. Si hanno nel Messinese i rappresentanti di tutte le divisioni del Trias, cioè dell’inferiore, del medio e del superiore, acquistando però quest’ultimo la massima importanza, sia per potenza, sia. per le varietà litologiche. Trias inferiore. Rappresentanti del Trias inferiore sarebbero due calcari distinti, cioè: 1° Calcare di Forza d’Agrò e del Capo S. Alessio; 2° Calcare delle Rocche Bardara presso S. Piero di Patti. A Forza d’Agrò il calcare si presenta di color grigio, di pasta non uniforme, ma anzi formata di tanti globuli raggiati, col centro bianco e le zone concentriche più scure, una specie di pisolite, in cui la strut- tura però si manifesta soltanto nelle fratture e non all’esterno. Al Capo S. Alessio questa forma è più rara, e più frequente è quella di un calcare grigio scuro, uniforme, talora passante ad una dolomia. Questa dolomia che appare sulla strada, salendo dalla stazione al Capo, è ca- vernosa, irregolare, ha l’aspetto di roccia antica, ed è irregolarmente disseminata nella massa del calcare e passante a questo. Nel conglo- merato rosso che si trova fra il Capo e S. Alessio si trovano delle parti brecciate contenenti dei pezzi di calcare identico a quello del Capo e di Forza d’Agrò, cementati dal cemento stesso del conglomerato ; ciò prova come questo sia posteriore al calcare, e del resto ai Capo, sulla strada, lo si vede chiaramente sovrapposto ad esso, e* ciò è evidente per — 163 — chi da S. Alessio sale sul Capo osservando alla sua sinistra. Però alla destra della strada lo stesso calcare e le dolomie cavernose si presen- tano, apparentemente, superiori al conglomeramento e si spingono fino a Forza d’Agrò, dove con un appicco verso il torrente Fondaco del Parrino sembrano realmente reggersi sopra la scarpata del conglome- rato. 11 fatto del trovarsi pezzi di tali calcari nel conglomerato, e la visibile sovrapposizione di questo su quelli, al Capo di S. Alessio, distrugge l’idea che essi possano esser posteriori al conglomerato, e l’anormalità nei rapporti dei due, si spiega coll’esistenza di due faglie. Queste due faglie, ad angolo, sono dirette l’una Est-Ovest, l’altra dal Sud-Est al Nord-Ovest, e si incrocierebbero precisamente dove la strada, dal Capo, comincia a ridiscendere verso il ponte sul torrente sopra in- dicato. Mentre al Capo il calcare sembra fortemente rialzato ad Est e va a mettersi sotto al conglomerato con una pendenza di 45° 0., le due faglie sembrano aver avuto per effetto di sopraelevare la parte com- presa nell’angolo acuto da esse formato verso Ovest, portando i calcari inferiori più in alto dei conglomerati; una parte di questi però, solle- vati coi calcari, si estendono dal paese verso Nord-Ovest. Le Rocche Bardara, presso S. Pietro di Patti, sulla strada in co- struzione che deve condurre a Raccuja, sono in condizioni analoghe se non identiche. Il conglomerato rosso appare sotto ad esse e sopra ad esse; però, avendo un piccolo spessore, la parte rimasta in alto è co- perta dal conglomerato eocenico; le Rocche Bardara, come il calcare di Forza d’Agrò, si innalzano, sopra la scarpata di conglomerato, ripide come un muraglione, e, come si vede al Sud di quel paese, anch’esse manifestano resistenza di una faglia che ha portato in alto bruscamente il calcare bruno. Alle Rocche Bardara, e presso S. Piero, manca il calcare quasi- pisolitico di Forza d’Agrò, ma si vedono però i calcari bruni e le do- lomie cavernose come al Capo S. Alessio. Il conglomerato rosso contiene anche qui, in alcuni punti, dei pezzi di questo calcare e di questa do- lomia, e ciò dimostra meglio come esso debba essersi formato posterior- mente al calcare delle Rocche Bardara. Nè al Capo S. Alessio, nè presso S. Piero di Patti mi fu dato rinve- nire alcun fossile nei calcari ora descritti; in un monumento esistente nella cattedrale di Palermo, formato di varii marmi siciliani, si scorge, in una lastra di uno di questi, una ortoceratite sezionata; tale lastra si ritiene essere proveniente da Forza d’Agrò, quantunque non abbia l’aspetto ordinario dei calcari del Capo. Se questi contenessero di tali fossili si dovrebbe ritenere che, tanto essi, quanto quelli delle Rocche 164 — Bardara, appartengono ad un’epoca geologica anteriore al Trias, e po- trebbero star a rappresentare il Permiano; per conto mio, non avendo mai rinvenuto alcun fossile in essi, avendoli trovati sottoposti sì, ma sempre concordanti col conglomerato, astrazion fatta delle faglie, ed avendo formata l’idea che il Permiano fosse esclusivamente rappresen- tato dalla formazione d’Alì, ho creduto di poter ritenere che i calcari descritti appartenessero al Trias inferiore. Ho detto al Trias inferiore, perchè tali calcari sono immediatamente sottostanti ai conglomerati rossi che, come accennerò fra poco, dovrebbero ascriversi alla parte inferiore del Trias medio, e perchè i rapporti stratigrafici incoraggiano tate supposizione. , La massima potenza visibile di questi calcari, sia al Capo S. Alessio, sia a Forza d’Agrò, sia alte Bocche Bardara, non supera 100 o 110 metri ; ma nelle sole località ove essi appaiono li vediamo sorgere o dal mare, o per una faglia; quindi resta impossibile a congetturarsi la loro vera potenza, che potrebbe esser anche doppia di quella visibile, il che è quanto dire assai forte. Trias medio. 1. — Conglomerati e arenarie. Se i calcari precedentemente descritti, magnesiaci o no, coi loro varii aspetti possono rappresentare il Buntersandstein, è certo che nella provincia di Messina troviamo il rappresentante del Muschelkalk infe- riore, e tate è il conglomerato rosso colle unite arenarie dello stesso colore, e qualche schisto sabbioso. L’aspetto di questo terreno è uniforme dal punto di vista della colorazione ; esso si riconosce sempre, anche a distanza, per il suo color ros§o vinaccia; colore analogo, forse mai eguale, hanno bensì le anage- ntei della formazione d’Alì e gli schisti del Lias superiore, che deserte verp in seguito, ma l’aspetto litologico è tanto diverso che ogni equi- voco è impossibile. Tate aspetto litologico, se è sufficiente a far distinguere facilmente il conglomerato e te arenarie triadiche da ogni altra roccia consimile di altra epoca geologica, non è però unico ; oltre all’avere arenarie e schisti rossi, abbiamo poi che i conglomerati prendono tutti i più svariati aspetti dalla natura degli elementi costituenti. Un fatto che sembra dominante durante il periodo di formazione di questo membro del Trias è quello dell’abbondanza di perossido di ferro nelle acque in seno alle quali si formarono i conglomerati e te arenarie ; l’abbondanza di quest’ossido di ferro al grado massimo di ossigenazione si dimostra tanto più evidente dal fatto che gli elementi costituenti il — 165 — conglomerato, anche se voluminosi, sono tinti anche all’interno di quel color vinaccia. Le arenarie sono formate di granelli quarzosi, quasi unicamente, e dal cemento rosso ; i granelli possono provenire dalla decomposizione degli gneiss, micaschisti o graniti, o dalle venature di quarzo della fillade, perché quasi sempre di quarzo latteo: i conglo- merati cominciano dalle anageniti a cemento rosso e passano gradata- mente fino ad esser vere puddinghe di pezzi di fillade o di ciottoli arrotondati, più o meno grossi, di graniti e gneiss porfiroidi ; ma questi elementi hanno tutti cambiato il loro colore. Che i ciottoli di gneiss o di granito si presentino di color rosso anche all’interno, ciò potrebbe spiegarsi coll’imbibizione di acque ferruginose, tanto più che tali ciottoli del conglomerato si trovano fragili, facili a sminuzzarsi, quasi infraci- diti ; ma il vedere là mica di queste roccie diventata rossastra e i pèzzi di fillade aver perduto il loro color verde ed esser in alcuni punti as- solutamente rossi, mi condurrebbe a dire che in quell’epoca si aveva, nelle acque che formarono tali depositi, non solamente molto perossido di ferro, ma anche un forte potere sopra-ossidente tale da trasformare in perossido l’ossido di ferro contenuto nelle roccie preesistenti quando venivano impregnate d’acqua. Il conglomerato rosso appare al Capo S. Alessio, a Forza d’Agrò, a Limina, dal Capo S. Andrea a Taormina e a Novara di Sicilia, e alla Serra Cavallo in faccia ad essa ; si trova in continuazione di questa plaga, a S. Piero di Patti, Raccuja, estesissimo presso Galati, e appare frequentemente fra questo paese, S. Fratello e S. Agata. Piccoli lembi che stanno a render evidente la connessione dei sopra indicati si hanno, in un vallone all’Est di Montalbano, al Pizzo Guardiola e al Pizzo Randazzo Vecchio, al monte del Moro, regione Sollazzo, monte Formisia, monte Corona, tutte località al Nord e al Nord-Ovest di Randazzo. il vero conglomerato, sia formato di pezzi di schisti della fillade o Ri ciottoli di granito porfiroide, è franoso, a cemento quasi sciolto, fa- cilmente disgregabile, e prende delle scarpate abbastanza dolci per reggersi ; l’arenaria invece è ben cementata ; dura, omogenea, e quasi altrettanto resistente è l’anagenite ; fra Longi e 1’incontro del torrente Fiumetto colla fiumara di Galati abbiamo queste due forme del ter- reno considerato, cioè le arenarie passanti talora ad anageniti ; esse si reggono sul fiume su un’altezza di 500 e più metri ; quasi verticalmente anzi la chiusa della fiumara di Longi, dalla quale essa sbocca per formare quella di Galati, è formata dalle arenarie rosse. Il conglomerato e le arenarie rosse non si trovano mai in contatto -coi terreni cristallini, ma sempre immediatamente sopra la fillade, ec- — 166 — cetto che nelle località indicate in cui si trovano sopra i calcari bruni supposti del Trias inferiore; non si ha mai rapporto diretto fra questa formazione e quella di Alì. Il contrasto fra il color grigio verdastro della iillade e il rosso dei conglomerati permette di determinare netta- mente il loro limite inferiore. Come livello geologico, il membro triasico ora descritto corrisponderebbe al Servino di Lombardia, e ad esso si avvicinerebbe poi per la sua struttura litologica. Eoccie analoghe, anzi identiche, si presentano in Calabria nella provincia di Eeggio, ma con estensione molto minore ; non se ne hanno affatto nella parte occiden- tale di Sicilia ; la potenza massima si presenta sotto Galati e a Eorza d’Agrò : nel primo luogo le arenarie, e nel secondo i conglomerati, rag- giungono una potenza di più di 300 metri, ma essa è affatto eccezionale;, raramente la potenza dei conglomerati supera i 100 metri, e talvolta non è che di 15 o 20. 1 conglomerati e le arenarie rosse danno un terreno sterile, si può dire anzi che non danno terriccio, perchè sempre si presentano all’esterno con tutti i loro caratteri visibili ; provenendo essi stessi dalla disgrega- zione di altre roccie, decadono con facilità, specialmente i primi, ma non si alterano cambiando aspetto. Al contatto colla fìllade sottostante si ha facilmente l’acqua, spesso discreta, raramente cattiva o colorata in rosso dalle parti tenui del cemento ; l’arenaria potrebbe usarsi per pietra da costruzione, dove è abbondante e di buona natura, come lungo la fiumara di Longi viene usata talvolta. 2. — Calcari rossastri. Se dal Capo S. Andrea si va verso il Capo Taormina, percorrendo' la strada, si passa dalla fìllade al conglomerato rosso, in corrispondenza al casello 40 della ferrovia ; in quel punto la linea di contatto è molto inclinata, e sale rapidamente dal mare alla strada e per la montagna sotto Taormina. In causa di questa inclinazione, essendo la potenza del conglomerato una ventina di metri, la strada lo attraversa per circa 80,. dopo i quali si passa ad una grande massa di calcari sovrapposti al con- glomerato rosso. Descriverò in seguito le dolomie e gli altri calcari che costituiscono in massima parte questa massa, ma alla base di essa sta un calcare che deve esser descritto qui, immediatamente dopo i con- glomerati rossi su cui poggia. Si tratta di un calcare rosso-mattone chiaro, cristallino, durissimo,, a strati ben delineati che presentano all’esterno delle fratture prismatiche^ come se esistessero nella massa dei piani di clivaggio come nelle roccie — 167 — cristalline. Talvolta pare di scorgere, sulla superficie di stratificazione, dei pezzi di Encrini, ma è estremamente difficile giudicarne, ed ove 10 fossero è certo che si presentano eminentemente deformati e smi- nuzzati. Questo calcare rosso, talora brunastro o brecciato, appare unica- mente in questa località, nè mai mi fu dato vederlo altrove ; si presenta fra il conglomerato rosso e le dolomie e i calcari che verrò descrivendo in seguito come appartenenti al Trias superiore, e dovrebbe quindi ri- ferirsi al Trias medio; litologicamente poi è identico a quello che si presenta nella provincia di Palermo, alla borgata di S. Elia, e indicato dal prof. Gemmellaro nella sua ultima memoria sul Trias 1 (pag. 5). In quella località, come al Capo S. Andrea questo calcare rosso-mattone appare immediatamente sotto le dolomie del Nonco , e l’autore citato lo riferisce al Muscbelkalk superiore (pag. 10). In tal modo il Trias medio, o Muscbelkalk, sarebbe rappresentato nel Messinese da due membri, di cui l’inferiore appare in molti punti e talora assai potente, e il supe- riore si mostra solo nella località indicata colla potenza massima di 90 metri all’incirca ; esso non solamente si presenta sulla strada, ma an- dando per mare si vede formare il fianco orientale del Capo Taormina, ove manifesta bene la sua stratificazione e l’inclinazione degli strati. Trias superiore. 1. — Dolomie bianche e rosee. Queste dolomie sono relativamente molto sviluppate nella provincia di Messina e sopratutto appaiono molto frequente sia in grandi masse, sia in piccoli scogli fra i terreni posteriori; esse s’incontrano nella stessa zona che va da Taormina a S. Fratello, lungo la 'quale appaiono gii altri membri del Trias e tutti gli altri terreni secondarii. Se talvolta si mostra direttamente sopra la fìllade, è più spesso accompagnata dal conglomerato triasico, anzi, in generale, questo non appare mai senza di essa ; ove si eccettuino Limina e i suoi dintorni e quelli di Raccuja si può dire che mai si trova il conglomerato rosso scompagnato dalle do- lomie. Queste si trovano facilmente a grandi altezze, e citerò ad esempio 11 monte Roccafiorita (1000 metri), il monte Randazzo Vecchio (1250), monte Pietre bianche prossimo al precedente (1512), il Pizzo Nojele al 1 Sul Trias della regione occidentale di Sicilia. (Reale Accademia dei Lincei. Anno cclxxix. 1881-82). — 168 — Sud di S. Fratello (1120) e il monte Traora presso Alcara li Fusi (1050); esse formano sempre rupi scoscese, poco meno che inaccessibili, asso lutamente nude, meno nelle parti superiori pianeggianti. Queste dolomie sono, come si disse al principio, bianche e rosee; più generalmente bianche e in tal caso passano al giallastro in molti punti ; si hanno poi invece in alcune località dei passaggi al roseo e costitui- scono allora una roccia di bell’aspetto, eminentemente saccaroide, e che, ove non presentasse frequenti discontinuità, si presterebbe molto bene per costruzioni esterne. La dolomia rosea si ritrova salendo a Taormina per la strada carrozzabile ; ve n’ha presso Melia e Mongiuffi, a Roccafiorita e dintorni ; più rara è a S. Fratello e Alcara li Fusi, molto più nelle masse dolomitiche che spuntano al Nord di Randazzo fra Randazzo Vecchio e S, Fratello. Generalmente la roccia presenta quella frattura speciale, angolosa, frammentaria dei calcari magnesiaci; talvolta però, mantenendosi egualmente cristallina, ha più l’aspetto di un calcare quasi puro; il passaggio dall’uno all’altra è irregolare, spesso in una massa di dolomia si presentano delle parti aventi il secondo aspetto indicato e viceversa, tantoché sembra realmente che la magne- sizzazione del calcare siasi prodotta posteriormente alla sua formazione ed irregolarmente nelle masse di esso. La potenza delle dolomie è ta- lora fortissima, però non bisogna dimenticare che la stratificazione, essendo invisibile, non si può giudicare se tutto lo spessore visto rap- presenti veramente la potenza della formazione o non dipenda forse dall’accumularsi di forti masse delle roccie, dietro grandi dislocamenti. La più grande potenza sembrerebbe esser quella a monte Traora, dove, sorgendo dalla fiumara di Rosmarino a 200 metri, arriva a 1050, talché, ammesso che a livello della fiumara si avesse la fillade, si avrebbero per la dolomia 850 metri di spessore. A monte Roccafiorita, fra il con- tatto col conglomerato rosso e la cima, corrono 380 metri, tutti della stessa roccia, e a monte Ziretto e presso Mongiuffi si avrebbero ancora delle masse abbastanza potenti di dolomie. Dalle dolomie sgorga sempre buona e abbondantissima l’acqua ri- tenuta, al contatto, dalla fillade che è molto meno permeabile ; basta citare per prova le acque di Alcara li Fusi e di Longi. Molte volte queste acque sgorgano al di sopra dell’Eocene e sembrerebbe che le dolomie fossero a questo sovrapposte. E questo un fatto che occorre molte volte ed anche per altri calcari e semplicissimo a spiegare; la massa permeabile di dolomia, posante sulla fillade e contornata da altri terreni poco permeabili fino ad una certa altezza, si imbeve d’acqua, e mentre la parte inferiore ne rimane impregnata o cede quella poca che — 169 — percola attraverso i terreni suddetti, la parte superiore lascia uscire l’acqua come se si trovasse posata sopra di essi. Le applicazioni della dolomia sono scarsissime ; quella rosa viene usata talvolta, come dissi, per farne pietre viste, l’altra per muratura ordinaria, più sovente per inghiaiare le strade, al qual uopo serve ab- bastanza bene, tanto più che per la sua struttura frammentaria è ri- dotta facilmente in frantumi, delle dimensioni volute. 2. — Calcari grigi. Questi calcari stanno sensibilmente sopra la grande massa di dolomie, ma non sono scevri di parti magnesiache ; benché regolarmente strati- ficati, in alcune parti la stratificazione è mascherata ed in esse si ha una massa di dolomia in tutto analoga alla precedente descritta ; in alcune località l’abbondanza e l’importanza di tali masse dolomitiche hanno completamente cancellato la stratificazione del calcare. Questo è di aspetto grigiastro, ma in una frattura fresca ne presenta la struttura speciale, cioè una massa formata da una pasta grigia in cui sono disse- minate e vicinissime delle macchiette bianche, rotondeggianti od ovali, varianti di grossezza entro limiti ristretti, ma generalmente piccolissime. L'aspetto dunque del calcare sarebbe quello di una oolite o di una pi- solite, ed esaminando minutamente si scorge che la pasta grigia è omo genea, trasparente, mentre le macchiette bianche sono opache: talvolta nella massa si trovano disseminate delle macchie di un bianco quasi latteo e che per la forma ricordano le Nullipore. Questo calcare si trova sviluppato assai presso Taormina, Melia, ecc.; forma il colle su cui sta il Teatro di Taormina e la rupe molto più alta dove sta il castello; in queste due località la stratificazione è net- tissima e regolare, ma il castello si innalza di 200 metri quasi sopra il paese e 130 circa sopra il teatro ; è probabile che il paese si trovi sopra una faglia, la quale non sarebbe che il prolungamento di quella che si ha nel valloncello ad Est del monastero e che è mascherata poi dal quaternario su cui sta la parte centrale di Taormina; questa faglia avrebbe avuto per effetto di innalzare i calcari fino all’altezza del ca- stello. Ai piedi dell’ultimo cocuzzolo su cui esso è costruito si vede facilmente una massa di dolomia, formante parte e passante ai calcari stessi, e comprovante quanto ho detto sopra. La Kocca Salvatesta di Novara, che si eleva fino a 1340 metri sul mare, è formata da questi calcari, ma essi sono in molta parte sostituiti dalle dolomie ; talché è impossibile vedere la stratificazione, e succede poi spessissimo di racco- — 170 — gliere, uno presso all’altro, un campione di dolomia ed uno del calcare descritto; la parte più dolomitica però e la dolomia pura, si trovano verso la base della Rocca e formano, per esempio, la Rocca Leone che è molto più bassa. La potenza di questi calcari è pure abbastanza rilevante, poiché al Castello di Taormina e di più di 200 metri ; la Rocca di Novara, com- prese le parti dolomitiche che ne formano la base, si eleva di 200 metri sopra al conglomerato rosso ; ma questa potenza non è quella dei soli calcari, per cui si può dire che essi raggiungono la massima nella prima località. AH’infuori delle località indicate, il calcare descritto appare rara- mente ed è degna di esser ricordata la sua esistenza soltanto in un’altra località presso al ponte della fiumara Rosmarino, lungo la strada pro- vinciale, sulla destra della fiumara ; ivi esso diventa fossilifero e pre- senta delle terebratule ed altri fossili tutti difficilissimi a determinarsi, perchè, per la durezza della roccia, sono difficili ad. estrarsi. In questa località i calcari hanno lo spessore di pochi metri, e stanno fra le do- lomie e i calcari che ora descriverò. Come le dolomie, alle quali del resto si possono associare, i calcari grigi formano delle rupi scoscese e danno l’acqua al contatto colla fillade ; per essi si potrebbe usare la denominazione di Calcari di Taormina colla quale saranno brevemente distinti e che loro conviene perchè a Taormina raggiungono il loro massimo sviluppo. 3. — Calcari a liste e noduli di selce. Questi calcari sono rappresentati soltanto in due punti della pro- vincia di Messina, cioè lungo la fiumara di Rosmarino e lungo quella di Longi: in compenso poi acquistano nelle due località tale una potenza e tale importanza da impressionare giustamente il geologo che percorre la parte Nord-Est di Sicilia. Essi posano sulle dolomie generalmente con qualche discordanza e in un sol punto, al ponte della fiumara Ro- smarino, posano in discordanza sul calcare grigio; come quest’ultimo sono benissimo stratificati, e al pari di esso contengono o passano a masse di dolomie ; questo ultimo fatto è più raro a vedersi che nei cal- cari grigi, ma si vede talvolta e sopratutto presso Longi. I calcari a liste di selci sono in istrati di spessore variabile dai 10 ai 40 centimetri, perfettamente continui, in qualche punto contorti, ed in tal caso si se- guono perfettamente in tutte le contorsioni talora abbastanza forti; la pasta calcare è grigia tendente al marrone, ora scura ora più chiara r — 171 — ma sempre dello stesso colore per lo stesso strato ; è talvolta granulosa, talvolta meno, sempre a frattura concoide. Se lo strato è sottile, esso è generalmente formato di calcare puro, eccetto forse qualche nodulo di selce cornea disseminato; se lo strato è un poco più grosso, esso con- tiene, quasi affatto alla parte superiore, una lista di selce perfettamente uniforme, parallela alla stratificazione, regolarissima ; per uno strato di 11 centimetri di spessore la lista sarà, ad esempio, di un centimetro, e di un centimetro sotto la superficie dello strato ; per uno strato di 40 essa sarà alta 7 centimetri e ne disterà 6 dalla superficie superiore. Tale regolarità ammirabile è costante nei calcari della fiumara Rosma- rino; in quelli presso Longi e presso Galati, è rotta per 1’esistenza di noduli di selce più o meno grossi a seconda dello spessore dello strato - La selce ha lo stesso colore del calcare, meno forse che ha una grada- zione più intensa ed è anch’essa intersecata da sottilissime venature spatiche che attraversano il calcare. Alla fiumara Rosmarino i calcari a liste di selce cominciano al ponte, ove sono in discordanza colle dolomie, ed arrivano, sulle due rive, fino sotto Militello -Rosmarino, giungendo ivi ad esser concordanti col terreno inferiore, colla potenza massima di 200 metri. Fra Galati e Longi i calcari appaiono pure sui due lati e sono segati dal fiume in un punto solo, al Mulino; andando verso valle essi si innalzano sempre più posandosi sulle dolomie, le quali a lor volta si posano sulle arenarie rosse formanti la chiusa; dalla parte di Longi i calcari vanno a met- tersi sotto al Lias inferiore. La massima potenza della formazione rag- giunge in quei luoghi i 300 metri, e dalla parte di Longi si hanno delle bellissime sezioni verticali ove si vede bene l’uniformità degli strati e le contorsioni cui furono soggette. Per quante ricerche si sieno fatte fu impossibile rinvenire alcun fossile nei calcari a liste e noduli di selce ora descritti: eppure essi sono, per aspetto litologico e per rapporti stratigrafici, gli stessi di quelli della parte occidentale di Sicilia, nei quali il prof. Gemmellaro ha trovato e determinato una fanna ricca ed interessante di Halobie, Daonelle, Posidonomye, Monotis, ecc. 1 Ad onta di questa mancanza di fossili è da ritenersi indubbiamente che i calcari descritti sono gli stessi di quelli analoghi del Palermitano, e che anche nel Messinese rappre- sentano la serie Gamica, mentre i calcari grigi e le dolomie rappresen- tano la serie Norica. 1 Sul Trias della legione occidentale di Sicilia (Memoria citata). 172 — Sopra ai calcari a noduli non troviamo mai l’Infralias, ma sempre il Lias inferiore, e siccome però l’Infralias esiste, come vedremo in se- guito, presso Taormina, ne viene che nella parie Nord-Est di Sicilia il secondario inferiore presenta le tre serie Retica, Norica e Carnica sopra al Muschelkalk, come si ha nella parte occidentale. Riassumendo, dunque, pel Trias abbiamo noi tre suddivisioni, cioè il superiore, il medio e l’inferiore, il primo composto di tre membri, il secondo composto di due e il terzo di uno solo, e ciò è indicato nel seguente quadro. Infralias jRetico j Calcari del Capo Taormina. | Carnico j Ketjper . . i ! I Norieo ) I Trias { ’ 1 Muschelkalk j Buktersandstein | Permiano?. . . . j Formazione cFAlì. Calcari a liste e noduli di selce con parti dolomitiche. Calcari grigi di Taormina con parti do- lomitiche. Dolomie bianche e rosee. Calcare rosso-mattone duro, cristallino. Conglomerati, anageniti e arenarie rosse. Calcari di Forza d’Agrò e delle Rocche Bardara. Infralias. Il retico è davvero rappresentato scarsamente nella provincia di Messina, e i suoi unici rappresentanti si hanno presso il Capo Taormina, ed appaiono in due punti. Seguendo la strada provinciale, e all’incontro colla strada che sale a Taormina, si ha una massa di calcare bruno rossastro, con qualche venatura bianca, talora brecciato di colore, con un modo di frattura simile a quello della dolomia; questo calcare ap- pare vicinissimo al mare anche verso la punta del Capo dove non si può riconoscere che recandovisi per mare ; procedendo verso Giardini e tra- versata una piccolissima massa di dolomite interclusa, appare un’altra massa dello stesso calcare bruno rossastro contro il quale vengono ad urtare gli strati del Lias superiore, e ciò per 1’esistenza di una faglia visibilissima in quel punto, che ha ribassato il Lias rispetto ai terreni più antichi. Procedendo ancora verso Giardini, si ritrova lo stesso cal- care alFincontro dei due valloncelli che scendono da Taormina e com- prendono il cozzo su cui sta il Monastero; lungo il valloncello ad Est — 173 si trova l’Infralias che sale fino sotto al convento stesso, sulla riva de- stra, mentre sulla sinistra abbiamo il Lias superiore, per resistenza di un’altra faglia cui accennai parlando dei calcari grigi di Taormina,, faglia anche essa chiaramente visibile. Finalmente questo stesso calcare bruno-rossastro, con qualche strato di quello che descriverò in seguito,, appare alle Punte Mole, e s’incontra lungo il viottolo che sale a Monte Yeneretta, fra due masse di dolomia e sotto al Lias superiore. Lungo il valloncello formatosi lungo la prima faglia accennata, sopra al calcare bruno rossastro si vedono, in concordanza con esso, degli strati giallastri, di poco spessore regolari : essi sono di un calcare che diviene giallastro alla parte esterna, per la sopraossidazione del- l’ossido di ferro contenuto, ma che nelle fratture fresche si manifesta nerissimo, granuloso, assai duro. Questo calcare si ritrova varie volte lungo la strada carrozzabile che sale a Taormina, poiché questa fa molte risvolte; lo si trova alla seconda di queste, che corrisponde alla faglia accennata e taglia le due risvolte vicine che si hanno verso i 100 metri di altezza sul mare, ivi finalmente il calcare nero sparisce sotto il Lias superiore, al contatto di questo coi calcari grigi del Teatro. La potenza di questo calcare nero è limitatissima, potendo essere di 10 metri nei punti ove è maggiore ; la potenza dei due insieme, nero e rosso-bruno sembra non sia superiore a 25 metri; il giudicarne esat- tamente è sempre difficile, perchè questi calcari sono sempre in rap- porto con fenditure che ne alterano la vera posizione stratigrafica; al vallone sotto il Monastero però, sembra che il calcare rosso-bruno acquisti una potenza maggiore, raggiungendo da solo quella di 30 metri all’incirca. Nel calcare rosso-bruno si trovano facilmente delle Terebratme e delle Rhynchonelle, mentre si trovano più frequenti, nel calcare nero,, i Pecten e le Plicatule; dalPIng. Mazzetti che eseguì la carta geologica di quelle regioni, e da me stesso, furono raccolti numerosi fossili nei calcari presso il Capo Taormina. Tali fossili non essendo ancora stati determinati da alcuno, richiamerò qui la lista di quelli ritrovati nella stessa località e determinati dal prof. G. Seguenza che ha pure studiato in dettaglio i dintorni di Taormina: 1 Lima punctata Sow. JPecten Helii d’Orb. (?) 1 Breve nota intorno le formazioni primarie e secondarie della provincia di ^Messina. (Boll, del B. Comitato Geol., anno 18~J, num; 5-6]. — 174 Pinna miliaria Stopp. Plicatula intusstriata Suess, Terebratula pyriformis Suess, Terebratula gregaria Suess, Bhynchonella fissi costata Suess, Rhynchonella subrimosa Suess. Spirifer oxycolpus Suess. Questi fossili, come dice l’autore citato, indicano chiaramente l’età dei calcari che li contengono, talché questi saranno considerati i rap- presentanti dell’Infralias o Retico, nella parte Nord-Est di Sicilia. Il calcare rosso bruno è utilizzato per farne calce, ed infatti una delle fornaci situate presso la stazione di Giardini è alimentata dalla cava aperta nell’Infralias, al vallone sotto al Monastero. All’infuori delle località citate, l’Infralias non appare in alcun altro luogo della provincia. Lias. Il Lias è abbastanza ben rappresentato nella provincia di Messina, e si mostra lungo una striscia che va da Taormina a S. Fratello. Infatti noi lo vediamo a Taormina e nei suoi dintorni ; riapparisce fra Mal- vagna, Roccella e fino a Monte Guardiola; finalmente, fra Galati, Alcara li Fusi e S. Fratello, nelle quali località prende il massimo sviluppo. Nelle vicinanze di Taormina non si ha che il Lias medio e il Lias su- periore, mentre manca ogni rappresentante del Lias inferiore ; fra Mal- vagna e Pizzo Guardiola, i calcari liasici appaiono a mezza costa dei monti che guardano la valle dell’Alcantara, essi si presentano fra gli strati dell’Eocene inferiore, e mentre una parte di questo si appoggia contro il Lias, un’altra parte, molto potente, posata su di esso, è for- temente rilevata e pende verso il Nord. Presso Malvagna si ha il Lias inferiore, presso Roccella il medio, fra Roccella e Monte S. Cono il superiore, indi, fra questo monte e il Pizzo Randazzo Vecchio, di nuovo l’inferiore. Fra Longi, Alcara e S. Marco d’Àlunzio si presentano in- sieme i tre piani liasici; a S, Fratello pure, ma predomina l’inferiore. Lias inferiore. 11 calcare rappresentante la parte più bassa del Lias è riconoscibile facilmente per la sua grana cristallina, quasi saccaroide, talché asso- miglia talvolta al vero marmo; è generalmente bianchissimo, talvolta — 175 — con sottili venature brune o giallastre, sempre duro e resistente. Sulle superficie esposte e corrose dagli agenti esterni, si vede spesso un re- ticolato irregolare formato da sottilissime venature spatiche più resi- stenti ancora della massa, e spessissimo anche, rilevati per la stessa ragione, dei fossili in pessimo stato di conservazione ; questi fossili sono generalmente piccole turricolate, schiacciate o deformate, in modo che la loro determinazione è impossibile; in compenso però la presenza di questi fossili, sulle superficie esposte, dà al calcare un carattere distinto, unico, in modo che è impossibile non riconoscerlo. La grande cristalli- nità è poi un altro carattere sicuro, e sembra costante per i calcari del Lias inferiore; infatti quelli della provincia di Palermo, quelli delle Calabrie e quelli dei dintorni di Tivoli, presentano tutti lo stesso aspetto, il che unito alla presenza dei fossili sulle parti lavate, rende impossibile il non riconoscerli immediatamente. Al Serro di Longi però, fra la grande massa di calcari cristallini si hanno degli strati di un calcare grigio-scuro tendente al marrone, contenenti delle zone di frammenti di fossili di vario genere, comple- tamente irriconoscibili, e presi fortemente entro il durissimo calcare; ma tale fatto non si ripete in nessun altro luogo. La stratificazione del calcare cristallino è difficilissima a vedersi, anzi generalmente irricono- scibile; è soltanto nelle parti ove esso forma dei cocuzzoli quasi conici, come la Serra di Longi e il Monte Scorzone, e dove si ha probabilmente la parte più elevata della formazione, che si mostrano visibilmente gli strati. La più grande massa di calcari del Lias inferiore si ha fra Alcara li Fusi e Longi, ove forma il Monte Crasto (1300 metri), la Serra di Longi (1247), il Serro Malopinto (1105), e ove occupa una superficie di oltre 9 chilometri quadri; tutta questa estensione sarebbe continua ove fra i tre monti indicati non apparisse la fillade, evidentemente resa apparente dietro l’azione di qualche faglia. Queste faglie lasciano nel calcare cristallino delle superficie liscie, verticali, che per la loro pro- prietà di produr l’eco, come una muraglia, sono chiamate Bocche che parlano. Altre masse di Lias inferiore, abbastanza rilevanti, si hanno al Monte Barbuzza, presso S. Marco d’Alunzio e a S. Fratello, ove for- mano il monte omonimo. Il Lias inferiore posa talvolta sulla fillade, talora sulla dolomia e finalmente anche sul calcare a liste di selce, come alla Serra di Lòngi e a Monte Scorzone. La potenza è difficile a determinarsi,' poiché quasi mai si può vedere tutta la serie dei calcari cristallini, compresa fra un terreno inferiore e il Lias medio; certamente però tale potenza deve — 176 — esser fortissima. 11 Monte di S. Fratello è alto 715 metri e il calcare cristallino si vede scendere verso mare fino alla quota 110: si può am- mettere è vero che tutta la massa sia rialzata dal Sud verso Nord, ma certamente non si può ammettere meno di 300 metri di potenza effet- tiva; al Monte Scorzone si hanno 250 metri di Lias inferiore fra i cal- cari a noduli e il Lias superiore: al Monte Crasto, su una delle due cime alte 1300 metri, sta un lembo di Lias medio di una trentina di metri circa di potenza ; dalla parte di Longi, il Lias inferiore posa sui calcari a noduli, alla quota di 850, mentre dalia parte di Alcara scende fino a quella di 450 ; si potrebbe ritenere dunque che la vera potenza massima fosse quella che mostrasi sulla pianta orientale di Monte Crasto, cioè 420 metri circa, e spiegare la grande altezza occupata sul fianco occi- dentale, come un effetto di una grande pendenza all’Ovest e delle faglie sopra indicate, esistenti fra il Monte Crasto e i Serri Malopinto e di Longi. In ogni modo, come si vede, la potenza del Lias inferiore è grandissima. Il calcare bianco cristallino è usato come pietra da calce e qualche volta per costruzione. Esso forma generalmente delle rupi scoscese, e nelle parti pianeggianti vengono scarsi i cereali, magri i pascoli. Lias medio. Il Lias medio si presenta in molti luoghi nella provincia di Mes- sina, ma in nessuno di essi occupa grandi estensioni nè forma masse comparabili a quelle del Lias inferiore; i suoi aspetti poi sono variabi- lissimi, e 'conviene riconoscere per esso almeno 5 o 6 forme litologiche distinte, ciascuna delle quali può presentare una serie di varietà abba- stanza interessante. Tale terreno si presenta lungo la stessa zona, lungo la quale si manifesta il Lias inferiore, e già furono indicate le località principali ove si rinviene ; generalmente i calcari e le breccie del Lias medio accompagnano i calcari cristallini del Lias inferiore, meno poche eccezioni, così al Capo S. Andrea e sotto Monte Ziretto, alle cave di marmo di Taormina, sotto alla rocca di Novara, ove una striscia di Lias medio si trova appoggiata alle dolomie e calcari triasici, dalla parte occidentale, una vera e inesplicabile accidentalità ; finalmente una massa di calcari del Lias medio si trova all’incontro delle fiumare di Antillo e di' Limina, formanti una chiusa, ed incassata fra monti molto più elevati, di fìllade. Il Lias medio raggiunge raramente grandi altezze, e l’unico esempio forse è quello del Monte Crasto, fra Alcara e Longi, ove raggiunge la — 177 — quota di 1300 metri. Qualche volta è in concordanza col Lias inferiore, come al Monte Crasto stesso, al Serro di Longi, e fra Malvagna e Boc- cella; più spesso in discordanza più o meno marcata, sia per 1’esistenza di una faglia, sia per essersi veramente deposto dopo un sollevamento del calcare cristallino. Le varie forme del Lias medio sono le seguenti che verrò poi de- scrivendo in seguito : 1° Breccia di calcari cristallini, a cemento rosso; 2° Calcare grigio a struttura suboolitica; 3° Calcare grigio con vene spatiche; 4° Calcare grigio a crinoidi; 5° Calcare rosso o roseo a crinoidi; 6° Calcare marnoso rossastro, con vene spatiche, o brecciato. — marmi. Sul lato occidentale della Bocca di Novara, e sul fianco Sud-Ovest del Monte di S. Fratello, lungo la nuova strada provinciale, si trova una bella breccia bianca e rossa, formata di pezzi di calcari cristallini del Lias inferiore, dei calcari grigi triasici, e di un cemento rosso; il cemento è piuttosto marnoso nella prima località indicata, è più cri- stallino nella seconda: in questa la breccia sembra appoggiata al Monte di S. Fratello lungo una faglia che ne forma il lato Sud Ovest. Questa pietra serve bene nella costruzione di ponti, ponticelli, muri in pietra vista, ecc. Si presta dunque a^a lavorazione, ma non al pulimento, e ciò per le venature marnose che presenta il cemento, tantopiù presso la Bocca di Novara, ove il cemento essendo più marnoso, la roccia è in certi punti più fragile; a S. Fratello sembra quasi un marmo brecciato. Lungo il torrente Inganno, che scorre dal Sud al Nord, all’Est di S. Fratello e sbocca in mare ad Ovest di S. Agata, si hanno varie masse di calcare, una delle quali porta il nome di Bocca Carbone; questa, come le altre, è formata dal calcare cristallino, bianco o venato, del Lias in- feriore, ma la parte superiore è formata da un calcare di struttura analoga a quello di Taormina, meno che le macchie bianche sono più regolari e più rotondeggianti, senza però esser sporgenti, e al quale perciò ho dato il nome di suboolitico. Questo calcare, completamente diverso da quello cristallino sottoposto, appartiene al Lias medio. 11 calcare grigio con vene spatiche è di un grigio non troppo carico e presenta le venature frequenti e abbastanza grandi, al Capo S. Andrea, e all’altro piccolo promontorio un poco più al Nord di esso; visitando quelle località dalla parte di mare, si vede che lo stesso calcare si ha dal livello dell’acqua fino poco sotto la chiesuola di S. Andrea. 13 178 Questo calcare appare privo di fossili, ma ha un bell’aspetto, e po- trebbe quasi servire come un marmo. Lungo la fiumara di Savoca, nella località chiamata Grotte, si vede, posata sulla fillade, una massa di cal- cari, che è costituita di tre parti: alla base un calcare rosso, argillo- sabbioso, in tutto identico al cemento della breccia N. 1, e nella quale il prof. Seguenza barinvenuto YAmmonites Grenouillouxi d’Orb.; sopra a questo esiste un calcare grigio, che se contiene poche e sottili vene spati che, è però intieramente riferibile al N. 3 della serie di calcari indicati. Lo stesso calcare grigio, identico a quello di Grotte, si ha ai- rincontro delle fiumare di Limina e di Antillo, ed ivi posa sopra degli sehisti calcari rossi, inaccessibili da ogni lato perchè il calcare forma su di essi un dirupo lisciato dalle acque, ma di cui potei vedere qualche pezzo trasportato da queste. Tutti questi calcari si assomigliano, e vanno riferiti al Lias medio non solo perchè si presentano, come a Grotte, sopra quel calcare rosso, ma perchè passano alla parte superiore ad un calcare egualmente grigio, ma carico di crinoidi, talché la frattura si presenta formata di faccette spatiche, più chiare, e nettissime. Al piccolo promontorio indicato, presso il Capo S. Andrea, questo calcare grigio, alla parte superiore diviene eminentemente fossilifero, e contiene numerosi brachiopodi. Il Prof. Seguenza ha raccolto e deter- minate varie specie di quella località, e le riferirò qui togliendole dalla nota sopra citata: Lima eucharis , d’Orb. Terebratula punctata , Sow. Waldheimia Partschii , Suess, Bhynchonella serrata , Sow. Spiriferina rostrata , Schlot. Spiriferina Hortmanni , Ziet. Oltre a questi fossili si trovano dei cefalopodi, cioè nautili ed am- moniti, ma molto meno frequenti Al Capo S. Andrea, nel piccolo tratto compreso tra la chiesuola e il punto più elevato del Capo si ha un calcare rosso -mattone, che pre- senta una frattura tutta formata di faccette lucenti; tale calcare si può dire formato di crinoidi, ma ne contiene molti di grossi e bellissimi, che appaiono bene sulle superficie esposte e corrose dagli agenti esterni. Un calcare identico, ma di color rosa più chiaro, si trova presso al Serro di Longi e precisamente al Cocollare, immediatamente sopra al Lias inferiore. — 179 — Sotto al Monte Ziretto, e sopra il viottolo che sale a Tkormina dalla strada provinciale, prima di arrivare al Capo S. Andrea, si ha una massa di bellissimi calcari, rossi, venati, brecciati, con vene spa- tiche, nella quale furono aperte le cave di marmi. Questi marmi di Taor- mina sono veramente belli, e si prestano benissimo per ornamento, però esposti lungamente alTaria, alcune parti meno resistenti decadono, e nei monumenti antichi, le superficie dei marmi si trovano solcate e sciupate in varii punti. La massa indicata posa direttamente o sulla fillade o sul conglomerato rosso, ed è perfettamente isolata, non ritro- vandosi più in alcun luogo dei dintorni di Taormina. Marmi analoghi si trovano nella zona liasica indicata, fra Malvagna e Roccella, ed ivi pure sono bellissimi; ve ne hanno pure presso G alati sotto il Monte Ucina, a Monte Rocche Rosse tra Frazzanò e Longi, e presso Militello-Rosmarino. Un calcare rosso marnoso, simile alla parte rossa dei marmi di Taormina, però non brecciato, nè variegato, con sottili venature spatiche, si trova sulla cima di Monte Crasto e al Co- collare, sotto il calcare roseo a crinoidi e sopra la dolomia. Nei calcari variegati, sotto Monte Ucina e Monte Risigna, furono raccolti abbondantissimi fossili, specialmente brachiopodi e cefalopodi ne citerò qui i principali dietro la nota fornitami dal Prof. Gemmellaro: Phylloceras mimedense , d’Orb. sp. Harpoceras Algovianum , Opp. sp. Harpoceras Boscense , Reyn. sp. Pleur otomaria expansa , Sow. sp. Eucyclus dipintisi Stol. Trochus Cupido , d’Orb. Terebratula Aspasia , Menegh. Terebratula sphenoidalis , Menegh. Waldheimia securiformis , Gemm. Waldheimia sta pia , Opp. Spiri ferina rostrata , Sch. sp. Spiriferina sicida , Gemm. Bhynchonclla scherma , Gemm. » Zitteli , Gemm. » Glycinna , Gemm. » Briseis , Gemm. » retusifrons , Opp. » Greppini , Opp. Dalle specie fossili citate, per i vari calcari della serie indicata, si — 180 - vede chiaramente die essi appartengono al Lias medio, e questo è dun- que non soltanto chiaramente rappresentato nella parte E. E. di Sicilia, ma lo è riccamente, in fatto di varietà litologiche. Tutte queste varietà poi, assomigliano perfettamente a quelle che lo stesso piano geologico presenta nella regione occidentale di Sicilia. La potenza massima visibile di Lias medio, si ha sotto Monte Zi- rqtto, o al Cocollare, o al Monte S. Andrea ; essa raggiunge appena i 100 metri, ma in nessuna delle tre località si hanno tutti i membri della serie. Credo che la serie indicata è anche esatta cronologicamente, meno che il N- 6 (marmi, ecc.) deve considerarsi come una locale accidentalità' del N. 3. Come si è visto le applicazioni di tutti quei calcari sono molte; le brecce per pietre da costruzione, i calcari dei N. 3 e 6 per ornamento, i calcari a crinoidi per calce. Lias superiore. Il Lias superiore è abbondantemente rappresentato nella regione di cui ci occupiamo, sia per estensione, sia per potenza di formazione, più del Lias medio, che segue però, mostrandosi lungo la stessa zona già tante volte indicata. Dove il Lias superiore appare immediatamente sopra il medio, o l’inferiore, esso è rappresentato principalmente da schisti marnosi di un rosso vinaccia, molto fogliettati ma irregolarmente, in modo da prender quasi l’aspetto di marne scagliose che abbiano subito una forte pressione e che da questa derivino la schistosità. Questi schisti, fragili in certi punti, diventano gradatamente più calcari, più resistenti, si ca- ricano di vene spatiche, ed arrivano a formare un calcare rosso-mar- noso, con vene spatiche, che se in qualche punto manifesta ancora la sua origine schistosa, in altri prende l’aspetto di un vero marmo, di bell’aspetto: questo marmo però, lungamente esposto all’aria si sfalda e decade, appunto per la presenza di partimenti più marnosi e meno resistenti nella sua massa, ed il fatto si constata facilmente dove il marmo suddetto fu usato per chiese od altri monumenti, come a San Marco d’Àlunzio. Altre volte, lo schisto rosso è frammezzato con uno schisto identico di natura, ma di un grigio chiaro leggermente verdo- gnolo; in tal caso presenta spesso dei foglietti spatici che sembrano accompagnare lo schisto chiaro. Quest’ultimo, con un passaggio simile a quello dello schisto rosso, può trasformarsi in un calcare compatto» — 181 — dello stesso colore, appena con qualche macchietta affumicata sparsa ■qua e là: questo calcare non arriva mai a formare un marmo, rimane sempre in piccoli straterelli senza venature spati che, e collo schisto grigio sembra formare delle varietà disseminate nella grande massa di schisti rossi. Negli schisti rossi si trovano, alle volte, dei magnifici diaspri rossi, eon una zona esterna azzurra, apparentemente in masse irregolari, ma disposte però secondo la schistosità della massa che le racchiude! Ne rinvenni specialmente nella contrada Cerasiere, che si percorre scen- dendo dalla Serra di Longi a Galati. Quest’insieme di formazione si ha fra Roccella e Monte S. Cono, presso Tortorici e presso Galati, sopra Longi, e si estende poi su una grande superficie, formando il Pizzo del Corvo, il Pizzo di Dasa, il Monte di S. Marco d’Alunzio, a Monte Barbuzza, scende fino al mare e forma 3 a Rocca, presso la foce del torrente Zappulla, appare al Monte Scorzone e fra S. Fratello e il monte omonimo. Questi schisti rossi, o rossi con altri bianchi intercalati, possono bensì raggiungere grandi altezze come a Monte Rocche rosse (1020), sotto il Cocollare (1090), al Pizzo di Corvo (831) ecc. ; ma si trovano sempre in marcatissima discordanza col Lias inferiore, e anche col medio; così a Monte Scorzone abbiamo il Lias superiore sopra e sotto il Lias in- feriore, e al Monte S. Fratello a 100 e più metri sotto la vetta formata di calcare cristallino. La potenza è fortissima, e al Pizzo del Corvo essa sorpasserebbe 1 300 metri. Un piccolo lembo di questi schisti si ha al Capo S. Andrea, sopra i calcari rossi a crinoidi. A quel Capo e all’altro piccolo promontorio prossimo, gli strati pendono fortemente ad Ovest, talché sembrerebbero andarsi a mettersi sotto ai terreni formanti il monte dall’altra parte della strada; ma questi terreni sono: la fillade, il conglomerato rosso, il calcare rosso-mattone, la dolomia, ecc.; ne viene che in quel luogo dobbiamo avere una faglia rilevante, che non solo ha ribassato di qual- che centinaio di metri il Lias, ma gli ha dato quella pendenza ecce- zionale. Tale faglia diretta da S. E. a N. O. passa al largo di un piccolo scoglio di dolomia, chiamato l’Isola, di fronte al casello 40 della fer- rovia, taglia il Capo S. Andrea a 60 metri dalla strada, lambe il pic- colo seno formato fra il Capo e il piccolo promontorio, in corrispon- denza di questo, lungo il ciglio a monte della strada, e sparisce nel mare. La massa di Lias del Capo, fu staccata in causa di tale faglia, dalla massa che sta sotto il Monte Ziretto, dove si ha il Lias medio — 132 — (rappresentato dai marmi, riferibili al calcare venato del Capo) e sopra questo un lembo di scbisti rossi, o rossi e bianchi, identici a quelli del Capo, del Lias superiore. Mi sono dilungato nel riferire qui questo fatto, appunto perchè è in questa sola località, già importante per 1’esistenza della faglia, che si vede il Lias superiore accompagnare con regolarità il medio. Gli schisti rossi cogli altri grigi, e i calcari subordinati, che si ritrovano nelle località citate avanti, insieme al Lias medio, se non perfettamente concordanti, dovrebbero rappresentare quindi la parte più bassa del Lias superiore. In questa, per quante ricerche abbia fatto, non mi fu mai dato rinvenire alcun fossile. .fra il Capo Taormina e la stazione, da Taormina e il Castello fino al torrente Sirino, ai monti Locarella, Lupa, Pernice, e presso Melia, si trova una serie di calcari compatti, alternanti con altri più marnosi, o con schisti calcari, di color grigio chiaro, verdognolo o azzurrognolo, in taluni punti analogo al calcare grigio della serie precedente. Questa successione di strati si vede bene scendendo da Taormina per il viottolo, lungo il vallone Fontanelle, ma meglio ancora fra il Capo Taormina e la stazione, dove tutta la massa è compresa fra le due faglie descritte avanti, a proposito del Letico, e in contatto con questo soltanto o colla dolomia. In nessun punto questa successione di calcari è in contatto col Lias medio, nè colla serie precedentemente descritta del Lias in- feriore; però lungo la strada fra i due punti indicati, si vedono talvolta gli schisti intercalati ai calcari, prendere gli stessi colori di quegli grigi intercalati nei rossi, e talvolta anzi prendere veramente il color vinato. Per questo fatto, e per quello di non trovar mai queste succes- sioni di schisti e calcari più o meno marnosi in contatto col Lias medio, ho supposto che esse occupassero la parte più alta del Lias superiore pur facendone parte. E di ciò non è lecito dubitare, poiché confermatQ dai numerosi ammoniti che si possono raccogliere, specialmente lungo il vallone Fontanelle, in questi calcari. Fra tali ammoniti se ne trovano di ben conservati e ben determinabili; ne citerò i principali, che del resto il Prof. Seguenza ha pure nominati unitamente alla descrizione di questi calcari: Ammonitcs commitnis , Sow. » radians , Kein. » falci fer, Sow. » complanatus , Bru g. » algovianus, Oppel, » Partschii . Hauer, ed altri. — 183 — La massima potenza di questa successione di strati, quale si pre- senta sotto Taormina, e al Monte Locarella non è certo minore di 200 metri. Il quadro seguente serve a riassumere la successione dei piani lia- sici descritti fin qui. Oolite | Giurfse inferiore Lias superiore \ Lias medio (Potenza totale incogni- ta : massima riconosciuta 100 metri). Lias inferiore Ih fra lias ' Letico I Calcari nerastri a cefalopodi. Calcari compatti alternanti con calcari e schisci marnosi; potenza 200 metri e più. Scliisti marnosi vinati con scliisti e cal- cari grigi. — • Marmi rossi venat-; po- tenza 300 metri e più. Calcari grigi e rossi a crinoidi; 25 metri. Calcari grigi a vene spatiche, calcari rossi brecciati, venati. — Marmi met.(100; ?)V Calcari sub-oolitici; potenza 40 metri. Breccie bianche e rosse; pot. 40 metri. Calcare grigio, marrone-scuro, con fram- menti di fossili; potenza 50 metri. Calcare bianco-cristallino , con piccole turricolate; potenza 420 metri. ^ Calcari a plicatule. I Calcari a brachiopodi. Oolite. Pochi lembi di calcari oolitici si trovano nel Messinese, e sono nelle vicinanze di Taormina, in quelle di Calata e Tortorici e in quelle di S. Agata di Militello. Si può dire che l’oolite è scarsamente rappresen- tato in questa regione della Sicilia, mentre lo è molto più nella re- gione occidentale. Seguendo per il Giurese la divisione in tre piani : Dogger, Malm e Titonio, si può dire tosto che soltanto il primo e il terzo si trovano rappresentati e precisamente del primo, la zona ad Arpoceras opalinum e quella a Posidonomya alpina e del terzo la parte inferiore prevalen- temente : mancherebbero dunque le zone intermedie a Stephanoceras macrocepliahm , a Peltoceras transversarium e ad Aspidoceras acan- thicum. Oolite inferiore o Dogger. 1. — Calcari nerastri a cefalopodi. Al di sopra del paese di Tortorici sta un monte chiamato Monte S. Pietro, che si innalza a 1081 metri sopra il mare ; se si percorre la falda orientale di questo monte, venendo da Floresta verso Tortorici, si incontra dapprima il Lias superiore rappresentato da schisti mar- nosi bianchi e rossi, posato sopra le dolomie che si estendono poi al Sud del Monte S. Pietro ; lo stradello che si percorre lascia ben presto sotto di sè il Lias e viene a tagliare un calcare speciale. Questo cal- care è nerastro, quantunque sulle superficie esterne si faccia un poco giallastro e duro, in istrati di 30 o 40 centimetri alternati con altri più sottili di un calcare talora più marnoso e più tenero, talora più siliceo e più resistente. L’identico calcare si presenta sulla falda occidentale dello stesso monte, dove è sempre in contatto colle dolomie, e questa falda, essendo meno scoscesa dell’altra, si può vedere che esso giunge quasi alla vetta di Monte S. Pietro ; tenendo conto dell’inclinazione a Nord-Ovest degli strati, bisogna dare almeno 200 metri di potenza al calcare nerastro ; la vetta di Monte S. Pietro è formata di titonio. Al , Monte Ucina presso Galati, sul fianco occidentale e sopra il Lias medio si ha un insieme di calcari contenente tutti i piani giuresi esistenti nel Messinese; la parte inferiore, per 30 metri circa, è formata dallo stesso calcare nerastro che si ritrova a Monte S. Pietro. Nei calcari nerastri indicati non mi fu possibile rinvenire, e ciò anche raramente, che qualche ammonite mal conservata e qualche belemnite; le ammoniti sono deformate e sostituite dall’ossido di ferro, talché sono assolutamente indeterminabili; le belemniti poi, per la grande durezza della roccia, si ottengono spezzate e non si possono isolare. Tutti gli altri fossili mancano o scarseggiano assai, talché ho adottato per questi calcari la denominazione di calcare nerastro a cefalopodi. L’età geolo- gica di questo calcare, se non fu determinata cogli elementi paleonto- logici che esso offre, è però possibile a stabilirsi dietro i caratteri lito- logici : nella regione occidentale di Sicilia si hanno calcari di identico aspetto di quelli ora descritti, e la fauna trovatavi specialmente al Monte S. Giuliano presso Trapani indica chiaramente che essi appar- tengono al Dogger e precisamente alla parte di esso corrispondente alla zona ad Arpoceras opalinum .L’apparizione dei calcari nerastri a cefa- lopodi immediatamente sopra al Lias superiore a Monte S. Pietro ed immediatamente sotto i calcari della zona a Posidonomya alpina sotto — 185 — Monte Ucina, è un dato che serve pure moltissimo per stabilire il li- vello al quale essi debbono essere riferiti, che sarebbe appunto quello della parte più bassa del Dogger. 2. — Calcari rossi. Immediatamente soprai calcari nerastri e soltanto in una località, cioè sotto Monte Ucina, appare un calcare rosso, di bell’aspetto, della potenza di 65 metri circa ; questo calcare presenta talora delle macchie bianche lunghe e sottili, vicinissime, che probabilmente rappresentano delle piccole bacchette di echini prese nella massa; talora si hanno invece, abbondantissimi, dei bei crinoidi pentangolari, bianchi, spatizzati, tantoché il càlcare appare piuttosto biancastro che rosso. In altre masse invece si hanno abbondantissimi, concentrati, numerosi fossili ben con- servati, brachiopodi o cefalopodi spatizzati principalmente, e, sopra al- cune superficie separate dal colpo del martello, le posidonomie appaiono frequenti ; all’infuori di queste gli altri fossili si presentano come geodi di cristallini di quarzite, bianchi, e le fratture mostrando raramente un fossile, ma bensì la sezione di esso, hanno l’aspetto di quelle di un .calcare rosso con numerose cavità riempite di calcite. Fra questi fossili che il prof. Gemmellaro s’incaricò di studiare furono da lui ricono- sciuti finora la Posidonomya alpina , la PJiynconella subechinata Opp. e una Rhynconella cfr. Berchta Opp., i quali sono certamente del Dogger superiore. Oolite superiore. — Titonio. Calcare affumicato. Il calcare affumicato appare presso la stazione di Taormina, lungo il torrente Sirina e presso la portella Mastrissa; si ritrova presso Torto rici, Galati, Alcara, sui monti al Sud di S. Agata di Militello e Rocca Priolo, Trevone, Cornerà, e fra il monte di S. Fratello e il torrente Inganno; alla contrada S. Anna. Questo calcare è compatto, a straterelli, di color bianco-grigio affumicato e talora con macchie di forma irregolare ap- punto di color affumicato, ciò che mi ha portato a dargli la denomi- nazione suindicata. Ha qualche somiglianza coi calcari grigi del Lias superiore, ma ne differisce appunto litologicamente per avere quel co- lore affumicato e più abbondanti le macchie scure; talvolta però pre- senta esso pure degli schisti rossi analoghi a quelli del Lias superiore. Ira gli straterelli di calcare se ne hanno di più marnosi, talora bruni, — 186 — talora nerastri, e in qualche punto si hanno dei diaspri rossi e grigi piuttosto belli, ma fragili; e questi si possono vedere facilmente, risa- lendo il torrente Sirina fra le due strade che scendono da Taormina, una per Giardini, l’altra per risalire alla portella Mastrissa. In alcuni luoghi il calcare grigio contiene noduli di selce cornea nerastra, più o meno grandi, e ciò avviene principalmente nei calcari titonici dei din- torni di Taormina. Il titonio che appare presso la stazione di Giardini presenta, alla foce del torrente Sirina, più frequenti gli schisti marnosi neri interca- lati, ma ha però lo stesso carattere litologico ; il professore Seguenza ritiene che l’ultimo cocuzzolo presso il torrente Sirina non sia formato dal Titonico, ma bensì dal Neocomiano, e cita l’esistenza di questo terreno anche sulle colline al Sud di S. Agata. Devo confessare che non mi è riuscito di vedere nessun aspetto stratigrafico che autorizzi a se- parare in quelle località il calcare ove abbondano un poco più gli schisti marnosi nerastri da quello ove gli schisti sono più calcari e forse più chiari; i noduli di selce si trovano identici in tutti quei cal- cari di cui del resto l’aspetto, come ho detto, è sempre eguale. In tutte quelle località ho raccolto delle helemniti schiacciate che pure sono frequenti nei Titonio, ed una che sembra essere la Belemnites ensifer Opp.; frequentissimi poi gli Aptichi, di cui V Aptycus punctatus e Y Aptycus Beyrichi ben conservati, ed altri indeterminabili. Perciò ritengo per ora appartenenti ad un solo piano, cioè al Titonio, tutti i calcari affumicati con selci, diaspri e più o meno schisti marnosi intercalati che appaiono nelle località sopraindicate. Questi calcari raggiungerebbero la potenza massima di 150 metri nei dintorni di Taormina, e in quelli di S. Agata e S. Fratello di Monte Ucina presso Galati non hanno che 60 metri di potenza. Si avrebbe dunque, per la parte Nord-Est della Sicilia, che l’insieme dei terreni oolitici si può riassumere nel seguente quadro. i Oolite o Giu- rese ( Calcari affumicati, con selce, diaspri e Titonio schisti marnosi nerastri; potenza mas- ( sima ICO metri. Malm ) Mancante. Dogger . . I Zona ad Arpoce-\ Calcare nerastro a cefalopodi; potenza ' ras opalinum \ massima 200 metri. .Zona a Posydo -) 1 nomya alpina, i Calcare rosso, con encrini, posidonomye, brachiopodi e cefalopodi; potenza mas- sima 65 metri. — 1S7 — Cretaceo. Non ammettendo che la parte superiore dei calcari affumicati possa rappresentare il Neocomiano, il Cretaceo rimane molto scarsamente rap- presentato nella provincia di Messina; tanto più scarso è poi per chi, come chi scrive, non ha potuto trovare che dei pezzi non in posto di calcare fossilifero e dei fossili sparsi, senza riuscir mai a rinvenire l’af- fioramento effettivo. Nella valle che sta fra il Monte Migliardo, Monte Leone e Colle Ee dall’altra parte, appaiono delle argille scagliose, va- riegate, in tutto simili a quelle caratteristiche dell’Eocene medio; dove esse appoggiano sopra il micaschisto di Colle Ee, alla quota di 530, si vedono al contatto molti pezzi di un calcare marnoso grigio e di un’arenaria rosa ; lungo il vallone che dalla sella, che si ha in quel punto, scende verso Eocca Lassafare, si trovano numerosi pezzi del calcare marnoso. Tanto il calcare come l’arenaria non hanno affatto l’aspetto eocenico; l’arenaria contiene dei Pecten e il calcare che sembra provenire da uno straterello alto circa 30 centimetri, presenta sulla superficie numerosi fossili o impronte di fossili che spiccano bene pel loro color nero sopra il grigio-chiaro del calcare. Il valloncello ora ci- tato concorre a formare il vallone S. Giacomo che scende al torrente Longano ; sotto il casale di Gala, all’incontro dei due o tre valloncelli che vanno poi a gettarsi nel S. Giacomo, si ha il contatto delle argille scagliose, variegate, col micaschisto su cui è fabbricato il paese. Queste argille, che in alcuni punti sopportano del conglomerato miocenico e che vanno a porsi sotto alla potente formazione del pliocene superiore formante il Serro di Maloto e il monte di Castroreale, sono compieta- mente prive di fossili, meno che in una piccolissima zona al contatto col cristallino. Su quella zona limitatissima, lunga forse 20 metri, sono abbondantissimi dei fossili, specialmente delle ostree, di cui si trova tanto la gran valva, come la piccola, opercolare : tutti questi fossili neri di colore hanno completamente il carattere della fauna distintiva del Cretaceo medio e appunto del Cenomaniano ; essi mi hanno prodotto l’impressione di esser rimaneggiati, quantunque taluni sufficientemente conservati, e infatti mentre la grande valva delle ostriche si trova completa nel calcare, non lo è mai fra le argille sotto Gala. Tutti questi fossili abbondanti nelle argille scagliose, potrebbero provenire dalla distru- zione del calcare marnoso che li conteneva e di cui nessun altro rap- presentante ho trovato che dei numerosi pezzi sparsi nel vallone sotto Colle Ee; forse in quel punto Taffioramento è mascherato da qualcuna 188 — delle frane di cristallino ivi abbondanti ; forse realmente tutto lo strato, poco potente a quanto pare, fu distrutto. Questo calcare non appare in verun altro punto della provincia di Messina, e non mi è riuscito di vederlo in nessun’altra località anche prossima a quelle indicate ; i fos- sili rinvenutivi sono di facile determinazione e caratteristici, tutti mo- strano cha il calcare marnoso grigio è il rappresentante del cretaceo medio ; riferirò qui la lista delle specie contenutevi, data dal professore Seguenza nella sua nota intorno alle formazioni secondarie del Messinese * Plioladomya Molli , Coq. » Darrassii , Coq. Lavignon Marcati , Coq. Venus Moussae , Coq. Cyprina Africana , Coq. » trapezoidalis , Coq. Crassatella Baudeti , Coq. » Calabra , Seg. Trigonia distans, Coq. Arca parallela. Coq. » thevestensis , Coq. Gervilia ala , Coq. Cardium hillanum , d’Orb. » Palili , Coq. Unicardium Matheroni, Coq. Avicula gravida , Coq. Mytilus indifferens , Coq. Pecten striato-punctatusì Roemer, Janira tricostata, Coq. Plicatula Fourneli , Coq. » radiola, Lk. Oslrea Delettrei , Coq. » conica , d’Orb. » Overwegei, Coq. » auressensis , Coq. » schyphax , Coq. » flabellata , d’Orb. » Baylei , Gueranger. » Mermeti , Coq. Hemiaster Batnensis , Coq. Magnesia JDesorii , Coq. — 189 — Questo calcare, rappresentante il cretaceo medio, costituirebbe ve- ramente l’ultimo membro del secondario della regione Nord- Est di Sicilia, e il terreno immediatamente più recente dopo questo sarebbe il nummulitico inferiore. Mentre tutto il secondario della provincia di Messina, e sopratutto il Lias e l’Oolite, si mostra regolarmente lungo quella zona cbe va da Taormina per Roccella a S. Fratello, il solo Cre- taceo si sottrae a questa specie di regola generale e appare isolato ; mentre tutto il secondario, cominciando dal più antico, si mostra al Sud e all’Ovest dei monti di cristallino e di quelli di fillade, il Ceno- maniano si mostra invece al Nord dei primi, solo dei terreni secon- darii deposto dalla parte concava della curva formata dai monti di roccie primarie, mentre tutti gli altri si mostrano dalla parte convessa. Ciò dimostra dunque cbe un gran cambiamento nella disposizione dei mari e delle terre emerse si produceva durante il periodo del Cretaceo inferiore ; il mare cominciava ad invadere e formare i suoi depositi su tutti i terreni preesistenti senza seguire più la successione concentrica cbe vediamo ora presentata, più o meno regolarmente, da tutti i ter- reni, cominciando dalla fillade fino all’oolite. Ma della disposizione re- lativa, generale, dei terreni geologici nella parte Nord-Est di Sicilia parlerò quando avrò descritto anclie i terreni posteriori, cioè i terziarii e i quaternarii, e limiterò qui la seconda parte di questi brevi cenni geologici. Nella terza parte avrò a considerare i terreni cenozoici, cioè : il Terziario rappresentato da Eocene , Miocene e Pliocene , e il Quaternario distinto in antico e moderno. (Continua). ir. lì nummulitico nella parte media dell'isola d’Elha e suoi rapporti colle rocce feldspatiche ed ofiolitiche. — Nota di B. Lotti, Ing. del R. Corpo delle Miniere. Fra i vari geologi cbe studiarono questa classica località fu sempre incertezza nella determinazione cronologica delle formazioni più giovani interessate dalle rocce feldspaticbe dell’isola. Primo il Savi le riferì all’eocene, Studer alla creta, Coquand restò incerto fra l’eocene e la creta, Fournet le ascrisse all’epoca secondaria — 190 — in genere, vora Rath all’eocene o tutt’al più alla creta superiore, Me- neghini con probabilità alinocene per analogia colle formazioni eoce- niche del continente toscano, con certezza ad un periodo non più antico del cretaceo, altri autori e finalmente il Cocchi, sempre per analogia, alinocene. Se però non restava dubbio sull’età eocenica di queste for- mazioni per i geologi toscani, non poteva dirsi altrettanto per altri, italiani e stranieri, specialmente per la ragione che il famoso granito elbano dicevasi posteriore o per lo meno contemporaneo a tali rocce. Premetto di non voler pregiudicare la questione, forse non ancora ri- soluta, della età del vero granito elbano; le rocce feldspaticbe che certamente attraversano i sedimenti eocenici sono porfidi quarziferi, come li chiamò vom Rath, ed euriti. Il calcare nummulitico, nel quale m’imbattei di recente, alla base del terreno ritenuto con probabilità eocenico, ha tolto ogni dubbiezza per le formazioni superiori ad esso non solo, ma ha pur anche schiarito assai la stratigrafia delle formazioni sottostanti e specialmente di quelle connesse alle rocce ofiolitiche. Il terreno eocenico consta qui, come in tutto l’Appennino setten- trionale, delle tre solite forme litologiche, calcari cerulei marnosi a fucoidi (alberese), schisti argillosi (galestri) e arenaria (macigno) coi noti rilievi indeterminabili detti dai tedeschi geroglifici. Però mentre nel continente queste tre formazioni sono in gruppi fra loro separati e presentano frequentemente la successione verticale discendente sopra enunciata, qui nell’isola alternano con tale frequenza che non è possibile tenerle distinte, qualunque sia la scala alla quale venga eseguita la carta geologica. Ordinariamente i gruppi alternanti di queste rocce non oltrepas- sano lo spessore di un metro e ciò non ostante ciascuna di esse è eminen- temente caratterizzata, sia dal lato litologico che paleontologico, come le formazioni analoghe dell’Appennino, nelle quali il De Stefani ha vo- luto trovare una successione talmente costante da fondarvi una triplice divisione cronologica del terreno eocenico. Io esposi altra volta 1 le ragioni che mi impedivano di accettare questa ripartizione cronologico-litologica delle formazioni eoceniche, e che mi portavano invece a considerarle come depositi contemporanei di differente natura a seconda delle differenti condizioni del mezzo in cui si formarono. L’isola d’Elba conferma pienamente il mio modo di vedere condiviso, credo, dai vari dotti che la studiarono e specialmente da 1 Proc. verb. Soc. tose, di Se. nat. — Gene. 1882, pag. 66. 191 — Yom Rath e Cocchi i quali riguardarono le tre forme clell’eocene elbano come un insieme strettamente connesso ed inseparabile !. Al disotto di questo triforme deposito, attraversato e tormentato in mille guise dalle rocce eurito-porfiricbe, stanno dei calcari compatti, talvolta ceroidi, grigi, azzurri, verdastri, rosei ed anche rossi, i quali alternano in basso con scbisti verdastri, gialli o viole.tti scuri, facendo' passaggio ad una potente formazione ftaniti co- diasprina 1 2. Tali calcari, privi di fossili, che nella carta inedita di Grabau e Mellini sono detti indeterminati per distinguerli dalle superiori rocce eoceniche, furono dal Cocchi riuniti a queste; ma per le ragioni che andrò esponendo mi pare di poterli riferire alla creta superiore. Tra questi e le sovra- stanti rocce eoceniche trovasi appunto il nummulitico. Esso comparisce a guisa di scoglio isolato nella parte media del- l’isola, subito sotto Colle Reciso dal lato dell’Àcona, fra il M. Moncione e il M. Orello. E costituito dal solito calcare screziato caratteristico e racchiude belle nummuliti che talvolta raggiungono il diametro di un centimetro. La specie sola o almeno prevalente, secondo il Meneghini, è la Nummulites Biaritzensis caratteristica del nostro piano nummu- litico principale. Nell’Italia centrale questo piano nummulitico, sia esso da conside- rarsi come eocene medio o inferiore, segna il limite fra i terreni ter- ziari e i secondari. La sottostante formazione di schisti policromi con calcari verdastri e rosei associati fa già parte della serie cretacea e ciò fu stabilito per analogia con formazioni di non lontane località aventi la medesima posizione stratigrafica e ben caratterizzate dai fos- sili. I calcari grigi, verdastri e rosei del M. Orello, sottostanti al num- mulitico, presentano stretta analogia colle indicate rocce continentali spettanti alla creta superiore; li riferisco quindi, fino a prova in con- trario, a quel piano. La formazione ftanitico-diasprina, che loro succede in basso, trova allora corrispondenza in una formazione identica della Val di Nievole e della parte N. 0. delle Alpi Apuane, ove il mio col- lega ing. Zaccagna rinvenne fossili in parte neocomiani, in parte ti- toniani 3. I calcari cretacei del M. Orello sono poi quelli stessi che compa- 1 Vom Ratti, Die Insel Elba, Zeits. d. deut. geol. Gessells. 1870. — Cocchi, Desc. geol. delV Isola d'Elba. Meni, comit. geol. d'Italia, 1871. 2 II prof. Pantanelli sta studiando le radiolarie che compariscono in copia in questi diaspri. 3 Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., marzo 1882, p. 107. — 192 — riscono presso il Falcone a Portoferraio e in tutto il versante ovest della parte orientale dell’isola dal M. Castello al Capo della Yite. Essi vengono utilizzati in più punti per la fabbricazione di buona calce idraulica. La seguente sezione alla scala di 1: 25000 per le orizzontali e per le verticali, mostra chiaramente i rapporti di posizione del nummulitico colle rocce eoceniche e coi calcari dell’Orello, non che quelli delle pre- dette rocce sedimentarie con quelle ofiolitiche. Essa può riguardarsi come una sezione naturale e tale si presenta infatti dai monti prossimi del Capo Stella. iaco. — Preso Subiaco si coltiva un giacimento di travertino che per quanto limitato fornisce un materiale gì bellissima qualità che serve anche a lavori scultorii. In causa della qualità di- stinta, alcuni massi di questo materiale vengono persino portati a Roma malgrado la grande distanza e le difficoltà del trasporto. Infatti la di- stanza da Subiaco a Roma è di circa 70 chilometri, dei quali 40 circa, fra Subiaco e Tivoli, devono necessariamente percorrersi su strada or- dinaria. La produzione di questa cava è in conseguenza molto limitata e può essere di un centinaio di me. all’anno. Il valore di questo tra- vertino reso a Subiaco è di circa 45 lire il me. In quelle località vi sono anche altre cave di travertino, ma d’importanza minore, perchè danno materiale molto leggero e cavernoso. Cave di Fereutìno. — Presso Perentino, nella valle del Sacco, vi è un giacimento di travertino nel quale sono pure praticate alcune piccole escavazioni che forniscono qualche poco di materiale per le costruzioni edilizie di Prosinone, per la manutenzione delle strade circonvicine e per qualche costruzione rurale. 11 travertino che se ne estrae nelle parti superficiali è poco compatto, di color cenerognolo e molto caver- noso; nelle parti più basse però acquista maggiore compattezza ed omo- geneità e lascierebbe sperare che sotto il piano attuale di lavorazione possa trovarsi migliore. La principale di queste cave è situata a fianco della strada che da Supino va alla stazione di Ferentino. Un’altra meno lavorata si trova a circa 200 metri da questa ed appartengono ambedue al marchese Fioravanti di Prosinone. — 207 Altri piccoli scavi sono aperti vicino alla strada provinciale Casi- lina, a pochi chilometri da Ferentino. La stazione di Ferentino dista 89 chilometri da Roma. 11 travertino della Sgurgola, poco favorevolmente conosciuto in Roma, appartiene a questo giacimento. Cave di Cisterna. — Nel giacimento di Cisterna sono pure aperti piccoli scavi, ma per la mancanza di smercio del materiale non sono quasi mai lavorati. Il travertino vi è anche di colore oscuro; non essen- dovi i lavori abbastanza sviluppati non si può giudicare della sua qualità. La distanza di queste cave da Velletri è di circa 15 chilometri. Cave di Civitavecchia. — Queste cave si trovano a circa 5 chilo- metri dalla stazione . di Civitavecchia presso le sorgenti delle acque minerali nel luogo detto la Ficoncella e presso gli antichi bagni Traiani. Il travertino però ne è di qualità assai scadente sia pel colore oscuro- grigiastro, sia per la poca compacità che esso presenta. Cave di Orvieto o di Castiglione. — Fra Castiglione ed Orvieto, sulle sponde del Tevere, vi sono anche depositi di travertini nei quali sono aperte alcune cave, come presso Tor di Monte. Il travertino dei giacimenti di Orvieto è di qualità assai pregevole e servì in parte nella costruzione di quella cattedrale. Il prezzo di questo materiale reso alla stazione sarebbe di circa 35 lire. La distanza da Orvieto a Roma è di 125 chilometri. Cave di Perugia. — Le cave dette di Perugia si trovano presso la stazione di Ellera. Il travertino di una di quelle cave situato nella lo- calità detta Sodi di S. Sabina, di proprietà del sig. Ermogene Bartoc- cini, fu adoperato in alcune costruzioni militari a Terni e riconosciuto di buona qualità e di più che comune resistenza allo schiacciamento. Fu adoperato pure in alcune costruzioni in Roma. Dall’esame dei cam- pioni inviati dal Bartoccini risulterebbe che questo materiale non può competere nè per colore nè per omogeneità e compattezza di tessitura con molti altri che sono anche più a portata. La stazione di Ellera dista da Roma non meno di 215 chilometri. Giacimento di <*. Severa. — Fra le stazioni di S. Severa e di Fur- bara sulla linea di Civitavecchia e verso il casale del Sasso vi è un giacimento di travertino che per quanto inesplorato pare trovarsi in buone condizioni per estrarne materiale ad uso delle costruzioni di Roma. Po- trebbero aprirvisi cave a distanza di soli due chilometri dalla stazione di S. Severa la quale non dista dalla stazione di S. Paolo presso Porta Portese che di chilometri 54. 11 travertino di questo giacimento di colore giallognolo chiaro, pare essere di buona qualità, compatto e di pasta omogenea. 20S — Cave e giacimenti diversi. — Oltre le cave precedentemente men- zionate, altre ne esistono di minore importanza presso Civita Castellana. Attigliano, Ceprano, ecc. Molti altri giacimenti si trovano pure nella campagna romana, come presso Leprignano, sotto Cretone, a ‘Vicovaro, presso Torrimpietra e Casteldiguido e anche ai Monti Parioli alle porte di Roma: ma questi giacimenti di estensione molti limitata non offrono travertino di sufficiente coesione per poter servire come materiale da costruzione. Considerazioni generali sui prezzi di scavo, (aglio, lavorazione e trasporto. — Nell’esame fatto delle diverse cave ci siamo astenuti dallo entrare in considerazioni particolari sui prezzi di costo del taglio, della lavorazione e del trasporto, per l’ incertezza delle notizie che a tale ri- guardo si possono attingere dai coltivatori. Indicheremo tuttavia alcune cifre che applicate con criterio alle circostanze dei diversi giacimenti, permetteranno di determinare in ogni caso il costo del materiale dato a piè di opere in Roma. Si può ritenere che il costo dello scavo, taglio e sbozzatura alle cave varii da 20 a 30 lire per metro cubo a seconda della posizione più o meno favorevole delle fronti di taglio, delle piazze e della qua- lità del materiale. Il trasporto per strada ordinaria con carri a buoi varia da L. 1 a L. 1.25 per metro cubo e per chilometro. 11 trasporto per ferrovia ordinaria varia da 12 a 30 cent, per metro cubo e per chilometro corrispondendo il prezzo unitario minore alle di- stanze di circa 200 chilometri ed il maggiore alle distanze di una ven- tina di chilometri, come è ad esempio per la stazione dei Bagni di Tivoli. Il prezzo pel trasporta in tramvia può ritenersi di circa 35 cente- simi per metro cubo e per chilometro. Ai prezzi suaccennati bisogna aggiungere da L. 1.50 a 2.50 per metro cubo per ogni carico e scarico a seconda delle dimensioni dei pezzi e dei meccanismi di cui si dispone. La spesa di lavoratura in cantiere varia anche a seconda del ma- teriale di cui si tratta. Per i pezzi occorrenti nel rivestimento dei mu- raglioni del Tevere può ritenersi di L. 16 per metro cubo. La posizione in opera poi varia anche moltissimo a seconda delle circostanze e del genere del lavoro. Nei lavóri del Tevere si ritiene di L. 6 a 7 per metro cubo. Saggi chimici, fisici e meccanici su diversi campioni di travertino. — Purono assoggettati a tali saggi i travertini di undici cave compresi 209 — quelli delle cave di Tivoli già note per la buona qualità dei loro pro- dotti onde più sicuro riuscisse il giudizio che dal confronto dei risul- tati si sarebbe potuto desumere sulle loro proprietà ed attitudini. Gli esperimenti che si trovò opportuno di ordinare furono i seguenti : Esperimenti chimici e fìsici: 1° Analisi chimica colla descrizione del processo tenuto nel do- saggio dei diversi componenti indicando specialmente se ed in quali proporzioni ciascun campione contenesse argille mescolate, silice sia in- solubile sia gelatinosa, solfati, fosfati, -^cc.; 2° determinazione del peso specifico della materia indipendente- mente dalle cavità della massa e determinazione del peso dell’unità di volume comprese le dette cavità ; 3° determinazione del potere igrometrico comparativo dei vari! campioni ; 4° determinazione della facoltà di imbibizione nell’acqua ; 5° ricerche sulla resistenza alla disgregazione per effetto del gelo, col processo Brard; 6° ricerche sulla resistenza alla disgregazione per effetto della salsedine; 7° ricerche sull’adesione relativa colle malte e coi cementi. Esperimenti meccanici : 1° Determinazione della resistenza allo schiacciamento ; 2° ricerche sulla resistenza al taglio colla sega ; 3° ricerche sull’attitudine relativa alla lavorazione collo scalpello a spigolo vivo. Le cave da cui provennero i campioni saggiati sono i seguenti: 1° Tivoli — Fosse — Cava Fumaroli. 2° Id. — id. — id. De Lellis. 3° Id. — Villa Adriana — Cava Betti. 4° ld. — Caprine — Cava Pietrilli. 5® Id. — ld. — Id. Bellucci. 6f> Id. — Id. — ld. Fioravanti. T Fi ano — Cava del Porto. 8° Id. — Id. S. Sebastiano. 9° Orte — Cava alla Mola di Bassanello» 10,) Id. — Id. alla Macchia Soprana. 11* Magliano — Cava Biozzi. 15 — 210 Gli assaggi chimici e fisici furono fatti dal prof. Del Torre dello Istituto tecnico di Roma, gli esperimenti sulla resistenza allo sciaccia- mento dal prof. Clericetti dell’istituto tecnico superiore di Milano e le prove di lavorazione alla sega ed allo scalpello furono eseguite sotto la direzione del cav. Zucchelli ingegnere capo dell’ ufficio tecnico del Tevere. Riassumiamo qui brevemente i risultati di tali ricerche ed espe- rimenti. inalisi citi mica. — Considereremo i risultati dell’analisi chimica sotto due diversi punti di vista ; prenderemo cioè anzi tutto come tipo i travertini delle cave delle Fosse riconosciuti già per lunga esperienza come soddisfacenti e cercheremo quali dei campioni esperimentati più si approssimino alla composizione di quelli; considereremo poi i risultati dell’analisi razionalmente, confrontando le proporzioni relative dei com- ponenti dei varii campioni che possono essere utili o pregiudicevoli alla loro qualità. Per venire al primo ordine di considerazioni stabiliamo anzitutto la composizione del travertino-tipo delle cave delle Fosse e perciò pren- diamo la media composizione dei travertini della cava Fumaroli e della cava De Lellis. Avremo: Materia insolubile nell’acido cloridrico . . 0,024 Anidride silicica solubile 0,637 Id. carbonica ...... 43,251 Id. solforica 0,338 Ossido di alluminio 0,409 Id. di calcio 54,740 Id. di magnesio 0,360 Perdite 0.241 100,000 Confrontando il complesso dei risultati delle analisi dei varii cam- pioni coi precedenti componenti possiamo stabilire la seguente classifi- cazione : 1° Orte — Macchia Soprana. 2° Tivoli — Villa Adriana. 3° Caprine — Pietrilli. 4’ Magliano — Biozzi. 5° Caprine — Fioravanti. 6° Orte — Mola di Bassanello. — 211 — T Fiano — Porto. 8° Caprine — Bellucci. 