J&OO BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. 1885. — Anno XVI. 1885. - Anno XVI. BOLLETTINO R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Volume Sedicesimo (6° della 2* Serie) N. 1 a 12 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1885. 2 sono, nuove osservazioni in diverse regioni alpine. E lo stesso accade, ed ancora può accadere, per altre regioni del nostro territorio; onde inso mina occorre tuttavia qualche studio per raggiungere un soddisfacente risultato. Però si può ritenere che ornai poco manca a potere pubblicare una carta d’in- sieme alla scala almeno di 1/1 000 000, il che si potrà fare appena V Istituto geografico ce ne fornisca una edizione, ciò che si spera avrà luogo fra qualche mese. Malgrado la sovraesposta circostanza, non venne intie- ramente omesso il rilevamento in grande scala, il quale fu proseguito compatibilmente con il poco personale disponibile in varie regioni, principalmente nell’ Italia centrale intorno al territorio romano già rilevato, ed in qualche parte della Toscana e delle provincie meridionali. Nello stesso tempo veniva proseguito lo studio delle roccie, e specialmente delle masse serpentinose, in Liguria e Toscana, i quali studi ci avviarono sempre più alla soluzione dello interessante e diffìcile problema della loro genesi, come si può rilevare da diversi articoli inseriti nel nostro Bollettino. Del resto, tutti i particolari dei lavori diversi eseguiti nel- T anno sono riferiti nell’annuale Relazione al R. Comitato geo- logico, che verrà a suo tempo nel Bollettino stesso pubblicata. L’andamento dei lavori pel nuovo anno 1885 dovrà tutta- via proseguire in modo non molto diverso da quello tenuto nel 1884, salvo che sarà forse possibile il dare qualche mag- giore sviluppo ai rilevamenti in grande scala. Premeva intanto il cominciare la pubblicazione della Carta geologica di già rilevata, soddisfacendo ad un deside- rio più volte manifestatosi anche in Parlamento. Principale ostacolo però era la ingente spesa di tale opera, per la quale occorrerebbe uno speciale e non lieve stanziamento di fondi. Malgrado che tale stanziamento non sia ancora stato fatto, si — 3 — credette tuttavia di iniziare questa pubblicazione con la stampa di alcuni fogli in grande scala, della Sicilia, regione già da assai tempo tutta rilevata, oltre ad una Carta generale in piccola scala dell’isola stessa. Venne pure stampata la Carta in grande scala dell’isola d’Elba, importantissima tanto al punto di vista scientifico che industriale. E tutto è dispo- sto perchè la pubblicazione di altre parti della Carta geo- logica possa venire da ora innanzi regolarmente proseguita. Il Congresso geologico internazionale di Berlino, che dovea aver luogo nel settembre del 1884 venne, per causa della invasione colerica, rimandato alla stessa epoca del- 1’ anno 1885. All’ edifìzio della Vittoria vennero nel corso del 1884 eseguiti diversi lavori di complemento, ai quali lavori do- vette concorrere il bilancio della Carta geologica. Venne in tale occasione assegnata qualche sala per esposizione delle carte geologiche e si potè' anche dare principio alla prov- visoria sistemazione delle collezioni. Un’ apposita Commissione istituita per studiare Y ordi- namento degli studi geodinamici nel Regno, fece le sue pro- poste al Ministero, il quale ne tenne conto nel preventivo del bilancio per 1’ avvenire. I particolari di ogni parte del servizio geologico ver- ranno del resto meglio svolti nella Relaziono annuale di cui sopra si fe’ cenno. Con R. Decreto 22 febbraio 1885 veniva alquanto ri- formato il R. Comitato geologico, accrescendolo di alcuni nuovi membri. Tale Decreto è inserito più avanti nella Parte ufficiale del Bollettino. — 4 — MEMORIE ORIGINALI I. Appunti geologici sulla Terra di Bari, di B. Cortese. Incaricato di fare una revisione alla Carta geologica d’ Italia nella scala di 1/500 000, per la Terra di Bari, ebbi ad eseguire, nel dicem- bre 1884, alcune escursioni in quella provincia. Per la brevità del tempo, e per l’avanzata stagione, non ho po- tuto fare uno studio particolareggiato della geologia del paese; la natura stessa della missione non lo richiedeva, nè lo consentiva. Credo però utile di riunire qui, ordinati alla meglio, i risultati delle osserva- zioni fatte ed i dati che ho potuto raccogliere. La geologia della provincia di Bari appare molto meno variata di quella della finitima provincia di Lecce, nella quale il terziario è larga- mente rappresentato nelle sue tre divisioni, eocene, miocene e pliocene; in questa parte delle Puglie, invece, è rappresentato abbastanza lar- gamente il pliocene, molto abbondante l’ippuritico, ma sembra vi si trovi rappresentato anche il giurese, ed in tal caso esso sarebbe pure sufficientemente esteso. Da Bari a Capurso il suolo è leggermente acclive, molto coltivato, e nel terriccio vegetale, rossastro, non appaiono frammenti della roccia costituente il sotto suolo. Però i muri a secco {parieti) che fiancheg- giano le strade, si vedono formati di pezzi di un tufo sabbioso-cal- care, tenero, bianchissimo, specialmente nella frattura fresca, ma che si copre facilmente di un musco nerastro, se esposto agli agenti esterni. Non è che dietro il convento di Capurso, lungo le strade che vanno verso Noicattaro, Mola, ecc., che si vedono affiorare gli strati di questo materiale; in posto, lo si riconosce molto fossilifero, molto più che nei pezzi, informi o no, adoperati nei parieti. Si tratta di modelli di bivalvi numerosissimi ( Cardii , Panopee , Lueine , ecc.) e di gusci di ostriche. Se forse talvolta la roccia ricorderebbe impietra leccese, pur non avendo i caratteri speciali che distinguono questa, però la forma di quei modelli, l’abbondanza loro e quella dei gusci d’ostriche, ed il tutto insieme mi condurrebbero a farla considerare come pliocenica. Certamente appartengono al pliocene superiore gli strati che affiorano nel porto di Bari, e sembra dunque che il tufo di quest’epoca abbia formato la zona compresa fra Capurso e Bari. Sullo stesso tufo sa- rebbe fabbricato Noicattaro, appunto sopra un lembo che si estende da Noicattaro a Rutigliano; un altro lembo staccato ho veduto al Nord di Noicattaro ; però non posso precisare T importanza della prima zona, nè indicare se vi sono altre masse staccate, il che è probabile, poiché la corsa da me fatta fu troppo rapida per poter raccogliere dati di dettaglio sui limiti geologici. Intanto osservo qui, che, lungo il lembo che si estende da Noicattaro a Rutigliano, si hanno delle argille, gialle od azzurrognole, che sottostanno al tufo predetto, e che sembrano appunto le caratteristiche argille plioceniche; con esse si fabbricano a Noicattaro vasi di varia forma ed in grande quantità, in modo da fornirne i paesi vicini dove non si hanno argille figuline. Questo calcare tufaceo, o tufo calcare, si trova anche tra Bari e Santo Spirito. Il prof. De Giorgi di Lecce vi ha notato i seguenti fos- sili: 1 Pecten opercularis , Lin. » jacobaeus » Venus verrucosa , » Cardium aculeatum » Cytherea Chione » Turritella communis » oltre ad abbondantissime ostriche, panopee, pectunculi, dentalii, ecc. Fra Capurso e Noicattaro, ed appena passato Rutigliano, si tro- vano i terreni cretacei, talché il tufo pliocenico sembra estendersi soltanto verso mare. Il pliocene superiore si vede in altri lembi più o meno importanti, o forma estese zone in altre parti della provincia. Generalmente però esso non presenta mai lo stesso aspetto che ho veduto a Capurso, Noicattaro e Rutigliano, e che sembra sia comune alle vicinanze di Bari. Si trova il pliocene a Grumo, Toritto, Acquaviva e Gioia del Colle, in lembi isolati ; ma ricinge poi in modo continuo le formazioni secon- darie, mantenendosi all’esterno di un circuito che riunisce Àndria, Canosa, Minervino, Gravina, Altamura, S. Eramo, Mottola, Massafra 1 Da Bari all’ Jonio. Appunti geologici di C. Du Giorgi (Boll, del R. Comitato geologico. Anno 1877, n. 7-80 — 6 — e Taranto. Esso è rappresentato da tre membri, che qui segnerò in ordine discendente 1 : 1° Sabbie gialle e sabbie argillose. 2° Argille grigio-azzurrognole e giallastre. 3° Calcari arenacei. Le sabbie gialle sono quelle caratteristiche del pliocene superiore, talvolta un poco cementate, talvolta sciolte, qualche volta con delle concrezioni calcari disseminate. Si trovano generalmente a coronare le colline (dintorni di Castellaneta, Gioia, Gravina, Acquaviva, Grumo, ecc.);. però appaiono, spesso cementate, anche in altri punti, e così nella de- pressione traversata dalla strada fra S. Eramo ed Altamura, fra Co- rcato, Andria, Minervino e verso Canosa. Dalle sabbie gialle, colle argille sabbiose, si passa alle argille turchine: questa zona di transizione ha una potenza molto variabile; ma benché sia in qualche luogo molto ridotta, si può dire che non manca mai. Ne viene che il livello dell’acqua che filtrando traverso le sabbie si arresta alle argille, non è mai ben definito; perforando le sabbie con un pozzo ed arrivando nelle argille sabbiose, si comincia già a trovar l’acqua, quantunque, come è naturale per raccoglierne la massima quantità sia necessario arrivare alle argille pure. Le argille sabbiose poi sono quelle che costituiscono molti dei lembi staccati di pliocene che si trovano sparsi per la provincia di Bari : così presso Altamura, fra Altamura e Gravina, a Grumo, al sud di Bitonto, a Ruvo, ecc. Sono molto estese ad Acquaviva, intorno a Gioia e presso Castellaneta. Le argille non sono sempre azzurre, spesso tendono al giallastro; sono abbondanti ad Acquaviva, Gioia, Castellaneta, Gravina, ecc., ma si trovano anche più o meno in tutte le località dove si hanno lembi di sabbie argillose, appunto perchè fra le due si ha un passaggio gra- duale. Esse contengono abbondanti i soliti fossili del pliocene su- periore. Queste argille si prestano bene alla fabbricazione di vasi di varie forme, perchè sono omogenee e si possono tirar molto fini ; quantunque i prodotti ottenuti sieno ben lungi dall’eleganza di forma e di lavoro dei vasi italo-greci che si trovano negli scavi. Di tutta la serie pliocenica della Puglia, il più importante è il membro inferiore, cioè i calcari arenacei. Essi riposano direttamente 1 V. De Giorgi, op. cit. — 7 — sui calcari ippuritici, e ciò si riscontra bene nei burroni presso Gra- vina, Castellaneta, Mottola e Massafra, ed anche nelle parti pianeg- gianti fra Massafra e Taranto. I burroni profondi che si hanno fra Massafra e Castellaneta, e che localmente sono chiamati gravine , sono appunto intagliati nel calcare arenaceo; mentre però in quelli di Massafra non si trova il cretaceo che risalendo molto verso monte, e in quelli presso Mottola non lo si trova affatto, nelle gravine presso Castellaneta, quelle tra- versate dalla ferrovia, sotto al calcare arenaceo si trova subito l’ip- puritico. Questo calcare nelle Puglie vien chiamato carparo o mazzaro , ed è il membro più importante della serie pliocenica, perchè fornisce dell’ec- cellente pietra da costruzione. A Gravina, Castellaneta, Mottola e Mas- safra, viene cavato, e se ne fanno pietre da finestre e da balconi, men- sole, stipiti, ecc. Le basi delle pile metalliche dei viadotti di Castella- neta e Palagianello furono fatte con pezzi di carparo. Questo materiale indurisce all’aria, benché non sia molto tenero neppure al momento dell’estrazione; ma deve però sempre essere scelto, perchè in alcuni punti è più compatto ed omogeneo, in altri meno. II pliocene della provincia di Bari passa a quello della Basilicata ed anche della Capitanata; ma più ci si allontana dalle masse calcari pugliesi, e più abbondanti troviamo le argille e le sabbie, i carpari essendo quasi speciali delle Puglie. Essi, formati al contatto col cre- taceo, lo dimostrano colla natura del cemento e colla loro compattezza; si hanno fra Canosa e Minervino, e lungo la linea da Gravina a Mas- safra e Taranto. Da Canosa verso l’Ofanto e da Minervino a Spinazzola e Gravina, sembra che si abbia il contatto brusco fra le argille plioceniche ed i calcari secondari; però in qualche punto si vedono delle breccie di calcari, a cemento rosso, identiche a quelle che si hanno presso Man- fredonia, ai piedi del Gargano verso la pianura del Candelaro, e in- torno ai laghi di S. Giovanni Rotondo e della Regione Sismondi, pure del Gargano. Forse queste breccie si hanno costantemente alla base delle argille plioceniche, dove queste vennero a formarsi in acque che lambivano direttamente i piedi delle pendici calcaree, ma non sono vi- sibili che in qualche tratto. Di questo materiale furono fatte le colonne ed i camini al Castel del Monte, che sorge circa 16 chilometri al sud di Andria; però, sia per l’azione stessa del tempo, sia per l’esposizione agli agenti esterni, durante il tempo in cui quella costruzione fu lasciata in abbandono, il — 8 - cemento della breccia fu distrutto alla superfìcie, ed eroso per un certo spessore. Queste breccie non si vedono al contatto dei carpari pliocenici coi calcari ippuritici. Nelle escursioni fatte, non avendo mai incontrato nè il miocene, nè l’eocene, devo entrar to&to a parlare dei calcari secondari, che si estendono tanto largamente nelle Puglie. Il calcare che si presenta meglio caratterizzato, e sopra una estensione enorme, è l’ippuritico. L’abbondanza di rudiste, talvolta bellissime e grandi, lo caratterizza sempre e dovunque, tantoché ap- pena si possa riscontrare la mancanza di tali fossili, vi è da dubitare di essere passati in un altro terreno. L’ippuritico si trova limitato: al Nord, da una linea che va da Ruvo a Bitonto, Capurso e Mola di Bari; all’Est da una linea che parte da Ruvo e cingendo le Murge di Gravina cade, circa a metà distanza fra Gravina e Spinazzola, sulla strada che unisce i due paesi; al Sud-Est e Sud, il limite va per Gravina, Altamura, alla stazione di S. Basilio, Mottola, ecc; all’Ovest, il cretaceo passa nella provincia di Lecce, verso Martina, Ostuni, ecc., dove fu già riconosciuto dal prof. De Giorgi. Da Capurso, dove il cri taceo rimane scoperto dal pliocene, fino a Noicattaro, si vede un calcare bianco, a strati sottili (alle volte di un decimetro, alle volte molto meno), senza fossili apparenti, senza noduli di selce; esso per la grana e la grossezza degli strati ri- corderebbe il neocomiano, per esempio il calcare bianco a straterelli, del Gargano, ma ne differisce appunto per l’ assoluta mancanza di selci. Un dato più certo per non ritenere neocomiano questo calcare, ma per riunirlo all’ ippuritico è che, di tratto in tratto, frammezzo a calcari pieni di rudiste, si trovano degli straterelli di calcare iden- tico ad esso. L’ippuritico è rappresentato al solito da un calcare bianco leg- germente giallastro, subcristallino, in strati di 40 a 50 centimetri di spessore, generalmente ricchissimo di fossili. Le località più fossilifere si hanno intorno a Conversano, lungo la strada da Putignano a Noci e lungo quelle da Noci a Mottola, da Mottola a Gioia appunto al con- fine delle provincie, in tutte le Murge tra Cassano, S. Eramo, Altamura, Gravina e Ruvo. Gli strati meno fossiliferi sono utilizzati per cavarne belle pietre da costruzione, usate qui soltanto sul luogo, cioè nei paesi stessi delle alture; ma tali pietre non vengono trasportate al mare perchè ivi si — 9 — hanno cave di calcari meglio lavorabili e più omogenei di struttura, come vedremo in seguito. Questa formazione ippuritica, che in provincia di Bari si riconosce per circa 4000 chilometri quadri di estensione, oltre che è importante per questo fatto, lo è scientificamente per l’abbondanza di belle ip- puriti che contiene e industrialmente perchè fornisce delle buone pietre da costruzione e della calce eccellente. Sotto all’ ippuritico si ha un insieme di calcari di altro genere che cercherò ora di descrivere sommariamente, ed ai quali darò un nu- mero d’ordine. 1. Al Castel del Monte e verso il Lago Alto, dove si incontra il limite orientale dell’ ippuritico, si ha un calcare bianco giallastro, un poco marnoso, a lastre, o per lo meno a straterelli molto sottili. Lo stesso calcare si trova anche presso Ruvo e Terlizzi, appunto verso il limite dell’ ippuritico. 2. Presso Ruvo, Bitonto, ecc. si vedono dei calcari pure bianchi o leggermente giallastri, distinguibili dall’ippuritico perchè si rompono a scaglie ben nette, mostrando una grana uniforme compatta; nelle fratture si vedono frequentemente dei gusci spatizzati di fossili irrico- noscibili; sulle superficie esposte all’aria quei gusci appaiono un poco meglio definiti e sembrano appartenere al Diceras Escheri , Lor. Questi calcari formano talvolta una zona di passaggio fra i precedenti ed i seguenti, e si ritrovano appunto fra Castel del Monte ed Andria. 3. Da Castel del Monte a Corato, fra Corato ed Andria, e da Andria verso Minervino, si vedono dei bei calcari compatti, di color caffè e latte, talvolta rosati, tal altra quasi rossi, in strati abbastanza grossi. Non vi si vedono mai noduli di selce, ma sembrano mancarvi pure, assolutamente, i fossili. 3. Seguitando verso Minervino, nei valloni sotto il paese ed oltre, questi bei calcari passano ed altri, egualmente in strati di di- screto spessore (0m, 70 in media), ma più grigi e qualche volta più cri- stallini. Questa forma si riscontra meglio ad Altamura, nel bosco di Corte Martina fra S. Eramo ed Acquaviva, e presso la stazione di San Basilio. 4. Finalmente in quest’ultime località ed a Mottola, abbiamo delle vere dolomie grigiastre, che si dispongono, in strati abbastanza visibili, sotto l’ ippuritico; Mottola sarebbe fabbricata su di esse e cosi pure parte di Altamura. In una gita fatta al Gargano nel 1883, col dott. M. Canavari, ab- biamo avuto occasione di studiare una bella serie di calcari giuresi, — 10 — 2a 3° 4° 5° 6° 7° 8° che vennero descritti in una nota pubblicata nel Bollettino dello scorso anno \ Riporto qui la serie giurese del Gargano, in ordine discendente: 1° Calcari a piccole Rhynchonellae. » a lastre, senza fossili. » bianchi, rosati, brecciati. » superiori a turricolate. » a Diceras Escheri Lor. » a crinoidi. » a corallari e idrozoari. Calcari rossi e bianchi di S. Marco, e calcari biancastri a turricolate, intercalati con Calcari gialli compatti senza fossili e calcari grigi e ne- rastri cristallini. 9° Dolomie bianche o grigiastre. Nella provincia di Bari, forse per la brevità della visita, non ho potuto trovare le zone fossilifere corrispondenti ai numeri 1, 4, 6, 7 ed 8b della serie garganica, ma dalle brevi descrizioni fatte ognuno può riscontrare l’analogia fra i numeri 2, 5, 8 a e 9 della serie garganica, rispettivamente coi numeri 1, 2, 3 e 3', 4 della serie pugliese 2. Avendo veduto le due serie sui luoghi, queste analogie sono per me delle vere identità, specialmente per alcuni membri della serie. Il calcare a Diceras Escheri dei dintorni di San Giovanni Rotondo nel Gargano, assomiglia in tutto a quello che io ho giudicato tale dei dintorni di Ruvo, ed i calcari 3 e 3’ di Minervino ricordano perfetta- mente quelli che si traversano salendo dalla pianura a Rignano Gar- ganico, a San Marco in Lamis ed a San Giovanni, e a quelli che da San Marco si estendono lungo la strada di San Severo. Finalmente le dolomie che si trovano presso San Marco, o nelle pendici del Gargano verso Apricena e San Severo, assomigliano moltissimo a quelle di Mottola e Altamura e dei pressi della stazione di San Basilio. Seguendo queste analogie, adunque, tutta la serie pugliese, ora citata, andrebbe riferita al giurese. Il signor A. Jatta, in alcuni articoli pubblicati sulla Rivista pu- gliese di scienze , lettere ed arti , dice di aver trovato le dolomie 1 Nuovi appunti geologici sul Gargano, di E. Cortese e M. Canavari. ( Bol- lettino del R. Comitato geologico. Anno 1884; n. 7-8.) 1 In alcuni campioni di calcari della provincia di Lecce, che vidi presso il professore C. De Giorgi, mi parve riconoscere gli stessi corallari ed idrozoari del numero 7 della serie garganica. Il De Giorgi però ritiene che quei calcari sieno cretacei. — 11 — presso Ruvo, ma questo non mi fu dato riconoscerlo. In ogni modo egli stabilisce la seguente serie, al di sotto del cretaceo: 1° Calcare bianco del litorale; 2° Breccie Calcari : lumachelle : calcari delle Murge; 3° Calcare rosso di Corato; 4° Calcite : calcare granelloso che si sfalda a lamine e fram- menti irregolari ; 5° Dolomie. Il numero 3 ed il 5 si riferiscono completamente ai numeri 3 e 4 della mia serie; il numero 4 non rappresentando una zona costante ma piuttosto una accidentalità della formazione, non fu da me posto nella serie pugliese. I primi due membri non ebbi agio di riscontrare, perchè le mie escursioni mi portavano preferibilmente nelle parti montuose o meno visitate. In ogni modo l’idea che quei calcari descritti sieno giuresi è avva- lorata da questo scritto del signor Jatta e dall’opinione espressa, e da lui citata, del professore Guiscardi. Credo che al giurese bisogna perciò riferire tutti i bei calcari, tanio utili per le costruzioni, che si cavano a Trani, Bisceglie, Molfetta, Giovinazzo, ecc. Questi calcari sono privi di fossili, ma tale carattere si può dire comune a tutti, o quasi, i calcari giuresi della Terra di Bari. Forse guardando minutamente, e facendo uno studio più dettagliato della geologia della regione, si potranno trovare dei calcari a turricolate; talvolta mi parve di vederne, ma i fossili erano certamente malissimo conservati e non ravvi- sabili. Nella Terra di Bari si ha dunque poca varietà di termini della scala geologica; abbiamo soltanto il giurese, il cretaceo superiore ed il pliocene. Litologicamente il più variato è il giurese, mentre il cre- taceo è piuttosto monotono di forma e di aspetto. Industrialmente, si ricavano, dai terreni suddetti, i seguenti materiali utili: Dal pliocene: Tufi calcari, per muri a secco, ecc.; Argille plastiche, per prodotti laterizii e figulini; Carpari o mazzari , per costruzioni in pietra da taglio. Dal cretaceo: Calcari ippuritici , per pietre da taglio, murature ordinarie, muri a secco, ecc.; Calcari a strati sottili intercalati , per muri a secco (si prestane bene perchè si dividono in parallelepipedi regolari) ; Calcari ippuritici , per calce grassa. — 12 — Dal giurese: Calcari giallastri o rosatiy compatti ; Calcari biancastri o giallastri del litorale, per pietre da taglio, murature ordinarie, ecc. ; Calcari giallastri , per calce grassa. Manca quasi completamente, si può dire, la sabbia per mescolare alla calce, le sabbie gialle essendo o troppo calcari o troppo ar- gillose. Le culture sono quasi unicamente: i cereali, la vigna e Pulivo; nei boschi predominano le quercie, soprattutto il rovere. Le acque sono scarsissime; pozzi sorgivi si hanno solo ad Acqua- viva, a Grumo, a Cassano e alle Mattine di Toritto, fra le sabbie gialle e le argille sottostanti; alle Mattine di Bitonto si hanno pozzi alimentati dalle acque che trovansi al contatto fra 1’ ippuritico e il calcare a lastre. Riassumendo quanto si è detto, è da notare che noi troviamo il pliocene a brusco contatto col secondario, sia col giurese, sia col cre- taceo, lungo il circuito già indicato sopra, da Canosa a Minervino, Gravina, Massafra; lungo il primo tratto, da Canosa ad Altamura, lo vediamo ai piedi delle pendici secondarie, e nel secondo in completa discordanza. Dippiù, noi vediamo apparire delle masse giuresi, formate da calcari grigi cristallini, o da dolomie, ad Altamura, San Basilio, Mottola, ecc., le quali sollevarono il cretaceo facendogli prendere, nelle vicinanze, pendenze che bruscamente contrastano, per la loro dire- zione, con quella generale di quei calcari. Così, mentre da Putignano a Mottola, da Gioia a San Silvestro, da Cassano ad Altamura, Y ippuritico pende generalmente a S o S.O, a Mottola, San Basilio, Altamura lo vediamo bruscamente sempre a N o N.E ; anche la massa di giurese che spunta nel bosco di Corte Martina, fra S. Eramo ed Acquaviva, ha rotto il cretaceo bruscamente, facendolo pendere dalla parte settentrionale, verso N.E. Il fatto del contatto brusco del pliocene, ai piedi delle pendici secondarie, identico a quello che si ha alla base del Gargano, l’ap- parizione brusca di quelle masse giuresi, precisamente e preferibil- mente all’esterno del circuito del secondario, farebbe credere all’esi- stenza di una frattura geologica importante. Tale frattura sarebbe bene in prolungamento con quella ricorrente ai piedi del Gargano 1 : essa andando dal golfo del Vasto a quello di 1 V. Nuovi appunti geologici sul Gargano, ecc. (sopra citati). — 13 — Taranto, distaccherebbe il sistema del Gargano e delle Murge, colla penisola Salentina, dall’ Appennino secondario della Basilicata e dei Principati. Accenno a ciò come ad una ipotesi, poiché essa può servire di guida a studi più particolareggiati. Verificandosi, si avrebbe che le Puglie, come il Gargano, apparterrebbero al sistema geologico ed oro- grafico della Dalmazia. È un fatto che la facies delle roccie, come specialmente ho potuto riconoscere per il cretaceo, è ben diversa fra le Puglie e la Basilicata, pur trattandosi qui e là di ippuritico ricchis- simo di fossili; mentre ho già dimostrato l’analogia fra i calcari giuresi delle Puglie e quelli del Gargano. Il mare Adriatico, alle epoche pliocenica e quaternaria, doveva dunque andare dal golfo di Taranto a quello del Vasto, separando il sistema italico da quello dalmata. Roma, 15 gennaio 1885. II. Sulla costituzione geologica dell'isola di Cerboli. Nota di P. Fossen aiutante-ingegnere nel R. Corpo delle Miniere. Cerboli è un isolotto dell’ arcipelago toscano che trovasi nel Canale di Piombino alla distanza di kilometri 7 a Sud della città omonima e kilometri 8 Iq2 ad Est di Capo Pero, estremità N.E dell’ isola d’ Elba. La massima lunghezza (E.O) di Cerboli è di metri 500 e la lar- ghezza di 250; alla sua sommità, che si eleva dal mare per m. 74, si osservano i ruderi di una torre che anticamente serviva forse come punto di vedetta contro i pirati e le invasioni barbaresche. Questo isolotto non è ora abitato che da stuoli innumerevoli di uccelli marini (gabbiani) i quali sono soltanto disturbati dai pescatori che frequentano quelle acque e che vanno ghiotti delle loro uova. Vuoisi che a Cerboli allignino molto bene anche le vipere; però, mal- grado che si fosse nella stagione estiva, a me non fu dato di consta- tare tale asserto. La vegetazione vi è scarsissima, dappoiché tutto all’ intorno questo scoglio è conformato in balze a picco continuamente sbattute e corrose dalle onde e dalle correnti marine, e soltanto nelle parti più elevate e pianeggianti s’ incontra qualche cespuglio. Ad ogni modo riuscirebbe importantissimo lo studio della flora e — 14 — della fauna di questo scoglio isolato, in correlazione colla flora e la fauna delle isole circostanti e del prossimo continente. Dalla parte Sud-Est havvi un piccolo sentiero per accedere alla sua sommità; gli altri punti sono pressoché inaccessibili. E superfluo il dire che P acqua dolce vi manca affatto. Della geologia eli Cerboli non consta che finora alcuno abbia par. lato, forse perchè non si tratta che di uno scoglio di dimensioni mi- nime, disabitato e fuori di mano. Il Giuli nella sua Carta geografica di mineralogia utile della Toscana — ■ 1840 — segna P isolotto di Cerboli come costituito di roccia calcarea senz’ altra indicazione. Il prof. Cocchi (Vedi Bollettino del Comitato geologico , 1870, fase. I) parlando di fossili umani scoperti a Cerboli, dice che quell’ isolotto è formato di calcare alberese e di macigno, cioè di roccie eoceniche; ma dal tenore di quella nota si arguisce che P autore deve averla redatta colla scorta di informazioni assunte senza essersi recato sul luogo-. L’ isolotto di Cerboli è certamente più interessante dal lato geolo- gico di quello che finora non lo si abbia creduto. Esso, astrazione fatta da alcuni lembi di calcare marino concrezionato o panchina di epoca quaternaria, è costituito essenzialmente di roccie liasiche. Il calcare grigio compatto del lias inferiore vi predomina e forma il nucleo o massivo principale di quello scoglio ; la sua stratificazione è disposta sensibilmente ad anticìinale, il cui asse è diretto presso a poco secondo il meridiano. Dal lato orientale di Cerboli il calcare grigio è ricoperto fino alla sommità dello s oglio, in stratificazione concordante, da quello rosso caratteristico pure del lias inferiore (parte superiore) il quale, contra- riamente a quello analogo dell’ Elba, è assai ricco di fossili. Nel bre- vissimo tempo che ebbe disponibile fu dato allo scrivente di raccogliere vari esemplari di Aulacoceras , crino! di e sezioni di univalvi e bivalvi, e non si esclude che facendo delle ricerche minute in questo calcare si possano altresì trovare delle ammoniti. 1 Il calcare rosso dell’Elba non ha offerto Aulacoceras, nè crinoidi, ma soltanto delle ammoniti del genere Arietites, mentre in quello dei prossimi monti di Campiglia, nel continente, furono trovate Aulacoceras in quantità insieme ad ammoniti. Ne segue pertanto che la fauna Jiasica di Cerboli partecipa più di quella del Campigliese che di quella dell’ Elba, mentre per la vici- nanza e per la disposizione stratigrafica, come vedremo, le roccie di 1 I fossili raccolti furono riconosciuti dal prof. Meneghini. — 15 — Cerboli sono in più stretta relazione con quelle dell’Elba che con quelle dei monti di Campiglia. Le roccie di Cerboli segnerebbero quindi un termine di passaggio fra quelle liasiche del continente e quelle del- h Elba. Gli strati del calcare rosso di Cerboli alternano con altri strati di calcare bianco grigiastro ceroide che in qualche punto presenta minutissime sezioni, forse di crinoidi. La figura N. 1 rappresenta una sezione presa al naturale e di- mostra come sono disposte le citate roccie del lias inferiore. Fio. 1. CERBOLI (veduta da mezzogiorno) Torre b) Calcare roseo ad Aulacoeeras, crinoidi e sezioni di univalvi e bivalvi, al- ternante con calcare bianco giallastro ceroide. — Lias inferiore, parte su- periore. c) Calcare grigio compatto. — Lias inferiore , parte inferiore. Dalla parte occidentale dello scoglio il calcare grigio — come vedesi dalla Fig. 2 — è ricoperto da un lembo di scisti violetti ar- gillosi e scisti rossi in molti punti diasprini e ftanitici, alternantisi con banchi di calcari ceroidi rosei chiari, con lenti di selce rossa in straterelli di 5 o 6 centimetri e colle superficie spalmate di materia argillosa violetta o verdastra lucente. Vi si trovano pure delle piccole lenti di calcare marnoso di color rosso mattone. Tali roccie per analogia con quelle della zona degli scisti vari- colori a Posidonomya Bronni dell’ Elba, devonsi riferire al lias supe- riore. Esse trovano altresì perfetto riscontro in quelle del Campigliese pure del lias superiore. — 16 — Fig. 2. CERBOLI (veduta da tramontana) Torre a) Scisti violetti argillosi e scisti rossi, talvolta diasprini, che alternano con calcari ceroidi rosei-ehiari con selce rossa. — Lias superiore. c) Calcare grigio compatto. — Lias inferiore , parte inferiore. È da rimarcarsi che, mentre dalla parte orientale di Cerboli ab- biamo i calcari rossi fossiliferi che si sovrappongono a quelli grigi compatti, dalla parte opposta la formazione del lias superiore riposa direttamente sugli stessi calcari grigi (Vedi fig. 1 e 2). Havvi quindi una marcata discontinuità a soli 200 metri di distanza, ma tale discon- tinuità verificasi pure di frequente all* Elba dove si vedono gli scisti varicolori del lias superiore sovrapporsi direttamente alle roccie infra- liasiche, permiane ed anche presiluriane. Abbiamo detto che la stratificazione delle roccie di Cerboli è di- sposta in anticlinale coll’ asse diretta da Nord a Sud e per conseguenza colle gambe ad Est e ad Ovest. Gli strati che costituiscono la gamba di levante si perdono nel mare, nè si saprebbe ove rintracciarli ; quelli invece che costituiscono la gamba di ponente, immergendosi nelle acque, passerebbero sotto la prossima isola di Palmaiola, che è for- mata di roccie eoceniche, per affiorare nuovamente nella parte Nord dell’ isola dell’Elba fra il Cavo e le Fornacelle. Dal lato Nord-Ovest di Cerboli si vedono affiorare dal mare degli scogli di panchina quaternaria identica a quella dell’ Elba, come se ne trovano altresì dei piccoli lembi isolati erosi dalle onde ed appiccicati più qua e più là, fino ad un’altezza di 25 o 30 metri, sulle balze cal- caree da questa parte dell’ isolotto. Sarebbe questo il luogo conosciuto col nome di Testa di morto , dove furono scoperti nella stessa forma- zione quaternaria i fossili umani citati dal Cocchi. Il fatto di trovarsi qui la panchina a 30 metri di altezza conferma che 1’ isola di Cerboli ha partecipato al sollevamento postpliocenico — 17 — delle altre isole tirreniche e della costa toscana; che anzi se riflettesi che all’ Elba furono osservati residui di panchina a circa 200 metri sul mare, e che nel prossimo continente se ne vedono lembi fino a 70 metri, è da ritenersi molto probabile che prima di tale sollevamento Cerboli dovesse essere completamente sommersa. L’ ing. V. Melimi ha trovato recentemente dei frammenti di vasi di terra cotta cementati nella panchina di Cerboli e la scoperta di questi avanzi dell’ industria umana concorderebbe con quella dell’uomo fossile segnalata dal Cocchi. Tali scoperte possono essere preziose, oltreché per le ricerche preistoriche ed archeologiche, anche per la determinazione dell’età di questa formazione marina e quindi del sollevamento che ad essa suc- cedette. In conclusione le roccie che costituiscono l’ isola di Cerboli pos- sono riassumersi per ordine discendente come appresso: Quaternario. 1. Panchina contenente conchiglie marine e resti dell’industria umana. Lias superiore. 2. Scisti violetti argillosi e scisti rossi talvolta diasprini che al- ternano con 3. Calcari ceroidi rosei-chiari con lenti di selce rossa in strate- relli di 5 o 6 centimetri e colle superficie spalmate di materia verdastra lucente. 4. Piccole lenti di calcare marnoso di color rosso mattone. Lias inferiore, parte superiore. 5. Calcare roseo ad Aulacoceras , crinoidi e sezioni di univalvi e bivalvi. 6. Calcare bianco giallastro ceroide che alterna col precedente. Lias inferiore, parte inferiore. 7. Calcare grigio compatto analogo a quello dell’ Elba sottostante al rosso ammonitifero. 2 — 18 — III. I fossili del Cretaceo medio di Caltavuturo. — Lèttera del Prof. S. Ciofalo al Prof. G. Sequenza. Nel 1876 dopo che Ella, visitando la mia collezione, e studiandone i fossili del Cretaceo di Caltavuturo, ebbe a constatare F esistenza di un buon numero di specie nuove, buona parte delle quali specie figu- rano ora nel pregevolissimo suo lavoro Studj geologici e paleontolo- gici sul Cretaceo medio dell * Italia Meridionale (Roma 1882); mi ri- solsi a pubblicarne un elenco (Modena 1876). Non passò tanto tempo che arricchitasi la mia collezione di nuove specie della medesima contrada, ne pubblicai un altro elenco descri- vendone alcune specie come nuove (Modena, dicembre 1876). Eppure non cessando di raccogliere e far raccogliere in quelle contrade, mi è riuscito, quest’ anno, mercè F opera assidua del mio bravo raccoglitore, di avere delle specie assai importanti e alcune per la prima volta trovate in Sicilia, come Ella ebbe a confermare colla pregiata lettera del 30 marzo 1884. Mi ero prefisso in quest’anno di visitare nuovamente i dintorni di Caltavuturo, tanto per istudiare la stratigrafia e la serie geologica dei terreni cretacei ; poiché, come Ella ha ben detto, mancano sinora i dati stratigrafici per riconoscere con la massima precisione ed esat- tezza la serie completa dei piani cretacei. Ma le condizioni sanitarie di quell’ epoca non permisero di fare delle escursioni, per cui mi limito per ora a pubblicarne un nuovo elenco, che credo riuscirà di non poca importanza. Però posso assicurare, come altre volte ho detto, che le argille scagliose grigio-brune ed un calcare assai resistente sono le rocce che racchiudono quell’abbondanza di fossili identicissimi per la forma pel colorito e per altri caratteri a quelli del Reggiano e del Messi- nese, da Lei descritti nel citato lavoro sul Cretaceo dell’ Italia Me- ridionale, e di conseguenza a quelli descritti dal geologo di Marsiglia prof. Coquand. Aggiunga poi che i detti fossili, ed in ispecie quelli trovati ulti- mamente, fan dire con fetta certezza come nei dintorni di Caltavuturo il Cenomaniano trovisi nel suo pieno sviluppo e caratterizzato dalla presenza del Nautilus triangularis e del Turrilites eostatus. Ecco pertanto che passo alla enumerazione di tutte le specie cre- tacee dei dintorni di Caltavuturo da me sinora possedute, compren- — 19 — dendovi anco le bellissime varietà della Plicatula pauci costata a co- stole bipartite, da Lei con molta esattezza determinate, non che le altre due specie che pare siano realmente nuove, cioè la Plicatula Rosinae e Y Isocardia Mattiae. Mi riservo però farne la descrizione non appena si presenterà T occasione di trovare altri esemplari per potere più esattamente pre- cisarne la specie. S. Ciofalo. Termini, gennaio 1885. Segue Pelenco dei fossili : Nautilus triangularis — Montfort. » laevigatus — Sow. » sublaevigatus — d’ Orb. » Sowerbyanus — d’ Orb. » fr. Sowerbyanus — d’ Orb. Acanthoceras Mantelli — Sow. » Gentoni (Brongniart). » rothomagense (Defrance). » cenomanense (d’Archiac). Turrilites costatus — Lamk. » tubercolato-plicatus — Seg. » Scheuchzerianus — Bosc. Nerinea calabro-sicula — Seg. Tylostoma propinquum — Seg. Voluta Baylei — Coquand. Voluta ; esemplare mal conservato. 4'4- Trochus grano-lyratus — Seg. Coquandia italica — Seg. » minor — Seg. Corbula umbonata — Seg. • Corbula ; un grosso esemplare in cattivo stato. Pholadomya elata — Seg. » molli — Coquand. Venus plana — Sow. » arcuata — Seg. » Cleopatra — Coq. » regularis — Seg. » mactraeformis — Seg. f » indistincta — Ciofalo. Venus Cherbonneaui — Coq. » Dutrugei — Coq. » Reynesi — Coq. » meridionalis — Seg. » Calcarae — Seg. Tapes minor — Ciof. Dosinia Delettrei (Coq). » Forgemolli (Coq). Astarte minima — Seg. » tenuicosta — Seg. Crassatella Baudeti — Coq. » dubbia — Seg. » Tenoutklensis — Coq. » minima — Seg. Cyprina calabra — Seg. » trapezoidalis — Coq. » Ciofaloi — Seg. Cypricardia calabra — Seg. » Gemmellaroi — Seg. Isocardia aquilina — Coq. » nebrodensis — Ciof. » diceras — Seg. » numida — Coq. » Mattiae — n. sp. ’ Cardium giganteum — Seg. » Pauli — Coq. » Coquandi — Seg. » subequilaterum — Ciof. » Hillanum — Sow. » regulare — Coq. » nebrodense, varietà — Ciof. Unicardium Matheroni — Coq. Kellia cretacea — Seg. Trigonia quatriformis — Seg. » scabra — Lamk. » distans — Coq. » undaticosta — Seg. Arca Delettrei — Coq. » diceras — Seg. » obliquissima — Seg. — 21 — Arca navis — Seg. Modiola Pinna fragmentaria — Seg. Gervilia bicostata — Seg. — Esem. completo. Pecten dichotomus — Seg. » Desvauxi — Coq. lanira quadricostata — Sow. Plicatula paucicostata — Seg. » paucicostata, var. a costole bipartite — Seg. » Rosinae — n. sp. Ostrea Delettrei — Coq. » var. simplex — Seg. » var. striata — Seg. Exogyra flabellata — Goldfuss. » flabellata var. — Lamk. » haliotidea — Sowerby. » canaliculata (Sowerby). » conica (Sowerby). d africana — Lamk. » oxyntas (Coquand). » var. Italica — Seg. » Overwegi — De Buch. » olisoponensis — Sharpe. » rathisbonensis (Schlotheim). Alectryonia scyphax (Coquand). » var. tubercolata — Seg. » var. pectiniformis — Seg. Sphaerulites ; un po’ dubbia perchè mal conservata. Yermilia cretacea — Seg. — attaccata ad un esemplare dell’ E. flabellata, e dell’ E. olisoponensis. Membranipora ; parte di una colonia attaccata ad un esemplare dell’ E. olisoponensis. Emiaster ambiguus — Seg. Trochosmilia tetracycla — Seg. Leptophyllia multisepta — Seg. Cycloseris minima — Seg. Cladocora brevis — Seg. — Di questo polipaio una colonna for- mata di cinque poliperiti trovasi attaccata ad un bello esemplare del- T E. oxyntas, var. Italica. Cliona...; questa specie s’osserva su qualche esempi. dell’E. flabellata. — 22 — ESTRATTI E RIVISTE Studio geologico sul gruppo della Svigna in Lombardia, di E. W. Benecke. (Da una memoria pubblicata nel Neues Jahrbueh f. Min. Geol. u. Palaeont., III. B. B., 1884). Cenni topografici. Oggetto del presente studio è quella regione del lago di Como, che ha la forma approssimativa di un triangolo isoscele, sui vertici dei quale stanno le località di Bellano, Lecco ed Introbbio. Essa è limitata ad ovest dal cosi detto lago di Lecco le di cui sponde formano la base del triangolo, mentre che i lati di N.E e di levante sono determinati dalla Val Sassina percorsa dal torrente Pioverna e suddivisa in pa- recchi e distinti tratti. Questi sono , precedendo da nord a sud, la gola da Bellano a Taceno, la valle da Taceno a Ponte Chiuso, Pai— largamento Pasturo-Barzio, la salita all’Osteria di Bafisio e da ul- timo la chiusa che si protende sino allo spartiacque di Ballabio. Si può ritenere che quest’ultimo, essendo pianeggiante, colleghi diretta- mente la Val Sassina colla vallata od allargamento di Ballabio, il quale stendesi sino al lago e forma il limite inferiore orientale del territorio studiato. Il gruppo della Grigna occupa il centro di figura del triangolo sopra detto e ne domina tutto il territorio colle due principali som- mità che sono il Moncodine o Grigna settentrionale (2409 m.) ed il Monte Campione o Grigna meridionale (2181 m.), dalle quali irradiano verso il lago e la Val Sassina numerose valli laterali e creste mon- tuose. Tra queste ultime la più considerevole è quella che, staccan- dosi dal Moncodine, corre a sud e lo unisce al Pizzo del Sasso dei Carbonari, e più in là anche al Monte Campione ; interrotta però fra i due ultimi nominati, da una brusca depressione per la quale valica la strada dal lago alla Val Sassina. Dal Moncodine stesso, ma in dire- zione opposta, si dipartono altre diramazioni, di cui una, detta Pizzo della Pieve, si dirige a N.E verso Stalle di Nava, altra a nord verso Prato S. Pietro. Una cresta poderosa e dirupata forma continuazione al Monte Campione verso ponente ed è detta Zucco del Pertusio; ed altre due si dipartono dal medesimo verso N.O, le quali determi- 23 — nano la biforcazione della Valle del Ghiaccio superiore. Tra le valli di maggior rilevanza notiamo la Val Neria sul lato occidentale del gruppo e la Val Molina su quelle di N.E, separate fra loro dalla Costa o Bocchetta di Prada (1400 m.). La Val del Ghiaccio è una di- ramazione di Val Neria verso Monte Campione; le valli Gerona e Bella Farina, che sboccano nel lago tra Lecco e Val Neria, sono ri- marchevoli per la pendenza variante del loro corso superiore ed infe- riore, leggera nel primo, assai risentita nell’ ultimo. Tra le acque che direttamente fluiscono al lago od alla Pioverna e che derivano dal gruppo della Grigna, meritano maggior menzione le seguenti. Da Alpe Costa Adorna superiore scende un torrente che viene a costeggiare la strada da Lecco a Ballabio e eh’ è importante perchè, passando per le località di S. Giovanni, di Olate e di Lecco, ne alimenta, come forza motrice, le molte industrie. Il Monte Albano separa questo corso d’acqua dal parallelo torrente Galdone, il quale raccoglie le acque della vallata superiore di Ballabio. Si può conside- rare come confluente della Pioverna anche il suo tratto superiore, am- piamente ramificato, e ripiegato in senso contrario al tratto principale della medesima percorrente la Val Sassina : egli forma il collettore idraulico di tutto il piovente orientale della Grigna. Meno importanti sono i torrenti di Baiedo e di Scarnallo ed altri molti che per la ripidità del fianco montuoso dal lato della Pioverna, mancante perciò di vere valli, sono piuttosto a considerarsi quali cascate d’ acqua addossate le une alle altre. Veduto nel suo assieme il territorio a S.E delle valli Neria e Molina, presenta nella sua parte settentrionale un carattere orografico diverso che non in quelle meridionale ed orientale, predo- minando nella prima i pendìi erti e dirupati, mentre nelle seconde osservasi sempre interposta fra le creste principali una regione me- diana, pianeggiante, avente carattere di terrazzo. Un’ altra parte della regione della Grigna è quella che estendesi a N.O delle valli Neria e Molina. Sono in essa predominanti due som- mità, Monte Croce e Cima di Pelaggia, riunite da una cresta, e con- giunte pure al Moncodine mediante uno sperone che si diparte dal Monte Croce, la cui cresta prosegue e s’ abbassa a nord verso Alpe di Camallo, viene interrotta dalla Val di Cino e poi si rialza al Pizzo di Camallo. Questo poderoso sperone che separa la Val Molina dalla Val Sassina, segna il principio di una lunga catena, distesa verso N.O e che finisce a S. Defendente; essa e l’altra che si stacca da Cima di Pelaggia con identica direzione e che termina sopra Vezio, racchiudono il territorio d’ Esino propriamente detto. La speciale fi- — 24 — sionomia di quest’ ultimo è dovuta alle due schiene montuose, delle quali la maggiore stendesi da Monte Croce ad Esino inferiore, e la minore, segnalata dal Sasso Cariano, divide Val di Cino dall’ Alpe di Camallo I loro versanti coperti di boschi e di pascoli si distinguono per moderata ripidità, per uniformità di contorni, e per la mancanza del caotico frastagliamento che sopratutto caratterizza la sommità del Sasso Mattolino. Detti dossi montuosi determinano 1’ andamento delle valli, principale fra le quali è la Val d’ Esino, che poco sotto al paese omonimo si divide in due rami, di cui uno minore sale verso nord sino all’Alpe di Camallo, l’altro più lungo e più a sud, detto Val On- tragna, Val del Monte o Val Pelaggia finisce a Monte Croce ed a Cima di Pelaggia. Speciale menzione, per la sua importanza relativamente ai villaggi d’Esino, si merita la roccia isolata su cui sta la chiesa omonima. Assai vario è poi 1’ aspetto della riva del lago da Bellano allo sbocco della Val Neria. Tra Beli-ano e Varenna si ripresenta in modo distinto la conformazione terrazzata della zona mediana dei versanti. Così mentre la parte inferiore dei medesimi sta a picco sul lago ed è traversata dalle numerose gallerie per cui passa la strada dello Stelvio, stendesi superiormente un largo terrazzo da Regoledo a Perledo, po- polato di villaggi e dominato dal S. Defendente. La zona terrazzata manca da Varenna a Mandello, ed i numerosi paesi in riva al lago poggiano su formazioni più recenti di quella della soprastante mon- tagna. Di vere valli manca affatto questa parte di riva, non potendosi considerare come tali le poco profonde insolcature, come sarebbe Val Vacherà, per le quali i torrenti precipitano al lago con brevissimo corso. Costituzione geognostica. Terreno di fondo. — La serie normale dei terreni sedimentami della regione suddescritta ha per sua base gli strati superiori di quella im- ponente massa di scisti cristallini, la quale stendesi dalla Valtellina alla Val Sassina, e comprende tutta la riva orientale del lago di Como da Colico a Bellano. Col Monte Legnone detti strati raggiungono l’al- tezza di 2610 metri. Il Gùmbel li ritiene indubbiamente per scisti cri- stallini tipici, di una formazione relativamente recente, appartenente al periodo archeolitico : con essi starebbe in connessione diretta, anzi sarebbe a considerarsi come interclusa nei medesimi, la quarzite gneis- sica del versante meridionale di Val Sassina. — 25 — Da Bellano e Taceno gli scisti cristallini fiancheggiano ambo le rive della Pioverna, la quale ha il suo letto scavato nei medesimi : più in alto, sul versante nord di Val Sassina, essi sono ricoperti da conglo- merato permiano, il quale parimenti li occulta nel tratto fra Taceno e Val Rossiga. Da questo punto sin’ oltre Cortabbio domina invece sullo stesso fianco nord il granito ; ricompaiono poi gli scisti cristallini e si mantengono senza interruzione sino al di là d’ Introbbio. Grande è l’estensione loro verso levante, al di là del territorio studiato. Sul lato sud della Pioverna i detti scisti si mostrano in riva al lago ove, sotto Bosisio, è ben palese il loro limite meridionale che poi sale colla montagna ed attraversa presso Paniglietto la strada da Bel- lano a Parlasco : da Paniglietto a Parlasco costeggia più davvicino la gola della Pioverna, il cui imbocco presso il ponte sotto Taceno è fiancheggiato da pareti elevate di gneiss. A Morgoda scompaiono gli scisti sotto masse imponenti di detrito per poi ricomparire da Pratobaco sino a Piano, ove subentrano i conglomerati i quali presso Boscalli si portano sulle parti più elevate del versante, lasciando gli scisti allo scoperto. Questi nuovamente s’ immergono sotto la valle, presso Forni, di fronte ad Introbbio. Il prof. Cohen che analizzò al microscopio i campioni di detti scisti, prelevati su molti punti del territorio, distingue le seguenti specie : 1. Micascisto feldispatico o scisto moscovitico: roccia proveniente dalla strada Bellano-Parlasco, e precisamente dalla biforcazione di questa per Prati d’Agueglio (Esino). Vi predominano assolutamente il quarzo e la moscovite, e forma gli strati superiori degli scisti cristallini in prossimità alle roccie sedimentarie sovraincombenti. 2. Gneiss moscovitico a caratteri di micascisto ; dall’imbocco della gola della Pioverna, al ponte sotto Taceno. Predominano il quarzo e la mica: quest’ultima disposta a strati alternativamente più o meno ricchi. Il feldispato v’ è talvolta sì scarso da poter considerare la roccia per micascisto feldispatico. Accessoriamente contiene zirconio e minerali di ferro, tra i quali predomina l’oligisto micaceo. 3. Anfiboloseisto di Boscalli. Roccia di colore assai oscuro, a grana fine, imperfettamente scistosa. Componenti principali ne sono l’anfibolo di color verdognolo passante al bruno, ed il feldispato, principalmente l’ortoclasico. Nella roccia veggonsi alla lente intersecati alcuni strate- relli di augite verde chiara, in cui accessoriamente trovasi della ma- gnetite ed un po’ di quarzo. 4. Anfiboloscisto della Val Troggia ; dall’ imbocco della valle, tra il ponte e la cascata. Questa roccia viene ripetutamente attraver- — 26 — sata da un granito anfibolico-biotitico, simile affatto a quello di Cor- tabbio, del quale si dirà in seguito. È costituita oltrecchè da antibolo bruno chiaro, da feldispato, magnetite, apatite, zirconio e da granellini isolati di quarzo. 5. Gneiss biotìtico ; dallo sbocco del torrente che precipita da Stalle di Nave, di contro a Primaluna. In questo gneiss ricco di biotite si osserva che il feldispato è spesse volte tramutato completamente in una sostanza a carattere di pinitoide, contenente lamine isolate di mica piuttosto grandi. La biotite è di color rosso bruno e per lo più forma un intreccio amigdaloide; talvolta si presenta a laminette iso- late ; in piccola parte è anche decomposta, con secrezione di grani meno trasparenti somiglianti ad epidoto, e di aghi e di granellini opachi. Il quarzo non vi è molto abbondante e presenta dei nuclei gra- nulosi, di forma lenticolare schiacciata. Minerali accessori sono il zin- conio, 1’ apatite e la pirite marziale. 6. Gneiss occhiatino a due mica; da una cava fra Introbbio e Forni Le concrezioni orbiculari maggiori hanno una lunghezza perfino di 8 crn. ; predomina in esse l’ortoclasio, per lo più misto ad un poco di quarzo e di moscovite: le più piccole abbondano di quarzo; talvolta sono formate esclusivamente da esso. Nella massa principale alter- nano colla mica fini aggregati granulari di ortoclasio, plagioclasio e quarzo ; accessoriamente vi si riscontrano l’apatite, il zirconio e la pirite. La biotite rosso-bruna vi predomina per modo da potersi rite- nere la roccia in parola per un gneiss biotitico con moscovite acces- soria. Le osservazioni in luogo assieme ai risultati dell’ analisi fanno ritenere che a formare la massa di questa formazione scistoso-cristal- lina concorrano dei gneiss della più svariata composizione, tra i quali ha parte assai importante il gneiss anfibolico. Speciale sviluppo devono avère nella parte superiore della massa il micascisto, ovvero i gneiss poveri di feldispato ed altre roccie d’aspetto quarzitico e fìllitico, quali per esempio quelle a grandi lastre che si scavano a Taceno per coper- ture dei tetti. Alcune altre rocce, come lo scisto ad antigorite, i gneiss od i graniti tormaliniferi, si rinvengono bensì fra i cumuli di ciottoli, ma non mai in posto. Il tratto di Val Sassina da Devecchi a Cortabbio è tutto costituito da roccie granitiche bellissime, le quali pure furono analizzate dal prof. Cohen. Il granito di Cortabbio presenta tre varietà, di cui una a grana media, due a grana fine. La prima varietà è grigia e si com- pone di feldispato bianco o grigio chiaro, di mica bruno-gialla, di anfi- — 27 — bolo nero e di quarzo color chiaro. Delle due altre varietà, l’una è di color chiarissimo ed è povera di mica, l’altra è grigia e ricca di pirite marziale: amendue contengono molto più quarzo che non la varietà media. Più specificatamente, l’analisi microscopica rivela i seguenti caratteri : 1. Granito di grana media , anjibolico e biotitico. L’anfibolo è per 10 più di color bruno-chiaro, debolmente pleocroitico ; talvolta contiene un nucleo, ovvero delle macchie sparse di colore più cupo, dotate di forte pleocroismo. Oltre a geminazioni normali, altre se ne riscontrano secondo la faccia 00P2 . Il quarzo contiene di rado inclusioni liquide, e queste sono isolate e sparse irregolarmente. Minerali accessori sono l’apatite, il zirconio e la pirite, oltre a qualche poco di magnetite e forse anco di titanite. 2. Granito grigio , biotitico , a grana fine. Si compone di feldispato, quarzo e biotite, unitamente a pirite, a molto zirconio, a poca tormalina e ad aghi somiglianti ad apatite. Il quarzo vi è singolarmente povero di inclusioni liquide e di trichiti ; è ricco all’incontro di biotite, apatite e zirconio. 3. Granito biotitico , a grana fine, di color chiaro, con poca mica. Si distingue dal precedente per la maggior freschezza del suo feldi- spato (ortoclasio e plagioclasio), per tenore più scarso in biotite, per mancanza di pirite e per la presenza di una sostanza affatto decom- posta ed indeterminabile, i cui caratteri più che ad altro accennano all’ augite. Accessoriamente ed in piccola quantità vi si riscontra la moscovite e la tormalina. E diffìcile lo stabilire l’età relativa di questi graniti, i quali si attraversano scambievolmente. A giudicare dalle condizioni generali e dal numero predominante dei ciottoli di granito anfibolico nelle ghiaie dei torrenti, sarebbe quest’ultimo il granito più diffuso ed il più an- tico. Le due altre varietà lo attraversano con innumerevoli filoni, ma attraversano altresì il gneiss, come si vede in prossimità della cascata di Val Troggia. Siccome poi a Devecchi i conglomerati poggiano sopra 11 granito, è supponibile che anzitutto sia comparso il granito anfibo- lico ed abbia estesamente ricoperto il gneiss: seguirono poseia le eru- zioni dei graniti biotitici. Permiano. — Al gneiss ed agli scisti cristallini sovraincombe una massa imponente composta di conglomerati, d’arenarie, di argille scistose e di rauchwacke, sopra la quale stanno i calcari dolomitici. In detta massa, la quale già in riva al lago presenta una potenza di non meno di 300 m., e che verso Est diviene ancora più rilevante, — 28 spiccano sovratutto i conglomerati nella sua parte inferiore e le rauch- wacke superiormente ; i primi perchè più resistenti alla decomposizione atmosferica e perchè si protendono lungo i versanti sotto la forma di scogliere rosse e brune ; le seconde perchè profondamente solcate dalle acque, in conseguenza di che presentano nelle vallecole del versante settentrionale di Val Sassina un orizzonte rimarcabile pel suo color giallo. Le arenarie e le argille scistose interposte fra le due roccie sud- dette sono poco visibili, perchè ricoperte per lo più da vegetazione. Uniche pietrificazioni in questo complesso petrografico sono la Voltzia heterophylla Brong. e V A ethophyllum speciosum , giacenti entro la serie d’arenarie e di argille scistose summentovate. Secondo il Gumbel queste piante fossili sono identiche a quelle di Neumarkt e di Recoaro, e le roccie includenti apparterrebbero al permiano; lo che però viene da lui affermato con molta riserva, mentre, d’ altro lato, altri geoioghi ritengono detta flora come caratteristica del Buntsandstein. Dal con- fronto però delle roccie in discorso con quelle analoghe di altre re- gioni alpine meridionali risulterebbe che le rauchwacke sopradette pos- sono indubbiamente ritenersi per triasiche, mentre che i conglomerati grossolani e la maggior parte di tutte quelle roccie che vanno com- prese sotto la generica denominazione di verrueano , sieno a riguardarsi più antiche del Buntsandstein; cosicché anche i conglomerati a ciottoli di porfido della regione della Grigna potranno ritenersi permiani, quantunque debbasi pur tener conto che anche il Buntsandstein alpino è talvolta rappresentato da conglomerati grossolani. La straordinaria somiglianza poi di certe arenarie micacee e di certe argille scistose con alcuni strati del piano di Seiss, consiglierebbe a ritenere che anche sul lago di Como il trias principiasse immediatamente al disopra dei conglomerati porfìrici: nel complesso locale però mancano alcuni dei più spiccanti e costanti caratteri di detto piano, talché si potrebbe eziandio ritenerlo affatto non esistente. Finché ulteriori studi e ricerche, massime dal lato paleontologico, non risolvano il quesito della geologica classificazione, converrà attenersi agli apprezzamenti sinora invalsi, e collocare i conglomerati poligenici porfìrici nel permiano, e tutto il resto nel trias ad essi sovrastante, sino ai calcari dolomitici massicci fessurati. Caratteri principalissimi dei conglomerati suddetti sono il colore costantemente rosso-cupo o bruno e la prevalenza nei medesimi di ciottoli provenienti da diversi porfidi quarzosi; più rari i ciottoli di quarzite e di scisti cristallini. Talvolta la quantità dei ciottoli dimi- — 29 — nuisce talmente che il conglomerato presenta l’aspetto di un’ arenaria quarzosa grossolana (arkose). Subordinatamente i conglomerati inclu- dono degli straterelli argillosi. Lungo il lago, movendo da Bellano, s’ incontrano i conglomerati vicino alla prima galleria, ove hanno una potenza di 25 a 30 metri ed inclinazione a S.O ; secondo il Giimbel con- terrebbero nella parte inferiore piccoli ciottoli porfirici. Di qui, elevan- dosi ripidamente, si dirigono alla Val Sassina, costeggiando la gola della Pioverna e sempre crescendo in potenza, per poi ridiscendere a livello della valle presso Piano e risollevarsi a levante di Prato San Pietro: di essi è formata la schiena isolata che separa l’Alpe di Stalle di Nava dalla Val Sassina. A Forni attraversano la valle e ri- compaiono sul suo opposto versante al di sopra d’ Introbbio. Il con- glomerato di Forni contiene ciottoli arrotondati di porfido, che rag- giungono la grossezza di una testa, ed oltre a ciò ciottoli di quarzo e di scisti cristallini. Due ciottoli di porfido, da detta località prove- nienti, vennero analizzati dal professore Cohen. Uno di» essi contiene sparsi, entro pasta felsitica bruno-rossa, individui di feldispato rosso- carnicino-oscuro, di quarzo grigio-chiaro con zirconio incluso e qualche pagliuzza di biotite. Parte del feldispato presenta delle cavità conte- nenti una sostanza ocracea che è il residuo della sua decomposi- zione: i cristalli ben conservati sono in generale di plagioclasio. Il mica è totalmente decomposto, con secrezione di minerali di ferro, dai quali proviene il colore scuro della pasta porfirica. Quest’ultima si compone di granellini di quarzo, di verghette di feldispato e di aggregati cripto-cristallini: essa pure contiene inclusioni di zirconio. L’altro por- fido è a pasta grigio-chiara, macchiata di violetto, di natura selciosa, a frattura scheggiosa distinta, con sparsi individui di quarzo e di fel- dispato : di regola quest’ultimo è sostituito da un aggregato bruno- giallo di carbonati e perciò non è determinabile. Accessoriamente la pasta contiene della pirite marziale. Nella composizione di detta pasta predomina il quarzo; cosicché la roccia, ammettendo che l’originario feldispato sia stato un plagioclasio ricco di calce, apparterrebbe alle porfiriti quarzose : l’ aspetto generale è però quello di un porfido quarzoso. Sulla destra della Pioverna riscontransi diverse masse staccate di conglomerati; cosi una attorno a Narro sulla via da Bellano a Ta- ceno, altra da Taceno sino Devecchi, nel qual punto i conglomerati poggiano sul granito : altra pure dietro Introbbio. A giudicare dalle condizioni generali di giacimento, doveano i con- glomerati formare una massa unita e continuata che venne poi frazio- — 30 — nata dal processo di erosione della Val Sassina. Più al sud d’ Introbbio, tali roccie non compariscono più alla superficie. Trias. — Prescindendo dalle formazioni glaciali e dalle alluvioni posteriori, tutto il rimanente della regione della Grigna è triasico. La suddivisione corrispondente, adottando il sistema seguito dall’ Hauer nel suo lavoro sulla Lombardia, è la seguente: Buntsandstein (Ser- vino, piano di Seiss), Muschelkalk, Calcare d’ Esino, piano di Raibl e Dolomia principale. Nel Muscelkalk sono compresi anche i calcari di Buchenstein. Buntsandstein. — Tutta la rispettiva serie stratigrafìca si può ri- partire in due grandi divisioni, inferiore e superiore. Il Buntsandstein inferiore è principalmente caratterizzato da arenarie grigie e rosse, e da un conglomerato assai compatto e duro composto esclusivamente di ciottoli arrotondati di quarzo bianco, a cemento sabbioso rosso, o giallo. Si presenta in banchi che talvolta hanno una potenza di pa- recchi metri. Questo conglomerato ha un aspetto particolare che lo fa distin- guere facilmente dal conglomerato porfirico : è somigliantissimo ai conglomerati del Buntsandstein tedesco. Roccie secondarie in questa divisione sono le argille scistose rosse e gialle. Le predette roccie possono distintamente osservarsi lungo la strada che costeggia il lago, agli ingressi della prima galleria e dentro la medesima. Su tutto poi il tratto da Bellano ad Introbbio si riscontrano i conglomerati e le arenarie, le quali ultime tendono piuttosto ad as- sumere elementi grossolani e contengono qua e là anche dei ciottoli. Nel corso superiore della Pioverna, in Val Neria ed in Val del Ghiaccio i conglomerati spariscono, probabilmente sotto il detrito dei versanti. Nel Buntsandstein superiore predominano le arenarie a strati sot- tili, a cemento argilloso, alternanti con argille scistose e con marne gialle, rosse o verdognole : le marne hanno talvolta tutti i caratteri delle litomarne del Keuper tedesco, inquanto che dotate di struttura fina ed omogenea si sfaldano all’aria in tanti parallelepipedi, mentre allo stato di freschezza presentano sotto al martello frattura concoide. Nelle arenarie immediatamente sovraposte ai conglomerati quar- zosi si rinvennero lungo la strada da Regoledo a Parlasco traccie di piante e frustoli di carbone: probabilmente è questo l’orizzonte ove l’Escher ha raccolte le famose sue piante fossili. Superiormente ad esso si avvicendano le marne e le arenarie micacee che perdurano sino alle rauchwacke, le quali chiudono superiormente la serie del Buntsandstein. Questo complesso di marne ed arenarie presenta caratteri e fenomeni — 31 — litologici identici a quelli di molte roccie dei piani di Seiss e di Campii delle regioni alpine situate ad oriente della Grigna; ma al tempo istesso questo medesimo assieme presenta con dette regioni notevoli differenze, tra cui l’assoluta mancanza di qualsiasi rappresentante dei calcari a Bellerophon , dei caratteristici banchi rossi oolitici a piccoli gastero- podi ed a bivalvi, che si riscontrano nella valle dell’Adige, nella Val Sugana e presso Recoaro. In generale, all’ infuori delle piante nessun altro fossile o traccia di fossile venne fìn’ora scoperto nel Buntsandstein della regione in discorso. Le rauchwacke sono affatto simili a quelle che comunemente si trovano sviluppate nell’Alpi meridionali sul limite tra il Buntsandstein ed il Muschelkalk. La loro potenza è variabile dai 30 metri sino a strati esilissimi; e si presentano talvolta in forma d’isolati giacimenti intercalati, a figura elissoidale. Punti principali d’osservazione per dette rauchwacke sono: il versante che domina la strada Regoledo-Par- lasco laddove fa sporgenza tra il lago e la Val Sassina; il torrente un po’ ad ovest di Parlasco, quello che scende dal Pizzo della Pieve rim- petto a Primaluna ed il corso superiore della Pioverna sotto Stalle della Cova. Si noti inoltre che in forza della concordante stratificazione tra il Buntsandstein ed il sottoposto permiano lungo la Val Sassina, tutta la serie stratigrafica del primo vi è resa palese, mentre all’ incontro lungo il ramo superiore della Pioverna, in causa di attraversante frat- tura e conseguente dislocazione, tutto il permiano ed eziandio la parte inferiore del Buntsandstein giacciono sotto il suolo della valle; per modo che maggiormente spicca la presenza delle arenarie micacee, delle marne e delle rauchwacke, perchè circondate per ogni verso da cal- cari e da dolomie. Muschelkalk. — Le recenti scoperte di alcuni cefalopodi e di una Daonella nei calcari della Grigna, conosciuti sotto il generico nome di Muschelkalk, resero possibile la distinzione loro in più membri, non- ché il confronto tra essi ed i diversi piani del Muschelkalk delle Alpi lombarde, centrali ed orientali. Però detti punti di rinvenimento essendo tutt’ora isolati e le condizioni di giacitura assai intricate, non fu per anco possibile di distinguervi cartograficamente parecchi piani. Un importante risultato pratico fu ad ogni modo ottenuto colla separazione dei calcari più recenti, lastriformi, parimenti oscuri, del piano di Raibl, da quelli del Muschelkalk. L’intero complesso di strati che nella regione della Grigna riten- gonsi appartenere al Muschelkalk, comprendendo in questo complesso — 32 — anche i calcari di Buchenstein, si può dividere in tre potenti e ben distinti sedimenti, di cui 1’ inferiore si compone di calcari nodulosi o fessurati, di colore grigio nero, dolomitici, con tracce di fossili. Il sedimento di mezzo è caratterizzato da calcari nodulosi e da calcari lastriformi di color nero intenso, contenenti cefalopodi e brachio- podi, mentre il piano superiore è formato di calcari lastriformi con- tenenti selce e -pietra verde. I due primi costituiscono il Muschelkalk propriamente detto, 1’ ultimo il piano di Buchenstein. Questo non venne ancora constatato con certezza tra Bellano e Varenna, dove i calcari lastriformi racchiudono dei fossili che non si riscontrano in nessun altro punto della regione, mentre vi mancano invece i ca- ratteristici cefalopodi e brachiopodi. Nella Val Sassina inferiore, nei dintorni di Pasturo, il Muschelkalk è estesissimo, massime sul versante orientale del Moncodine. Risalendo da Pasturo verso gli elevati pa- scoli alpini, si riscontra dapprima che immediatamente sul Buntsandstein superiore stanno dei banchi irregolari, spesso ondulati, di calcare grigio non fossilifero, che rappresenterebbero il Muschelkalk inferiore. La loro potenza può oscillare tra 150 e 200 metri. Le pagine di stratificazione di questo calcare appaiono luccicanti per effetto di piccole pagliette di mica segregatesi e per la struttura cristallina della roccia. Alcuni banchi hanno il carattere del calcare detto bernoccoluto , e nel suo assieme tutto questo complesso inferiore ricorda il Wellendolomit della Svevia. Superiormente, entro le vallecole da cui sono solcati i detti pascoli, i ca- ratteri della roccia sono affatto diversi : vi si riscontra, cioè, un avvicen- darsi di banchi grossi e sottili, non di rado scistosi, di còlor nero intenso, e che sotto l’azione atmosferica si ricoprono d’unà crosta giallo-bruna. Le faccie di stratificazione or sono piane e lisce, ora fortemente on- dulate in causa della stessa costituzione dei banchi, formati da tanti noduli saldati assieme. Assai di frequente la roccia è traversata in tutti i sensi da lame di argilla lucenti come vernici e presenta in se- zione traversale un aspetto che rammenta le suture craniali. Qua e là sono intercalati banchi di bernoccoluto , i quali però sono più frequenti nella parte inferiore di questi calcari neri. Abbondanti vi sono le pie- trificazioni, rari però gli esemplari ben conservati e determinabili : in certi banchi predominano gli steli di Encrinus liliiformis , Spirigera tri- gonella Schl. sp., Rhynchonella decurtata Gir., Spiriferina Mentzeli Dnk., Coenothgris vulgaris Schl. sp. e squame di pesci: in altri ban- chi non si rinvengono che brachiopodi e punto trochiti. Un po’ più sopra dei calcari a trochiti si osservano dei banchi scistosi ricchi di Rhynchonella cf. semiplecta , e nella stessa regione insieme con questo — 33 — fossile si presentano anche i cefalopodi, talvolta in buon numero, ma sal- damente impegnati nella roccia. Un banco di calcare nero vellutato, luc- cicante, a finissima tessitura, a superficie piane, e che si sfalda in grandi blocchi parallelepipedi a faccie brune e verdognole in causa di subita alterazione, presenta tutti i caratteri anche i più minuti di quel banco che si trova a Lenna sulla riva sinistra del Brembo e che contiene i cefalopodi della zona a trinodosus. Ed in fatto il banco in discorso offre parecchi esemplari di Ceratites subnodosus , un Ptychites ed una piccola bivalve oblunga, come a Lenna. Ancora più in alto rinviensi nelle vallecole banchi di pietra verde entro un sistema di calcari neri lastriformi, pieni di noduli di selce. Questo sistema costituisce il così detto piano di Buchenstein, lo che è confermato dal fatto che anche il Deecke sotto ai calcari chiari ed a grossi banchi del prossimo orizzonte superiore rinvenne dei calcari lastriformi scistosi con Daonella Taramellii Mojs. Le medesime roccie che si trovano sopra Pasturo esistono in posto od accumulate a ciottoli in tutta la Val Sassina; per le condizioni topografiche però è difficile il tracciamento di profili continuati, e soltanto con uno studio più minuto delle circostanze locali si potrebbe giungere a stabilire una completa serie di suddivisioni del Muschelkalk in tutto il tratto di paese che s’ estende da Val Molina sino alla cresta che intercorre fra Pizzo del Sasso dei Carbonari e Monte Campione, passando per Pasturo. Anche nella parte inferiore di Val Sassina non mancano i cefalopodi del Muschelkalk: sopra Cortenova stendesi quest’ultimo terreno lungo il versante Nord del Sasso Mattolino e contiene Ceratites Pemphix. Appartengono pure al Muschelkalk i calcari oscuri, ben stratificati di Rancio al piè del S. Martino; probabilmente costituiscono il punto di originaria provenienza dei brachiopodi del Muschelkalk citati dal Mojsisovics a Monte Albano, Bonacina e S. Martino. Ad ovest della Grigna, cioè in Val Neria ed in Val del Ghiaccio, il Muschelkalk inferiormente presenta dapprima calcari lastriformi, poi calcari nodulosi. Vi si riscontra il calcare a trochiti come a Pa- sturo, cui sottosta immediatamente un banco con molti esemplari di Spiriferina Mentzeli. Altri banchi contengono Coenothyris vulgaris, Spirigera trigonella , Rhynchonella decurtata, Spiriferina fragilis , Lima striata, Chemnitzia sp. Da questo medesimo orizzonte deve provenire altresì quel blocco pieno di trochiti nel quale l’Andrea rinvenne un esemplare di Ceratites brembanus . Superiormente, seguitandosi a ri- montare la Val Meria, s’ incontrano calcari neri lastriformi a sfalda- 3 — 34 — tura parallelepipeda ed alterati in modo singolare da ricordare lo Schrattenkalk : questi calcari evidentemente rappresentano quelli a ce- falopodi di Pasturo e di Lenna. I fossili non vi scarseggiano, ma sono così saldamente impegnati nella roccia da essere difficile il ricavarne degli esemplari determinabili. Sono fossili esclusivi di questi strati superiori: Ceratites cf. Bei/richi, Ptyehites sp., Spiriferina sp. avente P habitus della Sp. Mentzeli. Non si rinvennero in Val Neria nè i cal- cari con noduli di selce, nè la pietra verde; quivi ai calcari neri so- vrincombono immediatamente quelli chiari, talché non è probabile P esistenza in posto di calcari di Buchenstein. Queste medesime con- dizioni stratigrafiche e petrografiche si riscontrano anche nel Muschel- kalk che principia sotto Alpe Era e si distende verso S.E sotto forma di una angusta zona; e così pure si riscontrano nel Muschelkalk, a levante della cresta della Grigna, del bacino idrografico superiore della Pio- verna. Quanto poi ai calcari lastriformi giacenti fra il Buntsandstein superiore ed il calcare d’ Esino, sulla riva del lago tra Gittana al sud di Bellano e Casa Cicogna al sud di Varenna, mancano sin’ ora suffi- cienti dati paleontologici per poterne con sicurezza stabilire P età; e tanto dicasi altresì degli stessi calcari situati sulla medesima sponda fra Lierna e Tonzanico. Vi si può distinguere un complesso inferiore costituito da calcari dolomitici nerastri, a banchi di poca entità e che si sfaldano in pezzi irregolari. Contengono fossili mal conservati, e principalmente crinoidi e sezioni di conchiglie, che secondo il Gùmbel, sarebbero di brachiopodi, di gasteropodi e di cefalopodi. Si può rite- nere che un tale complesso, che quest’ ultimo autore considera come una facies dolomitica del Muschelkalk inferiore, rappresenti i sopra- citati calcari concrezionati della parte occidentale della Grigna. A questo complesso inferiore fa seguito quel sistema di calcari a lastre sottili, perfettamente stratificati, che è conosciuto generalmente sotto il nome di marmo di Varenna e scisto di Perledo. Sui calcari dolomitici stanno dei calcari lastriformi neri, traversati in tutti i sensi da vene di calcespato bianco: con questi calcari alternano, senza norma veruna, calcari neri, omogenei, vellutati, divisibili in grandi lastre piane che sono oggetto di ricercata lavorazione in molte cave lungo la strada Bellano-Varenna. Le superficie di stratificazione sono talvolta perfetta- mente li scie, tal’altra piene d’asperità e di fossette, somiglianti a quelle che si riscontrano in certe roccie d’America e che si attribuiscono a goccie di pioggia. Assai comunemente tra l’uno e l’altro banco esiste una pellicola d’argilla lucente; la stratificazione è immensamente accidentata, presentando essa ogni graduazione d’inclinazione e di ripiegamento; — 35 — l’impressione complessiva che se ne riceve è quella di trovarsi in pr e senza di una massa confusa di strati compressi e strozzati dall’azione di una violenta pressione. Sopra questa massa di calcari venati, in prossimità del calcare d’ Esino appariscono qua e là degli strati meno potenti, di calcari neri omogenei, ma distinti per struttura lastriforme eminentissima: isolatamente, anche questa regione superiore contiene qualche calcare venato di bianco, come d’altra parte anche nel complesso inferiore si riscontrano degli strati di calcare nero omogeneo: cosicché in complesso si può sempre distinguere fra calcari di Varenna e scisti di Perledo; ma mal si apporrebbe chi volesse ricercare dei caratteri di distinzione più decisivi. I fossili vi sono scarsissimi. Il più importante è quello scoperto da Escher nel territorio di Regoledo, vale a dire la Daonella Moussoni , e che sin’ora nella regione della Grigna pare limi- tato alla località suddetta ed ai calcari di Varenna, mancando negli scisti di Perledo. In quest’ultimi, a detta del Giimbel, si riscontrerebbe la Posidonomya Wengensis e dei bactrilli. Sopra Regoledo trovansi non di rado nei cumuli di detrito anche dei calcari selciferi, talché si può ammettere con certezza che almeno nel tratto di territorio compreso tra Varenna e Bellano si trovi sviluppato al disopra degli scisti di Perledo l’orizzonte dei calcari di Buchenstein. Queste ed altre circostanze fanno ritenere appartenenti al Muschelkalk tanto i marmi di Varenna che gli scisti di Perledo; e siccome il Mojsisovics riscontrò la Daonella Moussoni anche nei calcari neri lastriformi di Dosso Alto in Val Trompia insieme col Ceratites binodosus , potrebbe la presenza di detto fossile indicare anche sul lago di Como l’esistenza della zona a binodosus ; ciò verrebbe avva- lorato anche da un Ceratites cf. Ottonis di Varenna citato dallo stesso Mojsisovics: gli scisti di Perledo, come opina anche questo autore, non sarebbero che una facies della zona a trinodosus , mentre che i sovra- stanti calcari selciferi rappresenterebbero a Regoledo come a Pasturo il piano di Buchenstein. Calcare d’ Esino. — Sotto tale denominazione convenzionale si com- prendono tutte quelle masse di calcari e di dolomie di color chiaro che talvolta si presentano nettamente stratificate, tal altra allo stato mas- siccio, e che giacciono fra i calcari lastriformi oscuri del Muschelkalk o del piano di Buchenstein ed i calcari pure lastriformi del piano rai- bliano. Dove il calcare d’ Esino vedesi sopraincombere al calcare lastri- forme nero, presenta in punti diversi vario carattere. Non è inverosimile che, ad onta di una successione di strati apparentemente normalissima noi ci troviamo di fronte a spostamenti, a scorrimenti e sovrapposizioni ed alla conseguente soppressione di alcuni complessi stratigrafici. — 36 — Più di frequente si presenta nella parte inferiore una dolomia di potenza considerevole, massiccia, fessurata, bianca o grigia, sacca- roide, a piccole cavità tappezzate di romboedri, la quale non ha punto l’aspetto dell’ordinario calcare d’ Esino, sibbene somiglia affatto alla Dolomia principale da cui non è petrograficamente distinguibile. Anch’essa, come questa, per la grande tendenza a sfasciarsi in frantumi, forma i cumuli di detrito caratteristici della Dolomia principale. Questa facies dolomitica la si osserva sopra Vezio, sulle Alpi di Bajedo e Pa- sturo, al pie’ del S. Martino presso Lecco ed in altri punti. Sopra Pasturo, laddove fu rinvenuta la Daonella Lommeli , la roccia è brecciforme. In contrapposto vi sono altri punti in cui la roccia è regolarmente strati- ficata, per esempio, superiormente alla cava di scisto sulla strada Per- ledo-Esino, al pie’ della Pendolina presso Rancio e Laorca. Come già fu detto, i calcari dolomitici non stratificati hanno potenza assai consi- derevole: essi formano il Monte S. Defendente dal piede sino alle cime, ove assumono un colore oscuro, non comune. Le cavità, che di spesso presentano la forma di fessure ritorte a meandro, sono piene di cristalli bianchi di dolomite; la roccia diventa compatta e si può lavorare e polire. Talvolta questi stessi calcari oscuri assumono aspetto spugnoso. I giacimenti principali di questi calcari dolomitici inferiori a druse si riscontrano sul sentiero da Alpe di Camallo a Cortenova, sui versanti della Pendolina rivolti al lago ed altrove. Una speciale modificazione petrografia è la dolomia rosata dello Stoppani, somigliantissima, astra- endo dal colore, alla roccia a druse testé ricordata, ossia alla dolomia bianca dello stesso autore. La si può osservare sulla via Perledo-Esino : parimenti si osservano consimili roccie rosse dolomitiche sul sentiero da Esino inferiore all’Alpe di Ortanella; così pure a Sasso Mattolino, ma molto in alto e dentro il calcare d’ Esino: dei ciottoli se ne rinvengono in Val Vacherà. Questa dolomite rosea altro non è che una modificazione della bianca, e come questa essa pure è limitata esclusivamente alla parte inferiore del piano appellato Calcare d’ Esino, al quale orizzonte inferiore, costituente la metà della intera massa calcarea di tutto il piano, apparterrebbe anche la dolomia del S. Defendente: queste dolomie bianche e rosse si spingono tuttavia sino agli strati di Raibl. Mas- simamente negli strati più alti esse sono ricche di fossili, mal con- servati, dolomizzati in gran parte. D’ordinario sono gasteropodi, talvolta piccole specie di Chemnitzia e Natica; più di frequente s’incontrano le diplopore, o meglio modelli interni della Diplopora annulata, c&t&ì- teristica del calcare d’ Esino, dei quali modelli talvolta è formata l’in- tera roccia; così tra Perledo ed Esino, in Val Vacherà presso S. Maria 37 — sopra Somana, al Sassp Mattolino presso la miniera piombifera, ecc., ecc. ; il quale ultimo punto appartiene alla parte superiore del piano d’Esino. Non fu possibile di rinvenire dei fossili speciali della parte inferiore del piano e peculiarmente caratteristici della medesima. Le roccie d’Esino più comunemente note son quelle che contengono fossili ben conservati. Sono in parte calcari grigi ad azzurro-grigi, omo- genei, a grana fine, in parte roccie speciali descritte dall’ Escher sotto il nome di ooliti gigantesche ( Biesenoolithe ) e dallo Stoppani denominate a Evinospongie. D’ordinario si riconosce in esse una stratificazione» alquanto indiretta però, in causa di prevalente fessurazione: le cavità occupate dai fossili sono quasi sempre tappezzate da cristalli di dolomite; cosicché anche in esse, come già nelle roccie inferiori del piano d’ Esino non mancano le posteriori trasformazioni, per quanto meno intense. Questa parte superiore contiene dappertutto fossili, inegualmente distribuiti, limitandosi alcuni a certe località cui imprimono uno spe- ciale carattere. In generale, la massa complessiva del calcare d’Esino è scarsa di fossili ; soltanto eccezionalmente si riscontrano alcuni banchi che ne sono totalmente impregnati. D’ordinario l’Evinospongie vi fanno da cemento; talvolta son pieni di un’unica specie di ammoniti o di gasteropodi, tal’altra vi stanno alla rinfusa molte specie di cefalopodi, di gasteropodi e di lamellibranchi. Non vi mancano mai le diplopore frammezzo gli altri fossili, le quali talvolta occupano intere serie di banchi, i quali formano scogliera; d’ordinario sono intimamente impe- gnate nella roccia e non appariscono che in seguito ad alterazione atmosferica della medesima, nel qual caso danno alle superficie di stratificazione o di fessurazione un aspetto tutto speciale e caratteri- stico. Non mancano qua e là dei coralli isolati, senza che però possa ammettersi ch’abbiano avuto parte considerevole nella costituzione stratigrafica. I punti più importanti per i fossili sono : 1° I dintorni della Chiesa d’ Esino. La roccia è piena di grandi gasteropodi ( Chemnitzia Aldovrandi, ecc.). 2° Val del Monte, Val Ontragna o Pelaggia. Predo- minano i gasteropodi, meno i cefalopodi, vi son rari i brachiopodi. 3° Il dosso di M. Croce verso Cima di Pelaggia. Grandi gasteropodi, specia’mente nella località di Grotto ( Chemnitzia Aldovrandi , ecc.; esemplari colossali di Natica monstrum, ecc. ecc. ed anche delle Arcesti). 4° Val Molina. Di grandi gasteropodi sono piene le roccie che dominano a picco il fondo della valle, alle quali si perviene discendendo dall’Alpe di Camallo. 5° Val di C ino. È la località più importante per la raccolta dei cefalopodi. Interi banchi sono pieni di Arpadites Manzoni — 38 — e di Arcestes esinensis ; alcuni banchi contengono forme minori di Natica e di Chemnitzia. 6° Costa di Prada. Sulla cresta che separa Val Neria da Val Molina, in vicinanza all’incontro della strada di Val Neria con quella di Alpe di Cainallo-Moncodine, vedesi una roccia stratificata, costituita quasi interamente da individui di Turbo depressus . Più a S.E sulla strada che va al Moncodine incontrasi di rado anche una Daonella che, secondo il Mojsisovics, apparterrebbe ad una specie nuova. 7° Pizzo di Camallo. Località interessante, avendo essa sommi- nistrato quasi tutta la fauna a bivalvi della regione in discorso. La sommità del monte è formata interamente da una lumachella, che oltre a bivalvi contiene alcuni gasteropodi affatto diversi da quelli delle altre località, e qualche raro cefalopode. All’incontro vi si trovano dei banchi pieni degli stessi piccoli gasteropodi segnalati in Val di Cino. Le bivalvi vi sono affatto secondarie. Questi strati di Pizzo di Camallo sono da ritenersi per una facies dell’ orizzonte superiore del calcare d'Esino. A breve distanza dal Pizzo verso N.O, sulla cresta che domina il principio della Val Miserognia, le roccie sono esclusivamente com poste di diplopore: un po’ più in basso si presentala già citata località della antica miniera piombifera d’Esino, ove tutto è dolomitizzato e non si trovano che modelli interni di fossili. Tutti gli accennati punti sono situati all’Ovest delle valli Neria e Molina. Però anche la masse calcaree e dolomitiche ad oriente di dette valli sono fossilifere; fin’ ora però sono state poco percorse e meno studiate: ad ogni modo, pei loro rapporti stratigrafìci, apparten- gono anch’ esse indubbiamente al calcare d’Esino. I calcari sul lago da Mandello a Lecco e più in là sino a Ballabio contengono soventi delle diplopore e piccoli gasteropodi, specialmente ben conservati nella valle che da Pomedo conduce all'Alpe di Costa Adorna. — Oltre alle due masse di calcare d’Esino che diremo del Moncodine e della Pendolina, altre se ne riscontrano in Val Sassina, per esempio sopra Bajedo, ove detto calcare poggia direttamente sui conglomerati sopra Forni e su quelli di S. Caterina; parimenti al sud di Pasturo un giacimento irregolare di calcare di Esino costituisce una roccia al cui piede passa la strada da Ballabio ad Introbbio sina alla biforcazione per Pasturo. Tutti i calcari e le dolomie sin’ ora de- scritti, compendiati sotto la denominazione di calcare d’ Esino, sono inferiormente delimitati dai calcari di Buchenstein, e superiormente dai calcari lastriformi raibliani che si mostrano in modo costante svi- luppati dal lago di Como sino addentro nella Lombardia orientale. Questo limite superiore è ancor più accentuato dalla presenza di già- — 39 — cimenti metalliferi nei banchi superiori del calcare d’Esino. Tanto le miniere piombifere abbandonate di Esino, quanto quelle in attività che da sopra Ballabio superiore si stendono sino alla Pendolina, giacciono tutte, come in Val Brembana, entro detti strati superiori d’ Esino, a contatto immediato coi sovraposii calcari raibliani, nei quali talvolta i giacimenti metalliferi proseguono. Dopo tutte le esposte osservazioni sembra affatto azzardoso il voler comparare gli strati di Perledo cogli strati di Wengen. Molto più veri- simile appare invece che i calcari e le dolomiti chiare di Esino rap- presentino questi ultimi strati, opinione avvalorata dalla circostanza che ripetutamente si è insistito dagli osservatori sulla esistenza della Daonella Lommeli presso Esino. Però un esemplare delle note Daonelle di Costa di Prada fu giudicato anche dal Mojsisovics come specie nuova e non già appartenente, come asserivasi, alla Daonella Lommeli: altra specie, pure d’Esino, è conservata nel museo dell’Istituto geologico di Vienna; una vera D. Lommeli d’Esino venne dal predetto autore osservata in Milano presso lo Stoppani. Parebbe quindi non dubbia la presenza d’un tal fossile caratteristico del piano di Wengen nel territorio d’Esino. Anche il Lepsius cita detta Daonella nel marmo ad Evinospongie della gola di Dezzo in Val di Scalve, appartenente alla parte inferiore del calcare d’ Esino. Rimarrebbe ora da accertare se nel gruppo della Grigna la D. Lommeli appartenga piuttosto alla parte inferiore, scarsa di fos- sili, del calcare d’Esino, ovvero alla superiore, che ne è ricca. Ad ogni modo pare sinora indubitato quanto pure il Mojsisovics afferma, che, cioè, gli equivalenti del piano di Wengen e di S. Cassiano debbano ricercarsi nel calcare d’Esino, ed in questo anche i rappresentanti di quelle formazioni nettamente calcareo-dolomitiche delle regioni situate a levante della Grigna, che stanno in vicini rapporti col detto piano di S. Cassiano. Strati di Raibl. — Nel territorio d’Esino, come nella Lombardia occidentale, si possono distinguere agevolmente due suddivisioni. Nella inferiore si riscontrano anzitutto sovrastare ai banchi superiori, metalli- feri, del calcare d’ Esino certi calcari grigio-azzurri, potenti, talvolta nodu- losi ed anche selciferi, che sulla superficie di stratificazione presentano delle protuberanze: questi calcari alternano con marne scistose che sotto P influenza atmosferica, diventano gialle. I calcari predominano sopratutto in basso, mentre superiormente aumentano sempre più i depo- siti marnosi. I calcari degli strati inferiori contengono talvolta dei nidi di minerali metalliferi. Anche qui si riscontrano certi fenomeni comu- nissimi ai calcari alpini, quali, per esempio, i prismetti d’argilla, le con- — 40 — erezioni stilolitiche, ecc., che rammentano i calcari di Varenna: tuttavia queste formazioni più recenti si possono facilmente distinguere dal Mu- schelkalk qualora si osservino in grandi masse e non già in singoli banchi. In generale può asserirsi che i calcari lastriformi del raibliano presentano uno sviluppo petrografico assai più svariato che non il Mu- schelkalk e che l’azione atmosferica origina in essi, in modo specia- lissimo, delle argille gialle e brune. 1 banchi marnosi di questo livello inferiore raibliano contengono Gervillia bipartita , Pecten jìlosus, altre bivalvi indeterminabili (. Myacites cf., Corbula , ecc.) e non di rado anche uùa Lingula . La parte superiore invece del piano in discorso è formata da marne varicolori, gialle, verdi, rosse, a gradazioni diverse; da calcari e scisti marnosi a strati sottili e da arenarie gialle e brune. La serie è chiusa superiormente da calcari grigi cariati e da rauchwacke, contenenti qua e là dei gessi, ed in alcuni punti anche da calcari lastri- formi bianco-venati. Segue quindi immediatamente la Dolomia princi- pale. I banchi superiori di calcare e di marna di questa seconda parte contengono Mgoconcha Curionii e Ca.rdinia problematica ; le arenarie presentano traccie di piante fossili. S’incontra il raibliano, rappresen- tato da calcari e da marne riposanti sugli strati d’Esino, sulla via da Perledo ad Esino e precisamente al molino a pie’ della roccia su cui sta la chiesa; in direzione ai Prati d’Agueglio il contatto fra i due piani è ricoperto da vegetazione e da detrito glaciale. Evidentemente, come si dirà in seguito, esiste in questo punto un salto, quanto meno uno spo- stamento. Calcari azzurri e marne raibliane si riscontrano alla sortita di Esino superiore, verso l’Alpe di Camallo; parimenti per buon tratto della strada che va a Casa di Busso, nel qual punto alla roccia dura sono intimamente commisti dei fossili, e gli strati di roccia tenera contengono Gervillia bipartita e Lingula. I mentovati strati sopra Esino appartengono indubbiamente al raibliano inferiore e si estendono in basso sino al suindicato molino ; mentre invece nel torrente sotto Esino inferiore si osservano le marne varicolori, i calcari cariati e le rauchwacke del raibliano superiore. Un appezzamento isolato di calcare lastriforme oscuro sovrincombe al calcare d’ Esino a piè dell’ Alpe Ortanella verso nord. La più estesa massa di strati di Raibl è però quella che principia a Mandello sul lago e che si estende per la Pendolina sino a Ballabio ed all’ Alpe Cavallo. Sul calcare d’ Esino della Pendolina giacciono primamente dei calcari lastriformi brecciosi, che ricoprono le estreme cime meridionali di detto monte e si stendono, da una parte, verso oriente, attorno alla valle che da Pomedo va alla miniera sopra Ballabio superiore, e dal- — 41 — T altra parte verso il lago sino quasi a Mandello. La superfìcie di questi strati, leggermente inclinati, è coperta di protuberanze e la roccia sotto 1’ azione atmosferica si altera profondamente e finisce col decomporsi totalmente in cumuli di noduli arrotondati, come la dolo- mite ondulata {Welle ndolomìt) del trias tedesco. Approssimandosi, dalla spianata della Pendolina, ai precipizi do- lomitici del Monte Campione e dello Zucco del Pertusio, si osservano dei dossi arrotondati e dei mammelloni profondamente solcati da tor- renti ed in cui stanno allo scoperto le marne con interposti piccoli banchi d’ arenaria. Altrove (sopra Nibindolo ed il Ram) soggiacciono alla dolomite principale di Zucco del Pertusio le rauchwacke ed un po’ di gesso; mentre che sul sentiero verso Alpe Cavallo si veggono delle arenarie ben denudate, con traccie di piante fossili: appunto in questa località, il Deecke rinvenne entro un banco di marna la Car- dinia problematica e la Myoconcha Curioni. Altri punti ove il piano di Raibl è visibile éono: il colle sotto AJpe Adorna inferiore, costituito dalle stesse marne varicolori che di- scendono dalla miniera sopra Ballabio; la valle d’ Acquate a sud del Monte Albano, ove sino sopra S. Egidio si mostrano le marne varie- gate cui soggiacciono i calcari lastriformi che sulla sinistra del Gal- done vengono scavati per farne cemento. Essi contengono steli di Penta- crinuSy coralli e bivalvi. Assai sviluppato è il raibliano verso Germanedo e verso il versante del Resegone di Lecco: costì contiene molti fossili. Marne variegate e rauchwacke si estendono dalle Stalle d’ Alghero alla Val Sassina da un lato, ed alla Pioverna superiore dall’altro. La stra- tificazione vi è alquanto disordinata. Da vecchie indicazioni e in seguito a recenti investigazioni del Deecke risulta che gli strati di Raibl sono estesissimi sul lato destro della Pioverna, ove formano il fondo di tutto il bacino di Barzio ricoperto da detrito glaciale. Il constatato regolare sviluppo del raibliano in tutte e due le sue suddivisioni, fra un potente calcare d’ Esino sottoposto ed una superiore dolomite principale, non meno potente, induce ad assegnare a detto piano, tanto nel territorio di Lecco quanto in quello più a levante, un posto affatto distinto ed indipendente nella serie geologica del paese; cosicché mal reggerebbe l’opinione che considera la marne variegate di Acquate per strati di Wengen soggiacenti ad una piccola pila di roccia dolomitica del piano di S. Cassiano. Sotto il calcare d’Esino (di cui una parte può benissimo rappresentare il piano di S. Cassiano) e tanto meno qui, non si riscontrano più nè pietre-verdi, nè marne. Dolomia -principale. — La dolomia principale della descritta re- — 42 — gione è una formazione piuttosto uniforme, che offre campo a poche considerazioni. La roccia è costituita quasi sempre da dolomite non stratificata, fessurata; subordinati vi sono i calcari stratificati. Il pro- grediente metamorfismo della roccia ha distrutto la stratificazione e con essa anche la parte calcarea degli organismi, Cosicché a testificare della primitiva esistenza di una fauna abbondante non rimasero che gli interni modelli dei fossili ed anche questi talmente sformati da essere irriconoscibili. Speciale carattere di questa roccia è lo sfaldamento straordinario cui va soggetta, talché in nessuna parte del gruppo della Grigna si riscontrano così estese accumulazioni di detrito come sul lato orientale di Monte Campione e suiroccidentale di Zucco del Pertusio. Dove manca la guida dei fossili riesce impossibile di distinguere con sicurezza la Dolomite principale da quella d’Esino : in tali casi le sole condizioni stratigrafiche possono risolvere il quesito. Sono a con- siderarsi per fossili tipici della Dolomia principale i seguenti : Gervillia exilis , Turbo solitarius , i megalodonti con Dicerocardium e Gyropo- rella vesiculifera ; infatti vennero più e più volte indicati per la regione della Grigna, e specialmente dal Curioni e dal Gùmbel, Y Avi cui a exilis nelle dolomie a levante di Ballabio, il Megalodus triqueter nella parte meridionale della Grigna, VA. exilis , il Turbo solitarius , la Gy- roporella vesiculifera e frammenti di Dicerocardium, nella gola tra Ballabio superiore e P Osteria di Balisio. La Dolomia principale costituisce una massa non interrotta, la quale da Ronzio, sullo sbocco di Val Neria, si estende per la Grigna meri- dionale sino alla valle tra Ballabio e l’Osteria anzidetta. Anche ad Est di questa valle tutta la catena montuosa è costituita da dolomia. A nord dello Zucco del Pertusio la dolomia è a immediato contatto coi Muschelkalk; invece più a levante lo è col Buntsandstein, e discendendo dalle Alpi di Grassolongo verso gli affluenti superiori della Pioverna, si oltrepassano alternativamente amendue i detti piani. Sulla spianata della Pendolina, presso Alpe il Ram ed Alpe Cavallo la dolomia giace regolarmente sul raibliano. Una massa isolata, parimenti dolomitica, trovasi un po’ a nord della miniera di Ballabio: non è cosa impossibile, per quanto inverosimile, che essa rappresenti una massa staccata di calcare d’Esino. Da ultimo è pure formato da Dolomia principale il Monte Albano, circondato tutto all’ ingiro da detrito glaciale. Merita infine menzione una roccia particolare rinvenuta in una vallecola del versante occidentale di Monte Campione, entro un gran cumulo di detrito. Evidentemente stratificata, di struttura granulare ricordante il conglomerato, di lucentezza brillante in causa delle molte — 43 — pagliuzze di mica disseminatevi, costituirebbe, se maggiormente estesa, un assai distinto orizzonte della Dolomia principale. Essa venne analiz- zata dal professor Cohen. Entro la roccia a grana fine, imperfettamente scistosa, bruno-grigia, macroscopicamente si rilevano numerose pagliuzze argentine di moscovite. Dall’analisi microscopica e chimica risultò che la massa principale consiste in un calcare granulare fino ed unito, che forma la pasta di fondo entro cui stanno molti romboedri limpidi di do- lomite isolati od in gruppi allineati e serrati. Fra quest’ ultimi abbonda quasi sempre del bitume, in forma di pellicole interposte fra i cristalli od a piccoli grumi: non di rado anche i cristalli isolati sono circondati da una pellicola bituminosa; all’incontro la pasta calcarea ne è sempre priva. Elementi accessori in detta roccia sono : la moscovite, limpida, incolore a grandi angoli assiali ed il quarzo tanto granulare quanto scheggiforme. Formazioni più recenti. — Consistono in depositi glaciali ed in alluvioni recenti. I dintorni dei laghi italiani costituiscono una regione glaciale classica, della quale mancano ancora carte geologiche di pre- cisione sufficiente. Assieme alle roccie provenienti dalle vicinanze come il gneis, il granito, il verrucano, i calcari raibliani, vi si riscontrano dèlie roccie cristalline le più varie, delle quali alcune singolarissime indicano chiaramente la loro provenienza settentrionale; così un anfi- boloscisto di un bel verde, dei magnifici graniti tormaliniferi, della serpentina scistosa (antigorite), ecc. — Queste roccie di remota origine formano caoticamente le potenti morene della Val d’ Esino di sopra Lecco e della conca di Barzio. Degnissima di considerazione è la po- sizione delle morene d’ Esino: ad ess.e forma diga, contro cui s’accu- mularono, la roccia su cui sta la chiesa d’ Esino: anche al presente tale roccia le difende in parte dalla azione demolitrice dei torrenti. Senza il riparo di questa roccia le suddette morene sarebbero già da gran pezzo state esportate dalle acque e non esisterebbero per conse- guenza su di esse nè villaggi, nè campi, e la Valle d’ Esino sarebbe inabitabile come lo è la Val Neria, la quale anticamente era senza dubbio occupata dalle morene, superiormente alla gola sottostante a Alpe Era. I ciottoli di remoto trasporto e sopratutto quelli di roccie cristalline, pre- sentano assai di rado delle striature; spesso invece sono levigatissimi: all’ incontro quelli meno duri, provenienti da roccie circonvicine e che non furono mai completamente arrotondati, sono perfettamente striati; tal fenomeno si osserva in specie in tutti quanti i ciottoli di calcare lastriforme raibliano che costituiscano quasi esclusivamente le mo- rene che presso Esino giacciono sulla roccia in posto. — 44 — Masse compatte di morene s’ incontrano sui Prati d’ Agueglio, sul- l’Alpe di Camallo, in Val Ontragna sino sotto Cima di Pelaggia e da Lecco sino a Ballabio: dappertutto se ne osservano piccoli rimasugli e blocchi erratici, talvolta di dimensioni considerevoli, e ciò sin presso le sommità più elevate; talché ne risulta che all’epoca del maggior sviluppo dei ghiacciai poche soltanto di esse sporgevano dal mare di ghiaccio, vale a dire il S. Defendente, il Sasso Mattolino, il M. Croce, la Cima di Pelaggia e le due Grigne. Nettamente distinguonsi dalle morene le ghiaie terrazzate, quali si rinvengono, p. es., sulla riva del lago tra Varenna e Lierna, tra Rancio e Laorca, di rimpetto l’Osteria di Balisiò ed in molti altri punti, ancora più elevati. Appartengono alle formazioni recentissime le alluvioni che rico- prono il fondo delle valli nei tratti poco inclinati della Val Sassina inferiore e in quello tra Ballabio e l’Osteria di Balisio, le alluvioni dei delta di Bellano, di Varenna, di Mandello, di Abbadia e di Lecco ; e da ultimo i cumuli di detrito e le frane. Tectonica. La regione della Grigna è tectonicamente divisa in due parti da un salto, ovvero da un dislocamento. Di queste due parti l’una è do- minata dal Moncodine, l’altra dal Monte Campione. La parte nord (Mon- codine) presenta nel suo ordinamento una distinta struttura sinclinale. La base del fianco settentrionale della sinclinale trovasi nella Val Sas- sina ed è formata da scisti cristallini su cui regolarmente riposano gli strati permiani e triasici con inclinazione verso S.O. Il fianco meridio- nale ha per strati inferiori quelli del Buntsandstein, che si appoggia direttamente e sovrincombe |illa Dolomia principale di Monte Campione. Detti strati, insieme a quelli del sovrapposto Muschelkalk s’ immergono con inclinazione N.E e N.O sotto il calcare d’Esino della Grigna. Con- formemente a detta struttura sinclinale, queste due formazioni s’ immer- gono sotto il calcare d’ Esino a Pasturo e Baiedo con inclinazione Ovest, tra Bellano e Casa Cicogna con inclinazione S.E, tra Lierna e Somana con inclinazione N.E. Nè meno distinta è la struttura sinclinale nell’ in- terno della regione del Moncodine. Gli strati calcarei di Monte Croce inclinano a N.E, quelli della cresta sopra Alpe di Camallo, del Pizzo di Camallo e del Sasso Mattolino pendono verso S.O; il Moncodine me- desimo forma una sinclinale il cui fianco meridionale è in gran parte assai inclinato. I calcari lastriformi raibliani dei Prati d’Agueglio ri- — 45 — posano sulla dolomia di Sasso Mattolino ed inclinano essi pure a S.O; il fianco loro meridionale è quasi tutto esportato, e non è indicato che dalle rauchwache in posto che si osservano nel letto del torrente sotto Esino inferiore, e dai cumuli di ciottoli striati che si trovano nelle valli circostanti, i quali sono costituiti quasi interamente da materiale raibliano. La roccia a gasteropodi su cui sta la chiesa d’ Esino occupa geologicamente una speciale posizione isolata. La parte meridionale (M. Campione) della regione della Grigna pre- senta, almeno dal lato occidentale, una struttura generale che è regola- rissima. Dai calcari oscuri stratificati di Rancio sino alle cime più elevate la stratificazione è regolare, se si eccettua il ripiegamento e raddrizza- mento degli strati della dolomia principale, lungo la linea di dislocazione suindicata che separa il Moncodine dal Monte Campione. Una seconda dislocazione trovasi a sud, diretta da Lecco a Ballabio inferiore, per la quale gli strati raibliani inferiormente alla nota miniera di Ballabio su- periore rimangono interrotti contro il calcare d’Esino, al quale si ad- dossano ; e così presso Laorca si addossano contro il Muschelkalk ; mentre sull’opposto versante del Monte Albano essi inclinano in senso contrario, cioè a N.O." Un’altra importante linea di dislocazione di- retta N-S osservasi nei dintorni di Esino, ove le condizioni stratigra- fiche si presentano tali da dover ritenere che gli strati raibliani dai Prati d’ Agueglio sino al molino sotto la chiesa d’ Esino, anziché so- vrincombere alla dolomia d’ Esino del Monte S. Defendente, s’ inter- rompono bruscamente contro la medesima. Sul prolungamento di detta linea verso Sud, giace la roccia su cui sta quella chiesa, il di cui isolamento geologico trova una facile spiegazione nella conseguente irregolarità stessa della stratificazione, lungo la linea di spostamento. Questa nel suo proseguimento in Val Ontragna non è più riconosci- bile dal momento che amendue i versanti della valle sono esclusi- vamente costituiti da calcare d’ Esino ; bensì risalta nuovamente in Val Neria. Quivi il Muschelkalk che si estende da Sonvico lungo la valle e che poi, deviando, risale per un tratto la Val del Ghiaccio, è addossato immediatamente, verso sud, alla Dolomia principale, per modo che il Buntsandstein rimane affatto occultato. Muschelkalk e Buntsandstein ricompaiono poi sotto Alpe Era per guadagnare la crésta della Grigna, o meglio la descritta linea di frattura tra le due masse Moncodine e Campione. La circostanza inoltre che gli strati dell’ infralias, sviluppatissimi sulla Punta di Bellagio e su i due versanti del M. Galbiga, ricompaiono a levante di queste località, non prima che nel territorio della Serrada — 46 — e della Costa della Paglia, induce ad ammettere 1’esistenza di un’altra linea di dislocazione, scorrente fra le due rive del lago di Lecco, e parallela all'ultima descritta della regione della Grigna. Sul lembo orientale di questa regione le condizioni strati grafiche si presentano assai irregolari. Ammettendo che esista unione fra gli strati raibliani visibili nella parte inferiore dell’ alto corso della Pio- verna e quelli che sopra Ballabio s’immergono sotto la Dolomia prin- cipale dell’Alpe Cavallo e de’ Li Campi, la massa del Monte Campione formerebbe anche dalla parte Est una sinclinale. In allora il calcare d’Esino delle Stalle d’ Alghero, regolarmente sottostante agli strati rai- bliani, rappresenterebbe una parte della base del fianco settentrionale di essa sinclinale, e la sua brusca interruzione contro il Muschelkalk di Pasturo indicherebbe il prolungamento della nota linea di frattura Campione-Moncodine. In condizioni stratigrafìche consimili si può ritenere anche la dolomia a levante della gola Ballabio-Osteria di Balisio* dacché tanto dalla parte Sud che Nord di essa si presentano gli strati raibliani; condizioni però che qui risulterebbero complicate, per lo meno, da altre secondarie dislo- cazioni. In complesso però F esistenza di una seconda grande sinclinale al Sud di quella del Moncodine è cosa tutt’altro che improbabile, in ordine alla nota struttura stratigrafìca delle Alpi lombarde. Anche su ambo i lati della stretta di Ponte Chiuso vedesi il calcare d’ Esino bruscamente separato da una frattura dai conglomerati permiani, mentre a Sud gli sovrincombono strati raibliani inferiori fortemente inclinati a Sud, i quali pure potrebbero essere in continuazione con i calcari raiblani dell’Osteria di Balisio e costituire una piegatura di sollevamento sor- montata dalla Dolomia principale che è al Sud di Casa Garabusi. Si avrebbe in tal caso una serie consecutiva di ripiegature per sollevamento, in cui le fratture trasversali e gli spostamenti avrebbero occasionato ulteriori disordini stratigrafici. Per stabilire però con sicurezza le condizioni tectoniche di questo tratto di regione, situato ad Ovest della linea Acquate-Barzio, occor- rerebbe uno studio esatto dei dintorni della Serrada e di tutto il paese interposto tra la Val Sassina e la Val Brembana. (G. B. C.) — 47 — NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE Stephen Cztszkgwski — Etude sur les phénomènes métal- Itferes — Les mìnerciis defer dans técorce terrestre. — {Bull, de la Soe. de l’ Industrie minerale. 