' Amo 1889 Voi. XX doliti Raccolta N.le 2 Voi. X della 2a Serie R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. 1839 Bollettino N.“ 1 e 2 Gennaio e Febbraio ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE di Reggiani & soci 1889. m V*>,, ** iàm ELENCO del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico R. Comitato Geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia nella R.Università di Bologna, Presici. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli ingegneri in Torino. De Zigno Achille, membro nel R. Istituto Veneto, a Padova. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Padova. Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napoli. Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, a Imola. Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania. Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe- riore di Milano. Struver Giovanni, prof, di mineralogia nella R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma. Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma. Personale addetto ai lavori della Carta Geologica. Direzione superiore : Ing. Giordano Felice, Direttore. Ing. Pellati Niccolò. Ufficio centràle (in Roma): Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Geologi operatori : Ing. Baldacci Luigi, Salerno. Ing. Lotti Bernardino, Pisa. Ing. Cortese Emilio, Catanzaro. Ing. Zaccagna Domenico, Pisa. Ing. Mattirolo Ettore, Torino. Ing. Viola Carlo, Salerno. Ing. Novarese Vittorio, Catanzaro Ing. Aichino Giovanni, Catanzaro. Ing. Sabatini Venturino, Salerno. Ing. Franchi Secondo, Torino. Ing. Mezzena Elvino, Salerno. Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa. Sig. Cassetti Michele, aiutante, Roma. Sig. Moderni Pompeo, aiutante, Roma. Personale distaccato : Dott. Canavari Mario, Pisa (paleontologo). La sede dell’Ufficio geologico in Roma è nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 1-A. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA- 1889. — Anno XX. 1889. - Anno XX. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO I)’ITAL1A. Volume Ventesimo (10° della 2a Serie) N. 1 a 12 ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1889. • V.“ - . - 37- BOLLETTINO BEL R. COMITATO GEOLOGICO I)’ ITALIA. Serie IL Voi. X. Gennaio e Febbraio 1889. N. 1 e 2. SOMMARIO. Introduzione. Memorie originali. — I. Appunti geologici sull’isola di Giannutri (Arcipelago to- scano), del dott. Y. Simonelli. — II. La trachite e il tufo di Rispampani presso Toscanella, di P. Moderni (con una tavola). — III. Sulla età del cal- care appenninico di Capri, del dott. Gr. Steinmann. Estratti e riviste. — ■ Analisi petrografia di una serie di roccie dei dintorni del lago di Bolsena, del prof. C. Klein. Notizie diverse. — Osservazioni geologiche nelle Alpi. — Le folgoriti del Monte Viso. Necrologia. — G. Meneghini. — G. Seguenza. Avviso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia. Tavole ed incisioni. — Tav. I : Veduta del tufo trachitico presso Rocca Rispam- pani (P. Moderni), a pag. 25. — Sezione geologica presso Toscanella, a pag. 24. Parte ufficiale. ‘ — R. Decreto 21 febbraio 1889 col quale il prof. G. Capellini è nominato Presidente del R. Comitato Geologico. — R. Decreto 28 detto nel quale il prof. Omboni è nominato membro del R. Comitato Geologico. Nell’anno 1888, essendosi d’alquanto aumentato il per- sonale addetto ai lavori della Carta geologica, si potè dare principio ad un ordinamento più regolare dei lavori stessi per mezzo degli uffici di sezione, collocati nei vari centri di rilevamento, alcuni dei quali già funzionavano da diversi anni : essi sono attualmente in numero di cinque, aventi rispetti- vamente sede in Torino, Pisa, Roma, Salerno e Catanzaro. Diamo qui in poche parole un cenno dei lavori speciali eseguiti durante l’anno dalle singole sezioni, sia pel rileva- mento regolare in grande scala, sia per lavori di semplice ricognizione o revisione di rilevamenti già eseguiti, non che dei lavori principali dell’ Ufficio centrale. La sezione di Torino, avente per ora il compito di ri- levare la regione alpina occidentale sino al confine con la Francia e la Svizzera, intraprese il regolare rilevamento a par- — 2 — tire dalle valle della Doria Riparia verso Sud, comprendendo anche la vicina vallata del Sangone e raggiungendo il con- fine politico sopra Bardonecchia. La superficie rilevata fu di chilm. quadrati 510. Diverse ricognizioni furono anche ese- guite nel Biellese, nella Yalsesia e a ponente del Lago Mag- giore, regioni di molta importanza per costituzione geologica assai variata. Dalla sezione di Pisa venne eseguita una certa quantità di rilevamento sia nell’alto Appennino, sia nella parte cen- trale della Toscana e anche intorno a Firenze; ma sovratutto molto lavoro di revisione si dovette fare per la prossima pubblicazione della Carta delle Alpi Apuane e ancora per quella della Carta generale d’Italia in piccola scala. La su- perfìcie rilevata a nuovo in questa regione fu di chilometri quadrati 980. Nell’Italia centrale, la sezione avente sede in Roma, presso l’Ufficio geologico, ha eseguito rilevamenti principalmente al- l’estremo Sud della zona, nelle provincie di Avellino, Bene- vento e Campobasso, non che nella parte meridionale delle provincie di Aquila e di Chieti. Altro rilevamento fu pure fatto nella regione tra il lago di Bolsena ed il mare. L’area totale rilevata fu di chilm. quadrati 4405. Oltre a ciò furo- no eseguite diverse revisioni nei fogli circostanti a Roma, da tempo rilevati e che si dovevano pubblicare. La sezione di Salerno, avente per compito di estendere il rilevamento al Sud di Napoli (dove era giunta la sezione centrale) verso la Calabria e nella Basilicata, non potè per circostanze varie incominciare il suo lavoro prima del maggio e dovette anzitutto occuparsi di una generale ricognizione — 3 — del territorio da rilevare. Ciononpertanto l’area rilevata alla fine d’anno raggiungeva i chilm. quadrati 3610, in gran parte lungo il litorale da Salerno verso Sud e, all’ interno, nel