9° Fiano — S. Sebastiano. Per stabilire ora la classificazione dei campioni in base alle pro- porzioni dei loro componenti favorevoli o sfavorevoli, riterremo che siano componenti favorevoli: 1° il carbonato di calcio puro ossia ciascuno de’ suoi componenti, anidride carbonica e ossido di calcio, perchè questo composto costituisce propriamente il travertino puro; 2° la silice solubile perchè questa sostanza contribuisce essenzial- mente all’ indurimento del travertino dopo che esso è posto in opera senza renderne difficile la lavorazione in cava e nei cantieri. Riterremo invece essere componenti sfavorevoli ; 1° la materia in- solubile ; 2° l’acido solforico ; 3° l’ossido d’alluminio per ragioni evidenti. Fondandoci su questi criterii e tenendo conto delle proporzioni relative dei detti componenti in ciascun campione arriviamo alla seguente clas- sificazione in ordine di pregio : 1° Fosse — De Lellis. 2° Magliano — Biozzi. 3° Tivoli — Villa Adriana. 4° Orte — Macchia Soprana. 5° Caprine — Pietrilli. 6° Fiano — S. Sebastiano. 7° Fosse — Fumaroli. 8° Caprine — Fioravanti. 9° Fiano — Porto. 10° Caprine — Bellucci. 11° Orte — Mola di Bassanello. Componendo ora le due precedenti classificazioni ne deduciamo una classificazione unica dei campioni in base ai resultati dell’analisi chi- mica come segue : 1° Fosse — De Lellis. 2° Orte — Macchia Soprana. 3° Tivoli — Villa Adriana. 4° Fosse — Fumaroli. 5° Magliano — Biozzi. 6° Caprine — Pietrilli. 7° Caprine — Fioravanti. 8° Fiano — S. Sebastiano. 9° Fiano — Porto. — 212 — 10° Orte — Mola di Bassanello. 11° Caprine — Bellucci. I®es© specilli o e peso di volume. — Classifichiamo ora i nostri cam- pioni in ordine crescente di peso specifico (ottenuto dividendo il pesa assoluto per la perdita di peso nell’ acqua dopo 24 ore d’ immer- sione) ; 1° Fosse — De Lellis 2.457 2° Id. — Fumaroli 2.469 3° Caprine — Fioravanti .... 2.481 4° Orte — Macchia Soprana .... 2.491 4P Magliano — Biozzi 2.497 6° Fiano — S. Sebastiano .... 2.520 7° Caprine — Pietrilli 2.527 8° Orte — Mola di Bassanello 2.532 9° Fiano — Porto 2.543 10° Tivoli — Villa Adriana .... 2.549 11° Caprine — Bellucci 2.640 Facciamo ora la classificazione in ordine crescente di peso di vo- lume (ottenuto dividendo il peso' assoluto per la perdita di peso nel- l’acqua dopo 24 ore d’ immersione aumentata del peso dell’acqua assor- bita nello stesso tempo) avremo : 1° Fosse — De Lellis ..... 2.323 2° Caprine — Fioravanti .... 2.356 3° Fosse — Fumaroli ..... 2 402 4° Magliano — Biozzi 2.422 5° Fiano — S. Sebastiano .... 2 424 6° Orte — Macchia Soprana .... 2.439 7° Fiano — Porto ...... 2.452 8° Caprine — Pietrilli ..... 2.453 9° Orte — Mola di Bassanello 2.459 10° Tivoli — Villa Adriana .... 2.485 11° Caprine — Beliucci 2.563 Queste due ultime classificazioni in vero non offrono grande inte- resse. Ciò effe costituisce il vero pregio della struttura molecolare del travertino è la sua tessitura minutamente spugnosa e sono ugualmente pregiudicevoli in esso le grandi cavernosità e le concrezioni di troppa compattezza. Coi dati precedenti però potremo renderci conto di questa qualità nei varii campioni effe si considerano, ammettendo che, salvo il caso di struttura anormale, la bucherellatura dei travertini sia tanto più minuta ed omogenea quanto più si avvicina all’unità il rapporto* — 213 — fra il peso di volume ed il peso specifico. Calcolando tali rapporti e classificandoli in ordine decrescente, avremo : 1° Orte — Macchia Soprana . 0.979 2° Tivoli — Villa Adriana . 0.974 3° Fosse — Fumaroli 0.972 4° Orte — Mola di Bassanello 0.971 5° Caprine — Pietrilli . 0.970 6° Caprine — Bellucci . 0.970 7° Magliano — Biozzi . 0.969 8" Fiano — Porto .... 0.964 9° Fiano — S. Sebastiano 0.961 10° Caprine - — Fioravanti 0.954 11° Fosse — De Lellis 0.945 Potere igrometrico. — Il travertino puro, cioè il carbonato calcareo concrezionato, non è sensibilmente igroscopico ; sono le materie etero- genee interposte nella sua massa e le parti decomposte che possono co- municargli una particolare attitudine ad assorbire il vapore acqueo dell’atmosfera. Ne abbiamo una prova nelle esperienze fatte sui nostri campioni dei quali 5 non diedero segni di igroscopici, cioè quelli delle cave Fumaroli alle Fosse, di Villa Adriana, di Pietrilli alle Caprine, della Mola di Bassanello e della Macchia Soprana. Sotto questo punto di vista quei travertini non lasciano dunque nulla a desiderare. Quelli che accusarono qualche potere igrometrico furono in ordine crescente i seguenti : 1° De Lellis . 2° Fioravanti 3° Magliano . 4° Beliucci . 5° Porto di Fiano 6° S. Sebastiano . ■ appena sensibile, j dall’ 1 al 3 p. 0[0* | dal 4 al 5 p. 0[Q. Solo i travertini di queste due ultime cave sono dunque, sotto questo riguardo, in condizioni sfavorevoli. Facoltà di imbibizione. — La facoltà di imbibirsi d’acqua restando per qualche tempo immersi in essa deve essere presso a poco propor- zionata alla porosità o bollosità, ossia ai rapporto del peso di volume al peso specifico già determinato per i nostri campioni. La classifica- zione dù questi in ragione crescente della facoltà d’imbibizione risultò dalle esperienze fatte come segue, espressa dal peso dell’acqua assorbita per 100 del materiale asciutto : — 214 — 1° Macchia Soprana .... 8.55 2° Villa Adriana .... . 10.21 3° Fumaroli (Fosse) .... . 11.25 4° Bellucci. ..... . 11.40 5° Mola di Bassanello . 11.59 6° Pietiilli . 11.86 7° Magliano ..... . 12.33 8° Porto di Piano .... . 14.67 9° S. Sebastiano .... . 15.81 IO9 Fioravanti ..... . 21.34 11° De Lellis . 23.81 Come si vede questa serie corrisponde abbastanza bene a quella sopra riferita dei rapporti del peso di volume al peso specifico e si può ritenere Funa come la conferma dell’altra. Gelività. — Si sa per esperienza che il travertino è immune dal difetto della gelività; tuttavia questo inconveniente si può produrre nei travertini impuri. I risultati delle prove fatte sulla gelività dei cam- pioni dei quali ci occupiamo, dovranno per conseguenza corrispondere presso a poco a quelli trovati nei saggi sulla igroscopicità. Per rapporto alla gelività di classificazione dei nostri campioni ri- sulta come segue, espressa dal peso della materia staccatasi per 100 del campione sperimentato : 1° Caprine — Beliucci . 1.099 2° Or te — Mola di Bassanello / , . 1.207 3° Tivoli — Villa Adriana . 1.392 4° Fosse — Fumaroli 1.433 5° Orte — Macchia Soprana. 1.474 6° Fosse — De Lellis 1.531 7° Caprine — Fioravanti 1.609 8° Fiano — S. Sebastiano 1.817 9° Caprine — Pietrilli . *.452 10" Magliano — Biozzi * 2.725 11° Fiano — Porto .... 3.626 Confrontando questi risultati con quelli trovati riguardo all’ igro- scopicità ci si vede una certa corrispondenza : le anomalie devono es- sere principalmente dovute al fatto che Y igroscopicità si esercita in tutta la massa, mentre la gelività spiega il suo effetto specialmente sulla su- perficie. Resistenza al salso. — Si sapeva che i travertini resistono gene- ralmente assai bene alla salsedine delle acque marine. Nelle esperienze 215 — fatte sui nostri campioni per determinare l’attitudine comparativa dei medesimi ad essere adoperati nelle costruzioni sottomarine non si potè giungere ad alcun risultato attendibile, poiché come è naturale tali esperienze richiederebbero per essere concludenti un tempo lunghis- simo ; dei resto tali ricerche sarebbero riuscite quasi superflue per il nostro scopo. Adesione al g-esso ed ai cemento. — Benché gli esperimenti per la determinazione della forza di adesione dei nostri travertini al gesso, e al cemento non si possono ancora considerare come definitivi ; sarà tut- tavia opportuno farne un breve cenno. Fu dimostrato anzi tutto dagli esperimenti fatti che la forza d’adesione è maggiore pel gesso che pei cemento, per cui nei casi in cui debbansi fare stuccature sul travertino situato al coperto ed in ambiente asciutto converrà servirsi esclusivamente di gesso. Dopo ciò riferiremo in ordine decrescente le cifre trovate fa- cendo notare che per alcune difficoltà incontrate neH’esecuzione degli esperimenti le medesime non possono ancora accettarsi con intera si- curezza: Adesione per centimetro quadrato al gesso al cemento r Fioravanti . . . Kg. 9.375 1° Pietrilli .... Kg. 5.880 2* De Lellis. . . . » 8.768 2° Fioravanti . . . » 5.756 3° Fumaroli .... » 8.662 3* Fumaroli .... » "5.600 4n Magliano. . . . » 7.825 4* De Lellis. . . . » 5.081 5° Macchia Soprana. » 7.506 51 Macchia Soprana. » 4.168 6° Pietrilli .... » 6.837 6° Magliano. . . . » 3.500 V S. Sebastiano . . » 5.375 7° Villa Adriana . . » 2.600 8" Villa Adriana . . » 5.C37 8° Mola di Bassanello » 2.377 9* Porto di Fiano. . » 5.037 95 Bellucci .... » 2.200 10° Mola di Bassanello » 4.700 10’ S. Sebastiano . . » 1.706 11° Beliucci .... » 3.975 11° Porto di Fiano . » 1.275 Inesistenza allo schiacciamento. — Il risultato delle esperienze fatte chilogrammi la carica minima per cent. quad. capace di produrre lo schiacciamento dei travertini esperimentati : 1° Macchia Soprana .... J£g. 498.15 2° Magliano ...... » 454.24 3" Bellucci .... » 390.47 4* Porto di Fiano ... » 372.30 — 216 — 5° Fioravanti . W qq 364.77 6® Pietrilli » 353.01 7° S. Sebastiano » 344.38 8° Mola di Bassanello . » 336.59 9° Fumaroli. . » 328.71 10* Villa Adriana . » 279.24 11° De Lellis . » 223.38 Così i limiti fra cui varia tale resistenza nei campioni saggiati sa- rebbero da 498 kg. pel travertino della Macchia Soprana a £28 per quello della cava De Lellis. Essendo stato tenuto conto anche del carico di prima rottura si sarebbe trovato che il rapporto medio fra la resi- stenza alla prima rottura ed allo schiacciamento completo sarebbe come 67 a 100, ossia presso a poco come 2 a 3, che corrisponde a quanto si sa delle generalità dei materiali litoidi. Notiamo intanto che le cave delle Fosse e di Villa Adriana sono quelle che danno il travertino di resistenza minore, quello delle Caprine ha una resistenza media e quello della Macchia Soprana ha resistenza massima. 11 travertino della Macchia Soprana presenta poi le particolarità di schiacciarsi senza dare indizio di rottura sotto una carica minore. Resistenza al tagli® sotto la sega. — Le esperienze per la deter- minazione della difficoltà relativa a produrre colla sega il taglio dei travertini che si considerano, furono fatte sotto la direzione dell’ inge- gnere Nicola Coletta, addetto all’ufficio del Tevere e diedero i seguenti risultati in ordine crescente di resistenza : V Macchia Soprana 2h-50r 2° Pietrilli . 3. 30 3’ Fioravanti ....... 3. 42 4° Fumaroli e De Lellis 3. 55 5° Villa Adriana . . . . . . 4. 04 6} S. Sebastiano 4. 18 7° Mugliano 4. 27 8° Mola di Bassanello 4. 40 9° Bellucci 5. 16 10° Porto di Piano 5. 16 I numeri surriportati esprimono in ore e minuti il tempo che oc- corse per segare un masso di travertino su di una sezione di m. 0,60 di lunghezza per m. 0,30 di larghezza operando il taglio normalmente alle falde. Attitudine alia lavorazione a spig-ol© vivo collo scalpello. — Queste esperienze furono fatte eseguire per cura dell’ufficio del Tevere da un — 217 — abile scalpellino di confidenza. Tenendo conto delle osservazioni compa- rative contenute nella relazione fattane dallo scalpellino stesso, crediamo poter stabilire la classificazione dei travertini sperimentati in ordine di attitudine alla lavorazione a scalpello come segue : 1° Macchia Soprana. 2° Mola di Bassanello. 3° Fumaroli j 4° De Lellis / ,. 5* Fioravanti i dl pre§10 presso a poo° eSuale- 6° Pietrilli 7a Magliano. 8° Villa Adriana. 9° Bellucci. 10° Porto di Fiano. 11° S. Sebastiano. Esame mineralogico. — Per completare lo studio dei campioni di cui trattasi aggiungiamo il risultato dell’esame mineralogico fattone mettendone sopratutto a confronto il relativo pregio rispetto al colore ed alla struttura. Rispetto al colore le gradazioni variano dal bianco candido al giallo-rossigno e relativamente alla struttura le variazioni vanno dalla minutamente spugnosa, quasi compatta, omogenea, esente di cavernosità e di peli, alla irregolarmente bucherellata con cavità di grandezza variabile inegualmente sparse, falde di compacità e tessi- tura diversa e poco aderenti od anche aperte. Le classificazioni cui siamo pervenuti in ordine di pregio sono le seguenti : Colore: 1° Macchia Soprana T Fumaroli 3‘ De Lellis 4° Fioravanti 5° Pietrilli 6° Villa Adriana 7° Mola di Bassanello 8° S. Sebastiano 9° Bellucci 10° Porto di Fiano 11° Magliano. Struttura : 1* Macchia Soprana 2} Villa Adriana 3° Magliano 4° Bellucci 5° Fumaroli 6° Fioravanti 7° De Lellis 8* Pietrilli 9° S. Sebastiano 10" Mola di Bassanello 11* Porto di Fiano. Riassunto delle osservazioni ed esperimenti sui cani|ti«n’. — Se Ol’a ci si chiedesse che tenendo conto delle osservazioni ed esperienze pre- — 218 — cedentemente accennate facessimo una classificazione generale in ordine di pregio dei campioni studiati, risponderemmo che la cosa non è pos- sibile nè plausibile se non è noto l’uso speciale cui il materiale è de- stinato. Secondo gli usi diversi conviene dare diverso valore all’una od all’altra delle proprietà. Pel rivestimento dei muraglioni del Tevere, per esempio, la bellezza della colorazione è meno importante della omoge- neità e compacità di struttura. Crediamo però bene astenerci dal dare una classificazione generale in ordine di pregio dei nostri campioni anche limitatamente all’uso speciale nei lavori del Tevere, perchè altri sarebbe inclinato ad attri- buire alla medesima maggiore importanza di quanto possa realmente avere trattandosi di campioni che possono non rappresentare esatta- mente il materiale delle varie cave. Sarà più sicuro il giudizio di chi fondandosi sulle varie considerazioni esposte, procederà alla scelta delle diverse qualità applicando le sopradette nozioni ai campioni che devono servir di base alle particolari forniture. Ci limitiamo pertanto a fare dei campioni esaminati una classifi- cazione in cui si ha egualmente riguardo a ciascheduno dei risultati suindicati dando ad ognuno di essi egual valore e determiniamo tale classificazione tenendo semplicemente conto del posto che ciascuno dei campioni occupa nelle classificazioni parziali. Si perviene così al se- guente risultato : 1° Macchia Soprana; 2* Fumaroli (Fosse); 3° Villa Adriana; 4° Pietrilli; 5° Fioravanti ; 6° De Lellis ; 7° Mola di Bassanello; 8° Magliano; 9° Beliucci ; 10° S. Sebastiano ; 11° Porto di Piano. Conclusione. — Biassumendo le osservazioni e le considerazioni precedenti possiamo trarne le seguenti conclusioni: 1° — I travertini della campagna romana e delle località circostanti si formarono tutti in condizioni analoghe per la precipitazione tumul- tuosa del carbonato di calce in seno alle acque contenute in bacini più o meno estesi a misura che venendo esse acque a contatto dell’ atmo- sfera, in causa del loro movimento si sprigionava l’acido carbonico il quale — 219 era stato l’agente che aveva loro permesso di caricarsene nell’attraver- sare le formazioni calcaree preesistenti. Anche l’evaporazione può aver contribuito alla precipitazione del carbonato di calce. L’acido carbonico che aveva impartito alle acque alimentatrici dei bacini travertiniferi la facoltà di sciogliere il calcare, proveniva da emanazioni mofetiche dei terreni vulcanici nei quali le dette acque avevano circolato. L’epoca in cui si formarono i grandi depositi di travertino propria- mente detto è quella che accompagnò in parte e seguì immediatamente la deposizione dei tufi vulcanici della campagna romana. Tuttavia anche posteriormente si formarono travertini alla parte superiore dei bacini stessi di mano in mano che questi si restringevano per la diminuzione delle acque affluenti, ma in proporzioni molto meno considerevoli e colla produzione d’un materiale più cavernoso e leggero e non adatto agli usi di pietra da taglio (i così detti tartari), spesso concrezionati in- torno alle erbe e canne palustri. Ciononpertanto ogni bacino può con- tenere banchi di travertino di buona qualità e per l’analogia delle formazioni non si può, a priori, stabilire se il travertino dell’uno sarà migliore di quello dell’altro, quantunque spesso la conoscenza del cal- care, dalla cui dissoluzione il travertino prese origine, lasci arguire qualcheduna delle qualità del travertino dei varii giacimenti, special- mente quanto al colore e alla chimica composizione. 2° Le condizioni attuali delle varie cave esaminate si mostrano assai diverse dall’una all’altra, sia per la disposizione ed andamento dei banchi in coltivazione, sia per la qualità del materiale, e ciò per una parte rende più o meno facile il taglio, il distacco e l’estrazione, e per l’altra parte dà maggiore o minore sicurezza di ricavarne in condizioni normali materiale adatto all’uso delle costruzioni. Sotto questo riguardo le cave più favorite sono quelle del bacino di Tivoli, di Orte e di Magliano. Le cave di Fiano e di Monterotondo, come quelle di Ferentino, di Civitavecchia e di Cisterna, non offrono fronti scoperte atte a garantire una produzione corrente ed in quantità ragguardevole di materiale soddisfacente. Non si esclude con ciò che in queste cave, con lavori ulteriori di preparazione, si possa pervenire a mettere a scoperto buone ed estese fronti di taglio ; ma nello stato attuale la cosa non è accertata. In alcuni altri punti, come a S. Severa (fra Palo e Civitavecchia) e Tor di Monte (fra Castiglione ed Orvieto) a S. Sabina (fra Edera e Perugia) furono segnalati giacimenti, e nelle due ultime località anche cave aperte che potrebbero concorrere alle forniture pei lavori del Tevere e per altre costruzioni in Roma; ma non è possibile portarne sicuro giudizio, perchè o non vi furono fatti ancora — 220 — lavori sufficienti di scoprimento, o non sono sufficientemente note le qualità del materiale. Nello stato attuale conviene limitarsi a indicare come ammissibili le prime nominate, cioè del bacino di Tivoli, di Orte e di Magliano, ed anche quelle di Fiano e le altre ogniqualvolta, a cura dei coltivatori, sieno messe in evidenza buone ed estese fronti di taglio. Le condizioni di dette cave relativamente alla facilità dell’escava- zione, dell’estrazione e dei trasporti del travertino a Roma sono at- tualmente molto diverse. Le più facili ed economiche sono quelle delle cave di Villa Adriana ; vengono quindi quelle delle Fosse e di Orte e successivamente quelle delle Caprine, ed ultime quelle di Magliano. Tali condizioni però muteranno notevolmente quando sarà aperta la ferrovia Roma-Sulmona, là quale farà certamente passare al primo posto le cave delle Caprine. 3° Come valore intrinseco del materiale delle cave suddette non si dubita di mettere in prima linea il travertino della Macchia Soprana presso Orte, il quale è di gran lunga superiore a tutti per colore, per struttura, per facilità di lavorazione, resistenza, ecc. Oli altri sono va- riamente raccomandabili per proprietà diverse, ma tutti atti ai lavori di rivestimento dei muraglioni del Tevere. Tuttavia, presentando i me- desimi diversi gradi di colorazione, non potrebbero essere adoperati tutti promiscuamente. Per chiarezza di tinte si distinguono i travertini delle Fosse e quelli delle cave Fioravanti e Pietrilli alle Caprine; al- quanto più oscuri sono quelli di Villa Adriana e della cava Beliucci ; vengono ultimi quelli della Mola di Bassanello e di Magliano, i quali hanno colore grigio traente al giallo-perla. Il travertino della cava Fumaroli-Conversi alle Fosse, mentre può benissimo prestarsi a qua- lunque lavoro, è adatto principalmente per la riduzione in tavole, lastre, gradini, stipiti, ecc. alia sega, ed in fatto esso viene quasi per intero smerciato sotto tale forma dopo essere stato lavorato alla segheria che il Fumaroli esercita presso i bagni delle Acque Albule. Per la riduzione in conci e parallelepipedi e per la lavorazione a scalpello è adatto principalmente il travertino di Villa Adriana, delia cava De Lellis alle Fosse e delle Caprine, sebbene questi ultimi presentino non di rado il difetto delle falde aperte e cavità interne, vuote o ripiene di materie eterogenee. Meno soggetti a questo inconveniente ed assai adattati ai lavori del Tevere sarebbero i travertini della Mola di Bassanello e di Magliano, i quali potrebbero essere adoperati insieme per la somi- glianza di colore. 4° E difetto comune a tutti i travertini il contenere nella loro massa ELENCO DELLE CAVE Scala* di 1 a* 500, OOO CARTA DIMpSTRANTE LA SITUAZIONE DEI GIACIMENTI E DELLE CAVE DI TRAVERTINO nella Campagna Romana e dintorni — 221 — cavità alcune volte di notevole grandezza, vuote o ripiene di materie eterogenee, marnose, sabbiose o calcaree, in istato di disgregazione e pulverulenti. Nella lavorazione dei massi tanto alla sega quanto allo scalpello simili cavità o noduli {macchie gessine , cretose, ecc., come dicono gli scalpellini) vengono a scoperto e allora si ricorre alla stuc- catura per farle scomparire o mascherarle. Ad impedire, per quanto possibile, questa frode ed a facilitare le operazioni di ricevimento e di collaudo dei materiali a piè d’opera, si trova opportuno raccomandare che presso le cave che forniscono materiale per conto della R. Ammini- strazione siano sempre delegati sorveglianti in numero sufficiente e che nessuna spedizione di materiale possa essere fatta senza una verifica- zione preventiva alla cava stessa. In tal modo sarà di molto agevolato il compito di chi deve fare il ricevimento definitivo in Roma, nella- quale operazione è naturale che nascano maggiori contestazioni per parte dell’imprenditore e forse anche maggior tolleranza per parte degli agenti al ricevimento quando si tratta di materiale già caricato delle spese di trasporto. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. E. Nicolis. — Note illustrative alla Carta geologica della provincia di Verona . — Verona, 1882. L’egregio Autore, già noto per precedenti lavori geologici sulla pro- vincia veronese 1 ha ora con questo nuovo lavoro portato un efficace contri- buto alla geologia e paleontologia di quella regione. In esso, esponendo con maggior sviluppo e dettaglio i risultati degli studi precedenti, si estende a tutti i terreni che affiorano nella provincia studiandone l’orogenesi e la tettonica degli strati. Descritti dapprima i confini, la orografia e la idrografia /Iella pro- vincia e dato urf cenno sulla litologia, imprende lo studio del sistema giurese. 1 Note sulle formazioni eoceniche comprese fra le valli d’Adige, quella d'Xllasi ed i Lessi ni. — Cronaca Alpina. — Verona 1880. Sistema liasico-giurese della provincia di Verona. — Verona 1881. — 222 — In esso distingue: 1° Le dolomie che rappresentano i prodotti marini più antichi che affiorano nella provincia. Sono rocce generalmente cristalline, grossolane, saccaroidi, bian- castre, rosee, rosse o brune, e non presentano che rari resti organici (Pecten sp. e i generi Terabratala. Waldheimia e Spiri fer) e non va- levoli a determinarne decisivamente il valore stratigrafico. Esse si veg- gono sul crinale di Monte Baldo, affiorano nell’alta valle dell’Adige con leggera pendenza, ed in quella dell’Illasi, dove s’innalzano con rapido •sviluppo a formare il gruppo della Posta, il Monte Porto e lo Spitz. La loro potenza massima apparente è di circa 700 metri. Queste dolomie unitamente ad esigui banchi oolitici chiari compatti e spesso ceroidi sono ritenute Basiche. 2° Una serie di strati sovrapposti alle dolomie che in complesso sono denominati calcari grigi finitici. Essa è così composta: Ooliti bianche e calcari chiari compatti. Calcari aspri bronzini selciosi, calcari cerulei e grigi, o chiari com- patti ed oolitici. Calcari cerulei bituminosi, scliisti cerulei, marne ed argille bitu- minose, ligniti, calcari biondi, grigi, od ooliti chiare e calcari com- patti. Calcari grigi, cerulei e biondi compatti. Formano il fondo a quasi tutte le valli alpine con una potenza di circa 250 metri. Questa serie è caratterizzata dai fossili seguenti: Lithiotis problematica Giimb., Terebratula Rotzoana Schaur., T. Re- nieri Cat., Megalodus sp. (Megalodus pumilus Ben.) Perna ( Gervillia ) inirabilis Leps. etc., e da una splendida flora illustrata dal De Zigno. Intorno alla posizione stratigrafica di questa serie l’Autore cita le diverse opinioni controverse, secondo le quali questi calcari grigi sareb- bero da ascriversi al piano Toarciano, ovvero al Bajociano, al Batho- niano, all’Oolite inferiore, al Dogger inferiore, al Giura bruno, al Lias, ecc. 3° Calcari gialli oolitici in banchi potenti sovrapposti e concordanti coi precedenti. Essi petrograficamente non ne sono decisamente distinti, cd inoltre i crinoidi che hanno sede in questa serie già preludiano nella precedente, e la Lithiotis problematica dei calcari grigi persiste pure nei calcari oolitici. Questi, senza stratificazione apparente, formano quasi per intero le pareti scoscese, nude e cavernose delle valli superiori. Vi sono abbondantissimi gli steli di Pentacriniti e sono pure ricchi di — 223 — Rynehonelle , fra le quali predominano la R Clesii Leps., ed eleganti Cidariti. Nelle assise superiori vi fu rinvenuta la fauna ad Harpoceras Mur- chìsonae Sow. e la Posidononya alpina Gras. Questa serie ha una potenza rilevante nella parte occidentale della provincia (circa 170 metri) mentre va riducendosi e perdendosi verso oriente, lo che si verifica anche per la serie sottostante dei calcari grigi. A seconda delle varie scuole anche questa serie viene raccordata a diversi piani stratigrafici. Questi tre gruppi vengono dall’Autore compresi sotto la denomina- zione di Giura-lias in attesa di studi più completi e definitivi. Nel Giura superiore distingue tre piani: 1° L’Oxfordiano con calcari marmorei e corallini, schisti selciferi incarnati a Belemnites e con la zona a Peltoceras transversar inni Quenst. Questo piano succede alla serie dei calcari oolitici con un limite non bene determinato e con vario abito petrografia; vi persistono ancora per poco i fossili proprii dei calcari oolitici, ma è però caratte- rizzato dal Peltoceras transversarium. In esso si comprendono i calcari ammonitici rosei, giallastri, chiari, cloritici. 2° 11 Kimmeridgiano o zona ad Aspidoceras acantìiicum con traccia del suo livello inferiore ad Oppelia tenuilobata. Le esigue assise di questa zona, subordinate alle titoniche, formano i banchi di mezzo a struttura più regolare dei calcari nodulosi man- dorlati rossi, bianchi, gialli, cloritici e screziati del giura superiore. 3' 11 Titonico (Diphyakalk) zona a PJiylloceras ptycoicum, ecc. Esso presenta ampii affioramenti ed una ricca fauna caratteristica. La Terebrutala dipìnja vi è rara; abbondantissima invece la sua varietà Catulloi Pict. e comune YApticus punctatus Voltz., vi è pure tra i fos- sili principali il Perisphinctes contiguus Cat., il P. colubrinus Rein., ecc., varii Echinidi , la Terebratula triangulus Lk. ecc. Lo spessore complessivo delle assise calcari di questi tre piani è assai esiguo, da 15 a 40 metri. Si traggono da questi le brecce va- riegate ed i noti marmi varicolori, dei quali Y industria trae tanto profitto. Di tutti questi piani è data una dettagliata descrizione, nella quale l’Autore passa a rassegna le località più importanti ove i diversi piani si presentano, citando i fossili da esso o da altri geologi rinvenuti, notando i rapporti stratigrafici delle varie formazioni, la loro natura lito- logica e facendovi altre interessanti osservazioni. — 224 — Passa successivamente all’esame delle roccie del periodo cretaceo. I sedimenti di questo formano un complesso di circa 150 metri di po- tenza, concordante colla formazione giurese sottoposta, di cui forma la- continuazione benché ne sia modificata profondamente la fauna. Incominciando dalla serie inferiore cretacea l’Autore osserva essere le assise di questa distinte dalle titoniche solo per cri ter ii litologici, non essendosi quivi finora scoperta una fauna neocomiana. Ài banchi supe- riori seguono in alto straterelli di calcare candido a frattura concoide, compatto a grana molto fina e tenero. In alcune località essi subirono insieme alle rocce giurasi un metamorfismo. 1 pochissimi avanzi orga- nici, cioè Belemnites dilatatus Blainw. ed un Echinide affine all’jEfo- leaster cor Schaur. indurrebbero l’Autore ad ascrivere questa formazione al piano neocomiano. A queste assise, alte da 5 a 8 metri, fa seguito un complesso di strati sottili di un calcare biancastro a grana fina con numerosi letti ed arnioni di selce talora metamorfosati dagli agenti meteorici, ed un calcare marnoso giallastro con facile sfaldatura verticale e ricco di selce. Anche queste assise mancano di resti organici, solo vi furono raccolti dall’Autore degl’Inocerami affini all’/, problematicus. Tutta questa serie inferiore cretacea (biancone o maiolica) ove è più potente non raggiunge i 20 metri verticali : essa copre per larga estensione i dossi dei monti più elevati ; in lembi interrotti arriva sul- l’altipiano dei Lessini sino alla cima del monte Sparavier e nella re- gione orientale sino a Campo Eontana. Abbenchè nel territorio veronese manchino le formazioni ippuri- tiche, l’Autore ritiene la creta media vi sia almeno in parte litologi- camente rappresentata, osservando inoltre che non mancano le Rudiste, quantunque ad un livello superiore, cioè nella scaglia rossa. Sopra i sedimenti descritti s’adagiano dei calcari biancastri in lastre costantemente intercalate con letti di marna cinerea cloritica biancastra, assai erosi e ridotti in isfacelo dall’acqua. Yi è talora ab- bondantissima la selce: i fossili assai rari. Sulle lastre di calcare si veggono impronte di fucoidi cilindriche ed ove la marna diviene nera e bituminosa qualche indecisa traccia organica: l’Autore vi trovò una Belemnites sp., tracce ittiolitiche ed impronte di alghe. L’erosione mette a nudo la creta media marnosa, specialmente nell’alta Valpoli- cella, nella valle Negrar-Prun; ne sono poi formate quasi del tutto le colline a sinistra di vai Pantena. L’orizzonte della scaglia rossa (Senoniano) che rappresenta la serie superiore cretacea, è il meglio definito per abito litologico costante e 225 -- per fossili caratteristici. Le sue assise raggiungono talora lo spessore di 35 metri. Il passaggio dalla serie media a questa si compie grada- tamente: gli strati di calcare abbandonano la marna intercalata, pren- dono struttura nodulosa e passano dal color bianco al roseo, al rosso, mantenendosi in lastre che nella parte più elevata però sono assai fratturate e di colore più intenso. Questo piano è costante in tutto il territorio ove le assise eoceniche non furono tolte per denudazione. Le località fossilifere di quest’orizzonte vengono dall’Autore passate a ras- segna citandone i fossili, fra i quali, i più caratteristici, oltre ad avanzi di vertebrati (forse di un sauro ) sono : ammoniti, ippuriti, ino- cerami, la Stenonia tuberculata Defran., YAnanchytes ovata Agas., VA. concava Cat. ecc., ecc. Venendo al gruppo terziario l’Autore osserva dapprima che il con- fine tra il Senoniano e il Nummolitico inferiore è segnate ovunque dalla presenza di prodotti vulcanici o da rocce che ne risentirono l’azione. Cercando di raccordare le serie eoceniche dell’ intera regione ai piani tipici stabititi dagli studii classici per il Vicentino, per il Bolca e Roncà egli divide il sistema in tre grandi zone che prendono il nome dalla distribuzione verticale dei Rizopodi ; e sono : La zona sottoposta ai giacimenti della Nummulites complanata Lk. a N. perforata d’Orb. (orizzonte di Spilecco e membro di Chiampo) ; La zona a N. complanata e N. perforata ove le nummuliti prendono il massimo sviluppo in dimensione e quantità (orizzonte di S. Giovanni ìlarione e Ronca); La zona superiore ai sedimenti contenenti le suddette specie (oriz- zonte di Priabona,). Nella serie inferiore nummulitica comprende gli espandimenti ba- saltici, i tufi e le breccie basaltiche, i letti di argille cloritiche e vio- lacee, il calcare siliceo farinoso in istrato sottile, le marne ed i calcari decomposti, i calcari selciferi; calcari cristallini compatti a piccole num- muliti ( Nummulites Bolcensis M, Ch.,) ad articoli di Bourgueticrinus sp. sd aculei di Cidaris sp. Sopra le argille cloritiche od ai calcari de- composti stanno sovente marne calcaree ad alghe, a Cancer punctu- latus Desm. e a Pentacrinus (P. diaboli Bayan) (Mandriano e Sues- soniano). Nella serie media si hanno potenti strati di calcare ora tenero a grana fina detto Gallina con Panine, rari resti di pesci, N. Heeri e N. subvariabilis d. 1. Harpe, ora eccezionalmente compatto, cariato ed internamente cenerognolo, a piccole nummuliti, oppure calcari marnosi bianchi sfaldabili e senza fossili. Questo insieme si raccorda in parte 16 — 226 alla pesciaia di Bolca ed in parte al membro di Chiampo (Buessoniano di Mayer^). Vengono poi calcari ad alveoline e calcari grossolani in cui co- minciano ad apparire le grandi nummoliti, Conoclypeus campanaefor- mis Dam., Alghe , Castellinie affine a quelle di Monte Postale ed altri Carpoliti (Londiniano di Mayer^). Tengono dietro tufi basaltici e marne ricchissime di fossili del piano di S. Giovanni Barione, per lo più entro straterelli assai sottili e ac- compagnati superiormente da grandi fucoidi. Vi si rinviene V interes- sante gasteropodo Velates Schmidelianus Chem. Seguono in alto potenti banchi di calcare concbigliaceo a grande fauna marina analoga a quella superiore di Roncà, con N. perforata , N. complanata , N. spira , jv. Tchiliatcheffi d’Àrch., Velates Schmidelianus e nidi di Ecbinidi prevalentemente del genere Echinolampas ed Echi - nanthus. Ad un livello stratigrafico intermedio si ha un banco di coralli. La serie superiore consta di marne e calcari marnosi con numero grandissimo di Serpula spirulea Lk., Ostrea Martinsi d’Ach., Schiza- stes rimosus Des., Pecten. Briozoarù Bourgneticr inu sece.; è l’orizzonte di Priabona (Bartoniano di Mayer). Il complesso di questo sistema, nel territorio centrale che arriva sino dentro Verona e sul Monte Baldo ha una potenza verticale di oltre 350 metri. Dati questi cenni generali sul sistema nummulitico, l’Autore passa alla descrizione dettagliata di questo gruppo terziario passando a ras- segna le località più importanti con una lunga enumerazione dei fos- sili ivi rinvenuti. Eiserbandosi di studiar meglio la regione occidentale, e special- mente la zona baldense di assai difficile esplorazione, accenna alla pre- senza di depositi oligocenici (zona a Scutelle) nella parte più elevata del Monte Moscai ed al Monte Baldo, nell’altipiano delle Acque-negre. I fossili rinvenuti in queste località, sarebbero proprii del piano tongriano e forse dell’acquitaniano. Nota pure nella depressione a Nord di Caprino, ove sorge la con- trada di Porcino, un bacino di argille o marne azzurre fossilifere che vennero prima riferite al Pliocene e poi al Miocene. I fossili poco rico- noscibili, la insufficienza dei dati stratigrafici, non che la presenza in sedimenti petrograficamente analoghi di altre località, di forme fossili riferibili al nummulitico superiore, rendevano dubbioso l’Autore sull’oriz- zonte di quei sedimenti. I fossili però rinvenuti benché mal conservati sembrano potersi riferire al Tortoniano. — 227 — Segue la descrizione del sistema glaciale, fluvio-glaciale e postgla- ciale. In èssa l’Autore riferendosi alle importanti pubblicazioni di varii autori su questo argomento, si limita a parlare succintamente del grande rilievo circolare morenico accumulato a mezzodì del lago dal ghiac- ciaio del Garda unitosi a quello dell’Adige. Descrive poi l’anfiteatro mo- renico dell’Adige che circonda l’altipiano di Rivoli. A provare l’enorme spessore delle masse di quei ghiacciai ricorda le rocce levigate ed i residui di morene trovati da lui in diverse loca- lità ad altezze considerevoli e per fino a 1100 metri. Al sistema fluvio-glaciale apparterrebbe l’alta pianura detta Alto Agro che dal talus delle colline moreniche scende gradatamente sino a fondersi colle argille e sabbia postglaciali della bassa zona padana. Essa è costituita da ciottoli di provenienza alpina e prevalentemente porfìrici. A questa corrisponde approssimativamente un sottosuolo costituito di potenti banchi di ghiaie in gran parte calcaree. Esse furono probabil- mente stratificate dalle grandi fiumane di disgelo prima che i ghiacciai occupassero questo spazio, sul quale essi edificarono le morene nel pe- riodo di massimo avanzamento. Nel loro ritirarsi poi coi materiali flui- tati dalle loro bocche e collo sfacelo delle loro morene portarono sulla pianura stessa nuova congerie di ciottoli. Le alluvioni torrenziali riempirono il fondo delle più ampie valli dove non arrivarono le fiumane fluvio-glaciali. Questi riempimenti fu- rono successivamente incisi dai torrenti stessi ridotti a minor copia d’acqua dando luogo ad un sistema di terrazzi. Questi l’Autore viene descrivendo, occupandosi specialmente di quelli dell’Adige. Ricorda infine i resti abbondanti di fauna quaternaria del Vero- nese, citando le scoperte fatte e le memorie che su questo argomento furono scritte, accennando anche all’epoca archeolitica splendidamente rappresentata in questa provincia. Alla tettonica del Veronese è pure dedicato un capitolo, nel quale notasi dapprima come il sollevamento avesse il suo massimo sviluppo dopo il deposito dei più recenti strati nummulitici che ora si trovano alla base dei contrafforti che più si estendono verso il piano e stanno sul versante orientale del Monte Baldo a 1800 m. sul mare ; e come durante tale sollevamento ardessero quei vulcani terziarii in gran parte sottomarini che specialmente nella parte orientale lasciarono tanta copia di lave, cenere, lapilli ed altri prodotti endogeni, rimestati e stratificati dall’onda marina. Passa poscia a rassegna le principali linee di fratture, le dislocazioni* — 228 — le flessioni, i ripiegamenti clie insieme agli agenti atmosferici portarono il complesso degli strati cretacei e nummolitici, dapprima stesi e con- tinui sui sedimenti giuresi, allo stato nel quale si presenta oggidì. Facendo quindi un sunto di storia geologica, osserva dapprima che durante i periodi giurese e cretaceo non arsero vulcani in que- st’area. I frequenti dicchi basaltici in quelle formazioni non indicano che la via per la quale trovarono uscita, durante il sollevamento nel- l’era terziaria, quelle colate che ancora si veggono ove le rocce num- mulitiche non furono abrase, mentre ove fu potente la denudazione re- stano visibili soltanto le iniezioni basaltiche nelle rocce più antiche. Occupandosi quindi della biologia della porzione di mare che copriva quell'area viene descrivendo il succedersi ed il modificarsi in essa delle faune. Dopo il sollevamento triasico, abbassandosi il fondo marino, veniva gradatamente a cessare la vita corallina. Sarebbero avanzi giganteschi di questa le dolomie che si elevano al confine Nord e Nord-Est della provincia e che affiorano per profonda erosione nelle alte valli dell’Adige e dell Illusi. Nella parte occidentale, ove il mare più profondo non favoriva lo sviluppo coralligeno, si formò la serie dei calcari grigi accompagnata da grande quantità di alghe ( Lithiotis problematica Gùmty. in questo mare si sviluppavano grandemente la Terebratula Rotzoana e la T. Re- meri, assai poco gli acefali e gasteropodi e quasi affatto i cefalopodi. Deposti già in parte questi sedimenti con potenza varia si ebbe nella parte orientale un basso fondo con terre contigue coperte da lus- sureggiante vegetazione, che lasciò avanzi copiosi fra i calcari ed i fanghi marini. Una quantità di megalodon e parecchi gasteropodi d’indole salma stra ebbero quivi favorevoli circostanze di vita. Anche nell’epoca successiva nella quale si depose la serie oolitica dei calcari gialli, il letto marino era meno profondo ad oriente che ad oc- cidente; nessuna terra però era emersa e si aveva un mare libero e tranquillo ove ebbero vita rigogliosa foreste di crinoidi, gran numero Khynchonelle, di cidariti, piccoli molluschi, e colonie innumerevoli di ga- steropodi e lamellibranchi. Nel periodo del Giura superiore si formarono depositi di minor po- tenza ricchi di sali ferruginosi e di manganese, quindi si ebbe una breve comparsa di coralli che preludiò ad un’immigrazione generale di cefalopodi provenienti dai mari settentrionali. Le condizioni biolo- giche si mantennero favorevoli ai cefalopodi concamerati e dibranchiaii — 229 — per almeno due età successive, raggiungendo i primi la massima dimen- sione nell’età media quando dominava YAspidoceras acanthicum. li mare giurassico-titoniano finisce col dominio, in mezzo alle aumentate colonie di ammoniti, del Phylloceras ptychoicum. Il mare cretaceo fa seguito senza interruzione al giurese. La sua fauna fu assai scarsa per cause locali o scomparve poscia per fenomeni mo- lecolari intervenuti nelle roccie. Nell’età senoniana il mare diede ricetto a falangi numerose di am- moniti che scomparvero posteriormente nell’epoca terziaria. Popolarono questo mare alcuni sauriani, grandi pesci del genere Phychodus , squali, numerosi echinidi, catilli e scarse rudiste. L’era terziaria fu segnata da una nuova fauna (le nummuliti) e da modificazioni nella natura lei sedimenti. Prodotti vulcanici accompa- gnarono in questo territorio i primi sedimenti terziarii; vulcani sotto- marini od appena aerei continuarono ad eruttare lave, ceneri, lapilli nelle regioni orientali senza influire sulla vita animale e vegetale. La vicinanza di spiaggie, il sollevarsi lento del letto marino, la sua pendenza e profondità, il variare del clima ed altre cause determinano le varie facies che formano ora il campo degli studii comparativi della orografìa e geografia di questa regione. Le diverse faune e flore sepolte promiscuamente nei sedimenti num- mulitici, attestano i mutamenti avvenuti nella distribuzione di terra e di mare in quest’epoca ove si ebbero alternativamente golfi, estuari, spiagge, foci di fiumi, bassi fondi e mare profondo. Un altro capitolo è riserbato alla geologia applicata ed in questa l’Autore si trattiene a parlare dei materiali litici da costruzione e da decorazione che abbondano nella provincia. Passa in rassegna i bellis- simi e tanto noti marmi veronesi, ed i calcari dei diversi livelli stra- tigrafici indicando le cave da cui si estraggono, la loro importanza e le diverse applicazioni di essi nelle costruzioni. Inoltre dà ragguaglio di altri materiali utili, come pietre da calce, argille per laterizi, ligniti, torbe, terre coloranti ecc. che in quel territorio si rinvengono. Facendo rilevare per ultimo i rapporti della vegetazione e delle coltivazioni colla natura geologica, presenta un paesaggio di quella re- gione indicando come a grandi linee si possa formarsi un concetto della struttura geologica dall’ aspetto vario che assumono le rocce delle diverse formazioni. Questo lavoro, corredato da molte note bibliografiche e da una ta- vola con la serie dettagliata dei terreni, fu pubblicato in occasione del convegno a Verona della Società geologica italiana nei primi del set- — 230 — texnbre 1882 unitamente ad una Carta geologica della provincia rilevata con molta accuratezza dall’Autore ed eseguita in cromolitografia nella scala di 1/75000. <■. G. Gemmellaro. — Sul Trias della regione occidentale della Sicilia. — Memorie della E. Accademia dei Lincei, S. III. voi. XII. — Koma, 1882. L’ egregio professore di Palermo, che tanta luce ha portato colle sue pubblicazioni alla geologia della Sicilia, espone in questa me- moria il risultato dei suoi studii su quella parte fondamentale e pre- dominante delle rocce mesozoiche di questa regione, che fino a pochi anni addietro era rimasta indeterminata. La deficenza in queste rocce di elementi paleontologici, 1’ aspetto petrografia) variabilissimo delle rocce più recenti che vi stanno sopra, di età diversa e con grandi la- cune fra di loro, rendevano difficile la determinazione della loro età geologica. Ma la scoperta di una ricca fauna del lias inferiore lo indusse a nuove ricerche nelle rocce sottostanti, e queste ricerche lo portarono alla scoperta importantissima del Trias fossilifero in Sicilia. Le rocce triassiche si mostrano alla base della grande faglia setten- trionale e delle altre trasversali dell’ isola; sono contorte, fratturate ed estesamente denudate ; affiorano quindi a salti, ora in gruppi montuosi isolati, ora in rupi o burroni fra loro più o meno distanti. Le altre rocce secondarie più recenti ora le ricoprono seguendone le ondulazioni, ora sono addossate sul loro declivio ed ora mancano completamente. Le rocce terziarie si estendono nella parte più bassa delle loro sinuosità o stanno in lembi staccati su di esse o serrate nei loro ripiegamenti. La serie cronologica delle rocce triassiche è disposta come segue. Potenti strati di calcare compatto, tenace, cristallino, bianco, ten- dente leggermente al grigio, o al rosso, macchiato o venato di nero, talora brecciforme a cemento rosso mattone. I fossili vi sono rari; nelle parti state lungamente esposte all’ azione meteorica spuntano avanzi di encrini e di cidariti non determinabili. Questo calcare si mostra solo a S. Elia. Sopra questo si appoggia una potente e grande massa di dolomia che forma la roccia fondamentale in tutte le . altre località della re- gione occidentale della Sicilia. Essa è bianca o cinerina, oppure bianca tendente al grigio ceruleo o al roseo. Varia pure di struttura e di po- tenza essendo ora polverulenta, ora cavernosa, ora brecciforme ed ora cristallina, e mostrandosi con grande potenza in alcune località e di pochi metri in altre. Essa si presenta nelle Madonie, a Monte S. Calogero, a Monte Cane, alle torri di Termini, ai monti di Trabia, ai monti Ca- talano, Giancagno e Consona, nel gruppo dei monti del Mezzagno e di San Martino, ai monti Gallo e Pellegrino ('Palermo) e nell’esteso gruppo dei monti di Castellammare e S. V’ito, nonché nel gruppo dei monti di -Oaltabellotta e Bivona. In questa dolomia i fossili sono rarissimi; l’Autore non riesci a tro- vare che due pelecypodi ed una Bhynchonella non bene determinabili per il loro cattivo stato. Sopra questa dolomia poggiano degli strati di calcare compatto omogeneo, talora con venature spatiche e con liste e noduli di selce cornea. Ha una frattura concoide e una grana più o meno fina. Il suo colore varia dal bianco al bigio o al giallo sbiadito, e talvolta al roseo. La sua potenza è varia. Ove manca la dolomia sottostante o affiora per pochi metri, il calcare si mostra in strati numerosi, e si assottiglia invece ove la dolomia è dominante. La massima potenza è di circa 300 o 350 metri. Questi strati calcari si estendono direttamente sulla dolomia da Monte S. Calogero fino alla montagna di Rosmarino, a quelle di Trabia, alle torri di Termini, alla montagna del Cane e ai monti di Giancagno e Catalfano. Poggiano pure sulla dolomia nelle montagne di Misilmeri, Yillabbate e nella contrada Grazia presso Parco (gruppo dei monti di Mezzagno), alla contrada Sant’Anna (gruppo dei monti di S. Martino), al Monte Asparagio (gruppo dei monti di Castellammare), ecc. In altre località la dolomia non compare sotto di essi come alla contrada Sca- letta del Monte Cassaro di Castronovo, alla contrada Madonna del Balzo del Monte Irione ed in alcuni dei monti dei dintorni di Prizzi e Palazzo Adriano. In alcune località si trovano intercalati a questi strati calcari degli schisti argillosi fissili di color grigio o rossastro, in altre alternano fra essi per molti metri, dei calcari argillosi tenaci quasi cornei e ne- rastri a venature spatiche con schisti argillosi fissili color ardesia, ros- sastri o giallastri ; altrove invece di schisti, fra alcuni strati di calcare a noduli di selce, si trovano in alternanza degli strati di dolomia. Questi calcari e gli schisti argillosi interposti sono ovunque emi- nentemente fossiliferi, ma ad eccezione di alcuni sono tutti indetermi- nabili od appartengono a specie nuove. Sopra questi calcari con noduli di selce in alcune località si trova una dolomia con noduli di selce o senza, cristallina di color bianco gri- giastro e di tenue potenza. I fossili vi sono rarissimi riducendosi a due — 232 — valve della Daonella Lepsiusi Gemm. Questa dolomia si osserva alla Portella del Pico, Monte Griffone, Monte Giancagno, montagne di Tra- bia e Monte S. Calogero, La serie delle rocce triassiche è terminata da un’ altra dolomia che ordinariamente è priva di noduli di selce. Essa è bianco-grigia, cristal- lina ed a frattura irregolare: ha poca potenza e si rinviene a lembi stac- cati in concordanza con la roccia precedente, al Monte Grifone e Monte S. Calogero. Ecco l’elenco dato dall’Autore dei fossili rinvenuti nelle rocce trias- siche di questa regione : a) Calcare di S. Elia. Encrinus sp. ind. Cicìaris sp. ind. b) Dolomia inferiore. Bhynchonella sp. c ) Calcare a noduli di selce cornea e schisti subordinati : Esther ia Ciò f alo i , Gemm. Trachyceras sp, aff. al Trach. senticosum Dtm. sp. Arcestes sp. del gruppo dell 'Are. colonus Mojs. Arcestes sp. aff. dell’aire, periolcus Mojs. JPinacoceras cfr. perauctum Mojs. Juvavites sp. n. Halorites sp. del gruppo dell’ Hai. semiplicatus Hauer sp. Arpadites sp. aff. all ’Arp. Buppeli Klpst. sp. Halobia Mojsisovicsi , Gemm. » Curionii , Gemm. » Beneckei , Gemm. » mediterranea , Gemm. » sicula , Gemm. » subreticulata , Gemm. » insignis , Gemm. » radiata , Gemm. » simplex , Gemm. Daonella styriaca , Mojs. » lenticularis , Gemm. Monotis radis , Gemm. » Stoppami , Gemm. » limaeformis. Gemm. Posidonomya affinis , Gemm. » lineolata , Gemm. — 233 — Posidonomga fasciata , Gemm. » elegans, Gemm. » gibbosa , Gemm. d) Dolomia a Daonélla Lepsiusi. Daonélla Lepsiusi Gemm. e) Dolomia superiore. Rynclionélla sp. del gruppo della Eh. pedata Bronn. Spingeva sp. del gruppo Sp. oxicolpos Emmr. Descritta cosi la serie delle rocce e citati i fossili ivi rinvenuti, l’Autore passa a determinare l’età dei varii livelli cercando di sincro- nizzarli con quelli ben stabiliti di altre regioni. La disposizione, rag- gruppamento dei varii fossili, là presenza di specie caratteristiche od affini ad altre già note ed altre considerazioni strati grafiche e petro- grafiche lo inducono a stabilire l’età dei diversi piani di questa forma- zione nel modo indicato succintamente nel seguente quadro : e) Dolomia superiore. Retico d) Dolomia a Daonélla Lepsiusi. Zona a Turbo soli- tarius ■ Gamico j i Monotis rudis, Mon. limaeformis, Posido- nomya gilbosa , Daonélla styriaca , Halobia Curionii , Pinacoceras cfr. perauctum , ecc. c) Calcare a noduli di selce cornea e scisti subordinati. Zona a Trachyceras Aonoides Halobia Mojsisovicsi, Arpadites sp. aff. al- VAr. Piippeli Zona a Trachiceras Aon. b) Dolomia inferiore N orico a) Calcare di S. Elia a Enormi e Chiariti Muschelkalfc superiore Passa quindi alla descrizione delle nuove specie da lui determinate, indicando le analogie e le differenze con fossili della stessa specie e le località da cui provengono. Questa descrizione è corredata da cinque tavole in eliotipia assai bene disegnate. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D'ITALIA. Serie IL Voi. III. Settembre e Ottobre 1882. N. 9 e 10. SOMMARIO. Memorie originali. — I. I terreni della Val di Nievole fra Monsummano e Montecatini; nula deli mg. I). Zaccagna. — II. Ulteriori notizie ed osservazioni sui resti organici rinvenuti nei tuli vulcanici della provincia di Roma, delFing. R. Meli. Notizie bibliografiche. — A. Tommasi. Il Trias inferiore delle nostre Alpi coi suoi giacimenti metalliferi : Il Pizzo dei Tre Signori. Milano 1882. — Fr. Salmojraghi. Appunti sui materiali naturali per costruzioni e decorazioni edilizie. Milano 1882. — Idem. Alcune osservazioni geologiche sui dintorni del lago di Comabbio. Milano 1882. Notizie diverse. — Società Geologica Italiana. — Elefante fossile nel Parmense. Carta geologica dell’Europa. — Riunione delle Commissioni internazionali a Foix (Pirenei; nel settembre 1882. Tavole ed incisioni. — Tavola di sezioni geologiche in Val di Nievole, pag. 260. MEMORIE ORIGINALI 1 terreni della Val di Nievole fra Monsummano e Monte- catini; nota dell’Ing. I). Zaccagna. (Con una tavola di sezioni). I. Fra le rocce terziarie che costituiscono l’antiappennino della Val di Nievole, appariscono, come è noto, i due affioramenti di rocce secon- darie che formano da un lato il Monsummano, ed il monte delle Pan- teraje dall’altro, presso Montecatini ; la cui forma e costituzione, note- volmente diversa da quella dei colli circostanti, ha fissato più volte l’attenzione dei geologi. L’importanza di questi affioramenti, così singolari per la loro breve estensione e notevole distanza dalle masse maggiori di rocce antiche della Toscana, fu segnalata in ispecie cogli scritti del Savi, del Cocchi e del De-Stefani, che ne dettero interessanti notizie, sia sulla posizione re- ciproca dei vari membri di cui si compongono, sia investigando il posto da assegnarsi a ciascuno di essi nella serie cronologica. — 236 — Aggiunge ora nuovo interesse a questi terreni 1* avere essi offerto di recente dei fossili sufficientemente adatti a determinare con maggior certezza 1’ età a cui debbano riferirsi. I fossili raccolti furono studiati dal prof. Meneghini, che ne pubblicò i risultati nei Processi Verbali della Società Toscana di Scienze Naturali, e la distribuzione di questi fossili nei vari terreni venne già da me indicata in altro breve scritto inserito negli stessi Processi Verbali. 1 Colla presente nota, esponendo i principali fatti che possono desu- mersi dalle mie osservazioni sul luogo, non farò che maggiormente sviluppare il già detto, accompagnando questa rapida descrizione con una serie di sezioni, le quali gioveranno a meglio chiarire quanto verrò esponendo. A fissare le idee intorno ad esse, avvertirò fin d’ora che le sezioni da 1 a 5 sono tra loro parallele e dirette da OSO ad ENE, pro- cedendo da Nord verso Sud, e condotte, per quanto è possibile, normal- mente alla direzione degli strati, attraverso le località più interessanti della regione. Incominciando dalla sezione la, che passa per Baggiano e pel monte delle Panteraje, la sezione 2a dai Bagni va a tagliare il poggio di Montecatini ed il poggio della Guardia e, passando attra- verso la valle della Nievole, si prolunga nel monte di Serravalle. Le se- zioni 3a, 4a e 5a passano rispettivamente all’ estremità Nord del Mon- summano, nel culmine, ed all’ estremità Sud di esso presso la Grotta, attraversando anche tutto il Monte Albano dalla valle della Nievole a quella dell’ Ombrone. Infine la 6a è una sezione longitudinale che taglia il Monsummano nel senso della sua maggior lunghezza, passando egualmente pel punto culminante e dirigendosi a NNO verso il Ver- ganolo e la valle superiore della Nievole. Malgrado la sua posizione normale alle precedenti sezioni trasversali, questa riesce pure costan- temente normale alle stratificazioni a causa della nota configurazione a cupola del Monsummano. Questa sezione longitudinale, nel mentre pone in rilievo la forma ellissoidale del monte, giova anche a dare idea della relativa distanza a cui le sezioni trasversali vengono a tagliarla; per modo che l’orografia e la geologica costituzione della regione che esse attraversano può idealmente ricostruirsi. Rocce secondarie. Monsummano — Lias. — La conformazione a cupola del Monsummano risulta evidente da una semplice ispezione generale della montagna. 1 Adunanza 12 marzo 1882, pag. 107 e 111. — 237 — vo Cimento. — Pisa 1873. 2 De-Stefani. — Geologia del Monte Pisano — pag. ITI. — 259 — come s’ incontrano in certi luoghi, p. es. sotto al poggio di Stignano, può restar dubbio se debbano ancora ritenersi plioceniche; ma probabil- mente anche per questi depositi di limitata estensione, trattasi di un sedimento pliocenico di estuario prodotto dalle correnti, che venendo a scaricarsi direttamente sul mare ai piedi delle colline, poterono tra- sportarvi cogli altri materiali più minuti anche ciottoli voluminosi; mentre a qualche distanza quel mare pliocenico andava colmandosi colle sabbie e le argille che vi si deponevano in modo più tranquillo e regolare. Terreni quaternari. I terreni quaternari sono costituiti dai travertini, dalle ghiaie, sab- bie ed argille lacustri e fluviatili che formano la pianura, e dai detriti argillosi e diasprini di cui sono ricoperte le basse pendici di alcuni poggi; cioè sopra Monsummano basso a ridosso del monte ed ai Bagni di Montecatini ai piedi delle Panteraje. I travertini s’incontrano in tre luoghi fra loro non molto discosti, vale a dire alla Croce di Monsummano presso ai Bagni Parlanti, al Ponte, dove incomincia la salita di Serravalle ed ai Bagni di Montecatini. Alla Croce costituiscono banchi pressoché orizzontali assai potenti ed estesi, che alle falde del monte e sino a circa 60 metri di altezza dal piano, rico- prono i diaspri sui quali si appoggiano direttamente, tranne verso il Rio dell’Acqua Calda presso i Bagni Parlanti, dove i banchi vanno a sovrap- porsi anche agli schisti cretacei. Il travertino di questa località, d’un bianco un po' giallognolo è generalmente assai compatto e resistente e forma perciò un’eccellente pietra da taglio, attivamente scavata ai due lati della via della Valle. La massa del ponte di Serravalle si addossa in- vece agli schisti galestrini eocenici ed è formata in parte di travertino compatto, in parte tufaceo. Ai Bagni di Montecatini forma una larga espansione sul pliocene e verso il Tettuccio anche sugli schisti cretacei, che costituisce la spianata leggermente incurvata e declive nella quale scaturiscono in breve spazio le molte e sì celebrate acque termo-mine- rali di questo luogo. Anche qui il travertino è compatto nei banchi in- feriori; superiormente è terroso, tufaceo, con frequenti letti e nodi ar- gillosi. In questi travertini gli avanzi organici non sono infrequenti e con- sistono in resti di piante e in conchiglie terrestri e d’acqua dolce. Al- cuni di questi fossili fra quelli degli strati più profondi, appartengono a specie ora perdute e d’epoca postpliocenica \ Essi poi hanno un’ori- 1 De-Stefani. — I dintorni eco. — pag. 47. — 260 — gine comune a quella di tutti i travertini, essendo stati depositati dalle acque calde e calcarifere che sgorgano nelle vicinanze. Al ponte di Ser- ravalle dove scomparve la sorgente, la deposizione del travertino è com- pletamente cessata; a Monsummano e Montecatini essa dura tuttavia, sebbene certamente con intensità assai minore che in passato, poiché quelle sorgenti dovevano una volta esser ben più copiose e calcarifere, a giudicarne dall’estensione, dalla potenza e dalla compattezza dei banchi inferiori; mentre attualmente più non si formano che parziali incrostazioni tufacee, terrose e friabili di poca importanza, le quali at- testano la lentezza e la difficoltà del deposito. ( Continua.) Ulteriori notizie ed osservazioni sui resti fossili rinvenuti nei tufi vulcanici della provincia di Roma ; dell’ingegnere R. Meli. (Con tre tavole) 1. Nel passato anno 1881, io pubblicai in questo Bollettino 2 una me- moria sui tufi romani. In quel lavoro io intesi di dare un elenco, il più preciso ed accurato, che mi fu possibile, di tutti i resti organici fino allora rinvenuti in queste rocce, dei quali potei avere cognizione, allo scopo di venire poi, coll’appoggio dei fossili e delle osservazioni ese- guite, a stabilire alcun che di preciso sulla origine dei tufi. Ricavai le indicazioni, in parte rovistando le pubblicazioni scientifiche edite an- teriormente a quella mia memoria, ed in parte servendomi dei materiali raccolti e conservati nel Museo Geologico della R. Università di Roma. Ma, dopo quella mia pubblicazione, essendo venuto alla luce qualche lavoro in cui si fa parola dei fossili compresi nei tufi romani, ed avendo anche io eseguito nuove osservazioni, vedo la necessità di ag- giungervi due righe di appendice. Cominciando dai lavori stampati, per completare le citazioni bi- ’ Le tavole saranno date col seguito dell’articolo nel prossimo fascicolo. 2 Meli R. Notizie ed osservazioni sai resti organici rinvenuti nei tufi leucitici della Provincia di Ttoma [Vedi Bollettino del R. Comitato Geologico. Fascicolo 9-10 (Settembre-Ottobre) 1881]. Boll, del R.Cora.geol d'Italia. SEZIONI GEOLOGICHE IN VAL Séala. di la, 25.000 tanto per le altezze che per le DI NIEVOLE lunghezze -Tav.VII. (Zaccagna.) — 261 — biografiche sui fossili dei tufi, trovo che il De Stefani 1 accenna l’alternanza dei tufi vulcanici con strati fossiliferi marini che si vede lungo il littorale sopra Civitavecchia, verso il confine della Provincia di Roma. Da questo fatto ne dedurrebbe la natura littorale sottoma- rina delle bocche vulcaniche di Bolsena. Fa però osservare il De Stefani che « entro terra, quantunque i se- dimenti tufacei sieno regolarissimi ed attestino la loro origine sub- acquea, non vi sono fossili marini, forse perchè vi si estendevano invece delle paludi 2 ». Ma l’egregio autore non determina quali sieno i tufi intercalati nelle rocce marine, se, cioè, spettino essi ai tufi litoidi, ovvero,, come credo, ai granulari e terrosi. Sul finire del medesimo anno 1881 venne alla luce un lavoro del Dottor Terrigi, sulle formazioni vulcaniche dei dintorni di Roma 3. In tale memoria, ricca di molte importanti osservazioni, sono prese ad esame e minutamente descritte alcune sezioni geologiche rilevate nelle vicinanze di Roma, e precisamente al forte Troiani, alla cava di tufo ai Cinque Cammini (Mte Verde), alla tomba dei Nasoni (Via Flaminia),, al cratere Gabino sulla via Prenestina, al Portonaccio ed al Ponte Mammolo sulla via Tiburtina, alla cava di tufo della Sedia del Diavolo sulla via Nomentana, e presso il Ponte Salario sulla sinistra dell’Àniene. Il Dott. Terrigi cita residui di vegetali contenuti nei tufi terrosi nel taglio del forte Troiani. Questi tufi terrosi si riscontrarono alle quote 67m, 75 — 66m,40 ; e 74m,40 — 72m,65 sul livello del mare. Vengono anche indicate le impronte di foglie, ed i tronchi di alberi del tufo giallastro , ricco di massi erratici d’ aggregati minerali , che si cava a Grotta Rossa ed alla Valchetta sulla via Flaminia, dalPautore osser- vati nel Museo di Geologia della Università, e che io già menzionai nella mia memoria (mem. cit. Ved. pag. 10, 11, 12 dell’ estratto). Ricorda i frammenti di legno, compresi nel tufo litoide della Sedia del Diavolo, parimenti già accennati nella mia memoria (Ved. pag. 12 del- l’estratto). Fa poi parola delle ossa di vertebrati, rinvenute nella part& inferiore del banco di detto tufo litoide. 1 De Stefani C. Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono V Appennino Settentrionale , pubblicato in occasione del II Congresso geologico internazionale — Pisa,. Tip. Nistri, 1881. 2 De Stefani C. Mem. cit , pag. 41. 3 Terrigi G. Le formazioni vulcaniche del bacino Romano considerate nella loro* jisica costituzione e giacitura . — R. Accademia dei Lincei. — Serie 3\ Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Voi. X. — Ferie Accademiche 1881- — (Dalla pag. 389 alla 419) — 262 — Per quello che riguarda la determinazione di queste ossa, mi ri- porto a quanto già pubblicai in proposito (Yed. pag. 21-22 dell’estr.) Alcune delle ossa rinvenute, precisamente quelle donate al Museo dal Dott. Terrigi, spettano all’estremità posteriore destra di un individuo elefantino, e precisamente vi si trovano: La tibia ed il perone, spezzati e mancanti del loro capo articolare superiore. L’astragalo; Il calcagno; 11 cuboide; Lo scafoide; Due cuneiformi (il 2° ed il 3° — manca il 1° o l’interno rispetto lo scheletro). Il 2° metatarso (frammentario). Il penultimo metatarso. L’ultimo metatarso (o esterno rispetto l’individuo elefantino). La 2a falange dell’ ultimo dito (o esterno). Due ossetta sesamoidi di un’articolazione metatarso-falangèa. Avuto riguardo alle dimensioni che presentano tutte queste ossa, ag- giungo che potrebbero riferirsi o aìYElephas meridionalis Nesti, o con maggior probabilità all’ E. antiquus Falc. K 1 Ricordo che 1’ Elephas antiquus Falc. fu rinvenuto nelle marne plioceniche con fossili marini entro il fosso di D. Aurelio presso Rignano-Flaminio, in vicinanza del Monte Soratte. Di questo rinvenimento è fatta più volte parola nelle memorie del prof. Ponzi. [Cfr. principalmente: Atti Pont. Accad. N. Lincei. Tomo XI. Ses- sione V, 11 aprile 1858, pag. 269. Comunicazione del ritrovamento. — Sugli animali fossili che precedettero l'uomo nel V Italia centrale. — Giornale Arcadico. \Nuova Serie. Tom. XXVI, 1862 — Vedi nota (3). — Dell' Attiene e suoi relitti (Atti Acc. Pont. X. Lincei. An. XV. 1862 — pag. 30 dell’estr. e fìg. 1) — Cronaca suhappennina , od abbozzo d' un quadro generale del periodo glaciale (Atti dell’ XI Congresso Scienz. ital. tenuto in Roma nel 1873. Vedi le note in margine delle pag. 12-13 estr.) — Le ossa fossili subapennine dei dintorni di Roma (Atti R. Acc. Lincei — Serie 3a Mem. scienze tisiche, ecc. Voi. II, 1878, vei. pag. 6 e 22 estr.) Falconer H. — Palaeontological memoirs and notes . London, 1868: (vedi voi. II, pag. 187)]. Nel Museo di Geologia della R. Università di Roma si trovano le difese, la volta palatina con i molari superiori, due da ciascun lato, avendo i denti di latte; i mascellari inferiori con i loro molari, mancanti però della sinfisi, e delle branchie ascendenti; le ossa della gamba posteriore sinistra, ossia il femore, la tibia e la fìbula; gran parte delle ossa del piede posteriore sinistro, calcagno, astragalo, scafoide, cu- boide; uno dei 3 cuneiformi (mancano il 1° ed il 2°); il 2°, 3°, 4° metatarso; una — 263 — Nelle ossa pervenute al Museo non si trova alcuna costola spet- tante ad elefante, nè « l’ ultima falange pressoché completa » accennata dall’egregio dottor Terrigi \ Le altre ossa ritrovate nei tufo della stessa località appartengono tutte agli scheletri di quattro individui del cervo comune. Vi si notano tre crani, coi loro mascellari inferiori, molto ben conservati, spettanti a femmine del cervo, ed un cranio frammentario con pezzi delle corna del Cervus elaphus Lin. (tf). Uno dei tre crani sta aderente a porzione di colonna vertebrale, e posa sull’ atlante, a cui succede l’asse e le altre vertebre cervicali. Le ossa sono in gran parte tutte spezzate dalle mine, le quali vengono praticate per la estrazione del tufo. Attual- mente mi occupo di ricomporre qualche parte di questi scheletri; le ossa, come dissi già nella mia precedente memoria, sono artico- late secondo l’ordine schelettrico, e dalla giusta posizione che pre- sentano nella roccia appare ad evidenza che quei vertebrati dovettero venire avvolti nella massa del tufo colle loro parti molli e carnose. Ma di ciò farò anche parola in seguito. Il Dott. Terrigi ritiene che i materiali dei tufi della campagna romana provengano da vulcani atmosferici, e precisamente sieno stati lanciati nelle eruzioni laziali. B, se egli vorrà leggere la mia memoria serie di 12 vertebre a cominciare dalla 2a cervicale (asse); tutte queste ossa spettano al medesimo scheletro dell’ Elephas anUquus Falc. rinvenuto nelle citate marne plio- ceniche. Nei lavori di sterro eseguiti nel 1878 sul culmine del Monte Mario per il fortino militare, venne ritrovato un molare di E. meridionalis Nesti nelle sabbie marine del pliocene superiore. È un bel frammento di molare superiore sinistro, ben caratteri- stico di questa specie. La presenza dell’_Z7. meridionalis conferma che le sottogiacenti sabbie gialle fossilifere sono da riportarsi al pliocene superiore, come del resto viene anche indicato dalla fauna marina delle sabbie, e dalla loro posizione stratigrafica. Un altro bel molare (superiore sinistro) spettante all’2?. meridionalis Nesti si rin- venne l’anno scorso nelle ghiaie marine (senza materiali vulcanici) superiori alle sabbie marine a Campo di Merlo presso la Magliana. Però i resti dell’i?. meridionalis si rinvengono, come è ben noto, nei depositi di ghiaie alluvionali della vallata del Tevere e dell’Aniene, insieme al Pi?, antiquus Falc. E. africanus Lin , E. primigenius Blum. insieme all’ Hippopotamus major Cuv., Rhi- noceros , Bos primigenius Boj. ecc. Ma tutti gli ossami delle ghiaie quaternarie sono sempre isolati, corrosi per il trasporto e in gran parte frammentari. Essendo essi in una formazione secondaria, non ci permettono di precisare se nel quaternario vivesse presso di noi VE. meridionalis. Per quello che riguarda gli elefanti, VE. antiquus si ritrova più frequentemente di tutti. Molto più rari sono i resti &q\V africanus e del vero primigenius. 1 Terkiìgi. Mem. cit. pag. 410 e 411. — 264 — sui tufi, vedrà che io sono d’accordo con lui nel ritenere che i mate- riali vulcanici dei tufi sieno stati emessi da crateri subaerei; anzi per taluni tufi ne riconosco anche la loro origine laziale. 1 Non posso però in alcun modo convenire coll’egregio autore nel- l’escludere assolutamente la presenza dell’acqua nella formazione dei tufi litoidi e granulari, e nel considerare i primi del tutto analoghi a lave. Per il Terrigi i tufi litoidi avrebbero corso sul suolo in correnti, allo stato pastoso dovuto (non già alla mescolanza di acqua con mate- riali vulcanici) ma alla fusione (!) per astone termica. (Ved. Terrigi, mem. cit., pag. 411). Tutti i geologi che si occuparono dei nostri tufi, e che percorsero la campagna di Roma in molteplici direzioni, non limitando gli studi a qualche taglio nei dintorni della città, ma osservando e confrontando fra loro sezioni numerose, ed in località ben lontane le une dalle altre, non accetteranno di certo questa strana (per non usare altra parola) idea. E, primieramente, io non so come possa confondersi una roccia cla- stica, quale è il nostro tufo, con rocce cristalline come sono i basalti e le lave. E vero, però, che l’autore non dice apertamente che i tufi litoidi corsero ignei sul suolo, ma, leggendo bene il suo scritto, questa sembra essere in ultima analisi la sua opinione. Trascriverò a tal fine alcuni passi del Terrigi, tali quali si leggono nella citata memoria. Alla pag. 396 trovo stampato : « In basso al di sotto del piano « di campagna, nella parte più declive del suolo, alla profondità di « circa 5 metri, si rinviene un tufo (che a mio credere non può « meritare questo nome) per certi caratteri che lo fanno assolutamente « differenziare dagli altri tufi. A primo aspetto parrebbe una lava ba- « saltina per la grande analogia con questa. Ciò che pare certo si è « che di poco differisce da una lava, speciale forse di questa località, « nè credo andar lungi dal vero asserendo questo tufo essere analogo « a lave ». E poco appresso aggiunge: « Colla lente risulta finalmente spugnoso, ed offre (il tufo) i carat- ai teri della fusione ». E più innanzi: « A questo tufo succede in alto altro tufo di colore terroso-giallastro, « compatto, litoide, che osservato a piccolo ingrandimento risulta finamente 1 Meli R. Mem. cit. (Vedi nota 2 della pag. 6; pag. 32; e specialmente nota 1 alle pag. 14-15). — 265 — « spugnoso o poroso, ed anche questo offre i caratteri della fusione ». « Nel mezzo di questo strato (di tufo) se ne offre un altro di color « giallo-rossastro, tutto spugnoso, come scoriaceo, che sembra aver « subito una decomposizione forse per eccessiva fusione » (pag. 397). « Ciò che importa di notare si è, che questa enorme massa di tufi » offre tutti i caratteri di una materia fusa da azioni termiche vul- « cani che, se non altro dimostrati dalla sua forma spugnosa » (pag. 399). Alla pag, 401, dando la parola ai tufi, fa loro dire: « Noi siamo i prodotti di una fusione operata da maggiore attività « vulcanica coadiuvata da azione termica più elevata; siamo analoghi « a lave, mi limito a chiamarli così ». Nel capitolo YII (formazioni vulcaniche presso S. Agnese alla Sedia del Diavolo) espone parecchi fatti, i quali, secondo l’Autore, starebbero a provare la sua fusione ignea dei tufi. Dopo avere ripetuto di nuovo che « i tufi della cava di S. Agnese offrono ad evidenza i caratteri di una fusione » parlando della struttura che presentano le grandi masse di tufo litoide nelle screpolature, si esprime così: « Non è invece naturalissimo riferire tale struttura allo stato pastoso « delle masse dei tufi, dovuto alla fusione per azione termica?» Potrei seguitare a trascrivere altri brani di consimile linguaggio; sempre, seguendo il Terrigi, i tufi presentano i caratteri della fusione, i quali caratteri, secondo esso, si riducono principalmente alla grossolana bollosità (delle pomici e delle scorie intercluse nei tufi, aggiungo io), che può vedersi ad occhio nudo, od al più con una lente di mediocre ingran- dimento. Ma i brani che ho riportato sono più che sufficienti per dedurre quale sia Popinione dell’Autore sulla formazione dei tufi. Il Terrigi non ammette che i tufi leucitici sieno una roccia clastica risultante dal- l’impasto operato col concorso dell’acqua dei materiali detritici lanciati dalle bocche vulcaniche, invece li considera prodotti in modo analogo alle lave; non dice, è vero, che i tufi abbiano corso sul suolo in correnti ignee, ma però va anche più oltre; li dice addirittura completamente fusi per azioni termiche. Si ha dunque una nuova ipotesi da registrare sull’origine dei tufi, e da aggiungersi alle altre quattro già emesse *, la quale, enunciata colle parole stesse dell’Autore, ammetterebbe che i tufi avessero corso allo stato pastoso dovuto alla fusione per azioni termiche. Reputo del tutto inutile di spendere parole per dimostrare la im- possibilità di tale ipotesi. Si potrà trattar la questione, se in taluni casi 1 Meli — Mem. cit. pag. 3-6. — 266 — i tufi siensi riversati dal cratere allo stato di torrenti fangosi, ovvero, se in generale i prodotti lanciati nelle eruzioni dalle bocche vulcaniche siensi impastati colle acque esterne formando una fanghiglia più o meno tenace; ma non si discuterà affatto sulla vera fusione, giacché in questo caso si sarebbero invece avute masse di ossidiana, di perliti, di pomici, ecc. Piuttosto mi sia permesso di esaminare brevemente su quali osser- vazioni l’Autore fonda questa sua idea, e se queste osservazioni sieno esatte o giustamente interpretate. La fusione originaria dei tufi, secondo il Dott. Terrigi, resterebbe dimostrata : 1. Dai frammenti di ossidiana compresi nel tufo (pag. 397, e 408^), non che dalle bollosità presentate dalle scorie e dalle pomici racchiuse nei tufi ; 2. Dalla struttura pseudo-regolare, presentata in qualche punto dei banchi di tufo litoide, specialmente nelle screpolature causate dal restrin- gimento della massa, quando dallo stato pastoso passò allo stato solido. 3. Dalle alterazioni, che presentano le ghiaie calcari superiori ai tufi litoidi nelle cave di S. Agnese, con tracce, sempre secondo l’Autore, di sublimazioni (pag. 410); 4. Dalla pretesa carbonizzazione ignea di alcune delle ossa rinvenute nei tufi della stessa località (pag. 410 e 411) ; 5. Dalla mancanza di stratificazione nei banchi di tufo litoide (pag. 411). Ora nessuno di questi cinque argomenti, interpretati a dovere, vale ad indicare la fusione dei tufi, ed anzi tutti stanno concordemente a dimostrare che i tufi litoidi derivano dal consolidamento di masse fan- gose, risultanti dall’impasto acqueo di materiali vulcanici. Difatti il Dott. Terrigi dice di aver rinvenuto pezzetti di ossidiana verde nei tufi. Certamente egli ne avrà fatte delle sezioni sottili, e le avrà esaminate al microscopio alla luce polarizzata, per accertarsi che si tratta di una sostanza monorifrangente, non cristallina, amorfa, di una vera ossidiana e non piuttosto di qualche frammento di pirossene vetroso verdastro così comune nei tufi. Quantunque frammenti d’ossi- diana inclusi nei tufi litoidi dei dintorni di Roma non sieno stati, che io mi sappia, finora osservati da altri, pure lo ammetto sull’autorità del Dott. Terrigi. Ma, io domando, che valore possono avere i frammenti di ossidiana interclusi nei tufi? Basta con un esame macroscopico osservare campioni di tufo litoide provenienti da diverse località dei dintorni di Roma, per convincersi che i tufi spettano non alle rocce cristalline, ma bensì alle frammentarie o clastiche. Chiunque, per poco che conosca le rocce; — 267 — anche in un accurato esame macroscopico rileverà che i tufi sono rocce a struttura terrosa e potrà vedervi racchiusi frammenti di lave diverse, pezzi di scorie, cristalli di minerali vulcanici più o meno intatti, ed in taluni casi ammassi cristallini di aggregati minerali. 1 La forma frammen- taria degli interclusi indicherà chiaramente che si tratta d’una roccia clastica. Ora, qual maraviglia che in una roccia clastica, formata dall’impasto di materiali vulcanici si possano rinvenire racchiusi dei frammenti di ossidiana? Ma, che l’egregio Dott. Terrigi riterrebbe, per caso, che i frammenti d’ossidiana si formarono contemporaneamente in mezzo alla massa che poi consolidandosi generò i tufi ? Ciò può ripetersi anche per le bollosità e le vescicole, che presen- tano non le masse tufacee, ma i pezzi di pomici e di scorie intercluse nei tufi. Certamente l’ossidiana fu originariamente fusa, e le cavità delle pomici e delle scorie dimostrano che queste furono fluide, ma non ne consegue perciò che la roccia tufo, che posteriormente le racchiuse, debba essere stata fusa anch’essa. 11 secondo fatto al quale il Dott. Terrigi attribuisce grande valore per provare la fusione dei tufi, se venga riportato nei suoi veri limiti, sta invece a dimostrare che il tufo litoide deve in origine avere costi- 1 Ho fatto parecchie sezioni sottili di tufo litoide di S. Agnese e di altre località dei dintorni di Roma; alcuni dei frammenti adoperati per le sezioni furono staccati, dai campioni che racchiudono le ossa, ed in prossimità di queste. Le sezioni confermano in modo evidente che si tratta di una roccia clastica. Le lamine di tufo si presentarono sempre bucherellate, e piene di cavità più o meno grandi, di forma e di contorno irregolare. Però, io credo che questi vacui grossolani, visibili anche ad occhio, o a debole ingrandimento, possano provenire dai grani di magnetite, che, nell’assottigliamento della sezione, saltano via, e lasciano così vuoto lo spazio che occupavano. Esaminata al microscopio a luce ordinaria una lamina di tufo litoide di sant’A- gnese, si mostra composta di grani frequenti di magnetite disseminati nella sezione. Questi si riconoscono alla loro opacità, al loro splendore metallico, al loro colore nero azzurrugnolo, alla solubilità n é\VHCl. Di più ho meccanicamente isolato la magnetite, polverizzando il tufo, ed estraendola in buona quantità colla calamita. La sezione si mostra poi essenzialmente composta di granelli di un color giallo -pallido, tendenti al giallo-bruno aggregati insieme da uua sostanza incolora, con qualche sezione, alcune volte regolare, di color verde-bottiglia, dovuta a qualche cristallino mon oclino di augite. Alla luce polarizzata si riconosce che la sostanza giallastra è monorifrangente. Vi si riconosce pure la presenza della calcite, e talvolta qualche cristallino di feldspato, oltre ai minerali sopra indicati. 19 268 — tuito, almeno in quella località, una massa fangosa allo stato plastico per la presenza dell’acqua, che aveva mescolato insieme le ceneri e gli altri prodotti vulcanici disaggregati. Innanzi tutto, debbo avvertire che il Dott. Terrigi mi fece osservare, gentilmente prima della pubblicazione della sua memoria, in taluni punti del banco di tufo litoide della Sedia del Diavolo, le superficie scanalate di alcune fenditure esistenti nella massa di tufo, dovute certamente alla contrazione prodotta dal solidificarsi della massa pastosa. Le fen- diture del tufo sono irregolari, ma le maggiori presentano talvolta una superficie regolarmente scanalata, ossia fornita di parti sporgenti e rien- tranti, a spigoli paralleli, per lo più verticali, disposte in guisa da ricordare e da richiamare in qualche modo la struttura colonnare che si osserva in molte roccie eruttive, e specialmente in grado ben marcato nel basalte. Però il tufo della sopradetta località, all’infuori di queste superficie di distacco, non è diviso in solidi distintamente prismatici, nè si scompone in colonne prismatiche, come nei basalti. Pestai dunque ben sorpreso quando nella memoria pubblicata dal Terrigi vidi le figure che dovrebbero riprodurre quelPaccenno di strut- tura colonnare. (Vedi Tav. II, Sezione 3, Sedia del Diavolo , e Tav. Ili, Sezione dei tufi alla Sedia del Diavolo). Le indicate figure non sono davvero esatte riproduzioni del vero, giacché in esse si ha una distin- tissima struttura colonnare, lo che non è in fatto, almeno per la cava della Sedia del Diavolo, ed il disegnatore ha tutt’ altro che eseguita una scrupolosa riproduzione; ha invece veduto attraverso la immagina- zione dell’Autore, dando forma marcata a quello che è solo alquanto ed imperfettamente accennato. Esiste, è vero, una tendenza nel tufo litoide della Sedia del Diavolo a prendere una disposizione imitante la struttura prismatica nelle superficie di fenditura, ma tale struttura non è così spiccata come nelle tavole del Terrigi. In queste si tratta di prismi distinti a sei lati, prismi che sembrerebbero potersi staccare ed isolare nettamente, mentre che una tale struttura nel tufo litoide della suddetta località è appena, ed in qualche punto, solo abbozzata. Osser- vando quelle figure mi tornarono subito alla mente le analoghe inci- sioni che si trovano nell’atlante delle Institutions geologiques del Breislak, e quelle dell’opera di Eaujas de Saint-Eond: Becherches sur les voi - cans éteints du Vivarais et du Velay , ove sono disegnati con un esat- tezza geometrica molti esempi di basalti colonnari. A dare pertanto una figura più esatta e veritiera della struttura che presenta il tufo litoide nella detta cava presso S. Agnese, ho veduto non esservi altro modo che ricavarne sul posto una fotografia. Condotto — 269 — quindi sul luogo un fotografo, molto capace, dopo di avere accuratamente percorso ed osservata in tutti i sensi la cava, ho fatto riprendere il punto che offriva questa disposizione in grado più spiccato all’epoca in cui venne eseguita la fotografia (marzo 1882). La riproduzione ne è riuscita assai esatta, e può vedersi nella Tavola I della presente memoria. In questa tavola è molto ben distinta la superficie scanalata, presentante la dispo- sizione prismatica, di cui parla il Dott. Terrigi. Tale superfìcie trovasi a sinistra sull’ingresso dell’arco scavato nel tufo litoide (bocca di cava, ora abbandonata) che immette, cioè, nella cava di tufo; resta alla sinistra di chi guarda di fronte la grande Sezione, la quale è rivolta verso la linea della ferrovia ad una distanza di circa 75m da questa. La tavola II fu presa in una vecchia cava, ora non lavorata, a poca distanza dalla grande Sezione e più vicina al binario ferroviario ; ri- produce lo stesso punto del quale il Dott. Terrigi offre la figura nella Sezione 3 della Tavola II della sua memoria. Facendo un confronto tra questa figura e quella che io presento, ottenuta colla fotografia, si vedrà che nella figura disegnata i prismi sono distintamente separati da piani ben decisi in modo da poter, senza molta difficoltà, contare il numero dei lati di essi prismi, mentre nella fotografia si ha solo un abbozzo di divisione prismatica. Finalmente la Tav. Ili è la fotografia di una buona parte della grande Sezione sopranominata. Da questa tavola si può rilevare che nel banco di tufo litoide, contrassegnato col n. 1, non si scorge la struttura prismatica in tuttala sua massa, a differenza di quanto è disegnato nella Tav. Ili (Sezione dei tufi alla Sedia del Diavolo) data nella me- moria del Terrigi, che rappresenta la medesima Sezione. Ristabilito così, in modo più conforme al vero, il fatto della strut- tura irregolarmente prismatica, ed appena appena accennata, in qualche punto del banco di tufo litoide presso S. Agnese, debbo avvertire che la divisione pseudo-regolare, o prismatica, era già stata osservata nei tufi molto prima che il Terrigi la pubblicasse nel suo lavoro. Difatti, il Pilla 1 ed il Ponzi 2 l’avevano rimarcata, molti anni fa, nei tufi vul- canici presso Yalmontone. 