2 S. t. XIII.) Sclillt- Etienne, 1884. L’Autore, distintissimo ingegnere di miniere, che per molti ed impor- tanti lavori tecnico-scientifici ha largamente contribuito alla conoscenza delle giaciture ferrifere e dei fenomeni geologici che presiedettero alla loro formazione, ora, colla presente opera sintetica ha offerto un no- vello saggio della sua incontestabile esperienza in questo ramo della geologia applicata. Sarebbe troppo lunga e non adatta all’ indole di questo periodico, che si occupa quasi esclusivamente di geologia italiana, una rassegna dettagliata di tale lavoro e debbo quindi limitarmi ad accennarne il tessuto generale e ad alcune considerazioni speciali sulla parte rela- tiva ai giacimenti dell’Elba, che ebbi agio di studiare più da vicino nella occasione del rilevamento geologico di quell’isola. L’Autore esamina gli orizzonti ferriferi nella serie geologica, stu- diando il fenomeno della produzione delle sorgenti minerali generatrici e le relazioni dei giacimenti coi fenomeni orogenici ed eruttivi. Dallo insieme dei fatti e delle osservazioni risulta ad esso, come dimostrato, uno stretto legame fra le giaciture metallifere e le roccie eruttive, poiché compari- scono minerali in tutte le formazioni e dovunque attorno a queste roc- cie; stabilisce quindi che tutte le eruzioni rocciose hanno dato origine a sorgenti od eruzioni metallifere più o meno importanti. Non ammette però la reciproca, che, cioè, tutte le sorgenti od eruzioni metallifere siano dovute a roccie eruttive, potendo tali sorgenti trovare la loro uscita, oltreché pel fatto di eruzioni rocciose, anche per fratture prodotte da movimenti del suolo. Così sono riconosciuti come grandi periodi me- talliferi il permo-carbonifero e il trias, il giurassico e il cretaceo, l’eocene superiore e il miocene, essendo questi appunto i più grandi periodi di movimenti orogenici ed anche di maggiore intensità eruttiva, ad ecce' zione del giurassico-cretaceo. L’intensità dei fenomeni metalliferi è dun- que stata in rapporto colla intensità orogenica e con quella eruttiva. Trattando della continuità dei fenomeni metalliferi nella serie geo- — 48 — logica, dice che essa è ben dimostrata pel ferro, pel piombo, pel rame e pel zinco. Anche lo stagno, ritenuto finora esclusivamente antico, come i graniti e i porfidi cui trovasi associato, si rinvenne oggi nei graniti terziari dell’Elba e a Campiglia in connessione con un ammasso ferri- fero nei calcari del lias inferiore. Questo giacimento è, secondo l’Au- tore, probabilmente miocenico, come quelli dell’Elba, perchè associato agli stessi silicati, ilvaite, epidoto e pirosseno ; ed io aggiungo perchè è anche in relazione con una roccia eruttiva porfirica, posteocenica, proba- bilmente contemporanea alle roccie granitiche e porfiriche elbane, da da me ritenute del miocene inferiore. Fra i giacimenti ferriferi italiani che l’Autore prende in considera- zione, quelli della Val d’Aosta e di Cogne in Piemonte, dietro informa- zioni avute dall’ingegnere Giordano, ispettore delle Miniere, sono clas. sifìcati con quelli dell’ epoca arcaica. E riferito al cambriano quello di Pazzano in Calabria, compreso fra calcari, triassici secondo l’ inge- gnere Cortese, e scisti fìlladici sottostanti. Il giacimento di magnetite di S. Leone in Sardegna è classificato fra i siluriani e ritenuto contem- poraneo agli scisti incassanti, cui è interstratificato. Pel semplice fatto della interstratificazione non si potrebbe però concludere inappellabil- mente questa contemporaneità, nè puossi escludere che tale giacimento, alla stessa guisa degli altri metalliferi della Sardegna, sia postcarbo- nifero, come le roccie granitiche e porfiriche, colle quali sta probabil- mente in rapporto genetico. Il giacimento di ferro manganesifero del Monte Argentario in Toscana, quelli di magnetite delle Alpi Apuane e i giacimenti ferriferi dell’isola d’Elba sono riferiti al miocene. La descrizione di questi ultimi è corredata da vari piani e profili eseguiti dall’Autore nelle sue ripetute ed accurate ricerche, non che da una bella cartina d’ insieme dell’isola, ad una scala di circa 1{100,000, riprodotta, in un colle sezioni, da quella al lq25,Q00 pubblicata di re- cente dal nostro Ufficio Geologico. Questa piccola carta ha il pregio di riprodurre fedelmente tutti i dettagli della carta grande, pur riunendo sotto una stessa tinta i vari gruppi di formazioni spettanti ad un me- desimo periodo geologico. E solo da lamentare in essa la mancanza di quella zona serpentinosa antica della costa orientale, compresa fra gli strati siluriani e le formazioni inferiori, non che la colorazione un po’ troppo intensa del quaternario che lo fa confondere colle forma- zioni serpentinose. L’Autore attribuisce i giacimenti dell’Elba a considerevoli fenomeni geyseriani, accompagnati da fanghi più o meno ferruginosi, che incon- transi attualmente intercalati allo stato d’argilla fra le masse minerali. — 49 — Il minerale di ferro ha qualche volta preso il posto dei calcari. La uscita delle soluzioni metallifere, ritenuta da alcuni come con- secutiva alla eruzione delle roccie granitiche, da altri come consecu- tiva a quella delle serpentine, viene attribuita dall’Autore alla eruzione fangosa di una roccia verde che accompagna quasi sempre i giaci- menti ferriferi. Egli dice di non potere accogliere 1’ opinione da me espressa che tale roccia sia prodotta da quelle stesse soluzioni metal- lifere, cui è dovuto il minerale, e specialmente dalla loro azione sui calcari. Come si spiegherebbe, egli dice, la sua presenza in quei punti, come Calaginevra e Sassineri, dove sembra non essere stato il calcare, e la sua assenza nel giacimento di Rio dove 1’ eruzione minerale era la più intensa e dove il calcare è stato trasformato in minerale di ferro sopra un’estensione considerevole? Alla prima obiezione replico, che nelle citate località di Calaginevra e Sassineri molto probabil- mente vi è stato il calcare presiluriano, come alla Calamita, poiché per la conformazione in cupola del promontorio di Capoliveri la roccia verde silicatica occupa precisamente la posizione che spetterebbe al calcare. È poi a notarsi che essa non forma quivi dei dicchi, ma si dei lembi superficiali che ricoprono gli scisti presilunani, come fu constatato coi recenti lavori di scandaglio. Per togliere ogni valore alla seconda obiezione basta gettare uno sguardo sulla carta geologica unita alla memoria. I silicati verdi mancano, è vero, nell’ area delle escavazioni di Rio, ma li abbiamo in masse potenti immediatamente a Sud, separati dalle masse ferrifere soltanto dal torrente che traversa T abitato di Rio Marina. Contro T opinione dell’Autore stanno invece le seguenti considera- zioni. Queste roccie verdi sono esclusivamente composte di silicati fer- rocalciferi (ilvaite, pirosseno, granato, epidoto); non sono quindi roccie di tipo eruttivo. Esse accompagnano quasi dappertutto, all’Elba e altrove, i giaci- menti ferriferi, qualunque sia la loro età, e in una gran parte dei casi ne fu dimostrata incontestabilmente la origine idrica. L’Autore stesso ammette che le poche traccie di silicati trovate a Calendozio, a Monte Arco e a Terranera siano state prodotte da sorgenti minerali ; sarebbe adunque strano che si dovesse applicare un modo d’ origine affatto di- verso a questi stessi silicati allorquando compariscono in masse più considerevoli, come nel caso della Calamita. Del resto è appunto a Calamita ove manifestasi nel modo più chiaro la sostituzione parziale al calcare presiluriano dei silicati fer- 4 — 50 — rocalciferi. I frammenti calcarei, citati dalFAutore come inglobati nella roccia pirossenica, non sono in essa irregolarmente disseminati , ma tengono costantemente 1’ allineamento dei calcari circostanti ed alcuni dei più grandi lasciano vedere le divisioni degli strati in perfetto accordo colla stratificazione generale. I recenti lavori di sondaggio ivi eseguiti hanno infatti pienamente dimostrato che la massa pirossenico- ferrifera di Calamita riposa sui calcari, che in parte sostituisce, e questi sugli scisti. L’Autore naturalmente ha cercato d’ interpretare favorevolmente alla sua tesi il resultato dei sondaggi, ma tale inter- pretazione è inconciliabile colle condizioni stratigrafiche appalesate dai due grandiosi tagli naturali, paralleli, sui due lati del promontorio di Calamita, nei quali vedesi chiaramente il letto calcareo della massa silicatico-ferrifera nella sua posizione regolare sopragli scisti antichi; e queste due grandi sezioni parallele, poste ad una distanza media P una dall’altra di soli 150 metri e precisamente normali alla dire- zione delle formazioni, rendevano affatto . inutili altri sondaggi, che l’Autore invoca onde risolvere la questione. Mi sembra poi che una parte delle divergenze fra i risultati ottenuti dagli ingegneri del Corpo delle Miniere e l’Autore riposino sopra un equivoco che porta ad un erroneo apprezzamento della nostra sezione di Calamita, ottenuta coi sondaggi e colla guida dei due tagli accennati. L’Autore pone a con- fronto la nostra e la sua sezione (pag. 192) e dice che in quest’ultima la parte a, b , e, d , limitata da una linea spezzata, rappresenta un taglio naturale che vedesi in una immensa trincea in escavazione. Ora ciò sarebbe impossible se l’Autore non avesse fatto il suo taglio nella di- rezione della trincea stessa, cioè da Nord a Sud, invece che da Est ad Ovest come è il nostro, che l’Autore suppose forse fatto pure da Nord a Sud. Tolta la divergenza sulla origine dei silicati ferrocalciferi e sugli apprezzamenti intorno al giacimento di Calamita, sono ben lieto di essere stato perfettamente d’accordo coll’egregio ingegnere su tutte le altre questioni principali e dichiaro volentieri che ad esso, cui eran ben noti i giacimenti ferriferi elbani, sono molto obbligato del buon indirizzo preso dalle mie posteriori ricerche. B. Lotti. — 51 — G. Di-Stefano — Ueber die Bracìiiopoden des Unteroolitìies \ voti Monte San Giuliano bei Trapani (Sitili cu). Con due tavole litografate. — Wien, 1884. 1 In questa interessante nota sono descritti i Brachiopodi raccolti al Monte San Giuliano, presso Trapani, in una calcarea grigio-scura fre- quentemente oolitico-ferruginosa a grossolani elementi, la quale riposa con leggera discordanza sopra agli strati a Pygope Aspasia Mgh. ed è inferiore a calcarea grigia racchiudente Posidonomya alpina Gras. Insieme ai Brachiopodi è stata rinvenuta anche una ricca fauna oolitica di Pelicipodi, Gasteropodi e specialmente Cefalopodi, caratterizzata dal- T Harpoceras opalinum. Le specie accuratamente descritte e figurate sommano a dodici, delle quali due sono rimaste indeterminate; solamente una è riferita a specie nota, Terebratula sphaeroidalis Sow., tutte le altre sono specie nuove, cioè: Rhynchonella Erycinaì Rh. Ximenesi , Rh. explanataì Rh. Mattiolii , Rh. Wàhneri , Dictyothyris Drepanensis, Zeilleria Ippolitae , Aulacothyris Tauschi e Aul. daedalica. E da rimarcare in tale fauna la presenza della Ter. sphaeroidalis Sow., la quale è specie caratteristica della provincia zoologica del- l’Europa centrale, in cui, sino ad ora, è stata rinvenuta in zone supe- riori a quella de\Y Harpoceras opalinum. Le forme descritte come specie nuove, nel mentre hanno analogie con quelle estralpine, pure ne riman- gono sempre distinte. Alcune di esse assomigliano anche moltissimo a quelle oolitiche di alcune località dell’Italia settentrionale. Cosi, come giustamente fa osservare l’Autore, il Dici. Drepanensis è affine al Dict. Rossii Canav. Un altro confronto che ci sembra utile fare è in riguardo ad alcune forme della Rh. Wàhneri Di-Stef. (Tav. XV, fig. 7), le quali ricordano la piccola specie Rh. farciens Canav., di cui è quasi total- mente costituita la calcarea ad Harpoceras Murchisonae di Monte Grappa nel Trevisano. (M. C.) Jahrbuch d. k. k. geol. Reichsanstalt, 1884. 34 Band, 4 Heft. — 52 — C. F. Parona. — Sopra alcuni fossili del lias inferiore di Carenno , Nese ed Adrara nelle prealpi bergamasche , con Una tavola (Dagli Atti della Soc. ital. di se. nat. Voi. xxvii. — Milano, 1884. Il calcare fossilifero della prima località, Carenno in Val d’ Erve, si presenta sotto la forma di un calcare selcioso, cinereo-oscuro o to- talmente nero. Esso, oltre a Plcurotomaria sp. ind., Turbo sp. ind. Spiriferina alpina Opp. e a frammenti di fragmoconi riferiti al Atra - ctites Guidonii Mgh. (?), racchiude una ricca fauna di piccoli am- moniti, che corrisponde a quella del Lias inferiore della Spezia \ L’Autore vi ha notato infatti le specie seguenti : Plujlloceras stella Sow. sp. » cylindricum Sow. sp. Lytoceras articulatum Sow. sp. Aegoceras comptum Sow. sp. » ventricosum Sow. sp. Aegoceras Listeri Sow. sp. Arietites bisulcatus Brug. sp. » Conybeari Sow. sp. » rotiformis Sow. sp. Tropites ultratriasicus Canav. Nel calcare marmoreo compatto, di color carnicino più o meno intenso di Nese in Val Seriana, l’Autore ha riconosciuto numerosissimi esemplari della nota specie Avicula ( Diotis ) Janus Mgh. In riguardo a questa importante specie è da notare che essa ha un’ampia distri- buzione verticale, essendo stata riconosciuta assai frequente oltreché nel Lias inferiore, anche nel Lias medio dell’Appennino centrale (Monte Subasio presso Assisi) insieme alla fauna caratteristica degli strati a T erebratula Aspasia Mgh. 1 2 3. Del calcare giallastro del Lias inferiore della terza località, S. Rocco di Adrara, F Autore descrive e figura due specie molto inte- ressanti di Brachiopodi, quali sono : Rhynchonellina Hofmanni Bòckh sp. T erebratula gregaria Suess Il genere Rhynchonellina avrebbe rappresentanti anche nella fauna a Brachiopodi del Lias medio di Saltrio e Arzo in Lombardia e nel Lias inferiore di Papigno (Terni) neH’Umbria. La T. gregaria Suess 1 M. CANAVARI. Beitràge zur Fauna des unt. Lias von Spezia. ( Palàonto - graphica.) Cassel, 1882. 2 L. Baldacci e M. Canavari. Sulla distribuzione verticale della Diotis Janus Mgh. (Proc. verb. d. Soc. tose, di Se. nat. voi. IV.) Pisa, 1884. — 53 — è stata anche notata nel calcare ceroide del Lias inferiore del Monte Pisano. È interessante poi l’osservare la grande analogia che la Rhyncho- neìlina Hofmanni Bòckh sp. descritta dal Parona, ha con quegli esem- plari del Lias superiore (?) della Bicicola di Suello, indicati dal Mene ghini come Spirifer ? sp. ind. (Monogr. ecc., pi. 29, fig. 14). (M. C.) C. Forkasini — I foraminiferi della Tabella Oryctogra- phica esistente nel B. Museo Geologico di Bologna . (Dal Boll, della Soc. geol. Hai. Voi. III. fase. 2°) Roma 1884. La Tabella oryctograpJiica esistente nel R. Museo geologico d1 Bologna è opera di Ferdinando Bassi, eseguita verso la metà del secolo passato. In essa sono disposti 103 minuti fossili raccolti presso il Rio Landa (Bolognese) nel pliocene (ad eccezione per le Orbitoides indicate coi numeri 25 e 105 caratteristiche di strati più antichi, e per gli esem- plari di Helix (n. 61) e per gli opercoli di Cyclostoma (n. 70) di prove- nienza recentissima). Nel quadro esplicativo che accompagna la citata tabella si trovano le determinazioni dei fossili, eseguite con le cono- scenze scientifiche di quei tempi. Il dott. C. Fornasini ha intrapreso e condotto ora a termine con la competenza che in siffatti studi di micropaleontologia gli è propria, la revisione degli esemplari che appartengono ai Foraminiferi. Ecco la lista delle specie che vi ha riscontrate, con i relativi . numeri segnati nella tabella, in confronto alle determinazioni del Bassi. 21. Miliolina cfr. M. Ferussaci , d’Orb. — {Tubuli marini scd. Bassi.) 24. Miliolina seminulum , Linn. — ( Porcellana toracica id.) 25. Amphistegina hauerina (?) d’Orb. — (. Nummularia minima id.) 25. Orbitoides papyracea} Boub. — (Ibd.) 26. Polystomella crispa Linn. — ( Nautilus minimus id.) 27. Polystomella crispa — (Ibd.) 28. Cristellaria cultrata Montf. — (. Nautilus id.) 29. Cristellaria cassis , Ficht. et M. — (. Nautilus depressus id.) 30. Cristellaria cultrata Montf. — (. Nautilus id.) 30. Cristellaria calcar Linn. — ( Nautilus minimum id.) 31. Rotalia Beccarii Linn. — ( Cornu Ammonis minimum id.) 4 * — 54 — 31. Polystomella crispa Linn. — ( Nautilus minimum id.) 32. Dentalina elegans d’Orb. — ( Orthoceras minimum Id.) 33. Dentalina annulata Reuss. — ( Orthoceras minimum id.) 35. Marginulina costata Batsch. — ( Orthoceras minimum id.) 35. Nodosaria raphanistrum Linn. — ( Orthoceras rectum id.) 36. $ odosaria raphanus Linn. — ( Orthoceras id.) 36. Marginulina costata Batsch. — ( Orthoceras minimum id.) 36. Nodosaria raphanistrum Linn. — ( Orthoceras rectum id.) 62. Rotalia orbicularis d’Orb. — ( errata ) 82. Biloculina ringens Lk. — ( Conchula minima id.) 96. Cristellaria calcar Linn. — (. Nautilus minimum id.) 97. Pulvinulina Schreibersi d’Orb. — (Ammonia minima id.) 98. Nodosaria raphanistrum Linn. — ( Orthoceras rectum id.) 101. Frondicularia complanata Dfr. 102. Miliolina seminulum Linn. — ( Conchula minima id.) 103. Orbitoides stellata d’Arch. Tenuto conto delle nuove specie posteriori al Bassi, create su specie o figure alle quali egli stesso s’era riferito, dieci delle determina- zioni riportate, cioè quelle indicate coi numeri 21, 25, 26, 27, 29, 30, 31, 36, 82, 96, possono essere considerate come esatte. Le due specie, n. 97 e n. 98 si riferiscono a forme le quali precedentemente al Bassi, non erano state illustrate da alcun scienziato. L’accurato lavoro del Fornasini è accompagnato da un interessante quadro, nel quale di fronte alla giusta determinazione delle specie della citata tabella, sono indicate le determinazioni di autori anteriori (Planco e Gualtieri) e posteriori (Linneo e Soldani) a Ferdinando Bassi. (M. C.) NOTIZIE DIVERSE Calcari marini quaternari lungo la costa dei Monti Livornesi. — Di questa formazione, conosciuta comunemente col nome di panchina , che comparisce in quasi tutte le isole tirreniche e lungo la costa da Livorno fino a Civitavecchia, è stato scritto da vari autori, e il Savi per primo ne riconobbe l’ importanza per la storia dei movimenti su- biti in tempi relativamente recenti dalle aree sulle quali riposa. Es- sendo adunque inutile, o almeno superfluo, di ritornar sopra alle altrui — 55 — osservazioni, mi limito ad annunziare la scoperta di alcuni nuovi lembi i di questa panchina, specialmente interessanti per la loro notevole ele- ! vazione sul livello marino. Il De Stefani assegnò a tale formazione calcarea, lungo la costa toscana, un’ altezza massima di 15 metri sul mare. Io feci già notare j più tardi che presso Capoliveri, all’Elba, giunge fin quasi a 200 metri, | mentrechè in altri punti dell’ isola non oltrepassa di solito 20 o 25 metri. Nell’isola del Giglio ne trovai un solo lembo a 15 metri. In ! Gorgona non ne rinvenni traccia. Nell’ isolotto di Cerboli, fra 1’ Elba e il continente, la panchina raggiunge circa 30 metri d’ altezza e rac- I chiude, oltre alle conchiglie marine, ossa d’uomo e resti della sua in- , dustria. Nelle maggiori isole di Corsica e Sardegna comparisce questa I formazione a vari livelli; e in diversi punti della costa occidentale della seconda, non che presso Cabras e Cagliari, fu notata dal Sella 1 a circa 100 metri d’ altezza. In questi ultimi tempi, nel rilevamento dei Monti Livornesi, mi è 1 occorso di trovare la panchina ad un livello sul mare non ancora no- I tato nel continente. Mentre di solito lungo la costa occidentale di : questo gruppo si mantiene ad un’ altezza variabile fra 15 e 25 metri, | presso la foce della Chioma se ne trovano lembi fino a circa 40 metri e presso Villamagna, nei dintorni di Castiglioncello, giunge a più che ! 50 metri, passando in alto ad un vero e proprio travertino senza traccia di fossili marini ; fatto che lascerebbe intravedere, come alcune delle | sorgenti calcarifere sgorgassero in terra ferma e che solo una parte ! del loro deposito giungesse al mare. Un notevole sviluppo è raggiunto dalla panchina un poco più a Sud presso Rosignano, ove si avanza a più che tre chilometri dentro terra e giunge fin sopra al, cimitero del paese, notato sulla carta colla quota 69 metri, quivi contenendo pur sempre conchiglie marine. Ad onta ; però di quest’ altezza a S.O del paese, nessuna traccia di panchina fu incontrata a N.E nel contiguo bacino della Fine, il cui fondo di | poco supera i 20 metri sul mare, la qual cosa dimostra che 1’ escava- I zione di questa valle nelle argille plioceniche è posteriore al deposito marino quaternario. E degno di nota il fatto che la panchina, lungo la costa, come nelle isole, riposa quasi sempre su roccie più antiche del miocene, ciò che implica manifestamente un abbassamento del suolo posteriore al 1 Sella, ^Condizioni della ind. min. in Sardegna, 1871. — 56 — pliocene nell’area tirrenica; forse quell’abbassamento che fece sparire la Tirrenide. E questo abbassamento, se pure non fu un vero e proprio sprofondamento, come diceva il Savi, deve essere stato limitato dal lato orientale all’ attuale linea della costa, ove apparisce la panchina, prima perchè essa non poteva formarsi che presso la costa, poi perchè poco più dentro terra appariscono i terreni terziari superiori, sui quali non havvi traccia di quella formazione. Questi calcari marini littorali corrispondono probabilmente ai tra- vertini, che numerosi appariscono in vari punti della Toscana; e le sorgenti, da cui ambedue quelle formazioni derivano, ripetono forse la causa da rotture del suolo avvenute all’ epoca dell’ abbassamento post- pliocenico sopra accennato. B. Lotti. Roccia granitoide tormalinifera nelle Alpi Apuane. — Altrove feci menzione di questa roccia trovata in tre diverse località del gruppo apuano, cioè nella Val di Castello, presso Stazzema e al Forno Vo- lasco. Dissi che l’ ing. Mattirolo, ad un primo esame superficiale, la riconobbe costituita da una massa fondamentale feldspatica microcri- stallina, in cui stanno disseminati granuli di quarzo, un minerale tal- coide e un minerale nero, di cui la natura non potè allora essere esattamente determinata. Ulteriori ricerche dello stesso ingegnere Mattirolo offersero impor- tanti risultati sulla natura del minerale stesso, riconosciuto per torma- lina, e sulla composizione mineralogica della roccia di cui fa parte. Essa roccia è talora compatta, con leggera tendenza alla scistosità, talora decisamente scistosa, e fa passaggio agli scisti triassici circo- stanti fra i quali è nettamente interstratificata. La roccia granitoide compatta del Forno Volasco è ad elementi macroscopici e lascia vedere una pasta feldspatico-quarzosa con talco, nella quale sono disseminati piccolissimi gruppi fibroso-raggiati di tormalina nera. L’abito della roccia è porfirico, ma, a differenza dei veri porfidi, non si osservano in essa intrusioni della pasta della roccia nel quarzo, il quale generalmente non è ricco d’ inclusioni. Il feldspato è ortosio. Quelle di Stazzema e di Val di Castello non differiscono da questa del Forno Volasco che per una minore grossezza degli elementi. La stessa roccia, ma un po’ più scistosa, di Val di Castello, oltre alla tormalina contiene dell’anfibolo in parte convertito in clorite. Gli scisti circostanti, ai quali la roccia granitoide fa passaggio — 57 — graduato, sono formati da una pasta argillosa con una mica talcoide, feldispato ortotomo alterato e nuclei di quarzo a contorni irregolari. Questi scisti sono frequentemente percorsi da vene e concentrazioni di una sostanza nera essenzialmente carboniosa, cui son frammisti cristallini isolati di tormalina. È a notarsi che dal Mattirolo fu trovata la tormalina negli scisti triassici a mica talcoide di Capriglia, presso Pietrasanta, e in quelli paleozoici sericitici di Pariana, pure nelle Alpi Apuane. La roccia granitoide ora descritta è da riguardarsi come eruttiva, intrusa posteriormente fra gli strati od anche espansa contemporanea- mente alla loro sedimentazione, oppure come sedimentaria metamor- fica? Essa non forma invero nè dicchi, nè filoni e neppure strati ben definiti, ma comparisce in masse lenticolari di limitate dimensioni in mezzo a scisti evidentemente sedimentari, coi quali ha in comune vari elementi. Si avrebbero quindi buoni argomenti in favore della sua pri- mitiva origine sedimentaria. E a notarsi nondimeno che questa roccia è in associazione, almeno di luogo, con giacimenti ferriferi (magnetite), alla stessa guisa che roccie granitiche e trachitiche, decisamente eruttive, sono associate ai giacimenti ferriferi dell’ Elba, di Sardegna, di Campiglia, di Gavorrano, del Giglio e di tante altre località italiane e straniere. B. Lotti. Feldspato nel giacimento ferrifero di S. Leone presso Cagliari (Sar- degna). — Questo giacimento, che ebbi occasione di visitare in compagnia del collega ing. Mazzetti dell’ufficio minerario d’ Iglesias, constadi un banco lenticolare, prevalentemente costituito da magnetite, incluso fra sci- sti quarzosi e cloritosi, talora feldspatici, i quali riposano direttamente sul granito. Fra esso e il banco ferrifero gli scisti interposti hanno uno spessore relativamente piccolo e mentre sono da questi formate le al- ture circostanti, il granito comparisce soltanto nel fondo e nelle pen- dici più basse delle valli. Gli scisti sono probabilmente alterati per quelle stesse cause che dettero origine al granito e sono analoghi a quelli dei dintorni di Villacidro, che pure riposano sul granito e, giusta le mie osservazioni, sono da riguardarsi come spettanti al siluriano superiore, per analogia litologica notevolissima di alcuni di essi con quelli fossiliferi siluriani dell’ isola d’Elba. Il tetto del giacimento è formato da una massa continua, strati- forme, di granato, con traccie di pirosseno ed epidoto. Il granato in- contrasi di solito in piccoli grani, più raramente in grossi cristalli che — 58 — tappezzano alcune cavità e cui associansi frequentemente cristalli di calcite. La magnetite presenta di solito il fenomeno della polarità ed è in gran parte inquinata copiosamente di quarzo. Nella sua massa sta racchiusa una lente di roccia nera silicea, stratificata, compenetrata di pirite di ferro. Il banco ferrifero non continua in profondità, ma viene ad un certo punto sostituito completamente dai silicati ferro-calciferi, i quali pure vanno a finire in cuneo fra gli scisti. Nell’ insieme il gia- cimento può riguardarsi come un banco diretto da N.E a S.O e for- temente inclinato verso N.O, che nel Monte Piccio, ove è coltivato, curvasi in anticlinale secondando una piega strettissima degli scisti. La magnetite è a luoghi intersecata da vene quarzose, in cui tro- vasi disseminato in copia un minerale feldspatico di colore roseo come l’ortose del granito sottostante. Questo minerale non presenta forme proprie, ma si adatta negli interstizi fra i cristalli di quarzo ed involge grossi romboedri di calcite. Presso il contatto fra il feldspato e la cal- cite ed anche dentro il feldspato stesso si osservano qua e là parti- celle di calcopirite. Intorno ai cristalli di quarzo si è formato un mi- nerale cloritoide a struttura sferolitica. Il prof. Grattarola, cui inviai alcuni esemplari, mi ha favorito gen- tilmente i seguenti risultati di un suo primo esame del feldspato : « E a ritenersi questo minerale come una miscela di ortoclase e di oligoclase (e più di questo che di quello), sebbene non possa asse- rirsi con certezza, non avendo potuto finora preparare una sezione, stante la sua struttura granulare fibrosa e la poca coerenza delle sue parti. L’esame microscopico dei frammenti offerse colori di polarizza- zione molto più vivaci dei corrispondenti colori delbortoclase. Al can- nello fonde più facilmente di esso e dà debole indizio di potassa; più forte invece è la fiamma della soda, che perdura. Decomposto coi carbonati alcalini, oltre alla allumina e alla silice, si ebbe una forte reazione di calce. » Dal modo di comportarsi fra loro dei vari minerali, quarzo, feld- spato, calcite, clorite e magnetite, il Grattarola li riterrebbe tutti con- temporanei. Benché in minima quantità, si conosceva già il feldspato (ortose) nel giacimento ferrifero di Rio nell’isola d’Elba, tanto associato al- l’oligisto, quanto al pirosseno ed in cristalli ben definiti. B. Lotti. Avviso di pubblicazione Essendosi intrapresa per cura del R. Ufficio geologico la stampa della Carta geologica in grande scala di alcune delle regioni state ri- levate negli ultimi anni, cominciando dalla Sicilia, si dà avviso essere ora pubblicata una parte della Carta geologica dettagliata di questa isola alla scala di 7ioo,ooo> che in tutto comprenderà 28 fogli. Quelli attualmente stampati sono i sei dell’ angolo N.O dell’isola, cioè i fogli di Trapani, Palermo, Ragheria, Castelvetrano, Corleone, Termini Ime- rese, unitamente a una tavola di sezioni geologiche. — Trovansi in preparazione tutti gli altri fogli della Sicilia settentrionale con relative tavole di sezioni, che potranno uscire fra breve. È pure stampata e disponibile una Carta generale dell’isola in piccola scala, cioè al Vsoo,ooo» che serve anche come quadro d’ unione ai diversi fogli della carta suddetta al 7ioo,ooo- Si annunzia essere eziandio stampata e in vendita la Carta geo- logica dell’isola d’Elba in grande scala ( 725,000) in due fogli con se- zioni, mentre si sta preparando quella dell’isola stessa a scala di 7 50,000 in un solo foglio. Le carte geologiche delle varie regioni saranno corredate di me- morie descrittive; ma occorrendo ancora qualche tempo per la loro pubblicazione, si supplisce intanto 'con un fascicoletto di Brevi cenni da unirsi alle singole carte, di cui dà una sommaria descrizione. Distinta dei fogli pubblicati Carta geologica della Sicilia nella scala di 1 100,000 Foglio N. 248 (Trapani) prezzo L. 3 00 » 249 (Palermo) » 4 00 » 250 (Bagheria) » 3 00 » 257 (Castelvetrano) ....... » 4 00 » 258 (Corleone) » 5 00 » 259 (Termini Imerese) » 5 00 Tavola di sez. N. 1 (annessa ai fogli 249 e 258) » 4 00 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500,000 (serve di foglio di unione della precedente) prezzo L. 5 00 Carta geologica dell’ Isola d* Elba nella scala di 1/25,000 in due grandi fogli, con sezioni annesse prezzo L. 15 00 Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio geologico, ovvero alla Libreria E. Loescher, in Roma. BOLLETTINO BEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IL Voi. VI. Marzo e Aprile 1885. N. 3 e 4. SOMMARIO. Memorie originali. — I. Le roccie cristalline dello Stretto di Messina, di E. Cor- tese. — II. La frana di Perticara (provincia di Pesaro), di E. Niccoli. — III. Nota sulla frana di Deiva (Liguria), di L. Mazzuoli. — IV. Sul giacimento cuprifero di Montecastelli in provincia di Pisa, di B. Lotti. — V. Riassunto sui terreni terziari e posterziari del circondario di Catanzaro, di D. Lovisato. Notizie bibliografiche. — A. Portis, Contribuzioni alla ornitolitologia italiana; Torino, 1884. — A. De-Zigno, Due nuovi pesci fossili della famiglia dei Balistini scoperti nel terreno eoceno del Veronese ; Napoli, 1884. — G. Ca- pellini, Del zifìoide fossile (Choneziphius planirostris) scoperto nelle sabbie plioceniche di Fangonero presso Siena; Roma, 1885. Notizie diverse. — Granito e iperstenite nella formazione serpentinosa dei Monti Livornesi. Avviso di pubblicazione della Carta geologica in grande scala. Tavole ed incisioni. — Tav. I : pianta e sezioni della frana di Perticara (E. Nic- coli) : apag. 74. — Tav. II: pianta e sezioni della frana di Deiva (L. Mazzuoli): a pag. .82. MEMORIE ORIGINALI I. Le roccie cristalline delle due parti dello Stretto di Mes- sina; appunti di E. Cortese. Lo stretto di Messina, sempre interessante per la sua costituzione geologica e per la sua postura geografica, lo divenne maggiormente in questi ultimi anni, per le costruzioni che si stanno facendo sulle rive di esso e per i progetti che lo riguardano. Lungo le sue sponde o presso di esse, abbiamo ora in attività di costruzione : in Sicilia la ferrovia Messina-Cerda, colla importante galleria peloritana, in Calabria la ferrovia Reggio-Castrocucco colle gallerie tra Villa S. Giovanni e Palmi, il sistema di fortificazioni (forti e strade militari) in Sicilia e fra poco in Calabria. Finalmente, intorno a questo importante varco del Mediterraneo, furono agitate delle questioni, circa la possibilità di un passaggio sottomarino. Non sarà dunque inopportuna una notizia sulla natura delle rocce che formano le due sponde dello stretto. Senza parlare delle roccie terziarie e quaternarie che formano delle colline e dei lidi lungo lo — 62 — stretto, elevandosi ad altezze varie sulle pendici di roccie antiche, par- lerò solo di queste, che costituiscono le due catene spinali, della Si- cilia e delle Calabrie, propriamente del Peloro e dell’Aspromonte. Quando in Sicilia si progettava il primo tronco della linea Mes- sina-Cerda (Messina-Saponara), fui interpellato sulla natura delle roccie che costituivano la catena peloritana. Allora aveva già percorso tutta la regione, per tracciarne la carta geologica; ma ora, non contento delle osservazioni fatte allora, percorsi nuovamente le vallate e le creste sotto cui, più o meno, doveva passare la galleria. Rilevai do- vunque, salendo le fiumare di Cammari e Bordonaro fino alla cresta, cioè sino al Monte Ariella, Portella Armacia, ecc.5 e discendendo sulla costa Nord, che le roccie, un poco disgregate alla superfìcie, nel fondo dei valloni apparivano compattissime. Si trattava generalmente di mi- cascisti o di gneiss, più o meno anfibolici, traversati da filoni di pegma- tite ; ma di una compattezza e di una cristallinità, in alcuni punti, ve- ramente eccezionali ; non vidi mai in posto il granito che pure, in qualche vallata, specialmente del versante Nord, si trova in grossi blocchi ar- rotolati. Naturalmente, vista quella natura di roccie, dichiarai che in gal- leria, passate le prime, poche, centinaia di metri, si doveva trovare una roccia altrettanto compatta e dura di quella denudata dai valloni, che sembrava formare l’ossatura, e che in essa doveva essere possi- bile, ed utile, adottare la perforazione meccanica. Avendo veduto i mi- cascisti, con una scistosità molto pronunciata, un poco contorti e ri- piegati, misi bensì in guardia contro l’eventualità che le mine a polvere potessero aver poco effetto, ma aggiunsi che la dinamite doveva senza dubbio far buona prova. Non nascosi il pericolo di molte filtrazioni. • Queste erano le congetture, basate su dati di osservazioni, che ora, dopo 5 anni, rifacendo alcune di quelle escursioni, dovetti riconoscere essere osservazioni esatte. Attualmente si sono verificati precisamente i contatti colle roccie posteriori, quali erano deducibili dalla carta geo- logica; ma quanto ai fatti praticamente osservati nei 900m di avanza- mento della galleria peloritana, all’ imbocco di Messina, essi sono i seguenti: 1. La roccia è ridotta frammentaria, come se fosse stata strito- lata, in modo che in alcuni punti, cadendo in scaglie, o distaccandosi lungo i piani di clivaggio, lascia dei fornelli. 2. Frequentissime sono le venature di feldispato (o pegmatite), ridotte in scagliette angolose, e accompagnate, al contatto colla roccia, da delle parti, o strisciature, argillose. 63 — 3. L’acqua è in alcuni punti abbondante, specialmente in corri- spondenza delle venature pegmatitose, o secondo le osservazioni degli ingegneri dell’impresa, in corrispondenza di certi valloni secondari. 4. La polvere non dà effetto utile, è necessario usare la dina- mite; si incontrano delle parti durissime, nelle quali ben si appliche- rebbe la perforazione meccanica; ma esse sono come filoni, ed invece predominano le parti di gneiss, ridotte in frammenti colle venature pegmatitose, pure frammentarie, nelle quali è malagevole lavorare a mano, mentre d’altro canto è impossibile lavorare colle perforatrici. In Calabria, nel tratto da Villa S. Giovanni a Bagnara, abbiamo delle roccie cristalline che ebbi occasione di visitare nel 1881. Rico- nobbi degli scisti e gneiss, analoghi a quelli della Sicilia, ma un poco anfibolici; gli scisti sono spesso verdi ed i gneiss pure; non mancano delle vere anfìboliti, e talvolta pure dei graniti grigi, pari a quelli che si trovano in massi arrotolati nelle fiumare del Peloro, ma questa volta in posto. Le anfìboliti avevano l’aspetto un poco disgregato, apparendo tal- volta come venature verdi in una massa più feldispatica; i graniti al- l’esterno apparivano pure frammentari (come fra il Pezzo ed Alta Fiu- mara), ma tutto faceva credere che si trattasse di roccie solide, che nell’ interno erano vere roccie cristalline alpine. Lo comprovava il fatto delle ripide scarpate che conserva il terreno a monte della strada na- zionale, da circa 80 anni, senza troppi scoscendimenti. Qualche grande scoscendimento si era avuto qua e là, come a Paci ed a Monacina, presso Scilla; ma coincidevano in località dove o la roccia aveva i clivaggi mal disposti o dove si trattava di massi, slegati prima per l’allargarsi dei clivaggi stessi, e poi malamente ricementati da un cal- care concrezionato dell’epoca in cui quelle ripide coste erano sommerse. Alcune di queste frane sono ascritte al terremoto del 1783, o ad altri successivi, e sembrano superficialissime. In totale, veduto l’aspetto delle coste, la generale durezza delle roccie nelle parti scoperte, arguii pure qui che nell’interno si dovevano trovare roccie tanto più salde. S’iniziarono i lavori delle gallerie diJAlta Fiumara, Paci, Condoleo, Fronte, Punta Canale, ecc., e si avanzarono tanto che molte di quelle gallerie sono, o tutte od in gran parte, forate. Nell’ interno si trovò: 1. Il granito stritolato e ridotto a scaglie, e che, restando così ridotto in pezzi staccati, caricava molto le armature, non per rigon- fiamento certo. 2. L’ anfibohte ridotta ad un materiale marnoso che all* esterno, dopo pochi giorni, era ridotto ad una terra verde ; qua e là, ed al cosi- - 64 — tatto col granito e collo gneiss, delle strisciatile di una argilla nera, che manifestavano movimenti di masse rilevanti. 3. Il micascisto e lo gneiss o stritolati pure, o colle sfaldature tanto allargate da caricare fortemente le armature. 4. In molti punti si usarono le mine, ma spesso col solo pic- cone si abbatteva la roccia, avanzando rapidamente. Davanti a questi resultati cadevano le previsioni fatte, ma cadeva anche ogni fede nello aspetto esterno delle roccie cristalline di queste regioni. Roccie compatte all’esterno, erano tenere all’ interno, roccie massiccie al di fuori delle montagne, erano frammentarie al di dentro ; il granito, e ciò basti per tutto, saldo in molte località, dove appariva fra i muri e le coltivazioni, era all’ interno ridotto, in certi punti, ad un ammasso di scaglie, buone solo per inghiaiare le strade e forse nemmeno per ciò, perchè troppo minute. Per mettere d’accordo i resultati delle lavorazioni in galleria coi dati delle osservazioni esterne, bisogna dunque stabilire che : 1. Se in Sicilia non si vedono all’ esterno, lungo certi valloni, le venature di feldispato, che pure appaiono in altre parti, è perchè queste si arrestano nell’ interno della massa ; ma non meno per questo essa ne è traversata e guasta. 2. Se in Sicilia si trovano blocchi di granito nelle fiumare o nei valloni, e non si trova quello in posto è perchè essi provengono da filoni di granito distrutti dalle erosioni. La roccia incassante, anziché in ciottoli, fu dalle acque ridotta in sabbia e portata alla marina; il granito rimase in massi arrotondati sì, ma grossi, che accumulandosi sul fondo delle fiumare, ci meravigliano ora per la loro quantità e perchè non ne vediamo più la precisa provenienza. 3. Si in Sicilia che in Calabria le pendici, le coste ed il fondo dei valloni sono costituiti da quelle parti piu resistenti di roccie cri- stalline a cui si è arrestata tempor ariamente V azione disgregante delle acque , degli agenti atmosferici , e dello stesso mare quando vi batteva; ma le roccie alV interno della montagna sono naturalmente stritolate , se si tratta di granito o di gneiss , o ridotte ad una specie di marna verde , se si tratta di anfibolia . Ho detto tempor ariamente, ed infatti ciò fu provato dalle abbon- danti pioggie cadute nei mesi di gennaio e febbraio ultimi. In alcuni punti della costa calabrese, tra Villa S. Giovanni e Bagnara, questa crosta solida esterna si è mossa, o per movimento delle parti sottostanti, o per scorrimento su queste, ed ora si è messa a nudo,, in quei punti, la roccia coi caratteri che le furono riconosciuti nel perforare le gallerie. — 65 — Queste parti resistenti ricorrono irregolarmente nella massa della montagna, formando come una intelaiatura. Esse sono quelle che, qua e là perforate, sia nella galleria peloritana, sia in quelle della linea calabrese, fecero credere molte volte di aver trovato il nucleo cristal- lino solido e compatto. Generalmente sono di micascisti compatti o di fino gneiss, mai di vero granito. In ogni modo mi permetto di aggiungere che non è naturale lo stritolamento che presentano le roccie più dure (gneiss, granito) nè le strisciature presentate dalle parti più plastiche (anfiboliti o scisti an- fibolici). Mi pare di riconoscervi, forse per eccessiva tendenza a ciò, Peffetto di importanti movimenti del suolo, in questa regione, e di po- tenti dislocazioni ; precisando meglio la mia idea, la trasformazione di queste roccie può meglio incoraggiare a credere 1’ esistenza della faglia dello stretto, colle numerose fenditure accessorie che l’accom- pagnano. Poiché fu progettata una galleria sotto lo stretto, ammesso, come 10 stesso ritenni ed esposi, che il fondo sia costituito da roccie cri- stalline, è da tener presente che, se esse si presentano poco compatte nelle montagne delle sponde, altrettanto può e dovrebbe essere per 11 fondo. Se quelle parti frammentarie, e le venature pegmatitose, danno luogo a filtrazioni tanto potenti sotto valloni insignificanti, come suc- cede per la galleria peloritana, quale importanza acquisteranno tali filtrazioni sul fondo dello stretto, sotto una pressione di acqua marina che raggiunge il massimo di 12 atmosfere? Credo che questa breve notizia sulla natura delle roccie cristal- line delle rive e vicinanze dello stretto di Messina, oltre a riassu- mere i resultati presentati dalle attuali lavorazipni in galleria, sia di una certa importanza, perchè rivela fatti e condizioni che non si po- tevano desumere dall’ aspetto esterno. IL La frana di Perticava [provincia di Pesaro ); nota dell’ing. E. NICCOLI (con una tavola). Il fenomeno delle frane che si ripete quasi ogni anno durante la stagione invernale, si è prodotto quest’anno con insolita violenza in talune regioni d’Italia, arrecando danni immensi all’agricoltura colla distruzione dei campi e la rovina delle stesse abitazioni. — 66 — Dopo quello delle valanghe, più terribile pei suoi effetti disastrosi ma più circoscritto, il fenomeno delle frane ha per noi una singolare importanza, perciocché minaccia una gran parte del nostro territorio continentale e insulare, ove le condizioni telluriche sono favorevoli al suo esplicarsi. Si può dire, infatti, che quasi tutta la media e bassa Italia e quasi tutta la Sicilia, per circostanze dipendenti dalla natura del suolo e bene spesso anche dall’opera dell’uomo, siano soggette a questo flagello. Merita di rilevare come essendo diverse le cause naturali, i due fenomeni presentino nullameno fra loro molta analogia e molti punti di contatto, uno dei quali, non nuovo di certo ma non mai abbastanza avvertito, è quello di trovare un potente ausiliario nei dissodamenti. Così, mentre per la mancanza dei boschi le nevi, accumulate sulle pen- dici, possono d’ improvviso e in poderose masse irrompere nelle sotto- poste valli, spargendo il terrore e la morte fra le popolazioni; per la stessa causa certi terreni che, spogli della corteccia vegetale, si la- sciano penetrare dalle acque, si disgregano a poco a poco e finiscono a un dato momento per scoscendersi, travolgendo tutto quanto si trova alla superfìcie, colture, abitazioni e perfino interi paesi, i quali si tro- vano così dall’oggi al domani gettati nella più squallida miseria. Nè è men degna di considerazione la perdita annuale non solo dei raccolti ma delio stesso suolo produttivo, che avviene per le piccole smotte e per le frane più limitate in ogni zona di terreno argilloso, in cui i dissodamenti furono generali e le acque non più contenute e re- golate nel loro corso, generano continue erosioni. Questa perdita, che passa inosservata nei singoli luoghi, dev’essere pur rilevante, perocché colpisce ripetutamente e inesorabilmente un gran numero di proprietà. Tra le frane di maggior mole che quest’inverno hanno desolato alcune contrade, quella di Perticara è forse la più importante e al tempo stesso la più interessante dal lato geologico. Preceduta di poco da quella di Castiglione a Casauria in Abruzzo e susseguita pure di poco dall’altra di Camporeale in provincia di Trapani, la frana in parola si dichiarò la sera del 30 gennaio su buon tratto dell’alta valle della Chiusa all’O.N.O dell’antico castello di Per- ticara, posto nel territorio del comune di Talamello all’estremo N.O della provincia di Pesaro e Urbino, e precisamente sullo spartiacque tra il declive della Marecchia e quello del Savio. Si vuole che i primi indizi del minacciante pericolo risalgano a molti anni addietro : gli abitanti del sito avrebbero osservato in varie epoche dei parziali cedimenti del suolo, con momentanea apparizione — 67 — o deviazione di sorgenti d’acqua e colle solite crepolature nei muri dei fabbricati. Il fatto è però che il movimento cominciò a pronunziarsi in modo allarmante solo negli scorsi mesi di settembre e ottobre, per alcune estese fenditure apertesi nei due rivi tra i quali sta il gruppo di Casalecchio a breve distanza dal castello; e che esso venne sempre più accentuandosi finché sull’imbrunire del giorno 30 gennaio cadde una prima casa appartenente a certo Severi, e tutto il terreno si sco- scese in una zona di quasi tre chilometri. Lo scoscendimento continuò poi nei due giorni successivi, produ- cendo la rovina di altre otto case coloniche e danneggiando dal più al meno una dozzina di fondi. Il gruppo di Campo Corbolo, compren- dente un mulino, rimase letteralmente annientato, trovandosi al termine della frana ove lo sconquasso e la distruzione raggiunsero il loro apogeo. Ma si può dire che il flagello non risparmiasse nessuna delle abitazioni della zona, poiché tutte rimasero diroccate sino alle fonda- menta. Fu quindi vero prodigio se non si ebbe a deplorare nessuna di- sgrazia e nessuna vittima, specialmente nel grande scompiglio della prima notte in cui i poveri coloni furono costretti ad abbandonare il proprio tetto. Sull’unita tavola (V. Tav. I) è rappresentata la topografia della regione con due sezioni geologiche, dalle quali apparisce che la frana, staccandosi da due punti al piede della rune di Perticara, lascia dap- prima isolata F eminenza di Casalecchio -j ; piano ottico parali. 100; bisettrice acuta perpend. a 001; angolo assiale ottico apparente nell’aria: (rosso) 56° 30', (azzurro) 72° 10'; nell’olio: (rosso) 37° 24 , azzurro (46° 15'). — 176 — L. Dieulafait. Existence du manganése à l’état de diffusion complète dans les marbres bleus de Carrare, de Paros et des Pyrénées. — Compie rendus , 1884, pag. 539. Id. Manganése dans les marbres cipolins de la formation primordiale. Consequences géologiques. — Ibid., 1884, pag. 634. Al seguito di ricerche assai estese, furono accertate spettroscopi- camente quantità non indifferenti di manganese non solo in massi esemplari di calcari cretosi delle varie località europee, ma anche nel marmo di Carrara, Paros e dei più lontani giacimenti dei Pirenei. Cosi pure furono riscontrati manganesiferi i calcari saccaroidi della forma zione scisto-cristallina e del gneiss. Risulterebbe da questo una prova per l’origine acquea dei gneiss. C. Doelter. Erhitzungsversuche an Vesuvian, Apatit, Turmalin. — N. Jahrb.f Min ., 1884, II, 217. Sono esperimenti sull’azione del calore (fino al color rosso-bianco) sulle variazioni delle immagini assiali ottiche. Le vesuviane esa- minate furono quelle di Ala e del Vesuvio. In 3 di Ala il riscaldamento aumenta l’angólo degli ossi ottici; e questo talvolta ritorna col raf- freddamento all’originario valore, talvolta invece mantiene una varia- zione permanente. In una terza avviene il contrario. Come questa, si comportò una vesuviana del Vesuvio. C. Doelter ed E. Hussak. Ueber Einwirkung geschmolzener Mine- ralien auf versohiedene Mineralien. — N. Jahrb.fur Min., 1884, I, p. 18. Fra i minerali esperimentati per l’azione dei magma fusi, sono i seguenti minerali italiani : diopside di Ala, augite del Vesuvio, olivina del Monte Somma, melanite di Frascati, hessonite di Ala. C. Doelter et E. Hussak. Synthetische Studien. — Ibid., 1884, 1, p. 158. Minerali italiani studiati : melanite di Frascati, vesuviana del Vesuvio. H. Foerstner. Ueber kunstliche physikalische Verànderungen der Feldspàthe der Pantelleria. — Zeitsch. fiìr Kry stallo graphie von P. Groth, voi IX. p. 333. I nuovi studi sulle variazioni fisiche, ottiche specialmente, presen- tate dai minerali per effetto della variazione della temperatura, su le quali tengono primo luogo quelle dei minerali pseudo-simmetrici o mimetici, sono stati applicati anche ai feldispati di Pantelleria, di cui fu data notizia in questo Bollettino (voi. V, serie 2a, p. 61). FOERSTNER — STUDI SOPRA J FELDISPATI DI PANTELLERIA FELDISPATI POTASSICI ASIMMETRICI COMPORTAMENTO OTTICO DURANTE E DOPO IL RISCALDAMENTO Lamine Lamine dello lastrette | Comportament o ott ico h AMIMI i 8ECOMPO OP (OOl 1 001 : j. 010 , 010 Angolo assiale ottico j 1 i mill ini. j a empera ora ordinaria Osservazione all’ ingrandimento 45 diametri Osservazione all’ingrandimento 300 diametri 2° Riscaldamento a 230° 3° Riscaldamento i a 2640 4° Riscaldamento a circa 500° Principio della variazione Massimo della variazione LOCALITÀ 5 §j s 1 1 | Estinzione rispetto alte tracco- dei piani di sfaldatura lì osservata in millimetri | u Sr.di 1 0> 1 1 1 i secondi ! | 11 fi Comportamento 3 1' Comportamento É 1 s ti §. 1 I 1 I .1 - .1 Temperatura § 0 g I J 1 1 T° 2 1 ! oro ns 1 - gl H S S) Larghezza delle lamello i i E-i “i i ! s lui Ir 1* s a Ss I .te 1 Estinzione' . dopo iiiVrcdihiliM i,l(i .1 i Ig III r| § S 1 f f s a' 1 o M. Gibele 1:4,29 92°15 ' 0,05 i.» 0,5 da0,003 a 0,03 3°8 5°5 87° 46' 0,04 300° - - - - - ■a*»: 3°, 2 asimm. - stossa asimrn. -ti stessa 3°.8 300° •asimrn.- C°,9 - - 200“- invar. SCO 31' R. Rakhalè 1:2,75 9120 0,13 0,7 0,6 0,001 0,006 5,5 10,0 6°, 4 88 27 0,02 300 120 *5 - - - ? 5 ooimm. - stossa Asimrn. - stessa 5,1 264 monos. 9 200° 85° 37’ 250 84° ir 84 13 B. Ziehidì 1:2,84 92 3 0,26 1,6 0,9 0.001 0,004 3,7 6,5 5,2 83, 48 da 0,002 da264 a 300 120 30 0,001 300- 150 « 4 asinini. - stessa. asimrn. 4" stessa 3,8 cost. ' 230 monos. 7,4 110 80 48 200 79 18 84 0 B. Khania 1:2,43 91 42 0,13 2,1 0,8 0,0008 0,003 4,7. 7,5 6,8 77 44 - 230 60 Ìò da 0,0008 a 0,003 •l i 2411 a 264 CO monos. 5,2 monos. , 5°, 2 tnonos. - - 4.9 2* var. 230 monos. 8,9 150 75 12 209 73 58 82 15 B. Khagiar 1:2,15 0,16 0,6 (ì’,004 4,0 6,5 4,2 71 40 da 0,004 175 IO 0,0015 - 40 — ■ 4 monos. 4 (grande) monos. 4,j 2- vai-. (piccola) 4,2 (grande) 175 monos. 7,5 150 G7 50 200 . C7 50 ri 5o R. S. Marco 1:2,25 9, 9 0,17 2,2 0,9 0,0008 0,006 2,2 10,4 - 75 37 1 0,14 dal 15 a 135 20 20 da 0,004 a -0,012 dal 35 a ICO 30 mo„o. 2,2 monos. 2,2 (piccola) monos. 2,1 2° var. (piccola) 2 3" var. (grande) - - 11 140 73 53 280 73 27 70 45 E. Sidori 1:2,40 9127 0,24 3,2 1,15 0,0008 0,003 2,0 9,6 4,8 74 20 0,04 . Ilo 15 0,003 15 mone. 8.4 monos 2,5 (piccola). monos. - 2,2' (grande) - monos.' 8,8 50 71 38 250 58 02 76 45 ■ C. Midda 90 33 0,18 1,4 0,5 0,001 0,012 2,0 9,9 4,0 76 24 - 86 12 20 0,001 Ilo 20 monos. 2,2 monos. 2,2 cost. monos. - - 2,5 mvar. se monos. 8,7 50 73 50 300 63 12 76 39 FELDISPATI SODICI MONOSIMMETRICI. Cala Portieello 1:2,13 90 0 0,37 1,2 1,0 0 0 9,5 0 70.24 ii fino a 300 - - 0 f300a - monos. o monos. o stessa monos. » stessa 1,8 ™sta.r- - monos. invar. 40 68 47 200 63 OC 72 39 Bagno dell' acqua 90 0 0,38 1,6 1,2 0 0 ' 9,5 0 68.27 0 fino a 300 - - 0 lino a 300 - monos. 0 monos. 0 stessa monos. o- -stessa 2,5 - monos. inva,-. 50 65 55 200 61 17 72 23 . : — 177 — Il metodo di ricerca, i singoli resultati, le parziali osservazioni non possono essere riprodotte che per esteso; qui si riporta solo il quadro riassuntivo, abbastanza particolareggiato perchè possa, coll’aiuto del citato riassunto in questo Bullettino, essere completamente inteso e riuscire efficace. (V. il quadro annesso). G. Freda. Sulla crisocolla dei Monti Rossi all’Etna. — Gazz. Chim, . Ital. , 1884, p. 339. Nell’opera di Waltershausen sull’Etna è citata fra i vari minerali ratacamite, e non la crisocolla. Questa specie sarebbe ora stata ri- trovata sotto forma di piccole concrezioni globose sulla lava dei Monti Rossi, presso Nicolosi. Porta impurità di carbonato di calcio e di rame. Tra le varie analisi la più attendibile è : FFO 18,72 Si02 35,41 CuO 44,43 AIA \ FeA / traccie CaO ) 98,56 Cui corrisponde approssimativamente la formula tipica delta criso- colla : CuO SA T 2 HA C. Hintze. Bemerkungen zur Isomorphie des Jordanit und Mene- ghini. — Zeit. f. Krystall. , IX, p. 294. L’autore come relatore nella Zeitsehrift dei lavori sulla meneghinite, impugna la isomorfia, recisamente ammessa da Miers e da Schmidt, fra questa specie e la jordanite. Egli ammette piuttosto che siano isodimorfe le sostanze : 4 PbS, SbaS3 4 PbS, AssS3 e che dei 4 membri della serie ne manchino due. C. Klein. Optische Studien am Leucit. — Nachrichten von der K. Gesellschaft der Wissenschaften und der Georg - Augusts - Universitàt zu Gòttingen , n. 11, 1884. Alla già lunga lista dei lavori che trattano di questo minerale e della sua cristallizzazione, porta ora notevole incremento quésto nuovo lavoro del Klein. 13 — 178 — Riassunta la questione, descritto nelle sue nuove parti lo stru- mento impiegato in queste ricerche, indicato il materiale studiato (cristalli dei M. Albani e più specialmente di Frascati; cristalli del Vesuvio (pioggia di leucite del 1855); cristalli del Vesuvio,, eruzione del 22 giugno 1847; cristalli di Bosco Reale e di Mauro al Vesuvio; cristalli impiantati del Vesuvio; cristalli dalla leucitotefrite di Rocca Monfina; cristalli dal leucitofiro di Rieden, (Lago Laach) viene la re- lazione sulle prove eseguite sui cristalli dei vari giacimenti. Esse conducono alla seguente conclusione: La leucite è rombica (trimetrica) ; però otticamente molto prossima al sistema dimetrico, mentre geometricamente inclina al regolare. Tre individui fondamentali si trovano in generale compenetrati, con o senza prevalenza parziale, e geminati secondo le faccie dell’antico dodecae- dro. Le leuciti in natura furono certo formate ad alta temperatura ed allora erano isotrope. Il cambiamento di sistema fu consecutivo al raf- freddamento ; non si possono dunque le leuciti ritenere come simme- triche, e cioè come un complesso più simmetrico di parti meno sim- metriche, ma sibbene come essenzialmente ed originariamente regolari ed isotrope. Nella boracite e nell’ analcite la leucite trova le corre- lazioni sue più intime ; e da queste gli argomenti migliori per quelle conclusioni. .J. H. Kloos. Beobachtungen an Orthoklas und Mikroklin. — Neues Jahrbueli fùr Mineralogie etc ., 1884, li, p. 87. Fra i cristalli di ortoclase studiati, e specialmente dal punto di vista delle miscele isomorfe, furono anche quelli adulariacei dell’Elba, nei quali si mostrarono in accrescimento parallelo delle lamine di albite. B. von Kolenko. Die Pyroelektricitat des Quarzes in Bezug auf seiu kristallographisches System. — Zeitsehriftfiir Kristallographie von P. Groth, voi. IX, pag. 1. Ricordato soltanto perchè fra i quarzi studiati erano rappresentati anche quelli dei ben noti giacimenti italiani di Carrara e di Palom- baia (Elba). J. A. Krenner. Sulle Meneghinite del Bottino. — Fóldtani Kózlòny , anno XIII, p. 297. Questo minerale, determinato come trimatrico da Q. Sella, portato al sistema monoclino da v. Rath. secondo nuove misurazioni su bei — 179 — cristalli, donati dal Museo nazionale Ungherese, eseguite dal dottore Krenner, dovrebbe ritornare al sistema stabilito da Sella, col rapporto parametrale 0,9494 : 1 : 0,6856. Per evitare ogni dubbio sul materiale studiato, ne fu fatta anche un’analisi quantitativa che diede : Pb 61.05; A g 0.11 ; Cu 2.83 ; Sb 16. 80; As 0.23; S. 17.49; Fe 0.30 = 98.81. P. specif. 6.432. E. Mattirolo ed E. Monaco. Sulla composizione chimica di un dial- lagio proveniente dal distretto di Syssert (Urali). — Atti della R. Ac- cademia di Torino. Seduta del dì 11 maggio 1884. Il materiale fu raccolto dal prof. Arzruni nel distretto diamantifero surriferito. Il minerale comparisce come una roccia e dà per prodotto di decomposizione il serpentino. Inclusioni : magnetite, laminette di scisto, granuli di cromite, e altre. P. sp. 3.18. Comp. : Si02 51.45; Al 03 2.04; Fe.203 2.99; FeO 3.13; CaO 21.47; MgO 19.23; perdita al fuoco 1.12 = 100.43. A cui corrisponde la formula approssimativa : 21 R Si 0, + R (Al, Fé) ;Si Oe H,0 F. Maugini. Sabbia meteorica. — Gazzetta Chimica italiana , 1884, p. 130. L’ ipotesi che il fenomeno della luce crepuscolare sia in correla- zione colle polveri meteoriche è stato abbastanza dibattuto. A Reggio Calabria la sera del 16 al 17 febbraio quel fenomeno fu osservato, ed essendo la notte stessa caduta della pioggia che lasciò un residuo di questo minerale, fu raccolta una parte ed analizzata. Polvere rossa; vi si vede mica, quarzo, altri corpuscoli irregolari di un rosso-granato, altri corpi neri, e sostanze filamentose organiche. Annerisce al cannello, dà acqua, dà odore di sostanza azotata bru- ciata; i grani neri erano magnetici; coll’acido cloridrico, debole effer- vescenza. La composizione minerale sarebbe: Magnetite 6,40 Sostanze insolubili negli acidi. . . . 38;75 » solubili » .... 54,85 100,00 La parte insolubile era costituita da silice, acido solforico, calce, — 180 — magnesia, acido fosforico, ossido ferrico, ossido d’ arsenico, potassa , la solubile di calce, ossido ferrico, acido fosforico, allumina, ossidi di nichelio e .manganese, potassa. La provenienza rimane sempre dubbia; l’Autore esclude che pro- venga dall’Etna. H. A. Miérs. On thè Crystalline Form of Meneghinite. — Miner alo- gicai Magatine , 1884, Febbraio. Le misurazioni eseguite su buoni esemplari esistenti nel British Museum, fanno concludere all’Autore per la trimetricità della mene- ghinite, per la sua isomorfìa colla jordanite. (Convien però notare che gli angoli decisivi, cioè quelli del doma 012 sul pinakoide 010 presen- tano in alcuni cristalli delle oscillazioni, che potrebbero accennare ad una monoclinità del minerale). F. Molinari. La datolite nel granito di Baveno. — Atti delia Società italiana di scienze naturali , voi. XXVII. Milano 1884. Il minerale, raro in questo giacimento, vi fu trovato in tre cri- stalli geminati, che servirono per lo studio analitico e per quello cri- stallografico. Analisi: SiO, 36.21; CaO 35.14, ; B,0, 22.21; ILO 5.81; perdita 0.63 = 100.00, corrispondente alla formula : 2 SiOòCa -f- BaOH -f- H,0. La forma cristallografica è data da una figura axonometrica e da una projezione stereografica eseguite dall’ ing. La Valle, che vi ri- scontrò le forme: 001, 011, 043, 021, 041, 100, 110, 441, 22F. G. Musaio. Nozioni elementari di analisi chimica qualitativa delle sostanze minerali. — Caserta, Giacomo Turi e figli, 1884. È un volumetto scritto per quelli che si iniziano allo studio della chimica analitica; comprende le nozioni strettamente necessarie per eseguire con sicurezza un ricerca qualitativa sulle principali sostanze minerali. È diviso in quattro capitoli : nel 1° si espongono rapidamente le operazioni che più di frequente occorrono nell’analisi per via umida e per via secca; nel 2° l’uso dei reattivi, il modo di riconoscerne la purezza e le proporzioni ; nel 3° le reazioni dei corpi tanto per via umida quanto per via secca; nel 4° il processo generale d’analisi, nel quale le ricerche per una sola base e un solo acido sono esposte in forma di tavole sinottiche. Sono nozioni, specie quelle della prima parte, assai utili, per chè molto particolareggiate. — 181 — Le poche imperfezioni potranno facilmente correggersi e ripararsi con una nuova edizione di questo manuale, che serve veramente più per le analisi inorganiche che non alla determinazione mineralogica delle sostanze minerali. A. Oglialoro. Sullo zolfo delle fumarole di Montecito nell’isola d’I- schia. — ■ Gazi- . Chim. Hai ., 1884. p. 30. E la notizia d’aver trovato nelle dette fumarole insieme a cristalli trimetrici anche di quelli d’aspetto monoclino. Essi sono sotto esame. R. Panebianco. Celestina del Vicentino. — Atti della Società Ve- neto-Trentina di Scienze naturali , Voi. IX, fase. 1°. Padova, 1884. Gli esemplari provengono dalle note località di Monte Viale, Castel Gomberto e Montecchio Maggiore. Di Monte Viale esistono tre varietà : spatica, confusamente cristal- lizzata e cristallizzata. Di Castel Gomberto, la spatica o la cristallizzata. Di Montecchio Maggiore, la spatica, la laminare , e la cristallizzata (cristalli incolori, cristalli azzurri, cristalli incrostanti). Di ciascuna varietà di ciascun giacimento sono riportati i risultati delle osservazioni che si poterono istituire senza distruggere o danneg- giare il materiale, per ora troppo scarso. R. Panebianco. Sulla nuova critica dello studio cristallografico del tartronato manganoso. — Gazzetta Chimica , 1884, tomo XIV. Breve difesa della sua critica sul lavoro del Prof. Pantanelli (V. Bi" bliografìa pel 1883) contro le osservazioni del Prof. Arzruni ( Zeitsch /. Kry stallo graphie. Voi. Vili, p. 311). S. L. Penfield. Ueber Erwàrmungsversuche an Leucit und anderen Minerali en, — N. Jalirb. /. Min., 1884, II. 224. Le leuciti esaminate furono quelle del Vesuvio e della Campagna romana. Interessante resultato è questo : che per una lamina sottile la leucite divenne facilmente isotrópica ; per una più grossa si mantenne la struttura geminata a tutte le temperature che poterono adoperarsi. F. Sansoni. Breve notizia sulla barite di Vernasca. — Rendiconto del R. Istituto Lombardo. Adunanza del 7 febbraio 1884. Seguendo l’orientazione del Miller il dott. Sansoni, trovò, su due bei cristalli di questo minerale, le seguenti forme : 100, 010, 001, 110, — 182 — 130, Oli, 101, 102, 104, 111, 112, 122. Si riserva un ulteriore esame di nuovo e ricco materiale. F. Sansoni. Sulle forme cristalline della calcite di Andreasberg (Hartz). — Memorie della R . Accademia dei Lincei. Seduta del 15 giu - gno 1884. Frutto di più anni di studio e di lavoro sopra un materiale abbon- dante, scelto, ben accertato, è questa notevole Memoria con cui il gio- vane mineralogo, dopo alcuni brevi saggi, si presenta nel campo scienti- fico. Egli fu certamente ben ispirato, ben guidato nella scelta del suo tema, e molto fortunato nel superare gli ostacoli dell’ esecuzione : e questa monografia cristallografica della calcite di Andreasberg, benché intra- presa dopo i profondi èri estesi lavori di tanti benemeriti cristallografi e mineralogi, non poteva non riuscire un nuovo passo nella più perfetta conoscenza di questo minerale, la cui storia è la storia della mineralogia. Introduzione. Rivista critica della bibliografia cristallografica della calcite, specialmente di Andreasberg. Capo I. Cenni sul giacimento geologico e sul materiale studiato. Per la geognosia è riferita la nota opinione di Credner; sulla calcite più specialmente, quella di Breithaupt, che distingue due formazioni, una, più antica, con cristalli grossi, piuttosto semplici, imperfetti, a faccie opache ; l’altra, più recente, con cristalli limpidi, lucenti, ricchi di faccie, ed accompagnata da zeoliti. Capo II. Divisione dei cristalli in 8 tipi principali; descrizione delle nuove e più notevoli combinazioni in essi comprese. I tipi, collegati, naturalmente, alle concomitanza di determinati minerali, e perciò anche alla natura litologica della roccia incassante, e dipendenti anche dalla presenza e dall’ aspetto delle singole forme nelle varie combinazioni, sono così caratterizzati : 1. Tabulare. Vi predomina la base OR col prisma; i cristalli an- tichi sono giallastri, subtrasparenti, con lucentezza grassa, con poche modificazioni; limpidi, poi ricchi di faccie di romboedro e di scalenoedro quelli più recenti. 2. Prismatico. Il più frequente : Prisma con base, a cui s’aggiun- gono pure forme di romboedro, di scalenoedro e di piramide. 3. Romboedrico ottuso. Dato dalla prevalenza di un romboedro ottuso positivo o negativo in cui il rapporto a\c sia 1:0,5; o cioè il coefficiente m nel simbolo di Naumann non sia maggiore di V,. (Nella descrizione questo tipo, il 3° dell’enumerazione, diventa il 5°, ed il 5° il 3°). 4. Romboedrico medio. Formato dai romboedri positivi e negativi, in cui detto coefficiente sia compreso fra V, e 4. 5. Romboedrico acuto. lì valore di m è compreso fra 4 e oc . 6. Scalenoedrico ottuso. Lo scalenoedro più alto è R V3. 7. Scalenoedrico medio. Scalenoedro più alto R5. 8. Scalenoedrico acuto. Tutti gli scalenoedri più acuti dei precedenti. Naturalmente, fra i vari tipi esistono i termini di passaggio. Capo III. Caratteri delle singole forme: oo R, la più frequente; romboedri positivi, 28R, 16R, 13R, 10R, 5R, 4R, % R, R; base OR; romboedri negativi: — t/4 R, incerta; — t/3 R, dubbia; — 3/ioR, — VeR, una delle più comuni; — 2/3 R, — 4/s R, — R? — -8/7R, — -6/5.R, — 5AR, — 4/3 R, — 7/5R, — % R (nuovo), ™ 3/g R, — \\'h R, — 13/8 R, — 9/5 R (nuovo), — 2R, — 12A R nuovo per Andreasberg, -^ R, — lj/4 R, — 7/2 R, — 9/2 R, — 5R, — 8R, — 9R (nuovo), — 10R, — 11R (nuovo per Andr.), — 13R (nuovo), — 14R, — 25R (dubbio). Piramidi e scalenoedri : 2/3 P2, - t/10R7, V5 Rtt/s t/4 R3, t/3 R 7/3 , 2/5 R2, . 5/nR 9/5 (nuovo per Andr.), ,.1/9 R 5/3, 4/7 R 3/2 , 3/5 R13/9 (nuovo), 5/8 R T/d , 2/3 R 4/3 , 7/loR 9/ 7, 8/llR 5A (nuovo), - 4/s R 7/6 (nuovo per Andr.), R 4/3 , Rtt/8 (nuovo), R 7A , R 3/2 , R 5/3 , R12/7 (nuovo), R 9/5 , R2 (nuovo), R3, R13/^ (approssim.),. R 7/2. (nuovo), Rtt/3 , R4, R13/3 (nuovo per Andr.), R5, RL/3 , R17/3 (nuovo per Andr.), R6 (nuovo), Rt9/3 , R2% (nuovo), R7, R8 (nuovo), R9, RII, R12, R13, R16 (nuovo), R17, oo P2 (prisma), 4/3 P2, 4-P2, . ì — 80° 34'. In- teressanti sono alcune sconcordanze fra la forma dei geminati e la loro possibile riferenza ad una data legge di geminazione, ed al si- stema cristallino adottato; ed ingegnosa la spiegazione datane dal pro- fessore E. Scacchi. Caratteri ottici: piano degli assi ottici parallelo al piano di sim- metria; bisettrice acuta nell’angolo acuto delle due faccie più estese; angolo apparente degli assi ottici per la luce rossa del litio =é 47° 45', per la gialla del sodio 48°, per la verde del tallio 48° 15’. La cumarina C9 H6 Os, fus. 67°., ottenuta pure da Oglialoro, forma cristalli trimetrici, (0,9833 : 1 : 0,3696), tabulari, costantemente emimorfi. L’opacità dei cristalli non permise la determinazione dei caratteri ottici, però sono già noti e trascritti nell’opera di Rammelsberg. E. Scacchi. Contribuzioni mineralogiche. — Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli. Adunanza del 28 novembre 1884. E uno studio cristallografico e chimico sull’euclorina, sull’eriocalco e sul melanotallo, minerali già accennati dal prof. A. Scacchi nel 1870. L’euclorina sarebbe trimetrica 0,7616 : 1 : 1,8755, forme 010, 001, 011, 101, 103. Chimicamente sarebbe composta da S03 43,14; CuO 42,82; (Ka, Na?) 14,04 = 100,00. Il cloro non entra nella composizione. L’erio- calco è un cloruro di rame, CuCl2. Il melanotallo un ossicloruro idrato di rame di formula non ben definita. A. Schmidt. Zur Isomorphie des Jordanit und Meneghinit. — Zeit- schrift fiìr Krystallog. von P. Groth; voi. VII, n. 613. Non è detto precisamente che la meneghinite di cui qui si tratta provenga dal giacimento italiano (Bottino, presso Serravezza), oppure da qualche altro; ma dal contesto parrebbe indubitato. Dopo una rivista critica dei lavori di Sella, v. Rath, Krenner sulla cristallografìa di questo solfantimoniuro di piombo, l’Autore, conclude « che l’ isomorfia della jordanite e della meneghinite deve essere ri- tenuta perfetta ». — 186 — G. Spezia. I minerali all’Esposizione generale italiana del 1884, in Torino. Impressioni di un mineralogo. — Torino, Tip. Fodratti, 1884. È una briosa critica del modo con cui i minerali furono disposti, e nello stesso tempo una rapida rassegna del materiale minerale, di- dattico e industriale, esposto in quella mostra. P. Spiga. Sopra un modo di ottenere il solfo prismatico a bassa temperatura. — R. Istituto di Scienze , lettere ed arti , in Venezia . Sedute dei giorni 25 e 26 maggio 1884. P. Strobel. Provenienza dei manufatti prestorici di nefrite e di giadeite. Bullettino di Paletnologia italiana, 1884, fase. 6, 7. Dopo una fine critica delle nuove opinioni e dei nuovi fatti ripor- tati e riguardanti l’importazione o l’esistenza in posto in Europa della nefrite, si arriva alla conclusione: che la questione dall’anno scorso non ha progredito in Germania verso la soluzione; poiché, mentre alcuni nuovi fatti appoggierebbero l’ ipotesi dell’esistenza in posto della giadeite e della nefrite, altri, che sembravano appoggiarla, sono venuti meno o possono essere diversamente interpretati; ed anche soprag- giunsero fatti in favore della teoria dell’importazione di quelle pietre da uno e più centri d’ irradiazione, mentre altri che le erano favorevoli perdettero ogni valore. G. Struever. Sulla columbite di Craveggia in Val Vigezzo. — R. Ac- cademia dei Lincei. Adunanza del 14 dicembre 1884. Si trova col berillo già ben noto di quella località. Un cristallo, misurato, mostrò le forme della columbite, minerale nuovo non solo per l’ Italia, ma per l’ intiera catena delle Alpi. Le forme osservate da un solo cristallo sono 100, 010, 001, 110, 130, 150, 011, 111, 204, 211, già note. E evidente l’analogia di questa combinazione con quella di Bodenmais in Baviera. La durezza è 6. Fra i berilli di Craveggia il prof. Struever osservò alcuni cristalli terminati, e su un piccolo individuo la combinazione 1010, 1120,1011,0001. G. La Valle. Studio cristallografico di due corpi della serie Ma- leinìmide. — R. Accademia dei Lincei. Adunanza del 3 febbraio 1884. Sono la bicloromaleinimide e la bibromomaleinimide. Lo studio è interessante per la morfotropia, perchè dimostra l’ influenza della so- stituzione di 2 atomi di cloro a 2 di bromo per ottenere corpi diver- samente cristallizzati. — 187 — G. La Valle. Sui geminati polisintetici del diopside di Val d’Aia. R. Accademia dei Lincei. Adunanza del 1° giugno 1884. Alcuni geminati provenienti dalla Mussa e composti di 3 e fino di. 7 individui sono stati misurati al goniometro. Queste misurazioni finora non furono potute eseguire stante l’estrema sottigliezza delle lamelle di geminazione. Il lavoro porta ad alcune forme nuove per il diopside e pel pirosseno in generale, ed alla ricognizione di un gemello polisintetico del pirgome di Montajeu presso Traversella, diverso da quelli accennati ma non misurati dal vom Rath. V. Zoppetti. I petrolii d’ Europa. — La Natura , fase. 2, 4, 6, 7, 8, 9. In una serie d’articoli sono studiati geognosticamente ed econo- micamente i petrolii dei vari giacimenti europei, facendo naturalmente conveniente posto ai petrolii italiani. APPENDICE AL 1883. Fr. Denza. Chute d’une météorite a Alfianello, territoire de Brescia (Italie). — Compt. Rend. de V Académie des Sciences , 1883, n. 12. W. Flight. Examination of thè- meteorite which fell on thè 16 th. February 1883, at Alfianello, in thè district of Verolanuova, in thè province of Brescia (Italy). — Geologìcal 'M agazine, 1883, n. 10. H. von Foullon. Ueber die mineralogische und chemische Zusam- mensetzung des am 16 Februar 1883 bei Alfianello gefallenen Mete- orsteines. — Sitz-Ber. der k. Akad. der Wissensch ., 1883, p. 433. Comparando le analisi di Foullon (I) e di Flight (II) si ha: I II Bronzite e feldispato 41. 37 Silicati insolubili 40. 12 Olivina 43. 77 » solubili 50. 86 Ferro-nichelio 7. 60 Ferro-nichelio 2. 11 Pirrotina 7. 45 Troiliti 6. 92 C. Klein e P. Tannasch. Ueber Antimonnickelglanz (ullmannite). — N. Jahrb. fur Min., 1883, I B., Abh.. I cristalli di questo minerale di Monte Narba nel Sarrabus in Sar- degna, si mostrarono indubbiamente pentagonali-emiedrici, mai tetrae- drici come l’ ullmannite descritta da v. Zepharowich. Analisi: S 14,02; Sb 57,43; As traccio; Ni 27,82; Co 0,65; Fe 0,03 fe 99,93 : P. sp. 6,803 a 17.° C, — 188 — G. vom Rath. Ueber Leucitkrystalle von ungewòhnlicher Ausbil- dung. — Sitzungsb. der Niederrhein. Ges.fiìr Nat. u. Heilk., Bonn 1883, p. 42 e p. 115. Sedute del 12 febbraio e 4 giugno 1882. Le operazioni furono fatte su quattro cristalli di leucite dentro quei projetti vesuviani che sono noti come roccia madre della wolla- stonite e delkanortite. Per quei cristalli che poterono essere misurati sarebbe apparsa più opportuna una nuova forma fondamentale, di cui il rapporto assiale : a: e — 1 : 0,5137. — (G. G.) NOTIZIE DIVERSE Echinodermi e altri fossili pliocenici di Anzio. — Bellissimi esemplari di echinodermi si rinvengono nelle roccie plioceniche, che formano costa elevata ( falaise ) sul littorale romano da Torre Caldara ad Anzio e Net- tuno. Gli echinodermi sono molto frequenti nelle arenarie giallastre, a cemento calcareo, dotate di varia coesione, che vengono indistinta- mente chiamate sul luogo col nome volgare di Macco , e che sono da riferirsi alla parte superiore del pliocene (pliocene recente). Tra i fossili raccolti vi ho riconosciuto finora le seguenti specie di echinodermi : Dorocìdaris papillata Leske ( Cidaris ) Echinus melo Lamk. » sardicus Leske ( Echinometra ) Psammechinus (cfr. Ps. mìrabilis Nicol.) Sphaerechìnus granularis Agass. Arbacia (cfr. A. Spadae Desor) Echinocgamus pusillus Muli. ( Spatangus ) Brissus unicolor Leske ( Spatangus ) Eehinocardium cordatum Penn. {Echinus) ScJiizaster canaliferus Agass. » Scillae Desmoul. Hemipatagus sp? Spatangus Desmarestii Mùnst. » Rhodi Gott. — 189 — Oltre le sopra indicate specie, ho osservato un esemplare di echi n! de, nel quale riconobbi subito lo Styrechinus Seillae Desmoul. (Echi- nus) *, ed altro esemplare di spatangoide : Sehizaster Parkinsoni Defr. (Spatangus) 2 nella collezione di fossili del R. Istituto Tecnico di Roma, come provenienti dalle roccie di Anzio. Anche nella Collezione paleonto- logica deirUniversità romana trovasi un modello frammentario di cli- peastroide, che riferii all’ Echinolampas hemisphaericus Lamk., colla scritta « Macco di Anzio ». Un accurato esame delle roccie aderenti a questi fossili li fa escludere tutti e tre dal giacimento di Anzio, e colla massima probabi- lità fa riportare Y Echinolampas hemisphaericus Lamk. al Macco di Palo, che presenta una forma litologica assai simile a quella delle roccie plioceniche deir isola di Pianosa. Di quest’ultima specie raccolsi parecchi esemplari, col guscio di calcite spatica, sulla sommità del Monte Mario (Roma), alla quota di 131 m. circa sopra il mare, negli sterri eseguiti per le trincee del for- tino costruitovi qualche anno fa dal Genio militare 1 2 3; ma fino ad oggi non ritrovai questa specie nel pliocene recente di Anzio. Gli echinodermi di Anzio sono assai bene conservati, e in taluni strati molto abbondanti, ma non è sempre possibile di isolarli comple- tamente dalla roccia che li racchiude. Insieme cogli echinodermi ho estratto i seguenti fossili: Argiope decollata Chemn. ( Anomia ) Terebratula ampulla Brocc. (Anomia) Ostrea cochlear Poli (forma tipica) » lamellosa Brocc. 1 Supponendo esatta la provenienza del menzionato esemplare di Styrechinus Seillae Desmoul., citai tale specie nella memoria: Cenni geologici sulla costa di Ansio e di Nettuno ed elenco dei molluschi pliocenici imi raccolti. Roma, 1884. 2 Lo Sehizaster Parkinsoni Defr. è segnato -tra i fossili del Monte Mario nei diversi cataloghi del Rayneval, del Conti, del Ponzi, del Rigacci. Ho peraltro studiati gli esemplari così determinati colle scritte originali del Rayneval e del Rigacci, che si conservano nelle collezioni paleontologiche dell’ Università di Roma, ed ho pure veduti a Ferrara gli esemplari della Collezione Conti; ma tutti questi ' Sehizaster spettano allo Sehizaster canaliferus, che è l’unico che io abbia rin- venuto in molti anni nelle sabbie del Monte Mario e del quale nei menzionati nata" loghi si citano solo i piccoli radioli. 3 Una notizia relativa al rinvenimento di questi Echinolampas al Monte Ma- rio, trovasi stampata negli Atti della R. Accademia dei Lincei (Ved. Serie terzs, . Transunti, Voi. 2, pag. 131). — 190- Anomia squamula Lin. » costata Brocc. » patelliformis Lin. Pecten opercularis Lin. ( Ostrea ) » » var. Audouini Payr. » pusio Lin. ( Ostrea ) » varius Lin. ( Ostrea ) » ftexuosus Poli ( Ostrea ) » septemradiatus Muli. » inflexus Poli ( Ostrea ) var. Dumasii Payr. Vola lacobaea Lin. ( Ostrea ) Loripes fragilis Phil. {Lucina) Panopaea glycimeris Bora. {Mya var. — P. Faujasii Mén.) Scalarla lamellosa Lam. Turritella duplicata Brocc. {Turbo) Ditrupa coarctata Brocc. {Dentalium) Retepora cellulosa Lin. {Madrepora) Hornera froncliculata Lamx. » striata M. Edw. Fasciculipora Marsillii Michl. {Frondipora) Myriozoon truncatum Pallas e molto altre specie di Briozoari {Membranipora, Cellepora , Lepralia, Eschara , Defrauda ), di Foraminiferi ( Amphistegina ), di Lithotha- mnium , ecc. Le roccie con gli echinodermi ed i fossili ora indicati riposano sul pliocene inferiore, rappresentato da marne, ricche di piccoli foramini- feri a Rhynchonella bipartita Brocc., Ostrea cochlear , var. navicularis, Brocc., Pecten lustrix Doderl-Meli ecc.. La loro sovrapposizione può vedersi nel tratto di costa da Anzio a Tor Caldara. Le stesse roccie sono più antiche dei tufi submarini, risultanti da materiali emessi nelle eruzioni laziali, trasportati a mare e che perciò racchiudono conchiglie e resti di organismi marini. I tufi formano banchi di parecchi metri di potenza a Foglino presso Nettuno. Finalmente le roccie del macco ed i tufi sono ricoperti da un mantello di sabbie un poco argillose, ferrifere, di color giallo-bruno, nelle quali si trovarono due molari su- periori (destro e sinistro) di Elephas antiquus Fale.. R M 1 Riscontrai questa forma nelle marne di Cervetri, che, per la facies dei fossii comunicatimi dall’egregio amico Avv. Tittoni, mi sembrano identiche a quelle di Torre Caldera. ' . - * PUBBLICAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO PARTI PUBBLICATE (al I0 luglio 1885) Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000. Foglio N. 248 (Trapani) » 249 (Palermo) ... » 4 00 » 250 (Bagheria) » 253T (Castroreale) ... » 4 00 » 257 (Castelvetrano) . . . » 258 (Corleone) .... » 259 (Termini Imerese) . . . ... » 5 00 » 261 (Bronte) - » 262 (Monte Etna) ..... Tavola di sez. N. 1 (annessa ai fogli 249 e 258) » 4 00 » » N. Ili annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 00 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500,000 (serve anche di foglio di unione della precedente) prezzo L. 5 00 Carta geologica dell Isola d Elba nella scala di 1/25,000, con sezioni annesse (in due fogli,) prezzo L. 15 00 Carta geologica dell5 Isola d’Elba nella scala di 1[50,000 con sezioni annesse (in un foglio) prezzo L. 6 00 IN CORSO DI STAMPA Carta geologica della Sicilia nella scala di t/100,000. Foglio N. 251 (Cefalù). » 252 (Naso). » 254 (Messina). » 260 (Nicosia). » 265 (Mazzara del Vallo). Tavola di sezioni N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261). Memoria descrittiva dell'Isola d’Elba, con 6 tavole in zincotlpia ed incisioni intercalate nel testo, dell'Ing. B. Lotti, con appendice dellTng. E. Mattirolo. Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio geologico, ovvero alla Librerìa E. Loescher, in Roma. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie II. Voi. VI. Luglio e Agosto 1885. N. 7 e 8. SOMMARIO. Memorie originali. — I. Sul giacimento cuprifero della Gallinaria (Liguria orien- tale), di L. Mazzuoli. — II. Ricognizione geologica da Buffaloria a Potenza di Basilicata, di E. CORTESE. Estratti e riviste. — Studi sugli strati raibliani delle Alpi lombarde, di W. Deeche. Notizie bibliografiche. — A. D’Achiardi, Della trachite e del porfido quar- ziferi di Donoratico presso Castagneto nella provincia di Pisa (Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, Voi. Vili, fase. 1.); Pisa, 1885. — G. G. Gemmellaro, Sopra taluni Harpoceratidi del lias superiore dei dintorni di Taormina ; Palermo, 1885. — A. Portis, Catalogo descrittivo dei talas- soterii rinvenuti nei terreni terziarii del Piemonte e della Liguria (Memoria della R. Accademia delle Scienze di Torino, S. II, Tom. XXXVII). Notizie diverse. — Ancora sul terreno marino quaternario del littorale toscano. — Pliocene alterato dalla trachite di Montecatini Val di Cecina e d’Orciatico in provincia di Pisa. — Pirite e calcopirite nella trachite di Montecatini Val di Cecina. — Sulla parola gabbro. Avviso di pubblicazione della Carta geologica d'Italia. Tavole ed incisioni. — Tav. III: pianta e sezioni della miniera La Gallinaria (L. Mazzuoli), a pag. 202. MEMORIE ORIGINALI I. Sul giacimento cuprifero della Gallinaria {Liguria orientale) ; nota dell’ ing. L. Mazzuoli (con una tavola). Le miniere di rame della Liguria orientale sono intimamente col- legate colle formazioni ofìolitiche esistenti in quella regione. I giacimenti cupriferi, frapposti alle roccie serpentinose, hanno un andamento molto irregolare, e la la loro coltivazione presenta difficoltà superiori a quelle che d’ordinario s’incontrano nelle altre miniere metalliche. Fa quindi d’ uopo eseguire uno studio accurato di ogni singola giacitura, onde possibilmente riconoscere i caratteri che possono servire di guida nella ricerca delle masse minerali ivi disseminate. Un simile studio sarà reso notevolmente più facile se si riuscirà innanzi tutto a fissare le idee sulla genesi delle roccie serpentinose e a stabilire quali rela- zioni esistano fra quelle roccie e i giacimenti metalliferi che esse rac- chiudono. 14 — 194 — Negli ultimi anni varii geologi si affaticarono di proposito attorno alla questione dell’origine delle serpentine, come può rilevarsi da un sunto bibliografico ragionato dell’ ing. Lotti *; e benché rimangano tut- tora diversi punti controversi, pure si è riusciti a raccogliere una co- piosa serie di fatti, la cui interpretazione ha in gran parte risoluto 1’ arduo problema. Tra quei fatti ve ne hanno alcuni che possono inte- ressare anche il minatore ; qui mi limiterò ad accennare i seguenti : a) Le formazioni ofìolitiche sono interstratificate a roccie di sedi- mento, ed i piani di stratificazione degli strati superiori sono all’ in- circa paralleli a quelli degli strati inferiori ; b) Nella Liguria orientale le roccie di sedimento sono eoceniche ed hanno sempre la stessa facies litologica; risultano cioè costituite da scisti argillosi alternanti con calcari; e) Le roccie ofìolitiche comprendono essenzialmente la serpentina, 1’ eufotide e la diabase; cl) La serpentina, al contatto colle roccie di sedimento, o non ha indotto in queste alcuna modificazione, o le alterazioni sono limitate a pochi centimetri di spessore, e in tal caso consistono in leggeri cam- biamenti di struttura; e) La serpentina presenta contatti distinti tanto colle roccie sedi- mentarie, quanto colle altre roccie ofìolitiche. Presso tali contatti esiste quasi sempre un deposito di argilla steatitosa, la quale è spesso metallifera. Da questi fatti, da altri che tralascio per brevità, e sopratutto dalla scoperta della lherzolite in mezzo alla masse serpentinose -, parmi ormai fuori di dubbio l’ ipotesi, già emessa dal prof. Issel e da me 1 2 3, circa 1’ origine eruttiva della serpentina. Devesi quindi ritenere che questa roccia abbia scaturito, durante il periodo eocenico, in fondo ad un mare di notevole profondità, distendendovisi sotto forma di grandi lenti che rimasero inserite fra i terreni di sedimento di quell’ epoca. Col volgere dei tempi tanto le lenti ofìolitiche che le formazioni sedi- mentarie che le racchiudono furono sollevate e costrette a ricurvarsi in numerose pieghe, in parte rotte ed asportate dai fenomeni di ero- sione delle epoche successive. 1 B. Lotti. Contribuzione allo studio delle serpentine italiane e della loro origine (Boll, del R. Com. Geol., 11-12, 1883). 2 L. Mazzuoli. Nota sulle formazioni ofìolitiche della calle del Penna. (Boll, del R. Com. Geol., 11-12, 1884). 3 Mazzuoli ed Issel. Relazione degli studi fatti per un rilieco , ecc. (Boll, del R. Com. Geol., 7-8, 1881). — 195 — I giacimenti cupriferi trovansi quasi sempre in vicinanza alla su- perfìcie di contatto fra la serpentina e le roccie contigue, e si presentano ora in noduli isolati ravvolti in una argilla' steatitosa, ora in piccole vene che si diramano nell» eufotide e nella diabase e talvolta si allar- gano in lenti di notevoli dimensioni. Raramente avviene d’incontrare i depositi metalliferi nell’ interno delle masse serpentinose; vedrassi pero in seguito che questo fatto eccezionale si verifica alla Gallinaria Il minerale più comune è la calcopirite, la quale è spesso disseminata in grandi masse di pirite di ferro. Talora s’incontrano anche l’erubescite e la calcosma. Come accidentalità mineralogica devesi pure citare la presenza del rame nativo. Premesse queste considerazioni generali, tratterò della Gallinaria. La grande massa serpentinosa che dai pressi del Bracco sulla strada nazionale da Sestri-Levante alla Spezia, si protende versò nord fino a Pontori, per una lunghezza di quasi 13 chilometri sopra una larghezza variabile fra 100 e 2500 metri, è apparentemente ricoperta all’ovest dai terreni stratificati, mentre all’est si appoggia ora sulla diabase, ora sull’eufotide. Ho detto apparentemente , giacché diversi fatti, che sarebbe qui fuori di proposito enumerare e discutere, portano a supporre che abbia avuto luogo, durante l’emersione, un rovescia- mento, per il quale le roccie sedimentarie, che si vedono al tetto della massa serpentinosa, rappresenterebbero invece la base della formazione ofiolitica. La miniera della Gallinaria trovasi posta lungo il contatto orientale della succitata massa ed occupa la parte di quel contatto che è com- presa fra il torrente del Bargonasco al sud ed il rio delle Acque al nord E nell’interno di .tale regione che esistono gli adunamenti me- talliferi; fa quindi d’uopo procedere per questa località ad un diligente esame della superfìcie. Sulla sponda destra del citato torrente Bargonasco, ad un centinaio ì metri verso nord dal contatto della serpentina colla diabase, vedesi affiorare, in mezzo a quest’ ultima roccia, una vena di serpentina scistosa biancastra, dello spessore di circa 0,- 80. Questa vena si dirige se- i meridiano, è quasi verticale, con leggera immersione verso ovest. suo affioramento non è continuo e deve in parte rimanere occultato dai detriti caduti dall’alto. Presso al colle, in cui è posta la polveriera, la vena serpentinosa sembra suddividersi prima in due, poi in tre piccole vene, separate tra oro a diaframmi d’eufotide. In vicinanza alla polveriera si osservano a cune accumulazioni di materie ferruginose ossidate, chiamate dai — 196 — minatori del luogo brucioni. Questi brucioni si considerano come pro- mettente indizio dell’esistenza nel sottosuolo di minerali cupriferi, spe- cialmente se sono nerastri, spugnosi e leggeri. Infatti essi risultano dall’ossidazione delle masse piritose, alle quali, come si è detto, trovasi spesso associata la calcopirite. Dal colle della polveriera dirigendosi verso l’antica miniera, le cui gallerie sono aperte lungo la piccola valle della Gallinaria, gli affio- ramenti delle tre vene non sono più visibili, forse perchè ricoperti dal materiale detritico e dalla vegetazione; però se si potessero seguire, credo che quelle tre vene si ridurrebbero prima a due per non formare più lungi che una sola vena. Avvicinandosi alla galleria della Strada , la linea di- contatto fra la serpentina e l’eufotide non apparisce molto distinta, essendovi qualche passaggio fra l’una e l’altra roccia. Qui devo notare che all’eufotide è spesso associata la diabase; ma la prima roccia ha maggiore svi- luppo della seconda. Raggiunta la galleria della Strada, si osserva, presso alla sua bocca, il contatto, che chiamerò litologico , fra l’eufotide e la serpentina; mentre ad alcuni metri verso l’est si ritrova l’affioramento della vena serpentinosa già riconosciuta dal torrente Bargonasco fino al colle della polveriera. D’ora innanzi darò a questa vena il nome di vena orientale. Tanto il contatto litologico che la vena orientale si dirigono all’ incirca secondo il meridiano. Risalendo la vallicella della Gallinaria l’interpretazione della su- perficie diviene sempre più difficile, sia per l’alterazione delle roccie, sia per l’intima connessione che quivi esiste fra l’eufotide e la serpentina. ‘ Pur tuttavia si riesce a seguire l’affioramento della vena orientale che sembra avvicinarsi gradatamente al contatto litologico. Inoltre a poca distanza verso ovest da questo contatto vedesi affiorare un’altra vena, -compresa nella grande massa serpentinosa. Questa vena, cui i minatori danno il nome di vena S. Elisa , è riempita da una serpentina scistosa e steatitosa e presenta salbande distintissime. Varcato il colle spartiacque fra la valle del Bargonasco e quella di Casarza, e discendendo lungo il versante del rio delle Acque, il con- tatto litologico si volge gradatamente verso ovest. L’affioramento della vena orientale non è più visibile, forse perchè si confonde con quello del suddetto contatto litologico. Anche l’affioramento della vena £. Elisa manca, e non è improbabile che si verifichi pure per questa vena il suo 1 Questa connessione costituisce un fatto che in Liguria può dirsi eccezionale. congiungimento col contatto litologico. In tal caso sarebbe in questa regione, che chiamasi La Frana , che dovrebbe aver luogo l’origine delle due vene, orientale e S. Eliso ; e siccome in questa località si rinvennero le più ricche masse di minerale, costituite da calcopirite quasi pura, così sorge spontanea l’ ipotesi che la Frana debba conside- rarsi come il punto di partenza delle emanazioni metallifere che mine- ralizzarono il campo di concessione della Gallinaria. E poi certo che a nord della Frana cessa qualunque affioramento, ed il contatto litologico, dopo aver seguito il contorno di una specie di cuneo diabasico, risale verso nord-est, per raggiungere le dirupate falde del vicino monte Treggin. Compiuto l’esame della superfìcie conviene penetrare nella miniera e vedere quali relazioni esistano fra il sopra e il sottosuolo. Attualmente i cantieri di escavo sono tutti concentrati al piano della galleria S. Maria (V. Tav. Ili, fig. 1 e 2). Supporrò quindi che si percorra questa galleria e si prenda nota dei principali fatti che vi si osservano. L’imbocco della galleria S. Maria trovasi all’est del contatto lito- logico e della vena orientale; così questa galleria è nel primo tratto aperta nell’eufotide e nella diabase e vi resta fino a che incontra la vena orientale, cioè fino a 150 metri dal suo orifìzio. Devesi però no- tare che alla distanza di 50 metri dalla bocca si attraversò una piccola vena di 0,in 50 di spessore, diretta nord-sud, riempita da serpentina. Que- sta vena fu esplorata per un centinaio di metri; ma, riconosciutala sterile, venne abbandonata. Più lungi si ritagliò un’altra vena serpentinosa, che presenta al muro una salbanda molto distinta, formata da una argilla biancastra, steatitosa. Seguendo questa vena, vi si trovò una piccola colonna mineralizzata, chiamata Luigino , nella cui coltivazione si rico- nobbe che l’andamento della vena, sia nella sua direzione che nel suo spessore, era molto irregolare. Ritengo che questa vena debba far parte della vena orientale; in tal caso conducendovi una galleria verso nord si dovrebbe cadere nella S. Maria , a 150 metri dal suo orifìzio, cioè là dove ha luogo l’ incontro di questa galleria colla detta vena orientale. Dopo tale incontro la galleria S. Maria rimase per alcuni metri nella vena; quindi, deviando verso est, rientrò nelle roccie dure (eufotide e diabase) per ricadere poi nella vena che non fu più abbandonata. Si raggiunse così il pozzo Enricoì per cui si stabilì una comunicazione col piano superiore di S. Paolo ; quindi si attraversò una grande co- lonna mineralizzata, chiamata Madia. Ma prima di procedere oltre, fa d’ uopo determinare il significato di questa parola colonna , e dirne la forma, la natura, l’origine. La vena orientale, la vena S. Elisa e le altre piccole vene serper- tinose riconosciute nella miniera della Gallinaria sono d’ordinario sterili. Ma seguendole con una galleria in direzione vi s’ incontrano di tratto in tratto delle regioni mineralizzate, di più diecine di metri di lunghezza» che discendono in profondità in modo da avere il loro asse presso che parallelo alla linea di massima pendenza della vena. È a tali regioni mineralizzate che si dà il nome di colonne. Queste colonne presentano da principio il minerale scarsamente disseminato nella matrice serpen- tinosa, ma a mano a mano che si penetra verso il loro centro la mine- ralizzazione diviene più abbondante e la calcopirite vi si mostra sempre più concentrata. Si deve soggiungere che la concentrazione metallifera non avviene in modo uniforme su tutto lo spessore della vena, ma si verifica ora al suo muro, ora al suo tetto. Sembra quindi assai verosi- mile il supporre che aH’origine tutta la massa serpentinosa fosse im- pregnata di particelle cuprifere, le quali per effetto di forze attrattive molecolari devono essersi raggruppate attorno ad alcuni centri, presen- tando un fenomeno analogo a quello che deve avere avuto luogo a Mon- tecatini; con questa differenza però, che a Montecatini si ebbero noduli puri, voluminosi e compatti, mentre alla Gallinaria le forze attrattive, forse perchè meno intense, lasciarono l’opera loro incompiuta. Tornando ora alla colonna Madia , dirò che al livello della galleria S. Maria essa presenta, secondo la direzione, una lunghezza di.60 metri 1 ; e benché ordinariamente la vena orientale non abbia che una potenza di circa 1 metro, pure nella regione della colonna Madia il suo spes- sore si è aumentato fino a raggiungere i 25 metri. Nella parte allargata il minerale si trova più specialmente concentrato nella regione del tetto. Continuando a seguire la vena orientale colla galleria S. Maria , dopo una zona sterile di circa 30 metri di lunghezza si è incontrata un’altra colonna chiamata Vittorio , la quale continuò in direzione per un tratto di circa 50 metri con uno spessore medio di 0,m80. Nella re- gione della colonna Vittorio la vena orientale non ha presentato alcun allargamento, per modo che il suo tetto ed il suo muro continuarono a rimanere paralleli. Attraversata la colonna Vittorio e rimanendo sempre colla Maria nella vena orientale, si è riconosciuto che alla distanza di circa 40 metri dal confine della colonna la vena devia per alcuni metri verso est, quindi si volge verso N. 40.° 0 con un andamento conforme a quello 1 Al piano superiore di S. Paolo, la lunghezza della colonna risultò di soli 50 metri. — 199 — che il contatto litologico presenta alla superficie. È a questo punto che era giunta l’avanzata nell’ultima mia visita alla miniera. Tornando indietro si trova una traversa che, essendo diretta verso ovest, ha dovuto perforare il diaframma di eufotide, esistente tra la vena orientale ed il contatto litologico, il quale è stato incontrato dopo una lunghezza di 40 metri di galleria. Con quella traversa si è inoltre riconosciuta l’esistenza di una zona metallifera, che chiamerò zona cen- trale, compresa nell’eufotide, zona che non fu coltivata nei piani su- periori, probabilmente perchè rimasta sconosciuta agli antichi coltiva- tori della miniera. Oltrepassato il contatto litologico, la succitata traversa venne con- tinuata nella grande massa serpentinosa allo scopo di raggiungere la vena e la colonna S. Elisa. Nell’ultima mia visita alla miniera trovai che si era incontrata la colonna S. Elisa al suo centro e vi si erano anche aperti, verso nord, alcuni cantieri d’escavo; rimaneva a ricono- scersi la parte verso sud. Non era quindi ancora possibile lo stabilire la lunghezza dell’intera colonna al piano della S. Maria. Questa lun- ghezza al piano superiore di S. Paolo risultò di un centinaio di metri, con uno spessore medio di 0,m80. Mentre il contatto litologico e la vena orientale conservano al piano S. Maria Y inclinazione dei loro affioramenti, sono cioè quasi verticali con leggera immersione verso ovest, la vena S. Elisa invece vi si pre- senta con una inclinazione molto minore e sembra avvicinarsi grada- tamente all’orizzontalità. Al disotto della galleria £. Maria, nella regione della colonna Vittorio, si escavò nell’eufotide un pozzo di 12 metri di profondità, al cui piede si praticò una galleria allo scopo di poter coltivare parte della colonna Vittorio compresa fra questa galleria e la galleria Santa Maria. Si penetrò inoltre nella zona centrale e vi si avviarono al- cuni cantieri, dai quali si ricavò un minerale assai ricco. Riassumendo le osservazioni fatte lungo la galleria S. Maria, si- ha che con questa galleria si riconobbe il prolungamento delle colonne Madia, Vittorio, della vena orientale, e *8. Elisa della vena omonima, colonne che furono già coltivate nei piani superiori. Si scoprirono inoltre la colonna Luigino nella vena orientale e la zona centrale compresa nell’eufotide e situata nei pressi della colonna Vittorio. Per completare ora l’esame dei più importanti lavori sotterranei posti a nord della polveriera devo far cenno delle due gallerie deno- minate Monte Pu e Margherita. La prima, che fa parte delle escavazioni aperte al piano di San Paolo , ebbe per oggetto di esplorare il nucleo diabasico compreso fra la massa serpentinosa della galleria e l’altra massa di Campo Albaro. Con questa galleria, di un centinaio di metri di lunghezza, s’incontrò tratto tratto qualche piccola concentrazione cuprifera e si attraversa- rono pure alcune vene serpentinose con traccie di minerale; mai però si rinvennero depositi metalliferi atti ad essere economicamente coltivati. La galleria Margherita , di 210 metri di lunghezza, è situata nel versante opposto, sulla sponda sinistra del rio delle Acque. Essa venne per intero escavata nella massa serpentinosa, ed essendo allo stesso livello della galleria di S. Paolo , tende a porsi in comunicazione con quest’ultima galleria. Mi occuperò infine di quella parte della miniera posta a sud della polveriera, cioè nella regione compresa fra il colle della polveriera e il torrente Bargonasco, nella quale come si è già visto, esiste l’af- fìoramento di una vena serpentinosa, che io credo corrisponda al prolun- gamento della vena orientale. Per l’esplorazione di quella vena si sono aperte tre gallerie distinte coi nomi di S. Carlo , S. Giorgio e S. Leon- tina , e separate l’una dall’altra da una trentina di metri di altezza. Colla galleria più alta {S. Leontina) s’incontrò la colonna V armoni, il cui affioramento è indicato dai già descritti brueioni , esistenti presso la polveriera. Questa colonna è stata riconosciuta della lunghezza di una trentina di metri con uno spessore medio di circa 1 metro. All’ingresso della galleria intermedia (S. Giorgio) s’incontrò una colonna piccola e povera, rimasta senza nome, di 8 o 10 metri di lun- ghezza, con 0,m 70 di spessore. Più lungi si attraversò un’ altra co- lonna, detta Pochini , di 35 metri di lunghezza con 0,m70 di potenza. Non pare che questa colonna si estenda fino al piano superiore della S. Leontina. Alla distanza di quasi 40 metri dal confine settentrionale della colonna Pochini si trovò la colonna Vannoni , che a questo piano presenta una larghezza di 40 metri, conservando la stessa potenza ri- conosciuta al piano della S. Leontina. Infine colla galleria S. Carlo , in causa del suo poco sviluppo, non s’incontrò che la piccola colonna esistente presso la bocca della gal- leria S. Giorgio. Qui fa d’uopo notare che a sud del colle della polveriera non si eseguì alcuna ricerca verso ovest; nulla quindi può dirsi circa al pro- lungamento in questa regione della vena S. Elisa. Devesi pure soggiungere che il minerale delle colonne Vannoni e Pochini , è più povero di quello delle colonne Madia, Vittorio e San- — 201 — t’ Elisa’, ed anche la mineralizzazione di queste ultime colonne appa- risce tanto più abbondante quanto più esse sono, vicine alla Frana . Infatti dai dati sulla produzione della Gallinaria durante l’ultimo quin- quennio, gentilmente comunicatimi dall’attuale direttore, sig. Emilio Tournès, è risultato che prendendo a considerare la quantità di mine- rale ricavata dalla coltivazione di una zona di 1 metro di altezza, si ebbero sopra 100 parti di prodotto: 43 parti dalla colonna S. Elisa (tenore del minerale 18,50 oI») 25 id. Vittorio id. 14,00 „,») 10 id. Madia id. 17,00 ol») 7,50 id. Luigino id. 13,25 ol») 3,00 id. Vannoni id. 11,26 „,») 8,00 id. Pochini id. 14,75 ol») 3,50 parti da piccole concentrazioni situate al di fuori delle co- lonne (tenore del minerale 15,00 0j0). Queste cifre sono pure fondato motivo per ritenere che la parte più ricca della miniera sia quella compresa fra la colonna S. Elisa e la Frana. Quivi furono aperti, molti anni addietro, alcuni cantieri da cui si ebbe un minerale di ottima qualità. Però l’aver praticato gli escavi a rapina, senza alcuna regola d’arte, fu causa di frane e di av- vallamenti, pei quali i coltivatori d’allora furono costretti ad abban- donare quella ricca regione. Ora fa d’uopo raddoppiare gli sforzi per raggiungere di nuovo la Frana ; dalla quale ho fiducia che gli attuali proprietari potranno ottenere una produzione largamente rimune- ratrice. Porrò termine a questa nota presentando un abbozzo di sezione (V. Tav. Ili, fig. 3) in cui sono raffigurati i principali fatti riconosciuti nello studio della Gallinaria. Questi fatti possono così riassumersi : 1. Il minerale cuprifero è contenuto in due vene di serpentina, una delle quali trovasi compresa nella diabase frammista all’eufotide, mentre 1’ altra è racchiusa nell’ interno di una grande massa ser- pentinosa. 