Tallo di Diano. In Calabria finalmente il rilevamento si sviluppò special- mente in provincia di Catanzaro, con una superficie totale di cliilm. quadrati 4307, per buona parte in terreni cristallini che richiesero uno studio assai minuzioso. Agli anzicennati rilevamenti va aggiunto il lavoro della Carta geognostico-idrografica della vallata del Po, il quale la- voro nel 1888 ebbe notevole incremento; per il che si può credere che, entro il 1889, possa essere ultimato, almeno per il Piemonte, l’Emilia e quella parte della Lombardia occiden- tale per la quale esiste la nuova carta dell’Istituto geografico. L’area totale rilevata fu di chilm. quadrati 7620. Un interes- sante studio venne poi fatto per lo stesso scopo sul delta del Po e sulle variazioni dell’alveo di detto fiume nei tempi de- corsi ; studio che verrà a suo tempo fatto di pubblica ragione. Oltre ai già accennati, lavori estesi di ricognizione ven- nero eseguiti per meglio delineare la geologia generale d’ Italia sulla nuova Carta in piccola scala che dovevasi presentare al Congresso géologico internazionale di Londra e poi pubblicare. Speciali studi di paleontologia furono fatti a Pisa, sotto la direzione del Prof. Meneghini, dal paleontologo dell’Ufficio geologico; e specialmente su fossili del monte di Cetona (Toscana), dei dintorni di Pergola (Marche), della Montagnola Senese, delle Alpi Apuane e di altre località. Diversi lavori di chimica e di petrografìa vennero pure ese- guiti, parte nel laboratorio chimico della Scuola di applica- — 4 — zione per gli Ingegneri in Torino, parte da diversi operatori dello stesso Ufficio geologico. Giova poi qui accennare ad alcuni studi geologici in rapporto ad opere di pubblica utilità eseguiti nell’anno, come tracciati di ferrovie in luoghi diffìcili, opere di consolidamento nei terreni franosi, ricerche di acque, materiali da costruzione, lavori di bonifica, canali di irrigazione, ecc. Passando alle pubblicazioni fatte dell’ anno abbiamo anzitutto quella della Carta geologica dell’ Iglesiente nella scala di V50 ooo con testo (Voi. IV delle Memorie descrittive) dell’Ing. G. Zoppi, e l’altra di una parte (sei fogli) della Carta dell’ Italia centrale al l/l00 000 (continuazione della pub- blicazióne regolare incominciata con la Sicilia) comprendente la Campagna Romana con le regioni limitrofe. Fu pure ripresa la stampa delle antiche Memorie del B. Comitato geologico , con la Parte seconda del Voi. Ili, contenente una dotta memoria del professore Meneghini sui fossili cambriani della Sardegna, ed altra del Dott. Canavari sui fossili del Lias della Spezia. Fu poi preparata e incominciata la stampa di una nuova edizione riveduta della Carta geologica generale d’Italia in scala del l/Y 0oo ooo divisa in due fogli, in sostituzione dell’altra ancora imperfetta pubblicata nel 1881 ed oramai esaurita. Una tiratura parziale di detta Carta fu fatta nel settembre 1888 in occasione del Congresso geologico internazionale di Lon- dra, ma limitata a poche copie. Fra le pubblicazioni accenniamo da ultimo a quella del Bollettino bimensile, continuata regolarmente, ed all’altra della Relazione del Prof. Issel sul terremoto del 1887 in Ligu- ria come appendice al Bollettino di detto anno. — 5 - Proseguirono in fine i lavori di adattaménto del locale occupato dall’ Ufficio e dal Museo geologico, aggiungendovi una nuova galleria resa necessaria dal rapido aumento delle colle- zioni ed iniziando il lavoro di costruzione dei laboratori ri- chiesti tanto per la chimica che per la petrografìa. Rimandando il lettore per maggiori dettagli alla Rela- zione annuale che sarà presentata dal direttore dei lavori alla prossima adunanza del R. Comitato geologico, diamo qui l’elenco delle tavolette della Carta d’ Italia che trovavansi rilevate geologicamente alla fine del 1888. Tavolette della Carta generale d’Italia che trovavansi per intero RILEVATE GEOLOGICAMENTE ALLA. FINE DEL 1888. NB. — Si indicano con carattere maiuscolo il nome dei fogli, col rotondo ordinario quello delle tavolette alla scala di 1 per 50 000 e con carattere corsivo quello delle tavolette alla scala di 1 per 25 000. Foglio N. 84 Breno (Lago d’Iseo). » 42 Ivrea (Ivrea, Strambino , Castellamonte). » 43 Biella ( Gattinara , Carpignano , Roasen la; Arboro, Villata , S. Germano , Buronzo ; Salussola, Santhià , Borgomasino, Azeglio ; Cossato, Biella). » 44 Novara (Novara, Borgo Vercelli , Biandrate ; Bellinzago Novarese, Momo , Suno). » 47 Brescia (. Bovato , Iseo). » 54 Oulx (Oulx; Bardonecchia). » 55 Susa ( Giaveno , Coazze, Condove). » 56 Torino (C aiuso, Chivasso , Volpiano, Rivarolo ; Buttigliera , Ckieri, Gassino ; Venaria Reale, Torino, Rivoli , Pia- nezza; Barbania, Cirie). » 57 Vercelli (Vercelli, Balzola, Trino , Ronsecco ; Livorno Pie- montese, Crescentino, Saluggia, Cigliano). — 6 — Foglio N. 58 Mortara (S. Giorgio Lomellina ; S. Nazzaro dei Burgondi , Casei Gerola, Pieve del Cairo , Mede ; Sartirana di Lomel- lina, Valenza , Occimiano, Ticineto; Bobbio , Candia Lo- mellina, Stroppiana, Palestro ). » 67 Pinerolo (Cavour). » 68 Carmagnola ( Poirino , Pralormo , Carmagnola , Cambiano ; Monteu Boero, Bra , Sanfrè, Sommariva Bosco ; Bacco- nigi , Cavaller maggior e, Villanova Solavo, Villafranca; V inoro, Carignano, Vigono , None). — Completo. » 72 Fiorenzuola (. Fiorenzuola , Castellar guato, Carpaneto, S. Giorgio Piacentino ; Podenzano). » 73 Parma {Parma, Montecchio Emilia, Sala Baganza, S. Pan- crazio Parmense ; Noceto, Fontanellato; Borgo S. Donnino ). » 74 Reggio nell’Emilia ( Peggio nell’ Emilia, Cavriago ). » 79 Dronero (Sampeyre). » 80 Cuneo ( Cherasco , Bene Vagienna, Fossano, Marene ; Villa- nova, Morozzo; Castelletto Stura, Beinette, Tarantasca; Savigliano, Centallo). » 86 Modena ( Modena , Formigine, Bubiera). » 87 Bologna (. Borgo Panigaie ; Monteveglio; Bazzano, Spilam- bertó). » 91 Boves (Frabosa Soprana; Ormea; Boves). » 92 Albenga (GaresAo). » 95 Spezia ( Vezzano , Levici, Portovenere, Spezia). » 96 Massa ( Castellino vo di Garfagnana , Gallicano , Monte Al- tissimo, Vagli di Sotto ; Monte Sagro, Massa, Ameglia) Sarzana). » 97 San Marcello Pistoiese (. Pracchia , S. Marcello Pistoiese ; Bagni di Lucca, Barga, Fosciandora). » 104 Pisa ( Pescaglia , Massarosa, Viareggio, Pietrasanta ; Vec- chiano, Pisa, S. Fossore, Torre del Lago ; Forte dei Marmi). — Completo. » 105 Lucca {Pistoia, Serravalle Pistoiese, Buggiano, Marliana ; Lamporecchio, S. Miniato, Fucecchio, Padide di Fucec- chio; Altopascio , Vicopisano, Cascina , Monte Serra ; Vil- labasilica, Pescia, Lucca, Borgo a Mozzano). — Completo» 7 — Foglio N. 106 Firenze (. Firenze NE, SO, NO; Campi Bisenzio , la Ro- mola, Montelupo , Carmignano ; Prato in Toscana SO). » 111 Livorno ( Guasticce , Salviano, Livorno , Tombolo ; Monte- nero). — Completo. » 112 Volterra ( Castelnuovo , Montaione, Peccioli , Palaia; Vol- terra; Rosignano Marittimo; Pontedera , Lari , Faugliai Colle Salvetti). — Completo. » 120 Siena {Siena NO). » 126 Isola d’Elba. — Completo. (L’Isola d’Elba fu pubblicata alle scale di 1 per 50 000 e di 1 per 25 000). » 136 Toscanella (Toscanella). » 139 Aquila degli Abruzzi (Aquila degli Abruzzi; Antrodoco). » 140 Teramo (Gran Sasso d’Italia). » 142 Civitavecchia (Corneto Tarquinia; Tolfa, S. Marinella, Torre Marangone, Civitavecchia ; Torre di Montalto). — Completo. (Pubblicato alla scala di 1 per 100 000). » 143 Bracciano (Ronciglione ; Campagnano di Roma , Formella , Santa Maria di Galera , Anguillara; Bracciano , Castel Giuliano , Santa Severa , Bagni di Stigliano ; Vetralla). — Completo. (Pubblicato alla scala di 1 per 100 000.) » 144 Palombara Sabina (Fara in Sabina; Or vinto, Vico varo, Palombara Sabina , Monte Libretti ; Passo Corese , Monte Rotondo , Casale Marcigliana , Castelnuovo di Porto ; Poggio Mirteto). — Completo. (Pubblicato alla scala di uno 1 per 100 000). » 145 Avezzano (Borgocollefegato; Ayezzano; Carsoli; Fiami- gnano). — Completo. » 146 Solmona (Popoli; Solmona; Celano; Barisciano). — Com- pleto. » 149 Cerveteri ( Monte Mario , Maglianella , Maccarese , Torrim- pietra ; Ponte Galera, Castel Porziano , Foce del Tevere , Fiumicino ; Cerveteri , Torre Polidoro , Furbara). — Com- pleto. (Pubblicato alla scala di 1 per 100000). » 150 Roma ( Castelmadama , Palestrina , Colonna , Tivoli; Vai- montone, Artena , Velletri , Rocca di Papa ; Frascati , Al- bano Laziale , Castel Romano, Cecchignola ; Torre Cer- — 8 — varo , Cervelletta , Roma , Castel Giubbileo). — Completo. (Pubblicato alla scala di 1 per 100000). Foglio N. 151 Alatri (Civitellaroveto; Alatri; Anagni; Subiaco). - Com- pleto. » 152 Sora (Scanno; Alvito; Sora; Trasacco). — Completo. » 158 Agnone (Castel di Sangro; Palena). » 158 Cori (Cori; Fogliano; Nettuno; Ardea). — Completo (Pub- blicato alla scala di 1 per 100000). » 159 Frosinone (Frosinone; Fondi; Sezze; Carpineto Roma- no). — Completo. » 160 Cassino (Atina; Cassino; Pontecorvo; Arpino). — Completo. » 161 Isernia (Isernia; Piedimonte d’ Alife; Yenafro; Castel- lone al Volturno). — Completo. » 162 Campobasso (Morcone; Campobasso). » 164 Foggia (Foggia). » 170 Terracina (Terracina; S. Felice Circeo). » 171 Gaeta (Sessa Aurunca; Mondragone; Gaeta). — Completo. » 172 Caserta (Caiazzo; Caserta; Casal di Principe; Teano). — Completo. >> 173 Benevento (S. Giorgio la Molara; Benevento; Cervi- nara; Cerreto Sannita). — Completo. » 183 Isola d’Ischia. — Completo. » 184 Napoli (Napoli; Monte Vesuvio; Pozzuoli; Marano di Napoli). — Completo. » 185 Salerno (Avellino; Salerno; Castellamare di Stabia; No- la). — Completo. » 196 Vico Equense. — Completo. » 197 Amalfi (Pontecagnano; Foce del Seie; Amalfi). — Com- pleto. » 198 Campagna (Laurino; Rocca d’ Aspide; Campagna). » 199 Potenza (Sala Consilina; Polla). » 209 Vallo della Lucania (Vallo della Lucania; Castellabate). » 237 S. Giovanni in Fiore (Petilia Policastro; Taverna). » 238 Cotrone (Cotrone). » 241 Nicastro (Nicastro; Filadelfia; Monteleone di Calabria; Castiglione). — Completo. — 9 Foglio N. 242 Catanzaro (Cropani; Borgia; Catanzaro). — Completo. » 243 Isola di Capo Rizzuto. — Completo. » 245 Palmi (Nicotera; Palmi). — Completo. » 246 Cittanova (Serra S. Bruno; Caulonia; Cittanova; Mile- to). — Completo. » 247 Badolato (Stilo; Badolato). — Completo. » 254 Messina (Bagnara Calabra; S. Lorenzo; Reggio di Ca- labria; Messina). — Completo. » 255 G-erace (Gerace; Bianco; Ardore). — Completo. » 263 Bova (Bova; Capo dell’ Armi). — Completo. » 264 Staiti. — Completo. ISOLA DI SICILIA. — Completamente rilevata e pubblicata alla scala di 1 100 000 nei seguenti fogli: N. 24S. (Trapani) N. 249 » 251. (Cefalù) » 254. (Messina) » 258. (Corleone) » 261. (Bronte) » 252. ». 256. » 259. » 262. N. 244. (Isole Eolie) » 250. (Bagheria) » 253. (Castroreale) » 257. (Castelvetrano) » 260. (Nicosia) » 265. (Mazzara del Vallo) » 266. (Sciacca) » 267. » 268. (Caltanisetta) » 269. (Paternò) » 270. >> 271. (Girgenti) » 272. (Terranova) » 273. » 274. (Siracusa) » 275. (Scoglitti) » 276. » 277. (Noto) (Palermo) (Naso) (Isole Egadi) (Termini Imer.) (Monte Etna) (Cani catti) (Catania) (Caltagirone) (Modica) N.B. — Non sono ancora state rilevate le Isole Pelagie (Pantelleria, Lampe- dusa, Linosa e Lampione), dipendenti dalla Sicilia. — 10 — MEMORIE ORIGINALI I. Appunti geologici sull'isola di Giannutri (Arcipelago to- scano), del dott. Y. Simonelli. L’isoletta di Giannutri, nota ai Romani col nome di Dianium o di Artemisia , 1 segna il confine meridionale dell'Arcipelago toscano. È posta 16 chilometri a S.E della Punta di Capo Rosso nell’ isola del Giglio, 11 chilometri e mezzo a S.S.O della Punta di Torre Ciana nel Monte Argentario. Avanzi molteplici di antichissime costruzioni, per le quali non furono risparmiati nè gli ornamenti artistici, nè i materiali edilizi più rari e pre- ziosi, mostrano che Giannutri ebbe numerosi abitatori verso il principio dell’èra volgare. Ma dal silenzio della storia può argomentarsi che rima- nesse disabitata affatto ed incolta nell’età di mezzo. Certo è che negli ultimi secoli divenne covo prediletto dei corsari