1 L. Pilla — Osservazioni geognostiche che possonsi fare lungo la strdda da Napoli a Vienna , attraversando lo Stato Romano , ecc. Napoli, Tramater 1834. « Ancora essi (banchi di tufo) sono attraversati da grandi fenditure verticali che « tendono a configurarli in masse imperfettamente prismatiche » (pag. 16). 2 G. Ponzi. — Osservazioni geologiche fatte lungo la valle latina . (Nella Raccolta La divisione prismatica si mostra poi in grado assai ben distinto nei tufi litoidi, che si trovano nella località detta le Amare, presso Vi- covaro, però sulla sinistra delTAniene. In questa località si ha una vera divisione colonnare. Anche nei tufi a pomici nere racchiudenti cristalli di Sanidino, che si innalzano a picco sulla via Flaminia alla punta dei Nasoni, guardando bene, si travede la tendenza alla struttura prismatica verticale. Lo stesso- ripetasi per i tufi di Castel Giubileo sulla via Salaria. Il Dott. Terrigi (pagina 411) ci dice che tale struttura si osserva non Solo nei basalti, ma anche nelle trachiti, giacché parecchi spandi- meli trachitici dell’ Irlanda la presentano, Si sa, però, che oltre ai basalti e le trachiti può incontrarsi in molte altre rocce massive. Ora, queste divisioni pseudo-regolari sono assolutamente caratte- ristiche delle rocce eruttive ? E, per quello che riguarda i tufi, c’è pro- prio la necessità di ricorrere alla fusione ignea per ispiegarle ? Non credo. Sappiamo che anche per semplice prosciugamento può talora aversi la divisione prismatica. Difatti in una massa fangosa, la quale dallo stato plastico passi a prosciugarsi, avviene contrazione di volume e quindi serepolamento, e divisione di quella in solidi più o meno pri- smatici. Se si impastino con acqua le argille o le marne in modo da for- mare una poltiglia fluida, e si lascino prosciugare, si produrranno fen- diture e divisioni qualora il disseccamento non proceda con uniformità in tutta la massa. Altri esempii di divisione pseudo-regolare sono frequentemente pre- sentati dalle argille finissime, deposte sui bordi dei laghi, dei fossi, delle paludi, e poi disseccate. Così ancora 'le bellette lasciate dal no- stro Tevere nelle alluvioni si screpolano nel disseccarsi e si dividono in parti prismatiche. Ora, a mio credere, la separazione prismatica accennata appena nei nostri tufi litoidi, potrebbe appunto indicare che la massa fu pri- mitivamente allo stato fluido per impasto acqueo, e che poscia solidifi- candosi dette luogo a fenditure, e screpolamenti \ Convengo quindi scientifica, gennaio 1849). » Questi tufi vulcanici (della campagna romana) rossi e tenaci al segno di dividersi in masse prismatiche e poliedro, giungono fino a Valmontone, ecc. » (Ved. pag. 8 dell’estratto). 1 La medesima opinione trovo emessa dal prof. Tnccimei nel suo recente lavoro ^ Za geologia del Lazio , pubblicato nella Rassegna Italiana , voi. II, fase. 1°, luglio 1882. . — « Ma chi potrà difendersi dal dubbio che quei prismi non derivino piuttosto da — 271 — che quella struttura sia dovuta allo stato pastoso dei tufi, ma nego che debba attribuirsi alla fu&ione termica. Un altro argomento per la fusione, è ricavato dall’alterazione che presentano i ciottoli calcarei dello strato superiore ai tufi litoidi nella menzionata località. In verità, se i tufi fossero corsi ignei, le alterazioni avrebbero dovuto prodursi sullo strato, sottostante analogamente a quello che sempre osserviamo nelle correnti di lava, e non sui ciottoli sopra- giacenti, che per opera di alluvioni vennero posteriormente deposti, e che perciò non esistevano quando si formarono i tufi. Invece sotto il banco di tufo si rinvenne (come già dissi nella mia cit. memoria *) uno strato di ghiaie, le quali furono estratte inalterate, benché avvolte nei materiali tufacei. I ciottoli calcarei non presentano in superficie alcuna alterazione, e, spezzati nelPinterno, mostrano il solito calcare compatto e non già il calcare cristallino o saccaroide. La struttura cristallina può aversi, come è noto, nel calcare compatto per metamorfismo, qualora questo venga esposto ad elevata temperatura, e ne sia impedito lo sprigionamento del- l’anidride carbonica. Se i tufi fossero corsi fusi, i ciottoli calcari, su cui sarebbe passata la corrente tufacea, si sarebbero trovati in queste con- dizioni, per lo che avrebbero dovuto presentare un’ alterazione superfi- ciale, con struttura interna sacccaroide o granulare. Non si è dunque osservato alcun metamorfismo di contatto nello strato sottostante al tufo litoide, mentre, secondo il Terrigi, le altera- zioni si riscontrerebbero nello strato di ghiaie superiori, che non esiste- vano quando si formò il tufo litoide, e che vennero deposte chi sa quanto dopo, giacché in alcune sezioni si vede lo strato superiore di tufo, net- tamente stratificato per la potenza di circa lm,00 essere interrotto e mancare per un certo tratto, mentre il sottoposto tufo litoide è scavato per evidente erosione operata dal passaggio di acque correnti. Questo alveo scavato nel tufo si vede colmato poi col deposito dello strato di ghiaie sopragiacenti. Tutto ciò ci dimostra che dopo la formazione del tufo litoide passò qualche tempo prima della deposizione delle ghiaie. Ciò posto, andiamo a vedere in che consistono queste alterazioni. L’Autore ha trovato in una cava ora abbandonata, nella quale si diroccò la volta di tufo, che le ghiaie sopragiacenti erano alterate e della massima parte dei ciottoli non rimaneva che la sola impronta. Proba- « un impasto meccanico assai denso, e però operatosi con scarsa quantità d’acqua, « prosciugato e disseccato alla maniera dell’argilla che si screpola sotto i raggi del « sole? » (Ved. pag. 12 dell’estratto). 1 Meli R. — Mem. cit. (Ved. nota in fondo alla pag. 12-13 dell'estratto). — 272 — bilmente alcuni ciottoli dovevano essere caduti nel diroccamento della volta, lasciando così solo l’impronta. L’Autore ba pure osservato che i ciottoli calcarei rimasti erano friabili, e si riducevano in polvere com- primendoli fra le dita. Di più, in mezzo alle ghiaie ha notato « avanzi « di sublimazioni di vario colore verdastri o rossastri , ed in specie r della limonile » (pagina 410). Come vengano fuori le sublimazioni in un deposito di ghiaie d’ alluvione non mi sembra tanto facile a spiegare. Io ho osservato solo nella località indicata dal Terrigi che alcuni ciottoli erano alquanto friabili , e che taluni di essi erano superficialmente colorati dalla limonite. Ma queste alterazioni presen- tate dalle ghiaie calcari devono, com’è naturale, attribuirsi a processi idro-chimici operati dalle acque filtranti, senza ricorrere alle sublima- zioni. Questa spiegazione non sembra ammissibile all’Autore, giacché egli dice « il potente strato di argilla soprastante alle ghiaie pieno di molluschi d’acque dolci avrebbe impedito come strato impermeabile la detta filtrazione » (pag. 410). Osservo però, che questo deposito pienis- simo di Bithynie, Planorbis , Valvata , Pisidium ecc. * 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 non è di ar- gilla pura. Costituisce invece un potente strato di tripoli marnoso, giacché osservato al microscopio mi risultò pienissimo di diatomee di 1 In questo strato ho rinvenuto i seguenti molluschi : 1. Planorbis umbilicat.us Muli. var: subangulata Phil. 2. Planorbis vortex Lin. (Helix). 3. Bithynia tentaculata Lin. (Helix) 4. Paludina acuta Drap. (Cyclostoma) 5. Valvdta piscinalìs Miill. (Nerita) 6. Limnaea palustri s Miill. (Buccinum): rara; esemplari che tendono alla forma disegnata nella fìg. 1262 della Tav. 130 dell’opera di Rossmàssler, seguitata dal Dott. Kobelt. 7. Limnaea ovata Drap. (Limneus) 8. Velletia lacustris Lin. (Patella) 9. Pisidium amnicum Miill. (Tellina) 10. Cyrena consobrina Oaill . Rinvenni tre sole valve, ben conservate, spettanti a questa specie, che non venne fino ad oramai citata tra i fossili di questo strato. La Cyr . consobrina Oaill. ( Cyrr Gemellami Phil.) ritrovasi in esemplari molto logorati nelle sabbie di Acquatraversa sulla via Cassia, e già la indicai tra i fossili di questa località ('Vedi Notizie ed Os- servazioni sui resti organ. dei tuji Bollett. R. Com. geol. pag. 450, ovvero estratto pa- gina 25, num. 43). — 273 — acqua dolce, mentre trattato cogli acidi fece vivissima effervescenza. È dunque, non uno strato impermeabile di argilla, ma un tripoli marnoso, ed io ritengo che precisamente per azione delle acque filtranti si ope- rarono le alterazioni dei ciottoli ed il coloramento bruno-nerastro che presentano le ghiaie in taluni punti. Aggiungasi poi che lo strato di marna tripolacea non è continuo, ed a poca distanza da quel punto, ove si notano i ciottoli calcari farinosi, va a mancare. Difatti non lo si ritrova nella grande Sezione, ed è perciò inesattamente segnato nella Tav. Ili del Terrigi. La grande sezione dista solo di qualche diecina di metri dalla località ove si riscontrano i ciottoli calcari decom- posti. Quindi le acque filtranti possono benissimo essere pervenute fino a quel punto, sia attraversando a poco a poco lo strato tripolaceo, sia spandendosi nello strato permeabilissimo di ghiaie e di sabbie là ove mancano le marne tripolacee. Un’altra prova in favore della fusione, sembra che l’Autore voglia trarre dagli ossami ritrovati nei tufi. « La maggior parte delle ossa 11. JJnio (cfr. U. pictorum Lin. var.) Non rinvenni che parecchi frammentimi di valve, del tutto insufficienti per fis- sarne la specie. Ma nella collezione Rigacci, ho potuto ritrovare parecchie valve pres- soché intiere, che io non sarei lontano a riportare all’ TJnio pictorum, Lin. I frammenti della collezione Rigacci provengono dallo stesso strato (tripoli marnoso a fossili e diatomee d’acqua dolce), ma sul biglietto trovasi indicata la località « presso il ponte Salario » lo che significa qualche centinaio di metri più a valle della cava della Sedia del Diavolo. 12. Anodonta cygnea Lin. (Mytilus). Impronta interna di una valva con frammento della conchiglia. Dopo molti ed accurati confronti eseguiti sopra esemplari di varia età e sviluppo feW Anodonta cygnea Lin., non esito a riferire la valva fossile ad un giovane individuo di questa specie. Oltre queste specie raccolte nello strato marnoso superiore ai tufi litoidi della Cava della Sedia del Diavolo a 3 chilometri da Roma, nella coll. Rigacci rinvenni anche due esemplari di Limnaea stagnalis Lin. (Helix) estratte dal medesimo strato marnoso. Alcune delle citate specie sono nuove allo stato fossile per i dintorni di Roma, nè vennero segnate dal Bleicher nella sua memoria: Recherches géologiques faites dans les environs de Rome (Bullet. de la Société d’Histoire naturelle de Colmar, 6. me année 1865). Tutte le citate specie (ad eccezione della Cyrena , Paludina acuta (Drap.), e del- V TJnio pictorum Lin.) vivono anche al presente nella provincia di Roma, e nella mia collezione di molluschi viventi tengo esemplari delle suddette specie, da me in gran parte raccolti con l’animale vivo, in molti punti della nostra Provincia. — 274 « sono carbonizzate, il che dimostra azione di una temperatura non « lieve » (pag. 410). Però non la maggior parte delle ossa rinvenute nel tufo litoide della sopracitata località, ma solo quelle spettanti allo scheletro del Cervus elaphus Lin. ((f) e le altre dell’estremità posteriore destra elefantina sono annerite, mentre i tre crani del Cervus elaphus Lin. (9) e tutte le ossa spettanti ai loro scheletri sono di color bianco, o bianco-giallastro. Quindi, se realmente l’annerimento delle prime fosse dovuto all’abbru- stolimento prodotto dall’alta temperatura, che presentava la massa di tufo quando avvolse, e comprese entro di sè quegli animali, anche gli altri ossami rinvenuti nello stesso tufo, a pochi metri di distanza dai primi, e pressoché alla medesima quota, dovrebbero mostrare almeno tracce di abbrustolimento. Non saprei quindi spiegare questa specie di immunità serbata dagli scheletri delle cerve, sebbene posti in identiche condizioni dell’altro di cervo e dell’estremità elefantine. Le ossa ele- fantine rinvenute nel tufo sono di un color bruno-scuro o nerastre, e quelle del Cervus elaphus ((f) presentano un color nero d’ebano ; mentre le prime si mostrano spongiose, le altre sono compatte, di durezza e solidità lapidea. Il Dott. Terrigi, tenendo conto del loro colore, le giudicò abbrusto- lite. L’analisi chimica delle ossa annerite di cervo fu eseguita dal Professor Francesco Mauro, già Assistente nel R. Istituto Chimico di Roma, il quale me ne comunicò gentilmente i risultati. L’analisi fu istituita sopra un frammento di dialisi di osso lungo. Egli vi rinvenne carbonato e fo- sfato calcico, carbonato di magnesio, tracce di cloruro sodico, sali di ferro, e silicati. Trovò inoltre che la maggior parte dell'osso era inso- lubile negli acidi perchè costituita da silice, e principalmente da una sostanza carboniosa. Può ora domandarsi se questa sostanza carboniosa siasi formata per un fenomeno di rapido abbrustolimento, avvenuto allorquando quegli animali furono con le loro parti molli e carnose inviluppati entro la massa tufacea (la quale, secondo Terrigi, dovea avere una altissima temperatura, perchè fusa), ovvero se non siasi prodotta in seguito per una lenta combustione, simile a quella dei carboni fossili, mercè la quale quegli organismi subirono diverse modificazioni, e si produssero particolari combinazioni nei loro elementi. Ho già accennato (Ved. anche la mia cit. mem. pag. 22) che, os- servando la intattezza e la perfetta conservazione delle ossa di tutti gli animali rinvenuti nel tufo, il loro regolare succedersi secondo l’ordine schelettrico, la loro gi usta-posizione; osservando ancora che in contatto — 275 — di molte ossa, specialmente di quelle che dovevano essere ricoperte da abbondante massa carnosa, il tufo si mostrava diverso, e più facilmente disgregabile, era provato che quegli animali vennero compresi nella roccia allo stato fangoso se non vivi, di certo almeno colle loro parti molli. Ora, se le ossa si fossero carbonizzate per un rapido abbrustoli- mento, mai avrebbero potuto mantenersi in quel modo, e serbare la giusta posizione che tenevano nell’animale; nè molto meno sarebbesi conservata la tessitura intima deìl’osso. La struttura è invece nelle ossa perfettamente conservata, ed ho potuto benissimo osservarla in una sezione sottile, che feci nel senso trasversale sopra lo stesso osso lungo frammentario (probabilmente metatarso) di cui una parte fu assogget- tata all’analisi. La sezione, osservata al microscopio presenta benissimo i canaletti, alcuni dei quali, sotto l’apparecchio polarizzatore, si rico- noscono ripieni di calcite. Devesi dunque ammettere che la sostanza carboniosa provenga dalle modificazioni che subirono quegli organismi, sottratti dal contatto del- l’aria, racchiusi e ravvolti nel tufo, e che determinarono particolari combinazioni nei loro elementi, e nella roccia incassante. Queste combi- nazioni devono essersi operate con un processo lentissimo, e perciò la tessitura organica fu mantenuta. Del resto, darò tra poco la prova che quel tufo litoide non solo non può avere avuto un’elevata temperatura quando racchiuse quei vertebrati, ma che deve invece aver formato una massa fangosa per l’acqua che conteneva mescolata, desumendo ciò dalle impronte del pelame riscon- trate nella roccia. Non esistendo alcun dato di fatto per ammettere l’abbrustolimento igneo, cade così un’altra prova data in favore della fusione dei tufi. Finalmente il D.r Terrigi ravvicina i tufi alle lave perchè i primi non sono stratificati. « Nei tufi della Sedia del Diavolo, egli avverte, * manca assolutamente qualunque traccia di sedimento e di stratifì- « cazione. » È verissimo che nei tufi litoidi non si osservano piani di stratifi- cazione, la quale è marcata nei tufi granulari e terrosi. E pure notissimo che là ove troviamo la stratificazione, abbiamo in generale la prova che quelle rocce vennero deposte dalle acque. Ma ciò generalmente avviene quando i materiali siensi precipitati per via chimica, ovvero deposti meccanicamente in seno alle acque. Se però supponiamo di avere una massa fangosa, la quale formi un impasto assai denso operatosi con scarsa quantità d’acqua, e se si lasci prosciu- gare, non troveremo le linee di stratificazione. Ne possiamo avere uno — 276 — esempio osservando le pozze e le tine, ove i figulinai pongono le marne a macerarsi prima di usarle nella fabbricazione dei laterizi. Se le ar- gille furono ben mescolate, in modo da formare una poltiglia omogenea con l’acqua, e se questa non fu in eccesso, quando siansi prosciugate le marne non offriranno linee di stratificazione. Invece si mostrerebbero stratificate se le stesse marne si fossero deposte in soprabbondante quantità d’acqua. Anche nei peperini laziali manca la stratificazione, e nei grandiosi tagli delle cave sotto Marino si osservano potenti banchi di questa roccia non stratificati. Ora, qualunque sia l’ipotesi che si voglia ammettere sulla genesi dei peperini, o siensi formati per l’impasto avvenuto sulle pendenze del cono vulcanico tra i prodotti disaggregati delle eruzioni colle acque di pioggia del nembo vulcanico, come ritiene il chiarissimo Prof. Ponzi 1 ovvero vogliansi attribuire ad eruzioni fangose, sempre i peperini laziali offrono palesi i caratteri di una roccia clastica, nè per l’assenza di stra- tificazione si dirà che corsero fusi. Quindi la mancanza di stratificazione nei tufi litoidi, secondo me, proverebbe sempre più che in origine costituirono una massa fangosa, piuttosto densa per scarsa quantità d’acqua che tenevano mescolata. In conseguenza dell’ipotesi della fusione, il Terrigi è condotto ad ammettere 1’esistenza nelle vicinanze di S. Agnese di un cratere imma- ginario, dal quale uscì la corrente di tufo della Sedia del Diavolo, senza però possedere alcuna prova di fatto, e senza averne riscontrato alcun indizio sul terreno. 2 Se per ogni banco di tufo litoide si dovesse ammettere l’esistenza di « un cratere , di una apertura cr ederiforme e 1 Ponzi G. Storia dei vulcani laziali — Atti R. Accad. Lincei, Serie II, Tom. 2°. (1875, pag. 13-14 estr.). Lo Gmelin parimenti nella sua interessantissima memoria sulla Haiiyna ritiene che il peperino possa risultare dalla cementazione dei materiali disaggregati delle eruzioni laziali colle acque di pioggia. « Peperinus aeque atque alius tufus vulcanicus... cinis « esse videtur a vulcano quodam ejectus et postea conglutinatus. Cineris autem con- glutinatio... pluviae tantum ope effici potuit. » (Vedi pag. 10 e 12 — Gmelin L. Obser- vationes oryctognosticae et chemicae de Hauyna et de quibusdam fossilibus etc., praetermissis animadversionibus geologicis de montibus Latii veteris. Heidelbergae 1814). Il Di Tucci però propende a ravvicinare i peperini alle lave. (V. Di Tucci P. Saggio di studi geologici sui 'peperini del Lazio — R. Accad. Lincei, Serie 3\ Memorie della Classe di scienze fìsiche mat. ecc. Voi. IV0 1879). 2 Avendo richiesto l’egregio amico Professor F. Keller, al quale fui qualche volta compagno nelle sue escursioni nell’Agro Romano e nell’ Italia centrale, della — 277 — di una fenditura del suolo non distanti » come dice l’Autore a p. 411 della sua memoria, dovremmo collocare parecchi crateri almeno nelle vicinanze dei grossi banchi di tufo litoide, quali sono quelli di Ponte Mammolo sulla via Tiburtina, della Yalchetta sulla via Flaminia, Monte Verde sulla Portuense, Ponte Buttero sulla Ardeatina (in oggi Lauren- tina) ecc. In sostanza tutti gli argomenti esposti dal Terrigi a sostegno della sua ipotesi della fusione dei tufi, dimostrano invece la necessità che ai materiali vulcanici per la formazione dei tufi litoidi siasi unita l’acqua. Che invero i tufi litoidi debbano avere formato una massa pastosa resterebbe dimostrato da un fatto molto interessante. Ho già avvertito, accennando agli scheletri rinvenuti nel tufo, che gli animali dovettero essere compresi nel tufo, se non vivi, almeno colle loro parti molli; ora, in parecchi campioni di tufo litoide molto omogenei a grana minuta, racchiu- denti alcune costole del Cervus elaphus (cf) notai uno straterello dello spessore medio di 0m,016 tutto minutamente bucherato e percorso da sua opinione sulla genesi dei tufi, ed avendogli dimandato se l’ipotesi del Terrigi gli sembrasse in qualche modo accettabile, mi ha comunicato il brano seguente di un suo lavoro ancora inedito, il quale, sebbene si aggiri sui dintorni di Scrofano, sta tuttavia in stretto rapporto colla questione dei tufi. Io lo inserisco qui tale quale mi viene consegnato nel momento in cui rivedeva le bozze della presente memoria. € Il chiar. Dott. Terrigi ha ultimamente pubblicato una memoria assai pregevole nella quale stabilisce fra le altre cose una nuova ipotesi applicabile secondo il suo credere, se non a tutti i tufi litoidi, almeno ad una parte di essi e segnatamente a quello della cava chiamata della Sedia del Diavolo, tre chilometri distante da Roma a sinistra della via Nomentana. Secondo tale ipotesi questa roccia altro non sarebbe che una vera lava solidificata, il che implicherebbe necessariamente l’esistenza di un cratere finora non conosciuto, che si dovrebbe trovare a qualche distanza. Non posso fare di meno di ricordare che questa ipotesi mi sembra inammissibile e resterò in questo riguardo colla comunità dei geologi, i quali, benché fra loro di diverse opinioni sulla genesi del tufo, sono però tutti d’accordo nel ritenere che questa roccia non dev’essere considerata come una lava solidificata. Un completo esame di questa nuova ipotesi oltrepassa i limiti del presente lavoro; farò, invece di questo, una sola osservazione, che è la seguente: « Fra i vari argomenti enumerati in favore della nuova ipotesi si trova anche la struttura colonnare del tufo, che l’autore ha osservata nella suddetta cava e la quale ritiene di tanta importanza da riprodurla perfino per mezzo di un disegno. Ma è questa struttura veramente una prova dell’origine ignea del tufo? Per rispondere a tale quesito rammentiamo che realmente in alcuni casi le lave e le roccie eruttive in generale, nel passare dallo stato pastoso al solido presero la forma colonnare; — 278 — cilindretti regolari pressoché paralleli, a base circolare, indicanti senza dubbio una struttura organica. 1 cilindretti sono spesso riempiuti di calcite. Questo straterello si presentò in varii punti sempre esterna- mente alla posizione naturale che avevano le ossa nel cervo, e mi fece supporre che potesse attribuirsi all’impressione lasciata sulla pasta tu- facea molle dal pelame dell’animale compresovi entro. Queste tracce del pelame del cervo farebbero evidentemente vedere : 1° che la massa tufacea non aveva elevata temperatura quando comprese entro di sé di quegli animali; 2° che la detta pasta doveva essere allo stato fangoso per riprendere in taluni punti anche le im- pronte di un tessuto corneo, il quale si decompose in seguito, ma ne furono conservate le tracce in qualche punto della roccia avviluppante. Io non ho inteso con quanto ho scritto di sopra, di prendere ad esame la memoria dell’egregio Dott. Terrigi; ciò uscirebbe fuori dello scopo fissatomi. Mi proposi solo di studiare se l’ipotesi dei tufi fusi per azione termica potesse essere ammessa, escludendo totalmente l’acqua questi casi sono piuttosto rari e fra le molte lave dei dintorni di Roma vi è la cor- rente di Bolsena e quelle di Rocca Risparapini e di Ferente (nel viterbese) che solo mostrano tale struttura in un modo evidente. « Ammesso, come è opinione generale fra i geologi, che tale struttura sia stata originata dal ristriogimento della lavà, non si può escludere la possibilità, che anche in una massa fangosa possa accadere un simile ristringimento per la perdita del- l’acqua che essa contiene, e questa è, secondo il mio modo di vedere, la vera origine delle colonne, o piuttosto fissure che si osservano nel tufo della Sedia del Diavolo. Convengo che qui si affaccia un’altra questione, cioè di assegnare le vere cause che produssero in certi pochi casi la tessitura colonnare dei tufo, mentre la maggior parte dei casi presenta la tessitura poliedrica, ma siccome questa medesima questione si presenta ugualmente dal lato della lava non mi fermerò a discuterla. « Del resto sarà utile di ricordare che se questa tessitura del tufo è veramente poco comune nei dintorni di Roma, esistono tuttavia delle località ove essa si ma- nifesta in un modo più o meno marcato; così, per esempio, esiste alla punta dei Na- soni qualche indizio di fissure verticali e lo stesso dicasi di alcuni siti dei pressi di Civita Castellana. « Più pronunciata e di molto superiore alle cave della Sedia del Diavolo appare questa struttura di una località fra Saccomuro e Vicovaro, denominata Pozzolana; ma sopra tutto merita di essere visitata la contrada detta Le Amale distante appena un chilometro a valle di Vicovaro sella riva sinistra dell’Amo e soltantq pochi metri discosta dal ponte della ferrovia Roma-Sulmona. Ivi si vedono dei prismi di tufo, che poco cedono in bellezza a quelli della lava di Bolsena e con un poco di pre- cauzione si possono distaccare dei prismi di due e più metri di lunghezza. La trin- — 279 — in qualunque modo presente nella loro formazione, e se quella ipotesi fosse appoggiata dai fatti e dalle osservazioni. Quanto ho esposto di sopra fa vedere che per i tufi non può parlarsi di fusione ignea, e che nes- suna osservazione di fatto sta a sostenere questa nuova ipotesi. Sono quindi assai dispiacente di non potere accettare assolutamente l’idea del Dott. Terrigi, il quale con tanto amore si occupa dello studio del suolo romano. Un’altra pubblicazione, nella quale vengono menzionati i tufi romani è quella del Ricciardi, che ha per titolo : Ricerche chimiche sui depo- siti di tufi vulcanici nella provincia di Salerno?. Ma in questo importante lavoro, per quello che riguarda i nostri tufi leuciti ci, si trovano ripetute le varie opinioni sull’origine dei tufi romani tratte dalla memoria del chiarissimo Prof. Ponzi. 2 Rilevo solamente, che il Ricciardi per i tufi di Salerno, ammette l’ipotesi che il materiale provenga dalle eruzioni subaeree, e sostiene che fu esso deposto su terreno emerso, e che in se- guito per la pressione e per V acqua da incoerente si rese cementato, e formò così i banchi di tufo. Un ultimo lavoro, in cui si fa parola dei tufi leucitici dei dintorni di Roma, fu di recente stampato dal Prof. Tuccimei, col titolo « La cèa della ferrovia escavata da poco tempo in questo tufo facilita di molto lo studio di questa roccia. « Questa località è ancora importante sótto un altro punto di vista; il deposito di prodotti vulcanici, di cui si tratta è di una estensioni assai limitata e dalle con- dizioni topografiche apparisce ad evidenza, che il medesimo altro 'non è che un ad- dossamento sulle rocce non vulcaniche che formano la fiancata sinistra dalla valle dell’Amo. Volendo quindi supporre conforme all’ipotesi del Dott. Terrigi, che questo tufo sia una lava solidificata, si sarebbe costretti di ammettere che il deposito me- desimo formi, esso da sè, una piccola bocca vulcanica estinta e andando innanzi di questo passo il numero dei crateri estinti crescerebbe a dismisura. « Sono dolente di non poter essere d’accordo colfegregio Dottor Terrigi in una questione geologica di tanta importanza; però non poteva fare a meno di non e- sporre qui le mie vedute, perchè i criteri coi quali stabilisco nelfappresso i centri di azione vulcanica dovrebbero secondo il Terrigi subire delle modificazioni essenziali, le quali non posso ammettere. >> 1 Vedi Gazzetta chimica italiana , Anno XI, 15881 — ^Fascicolo IX (pagina 480 a 485). 2 Ponzi G. I tufi vulcanici della Tuscia Romana , loro origine , diffusione ed età. Atti R. Accad. Lincei, Serie 3*, Memorie della classe di scienze fisiche matema- tiche. Volume IX, 1881. — 280 — Geologia del Lazio » b In' questa memoria l’Autore, riassumendo quanto venne già precedentemente pubblicato su tale argomento, fa un cenno dei fossili rinvenuti nei tufi, e sembra anch’egli molto propenso ad am- mettere che i tufi litoidi possano aver costituito una massa pastosa. ( Continua). NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE A. Tommasi. — II Trias inferiore delle nostre Alpi coi suoi giacimenti metalliferi — Il Pizzo dei Tre Si- gnori — Anicino 1882. E il titolo di un lavoro del Dott. Tommasi, eseguito sotto la dire- zione del prof. Taramelli per incarico della Società promotrice delle e- splorazioni scientifiche in Milano, e dalla medesima premiato e pubblicato: nello stesso tempo è un importante contributo alla soluzione della intri- catissima quistione del trias inferiore della Lombardia. Nel primo capitolo di questo lavoro, accennato alle difficoltà di ben stabilire i limiti del trias inferiore e alle diverse opinioni dei geologi su questo argomento, l’Autore, prima di stabilire in modo almeno ap- prossimativo questi limiti, si occupa della divisione del terreno triasico,> e riconosciuto come non possa mantenersi la divisione di esso in tre periodi, riporta la serie triasica come venne stabilita dal Mojsisovics. Da questa rileva che l’epoca triasica è per esso inaugurata dai Werfener- schiefer , ossia dai Seisser e Campiler-Schichten di Richthofen, o dal nostro servino (in parte). Resta però a vedere se il Gròdnersandstein o l’are- naria rossa, che soggiace agli schisti argillosi rossastri, giallastri, mi- cacei ritenuti appartenere ai Werfener-scJiiefer, e la quale in tutta la regione del trias delle Alpi lombarde è assai sviluppata, spetti al per- miano. Che se la presenza del BellerophonìcalJc nel Veneto e nel Tirolo meridionale, subito sottoposto ai Werfener-schiefer e sovrastante al Gròdnersandstein , per il carattere paleozoico della sua fauna toglie 1 Nella Rassegna italiana , Voi. Il, fascio. 1°, luglio 1882 (meni, cit.) — 281 l’incertezza sulla permicità dell'arenaria rossa, tale incertezza sussiste nel tratto delle Alpi da Recoaro al Lago di Como, ove manca l’orizzonte del Bellerophonhaìk. In tanta incertezza pertanto l’Autore, nella rivista generale che fa del trias inferiore lombardo, è indotto a stabilire almeno provvisoriamente che esso sia compreso fra il conglomerato rosso-grigio a grossi noduli quarzosi del permiano inferiormente, e la dolomia cariata superiormente. Passa quindi in rassegna il trias inferiore nel versante me- ridionale delle Alpi, e, cominciando dal Veneto, dà la serie di rocce che dagli studii del Prof. Taramelli risultano sottostare ai Werfenèr-schiefer cioè: l.° Calcare a Bellerophon o suoi rappresentanti; 2.° Arenarie di Gróden e conglomerati quarzosi; 3° Porfidi quarzosi. Riferendosi per questa ragione ai lavori del Professor Taramelli, prende a descrivere ognuno di questi piani, citandone i fossili caratteristici. Venendo poi alla Lombardia osserva che mentre dall’Isonzo sino a Recoaro la presenza del citato Calcare a Bellerophon , o dei suoi rappresentanti, rese possibile di determinare abbastanza esattamente i limiti tra il permiano ed il trias inferiore, la mancanza di tale formazione dalla destra del Garda a tutta la Lombardia rendeva assai difficile lo stabilire tale limite. Esaminate quindi le formazioni in questa regione, citati gli studii e le ricerche fatte da molti geologi e le varie opinioni intorno alla posizione del limite tra per- miano e trias, espone come esso pure si fosse proposto di intraprendere delle ricerche per scoprire il Calcare a Bellerophon od i suoi rappresentanti in Lombardia esaminando specialmente la parte più occidentale dell’alta valle Brembana, come quella meno visitata dai geologi; ma le sue perlustrazioni per quanto diligenti non furono coronate da buon successo quanto alla scoperta del calcare suddetto; non furono però vane, avendo potuto ri- levare con dettagli maggiori di quelli di altri geologi la giogaia del Pizzo dei tre Signori costituente la cima più occidentale delle Alpi Oro- biche h Il risultato delle osservazioni fatte in questa regione forma l’argo- mento del secondo capitolo, nel quale l’Autore passa in rivista le località percorse, descrivendo assai minutamente tutti i terreni da esso incon- trati, notandone tutte le particolarità altimetricbe e stfatigraficbe. Coor- 1 Sotto il nome di Pizzo dei Tre Signori comprende il gruppo montuoso che sta tra la Val Gerola e la Val Biandino a Nord e ad Ovest, la valle del torrente Sta- gna a Sud, la valle di Salmurano, il Monte Avaro ed il Ponteranica ad Est. In questa massa montuosa le cime più importanti oltre quella del Pizzo dei tre Signori (2560 m.) sono: l’Alpe di Camisolo, il Pizzo di Trona, la Cima di Cam e l’Alpe di Poppabona. — 282 — dina quindi le osservazioni fatte, e raggruppa cronologicamente le diverse rocce cominciando dall’azoico e passando successivamente al permiano ed al triasico. Ascrive all’èra azoica i talcoscliisti ed i micaschisti: essi affiorano sopra Introbbio per salire in Yal Piana, ricompaiono in Yal Falghera, a Monte Stavello, Monte Radice e Monte Pigolotto che ne è quasi inte- ramente costituito, e si osservano pure a Cantello, ai Penili, al Passo di Salmurano, ecc. 1 talcoschisti sono in predominio sui micaschisti e sono talvolta tormaliniferi. Crede pure sieno da associarsi con queste rocce per l’età, i gneis e le quarziti pure o cloritiche, micacee o amfiboliche rac- chiudenti banchi granitici e che occupano una gran parte dell’area ri- levata. Nella parte più bassa del permiano pone le rocce di natura porfirica che affiorano a Monte Radice, nella Costa Pegbera e nella Yalle dell’Inferno* Queste rocce sono costituite da un porfido euritico e da un eurite cloritoide; si presentano in forma di ristrette colate e stanno sempre alla base delle arenarie rosse e degli scbisti del Rothliegende , e quindi certamente permiane. Nota pure un eurite rossa del Colle di Cobi, che forse è di epoca più recente poiché sembra emergere dai conglomerati o dalParenarie rosse del Gródnersandstein. Quantunque privi di fossili vegetali del RotMiegende , così abbondanti nella Val Trompia, pure per i rapporti strati grafici e per i caratteri litologici ritiene i terreni di quest’epoca rappresentati nel Pizzo dei tre Signori. Uno stretto lembo di questi terreni affiora dal Monte Piz- zone a Yal Salmurano, ed un altro lembo pure tenuissimo si presenta a Sud di Monte Pigolotto. Essi constano di arenarie talora eminente- mente quarzose, schisti arenacei e scbisti variocolori e neri pseudotegulari; vi mancano totalmente i conglomerati. Questo complesso di rocce benché non conservi in tutta la zona la stessa facies petrografia, viene dall’Autore riferito al Bothliegende come quello che ricopre dove i talcoschisti, dove i porfidi euritici, ed è ovunque ricoperto dalle arenarie e dai conglomerati ro^si quarzosi del Gródnersandstein. Quest’ultimo piano, malgrado la mancanza di una zona superiore a Bellerophon o dei suoi rappresentanti è dall’Autore ritenuto come membro superiore del permiano, facendo cominciare dai Verfener-schiefer l’èra mesozoica. In questa opinione è indotto dal riconoscere nel permiano una formazione prevalentemente di spiaggia, mentre nei terreni del trias si scorge una formazione di mare profondo sparso qua e là di banchi corallini nei luoghi di antichi lidi. Le arenarie sottostanti ai Verfener - — 283 — schiefer , grossolane nella parte più bassa, finissime e marnose a contatto con essi schisti, sono l’effetto del lento abbassarsi della spiaggia, con breve periodo di oscillazioni del lido, dimostrata da arenarie alternan- tisi ai conglomerati, finche avvenne l’ ultimo abbassamento che permise il formarsi dei Ver fener- schiefer. E poi confermato in tale opinione dal confronto delle rocce da lui raccolte con quelle recate dal Prof. Tara- nielli dal Friuli, ove la delimitazione è assai netta per la presenza della zona intermedia a Bellerophonkalk e dalla formazione gessifera infe- riore. La formazione del Gròdnersandstein è assai sviluppata nella regione rilevata dall’Autore. Si presenta in due zone, una più ampia a Nord che costituisce la cresta della catena, l’altra più ristretta a Sud separata dalla prima dalFaffioramento quarzitico-granitico e porfirico-euritico, e facevano forse un tempo parte di una stessa vòlta rotta dalla medesima causa che separò in due lembi gli schisti e le arenarie del Rothliegende. Essa è costituita da conglomerati rossi a grossi noduli di quarzo, di rado porfirici e di arenarie rosse a grana più o meno fina, talvolta ferruginose o bianco-gialliccie, ed è disposta in banchi costantemente inclinati da Sud a Nord oltre i 45°, e riposante ordinariamente sugli schisti neri pseudotegulari del Rothliegende , ma talora anche diretta- mente sul talcoschisto. I Ver fener -schiefer formano in Val torta una stretta zona costituita da schisti rosso-vinati e verdognoli marnosi privi dei fossili caratteri- stici. Il loro aspetto e la natura petrografica è identica a quella degli schisti a Naticella costata del Friuli e delle altre località tipiche più conosciute. Questa formazione riposa sulle arenarie spesso marnose di Groden ed è in più luoghi sormontata dalla dolomia cariata. Questa dolomia chiude la serie del trias inferiore: essa è giallognola, talora farinosa; si presenta in una zona assai tenue e passa al calcare nero dolomitico del Muschelkalk, cominciando così la serie del trias medio e del Keuper. I terreni di questi sono dall’Autore solo breve- mente accennati. II capitolo terzo è totalmente dedicato alla descrizione dei più im- portanti giacimenti metalliferi del trias inferiore della Lombardia. Questi giacimenti, che formano una zona interrotta dal lago di Como alla Yal Sabbia, per la maggior parte costituiti da ferro spatico, sono dall’Autore passati in rassegna, ordinati per valli e per gruppi, fornendo per ciascuno i dati più importanti sulla loro potenza, sulla qualità e quantità del minerale, aggiungendo per molti di essi anche le analisi chimiche ed altri particolari sulla lavorazione delle diverse cave. 20 284 — In questa parte l’Autore dichiara di essersi valso dei lavori del Curioni, del Polli e di altri autori. Nel quarto ed ultimo capitolo presenta la descrizione di alcuni fossili da lui determinati del trias inferiore del Veneto, quasi tutti rac- colti dal Prof. Tarameìli, ed altri di Lombardia esistenti nel Museo geologico deirUniversità di Pavia. Questo studio è corredato da una Carta geologica del Pizzo dei tre Signori in cromolitografìa, e da una tavola nella quale sono disegnati i fossili determinati dall’Autore. / Ing. Fe. Salmojkaghi. — Appunti sui materiali naturali per costruzioni e decorazioni edilizie. — Milano 1882. E un primo tentativo di sintesi dei materiali litoidi di costruzione in Italia, intrapreso con lodevole iniziativa dall’ ing. Francesco Salmoj- raghi e che si può dire bene riescito. Vi diede occasione una collezione ricca, benché incompleta, di detti materiali, raccolti per la circostanza delia Esposizione nazionale tenutasi a Milano nel 1881 e dall’Autore coordinati e studiati. È notorio come per l’addietro si attribuisse da noi nessuna o po- chissima importanza alla conoscenza esatta dei materiali da costruzione offerti dal nostro suolo, e come le distinzioni che si andavano facendo sui medesimi fossero unicamente fondate sopra caratteri affatto acci- dentali di colore e di lavorabilità, rimanendo in generale trascurati i caratteri non solo di giacitura geologica ma altresì quelli della natura litologica. Da parecchi anni però si fecero progressi sotto questo rap- porto, sia per l’ indirizzo dato a siffatto insegnamento nelle scuole, sia per le molte ricerche fatte e i non pochi tentativi per rinvenire ed utilizzare le ricchezze del nostro suolo, sia infine per la maggiore dif- fusione di un certo grado di coltura generale. 1 1 Utilissime a questo scopo furono le ricerche promosse dal Ministero di Agri- coltura sino dall’anno 1872, con la nomina di una Commissione la quale aveva man- dato di raccogliere campioni di tutti quanti i materiali edilizi e decorativi del Regno d’ Italia, insieme con i dati relativi alia loro estrazione e lavorabilità. Questa Oom- — 285 — Degno di lode pertanto è l’operato dell’ing. Salmojraghi, il quale rivolse la sua attività a questo interessante argomento, e con la sua pubblicazione cominciò a far conoscere i risultati finora ottenuti. Nel suo lavoro l’Autore, dopo alcune osservazioni generali sulla ab- bondanza e la distribuzione dei materiali italiani, passa in rassegna le diverse regioni d’ Italia, indicando per ciascuna di esse quali e di quale natura fossero i materiali esposti a Milano, dai graniti delle Alpi, della Sardegna e della Calabria, insino alle lave ed ai raglome- rati dei vari centri di vulcanicità. Da tale rassegna risulta che la copia e la varietà dei materiali rispondono dovunque alle condizioni geologiche delle varie contrade, e che più ricche sono appunto quelle regioni dove la :serie geologica dei terreni è più estesa e dove questa comprende ter- reni di età molto antica. In generale, salvo poche eccezioni nella pia- nura padana, tutte le provincie comprendono qualche lembo montuoso, e quindi sono più o meno ricche di materiali utilizzabili. Praticamente interessante riesce l’argomento, pure toccato dall’Au- tore, dei rapporti generali fra i caratteri litologici e geologici dei ma- teriali ed i loro caretteri costruttivi, ossia la loro diversa attitudine a soddisfare i vari bisogni dell'edilizia : egli applica quindi i criteri che ne derivano ad una classificazione pratica dei materiali, nella quale le prime divisioni sono subordinate ai caratteri costruttivi e le suddivi- sioni a quelli della genesi, della composizione e della struttura. Dalla collezione esposta a Milano risultò eziandio quanti sieno i giacimenti di materiali non utilizzati, e come molti di questi quando fossero lavorati potrebbero fare scemare la annua importazione dall’e- stero di materiali specialmente da decorazione, e in particolar modo dei marmi. In una prima appendice alla memoria havvi l’elenco ragionato delle principali collezioni di materiali presentate all’ Esposizione del 1881 ; a questa fa seguito una seconda, con l’elenco delle principali cave della Sardegna, una terza con un quadro indicante la presenza o l’as- -missione, valendosi dell’opera di Giunte provinciali ,potè radunare in breve tempo una cospicua raccolta di materiali insieme con un intero corredo di dati tecnici e stati- stici; un primo saggio di quella raccolta figurò alla Esposizione di Vienna del 1873, Più tardi le attribuzioni della Commissione, insieme con il ricco materiale r adunato passarono al Comitato Geologico, il quale ne continuò l’opera con l’ intendimento di formare una collezione la più completa possibile dei nostri materiali litoidi e di pub- blicarne a suo tempo l’elenco fornito di tutte quelle informazioni che possono tor- nare utili alla pratica 286 — senza dei principali tipi litologici nelle provinole d’Italia, ed una quarta con una ricca bibliografia sui materiali naturali italiani per costru- zioni e decorazioni edilizie. La memoria è corredata da una cartina d’ Italia, nella quale sono indicati con colori e con segni diversi i principali e più noti giacimenti di materiali secondo la quadruplice divisione di materiali calcarei, cri- stallini e aggregati schistosi. Xng. Fr. Salmojraghi — Alcune osservazioni geologiche sui dintorni del lago di Comabhio — Milano 1882. Un fatto impreveduto verificatosi nei lavori del nuovo tronco fer- roviario da Gallarate a Laveno, in Lombardia, diede occasione all’Autore di istituire osservazioni di dettaglio sui dintorni del lago di Comabbio posto al piede dì quelle prealpi. 11 tracciato della linea attraversa un gruppo di colline situato all’est di detto lago ed al sud di quello di Varese, per mezzo di una galleria della lunghezza di 1510m. Ora, mentre quel gruppo era stato finora giudicato di origine morenica, nel pro- gresso di perforazione della galleria, contrariamente alle previsioni, si andò incontro ad un massiccio di congiemerato a grossi elementi (gon- folite) analogo a quello di Castel Baradello presso Como e come esso di epoca miocenica. Si tratta adunque di un sistema di colline isolate di formazione terziaria, intieramente coperte e mascherate da detrito mo- renico che ne forma il soprasuolo. Tutto all’intorno il terreno è di schietta indole glaciale, e costituisce una delle cerehie continue dell’an- fìteatro del Lago Maggiore, depositata in una sosta di regresso del ghiac- ciaio, nè yì mancano i depositi lacustro-glaciali d’origine intermorenicar come pure moltissimi depositi di sfacelo morenico. Questi terreni con- stano in generale di frammenti gneissici, che si presentano con strut- tura ed aspetto vario, e subordinatamente di graniti e qualche roccia anfibolica; vi si contano anche molti calcari, i quali forniscono la massima^ parte dei ciottoli striati. La gonfolite in discorso consta di ciottoli arrotondati, ma con super- fìcie d’ordinario non liscie e con dimensioni rilevanti ; in media si possono ritenere di 20 centimetri di diametro. Le roccie gneissiche vi' sono rarissime, e ciò costituisce un carattere differenziale coi terreni morenici; prevalgono invece le roccie anfiboliche, mentre le granitiche sono in minor numero : le calcaree infine sono meno svariate e vi manca assolutamente il calcare nummolitico. Il cemento è costituito da un’are- — 287 — diaria grossolana, tenace, la quale consta di granelli di quarzo con pa- gliette di mica e granuli verdi probabilmente cloritici. La gonfolite copre con discordanza di stratificazione una mollassa a Dentatine pure miocenica, o forse anche deiroligocene. A questa si sottopone il calcare nummolitico. In conclusione risulta dall’anzidetto che i ghiacciai scendendo sul- l’area circostante al lago di Comabbio, traversarono, non già un piano esente da ostacoli, ma un sistema di colline mioceniche, già da tempo sollevate, che dovettero superare per invadere il piano e che ricoprirono -con le loro morene. NOTIZIE DIVERSE Società Geologica Italiana. — La Società Geologica italiana, fondata nel 1881 durante il Congresso internazionale in Bologna, riunivasi per la prima volta il 3 settembre in Verona, dove tenne diverse sedute, delle quali deve rendere conto il Bollettino della Società medesima. La prima seduta venne inaugurata con un discorso del Presidente professore Meneghini, il quale fece una rassegna dei diversi studi geologici che ora si stanno facendo in tutta Pltalia; molti doni di libri e carte vennero presentati tra i quali una grande Carta geologica del veronese del Dr Nicolis, nativo di quella stessa città. Il numero dei soci convenuti era di 31, mentre molti altri si fecero scusare perchè impediti dalle loro occupazioni. Il bilancio della nascente Società ammonta ora a L. 1930. Venne intanto proclamato a Presidente per l’anno seguente il profes- sore Capellini, e nominato a V. Presidente il prof. Stoppani. Una gita geologica molto interessante, di cui riferì dettagliatamente il prof. Pirona, venne eseguita alla chiusa di Rivoli e lungo la sponda orientale del Lago di Garda. La città di Verona si distinse per la munificenza e cordialità con cui ricevette quella scientifica Associazione, ed eguale accoglienza le fecero le popolazioni dei principali paesi toccati nella escursione e cioè Rivoli, Bardolino e Peschiera. Elefante fossile nel Parmense, — Verso la fine dell’ottobre 1882 nel fondo il Belvedere , in quel di Bargone presso Tabiano, mentre 288 — si stava scavando per porre le fondamenta di un casino di campagna^ sul colmo d’una collinetta, si scoprì una zanna fossile di elefante, indi una seconda, poi delle ossa del cranio e due denti molari. Dato subito da chi dirigeva i lavori avviso di tale importante scoperta al proprietario, questi interessava il professore Strobel in Parma perchè volesse secolui recarsi sul luogo, al fine di verificare la scoperta, riconoscerne le particolarità, disporre per lo scavo e la conservazione di quei fossili, ed indagare se vi apparissero indizi della esistenza delle rimanenti parti scheletriche di quel gigantesco proboscideo. La visita sul posto ebbe luogo pochi giorni dopo. I due denti mascellari, la parte posteriore d’una delle zanne ed al- cuni frammenti del cranio essendo già stati trasportati a Borgo San Don- nino , nello studio dell’ ingegnere Saglia, si procedette prima allo esame loro, dal quale apparve non trattarsi già, come si sospettava, di avanzi di Mammouth, Elephas (Euelephas) primi genìus Blumenbach, del- l’epoca quaternaria, sibbene del terziario Eleplias (Loxodon) meridionali s Palconer. Giunti al Belvedere, fu veduto che la giacitura di quei fossili era real- mente in uno strato di ghiaia e sabbia gialla del pliocene superiore, incidente approssimativamente a N.O., che una delle zanne vi era tut- tora sepolta, e che la parte anteriore o punta dell’altra tiene l’indicata posizione inclinata dello strato che la contiene. Conforme a tale incli- nazione mentre la punta di questa zanna trovasi a circa 4 metri sopra la superficie del colle, i denti molari, posti più a S.E. della medesima, giacevano a meno di 3 metri sotto quella superficie. Dalle misure prese su la zanna messa allo scoperto, risultò essere la sua lunghezza di metri 3,20 ed il massimo suo diametro di centi- metri 28. Vicino alla sua radice si scoprirono altri residui delle ossa del cranio, ma in tale cattivo stato di conservazione, da sfarinarsi al me- nomo contatto colle dita. Fatti alcuni saggi per la ricerca delle altre parti dello scheletro s’ebbe un risultato negativo. Si venne quindi nella decisione di la- sciare coperta la zanna tuttavia sepolta, di ricoprire la parte tuttora lasciata in posto dell’altra, e di attendere la stagione calda, sia per estrarre quei denti, sia per tentare nuovi scavi alla scoperta d’altre* parti dello scheletro. CARTA GEOLOGICA DELL’EUROPA Riunione delle Commissioni internazionali a Foix (Pirenei) nel settembre 1882. Al chiudersi del Congresso Geologico internazionale del 1881 in Bologna, era stato deciso che la prossima sessione dovesse tenersi nel 1884 a Berlino, e che nel frattempo il Comitato per la Carta Geo- logica d’Europa, stata allora decisa, e la Commissione internazionale per proseguire lo studio dell’unificazione della nomenclatura geologica, si avessero a riunire nel 1882 in Francia e nel 1883 in Svizzera, per comunicarsi le idee e statuire sui preparativi del Congresso del 1884. Per luogo di convegno in Francia era stata scelta la città di Foix nei Pirenei (Ariége), perchè nella medesima già doveva riunirsi in que- st’anno 1882 la sessione straordinaria della Società geologica francese, parecchi membri della quale erano pure membri delle due summenzionate Commissioni internazionali. La riunione era fissata pel 17 settembre. Al dato giorno si trovò numeroso il convegno. Il prof. Hébert della Sorbonne, presidente della Sessione della So- cietà geologica francese e rappresentante della Francia nella Commis- sione internazionale della nomenclatura geologica, era già da più giorni in quella regione che era stata campo dei suoi antichi studii. Egli ac- cordò alle due Commissioni internazionali, per le loro riunioni, 1’ uso dell’aula di Giustizia che era stata concessa alla Società geologica. Ivi erano state collocate le raccolte appositamente portate da Pa- rigi e quelle dell’ abate Pouech e di altri studiosi della geologia dei Pirenei. Più di quaranta erano i geologi francesi convenuti, fra cui i professori Gosselet di Lille e Lory di Grenoble. Vanno pure menzionati i due geologi Fontannes e Delaire, che con tanto zelo ed intelligenza avevano tenute le funzioni di segretari redattori al Congresso Geologico di Bologna per la formazione del suo Resoconto finale. Un vasto programma di escursioni che dovevano durare dal 18 sin verso il fine del mese, alternandosi con le sedute, era stato compilato dal presidente Hébert con l’attiva collaborazione del giovane geologo Lacvivier, che l’avea corredato di numerosi profili geologici. Le sedute poi della Società geologica francese dovevano aver luogo, come lo eb- — 290 — bero, anche durante le escursioni ed in qualunque paese fosse comodo di tenerle, specialmente alla sera. Le due Commissioni internazionali erano assai bene rappresentate, malgrado le distanze ed altri ostacoli che aveano impediti vari membri di ritrovarsi in quell’epoca al convegno. Della Commissione internazionale per la nomenclatura, oltre al sun- nominato prof. Hébert, che ne era stato nominato presidente a Parigi nel 1878, erano presenti: Blanford per le Indie orientali, Capellini per Fltalia, Dewalque pel Belgio, Hughes per l’Iaghilterra, Renevier e C. Mayer per la Svizzera, Moeller per la Russia, Yilanova per la Spagna, Zittel per la Germania. Del Comitato per la Carta geologica dell’Europa erano presenti i due direttori dell’Istituto geologico di Berlino incaricati della sua ese- cuzione, Beyrich ed Hauchecorne, il Moeller sunnominato per la Russia, Giordano per l’Italia e Renevier per la Svizzera. Gli altri tre membri Daubrèe (presidente) per la Francia, Mojsisovics per l’Austria, e Topley per l’Inghilterra, si erano scusati perchè impediti di intervenire. Le sedute delle due Commissioni internazionali si alternarono con quelle della Società geologica di Francia, alle quali ultime però tutti i membri presenti egualmente assistevano. Qui si renderà conto solamente delle prime, come interessanti il soggetto nostro, terminando poi con un cenno sulle escursioni. Sedute delle commissioni internazionali. Nella prima adunanza del 17 settembre venne anzitutto deciso che il Comitato della Carta dell’Europa e la Commissione della Nomenclatura tenessero seduta insieme. Il prof. Capellini, presidente del 2° Congresso internazionale, e che dovrà durare in tale funzione sino al prossimo di Berlino nel 1884, in- dipendentemente da quella venne aH’unanirnità nominato altresì presidente della Commissione internazionale della nomenclatura, al posto del pro- fessor Hébert, e ciò dietro stessa proposta di quest’ultimo. Intanto in assenza del Daubrée, presidente della Commissione per la Carta geolo- gica di Europa, il Capellini, come presidente del Congresso, assunse anche questa presidenza, e così non vi fu difficoltà a che le due Com- missioni fossero sempre riunite insieme. Per la Commissione della Nomenclatura rimase Segretario il De- 291 — walque e pel Comitato della Carta il Benevier. I signori Fontannes e Delaire, pregati, assunsero, come a Bologna, la funzione di redattori. Le sedute delle due Commissioni riunite furono quattro, cioè due nel giorno 17 settembre, la terza il 19 e la quarta il 21 ; quest’ultima nel paese di Lavelanet, durante una delle escursioni. Si riferiscono in calce a questa nota li resoconti testuali delle quattro sedute. Intanto però si crede utile dare qui un brevissimo riassunto delle medesime, per indicarne le principali conclusioni. gPrima seduta del S'S settembre 1. Comitato della Carta. Il sig. Hauchecorne rende conto dello stato attuale del lavoro della Carta dell’Europa, la cui esecuzione artistica in Berlino venne affidata alla Casa Beimer L. C. sotto la direzione del geografo Kiepert. La parte ora in esecuzione concerne soltanto la topografia; vi se- guirà più tardi la colorazione geologica. La circolare emanata lo scorso gennaio dai Direttori della Carta Beyrich ed Hauchecorne, esponeva le basi del lavoro quale era stato ideato e la ripartizione della spesa fra le varie nazioni europee. Questa spesa però consisteva, per le nazioni stesse, nell’acquisto di un dato numero di copie della Carta, il quale assicurasse all’editore il capitale che avrebbe dovuto impiegare nell’esecuzione. Su questo tema del resto già venne riferito nel n. 3 del Bollettino di quest’anno (maggio e giugno) esponendovi come la quota destinata ad ognuna delle nove principali nazioni era un minimum di 100 copie al prezzo di L. 100 per copia e pagabili a rate a misura dell’avanza- mento del lavoro, la durata del quale si prevede non inferiore ad anni sei. Ad assicurare però il buon esito ed una accurata esecuzione di un’opera di sì lunga lena, sarebbe stato necessario, ed era ciò stato rappresentato nella circolare, che almeno le maggiori nazioni si impe- gnassero sin da principio all’ acquisto di un numero di copie in più delle prime cento, il quale però a rigore non sarebbesi dovuto pagare che ad opera finita, cioè al più presto fra anni sei. Già la massima parte delle nazioni avevano ora risposto favore- volmente all’invito fatto dalla Direzione di Berlino e soltanto di poche attendevasi ancora 1’ adesione ; onde incaricavasi il presidente stesso — 292 — Capellini di fare all’uopo, cioè in caso di ulteriore ritardo, una solle- citazione ai rispettivi governi. Dall’Italia era stato risposto favorevolmente in quanto all’impegno per le prime 100 copie, ma non s’era ancora dato risposta per quel numero in più che sarebbesi desiderato pel successo dell’opera. Tenne però espressa la fiducia che il governo italiano non mancherebbe di concorrere condegnamente pel successo di un’opera che avea avuto la sua origine nel congresso di Bologna. Quanto al lavoro della Carta stessa, la parte topografica già era assai avanzata, ed il Direttore Hauchecorne presentava in una cartina d’insieme il vario stato di avanzamento pei diversi paesi secondo che i medesimi aveano mandato più o meno in tempo alla suddetta dire^ zione di Berlino i necessarii elementi. Dell’Inghilterra e qualche parte di Scandinavia era già fatta l’inci- sione ; dell’Italia, se non era ancora cominciata l’incisione, era già però ultimato il disegno. II. Commissione della Nomenclatura. Il prof. Hébert rende conto di ciò che nel frattempo venne fatto in Francia dove fu ricostituito il Comitato della nomenclatura con un Sotto- comitato per la nomenclatura litologica, ossia delle roccie, essendosi colà creduto opportuno lo studio di queste prima di accingersi alle par- ticolarità della nomenclatura strati grafica. I signori Mayer e Renevier espongono come l’antico Comitato sviz- zero venne disciolto ed il suo compito venne assunto dal Comitato della Società geologica svizzera che recentemente costituivasi. II signor Zittel informa che l’Àustria decise di formare una Com- missione sola con la Germania. A nome poi del signor Neumayr di Vienna espone il desiderio che i lavori del Congresso in fatto di sud- divisione dei terreni non vadano oltre i limiti di ciò che venne fatto a Bologna, e quanto alla nomenclatura delle specie, venga incaricato un Comitato speciale di redigere un indice paleontologico il quale faccia autorità per l’avvenire. Tale proposta è appoggiata dai professori Hébert e Capellini. Qualche altro Commissario espone ciò che venne fatto nel suo paese, ed infine il presidente Capellini promette il concorso il più attivo per parte del Sottocomitato italiano nella via presa da quello francese, in modo da avere in pronto gli elementi necessarii al buon esito del pros- simo Congresso di Berlino. — 293 — In questa stessa seduta, dietro l’esposizione fatta dal signor Rene- vier circa al luogo in cui dovrà riunirsi nell’ anno prossimo la Società elvetica di scienze naturali, che sarebbe Zurigo, venne deciso che la prossima riunione delle due Commissioni internazionali abbia luogo nel- l’agosto 1883 nella detta città. Seconda seduta del I H settembre, nel pomeriggio. > Questa fu del Comitato della Carta. Il signor Haucbecorne comunica il processo verbale di una riunione tenutasi a Berlino nel decorso giugno, alle cui conclusioni aderirono i principali geologi della Germania. In tale riunione venne stabilita una serie dei terreni sedimentarii che si proporrebbe prendere per base da cui partire nel formare le domande di dati cui le diverse nazioni dovreb- bero fornire per la formazione della Carta d’Europa. Simile serie è ac- cettata come base provvisoria, salvo a discuterla poi nelle Commissioni, e la medesima viene dal segretario Renevier formulata in 27 numeri o suddivisioni, quali vedonsi nel quadro unito al Verbale della seduta, quadro che per comodità qui si riferisce. Quadro delle divisioni strati grafiche. 1. Gneiss e Protogino 2. Schisti cristallini 3. Filliti 4. Cambriano 5. Siluriano 6. » (Micaschisti, talcoscbisti e cloriteschisti, schisti amfi- bolici e gneiss fogliettati) (Schisti argillosi , Urthon- schiefer) (Tutti gli strati fossiliferi in- feriori al Llandeilo ) inferiore (fauna 2a di Bar- rande) superiore (fauna 3a E di Bar- rande) Rosa vivo » medio » pallido Grigio rossastro Verde oliva carico » chiaro 7. Devoniano inferiore Verde-bruno carico 8. » 9. » 10. Carbonifero 11. » medio (calcare d eWEifel ecc.) » medio superiore » chiaro inferiore (Culm , Moantain- limestone, ecc.) Grigio-turchino superiore ( Houiller , Millstone - grit , ecc.) Grigio — 294 — 12. Permiano inferiore ( Rothlicgendes , ecc.) Terra di Siena bru- ciata 13. » superiore ( Zechstein ed equi- valenti) Sepia 14. Trias inferiore (arenarie variegate) Violetto carico 15. » medio ( Muschelkalk ) » medio 16. » superiore ( Keuper e suoi equi- valenti) » chiaro 16'. Retico a titolo provvisorio (esclusa V Hauptdolomit) 17. Giurese inferiore (Lias) Pleu carico 18. » medio ( Dogger compreso il Kelloviano) » medio 19. » superiore ( Mahn col titonico e il Purbeckiano) » chiaro 20. Cretaceo : F inferiore (Neocomiano e W eal- diano) Verde carico 20'. Gault a titolo provvisorio 21. Cretaceo superiore (a partire dal Ce- noni ardano) » chiaro 22. Eocene Nummulitico, ecc. Giallo aranciato 22'. Flysch a titolo provvisorio 23. Oligocene (coll’Acquitaniano) » carico 24. Miocene (mollassa) » medio 25. Pliocene » chiaro 26. Diluvium » di Napoli 27. Alluvioni Bianco In questo quadr< d si fanno figurare separati, a titolo provvisorio, tre terreni : il Retico , il Gault ed il Flysch , dei quali è tuttavia oggetto di discussione a quale sistema convenga riunirli. Siccome, stante la scala re- lativamente piccola della Carta, sarà forse difficile farli figurare separati, si potrà riunirli od al superiore od all’inferiore, in dipendenza dei re- sultati a cui giungerà la Commissione della nomenclatura. Lo stesso Hauchecorne presentò una scala di tinte derivata da un piccolo numero di colori fondamentali e di cui si vorrebbe fare appli- cazione alla Carta d’Europa. Una prova di simili colori era stata fatta sulla Carta dell’ Europa Centrale del Dechen. Gli stessi venivano intanto indicati per i diversi terreni nel quadro riportato qui sopra ; ma ulteriori esperimenti si ri- tenevano necessarii prima di farne la definitiva proposta alle Commis- sioni internazionali che dovranno decidere in proposito. — 295 — Nelle due ultime sedute del 19 e 21 settembre non si fece che svolgere e precisare meglio qualche punto delle questioni avanzate nelle sedute precedenti. Così, per es., venne ammesso di doversi occupare in pari tempo della classificazione e suddivisione delle roccie eruttive o cristalline, problema che non ave vasi avuto tempo di trattare a Bologna. Il Comitato ungherese avea proposto le cinque suddivisioni di gra- niticheporfiriche, trachi Uche , basaltiche e vulcaniche , mentre il Beyrich sarebbe disposto ad accettare provvisoriamente i termini di : granitiche, porfiriehe. melafiriche, trachitiche e basaltiche. Quanto alla questione delle desinenze omofoniche, di cui già si era cominciato a trattare a Bologna, sarà pure il caso di occuparsene nel corso degli studii che si faranno dalle Commissioni, cercando però di ridurre al minimo numero le innovazioni. Intanto viene vivamente raccomandato ai diversi Comitati nazionali di studiare il migliore aggruppamento delle masse sedimentarie dei rispettivi loro paesi, tenuto presente il surriferito quadro di divisioni stratigrafiche e la costituzione geologica delle altre regioni, onde met- tersi in grado di fornire i migliori materiali per la Carta geologica d’Europa, e ciò possibilmente per la riunione dell’ anno prossimo in Zurigo. Escursioni. Il programma prestabilito comprendeva nove giorni (tra il giorno 18 ed il 27) di escursioni principali, oltre le minori facoltative, ed esten- devasi in un grande raggio di 50 a 70 Km., cioè sino a Lavelanet ai- fi Est, Yicdessos al Sud nella catena dei Pirenei, Ste Grirons e Ste Croix all’Ovest. I terreni visitati comprendevano la massima parte della serie stratigrafica a partire dal terziario inferiore e risalendo sino al Devo- nico, oltre poi agli schisti e gneiss antichi, alle roccie granitiche ed a quelle ofitiche di speciale interesse in quella catena. Però i terreni meso- zoici e specialmente alcuni piani del trias, dell’infralias, del giurassico e del cretaceo furono quelli che si poterono più frequentemente osser- vare. Anche i fenomeni glaciali, consistenti in morene e roccie lisciate poterono venire osservati in diverse località, come, p. es., nella valle di Yicdessos. Quivi erano anche degne di nota l’antica miniera di ferro di Rancier tuttora lavorata dai comunisti dei circostanti villaggi con dritto d’uso affatto medioevale, ed alcuna fra le antichissime piccole ferriere così dette catalane , le quali vanno ora cessando innanzi al pro- cesso degli alti forni. 11 giorno 21 (Domenica) fu passato in Foix prendendo parte ad una festa che può dirsi scientifica, poiché in quel giorno ebbe ivi luogo l’inaugurazione di una statua in bronzo elevata all’antico convenziona* lista Lakanal, nativo di questa città e giustamente celebre come l’uno dei fondatori dell’Istituto di Francia. Infatti tale inaugurazione venne onorata dalla presenza del Ministro dell’istruzione pubblica francese, venuto appositamente, e fu ventura che si trovassero ivi raccolti tanti scienziati sia nazionali che esteri. Il prof. Capellini poteva rappresen- tarvi anche l’Università di Bologna. Dopo le escursioni, terminatesi il 27, il detto professore recavasi a visitare alcune altre località interessanti, come la regione vulcanica della Francia centrale, mentre l’ ing. Giordano recavasi a visitare i ricchi giacimenti ferriferi di Somorostro presso Bilbao. Le escursioni geologiche eseguite nei Pirenei da circa cinquanta geologi di varie nazioni assieme riuniti, furono certamente feconde di molte osservazioni e di utili confronti. Sarebbe troppo lungo il volerne anche solo sommariamente riferire, e del resto ve ne sarà il resoconto negli atti della Società geologica francese. E però interessante il cenuare almeno le relazioni state osservate dal prof. Capellini fra alcuni terreni dei Pirenei e gli analoghi da lui conosciuti in Italia, onde avvenne che la geologia di questi ultimi potè servire a rischiarare quella di certe località dei primi. Del resto resi- stenza dell’infralias nell’Ariége già era stata pronunziata dal detto professore in una sua pubblicazione del 1862, ciò che a giudizio dei francesi gli conferiva la priorità anche sugli studi dell’ a- bate Pouech, noto geologo di quella parte dei Pirenei. Basterà ora citare un brano del rapporto sommario testé pubblicato sulla riunione di Foix dal vice presidente della sessione straordinaria prof. De Rou- ville. « Le lias moyen et l’infralias sont les deux seuls horizons fos- silifères qui se font reconnaìtre au milieu des couches dont la magnèsie semble avoir fait disparaìtre toute possibilità de millesime. L’infralias avec ses Avicula contorta et ses bactryllium , comme le calcaire à millio- lites avec ses lithotamnium , ont, gràce aux savantes Communications de M. Capellini, relié les horizons les plus lointains de l’Est et de l’Ovest et consacrò ce que nous rappellions plus haut, l’identitè des phenomènes organiques sur de grandes distances. « Le trias, substratum du jurassique, nous a montré ses inarnes iri- sées, ses carnieules et gypses : nouveau trait d’unité de formation, celle- — 297 — ci à travers le globe tout entier, dont les géologues suisses eri particulier ont tiré si bon profit pour se reconnaìtre dans les mas- sifs si tourmentés des Alpes. M. Capellini nous a fait retrouver le Yer- rucano dans les échantillons de volumineux poudingues quarzeux observés hors place, mais que M. Lacvivier a reconnus pour appartenir à la base du trias. » Ecco ora il testo dei resoconti delle sedute : SÉ ANCE DU 17 SEPTEMBRE 1882. ( Comité de la Carte et Commission de nomenclature). Présidence de M. Capellini, président du 2« Congrès geologiche international. La séance est ouverte à 9 heures et demi dans la grande salle du Palais de justice de la Ville de Foix. Sont présents: MM. Capellini, Beyrich, Blanford, Dewalque, Giordano, Hauche- corne, Hébert, Huglies, Mayer-Eymar, de Moeller, Renevier, Vilanova, Zitte!. M. Delgado se fait excuser. M. Capellini, président, remercie M. Hébert d’avoir mis à la disposition des Commissions internationales la salle destinée aux séances de la Societé géologique pendant la session de Foix. Sur la proposition du président la Commission de nomenclature et le Comité de la Carte décident de siéger ensemble. I. — Comité de la Carte. M. Hatjchecokne, l’un des directeurs, présente d’abord les excuses de MM. Dau- brée, de Mojsisovics et Topley qui n’ont pu se rendre à la réunion. Il rappelle que les directeurs ont déjà rendu compte des mesures prises pour l’organisation du tra- vail, en distribuant à la fin de Pannée dernière une circulaire accompagnée du ta- bleau cPassemblage de la carte projetée. Cette circulaire faisait connaitre, cP une part, Pexécution d’ une nouvelle carte topograpbique par les soins de M. le prof. Kiepert, et le projet de contrat avec l’éditeur; de l’autre, les conditions fìnancières. D’après celles ci, l’éditeur fera tous les frais, moyennant une souscription ainsi répartie: buit grands Etats s’engageront cbacun pour un neuvième, soit 100 exemplaires à 100 francs l’un; le dernier neu- vième est attribué à un groupe de six petits Etats. Depuis lors un grand nombre de cartes ont été envoyées par les divers pays, et le travail a été poussé activement. Un tableau d’assemblage colorié montre l’état davancement de la gravare et du dessin: pour les Iles Britanniques, le Nord de la — 298 — France, le Nord de la Scandinavie, la gravare est terminée; pour F Italie, la moitié de la Russie, la Suède, la Norvége, FAllemagne, la Grèce, le dessin est complet. Quoique les documents pour l’ Espagne soient en retard on peut espérer que les feuil- les gravées seront en distributi on au milieu de Fannée procbaine. Pour ce qui concerne l’assentiment des divers Etats aux propositions de souscri- ption, la Belgique, la Suisse, la Roumanie, la Hollande, le Portugal ont acquiescé ; un seul des petits pays, le Danemark, n’a pas encore répondu. Panni les grands Etats, ont également accepté l’Autricbe-Hongrie, la Russie, FAngleterre, pour laquelle M. Hughes se porte garant que la somme votóe pour un an sera continuée par le gouvernement ou autrement, autant que besoin sera; l’ Italie, sauf la fixation dé- tìnitive du nombre d’exemplaires souscrits en plus du minimum de 100. Quant à la France, après un échange d’observations entre MM. Hébert, Hauchecorne, Renevier et Capellini, il est donné lecture cL’une lettre par laquelle M. Daubrée promet une réponce officielle aussitót que les divers ministères auront indiqué le ehiffre respectif de leurs souscriptions. M. Vilanova annonce qu* il apporte au Comité les Cartes dont la communica- tion avait été annoncée, et que Facceptation officielle de la souscription arriverà prò- chainement. M. Hauchecorne remercie M. Vilanova et ajoute que pour le Danemark et la Scandinavie qui n’ont point répondu, il y aurait lieu peut ètre de s’adresser directe- ment aux gouvernements. M. Capellini, au nom du Congrès, sengage à faire la demande officielle au- près des gouvernements dont les réponses sont en retard. M. Hauchecorne rappelle qu’il gerait désirable que le premier versement (1875 fr.) pùt ètre fait en octobre prochain. Tout le Service financier sera fait par la caisse de l’ Ecole des Mines de Berlin. Les versements sont échelonnés, sans date fìxe, selon Favancement des travaux. Les exemplaires souscrits en plus ne seront payés qiFau moment de la livraison. La durée de la publication excédera sans doute un peu le délai de six années. Quant à Fexécution de la partie géologique du travail pour l’Eu- rope centrale, FAllemagne et FAutriche-Hongrie se sont mises d’accord pour consti- tuer à cet effet une seule commission. M. Hauchecorne met sous les yeux de l’as- semblée les spécimens des premières feuilles gravées, ainsi qu’ un tableau des cou- leurs, et enfin une nouvelle édition de la Carte de M. de Dechen coloriée suivant les convention s adoptées à Bologne. M. Renevier, au nom du Comité suisse, désire présenter quelques observation8 sur le choix des couleurs et demande pour cela une réunion du Comité de la Carte. Il ajoute que la réunion de la Société helvétique des Sciences naturelles, à laquelle les Commissions internationales doivent participer Fan prochain, aura lieu à Zurich, probablement vers Fépoque de la réunion de la Société géologique allemande à Stuttgart. MM. Hébert. Hauchecorne et Zittel présentent quelques observations quant — 299 — à la date qu’ il serait bon de déterminer le plus tot possible et qui sera sans doute fixée à la seconde quinzaine d’aoùt. II. — Commìssion de nomenclature . M. Capellini rappelle que l’ancienne Commission de nomenclature, nommée à Paris en 1878 et qui avait pour président M. Hébert, pour secrétaire général M. De- walque, a été complétée en 1881 à Bologne par Fadjonction de divers membres. M. Hébert demande que la présidence de cette Commission qui lui avait été decernée à l’issue du Congrès dont il était président, soit de mème attribuée main- tenant à M. Capellini, président du 2® Congrès. Après les observations de MM. Capellini, Dewalque et Renevier, la Commission, écartant la question de principe, accepte la démission de M. Hébert, le remercie de son précieux concours et cboisit pour président M. Capellini, M. Dewalque restant secrétaire général. M. Hébert rend compte des travaux du Comité frangais. L’ancien Comité avec le concours de la Societé géologique a fait appel à tous les géologues de France. Dans une première réunion un nouveau Comité a été constitué. Jugeant nécessaire de fìxer la nomenclature des roclies avant d'hborder le détail de la nomenclature stratigraphique, il a formé un sous-comité de nomenclature lìthologique compose de MM. de Cbancourtois, Daubrée, des Cloizeaux, Fouqué, Friedel, Hébert, Jannettaz, de Lapparent, Lory, Michel Lévy, Potier et Vélain. Le Comité frangais qui reprendra ses réunions de 13 novembre, espère pouvoir présenter l’an prochain un rapport à la Commission internationale à Zurich. M. Gosselet adresse de la part de M. Fayol une note sur la d.ófinition et Fem- ploi des mots sédiment et alluvton. Cette note est renvoyée au Comité frangais. M. Zittel expose au nom de M. Neumayr quelques réserves. En entrant dans la Commission internationale au nom de FAutriche, M. Neumayr émet le voeu qu1 on se borne à discuter ce qui est nécessaire à la confection de la Carte de F Europe sans aller audelà de ce qui a été abordé à Bologne, c’est à dire sans entreprendre la nomenclature des assises. A propos de la nomenclature des espèces, M. Neumayr demande qu’ au lieu de formuler un code, on charge un Comité de rediger un index paléontologique qui ferait autorité, comme la Carte de F Europe pour les figurés et la nomenclature géologique. On trouverait sùrement des collaborateurs qui se parta- geraient telle ou telle spécialité dans Foeuvre comm une. Cette proposition est vivement appuyée par MM. Hébert et Capellini. M. Htjghes a regu des sous-comités anglais les rapports suivants : Groupe tertiaire supérieur, par M. H. B. Woodward. Groupe tertiaire infórieur, par M. Gardner. Système crétacé, par MM. Tòpley et Jukes-Brown. Système triasique et système permien, par M. Irwing. Systèmes carbonifère, dévonien et silurien, par M. A. Strahan. 21 — 300 — Ces rapporta, qui ont trait aux divisions dea systèmes auaai bien qu’ au ckoix dea termea conventionnels, seront prockainement imprimés. M. de Moeller déclare qu’ il n’ a point de rapport à présenter : il croyait que la Russie était représentée, daua la Comroiaaion internationale de nomenclature, par M. Inoatranzeff. MM. Mayer et Renevier donnent quelquea détaila aur le Comité auiaae qui a tenu aa dernière aéance à Berne. Dana cette réunion, lea résolutions du Congrès de Bologne ont été acceptéea, aauf une observation sur les mota sèrie et groupe dont le Comitè serait dispose à deman der l’ inter version. La Societé géologique suisse a1 étant constituée, l’ancien Comité s’est dissous et a ckargé le Comité de cette Société sous la présidence de M. Renevier, de pourauivre les études relatives à T unification de la nomenclature. En terminant, M. Renevier exprime le voeu que les Comités natio- naux soient tenue au courant de leurs travaux respectifs. M, Capellini remercie le Comité de la Carte et la Commission internationale du zèle apportò par tous à la continuation des travaux commencés à Bologne. Le Co- mité italien, qui dèa le premier jour s’est préoccupé de la nomenclature des rockes, marckera aisément d’accord avec le Comité fran^ais. Gràce à l’appui de la Société géologique italienne, dont M. Capellini est cette année le président, le Comité ita- lien ne resterà pas en arrière de ses émules et apporterà ausai d’ utiles matériaux à Zurick et à Berlin. La aéance est levée à 11 keures et 3/4. Pour le Secrétaire A. Del aire. SÉ ANCE DU 17 SEPTEMBRE 1882. ( Comité de la Carte). Présidence de M. Capellini president du Congrès, rempla§ant M. Datjerée absent. La séance est ouverte à 4 keures. Présents: MM. Beyrick et Hauckecorne, directeurs de la Carte, et MM. Gior- dano, de Moeller et Renevier, membres de la Commission. MM. Daubrée, Mojsisovics et Topley se sont fait excuser. M. Hattchecorne communique le procès-verbal d’une réunion de géologues al- lemanda et autrickiens tenue à Berlin le 5 juin 1882, dans laquelle une éckelle des terrains sédimentaires a été arrètée en vue des matériaux à fournir par cer deux pays pour la Carte géologique de T Europe. Ce procès-verbal est signé par MM. de De- cken, Giimbel, de Hauer, F. Roemer et H. Credner, qui ont ainsi donné leur plein assentiment à l’entreprise internationale de la Carte géologique de T Europe. M. Hau- ckecorne propose da prendre cette éckelle pour base de discussion et d’arrèter dès — SOI — Da ai n te nant f'éfe feubdivisions qui devront étre représentées dausles matériaux ù fuiirnir par les divers pays. Il serait entendu que l’échelle stratigraphique de la Carte elle mème devrait ètre discutée plus tard par la Commission, aussi bien que le choix des couleurs qui n’ ont pas été détermiuées au Congrès de Bologne. Cette manière de voir est admise et de plus il est convenu que dans les tra- vaux préparatoires on figurerà séparément les subdivisions, comme le Rhétien, le Gault et le Flysch , dont les affinités sont encore un objet de discussion, afin que dans le travail définitif elles puissent ètre réunies, soit avec le terrain supérieur, soit avec l’ inférieur, snivant les résultats auxquels aboutira la Commission de la nomenclature. Voici la liste des divisìons stratigrapbiques admises ainsi à titre provisoire, en y ajou- tant en marge les couleurs proposées par MM. les Directeurs: 1. Gneiss et Protogine 2. Scbistes cristallins (Micascbistes, Tale et Cbloritscbistes, sebì- Rose vif stes ampbiboliques et Gneiss feuilletés). » moyen 3. Phyllites (Scbistes argileux, Urthonschiefer ) >■> pale 4. Cambrien (toutes les couches fossilifères inférieures au Llandeilo ) Gris rougeàtre 5. Silurien inférieur faune (2^e de Barrando) Vert-soie foncé 6. » supérieur (faune 3me E) » clair 7. Dévonien inférieur Vert-brun foncé 8. » moyen (calcaire de VEifel , etc.) » moyen 9. » supérieur » clair 10. Carbonifère inférieur (Culm, Mountain-limestone, e tc.) Gris bleu 11, » supérieur (Houiller, Millstone-grit , etc.) Gris 12. Permien inférieur ( Rothliegendes , etc.) Sienne brulée 13. » supérieur ( Zechstein et équivalents) Sepia 14. Trias inférieur (grès bigarré) Violet fon§é 15. » moyen ( Muschelkalk ) . » moyen 16. » supérieur [Keuper et ses équivalents) » clair 16'. Rhétien à titre provisoire [Hauptdolomit exclue) 17. Jurassique inférieur (Lias) Bleu fon^é 18. moyen ( Dogger , Kellovien compris) » moyen 19. » supérieur [Malm avec Tithonique et Pur- beck) » clair 20. Crétacé inférieur (Néocomien et Wealdien) Vert foncé 20r. Gault à titre provisoire 21. Crétacé supérieur (dès le Cénomanien) » clair 22. Eocène Nummulitique, etc. Jaune orange 22'. Flysch à titre . provisoire 23. Oligocène (avec PAquitanien) » fon^é 24. Miocène (mollasse) » moyen 25. Pliocène » clair 302 — Jaune de Naples Blanc Le Secrétaire E. Renevieb. SÉ ANCE DU 19 SEPTEMBRE. ( Commission de nomenclature et Comìté de la Carte). Présidence de M. Capellini, président du Congrès. La séance est ouverte à 6 heures et */4. Présents: MM. Beyricb, Blanford, Capellini, Dewalque, Giordano, Hughes, Ma- yer-Eymar, Renevier, Yilanova, Zittel. Lecture et adoption du procès-verbal de la séance précédente. M. Capellini expose que l’objet de la réunion est de fixer la direction à don- ner aux travaux de la Commission de nomenclature, et les indications à transmettre aux Comités nationaux. A défaut de cette entente en effet, les travaux des divers Comités ne présenteraient probablement pas assez d’unité pour comporter des con- clusione pratiques. M. Renevier, sans critiquer le Comité frangala, croit qu’ il y a des questions plus urgentes que celle de la nomenclature des roches, Ainsi pour la Carte de l’Eu- rope, on a établi les divisions qui devront y ètre figurées, les couleurs seront elles mèmes bientót fixées. Le Comité de la Carte a admis, dans sa dernière réunion (1) et sauf de légères modifications, les 27 divisions proposées pour l’ Europe centrale par le Comité dMllemagne et d’Autriche. Il va de soi d’ailleurs, qu’ il s’ agit de décisions provisoires; les décisions définitives seront prises par le Congrès. Mais il faut bien fixer quelques bases pour les travaux préparatoires. Quelques unes de ces divisions en outre n’ ont qu1 une position indécise: ainsi on n’ a point décidé s’ il faut rattacher le rhétien au trias ou au lias, le gault au crétacé inférieur ou au crétacé supérieur, le flysch à l’óocène ou à Poligocène. Il faudrait dono que la Commissiou de 'nomenclature s’ occupàt avant tout par ses Comités nationaux: 1° de la nomenclature des deux premiers ordres de divisions; 2° de la fìxation des limites encore indécises. Le Comité de la Carte pourrait alors établir sa légende d’après les décisions prises. M. Dewalqlte croit qu’ il faudrait spécialement appeler l’attention des Comités frangais et anglais sur tout ce qui concerne le système jurassique. M. Beyeich insiste sur le caractère provisoire de ces indications qui sont desti- nées à permettre de recueillir des informations sur lesquelles le Congrès prononcera. 