2. Le due vene di serpentina non sono mineralizzate in tutta la loro estensione, ma presentano in certe regioni delle concentrazioni metallifere, che discendono regolarmente in profondità e sono tra loro separate da tratti sterili. 3. Il minerale comparisce pure in piccole lenti irregolarmente disseminate nell’eufotide e nella diabase. 4. L’andamento delle vene serpentinose dimostrasi presso che — 202 — parallelo a quello del piano di contatto fra l’eufotide e la diabase da un lato e la grande massa serpentinosa dall’altro. 5. La zona mineralizzata trovasi tutta in vicinanza del citato piano di contatto. 6. La grande massa serpentinosa è completamente sterile. II. Ricognizione geologica da Buff aioria a Potenza di Basilicata. dell' Jng. E. Cortese. Buffaloria è una località che ha acquistato importanza soltanto dacché vi fu collocata la stazione di diramazione della linea di Cosenza dalla ferrovia jonica. Geologicamente non ne ha affatto, poiché si tratta di una pia- nura alluvionale, formata dal Crati e dal Coscile; però, da quel punto depresso, guardando verso Nord, Ovest o Sud, si vedono delle elevate montagne che promettono tutte di essere interessanti per il geologo. A N.O abbiamo il caratteristico e biforcuto Monte dell’ Armi ed il gruppo del Pollino (che si eleva a 2240 m.), ad Ovest vediamo la Mula di S. Sosti e la dentellata Montea di Belvedere che raggiungono quasi i 2000 metri, formate di trias ed infralias; al Sud, la Sila granitica, che raggiunge altezze consimili. Tutte quelle regioni meritano studii particolareggiati, e non è qui il caso di riferire i resultati delle brevi osservazioni fattevi. Invece può essere interessante per ora il riferire ciò che ho potuto osservare, sulla natura geologica di una regione che si stende fra il mare ed il Pollino, in una ricognizione eseguita nel mese di Luglio del presente anno, ricognizione che fu spinta poi molto avanti in Basilicata, anche oltre Potenza. Essendo stata assai rapida, così sarà breve l’esposizione delle cose vedute, e questa nota sarà più che altro costituita dagli ap- punti presi in cammino, riordinati. Salendo da Buffaloria a Cassano si ritrovano i terreni del pliocene superiore, che tanto si estendono lungo il Crati, a Terranova di Sibari, Spezzano Albanese, a Maiolungo, Roggiano, Tarsia e fino presso Co- senza, dove poi salgono sulle colline. Si tratta di sabbie gialle che riposano sopra argille azzurre ; la separazione fra sabbia e argille che, in causa della differenza di colore sembra nettissima, specialmente in certi tagli sulla destra del Grati, non lo è di fatto. Abbiamo delle sabbie argillose giallastre e delle ar- gille sabbiose azzurrognole, che formano la zona di passaggio fra le argille e le sabbie sovrastanti. Però, in questa località abbiamo un altro membro pliocenico, sempre però appartenente al pliocene superiore, e che sembra sostituirsi quando all’ uno, quando all’ altro dei due membri principali suddetti. Trattasi di un conglomerato, che si trova bene sviluppato, salendo verso lo Spirito Santo di Civita e lungo il Raganello. Tale conglome- rato è formato di ciottoli di calcari secondarii, provenienti dai gruppo del Pollino, e da ciottoli eocenici, provenienti dalla falda N.O di quella catena, e dai monti di Piattici, Albidona, ecc. Questo conglomerato si segue lungo il Raganello e lungo tutte le falde che scendono alla striscia di pianura alluvionale lungo V Jonio. Lo abbiamo a Francavilia Marittima, a Villapiana, allo sbocco della gola del Saraceno, a Trebisacce, ad Amendolara, a Roseto, ecc. Ma sopra ad esso, o insieme ad esso, abbiamo anche le sabbie gialle e le argille azzurre. Veramente anche le argille azzurrognole che lo accompagnano, sembrano quelle che si legano alle sabbie gialle, e queste poi fanno meglio un tutto col conglomerato, apparendo, è vero, sopra di esso, ma mostrandosi qualche volta anche intercalate. Vi è dunque una specie di disordine litologico: il conglomerato dovrebbe trovarsi alia base della formazione pliocenica, rappresentando il primo prodotto deposto dalle acque del pliocene superiore, dopo esser venute a contatto colle roccie eoceniche, cretacee ecc., che for- mavano le masse emergenti; sopra di esso, deposito littoraneo, dovreb- bero trovarsi le sabbie, deposito più lontano dalla spiaggia e le argille, prodotte in fondi più tranquilli o in seni più riparati. Ciò non si riscon- tra, ma lo si spiega. In primo luogo si deve dire che le vallate attuali erano già accennate a quell’ epoca, ed infatti i depositi pliocenici rien- trano nelle insenature, seguendo le anfrattuosità delle falde ; seconda- riamente poi, data la vicinanza dei monti, era naturale che ad ogni nuova tempesta, o ad ogni più importante alluvione, i ciottoli, portati dai valloni o strappati alle spiaggie dalle onde, andassero a ricoprire depositi sabbiosi od argillosi, formati in tempi di calma. Agli sbocchi delle vallate già esistenti, si dovevano pure concen- trare i ciottoli, formando dei conglomerati. Sopra questo cordone di pliocene superiore, che cinge il piede delle colline, si hanno dei depo- siti quaternari, i quali formano generalmente dei terrazzi. Si vedono fra Trebisacce, Amendolara, Roseto, ecc. — 204 — Sono ghiaie o conglomerati, a cemento rosso, costituiti di ciottoli specialmente eocenici; appunto per la loro posizione, ricoprendo i ter- razzi che corrono paralleli alla costa, si distinguono bene dalle for mazioni del pliocene superiore; si distinguono pure pel colore del cemento dei conglomerati, e per la discordanza, in certi punti marca- tissima. Sotto al pliocene abbiamo direttamente P eocene inferiore. Lo ve- diamo allo Spirito Santo di Civita nel Raganello, all* entrata delle gole del Satanasso e del Saraceno, ad Amendolara, ecc. Poco a monte di Amendolara, dove si ha il contatto brusco del conglomerato pliocenico coll’eocene, si presentano delle argille scagliose un po’ variegate, che ricorderebbero quelle dell’eocene medio. Ma, ricordandole un poco, non ne hanno però tutti i caratteri, e sono più da riferirsi a quelle argille che, di tanto in tanto ricorrono nell’ eocene inferiore. Salendo lungo il Raganello o gli altri torrenti nominati, ovvero salendo verso Cerchiara o verso Piattici dal mare, o da Amendolara a Castroregio, si segue benissimo tutta la varietà di roccie di cui è costituito V eocene inferiore di queste regioni. La varietà litologica è grande, mentre è poco variata P essenza mineralogica. Gli elementi principali sono, le argille, la sabbia o la silice minuta e il calcare. Vediamo arenarie in istrati non molto grossi talora grossolane, talora minute,- scisti argillosi, marnosi, galestrini, argille scagliose e galestrine, scisti rossi e neri con venature spatiche, o grigi, fortemente colorati, molto marnosi o calcarei, marne silicee in strati non molto grossi, marne turchine dure in grossi banchi, ma che esposte al]’ aria si riducono facilmente in iscaglie. Se prendiamo P insieme degli scisti galestrini, marne silicee, marne ur chine dure ed alcune arenarie, queste regioni ricordano perfetta- mente i monti presso Arezzo (Alpe di Poti, monti di Castiglion Fioren- tino, ecc.) e di altre regioni della Toscana, anche prossime a Firenze. Gli scisti fortemente colorati sono un poco una specialità della Basi- licata ; le località citate sono infatti prossime alla Basilicata, ed oltre che in esse, ebbi occasioni di vedere tali scisti presso Lagonegro, Lauria, ecc. Nelle altre regioni dell’ Italia meridionale, da me percorse, non ebbi occasione di vedere tali scisti calcareo-m arnesi, colorati. Appa- iono chiaramente lungo il Raganello, sotto Civita, lungo il Saraceno, sotto Piattici, e lungo la fiumara di Oriolo alla regione Gattuzzo. Sotto Oriolo, ed il paese appunto vi è fabbricato, si ha una serie di strati di arenarie grossolane e conglomerati a fini elementi, che ap- paiono intercalati fra le marne. Il vallone di Oriolo vi si è scavato uno strettissimo e profondo varco, a pareti quasi verticali, per arrivare nella fiumara. Esse continuano sulla destra e si prolungano lungo il torrente Scolopetta fino a che Y affioramento è bruscamente interrotto dalle marne. Non ho potuto ben riconoscere se quell’ interruzione di- pendeva da una grande massa di marne e scisti superiori, sdrucciolati fino a ricoprire l’affioramento delle arenarie; ma così mi è sembrato. Sulla sinistra della fiumara di Oriolo, l’affioramento si assottiglia e sparisce. È probabile dunque che anche il giacimento stesso abbia la forma lentiòolare, cosa possibile per arenarie grossolane e conglome- rati, formatisi fra depositi tutti costituiti di fini elementi. I banchi di arenarie però corrono abbastanza regolari, mentre gli scisti di vario genere si vedono generalmente o contorti in posto, o raddrizzati fortemente. In queste regioni, non ho potuto vedere vero macigno , però le arenarie grossolane ricordano bene quelle che, in tante altre regioni, si vedono tanto sviluppate nell’ eocene inferiore. Le argille galestrine e scagliose, intercalate colle altre roccie, si comportano come di solito, e ad esse corrispondono generalmente delle frane e degli scoscendimenti, abbastanza importanti, che finiscono col- l’ interessare poi gli scisti e le marne superiori. Le frane di Gnico, quelle sotto Piattici e sotto Albidona, e lungo la fiumara di Oriolo, sono suf- ficienti a dimostrare la natura di quelle argille. Fra le argille, talvolta fra le marne, si hanno anche degli strate- relli di vero calcare marnoso, grigio ed azzurrognolo, il quale potrebbe servire a dare della calce idraulica, se i calcari fossero più uniformi di costituzione e gli strati meno rotti e contorti. Questa formazione variatissima, di eocene inferiore, si segue al di là di Oriolo, al Petto S. Antonio e nel vallone del Careto. Intanto, prima di procedere oltre, è bene indicare qui la costitu- zione del Monte dell’Armi, che si erge fra le roccie dell’eocene infe- riore, da cui è circondato da ogni parte, ma che si riattacca alla serie secondaria, che dai monti di S. Sosti viene, per il Pollino, a mettersi sotto all’eocene, pendendo sempre verso Est. Sulle pendici verso il Tirreno abbiamo i calcari triasici; si trova poi il retico sviluppatissimo, e, venendo verso il Pollino, il Lias ed il Giurese, mentre poi sul versante Est di questo monte abbiamo il cretaceo, del quale il Monte delPArmi è interamente formato. Si tratta di un calcare, nera- stro alla parte inferiore, più chiaro e più cristallino alla parte superiore, contenente abbondanti rudiste, e riferibile quindi al cretaceo medio. — 206 — In una fenditura del monte, sopra ai molini di Cerchiara, si ha una bella sorgente di acqua sulfurea che esce appunto nella grotta formata da questa fenditura. La temperatura di quest’acqua era di poco superiore alla esterna, essendo questa di circa 20° ; la quantità di acido solfidrico che contiene, non è molto grande. La portata pare possa giun- gere a 250 litri. Essa anima i mulini di Cerchiara, ma una gran parte va dispersa. Riprendiamo ora la descrizione dei terreni incontrati nella escur- sione geologica qui riferita. Al vallone del Careto, a Nord di Oriolo, dall’eocene inferiore si passa bruscamente al pliocene superiore, rappresentato dalle sabbie gialle. Nel vallone della Selva, si cominciano a vedere le sabbie ar- gillose giallastre, le argille sabbiose azzurrognole, e le argille azzurre, e questo insieme si stende verso Cersosimo, S. Paolo Albanese e San Costantino Albanese, sempre in discordanza marcata coll’ eocene in- feriore. San Giorgio Lucano è sulle sabbie gialle che riposano direttamente sulle argille azzurre. Ma il pliocene superiore si estende poi fino sotto Valsinni, Colubraro, ecc., dove si ha’un’altra gran massa di eocene in- feriore, identico a quello descritto, ma con più abbondanti strati di arenarie, talvolta grossolane, talora più simili al macigno. Questa massa di eocene si spinge fino a Tursi, e separa il pliocene prossimo al littorale, di Rotondella, ecc., da quello di Roccanova. Dirigendosi da S. Giorgio Lucano a Senise, passata la fiumana di Sermento, si cominciano a trovare dei conglomerati di ciottoli tondeg- gianti di dimensioni piccole o medie, di roccie eoceniche o cretacee, i quali posano sulle argille azzurre e sembrano quasi sostituire le sabbie gialle ; anzi, talvolta fra il conglomerato si hanno degli strati di sabbie giallastre. Questi conglomerati formano i piani di Rose e Codicino, si esten- dono sopra Noepoli, scendono fino al Sinni a Castel Marino, e di là poi riprendono, potentissimi, dal fiume fino a formare le alture di Chia- romonte, Faldella, ecc. Bisogna risalire di molto il Sinni, oltre Francavilla, per ritrovare le argille azzurre sulla sinistra del fiume, mentre sulla destra esse ap- paiono molto più a valle. Senise sta sulle sabbie gialle ed argille azzurre ; ed infatti, presso il paese si hanno delie fornaci di mattoni, mentre tutto intorno non si hanno che conglomerati. Fra questi conglomerati non bisogna comprendere quelli che for- del R Com. geol d' Italia MINIERA LA GALLINARIA Anno 1885 Tav IH. (L. Mazzuoli) ( Liguria orientale ) ■ . mano il Piano del Mercato, sotto Senise, poiché questi sono d’origine fluviale, formati probabilmente quando il Sinni, non essendosi ancora scavato tutto il varco fra Valsinni e Colubraro, nelle arenarie eoce- niche, formava un lago in quella regione. I conglomerati che formano i monti di Noepoli, Chiaromonte, Fal- della, si ritrovano poi lungo il Serrapotamo, sotto Castronovo, a Cal- vera, alla fiumara di S. Chirico, sulla sinistra dell’Agri, ad Armento, e fino lungo il Sauro. Alle volte sono ciottoleti quasi sciolti, in altri luoghi vere puddin- ghe, dure al punto da servire da costruzione, e simili a quelle di Lom- bardia (ceppo), generalmente a stratificazioni lenticolari, alternanti con strati, pure lenticolari di sabbie gialle, e di sabbie argillose. Questi conglomerati, formati, come ho detto sopra, di ciottoli cre- tacei ed eocenici (calcari ippurltici, calcari nummulitici, quarziti, are- narie, marne dure, ecc.) sono identici a quelli che si hanno lungo la fiumara di Atella, e che formano i monti della sinistra di questa. Al- T incontro di quella fiumara eoll’Ofanto, posano sulle argille azzurre, come a Noepoli, ecc. ; mentre lungo la fiumara di San Chirico, di Ar- mento, posano sopra l’eocene direttamente, come lungo la fiumara di Atella. In quelle regioni come in queste, appaiono addossati bruscamente al terreno più antico, elevandosi dal letto del fiume a formare monti di considerevole altezza, ma sembrano quasi fondersi e sostituirsi al pliocene superiore. Le stratificazioni non sono sempre regolarmente in posto, ma ap- paiono disturbate e* sollevate, specialmente dall’Ovest, dove appaiono l’eocene inferiore ed i monti cretacei di Labronico, S. Chirico, ecc., verso 1’ Est. Pare che i conglomerati suddetti sieno stati riferiti al quaternario, ma a me hanno fatto l’impressione che essi piuttosto debbano ascri- versi al pliocene superiore. Già a questa epoca aveva riferito quelli veduti lungo la fiumara d’ Atella, perchè là il bacino essendo più ri- stretto, non si può facilmente ammettere che, oltre le marne azzurre, cioè al pliocene medio o superiore, debba essersi anche deposto del quaternario, mentre tutto ha il carattere di un piccolo bacino locale plio- cenico, che fa riscontro col pliocene formatosi al di là del Vulture verso mare. Altri argomenti per ritenere pliocenici quei conglomerati sono i seguenti : In primo luogo vi si trovano intercalate delle sabbie gialle, tal- volta argillose, analoghe a quelle del pliocene superiore; in secondo — 208 — luogo si vedono gli strati disturbati, al contrario di quelli dei ciottoleti quaternarii che formano i terrazzi del littorale ; in terzo luogo, final- mente, ai piani di Palarreta (sulle carte, ma detti di Melaneiana lo- calmente) di Magrizza, di Vaccuta, dei Faggi, del Monte Pellegrino, ecc., che si stendono da sopra Calvera verso Roccanova, si hanno dei con- glomerati di ciottoli analoghi a quelli dei precedenti ; ma a cemento rosso, a strati orizzontali, differenti dai conglomerati formanti la massa principale ed analoghi a quelli del littorale, e che rappresentano quindi completamente il quaternario. L’importanza della formazione di quei conglomerati, il loro, quasi sostituirsi al pliocene superiore, fanno credere fortemente trattarsi di un deposito del pliocene superiore piuttosto che quaternario. Non avendo dati paleontologici del resto, l’ una e l’altra ipotesi potrebbero soste- nersi, tanto più che fra il pliocene superiore e il quaternario inferiore, non è forse possibile stabilire una precisa demarcazione. Ma il fatto di avere altri conglomerati, a cemento diverso, in strati orizzontali e discordanti con quelli della massa principale, e simili ai conglomerati dei terrazzi littoranei, mi induce, fino a prova contraria convincente, a ritenere che questi conglomerati, formanti la grande massa da Noepoli a Faldella ed Armento, sono da riferirsi al pliocene superiore, e che sostituiscono le sabbie gialle, in quelle località dove all’ epoca della loro formazione, per condizione di basso fondo o di alluvioni speciali, o di agitazione del mare, non potevano generarsi depositi di tenui elementi. Passando da Senise a S. Chirico Raparo, si traversa dunque per lungo tratto la formazione dei conglomerati pliocenici, finché sui piani sopra mentovati si incontrano quelli quaternarii. Arrivando alla fiumara Noceto, o di S. Chirico, si trovano i con- glomerati pliocenici, addossati alle sue rive ; ma l’eocene inferiore, pog- giante sull’ ippuritico di Monte Raparo e del Raparello, si insinua in tutti i valloni della sinistra del Noceto. Infatti, anche presso S. Chirico, il profondo vallone che si precipita ai piedi del paese, mostra un brusco contatto fra il conglomerato e l’eocene inferiore. L’eocene è identico a quello di Oriolo, di Castroregio, ecc.; diver- sifica un poco da quello di Latronico. A Latronico, per accennare soltanto quello che fu da me veduto alcuni anni sono, si ha il cretaceo al Monte Alpe, continuazione del cretaceo di Monte Raparo e di Castel Saraceno, che sorge fra l’eocene. Ma dell’eocene abbiamo costì una zona ancora più bassa, come abbiamo pure rappresentata un altra suddivisione del cretaceo. L’eocene più basso è rappresentato : non solo dal calcare nummu- liticp, che copre in una parte il Monte Alpe, e che si trova poi, for- mante dei poggi verso Castelluccio, ma anche da scisti neri e scisti galestrini bruni contenenti delle masse di serpentine, visibili appunto fra Castelluccio e Latronico, a S. Severino, ecc. Il cretaceo più alto è rappresentato da scisti calcareo-marnosi rossi e biancastri, a macchie, simili alla scaglia dell’Appennino centrale, da cui differiscono pel solo colore, che non è così uniformemente rossastro. A S. Chirico abbiamo del travertino, in due masse staccate, una al piano di S. Vito, una dentro al paese stesso. Questo travertino, si- mile a quello di Latronico, generato, forse come quello da acque ter- mali che scaturivano dai vicini monti cretacei, è molto spugnoso, poco atto per costruzioni importanti, ma usato localmente con vantaggio nelle case di abitazione civile. Andando verso S. Martino d’Agri, si lascia, a sinistra il cretaceo di Monte Raparo e del Raparello, a destra le colline di conglomerato pliocenico con poche argille sottostanti, che corrono lungo il Noceto, e si cammina sempre fra l’eocene inferiore, contenente strati di calcare marnoso e di arenarie grossolane. Quando si arriva al fiume Agri, si trova che a valle il fiume scorre fra altissime ripe del solito conglo- merato; verso monte invece, questo cessa presto; si vede il fiume scor- rere fra una zona di eocene inferiore, e più in alto, alla Serra del Monte, traversare un lembo di scisti rossastri del cretaceo superiore, analoghi a quelli di Latronico, che si riattaccano all’ ippuritico di Saponara, Vig- giano, Tramutola, ecc. Risalendo la fiumara di Armento, si corre sempre fra i conglome- rati; fi eocene inferiore si avanza in tutti i valloni che si gettano sulla fiumara, anzi nel vallone di Armento si vedono gli strati di conglome- rato pendere fortemente ad Est, addossati alle marne eoceniche che arrivano quasi alla fiumara. Al contatto fra i conglomerati e quelle marne si ha l’acqua, e le fontane di Armento sono appunto situate su quel contatto. Sulla sinistra della fiumara di Armento, gli strati di conglomerato seguitano colla pendenza ad Est, e sembrerebbe che andassero a di- sporsi sotto le argille e le sabbie del pliocene superiore, di Aliano, Gallicchio, Missanello, ecc. Poco a monte di Armento spuntano le vere argille azzurre plioce- niche, che si spingono, oltre il displuvio, nella valle del Sauro, appog- giando bruscamente sulle marne dell’ eocene inferiore, ed in qualche punto sulle argille variegate dell’ eocene medio, come avviene prima 15 — 210 — del vallone di Corleto. Sulla destra del Sauro, sul contrafforte che ne divide il bacino da quello della fiumara di Armento, si vedono le sabbie gialle riposare sulle argille azzurre disponendosi sotto, o sostituendo il conglomerato. Il pliocene superiore seguita sotto Corleto, sotto Guardia, a Guardia. Rappresentato dalle marne azzurre, talvolta molto sabbiose, segue lungo il Sauro, al confluente coll’Acinello, sotto Stigliano, ad Aliano, e forma poi una regione estesissima, poco pittoresca, ma caratteristica, ove si trovano Craco, Montalbano, Pisticci, Ferrandina, ecc. Al di là del Ba- sento sappiamo che si estende fino a Matera ed a Gravina di Puglia. Salendo a Corleto, si lasciano presto le argille variegate delPeocene medio, e si rientra nell’eocene inferiore, su cui è fondato il paese. Nè progredendo oltre verso Laurenzana è che si trovino terreni gradata- mente più recenti, come il miocene inferiore, ecc. Il miocene inferiore, riposante sulle argille scagliose dell’ eocene medio, lo abbiamo, rappresentato dalle solite arenarie quarzitiche gialle, a Garaguso, Oliveto, Accettura, Stigliano, ecc. ; e rappresentato da con- glomerati, a Pietrapertosa, presso Castelmezzano, ecc. Salendo da Corleto al Timpone Santa Maria, e andando verso Lau- renzana, si trovano invece degli scisti galestrini, e dell’arenaria a ce- mento calcare che sembra la pietra forte di Firenze, e la formazione prende l’aspetto del cretaceo superiore, tanto più che verso Laurenzana passa a quei calcari scistosi rossastri, verde-chiari e biancastri, che ricordano, come fu detto sopra, la scaglia dell’Appennino centrale. In qualche strato di calcare, che si trova fra gli scisti galestrini, simile alle brecciole nummulitiche, non mi fu possibile rinvenire una nummulite; invece, negli scisti galestrini e nei calcari scistosi, mi oc- corse di vedere delle impronte, di cui alcune sembravano di pesci, ed una di un pezzo di Inoceramo. Questo insieme di scisti galestrini, calcari brecciolati, pietra forte e calcari marnosi e scistosi, variegati, passa verso il Monte Capodutto e si collega al Bosco della Maddalena, sopra Marsiconovo. Da Laurenzana andando ad Anzi, si trova una depressione, ove concorrono varii valloni, che costituiscono poi un affluente del Basento. In questa depressione, abbiamo una massa pliocenica, che si stende verso Ovest, fino presso Calvello e sotto Abriola, risale sulle pendici sotto Anzi, appoggiandosi con brusca discordanza alle arenarie grosso- lane su cui è fondato quel paese. L’eocene inferiore in quel punto in- fatti è raddrizzato, e gli strati quasi verticali, mentre il pliocene è in strati poco inclinati. - 211 — Si tratta del solito pliocene superiore, rappresentato da conglome- rati, argille e sabbie, il tutto promiscuo, in modo da aversi strati di sabbie argillose fra i conglomerati, e viceversa. La Coppa d'Anzi, e i dossi che si salgono per andare da Anzi alla Caprara, sono costituiti dalle multiformi roccie dell’ eocene inferiore, già descritte. Alla Caprara, si cominciano a trovare gli scisti galestrini, rossi e bruni, con strati di calcare compatto, a vene spatiche, e strati di pie- traforte. insieme a questi si hanno delle marne diasprigne verdi e rosse, m 1 strati contorti, e della scaglia rosso-vinata simile a quella delFAppen- nino centrale. Questo insieme di roccie si estende molto ad ovest, ed infatti va a formare la Serra di Calvello, il Monte della Maddalena, passa il Monte Yoltorino di Marsico, e di là. per Castel Glorioso, si spinge poi a Brienza, S. Angelo delle Fratte, Salvia, Vietri di Potenza, ecc. La formazione suddetta segue quella dei calcari ippuritici che si hanno nelle stesse regioni; si dimostra invece profondamente discor- dante dall’eocene inferiore, dalla Coppa d’Anzi e dai dossi al sud della Caprara. Essa spingendosi verso il Basento, sporge fra l’eocene infe- riore che rimane al Sud, e Feocene medio che si ritrova al Nord, scen- dendo verso il Basento sotto Potenza. Il contatto delle marne diasprigne e della scaglia colle argille variegate è molto brusco; infatti quelle si dovano in strati enormemente disturbati, raddrizzati, contorti, ecc., mentre queste, al solito, non manifestano quasi alcuna stratificazione marcata. Scendendo finalmente al Basento, si trovano gli ultimi speroni dei contrafforti, ricoperti di pliocene superiore. Si ha un conglomerato identico a quello di Chiaromonte, Calvera, ecc , e delle argille azzurro- gnole e giallastre, piene di fossili. Queste passano finalmente a formare il colle su cui è Potenza, diventando più sabbiose alla parte superiore e sopportando qua e là dei lembi di sabbie gialle. Ma senza arrestarsi bruscamente a Potenza, aggiungiamo qui qual- che indicazione sulle formazioni riconosciute in altre parti della Ba- silicata. Il pliocene continua lungo la Valle del Basento; a monte, i conglome- rati si estendono fino ad Avigliano ed a Baragiano, e misti colle sabbie costituiscono ancora delle collinette lungo il fiume Platano, fino alla sta- zione di Bella. L’eocene medio rappresentato dalle argille scagliose si continua verso Avigl.ano, Acerenza, ecc., a Tito, Picerno, sotto Bag- giano, fino presso Bella. I monti sopra Bella (il Bosco di Croce ferrata), sotto costituiti dagli scisti galestrini, marne diasprigne verdi e rosse, calcari marnosi e scagliosi, che vi continuano fino a S. Fele, appog- giandosi sopra i calcari a rudiste che si sviluppano immensamente ad Ovest, a Muro, Laviano, Menna, Valva, Buccino, ecc. L’eocene inferiore, non è più rappresentato che dal calcare num- mulitico, il quale si trova sparso, in lembi staccato, fra Bella e S. Fele, sopra il cretaceo superiore. A S. Fele riprendono le argille scagliose, che, per Ruvo, Rapone, S. Andrea di Conza, ecc., cingono l’ippuritico (di Laviano, Menna, ecc.), e vengono ad insinuarsi fra Laviano e Calabritto. Presso Ruvo, abbiamo poi la fiumara d’Atella dove si ritrovano quei conglomerati pliocenici, già citati, identici a quelli delle vallate del Sinni e dell’Agri. Lungo Y Ofanto, alle falde del Monticchio (Vulture) abbiamo il travertino, e così si completa l’analogia delle roccie che si trovano nelle varie parti di Basilicata. Riassumendo ora la serie dei terreni, con le indicazioni delle loca- lità dove ciascuno di essi domina, abbiamo: 1. Alluvione moderna. — Le spiaggie di mare, ed i letti delle fiumare e dei fiumi principali : Fiumara d’ Oriolo, Sermento, Sinni, Ser- rapotamo, Agri, ecc. 2. Alluvione antica. — Fondi di laghi formati dal fiumi: Piani del Mercato, di Santa Lucia, ecc., lungo il fiume Sinni. 3. Quaternario. — Ciottoleti e conglomerati a cemento rosso: Terrazzi del littorale ionico, Piani di Palarreta (Melanciana), di Ma- grizza, Vaccuta, dei Faggi, di Monte Pellegrino, ecc. 4. Pliocene superiore. d) Argille azzurre e sabbie gialle : Trebisacce, Amendolara, Roseto, del Careto, Canale della Selva, S. Giorgio Lucano, S. Costantino Albanese, Anzi, Calvello, Potenza, Guardia, Aliano, Craco, Montal- bano, ecc. b) Conglomerati, puddinghe dure, sabbie: Civita del Pollino, Trebisacce, Amendolara, Noepoli, Chiaromonte, Senise, Faldella, Cal- vera, Castronovo, Roccanova, fiumara Nocito, Armento, Avigliano, Baragiano, fiumara d’Atella, ecc. 5. Miocene inferiore. — Arenarie gialle e conglomerati : Stigliano, Accettura, Oliveto, Garaguso, Pietrapertosa, Castelmezzano, ecc. 6. Eocene medio. — Argille scagliose variegate: presso Corleto, Stigliano, Accettura, Garaguso, presso Potenza, Tito, Picerno, Bella, Ruvo, Conza, ecc. 7. Eocene inferiore. — 213 — a) Scisti galestrini bruni, scisti neri con serpentine, calcari num- mulitici-Castelluccio, Latronico, ecc. b ) Scisti galestrini, scisti marnosi, scisti colorati, arenarie grossolane, marne dure, ecc. ecc.: Civita del Pollino, Cerchiara, Piat- tici, Albidona, Alessandria del Carretto, Castroregio, Oriolo, Valsinni, Colubraro, S. Chirico Raparo, Montemurro, Corleto, Anzi, ecc. 8. Cretaceo superiore. — Scisti galestrini, marne diasprigne, cal- cari a vene spatiche, pietra forte, scaglia : Latronico, Fiume Agri, sotto Saponara, Laurenzano, Bosco della Maddalena, Calvello, Abriola, Monte della Caprara, Tito, Salvia, Vietri, Bella, S. Fele, ecc. 9. Cretaceo medio. — Calcari ippuritici, nerastri alla parte infe- riore, bianchi o giallastri alla superiore. Falde orientali del Pollino, Monte delTArmi, Cerchiara, Bosco della Maddalena, Monte Vulturino, Brienza, Muro, Laviano, Valva, ecc. ESTRATTI E RIVISTE Studio sugli strati raibliani delle Alpi lombarde , di W. Deecke. (Da una Memoria inserita nel Neues Jahrbuch far Min ; Geol. u. Palaent ; III. Beilage Band, 1885). Gli strati raibliani formano in Lombardia, non tenendo conto della regione situata fra il Lago Maggiore ed il Lago di Lugano, nella quale non furono peranco studiati a sufficienza, una zona interrotta o meglio parecchie zone contigue che, da ponente a levante, trascorrono da Lugano sino a Lodrino e Vestone in Val Sabbia, passando per No- biallo, pel gruppo della Griglia, per Barzio in Val Sassina; per S. Giovan- bianco e Dossena in Val Brembana; per Gorno, Ponte di Nozza e elu- sone in Val Seriana; per Monte Pora, Ceratello e Qualino in Val Ca- monica; per Toline, Zone ed Inzino in Val Trompia. Giunte in prossimità del Lago di Garda, raggiungono uno sviluppo considerevole e poi s’inflet- tono quasi ad angolo retto verso Nord ed abbandonano il territorio lombardo al confine di Val Trompia superiore, di Giudicaria e di Val Sabbia. A più facile studio di questi strati nelle singole regioni da loro — 214 — percorse, giova dividere F intera zona dei medesimi in tre distinte se- zioni, vale a dire, in una zona occidentale che arriva sino al Lago di Como, in una centrale, da questo sino alla Val Camonica, ed in una terza occidentale sino alla Val Sabbia inclusivamente. La metà orientale della zona di mezzo presenta facies calcarea, mentre nella sua parte occidentale predominano i tufi e le arenarie; cosicché questa zona eh’ è altresì la più estesa, può suddividersi in due altre sezioni. In con- clusione si possono distinguere pel raibliano di Lombardia le seguenti regioni : I. Regione ad Ovest del Lago di Como ; IL Regione fra il Lago di Como ed una retta tirata dal Monte Arerà al Monte Alben, passante per il Col di Zambia ; III. Regione tra il Col di Zambia e la Val Camo- nica; IV. Regione tra la Val Camonica e la Val Sabbia (Lago di Garda). I. Regione a ponente del Lago di Como. Lo studio geologico del terreno triasico fra il Lago di Como ed il Lago Maggiore è reso diffìcile da accidentalità tectoniche, da potenti masse eruttive e da materiali detritici che ricoprono il suolo. Fra Porlezza e Menaggio, ove le condizioni sono maggiormente evidenti, risulta, dietro concordi indicazioni di parecchi geologi, il seguente profilo a partire dalla roccia di base: 1. Servino; 2. Muschel- kalk; 3. Calcare d’Esino; 4. Banchi alternanti di marne calcari grigio- giallognole e di calcari neri, fìssili; 5. Gessi di Xobiallo e Logo; 6. Dolomia principale ; 7. Infralias. Soltanto nel quarto e quinto membro della serie si possono ricercare gli equivalenti del raibliano, ed in ispecie nel quinto, sapendosi che nel trias delle Alpi meridionali non si hanno che due soli depositi di gesso, vale a dire, uno inferiore tra il servino ed il muschelkalk ed uno superiore entro gli strati di Raibl, immedia- tamente sotto la dolomia principale. Il primo resta escluso ad evidenza, mentre la posizione del secondo caratterizza per raibliano anche il gesso di Nobiallo. In Val Gregno inferiore il terreno è tutto coperto da detrito glaciale, e soltanto sotto Logo ricompaiono i calcari raibliani, che per l'Alpe di Gottro si dirigono ad Ovest lungo il versante meri- dionale del Monte Piantaggio, sino in Val Solda superiore, dove si sviluppano notevolmente a Nord di Drano per poi, ripiegando a S.O, raggiungere, a lembi staccati, il Lago di Lugano. La mancanza di questi strati in alcuni punti fra Porlezza e Lugano avvenne forse in conseguenza della pressione esercitata dalle soprastanti masse dolomitiche; fenomeno che si osserva anche in Val Brembana. E probabile che appartengano — 215 — al raibliano anche i calcari fettucciati di Val Gana e di Val Cuvia ai quali sovraincombe la dolomia principale, mentre loro sottostanno delle do- lomie che per età non, corrispondono nè al calcare d’ Esina, nè al mu- schelkalk. Pare invece indubitato che facciano parte del piano di Raibl il gesso ed i calcari scistosi di Arogno ricoperti dalla dolomia prin- cipale. II. Regione fra il Lago di Como ed il Col di Zambia. 1. Gruppo della Grigna. — Questa massa montuosa non presenta gli strati raibliani che a singoli appezzamenti isolati. Si rinvengono ai Prati d’Agueglio presso Esino; poi, benché assai scarsamente, sul lato superiore Sud di Val d’ Esino; quindi nei dintorni di Rongio, a Sud di Val Meria, sulla sinistra del torrente. Da questo punto si spingono, passando sotto il detrito glaciale, sino al delta di Mandello, traver- sando Luzeno, Motteno e le case superiori di Maggiana, per volgere poi ad Est e salire pei versanti di Val Gerona, sino alle spianate della ÌPendolina. Di qui, presso Alpe di Cavallo e Alpe Li Campi, essi piombano a Ballabio superiore, e scompaiono sotto i detriti della valle, e, al di là di questa, sotto la dolomia principale del Monte Albano. Più in là, ricompaiono in Val Galdone, passano sotto i primi terrazzi fra Acquate e Germanedo ove s’ interrompono bruscamente contro il grande rovesciamento di strati liassici quivi esistente; si riveggono però formare, molto più sopra della pianura, un5 esile striscia al di sotto della cresta del Resegone. Più sviluppato che non altrove, osservasi il rai- bliano nel bacino di Barzio-Concenedo, ove però è ricoperto in mas- sima parte da detrito glaciale; sortendo dal quale bacino, si restringe, sale per la valle eh’ è a Nord di Moggio sino alla Baita di Bobbio e, cacciandosi in forma di striscia di appena 300 m. di larghezza fra le masse dolomitiche della Baita e dei Zuccone di Campello, passa a Vai- torta in Val Stabina. Un’ ultima porzione di strati raibliani forma le praterie delle Stalle d’ Alghero, presso 1’ Osteria di Balisio ad Est del torrente Pioverna. In tutti i suindicati punti gli strati suddetti poggiano senza ecce- zione sul calcare d' Esino e sono coperti dalla dolomia principale. Fra Lecco ed Abbadia la serie statigrafica dei trias medio si presenta più completa che non negli altri punti del gruppo della Grigna. In ordine ascendente si osservano i seguenti membri: Calcare d’ Esino; calcari lastriformi ( Plattenkalk ) grigi i quali in tutto il terreno montuoso fra i laghi di Como e d’ Iseo sono a ritenersi come base degli strati raibliani. — 216 — ' Seguono arenarie tufacee rosse e marne scheggiose varicolori, costituenti la massa principale di detti strati e che corrispondono ai depositi va- ricolori di Val Brembana. A queste sovrastanno dei letti sottili di calcare e delle marne verdi o grigie, gessifere, con traccie di rauchwacke, sulla quale ultima giace la dolomia principale di Zucco del Pertusio e della Grigna meridionale. Quest’ orizzonte di rauchwacke è meglio sviluppato sull’Alpe di Cavallo sopra Ballabio superiore, ed anche quivi segue immediatamente sopra di esso la dolomia principale. In altri punti del gruppo la serie è mancante di alcuni membri, o per lo meno questi sono resi invisibili. Così è, a mo’ d’esempio, in Val Galdone, ove non compariscono i calcari lastriformì mentre invece le arenarie tufa- cee non vi sono tanto sviluppate quanto in Val Sabbia presso Treviso bre- sciano, e son caratterizzate da speciali concrezioni calcareo-dolòmitiche, di forme e grandezze diverse, dotate di un involucro di argilloscisto cal- careo nero o rosso che le fa somigliare a delle bombe vulcaniche, ovvero a dei pezzi di porfido. Sulle arenarie rosse sta una zona di calcari oscuri, ben stratificati e venati di bianco, che passano superiormente alla do- lomia principale. Mancano affatto la rauchwacke e le marne gessifere, che però si riscontrano più in là, sulla via tra Ballabio e Morterone, sotto alla dolomia principale. In altri punti dei dintorni di Lecco il rai- bliano non presenta alcunché di straordinario, bensì vi è sviluppato principalmente col suo orizzonte tufaceo e forma il fondo sia della insenatura Laorca-Rancio, come delle prime colline fra Monte Albano, Acquate e Germanedo. Gli strati con coralli ed i calcari scistosi con bactrilli, osservati dal Mojsisovics presso Acquate, sono da ritenersi per strati raibliani ; il loro abito petrografìco rammenta gli strati rai- bliani superiori' che si osservano fra Oltre il Colle ed il Col di Zambia, i quali corrispondono ai calcaci lastriformì in cui anche altrove (Con- cenedo) si rinvennero dei polipai. Gli orizzonti tufaceo e calcareo mancano ad Esino e sopra Bal- labio superiore; in quest’ ultimo punto, sul calcare d’ Esino, che nella sua parte superiore si stratifica e contiene della blenda o della cala- mina, poggiano addirittura ed esclusivamente i calcari lastriformì , es- sendo le arenarie tufacee state esportate dall’ erosione. Gli effetti di questa si appalesano ancor maggiori ad Esino, ove sui versanti del Sasso Matto- lino e del Piz di Camallo non rimangono del raibliano che i calcari a lastre, mentre nulla affatto resta di esso sui lembi S.E e S.O della Valle di Esino: in questa la massa principale delle tre sue morene è costituita da frammenti di calcare parimenti raibliano. Scarsi sono i fossili rinvenuti sin’ ora dagli autori nel raibliano — 217 — della Grigna, ma tuttavia sufficienti per stabilirne l’età geologica. I più noti sono: Gervillia bipartito , Plieatula sp., Pecten filosufi , Myo- concha Curionii , Cardinia problematica , Trigonia Kefersteini , Corbis Mellingiì coralli ecc. ecc., le quali forme corrispondono a quelle prin- cipali della fauna del territorio ad Est della Grigna; cosicché questo elemento e Y identità di giacitura e di facies petrografia costituiscono i mezzi più sicuri per poter parallelizzare questi strati raibliani occi- dentali, fin’ ora poco noti, alle formazioni constatate nella regione di levante. Il complesso raibliano più importante che si presenti ad Ovest della Val Brembana è quello del bacino di Barzio-Concenedo. Movendo dalla gola di Ponte Chiuso che separa la parte media della Val Sassina dalla superiore, si riscontra su ambo i fianchi di questa chiusa il cal- care d’Esino , rappresentato dalla parte di Pasturo da un grande ed unico blocco, mentre dal lato di Barzio principia a decorrere una po- tente zona di detto calcare, la quale passa in Val Stabina. Questo cal- care fa parte degli strati superiori del piano d’Esino, lo che è addimo- strato dal fatto che anche qui, come alla Pendolina, sui calcari chiari non stratificati poggiano direttamente i calcari lastriformi grigi, venati, con bivalvi, i quali corrono paralleli alla catena di Bobbio dietro Barzio e Concenedo, e giunti a mezza altezza della montagna, dove, come ad Acquate, racchiudono dei polipai (Calamophyllia), convergono alla Forcella di Cedrino per la quale si dirigono al versante Nord del Zuc- cone di Campello e del Monte Aralalta. A Ponte Chiuso mancano, perchè esportate dall’ erosione, le arenarie rosse tufacee ; soltanto al di là di Barzio, sul terrazzo di Concenedo si comincia a vedersene traccia, mentre estesissima e potente si presenta poi sul fianco della montagna al di là di Concenedo la zona tufacea varicolore raibliana con graduato passaggio ai sottostanti calcari lastriformi. Tale passaggio si ef- fettua mediante ripetute interposizioni di sottili strati di calcari cavernosi e di marne grigie, in cui abbondano le concrezioni già notate più sopra. Su queste roccie varicolori veggonsi sul versante sopra Moggio alternare dei letti sottili di calcari nodulosi e di marne calcaree scheg- giose con Myopliori'a Whatleyae L.v.B., Mijoeoncha lombardica Hau., M. Curionii Hau. e Soìèn sp., ai quali strati sovrincombe il raibliano superiore con gessi e rauchwacke, che con grande potenza si distende su tutta la valle di Bongio, da Moggio sino alla riva sinistra del tor- rente sopra Mezzacca, ove principia la dolomia principale. L’abito di questa zona superiore è anche a Cassina Moggio somigliante in tutto e per tutto a quello che essa presenta in Val Antea e nella gola — 218 — cPEnna, laterali alla Val Brembana. In detta zona esiste, secondo le indicazioni del Curioni, un grande giacimento di pirite marziale allo stato di progredita decomposizione. Come si è detto più sopra, anche il tratto di terreno su cui stanno le praterie di Stalle d’ Alghero può essere considerato come un’ appen- dice del bacino raibliano di Barzio : e finalmente merita menzione il giacimento affatto isolato di gesso di Limonta sulla punta di Bellagio, ritenuto dal Curioni appartenente agli strati a Gervillia bipartita ; lo che è assai probabile, dal momento che fin’ ora non si conoscono gia- cimenti di gesso nè nell’ infralias, nè nella dolomia principale di Lom- bardia. Così essendo, il gesso di Limonta rappresenterebbe il più an- tico sedimento effettuatosi nel triangolo compreso tra i due rami del Lago di Como. 2. Val Stabina e Val Brembana. — Un buon punto di partenza per studiare la continuazione dell’orizzonte raibliano dal lato di levante, è il largo di Lena, ove si congiungono le due valli Stabina e Brem- bana. Al verrucano e al servino di Valnegra soprastanno con stratificazione concordante i singoli membri del muschelkalk, vale a dire, fra Piazza e Lenna, il calcare tipico di Guttenstein sopra cui si rinviene, nel letto del Brembo, il calcare bernoccoluto , e finalmente sul versante Nord del Monte Ortighera la zona a trinodosus formata da un calcare nero compatto, ben stratificato e ricco di fossili. L’ orizzonte di Buchenstein sembra man- cante o quanto meno pochissimo sviluppato, quando si voglia ritenere appartenenti al medesimo gli scisti neri marnosi del Monte Ortighera, i blocchi di calcare con arnioni di selce caratteristici della zona del Tra- ehyceras Reitzi , provenienti forse dallo stesso monte ed una roccia del Monte Arerà somigliante alla pietra verde. Immediatamente sopra gli anzidetti scisti neri prende posto la potente massa di calcare d’Esino, i cui cumuli detritici contengono fra Lenna e Cornamena i più impor- tanti fossili del calcare anzidetto. Sulla contemporaneità del calcare di Lenna a quello d’Esino non può correre dubbio di sorta. Di esso sono formati i monti Ortighera, Mena, Arerà, Gola e Cima di Castello ; esso comprende la Val Parina inferiore e tutta la Val Secca di Cespe- doso ed accompagna il Brembo su ambo i lati sino allo sbocco di Val Secca nella vai principale. In Val Brembana, di fronte allo sbocco di Val Parina, come pure all’imboccatura di questa, presentasi magnifica- mente sviluppato un calcare ad evinospongie, detto localmente occhiadino, su cui riposano dei banchi di calcare grigio omogeneo, non fossilifero, il quale nella sua parte superiore è ricco di quei minerali da cui il cal- care d’Esino prese il nome di calcare metallifero. In alcuni tratti di- — 211) viene lastriforme ed allora non è distinguibile dai calcari lastriformi raibliani del Lago di Como; oltre a ciò trovansi intersecate nelle lastre della sua metà superiore alcuni letti sottili di marna stilolitica, dapprima grigia poi iridata, e dei fìlaretti di selce nera venata di bianco. A questa formazione calcarea si soprapone addirittura la massa d’arenaria tufacea rossa e verde appartenente agli strati medii raibliani i quali, secondo il Mojsisovics, rappresentano in Val Brembana gli strati di Wengen. Il migliore, anzi 1’ unico punto della Val Brembana in cui si possa osser- vare nettamente la diretta sovrapposizione dell’arenaria varicolore al cal- care lastriforme e di questo al calcare metallifero , si presenta percor- rendo il sentiero che discende da Cespedoso ad Orbrembo, costeggiando la Val Secca, ed è questo punto che ci dà la chiave della rispettiva giacitura del calcare d’ E sino e dell’ arenaria anzidetta, togliendo ogni benché minimo dubbio sulla età più recente di quest’ultima rispetto al calcare di Lenna. Ai descritti strati di Raibl succede superiormente la dolomia prin- cipale che costituisce le masse dei monti Gioco, Molmasco, Pizzo Regina e Cancerbero; cosicché su tutta la regione tra Cespedoso, Dossena e l’imboccatura di Val Antea, s’ estende il raibliano; essa regione resta divisa in due parti dal Brembo e in mezzo alla medesima sta il villaggio di S. Giovanbianco. Dal punto in cui il Brembo sbocca fra le colline at- tornianti questo villaggio, sino sotto Antea, ove principia la dolomia prin- cipale, si osservano negli strati di Raibl quattro ripiegamenti tetto- nici dovuti a pressione laterale, gli assi dei quali sono perpendicolari alla direzione della massa di calcare d’Esino che trovasi a Nord, mentre corrono pressocchè paralleli alla catena dolomitica del Monte Gioco. Tre di essi sono di minor rilievo e si estendono rispettivamente, da Mulino, sopra S. Giovanbianco, a Palazzo di sopra ; dalla foce dell’Ernia nel Brembo, a Costa; da Convento ad Ornico. Il quarto forma una grande volta ad anticlinale il cui fianco N.O principia presso Fuipiano, mentre quello di S.O immergesi sotto la dolomia di Monte Gioco, al di là di Val Antea. Le anticlinali e le relative sinclinali delle tre minori pieghe sono visibili su parecchi punti della riva sinistra della Val Brembana, mentre che sulla destra sono quasi ovunque occultate da detrito morenico o dolomitico. Al Sud poi della gola d’Enna ogni apparenza di stratificazione rimase di- strutta dai molteplici ripiegamenti e scoscendimenti avvenuti nella parte superiore del raibliano in seguito ad ablazione di sottostanti massi gessiferi e in causa del protendimelo sino al Brembo della dolomia principale di Pizzo Regina e del Molmasco. — 220 — Quest’ ultima circostanza ci spiega altresì la posizione presso che ver- ticale degli strati allo sbocco della Val Àntea come necessariamente collegata all’ immersione dei calcari raibliani sotto la dolomia principale, giacché i primi elevansi sulla anticlinale di S. Gallo sino a circa 200 mtJ mentre la dolomia è di 50 a 60 m. più bassa e da essi discosta neanche 500 m. Infine, essendo la ripiegatura Mulino-Palazzo di Sopra, nella Val Brembana, quella che trovasi più a monte delle altre tre, ne consegue che gli strati a Nord della stessa debbano presentare regolare direzione ed inclinazione, e che perciò il complesso raibliano tra Portiere, S. Pie- tro d’Orzio e Piana non sia stato soggetto a dislocazioni. Gli strati di Raibl in Val Brembana presentano dal basso in alto, come in Val Sassina, le seguenti quattro suddivisioni: 1. Arenarie e marne, con gessi e rauchwacke; 2. Calcari e marne, grigio oscure, fossilifere; 3. Arenarie variegate tufacee, rosse e verdi; 4. Calcare lastriforme. Il calcare lastriforme poggia direttamente sul calcare metallifero , cosicché discende da Cespedoso al Brembo costeggiando su ambo i lati la Val Secca, attraversa ricoperto da materiale diluviano, il fiume, e va in direzione S.O sino a Dossena seguendo il versante meridionale della Cima di Castello, nè mai comparendo nelle quattro ripiegature suddescritte, giacché 1’ erosione non è penetrata sino a lui. Le arenarie tufacee, rosse o verdi, coi loro banchi sottili di marne degli stessi colori danno all’ intero sistema raibliano un carattere spe- ciale. A differenza della maggior parte dei geologi alpini i quali con- siderarono questo complesso varicolore qual membro integrante del rai- bliano lombardo, il Mojsisovics lo ritiene appartenente agli strati di Wengen e colloca sopra il medesimo il limite tra il piano norico ed il carnico. Comunque sia, rimane sin’ ora accertato che queste arenarie sovrincombono direttamente al calcare lastriforme , non contengono fossili e sono sormontate da calcari e marne di altro colore. L’ esten- sione di questa zona in lunghezza è indicata da quella stessa del sottostante calcare lastriforme , il quale va da Cespedoso a Dos- sena, mentre la di lei larghezza è assai varia perché dipende dalla configurazione del terreno. Oltre che nella anzidetta zona, l’orizzonte tufaceo si mostra isolatamente, formando il nucleo della grande anticli- nale di S. Gallo. Qui la larghezza delle arenarie tufacee è data dalla di- stanza fra Antea e Fuipiano misurata sul profilo ideale di curvatura -de 1- 1’ anticlinale stessa. Nella seconda località gli strati s’elevano dal ter- reno per immergersi dietro la prima di esse, sotto il Monte Gioco. In alcuni punti di quest’ orizzonte varicolore, nella sua parte superiore, 221 notasi la presenza di un banco di calcare grigio cupo, della potenza di 10 a 12 m. il quale è pieno di fossili indeterminabili : così nella cava attigua alla strada maestra di S. Giovanbianco e Orbrembo; al guado di Cornelio lungo la via da Camerata alla Val Secca; e finalmente anche nella anticlinale di S. Gallo. I calcari e le marne fossilifere furono già illustrate da parecchi geologi, specialmente per la parte paleontologica. Alla possibilità di distinguere in esse diversi orizzonti venne già accennato dall’ Hauer per gli strati di S. Giovanbianco, mentre d’altra parte il Mojsisovics espresse l’opinione che per tutta la Lombardia gli strati fossiliferi ab- biano principio con banchi a mioconche, e vi si distinguano due faune; una inferiore, contemporanea a quella di S. Cassiano; ed una superiore, veramente raibliana. Il predominio delle mioconche nei banchi inferiori venne riconosciuto anche dal Curioni ed ora confermato anche dal Deecke, che in una marna grigio-azzurra immediatamente soprastante alle arenarie varicolori riscontrò numerosi fossili, calcinati, tra cui Myoconcha Curionii Hau., Arca Dannenbergi Klipst., Pecten filosus Hau., Mytìlus sp., Solen sp.; oltre a molte piccole bivalvi indetermi- nabili che ricordano quelle degli strati di Santa Croce presso S. Cas- siano. Prevalgono in questo orizzonte inferiore le mioconche, ma non ancora contiene le gervillie. Queste marne a mioconche sono accompa- gnate da uno strato sottile di arenaria grigia a grana minuta il quale è loro sovrapposto e racchiude molti frammenti di Equisetum. Questo stesso orizzonte a mioconche venne dal Deecke scoperto anche in molti punti a sinistra della Val Brembanà, e cioè tra Palazzo di Sopra e Costa ; al dissotto della chiesa di Costa ; sul fianco settentrionale della anticlinale Convento-Ornico ; nel letto del Brembo tra Fuipiano e Con- vento e finalmente allo sbocco di Val Antea. In tutti questi punti gli strati a mioconche hanno la stessa direzione S.E-N.O dei sottoposti piani più./ antichi. Al di fuori della zona a ripiegamenti, tra Sentino e Piazzolina si incontrano le marne a mioconche su due punti della strada che rasenta la gola del Brembo, le quali altro non sono che una continuazione di quanto osservasi a S. Pietro d’Orzio e Palazzo di Sopra, colla differenza che invece dello strato ad equiseti vi si osserva un banco con giovani esemplari di Mytilus , il quale lo si rinviene poi sviluppato anche più a levante, a Ceratello e Spigolo sul Monte Pora. II descritto orizzonte a nìioeonche viene coperto a S. Pietro d’Orzio e tra Costa ed Ornico da un banco di calcare con numerosissimi mo- delli interni di Nueula e di Gervìllia; quest’ ultimi spettano in parte — 222 alla G. bipartita Mer., ed in parte alla G. musculosa Stopp. Lo stesso banco lo si ritrova in parte sul fianco meridionale delle anticlinali Enna- Costa e Convento-Ornico. Però la massa principale dei fossili resta compresa nella metà supe- riore di questa suddivisione calcareo-marnosa. Fra Dossena e S. Gallo, ove specialmente si mostra, questa metà superiore è separata dai com- plessi inferiori mediante una massa di calcare duro, grigio oscuro, ve- nato di bianco, privo di fossili, la quale presenta sulle pagine di stra- tificazione certe protuberanze che somigliano al Rhizocorallium. Questo stesso calcare, lungo la strada che va ad Ornico, sovrincombe al cal- care a gervillie di Costa, mentre invece sopra Mengone in Val Antea, sul sentiero che va a Mulino, è ricoperto da un banco di marna della potenza di 2 metri contenente innumerevoli esemplari di Myophoria Kefersteini Mùnst. Questa forma è tipica per la parte superiore degli strati raibliani fossiliferi della Val Brembana. Anche a Monte Gioco si presentano questi calcari grigi col banco a mioforie e precisamente al punto ove la strada da S. Pellegrino a Dossena traversa l’ Antea. A Mengone si sovrappone al detto banco una massa d’arenaria calcarea, superiormente fossilifera, nella quale, lungo il sentiero da Mengone a Mulino di Dossena, il Deecke ha po- tuto rinvenire Myophoria Kefersteini Munst., M. elongata Wissm., Pachycardia Haueri Mojs., Gervillia bipartita Mer., G. pallium Stopp., G. Meriani Stopp., Corbis Mellingi Hau., e Lingula sp. Succedono a queste arenarie i banchi a gervillie scoperti dall’Escher al bivio di Mengone, nei quali questi fossili raggiungono il massimo di loro sviluppo nel raibliano sia pel numero delle specie che degli in- dividui, mentre invece sono rari gli altri generi, quali Nucula , Arca, Myophoria : soltanto il genere Myoconcha accompagna copiosamente le gervillie. Questi banchi a gervillie si riscontrano con identica fauna anche a 30 m. inferiormente alla chiesa di S. Gallo sul sentiero che discende in Val Antea. La parte estrema superiore di questa terza suddivisione è costituita dai calcari e dalle marne sviluppate presso la chiesa anzidetta, le quali contengono una fauna somigliante alle precedenti ma con maggiori va- rietà di fossili. Fra questi, i più notevoli sono: Myophoria Kefersteini Munst., M. elongata Wissm., Myoconcha Curionii Hau., M. lombardica Hau., Gervilia bipartita Mer., G. musculosa Stopp., G. Meriani Stopp., G. pallium Stopp., Arca Dannenbergi Klipst., Solen sp., Venus sp., cf. Corbis Mellingi Hau., Natica sp., e numerosi esemplari indeterminabili di piccole bivalvi. Con questi strati di S. Gallo finisce in Val Brembana — 223 il raibliano medio il quale, riassumendo le fatte osservazioni, risulta composto dai seguenti membri in ordine discendente : marna calcarea di S. Gallo; banchi a gervillie superiori, con Myoconcha Curionii ; cal- care sabbioso fossilifero di Mengone; banco con Myophoria Kefersteini; calcare oscuro biancovenato con Rhizocorallium ; banco a gervillie inferiore con Nucula sp.; banco a mioconche; arenaria grigia con fram- menti d’ equiseti; calcare e marna con Myoconcha Curionii . Oltre di questo assieme di strati, meritano nota ancora due gia- cimenti isolati, ricchi di fossili; vale a dire, un calcare con Myo- phoria ed altro con Megalodus sp. Quest’ ultimo fu scoperto dal Be- necke alP incontro della strada dal Brembo a S. Gallo col superiore sentiero orizzontale, e consta di un banco poco potente di calcare grigio pieno di modelli di Megalodus di piccola specie che corrisponde ad una forma già descritta dal Lorenz proveniente dagli strati raibliani del territorio di Ampezzo. La posizione di questo banco nella sopra- enunciata serie di strati raibliani non potrebbe addirittura precisarsi, ma la vicina presenza dei primi quattro membri della medesima po- trebbe far ritener quest’ultimi per più antichi del calcare a Megalodus. L’ altro giacimento isolato trovasi dietro la chiesa di Dossena sul sentiero che va a Serina, ed è costituito da calcare assai fossilifero entro il quale stanno incluse delle marne grigio-azzurre, rosse e verdi, che si sfaldano a scheggie. Il complesso stratigrafìco, che in prossimità di questo punto si può osservare, presentasi assai esteso mercè le locali condizioni di direzione ed inclinazione degli strati, talché dal Passo di Cima di Castello sin quasi alla chiesa si vede rappresentata tutta la serie dal calcare d' E sino alle arenarie tufacee; sulle quali ultime poi, in direzione di Dossena, ed in serie ascendente stanno: arenarie gros- solane, grigie, tufacee; banchi di calcare duro ed oscuro con Myophoria Watelyae ; marne sabbiose, grigio-chiare, con vene bianche di calcite e con fossili somiglianti a Solen; calcare oscuro con mioconche e mio- forie ; marna scheggiosa con Myoconcha lombardica e pochi esemplari di M. Curionii; un banco di calcare con mioforie indeterminabili e con alcuni esemplari di M. Curionii; una potente massa calcarea, grigio- scura, con pochi fossili; marne grigio-azzurre e grigio-scure, con grande quantità di M. Curionii in tutti gli stadi di sviluppo; calcari e marne calcaree rossiccie o grigie. Risulta chiaramente che i calcari a Myoph. Wliatelyae sono più antichi degli strati a mioconche, come risulta al- tresì la somiglianza di questo punto con quello di Moggio, in cui pure si trova assieme la M. Whatleyae colla Myoconcha Curionii e con bival vi simili a Solen. Il massimo sviluppo della Myoconcha Curionii 224 — lo si riscontra nelle marne grigio-azzurre e grigio-oscure ossia nel pe- nultimo membro della indicata serie, le quali sia per la giacitura infe- riore che pei caratteri petrografiei e paleontologici appartengono al- l’orizzonte più basso a mioconche di S. Pietro d’Orzio e della catena del Brembo, cosicché per la Val Brembana la Myoplioria Whatleyae sa- rebbe il primo fossile raibliano comparsovi. La quarta ed ultima suddivisione degli strati di Raibl in Val Brem- bana è, come si disse, costituita da arenarie e marne con gessi e rauch- wacke, che occupano tutta la regione compresa entro le linee Piazza- Cava-Camerata, Piazza-Cava-Cantoldo e Cantoldo-Piazza-Camerata. Questo gruppo superiore si suddivide in due parti, l’inferiore delle quali pre- senta arenarie e marne calcaree, mentre la soprastante, varicolore, contiene potenti masse di gesso e di rauchwacke. Il passaggio dall’una all’altra è graduato. Pel loro colore grigio ed uniforme le arenarie delia parte inferiore distinguonsi nettamente dalle sottostanti arenarie tufacee vivamente colorate ; alternano con esse dei calcari grigi e delle marne grigie o verde-grigie il cui tenore in argilla va man mano au- mentando superiormente. Queste arenarie e calcari includono presso S. Giovanbianco nella gola d’Enna una zona della potenza di 10 m., con molti cristalli ben sviluppati di pirite marziale, la quale corrisponderebbe al giacimento piritifero di Barzio-Concenedo più sopra indicato. Altra caratteristica di questa parte inferiore del gruppo è l’abbondanza di concrezioni calcaree negli strati d’arenaria, di forma elittica o sferica, esternamente di color grigio più oscuro neH’interno, colla superfìcie coperta da un reticolato di rilievi, ovvero rivestita da uno strato concentrico d’argilla. Rari in essa il gesso e la rauchwacke e ad eccezione di pochi ed inconclu- denti residui di vegetali non contiene a quanto pare nessun fossile. Queste arenarie e marne si trovano specialmente sviluppate sulla strada da S. Giovanbianco alla gola d’Enna, da Oneta Brembana a Piana e sul versante Nord di Monte Gioco ; meno assai lo sono, a paragone del superiore orizzonte, tra S. Giovanbianco e Cornalita; in Val Antea superiore, a S. Francesco ed a Mulino di Dossena, e nei dintorni di S. Gallo sul fianco N.O della grande anticlinale. Col crescere graduale del tenore in argilla di queste arenarie e marne e col passaggio dal loro colore grigio ed uniforme ad un alter- nanza di grigio, di rosso, di verde e di grigio-blu oscuro, aumenta pure in esse la presenza del gesso e della rauchwacke i quali finiscono poi a costituire interamente in alcuni punti, come a Dossena, a Cornalita e nella parte più alta della gola d’Enna, l’orizzonte superiore rai- — 225 — bliano, il quale viene a sottostare direttamente alla dolomia principale. In causa della lentezza di trasgressione dall’ uno all’ altro di questi oriz- zonti, i loro limiti sono indefinibili, come pure è impossibile il separare in alcuni punti la dolomia principale da queste rauchwacke superiori le quali, assumendo una struttura meno vacuolare ed un colore dal grigio giallastro al bianco sporco, passano insensibilmente alla sovra- stante roccia dolomitica. Le rauchwacke ed i gessi formano una zona che da Camerata si stende a Piazza Cava, e di qua, piegando quasi ad angolo retto, verso Dossena. A Piana, presso la gola superiore d’Enna, a Cornalita e a Dossena, giacciono in essa zona alcuni potenti ammassi di gesso bianco a struttura cristallina grossolana, mentre siffatte inclusioni accessorie mancano tra Mulino di Dossena ed il Brembo, sul versante Nord d1 Monte Gioco. Una piccola lente isolata di gesso presentasi tra San Gallo e Scudelera nella sinclinale intercorrente fra la terza o l,a quarta delle già descritte piegature, il fondo della quale è formato da strati del raibliano superiore. A questo unico punto si limita la presenza dell’orizzonte in parola, sulla sinistra della valle, a Nord della linea di Val Antea. Questo gesso si distingue da quello delle lenti regolari in- cluse nel servino per la sua struttura netta e grossolana e per la mancanza di quel piano di sfaldatura mascherata per la quale i gessi del trias inferiore di Val Camonica si possono fendere in grandi lastre. D’altra parte 'manca nella rauchwacke del trias superiore la materia gialla polverosa che si trova nelle cavità delle rauchwacke del servino ( ealcare farinoso ) delle quali è caratteristica. Le condizioni di giacimento di questi strati superiori sono comples- sivamente semplici. In causa dei detriti della dolomia principale e dei terrazzi fluviatili diluviali, poco si vede di essi sulla riva destra del Brembo, e quasi nulla sulla sinistra eh’ è ricoperta dai boschi di Monte Gioco. Eccetto che a San Gallo, in nessun altro punto è visibile l’anda- mento delle quattro ripiegature tettoniche sopra enunciate, nondi- meno si possono qua e là constatare delle dislocazioni locali come in Val Sassina, occasionate dalle ablazioni e dai conseguenti scoscendi- menti. Una fra le più importanti è quella sullo sfondo di Val Antea, ove indubbiamente i gessi e le rauchwacke, che in origine stavano sopra gli strati fossiliferi di Dossena, furono, rispetto a questi, spostati di 80 metri, talché al presente si trovano in posto sul fondo della valle e sulla collina che chiude Val Antea. Questa frattura corre all’incirca da N.E a S.O, quasi parallela alla valle, traversa il Col di Dossena e passa in Val Serina, sfiora tangenzialmente la prominenza, che con 16 — 226 — forma singolare arrotondata, spicca sullo sperone occidentale di Cima di Castello e finisce al casamento detto Valle sulla diramazione orien- tale di questo monte. 11 salto suddetto presenta la massima altezza sul colle stesso, ove si veggono le rauchwacke a contatto immediato col cal- care d’Esino , cosicché bisogna ammettere uno sprofondamento di tutti e tre gli orizzonti raibliani inferiori. Il salto va man mano decrescendo d’altezza in direzione S.O, finché svanisce affatto tra il Molino di Dos- sena e Mengone. Un tale spostamento é orograficamente indicato a Dossena dalla ripida inclinazione della spianata su cui sta la chiesa verso la valle sottoposta, ed a San Gallo è indicato dal frequente cam- biamento d’inclinazione degli strati. La di lui origine è dovuta indubbia- mente alla collisione avvenuta fra l’andamento generale della stratifica- zione ed il ripiegamento di Val Brembana normale ad essa, in forza di che la stratificazione medesima non potè raggiungere il suo rego- lare sviluppo, sia per Tostacolo oppostovi dalla dolomia del Monte Gioco, sia in causa deH’inflessione N.E assunta dalla catena raibliana. 3. Val Par ina e Val Serina. — Come in Val Brembana anche in queste due valli l’estensione del piano raibliano è determinata dalla sua posizione tra il calcare d’ E sino e la dolomia principale. Il primo forma la caténa da cui dette valli rimangono limitate verso setten- trione e della quale le cime più elevate sono la Cima di Castello, il Monte Mena, il Monte Arerà ed il Monte Gola. Al di là di questa ca- tena, in Val di Roncobello ed in Val Canale si presentano il muschel- kalk ed il servino quali formazioni più antiche. D’altra parte, la do- lomia principale forma una zona continuata che si stende dal Monte Alben al Monte Gioco e traversa la Val Serina presso Grumello. Tutta la regione inclusa fra queste due catene appartiene al raibliano. Il sistema di ripiegamento osservato in Val Brembana con direzione da N.E a S.O si ripete anche in questa parte di monti e forma il carat- tere principale della sua tettonica. Così, a mo’ d’esempio, in Val Pa- rina superiore gli strati delle diramazioni del Monte Gola e del Monte Mena immergono verso il fondo di Val Vedrà, e formano così una sin- clinale il cui nucleo centrale è formato dagli strati raibliani, mentre sopra il di lei fianco Sud riposa la dolomia principale del Monte Alben. Sono specialmente gessi e rauchwacke che occupano il fondo di Val Parina superiore, e così pure quello della Val Serina tra il Monte Alben ed il Monte Gioco. In posizione normale dovrebbero questi gessi com- prendere fra loro ed il calcare d’Esino di Cima di Castello, tutto il si- stema intermedio ed inferiore del raibliano; senonchè, in conseguenza della dislocazione di Dossena, questi orizzonti trovansi in Val Serina spro- fondati, e soltanto nel tratto superiore della valle, al di là della frat- tura da Dossena al casamento Valle, rimasero in posto delle piccole porzioni di arenarie tufacee, di calcare lastriforme e di calcare me- tallifero. La serie stratigrafica in dette due valli è pressoché la medesima che venne osservata nella regione occidentale; eccetto che in Val Pa- rina superiore le arenarie tufacee presentano in parte una facies un po’ più calcarea. In Val Serina sono soltanto gli strati superiori rai- bliani che offrono interesse : essi racchiudono due potenti ammassi di gesso, l’uno nel centro del villaggio di Serina, Paltro presso il casamento Valle, e le masse di rauchwacke che accompagnano i gessi vi as- sumono dimensioni considerevoli. Da Val Serino gli strati di Raibl nel trascorrere in Val Parina per il Col di Ceresa riprendono le con- dizioni normali di giacitura, cosicché al calcare cVEsino di Cima di Castello sovrincombono le arenarie tufacee ed i calcari, ed a questi le rauchwacke e la dolomia principale del Monte Alben. Più dettagliata- mente, oltrepassato il detto Col di Ceresa, gli strati raibliani discen- dono a valle per risalire verso Zorzone e poi occupare un tratto di Val Vedrà sino all’incontro di una retta tirata dal Monte Arerà alla Cima di Castello ; dal qual punto rimontano, per le malghe di Cassina e di Cassina Arerà, in Val Parina superiore. Sulla sinistra poi di Val Parina questi strati formano un lembo di cui il limite Sud, diparten- dosi da Col di Ceresa, raggiunge parimenti la parte superiore della valle, passando per Vandulo, Zambia ed Armelini. La presenza del calcare lastriforme e delle arenarie tufacee si limita alla sola Val Vedrà ed al tratto superiore di Val Perina ; nel tratto intermedio di questa veggonsi nel letto del torrente soprastare a queste roccie certi calcari grigi e neri, fossiliferi, che forse corrispon- dono al terzo orizzonte raiblianodi Val Brembana. Questo si presenta an- che divisibile in parecchi singoli sedimenti caratterizzati da fossili spe- ciali, affacciandosi sulla destra di Val Parina superiore i calcari a Myo - phoria Whatleyae e le marne a Myoconcha Curionii, mentre i calcari a Myophoria Kefersteini ed a gervillie si rinvengono, però in blocchi isolati, entro il letto del torrente al punto in cui la valle laterale che discende da Zambia sbocca nella principale. Finalmente su questi banchi fossiliferi troviamo delle arenarie e dei calcari cavernosi con gesso; per esempio, sulla collina di Rizzi e lungo la strada da Zambia ad Oltre il Colle. I calcari cavernosi in- cludono dei banchi di calcare oscuro, visibili in più punti di detta strada, osservando i quali si viene a riconoscere una generale ader- — 228 - sione di strati contro la massa del Monte Gola, indicata da quattro minori ripiegature, delle quali sarà detto più innanzi. Altri quattro lembi isolati di raibliano si collegano alla sudde- scritta zona, il primo dei quali trovasi nella insenatura di Monte Gioco dirimpetto a San Pellegrino, ove una parte degli strati raibliani sotto- stanti alla dolomia principale di Vai Antea fu messa allo scoperto dal- l’erosione. Un secondo appare sullo sfondo della vallecola, che, presso Lenna, sale da Cornamena al Piz del Mezzodì ; al disopra del me- desimo, sul terrazzo delle malghe , trascorre la zona raibliana che da Cespedoso va al Passo di San Pietro, mediante il quale la vallata comunica colla Val Sassina. Gli altri due lembi si trovano a Nord della massa principale del calcare d’Esino , l’uno a Santa Brigida in Val Stabina, l’altro sulla cima del Monte Arerà in Val di Roncobello. A Santa Brigida l’ordine di sovrapposizione stratigrafìca è identico affatto a quello ri- scontrato nella parte media di Val Brembana ; vale a dire, al calcare d’Esino sovraincombono dei banchi di calcare grigio, duro, fìssile, con druse, e sopra di esso ricorre un sistema di arenarie tufacee, rosse e verdi, sormontate da calcari, da marne e da arenarie con Myo- phoria Kefersteini. Vengono da ultimo le rauchwacke coi gessi. Tet- tonicamente questo lembo raibliano forma, a quanto pare, una sin- clinale, il cui fianco orientale sarebbe rappresentato dal calcare d’Esino sulla sinistra della valle che va da Olmo ad Averara, mentre il fianco Ovest si dirige a Cassiglio, ove pure, secondo le indicazioni della carta geologica del prof. Varisco, si presenterebbe il calcare d’Esino. Verso Nord il raibliano giunge sino alla cresta che separa la valletta di Santa Brigida dalla Val di Averara, e verso Sud sino alle roccie al di là della Stabina, contro le quali adergono gli strati che perciò si mostrano fortemente ripiegati. La vailetta di Santa Brigida presenta i caratteri di valle d’erosione, ma è probabile che la sua prima origine sia dovuta a frattura diretta S.O — N.E, come lo attesterebbe la posizione molto più elevata della massa principale raibliana sul ver- sante Nord della catena dell’Aralalta in confronto di quella che occupa questo stesso orizzonte a Santa Brigida. Questa zona raibliana dell’Ara- lalta, che trovasi ad una altezza di circa 200 metri sulla valle, e che forma i pascoli di Chignolo e di Prati d’Albero, congiunge il bacino di Barzio a quello di San Giovanbianco. Tale continuità del suo per- corso è ipotetica in parte, ma giustificata dalla regolarità stratigrafica e tettonica del terreno. Il quarto ed ultimo lembo raibliano, quello, cioè, che trovasi sulla cima del Monte Arerà, venne per la prima volta — 229 — indicato dalla carta geologica del Varisco. Egli vi occupa un piccolo circo tutto attorniato da blocchi di calcare d’ E sino , ed i suoi strati ripiegati e rotti testificano della grandissima pressione che lo ha im- pegnato dentro il calcare suddetto. La roccia è quasi tutta un calcare oscuro a scistosità traversale, con protuberanze e con fossili caratte- ristici, ma mal conservati (. Myophoria Kefersteini e Cardinia proble- matica) sulle faccie di stratificazione. Le arenarie tufacee mancano affatto in questo orizzonte, il quale perciò risulta eguale a quello di Val Parina superiore, ove pure si osservano dei calcari modificati dalla pressione. III. Regione tra il Col di Zambia e la Val Camonica. Questa regione può dividersi, per facilitarne lo studio, in tre di- stinte sezioni, le quali, procedendo da Ovest ad Est, comprendono : 1. La regione tra il Col di Zambia e la Val Seriana superiore; 2. La regione del Monte Blum e del Giogo di Castione ; 3. La massa del Monte Pera colla Val di Scalve ed i dintorni di Lovere. In tutte e tre queste sezioni la facies del raibliano è affatto calcarea. Soltanto sui lembi estremi della prima e della terza osservasi un’intromissione di marne ed arenarie tufacee, mediante cui al Col di Zambia ed a Lo- vere avviene la lenta trasgressione alla facies tufacea. Il centro della formazione più puramente calcarea del periodo raibliano cade nei dintorni di elusone ed in Val di Scalve, ove nessuno strato tufaceo si è mai depositato. Ad una tanta ricchezza di calce delle acque ma- rine corrisponde anche una maggior copia di organismi; lo che si verifica in ispecie in certi punti ornai rinomati delle valli del Riso e di Dezzo. 1. Col di Zambia - elusone. - In questa regione la roccia di base del raibliano è il calcare di Esino della catena del Monte Vaghetto e delle sue diramazioni quali sono il Monte Mena, il Monte Gola, il Monte Lespono ed il Monte Secco. La massa principale degli strati di Raibl occupa il fondo delle valli del Riso e del Serio, come pure i primi ter- razzi e la spianata sulla sinistra dei medesimi. La linea di separazione fra il calcare d'Esino e gli strati raibliani scorre da Zambia a Val d’Ogna, passando per Bertoldo, pel letto superiore del Riso, per Piazza, Oneta, Chignolo, Piolasca, Monte basso, S. Antonio, Monte Alino, 01- tresenda e Nasolino, mentre il limite Sud colla dolomia principale tocca, con direzione parallela alla suddetta linea, il Col di Zambia, Scu- delera, Madonna del Frassine, Eremo vero, Riso, SeradeJlo, Parre, S. Al- berto e Piario. Alla dolomia sovrincombe l’infralias fossilifero; così, — 230 — per esempio, a Frerola in Val Serina ed a Vertova e Colzate in Val Seriana. In causa del detrito glaciale che ricopre i terrazzi di Premolo e di Parre, anche qui come in Val Sassina gli strati raibliani non si veggono in posto che nei tratti più profondi, in ispecialità nel letto dei torrenti. In generale si ha in questa regione la seguente serie di se- dimenti del trias medio : muschelkalk, calcare d’Esino e calcare metal- lifero. Quest’ultimo, tra Oneta e Premolo, viene coltivato mediante 40 o 50 escavazioni a cielo aperto, contenendo calamina, blenda e galena. Al calcare metallifero tra Oneta e Perdi fa seguito con stratifica- zione concordante il calcare lastriform'e che nella sua parte superiore contiene molti fossili, però mal conservati ed indeterminabili. Questi calcari sopportano gli strati di Gorno o piano a Gervillia bipartita , il quale a Gorno ed Oneta è costituito da un complesso poco potente di arenarie e marne tufacee, le quali, verso Est, vanno sempre più stre- mandosi, fino a che spariscono affatto presso Piario in Val Seriana. Anche qui, come a Dossena, alternano verso la parte superiore del piano le arenarie coi calcari neri contenenti buon numero di individui di Myophoria Whatelyae e di Myoconcha lombardica, con esemplari di una grandezza eccezionale. Sulla zona a Myophoria Watelyae giace presso Peroli, analoga- mente a quanto si osserva a Mengone presso San Gallo, un banco con Myophoria Kefersteini, e sópra questo seguono delle marne varicolori, scheggiose, e da ultimo un sistema a facies calcarea con molti fossili. Quest’ultimo perdura sino alla dolomia principale e racchiude nei suoi strati inferiori lastriformi quella varietà di Myopli. Kefersteini che dal Varisco fu appellata Myoph. Gornensis . Questi calcari a M. Gornensis formano una zona continuata da Oneta a Piario, che principalmente nella parte media di Val Rogno è posta allo scoperto ed è ricca di fossili, come lo è pure sulla strada da Premolo Costa a Ludini e sul- F Alpe Alino. Sopra la zona a Myoph. Gornensis alternano marne scheggiose e calcari oscuri, con innumerevoli gervillie ; il loro fossile tipico predo- minante è la Gervillia bipartita , mentre che la Myoconcha Curionii \i si riscontra soltanto a singoli individui isolati. Forse provengono da questi calcari a Gervillia bipartita anche gli isolati esemplari di Nau- tilus Breunneri Hau., che è l’unico cefalopode raibliano di Lombardia. Nella parte superiore, marnosa, più molle, di questi calcari giacciono innumerevoli residui di Pecten filosus, Hinnites sp., Anomia filosa, di piccole chemnitzie e di bivalvi indeterminabili, finché da ultimo tutto questo sistema finisce con un banco di marna contenente una Cyrena f — 231 — Il torrente che scorre nella parte inferiore di Val Rogno è il punto più ricco di fossili ed anche il più scoperto in questo orizzonte : il Deecke vi raccolse, oltre a fossili indeterminabili e ad un dente di pesce, le seguenti specie : Nautilus Breunneri Hau., Lingula sp., Natica cf. Deshayesiana Klipst., Macrocheilus sp., Chemnitzia sp., Pecten filosus Hau., Hinnites sp., Anomia filosa Rolle, Mytilus gracilis Klipst., My- tilus Mùnsteri Klipst., Avicula cf. Gea D’Orb., Lima sp., Gervillia mu- sculosa Stopp., G. Pallium Stopp., G. Meriani Stopp., G. {Home sia) bi- partita Mer., Myoconcha Curionii' Hau., Cardinia problematica Hau., Myophoria Kefersteini Miinst., Myophoria Gornensis Var., M. elongata Wissm., Arca Dannenb ergi Klipst., Corbula Rosthorni Richth., Corbis Mellingi Hau., Entrochus sp., Equisetum sp., Bactryllium canalicu- latum Heer, e fucoidi ? Dallo stesso orizzonte provengono Fornero di Nothosaurus descritto dal Meyer, due chemnitzie indeterminate citate dal Varisco e la Myoconcha Gornensis Stopp., forse identica a Car- dinia problematica Hau. . Nella parte media della stessa Val Rogno si trovano, come già si disse, i calcari a Myophoria Gornensis Var. e nella parte superiore le marne ed i calcari a Myophoria Wathleyae. Questi potenti strati fossiliferi sopportano dei calcari grigio-oscuri, bernoccoluti, non fossiliferi, dei quali è formato l’ultimo gradino del terrazzo raibliano che scende da Premolo alla valle del Riso : quivi pure si presentano ed altresì su di un tratto considerevole della valle che monta verso Serradello o verso Premolo. L’ ultimo membro del complesso raibliano, corrispondente ai gessi e alle rauchwacke della regione occidentale, è costituito da calcari do- lomitici, grigio-giallo-chiari, scistosi, a druse, che sovrincombono e pas- sano insensibilmente alla dolomia principale. In questa regione meritano qualche particolare menzione il terrazzo di Parre, il Col di Zambia e la sinclinale di Ardesio. Intorno e sopra Parre gli strati di Raibl si presentano allo sco- perto, dapprima sulla schiena di una rupe calcarea su cui sta una chiesa : quivi si succedono calcari lastriformi, marne varicolori con piccoli fossili, e calcari con Myophoria Kefersteini , che continuano sino al Monte Lespono ed all’Alpe Alara, finché gli strati sottoincombenti si ripre- sentano colla loro serie normale discendente sino al calcare d’Esino , e con costante tendenza ad immergere sotto la dolomia principale del Pizzo Formico e del Monte Farno. Da tali condizioni risulta che la sud- detta rupe è formata da calcare superiore aEsino , rimasto denudato in seguito ad abrasione degli strati raibliani. Le condizioni stratigrafiche del raibliano di Col di Zambia offrono — 232 — qualche difficoltà d’ interpretazione in causa della esistenza, non prima d’ora avvertita, di due piegature parallele, l’una delle quali presentasi poco oltre il Passo, camminando verso il Monte Gola; mentre l’altra, molto più accentuata, viene contrassegnata dall’ immersione degli strati raibliani sotto il calcare d’Esino di détto monte e dal ripetersi fra il valico e 1’ Alpe Bertoldo di quei banchi fossiliferi che occupano il centro della sinclinale interposta fra le due piegature. Evidentemente si ha qui il caso d’ un rovesciamento del calcare d’Esino sopra gli strati di Raibl, e contemporaneamente quello dell’adersione e ripiega- mento di quest’ultimi i quali dalla parte di S.O, in forza della massa del Monte Alben loro sovrastante, non poterono sfuggire alla pressione laterale su di essi esercitata. Anche sulla strada da Oltre il Colle verso Zambia si incontrano tre ripiegature consimili, riferentisi a questo stesso fenomeno di rovesciamento ed adersione di strati : ma tutte queste di- slocazioni sono puramente locali, talché non seguitano più oltre, nè in Val Parina, nè in Val Riso. La sinclinale d’Ardesio trovasi sul versante Nord del Monte Secco. A quanto pare essa termina contro la cresta che discende dal Monte Foppa a Bani, nè sembra oltrepassarla. Le sue speciali condizioni tet- toniche e stratigrafiche si ammirano, meglio che altrove, salendo da Ludrigno a Cacciamali per Rizzoli e Ceretto. Si traversa anzitutto il calcare inferiore fossilifero d’Esino ed il. calcare metalliferoì quindi s’in- contrano alla malga Gasparini dei banchi di calcare raibliano con Myophoria Kefersteini, Cardinia problematica, Pecten filosus e Ger- villia sp. Questi calcari occupano tutto il terrazzo della malga e si stendono sino alla discesa in Val Canale e sino alla summentovata cresta o propagine del Monte Foppa. Su questa discesa si osservano verso Rizzoli il calcare inferiore lastriforme e poi nuovamente il calcare d’Esino ed il calcare metallifero ma con opposta inclinazione la quale conferma la disposizione a sinclinale degli strati raibliani ; da Rizzoli poi andando verso Nord eN.Q s’ incontrano dei sedimenti triasici più an- tichi non per anco studiati. La sinclinale in parola prosegue invece dalla parte di S.E, valica il Serio, passa sotto Arese e penetra in Val Marcia sino al punto dove dietro Piazzolo la valle formata a circo resta sbarrata dal calcare d’Esino. 2. Monte di Blum e Giogo di Castione . — L’ esatta ricognizione delle condizioni stratigrafiche di questa regione è strettamente connessa alla conoscenza di quelle della Valle di Valzurio. In quest’ ultima, al suo punto di sbocco in Val Seriana, sovraincombe al calcare fossi- lifero d’Esino tra Ardesio ed Oltresenda, in un punto elevato della — 233 costa sopra Nasolino, una zolla di calcare raibliano composta di banchi di calcare grigio con molti esemplari di Myoph. Kefersie ini e di Ger- villia bipartita. Rimontando la valle, comparisce, cominciando da Na- solino, il calcare d’Esino sulle sponde del torrente, sui lati del quale esso forma le pareti di quella gola lunga circa 2000 m. che presso Valzurio leggermente si allarga. Sul finire del tratto più largo i calcari d’Esino, oltrepassato il corso d' acqua, salgono alla cima della Presolana. Sotto di essi veggonsi sbucare dei calcari sottili scistosi, oscuri, e delle arenarie tufacee giallastre, molli, con residui di vegetali fossili. Queste ultime sono in tutto simili ai noti strati di Wengen di La Porta in Val Trompia, ma forse non rappresentano che la parte superiore del piano di Buchenstein, ovvero quella inferiore del piano di Wengen, perchè sotto di esse si riscontrano dei calcari nodulosi ancora di discreta po- tenza, e sopra delle medesime la potentissima massa del calcare di Esino. Vi manca affatto la pietra verde. Questa inattesa comparsa di un orizzonte tufaceo della potenza significante di circa 15 m. sta forse in correlazione colle numerose, piccole eruzioni porfìriche i cui prodotti si riscontrano anche in Val di Scalve intrammezzati a sedimenti consimili. A confermare tale supposta correlazione gioverebbe un più ampio esame della montagna di Presolana e del territorio attorno al Monte Vaccio. In Valle di Valzurio succede inferiormente alle arenarie giallastre suddette il calcare noduloso e poi il calcare a trinodosus. Che queste arenarie tufacee inferiori non siano a confondersi affatto cogli strati raibliani è confermato anche dal fatto che, salendo il Monte di Blum al di là del torrente presso Valzurio, si prosentano nella regione dei prati gli strati di Gorno soprastanti a calcare d’Esino , rappresentati da cal- cari grigi con innumerevoli esemplari di Myoph. Kefersteini , Gornensis ed elongata e con singoli individui di Gervillia musculosa , G. bipartita e Pecten filosus. Fra dette arenarie adunque e gli strati di Gorno si frappone una potente massa di calcare d’Esino il cui spessore è di circa 200 m. In questa regione la facies del raibliano è affatto calcarea e non ammette nemmeno una suddistinzione in calcari lastriformi ed in strati fossiliferi : il suo passaggio al calcare d’Esino è insensibilissimo e tanto più che manca persino il calcare metallifero tanto caratteristico di quest' ultimo. Al più potrebbe segnarsi il limite tra raibliano e calcare d’Esino al punto dove sopra la massa di questo la stra- tificazione comincia a farsi distinta, nel qual caso i più bassi strati fossiliferi raibliani verrebbero a stare a circa 20 m. al di sopra di questo limite. Superiormente, presso alla dolomia principale trovansi alcuni banchi marnosi, varicolori, con pietrificazioni mal conservate, ed — 234 — immediatamente sotto alla dolomia vengono delle rauchwacke con un po' di gesso. Ciò osservasi in ispecie sotto la dolomia dei versanti di Fino e di Rovetta. Dal sovraesposto rilevasi che la composizione stratigrafica del rai- bliano del Monte di Blum è molto più semplice di quello che non si cre- desse sino ad ora; ed è pure semplicissimo il suo modo di giacitura. A S. Alberto e nella Val Seriana i calcari raibliani che attraversavano la valle vennero totalmente esportati ad eccezione di pochi lembi ripie- gati e rotti, incastrati fra le masse dolomitiche, quali si osservano sulla strada da elusone ad Oltresenda. Al di sopra della strada gli strati riprendono il loro regolare an- damento e passano sulla schiena del Monte di Blum sino alla Cima di Parò, discendono poi nella valle, includono a Monte Cornetto un gia- cimento di gesso, finché raggiungono sul Giogo di Castione il passaggio in Val di Scalve. La dolomia principale che presentasi a Sud di questa zona costituisce il fondo del bacino glaciale di elusone. Rimarrebbe da studiare in questa sezione il limite del muschelkalk sul versante Sud della Presolana, come pure la linea di separazione di quest' ultimo dal sottostante sistema tufaceo, e da ultimo la costituzione mineralogica e 1’ età delle molte porfìriti quivi constatate. 3. Massa del Monte Fora. — Orograficamente parlando, la de- pressione di Clusone e di Castione riempita di detrito glaciale separa la catena della Presolana e del Monte Blum dalla regione montuosa che si avanza dalla parte di S.E. Questa principia a Castione con delle colline insignificanti, elevasi poi verso N.E sino alle altezze del Monte Alto e del Monte Pora (1865 m.) e finisce a picco sulla Val Camonica. A tal esterne condizioni del suolo corrisponde la tettonica geologica della regione, caratterizzata da una sinclinale N.E-S.O i cui fianchi sono di- versamente inclinati, ed il cui fondo coincide presso a poco con quello della vallata di Clusone. Il fianco S.E, eh’ è anche il meno inclinato, è formato dal Monte Pora e quello'di N.E dalla catena della Presolana i cui sedimenti inclinano a S.E. Questa sinclinale viene tagliata normalmente al proprio asse dalla Val di Scalve e quasi parallelamente all* asse della Val Camo- nica. In amendue queste valli gli strati si presentano a nudo, dalla dolomia principale sino al verrucano. Ora, mentre in Val di Scalvo altro non osservasi che la conversione degli strati verso il fondo della sinclinale, invece dalle denudazioni di Val Camonica fra Lovere e Darfo si rileva che il terreno ebbe a soffrire una spinta laterale e un conseguente ripie- gamento non soltanto da N.E a S.O ma altresì in senso normalmente opposto. In conseguenza di questo secondo ripiegamento, che a sua volta è attraversato dalla valle dell’Oglio, gli strati formano una vòlta a fianchi disuguali, ovverosia un gomito, il punto culminante della quale è formato dalla cima del Monte Alto, ed il cui fianco di S.O, eh’ è il più inclinato, sparisce già presso Lovere sotto le ghiaie del fiume, mentre per quello di N.E ciò avviene soltanto al di là di Darfo. Dalla combinazione di queste due piegature risulta la forma particolare della sinclinale del Monte Pora, ove cioè si osserva che i singoli oriz- zonti stratigrafici anziché formare su ambo i fianchi della sinclinale delle zone parallele al di lei asse, divergono invece dal Giogo di Ca- stione sino a Lovere; diversione questa eh' è causata dalla rapidità colla quale i sedimenti del trias medio s’immergono sotto il terreno tra Rogno e Lovere. Da ciò proviene altresì che la dolomia principale formante il nucleo della sinclinale si presenta alla superfìcie sotto forma di trian- golo avente per base la Val Borlézza e per vertice il Monte Scanapa sopra Spigolo. I singoli orizzonti hanno la seguente estensione : Il verrucano ed il servino si presentano soltanto sugli orli della Val di Scalve e della Val Camonica. Comincia il primo a mostrarsi a Castello per elevarsi poi rapidamente sino al terrazzo di S. Vigilio e Monti, e ridiscendere lenta- mente nella valle verso Terzano e Monte Erbanno, la quale è dallo stesso attraversata in direzione N.O. Sovrincombono al conglomerato del verrueo.no gli scisti del servino i quali includono presso Volpino pa- recchi grandi ammassi di gesso e strati di calcare farinoso , ed a Terzano e Mazzuno soltanto dei calcari cavernosi. Questi mancano presso Anfuro sulla strada che va ad Angolo, ma in quella vece si trovano allo scoperto gli scisti del servino , argillosi, di color chiaro giallo-grigio. Sul servino giace il muschelkalk che inferiormente pre- senta dei calcari neri venati di bianco non fossiliferi, mentre la parte superiore di esso è talvolta ricca di fossili. Fanno seguito i calcari nodulosi di Buchenstein e gli scisti di Lomello e di Wengen. Questo complesso ha in Val di Scalve una discreta potenza a paragone di quella che presenta nella Valle di Valzurio: al contrario quella del sovrastante calcare cVEsino trovasi stremata d’ alquanto. Questo ul- timo, come pure gli strati di Wengen in Val di Scalve, furono già dai precedenti geologi, quali il Benecke, il Lepsius ed il Giimbel, detta- gliatamente illustrati, cosicché qui basterà di notare che si può fa- cilmente tener dietro al calcare d’Esino dall' imboccatura della gola di Dezzo sino alla cima del Monte Alto, mostrandosi egli costante- mente sul versante che dà in Val Camonica al di sopra del ter- razzo formato dagli strati di Wengen e dal muschelkalk superiore. Im- — 236 — mediatamente al dissopra del calcare d Esino vengono i calcari raibliani alla cui base però non è dato neppur qui di poter distinguere una zona di calcare lastriforme ; la perfetta stratificazione ed il colore più cupo segnano la linea di separazione fra essi e Y orizzonte inferiore ; i fos- sili si trovano, come a elusone, a circa 15 m. al disopra di tal limite. Nella massa del Monte Pora i calcari del raibliano trascorrono da Castione alla Val di Scalve passando pel Giogo di Castione, salgono quindi sul Monte Planezzo, e ridiscendono verso Borno ed Ossimo sul fondo della valle delP Oglio. Da Borno gli strati raibliani della valle di Corvine si estendono al Monte Chigozzo ed occupano la spianata delle malghe eh’ è tra questo ed il Monte Tengine, mentre che dal fondo della Val Dezzo s* elevano sopra Spadone e Spigolo sino alla vallecola di Vareno ed al culmine di Monte Pora, passano sul versante N.O di quest’ ultimo e traversando Stalle Mezzana, Ramello della Corna e Sup- pone raggiungono i terrazzi di Ceratello, Flaccanico e Qualino. Da questo punto scendono rapidamente verso Lovere e sino al Lago d’ Iseo, nelle cui acque s’ immergono. Tutto il triangolo poi fra elusone, Monte Scanapa e Castro è oc- cupato dalla dolomia principale, che forma anche le cime del Monte Tengine, lo che accennerebbe ad un prolungamento verso N.E della sinclinale di Monta Pora, al di là della Val di Scalve. In base allo sviluppo petrografìco che in questa regione presentano gli strati di Raibl, essa può dividersi in due parti di grandezza disu- guale, la prima delle quali comprende la massa principale del Monte Pora e non presenta nell’ orizzonte raibliano se non che roccie calcaree, mentre nella seconda parte, cui appartengono soltanto i dintorni di Lovere e di Ceratello, si trovano alla base dello stesso orizzonte in- terposti alcuni banchi di materiale tufaceo; cosicché qui si avrebbe una zona di transizione tra la facies calcarea e la tufacea, circostanza questa che vien del resto confermata anche dalla distribuzione dei fossili. Nella parte di territorio a facies calcarea si presentano vari punti discretamente fossiliferi, come alle pasture di Spigolo, a Padone, e sulla salita al Giogo di Castione; ma specialmente per osservare i calcari rai- bliani è ottimo punto il sentiero che da Angolo conduce in Val dei Mulini passando per Vareno. Salendo il medesimo, poco sopra del calcare d’ Esino e della zona inferiore fossilifera del raibliano s’ incontrano sul terrazzo di Vareno dei calcari con mioforie tra cui dei grandi esemplari di Myopli. Gornensis e di Myoph. Kefersteini ; tiene dietro un secondo sistema di banchi nei quali oltre a Myoph. Kefersteini si ritrovano — 237 — Corbis Mellingi , Myopli. elongata, Geroillia palliarli e buon numero di bivalvi indeterminabili. Segue un terzo membro composto di sotti- lissimi scisti calcareo-marnosi, argillosi, di color grigio-chiaro e che in alcuni punti divengono micacei e sabbiosi. Sono ricchissimi di fos- sili tra cui gran numero di Gervillia. bipartita , G. musculosa, G. pal- lium, G. Meriani, Avicula Gea , Peeten filosus , Mytilus cf. gracilis , Hinnites sp. e di fucoidi. Sopra questi scisti fossiliferi giace in Val dei Mulini e sulle cime del Monte Scanapa la dolomia principale con Gervillia exilis e con giroporelle. Nel territorio di Lovere la zona di transizione, indicata dal presen- tarsi delle arenarie tufacee al di sotto dei calcari raibliani fra la facies calcarea del Monte Pora e la tufacea del Monte Guglielmo, è in gran parte ricoperta dalle acque del Lago d’Iseo. Questa circostanza spiega come nel mentre a Lovere predominano ancora i calcari, questi abbiano a Toline già pochissima importanza di fronte alle arenarie tufacee. Sopra Qualino, sul picco che scende in Val Suppina si osservano i calcari raibliani cui sottostanno degli scisti neri di Wengen e sopra di essi dei grossi banchi di- calcare grigio cupo senza fossili. Seguono delle arenarie grossolane rosse o grigie, concrezionate, il cui carattere tufaceo non è però così marcato come nelle roccie corrispondenti di S. Giovanbianco e di Toline. Le ricoprono dei calcari petrografìcamente identici ai raibliani della parte media di Val di Scalve: sono ricchi di fos- sili, contenendo nella loro parte inferiore la Myoconeha Curionii che sem- bra quasi affatto mancante nella sezione calcarea del Monte di Blum e del Monte Pora. Negli strati superiori, oltre al predetto fossile, rinvengonsi Corbis Mellingi , Peeten filosus , Myoph. Kefersteini , Cardinia proble- matica., Paehycardia Haueri, Lingula sp. e Mytilus sp., i quali rap- presentano una fauna identica a quella osservata a Mengone. A questi strati fossiliferi sovraincombono i calcari fettucciati neri, bianco-venati, già noti da Oltre il Colle a questa parte, sui quali riposa una marna gialla o verde-gialla con calcari cavernosi interposti. In que- st’ultimi, i quali sottostanno direttamente alla dolomia principale della cresta da Castro alla Forcella di Ramella, sta pure compreso il potente ammasso gessifero di Lovere. Oltre a gesso questi strati superiori rai- bliani contengono presso Lovere anche delle piriti. Per tutti questi ca- ratteri lo sviluppo del raibliano dei dintorni di Lovere s’approssima di molto a quello che esso presenta in Val Brembana ed in Val Sassina. — 238 — IV. Regione fra il Lago di Garda ed il Lago d’Iseo. Questa parte di territorio solcato dal Mella e dal Chiese offre uno sviluppo stratigrafico a facies puramente tufacea, eccetto che nei dintorni di Zone e nelle Val di Toline, ove i calcari, le marne e la ricchezza di fossili della parte superiore del raibliano segnano il pas- saggio dalla facies puramente calcarea a quella puramente tufacea. 1. Toline Zone. — Il profilo triasico da Pisogne a Marone sulla riva orientale del Lago d’ Iseo venne descritto dal Curioni al quale servì di punto di partenza per istabilire la serie stratigrafìca del trias alpino: quello da Pisogne a Zone fu esposto dal Bittner nelle sue: Aggiunte al rilevamento in Guiclicaria ed in Val Sabbia. Quest'autore ci informa che la base del Monte Noale, il quale s’ innalza sopra Pisogne, è formata dal servino e dal muschelkalk, mentre gli strati di Buchen- stein e di Wengen ne costituiscono la cima. La potenza ancor ragguar- devole del calcare d’Esino al di là della valle dell’Oglio nel Monte Alto ed in Val di Scalve è talmente diminuita a Toline in riva al lago predetto, da rimanere affatto coperta dalle masse di detrito glaciale. Soltanto più in alto, sulle falde del monte, il calcare d’Esino si presenta in posto, in sostituzione del calcare metallifero , lungo il sentiero che da Monte Noale si dirige a N.O passando sotto la sella di Zone. Questo calcare, di color grigio, perfettamente stratificato, e che ha molta somi- glianza col calcare lastriforme raibliano, trascorre dal Monte Aguina al Monte Metelletto di cui segue la cresta al disopra di Zone. Lo ri- copre una massa dello spessore di 120 m. costituita da strati di are- narie rosse e di marne arenose, la quale rappresenta i così detti strati rossi di Val Sabbia del Bittner. Negli strati di mezzo di questa massa è collocata la sella di Zone; la strada dal Passo al villaggio li attraversa obbliquamente, cosicché a pochi minuti da quest’ultimo, presso una casa isolata, essa abbandona questo orizzonte inferiore tufaceo per trovarsi sulla parte superiore calcareo-marnosa degli strati raibliani. Anche qui come in Val Brembana la facies puramente tufacea finisce laddove cominciano i primi banchi fossiliferi, l’inferiore dei quali non presenta avanzi determinabili, mentre il susseguente strato, che trovasi alla anzidetta casa isolata, contiene delle valve bianche e conservate di fossili ed è composto di un calcare marnoso nero e scheggioso. Lo stato di conservazione dei fossili e le specie che vi si trovano riunite lo fanno assomigliare agli strati inferiori fossiliferi di Val Brembana, o meglio all’orizzonte a mioconche di S. Pietro d’Orzio. Questo banco — 239 — contiene i primi e più bassi esemplari di Myoconeha Curionil , oltre ad innumerevoli piccole bivalvi; mentre un banco calcareo superiore nella stessa località include parecchi esemplari di Lingula. Fa seguito superiormente un complesso calcareo, marnoso e talvolta anche dolo- mitico, visibile sulle falde del Corno dei Trenta passi ed in ispecie lungo i sentieri incassati che traversano il bosco; il quale complesso con- tiene pressocchè tutti i fossili caratteristici degli strati di S. Gallo, vale a dire: Mgoph. Kefersteini , Mgoph. elongata , Myoconeha Curionii, Myoc. lombardica , Gervillia musculosa , G. Meriani , G. pallium , Arca Dannenbergi , Pecten filosus, Mytilus gracilis, Solen caudatus ? Raramente, come a S. Gallo, vi si rinviene la tipica Gervillia bipartita ; e quanto ai residui vegetali, vi si trovano in ispecie e frequentemente gli steli d’equiseti, ma però alquanto più in alto che non in Val Brembana; lo stesso dicasi dei calcari bernoccoluti i quali presso Zone arrivano sino alla dolomia principale. La Myoph. Whatleyae non fu trovata in posto, sibbene entro un blocco di calcare consimile al calcare di Dossena. Sopra questo banco ricco di fossili viene un se- condo strato a Myoph. Kefersteini, la cui roccia è uno scisto marnoso, grigio-blu, visibile nell’anzidetto bosco. L’ estremo orizzonte superiore fossilifero è rappresentato da una marna stilolitica a piccole bivalvi, alla quale soprastanno degli esili strati di calcari dolomitici grigio-giallastri, di marne gessifere verdi o rosse, con banchi intercalati di rauchwacke; segue da ultimo la dolomia principale che gradatamente si sviluppa da una continua alterazione di straterelli di dolomia, di scisti e di marne. Importa da ultimo confermare 1’esistenza indicata dal Bittner a Monte Noale di una massa di calcare, poco potente, interposta fra una massa inferiore tufacea a Daonella Lommelli ed una soprastante di arenaria tufacea che contiene ‘nella sua parte superiore la fauna raibliana di S. Giovanbianco. Detto calcare ha caratteri tali da non poterlo sincro- nizzare se non col calcare superiore dy E sino di Lenna o con quello del Monte Alto. La di lui importanza stratigrafìca deriva dal fatto che in Val Trompia ed in Val Sabbia non potrebbesi senza il soccorso del me- desimo separare geologicamente gli strati di Wengen da quelli di Raibl. 