barbareschi, che di là muo- vevano ad infestare le coste tirrene. Fu lo stesso più tardi, quando la pi- rateria inglese sostituì la musulmana; tantoché il governo toscano si dovette decidere, nel 1807, a costruir nell’isola un fortino e a mante- nervi una trentina di soldati. Nel 1809 il microscopico presidio fu ri- tirato, e Giannutri, non più posizione marittima del Regno Etrusco , tornò daccapo deserta. E tale rimase fino a questi ultimi anni, quando i signori fratelli Adami, avutala in enfiteusi dal comune del Giglio, vi intrapresero con lodevole iniziativa lavori agrari importanti, ora già bene avviati. Poco facilmente accessibile, perchè situata fuori dell’ordinaria via percorsa dalle navi, Giannutri ebbe scarsi visitatori, fra i quali non 1 Plinio, Hist. nat. Lib. Ili, p. 58. Edizione di Venezia, 1559. — 11 — possiamo rammentare altri geologi che il Giulj, il Pareto 1 ed il dott. Forsyth Major. 11 primo enumerò le varietà principali di roccie che si incontrano nell’isola; 2 fu stabilita dal secondo la corrispondenza della calcarea porosa grigiastra , che vi è sviluppatissima, con quella del vicino Monte Argentario, creduta allora giurese 3 ; dal Major poi fu annunziata la presenza di breccie quaternarie con avanzi di mammi- feri 4. Alle osservazioni di questi autori mi permetto di aggiungere le poche che ho fatto io stesso in una recente escursione. Non sarà inopportuno premettere alla descrizione geologica qual- che breve cenno topografico. Misura l’isola approssimativamente un perimetro di 12 chilometri e mezzo, mentre la massima larghezza sua passa di poco un chilo- metro, e in qualche punto arriva appena ai 400 metri: risultando tale sproporzione dalla forma semicircolare, a falciuola, che fa somigliare Giannutri a certe isole vulcaniche, come Santorino o St. Paul. 1 Una lettera del valente archeologo Onofrio Boni a Giov. Gherardo de’Rossi, stampata a Firenze, nel Giornale l’Ape del 1809, potrebbe essere citata, al solo titolo di curiosità, come il più antico scritto che accenni all’ origine ed all’ età di Giannutri. Servirà almeno a mostrare quali bizzarri criterii cronologici guidas- sero gli apprezzamenti di alcuni eruditi nei primi tempi del secolo. « Quanto all’ antichità (scrive il Boni), io la pretendo arcietruschissima (Gian- « nutr^-'perchè antidiluviana, anzi antica quanto il mondo, sino a che non mi si « provi il contrario. Plinio ci ha conservati una listarella d’ isole nate a memoria « d’ uomini, nel mare, o staccate per i terremoti dal continente vicino. Queste sono « sicuramente post-diluviane, nè tra queste leggo Giannutri. Forza è dunque che « la consideri come un’ isola primitiva, coetanea del mondo, e ciò conferma la « di lei struttura tutta di sasso come le montagne. E dunque assai più antica c di Deio, di Rodi, di Cipro, della Sicilia, e di altre, secondo Plinio, posdiluviane; « nè è piccola lode sorpassare in antichità nomi sì celebri » e così avanti di questo passo, conchiudendo che l’età dell’ isola sarebbe di anni 5792 ! 2 G. Giulj, Saputo statistico di Mineralogia utile della Toscana. Bolo- gna, 1843; pag. 156. 3 L. Pareto, Sulla costituzione geologica delle isole di Pianosa, Giglio, Giannutri, Monte Cristo e Formiche di Grosseto. (Annali dell’ I. R. Università di Pisa. T. I, anno 1844-45. Pisa 1845), pag. 17. 4 C. J. Forsyth Major, Die Tyrrhenis (Kosmos, VII Jahrg., B. XIII, 1883), — 12 Due gruppi di cocuzzoli poco elevati sorgono verso le estremità del semicerchio. Il massimo rilievo nel gruppo di mezzogiorno è il Poggio del Capei Rosso, che non oltrepassa i 93 metri sul livello del mare; nel gruppo settentrionale il Poggio del Cannone, che giunge solo ad 83. La parte mediana è relativamente depressa e pianeggiante. Rapido è in generale il declivio della costa, che per lunghi tratti scende anzi verticalmente fino al mare, come una muraglia gigantesca. E il suo profilo subacqueo si mantiene arditissimo, avendosi profondità di oltre cento metri a brevissima distanza dalla riva. 1 I dirupi di mezzogiorno, fra la Punta di Capelrosso e la Cala Brigantina, misu- rano fino a cinquanta metri d’altezza. Nè si agevola molto 1’ accesso quando si fa più dolce il pendìo: rimangon sempre gli scogli accata- stati confusamente, fatti per l’erosione marina quasi scoriacei, irti di punte acuminate, rotti da spaccature larghe e profonde. Dal culmine dei poggi alla battigia del mare ma macchia bassa, ma fìtta e quasi impenetrabile, di cisti, di lentischio, di ramerino, di mirto, ammanta tutta l’isola di perenne verzura. Al di sopra della folla dei suffrutici emergono gli oleastri soltanto e gli elegantissimi ginepri fenici. Tale esuberante vegetazione spontanea, per lungo tempo sottratta all’influenza dell’uomo, è promettitrice di copiosa messe al botanico, ma costituisce un ostacolo serio per le ricerche geologiche. Quella che il Pareto chiamava calcarea porosa grigiastra , e che è, come vedremo, da riferirsi al Retico, costituisce l’ossatura di tutta l’isola. In nessun punto veggonsi emergere terreni più antichi; ma è certo che quel calcare riposa direttamente sopra gli scisti permici, come succede all’Argentario e in molti altri punti della Catena metal- lifera. Il contatto della massa calcarea con una formazione probabil- mente scistosa viene già fatto presentire da varie polle d’acqua dolce sottomarine, che scaturiscono a piccolissima distanza dal lido e a de- bole profondità, nella Cala dello Spalmatore ; viene poi confermato dal trovarsi lungo la spiaggia di questa cala medesima, fra i ciottoli cal- 1 Vedasi la Carta dell’ Arcipelago Toscano , pubblicata nel 1887 dall’Ufficio idrografico, sotto la direzione del Cap. Magnaghi. — 13 — carei abbandonati dal mare, grossi frammenti di scisto argilloso-micaceo giallastro o verdognolo, simile in tutto a quello che nell’Argentario accompagna le quarziti e i conglomerati quarzosi *. Tale scisto argilloso può anche osservarsi in posto, nei giorni di calma, quando l’acqua marina limpida e tranquilla permette di veder bene la natura del fondo. Notiamo