26. Diluvium 27. Alluvions (ì) Yoir le procès-verbal précédent. — 303 M. Ztttel croit qu’ il ne faut pas trop étendre le prograrame des travaux II voudrait qu’ on prit en considération ce qui est nécessaire pour la Carte ; que les Comités aient connaissance des 27 divisions proposées, et que dans chaque pays le Comité, avec Paide des juges les plus compétents, étudie le nombre et les noms des divisions, ainsi que la position des limites. M. Capellini appuie ces considérations et proraet la distribution très procbaine des procès-verbaux des séances tenues pendant la session de Foix. M. Vilanova croit qu’ il est difficile de ne pas figurer les roches éruptives et voudrait qu’ on s’ occupàt d’elles en mème temps que des divisions relatives aux for- mations sédimentaires. M. Renevier se rallie à cette opinion et demande que les Comités soient ap- pelés à étudier le groupement des formations éruptives en trois, quatre, ou cinq termes. MM. Vilanova et Dewalque rappellent que les Comités espagnol et hongrois s’ étaient oecupés de cette question qui n’ a pu ètre abordée à Bologne. Le Comité hongrois avait proposé cinq termes pour les roches cristallines : granitique, prophyri- que , trachytique , basaltique et volcanique. M. Capellini annonce la publication très prochaine du compte rendu du Con- grès qui contiendra à cet égard bien des renseignements. M. Beyrich est disposé à accepter pour le Comité de la Carte et toujours à titre pro viso ire, les cinq termes suivants: granitique , porphyrique , mélaphyrique, tra - chytique et basaltique . M. Zittel revient à la proposi tion de M. Neumayr relative à la rédaction d’un nomenclator. Il estime que la marche pratique consiste à demander à M. Neumayr un programme bien étudié ; ce sera une base précise pour discuter a Zurich. Il de- mande donc que la Commission émette un vote sur la proposition de M. Neumayr. M. Capellini met aux voix la proposition, qui est adoptée à l’unanimité. M. Dewalque demande à M. Hughes si les Comités anglais qui ont beaucoup travaillé déjà, ont étudié la classification des assises seulement pour les Iles Britan- niques, ou bien pour les autres pays. M. Hughes répond que les Comités ont eu en vue d’abord les Iles Britanniques et ont cherché ensuite la concordance à établir avec d’autres régions. M. Renevier fait observer qu’ il y a en effet deux études distinctes. Chaque Comité doit étudier pour son pays la succession des assises et leur groupement, et quant aux noms à leur donner ne pas exagérer l’amour propre national. M. Hughes ajoute qu’ en Angleterre, par exemple, il faut d’abord choisir entre des synonymes. M. Dewalque formule la proposition suivante: Recommander aux Comités nationaux detudier au point de vue de leurs pays respectifs le meilleur groupement des masses sédimentaires. Cette proposition mise aux voix est approuvée. M. Blanford annonce qu’ à titre de comparaison il preparerà un travail de ce genre pour l’Inde. — 304 — M. Dewalqtje rappelle qu’on n’a point abordé à Bologne quelques questions qu’ on pourrait reprendre, notamment celle des désinences homophoniques. Oette proposition est appuyée par M. Vilanova. Capellini et M. Zittel font observer que cette question se presenterà d’ elle mème aux Comités puisqu1 ils auront à étudier les noms à donnei' aux divisions adop- tées pour la Carte. M. Renevier à ce sujet ajoute qne P entente serait peut étre plus facile qu’ on ne suppose. Aussi on pourrait, suivant une proposition de M. Gosselet, ne point don- ner de désinence aux divisions de troisième ordre qui ont un caractère moins generai: On aurait donc les terminaisons aire pour le premier ordre, ique pour le second et ien pour le quatrième. IPaccord serait ain si aisé à établir. M. Zittel insiste sur la nécessité de bien spécifier la tàche afìn d’assurer le suc- cès du travail. Aussi demande-t-il que jusqu1 à la réunion de Zuricb, les Comités s1 occupent avant toute autre cbose de ce qui importe à la confection de la Carte et de sa legende. M. Blaneord appuie d’autant plus cette proposition qu’ en Angleterre on est fort opposé à l1 introduction d’ une terminologie nouveile. L’assemblée se rallie à cet avis, et la séance est levée à 6 heures et y2. Pour le Secrétaire A. Delaire. SÉANCE DU 21 SEPTEMBRE (À Lavelanet). (Commission de nomenclature et Corniti de la Carte). Présidence de M. Capellini. La séance est ouverte à 8 heures du matin. Etaient présents : MM. Capellini, Beyrich, Blanford, Dewalque, Hébert, Hughes, Renevier, Vilanova et Zittel. Lecture et adoption du procès-verbal de la detenérne séance. A propos du procès-verbal, M Hébert fait observer que le Comitó de la Carte est forcé, pour l’exécution du travail qui lui est confìé, de résoudre promptement toutes les difficultés. Au contraire, la Commission de nomenclature ne doit pas don- ner de Solutions hàtives qui auraient fatalement un caractère provisoire. M. Capellini explique que les directeurs de la Carte demandent à marcher de concert avec la Commission de nomenclature. Ils la saisisseut des questions dont la solution leur importe. Ils lui demandent de formuler son avis, afìn d’ètre renseignés eux mèmes pour la rédaction de la légende. D’ailleurs tout ceci n’ est encore qu’ un travail préparatoire en vue du Congrès de 1884. M. Hébert croit qu’ on aura peine à se mettre d’accòrd sur la nomenclature en deux ans. Il considère donc comme préférable de suivre une marche méthodique, en — 305 - cominen^ant par débrouiller les appellations aujourd’hui si confuses dea roches. Il voudrait surtout que la Oommission ne détruisit pas elle-raème sa liberté par des dó- cisions prématurées. M. Renevier fait observer que le Comité fran^ais peut mener de front les deux études puisqu1 il a constitué un sous-comité special pour la nomenclature lithologique. M. Hébert croit en effet que les résponses des Oomités nationaux sur les que- stiona de limites qui leur sont posées, peuvent ètre données pour Pan prochain. Mais en ce qui concerne les noms, Pentente sera plus difficile, car il faudra vaincre sur ce point des habitudes anciennes et des usages consacrés. M. Capellini rappelle que la legende de la Carte doit ètre International e. Il faut donc que des concessions mutuelles rendent l’accord possible : autrement, on serait fort embarrassé. On pourrait ètre tenté de rediger la legende en italien, parceque le Congrès de Bologne a vote la construction de la Carte, ou en allemand parceque le travail est exécuté à Berlin. M. Zittel cite comme exémple les termes de rhétien et d 'infralias entre lesquels il faudra clioisir. M. Hébert réponde que si les deux expressions correspondaient aux mèmes li- mites, la question des noms serait vite trancbée. Le terme d *infr alias est justifié par le caractère franchement liasique de la faune qui accompagne P Avicula contorta , ainsi que par le faciès jurassique de la flore. M. Beyrich rappelle que les vertébrés sont triasiques. M. Hébert fait observer que si P on avait pris les vertébrés pour base de la classi fication des assises, on aurait eu souvent des résultats tout differents. M. Blanpord dit qu’on aurait un ordre encore différent si l’on considérait seu- lement les flores. M. Hébert. Sans doute. On a fondé cette classification sur la considération de mollusques et des échinodermes, et l’on ne voit pas pourquoi on s’écarterait acciden- tellement de cette méthode. M. Zittel rappelle qu1 il y a souvent dans un mème pays plusieurs synonymes également employés, entre lesquels il faudra faire un choix. M. Hébert cite en outre une autre question dont il croit qu* on peut aborder aussi l’examen : c’ est celle de la limite inférieure du groupe paléozoi’que. M. Capellini est persuadé que la Oommission de nomenclature et le Comité de la Carte de V Europe auront fait une oeuvre utile en indiquant comme but précis aux travaux des Comités nationaux ce qui im porte à la construction de la Carte et de sa légende. Il espére que ces Comités auront déjà fort avancé leur tàcbe l’an prò- chain, à la réunion de Zurich, qui préparera le Congrès de Berlin. Pour le Secrétaire A. Delaire. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie IL Voi. 111. Novembre e Dicembre 1882. N. 11 e 12. SOMMARIO. Lavori della Carta Geologica. Memorie originali. — I. Brevi cenni sulla geologia della parte N.E. della Sicilia, dell’ingegnere E. Cortese del R. Corpo delle miniere ( Continuazione e fine). — II. Ulteriori notizie ed osservazioni sui resti organici rinvenuti nei tufi vulcanici della provincia di Roma, dell’ing. II. Meli ( Continuazione e fine). — III. I terreni della Val di Nievole fra Monsummano e Montecatini; nota deil’ing. D. Zaccagna ( Continuazione è fine). Notizie bibliografiche. — T. Taramelli. Descrizione geològica della provincia di Pavia, con annessa catta geologica. Milano 1882. — Compte rendu du Congres géologique internationnl , 9me Pession, Bologne 1881. Bologne 1882. Tavole ed incisioni. — Tavola di sezioni della parte N.E della Sicilia, a pag. 352. — Tavole che accompagnano la Memoria dell’ingegnere Meli, pag. 366. Elenco del personale del Comitato ed Ufficio geologico alla fine del 1882. Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1882. Lavori della Carta Geologica. L’avanzamento dei lavori geologici durante il 1882 proseguì quale era indicato nella prefazione del fascicolo 1° del Bollettino di questo anno e nel rapporto della Direzione dei lavori al R. Comitato, rap- porto inserito nella parte amministrativa del fascicolo 2° del Bollettino medesimo. Basterà quindi su ciò breve cenno in quest’ultimo numero del- l’anno. Venne completato il rilevamento della Sicilia con le Isole Eolie ed altre minori, e con alcune revisioni in diverse provincie per opera degli ingegneri Baldacci e Cortese. Seguitò il lavoro nei dintorni di Roma e nelle Alpi Apuane. In questa ultima regione però si dovè alquanto rallentare il lavoro essendosi l’ing. Lotti coll’aiuto Fossen, unitamente all’ing. Mattirolo, dovuto applicare a rilevamento dell’Elba in grande scala, il quale venne compiuto nel decorso novembre. Anche in quest’isola, come già in parte delle Apuane, vennero trovati nuovi fossili che permisero di meglio precisare la serie dei terreni. Vennero intanto eseguite diverse nuove ricognizioni allo scopo di per- — 308 fezionare la Carta d’ Italia in piccola scala, carta divenuta ora più urgente pel motivo che deve fornirsi quanto prima a Berlino come elemento della Carta geologica dell’ Europa. Tali lavori vennero principalmente eseguiti dalFing. Cortese in varie parti della Calabria, della Basilicata e del Sa- lernitano, dall’ing. Zezi nella Sabina e nell’Umbria, e dal prof. Tara- melli nelle provincie di Parma e Piacenza. Quanto alla Carta geologica dell’Europa, si tenne nel decorso set- tembre in Francia la prima adunanza delle Commissioni internazionali pei lavori di unificazione che vi si riferiscono, e dell’operato in tale adunanza si da conto particolareggiato nel fascicolo di settembre- ottobrejdel Bollettino. Intanto a seconda dal voto emesso del Comitato sin dal 1881 e benché non si disponesse ancora di appositi fondi in bilancio, venne aggregato al servizio geologico l’Osservatorio centrale geodinamico ossia dei fenomeni endogeni del globo, lasciandone tuttavia la speciale dire- zione al prof. Stefano De-Rossi che ne era il fondatore in Italia. In attesa di meglio sistemare tale importante ramo di studi nel prossimo anno, venivagli intanto accordato un sussidio onde assicurare anche il proseguimento del Bollettino del vulcanismo italiano, organo di tali studi, il quale già vedeva la luce fin dal 1874 e sarebbe pro- babilmente rimasto sospeso. L’anzidetto Osservatorio venne provvisoriamente impiantato in una loggia dell’edifizio della Vittoria, dove dovrà trasferirsi nel nuovo anno l’Ufficio geologico. MEMORIE ORIGINALI I. Brevi cenni sulla geologia della parte N.E. della Sicilia, dell’ Ing. E. Cortese del R. Corpo delle Miniere. ( Con una tavola di Sezioni). (Continuazione e fine — Vedi Bollettino 1882, fascicolo N. 7 e 8). Parte III. — Terreni Terziarii e Quaternarii. talvolta poco propizia per il rilevamento della Carta geologica : sia per — 309 — il tempo che richiede il rintracciarne i lembi sparsi, sia perchè ma- schera le grandi linee delle formazioni più antiche, e rende meno chiara la geologia della regione siciliana di cui ci occupiamo. Il quaternario, molto più scarso, appare però su quasi tutte le coste, talvolta a grandi altezze; come terreno geologico ha poca importanza e basterà descriverlo sommariamente a suo tempo. La natura degli studi da me fatti, e che portavano alla formazione della carta geologica della parte N-E di Sicilia, il poco tempo dispo- nibile per studi e ricerche paleontologiche, hanno fatto sì che gli ele- menti raccolti, e che saranno qui riferiti, mancano dei principali dati paleontologici che li dovrebbero accompagnare. Dopo gli studi minuziosi fatti dal prof. Seguenza sul terziario del messinese 1 e quelli sul ter- ziario della provincia di Reggio 2, che tanto si riattacca al precedente, ogni altro lavoro sembrerebbe incompleto dal punto di vista della pa- leontologia, ed in questi brevi cenni sulla geologia di quella regione, mi ridurrò davvero alla sola descrizione litologica e stratigrafica del terziario e quaternario rappresentati in questa regione. Terreni Terziarii. Il terziario si presenta sul versante orientale dei Monti Peloritani, e su quello settentrionale, coprendo alcune cime e formando anche delle alte colline ; ma esso raggiunge il massimo sviluppo e le massime al- tezze all’Ovest di una linea che va da Giardini al Capo Tindaro. Il miocene infatti raggiunge la quota di 1312 presso Floresta, una delle punte più elevate della catena, fino a quel punto, che si trovino venendo da Messina verso il S-O, ma arriva a 1846 m. sul mare a Monte Sori; e a Monte Pelato e Monte Castelli, dove la catena declina un poco per riattaccarsi poi alle Madonie, abbiamo ancora l’altezza di 1566 m. Le tre grandi divisioni del terziario sono abbondantemente rappre- sentate nel messinese e dovremo quindi occuparci di ciascuna di esse e delle loro suddivisioni, che ridurrò costantemente a tre : superiore, me- dia, inferiore , riferendo poi a queste le corrispondenti, o più numerose, varietà di roccie. 3 Atti) Ideila Aaca^dì^ à&lUwq- flfroa — 310 — Eocene. Nella provincia di Messina si hanno terreni appartenenti alle tre suddivisioni dell’eocene, inferiore, medio e superiore, la prima di esse però, come vedremo, è la più importante. 1. — Eocene inferiore. Supponendo di percorrere la cresta delle montagne che formano l’ossatura della Sicilia settentrionale, dal Capo Pelerò verso l’Ovest, l’eocene inferiore appare per la prima volta presso il Pizzo di Polo, a Monte Fossazza, e presso Santa Lucia del Mela; lembi più estesi si ve- dono presso Bafia, Rodi e Novara, e finalmente si incontra la grande massa di esso sui monti di Letojanni, Giardini, Linguaglossa, Franoa- villa, Montalhano, Patti, Raccuja, Naso, Alcara li Fusi e fino a S. Fra- tello; presso questo paese resta completamente coperto dal miocene, e non riappare che fra Caronia, Mistretta e il Castel di Tusa: meutro al Sud continua fra Randazzo, Cesarò e Capizzi. Cominciando dal cri- stallino, l’eocene inferiore trovasi successivamente in contatto con tutti i terreni già descritti, Fillade, Trias, Lias, ecc., a volte stra- namente racchiuso fra le pieghe dei terreni secondarii. NelPeocene inferiore abbiamo a distinguere: 1° Calcari nummulitici ; 2° Conglomerati di roccie antiche ; 3° Arenarie grossolane ; 4° Argille sabbiose e scagliose , con arenarie c calcari marnosi. Calcare nummulitico . — Il calcare nummulitico della provincia di Messina è durissimo, biancastro, talvolta rosato o rossastro, ed allora contiene dei granelli di sabbia, come alla valle Santa Venera, presso Taormina; quest’ultimo contiene quasi esclusivamente delle grosse num- muliti, predominante forse la N. perforata, che appaiono abbastanza numerose in sezione, e delle quali alcune hanno fino a tre centimetri di diametro. Il calcare bianco si trova presso Alcara li Fusi, alla Serra Malopinto, e presso Galati, al Monte Ucina; sulla falda occiden- tale di questo monte si trova non solo il calcare in masse, ma lo ai trova pure come cemento di blocchi di calcare del Lias medio, in modo da formare una breccia a grossi elementi : l’abbondanza di num- muliti, che presenta questo calcare, altera il suo colore bianco, ed esso appare piuttosto di una tinta grigiastra o giallognola; le nummuliti sono numerose sì, ma relativamente piccole, talché in generale n loro - 311 — diametro arriva appena ad un centimetro; però si trovano, sebbene scarse, anche le grosse nummuliti. Il calcare appare dunque in piccoli lembi, ma dovunque si vedono questi, essi sono manifestamente sottoposti al conglomerato; appunto per la loro piccola estensione e per essere in contatto con roccie cal- cari secondarie, potrà darsi che alcuni di essi non sieno stati veduti; le masse di Serro Malopinto e di Monte Ucina sono talmente limitate, ohe solo un .rniuuto esame delle località può farle rinvenire. Conglomerati di roccie antiche. — Come tutti i mari che vengono ad invadere terreni preesistenti, e a formare depositi discordanti con questi, anche il mare eocenico, dove non ebbe campo di formare dei calcari ad immediato contatto con quelli secondari, cominciò col for- mare dei conglomerati. I conglomerati manifestano sempre la natura delle roccie in contatto delle quali giunsero le acque che li formarono, ma tale particolarità si presenta in modo speciale nei conglomerati dell’eocene inferiore. I conglomerati dei monti di Castroreale e di Patti, esclusivamente in contatto con roccie cristalline, risultano formati di ciottoli di gneiss, graniti e micaschisti, con un cemento siliceo, o meglio sabbioso, poco tenace; quelli presso S. Piero di Patti manifestano un poco più di cal- care nel cemento, e ciò perchè formati in prossimità dei calcari triasici delle Rocche Bardara. I potenti conglomerati che si estendono fra Le- tojanni, Linguaglossa, Francavilla, Novara e Roceella, sono formati di- rettamente sopra la fillade, eccezionalmente sopra o presso dei lembi di calcari secondarii (triasici e liasici); essi risultano formati quasi esclu- sivamente di pezzi di fillade o delle roccie attinenti a questa, e già descritte, con cemento generalmente sabbioso, leggermente argilloso, ma in qualche punto più calcare, e quindi più e talvolta assai tenace. Ma l’esempio più bello di quanto ho detto sopra, si ha presso Roceella Valdemone, presso S. Agata di Militello, Alcara, S. Fratello, ecc. Ivi il conglomerato, formato in contatto di potenti masse Basiche o triasiche, è costituito da molti elementi provenienti dalla fillade, è vero, ma vi abbondano e spesso predominano quelli di calcari secondarii o di ana- geniti triasiche, e il cemento è poi eminentemente calcare. Questi conglomerati speciali appaiono di un color giallo e verdo- gnolo, o semplicemente gialli, secondo che contengono molti pezzi di schisti antichi, insieme alle anageniti ed ai calcari, o che questi pre- dominano. Il mezzo in cui si formavano essendo abbondante di calcare, le nummuliti pare vi trovassero un ambiente più confacente alla loro vita di quello in cui si formavano gli altri conglomerati, ed infatti se — 312 — in quelli a cemento sabbioso non si rinvengono, negli ultimi descritti si trovano invece di questi fossili, così a Pizzo Nojele, al Sud di S. Fratello, a Pizzo Randazzo Vecchio, sopra la Rocca di Roccella, ecc. Si potrebbe dire che, per la presenza delle nummuliti, e per l’abbon- danza di calcare, questi conglomerati si dovrebbero riattaccare ai cal- cari precedenti ; ma osservando che essi sono sempre collegati con quelli non calcari e ad essi passano, e che esistono là dove avrebbe potuto benissimo formarsi il calcare puro, ho preferito riunirli alla serie dei conglomerati. Quelli indicati presso Francavilla e Roccella, che contengono un poco di calcare nel cemento, presentano talora delle pietre usabili per costruzioni, e si possono lavorare per farne coperte di ponticelli o di muri d’ ala, ecc. In generale però tutti questi conglomerati a cemento più o meno sabbioso, danno un terreno facile a franare, tanto più che, so- vrapposto alla fillade, manca di una base solida, e questa scoscendendo facilmente, esso la segue, parte trascinato, parte per disposizione pro- pria. Le colline formate di questi conglomerati sono di brutto aspetto, l’abbondanza dei ciottoli nel terreno che ne deriva rende ogni cultura malagevole e scarsa, vi si trovano solo delle erbe che possono offrire un magro pascolo al bestiame ovino, e, dove furono lasciati, dei di- screti boschi di cerri e roveri. — Le acque sono scarsissime perchè la roccia è tutta permeabile, si trovano solo al contatto colla fillade sot- tostante. Il conglomerato giunge alle massime altezze nei monti di Graniti, Francavilla, Roccella, ecc., e sembra raggiungere al massimo i 1280 o 1300m; infatti il Monte Vuturi (1340) presso Roccella, e il Monte Tre Fontane (1374) presso Francavilla sono coperti dalle arenarie per 70 o 80m verso la cima; la catena di monti che dalle Tre Fontane va a Monte Vuturi, e forma il displuvio con altezze variabili fra 1250 e 1306m, è tutta formata, alla parte superiore, dai conglomerati ad elementi di fìllade. Da questa catena, andando verso l’Ovest, si passa alle arenarie, e i conglomerati riappaiono solo, come accennai, presso S. Piero di Patti, Alcara, e S. Fratello, o, in basso, in alcune delle profonde valli in cui scorrono le fiumare che sboccano sulla costa Nord. In tutti i luoghi indicati, avviene talvolta di trovare degli strati o meglio delle lenti di arenaria argillosa, con pagliette di mica o di schisti micacei ; queste lenti, corrispondenti a qualche momento o a qual- che punto di calma nel mare che formava il conglomerato, non hanno importanza rispetto alla gran massa di questo. Le maggiori masse di conglomerati avendosi nei monti fra Roccella — 313 — e Graniti, quivi si dovrà estimare la loro massima potenza. Tutti i monti della breve catena sopradetta mostrano, sopra la fillade, per 450 o 470m di conglomerati; non considereremo qui il versante S-0 del Monte Tre Fontane, ove gli strati hanno una pendenza di 30°, e quindi tutta la pendice è ricoperta dai conglomerati, che arrivano poi a presentare, alla Motta Camastra, 65° di inclinazione. Eiterrò dunque che la potenza dei conglomerati dell’eocene inferiore sia, in media, di 460'n; quella dei calcari sottostanti è piccolissima e non raggiunge i 10 metri. I conglomerati suddetti sono quelli che resistendo alle scosse delle eruzioni dell’Etna, alle erosioni delle acque e alle invasioni di lava, sono rimaste in masse o colline sporgenti in mezzo alle lave, e così formano la Pietra Marina ed altre presso Castiglione, lungo l’Alcantera, e la collina del Castello e il Poggio Banciara presso Francavilla. Arenarie grossolane. — In queste comprenderò diverse varietà di roccie, formanti una potentissima successione di strati, e dovrò dilun- garmi un poco in questo paragrafo, per far risaltare le varie zone della serie. La prima zona è costituita da vere arenarie grossolane, quasi dei conglomerati ed elementi minuti, in cui abbondarlo i ciottolini e i gra- nelli quarzosi, tutto il cemento essendo poi sabbioso o siliceo ; l’arenaria è irregolarmente dura, talvolta molto e talvolta poco, non si presta bene a nessuna lavorazione, anche grossolana, per la irregolarità della grana e della resistenza. Queste arenarie, per il loro decadimento non uniforme, vengono a formare delle grandi roccie, tondeggianti o ag- gettanti, presentando spesso un fianco convesso ed uno concavo; spes- sissimo sono quasi formate di grosse boccie dello stesso materiale, o queste sono abbondantemente sparse nella massa ; staccandosi esse la- sciano dei fori che talvolta passano da una parte all’altra, di quelle roccie sporgenti, e quindi sono frequentissime le così dette Pietre ber- ciate', in ogni caso quelle roccie sembrano tarlate. Spaccando queste boccie di arenaria, che hanno talvolta fino a 0,60 di diametro, si trova raramente per nocciuolo un piccolo ciottolo cal- care, spesso nulla; però, la presenza di esso, ci dà la spiegazione del loro formarsi; anche attualmente, se sopra una spiaggia sabbiosa, poco bat- tuta dal mare, si trova un pezzetto di calcare, la sabbia si agglutina intorno ad esso, e forma poco a poco un’arenaria, e mentre le onde lavano la sabbia, rispettano quella, e spesso si vedono di queste boccie di sabbia agglomerata posate o sporgenti sul lido sabbioso. È noto come i ciottoli e le melme del fondo delle lagune venete possono agglutinarsi intorno ad un chiodo od altro pezzo di ferro gettato sul fondo e for- — 314 — mare delle masse di forma analoga alle precedenti; il cemento in tali casi è l’ossido di ferro, e il conglomerato si chiama localmente ca- ranto. 11 calcare nel primo caso, il ferro nel secondo, restano lenta- mente e più o meno completamente disciolti, per fornire il cemento, e non è meraviglia se, nella massima parte di quelle boccie di arenaria eocenica non si trova alcun nucleo eterogeneo. Intanto questa forma speciale ci indica che la roccia si è formata sopra un lido, o in un mare poco profondo, e ciò spiega la irregolarità di potenza che pre- sentano queste arenarie della zona inferiore. Esse sono assolutamente prive di fossili ; si trovano sempre in se- guito ai conglomerati, di cui del resto ritengono un poco la natura, e perciò le ho chiamate anche conglomerati a fini elementi. La seconda zona è rappresentata da arenarie a grana grossa ma più omogenea, di color grigio azzurrognolo, tale da ricordare, nelle fratture tresche la pietra serena di Firenze, senza però avere di questa la grana minuta ; questa arenaria ricorda meglio il macigno , e ne è, a mio parere, il più fedele rappresentante in Sicilia. Gli strati sono re- golari, di spessore variabile dai 20 agli 80 centimetri ; in taluni, o in certe parti di uno stesso strato, vedonsi delle piccole vacuità, irregolari, riempite di argilla cloritica, che si vede in una spaccatura fresca, ma poco a poco cade lasciando i vuoti nell’arenaria. Quest’arenaria, molto usata per costruzioni, e convenientemente perchè ben lavorabile e di bell’aspetto, deve essere scelta in modo che non vi abbondino quelle vacuità ripiene di argilla. In talune località dove non si è formato il conglomerato e l’altra arenaria, ma uno scoglio di fillade spunta in contatto colle arenarie della seconda zona, queste contengono delle sca- gliette di schisto micaceo, e allora sono meno buone per esser la- vorate. Di queste arenarie vengono estratte alle fiumare di Agro, Leto- ianni, Naso, nei valloni sotto Ucria e Raccuja ecc ; si vedono al vallone Pomarazzo sotto Tripi, in quello che scende a S. Piero di Patti per formare poi il fiume di Patti, ed in molti altri luoghi, oltreché lungo la strada che da S.t0 Stefano di Camastra sale a Mistretta, e lungo la fiumara di S.t0 Stefano. La terza zona è talvolta molto potente e talvolta no, e direi quasi che essa può essere sostituita dalla quarta, o sostituirla, cioè che le due non sono che una differente forma di una zona unica, però le due forme possono coesistere, essendo inferiore quella che ora descrivo. Si tratta di arenarie grossolane, meno però delle precedenti, a cemento un poco più argilloso, giallastre, in strati regolari, apparentemente — 315 — buone per esser lavorate, però esse sono di molto inferiori a quelle della seconda zona, e se possono servire per muri di pietra ordinaria e rozzamente squadrata, non servono per volte di ponti, muri di ala, stipiti, ecc. Alternanti coi grossi banchi si vedono pure dei piccoli strati di 15 o 20 centimetri formati di tanti più piccoli di 2 o 3 cent, di arenaria argillosa, più rossiccia perchè contenente più ossido di ferro. In questa zona, causa il cemento più argilloso e gli straterelli intercalati, si hanno talvolta degli scorrimenti e delle frane. La quarta zona non è più costituita di sole arenarie, ma comin- ciano ad intercalarsi, fra gli strati di quelle, degli strati argillosi. Le arenarie sono ancora formate da granelli sabbiosi, visibili ad occhio nudo, e potrebbero ancora dirsi grossolane; esse sono di color grigio o giallastro, meno che nella parte superiore dove appaiono degli strati di un rosso mattone. Il cemento è poco tenace e facilmente disgregato dalle azioni atmosferiche, talché la pietra si rompe facilmente col mar- tello, e non può servire ad alcuna lavorazione, soltanto, nelle parti scavate di fresco, per murature di pietrame. Alternanti con queste are- narie si hanno delle marne grigio-verdastre, sabbiose, a forme roton- deggianti o concoidali, e che si rompono facilmente secondo superimi di quel genere; esse sono resistenti tantoché formano degli strati re- golari di 25 o 30 cent, di spessore; volendo utilizzarle per laterizi bi- sogna lasciarle lungamente macerare nelLacqua, ma per l’abbondanza di sabbia fine che contengono, non danno mai buoni prodotti. La quinta ed ultima zona, e la più potente forse, segue la pro- gressione accennata dalle precedenti, in quanto riguarda la natura li- tologica. L’arenaria è più fina, soprattutto alla parte superiore, ove è pure un poco più ricca di fini elementi micacei; il cemento è più ar- gilloso che nella terza zona, e le argille intercalate sono più abbon- danti che nella quarta, essa è grigio-giallastra, e presenta talvolta delle macchie rossiccie per l’ossido di ferro. Gli strati sono ancora regolari, ma l’arenaria è più sfogliosa, e le superfici di stratificazione, in luogo d’esser piane, sono mamelonnées , ciò quanto più si è alla parte superiore; le argille intercalate sono sabbiose, ma però sono tali da impedire la filtrazione delle acque, ond’ è che in questa zona di arenarie si hanno sovente delle sorgenti, mai molto, ma spesso e principalmente neH’inverno, discretamente abbondanti. L’acqua proveniente da queste arenarie non ha buon sapore, in ge- nerale, quantunque non sia cattiva, talvolta si avverte un sapore bitu- minoso o di nafta, e ciò è spiegabile, dappoiché le argille e le arenarie — 316 — contengono talora, in piccola quantità, una specie di petrolio. Negli strati argillosi si trovano talora dei pezzi di legno fossile, ma in quan- tità veramente esigue. I fossili mancano in tutta la serie delle arenarie grossolane, sol- tanto nell’ultima zona ed in alcuni strati della terza, si trovano delle impronte di anellidi male determinabili. Tutta questa formazione delle così dette arenarie grossolane, for- mante una estesa porzione della provincia di Messina, ha subito pro- fondi dislocamenti, presenta irregolarissime pendenze e talora forti in- clinazioni di strati; il terriccio che forma deve naturalmente serbare molte delle proprietà di quelle delle roccie da cui le arenarie proven- gono; sopra i monti formati da queste si possono vedere infatti tutte le colture, e così il grano, la vigna, l’olivo, il bosco; i magnifici noc- cioleti di Tortorici, Ucria e Raccuja, stanno in gran parte su questa formazione. La massima potenza delle arenarie grossolane, prendendo tutte le zone insieme, si può riscontrare nei monti di Ucria, nei quali si va dalla fillade all’eocene medio, coH’intermezzo delle arenarie grossolane. Queste occupano in alcuni punti fino a 850 m. di falde di montagne, ma tenendo conto dell’inclinazione degli strati e ripetendo l’operazione per diverse località, si arriva a determinare che la potenza della for- mazione è di circa 620m h In tal modo, fra il calcare, il conglome- rato e le arenarie grossolane, abbiamo già quasi 1100m di potenza per l’eocene inferiore; rimane ora a considerare l’ultima suddivisione, cioè le : Argille sabbiose e argille scagliose , con calcari marnosi e arenarie . In qualche punto della parte più centrale della provincia appaiono delle argille grigie o brune, più o meno scagliose se asciutte ; esse sono talvolta sabbiose, ma più spesso si alternano con grossi banchi di are- narie gialliccie, grigie, e con altri di quarziti verdastre. Queste quar- ziti, talora un poco calcari o con una crosta di calcare marnoso, sono traversate da venature spatiche, e più fortemente nelTultimo caso in- dicato, talché, per la diversa erodibilità all’aria, sembrano septariate. Molte delle arenarie e specialmente le quarziti calcari, hanno quel- l’aspetto sfoglioso proprio dalle roccie eoceniche, si frantumano sotto il colpo del martello, ed assomigliano quindi moltissimo alle roccie ana- 1 Volendo ripartire questa potenza fra le varie zone, si può dire che la prima ha dai 100 ai 120 m., la seconda dai 20 ai 60, la terza e la quarta, insieme, dai 150 ai 250, la quinta dai 250 ai 350, ed eccezionalmente più. — 317 — loghe clie si trovano in banchi nelle argille dell’eocene medio. Le are- narie poi assomigliano a quelle dei varii strati della quinta zona de- scritta. Finalmente si trovano intercalati degli strati regolarissimi di calcare marnoso, bruno, con vene spatiche bianche, alla base delle ar- gille, più ceruleo nella parte media e superiore; questi calcari ricor- dano quelli che si incontrano nella formazione del macigno, e hanno un carattere spiccatamente eocenico. L’insieme indicato di argille con interposte arenarie e calcari si vede fra Boccella Yaldemone e S.ta Domenica, al Sud di quella striscia di calcari secondari, posanti sulla fillade che spunta qua e là, che va daMalvagna a Kandazzo Ve?chio e a Galati, ecc.; al nord di quella striscia abbiamo invece i conglomerati e le arenarie grossolane che vanno a mettersi sotto a qualche lembo di eocene medio. Le argille suddette appaiono al sud di Alcara li Fusi e presso S. Fratello, ed ivi pure po- sano direttamente snlla fillade e sul secondario; in questa e nell’altra località indicata esse vanno a porsi sotto l’eocene medio o sotto le po- tenti masse di miocene inferiore. Nella piccola catena di monti che da Castiglione va a Calatabiano, chiusa fra la corrente di lava dell’Alcantera e le lave di Linguaglossa e Piedimonte, troviamo, sopra ai conglomerati di Monte Yotturi e di Castiglione, che pendono al S-E. e al S-O, delle argille con calcari mar- nosi ed arenarie, in tutto analoghe a quelle descritte e colle stesse in- clinazioni; manca però quasi completamente l’interinezzo di arenarie grossolane, talché rimarrebbe provato soltanto che quelle argille sono posteriori ai conglomerati. 11 fatto che esse vanno a porsi sotto l’eo- cene medio, e che moltissime arenarie che contengono assomigliano molto a quelle della quinta zona delle arenarie grossolane, mi porta a considerarle come appartenenti all’eocene inferiore, e, se non sovrap- poste, per lo meno coetanee, certo non inferiori alla quinta zona pre- cedente ; un appoggio a questa idea darebbe l’altro fatto, che, discen- dendo verso il Sud si trovano terreni sempre più recenti (miocene in- feriore, superiore ecc.) e che quindi anche la formazione considerata dovrebbe esser posteriore alle arenarie grossolane che si trovano più al Nord. E probabile che la striscia di secondario indicata, debba la sua apparizione ad una faglia che avrebbe portato in alto i terreni dalla parte settentrionale; essi infatti pendono al Nord; ciò spieghe- rebbe allora come, in quella meridionale, sieno rimasti in basso quelli che devono ricoprire i conglomerati e le arenarie grossolane dell’eo- cene inferiore. Tale fenomeno non sarebbe cosa strana, dappoiché le località indicate sono in prossimità dell’Etna; con ammettere la — 318 — faglia si può anche spiegare perchè il miocene inferiore, che forma le punte più elevate del messinese, non abbia potuto invadere la parte al Nord di quella linea che va da Malvagna ad Alcara e a S. Fratello, e vi manchi completamente, mentre è sì potente dall’altra. Queste argille, colle altre roccie subordinate, sono facilmente in movimento, e danno delle colline a dolce pendio; la loro disposizione alle fraue si riconosce bene salendo da Randazzo a S.ta Domenica, lungo la nuova strada, della quale, il ponte sull’Alcantera appena ter- minato, crollò in seguito ad un movimento sulla riva sinistra del fiume. La tendenza allo scorrimento ricorda quella delle argille dell’eo- cene medio, che descriverò in seguito; per il rimanente, in questa for- mazione, le argille servono, più o meno bene, per materiali laterizi, le arenarie per costruzione in pietrame o pietra grossolanamente squa- drata, i calcari per calce, ed è anzi di questa che si impiega nelle co- struzioni dei dintorni di S.ta Domenica e di Randazzo, ove non si usa quella proveniente da Roccella. La potenza di questa serie complessa si può misurare al Serro Lanzarite o a quello di S.ta Domenica, ad esempio presso il Pian Torrazza, dove spunta uno scoglio di arenarie grossolane della prima zona; essa risulta di 550 m. misurata fino all’arenaria miocenica rico- prente, ed è quindi fortissima; se si deve aggiungere a quella dei con- glomerati e delle arenarie, arriviamo alla enorme potenza, per l’eocene inferiore, di 1640 m., e se ammettiamo invece, che l’insieme ora de- scritto corrisponde alla quasi totalità della quinta zona di arenarie, si avrebbe sempre non meno di 1370 metri in totale. L’eocene inferiore è dunque, dopo la fillade, la più potente delle formazioni che si trovano nel messinese. 2. — Eocene medio. L’ eocene medio è relativamente abbondante nel messinese, benché molto meno potente di quello inferiore, lo è anzi pochissimo nella re- gione in cui l’altro assume l’ importanza ora misurata, ma diviene più potente verso il centro dell’isola. Unico rappresentante dell’ eocene medio è la formazione delle argille scagliose variegate , con intercalati calcari marnosi. Queste argille cominciano ad apparire relativamente non lungi da Messina, e si incontrano in lembi più o meno estesi fino in provincia di Palermo e fino al mare Africano; identiche si hanno poi in Calabria, Basilicata ecc.; e quindi esse rappresentano una formazione costante. Le argille sono variegate, rosse, azzurre, verdi, grigiaste; se — 319 — asciutte, eminentemente scagliose, e si fissurano profondamente; dopo una pioggia si rammolliscano, rigonfiano, e si muovono in tutte le di- rezioni come una sostanza glutinosa. Contengono più o meno frequen- temente dei calcari marnosi, bianco-grigi o bianco-azzurrognoli, con sottilissime vene spatiche, talvolta tutti sminuzzati, quasi scagliosi ; gli strati di calcare, per i frequenti movimenti dell’argilla, sono spezzati,, ed è più facile trovarne delle porzioni che il vero affioramento: è quindi impossibile misurare la pendenza degli strati. Si hanno pure degli strati di arenaria molto silicee, quasi delle quarziti, verdastre, con superfici irregolari, sfoglicse e septariate, che talvolta sembrano portare delle impronte di nemertiliti. In alcuni luoghi si hanno poi degli schisti bi- tuminosi, di cui gli strati sono pure spezzati; gli schisti appena sca- vati sono neri, si tagliano bene, manifestando pochissimo la schistosità e tramandano un forte odore bituminoso; messi al fuoco, il bitume con- tenuto abbrucia e i foglietti di schisto si separano, come avviene anche se esposti lungo tempo all’aria, nel qual caso divengono grigi. Fra questi schisti e sulle arenarie verdastre, più raramente sui calcari, si trovano spesso dei mucchi di pirite di ferro, in cristallini dodecaedrici sulle argille si hanno talvolta delle efflorescenze saline. Le argille sono in qualche luogo sormontate dalle arenarie mioceniche, ed allora sembrano essere sgusciate da tutte le parti, sotto il peso del terreno superiore, come appunto farebbe una materia glutinosa. Naturalmente sopra ad essi si hanno abbondanti le acque di filtrazione. Le argille servono più o meno bene per materiali laterizi, dovendo essere scelte prive di calcare e di sabbie; i calcari intercalati quantunque a grana finissima, non possono usarsi in litografìa per le seguenti ragioni: 1° che non si può avere la certezza di averne una produzione costante per qualità e quantità; 2° che i calcari sono attraversati da venuzze spa- tiche; 3° che non se ne possono trarre grosse pietre, e inoltre, per la fragilità del calcare, questo si romperebbe sotto il torchio. Gli schisti bituminosi non si prestano ad alcuna applicazione pratica, essendo scarsi, e poco il bitume che contengono ; vengono bruciati da quelli che li rin- vengono ed hanno fatto nascere delle ingenue, e naturalmente infondate, speranze sulla presenza del carbon fossile. La tendenza di queste argille ai continui movimenti, specialmente dopo le pioggie, fu già tristamente esperimentata nei lavori pubblici, in tutto il centro della Sicilia, in Basilicata ecc.; nel messinese esse rie- scono forse meno pericolose, perchè in alcune parti poco potenti, ma dove esse raggiungono un certo spessore, i rigonfiamenti e i movimenti si avvertono pur troppo. In alcune località, dove le argille non hanno 320 — potuto esser molto disturbate, appaiono in fascie regolari coi diversi colori, verde, grigio, rosso, azzurro, che esse assumono, ma generalmente si vedono macchie irregolari di quei diversi colori; forse l’ irregolarità nella distribuzione delle tinte dipende dai molti movimenti cui anda- rono soggette le argille, senza dubbio deposte allo stato di fango, in acque più o meno ricche di ossidi di ferro ; ammettere che tali macchie di diverso colore dipendano da emanazioni locali, condurrebbe ad am- mettere che l’argilla era permeabile ad esse, e ciò mi pare un poco dif- ficile. In ogni modo sta il fatto che, dove si ha qualche strato di calcare ancora in posizione regolare, anche le colorazioni sono più regolar- mente distribuite. Le argille scagliose si trovano prima, in piccoli lembi isolati nelle valli fra i monti cristallini, presso Pezzolo, al Sud di Monforte e di Sampiero, presso S. Lucia del Mela, Barcellona, Castroreale, più abbon- danti e più potenti presso Bafia, Novara, Tripi e Furnari, Basico, Patti, S. Piero di Patti : qualche lembo si trova poi sulle parti elevate della catena, sopra le arenarie grossolane e sotto quelle mioceniche, qualche altro presso Francavilla, Randazzo, Giardini e Calatabiano, nelle quali località è spesso in contatto colla lava; ma finalmente esse prendono un fortissimo sviluppo fra Randazzo e Nicosia. I calcari marnosi abbondano presso Castroreale e Tripi; in alcuni luoghi si trovano dei pezzi sparsi contenente nummuliti ed orbitoidi, ma non mi fu mai dato di vedere in posto gli strati di questi calcari fossiliferi. Questa formazione di argille è spesso in fortissima discordanza con quella delPeocene inferiore; nei dintorni dell’Etna, forse dipendente- mente dalle molte dislocazioni avvenute o dalle faglie, si vede spesso l’argilla scagliosa ai piedi di un fianco dirupato, alto varie centinaja di metri, di arenarie grossolane e di conglomerati, ed in varii punti si crederebbe che questi posassero sopra l’eocene medio. In causa di questi rapporti irregolari col terreno sottostante e della natura stessa delle argille, riesce difficile misurarne lo spessore; credo però di non esser lontano dal vero ammettendo di 80 m. la massima potenza rag- giunta fra Monforte e Randazzo ; nella parte da Randazzo a Troina lo spessore è molto maggiore e giunge certamente verso i 180 e forse ai 200 metri. Su queste argille si coltiva molto il grano, qua e là conveniente- mente la vigna, e vi prospera bene la sulla ; vengono generalmente chia- mate terreforti , nome che del resto si applica a tutti i terreni argillosi. UiiyiiUVUJXl 1 C7 ,, w c l'- — 0- ~ -aa~- — - ■ v- oimnd non elibus et evob /dffnool 9auofjs ni .oqqoil mq onotmvvn 5 321 — 3. — Eocene superiore. L’eocene superiore, rappresentato dalle marne a fucoidi in varie località della provincia di Palermo, e dall’alberese in questa ed in altre della Sicilia, non appare affatto nella provincia di Messina; solo qualche massa di alberese si ha fra Nicosia e Gangi; esso, analogo a quello di Toscana, è un calcare bianco, marnoso, ben stratificato, che si trova in masse poco estese, poggianti sulle argille scagliose ; quantunque esso possa acquistare una potenza rilevante, come a Monte Marcassita presso Villarosa ecc., non ha che pochi metri, una diecina poco più, fra Gangi e Nicosia; potremo poi dire che Feocene superiore non esiste nella pro- vincia di Messina. L'assoluta mancanza di fossili nei conglomerati, arenarie grosso- lane e argille superiori e nelle argille variegate, non permette di ri- ferire qui alcuna lista di fossili per l’eocene inferiore della parte N.E. di Sicilia; mi limiterò di riassumere quanto ho detto sin qui per questa parte del terziario nel seguente quadro. Miocene ! Superiore Medio Eocene . Inferiore. Potenza Parte Parte occidentale orientale Calcare alberese 10 Argille scagliose variegate, con cal- cari marnosi, quarziti e schisti bituminosi 180 a 200 80 Argille sabbiose e scagliose, con banchi di are- narie e di calcari marnosi 550 Arenarie grossolane 5a Zona. Arenarie a cemento più o meno argilloso, in banchi più o meno grossi 250 a 350 4* Zona. Arenarie grigie, giallastre, o rossastre. Strati di marne ver-] dastre ( 620 3a Zona. Arenarie a cemento argil- 1 150 a 250 loso \ 2* Zona. Arenarie grigio-azzurro- gnole 20 a 60 la Zona. Arenarie con masse ton- deggianti 100 a 200' Conglomerati di roccie antiche -r^à o-iuq foonmcf 08onmm oteoJbo ih , 0>>1. 460 10 Roccie primitive e secondarie. ■ktì8 noo jsiJIjs ini eo*ri8Ì ib — 322 — Miocene. Il miocene ha anch’esso una grande importanza nella provincia di Messina, e specialmente alcuni membri di esso. Come per l’eocene, di- viderò anche questa parte del terziario in tre suddivisioni, il superiore, il medio, e l’inferiore. 1. — Miocene inferiore. Il miocene inferiore propriamente detto, corrispondente a quello che il Prof. Seguenza ha chiamato oligocene, si presenta esclusivamente nella parte occidentale della provincia, e precisamente al Sud e al- l’Ovest di una linea che va dalla foce del torrente Furiano, per S. Fra- tello, a S. Domenica Vittoria; si estende poi fino a Regalbuto, Nicosia, e fin presso Leonforte. Un piccolissimo lembo della parte più alta ap- pare presso Montalbano, a Monte Borello, ma la grande massa co- mincia presso Randazzo; formando la vetta del Monte di Sta Do- menica, si estende verso Alcara li Fusi e S. Fratello e giunge al mare fra il torrente Furiano e la Marina di Caronia, passa per Cesarò, al Nord di Capizzi, ed in quel tratto forma il Monte Sori, il più elevato della provincia, poiché giunge a 1846m. Fra S. Stefano di Camastra e Mistretta si estende una grande massa di eocene inferiore, talché il mio- cene inferiore, che sulla riva del mare sparisce poco ad Ovest della Fiumara di Caronia, non si ritrova più che verso il Castel di Tusa. Nicosia, Sperlinga, Gangi, stanno sulle arenarie di questa epoca, posanti sulle argille scagliose dell’eocene medio. I rappresentanti del miocene inferiore sono o arenarie o argille. Si hanno delle arenarie in banchi regolari, rossastre, assai dure, for- mate di grani minutissimi, quarzosi, talché prendono un aspetto sacca- roide, a parte il colore, il quale del resto varia dal giallastro al rosso mattone cupo; queste arenarie presentano forse dei clivaggi o delle sot- tilissime discontinuità, in modo che dagli affioramenti degli strati si staccano frequentemente dei pezzi aventi grossolanamente la forma di prismi triangolari. Quantunque la grana dell’arenaria sia bella, ed i banchi abbastanza grossi e regolari, essa non è che raramente utilizza- bile per farne pietre squadrate, appunto per quella sua tendenza a di- vidersi naturalmente, o a frantumarsi sotto la percussione. Le parti resistenti però danno un discreto materiale. Una specie di arenaria scagliosa, talora con noduli ricchi di ossido di ferro, tal altra con sfraterei li di calcare marnoso bianco, pure sca- — 323 glioso, eminentemente ferruginoso del resto, forma i monti al Sud di Caronia, come il Pizzo di Cilena, il Pizzo Sta Domenica, ecc. Molto più estesa invece è l’argilla bruna con parti rossastre e quasi variegata, scagliosa, contenente noduli di ossido di ferro, ma con fre- quenti strati più o meno grossi di arenarie analoghe alle sopradescritte. In alcune parti, come si vede fra S. Stefano e Castel di Tusa, si ha una alternanza abbastanza regolare di straterelli di arenaria e strati più grossi di argille sabbiose. Le arenarie quarzose appaiono le prime, andando verso occidente e posano direttamente sopra l’eocene inferiore, si estendono da Randazzo fino al fiume di Caronia, mentre fra Mistretta, Castel di Lucio ecc., ap- paiono abbondantissime le argille; queste sembrerebbero adunque su- periori ; ma i Monti Castelli, Sambughetti, ecc., resultando formati di arenarie che per 400 o 500m si innalzano sulle argille, bisogna am- mettere invece che le argille sono alla parte inferiore della formazione, o per lo meno stanno verso la parte più bassa, posando forse sopra arenarie identiche alle superiori. Le arenarie hanno certamente uno spessore di 500m; e per V insieme delle argille brune scagliose, e di quelle alternate con straterelli di arenaria, non può ammettersi meno di altrettanto, forse di più. In ogni modo tutto il miocene inferiore, nella parte N-E di Sicilia raggiunge certo i mille metri di potenza, e non fa quindi meraviglia che esso formi da solo i monti più elevati di questa regione. Dove si estende il miocene inferiore, abbondano i boschi di faggi, quercie del sughero, ecc., ma questi stanno principalmente sulle arenarie, mentre sulle argille si coltiva il grano ed altri cereali. Le acque sono discretamente abbondanti provenendo dalle grandi masse di arenarie, e sgorgando al contatto colle argille; ma quelle la- sciano troppo facilmente filtrare l’acqua, talché dopo una lunga siccità le sorgenti diminuiscono molto. Una particolarità da osservarsi è che quando le sorgenti sono abbondanti, e sopratutto dopo qualche pioggia forte, l’acqua è lattiginosa, nè lasciandola in riposo diviene limpida fa- cilmente. 2. — Miocene medio. Il miocene medio appare in lembi staccati, non molto estesi» forse perchè l’erosione ha asportato gran parte dei de nositi, ma anche perchè questi non furono molto estesi. Qualche lembo dunque si vede presso la costa orientale, sopra Pezzolo, sopra Nizza, ad 23 — 324 — Oliva e nel vallone Fracanzilli presso S. Pier Niceto, al Castel di Margi presso Castroreale, fra questo paese e la fiumara di Rodi e alla contrada Sullaria. Lembi più estesi e più seguiti si hanno tra Furnari e Tripi, al Monte Ciglione sopra Falcone, intorno Basico presso Novara, e Moutalbano, e finalmente sulla cresta della catena, dall’Arcimusco a Floresta. In quest’ultimo tratto, si ha infatti una serie di monti pianeg- gianti alla parte superiore, che si vedono bene dalla costa Nord, guar- dando a S-O, e si rimarcano infatti per quella conformazione speciale. Il miocene medio è rappresentato da calcari sabbiosi o da arenarie calcari, con tutte le gradazioni fra questi due tipi. Il calcare è verda- stro, un poco cloritico, duro, talvolta zonato di verde chiaro e di grigio chiaro, le parti grigie essendo più sabbióse; frequentissimi sono le bac- chette di echini e dei coralli, più rare le ostriche ; piuttosto abbondanti poi delle forme biancastre, tondeggianti, probabilmente di cellepore. di diametro variabile, ma che giunge fino ai 2 centimetri. In questo cal- care a briozoi si trovano anche dei denti di squalo. Quando il calcare è zonato, con parti sabbiose, può dare grossi banchi, e quindi grosse pietre da costruzione; con esso sono fatti i marciapiedi delle vie prin- cipali di Messina, è molto utilizzato a Castroreale, Barcellona, ecc., per gradini, stipiti di porte, finestre, e simili lavori; anzi è talmente uti- lizzato che le piccole masse di esso vengono poco a poco distrutte. La cava più grande è quella di Capo d’Armi in Calabria, ma anche presso Castroreale e Furnari, se ne potrebbero estrarre grandi quantità. Tal- volta si hanno delle parti di conglomerato, cioè formato di pezzi di micaschisti o gneiss cementati dallo stesso calcare cloritico, così presso Briga, presso Cimelio di Rometta, ecc. Se il calcare è più puro, meno cloritico, e mancano le parti sab- biose, allora è pieno di bacchette di echini e coralli, e si presenta in straterelli, grossi al più 15 centimetri, spesso più sottili, abbastanza re- golari, ma pieni di fratture. Questo calcare serve per pietrame, più spesso per calce; alla contrada Roppone, sopra Nizza di Sicilia, se ne ha la massa più importante, perchè unicamente costituita da esso. Procedendo verso l’Ovest, il calcare comincia a farsi sempre più sabbioso; nei dintorni di Furnari è ancora cloritico e cogli altri carat- teri suindicati; presso Basico, predomina già l’arenaria calcare, e lo stesso si ha a Montalbano; nei monti poi presso questo paese, e per tutto il resto della formazione, non si vedono più che delle arenarie calcari, bianco-grigiastre, con bacchette d’echini, coralli, qualche ostrea e qual- che dente di squalo. La formazione acquista qui molta importanza perchè mentre le parti calcari delle regioni più orientali non passano mai i - 325 — 50m di potenza, al Monte Pilo presso Basico, al Monte Bambena presso Novara, al Monte Tabntazzo presso S. Piero Patti, la formazione rag- giunge i 200"1 di potenza, e arriva ai 250 alla Serra di Baratta. Il miocene medio si trova sempre in rapporto coll’eocene medio, cioè posante direttamente sulle argille scagliose; in un sol punto, a monte Borello frk Montalbano e Basico, si trova un piccolo lembo di arenarie del miocene inferiore, fra le argille variegate e le arenarie calcari a coralli. Se il miocene medio non si presenta mai dove non sono le argille variegate, è però generalmente in discordanza con queste, e posa da un lato sulle arenarie dell’eocene inferiore. Alla punta di Milazzo, precisamente all’estremità del Capo, dove sorge il Faro, si ha un calcare durissimo, bianco con puntolini nerastri, non frequenti modelli di balani ed altre bivalve e gasteropodi di varia specie, oltre a numerosissimi piccoli echini. L’aspetto di questo calcare è differente da quello del calcare a briozoi suddescritto, però nei din- torni di Basico avendo trovato un calcare molto simile, se non eguale perfettamente, cogli stessi echini, alla base delle arenarie calcari a co- ralli, ho creduto poter riferire quel calcare del Capo Milazzo allo stesso miocene medio. In quel luogo una faglia ben visibile dalle due parti della punta, mette il calcare in brusco contatto col micaschito. Stupende sorgenti si hanno al contatto fra le argille variegate e le arenarie o calcari descritti; oltre all’essere abbondantissime e con- tinue, l’aqua è eccellente; ogniqualvolta si vede uno di quei monti di forma speciale, di miocene medio, si è sicuri di trovare l’acqua al piede degli appicchi formati dalle arenarie. Il Prof. Seguenza ha riferito questi calcari e queste arenarie al- PAcquitaniano, pure essi sono identici a quelli di Trapani, ben deter- minati come appartenenti alPElveziano dal Prof. Gemmel laro, perciò mi è sembrato doverli riferire al miocene medio anziché al miocene infe- riore. Del resto il Prof. Seguenza cita1 i seguenti fossili appartenenti a questo terreno: Carcìiarodon megalodon , Agass. Carcharodon productus , id. id. turgidus. id. Oxyrina lept odori, id. Lamna crassidens, id. #1 Bollettino del R. Com. Geol. d’Italia, N. 9 e 10. Anno 1873. — 326 — Lamma cuspidata , Agass. Sphoerodus inter medius, Gemm. Lucina leonina , Agass. Pecten latissimus, Brocchi. Ostrea crassicostata , Sow. Cellepora sp? Cidaris vari ola, Sismonda. id. amnionensis. Des Moni. 3. — Miocene superiore. 11 miocene superiore è pure riccamente rappresentato nella pro- vincia di Messina, però lo è principalmente nella parte estrema Nord-Est, fra Patti e Messina, mentre non lo si incontra più all’Ovest di Patti a al Sud di Scaletta, meno un piccolo lembo fra Calatabiano e Giardini. Sul versante orientale della catena Peloritana, lo abbiamo presso Mes- sina. S. Filippo Zaffaria, Mili, S. Stefano, ma sul versante Nord-Ovest è molto più esteso, e grandi lembi si presentano fra le Masse, Salice, Gesso, Serro, Rometta, Yaldina, S. Pier Niceto, Gualtieri, Barcellona,, presso Castroreale, Furnari, e Falcone e final mente presso Patti. Nel miocene superiore del messinese abbiamo a distinguere: 1° Conglomerati di roccie cristalline. 2° Arenarie grossolane. 3° Arenarie argillose ed argille sabbiose , molasse. 4° Argille estuarine o lacustri. 5° Tripoli. la Zona. — I conglomerati si trovano addossati ai monti di roccie cristalline, cbe formano la catena ed i contrafforti principali, e non cessano cbe quando cominciano ad apparire le argille variegate dell’eo- cene medio; è perciò cbe troviamo grandi masse di questi conglomerati da Messina a Monforte e a S. Stefano di Briga; il Forte Castellazzo presso Messina è posto sopra una collina di quel materiale, e la strada cbe va a Gesso lo traversa da Messina fino all’altezza di 350m, e lo si trova sull’altro fianco della catena, dalla stessa altezza fino alle For- naci presso Gesto. 11 conglomerato è formato di ciottoli arrotondati, alle volte enormi, di granito, micaschisto, gneiss, pegmatite, ecc., materiali tutti cbe pro- vengono dai Monti Peloritani, ma contiene pure ciottoli, ta’ volta volumi- nosi di un porfido rosso, quarzifero, di cui non mi fu dato ancora trovare — 327 — il luogo d’origine; di questo porfido si trovano pezzi enormi nei conglo- merati, della stessa epoca, che appaiono presso Reggio di Calabria. Il cemento è sabbioso, non sempre molto resistente, talché in alcuni luoghi il conglomerato si sgretola alla superficie, ina spesso è abbastanza te- nace, in modo che esso forma delle rupi inaccessibili; tali si vedono nei pressi di Salice e di S. Stefano, presso Saponara, al Pizzo Isti presso Rometta, Monte Vuoto, presso Monforte, ecc. Qualche volta il conglomerato contiene delle arenarie intercalate, talmente grossolane da potersi chiamare conglomerati a fini elementi. 2* Zona. — Le arenarie grossolane vengono sempre di seguito ai conglomerati, e nelle stesse località in cui essi si trovano. Formate di grani quarzosi o feldspatici, a cemento siliceo, si presentano sempre in banchi regolari, e, verso la parte superiore, con qualche banco argil- loso intercalato ; in esse infatti è possibile prendere la pendenza degli strati, cosa impossibile a farsi per i conglomerati che sono conformati piuttosto ad ammassi irregolari. Le pendenze dominanti sul versante Nord, sono da N. a N-O; e quindi concordanti col sollevamento ; sul versante orientale invece, sic- come il cristallino appare anche in riva al mare, gli strati sono tor- mentati o foggiati a conca, talché si trovano tanto le pendenze ad Est, quanto altre a N-O. Arenarie e conglomerati sottostaili formano un insieme che non potrebbe esser disgiunto nell’ evaluazione della potenza del mio- cenesuperiore; la massima potenza dei due insieme è certo di 300 metri, forse anche un poco maggiore, e di essi, più di 200 certo apparten- gono al conglomerato. I punti più elevati raggiunti dall’ insieme di que- ste due zone sono: un colle presso Castanea, alla quota 485, il Pizzo Isti (530) presso Rometta, e il Pizzo Vuoto (614) presso Monforte. Nelle vicinanze di Monforte, di Soccorso e di Pace, trovasi qual- che lembo di un calcare con modelli di conchiglie, accompagnato da argille azzurrognole, un po’ micacee, nelle quali si trovano dei brio- zoarii in piccole masse tondeggianti, foracchiate; questi due materiali sembrano formare qualche strato o lente intercalate fra le arenarie. Il Prof. Seguenza da una lunga lista di tossili rinvenuti in quel calcare sabbioso, ed io non starò a ripeterla qui. 3a Zona . — Questa è quella che veramente rappresenta il terreno della molassa; ammettendo che le prime quattro, delle cinque zone se- gnate, appartengano al Tortoniano, la 3a e la 4a sono le più caratteri- stiche, essendo quelle che presentano dei fossili difinibili e caratteri- stici, mentre la zona dei conglomerati e quella delle arenarie, non ne danno affatto. — 328 — La 8* zona appare sottilissima fra le Fornaci e il Gesso, lungo 1& strada di Messina; più potente comparisce nelle colline di Serro e di Calvaruso, più ad occidente, ma la si trova poi nel massimo sviluppo andando dalle Due Torri a Rometta, o da Spadafora a Roccavaldina, o finalmente da Condro a S. Pier Niceto. Si tratta di un’ alternanza di strati, generalmente piccoli (dai 4r ai 12 centimetri) di arenarie argillose, alternati, taluni essendo più argillosi, anzi moltissimo, altri meno, alcuni giallastri, altri bluastri. In alcune regioni si hanno degli strati argillosi più grossi, di un’ ar- gilla grigia, leggermente cerulea, separati pure da straterelli di are- naria argillosa o di molassa; più rare sono le località in cui si trovano strati di vere arenarie molasse. In tutte le località citate, gli strati pendono al N. o al N-E, men- tre proseguendo al Sud, si trovano le altre zone la e 2a e poi il cri- stallino, talvolta coll’intermezzo di qualche lembo di miocene medio e di eocene medio. Qualche lembo di questa zona, rappresentata da argille ed arenarie, si trova fra Giardini e Calatabiano riposante sulle argille dell’eocene medio, o sulle arenarie dell’inferiore. La potenza massima di questa zona, che si può misurare presso Rometta o presso S. Piero, non pare superiore ai .°50 metri, ed in que- sti devono essere comprese tanto le parti iu cui alternano regolar- mente gli straterelli, quanto quelle in cui o le arenarie o le argille ai mostrano in banchi più grossi; come accade infatti nelle due suddette località. Il Prof. Seguenza nei suoi Brevissimi cenni sul terziario del mes- sinese (Boi. 1873) da appunto una lista di fossili raccolti in questa zona del tortoniano, e fra gli altri citerò qui i principali: Turritella Archimedis , Dub. Bingicula costata , Eichw. Natica millepunctata, Lk var. Trochus rotellaris , Mich. Conus Berghausii, Mich. Murex sublavatus , Bast. Cancellaria varicosa , Br. Pleurotoma ramosa , Bast. Voluta rarispina , Bast. Nassa Dujardini, Desh. Cerithium minutum , M. de Ser. JDentalium inacquate , Bronn. Corbula carinata, Dujard. Cardita Jouanneti , Desh. Lucina columbella . Lk. Lucina incrassata , Dub. Lucina dentata, Bast. Arca neglecta , Mich. # Ostrea crassissima , Lk. La Cardita Jouanneti è abbastanza frequente nelle argille che si trovano salendo a S. Pier Niceto, insieme però ad altri fossili di quelli — 329 — citati. Nelle vicinanze di Rometta, sotto Pizzo Motta e Pizzo Palostrago, gli strati argillosi sono pure ricchi di fossili, e specialmente delle prime specie ora citate. Nelle vicinanze di Spadafora predominano le argille, ed in queste appaiono degli orbitoidi di diversa specie. Presso Patti poi, risalendo il vallone di S. Antonio, nelle argille sottostanti ad alcune masse di calcare siliceo, si trova abbondantissima 1’ Ostrea crassissimo. 4? Zona. — Questa appare unicamente nei dintorni di Messina, ed è rappresentata da argille ed arenarie, alcune lacustre, altre estuarine, ed altre finalmente che sembrano completamente marine. Nella bella sezione di terreni terzi arii che si ha presso Messina, alle cave di Scuoppo, si trova alla base un’argilla azzurrognola, intercalata, o meglio in lenti, dentro un’arenaria tenera, un poco micacea, qualche volta pochissimo cementata, e gli stessi materiali si trovano pure nei pressi di Messina, a Gravitelli. In quest' ultima località però, mentre alla parte più alta si può raccogliere qualche Pccten ed altri fossili marini, nella parte più bassa appaiono delle argille pure azzurrognole con arenarie argillose intercalate, di origine lacustre. Probabilmente anche allo Scuoppo, alla base delle alternanze di arenarie e di argille si ha la stessa formazione, ma la miglior località per studiarla è cer- tamente la cava di Gravitelli, ove si estrae l’argilla per far mattoni. In questa argilla sono frequentissimi gli operculi di Paludine , delle ligniti, o meglio tronchi e pezzi di legno fossile, e delle foglie. 11 Prof Seguenza poi riferisce che in tali depositi furono trovati dei denti di Ippopotamo, Rinoceronte, e del Sus choeroìdes. Questa zona sarebbe l’ultima del Tortoniano, ed a questa farebbe seguito la 5a appartenente al Sarmatiano. Nei terreni delle prime quattro zone, i materiali utili si limitano all’arenaria meglio cementata, che può fornire pietrame, e qualche strato anche della pietra per costruzione (gradini, soglie e stipiti di porte e finestre, ecc.) e alla argilla delle tre ultime zone, ‘che serve per materiali laterizii, come infatti è usata a Messina, Gesso, Barcellona, Patti, ecc. Però le argille della 2a e 3a zona sono sempre più o meno sabbiose, quindi i materiali laterizii sono ge- neralmente scadenti, meglio si prestano le argille lacustri o estuarine dei dintorni di Messina. Le colline di tortoniano, comportano generalmente qualunque cul- tura. grano, vigna, olivo, ecc., meno quelle di conglomerato, che in gene- rale sono incolte, e rivestite solo di eriche e altre piante selvatiche; in qualche punto vi crescono i pini, come a Monte Pignara presso Messina. 5a Zona. — • Questa è davvero 'scarsamente rappresentata, e lo è soltanto nelle vicinanze di Messina, non trovandosi più lontana di Spa- dafora. Essa è rappresentata da marne silicee, fogliettate, costituenti il vero tripoli, identico a quello che, molto più sviluppato, si trova anche nel centro di Sicilia, fra il tortoniano e la formazione solfìfera. 11 tripoli riposa, non sempre in perfetta concordanza, sulle argille della 2a zona, forse nell’ intermezzo di qualche strato di quelle della 3a ; alla base comincia con delle argille silicee, brunastre, in straterelli di 2 centimetri e meno di spessore, ma non acquista il suo vero carat- tere che nelle parti superiori, ove si ha il materiale caratteristico, che si sfoglia in lastrine sottilissime, contenente pesci, larve di libellule, ecc » i quali fossili risaltano sul fondo bianco, pel loro colore giallo bronzato. Un indizio di tripoli si ha a Graviteli, e direi anche allo Scuoppo; ben più distinto lo si ha al Poggio del Malo Passo, sulla strada dalla Pcr- tella di Castanea a Salice, ove forma il cucuzzolo del poggio e di un’ al- tra piccola altura circa 500 m. più verso Salice. Poco lungi dalla Por- tella, andando verso Castanea, si hanno, sulla destra della strada, tre lembi di calcare siliceo, posanti sul tortoniano, coll’ intermezzo di una sot- tile massa di tripoli; sottile pure è Paffioramento che si ha sotto il Monte Calcarelle, lungo la strada che va al Gesso ; un poco al Sud di Bauso, al contatto fra le masse dirupate di calcare siliceo, posanti sul torto- niano, si trova in varii punti un sottile affioramento di tripoli, così lungo i valloni Buonsignore e Formica, che si riuniscono e sboccano in mare due chilometri circa aventi Spadafora. Risalendo poi il torrente di Spadafora, fino al punto in cui la val- lata si biforca, si trova un bell’affioramento, ed ivi il materiale è re- golarmente zonato a foglietti bianchi e giallastri; in quella località, sopra al tripoli si ha una magnifica sorgente di acqua limpida e fre- schissima. Un altro lembo si ha presso Condro ove va pure a mettersi sotto il calcare siliceo. 11 tripoli del messinese va dunque riferito, come quello del centro di Sicilia, quello di Toscana, ecc, al Sarmatiano. Esso raggiunge la massima potenza al Poggio dei Malo Passo, dove, comprese le marne bru- nastre della base, raggiunge i 18 m. di spessore; presso Gesso non ha più di 1 metro di altezza; presso Bauso, al torrente Buonsignore, e alla fiu- mara di Spadafora, esso ha dai 4 ai 7 metri di spessore. Con tale limi- tata potenza, e presentandosi in così poche località, è ragionevole dunque — 331 — il dire che la 5a zona del miocene superiore scarseggia nella parte N-E. di Sicilia; ma la sua presenza però vi è importante, dimostrando l'analogia delle formazioni con quelle del centro dell’isola, analogia del resto che riconosceremo, fra poco, anche per i terreni seguenti, quelli della sona gessoso-solfifera. Formazione gessoso-solfifera. Questa formazione, che nel centro della Sicilia è sorgente di ric- chezza, per gli abbondanti giacimenti solfiferi che presenta, è com- pletamente sterile nella parte N-E. di Sicilia, ed è rappresentata uni- camente dal gesso colle argille che lo accompagnano, e dal calcare con- crezionato. Essa non si trova che in lembi sparsi, mai molto estesi, sulla striscia di terziario, sul versante orientale dei Peloritani, dal villaggio deH’Annunziata presso Messina, tino a Larderia; ai villaggi delle Masse, Castanea, Gesso, Serro; appare presso Bauso, da Spadafora a Boccaval- dina, a Monforte, Condro, S. Filippo, ove si trova in lembi abbastanza estesi ; masse non molto rilevanti si hanno presso Barcellona e villaggi circonvicini, a Bafia e presso Castroreale, e finalmente presso Patti. La forma più costante è quella del calcare siliceo, ma in alcuni punti sotto di esso appaiono pure le argille azzurrognole, contenenti cristalli, o banchi, o grandi ammassi di gesso; il gesso è talvolta bianco saccaroide come alabastro, talvolta cristallizzato a ferro di lancia, ma allora sempre affumicato; finalmente può prendere pure l’aspetto gra- nuloso, in banchi o schistoso, di color giallo-caffè o azzurrognolo. Le tre forme insieme si hanno al Monte Carcarelle presso Gesso, e anche, benché in minori proporzioni, presso Salice. Più piccole masse di gesso cristallizzato, sempre fra le argille, si hanno al vallone Buonsignore, alla fiumara di Spadafora, e sulla strada da S. Filippo a Camastrà, fra Bafia e Catalimita, e ancora presso Calatabiano, in un poggio fra Giar- dini e l’Alcantera, e a S. Stefano di Camastra. Fuorché nelle ultime località, il gesso si trova sempre il rapporto col tripoli; la massima potenza delle argille cogli ammassi di gesso si ha al Monte Carcarelle presso Gesso, o presso Bafia, e nelle due località pare che essa non su- peri i 30 metri. Il calcare concrezionato, leggermente siliceo, è in qualche località bianco, quasi spugnoso come un travertino, contenente molta acqua di cava; non presenta mai degli strati regolari, ma degli ammassi sovrap- posti, al contatto dei quali si hanno delle marne calcareo -silicee, la- — 332 — minate, bianco-verdastre; in altri luoghi lo stesso calcare è più gial- lastro, meno ricco di acqua di cava, meno foracchiato, brecciforme; fi- nalmente lo si trova duro, compatto, pure brecciforme, rossastro, o di color mattone, tale da potersi lavorare in pietre squadrate. Il primo aspetto si presenta nei dintorni di Messina, alle Masse e a Barcellona; il secondo presso Salice, Gesso, Castroreale e Patti; l’ultimo si ha fra il Serro e Spadafora; e quello di Bauso e delle due Torri fu usato con- venientemente in tutti i nuovi ponti fatti sulla strada da Messina a Barcellona. La massima potenza si ha presso Bauso, o fra Gesso e il mare, nelle quali locatità forma dei dirupi inaccessibili entro i quali scorrono i val- loni, o presso S. Filippo, ed essa può ritenersi di 70 m. essendo forse di poco maggiore presso Bauso, ma di molto inferiore poi in tutte le altre località. 11 gesso è impiegato dovunque lo si trova, cioè in tutte le località citate, per farne gesso da cemento, e se ne ricaverebbe un buon ma- teriale, ove il sistema di cuocerlo e polverizzarlo fosse meno primitivo. 11 calcare è adoperato sempre per calce, ma anche per pietrame da co struzione; eccezionalmente nelle due località indicate, come pietra da taglio; se è coperto da coltivazione, la vigna e l’ulivo sono quelli che vi allignano meglio; esso dà dell’acqua, ma non abbondante, poiché è molto permeabile, e la lascia sgorgare troppo rapidamente. Questa zona gessoso-solfifera, chiamata dal Seguenza Messiniano, ed intermedia fra il miocene superiore e il pliocene inferiore, tanto da esser chiamata talvolta mio -pliocene, non ha altri rappresentanti nella provincia di Messina. Devo ora parlare del pliocene, ma avanti riassu- merò gli elementi principali del miocene nel seguente quadro : — 333 — Pliocene. Su ') ^ I «f 5 «o 2° Membro. Calcare concrezionato leggermente siliceo 1° Membro. Argille azzurrognole con ammusai di gesso METRI 70 SO 100 fi s § # •< © a 5 « < r, m H 5* Zona. Marne silicee, bianche, fogliettate. Tripoli 49 Zona. Argille azzurrognole ed arenarie te- nere (formazione lacustre estuarina e ma- rina) 8a Zona. Alternanze di argille sabbiose e are- narie argillose, con strati di arenarie in- tercalate ed argille pure, specialmente alla parte superiore 2a Zona. Arenarie grossolane grigio-giallastre conglomerati a fini elementi. Argille in- tercalate verso la parte superiore la Zona. Conglomerati di ciottoli cristallini o di porfido, talora assai voluminosi.... 100? 350 300 750 Arenarie con coralli e bacchette di echini e cemento calcare arenarie, contenenti cellepore, briozoi, ecc. 250' Arenarie silicee, saccaroidi, a grani fini trans- ) lucidi, e cemento siliceo } 500 Arenarie scagliose Argille brune, rossastre, scagliose Alternanze di argille sabbiose e straterelli di 550 1050 Terreni cristallini, o Eocene (inferiore o medio). Pliocene. Nella parte N-E di Sicilia, abbiamo il pliocene abbastanza svilup- pato, ed in esso potremo distinguere l’inferiore ed il superiore, man- % 1* — 334 — cando completamente la parte media, corrispondente alle argille az- zurre subappennine. 1. — Pliocene inferiore. 11 pliocene inferiore si trova presso Messina, alle Masse e Casta- nea, nei dintorni di Salice, Gesso, Serro, Bauso, Bometta, e svilup- pato presso Spadafora, Condro; finalmento qualche lembo si ha presso Meri e Bafia; un ultimo della provincia di Messina si ha presso Santo Stefano di Camastra. Il materiale ordinario che costituisce il pliocene inferiore è la marna bianca a f or amini feri, il così detto trubo del centro della Si- cilia; ma nel messinese si presentano pure altri materiali, ed il trubo stesso ha delle varietà. In primo luogo abbiamo un conglomerato, a ciottoli angolosi di granito grigio, a cemento marnoso bianco, e di cui si hanno due pic- cole masse, una quasi alla sorgente della fiumara della Pace, presso Curcurace, ed una al Poggio Romano, presso Gesso; benché il ce- mento sia caratteristico, pure qualche dubbio poteva rimanere circa l’età di questo conglomerato; ma al Capo Vaticano, in Calabria, ove se ne ha una grande massa, si vede chiaramente che esso forma la base dei trubi posanti sul granito. Un secondo materiale si presenta scendendo da S. Lucia delle Masse alla fiumara del Tono; ivi si in- contra, in banchi regolarissimi, inclinati di 35° e 40° N-E, una sabbia bianca con minute pagliette micacee e carica di gusci di foraminiferi Questa sabbia si scioglie quasi completamente in un acido, è dunque una sabbia calcare, quasi esclusivamente costituita da quei gusci; essa avrà una potenza di 50 metri circa, ed alla parte superiore alterna già con strati di marne bianche. Le marne sono le più estese, e sono quelle che rappresentano il pliocene inferiore in tutte le località citate. Sono generalmente bianche, ma in alcuni luoghi invece sono azzurrognole, come, per esempio, presso il torrente Gallo, dove sono tagliate dalla strada che scende da Gesso al ponte; in essa si trovano sempre ed abbondanti le foraminifere, che coi loro gusci rotondi e bianchissimi si rendono facilmente visibili. Nelle vicinanze delle montagne cristalline, queste marne contengono delle pagliette di mica, e ciò specialmente presso Messina; ma presso Spadafora e da questo paese a Barcellona, si incontrano pure bian- chissime, in banchi regolari, i cui affioramenti hanno un aspetto ca- ratteristico di masse convesse, e tanto più tondeggianti quanto più mar- noso è lo strato. — 335 — La strada che scende dal Gesso al fiume Gallo, giù presso al fiumer fa una risvolta brusca: in quelle vicinanze si trova un calcare mar- noso, abbastanza duro, grigio-azzurrognolo, contenente pure molti fo- raminiferi, e riferibile completamente alla formazione dei trubi. Queste marne bianche a foraminiferi non aquistano mai, nella provincia di Messina, la potenza che raggiungono nel centro della Si- cilia, o in Calabria, dal golfo di Gioia a quello di S. Eufemia; però, anche nel messinese sono abbastanza importanti. Mentre nei dintorni di Messina non hanno che qualche metro, e talvolta appena pochi de- cimetri di spessore, esse ne aquistano uno maggiore sulla costa del .Nord; prescindendo dalle sabbie calcari diS. Lucia, che hanno come dissi 50 m. circa di potenza, il vero trubo che si ha a Spadafora, e nelle vi- cinanze, o presso Bauso, raggiunge certamente i 75 metri. Esso spa- risce anche più presto del calcare siliceo, e non si trova nè presso Patti, e nemmeno più in basso dalla fiumara di. S. Filippo, presso Messina. Queste marne a foraminiferi, tanto simili ai fanghi bianchi, estratti cogli scandagli dalle grandi profondità degli oceani, sembra che si sieno formate in analoghe condizioni di profondità; intanto però, nel messinese esse riposano, come anche nel resto di Sicilia, sulla formazione gessoso-solfifera, che è di origine lacustre o estuarina, certo di basso fondo. Bisognerebbe ammettere, dunque, che alla fine del periodo mio- pliocenico, un forte abbassamento si producesse in tutta la regione, in modo da permettere, nei punti più profondi, la formazione di quei fanghi bianchi, trasformati poi in trubi, ricchi di foraminiferi. In que- sti si trovano pure delle turbinoli e, ed abbastanza frequenti esse si possono raccogliere presso Spadafora. Il trubo, presentando banchi più argillosi ed altri più marnosi,., viene utilizzato tanto come argilla, che come pietra da calce. I mat- toni, e sopratutto i vasi fatti con tali argille, sono eccellenti, e a Spa- dafora infatti, la principale industria, si può dire, è quella dei vasi in terra cotta, di tutte le forme in uso nella provincia. Come pietra da calce, la parte più calcare del trubo dà una calce abbastanza grassa, ma sempre un poco, talora molto, idraulica; in tal modo si vede come questa formazione sia molto utile anche per le applicazioni, oltre ad essere un orizzonte geologico fisso, ben determinato, impossibile a con- fondersi con altri. Sulle marne del pliocene inferiore, si coltiva convenientemente il grano, un poco meno bene la vigna, discretamente l’olivo. Sopra ad — 336 — esse non si hanno che scarsi rappresentanti dalle formazioni posteriori, e mancano quindi le abbondanti acque che si trovano in Calabria fra il trubo ed il quaternario. 2. — Pliocene superiore. Il pliocene superiore si trova nei dintorni di Messina: piccoli lembi si hanno presso le Masse, Salice, al Gesso, Serro, Calvaruso, ecc., si trova a Rometta, e al Pizzo Motta e Pizzo Palostrago, nelle vicinanze ; in lembi più estesi appare presso Condro e sulla strada di S. Pier Ni- ceto, a Barcellona, Castroreale, Rodi, Furnari, Casino di Falcone, Patti, e finalmente a Naso, ove è abbastanza sviluppato, estendendosi da sotto al paese fino alla cresta di Naso, e al Serro. Pernicchia. Di questa parte del pliocene abbiamo varii rappresentanti nel Messinese, diversi fra loro, sia per i caratteri litologici, sia per quelli paleontologici. Il membro inferiore del pliocene superiore sarebbe un calcare bianco, grossolano, a brachiopodi, di cui alcuni strati sono assoluta - mente formati di gusci di grosse terebratule; questo calcare si può ve- dere fra Scuoppo e Scirpi, lungo la fiumara di S. Filippo, a Monte Montagna ecc., tutte località dei dintorni di Messina. Sopra ad esso si hanno, in alcuni punti, delle masse di calcari gial- lastri e rosati, a polipai, anzi tanto ricchi di questi, che in alcune parti ne sono formati; essi si trovano allo Scuoppo, a Monte Mangia- lupi, Monte Pietrazza, Cammari, Catarrati e S. Joacchino. Talvolta è più sviluppato il calcare grossolano, come presso S. Filippo, o Monte Montagna, ma non raggiunge mai i 20 m. di potenza, nè a questa sem- brano arrivare neppure i calcari a polipai, meno che a Monte Montagna dove l’insieme dei due arriva circa ai 50 m. I due calcari posano sopra le marne bianche a foraminiferi, o in qualche luogo sopra il calcare siliceo ; in essi si trovano spesso dei denti di pesce, e nel calcare a po- lipai, abbastanza frequenti, degli echini. Il prof. Seguenza dà delle lunghissime liste di fossili per i due calcari, 1 mi contenterò di citarne qui i principali. Pel calcare grossolano : Lamna crassidens, Agass. Oxyriva isocelica, Sismonda. 