2. Val Trompia e Val Sabbia. — Le condizioni geologiche di queste valli vennero già descritte coi maggiori possibili dettagli dal Lepsius e dal Bittner, cosicché poco rimane ad aggiungere in propo- sito per quanto concerne gli strati di Raibl. Il complesso delle arenarie tufacee rosse, costeggiando ambo i fianchi della montagna dolomitica che si leva al disopra del villaggio di Zone, passa con due direzioni distinte in Val Trompia, l’una delle quali at- traversa la sella di S. Pietro alla Croce. Questa duplice zona di strati raiblani è originata dai ripiegamenti della dolomia del Corno dei Trenta passi. Questi strati rossi di Val Sabbia si ripresentano per la terza volta sotto la dolomia principale della Val superiore d’Opol, dal quale punto si dirigonoal Passo di S. Pietro ed al Monte Marchione passando per la malga di Pergaron. Fra questo Passo ed il Corno gli strati calcareo-mar- nosi fossiliferi finiscono man mano per scomparire cedendo il posto ad una facies puramente tufacea la quale poi continua sino sotto alla dolomia principale. L’origine di questa sostituzione deve attribuirsi alle nume- rose porfiriti le cui eruzioni coincidono coll’ epoca degli strati raibliani superiori e della dolomia principale inferiore. Queste porfiriti presen- tano due varietà litologiche, già distinguibili per la loro composi- zione microscopica e per la giacitura loro. Però tutte e due ap- partengono alle porfiriti augitiche. La varietà più antica forma dei gia- cimenti nel raibliano i quali sono al medesimo collegati intimamente per mezzo di tufi sopra e sottoposti: hanno colore grigio cupo e struttura agmidolare. La varietà più recente è di color rosso bruno e forma nella dolomia principale inferiore dei potenti filoni che spiccano in essa pel di calcari o di loro colore. A Costaricca in Vai Colonso superiore le arenarie rosse si immer- gono sotto la potente dolomia principale che forma le cime del Monte Marchione e del Monte Nistola e che traversa la Val Trompia sulla linea S. Pietro alla Croce-Monte S. Emiliano. Questi strati rossi di Val Sabbia ricompaiono sulla spianata dei Prati Cunegondi sul ver- sante orientale del Monte Nistola, con poca potenza però e senza traccia marne. Sotto alle arenarie giace la tanto discussa, potente massa isolata coralligena di calcare di Esino la quale forma i precipizi che da detta spianata piombano verso Cesovo. Abbenchè la medesima vada rapi- damente diminuendo in potenza verso Nord sino a diventare al di- sopra di Pezzoro un semplice banco sottile sovrapposto agli scisti di Wengen, tuttavia non puossi a meno di considerare lento e graduato un tale cambiamento di potenza di fronte alla subitanea interruzione di questa massa dalla parte di Sud, ove sta quasi a picco sopra il Mella ed Inzino. Tale brusca discesa viene un poco modificata da una zolla calcarea più avanzata che si estende da Magno ad Inzino, ai piedi della quale, ossia quasi sul fondo della valle, si presentano le arenarie rosse tufacee. All’ incontro, fra gli strati di Wengen e quelli di Raibl del versante del Monte Pander sopra La Parte di — 241 — Marcheno manca affatto il calcare d’Esino e nessuna altra traccia eli banco calcareo fu rinvenuta tra gli scisti ed arenarie inferiori contenenti fossili di Wengen, ed i superiori strati rossi di Val Sabbia: nulladimeno vi si può petrografìcamente distinguere un limite pre- ciso il quale separa le inferiori arenarie giallastre, molli, contenenti residui fossili di vegetali, dagli strati superiori di color rosso cupo, non fossiliferi; lo che è possibile eziandio in Val Marmentino, dove pure manca la massa calcarea che divide l’uno dall’altro i suddetti due orizzonti tufacei. La mancanza di questo calcare a Marcheno ed a Marmentino risulta essere affatto eccezionale, dacché di regola, in ogni altro punto della Val Trompia riscontrasi, come a Toline, alla base degli strati raibliani un banco interposto di calcare di potenza variabile. E così pure avviene in Val Sabbia; lo che conferma mag- giormente la regola generale. Quivi, allo sbocco del torrente Nozza nel Chiese, si incontrano dei calcari grigi, ben stratificati e fossiliferi che riposano su una massa coralligena di calcare d! E sino e che sopportano le arenarie rosse tufacee. Questi stessi calcari si ripresentano ancora due volte, in forza di avvenuto ripiegamento, vale a dire, dapprima a Vestone ed a S. Liberale sulla strada che va a Treviso bresciano, e poi tra Nozza e Navono: in amendue i luoghi hanno gli stessi caratteri litologici e paleontologici: però i fossili non si possono determinare a sufficienza. Ad ogni modo, sia per la posizione che occupa, sia per le sue condi- zioni petrografiche, il calcare in parola corrisponderebbe esattamente al calcare lastrif orme di Gorno. Sopra di esso giace l’imponente com- plesso tufaceo che fra Nozza e Vestone riempie quasi completamente il fondo della valle dalla quale poi si estende a Lodrino, Navono, Pre- segli e Treviso bresciano. La base di questo complesso include dei banchi di conglomerato a cemento calcareo rosso, i cui ciottoli ango- losi provengono dalle piccole masse coralligene di calcare d'Esino che si trovano a Nozza e a Vestone ed in prossimità delle quali questi banchi si presentano in posto. Rari sono di regola i banchi di calcare entro gli strati tufacei; però a Sardello non lungi da Nozza si osserva nella parte inferiore di quest’ ultimi qualche strato di calcare oscuro ; all’incontro vi sono frequentissime e caratteristiche le concrezioni ar- gillo-calcaree dolomitiche, esternamente di color rosso sangue e nel- l’interno nere, che si riscontrano anche in Val Brembana ed in Val Galdone entro le medesime rocce tufacee. Non fu possibile, nè in Val Trompia, nè in Val Sabbia, di suddi_ stinguere in più orizzonti questi strati a facies raibliana: oltre ai cal- cari lastriformi che ne formano la base, non rimane a distinguervi che 17 alcuni ammassi di ges so con scarse rauchwacke i quali si trovano al disopra di essi strati e direttamente sotto la dolomia principale; così a Treviso, a Malpaga ed a Lodrino, e forse pure a Navono in Val Trompia. Quanto ai fossili, vi sono scarsissimi, non conoscendosi fin’ ora per la Val Trompia che la Gervillia bipartita e la Myoph. Kefersteini di Villa Marmentino, citati dal Curioni; e per la Val Sabbia la Gervillia bipartita di S. Liberale, la Myoconcha Curionii di Sardello e la Lin- gula sp. di Levranghe, raccolti dal Bittner. In base ai medesimi e te- nendo pur conto della Corbis Mellingi ì indicata dal Curioni, e dei fos- sili della Pezzeda accennati dal Bittner, si possono ritenere gli strati rossi di Val Sabbia equivalenti agli strati diGorno ovvero alle marne cal- caree di S. Giovanbiànco. Anche in queste due valli la formazione delle arenarie tufacee e la scarsezza di fossili stanno in correlazione, come a Zone, colle nume- rose cauzioni locali di porfìrite, della quale incontransi dei filoni tra Lo- drino e Brozzo, in Val Irma a Monte Castello dell’Asino, a Monte Ario ed in ispecie a Nozza sul versante sopra Sardello, e nei dintorni di Pre- segli. Secondo la composizione mineralogica queste roccie si suddi- vidono in melafìri e in porfiriti orneblendiche ed augitiche. Quelle di Nozza appartengono tutte alla sèrie augitico-plagioclasica, non con- tengono olivina, sibbene accessoriamente ed in grande quautità il ferro titanato. Limiti eteropici del trias lombardo. — Riassumendo i risultati dell’osservazione sulla costituzione stratigrafica del trias medio di Lombardia, risulta in esso l’esistenza di due orizzonti costanti e ge- nerali, i quali sono, inferiormente la zona a trinodosus , e superior- mente la dolomia principale a Gervillia exilis , e i di cui caratteri pe- trografie! e paleontologici si mantengono invariati, nonostante che variano, in questa o quella direzione, gli strati in essi intercalati. È ap- punto in quest’ ultimi che si presentano a differenti livelli parecchie linee di limiti eteropici, normali alla direzione delle Alpi i quali durante l’epoca triasica soffrirono ripetuti spostamenti ed influirono di molto sulla esterna configurazione del suolo. Il primo fra questi mutamenti di facies lo si riscontra negli strati intermedi del piano di Buchenstein, ed è in conseguenza del medesimo che si distinguono in Lombardia due aree distinte di formazione, di gran- dezza pressoché eguale. La prima abbraccia la regione di Giudicaria sino alla Val Seriana, ed in essa si trovano bene sviluppati i calcari ad arnioni di selce con pietra verde , ovvero le arenarie tufacee con re- sidui vegetali. Al contrario nell’altra, ad Ovest della Val Seriana, sono pochissimo sviluppati gli scisti e gli strati selciferi, abbenchè se ne rinvengano tracce sensibili sull’intero tratto fra il Lago di Como e la Val Seriana. Mentre però questa formazione arenaceo-tufaceo-scistosa lentamente si sviluppò sempre più dalla parte orientale, raggiungendo il suo massimo negli strati di Lomello , trovasi in quella ^ece verso Ovest nelle valli del Brembo, del Serio e della Pioverna un cambiamento si- gnificante nella natura petrografia dei sedimenti. Quivi, sugli strati di Buchenstein s’adagia quella massa imponente di calcare o di dolomia non stratificata che raggiunge i 100 metri di potenza, e che porta il nome di calcare d’Esino. Anche la rispettiva fauna n’è affatto diffe- rente, dacché predominano nell’ una regione i cefalopodi ed i grandi gasteropodi, mentre l’altra è caratterizzata da bivalvi ( Daonella , Posi- donomya) abitatrici di fanghiglie e da numerosi residui vegetali, indizio di prossimo continente. Oltre a ciò sono caratteristiche per la regione orientale le molte eruzioni di roccie porfiriche, tra cui gli ammassi eruttivi di Motta Presolana, i dicchi in Val di Scalve e le numerose, piccole vene dioritiche entro gli Strati di Lomello in Val Trompia. Probabilmente proviene da esse il materiale con cui si formarono le arenarie tufacee e la pietra verde , e furono esse che coprirono di fanghi il fondo marino e fecero sviluppare e prosperare una fauna adatta a tali condizioni di habitat. All’incontro nelle regioni del Brembo, del Serio e della Pioverna non troviamo indizio di dicchi, e nel calcare d’ E sino manca persino ogni traccia di materiale tufaceo che vi sia stato trasportato dalle onde o dai venti e quivi depositato. Ed abbenchè non resti più alcun dubbio sull’equivalenza degli strati di Wengen ai calcari d’Esino e di Lenna, riescirebbe nondimeno difficile, di fronte alla loro totale diver- sità di sviluppo, il poter stabilire, in regioni molto discoste le une dalle altfe, delle zone equivalenti, qualora nella parte loro superiore non su- bentrassero a poco a poco delle facies identiche: lo che nominatamente si osserva nelle due regioni in parola, entrambe contraddistinte dalla presenza prevalente della Daonella Lommellf e nelle quali appunto, verso la fine dell’epoca caratterizzata da questo fossile, si riconosce chiaramente una trasgressione della facies coralligena dalla regione occidentale alla orientale. Qualunque ne possa essere stata la causa, certo è che in molti punti sovrincombe agli scisti di Lomello un calcare d’Esino coralligeno con chemnizie ed evinospongie, e tanto più potente quanto più indebolito si presenta lo spessore degli strati sottostanti, ossia quanto più vicini si trovano detti punti alla regione occidentale, co* ralligena. Il massimo sviluppo di questo calcare coralligeno lo troviamo al Monte Pora ed in Val di Scalve, ove con una potenza di circa 200 metri ricopre senza interrompimenti gli strati di Wengen i quali vi sono relativamente poco sviluppati. Ad Est di Val Camonica, invece, il calcare d’Esino si presenta a zolle ed a piccole masse coralligene che qua e là isolate sovrastanno ad arenarie tufacee ed a scisti a dao- nelle, sviluppatissimi. La più importante di queste masse coralligene è quella del Monte Nistola nella Val Trompia mediana, la quale appunto per la sua posizione più ad Ovest supera di assai in grandezza le piccole zolle di Vestone, di Nozza, ecc. in Val Sabbia. La sopranotata trasgressione raggiunse il suo apice nell’epoca del calcare las triforme, generalmente constatato in Lombardia, il quale, ad onta degli scarsi suoi caratteri paleontologici, certamente per l’unifor- mità di sua natura petrografia e sopratutto per la sua costanza è da ritenersi per un membro importante del trias lombardo. Senza di esso non sarebbe possibile lo stabilire una serie stratigrafica uniforme pel trias medio di questa regione, e tanto più diffìcilmente in quanto che dopo la deposizione del calcare lastriforme vi si svilupparono le di- verse facies eteropiche. Infatti nei diversi punti di Lombardia si pre- sentano sopra di esso quattro diverse facies le quali, procedendo da Est ad Ovest, sono: la tufacea pura, di Val Trompia e Val Sabbia; la calcarea pura, di Val di Scalve e del Monte di Blum; la calcareo-tufacea delle valli del Brembo e della Pioverna; da ultimo, quella che ad Ovest del Lago di Como contiene gli scisti neri ed i calcari fettucciati. Tutte queste facies sono tra loro collegate da sottili zone di tra- sgressione perfettamente sviluppate, ed oltre a ciò sono tutte ricoperte con stratificazione concordante dalla dolomia principale la quale pre- sentasi costantemente con caratteri uniformi. In Val Trompia ed in Val Sabbia non si conosce che la facies tufacea, senza giacimenti calcarei significanti: la sua epoca è caratte- rizzata da frequenti eruzioni submarine che perdurarono sino al deposito della dolomia principale : rari vi sono i fossili ed isolati ; tuttavia vi si poterono man mano riscontrare tutte le diverse specie che nella regione occidentale caratterizzano gli strati corrispondenti, riposanti sul calcare lastriforme. Ultimo membro nella facies geologica di queste valli è un orizzonte contenente gesso ed anidrite, indizio di mare assai poco profondo, forse lagunare. In generale sembra che in Val Sabbia il mare non fosse gran fatto profondo già sin dall’epoca delle arenarie tufacee mediane, dal momento che la massa coralligena di calcare d’Esino, pro- minente a Nozza ed a Vestone, ha somministrato il materiale per i con- — 245 — glomerati i quali indicano P esistenza di un mare non profondo, ma però assai erodente Quanto si è detto per la facies tufacea della parte orientale del Bergamasco è, dal più al meno applicabile, a quella calcareo-tufacea della regione occidentale, colla grande differenza però che in questa regione non venne constatata nessuna roccia eruttiva contemporanea alla sua facies , di guisa che le sue grandi masse di arenarie tufacee non possono avervi avuto origine immediata. Ma la caratteristica principale di questa regione consiste nella prevalenza delle roccie calcaree e marnose nella parte superiore de’suoi strati mediani, che corrisponde alla ricchezza loro di avanzi fossili > questi presentano decisamente i caratteri di una fauna di basso fondo fangoso e di litorale, nella quale mancano quasi affatto i generi e le specie di fossili cosmopolitici, quali sarebbero i cefalopodi. Le innu- merevoli mioconche, i fìtti banchi di mioforie, la schiera infinita di altre piccole e grandi bibalvi, testificano indubbiamente P origine degli strati di S. Giovanbianco e di S. Gallo in acque di basso fondo, confermata dai molti frammenti di piante palustri, quali gli equiseti, e da una quan- tità di alghe fucoidiformi, proprie delle spiaggie e delle prime zone batimetriche. Anche in Val Brembana ed in Val Serina i gessi e le rauch- wacke segnano la fine di questo periodo formativo; quali si rinven- gono in posto a Cassina, a Dossena e nei dintorni di S. Giovanbianco, direttamente sotto alla dolomia principale. Fra le suddescritte due facies giace la zona media calcarea la quale è da ritenersi per la vera facies normale. I suoi punti tipici sono il Monte di Blum ed il Monte Pora. In essa non esiste traccia di ma- teria tufacea, anzi non è nemmeno possibile segnare in essa un limite ben distinto tra il calcare lastriforme e le soprastanti masse d’ altri calcari grigi o neri. Soltanto nella sua parte più alta sottentrano dei sedimenti marnosi, calcareo-scistosi, aventi il carattere di una formazione di spiaggia, ma senza considerevole sviluppo di gessi e di rauchwacke * essi sottostanno alla dolomia a Gervillia exilis. In questa regione calcarea abbondano straordinariamente i fossili in tutti gli strati dal basso fino agli scisti calcarei; alcune specie fossili, p. es., la Myo- phoria Kefersteini , li oltrepassano persino; mancano però affatto o vi sono rare le specie ad habitat propriamente fangoso, quali la Myo- conclia Curionii , la M. lombardica e fors’anco la Myophoria Whatleyae , mentre d’ altra parte vi sono frequenti i cefalopodi. Anche il periodo di questa formazione ebbe fine con un abbassamento delle acque ma- rine, che ebbe per conseguenza la produzione degli scisti a gervillie, a — 246 — pettini, ed a fncoidi del Monte Pora, delle marne verdi e gialle con banchi sottili di rauchwacke a Monte di Blum e forse pure del gesso di Ca- ssone. Fra queste tre regioni di facies diversa, giacciono due zone di tra- sgressione, delle quali, quella ad Ovest è la più completa, mentre la orientale è bensì per caratteri molto simile alla prima, ma in condi- zioni meno immediate di collegamento. È rappresentata la zona occi- dentale dalle arenarie varicolori che formano sul calcare lastriforme di Parre e di Ponte di Nozza un sedimento di poca potenza, ma che verso oriente s’ ingrossa sempre più, finché in Val Brembana, come in Val Sassina, comprende tutta la parte inferiore e media degli strati rai- bliani. A paragone di esso gli strati calcarei fossiliferi hanno pochis- sima importanza. L’ altra zona di trasgressione giace all’ incirca fra Monte Alto e Monte Percaprello ed è meno completa della prima, sia perchè interrotta per lungo tratto dalla valle dell’ Oglio, sia perchè sulla destra di questo fiume l’ imponente giacimento di gesso di Lovere collegasi direttamente alla regione della facies calcarea media, nella quale sono scarse le rauchwacke ed i gessi ; finalmente perchè sulla sinistra del Lago d’ Iseo, per la vicinanza delle porfiriti augitiche di Monte Marchione, le arenarie rosse tufacee assumono una potenza molto maggiore e molto più rapidamente che non nella zona occidentale, a parità di condizioni di distanza. E notevole inoltre l’ improvvisa ri- comparsa della Myoconclia Curionii e della Myoplioria Whatleyae a Ceratello, non appena principiano gli indizii di facies fangosa negli strati raibliani, ed ancor più notevole è la perfetta equivalenza degli strati e dei fossili di Tolline a quelli della zona S. Gallo-S. Giovan- bianco. La valle circolare di Tolline rappresenta in piccolo una for- mazione intermedia fra la facies calcarea e la tufacea. La quarta ed ultima delle suindicate facies è limitata alla regione situata ad Ovest del Lago di Como, ove si presenta costituita da scisti neri o da calcari fettucciati, ben stratificati, ma privi affatto di fossili. Non è però abbastanza studiata da poter istituire un ben fondato pa- rallelo fra i suoi strati e le altre formazioni ben conosciute; è proba- bile però che anche tra questa facies calcareo-scistosa e le arenarie tufacee della Grigna esista una zona intermedia di trasgressione. Una principale differenza tra questa e le altre regioni eteropiche consiste nella mancanza in essa del gesso e delle rauchwacke al di sotto della dolomia principale. (G. B. C.) NOTÌZIE BIBLIOGRAFICHE A. D? àcHiARDi. — Della trachite e del porfido quarziferi di Donoratico presso Castagneto nella provincia di Pisa . (Estratto dagli Atti della Società Toscana di Scienze Naturali , Voi. vii, fase, i»), — Pisa, 1885. Con questo studio l’autore ebbe per scopo di togliere ogni dub biezza circa la vera natura litologica e circa le correlazioni vicendevoli delle indicate roccie del Campigliese, in quanto che le deduzioni di precedenti geologi ed analizzatori, tra cui in ispecie il vom Rath e il Vogelsang, non apparivano abbastanza concordi: in particolar modo riguardo alla prima, ovvero sia alla trachite, V apprezzamento dei suoi caratteri macro-emicroscopici potè talmente avvicinarla al porfido della stessa regione, da lasciare incerti se rappresentasse o meno una vera trachite. Riassunti dall’ Autore gli studi precedenti su tale proposito, egli ci espone minutamente i risultati delle proprie analisi ottiche; e dap- prima di quelle della trachite quarzifera che, qua e là ricoperta da roccie sedimentarie eoceniche, forma quasi per intero le colline litto- ranee fra Castagneto ed il Botro dei Marmi presso Canapiglia Marittima ; e susseguentemente di quelle del porfido quarzifero che, nel Botro di Santa Maria presso Donoratico su quel di Castagneto, forma un filone di circa 4 m. che attraversa gli scisti varicolori del lias superiore. Nella trachite la massa fondamentale è vitrea ed in essa stanno immersi i seguenti minerali: sanidina, eh’ è il più abbondante fra tutti, superato solo talvolta dalla mica; oligoclasioì scarsissimo; quarzo a grani piccoli e scarsi, sempre semplici, quasi sempre isolati, senza intrusione di magma, incolori, trasparenti, con poche inclusioni; mica frequente, bruna, probabilmente biotite; cordierite in cristalli macroe- microscopici, semplici e geminati come quelli del Lago di Laach e dell’ Asama-yama (Giappone), con abbondanti inclusioni cristalline e ve- trose; pirosseno abbondante in alcuni nidi ricchi anche di mica, pecu- liari ad alcuni punti della massa comune: egli presentasi in cristallini semplici o geminati per compenetrazione come avviene in moltissimi cristalli della augite nera vesuviana. L’Autore non vi riscontrò nè la me- jonite citata dal Vogelsang, nè con certezza la magnetite menzionata da — 248 — vom Rath. Dalle fatte osservazioni egli deduce che, a parte i peculiari nidi ricchi di pirosseno, questa trachite si avvicina assai a quella dell’Asama-Yama descritta dalPHussack; che malgrado il suo tenore in silice più basso che nelle comuni trachiti dette quarzifere, pure appartiene a quest’ultime ; che l’abbondanza della massa vetrosa, la estensione ed il contegno della roccia, tutto porta a concludere che questa non siasi lentamente e profondamente consolidata sotterra, a più o men grande pressione, in dicchi, filoni, ecc., ma sì bene raffred- datasi rapidamente alla superfìcie o presso di essa, sia colando ester- namente, sia rapprendendosi in cupole, ecc. Il porfido trachitico analizzato, si presenta più compatto e tenace che non la precedente trachite e con caratteri macroscopici alquanto diversificanti. Vista al microscopio, la massa fondamentale si dimostra felsitica, ad elementi feldispatici e silicei, caratteristica dei porfidi pe- troselciosi. Contiene: quarzo di prima consolidazione, cristallizzato, gra- nulare, ordinariamente macroscopico. A differenza della trachite, i grani o cristalli sono spesso l’uno accanto all’ altro, diversamente riuniti, senza però mai compenetrarsi; sono bensì compenetrati dalla massa fondamentale ed oltre a ciò con- tengono abbondanti inclusioni cristalline, vetrose e gassose. Altro co- stituente di questo porfido è il quarzo di seconda formazione che oltre ad essere elemento del magma presentasi epigenico sui cristalli di fel- dspato più o meno alterati, ove pure appare in foggia di sferuliti a fibre irradianti. Anche la silice amorfa trovasi nel magma e nelle se- zioni dei predetti cristalli. L’ ortose presentasi a cristalli d’ ordinario semplici, quasi mai ge- minati, che formano una buona parte della roccia, non di rado più o meno caolinizzati; effetto della quale alterazione sarebbe la silice a sfe- ruliti ed a scagliette, sopranotata. La presenza dell’ oligoclasio vi è accertata dalla struttura polisin- tetica d’ alcuni cristalli, e quella, ancora più rara, della tormalina lo è, oltrecchè dai caratteri ottici e cristallografici, anche dall’analisi chimica. Da ultimo contiene altro importante elemento, vale a dire, la cordierite convertita in pirite, in cristalli anche macroscopici, a struttura fibrosa o sferulitica, aderenti spesso ai cristalli di quarzo o intrusi in essi assieme alla massa fondamentale. Scarsamente rappresentati. od incerti sono in questo porfido la mica, V apatite, lo zircone, 1’ ematite e la pirite. Da quanto sopra, emerge chiaramente che le due roccie analizzate sono due cose affatto distinte; tuttavia, come osserva l’Autore, la comu- 249 — nanza della massima parte delle specie minerali, la corrispondenza di composizione elementare chimica, ed altresì le condizioni geologiche di giacimento, lasciano sospettare un legame di provenienza fra queste due roccie, entrambe spettanti al gruppo delle roccie a struttura tra- chitoide. Certamente non è azzardosa P ipotesi che anche 1’ età loro sia corrispondente e debbansi con ciò ritenere come effetto di una stessa fase vulcanica nelle sue diverse manifestazioni ipogea ed epigea. (G. B. C.) G. G. Gemmellaro. — Sopra taluni Harpoceratidi del lias superiore dei dintorni di Taormina. — Palermo, 1885. Sulla fauna del lias superiore dei dintorni di Taormina in provincia di Messina non si aveano sin’ ora altri studi, oltre a quelli dell’Hoffmann ed a quelli ancor più importanti dei Seguenza, al quale è anzi dovuta la determinazione dell’ età geologica di quegli strati in base ai fossili che vi rinvenne e di cui diede Y elenco nella sua Breve nota sulle for- mazioni primarie e secondarie della provincia di Messina inserita in questo stesso Bollettino nel 1871. Le ulteriori ricerche del professore G. G. Gemmellaro accreb- bero di molto le scoperte in proposito, come ne fa fede il ricco elenco, dal medesimo dato, dei fossili provenienti dalla contrada Fontanelle , località di quei dintorni fossilifera per eccellenza. La famiglia degli Harpoceratidi vi è sopratutto largamente rappresentata, e quel eh’ è più, da specie quasi tutte nuove; Y illustrazione appunto delle quali è compito di questo lavoro, che è a ritenersi come prodromo di una mo- nografìa sugli Harpoceratidi del lias superiore di Sicilia, per la quale P Autore tiene già in pronto i materiali. Le nuove specie in questa memoria descritte, comparate e raffi- gurate, e quelle già note, semplicemente citate con buon corredo di indicazioni relative alla sinonimia ed alla letteratura particolare, sono le seguenti: ( Harpoceras ( Dumortieria ) Haugi Gemm., H. ( Grammoceras ) Cana- varii Gemm., H. (Grammi) Naxense Gemm., H. (Grammi) Timaei Gemm., H. (Grammi) radians Rein., H. falciferum Sow., H. confr. lithense Young et Bird., H. (Lioceras) pectinatum Menegh., H. (Lioci) bicarinatum Ziet., H Distefanoi Gemm., H. Fontanellense Gemm., H. Paronai Gemm., H. Lot'tii Gemm., Hildoceras serpentinum Rein., Hildoceras Manzonii Gemm., Hildoceras (LilliaT) Schopeni Gemm.. Hildoceras ( Lillia ) Selinense Gemm., Hildoceras [Lill.) Hoffmanni Gemm.. Oltre a questi fossili l’Autore rinvenne in contrada Fontanelle altresì: Fucoides sp. varie, Rhynchonella n. sp., Pygope Aspasia , Menegh., Belemnites Meneghinii n. sp., Phylloceras Partschi Stur, Rhacophyllites lariensis Menegh., Lytoceras Tauromenensis n. sp., Lytoceras {Pleuracanthites) Dorcadis Menegh., Coelo eras crassum Ph., C. Raquinianum d’Orb., C. annulatum Sow., C. commune Sow.. Di tutte le specie rinvenute, quelle conosciute provano, a giudizio dell’ Autore, che le roccie della contrada Fontanelle de’ dintorni di Taormina dalle quali esse provengono, appartengono alle parti infe- riori del lias superiore. Due tavole litografiche di figure, rappresentanti i fossili descritti, sono allegate al testo. (G. B. C.) A. Portis. — Catalogo descrittivo dei talassoterii rinvenuti nei terreni terziaria del Piemonte e della Liguria . (Estratto dalle Mem. d. R. Acc. delle Scienze di Torino. S. II, Tom. XXXVII). — Torino, 1885. Sul finire del 1882, l’Autore ebbe Y incarico dalla Direzione del R. Museo geologico di Torino di redigere il catalogo descrittivo delle collezioni paleontologiche in esso esistenti, e specialmente di quelle de’ vertebrati, cotanto arricchite sopratutto dal compianto prof. Gastaldi. Di fronte però alla ingente mole di materiale disponibile, egli trovò necessario di scindere il lavoro in più parti e d’ intraprendere per con- seguenza una serie di monografie dei vari ordini dei vertebrati fossili rappresentati in Piemonte ed in Liguria, principiando ad illustrare colla presente memoria la fauna dei mammiferi marini del terziario medio e superiore di queste due regioni, ossia l’ordine dei cetacei e quello dei sirenoidi. A rendere più completa questa monografia, l’Autore ha considerato in essa, oltre a tutti gli avanzi custoditi nel R. Museo, 251 — anche quelli esistenti in collezioni private, dei quali potè avere con- tezza. Per gli uni e per gli altri, egli determinò e descrisse compara- tivamente e coi maggiori dettagli tutti e indistintamente i pezzi fossili, o quanto meno, dei già noti e descritti citò le rispettive fonti cui ri- correre; ma nella più parte dei casi riportò, sovente completate, o rifece di bel nuovo le descrizioni, arricchendo da ultimo il lavoro con le figure dei pezzi più interessanti e più adatti a mostrare i caratteri sui quali si è basato per stabilire non poche nuove specie, anzi nuovi generi, o per estendere le fin qui incomplete cognizioni che si aveano su d’altre. Il lavoro è diviso in tre parti, trattanti: la prima, dei misticeti, la seconda, dei denticeti, e la terza dei sirenoidi ; ed è completato da un riassunto generale dei generi e delle specie di talassoteri di Piemonte e di Liguria, dimostrante quali fra di essi vi abbiano vissuto nelle suc- cessive fasi del periodo terziario ; riassunto che l’Autore ha poi raccolto in un solo quadro sinottico. Un ricco catalogo bibliografico precede l’opera, nel quale sono citate tu te le pubblicazioni di cui l’Autore si è servito per lo studio e confronto dei talassoteri descritti con quelli vi- venti e con quelli fossili di altre regioni. A completare questi cenni generali sulla presente monografia, che per la sua importanza venne premiata dalla R. Accademia delle Scienze di Torino, riportiamo la nota dei generi e delle specie in essa trattati, e brevi considerazioni riassuntive sulla distribuzione geologica di quei fos- sili nelle regioni in parola. Nei cetacei, sottordine dei misticeti, famiglia dei balenidi: Balae- nula sp. Portis, un solo esemplare proveniente dalle sabbie gialle del plioce • ne superiore dell’Astigiano. Nella famiglia dei balenotteridi : Balaenoptera Gastaldii (Strobel), sette esemplari, dal pliocene inferiore e superiore del- l’Astigian , al quale fossile l’Autore diede nome specifico in sostituzione di quello di Cetotherium Cortesii var. Gastaldii Strobel. Balaenoptera (Plesiocetus) Cortesii (Desm.), 27 esemplari, dal pliocene inferiore e su- periore di diverse località piemontesi e liguri. Balaenoptera n. sp. A , Portis, due esemplari, dal pliocene superiore dell’Astigiano. Balaenoptera n. sp. B , Portis, un esemplare del pliocene inferiore di Savona. Balae- noptera n. sp. C, Portis, idem, idem. Balaenoptera n. sp. D, Portis, un esemplare, dal miocene medio del Torinese. Balaenoptera? sp. Portis, esemplare dal miocene medio di Serravalle Scrivia. Nel sottordine dei denticeti, famiglia dei fìseteridi: Priseophyseter typus Portis, esemplare proveniente dal pliocene superiore dell’Astigiano ; nuovo genere coi seguenti caratteri : Regione cervicale allungata , corpi delle vertebre confusi allo esterno , distinti alV interno e muniti di epifisi. — 252 — a sezione trasversale semi-elittiea, sforniti completamente di apofisiì trasverse inferiori ; la prima vertebra dorsale congiunta alla sinostosi cervicale. Hoplocetus minor Portis, esemplare dal pliocene superiore, pure dell’ Astigiano. Physotherium Sotterri Portis, idem, idem; nuovo genere desunto dai caratteri dei denti. Nella famiglia dei zifiidi: Be- riardiopsis pliocoenus Portis, tre esemplari, dalle sabbie gialle del- l’Astigiano; nuovo genere in base ai caratteri della regione caudale. Nella famiglia dei delfinorinchi : Squalodon Gastaldii I. F. Brandt, esemplare dal miocene medio d’Acqui. Champsodelphis ? italicus Portis, esemplare dalle marne argillose del miocene superiore (o pliocene in- feriore) presso Casal Monferrato. Schizodelphis compressus Portis, esemplare dalle argille del miocene inferiore di Barbaresco. Nella fa- miglia dei delfinidi: Tursiops Cortesii (Desm.), quattro esemplari, dal pliocene superiore di varie località dell’Astigiano. Tursiops n. sp. ( [mio - coenus) Portis, esemplare, dal miocene medio di Rosignano. Steno Ga- staldii I. F. Brandt, esemplare dal pliocene inferiore dell’Astigiano. Steno Bellardi Portis, due esemplari, di cui uno dal pliocene superiore di Bagnasco nell’Astigiano e l’altro forse da quello di Savona. Steno sp. Portis, tre esemplari, dal pliocene superiore dell’Astigiano. Nell’ordine dei sirenoidi, famiglia degli lialiteridi: Felsinotherium subapenninum (Bruno) Capell., tre esemplari dal pliocene inferiore di Montiglio. Felsinotherium Gastaldii De Zigno, esemplare dal pliocene superiore di Brà. Felsinotherium sp.? esemplare da Camino presso Casal Monferrato, appartiene probabilmente alla specie prima nominata. Mentre adunque l’ordine dei sirenoidi è rappresentato da due sole specie appartenenti allo stesso genere ed entrambe proprie esclusiva- mente al pliocene del Piemonte, l’ordine dei cetacei è copiosamente rappresentato tanto in questa regione che in Liguria/ Il sottordine dei misticeti è rappresentato nel terziario di Piemonte maggiormente che in quello di Liguria, poiché mentre nella famiglia dei balenidi un sol pezzo ci fa ritenere che sia vissuto nel pliocene di Piemonte il genere Balaenula , abbiamo fra i balenotteridi il genere Balaenoptera con cin- que o sei diverse specie, tre delle quali in Piemonte, due e forse tre specie in Liguria, e tutte plioceniche. Più abbondante di tutte è la Ba- laenoptera Cortesii , con non meno di trenta individui noti, tutti in Pie- monte ed in massima parte nelle sabbie dell’Astigiano. 11 sottordine dei denticeti si trova alla base del miocene medio, rappresentatovi da un delfinorinco e da due altri verso la sommità dei medesimo; tra i delfinidi una sola specie di Tursiops fu rinvenuta nel miocene. All’ incontro i denticeti paiono moltiplicarsi, con un numero sempre crescente di avanzi e con ciò anche di famiglie, nel pliocene superiore: quivi i fiseteridi contano tre generi con una specie per ciascuno e tutti nuovi pel Piemonte; due sono nuovi anche per gli altri paesi: gli zifiidi sono rappresentati da un solo genere e da una sola specie, nuovi pel Piemonte e per la fauna fossile in generale; finalmente la tribù dei delfìnidi, che apparisce nel miocene medio col Tursiops miocoenus , è rappresentata nel pliocene piemontese da due generi, di cui l’uno com- prende soltanto il Tursiops Cortesiiì specie nota nel pliocene superiore della restante Italia, mentre l’altro conta almeno due specie particolari al Piemonte, di cui una nuova ( Steno Bellardii Portis). Niuno dei den- ticeti pliocenici piemontesi, all’ infuori di una specie dubbiosa di Steno , fu sin’ ora rinvenuto in Liguria. Le figure rappresentanti i più caratteristici fossili descritti sono 124, e disegnate alla metà e ad un quarto del vero su 9 tavole in fototipia, pregevolissime per nitidezza ed accuratezza di lavoro. (G. B. C.) NOTIZIE DIVERSE Ancora sul terreno marino quaternario del littorale toscano. — A complemento di quanto scrissi altra volta su questo soggetto (Vedi Boll. 1885, N. le 2), devo ora aggiungere che ho trovato questo ter- reno (panchina) assai sviluppato e con notevole inclinazione verso la costa, fra il Terriccio e Cecina, ove elevasi sul mare di circa 100 metri, mentre ne dista di quasi otto chilometri. Più a Sud, in quel di Canapi- glia, fra il botro Gori e quello delle Rocchette, la panchina trovasi a 165 metri d’altezza e a quattro chilometri di distanza dal mare. Siluriano (?) presso Gavorrano in provincia di Grosseto. — Le roccie che racchiudono il grosso dicco granitico di Gavorrano sono calcari bianchi, ceroidi, fossiliferi e calcari rossi ad ammoniti del lias inferiore, i quali ad immediato contatto della roccia eruttiva divengono saccaroidi. Lungo la rotabile che dalla via Emilia conduce a Ravi, presso la fonte, sotto a questi calcari affiorano certi scisti che pre- sentano la più marcata analogia con quelli siluriani dell’Elba e della Sardegna. Come quelli, infatti, sono grigio-cupi o neri, carboniosi o gra- fitiferi, talora macchiati di chiazze ellittiche carboniose, talora macli- feri. Sono attraversati da numerose vene di granito, e fra essi e il dicco sta una massa di limonite in cui furon praticate delle escavazioni. La piccola estensione deiraffioramento di questi scisti offre poca proba- bilità di rinvenirvi fossili, i quali avrebbero potuto decidere se siano veramente da riferirsi al siluriano, come accennerebbero i caratteri li- tologici, o se piuttosto trattisi d’un terreno più giovane che abbia as- sunto tali caratteri d’antichità per metamorfismo dovuto a quelle spe- ciali condizioni in cui si trovarono allorché formossi quel granito. I caratteri suesposti sono infatti propri di terreni associati a roccie granitiche, come nell’Harz, in Sardegna, all’Elba e altrove. Pliocene alterato dalla trachite di Montecatini Val di Cecina e d’Orciatico in provincia di Pisa. — Dissi altrove {La miniera cupri fero, di Montecatini, ecc. Bollettino 1884, N. 11 e 12) che le roccie vulcaniche di Montecatini e d’Orciatico avevano indotto notevoli alte- razioni sulle roccie sedimentarie eoceniche fra le quali si fecero strada. Dissi che il Salvi e il vom Rath citavano alterazioni analoghe sulle roccie mioceniche, ma che a me non era stato possibile confermare quel fatto, che anzi per Montecatini dubitavo trattarsi d’uno scambio litologico. Ritornato di recente sui luoghi, ho potuto constatare che non solo i sedimenti eocenici presentavano la struttura sferolitica al contatto colla trachite, ma anche certe marne indurite che, pei nume- rosi modelli di conchiglie marine che contengono, benché indetermina- bili, sono da riferirsi al terziario superiore, e più probabilmente al plio- cene che al miocene, perchè quest’ultimo in quei dintorni è rappre- sentato da formazioni di ben altra natura. Pirite e calcopirite nella trachite di Montecatini Val di Cecina. — In considerazione della rarità colla quale si trovarono finora i sol' furi metallici nelle roccie vulcaniche, e specialmente nelle trachiti^ credo opportuno di segnalarne la presenza nella trachite di Monteca. tini. La calcopirite predomina sulla pirite, e trovasi di preferenza nelle frequentissime inclusioni di quarzo jalino, disseminata in mosche nel quarzo stesso, oppure nella trachite involgente presso il contatto colla inclusione. Però si trova anche, benché più raramente, in piccole mas- serelle pure, nel bel mezzo della pasta Rachitica e nelle vene bianche più ricche di feldspato che la percorrono in vari sensi. cietà geologica di Londra ( Quart . Journ ., ecc., XLI, 1885), interessan- tissimo sotto ogni aspetto e meritevole di seria considerazione, il pro- fessore T. G. Bonney, trattando della nomenclatura delle roccie erut- tive, propone di adottare il nome di gabbro per la roccia costituita di labradorite e diallaggio, cioè per quella roccia che noi chiamiamo co- munemente eufotide o granitone, e di riserbare la denominazione di eufotide per la stessa roccia allorquando la labradorite è convertita in saussurrite. A parte la questione se convenga adottare un nome nuovo per quest’ultima roccia, che differisce dall’altra solo per avere alquanto alterato uno de’ suoi elementi, o se pure non sia meglio distinguerla con un epiteto, noi Italiani non potremo mai accettare la parola gabbro nel significato attribuitole dal Bonney, e in generale dagli stranieri. Questa parola è italiana, e nelle nostre campagne viene indicata con essa la serpentina ; in questo senso la usò pure il Savi, il quale di- stinse poi col nome di gabbro rosso la diabase alterata ed arrossata per la produzione di sesquiossido di ferro. Mai da alcuno fu chiamata gabbro F eufotide, sia essa a labradorite o a saussurrite. B. Lotti. PUBBLICAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ ITALIA PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO PARTI PUBBLICATE (ai I» settembre 1885) Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000: -Foglio N. 248 (Trapani) prezzo L. 3 00 249 (Palermo) » 4 00 > » 250 (Bagheria) » 3 00 )) 251 (Cefalù) » 3 00 » 252 (Naso) » 4 00 » 253 (Castroreale) .... » 4 00 » 254 (Messina) ..... » 4 00 ^ » 257 (Castelvetrano) . . . . . » 4 00 _ » 258 (Corleone) >» 5 00 » 259 (Termini Imerese) . . » 5 00 » 260 (Nicosia) » 5 00 » 261 (Bronte) - » 5 00 » 262 (Monte Etna) .... » 5 00 » 265 (Mazzara del Vollo) . . . » 3 00 , Tavola » di sez. N. 1 (annessa ai fogli 249 e 258) » 4 00 » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 00 » » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 00 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500,000 (serve anche di foglio di unione della precedente) prezzo L. 5 00 Carta geologica dell’ Isola d’ Elba nella scala di 1/25,000, con sezioni annesse (in due fogli) prezzo L. 15 00 Carta geologica dell’ Isola d’ Elba nella scala di ll50,000 con sezioni annesse (in un foglio) prezzo L. 6 00 IN CORSO DI STAMPA Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000 : Foglio N. 266 (Sciacca). » 267 (Canicatti). » 268 (Caltanissetta). » 271 (Girgenti). Memoria descrittiva dell’Isola d’Elba, con 6 tavole in zincotipia ed incisioni intercalate nel testo, dell’Ing. B. Lotti, con appendice dell’Ing. E. Mattirolo. NB. Sono in preparazione i fogli rimanenti della Carta della Sicilia alla scala di 100.000 in numero di 10. Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio geologico, ovvero alla Libreria E. Loescher, in Roma. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie IL Voi. VI. Settembre e Ottobre 1885, N. 9 e IO SOMMARIO. Memorie originali. — I. Note intorno al rilevamento geologico del territorio com- preso nei fogli di Cairo Montenotte e Varazze della Carta topografica militare, di A. ISSEL. — IL Le andesiti dell’isola di Lipari, di L. BUCCA. — III. Brevi appunti raccolti in occasione del terzo Congresso geologico internazionale di Berlino, di B. LOTTI. Estratti e riviste. — Le alghe calcarifere litoproduttrici del Golfo di Napoli e l’o- rigine di certi calcari, di G. Walther (Estratto dalla Zeitschrift der deut. geol. Gesellschaf t, Jahrg. 1885, Berlin). Riunione del Congresso geologico internazionale di Berlino (3* Sessione, 1885). Ayyìso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia. MEMORIE ORIGINALI I. Note intorno al rilevamento geologico del territorio compreso Varazze della Carta to- pografica militare , del Prof. A. Issel. Incaricato dal signor Ispettore capo delle miniere di collaborare insieme con Y ingegnere L. Mazzuoli al rilievo geologico della Li- guria, mi sono principalmente occupato, durante le campagne autun- nali del 1884 e del 1885, dei territori compresi nei fogli di Cairo Monte- notte e Varazze del R. Istituto geografico militare ed ora credo op- portuno di rendere conto sommariamente delle mie osservazioni. Il sistema tenuto nel mio rilevamento è stato il seguente: Prima di tutto ho esplorato il litorale, che può dirsi propriamente una sezione assai istruttiva dovuta a cause naturali; ho poi percorso, osservando diligentemente le roccie e la stratigrafia, le vie maestre che dal litorale mettono all’ interno; quindi ho perlustrati i territori situati a destra e a sinistra di queste vie, facendo capo successivamente a vari punti ragguardevoli situati lungo le medesime. Con altre gite procurai di 18 connettere fra loro i rilievi precedenti, di ripassare le linee di contatto tracciate a distanza e di rendermi conto di certi rapporti. Cenni sulla Costituzione geologica del litorale. — Fra la foce del Chiaravagna, in quel di Sestri Ponente, e i monti che limitano a le- vante la valle del Riobasco, nei pressi di Albissola, la costa risulta formata quasi esclusivamente di roccie triasiche, mentre la riva sini- stra del Chiaravagna è costituita di rocce eoceniche e l’eocene domina del pari nel territorio di Genova e in tutta la Riviera orientale. L'in- gegnere Mazzuoli ed io abbiamo dimostrato in altri lavori come il Chiaravagna separi così due formazioni di età assai diversa, le quali erano state fin qui confuse perchè in entrambe hanno molto sviluppo le roccie ofiolitiche. 1 Per quanto riguarda le condizioni geologiche del territorio compreso fra Sestri e Voltri, rimando il lettore alle memorie precitate. A ponente di Arenzano, dominano le serpentine triasiche, frammezzo ad una varietà infinita di scisti cloritici e talcosi, bene spesso gneissi- formi, attraversati da filoni di quarzo, con lievi particelle metallifere (pirite, pirrotina, crisocolla, magnetite, ecc.) A Cogoleto si vede una piccola massa di calcare magnesiaco triasico, superiore ai soliti scisti con serpentine, i quali si estendono fino allo stabilimento metallurgico Henfrey. Colà la serpentina esclude ogni altra roccia fin presso al ca- sello ferroviario N. 20; sottentrano poi (procedendo sempre da levante a ponente) piccole alternanze di serpentina e d’eufotide, e poi una gran massa di quest’ultima roccia che continua fino all’abitato di Varazze. Qui di bel nuovo ripigliano scisti talcosi e cloritici, ma con scarsa ser- pentina, la quale in seguito viene a mancare del tutto. Siffatti scisti, passando sotto a roccie terziarie, di cui dirò più innanzi, ricompari- scono presso la valle del Riobasco, a levante d’ Albissola. Tra Albissola e Vado, in riva al mare, prescindendo da alcuni lembi pliocenici e quaternari, la costa risulta principalmente di roccie cri- stalline permiane, nelle quali domina ora la forma gneissica, ora la gra- nitica, ora la scistosa. Nella regione marittima la formazione permiana confina a levante cogli scisti triasici, contenenti un po’ di serpentina, mediante una linea mal definita situata sulla riva sinistra del Riobasco e presso a poco parallela a questo torrente. A ponente, il limite sembra seguire una linea 1 Bollettino della Soc. Geol. Ital., anno II, fase. I, Roma 1883. — Bollettino del R. Comit. Geol., anno 1884, n. 1-2. — 259 — tortuosa che dal fianco meridionale del Monte Alto, scende alle Rocche dei Corvi e da questo punto procede poi lungo la riva destra del tor- rente di Quiliano, d'onde, passando sotto alle alluvioni di esso, scende al mare fra il porto di Vado e Bergeggi. Certo è che da un punto, a breve distanza a ponente della stazione di Bergeggi fino alle prime case di Spotorno, la costa è quasi eclusivamente costituita da una massa di calcare magnesiaco, il quale forma il monte Mao, il Bricco Colom- bino e risale fino al monte Berba. Mentre il forte di S. Stefano e forse anche l’abitato di Bergeggi sono fondati sulle roccie cristal- line permiane, il monte S. Elena presenta tutti i caratteri del suolo triasico. A ponente di Spotorno, nel Finalese, non v’ha che una sola forma- zione preterziaria di scisti e calcari ed è triasica. Le dette formazioni permiana e triasica sorreggono parecchi lembi di terreni più recenti. Questi sono, passando da levante a ponente: 1. Un piccolo deposito di marna azzurra pliocenica presso Ter- ralba a ponente di Arenzano; 2. Un’isola di mollassa e sabbie mioceniche (riferibili credo al tongriano superiore) a Scierborasca sopra Cogoleto ; 3. Una stretta zona di conglomerati ed arenarie tongriane che forma il litorale, fra il Capo Tanon presso Varazze e la valle del Rio- basco a breve distanza d’Albissola, zona che raggiunge un chilometro di larghezza e la cui massima potenza oltrepassa di poco 120 metri; 1 4. Le argille e marne grigie di Albissola che vedonsi emergere dalle alluvioni quaternarie antiche del Sansobia in qualche punto a si- nistra del torrente fra Albissola superiore e il Cavo, nonché fra Al- bissola marina e Valloria; 5. Una estesa formazione pliocenica, la quale si estende lungo il litorale dalla città di Savona fino alla valle del Segno, ma rimane occultata in qualche tratto da alluvioni recenti; 6. Alcuni piccoli depositi quaternari litorali di ghiaje e ciottoli, situati presso Cogoleto e Arenzano tra metri 5 e 17,50 sul livello del mare. Cenni sulla costituzione geologica della regione interna. — Dalla riva del mare, generalmente alta e scoscesa, che intercede fra Aren- zano ed Albissola, fino al parallelo che passa per 44.° 30, il quale segna 1 Un piccolissimo deposito arenaceo situato presso la stazione di Varazzo accenna alla maggior estensione che questa zona ebbe in passato. — 260 — il limite settentrionale del foglio succitato di Varazze, il paese presenta un accavallamento di monti, distribuiti all’ingrosso in tre o quattro scaglioni di crescente altezza da mezzogiorno a settentrione, con di- rezione generalmente parallela alla costa. Nel territorio di cui tengo discorso appariscono dominanti, sia per la loro altezza, sia perchè fun- gono ufficio di spartiacque (passando da levante a ponente), il Dente di 1104 m., il Reisa di m. 1184, le Rocche del Tornan di m. 1191, il Beigua di m. 1287 e principalmente l’Ermetta, il quale quantunque non rag- giunga che m. 1262 d’altitudine, esercita tuttavolta una parte prepon- derante sulla distribuzione delle acque e sulla configurazione del paese per la sua massa ingente. Orbene, tutto questo gruppo montuoso ri- risulta quasi esclusivamente di scisti triasici, accompagnati di roccie ofiolitiche e in ispecie di serpentina, la quale, mentre apparisce solo di tratto in tratto lungo il litorale, si fa invece dominante nelle regioni prossime allo spartiacque; talché ne sono costituiti quasi esclusivamente il Dente e il Reisa. A questa formazione antica si sovrappongono in qualche punto calcari dolomitici e per tratti ben più estesi depositi miocenici tongriani, tra i quali prevalgono conglomerati e mollasse. Le due masse princi- pali tongriane hanno per centri l’una Sassello e l’altra il monte Giovo, Di ciascuna mi occuperò partitamente più innanzi. Se ora consideriamo di nuovo la formazione permiana del Savonese,, di cui ho già succintamente indicato i limiti a levante e a ponente, vediamo che risale soltanto ai pressi di Stella, lungo il Sansobia, ce- dendo poi il luogo a scisti con serpentine. Da quel punto il confine fra il permiano e il trias, ancora incerto, ripiega verosimilmente verso sud- ovest, passa a mezzogiorno del monte Negino, costituito d’ eufotide (vedi la carta di Cairo Montenotte), risalendo poscia verso settentrione, contorna i calcari del Castlas, poi si estende, a quanto sembra, fin presso ai calcari di Camponuovo e Bragno. Le apenniniti, i gneiss e gli scisti permiani rimangono poi coperti dai conglomerati e dalle arenarie di Carcare e di Piodio che si avanzano fra le due Bormide di Pallare e di Cengio verso mezzogiorno fino alla zona marginale della carta. A mezzogiorno di Carcare, a Bensì Sottano lungo la Bormida di Pallare, emergono dalla ingente formazione dei conglomerati miocenici scisti anfibolici e talcosi del trias; similmente, a mezzogiorno di Bie- stro e di Millesimo, ove manca la coperta miocenica, comparisce an- cora il trias, in vari punti rappresentato dai calcari dolomitici. A le- vante di Carcare, invece, la valle della Bormida di Mallare è tutta aperta nel permiano, il quale vien solo a mancare a mezzogiorno di — 261 — Altare, ove la denudazione ha messo allo scoperto le assise del car- bonifero. Su questa massa permiana riposa una grande isola di tongriano, coll’ asse maggiore diretto da N.E a S.O, che copre le creste dei monti dai pressi di Altare al Bricco Castlas ed altra più piccola e di forma allungata che si estende intorno a Cadibona, ai due lati della via provinciale, occupando un piccolo bacino ben circoscritto di cui dirò in seguito. L’ultima ripete un’importanza speciale dacché dava ricetto ad un deposito di ottima lignite, il quale alimentò per molti anni la miniera di Cadibona ora esausta. La formazione scistoso-serpentinosa che fa seguito al permiano copre, come si è veduto, la maggior parte del territorio compreso nel foglio di Yarazze, tranne, ad occidente, alcune isole tongriane allineate da N. a S. e l’ espansione permiana che occupa tutto l’angolo S.O della carta. Questa formazione passa anche nel territorio compreso entro il foglio di Cairo Montenotte e si presenta nella parte superiore di esso, come una zona assai ristretta che emerge da ampio rivestimento mio- cenico e va grado grado allargandosi, per dar luogo ad un capo fra- stagliatissimo, sulle cui rive estreme sono collocati Dego, Rocchetta Cairo e Cairo Montenotte, capo, il quale a mezzogiorno si attacca al continente permiano. Il gran pelago tongriano, così limitato, è sparso di isole ed iso- lette di roccie antiche, le quali spesseggiano ove la denudazione fu più energica. Così, passando da settentrione a mezzogiorno, si osser- vano piccoli affioramenti di scisti talcosi, di serpentina e di calcare triasico lungo il rio della Sorba, in quel di Mioglia e Squaneto; altri di serpentina e scisti compariscono sulle due rive della Bormida a monte di Piana Crixia. Analogamente, scisti e calcari si vedono sulla via rotabile da Carcare a Millesimo ai due lati di un torrentello. Il tratto della zona del trias, che va compreso frfe la Madonna del Carmine (presso il passo dei Giovi) e il Bricco Roccassa, sopra Sas- sello e si estende a ponente fino al monte Rama (inclusivamente), ri- sulta di serpentina quasi pura ed è uno dei paesi d’aspetto più singo- lare che io abbia veduto, per l’asprezza e nudità del suolo, per la viva colorazione della roccia. 1 Pel predominio assoluto della serpentina, questa regione contrasta 1 Tali caratteri dipendono probabilmente da che il suolo fu solo da breve tempo denudato dal rivestimento miocenico e presenta però rupi ofìolitiche poco alterate dagli agenti atmosferici. — 262 — con quelle di Montenotte e di Cairo, nelle quali il Tarameli! fece os- servare prima di me che le roccie ofìolitiche non sono mai scompa- gnate dalle talcose e costituiscono un elemento accessorio. 1 II limite meridionale di tale regione serpentinosa, una delle più vaste della Li- guria, passa poco lontano da Montenotte inferiore e verso levante giunge presso Santa Giustina, ma non è ancora delimitato con preci- sione. La grande formazione scistosa triasica che si protrae fino alla valle della Bormida di Spigno, non può dirsi priva affatto di serpentina; ma, come già osservava il professore Taramelli 2, questa roccia vi com- parisce solo qua e là in piccoli affioramenti irregolari; ciò, per esem- pio, lungo il rio della Sorba, a monte di Piana, presso le case del Serér alla cascina Lujas e in vari altri punti ad E. e S.E di Rocchetta Cairo, come pure alla Madonna del Bosco, alla Loppa e più in alto, nelle adiacenze del rio omonimo, nel territorio di Cairo Montenotte. L’eufo- tide apparisce poi in grandi masse alla cascina Tolona (Rocchetta Cairo) fra Montenotte inferiore e superiore (ove fu già segnalata dal signor Taramelli), al monte San Giorgio, al monte Greppino, al Bricco del Giogo, al monte Negino, ecc. Ma ciò che impartisce uno speciale carattere alla formazione tria- sica di cui tengo discorso è una catena di greppi calcari (di calcare magnesiaco), i quali segnano in questo territorio la parte superiore di essa e si riferiscono, secondo ogni probabilità, al Muschelkalk. Questa catena, facendo astrazione da alcuni lembi disgiunti, segue un allineamento che corre da E. a 0.. Le prime masse di calcare visibili da levante a ponente son quelle situate lungo i fianchi meridionali del Bricco del Giogo, una delle quali si accosta molto a Corona. Un po’ più a nord ve ne ha una non meno cospicua nella località di Pra Sper- giurà, la quale si vede a distanza salendo da Santa Giustina verso il passo dei Giovi per la via maestra; altre due, connesse alla prima, s’incontrano presso la Crocetta e Cima la Biscia; una più a mezzogiorno costituisce la vetta del monte Pra; risalendo poscia a settentrione, si osservano altre due masse presso il Bricco Castlas. Più lunge, verso est, il calcare non ricomparisce che a Camponuovo (ove si estrae per fabbricare calce) e in cinque o sei punti a mezzogiorno di quella lo- calità, lungo il versante del monte Gos e nei pressi di Bragno; segue poi, un po’ più al nord, la gran massa di Santa Margherita presso 1 Bollettino della Soc. Geol. Ital., voi. I, n. 123, 1882. * Memoria citata. — 263 — Cairo, la quale per la massima parte si trova sulla sinistra della Bormida, ma passa pure a destra; le cave di calcare da calce cosidette di Cairo sono aperte appunto in questa massa. Di poi, volgendo l’alli- neamento del calcare a S.O, si connettono agli affioramenti sopra no- tati quello piccolissimo segnalato sulla via di Millesimo, in mezzo al tongriano, altri due a mezzogiorno di Biestro, uno o due al Bricco della Feja, nelle medesime condizioni, e un altro, il maggiore di tutti, a sud di Millesimo, il quale occupa quasi esclusivamente le due rive della Bormida, tra la cascina Rocco e il Molino di Millesimo. Nella carta del Monferrato e di parte della Liguria, rilevata anni sono dall’illustre Carlo Mayer 1 figura presso Santa Giustina un’isola eocenica che comprende parte del Bricco del Tamburo e della Costa del Giogo ed altra più estesa situata in contatto della prima (in cui si nota come punto culminante la Rocca del Bonomo), la quale è di- stinta col colore del giuraliasico ( sequanien? ); oltre a ciò vi è notata a sud di quest’ultima una esile striscia di turingiano (carbonifero su- periore). Io non ho saputo trovare nè 1’ una nè le altre, o piuttosto i talcoscisti e calcescisti che Mayer ascrive all’eocene sono per me trias inferiore e i calcari da lui ritenuti giuraliasici e carboniferi si riferi- scono a parer mio al trias medio. Giova per altro avvertire che il mio giudizio è unicamente fondato sull’aspetto delle roccie e non sul ritro- vamento di fossili. Roccie permiane. — La formazione cristallina del Savonese s’im- merge visibilmente sotto la gran massa di talcoscisti e d’altre roccie scistose o cristalline che comprende potenti, interstrati di serpentina, accompagnati da eufotidi, anfìboliti, ecc., massa la quale fu riconosciuta dall’ ingegnere Mazzuoli e da me come appartenente al trias inferiore. D’altra parte, essa formazione cristallina si appoggia indubbiamente sulle assise carbonifere di Mallare, Calizzano e Osilia e da ciò argo- mento che rappresenti nel nostro territorio il permiano. Le roccie di questa formazione, che possono essere studiate in con- dizioni favorevoli nel Savonese e lungo la via tra Savona e San Giu- seppe, risultano precipuamente di plagioclasio, quarzo e clorite, oppure talco ; raramente è presente la mica. Fra esse, una varietà notevole a struttura granitica imperfetta e a plagioclasio sodifero e potassifero, fu raccolta dal professore Gastaldi a Cadibona, a Calizzano, e fra le 1 Questa carta fu resa ostensibile in parecchie pubbliche mostre, ma non è ancora pubblicata. - 264 — Alpi Perniine e denominata da lui Apenninite. 1 Supponendo che le assise di essa roccia fossero sottostanti all’antracitifero, il Gastaldi le collocava alla parte superiore della sua zona delle pietre verdi. Nella regione Bruciati e precisamente in una terra detta Magroria, a ponente d’Albissola marina, nonché in altri punti fra il Sansobia e l’ Acquabuona, l’ apenninite si converte in vero granito a mica nera; presso il Forte di Vado, per la sostituzione di materia cloritica alla mica assume invece aspetto di eufotide e come tale fu menzionata da Pareto; lungo la linea ferroviaria tra Savona e S. Giuseppe, presso il Santuario acquista una struttura nodulosa o mandorlata particolare. Mancano • affatto nel territorio esplorato masse o vene porfiriche, altrove copiose tra le assise permiane 1 2. In questa formazione abbondano assai gli strati e i filoni quarzosi, ciò specialmente nella parte sua superiore. Ne vi mancano filoni me- talliferi, contenenti svariati minerali. Un esempio di giacimento di ga- lena con pirite si ha a Montagna, presso Quiliano, come pure alle Anime Vecchie a N.O di Savona. Filoncelli di calcopirite ed erubescite, con carbonati di rame azzurro e verde, si trovano a Valloria a ponente di Albissola. Per gli uni e per gli altri furono tentati lavori di esplora- zione; ma sempre con esito infelice. Sotto il Monte Corvo, nella valle di Quiliano è notevole un quar- zoscisto rubiginoso, contenente larghe falde di grafite 3. Laddove sono presenti le serpentine o le anageniti, le quali occu- pano, come hanno dimostrato osservazioni anteriori, la base del trias, riesce facile il separare questo sistema dal permiano, collocandolo im- mediatamente sotto l’orizzonte di tali roccie. Ma in mancanza delle anageniti e delle serpentine, siamo privi di ogni criterio ben definito di separazione 4 5. Tuttavolta, seguendo il suggerimento dell’ing. Zaccagna s, Maz- zuoli ed io, per eludere in qualche modo la difficoltà, ascriviamo al 1 Gastaldi, Sui rilevamenti geologici fatti nelle Alpi Piemontesi durante la campagna del 1877, lettera a Q* Sella (Atti della R. Accademia dei Lincei, serie terza, voi. II, Roma 1878.) 2 Si trovano però poco lungi nella medesima formazione in vari punti delle Alpi Marittime, per esempio al passo di Nava e al monte dell’Abisso. 5 Gneiss con mosche di grafite, verosimilmente permiano, raccolsi accanto alla miniera di Rialto presso il passo di Melogno. 4 Si è detto come nei confini del mio rilievo il porfido, che altrove è uno degli elementi peculiari del permiano, non si trova. 5 Vedasi in proposito la nota Sulla costituzione geologica delle Alpi Marit- time (Bollettino del R. Comitato Geologico, anno 1884, n. 5-6.) — 265 — permiano le masse rocciose, nelle quali prevalgono le varietà a forma granitica e gneissica, in una parola, le apenniniti, e manteniamo nel trias le masse prevalentemente scistose, massime quelle a talco do- minante, come si osservano, per esempio, alle Trincere, sulla via da Finale al Melogno, al monte di S. Elena sopra Bergeggi. Fa d’uopo ritenere, tuttavolta, che le transizioni graduate fra le diverse varietà litologiche, le alternanze fra le une e le altre rendono questo metodo incerto e solo applicabile alle grandi masse. Quanto alla distinzione tra il sistema permiano e il sottostante carbonifero, si desume da che il secondo si manifesta precipuamente in Liguria, come in vari punti della regione alpina, con roccie arenacee, quarzose e feldispatiche, e scisti nerastri metalloidei, talora con aspetto e struttura d’ardesia, fra i quali sono intercalati bene spesso letti d’an- tracite. Le roccie arenacee sono d’ordinario superiori alle scistose. Senonchè, nel campo del mio rilevamento, il carbonifero non è com- preso. Esso costituisce peraltro a brevissima distanza, vale a dire a poco più di un chilometro a mezzogiorno di Altare, nella valle di Mallare, una massa alquanto estesa che fu studiata testé dall’ inge- gnere Mazzuoli. Roccie ofiolitiche triadiche. — La formazione serpentinosa tria- sica è talmente sviluppata in Liguria che può essere studiata con frutto in molte località. Per non uscire dal tratto di paese contemplato in questi appunti, indicherò Arenzano, Cogoleto, il Capo Invrea, la valle del Teiro, il Bricco di Rama presso Sassello e i dintorni di Pontivrea come località istruttive, in ordine alla stratigrafia e alle varietà lito- logiche delle roccie ofiolitiche. La serpentina della formazione triasica suol essere più dura, meno lucente, meno untuosa al tatto a frattura, meno scagliosa di quella della Riviera di Levante, che risale soltanto, come si è detto altrove, ail’eocene. Questa serpentina., è bene spesso porfirica, accludendo cristalli di ba- stite, ma di rado siffatti cristalli sono ben definiti come quelli dei pressi di Casarza, Bargone, di Masso, del Levantese, ecc. La scistosità della serpentina è qui assai comune, più comune che non nell’altra Riviera. Fra i minerali accessori della serpentina ,triasica, vogliono essere ricordati l’asbesto e l’amianto, comuni nelle fenditure della roccia o in rivestimenti alla sua superficie. Ne raccolsi distinti esemplari sopra Arenzano, a Cogoleto (presso lo stabilimento metallurgico) fra la Ma- donna del Carmine e Pontivrea, a Sassello, ecc. Di contro alla Cappella del Salto, sulla riva destra del Sansobia, — 266 — si osserva, tra 150 e 200 m. d’altezza sul torrente, che la serpentina triasica contiene vene e nidi di calcite e di calcedonio violaceo o bigio. La roccia è in alcuni punti assai Tubefatta e ridotta quasi allo stato terroso. Si trova talvola intimamente associata alla serpentina triasica nella Liguria occidentale, come alla serpentina eocenica nella Riviera di Ponente *, la lehrzolite, la quale occupa per lo più il centro di grandi masse serpentinose e passa alla serpentina per transizioni graduate. 1 2 Osservai una massa cospicua di lehrzolite sopra le case dette Ronco da Basso, sul Rio Cantalupo, affluente del Varenna, massa nella quale si trova una piccola cava, ora inattiva, per l’estrazione di pietre da macina e da taglio. La roccia è di color grigio nerastro, con mac- chiette o screziature più chiare, che corrispondono ai cristalli d’enstatite. Bene spesso, per la maggior resistenza alla corrosione dell’ enstatite rispetto al peridoto, sotto l’azione degli agenti esterni, la prima rimane sporgente sotto forma di rilievi aspri al tatto. Superiormente, vi ha un altra cava della medesima roccia. E probabilmente una varietà di lehrzolite la durissima e tenacissima roccia metallifera del Bricco del- l’ Omo presso la Vesima (tra Arenzano e Voltri), nella quale sono aperte le Cane dell Oro, antiche escavazioni minerarie abbandonate. Questa roccia è sparsa di minute particelle di pirrotina, calcopirite, solfuro di nichel e oro. Nel territorio di cui mi occupo specialmente in questa nota incontrai la lehrzolite sulla riva sinistra dell’Arestra presso la foce, a ponente di Cogoleto, e in vari punti sui fianchi del monte Ermetta. Nella formazione serpentinosa triasica di cui tengo discorso, l’eu- fotide è assai meno abbondante che non nella Riviera di Levante. Essa suol essere a cristalli di diallagio poco sviluppati e si presenta ge- neralmente alterata. Non manca la varietà a smaragdite. Le mag- giori masse che io abbia incontrate son quelle che si trovano fra Cogoleto e Varazze, lungo il Teiro e al passo del Bonomo sopra Santa Giustina. Anche qui, come nella valle del Petronia e nel Levan- tese, l’eufotide si mostra strettamente collegata alle roccie metamor- fiche piuttostochè alle serpentine. Le intrusioni o piuttosto le inclusioni 1 Vedasi in proposito la nota di Mazzuoli nel Bollettino del R. Comitato Geologico, anno 1884, n. 11-12. 2 È notevole il fatto, in ordine alla teoria, che la massa di lehrzolite eocenica osservata sul Monte Penna è assai più estesa di quelle segnalate fin qui nella formazione triasica. — 267 — di eufotide nella serpentina non mancano e si verificano d’ ordinario, come nella Liguria orientale, presso i contatti della serpentina stessa colle roccie di sedimento alterate. Le breccie ofìolitiche e le serpentine venate di calcite sono assai rare nel territorio esplorato; qualche esempio delle prime vidi sul Teiro sopra Varazze ed una sorta di oficalce incontrai sulla sua destra del Sansobia, di contro alla Cappella del Salto. Le serpentine sono accompagnate qualche volta, in questa forma- zione, da roccie brune e verdi, compatte che hanno l’aspetto del gabbro rosso, roccie che sono probabilmente anfiboliche o diabasiche; ma non furono ancora ben definite. Non ho mai incontrato tali roccie sotto le forme porfìrica e variolitica, come nell’altra Riviera. Diaspri, ftaniti, ipoftaniti mancano qui completamente. Formazione scistosa triasica. — La formazione scistosa del trias risulta superiormente, nella sua forma normale, di scisti talcosi molli, untuosi al tatto, biancastri o verdastri, a talco assai prevalente con quarzo ed altri minerali accessori, od anche di scisti cloritici più resistenti di colore verde cupo, similmente con quarzo ed altri mine- rali, come magnetite, pirite, epidoto, ecc. Gli scisti talcosi che consi- dero come tipici si vedono fra Voltri e Arenzano, alle Trincere lungo la via del Melogno, sopra Vezzi, sul fianco occidentale del monte Er- metta, ecc. I cloritici s' incontrano, per esempio, lungo la valle della Cerusa, sopra Arenzano, fra Finalpia e Varigotti (ivi con noduli e vene d’epidoto). Gli uni e gli altri sono spesso immediatamente sottoposti ai calcari e credo che si possono considerare nella pluralità dei casi come superiori alle serpentine. Inferiormente alle grandi masse di questi scisti e in genere alla base della formazione triasica, si trovano gneiss talcosi e cloritici e scisti con quarzo grasso in vene e strati ed anche quarzite, ciò talvolta al di sotto delle serpentine. Alla base della formazione calcare del trias, vale a dire sotto i calcari marmorei si dà quarzo in copia, per lo più in forma di quar- zite, come a Boissano, al Capo di Noli, ecc., ma siffatte roccie mi sem- brano superiori stratigrafìcamente ai quarzi e alle quarziti ora accen- nati che segnano il confine fra il trias e il permiano. Qua e là i talcoscisti si impregnano di materie ferruginose, ocra rossa o limonite, e diventano rossastri o giallastri. Nella cava Bianchi, a Cogoleto, i talcoscisti sottostanti ai calcari da calce sono compene- trati di pirite e, per l’alterazione di questo minerale in presenza degli agenti atmosferici, la roccia si copre per piccoli tratti di efflorescenze 268 — di solfato di ferro. Talvolta, invece, si fanno feldispatici, passando allora al gneiss od anche acquistano mica, ma questo caso, che si dà per esempio a Pegli nella villa Palla vicini, è piuttosto raro. Il cloritescisto da canto suo, associandosi a quarzo, feldispato, antibolo e ad altri si- licati produce altre varietà, ma tutte poco sviluppate e da tenersi in conto di eccezioni. La varietà litologica che si trova più comunemente sottoposta alle serpentine nella Riviera di Ponente e che sta a rappresentare alcuna volta il trias inferiore, anche ove quelle roccie mancano, è uno scisto bigio metalloideo, talvolta anche rasato o marezzato. Sotto e sopra le serpentine del trias inferiore abbondano roccie cloritiche simili a quelle già segnalate. Una di esse, compatta, a grana minuta, poco o punto scistosa, risulta quasi esclusivamente di clorite ed è comune nella valle del Teiro sopra Varazze, donde si estrae in vari punti per servire ad uso di pietra da taglio. Altra roccia caratteristica di questo periodo, in Liguria, .è il cal- cescisto, che si trova d’ordinario sotto gli scisti bigi già ricordati e consiste in un calcare cristallino, impuro, di color bigio o violaceo, ta- lora venato, generalmente poco scistoso. Esso contiene sempre talco e fa lieve effervescenza cogli acidi. Questo fu da me osservato in grandi masse lungo il Sansobia a valle delia Cappella del Salto, ove fornisce buona pietra da costruzione. Se la serie fosse completa, credo che i calcescisti si troverebbero al disopra dei quarzi e delle quarziti inferiori. Fra le roccie proprie alla base del sistema triasico, debbo segnalare, infine, le anageniti che pos- sono considerarsi come una modalità della quarzite. Queste non le in- contrai in posto nel territorio di cui tengo discorso, ma ne vidi molte volte massi isolati (presso Millesimo, Biestro, Piodio, Carcare, ecc.), che provengono dal conglomerato miocenico o dalle alluvioni quater- narie e perciò presumo che non debba mancare nelle Langhe. Ho già accennato per incidenza a certi filoni di quarzo, contenenti scarse particelle metallifere, segnalati entro agli scisti della formazione ofiolitica del trias presso Arenzano. La stessa formazione ricetta lungo il versante settentrionale dell’Appennino, alla Lavagnina e in altri punti, filoni quarzosi con pirite, galena, calcopirite e oro. Lungi dalle ser- pentine, i filoni metalliferi sembrano assai rari entro i confini del piano di cui si tratta; tuttavolta ho veduto nelle vicinanze di Loano, accanto alla cappella di Santa Libera, un fìloncello assai regolare di calcopi- rite che taglia gneiss e scisti talcosi verosimilmente triasici. — 269 — Formazione calcare triassica, — Il calcare di Cogoleto presenta, secondo i punti, caratteri assai svariati. In gran parte è compatto, omo- geneo, piuttosto duro, ma poco tenace, a frattura ineguale e questa è la varietà più ricercata come pietra da calce. Altrove diventa scistoso, conservando gli altri caratteri, o pure è bigio cinereo, più duro e fra- gile ed assume anche qua e là struttura cristallina a grana minuta. Si danno pure varietà bianche a mosche bigie e bigie a macchiette bianche (forse traccie d’organismi) ed anche varietà nelle quali la roccia si fa untuosa al tatto perchè pregna di talco. Il calcare cristallino o ceroide e il talcoso si trovano per lo più alla base della formazione, lo sci- stoso al sommo della medesima. In alcune cave si trovano, nei banchi di pietra da calce, piccole cavità ingemmate di minuti romboedri di calcite, cui si associano talvolta gruppi aciculari o fìbroso-raggiati di aragonite. Nella cava situata lungo la via di Scierborasca, a monte delle altre, si vedono succedersi nell’ordine discendente: 1° calcescisti; 2° calcari da calce; 3° talcoscisti (pochi straterelli) ; 4° serpentina normale; 5° tal- coscisti. Le stratificazioni di calcare concordano quasi sempre con quelle dei talcoscisti. Da tre analisi del calcare da calce di Cogoleto, il prof. Giovanni Denegri, mio collega nell’Università di Genova, ottenne i risultati se- guenti : I II III Carbonato di calcio .... 76,000 76,594 49,432 Carbonato di magnesio . . . 23,231 20,092 39,132 Allumina » » 4,000 Nulla ho da notare di speciale in ordine ai calcari del Monte Ca- stlas, del Monte Pra, dei pressi della Crocetta, di Pra Spergiurà a mez- zogiorno della Madonna del Carmine (fra il Giovo e Pontivrea,) ecc. A quanto mi disse il rev. Don Perrando, quelli che s’incontrano fra il Monte Loco e il Passo del Bonomo sarebbero associati a masse di gesso, di cui si troverebbero saltuariamente pezzi erratici nei burroni dei pressi di Corona. La concomitanza del gesso col calcare dolomitico, la quale si dà qui come a Balestrino, avvalora il modo di vedere adottato dall’inge- gnere Mazzuoli e da me circa il posto che si addice nella scala cro- nologica a questi calcari. Ognuno sa, infatti, che il gesso accompagna quasi costantemente il Muschel'kalk medio o superiore in Germania, nel Belgio, fra le Alpi occidentali, ecc. Il calcare della massa di Camponuovo è di color grigio traente allo azzurro, più duro e più fragile di quello di Cairo. In alcuni punti ha una frattura aspra al tatto che si direbbe arenacea. Ivi è aperta una cava e si trova una piccola fornace per calce, ma V una e l’altra erano inattive all’epoca della mia gita. Se, partendo da Bragno, si sale pel sentiero che segue il rio dei Gallucci, dopo aver attraversato una serie di scisti tal cosi triasici di varie sorta, qua plumbei, là verdastri o biancastri, variamente piegati e contorti, 1 si giunge alla base della formazione calcarea, che è rappre- sentata da piccole masse di calcare dolomitico, cristallino, marmoreo a grana sottile, di color bigio chiaro. Continuando a salire, si trovano altri piccoli affioramenti di calcare, spettanti al medesimo orizzonte, in cui la roccia assume struttura ceroide e color luteo chiaro come di pietra litografica, o pure si fa giallastra con venature bianche e grigie. Ad un certo punto, si vede il calcare non più adagiato sopra talcoscisti, ma sopra calcescisti arenacei, simili a quelli che si osservano alla base del trias presso Sestri Ponente. Al crinale del monte, non lungi dalla vetta del Monte Gos, il calcare, che qui spetta ad un livello superiore a quello della varietà marmorea si converte in una vera dolomia bianca, ruvida al tatto, la quale, sotto l’influenza degli agenti atmosferici, di- venta alla superficie come farinacea; essa ha la proprietà di emanare odore bituminoso colla percussione. 2 Dalla presenza di certi piccoli rilievi irregolari alla superfìcie di questa roccia, sospetto che essa accolga traccie di corpi organici; le mie ricerche allo scopo di rinve- nirvi fossili determinabili furono però vane. Il prof. Foldi, il quale mi era compagno nella gita in cui osservai la dolomia sopradescritta, si compiacque di istituirne per me l’analisi quantitativa ed ottenne i risultati seguenti: Carbonato di calcio . . Carbonato di magnesio Silice Ossido di ferro . . . Acido fosforico. . . . . . 53,240 . . 46,160 . . 0,213 . . 0,157 . . 0,020 99,790 Il calcare del monte di Santa Margherita presso Cairo, è, al solito, di color grigio cenere traente all’azzurro, piuttosto duro, ma non molto 1 La direzione generale di questi scisti è da N.O a S.E, l’ immersione a S.O 2 Osservai la medesima proprietà anche in certi calcari dolomitici della valle del Yaratiglia sopra Toirano e delle vicinanze di Spotorno. — 271 — tenace e si rompe irregolarmente sotto i colpi del martello. Esso co- stituisce una massa di circa m. 130 di potenza, con stratificazioni ben distinte, ripiegate e contorte in vari sensi, le quali, localmente, appa- riscono orizzontali. Alla base della formazione calcare, di contro al passaggio a li- vello della ferrovia, si vede un letto di massi calcarei e scistosi che giace discordantemente sopra talcoscisti antichi, in strati assai* inclinati. Un po’ al di sotto della Cappella di Santa Margherita, si trova la imboccatura di una cavità, lunga e stretta, diretta da E. a 0., che ora si può seguire per una diecina di metri ed è ostruita più innanzi da gran copia di sassi gettativi da quei terrazzani. Si vuole che questa grotta penetrasse nelle viscere del monte per 200 m. Il calcare di Cairo presenta certe piccole macchie di color chiaro, che dipendono forse da traccie di corpi organici ; non vi ho rinvenuto però alcun fossile propriamente detto. Nella Liguria occidentale, d’al- tronde, non incontrai fossili triasici ben manifesti che presso Loano,. nelle adiacenze della cascina di Castagnabanca sopra Verzi e sono im- pronte di Estheria in uno scisto quarzoso sottoposto ai calcari. 1 Nella massa calcarea sono aperte a varie altezze 10 piccole cave di pietra da calce e di pietrisco e nelle adiacenze si trovano 7 fornaci per la cottura della* calce, una delle quali continua. Al Bricco della Faja e a monte del Molino di Millesimo il calcare è di color bigio traente all’azzurro, duro, fragile e nei suoi affioramenti si presenta bene spesso arrotondato dalla erosione e forato dai mol- luschi litofagi; nella prima località vedonsi anche molti ciottoli di quel calcare ugualmente forati. Credo utile di riassumere sotto forma di quadro le osservazioni stratigrafìche suesposte. Trias medio. Calcari dolomitici fissili cinerei, dolomie; Calcari dolomitici tenaci, azzurri e venati, spesso cavernosi; Calcari dolomitici ceroidi; Marmi bianchi o bigi venati; Quarziti scistose, quarzi. 1 Nella memoria precitata, il prof. Taramelli accenna a fossili che io avrei rinvenuti nel calcare presso Arenzano, ma si tratta di malinteso, dovuto proba- bilmente alla similitudine delle desinenze nei due nomi di località sopra ricordati. — 272 — Trias inferiore. Talcoscisti ricchi di talco, cloritescisti ; Serpentine, lehrzoliti, eufotidi, anfiboliti, diabasi, (?) dioriti (?); Scisti plumbei, scisti e gneiss talcosi e cloritici; Calcescisti, scisti e gneiss -talcosi; Scisti con vene e strati di quarzo ; Quarziti e anageniti. Formazione miocenica. — E noto che sul monte di Portofìno, nella Riviera di Levante, un piccolo lembo di conglomerato poligenico, giace discordantemente sul calcare a fucoidi eocenico e si manifesta con ciò meno antico dell’eocene superiore; è risaputo e ne addurrò la prova in seguito, che appartiene al miocene inferiore o tongriano. Alle . porte di Genova, nell’alveo del piccolo Rio Vernazzolo, che attra- versa l’abitato di S. Martino d’Albaro, alcuni massi del medesimo con- glomerato costituiscono quasi un caposaldo che connette il lembo di Portofìno ad altri della valle di Scrivia, del monte Maggio e di Celle, dotati di caratteri analoghi. La piccola isola miocenica di Scierborasca, sopra Cogoleto, più prossima a Genova di quel che non sia il lembo di Celle, presenta non conglomerato, ma mollasse giallastre, le quali accludono in alcuni banchi fìlliti e in altri ostriche, pettini ed altre conchiglie marine. Per l’analogia di questo giacimento con le assise medie e superiori della grande isola di Santa Giustina, lo reputo esso pure tongriano (tongriano medio). A cinque chilometri a nord-ovest di Varazze, fra il Pero e S. Mar- tino, lungo la via maestra che congiunge Varazze a Sassello, si trova un piccolo affioramento di conglomerato, insignificante per se stesso, ma da notarsi come un altro anello della catena che collega i principali giacimenti tongriani della Liguria. S’incontrano due depositi più im- portanti della medesima età l’uno fra Sanda e la cappella di Sant’Anna presso Gameragna, l’altro (in cui il conglomerato alterna colla mol- lassa), a nord-ovest del punto sopra indicato nel pittoresco bacino na- turale detto dei Prati di Porsemola, a 500 m. d’altitudine. Don Perrando raccolse in quest’ultimo fossili marini. Ancora conglomerato si vede a meno di un chilometro di distanza sopra una vetta collocata fra la Cappella del Salto e i Prati di Porsemola. Presso la Cappella poi, il conglomerato si presenta in due punti sulla via maestra, lungo la riva sinistra del Sansobia, e sulla riva opposta del torrente, in una massa — 273 più cospicua che raggiunge circa 150 metri di potenza. Questa massa risulta inferiormente di conglomerato alternante con mollassa bigia o bruna che acclude vene di lignite e fìlliti e superiormente di mollassa con scarsi fossili marini. Dalla Cappella del Salto si vede la formazione di cui tengo discorso risalire sulla riva destra del torrente e, in conse- guenza di una illusione ottica, apparisce sottoposta alle serpentine ed agli scisti triasici che costituiscono la parte superiore del monte, ma in effetto gli strati miocenici non sono che il residuo di una massa assai più ingente asportata dall’erosione, residuo applicato ad un’antica ripa di roccie antiche, le quali emergono al disopra di quelli. L’isola miocenica di Santa Giustina o meglio del Giovo, giacché il passo omonimo si trova prossimo al suo centro, è un quadrilatero irregolare di circa 3 chilometri di lunghezza per 2 a 2 1\2 di larghezza che si estende dai pressi del villaggio precitato fino al monte Loderino inferiore. Sulle rive del Sansobia, a monte di Santa Giustina si osserva una bella sezione della formazione miocenica, presso il suo estremo lembo. Gli strati si succedono dall’alto al basso della serie, procedendo da ponente a levante, essendo sempre pendenti ad ovest, con inclinazione che raggiunge a monte del. torrente fin 35°. Si trova da prima mollassa grigia con noduli di marcassita o di limonite, poi mollassa non ferru- ginosa, scisti bituminosi contenenti straterelli di lignite, un banco di arenaria dura e tenace, che ricettava gran parte delle belle fìlliti rac- colte da Don Perrando, in ispecie felci, poi un grosso letto dei soliti conglomerati e infine breccia ad elementi voluminosi di roccie cristalline ed ofiolitiche del trias. Questa breccia si vede adagiata lungo la riva destra, sopra una roccia verde, screziata di bianco che sembra un talcoscisto brecciato, i cui strati s’immergono a ponente, come quelli della formazione miocenica, ma con inclinazione assai maggiore. Sulla riva sinistra si osserva uno scisto cristallino assai tenace (calcescisto, giacché fa effervescenza cogli acidi), sottoposto alla detta roccia verde, a strati immersi a levante. Da ciò sembra che in quel tratto l’ alveo del torrente sia scavato lungo un piccolo anticlinalé. La stratigrafia della formazione miocenica, o piuttosto tongriana essendo il piano omonimo l’unico rappresentato nel bacino miocenico di cui si tratta, si può studiare in modo più completo ed istruttivo al Bricco delle Chiappe. Se da Santa Giustina (situata a 344 m. sul mare secondo la recente «carta dell’Istituto topografico militare) si fa l’ascen- sione di questo monacello, seguendo l’antica via mulattiera che con- duceva al passo dei Giovi, s’incontrano da principio conglomerati a 19 — 274 — piccoli elementi, alternanti con arenarie bigie debolmente aggregate, quasi mollasse; a questi succede un complesso di arenarie bigie con filliti, in ispecie palme, situato a circa una trentina di metri sopra Santa Giustina. Le arenarie si fanno più in alto di colore oscuro, poi si presentano pregne di materiali ferruginosi, sotto forma di vene e noduli limonitici, e qui incominciano a trovarsi conchiglie marine, segnata- mente Ceriihium margaritaeeum , Natica crassa , lueine, ostriche, e meno comunemente Strombus , Pyrula , ecc. Si osservano alcuni stra- terelli in cui le natiche son tanto copiose da costituire 1* elemento principale della roccia. 1 Superiormente, la mollassa conchiglifera si fa assai marnosa e scarseggia di fossili. Qui fu raccolto un bel cheionio, ancora indeter- minato, che forma parte del Museo Perrando ed io stesso incontrai nel medesimo punto alcuni pezzetti di scudo appartenenti ad un fossile della medesima famiglia. Giunti al livello della casa delle Chiappe, cascina situata ad un centinaio di metri sopra Santa Giustina, si osserva che la mollassa, conservando presso a poco i medesimi caratteri esterni, ricetta filliti invece di conchiglie marine. Basta però innalzarsi ancora di pochi metri, per imbattersi in straterelli di conglomerato a piccoli cogoli (straterelli alternanti con letti di mollassa), ricchissimi di testacei marini, principalmente: Ceriihium , di varie specie, Natica , ( N . gibberosaf ), Lueina miocenica , Sponclylus sp ., ecc. A non più di 30 metri sopra i banchi a filliti, alla parte superficiale della zona a conchiglie marine, si trova un sottile strato a polipai (in cui domina la Rhabdophgllia stipata) che si può seguire per lungo tratto e forse è il medesimo che si trova a ponente di Santa Giustina, presso a poco alla medesima altitudine. Mentre in basso, presso il villaggio, gli strati appariscono quasi orizzontali, verso la sommità del bricco, massime nella direzione del passo dei Giovi, si mostrano pendenti verso ovest con inclinazione non superiore ai 20.° Sopra lo strato a polipai, si succedono ancora mollasse e conglomerati a piccoli cogoli e a cemento rubiginoso, con- tenenti numerosi fossili marini, fra i quali : Murex aquitanicus, Gratcl, {M. Bonellii , Michel.), Cassis cypraeiformis , Venus vetula f, Lucina sp., echinodermi, nummuliti, ecc. L’altipiano dei Giovi, alto 522 m. sul livello marino, è formato quasi esclusivamente di conglomerati, in cui si trova Ostrea cochlear , var. navicularis , e questi s’innalzano d’un bel tratto sul dosso dei monti 1 Alle natiche aderiscono bene spesso piccole ostriche. — 275 — situati a settentrione del passo e lungo la via di Ponti vrea. Il punto più elevato in cui io li abbia osservati colà è il Loderino inferiore (ove ora il Genio militare sta innalzando un forte) a 665 m. sul mare. Ivi si tratta, anziché di vero conglomerato, d’ un letto di grossi ciottoli i imperfettamente collegati fra loro da un cemento terroso, ciottoli di- rettamente giacenti sulle roccie ofìolitiche del trias. Tal’ è il lembo estremo dell’ isola tongriana che mi sono studiato di descrivere. Al Loderino superiore (m. 733) manca affatto il deposito miocenico e sono allo scoperto la serpentina e le roccie scistose antiche. Molto probabilmente, il banco inferiore a filliti del Bricco delle Chiappe corrisponde a quello già segnalato sul Sansobia, a monte di Santa Giustina, ciò. ad onta della pendenza ad ovest di quest’ultimo pendenza che non si estende alle assise inferiori del Bricco delle Chiappe e che perciò . altera poco i rapporti altimetrici degli strati fra i due punti sopra ricordati. Giova però notare che mentre il primo va segnalato per la copia di palme ( Sabal , Phoenicites , ecc.) il secondo abbonda invece di felci ( Pteris , Cam-pyloneuron, ecc.) e di palme manca affatto. Al superiore corrisponde forse un affioramento con copiosi resti di monocotiledoni, visibile presso la cascina Navè o Naveto a valle di Santa Giustina. Entrambi si continuano probabilmente negli strati a filliti osservati più a valle ancora, sulla riva destra del Sansobia di contro alla Cappella del Salto, i quali sono pur sottoposti a scisti bi- tuminosi. Il benemerito curato don Perrando raccolse in questi giacimenti e in altri delle vicinanze più di 2000 esemplari di filliti, fra i quali sono rappresentate parecchie centinaia di specie. 2 In conclusione il piano tongriano del Giovo presenta dall' alto al basso le seguenti assise: a) Formazione marina : Letto di grossi ciottoli; Conglomerato a grossi elementi; Conglomerato a piccoli elementi; Conglomerato rubiginoso con fossili marini; Conglomerato senza fossili; Strato con polipai. 1 Molti di questi misurano più d’un metro di diametro. 5 Si contano nel numero: Quercus furcinervis, Lastrea Stiriaca , Terminalia Radobojensis , Juglans Ungeri, Cinnamomum Scheuclizeri, Sequoia Langsdorfì , Phoenicites Pallacicinii, Pteris inaequalis, conservate nelle pubbliche collezioni di Genova. — 276 — b) Formazione d'acqua dolce: Mollassa scagliosa con filliti e testuggini. c) Formazione marina? Mollassa ferruginosa conchiglifera a Natica crassa e mollassa grigia. d) Formazione d'acqua dolce: Arenaria con filliti (palme). e) Formazione marina: Conglomerato e mollassa alternanti. Cominciando dal livello c) si succedono invece lungo il Sansobia a monte di Santa Giustina, le assise qui appresso indicate : c) Formazione marina: Mollassa ferruginosa con conglomerati alternanti; Mollassa grigia. d) Formazione d'acqua dolce: Scisti bituminosi; Arenaria con filliti (felci). e) Formazione marina: Conglomerato; Breccia a grossi elementi di roccie cristalline. Doppia successione (almeno) di depositi d’ acqua dolce e di depo- siti marini; quindi (almeno) doppia emersione succeduta ad immersione. Misurando la differenza di livello fra gli strati inferiori del mio- cene di Santa Giustina, collocati a circa 300 m. sul livello del mare di contro alla Cappella del Salto e i superiori del monte Loderino, a m. 665, si ottiene una cifra di m. 365 che dovrebbe esprimere la po- tenza della formazione, se questa risultasse di strati orizzontali e re- golari. Ma, tenendo conto di tutte le condizioni stratigrafìche, non le si può concedere ragionevolmente una potenza maggiore di 300 metri. Vedremo in seguito come altrove si giunga con uguale criterio ad una cifra assai più elevata. L’isola miocenica di Sassello, situata a settentrione della prece- dente, fra Badani e la valle del torrente Gallar etto, con lunghezza di oltre quattro chilometri e mezzo e larghezza massima di circa quattro, è più estesa di quella di Santa Giustina e non meno importante per la sua ricchezza di fossili. Nella formazione di Sassello mancano in gran parte, a quanto pare, i conglomerati inferiori e bene spesso le mollasse riposano immediata- mente sulle roccie antiche. Queste mollasse ricettano, in basso, filliti, resti di emidi, insetti, in alto, fossili marini. Gli strati a filliti rappre- — 277 — sentano, se non sono in errore, l’orizzonte più elevato d’acqua dolce del monte delle Chiappe e quelli a conchiglie marine i vari livelli fossiliferi che stanno al di sopra. Fra le località degne di nota per la copia dei fossili nel territorio di Sassello, vuol essere citato un punto presso la via rotabile d’ Acqui ove questa è intersecata dal Rio dei Zunini. Ivi si adagia ad una balza serpentinosa una mollassa sfatta, gremita di polipai, testacei e num- muliti. I primi, riferibili principalmente ai generi: Heliastraea, Astr cen- gia, Prionastrcea , Philocoenia, Thamnastrcea, ecc., costituiscono veri frangenti, i cui resti ancora aderiscono alle rupi del mare tongriano. L’orizzonte a polipai si può seguire in vari punti vicini, al limitare dell’isola miocenica di Sassello, e, secondo ogni verosimiglianza, vi si riferiscono eziandio parecchi affioramenti fossiliferi, in quel di Mioglia, di Cairo Montenotte, Ponzone, ecc. Lungo la strada maestra fra il Giovo e Sassello, s’ incontrano pic- cole masse di tongriano che collegano in certo modo le due isole già menzionate; altre due masse maggiori, rilevate dal mio collega inge- gnere Mazzuoli, sono situate ad est della principale, l’una sul rio dei Foresti, l’altra a Palo. Già accennai ad una isola miocenica notevolissima, designata sotto il nome di Cadibona, perchè comprende il villaggio omonimo. Questa si estende ai due lati della via maestra ©he mette alle Carcare e ne è attraversata per la lunghezza di circa un chilometro e mezzo ; ma la sua maggior lunghezza si dà nella direzione N.O-S.E fra il mon- ticello dei Frecci e la cascina detta Cima dei Monti. A settentrione giunge fino al Piano dei Carpi, mentre a mezzogiorno è in parte limi- tata dal torrente Quazzola. Essa è più conosciuta di ogni altra forma- zione di quel territorio a causa della ricca miniera di lignite che vi fu aperta molti anni addietro e che fu esercitata con profitto fino al 1879. I lavori di ricerca e d’estrazione per questa miniera non furono praticati che sulla porzione del giacimento situata a nord della strada maestra e in principal modo nel monticello dei Frecci e nelle sue adia- cenze. La lignite costituisce generalmente due o tre strati, raramente quattro, alla base della formazione. Il banco maestro suol essere il più profondo e si trova d’ordinario al contatto immediato delle roccie antiche. La serie stratigrafìca che s’incontra dal basso all’alto, nel bacino di Cadibona, descritta in una memoria anonima l, pubblicata nel 1827 1 Questa memoria è indubbiamente di Lorenzo Pareto. — 278 — nel Giornale Ligustico di Scienze , Lettere ed Arti (anno 1°, fase. 1°) comprende i termini qui appresso enumerati: Formazione antica. 1. Scisto talcoso e micaceo con noduli di quarzo; 2. Una specie di gneiss talcoso; 3. Scisto talcoso in piccole foglie; 4. Una specie di granito a tessitura poco tenace. Formazione lignitifera. 5. Puddinga a grossi elementi; 6. Argilla talcosa micacea; 7. Altra argilla con traceie di lignite; 8. Materia argillosa o salbanda molle (5 pollici di spessezza); 9. Banco di combustibile nero di pece, lucente, compatto (4 a 5 piedi), cui succede un banco di lignite meno pura e uno di lignite sci- stosa con ossa di Anthracotherium ; 10. Strato di sabbia biancastra talcosa; 11. Banco di sabbia biancastra con vene di lignite che passa superiormente ad una puddinga; 12. Altro banco di puddinga; 13. Un piccolo letto con traccie di lignite; 14. Un banco di ciottoli in strati regolari. I copiosi resti di mammiferi forniti dalla miniera di Cadibona spet- tano quasi tutti alla specie Anthracotherium magnum. Vi furono però incontrati anche VA. minimum e V Amphitragulus communis. 1 La porzione superiore del giacimento, come apparisce dalla strada maestra, laddove questa lo traversa, presenta letti di terra argillosa o rossastra, con zone a ciottoli poligenici per lo più piccoli, disuguali e radi. Tale aspetto sveglia l’idea d’una formazione fluviale, tumultuosa, irregolare. Un po’ al di sopra di Altare (vedasi la carta di Cairo Montenotte) s’incontra un giacimento miocenico poco importante, il quale presenta, lungo la via che conduce a Montenotte, un impasto di massi angolosi di roccie cristalline, una specie di breccia a grossi elementi, che ri- posa sull’apenninite in posto; poscia, più innanzi, lungo la medesima strada, strati di conglomerato poligenico a grossi cògoli, superiori alla breccia, e, al di sopra, letti di marne arenacee di color grigio chiaro. 1 Vedasi in proposito : Gastaldi, Cenni sui vertebrati fossili del Piemonte, Torino 1858. — 279 — Nei pressi di Carcare, come in tutta l’alta valle della Bormida, hanno grande sviluppo i conglomerati miocenici a cògoli di grossezza varia (jùù comunemente come il pugno), di roccie che trovansi in posto poco lontano; cioè di calcare, serpentina, apenninite, talcoseisto, quarzo, anagenite, ecc. Presso la via fra Carcare e Millesimo, al di sopra del calcare, i cògoli, per lo più serpentinosi, di forma ovale-depressa sono coperti da una patina bruno-violacea, lucente (che li collega fra loro a guisa di cemento) e non di rado impressi. In questo caso non si può dubitare che il fenomeno dell’ impressione non sia prodotto dell’azione di acqua acida, la quale attaccava la superfìcie dei ciottoli con maggiore energia laddove rimaneva trattenuta a lungo dalla capillarità fra due o più ciottoli che si trovavano in contatto. La patina bruna è indubbiamente il prodotto della stessa azione chimica eserci- tata su tutta la superficie della roccia con molta intensità. Il mede- simo fatto può osservarsi a levante di Piodio, lungo il rio dei Ron- cassi. Nelle vicinanze di Millesimo, presso la cascina Malghera, si ada- gia sopra il conglomerato una potente assisa di marne bigie, alternante con straterelli di ghiaiette e di arenarie calcaree. Ad un livello un po’ più alto, l’arenaria in grossi banchi prende il posto della marna. In questa poi si osservano concrezioni biancastre e noduli ferruginosi che potrebbero essere avanzi di fossili molto alterati. Tali cose si vedono assai bene sul monte di Cosseria, alto m. 525. In quel punto la forma- zione miocenica (tongriana) tra conglomerati, marne ed arenarie, rag- giunge poco meno di 200 m. Verso Millesimo, la via rotabile, conti- nuando ad ascendere, raggiunge, poco prima del paese, il livello della arenaria, la quale, essendo colà omogenea e tenace, si estrae da due piccole cave per servire ad uso di pietra da taglio. Alla parte superiore del monte di S.ta Margherita, e precisamente ove si trova la cappella omonima, un sottile rivestimento di calcare mio- cenico bigio che passa localmente all’arenaria, ricopre il calcare tria- sico già descritto e in certi punti quasi si confonde con esso, pel colore, per la tenacità e per la la struttura. Questo calcare miocenico è co- stituito, almeno in parte, di polipai molto alterati, convertiti in calcite spatica. Nella parte di esso che ha struttura arenacea raccolsi un Peeten , un Conus e una Natica mal conservati. Alla Baissa di Cairo, località situata lungo il rio dei Pianassi, affluente della Bormida, si osserva un piccolo deposito di marne are- nacee, contenenti frammenti di piante arboree, parte convertiti in lignite — 280 - parte petrefatti 1 e conchiglie marine, in ispecie Ceritliium margarita- ceum, e al di sopra una potente assisa di conglomerato, poco consistente con molti elementi serpentinosi. Precisamente nel piano di giunzione fra la marna e il conglomerato si trova un banco di crassatelle. Il conglomerato dei dintorni di Cairo si presenta anche sotto altri aspetti, tra i quali mi sembra opportuno segnalare quello che assume lungo il sentiero fra la Madonna del Bosco e il molino detto la Loppa. Ivi i cogoli serpentinosi sono radi ed hanno un copioso cemento argil loso ed ocraceo di color rosso mattone, cemento che viene estratto per servire alla fabbricazione di mattonelle per pavimenti. Sul fianco occidentale del Monte Gos, il passaggio fra il conglo- merato e la mollassa si effettua mediante l’alternanza di piccoli strati di ghiaie e di mollassa. Colà le ghiaie sono per la massima parte fer- ruginose e la mollassa stessa è tutta intersecata di vene e rilegature limonitiche. Soprai conglomerati si presentano, nella valle della Bormida, roccie arenacee che ora assumono il carattere di mollasse, ora quello di are- narie e che bene spesso contengono fossili marini. Presso le rovine del castello di Cairo, v’ha uno di tali giacimenti di arenaria da cui si traggono pietre da costruzione. Arenaria dura e tenace si trova del pari alla cava di Bel- fiore a nord-est di Rocchetta di Cairo e ivi contiene Pecten , echino- permi non ancora determinati e piccoli frammenti di legno convertiti in lignite. Le assise superiori del tongriano che si presentano a levante verso i Pori, Giusvalla, Mioglia e verso levante nei pressi di Rocchetta Cengio, Carretto, Brovida, ecc. risultano prevalentemente di mollasse molto marnose, di color cinereo chiaro, talvolta scistose, asciutte, sterili che ricordano le argille scagliose dell’ Italia centrale. In alcune località esse sono sparse di ghiaie serpentinose; altrove, ma per piccoli tratti, sono rubiginose. In generale, scarseggiano di fossili e qualche volta questi son d’acque dolci o d’estuario; così, nei pressi dei Pori, ove s’incontrano nella mollassa scistosa impronte di foglie mal conservate e sul Bricco del Pions, presso Mioglia, ove raccolsi delle Cyclas. L’età della formazione miocenica, tanto sviluppata nel perimetro dei fogli topografici di Cairo Montenotte e Varazze, è perfettamente de- finita : 1 Nel medesimo frammento vedesi il legno, ad una estremità, ridotto alla con- dizione di lignite e, all’altra, reso duro, compatto, perchè impregnato di silice. — 281 1. Dalla sua sovrapposizione al calcare eocenico della Liguria orientale e della Val di Scrivia; 2. Da che è sottoposta a sedimenti fossiliferi riconosciuti da C. Mayer come pertinenti al miocene medio (elveziano, tortoniano), ciò segnatamente tra Arquata e Serravalle nella Val di Scrivia ; 3. Dai fossili numerosissimi e ben conservati, i quali per la massima parte son propri al miocene inferiore e in parte minore sono eocenici ed anche peculiari. Comunque sia, un profondissimo hiatus sotto il triplice aspetto della stratigrafia, della litologia e della paleontologia, separa in Li- guria il tongriano dall’eocene superiore, laonde il confondere in un solo complesso, nel cosiddetto oligocene , le due formazioni, come da taluno si è proposto, sarebbe il riunire quanto di' più disparato si dà nella serie stratigrafica. Mayer ha fatto conoscere nei suoi pregiati lavori sulla Liguria e il Monferrato * 1 che sopra la formazione tongriana sopradescritta si appoggiano a ponente di Cengio, di Cairo, Dego, Piana, sedimenti marnosi che egli attribuisce al langhiano. Questi sedimenti appariscono solo in piccola parte del territorio compreso nella mia carta, nei pressi di Rocchetta Cengio, Carretto, Brovida. Altrove il langhiano ha i caratteri di un deposito d’alto fondo e non è escluso il dubbio che si sia prodotto in gran parte simultaneamente al tongriano. Qui appa- risce poco distinto. Quanto all’ aquitaniano, che manca affatto nell’area dei due fogli della carta topografica da me coloriti geologicamente, è assai difficile separarlo dal piano sottoposto tanto pel criterio delle roccie come per quello dei fossili, e ben s’intende come fossero con- siderati da Pareto come un solo complesso sotto la denominazione di bormidiano. Nei conglomerati del versante meridionale dell’Appennino, come in quelli di Sassello e delle Langhe, non m’accadde mai di osservare ele- menti riferibili con qualche probabilità a roccie alpine ; i cògoli e i massi di questi conglomerati sono costituiti di roccie che generalmente si trovano in posto nelle vicinanze. Nulla poi, a mio credere, giustifica, per quanto ha tratto ai gia- cimenti descritti, l’ipotesi avanzata dal Gastaldi fin dal 1860, secondo la quale il trasporto dei massi contenuti nei conglomerati liguri-pie- j \ ! 