qui come sia probabile trovare un velo acquifero di una certa abbondanza, conducendo una perforazione verticale traverso la massa calcarea, che in qualche punto ha solo pochi metri di spessore, fino all’ incontro della roccia scistosa. E data l’assoluta mancanza di corsi d’acqua e di sorgenti naturali, che è uno dei più gravi ostacoli al bo- nificamento di Giannutri, sarebbe certo da consigliarsi un tentativo in proposito. Tre varietà litologiche principali ci vengono offerte dai calcari retici. Son talora grigi o cenerognoli, più o meno cavernosi, con cellule di svariatissima forma e grandezza, tappezzate da minuti cristalli di calcite o ripiene di una polvere grigia o bianca. Qualche volta sono brecciformi, risultando da frammenti angolosi impastati da cemento cristallino grigio o superficialmente arrossato. Spesso hanno invece struttura apparentemente compatta e color nero deciso. Contengono questi ultimi, insieme con la silice e la magnesia, notevole quantità di materia organica, alla quale sembra dovuta l’intensa colorazione. Gli agenti erosivi hanno, com’ è naturale, ben diverso effetto, secondo che attaccano l’una o l’altra di queste varietà di calcare. In quella brecci- forme gli inclusi resistono più del cemento e finiscono per rimanere quasi del tutto isolati dalla roccia; ma vengono talvolta impastati di nuovo dal carbonato di calcio depositato dalle acque superficiali. Il calcare vacuolare, per il progressivo allargamento delle sue cellule, prende un aspetto come spugnoso, mentre quello più compatto rimane press’ a poco inalterato. Uno smalto lucido e nero, simile a quello no- 1 I. Cocchi, Note geologiche sopra Cosa, Orbetello e Monte Argentario (Boll. d. R. Comit. Geol. d’ It., n. 11-12, 1870). — B. Lotti, Appunti di osserva- zioni geologiche nel promontorio Argentario, ecc. (Boll. d. R. Comit. Geol. d’It., anno 1883, n. 5-6). — 14 — tato dal Santi 1 sulle scogliere dell’ Argentarola, riveste spesso le punte della roccia esposte ai marosi, e segnatamente i sassolini sporgenti dal calcare frammentario. 2 Manca ogni traccia di stratificazione nei calcari cavernosi e brec- ciformi, e solo quelli che dicemmo apparentemente compatti si presen- tano divisi in regolari straterelli, alti poco più di un palmo. Questi strati occupano generalmente un livello inferiore rispetto alle masse di calcare celluloso e brecciforme; costituiscono in generale la parte più bassa delle alte ripe fino al livello del mare, mostrandosi particolar- mente sviluppati lungo tutto il bellissimo golfo che si apre nel fianco orientale dell’isola. In una delle poche sezioni naturali che si prestano alle misure, fra Punta Secca e Cala dello Scoglio, si veggono diretti da N.N.O a S.S.E, ed inclinati di circa 45° verso O.S.O, dimodoché presentano al mare le loro testate. Succedono in alto le masse caver- nose e brecciformi, che salgono fino alle vette dei maggiori rilievi (Poggio del Cannone, del Capei Rosso, ecc.). Benché talora le tre forme litologiche succedansi anche ad uno stesso livello, mai si verificano alternanze in senso verticale. È inutile cercar fossili nei calcari cavernosi e frammentari, e in quelli compatti stratificati se ne può veder soltanto qualche rara e problematica traccia. Parrebbe che si potesse riferire ad una aviculide l’impronta di una valva di pelecipode che raccolsi al Grottone, mentre oscuri indizi di gasteropodi (forse Chemnitzia e Turbo o Pleurotomavia) furono da me veduti presso la Caletta di Scirocco. Nessun criterio ab- biamo dunque per determinare l’età di questi calcari all’ infuori della analogia litologica con roccie di vicini paesi. E come vediamo essere complessivamente riferiti al Retico i calcari cavernosi, brecciformi, ecc. dell’isola d’Elba e di varie parti del continente, interposti fra il Per- mico ed il Lias inferiore, così non dubitiamo che possa dirsi lo stesso per quelli di Giannutri. 1 G. Santi, Viaggio secondo per le due provinole Senesi. Pisa, 1798; p. 163. 2 Simile materia incrostante fu osservata anche sugli scogli di Piagosa dallo Stossich, che volle perciò chiamarla Pelagosite. (V. Stossich, Sulla geologia e zoologia dellTsola di Pelagosa (Boll. Soc.Adr. d. se. nat., ann. UT, n. 2, Trieste, 1877). — 15 Nella punta interposta fra Cala dello Spalmatore e Cala dello Schiavo trovansi entro i calcari grosse vene di manganite ; e lo stesso minerale può raccogliersi in glebe isolate a Sud del Poggio del Can- none, lungo il viottolo che va da Cala Maestra allo Spalmatore. In quest’ ultima località dovrebbe anche trovarsi, al dire del Giulj, 1 1’ oligisto speculare e micaceo; ma io l’ho cercato inutilmente e credo che quello veduto dal Giulj fosse portato dal Giglio o dall’ Elba come zavorra di qualche barca, e lasciato poi sulla spiaggia dai marinai. Nella Cala dello Spalmatore è invece abbondante la limonite gialla o rossiccia in piccoli letti, che si ritrovano anche in vicinanza di Punta Secca. Affioramenti stratiformi di gesso veggonsi nelle pareti di una vasta caverna che si apre lungo la Costa dei Grottoni, a poca distanza dal Faro. Si ripetono a varie altezze entro la massa calcarea, mostran- dosi allo scoperto per una lunghezza di circa quindici metri. Lo spes- sore raggiunto dallo strato più basso è press’ a poco di un metro e mezzo. Il gesso, di aspetto salino o saccaroide, ha in qualche punto bian- chezza di neve, in altri punti è colorato in grigio o in verde azzurro- . gnolo. Quest’ ultima tinta, che potrebbe credersi prodotta da sali di rame, è dovuta invece ad un’ alga unicellulare. Anche il color grigio è dato da una sostanza organica, poiché presto svanisce col riscalda- mento. Trovansi entro il gesso minutamente cristallino anche larghe lamine selenitiche e sottili straterelli di solfo, che non hanno più di un mezzo centimetro di spessore. Manca a Giannutri ogni rappresentante di tutto il resto della serie secondaria e terziaria, nò vi si trova alcun lembo di quelle recentis- sime formazioni di spiaggia, più o meno sviluppate in altre isole del- l'Arcipelago (Elba, Giglio, Pianosa, Cerboli). Il quaternario è rappre- sentato esclusivamennte da depositi terrestri. Accennò già il Pareto come fossero « frequentissime nelle spae- « cature dei poggi e nei meati delle grotte certe specie di breccie ta- « lora composte da enormi frammenti calcarei con altri minori, spesso 1 Saggio stai. di Min. utile della Toscana. Pag. 156. — 16 — « tutti insieme tenacemente legati da un cemento rosso abbondantis- « simo di ferro 1 ». E il non saper donde venisse quella congerie di pezzi e di cemento ferrugineo gli suggeriva Y ipotesi di particolari injezìoni sotterranee. A Cala Maestra, lungo la spiaggia di Punta Secca, presso la Cala dello Scoglio, del Lino e dello Spalmatore, al Volo di Notte, presso i Grottoni, a Cala Ischiajola, insomma lungo tutta la costa, si vedono le numerose fenditure dei calcari retici essere ordinariamente riempite da queste breccie più o meno grossolane. Compariscono anche in qualche punto dell’ interno, per esempio al piede del Poggio di Capei Rosso, lungo il viottolo che conduce al fanale. Quelle fenditure, ora larghe parecchi metri, ora di qualche centimetro appena, spesso son limitate da pareti verticali, altre volte s’ internano oblique e sinuose nella massa calcarea. Fra le pareti e la breccia che le riempie s’ interpone a guisa di salbanda una grossa crosta stalagmitica, la calce carbonata alabastrina color di miele , rammentata dal Giulj 2. La parte che in quelle breccie fa da cemento ha d’ ordinario un vivace color rosso mattone : meno frequentemente si presenta invece biancastra o giallognola. Prevale in essa il carbonato calcico, unito con circa il 27 % di argilla, e con variabile proporzione di ossidi di ferro. E in generale durissima e compatta. I frammenti inclusi sono di quei medesimi calcari retici che già abbiamo descritti, e più raramente di alabastrite. Vi si trovano anche microscopiche pagliette di biotite, cristallini di pirosseno e d" altri mi- nerali. L’ associazione col pirosseno fa escludere che quella biotite venga (come succede in un caso analogo alla Pianosa) da masse grani- tiche connesse un tempo a Giannutri; mi fa credere piuttosto che cadesse sull’ isola durante Y eruzione di qualcuno fra i numerosi vulcani, che nel periodo quaternario ardevano lungo le coste tirrene. La breve di- stanza che separa Giannutri da taluno di questi centri eruttivi non poteva certamente essere ostacolo al trasporto delle ceneri per opera dei venti. 1 Pareto, Sulla costit. geol. delle isole di Pianosa , Giglio , Giannutri ecc. Pisa, 1845. Pag. 18. 2 Op. cit., loc. cit. — 17 — Per togliermi ogni dubbio sulla provenienza di questi minerali ho pregato Tottimo mio collega dott. L. Busatti a far Tesarne microscopico di uno tra i campioni di breccia, che più ricco sì mostrava di cristal- lini. Ed ecco quanto il Busatti mi ha comunicato : « Esaminata al microscopio in sezioni sottili la roccia mostra la « struttura minutamente cristallina propria dei calcari. E colorita in « rossigno per pigmento di idrossido di ferro e tiene inclusi cristalli « di augite, di biotite e di magnetite. Oltre a questi minerali, benis - « simo riconoscibili oltre che per le forme cristalline anche per le loro « proprietà ottiche, vi sono parimente inclusi cristalli di altro mine- « rale che ha contegno monometrico. Altri cristalletti infine, ricchi di « inclusioni vetrose, sono verosimilmente di sanidina. Questi minerali « si trovano non di rado associati nelle ceneri vulcaniche. » Non di rado le breccie quaternarie contengono ossa di mammiferi e di uccelli e conchiglie di molluschi terrestri. Il più ricco deposito ossifero è nella Cala Maestra, a pochi passi dal mare. Vi ho raccolto in abbondanza frantumi d’ossa lunghe e mascelle di Cervus elaphus L. Altre ossa in cattivo stato ed assolutamente indeterminabili furono da me veduti a Cala Brigantina e verso la Punta del Vapore. In quesT ul- tima località sono anche abbondantissimi i gusci di Hyalina , Helix , Clausilia e Cyclostoma. Helix , Stenogyr-a , Cyclostoma . si trovano pure in una breccia a cemento giallastro presso T imboccatura della grande caverna vicina al fanale. Da un esame preliminare dei molluschi raccolti nelle breccie ri- sultano di già differenze notevoli tra la fauna quaternaria dell’ isola e la sua fauna attuale. 1 Fra dieci specie riconosciute viventi, due sole si trovano anche fossili nei depositi quaternari, la Helix planospiro Lam. e la Cielostoma elegans Muli. Ma per la prima bisogna notare che gli esemplari del quaternario sono sensibilmente diversi dai viventi per la forma e per le dimensioni, e più si accostano al tipo ed alle varietà proprie dell’ Italia settentrionale. 1 La fauna malacologica attuale di Giannutri era in parte già nota per le raccolte fatte dal Forsyth Major nel 1882, e qualche anno dopo illustrate dalla marchesa Paulucci nel suo scritto sulle Conchiglie terrestri e d’acqua dolce del Monte Argentaro e delle isole circostanti (Boll. Soc. Mal. It., voi. XII, 1886). 2 — 18 — Manca non solo alla fauna attuale di Giannutri, ma a quella di tutto l’Arcipelago e del Monte Argentario la Hyalina olivetorum Gmel., trovata fossile alla Punta del Vapore. Sembrano pure scomparse dal- l’isola un’altra bella Hyalina comunissima nel luogo ora rammentato in esemplari di tutte le età, la Helìx aspersa Muli., la Stenogyra de- collata Linn., una Clausiliaì una grande Cyclostoma ben diversa dalla elegans e dalla sulcata , e forse non ancora descritta. I materiali finora raccolti sono scarsi troppo e troppo incompleta- mente studiati per consentire deduzioni rigorose ; ma sembrano suffi- cienti a dimostrare come solo in epoca recentissima l’ isola abbia ospitato quelle specie di carattere. meridionale che v’incontriamo oggidì, leggermente modificate dall’ isolamento. Non è così facile decidere come avvenisse la sostituzione di queste alle forme che popolarono Gian- nutri nel quaternario; ma non è improbabile che fosse conseguenza del cambiamento di clima determinato alla sua volta dalle mutate con- dizioni