1 Studi stratigrafici sulla formazione pliocenica .dell1 Italia Meridionale. — Boll. Com. Geo!. Anno 1873. N. 3 e 4. — 337 Buccinum Humphreysianum, Kien. Trochus bullatus , Phil. Trochus marginulatus , Phil. Emarginula cancellata , Sore. Emarginala crassa , Sore. Mrca obbligua, Phil. Lima elliptica , Jeffr. Pecten septemradiatus, Muli. Terebratula vitrea, Born. » minor, Phil. » Scillae, Seg. Terebratulina caputserpentis, Lin. Waldheimia septigera , Lin. Terebratella septata, Phil. Isis melitensis, Goldf. Paterocyathus inflatus, Seg. Lophohelia Befrancei, Ed. Stephanophyllia imperialis, Mieli. Pel calcare a polipai: Carcharodon megalodon, Agass. » productus, Agass. Lamna crassidens, Agass. Odontaspis dubia , Agass. Pachylasma giganteum, Phil. Scalpellum zancleanum, Sig. Scillaelepas carinata, Phil. Trochus bullatus, Phil. Buccinum Humphreysianum. Terebratula viirea, Born. » sphenoidea, Phil. Terebrutulina caputserpentis, Lin. Waldheimia septigera , Lin. Terebratella septata, Phil. Stirechinus Scillae , Desor. Ed abbondantissimi coralli dei generi Lophohelia, Caryophyllia e De- smophyllum. I calcari a brachiopodi, ma specialmente quello a polipai, vengono adoperati come pietra da calce, e se ne ricava veramente della buona — 338 — calce, che viene impiegata a Messina. Essi sono limitati ai dintorni di questa città, e non si trovano sul versante Nord dei Peloritani. Una sottile zona di calcare grossolano, pure con brachiopodi, si trova qualche volta alla base dei membri superiori del pliocene che ora de- scriverò. Però al Capo Milazzo, ed anzi sotto la parte dell’abitato e lo stesso Castello, si hanno le roccie cristalline, profondamente fissurate, e questo fissure sono riempite da un calcare marnoso giallastro, inte- ramente analogo al calcare a polipai di Messina; dove le fessure sono più larghe, e sulla costa orientale del Capo, fra il Castello e il Seno del Corvo, appaiono poi chiaramente i coralli, ed il calcare contiene anche gli stessi echini e gli stessi brachiopodi ora riferiti per il cal- care a polipai; un’altra piccolissima massa si ha sul versante occiden- tale di Monte Trino. Questa è la sola apparizione che fa il calcare a polipai sul versante nord dei Peloritani; ma in provincia di Peggio, nelle vicinanze di Villa S. Giovanni, Bagnara e Palmi, occorre spesso il vedere il cristallino fissurato e cementato poi dal calcare a polipai, che appare del resto in grandi masse presso Pezzo. La fauna che si trova nel calcare suddetto, accennerebbe a mare discretamente profondo, eppure il genere della formazione e la forma delle masse di calcare assomiglia a quello degli atolli che si trovano attualmente nel Pacifico e che pure si elevano fino alla superficie del mare. Sopra al calcare a polipai si trova un materiale speciale, concor- dante con esso, per quanto lo comporta la forma irregolare degli am- massi di calcare. Si tratta di un impasto di grossi grani di sabbia, con un cemento calcare, irregolarissimo, talché non si ha un materiale compatto, ma anzi tutto spugnoso e foracchiato, però abbastanza duro, con pezzi dei calcari e delle marne sottostanti, o di roccie cristalline, inglobati nella massa; in questo modo si può dire che queste sabbie cementate possono dare passaggio ad un conglomerato, mentre d’altro canto, nelle parti esposte ai dilavamenti, per la disso- luzione del cemento calcare, se ne possono avere di sciolte. General- mente la stratificazione è ben netta, e sensibilmente orizzontale, ciò che mi ha permesso di stabilire che la faglia, causa della forma- zione dello stretto di Messina, sia immediatamente successiva al plio- cene inferiore *. Queste sabbie cementate sono sempre ricche di 1 Sulla formazione dello Stretto di Messina . — Boll, del Com. Geol, Anno 1882, N. 1 e 2. — 339 — fossili, fra i quali abbondano dei coralli ramificati, che sono Ylsis peloritana , e Ylsis melitensis, delle cerniere di Pachylasma gig»n- teum ed altri fossili, indicati da Seguenza nella nota altra volta citata, fra i quali: Nassa pusilla , Phil. Buccinum Humphreysianum , Kien. Solarium hemisphericum , Seg. Arca aspera , Phil. JPecten septemradiatus , Muli. Lima excavatay Fabr. Spesso, queste sabbie cementate hanno come una specie di falsa stratificazione, inclinata più o meno fortemente rispetto alla vera, ed essa se non si vede chiaramente allo Scuoppo o nelle vicinanze delle Masse e di Salice, si vede meglio presso Spadafora, Cammari, Catar- ratti, benissimo poi al di là del Gesso, dove la strada riprende a di- scendere verso il Fiume Gallo. Altri lembi di queste sabbie si hanno sulle alture fra Serro e Bauso. Il villaggio di Gesso posa sopra delle sabbie gialle, argillose, a strati regolarissimi, alti dai 0,50 a 0.70, piene di foraminiferi ; esse stanno in quella località, più in alto delle sabbie conglomerate, talché sembrano posteriori a queste, e d’altro canto formerebbero la base della vera formazione astiana, che si trova più ad occidente, e le cui sabbie gialle presentano, alla base, degli strati analoghi a quelli di Gesso. Il vero rappresentante dell’ Asti ano sembrano essere le sabbie ed arenarie gialle o giallastre, più o meno argillose, più o meno calcari e cementate, che si hanno a Rometta, Pizzo Motta e Palostrago, presso Condro fra Barcellona e Castroreale, nelle vicinanze del quale forma il Serro di Maloto, il Serro di Santa Domenica, le colline di Acquaficara e Pro- tonotaro, il Monte Gonia e Monte Marro presso Rodi ; Furnari è il Ca- sino di Falcone stanno sopra estesi lembi di quelle arenarie, altra grande massa si ha fra Patti e il casale del Sorrentino, una fra Cala- fabiano e Fiumefreddo e finalmente quella estesissima di Naso e sue vicinanze. In tutte queste località citate, sono abbondantissimi i soliti Pecten dell’Astiano : Pecten dubius , Lin. Pecten opercularis , Lin. Pecten varius, Lin. Vola Jacóbaea , Lin. 24 La Venus multilamella Lamk. ecc. insieme ad altre Venus, Lime y Lucine, ecc. Presso Portosalvo e Protonotaro, ove fa da poco ultimato il nuovo ponte sulla fiumara di Rodi, si hanno degli strati argillosi, alla base della potente successione di strati di arenaria, e quivi i fossili sono abbondantissimi. I monti su cui stanno Rometta, Castroreale, Purnari, ecc., segati dalle strade che accedono ai paesi, mostrano nelle trincee le arenarie giallastre, con molte concrezioni a cemento calcare, e con- tenenti i diversi Peden citati, in quantità veramente stragrande. Nelle arenarie di Naso si trovano però abbondantissimi modelli di bivalvi ^ appartenenti ad una fauna più littorale, in modo che il prof. Seguenza ritiene che gli strati di Naso formino la zona più bassa del pliocene superiore, identica a quella dì Monte Mario. Al Capo di Milazzo, e principalmente : alla Punta Mastro Stefano, alla Punta Mazza, sopra le Pietre rosse e i Puntalazzi, appare un ma- teriale diverso dai precedenti, stratificato regolarmente, sotto al qua- ternario e sopra al cristallino, o a qualche lembo staccato di quel cal- care del miocene medio già descritto. Questo materiale è costituito da una marna sabbiosa gialla, ricchissima, ed anzi, quasi formato di fo- raminiferi, in cui si trovano abbondantissimi degli articoli di corallo, lunghi e sottili, delle Isis, delle Gidaris, delle lunghe bacchette di echini, oltre a frammenti di bivalve ecc. Queste marne non appaiono in alcun altro luogo della provincia di Messina, sono ricche in forami- niferi, come le sabbie del Gesso, e per i fossili che contengono, vanno riferite alle sabbie cementate dei dintorni di Messina, cioè alP Astiano; non possono riferirsi al trubo, poiché presentano quei resti organici caratteristici, e perchè il trubo stesso si presenta coi suoi caratteri ordinari, poco lontano, sopra la Tonnara del Tono. La potenza delle sabbie ed arenarie del pliocene superiore è for- tissima ; mentre presso Messina e al Gesso, essa va dai 50 ai 60 metri, ne ha ,280 circa scoperti, a Castroreale e dintorni, talché si potrebbe ivi ritenerla almeno di 300 m. ; le sabbie di Naso hanno una potenza di 150 m. circa. Ammettendo che tutte queste arenarie fossero con- temporanee, la massima potenza delFAstiano sarebbe di 300 m., ma io credo dover ritenere che l’importanza del pliocene superiore, nella pro- vincia di Messina, corrisponde ad una potenza complessiva di circa 400 m. A questa si dovrebbero aggiungere i 50 m. che all’incirca rap- presentano la potenza del calcare grossolano a brachiopodi e del cal- care a polipai presi insieme, e quindi finalmente, per tutto il pliocene superiore, avremmo, complessivamente, 450 m. circa. — 341 Le arenarie e sabbie gialle o giallastre, che rappresentano il vero astiano, si trovano posare, o sul cristallino e sulFeocene medio, come presso Castroreale, Rodi, ecc. o sul miocene superiore, come a Furnari, o sull’eocene inferiore, come a Naso. .Sotto il Monte Marro, sulla riva sinistra della fiumara di Rodi, al contatto fra la grande massa di are- narie astiane, e le argille variegate, si ha una sorgente abbondantissima. Le arenarie giallastre di Condro e Rometta, quelle di Gesso e quelle dei dintorni di Messina, posano sul trubo e si hanno delle serie rego- larissime. Da S. Pier Niceto, scendendo al mare per la strada, si tro- vano tutti gli strati che pendono al Nord e si taglia successivamente : il tortoniano, il calcare siliceo, le marne bianche a foraminiferi, le are- narie astiane, e i conglomerati quaternarii. Rometta sta sopra una col- lina di arenarie astiane, posanti sulle marne bianche, e sotto queste abbiamo il calcare siliceo e le molasse, alla base delle arenarie si ve- dono sgorgare le acque di filtrazione, essendo arrestate dal trubo. Nei dintorni di Messina abbiamo pure una successione regolarissima, che si studia bene allo Scuoppo, o a Gravitelli, e in varii punti intermedi; ?essa è la seguente in ordine ascendente: Cristallino ; Tortoniano ; Formazione gessoso-solfifera; Marne bianche a foraminiferi ; Calcari a brachiopodi e a polipai ; Sabbie cementate, con Isis ; Sabbie argillose quaternarie. Come si vede, in tutta la provincia di Messina manca il rappre- sentante delle argille azzurre subappennine, tanto sviluppate invece nella provincia di Catanzaro. Le sabbie cementate dei dintorni di Messina e le arenarie meglio cementate di Castroreale, Furnari ecc., servono come pietrame : nei din- torni di Condro il cemento essendo più calcare e più resistente, si ta- gliano direttamente, nelle cave di Zifronte, dei parallelepipedi di queste arenarie, e si adoprano per costruzione, però esposti agli agenti at- mosferici, si smussano e si sciupano rapidamente. Ecco qui il quadro riassuntivo del pliocene messinese: I — 342 — Quaternario. o <1 Arenarie e sabbie gialle di Roulette., \ metri Castroreale, Firmari, Patti, ecc. 300 ^ Arenarie e sabbie di Naso 150 > 400 Sabbie cementate (con Isis) di Mes- sina 50 a 60 Calcare a polipai Calcari grossolani a brachiopodi Marne bianche a foraminiferi (Trubi). Sabbie calcari a foraminiferi alternanti colle marne alla parte superiore . Conglomerati di ciottoli granitici. . . . 25 j ) 50 450 80 10 90 Formazione gessoso-solfìfera, miocene, eocene o cristallino. Quaternario — Alluvione antica e moderna. La divisione dei terreni posteriori al pliocene, in Quaternario e Moderno , sarebbe inesatta per le formazioni che appaiono nella parte N.E. di Sicilia. Mentre si ha del vero quaternario, di due formazioni ben distinte, probabilmente di due diversi periodi, abbiamo poi dei ma- teriali che meglio dovrebbero chiamarsi col nome di alluvione antica, che con quello di terreni quaternarii propriamente detti; finalmente poi abbiamo l’alluvione moderna. Per ben individuare la distinzione che intendo fare, stabilirò dunque di chiamare: 1° Quaternarii quei terreni, posteriori al pliocene, che hanno una grande potenza e appaiono anche a grandi altezze, sopra le altre for- mazioni, o quelli che vengono in successione stratigrafica regolare dopo i va rii membri del terziario. 2° Alluvione antica , quei depositi che si trovano sui terrazzi in riva al mare, alle foci delle grandi fiumare ecc. e che emersero per una causa unica ed uniforme. 3e Alluvione moderna , i materiali che formano le spiaggie di marer e i letti delle fiumare. — 343 — 1. — Quaternario. Il più antico quaternario sarebbe rappresentato da ghiaje non troppo grosse, e da sabbie, talvolta cementate in modo da formare dei con- glomerati, talvolta no, sempre in strati regolari ed uniformi. General- mente il cemento essendo sabbioso, o molto leggermente calcare, le ghiaje e le sabbie si sgretolano alla superficie, e formano delle scar- pate regolari, coll’ inclinazione naturale di quei materiali, e solo alla parte superiore, qualche strato meglio conglomerato, si presenta con fianchi più ripidi. Questi depositi si trovano limitati sulle rive dello stretto, in due serie di colline distinte, una dalla foce della fiumara del Tono, pel Faro, Cur- curace e Messina sino alla fiumara di Zaffarla, l’altra fra Alì e la fiu- mara di Agro; la prima serie è formata da ghiaje e sabbie grigiastre, fossilifere, in alcuni punti conglomerate, ma che presentano general- mente un pendio regolare, e abbastanza forte; la seconda serie di sabbie e ghiaje giallastre con pendici sì regolari, che si direbbero in alcuni punti montagne artificiali. Le colline quaternarie di Curcurace, Eizzotti, Messina ecc. sorgono, si può dire, dal mare, poiché lungo questo non si ha che una sottilis- sima striscia di alluvione moderna, e arrivano alla quota di 280 sopra al Faro superiore, e a 415 a Valanca Chiana, sopra la Pace; gli strati pendono ad Est, la massima inclinazione esssendo di 15® : ammettendo che il fondo dello stretto sia di cristallino, avremo nondimeno una po- tenza di 300 m. circa per questi depositi quaternarii. Messina è fabbri cata sopra la falda di collinette quaternarie, meno una piccola parte a destra della fiumara di Porta Legna, che è fabbricata sul cristallino. Le colline quaternarie presso Alì sono formate principalmente di detriti d< Ila formazione che chiamai pure d’Alì, sotto forma di ghiaje abbastanza ben cementate, però non giungono che a 100 m. di altezza - le colline di ghiaje e sabbie sciolte, che stanno fra Nizza e Savoca sono molto più elevate, infatti alla contrada Penasse fra la fiumara di Pa- gliara e quelle di Savoca, il quaternario arriva a 390 m. sul mare, e sopra Giardino, egualmente. Questo quaternario arrivando sino al mare, ed essendo i suoi strati quasi orizzontali, dovremo ammettere che anche in questa regione, la sua potenza è di qualche cosa superiore ai 350 metri. Sopra a questo quaternario, che sarebbe il più antico, abbiamo dei depositi posteriori, generalmente in strati orizzontali, costituiti da sab- bie molto più argillose, rossastre, con ghiaje di dimensioni meno re- golari di quelle precedenti; essi si distinguono bene dai più antichi appunto pel colore, la disposizione degli strati e la presenza dell’ar- gilla, che non si presentava fra la ghiaje e sabbie inferiori. Questi de- positi si trovano fra Scuoppo e Catarratti, ove terminano la serie ter- ziaria indicata avanti, formano la collina del Cimitero di Messina; si trovano in lembi sparsi presso il Faro superiore, alle Casiccedde, presso Curcurace di sopra e presso Marotta, ed in qualche altro punto. Ben più abbondanti si hanno in Calabria sopra Reggio, Catona, Villa S. Giovanni, dove sono anche più abbondanti i depositi inferiori, ma an- che colà si distinguono per le stesse particolarità, fra le altre l’oriz- zontalità quasi perfetta degli strati; questa condizione, che porta la loro discordanza coi depositi quaternariwnferiori, non è però tale an- cora da disgiungerli dal quaternario. 2. — Alluvione antiea. Oltre al terrazzo colla quota media di 100 m. che abbiamo sopra il Faro, fra il Forte Spuria e le Casicedde, abbiamo poi una serie di ter- razzi, tra le foce della fiumara del Tono, e Spadafora, i quali tutti co- minciano alla quota 70 e terminano alla quota 150, e sono formati da alluvione antica, posante sul cristallino, fino alla fiumara di Taranto- nio, e sui varii membri del terziario al di là. A questi terrazzi si riat- taccano i depositi di alluvione antica, che abbiamo fra i torrenti No- ceto, Muto, Corriolo, Meri, sopra Barcellona, Centineo, Protonotaro, fra il torrente di Termini e quello di Mazzarrà, e i terrazzi del Capo di Milazzo. In tutte queste località, i depositi alluvionali antichi cominciano dall’alluvione moderna, più o meno estesa, e vanno fino alla quota di 155 al massimo, senza superarla mai; i terrazzi di Capo di Milazzo hanno, uno la quota media 38, gli altri due quella di 85. Questi depositi alluvionali antichi sono identici in tutti i luoghi citati; si tratta di ciottoli cristallini di varie grossezze, alcuni volumi- nosi, presi in una pasta di sabbie grossolane micacee, e di sabbie ar- gillose rosse, predominanti in genere e formanti il cemento. Non si hanno più strati regolari, come nei depositi quaternarii descritti ; i ciottoli sono disposti irregolarmente e di irregolari dimensioni, mentre in quelli avevamo delle ghiaje a ciottoli orientati secondo la stratifica- zione. Tutti i depositi hanno dunque il carattere alluvionale, e perciò ho creduto di farne una divisione speciale del quaternario. A questa alluvione antica dobbiamo pure riferire i depositi che — 345 - si hanno fra Capo d’ Orlando, S. Agata di MiliteUo e Torre del Lauro. Essi in parte formano dei terrazzi alla solita altezza fra 70 e 150 m. sul mare, ma in altri punti si elevano fino a 280 e 300 m. sul mare, con qualche lembo fino ai 600. Si tratta di depositi irregolarissimi, i quali, e specialmente quelli presso al mare, si vedono quasi unica- mente costituiti da grossissimi ciottoli arrotondati, di arenarie dell’eo- cene inferiore e del miocene inferiore. Il trovarsi tali depositi anche a rilevanti altezze, è spiegabile supponendo che le fiumare, che scorrono fra roccie secondarie, calcari, assai dure, formassero dei laghi, tratte- nuti da chiuse naturali fatte da quei calcari: che una volta poi supe- rate quelle chiuse e terminata 1’ erosione, rimanessero qua e là dei lembi di depositi fatti in quei luoghi, dove si vedono attualmente. Altri depositi analoghi di alluvione antica si hanno fra la Marina di Caronia e S. Stefano di Camastra ; fra Capo Calava e Capo Orlando mancano completamente, meno uno limitatissimo a Giojosa Marea. 3. — Alluvione moderna. Le fiumare della provincia di Messina sono abbastanza impor- tanti, dal momento che ne abbiamo di quelle larghe fino ad un chilo- metro e più, in certi punti, mentre sono frequentissime quelle larghe 400 o 500 metri. Verso la foce le alluvioni acquistano larghezze ancora più grandi. Nei tratti in cui queste fiumare così larghe scorrono fra sponde ripide, l’alluvione è formata dai detriti delle roccie attraversate, ab- biamo dunque principalmente detriti di terreni cristallini nelle fiumare da Messina a Scaletta, sul versante orientale, e in quelle dal Capo Na- so colmo a Barcellona; più al Sud di Scaletta, le larghe fiumare di Fiu- medinisi, Pagliara, Savoca, Forza d’ Agro ecc., e all’ Ovest di Barcellona quelle di Nodi, di Mazzarrà, di Patti, Brolo, Zappulla, Naso, e portano principalmente, e si può dire unicamente, detriti provenienti dalla fil- lade. Le fiumare di Rosmarino, Inganno, Furiano ecc. portano dei de- triti calcari secondarii, e moltissimi delle arenarie del miocene e del- l’eocene inferiore; più all’Ovest finalmente, non si hanno che i detriti di queste roccie terziarie. L’Alcantera, che scorre quasi unicamente sulle lave che ne seguirono la valle, non rotola che ciottoli di lava, da Mojo al mare, mentre da Floresta a Mojo scorre fra le arenarie e le argille dell’eocene inferiore. Presso al mare le alluvioni si distendono, e formano le spiaggie e le così dette piane che sono le parti più ricche e meglio coltivate della — 346 — provincia. Le spiaggie sono strettissime dal Faro a Taormina, anzi man- canti quasi assolutamente fra il Capo Scaletta e Giardini; sono pure limitatissime fino a Spadafora, e in pochissimi punti sorpassano la zona di proprietà dello Stato. Da Spadafora al Capo Tindaro si allunga una piana, che potremo chiamare di Barcellona o di Milazzo; lo scoglio costituente il Capo di Milazzo formava un punto fisso, verso il quale tendevano le alluvioni dei torrenti Corriolo, Meri e Longano, ed esse infatti tanto si avanzarono, finché con una stretta lingua andarono a toccare lo scoglio, dove ora sorge la parte piana di Milazzo. I torrenti Noceto, Muto, di Rodi e di Mazzarrà completarono la piana al punto in cui si trova attualmente. Un’altra piana, larga al massimo due chilometri, si estende fra Capo d* Orlando e S. Agata, formata principalmente dalle alluvioni delle fiumare Zappulla, Inganno e Furiano, che si appoggiavano allo scoglio formante il Capo d’ Orlando, a N.E, e lo congiungevano con una striscia bassa al promontorio della Torre del Lauro. Le ghiaje e sabbie costituenti V alluvione moderna sono in alcuni punti cementate dalle acque provenienti dalle formazioni calcari, se- condarie e terziarie. Come ho indicato nella nota citata, sulla forma- zione dello stretto di Messina, la penisola su cui sta la lanterna di Messina, è formata da un conglomerato di ghiaje cristalline minute, cementate con calcari provenienti dal calcare siliceo o dalle marne bianchi. In generale però, insieme a ghiaje irregolari, sabbie più o meno cementate ecc. e abbiamo anche qualche deposito di argille sab- biose, rossastre. Considerazioni riassuntive — Regime delle acque. Dalla descrizione dei terreni che si presentano nella parte N.E di Sicilia, possiamo ora trarre delle considerazioni riassuntive, circa la po- sizione reciproca ed i rapporti in cui si trovano le varie formazioni geologiche. Il cristallino dunque comincia dal Capo Rasocolmo al Nord e fi- nisce al Sud ad una linea che va da Scaletta, pel Pizzo di Polo al Capo Tindaro; ad esso si appoggia la grande formazione della fillade, ma in discordanza, infatti fra Scaletta e il Pizzo di Polo non abbiamo che gli schisti con calcari diversi, mentre fra il Pizzo di Polo e Brolo pre- dominano i graniti porfiroidi, e la grande massa di schisti si mantiene più ad occidente. La formazione di Alì appare presso Alì e presso Patti, e nei due luoghi, in corrispondenza di faglie, e, mentre la fillade — 347 — cessa di apparire, ad una linea che va da Taormina alle Acque dolci, quella formazione non appare mai presso quella linea di confine. Il Trias tendeva a distribuirsi uniformemente sopra la fìllade, e su una striscia larga dai 10 ai 12 chilometri, compresa al S.O dalla linea Taormina-S. Fratello, e al N.E dall’altra Capo S. Alessio-Novara-S. Piero Patti-Caprileone-Terranova. Se il Trias non coprì completamente quella zona, certamente ne coprì la massima parte, e lo possiamo dedurre dalla potenza e varietà delle roccie, rimaste in lembi sparsi a rappresentarlo. Il Giura-Lias si deponeva su una striscia compresa fra le linee Le- tojanni-Terranova e Taormina-S. Fratello; come il Trias che si depo- neva sulla fìllade senza coprirla completamente, così si comportava il Giura-Lias rispetto al Trias. In ogni modo, fino a questo punto, abbiamo una regolarità nella disposizione relativa delle formazioni geologiche; fillade, trias e giuralias seguono delle strisce curve che si prolungano in Calabria con analoga successione e dimostrano che lungo la linea N.E-S.O che parte dal Capo Rasocolmo e va al cratere dell’Etna, suc- cedeva un graduale sollevamento della parte S, rispetto a quella N. Dall’epoca giuraliasica, all’epoca cretacea, succedeva un’alterazione in quella legge di sollevamento regolare. L’unico rappresentante sicuro del cretaceo nella provincia di Messina si trova presso Castroreale, sul versante N.O della catena cristallina, dove non era mai giunto il giura- lias, nè poteva mai giungere, data la precedente legge di sollevamento. L’eocene inferiore si avanzava ancora più verso Est su quel versante dei monti cristallini, mentre sull’altro versante, l’orientale, si limitava al Capo S. Alessio; ma l’eocene medio era ancora più invadente : giungeva sino presso Monforte e sopra Pezzolo, non rispettando più che l’ultima punta dei Peloritani, mentre in Calabria rispettava il versante N.O del- l’Aspromonte. La cresta delle montagne individuata dalle due linee Pizzo di Polo, Monte Cicci e Monte Cicci-Aspromonte 1 presentava già un’in- senatura verso Messina, e il mare eocenico vi penetrava. Il miocene inferiore si mantiene al S.O di una linea che va da Ran- dazzo a S. Fratello ; è dunque evidente che dopo il sollevamanto in di- rezione S.O, cessato dopo l’epoca giuraliasica, avendo seguito un forte abbassamento, e continuo, durante il cretaceo e l’eocene, anche questo avesse cessato per dar luogo ad un sollevamento analogo al primo du- rante il periodo in cui si deponeva il miocene inferiore. Ma alla fine di questo, una nuova èra di abbassamento, analogo al precedente, cioè della parte S.O rispetto alla N.E, portava i depositi del miocene medio 1 Sulla formazione dello Stretto di Messina. — Boll. Com. Geol. Anno 1882. N. 1-2. — 348 — sopra quelli dell’eocene medio, quantunque discordanti: portava V inva- sione del miocene superiore, della zona gessoso solfifera e del pliocene inferiore fino alle Masse e a Messina, finché poi, arrestatosi l’abbassa- mento, una faglia permetteva al pliocene superiore e al quaternario di insinuarsi nello stretto di Messina, fra il monte Cicci e l’Aspromonte. La Sicilia diveniva isola completamente e per la prima volta. 1 Tutti questi movimenti che continuamente si produssero nella parte N.B di Sicilia, dovevano naturalmente produrre dei dislocamenti, e questi constatiamo ora nelle faglie che si presentano nella provincia di Mes- sina. Richiamandole qui per ordine di importanza, avremmo : 1° La faglia Messina-Alì-Linguaglossa-Etna, che generò lo stretto di Messina e portò in mostra la formazione d’Alì; lungo la quale si produssero le altre faglie di Taormina, e l’Etna mostrò spesso la sua potenza. 2° La faglia Li pari- Vulcano-Capo Calavà-Raccuja-Randazzo, lungo la quale abbiamo i vulcani estinti di Lipari e Vulcano, le sorgenti sol- fìdriche e il dicco di roccie, posteriori alla fillade, del Capo Calava, le frane di Raccuja, la fenditura dell’Etna in corrispondenza di Randazzo. 3° La faglia S. Piero Patti-Raccuja, che fa apparire il trias in- feriore e medio a traverso l’eocene. 4° La faglia Malvagna-Roccella-Pizzo Randazzo Vecchio, che fa apparire fillade, trias e lias, traverso l’eocene. Queste due faglie vanno a terminare alla 2a indicata. 5° Le due faglie del Capo S. Alessio, che hanno portato i calcari del trias inferiore a Forza d’Agrò, apparentemente sopra i conglome- rati del trias medio. 6° Le varie faglie di Taormina che rigettarono: la prima, al Capo S. Andrea, il lias superiore e medio contro la fillade, distaccandoli dalla massa principale che sta sotto il Monte Ziretto; la seconda al Capo Taormina, la terza e quarta lungo l’abitato di Taormina, e lungo il vallone del monastero, che portarono il lias superiore a contatto dell’infralias o del trias superiore. 7° Due piccole faglie, una a Monte Montagna e l’altra al villag- gio dell’Annunziata, presso Messina, che portano il pliocene contro il miocene o contro la zona gessoso-solfifera, e che terminano alla la faglia. Tutte queste, indipendentemente da altre minori, intravvedute o non facili a seguirsi, da ripiegamenti e rialzamenti bruschi di strati, ecc. Sulla formazione dello Stretto di Messina. — Boll. Com. Geol. Anno 1882. N. 1-2. — 349 — Acque. Parlando del cristallino, ho già indicato come, le acque filtranti nella massa producano bensì delle sorgenti qua e là, ma non sottoposte a leggi stabilite o facili a riconoscersi. Ne viene, che dovendo praticare, ad esempio, una galleria per ferrovia traverso le masse cristalline, non si può prevedere dove si incontreranno le vene dell’acqua, se saranno importanti e fino a qual limite ; solo si può dire, in generale, che tutta la massa sarà mediamente acquifera. Per la fìllade abbiamo difficoltà analoghe, meno che possiamo dire che tutto l’insieme degli schisti sarà poco acquifero, soprattutto se essi non sono alterati. Più abbondante e sicura si troverà l’acqua dove,, sopra gli schisti abbiamo dalle masse di granito porfiroide o di calcare cristallino, come succede, analogamente, per le masse di calcare cri- stallino posanti sul micaschisto. Il trias, formato tutto di rocce permeabili, dà l’acqua, sopra la fil- lade, o al contatto dell’eocene argilloso, quando questo ne cinge le rupi scoscese, il che si ha anche pel lias inferiore. L’ infrali as è talmente limitato, che non è il caso di parlare delle acque da esso provenienti. 11 lias inferiore e il medio sono poveri di acque ove non posino sulla fillade ; il lias superiore lo è sempre, perchè marnoso. Tralasciando il cretaceo, possiamo dire che le potenti masse di conglomerati e arenarie dell’eocene inferiore, danno acqua alla base, se posanti sulla fìllade, e danno sorgenti, mai abbondantissime, al con- tatto degli strati marnosi con quelli sabbiosi, se questi, essendo natu- ralmente superiori, si estendono formando fianchi o cime di colline im- portanti. Le argille dell’eocene medio sono naturalmente asciutte, ma, come già dissi, sono abbondantissime e buone le acque al contatto colle masse di miocene medio. Il miocene inferiore da delle acque, fra le arenarie o alla base di queste dove posano sulle argille inferiori dello stesso miocene, o sul- l’eocene, ma le sorgenti, abbondanti dopo le pioggie, diminuiscono molto durante la stagione di siccità, essendo le arenarie troppo per- meabili, fissurate. Scarse ed irregolari le acque del miocene superiore, più abbondanti quelle sotto le masse di calcare siliceo, sia che esso posi sulle molasse, o sulle argille del tortoniano o sopra il tripoli. Nel pliocene sono prive d’acqua le marne bianche, ma invece ric- chissime le sorgenti alla base delle potenti masse di arenarie e sabbie gialle dell’astiano. — 350 Il quaternario antico si trova sempre presso il mare, e mai posante sopra terreni impermeabili, talché mentre per natura sarebbe acqui- fero, appare sempre asciutto; lo stesso diremo delFalluvione antica, poiché anche le grandi masse di essa finiscono verso il mare, o all’al- luvione moderna, mentre le masse dei terraggi sono limitatissime. L’alluvione moderna appare asciutta nelle fiumare, dove pertanto ha talvolta un grande spessore; pure, seguendo quelle fiumare, anche d’estate, si vede ogni tanto apparire una vena d’acqua o una sorgente, discretamente abbondante, un ruscello scorrere per qualche tratto, indi impoverirsi e finalmente sparire. Ciò fa supporre un sistema di acque sotterranee in quelle alluvioni: ed in fatti, scavando a non molta pro- fondità, si può sempre procurarsi delFacqua buona, fresca, corrente; questa proprietà, che si può dimostrare facilissimamente nei letti delle larghe fiumare che scorrono sulla fìllade, alle volte col solo martello del geologo, fu utilizzata nelle fiumare presso Messina per portare in nittà la poca acqua che vi figura nelle fontane pubbliche. Ben più importante è il regime delie acque sotterranee, nelle al- luvioni in riva al mare. Esaminando tutte le norie stabilite per dare l’acqua agli agrumeti, ho potuto constatare come, ad una profondità media dai 4 ai 5 metri, raramente maggiore, si trova l’acqua discre- tamente abbondante. Ciò tanto meglio se le colline a ridosso delFallu- vione sono di terreno permeabile, come ghiaj e quaternarie o roccie cri- stalline, benché non si arrivi mai al punto della spiaggia da Reggio a Villa S. Giovanni, ove, per la grande estensione che hanno le ghiaje quaternarie, l’acqua è tanto abbondante che basta un piccolo scavo nell’alluvione presso al mare per avere una sorgente abbondante. Credo che la discreta quantità di acqua che forniscono le norie, e soprattutto la presenza certa dell’acqua stessa, si può spiegare nel modo seguente: data una gran massa permeabile, l’acqua vi percola, e tende a discen- dere in essa e scorrervi senza mostrarsi alla superficie; praticando un pozzo nella massa permeabile dell’alluvione moderna, mai molto lontano dal mare, perchè essa è sempre poco estesa, certo non a molta distanza dal lido, è evidente che l’acqua sotterranea incontra minor resistenza a riunirsi in quel vuoto, che a percolare nel mezzo ghiaj oso e sabbioso e a vincere la pressione dell’acqua del mare per uscire dalla massa filtrante. Con questa pressione esterna alla massa stessa, la parte di questa, più bassa del livello del mare, deve restare impregnata d’acqua, e i filetti che corrono in quella sovrapposta e si sforzano a farsi una via, devono tendere naturalmente a quei vuoti artificiali, fatti per i pozzi di noria. Ecco in qual modo è possilile trovare acqua buona e 351 — sufficiente per la coltivazione degli agrumi, a poca profondità e con sicurezza, cosa questa che contribuisce a rendere più ricche ancora le coste e le piane della provincia, di per sè stessa troppo montuosa per essere molto fertile e ricca. Essendo ora al termine di questi brevi cenni sulla geologia della parte N-E. della Sicilia, credo utile richiamare qui tutta la serie dei terreni che vi sono rappresentati, per dare poi un quadro riassuntivo indicante i materiali utili, e le materie che più o meno servono all’in- dustria, che si trovano nel messinese, corrispondentemente ai terreni geologici nei quali si rinvengono. Alluvione moderna. Quaternario Alluvio ne antica. Quaternario propriamente detto. Pliocene. . . . Superiore. . . . (Astiano) Arenarie e sabbie gialle. Arenarie e sabbie di Naso. Sabbie cementate. Calcari a polipai e brachiopodi. Inferiore. . . . (Zancleano ?). Marne bianche e foraminiferi. Sabbie calcari. Conglomerati di ciottoli granitici. Zona gessoso-solfifera. Calcare siliceo. Argille azzurrognole — Gesso. Miocene. . . . Superiore. . . . (S irraatiano e Tortoniano). Tripoli. Argille e arenarie lacustri o estuarine. Argille sabbiose arenarie argillose --- Molasse. Arenarie grossolane. Conglomerati. Medio (Elveziano P). Arenarie calcari con coralli. Calcari a briozoi. Inferiore. . . . (Tongriano ?). Arenarie silicee rossastre. Arenarie scagliose. Argille brune o rossastre, scagliose. Eocene. . . . Superiore. . . . Calcare alberese. Medio Argille variegate scagliose con calcari marnosi. Inferiore. . . . Argille sabbiose o scagliose con banchi di arenarie e calcari marnosi. Arenarie diverse (5 zone). Conglomerati di roccie antiche. Calcare nummulitico. — 352 — Cretaceo. . . . Medio (Oenomaniano). Calcare marnoso. Oolite Superiore. . . . (Titonio). Calcari affumicati. Medio ...... Manca . Inferiore. . . . (Dogger). Calcare rosso a Posidonomia alpina. Calcare bruno a cefalopodi. Lias Superiore .... Calcari compatti alternanti con schisti e calcari marnosi. Schisti marnosi venati con calcari grigi. Medio Calcari grigi e rossi a crinoidi. Calcari grigi a vene spatiche, brecciati, venati. Calcari suboolitici. Breccie bianche e rosse. Inferiore. . . . Calcare grigio o marrone scuro. Calcare bianco cristallino. INER ALIAS Calcare a plicatule. Calcare a brachiopodi. Trias Superiore. . . . (Keuper). Calcari a liste e noduli di selce. Calcari grigi con parti dolomitiche. Dolomie bianche e rosse. Medio (Muschelkalk) Calcare rosso mattone. Conglomerati, anageniti e arenarie rosse. Inferiore. . . . (Buntersandstein). Calcari di Forza d’Agrò e Rocche Bardara. Paleozoico . . Superioi e. .. . (Permiano ?) . Schisti quarzitici, carniole e gessi, calcari bruni. Quarziti, schisti, arenarie, conglomerati e diaspri violacei. Inferiore.. . (Siluriano?). Granito porfìroide e granito di Savoca. Schisti lucenti, micaceo argillosi con calcari cristallini o dolomitici, o nerastri a vene spatiche. Azoico (Laurenziano e Huroniano). Gneiss, micaschisti, graniti, vene di pegmatite ed altre roccie. SEZIONI GEOLOGICHE DELLA PARTE NE DI SICILIA QUADRO RIASSUNTIVO dei materiali utili od utilizzabili per le industrie della provincia di Messina, — 354 — Tirreno geologico PIETRE DA COSTRUZIONE Marmi Pietrame o pietre rozzamente squadrate Pietre squadrate : — il il ^ Modem. ' > j p ' j | Antica $ 1 ' Super. a ! o < *1 r Zòna gessoso solfi fera. Saper. e • o 1 S i 1 Medio ! Infer, Medio P3 1 h J Infer. Cretaceo Titonio Malm © i O J Dogger Super. xn Medio Infer. Calcare a Pos. alpina (G alati). Marmi rossi e varie- gati (S. Marco d’Alunzio) Marmi rossi, grigi va- riegati (Taormina). Calcare cristalliano bian- co (Alcara-S. Fratello). Sabbie cementate di Calcare a polipai ( Castroreale, Furnari, Con- Messina. drò, Messina. Calcare siliceo concre- zionato. Molasse (Rometta, San Pier Niceto, Condro, ecc.) Calcare a coralli (Niz- za, Patti, ecc.) e arenarie calcari. Arenarie quarzitiche rossastre. Calcare bianco mar- noso. Arenarie grossolane (zona 1, 3 e 4). Arenarie (zona 2). Conglomerato di roc- cie antiche. Calcare affumicato. Calcare a Pos. alpina. Calcare bruno a cefa- lopodi ( l'ortorici). Calcari marnosi (Taor- mina). Marmi. Calcari marnosi. Calcari a crinoidi, gri- gi o rossi (Taormina, Al- cara, ecc.) Breccie bianche e rosse. Calcare bianco cristal- lino. Calcare siliceo rossf stro (Bauso, Due Tori Serro, ecc.). Calcari a coralli (C; stroreale , Basico , N< vara, ecc.). Arenarie quarziticl rossastre (-4-). il1 li Arenarie (zona 2). Conglomerato di ro eie antiche. Calcare a Pos, alpina Calcare bruno a cefi lopodi (4~). Calcari rossi vena (San Marco d’Alunzic1 Calcari rossi e grigi. Calcari marnosi. Calcari a crinoidi. Breccie bianche e ross Calcare bianco crista lino. 355 da calce iire a poli* d Messina. «re marnoso ,n«ji di marne ic calcari, «tre siliceo. Àese ( Trai- la lire bianco L*n]o. lauri marnosi ìrcilati colle illisabbiose erìri. Cèare num- litjo. labri marnosi i Aree. calare affumi- lajire a Pos in\ ahjre bruno a ali, odi. $fcni e cal- i versi. Mdni e calcari rer, sts ino. Argille per laterizi! Gesso Macine da molino M i nera 1 i metallici Bitumi, ecc. Acque minerali Argille dei tor- renti. Conglomerato a cemento calcare. ■i. Acque solfidri- che (Messina- Alì.) Acque solfìdri- che Termini (Ca- stroreale). Marne bianche argillose. Gesso ( Gesso Salice, Spadaf ora) : Arenarie bene cementate. Breccie di ciot- toli cristallini e cementi di calce a briozoi. Argille lacustri (Messina). Argille delle molasse. Legno fossile. Argille scaglio- se brune (4-). Argille scaglio- se variegate (-j-b Argille sabbiose superiori. Scbisti bitumi- nosi. Pirite (-{-). Arenarie delle zone 2 e 4. Conglomerati. 25 Paleozoico Secondario Terreno geologico Infralias ! Super. Medio Infer. 1 \ Formazione •| j d’ Alì / Filladi m Cristallino PIETRE DA COSTRUZIONE Marmi Calcari di Forza d’A- grò. Calcari neri venati di bianco (Castello di Fiu- medinisi, dintorni di Ali, ecc.). Granito, Gneiss (-[-). Pietrame o pietre rozzamente squadrate Calcari di bruni Taor- mina e Mongiulfi. Calcari a noduli e liste di selci. Calcari grigi di Taor- mina e della Rocca di Novara. Dolomie bianche e rosee. Calcare rossastro. Arenarie rosse di Longi e Galati. Anageniti. Calcari diForza d’Agrò e Rocche Bardar a. Raukalk. Conglomerati violacei. Quarziti, anageniti. Granito porfiroide. Granito di Savoca. Fillade, Lillade calcare Calcari neri di Fiume- dinisi , Ali , ecc. . Calcari cristallini della Fillade. Granito, Gneiss e Mi- caschisto. Calcari cristallini. Il segno -j- indica materiale scadente, o poco abbondante. Pietre squadrai ■11! Calcari grigi di mina e della Roo Novara. Dolomie bianc rosee. Arenarie rosse. Anageniti. Calcari di Forza d e Rocche Bardara. Anageniti. Granito porfiroic Calcari neri a Calcari cristallini Fillade. Fillade verde. Granito e Gneis: Calcari cristallin iee da calce C pi m C — 357 ;ari bruni di inina e Mong. ari a liste nculi di selce. ;ari grigi. Ccare rossa- ’O. C*:ari di Forza àp e Rocche inra. R Lkalk. Ciiari grigi si del Capo ìan neri ve- ari cri stal- lia Fillade. Ctyari dolomi- idla Fiumara ni sima. Ilari cristal- i. Argille per laterizii Gesso Macine da molino Minerali metallici Bitumi, ecc. Acque minerali Anageniti (-{-) ? Gesso nel Rau- kalk. xltljUc SU1UUI1* che di Alì. Anageniti ( p). Argille prove- Gesso di Fan- Galena. Acque ferrugi- nienti dalla dis- tina , Mandànice Stibina. nose (Castroreale, gregazione della ecc. Rame grigio. Novara, ecc.) Fillade. Granito porfi- Calcopirite. Acqua solfìdrica roide. Siderosio. (Punta fetente Grafite. presso Patti). Quarzo. Acque magne- Granato. siache. Argille di dis- Feldspato in Acque ferrugi- gregazione. ' vene. i nose. — 358 — IL Ulteriori notizie ed osservazioni sui resti fossili rinvenuti nei tufi vulcanici della provincia di Roma; dellmgegiierfr R. Meli. (Continuazione e fine — Vedi Bollettino 1882, fascicolo N. 9 e 10). Esaminati di volo, per quello die riguarda i tufi romani, i lavori venuti fuori dopo la mia pubblicazione, passo ad indicare altre località in cui furono riscontrati fossili nei tufi, a complemento di quelle già citate nella mia precedente memoria. Si sono rinvenuti legni, carbonizzati per lenta carbonizzazione, nel tufo litoide della località di S. Maria d’Acqua Bona, presso il paese di Campagnano, sulla strada di Eormello. 1 Altri legni carbonizzati si rin- vennero nel tufo litoide biancastro a Scrofano, in una cava vicina al paese, sulla strada che conduce da Scrofano al Monte della Solfarata e quindi a Morlupo. Bellissime impronte di foglie ho estratto da uno strato di tufo omo- geneo, di color grigio, che rinvenni rimontando l’alveo del fosso di Torre S. Lorenzo (presso Ardea) sul littorale romano, a circa un chi- lometro e mezzo dalla Torre. Le impronte sono di un bel colore nero lucente, a splendore quasi metallico. In una visita, che in questi giorni feci alla collezione del defunto C. Rusconi, rimarcai molta copia di foglie, di frutti, e di molluschi terrestri racchiusi in un tufo giallastro dei dintorni di Monte-Celio; gran parte degli esemplari sembrano provenire dalla località dei Pi- chini (a circa 4 miglia dal paese). Ho riscontrato altre impronte di vegetali in un tufo granulare, (pieno di leuciti decomposte e farinose) di alcuni grossi parallelepipedi squadrati, indicanti i residui dei fondamenti di un’antica costruzione, che si rinvenne in questi giorni sulla sommità del monte Caprino nel- l’occasione che si internava nel suolo il conduttore di un parafulmine .2 1 Devo l’indicazione di questa località alla gentilezza dell’egregio professore Keller. * Il cavo fu eseguito nell’angolo che rimane a destra di chi, salendo dal Campi- doglio, attraversi il portico del Vignola ed il posteriore fabbricato, ed appena uscendo raggiunga la via di monte Caprino. L’accennata costruzione in tufo è fondata sopra una marna argilloso-giallastra,. — 359 — Eimontando la valletta delle Tre Fontane, a monte di Ponte Fratta trovasi a destra, poco prima di incontrare la via Laurentina, un tufo pienissimo di impronte di vegetali. Essi sono coricati tutti oriz- zontalmente nel senso della loro maggiore lunghezza. Il tufo è granulare e posa sopra una marna giallastra d’acqua dolce, contenendo fram- menti di gusci d 'lìellx e di Limnaea. Nella vailetta di Ponte Buttero, sulla via oggi chiamata Laurentina, a monte del ponticello furono rinvenuti degli ossami fossili * 1 spettanti a vertebrati terrestri in una marna giallastra, la quale era sopra- giacente ad un tufo, pieno di impronte di vegetali, e sottostava ad un impasto di materiali vulcanici, imitanti un tufo grossolano, non molto com- patto, senza alcun dubbio trasportato dalle acque correnti. Evidentemente in queste due ultime località le acque correnti convogliarono i prodotti disaggregati delle eruzioni sub-aeree laziali, e, depositandoli, formarono quei tufi. a -identica per aspetto, forma litologica e colore a quella rinvenuta nell’orto dell’Ara- •coeli verso la discesa del Crocifisso, ed a quella scoperta sotto il tufo granulare nel taglio di via Nazionale al Quirinale, a monte Magnanapoli, ed a via Bacchia. La marna argillosa apparve a circa m. 2,50 sotto l’attuale piano stradale. Sono poi incerto nel precisare da quale località possa essersi cavato il tufo gra- nulare, impiegato nei massi di quell’antica costruzione. 1 Su questo ritrovamento pubblicai una nota, che trovasi inserita nel Bollettino B. Comit. geni. Anno 1881, fascicolo novembre e dicembre, pag. 580. 5 Von Buch, ritenne che i tufi dei dintorni di Poma fossero opera delle allu- vioni, che, discendendo dalle colline laziali, ne avessero trasportati i materiali; lo che già avvisai nella mia memoria (nota in fondo alla pag. 4-5). Anche Bleicher ammette che i materiali subaerei del Lazio si siano stratificati nelle alluvioni fluviali. Difatti nella sua memoria « sur la geologie des environs dt Rome », dopo aver accennato che potenti masse stratificate di prodotti vulcanici mobili sono sovrapposte ad una marna racchiudente conchiglie d’acqua dolce tra Porta .San Paolo e San Sebastiano, soggiunge: « Ces observations tendent à me faire ad— mettre que les volcans du Latium ont eu une grande influence sur la formation des alluvions fluviatiles de l’époque quaternaire. » « Les tufs volcaniques régulièrement stratifiés, dont je viens de parler sont formés des mèmes éléments minéralogiques que les couches plus irrégulières de la mème roche dans les environs de Frascati, et d’Albano. « Rien d’étonnant d’ailleurs que les puissants volcans des monts Albains aieut rejeté pendant leurs éruptions de gran des masses de cendres qui se seraint stratifiées sur place dans les eaux du fleuve, aux endroits ou son courant étaitfaible ou nul. » (Bullet. Soc. Géol. de France. — Deuxième serie, 1866, pag. 648). Del resto, oltre un secolo fa, il Ferber giustamente riteneva che le ceneri sca- 360 — Una zanna elefantina, di cui vidi alcuni frammenti, fu rinvenuta in un tufo vulcanico granulare negli sterri eseguiti pel fortino, che trovasi a cavaliere della yia Ostiense poco prima di Ponte Fratta. Questo tufo granulare costituiva la parte superiore (o, come dicesi volgarmente, il cappellaccio) del tufo litoide, sottostante a sabbie, a ceneri vulcaniche ed a pozzolane. Sembrerebbe che il tufo litoide giacesse sopra marne cenerine d'acqua dolce; giacché nel pozzo fatto dal Genio militare alla base della collina su cui s’erge il fortino, e precisamente nell’angolo che forma il vicolo del porto colla via Ostiense, si rinvennero a6m,50 circa sotto il piano stradale marne con strati di lignite torbosa, racchiu- dente tronchi stiacciati con fossili terrestri e di acqua dolce ( Limnaea . Planorbis, un piccolo Pisidium , Helix). Il medesimo strato di marne argillose con lignite torbacea fu rin- venuto alla stessa quota nella trivellazione eseguita per cura del Genio civile dall’ Ing. Botto, circa 60m più a monte di quella località, verso Roma. I fossili sono molto deformati per la pressione delle rocce sopra- giacenti, ed alcuni tronchi di vegetali sono schiacciati e conservano' l’aspetto legnoso. Sembrerebbe quindi che la disposizione delle rocce nella collina su cui si innalza il fortino di Ponte Fratta, fosse la se- guente: nella parie superiore sabbie e ceneri vulcaniche; seguono, al di sotto, pozzolane laziali e materiali appena cementati ; a questi succedono tufi litoidi, buoni per costruzione, e che furono infatti estratti dai Romani, essendovi state rinvenute profonde gallerie di scavo. Sotto il tufo starebbe, con molta probabilità, una marna grigia d’acqua dolce con straterelli di lignite torbacea. Ma potrebbero anche le marne essere adossate al tufo litoide, formando così un deposito poste- riore, poiché siamo nella valle del Tevere, a pochi metri dal fiume. Però considerando la roccia ed i fossili rinvenuti, sarei di opinione che le marne potessero sottogiacere al tufo. Nella mia memoria, più volte citata, ho detto qualche cosa sui tufi del sepolcro dei Nasoni sulla via Flaminia. Ricordai lo strato di raventate nelle eruzioni subaeree dei vulcani laziali, avessero fornito i materiali di alcuni tufi. Parlando dei dintorni di Tivoli, dice: « Il y a mème du tuf volcanique, à la montagne de Tivoli ; il provient apparemment des éruptions des volcans voisins > e poco più oltre « ...sur le tuf volcanique, que les volcans voisins avaieut vomi sous la forme de cendres » (Vedi Fbrber, Lettres sur la Mineralogie et sur divers autres objets de l'hist. nùt. de VItalie; tradution de M. de Dietrich. — Strasbourg 1776, pa- gina 292). - 361 — ghiaie intercalate tra il tufo compatto a grana omogenea inferiore ed il sopragiacente tufo a pomici nere, e conclusi che questo fatto indicava non poter essere quei tufi di formazione submarina. Posso ora aggiun- gere che i tufi inferiori posano sopra una terra argillosa, giallo-bruna, scagliosa, con debole lucentezza, talvolta tendente alla lucentezza grassa- Questa terra argillosa, 1 se ben secca, aderisce fortemente alla lingua ; contiene detriti di pirossene nero-verdastro ed è molto simile alle bel- lette depositate dai ruscelli scorrenti sul tufo. In questa terra argillosa rinvenni una vertebra (ultima dorsale o forse prima lombare) di un giovane ruminante ( Gervus capreolus ? ). La Sezione geologica presso il sepolcro dei Nasoni, comincia dunque con questo deposito argilloso che spunta quasi al livello della via Fla- minia; segue poi sopra un tufo granulare, della potenza di m. 0,70, a cui succede il tufo litoide, compatto a grana omogenea con lamine di mica; superiormente ad esso trovasi lo straterello di ghiaie, e sopra- giacente a questo vi è il banco di tufo a pomici nere. Evidentemente dunque tutta la serie di quei tufi riposa sopra un terreno fluvio-terrestre. Nella stessa memoria menzionai, per la prima volta, fossili marini racchiusi nei tufi del littorale romano. Citai cioè, i tufi leucitici della spiaggia tra Nettuno e Torre Astura, nella località detta Le Grottacce 2. Questo tufo si mostra alquanto diverso dal tufo rosso-lionato, litoide dei nostri dintorni (S. Agnese, Monte Verde, Valchetta sulla Laurentina, Rupe Tarpea, Moietta alla base dell’ Aventino ecc.) ; per il colore giallastro e l’aspetto esterno può rassomigliarsi ai tufi gialli litoidi di Grotta Rossa e di Valchetta sulla via Flaminia, i quali tufi sono tanto ricchi di ammassi di aggregati minerali. Il tufo delle Grottacce 1 Ho ritrovato questa roccia sotto i tufi in più località: per esempio sotto ai tufi litoidi presso TOateria degli Spiriti sulla via Appia Nuova; nella fondazione della casa sulla via Venti Settembre, incontro al Ministero delle Finanze, sull’angolo di via Salaria; nelle fondazioni di uua casa sulla Piazza di S. Maria Maggiore, a destra imboccando la via Merulana; e lungo questa strada, all’incoutro di via dello Statuto. In queste tre ultime località nella terra argillosa si trovano disseminate masse glo- bulari di concrezioni calcari, e detriti di pirosseni. Anche Brocchi fa parola di questa terra bruna-argillosa interposta al tufo. (Brocchi.. Catal. rag. di una rare, di rocce disposto con ordine geografico, ecc. — Roma, 1817 — Vedi pag. 6, num. 29, pag. 18, num. 60, ecc.) 1 I tufi submarini del littorale di Nettuno sono indicati nella carta geologica d’Italia, pubblicata dall’Ufficio geologico in occasione del Congresso geologico inter- nazionale tenutosi a Bologna l’anno scorso. — 362 — contiene grande e svariata quantità di interclusi, cioè frammenti di lave b asaltine, di leucitofiri più o meno decomposti, pezzi di tufi ros- sastri, di peperino laziale, aggregati minerali di augite, leucite, mica, cristalli di sanidino, cristallini di melanite, qualche ciottolo siliceo, e moltissima copia di ciottoli calcarei. In generale i frammenti delle lave e delle rocce racchiuse nel tufo non mostrano spigoli vivi, ma invece sono rotondati e smussati per logoramento. Nella citata località delle Grrottacce, sul bordo del mare, si osserva la seguente sezione. Dal piano della spiaggia s’innalzano le marne plioceniche per una altezza di m. 2,60 nel punto culminante; vi ho estratto i seguenti fos- sili : Saxicava artica , Lin. (Mya). Neaera cuspidata , Olivi (Tellina). Psammosolen coarctatus, Lin. (Solen). Syndosmya alba , Wood (Mactra). > longicallis , Scacc. (Tellina). » nitida, Muli. (Mya). Mactra triangula, Ren. Tapes sp? (giovane esemplare). Venus fasciculata, Reuss = V. lamellosa, Ponzi-Rayn. lsocardia cor , Lin. (Chama). Gardium e chinatimi , Lin. Lembulus pella , Lin. (Arca). Nucula sulcata, Bronn. Pecten opercularis, Lin. (Ostrea). Turbo rugosus, Lin. » sanguineus, Lin. Yermetus semisurrectus, Bìt. Tur rit ella communis. Risso. » triplicata, Brocc. (Turbo). Scalaria (frammento). Odostomia plicata, Montg. (Turbo). Eulima subulata, Donov. (Turbo). Natica Josephinia, Risso (Ne verità). » helicina, Brocc. (Nerita). » millepunctata, Lam. Lunatici macilenta, Phil. (Natica). Chenopus pes-pelicani, Lin. (Strombus). Cassidaria echinophora , Lin. (Buccinum). — 363 — Nassa musiva , Brocc. (Buccinimi). » mutabilis , Lin. (Buccinumj. » incrassata , Muli. (Tritonium). » semistriata , Brocc. (Buccinum). » » var: integr ostruita (forma turrita Coppi) % Paphitoma brachystoma , Phil. (Pleurotoma). Cylichna cylindracea , Penn. (Bulla). Actaeon tornatilis , Lin. (Voluta). Schizaster canaliferus , Deslong. (Spatangus). Sulle marne vi è uno strato di ghiaia impastata con minerali vul- canici in modo da risultare un conglomerato a mediocri elementi; la sua potenza varia dai m. 0.30 a m. 0,60. Anche questo strato racchiude qualche guscio di mollusco. Vi raccolsi una valva superiore di Ostrea , alcune altre valve di Cardium tuberculatum Lin. e di Pectunculus vio- lacescens Lam. Al di sopra della ghiaia cementata sta il tufo litoide giallastro con una potenza di oltre m. 4, 00. Però lungo il bordo del mare, il tufo venne estratto fin da epoca romana per essere impiegato nelle costru- zioni. Si osservano difatti i tagli artificialmente praticati nel banco di tufo, e può vedersi il tufo stesso usato dagli antichi come materiale da costruzione nei vicini ruderi delle Grottacce, alcuni dei quali presentano Yopus reticulatum. In questo tufo rinvenni racchiusi fossili marini, ed indicai già nella suddetta memoria di avervi ritrovato frammenti di Cardium edule Lin., Cardium tuberculatum Lin., Mactr a triangolale n., Pecten opcrcularis Lin. (Ostrea), Cladocora caespitosa Lin. (Madrepora) Avendo continuato anche in quest’anno le ricerche, vi estrassi ancora le specie seguenti : Cytherea chione , Lin. (Venus). Venus gallina , Lin. Venus verrucosa , Lin. Astarte fusca , Poli (Tellina). Pectunculus violaccscens, Lk. Vola Iacobaea , Lin. (Ostrea). Turbo rugosus , Lin. (Opercoli). Chenopus pes-pelecani , Lin. (Strombus). Sopra il tufo si ha della sabbia alquanto argillosa di color giallo- bruno, per l’abbondante magnetite e per limonite che contiene, con una potenza di circa m. 1,20. Ma, nella scorsa estate, di nuovo ritornato in Anzio, visitai la cava di tufo recentemente riattivata sulla spiaggia di Foglino, a circa 1 Km. — 364 — di distanza dalla località delle Grottacce, in un terreno spettante al sig. G. D’Andrea, ed estrassi dai tufi molti altri fossili. Anche in questo nuovo punto venne altra volta scavato il tufo, essendovi stati rinvenuti dei tagli, e dei grossi massi squadrati. La cava riaperta è praticata nel tufo leucitico, che ora viene adoperato nei blocchi di calcestruzzo oc- correnti per l’avanzamento in mare del molo di Anzio. Nei punti più depressi della cava, affiorano le stesse marne plio- ceniche che si mostrano alle Grottacce. In prossimità della pagina in- feriore dei sopragiacenti tufi, le marne divengono piene di leuciti, così decomposte da essere friabili, di augiti in piccoli cristallini e di sottili materiali vulcanici; esse sono alquanto indurite. In queste marne miste a minerali vulcanici rinvenni le seguenti specie: Corbula gibba , Olivi (Tellina). Lutraria elliptica , Lk. Mactra subtruncata , Da Costa (Trigonella). Cytherea chione , Lin. (Venus). Venus verrucosa , Lin. » gallina , Lin. Cardium papillosum , Poli. » tuberculatum, Lin. Arca lactea, Lin. Pectunculus bimaculatus, Poli (Arca). » pilosus, Lin. (Arca). » violacescens , Lk. Pecten glaber Lin. var. ( P. sulcatus , Lk.,) » opcrcularis , Lin. (Ostrea). » pusio , Lin. (Ostrea). Ostrea , (valva superiore, logorata). Zizyphinus exasperatus , Penn. (Trochus). Lunatia macilenta , Phil. (Natica). Cerithiolum scabrum , Olivi (Murex). Nassa incrassataì Miill. (Tritonium). Ringicula auriculata , Mén. (Marginella). Cladocora caespitosa , Lin. (Madrepora), ecc. In generale le conchiglie sono ben conservate, e talune presentano unite le loro due valve [Pectunculus pilosus (Lin.), Arca lactea , Lin., ecc. }. Sulle marne posano i tufi litoidi giallastri, analoghi a quelli delle Grottacce, con una potenza di quasi m. 6,00. il loro aspetto litologico e gli elementi, che compongono la roccia sono del tutto identici ai tufi della prossima località (Le Grottacce)* — 365 — Anche dai tufi di questa nuova cava estrassi molti fossili marini spe- cialmente molluschi. Però in gran parte si tratta di modelli interni. Ciò» non ostante, ho potuto determinare con precisione le seguenti specie: Mactra corallina , Lin. » subtruncata , Da Costa (Trigonella). Tellina nitida, Poli. Artemis lupinus , Poli (Yenus). Venus gallina , Lin. » verrucose^, Lin. Cardium tubercùlatum; Lin. (molto frequente). » echinatum , Lin. » oblongum , Chemn. Barbatia barbata, Lin. (Arca). Pectunculus violacescens , Lk. Vola Iacobaea, Lin. (Ostrea). Pecten opercularis , Lin. (Ostrea). Ostrea lamellosa, Brocc. Anomia ephippiam, Lin. Fissar ella costaria, Baster. Haliotis lamellosa, Lk. Gibbula magus, Lin. (Trochus), Gladocora caespitosa, Lin. (Madrepora). Tutte le citate specie sono attualmente esistenti nel Mediterraneo, anzi talune di esse vivono nella rada di Nettuno. Sopra i tufi pietrosi si distende con una potenza media di m. 1,25 una sabbia alquanto argillosa di color giallo-bruno, che contiene molta magnetite \ 1 Tra Foglino e Nettuno questa sabbia ferrifera alquanto argillosa (Lehm) acquista una potenza di oltre m. 4,50 in alcuni punti e forma spiaggia elevata a parete ver- ticale sul mare. Le onde nelle burrasche la percuotono, la logo rano, e scalzandone la parte inferiore determinano frequentemente la caduta di grossi prismi di roccia. In uno di tali franamenti furono messi allo scoperto due molari di Elephas antiquus Falc. racchiusi en irò il lehm. I due denti, a quanto mi ai disse, erano incassati entro por- zioni di ossa mascellari. Sono due molari entrambi superiori (destro e sinistro) e sembrano spettare allo stesso individuo elefantino; vennero rinvenuti entro il lehm franato sotto S. Rocco, nella località denominata Creta Rossa. Tutti due i molari furono donati al Museo di Geologia della R. Università di Roma dal sig. avv. Annibaie- Censi. — 366 — I fossili racchiusi nei tufi dimostrano con evidenza l’origine subma- Tina di questi, e che i materiali vulcanici furono deposti in un mare poco profondo, vicino alla spiaggia. I minerali ed i frammenti di rocce vulcaniche comprese nei tufi del littorale di Nettuno indicano chiaramente la provenienza di questi materiali dai crateri subaerei del Lazio, ove si ritrovano anche in posto alcune delle rocce frammentarie contenute. * Se però non v’ha dubbio alcuno per ammettere che i prodotti disag- gregati delle eruzioni laziali possano essere caduti nel prossimo mare, ed esservisi stratificati nel fondo, non può ripetersi altrettanto per i fram- menti di lave, di peperino, racchiusi nei tufi suddetti. Bisogna ritenere piuttosto che vennero trasportati dalle acque correnti. Tutte le osservazioni sovraesposte confermano sempre più la conclu- sione che trassi sul fine della precedente memoria. Roma, 11 ottobre 1882. R. Meli. Spiegazione dell© Tavole. Tavola I. Scanalature verticali, imitanti la struttura colonnare, nel tufo litoide della Sedia del Diavolo, in prossimità della via Nomentana, a tre chilometri da Roma. La superficie scanalata trovasi a sinistra della grande sezione, praticata attraverso la collina, in prossimità della limea ferroviaria, e precisamente si osserva sull’imbocco, ora abbandonato, della cava di tufo. Tavola II. Struttura prismatica, molto imperfetta ed appena abbozzata nel tufo litoide delle oave della Sedia del Diavolo. La fotografia venne ricavata da un taglio verticale esistente in una cava di tufo litoide, ora abbandonata, che trovasi presso al chilometro 7 della ferrovia Roma-Orte, a circa 40m dal binario. 8oll.de! R, Comitato GeoLd' Italia Anno 1882 Tav. IX . (MeiiTav I WT' il m7 "fé ' fi \ u \ Scanalature verticali nel tufo litoide, ^Cava della Sedia del Diavolo sulla via Nomentana presso Roma) Boll dei R Comitato Geo!. d‘ Italia Anno 1882 Tav. X. ( Meli Tav. ! i ) Struttura prismatica appena abbozzata net tufo litoide. (Cava della Sedia del Diavolo sulla via Nomentana presso Roma) Boll, del R. Comifato Geol.d’ Italia Anno 1882 Tav. XI (Meli Tàv. III.; Grande sezione nella cava della (sulla via Nomentan.a a 3 Krn Sedia del Diavolo da Roma) — 367 — Tavola III. Grande taglio verticale eseguito attraverso la collina nella cava di tufo litoide | della Sedia del Diavolo. La sezione trovasi sulla sinistra della vallata dell’Aniene, rivolta verso la ferrovia | ’ ad una distanza di circa 75m da questa. Nella sezione si scorgono le seguenti rocce: 1. Banco di tufo litoide, non stratificato, di color rosso-bruno, che spunta dal piano della cava, e giace sopra ghiaie di trasporto. Lo spessore totale del banco è di- oltre m. 25. Nella parte inferiore di questo banco vennero ritrovati gli ossami di elefante, e gli scheletri dei cervi. È in questo tufo che si riscontrano le scanalature imitanti la struttura prismaticar riprodotte nelle due precedenti tavole. La roccia è scavata per essere adoperata come materiale da costruzione. Nella tavola è riprodotta solo una parte della potenza del tufo litoide. 2. Tufo giallastro -chiaro, omogeneo, leggero, con regolarissima e distinta stra- tificazione ; si rompe secondo i piani di questa. Ha una potenza media non maggiore di m. 1. 3. Sabbie minute, debolmente cementate, con molta facilità disgregabili sotto j la pressione delle dita. Contengono minerali vulcanici, lamine di mica, grani di leuciti i farinose, piccoli detriti di augite misti a sabbie di trasporto. In alcuni punti della sezione mancava questo strato per erosione operatavi, poste- riormente al loro deposito, da acque correnti. 4. Ghiaie siliceo-calcarei con materiali vulcanici decomposti, pezzi di lave e di scorie alterate ed arrotondate pel trasporto. Potenza media m. 4. La stratificazione irregolare indica con evidenza che queste ghiaie furono deposte da alluvioni. In questi strati si rinvengono le ossa e i denti di vertebrati terrestri, ma logore per il trasporto, isolate, e quasi sempre frammentarie. 5. Marna terrosa di color bianco, leggermente tendente al giallastro con elementi vulcanici, friabile; racchiude molluschi fossili, terrestri e d’acqua dolce. Nella parte superiore dello straio assume un colore più bruno e sembra un terriccio- argilloso, friabile. Potenza totale m. 1,80. I molluschi fossili si rinvengono nella parte inferiore di questo strato con una certa frequenza. Vi ho estratto, tra le altre specie, le seguenti: Planorbis albus Muli. » umbiMcatvs Miill. Limnaea truncatula Midi. (Buccinino). Pupilla muscorum Muli. (Helix). Stenogyra decollata Lin. (Helix). t L Helix pulchella Muli. — 368 — Parecchie altre specie di Helix di mediocre grandezza. [H. cfr. profuga Schm., H. cfr. hispida Drap,), Bithynia e Pìsidium in frammenti, ecc. 6. Strato di tufo biancastro, terroso, racchiudente pomici bianche di varia gran- dezza; potenza m. 1,90 in media. 7. Terra argillosa bruno-scura, dotata di poca coesiene con detriti di minerali vulcanici; potenza media m. 0,40. 8. Strato d’argilla marnosa, bigio-giallastra racchiudente noduli di calcare; po- tenza m. 0,20. 9. Tufo biancastro, leggero, omogeneo, nettamente stratificato con piccole im- pronte di steli di vegetali; potenza m. 0,35. 10. Marne grigiastre con noduli frequenti di calcare; potenza m. 0,90. 11. Terra vegetale con avanzi di terre cotte e costruzioni romane; potenza, nel mezzo della sezione, m. 0,90. (I saggi delle rocce della presente sezione vennero presi dal Sig. Dott. Giuseppe Leonardelli, il quale ne rilevò anche il loro ordine stratigrafico). III. 1 terreni della Val di Nievole fra Monsummano e Monte- catini; nota dell’Ing. D. Zaccagna. (Continuazione e fine — Vedi Bollettino 1882, fascicolo N. 9 e 10). Passate così in rassegna le svariate rocce che vengono ad affiorare in questa regione, credo utile raccoglierle nel quadro seguente, nel quale aggiungo l’ordinamento ad esse assegnato dai vari autori a con- fronto di quello che ho desunto dalle risultanze dei recenti dati paleon- tologici. Segno con una linea di separazione i bruschi passaggi litolo- gici dal l’una all’altra formazione, tra cui avviene una discontinuità di «poca e di stratificazione. — 369 — ETÀ’ secondo i vari autori ETÀ1 secondo 1’ autore ROGGE CORRISPONDENTI e luoghi dove sono particolarmente sviluppate Infralias (Goccili) Lias inferiore, par- te inferiore. Calcare grigio massiccio a struttura cri- ptocristallina con vene spatiche (Mon- summano). Cretaceo inferiore (Savi) Lias inferiore e medio (De-Stefani) Lias inf. parte sup. » medio e > sup. (in parte) Calcare selcifero ceroide grigio e rossigno con letti argillosi grigi, verdastri, rossi. (Monsummano, Monte Panteraje e sperone di Macone) Lias superiore Calcari scistosi marnosi gri^i e rosso- bruni (M. Panteraje) — Calcare grigio con selce nera (Mónsummano, e M. Panteraje) Creta media (De- Stefani) Titoniano e Alternanze di straterelli diasprini rossi, violetti, verdastri con letti argillosi rossi, schisti allappanti e ftaniti rosse. Schisti varicolori fogliettati ed aciculari, cal- cari biancastri e rossi manganesiferi interposti. Neocomiano Calcari fissili rossi, verdicci, grigi. Cal- cari compattissimi a strati ed a lastre biancastri, verdicei, rosei, rossi, violetti, grigi, talora con selce (Monsummano, e Monte Panteraje). Cretaceo (Savi) Lias superiore (De- Stefani) Cretaceo superiore Schisti galestrini rossi, verdastri, cinerei e calcari marnosi associati, i Monsum- mano al Rio della Grotta, Rio Mègliore, Poggetto - Montecatini al Rio Salsero, Righigiano, Vio, Nievole Alta, ecc). Eocene inferiore Calcare nummulitico (Mulino della Giar- da) - Calcari screziati, con intercala- zioni di schisti rossi (Forra dei Sacchi, Bellintona, Forra Belvedere, ecc.). Eocene (Savi) Creta superiore ed Eocene medio (De- Stefani) Eocene (indistin- tamente) Macigno, galestri ed alberese con tutte le loro varietà associati ed alternanti ripetutamente — Masse di spilite e brecciola serpentinosa inserite nei ga- lestri (Monte Albano, Poggio di Ser- ravate, Montecatini, Montacolle, monti di Massa e di lizzano, ecc). Diluviale (Savi) Pliocene superiore (De-Stefani) Pliocene superiore Ghiaje, sabbie ed argille turchine micacee (alla Pineta, Baggiano, il Torricchio, S. Lucia, ecc.). Post-pliocene (De- Stefani) Post-pliocene Travertino (Croce di Monsummano, Ponte di Serravate, Montecatini). — 370 — II. In ciò che precede abbiamo descritta la natura delle varie rocce appartenenti alle elevazioni montuose che formano l’insenatura della Yal di Nievole, la loro distribuzione stratigrafica e la parte che ciascuna di esse ha nella sua orografica costituzione; quindi colla scorta dei fos- sili e coi criteri stratigrafici e litologici si è dedotta la loro classifica- zione nella serie cronologica dei terreni. L’insieme di tutti questi dati ci porge gli elementi essenziali per spingere le nostre investigazioni a rintracciare la storia orografica di questa interessante regione; nelle quali ricerche, e per brevità, e per l’arduità della materia, mi atterrò a quelle sole deduzioni che direttamente risultano o sono appoggiate dalle osservazioni locali. Le elevazioni formate dalle rocce più antiche che abbiamo in questa regione, vale a dire il Monte delle Panteraje ed il Monsummano, chiuse nelle ultime propaggini dell’Appennino, se geograficamente vengono confuse e considerate come parte di esse, la loro forma dirupata e la peculiarità delle rocce che ci presentano, colpiscono anche l’osservatore di passaggio e le appalesano « un elemento straniero frammezzo alle di- ramazioni dell’Appennino, un fenomeno particolare al quale deve an- nettersi qualche gran fatto della storia della terra ». 1 Le vicende oro- grafiche di queste più antiche formazioni devono infatti avere incomin- ciato assai prima di quelle subite dai monti contigui, che appartengono all’epoca terziaria, e connettersi a quelle dei luoghi dove le formazioni consimili vengono a manifestarsi, come sono il vicino Monte Pisano, le Alpi Apuane e gli altri membri della cosidetta Catena metallifera . Tutti gli autori difatti, parlando di questi lembi di rocce secondarie della Val di Nievole, hanno sempre ammessa la comunanza di origine col sistema dei sopraindicati gruppi montuosi, di cui non sarebbero che modesti ed appartati rappresentanti. I fatti di cui ora siamo in pos- sesso vengono all’appoggio di questo concetto e dimostrano pienamente che se le forme geologiche indicano la comunanza di origine colla Ca- tena metallifera , non furono diverse neppure le cause che ne produssero il primo sollevamento e quelle che in seguito ne modificarono reitera- tamente il rilievo attraverso alle epoche geologiche. Esaminiamo brevemente a parte ciascuna delle condizioni che do- vrebbero concorrere a stabilire l’unità del sistema col gruppo Apuanor 1 G. Meneghini — Nel Manuale Clinico delle acque di Montecatini del profes- sore F. Fedeli. — 371 — ' che piglieremo a confronto perchè degli altri il più importante ed il meglio da me conosciuto; e vediamo in qual misura tali condizioni siano verificate nelle masse di cui ci occupiamo. Quanto alla costituzione geologica dei terreni, quello che abbiamo detto circa l’età e la natura delle varie rocce, può bastare a dimo- strare la perfetta corrispondenza di esse con quelle del gruppo maggiore della Catena metallifera. Soltanto per le rocce del lias superiore tro- viamo qualche differenza dalla forma solita con cui si mostrano nelle Alpi Apuane, nel Monte Pisano, alla Spezia, ecc. Ma tale differenza li- tologica è di nessun conto quando sia accertata, come nel caso nostro, la loro equivalenza cronologica; differenza che può dipendere dalla di- versità delle condizioni di deposito e che la troviamo anche passando dal Monsummano al Monte Panteraje. Le altre rocce, specialmente quelle soprastanti al lias superiore, sono perfettamente identiche a quelle che in vari luoghi delle Alpi Apuane occupano lo stesso orizzonte , e , come dissi, trovano perfetto riscontro specialmente nel Carrarese enei monti della Spezia. Veniamo alle fasi del sollevamento, che in questa materia costi- tuiscono uno dei criteri più importanti. Nella serie degli antichi terreni della Catena metallifera , prescindendo dai sollevamenti più antichi finora non bene accertati e che ad ogni modo non potrebbero interes- sare le rocce che noi consideriamo, è constatata unanimemente dagli autori una grande discordanza di epoca e di stratificazione a partire dalle rocce del lias superiore; al qual tempo sembra anzi riferibile il il sollevamento generale e la comparsa dei vari membri della Catena metallifera. La roccia più antica che abbiamo nei lembi che conside- riamo giungendo al lias inferiore, le traccie di questo sollevamento devono pure riscontrarsi in questi monti della Val di Nievole. Noi ab- biamo già constatato il brusco passaggio che esiste tanto al Monsum- mano che alle Panteraje tra i calcari del lias superiore ed i diaspri titoniani, per la mancanza delle zone rispondenti a questo intervallo di tempo. Oltre però alla discordanza di tempo, la quale potrebbe at- tribuirsi a difetto di sedimento, esiste una vera discordanza di strati- ficazione risultante dal fatto, che i diaspri , malgrado l’erosione evi- dente dei calcari sottostanti, formano una cintura continua, riposando indiferentemente sui vari piani Lassici, tanto al Monsummano che alle Panteraje. Al Monsummano poi, sotto la cava Martini, si ha una prova assai chiara di questa discordanza. Ivi il calcare rossigno presenta gli strati interrotti e sporgenti, contro ai quali i diaspri vengono bru- scamente ad appoggiarsi riempiendo dei loro strati una sinuosità pro- 26 — 372 — fonda ed irregolare che i calcari presentano, sì che sembrerebbero penetrar dentro alla massa di questi, senza che pertanto gli strati dia- sprini mostrino di essere stati menomamente disturbati dalla loro po- sizione del primitivo deposito, relativamente ai calcari. E quindi evidente che anche qui come negli altri membri della Catena metallifera ebbe luogo la emersione e conseguente denudazione dei terreni liassici prima che i diaspri titoniani si depositassero: cioè nel lasso di tempo che rappresenta il periodo oolitico, il quale quasi generalmente corrisponde ad una grande lacuna nella serie dei terreni della Catena metallifera. Un altro distacco di tempo, egualmente segnato da un periodo di emersione, fu indicato fra gli strati neocomiani che succedono ai diaspri ed il piano superiore della creta. A convincersi che quegli strati furono scoperti e denudati prima della sedimentazione di questi, basta ricor- dare la variabilità dei rapporti di giacimento fra le rocce del cretaceo superiore e le inferiori, tanto al Monsummano che alle Panteraje. La discontinuità di quelle rocce è accertata anche dalla differenza sensi- bile che si osserva tra la direzione dei loro strati. Mentre i diaspri hanno la direzione delle sottostanti rocce del lias, gli scbisti cretacei partecipano invece a quella degli strati eocenici, che è volta alquanto più ad Ovest, coi quali sono perfettamente concordati. Anche questi fatti trovano esatto riscontro in ciò che avviene per le Alpi Apuane. Potrei qui citare molti esempi di successione trasgres- siva fra le rocce corrispondenti, raccolti in vari punti di quel gruppo montuoso a sostegno di tale asserzione, se essa non fosse già stata dimostrata diffusamente dal collega Lotti. 