1 Atti della R. Accademia dei Lincei, serie 2.a, voi. II, 1875. — Bollettino del R. Comitato Geologico, anno 1877, n. 11-12. — Bulletin de la Société Géologique de France, 3.e sèrie, tome V, 1877. — Vierteljahrschrift der Zùrcherishen Natur- forschenden. Gesellschaft, XIII Band, l.e Heft, 1878. moritesi sarebbe dovuto a ghiacci galleggianti e la formazione ciotto- losa e detritica del miocene inferiore rappresenterebbe un deposito marino-glaciale, simile a quello che si produce attualmente sulle coste dell’Atlantico presso Terranuova. { A me pare che la paleontologia condanni risolutamente siffatta interpretazione. Si è veduto che presso Santa Giustina i conglomerati alternano con arenarie o mollasse contenenti fìlliti di tipi tropicali e banchi fossiliferi con testacei marini di generi propri ai mari caldi; tali tipi di fossili e in particolar modo quelli delle piante, sono incom- patibili, io credo, col supposto che vivessero sopra lidi lungo i quali, poco lungi, le correnti marine convogliavano zattere di ghiaccio. È vero bensì, come osserva il Gastaldi, che ove abbondano grandi massi i fossili mancano, ma si dà il caso che banchi fossiliferi cor- rispondano appunto ai letti ricchi di massi poco lontani. Così a Cadi- bona il banco maestro di lignite, con palme ed Anthraeotherium , si trova talvolta alla base dei conglomerati ed occupa stratigraficamente il posto delle assise di breccia a grossi elementi di Altare; segno che il trasporto dei massi e la vegetazione di quelle palme avvennero si- multaneamente o quasi. Non si osserva, d’altronde, così nei conglome- rati come nelle breccie, indizio alcuno d’azione meccanica che possa attribuirsi a ghiacci terrestri o marini in movimento. Formazioni plioceniche e quaternarie. — Le formazioni plioceni- che del territorio esplorato sono, come le altre della Liguria marittima, i residui di un antico litorale emerso. Esse costituiscono una zona (con numerose interruzioni dovute all’ erosione) parallela al lido odierno e s’insinuano nelle valli principali, segnando in esse il perimetro di an- tichi golfi e baie. Nel territorio di cui qui mi occupo, il giacimento pliocenico più esteso e più importante è quello che forma in gran parte il suolo della città di Savona. Da questa città risale, lungo il Letimbro fin quasi a Lavagnola, poi si continua per le Fornaci, Astengo, Legino, Zinola fino alla valle di Quiliano, entro la quale penetra per circa un chilo- metro. Di colà, si estende pel piano di Vado fino alla riva di sinistra del Segno e si arresta solo a monte di Bossarino. Nelle vicinanze d’Albissola, la medesima formazione si sviluppa sulla riva destra del 1 Gastaldi, Frammenti di Geologia del Piemonte e Sugli elementi che compongono i conglomerati miocenici. (Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie 2. a, voi. XX, 1863). - 283 — Sansobia, protraendosi fino a Valloria, mentre sulla riva sinistra com- parisce qua e là al Cavo d’Albissola e nei pressi d’Albissola superiore. Da questo lato è però coperta in gran parte da alluvioni quaternarie. La formazione di cui si tratta ò costituita in basso da argille o marne azzurrognole e superiormente da argille o marne sabbiose (spesso rubiginose) od anche da vere sabbie e ciottoli. Le marne e le argille sono riccamente fossilifere alle Fornaci, a Zinola, nonché in alcuni punti intermedi. I fossili più comuni sono conchiglie marine; ma non vi mancano echinodermi, polipai, briozoi, foraminifere, crostacei, denti di pesce, ossa di cetacei e perfino resti di mammiferi terrestri ( Rhy - noceros , Mastoclon , un ruminante indeterminato) tronchi e coni di co- nifere carbonizzati, ecc. L’argilla sabbiosa e rubiginosa è rappresentata sopra Vado e for- nisce un buon materiale per fabbricare mattonelle da pavimenti. L’ar- gilla figulina abbonda ad Albissola marina, alle Fornaci e a Zinola e si estrae in copia per foggiarne stoviglie comuni. Fra le Fornaci e Legino e in ispecie a Bossarino, nella valle del Segno, è sovrapposto ai sedimenti argillosi e sabbiosi suaccennati un letto di ciottoli, bene spesso collegati da un cemento ferruginoso, che credo riferibile al pliocene superiore. Questa specie di conglomerato rappresenta la for- mazione ciottolosa e puddingoide, assai più ingente, del bacino d’Albenga e quella eziandio potentissima di Ventimiglia e Castel d’ Appio. Dei terrazzi pliocenici così spiccati dei pressi di Cogoleto, Varazze, Albissola ecc., mi sono già occupato in altra memoria. 1 I depositi del pliocene risalgono nel Savonese a circa 100 m. sul mare;2 ma dall’altitudine dei terrazzi, dai fori di litofagi e da altri segni apparisce che il sollevamento del suolo avvenuto dopo il pliocene fu per lo meno di 200. Intorno ai depositi pliocenici del Savonese, mi ri- serbo di presentare ben presto uno studio particolareggiato, dal punto di vista paleontologico e stratigrafico. I depositi quaternari marini, già segnalati da me in altra occasione, fra Arenzano e Cogoleto, si collegano ad antiche linee litorali segnate da fori di litofagi e da solchi di erosione in vari punti delle Riviere. Essi consistono in letti di ghiaie e di ciottoli sollevati tra m. 5 e 17,50 sul livello del mare. Altri depositi quaternari, questi formati dalle acque dolci, sono al- 1 Antiche linee litorali della Liguria (Bollettino della Soc. geologica Ital. I, Roma, 1883). 2 Nelle valli della Nervia e della Roia i depositi di questo periodo raggiun- gono fin 350 m. d’altitudine (a Castel d’Appio). — 284 — luvioni argillose e limacciose e letti di c'ottoli che si trovano nelle valli principali dei territori di Savona, di Varazze, di Sassello, nelle Langhe, ecc. Son degni di nota fra tali depositi quelli che costituiscono i piani di Carcare, di Cairo Montenotte e di Rocchetta Cairo, lungo la Bormida di Spigno. I due primi risultano quasi esclusivamente di ciot- toli provenienti dal conglomerato miocenico e perciò possono facilmente confondersi collo stesso quando sia disaggregato o sciolto. In conclusione, le formazioni plioceniche e quaternarie osservate sono così ripartite: Quaternario superiore: Alluvioni, ciottoli, ghiaie. Id. inferiore : Ciottoli, ghiaie, sabbioni depositati dal mare. Pliocene superiore : Ciottoli e puddinghe. Id. inferiore: Sabbie, argille e marne sabbiose e rubiginose. Argille e marne con molti fossili prevalentemente marini. Conclusione. — In complesso il mio rilievo differisce assai da quelli del medesimo territorio, eseguiti in passato, così nella delimitazione dei terreni come in ordine alla interpretazione loro. Senza entrare in minuti particolari che sarebbero qui fuori di luogo, noterò come nella carta della Liguria di Lorenzo Pareto alla scala del 500,000, la prima di questa regione che sia venuta alla luce, il mio permiano e il trias figu- rano in parte come roccie cristalline indeterminate, in parte come ver- rucano,. le serpentine sono ascritte tutte all’eocene 1 e il calcare tria- sico è indicato, ora come giura, ora come creta, insieme agli scisti più prossimi. Nella carta geologica della Savoia, del Piemonte e della Liguria di Sismonda alla scala del 500,000 comparsa nel 1866, i cal- cescisti di Voltri, Sestri e d’altre località degli Appennini son dati per eocenici, i calcari e i talcoscisti triasici, nonché la formazione permiana, sono inscritti sotto la rubrica di giura metamorfico e alle serpentine non viene attribuito alcun posto determinato nella scala cronologica. Finalmente, nella sua carta inedita alla scala di 1 : 50,000, Mayer colloca nell’eocene gran parte dei calcescisti e talcolcisti da me ascritti al triasico, pone dubitivamente nel sequaniano (giura superiore) taluni dei miei calcari triasici e nel labradoriano i talcoscisti, e le serpentine. 2 Le interpretazioni proposte in questo scritto furono adottate per la prima volta dalPing. Mazzuoli e da me in una cartina della Liguria 1 Ciò si desume dal commento che si legge nella Guida di Genova e del Genovesato più che dalla carta stessa. 2 Memorie precitate. alla scala eli 1 : 100,000, rilevata nel 1883 per conto del Comitato Geologico, qual contributo alla carta geologica d’ Europa che si sta eseguendo a Berlino per cura di un comitato internazionale. Ed ora metto fine a questi appunti porgendo le debite grazie al sacerdote Don Perrando per le utili indicazioni che si compiacque di somministrarmi intorno alla stratigrafia e alla paleontologia dei terri- tori di Santa Giustina e Sassello ed ai professori Foldi e Denegri per le analisi chimiche di roccie da essi eseguite a mia richiesta. IL Le andesiti dell P isola di Lipari ; studio micrografico del Dott. L. Bocca. Tra le roccie dell’ isola di Lipari, v’ ha un gruppo che si di- stingue per la tinta oscura, per essere pesanti, per avere una strut- tura compattissima ora completamente afanitica, ora porfìrica, con aspetto generale di basalte e che solamente 1’ osservazione al micro- scopio ci ha fatto riconoscere per andesiti augitiche. Sono roccie pla- gioclasiche con augite ed iperstene. L’olivina vi compare talvolta come elemento accessorio, in modo da costituire dei passaggi al tipo basal- tico. Dove esiste una divergenza, nelle roccie di questo gruppo, è nella massa fondamentale, che presa isolatamente può essere: a ) Cristallina; b) Porfìrica; c) Microlitica; d) Petrosilicica. E su di essa ritorneremo appresso. I plagioclasi di queste andesiti appartengono a due periodi diversi di consolidazione del magma, cioè a due generazioni diverse e noi T indicheremo plagioclasi di la e di 2a generazione. I feldispati di 1* generazione sono in generale in frantumi, i quali si lasciano riferire a cristalli ben sviluppati secondo tutti e tre gli assi, mentre quelli di 2* geuerazione sono in cristalli più piccoli, ma ben conservati e svilup- pati solo secondo un pinacoide (il macropinacoide). I plagioclasi di la generazione sono resi un po’ torbidi per il gran numero di inclusioni vetrose brune che racchiudono. Queste inclusioni si accumulano al centro, o si dispongono in una o più zone concentriche, ma tanto nell’uno che nell’ altro caso, il loro insieme segue il contorno del frammento e non la simmetria geometrica del cristallo. Inoltre le inclusioni per quanto abbondanti non arrivano che raramente all’orlo del frammento, e esiste quasi sempre una zona esterna affatto libera - 286 d’inclusioni che probabilmente si formò contemporaneamente ai pla- gioclasi di 2a generazione. Un altro carattere che distingue i plagioclasi di la da quelli di 2a generazione è che in loro le lamelle di geminazione non appaiono nettamente staccate alla luce polarizzata, ma le chiare passano gradatamente nelle oscure, dando l’impressione che il cristallo fosse stato sottoposto ad una tempra. Nei plagioclasi di 2a generazione 1’ angolo d’ estinzione tra le la- melle di geminazione ha spesso per uno stesso individuo ora il valore di 20°-22°, ora quello di 38°-40°. Questo fatto, elle si ripete costante- mente negli altri individui, può spiegarsi in due modi, cioè: o suppo- nendo l’ individuo formato da diverse specie plagioclasiche; oppure le lamelle geminate secondo diverse leggi: quest’ ultima ipotesi è la più probabile non trovandosi le due estinzioni separate in singoli individui. È da notare che mentre i plagioclasi di la generazione appaiono talvolta inclusi nell’ augite, viceversa ciò non accade mai pei feldispati di 2a generazione. Nei plagioclasi di 2a generazione le lamelle di geminazione sono ben nette e spesso visibili alla luce naturale; esse seguono la lun- ghezza del cristallo, pur non di meno ho potuto constatare un caso nel quale queste lamelle seguono la larghezza del cristallo. Questo può spiegarsi o ammettendo una diversa legge di geminazione, oppure, e ciò è più probabile, restando sempre la stessa legge di geminazione, il loro sviluppo fosse diverso (cioè secondo la base). L’augite, come abbiamo detto, è accompagnata dall’ iperstene. La prima è in cristalli più grandi, a policroismo poco sensibile (tra il verde più o meno chiaro), e con 1’ estinzione obliqua propria al sistema monoclino. L’ iperstene invece è in cristalli generalmente più piccoli con forte policroismo (tra il rosso-bruno e il verde asparago) con estinzione costantemente rombica. Si dubitò a lungo dell’ autenticità dell’ iperstene nelle andesiti, at- tribuendolo ad augite sezionata secondo l’ortopinacoide. Ma nel nostro caso siamo ben lungi dal mantenere ancora il dubbio ed eccone le ragioni : 1. La grandissima frequenza in tutte le lamine di questo iper- stene, ciò che non sarebbe compatibile coll’ accidentalità della sezione. 2. Il presentarsi sempre con caratteri differenti dell’ augite, cioè in cristalli completi e ben conservati, sempre più piccoli, polariz- zando assai più debolmente dell’augite, comparendo spesso quale in- clusione dell’ augite, mai includente quest’ ultima. Anzi non è raro il caso di vedere l’ iperstene incluso nell’ augite conservare la stessa — 287 — orientazione cristallografica, ma oltre che al policroismo, distinguersi all’estinzione, nell’uno rombica, nell’altra monoclina. 3. Esaminando la polvere, distinguiamo sempre una parte poli— croitica e una quasi non policroitica. Spesso in queste rocce compare quale elemento accessorio l’olivina, raramente però in abbondanza tale da costituire un passaggio al ba- salto; ma anche allora il tipo della roccia si conserva sempre identico da non poterla affatto togliere dal gruppo. Quest’ olivina si presenta ora in cristalli, ora in granuli, raramente ancora conservata, per lo più completamente serpentinizzata in una massa nera opaca. Passiamo ora alla descrizione; dettagliata di queste rocce serven- doci per classificarle della diversa natura delle loro masse fonda- mentali. a) Andesiti a massa cristallina. La massa di queste roccie è formata da cristallucci di plagioclasi di 2a generazione, per lo più ridotti a lamelle semplici, da granuli di augite, e da granelli di magnetite; cioè da un secondo ordine di se- gregazioni cristalline, che sta sopra un fondo amorfo, ora compieta- mente incoloro, ora ricco d’ un pigmento nerastro o giallastro, o co- sparso di microliti. Quando questa parte amorfa aumenta, la massa passa al tipo porfìrico; quando invece gli elementi cristallini succen- nati diminuiscono sensibilmente di dimensioni, la massa passa al tipo microlitico. Ecco gli esempi : 1. Timpone Pur f adoli. Maer. 1 — Roccia a struttura afanitica, verdastra oscura, quasi nera, con rare segregazioni nere splendenti di augite o di feldspato, che per la sottigliezza e limpidezza conservano il colore della massa sottostante. Micr. — Roccia porfìrica con segregazioni di plagioclasi di la e 2a generazione, d’ augite e d’ iperstene. La massa fondamentale è nettamente cristallina e formata da un secondo ordine di segregazioni di plagioclasi di 2a generazione, da granuli di augite, da granelli di magnetite e da un fondo vitreo ricco di un pigmento nerastro, che con forte ingrandimento si risolve in una minutissima granulazione. In questa roccia i plagioclasi di la generazione sono scarsi d’ inclusioni le quali abbondano discretamente ne’ plagioclasi di 2a generazione più grandi. Inoltre è notevole di trovare- 1’ iperstene incluso nell’ augite, 1 Macr. e Micr. abbreviazione di Macroscopicamente e Microscopicamente. — 288 — conservando ambidue la stessa orientazione cristallografica come si disse sopra. 2. Tiratone dell’ Ospedale. Macr. — Roccia porfirica, nerastra con segregazioni biancastre di feldspato, e rare nere di augi te. Mier. — Roccia porfirica dove le segregazioni dominano sulla massa fondamentale, e sono in maggior parte di plagioclasi di la e 2a generazione, secondariamente di pirosseni. La massa a piccolo ingran- dimento, sembra nera e inestricabile, ma con forte ingrandimento si risolve in un fitto aggregato cristallino di plagioclasi di 2a generazione, d'augite, di magnetite e infine d’un vetro ricco di un pigmento nerastro. Nei plagioclasi di la generazione le inclusioni sono ora ammas- sate al centro, ora formanti una o più zone concentriche. In quest’ul- timo caso è notevole vedere che le zone interne sono più irregolari, e a misura eh’ esse s’ avvicinano al contorno esterno si modificano avvicinandosi alla forma di esso. 3. Fiume di Fuardo ( sotto Purf adoli). Maer. — Roccia grigia, molto oscura, leggermente porfirica con segregazioni più oscure di augite. Osservando più attentamente la roccia, si vede ch’essa è a tinta più oscura, quasi nera, ma cosparsa d’una miriade di puntini bianchi che sono piccolissime segregazioni feldspa- tiche. Mier. — Roccia porfirica, con abbondante massa fondamentale e con segregazioni di plagioclasi di prima e seconda generazione, di iper- stene e in minor proporzione d’augite. La massa fondamentale è net- tamente cristallina e formata da un secondo ordine di segregazioni di plagioclase, augite e magnetite sopra un fondo di vetro colorato qua e là in nerastro da un pigmento. Tanto i feldspati di prima che di seconda generazione sono ricchi d’inclusioni. I pirosseni tendono ad accumularsi in nidi. 4. Contrada Bosco Casa Casella. Maer. — Roccia grigia finamente porfirica, con segregazioni bian- castre di feldspato e nere di augite. Mier. — Roccia porfirica, con eguale proporzione di massa fon- damentale e di segregazioni, le quali sono tutte di piccola dimensione e formate da plagioclasi di prima e seconda generazione, d’augite ed iperstene e qua e là qualche cristalluccio d’olivina incolora, limpida e solo fornba d’un orlo di sostanza giallo arancio serpentinosa. La massa fondamentale che con debole ingrandimento è nera e omogenea, con più forte ingrandimento si risolve in un aggregato cri- — 289 — stallino di plagioclase, augite e magnetite, più un vetro ricco di un pigmento nerastro. Tb) An&asiti a massa porfìrica. Se nella massa a struttura cristallina, la parte amorfa cresce a spese delle segregazioni di second’ ordine, avremo un tipo di massa por- fìrica; se nella massa a struttura microlitica alcune microliti s’ingran- discono al punto di formare segregazioni di second’ordine, avremo un se- condo tipo di massa porfìrica. Queste masse perciò sono un passaggio tra quelle cristalline e le microlitiche, e viste con debole ingrandimento ci appaiono con un fondo oscuro e piccole segregazioni di second’or- dine. Ecco alcuni esempi: 5. Contrada Palmito. Macr. — Roccia oscurissima, compattissima, afanitica. Guardan- dola attentamente o meglio con una lente d’ingrandimento, sembra fi- namente porfìrica, però le macchiette non sono segregazioni, ma finis- sime cavità tappezzate da una sostanza biancastra o grigia. Micr. — Roccia porfìrica, dove le segregazioni, tutte piccole, egua- gliano la massa fondamentale e che sono costituite da plagioclase prin- cipalmente di prima generazione, in minor proporzione da quello di seconda generazione, d’augite e iperstene. La massa fondamentale è formata da un discreto numero di se- gregazioni di second’ordine di plagioclase, augite e magnetite sopra un fondo grigio oscuro, che con forte ingrandimento si risolve in un vetro incoloro ricco di un pigmento nero formato da minutissima gra- nulazione. 6. Contrada Tivoli. Macr. — Roccia nera, porfìrica, con segregazioni splendenti di augite e di plagioclase incoloro e limpidissimo. Micr. — Roccia porfìrica con segregazioni di plagioclase di 1* generazione, e in minor proporzione di plagioclase di 2a generazione, d’augite e iperstene. La massa è porfìrica con segregazioni di 2° ordine di plagioclase, d’augite e un fondo grigio, che con forte ingrandimento si risolve in un fìtto aggregato microlitico con granelli di magnetite e un vetro incoloro. Nei plagioclasi di la generazione di questa roccia è dato di notare la mancanza della zona limpida esterna, tanto costante, e che le in- clusioni da un fianco sono allungate e disposte parallelamente, mentre dal fianco opposto sono irregolari e irregolarmente disposte. Questo fatto si spiegherebbe facilmente ammettendo che il cristallo primitivo nello 20 — 290 — spezzarsi cacciasse i pezzi con violenza, generando al fianco anteriore le inclusioni allungate, a quello posteriore quelle irregolari. Spesso due o più pezzi che presentano questo fenomeno non hanno la stessa di- sposizione, ciò che è da attribuirsi ad ulteriori movimenti del magma. 7. Monte Rosa. Macr. — Roccia grigio-chiara, con segregazioni splendenti d’au- gite e di plagioclase completamente incoloro: aspetto generale di do- lerite. Micr. — Roccia porfìrica dove le segregazioni dominano sulla massa fondamentale e sono di plagioclase di la e 2a generazione, d’au- gite, iperstene e qualche granulo d’olivina. I plagioclasi sono ricchi d’ inclusioni, specialmente quelli di la ge- nerazione ne sono letteralmente zeppi. L’ iperstene si trova spesso in- cluso dall’augite e talvolta conservando ambidue la stessa orientazione cristallografica, anzi in qualche caso l’augite presenta delle lamine di geminazione che mancano assolutamente all’ iperstene. L’olivina è in granuli più o meno profondamente serpentinizzati. La massa fondamentale con debole ingrandimento ci appare grigio- oscura cosparsa di plagioclasi piccolissimi di 2a generazione e granuli di magnetite, con più forte ingrandimento si risolve in un fitto aggre- gato di cristallucci feldspatici di 2a generazione, di augite e magnetite sopra un fondo di vetro incoloro e ricco di granulazioni giallo- arancio microfelsitiche. 8. Contrada Bagni secchi ( Timpa di Paltua). Macr. — L’esemplare ci ricorda un frammento di bomba. Allo esterno, per uno spessore di mezzo pollice la roccia è afanitica, ros- sastra, oscura, ed un po’ cavernosa; all’interno è grigio-oscura e a struttura finamente porfìrica. Micr. — Roccia porfìrica dove le segregazioni eguagliano la pasta fondamentale. Le segregazioni sono formate da grossi cristalli di au- gite, da iperstene e da plagioclasi in gran parte di 2a generazione, i quali diminuendo di dimensioni vanno a formare le segregazioni di se- condo ordine nella massa fondamentale. Questa con debole ingrandi- mento appare porfìrica con fondo oscuro indissolubile, ma con forte in- grandimento si risolve in un vetro incoloro, qua e là macchiettato da un pigmento nerastro. C) Andeslti a massa microlitioa. Suppongasi che in una massa cristallina tutti gli elementi fossero divenuti piccolissimi, avremo il tipo della massa microlitica, cioè una 291 — massa che con leggero ingrandimento ci sembra affatto omogenea, or gri- gia, or brunastra, ma con forte ingrandimento e adoperando sezioni sottilis- sime, si risolve in un fittissimo aggregato di microliti di feldspati, augite e granuli di magnetite; più un vetro or perfettamente incoloro, ora reso brunastro da un pigmento irregolarmente distribuito. Ecco degli esempi: 9. Varesana di sotto. Macr. — Roccia nerastra, un po’ rossiccia, compatta con segre- gazioni feldspatiche e gran copia di macchiette biancastre che viste con la lente si risolvono in piccole cavità tappezzate da una sostanza biancastra: aspetto generale di un basalte. Micr. — Roccia porfìrica dove la massa fondamentale eguaglia le segregazioni. Queste sono formate da due generazioni di plagioclasi, da augite e da qualche granulo di olivina. I plagioclasi di 2a generazione arrivano a pigliare dimensioni mag- giori di quelli di la, ma restano privi d’ inclusioni ed a contorno rego- lare. L’augite non ostante la sua tinta verde carico non ha che insensibili variazioni di policroismo. Non si potè constatare la presenza di iper- stene, chè se v’è, dovrà essere ben scarso, non mancando mai nelle sezioni delle altre rocce. L’olivina compare in rari granuli completamente serpentinizzati. La massa è grigio-chiara, ma adoperando un forte ingrandimento si risolve in un fitto aggregato di microliti di feldspato e granelli di magnetite immersi in un vetro incoloro. Laddove i granelli di magne- tite scarseggiano, la tinta della massa sbiadisce a diventare comple- tamente incolora, formando così delle macchie chiare nell’ insieme ge- nerale grigio. 10. Contrada Taglia-bosco. Macr. — Roccia grigia leggermente giallastra, scoriacea, porfìrica con numerose segregazioni di feldspato e d’augite. Micr. — Roccia porfìrica con segregazioni di plagioclasi di due generazioni, d’augite, d’ iperstene e qualche granulo di olivina; la massa fondamentale è grigio oscura. I feldspati sono tutti grandi in dimensione, quelli di 2a generazione più ricchi in inclusioni di quelli di la; talvolta accludono frammenti di iperstene. L’augite compare in cristalli frantumati; Y iperstene in cri- stalli perfetti è abbondantissimo. In questa roccia ci è dato di osser- vare delle sezioni perpendicolari al prisma dell’ iperstene, con poli- eroismo che va dal rosso bruno oscuro, al rosso bruno chiaro, togliendoci qualsiasi dubbio sulla sua natura. L’olivina è scarsa e completamente serpentinizzata. — 292 — La massa fondamentale è grigio-chiara e con forte ingrandimento si risolve in un fìtto aggregato di microliti incolori sparsi in un vetro ncoloro macchiettato da una sostanza giallo-arancio microfelsitica. 11. Vetta Mezzo Caruso. Macr. — Roccia nerastra, compatta, afanitica; aspetto generale basaltico. Micr. — Roccia porfirica, con predominanza della massa fonda- damentale grigio-oscura, e con segregazioni principalmente di plagio- clasi di la generazione, e in minore proporzione di plagioclasi di 2a generazione, d’augite e iperstene, infine qualche raro granulo di olivina. I feldspati di la generazione sono privi o poveri d’ inclusioni, quelli di 2a limpidissimi e scendono spesso in dimensioni per confondersi nella massa fondamentale. Questa, con forte ingrandimento si risolve in un fìtto aggregato di microliti incolori, di granuli di augiti riconoscibile dalla loro forte rifrangenza piuttosto che per la loro colorazione, e da granelli di magnetite. Non fu possibile scoprirvi una parte vetrosa. 12. Pizzo Campana. Macr. — Roccia grigia, scoriacea, porfirica a numerose segre- gazioni bianche feldspatiche e più rare nere augitiche. Micr. — Roccia porfirica, dove la massa è in eguale propor- zione alle segregazioni. Queste sono principalmente di plagioclasi di la generazione, di augite e d’ iperstene. La massa fondamentale è grigio-oscura e con forte ingrandimento si risolve in cristallucci incolori feldspatici e in minuti granuli di au- gite e di magnetite con un fondo di vetro incoloro. 13. Cugno di Tulio (Lato S.O del Monte S. Angelo). Macr. — Roccia oscura quasi nera, porfirica con segregazioni biancastre feldspatiche e nere splendenti di augite. Micr. — Roccia porfirica dove la massa bruna supera di molto le segregazioni, formando un passaggio alle roccie a massa petrosili- cica. Le segregazioni tutte piccole sono di plagioclase di la e 2a gene- razione, augite ed iperstene, più qualche granulo serpentinizzato di olivina. Nel plagioclase di la generazione è notevole che le inclusioni hanno una forma rettangolare più o meno ben conservata e seguono nel loro andamento certe direzioni, quasi giacessero in certi piani. Tranne però di queste inclusioni, che sono molto grosse, non ve n’ ha altre e il cristallo resta completamente limpido. La massa fondamentale è di color grigio oscuro e solo con forte ingrandimento si risolve in un fittissimo aggregato di microliti incolori e di granuli di magnetite. — 293 — 14. Contrada S. Calogero. Maer. — Roccia grigio chiara, spesso cavernosa, porfirica con numerosissime segregazioni feldspatiche ed augitiche: aspetto gene- rale trachitico. Mier. — • Roccia porfirica, dove la massa fondamentale eguaglia le segregazioni. Queste sono costituite quasi essenzialmente da pla- gioclasi di la generazione, in frammenti quanto mai irregolari e ric- chissimi d’inclusioni; in minore proporzione da plagioclasi di 2a ge- nerazione, d’augite in frantumi e d’ iperstene in bei cristalli. Qualche raro granulo d’ olivina. La massa fondamentale è bruna oscura, e con forte ingrandimento si risolve in un fittissimo aggregato di microliti incolori e granuli di magnetite sopra un fondo di vetro ricchissimo di microfelsite giallo- arancio. 15. Località indeterminata. Macr. — Non ostante non sia precisata la località di questa roccia, pur non di meno siamo indotti a descriverla per contenere essa racchiuso un pezzo di roccia quarzitica strappata ad altre roccie più antiche. La roccia è grigio-oscuro, porfirica con numerose segregazioni di plagioclase e secondariamente di augite: l’aspetto generale della roccia è basaltico. La parte inclusa invece è grigio-oscurissima, quasi nera con splendor grasso e simile in tutto alla pietra cornea. Micr. — La roccia è porfirica, le segregazioni dominano sulla massa e sono di plagioclase di la e 2a generazione, d’augite e d’ iper- stene. I plagioclasi di la generazione sono ricchi d’ inclusioni, quelli di 2a generazione ne contengono assai poche, ma disposte negli inter- stizi fra lamella e lamella, facendo apparire più distintamente alla luce naturale la loro struttura. L’augite contiene spesso incluso l’ iperstene. La massa fondamentale è grigio-oscura e con forte ingrandimento si risolve in un fìtto aggregato di microliti incolori sopra un vetro anch’esso incoloro qua e là macchiettato da microfelsite giallastra. In questa massa si vedono di tanto in tanto de’ cristallucci di 2a gene- razione di felspato, d’augite e qualche granello di olivina serpentiniz- zata, non che qualche aciculo di apatite. 16. Sotto la chiesa di Medoro. Macr. — Roccia porfirica a fondo rosso mattone e con segre- gazioni bianche di feldspato. La roccia è leggermente cavernosa, ciò che la rende un po’ difettosa, altrimenti sarebbe un bellissimo porfido rosso. Micr. — Roccia porfirica dove la massa eguaglia le segregazioni — 294 — le quali sono quasi esclusivamente di plagioclasi di la generazione, limpidissimi, più o meno fratturati. Le inclusioni di questi plagioclasi sono notevoli perchè di vetro incoloro ricco di granulazioni nere ora raggruppate al centro o all’asse a secondo che l’ inclusione è arroton- data o allungata a guisa di baccello. La massa fondamentale brunastra si risolve con forte ingrandimento in un fitto aggregato di microliti incolori, sopra un fetro anch’esso incoloro ricco di microfelsite giallastra o d’un pigmento rosso oscuro di ossido di ferro. d) Andeslti a massa petroslllcea. La massa di queste roccie si assomiglia molto a quella del tipo precedente, dalla quale ne differisce principalmente per la grande pre- ponderanza ch’essa ha sulle segregazioni. A debole ingrandimento è di color bruno più o meno oscuro e offre spesso il fenomeno della microfluttuazione. Con. forte ingrandimento si risolve in fittissimo ag- gregato di microliti, dei quali alcuni più grandi, sopra un vetro più o meno ricco di un pigmento bruno irregolarmente distribuito. Le segregazioni si limitano generalmente al solo plagioclase di la generazione, o con questo anche appare l’iperstene, più raramente l’augite, mai il plagioclase di 2* generazione. Ecco alcuni esempi : 17. Timpa di S. Calogero. Macr. — Roccia grigio-oscura con rare segregazioni dJ augite. Micr. — Roccia porfìrica, dove la massa fondamentale bruna è quasi il doppio delle segregazioni. Queste sono formate quasi esclusi- vamente di plagioclase di la generazione, in cristalli completi, ricchis- simi d’inclusioni; in quantità minore da cristalli di iperstene e d’augite, più qualèhe granulo di magnetite. La massa bruna presenta delle fasce a tinta più oscura, rettilineeT più o meno larghe, che non si modificano affatto all’ incontro delle segregazioni: essa inoltre è cosparsa da una miriade di microliti feldspatici e granelli di magnetite, che nel loro assieme formano delle correnti, le quali si modificano all’ incontro delle segregazioni, fornen- doci il fenomeno della microfìuttuazione. Con maggiore ingrandimento questa massa si risolve in un fittissimo aggregato di microliti incolori feldspatici, di cui alcuni più grandi determinano la microfluttuazione vista a leggiero ingrandimento : di più granuli che per la loro forte rifrangenza e una debolissima colorazione in giallo si appalesano per augite, infine sparsi irregolarmente dei granelli di magnetite. Tutto in — 295 — un fondo di vetro incoloro, ricco di un pigmento bruno oscuro che è appunto quello che determina le fasce sopracennate. Altre volte questo pigmento si dispone in macchie arrotondate o circonda le segregazioni cristalline d’un orlo oscuro. D’altra parte spesso i microliti incolori feldspatici si raggruppano in masse di forma sferica, o circondano un pezzetto di plagioclase di incipiente formazione. Il non essersi potuto costituire a cristalli dipende dalla resistenza del magma raffreddatosi troppo rapidamente. 18. Contrada S. Margherita. Maer. — Roccia scoriacea, porfirica, a massa grigio-oscura e con segregazioni biancastre feldspatiche. Mier. — Roccia porfirica, dove la massa domina di molto sulle segregazioni. Queste sono quasi esclusivamente formati di plagioclasi di la generazione e in assai minor proporzione da cristalli d’iperstene infine qualche raro granulo di olivina completamente serpentinizzata. La massa bruna non offre microliti tanto grossi da far spiccare, la loro microfluttuazione. Un forte ingrandimento ce Y appalesa costi- tuita da piccolissimi microliti incolori feldspatici, di granuli di augite e granelli di magnetite, e infine un fondo di vetro colorato qua e là in bruno da un pigmento analogo a quello descritto nella roccia precedente. 19. Contrada Lanterna. Maer. — Roccia scoriacea, porfirica a fondo nero e numerose segregazioni bianche feldspatiche. Mier. — Roccia porfirica a massa bruna molto predominante sulle segregazioni, le quali sono quasi esclusivamente di plagioclase di prima generazione, e pochi cristalli d’iperstene e d’ augite. I plagioclasi presentano delle inclusioni grandi di vetro oscuro, anzi più oscuro della massa fondamentale, inoltre sono più o meno rettangolari e regolarmente disposte, come in altro caso sopraccennato. L’augite presenta spesso incluso l’iperstene. La massa fondamentale bruna si risolve con forte ingrandimento in un fitto aggregato microlitico di feldspato e d’augite, più granelli di magnetite, sopra un fondo formato da un vetro incoloro ricco d’ un pigmento bruno oscuro distribuito irregolarmente. APPENDICE. Le roccie che comprendiamo qui non differiscono essenzialmente da quelle sinora descritte; ma la loro massa fondamentale è invasa da un’ altra giallastra microfelsitica, la quale forma ora delle sem- — 296 — plici macchiette, ora si allarga a racchiudere una o più segregazioni, ora infine occulta quasi completamente la massa fondamentale della roccia. È notevole che le segregazioni, sinanche quelle d’ iperstene, che sono costantemente regolari, all’ azione di quest’ altro magma si sono arrotondate agli spigoli. Tutto lascia supporre che pria di conso- lidarsi completamente, la roccia venisse invasa da quest’ altro magma microfelsitico. Le roccie qui comprese si lasciano riconoscere anche macroscopi- camente, presentando delle macchiettature verdastre nella massa grigio- oscura ordinaria. Ecco alcuni esempi: 20. Contrada Nunziata. Macr. — Roccia porfirica grigio-oscura con segregazioni bianca- stre di feldspato e nere di augite; cosparsa di macchie più o meno grandi d’un color verde-oliva sporco simile all’idocrase. Micr. — Porfirica con massa grigia, microlitica, con segregazioni di plagioclasi di prima generazione, iperstene, augite e qualche granulo d’olivina serpentinizzata. La massa fondamentale racchiude delle macchie oscure grigio- giallastre di microfelsite, che, come un pigmento del vetro, non modi- fica affatto le microliti di essa. Queste macchie sono ora compieta- mente isolate e di forma circolare, ora racchiudono una o più segre- gazioni arrotondandone gli angoli, ora occupa buona parte della massa fondamentale della roccia. 21. Vallone Morisana. Macr. — Roccia porfirica grigio-chiara con segregazioni di fel- dspato e d’ augite, più le solite macchie verdastre come nella roccia precedente. Micr. — Roccia porfirica, dove la massa fondamentale mi- crolitica predomina sulle segregazioni, le quali sono di plagioclasi di prima generazione, in maggior copia di seconda generazione, d’i- perstene e d’ augite. E notevole in queste roccie che i plagioclasi di seconda generazione presentano le lamelle di geminazione secondo la larghezza e non secondo la lunghezza, ma di ciò si è parlato in principio. La massa microfelsitica ha invaso quasi completamente la roccia. 22. Timpone dell* Ospedale. Macr. — Roccia grigio-chiara, porfirica con segregazioni d’augite e colla macchiettatura verdastra come sopra. Micr. — Roccia porfirica a massa fondamentale microlitica e se- gregazioni di plagioclase di prima e seconda generazione, d’augite, — 297 — d’iperstene e più qualche granulo di olivina più o meno serpentinizzata. La massa microfelsitica è nelle stesse proporzioni del n. 20. Di grande importanza è Y inclusione di frantumi di granato il quale si trova quasi incluso in mezzo a frammenti di cristalli di augite, e contiene inclusi granelli di magnetite che non scarseggiano nella roc- cia stessa. Però non si pone in dubbio che esso è riferibile ad altra roccia molto più antica a cui dovette essere strappato. CONCLUSIONE. Da quanto abbiamo detto si può concludere che i diversi tipi de- scritti rappresentano diverse modalità di uno stesso magma, dipendenti principalmente dalla diversa rapidità e dalle condizioni speciali del raf- freddamento, anzi io non dubito che fra le ossidiane di Lipari ve ne siano alcune da riferirsi alle andesiti augitiche. Non posso chiudere questo studio senza accennare ad un elemento che entra a far parte di alcune di queste roccie, e che non fu nomi- nato non essendo stato precisato con tutta certezza. Nel n. 14, oltre all’augite, il microscopio ci appalesa delle segregazioni di un cristallo leggermente colorato in verde e quasi incoierò, con angolo d’estinzione piccolo, con una striatura di clivaggio molto pronunziata e un’altra meno pronunziata ad essa perpendicolare, con ricca dose d’inclusioni di ma- gnetite. Esso ci lascia molto in dubbio, non così al n. 20. In quest’altra roccia lo stesso minerale compare in grossi cristalli che raggiungono talvolta un pollice, che dalla forma si lasciano riferire al gruppo del pirosseno; il loro clivaggio è perfetto secondo un pinacoide, difficile secondo la base, sulle facce di maggior clivaggio si osserva una certa fibrosità e uno splendore semimetallico. Le sezioni parallele al mi- gliore clivaggio si estinguono obliquamente, invece quelle perpendico- lari allo stesso mostrano una fibrosità marcatissima, oltre a strie più marcate corrispondenti al clivaggio; alla luce polarizzata danno una estinzione parallela alla fibrosità, alla luce convergente offrono un solo asse. Presentano molte inclusioni di magnetite irregolarmente disposte; qualunque sia la loro sezione polarizzano assai debolmente e offrono delle inclusioni della stessa sostanza diversamente orientate. Insomma tutte le probabilità sono per il diallaggio. Infine debbo dire che l’espressione microfelsite , tanto spesso ado- perata nelle nostre descrizioni deve essere intesa come quella granu- — 298 — lazione giallastra che intorbida spesso il vetro delle masse fondamen- tali e che ora dà una debole polarizzazione polisintetica, ora resta completamente isotropa. A dir vero bisognerebbe dire nel primo caso aggregato miero cristallino, nel secondo mierofelsìte. Ma chi ha pratica del microscopio sa quanto elastici sono questi due termini e quanto poco vantaggio vi sia nella loro distinzione ; abbiamo creduto perciò più conveniente adoperare il solo nome microfelsite come quello più generalmente adoperato pria che si facesse tale distinzione. III. Brevi appunti raccolti in occasione del terzo Congresso geologico internazionale in Berlino, dall’ ing, B. Lotti. Il 29 ottobre 1885 furono solennemente inaugurati i lavori del Con- gresso nel palazzo del Parlamento Tedesco, e fu aperta al tempo stesso la Esposizione geologica nella Bergakademie. Sia pel numero dei rap- presentanti, maggiore di quello degli altri Stati dopo la Germania, sia pei lavori esposti, sia infine per la parte notevole che vi ebbe il pro- fessore Capellini, già presidente al Congresso internazionale di Bologna, T Italia figurò egregiamente mostrandosi degna di essere stata la culla delle geologiche discipline. Mentre si renderà conto altrove dei risultati ottenuti in ordine ai gravi problemi agitatisi nelle adunanze, non sarà forse inutile un cenno su quanto di notevole si potè osservare, sia nella detta Esposi- zione geologica, sia nel corso delle escursioni che ebbero luogo dopo la chiusura del Congresso. 1 2 Esposizione di Carte geologiche} Pel fatto della presenza di graniti in formazioni sedimentarie recenti è da rammentarsi la Carta geologica del Portogallo degli ingegneri Ribeiro e Delgado e le sezioni in scala di 1/10,000 di Choffat, nelle quali si osservava il granito postcretaceo in filoni negli strati del giura superiore di Ramalhao. Il granito della massa è a grossi elementi e con feldspato roseo; quello dei filoni è alquanto porfìrico e molto analogo al granito porfirico posteocenico dell’ Elba. 1 Per alcuni dettagli intorno al Congresso reggasi l’articolo inserito più avanti in questo stesso fascicolo. 2 In questa rassegna è seguito presso a poco Tordine in cui le Carte trova- vansi disposte. — 299 — La mostra dei lavori dell’Istituto geologico imperiale del Giappone era degna di nota specialmente perchè dimostrava quanto rapido sia il progresso scientifico di quella nazione. Questo Istituto, fondato fino dal 1879 sotto la dipendenza del Ministero d’ Agricoltura e Commercio, comprende attualmente quattro divisioni, tre delle quali hanno il com- pito del rilevamento topografico, geologico ed agronomico; la quarta tiene il laboratorio chimico-tecnico. Il rilevamento topografico e geo- logico viene eseguito alla scala di 1/200,000 e per certe regioni spe- ciali a quella di 1/50,000. Delle carte e delle relative descrizioni son fatte due edizioni, una delle quali in giapponese, V altra in inglese. Per la Carta agronomica fu adottata la scala di 1/100,000, essendo stata riconosciuta insufficiente quella all’ 1/200,000, e la sua pubblicazione si fa colle stesse norme di quella geologico-topografica. A questa divi- sione va unito un laboratorio chimico-pedologico. Il personale dell’ Isti- tuto si compone di 5 ufficiali superiori, 7 geologi operatori, un inge- gnere di miniere, 5 topografi, 6 agronomi, 5 chimici, 6 cartografi e vari impiegati d’ordine. Fra le carte esposte si notavano: - I diagrammi della esportazione, importazione e produzione del carbon fossile e dei me- talli dal 1868 al 1884.,- La statistica della produzione delle miniere dal 1868 al 1882. - La Carta delle linee magnetiche. - La Carta agro- nomica d’insieme. - Una sezione geologica della regione vulcanica di Shimonita. - La Carta oroplastica subarea e sottomarina del Giap- pone. - Fotografie di località minerarie e finalmente la Carta dei ter- remoti e dei vulcani. Pregevolissima appariva la Carta geologica dettagliata dei monti dell’Harz di K. A. Lossen, nella quale rimarcavasi la distinzione della facies porfirica del granito presso i contatti colle roccie sedimentarie ed allorché trovasi in esse, in filoni o dicchi, analogamente a quanto si osservò all’isola d’Elba. La Carta geologica speciale alla scala di 1/25,000 della Prussia e della Turingia, quella pure speciale geologico-agronomica alla scala stessa dei dintorni di Berlino, non che quella geologica al 1/15,000 della città di Berlino, unitamente alle antiche carte di von Dechen, dimostravano bene in qual conto siano tenute queste scienze in Germania. Ben rappresentata l’Inghilterra, la Scozia, l’ Irlanda, da carte geo- logiche speciali e da carte d’insieme. Per l’America del Nord notavasi la Carta geologica, alla scala di 1/380,000 circa, degli Stati di New-York, Pensilvania e New Jersey di Geè e J. Hall. — 300 - Anche la Romania volle dare il suo contributo scientifico con una Carta generale di Stefanescu. Interessantissima per importanza scientifica o per la regolarità della esecuzione appariva la Carta geologica speciale, alla scala di 1/25,000, della Sassonia, colle relative illustrazioni, pubblicata dal Mini- stero delle Finanze. In essa vi era poi di specialmente notevole la parte che si riferisce alle masse granitiche dell’ Erzgebirge occidentale e alla loro zona di contatto rilevata da Dalmer, Schalch e Schròder sotto la direzione del prof. Credner. Questa parte era rappresentata anche in una Carta d’ insieme a scala più piccola. Pure interessante, per un sistema speciale di rappresentazione dei sottosuolo, era la Carta generale del Belgio alla scala di 1/20,000 ese- guita per ordine del governo sotto la direzione del Dupont. Della Norvegia vi era rappresentata la parte settentrionale da una Carta d’insieme di Jellef Dahl; della Svezia nota vasi la Carta geologica alla scala di 1/500,000. Inoltre figurava una Carta generale alla scala di 1/2,000,000 di Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia e provincie baltiche eseguita da Svenonius sotto la direzione di O. Torell. Notavansi finalmente vari fogli della Carta della China alla scala di 1/750,000 di F. von Richthofen, diverse carte dell’Africa settentrionale colle sezioni e collezioni relative di Beyrich, Zittel, Schweinfurth e Rolland, non che 10 fogli al 1/25,000 della Carta geologica del Got- tardo con schizzi e profili di Stapff. Fra i pregevoli lavori presi in rassegna non sfiguravano al certo i nostri; cioè, la Carta speciale della Sicilia al 1/100,000 e quella di insieme al 1/500,000; quella dell’isola d’ Ischia al 1/10,000; l’isola d’Elba al 1/25,000 e al 1/50,000 e la Carta d’insieme dell’Italia al 1/500,000, nonché i rilievi dell’Etna e dell’isola d’ Ischia: il tutto per cura del R. Ufficio Geologico. Per cura di privati non vi era che una pianta e varie sezioni della miniera di Gennamari in Sardegna ed una Carta della Pantelleria di Foerstner, colle roccie relative studiate in sezioni sottili ed analizzate chimicamente. Esposizione di roccie, minerali e fossili. — Interessante sotto ogni rapporto la collezione della fauna primordiale e dei graptoliti della Svezia e quella delle roccie del Dasland e della serie alpina svedese. E a proposito di roccie scandinave notavasi una raccolta di esemplari esposti e studiati dal Reusch relativi alle modificazioni di struttura su- bite dalle roccie in seguito a pressione. Fermavano poi specialmente Fattenzione del petrografo le roccie del gruppo degli scisti cristallini antichi, levigate e ridotte in lamine sottili dal Lehmann per la inter- — 301 — pretazione d’importanti fenomeni di metamorfismo strutturale, non che per la formazione secondaria della biotite e le secrezioni negli scisti cristallini. Allo stesso riguardo interessantissima era la collezione degli esem- plari che servirono pell’opera di Rosenbusch « Die Steiger Schiefer und ihre Contactzone an den Graniten von Barr-Audlau und Hohwald » spettanti al Museo della Università di Strassburg. E notevole in essa collezione la rassomiglianza del porfido quarzifero di Rosspkopt a quello dei filoni che attraversano le roccie metamorfiche del Monte Capanne all’Elba. Il porfido granitico di Neuntestein è molto affine a quella va- rietà di granito che apparisce a guisa di grossi filoni nel granito nor- male del Monte Capanne stesso. La minetta micacea di Neuntestein e quella augitica di Sanelberg in filoni nel granito assomigliano per aspetto a quelle postplioceniche di Montecatini e d’Orciatico nel Vol- terrano. Gli Knotenschiefer e gli Knotenglimmer schiefer di Andlauthal sono le stesse roccie metamorfiche di contatto col granito all’Elba e in Sardegna, da noi chiamati genericamente scisti macchiati ; questi di Andlauthal appartengono alla zona di contatto delle masse grani- tiche cogli Steigerschiefer dell’Alsazia-Lorena. Ma troppo lungo sarebbe il notare anche di fuga i pregi e le par- ticolarità delle altre numerose collezioni esposte, ed è forza quindi limitarci ad enumerarle. Tali sono: — I minerali del museo della Uni- versità di Freiburg del dottore Fischer. — Minerali e cristalli artificiali del dottore Schuchardt. — Una collezione di preparati chimici e mine- ralogici di Breisgau del professore A. Knop. — Bombe vulcaniche e inclusioni in roccie eruttive recenti del Reno del professore von La- saulx. — Le roccie e i minerali di Pantelleria di Foerstner già sopra notati. — Le sezioni sottili di Zoantharie e di Stromatoporide del museo di Bonn del professore Schluter. — Collezione di Placodermi e di Echi- noderni devoniani dell’Eifel. — Quella d’insetti fossili degli scisti del Culm in Slesia del dottore Dathe e quella d’ insetti carboniferi di Saarbrùcke e di Saalkreis. — I fossili degli scisti cupriferi della Ger" mania centrale del dottore Fritsch e del museo paleontologico dell’ U- niversità di Marburg. — I resti del Branchiosaurus amblystomus Cred. del professore Credner, del Capitosaurus nasutus H. von Meyer di Fritsch, del Colobodus di von Kònen, del Nothosaurus di Huber. — Gli Ichthyosaurii e i Penta riniti del lias del professore Niess. — La col- lezione dei minerali di ferro del Dogger inferiore della Lorena e le roccie di quel piano coi fossili relativi. — I fossili della creta inferiore e superiore di Westfalia del dottore Weerth e del dottore Hosius. — — 302 — Quelli pure della creta di Aachen di Beissel. — Le filliti cretacee dei- fi Harz del dottore Fritsch e del dottore Ewald. — I fossili devoniani cretacei ed eocenici delPEgitto di Beyrich e quelli della creta supe- riore del deserto libico di Zittel. — Le ambre della Prussia e della Pomerania spettanti all’ Istituto geologico di Berlino. — Vari mammi- feri del terziario superiore della China di Beyrich. — Le roccie del Meclemburgo del dottore Geinitz. — La flora delle torbe di Lauemburg del dottor Keilhack. — Una collezione di fossili e roccie di trasporto del terreno diluviale dei dintorni di Eberswalde e di altre località della Germania settentrionale del dottore Remelé. — La fauna glaciale e la fauna subartica delle steppe nel diluvium dell" Europa centrale del dottore Nehring. — La collezione di oggetti etnologici e preistorici del professore Virchow e finalmente vari strumenti ottici di Fuess ed un sismometro a mercurio del dottore Lepsius. Escursioni geologiche nell’ Harz occidentale. — Guidati dai profes- sori Lossen e Dames, ai quali son dovuti studi di dettaglio interes- santissimi sui monti dell’ Harz, da Berlino ci portammo in ferrovia a Thale, villaggio piacevolissimo presso ij punto dove il copioso torrente Bode, dopo un lungo percorso in una profonda incisione a pareti ver- ticali, si apre in una regione bassa appena ondulata. Quivi fanno margine ai monti più alti terrazzati, costituiti di roccie paleozoiche e di granito, alcune colline formate dai tre classici terreni che dettero il nome al sistema triassico, il Muschelkalk e il Buntsandstein. Vari tagli, alcuni naturali, altri artificialmente preparati per la circostanza, mettevano a nudo la serie delle formazioni ed offrivano non rari pe- trefatti di cui è ricca quella regione. Sopra una dolomite con gesso del permiano si vedevano le are- narie variegate con letti di oolite ( Rogenstein ) spettanti alla parte infe- riore del Buntsandstein , quindi altre arenarie variegate della parte media, poi ancora arenarie variegate ( Rótli ) con letti di gesso. Al di- sopra osservavasi il Muschelkalk formato nella parte inferiore da cal- care con Mgophoria vulgaris ( Wellenkalk), nella parte media da cal- care con anidrite e nella parte superiore da calcare a Ceratites nodosus. Il gruppo superiore, cioè il Keuper è formato in basso da uno strato di argilla carboniosa ( Lettenkohle ) e superiormente dalle argille varicolori. Sul trias riposano con discontinuità le formazioni cretacee, costituite in basso dal Plàner che ha una notevole analogia litologica coi cal- cari alberesi dei dintorni di Firenze e racchiude inòcerami; sopra \iene il Quader formato da roccie argilloso-arenacee in cui un grosso strato verticale di quarzite, rimasto in rilievo sulle roccie incassanti — 303 più facilmente denudatoli, forma un’alta muraglia che per la sua sin- golare regolarità prese il nome di Muro del Diavolo ( T eufelsmauer ). Nella parte montuosa a Sud delle colline triassiche sotto il calcare permiano seguono le roccie devoniane ed il granito che in esse operò singolari ed importanti modificazioni. A contatto del granito presso Thale si ha una grauwacke devoniana con scisti in cui stanno lenti di cal- care fossilifero inalterato. Queste roccie formano il letto del granito. Al tetto abbiamo le stesse formazioni notevolmente alterate. Nella for- mazione scistoso-calcarea stanno interposte lenti di diabase le quali però, secondo il Lossen, sono da riguardarsi come intrusive e poste- riori alla formazione che le comprende. Gli scisti a contatto colla dia- base sono alquanto alterati. La diabase ritrovasi poi al tetto della massa granitica, quivi essendo alterata come la formazione scistoso-calcarea incassante ; la qual cosa dimostra che la diabase è più antica del gra- nito. Il metamorfismo della diabase consiste nella uralitizzazione del pirosseno ossia nella sua conversione parziale in antibolo, nella ridu- zione del feldspato in saussurrite e nella produzione di epidoto. Queste varie alterazioni si osservano però anche in Italia nelle diabasi appen- niniche *, senza che siano riferibili ad eruzioni granitiche, trattandosi manifestamente in tal caso di metamorfismo regionale; ed il Lossen spiegava infatti, coll’appoggio di studi microscopici comparativi, che il metamorfismo regionale ha operato sulla diabase alla stessa guisa del metamorfismo di contatto. La diabase alterata dell’ Harz ha del resto una sorprendente analogia con alcune delle roccie verdi del Monte Capanne all’Elba, ritenute di recente da me come roccie ofìolitiche eoceniche alterate pel contatto della massa granitica. Le roccie devo- niane che racchiudono la diabase alterata sono pur esse alterate e convertite in Hornfels e in Knotenscliiefer , tutte forme analoghe alle roccie sedimentarie alterate del Monte Capanne da me chiamate scisti diasprini, scisti felsitici e scisti macchiati. Se ora notiamo che le roccie devoniane dell’ Harz occidentale, quelle presiluriane dell’ Erzgebirge ed in generale tutte le roccie di contatto col granito, qualunque sia la loro età, presentano le stesse alterazioni e la stessa fìsonomia litologica, non deve recar sorpresa se analoghi caratteri si riscontrano in roccie probabilmente liassiche, come quelle a contatto col granito dell’ Elba, nè tali caratteri possono essere invocati in appoggio di una loro mag- giore antichità. 1 D’Achiardi. Diabase e diorite dei monti di Riparbella (Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., Voi. IV, pag. 327). — 304 — Il granito a contatto colle formazioni sedimentarie è spesso a struttura porfìrica e a pasta felsitica, mentrechè in tutto il resto della massa è a grossi elementi. I due filoni paralleli che dipartonsi dalla massa del Ramberg ed attraversano la valle del Bode, studiati e descritti maestrevolmente da Lossen, sono pure a struttura porfìrica. 11 porfido del filone più a valle è granitico, grigio nella parte mediana, felsitico alle salbande; quello più a monte è tutto felsitico. Il feno- meno del cambiamento di facies del granito, secondocbè trovasi in massa od in filoni od anche al contatto colle roccie incassanti, si osserva pure stupendamente all’ Elba ed in Sardegna. Visita delle miniere di sale di Stassfurt. — Ad onta di una pioggia dirotta varie bande musicali col classico uniforme dei minatori tedeschi ed una popolazione festante ci attendeva alla stazione di Stassfurt. Quivi in una sala appositamente preparata, ove stavano esposte carte, sezioni geologiche e grossi esemplari dei prodotti di quelle ricche miniere di sale, ci venne fatta una chiara esposizione delle condizioni geologiche del giacimento e della sua importanza industriale. Dopo, divisi in tre gruppi visitammo le escavazioni, alcune delle quali spettanti allo Stato, altre a società private, accolti e trattati con squisita gentilezza dai pro- prietari che ci avevano imbandito una stupenda refezione in quelle ampie caverne illuminate fantasticamente. Questo giacimento salifero del bacino di Magdeburgo-Halberstàdt, notevole per le molte varietà di sali di potassa e di magnesia, fa parte della formazione delle arenarie variegate triassiche. Era conosciuto fino da tempi remoti, ma solo in questi ultimi anni, in seguito a profonde trivellazioni ed a nuovi impieghi di quelle sostanze, specialmente per T agricoltura, ha acquistato una importanza straordinaria. Lo spessore di tutta la massa salina è stato riconosciuto attual- mente 1 di 900 metri, mediante una trivellazione colla quale si incontrò il giacimento a circa 80 metri dal suolo e fu attraversato per 1:250, essendo la inclinazione del giacimento stesso fra 35° e 45°. Sotto questa massa di sale si trovò anidrite, scisti neri e scisti fetidi; quindi da 1280 metri fino a 1290 nuovamente sale; poi anidrite grigia. La parte superiore del giacimento è formata da carnallite (doppio cloruro di potassio e di magnesio) per lo spessore di circa 25 metri ed è rico- perta dall’ anidrite cui fanno seguito in alto le arenarie variegate trias- siche. L’ estrazione ha luogo attualmente per mezzo di 11 pozzi (sarà però in breve aumentato il numero di 5), la profondità dei quali oscilla 1 Precht. Die Sala — Industrie con Stassfurt ; 1885. — 305 — fra 300 e 500 metri; questi pozzi spettano in parte al fisco, in parte a privati. La escavazione si pratica per pilastri abbandonati e vaste ca- mere; però onde non perdere, per F abbandono dei pilastri, la carnai- lite e la cainite, si pensò di usare nella escavazione di -queste il me- todo per riempimento, servendosi del sai comune. In alcune miniere il trasporto viene eseguito nell’ interno per mezzo di ferrovie a locomotiva elettrica. L’ abbattimento si fa esclusivamente colle mine e adoperando la polvere, non avendo potuto impiegare la dinamite pel suo troppo rapido effetto. Attualmente lavorano in queste miniere circa 4000 operai; 76 cal- daie forniscono il vapore a 50 macchine, di cui 13 servono alla estra- zione e le altre alle manipolazioni esterne, alla estrazione delle acque, alla ventilazione, ecc.. Lo scopo principale di queste industrie è la fab- bricazione del cloruro di potassio, fabbricazione che è basata sulla cristallizzazione di questo sale da una soluzione calda, satura di car- nallite, durante il raffreddamento, rimanendo ancora disciolto il cloruro di magnesio. Come prodotto secondario di questa fabbricazione si ot- tiene la kieserite e la glauberite. ESTRATTI E RIVISTE Le alghe calcarifere litoproduttrici del Golfo di Napoli e l'ori- gine di certi calcari compatti ; studio del Doti G. Walther. — (Da una Memoria inserita nella Zeitschrift d. deut. geol. Gesell- schaft , Jahrg. 1885). La regione vulcanica che circonda il golfo di Napoli è già da molti anni oggetto di studio; essa può dirsi a ragione un suolo clas- sico per osservazioni geologiche: ma il mare da essa ricinto non venne sin’ ora studiato dal punto di vista geologico, come neppure fu utiliz- zata a prò della geologia la maggior parte del vistoso materiale d’os- servazione, raccoltovi in occasione di ricerche zoologiche. Il dott. Walther, soggiornando per qualche tempo alla stazione zoologica di Napoli, si dedicò, di preferenza, a studi biologici e geologici, in seguito ai quali ha raccolto e pubblicato in una memoria una serie di osservazioni, eh’ egli ha saputo applicare anche alla scienza geologica, traendone utili conclusioni in proposito. La profondità del golfo di Napoli aumenta da N.E a S.O in rapporto alla lunghezza del medesimo. Quella raggiunge alla Bocca 12' — 306 — grande, fra Capri ed Ischia, la quota di circa 400 m. La costa di N.O, dal Vesuvio fino ad Ischia, è formata da una serie di vulcani, i tufi dei quali formano su larga estensione una roccia litoranea facilmente soggetta all’ erosione; il che è favorevole alla formazione di sedimenti psammitici: e solamente nei punti dove le colate dilava giungono sino al mare, trovasi la costa formata da dura roccia. Nel processo di decomposizione, per via atmosferica, delle lave e dei tufi, i costituenti meno attaccabili formano rilievo sulla superfìcie della roccia e la rendono scabrosa; ma poi, esportati per dilavamento naturale, vanno a formare il sedimento litoraneo (sabbia olivinica, sabbia sanidinica, sabbia ferro-magnetica). L’opposta costa di S.E è precipua- mente costituita da calcari appenninici compatti del periodo cretaceo. DaH’osservazioni fatte sulla costa rocciosa da Castellammare a Capri risulta che Fazione delle onde marine lavora incessantemente alla sua demolizione; ed è probabile che in forza di questa anche Capri sia stata posteriormente staccata dal prossimo continente di cui faceva parte. Or mentre sulla costa napoletana l’azione delle onde è sopra- tutto meccanica, scalzandone alla base le pareti tufacee ed esportan- dole, sulla costa invece di Sorrento essa agisce essenzialmente come un solvente chimico, scavando in quelle roccie dei solchi o canali pa- ragonabili in tutto ai così detti Karrenfelder o Lapiez che si trovano nelle roccie calcaree della Svizzera. Le insenature della costa sorrentina sono in modo speciale ripiene di tufi vulcanici, dal che ne seguita che anche lungo questa costa esistono dei tufi esposti ai frangenti del mare; ciò spiega come in generale tutt’ attorno al golfo di Napoli si trovi un sedimento ori- ginato da tufi vulcanici. Quanto più ci allontaniamo dalla spiaggia e tanto più fine è la grana della sabbia, finché a poco a poco questa passa allo stato di fanghiglia di color cupo, di cui è principalmente formato il sedimento del golfo. Nella regione della fanghiglia anzidetta s’ osservano dei sedi- menti calcarei interessantissimi. Giova però far rilevare il fatto che non vi si riscontrarono sin’ ora dei calcari depositati chimicamente, bensì quasi sempre dei calcari detritici. Per quanto risulta fino adesso dalle esplorazioni colle draghe, questi calcari detritici non sono mai cementati, e si compongono di frammenti di valve di pelecipodi, di ga- steropodi e di echinodermi, di ramoscelli di coralli, di briozoi e di nul- lipore, tra i quali vivono altresì innumerevoli e piccoli molluschi. Quan- tunque qua e là si rinvengano dei piccoli frammenti di pomice, tuttavia la massa principale del sedimento è d’origine organica. Nel golfo 307 — veggonsi dappertutto galleggiare dei frammenti di pomice provenienti dall’ ablazione dei tufi, motivo per cui essi possono altresì rinvenirsi, come i residui di animali pelagici, in ogni specie di sedimento ed a qualsiasi profondità. Alla domanda: che cosa avvenga del calcare stato disciolto dal- l’acqua del mare, potrebbe rispondere chi non trovasi sulla faccia del luogo, che il medesimo viene di bel nuovo precipitato per via chimica. Se non che ognuno che abbia conoscenza degli estesi depositi di calcare detritico d’ origine puramente organica ed abbia studiato quelle isole calcaree submarine che sono state quasi totalmente costrutte da briozoi e da nullipore, dovrà domandare a sua volta d’ onde provenga la tanta quantità di carbonato calcico quivi accumulato. Settimanalmente il battello a vapore della stagione zoologica per- corre il golfo per provvedersi di animali del fondo marino, estraendoli colla draga, ovvero col grande tramaglio. Seguendo l’esperienza di molti anni, si cercano a tale scopo certi punti del golfo, specialmente in- dicati per la ricchezza della loro fauna. Già da lungo tempo sapevasi che in tale circostanza si estraevano sempre, assieme a tutto il resto, anche delle grandi quantità di alghe calcarifere (melobesie) : di queste s’in- teressò in modo speciale i’ autore della presente memoria, sapendo che la pubblicazione del lavoro fondamentale del Gumbel sulle nullipore e sul loro concorso alla formazione delle roccie calcaree avea bensì attirata l’attenzione dei geologi sulle alghe calcarifere, ma che tuttavia da allora in poi difettavasi di studi dettagliati sulle alghe calcarifere viventi. Tre sono i punti del golfo di Napoli, che vengono di frequente esplo- rati per lo scopo suindicato; e questi sono: la Secca di Chiaja, la Secca della Gajola e la Secca di Penta Palummo. Stando alle carte batimetri- che, queste secche giacciono nell’ambito di una regione marina di circa m. 1000 di profondità. La Secca di Chiaja si eleva da detta quota sino a 50 m. sotto il pelo delle acque. Essa è formata da Lithophyllum expansum e da una ricca fauna briozoica costituita da Retepora , Myriozoum, Hòrnera, Cellepora , Tubicellaria , Eschara. E sorprendente la sua ricchezza di rari echinodermi, crostacei, molluschi e celenterati. La Secca della Gajola giace da 30 a 40 m. di profondità ed è formata unicamente da Lithothamnium racemus e Lithothamnium ramulosum. La Secca di Penta Palummo, situata fra Capri, Nisida ed Ischia, è la più grande del golfo, e misura parecchi chilometri di larghezza. In alcuni punti, che giungono sino a 70 m. sotto 1’ acqua, è formata da — 308 — Eschara foliacea e da altri briozoi: in altri punti essa s’inalza sino a 50 m. e consta di Lithophyllum expansum , mentre alcune maggiori estensioni, alla profondità di soli 65 m., sono formate totalmente da Lithothamnium ramulosum. Raramente si riscontra su questo altipiano sottomarino un sedi- mento fangoso; invece sono estesissimi su di esso i calcari detritici. Comunque sia, la maggior parte del sedimento deve la sua origine ad organismi che secernono calce. Spesse volte la draga altro non riporta che dei piccoli ceppi di briozoi ; altra volta solamente dei tuberi di litotamnie, in mezzo ai quali ferve una ricca vitalità animale. Ogni vitalità organica dipende da certe condizioni di esistenza, ed un apprezzamento critico di quest’ ultime può fornire delle indica- zioni sulla sua origine. Come piante, le alghe calcarifere dipendono dalla luce, sotto la cui azione soltanto possono assimilarsi e vivere. Ma l’intensità della luce, eccetto che nelle grotte, è, ad una certa profon_ dità, uniforme in tutto il golfo. Anche l’acido carbonico ed il solfato di calcio sono uniformemente distribuiti nelle sue acque, lo che esclude la possibilità di attribuire la distribuzione delle secche ad una qualche corrente sottomarina. Di fronte a ciò torna naturale il supporre che gli organismi coralligeni produttori di calce abbiano preso stanza sugli scogli sottomarini di lava; ed in fatto si trova pressoché regolarmente sugli scogli di lava della costa una ricca flora algarifera, mentre la vicinanza di vulcani spenti e di attivi permette di ritenere che anche sul fondo del mare esistano degli scogli di egual natura. Come si vedrà in seguito, è un fatto che il giacimento di Lithothamnium di Siracusa giace su di un altipiano di lava, e persino i banchi di briozoi del per- miano della Turingia orientale stanno sopra scogli elevatissimi di scisti del Culm. Per le secche viventi del golfo di Napoli non si ha una prova di- retta della esistenza di condizioni simili all’ esposte. Coll’ apparato da palombari non si può più lavorare alla profondità di 60 m., e d’ al- tronde riescirebbe forse vana ogni ricerca della roccia in posto, al dis- sotto del sedimento calcarifero. Senonchè, oltre ai fatti surriferiti, ad appoggio dell’opinione sopraemessa starebbe anche la circostanza che le secche si trovano entro una zona la quale congiunge il Vesuvio coll’isola vulcanica d’ Ischia, e che anzi esse colmano una lacuna esi- stente nella distribuzione su detta linea dei punti d’eruzione fra il Ve- suvio e la regione vulcanica dei Campi flegrei. Che poi anche nel golfo di Napoli esistano probabilmente degli scogli vulcanici sottomarini ri- — 309 — salterebbe dalle osservazioni seguenti fatte nel golfo di Salerno. Nel feb- braio 1884 il 'dote. Walther ricevette del materiale riportato dalla draga da una profondità di 65 m. in vicinanza del gruppo d’ isole detto Li Galli presso Amalfi. Il materiale, che è un detrito calcarifero, gli parve me- ritevole di uno studio speciale, avendo in esso rimarcato molti cristalli. In venti grammi del medesimo si rinvennero : 4 gr. di rami maggiori, di Lithothamnium ; 5 » di pietruzze, di 2 a 6 mm. di spessore ; 2 » di cristalli d’olivina, augite, biotite ; 9 » di frammenti degli elementi anzidetti, e dei piccoli gasteropodi. A frattura recente si riconobbe che le pietruzze erano di lava violetta, porosa, omogenea, esternamente grigia per subita alterazione. Le oli- vine, in grani di color verde porro e le augiti, perfettamente cristal- lizzate in individui di 2 a 5 mm. di grandezza, non presentavano traccia alcuna di subito trasporto. Nei tufi che stanno attorno al golfo non si trovarono mai, per quanto sappiasi, di consimili cristalli e frammenti di lava, ed i due punti più vicini in cui rinvengonsi di queste augiti sono il Vesuvio ed Ischia, che distano amendue 30 chilometri circa da Li Galli. Da ciò desume il Walther che i prodotti vulcanici sunnominati provengano dagli scogli sottomarini di lava o di breccia vulcanica, quali si osservano nei punti minori d’eruzione: chè se esistono nel golfo di Salerno, è pur probabilissima la presenza loro in quello di Napoli. Un secondo quesito sarebbe : se, in armonia colla teoria darwiniana sui banchi coralligeni, anche il fondo del detto golfo si trovi in un pe- riodo di abbassamento; e se per conseguenza ne risulti una maggiore potenza del sedimento calcarifero in questione. Perchè potrebbesi anche sostenere eoa certo qual diritto che esistano bensì dei potenti scogli nel golfo, ma ricoperti soltanto da un debole strato di organismi calca- riferi. Il famoso esempio del tempio di Serapide a Pozzuoli, il quale anche presentemente s’abbassa di 2 cm. per anno, ha provato da tanto tempo che avvengono dei locali abbassamenti del fondo del golfo. Secondo una comunicazione avuta dal sig. V. Petersen, ingegnere della stazione zoologica, la muratura del Ponte di Caligola a Pozzuoli, di cui rimangono ancora in piedi 6 piloni, è fatta con cemento aereo sino a 9 cm. sotto il pelo dell’ acqua. Nel golfo di Baja trovasi tutta una parte di città con strade e fondamenti di ville, a 6 cm. sotto il detto livello; senonchè proprio sull’ argomento che or c’interessa, il dott. Walther non può citare osservazione veruna, non avendo sinora ottenuto alcun risultato positivo dai suoi studi in proposito. Non potendo dunque fornire una prova diretta che il sedimento — 310 — calcarifero delle secche abbia una maggiore potenza, egli è coslretto a fon- dare le proprie deduzioni sull’analogia, ed a supplire collo studio di strati recentemente sollevati alla spiegazione di quei fenomeni che, nascosti in grembo al mare, sono per noi inaccessibili. In conseguenza il Walther prende ad esempio la potenza del giacimento a nullipore del calcare di Leitha e quella dei giacimenti terziari di Sicilia prossimi a Siracusa. Ora, mentre l’odierna città sta collocata su di una piccola lingua di terraferma, l’antica Siracusa, quale venne costruita e delimitata da Dionigi, giaceva su di un altipiano che a modo d’isola s’eleva di circa 40 m. al disopra della vasta pianura, ove forma un triangolo isoscele di 33 chilometri di perimetro. La base del triangolo è volta ad oriente, cioè al mare. Quivi la ferrovia Catania-Siracusa offre dei buoni punti d’osservazione, tra cui una lava ricoperta da un calcare non stratifi- cato. Questo s’adatta alle gibbosità della superficie irregolare della lava sulla quale evidentemente si è depositato. Un profilo identico è stato attraversato dalla strada maestra che da Tremiglia conduce in cima all’altipiano. Dalla parte Nord dell’antico quartiere Labdalon, come pure alla Scala greca, trovasi anche un lembo di lava piuttosto largo, sotto- stante al calcare. La lava è posta artifìzialmente allo scoperto su tre lati dell’altipiano ed è difficile lo stabilire se essa costituisca una massa autoctona ovvero se sia l’estremità di una corrente di lava proveniente per via sotterranea dalla regione vulcanica di Lentini- Palagonia. La roccia è tutta alterata e somiglia assai ai tufi pala- gonitici di detta regione. Questo substrato di lava riesce interessan- tissimo per ciò che il calcare sovraincombente è un vero calcare a nullipore d’origine fotogenica. Eccellenti punti d’osservazione li dobbiamo a Dionigi il quale all’estremità orientale dell’altipiano aprì le sue famose cave, le Latomie, e collocò all’estremità occidentale i suoi magazzini, le sue casematte e caserme. Qui ed in altri punti (all’ antico acque- dotto) troviamo con sorprendente evidenza tutta la roccia formata esclu- sivamente da tuberi di Lithothamnium e nella Latomia dei Cappuccini troviamo delle pareti .di roccia alte 35 m., parimenti formate soltanto da tuberi d’ alghe, della grandezza di un pugno. L’Autore riservasi di riparlare di questa località: pel momento gli premeva di stabilire me- diante l’esempio d’un giacimento formato di alghe fossili, ben definito e stato soggetto a parziale abbassamento, la probabilità che anche le secche del golfo di Napoli riposino sopra degli scogli vulcanici e si formino, con discreta potenza, col mezzo di organismi produttori di calce. Assai frequenti sono nel golfo le alghe che secernono nella loro membrana cellulare del carbonato di calcio. Sugli scogli di lava della — 311 — costa ed eziandio sui calcari appenninici della stessa si rinvengono i generi Amphirhoe e Corallina ; altre specie di questi formano delle macchie rosee sulle foglie delle piante marine. Il Lithotamnium eri- statam forma estese incrostazioni sul fondo roccioso del mare, poco sotto del pelo dell’acqua. La grande varietà di forme, la loro anatomia ed il loro sviluppo, vennero già trattati monograficamente dal conte Solms-Laubach nel quarto volume della Fauna e Flora del Golfo di Napoli , la quale opera potrà essere in proposito consultata. Per ora, dal punto di vista geologico, c’interessa soltanto la presenza del Lithophyllum e specialmente del Lithothamnium per la loro preponderanza e facoltà litoproduttrice. Un tipico esempio di giacimento algarifero vivente, compatto, è quello della Secca della Gajola che dista un chilometro circa dalia costa e che s’ eleva sino a 30 metri sotto il pelo del mare. Ogni sollevamento della draga riporta con sè una quantità innumerevole di tuberi di Lithothamnium ramulosum e di L. racemus , e da quanto fin ora si sa per esperienza, tutta la Secca è formata di essi. Una ricca fauna vivente si è stabilita fra i tuberi rosei di una grossezza, che varia da quella di una noce a quella di un pugno. Piccoli, delicati polipai vi crescono sopra, cibo graditissimo pei crostacei Pisa , Maja , Lambrus , Inachus. Talvolta anche sui granchi marini, per lo più di colore ros- siccio, crescono le alghe calcarifere ed i polipi, e così essi sfuggono mirabilmente alla persecuzione dei loro nemici. Il piccolo crostaceo di color di fuoco, il Bilumnus hirtellus si nasconde assai destramente fra i tuberi d’alghe, ed i piccoli chitoni rossi a mala pena si distin- guono sopra un fondo algoso. Grandi quantità di Pecten , per lo più rossi o violetti, vivono sui giacimenti algariferi percorrendoli in ogni verso o fìssandovisi coi loro filamenti marginali per poter resistere alle correnti. L 'Area perforasi la propria nicchia a preferenza entro i tuberi di Lithothamnium , e spesso trovansi riuniti su di uno stesso tubero 10 a 20 individui di diversa età. Non è qui il caso di speci- ficare tutte le altre specie della grande serie di bivalvi, dalla Lima di 10 centimetri alla Nucula di pochi millimetri, e di gasteropodi dal Trochus della grandezza di un pugno alla più piccola Turritella ; bensì è d’ uopo far rilevare la circostanza che non solo nei tuberi de- tritici ma anche fra quelli d’alghe viventi e sopra dei medesimi è ricchis- sima la microfauna dei testacei. Tra i ramuli delle alghe, nelle piccole cavità ed ovunque si presenti un punto di rifugio, si trovano annidate delle piccole bivalvi e dei gasteropodi, non più grandi di un millimetro. L’alga continua a vegetare ed i piccoli testacei, se non fuggono in — 312 — tempo, rimangono costretti in essa e da ultimo affatto inviluppati. Ciò spiega come talvolta nello spezzare un tubero d’alga vi si rinvengano delle piccole valve. Esaminando la sabbia, che trovasi parimenti disse- minata e racchiusa in tutto il tessuto vegetale, scorgonsi frammenti di spicule silicee, di diatomee, di foraminifere e d’ altri corpi duri, più o meno riconoscibili. Osservando poi la superficie della secca dopo una giornata di scirocco, si troverebbe fra le litotamnie altresì gran copia di residui di fauna pelagica (radiolarie, foraminifere, diatomee, pteropodi) da cui resta poi popolata la superficie del golfo. Questo modo speciale di vegetazione delle litotamnie è specialmente osserva- bile in quelle alghe in cui restarono inviluppati dei corpi eterogenei di maggiori dimensioni ; giacché molto di frequente si trovano Pecten, Lima , Spondglus, Troehus , Eehinus racchiusi entro ai tuberi d’alghe, ed anche molto tempo dopo avvenuto l’ inviluppamento si può dalla forma dell’alga riconoscere quella del corpo duro racchiusovi. Facen- done la sezione si vede chiaramente che il parenchima vegetale è così intimamente aderente alla conchiglia da non poternela staccare in- tatta. Questo fatto frequentissimo di conchiglie grandi e piccole, di re- sidui di animali pelagici, racchiusi entro le litotamnie essendo del più alto interesse, se ne dovrà riparlare in seguito. Da esso derivano le frequenti varietà di forme presentate dai tuberi di litotamnie. La forma loro normale è la rotonda e l’ovale, ma ’le accennate inclusioni pro- ducono forme diversissime, scutiformi, oblunghe, ecc. Nei vacui risul- tanti depongonsi dei detriti calcarei, valve di conchiglie, ramoscelli di briozoi, frammenti di coralli, gusci di crostacei, insomma tutto ciò che galleggia sul mare incombente al giacimento algarifero. E con questo eccoci nuovamente di fronte a residui di fauna pelagica che potrei)- hero avere una parte non insignificante nella formazione dei giacimenti algariferi. Le litotamnie cessano di vivere quando hanno raggiunto la gros- sezza d’ un pugno. Il dott. Walther ha osservato che due tuberi di alga non possono mai anastomizzarsi fra loro, e fra migliaia d’alghe non potè mai incontrare un tubero geminato; e perciò pure i tuberi non possono per se stessi nè confondersi col fondo su cui stanno, nè fissarsi sul medesimo. Senonchè, in primo luogo, la loro superfìcie è talmente varicosa da farli rimanere strettamente aderenti fra loro, ed in secondo luogo sono d’ordinario rivestiti da briozoi (. Eschara , Lepralia , Flustra) ai quali principalmente è dovuto se i tuberi d’alga vengono fìssati su detto fondo. Lo sviluppo di un giacimento algarifero dipende da varie condi- zioni d’esistenza, l’oscillazione dèlie quali si ripercuote sul medesimo. Se quéste s’alterano lievemente, in allora muoiono le piante più de- boli, mentre all’incontro le robuste continuano a prosperare tranquil- lamente. Per tal modo si formano alla superfìcie del giacimento dei vuoti che vengono colmati dal detrito. Quanto maggiore è l’energia vitale dell’alghe, tanto meno frequenti sono le accumulazioni detritiche; viceversa, coll’affìevolirsi di essa tanto più grandi sono i tratti che vengono occupati dal detrito calcareo. Se poi dette condizioni biologiche si alterano in più larga misura, in allora i vuoti spesseggiano ed in- grandiscono, ed in conseguenza anche il detrito concorre più essenzial- mente alla formazione del giacimento calcarifero. Volendo quindi giudicare di un giacimento fossile di Lithotamnium , si avrà nelle inclusevi lenti o negli strati di detrito intercalativi la misura dell’energia vitale del rispettivo giacimento e potrassi dal va- riabile rapporto tra calcare fitogene e calcare detritogene desumere la biologia stessa di un giacimento algarifero. Spezzando un tubero d’alga, il cui colore grigio lo indica già morto, si vedrà l’interno del medesimo sovente alterato. Non si riconosce a prima vista l’originaria struttura distintissima delle nullipore, ma invece il corpo dell’alga presenta una struttura inor- ganica e somiglia ad un calcare cavernoso d’acqua dolce. Talvolta la draga stacca dal fondo del mare dei blocchi d’alga più grandi i quali presentano questo medesimo aspetto. Anche le valve di conchi- glia avviluppate dalle alghe vi si presentano come corrose. Sembra quindi che già nel fondo marino avvenga una parziale trasformazione strutturale che senza difficoltà può essere attribuita a processi chimici. 11 signor Schwager ha eseguito nel laboratorio del signor Gùmbel alcune analisi del materiale in discorso, le risultanze delle quali fu- rono le seguenti. Le analisi sommarie riportate qui avanti si riferiscono alla sostanza ricavata mediante lisciviamento con l’acqua, e stata poi essicata lunga- mente a 105° C.. E così dicasi degli indicati pesi specifici. Gli indicati tenori di sostanza organica ed acqua , sono calcolati per differenza, e si otten- nero sia dalla perdita subita dal totale alla calcinazione, dedottone C0.2, sia dalla perdita a calcinazione del residuo ottenuto trattando la sostanza cogli acidi diluiti. La soluzione acquea venne evaporata a secchezza, ed il residuo rimase esposto lungamente alla temperatura di 110° C.. I tenori con ciò ottenuti portano l’indicazione in totale. La circostanza poi per la quale la somma dei tenori avuti dall’analisi frazionata delle parti — 314 — non solubili non corrisponde alla suddetta cifra totale , è da attribuirsi alla presenza di una sostanza organica, passata in soluzione. Furono sottoposti all’analisi: I. Del Lithothamnium compattissimo della Secca di Penta Pa- lummo. Il suo peso specifico era 2,646. IL Del Lithothamnium ramulosum assai incoerente della Secca della Gajola. Peso spec. 2,630. III. Del calcare terziario a Lithothamnium , proveniente dalla Latomia dei Cappuccini presso Siracusa. Peso spec. 2,702. IV. Un ramo recente di Eschara foliacea della Secca di Penta Palummo. Peso spec. 3,758. V. Un brano di Lepralia sp. della Secca della Gajola. Peso spe- cifico 2,710. I. II. III. IV. V. sio, . . . 1, 59 1,91 0,12 0, 29 2,39 A1208 . . . 3,36 3,61 0, 51 ) > 0,32 1, 47 r e203 . . . 0, 28 0, 41 0,17 ( MnO . . . tr. tr. — — — CaO . . . 48, 09 45,88 54, 84 50, 12 47, 18 MgO . . . 1, 90 3, 06 0, 39 1, 20 2, 22 CO, ... . Sost. organ. 39,87 39, 41 43, 53 41, 06 39, 51 + H20 . . 5, 06 5, 57 0, 28 6, 88 7, 53 100,15 99, 85 99, 84 99, 87 100, 30 Calcolando si deduce : CaC03 . . 85,87 81, 93 97, 94 89, 87 84,25 MgC03 . . 3, 99 6,42 0, 82 2, 51 4, 66 Sali solubili nell’acqua: I. II. III. In totale . . . 0, 90 0i0 2, 68 0i0 2,89 0l0 CaO . 0, 062 0,128 0, 342 MgO . 0,056 0, 113 0, 087 Na20 . 0, 417 0, 940 1,035 K20 . . tr. tr. tr. CI . . 0, 212 1, 025 1, 017 so3 . tr. tr. 0, 080 Di questi interessantissimi risultati analitici basterà tener conto solamente di quelli che hanno diretta relazione coirargomento in que- stione. Per queste analisi si adoperarono dei frammenti possibilmente puri e ben ripuliti. Ma, quand’anche vi fosse rimasta frammischiata — 315 — qualche piccola quantità di sostanze eterogenee, non potrebbesi tuttavia attribuire ad essa le differenze risultanti nelle analisi I e II. Si potrebbe supporre che da inclusioni di briozoi, esistenti nel tessuto vegetale, derivassero le differenze di costituzione chimica; senonchè ciò è reso inverosimile dalle analisi IV e V; piuttosto si apprenderebbe dalle fatte analisi che nelle alghe viventi, in relazione al diverso peso specifico delle medesime, varia entro certi limiti anche la composizione delle inclusioni inorganiche e perfino quella del tessuto organico, e varia il rapporto scambievole tra questi due momenti. Nel mentre 1* alga compatta contiene 86 0{Q di carbonato di calcio e 5 Ojq di sostanza organica, la varietà meno compatta contiene 82 Ojq di carbonato e 6 Ojo di sostanza organica. All’opposto noi troviamo nel calcare alga- rifero di Siracusa il 98 Ojq di carbonato e soltanto 0,28 0[Q di sostanza organica. Quest’ ultima circostanza è sopratutto significante, talché si è costretti a domandare che cosa ne sia avvenuto della cellulosa in queste litotamnie fossili. La frattura loro è di un bianco perfetto. Se questo calcare fosse colorato dal bitume, si potrebbe arguire che una parte della cellulosa fosse rimasta indecomposta; ma qui invece bisogna ammettere che avvenne una completa trasformazione chimica, e, con tutta probabilità, in acido carbonico. Quest’ultimo si formò in ogni parte del calcare algarifero, e si trovò quindi ad occupare tutti rpori della roccia. L’acqua marina, e dopo la emersione del continente anche F acqua piovana, penetrando nella roccia la imbevettero, e trovando in ogni poro di questa dell’acido carbonico poterono assorbirlo. Com’ è noto, F acqua comune non scioglie che debolmente il carbonato di calcio, mentre che all’incontro il potere solutivo dell’acqua acidulata è grandissimo. Tale processo avvenne ed avviene tutt’ ora entro un giacimento di Lithothamnium. Non è quindi meraviglia se a poco a poco sparisce la struttura organica di un calcare algarifero e se finalmente vediamo formarsi sotto a nostri occhi dei calcari compatti che ne sono affatto privi. Ad un simile processo si può tener dietro egregiamente osservando il mentovato giacimento algarifero di Siracusa. All’ estremità occiden- tale dell’antico quartiere Euryelos si trovano, praticate nella roccia, le così dette caserme di cavalleria di Dionigi. Vi si discende per una scala, lungo la quale si può distintamente osservare come tutta la roccia sia composta di tuberi di litotamnie. Ancora più istruttiva è la Latomia dei Cappuccini. Appena entrati in questa cava di storica fama e cotanto frequentata per le sue pittoresche vedute, scorgesi una pa- rete sulla quale i tuberi di alga si ponno ancora separare facilmente — 316 — gli uni dagli altri. La superfìcie della parete, per l’avvenuta decompo- sizione del detrito che riempiva i vacui delle alghe, ha assunto un aspetto variolitico quasi come osservasi in una nagelffue. Lo stesso fenomeno si presenta sulle pareti di fondo, alte 35 m. ; quivi tubero sta sopra tubero, e soltanto è sparita, sminuzzandosi, la massa che riem- piva gli interstizi; ma le alghe vi rimasero talmente ben conservate che il Solms-Laubach ne ha potuto precisare la specie. Poi vedesi che i tuberi finiscono a poco a poco di sporgere sensibilmente sulla super- fìcie della roccia, che perciò presenta un aspetto che appena si appros- sima al variolitico. Su altri punti di quelle stesse pareti la struttura tuberiforme diventa, con lenta trasgressione, sempre più indistinta sino a scomparire affatto; cosicché si hanno da ultimo delle pareti di cal- care, come sarebbe nella vicina Latomia del Paradiso, sulla quale riesce vana ogni ricerca di struttura speciale. Sono masse calcaree omogenee, all’ incirca come quelle di un calcare compatto d’acqua dolce, nel quale una separazione in grossi banchi non è riconoscibile se non per lievi modificazioni petrografiche o di colore. Persino chi non è geologo, os- servando la Latomia dei Cappuccini, resta convinto che la diversa na- tura della roccia di questa cava e delle tante sue diramazioni non è altro che l’effetto di un graduale processo di trasformazione il quale a poco a poco rende indistinta ed alla fine distrugge affatto la struttura tube- riforme di un giacimento di Lithothamnium. Che un tal processo sia possibile, che sia realmente avvenuto, ce lo indicano le analisi. Come in forza di tal processo si muti l’abito generale della roccia, lo si vede nella Latomia dei Cappuccini: rimarrebbe ad osservarne l’andamento sotto al microscopio. Quanto è grande 1’ importanza raggiunta dallo studio microscopico delle sezioni sottili per la spiegazione dei processi di trasformazione delle roccie vulcaniche o plutoniche, altrettanto mediocre é il risultato avutone sin’ ora per la genesi delle roccie sedimentarie. Un’estesa massa di porfido può giudicarsi col sussidio di poche sezioni sottili; ma non basterebbe una serie di queste per spiegare geneticamente la costituzione di un banco di calcare. Gli elementi detritogeni, coralligeni, psammogeni e fìtogeni si trovarono probabilmente associati fra loro anche in epoche anteriori, e soltanto il predominio di questo o di quel materiale nei calcari organici , ci permette di differenziarne la nomenclatura. Nell’interno dei tuberi di litotamnie trovasi incluso del detrito calcareo, i vuoti fra i singoli tuberi ne sono parimenti riempiti, cosi che lo studio microscopico di parti tra loro vicine e forse cadenti nello — 317 — stesso campo ottico può dare risultati disparatissimi. A complemento di questo studio il dott. Walther fece eseguire nel laboratorio del si- gnor R. Fuess in Berlino alcune sezioni sottili del calcare algarifero della Latomia dei Cappuccini di Siracusa, per stabilirne più esattamente lo stadio di trasformazione e per vedere se l’ osservazione microscopica s’ accordi col! analisi chimica. Le sezioni suddette, provenienti da una roccia a struttura tuberiforme indistinta, mostrarono chiaramente la struttura reticolata delle cellule in una terza parte di roccia, mentre che in un altro terziD di essa la si vedeva risolta in granuli. Qui, come nella residua parte affatto cristallina, non si è potuto accertare con sicurezza se trattavasi di detrito intercalato o di alterazioni del tessuto algoso. In alcuni punti si osservarono delle foraminifere benissimo conservate, e perciò risultarono d’ origine detritica, mentre altre parti granulose e cristalline sembrarono appartenere a del tessuto vegetale trasfor- mato. Come si è detto, non è possibile in casi isolati pronunciarsi definitivamente su questo proposito. La spiegazione di tutto questo ci è data invece dallo studio dei giacimenti algariferi recenti. Riassumendo tutte le suesposte osservazioni e deduzioni, troviamo una spiegazione naturale del ricco tenore di calce, della mancanza di cellulosa e dei cambiamenti strutturali del calcare algarifero di Siracusa. Nè basta ammettere 1’esistenza, sibbene bisogna altresì ammettere la necessità di questo processo di trasformazione; cosicché si potrà enun- ciare il seguente principio: Se in un giacimento compatto di Litho- thamnium di una certa qual potenza può circolare dell ’ acqua , il calcare algarifero deve necessariamente perdere la originaria struttura e trasformarsi perciò in calcare privo affatto di essa. Senonchè un tale assioma esige degli schiarimenti; a tal uopo è necessario di considerare brevemente le restrizioni cui può andare soggetto. E evidente che una tale metamorfosi non potrà avvenire lorchè T anzidetta circolazione acquea sia resa difficile o da strati argillosi sovrastanti al giacimento algarifero o per altre circostanze geolo- giche o relative al clima. Esiste però un’ altra circostanza per la quale Y origine fitogenica di un calcare s’ appalesa in tutte le sue particolarità. Quando, cioè, Y acqua arricchita di acido carbonico ab- bandona rapidamente il calcare, in allora essa non può più avere un’azione cristallizzatrice. Tali circostanze si avverano: primo, nei banchi sottilissimi d’origine fitogenica; secondo, quando si trovano frammiste alle singole parti vegetali delle grandi quantità di detrito calcareo o fangoso; finalmente, quando si rinvengono dei tuberi isolati di litotamnie entro un calcare detritico, ovvero ramoscelli o frammenti — 318 — di esse. In tutti questi casi l’acqua infiltrante, inacidita dall’acido car- bonico della roccia, non ha il tempo necessario per agire sulla mede- sima; passa attraverso di questa, e la susseguente acqua d’infiltrazione, non trovando più acido carbonico, non può più produrre nella roccia che degli insignificanti cambiamenti di struttura. Vicino a Girgenti giacciono le antiche cave che fornirono il ma- teriale per la costruzione d’ Agrigento. 