geografiche. L’area su cui vissero i cervi delle breccie ossifere, qualunque fos- sero le connessioni sue con altre terre, dovette certamente essere più vasta assai della Giannutri attuale; e la diminuita ampiezza, esage- rando le condizioni proprie del clima insulare, poteva già di per sè aver notevole efficacia sugli esseri viventi. — 19 — IL La trachite e il tufo di Rispampani presso Toscanella; nota di P. Moderni. (con una tavola) Il diroccato castello di Rispampani, situato circa 10 chilometri a S.E di Toscanella (circondario di Viterbo) giace sopra una lunga e stretta lingua di terra limitata dai due torrenti Leja e Catenaccio, che si riuniscono sotto di esso e dopo poco più d’un chilometro di percorso sboccano nel fiume Marta. In questo punto, che corrisponde sotto la Regione del Puntone sulla sinistra e della Banditella di S. Giusto sulla destra, affiora un piccolo lembo di trachite massiccia, che lo scrivente visitò forse per il primo, e che si può seguire per oltre un chilometro risalendo il Marta: la trachite messa allo scoperto dall’erosione, vedesi nel letto del fiume e sulle pareti del profondo burrone da esso scavatosi. La trachite riposa su calcari marnosi e scisti argillosi turchini dell’Eocene medio, con strati rialzati a cupola ed è ricoperta dai ma- teriali vulcanici dei Vulsinii; per questa condizione è difficile giudicare dell’importanza della massa Rachitica, di cui scopresi soltanto una piccolissima striscia. Ad ogni modo però le sue dimensioni devono essere assai limitate, non apparendo più in nessun altro punto nè del Marta, nè dei fossi circonvicini, che pure si trovano allo stesso livello ed anche più bassi dell’affioramento di cui trattasi. Questa piccola massa di trachite, trovasi quasi ad egual distanza, in linea retta, dai monti Rachitici della Tolfa e dalla grande massa Rachitica del Monte Amiata; assai più vicina di entrambe è la trachite del Cimino. Di essa non si trova cenno in alcuno dei lavori pubblicati sopra i vulcani Vulsinii e neppure in quello recentissimo del Verri 1 1 A. Verri, Osservazioni geologiche sui crateri Vulsinii (Boll. Soc. Geol. It., Anno VII, fase. 1, 1888). — 20 — Tanto esso, come antecedentemente il vom Ratb, constatarono la pre- senza di trachiti soltanto nella parte settentrionale del distretto Vulsinio, ma stando alla descrizione che ne fa il Verri, queste differirebbero essen- zialmente da quella di Rispampani per il modo di loro formazione; cioè le prime sarebbero vere e proprie colate di lava Rachitica, come ne furono da me osservate anche nel vulcano di Roccamonfìna mentre la seconda non ha affatto la forma di colata, ma quella invece che chiamerò d'espandimento , come le masse Rachitiche della Tolfa e del Monte Amiata. La roccia è di color grigio azzurrognolo, abbondantemente disse- minata di piccoli cristalli di feldspato vitreo: una gran parte di essa è alterata da emanazioni solfìdriche ed in questo caso il suo colore varia dal rosso mattone al bianco latteo; al tatto conserva però sempre la sua ruvidezza caratteristica. — Osservai inoltre una certa quantità di blocchi erratici d’una roccia pure Rachitica di color nero-piceo, con- tenente grossi cristalli di feldspato caolinizzato, compatta, durissima, a frattura quasi scheggiosa; la medesima deve trovarsi in dicchi entro l’altra trachite, ma le pareti della valle quasi a picco e rivestite da boscaglia impenetrabile m’ impedirono di verificare questa condizione. La massa è attraversata da fenditure orizzontali che la fanno rasso- migliare ad un terreno stratificato, e questa disposizione fu già osser- vata anche nelle trachiti della Tolfa. Lungo l’affioramento trachitico s’ incontrano diverse sorgenti di gas solfìdrici: l’acqua biancastra, che al solito si trova entro le piccole pozze dalle quali si sprigiona il gas, ha sapore leggiermente metallico; in al- cune di queste pozze l’acqua invece di essere biancastra è nera ed il sapore metallico assai più spiccato. L’epoca geologica alla quale devesi riferire questa piccola eruzione Rachitica non è tanto facilmente determinabile: il Lotti 1 2 nei monti della Tolfa constatò che quelle trachiti sono preplioceniche, quelle del Monte Amiata furono dal medesimo dichiarate certamente postplioce- 1 P. Moderni, Note geologiche sul gruppo vulcanico di Roccamonfìna (Boll. Com. Geol. It., n. 3-4, 1887). 2 B. Lotti, Brevi considerazioni sulle trachiti della Tolfa (Proc. Verb. Soc. Tose. Se. Nat., Voi. V, 4 luglio 1886). — 21 — niche. Il Tittoni invece, nello studio da esso fatto della Regione Ce- rite, 1 ritiene quella trachite postpliocenica. Confrontando ora la pic- cola massa di Rispampani colle due maggiori della Tolfa e dell’Amiata, si ha che questa riposa, come già osservai, su roccie eoceniche al pari di quelle della Tolfa, ma il suo tetto però formato da materiali vulca- nici, che tutti gli autori sono concordi di classificare nel quaternario, la- sciano un campo troppo largo all’ induzione. Il fatto che fra le trachite e le roccie eoceniche non appare il Plio- cene, del quale è costituita la vicinissima regione lo Scorsone e le pendici del colle Querciabella che si bagnano nel Marta, non è sufficiente a far ritenere questa trachite prepliocenica, poiché il Pliocene potrebbe benis- simo essere stato eroso prima della eruzione trachitica, allo stesso modo che fu certamente eroso da quei pùnti ove sulle roccie eoceniche vediamo posare direttamente il tufo pomiceo dei Vulsinii. Però, se mancano ele- menti decisivi per dichiarare questa trachite anteriore ai depositi plioce- cenici, ne mancano altresì per farla ritenere postpliocenica; anzi, gli strati dell’Eocene, rialzati a cupola e concordanti coll’ inflessione della massa trachitica sovrastante, lasciano nell’osservatore l’ impressione che essa sia piuttosto prepliocenica che postpliocenica. Sopra la trachite si appoggia un tufo caratteristico conosciuto gene- ralmente nella regione sotto il nome di Nenfro : questo nome, eh’ io non sa- prei immaginare derivatogli diversamente che dal suo colore assai oscuro, è consacrato ormai dall’uso al pari di Manziana per la trachite del Monte Virginio e di Peperino pel conglomerato vulcanico dei Monti Laziali. Que- sto tufo appartiene alla categoria dei tufi trachitici, come fu classificato an- che dal Klein nel suo studio analitico su varie roccie dei vulcani Vulsinii 2. Il dott. L. Bucca, che sta studiando al microscopio la collezione di roccie eia me raccolte nei Vulsinii, è pure dello stesso parere ed i risultati da esso ottenuti dall’esame d’un campione proveniente dalla Val Vidone, che mi ha gentilmente comunicato, sono i seguenti: «La 1 T. Tittoni, La regione trachitica dell’Agro Sabatino e Cerile (Boll. Soc. 