1 Risulta infatti dagli studi e dai rilevamenti di dettaglio eseguiti da me e dal Lotti in quella re- gione, che le rocce eoceniche e gli schisti rossi della creta superiore ri- posano ad un tempo con palese discordanza sulle rocce neoeomiane e su tutte le sottostanti ; talché deve riconoscersi in questo intervallo un altro periodo di emersione, denudazione e successivo abbassamento, che ci rende conto della mancanza dei terreni intermedi e dei rapporti di posizione fra le rocce cretacee antiche e quelle superiori ed eoceniche. Altro punto di contatto importante a considerarsi per stabilire la unità del sistema si è la identità di orientazione degli strati antichi della Val di Nievole con quelli dei luoghi presi a confronto. Abbiamo già descritta la forma conoidale così caratteristica del Monsummano, la quale 1 B. Lotti — L. c. — 373 — colpisce anche a distanza a causa specialmente della notevole elevazione, paragonata alla estensione del monte. Gli assi di questo ellissoide sono -diffatti molto brevi, e quel che è più notevole, non sono fra loro molto diversi in lunghezza; laonde piuttostochè di una piega anticlinale il monte ha la forma di una vera cupola. Difatti, tenendosi nei limiti della massa ellissoidale formata dalle rocce liassiche e diasprine e non considerando i calcari del cretaceo superiore, che hanno più stretti rap- porti di stratificazione colle rocce eoceniche, la maggior lunghezza del- l’ellissoide non giunge ai tre chilometri, considerata al livello del mare e deducendola da accurate misure stratigrafiche, mentre l’ampiezza del- l’anti cimale, misurata nelle stesse condizioni, è poco meno di un chilo- metro e mezzo; cioè, l’asse maggiore dell’ellissoide è appena il doppio dell’asse traversale. L’altezza del monte sul livello del mare è di 340 metri; ma a formarsi una giusta idea della forma e della curvatura dell’ellissoide devesi por mente che nel punto culminante mancano gli strati diasprini, i quali, se pur vi esistevano, com’è assai probabile, rap- presentano uno spessore di almeno 100 metri, epperciò l’altezza com- plessiva da paragonarsi alle altre dimensioni sopraindicate è di 440 metri almeno. Queste tre coordinate lasciano intravedere la forte pie- gatura subita dagli strati rocciosi che compongono il monte e quindi in certa misura anche la intensità delle forze che agirono sopra di esso. Conseguenza diretta della forte curvatura è la variabilità continua della direzione degli strati; tuttavia nella parte mediana longitudinale, quella che forma il vero anticlinale, può distinguersi una zona che ha una di- rezione pressappoco costante, restando fra il N 10° O ed il N 155 O, e questa può assumersi come direzione dell’asse maggiore della piega el- lissoidale. Alle Panteraje, l’ellissoide ha curvatura molto più depressa -che non al Monsummano e non comparisce così distinto e scopeito in tutta la sua estensione essendo in parte celato a Nord dalle formazioni cretacee ed eoceniche che lo sormontano. Le inclinazioni dimostrano però chiaramente trattarsi d’una cupola ellissoidale alquanto più pic- cola del Monsummano e poco allungata a somiglianza di quella. Nel senso della maggior lunghezza, la direzione che si mantiene più co- stante negli strati è fra il N 15° 0 e N 25° 0, che è assai prossima a quella che abbiamo trovata pel Monsummano. È poi a notarsi che le due cu- pole ellissoidali non cadono Luna sul prolungamento dell’altra, cioè non fanno parte della stessa piega; poiché i loro assi prolungati, mentre sono fra loro sensibilmente paralleli, passano a circa 3 chilometri di distanza, l’uno dall’altro. La direzione dei due assi corrisponde sensibilmente al- d’orientamento N-NO, che è quello comune in generale alle pieghe prin - 374 — cipali Apuane; epperciò anche per questo riguardo i nostri ellissoidi sono coordinati a quel gruppo montuoso. In conclusione si può dunque affermare che la storia delle rocce secondarie dalla Val di Nievole non fu diversa da quella dei monti Apuani, poiché tali rocce furono depositate nel medesimo mare, subi- rono sollevamenti eguali e simultanei, e conservarono insomma i più stretti rapporti attraverso tutti i fenomeni posteriori alla loro deposi- zione. Le rocce del cretaceo superiore e le eoceniche, alle quali non ab- biamo estese le considerazioni precedenti, poiché le più antiche serbarono nel loro orientamento una certa indipendenza dalle terziarie, si colle- gano invece al sistema di sollevamento dell’Appennino. Anche laddove esse vengono ad addossarsi alle rocce antiche, la direzione delle rocce terziarie, è alquanto diversa dalle sottostanti e costantemente rivolta pressapoco a N-O. e S-E.; mentre quella delle antiche sarebbe piut- tosto a N-NO. S-SE. Considerate nel loro insieme, queste rocce terziarie dalla pianura rimontando verso l’Appennino pistoiese, formano una serie di anticli- nali e di sinclinali che aumentano in elevazione a misura che ci acco- stiamo alla giogaia di esso. Uno di questi anticlinali forma il Monte di Uzzano tra la valle della Pescia ed il torrente Borra: un altro corri- sponde all’insieme formato dal poggio delle Forelle. Montacolle e Coc- camo soprastanti al Monte Panteraie, ed è separato dal precedente da un sinclinale che cade appunto nella depressione in cui scorre il tor- rente Borra. Così pure il Monte Albano è formato da un ampio anti- clinale che trova la continuazione nel poggio di Serra valle e di Casore: ed a questi anticlinali altri ne succedono al dilà della pianura pisto- iese verso lo spartiacque dell’Appennino, sempre maggiomente elevati. Esaminata però più davvicino la tettonica di questi contrafforti ter- ziari non è così semplice come a grandi tratti l’abbiamo tracciata; chè il sistema delle pieghe si complica con sinclinali secondarie traversali nei quali le pieghe vengono ad incontrarsi in modo da costituire piut- tosto una serie di protuberanze ellissoidali posta l’una in prossimità dell’altra. Tali pieghe ellissoidali delle rocce terziarie sono poi parti- colarmente brevi e frequenti nel tratto compreso tra i due lembi d1 rocce antiche del Monsummano e del Monte Panteraie: e forse la pros- simità di questi nuclei preesistenti non è rimasta estranea a tale ma- niera anormale di conformarsi delle pieghe nelle rocce terziarie di questo luogo. Anche scomposte in tali elementi le pieghe terziarie non cessano però — 375 — di avere la solita direzione N-O. S-E. delle pieghe maggiori, trann e lad- dove esse vengono ad incontrarsi mutuamente per conformarsi in guisa di ellissoidi. Nelle elevazioni che consideriamo, il massimo di irregola- rità di struttura si osserva attorno al poggio di Montecatini, dove le rocce eoceniche seguono in tutto le ondulazioni presentate dagli schisti del cretaceo superiore, che, come dissi, formano una cupola a parte, la quale ha il suo culmine a Vio sotto al paese di Montecatini ed inte- ressa i poggi di Montacolle, Montecatini e della Guardia, posti a destra del corso della Nievole, ed anche un poco, rimontandola, quelli sulla sinistra. Essa si complica di varie ondulazioni e declinando a Sud verso la Nievole si sdoppia in due anticlinali minori, di cui uno corrisponde alla valletta del Salsero, l’altro a quella del Righigiano ( vedi sez. 2. ) Tra essi è il poggio di Montecatini i cui strati di macigno risultano in conseguenza piegati in sinclinale. Anche il poggio della Guardia adia- cente rimane imbasato sopra un’altra concavità lasciata da due pieghe laterali della cupola cretacea, che s’intersecano con pieghe trasversali tra il Righigiano ed il corso della Nievole (sez. 1, 2 e 6). Nelle altre elevazioni vicine tali complicazioni di struttura non hanno luogo, od almeno non avvengono in modo da alterare notevolmente la loro forma di pieghe anticlinali. Anche in queste pieghe, malgrado 1d sviluppo più considerevole in lunghezza, resta però sempre la tendenza alla forma ellissoidale, come avviene pel Monte Albano, nel quale il Monte Belve- dere rappresenta il punto centrale e culminante della cupola allungata a cui da luogo quell’anticl inalò. Oltre a questi fatti, altri egualmente degni di nota si presentano nello studio della tettonica di queste propaggini dell’ Appennino. Nella misura della inclinazione degli strati terziari, estesa anche oltre la re- gione da noi considerata, si riscontra costantemente che in tutti gli anticlinali gli strati pendenti verso Sud sono in generale più forte- mente inclinati che non quelli aventi l’inclinazione opposta. Così nel Monte di Uzzano, in tutto ii versante meridionale si hanno le forti in- clinazioni comprese tra 40 e 70° S-O.; anzi tra la Costa e Stignano gli -Strati tendono a rovesciarsi, mentre dall’altra parte di questo anticli- nale, cioè verso il torrente Borra, l’inclinazionej oscilla tra i 30° ed i 35°. Le stesse cose si osservano fra gli anticlinali che corrispondono alle de- pressioni del Rio Salsero, del Righigiano e della Nievole (vedi sez. 2.). Nel Monte Albano, forse a causa della massa calcare che sta inserita nei galestri, la quale deve aver opposta la sua rigidità ad un maggior incurvamento, tale differenza di inclinazione non è così spiccata; ma pertanto anche qui le ondulazioni secondarie che si osservano in questa — 376 — anticlinale obbediscono a questa legge, ed il suo versante Nord va ab- bassandosi sul piano pistoiese assai più dolcemente che non il versante Sud verso la Nievole. (Sez. 4 e 5.) Questi fatti sono in perfetto accordo del resto a quanto accade ge- neralmente per l’intera giogaia dell’Appennino ed anche per le stesse Alpi Apuane nelle loro formazioni più esterne; e rispondono alle risultanze degli studi del Suess, il quale ne deduceva come conseguenza che la forza laterale che produsse il sollevamento di questo sistema fosse per- venuta dal lato di mezzogiorno. Dalle fatte considerazioni risulta implicitamente che chi volesser riepilogando, riandare le vicende che durante il sollevamento di questa regione subirono i vari terreni che la compongono, dovrebbe immagi- j nare dapprima i due ellissoidi del Monsummano e di Montecatini come due lievi ondulazioni, le quali alla fine dell’epoca liassffia emersero dal mare insieme alle Alpi Apuane ed agli altri membri della Catena me- tallifera, in causa delle pressioni che dettero a tutti i membri del si- stema il loro primo rilievo ed un orientamento comune. Nei lembi antichi della Val di Nievole, così limitati, mancano però i dati suffi- cienti per fare delle ipotesi sulla intensità e direzione della forza che venne a sollevarli. Ma tale spinta dovendo esser comune a quella che produsse l’emersione delle Apuane, si può da queste aver norma e de- ! durne, che, per questi lembi lontani dai centri maggiori di sol levamento, . essa non fosse molto intensa a giudicarne della ristrettezza del terreno emerso, avendo la spinta portata la sua massima energia verso la re- j' gione Apuana, il Monte Pisano e gli altri membri dello stesso sistema; e quanto alla direzione, questo primo sollevamento derivasse da una forza proveniente da settentrione, come parrebbe doversi inferire dal- l’esame dei profili trasversali di quel gruppo montuoso già pubblicati j da me e dal Lotti % nei quali per le rocce più centrali si osserva per lo più la tendenza a rovesciarsi verso settentrione. Lasciando queste supposizioni troppo vaghe e che troppo lungi ci conducono dal nostro assunto, ciò che può dedursi con maggior cer- tezza anche attenendosi alle sole osservazioni locali si è che i lembi 1 B. Lotti e D. Zacoagna — Sezioni geologiche nella regione centrale delle Alpi $ Apuane. Boll. geol. 1881, pag. 5. — B. Lotti. - La doppia piega d' Arni, ecc. B. g„ pag. 41 9. — D. Zaccagka. - Una escursione ecc. B. g. pag. 476. — B. Lotti - Sulla ■ j separazione degli schisti triassici , ecc. Boll. geol. 1882, pag. 82. — 377 — da noi considerati hanno pure partecipato alla grande lacuna corri- spondente all’epoca post-liassica, che è comune a tutti i membri della Catena metallifera e dimostra il subentrare alla profondità dei mari l’innalzamento di isole e della terraferma ; perocché la erosione degli strati liassici è manifestamente segnata dai fatti stratigrafici di cui già abbiamo fatto cenno a suo luogo. Questi lembi pertanto, dopo esser rimasti lungamente esposti alle distruzioni atmosferiche ed alle deva- stazioni del mare, tornarono poco a poco ad immergersi totalmente o quasi, per ricevere le sedimentazioni dell’epoca titoniana e delja creta inferiore, che vediamo appoggiarsi con discordanza di epoca e di stra- tificazione sugli strati liassici. Dopo il neocomiano una nuova lacuna si manifesta fra questo ter- reno e gli strati della creta superiore. Può darsi che varie zone ri- spondenti a questo intervallo non siansi in realtà depositate per difetto di materiali; ma ho per più probabile cosa che ciò dipenda da nuove oscillazioni del suolo che portarono allo scoperto i depositi neocomiani prima che i superiori si depositassero. I molti fatti raccolti nelle Alpi Apuane dimostrano all’evidenza la ammissibilità di questo nuovo pe- riodo di emersione, ed anche nei piccoli lembi che consideriamo noi ne ritroviamo le tracce nei rapporti di sovrapposizione e nelle fre- quenti ondulazioni e ripiegamenti degli strati liassici e diasprini cui non parteciparono le rocce superiori. Tali contorsioni si osservano specialmente nel Monsummano ; nel Monte Panteraie gli strati hanno quasi dappertutto curvatura poco sentita e regolare, ma sono invece fortissime nei calcari del vicino sperone di Macone. Questa differenza di comportarsi sotto l’azione delle pressioni in masse adiacenti ed identicamente costituite può attribuirsi alla indipendenza di esse, per la già avvertita faglia del Pio di Ca- stagna Regola che le separa. Può essere che a causa di questa faglia, allorquando avvenivano i movimenti che ricondussero il suolo fuori delle acque dopo il neocomiano, nel mentre in una delle masse, com- pressa dalla spinta che fu causa del nuovo sollevamento, si deforma- vano gli strati, nell’altra la pressione si traducesse in un semplice mo- vimento di scorrimento rispetto alla prima. In questo concetto però si rende necessario lo ammettere che la faglia abbia avuto origine anteriore, o per lo meno siasi prodotta al- l’atto stesso di questo sollevamento posteriore al neocomiano. Che essa abbia esistito prima della deposizione degli schisti del cretaceo supe- riore, parmi accertato dal trovare lo scoglio che forma lo sperone di Macone disgiunto dalla cupola delle Panteraie, completamente attor- — 37S — niato dagli schisti rossi anche e specialmente laddove esso presenta le testate degli strati caleari ; poiché la deposizione di essi dev’essere av- venuta riempiendo dapprima la depressione tra lo sperone calcare ed il fianco Est delle Panteraie, dove sono gli schisti a P. JBronni (sez. 1.), poi passando a ricoprire le due masse calcari, rilegandole con nuovi strati, la continuità dei quali esclude ogni dubbio di scorrimento po- steriore alla loro deposizione. Non si potrebbe egualmente asserire che la faglia abbia già esistito prima della deposizione dei diaspri, poiché sebbene sul lato orientale dello sperone, dove dovrebbero trovarsi, non se ne abbia traccia, pure può darsi che essi vi siano in realtà stati deposti e quindi spogliati assieme ad una parte degli strati a P. Bronni , che pure vi fanno difetto e sono invece sì sviluppati nel fianco Est delle Panteraie; e con essi do- vevano raccordarsi quelli di Macone prima che avvenisse la rottura. Comunque sia, è certo che essa avvenne prima del depositarsi degli schisti cretacei poggianti direttamente sugli strati calcari Passici di Macone; i quali quantunque siano i più antichi che si rinvengano a Montecatini, prolungandoli andrebbero a sovrapporsi a quelli delle Panteraie. Dopo il neocomiano tornando ad abbassarsi colla regione circo- stante per ricevere altri strati, lo sperone in discorso doveva risaltare tuttavia a guisa di scoglio nel fondo del mare che depose gli schisti cretacei e le roccie terziarie e formare colle due ondulazioni del con- tiguo Monte Panteraie e del Monsummano come i nuclei attorno a cui si deposero quegli schisti marnosi e le roccie della serie eocenica. È anzi verosimile che in corrispondenza di questi lembi antichi il mare di quel periodo geologico fosse considerevolmente profondo, poiché la natura calcareo-argillosa e la potenza dei depositi che rivestono questi lembi di rocce più antiche hanno carattere pelagico. Altrove, special- mente più ad Ovest, si hanno estese masse arenacee, che indicherebbero invece un mare non lontano dalla terra emersa. Le molte e forti oscillazioni del suolo e quindi i cambiamenti con- tinui nelle condizioni di profondità cui andò soggetto il fondo marino in quest’epoca di generale sollevamento del sistema appenninico, ci spie- gherebbero poscia la frequenza delle variazioni litologiche che nella serie eocenica abbiamo riscontrato anche nella breve 'estensione da noi considerata. E forse a questi stessi movimenti accompagnati da feno- meni idroplutonici è dovuta la apparizione delle piccole masse serpen- tiuose che per concentrazione si rinvengono in forma globosa in seno ài galestri ; ma ogni supposizione al riguardo è troppo incerta, poiché — 379 -- l’origine vera di queste rocce rimane ancora completamente nel campo delle ipotesi. Pertanto i movimenti intervenuti iu questo periodo terziario ebbero per finale conseguenza il grandioso sollevamento del sistema appenni- nico e la sopraelevazione dei lembi antichi, che in tali movimenti na- turalmente li accompagnavano. Se quindi i nostri lembi secondari della Val di Nievole colle inflessioni subite in epoca più antica già posse- devano la loro individualità, è però evidente che non acquistarono un forte rilievo che dopo l’eocene, quando in virtù dei nuovi impulsi essi continuarono a sollevarsi in un con tutta la regione circostante. L’ asse di questo nuovo sollevamento non doveva coincidere con quello dell’an- tico, che già aveva impartito a tutte le rocce secondarie un orienta- mento suo particolare, diverso da quello del sistema terziario, come ce lo dimostrano le misure stratigrafiche sulle rocce dell’ una e dell’altra epoca. Riferendoci al Monsummano, mentre colla nuova spinta venne da una parte ad accentuarsi la già subita inflessione, dall’ altra l’obliquità della nuova forza rispetto alla direzione della primitiva ellissoide non poteva non trovare ostacolo al libero espandimento della piega nel senso longitudinale. Alla risultante finale di questa azione complessa sarebbe quindi dovuta la forma ellissoidale così rilevata e caratteristica di questo monte; poiché nei movimenti ulteriormente impressi a questo ellissoide dovette aumentarsi di poco o punto la primitiva lunghezza, ed il cambiamento si portò principalmente sulla curvatura del monte che ne risultò fortemente accentuata. Che poi il maggior rilievo del Monsummano sia avvenuto dopo l’eocene, ne abbiamo le prove più chiare nel trovare le rocce di que- st’ epoca portate ad un livellò tanto elevato sul lato orientale di que- sto monte, laddove esso si congiunge al Monte Albano. Sul fianco me- ridionale, non sembra che esse venissero sollevate in modo equipol- lente, poiché arrivano appena all’ altezza della Grotta sul poggio Se- galare. Se ne dedurrebbe che per il Monsummano il sollevamento av- venuto in quest’epoca debba essere stato in gran parte una lenta ro- tazione a cerniera attorno al suo piede meridionale, dappoiché gli strati eocenici che furono portati quasi sul culmine dalla parte orien- tale, sull’opposto fianco invece rimasero alle falde di esso. Potrebbe obbiettarsi che su questo lato una denudaz-oue posteriore più attiva possa aver spogliato il monte dal mantello delle rocce terziarie ; ma per quanto attiva la denudazione sia stata, altre ragioni ne confermano che dev’esser questo lato occidentale quello che si presentò alia denu- — 380 — dazione sin dal primo apparire dell’ellissoide dopo l’epoca liassica, per cui questo fianco doveva rappresentare la parte più emergente di esso ellissoide anteriormente alla deposizione delle rocce eoceniche. Basterà perciò ricordare che su questa pendice i diaspri titoniani poggiano su- gli strati più profondi del nucleo liassico. Li vediamo sul calcare gri- gio inferiore a fianco della Grotta e sul rosso e grigio con selce tanto da una parte che dall’altra di questo punto,, cioè al Rio della Grotta e presso Monsummano basso, mentre in tutto il fianco N. e N-E stanno sul calcare a selce nera, che è il più alto della serie. Lo stesso può dirsi degli schisti cretacei, i quali sul fianco S. e S-0 poggiano indiffe- rentemente sopra qualunque delle rocce inferiori, a differenza di quanto accade sul lato opposto, dove rivestono costantemente i diaspri; cosicché in ® ogni punto del lato occidentale la serie delle rocce antiche del Mon- summano riesce incompleta per la mancanza dell’una o dell altra di esse. Su tutta la pendice opposta è invece completa, e la discordanza non vi si avvertirebbe se non fosse rivelata da quanto si osserva sul lato oc- cidentale. Altra circostanza che può aver qualche valore in questa ar- gomentazione è quella della grande esiguità di tutti i depositi poste- riori ai Lassici che si stendono sul fianco occidentale, a differenza del fianco opposto, dove sono sviluppatissimi : la quale starebbe ad indicare una corrispondente differenza nelle condizioni batimetriche dei mari in cui si deposero quelle formazioni nelle due regioni del monte poste a confronto ; poiché la maggior quantità dei sedimenti doveva vero- similmente portarsi nella parte più profonda, cioè verso l’attuale Monte Albano, mentre a ridosso del nucleo liassico, già stato eroso ma tuttavia rilevato sul fondo marino, si arrestarono in quantità molto minore. Tutti questi fatti, che sono tra loro in relazione manifesta, trove- rebbero una spiegazione adeguata ammettendo che il fianco ora occi- dentale del Monsummano abbia in quell’ epoca rappresentato appunto la parte culminante del primitivo ellissoide liassico. Conseguentemente se tale punto prominente noi lo troviamo ora sopra un lato dell’odierno crinale del monte, esso ha dovuto necessariamente rotare su questo e su- bire un innalzamento maggiore sul lato opposto per portarsi nella posi- zione da esso attualmente occupata. Adunque da antica data è incominciata la spogliazione del fianco occidentale del monte, se veramente, come sembra, su questo lato e per le circostanze che ora abbiamo accennate si concentrarono le denuda- zioni di tutte le epoche geologiche in cui 1’ ellissoide venne a mostrarsi allo scoperto; laonde non deve recar meraviglia la profonda erosione che si osserva su quest’ aspra e dirupata pendice ed il suo aspetto quasi — 381 — di rovina, il quale grandemente contrasta colle forme spiccate sì, ma generalmente rotondeggianti di tutto il restante della superficie della montagna, dove la erosione non avrebbe iniziata la sua azione distrug- gitrice che dopo Fepoca terziaria. La spinta che produsse il sollevamento terziario ha adunque agito in due modi sulla massa del Monsummano; vale a dire, col generale rialzamento e coll’incurvamento a cerniera attorno al suo piede occi- cidentale. Questo movimento complesso, che taluno potrà forse interpre- tare anche altrimenti, va attribuito, secondo me, alla sola pressione oriz- zontale, che, in accordo delle idee del Suess e di quanto già abbiamo concluso nelle considerazioni sui ripiegamenti terziari, provenne dal mezzogiorno. Ai suo manifestarsi questa pressione ha dovuto trovare un ostacolo nella massa già prominente del monte ; ma non potendo esso rimaner rigido in modo assoluto, nel ricevere la spinta seguì in parte il movimento orizzontale che gli veniva impresso, pigiandosi verso oriente contro gli strati terziari, che si stendevano quasi orizzontali tutto all’intorno del monte. Intanto questi strati, colla resistenza che naturalmente dovettero opporre ad un tal movimento da una parte, e la massa del Monsummano dall’ altra, mutuamente spin- gendosi, finirono col sollevarsi; essendo in tal caso la direzione verti- cale quella della minor resistenza, come la sola che permetteva libero sfogo alle masse. La composizione dei due movimenti, l’orizzontale ed il verticale, che noi abbiamo partitamente considerati, ma che in realtà dovettero esser simultanei, dette luogo probabilmente al movimento di rotazione, che fu causa del sollevamento dissimmetrico del monte, rial- zandolo maggiormente sul fianco orientale: il quale per la nuova posi- zione assunta divenne l’odierno crinale del Monsummano. Frattanto gli strati terziari del lato orientale, sospinti dalla massa del monte nel modo indicato, a loro volta s’incurvarono, formando il sinclinale esistente fra il Monsummano ed il Monte Albano (Sez. 3, 4 e 5), nel quale scorre da un lato il Rio Mègliore ed il Rio della Grotta dall’ altro. Vedemmo anzi come nel colle del Fangaccio, che separa le due vallecole, laddove è la giunzione col Monte Albano, la pressione abbia contorto e rovesciato parzialmente gli strati galestrini. Ma tale roveciamento, come già notammo, è di poca conseguenza, non estendendosi oltre a questo luogo ; fatto naturale del resto per rocce schistose com- presse fra le due masse calcari del Monsummano e del Monte Albano* che serrandosi l’ una contro F altra, forzarono i galestri ad incurvarsi e ritorcersi su se stessi per eccessivo ripiegamento, fino ad apparire invertiti in un cogli strati vicini delle rocce più antiche. 382 — Questa superficiale inversione avvenuta principalmente negli strati eocenici, dette al De-Stefani 1* idea d’ un rovesciamento dell’intera cu- pola contro al Monte Albano, cosa che in realtà non si riscontra sul luogo. Se così fosse, bisognerebbe attribuirlo ad una pressione post-eo- cenica derivante da terra, per la quale il citato autore sembra propen- dere l: ma ciò è troppo inverosimile, almeno applicando le teorie del Suess ai numerosi ed importanti esempi di rovesciamento verso il mare che si manifestano nell’ Appennino ed anche nelle Alpi Apuane, specialmente nelle rocce terziarie. E ben vero che il rovesciamento ad E. del Monsummano come fu supposto dal De-Stefani non sarebbe dis- simile dalle molte inversioni che hanno luogo nelle pieghe centrali delle Alpi Apuane, per le quali se avesse a farsi qualche deduzione, si potrebbe intravvedere l’azione di una forza proveniente da settentrione. Quindi, anche astrazione fatta dalla direzione di questa forza, sembre- rebbe doversi riconoscere la stessa causa per il ribaltamento del Mon- summano, e trovare, almeno teoricamente parlando, giustificato il modo di vedere del De-Stefani. Ma per le Apuane, la forza di cui parliamo è quella riferibile al primo sollevamento di esse, gli effetti del quale furono poi in parte modificati da quello terziario e forse proveniente da tutt’akra parte, cioè verso il mare; in forza del quale molti degli strati più esterni, e principalmente i terziari, divennero maggior- mente inclinati nel versante tirreno che in quello del Serchio, con ten- denza a rovesciarsi ad occidente; vale a dire contrariamente a quanto accade con maggior frequenza nella regione centrale delle Apuane. Ora i fatti fin qui analizzati ci dimostrano che il leggero ribai t amento degli strati ad E. del Monsummano non può attribuirsi che ai solleva- mento terziario e non a quello a cui sarebbe dovuta l’emersione della Catena metallifera. Quindi non è possibile acccordare quegli effetti del- l’antico sollevamento apuano coll’ inversione degli strati del Monsum- mano, come il De Stefani sembra ammettere 2, poiché non possono coincidere nè pel tempo, nè forse per la direzione della spinta, e quin- di non posseno ascriversi ad una stessa causa comune. Coi sollevamenti avvenuti poco dopo l’epoca eocenica le forme oro- grafiche dell’Appennino, e con esso le alture circostanti alla Yal di Nie- 1 De-Stefani — I dintorni di Monsummano , eco., pag. 49 e Geologia del Monte Tisano , pag. 163. 2 De-Stefani ■ — Quadro comprensivo dei terreni che costituiscono V Appennino set- tentrionale, pag. 5 e 6. Pisa ISSI. — 383 — vole, dovevano essere già quasi totalmente delineate col formarsi e sorgere dei ripiegamenti che vi abbiano riscontrati, e quindi in gran parte esposte alle circostanze distruggitrici esteriori. Dappoi questo sol- levamento fu lentamente continuato fino a che tali elevazioni montuose furono ridotte pressapoco alle condizioni nelle quali oggidì si pre- sentano. Se tale sollevamento post-eocenico avvenisse in modo pressappoco con- tinuo e progressivo, o se pure si debbano distinguere in questo movi- mento dei periodi di intermittenza o di oscillazione, non è cosa facile a decidere; poiché mancano oggidì i criteri sicuri per tale deduzione, quali sarebbero i residui dei depositi rispondenti all’ intervallo di tempo abbastanza notevole fra l’eocene ed il pliocene superiore, che difettane in questa regione. Solo i terrazzamenti che si osservano frequenti , sca- lati a varie altezze in tutte le colline eoceniche dei dintorni, porgereb- bero indizio dell’avanzarsi progressivo del sollevamento con intervalli di oscillazioni odi relativo riposo; ma poiché varie possono essere le causo che dettero origine alla formazione di questi dorsi pianeggianti, fra cui la diversa resistenza delle rocce alla erosione, una tale argomentazione riesce troppo incerta per appoggiarvi delle deduzioni sicure. Si può affermare per altro che la massima emersione sia stata quella avvenuta al terminare dell’epoca eocenica, sebbene abbia continuato dopo il miocene e dopo il pliocene; talché la zona montuosa della re- gione fosse già assai estesa e poco men di oggidì durante l’epoca mio- cenica e molto più nella pliocenica. Il trovare difatti in questo bacino della Nievole i sedimenti plio- cenici addossati attorno alle pendici attuali dei colli, non molto elevati dal loro piede, vuol dire che quei colli già erano emersi pressappoco fino a quell’altezza dal mare pliocenico; per cui le elevazioni montuose che attorniano la valle dovevano formare in quell’epoca un gruppo di colli molto simile all’odierno e per l’elevazione e per la forma. L’ele- vazione non poveva differire gran fatto dall’attuale se si rifletta che da una parte per il sollevamento post-pliocenico quei colli hanno snbito un lieve rialzamento, mentre d’altra parte l’erosione ha agito fino ad oggi coll’opera sua demolitrice in contrario senso per mantenere pres- sappoco invariata la loro altezza. Se poi ci riportiamo al mare pliocenico, esso doveva quivi chiudersi in un golfo, compreso tra le alture della Yal di Nievole ed il Monte Pisano. Da esse e dalle altre circonvicine scendevano direttamente sul mare i sedimenti che dovevano riempire questo golfo, il quale aveva estensione e figura ben poco diverse dall’attuale contorno dei colli che 384 — fanno cerchia alla Yal di Nievole, poiché esso ha lasciati i suoi sedi- menti alle falde di tutti quei colli. Anche l’idrografia non doveva esser molto dissimile dall’attuale, dappoiché i sedimenti pliocenici ora solle- vati, dove furono risparmiati dall’erosione e dai torrenti, si vedono cir- condare le odierne pendici seguendo tutte le insenature delle valli anche oggidì esistenti, le quali dovevano perciò già essersi formate, almeno in gran parte, nel tempo che si effettuavano tali depositi: laonde queste varie ragioni ci lasciano supporre che anche la forma delle elevazioni non dovesse differire gran fatto da quella che hanno oggidì. Dopo il pliocene, continuando il sollevamento della regione, ven- nero ad emergere i sedimenti rispondenti a quest’epoca geologica, che noi vediamo stendersi ai piedi dei colli eocenici ed anche dei più anti- chi. Per l’alta Yal di Nievole il sollevamento post-pliocenico sembra es- sere avvenuto pressappoco in egual misura e non molto intenso, almeno giudicandone dal basso livello che serba attualmente sotto Montevet- tolini, alla Pineta ed ai Bagni; ma esso dev’essere stato più forte verso Buggiano, al Torricchio ed a S. Lucia, dove giunge a più considerevole altezza e gli strati ne sono molti inclinati, ed ancora maggiore an- dando al di là della Pescia verso Montecarlo dove i depositi pliocenici formano un’ isola notevolmente elevata ed estesa. Intanto in forza di questo sollevamento post-pliocenico il mare si ritirò man mano dall’antico golfo compreso fra il Monte Albano ed il Monte Pisano: mentre le alluvioni post-plioceniche e le piu recenti flu- viatili e lacustri vennero in ajuto alla forza sollevatrice per ricolmare le bassure della Valle di Nievole e di Bientina, ed allontanare viem- m aggiorna ente verso occidente il mare da questa regione. All’epoca post-pliocenica il Savi 1 farebbe corrispondere quell’im- provviso cataclisma, che, secondo le vedute di quell’ illustre geologo, a- vrebbe determinato lo sprofondamento delle pendici tirrene dell’Appen- nino e di gran parte del Monte Pisano e di altri membri della Ca- tena metallifera ; idea dalla quale non sembrava dissentire il Cocchi 2, poiché considerava il Monsummano come una dipendenza del Monte Pisano, da cui nell’epoca post-pliocenica fosse stato disgiunto per lo spro- fondamento della parte occidentale del monte. Ma niun fatto che renda necessaria l’ invocazione di questa teoria o possa accennare ad un tal 1 P. Savi — Dei movimenti avvenuti j dopo la deposizione del terreno pliocenico nel suolo della Toscana — (Nuovo Cimento, Pisa, 1873). 2 I. Cocchi — L'uomo fossile nell'Italia Centrale (Soc. It. di Scienze nat. T. II, N. 7 — Milano 1867). — 385 — cataclisma mi parve riscontrare nella regione da me studiata; chè anzi, come osserva giustamente il De-Stefani la presenza dei terreni plio- cenici tutto all’ intorno dei colli, tanto dalla parte del Monte Pisano, che verso il Monte Albano, sta contro di per sè alla supposizione dello sprofondamento post-pliocenico, che dovrebbe aver subito colle altre anche la regione di cui ci siamo intrattenuti. Prima di chiudere questa Nota sulla Val di Nievole, non parmi fuor di luogo il far cenno delle condizioni di postura della Grotta calda e delle sorgenti termo-minerali, per cui va meritamente famosa questa regione. Delle minute particolarità che la Grotta presenta, come delle sorgenti, già scrissero diffusamente vari autori e quindi da ultimo i pro- fessori Savi e Pedeli \ dai quali ho attinto i dati sperimentali che vi si riferiscono. Si conoscono varie grotte naturali aperte nella massa dei calcari antichi della Val di Nievole, cioè a Monsummano ed a Macone sotto Montecatini ; delle quali, quella di Monsummano è la più conosciuta per Pestensione e pei singolari fenomeni termici che vi si osservano Si apre questa nel fianco Sud del monte presso la sua base, appunto laddove esso è maggiormente ripido e dirupato, addentrandosi per oltre 200 metri nella direzione di NO, con un cammino irregolare, ma nel- l’insieme un po’ curvo ed alquanto inclinato verso il monte. La più notevole particolarità di questa grotta, e sulla quale ci arresteremo bre- vemente, è quella dell’alta temperatura dell’ambiente che in essa s’in- contra, la quale va gradatamente accrescendosi coll’ inoltrarsi verso il fondo della caverna, dove è di circa 35° cent. Ora è noto che in gene- rale coll’addentrarsi nelle masse rocciose, la temperatura, dopo raggiunto il punto di temperatura invariabile, progredisce di 1° per l’abbassamento di ogni 30 o 40 metri in profondità3; e questa legge si trovò pres- sappoco verificata in certi casi anche per. distanze orizzontali, special- mente se la galleria trovasi nelle condizioni particolari di una consi- 1 C. De-Stefani — Geologia del Monte Pisano, pag. 136. 2 P. Savi e F. Fedeli — Storia naturale e medica delle acque minerali dell'alta Val di Nievole , Firenze 1880. * Sembra che la natura della roccia abbia una qualche influenza sulla rapidità dell1 2 incremento, risultando da certe esperienze che la cifra era di 30 metri per terreni sedimentali di marne, argille, sabbie, calcari, ecc, mentre in terreni cristallini era di circa 40 metri (Vedi F. Giokdano — Sulla temperatura della roccia nella galleria delle Alpi Cozie. — Boll. Geol. 1871. pag. 2). — 386 — derevole massa rocciosa sovraincombente, e se il fianco della montagna ha superficie molto ripida e quasi verticale, come pressappoco si può ammettere pel Monsuramano. Secondo questa regola, e supposto adunque il caso più favorevole, la elevazione di temperatura per una distanza di circa 200 metri dovrebbe essere di 5° a 6°; cosicché ponendo di 16° la tem_ peratura media esteriore, al fondo della grotta dovrebbe raggiungere tut- t’al più 21° a 22°. Quivi invece la temperatura è di 35°, talché quella legge di progressione è insufficiente a spiegare il fenomeno; laonde altre ragioni devono invocarsi sulla causa di tale straordinaria elevazione di tempera- tura nelFambiente della grotta. La più probabile, e già espressa dal Savi, è quella di attribuirla alla presenza delle acque calde che occupano le parti profonde del piano assai diseguale della caverna, le quali hanno temperatura variabile secondo la distanza dell’ imbocco, ma sempre pressappoco eguale a quella del- l’aria sovrastante. Queste acque adunque invece di ricevere la tem- peratura dall’ambiente in cui soggiornano sarebbero il veicolo del ca- lore di una profondità molto maggiore; la quale calcolata in base alla nota legge, dovrebbe, superare i 600 metri. Taluno potrà osservare che senza dover ammettere profondità tanto considerevoli, le reazion chimiche fra i minerali contenuti nelle rocce possono favorire Taumentoi di temperatura. Ciò può infatti influirvi alquanto; ma non è forse qui il caso di appoggiarsi su questo fatto, poiché le acque della grotta non contengono che una scarsa quantità di sostanze minerali *; onde il fe- nomeno sembra doversi quasi interamente alla profondità dei meati entro ai quali circolano quelle acque. Il Savi 1 2 ammette a questo proposito che la grotta faccia parte di una grande spaccatura pressoché verticale, prodottasi nel monte nor- malmente agli strati, per la quale le acque raggiungono la profondità voluta; la cui produzione, secondo il citato autore, avrebbe attinenza collo sprofondamento post-pliocenico a cui andarono soggette tutte le 1 La composizione delle materie fisse di 1000 parti in peso dell’acqua della grotta data dal Targioni e che riporto dai citati autori, è la seguente : Cloruro di sodio 0, 2378 Carbonato di calce 0, 5340 Solfato di calce 0, 4898 id. di soda 0, 0332 id. di magnesia 0, 4092 Silice, allumina, ferro e materia organica 0. 1000 2 Vedi Savi e Fedeli 1. c. jag. 366. — 387 - montagne della Catena metallifera. Prescindendo per ora dalla causa di tale fenditura, 1’esistenza di essa non è improbabile; ma osservando che la direzione della grotta corrisponde pressappoco a quella delle stratificazioni, le quali in questo punto hanno un inclinazione fortissima, parrebbe che invece di una rottura attraverso gii strati, la fenditura debba corrispondere ad un distacco e scorrimento di una parte di essi lungo qualche piano di separazione naturale; circostanza che può favo- rire d’assai la penetrazione delle acque sino a profondità ragguardevoli. Tale sconnessione degli strati potrebbe attribuirsi a quelli stessi mo- vimenti che tormentarono la massa di questo monte e produssero la forte curvatura, i raddrizzamenti e le brusche pieghe che appariscono all’esterno in molti punti di esso ed anche alla grotta, specialmente nei calcari grigi e rossigni e nei grigi massicci, fra gli strati dei quali la grotta sembra addentrarsi. Abbondanti ed altamente termali sono le acque che sgorgano ai Bagni Parlanti sul fianco Nord dello stesso monte, fra i banchi del tra- vertino, che su questo lato si addossa ai diaspri, quivi sviluppatissimi. Però la loro alta temperatura di 31° c. e l’essere in un cogli altri sali provviste di notevole quantità di carbonato calcare, ci rivela che esse debbono attraversare anche la massa dei calcari liassici sino a profondità considerevole. Queste acque che per la qualità incrostante mostrano la loro attinenza col deposito travertinoso, ne confermano d’ altra parte la esistenza nel monte di profondi meati nei quali le acque pervenendo per occulte vie, acquistano l’alta temperatura di que- gli strati profondi, che alla grotta si manifesta nell’aria ambiente, ed apparisce ai Bagni Parlanti in modo diretto, venendo le acque a sgor- garvi per effetto del maggior battente cui stanno soggette. A Montecatini le acque minerali scaturiscono ai piedi del Monte delle Panteraje, specialmente nell’area coperta dalla espansione di tra- vertino che esse deposero sulla superficie degli schisti rossi cretacei e dei più recenti terreni terziari. La diretta sovrapposizione dei traver- tini agli schisti cretacei si vede benissimo al Tettuccio e lungo la sponda destra del Pio Salsero, che raccoglie quelle acque. I depositi terziari non sottostanno ai travertini che più a valle, presso il paese dei Bagni, ed anche qui non possono avere grande spessore perchè i calcari cretacei inclinano verso quella parte. Questi calcari marnosi si possono quindi ritenere come la roccia donde scaturiscono le numerose fonti minerali che tanto spesseggiano nel breve spazio di un Km. q. tra il Monte Panteraie ed i Bagni. Anzi dalla estensione considerevole che acquistano a monte e dalle misure strati grafiche risulterebbe che 27 — 388 — questi calcari hanno quivi grande potenza, per cui dovrebbero esser considerati come la vera sede di queste acque minerali; ma non è im- probabile che in profondità le vene acquee attraversino anche i calcari antichi che affiorano alle Panteraie ed a Macone. Le acque di Montecatini hanno temperatura e composizione che varia dall’una all’altra sorgente, naturalmente in dipendenza della pro- fondità e delle condizioni mineralogiche degli strati che attraversano e da cui attingono i loro principi salini. Le più calde, quelle delle R. Terme, hanno 31° c. di temperatura, che però non discende nelle più fredde sotto i 20°; e tale temperatura si mantiene pressappoco costante in ogni stagione. Tutte queste acque poi differiscono essenzialmente da quelle di Monsummano per essere assai meno calcarifere e più ricca- mente provviste di principi medicamentosi, sopratutto di cloruri e sol- fati alcalini e terroso-alcalini. 1 La diversa temperatura di queste acque potrebbe essere indizio della relativa profondità dalla quale esse risorgono, se, come può accadere per alcune, le acque d’infiltrazione non venissero ad influirvi. Non è anzi fuor di proposito l’osservare che le acque di Montecatini sono generalmente men calde delle acque del Monsummano, e tuttavia quelle vanno provvedute di una dose maggiore di sali; il che potrebbe indi- care che le reazioni chimiche in seno alle rocce circostanti hanno forse a Montecatini una larga parte all’innalzamento della temperatura, sia per la decomposizione delle piriti, sia per idratazioni o mutua scompo- sizione di sali. Quindi rimane vieppiù incerto il criterio delle profon- dità di queste sorgenti in ragione della loro temperatura. Noterò da ultimo che le condizioni orografiche e stratigrafiche del luogo possono favorire d’assai la penetrazione delle acque sino a pro- fondità considerevole; poiché le stratificazioni della parte Sud e Sud- 1 Dagli stessi autori riporto qui 1’ analisi dell’ acqua minerale del Tettuccio, una delle più conosciute del luogo : Carbonato di calce 0,0241 id. di magnesia .... 0 0736 Solfato di calce. 05219 id. di potassa 0,0585 id. di soda 0.3087 Cloruro di sodio 4 6076 id. di magnesio 0,4508 Piccola quantità di fluoruri, fosfati, ecc. Aria ed acido carbonico disciolti. — 389 — Est del Monte delle Panteraje e di tutta la massa degli schisti cretacei da Vio ai Bagni convergono tra loro e nell’insenatura pianeggiante che sta ai piedi delle Panteraje, dove sono le scaturigini delle acque. Tale disposizione strati grafica, congiuntamente alla natura schistosa del ter- reno ed alla presenza della faglia di Macone lungo il Ilio di Castagna Pegola a monte dei Bagni, costituiscono altrettante cause che possono dar facile adito alle acque e favorirne la penetrazione e la circolazione anche negli strati più profondi. In seguito, qualche fenditura prodot- tasi nei mutamenti geologici cui andò soggetta la regione, e forse la con- tinuazione della faglia stessa di Macone, la cui direzione viene a pas- sare notevolmente pel luogo delle sorgenti, può aver offerte le vie di uscita a queste acque sotterranee. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE T. Taramelli — Descrizione geologica della provincia di Pavia , con annessa carta geologica. — Milano, 1882. Il professore Taramelli, incaricato dalla Camera di Commercio di Pavia di studiare le condizioni naturali del suolo di quella provincia, ha con questa importante pubblicazione pienamente soddisfatto al suo compito, recando un bel contributo allo studio geologico delle forma- zioni appenniniche, parecchie delle quali hanno dato luogo a questioni non ancora risolute sulla loro epoca ed origine, e fornendo in pari tempo molti dati pratici per l’agricoltura e per le industrie. Questo lavoro è diviso in sette capitoli, e nel primo l’Autore si oc- cupa dell’orografìa della provincia, distinguendo in essa le tre regioni della pianura, delle colline e della montagna. Cominciando dalla pianura sulla sinistra del Po, osserva come essa lievemente inclini da N-O. a S-E., solcata da vari corsi d’acqua che coi loro terrazzi ben marcati mostrano di avere seguito le vicende dell’in- tero sistema idrografico padano. Era questi principale il Ticino, i ter- razzi del quale, assai discosti ed elevati, presentano modo, ove sono de- nudati, di studiare la serie delle varie alluvioni quaternarie che si — 390 — stesero sul fondo dell’antico golfo padano. Accenna ai terrazzi dello stesso Po, che, assai pronunciati sulla sponda settentrionale, sono invece mancanti, o quasi, alle falde subbappennine. Sulla destra del Po la pianura presenta una zona d’alluvioni più inclinate che quelle di sinistra, e sono costituite dalle conoidi glaciali e postglaciali delle correnti appenniniche e subbappenniche, le quali espandendosi si sono fuse col prisma di dejezione padano. Questi tratti inclinati di pianura si confondono insensibilmente alla loro volta, spe- cialmente ove i terreni sono più sciolti, colle falde delle colline; il quale fatto si verifica pure sulla sinistra del Po, alle falde meridionali e occidentali della collina di S. Colombano. Passando alle colline, dà alcuni ragguagli sulla natura litologica delle rocce dalle quali sono costituite, della varia vegetazione che ne dipende, osservando come la coltivazione e lo sfacelo meteorico abbiano dato al terreno un aspetto assai uniforme, e quindi reso difficile lo sce- verare i vari tipi litologici. Sull’idrografia di queste colline si limita ad accennare ad alcuni nodi orografici dai quali si dipartono i diversi corsi d’acqua. Dall’esame orografico in rapporto colla composizione del suolo deduce poi che il modellamento di queste colline, in generale poco compatte, sia dovuto in gran parte all’efficacia erosiva delle meteore e dei corsi d’acqua dopo la loro emersione dal mare terziario. Accennando alla presenza d’affioramenti di terreni assai più an- tichi e più elevati in mezzo a formazioni molto recenti, nota quelli di terreni miocenici a S. Cipriano e a Portalbera, messi a nudo ed in parte distrutti dal Po. Nella presenza di tali affioramenti potrebbe scorgersi una traccia delle antiche orografie. Collegando questi due af- fioramenti ai colli pliocenici pavesi, che protendendosi verso l’asse della valle padana formano il così detto sprone di Stradella, e alla collina di S. Colombano che le ultime alluvioni quaternarie hanno separato dai colli subappenninici, fa rimarcare come risulti più manifesto l’allineamento orografico e stratigrafìco verso Nord-Est di questi colli, allineamento che continua pure nei terreni isocroni dal Brenta al Tagliamento e che è assai significativo nell’erogenesi della valle del Po. Della regione montuosa passa a rassegna i più importanti rilievi che delimitano i bacini più elevati della provincia pavese. Osserva che le valli non sono precisamente valli di frattura; non esclude però che durante il corrugamento post-eocenico di quelle masse, non siasi for- mato un primo tracciato di fratture, che furono poi ampliate e svisate dall'erosione meteorica e fluviale; ma aggiunge che non ha trovato tracce di esse nè in corrispondenza nè in vicinanza degli attuali corsi — 391 — d’acqua ; ritiene quindi indipendenti i dettagli idrografici dalla dire- zione e dalla posizione delle fratture geologiche, ma vincolati invece alla varia natura litologica delle formazioni erose ed alla loro dispo- sizione. Da queste condizioni fa pure dipendere i vari tipi di paesaggio che presenta l’Appennino bobbiese. Chiude il capitolo una rivista particolareggiata della letteratura geo- logica su questa regione. Nel secondo capitolo sono esposte le osservazioni geognostiche più im- portanti fatte nella pianura e sulla collina di S. Colombano alla sinistra del Po. Cominciando dalla Lomellina, alla destra del Ticino, l’Autore nota l’al- luvione quaternaria del secondo periodo glaciale o degli anfiteatri more- nici, assai bene delineata da profondi terrazzi che lasciano dal loro ciglio scorgere la composizione e la disposizione degli elementi di questo de- posito geologico. Sotto le sabbie grossolane ocracee superficiali si os- servano sabbie finissime micacee che egli ritiene alluvione padana; in varie località esse si alternano con un limo argilloso, e più sotto si trova un banco d’argilla plastica giallognola, come quella che si de- positò in più luoghi alle falde dell’Appennino. L’Autore opina che questo alternarsi di depositi corrisponda all’avvicendarsi tra le piene dovute a più abbondante disgelo, e la torbida padana causata dai con- fluenti di destra che attraversavano zone di terreni assai sciolti. Nota inoltre la presenza di rialzi o monticoli di terreno ocraceo-sabbioso che, una volta assai numerosi, vennero poi appianati per lavori agrari; egli ritiene si colleghino a quelli esistenti alla sinistra del Ticino, ed in vicinanza di Pavia, presso Corte Olona, e alle falde della collina di S. Colombano, e rappresentino i resti di un prisma di defezione pro- veniente dalla valle superiore del Po, il quale si continuava sempre a Nord dell’attuale corso di questo fiume sino ad investire il colle di S. Colombano. Alluvioni più recenti formate dai corsi d’acqua provenienti dal disgelo della massa glaciale verbana avrebbero circondati ed erosi i resti di quella più antica dejezione. Questo fatto sarebbe confermato dallo spostamento della corrente principale padana verso Sud in causa dello espandimento della dejezione dei confluenti alpini. Fa però no- tare l’Autore che questo spostamento non durò che fino alla prima fase del periodo dei terrazzi, mentre negli ultimi tempi, e specialmente negli storici, questo spostamento s’invertì, essendo divenute prevalenti le alluvioni appenniniche. A questa prevalenza avrebbe contribuito la presenza dei laghi subalpini che, liberi dai ghiacci, ricevettero gran 392 — parte delle defezioni postglaciali rendendo meno attivo il trasporto del materiale. Il suolo di questa zona terrazzata della Lomellina è prevalente- mente costituito da terreno argillo-sabbioso leggermente ocraceo, ricco’ di quarzo e di feldspato, proveniente dai graniti del Lago Maggiore e dai porfidi che formano la zona da Arona a Cossato. Sotto le allu- vioni fangose e sabbiose si trova sempre sabbia e non ghiaia : in vi- cinananza però del ciglio del terrazzo verso il Ticino si trovano, risa- lendo, le ghiaie la cui grossezza e potenza va aumentando proce- dendo verso Vigevano, e gli elementi sono propri delle alluvioni ver- bane di sinistra mescolati ad elementi amfibolici e serpentinosi pro- venienti dalla parte destra delle alluvioni medesime. L’andamento della corrente che depositò queste ghiaie doveva, secondo l’Autore, essere- molto analogo a quello del Ticino postglaciale, poiché quando questo' fiume si inalveò allo sbocco del suo anfiteatro morenico, dove i terrazzi misurano oltre 100 metri, dovette projettare le alluvioni grossolane a valle secondo una zona a cui corrispose poi il terrazzamento nel periodo postglaciale, così che il Ticino avrebbe terrazzato le proprie alluvioni.. Questo inalveamento del Ticino produsse il trasporto di materiali grossolani fino presso Pavia e alla sua foce nel Po, e da esso l’Autore fa pure dipendere il lavaggio delle sabbie quaternarie e l’adunarsi in zona determinata delle sabbie aurifere, avvenuto specialmente nelle ul- time fasi del terrazzamento. Venendo ai dintorni di Pavia osserva ripetersi qui in generale quanto si osserva nei terrazzi della Lomellina. L’altitudine media delle alluvioni terrazzate sul letto attuale del Ticino è di 25 metri. I ma- teriali colla profondità non vanno aumentando in grossezza; prevale anzi sempre più la sabbia sino a raggiungere, alla profondità di circa 16 metri sotto il ciglio dei terrazzi di sinistra del Ticino, un piano di argilla azzurrognola, verdastra, micacea, contenente spesso torba. Questo piano argilloso è assai esteso; si trova fino alla continenza del Ticino col Po, e probabilmente abbraccia tutta l’area piana a Nord del ter- razzo di quest’ultimo fiume. L’argilla plastica e finamente micacea proverebbe, secondo l’Autore,, quello stato palustre del basso piano padano che si verificava nelle prime defezioni dei confluenti così appenninici come dalle fronti glaciali, cessato quando defezioni più grossolane vennero a toccarsi e a sovrap- ponisi. Anche in questa zona dì pianura pavese si nota la presenza di rilievi sabbiosi, ocracei che seguono l’allineamento di quelli della — 393 — Lomellina, rappresentanti la continuazione cieli’ accennato prisma di de- jezione padana. La collina di San Colombano è in gran parte costituita da sabbi- molto ocracee, talora alternanti con argille non fossilifere e con quale che banco di ghiaie. Questi terreni coprono una massa di argille ma- rine azzurre ed ingiallite esse pure, che si presentano a preferenza ad Est del rilievo verso Miradolo e S. Colombano. Molte vallecole lo in- cidono, fra le quali quella di Val Bisserà, che mette allo scoperto la parte più profonda del deposito marino ed una massa di calcare ma- dreporico in gran parte esportato come pietra da calce. Mentre però la massa dei terreni superiori si presenta ovunque orizzontale, il deposito, sicuramente marino, sottoposto, ha una inclina- zione prevalente a Nord. Secondo l’Autore questo rilievo si presenterebbe come risiduo di un terrazzo alluvionale, nel quale si riconosce il passaggio dalle allu- vioni appenniniche alle alpine, coprente un deposito marino. Se poi questo rilievo rappresenti un residuo di piano alluvionale conti nuantesi colle analoghe sabbie gialle dell’alta valle padana profondamente abrase; o sia invece intervenuto in questa regione un sollevamento in relazione coll’ultimo movimento della massa appenninica, l’Autore non saprebbe decidere: ritiene però probabile piuttosto il secondo che il primo caso, e forse anche che l’abrasione ed il sollevamento abbiano contribuito a produrre quest’isolato residuo di terrazzo avente un nucleo di rocce marine plioceniche a Sud-Est, e sostenuto da rocce mioceniche a poca profondità, come lo dimostrerebbero le sorgenti di acqua salata a Mira- dolo e il calcare miocenico di S. Cipriano e Portalbera. Sembra pertanto certo che il deposito marino della collina di S. Colombano, come risulta dai fossili, sia da ritenersi più recente delle argille e conglomerati fossiliferi dei colli subappenninici ; ed il deposito alluvionale che costituisce in gran parte la collina medesima sia po- steriore alla definitiva emersione dei lidi pliocenici, almeno in questo tratto della valle padana, ma anteriore al periodo degli anfiteatri mo- renici formati dai ghiacciai allo sbocco delle principali valli alpine: pone quindi queste antiche alluvioni a livello del ceppo di Lombardia. Quanto alle alluvioni del piano vogherese, fa rilevare la loro pen- denza più pronunciata presso la collina, e come queste ricoprino di certo un largo affioramento di argille petrolifere e salifere a non grandi profondità. Da dati raccolti nei dintorni di Voghera sulla pro- fondità della zona acquifera, rilevasi che queste alluvioni sono più po- tenti ove si combinano le alluvioni padane colle defezioni dei torrenti — 394 — appenninici. Tale zona corrisponderebbe ad una formazione palustre coeva e forse anche in continuazione con quella delle sponde del Tio cino e dell’Olona. La natura di queste alluvioni, come dipendente dalla costituzione geologica delle vicine colline, è in prevalenza calcareo- marnosa. Nel terzo capitolo è fatta una rapida rivista delle colline subap- pennine, ritenendo il limite tra queste e la regione montuosa segnata dalla zona dei conglomerati miocenici. Cominciando da ponente, l’Autore descrive le colline che stanno tra il Curone e la Staffora. In queste osserva che gli strati pliocenici in- clinano regolarmente versò il piano con pendenza maggiore per gli strati più antichi, e che le argille sabbiose che ne formano la parte superiore sono sensibilmente diverse da quelle di Miradolo e S. Co- lombano. Seguono conglomerati fossiliferi e molasse calcar eo-quarz ose con zona basilare di marne fogliettate analoghe ai tripoli. Sotto di que- sto, verso la Staffora, si hanno i gessi di Sales, di Eio Cagnarello e di Monte Alfè, con zolfo nativo e con marne salate e calcari concrezionati presso Godiasoo. Verso il Curone, sotto a queste rocce affiora in discor- danza la zona serpentinosa con calcari marnosi a fucoidi, e verso la Staffora le argille scagliose. Partendo da queste argille di fronte a Go- diasco, risalendo sino a Monte Vailazza, si attraversa una zona poten- tissima di marne scialbe corrispondente alla roccia che i geologi te- deschi chiamano Schlier, Sono marne biancastre provenienti dallo sfacelo di roccia marnosa più compatta a nuclei selciosi. Esse rappresentereb- bero il normale sedimento della prima fase dell’epoca miocenica. Nella loro parte inferiore si frappongono dei conglomerati ofìoli- tici passanti abrecciole con alcune Robuline e Nummulites. Queste rocce aggregate, che certamente rappresantano il Bormidiano, affiorano in banchi verticali a Pozzol del Groppo. Nella loro parte superiore le marne sabbiose si fanno più calcari con sviluppo graduato di fauna a carattere litorale, i cui fossili ca- ratteristici, assai abbondanti e ben conservati specialmente nel Rio Se- mola di S. Ponzo, indicano un deposito del miocene medio. Tutta que- sta serie del miocene inferiore e medio inclina prevalentemente a Sud sino presso il Monte Vallazza dove sta rialzata un poco verso Nord per continuare ondulata nei colli rimpetto a Varzi. Dalla rivista che l’Autore fa delle colline fra la Staffora, lo Scu- ropasso. e la vai di Nizza, risulta che il terreno eocenico ne forma il sot- tosuolo quasi sino al piano. Esso consta di calcari, di galestri gran- demente estesi e di arenarie con calcari fossiliferi alla base verso il Nord; — 395 — ma non vi hanno serpentine. 11 miocene occupa due grandi zone: Tuna dalla valle dello Schizzola va sino al Castello di Montalto; l’al- tra dalla stessa valle, per Fortunago e Costa Galleazzi si congiunge con un ampio lembo più meridionale dello stesso terreno, che occupa le valli di Ardivesta e di Nizza e si estende fino a Zavattarello ai con- fluenti occidentali del Tidone. Questo terreno si compone alla base di arenarie micacee, di marne scialbe e di molasse lignitifere con rare alternanze di conglomerati che fan seguito a quelli di Pozzol del Groppo. Le marne scialbe continuano in alto con pochi fossili e con grande potenza sino alla comparsa delle mollasse calcaree con pettini di Monte Calcinara, Pizzocorno, Oramala e Pietra Gavina, formando la continua- zione della zona di S. Ponzo. Superiormente ancora vengono calcari marnosi salati a Lucina pomum , e le argille a Pleurotoma che in un lembo isolato si trovano sottostanti al conglomerato pliocenico nella valle del Rile di Retorbido. Segue tosto in discordanza tanto col miocene che colPeocene la zona gessifera, colle annesse marne fogliettate e colle are- narie a filliti, nelle quali presso a S. Giuletta, a Monte Arzolo, ed in altre località, si sono formate per azione endogena geodi di calcedonia, stalattiti silicee e druse di calcite. Sopra sta l’arenaria fossilifera dei dintorni di Casteggio con molluschi marini e tronchi di vegetali; a questa probabilmente paralleli si stendono i conglomerati, che si pre- sentano con una considerevole potenza, specialmente allo sbocco delle valli dello Schizzola e della Staffora, accennando a due talus pliocenici. Questi conglomerati si attenuano ad Est, ed un ultimo lembo si trova a S. Giuletta. Essi sono coperti di argille e mollasse fossilifere, spettanti al pliocene inferiore, e non corrispondono completamente alla fauna, pure litorale, ma di scogliera corallina, di S. Colombano. Allo sbocco dello Schizzola e parallelamente al Po, a 60 e 40 metri sul fondo delle valli vi sono lembi di alluvioni terrazzate con resti di pachidermi. Le osservazioni fatte dall’Autore nell’ultimo tratto di colline fra lo Scuropasso ed il confine orientale della provincia confermano che qui, come più a levante, manca la serie delle marne scialbe, dei calcari marnosi petroleiferi e salati, delle molasse e dei conglomerati del mio- cene, mentre l’eocene colle sue varie rocce, meno le serpentine, si pro- tende assai verso il piano. Ricorda le molte filliti e le larve di libel- lule nelle cave di gesso di Montescano, le quali risultano appartenere a specie più prossime alle plioceniche, e osserva come la zona gessifera si appoggi in discordanza sul calcare marnoso eocenico nelle colline di Stradella, Pietra de’ Giorgi e altrove. Da tutte le osservazioni fatte in queste colline rimangono accertate 27 — 396 — le discordanze tra l’eocene ed il miocene inferiore, e tra il miocene a Lucina pomum e la zona gessifera, che per la sua flora e per la posi- zione stratigrafica si collega col pliocene piuttosto che col miocene. Ammette poi al confine orientale delle colline pavesi il lembo di una vòlta, che ha la sua prosecuzione nella vicina provincia di Piacenza. A questa curva non partecipano, o assai poco, le rocce plioceniche in- clinate generalmente verso l’asse della valle padana. Nel quarto capitolo sono raccolte tutte le osservazioni geognostiche fatte dall’Autore nella regione montuosa del circondario di Bobbio. Pre- mette che, non ostante la scoperta di inocerami nel letto della Staffora sopra Bosmezzo, e di un’impronta di frammento di ammonite raccolta nello stesso torrente, non credette di dovere indicare la esistenza della formazione cretacea nella provìncia, sia perchè non è molto rassicurato dal limite cronologico che si volle imporre agli inocerami o agli am- monitidi, sia perchè, anche dato che siano cretacei gli strati a inoce- rami, non ne ha bene ancora precisato l’area di affioramento. Afferma invece l’esistenza d’una zona nummulitica inferiore alle serpentine presso S. Martino di Bobbio, quindi queste e la zona ove sono comprese, come le rocce tra questa zona e le arenarie mioceniche di Varzi e Zavattarello, ossia la massima parte dei terreni che costi- tuiscono le montagne di quella regione, sono certamente eoceniche. Passa quindi a descrivere le varie formazioni che si presentano in questa zona montuosa, notandone tutte le particolarità di giacimento, i rapporti stratigrafici e le varie specie di rocce che ivi affioravano. Ri- guardo alle roccee ofiolitiche così sviluppate in quella regione crede, in seguito ad ulteriori osservazioni, di dovere modificare le opinioni da lui emesse sulla loro genesi in precedente lavoro su questo argomento *; senza però voler formulare una nuova ipotesi crede opportuno di esporre i seguenti fatti come argomento a future deduzioni : 1° La zona serpentinosà è compresa tra le sottostanti arenarie a nemertiliti, con schisti marnosi, col calcare nummulitieo e col calcare marnoso infraofiolitico, ed una massa più recente di altro calcare mar- noso, del pari a fucoidi, il quale forma i rilievi più elevati della regione, quali il Lesima ed il Monte Alfè. 2* Le masse serpentinose sono in banchi ed in amigdale più o meno ravvicinate e sempre alternate con rocce calcareo-marnose od are- nacee o schistose. Queste non hanno subito alcun metamorfismo al con- 1 Vedi Boll. R. Comitato Geologico, anno X, 1879. — 397 — tatto colla roccia ofiolitica, sia questa serpentina ofiolitica, od eufotide, od agglomerato granitico o calcareo-ofiolitico, od iperite passante al gabbro rosso. La zona serpentinosa presenta le rocce più comuni del Flysch senza tracce di molluschi, le quali però possono anche essere state distrutto; ma offre frequenti impronte di anellidi, di fucoidi e resti di vegetali carbonizzati. 3° Le rocce arenacee schistose o calcareo-marnose, annesse alle rocce ofiolitiche non accennano ad un mare estremamente profondo. 4° Il galestro non è ad immediato contatto colla serpentina; però è sempre poco lontano e stratificamente a questa superiore. Si alterna pur esso colle rocce del Flysch , ed affiora anche dove mancano le ser- pentine. 5° Il gabbro rosso, di assai varia composizione, comunissimo spe- cialmente presso Rovegno e a Fontanigorda, sembra derivare o per lo meno è in stretti rapporti con un’ iperite fibrosa passante a ranoc- chiaia, ad oficalci, ad ofisilici. 6° L’eufodite è in amigdale ed in rocce, così nella serpentina come negli strati marnosi, schistosi ed arenacei. Alcune volte il diallagio è sostituito dalla serpentina. 7° Gli agglomerati granitici e calcareo-ofiolitici formano amigdale e forse anche filoni di riempimento : i ciottoli calcarei non vi sono giam- mai metamorfosati. 81 Non si osservano mai vere dicche paragonabili a quelle di lava, di porfido o di basalti, e nemmeno a quelle di granito entro gneis. 9a Le masse serpentinose furono variamente e ripetutamente in- frante e rilegate, prima con steatite e con crisotilo, poi con silice e più spesso con calcite. 10° Il complesso delle rocce chiamate ofiolitiche (magnesifere, o feldispatiche, o pirosseniche) non hanno esercitata alcuna influenza sulle rocce che le comprendono, nè meccanicamente, nè chimicamente; Sibbene le une e le altre furono variamente modificate da fenomeni molecolari; vennero sollevate, infrante e contorte in modo assai diverso, d’onde l’apparenza di azioni di meteomorfismo chimico, di salti e di spostamenti falsamente attribuiti alle rocce credute eruttive. Espone in seguito il risultato delle analisi chimiche e microsco- piche eseguite dal prof. Cossa sopra varii campioni di rocce ofiolitiche e di granito deH’Appennino bobbiese, dalle quali risulta come tanto le serpentine che i graniti di questi monti differiscano da quelli delle Alpi. Per porre in accordo la descrizione geologica della regione bob- biese colle conoscenze attuali sulla geologia dell’ Appennino settentrio- 398 — naie, nel quinto capitolo l’Autore da un succinto resoconto delle più importanti pubblicazioni di molti geologi su questo argomento, cercando che dal confronto tra le loro osservazioni e quelle da lai fatte ne ri- sulti una serie applicabile pure alla regione descritta. Nel capitolo sesto l’Autore, riassumendo in ordine cronologico le vicende del suolo che derivano dalla descrizione geologica della pro- vincia pavese, non che dalle osservazioni fatte su altre regioni del- l’Appennino settentrionale, osserva dapprima, che la questione sull’e- poca cretacea o eocenica di alcune formazioni più profonde dell’Appen- nino bobbiese non è di grande importanza, notando che il rinvenimento d’impronte d’ammonite in roccia arenacea nella valle della Staffora è sporadico, e che del resto lo ammettere anche un affioramento cretacea a tipo orobico-toscano in qualche punto di questa valle, non altera il concetto sull’indole dei fenomeni esogeni ed endogeni che devono essere avvenuti nella regione esaminata. Nota inoltre che gli inocerami raccolti nell’alta valle della Staffora provengono da strati eocenici in- dubbiamente più recenti dei banchi nummulitici rinvenuti a S. Martino. Per la tenuità poi di questi banchi, per la prevalenza in essi di specie recenti (Nummulites Biarritzensis) e per la loro associazione a rocce del liguriano tipico, l’Autore ammette che queste rocce inferiori alla zona ofiolitica appartengono anch’esse all’eocene superiore o tongriano rappresentando il Flysch delle Alpi settentrionali ed orientali. Questo potente e vario deposito arenaceo-schistoso accenna a non grande profondità marina sia per la natura aggregata di gran parte delle sue rocce, che per la presenza di fuscelli carbonizzati. Le fucoidi, le nemeitiliti, le reticulipore, i zoofiti, e qualche impronta di bi valva rappresentano la fauna di questo fondo marino. Senza escludere che molti resti organici sieno stati distrutti da un metamorfismo per so- luzione, subito da queste rocce, le condizioni batimetriche e fisiche di quei paraggi certamente furono raramente le più opportune alla vita marina. Nella seconda fase del periodo liguriano (tongriano od eocene su- periore) succedette un abbassamento della regione ; incominciò il de- posito dei calcari a fucoidi e si produssero le roccie ofiolitiche, formate alla base di serpentina bastitica con amigdali e vene di eufotide, più in alto di conglomerati calcareo-ofiolitici, quindi da massi e macigni granitici, e terminato superiormente dai gabbri rossi colle roccie ipe- ritiche. La formazione calcareo-ofiolitica si trasformò nell’altra argil- loso-calcarea, ed argilloso-arenacea del galestro che è pur essa strati- ficata. La mancanza in essa di rocce aggregate grossolane che si trovano — 399 — nelle zone sottostanti alle rocce ofiolitiche, prova che il fondo marino rimaneva ad un livello sempre inferiore a quello che si aveva all’aurora del tongriano. Probabilmente le terre non erano molto lontane e cor- rispondevano all’attuale Tirreno; però alcuni fuscelli carbonizzati di- mostrano che nell’area in esame affiorava qualche terra. La potenza dei sedimenti tongriani, comprese le rocce ofiolitiche, non sarebbe in- feriore a 1500 m. Alla fine del tongriano intervenne il sollevamento o corrugamento dei continenti attuali, il quale proseguì gradatamente fino ai primordi del periodo degli anfiteatri morenici. Si formarono allora i nuclei delle aree attuali circondate da alluvioni: si formarono i conglomerati e le mollasse ofiolitiche del bormidiano, che nell’area studiata sono esclu- sivamente marini. Nel periodo langhiano la regione pavese andava di nuovo som- mergendosi progressivamente, ma partecipò pure al movimento generale delle attuali aree continentali che produsse le depressioni tra i vari sistemi montuosi. Si era così abbozzato un bacino di mare separato dal bacino sarmatico da terre abbastanza alte ed estese. Al prevalente e uniforme deposito di marne scialbe di questo periodo si alternavano per forze esogene e per oscillazioni secondarie brecciole e mollasse ser- pentinose. Comincia a questo livello la zona petroleifera nella quale l’Autore vede il concentramento degli idrocarburi prodotti dalla decomposizione di vegetali terrestri e marittimi sepolti nei sedimenti terziarii più antichi. Nel seguente periodo dell’elveziano o serravalliano si ha un nuovo sviluppo nella fauna marina e si formano gli interessanti depositi delle mollasse calcaree di S. Ponzo, Pizzo Corno ed Oramala. L’epoca miocenica si chiude coi depositi del tortoniano formati di molasse con grosse Lucine e superiormente di marne a pleurotome, che nel pavese solo si presentano presso Retorbido. Succede una lunga emersione che da a quest’area condizioni orografiche più prossime alle attuali. Durante questa emersione ha luogo la formazione gessoso-sol- fifera che nell’area pavese si depone in acque dolci o salmastre, con intervento di complesse reazioni chimiche per emanazioni endogene. La flora di questi depositi ha carattere decisivamente pliocenico. Sui letti fangosi e sabbiosi che coprirono questi depositi si depo- sero rocce marine arenacee, calcari o molassiche, nelle quali pure si ve- rificarono fenomeni di silicizzazione e di infiltrazione di vapori sol- forosi. Successivamente, quasi in corrispondenza dello sbocco delle valli at- tuali, ma assai meno profonde, si estesero le conoidi torrenziali del — 400 pliocene antico nel mare che occupava allora aree che presentemente sono a 500 m. di altitudine. Questo mare occupava presso a poco la de- pressione padana sino alla sua origine e sino alla regione euganea al- lora già emersa. Secondo l’Autore fu questo del pliocene un periodo continentale di lun- ga durata nel quale forse ebbero parte i ghiacciai alpini. Nell’area studiata la potenza di questo deposito è considerevole, specialmente in corrispon- denza agli sbocchi delle principali vallate. L’uomo non era ancora com- parso, ma bensì i mammiferi eli specie e di genere ora spenti: nel mare si aveva uno fauna litorale di basso fondo simile all’attuale del Mar Rosso. L’azione del terremoto venne a sconvolgere quei sedimenti non che i terreni precedentemente sollevati ed erosi. In questa alluvione plio- cenica l’Autore riconosce un sistema di scoscendimenti allineati anziché un sistema di vòlte e di sinclinali. Gli strati nella regione pavese stanno allineati colle stesse formazioni del Trevigiano, del Friuli, volgendo pre - valentemente a Nord-Ovest. Questo spostamento delle pianure e dei lidi del pliocene antico ridusse in contini più ristretti il golfo adriatico pa- dano ed il livello marino a meno di 200 metri sopra le spiagge at- tuali. A questo periodo del pliocene recente (astiano) spettano i depo- siti di S. Colombano. Proseguendo intanto ii sollevamento di questo bacino, i torrenti ap- penninici ed il Po estesero le loro alluvioni. Si formarono nelle valli alpine i bacini lacustri, che l’Autore crede indipendenti dalle cerehie mo- reniche che solo ne regolarizzarono il perimetro a valle, mentre il terraz- zamento di esse cerehie e le alluvioni quaternarie dipendenti determi- inarono il livello attuale delle acque. Si svilupparono intanto i ghiacciai nelle Alpi e, stendendosi poco oltre le fronti moreniche, occuparono i bacini lacustri impedendone l’interrimento Le acque copiose di disgelo delle fronti dei ghiacciai produssero le correnti che dalle morene verbane, da quelle del*ramo luganese del Làrio e della Brianza portavano nell’alto novarese e so- pra Milano le più grossolane e inclinate alluvioni, mentre nel basso piano, prima allo stato palustre, si formava per l’interrimento delle correnti quella pianura livellata ad elementi in prevalenza sabbiosi ed argillosi. Queste alluvioni sono attestate dai rilievi sabbiosi ocracei nella pianura che si veggono allineati in rialzo sulla sinistra del Po e che sono circondati da alluvioni pure quaternarie ma più recenti. Elefanti, rinoceronti, cervi a grandi corna, buoi, cavalli abitavano queste pia- nure. I corsi d’ acqua in grande piena mutavano spesso il loro decorso, — 401 — ma infine, modificata l’orografia di regioni più meridionali, si muta- rono anche le condizioni climatologiche; si ebbe un periodo di siccità nel quale cominciò il terrazzamento; si individuarono raccogliendosi in letti più profondi, le principali correnti; i piani si prosciugarono; si espan- sero i tahis appenninici respingendo il Po verso settentrione; ed infine 1 regione si ridusse alle condizioni attuali contribuendo alle ultime tras- formazioni del suolo la mano dell’iiomo. La quantità del graduale sollevamento dell’area esanimata risulta dal seguente prospetto altimetrico, fatta però astrazione da un molto probabile abbassamento postglaciale: Monte Lesina, eocene superiore, 1726 metri. Castello di Pietra Gravina, langhiano, 842 metri. Monte .Rocca Susella, pliocene inferiore, 548 metri. Colle di S. Colombano, pliocene superiore, 130 metri. Chiude il capitolo una breve esposizione delle principali relazioni stratigrafiche della massa dei terreni affioranti nella provinciale la se» guente serie dei terreni stessi disposti in ordine cronologico: Zona arenaceo-schistosa a nemertiliti con ' banchi nummulitici - Fonti minérali. 1 Gabbro rosso e roccie iperitiche - Minerali I di rame. Liguriano^Tongriano ). Agglomerati calcareo - ofiolitici. Agglomerati granitici. Serpentina, ofiolite bastitica, otite, eufotide. Alberese, che comprende la zona ofiolitica. Galestro (Argille scagliose) e calcari a fu coidi (Modenese). Conglomerati e molasse ofiolitiche, lignitifere; marne schistoser arenarie micacee (Bormidiano). Marne scialbe a Pteropodi e molasse, con straterelli di conglome- rati ofiolitici (Langhiano). Calcari arenacei e molasse a Becten denudatus e Balani (Elve- ziano). Marne a Pleurotomia, calcari marnosi a Lucina \ zona petroleifera (Tortoniano). Molasse arenarie con filliti, calcari tufacei, marne foglietta te, gessi con zolfo nativo (Messiniano). Argille sabbiose, molasse carboniose, arenarie e conglomerati fos- siliferi (Piacentino inferiore-Tabiano). Argille marine di S. Colombano con banchi madreporici (Astiano)* — 402 — j Sabbie sciolte alternate con argille; formano rilievi nell’altipiano terrazzato e sì appoggiano ai terreni terziarii. Ghiaie in genere minute cogli elementi assai alterati; presso ai § terrazzi corrispondono all’ idrografia attuale. Sabbie più o meno argillose a seconda dell’abbondanza dei fel- w \ dspati e della subita coltivazione. S Argille più o meno marnose; le più antiche con banchi di torba compatta ricoperta da 20 a 30 metri di alluvioni più grosso- lane comprendevano probabilmente gli ossami quaternari tra- volti dal Po. I Ghiaie passanti a sabbie; sabbie aurifere del fiume Ticino; pre- valgono il feldspato ortose ed il quarzo nella valle del Ticino; il quarzo e l’anfibolo in quelle dell’ Agogna e della Sesia; i ^ feldspati e la selce piromaca con alquanti calcari in quelle g { dell’Olona e del Lambro; i calcari marnosi, con rare ofioliti ^ 1 nei talus appenninici. I Sabbie più o meno argillose, quarzose, micacee, feldspatiche. ! Argille più e meno sabbiose. Nel settimo ed ultimo capitolo l’Autore fa un esposizione detta- gliata di tutte le rocce e minerali applicabili alle industrie, che rin- vengonsi nella provincia pavese, corredata di molti dati sulla loro ubi- cazione ed importanza, non che delle acque minerali che abbondano in «ssa. Una carta geologica a colori, nella scala di 1,200000 ed assai det- tagliata, accompagna questa importante monografia. Congrès géologique International. — Compte renda de la 2me session, Bologne 1881 — Bologne 1882. il fatto importante del secondo Congresso geologico internazionale, tenutosi in Bologna nel mese di settembre 1881, riceve ora il suo com- pimento con la pubblicazione del Rendiconto, il quale forma un bel Tolume in-8° grande di pag. 661, arricchito di molte tavole litografate in nero ed in colori. Questa interessantissima pubblicazione è dovuta in gran parte alla attività del prof. Capellini, Presidente del Congresso, abilmente coadiuvato dai due segretari del medesimo signori Delaire e Fontannes: oltre di — 403 avere atteso alla direzione generale del lavoro, alla quale il prof. Capellini portò cure speciali, devesi al medesimo il primo capitolo che tratta della parte storica del Congresso; mentre i due segretarii si occuparono più particolarmente dei lavori dal Congresso stesso compiuti nella breve sessione di Bologna, come pure di tutti i particolari riguardanti la Esposizione geologica, le escursioni in Toscana ed il concorso internazio- nale sulla coloritura delle carte geologiche. Nello stesso volume poi sono contenuti in extenso , e nella loro lingua originale, i rapporti inviati dai comitati nazionali alle commissioni internazionali istituite nel 1878, ai quali fanno seguito i riassunti di alcuni rapporti individuali sopra la unificazione della nomenclatura e dei procedimenti grafici. Non è qui il caso di entrare in dettagli nè sulla organizzazione del Congresso, nè sui suoi lavori, nè sui risultati utili del medesimo, essendo il tutto stato riferito nel nostro Bollettino l. Basterà solo ac- cennare come, contemporaneamente alle sedute generali nelle quali erano discussi i principii della nomenclatura dei terreni e relativa coloritura delle carte, furono tenute durante il Congresso delle conferenze su ar- gomenti scientifici di alto interesse, e che i riassunti di alcune di queste figurano nel Rendiconto insieme ad altre comunicazioni ; come, ad es., una memoria del prof. Szabò sulla classificazione monografica delle trachiti di Ungheria, ed altre dell’ing. Bornemann sulla classificazione delle forma- zioni antiche di Sardegna, del signor Rolland sul terreno cretaceo e sulle grandi dune di sabbia del Sahara settentrionale e del sig. Wilkinson sulla geologia della Nuova Galles del Sud. In generale possiamo dire senza tema di esagerazione che questo vo- lume di Rendiconto riesci degno sotto tutti i rapporti dell’importante avvenimento che esso ricorda, e come tale riscòsse ben meritate lodi do- vunque venne esaminato e in special modo all’estero. La parte materiale di esso poi è stata eseguita con la massima accuratezza, tanto per il testo che per le tavole, ed è riuscita tale da fare veramente alla onore' nostra industria tipografica e litografica. 1 V. la Relazione del Presidente prof. Gl. Capellini nel Bollettino 1881, fascicola N. 9-10, pag. 363. 404 — Membri componenti il R. Comitato Geologico Meneghini Giuseppe, prof, di geologia nella R. Università di Pisa, Pre- sidente. Capellini Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Bologna. Gemmellaro Gaetano Giorgio, professore di geologia nella R. Università di Palermo. Ponzi Giuseppe, professore di geologia nella R. Università di Roma. Scacchi Arcangelo, professore di mineralogia nella R. Università di Napoli. Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, Imola. Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto Tecnico Supe- riore di Milano. Baulina Giovanni, direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Cossa Alfonso, già direttore della Stazione agraria sperimentale, ora professore di chimica alla R. Scuola di applicazione per gli ingegneri in Torino. Giordano Felice, ispettore capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta Geologica Direzione superiore. — Ing. Giordano, ispettore capo nel R. Corpo delle Miniere; Ing, Pellati, ispettore. Ufficio geologico centrale. — Ing. Zezi (Capo dell’ ufficio, segretario del Comitato Geologico e redattore del Bollettino ); Ing. Sormani. Aiu- tanti : Man ara, Perrone, Moderni. Geologi operatori. — Ingegneri: Baldacci, Lotti, Cortese, Zaccagna. Aiutante: Fossen.- Incaricati tempor ariamente di lavori diversi. — Ingegneri: Zoppi, Mazzetti, Travaglia. Prof. Cossa, incaricato dell’analisi delle rocce. Ing. Mattirolo, collaboratore del prof Cossa. Dott. Canavari, paleontologo. — 405 — INDICE delle materie contenute nel Bollettino del 1882. (Volume decimoterzo o terzo della 2a serie) Lavori della Carta Geologica Pag. 3 Id. Td » 81 Id. Id » 307 MEMORIE ORIGINALI. E. Cortese. — Sulla formazione dello stretto di Messina » 4 C. De Giorgi. — Appunti geologici e idrografici sulla provincia di Salerno 30 B. Lotti. — Sulla dosimetria del rilievo delle Alpi Apuane » 55 Id. — Sulla separazione degli scliisti triassici da quelli paleozoici nelle Alpi Apuane » 82 B. Meli. — Le marne plioceniche del Monte Mario » 91 E. Niccoli. — La frana di Castelfrentano nel 1881 » 96 E. Cortese. — Brevi cenni sulla geologia della parte N.E. della Sicilia. » 105 E. De Giorgi. — Appunti geologici e idrografici ecc. (Continuazione), . » 137 R. Meli. — Sulla zona di fori lasciati dai litodomi pliocenici nella calcaria gi urese di Fara Sabina » 149 E. Cortese. — Brevi cenni sulla geologia ecc. ( Continuazione ) » 161 B. Lotti. — Il nummulitico nella parte media decisola d’Elba e i suoi rap- porti colle rocce feldspaticbe ed ofìolitiche . » 189 N. Pellati. — I travertini della campagna romana » 196 D. Zaccagna. — I terreni della Val di Nievole fra Monsummano e Monte- catini. » 235 R. Meli. — Ulteriori notizie ed osservazioni sui resti fossili rinvenuti nei tufi vulcanici della provincia di Roma » 260 E. Cortese. — Brevi cenni sulla geologia ecc. ( Continuazione e fine). . » 308 R. Meli. — Ulteriori notizie ed osservazioni ecc. ( Continuazione e fine). » 358 I). Zaccagka. — I terreni della Val di Nievole ecc. (Continuazione e -fine) » 368 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. A. Cossa. — Ricerche chimiche e microscopiche su roccie e minerali d1 Italia. (1875-1880) — Torino 1881 . » 57 M. S. De Rossi. — La meteorologia endogena — Tomo II. — Milano 1882 » 59 Bibliografìa mineralogica e litologica per Tanno 1881 » 62 L. Gatta. — L’ Italia, sua formazione, suoi vulcani e terremoti. — Mi- lano 1882 ....»- 102 E. Nicolis — Note illustrative alla Carta geologica della provincia di Ve- rona. — Verona 1882 » 221 G. G. Gemmellaro. — ■ Sul Trias della regione occidentale della Sicilia. — Roma 1882 » 230 A. Tommast. — Il Trias inferiore delle nostre Alpi coi suoi giacimenti me- talliferi. — Il Pizzo dei Tre Signori. — Milano 1882. . . » 280 — 406 — F. Salmoiraghi. — Appunti sui materiali naturali per costruzioni e decora- zioni edilizie. — Milano 1882. » 281 Id. — Alcune osservazioni geologiche sui dintorni del lago di Co- mabbio. — Milano 1882 » 286 F. Taramelli. — Descrizione geologica della provincia di Pavia con annessa carta geologica. — Milano 1882 » 389 Oompte rendu du Congrès géologique international, 2me session à Bologne 1881 » 402 NOTIZIE DIVERSE. Esecuzione della carta geologica d’Europa decisa al Congresso di Bologna. » 155 Società Geologica Italiana » 28/ Elefante fossile nel Parmense » 287 Carta Geologica dell’Europa. — Riunione delle Commissioni internazionali a Foix (Pirenei) nel settembre 1882 » 289 TAVOLE ED INCISIONI. Carta Geologica dello stretto di Messina » 39 Tavola di sezioni annesse alle medesima » 39 Figure schematiche annesse alla medesima. 10,12,13 Tavola di sezioni nella provincia di Salerno » 55 Sezioni geologiche nelle Alpi Apuane » 88 Sezione a Castelfrentano (Abruzzi) » 97 Tavola di sezioni nella provincia di Salerno 149 Quadro d’insieme della Carta geologica d’Europa » 160 Sezione geologica nell’isola d’Elba » 192 Carta dei giacimenti di travertino nella campagna romana e dintorni . . » 221 Tavola di sezioni geologiche in Val di Nievole » 260 Tavola di sezioni della parte N.E. della Sicilia. 352 Tre tavole con vedute di cave di tufo litoide presso Roma j> 366 PARTE UFFICIALE. Verbale dell’adunanza 9 marzo 1882 » 2 Relazione annuale dell’ispettore capo al Comitato Geologico sul lavoro della Carta geologica d’Italia. (1881-82) » 9 Appendice A. Elenco delle Carte inviate dall’Ufficio geologico al Congresso di Bologna. (1881) » 28 Id. B. Elenco sommario del materiale scientifico e degli oggetti di mobilio dell’Ufficio geologico alla fine del 1881 » 32 Commissione per il progetto di legge sulla Carta geologica. -- Verbali delle sedute 6, 7, 8 marzo 1882 • » 37 Allegati relativi ai verbali precedenti » 59 Elenco del personale del Comitato ed Ufficio geologico » 404 Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1882. (Voi. III della 2a serie! » 405 BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie lla Anno .Ij.° 1882 ATTI UFFICIALI. BOLLETTINO DEL E. COMITATO GEOLOGICO.. PARTE UFFICIALE. Verbale dell’adunanza 9 marzo 1882. La seduta è aperta alle ore 10 ant. Sono presenti i signori : Prof. Meneghini presidente, prof. Capellini, prof. Cossa, prof. Gemmellaro , prof. Stoppani , Gen. Mayo , Ing. Giordano Ispettore delle miniere. Il presidente incita l’ispettore Giordano a dar conto dei lavori compiuti nel 1881 e di quelli progettati per il 1882. Giordano presenta le bozze di stampa della sua relazione, od espone sommaria- mente quanto in essa si contiene. (1) I lavori in grande scala fatti nel 1881 non sono che la continuazione del rilevamento in corso delle tre regioni Sicilia, dintorni di Roma ed Alpi Apuane. Lo stato del rilevamento può vedersi nel complesso delle carte che furono esposte nell’aula del Collegio Romano. La Sicilia è ora rilevata interamente e solo restano a farsi alcune verificazioni generali sull’Isola, delle quali ora è principalmente incaricato l’ing. Baldacci come il più provetto e rimasto nell’Isola. Rimaneva poi ancora a farsi il rilevamento delle isole minori, salvo quello di Lipari rilevata già dall’ ing. Cortese. Dice che una carta della Sicilia alla scala di 1 : 500,000 è ora pronta per la pubblicazione e lo sarebbe pure quella al 100,000. Presenta il saggio di trasporti fatti eseguire .qui in Roma dai rami dell’Istituto to- pografico, tanto della Sicilia intiera al 500,000 quanto di una parte, di essa al-100,000, ed espone come con questo sistema la pubblicazione alla scala del 100,000 in 28 fogli, comprese le tavole di sezioni e le memorie, importerebbe una somma di 60,000 lire. Altra spesa di poco rilievo importerebbe quella al 500,000, che potrebbe farsi anche' subito. Siccome poi la parte N. E. della Sicilia si collega assai strettamente per la 1 La relazione è riportata in seguito al presente verbale. — 4 — costituzione geologica coll’ estremità della Calabria, talché lo studio dell’ una parte è necessario pel compimento di quello dell* altra, cosi si è pure dovuto intraprendere il rilevamento di parte di quest’ ultima, e ne fu incaricato lo stesso ing. Cortese, che avea lavorato in quella parte orientale dell’ isola. Venendo alle Alpi Apuane, dice che il rilevamento ne, è ormai compiuto, ma che si credette bene di estenderlo ad alcune parti del Pisauo e del Lucchese, regioni im- portantissime anche per la geologia delle stesse Alpi Apuane e di cui fortunatamente l’istituto topografico ci fornirà ancora la carta al 25,000. Si proseguì pure il rilevamento dei dintorni di Roma, ad onta del poco perso- nale disponibile, giovandosi anche dell’opera di alcuni aiutanti, ed ora la regione ri* evata si estende per un raggio di più che 30 chilom. dalla città. Quanto ai lavori di rilevamento dell’lglesiente in Sardegna, osserva che la sco- perta di nuovi fossili del Cambriano e di alcuni lembi del Trias avendo complicato la tettonica di quella regione, si esigeranno ancora nuovi stridii e nuove ricerche per decifrarla, tuttavia, questo studio, essendo fatto dagli ingegneri stessi addetti al ser- vizio del distretto, potrà, come nei decorsi anni, farsi ultimare senza aggravio al fondo per la carta geologica, salvo quando si verrà alle pubblicazioni delle carte e rela- tive memorie ed illustrazioni. Passando alla Carta generale d’Italia al 500 mila, osserva che, oltre a parziali ricogni- zionè da farsi, vi sono parecchie lacune da riempiere, sia per potere mettersi in grado di pubblicarla al più presto, sia anche per la pronta compilazione di quella in minore scala che dobbiamo fornire per la pubblicazione della Carta d’ Europa a Berlino. Osserva che i geologi operatori dipendenti dal Comitato sono ora divenuti assai pochi di numero, tanto più che alcuni dovettero lasciare il servizio speciale. Converrà quindi all’ occorrenza il ricorrere alla cooperazione di altri geologi per potere ottenere l’in- tento. Desidererebbe pure che fosse proseguito lo studio petrografico e chimico delle rocce che, mercè l’opera del Prof. Cossa con l’ ing. Mattirolo, è stato già intrapreso per le rocce serpentinose, di cui si potè ammirare la bella collezione al congresso di Bologna. Cossa. Osserva che egli ben volentieri si presterà, purché non gli manchino i mezzi per quel lavoro. Giordano prosegue. Quanto agli studii paleontologici sarebbe pure bene che si pubblicassero delle monografie, almeno per i fossili nuovi che furono scoperti negli ultimi lavori geologici, come sarebbero quelli ultimamente rinvenuti in Sardegna, studiati del prof. Meneghini e che avrebbero rivelata l’esistenza in Italia di una fauna primordiale poco prima non conosciuta. Meneghini. Fa osservare a questo proposito come egli, che per l’ incarico accettato e facendo seguito al suo antico lavoro paleontologico sulla Sardegna in unione al Lamar- mora, studiò quei fossili, ne ha già pure disegnate parecchie tavole, di cui due sono ormai litografate. Ove il Comitato credesse la loro pubblicazione opportuna, esso po- trebbe fornire il lavoro da lui eseguito, purché ne venisse fatta dal Comitato la pub- blicazione; nel quale caso la spesa potrebbe riuscire assai limitata, riducendosi alla sola tiratura. Giordano. Osserva che simile pubblicazione sarebbe opportunissima, tanto più che non essendo di gran mole potrebbe annettersi come complemento del 3° volume — 5 — delle Memorie del Comitato rimasto malamente incompleto. E così, finito tale vo- lume, si sarebbe poi in grado di iniziare nel quarto le memorie relative alla carta in grande scala della Sicilia e di altre regioni già rilevate. Il Comitato appoggia vivamente tale proposta. Giordano. Riprende la relazione ricordando i molti lavori di tavolo eseguiti nello scorso anno specialmente per la preparazione di tante carte che figurarono al Con- gresso di Bologna, e pei quali si impiegarono abili e pazienti disegnatori non larga- mente retribuiti. Nè vuole dimenticare il lavoro della bibliografia geologica d’Italia che da tempo si sta formando e che ora già comprende parecchie migliaia di schede, le quali servirono anche in parte alla compilazione del bel volume stampato in oc- casione del Congresso. Capellini. Riconosce la somma importanza di questo lavoro fatto dall’ ufficio geolo- gico e dichiara che riesci utilissimo per pubblicare il volume. Giordano. Prendendo a parlare del materiale scientifico dell’ ufficio geologico de- plora ancora la mancanza di locali, per cui si è costretti di tenere in casse molti materiali raccolti, fra cui le collezioni che accompagnano i rilevamenti, ed alcune ri- cevute in dono ia occasione del Congresso e che furono lasciate a Bologna colle ve- trine relative. Qui crede bene di osservare come le molte ed importanti collezioni che furono donate da forestieri o da nazionali al museo di Bologna e ad altri istituti dello Stato in occasione di quel Congresso, rappresentano una somma che non è inferiore a 40,000 lire, cioè al sussidio avuto dal Parlamento per il Congresso stesso. Quanto ai locali per l’ufficio e per le collezioni, accenna al nuovo fabbricato de- stinato per le collezioni agrarie e geologiche, nonché per 1’ ufficio, presso la Chiesa della Vittoria in Via Santa Susanna, nel quale però non si è ancora dato l’ordine di trasferire la sede dell’ufficio stesso, motivo per cui continua l’impossibilità di una siste- mazione e di un migliore ordinamento. Quanto al personale della Sezione geologica, deve osservare che il numero dispo- nibile di geologi si è ridotto, sia per ragioni di salute che per altre cause, a 6 o 7. Crede poi opportuno di fare rilevare che nell’organico attuale questi ingegneri della sezione geologica sono meno bene trattati di quelli dei Distretti minerarii, poiché a parità di stipendio, questi hanno un servizio meno faticoso, parecchi jdi loro hanno indennità per le spese d’ ufficio o incarico d’ insegnamento con speciale retribuzione mensile; quelli invece costretti gran parte dell’anno alle dure fatiche di campagna in località inospiti, non risentono vantaggio pecuniario, le indennità di campagna non co- prendo generalmente le spese che sono costretti ad incontrare. Desidera quindi che il Comitato interessi il Ministero a prendere in ispeciale considerazione gl’ingegneri del servizio geologico affinchè sieno meglio compensati, evitando così che il personale in così difficili condizioni non venga poi a mancare. Rammenta quindi che le spese che si dovettero incontrare lo scorso anno, spe- cialmente in occasione del Congresso, superarono alquanto la somma ordinaria. Tale circostanza però non era impreveduta, avendone egli avvertito preventivamente il Mi- nistero ed il Comitato stesso, il quale avea perciò raccomandato al Ministero qual- che aumento di fondi pel 1881: ma il Ministero rispondeva non potersi ciò ottenere. Ricorda intanto che le varie carte, specialmente del Bolognese e della Spezia e altre, — 6 — state stampate con sistemi diversi, servirono anche come studìi' preliminari per deci- dere sul miglior sistema da adottarsi poi nella pubblicazione delle nostre carte. Si è principalmente per la stampa di tutte queste carte, stampa d’altronde assoluta- mente necessaria, che si eccedette nella spesa. Per questa eccedenza di spese verificatasi nello scorso anno, dice che esso ebbe già assai vive rimostrazioni dal Ministero; desidera quindi che il Comitato faccia ri- sultare al Ministero medesimo la necessità assoluta dei lavori fatti, tanto per il con- gresso di Bologna, quanto pel più rapido progresso della nostra Carta geologica. Stopparti. Dice che bisogna fare risaltare al Ministero gli impegni che si erano assunti dal Comitato, indipendentemente dalla somma data dal Governo per il Con- gresso, e che si approvi l’operato. Il Comitato appoggia vivamente la mozione. Giordano venendo a parlare delle spese per il corrente anno 1882, dice che la somma messa dal Ministero in bilancio è sempre quella dello scorso anno, di circa 61000 ' lire, delle quali una certa parte già rimarrebbe impegnata, come fu detto, per saldare le spese del 1881. Si deve poi ancora nel 1882 provvedere per i lavori necessarii a preparare la Carta geologica per Berlino e gli incombenti pel prossimo Congresso internazionale. Sembra che il Ministero intenda di provvedere con somma a parte per quanto concerne simili lavori internazionali. Ma intanto resta sempre ancora da perfe- zionare la Carta d’insieme dell’ Italia al 500.000, al che devesi provvedere col fondo or- dinario. Nota però che essendo ormai terminati i lavori di rilevamento in grande scala della Sicilia, si avrà da quel lato un grande risparmio nelle spese, onde spera che, ove il Ministero provveda con somma speciale a quanto concerne la carta geologica d’Europa, si potrebbe coi fondi che restano nel corrente anno terminare nelle parti essenziali il rilevamento in grande scala delle tre regioni state prescelte, ed oltre ciò un lavoro geologico-minerario sull’ Elba oggidì vivamente reclamato. Intanto risulte- rebbe così preparato molto materiale per importanti e regolari pubblicazioni di carte e memorie, le quali però esigerebbero fondi maggiori nel prossimo anno. Meneghini ricorda che fra le lacune da colmarsi nella Carta geologica al 500,000 vi è quella delle provincie di Parma e di Piacenza. Prega il Giordano a leggere una lettera colla quale il prof. Taramelli si offre ad eseguire questo rilevamento : egli ri- tiene sarebbe convenientissimo di accettare questa proposta. Giordano dà lettura della lettera: osserva poi che vi sono pure altre domande- consimili tra le quali una appoggiata dal prof. Omboni di un giovane geologo che si offrirebbe di fare il rilevamento della Prov. di Vicenza, mediante un sus- sidio. Evidentemente nello stato delle cose, simili domande per carte provinciali non si possono soddisfare che in strettissimi limiti, stante la mancanza di fondi. Gemmellaro ritiene che a tale riguardo non si debbano prendere impegni se non quelli che hanno per iscopo di completare al più presto la Carta geologica al 500.000, e ciò tanto per la ristrettezza dei mezzi quanto in vista delle nuove disposizioni che si potranno prendere in seguito alla nuova istituzione proposta dalla commissione che si occupò testé del progetto di legge per la Carta geologica. 