11 calcare pliocenico, potentis- simo, vi è composto di detrito di conchiglie inconcludente ramuli di nullipore, coralli, briozoi ed altri minuti frammenti. Vi si rinvengono molti fossili ben conservati, specialmente molti Pecten ed echinidi, ed anche buon numero di sparsi tuberi di litotamnie. Quest’ ultimi, analogamente alle spiegazioni sovraesposte, sono così ben conservati come se provenissero di recente dal mare. Le particolarità dell’organismo loro sono ben visibili anche macroscopicamente; soltanto osservasi una maggior solidità dello scheltro, e la sezione sottile rivela la pochissima importanza dei cambiamenti avvenuti nella struttura. Sparita è la so- stanza organica delle cellule, ma la tessitura parenchimatica è ancora conservatissima. Se la quantità di acido carbonico eh’ è contenuta nel- l’acqua piovana avesse azione cristallizzatrice, qual occasione migliore di questa per esercitarvela ? Se invece troviamo che questo calcare detritico di Agrigento, come eziandio alcuni calcari consimili di Valsavoia presso Marsala e d’altri punti della Sicilia, ad onta che per migliaia d’ anni siano rimasti esposti all’ influenze atmosferiche non furono tra- sformati in calcari compatti, deve pur sorgere dubbio sulla azione metamorfizzante dell’acqua piovana. In tutti questi punti trovansi dei tuberi di litotamnie sparsi nel detrito i quali sono per noi altrettante prove del fatto che le litotamnie allora soltanto perdono la struttura loro e divengono cristalline quando si presentano in un giacimento algarifero compatto di una certa qual potenza; che in tal caso devono necessa- riamente cambiare e perdere detta struttura, e che all’ incontro le litotamnie isolate possono mantenersi perfettamente inalterate. Oltre a ciò, da questi fatti deduciamo qualche altro ammaestramento. Si hanno dei sedimenti calcariferi che in origine aveano struttura spe- ciale e che poi divennero cristallini; altrove abbiamo dei sedimenti cal- cariferi inalterati, con tutti i fossili contenutivi. In un caso come nell’altro agirono le acque del soprasuolo, ma nel primo esse incontrarono una abbondante sorgente di acido carbonico, mentre nel secondo questa mancava affatto. Da questi fatti apprendesi: che V acqua infiltrante nelle roccie calcaree non sempre è accompagnata dall * acido carbonico ne- cessario a produrvi una metamorfosi , sibbene lo rinviene nella roccia — 319 — stessa : e che quei sedimenti calcarei che sono fitogeni vengono di necessità cristallizzati , mentre al contrario i calcari non fitogeni vengono per lo più cementati e solidificati, ma non perdono già la loro struttura primitiva. Non si può negare che, sotto certe condizioni, non sia avvenuta e tuttora non avvenga per via acquea anche la cristallizzazione di cal- cari non fitogeni. Il lavoro della natura è troppo variato per potere ammettere leggi apodittiche di formazione. Si potrebbe però accennare alla possibilità che anche nell’ interno delle roccie calcaree esistano sorgenti di acido carbonico e che conseguentemente non sia necessario di ricorrere a spazi di tempo incommensurabili per ispiegare la for- mazione di un calcare compatto, essendo che molto acido carbonico produce in breve tempo quanto delle piccole quantità di esso creano durante interi periodi geologici. Senza entrare in dettagli sulla grande diffusione delle litotamnie sopra i banchi coralligeni ed intorno ai medesimi, e lasciando da parte F interpretazione geologica di un tal fatto, non si può a meno però di prendere in considerazione un’altra possibilità dell’esistenza dell’alghe calcarifere. Ed anzitutto domandasi: come stanno le cose lorquando dei banchi potenti d’ alghe calcarifere alternano coi suddetti banchi di detrito calcarifero ? Dal sopradetto chiaramente risulta che i primi di- ventano cristallini: ma i secondi verranno anch’ essi metamorfosati? Il Walther, basandosi sulla propria esperienza in proposito, in- clina ad opinare che gli anzidetti interstrati vengano bensì cementati e resi compatti, ma che non pertanto la origine loro da detriti, da glo- bigerinee'da altro, sia sempre riconoscibile mediante le sezioni sottili e che forse anche ad occhio nudo sia possibile il giudicare, dal loro aspetto macchiettato, la loro natura detritogena. Il detto autore ammette di non aver mai osservato in Sicilia di consimili alternazioni di strati: su questo proposito egli invece intende appellarsi a circostanze geologiche state osservate in sedimenti calcarei di epoca più antica nei quali fu appunto constatato questo alternarsi di calcari macchiettati, strutturati, con banchi compatti non strutturati. Egli si domanda, come mai possano alternare dei calcari cristal- lini, con banchi di calcare strutturato ; e se per sciogliere questo quesito debbasi ammettere V esistenza di cause ignote, e persino quella d’ un sedimento calcareo formatosi per via chimica. Il Walther discute questo quesito basandosi sulla costituzione geo- logica del calcare di Dachstein delle montagne del Todten Gebirge, e del Dachstein, in Stiria, quale risultagli dalle proprie osservazioni e da 320 — quella di altri geologi. Dalla descrizione fattane dal Suess si rileva che Yhabitus di quei calcari dei quali è formata la massa montuosa del Dachstein é assai svariato, presentando simultaneamente dei calcari coralligeni, dei calcari macchiettati brecciformi e da ultimo del calcare omogeneo compatto, nel quale ultimo nuotano delle concrezioni e dei frammenti di diverso colore e delle numerose sezioni di grandi molluschi, specialmente di megalodontidi. Questi stessi elementi si rinvengono anche nel Todten Gebirge e secondo lo Stur sarebbero comuni a tutti i calcari di Dachstein della Stiria. Per brevità il Walther distingue colla qualifica di coralligeni tutti quei calcari e quei banchi di calcare nei quali sono riconoscibili i li- todendri ed altri resti di coralli: chiama all’ incontro detritogeni i cal- cari macchiettati brecciformi. Siccome poi un detrito grossolano pre- senta condizioni fìsiche differenti da quelle d’ una polvere calcarea finamente triturata o derivata da fini residui calcarei, egli qualifica per psammogene il calcare formatosi, in quest’ultimo modo e riserva da ultimo la denominazione di calcari fitogeni a quelli formati princi- palmente dalle alghe calcarifere. Alle roccie coralligene della regione presa ad esempio, apparten- gono in primo luogo i potenti muraglioni di calcare non stratificato e ricchissimo di coralli, che verso l’ Alpi centrali si addossano al calcare di Dachstein ben stratificato a banchi. Quivi, specialmente negli orizzonti inferiori, i rapporti fra questi due calcari sono così intimi, che non si possono ideare disgiunti fra loro. Banchi coralligeni si presentano an- che nei superiori orizzonti del calcare di Dachstein , ma più regolar- mente esse si rinvengono intercalati fra i surriferiti calcari compatti, omogenei, a concrezioni ed a megalodontidi. Raramente si riscontrano dei megalodontidi entro i banchi coralligeni. Le roccie detritogeni sono frequentissime fra i calcari di Dach- stein. Frequentemente sono formate da frammenti di color bianco uni- forme, nel qual caso presentano frattura Omogenea: quando però rimasero esposte agli agenti atmosferici, i loro componenti di maggior resistenza rimasero in rilievo sulla superficie della roccia, talvolta anche con distinta disposizione stratiforme. L’origine detritogenica è però più facilmente riconoscibile, lorchè i piccoli frammenti detritici sono di colore diverso. Frequentissimi sono nella citata regione questi calcari grigio-bru- nastri, macchiettati di nero, soventi dotati di struttura oolitica: le loro sezioni sottili danno a vedere una varietà d’immagini corrispondente alla varietà dei loro elementi saldamente cementati. — 321 — Intercalati ai descritti calcari coralligeni e detritogeni, ovvero alter- nanti con essi s’osservano delle potenti masse di calcare, nelle quali le molte analisi microscopiche non arrivarono a determinare alcuna struttura. Sulla origine delle medesime si possono emettere altrettante ipotesi quanto dubbii; il massimo ostacolo deriva dalla circostanza che esse alternano con banchi di calcare strutturato. Le si trovano colle- gate a banchi di calcare coralligeno e detritogeno; chè se si volesse pur ammettere per le une e per gli altri un’origine identica e ritenere che soltanto posteriormente esse avessero perduta la speciale struttura loro per subita cristallizzazione, ciò non sarebbe altrimenti possibile che alla condizione di attribuire un tal processo di metamorfosi all’acqua infil- trante dal soprasuolo ed al suo acido carbonico. Si domanda però come mai qualche banco ne sia stato risparmiato e qualch’ altro no. Come può mai spiegarsi che l’acqua acidulata sia penetrata in un banco A e l’abbia reso cristallino, poi nel sottoposto banco B e non ne abbia di- strutto la struttura, finalmente in un banco C a quest’ ultimo sottostante e vi abbia agito come in A? Come spiegasi la presenza dei fossili nei calcari in posto, la non avvenuta cristallizzazione di certi calcari terziari di Sicilia, le frequenti pseudomorfosi e la scarsità dei calcari cristallini fra i calcari di Suavia? ecc. Nessun speciale carattere si è potuto rilevare nei calcari di Daclistein che valesse a spiegare quest’enigma; ma ad ogni modo bisogna pure che questi calcari abbiano avuto una speciale struttura all’epoca in cui si formarono ; ed in ciò convengono tutti gli osservatori che s’occu- parono dettagliatamente dei calcari di Dachstein stiriani, poiché ne am- mettono l’origine organica, simile a quella de’ coralli. Secondo lo Stur, il calcare a litodendri ed a bivalvi del Dachstein che osservasi in Stiria porta il carattere di una formazione rapida quale la coralligena; secondo il Fuchs, il calcare di Dachstein bianco, coi suoi grandi megalodonti è indubbiamente una formazione di basso fondo, originata al modo istesso che gli odierni banchi di corallo. Anche il Mojsisovics si è pronunziato, nel suo libro sulle dolomie coralli- gene del Tirolo e del Veneto, contro l’ ipotesi che il calcare suddetto sia una formazione di mare profondo ; egli s’ appoggia principalmente della constatavi presenza delle globigerine (da parte del Peters nel cal- care dell’ Echernthal presso Hallstadt), le quali, non popolando se non gli strati superficiali dell’oceano, possono prosperare in prossimità dei banchi coralligeni viventi, i quali presentano le condizioni favorevoli all’esistenza delle medesime. Ulteriori osservazioni del dott. Walther corroborano la suesposta 22 opinione. Nel calcare ìnfraliasieo del Dachstein della Stiria si rinven- gono di frequente degli avanzi di calcari liasici ( calcari di Hierlatz ), depositati entro tasche ed insolcature del primo, sul fondo delle quali osservasi interposto fra questo ed il calcare liasico un rivestimento di calcespato, una s*pécie d’incrostazione avente da 1 a 6 cm. di spessore. Un fenomeno identico venne rilevato dal Walther in Sicilia, fra Lentini e Valsavoia, in un calcare del terziario superiore, formato di detrito con entro dei tuberi isolati di litotamnie. Sul calcare del versante occiden- tale della collina formata da esso, e prospiciente il lago appellato Bi- viere di Lentini, si osservano molte cavità tondeggianti, della larghezza di un piede le quali, come appare da un taglio ferroviario traverso detta collina, altro non sono che' le imboccature di altrettante cavità cilin- driche dello stesso diametro o quasi, e d’ una profondità di 1 a 2 m., le quali sono ripiene di detrito e rappresentano un fenomeno ben noto di erosione. Il loro fondo è rivestito da una crosta di spato calcareo di 2 a 4 cm. di spessore. Quantunque il mare non ne sia lontano, non sa- prebbesi dire # se tali cavità siano opera del medesimo o degli agenti atmosferici o del vicino* lago. Quello che appare si è che la suddetta incrostazione abbia sospeso il processo d’ erosione, dopo essersi for- mata durante una breve intermittenza del medesimo. Analogamente, si può supporre che altrettanto sia avvenuto in virtù dell’incrostazione formatasi sul fondo delle insolcature che s’ osservano nel calcare di Dachstein. Circa all'origine poi di queste insolcature nelle quali posteriormente si depose la breccia Basica a crinoidi, è anche da notare quanto segue. L’acqua marina possiede in alto grado la facoltà di sciogliere la calce. A questo proposito, quanto influisca la differenza strutturale delle diverse conchiglie lo si vede chiaramente sulla costa meridionale di Sicilia presso Marsala, come pure sulla opposta costa settentrionale africana di Tu- nisi. La roccia lungo la costa è un calcare detritogeno pliocenico con sparsevi delle valve calcaree, ecc. In prossimità del pelo dell’acqua si osservano delle valve di Pectenì che a guisa delle tavole dei ghiacciai sporgono sulla superficie della roccia per effetto dell’azione meteorica, talvolta sorrettevi da un peduncolo roccioso alto sino ad 8 cm.. Come si disse più sopra parlando della costa di Sorrento, l’azione delle onde vi scava dei veri Karrenfelder ; specialmente ciò avviene anche sulla costa occidentale dell’isola di Capri. La profondità loro poco differisce da quella delle insolcature nel calcare di Dachstein ; soltanto sono più scabrosi e frastagliati, il che in molti casi può di- pendere dall’azione di esseri organizzati. La roccia è popolata da mi- — 323 — gliaia di individui di Lltorinella glabrata , cacciatisi entro piccole ca- vità che assai probabilmente vi si scavarono da se stessi, mentre anche certe alghe in prossimità alla superficie del mare coprono delle vaste estensioni. È pure generalmente nota la facoltà che hanno le radici d’ internarsi, col crescere, entro le lastre di marmo liscio; in pari modo s’internano forse anche le corallinee, le fioridee e le confervacee entro le roccie calcaree. Ad ogni modo, i solchi o Karrenfelder scavati dal- l’azione del mare sono scabrosi, ineguali, in confronto di quelli per- fettamente lisci formati dall’azione delle nevi o delle pioggie. La su- perfìcie delle insolcature nelle quali si depositarono i calcari d Hierlatz presenta le stesse asperità che le cavità formate dai frangenti marini nel calcare appenninico di Sorrento e di Capri. Questi fatti confermano le conclusioni già da lungo tempo fatte in base ad altre circostanze; cheì cioè, sui primordi del periodo liasico il calcare di Dachstein era già dura roccia , esposta alV azione delle onde e che per conseguenza tro- vavasi in prossimità della superficie del mare . E ciò è confermato anche dall’osservazione di una certa breccia che incontrasi a Klaushalm presso Hallstadt, la quale è formata da frammenti dì calcare di Dachstein cementati da calcari a crinoidi, del lias inferiore, contenenti brachio- podi. Una roccia non può frammentarsi se non sia già indurita. E così dev’essere avvenuto del calcare di Dachstein. Tutti questi fatti però non spiegano ancora la parte essenziale del problema. Non basta provare che il calcare anzidetto era già duro al principio dell’epoca basica, ma bisogna altresì provare che come tale ebbe un’origine consimile a quella dei banchi coralligeni, e che pos- sedeva già questa durezza. mentre stava formandosi. A fornire questa prova non si prestano affatto nè i banchi coralligeni, nè quelli detri- togeni macchiettati, sovrastanti o sottostanti al medesimo, essendo esso di natura uniformemente cristallina. Sta il fatto però che in una località lo si trovò contenere un’ 80 Ojq di foraminifere. Non potrebbe dunque es- sere stato in origine un fango a foraminifere, divenuto poi cristallino per l’azione dell’acqua contenente acido carbonico? Questa supposizione è naturale; però il Peters, come si è accennato, non rinvenne che in una sola località tanta abbondanza di globigerine, mentre, a sua detta, in altri calcari compatti del Dachstein non trovò che poche o punto foraminifere: all’incontro egli ha descritto dei frammenti d’alga calca- rifera provenienti da un identico calcare d’ altra località. E qui si ri- presenta la domanda: perchè mai le spoglie di foraminifere rimasero conservate solamente nell’ Echernthal ? perchè gli altri calcari com- patti di Dachstein contengono dei resti isolati di gasteropodi, ma — 324 — non contengono globigerine ? Per questi ed altri motivi il Peters non ha potuto attribuire in generale 1’ origine dei calcari in parola alla fanghiglia a foraminifere ; essa perciò rimane ancora enigmatica: po- trebbesi però sempre accampare P anzidetta ipotesi della trasforma- zione cristallina di questa fanghiglia. Ma a ciò si oppongono le stesse proprietà fisiografiche dei banchi compatti intercalati nel calcare di Dachstein. Principalmente la presenza in essi dei megalodontidi e delle concrezioni varicolori, rende inverosimile la loro origine detritogena. Povera, com’ è noto, è la fauna del calcare di Dachstein , e sol- tanto nei banchi compatti in discorso trovasi il loro fossile caratteri- stico, detto per eccellenza la bivalve del Dachstein. È poi significan- tissima la già rilevata circostanza della esclusione quasi costante e vicendevole dei megalodontidi e dei coralli in una stessa roccia. Gene- ralmente puossi stabilire in detti banchi una distribuzione di questi ani- mali per ordine di loro grandezza, relativamente alla quale negli orizzonti inferiori dominano i megalodonti, nei superiori i dicerocardi, gl’ isocardi, ecc. La grandezza, lo spessore delle valve e la frequenza di questi fossili non trovano riscontro nella intera fauna paleontologica ed appena le rudiste offrono dei punti di confronto con loro, cosa del resto sup- ponibile per i genetici loro rapporti. Le rudiste sono animali di spiaggia. Nella fauna attuale la sola Tridacna può sostenere il paragone coi megalodontidi: essa vive sui banchi di corallo, vicinissima alla superficie del mare, probabilmente immobilizzata e destinata, come le valve di Pecien e di Spondylus , ad includersi e confondersi nella massa dei coralli col crescere del cenenchima di quest’ ultimi, com’ebbe ad osser- vare il Walther in parecchi blocchi provenienti dai banchi del Ceylan. Descrivendo la Secca della Gajola, si è visto che dì frequente le litotamnie ravvolgono delle valve di conchiglie e le includono per modo da non poternele separare intatte. Ciò rammenta le bivalvi del Dachstein , che non si possono quasi mai separare dalla roccia cal- carea. All’ incontro, dal calcare veramente psammogeno, quale sarebbe a mo’ d’esempio quello di Solenhofen, si possono staccare con tutta facilità i corpi anche i più delicati. E così, se si considerano altri calcari psammogeni del trias o del giura tedesco, risulta la grande differenza che passa tra lo stato di conservazione dei fossili nel calcare di Dachstein e quello nei calcari psammogeni. Ma non soltanto lo stato di conservazione delle bivalvi del calcare di Dachstein è in contraddizione colla ipotesi della origine psammogena del medesimo, sebbene altresì le loro stesse condizioni biologiche. I razio- cini fisiologici concordano coi fatti osservati, stando ai quali le con- chiglie a valve poderose non si riscontrano che lungo le coste rocciose o nei banchi coralligeni, sulle sabbie grossolane ovvero sulla solida armatura costrutta a differenti profondità dai coralli o da altri orga- nismi produttori di calce. All’incontro le conchiglie della fanghiglia hanno in generale le valve sottili e delicate, lo che dipende dalle condizioni fisiche dei sedimenti. Un fenomeno interessante, ma sin’ ora non abbastanza apprezzato, è quello dei corpi eterogenei, e per cui anche dei residui animali, che si sprofondano entro un sedimento fangoso, il che non avviene nella regione sabbiosa; in questa la maggior parte delle conchiglie vive a parecchi centimetri sotto la sabbia e spinge solamente i suoi lunghi sifoni traverso la medesima: morte che sieno, le loro valve restano alla superficie, ove poi il movimento dell’acqua le copre di sabbia e le seppellisce. Dove però il sedimento diventa fine e fangoso, locchè a Na- poli avviene da 30 a 50 m. di profondità, le condizioni fisiche sono affatto diverse. Se avviene che il mare durante una burrasca abbia rimestata la propria spiaggia, le sue acque rimarranno intorbidate da tenui par- ticelle sospesevi ch’egli esporterà più al largo, ove poi lentamente ca- leranno al fondo. Colla profondità aumenta altresì la densità dell’acqua, cosicché questa a 30 metri sopporta già la pressione di tre atmosfere. In relazione 'a quest’aumento di densità, anche le suddette parti- celle calano al fondo sempre più lentamente, e se il loro volume ri- mane costante, diminuisce sempre più anche la differenza tra la den- sità loro e quella dell’acqua. Per questa ragione troviamo sempre ad una certa profondità un sedimento affatto incoerente. Dalle fatte osser- vazioni risulta che, nel golfo di Napoli, questo diventa un po’ più con- sistente soltanto a parecchi metri di profondità. Questa osservazione non è nuova: basti il rammentare la pioggia di globigerine sul fondo dell’Oceano, e quanto raramente la draga del Challenger incontrasse del sedimento più compatto contenente una ricca fauna; basta ricordare le tante esplorazioni batimetriche che prima d’ali ora non altro rinvennero che del fango incoerente a globi- gerine. Le sovraesposte circostanze ci spiegano come in un sedimento fan- goso non si rinvengano se non dei molluschi piccoli, a guscio sottile e spesso piattiformi, mentre tutti i corpi eterogenei più grandi e più pesanti che cadono in esso tendono a sprofondarsi lentamente entro il medesimo . Ciò è pure applicabile alla fanghiglia a globigerine ed ai depositi calcarei coccolitici, avvenuti per via chimica. Quest’ idea viene espressa dal Fuchs colle parole: Il calcare bianco di Dachstein co* suoi — 326 — grandi megalodonti è senza dubbio una formazione di basso fondo , con- simile a quella degli odierni banchi di corallo. Ed infatti, se s’imma- ginano delle isocardie giacenti sulla fanghiglia calcarea, le quali analo- gamente alla Tridacna pesino persino 50 chil., esse devono senza dubbio sprofondarsi e fino a profondità tali da rimanere, per mancanza di sifoni di sufficiente lunghezza, prive dell’acqua di respirazione e di nu- trizione. Ed abbenchè in molte sezioni sottili di calcare di Dachstein siensi rinvenute delle globigerine, ciò non prova in modo alcuno che la massa principale dei calcari compatti sia psammogena, perchè le condizioni d'esistenza dei megalodontidi non sono conciliabili coll' origine del calcare di Dachstein da una fanghiglia calcarea ; esse richiedono piuttosto un substrato solido , roccioso , e lo spessore delle loro valve indica un soggiorno in acque commosse. Negli orizzonti superiori, più raramente negli inferiori, del calcare di Dachstein compatto si osservano delle speciali macchie od inclusioni che generalmente vengono riferite agli strati di Starhemberg.il Suess le descrive quali isolati frantumi di una roccia di color rosso mattone o giallo d’ocra. Il Walther ha potuto in alcuni casi constatare eh’ esse altro non sono che frammenti di bivalvi metamorfosate in modo spe- ciale; nella maggior parte dei casi però ciò non è ammissibile in causa della loro forma e grandezza. Anche il sedimento basico presenta delle macchie . consimili, ma queste non sono per lo più che delle conforma- zioni speciali che nettamente s’interrompono al contatto col calcare di Dachstein , talché debbonsi ritenere semplici cavità state posteriormente riempite da un sedimento fangoso eteropico. Non presentano traccia di disposizione a zone, ma in molti casi la stratificazione ne è papi- racea: e qualunque sia la forma loro, il sedimento, spesse volte fet- tucciato di giallo e di rosso, vi è sempre disposto a strati orizzontali. Soltanto in qualche caso vi manca questa stratificazione orizzontale, ed in allora sembra per lo più che il sedimento varicolore sia pene- trato nella cavità allo stato semifluido scorrendo sopra F orlo della, sua bocca. Egli è a volta sabbioso, a volta finamente granulare. Tra la fucina Simony e la morena occidentale di Karls Eisfeld trovasi una grande macchia rossa di questo genere, totalmente piena di brachiopodi, paralellamente disposti tra loro al modo stesso con cui i viventi bra- chiopodi si fissano al fondo col loro peduncolo: si riconosce a prima vista che-i medesimi vissero in una cavità che poi venne colmata da fanghiglia, entro la quale rimasero sepolti. Anche le osservazioni del Fuchs e del Suess e le conclusioni loro su questo proposito vengono a confermare che le macchie rosse del calcare — 327 — bianco di Dachstein non sono blocchi esotici, sibbene delle cavità ben definite, state riempite da un sedimento eteropico. Descrivendo i fenomeni osservati nello sviluppo di un giacimento di litotamnie, si è già accennato al fatto che non tutte le alghe formano col crescere un tubero regolare, sibbene assumono le forme più svariate per causa di perturbata vegetazione : che i loro tuberi vengono avvi- luppati da briozoi e da questi fìssati sul fondo. Necessaria conseguenza di ciò, durante lo sviluppo di un giacimento di litotamnie, è la forma- zione di vacui che poi si riempiono di detrito. Quando questo sviluppo volge alla fine, quando l’energia vegetativa delle alghe è in decre- mento, o quando sorvengono circostanze che la ritardano, in allora rimane per alcun tempo sospesa la vegetazione su tratti ancor più estesi, nei quali poi si depone a strati il detrito importato dalle acque e pongono stanza animali diversi ; più tardi la vegetazione vi riprende, mentre in altri punti si formano nuovi vacui. Tutti questi fenomeni non sono altrimenti possibili se non a con- dizione che il calcare non sia psammogeno; a condizione che il cal- care di Dachstein biacco , compatto, sia stato una dura roccia fin dalla sua origine. E qui giovi rammentare il già enunciato principio: che dal varia- bile rapporto tra calcare fìtogeno e calcare detritogeno si può desumere la biologia di un giacimento algarifero : si consideri anche il fatto che negli orizzonti inferiori del calcare di Dachstein le macchie varicolori sono rare e piccole, ed invece crescono sempre di numero e di gran- dezza negli strati superiori che segnano il declinare del periodo infra- liasico. In tutto, nell’abbondanza dei grandi molluschi, nello stato di conservazione loro, nelle macchie varicolori, e non meno ancora nella mancanza di speciale struttura nei banchi compatti bianchi, troviamo argo- menti di appoggio all’ ipotesi che questi ultimi sieno fitogeni, vale a dire originati da alghe calcarifere consimili alle litotamnie. Così, quella stessa mancanza di struttura che rendeva sin ora difficile una genetica spie- gazione dei calcari di Dachstein sarebbe divenuta una prova sostan- ziale di detta ipotesi. Calcari coralligeni con coralli facilmente riconoscibili, banchi de- tritogeni d’ aspetto macchiettato ed a stratificazione distinta, roccie eolF80 0[Q di spoglie di globigerine, inclusioni di calcari con fossili conservatissimi, tutto ciò si presenta accoppiato a masse compatte di calcare che non hanno ombra di struttura speciale. Banchi compatti al- ternano con banchi coralligeni e con banchi detritogeni. I fossili e la speciale loro distribuzione esigono che questi banchi calcarei compatti, — 328 — non strutturati, sieno originati da un sedimento compatto e dotato di struttura speciale. E siccome tutti gli altri calcari menzionati mostrano tuttora delle strutture speciali distintissime, bisogna pur ammettere che abbiano esistito delle circostanze predominanti, in forza delle quali certi altri banchi perdettero la loro. La possibilità che un calcare diventi cri- stallino dipende essenzialmente dalla quantità di acido carbonico con- tenuto nell’acqua in circolazione. L’acqua s’infiltra uniformemente at- traverso tutte le roccie e se non produce dappertutto i medesimi effetti ciò deve dipendere da azioni locali, o con altre parole : la scarsa quantità di acido carbonico contenuto nelle acque infiltranti dal so- prassuolo non è sufficiente nella maggior parte de ’ casi per produrre delle profonde modificazioni di struttura entro una roccia calcarea : sibbene la locale esistenza di una sorgente d’acido carbonico è neces- saria affinchè un calcare possa diventare cristallino per via acquea. Queste sorgenti acide possono essere diverse ; possono provenire da attività vulcanica o da altre circostanze. Nelle alghe calcarifere però esiste una ricca sorgente d’ acido carbonico uniformemente ri- partita su tutto il giacimento algarifero. La Latomia dei Cappuccini presso Siracusa e le analisi chimiche e microscopiche di quel gia- cimento algarifero ci insegnano che l’acido carbonico può produrre delle sostanziali modificazioni di struttura, mentre un paragone fra altri calcari terziari ci dà a conoscere che senza di questo acido car- bonico endogeno non possono avvenire sostanziali mutamenti nella struttura dei calcari di una stessa epoca e nemmeno nella struttura delle litotamnie. Per conseguenza, se i banchi compatti del calcare di Dachstein stimano sono derivati da alghe calcarifere consimili alle litotamnie, devono pure aver perduto la loro struttura primitiva in forza dell’acido carbonico; e soltanto potrebbe derivare da circostanze speciali se tuttora presentano, però solo localmente, una struttura algariforme. In conclusione, al primo quesito così concepito : Come possono al- ternare dei calcari cristallini senza speciale struttura con calcari strutturati ? il Walther risponde : che ciò avviene quando i rispettivi banchi di calcare contenevano delle grandi quantità d'acido carbonico. Al secondo : Se per risolvere il primo quesito sia necessario V ammettere V esistenza di cause ignote o quella persino di un sedimento chimico di calcarei egli risponde negativamente, perchè le litotamnie che anche odiernamente sono distribuite in tutti i mari ed a tutte le profondità , uniscono , massimamente se in giacimenti uniti — 329 — & compatti, ad un rieco tenore in ealee (86 °/0) condizioni necessarie per lo sviluppo endogeno delV acido carbonico : nei giacimenti siciliani di litotamnie si può tenere dietro chiaramente al processo della loro trasformazione in calcari puri (86°/ 0) cristallini. Dalla discussione del problema, basata sull’esempio dei calcari di Dachstein della Stiria, si venne a riconoscere che questi calcari sono d’origine mista; che a formarli concorsero dei calcari coralligeni, de- tritogeni e psammogeni; si è inoltre dimostrato che i banchi compatti e senza speciale struttura, che con quest’ultimi alternano, devono neces- sariamente aver avuto una origine differente; da cui si dedusse F ipotesi dell’origine loro fìtogenica. Se tale è veramente la origine loro, anche la mancanza in essi della primitiva struttura non ci deve sorprendere, anzi risulta necessaria; e così pure, tutte le altre loro proprietà speciali fi- siografìehe trovano facile spiegazione e perfino anche la presenza in essi delle globigerine. Si noti infine che scopo principale della presente discussione fu quello semplicemente di stabilire il principio generale seguente: Quando dei giacimenti calcarei coralligeni , detritogeni e psammogeni alternano con calcari fotogeni, i primi vengono cementati e solidificati , gli ultimi diven- gono cristallini , perchè V acqua infiltrante agisce , metamorfosandola preferenza su quei banchi in cui rinviene delV acido carbonico. (G. B. C.) Facciamo seguire la traduzione di una lettera che ha qualche atti- nenza coll’ argomento, scritta dal dottor Walther al prof. E. Beyrich, e pubblicata nella Zeitschrift d. deut. geolog. Gesellschaft. voi. XXXVII fase. 2. (Berlino, 1855). « Le partecipo qualche risultato degli studi da me fatti sino ad oggi sulla Secca di Penta Palummo nel golfo di Napoli e sulla rispettiva costa. Avendo il prof. Dohrn ottenuto amichevolmente che un ufficiale della R. Marina italiana venisse comandato all’ esplorazione di detta secca per ciò che riguarda la parte tecnica, io mi accinsi con lui ad una esatta ricognizione della medesima. Oltre a 400 sommano gli scan- dagli da noi fatti ed i presi saggi di fondo, eh’ io misi in serbo per farne degli studi comparativi e delle analisi microscopiche. La secca giace ad 8 chilometri circa dalla costa e si eleva sino a 45 m. sopra la regione fangosa, posta a 110 metri di profondità ma- rina, dapprima con lento pendio, e poi più rapidamente. La sommità della medesima è coperta principalmente da nullipore, da briozoi e da altri — 330 — avanzi calcariferi sparsi su larghi tratti sotto forma di detrito il quale spinge, a quanto sembra, qua e là alcune lingue sin entro alla regione fangosa. Di fronte alla grande estensione dei depositi calcariferi or- ganici non venne fatto di osservare sulla secca nessun sedimento chimico. La fanghiglia tutto intorno alla secca è argillosa e d’ordi- nario così molle che lo scandaglio vi s’affonda moltissimo : la vita animale è minima nella prima, ma è altrettanto ricca sulla seconda. Stiamo ora aspettando dall’Istituto idrografico di Genova degli altri apparati per poter fare un’ altra serie di dragamenti nella secca a complemento delle nostre osservazioni. Oltre che della Secca di Penta Palumno mi occupai in parecchie escursioni delle interessanti sabbie minerali della costa. Sul mare di Torre del Greco vedesi in posto una lava che contiene dell’olivina porfiricamente disseminata. E singolare il vedere come questo minerale, d’ordinario tanto facile a decomporsi, presenti qui la massima resistenza, talché d’esso è for- mato più della metà del sedimento littoraneo: e questo non diventa del tutto granulare e non principia a decomporsi che col crescere della profondità: tuttavia, ancora a due chilometri dalla costa ed a 40 m. di profondità, predomina un sedimento minerale. Finora, nè le sani- dine provenienti dall’ablazione dei tufi di Sorrento e delle lave d’Ischia, e di cui in queste località è formato quasi esclusivamente il sedimento littoraneo, e nemmeno le sabbie magnetiche di Pozzuoli derivate dal- l’ablazione dei tufi della Solfatara, poterono venir studiate relativa- mente alla loro diffusione ed al loro metamorfismo. Quanto io rinvenni ha fatto sorgere una serie di quesiti di natura piuttosto chimico-geo- logica, ai quali io nT applico unitamente ad un mio amico che fu già as- sistente del prof. Zirkel. A preferenza io feci un buon numero d’escur- sioni per studiare la tettonica del bacino del golfo, e n’ebbi il singolare risultato che la penisola di Sorrento, ed in continuazione ad essa l’isola di Capri, forma lo spartiacque tettonico tra il golfo di Napoli a curvatura sinclinale ed il golfo di Salerno rotto ad anticlinale. Dalla sommità del Monte Sant’Angelo gli strati inclinano di 18° circa verso Napoli, e dalle Carte batimetriche inglesi si rileva che esiste un pro- porzionale e graduatissimo aumento di profondità sino ai 200 m. Verso Sud il Monte Sant’Angelo forma un rapido dirupo che misura 800 m. di altezza sino al livello del mare ed altri 200 sotto al medesimo. Il fondo del mare riprende quindi a salire gradatamente sino a 60 ra„ Anzi il gruppo d’isole Li Galli sporge di 20 m. sopra il pelo dell’acqua; segue •. poi un precipizio sino ad 800 m. di profondità, al quale si può tener dietro benissimo sulle carte marine, in direzione parallela alla costa — 331 — da Amalfi fino all’estremità occidentale di Capri. (Un profilo inserito nel testo, diretto da Nord a Sud e passante per Sorrento e Li Galli pone in evidenza le esposte condizioni e con ciò la struttura a doppia anticlinale del bacino a mezzodì della penisola di Sorrento). Volendo ammettere, come appunto mi sembra verosimile per le diverse osservazioni fattevi, che il golfo di Napoli, astraendo da solleva- menti localizzati, sia una regione di depressione, ne viene naturalmente che il fianco meridionale del medesimo sia emerso dal mare e che perciò la penisola di Sorrento e l’isola di Capri sieno state -sollevate. Ciò è benissimo provato anche dalle linee di spiaggia ivi esistenti, le quali sulla costa Sud di Capri si trovano persino ad un livello più alto che non sulla costa Nord (6 ad 8 m.) ; lo che corrisponde alla tettonica della regione. Mi è riuscito di scoprire a Capri dei fori di litodomi a 200 m. d’altezza, con entro delle conchiglie fossilizzate. Una tale sco- perta essendo importantissima per la tettonica delle coste e pei seco- lari cambiamenti del loro livello, io mi propongo di eseguire analoghe ricerche anche sul continente. » G. W. MIME DEL CONGRESSO GEOLOGICO INTERNAZIONALE IN BERLINO (3a SESSIONE - 1885) La riunione del Congresso geologico internazionale, 3a sezione, che dovea tenersi nel 1884, in Berlino, ma era stata rimandata per causa dell’epidemia colerica all’anno seguente, ebbe infatti luogo nell’autunno del presente anno 1885. Aprivasi il Congresso il 29 settembre nell’aula del Parlamento Ger- manico (Reichstag), stato destinato alle sedute, con un discorso del Mi- nistro dei Culti. Parlarono quindi il consigliere prof, von Dechen, ne- store dei geologi tedeschi, presidente onorario dell’attualè Congresso; il prof. Capellini già presidente del Congresso di Bologna, i professori Beyrich ed Hauchecorne stati eletti, il primo a presidente effettivo, il secondo a segretario generale della presente sessione. Costituitosi quindi V ufficio del Congresso, ne fecero parte 20 vice- presidenti rappresentanti le diverse nazioni e fra questi il barone De * Zigno, membro del Comitato geologico, scelto a rappresentare l’ Italia. — 332 — Il prof. Capellini fu invitato ad assistere la presidenza ed in alcune sedute la tenne effettivamente, molto aiutando con la sua esperienza al successo della sessione. Nel pomeriggio del giorno stesso procedevasi all’apertura della Esposizione delle carte e collezioni geologiche inviate dalle varie na- zioni e state radunate nelle sale dell’Istituto geologico e della Bergaka- demie (Invaliden Strasse, n. 44). Ivi l’Italia avea esposte le sue carte geologiche sin’ora stampate, cioè la Sicilia al 1/500,000 con molti fogli al 1/100,000, non che l’Elba alle due scale del 25,000 e del 50,000; lavori che furono molto apprezzati. Vi era anche una carta generale dell’Italia al 1/500,000, ma ancora colorata a mano in attesa di poterla dare pubblicata per la stampa. 1 Alla sera del giorno medesimo avea luogo la la seduta del Congresso. Altre sedute ebbero luogo nei giorni susseguenti (30 settembre, 1, 2 e 3 ottobre), alternanti colle sedute del Consiglio del Congresso, il quale preparava nel frattempo i programmi delle discussioni. Le sedute cominciavano alle 2 pom. dando tempo nel mattino ai congressisti per visitare i musei ed Istituti più interessanti: come le collezioni della Università, l’Accademia d’agricoltura e la nuova Scuola politecnica di Charlottenburg. Le prime due ore di ogni seduta erano destinate alle discussioni, e le rimanenti a letture di memorie scientifiche. La sera del giorno 3 ottobre ebbe luogo la seduta speciale di chiu- sura ed in questa venne stabilito che il prossimo Congresso (4a sezione) sarebbesi tenuto nel 1888 a Londra. Il giorno 4 ottobre (domenica) fu destinato ad una visita, di invito per parte dell’Imperatore, ai parchi reali di Potsdam ed il giorno 5 cominciarono le escursioni stabilite da farsi ai monti dello Harz, alle miniere di sale di Stassfurt ed a varie località di Sassonia, con visite ai musei di Lipsia e Dresda. I resoconti delle sedute che a suo tempo verranno pubblicati da- ranno informazione particolareggiata dell’ operato del Congresso. Qui se ne dirà brevissimo cenno sommario. I membri inscritti al Congresso ascendevano a circa 400 di cui 255 furono presenti a Berlino. Fra i membri delle nazioni estere (non germaniche) intervenute 1 Per maggiori dettagli intorno a questa Esposizione, reggasi l’articolo del- l’ing. Lotti inserito in questo stesso fascicolo. 333 — al Congresso, i più numerosi furono gli italiani in numero di 19, mentre furono 16 soltanto i membri dell’ Austria-Ungheria, 11 quelli della Gran Bretagna, 10 quelli di Francia, 9 degli Stati-Uniti d’America, e meno quelli delle altre. Fra gli italiani 4 erano membri del Comitato geolo- gico e 6 ingegneri dell’ Ufficio geologico, di cui tre andati a Berlino a tutte loro spese. 1 La prima seduta del 28 settembre fu destinata alla Carta geolo- gica dell’ Europa. Il Renevier, segretario del Comitato speciale, ed Hauchecorne direttore del lavoro che si eseguisce nell’ Istituto geologico di Berlino, riferirono sullo stato dei lavori, che trovasi assai avanzato per la parte topografica. Presentavasi anche un saggio della Carta stessa colorato geologicamente con la gamma di colori sin ora adot- tata. Questo saggio comprendeva soltanto le zone della Germania e dell’Italia che stanno al Nord ed al Sud delle Alpi, essendo quelle le sole nazioni che aveano sino allora presentata la loro carta alla scala stabilita di l,500,000.mo Intanto il Congresso approvò, dietro proposta del suddetto segre- tario, diversi colori pei terreni più antichi della serie sedimentare non ancora decisi a Bologna, insieme ad alcune modificazioni state proposte nelle riunioni di Foix e Zurigo, specialmente pel retico ed il gault, ed infine una gamma per le roccie eruttive o massicci e stata proposta dalla Direzione della Carta in seguito a mandato avutone nella riu- nione di Zurigo. — Con simili elementi il Direttore del lavoro della Carta avrebbe potuto completarla secondo le stabilite norme, in attesa della riunione di Londra. Per tutte le particolarità poi che occorresse di dovere tuttavia stabilire, venne accordato, dietro proposta del prof. Capellini, un mandato di fiducia al Comitato della Carta, senza dovere aspettare l’approvazione del Congresso di Londra: e venne intanto convenuto che detto Comitato si riunirebbe nella prossima estate del 1886 a Parigi. Infine essendosi ritirato dal detto Comitato il membro rappresen- tante la Russia (von Moeller), venne riconosciuto in sua vece il Kar- pinski, stato dal suo governo delegato a sostituirlo. 1 Gli italiani presenti furono : Barone De Zigno, prof.ri Capellini e Taramelli, membri del Comitato geologico, ispettore Giordano, ingegneri Zezi, Baldacci, Lotti, Zaccagna, Mattirolo e Novarese, addetti all’ Ufficio geologico, prof/1 Strùver e Meli di Roma, dott. Tittoni pure di Roma, ing.ri Segrè e Ferraris, dott.ri Fornasini, Nicolis, Négri e barone Levi. 334 — Nelle sedute 30 settembre ed 1, 2 e 3 ottobre si trattò della uni- ficazione della nomenclatura geologica, ossia della classificazione dei terreni stratificati, prendendo per base la serie stata proposta dalla sotto-commissione germanica nella riunione del 1882 in Foix, ed una relazione in proposito del segretario della commissione internazionale prof. Dewalque. Qui si presentavano non poche difficoltà e d’altronde era assai ristretto il tempo da potersi accordare alle discussioni assai gravi e lunghe, che avrebbero dovuto precedere mature deliberazioni. Perciò mentre diverse questioni relative alla suddetta serie vennero discusse nell’assemblea, preparando intanto elementi di future delibe- razioni, si è tuttavia creduto di sospenderne la votazione in questa sessione, rimandandole alla prossima. Una parte di queste sedute, quelle in specie che presentavano maggiore difficoltà vennero presiedute, dietro domanda dei colleghi, dal prof. Capellini, il quale le diresse in modo da evitare urti e dannosi compromessi, lasciando impregiudicate le questioni più delicate per la sessione che si terrà a Londra. Sono tra queste le seguenti: Se l’archeano debba essere conside- rato come gruppo o come sistema; se il carbonifero e il permiano debbano formare un solo sistema permo-carbonifero ; se la zona a Amm. opalìnus debba essere riunita al lias superiore o al dogger, e il calloviano al dogger o al malm; se il terziario debba comprendere uno o più sistemi. Nell’ultima seduta venne approvata la proposta della pubblicazione di un Nomenclator paleontologicus fatto da Neumayr di Vienna e scelto un comitato di redazione composto dei prof. Neumayr, Roemer, Gaudry, Etheridge e Zitteh Venne poi emesso un voto di incoraggiamento per la pubblicazione di un Dizionario geologico poliglotto proposto dal Vi- lanova di Madrid. Il Topley di Londra annunciò che ricominciava la pubblicazione del Geological Report. Finalmente veniva rinominata, con qualche variazione, la Commis- sione internazionale della nomenclatura geologica, sotto la presidenza del prof. Capellini. Le escursioni geologiche dei congressisti cominciarono col giorno 5 ottobre sotto la direzione del Segretario generale Hauchecorne. Il Comitato ordinatore del Congresso avea ottenuto diverse agevolezze sulle ferrovie ed inoltre si erano impartite istruzioni nelle località da visitare onde ritrovare tutto pronto per le visite. La prima ebbe luogo a Thale nei monti della parte settentrionale — 335 — dello Harz, ove si poterono esaminare terreni antichi e i loro contatti con roccie cristalline. Nel giorno 7 si andò da Thale a Stassfurt, ove si praticò una vi- sita a quelle grandiose miniere di sale lavorate da varie amministra- zioni, ed ivi entro magnifiche escavazioni interamente nel sale cristal- lino a parecchie centinaia di metri di profondità, i congressisti ebbero gioviale banchetto. 1 Nei giorni seguenti si visitarono Lipsia e Dresda coi loro interessan- tissimi musei diretti dai professori Credner e Geinitz ed una parte dei con- gressisti, malgrado il tempo quasi costantemente burrascoso, visitava i monti dello Scheiben e di Obermittweida, nonché parte dello Erzgebirge. Si può aggiungere che la massima parte dei congressisti italiani visitarono, sia nell’andata a Berlino sia nel ritorno, diversi altri musei, come quelli di Monaco, Freiberg, Praga e Vienna. Indipendentemente dai lavori del Congresso per l’unificazione delle basi della scienza geologica, il solo fatto della relazione intima e con- tinua in cui si tennero per circa due settimane oltre duecento geologi di varie parti del globo, non poteva mancare di potentemente contri- buire allo scopo per cui questi congressi internazionali vennero patro- cinati. E l’Italia, che vi prese una parte relativamente cospicua, dan- dovi prova quanto meno di alacrità, è per certo la nazione che può ritrarne i maggiori vantaggi. 1 Per maggiori dettagli relativi alle escursioni, vedasi come sopra. PUBBLICAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO PARTI PUBBLICATE (al 1° novembre 1885) Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000: Foglio N. 248 (Trapani) prezzo L. 3 00 » 249 (Palermo) » 4 00 » 250 (Bagheria) » 3 00 » 251 (Cefalù) » 3 00 » 252 (Naso) . » 4 00 » 253 (Castroreale) » 4 00 » 254 (Messina) » 4 00 » 257 (Castelvetrano) » 4 00 » 258 (Corleone) » 5 00 » 259 (Termini Imerese) » 5 00 » 260 (Nicosia) ......... » 5 00 » 261 (Bronte) » 5 00 » 262 (Monte Etna) » 5 00 » 265 (Mazzara del Vallo) » 3 00 » 266 (Sciacca) » 4 00 » 267 (Canicatti) » 5 00 » 268 (Caltanissetta) » 5 00 » 271 (Girgenti) » 3 00 Tavola di sez. N. 1 (annessa ai fogli 249 e 258) » 4 00 » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 00 » » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 00 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500,000 (serve anche di foglio di unione della precedente) prezzo L. 5 00 Carta geologica dell’ Isola d’ Elba nella scala di 1/25,000 con sezioni annesse (in due fogli) prezzo L. 15 00 Carta geologica dell'Isola d’Elba nella scala di 1/50,000 con sezioni annesse (in un foglio) prezzo L. 6 00 IN CORSO DI STAMPA Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000 : Foglio N. 269 (Paterno). » 270 (Catania). » 272 (Terranova). » 273 (Caltagirone). » 274 (Siracusa). » 275 (Scoglitti). Memoria descrittiva dell'Isola d’Elba, con 6 tavole in zincotipia ed incisioni intercalate nel testo, dell’Ing. B. Lotti. NB. Sono in preparazione i fogli rimanenti della Carta della Sicilia alla scala di 1/100,000 in numero di 4, oltre a due tavole di sezioni. Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio Geologico, ovvero alla Libreria E. Loescher, in Roma. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IL Voi. VI. Novembre e Dicembre 1885. N. 11 e 12. SOMMARIO. Memorie originali. — I. Sull’esistenza di un dicco basaltico presso Palmi in pro- vincia di Reggio Calabria, di E. CORTESE. — II. La Pietra di Finale nella Riviera Ligure, di A. ISSEL (con una Carta geologica). — III. Sopra alcune formazioni quaternarie dei dintorni di Roma, di E. CLERICI. Estratti e riviste. — I. Studi geologico-mineralogici sull’Isola di Sardegna, del prof. G. vom Rath. — II. Notizie sopra alcuni sedimenti cretacei delle Alpi me- ridionali, del dott. G. BOEHM. Notizie bibliografiche. — A. De ZlGNO, Sopra uno scheletro di Myliobates esi- stente nel Museo geologico di Verona ; Venezia 1885. — Idem, Flora fossilis formationis ooliticae ; Padova 1856-1885. — J. FELIX, Studii critici sulla fauna corallina terziaria del Vicentino e descrizione di alcune specie nuoce ; Berlino 1885. Necrologia. — Giuseppe Ponzi. — Guglielmo Guiscardi. Avviso di pubblicazione della Carta Geologica d’Italia. Tavole ed incisioni. — Tav. IV: Schizzo geologico del Finalese (A. Issel), a pag. 360 . Elenco del personale del Comitato ed Ufficio geologico alla fine del 1885. Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1885. MEMORIE ORIGINALI I. Sull' esistenza di un dicco basaltico presso Paini, in pro- vincia diReggio Calabria, nota dell’Ing. E. Cortese. La città di Palmi è costruita sopra un altipiano a 230 m. sul mare’ circa. L’altipiano è sul granito, ma ricoperto da un profondo terriccio nero, che ricopre, del resto, tutte le parti pianeggianti, o poco acclivi t su quel granito. Al nord di Palmi, lungo le coste, si trovano i calcari a briozoi e corallarii della Petrosa, Capo Triari, ecc., i quali si collegano a calcar^ rossi compatti, ed hanno pure rapporto col calcare che cementa le fen_ diture, anche profonde, del granito, su tutta la costa, dalla Punta delle Pietre nere a Villa S. Giovanni. Non è qui il caso di parlare dell’età di questi calcari, finché non 23 338 — sarà completato lo studio degli organismi che contengono, o da cui, in gran parte, sono costituiti. Un poco al nord di Capo Triarl, lo stradello che corre lungo quelle pendici, passa in un punto chiamato Maiopasso. Ivi la costa ha una configurazione speciale, quella cioè di un pro- montorio, terminante alla punta che precede immediatamente la piccola insenatura del Maiopasso. La pendice rivolta ad ovest, dalla cresta alta 261 m. scende ripidamente al mare; colà finisce la serie delie ripide pendici di Palmi, e la costa rientra bruscamente. Invece si ha un’altra ripida pendile, che dalla stessa cresta scende verso nord, al piano di S. Pantino che ha la quota media di 100. La Carta topografica al V50000 non indica bene, in quel punto, la forma speciale del terreno; le due ripide pendici non sono affatto rap- presentate e quindi, dall’esame della Carta, non ci si può fare una idea esatta della località. , Al piede della pendice rivolta al nord, corre un dicco di una roccia speciale che, cominciando dalla insenatura del Maiopasso, seguita fino alla strada nazionale, che tiene la cresta di Monte Traviano, e va poi a sparire sotto ai calcari silicei di S. Filippo. La roccia è di pasta nerastra, dura, qua e là ripiena di cristallini bianchi o verdi, e di piccole geodi tappezzate di cristalli analoghi. Credo si tratti di zeoliti e di olivina, però questa roccia dovrà essere studiata al microscopio. Per ora si può ritenerla di natura trappica. Nelle parti laterali del dicco, si trovano impastati, nella roccia ne- rastra, pezzi di granito e di dioriti, strappati evidentemente delle pareti. Questo dicco corre esattamente rettilineo, dalla piccola insenatura accennata, alla curva che fa la strada nazionale, fra la Taverna Profama e S. Filippo; qua e là è nascosto dal profondo terriccio degli oliveti, ma si riscontra dove spunta la roccia, talché si può seguirlo per un bel tratto, in planimetria lungo 1500 m. Esso corre prossimamente da 0. 15° N. ad E. 15° S. Ho creduto interessante segnalare Y esistenza di questo dicco, di cui sospettai resistenza fino dal 1881, quando ebbi per la prima volta a percorrere quella regione. Quella insenatura dipende dalla natura della roccia, più eroditele dei graniti e delle dioriti, costituenti le due piccole punte fra cui è compresa. Al Maiopasso corrisponde pure un tratto di terreno detn- tico. All’epoca della mia prima visita, si trattava di studiare la natura dei terreni, per la ferrovia Reggio-Eboli, ed in quel punto occorreva rendersi conto esatto della potenza di quell’accumulo detritico. — 339 — Previdi che la roccia doveva trovarsi, in direzione normale alla parete esterna, cioè circa da N.O a S.E, a 22 m. nell’interno; un cu- nicolo di saggio, aperto in quella direzione, traversò ^accumulo di de- triti che sostituiva la testata del dicco, erosa dalle acque, ed incontrò il granito solido, risultando di pochissimo più corto della previsione. Tenuto conto della inclinazione, di meno di 30°, che l’asse del cu- nicolo ha rispetto a quello del dicco, si può comprendere che lo spes- sore di questo non è enorme; infatti esso non arriva a 15 m., comprese le salbande. Esattamente sul prolungamento, della lìnea del dicco, si trovano, sulla destra del torrente Marro, due sorgenti solforose, a quanto si dice molto efficaci, che spuntano fra i pantani di quel torrente, a meno di un chilometro una dall’altra. Prolungando la linea in senso opposto, si viene a traversare l’isola di Lipari. Ora, dove la roccia del dicco è compatta, essa ricorda forte- mente le roccie laviche antiche della parte occidentale di quell’ isola, costituenti i Tamponi Valle di Pera, Ospedale, Patasso, Mazzacaruso. In quell’isola, quelle lave sembrano le più antiche, ma non lo sono certo quanto i trapps ordinarli. Il dicco del Maiopasso potrebbe essere anche di trapp (o di basalto) terziario, e collegarsi alle roccie analoghe dell’isola di Lipari. 1 In ogni modo quel dicco è anteriore al calcare rosato, siliceo, di S. Filippo, il quale appartiene al mio-pliocene o al pliocene inferiore; infatti il suo prolungamento fu manifestamente eroso, come le roccie fra cui è incassato, dai mari delFepoca, ed è coperto dai loro depositi. Le roccie anteriori, cioè quelle fra cui è incassato il dicco non ma- nifestano sensibile alterazione al contatto, ma bensì un dislocamento. Al sud del dicco si hanno i bei graniti a mica nera, alquanto porfìroidi, di Palmi e Bagnara, che danno una così bella e buona pietra da co- struzione, quantunque di difficile lavorazione. Al nord, abbiamo degli •scisti. dioritici, delle dioriti, dei feldispati e kersantoni granatiferi, ecc.; 1 Y. Sulla costituzione geologica dell’ isola di Lipari (Boll, del R. Comitato geologico, 1881, num. 11-12). — Ivi ho ammesso che quelle lave potrebbero essere plioceniche, in realtà, modificando in seguito quell’ apprezzamento, mi sono per- suaso che esse possono essere anche molto più antiche. Il signor 1 L. Bucca ha eseguito le analisi microscopiche sui campioni di quelle lave da me raccolti all’isola di Lipari. Egli, riconoscendole come roccie plagioclasiche con augite ed ipersteno, per la presenza dell’olivina, le ha qualificate come andesiti passanti al tipo basaltico (Boll, del R. Com. geol., 1885, n. 9-10). — 340 — tutto un insieme che manifesta una stratificazione, od almeno letti pa- radelli di separazione fra le accennate varietà di roccie. È un sistema, di roccie, diverse dai graniti, gneiss e scisti centrali della estrema Calabria, e che, pure essendo antiche, sono posteriori e generalmente sovrapposte a questi. Queste roccie granatifere, ed anfìboliche nello stesso tempo, for- mano il piano di S. Pantino, 1 delle Pietre nere, le testate del ponte sul Petrace, e la motta su cui è costruita Gioia, scoglio isolato, ultima manifestazione del promontorio cristallino che, staccandosi dall" Appen- nino calabro, ai piani della Corona, si dirige per Monte S. Elia e per Palmi; scoglio che spunta fra i terreni quaternarii della Piana di Gioia e le alluvioni, insieme a poco pliocene che vi si addossa. Ecco che nei pressi di Palmi, città che fu distrutta dai terremoti del 1783 e rifabbricata ove è attualmente, abbiamo due linee sismiche; una, la gran faglia dello Stretto di Messina, che colà si manifesta colle ripide coste fra Bagnara e Palmi (che ancora attualmente hanno la pendenza di oltre 50°), e Paltra, la linea del dicco suddetto. IL La Pietra di Finale nella Riviera Ligure; osservazioni geo- logiche del prof. A. Issel. (Con una Carta geologica). Costituzione geologica del Finalese. — Fra il capo di Bergeggi a levante e la foce del Centa a ponente, si susseguono, nella Riviera Li- gure, calcari dolomitici con scisti talcosi o cloritici, talvolta nodulosi e gneissiformi, i quali, per la posizione loro stratigrafica e perchè i primi appariscono connessi a quelli di Villanova di Mondovì, contenenti fos- sili caratteristici, furono dall’ing. Mazzuoli e da me riferiti ai trias me- dio. 2 II calcare apparisce alla punta di Bergeggi e nelTisolotto omonimo, a Spotorno, ove si escava come pietra da calce, poi a Noli, a Varigotti, a Finalpia, a Finalmarina, a Borgio, a Pietra Ligure, nei monti di Giustenice, Verzi e Boissano, a nord e nord-ovest di Loano, a Bor- ghetto e Ceriale, ove rimane coperto di sedimenti pliocenici e quaternari 1 Nella Carta topografica al Vsoooo non si comprende se è scritto S. Paulino o S. Pantino. Nei rilievi fatti per la ferrovia, quella chiesa è denominata S. Parodino. 2 Nota sulla zona di coincidenza delle formazioni ojìolitiche eocenica e iriasica (Boll, del R. Comitato geologico n. 1-2, anno 1884). — 341 — che si insinuano nella valle del Centa. Nell’interno, la medesima roccia oltrepassa il crinale dell’Appennino, si estende sul versante settentrio- nale del medesimo, congiungendosi colle grandi masse della valle del Tanaro, le quali a ponente si continuano con quelle del Colle di Tenda e della valle di Roja e a nord-ovest con quelle della vai di Stura. Gli scisti occupano gli spazi che intercedono fra le masse di calcare e ge- neralmente sono inferiori a queste, quindi più antichi; in alcuni punti, per altro, a nord di Finalpia, a cagion d’esempio, le due specie di roc- cie vedonsi alternanti per breve tratto. Nello spazio occupato dai ter- reni di cui tengo discorso, la stratificazione è sconvolta e confusa da numerose pieghe, seguite da profonda erosione che ha generalmente mozzate le vette degli anticlinali. La direzione precipua dei corrugamenti sembra N.O — S.E e gli strati sono generalmente immersi verso N.E e talvolta anche verso E. L’inclinazione è però, secondo i punti, assai diversa. Stratigralìa della Pietra di Finale. — Sugli strati mozzati di questa formazione antica, i quali costituiscono come una serie di altipiani, di terrazzi, che datano probabilmente da una delle ultime fasi del miocene, si estende, nel Finalese, una formazione recente (terziaria) di calcari gros- solani fossiliferi, la cosi detta Pietra di Finale1 e subordinatamente di sabbioni e di conglomerati. Si è questa, per l’appunto, che intendo far conoscere colla presente memoria, nella quale ho registrato osserva- zioni fatte in gran parte durante il rilevamento geologico della Liguria occidentale eseguito testé, dall’ing. Mazzuoli e da me, per conto del R. Comitato geologico. Dalla sovrapposizione di calcari terziari, in strati orizzontali o quasi, ad altri verticali od obliqui di calcari dolomitici e scisti antichi, gene- ralmente meno alterabili, dipende la disposizione tabulare di gran parte dei monti del Finalese, la quale ricorda il tipo orografico della Sviz- zera sassone e in piccola scala anche Yamba abissinica. Siffatta dispo- sizione è ben manifesta nella Rocca di Perti e nel monte Pianarella, in vai d’Aquila, nonché nella Rocca del Corno 1 in vai di Pia. Per effetto del diverso grado di resistenza all’ azione degli agenti esterni e del diverso modo d’ erosione del terreno sottoposto e del so- vrapposto, il secondo suol essere tagliato a picco, mentre il primo co- stituisce una scarpa a pendio più o meno inclinato, secondochè la roccia è calcare o scisto; nel primo caso vi ha d’ordinario maggior ripidezza. 1 Sulla Carta topografica dell’Istituto militare (foglio di Finalborgo), Roccia di Corvo. — 342 — Anche da lontano, si distinguono le due formazioni per la discordanza dei loro strati, pel diverso colore e sopratutto perchè la pietra di Finale suol essere arida e nuda, mentre gli scisti sottoposti (quando si tratta di scisti) accolgono vigorosa vegetazione arborea e i calcari stessi non sono il più delle volte destituiti di piante. Altro criterio distintivo, che facilmente si può mettere in pratica a distanza, sta in ciò che, essendo la formazione terziaria permeabile, a differenza degli scisti e dei calcari del trias, ne segue che, lungo il piano di contatto fra i due terreni, ge- mono copiosi stillicidi e scaturiscono piccole sorgenti che alimentano erbe e cespugli visibili anche da lontano. Dalla minor consistenza degli strati inferiori della formazione terzia_ ria, rispetto a’superiori, deriva il fatto che bene spesso si presenta tagliata a picco ed incavata alla base. Le incavature sono ben sovente estese caver- ne; tal’ è quella di Pollerà o di Pian Marino, situata presso le case di Montesordo, tali sono le tre grotte che si aprono nella Rocca di Corno nella valle del Rio dei Ponci, le due grandissime del Bricco dei Pirinei (sulla Carta topografica dell’Istituto militare Bricco Spaventai), quella dell'Arma, dalla quale il villaggio omonimo trae il suo nome ( orma in vernacolo si- gnifica grotta) ed altre moltissime che reputo qui superfluo di descrivere. Tutte queste grotte furono scavate entro materiali calcarei e arena- cei, secondo ogni probabilità per opera di torrenti e di ruscelli che si aprirono una via attraverso la roccia tenera, quando le valli erano assai meno profonde che non attualmente. In qualche caso le acque circolanti sotterra contribuirono ad estendere le fenditure già aperte per effetto delle oscillazioni del suolo. In quasi tutte le dette caverne, per esempio in quella del Rio sul ruscello detto La Valle, presso le case di Mon- tesordo, in quella delle Fate, presso Manie sul Rio dei Ponci, si os- servano depositi alluviali con ciottoli; eppure la prima è situata a 30 metri sopra il livello del torrente e la seconda a più d’un centinaio. Da quanto precede, come pure dai fossili rinvenuti in esse caverne, emerge che la formazione loro deve risalire ai tempi più remoti del- l’èra quaternaria; cioè ad un’epoca nella quale il sistema idrografico del paese era appena abbozzato. La pietra di Finale costituisce una pila di grossi strati regolaris- simi, adagiati sul dorso delle colline triasiche, con lieve inclinazione generale verso mezzogiorno (segno che anche dopo la sua formazione il sollevamento continuò ad esercitarsi con maggiore intensità a nord che a sud) e con sensibile pendenza dalla periferia del bacino mioce- nico verso il centro di esso (vedasi la sezione che accompagna lo Schizzo geologico del Finalese unito al presente scritto). — 343 — Questo terreno si presenta con due isole. La maggiore, che è la più orientale, ha alP ingrosso la forma di un’ovale irregolare, a con- torni assai frastagliati, diretto coll’asse principale da ponente a levante ; la sua maggior lunghezza, misurata fra Campogrande, presso Calice, e il suo confine orientale che passa presso l’Arma è di circa 5800 metri; la sua larghezza massima, fra Costa (presso Orco), al nord, e la Cappella di S. Bernardino, sopra Finalmarina al sud, non passa i 3700. Lungo il limite meridionale della formazione, ai due rami del torrente di Pia e alla valle dell’Aquila, corrispondono tre profonde insenature; fi- nalmente, vi si connette verso sud-est un lembo quasi isolato, il quale comprende il poggio tabulare denominato Rocca di Perti. Questo lembo misura circa 1100 metri di lunghezza per 700 di larghezza. Sopra Verzi, di contro alla Rocca del Corno, vi ha pure un piccolissimo frammento della medesima formazione che sembra distaccato dalla massa prin- cipale. La seconda grande isola di cui ho fatto cenno si estende sotto forma di striscia diretta da S.E a N.O, fra la vetta del monte Capra- zoppa, sopra il capo dello stesso nome, e le prime case di Bras- sale, con lunghezza poco superiore a 2 chilometri e larghezza di 6 a 700 metri. Sa a Pietra di Finale considerata dal punto di vista litologico. — La pietra di Finale tipica, quale si trova nelle cave superiori di Verezzi, è un calcare grossolano cristallino, aspro al tatto, di color rossastro traente al bruno chiaro, o al rosso. Il suo peso specifico, negli esem- plari di media compattezza è di circa 2.47 ; suol essere piuttosto te- nace e, prescindendo dai minerali accessori che vi sono contenuti, la sua durezza si mostra uguale o superiore a quella degli altri calcari cristallini. Ha frattura granosa, ineguale; alitandovi sopra emana odore terroso. Cogli acidi fa lieve effervescenza e si scioglie solo in parte. Sotto la lente, o meglio al microscopio, presenta un aggregato di pic- cole concrezioni cristalline di calcite che lasciano tra loro vacui irti di cristalli ed accludono granuli di quarzo cristallino, di fel dispati pla- gioclasi, laminette di mica e di talco, scagliette di clorite ed altri mi- nerali, provenienti indubbiamente dalle roccie triasiche sottostanti. In altri esemplari si vedono acclusi in esso calcare, anche ad occhio nudo, frammenti di calcare dolomitico bigio, di quarzo, talcoscisto, clo- ritescisto, ecc. Si trovano in questa pietra denti di pesce fossili non rari. Alla parte media della massa di Verezzi, la roccia si mostra tutta sparsa di grossi vacui tappezzati di concrezioni calcari, come cariata, — 344 — ed acclude molti fossili, specialmente grossi pettini e clipeastri, ridotti per lo più alla condizione di modelli interni, talché, per questo com- plesso di caratteri, ricorda la panchina livornese. I frammenti di roccia contenuti in tale varietà si fanno talvolta più voluminosi, raggiungendo le dimensioni di piselli e perfino di nocciuole e tutti sono più o meno arrotondati. Da questa si passa ad un vero conglomerato (di cui rac- colsi alcuni campioni presso le case inferiori di Verezzi), il quale ha assai poco sviluppo. In altri punti, come alla Rocca del Corno, al Bricco Reseghe ed anche presso Verezzi, la struttura della pietra di Finale si fa decisa- mente arenacea, con proporzionale diminuzione del calcare. Ivi la roccia assume bene spesso una facies rubiginosa e contiene fossili che sono principalmente piccoli pettini e terebratule. A Brassale, la roccia si converte in una arena calcare e quarzosa, quasi sciolta, di color giallastro, con scarso cemento. Altrove, per esempio a settentrione di Finalmarina, essa acquista P aspetto di un calcare eminentemente poroso e cavernoso, essendo tutta cosparsa di vacui irregolari, dovuti io credo in gran parte al suo modo di forma- zione (cioè ad una rapida precipitazione per via chimica della materia calcare), vacui ingranditi poscia dalle acque piovane ed alluviali. Questi vacui sono in parte occupati da terra rossa. Nella valle delPAquila, la roccia prende un colore più chiaro, bianco giallastro o bianco roseo, contiene, in generale, elementi estranei in minor copia e si fa più fragile e più cristallina. Tal è la varietà che si estrae dalle cave di Sanguineto, la quale si presenta solo mi- nutamente vacuolare ed ha struttura saccaroide. Questa, a differenza della pietra di Verezzi propriamente detta, fa viva effervescenza cogli acidi. In fatto di fossili, contiene denti di squali. Massa principale della Pietra iìnalese. — Passando a trattare del lembo principale della formazione che ho impreso a descrivere, osserverò in prima come, al suo confine meridionale, vedansi sotto Costa (vai di Pia), inferiormente al calcare terziario, scisti triasici verdi, pie- ghettati con vene ed interposizioni di quarzo, scisti quasi verticali. Ove T inclinazione loro è manifesta, questi strati pendono a N.E e più in- nanzi ad E. Risalendo il burrone che è compreso fra il Bricco Reseghe (di m. 291) e il M. Tola, si trovano scisti verdi inclinati a N.E e, sopra, la forma- zione terziaria, in strati presso a poco orizzontali, rappresentata da un sabbione giallo, mal cementato, poi da calcare grossolano giallastro con 345 — piccoli pettini e superiormente da un calcare di color rugginoso, senza fossili, tutto cariato e bucherellato, che ricorda nell’aspetto certi tra- vertini. Il contatto è situato a 170 m. sul livello del mare; da che si ar- gomenta che la potenza della massa terziaria sia qui superiore a 120 m. Più a monte, lungo il torrente di Pia e lungo i due rami del medesimo che si uniscono di contro alla Rocca del Corno, la roccia terziaria, quasi sempre sovrapposta al calcare dolomitico anziché agli scisti, presenta all’ incirca i medesimi caratteri, senonchè, lungo il sentiero che conduce a Portio, ove questo si scosta dal torrente per assu- mere più rapida pendenza, presenta alla sua parte inferiore, che ri- posa sul talcoscisto, una breccia a grossi elementi di roccie triasiche collegati da sabbia grossolana, poi, sopra la breccia, strati di calcare strapiombanti, perchè incavati alla base, sotto i quali le acque filtranti depositarono una concrezione nerastra, che circoscrive un gran nu- mero di cavità poliedriche, grosse tutt’al più come il pugno, a guisa di favo gigantesco. Nell’ ultimo tratto della valle dell’Aquila, la pietra di Finale si vede sovrapposta al calcare, poi, a monte della villa Sanguineti, sopra scisti talcosi e cloritici, i quali appariscono ora verticali, ora obliqui, ora orizzontali. Di contro ad un burrone che si apre sotto Cia, la detta forma- zione, che si trova a pochi metri sul livello del torrente, si presenta lungo la via maestra sotto forma di arena limacciosa bigia, quasi sciolta, in straterelli orizzontali ; superiormente, questa roccia passa alla condizione di marna arenacea, mentre al di sotto, nel letto del torrente, si converte, per breve tratto, in conglomerato ad elementi cal- carei che ricorda quelli di Portofìno e di Celle ; il conglomerato riposa direttamente sul calcare triasico. Massa del M. Caprazoppa. — La seconda massa della formazione di cui si tratta si può agevolmente studiare sul monte Caprazoppa, di cui costituisce la vetta. Muovendo dalla stazione di Borgio-Verezzi, nella direzione di quest’ ultimo comune, si osserva da principio, sul fianco del monte Caprazoppa, il calcare triasico, il quale all’esterno è bigio cenere (internamente di color più cupo e traente all’ azzurro) scabro, cavernoso, inciso superficialmente da piccoli solchi, per corro- sione, talché sembra a tutta prima fissurato. Poco lunge, si escava per fabbricar calce una varietà della medesima roccia con vene bianche e tinta più intensa. Sotto le prime case di Verezzi, a circa 110 metri sul livello del — 346 — mare, si incontrano le testate degli strati più bassi di pietra di Finale. Questi sono costituiti da un conglomerato di ciottoletti quarzosi e cal- carei non più grossi di noci, agglutinati da un cemento calcareo di colore rugginoso ; ivi non si vedono fossili. Un po’ più in su, la roccia si converte nella arenaria calcare poco tenace già descritta o pure in un calcare arenaceo che accludono molti piccoli Pecten Genioni. An- cora più in alto, il cemento che agglutina gli elementi dell’arenaria assume struttura concrezionata, tinta bruno-rossastra e maggiore te- nacità, sicché la roccia, diventando più dura e in pari tempo cavernosa, ricorda, come dissi, certe panchine. In questa varietà si trovano di pre- ferenza grossi modelli di Pecten , riferibili alla nuova specie Finalensis descritta in altra nota, e modelli di Clypeaster. Finalmente, alla parte superiore della collina, la pietra assume grana assai minuta, si fa più compatta ed omogenea e in alcune località diventa propria agli usi di materiale architettonico. I suoi fossili più comuni sono denti di squali. Questa e il calcare arenaceo di cui sopra costituiscono la pietra di Finale propriamente detta, della quale già esposi i caratteri. Al livello dell’arenaria calcare spetta una varietà tutta costituita di detriti di pettini non suscettibili di determinazione, varietà di cui si trovano molti pezzi caduti lungo il versante meridionale del monte, sulla duna delle Arene Candide. Conviene però avvertire che fra un punto e 1* altro, anche allo stesso livello, varia molto la struttura e la consistenza della roccia, e che si danno tra i tipi sopra descritti numerosissimi termini in- termedi. Il punto più basso cui io abbia osservato il calcare di Finale, in questa massa, è situato, come dissi, a circa 110 metri sul livello del mare, presso Verezzi; il punto più alto nella medesima corrisponde alla torre di Bastia, segnata sulla carta a 324 metri. Parrebbe che la differenza fra le due cifre dovesse esprimere la potenza della forma- zione; ma ciò non è, a causa delle anfrattuosità e sporgenze del cal- care triasico sottoposto e per le ineguaglianze (assai minori) della su- perfìcie superiore del calcare terziario. Questa potenza, laddove si può direttamente misurare sulle testate degli strati, non supera i 60 metri. Al di sotto della torre di Bastia, la porzione inferiore della pietra fìnalese si converte in pura arena calcarea e quarzosa, quasi sciolta, di color bianco giallastro, arena escavata per usi edilizi. Ivi, nei muri di sostegno dei campi, veggonsi rappresentate le roccie che sono pro- prie alla base del calcare dolomitico del trias in Liguria, cioè scisti — 317 — quarzosi, quarziti, conglomerati quarzosi; indi, a poca distanza, cioè sotto le prime case di Brassale, compariscono, per breve tratto, le stesse roccie in posto, in strati contorti, susseguite da talciti e clori- tescisti, che si possono osservare fino a Gorra ed oltre. Origine della formazione sopradescritta. — Dalla forma litolo- gica della pietra di Finale e dai suoi fossili, apparisce che essa è de- posito litorale e d’ acque basse. Questo deposito, ora cavernoso, ora cristallino, ora arenaceo o puddingoide, è quasi sempre cementato da calcite ed aragonite concrezionale e commiste a materiali ocracei. Allorché la roccia è clastica, i suoi elementi sembrano indigeni, tolti cioè alla formazione triasica di quel territorio e consistono principal- mente in calcari dolomitici, quarziti, scisti cloritici e talcosi, gneiss, ecc. Anche le materie ocracee potrebbero provenire dalla medesima for- mazione, vale a dire da scisti ferruginosi che abbondano in quel di Gorra. Talvolta il materiale cementante e concrezionato è tanto copioso da escludere quasi tutti gli altri, come può vedersi, per esempio, in qualche punto della vai d’Aquila e presso Verezzi; la roccia acquista allora la struttura e 1’ aspetto d’ un travertino o se si vuole d’ una pan- china, che così si preferisce denominare il travertino generato in seno alle acque marine. E come potrebbe spiegarsi una tal condizione ? A parer mio mediante le tre seguenti ipotesi: 1° Il deposito si formò in seno ad un mare entro il quale si pro- duceva un precipitato di carbonato di calcio. 2° Nelle acque marine in cui si depositava la pietra di Finale scaturivano sorgenti calcarifere, d’ onde, parimente, precipitazione del medesimo sale sotto forma di calcite o aragonite. 3° Dopo emerse le stratificazioni della roccia di cui si tratta, essa acquistò la struttura concrezionata che la distingue per cause estrin- seche od intrinseche. Il fatto che la struttura concrezionata manca in alcuni tratti della formazione rende a parer mio inverosimile la prima ipotesi. Oltre a ciò, mi pare che la proprietà incrostante delle acque marine non sa- rebbe stata guari compatibile colla copia di molluschi e di echino- dermi della quale fanno fede i fossili. A favore della seconda ipotesi militano la copia d’ocra rossa com- mista agli altri materiali del deposito, ocra che potrebbe essere ter- mogene, la struttura cavernosa del medesimo, le geodi d’ aragonite che contiene, la circostanza che poco lunge, presso Pino, sgorgano tuttora — 348 — acque incrostanti, con produzione di travertino 4 ; ma d’ altra parte, mancano osservazioni circa i condotti che sarebbero stati percorsi da tali acque prima di raggiungere il fondo marino. Anche la terza ipotesi merita di essere tenuta in particolar con- siderazione, tanto più che non richiede l’ intervento di fenomeni diversi da quelli che attualmente si verificano nel paese. Infatti, se si osserva che la pietra di Finale è generalmente permeabile, che le acque pio- vane e sorgive da cui è attraversata sciolgono parte del suo carbo- nato di calcio (massimamente quando queste acque contengono in so- luzione gas acido carbonico sottratto alla terra vegetale) per deposi- tarlo poi più lunge, sotto forma concrezionata; se si osserva che alla superficie della formazione abbondano le forme cavernose, alveolari, cariate che attestano la solubilità della roccia, mentre in regioni più profonde si ha bene spesso la struttura concrezionata; se si consideri che nelle numerosissime caverne del calcare finalese riesce palese da un lato, Fazione dissolvente delle acque circolanti e dall’altro l’azione incostante delle medesime, parrà ben legittimo il supporre che la strut- tura concrezionata della roccia sia dovuta, almeno in parte, ad un fe- nomeno idrico e cristallogenico, posteriore alla formazione di essa roccia. Applicazioni della Pietra di Finale. — Questa pietra fu adope- rata come materiale da costruzione nella Riviera occidentale fin da quando la Liguria soggiacque al dominio romano. I ponticelli gettati sul Rio dei Ponci, massime il Ponte Sordo, attestano colla perfetta loro conservazione qual sia la resistenza agli agenti esterni e la durata di siffatto materiale. Alcuni edifici medioevali di Finalborgo e Finalpia son pur costruiti della medesima pietra e ne son fabbricate molte case coloniche del Finalese che sembrano assai antiche, ma di cui non saprei precisare 1’ età. Tanto in queste case quanto nei ponti romani, le pietre son ri- dotte a piccoli parallelepipedi diligentemente scalpellati. In Genova la pietra di Finale cominciò a mettersi in opera, a quanto credo, nella prima metà del 1500, e continuò ad essere ricercata per io stesso uso fin verso la metà del 1600, dopo di che, per lungo spazio di tempo, fin quasi ai giorni nostri, rimase negletta. Solo da una ven- 4 Si trova questa roccia in formazione anche presso Terzorio nella provincia di Porto Maurizio e nelle vicinanze di Voltaggio. — 349 — tina d' anni si riattivarono alcune antiche cave e se ne aprirono di nuove. Anticamente, si foggiavano colla pietra di cui si tratta colonne, balaustri, architravi, stipiti, cornici, bozze, vasche per costruzioni mo- numentali ; ora si usa principalmente per farne rivestimenti di fab- briche civili, facciate di gallerie, parapetti di ponti, ecc. Fra i monumenti degni di nota in cui figura questo materiale, si possono citare in Genova la Porta d’ Arco, eseguita nel 1540 da Pier Antonio da Carona, la Porta del Molo Vecchio, disegnata da Galeazzo Alessio e compiuta nel 1550, la basilica di Carignano (dell’ Assunzione e dei santi Fabiano e Sebastiano), cominciata nel 1552 e finita nel 1603, in gran parte dovuta al medesimo insigne architetto, il palazzo muni- cipale, eretto dai Grimaldi nel 1564, architetto Rocco Lurago. Si può asserire in tesi generale che non vi ha edilìzio cospicuo sorto nell’accen- aato periodo di tempo a Genova, il quale non sia in qualche parte ador- nato di pietra fìnalese. Convien dire che questa si presta perfettamente all’ uso di materiale decorativo, pel suo colore, per la resistenza agli agenti esterni e per la facilità colla quale si lavora. Le varietà di Ve- rezzi ricordano per l’aspetto loro, quando sono lavorate, il granito di Baveno; il più delle volte son però di tinta più viva, traente al rossastro. Dalle nuove cave, situate nella valle dell’Aquila, proviene una va- rietà, biancastra, a struttura cristallina che simula i marmi saccaroidi più grossolani, ma, come dissi, ha minore omogeneità e compattezza. La varietà di pietra di cui son fatte le bozze del palazzo Parodi, iella sede municipale e d’ altri (proveniente dalla cava più antica di Verezzi) è notevole per la copia di pettini che contiene, tantoché può dirsi propriamente, in alcuni casi, un aggregato di tali conchiglie; ora si suole dar la preferenza in Genova a quelle più tenaci, a struttura meno arenacea e quasi sprovviste di fossili. Invecchiando, la pietra di Finale si fa nerastra e inoltre le sue parti meno compatte si sgretolano superficialmente per effetto del gelo. Cave di Pietra di Finale. — Attualmente la pietra di Finale si estrae da sei cave principali, tre delle quali situate presso l’abitato di Verezzi e tre nella località di Sanguineto, presso Feglino, nella valle del- l’Aquila. Fra le tre prime, la più alta che fornisce pietra a grana più fina ed omogenea è detta cava Vacchelli o Ciapeli ed è esercitata dal signor Saldarini. Nelle cave di Sanguineto, le quali somministrano, come dissi in altra occasione, pietra di color biancastro e di tessitura cristallina, — 350 — pietra meno omogenea e tenace di quella di Verezzi, si usufruttano soltanto fin qui massi franati. Il prezzo della pietra di Verezzi già sbozzata è di 90 a 100 lire al metro cubo. Il materiale estratto, semplicemente sbozzato o pure in pezzi finiti di tutto punto, si trasporta mediante carri tratti da buoi alla stazione ferroviaria di Finalmarina e di là si spedisce in varie direzioni. Secondo le cifre che mi furono cortesemente comunicate dal si- gnor capostazione di Finalmarina, fra il 1° febbraio ed il 31 luglio del corrente anno (1885) le spedizioni ammontarono a 16680 quintali per le provenienze di Verezzi e a 7900 quintali per quelle della vai d’Aquila. Nel corso dell’anno si tratta adunque di una esportazione complessiva di circa 4900 tonnellate, che rappresenta un valore poco lontano dalle 200,000 lire. ©sssrvazioni di Spallanzani, Sasso, A. Sismonda e Pareto. — Il primo naturalista che, a mia cognizione, si sia occupato della pietra di Fi- nale e dei suoi fossili è il celebre Spallanzani, il quale, nella sua seconda lettera a Carlo Bonnet, descritta con tinte vivaci la costiera dell’isola Paìmaria, avverte come riuscissero infruttuose le sue ricerche per rin- venire testacei fossili sia tra quelle rupi, sia nelle altre isolette che limitano il Golfo della Spezia e lungo il litorale della Riviera di levante e come invece ne trovasse in copia lungo l’altra Riviera, della quale scrive quanto segue 1 : « Visitata avendola l’autunno del 1781, ho veduto non senza ammira- zione che cominciando alcune miglia al di sopra del Finale di Genova, camminando verso Ponente il restante di quella Riviera, anzi andando fino al forte di Monaco, che è quanto dire scorrendo un tratto di paese di 70 e più miglia, tutte quelle montagne finitime al mare, anzi quelle medesime che alquanto s’inoltrano nel continente, contengono testacei. Sebbene che dissi contengono f Oltre ai testacei che quivi si conservano interi, se con lente si esamini la pietra componente quei monti, trovasi in tutto o quasi in tutto risultare da un minutissimo tritume o disfacimento di essi. E questa pietra lumachella per essere compatta anzi che no, serve in quei paesi per le fabbriche private e pubbliche, e si estrae da una montagna vicina al Finale, nella quale sono le cave. Ho esa- minato queste cave che sono antichissime, e che si profondano nel 1 Memorie di matematica e fisica della Società Italiana, tomo II, p. 861-869, Verona 1784. — . 351 — seno del monte, e le reputo meritevoli d’essere con qualche dettaglio descritte. Credereste? Tutto il Finale formato di due lunghe borgate, tutti i villaggi circonvicini, una porzione della città di Genova, per le osservazioni da me fatte, non sono in massima parte fabbricati che di questa pietra, che è quanto a dire di testacei. E riflettere che ad onta dei tolti tanta è la immensità dei testacei che rimangono, che sembra essere stato levato da un gran monte un granello di arena. Ma voi facilmente sarete curioso di sapere da me quali sono le specie di questi testacei fossili, e sicuramente la mia risposta vi sorprenderà, quando io vi dico, ridursi tutti a una specie sola. Egli è adunque un pettine di mediocre grandezza, e questo di una qualità sola, che parte intiero, e parte ridotto in minuzzoli compone tutta quell’estensione di montagne, senza che trovato io v’abbia mai frammischiato verun altro testaceo o crostaceo, malgrado le più minute mie diligenze nello esaminar questa pietra. Di questa sola specie di pettine sono adunque formate in mas- sima parte le fabbriche del Finale, quelle dei paesi circonvicini e non poche di quelle di Genova. Ma come mai una specie sola di conchiglia, che è di origine marina si è potuta unire in numero sì prodigioso, si immenso, che appena ce lo possiam figurar col pensiero? E più ancora crescerà in voi lo stupore s’io vi dirò essere questa fatta di conchiglia viva del tutto sconosciuta a pescatori del mare Ligustico, e di quel di Provenza. Lascio alla vostra mente il meditare su questo astrusissimo fenomeno, che finora mi sembra unico fra i tanti riferiti dai naturalisti intorno ai corpi marino-montani. » Brocchi fa menzione parimente della pietra del Finale, « che si adopera in Genova in lavori usuali di scalpello, e che è impastata di una quantità di gusci di pettini. » Egli soggiunge che si presenta alcune volte sotto sembianza tufacea; ma essendo di molto antica data diffe- risce dai più moderni tufi « per aver un grado maggiore di compat- tezza e per essere alquanto brillante nella frattura; qualità che sono una conseguenza di quella forza di aggregazione e di cristallizzazione più intensa nel periodo in cui essa è stata formata, di quello che fosse nei tempi consecutivi » *. Agostino Sasso, cui si deve il primo studio accurato intorno ad un giacimento fossilifero della Liguria (quello d’Albenga), reputava ter- ziaria la pietra di Finale e la riferiva all’orizzonte medio della forma- zione d’Albenga, rappresentata da un’arenaria a cemento quarzoso, so- Concliiologia fossile subappennina, ediz. II, voi. I, pag. 339, Milano 1843. 352 — migliantissima alla roccia di cui si tratta o meglio ad una delle sue varietà. Giova riferire in esteso le considerazioni sulle quali egli fon- dava questo avviso. « Siccome questa asserzione, scriveva nel suo Saggio geologico sopra il Bacino terziario d’ Albenga l 2, si allontana dal parere di va- lenti geologi, che riportarono la pietra di che si tratta, ora ad una specie di travertino, come ha insinuato il Brocchi, ora alla formazione del calcareo dell’jura, come si è proposto più recentemente, sono in dovere di confortarla con altre prove, che la mettono fuori di qualunque contestazione. La pietra di Finale negli strati inferiori, che son quelli appunto impiegati ad uso architettonico, consiste in una argilla calcarea di color giallo, impastata con infiniti rottami di gusci di pettini insieme a granellini, per lo più quarzosi, talmente agglomerati, che lasciando degli spazi vuoti non penetrati dal cemento, han dato alla roccia un aspetto quasi cariato. La qualità però degli ingredienti non disconviene da quella che abbiamo menzionato nel bacino di Albenga; le molecole quarzose soltanto, non affatto pure, vi sono sparse in minor copia, mentre più numerose al contrario si sono affastellate le conchiglie, circostanze però di poco valore che possono derivare dalla posizione geografica. Tutti i gusci di pettine, che son riuscito a determinare in quei frantumi, appartengono al Pecten plebejus , Lam., conchiglia assai ovvia nei terreni terziari d’ Italia. Si vuole parimente osservare che il sabbione calcareo nel Pesarese, nell’Anconitano e in altri luoghi (Br pag. 77) contiene eziandio di preferenza la famiglia dei pettini, che anzi talvolta sembrano caratterizzarlo specialmente (pag. 147), come arriva appunto nella roccia di Finale, e se questa ne’ suoi strati su- periori spogliandosi affatto di conchiglie passa ad una puddinga com- posta di frammenti eterogenei, anche nel terreno d’Albenga troveremo dei banchi di puddinga privi di vestigia organiche ricoprire l’intiera formazione. Parmi dunque che non tanto dalla natura delle terre cogli identici fossili, quanto dalla stretta affinità con depositi ben determinati nella serie geognostica si possa a buon diritto conchiudere, che la pietra di Finale corrisponde alla seconda parte dei terreni terziari o vogliam dire, al sabbione calcareo di Brocchi. » Nella memoria intitolata « Osservazioni geologiche sulle Alpi ma- rittime e gli Appennini liguri » 2 , A. Sismonda accenna alla roccia 1 Giornale Ligustico di Scienze , Lettere ed Arti, fase. V, Genova 1827. 2 Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie li, tomo IV pag. 82, Torino, 1841. — 353 del Finalese come a formazione terziaria superiore, senza specificare il piano cui P attribuisce e si esprime in proposito nei seguenti ter- mini : « presso Varazze hannovi sedimenti terziari superiori con caratteri mineralogici affatto diversi dagli assegnati ai qui indicati depositi. 1 Sono formati di un calcare grossolano tutto poroso e cavernoso, pieno zeppo di pettini e frantumi di numerosi altri fossili. Gli strati piutto- sto grossi inclinano verso levante. Lo stesso calcare si ritrova poi anche sul monte Caprazoppa, ed in tutte e due queste località si scava e si trasporta a Genova, ove s’impiega nelle costruzioni. » A Varazze vi ha un limitatissimo affioramento di arenaria gial- lastra poco tenace con avanzi di echini, che può vedersi presso la stazione ferroviaria; e, a circa 5 chilometri e mezzo da questa città, nelle vicinanze di Scierborasca, si trova poi un deposito analogo più impor- tante, in cui si danno mollasse giallastre, marine e d’acqua dolce (le prime con pettini e ostriche, le seconde con impronte di piante terrestri). Nell’un punto e nell’altro siffatta formazione, che a me fa primamente se- gnalata, anni sono, dall’ ingegnere N. Pellati, ha un aspetto diverso da quello della pietra di Finale e piuttosto sembra collegarsi colla ton- griana, presente fra Albissola e Varazze, nonché a S. Giustina e al Capo di Portofino, lungo il versante meridionale dell’ Appennino e per esteso tratto delle Langhe e della Val di Scrivia, lungo il versante settentrionale. Gli strati di Varazze e Scierborasca ricordano, per la composizione mineralogica e per l’alternarsi di straterelli marini con altri d’acqua dolce, certe arenarie delle vicinanze di Cairo Montenotte e di Sassello, arenarie superiori alla gran massa di conglomerati che costituisce in Liguria la base del piano tongriano. 2 Senonchè, l’autore allude qui, indubbiamente, a Verezzi e non a Varazze , come si legge, forse per errore tipografico, nel paragrafo precitato. Nella Carta geologica di Savoia, Piemonte e Liguria , da lui pub- blicata nel 1862, lo stesso geologo distingue colla tinta del terziario su- periore marino (plioceno), la formazione del Finalese e quelle di Al- benga, LaigueglLa, Taggia, Bordighera, Ventimiglia, mentre ascrive al terziario medio (mioceno) i sedimenti argillosi e marnosi di Savona e Genova. 1 I depositi di cui si tratta sono breccie ossifere con conchiglie terrestri. 2 Vedasi le mie Note intorno al rilevamento geologico del territorio com- preso nei fogli di Cairo Montenotte e Verazze nel Boll, del R. Com'tato Geol., 1885, n. 9 e 10. 24 Dopo aver trattato della formazione di conglomerati, sabbie gialle e marne azzurre del bacino d’Albenga, formazione da lui giustamente ascritta al subappennino, Lorenzo Pareto si fa a descrivere i banchi della pietra di Finale, i quali, a differenza del terreno terziario d’Al- benga, anziché estendersi nel fondo d’una valle, ricoprono le alture; secondo le sue osservazioni, essi sono orizzontali e riposano su quelli verticali o molto inclinati di calcari e scisti che egli reputa giurassici. 1 Sul monte Caprazoppa, soggiunge, si trovano tali banchi di calcare grossolano o meglio sabbione indurito tutti ripieni di gusci o valve di ostriche e di pettini, particolarmente del Pecten plebejus Lam. 2 e il punto più alto in cui si osservano è elevato sul mare 293 metri. Con- tinua poi nei seguenti termini: « Da questo monte situato a ponente di Finale, i banchi terziari molto potenti passano a mostrarsi sulle montagne che stanno dietro a Final Borgo e a Finalmarina, e da quelle sommità scendono poi al livello, nel mezzo del lor corso, dei due torrenti che sboccano in mare, da una parte e dall’altra di Finale, uno dei quali è detto il torrente di Fegino, l’altro la fiumara di Pia, e rimontano in seguito, per qualche tratto su quella specie di alto piano orizzontale che sta alle spalle del capo Noli. Questa calcarea grossolana ha un colore talora quasi ros- siccio, ed è assai dura da poter servire per pietra da taglio, al quale uso fu molto adoperata nei secoli scorsi, nelle fabbriche più magnifi- che, talora alcuni de’ suoi banchi hanno un aspetto brecciato, e nella parte superiore formano anzi una vera pudinga; la marna, la quale deve essere inferiore, non si mostra ben chiaramente, che in pochissimi punti, se ne vede qualche poco verso Fegino, e da quel lato si trova anco una sabbia marnosa che sta sopra lo steascisto e sotto la calcarea grossolana. La potenza di questo terreno terziario supera i 120 metri, ed è disposto quasi orizzontalmente; oltre i pettini e le ostriche, con- tiene qualche polipaio e degli echini, ma tutti questi resti organici sono in generale poco determinabili. » Dall’accenno che il Pareto fa della marna, 3 da lui osservata sotto Fegino o Feglino, quantunque non lo dica esplicitamente, apparisce che egli ravvisa nella pietra di Finale una delle facies della formazione subappennina; d’altronde, nella carta geologica unita alla memoria 1 Descrizione di Genoca e del Genovesato : voi. I, Topografia e Idrografia, Geologia, Genova, tipografìa Ferrando, 1846 (con carta geologica). 2 Questa specie è citata probabilmente sulla fede di Sasso. 5 Non è propriamente marna schietta, ma invece marna sabbiosa. — 355 — precitata, la pietra di Finale figura colla stessa tinta dei terreni ter- ziari superiori di Genova, Savona, Albenga, Taggia, S. Remo, Venti- miglia, ecc., che sono pliocenici. Dal posto che si competa alla Pietra di Finale nella scala cronolo- gica. — In ordine alla determinazione cronologica della Pietra di Fi- nale, è da osservarsi da prima che essa si discosta moltissimo sotto il punto di vista litologico dalla formazione miocenica inferiore, rap- presentata per lo più da conglomerati poligenici ad elementi calcari e serpentinosi, quale si manifesta lungo il versante meridionale degli Appennini, al Capo di Porto fino, ad Albaro presso Genova, tra Varazze e Albissola, nonché presso Santa Giustina. Prevale infatti in essa pietra una struttura concrezionata e cavernosa come di travertino, una facies rubiginosa che non si danno nella formazione suaccennata; i suoi strati, inoltre, non sono ripiegati o molto inclinati come quelli del conglome- rato suddetto, i quali al Monte Giovo, sopra Santa Giustina, pendono perfino di 35° sulP orizzonte e raggiungono al Loderino un’ altitudine di metri 665, cui non pervengono, nell’Alta Italia, i sedimenti marini meno antichi. Nulla vi ha di comune del pari tra il calcare fìnalese e i depositi collocati da Mayer nei suoi piani langhiano ed aquitaniano, che hanno tanto sviluppo nella regione ligure-piemontese, lungo il piovente set- tentrionale degli Appennini; gli uni marnosi e a fossili pelagici (in ispecie pteropodi), i secondi con alternanza d’ arenarie e di marne e parzialmente originati nelle acque dolci, come risulta dalle filliti che vi sono contenute. Maggior somiglianza, quantunque manchi vera e propria identità, si osserva fra la nostra formazione e talune del miocene medio, anzi dell’elveziano, il quale poco lungi dalla Liguria marittima, si presenta, nella valle del Po, con sabbie gialle, sabbie e marne serpentinose, mollasse gialle arenacee con briozoi e denti di squali e calcari are- nacei con pettini e grosse lueine. Quanto al tortoniano, tranne la località di Bocca d’Asino, in vai di Se rivia, nella quale si manifesta eccezionalmente con sabbie e conglo- merati ghiaiosi di serpentina, ricchi di fossili marini, assume d’ordi- nario l’aspetto di marne azzurre con moltissimi fossili, le quali non hanno alcuna analogia colla pietra di Finale. Da questa pur differi- scono assai le assise del messiniano, coi loro gessi, colle loro marne e mollasse d’acqua dolce, colle loro ligniti, coi loro conglomerati. Le sabbie e ghiaie del pliocene superiore assumono talvolta un — 356 — abito concreto e rubiginoso che ricorda quello della formazione di cui tengo discorso ciò, per esempio, presso Albenga *, ma si tratta di ap- parenza ingannevole; perciocché la pietra di Finale ricetta parecchi fossili e segnatamente due Peeten ed un Clypeaster che mancano af- fatto al pliocene e sono indubbiamente più antichi, perciocché nel pliocene dell’ Italia superiore e media non si danno le forme litologiche descritte poco fa come proprie alla formazione del Finalese, perciocché, finalmente, in questa parte della Riviera Ligure, l’altitudine e la po- tenza di detta formazione non sono mai raggiunte dai depositi plio- cenici. Per concludere, emerge dai documenti raccolti che la pietra di Finale non appartiene al pliocene, come supposero i miei predecessori, ma ben piuttosto al miocene. E siccome il Peeten Gentom (Fontannes), in essa comunissimo, è fossile peculiare all’elveziano e il Clypeaster Michelottii trovato a Perti, é specie pur caratteristica del medesimo piano, parmi doversi ascrivere a questo la formazione di cui si tratta. Gli altri fossili, i quali furono già tutti o quasi tutti incontrati nelle assise del miocene medio, avvalorano siffatta conclusione. I fossili della Pietra di Finale. — Le assise descritte in queste- pagine, come già osservarono Spallanzani e Sasso, sono ricche di avanzi organici, ma questi sono ridotti per lo più in frammenti o alterati a tal segno che la loro determinazione riesce assai difficile o impossi- bile. Per ciò appunto i naturalisti che si occuparono della formazione terziaria del Finale ligustico si contentarono di accennare ai pettini ed ai clipeastri che acclude, senza entrare in maggiori particolari in ordine alle specie. Sasso e Pareto ricordano tuttavolta il Peeten ple- bejus come fossile caratteristico di questa formazione. Ma si tratta di denominazione impropria, fondata probabilmente sull’esame di esem- plari guasti. Non sta, come credeva Sasso, che il piccolo pettine del Finalese sia uguale al Peeten comunissimo del bacino d’Albenga, da da lui ascritto al plebejus di Lamarck; d’altra parte esso Peeten d' Al- benga non è il plebejus (fossile di Grignon, quindi assai più antico), ma Yopercularis , Lin. Ho già avvertito che fra i fossili della pietra di Finale si trovano denti di pesce, testacei, brachiopodi, echinodermi. Non vi mancano i 1 La cosidetta pietra di Cisano (che trovasi nel bacino d’Albenga) è un con- glomerato prevalentemente siliceo, certamente pliocenico, formatosi per circostanze speciali in un’ area assai ristretta. — 357 coralli, rappresentati da alcuni piccoli polipai testé ra colti presso Ve- rezzi e i crostacei che vi figurano con un cirripedo, il quale si incontra impiantato sui gusci dei grossi pettini. Le mie ricerche per scoprirvi foraminifere riuscirono fin qui vane. I denti di pesce ( Oxijrhina , Lamna, Chrysophris , Sargus ) sono quasi sempre ben conservati. I resti di molluschi e di echinoderni sono ge- neralmente ridotti alla condizione di modelli interni od esterni, i primi più comuni dei secondi. Certe piccole bivalve (Veneridae ?), una o due specie d’ostriche ed un Conus mi son noti solo nella condizione di mo- delli interni. Siffatti modelli, essendo costituiti di sabbia mista ad ocra rossa, cementata generalmente da calcite concrezionata, riproducono di rado con nettezza i minuti particolari dei gusci che diedero loro ori- gine. Di alcune conchiglie ( Pecten , Pectunculus , Ostrea ), brachiopodi ( Terebratula ) e coralli, nonché di un’echinoderma, si conserva ancora propriamente la parte testacea. Nella parte superiore della formazione, che è evidentemente un deposito di spiaggia, i fossili mi sembrano in gran parte fluitati; negli strati ad echinodermi e a grossi pettini, invece, credo che i fossili sieno spoglie di animali che vissero in quel medesimo luogo. Ho tratto gli elementi di un catalogo di fossili delia pietra di Finale, che sarà pubblicato in breve, dalle raccolte del Museo di geologia e mineralogia della R. Università e del Museo civico di storia naturale di Genova (il quale comprende la collezione di Lorenzo Pareto). Ebbi poi in comunicazione distinti esemplari dal rev. don Perrando, par- roco di Santa Giustina, e dal sacerdote Morelli di Pietra Ligure. Quest’ultimo, allo scopo di agevolare il mio lavoro, adunò recentemente una ricca serie di fossili di Verezzi, che in parte furono da lui donati al Museo universitario di Genova. Mi corre l’obbligo di attestare ad entrambi la mia riconoscenza per l’aiuto prestatomi. Debbo pur ringra- ziare, infine, i colleghi o corrispondenti d’Achiardi, Dames, Bassani, Fontannes, Pantanelli e Seguenza i quali mi somministrarono autore- voli suggerimenti e pareri intorno alla determinazione dei fossili enu- merati. — 358 — APPENDICE. Elenco delle caverne ossifere del Finalese. 1° Caverna di Fonte Vara. 1 — Sulla riva destra del torrente Ma- rcinola, nel territorio di Pietra Ligure, a circa 2 chilometri a monte del paese. Si apre nel calcare dolomitico triasico e risulta di una prima cavità lunga 10 metri e larga non più di 4,50, cui fanno seguito altre due camere un po’ maggiori, situate ad un livello inferiore. Oggetti raccolti. — Ossa umane in gran copia; cocci di vasi di fattura preistorica (non torniti), cocci di anfore romane, ciottoli con super- fìcie artificialmente ammaccate. Ossa di tasso, di cinghiale, di capra, ecc. 2° Caverna di Pietra Ligure. — Sono 4 piccole cavità, situate l’una vicino all’altra, alle spalle di Pietra Ligure, presso il casello fer- roviario n. 67; la maggiore misura m. 8 di lunghezza e 7 di larghezza. Si aprono in un calcare marmoreo triasico. Nella seconda, nella terza e nella quarta, procedendo da levante a ponente, si osservano fenditure ed anfrat- tuosità della roccia contenenti terra rossa ed avanzi di piccoli mammiferi, d’ uccelli, di rettili e di anfìbi. Questi avanzi non furono ancora studiati. 8° Caverna di Ctalusso. * — Si trova tra la stazione di Borgio Verezzi e la duna delle Arene Candide, a poche diecine di passi dalla via nazionale e dalla spiaggia marina, e si apre alla base del Monte Caprazoppa (costituito di calcare dolomitico triasico), in una proprietà recinta di mura, appartenente in un colla casa e la fornace da calce attigue, al dottor Bracale. Le sue dimensioni sono m. 37 per la mag- gior lunghezza e 24 per la larghezza massima. Oggetti raccolti. — Conchiglie marine forate, un punteruolo d’osso, un manufatto di bronzo, cocci di vasi torniti e non torniti. Ossa e denti di Lycorus nemesianus , Sus spn Cerous elaphus , Oois aries. Capra sp.j ecc. Conchiglie marine riferibili ai generi Purpura, Triton , Patella , Sponclylus , Chama. 4° Caverna di Verezsi.1 * 3 — Piccola cavità scoperta nel praticare 1 Issel, Caverne ossifere nel Loanese e Finalese (Bullettino di Peletnologia Italiana, Luglio e Agosto 1875, n. 7 e 8). * Isset, memoria precitata. 3 Ramorino, Sopra le caverne della Liguria e specialmente sopra una recentemente scoperta a Verezzi (Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie II, tomo XXIV, 1868). — Issel, Résumé des recherches concernant V ancienneté de Vhomme en Ligurie (Comptes rendus du Congrès d’Anthropologie et a’Archéologie préhistoriques, session de Paris, 1867). — 359 — una trincea alle falde del monte Caprazoppa, per la costruzione della ferrovia tra Genova e Nizza, a poche centinaia di metri a levante della stazione di Borgio-Verezzi, a livello del piano stradale della ferrovia (m. 6,60 sopra il livello del mare). Nello schizzo geologico unito a questa nota è segnata col n. 5. Vi si raccolsero: pezzetti di carbone, poche con- chiglie e ciottoli marini (forse recati dall’ uomo), conchiglie terrestri, tra le quali Helix Paretiana , H. Ramoriniana , Hyalina spelaea e moltis- simi ossami di mammiferi; figurano tra questi: Felis antiqua , Felis sp., Hyaena spelaea , Canis vulpes , Putorius sp ., Mustela sp ., Ursus sp ., Erinaceus sp ., Talpa sp ., Rhynolophus sp., Aretomys sp., Mus sp., Arvicola 2 sp., Lepus 2 o 3 sp., Cervus elaphus, Cervus sp., Anti- lope sp., Bos sp., Sus sp., Equus sp., Tetrao albus, T. urogallus, Turdus migratorius, ecc. 5° Caverna delle Arene Candide. 4 — A ponente dell’ imbocco ovest della galleria attraversata dalla via nazionale della Riviera, tra Final- marina e Borgio, a m. 89, sul livello del mare, sopra la duna delle Arene Candide. E tutta scavata nel calcare triasico. Nello schizzo geo- logico sopracitato va distinta col n. 6. La camera maggiore della grotta mette all’esterno per tre grandi aperture ed una piccola e misura presso a poco m. 77 di lunghezza massima, e 15 nella maggior larghezza e 5 di altezza media. Nel lato nord-ovest di essa sbocca un cunicolo che mette in una serie di ca- vità sottoposte assai estese; verso nord-est si trova una piccola pro- paggine, dalla quale si sale in altra successione di sale, situate ad un livello più alto e con sviluppo poco minore. Oggetti raccolti. — Almeno 14 scheletri umani interi o quasi, con- tenuti in tombe intatte, coperte di lastroni di calcare; ossa umane di- sperse; molti manufatti d’osso (punte di lancia e di giavellotto, pugnali, scalpelli, spatole, ecc.), denti di fiere forati, conchiglie marine forate, articoli di monile di conchiglia, ascie e scalpelli di pietre verdi, un disco forato di giadeite, coltellini e raschiatoi di selce, pietre da ma- cina e macinelli, pezzi di pomice, ocra rossa e gialla, cocci di stoviglie di foggia preistorica e di fattura romana, frammenti di vetri romani, suggelli di terra cotta, ecc. Ossa di gatto, faina, martora, orso, tasso, 1 Issel, Di una caverna ossifera di Finale, Milano, 1864. — Résumé des re- chérches concernant V anciennetè de Vhomme en Ligurie, Paris, 1867. — Nuove ricerche sulle caverne ossifere della Liguria (Memorie della R. Accademia dei Lincei, serie III, voi. II, 1878). — Incoronato, Scheletri umani della caverna delle Arene Candide (Memoria della R. Accademia dei Lincei, serie III, voi. II, 1878.) — 360 — Canis familiaris palustris , lupo, Sus scrofa domesticasi Sus scrofa palustris , Bos taurus (tre var. fra le quali il brachyceros di Ruthimeyer e Velatior di Canestrini), Cervus elaphus , C. capreolus , Capra hircus , pecora, lepre, arvicola, pernice, Tetrao sp., Cistudo europea; moltis- sime conchiglie marine, fra le quali Purpura haemastoma , Triton nodiferum , Triton cutaceum , Cgpraea lurida , ecc. Avanzi di pasto, cenere, carbone. Caverna del Sanguinato o della Matta. 1 — Si apre sulla riva destra dell’Aquila, nel territorio di Perti, sopra Finalborgo, entro la formazione miocenica. La sua cavità principale è lunga m. 22. Vi si rac- colsero scheletri umani quasi interi ed ossa umane sparse, punteruoli d’osso, ascie di pietra, denti e conchiglie di mare forati artificialmente, fusaruole, cocci di vasi non torniti e mal cotti. Ossa di cervo, di cin- ghiale, di porco, ecc. 7° Caverna della Rocca di Perti. — Si apre nella così detta Costa del Curìetto, sotto la Rocca di Perti, a circa 300 m. sul livello del mare; è tutta scavata nella pietra di Finale. La grotta è costituita da una galleria che s’interna nel monte presso a poco per un centinaio di metri. Vi si raccolsero: Stoviglie rozze non tornite ed altre di foggia romana, conchiglie marine recate dall’uomo; ossa d’orso, di cervo, ecc. Questa grotta fu esplorata dal prof. E. Celesia. 2 3 8° Caverna del Rio (Arma du Rian). 3 — Si trova sulla riva de- stra del torrentello detto La Valle, presso le case di Montesordo, quasi di contro alla cappella di S. Carlo, a circa 270 m. sul livello del mare e ad una trentina di m. sul letto del torrente; è scavata nella pietra di Finale figura nella cartina del Finalese al n. 3. Essa consiste in una galleria di circa 40 m. di lunghezza, larga non più di 6, oltre la quale vi ha un’altra cavità non ancora esplorata, in cui si penetra da angusto foro. Vi si raccolsero ossa e denti di Ursus Lìgustìcus (specie affine all’Z7. spelaeus ) e di Lupus. 9° Caverna di Martino (Arma de Martin o du Prinsipà). * — Si trova a breve distanza a monte della precedente ed è costituita da una galleria lunga e tortuosa che mette in ampia camera irregolarmente 4 PERRANi 0, Sur deux cavernes de la Ligurie (Congrès international d’Aiv thropologie et cl’Archéologie prehistoriques, Compte-rendu de la 5e session, Bo- logne, 1871). 2 II Diritto (giornale) 1876, n. 353. — ISSEL, Nuoce ricerche ecc. 3 ISSEL, Caverne ossifere nel Loanese e nel Finalese. * ISSEL, memoria precitata. Anno 188S,(Tav. IV) ( A. Issel) Scala 1 : 50,000 SCHIZZO GEOLOGICO del FINALE SE | JiaZcoscistv prevalenti , diorite. - ^scisti// gneiss, et. (Trias irzf.a) C. di Noti Cetre di Pietra, ctL Finale/ 3.. Stab. Cart. C/Vìrano, Roma — 361 — elittica. Il terriccio della grotta, che era indubbiamente fossilifero, fu asportato dai contadini di quei dintorni; alle pareti della galleria ri- mangono aderenti scarsi avanzi di breccia ossifera, contenenti pezzetti di carbone e scheggie di selce. 10° Caverna di Follerà o di Pian Marino. 1 — È situata presso l'origine del torrentello denominato La Valle, affluente dell’ Aquila, ad una altitudine che stimo con larga approssimazione di circa 300 m. ; vi si giunge dalle case di Montesordo in un quarto d'ora. Questa è parimente scavata nella formazione miocenica. Figura nella carta al n. 1. La ca- vità più esterna della grotta, la quale ricetta un potente deposito fos- silifero, misura 40 m, di lunghezza e 15 di larghezza e mette all’esterno per due ampie aperture;- un’altra cavità, comunicante colla prima, si estende per circa 86 m. e presenta suolo scosceso e declive rapidissimo. Oggetti raccolti. — Almeno 8 scheletri umani interi o quasi1 * 3 4; ossa umane sparse; moltissimi manufatti d’osso e di conchiglia, ascie, scal- pelli, coltellini di pietra, un disco forato di pietra, varie lame di bronzo, un frammento di vaso di pietra oliare, fusaruole di terra cotta, nume- rosissimi cocci di fittili simili a quelli delle Arene Candide, un fram- mento di tegola romana, ecc. Ossa e denti d’orso, di lupo, di cinghiale, di cervo, di daino, di capriolo, di bue, di capra, ecc. Avanzi di pasto, ceneri, carbone. 11° Caverna dei Zerbi. 3 — Si trova sulla riva sinistra dell’Aquila ed apresi nel Bricco Pianarella (di contro alle case di Sanguineto), il quale a quell’altitudine, di circa 90 m., è formato di calcare arenaceo miocenico. Si tratta di una sola galleria tortuosa, lunga 32 m., con lar- ghezza non maggiore di 5. I soli avanzi che vi furono rinvenuti sono ossa o denti di Ursus ed Ovis. 12° Caverna delle Fate (Arma de Faje o dia, Zambia), 4 — È sca- vata nel Bricco di Peagna (il quale risulta a quel livello della solita formazione miocenica), sulla riva sinistra del Rio dei Ponci, di' contro al ponte romano di Verzi; la sua altitudine supera di poco un centinaio 1 ISSEL, Nuove ricerche nelle caverne ossifere della Liguria — PERRANDO, memoria precitata. 4 Questi furono scoperti recentemente (ad eccezione di uno rinvenuto da don PERRANDO), da don N. MORELLI di Pietra Ligure e dal dottor WALL. 3 ISSEL, Caverne nel Loanese e nel Finalese. 4 Iss$L, Nuove ricerche nelle caverne ossifere ecc. — Di alcune fere fossili del Finalese (Giornale della Società di Letture e Conversazioni scientifiche, anno II, fase. VI, Genova, 1878). — 362 — di metri. Nella carta precitata è segnata col n. 4. La grotta presenta una prima cavità lunga m. 20 e larga in media 12, la quale mette ad un cunicolo soprastante grado grado più ampio, diviso poi in due gallerie ascendenti, tutte ingombre di massi; una di queste comunica coll’esterno. In fondo al cunicolo si raccolsero numerosissime ossa di Ursus Ligusticus (specie affine all’ £7. spelaeus ), poi, in minor copia, avanzi di Felis spelaea , Felis antiqua , Cervus elaphus , C. capreolus , di grosso stambecco, di Helix Ramoriniana. Alla superficie si trovarono stoviglie neolitiche. III. Sopra alcune formazioni quaternarie dei dintorni di Soma; studio di E. Clerici, 1 I. — CALCARE ARGILLOSO DEL MONTE VERDE. Sopra una delle colline che formano il Monte Verde, a poca di- stanza da Porta Portese, in una vigna a destra della strada di Monte Verde, circa mezzo chilometro prima di giungere al bivio col Vicolo della Valtellina, è stata attivata di recente una piccola cava allo scopo di fornire il pietrisco necessario per il mantenimento della detta strada. La roccia a prima vista sembra un calcare, di colore grigio-gial- lastro chiaro, a grana piuttosto fina, discretamente omogeneo, con piccole cavità non molto abbondanti, in cui spesso si annidano geodine di calcite, oppure tenui straterelli di limonite. È tenace, a frattura ine- guale, ruvida al tatto. Bagnata tramanda l’odore caratteristico dei calcari argillosi; all’aria ed all’intemperie imbianca e superficialmente si disgrega. Con acido cloroidrico fa viva effervescenza da principio ma poi vi si scioglie lentamente ed incompletamente. 