1 V. più avanti i verbali delle sedute della Commissione, — 7 Stopparli non vorrebbe s’ interrompesse per nulla l1 andamento attuale dei lavori in vista di un nuovo progetto che è ancora nell’ avvenire. Capellini accetta la proposta che si prendano impegni unicamente al riguardo di riempire le lacune e purché 1’ incarico sia dato a geologi competenti come è il caso del prof. Taramelli. Stoppani ritiene che tutti i lavori che tendono a migliorare la carta in pic- cola scala con verifiche, siano un vero vantaggio e si debba quindi approvare la proposta. Il Comitato accetta la proposta del prof. Taramelli alle suindicate condizioni, 'escludendo per ora le altre, principalmente per deficienza di fondi, Giordano espone una domanda del prof. Varisco, il quale chiede un complemento di sussidio per coprire in parte le maggiori spese incontratesi per la stampa della sua carta del Bergamasco, alla quale era stato accordato un sussidio di L. 500. Il Comitato in massima è favorevole, limitatamente ai fondi disponibili. Giordano espone altra domanda del Signor Nicolis di Verona, il quale chiede un contributo per stampare la sua Carta geologica del Veronese. Questa Carta fu as^ sai lodata a Bologna, e se ne occupò anche in una sua seduta tenuta a Pisa la nuova Società Geologica italiana, la quale decise di tenere a Verona la sua riunione au- tunnale del 1882, onde la stampa di simile carta avrebbe ora il vantaggio della op- portunità. Capellini appoggia la domanda. Il comitato appoggia la domanda senza stabilire la somma, raccomandando però che la medesima sia limitata proporzionatamente al pochissimo fondo disponibile in -quest’ anno. Giordano espone come il Dottor Foerstener, il quale sta rilevando la Pantelleria in grande scala, con accompagnamento di un accurato studio petrografìco, lavoro sul quale già nel Bollettino venne stampata una nota preliminare con piccola cartina, ha offerto di dare il suo lavoro completo, purché il medesimo sia stampato con carta alla scala di 1/25.000. Siccome il lavoro è molto importante, e servirebbe a comple- mento della carta della Sicilia, risparmiandoci una spesa notevolissima, crede si po- trebbe accettare con riconoscenza. La domanda Foerstener è vivamente appoggiata dal prof. Gemmellaro che conosce il lavoro, e poi dal Comitato intiero. Giordano parla quindi della probabilità che il Comitato geologico debba pre- starsi ad agevolare il compito della giovane Società geologica, la quale deve intraprendere la pubblicazione di un suo Bollettino. L1 appoggio consisterebbe in questo che il Bollet- tino del Comitato si riducesse a rendere conto soltanto dei proprii lavori, per lasciare a quello della Società la pubblicazione di tutti i lavori generali di geologia dei varii autori. Intanto, potendo essere così diminuita d’ alquanto la spesa di pubblicazione del Bollettino del Comitato, si potrebbe all1 occorrenza accordare alla Società un certo sussidio proporzionato al risparmio fatto. Stoppani è di parere che V Istituto geologico, quando avesse intrapreso a stam- pare regolarmente i suoi lavori, non dovrebbe più occuparsi degli altri a se estranei e potrebbe appunto lasciarne fare il resoconto alla Società geologica ; non appoggia però il sussidio, e desidera l’assoluta indipendenza dalla Società. Meneghini si dichiara pure contrario ai sussidio. — 8 — Capellini desidererebbe che se la Società avesse deficienza di mezzi alla fine d’anno sapesse di avere le simpatie del Comitato : egli sarebbe quindi favorevole al sussidio in determinati casi ma senza impegni. Il Comitato dichiara in massima che senza prendere impegni, sarà lieto di prestarsi per lo sviluppo della Società geologica. Giordano propone al Comitato di decidere quale sia l’ordine da tenersi nelle fu- ture memorie descrittive per la serie dei terreni sedimentarii e per le tabelle dei me- desimi. Il Comitato crede si debba tenere nelle memorie descrittive l’ordine cronologico, cioè dal più antico al più recente, e per le tabelle dimostrative quello inverso cioè dal più recente al più antico, per modo da simulare la disposizione naturale. Giordano chiede al Comitato che raccomandi al Ministero la pubblicazione de lavori in corso stati sopra descritti, quando sieno ultimati. Il Comitato approva ad unanimità. Giordano parla della domanda di un sussidio pel proseguimento degli studi sul Vulcanismo italiano e relativo Bollettino dal prof. De Rossi, la quale già nello scorso anno era stata appoggiata dal Comitato. Il sussidio a ciò necessario nei primi anni, dietro un computo fatto col prof. Tacchini, potrebbe essere di circa settemila lire. Tale domanda l’anno scorso rimase insoddisfatta per mancanza di fondi, ora persistendo la necessità di un provvedimento, richiede il parere del Comitato. Il Comitato appoggia la domanda, purché ben inteso il sussidio non pregiudichi il fondo già scarso destinato per quest’ anno ai lavori della Carta geologica. Giordano venendo a parlare del promesso concorso dell’ Italia all’ opera e spese della Carta geologica d’Europa, espone come la Direzione di Berlino non chiedesse alle singole nazioni interessate una somma in denaro a fondo perduto, ma di impe- gnarsi a prendere a suo tempo un dato numero di copie a L. 100 caduna. Il mini- mum indispensabile era di 100 copie per le grandi nazioni, ma siccome con tale nu- mero non era assicurato il buon successo del lavoro, le stesse nazioni erano invitate ad impegnarsi fin da principio ad un numero in più delle cento. La posizione spe- ciale dell’ Italia in simile opera le imporrebbe di mostrarsi piuttosto generosa. Il Comi- t/ìto crede di raccomandare al Ministero di volersi impegnare per un numero di copie in più delle prime cento, in modo da fare onore all’ impegno in cui si trova in questa circostanza il nostro paese. Meneghini parla di un lavoro del prof, d’ Achiardi intitolato : I metalli , loro mi- nerali e miniere , presentato all’ Accademia dei Lincei per concorrere al premio reale e che ebbe dalla commissione un giudizio assai favorevole. Quest’ opera utilissima potrebbe venire pubblicata, se l’editore fosse sicuro di esi- tarne un certo numero di copie. Desidererebbe quindi che si chiedesse al Mini- stero che s" impegni per un certo numero di copie, od altrimenti per un sussidio di 800 lire. Il Comitato appoggia la mozione che sia fatta domanda o di un sussidio o dei- fi acquisto di copie. Segue la esposizione e fi appoggio di alcune raccomandazioni accennate nel rap- porto stampato dell’ ispettore Giordano e relative ad occorrenze di vario genere per fi andamento dei lavori, tra cui è da notare, la ristampa delle due annate 1872 9 — e 1873 del Bollettino geologico, ora interamente esaurite, e di cui si ha continua domanda. Giordano , prima di sciogliere la seduta, si permette di esprimere a nome del Co- mitato al generale Mayo che lascia ora la Direzione dell’ Istituto topografico, un voto di ringraziamento perii concorso attivo ognora da lui prestato al Comitato, e lo prega di raccomandarlo al suo successore, esprimendo principalmente il desiderio per la solle- cita pubblicazione della Carta d’Italia al 500.000, reclamata da tanti bisogni. Mayo risponde ringraziando ed esprimendo l’interessamento dell’Istituto topo- grafico a coadiuvare, come già fece in quanto lo concerne, ai lavori geologici, e spera si possa anche soddisfare al più presto all’ espresso desiderio per la suddetta carta al 1/500.000. La seduta è levata alle ore 12. Il Presidente II Segretario finn. G. Meneghini finn. P. Zezi Relazione annuale dell’Ispettore Capo al Comitato geologico SUL LAVORO DELLA CARTA GEOLOGICA (1881-82). Presento al R. Comitato l’annuale rapporto sul lavoro della Carta Geologica, ri- ferentesi al decorso anno 1881 e al da farsi nello entrante 1882. Come già dicevo al principio del rapporto dello scorso anno, credo ormai inutile ripetere ora quanto già venne altre volte esposto circa all’origine e ragione del piano di lavori che si dovette adottare per la Carta geologica in grande scala, il quale consisteva nel dettagliato graduale rilevamento del territorio valendosi delle nuove mappe dell’Istituto topografico, cominciando da certe regioni di speciale interesse per cui già tali mappe esistevano, mentre intanto dovea perfezionarsi al più presto una Carta geologica generale in piccola scala. Sarà piuttosto il caso di estendersi alquanto sui lavori già in corso, specialmente sui mezzi di loro pubblicazione, nonché sul ri- sultato del Congresso Geologico internazionale che ebbe luogo con felice esito nello scorso autunno in Bologna, in quanto simile evento poneva da ora innanzi una parte dei nostri lavori in più diretta ed intima relazione con quelli delle altre nazioni. Operato nel 1881. Pilevamenti in grande scala. — In quanto concerne la Carta a grande scala , i lavori del decorso 1881 doveano essenzialmente consistere nel proseguire il rilevamento delle tre regioni negli ultimi anni incominciate, cioè la Sicilia, dintorni di Roma ed Alpi Apuane, oltre al compimento di uno studio speciale del terreno paleozoico del circondario d’ Iglesias in Sardegna. Vi furono inoltre, senza parlare della Carta generale in piccola scala, diversi studi speciali, come quello delle roccie serpentinose d'Italia e la preparazione e stampa di varie carte, delle quali talune per la circostanza del Congresso di Bologna. — 10 — La massima parte dei lavori eseguiti in quest’ultimi tempi dairUfficio Geologico erano del resto esposti in tale occasione nel Museo di Bologna insieme a quelli di varii professori e cultori della geologia italiana, e quantunque pel frazionamento dei locali non potessero abbracciarsi nel loro complesso, era tuttavia possibile formarsene un concetto da cbi li volle esaminare. Yi era poi di essi un apposito elenco (cbe viene riprodotto in appendice) l’esame del quale può bastare a darne un’idea. 1 2 Se si avesse un locale adattato per 1 Istituto Geologico, si potrebbe fare esibi- zione a momento opportuno delle varie carte già preparate, e così anche averne sti- molo per ottenere i mezzi necessari alla loro pubblicazione, la quale certo non si può coi mezzi attuali intraprendere e debitamente eseguire. Al rapporto dello scorso anno avevo unito diversi diagrammi litografati, indicanti lo stato dei lavori nelle varie regioni. Li stessi possono ancora servire estendendovi semplicemente la tinta del rilevamento fatto sino al limite cui era giunto alla fine dell’anno 1881. La Sicilia intanto era già tutta rilevata al fine d’agosto, e la sua carta figurala a Bologna in 3 scale diverse, cioè: al 1/50,000, al 1/100,000, ed al 1/500,000. Vi erano inoltre nelle cartelle le tavolette del rilevamento originale alla scala maggiore del 1/25,000 il quale venne eseguito su buona parte dell’Isola, e di cui le suddette tre carte esposte non erano che riduzioni. Quest’isola che comprende, senza le isole minori, circa 25,500 chilometri quadrati (un decimo dell’Italia intera) era stata inco- minciata nel 1877 con tre operatori e finita poi con raggiunta di altri tre. a La carta al 1/50,000 occupava una parete di circa metri 5 e mezzo in quadratura. Un quadro stampato annesso alla carta, dimostrava il lavoro eseguito dai singoli operatori, l’area da essi rilevata, i giorni impiegati, ed il numero dei chilometri percorsi su vie di va- rio genere. In totalità ne risultava per l’indicata area di 25,500 chilometri quadrati l’impiego di 2452 giornate di campagna, con la percorrenza di 89,300 chilometri gran parte a piedi od a cavallo, oltre a 27,700 chilometri di accessi e recessi sulle ferro- vie. Con ciò si ha una media di chilometri 2,42 per chilometro quadrato, e colle fer- rovie chilometri 3,505. — La scientifica direzione, sovratutto in quanto concerne la pa- leontologia, era sempre affidata al professore Gemmellaro dell’Università di Palermo, che pure adibiva alle ricerche dei fossili alcuno dei suoi aiuti delhUniversità istessa. Restavano solo a farsi alcune verificazioni generali, nonché il rilevamento delle isole minori. Però già la Lipari delle Eolie veniva rilevata dall’ing. Cortese, il quale estese pure le sue escursioni alla adiacente Calabria 5 e quanto alla Pantelleria si ebbe dal geologo straniero dott. Foerstner un suo studio che pure figurò a Bologna. Ora nella carta generale dell’ Isola così disegnata a varie scale, bene appariva come la medesima comprenda un ricco complesso geologico, una sintesi di quasi tutti i terreni geologici italiani, dalle roccie cristalline antichissime sino al quaternario, con un ric- chissimo, sviluppo di formazioni basaltiche e vulcaniche, e con il più grandioso ignivomo tuttora attivo nell’Etna. 1 Vedi Appendice A. 2 Gli ingegneri Baldacci, Mazzetti, Travaglia, poi Cortese, Anseimo e l’aiutante Cassetti. — 11 La scala di colori adottata fu quella trovata più conveniente dopo molte prove Latte anclie in accordo agli studi su tale oggetto praticati in vista della unificazione negli altri paesi. Dei dintorni di Roma venne proseguito il rilevamento sulla carta al 1/25,000 -dell’Istituto topografico sin dove la medesima esisteva pubblicata, cioè da un lato sino al mare, dall’altro sin sopra ai monti di Tivoli ed alla valle del Correse. A questo la- voro dei dintorni della capitale non si potè mai applicare un apposito personale, ma vi lavorò l’ing. Zezi deirUffizio Geologico saltuariamente con qualche aiuto quando non vi erano altri lavori d’urgenza. L’area rilevata al fine del 1881 era tuttavia di 2800 chilometri quadrati, che ol- trepassa i due fogli n. 149 e 150 della mappa generale d’Italia. A Bologna era espo- sta la Carta rilevata, sia al 1/25,000 che alla scala ridotta del 1/100,000 sui due an- zidetti fogli che, come per la Sicilia, esistevano già stampati da rami ottenuti per elet- trotipia. Nelle Alpi Apuane il rilevamento cominciato nel 1879 con 1’ opera degli inge- gneri Lotti e Zaccagna ed aiutante Fossen, sotto la scientifica direzione del prof. Me- neghini, venne ornai compiuto verso ovest e protratto anche assai verso est nei Monti Pisani e del Lucchese. Il rilevamento è fatto sulla nuova mappa al 1/25,000, la quale sgraziatamente cessa verso nord nei territorii di Fivizzano e Minucciano. Tuttavia la catena veramente detta è ornai tutta compiuta, e solo vi occorrono parziali revisioni in varii punti. L’area rilevata era al fine del 1881 di 1866 chilometri quadrati. A Bologna era esposta la carta rilevata al 1/25,000 ed una riduzione della medesima sulla carta del 1/75,000, non esistendo ancora per questa regione quella al 1/100,000. Tali carte erano accompagnate da sezioni trasversali molto interessanti che ne mostravano le ripetute e complicate ripiegature degli strati. Fra le carte esposte a Bologna vi era pure quella al 1/25,000 del Golfo di Spe- zia, che fa seguito immediato alla catena Apuana verso ovest, carta presentata dal professore Capellini che studiò da più anni quella località, e la rivedeva da ultimo con l’aiuto dell’Ing. Zaccagna. Della medesima località era pure esposta una carta stampata al 1/50,000, con curve in bistro a guisa di saggio in vista di future pubbli- cazioni, come sarà detto più sotto. La Carta geognostico-mineraria del territorio iglesiente in Sardegna, stata rilevata sul posto al 1/10,000 era presentata a Bologna ridotta a tre scale cioè il 1/25,000, il 1/50,000, e 1/100,000. Lo studio di questo terreno delle antiche epoche paleozoiche sconvolto da tanti movimenti, presentava notevoli difficoltà, ma ne studiava la pa- leontologia lo stesso Prof. Meneghini che già tanto avea collaborato col Lamarmora nella opera classica sulla Sardegna. Cogli ingegneri del Distretto 1 che avean fatto questo rilevamento nei decorsi 1 Questa carta è opera degli ingegneri stati addetti negli ultimi anni al servizio minerario di Sardegna, signori Testore, Zoppi, Lambert, Deferrari, ed aiutanti Gam- bera, Moderni, Lentini. 12 — anni avea poi anche collaborato l’ lng. privato Bornemann possessore di miniere nella località medesima. I trilobiti ed altri fossili ritrovati non solo confermarono V esistenza del terreno siluriano, ma palesarono quella del cambriano, e superiormente al medesimo di varii lembi del trias. La scoperta del cambriano complicò, almeno apparentemente, la tecto- nica di quella regione, onde si esige qualche nuova ricerca per interamente decifrarla. — Intanto i nuovi fossili paleozoici della Sardegna, ed alcuni delle Alpi Apuane stu- diati ultimamente dal Prof. Meneghini, costituiscono un documento interessantissimo di cui converrebbe fare al più presto la pubblicazione, appena si possa riprendere la stampa delle Memorie del Comitato. Ora seguitiamo con la rivista di alcuni altri lavori. Carte speciali. — Come venne esposto nel rapporto dello scorso anno, fra i la- vori preparati pel Congresso di Bologna, ma che interessavano in pari tempo un ramo specialmente importante della geologia nostra, vi era uno studio delle roccie- serpentinose italiane che dovea essere concretato nel rilevamento molto dettagliato di alcune delle masse più caratteristiche, combinato con lo studio petrografico e chimi- co di numerosi campioni delle medesime. Assai si fece per tale oggetto, ed infatti nel Congresso di Bologna la posizione e la genesi delle serpentine fu argomento di speciale seduta e conseguenti discussioni, non che poi di apposite escursioni ad alcune delle nostre località dove tali roccie si presentano più adatte allo studio. In fatto di di carte speciali in grande scala vi figuravano fra quelle eseguite dietro incarico del- 1’ Ufficio geologico, la carta del Monte Ferrato presso Prato rilevata dall’ lng. Ca- pacci, e quella delle serpentine di Levanto in Liguria dell’ lng. Mazzuoli e Prof. Is- sel, ambedue al 1/10,000, accompagnate da memorie. Vi era inoltre la carta di quelle della provincia di Pavia del Prof. Tarameli!, ed infine una piccola carta generale d’I- talia presentata dall’Ufficio geologico, con sopra indicata la distribuzione di tutte le masse serpentinose delle varie epoche, illustrata da una memoria dell’ lng. Pellati. Circa allo studio petrografico sarà detto più sotto. Per terminare con le carte speciali vanno anzitutto menzionate le due dell’Ap- pennino Bolognese e dei Monti Livornesi al 1/100,000, compilate sugli studi del Prof. Capellini e che doveano servire principalmente di carte-guida alle escursioni dei congressisti, come anche quella della località di Castellaccio presso Imola del sena- tore Scarabelli, che dovea servire per la progettata escursione a quel luogo. Tali carte occorrendo in gran numero di esemplari, erano state stampate e poterono così distri- buirsi ai membri del Congresso. Come pure fu distribuita quella del Golfo di Spezia al 1/50,000, con curve, già sopra menzionata. Erano poi ancora esposte a Bologna diverse altre carte di provincie o regioni, opera di privati geologi e di cui vi era l’ elenco nella guida all’ Esposizione stessa stata compilata in quella occasione, insieme a quella delle buone e ricche col- lezioni di fossili e roccie state inviate al Museo. Di tali carte alcune erano stampate,, fra cui giova citare le due recenti cui aveva contribuito per la stampa il Comitato con un tenue sussidio, ed erano quella del Friuli al 1/200,000 del Prof. Taramelli stampata in Udine, e quella del Bergamasco al 1/75,000 del Dott. Varisco stampata a Bergamo. — 13 — Senza discorrere del merito geologico di tutte le carte esposte a Bologna in que- sta occasione del Congresso, credo opportuno fare ira rimarco su quelle state stam- pate, come sono le due anzidette del Friuli e Bergamasco, e di quelle già sopra ci- tate dei Monti Bolognesi e Livornesi con rappresentazione dei monti mediante due modi diversi di pastello, quella della Spezia con curve in bistro, e infine quella d’I- talia al milionesimo di cui sarà detto più sotto, pure coi monti a pastello. Le quat- tro carte ultime inviate dall’ Ufficio geologico, vennero stampate nello stabilimento litografico Virano e Teano in Roma, e nell’ ordinarne la stampa con sistemi di rap- presentazione topografica alquanto diversi, si ebbe anche l’ intenzione di fare saggio •dei diversi sistemi, per essere poi in grado di sciegliere il migliore in caso di future pubblicazioni delle nostre carte. Questi lavori intanto dimostrano come da noi anche l’ arte cromolitografica applicata alle carte geologiche abbia fatto progressi, e che quando si avesse una quantità di lavori da stampare, si sarebbe in grado di fare pub- blicazioni non inferiori a quelle dell’ estero. Carta cT Italia a piccola scala. — Di questa l’Ufficio geologico presentò due cam- pioni, l’una colorata a mano al 1/500,000 l’altra quella cennata poco sopra, stampata alla scala del milionesimo o più propriamente al 1/1,111,111. E ornai superfluo il ripetere come oltre alla carta geologica ia grande scala, la quale deve servire a molti usi pratici, ma esige molti anni di costoso lavoro, oc- corra di avere la carta d1 insieme del territorio in scala minore. In molti paesi questa carta che esibisce a grandi tratti la costituzione geologica e permette così di paragonarla d’ un tratto a quella degli altri paesi, viene fatta anche prima della carta dettagliata, e con l1 opera di sperimentati geologi avvezzi a riconoscere rapidamente le età dei terreni geologici da caratteri generali e dalla paleontologia. In Italia si- mile lavoro, non potè per diverse cause venire intrapreso in modo sistematico e re- golare, ma era tuttavia ornai stato fatto alla spicciolata dai varii geologi che da più anni eransi occupati di varie regioni. E perciò, quando pochi anni sono, si dovette, anche per speciali necessità e convenienze, intraprendere la carta in grande scala di varie regioni più interessanti, si decise di coordinare in pari tempo tutti i lavori editi ed inediti conosciuti sovra una carta in piccola scala cioè al 1/500,000. Questa carta riassuntiva già iniziata da qualche tempo venne questa volta al- quanto più completata e corretta, anche con speciali ricognizioni praticate nelle lo- calità meno conosciute sin ora ; e furono queste eseguite dal prof. Lovisato in Cala- bria, prof. De Giorgi nel Salernitano, dott. Canavari nei Monti della Sibilla e Gran Sasso, dallTng. Zezi in varii punti degli Abruzzi, dal dott. Bucca nei Gargano, oltre a varii altri siti pei quali si ebbero dati, come dai prof. Taramelli e Varisco per il Veneto e Bergamasco, ing. Bruno per i dintorni di Lagonegro ed altri simili. Al compito assai diffìcile di coordinare i diversi rilievi geologici specialmente dell’Alta Italia e delle Alpi, contribuì sovratutto l’ opera volonterosa del prof. Omboni di Pa- dova. La Sicilia stata ornai completamente rilevata, è ora la parte d’Italia più esatta- mente rappresentata. La carta al 1/500,000 risultò dunque ora discretamente corretta, però ben lungi ancora dalla perfezione, e per certe parti non potute visitare nelle provincia meridionali, tuttora molto difettosa. La scala dei colori ne venne molto studiata e quella che infine si adottò, oltre al- — 14 — Tessere in accordo alle norme che già erano state in genere ammesse dalle Sotto- Commissioni incaricate della unificazione delle carte geologiche, riuscì molto adatta- ed armoniosa. Restava però sempre ad avere una buona carta orografica a simile scala. Sgra- ziatamente quella incominciata a pubblicarsi dall' Istituto topografico è lungi dallo- essere finita. Quelle che trovansi in commercio, a scala prossima, sono men che me- diocri. Per ora convenne far uso di una carta francese non molto antica del geografo delle Poste signor Sagansan, che è almeno assai nitida, e che infatti fece buona riuscita. A proposito della Carta generale al 1/500,000, giova rammentare come nel Con- gresso internazionale di Bologna, oltre allo essersi deciso di comporre in comune una Carta geologica d’Europa alla scala ridotta del 1/1,500,000, venne anche votato che ogni nazione fosse invitata a preparare la sua Carta d1 insieme, a scala tripla, cioè appunto al 1/500,000. Era infine stata presentata al Congresso la succitata Carta d, Italia stampata- alla scala di 1/1,11 1 .1 1 1, vale a dire un decimetro per grado. La stampa di una Carta di questo genere sovrattutto per T occasione del Con- gresso, già era stata da tempo proprsta, e poi veniva caldamente reclamata nell’ ul- tima seduta del 6 giugno del Comitato geologico dai signori Stoppani e Pellati. Venutosi però all’ atto presentavasi anzitutto la difficoltà di aver pronta una discreta Carta geografica adattata al caso. Fu poi giocoforza utilizzarne una stata originaria- mente compilata per tutt’ altro scopo, senza montagne e incompleta, che però trova- vasi già incisa su due sole pietre nello stabilimento litografico Virano e Teano, ciò che risparmiava molto tempo e spesa. Convenne però completarla coi monti che non vi esistevano, e con l’indicazione di tutte le località ed altri particolari di speciale interesse per la geologia. La scala dei colori analoga a quella della Carta al 1/500,000 fu studiata e scelta dopo non poche prove e parmi sia riuscita molto conveniente. Dopo la carta o piut- tosto abbozzo pubblicato nel 1846 dal Collegno a scala metà minore, non esisteva ancora una Carta geologica d’Italia alquanto particolareggiata onde la medesima, quantunque certo non perfetta, riuscì molto opportuna. Essa fu tirata a 1200 copie di cui parte con la figurazione delle montagne e parte senza. Ciò permise di farne assai larga distribuzione tanto al Congresso di Bologna che dopo agli Istituti e per- sone cui poteva interessare, e anche di porla in vendita al prezzo assai mite di L. 10 che è poco più del prezzo di costo. Pur troppo, come venne già detto più volte, questa carta non è perfetta, ed ab- bisogna ancora di molte correzioni, le quali si potrebbero introdurre in una se- conda edizione. E simile correzione è ora tanto più necessaria dopo la decisione stata presa nel Congresso di Bologna di compilare una Carta generale d’ Europa, per la formazione della quale ogni nazione deve fornire al più presto il modello della sua carta geologica. Ed inoltre si aggiunge l1 invito di cui sopra è cenno, cioè che ogni nazione abbia pure a presentare al più presto la sua Carta d1 insieme al 1/500,000. Perciò urgerebbe ora non solo di fare altre parziali ricognizioni nelle località dove- esistono le maggiori lacune, ma di procedere anzi ad una revisione generale, condotta da personale capace e coi mezzi opportuni, per darci nel minor tempo possibile una Carta generale da poter anche venir pubblicata. Già più volte e l’anno scorso spe- — 15 — cialmente esposi tale soggetto al Comitato. Ora poi abbiamo argomento maggiore per applicarci all’opera; però non bisogna nasconderci che anche ciò non può farsi con la debita celerità senza una spesa sensibile. I geologi operatori che dipendono dal Comitato sono ora ben pochi di numero, tanto più dopo che per vari incidenti alcuni dovettero lasciare il servizio speciale. Converrà, come del resto già si fece in quanto era possibile coi pochi mezzi a di- sposizione, ricorrere all’opera di altri cultori di geologia che abbiano tempo e salute per dedicarsi alacremente a tale lavoro. La nostra Società geologica italiana potrebbe forse anche riuscire un elemento utile a tale lavoro, come avvenne in altri paesi, qualora facesse concordare le sue forze a quelle che il Comitato geologico vi può consacrare. Io mi debbo limitare per ora ad eccitare l’attenzione su quest’argomento onde venga preso in debita considerazione. Studio di roccie. — Come già fu detto nei precedenti rapporti, lo studio petro- grafìco e chimico delle roccie italiane coi moderni sistemi, lavoro di ben riconosciuta necessità, non potè ancora venire intrapreso in modo metodico dal nostro Istituto geologico, sovratutto per la mancanza di un apposito laboratorio e dell’ occorrente personale. A simile lacuna però suppliva assai largamente l’opera del prof. Alfonso Cossa, membro del Comitato e direttore della Stazione agraria del II. Museo Indu- striale di Torino. Egli intraprendeva lo studio chimico e microscopico di varie tra le roccie cristalline delle Alpi. In occasione poi del Congresso di Bologna si applicò allo studio speciale delle roccie serpentinose, a corredo dello studio geognostico di cui si è sopra discorso stato esposto in varie carte a Bologna. Numerosi campioni di roccie ofìolitiche gli vennero spediti per incarico del B. Comitato dai varii ope- ratori che studiavano le divèrse località d'Italia, e questi vennero dal medesimo stu- diati con l’aiuto anche dell’ing. E. Mattirolo che venne appositamente applicato al suo laboratorio. Il risultato di tali studi venne quindi da lui presentato in un bel volume a stampa corredato di figure colorate, di merito non inferiore a quanto si fa di simile nei paesi più progrediti. Al Congresso di Bologna figurò poi in apposite vetrine, la ricca collezione delle stesse roccie preparate in lastre, sottili di varia am- piezza che numerava circa 2500 campioni delle medesime, di cui 1750 di piccolo for- mato e 750 di grande, oltre ad alcune di grandezza eccezionale. Questo lavoro ebbe il ben meritato successo, mostrando ai numerosi scienziati quanto siasi in questo tempo e con pochi mezzi saputo fare anche da noi. Al Museo di Bologna figuravano anche altre collezioni diverse sulle quali non è il caso di estendersi. Ma va citata per la sua specialità e ricchezza quella dei basalti e lave di Sicilia del prof. Silvestri dell’Università di Catania, i cui lavori del resto sono già ben noti in Italia. . "Paleontologia . — Nel fare cenno dei lavori di rilevamento, sovratutto nelle Alpi Apuane e Sardegna, già si è toccato dell* importante studio dei nuovi fossili di quelle contrade, fatto dal prof. Meneghini, mentre per la Sicilia, i geologi operatori erano sostenuti in questo ramo dagli studi del prof. Gemmellaro oltre che dalle pubblica- zioni del prof. Seguenza. Non è il caso di scendere in questo rapporto a dei partico- lari sulli studi paleontologici, i cui risultati compariranno a suo tempo od in apposite — 16 — pubblicazioni o nelle memorie descrittive delle diverse regioni studiate. Non pochi studi di altri autori contribuirono a rischiarare le difficoltà presentate dalla strati- grafia e di alcuni dei quali venne reso conto nel Bollettino geologico. Si possono tuttavia citare gli studi del dott. Canarari, giovane paleontologo addetto al Comi- tato sotto la direzione del prof. Meneghini, il quale lavorò specialmente ai fossili del Monte Sanvicino, dei Sibillini e del Gran Sasso d’Italia, la cui vetta presenterebbe un lembo triasico. Lavori in ufficio. — Molti furono naturalmente i lavori così detti di tavolo nel- TUfficio geologico, in quest’anno nel qu ile si dovettero esporre tante carte, essendosi ivi dovuto mettere in netto le minute di campagna, e ridurre molte carte dall’ una all’altra scala. L’esame dell’ elenco di cui sopra si fé’ cenno basta a dimostrare quale mole di lavoro abbia dovuto costare la riduzione e coloritura di tante carte, la cui complessiva superficie, senza parlare dei doppi, era di circa 80 m. quadrati, tale cioè da poter coprire le pareti di assai vasta sala. Molto lavoro costarono pure le prove molteplici di colorazione che si dovettero fare su carte diverse, per giungere a stabilire una scala di colori uniforme sia per le carte già rilevate di varie regioni d'Italia, sia per l’ Italia intera, e ciò’ stando in accordo per quanto possibile con gli studi di unificazione che si facevano dalla Com- missione internazionale. Il risultato infatti, come già venne detto poco sopra, fu sod- disfacente assai, la serie adottata essendo riescita conveniente tanto per la chiara di- stinzione dei vari terreni che per l’armonia delle tinte. Tali lavori furono l’opera di abili e pazienti disegnatori non largamente retri- buiti e i quali durarono tuttavia per mesi interi al faticoso compito senza riposo. Nè minore attenzione costò la direzione e sorveglianza della stampa delle varie carte di cui si fece sovra menzione, stampa fatta con diversi metodi di rappresen- tazione topografica ed a modo di studio, tanto pel processo da seguire che per la spesa in vista di future pubblicazioni. Un lavoro ancora va giustamente menzionato fra quelli compiutosi nell’Ufficio geologico, cioè la Bibliografia geologica d’Italia, composta di più migliaia di schede staccate, delle opere di ogni genere esistenti stampate sulla geologia del nostro paese. Il bel volume compilato dal dott. Portis e stampato in occasione del Congresso di Bologna, ebbe la sua materia da volenterosi collaboratori perchè dapprima si avea l’idea che ad ogni opera fosse annesso un cenno del contenuto : ma quando si vide che tale lavoro sarebbe riuscito troppo lungo, si ridusse al semplice indice degli autori ed allora potè anche utilmente contribuirvi la molta materia che da più anni anda- vasi nel detto Ufficio catalogandosi. Collezioni e materiale scientifico. — La persistente mancanza di un locale defini- tivo per l’Istituto geologico, mentre l’attuale Ufficio sempre seguita a tenersi in po- che camere lasciate ad imprestito dalla B. Scuola di Applicazione a S. Pietro in Vincoli, impedì sin’ ora, come pel passato, di avere un impianto regolare, sovratutto per le collezioni ; dovendo così limitarsi a ricevere soltanto una parte di quelle che accompagnano il rilevamento, e ancora queste tenersi nelle casse. E lo stesso dicasi — 17 — della raccolta di materiali utili, specialmente di quelli edilizi che si potrebbe an- cora completare ma che per ora bisogna tenere sospesa in causa di tale deficienza. Anzi diverse vetrine e mobilio preparate per la esposizione delle roccie e fossili al museo di Bologna durante il Congresso, e che spettano all’ Ufficio geologico, si do- vettero ancora lasciare colà per mancanza di locale atto a riceverle. Fra il materiale scientifico ultimamente accresciuto si possono menzionare diverso carte geologiche di varie nazioni (Germania, Svezia e Norvegia, Belgio, Francia, Austria, Svizzera, Colonie olandesi ecc.) cui l’Ufficio ebbe in dono durante il Con- gresso e che vennero ad accrescere la sua raccolta già abbastanza ricca in tal genere. Del resto il sunto deirinventario pubblicato in appendice 1 mostra, in complesso almeno, la consistenza di ciò che ora già si possiede. A questo punto non è interamente fuori proposito il dire che quanto prevedevasi riguardo al Congresso di Bologna, si verificò ampiamente, cioè cl\,e molte e ricche collezioni di roccie, minerali e fossili inviate, tanto da nazionali che forestieri, in tale occasione per completare 1’ esposizione geologica del museo di Bologna, vennero poi donate ed ivi lasciate in deposito. Tra le collezioni estere si menzionano le seguenti : James Hall direttore del Museo delio Stato in Albany (N. York), molte centinaia di campioni di roccie e fossili dei terreni del Nord-America, oltre a numerose se- zioni sottili di fossili per lo studio : Von Moeller a nome dell’Istituto Minerario di Pietroburgo, circa 300 campioni tra roccie e fossili caratteristici della Russia; Szabò di Buda-Pest, collezione delle trachiti d’Ungheria; De-Hantken e Mandarasz di Buda- pest, Ili sezioni di nummuliti per lo studio; Torell di Svezia, collezione di fossili della fauna primordiale di Scandinavia ; Vilanova di Madrid, collezioni di minerali e roccie di Spagna ; Zittel di Monaco (Baviera) modelli in gesso di pesci e crostacei di So- lenhofen: Pelagaud di Lione, roccie di Borneo e dell’ Isola Borbone, e Ossowski cam- pioni di Wolhynite. Tra i nazionali si possono citare i seguenti: Bar. De Zigno, raccolta di notevoli campioni di fossili del M. Dolca ; Rosselli, massi di cinabro della miniera del Siele in Toscana; ricche collezioni di minerali di piombo, di zinco e argento della Sarde- gna, di rame della Liguria, Toscana e Agordo; campioni lavorati e blocchi grezzi an- che di più tonnellate di marmi del Carrarese, donati dalle Camere di Commercio di Carrara e di Massa ; minerali di solfo delle Romagne e Sicilia, di asfalto della so- cietà Asfaltène ed altre; di ligniti, alabastri e materiali diversi. Il valore venale di si- mili collezioni pure astraendo dal valore speciale di alcuni pezzi rari, è certo non in- feriore a L. 40,000, cioè pari al sussidio avuto dal Parlamento per il Congresso. Locale per V Ufficio e Collezioni. — Il nuovo locale stato preparato alla Vittoria in via S. Susanna (presso la Via Venti Settembre) e che dovea ricevere i musei agra- rio e geologico, veniva presso a poco ultimato entro il 1881, salvo che in alcuni ac- cessorii i quali esigevano appena qualche supplemento di spesa. Però sia per mancanza del poco danaro che tuttavia occorreva a finirlo e corredarlo, sia per altra causa, venne sospesa la misura di trasferire in quel locale le collezioni agrarie e geologiche, nonché 1 Vedi Appendice B. — 18 — TUfficio geologico, e l’edifizio venne provvisoriamente occupato da una esposizione artistica dei modelli del progettato monumento a Vittorio Emanuele. Perciò prosiegue, come già fu detto sopra, il precario stato dell’Ufficio Geologico e l’impossibilità di pensare per ora alla sistemazione ed aumento delle collezioni, come, manca egualmente ogni laboratorio. Personale della Sezione Geologica. — Il personale di ingegneri costituenti la così detta Sezione geologica, venne nel corso dell’anno, parte per salute, parte per incidenti di servizio a subire notevole riduzione. Il numero totale, compreso quello dell’ufficio- centrale, che era di circa 10 oltre a qu dche aiutante, venne ridotto a 6 o 7 vera- mente disponibili. Vennero bensì inviati tre allievi all’estero dietro concorso, due dei quali all’Istituto geologico di Berlino : ma occorre tempo prima che i nuovi allievi possano prestare pratico servizio. Anche il giovane paleontologo Canavari addetto al Comitato andò per circa un anno a studii di perfezionamento all’estero. A proposito degli Ingegneri specialmente addetti ai lavori geologici, avrèi da esporre- qualche considerazione concernente la loro carriera nelB. Corpo delle Miniere. Essi sono considerati al pari degli altri Ingegneri di esso Corpo che sono addetti al servizio tec- nico ammiuistrativo dei Distretti minerarii. Ma questi hanno un servizio più comodo ed oltre ciò quelli a capo di un distretto hanno indennità di ufficio e quelli che professano un insegnamento minerario (Iglesias, Caltanissetta, Milano) godono di spe- ciali indennità. L'Ingegnere geologo invece deve passare gran parte delBanno in ar- due fatiche e nei siti più inospiti, senza alcun pecuniario vantaggio, anzi con inden- nità di campagna che non sempre coprono le spese più necessarie. In simile condi- zione diviene ovvio, che dopo qualche tempo, od al primo incomodo di salute, cerchino un posto nel servizio ordinario dei Distretti, e ciò quando appunto la esperienza ac- quisita li renderebbe più utili alla geologia. Sarebbe perciò molto opportuno se si po- tesse adottare qualche misura compensatrice per gli Ingegneri della Sezione geologica, come sarebbe quella di attribuire, in riguardo alla pensione di ritiro un maggior va- lore agli anni passati in servizio geologico attivo, ovvero, ove tale misura incontri ostacolo nelle leggi, si accordi loro un assegno supplementare. — Oltre ciò, e anzi ad ogni modo, occorrerebbe accordare loro una indennità di campagna la quale copra le spese or- dinarie e straordinarie che si incontrano in simile lavoro nei paesi più montagnosi e dif- ficili. Attualmente le disposizioni vigenti, a norma della legge che è quella stessa del Genio Civile, l’indennità di campagna consiste principalmente in pochi centesimi per chilometro percorso. Ma il lavoro geologico non sempre si può misurare a chilometri di strada ; e talvolta è d’uopo restare quasi fermi giorni e giorni a dure prove in siti aspri e deserti con spese di mezzi di trasporto, di guide, di vitto e di attendamento talora notevolissime. A simile inconveniente erasi provveduto in ultimo per il personale addetto alla Sicilia accordandovi una maggiore diaria : ma vi sono nel continente ancora delle- regioni come la Calabria, gli Abruzzi e l’Alto Appennino in genere, e poi nelle Alte Alpi, non meno difficili e dispendiose. Sarebbe quindi indispensabile che agli operatori in simili paesi oltre alle attuali insufficienti indennità, o si rimborsassero le spese straor- dinarie, od altrimenti si assegnasse un supplemento di diaria competente. Concludo raccomandando vivamente anche questa semplice misura in difetto della quale, e del- — 19 — l’altra sopra menzionata, il personale più attivo trovandosi in troppo difficili condi- zioni potrebbe dileguarsi. Atti del Comitato Geologico. — Nel 1881 il Comitato geologico ebbe a radunarsi a due epoche diverse, in febbraio ed in giugno. Nella prima adunanza del 7 febbraio venne presentato dall’Ispettore direttore dei lavori, l’annuale rapporto sui lavori eseguiti nell’anno precedente e su quelli da fare nel 1881, il quale rapporto venne in massima approvato. Il medesimo è inserito, in- sieme ai verbali delle sedute nella parte ufficiale del Bollettino dello stesso anno 1881 (fascicolo 1°). Vi hanno in appendice due lettere dei professori Capellini e Gemmel- laro sui lavori di rilevamento in Sicilia, state lette nella seduta medesima. Nell’adunanza del giorno successivo 8 febbraio, venne deciso che a vece di occu- parsi sin da ora della questione per cui era nel 1880 stato convocato il Comitato in Commissione speciale con aggiunta di altre persone perite nella geologia, cioè di stu- diare il migliore organamento per l’Istituto destinato alla formazione della Carta geologica, si avesse, in vista del prossimo Congresso internazionale da tenersi in Bologna, da rimandare tale discussione ad altra epoca dopo il Congresso medesimo. Il 6 Giugno poi, veniva convocato il Comitato dal Ministero per l’esame di varie questioni speciali. La prima era una domanda sulla possibilità di rinvenire in Italia del carbon fossile (litantrace) di buona qualità: questione già ventilata più volte senza risultato. A tale quesito la risposta fu negativa, in quanto che se in alcune regioni d’ Italia non manca il vero terreno carbonifero nel senso geologico, il combustibile però vi si trova generalmente in banchi troppo esili ed irregolari, ed inoltre la qualità ne è alterata trovandovisi allo stato di mediocre antracite di poca utilità nell’industria. Invece non mancano in terreni più recenti le ligniti in certa abbondanza e di- screta qualità da presentare qualche risorsa. L’ Ispettore promette una prossima pub- blicazione statistica a questo riguardo. Altra domanda concernente il contributo richiesto nel 1873 dalla provincia di Forlì al Ministero e da questo allora promesso, per la pubblicazione fatta dalla provin- cia stessa con spesa di oltre L. 100,000 di un’ opera statistica, della quale fa parte una carta geologica col relativo testo del senatore Scarabelli. Il Comitato esprimeva il voto che il Ministero potesse adempiere la promessa fatta limitando il suo concorso ad una somma presso a poco rappresentante la spesa relativa alla pubbli cazion e della carta geologica e sua descrizione. Vennero poi da alcuni membri avanzate varie proposte, tra cui quella che tra i lavori dipendenti dal Comitato geologico avesse a trovar luogo lo studio del Vul- canismo italiano avviato dal Prof. De Rossi con pubblicazione anche di apposita Bollettino che già esce da più anni, ma che ora avrebbe bisogno di qualche concreto appoggio del Ministero. Il Comitato espresse voto favorevole a che il Ministero ac- cogliesse la fatta proposta. Finalmente fu insistito da varii membri, ed in specie dal prof. Stoppani onde venga al più presto e per l’occasione del prossimo Congresso stampata una carta generale d’ ttalia comunque in piccola scala, per esempio del milionesimo. Il Direttore dei lavori risponde che se ne occuperà con premura, malgrado la difficoltà del tempo- brevissimo e la mancanza di una discreta carta geografica a simile scala. Egli espone- — 20 — ancora la difficoltà nella quale si è vieppiù involti quest1 anno, di fondi insufficienti, onde sarebbe necessario avere almeno L. 15,000 in più da disporne. Il Comitato con- clude raccomandando il caso al Ministero. Spesa del ISSI — L’anno decorso dovea essere, come realmente fu, un anno di molte e straordinarie spese, onde era prevedibile che la somma ordinaria (di L. 61,800) non poteva bastare. Ed infatti, come è detto sopra, eransi chieste dal Direttore con certa insistenza almeno altre L. 15,000. Ma il Ministero non credette di poterle fare accordare, onde si dovette fare con quel che si aveva, accresciuto di qualche residuo esistente. 1 Da farsi nel 1882 Dalla enumerazione fatta di sopra dei lavori di rilevamento sin1 ora eseguiti, già appare quanto resti a farsi in genere e quale abbia perciò ad essere il programma dei lavori dell1 avvenire : onde ora basterà toccarne rapidamente. Qui però debbo anzitutto rammentare quanto dicevo poco sopra circa al perso- nale attivo di operatori costituente la nostra Sezione geologica, personale che ulti- mamente venne per diverse cause ed incidenti a subire una notevole riduzione alla quale non potrà subito ripararsi. Nel nuovo anno occorrerà perciò di limitare alquanto 1 Le spese diverse ordinarie e straordinarie occorse nel 1881, tra cui talune ap- positamente pel Congresso di Bologna, risultano distribuite come segue : Assegni al personale non compreso nel Corpo delle Miniere . . . . L. 12,080 — Indennità di campagna pei rilevamenti in grande scala [Sicilia (13,400), Campagna romana (2,097 85), Alpi Apuane (5,420 95)] ..... 20,918 — Idem per la revisione della Carta in piccola scala 5,380 — Idem di trasferta ai membri del Comitato per le sedute 1,550 — Idem a vari geologi per recarsi al Congresso di Bologna 3,300 — Spese d1 ufficio (cancelleria, posta, strumenti, trasporti) 3,303 80 Biblioteca (libri e carte) 1,584 35 Provvista ed ingrandimenti di carte 452 — Retribuzione ai disegnatori (ordinari e straordinari) 6,781 65 Indennità per lavori straordinari 750 — Stampa del Bollettino. Testo L. 2,940 — Estratti del testo » 1,592 85 Tavole pel Bollettino » 2,469 — Piccoli lavori pel Congresso ...» 770 — L. 7,771 85 7,771 85 Stampa di Carte geologiche (Carta d’Italia al 1/1,111,111, Carta dell’ Ap- pennino bolognese al 1/100,000, della Spezia al 1{50,000) . . . . 14,262 65 Sussidio per stampa del Friuli (1500) e Bergamasco (500) 2,000 — Totale. . L. 80,134 30 — 21 — i nuovi lavori di campagna, tanto più clie ora per preparare alla pubblicazione i rile- vamenti già fatti occorrono le revisioni sempre necessarie in tal genere di lavori. Pochi cenni intanto basteranno per indicare ciò che sia ora necessario e ciò che si possa con i mezzi disponibili eseguire. Seguito dei rilevamenti in grande scala. — La Sicilia non abbisogna più che di generali revisioni per meglio collegare li studii delle varie sue zone, e perfezionare quello di alcune regioni come la etnea. Di tale lavoro può venire incaricato l’ inge- gnere Baldacci Timo dei più anziani stato incaricato dello studio dell’Isola, con l’aiuto sia dell’ing. Travaglia che rimase al servizio minerario dell’Isola, sia dell’ ing Cor- tese che ne studiò la parte più orientale, e che potrà intanto terminare il rilevamento delle Eolie. Per l’Etna e le sue roccie specialmente, si spera anche l’efficace aiuto del prof. Silvestri dell’ università di Catania, che in tale ramo già fece i notevoli lavori ammirati al Congresso di Bologna. Lo stesso Baldacci, d’ accordo con i colleghi che seco lui lavorarono e con gli ingegneri di servizio nell’Isola, potrà poi coordinare gli elementi non solo per la com- pleta sua descrizione geologica, ma per le appendici della medesima, relative alle utili applicazioni, come sono la produzione del solfo, del sale ed altre sostanze utili. Quanto alla Pantelleria, isola vulcanica assai grande e di men facile accesso, pro- seguirebbe ad occuparsene il già citato dott. Foerstner, il quale già forniva un primo abbozzo di carta con un articolo pel nostro Bollettino. Egli fece per mezzo del pro- fess. Gemmellaro l’offerta di presentarne fra breve una carta dettagliata al 1/25,000 con relativa memoria e studio delle roccie, alla sola condizione che tale carta e me- moria venissero poi dall’ Ufficio geologico pubblicate. Io credo non si possa a meno di accettare con premura e riconoscenza una così vantaggiosa offerta che verrebbe a completare molto opportunamente la monografia della Sicilia, e già in tale fiducia di accettazione avevo da molto tempo risposto all’offerta del Dottore. Circa alla pubblicazione della Carta e relative memorie sarà detto più sotto. Quanto dissi per la Sicilia, può presso a poco ripetersi per le altre due zone in corso di rilevamento cioè per i dintorni di Poma, e per le Alpi Apuane. Le carte di queste due zone sono al 1/25,000 ma soltanto sino ad un certo limite, oltre il quale là scala non è più che quella normale del 1/50,000. Ora sarà dunque il caso di proseguire il rilevamento almeno sino a tale limite, e poi soffermarsi per gli op- portuni perfezionamenti onde prepararli alla pubblicazione. Non entrerò in particolari che non sono qui necessarii. Mi limito a cennare in quanto a Roma, che in tal modo si avrebbe quanto prima una carta geologica dettagliata dei dintorni della Capitale, e si possederebbero con la medesima gli elementi per compilare una carta geognostico- idrografica utile per gli scopi del bonificamento dell’ Agro-romano, non che la carta delle pozzolane ed altre simili di opportuna applicazione. E quanto alle Apuane si potrà pure avviare la carta speciale dei giacimenti marmiferi che sono la base della prosperità di quella interessante catena. Circa all’estensione del rilevamento nel resto del territorio italiano, restano a pren- dere le opportune decisioni. E vero che stante la suaccennata scarsità di personale di- sponibile, ridotto a 6 o 7 individui, e stante la necessità delle sovramenzionate revisioni — 22 — -e perfezionamenti, non ai può per ora pensare ad attaccare molto lavoro su nuovi campi. Oltreché conviene pur sempre far conto con la esistenza o meno della nuova mappa topografica la quale manca tuttavia per tutta l’ Italia centrale e per le regioni lom- bardo-venete, come tuttora manca per la Sardegna. Rammenterò intanto per l’Elba la necessità di occuparsene, appena se ne abbia la nuova mappa. Circa al territorio della penisola, 1* andamento naturale dei lavori, dopo ultimata la Sicilia, indurrebbe ad estendersi alla Calabria, la cui geologica costituzione è nella sua parte meridionale analoga affatto a quella della punta N. E. della Sicilia, di modo che lo studio dell’ una regione è come complemento e riprova di quello dell’ altra. Di tale regione esiste del resto non solo la mappa al 1/50,000, ma si va stampando dall’ Istituto topografico anche quella al 1/100,000 che potrà servire a suo tempo, come già dissi per la Sicilia, ad una pronta ed economica pubblicazione. L’ing. Cor- tese che possiede ornai la pratica di questi terreni e già vi cominciò il rilevamento di alcune zone, potrà proseguire ed assai presto condurre a termine tale lavoro. Osservo qui che dovendosi prima del rilevamento dettagliato eseguire delle escur- sioni preliminari di ricognizione, queste potrebbero estendersi con molto frutto quanto più al Nord sia possibile, verso la Basilicata ed il Cilento, regioni sin’ ora meno co- nosciute, giovando in tal modo a compiere al più presto le lacune ancora esistenti nella Carta generale a piccola scala, della cui urgenza ho già dovuto e dovrò ancora toccare. La nuova mappa topografica al 1/50,000 che parte dalla punta di Calabria e si estende verso Nord, è ora fatta soltanto fino a poco oltre Roma : quivi fu fermata, come già cennai, e solo riprende ai Monti Pisani di dove poi venne proseguita negli ultimi anni lungo l’ Appennino ligure fino al confine francese e poi lungo le Alpi ma- rittime e le Cozie. Si ha ora intenzione di procedere così avanzando ad Est d’anno in anno lungo le Alpi e la pianura padana verso le provincie lombarde e venete. Avremo così intanto un altro vasto campo di lavoro a contatto di quello delle na- zioni finitime, Francia, Svizzera ed Austria. Però ora non feci che cennarvi, non po- tendosi, come dissi, applicarvi ancora direttamente per mancanza di mezzi. Seguito dello studio delle Serpentine ed altre roccie. — Questo studio, di indole spe- ciale così interessante per l’Italia, come bene, apparì anche nel Congresso di Bologna, potrebbe ora venire proseguito con calma, almeno in alcuna delle località dove il medesimo già venne molto avanzato, e dove pertanto potrebbe più facilmente con- durre a qualche risultato. Tale sarebbe la zona di Levanto nella Liguria orientale dove gli studi dei signori Mazzuoli ed Issel potrebbero ancora venire proseguiti sino alla Spezia, e 1’ altra di Arenzano e Sestri nella Liguria occidentale, dove resta ancora da fissare con più esattezza la linea di separazione delle serpentine terziarie da quelle paleozoiche. Questo studio è di particolare interesse, tanto più che potrebbe collegarsi con simile problema in varie isole e promontori dell’Arcipelago toscano. Quanto al proseguimento dello studio analitico delle roccie italiane, mancando ancora il nostro Istituto di un laboratorio, non si può fare un piano a priori. Molto, come si vide venne fatto dal prof. Cossa membro del Comitato, nel suo laboratorio della stazione agraria di Torino con l’aiuto dell’ing. Mattirolo, principalmente sovra la classe delle così dette roccie verdi, le roccie cioè, dioritiche e serpentinose ; ed — 23 — ora molto sarebbe desiderevole, che simile sapiente lavoro venisse compiuto ed esteso poi via via ad altre classi delle roccie che più interesse presentano da noi, come per esempio le trachitiche: mentre qualche altro petroglifo potrebbe più specialmente oc- cuparsi delle roccie vulcaniche. Ma ripeto, ciò dipende dal tempo e dai mezzi di cui quei professori potranno disporre. Noi non possiamo che esprimere un voto vivis- simo perchè i professori Cossa, Silvestri, Striiver ed altri, vogliano proseguire 1’ opera così bene avviata. Carta geologica cV Italia in piccola scala e Carta geneì'ale dell Europa. — Sempre ancora ci resta il tema della Carta generale d’Italia in piccola scala cioè al 1^500,000 della quale si è sopra parlato indicandone lo stato attuale molto imperfetto, e la ne- cessità di rimediarvi al più presto con una revisione generale la quale potrà esigere più o meno tempo, secondo la quantità e qualità del personale che si potrà desti- narvi. A simile lavoro infatti potrebbero venire opportunamente addetti anche dei geologi non ingegneri, riservando questi di preferenza a rilevamenti della Carta det- tagliata in grande scala e di Carte di speciale applicazione. Questo tema del resto, dopo il recente Congresso di Bologna, venne ad assu- mere una speciale importanza ed anche urgenza. Devesi infatti qui ancora rammen- tare, come una delle più importanti decisioni di quel Congresso sia stata quella di procedere senza indugio alla formazione e pubblicazione con norme comuni e me- desima scala di colori, di una Carta geologica d’ Europa in piccola scala (1/1,500,000). Simile Carta deve essere eseguita a cura dell’ Istituto geologico di Berlino con l’ in- tervento di un Comitato internazionale, ma intanto ogni nazione interessata dovrà fornire gli elementi per ciò che la concerne. Ognuna di esse nazioni è pure invitata a formare la Carta geologica d’insieme del suo territorio alla scala di 1/500,000. Siccome il prossimo Congresso geologico internazionale deve aver luogo a Berlino fra tre anni, cioè nel 1884, e per quell’epoca occorrerebbe che gli elementi del la- voro della suddetta Carta d’Europa fossero allestiti e presentati, così sarebbe neces- sario che prima di quell’ epoca, ed anzi al più presto possibile, noi avessimo pronta la Carta geologica tanto alla scala minore da stamparsi del 1/1,500,000, quanto quella a 1/500,000, che del resto è naturalmente reclamata dalla scienza e dal pub- blico. Occorrerebbe quindi porsi in misura di potere pubblicare di questa Carta al- meno una prima edizione in tre anni come già si fece della Carta al milionesimo. Su questo lavoro di revisione e compimento della Carta generale in piccola scala debbo quindi sempre richiamare 1* attenzione del Comitato, proponendo che del per- sonale disponibile, comunque ora ridotto a ben pochi individui, una parte possa ve- nire adibita a simile lavoro, e vi si possa aggiungere l’opera dei geologi non dipen- denti dal Comitato. Ciò venne già praticato anche nei decorsi anni, nella modesta misura che la pochezza dei mezzi consentiva. Ora sarebbe il caso di estendere al- quanto più e per il tempo necessario tale misura ; ed ove non si possa ottenere in vista di tale lavoro un aumento di fondo, si potrebbe piuttosto per un due o tre anni rallentare d’ alquanto il lavoro di rilevamento in grande scala. Speriamo tut- tavia che ciò non abbia a succedere, ma che si possano avere mezzi per condurre di fronte tutti i lavori che sono necessari all’avanzamento dell’opera. Intanto posso informare che il lavoro della Carta d’Europa è già incominciato. — 24 — avendo la Direzione dell'Istituto geologico di Berlino cui ne è affidata la esecuzione, diramata nel dicembre e poi nel gennaio seguente ultimo una circolare nella quale sono tracciate le norme per la delineazione della Carta stessa, non cliè indicata la spesa probabile e le rate di sua suddivisione fra le varie Nazioni. La spesa della stampa della Carta è valutata per 900 copie ad un minimum di fr. 90.000, ossia 100 fr. per copia. Ognuna delle grandi nazioni, come l’Italia, deve acquistare 100 copie del valore di fr. 10,000 pagabili in 6 auni ed è invitata ad impegnarsi per un altro numero di copie in più delle 100, per vie meglio assicurare la bontà della pub- blicazione. Intanto la suddetta Direzione di Berlino avendo poi deciso di cominciare dall'Italia si ebbe tosto una diretta sua domanda affinchè le fosse da noi inviata al più presto la nostra Carta geografica alla fissata scala e delineata con le suddette norme aventi per scopo di costrurre una Carta chiara e contenente tutto ciò che più interessa la geo- logia. Ora neppure esisteva da noi una Carta a simile scala di 1/1,500,000 e sgra- ziatamente non esistono ancora altre carte esatte od a discreta scala da cui poterla derivare. Ed è qui che venne ancora sentito il grave inconveniente di non possedere tuttavia completa una mappa orografica generale come quella al 1/500,000, poiché da questa sarebbesi potuto facilmente dedurre quella di cui si abbisognava. La suddetta Direzione di Berlino non avendo trovato nelle varie nostre Carte attualmente esi- stenti esatti e completi elementi per comporre simile Carta d’Italia, comunque a pic- cola scala, ci richiese istantaneamente il modo di risolvere la difficoltà. Il nostro Ufficio geologico se ne occupò quindi con molta sollecitudine e mediante opportuni ripieghi e lo aiuto dell’ Istituto topografico militare già potè soddisfare come meglio potevasi alla domanda. Ora per brevità non starò a descrivere come ciò venne fatto. Debbo però cogliere questa occasione per far presente la necessità che la più volte menzionata Carta oro- grafica d’Italia al 1/500,000 venga il più prontamente possibile pubblicata per intero. Non soltanto la geologia, ma altri rami di scienza e diverse amministrazioni, non che l'insegnamento delle scuole, vivamente la reclamano. Alcune difficoltà di esecu- zione sorte nell’Istituto topografico impedirono il compimento di questa Carta già da qualche tempo incominciata, ma tali difficoltà devono potersi superare. Credo intanto non sarà inutile che il Comitato geologico, tanto interessato alla nostra cartografia si faccia debito di una speciale e più viva sollecitazione a tale oggetto presso il Dicastero della Guerra. Future pubblicazioni. — Dopo l’enumerazione fatta qui sopra dei lavori già eseguiti e di quelli che si tratta di proseguire, devesi un cenno per la pubblicazione da far- sene appena i mezzi lo permetteranno. In fatto di pubblicazioni abbiamo : il Bollettino geologico, le Memorie geologi- che e le Carte. Il Bollettino geologico incominciato col 1870 allora quando il Comitato era a Firenze, è giunto ora al suo 12° anno. Questa pubblicazione perio.lica a puntate bi- mensili era in origine destinata dal prof. Cocchi allora Presidente esecutivo del Comi- tato Geologico, sia a rendere conto dei lavori promossi e diretti dal Comitato me- desimo, sia a presentare un sunto dei principali lavori geologici che si facevano da altri ; ad essere insomma l'organo di questa scienza in Italia che allora non ne aveva. — 25 — Col procedere di parecchi armi venne lo stesso arricchendosi di articoli originali sull® località che sono in corso di rilevamento e con tavole di sezioni, anticipando così sulla pubblicazione delle Memorie definitive. La mole dell’annuale volume venne così pure ad accrescersi sensibilmente. Ora a tale proposito del Bollettino debbo esporre come fondatasi durante il Congresso di Bologna una Società Geologica Italiana che ancora non esisteva, venne colà espressa l’ idea che tale società avesse pure un suo proprio organo, cioè un Bol- lettino od effemeride più o meno periodica. In tale caso, per non fare doppio im- piego ovvero spreco di forze e lasciare alla nuova Società un più vasto campo di pub- blicità, veniva pure espresso il desiderio che il Bollettino del Comitato lasciasse ornai a quello della società il compito di trattare tutta la materia concernente la geologia gene- rale, restringendosi ai propri resoconti ed agli articoli che più direttamente concernono i lavori dipendenti dal Comitato stesso. Fu pure accennato in tale occasione che ad aiutare vieppiù la nascente Società potesse il Comitato erogare qualche sussidio sul fondo annualmente speso nel suo Bollettino e corrispondente al risparmio che fareb- be per l’avvenire degli articoli non concernenti i lavori propri. Tale combinazione mi sembra possibile in caso di vero bisogno della Società, e naturalmente dentro i li- miti consentiti dalla scarsità del fondo disponibile. Io ne fo qui cenno per promuo- vere il parere del Comitato affinchè qualora quel nuovo periodico venga a pubbli- carsi, possa all’occorrenza simile combinazione venire proposta al Ministero. Ora intanto debbo osservare come sieno esauriti intieramente i volumi delle due annate 1872 e 1873, onde non si possono più soddisfare le frequenti domande degli abbuonati ed altri che desiderano naturalmente di averne la serie completa. Già poco tempo addietro eransi per lo stesso motivo dovuti ristampare a 200 copie i volumi delle due prime annate. È ora necessità ristampare al più presto le due annate an- zidette il che porterebbe una spesa di circa L. 3000. A proposito poi del Bollettino stesso, debbo ancora rammentare siccome dopo la prima serie del decennio 1870-1879, erasi divisato di pubblicare come appendice ve- ramente necessaria alla medesima, un riassunto delle principali vicende della nostra Istituzione geologica dalla sua origine nel 1867-68, anzi dal 1861 benché allora non portata a piena attuazione, non che i vari decreti alla medesima relativi, e di certi suoi lavori dei quali non risulta nei precedenti volumi, essendo essi solo stati inseriti in altre pubblicazioni del Ministero di Agricoltura e Commercio. E già tale volume, era stato incominciato; ma purtroppo dovette poi per mancanza di fondi sospendersi. Credo dovere insistere affinchè, appena i fondi lo consentano, si abbia a compiere tale volume la cui mancanza costituisce una vera lacuna, poiché oggidì chi volesse infor- mazioni sullo stato di cose passate e su diversi atti importanti non saprebbe dove prontamente e sicuramente ritrovarli. Di Memorie, furono pubblicati soltanto tre volumi, datando l’ultimo già dal 1876 e rimasto anzi incompiuto ; ed è inutile ripetere le ragioni per cui furono e rimasero sin ora sospese. Tali Memorie però dovranno riprendersi necessariamente tra breve, od almeno appena si possa dar mano alla pubblicazione delle Carte in grande scala delle varie regioni rilevate, e di cui devono contenere la descrizione. Non entro per ora in par- ticolari sulla estensione e sulle particolarità di queste Memorie, le quali devono es- — 26 — sere adattate alle varie contrade, ed oltre la parte scientifica potranno contenere ap- pendici più o meno importanti relative alle utili applicazioni. Cannerò soltanto che le medesime richiedono pure una spesa di stampa non indifferente a causa delle ta- vole di sezioni, di vedute e di fossili, ed altre illustrazioni che devono accompa- gnarle, onde purtroppo non potranno incominciarsi contemporaneamente tutte quelle che concernono le regioni già più o meno rilevate, come la Sicilia, le Alpi Apua- ne, la Campagna romana, la Sardegna ecc., fino a che si abbiano mezzi per bene eseguirle. Debbo finire con un cenno sulla stampa delle Carte e relativa spesa. L’argomento sarebbe assai lungo ed interessante essendo questa un’opera che si tratta ora di iniziare con buon sistema. Ma siccome in ciò molto si dipende dalla spesa che si può affrontare, cosi non avendosi tuttavia per la Carta geologica una si- cura dotazione, debbo limitarmi a cennare molto sommariamente ciò che potrebbe farsi da ora in avanti con la spesa minima possibile. Qui è da rammentare anzitutto che la nuova carta topografica d’Italia con curve al 1/50,000, quella che pur dovrebbe servire di base principale per la carta geologica, come pure quella che per certe regioni venne rilevata al 1/25,000, non venne e non verrà forse mai stampata con vere incisioni su rame o pietra ; ma soltanto se ne danno i fogli o tavolette di campagna riprodotte con eliografia o fotoincisione, le quali sono ben lungi d&ll’essere comparabili ad una apposita incisione. Per avere una mappa pre- sentabile, che cioè stia a confronto di quelle anche comuni degli altri paesi, conver- rebbe adunque farsi le apposite incisioni almeno su pietra. L’impiego di tale processo importerebbe però per ogni tavoletta ossia per ogni foglio (0,42 X 0,37) e per una tiratura di 600 copie una spesa di circa L. 1200. La Sicilia al 1/50,000 che com- prende circa 100 tavolette, costerebbe così più di L. 120,000 e con parecchi fogli di sezioni L. 140,000. Più vi sarebbero almeno 2 volumi di memorie con le relative il- lustrazioni che costeranno non meno di L. 15,000 e così la Sicilia completa a simile scala importerebbe non meno di L. 160,000 5 cioè più di quanto ne costò il rileva- mento sul terreno. La regione delle Apuane, rilevata al 1/25,000, che comprende la Spezia nonché i Monti Pisani e Lucchesi occupa un 50 tavolette, onde la spesa di stampa può valu- tarsi a metà circa di quella della Sicilia. E lo stesso può dirsi dei dintorni di Poma per quanto si estende il rilevamento fatto al 1/25,000, il quale comprende 47 tavo- lette almeno. Non potendo per ora avvicinare simili spese, converrà per le carte a sì grande scala limitarsi a darle colorate a mano a chi ne faccia apposita richiesta, facendogli pagare la semplice spesa della coloritura. Intanto però l’Istituto topografico va ora stampando con rami fotoincisi, la carta d’Italia al 1 100,000, e di questa già è uscita precisamente la Sicilia con qualche fo- glio di Calabria, più due fogli dei dintorni di Roma. Abbenchè questa scala sia un po’ esigua, tuttavia non avendone altra sarà per ora opportuno il servirsene per la prima nostra regolare pubblicazione. Saremo così nelle condizioni della Svizzera che dovette impiegare la carta del Dufour stampata alla scala medesima. Dal rame si può agevolmente avere un discreto trasporto su pietra; e già se ne fece da noi la prova con successo. Potremmo quindi incominciare fra breve questa pubblicazione assai meno — 27 — •costosa di quella sovra calcolata cioè della carta al 1 /50, 000 appositamente incisa. In- fatti ogni tavoletta o foglio della carta a simile scala del 1/100,000 costerebbe al più L. 900 a 950, ed essendone il numero di 30, e calcolandovi insieme 6 tavole di se- zioni, avremmo una spesa di circa L. 40,000, e con due volumi di memorie e mi- nori illustrazioni forse L. 60,000. Siccome poi l’ Istituto topografico già pure stampò la stessa Sicilia alla scala del 1/500,000 così si potrebbe incominciare con la pubblicazione di questa in un sol foglio corredato di qualche sezione con spesa relativamente insignificante, rimpiazzando così 1’ unica ed imperfetta carta di quest’ isola sin ora pubblicata, quella cioè alla scala medesima di Hoffmann uscita or sono 40 anni. Della mappa dei dintorni dì Roma è pure già pubblicata una parte alla scala medesima del 1/100,000, ma per le Alpi Apuane non esiste tuttora mentre non è sufficientemente dettagliata e precisa quella del 1/75,000 tirata dalla austriaca ; onde per ora in quanto concerne questa regione converrà limitarsi al ripiego delle carte •colorate a mano. Si è adunque con i mezzi qui sopra sommariamente indicati che si potrebbero iniziare le pubblicazioni, anche con le limitate attuali risorse : nella speranza tuttavia di poter disporre fra non molto delle necessarie somme perchè le pubblicazioni stesse possano poi proseguirsi rapidamente e col pregio artistico che loro si conviene. Al quale proposito delle future carte geologiche da stampare, almeno di quelle in grande scala per cui è necessario lo inciderne appositamente la mappa topografica, sarebbe opportuno che il Comitato pronunciasse un parere sul sistema di rappresen- tazione da adottare di preferenza onde avere carte nitide ed adattate alla geologia. In simili carte non si dovrebbe rinunciare alle curve orizzontali : ma resta a decidere se queste devono essere nere come il rimanente, ovvero in colore, per esempio in bistro come nel foglio della Spezia al 1/50,000 da noi pubblicato quasi per campione. Resta anche a vedere se debba aggiungersi una ombreggiatura per dare spicco al ri- lievo del terreno ovvero 3e a questo debba rinunciarsi. Anche di questa ombreggiatura eseguita, non con tratti che troppo oscuriscono e confondono, ma con pastello, abbia- mo stampato tre campioni nelle carte dei Monti Bolognesi e Livornesi al 1/100,000 e nella cartina generale d’Italia al milionesimo. Sembra risultare che per le carte a scala un po’ più grande come il 1/50,000 od il 1/25,000 il sistema a curve in bistro, •che è quello della bella carta di Sassonia, sia molto commendevole. In ogni caso è bene si sappia come in grazia alli esperimenti fatti nei due ultimi anni esiste ora in Roma uno stabilimento cromolitografico capace di eseguire bene, rapidamente, ed a prezzi assai moderati, qualunque simile pubblicazione. Bilancio pel 4882 — Anche in quest’anno credo avere a dire solo poche parole su di questo argomento. Nessun preventivo infatti si potè fare in proposito, essendo che il Ministero si credette obbligato a non porre in bilancio di prima previsione se non la stessa somma dell’anno decorso cioè circa L. 61,000, in attesa di farsi au- torizzare dal Parlamento o con legge speciale o nel bilancio ordinario ad inserire la maggior somma occorrente per 1’ andamento di un Istituto geologico debitamente im- piantato, per sussidio agli studii sul vulcanismo, ed altri importanti accessori. Nel- — 28 1’ attuale condizione intanto non si può altro promettere se non che di fare quanta meglio si potrà. Deve ad’ogni modo avvertirsi come in seguito al Congresso di Bologna e stante l’im- pegno che l’Italia dovette prendervi insieme alle altre nazioni della formazione d’una carte geologica d’ Europa con opera e spese comuni, ci venne ad incombere un compito assai delicato ed al quale conviene adempiere puntualmente. L’ Italia poi è direttamente rappresentata nel Comitato internazionale incaricato della compilazione di tale carta, il' quale deve tenere riunioni in qualche città d’ Europa, e deve inoltre prepararsi al terzo Congresso internazionale che avrà luogo nel 1884 a Berlino. Simile compito impone nuovi lavori e conseguenti spese, come del resto appare da quanto sovra esposi circa alla carta d’ Italia chiestaci da Berlino stesso. È quindi necessario che una certa somma venga perciò posta in bilancio oltre quella pei lavori ordinarii, e speriamo che il Mi- nistero possa convenientemente provvedervi. Z’ Ispettore Capo E. Giordano. Appendice A. ELENCO DELLE CAUTE INVIATE DALL’ UFFICIO GEOLOGICO al Congresso di Bologna (1881). CARTE GENERALI D’ ITALIA. 1. Carta geologica cF Italia, alla scala di. ... . 1/500, 000 Questa carta venne formata mediante il coordinamento dei lavori conosciuti editi ed inediti di vari autori sino al 1881, con alcune ricognizioni fatte delle loca- lità meno conosciute. Presenta quindi tuttavia lacune ed imperfezioni da correggere con ulteriori studi. Mancando ancora una buona Carta orografica d1 Italia a questa scala, si fece uso di una Carta stampata nel 1862 a Parigi dal geografo Sagansan che è assai chiara e conveniente. — I colori sono. dati a mano. N.B. — A Bologna era anche esposta l’antica Carta mandata all’Esposizione df Vienna del 1873 dell’ Italia superiore e media. 2. Idem, alla scala di un dee. per grado ossia 1/1,111,111 Questa Carta, venne stampata nell’ agosto 1881 per cura dell’ Ufficio geologico nello stabilimento litografico Virano e Teano di Roma. È la prima Carta geologica — 29 — xTItalia pubblicata dopo l’abbozzo al 1/2,000,000 del Collegno stampato a Parigi nel 1846. — Mancando una buona carta al milionesimo, si fece uso per ripiego di una Carta già esistente nel suddetto stabilimento, ma con molte aggiunte e correzioni oltre alla rappresentazione dei monti. La scala di colori adottata in questa Carta, come nella precedente al 1/500,000, venne prescielta in accordo agli studi della Commissione internazionale per l’unifica- zione dei colori delle Carte geologiche. PARTI DELLA CARTA D’ ITALIA IN GRANDE SCALA RILEVATE DAL 1877 AL 1881. (Sicilia, Campagna romana , Alpi Apuane e Lucchese). 3. Carta geologica di Sicilia, con sezioni, alla scala di 1/50,000 Il rilevamento compiuto nell’estate del 1881 comprende l’isola intiera (n° 85 tavolette della Carta generale d’Italia) dell’area di 25,505 km. quadr.. Questa carta non è stampata, ma è colorata a mano sulle riproduzioni fotolito- grafate delle tavolette di campagna. 4. Idem, alla scala metà ossia 1/100,000 Questa Carta a scala metà della precedente, è colorata a mano servendosi della mappa al 1/100,000 dell’Istituto topografico stampata con tavole in rame foto-incise col sistema Avet. L’esistenza dei rami permetterà di stampare quandochessia la Carta geologica a questa scala. 5. Idem, alla scala di 1/500,000 Questa Carta è colorata a mano sulla mappa al 1/500,000 dell’Istituto mede- simo, recentemente stampata con tavole in rame come per la Carta al 1/100,000. N.B. — È pronta per la stampa una carta speciale dell’isola a questa scala, mediante trasporto dal rame su pietra, e corredato di varie sezioni. 6. Varie zone dell’isola rilevate alla scala del . . 1/25,000 Sopra tavolette fotograficamente ingrandite. Sono le zone più interessanti, come la zona solfìfera, e le costiere Nord e Nord- Est, come vedesi indicato in colore azzurro nell’ apposito diagramma. L’area rilevata al 1/25,000, è di 15,750 km. quad. Autori. — La Carta geologica della Sicilia in grande scala, iniziata alcuni anni prima dall’ ing. S. Mottura nella zona solfìfera, venne intrapresa nel 1877 con l’opera degli ingegneri Baldacci, Mazzetti e poi Travaglia , ai quali si aggiunsero nel 1879 gl’ingegneri Cortese ed Anseimo e l’ajutante Cassetti. La direzione scientifica era af- fidata al prof. Gemmellaro dell’Università di Palermo. Un quadro stampato indica l’itinerario e l’area rilevata dai singoli operatori. — 30 — 7. Carta geologica della Campagna romana, scala del 1 /2 5,000 con sezioni alla scala di 1/50,000. Rilevamento fatto sulle tavolette fotolitografate della Carta al 1/25,000 dell’ Isti- tuto topografico che si estende per un raggio di circa 25 km. intorno alla città. Ne vennero rilevati per intero i due fogli della Carta generale n° 149 e 150 dell1 area di 2737 km. quadrati. 8. Idem, la medesima alla scala di 1/100,000 Questa è colorata a mano sui due fogli stampati dall1 Istituto Topografico con tavole in rame fotoincise, come per la Sicilia. 9. Idem, dei dintorni di Roma, con sezioni. . . . 1/25,000 10. Idem, della Campagna romana con sez. alla scala 1/250,000 N.B. — Questa Carta stampata nel 1879 per conto della Direzione di Statistica, era stata in gran parte compilata sugli studi del prof. Ponzi. Autori. — Il rilevamento della Campagna romana al 1/25,000 venne eseguito nei tre ultimi anni dall’ ing. Zezi dell’ Ufficio geologico, con la parziale collabora- zione degli ing. Sormani e Cortese e degli ajutanti Terrone e Moderni. 11. Carta geologica delle Alpi Apuane alla scala del 1/25,000 con sezioni alla scala medesima. Rilevamento fatto sulle tavolette fotolitografate della Carta al 1/25,000 del- llstituto topografico, appositamente levata dietro istanza del Comitato geologico. 12. Idem, con sezioni, alla scala di 1/75,000 Questa Carta d’insieme venne fatta sulla mappa provvisoria al 1/75,000 dedotta dall’austriaca, non essendo ancora pubblicata per questa regione la mappa al 1/100,000. Autori. — Il rilevamento delle Alpi Apuane venne fatto negli anni 1879-81 dagli ing. Lotti e Zaccagna ed ajutante J Fossen, con la direzione scientifica del prof. Meneghini dell’ Università di Pisa. 13. Carta geologica del Golfo di Spezia, alla scala del 1/25,000 Questa Carta che fa seguito verso Ovest alle Alpi Apuane è opera del prof. Ca- pellini membro del Comitato geologico, e venne riveduta nel 1880 dal medesimo sulla mappa attuale coll’ajuto dell’ing. Zaccagna . CARTE SPECIALI. 