1 Questa nota fu presentata alla redazione del Bollettino dal prof. Meli, che la accompagnò con la lettera seguente: Roma,, addi 24 Dicembre ISSÒ. Egregio Prof. Zezi, Le trasmetto un lavoro manoscritto col titolo « Studii sulle formazioni quaternarie del bacino di Roma » del sig. Enrico Clerici, studente nella R. Scuola d’ Applicazione per gli Ingegneri di Roma. Egli desiderebbe di vederlo pubblicato nel Bollettino del R. Comitato Geologico, e mi ha pregato di interessarmi di ciò. Il lavoro è fatto con grande accuratezza e le determinazioni sono molto precise. Ritengo che sia importante di stamparlo, giacché finora i molluschi delle formazioni quaternarie d’acqua dolce dei dintorni di Roma lasciarono molto a desiderare nelle deter- minazioni specifiche. Con perfetta stima mi creda Dev.mo suo R. Meli — 363 — Il residuo consta principalmente di minutissimi cristalli di augite di colore variabile dal verdastro chiaro fino al nero, di frammenti di cristalli di sanidino, di laminette verdastre e brune di mica, ma piut- tosto scarse, di qualche ciottoletto siliceo, di un poco di silice gela- tinosa, proveniente da qualche silicato decomposto dall’ acido cloroidrico, e di argilla. La parte solubile contiene: ossido di ferro, di manganese (tracce), allumina, calce, magnesia, potassa (tracce) e soda. Il ferro nella roccia si trova quasi totalmente allo stato di magne- tite; infatti una calamita, passata sulla polvere del calcare, attira dei piccoli frammenti neri che danno le reazioni del ferro. Credendo che questo calcare, nel caso che la cava ne fornisse una grande quantità, potesse utilizzarsi pure altrimenti che per farne pie- trisco, ne ho fatto anche un saggio quantitativo di cui i risultati sono i seguenti : Materie solubili in acqua tracce inapprezzabili Materie insolubili in acido cloroidrico g. 0,173 (ossido di ferro ed allumina » 0,055 Materie solubili in acido cloroidrico /carbonato di calcio » 0,586 (carbonato' di magnesio » 0,130 Perdita e sostanze non dosate . » 0,056 Calcare seccato a 100° g. 1,000 ricavato dal miscuglio della polvere di alcuni pezzi presi in vari punti della cava e di diversa compattezza. Dall’ esame dei fossili, che questa roccia contiene, si deduce che essa è di formazione lacustre o fluviale. I fossili sono generalmente mo- delli interni di molluschi terrestri e di acqua dolce, prodotti dalla stessa roccia che li involge, ma più compatta, e spesso anche da calcite cri- stallina. Pochi sono gli esemplari che mostrano ben conservato anche il guscio. Il catalogo seguente si riferisce appunto ai fossili che ho raccolti in questo calcare, che io credo sia stato prodotto da una marna fluvio- lacustre, consolidata posteriormente da una ricca soluzione di carbonato calcico di cui detta marna s’ era imbevuta. Quanto poi a precisare esattamente qual posto occupi nella serie stratigrafica dei terreni che costituiscono il Monte Verde, ciò mi è im- possibile per ora, poiché la roccia si rinvenne sotto due metri e mezzo circa di terra vegetale, ed ancora non ne è stata scavata tanta da mo- strare su che altra formazione riposi: la potenza finora visibile è da — 364 — 2 a 3 m. Però in uno scandaglio fatto nella stessa vigna, cento passi prima di giungere alla cava, ad una quota più bassa di alcuni metri, si è rinvenuto il tufo granulare e poi il litoide. Per brevità, fra le varie opere di cui mi sono servito per le de- terminazioni specifiche, citerò soltanto quelle, le cui figure meglio con- vengono agli esemplari. Gasteropodi. Gen. Limax Linneo, 1740. Sez. Eulimax Moquin-Tandon. Limax einereus Lister. 1855. Limax maximum Moquin-Tandon, Histoire naturelle des mollusques terrestre s et flumatiles de Frange , Voi. II, pag. 28, tav. IV, fìg. 3. Un solo frammento. Vivente è assai comune nei dintorni di Roma ed in tutta la provincia. Gen. Hyalina Gray, 1840. Sez. Euhyalina Albers. Hyalina lucida Drap. ( Helix ). 1801. Tableau des mollusques terrestres et flumatiles de France. 1805. Helix nitida Draparnaud, Histoire naturelle des mollusques ter- restres et fluv. de la France, pag. 117, tav. Vili, fìg. 23-25. 1855. Zonites lucidus Moquin-Tandon, Histoire naturelle des mollusques terrestres et fluv. de France, Voi. II, pag. 75, tav. Vili. fìg. 32, 33. 1879. Hyalina Draparnaudi Kobelt, Rossmassler ’ s Iconographie der europeischen Land-und Siissioas. Moli. eco. Voi. VI, pag. 29, tav. 158, fìg. 1607-8. Ne ho parecchi esemplari tanto isolati che impiantati sulla roccia. Ho raccolto questa specie vivente in vari luoghi dei dintorni di Roma: ma abbondantemente solo nei giardini dell’ interno della città.1 Allo stato fossile è stata rinvenuta nel tufo litoide della Val- chetta presso Roma (Meli) 2. 1 Tutti gli esemplari raccolti con T animale vivo erano infestati da pa- recchi individui di una piccola specie di acaro. Non essendo stato ancora citato alcunché di simile per la Hyalina lucida Drap., ne ho comunicati alcuni al sig. dot- tore Crety, abile microscopista, il quale li ha determinati per Ereynetes limacum Beri. (Acarus limacum Lin.) già citato dal Berlese soltanto per i Limax. 2 Meli R., Molluschi terrestri e d’acqua dolce rinvenuti nel tufo litoide della falchetta presso Roma (Bollettino della Società Geolog. Italiana, Voi. III, Anno 1884, fase. 1°). — 365 — Sez. Vitrea Fitzinger. Hyalina pura Alder ( Helix ). 1855. Zonites purus Moquin-Tandon, Hist. nut. des Moli. terr. et (lue. de France, Voi. II, pag. 87, tav. II, fìg. 23-25. Un solo esemplare sulla roccia. Nella provincia di Roma, trovasi allo stato vivente sul littorale di Terracina (Statuti) l. Sez. Mesomphix Rafìnesque. Hyalina olivetorum Herm. {Helix). 1855. Zonites olivetorum Moquin-Tandon, His *. nat., op. cit., Voi. II, pag. 73, tav. Vili, fìg. 16, 27, 28. 1879. Hyalina oliuetorum Kobelt, Ieonogr., op. cit., Voi. VI, pag. 15, tav. 154, fìg. 1569. Un solo esemplare mal conservato. Fossile è stata trovata nel tufo litoide della Valchetta (Meli). Non vive nella provincia: è citata però nell’Italia centrale Ovest (Paulucci). Gen. Zonites Montfort, 1810. Zonites compressus Ziegler, var. italica. 1877. Zonites compressus var. italica Kobelt, Ieonogr., op. cit., Voi. IV, pag. 50, tav. Ili, fìg. 1107. Ne ho cinque esemplari parte isolati e parte aderenti alla roccia, e convertiti in calcite cristallina. Questa specie non vive nella Provincia di Roma. È citata alla Maiella (Kobelt) 2 3, al Monte Meta (Meli) 5, nell’Abruzzo (Paulucci) 4. Fossile trovasi nel tufo giallo della Valchetta a sei miglia circa da Roma sulla via Flaminia (Meli). Zonites algirus Lin. (Helix). 1805. Helix algira Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag., 115, tav. VII, fìg. 39, 39, pi. supplément. fìg. 13. 1 Statuti A., Catalogo sistematico e sinonimico dei molluschi terre- stri e fluviatili viventi nella Provincia Romana (Bull, della Soc. Malacolog. Ital., Voi Vili, 1882). 2 Ieonogr., op cit., pag, 50. 3 Meli R., Notizie ed osservazioni sui resti organici contenuti nei tufi leucitici della Provincia di 1 orna (Boll, del R. Comitato Geolog., anno 1881, pag. 23 dell’Estr.). — Molluschi terr. e d’acqua dolce (mem. cit., pag. 9). * Paulucci M., Matériaux pour servir à V étude de la faune malaco- logique terrestre et fluviatile de V Italie et de ses iles , Paris, 1878. — 366 — 1855. Zonites algirus Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit., Voi. Il, pag. 91, tav. XI, fìg. 36, 37, pi. X, fìg. 1. Alcuni esemplari, colle dimensioni ordinarie, fra cui uno ben con- servato mostrante T ornamentazione del guscio. Non vive nella provincia romana, ma è citata nell’ Italia centrale Ovest (Paulucci). Gem Helix Linneo, 1758. Sez. Patula Held. Helix rotundata Mùll. 1805. Helix rotundata Draparnaud, Hist. nat., opera citata, pag. 114, tav. Vili, fìg. 4-7. 1855. Helix rotundata MoquLn-Tandon, Hist. nat.., op. cit., Voi. II, pag. 107, tav. X, fìg. 11,12. 1837. Helix rotundata Rossmàssler, Iconograpliie, opera cit., pag. 13, tav. XXXII, fìg. 454. Ne ho un solo esemplare sul calcare, perfettamente conservato e mostrante le tracce della colorazione naturale del guscio. Fossile trovasi nei travertini della pianura tiburtina (Ponzi) l. Vivente è comune tanto nella provincia che nell’ interno di Roma. Sez. Trigonostoma Fitzinger. Helix obvoluta Mùll. 1805. Helix obvoluta Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag. 112, tav. VII, fìg. 27-29. 1855. Helix obvoluta Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit., Voi. II, pag. 114 tav. X, fìg. 26-30. Sei esemplari ben conservati. Vivente non si rinviene nei dintorni di Roma, lo Statuti (meni, cit.) la indica nel territorio di Civitavecchia ma rara. Fossile fu trovata nei travertini della pianura tiburtina (Ponzi, mem. cit.) e nel tufo litoide della Valchetta (Meli, meni, cit.) Sez. Trichict Hartmann. Helix einctella Drap. 1805. Helix einctella Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag. 99, tav. VI, fìg. 28. 1 Ponzi G., DelV Aniene e dei suoi relitti , Roma 1862. Idem, Cronaca subappennina o abbasso d'un quadro generale del periodo glaciale (Atti del XI Congresso degli Scienziati italiani tenutosi in Roma 1873; Estr. 1875). — 3G7 1837. Helix cinctella Rossmàssler, Iconogr ., op. cit., Voi. I, disp. 5, G, pag. 36, tav. XXVI, fìg. 363. 1855. Helix cinctella Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit. Voi. II, pag. 215, tav. XVI, fi g. 39, 40. Ne ho molti esemplari. Vivente è comune in Roma e in molti luoghi della provincia. Sez. Monacha Hartmann. Helix carthusiana Muli. 1805. Helix carthusianella Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag. 101, tav. VI, fig. 31, 32. 1837. Helix cartliusianella Rossmàssler, Iconogr., op. cit., Voi. I, disp. 6, pag. 37, tav. XXVII, fìg. 366. 1855. Helix carthusiana Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit., Voi. II, pag. 207, pi. XVI, fig. 23, 24. Due soli esemplari. Vivente è una specie comunissima. Sez. Campilaea Beck. Helix planospira Lamk. 1835. Hel'x planospira Rossmàssler, Iconogr., op. cit., Voi. I, disp. II, pag. 3, tav. il. fìg. 90. 1879. Helix planospira Lamk., Paulucci, Fauna malacologica della Calabria, specie terrestri e fluviatili, pag. 73, e seg., tav. II e seg. Ne ho alcuni modelli interni isolati dal calcare dei quali parte si potrebbero riferire alla forma tipica, parte a qualche varietà; ma la determinazione precisa di essi non mi è stata possibile. Helix planospira , var. setulosa , Briganti. 1835. Helix setipila (Ziegler) Rossmàssler, Iconogr., op. cit., Voi. I, disp. II, pag, 2, tav. II, fìg. 89. 1879. Helix planospira var. setulosa Paulucci, Fauna malacolog., op. cit., pag. 88, tav. IV, fìg. 1, 2, 5. Due esemplari isolati mostranti una parte del guscio ben conservata. L Helix planospira tipica non si trova vivente nei dintorni imme- diati di Roma; ma non è molto rara in altre località della provincia, insieme ad alcune varietà fra cui predominano la setulosa eia depilata (Paulucci, Statuti, Meli ed anche io alle cascate di Tivoli ed a Monte Cavo). Fossile ne fu trovato un modello nel tufo litoide della Valchetta (Meli). — 368 — Sez. Xeropliila Held. Helix ammonis Schmidt. 1877. Helix ammonis Kobelt, Iconocjr., op. cit., Voi. V, pag. 95, tav. 143, fi g. 14, 23, 26. Due modelli mal conservati. Secondo Statuti questa specie vive in alcuni luoghi della parte S.O. della provincia ed anche nei dintorni di Roma; ma io non ve l’ho an- cora rinvenuta; invece l’ho trovata abbondante a Bolsena (al X. della provincia). Allo stato fossile fu trovata nel tufo litoide della Valchetta (Meli). Helix cespitum Drap. 1805. Helix cespitum Draparnaud, Hist. nat op. cit., pag. 109, tav. VI, fig. 15, 16. 1855. Helix cespitum Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit., voi. II, pag. 255 tav. XIX, fig. 5, 6. Ne ho vari modelli isolati, fra cui qualcheduno potrebbe riportarsi all’ Helix ericetorum Midi. (Moq. Tand., op. cit., tav. XIX, fig. 2). Ambedue le specie furono trovate fossili nei travertini della pia- nura tiburtina (Ponzi); ma viventi non sono state rinvenute nella pro- vincia di Roma. La sig.ra Paulucci ( Matériaux ecc., op. cit.) cita la prima nell’Italia centrale. Helix profuga Schmidt. 1805. Helix striata Draparnaud, Hist, nat., op. cit., pag. 106, tav. VI, fig. 18, 19 1835. Helix striata Rossmàssler, Iconogr., op. cit., pag. 28, tav. XXVI, fig. 354, b. Un solo esemplare, e, per giunta neppure in condizioni da per- mettere una esatta determinazione ‘. Vivente è comune nei dintorni e nella provincia. Helix marittima Drap. 1805. Helix marit ima Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag. 85, tav. V, fig. 9, 10. Un solo modello isolato dalla roccia. 1 Egualmente con dubbio, perchè poco visibile, riferisco a questa specie un Helix contenuta in un pezzo di arenaria nerastra a cemento calcareo, quasi in- solubile in acido cloridrico, facente parte di un nodulo erratico che ho trovato nella massa del tufo granulare rossastro, compreso fra il tufo omogeneo (supe- riore) e il tufo litoide (inferiore), insieme ad altri noduli di lave leucitiche e po- mici più o meno decomposte in una piccola cava a destra della via Portuense a circa un chilometro da Roma. Rinviensi raramente sulla spiaggia del Mediterraneo (Statuti). Helix terrestris Penn. ( Trochus ). 1805. Helix elegans Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag. 79, tav. V fi g. 1, 2. 1855. Helix terrestris Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit., voi. Il, pag 271, tav. XX, fìg. 10-12. Pochi esemplari fra cui prevale la forma un po’ depressa. Allo stato vivente trovasi nei territori di Terracina e di Civita- vecchia (Statuti). Sez. Tachea Leach. Helix nemoralis Lin. 1805. Helix nemoralis Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag. 94, tav. VI, fig. 3-5. 1835. Helix nemoralis Rossmàssler, Iconog., op. cit., voi. I, disp. I, pag. 57, tav. I, fìg. 5. 1837. Helix nemoralis Rossmàssler, Iconogr., voi. I, disp. V, VI, pag. 6, tav. 22, fig. 298 a. 1838. Helix nemoralis Rossmàssler, Iconog. voi. II, disp. VII, Vili, pag. 26, fìg 494. 1855. Helix nemoralis Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit., voi. II, pag. 162’ tav. XIII, fig. 3-5. È la specie che si rinviene più abbondantemente in questa forma- zione; ne ho molti modelli perfetti, sia isolati che sul calcare; alcuni hanno anche il guscio, ma reso farinoso. Col guscio in discreto stato di conservazione e mostrante le fascie colorate, però sbiadite, e tali da permettere una esatta determinazione delle varietà ne ho soltanto tre cioè: Var. 12345. Probabilmente la quinque fasciata di Moquin-Tandon, (op. cit. pag. 165). Var. 00345. Forse la Listeria di Moquin-Tandon. Var. 00300. La Cuoieria di Moquin-Tandon. L’ Helix nemoralis Lin. è la specie che fu trovata più abbondante anche nel tufo litoide giallastro 1 della Valchetta (Meli). 1 Questo tufo oltre all’ essere notevole per i molti interclusi minerali, è molto importante per i molluschi e per le belle filliti che racchiude. Le impronte vege- tali consistono in tronchi e fusti, talvolta di notevoli dimensioni, trasformati in 25 Vivente è piuttosto rara nei dintorni immediati di Roma; ne ho trovato un esemplare della var. Cuviera (00300 gialla) nella Valle del- T Inferno, e tre nelle colline Nomentane. In altri luoghi della provincia è più abbondante. Nel bosco di Ma- rino prevale la detta varietà, che vi ho raccolto insieme alla 12345 ti- pica e alla unicolor gialla. Gen. Clausilia Draparnaud, 1805. Le Clausilia non sono rare in questa formazione; generalmente sono modelli senza guscio, ma quando lo hanno, questo è farinoso e friabilissimo. Molto difficile è risolarle, perchè si spezzano; impossi- bile m’ è stato di vedere l’apertura di alcuna; quindi preferisco non darne le determinazioni specifiche, queste non potendo perciò riuscire molto esatte. Gen. Succinea Draparnaud, 1801. Succinea Pfeifferi Rossm. 1835. Succinea Pfeifferi Rossmàssler, Iconog., op. cit., voi. I, pag. 92, tav. II, fìg. 46. 1855. Succinea Pfeifferi Moquin-Tandon, Hist. nat ., op. cit., voi. II, pag. 59, tav. VII, fìg. 8, 23, 24. Un solo esemplare sulla roccia. Vive alle Paludi Pontine, alio stagno di Maccarese, a Tivoli, a Subiaco (Statuti). Io 1’ ho raccolta in abbondanza sui bordi di un fosso che lambisce le mura vaticane presso la Porta Angelica. Succinea oblonga Drap. 1805. Succinea oblonga Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag. 59, tav. Ili, fìg. 24, 25. 1835. Succinea oblonga Rossmàssler, Iconog., op. cit., voi. I, pag. 92 tav. II, fìg. 47. 1855. Succinea oblonga Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit., voi. II, pag. 61, tav. VII, fìg. 32, 33. calcite, ed in foglie tanto ben conservate che spesso ne resta parte del tessuto e la nervatura mediana carbonizzati*. Questi resti si possono anche distaccare dal tufo; bruciano benissimo con piccola fiamma, lasciando cenere e spandendo un fortissimo odore, che ricorda quello della carta bruciata. Tra gli esemplari che possiedo prevalgono VHedera helix Lin. in varie forme, come nei rami fruttiferi, ed il Laurus nobilis Lin. var. angustifolia. In generale queste foglie sono sin- golarmente ripiegate; e questo fatto può servire a confermare l’ipotesi ehe la massa tufacea che le racchiude, dovesse essere una volta semifluida od almeno pastosa e dotata d’un lento movimento traslativo. Avuto riguardo dello stato delle foglie si rende inammissibile una recente teoria che suppone i tuli s?mili a lave. — 371 Ne ho tre esemplari isolati. Fossile trovasi nei travertini della pianura tiburtina (Ponzi). Vivente è rara alle Paludi Pontine (Statuti). Gen. Carychium Muller, 1784. Carycliium minimum Muli. 1805. Auricula minima Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag. 57, tav. Ili, fig. 18, 19. 1855. Carychium minimum Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit., voi. Il, pag. 413, tav, XXIX, fig. 24-26. Sei esemplari sulla roccia. Vive nei luoghi umidi presso Terracina e presso il lago d’Albano (Statuti). Gen. Limnaea Bruguières, 1791. Sez. Limnus Montfort. Limnaea truncatula Muli. ( Buccinimi ). 1835. Limneus minutus Rossmassler, Iconog., op. cit., voi. I, tav. II, pag. 100, fig. 57. 1855. Limnaea truncatula Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit., voi. II, pag. 473, tav. XXXIV, fig. 22. Due esemplari sulla roccia. Fossile fu trovata nei travertini tiburtini (Ponzi). Vive in vari luoghi della provincia, ma non è molto comune. Sez. Limnophysa Fitzinger. Limnaea palustris Milli. ( Buccinum ). 1805. Limnaeus palustris Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag. 52, tav. II, fig. 40, 41. 1855. Limnaea palustris Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit., voi. II, pag. 475, tav. XXXIV, fig. 25. Ne ho due soli esemplari sul calcare. Fossile, questa specie fu trovata nei travertini della pianura ti- burtina (Ponzi). Vivente è comune nell'interno della città nelle fontane dei giardini, nei dintorni e in vari altri luoghi della provincia. Gen. Physa Draparnaud, 1801. Physa hypnorum Lin. (Bulla). 1805. Physa hypnorum Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag. 55, tav. III, •fig* 12, 13. 1855. Physa hypnorum Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit., voi. II, pag. 445.. tav. XXXIII, fi g. 11, 12. Un solo esemplare isolato dalla roccia. Vive nelle regioni paludose della provincia. Gen. Planorbis Guettard, 1758. Sez. Tropidiseus Stein. Planorbis umbilicatus Miill. (PI. complanatus Auct. plur. non Lin.) 1805. Planorbis marginatus Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag. 45, tav. II, fìg. 11, 12, 15. 1855. Planorbis complanatus Moquin-Tandon, Hist. nat., op, cit., voi. II, pag. 428, tav. XXX, fìg. 21-24. Ne ho tre esemplari sulla roccia, ben conservati e ben sviluppati. Vive nei canali delle Paludi Pontine (Statuti). Io l’ho raccolto in vari luoghi ma abbondantemente in un fontanile nel prato dell’ Acqua- cetosa fuori della Porta del Popolo e nel fosso che ne lia origine e che si getta nel Tevere; nel fontanile della Sedia del Diavolo e nel prossimo ruscello che si scarica nell’ Amene; e nel lago di Bolsena L Sez. Gyrorbis Agassiz. Planorbis spirorbis Lin. ( Helix ). 1805. Planorbis spirorbis Draparnaud, Hist. nat., op. cit., pag. 45, tav. IL fìg. 8, 9. 1835. Planorbis spirorbis Rossmàssler, Iconog., op. cit-., voi. I, pag. 106, tav. II, fìg. 63. 1855. Planorbis spirorbis Moquin-Tandon, Hist. nat., op. cit., voi. IL pag. 437, tav. XXXI, fìg. 1-5. Ne ho pochi esemplari. Vive nei canali presso Civitavecchia e negli stagni alla foce del Tevere (Statuti). Gen. Cyclostoma Draparnaud, 1801. Cyclostoma elegans Muli. (. Nerita ). 1805. Cyclostoma elegans Draparnaud, Hist. nat , op. cit, pag. 32, tav. L fìg. 5-8. 1855. Cyclostoma elegans Moquin-Tandon. Hist. nat., op. cit., voi. II, pag. 496, tav. XXXII, fìg. 3, 22, 23, 1 Insieme a Limnaea auricularia Lin. {Helix), Neritina fluviatilis Lin.r N. fluo. var. Vulsiniensis Rig., Valuata piscinalis Miill. (Nerita), Bythinia i u- bens Menke (Paludina), Pisidium itulicum Cless. — 373 — 1879. Cyclostoma elegans Kobelt, Iconog., op. cit., voi. VI, pag. 46, tav. 166, 4ìg. 1660-63. E abbondantissima, ne ho esemplari col guscio ben conservato, isolati e sulla roccia. Fossile è stato trovato nei travertini tiburtini (Ponzi); nel tufo litoide giallo della Valchetta (Meli). Io ne ho trovato un esemplare , 0 e 202, i quali probabilmente non sono che delle pseudo- morfosi di limonite in pirite marziale. Questo dicco singolare, della po- tenza di 4 a 5 m., ha le salbande di epidoto, e la sua massa contiene delle concrezioni di diorite più oscura e di maggior durezza, del vo- lume di una testa, le quali, unitamente agli aggregati epidotici, formano rilievo sulla superfìcie della roccia battuta dalle onde. Il granito alla punta di Capo Carbonara consta di ortoclasio e di plagioclasio bianchi, di quarzo e di biotite. Quivi in un certo punto la roccia racchiude un nido sferoidale di 0,3 m. di diametro, contenente assieme a calcespato lamellare anche dei grani irregolari e dei cristalli di quarzo bianco, del mica bianco potassico e della prehnite bianco-ver- dognola a tabule rombiche, larghe 1 centimetro, striate nel senso della diagonale maggiore. ed addossate le une sulle altre con caratteristica disposizione a volta. E forse la prima volta che in Sardegna consta- tasi quest’ultimo minerale. Dalla parte S.O del Capo la roccia predo- minante è la diorite, in parte assai grossolana, con prismi d’ orneblenda, disposti di sovente a gruppi stellati, e che raggiungono 10 a 15 cm. di lunghezza. Questa diorite grossolana forma delle secrezioni irrego- lari entro la varietà di diorite a grana media, la quale poi a quanto sembra fa passaggio al granito. In complesso la diorite dell’estremità Sud del Capo Carbonara non presentasi a filoni ben definiti, ma piut- tosto col carattere di potenti masse eruttive. Alla Fortezza Vecchia, sull’estremità N.O del Capo Carbonara, il fenomeno della formazione a filoni delle roccie eruttive antiche si pre- senta nel modo il più imponente. Quivi il granito grigio bianchiccio, che è la roccia predominante, è attraversato da ben 50 filoni quasi paralleli tra loro di diorite grigio-scura, e finamente granulare, di- retti N.N.O-S.S.E, verticali ed aventi sino ad 1 m. di potenza. Il più rimarchevole in questo fenomeno si è che la massa granitica, inter- posta a guisa di grosse muraglie tra i filoni dioritici, ha quasi lo stesso spessore di quest’ ultimi, cosicché in tutta questa regione a fi- loni eruttivi, di parecchie centinaia di metri d’ estensione da Nord a Sud, il volume d’ambo le roccie deve risultare presso, a poco eguale. I filoni s’incrociano ripetutamente a vicenda sotto angoli acutissimi, poi — 399 — proseguono pressoché paralleli, per riunirsi di bel nuovo più tardi; ed il granito forma, tra queste biforcazioni, dei cunei ed apofisi esilissime, men larghe di 1 cm., talché si crederebbe che quest’ ultima roccia formasse delle vene nella diorite. Senónchè anche le numerose inclu- sioni di granito entro la diorite provano che questa è la roccia più giovine, la roccia attraversante. Le masse nere di diorite vestono l’apparenza di una roccia vulcanica; anzi al contatto loro immediato col granito par quasi di vedere una struttura porosa la quale però in realtà proviene da ciò che delle piccole agglomerazioni e dei piccoli nidi di minerale biotitico, contenuti nella diorite in prossimità del con- tatto suddetto, si decompongono notevolmente e vi lasciano dei pic- coli vuoti. A qualche distanza dal granito la roccia assume la struttura granulare i cui elementi sono il plagioclasio, l’orneblenda verde-scura, la biotite e la magnetite. Il microscopio rivela in tutte queste roccie dioritiche una cloritizzazione più o meno avanzata. In vicinanza della località anzidetta si osservano nel granito anche dei filoni di porfido aventi la stessa direzione di quelli dioritici e che forse altro non sono che una modificazione litologica di quest’ultimi. Da Castiadas avanzando verso Nord, si raggiunge la regione del Sarrabus e prima di tutto la pianura che si distende alle foci del Flu- mendosa, limitata su tre de’ suoi lati dalle montagne scistose siluriane, le quali si elevano fino a 500 metri sulla medesima e sono riccamente metallifere. Il più importante tra i sistemi di filoni sin’ora conosciuti è quello del distretto di Monte Narba, diretto da E. ad 0. nei monti più me- ridionali che stanno sulla destra della valle e nel quale sistema sono aperte, sopra una estensione in lunghezza di 11 km., le miniere di Baccu Arrodas, Perdarba, M. Narba e Giovanni Bonu. La formazione scistosa consta essenzialmente di talcoscisti argilloso- quarzosi, aventi la stessa direzione dei filoni. Su questi scisti si elevano, a guisa di muraglie, dei banchi di quarzite inclusi nei medesimi con stratificazione concordante, mentre 15 filoni di porfido quarzitico, di 1\2 a 3 m. di potenza, diretti N-S e verticali, attraversano la quarzite, gli scisti ed i filoni metalli- feri. Nella stessa regione vi sono anche dei filoni metalliferi, diretti N-S, ma che sin’ora non sono ritenuti coltivabili. Il succitato sistema metallifero diretto E-0 si compone di tre filoni paralleli, aventi in generale un’inclinazione di 70°, ed in cui furono con- statati fìn’ora 3 rigetti, in causa dei quali le parti occidentali dei filoni vennero spostate verso S. di 5 a 70 metri. I filoni metalliferi insteriliscono laddove s’incrociano coi filoni di porfido, e l’intero sistema, giunto alla sua estremità occidentale», ove appunto gli scisti vengono a contatto — 400 — col granito, entra co’ suoi filoni nella roccia eruttiva ove questi si sud- dividono in vene divergenti a ventaglio e completamente sterili. Nella gola di S. Giovanni Bonu, ch’è una diramazione laterale della valle di Monte Narba, si osservano nei banchi di quarzite alcune masse lenticolari, della grandezza anche di 1 metro e più, di calcare granulare, decomposto superficialmente. In esse, come pure al contatto colla quar- zite e dentro quest’ ultima, si rinvengono raggruppati a fascetti l’orne- blenda, il granato bruno ed un minerale somigliante a wollastonite. La matrice dei filoni diretti E-0 consta di fluorina, baritina, calcite e quarzo, mentre quelli N-S non sono in sostanza che spaccature a riempimento quarzoso. Di questi minerali il più notevole è la fluorina, come quella che nel sistema in discorso accompagna costantemente i minerali argentiferi. In generale, la fluorina è in Sardegna una ma- trice caratteristica tanto dei filoni di galena argentifera, quanto dei veri filoni argentiferi, come sarebbero, oltre a quelli del Sarrabus, quelli della miniera di Correboi nel Gennargentu e della miniera l’Argentiera di Lulla. È innegabile l’analogia di questi filoni a quelli di Kongsberg. La baritina predomina nei livelli superiori: è raramente cristallizzata. La calcite si trova sia allo stato compatto, quanto in cristalli di eccezio- nale bellezza. La ganga più comune è il quarzo, raramente cristalliz- zato. Il minerale non è distribuito uniformemente nei filoni, sibbene, d’ ordinario sotto forma di concentrazioni lenticolari, ora al centro ed ora alle salbande. Quando il filone presenta la struttura brecciata, in allora il minerale argentifero si presenta parte a noduli, parte a filon- celli. Come risulta da una pubblicazione dell’Ing. G. B. Traverso, di- rettore delle miniere argentifere del Sarrabus, si ritrovano in queste le seguenti specie minerali: galena, il più abbondante minerale argenti- fero; cerussite, agli affioramenti; piromorfite, rarissima, sul quarzo degli affìorimenti; argento corneo in quantità ragguardevoli, massime nel filone di S. Gio. Bonu; argento nativo, in lamelle, odincrostazioni nei filoni o nelle masse argillose delle salbande, dentritico nelle druse di cal- cespato e nella galena cariata, polverulento, mescolato assieme al cal- cespato, alla fluorina ed alla baritina: questi ultimi miscugli forniscono un minerale ricchissimo ed abbondante, specialmente nella miniera di Baccu Arrodas, che dal suo colore particolare è detto caffèlatte: argi- rose cristallizzato o in granuli, a lamelle, dentritico, nei filoni, nelle salbande e persino nella roccia scistosa incassante ; tanto questo mi- nerale che l’argento nativo contengono talvolta piccole quantità di mer- curio: stefanite, associata d’ordinario a questi due minerali: pirargirite» il più importante dei minerali del distretto di Monte Narba; talvolta — 401 — in cristalli: blenda, talvolta argentifera; essa accompagna d’ordinario i minerali d’argento; è di rado cristallizzata: pirite marziale, fre- quentissima nei filoni e nella roccia incassante: marcaseta, misspickel, pirite arsenicale, e nichelina, talvolta in quantità significanti. Fra i minerali relativamente rari si annoverano : calcopirite, tetraedrite, co- baltina ed eritrina, breithauptite, molibdenite ed arsenico nativo. Ricercatissima è l’ullmannite, talvolta abbondante nel filone di Canale Figu, in cristalli cubici emiedrici, insieme a nichelina, blenda, magnetite, argirose, ecc. Notevole la presenza dell’armotomo a Gio. Bonu e a Baccu Arrodas, come nei filoni di Andreasberg e di Kongs- berg, e da ultimo quella della chias lolite in parecchi punti del Sarrabus entro agli scisti neri grafìtici. Entrando nell’ Ogliastra, regione prossima al Sarrabus lungo la costa orientale dell’isola di Sardegna, succede alla formazione scistosa nuovamente la granitica, principiando colla catena di Serra Mari che separa la valle di Tertenia dal mare e che si collega verso Nord col Monte Ferrau le cui vette, ricordanti i Sette Fratelli, dominano per un’estensione di 15 miglia di costa tutte le alture circostanti. La formazione porfìrica associata alla granitica vi è sviluppatissima; e massime al Capo di Bellavista il fenomeno dei filoni di porfido tra- versanti il granito vi è accentuatissimo non meno che a Capo Carbo- nara; anzi può dirsi che in pochi altri luoghi del globo esso si mani- festi più chiaramente. La roccia dominante a Bellavista è un granito grigio grossolano, composto di feldspato e di plagioclasio bianchi, di quarzo grigio, di biotite ed accessoriamente di orneblenda. Il porfido rosso dei filoni tra- versanti consta di feldspato e plagioclasio rossi, di quarzo a grani ar- rotondati e diesaedrici, ed accessoriamente di pirite marziale, trasfor- mata in parte in limonite; oltre a ciò vi si osserva paratamente un minerale cloritico. La massa fondamentale di questo porfido veduta al microscopio presenta una struttura rimarchevolissima. Essa consta essenzialmente di sferuliti della grossezza sino ad 1 1\2 mm., aventi la struttura concentrico-radiata; ovvero consta di frammenti delle me- desime: la periferia loro non sempre è ben determinata, nè la loro co- stituzione è omogenea in ogni punto, ma piuttosto formata da parecchi settori che si distinguono gli uni dagli altri per differente grado di trasparenza e per diversità di aggregazione. Queste sferuliti sono miscugli di feldspato, ed anche di plagioclasio, con quarzo, i quali elementi sono disposti talvolta come nel granito grafico. I singoli settori delle sferuliti rassomigliano non di rado, per l’ag- — 402 a gruppamento delle loro particelle cristalline, a barbe di penna, con forme consimili a quelle che si osservano nella divitrificazione del vetro. La predetta struttura a settori è talvolta così pronunciata da dare al profilo delle sferuliti la forma esagona. In vicinanza dell’antica torre d’Arbatax, dove la strada raggiunge il promontorio di Bellavista/ osservasi nel granito un filone di porfido di- retto N.N.O-S.S.E la eri natura petrografia presso al contatto col granito diversifica dalla normale. La massa fondamentale è compatta, apparen- temente ricchissima di silice ed i cristalli isolati di feldspato sono al- quanto più grandi che nel mezzo dello spessore del filone. Anche qui si osservano i concomitanti filoni di diorite, sia entro lo stesso filone, sia al contatto, sia entro al granito in prossimità del contatto stesso. Il taglio granito-porfìrico di Bellavista all’ estremità Nord del Capo pre- senta un aspetto meraviglioso. La massa rocciosa tagliata a picco dà a vedere entro il granito grigio chiaro dei colossali filoni verticali, della potenza di 6 a 10 m., di porfido rosso, senza però che granito e porfido si confondano assieme al loro contatto, il quale è contraddistinto da fessu- razioni; talvolta esso presenta anche delle druse di quarzo. Il porfido ed il prossimo granito sono anche qui attraversati da distinti filoni di diorite oscura, finamente granulare, della potenza di 1[2 a 1 m., i quali d’ordinario staccansi con faccie piane dal granito, mentre talvolta invece amendue queste roccie si presentano come saldate e confuse insieme, nel qual caso la diorite penetra nel granito sotto forma di apofisi a contorni sfu- mati. Questi filoni di diorite dell’estremità Nord del Capo Bellavista se- guono la stessa direzione dei filoni porfìrici, mentre invece, secondo le relazioni del Lamarmora, quelli che si possono osservare sulla costa Ovest del Capo sono diretti a N.E ed attraversano i porfidi di cui inclu- dono dei frammenti angolosi, per poi intromettersi, nel modo più intimo e più svariato, nella prossima roccia granitica. A Nord di Bellavista, tra Lozzorai e Baonei, dove il granito comin- cia a subentrare alla formazione scistosa, è notevole l’avvicendarsi dello scisto col granito: filoni di granito entro lo scisto alternano con tratti in cui la roccia eruttiva attraversa la sedimentaria, rappresentata talvolta anche da una. specie di grauwacke, con apofisi irregolarissime, e ne include dei frammenti, formando per tal guisa un caotico miscuglio delle due roccie. Scisti assai quarziferi e sconvolti alternano con dicchi e filoni di granito, di porfido e di diorite. Sulle pareti di spaccatura del granito os- servasi dell’oligisto e nel granito normale biotitico si riscontrano anche filoni di pegmatite con mica bianca. A contatto, dalla parte del mare, tra 403 — la regione granitica e la scistosa si elevano a picco gli alti muraglioni del calcare cretaceo da cui è ricinto il golfo d’Orosei. Procedendo verso l’interno del P isola per la strada di Seni per raggiungere la regione scistosa del Gennargentu e la miniera di Correboi, si ripresentano, ap- pena lasciato il terreno granitico, presso la Cappella di S. M. del Car- mine dei potenti filoni di porfido che con direzione N-S penetrano entro lo scisto e che nella loro massa fondamentale contengono una bellissima varietà di feldspato a cristalli grandissimi : anche il granito e talvolta !’ euri te si presentano a filoni nello scisto: il primo predomina di bel nuovo, formando l’altipiano di Villa Nuova Strisaili, ove alterna colla roccia di sedimento : egli è sempre però attraversato da filoni eruttivi. La miniera Correboi giace in un’angusta vallata ai piedi di una di- ramazione N.E del Bruncu Spina, che è una delle tre sommità principali del Gennargentu. La roccia dominante e includente il filone argentifero è lo scisto comune; il versante Nord della valle è invece formato da un bellissimo talcoscisto quarzitico, finamente pieghettato. La direzione del filone anzidetto è N.N.O-S.S.E, la inclinazione di 60° a 70°, mentre la roccia incassante si dirige O.N.O-E.S.E. Matrici del minerale sono la huorina grigia, compatta, la baritina, ed il quarzo; subordinato lo spato «calcareo. Il minerale stesso consta principalmente di galena; vi si ri- scontra anche l’argentite e l’argento nativo. Piuttosto che un filone unico si ha qui un sistema di filoni di spaccatura strettamente addossati gli uni agli altri. Il Passo di Correboi, che trovasi immediatamente prossimo alla miniera, ha la sua massima depressione nello scisto nero: questo viene attraversato da un filone di porfido quarzitico, della potenza di circa 12 m., diretto N.N.E-S.S.O, la cui roccia ha in vicinanza del contatto collo scisto una struttura prismatica imperfetta, mentre nel mezzo del filone è massiccia o lastriforme, e consta di un porfido quarzitico normale con se- crezioni cristalline di quarzo, feldispato ed oligoclasio: la roccia al con- tatto invece non ne contiene, bensì rivelasi, anche alla lente, costituita da una massa compatta e granulare d’ estrema finezza. Da ciò deducesi che quivi il contatto colla roccia incassante non ha favorito la cristal- lizzazione della roccia eruttiva come al Capo Bellavista, lo che dipende certamente dalla diversa natura di essa roccia incassante in questo e quel punto; a Bellavista il granito grossolano concorse alla struttura gra- nulare del porfido, a Correboi invece questa venne impedita dallo scisto. In direzione di Fonni, ad un chilometro dalla cantoniera S. Rena, si ritrova quella speciale qualità di quarzo fibroso i cui caratteri vennero già descritti in questo Bollettino nel già citato resoconto di un primo viaggio del vom Rath. — 404 — Il granito di detta località è traversato da parecchi filoni di quarzo i quali hanno struttura zonata: uno di essi contiene in una delle sne zone la suddetta varietà di quarzo in forma di paraboloidi, colla loro base rivolta alla salbanda e col vertice diretto alla parte centrale del filone, I singoli pezzi sono circondati da quarzo compatto a strati concentrici. Pare che il granito in cui osservasi questo filone faccia passaggio ai porfido. Ancor più vicino alla medesima cantoniera è rimarchevole il contatto intimo tra granito e calcescisto, intimamente intrecciati fra loro; sul contatto stesso appariscono delle masse granulari di granato bru- niccio o giallo verdognolo cui è talvolta associata la magnetite; oltre a ciò vi si veggono delle sferoidi del diametro di 1 centim. composte di un minerale fìbroso-radiato, mescolato con granato giallo, il quale dovrebb’ essere una varietà di augite. Parimenti nei dintorni di Fonni, in prossimità al Nuraghe che trovasi a 1500 m. a S.E da detto villaggio, s’incontrano nel granito, su di un tratto non maggiore di 4 m. q. quelle singolari secrezioni in forma di sferoidi o d’elissoidi piatte delle quali pure fu parola nell’ accennato resoconto e che fanno prendere al granito una struttura di conglome- rato, avendo esse 1’ apparenza di ciottoli cementati da massa granitica normale. Esaminando le sezioni sottili di parecchie di esse, si è sco- perto con sorpresa che la loro interna costituzione varia dall’ una al- l’altra, sia per la proporzione che per la grandezza degli elementi. In tutte esiste un nucleo senza o quasi senza struttura sferica, il cui vo- lume supera in grandezza il volume della parte involgente. Detto nucleo consta talvolta di un miscuglio finamente granulare, ricco di biotite, affatto somigliante alle note secrezioni oscure dei gra- niti ; tal’ altra consta di un miscuglio grossolano e normale di feldspato, plagioclasio, quarzo e biotite. Nel primo caso il nucleo occupa talvolta tutto l’interno della concrezione e trovasi direttamente circondato da strati concentrici di mica oscuro e di un miscuglio chiaro di feldspato e quarzo, altra volta invece osservasi attorno al nucleo oscuro e di forma irregolare una prima zona larga e chiara formata di un miscuglio in cui predominano quarzo e feldspato, senza struttura sferica. La maggior parte dei campioni esaminati mostra nel suo interno un miscuglio gra- nitico abbastanza normale, senza struttura zonata nella parte centrale, ma con tendenza alla medesima verso la periferia. Lo spessore dell’involucro è vario, ora di soli 5 mm. per sferoidi di 120 mm. di diametro maggiore, ed ora persino di 15 mm. per cam- pioni di 40 a 110 millimetri. È notevole che anche nel caso in cui gli strati concentrici racchiudono un nucleo di forma irregolare, ben — 405 — presto scompaiono le protuberanze e le rientranze di essa forma, co- sicché ne risulta in fine uno sferoide piuttosto regolare, lo che prova T origine affatto diversa del nucleo e dell’ involucro. Quest’ ultimo consta di strati concentrici e ripetutamente alternati di un fine aggregato di feldspato e quarzo, ora ricco ed ora povero di biotite. Le laminette di mica di queste zone non sempre sono disposte irregolarmente, sibbene talvolta assumono una posizione normale ai piani tangenziali dello sfe- roide, e tal' altra parallela ad essi. L’ultimo strato concentrico consta sempre di pagliette di mica disposte tangenzialmente. La muscovite è rara, tanto nell’interno delle sferoidi, quanto sul contatto del granito che le include. Da ultimo è rimarchevole il fatto che nel detto granito, tra sferoide e sferoide, si osservano dei grandissimi cristalli di feldspato (10 o 12 cm.) i quali nel mentre sono circondati da uno strato non con- tinuo di biotite, rassomigliano in certo qual modo alle inclusioni sferoi- dali in discorso. Piccole quantità di epidoto vi figurano accessoriamente. Il suddescritto fenomeno troverebbe analogia nella struttura orbicu- lare di alcuni graniti a filoni dei monti de’ Giganti, del granito di Slàt- mossa, della diorite orbiculare di Corsica, di Ratti esnake Bar, di Cali- fornia ecc. Con tutto ciò gli sferoidi di Donni offrono delle particolarità speciali, quali la condensazione loro in un punto limitatissimo, la faci- lità di loro separazione dal granito includente, la moltiplicità degli strati concentrici periferici. La spiegazione della loro origine appare diffici- lissima. Un’escursione ad Oliena, a 10 chilom. a S.E da Nuoro, costeggiando la valle del Cedrino, offersè all’osservazione una straordinaria quantità di filoni di pegmatite, di quarzo ed anche di diabase nel granito normale del versante Nord. La pegmatite contiene tal fiata del granito rosso cristal- lizzato. I detti filoni che su detto versante presentano molti spostamenti, non si mostrano affatto nel versante opposto. Il villaggio d’Oliena giace sul granito disaggregato, a piedi di un monte di calcare cavernoso cretaceo il quale poggia a sua volta, con stratificazione discordante, sullo scisto. A N.N.E di Oliena elevasi il Monte Alvo, parimenti cretaceo, e separato dal Monte Oliena, di cui evidentemente è una continuazione, dalla valle del Cedrino. E come i così detti Tacchi o Toneri giuras- sici che si trovano sparsi isolatamente nella regione del Flumendosa, altro non sono che i ruderi di un antico ed unico giacimento, così anche lo sono i colossi di calcare cretaceo che si stendono da Baonei ed Oliena, passando pel Monte Alvo, sino all’isola Tavolara ed a Capo Figari. Muovendo da Nuoro per dirigersi a Macomer ed alla costa occi- — 406 — dentale della Sardegna, dopo 5 chilometri di percorso sulla strada mae- stra, si incontra, volgendo a sinistra, la triculmine montagna di Go- nari che colle circostanti colline è formata principalmente di argil- loscisti somiglianti a micacisti e costituisce un gruppo isolato in mezzo alla regione granitica. Superiormente dominano calcescisti e calcari grossolani ricchi di grani irregolari di granato bruno -rossic- cio. Vi si riscontrano delle bellissime varietà di marmi simili a ci- pollini, con mica o talco. Presso la sommità della punta più elevata si comincia a osservare nel calcare un filone di granito di 2 m. di potenza. Questo stesso granito poi, che consta di feldspato, plagioclasio, quarzo e di piccole quantità di un minerale cloritico, ed è privo o quasi di mica, forma sul versante N.O della montagna prospiciente Orani un nu- mero grandissimo di filoni e di apofìsi entro il calcare ed il calcescisto; anche qui il granito si presenta al contatto. A Macomer si raggiunge il terreno vulcanico. Il villaggio giace su di un altipiano estesissimo di lava basaltica colonnare che ora asso- miglia a dolerite mercè le sue secrezióni di plagioclasio, ora a pura basalto. Una varietà d’essa lava presenta delle parti chiare entro fondo oscuro. Vi si osservano abbondanti secrezioni di augite verde cupa, di biotite e d’olivina, e le pareti dei pori sono tappezzate da squamette- di biotite e da qualche cristallo di augite. Frequentissime sono le in- clusioni di quarzo e non di rado i pori sono riempiti di calce carbo- nata, di spato calcare ed anche di aragonite. Una profonda gola separa l’altipiano di Macomer dal monte di Santa Barbara a N.E, formando un taglio d’oltre 100 m. di profondità entro le masse vulcaniche. Salendo il monte suddetto non s’incontrana che andesiti grigio-rossiccie che nelle loro cavità e fessure contengono del ferro oligisto a forme lineari finissime, che sono geminazioni, quali si osservano al Vesuvio ed alle Lipari. A 77 chilom. a Sud da Macomer, al di là del Campidano di Pa- billonis e d’ Uras s’eleva gigantesca sulla costa Ovest dell’ isola la montagna vulcanica dell’Arcuentu, unica in Sardegna per la sua forma, colle sue creste frastagliate ed irte di muraglioni e di torri rocciose. La massa principale dell’Arcuentu è uno speciale conglomerato do- leritico, a potenti banchi orizzontali attraversati da più d’un centinaio di filoni di dolerite diretti N.N.E-S.S.O. Movendo in direzione Nord dalla miniera di Montevecchio alla volta dell’Arcuentu, il cui culmine dista da quest’ultima non più di 5 chilom. in linea retta, si discende per un tratto nella valle del Rio Zappaioni, ove dapprima s’incontrano degli strati di scisti siluriani fortemente raddrizzati, poi del conglo- — 407 — merato doleritico e quindi uno speciale tufo Rachitico contenente po- mici decomposte, cristalli di plagioclasio e piccoli diesaedri di quarzo : a quanto pare questo tufo forma a pie’ dell’Arcuentu una zona bensì angusta, ma assai estesa in lunghezza. I cristalli an zidetti di plagioclasio meritano speciale considerazione, presentando essi per io più delle faccie liscie e lucenti, abbenchè si tro- vino entro una roccia che ha l’aspetto di essere decomposta. Dall’analisi dei medesimi risultò che posseggono una duplice forma di geminazione, vale a dire, quella secondo la così detta legge del Dal bite e quella se- condo la legge del periclino: ambidue s’osservano soventi riunite. Le geminazioni poi di questa seconda legge presentano nella disposizione relativa degli spigoli i caratteri cristallografici deH’andesina; e la per- fezione del loro sviluppo fu trovata di poco inferiore a quella dei tanto rari cristalli di andesina del Vesuvio. Anche una parziale analisi chi- mica, mercè cui risultò essere del 60, 2 °[0 il loro tenore in silice, con- fermò le deduzioni dell’esame cristallografico. Il vom Rath, a cui è dovuta tale interessantissima scoperta di cristalli d’andesina nell’Ar- cuentu, aggiunge poi in appendice alla sua relazione un esteso e com- pleto studio cristallografico da lui fatto sui plagioclasi di detto monte, e si riserva a miglior occasione di completarne anche lo studio chimico. L’Arcuentu offre un chiaro esempio di denudazione, dacché non rimangono più che i ruderi dell’originaria massa di conglomerato do- leritico, rappresentati in parte dai così detti Tacchi di conglomerato, in parte da muraglie filonari. Quest’ultime costituiscono il carattere più rilevante della montagna, formando dei filari di scogli lungo le sue pendici, i quali si elevano al disopra delle masse di conglo- merato che coronano la cima della montagna. Questi filoni, della po- tenza di 0,3 m. a più metri, presentano struttura colonnare, verticale, però imperfetta, e rassomigliano in modo singolare ai filoni della Val di Bove dell’Etna, colla differenza che non sono disposti radial- mente, sibbene corrono con direzione parallela N.N.E-S.S.O. I signori Lovisato e Tucci che accompagnavano il vom Rath su quella cima dell’Arcuentu che si distingue col nome di Pollice d’Oristano, pro- seguirono a percorrere la cresta della montagna per circa 1{3 di sua lunghezza in direzione di S.S.E, nel qual tratto poterono contare oltre a 50 distinti filoni di dolerite entro il conglomerato. Anche nella regione metallifera di Montevecchio non mancano i fi- loni eruttivi, ma appartengono alla classe dei porfirici che caratterizzano la costituzione geologica dell’isola da Capo Carbonara sino a Nuoro. Nell’area della suddetta miniera se ne riscontrano di parecchi che ven- — 408 — gono attraversati dai filoni metalliferi i quali non perdono con ciò della loro ricchezza, sibbene alquanto di potenza. Nel campo di concessione detto Tela osservasene uno della potenza di 10 m. diretto N-S il quale soltanto da una parte ha prodotto un raddrizzamento degli strati dello scisto a contatto: poco più in là un secondo filone parimenti di porfido quarzitico ha direzione N.N.E-S.S.O, e presenta al contatto colla roccia di sedimento la struttura prismatica. Finalmente interessa la tettonica della Sardegna quanto a colpo d’occhio rilevasi dalla sommità del Pollice d’Oristano^ da cui dominasi una vasta porzione della regione meridionale e della media dell’isola, dal Capo Carbonara e dai Sette Fratelli fino al Gennargentu ed alle alture di Macomer. Chiaramente spicca la primitiva divisione dell’isola in due parti distinte, mediante la lunga pianura del Campidano la quale nel suo punto mediano culminante raggiunge una quota d’elevazione di oltre 60 m. E facile il farsi un’idea delle antiche condizioni del suolo geologico, risultando che il gruppo montuoso del Capo Sparti- vento sino al Capo della Frasca nel golfo d’Oristano formava un’isola preposta al continente. Inoltre costituiscono una caratteristica della tettonica del centro dell’ isola gli altipiani terrazzati, detti Giare , di- sposti sul dinanzi del culmine tettonico dell’isola, i quali constano es- senzialmente di strati terziari superiormente ricoperti da uno strato di lava basaltica. (G. B. C.) II. Notizie sopra alcuni sedimenti cretacei delle Alpi meridionali , del Dott. G. BoEHM. — (Dalla Zeitschrift d. deut geol. Ge~ sellsehaft , Voi. XXXVII , fase. 2°). I sedimenti cretacei alpino-meridionali che si osservano ad Est del Lago di Garda presentano due costituzioni essenzialmente distinte. Ad Ovest del Piave, sulle Alpi veronesi e vicentine, affacciasi il Biancone come ultimo membro inferiore del cretaceo; i suoi fossili, Ammonites Astierianus, inaequalicostatus, Juillietti , Crioceras Du- vali , ecc., lo caratterizzano per neocomiano. Seguono immediatamente sopra il Biancone i calcari della Scaglia con Stenonia tubereulata , Cardiaster italicus, Ananchystes concava, Inoceramus Cuvieri. E con — 409 — ciò finiscono i terreni cretacei; alla Scaglia sta sovraposto il terreno terziario. Diversificano da queste le condizioni a levante del Piave. Costì manca generalmente il Biancone co" suoi fossili caratteristici : in sua vece troviamo sviluppata una facies a rudiste, la quale rappre- senta non soltanto il Biancone, ma altresì altri orizzonti ad esso su- periori. Detta facies raggiunge uno sviluppo ragguardevole nelle regioni alpi- ne orientali ed in Dalmazia; in queste manca soventi la Scaglia, ed in tal caso sul piano a rudiste poggia direttamente l’eocene. All’ incontro, nel Bellunese si osservano sopra la detta facies degli scisti marnosi rossi, facilmente distinguibili, riferiti alla Scaglia ed ai quali sovraincombe il terziario. Questi scisti marnosi rossi, raramente di color chiaro, sono più o meno calcariferi e per lo più a lastre abbastanza sottili da poter ser- vire per copritetti. Vi si trovano però anche dei grossi banchi che forniscono delle buone pietre da costruzione. Questi strati caratteri- stici non pare contengano fossili. La facies a rudiste del Veneto, abbenchè sopra di essa poggino degli altri strati cretacei più giovani, rappresenta delle zone molto diverse. Una tassativa distinzione delle medesime non fu sin’ora possibile, sendo che il piano con facies a rudiste non abbonda di fossili, e da altra parte è piccolo il numero de’ punti in cui si rinvengono. Una delle più interessanti località a tal proposito è il Colle di Medea nel Friuli, a pochi chilometri a Sud di Cormons, stazione della ferrovia Venezia-Trieste. Il Pirona ha potuto stabilire che in essa è sviluppato il turoniano inferiore con Radiolites lumbricalis. Altro buon punto fossilifero, la cui scoperta è dovuta allo zelo infaticabile del suddetto geologo, è il Col dei Schiosi, parimenti nel Friuli. Il nome della località proviene dalla sua ricchezza fossilifera, specialmente di nerinee : la voce schiosi significa, in dialetto veneto, tanto chiocciola che conchiglia. La migliore strada da tenere per giungere al Col dei Schiosi è quella che partendo da Polcenigo passa" per Costa Cervera. Vi si os- servano degli sparsi blocchi di un calcare tipico coralligeno, bianco e compatto, contenente molti coralli, dei frammenti rimaneggiati di conchi- glie e di roccie e buon numero di gasteropodi ben conservati. In ispecie vi abbonda la Nerinea schiosensis descritta dal Pirona. Di bivalvi, l’autore vi rinvenne, oltre alla Janira Zitteli Pirona, una grande Caprina coi canali radiali ben conservati, ed oltre a ciò una piccola specie, probabilmente di Caprotina. 410 — Vi ritrovò anche un Diceras e delle sferuliti. Non di rado la valva superiore di queste ultime è conservata con tutto il corrispondente apparato interno, vale a dire coi denti e colle apofisi muscolari. Non si può dire con certezza se siavi rappresentata la Sphaerulites erratica di cui sin’ ora non si conosce che la figura in- sufficiente dataci dal Pictet e dal Campiche. Il surricordato Diceras somiglia esternamente alla Bequienia Lonsdalei Sosverby sp.: i carat- teri della cerniera del medesimo non sono noti all’ autore. Stando al disegno di una Bequienia Lonsdalei di Orgon in Vaichiusa, riportato dallo Zittel nei suo Manuale di Paleontologia , la cerniera di questa specie non è munita di veri denti, e perciò secondo il concetto odierno apparterrebbe veramente al genere Bequienia. I bellissimi esemplari però della collezione Ewald differiscono essenzialmente dal disegno dello Zittel, benché provengano dal mezzodì della Francia, anzi, salvo errore, da Orgon stesso : la loro valva destra è fornita di un distinto dente cardinale. L’ autore è d’accordo coll’ Ewald nel riferire questi esemplari piut- tosto al genere Diceras. E un fatto però che la loro cerniera differisce anche da quella dei Diceras , cosicché meglio sarebbe crearne un nuovo genere. La specie del Col dei Schiosi non ha relazione nè con quella rap- presentata dallo Zittel, nè cogli esemplari suddetti dell’ Ewald; ma è senza dubbio un Diceras tipico, la cui valva destra è munita di un grosso dente cardinale ed oltre a questo anche di una distinta cresta musculare che passa sotto alla cerniera e va all’apice. L’autore propone per questa nuova specie il nome Diceras Pironae. Sul versante che da Coltura di Polcenigo sale verso il Col dei Schiosi, e che a detta dei terrazzani porta il nome di Costa Cervera, trovasi un altro punto fossilifero. Per lo più i fossili consistono in pic- cole nerinee e diceratidi che per la somiglianza loro mal si distinguono da quelli di Col dei Schiosi. Una valva destra di questi ultimi venne preparata dall’autore. La cerniera è fornita df un dente cardinale sviluppatissimo, di forma auricolare, munito sul davanti da una cavità oblunga corrispondente al dente della valva sinistra. L’impronta muscolare sinistra giace su di una specie di sporgenza, rilevata sulla cerniera. L’intero apparato ricorda marcatamente il Diceras Munsteri di Kelheim nel giurassico superiore. Questo Diceras di Costa Cervera é affatto diverso dal Diceras comune di Col dei Schiosi, nel quale, come si è accennato, l’ impres- — 411 sione musculare posteriore della valva destra giace su di una robusta cresta passante sotto la cerniera e che va sino all’apice. Occorrono maggiori studi per potere stabilire i rapporti e l’ età delle faune di Costa Cervera e del Col dei Schiosi. Se qui s’ ammettesse col Pirona la presenza dell’ urgoniano, avrebbesi per la prima volta accertata in modo assoluto l’esistenza del genere Diceras entro sedimenti cretacei. Comunque sia, è certo però che questo genere ordinariamente giuras- sico lo si trova in compagnia del genere cretaceo Sphaerulites. L’ au- tore possiede un campione di roccia del Col dei Schiosi, in cui vedesi assieme a Diceras Pironae , e direttamente cementato col medesimo, una sferulite. Una località del cretaceo veneto, nota sino da tempi remoti, è il Lago di Santa Croce. Nei suoi dintorni, per esempio sul monte S. Pa- scolet, si rinvengono qua e là delle grandi rudiste: il punto però più nominato per questo è il monte Pinè, non indicato sulla Carta italiana all’ 1:75000. Sulla piccola Carta a tav. Vili del Saggio di zoologia fos- sile di Catullo é segnato un Monte Pinè ad Est di Cima di Fadalto. Persone del luogo assicurano l’autore che col nome di Monte Pinè si suole indicare tanto il versante ad Est quanto quello ad Ovest di Cima di Fadalto e di Santa Croce. Nella letteratura e nelle collezioni invece s’ intende per lo più d’ indicare con tale denominazione il cu- mulo di macerie che giace sulla riva orientale del lago, quasi di fronte a Santa Croce. E in esso che si rinvengono le acteonelle discretamente conservate e le piccole sferuliti multocostate e striate che si trovano sparse nei musei. Questi fossili sono quivi caduti da considerevoli altezze; ed infatti 1’ autore rinvenne le piccole sferuliti nell’originario giacimento loro sul- l’alto del monte in una sporgenza del medesimo, la quale spicca assai bene da Santa Croce. Procedendo maggiormente verso mezzogiorno, lungo il ripidissimo versante della valle s’ incontrano delle grandi cave che però sono quasi affatto sterili di fossili. I piccoli opercoli di rudiste che qua e là si rin- vengono sono identici a quelli del cumulo anzidetto e dimostrano anche F identicità del giacimento. Superiormente, sull’ altipiano del versante orientale, trovasi dappertutto ed immediatamente sopra la facies a rudiste, sviluppata la Scaglia. Molto più favorevoli sono le circostanze, in quanto a fossili sul versante occidentale della valle al di là di Cima di Fadalto, in una località che dietro concorde testimonianza di parecchi del luogo porta il nome di Calloniche; sulle carte è detta Calloriche. Costì esiste una 412 — cava che contiene buon numero di fossili benissimo conservati. Vi pre- domina in massa V Acteonella gigantea. Le ricche collezioni del signor Alessandro Dal Paos, proprietario della cava, contengono una serie di nuove specie che l’ autore si propone di descrivere più tardi. Special- mente interessante è fra esse una forma grande, panciuta, a spire brevi, somigliante più che altro ad Acteonella , ma però è mancante delle pieghe sulla columella: forse appartiene al genere Chemnitzia. Ad un’altra forma, svelta, con apertura ovale ma un po’ allungata nel davanti, l’autore ha dato il nome di Chemnitzia Paosi , n. sp.. Inoltre vi si trova una piccola specie, a coste oblique, che si avvicina ai ge- neri Navica , Neritopsis o Vanicoropis. Si distingue da questi generi per la sua apertura speciale. Per ora l’autore si limita ad indicare con certezza tra le specie note : Caprina Aguilloni Orb., Hippurites cornu- vaccinum Bronn, Acteonella gigantea Orb., A. laevis Orb.. Da queste forme semplici risulta chiaramente la presenza dei veri strati di Gosau, ed in conseguenza che la estensione loro nella re- gione del Lago di Santa Croce è maggiore di quella sin’ ora presunta ed indicata sulle carte. Anche i sedimenti del versante orientale ap- partengono al piano di Gosau. Come si disse, vi si rinvengono, tanto in posto quanto tra le macerie, specialmente delle piccole sferuliti, mentre all’ incontro le ippuriti sembrano mancarvi del tutto, o per lo meno es- servi scarsissime. Rimane con ciò provato che nella parte orientale dell’ Alpi meridionali, in Istria ed in Dalmazia, i calcari a rudiste che sovrincombono ai cal- cari a caprotine possono dividersi in due gruppi. Il gruppo inferiore contiene a preferenza radioliti e sferuliti, il superiore specialmente ip- puriti. Si potrebbe quindi supporre che la nota fauna delle macerie di Santa Croce corrispondesse al gruppo inferiore dei calcari a rudiste. Senonchè le piccole sferuliti del versante orientale si trovano anche nella cava di Calloniche, il che permetterebbe di ritenere che amendue questi giacimenti sieno contemporanei ed appartenenti al piano di Gosau. Sopra i calcari di Gosau di Calloniche poggia, precisamente come sul versante orientale, la Scaglia chiara, a banchi sottili. Una tale sovrapposizione immediata è visibile benissimo nella cava istessa. (G. B. C.) — 413 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE A. De Zigno. -- Sopra uno scheletro di Myliobates esistente nel Museo geologico di Verona. (Estr. dal Voi. xxn delle Me- morie dell’Istituto Veneto di Sc.,Lett. ed Arti). — Venezia, 1 8ò5. Il genere Myliobates, del sottordine delle raje, non era fino ad ora conosciuto allo stato fossile se non soltanto per mezzo di piastre dentarie e di qualche aculeo. È importantissima perciò la scoperta, fatta presente- mente dall’Autore, di uno scheletro intero, spettante al genere anzidetto, nella cospicua collezione paleontologica dei conti Gazola di Verona. Lo studio di questo esemplare che fu scavato molti anni or sono nel calcare eoceno del Monte Bolca, nel Veronese, e nel quale, oltre ai caratteri somministrati dai denti e dall’aculeo, si sono potute riscontrare anche le dimensioni e la forma del disco, della coda e delle pinne, condusse l’Autore a riconoscere nel medesimo una specie che per alcune diffe- renze si distingue da tutte quelle sinora conosciute, ed alla quale diede perciò il nome speciale di Myliobates Gazolai. Ricordata brevemente in questa memoria la storia paleontologica del genere in parola e le corrispondenze delle specie fossili colle viventi, l’Autore ci riferisce che delle prime se ne contano, colla recente scoperta e con quella di due pungiglioni trovati nel miocene di Chiavon nei Sette Comuni, ormai 18 in Italia, di cui 8 nei terreni eoceni e mioceni del Veneto. Egli passa quindi alla descrizione del fossile ed alla ragionata esposizione dei caratteri per cui si contradistingue dalle specie estinte e dalle viventi, aggiungendo da ultimo la descrizione altresì dei due pungiglioni di Chiavon sopra notati, i quali sono affatto diversi, sia per forma che per dimensioni, da quelli sinora stati descritti; potendo però future scoperte svelarli appartenenti a taluna delle specie mioceniche già note, egli li denomina infrattanto Myliobates Clavonis e M. leptacanthus. Le differenze principali che distinguono il Myliobates Gazolai dalle specie fossili conosciute, risultano dal paragone, unicamente possibile, dei rispettivi denti e pungiglioni; e consistono nella lunghezza della piastra dentaria che supera il doppio della larghezza, misurata alla metà d’essa piastra, e nelle maggiori dimensioni degli scaglioni collocati alle due estremità della piastra, in confronto di quelli che giacciono nella parte mediana e che sono più brevi, più angusti ed hanno una forma — 414 — trasversalmente esagona più pronunciata. In quanto all’aculeo, esso si palesa assai più sottile e slanciato che non nelle altre specie, ed ha i denticelli più tra loro avvicinati. Confrontando invece tutto il corpo del fossile con quello delle specie viventi, l’Autore ha riconosciuto nella forma e sporgenza del rostro, nella forma delle pinne pettorali e nella mancanza, forse casuale, della pinna dorsale, divergenze tali dai My- liobates viventi da poter anche considerare il nuovo saggio quale tipo di un genere nuovo ; senonchè, corrispondendo la forma e la disposizione de’ suoi denti. perfettamente a quelle dei denti di Myliobates , egli ha preferito di mantenere per la nuova specie questo stesso genere. Alla memoria è unita una tavola cromolitografata, nella quale sono rappresentati in grandezza naturale e con parziali ingrandimenti i fossili descritti. (G. B, C.) A. De Zigno. — Flora fossilis formationis ooliticae. — Padova, 1856-1868 e 1873-1885. Quest’opera, la cui pubblicazione principiata già da molt’anni addietro trovasi ora a compimento per quanto riguarda la descrizione partico- lareggiata delle piante fossili della formazione oolitica, non solo d’Italia ma eziandio degli altri paesi, va collocata tra le più insigni del genere, sia per studio che per utilità di lavoro. L’Autore non si è punto limitato a far tesoro di quanto in Italia e fuori era stato scoperto e scritto sulla flora dell’oolite, sibbene, oltre alla determinazione dei moltissimi avanzi vegetali rinvenutisi man mano nelle roccie dell’Alpi venete, egli sottomise ad accurata rassegna critica e riordinò scientificamente tutte le specie vegetali di detto periodo sin qui note, e colle proprie numerose scoperte aggiunse nuova ricchezza alla paleontologia in genere ed alla flora fossile alpina in ispecie. L’opera si compone di due volumi in quarto, arricchito ciascuno da numerose e bellissime tavole figuranti i nuovi fossili descritti. Il primo volume, contiene le sole acotiledoni ed è preceduto da una prefazione in cui l’Autore ha succintamente tessuto la storia delle scoperte e della letteratura fìtopaleontologica dell’oolite, e daH’immenso materiale rac- colto ha dedotto importantissimi principj di costituzione, distribuzione geografica e geologica della flora oolitica, e le analogie di essa colle flore delle vicine formazioni e colla attuale vegetazione di alcune regioni. — 415 — Le specie descritte in questo primo volume sommano a 145, fra cui si contano 5 generi nuovi e 33 specie nuove, vale a dire, 2 generi e 6 specie d’alghe, 2 specie di calamitee e due equisetiti, 3 generi e 23 specie di felci. Così, per le nuove scoperte dell’Autore, questa sola parte della flora oolitica rimase aumentata di oltre un quarto. Il secondo volume contiene la descrizione delle piante monocotile- doni e dicotiledoni, con 26 generi e 168 specie, tra cui 1 genere e 45 specie affatto nuove, appartenenti alla classe delle cicadeaeee, meno una spettante a quella delle lirioidee. Anche questo secondo volume è fornito di una prefazione nella quale è tenuto stretto conto dei progressi della paleontologia fìtologica dell’oolite avveratisi nell’intervallo decorso fra la pubblicazione dei due volumi. Oltre a ciò in essa prefazione è dibattuto rimporìantissimo quesito, della posizione spettante nella serie cronologica, agli strati grigi e giallastri del Veneto tirolese contenenti la nota flora di Rotzo e di Roverè di Velo. Sul quale proposito l’Autore, basandosi su argomenti stratigrafìci e paleontologici, ritiene di dover man- tenere la opinione da lui costantemente sostenuta che le anzidette stra- tificazioni, anziché al lias superiore appartengano all’oolite inferiore e si trovino immediatamente sottoposte e concordanti cogli strati calloviani ed oxfordiani, la presenza dei quali nelle Alpi venete non può essere revocata in dubbio. (G. B. C.) J. Felix. — Studi critici sulla fauna corallina terziaria del Vicentino e descrizione di alcune specie nuove . ( Zeitschrift d. deuts. geolog. Gesellscha/t, B. xxxvii, H. 2, Berlin 1885). La ricchissima collezione di coralli fossili del Vicentino esistente nel R. Museo paleontologico di Berlino, servì di base principale a questo studio critico-descrittivo col quale l’Autore ha grandemente contribuito alla conoscenza speciale di quella fauna, cotanto ricca di forme. Oltre che di questo materiale, già per sè abbondantissimo ed acquistato in massima parte dalla nota guida Meneguzzo e dall’eredità Tibaldi, ed in parte raccolta dal prof. Beyrich, direttore dell’anzidetto Museo, ne’ suoi viaggi nel Vicentino, l’Autore dispose altresì dei campioni di coralli esistenti nella collezione privata del dott. Bòhm, nonché d’una rilevante raccolta fattane da lui stesso in un viaggio nella regione surriferita. La determinazione dei coralli venne fatta in base ai preesistenti — 416 — lavori del D’Achiardi e del Reuss in proposito; senonchè, avendo l’Au- tore maggior copia di materiale a sua disposizione, ha potuto talvolta maggiormente estendere i caratteri di qualche specie, tal’altra riunirne parecchie in una sola ed in altri casi ha dovuto riferire dei coralli a generi differenti da quelli cui furono assegnati in precedenti descrizioni. Oltre a questo, egli ha potuto constatare l’esistenza d’alcune specie affatto nuove. Con questo lavoro l’Autore non intese di dare una completa mono- grafia della fauna corallina terziaria del Vicentino, al quale intento dovette rinunciare in forza di speciali circostanze. Alla diagnosi delle singole specie è unita la sinonimia delle mede- sime e l’esposizione dei caratteri differenziali delle specie affini, nonché largamente discussi i motivi delle introdotte modificazioni e variazioni rispetto a generi e specie già da altri descritte. Alcune finali osserva- zioni sull’epiteca delle madreporarie tendono a stabilire l’ insufficienza caratteristica della medesima nella determinazione dei generi. Le nuove specie dall’Autore determinate ed illustrate sono le se- guenti: Smilotrochus cristatus , Smilotrochus undulatus , Leptaxis expansa , Petrophyllia nov. gen., Lithophyllia debilis , Montlìuaultia ilarionensis, Rabdhophyllia crassiramosa , Lobopsammia arbuscula , Stìchopsammia gyrosa nov. gen. e nov. sp.. Annesse al testo sono tre tavole in litografia, nelle quali son figu- rate le anzidette specie nuove. (G. B. C.) Dall’egregio prof. Orazio Silvestri della Regia Università di Ca- tania riceviamo la seguente comunicazione : Col titolo di EinfiXhrung in die Gesteinslhere è stato recentemente pubblicato dall’ illustre prof. A. von Lasaulx deH’Università di Bonn e coi tipi di E. Trewendt di Breslavia, un libro di piccola mole (215 pa- gine in-8°), ma ricco di un prezioso contenuto scientifico, esposto con un metodo così chiaro da facilitare molto la via allo studio complicato delle roccie applicanda i moderni metodi della petrografìa. Il libro, dopo una introduzione, è diviso nelle seguenti sette parti: I. Metodi di ricerca sulle roccie. II. Struttura delle roccie. III. Tettonica delle roccie. * — 417 — IV. I minerali più importanti che costituiscono le roccie. V. Classificazione e descrizione delle roccie. VI. Quadro sinottico sulla costituzione delle roccie. VII. Guida alla determinazione di alcune roccie. Chiude il libro una Appendice riguardante la letteratura generale e speciale petrografia. Questa pubblicazione destinata ad una grande diffusione, riuscirà di grande utilità anche ai geologi italiani e ai cultori della minera- logia e petrografia, ed è desiderabile di vederne presto una traduzione italiana perchè il libro possa più facilmente circolare tra noi ed essere introdotto anche nelle nostre scuole. (O. S.) NECROLOGIA Giuseppe Ponzi. — Il giorno 29 novembre cessava di vivere quasi improvvisamente questo egregio professore della R. Università romana, la cui vita lunga e laboriosissima fu per intiero dedicata alla scienza. La geologia dell' Italia Centrale, e in particolar modo quella della zona vulcanica romana, furono oggetto di indefesso studio da parte di que- st'uomo che, fino dagli anni suoi giovanili, non cessò mai di farne campo delle sue osservazioni, raccogliendo i moltissimi materiali che poi, nell'età sua più matura, gli diedero argomento per una serie di pubblicazioni, alcune delle quali assai pregevoli. Nella sua lunga carriera Egli ebbe a combattere con difficoltà tali che avrebbero stancato il buon volere di molti, ma che vinse col suo indefesso amore per la scienza e in grazia di una fibra fortissima. Anche negli ultimi anni di sua esistenza, sebbene afflitto da penosa infermità nervosa che vietavagli l'uso delle sue forze fìsiche, non cessò mai dall' occuparsi di studi scientifici nei pochi momenti di tregua che gli erano concessi dal male ; e prova ne sieno alcune sue comunicazioni fatte da poco tempo alla R. Accademia dei Lincei, e da questa pubblicate nei proprii Atti. Nacque Giuseppe Ponzi in Roma il 20 maggio 1805. Laureatosi in medicina Tanno 1829 nell'Ateneo romano, esercitò per qualche tempo l'arte salutare; sinché nel 1832 veniva nominato Settore anatomico e collaboratore del Gabinetto di Zoologia e Zootomia della Università di 28 — 418 — Roma: nel 1838 gli era conferita, come supplente, la cattedra di Zoo- logia ed Anatomia comparata e dopo due anni vi raggiungeva il grado di professore effettivo. Sin da questo primo periodo della sua vita il Ponzi spiegò una grande attività nell’insegnamento e nel raccogliere materiali scientifici per i musei di Anatomia comparata e di Zoologia. Fin d’allora egli incominciava la lunga serie delle sue peregrina- zioni geologiche nel territorio di Roma, che durarono sino al 1870, ed insieme con L. Medici-Spada pubblicava nel 1843 un primo saggio di studii col Profilo geologico della Campagna romana , lavoro che può considerarsi come il prodomo di molte e importanti pubblicazioni sulla geologia dell’ Italia Centrale. Nel 1854 lasciò la cattedra di Anatomia comparata e Zoologia per assumere quella di Mineralogia; e infine nel 1864, era nominato profes- sore di geologia, cattedra che il governo pontificio istituì in seguito alle sue insistenze e che egli mantenne sino agli ultimi giorni della laboriosa sua esistenza. Il Ponzi era membro della Accademia dei Lincei sino dal 1840, e ne fu presidente nel periodo dal 1871 al 1874, dopo il quale gli subentrò il compianto Quintino Sella. Era anche uno dei membri della Società taliana delle scienze detta dei XL, e socio da lunghissimo tempo delle Società geologiche di Londra e di Parigi, non che di altri istituti scien- tifici italiani e stranieri. Nel dicembre 1870 fu nominato senatore del Regno, e poco dopo, cioè nel marzo 1871, era chiamato a far parte del R. Comitato geologico. In quell’epoca promosse la formazione di una raccolta generale dei materiali edilizi dell’ Italia, la quale venne rapida- mente messa insieme per le cure di una Commissione della quale fu presidente. Questa collezione, successivamente assai ampliata per cura del R. Ufficio geologico, trovasi attualmente deposta nel Museo geo- logico alla Vittoria. Il trasporto funebre della salma del professore Ponzi ebbe luogo il giorno primo dicembre, e vi intervennero le rappresentanze del Senato dell’Università, dell’Accademia dei Lincei e del Municipio. Essendo egli decano della Facoltà di scienze fìsiche, matematiche e naturali, furono in segno di lutto sospese in quel giorno le lezioni alla R. Università, Un elenco completo delle sue pubblicazioni scientifiche, in numero di 92, trovasi inserito nei Rendiconti della R. Accademia dei Lincei (seduta 6 dicembre 1885). (P. Z.) — 419 — Guglielmo Guiscardi. — Altro insigne cultore e maestro di scienze geologiche, il prof. Guglielmo Guiscardi, moriva in Napoli sua patria il giorno 11 dicembre 1885 nell’ età di 64 anni. Da giovane fu distinto architetto della scuola di Gaetano Genovesi. Datosi più tardi allo studio della mineralogia e della geologia, fu al- lievo deir illustre prof. Arcangelo Scacchi e nel 1860 divenne profes- sore egli stesso di dette scienze presso la R. Università di Napoli ed in seguito anche presso la Scuola d’ applicazione degli ingegneri. Con- temporaneamente il Guiscardi fu direttore del R. Museo geologico di Napoli, il quale alle sue cure illuminate ed indefesse deve il proprio sviluppo ed ordinamento, anzi il proprio impianto *. Benemerito altamente del pubblico insegnamento, cui aitese sino agli ùltimi momenti della vita, mantenendolo sempre all’altezza del pro- gresso scientifico, contribuì largamente anche a quest’ultimo colla pub- blicazione di parecchie memorie di geologia, di paleontologia e di mi- neralogia, e tutte assai pregevoli. Fu socio di molte accademie italiane e straniere, e in vari congressi scientifici, per la sua estesa cultura, mantenne alto il decoro dell’Ate- neo napolitano. 1 Prima del 1860 non esisteva in Napoli un vero Museo di Geologia, ma si conservavano parecchie collezioni di roccie e fossili italiani e stranieri nel Museo mineralogico della R. Università. Dopo varie vicende il Museo di Geologia fu nel 1865 definitivamente costituito dove ora sta, ed il Guiscardi pose ogni sua cura nell’arricchirlo di roccie e fossili d’ogni paese, per modo che oggi non è inferiore ad altri musei d’Italia. (P. Z ) — 420 — PUBBLICAZIONE BELLA CARTA GEOLOGICA D’ ITALIA PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO PARTI PUBBLICATE (al 1° gennajo 1886) Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000 : Foglio N. 248 (Trapani) prezzo L. 3 00 » 249 (Palermo) » 4 00 » 250 (Bagheria) » 3 00 » 251 (Cefalù) » 3 00 » 252 (Naso) » 4 00 » 253 (Castroreale) .... » 4 00 » 254 (Messina) » 4 00 » 257 (Castelvetrano) . . . » 4 00 » 258 (Corleone) » 5 00 » 259 (Termini Imerese) . . » 5 00 » 260 (Nicosia) « 5 00 » 261 (Bronte) » 5 00 » 262 (Monte Etna) .... » 5 00 » 265 (Mazzara del Vallo) . . • • • » 3 00 » 266 (Sciacca) » 4 00 » 267 (Canicatti) » 5 00 » 268 (Caltanissetta) . . . » 5 00 » 269 (Paterno) » 5 00 » 270 (Catania) » 3 00 » 271 (Girgenti) » 3 00 » 272 (Terranova) .... » 4 00 » 273 (Caltagirone) .... » 5 00 » » 274 (Siracusa) 275 (Scoglitti) » » 4 3 00 00 Tavola di sez. N. 1 (annessa ai fogli 249 e 258) » 4 00 » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 00 » » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 00 Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500,000 (serve anche di foglio di unione della precedente) prezzo L. 5 00 Carta geologica dell’Isola d’ Elba nella scala di 1/25,000 con sezioni annesse (in due fogli) prezzo L. 15 00 Carta geologica dell’Isola d’Elba nella scala di 1/50,000 con sezioni annesse (in un foglio) prezzo L. 6 00 IN CORSO DI STAMPA Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000 : Foglio N. 244 (Isole Eolie); F. N. 256 (Isole Egadi); F. N. 276 (Modica); F. N. 277 (Noto): Tavole di sezioni, N. IV e V. Memoria descrittiva dell’Isola d’Elba, con 6 tavole in zincotipia ed incisioni intercalate nel testo, dell’Ing. B. Lotti. Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio Geologico, ovvero alla Libreria E. Loescher, in Roma. 421 — ELENCO del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico alla fine del 1885. R. Comitato Geologico. Meneghini Giuseppe, prof, di geologia nella R. Università di Pisa, Pre- sidente. Capellini Giovanni, prof, (li geologia nella R. Università di Bologna. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli ingegneri in Torino. De Zigno Achille, membro nel R. Istituto Veneto, a Padova. Gemmellaro Gaetano Giorgio, professore di geologia nella R. Università di Palermo. Scacchi Arcangelo, professore di mineralogia nella R. Università di Napoli. Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, a Imola. Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania. Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe- riore di Milano. Taramelli Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Giordano Felice, ispettore capo del R. Corpo delle Miniere, Roma. Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, Roma. Personale addetto ai lavori della Carta Geologica. Direzione superiore : Ing. Giordano Felice, Direttore. Ing. Pellati Niccolò. Ufficio centrale (in Poma): Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Sig. Perrone Eugenio, aiutante. Sig. Moderni Pompeo, id. Geologi operatori : Ing. Baldacci Luigi, Roma. Ing. Lotti Bernardino, Pisa. Ing. Cortese Emilio, Roma. Ing. Zaccagna Domenico, Pisa. Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa. Personale distaccato : Ing. Mattirolo Ettore, Torino (analisi delle roccie). Dott. Canavari Mario, Pisa (paleontologo). La sede dell’Ufficio geologico in Roma è nel Museo della Vittoria, via Santa Susanna, n. 1-A. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1885 (Volume decimosesto o sesto della 2* Serie) Introduzione pag. 1 MEMORIE ORIGINALI. E. Cortese. — Appunti geologici sulla terra di Bari > 4 P. Fossen. — Sulla costituzione geologica dell’isola di Cerboli . . . . > 13 S. Ciofalo. — I fossili del Cretaceo medio di Caltavuturo » 18 E. Cortese. — Le roccie cristalline delle due parti dello Stretto di Messina » 61 E. Nicoli. — La frana di Perticara (provincia di Pesaro) » 65 L. Mazzuoli. — Nota sulla frana di Deiva (Liguria) » 75 B. Lotti. — Sul giacimento cuprifero di Montecastelli in provincia di Pisa > 82 D. Lovisato. — Riassunto sui terreni terziari e posterziari del circondario di Catanzaro >87 A. Issel. — Esame sommario di alcuni saggi di fondo raccolti nel Golfo di Genova » 129 D. Lovisato. — Il pliocene non esiste nel sistema collinesco di Cagliari . > 140 G. Terrigi. — Ricerche microscopiche fatte sopra frammenti di marna inclusi nei peperini laziali > 148 L. Mazzuoli. — Sul giacimento cuprifero della Gallinaria (Liguria orientale) > 193 E. Cortese. — Ricognizione geologica da Buffaloria a Potenza di Basilicata > 202 A. Issel. — Note intorno al rilevamento geologico del territorio compreso nei fogli di Cairo Montenotte e Varazze della Carta topografica militare. >257 L. Bucca. — Le andesiti dell’isola di Lipari > 285 B. Lotti. — Brevi appunti raccolti in occasione del terzo Congresso geologico internazionale in Berlino > 298 E. Cortese. — Sull’esistenza di un dicco basaltico presso Palmi in provincia di Reggio-Calabria » 337 A. Issel. — La Pietra di Finale nella Riviera Ligure » 340 E. Clerici. — Sopra alcune formazioni quaternarie dei dintorni dì Roma . > 362 424 — ESTRATTI E RIVISTE. E. W. Benecke. — Studio geologico sul gruppo della Grigna in Lombardia pag. 22 G. Boehm. — Contribuzione allo studio dei calcari grigi del Veneto . . > 156 W. Deeehe. — Studi sugli strati raibliani delle Alpi lombarde > 213 G. Walther. — Le alghe calcarifere litoproduttrici del Golfo di Napoli e l’ori- gine di certi calcari compatti >305 G. vom Rath. — Studi geologico-mineralogici sull’isola di Sardegna . . > 395 G. Boehm. — Notizie sopra alcuni sedimenti cretacei delle Alpi meridionali » 408 NOTIZIE BIGLIOGRAFICHE. Stephen Czyszkowski. — Etude sur les phénomènes métallifères. — Les mi- nerais de fer dans l’écorce terrestre. — Saint-Etienne, 1884 . . . . > 47 G. Di-Stefano. — Ueber die Brachiopoden des Unteroolithes von Monte San Giuliano bei Trapani (Sicilien). — Wien, 1884 » 51 C. F. Parona. — Sopra alcuni fossili del lias inferiore di Carenno, Nese ed Adrara nelle prealpi bergamasche. — Milano, 1884 » 52 C. Fornasini. — I foraminiferi della Tabella Oryctographica esistente nel R. Museo Geologico di Bologna. — Roma, 1884 ...» 53 A. Portis. — Contribuzioni alla ornitolitologia italiana. — Torino, 1884 . > 120 A . De Zigno. — Due nuovi pesci fossili della famiglia dei balistini, scoperti nel terreno eoceno del Veronese. — Napoli, 1884 > 121 G. Capellini. — Del Zifioide fossile (Choneziphius planirostris) scoperto nelle sabbie plioceniche di Fangonero presso Siena. — Roma, 1885 ...» 123 G. Capellini. — Resti fossili di Dioplodon e Mesoplodon. — Bologna, 1885 > 165 G. Struever. — Contribuzioni alla mineralogia dei vulcani Sabatini. — Roma, 1885 » 167 Bibliografìa mineralogica e litologica per l’anno 1884 » 169 A. Dy Achiar di. — Della trachite e del porfido quarziferi di Donoratico presso Castagneto nella provincia di Pisa. — Pisa, 1885 > 247 G. G. Gemmellaro. — Sopra taluni Harpoceratidi del lias superiore dei din- torni di Taormina. — Palermo, 1885 > 249 A. Portis. — Catalogo descrittivo dei talassoterii rinvenuti nei terreni terziari del Piemonte e della Liguria. — Torino, 1885 » 250 A. De Zigno. — Sopra uno scheletro di Myliobates esistente nel Museo Ga- zola in Verona. — Venezia, 1885 » 413 Idem. — Flora fossilis formationis ooliticae. Padova, 1856-1885 .... » 414 J. Felix. — Studi critici sulla fauna corallina terziaria del Vicentino. — Ber- lino, 1885 >415 NOTIZIE DIVERSE. Calcari marini quaternari lungo la costa dei Monti Livornesi » 54 Roccia granitoide tormalinifera nelle Alpi Apuane » 56 Feldspato nel giacimento ferrifero di S. Leone presso Cagliari (Sardegna). > 57 Granito e iperstenite nella formazione serpentinosa dei Monti Livornesi . » 125 Echinodermi e altri fossili pliocenici di Anzio pag. 188 Ancora sul terreno marino quaternario del littorale toscano » 253 Siluriano (?) presso Gavorrano in provincia di Grosseto » 253 Pliocene alterato dalla trachjte di Montecatini Val di Cecina e d’Orciatico in provincia di Pisa » 254 Pirite e calcopirite nella trachite di Montecatini Val di Cecina » 254 Sulla parola « gabbro ....... » 255 Riunione del Congresso Geologico internazionale in Berlino (3a sessione 1885) » 331 Necrologia. — Giuseppe Ponzi — Guglielmo Guiscardi » 417 TAVOLE ED INCISIONI. Vedute dell’isola di Cerboli . pag. 15 e 16 Pianta e sezioni della frana di Perticara (Tav. I.) . . » 74 Pianta e sezioni della frana di Deiva (Tav. II ) » 82 Pianta e sezioni della miniera La Gallinaria (Tav. III.) » 202 Schizzo geologico del Finalese (Tav. IV.) » 360 PARTE UFFICIALE. Regi decreti 22 febbraio e 1 marzo 1885 che modificano il R. Comitato geo- logico » 1 Verbale delle adunanze 4 e 5 maggio 1885 del R. Comitato geologico. . » 3 Relazione annuale dell’Ispettore capo al R. Comitato geologico sul lavoro della Carta geologica (1884-1885) » 9 Resoconto della discussione alla Camera ed al Senato sul bilancio del 1885-86 pel servizio minerario e la Carta geologica » 35 Avvisi di pubblicazione della Carta geologica d’Italia, a pag. 59, 128, 191, 256, 336, 420. Elenco' del personale del Comitato ed Ufficio' geologico alla fine del 1885. » 421 Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1885 (Volume VI della se- conda serie) . » 423 INDICE DEI FASCICOLI. Gennaio e Febbraio (1 e 2) . a pag. 59 Marzo e Aprile (3 e 4) . a » 128 Maggio e Giugno (5 e 6) . » 129 a » 192 Luglio e Agosto (7 e 8) . a » 256 Settembre e Ottobre (9 e 10) . » 257 a » 336 Novembre e Dicembre (11 e 12) . . » 337 a y> 426 BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO» Serie IIa — Anno VI® 1885 ATTI UFFICIALI ' £ k : 5' aSKÀKUtf* i • 2; ? 0: .:/ ritiri gT -qr. i- ..eJ s ^so5 i.noooD .hiHIsqsD ■hffaism i ^mdganoM aa/rsòlT.sraq li d/rr ri ritaósarq :tc Ss ; • ■ . 9 J Ql-ihte'i'ge'i ■'- ..Od' ^sll:3‘q. t9&BÌ)k- ;.£> ,■■•■■ - Tri • ,u - teo^.5. ^agiS );< oi:: " ?£ $sad.85£ sfrg fri nrinri ■■ « : &zrJ?r.sl'Q.: Istori' .3*o-sa«ìicn ì ci satirici eri rnsfeoss^ ib risniofr • cq^eJ •• ' —ri.riri • «sto!* ,;:: :•;. ' -u*ì>yìtsMf eeasq f'diumev aV3;^q- norjfe .SriliTri3‘À§9Ì$S >fO$ OiSiSXUMrfl». éhi ;.r/3 viB 0-.<4Ì-‘.f^£-C< STo-S&eSc ,>;q 11 ■:': • .' :', i..~. ' ri I .'•'"< ’j .«*«<**•* t ,-. '•••:•• i- '••s.r-e'vn &h ssahos zw-ob&j&vifryÀ ò?is-w4 cìi4.a'?é3oimi€I il . i v; : :u:bt: . ririinT ; Ariitt ; .-o-'.c. >- ,9 2. .' /.'. • - . ri -Ilù ri '< ì'.-. .ri 7 0 1 ~ - .2 riri ri ri.: ■» pii ©Issili k.BtisosoT rii* zrtttem hJs.Y^lteG* iti ■:.:*9,ì :'-.. ri' ìt ' -ririri lari a-' Ofìv. Sv?; * ■:.■ ,Ì

. Jioi/M ciiari ni g| ': ;-.'t otfublR ’ i. TiriiD Olìàf TV' 'ri BÌT -ri. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE Verbale delle Adunanze 4 e 5 Maggio 1885. La seduta è aperta alle ore 10 1 12 antimeridiane. Sono presenti, oltre il presidentè Meneghini, i membri Capellini, Cocchi, Coss a De Zigno, Scacchi, Scarabelli, Silvestri, Giordano, Pellati ed il segretario Zezi. Il professore Ponzi giustifica con lettera la sua assenza motivata da condizioni di salute, e nello stesso tempo dichiara di associarsi del tutto alle deliberazioni che verranno prese nell’adunanza. Il professore Gemmellaro aveva già annunziato con telegramma di non potere intervenire all’adunanza. Il Direttore dell’Istituto geografico pure scrisse da Firenze di non poter venire per urgenza di servizio. Dichiarata in numero l’adunanza,. il presidente dà la parola all’ ispettore Gior- dano, il quale presenta la Relazione annuale dei lavori fatti nel 18Q4, colle pro- poste sul da farsi nell’anno corrente e fa in proposito le seguenti osservazioni : Rimarca anzitutto che, sebbene da ora innanzi l’anno finanziario sia stato fissato diversamente da quanto era prima, e cioè dal 1° luglio al 30 giugno del- l’anno seguente, pure crede opportuno, almeno per ora, e per quanto concerne i lavori, di fare la Relazione annuale coll’antico sistema, cioè quello dell’anno civile. Incomincia quindi a parlare dei lavori fatti nel 1884. In detto anno i rilevamenti in grande scala furono alquanto rallentati per la solita deficenza di personale. Tuttavia nei dintorni di Roma si poterono estendere per un’area di oltre 4000 chilometri quadrati, mentre in Toscana si rilevarono alcune parti dei Monti Livornesi, del Volterrano e dei dintorni di Firenze. Negli ultimi mesi dell’anno venne intrapreso detto rilevamento nella Calabria meridio- nale in continuazione di quello di Sicilia, da tempo ultimato. Furono fatte nello stesso tempo nuove verifiche per il miglioramento della Carta generale in piccola scala, onde poterne pubblicare nell’anno corrente una — 4 — nuova edizione, almeno nella scala di 1,000,000. Questi lavori riescirono utili an- cora per completare la Carta in scala di un milione e mezzo da fornirsi a Ber- lino,, per la pubblicazione della Carta geologica di Europa, e di questa presenta i due fogli comprendenti l’Italia meridionale, la Sicilia e la Sardegna. Accenna a diversi lavori speciali di applicazione eseguiti nell’anno, quali sono quelli per la valutazione delle miniere di ferro dell’Elba, quelli per lo studio del sottosuolo di Roma e dintorni, in occasione del. progetto di bonifica idraulico- agraria, quelli motivati dal nuovo ordinamento edilizio dell’isola d’ Ischia: e fa parola delle visite fatte a diversi linee ferroviarie in costruzione e in progetto, non che degli studi sui giacimenti italiani di combustibili fossili. Parla quindi dei risultati scientifici conseguiti nell’anno ed in particolar modo di quelli relativi ai terreni antichissimi di Sardegna (Siluriano e Cambriano), della cui paleontologia si occupò specialmente il professore Meneghini; quelli relativi a diffìcili questioni insorte sui limiti fra il Cretaceo e l’Eocene dei dintorni di Firenze e di cui si occuparono l’ingegnere Lotti e il dott. Canavari. Anche i gia- cimenti delle roccie serpentinose offrirono materia di studio in Liguria al profes- sore Issel ad all’ingegnere Mazzuoli, nonché in Toscana all’ingegnere Lotti. Per la parte analitica e microscopica delle varie roccie più interessanti continuò il professore Cossa a prestare l’opera sua coll’aiuto dell’ ingegnere Mattirolo nei laboratorio della Scuola d’ Applicazione per gl’ ingegneri in Torino. Il professore Meneghini dà a questo proposito alcuni schiarimenti sugli studi fatti in Toscana; e ritiene che si abbiano già in mano alcuni fatti importantissimi che saranno di guida certa allo studio definitivo delle masse serpentinose. Reste- rebbe ancora da accertare la vera loro origine, ed a questo scopo crederebbe opportuno che alcuno dei nostri geologi facesse una visita agli importantissimi giacimenti della Grecia. Il professore Cossa conferma le idee esposte dal presidente ed aggiunge che non solo le roccie lherzclitiche possono trasformarsi in serpentine, ma altre an- cora, quale ad esempio la saussurite che passa in zoisite, come ha potuto accer- tare per alcuni giacimenti di Liguria e di Valtellina. Egli crede che . con uno studio analitico assai dettagliato si riuscirà a distinguere se la serpentina deriva da roccia peridotica ovvero pirossenica, e. ciò per mezzo dei minerali accessori che in essa si riscontrano. Insiste dunque perchè si abbia a seguitare nella linea delle osservazioni fin qui eseguite. L’ Ispettore Giordano, riprendendo la sua relazione, fa parola del concorso- prestato all’ Esposizione di Torino con carte diverse e con una raccolta di minerali, speciajmente combustibili italiani, eseguita per cura del R. Corpo delle Miniere. Questa raccolta si trova ora nelle collezioni dell’Ufficio ed a corredo della mede- sima si sta preparando apposita memoria che verrà pubblicata. Accenna quindi per incidenza alle raccolte dei marmi apuani e degli zolfi di Sicilia, Romagna ed altri parti d’Italia, spedite ultimamente alla Esposizione internazionale d’Anversa insieme con carte relative. A questo proposito il prof. Scacchi fa domanda di un elenco dei marmi italiani esi- . stenti nelle raccolte dell’Ufficio, onde verificare quali vi manchino delle provinole meri- dionali d’Italia, e al caso fornire le indicazioni nécéssarie per completarne la collezione. L’ispettore Giordano passa quindi all’argomento della pubblicazione dèlia Càrta geologica in grande scala incominciata nel 1884 con quella dell’ Isola di Elba al 25.000 e di un' certo numero di fogli della Sicilia al 100.000 con annesse tavole di sezioni, quali fogli costituiscono il principio di una regolare pubblica- zione della Carta, da seguitarsi poi per tutta l’Italia. A propositi» di tale pubblicazione fa notare le diverse difficoltà che si presen- tavano alla esecuzione di un lavoro di tanta mole e quasi nuovo pel nostro paese. Lo stabilimento unico nella capitale che poteva intraprenderlo, dovette eseguire costosi esperimenti, sottostare a gravi anticipi di fondi, e procurarsi anche dall’ estero artisti speciali; onde il costo dell’opera riusciva alquanto superiore a quello dapprima preventivato, anche perchè nel frattempo si riconobbe la con- venienza di renderlo più perfetto. Nello scorso anno, il Comitato, richiesto dal Ministero della somma totale occorrente per stampare le Carte già rilevate sul terreno, avea additata la cifra di L. 200.000, cifra in sé piuttosto modesta ma che non si credeva prudente sor- passare, di fronte alle difficoltà di ottenere aumenti di fondi. Ma come venne sovra osservato, verificavasi all’ esecuzione un accrescimento di costo. Oggidì poi' è cresciuto assai il numero dei fogli pronti alla stampa, oltreché si riconobbe la convenienza di pubblicare eziandio alcune Carte speciali con le rispettive descri- zioni ed illustrazioni di vario genere. Cosicché la suindicata somma di L. 200.000 sarebbe oggidì insufficiente per ottenere pienamente lo scopò, ma ne occórrerebbe una maggiore, cioè di circa L. 350.000. Il lavoro intero, con i mezzi oggidì preparati, potrebbe eseguirsi entro un lasso di circa 5 anni, onde occorrerebbe disporre perciò nel bilancio, e per tale periodo, di L. 70.000. Quanto alla pubblicazione normale annua per tenersi al corrente del ri- levamento sul terreno, erasi allora indicata una maggior somma annua di L. 20.000. Ma nelle nuove Circostanze anche questa somma diviene insufficiente, poiché conviene pure tener conto che, mediante il progettato aumento di personale del Corpo miniere ammesso dal Ministero per 1’ avvenire, anche 1’ annuo lavoro di rilevamento potrà crescere sensibilmente. Per tali motivi, a vece della somma annua di L. 20.000, se ne avrebbe a spendere una di almeno L. 35.000. Nel bilancio preventivo dell’anno finanziario 1885-86, il Ministero, basandosi sugli antichi calcoli e supponendo suddiviso il lavoro delle pubblicazioni in più anni, erasi limitato a chiedere in complesso sull’assegno della Carta geologica un au- mento di circa L. 30.000. Ma ora che i mezzi di esecuzione più rapida vennero creati, sarebbe prezzo dell’opera lo accelerarne il compimento, trovando modo di por- tare nei bilanci futuri l’aumento sovraindicato, e che si riassume in circa L. 100. ‘PO per cinque anni, e per l’avvenire L. 35.000. Con tale aumento,- òhe è ora am- piamente giustificabile, si potrebbe far tosto godere al paese il frutto di tanto lavoro già sin’ ora eseguito. — 6 — Passa poi l’ Ispettore a fare un cenno del servizio geodinamico, non già per fare proposte, ma per informare il Gomitato di quelle che relativamente al me- desimo vennero fatte dalla apposita Commissione stata nominata sul fine dello scorso anno per studiare e proporre il da farsi per la sua estensione e coordi- namento in tutto il regno. Siccome quando tali proposte della Commissione ven- gano adottate, il servizio suddetto formerebbe oggetto di un capitolo del bilancio diverso da quello della Carta geologica, così pareva conveniente il presentare ora al Comitato un breve riassunto delle proposte istesse, le quali sono specifi- cate nella sua relazione. Detta Commissione, riservando all’ avvenire un com- pleto ordinamento del servizio, limitava per ora le sue proposte a tre regioni vul- caniche, cioè: P Etna e dintorni per completarne gli impianti già esistenti ; P Isola d’Ischia, ed il -Monte Laziale presso Roma. Simile ordinamento, comunque prov- visorio, esigeva intanto un’ annua spesa di circa L. 50.000 per manutenzioni e personale, oltre una spesa d’impianto di nuovi osservatorii speciali per circa L. 100.000. Presenta finalmente il resoconto delle spese per P anno 1884 diviso in sette ca- pitoli, con un totale generale di L. 95.316. Riguardo ai lavori da farsi nel 1885 questi non sarebbero che la continua- zione dei precedenti e cioè : 1. Revisione sommaria di alcune regioni nello scopo di poter pubblicare una seconda edizione della Carta geologica generale alla scala di un milione, non ap- pena l’Istituto geografico ne avrà fornito la carta topografica. 2. Proseguimento della Carta in grande scala in Toscana, nell’Ita'ia cen- trale, in Calabria, ecc., per quanto lo permetta la scarsità del personale disponibile. 3. La continuazione dei lavori già iniziati di geologia applicata, e special- mente della Carta geognostico-agraria della Campagna romana, della Carta geo- gnostico-marmifera delle Alpi Apuane, e quella geognostico-mineraria delPIgle- siente (Sardegna). 4. Proseguire la pubblicazione delle carte iniziata nel 1884 e fra queste quella dell’ isola d'Elba al 50,000 e le memorie relative alla stessa, nonché alla Sicilia, con le annesse tavole in foto-zincotipia. 5. Continuare il riordinamento delle collezioni e provvedere per quanto pos- sibile alla istituzione di qualche laboratorio per lo studio analitico e microscopico delle roccie e dei fossili. Lo stesso ispettore Giordano prima di terminare rammenta l’argomento già altre volte trattato dell’istituzione di un Comitato dei lavori topografici; annun- ciando tuttavia che dietro recente avviso il Ministero della guerra, accondiscen- dendo alla domanda fattagli dall’Ufficio geologico, avrebbe dato disposizioni perchè venissero rilevate al 25,000- quelle parti della Sardegna più interessanti per la geologia e l’industria mineraria. Il Comitato approva le proposte del direttore dei lavori e fa voti perchè ven- gano raccomandate al Ministero per la loro esecuzione. La seduta è levata alle ore 2 1]2 pom. — 7 — Il presente verbale fu letto ed approvato in una seconda adunanza tenutasi il giorno 5 maggio alle ore 11 ant. In detta adunanza il prof. Scacchi fece speciale raccomandazione che si avesse a riprendere sollecitamente lo studio della regione vulcanica dei dintorni di Napoli, e che a questo si facesse seguire quello degli altri vulcani meridionali, quali la Rocca Monfìna ed il Vulture, promettendo tutto il suo concorso per aiutare tali studi e domandando che i medesimi gli fossero comunicati prima della loro pub- blicazione. A ciò risponde l’ispettore Giordano osservando che in seguito a speciale ri- chiesta del municipio di Napoli si è già disposto per lo studio dettagliato del sottosuolo di quella città, nonché degli immediati dintorni, in specie nella regione dei Campi Flegrei, e che a questo studio sarà posto mano sollecitamente. Il pro- fessore Scacchi non solo sarà informato dell’andamento di questi lavori, ma ne avrà l’alta direzione scientifica. Lo stesso ispettore Giordano ricorda la proposta fatta dal Comitato sino dallo scorso anno dell’invio al Congresso geologico internazionale di Berlino di un geologo almeno dell’ufficio, il quale sia versato nella lingua tedesca; proposta che naturalmente viene mantenuta per Tanno corrente, essendo stato, come è noto, quel Congresso rimandato al prossimo settembre. La seduta è levata alle ore 12 meridiane. Il Presidente II Segretario Firm. G. MENEGHINI. Firm. P. ZEZI. ) ' hi. r -70 :.;r. ’l i, oltòlj di' .{?* Giti tU-^v "Sii • * < qkiiTV; ni . 9Ì;- itr ■,rc;.' i orv ■ ; -bilh'q :/*si ':y :•■»*«? ■: ; s.C> jTt* • Ufe'fo NOOSi" fi óisf ’ oiohh&l oaedL Relazione annuale dell’ Ispettore capo al R. Comitato geologico SUL LAYORO DELLA CARTA GEOLOGICA (1884-1885) Presento al R. Comitato l’annuale Relazione sul lavoro della Carta geologica nel decorso anno 1884, e sul da farsi nel seguente. Debbo osservare nella presente occasione come, avendo il Governo adottato a partire dal luglio del 1884, una nuova divisione clelPanno finanziario in relazione ai bilanci, cioè contandolo dal luglio di un anno a tutto il giugno dell’anno se* guente, sarebbe da esaminare se anche nelle relazioni sui lavori convenga adot- tare tale nuova suddivisione. In vista però delle ragioni che saranno esposte più sotto nel capitolo relativo alle spese, si crede di non mutare per ora, in quanto almeno concerne i lavori, il sistema sinora seguito, cioè dell’anno civile. L’andamento generale del lavoro geologico nel decorso 1884, non presentò gran differenza da quello del precedente anno 1883, tanto più per essere stato so- speso il Congresso internazionale che doveva avere luogo nel settembre a Berlino. Anche la Relazione pertanto non molto differirà dall’ultima, salvo nell’argoménto della pubblicazione della Carta geologica, che venne in quest’ anno, compatibil- mente coi mezzi disponibili, iniziata. Operato nel 1884. Rilevamenti in grande, scala. — La stessa ragione che nel decorso anno 1883 aveva fatto sospendere buona parte dei lavori di rilevamento in grande scala, perdurando ancora per buona parte del 1884, ebbe pari effetto. Tale ragione era la necessità e convenienza di occuparsi di preferenza della carta generale in pic- cola scala di tutta l’Italia, carta che sarebbesi dovuta preparare, e la più per- fetta possibile, prima del suddetto Congresso di Berlino., E così fu fatto, come si dirà meglio poco sotto, onde il lavoro del nuovo rilevamento in grande scala ri- mase in seconda linea. Tuttavia non venne intieramente omesso, ma proseguivasi laddove ciò riusciva, per le locali circostanze, più facilmente conseguibile. Esso venne così proseguito nel territorio dei dintorni di Roma, stante l’agevo- lezza che vi prestava la vicinanza dell’ufficio geologico centrale. Vi lavoravano princi- palmente l’ ingegnere Zezi con gli aiutanti Perrone e Moderni, e nell’ alto Abruzzo l’ingegnere Baldacci col paleontologo dottore Canavari, che eseguirono anche uno — 10 studio speciale ed interessantissimo del Gran Sasso d’Italia, pubblicato poi nel Bollettino. Il rilevamento di questa parte centrale d’Italia, spinta verso XO sino al lago di Vico, non poteva estendersi più oltre in quella direzione, cioè verso la Toscana, perchè ivi manca ancora la carta topografica; si estendeva invece, come fu dettò, nel senso opposto, cioè verso le provincie meridionali, giungendo ormai sino agli alti monti abruzzesi ed al Garigliano. E così questa zona di ri- levamento, anziché dei dintorni di Roma, può oggidì venire detta la zona dell’Italia Centrale. L’area rilevata nell’anno fu di 4445 kilom. q. alla scala del 1/50,000, già es- sendo rilevata al fine del 1883 tutta la parte della carta topografica levata al 1/25,000. Così al fine del detto anno 1884 l’area totale rilevata, nelle due scale, in questa zona centrale, era di km. q. 11,215. Già fu detto nella relazione dello scorso anno, come a completare utilmente lo studio geognostico dell’Agro i ornano, del quale si sta ora iniziando la bonifica idraulico-agricola in un raggio di 10 km. dalla città, sarebbe stato necessario il prati- carvi un certo numero di fori trivellati : i quali fori, oltre al fornire i dati necessari alla idrografìa sotterranea ed alla fognatura profonda, avrebbero in pari tempr offerto più precisi dati perla Carta geologica prima di darla alla stampa. La spe^a era valutata ad un 60,000 lire circa, e si era sperato che tale somma potesse ero- garsi dai fondi concessi alle due Commissioni idraulica ed agricola incaricate dello studio e sorveglianza alla grande operazione del bonificamento. Sgraziata- mente simile erogazione non poteva subito consentirsi dalle due Commissioni, strette da altre urgenti occorrenze, onde rimane a far voto che in qualche modo i due Ministeri dell’agricoltura e commèrcio e dèi lavori pubblici, da cui tali studi dipendono/possano provvedere il fondo a ciò necessario. — Ed a proposito di questi fori è da notare che uno di essi, stato praticato dal Genio militare a scopo di ricerca d’acqua potabile nel forte della via Appia, in un punto a 70 m. sul mare, già al fine dell’anno 1884 era giunto a m. 90 di profondità, cioè a 20 metri sotto al livello marino. Si era sperato ' che il medesimo potesse raggiungere le sabbie e ghiaie plioceniche, le quali su’la sponda destra del Tevere trovansi a più metri 125 sul mare: ma invece sino allora sempre la sonda attraversava le deiezioni vulcaniche intermezzate a qualche lava molto dura. Ciò proverebbe sempre più il notevole dislivello esistente fra i medesimi strati geologici sulle due sponde del- Tevere, e la presunzione che questo segni una grande faglia, come era stato dal Ponzi indicato. In relazione allo studio della bonifica dell’Agro-romano, venne anche eseguita una serie regolare di tasti del terreno coltivabile e del sottosuolo, nella zona in- torno alia città, formandone una carta speciale; ma di ciò sarà fatto cenno più sotto. Ora seguitiamo la sommaria esposizione dei rilevamenti eseguiti. In Toscana venne dall’ing. Lotti proseguito il rilevamento al 1 25,000 di qualche parte del territorio pisano e lucchese, estendendolo al S.E sino nei monti livornesi oltreché ad una parte del Volterrano. L’area rilevata fu di circa 500 km. q. In — 11 — quest’ultima regione venne studiato con cura il giacimento delle masse serpentinosey specialmente di quelle della miniera ramifera di Montecatini; ciò che potea farsi a dovere, possedendosi dei precisi dati nei piani della miniera. Nella parte N.O delle Alpi Apuane, l’ing. Zaccagna completava in questo anno il rilevamento di una zona montuosa tra le vette del Pisanino e del Pizzo d’ Uccello, difficilissima di accesso e di stratigrafia, complicata di strane contorsioni che sin’ora era stato impossibile mettere in chiaro. Lo stesso ing. Lotti, in unione al dott. Canavari, eseguiva pure lo studio dettagliato dei dintorni di Firenze sulla carta al 1/25,000 e per circa 500 km. q di estensione, all’ intento di risolvere ivi la nota ed antica questione, non tuttavia bene chiarita, del vero punto di separazione fra il cretaceo e l’eocene, in relazione alle scoperte di inocerami e nummuliti. Di tale questione già si trattò, ma ne verrà tuttavia fatto ancora cenno più sotto. L’ isola d’Elba era stata rilevata in grande scala sin dal 1882-83 e soltanto qualche breve revisione vi fu nel 1884 eseguita in quanto concerne la geologia. Invece nello stesso anno venne, con l’opera dell’aiut.