14. Carta geognostico-mineraria dei dintorni di Iglesias, (S.O. della Sardegna) alla scala di 1/25,000 31 — 14. Carta geognostico-minoraria dei dintorni di Iglesias, (S.O. della Sardegna) alla scala di 1/50,000 16. Idem 1/100,000 Questo lavoro sul terreno paleozoico metallifero della zona S. O. della Sardegna venne eseguito negli ultimi anni dagli ingegneri delle miniere addetti al servizio del Distretto di Sardegna, signori Testore , Zoppi , Lambert e Deferrari, con li aiutanti Gambera, Moderni e Zentini. La paleontologia, arricchita di nuovi fossili siluriani e cambriani, venne studiata dal prof. Meneghini. Mancando ancora la Carta topografica della Sardegna, i suddetti ingegneri co- minciarono per rilevarla alla scala di 1/10,000, di cui le anzidetto Carte sono la ri- duzione. 17. Carta dettagliata della massa serpentinosa di M. Fer- rato, presso Prato (Toscana) con sezioni, alla scala di 1/10,000 dell1 ing. Capacci , con memoria. 18. Carta dettagliata delle masse serpentinose di Levanto (riviera ligure orientale) con sezioni, alla scaladi 1/10,000 dell’ ing. Mazzuoli e prof. Issel, con memoria. 19. Carta d’Italia indicante la distribuzione generale delle masse serpentinose, alla scala di 1/1,111,111 con memoria dell’ ing. Pellati. 20. Carta geologica dell’ Appennino Bolognese alla scala di 1/100,000 con e senza ombreggiatura dei monti. 21. Idem, dei dintorni di Livorno e Volterra, alla scala di 1/100,000 con ombreggiatura a pastello. 22. Idem, del Golfo di Spezia, alla scala di . . . 1/5.0,000 senza ombreggiatura e con curve orizzontali in bistro. Le tre Carte precedenti sono opera del prof. Capellini e vennero stampate ad uso specialmente degli escursionisti del Congresso, insieme ad una cartina della località del Castellacelo presso Imola, opera del senatore Scarabelli. — 32 — Tutte le dette Carte, come quella d’ Italia al milionesimo, vennero stampate nello stabilimento litografico Virano e Teano in Roma, ed offrono diversi tipi di Carte geologiche, con e senza ombreggiatura di monti. 23. Carta mineraria d’Italia, alla scala di . . . .1/500,000 indicante le località dove esistono miniere, cave di sostanze diverse ed officine di qualche importanza; con un volume di statistica mineraria, presentato dall’ Ispezione delle Miniere. Appendice B. ELENCO SOMMARIO DEL MATERIALE SCIENTIFICO E DEGLI OGGETTI DI MOBILIO DELL’UFFICIO GEOLOGICO ALLA FINE DEL 1881. LRVORI FATTI O PUBBLICATI PER CURA DELL’ UFFICIO. PUBBLICAZIONI. Bollettino: — Periodico bimensile, in 8°, con tavole e figure intercalate nel te- sto, dal 1870 al 1881, volumi 12. Memorie: — In 4° grande con tavole e carte geologiche: 1° volume, 1871; 2° volume, 1873-74; 3° volume, parte prima, 1876. Carte geologiche: — (oltre quelle contenute nelle raccolte suddette) Carta geologica dell’Italia nella scala di 1/1,111,111. Idem della Campagna Romana, scala 1 [250,000 (la e 2a edizione). Idem dell'Appennino di Bologna, del prof. Capellini, scala 1 [100,000. Idem del Livornese e Volterrano, id. id. Idem del Golfo della Spezia, id. id. Idem della Basilicata del dott. De Giorgi, scala 1 [400,000. Idem della Provincia di Lecce, id. id. Carte geologiche non pubblicate compilate nell' Ufficio o per mandato del Comitato Geologico : Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 [50,000 ed in parte anche di 1 [25,000 Tav. 160 C^rta geologica della Sicilia nella scala di 1 [100,000 Id. Id. Id. Id. Id. Id. id. id. 1 [500,000 (in un foglio) delle Alpi Apuane alla scala di 1 [25,000 . . . id. id. 1 [75, 000. . . della Provincia di Roma alla scala di 1 [25,000. dei dintorni di Roma alla scala di 1 [25,000 . . id. id. 1[100,000 . 28 Fogli > Tav. > > 22 2 35 9 2 — 83 — Carta geognostica mineraria dei dintorni di Iglesias (Sardegna) scale di 1 [10,000, 1 [50,000, 1 [25,000 con sezioni. Carta della massa serpentinosa di M. Ferrato (Toscana) con sezioni, scala di 1 [10,000. Carta delle masse serpentinose di Levanto (Liguria) con sezioni, scala di 1 [10,000. Carta geologica dellTtalia superiore e media compilata nel 1867 nella scala di 1 [600,000. Idem dell’Italia intera, scala di 1[600,000 compilata nel 1878. Idem id. id. 1 [555,555 id. 1879-80. (Di questa ne furono eseguite diverse copie per Uffici, Ministero e Camere). Idem dell’Italia inte^ scala di 1[500,000 compilata nel 1881. (Di questa ne furono eseguite 2 copie con scala di colori diversi). Idem di Lombardia del Curioni nella scala di 1 [86,400. Idem dei dintorni di Roma del prof. Ponzi (copia eseguita dall’ Ufficio) alla scala di 1 [86,400. Idem delle Alpi occidentali del prof. Gastaldi nella scala di 1 [50,000 (in 20 fogli). Idem di parte della Liguria del prof. Mayer di Zurigo nella scala di 1[50,000 (in 4 fogli). Idem di parte della Toscana di Lotti e De Stefani nella scala di 1 [86,400. Idem della Calabria settentrionale del prof. Lovisato nella scala di 1[50,000. Idem id. id. id. 1[250,000. Idem della Calabria meridionale di De Stefani, alla scala di 1 [50,000. Carte geologiche ridotte alla scala di // 50,000 da lavori di diversi autori : «Carta di parte dell’Abruzzo settentrionale, del Lago Fucino e di parte del territorio di Campobasso del Montani. — Carta della Terra di Lavoro di G. Tenore. — Carta del golfo di Napoli di varii geologi (Montani, Tenore, Puggaard, Le- Hon, Fuchs). — Carta dell’ Etna, del Waltershausen. Piani-rilievi con tinte geologiche ; Piano rilievo dell’ Etna eseguito dall’Istituto topografico Militare nella scala di 1[50,0C0 Idem della Sicilia eseguito dal cap. Cherubini nella scala di 1[640,000. Biblioteca. Libri : L’ Ufficio, oltre le principali opere geologiche, paleontologiche e mineralogi- che acquistate o ricevute in dono, possiede molte pubblicazioni periodiche che riceve in cambio delle proprie dai principali Istituti Nazionali ed esteri. Il numero totale dei volumi è ora di circa 4000. Carte topograjiche : «Carta generale dell’ Italia alla seala di 1[400,000 (Angeli) Fogli 24 Id. id. id. 1[500,000 (Sagansan) » 12 Id. id. id. 1 [555,555 (Ci velli editore) . . . > 28 Id. id. id. 1[600,000 (Zuccagni Orlandini) . . > 15 Id. id. id. 1 [100,000 (Arrigoni) » 15 Id. delle Provincie Meridionali alla scala di 1 [640,000 ...» 4 Id. dell’ Italia rilevata dall’ Istituto Topografico Militare alla scala di 1[50,000 e di 1[25,000, nuova divisione . . Tav. 215 Id. id. id. antica divisione Fogli 174 — 34 — Carta generale nella scala di 1 {100, 000 > 35 Id. id. Ii500,000 » 5 Id. delle Provincie Napoletane alla scala di 1|250,000 .... » 25 Id. d'ella Lombardia, del Veneto e dell1 Italia centrale, dello Stato Maggiore Austriaco alla scala di 1^86, 400 » 83 Id. riproduzione ingrandita, 1(75,000 » 88 Id. di varie parti d1 Italia e di altre regioni e a varie scale.. . » 81 (Di molte delle suddette Carte l1 Ufficio possiede diverse copie destinate al con- sumo per lavori di rilevamento e d’ufficio). Carte geologiche (oltre quelle che fanno parte delle diverse pubblicazioni) ; Carte geologiche generali Fogli 16 Idem di varie regioni d’ Italia in parte colorate a mano. . . » 128 Idem della Svizzera » 31 Idem di Francia » 158 Idem dell’Austria » 184 Idem della Germania >168 Idem dell1 Inghilterra V 296 Idem del Belgio e Olanda > 36 Idem della Svezia e Norvegia > 42 Idem della Spagna, Portogallo e Russia » 8 Idem dell’America > 37 Idem dell1 Asia > 5 Idem dell’Australia » 18 Musei. Collezioni di rocce, minerali e fossili fatte per cura di geologi dipendenti dal Co- mitato o in relazione con esso : Rocce delle Alpi occidentali (Gastaldi) Campioni N. 1045 Idem minerali e fossili della Lombardia (Curioni) » 4000 Idem della Liguria occidentale (Pellati) » 144 Idem minerali e fossili della Toscana (Lotti e De Stefani) . . » 662 Idem delle miniere solfifere della Romagna (Niccoli) .... > 170 Idem e fossili dei dintorni di Camerino (Canavari) .... » 45 Idem e minerali dell’ Umbria (diversi) » 58 Idem e fossili della provincia di Roma (geologi operatori) . . » 300 Idem delle Isole Ponza (Doelter) » 27 Idem e fossili della Basilicata e Salernitano (De Giorgi) . . > 285 Idem e fossili della Calabria settentrionale (Lovisato). ... » 1050 Idem minerali e fossili della Sicilia (geologi operatori) ... > 982 Idem e fossili dello Stretto di Messina (Seguenza) » 30 Idem e fossili dei dintorni di Termini Imerese (CiofaloJ. . . > 72 Collezioni diverse ricevute in dono od acquistate : ^ Italiane: Rocce delle Alpi pennine (Gérlach) Campioni N. 61 Idem del traforo del Gottardo » 2 Italiane; Roccie e minerali di Val Imperina e delle Alpi agordine > 198 Idem e minerali dell’ Elba (Grabau) » 260 Minerali del Bottino (Alpi Apuane) » 46 Rocce e minerali dell1 Isola del Giglio » 72 Minerali della Sardegna » 85 Fossili dei terreni terziari dell’ Emilia (Coppi e Aragona) » 490 Idem del Senese ed altre parti della Toscana (Lawley e De Stefani) > 513 Provenienti dall' Estero : Rocce minerali e prodotti metallurgici dell’ Ungheria ricevute in cambio dal Governo Austro-Ungarico » 850 Fossili della Baviera » 110 Rocce minerali e fossili del Chili » 340 Idem e fossili dell1 Egitto. . . . » 30 Idem e minerali di Olone tz (Russia) » 35 Idem id. della Norvegia » 40 Miuerali di zinco del Belgio » lo Rocce e minerali dell’Australia » 142 Idem e marmi del Canada » 160 Idem del Giappone (in pezzi parallelepipedi) » 105 Idem e minerali del Portogallo. » 20 Collezioni di materiali da costruzione e di 'pietre ornamentali. Comprendono campioni in gran parte squadrati con una o più faccie pulite di marmi ed altre pietre da taglio, di pietre da calce e da cemento, sabbie, pozzolane. calce, bitumi e terre cotte: Materiali naturali da costruzione e da ornamento Campioni N. 3011 Laterizi ed altre terre cotte ornamentali » 755 Collezione di pietre ornamentali dell’antica Roma (acquistate nel 1878) » 320 Marmi dell’ Umbria (antica collezione) » 90 Strumenti scientifici. N. 2 apparecchi fotografici da càmpagna accessorii. » 3 barometri a mercurio (Fortin). > 22 barometri aneroidi di vario modello. » 20 bussole tascabili con eclimetro. t> 2 buste di compassi. > 1 camera lucida. » 1 camera oscura. > 1 cannocchiale da campagna (binoccolo). » 1 cassetta completa da mineralogo. » 2 clinometri. » 1 ipsometro. » 1 macchina per tagliare e lisciare le rocce in lastre sottili. » ] microscopio polorizzatore con lenti di ricambio e lastre preparate. N. 1 pantografo. » 1 podometro. » 1 psicro metro. » 8 termometri con astuccio. Righe, squadre e altri arnesi da disegno ecc. Mobili. N. 10 vetrine per collezioni. » 4 vetrine per biblioteca. j> 5 armadii uso libreria. Scaffali fìssi al muro per materiali da costruzione. Scaff aletti, tavoli, scrittoi, sedie, ecc. — 37 — COMMISSIONE PER IL PROGETTO DI LEGGE SULLA CARTA GEOLOGICA. Verbali delle Sedute 6, 7, 8 marzo 1882. 6 marzo 4882 . — Seduta antimeridiana. La seduta è aperta alle ore 10 e mezza ant. Sono presenti i seguenti Commissarii : prof. Capellini, prof. Cocchi, prof. Cossa, prof. Gemmellaro, ing. Giordano, prof. Guiscardi, gen. Mayo, prof. Meneghini, prof. Ombroni, ing. Pellati, gen. Pescetto, prof. Pi- rona, prof. Scacchi, senatore Scarabelli, prof. Seguenza, prof. Stoppani, prof. Taramelli. — Sono assenti per diversi impedimenti: gen. Bertolè Viale, gen. Mezzacapo, barone De Zigno, prof. Ponzi, ing. Sella, prof. Strùver. S. E. il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio (Berti) apre la seduta salutando gli intervenuti; essi conoscono lo scopo della convoca- zione, e spera che la esperienza acquistata anche nel Congresso di Bo- logna ed i documenti che hanno sott’occhio permetteranno loro di for- mulare delle proposte al Ministero che riescano di valido aiuto pel progetto di legge che si tratta di presentare. Si dà lettura del processo verbale della precedente adunanza (10 giu- gno 1880). Ritiratosi il Ministro la presidenza è assunta dal prof. Meneghini, presidente del R. Comitato geologico. Funziona da segretario V inge- gnere Zezi. Aperta la discussione sul progetto di legge presentato dai profes- sori Taramelli e Stoppani 1 il Senatore Scarabelli osserva che dal verbale 1 Allegato A. — 38 — risulterebbe non essere quello la conseguenza di un incarico avuto, come da taluno fu detto, ma soltanto che la Commissione sospese le sue se- dute perchè i dissenzienti concretassero le loro idee. Stopparti non sa intendere la distinzione tra mandato e desiderio espresso dalla Commissione; esso e Taramelli ebbero un vero incarico con sanzione ministeriale, la quale gli diede regolare mandato di for- mulare un contro-progetto a quello presentato dall’Ing. Giordano. Il "Presidente crede l’incidente esaurito e fa passare alla discussione del contro-progetto Taramelli invitando l’autore a leggerne gli articoli. Stoppani Non crede che la semplice lettura degli articoli sia suffi- ciente; crede necessario anzitutto il fissare l’attenzione sul primo ar- ticolo, punto cardinale del progetto, e converrebbe far precedere una discussione generale. Scacchi è d’avviso che lo Stoppani esponga le ragioni che consi- gliarono quell’articolo fondamentale e che quindi si discuta. In seguito ad invito del Presidente lo Stoppani dice che la sua re- lazione è divisa in 3 parti, delle quali la prima fa la storia dei tenta- tivi passati, e la seconda tratta la questione di massima. E persuaso che la Carta è male affidata al Corpo delle Miniere, e ciò per motivi esposti nel verbale precedente: anche da principio si aveva la stessa sua idea, ma più tardi il Corpo delle Miniere fu incaricato del lavoro aggiungendovi un Comitato che esercita poca influenza. Non ha mai detto che gli ingegneri delle miniere non sieno capaci di fare il geo- logo, ma combatte la organizzazione attuale: gli ingegneri potranno fornire degli elementi buoni, ma non vuole la istituzione così come è ora organizzata, cioè come un’appendice del Corpo delle Miniere, re- standone escluso in massima l’elemento universitario e chiuse le porte ai giovani naturalisti. Ammesso che non si possano questi escludere dal lavoro bisogna ricorrere ad un Istituto autonomo che ammetta tutti gli elementi. Nel progetto non si escluderebbero gli ingegneri minerarii, ma la geologia propriamente detta va fatta da naturalisti, quindi è necessario un corpo a sè che raduni tutti questi elementi. Nel progetto è pure tolto il pericolo di un direttore autonomo ed assoluto, essendovi un Consi- glio residente e assai diverso dall’attuale Comitato. Prega 1’ assemblea di fissarsi su questo punto e domanda che si dichiari se così si vuole o diversamente: tutto il resto si potrà discutere poi. Scacchi considera che si avrà la Carta se avremo l’abilità di sce- gliere persone adatte, e queste debbono essere di necessità geologi di campagna ; ammesso questo conviene con lo Stoppani. Taramelli crede la questione così troppo semplificata. Non si tratta - 39 solo di geologi rilevatori ma occorre anzitutto una direzione che li or- ganizzi e faccia la sintesi del lavoro; questo compito è il più impor- tante, quindi tanto più necessario che l’Istituto provveda allo scopo. Scaccili ritiene che il più importante stia nei lavori di campagna; non può bene giudicare dei fatti se non chi li ha veduti: non nega per questo l’importanza della direzione. Giordano prende la parola per rettificare l’asserzione di Stoppani che la carta sia stata affidata al Corpo delle Miniere: si tratta invece di una Sezione geologica costituita da ingegneri aggregati bensì al Corpo delle Miniere, ma stati prima specialmente istruiti per la geologia, cioè scelti per esame, mandati all’estero a studiare in scuole minerarie o geolo- giche ed infine anche a lavorare praticamente nel Geoio gical Survey di Londra od altro Istituto simile. Non sono quindi da confondersi con gli ingegneri del Corpo che attendono al servizio tecnico-amministrativo. Tale organizzazione era stata adottata parte per vista economica, ma eziandio per avere un corpo di operatori disciplinato, ed in certo qual modo simile a quello dell’Istituto Topografico del quale formano nucleo uffiziali dello Stato Maggiore. Tali ingegneri debbono avere un’ istru- zione speciale in vista del lavoro geologico. Profitta della circostanza di avere la parola per ricordare che nel 1880 esso aveva presentato un progetto che, quanto a personale, aveva per base il sistema vigente portato dal R. Decreto del 1873, senza però avere inteso doversi escludere i naturalisti. Ora non intende entrare in discussione relativamente al sistema preferibile, essendo la sua posizione particolarmente delicata; e si limiterà a trattare della Carta. Siccome dal 1880 in poi si lavorò assai e si acquistò esperienza, crede si potrebbe ora ridurre alquanto quel progetto, ed avere delle economie di tempo e di spesa ; e così per esempio, eseguire e pubblicare la carta in grande scala con le necessarie illustrazioni nel lasso di meno di 20 anni e con una spesa di circa 4 milioni e mezzo. I nuovi calcoli sono sviluppati in un opuscolo che distribuisce. 1 Mayo parla della necessità di un Istituto autonomo e cita l’esem- pio dell’Istituto topografico; dapprima il lavoro della Carta topografica era affidato ad un ufficio tecnico dipendente dallo Stato Maggiore ; fu solo nel 1872 che si ebbe 1’ idea di trasformarlo in Istituto autonomo, ed allora la istituzione migliorò immensamente, talché in giornata si può dire che quell’istituto è per produttività il primo d’Europa. E completamente dell’avviso dello Stoppani in quanto riguarda la 1 Vedi nell’allegato C il quadro che era unito a quest’opuscolo, indicante in mas- sima il personale e spese annue di un Istituto geologico completo quale occorrerebbe per la Carta geologica del Regno. — 40 — fondazione di un Istituto autonomo ; vi saranno al certo delle difficoltà, ma col buon volere vi si arriverà senza dubbio. Espone quale sia la organizzazione dell’Istituto topografico, con un Comitato che si raduna ogni anno e con la direzione incaricata di eseguire le deliberazioni del Comitato: propone quindi che si prenda quello ad esempio, facendo un Istituto autonomo con un Comitato consultivo, un Direttore ed un per- sonale da scegliersi convenientemente. Termina col raccomandare ai geologi lo studio delle matematiche. Capellini risponde al gen. Mayo che anch’esso insiste sulla necessità di un alto Consiglio costituito di elementi scientifici per dare le norme generali e di un Corpo esecutivo disciplinato dipendente da un capo: sembragli che ciò potrebbe ottenersi con opportuna evoluzione, senza distruggere il già fatto, senza rinunciare alle tradizioni dellTTfficio attuale che ha tanto bene iniziato il lavoro. A tale proposito legge uno schema 1 contenente alcune proposte, secondo le quali si potrebbe riformare il Comi- tato attuale facendovi entrare i professori delle Università primarie, il Presidente della Società Geologica, gli Ispettori delle Miniere, il Direttore dell’Istituto topografico e inoltre, a facoltà del Ministro, i geologi o mi- neralogisti che si segnalassero : questo Comitato avrebbe un presidente scelto fra i suoi membri, e sarebbe convocato dal Ministro per udire la relazione del direttore dei lavori ed ogni qualvolta fosse necessario per la soluzione di questioni scientifiche attinenti alla Carta. Quanto al Corpo esecutivo sarebbe un ufficio composto di un diret- tore, di geologi operatori, di paleontologi, chimici-petrografi e perso- nale subalterno. Questo personale sarebbe scelto fra gli allievi inge- gneri del Corpo delle Miniere che abbiano mostrato speciale attitudine e fatto un tirocinio di lavori geologici, e fra i naturalisti che vinces- sero un concorso per esami sopra un programma fatto dal Comitato; questi ultimi avrebbero gradi ed assegni eguali a quelli degli Inge- gneri delle miniere. Finalmente il direttore dell’ufficio sarebbe nomi- nato per decreto reale dietro proposta del Comitato. Crede che in questo suo progetto vi sia sufficiente garanzia nella scelta del direttore e del personale operante, e che inoltre il Comitato risulterebbe com- posto di tutti i veri cultori della geologia. Cossci osserva che il confronto fatto dal gen. Mayo fra l’Istituto to- pografico ed il geologico non è interamente esatto per la natura di- versa del personale: infatti nel primo si ha una direzione militare e vi è disciplina severa, mentre ciò è difficile ad ottenersi in un Istituto geologico per la qualità del personale e la natura stessa del lavoro ; in un caso il direttore non fa che applicare letteralmente le massime del 1 Vedi allegato B. — 41 Comitato, mentre nell’altro è facilissimo il trovare disparità di opinioni fra Comitato e personale operante. Mayo replica che la disciplina gerarchica deve esistere in ogni isti- tuzione; in geologia si tratta di cose di fatto e tutte le discussioni vanno riservate al Comitato. Pescetto divide le idee del gen. Mayo ed appoggia l’ idea di un corpo autonomo indipendente dal Ministero, il quale figuri direttamente in bilancio e le cui spese sieno giustificate nelle relazioni delle com- missioni del Parlamento. Stabilito questo principio si potrà passare alla organizzazione dell’Istituto. Taramelli osserva che l’Istituto dovrebbe avere per scopo anche di garantire tra i suoi membri quelle relazioni di stima che debbono pas- sare fra gli studiosi e di provvedere allo sviluppo della scienza: per ciò fare egli non crede opportuno un Comitato, ma sembragli sufficiente la garanzia di un Direttore con un Consiglio residente. Scacchi richiama all’argomento della discussione e propone di vo- tare anzitutto se si vuole o no un corpo autonomo. Pellati desidera prima mettere in chiaro la posizione attuale del- l’Ufficio geologico il quale ha inscritta in bilancio una somma speciale, ha un capo indipendente e col Ministero ha soltanto gli usuali rapporti di amministrazione: dimostra che l’istituzione attuale ha già una certa autonomia, nè vede possibile un Istituto che non dipenda da qualche Ministero. Pescetto osserva che nel capitolo del bilancio attualmente si parla di fondi per la Carta geologica e non per sostenere un Istituto e Co- mitato e per tutto ciò che si attiene alla geologia. Crede che sussista sempre la ragione di stabilire un Istituto geo- logico autonomo. Domanda quindi che si metta ai voti l’articolo primo del progetto Stoppani, sopprimendovi la residenza presso il Ministero, perchè l’Istituto deve avere un locale proprio. Pellati dice che non è la prima volta che si unisce una Commis- sione per tale scopo, che tutti lo desiderano e gli ingegneri del Corpo delle Miniere con gli altri : avverte solo che le Commissioni precedenti dimostrarono che vi saranno delle difficoltà pratiche ad avere questo Isti- tuto autonomo, e crederebbe prudente che prima di venire alla vota- zione di un principio così fondamentale, si entrasse un po’ meglio nella quistione per non pregiudicarla con una votazione precipitata. Il Presidente dichiara che le osservazioni del Pellati sono della massima importanza, e propone si sospenda per ora qualsiasi votazione. Posto ai voti se in massima si debba votare il primo articolo Stoppani o differire la votazione dopo avere esaminato il progetto intiero e i — 42 — termini della questione, l’assemblea a maggioranza delibera di votare subito. Scarabelli propone che si metta ai voti la mozione Scacchi se si vuole o no un ente autonomo. Dopo breve discussione il Presidente in- vita lo Scacchi a formulare la proposizione da votarsi. Questa risulta come segue : E stabilita la fondazione di un Istituto geologico autonomo dipen- dente dal Ministero di Agricoltura , Industria e Commercio, inteso prin- cipalmente alla formazione della Carta geologica delVItalia. In seguito ad osservazioni dei signori Mayo, Pescetto, Omboni, Pi- rona e Seguenza, il Presidente pone ai voti la formola seguente : È fon- dato un Istituto geologico autonomo dipendente ecc. ecc. come sopra. E accettato ad unanimità con l’astensione dei signori Giordano e Pellati. La seduta è levata alle ore 12 e un quarto. 6 marzo. — Seduta pomeridiana. La seduta è aperta alle ore 2 e mezza. Sono presenti gli stessi della seduta antimeridiana. Il presidente Meneghini apre la seduta ricordando la votazione del mattino- di un Istituto autonomo, ed invita quelli che hanno studiato il progetto Stoppani a discuterne i principii generali. Accenna agli impe- gni attuali fra i quali quello della pubblicazione della Carta d’insieme da fornirsi per la compilazione di una carta generale d’Europa giusta le deliberazioni dell’ultimo Congresso geologico internazionale. Parla della scala del 200,000 proposta dal Taramelli che crede insufficiente per una carta a grande scala ed eccessiva per una carta d’insieme, ed apre la discussione sopra la quistione della scala, conveniente per la Carta geologica d’Italia. Taramelli dichiara che si è deciso a proporre il 200,000 per espe- rienza propria fatta nel Veneto: tale scala può dare un sufficiente det- taglio delle suddivisioni ed in molti casi ritiene inutile una scala più grande. Crede adunque che raccogliendo gli elementi esistenti e com- pletandoli con fina buona carta in quella scala si avrebbe in poco tempo la precisa espressione delle nostre cognizioni attuali, mentre per avere una carta completa al 50,000 occorrerebbero moltissimi anni. Guiscardi e Stoppani credono si debba ora imprendere la discus- sione sulla costituzione dell’Istituto; la quistione della scala verrà dopo. 43 — 11 Presidente , pur ritenendo che fosse essenziale di procedere prima alla discussione della scala, accetta la osservazione e apre la discussione sugli altri punti riguardanti la costituzione dell’Istituto. Si dà quindi lettura dell’articolo secondo del progetto Stoppani dal quale risulta che gli oneri, diritti ed attribuzioni del Comitato ed Ufficio geologico restano concentrati nell’Istituto. Pellati e Giordano danno incidentalmente degli schiarimenti sulla organizzazione attuale, insistendo sull’idea che l’Ufficio geologico è af- fatto distinto dal Corpo delle Miniere, ed è per sola economia di per- sonale che il Capo di esso è ora provvisoriamente anche capo del ser- vizio minerario. Scacchi ritiene necessario di raccogliere tutto ciò che oggi esiste e di indicare come vada trasformato; si dichiara quindi favorevole al- l’articolo secondò. Pescetto crede che ciò debba formare oggetto di una disposizione transitoria da mettersi in fondo alla legge: nel secondo articolo e nei seguenti si debbono indicare le modalità dell’Istituto senza considera- zione alle cose esistenti. Sembragli che nel progetto Capellini sia ecces- sivo il numero dei membri del Comitato e ritiene tale esuberanza causa di difficoltà. Capellini risponde che il Comitato non prende parte diretta ai la- vori, ma è soltanto un corpo consulente da convocare a lunghi inter- valli, e quindi le indicate difficoltà non possono esistere. Mayo ritiene necessario in quanto all’ entità dell’ Istituto il par- tire da dati di fatto, di stabilire cioè quanto lavoro dovrebbe fare l’Isti- tuto in un anno dipendentemente dai fondi disponibili in bilancio, e in base a questo fissare la quantità del personale. Dunque il progetto do- vrebbe essere modificato nel senso di stabilire l’ organamento interno dell’Istituto in base ai fondi disponibili per la carta geologica. Taramelli non si oppone alla istituzione di un Comitato quale è a un dipresso l’attuale, ma fa osservare che ciò porterebbe aumento di spesa e allungherebbe assai le discussioni: crede quindi preferibile la sua proposta, salvo a convocare quando occorre un Congresso di geologi per decidere certe quistioni. Mayo osserva che all’Istituto Topografico il Comitato non reca al- cun inconveniente ; non farebbe che riunirsi una volta all’ anno o quando occorrà, e dare l’indirizzo generale alla direzione. Pescetto insiste sulla inutilità del Comitato e voterà la proposta Taramelli quale si trova, proponendo che non si parli di Comitato ma solo di Direzione. Taramelli propone di esaminare se il Consiglio dell’Istituto quale — 44 — è proposto nel suo progetto, possa dare sufficiente garanzia o se occorra l’intervento di un Comitato: secondo lui la pubblicità dei lavori del- l’Istituto è il massimo controllo al quale si possano sottoporre. Capellini è favorevole alla istituzione del Comitato perché nel Con- siglio proposto i dipendenti potrebbero subire influenza del Direttore, mentre il Comitato, composto di persone indipendenti, dà serenamente i suoi consigli, propone le nomine del personale e per gli altri provvedi- menti: d’ altra parte esso non arreca grandi spese ed utilizzerebbe tutte le forze vive del paese. Insiste nella proposta fatta al mattino e distribui- sce stampato il progetto letto in quella seduta. 1 Cossa è favorevole al Comitato ed appoggia la proposta Capellini cbe si potrebbe subito mettere ai voti. Gemmellaro e Scarabelli sono dello stesso parere. Cocchi dopo di avere dichiarato non essere questo il momento di fare la storia minuta di quanto si è fatto nel passato fino ad arrivare al punto in cui siamo, dice che in altra occasione ebbe a fare un pro- getto analogo all’attuale, il quale non potendo avere effetto nelle con- dizioni di tempo e di cose di allora, fu nel 1867 sostituito dalla Sezione geologica del Consiglio delle Miniere trasformata in Comitato autonomo, finché col decreto del 1873 si ritornò alle idee del 1861. Però fece strada il principio di un corpo consulente, e questo appare anche nel progetto Taramelli col Consiglio direttivo. Kaccomanda che la Commissione de- cida se il Comitato debba esservi o no, essendo questa la base di tutto, e qualora credesse di istituire un Comitato, questo sia rinforzato con elementi estranei all’Istituto, e ne adduce i principali motivi. Appoggia quindi tale idea proponendo la votazione immediata su questo punto. Pescetto si associa alla proposta della votazione insistendo nella non necessità del Comitato. Cossa prega il Presidente di mettere ai voti la sua mozione se si debba ammettere o no un Comitato. Pirona è di parere contrario perchè votando pel Comitato si esclude la possibilità di avere poi un corpo consultivo stabile. Si ammetta in- tanto di sostituire il nome di Consiglio a quello di Comitato. Dopo lunga discussione alla quale prendono parte i signori Scacchi, Cossa, Pescetto, Cocchi e Scarabelli, il Presidente mette ai voti se si ammette la esistenza di un Consiglio è approvato a grande maggioranza. Mette quindi ai voti se il Consiglio deve essere interamente esterno ; no alla unanimità. Posto ai voti se il Consiglio debba essere misto , ossia parte interno 1 Allegato B. — 45 — s parte esterno; è approvato ad un voto di maggioranza. In seguito però a dichiarazione di alcuno dei membri di non avere bene compreso il ^enso della votazione, questa viene rifatta e la mozione non è appro- vata per un voto di maggioranza. Ne risulta pertanto che è ammesso il Consiglio interamente interno. Si dà lettura della tabella del personale dell’Istituto secondo il pro- getto Taramelli. Cossa desidera che nella tabella si indicasse che uno dei geologi si occupasse di petrografia, ossia di analisi chimico-microscopica delle roccie. Taramelli ha nulla in contrario, ma pel momento sembragli inu< tile stabilire ciò che naturalmente si verrà ad avere, essendoché non mancherà certo qualche geologo che si occupi specialmente di questi studii. Stoppani fa osservazioni analoghe ed aggiunge che oltre la petro- grafia si hanno altre materie che esigerebbero persone apposite, e che il meglio è lasciarle alla iniziativa individuale. Cossa insiste nella sua osservazione ed è appoggiato da Meneghini e da Gemmellaro ; aggiunge che siccome vi sono ora dei geologi i quali si dedicano intieramente alla paleontologia, così vi debbano essere dei chimici o dei geologi che si occupino esclusivamente della petrografia. Taramelli non si opporrebbe ad introdurre nella tabella un chi- mico specialista, ma in tal caso bisogna pensare alla spesa occorrente all’impianto di un laboratorio. Giordano crede che un’Istituto debba avere in sé tutto l’occorrente, compreso un chimico, e che la spesa relativa va calcolata nel progetto. La Commissione conviene nella necessità di un laboratorio di pe- trografìa con un petrografo da aggiungersi alla pianta del personale. Giordano osserva che il personale dell’Istituto dipende dalla na- tura del lavoro da farsi e specialmente dalla scala alla quale si faranno .i rilevamenti. Egli ha preparato un progetto sommario con una pianta del personale per un Istituto completo e lo distribuisce come schiari- mento nella attuale discussione.1 Insiste però nell’idea che per potere stabilire il numero e le attribuzioni dei geologi, occorre prima discu- tere sulla scala della Carta. La seduta è levata alle ore 5 e mezzo. 1 Vedi in allegato C il quadro del personale e spese dell1 Istituto. — 46 — 7 Marzo~_4 882 — - Seduta antim. La seduta è aperta alle ore 10 antimeridiane. Sono presenti gli stessi membri della Commissione che nella se- duta del giorno precedente. 11 Presidente Meneghini apre la seduta ricordando che nella dis- cussione che ebbe luogo nel 1880 sul progetto di legge che il Giordano ebbe incarico di formulare dal Ministero, Taramelli e Stoppani espres- sero opinioni diverse in seguito alle quali venne diferito la discussione fino a che fossero formulate le nuove proposte dello Stoppani e Tara- melli. Si tratta ora di continuare la discussione ed il Myiistro ci ha qui radunati appunto a discutere fra i due progetti. Stoppani ricorda che ebbe incarico dal Ministro di presentare un progetto nuovo ; quello di Giordano non era che lo statu-quo . Giordano osserva che il suo progetto presentato nel 1880 concer- neva essenzialmente la spesa necessaria per il compimento della Carta geologica. Credette bene di presentare ieri uno schema con un nuovo quadro della spesa, ma non intendendo che fosse un progetto nuovo. Lo è invece quello presentato dal Capellini che è una variante - conci- liativa fra quello Stoppani Taramelli ed il primitivo. Stoppani non intende che si escluda la discussione degli altri pro- getti ; ora però l’ordine richiede che si continui quella del progetto da lui presentato. Meneghini apre la discussione sulla scala da adottarsi per la Carta dipendendo principalmente da questa la spesa. Taramelli fa distinzione tra rilevamento e pubblicazione ; per il rilevamento richiedesi una grande scala e quella al 50,000 è appena sufficiente; quanto alla pubblicazione crede che non vi sia ragione di tenere una scala così grande, ma potersi stare a quella sufficiente per i dettagli che si dovranno rilevare. Meneghini osserva che nel progetto ora presentato da Giordano . non si tratta più della pubblicazione al 50,000 la quale importava una spesa molto notevole : ma ora la questione importante è di stabilire la scala per il rilevamento. Taramelli dice che il rilevamento è relativo all’ importanza delle località, e mentre la scala al 50,000 è troppo grande per le pianure del Po non sarebbe sufficiente per le Alpi e per certe località dell’ Ap- pennino ; propone quindi si dica che il rilevamento dovrà farsi in una scala sufficiente ad avere il massimo dettaglio necessario. Scacchi propone si aggiunga « ma non mai minore del 50,000. — 47 — Meneghini crede che remendamento Scacchi si possa accettare ri- ferendosi alla totalità della Carta in generale. E accettato. Meneghini passa a parlare della pubblicazione. E già stabilita la pubblicazione al più presto possibile di una carta alla scala di 1/500,000: Si tratta ora di discutere la proposta di Tara- melli di una scala al 1/200,000 per la pubblicazione da farsi in seguito. Taramelli osserva che il rilevamento da lui fatto nel Friuli ove in una scala di 1/200,030 hanno potuto essere rappresentati 40 terreni gli ha dimostrato che quella scala è sufficiente e che presenta van- taggio sia per la spesa che per lo studio, dando un lavoro più sinte- tico e più facilmente osservabile. Giordang dice per schiarimento che egli nel suo progetto del 1880 seguendo l’antico voto, avea proposto la pubblicazione al 50,000; la spesa era però molto ingente, sopratutto perchè l’Istituto Topografico non avendone i rami per la riproduzione, sarebbe stato necessario di farsene un’apposita incisione. Dovendo venire per economia ad una scala diversa, ei conviene ricorrere alla carta che si ha pronta e questa èia nuova carta dell’Istituto topografico ora in pubblicazione, da fotoinci- sioni. in rame, e la quale è al 1 100,000. Quella al 1/50,000 potrebbe darsi per ora colorita a mano a chi ne faccia domanda. Sarebbe forse anche sufficiente per certi usi scientifici lo stamparne una al 200,000, ma siccome non esiste una carta orografica a simile scala, il volersela procurare costerebbe grave spesa e assai tempo. Crede quindi sia più opportuna quella alla scala di 1/100,000, anche perchè dà luogo a far risultare maggiori dettagli e si accosta di più a quella adottata da al- tri paesi finitimi. Taramelli sarebbe disposto ad accettare questa scala che è pure quella della Svizzera del Dufour, ma preferirebbe una carta idrogra- fica senza curve, a cui si potrebbero sostituire opportune quote. Po- tendosi procurare questa insisterebbe nella scala al 200 mila. Pescetto osserva che l’istituto topografico non fa che carte prodotte colla fotoincisione e per una riduzione di scala si esige tempo per ogni tavoletta e quindi occorrerebbe un gran tempo e una grave spesa. Soggiunge che l’Istituto ha molti altri lavori e non potrebbe assu- mersi un lavoro di tal fatta. Creda quindi sia da valersi della carta al 100,000 che è abbastanza nitida e chiara. Giordano dice che proponendo per ora la pubblicazione della carta alla scala di 1/100,000 come il partito più economico, non deve essere escluso che, avendo mezzi, si possa fare anche in altre scale sia mag- giori sia minori per determinate regioni; a vece dell’ 1/100,000 preferì- — 48 — rebbe quella dell’1/75,000 cbe è più conveniente per diversi motivi, ma nello stato delle cose, per una prima pubblicazione converrebbe adot- tare quella che si possiede, cioè al 1/100,000. Mayo crede opportuno di far conoscere che si sta ora preparando per il Piemonte una carta al 1/75,000 con curve senza tratteggi e fatta in tre tinte diverse. Questa carta che si estenderebbe poi al resto del- P Italia e che potrà essere riprodotta anche in una sola tinta, riescirà assai chiara e adatta per la Carta geologica. Taramelli non insiste nella sua proposta ed accetta la scala al 100,000 colla riserva posta dal Giordano. Pescetto non crede opportuno di parlare di pubblicazione di altre carte da farsi in seguito poiché queste potrebbe produrre pstacoli nelle decisioni del Parlamento; ed è meglio parlare soltanto della pubblica- zione della Carta al 100,000. Omboni osserva che si dovrebbe accennare anche alle pubblica- zioni che vanno annesse alla Carta, come memorie, illustrazioni, ecc. Cocchi osservando che ciò è sempre sottinteso quando si parla di simile opera, propone tuttavia si aggiunga 'colle relative descrizioni ed illustrazioni . La proposta è accettata. Il presidente passa alla discussione sul personale necessario e sulla spesa. Pescetto osserva che per stabilire i dettagli del personale ed altro, è necessario decidere prima quale sia il progetto che si vuole adottare. Egli opina di seguire quello Stoppani-Taramelli, introducendovi quelle modificazioni che si trovassero del caso secondo il progetto Giordano. Capellini crede che si debbano discutere solo le cose di massima * e che non si entri nei dettagli in un progetto di legge. Il Ministro ora non chiede altro se non che si stabilisca in massima la spesa ed il tempo per compiere il lavoro. Scacchi osserva che gli studi di scienze naturali vanno sempre per- fezionandosi e non si esauriscono mai ; l’Istituto è quindi una specie di università perpetua e noi dobbiamo proporlo in questo senso al Mi- nistro. Giordano dice che il vero mandato della Commissione non era di re- digere un progetto per un’istituzione scientifica ma per la formazione della Carta geologica. Certo la Carta è un gran lavoro e duraturo per- chè dovrà sempre perfezionarsi ed estendersi col tempo e l’Istituto che ne è incaricato diventerà naturalmente un’ Istituto scientifico e perpe* tuo; ma per ora bisogna attenersi al mandato essenziale. — 49 — Stopparti fa alcune osservazioni ricordando la relazione presentata alla presidenza della Camera il 14 novembre 1879. Kitiene che bisogna presentare un progetto che abbia la massima latitudine senza limita- zioni. Crede che il Ministro ed il Parlamento non si rifiuteranno di ap- provarlo. Mago, cita quanto si fece per la Carta topografica per la quale fis- sata la spesa si cercò poi di abbreviare il tempo aumentando il perso- nale, crede che per la Carta geologica si potrebbe stabilire il tempo. Pescetto crede indispensabile di fissare una spesa minima; nel se- guito si potranno ottenere nuovi fondi. Cocchi ritiene anche egli che un Istituto geologico finirà coll’avere una durata indefinita. Per l’amministrazione è però necessario il fissare approssimativamente fin d’ora la spesa ed un minimo di tempo per il rilevamento geologico dello Stato e per la pubblicazione di esso. Taramelli propone di fissare il termine di 15 anni, senza però pre- giudicare l’esistenza posteriore dell’Istituto. Stopparli propone che si chieda una cifra annua senza fissare il termine. Il progresso continuo della geologia esige dei cambiamenti con- tinui per il perfezionamento delle carte. Bisogna far comprendere al Ministro il vero stato delle cose. Mayo osserva che converrebbe tenere distinte le spese per la Carta da quelle per l’Istituto. Cocchi osserva che lo scopo della discussione è di dare al ministero un concetto fondamentale per la presentazione di un progetto di legge per la Carta geologica, non è però escluso che l’opera debba continuare. Insiste perchè si stabilisca restremo del tempo e della spesa, ammet- tendo che il personale dell’Istituto debba figurare in un capitolo a parte : si deve stabilire la somma totale necessaria per avere una carta geologica conveniente. Pescetto si associa a quanto ha detto il Cocchi; egli starebbe per la durata di 18 anni proposta dal Giordano, anche perchè la somma ripartita su un numero di anni maggiore fare meno effetto nel Parla- mento. Quanto al personale è necessario prima fissare il progetto che si vuol seguire. Meneghini propone la mozione: « quali dei due progetti debba met- tersi in discussione. » Scacchi si associa a Pescetto, cioè che si stabilisca prima il pro- getto da portarsi in discussione. Stoppani ritiene che il suo debba avere la precedenza poiché quello presentato da Giordano nel 1880 non era che lo stata quo. Giordano osserva a titolo di schiarimento, che nel suo antico pro- li — 50 — getto i geologi aggregati al Corpo delle Miniere sarebbero stati pagati nel bilancio speciale del Corpo, quindi la somma da mettere nel bilan- cio speciale della Carta geologica restava diminuita dei loro onorarii. Cocchi proporrebbe che si tenesse distinto ciò che occorre in mi- nimo per l’Istituto da ciò che occorre per il personale. Péllaii osserva che trattandosi di un Istituto su nuove basi non si può ora stabilire bene il calcolo per il personale, non sapendosi se gli ingegneri delle miniere vi prenderanno parte. Pescetto ritiene che allo stesso modo che gli ingegneri del Genio Civile vennero chiamati a prestar servizio nei lavori del genio militare, anche gli ingegneri delle miniere dovrebbero prestarsi al rilevamento geologico. Stoppani osserva che nel suo progetto gli ingegneri delle miniere entrando all’Istituto dovrebbero essere pagati sul bilancio dell’ Istituto medesimo. Pescetto ha sempre ritenuto che gli ingegneri delle miniere che hanno lavorato al rilevamento geologico e quelli che fanno studii spe- ciali a questo scopo fossero destinati a continuare a prestare 1’ opera loro, e siccome sono pagati in un bilancio a parte non devono figurare nelle spese dei lavori. Siccome poi l’Istituto seguiterà ad esistere, men- tre il grande lavoro deve, finire, è bene che vi siano nel personale ap- punto degli ingegneri delle miniere che potranno ritornare al loro Corpo finito il rilevamento. La seduta è sospesa alle ore 12,30. 7 marzo. — Seduta pomeridiana. La seduta è riaperta alle ore 3 1/4. Sono presenti gli stessi della seduta antimeridiana meno il generale Pescetto impedito da altre oc- cupazioni. 11 Presidente Meneghini ricorda la discussione del mattino sulla spesa e sul tempo da fissarsi per la formazione della Carta geologica. Quanto al tempo la discussione era già abbastanza matura. Si deve ora decidere fra la durata proposta da Taramelli di 15 anni e quella di Giordano di 18. Pone ai voti il termine di 18 anni colla mozione pro- posta dal Cocchi. Il lavoro di cui sopra sarà ultimata in 1S anni. E approvato alPunanimità. Si apre la discussione dall’art. 4 del progetto Taramelli che dà un quadro del personale proposto per l’Istituto, consistente in un Diret- tore, 3 geologi di prima classe, 3 di seconda, 4 geologi-allievi, un se- gretario, 1 disegnatore di carte, 1 di fossili ed 1 inserviente. * — 51 — Stopparli fa rilevare la differenza tra il numero del personale da lui proposto e quello del progetto Giordano che è più numeroso. Pro- pone di attenersi al suo, aggiungendovi nel seguito quanto occorrerà. Dietro a domanda del gen. Mayo legge l’art. 7 che tratta delle attri- buzioni dei geologi di prima classe, i quali hanno la parte più attiva nel lavoro. Parla in generale della tabella proposta, ed ammette che sia un po’ mancante il personale per la esecuzione delle carte, e pro- pone che se ne aggiunga dell’altro ricavandolo dalla pianta proposta dal Giordano. Giordano osserva che il progetto Stoppani aveva uno scopo di mole minore del suo poiché era inteso soltanto per la formazione di una carta in piccola scala e quindi non si possono paragonare i due personali, essendoché quello da lui proposto, e che tuttavia era soltanto uno schema di mas- sima, concerneva un’Istituto completo pel rilievo e pubblicazione della carta in grande scala e con il corredo di laboratorii, ed altri mezzi mo- derni per lo studio dei fossili, delle analisi delle roccie e minerali. Espone le ragioni che lo consigliarono ad introdurre fra i rilevatori buon numero di aiutanti, perchè è con questi che si possono fare molti lavori di' dettaglio. Egualmente il numero di 4 disegnatori di carte non è esagerato per corrispondere al lavoro di campagna. La direzione delle pubblicazioni esige pure apposito personale. Infine aggiunge che secondo i suoi calcoli si potrebbe ora, convenientemente operando, avere il la- voro fatto e pubblicato in 18 anni con la spesa di circa 4 milioni e mezzo. Mayo approva quanto è proposto da Giordano sopratutto pel per- sonale subalterno del quale sempre occorre un gran numero in specie per la Cartografia. Quanto al direttore in 2° propone che ne faccia le veci un geologo di la classe. Tarameìli conviene nella scarsità del personale del suo progetto ed ammette che sia aumentato ; non trova però molto opportuna quella gradazione di stipendii e di grado che appare dal progetto del Giordano. Giordano osserva che la proposta da lui fatta, la quale in massima era coordinata ai gradi e stipendii attuali del personale degli inge- gneri, non va considerata in senso assoluto, ma piuttosto come una base per formarsi una idea della spesa del personale, che è una delle principali. Stoppani ammette l’aggiunta di un chimico-petrografo con un as- sistente al laboratorio, ed un paleontologo. Riguardo al numero del personale completo si vedrà poi. Scacchi desidererebbe che si formasse come un Consiglio univer- f — 52 — sitario e si togliessero quelle distinzioni di categorie : in luogo poi di un direttore e di un vice-direttore vorrebbe un consiglio la cui mag- gioranza deciderebbe sulle questioni. Mayo osserva cbe l’Istituto oltre la parte scientifica deve curare anche la parte disciplinare, che esso esige un capo responsabile o direttore il quale dia gli ordini relativi ai lavori da eseguirsi. A tutto questo non può provvedere un Consiglio. In seguito a breve discussione lo Scacchi ritira la sua proposta. Vengono quindi stabilite le categorie del personale nel seguente modo ; Personale superiore: 1 Direttore; 1 capo d’ufficio per la direzione della cartografia; 1 segretario; geologi di la 2a e 3a classe; 1 Petro- grafia 1 Paleontologo. Personale subalterno: disegnatori; un scrivano speciale; custodi; inservienti. Scarabelli osserva che il progetto Stoppani stabilisce un Consiglio composto del direttore e tre geologi di la, mentre all’ art. 31 dello stesso è detto che senza il voto del direttore non può avere luogo de- liberazione ; crederebbe quindi che fosse il caso di cambiare il numero dei geologi di la. Cocchi , osservando che nel personale si ha un direttore della car- tografia. proporrebbe che questi entrasse a far parte del Consiglio, come pure il petrografo ed il paleontologo. Propone inoltre che i geologi di la classe fossero ridotti a 2 aumentando quelli delle altre cate- gorie. Scacchi vorrebbe che prima di tutto si ponesse ai voti se si am- mette un direttore della Cartografia, al quale egli si dichiara contrario. Però in seguito ad osservazioni di Giordano sulla necessità di un car- tografo e che questi deve essere persona intelligente di geologia, e sulla conferma di tale necessità per parte del generale Mayo, ritirala suà mozione. Taramela propone che si aumenti a 4 il numero dei geologi di la classe, e che uno di questi abbia la direzione speciale della car- tografia. La proposta Taramelli è approvata. È pure approvata la mozione Cocchi modificata come segue : Il Consiglio è composto: del direttore , dei 4 geologi di 1 a classe del petrografo e del paleontologo. Si passa ai geologi di 2a classse. Cocchi propone che si dividano in due di 2a e due di 3ae si conservino 53 — quanti aiutanti od allievi si crederanno necessarii dal Consiglio ed in ogni caso non mai meno di 4. Scacchi non approva questa distinzione di classe; ammette però gli aiutanti. Cocchi crede necessaria la gerarchia anche per il modo di reclutare il personale, non essendo facile di trovare subito dei geologi di la classe; bisogna ricorrere alla gioventù per il lavoro di campagna, ed allora si debbono presentare probabilità di avanzamento. Posta ai voti la distinzione di geologi di 2a e di 3a classe, è ap- provata a maggioranza. È pure approvato di ammettere un minimo di quattro allievi. Passando al personale subalterno Giordano dimostra la necessità di avere almeno 4 disegnatori per potere tener fronte al lavoro dei geologi rilevatori. È approvato il numero di 4 disegnatori. Si delibera pure, in seguito a proposta Meneghini di tralasciare per ora l’ammissione di un fotografo. In seguito ad osservazioni del prof. Cocchi e del Presidente si ammettono uno scrivano, un custode e due inservienti. La intiera pianta del personale viene stabilita come segue : Personale superiore: 1 direttore, 4 geologi di la; 2 geologi di 2a; 2 geologi di 3a; 4 allievi; 1 segretario; 1 petrografo; 1 paleonto- logo; 1 assistente chimico. Personale subalterno : 4 disegnatori ; 1 scrivano. Personale di servizio: 1 custode; 2 inservienti. Si passa alla discussione degli stipendii. Stoppane osserva che il personale dell’Istituto dovendo attendere ad un lavoro continuato riesce in condizioni peggiori dei professori delle Università, e che quindi si troverà difficilmente un direttore con stipendio fisso eguale a quello di professore. Vorrebbe quindi partire da una base alquanto superiore alle L. 5,000 per i geologi di la e pel direttore. Scacchi osserva che se i geologi hanno diritto a trasferte si può ritenerè sufficiente lo stipendio di L. 5,000. Cocchi concorda nella massima che questi geologi vanno trattati possibilmente un po’ meglio dei professori uni ver sitar ii, compreso anche il vantaggio che questi hanno per la direzione di un gabinetto. Kitiene che non sia di competenza della Commissione di fissare stipendii, ma propone che per fare un calcolo della spesa totale sieno supposti dati gli stipendii del progetto Taramelli applicati al perso- nale già votato approssimativamente. — 54 — In tale supposizione si avrebbe la tabella seguente: 1 Direttore .... * . . . L. 9,000 L. 9,000 4 geologi di la . . . . 7,000 » 28,000 2 » di 2a . . . . 4,000 » 8,000 2 » di 3a . . . . 3,000 » 6,000 4 » allievi. . . . 2,000 > 8,000 1 Segretario 3,000 » 3,000 1 Petrografo . . . , . . . » 7,oocq » 7,000 1 Paleontologo .... 7,000 » 7,000 1 Assistente chimico . . . . . » 2,600 » 2,600 4 Disegnatori. .... 2,000 > 8,000 1 Scrivano . . . » 1,800 » 1,800 1 Custode 1,500 » 1,500 2 Inservienti 1.20G » 2,400 Si ammettono intanto per le altre spese annue dell’Istituto, in via preventiva le seguenti cifre, in buona parte dedotte dal progetto Gior- dano, con qualche diminuzione. Indennità di campagna L. 40,000 Spese di ufficio e biblioteca » 16,000 Id. di stampa, carte e memorie » 45,000 Id. per manutenzione di collezioni . » 7,000 Laboratorio chimico » 7,000 Manutenzione locale e diverse » 5,000 Giordano , crede che tutti questi calcoli di personale, loro compe- tenze e spese diverse, non abbiano ora a considerarsi che come presun- tivi per giungere a stabilire in via di massima Torganismo dell’Istituto e la somma da chiedere per la carta geologica, poiché non converrebbe vincolarsi fin da ora in modo assoluto a tanti particolari. L’osservazione è ammessa dalla Commissione, ed in tale senso viene riassunto il preventivo. Riassunto. Personale Superiore L. 78,600 Personale subalterno » 9,800 Personale di servizio . , 3,900 Spese diverse » 120,000 Totale spesa annuale L. 212,300 Spese di primo impianto per laboratori e collezioni L. 120,000 e per anni 18 L. 3,821,400 -{- L. 120,000 = L. 3,941,400 che si porta alla cifra tonda di L. 4,000,000. — dò- li Presidente pone quindi ai voti la proposta Cocchi così formu- lata: « Vista la tabella già votata del personale, si propone per la spesa totale nei 18 anni una somma complessiva di L. 4,000,000. E approvata la proposta, ammettendo per base che le retribuzioni dei geologi di prima classe e del direttore sieno maggiori di quelle dei professori universitari. Stoppani propone che si passi alla nomina del relatore. Osserva poi che nella legge si dovrà stabilire quali sono le categorie di persone che potranno concorrere ai posti dell’Istituto, e come dovrà formarsi la Com- missione per la scelta. Il Presidente risponde che su questo punto si discuterà nella se- duta di domani, e scioglie l’adunanza ad ore 5 e mezza pom. 8 marzo . — Seduta pomeridiana. La seduta è aperta ad ore 1 e mezza pom. Sono presenti gli stessi commissari del giorno precedente ad ecce- zione dei signor^ gen. Pescetto e ing. Pellati, impediti da altre occu- pazioni. Si dà lettura del verbale delle due sedute del 6 marzo il quale viene approvato senza osservazioni. Si leggono pure i verbali del giorno 7 i quali sono approvati in seguito ad alcune modificazioni. Il Presidente apre la discussione sulle modalità della scelta del personale. Stoppani prevede che mancherà il tempo per discutere per intero il suo progetto e crederebbe sufficiente che l’assemblea si limitasse ad esaminare gli articoli dal 13 al 17 e di discuterli, e quanto agli altri di notare quelli che l’assemblea credesse che dovrebbero far parte del regolamento piuttostochè della legge. .Ricorda inoltre che fra le pro- poste presentate ve ne sono altre due riguardanti la Carta geognostico - agraria e la Carta mineraria, e per queste domanderebbe la semplice presa in considerazione e l’appoggio presso il Ministero senza entrare in discussione. Egli tiene a ciò per dimostrare che non si è trascurata anche la parte di pratica utilità, e perchè risulta che in questi due schemi di legge si prendono in considerazione gli ingegneri delle miniere contra- riamente a quanto è stato creduto, che cioè si fosse voluto escluderli. Sarebbe però suo desiderio che degli articoli sovraindicati si prendesse in particolare esame il 17° concernente le norme per l’ammissione del personale all’Istituto, come quello che dimostra che fra i due sistemi non vi è una separazione completa ma una transizione. Cossa dichiara che riguardo alle due Carte d’applicazione basterebbe ne fosse fatto cenno nella relazione, senza farle entrare nel progetto di — 56 — legge: sembragli sufficiente cbe la Commissione affermi con un voto la grande importanza di questi lavori. Crede invece si debban discutere le norme per la scelta del personale. Anche Giordano è di parere di non complicare il progetto, ma di occuparsi soltanto per ora della Carta geologica-teorica ossia cronolo- gica, la quale però deve essere la più dettagliata possibile per servire a suo tempo di base alle carte speciali di applicazione. Capellini appoggia il parere dei precedenti, e desidera passare di- rettamente alla discussione degli articoli dal 13° al 17° Si dà lettura di questi articoli e si apre la discussione sui me- desimi. Cossa vorrebbe cbe nell’articolo 15° si dicesse: «I geologi di se- conda classe saranno nominati mediante concorso per esami e per ti- toli dal Ministero, sentito il Consiglio dell’Istituto. Cocchi fa osservare come finora la Commissione abbia proceduto col sistema di discutere e di votare delle massime per servire di norma al Ministero onde poi elaborare su quelle un definitivo progetto di legge e crede cbe sia opportuno seguitare con questo metodo, anche perchè gli articoli 13-15 gli sembrano compilati per guisa cbe non si potrebbero accettare senza profonde modificazioni di forma e di concetto. Egli quindi propone cbe la Commissione debba limitarsi a stabilire cbe tanto il di- rettore quanto i geologi e altri componenti il Consiglio dell’ Istituto debbano essere di nomina regia : cbe anche i geologi di seconda e terza classe siano di nomina regia, previo concorso per titoli; che tutti gli altri impiegati siano pure di nomina regia sopra proposta del Consiglio dell’Istituto, meno gli allievi geologi e gli inservienti. Stoppani fa alcune osservazioni dopo le quali associandosi alla pro- posta Cocchi questa viene approvata. Scacchi fa le seguenti proposte : 1. Cbe i geologi di seconda e terza classe sieno nominati per con- corso di titoli e di esame giudicato da una Commissione scelta dal Mi- nistro nella quale entri almeno uno dei geologi di prima classe. 2. Cbe i geologi allievi sieno nominati dal Consiglio dell’Istituto e la nomina sia fatta per decreto ministeriale; durino un biennio e possano essere riconfermati. Mayo crede che l’applicazione di queste proposte riuscirebbe al- quanto dubbiosa e vorrebbe cbe fossero stabilite le modalità dell’accet- tazione. Scacchi è d’avviso di lasciare piena libertà al Consiglio nel modo di fare la scelta degli allievi senza per altro cbe sia obbligato a fare il concorso. — 57 — Cocchi propone di mettere ai voti le proposte Scacchi aggiungendo alla seconda la frase «in seguito a concorso per titoli ed esame. » Le proposte di Scacchi così modificate sono approvate. Si passa al contenuto dell’articolo 17° di cui si d à lettura cambiando la frase geologo di terza classe in quella di allievo geologo . Scacchi ne approva il concetto ma vorrebbe che fosse inserito nel regolamento anziché nel progetto di legge. Questa proposta è pure ap- poggiata da Cocchi. Stoppani crede necessario di fissare bene quali sieno i titoli per l’ammissione onde stabilire che in via normale possono entrare a far parte dell’Istituto gli ingegneri laureati nelle scuole d’applicazione ed i naturalisti provenienti dall’Università, ed è di parere che il relativo articolo figuri nella legge. Pirona si dichiara dello stesso parere. Capellini propone che l’art. sia votato quale si trova come fonda- mento per l’ accettazione del personale e che si metta ai voti se debba essere articolo di legge o no. E accettato all’ unanimità come articolo di legge sostituendo la pa- rola allievi dove dice geologi di 3a classe. Viene in discussione il contenuto dell’ art. 19. del progetto Stoppani sulla incompatibilità di essere impiegato dello Istituto ed avere in pari tempo altri incarichi retribuiti. Cocchi crederebbe conveniente che fosse stabilito in massima, ma che si dicesse che non potranno i funzio-narii dell’ istituto ricevere altri incarichi. E approvato all’unanimità la massima dell’ art. 39. Tutti gli altri articoli del progetto Stoppani vengono dichiarati materia di regolamento ad eccezione degli art. 30, 32 e 33 i quali non sono appoggiati. Finita la discussione del progetto il Presidente domanda all’ as- semblea in qual modo si dovranno presentare al Ministro le decisioni della Commissione. Scarabelli crederebbe sufficiente di far stampare i verbali e di trasmetterli al Ministero con lettera del Presidente nella quale sieno compendiate le decisioni dell’ assemblea. Questa proposta è approvata all’ unanimità. Riguardo ai due progetti di legge riguardanti la Carta geognostico- agraria e la Carta mineraria viene approvata all’ unanimità la seguente mozione formolata dal prof. Cossa. « Relativamente agli schemi di progetti di legge per la formazione — 58 — d’una Carta geognostico-agraria e di una Carta mineraria, la commis- sione ha determinato di non occuparsene per ora e si limita attualmente ad esprimere il desiderio che gli studii che si faranno nell’ istituto geo- logico possono servire a successivi studii applicati alla formazione delle Carte sovraindicate. » Giordano prima che si sciolga l’ adunanza crede bene di osservare che i lavori geologici degli ultimi anni furono per disposizione governa- tiva eseguiti in massima parte da geologi addetti al R. Corpo delle Mi- niere l’opera dei quali pel breve tempo, da che cominciò non ebbe an- cora, e non si sa se potrà più avere campo di venire convenientemente apprezzata non essendosi ancora avuto tempo e mezzi di fare le rego- lari pubblicazioni; lo avere egli e qualche suo collega in alcune occa- sioni sostenuto il vigente sistema, potè forse tare sembrare che si avesse in tale mansione particolare interesse: ora egli tiene a far sapere che salvo F impegno dell’ onore, niun altro se ne ebbe e solo guadagnando un gratuito sopraccarico di oneri e fatiche. Essendogli fatta osservazione che tale dichiarazione potesse rite- nersi superflua, risponde che ha ragioni per non crederla tale tanto più che anche nelle attuali sedute avea intesa qualche frase come se gli ingegneri delle miniere avessero tenuto ad impadronirsi della Carta geologica; ma non intende entrare come non entrò prima in alcuna recriminazione, e solo intende si sappia bene che 1’ impegno dimostrato da lui e dai colleghi era unicamente inspirato al senso di un dovere. Mayo dichiara che sebbene non possa essere giudice del merito scientifico dei lavori fatti dagli ingegneri delle Miniere pure esprime la propria soddisfazione per V amore, la disciplina e lo zelo dimostrato dagli ingegneri che ebbero parte nel lavoro e riconosce che i mede- simi si sacrificarono senza averne avuto alcun speciale benefizio. Cocchi si associa nell’ esprimere sentimenti analoghi. Taramelli a proposito di quanto è stato detto e pubblicato in op- posizione al Corpo delle Miniere, dichiara che dapprima non si poteva giudicare esattamente nè dell’importanza nè della bontà dei lavori eseguiti dagli Ingegneri delle miniere addetti al servizio geologico; ma che in seguito conosciuti i loro lavori sopratutto in occasione del Congresso di Bologna dovette convincersi della diligenza con cui fu- rono eseguiti e ne trasse augurio del grande vantaggio che tale per- sonale potrebbe portare all’istituzione da lui sostenuta. Stoppani non vorrebbe che qualche frase, nei suoi scritti o dis- corsi, forse non ben calcolata, fosse stata male interpretata e che nel caso la ritira. — 59 — Prima di sciogliere l’adunanza, Pirona propone che si esprima al- P onorevole Sella il rincrescimento della Commissione per non averlo avuto a sorreggerla del suo autorevole consiglio, e di rendergli omag- gio come promotore dell’ opera per la quale la Commissione è riunita. Approvazione generale e dichiarazione del Presidente che sarà in- viato un telegramma al Sella. La seduta è levata alla ore 4 3/4 p. Quest’ ultimo verbale fu letto in apposita seduta dei 9 Marzo e ap- provato. ALLEGATI. A. Progetto presentato dal prof. Taramelli (1881). SCHEMA DI UN PROGETTO DI LEGGE PER LA FORMAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA DEL REGNO Visto il R. Decreto 28 luglio 1861, in cui è ordinata la formazione della Carta geologica del Regno ; Visti i R. Decreti 18 febbraio 1866 e 15 giugno 1873, relativi all’istituzione del Comitato geologico, e quello del 23 gennaio 1879, cbe stabilisce la riforma dello stesso Comitato, Vista la Relazione della Commissione incaricata di esaminare i nuovi progetti di legge per la formazione della Carta suddetta ; Considerato cbe alla formazione definitiva della Carta geologica a graude scala deve necessariamente precedere uno studio più completo della geologia italiana. Sulla proposta ecc., ecc. Art. 1. È stabilita la fondazione di un Istituto geologico residente in Roma presso il Ministero d’agricoltura., industria e commercio. Art. 2. Nell’ istituto geologico rimangono concentrati tutti gli oneri, i diritti e le attribuzioni del Comitato geologico e dell’ Ufficio geologico annesso al Corpo reale degl’ Ingegneri delle miniere. Art. 3. L’istituto è incaricato dello studio della geologia d’Italia, della compi- lazione delle Carte geologiche a piccola e grande scala, delle relative memorie illu- strative e delle opere concernenti la geologia italiana, e di raccogliere e conservare i materiali e i documenti necessarii allo scopo. Art. 4. L1 Istituto geologico si compone come segue : Un Direttore generale con uno stipendio di L. 9000. Tre Geologi di la classe con uno stipendio ciascuno di L. 7000. — 60 Tre Geologi di 2a classe con uno stipendio ciascuno di L. 4000; Quattro Geologi allievi di 3a classe con uno stipendio ciascuno di L. 2000;: Un Segretario, con uno stipendio di L. 3000; Un disegnatre di carte, profili, ecc., con uno stipendio di L. 2000; Un disegnatore di fossili, con uno stipendio di L. 2000; Un custode delle collezioni e dei locali, con uno stipendio di L. 1500; Art. 5. Il Direttore coi tre Geologi di la classe costituiscono il Consiglio del- l’Istituto sotto la presidenza del Ministro d’agricoltura industria e commercio o di un suo delegato a rappresentarlo. Art. 6. Il Direttore, rispettando le deliberazioni del Consiglio dell’ Istituto è in- caricato della direzione generale e del riparto dei lavori tra il personale applicato al rilevamento geologico, dell’amministrazione dell’Istituto, e vidimazione delle spese r determina le funzioni degli impiegati: provvede alla migliore istruzione dei geologi allievi e presenta al Ministero un Rapporto annuale dell’ operato dell’ Istituto. Art. 7. I Geologi di la classe sono specialmente incaricati della esecuzione e di- rezione dei lavori di campagna per un tempo e una stagione da fissarsi secondo le- località assegnate. Terminati questi, attenderanno presso l’ ufficio in Roma allo studio degli esemplari, alla formazione delle Carte geologiche ed alla compilazione delle me- morie illustrative e delle opere concernenti la geologia d’ Italia. Art. 8. Il Direttore ed i Geologi di la classe sono pareggiati pei ^diritti ai pro- fessori ordinarii delle primarie Università del Regno, compreso quello dell’ aumento- quinquennale dell’ 1/10 da prelevarsi sul fondo dell’ Istituto. Art. 9. I Geologi di 2a classe sono nominati per decreto regio ed hanno diritto- a pensione. Art. 10. I Geologi allievi sono amovibili. Continuando però essi a prestare ser- vizio allo Stato, saranno loro computati per diritto a pensione gli anni nei quali’ avranno militato nell’ Istituto. Art. 11. Il Segretario è nominato dal Ministero sulla proposta del Direttore del- l’Istituto. Sorveglia alla biblioteca; assiste alle adunanze del Consiglio, redige i ver- bali ; dirige la stampa delle pubblicazioni ; tiene la corrispondenza d’ ufficio e può essere autorizzato dal Direttore a farsi aiutare da un diurnista da pagarsi sul fondo deli’ Istituto. Art. 12. I Geologi di 2a e 3a classe lavorano in campagna, sotto la direzione di un geclogo di la e possono essere incaricati dal Consiglio di lavori speciali. Collabo- rano in città ad ogni specie di lavori secondo il riparto stabilito dal Direttore. Art. 13. Il Direttore generale dovrà essere scelto tra i migliori geologi del Regno, appartengano o meno all’Istituto, e sarà nominato per decreto reale sopra proposta, del ministero, senza riguardo di anzianità. Art. 14. I Geologi di la classe sono per la prima volta nominati mediante con- corso per titoli, tra i più distinti geologi del Regno. In seguito servono le norme stabilite nel secondo comma dell’ art. 15. Art. 15. I Geologi di 2a classe sono nominati, mediante concorso per esami e per titoli, dal Consiglio dell’ Istituto salva 1’ approvazione del Ministero. In caso di vacanza succedono a quelli di la classe per anzianità. Art. 16. La nomina dei Geologi di 3a classe o Geologi allievi come quella degli — 61 -altri componenti il personale dell1 Istituto ai quali non è provvisto cogli articoli pre- cedenti, è fatta dal Consiglio dell’Istituto mediante concorso per esame o per titoli, salva l’approvazione del Ministero. Art. 17. Possono aspirare al posto di Geologo di 3a classe tutti gl’ingegneri a i laureati in scienze fìsiche e naturali che escono dalle Università, dalle Scuole d’ ap- plicazione e dagli Istituti pareggiati del Pegno. Hanno gli stessi diritti i nazionali che avessero compiti i loro studi all’ estero, nelle Università, Scuole delle miniere ed altre da fissarsi con apposito regolamento. A pari condizioni saranno preferiti quelli che presentassero lavori editi od inediti attinenti alla geologia, ed attestati di studii ^speciali, rilasciati dai professori dei detti stabilimenti. Art. 18. È in facoltà del Consiglio dell1 Istituto di destinare uno o più geologi allievi a compire un tirocinio pratico all’ estero presso una delle scuole o degli Isti- tuti geologici più accreditati, prelevando dal fondo per diarie ed indennità quanto oc- corresse per ciò di aggiungere allo stipendio di L. 2000. Art. 19. Tutti i funzionari dell’Istituto non potranno ricevere nessun altro inca- rico come sarebbero cattedre, direzioni di musei o d’ aziende industriali, od altri che possano compromettere il regolare andamento dell’ Istituto. Art. 20. Nei termini di tre anni dalla costituzione definitiva dell’ Istituto esso dovrà avere ultimata una Carta geologica d’Italia ad ima scala non minore di 1,200.000, che andrà man mano perfezionata con nuove edizioni, perchè esprima lo stato in cui si trova la geologia d’ Italia, e serva di base ai successivi studi geologici, minerarii e agronomici. A questo scopo la carta a piccola scala sarà accompagnata da apposita monografìa colla serie dei terreni, colle principali indicazioni geologiche, mineralogi- che, paleontologiche e chimiche. Art. 21 La serie dei terreni, dei colori e dei segni convenzionali da adottarsi nelle Carte geologiche è fissata dal direttore, d’accordo coi geologi di la classe e -coi singoli operatori. Art. 22. L’Istituto geologico è incaricato di una serie regolare ed in eguale formato delle memorie illustrative della geologia d’Italia, più della pubblicazione a parte di monografie geologiche e paleontologiche e di Carte geologiche speciali a grande scala, eseguite in conformità allo scopo assegnato allo stesso Istituto. Spetta al Consiglio dell’Istituto il decidere dei lavori da pubblicarsi. Art. 23. L’Istituto geologico metterà mano all’esecuzione e pubblicazione di una gran Carta geologica alla scala di 1 : 50,000 appena il Consiglio, d’ accordo col Ministro, giudicherà essere a tal punto le cognizioni circa la geologia d’Italia da potere incominciare sopra basi sicure il generale rilevamento. Art. 24. Ferme le norme stabilite negli articoli 21 e 22, ogni lavoro che si pubblica porterà il nome dell’ autore, il quale è solo responsabile dei fatti e delle opinioni che vi si contengono. Art. 25. Le diarie, oltre le spese di trasporto, tanto pel Direttore, quanto per -gli altri funzionarii, pei lavori di campagna o prestazione fuori della serie ordinaria, sono stabilite in ragione di L. 15 al giorno. Art. 26. E in facoltà del Consiglio dell’ Istituto di giovarsi dell’ opera dei geo- logi, paleontologi, ingegneri ed altri incaricati non addetti all’ Istituto, d’accordare — 62 — compensi o sussidii per lavori eseguiti o da eseguirsi, attinenti allo scopo che lo stesso Istituto si propone. Art. 27. Il Direttore è pure facoltizzato a tenersi in rapporto diretto col Diret- tore dell’ Istituto topografico militare, coi direttori delle stazioni agrarie, coi presidi delle facoltà universitarie, delle scuole d’applicazione e degli istituti scientifici del Regno per le prestazioni occorribili al buon andamento del lavoro geologico, nei li- miti consentiti dalle discipline degli stessi istituti. Art. 28. Lo studio, l’ ordinamento e T accrescimento delle collezioni sono affidati ai Geologi di la e di 2a classe seòondo il riparto e le norme stabilite del direttore. Art. 29. Alla biblioteca ed alla custodia delle collezioni verranno ammessi, col consenso del Direttore, tutti gli studiosi di qualunque classe che desiderassero appro- fittarne in stagione ed ore determinate. Art. 30. Il Direttore ed i Geologi di 1 * classe, salvo l’ esserne dispensati per ragioni plausibili dal Ministero, saranno obbligati durante la loro dimora in Doma ad un corso annuale di almeno 8 conferenze pubbliche, in un locale dell’ Istituto sui diversi rami di scienza attinenti alla geologia, a loro scelta, ma con orario e pro- gramma da approvarsi dal Direttore e da pubblicarsi dal giornale che si crederà più opportuno. Ari. 31. Il Direttore previo invito al Ministero, raccoglie possibilmente una volta al mese il Consiglio dell’Istituto per deliberare delle cose di sua spettanza secondo il presente decreto. Le deliberazioni non sono valide se non concorre il voto del Di- rettore e quello dei due Geologi di la classe. Art. 32. Una somma di L. 100,000 sarà stanziata sul bilancio annuale del Mi- nistero d1 Agricoltura Indnstria e Commercio in ragione di L. 58,000 per gli stipendi del personale e di L. 41,500 per tutte le spese d’escursioni e lavori di campagna, acquisti di libri e di collezioni, pubblicazioni, ec. ec. Art. 33. Finché non sia compita la pianta del personale, il fondo che rimane disponibile sarà erogato dal Direttore, d’ accordo col Ministero, nelle spese d’ impianto, e nella formazione dei Geologi Allievi o in altro che si crederà opportuno per otte- nere che l1 Istituto sia completo nel più breve tempo possibile. Art. 34. E abrogata qualunque disposizione contraria al presente decreto. MOTIVAZIONE D’UN PDOGETTO DI LEGGE PER LA FORMAZIONE DI UNA CARTA GEOGNOSTICO-AGRARIA DEL REGNO. Considerato che una carta geologica anche a grande scala non può somministrare le indicazioni necessarie ci rea la costituzione litologica e chimica del suolo vegetale a profitto dell’industrie agricole. Viste l’ importanza e la vastità di questo studio delle condizioni agronomiche del suolo e la necessità di una attiva cooperazione da parte delle provincie, dei comuni, dei comizi e delle stazioni agrarie. Ritenuta la competenza dei geologi nel fissare i limiti e nel fornire le prime indi- cazioni circa le aree da prendersi in speciale considerazione. Il Ministero d’ Agricoltura Industria e Commercio incarica l’Istituto geologica — 63 — taliano di un programma per la formazione e pubblicazione di una carta geognostico- agraria del suolo italiano, colle relative illustrazioni. Le analisi chimiche saranno fatte dalle stazioni agrarie. Il Ministero stanzia un fondo speciale per sopperire all1 aumento del personale e delle spese per tale lavoro da farsi in base all’ accennato Programma. A compilare lo stesso Programma deve concorrere il Consiglio superiore del- l’ agricoltura. Si ripartirà il lavoro per provincie e per circondarii accordando la premi- nenza a quelli che avranno fatti già dei lavori preparatorii e saranno pronti a concorrere nelle spese. I risultati del lavoro saranno primamente rappresentati su mappe topografiche ad una scala non minore dì 1 : 50,000 mediante un sistema grafico da fissarsi indipen- dentemente dalla serie geologica. Procedendosi al catasto delle provincie che mancano, le indicazioni sulla compo- sizione del terreno agrario verrà per ogni singolo appezzamento considerato come elemento per determinarne il valore. Nel rilievo dei fogli della carta topografica ancora da eseguirsi dall’ Istituto to- pografico militare è desiderabile che vengano date disposizioni perchè sieno raccolti in diversi punti saggi del terreno coltivabile e delle rocce in sito. MOTIVAZIONE DI UN PROGETTO DI LEGGE PER LA FORMAZIONE DI UNA CARTA MINERARIA DEL REGNO. Visto che non esistono stampate nè carte minerarie nè monografie di tutti i sin- goli distretti minerari del Regno, e desiderarsi ancora una esatta statistica della pro- duzione mineraria e delle miniere già in via di scavo o non ancora utilizzate. Considerata l’ importanza anzi la necessità che tali pubblicazioni, le quali torne- ranno a molto profitto dell’ industria nazionale, siano eseguite nel più breve tempo possibile. Ritenuto che non spetta all’Istituto geologico d’ occuparsi di studi speciali sulle miniere e sui giacimenti minerari; Il Ministero d1 Agricoltura Industria e Commercio dispone che al Corpo reale degli ingegneri delle miniere venga assegnata una sovvenzione nella cifra da stabilirsi affin- chè colla massima sollecitudine intraprenda la compilazione e la pubblicazione dei lavori suddetti. — 64 — B. Schema presentato dal prof. Capellini nella seduta 6 marzo 1882 • Visti i R. Decreti 15 giugno 1873 e 23 gennaio 1879, concernenti la formazione della Carta geologica del Regno col mezzo di un Ufficio e di un Comitato Geologico: Considerando che pel compimento di tale opera sia opportuno di assicurarle un fondo sufficiente in bilancio e stabilire eziandio definitivamente le modalità nonché Torganico del personale destinato alla sua esecuzione: Udito ecc. §1. La Carta geologica del Regno sarà continuata alla scaladi 1/50.000 sulla mappa alla scala medesima dell’Istituto topografico militare. Per ragioni di speciale interesse scientifico o industriale, potranno anche essere fatte carte a scale maggiori. Saranno intanto coordinati gli studi già esistenti sopra una carta in scala di 1/500.000, la quale carta sarà completata al più presto con speciali ricognizioni per procedere alla sua pubblicazione. §2. La formazione della Carta geologica è sotto l’alta direzione di un Comitato Geo- logico di cui fanno parte: 1. I professori di geologia delle Università primarie e degli Istituti superiori. 2. Il direttore dell1 Ufficio geologico. 3. Il Presidente della Società geologica Italiana. 4. Gli Ispettori delle Miniere. 5. Il Direttore dell’Istituto topografico. 6. Geologi o Mineralogisti segnalati per lavori importanti, da nominarsi per Decreto Reale. Il Comitato ha un presidente scelto fra i suoi membri e nominato per Decreto reale ogni tre anni. E convocato dal Ministro al principio di ogni anno per udire ed approvare la relazione sull’ andamento dei lavori, ed ogni qual volta sia necessa- rio per la soluzione delle quistioni scientifiche attinenti alla carta geologica. I singoli membri potranno anche avere incarichi speciali per le questioni mede- sime connesse al rilevamento di determinate regioni. §3. L1 opera dei membri del Comitato è gratuita, salvo il rimborso delle spese di viaggio ed un gettone di presenza per le sedute. f — 65 - §4. Il rilevamento e la pubblicazione della carta geologica, con le relative memorie, la biblioteca, le collezioni,! laboratorii e quanto si riferisce all’opera stessa, sono af- fidati ad un Ufficio geologico residente nella Capitale. L’ufficio suddetto è composto di una direzione e di un personale superiore com- prendente geologi operatori, paleontologi e chimici-petrografì, nonché del personale subalterno per la esecuzione dei lavori accessorii di vario genere. I geologi, paleontologi e chimici-petrografì saranno scelti : fra gli allievi ingegneri del R. Corpo delle Miniere che abbiano mostrata speciale attitudine e compiuto un- tirocinio pel servizio della carta geologica, e fra i laureati in scienze naturali che vinceranno un concorso per esami, secondo un programma proposto dal R. Comitato geologico. Questi avranno gradi e assegni parificati a quelli degl’ ingegneri delle mi- niere e non potranno cumulare alcun altro impiego retribuito. II Direttore dell’Ufficio geologico sarà nominato con Decreto reale; sentito il parere del Comitato; il medesimo avrà grado e competenza di un Ispettore delle miniere. §5. Un regolamento formulato dal R. Comitato, e da approvarsi per decreto reale, stabilirà, nei limiti dei mezzi consentiti dal bilancio, le attribuzioni del Comitato per l’ alta direzione scientifica, la pianta e le attribuzioni del personale dell1 ufficio geolo- gico e la distribuzione dei lavori secondo le speciali attitudini, le norme per la pub- blicazione della carta e delle relative memorie, P ordinamento delle collezioni in rap- porto al rilevamento della carta e ogni altra operazione che alla medesima si ri- ferisce. §6. È autorizzata la spesa di L. 4,600,000? da erogarsi in 18 anni? per la forma- ione e pubblicazione della carta geologica, secondo le norme della presente legge. (2,200) I in media 1,200 800 33,000 4,000 43,000 Totale degli assegni annui . . . . L. 112,000 Indennità di trasferta ai membri del Comitato per le se- dute L. Idem per revisioni di lavori Totale delle indennità di campagna e trasferte L. Spese diverse Spese d’Ufficio (cancelleria, biblioteca, carte, strumenti scientifici, posta, spedizioni, riparazioni e diverse) L. Spese di stampa di carte, profili, memorie, ecc. (come da conto spe- ciale) Questa cifra è la media generale Spese per i musei delle Collezioni scientifiche e industriali . . . » per il Laboratorio chimico (reattivi e diverse) » per manutenzione locali e diverse Totale delle spese annue dell’Istituto L. PRIME SPESE D’IMPIANTO (senza Tedifizio) Collezioni scientifiche e industriali (campioni) L. 20,000 Vetrine, scaffali, ecc. per le Collezioni 45,000 Laboratorio chimico (forni, apparecchi, provviste) 112,000 43,000 16,000 45.000 7,000 10.000 7,000 240,000 Mobilio diverso, strumenti 40,000 scientifici, ecc 1 5,000 Totale. . L. 120,000 NOTA. — Dietro simile impianto la carta geologica •'del ÌRegno in grande scala, potrebbe venire eseguita e pubblicata con le sue illustrazioni, in 18 .anpl circa e con la spesa totale di Lire 4 milioni e mezzo. /