-ing. P. Fossen, completata l’esplorazione e la misura delle masse ferrifere con pozzi e fori di sonda, uno dei quali al Capo Calamita, spinto a 75 met. di profondità in roccia dura, rischiarò efficacemente il problema del giacimento minerale in quella località. Tali lavori materiali fatti a spese del Demanio costarono più di L. 50,000. Intanto risultava dalle misure prese e dai computi fatti, che il quantitativo di minerali ferriferi di varia qualità ancora disponibile nelle varie miniere^ e senza far conto delle antiche gettate, non è minore di un 8 milioni di tonnellate^ Nella riviera ligure occidentale qualche nuova zona venne rilevata al 1/50,000 dal prof. Issel nei fogli di Cairo e Varazze, mentre nella riviera di levante veniva proseguita dall’ ing. Mazzuoli sino in alto allo spartiacque appenninico il rileva- mento della zona serpentinosa. E con tale studio fece anche un buon passo la pure antica questione della giacitura e genesi delle masse ofiolitiche nell’Appen- nino, come se ne farà cenno più sotto. Finalmente verso la fine dell’anno, essendo cessata alquanto la premura di perfezionare la carta generale, in quanto che già erasi inviata a Berlino quella parte che più premeva di dare, si potè pensare a riprendere il regolare rilevamento nelle proyincie meridionali, prendendo dalla estrema Calabria e venendo gradata- mente verso il nord. Della Calabria stessa incaricavasi 1’ ing. Cortese che avea studiata la Sicilia orientale; e mancandosi al momento di aiutanti geologi, egli veniva autorizzato ad assumere temporaneamente un volontario per aiuto nei la- vori di campagna. Alla fine dell’anno, oltre all’essere rilevate sei tavolette più pros- sime alla Sicilia, eransi estese le ricognizioni preliminari a diverse altre fin oltre Catanzaro. Le tavolette rilevate, cadenti nel foglio di Messina e contigui, potranno così venire prossimamente pubblicate insieme a quelle della zona settentrionale della Sicilia, già ora in corso di stampa. Lo studio di questa parte meridionale della Calabria dava agio al detto in- gegnere Cortese di ristudiare la questione del passaggio ferroviario sottomarino — 12 — per lo stretto di Messina, questione stata nuovamente promossa dal Ministero dei lavori pubblici. Nelle provincie meridionali venne intanto eseguito il rilevamento dell' isola d’ Ischia dall’ing. Bai dacci, che già l’avea visitata e riferito sul violento terremoto del luglio 1883. Tale rilevamento, eseguito sovra un ingrandimento al 1 10,000 della carta topografica dell’Istituto geografico, ebbe in parte lo scopo pratico di fornire dati per le misure di sicurezza contro i terremoti, di cui sarà fatto cenno più sotto. Lo stato odierno dei lavori di rilevamento in grande scala, come pure quello delle ricognizioni preliminari, è del resto indicata in tinta rossa di varia grada- zione nella cartina generale al 1/1,000,000 visibile in quest’ufficio geologico, e dalla quale apparisce eziandio quali siano i fogli già in pronto per la •pubblica- zione e quelli già stati alla fine deiranno pubblicati. Carta generale in piccola Beala. — Importanti ed estese revisioni vennero eseguite nel 1884 in aggiunta a quelle deiranno precedente e in parte dagli stessi geologi che se ne erano allora incaricati. Nelle Alpi Marittime e nelle occidentali sino al Ticino, vennero eseguite in buona parte dall’ ingegnere Zaccagna, il quale iniziò anche una sezione trasversale completa dalle pianure del Piemonte alla Francia, e ne conferiva col prof. Lory in Grenoble.’ Nei dintorni del Monviso e valle di Lanzo fu egli accompagnato dall’ ing. Mattinolo ; nelle Alpi lombarde égli fu col prof. Taramelii, il quale forniva sulle medesime e sulle venete dati importanti. In simili studi venne riconosciuto ciò che crasi ri- levato già dall’accurato studio delle Alpi Apuane e eli parte delle Marittime; che cioè questi gneiss talcosi sviluppatissimi, a cui Gastaldi aveva poi dato il nome spe- ciale di Penninite, altro non erano che formazioni dell’epoca permiana meta- morfìzzate, onde conveniva toglierle dalla categoria degli gneiss e scisti antichis- simi, alla quale erano state dapprima pel loro aspetto litologico riferite. Il Zac- cagna poi, nel comparare il versante francese con l’italiano, avrebbe trovato che le formazioni sin’ ora dai francesi attribuite al cosidetto infralias andrebbero me- glio classificate nel trias. Tale questione dovrebbe in una prossima campagna del 1885 venire risolta d’accordo fra i geologi dei due versanti. A tale proposito- è poi da notare- che i géologi austriaci accinti a disegnare la carta geologica dell’Europa si trovano indotti ad unire, nelle Alpi orientali, il retico al trias, sopprimendo l’infralias. Nell’Italia centrale la maggiore lacuna, che comprendeva le regioni elevate dell’Appennino circostanti al gruppo del Gran Sasso, venne in buona parte col- mata da studi degli ingegneri Zezi e Baldacci e del paleontologo Canavari, mentré poi T ing. Cortese rivedeva diverse zone del Pugliese, Basilicata, Calabria e- Sa- lernitano. In Sardegna vennero proseguiti dall’ ingegnere Zoppi, coadiuvato dai colleghi 13 dell’ufficio, alcuni studi di dettaglio, mediante accurate sezioni nella formazione cambriana dei dintorni di Iglesias, con ulteriore raccolta di fossili, allo scopo prin- cipalmente di vedere se riuscisse il suddividere tale formazione in diversi { iani geologici. I fossili, specialmente trilobiti, vennero, come di solito, studiati dal profes- sore Meneghini. Ma la intricata tettonica di quella regione ancora non permise la completa soluzione del problema. Intanto 1’ ing. Lotti avendo fatta una escursione nella Sardegna meridionale, avrebbe ivi notato due fatti : analogia tra le sue for- mazioni paleozoiche con, quelle dell’Elba; e invece nessuna analogia, nè per la struttura nè per la età, fra le rispettive roccie granitiche. Con tutti i suaccennati studi venne avanzata non poco, come dicevasi, la cor- rezione della carta generale in piccola scala, riducendo di molto le zone vaghe ed incerte, e meglio precisando i limiti dei problemi che ancora restano a risol- vere. Ed intanto si era in grado di inviare sin dalla primavera a Berlino il foglio C-V della Carta geol. d’Europa, al 1/1,500,000, che comprende tutta la parte settentrio- nale dell’ Italia sino al parallelo dell’ isola d’ Elba. Paleontologia . — In genere vennero proseguiti in quest’ anno 1884 i lavori medesimi dell’ anno precedente, onde bastano pochi cenni a darne conto. Lo studio della fauna paleozoica dell’ Iglesiente in Sardegna, coi relativi fos- sili e specialmente dei trilobiti, venne continuato,, come dicevasi, dal prof. Meneghini, ed anche dall’ ing* Bornemann. Però, come sovra esponevasi, il risultato di simile studio non condurrebbe sinora in modo sicuro alla suddivisione di quella antica, formazione in più piani cronologicamente distinti. Il paleontologo Canavari continuava ad occuparsi, col medesimo prof. Mene- ghini, dello esame dei fossili che tratto tratto i geologi del rilevamento in varie- parti del Regno mandano perciò a Pisa. Lo studio del delicato problema, già accennato nella relazione dello scorso anno, della supposta promiscuità delle nummuliti con gli inocerami nella zona di passaggio tra la formazione del cretaceo e quella dell’ eoeene nei. coìli del Fiorentino, venne proseguita dal Lotti col dott. Canavari, benché il tempo , man- casse poi a portarlo al desiderevole totale compimento, in modo da rimuovere ogni incertezza. Siocome dietro le osservazioni del dott. Gio. Batt. Villa il. fenomeno medesimo parea presentarsi nella Brianza, vi si recò l’ ing. Lotti ad esaminarlo, in compagnia del suddetto dottore Villa; ma ivi sarebbesi riconosciuto che la promi- scuità non poteva asserirsi. Nel Fiorentino poi, sarebbesi riconosciuto che la zona ricca di nummuliti di Mosciano è sottostante alla formazione calcareo-argillosa, che dall’altro lato dell’Arno racchiude strati ad inocerami e strati a nummuliti, e questa è in pari tempo superiore all’arenaria di Fiesole, mentre prima si riteneva inferiore. In quest’ arenaria poi di Fiesole si trovarono dei foraminiferi, di cui uno almeno, dietro l’esame del prof. Meneghini, sembrerebbe potersi conside- rare come vera nummulite. Ciò non implica, però la promiscuità suaccennata, poiché i limiti fra le varie formazioni possono non essere limiti cronologici. In seguito a simili risultati, ritiene il Lotti non solo probabile, ma certa la. 14 — transizione graduale dalla fauna cretacea a quella eocenica, essendosi per un certo tempo succedute le due vite in analoghe condizioni. Simile questione, come l’altra relativa alla suddivisione del nostro cambriano di Sardegna, la soluzione delle quali dipende da rigorosi studi combinati di tet- tonica e di paleontologia, merita dunque tuttavia qualche ulteriore lavoro, e questo si confida verrà fatto nel prossimo anno, e potrà condurre a più precise conclusioni. Inutile dilungarci in altri particolari sui diversi lavori di paleontologia eseguiti nell’anno decorso. Ora si accennerà soltanto che ritenendosi giovevole ed anzi ne- cessario al progresso di questa scienza presso di noi il ramo della medesima che specialmente si occupa dei microrganismi, venne accordato un sussidio al dottore L. Bucca di Palermo, il quale era già stato a perfezionarsi negli studi microscopici ad Heidelberg onde potesse prolungare il suo soggiorno all’estero e recarsi an- che a Strasburgo per dedicarsi sotto valenti specialisti a tale ramo, divenuto ora così importante. Studio di roccie. — Venne proseguito nel R. Laboratorio del Valentino in Torino, diretto dal prof. Cossa e con l’opera principalmente dell’ing. Mattirolo, lo studio chimico e microscopico delle varie roccie più interessanti, che man mano occorreva di specialmente esaminare nel rilevamento geologico delle varie regioni. Tra le roccie studiate dall’ing. Mattirolo sono da notare quelle dell’Elba, e non poche delle Alpi occidentali e lombarde, raccolte durante le escursioni o man- date da vari geologi, oltre a diversi campioni di roccie della Patagonia, mandati dal prof. Lovisato e dal medesimo colà raccolte nel suo viaggio col capitano Bove. Il dott. Bucca, mentre era allo studio di perfezionamento in Heidelberg, esaminò diversi campioni della Nurra nel Nord della Sardegna, inviatigli dal prof. Lovisato, ed altri di roccie granitoidi e porfiriche della Sardegna, inviatigli dall’ ing. Zoppi. Il prof. Cossa poi facea esso stesso lo studio di varie roccie alpine, e della Iherzolite, che in quest’anno veniva riconosciuto esistere in grandi masse fra le roccie serpentinose dell’ Appennino. A proposito appunto di questa Iherzolite (associazione di molta olivina o peridoto con enstatite), trovata dall’ ing. Mazzuoli al Monte Penna, nella Liguria orientale, è opportuno il toccare dello stato in cui trovasi attualmente da noi la questione della genesi delle serpentine. Ed anzitutto si noterà che la suddetta roccia lherzolitica costituiva una grossa lente della estensione di qualche chilo- metro, la quale verso le estremità passava alla serpentina idrata ordinaria. E nella roccia stessa, dietro lo studio fattone dal prof. Cossa, notavansi delle parti in cui appariva tuttavia il passaggio dall’ una all’altra. Altre simili masse oliviniche vennero intanto constatate in altri punti dell’Ap- pennino, come per esempio alla miniera della Gallinaria ; e così scomparve quella diversità, che prima ritenevasi quasi caratteristica, fra le serpentine appenniniche e quelle alpine o d’altri paesi, le quali mostrano lo stesso passaggio dallo stato anidro a quello idrato. Circa all’origine poi delle masse stessa, sieno o non idrate, molto studio venne — 15 — fatto, come dicevasi, dall’ ing. Lotti e dall’ing. Mazzuoli col prof. Issel ; il primo avendole esaminate non solo nell’Appennino ed all’Elba, ma pure nelle Alpi oc- cidentali insieme agli ingegneri Mattirolo e Zaccagna. Le loro osservazioni vennero compulsate e discusse in una riunione tenuta a Pisa col prof. Meneghini: onde risultò un accordo soddisfacente, almeno nei punti principali, elle sarebbero i seguenti : le roccie serpentinose presentansi generalmente in tre varietà o forme: la serpent:na verde cupa ordinaria che potrebbe consi- derarsi originata dalia idratazione della Iherzolite; l’eufotide e la diabase, com- poste ambedue di un feldspato plagioclasico e di un minerale pirossenico (diallagio od augite), la principale differenza fra le due consistendo nello sviluppo diverso della cristallizzazione. E qui è ancora da osservare con il Lotti, che la serpentina -è generalmente ricoperta dall’eufotide e questa dalla diabase. Ora, secondo gli autori, simili roccie sarebbero apparse per emersione sotto- marina in fondo ai mari dell’ eocene superiore, onde è che vedonsi generalmente intercalate agli strati sedimentari di quell’ epoca. In altri paesi simili roccie ofìolitiche appaiono sovente in dicchi i quali tagliano gli strati: ma tale fenomeno non sarebbe sinora bene constatato in Italia, dove invece è generale la interstra- tificazione. Circa però allo stato diverso in cui trovasi per lo più suddivisa la massa eruttiva, cioè in Iherzolite, serpentina ordinaria, eufotide e diabase, havvi ancora qualche disparità di veduta fra gli autori. Ritiene il Lotti che queste varietà possano essere dovute a due successive eru- zioni, prima quella della Iherzolite, poi quella della eufotide e diabase ; essen- doché quest’ ultima roccia possa ritenersi la parte superiore del magma pirossenico eruttato dopo la Iherzolite, il quale raffreddandosi più rapidamente nella parte su- perficiale vi abbia subita una cristallizzazione in più minuti elementi. E quanto alla serpentina ordinaria, la medesima potrebbe essere, secondo il Lotti, il prodotto di una idratazione contemporanea al consolidamento della roccia. Gli altri due colleghi differiscono di opinione, ^ in diversi particolari. Ed anzi- tutto ritengono che l’ idratazione parziale o generale abbia dovuto prodursi non già posteriormente, ma prima della emersione dal sctterraneo laboratorio o du- rante la medesima. Una delle ragioni di tale modo di vedere starebbe nel fatto che trovansi delle grandi masse lherzolitiche intatte alla stessa superficie, accanto ad altre che furono più o meno trasformate in serpentina, ciò che nell’ altra ipo- tesi non è quasi comprensibile. Circa poi all’origine dell’ eufotide e del diabase, Mazzuoli e Issel, che a queste due varietà diedero il nome di roccie anfimorfìche, ritengono che le medesime altro ■non sieno che il prodotto di reazione di copiose sorgenti magnesiache le quali in fondo a quei mari accompagnavano 1’ emersione delle masse lherzolitiche, sulle materie sedimentari, più o meno argillose, dei mari stessi. Secondo essi, soltanto una si- mile ipotesi spiegherebbe l’alternare frequente, fra le dette roccie massiccie, di lembi di galestri ed alberesi, non che altri fatti che si osservano nello studio ac- curato dei giacimenti delle roccie ofìolitiche. — Tale sarebbe lo stato odierno — 16 — della questione studiata dai suddetti nostri geologi, stato che è già prossimo ad una soddisfacente soluzione; cosicché è ora sperabile che mediante ulteriore sistematica osservazione di fatti, la questione passa presto venire interamente risolta. Quantq al giacimento cuprifero di Montecatini, più specialmente studiato ora dal Lotti, risulterebbe, secondo i suoi rilievi, che gli elementi del minerale emer- gessero insieme alle roccie che lo contengono, e la decomposizione di queste avrebbe prodotto la matrice del minerale stesso. Studi geologici in connessione ad opere di pubblica utilità. — L’appello di ingegneri geologi per studi concernenti importanti costruzioni, venne più volte fatto anche nel 1884 principalmente per parte dell’ amministrazione dei lavori pubblici. Così, l’ing. Cortese, ebbe a visitare altra volta il progetto della ferrovia ca- labrese nella parte più meridionale presso Monteleone, ove sono in contrasto i due tracciati, interno ed esterno o littoraneo. Egli dovea poi fare nuovi studi sulla galleria sottomarina progettata per lo stretto di Messina. L’ing. Mazzuoli del distretto di Genova era chiamato a diversi studi per la gran galleria della ferrovia succursale dei Giovi, non che pel nuovo tracciato della galleria del Borgallo sulla l'nea ParmadSpezia. L’ ispettore Giordano dovette esaminare speciali questioni sulla progettata linea direttissima esterna Roma-Napoli. Lo stesso ispettore fece parte di una Commissione istituita dal Municipio di Roma per il problema del risanamento del sotto-suolo della città, problema complesso che richiede studi speciali di geologia e di idrografia sotterranea. La catastrofe del terremoto del 1883 nell’ isola d’ Ischia eccitava per parte del Ministero dei lavori pubblicj, d’ accordo con quello dell’ interno e quello di agri- coltura, industria e commercio, la misura importante di provvedere per 1’ avve- nire alla sicurezza degli abitanti col mezzo di un regolamento edilizio speciale che regolasse il genere di costruzione delle abitazioni in modo da renderle immuni da pericolo di rovina. Il Parlamento con legge 2 marzo sanciva la mi- sura, oltre a quella della erezione di un osservatorio geodinamico nell* isola. Una Commissione di tre membri (avv. Deferrari, isp. Zaini e isp. Giordano, presidente) fu incaricata di redigere il nuovo regolamento, il quale venne poi ema- nato con R. decreto del 29 agosto. 11 medesimo, oltre allo interdire la fabbricazione di nuovi centri di abitazione in certe zone dichiarate più pericolose, vietava in massima le costruzioni in muratura, salvo col sistema baraccato. Le zone perico- lose vennero quindi tracciate sul terreno dietro le indicazioni della carta geologica rilevata dall’ ing. Baldacci. Qualche studio speciale venne pure eseguito in vista delle applicazioni agricole. E così, per esempio, desiderando il ministero di agricoltura, industria e com- mercio di dotare possibilmente le regioni più aride del mezzodì di acqua potabile col mezzo di pozzi forati, invitò i nostri geologi ad occuparsene ; e diverse località vennero dai medesimi indicate in Sardegna, Sicilia e provincie meridio- nali, dove simili fori presenterebbero qualche probabilità di riuscita. Ma simile — 17 — studio deve ancora venire completato per trovare località affatto convenienti, tanto al punto di vista dell’ esito che di una spesa moderata. Di simile studio verrà quindi riferito nel prossimo anno. - — E lo stesso valga per lo studio iniziato di alcuni grandi serbatoi da ottenersi con lo sbarramento di vallate, onde otte- nere acqua, sovratutto per la irrigazione. Un cenno finalmente sovra la carta geognostico-agraria dell’agro romano. Una carta di simil genere può essere compilata secondo diversi sistemi; e della medesima, come di quella pure d’altre opportune località, si occuperà l’ufficio geologico, appena sia di ritorno un ingegnere ora in missione all’estero, e si abbia anche a disposizione un laboratorio per saggi pediologici. Si potrà così allora avviare eziandio simile ramo speciale di carte. Del resto il ritardo delle suaccennate trivellazioni era di ostacolo ad una conveniente esecuzione di un lavoro di tal genere. Malgrado tale difficoltà, ed in attesa di ottenere quel complesso di trivellazioni profonde, venne eseguita nella scorsa primavera una serie di numerosi tasti del suolo coltivabile e del sottosuolo immediato, con raccolta di campioni di ambedue, per tutta la zona di 10 chilometri dì raggio. Quasi 15,000 ta.sti vennero così eseguiti sovra un’area di circa 13,000 ettari, cioè in tutta la zona fuori del suburbio, ed il loro risul- tato venne esposto in una grande carta al 1/8000, con le relative sezioni geo- gnostiche. Tale lavoro fu eseguito dall’aiutante-ing. Perrone per conto della Di- rezione dell’agricoltura e della Commissione del bonificamento agricolo dell’agro romano. La raccolta, colla relativa carta, figurò all’Esposizione di Torino, ed un duplicato se ne ritiene ora al Museo geologico della Vittoria. Ricerche relatice al cccrbon fossile. — - Si intende qui parlare non già dei lavori di ricerca e scavo dei giacimenti di combustibili fossili, quali lavori in Italia devono generalmente esser fatti soltanto dai privati, ma di quelle .speciali ricerche, in relazione col premio d’incoraggiamento che il Ministero di agricoltura, industria e commercio avea creduto poter dare agli industriali. Dietro quanto veniva in proposito riferito lo scorso anno, tale incoraggiamento si riducèva ad un premio di lire 10,000, cui il Ministero aveva disponibili, da accordarsi a queU’industriale che con appositi lavori avesse messo in vista entro l’anno 1884 qualche nuovo bacino di combustibile specialmente lignitifero di vera importanza industriale. Il concorso veniva bandito il 24 settembre 1884. Il risultato di simile concorso non sarà noto che dentro l’anno 1885, dopo che l’apposita Commissione avrà esaminate le diverse domande e loro attendibi- lità; ma per quanto si può arguire dal poco che venne fatto a tale scopo, si può ritenere probabile che nulla o ben poco di nuovo e d’ importante sia stato scoperto. In proseguimento dell’esplorazione delle torbiere del basso Veneto, stata intra- presa dalla Società delle ferrovie dell’Alta Italia sotto la direzione dell’inge- gnere governativo Rovello e col cotfcqrso del Ministero, venne ancora eseguita nel decorso anno qualche trivellazione, con una spesa di circa lire 500; però avendo la detta Società declinato ulteriore ingerenza in simil ricerche, converrà, 2 — 18 — se deve ultimarsi, che venga proseguita con l’opera diretta del Distretto minerario di Vicenza e con fondi del Ministero. Due o tre migliaia di lire si ritengono a ciò sufficienti. In altro modo poi coadiuvava allo studio dei nostri combustibili fossili il Mi- nistero di agricoltura, industria e commercio, e per esso il Corpo degli ingegneri delle miniere, e ciò in occasione della Esposizione generale italiana del 1884 in Torino. Venne infatti preparata ed ivi esposta una raccolta generale di campioni delle principali miniere e bacini riconosciuti in Italia. Intanto l’ingegnere Toso avea fatto un viaggio • all’estero, principalmente in Boemia, a studiarvi i metodi ed apparecchi più convenienti per la preparazione e l’uso industriale dei combustibili di qualità scadente e in special modo delle cattive ligniti e delle torbe. Un sunto di simile studio, molto opportuno per l’ Italia, veniva pubblicato negli Annali del servizio minerario. Esposizione generale italiana in Torino. — L’ufficio geologico dovette prendere parte all’ Esposizione che ebbe luogo in Torino, e vi concorse con un invio, opportunamente ridotto, di poche carte geologiche più interessanti, alcune colorate a mano, le altre stampate. Tra le prime va notata la Carta generale d’Italia al 1/500,000, nella quale erano introdotte tutte le correzioni fatte sino al principio dell’anno. Vi era pure la Carta dell’isola d’ Ischia al 1/10,000, rilevata dall’ingegnere Baldacci insieme ad un piano-rilievo della medesima. Di carte stam- pate venne esposta l’isola d’Elba al 1/25,000 in due grandi fogli, e la Carta gene- rale della Sicilia al 1/500,000. Questa Esposizione geologica stava nel padiglione del Ministero d’agricoltura, industria e commercio, insieme a varie raccolte di minerali e di materiali utili al- l’industria, in parte inviate da Società, in parte eseguite per cura del Corpo delle Miniere. Tra queste ultime vi era la summenzionata raccolta metodica dei com- bustibili minerali dell’ Italia (antraciti, ligniti, torbe e petroli) accompagnata, da dati statistici, e che finita l’Esposizione, passò poi al Museo della Vittoria, presso l’ufficio geologico in Roma. Carta geologica dell’Europa. — Essendo inteso che il Congresso geologico internazionale di Berlino dovesse aprirsi nel settembre, e che in tale occasione l’Istituto geologico prussiano residente in quella città dovesse presentare un saggio stampato della Carta d’Europa, il nostro ufficio geologico ebbe premura di mandarvi, come già più sopra venne cennato, il foglio C-V di detta carta, il quale comprende tutta 1’ Alta Italia e quindi la sua linea di contatto con le nazioni limitrofe, Francia, Svizzera ed Austria. Tale foglio veniva colà recato sin dal mese di marzo dal prof. Capellini in una visita che il medesimo dovette fare a Berlino per coadiu- vare il Comitato ordinatore germanico ne’ preparativi del Congresso. Questo Congresso però venne poi sospeso, stante l’invasione dell’epidemia colerica nell’ Europa meridionale, e rimandato all’ epoca stessa dell’ anno se- guente 1885. — 19 — Intanto verso la fine dell’ anno venne pagata a Berlino, alla cassa dell’Istituto, una terza rata (di marchi 1500, pari a lire 1872) della nostra rata per 1’ obbligo d’ acquisto di copie della carta d’ Europa assunto dal nostro Governo. Tale rata però veniva in gran parte pagata con fondi del Ministero dell’ istruzione pubblica, il quale erasi obbligato ad acquistare .per parte sua un numero notevole di copie, cioè oltre 180; mentre quello di agricoltura, industria e commercio rimaneva im- pegnato soltanto per le 100 obbligatorie. Pubblicazione di carte. — Già nello scorso anno 1888 erasi cominciata a pubblicare la Carta generale della Sicilia in piccola scala, cioè al 1/500,000, in un solo foglio con sezioni generali dell’isola. Nel corso poi dell’anno 1884 venne in- cominciata la stampa della Carta dettagliata dell’isola stessa, alla scala di 1/100,000 che deve constare di 28 fogli comprese le isole adiacenti. Questa pubblicazione, con cui viene iniziata la stampa regolare della Carta geologica d’Italia, e che diverse circostanze imponevano di non ritardare, presentava però notevoli diffi- coltà ; in parte per la poca nitidezza già più volte lamentata delle carte topo- grafiche di cui si deve fare uso, in parte per la novità di simile ramo di stampa in cromo-litografìa e pel quale conveniva tutto creare in Roma, cominciando dagli artisti ; onde quasi impossibile prevedere bene la spesa e stipulare un Contratto. — I dettagli numerosi di suddivisione dei terreni ai quali deve scendere una carta geologica dettagliata per essere praticamente utile, costringeva poi allo studio di una scala o gamma di colori molto ricca di tinte e di segni speciali, gamma che dovette comprendere circa 80 diverse suddivisioni. Ma i vari partico- lari stati adottati per la pubblicazione, con la loro motivazione, sono indicati al- trove, cioè in un cenno preliminare stampato insieme ai primi fogli della Carta. Qui basterà dire che prima del fine dell’ anno erano stampati i primi sei fo- gli, quelli dell’ angolo N.O ove sta Palermo, insieme ad un foglio di sezioni. La cartina generale al 1/500,000 riceveva intanto alcune modificazioni ed aggiunte per poter servire come di quadro d’unione ai diversi fogli al 1/100,000. — Di' questa pubblicazione della Sicilia, che esigerà qualche tempo, oltre ad ingente spesa per venire ultimata, si dirà però meglio nel seguito. Contemporaneamente alla stampa della Carta di Sicilia procedevasi a quella dell’isola d’Elba in scala anche maggiore, cioè al 1/25,000, in due soli grandi fogli, e preparavasi pure quella a scala metà cioè 1/50,000 in un solo foglio, di formato assai più comodo per venire annesso alle memorie descrittive che si avranno fra breve a stampare in corredo alla interessante geologia dell’ isola. Le suddette memorie che devono accompagnare le carte tanto della Sicilia che dell’Elba, non poterono ancora pubblicarsi, e ciò per varie ragioni; ma ne vennero tuttavia dai rispettivi scrittori Baldacci e Lotti compilati gli ele- menti, onde in una prossima occasione vi si potrà dare esecuzione. Venne però intanto stampato per ciascuna il suaccennato cenno preliminare in un fascicolo contenente i tratti essenziali, e che può quindi temporariamente supplire alle me- morie definitive. — 20 — Quanto alle memorie paleontologiche speciali del prof. Meneghini e dott. Ca- navari, annunciate, già nella relazione dello scorso anno, delle scoperte soprav- venute. di nuovi esemplari di fossili e che rendevano opportune diverse aggiunte, indussero a ritardarne ancora alquanto la pubblicazione. Personale addetto alla geologia. — Non avvennero nel decorso anno mu- tamenti di riguardo nel personale addetto ai lavori geologici. Però il ministero, gmstamente preoccupandosi della opportunità di accelerare i lavori, come anche per supplire a qualche vuoto possibile nel Corpo minerario, inviava agli studi all’estero diversi allievi ingegneri, di cui parte nel Belgio e parte in Francia, mentre due già ne sono a Berlino. — Simile invio si collega ad un aumento progettato nel suddetto Corpo pel prossimo anno finanziario, lu- glio 1885-86;. e si spera che .alcuno dei detti allievi abbraccierà con frutto il ramo della geologia. Trattando del personale geologico, non si può a meno, di menzionare la morte immatura di Quintino. Sella, avvenuta in Biella il 14 marzo, nella età di appena 57 anni. E inutile rammentare, oltre ai meriti speciali di quest’uomo quale mineralogo e geologo, come egli fosse l’autore della memoria sugli istituti geo- logici presentata nel 1861 al ministro Cordova, memoria le cui conclusioni furono bq.se, dopo varie vicende, all’attuale ordinamento del servizio geologico. La cir- costanza che Sella fu dipoi ministro di finanze, anziché accelerare, fu di ritardo all’opera della carta geologica, poiché, quantunque primo promotore della mede- sima, egli, divenuto ministro e preoccupato principalmente, di rimediare al disa- vanzo finanziario, volle dape eroico esempio di economia, e fece perciò soppri- mere nel bilancio i fondi che prima vi erano stati per la geologia inscritti; onde l’opera ne subiva un ritardo di oltre 15 anni. Ora però che il pareggio pareva raggiunto egli intendeva occuparsi di spingere alacremente l.’opera stessa, quando fu dalla morte rapito. Un cenno biografico contenente molti particolari della sua vita e lavori venne inserito nel fascicolo secondo del Bollettino geologico pel 1884. Tra le onoranze votate alla sua memoria, sono da menzionare uno scudo in bronzo collocato dal Corpo degli ingegneri di miniere, di cui avea fatto parte*, sulla sua tomba all’ Oropa, non che nelle scuole del Valentino, e mineraria di Iglesias, el una corona pure di bronzo all’Oropa, per soscrizione di 150 membri della Società geologica, di cui fu principale fondatore. Finalmente dietro voto del Consiglio delle miniere, di cui era vice-presidente, voto condiviso dal Comitato geolo- gico, venne decisa la collocazione di un buste nel Museo geologico della Vittoria. Comitato .geologico. — Tale voto del Comitato ebbe luogo nella seduta or- dinaria che il medesimo tenne in Roma il 2 marzo e nella quale, udita l’annuale relazione suirandame.nto dei lavori, ne approvò le conclusioni, non che le norma secondo cui intendevasi di cominciare la pubblicazione della carta geologica. — 21 — Locale per ufficiò e collezioni. — Come fu detto più volte nelle precedenti relazioni, l’edlfizio della Vittoria, che sarebbcsi dovuto principalmente destinare .all’ufficio ed al museo geologico, non era mai statò interamente completato, c presentava diversi difetti e lacune. A gran parte di queste venne finalmente rime- diato nel decorso 1884, mentre si provvedeva anche al riordinamento del labora- torio della stazione agraria annessa all’edifìzio medesimo. In tale occasione venne guadagnata qualche sala di più per la geologia ; cioè, una assai lunga galleria aggiunta al piano ultimo, e dove potrebbero trovare luogo delle collezioni per studio; ed al primo piano si guadagnarono diverse camere, non molto adatte in- vero per collezioni, ma nelle quali si potè fare esposizione e deposito delle earte geologiche già eseguite e di quelle stampate. * Nell’occasione medesima si dovette traslocare il piccolo osservatorio geodina- mico, costruendone un nuovo in locale meglio adatto, cioè sotto al suddetto labo- ratorio della stazione agraria ; mentre diversi strumenti vennero pure stabiliti in un sotterraneo a più metri sotto il p;ano della via Santa Susanna, più al sicuro dalle vibrazioni. Quanto a lab orato rii, venne pur guadagnato alquanto ; venne c’oè destinata una delle camere superiori per lo studio microscopico e per tàglio di sezioni sottili ; però per lo studio chimico converrebbe ricorrere al suddetto della stazione agraria. Avendo ora il medesimo ricevuto qualche maggiore comodità, potrebbe a rigore ser- vire meglio di prima anche a qualche lavoro di analisi minerale, qualora il mini- stero . dèsse le opportune disposizioni. Per ciò che riguarda le collezioni geologiche, venne, come dicevasi, guadagnato qualche spazio, però non tale da permettere per ora un completo assestamento : oltre che vi era sempre la difficoltà dei mezzi per la provvista del mobilio occor- rente, cioè vetrine, scaffali e simili. Tuttavia venne posto mano all’assestamento delle collezioni che, già si possedevano delle regioni per cui fu rilevata la Carta geologica (Sicilia, Italia-Centrale, Alpi-Apuane, Elba), nonché di alcune collezioni, di genere industriale, come quella sovra menzionata dei nòstri combustibili, e di quella delle roccie e- terreni del sottosuolo -delTAgr-o romano in relazione ai lavori della sua bonifica, che ora vennero finalmente iniziati. Fu anche aggiunta una raccolta di oggetti concernenti gli studi dei -terre- moti e delle precauzioni edilizie contro i loro effetti, tra cui i modelli delle case ba- raccate prescritte dal nuovo regolamento edilizio del 1884- per l’isola d’ Ischia, modelli favoriti dal Ministero dei lavori pubblici, 1 che li avea fatti costrurre per l’esposizione di Torino. Naturalmente i suddetti svariati lavori, sia di muratura che di falegnameria e per i quali non si avea in bilancio un fondo speciale, generarono spese sensibili, le -quali, come nello scorso anno, si dovettero erogare dal fondo stanziato pei lavori della Carta geologica, recandovi un sensibile diffalco. Servizio geodinamico. — Questo ramo merita ' nella relazione del 1884 un — 22 — cenno speciale a càusa degli studi e delle proposte che riguardo al medesimo vennero formulate. Già nella relazione del 1883 erasi dato un succinto resoconto dello stato di questo nuovo servizio, il quale rimaneva per ora specialmente affidato al professor Michele De Rossi, suo promotore, mediante un sussidio annuo di L. 7000, oltre la prestazione di un provvisorio locale per un piccolo osservatorio ed un archivio centrale geodinamico nell’edifizio della Vittoria, archivio destinato a raccogliere le corrispondenze dei diversi osservatorii esistenti nelle provincie. Sinora intanto le osservazioni vulcanologiche, ossia geodinamiche, le quali si faceano in varie parti d’Italia, sia negli osservatorii privati, sia in quelli pubblici e sostenuti dal Ministero della pubblica istruzione, come il vesuviano a Napoli e quelli dell’Etna e Catania in Sicilia, non erano state ancora tutte coordinate in un comune sistema. Occorreva pertanto' a ciò provvedere, anche per i nuovi osserva- torii che non avrebbero mancato di sorgere per l’avvenire, fra i quali dovea con- tarsi quello che in forza della legge 2 marzo, pel sussidio ai comuni dell’ isola d’ Ischia danneggiati dal terremoto del luglio 1883, dovea quanto prima venire eretto nell’isola stessa. Perciò, come già era enunciato nella relazione dello scorso anno, veniva con R. Decreto del 20 dicembre 1883 instituita una speciale commissione con incarico di studiare un completo ordinamento del servizio per tutta l’Italia, facendo le rela- tive proposte. Tale commissione era composta di 10 membri : l’astronomo Schiapparelli dell’osservatorio di Milano (presidente), Tacchini di quello di Roma, Blaserna dirett. dell’Istituto fìsico di Roma, Palmieri dirett. dell’Osservatorio vesuviano, Silve- stri idi di quelli dell’Etna e di Catania, Denza, di quello di Moncalieri, Rossetti prof, di fìsica a Padova, Ferrari id. a Torino, il prof. De Rossi- e l’ ispettore delle miniere Giordano. Diversi ostacoli ritardarono la riunione della commissione. Il prof. Schiappa- relli non si trovò in grado di accettare la presidenza, e venne sostituito dal Sella. Ma questi nel frattempo ammalava e nel marzo mancava ai vivi. La commissione radunavasi infine ai primi di giugno, e sceglieva essa stessa a presidente il pro- fessor Blaserna, fungendo da segretario il Silvestri. Alcuni membri, quali per sa- lute, quali per altri impedimenti, non poterono intervenire, e furono Palmieri, Denza, Rossetti e Ferrari. Tale commissione, dopo ponderate le esigenze del servizio geodinamico nelle varie regioni d’ Italia, occorrenze che sarebbero assai grandi ed esigerebbero ingenti spese ed esperto personale, credette di dichiarare che per ora non era il caso di provvedere ad un completo ordinamento, ma limitava le sue proposte al da farsi in alcune delle regioni vulcaniche meridionali fra le più interessanti, mentre i intanto potrebbero seguitare a funzionare i numerosi osservatorii già esistenti o presso istituti pubblici o presso privati nelle varie provincie del Regno. Questi osser- vatorii, i quali già corrispondono oggi coll’ Ufficio centrale suddetto che ne va rac- cogliendo le osservazioni, potrebbero intanto perfezionarsi e corredarsi man mano — 23 — di nuovi strumenti a misura del bisogno. ' A suo tempo, si procederebbe poi ad una completa ed uniforme sistemazione. Quanto al programma delle osservazioni da fare nei diversi osservatoiii, sia esistenti che da creare a nuovo, osservazioni che dovrebbero essere coordinate se- condo un sistema scientifico-pratico uniforme, opinava la commissione che esso dovrebbe comprendere essenzialmente tre categorie di fenomeni: 1. fenomeni sismici di varia grandezza (sensibili e minimi o microscopici). 2. fenomeni eruttivi, cioè del vulcanismo, colle sue diverse manifestazioni. 3. fenomeni relativi alla termica ed alla idrologia sopratutto sotterranea. A tutto il servizio poi, . come all’impianto di nuovi osservatori^ dovrebbe sovraintendere una Giunta centrale da nominarsi, sentiti i presidenti del Consiglio direttivo della meteorologia e del Comitato geologico. Le località vulcaniche dell’Italia meridionale in cui proponeva la commisione di fare intanto i nuovi impianti sarebbero: 1. L’Etna e dintorni con le Isole Eolie. 2. Isola d’ Ischia e specialmente la regione dell’ Epomeo sovra Casamicciola. 3. Rocca di Papa presso Roma sul gran vulcano Laziale. All’Etna già da molti anni faceansi osservazioni dal prof. Silvestri dell’Univer- sità di Catania, e nel 1883 venivano istituite diverse stazioni geodinamiche in quella città e altri punti della gran falda vulcanica sotto la direzione del professore medesimo. — Al piede del gran cratere, a 3000 metri sul mare esiste un osser- vatorio astronomico, al quale ■divisa-vasi dal Ministero della istruzione pubblica annetterne uno vulcanologico. — La Commissione proponeva il completamento di simili elementi già esistenti, con estensione a qualche altro punto interessante, comprese le Eolie. L’aumento di fondi a ciò necessario era valutato a lire 8000 per nuovi impianti e lire 11,000 per annui compensi e manutenzioni. La seconda regione vulcanica meridionale comprende il Vesuvio, Campi Flegrei, ed i vulcani spenti del Vulture e RocCamonfìna. Al Vesuvio già esiste un grande osservatorio sotto la direzione del prof. Palmieri. — Per questa seconda regione, in riguardo all’ assenza dell’ attuale suo Direttore, nulla veniva per ora proposto. Per l’ isola d’ Ischia venne proposta l’ erezione di un osservatorio di primo ordine da stabilirsi presso Casamicciola alla base dell’ Epomeo, in un punto da scegliere opportunamente. Un osservatorio in simile località già era stato previsto dalla suddetta legge per Ischia del 2 marzo 1884, però con uno stanziamento di L. 12,000 soltanto per la sua costruzione, somma ora insufficiente; onde convenne accrescerla notevolmente anche per provvedere le abitazioni agli assistenti e cu- stodi. Venne valutato occorrere per un conveniente impianto una somma di L. 50,000, e L. 12,000 circa annue pel personale e manutenzione. Per 1’ osservatorio del centro laziale, pure di prim’ ordine, a Rocca di Papa, oc- corre una spesa d’impianto di almeno L. 32,000 ed una spesa ordinaria annua di L. 11,000. Quest’ osservatorio rimpiazzerebbe utilmente per le osservazioni di precisione quello provvisoriamente stabilito a Roma nell’edffìzio del museo agrario- — 24 — geologico, e che, come in genere quelli stabiliti nelle città di gran movimento, sono soggetti a troppe vibrazioni. Pel suddetto piccolo osservatorio di Roma e per 1’ annesso archivio geodinamico, non venne proposta per ora che una minima nuova spesa, salvo però il rimborso di parecchie migliaia di lire dovuto al prof. De Rossi, per gli strumenti dal medesimo sinora forniti: in tutto circa L. 6000. — Per la dotazione dell’archivio e reda- zione del bollettino, col relativo personale alquanto accresciuto, valutavansi circa L. 16,000 annue. Però tale ordinamento era soltanto provvisorio. Per le regioni vulcaniche del Veneto ed altre in varie parti d’ Italia, pure assai meritevoli di studio, nulla venne per ora proposto, rinviando cioè all’ epoca del generale ordinamento in tutto il regno. In conclusione le proposte della commissione per P ordinamento provvisorio del servizio ammontavano alla spesa totale di circa L. 50,000 annue e di L. 100,000 di primo impianto. E siccome nuovi fondi non. potevano più aversi, che al nuovo anno finanziario 1885-86, cosi rimandavasi a tale epoca ravviamento del nuovo servizio. E da menzionare infine come allo scopo di preparare per l’avvenire qualche osservatore dotato di solida istruzione scientifica, vennero, dietro concorso, nomi- nati due allievi scelti fra i laureati in fìsica, con un sussidio mensile, onde atten- dessero per due anni a studi ed esercizi di perfezionamento nell’istituto fìsico, di Roma. Cosi provvedeva il ministero, mediante la suddetta Commissione, al futuro in- cremento e alla s'stemazione del servizio geodinamico. Resoconto delle spese dell’anno 1884. — Devesi qui rammentare ciò che da principio cennavasi, come cioè durante il 1884 veniva, dietro superiore determi- nazione, stabilito che nei pubblici servizi l’anno finanziario, o fiscale, non avesse più a coincidere con l’anno civile, ossia quello contato dal gennaio al decembre, ma bensì decorresse dal luglio di un anno a tutto il giugno del seguente: e ciò principalmente per la comodità dell’approvazione dei bilanci dal Parlamento, come del resto è già in uso in diversi altri Stati. Simile innovazione ebbe effetto da noi col luglio 1884, principiando con tale mese il primo anno finanziario, cioè dal luglio 1884 al giugno 1885. — Rimaneva in tale modo iso’ato- il primo semestre dell’anno 1884; e siccome per la carta geologica la somma annua bilanciata per detto anno era di L. 91,800, così per quel semestre le rimaneva in dote la metà, cioè L. 45,900. Per il primo nuovo anno .finanziario 1884-85 veniva poi approvata senza altera- zioni la medesima somma totale di L. 91,800; ciò che pel primo semestre del- l’anno civile 1885 darebbe ancora la somma metà cioè di L. 45,900. Ora si presenterebbe la questione, se, per l’annuale resoconto della Carta geologica al R. Comitato, convenga adottare simile nuovo anno finanziario. Per ciò che concerne i lavori, certo la nuova divisione non è conveniente. La massima parte infatti dei lavori stessi, e quelli di rilevamento sovratutto, combinano assai bene con l’anno civile, venendo essi abitualmente interrotti nella stagione inver- naie, mentre la campagna perdura per tutti i mesi primaverili ed estivi, e il giugno è appunto il periodo della massima attività; onde male cadrebbe lo scindere il periodo anche solo finanziariamente. Per tale considerazione si crede opportuno il proseguire tuttavia, e sino a nuovo avviso, nel vecchio sistema in quanto con- cerne la relazione sui lavori al R. Comitato nonché sulle relative spese. Tutto al più si potrebbe tenere anche un conto speciale delle spese valutate per semestre, onde in qualsiasi evenienza si possano le medesime presentare divise, tanto secondo l’antico quanto il nuovo sistema. A tale proposito giova avvertire che nell’ufficio geologico si tiene accurato registro di ogni singola spesa, comprese quelle ordinate direttamente dal ministero ; di modo che riesce poi sempre possibile il raggrup- pare le spese medesime in quel modo che più torni conveniente. Ciò premesso, si presenta qui sotto il sommario riassunto, redatto nel modo so- lito, delle spese occorse pei lavori di vario genere del 1884, oltre i soliti assegni al personale fìsso non compreso nel Corpo delle Miniere. Come si vede in esso quadro, vi sarebbe un sovrappiù di spesa di circa L. 3,500 sulla somma disponibile, che èra di L. 91,800. Però tale sbilancio non ha luogo realmente nella contabilità generale, stantechè diversi mandati per comple- mento di spese di muratura e mobilio, che nel quadro figurano conglobati nel 1884, furono prelevati sul bilancio del primo semestre del 1885. Giova poi osservare che a tale lieve sbilancio influirono diverse spese e lavori non previsti e non veramente imputabili alla carta geologica. Tali sarebbero la spesa cresciuta quasi al doppio pel servizio geodinamico e segnatamente pel tras- loco del nuovo osservatorio di Roma; le spese di oltre L. 6400 per lavori murari, di falegnameria e simili, dovuti eseguire nell’edificio della Vittoria, e infine diversi assegni ad allievi soprannumerari all’estero. Per contro, furono minime in quel- l’anno le spese per la carta geologica d’Europa: e ciò principalmente per l’avve- nuta sospensione del Congresso di Berlino. E però da notare che in fatto di stampa di carte geologiche non si è portata n questo resoconto del 1884 che quella di L. 9378 per la Carta dell’Elba. Ma in realtà si è negli ultimi mesi dell’anno' stesso che venne fatta la stampa dei primi fogli della Sicilia in grande scala, nonché di parecchi complementi alla carta della medesima in piccola scala. Simile stampa importava un’ingente spesa, di quasi L. 20,000, che non venne portata nel bilancio consuntivo del 1884, ma si deve ri - mandare a quello dell’anno seguente. E simile spesa, unitamente a quella che converrà incontrare pel proseguimento delle pubblicazioni delle carte e relative memorie, importerà un onere molto grave, del quale sarà discorso alquanto nella parte concernente il futuro anno 1885. — 26 — Resoconto delle spese deli5 anno 1S84. I. Assegni a! personale : Assegni fissi per 4 ingegneri non compresi nel Corpo delle Miniere, e per un paleontologo L. 15,000 — Aiutanti straordinari, L. 2,460 — Per 3 disegnatori stabili, L. 4,805 — Com- messi, per L. 1,350 » 8,615 — Sussidio per 3 allievi ing. agli studi all’estero, L. 4,333 33 — Indennità viaggio, L. 1,100 » 5,433 33 Sussidio ad un paleontologo per studi microscopici all’estero » 1,400 — 30,448 33 L. 30,448 33 IL indennità di campagna: Rilevamento in grande scala (Italia centrale - Toscana - Calabria - Ischia) L. 10,304 59 Id. ' in piccola scala in varie regioni, col mezzo del personale dell’Ufficio geologico . . » 11,304 06 Rilevamento in piccola scala in varie regioni, col mezzo di persone estranee all’ ufficio » 1,725 80 Indennità ai membri del Comitato per gita a Roma. . » 529 50 23,863 95 » 23,863 95 Sii. Spese d’ufficio, biblioteca, strumenti e diversa: Cancelleria, posta, trasporti, imballaggi L. 3,024 02 — Carte topografiche, ingrandimenti, rilievi d’Ischia, ecc. L. 972 55 - Libri e carte geologiche estere, L. 1,781 75 — Gas per le stufe, L. 170 30 — Telefono (dalla metà del 1883 a tutto il 1884) L. 247 65 — Indennità e spese varie per ordinamento di collézioni, laboratorio L. 622 » 6,818 27 IV. Pubblicazioni : Stampa del Bollettino (Testo ed estratti L. 2,239 78 — Tavole L. 2,093 67) L. 4,333 45 Carta geologica dell’isola d’Elba al 1,25,000 in 2 fogli e 1200 copie . . » 9,378 — Terza ed ultima quota al prof. Ponzi per compenso sua Carta geologica della provincia di Roma » 1,000 — V. Carla geologica dsll’Europa: Somma pagata a Berlino a complemento del secondo acconto (di L. 1,875) pagato dal Ministero dell’ Istruzione Pubblica, L. 420 15 — Viaggio del- 1’ ex-presidente del Congresso a Berlino nel marzo 1885, L. 603 .... VI. Servizio geodinamico : Sussidio solito al prof. De Rossi, L. 7,000 — Spese fatte pel trasloco e im- pianto di nuovo osservatorio nfell’ edilizio della Vittoria, L. 2,918 45 — Acquisto strumenti sismici, L. 1,488 — Viaggio a Roma di un membro della Commissione geodinamica, L. 556 . VII. Lavori di costruzioni, mobili, arredi e diverse : Completamento fogne di scarico, L. 1,243 70 — Stufe a gas,L. 334 68 — Conduttura di gas, L. 123 47 — Vetrine e tavoli per collezioni, L. 1,395, — Id. per l’ufficio, L. 877 22 — Tende di tela per sale collezioni, L. 846 — Porte a vetri e altri lavori inerenti al locale,, L. 935 45 — Campanelli elettrici, L. 138 50 — Stemma, L. 76 50 — Lavori diversi di vetraio, scal- pellino e coloritore, L. 517 91 14,711 45 » 14,711 45 » 1,023 15 » 11,962 45 » 6,438 63 Totale generale . .. L. 95,316 23 Onde un eccedente di L. 3,516 sulla somma annuale stanziata di L. 91,800 eccedente che però non si verifica nel bilancio effettivo dell’annata, poten- dosi compensare sul semestre susseguente. Prodotto della vendita di pubblicazioni nel 1884 L. 1,252 80 — 27 — DA FARSI NEL 1335. Anche per quest’anno 18.85, come già pel precedente, è ovvio quello che sj ha da fare; abbiamo cioè ancora di fronte i due lavori che devono procedere pa- rallelamente, quello dell’avanzamento della Carta in grande scala, e l’altro della compilazione della Carta generale in piccola scala. Quest’ ultimo lavoro, che avrà speciale interesse pel prossimo Congresso in- ternazionale, diventa ora opportunissimo, avendo l’ Istituto geografico annunciato che sarà quanto prima in grado di dare una carta corografica d’Italia alla scala di 1/1,000.000. Ottenuta questa, si potrebbe tosto stampare una seconda edizione della carta geologica generale, che rimpiazzerà utilmente la prima stampata prov- visoriamente nel 1881, relativamente molto imperfetta. Simile carta, al dì d’oggi di urgente necessità, sarà molto ricercata, e dovrà quindi essere uno dei primi la- vori cui attendere. Però per averne gli elementi i più corretti, occorrp tuttavia terminare, come già altrove cennavasi, diversi rilievi sommarii, tanto nelle re- gioni più montuose dell’Italia centrale e meridionale, che nelle Alpi, specialmente nelle occidentali, per collegarsi con gli ultimi lavori francesi. — A simili studi nelle Alpi occidentali potrà attendere ancora l’ ing. Zaccagna, che tanto efficacemente li iniziò nel decorso anno, incontrandosi anche col prof. Lory di Grenoble. — Quanto a ciò che resta nelle regioni elevate dell’ Italia centrale e meridionàle, potranno eseguirlo gli ingegneri Zezi e Baldacci e in parte l’ing. Cortese. — Nell’Appennino centrale e nel toscano restano sempre ancora a rivedere talune zone che solleva- rono dei dubbi nei geologi, e ciò vale specialmente per la nota questione delle nummuliti coesistenti con gli inocerami nei colli intorno a Firenze. Lo studio del problema già molto avanzato pei rilievi intrapresi dall’ ing. Lotti col dott. Cana- varii presto potrebbe venire compiuto. Circa al proseguimento della Carta in grande scala, già vedemmo come pel momento tale lavoro debba essere alquanto limitato per la scarsità del personale disponibile. D’altronde conviene rammentare che già si possiede un gran numero di fogli così rilevati, mentre mancano i mezzi per . renderli utili al pubblico me- diante la pubblicazione : onde non vi è ora estrema premura di accrescerne an- cora rapidamente il numero. Tuttavia le disposizioni son prese per avanzare, compatibilmente coi mezzi disponibili, anche tale lavoro. Verrà perciò continuato, principalmente con l’opera dell’ ing. Cortese, il rile- vamento della Calabria procedendo dal Sud al Nord. In pari tempo si potrà in- traprendere il rilevamento della zona di territorio che in prolungamento della Ca- labria e Basilicata si estende verso Napoli e da Napoli a Roma, zona interes- sante per diversi riguardi. A tale opera potrà adibirsi l’ ingegnere Baldacci, il quale potrebbe in pari tempo compiere il rilevamento dei dintorni di Napoli e spe- — 28 — cialmente della regione fìegrea, molto utile anche allo scopo pratico del proget- tato risanamento della città. Nell’ Italia Centrale assai vi sarebbe da fare in proseguimento della grande zona già rilevata intorno a Roma e che si estende da Civitavecchia agli Abbruzzi. Ed al proposito è pur qui da notare come dalla provincia di Aquila venisse tempo fa espresso il desiderio di vedere la carta geologica della provincia stessa prontamente allestita ; ragione per cui già nel decorso anno si erano preparati elementi per poterla sollecitamente eseguire. E sarà perciò il caso di occupar- sene, non appena la stagione permetta Y accesso a quelle elevate regioni, e ciò con l’opera tanto dell’ ingegnere Zezi con qualche aiutante dell’ ufficio geologico* quanto dèli’ ingegnere Baldacci, che già studiò diligentemente il gruppo del Gran Sasso. Nella Toscana potrebbe venire completato qualche foglio tra le Alpi Apuane, Volterra e Firenze, già iniziato, come si vide, nello scorso anno dall’ingegnere Lotti. Finalmente vi sarebbe da far menzione di qualche lavoro di geologia ap- plicata, già pure iniziato, ma che sinora per diverse cause non potè venire con la desiderata alacrità avanzato. Se ne citeranno due soltanto, cioè: la carta geo- gnostico-agraria della campagna romana, e quella geognosticounarmifera delle Alpi Apuane. Circa alla prima, venne sovra esposto come, stante il ritardo avvenuto delle- progettate trivellazioni ed altre circostanze, non era stato ancora possibile avviare debitamente il lavoro. Vi si provvederà appena se ne abbiano gli elementi sud- detti ed i mezzi. — Questi mezzi consistono, come già fu sopra indicato, in un ingegnere ora agli studi all’estero, ed un laboratorio nel quale si possano fare- numerosi saggi ed analisi delle terre, cioè che sarebbe possibile nella medesima Stazione agraria. Circa alla carta geognostico-marmifera delle Apuane, alcuni ostacoli materiali ne impedivano eziandio l’esecuzione. Fra questi il principale era la mancanza, e la necessità quindi, di procurarsi anzitutto una carta topografica in grande scala, per esempio 1/5,000 e con curve, carta riconosciuta necessaria per tale lavoro, ed analoga a quella testé eseguita per le miniere ferrifere dell’ Elba. Si osserverà che questo lavoro topografìco-geognostico dovrebbe qui combinarsi con la sistemazione dei piani delle numerose cave marmoree, per le quali saranno n,ssai opportune delle disposizioni atte a prevenire intralci d’interessi e possibili disastri. Si spe- rava potersi giovare all’uopo delle carte catastali; ma le medesime vennero rico- nosciute affatto inadeguate allo scopo. Occorre perciò procedere alla levata di apposita mappa ; operazione non breve ed assai costosa. Si stanno però facendo- attive pratiche onde poter giungere a qualche combinazione, con il concorso della provincia e dei comuni. Si spera che, se non altro, la combinazione sarà più facile pel Carrarese, mediante l’accordo fra il comune e la Camera di commercio,. — 29 e che da questo centro importante si possa iniziare l’opera, alla quale sarebbero adibiti, per la parte geognosticra, l’ingegnere Zaccagna e l’aiutante Fossen. Intanto, in occasione della esposizione di Anversa, che ha luogo nel maggio del 1885, ed alla quale il Governo italiano si è impegnato, si divisò di inviarvi una raccolta di buoni campioni, in blocchetti ed in lastre, delle principali qualità industriali dei marmi scavati in quella catena; e un duplicato della medesima sa- rebbe fatto per il museo dell’ufficio geologico, il quale è tuttora assai povero. Tra le carte di pratica applicazione si può menzionare ancora quella geo- gnostico-mineraria dell’ Iglesiente in Sardegna, già iniziata anni sono dagli inge- gneri di quel distretto, ma che per mancanza della carta topografica si dovette limitare a poca estensione, della quale gli ingegneri stessi levarono la topografia a grande scala. Sarebbe interessante assai che simile carta geognostica venisse estesa almeno a tutto l’angolo S.O dell’ isola, in cui dominano i terreni antichis- simi intersecati dai giacimenti metalliferi. L’ ostacolo consiste nella suaccennata mancanza della carta topografica. E già sino da allora, cioè dal 1881, erasi re- clamato che quando si addivenisse dall’ Istituto geografico a fare la mappa del- V isola, tutto il suddetto angolo S.O (che comprende l’area di circa 3 fogli della carta al 1/100,000), venisse levato non alla scala solita del 1/50,000, ma a quella del 1/25,000, come si fece delle Alpi Apuane e dell’Elba. Ora siamo informati che venne incominciata tale carta ; ma se non si danno tosto speciali provvedimenti, la medesima sarà levata al 1/50,000 soltanto. Nell’epoca anzidetta l’ Istituto, interpellato, avea risposto che per fare rilievi nell’isola al 1/25,000, gli occorreva avere un supplemento di spesa, e questa dal Ministero di agricoltura e commercio. La stessa risposta vi sarebbe probabilmente da attenderne oggidì: e siccome tale supplemento di spesa sarebbe forse non lieve, così è impossibile che nello stato attuale del bilancio si possa avere tale somma nè sui fondi della carta geologica, nè forse da qualsiasi altro capitolo del bilancio . di quel Ministero. Sarebbe dunque da fare un altro tentativo presso il Ministero della guerra, il quale potrebbe forse trovar modo di accedere alla domanda, come già corte - semente fece altra volta per le cennate carte delle Alpi Apuane e dell’ isola d’Elba a vantaggio della scienza e della industria. (1) Pubblicazioni nel 1885. — Come pel seguito' del rilevamento della carta geo- logica, così per la pubblicazione della medesima la via è ormai tracciata e non resta che a proseguire alacremente la stampa di quei fogli che già sono preparati. E di questi già veniva dato un elenco nella seduta del Comitato geologico del 2 giu- gno 1884, non che in una lettera allora diretta dal presidente al ministro, in ri- sposta ad una sua interpellanza sulla spesa occorrente a stampare quanto della carta (1) Essendosi nel frattempo fatta la relativa domanda al Ministero della guerra, questo già ri- spose favorevolmente. — 30 — già era stato rilevato sul terreno. In complesso si aveva da stampare tutta la Sicilia al .1/100,000 in 28 fogli, oltre le tavole dei profili, più quella in piccola scala in un sol foglio : poi si avevano un 90 fogli o tavolette al 1/25,000, tra i dintorni di Roma e le Alpi Apuane; più infine l’Elba pure al 1/25,000 e l’Italia in piccola- scala. La spesa di stampa di queste carte era stata valutata in cifra tonda a lire 200,000. Veramente questa cifra era alquanto limitata, sovratutto se volevasi fare la pubblicazione con la ricchezza di indicazioni e di illustrazioni che oggi sono in uso nelle migliori opere di tal genere. Ma di fronte alla difficoltà che sinora incontrasi ad ottenere un grande aumento di fondi, erasi allora creduto prudente il limitare quanto possibile la domanda. Intrapreso intanto il lavoro della stampa, non mancò di presentarsi quel cumulo di difficoltà che si riscontrano nello impianto di un ramo quasi nuovo di industria cromo-litografica assai complicato e difficile. L’unico stabilimento nella capitale che presentavasi come capace ad un lavoro di questa importanza era la litografìa Virano e Teano, la quale già avea dato saggi notevoli di sua capacità nei lavori pel Congresso geologico di Bologna, ed era pronto a sottostare ai notevoli anticipi di capitale a ciò necessari. Ma nel frattempo moriva il socio Teano che era capace litografo, i cui calcoli preventivi della spesa erano serviti di prima base alla cifra succennata; ed inoltre essendosi presentate difficoltà nello avere buoni artisti speciali se ne dovettero far venire appositamente anche dall’estero, come si dovette far fabbricare appositamente la carta, incettare grande quantità di pietre litografiche; e insomma, si dovette sottostare a costosi impianti ed esperimenti. Con tali sforzi venne raggiunto il risultato, e come già più sopra esponevasi, la stampa della Carta geologica è ora avviata in modo da corrispondere bene, conciliabilmente con le circostanze, allo scopo che si aveva prefìsso. Realmente il costo dei primi fogli superò il costo medio dapprima preventi- vato ; ma ciò dipese oltreché dalle insorte difficoltà, anche dal miglioramento adot- tato del lavoro, e che si volle più completo onde meglio soddisfare alle esigenze crescenti del pubblico scientifico ed industriale. Ad ogni modo si ha ora nella capitale uno stabilimento che all’occorrenza potrebbe darci stampato in un tempo assai breve il numero di fogli che si desidera. Se oggidì il Ministero chiedesse ancora al Comitato quale somma occorra per stampare tutte le carte già rilevate con le relative memorie ed illustrazioni, certo che la somma anticamente indicata di L. 200,000 non potrebbe più essere sufficiente, poiché oltre alle suindicate maggiori esigenze del lavoro, è da avver- tire che oggidì accrebbe anche il numero dei fogli rilevati sul terreno, e si rico- nobbe la convenienza di pubblicare insieme alle carte scientifiche anche diverse carte più adatte alle applicazioni. E lo stesso valga per le memorie descrittive e loro diverse illustrazioni. La spesa crescerebbe così di molto ; ma per altra parte si potrà risparmiare alquanto stampando non alla scala massima del 1/25,000 tutte le carte rilevate a simile scala, ma quelle soltanto delle regioni più inte- ressanti, cerne sarebbero i dintorni più immediati di Roma, e nelle Alpi Apuane la zona marmifera. Attenendosi ad un calcolo discreto, può dirsi che per ese- guire la pubblicazione delle carte delle regioni oggidì rilevate, è prudente non stare sotto alla cifra di L. 350,000. Simile pubblicazione potrebbe oggidì ottenersi, volendo, dallo stabilimento sovra menzionato, nello spazio di 4 o 5 anni, onde durante tale periodo si avrebbe - una spesa annua di L. 70,000. Ma occorrerà oltracciò un’ altra somma per tenere la pubblicazione della Carta al corrente dell’ annuo rilevamento in campagna; per il che nello scorso anno era stata valutata una somma annua di L. 20,000. Ma anche per questa erasi ristretta al minimo la proposta : mentre oggidì è il caso di accelerare il rilevamento, ciò che il Ministero renderebbe possibile mediante 1’ aumento da lui proposto pel corpo degli ingegneri delle miniere. In conseguenza del che, a vece delle L. 20,000 occorrerebbero annualmente almeno L. 35,000. Con simili assegni, cioè L. 350,000 da spendere in cinque anni oltre a L. 35,000 per Tandamento annuale, V opera della Carta geologica comincierebbe ad essere avviata in modo che il pubblico potrebbe sentirne immediato van- taggio. Il Ministero, tenendo conto in quanto poteva, della più modesta valutazione dello scorso anno, cioè delle L. 20,000, e stretto sempre da molteplici difficoltà, aveva tuttavia proposto a partire dal nuovo anno finanziario 1885-86 un aumento di L. 20,000 sull’assegno annuo della Carta geologica, specialmente in vista della desiderata pubblicazione. Però dal sovraesposto nuovo stato di cose, tale aumento apparirebbe non adeguato all’entità dell’ opera intrapresa e che ora disponendo di un fondo maggiore, si potrebbe compiere in un tempo assai breve con van- taggio del paese. Di tali considerazioni potrà poi il Ministero stesso tenere il debito conto in nuove proposte che credesse poter fare sia nel bilancio rettificato del 1885-86, sia ed almeno in quello dell’anno successivo. — Vidi ultimamente il bilancio dell’ufficio geologico centrale degli Stati-Uniti d’America. Per lo stesso anno finanziario 1885-86 sono inscritti 600,000 dollari pei lavori di rileva- mento, oltre a 200,000 dollari almeno che spende la stamperia del Governo per le carte e memorie; in tutto 800,000 dollari,' cioè più di 4 milioni. E vero che una parte di tanta spesa va nel rilievo topografico, che colà sovente deve ancora precedere il lavoro geologico; ma ciò non di meno la somma spesa annualmente dall’ ufficio centrale (e mentre ognuno degli Stati ha tuttavia il suo ufficio geologico speciale), ci dà un esempio ben grandioso di ciò che fa un paese giovane e pro- grediente. Collezioni e laboratorii. — Venne detto a suo luogo come nel decorso 1884 erasi alfine potuto dare sesto provvisoriamente a buona parte delle collezioni che già si possedevano. Ove da ora innanzi più non avvenisse di dovere impiegare parte del fondo assegnato alla geologia per lavori di compimento, si potrebbe destinare man mano qualche somma a vetrine, ed altro mobilio per ricettare — 32 - in modo conveniente le crescenti collezioni geologiche. E lo stesso potrebbe farsi per le raccolte di minerali utili,, come sono i materiali edilizi ed ornamentali, i combustibili fossili e simili. Quanto ai laboratori, sempre ancora se ne è privi. Ei sarebbe facile bensì il corredare meglio quello già iniziato al secondo piano dell’edifizio, per il taglio e lo studio microscopico tanto delle roccie che dei fossili e dei microrganismi. Ma per lo studio qhimico ci converrebbe per lo meno come già sovra cennavasi, ot- tenere accesso a quello stato recentemente riordinato e arredato della Stazione agraria. Ed. allora potrebbe venire chiamato a Roma, oltre al paleontologo, anche il mineralogó qhe ora deve ancora stare al Valentino in Torino. A tale proposito del trasloco a Roma di personale tuttavia residente in provincia, egli è opportuno un cenno sull’attuale sezione delPufjlcip, geologico residente in Pisa, avendo il Ministero richiesto tempo fa se non convenisse ornai richiamarlo tutto nelPUffìcio geologico centrale. Certo tale concentramento nella capitale dovrà essere fatto in un tempo più o men breve : ma sino ad ora la sezione di Pisa ebbe motivi speciali di esistenza. La medesima infatti veniva colà stabilita sin da quando si cominciò il lavoro regolare della Carta geologica in varie parti d’ Italia, costituendosi però soltanto dai due ingegneri Lotti e Zaccagna, aiu- tante-ing. Fossen, e paleontologo dott. Canavari, con la sopravisione del presidente del R. Comitato, Meneghini, professore a quella R. Università 'e direttore dell’an- nesso Museo, geologico. I lavori principali da quella sezione eseguiti e che tuttora in parte si proseguono, sono nelle Alpi Apuane e lucchesi, nell’ Isola d’Elba, nei monti del Livornese e del Volterrano, non che nell’ Appennino fiorentino e dintorni, regioni tutte di cui è comodo centro Pisa. Intanto per il necessario studio delle roccie e fossili, serve ivi efficacissimamente il Museo di Pisa, ove tra le altre si trovano le classiche collezioni dei primi geologi toscani, mentre nulla di pa- ragonabile vi è sin ora nella capitale. Ora è evidente non solo la maggiore ricchezza di mezzi di studio, ma la notevolissima economia di tempo e di denaro 'die frutta simile residenza nel centro dei lavori. Tale era stata la ragione prima che avea indotto quasi per necessità' a stabilire -quella sezione, e che consiglia a mantenerla ancora in via. eccezionale sino a che le circostanze sieno sensibilmente mutate. Congresso internazionale di Berlino. — Come venne più sopra annunciato, il Congresso internazionale che dovea tenersi nel settembre-ottobre del 1884 in Berlino, venne rimandato all’ epoca stessa del 1885. Le circostanze non essendone sensibilmente mutate, si può qui ripetere presso a poco quanto era stato detto in proposito nella relazione dello scorso anno. Secondo il voto espresso dal Co- mitato nella seduta 2 giugno dell’anno medesimo, noi dovremo inviare come mostra a tale Congresso, i diversi lavori geologici stati compiuti dopo il 1881; ciò che non si mancherà di fare. E in pari tempo, secondo il voto medesimo, si dovrebbe inviare ad assistere a tale Congresso uno almeno dei geologi dell’ufficio, pratico — 33 — della lingua tedesca, assegnandovi un sussidio sufficiente. Simile invio è infatti di tanta utilità che è inutile fermarsi a dimostrarlo. Ed anzi a tale proposito, credo bene di cogliere l’occasione per far presente al Comitato, come possa talvòlta riuscire utilissima, ed anzi necessaria, la missione all’estero di alcuno dei nostri geologi già provetti, per studiarvi qualche speciale questione attinente sia alla scienza che al servizio geologico. È vero che abbiamo sovente all’estero degli allievi-ingegneri da destinarsi alla geologia: ma non è ad allievi, ancora vergini di lavori e di studii speciali, che si possono affidare utilmente simili missioni, bensì a quelli che per la pratica già esercitata sono soli in grado di farle bene e in rapporto Con qualche scopo immediato di applicazione nel nostro paese. Mi limiterò qui su tale proposito a far cenno per ora della possibilità che occorra far studiare il sistema ora adottato altrove, in Inghilterra,, per esempio, per una nuova carta geologica limitata alle formazioni superficiali (drift-geology); non che allo Studio di certi sistemi speciali di consolidamento di terreni molto franosi e simili. Ancora del Comitato dei lavori topografici. — Finalmente, tornàndo per un momento all’argomento delle carte topografiche, argomento per noi così impor- tante, non posso a meno di rammentare la proposta già fatta tempo fa, segnata- mente nella seduta 24 aprile 1883, e dal R. Comitato fatta sua, è vivamente racco- mandata al Ministero, la istituzione cioè di un Comitato interministeriale di la- vori topografici , con il compito di studiare annualmente le occorrenze ' dei vari dicasteri in fatto di carte topografiche e indicarle 'all’ Istituto 'geografico onde le eseguisca, ripartendone all’uopo la spesa fra i dicasteri medesimi. Però il Mini- stèro d’agricoltura, industria e Commercio, distratto forse da tante altre cure, non potè ancora occuparsi di dare corpo, con ia coopcrazione deg'li altri ministeri, a tale propostale nuda venne fatto sin’ora. Contuttociò si deve riconoscere che l’Istituto suddetto, apprezzando le domande e le osservazioni fatte più volte dal nostro Comitato, non mancò di adottare di sua iniziativa diversi provvedimenti fra quelli reclamati per avere carte più nitide e perciò più adatte anche alle rappresentazioni geologiche.' Così, per esempio, ri- guardo alla carta al 1/100,000, quella appunto che serve alla pubblicazione geolo- gica, venne dall’Istituto deciso di tirarne da ora innanzi due edizioni: l’una col tratteggio dei monti come pel passato, l’altra colla sola planimetria, cioè senza tratteggio. Ed è questa edizione che potrà servir bene da ora innanzi per la stampa delle nostre carte geologiche. Sgraziatamente però non potrà la medesima aversi almeno per ora, se non per le carte al Nord di Roma, perchè di quelle al. Sud erano già annullati i modelli quando la utile decisione venne presa. ; -*-> ' / 'v^ff y Discussione sul bilancio del Ministero di agricoltura, industria e commercio (Servizio minerario e Carta geologica) per l’anno finanziario 1885-86 alla Camera dei deputati ed al Senato. In seguito a sentiti bisogni del servizio minerario , non che di quello della Carta geològica , il Ministero d ’ agricoltura, industria e com- mercio proponeva nel bilancio del nuovo anno finanziario 1885-86 un certo aumento di spese, il quale diede luogo a qualche discussione in Parla- mentio, porgendo occasione al Ministro di opportune osservazioni per giustificarle . Si crede interessante il riferire qui appresso alcuni cenni di informazione sul proposito, con brani dei discorsi del suddetto Mi- nistro e dei relatori del bilanciò , tanto alla Camera dei deputati che al Senato. Alla Camera dei deputati discutevasi nella seduta 29 maggio il bilancio preventivo del Ministero di agricoltura, industria, e commercio. A proposito del capitolo 22 ( Miniere e Cave ) stanziato in lire 233,900 con un aumento di lire 64,700 suH’anno precedente, per un proposto aumento del personale degli ingegneri ed aiutanti del R. Corpo Miniere, osservava il deputato Tecchio come simile mutamento d’organico, comunque necessario pel servizio, avrebbe dovuto, secondo la norma ammessa per altri organici, venire rimandato ad una legge speciale da proporsi, e chiedeva perciò spiegazioni al Ministro; alla quale do- manda così rispondeva l’onorevole Grimaldi, ministro. — Al pari delhonorevole Tecchio, la Commis- sione del bilancio ed il suo relatore si erano meravigliati della gra- vità della spesa; tanto che fui chiamato in seno della Sotto-giunta del bilancio, per dare schiarimenti. Questi persuasero il relatore e la Giunta del bilancio, e spero, che persuaderanno anche l’onorevole Tecchio. Non deve molto impaurirsi della somma; e per esaminare bene il problema, deve pensare che non si tratta di aumenti di stipendi, ma solo di aumento di personale. Così vanno posti i termini del problema. Attualmente il Corpo delle miniere, che è alla dipendenza del Mi- nistero di agricoltura, è composto di 43 persone; io domando l'aumento di altre 19. 36 — In quanto allo stipendio, io ricordo all’ onorevole Tecchio ed alla Camera, che esso è fissato con la legge del Genio civile, col quale il Corpo delle miniere ha comune lo stipendio. Quindi in non domando aumenti all’uopo, nè li potrei domandare in sede di bilancio. Domando però, che il personale delle miniere sia aumentato. Per quale ragione? Eccola. Il Corpo delle miniere ha il compito di dirigere diverse scuole mi* nerarie esistenti in Italia, tra cui una nella Sicilia (Caltanissetta), ed una in Sardegna (Iglesias). Dippiù, questo corpo delle miniere ha l’uf- ficio di sorvegliare e ispezionare tutte le miniere e le cave che sono nella circoscrizione dì ciascun distretto minerario ed ha il grave peso di compilare la Carta geologica. Questo Corpo, composto di 43 persone in tutto nella attualità, oltre a questo fornisce i professori della materia alla scuola degli ingegneri di Roma, ed agli istituti di Torino e Milano. Da gran tempo è organizzato nel modo, che ho detto, ed il per- sonale bastava. Ora sono cresciuti gli insegnamenti; sono cresciute le miniere e le cave da sorvegliare; sono forti i bisogni per la Carta geologica; e questo ufficio ha acquistato maggiore importanza. Ma quello che è più grave, si è che il personale delle miniere, più che a servizio del Mi- nistero d’agricoltura, è in servizio di tutti i ministeri, specialmente di quello dei lavori pubblici e dell’ interno. Il primo di essi ha giustamente disposto, che per ogni tracciato di strada ferrata, sia necessaria la ispezione e la relazione degl’inge- gneri delle miniere. Non ho bisogno di esporre le ragioni di questi provvedimenti, che l'onorevole Tecchio può ben intendere. D’altronde, anche oggi, come altre volte, si è lamentato nella Ca- mera il danno delle frane. Quando si verifica una di queste, il ministro dell’interno domanda ingegneri delle miniere, sia per prevenire peri- coli di questo genere, sia per riparare ai danni successi. Non ho bi- sogno di rammentare alla Camera i milioni pagati dallo Stato per tracciati di ferrovia, che si son dovuti abbandonare per mancanza di visite e pareri degli uffici minerari. Dunque questo Corpo, il quale in origine aveva un limitato numero di miniere da sorvegliare, e tre scuole da dirigere, oggi invece deve sorvegliare un molto maggior numero di miniere e cave; deve dare il personale ad Istituti superiori ; deve essere a disposizione del Ministero dei lavori pubblici per qualunque tracciato di ferrovia o di strada, che abbia una certa importanza; deve essere a disposizione del Ministero dell’interno per quanto riguarda le frane. - 37 — Dopo queste ragioni, che potrei apoditticamente provare, spero che alFon. Tecchio (come alla Commissione del bilancio), appaia giustificato l’aumento di 19 persone, da me domandato. In ultimo mi permetto sottoporre una considerazione alla Camera. Può sorgere talvolta il pensiero che, con le proposte di mutamenti organici, si voglia aver riguardo alle persone, più che alle vere necessità del servi- zio. Certo nessuno di noi può essere ispirato da questo genere di conside- razioni, ma talvolta si fa strada la supposizione contraria. Ora qualunque più lontano pensiero deve essere bandito per l’organico, del quale di- scutiamo. 11 Corpo delle miniere è un corpo tecnico, non amministra- tivo ; è un corpo rispettabile ; ha difficili e delicate attribuzioni ; ed ha sempre disimpegnato con molta cura il debito suo. La domanda di au- mento, che vi sottopongo non nasce da richiesta alcuna fatta diretta- mente o indirettamente dagli ingegneri delle miniere. Essa nasce dalla mia iniziativa, perchè ho dovuto personalmente convincermi dell’impre- scindibile necessità di aumentare il numero di essi per rispondere alle esigenze del servizio affidato al mio ministero. L’onorevole Tecchio replica che pur convenendo col Ministro sulla neces- sità dell’aumento non ne vedrebbe l’urgenza per ammetterlo così, in sede di bilancio, a vece di rimetterlo ad una prossima legge da proporre. — Allora in- terviene il relatore : Merzario, relatore. — L’onorevole mio amico Tecchio ha detto che questa variazione d’ organico non è strettamente in consonanza colla massima deliberata dalla Commissione generale del bilancio. Io non so se l’onorevole Tecchio abbia bene esaminata la formula di quella mozione, la quale fu scritta in principio della relazione del primo bilancio che abbiamo discusso, del quale era relatore l’onorevole Boselli. La delibe- razione presa dalla Commissione del bilancio il 18 maggio suona così : « La Giunta generale delibera di rimandare impregiudicate tutte le variazioni e gli aumenti di spesa relativi ai ruoli organici delle ammi- nistrazioni che non derivino necessariamente da nuove leggi, o che non vengano reclamate da esigenze improrogabili dei pubblici servizii. » Vede P onorevole Tecchio che due ragioni possono giustificare le variazioni degli organici : l’applicazione di nuove leggi, o una necessità improrogabile di pubblici servizi. Orbene, onorevole Tecchio, l’onorevole Ministro venne avanti alla Commissione generale del bilancio e disse : Io non posso fare senza di un aumento di personale degl’ingegneri delle miniere e indicò le ragioni di un provvedimento che riteneva indispensabile. Prima la Sotto-commissione — 38 — poi la Commissione generale esaminarono e discussero queste ragioni, e avendole trovate giuste e imperiose, dovettero arrendersi e concedere da parte loro il chiesto allargamento delPorganico. L’onorevole Ministro ci disse : vedete di quanto siansi aumentati i lavori ferroviarii ; il Ministro dei lavori pubblici ci richiede sempre degli esperti ingegneri delle miniere, perchè essendo essi versati nella scienza geologica, possono dare utili consigli agli ingegneri delle ferrovie nello studio dei terreni. Purtroppo noi abbiamo l’esempio di alcune ferrovie i cui lavori si erano iniziati e dovettero essere sospesi ed anche ab- bandonati, perchè non avendo tutti gli ingegneri delle ferrovie -le neces- sarie cognizioni della formazione del suolo e sottosuolo, incontrarono nel progresso dei lavori tali difficoltà che li costrinse ad abbandonare i lavóri già fatti. L’onorevole La Porta, che mi siede accanto mi suggerisce che la linea di Montedoro vicino a Palermo dovette essere in parte abbando- nata per le difficoltà che s’incontrarono, in conseguenza di difetto di perfette cognizioni e di perfetti studi geologici. Capirà l’onorevole Tec- chio che di fronte alle grandi spese che andarono sprecate nella co- struzione di questo, che ho citato, e di altri tronchi ferroviari, il mi- nistro dei lavori pubblici fa bene a chiedere il concorso di ingegneri che siano geologi; e l’onorevole ministro di agricoltura potè con ra- gione chiedere ciò che ha chiesto. L’onorevole Ministro Grimaldi ac- cennò quindi al grande sviluppo che ebbero in questi ultimi anni gli scavi delle miniere, che devono per la sicurezza essere invigilate dal Governo. In questi stessi giorni abbiamo sentito da tutte le parti della Ca- mera deplorarsi i danni che succedono nei lavori degli scavi delle miniere. I proprietari, gl’ imprenditori di queste miniere che si sono ampliate, principalmente nella Sardegna e nella Sicilia si rivolgono spesso alle autorità governative, e domandano 1’ intervento e 1’ aiuto degli ingegneri minerari per poter lavorare con sicurezza e scansar molte disgrazie. Poss’ io, disse l’onorevole Ministro, rifiutarmi a queste domande e preghiere, negare i mezzi per garantire la vita di tanti operai che vivono sotto terra e lavorano fra i pericoli per guada- gnarsi un po’ di pane ? L’ argomento dell’ onorevole Ministro era ben stringente. Dove, soggiungeva 1’ onorevole Ministro, dove vo io a prendere questi ingegneri ? Oramai l’organico è vecchio, data da molti anni, e talvolta quando si trovano, si adoperano degli straordinarii che non sono sempre molto esperti. — 39 — Conviene dunque fissare un ruolo stabile con maggior numero di ingegneri che abbiano l’autorità e la responsabilità, e servano a pre- venire dei disastri e anche delle spese inutili; meglio risparmierà una non ingente spesa, come quella che abbiamo qui. Per certe ragioni, prima la Sotto-commissione, poi la Commissione generale, si convinsero come questa variazione di organico dovesse ritenersi effetto di una necessità improrogabile di servizio e diedero il loro voto favorévole. L’onorevole Tecchio, che è acuto osservatore, avrà rilevato dal tenore di questa parte della mia relazione, che dovetti scrivere alla lesta in tre giorni, come la Commissióne generale avesse scartato in sulle prime questa variazione di organico; avrà notato l’ onorevole Tecchio una specie di aggiunta che non lega troppo bene coi prece- denti. Ciò sta a dimostrare quello che ho detto e ripeto: che la Giunta generale era impensierita e impressionata come l’ onorevole Tecchio di quest’aumento di 64 mila lire. Udito il signor Ministro, dinanzi all’evidenza delle ragioni ed alla necessità riconosciuta, la Giunta generale chinò il capo e dovette ce- dere : nello stesso modo, io spero e lo prego, vorrà cedere anche l’a- mico mio onorevole Tecchio. Il deputato Tecchio però insiste ancora sulla negativa, ma soltanto perchè non vede nella proposta deH’aumento il carattere di improrogabile urgenza benché ne riconosca in fondo la necessità. Allora soggiunge il Ministro : Grimaldi. — Mi pare che cominciamo ad intenderci. L’onorevole mio amico Tecchio conviene della necessità di questo aumento; a che cosa dunque si riduce la questione? A vedere se è una necessità imprescindibile di farlo in quest’ anno o nell’ anno venturo. Così la questione perde ogni importanza. Se l’onorevole Tecchio avesse persistito nelle sue prime idee e non si fosse persuaso delle ragioni da me addotte, io capirei 1’ oppo- sizione sua al richiesto aumento. Ma, quando egli conviene della ne- cessità di esso, deve cadere ogni obiezione. Io gli dico un’ ultima pa- rola e la dirigo al cuore dell’onorevole Tecchio, sicuro di non fare un inutile appello. Non si tratta di legge speciale, che non occorre, ma soltanto di stanziamento di bilancio. Il Corpo delle miniere, in quanto agli sti- pendi, è regolato da legge, come ho detto; e quindi per modificarli * — 40 — occorrerebbe una legge speciale. Il numero delle persone che lo com- pongono, non è dalla legge indicato, e vi si provvede con gli annuali stanziamenti di bilancio: quindi o in quest’anno, o nell’altro, sempre in sede di bilancio si deve trattare la questione, mai con legge speciale. Ma, oltre le ragioni addotte da me e dall’onorevole Merzario, io prego l’onorevole Tecchio di voler considerare i gravi pericoli che s’ incontrano nei lavori delle miniere, ed i non pochi, nè lievi infortuni, che avvengono nella classe dei lavoratori di esse. Ne ho parlato e ne ho fatto una dolorosa statistica recentemente, a proposito della legge di responsabilità sugli infortuni del lavoro. Ebbene, sappia l’onorevole Tecchio, che sovente mi si domanda un ingegnere delle miniere per prevenire un pericoloso per riparare un danno, o per verificare se una miniera debba esser chiusa od infine per suggerire dei mezzi atti ad impedire una possibile iattura; e non posso disporre di alcun ingegnere, perchè tutti occupati in altri lavori. Vi Son spesso dei casi, nei quali la visita dell’ingegnere fatta un giorno prima, o con qualche ora di anticipo, può prevenire gravi di- sastri. Perciò parecchi colleghi, e parecchi sindaci delle provincie inte- ressate fanno richiesta al Ministero per l’aumento delle sedi degli in- gegneri minerari, ed io debbo stringermi nelle spalle e non posso se- condare le giuste domande, per mancanza di personale. Ho così provato la imprescindibile necessità di servizio e spero che l’onorevole mio amico Tecchio, non solo dalla mente, ma dal suo cuore si farà guidare, per ritirare la sua proposta. Tecchio. — L’onorevole Ministro ha invocato tali argomenti di- nanzi ai quali io non posso a meno di cedere. Ritiro dunque la proposta, tanto più che dopo l’insistenza dell’ono- revole ministro e dell’onorevole relatore è facile prevedere che le sorti di una votazione le riuscirebbero indubbiamente contrarie. Grimaldi, — lo ringrazio l’onorevole Tecchio di aver ritirato la sua proposta, ed attribuisco il ritiro non alla seconda causa, ma alla prima. Presidente. — Avendo dunque l’onorevole Tecchio ritirata la sua proposta, e non essendovi altre opposizioni, il capitolo 22 s’intenderà approvato. (E approvato). Vengono poscia approvati senza opposizione alcuni altri capitoli attinenti in parte al servizio medesimo, come Insegnamento minerario (Cap. 23), Spese — 41 — varie, indennità di viaggi, infortuni, esplorazioni (Cap. 24), Servizio geodinamico (Cap. 25 e 26). A proposito di quest’ ultimo il deputato Chigi fece poi nella seguente se- duta del 80 maggio alcune raccomandazioni concernenti la conservazione del- l’archivio geodinamico. Nella stessa seduta del giorno BO vennero approvati senza osservazione il capitolo 58 relativo all’ impianto di osservatorii geodinamici, ed il cap. 57 relativo alla Carta geologica. Nel capitolo della Carta geologica vi era un aumento sull’anno precedente di L. 20,000, aumento che va accresciuto di qualche altra sopima prima affetta ad un sussidio pel servizio geodinamico. Tale aumento era necessario princi- palmente per far fronte alle spese della incominciata pubblicazione della Carta geologica, pubblicazione assai costosa e che esigerebbe invero per procedere rapidamente lo stanziamento di somma assai più rilevante. Al Senato veniva in discussione il bilancio del Ministero d’ agricoltura, industria e commercio nella seduta del 22 giugno. Il relatore Perazzi, inge- gnere e vice-presidente del Consiglio delle miniere, aveva nella sua Re- lazione presentata il 2 giugno, giustificati gli aumenti dei suddetti due ca- pitoli (22, Servizio minerario) e (57, Carta geologica), e non sorse in Senato alcuna obbiezione; anzi a riguardo della Carta geologica, il senatore Cannizzaro che già altra volta avea rappresentato la opportunità di accelerare questo lavoro e pubblicare al più presto le parti già levate sul terreno, aggiunse nuove sol- lecitazioni al Ministero. Si riferiscono qui i due brani della Relazione del senatore Perazzi, concer- nenti i due suddetti capitoli, e le parole pronunciate dal senatore Cannizzaro nella seduta del giorno 22 giugno con la risposta del ministro Grimaldi. (Càp. 22). Miniere e Cace - Stipendi ed indennità al personale. — Per l’anno 1884-85 la spesa di questo servizio era di lire 169,200. Si propone di elevarla a lire 233,900. L’aumento è adunque di L. 64,700; ossia del 38.24 0j0. Nella nota preliminare del bilancio in esame (Vedi stampato n. 260, pag. 17) il Ministro così giustifica questa proposta. «Il personale ad- detto a questo importante servizio non è sufficiente al bisogno. Oltre di che per la sua speciale valentia è continuamente richiesto di pre- stare l’opera sua in incarichi estranei, e così avviene che non sempre si può provvedere a tutte le esigenze; e le visite e le ispezioni non sempre si possono fare con quella frequenza e sollecitudine che sa- rebbe desiderabile. Occorre quindi necessariamente di aumentarlo, ed a tale effetto si propone un nuovo .organico. (Vedi Allegato n. 4 al predetto stampato n. 260). L’aumento di personale sarebbe di 9 inge- — 42 — gneri, 2 allievi ingegneri ed 8 aiutanti. La spesa corrispondente è, ap- punto, di lire 64,700 ». La Commissione generale del bilancio aveva da prima non ac- colta questa proposta; ma in seguito, dopo di avere udito il Ministro, non potè persistere nel rifiuto (Vedi stampato numero 260 A, pa- gina 5). Venuto in discussione nella Camera elettiva questo capitolo del bi- lancio, nella tornata del 29 maggio, l’onorevole Deputato Tecchio in- vitò il Ministro a volere esporre alla Camera le ragioni del proposto aumento. All’invito rispose il Ministro svolgendo con notevole discorso quelle ragioni. Primieramente il Ministro osservò che non trattasi di aumentare la misura degli stipendi, perchè gli stipendi solfò fìssati dalla legge sul Genio Civile. Si tratta, invece soltanto di aumentare il personale, portando il numero degli ingegneri da 23 a 32, quello degli allievi ingegneri da 4 a 6 e gli aiutanti da 16 a 24. Poscia enumerò i vari servizi cui presentemente attende il corpo delle miniere: il servi- zio minerario , ossia la ispezione delle miniere, cave ed officine metal- lurgiche, e il trattamento degli affari a norma delle vigenti leggi per cui il Regno è diviso in 10 Distretti, alcuni de’ quali importantissimi, ad esempio quelli di Sicilia e di Sardegna: 1’ insegnamento minerario nelle scuole 1 dei capi minatori d’ Iglesias, di Caltanissetta e di Agordo; nella Scuola superiore delle solfare di Palermo, e nell’ Istituto supe- riore di Milano: la formazione e la pubblicazione della carta geologica d’Italia: lo studio , sotto il rispetto geologico,^' tracciati di strade ferrate , strade ordinarie , gallerie e altre opere pubbliche ; lo studio delle frane al fine di prevenire disgrazie ed occorrendo riparare ai danni: infine gli studi di geognosia agraria e d ’ idraulica agraria , serbatoi di montagna, pozzi forati, canali ecc. In guisa che, aggiunse il Ministro, il personale delle miniere, più che al servizio del Mini- stero di Agricoltura, è al servizio di tutti i ministeri, specialmente di quelli dei Lavori Pubblici e dell’ Interno. Queste considerazioni del Ministro, determinarono la Camera dei Deputati ad approvare il predetto aumento, ed hanno indotto nella Commissione di finanza la persuasione della convenienza della fatta proposta. Trattasi invero, di una spesa la quale apparisce necessaria, perocché provvede ad un pubblico servizio assai importante, non suffi- cientemente fornito dell’occorrente personale. Più volte e in solenni circostanze nell’ aula del Senato si è sentita ripetere l’avvertenza che non tutti i servizi dello Stato erano dotati di mezzi sufficienti. Il ser- vizio ora in questione offre una prova della verità di quell’avvertenza. — 43 — Ed è notevole che un aumento di spesa così importante, per dotar meglio questo pubblico servizio, sia stato fatto dall’attuale Ministro di agricoltura, il quale, essendo Ministro del tesoro, si mostrò austero così da abbandonare quell’ altissimo ufficio piuttosto che indebolire la pubblica finanza. Pertanto la Commissione, conchiudendo, propone al Senato di ap- provare la proposta del Ministero. Seguono nella Relazione diverse considerazioni relative all’ impianto del servizio geodinamico, pel quale si richiede ora in complesso una somma di circa 117,000 lire, gran parte per impianto di nuovi osservatori! di cui uno all’ isola d’ Ischia, 1’ altro sul Monte Laziale presso Roma. Sulla Carta geologica espone il relatore : (Cap. 57). Carta geologica d’Italia. — La somma approvata collo stato di previsione per il 1881-85 era di lire 91,800, ed ora si propone di elevarla a lire 111,800. Il senatore Cannizzaro, nelle tornate del Senato del 6 e 14 maggio dell’anno decorso, trattò con singolare competenza questo argomento, importante, come egli ben disse, non solo per la scienza, ma ancora per 1’ industria e per l’agricoltura. E invero, la Carta geologica di un paese, indicando la interna sua costituzione e le sostanze minerali utilizzabili, presenta quasi l’inventario delle sue risorse in fatto d’in- dustrie estrattive ed agricole. Al minatore essa indica i giacimenti mi- nerari; al costruttore le cave dei materiali da impiegare nelle varie- specie di lavori e i dati per determinare la maggiore o minore soli- dità dei terreni su cui stabilire le opere; all’agricoltore, infine, i terreni da bonificare o migliorare. Prova ne sia che i vari stati d’ Europa e d'Ame- merica, e Y India inglese, hanno già fatta, o stanno completando, la propria Carta geologica, spendendo somme assai ragguardevoli. Il Governo inglese spende ora circa 700,000 lire all’anno. Quasi altrettanto spende il Go- verno dell" India inglese. I singoli stati d'’ America vi destinano impor- tanti fondi, mentre il Governo federale assegnò ultimamente all’Ufficio geologico centrale circa tre milioni annui pei rilevamenti, e circa un milione di lire per la pubblicazione delle carte rilevate. Presso di noi, fino dal 1861, si deliberò di provvedere alla formazione della Carta geologica , geognostico-agraria e mineraria , prendendo per base la nuova carta topografica dello Stato Maggiore al Vsoooo. Ma quella savia e sagace deliberazione rimase quasi dimenticata per lunghi anni a ca- gione delle strettezze in cui versava la pubblica finanza. Però, non — 44 — appena vennero per questa tempi migliori, con R. decreto del 15 giugno 1873, n. 1421 (serie 2), furono determinate le norme per la formazione e la pubblicazione della Carta. Queste operazioni vennero affidate ad una sezione del Corpo delle Miniere , sotto V alta direzione scientifica di un Comitato geologico. Da prima assai scarso fu il fondo a ciò ac- cordato ; nel 1877 fu portato a 30 mila lire; nel 1878 a 45 mila; a 61 mila nel 1880; poi a 91, e così rimase nei successivi bilanci; ed ora trattasi di rielevarlo a 111 mila,, soddisfacendo così ad un impegno dal Ministero assunto innanzi al Senato. Infatti il Senato rammenterà che Y onorevole senatore Cannizzaro, in quel notevole discorso, disse di sapere bensì che la nostra Carta geologica si stava formando per opera di un Comitato, ma ritenere potersi procedere più sollecitamente; e raccomandò vivamente al Mi- nistro di procurare l’ iscrizione nel venturo bilancio della somma indi- spensabile per compiere con sollecitudine la pubblicazione della parte di Carta geologica già rilevata. 11 Ministro convenne coll5 oratore sul- l’importanza dell’argomento ; ritenne essere obbligo del Governo di prov- vedere a questo servizio il più sollecitamente che può; ed assunse l’ im- pegno di aumentare nel prossimo bilancio la somma, per modo da poter rendere possibile l’ iniziamento della pubblicazione della Carta geolo- gica, già formata in grande scala. Qui occorre un’ indagine. Col fondo di lire 30,000, concesso ora per la stampa della Carta geologica , in quanti anni si provvederà alla pub- blicazione della parte della medesima, già formata in grande scala ? È già formata in iscala di 750000 (la zona zolfifera in iscala di 725000), la Carta di tutta l’ isola di Sicilia. È pure formata, al 725000, quella di una vasta zona dell’Italia Centrale, avente Roma per centro, nella quale sono pure iniziati studi speciali per il bonificamento idraulico ed agrario dell’agro romano. E nella medesima scala è formata la Carta della regione che si estende dal golfo di Spezia ai monti livornesi, includendo l’ importantissima catena marmifera di Carrara. E finalmente nelle scale di V25000 e di 750000 quella dell’Elba, ricchissima di ferro. Ma di pub- blicato, con la stampa in grande scala, non si ha presentemente che questa dell’Elba; ed in corso di stampa è ora soltanto quella della Sicilia al 7 100000 in 28 fogli. La stampa di questa Carta della Sicilia^ con le tavole di sezioni geologiche e le relative illustrazioni, esigerà una somma per certo non minore di lire 80,000, ed altrettanta somma occorrerà per la stampa delle carte di ciascuna delle altre due re- gioni predette (Roma e Carrara). Dal che si deduce che la stampa della parte di Carta geologica già formata esigerà la spesa di circa 250,000 lire. r 45 — Poi è d’avvertire che l’ Ufficio geologico, con prodotto sempre più ra- pidamente crescente, andrà via man mano preparando altre parti, e che anche alla stampa di queste parti converrebbe poter provvedere man- mano. Vedrà quindi il Ministro se non. convenga nei futuri bilanci au- mentare ulteriormente il fondo destinato alla stampa di questa Carta, di vera utilità per la scienza, per l’industria e per l’agricoltura. Nella seduta del Senato del 22 giugno 1885, al cap. 57, Carta geologica, il senatore Cannizzaro domanda ed ottiene la parola. Cannizzaro. — Io debbo ringraziare il Relatore della Commissione d’ aver voluto, col suo voto autorevole, rafforzare la raccomandazione, che più volte io ho fatto al Ministro di agricoltura e commercio, di affrettare cioè la pubblicazione di quella parte della Carta geologica che è già compilata. E inutile che io ripeta qui gli argomenti che sono stati altre volte detti per dimostrare 1’ utilità di questo lavoro, e non porrò innanzi al Senato i vantaggi scientifici ed economici di questa Carta. 10 mi associo al parere dell’egregio Relatore tanto competente nella materia, che la somma stabilita in bilancio non è sufficiente. 11 lavoro della Carta geologica, per quanto ne sanno coloro che ne prendono informazioni, è già molto avanzato e la stampa progre- disce rapidamente ; per essa si è formato, con capitali privati uno sta- bilimento litografico; ma se la stampa già incominciata non potrà pro- seguirsi per difetto di fondi, questo stabilimento sarà costretto a fallire. A me pare quindi utile che coloro i quali dovranno compilare il bilan- cio di Agricoltura negli anni successivi, e nello stesso tempo il paese, siano informati che questa parte di spesa va notevolmente aumentata, come lo stesso onorevole Relatore della Commissione, benché con molta moderazione, ha convenuto. Dirò anzi di più : io credo che questa cifra di spesa dalla categoria delle straordinarie finirà per passare nella categoria delle ordinarie, poiché, allorché il lavoro della Carta geolo- gica sarà bene avviato, non potrà arrestarsi più; appena compiuto comincerà il lavoro di riesame, e così la spesa per tale lavoro asse- gnata dovrà indubbiamente divenire ordinaria Io dunque ringrazio l’onorevole Relatore per avere rafforzato la mia raccomandazione, e nello stesso tempo per aver messo in avver- tenza il Governo che la cifra assegnata è scarsa, e che negli anni suc- cessivi bisognerà provvedere un po’ più largamente a questo che è veramente un interesse grave dell’ industria, interesse che il pubblico 46 forse, non apprezza abbastanza, ma che il Governo deve valutare in tutta la sua importanza. Grimaldi, Ministro di agricoltura, industria e commercio. — Do- mando la parola. Presidente. — Ha la parola. Grimaldi, Ministro di agricoltura industria e commercio. — Chiedo la parola unicamente per fare un’osservazione. L’ onorevole senatore Cannizzaro nell’ anno decorso, in occasione del bilancio (come è ricordato dall’ egregio Relatore della Commissione) parlò di questo argomento, e io assunsi impegno di domandare un au- mento di fondi. L’ impegno per parte mia fu mantenuto, perchè ho chiesto la iscrizione in bilancio di quella maggior somma, che il Co- mitato geologico mi indicò come necessaria per ora. E questo io tengo a constatare. Comprendo del resto, e consento con 1’ onorevole sena- tore Cannizzaro, che 1’ aumento forse non basta, e che bisognerebbe andare più in là per le ragioni esposte da lui, e riassunte nella Rela- zione dell’onorevole Perazzi. Progredendo i rilevamenti geologici, deve pur crescere la spesa di stampa. Presidente. — Se nessun altro domanda di parlare sul capitolo 57, si prosegue nella lettura degli altri capitoli. Nessuno chiese più di parlare sul detto capitolo, il quale rimase così ap- provato,