'Geol. Ital., Voi. IV, 1885). 2 C. Klein, Neues Jahrbuch f. Min., Geol. and Palaeont., VI Beilage-Band, I Heft. 1888. — 22 « roccia è formata da una pasta minutissima, granulare, che trainieoi « incrociati resta perfettamente isotropa e racchiude segregazioni di- « verse. Queste sono o di semplici minerali (sanidino, augite, biotite) « o di frammenti di roccie. Alcuni di questi ultimi si presentano come « una massa vetrosa, incolora, cosparsa di granuli neri di magnetite « ed a struttura vacuolare, onde sono riferibili a dei veri lapilli. Altri « invece hanno una massa micro-cristallina feldspatica, e perciò deb- « bonsi riferire a de" frammenti di alcune trachiti frequentissime nel « territorio di Bolsena. Infine sono notevoli dei frammenti di una roccia « a fondo molto oscuro, principalmente vetroso, ma assai carico di « granelli opachi (probabilmente magnetite), che contiene delle segre- te gazioni di augite e delle numerose leuciti riconoscibili non solo per « la forma delle sezioni, ma anche per la disposizione caratteristica « delle inclusioni ora distribuite a raggi, ora a corona nell’ interno dei « cristallini. Queste leuciti però non interferiscono alla luce polarizzata « e ciò perchè in avanzato stato di decomposizione. « La roccia è dunque un tufo trachitico, e la presenza di elementi « leucitici è riferibile allo stesso periodo eruttivo e non a trasporto « superficiale; infatti in molte trachiti (o andesiti) del lago di Bolsena <« potei constatare delle leuciti che nulla hanno da vedere colla natura « della roccia che le racchiude. » Il nenfro è di colore grigio-cenere o grigio-scuro, spesso con riflessi rossastri; è compattissimo, sonoro e resistente agli agenti atmosferici. Entro la massa tufacea si vedono disseminati molti pezzi di scoria, ab- bondanti frammenti di feldspato vitreo e qualche volta anche dei pez- zetti di olivina e di pirosseno. Dal tutto insieme, e specialmente per la compattezza e il colore, a prima vista rassomiglia assai ad una lava ’. È rimarchevole per la sua struttura basaltica, o prismatica raggiata: la località ove meglio può osservarsi questa forma è sotto il Casale della Rocca, presso Rispampani, prima di passare il ponte a destra della strada che dal detto casale conduce a Monte Romano. I prismi sono disposti a fasci che irradiano da un centro, formando dei ventagli di 1 II Brocchi, nel suo Catalogo ragionato eoe., Milano 1817, lo chiama ap- punto Lara- Nenfro. — 23 — tufo d’un effetto sorprendente; ovvero in prismi disposti orizzontalmente invece che verticalmente e divisi in colonne da fenditure verticali, come vedesi nella annessa veduta presa fotograficamente (vedi Tav.I). Questa struttura raggiata io la osservai soltanto nei dintorni di Rispampani, mentre in tutte le altre località ove trovai il nenfro, esso aveva la strut- uttura basaltica comune anche ad altri tufi, cioè a prismi verticali. La disposizione speciale nella struttura del nenfro di Rispampani fu pure osservata dal signor Klitsche de la Grange, che ne parla in una sua memoria 1 corredata pure d’una tavola nella quale tentò di riprodurre siffatta struttura specialissima. Questa roccia è il materiale vulcanico più antico delle eruzioni vulsinie, poiché riposa sempre direttamente su terreni antichi di sedi- mento, all’ infuori del piccolo tratto ove poggia sulla trachite; ed è co- stantemente ricoperto, in tutte le località ove affiora, dai tufi pomicei che vengono subito dopo di esso in ordine ascendente. I suoi giacimenti non sono molti numerosi nè molto potenti e situati tutti all’estremità sud della formazione vulcanica vulsinia: lo scrivente lo rinvenne nei fossi Leja e Catenaccio nei dintorni di Rispampani, nel letto del Marta sopra alla trachite, nella Val Vidone presso Toscanella, nei dintorni del Casale S. Giuliano, nel fosso del Timone a Sud di Canino e presso il Molino di Pianiano. Ho detto più sopra che questo tufo è la roccia più antica delle eruzioni vulsinie perchè si trova assieme ai prodotti di questi vulcani, ma sarebbe stato forse più esatto dire semplicemente che è il prodotto vulcanico più antico che si scopre nella regione, giacché i suoi caratteri esterni lo avvicinano più ai tufi dei Cimini che non a quelli dei Vul- sinii, dai quali differisce assai. L’apparire di esso poi soltanto all’estre- mità sud della formazione vulcanica vulsinia, cioè quasi ad egual di- stanza dai due centri eruttivi, avvalora questo dubbio, che potrà essere chiarito allorquando sarà stato completato il rilevamento dei vulcani Cimini e lo studio delle sue roccie. 1 A. Klitsche de la Grange, Sulla formazione dei tufi vulcanici nell* Agro Romano e nel Viterbese. Roma, 1884. Sezione geologica presso Toscanella — 24 -3 o3 ^ ^ 0 (D O 1 o Q* La qui unita sezione presa trasversalmente al Marta, da Casale la Rocca presso Rispampani alla Val Vidone, da un’idea dei rapporti Boll, del R. Corri. • Geol. d' Italia Anne 1888. Tav. I (P. Moderni — 25 — di giacitura fra le roccie dei vulcani Vulsinii, la trachite ed i depositi sedimentari. La trachite riposa sull’Eocene; il nenfro sulla trachite e sul Plio- cene; il tufo pomiceo, nella sezione, si vede poggiare soltanto sul nen- fro e sulla trachite, mentre a poche centinaia di metri di distanza e cioè sulla sinistra del Leja di fronte a Casale la Rocca, riposa sull’Eocene ed alle falde occidentali del vicino colle Querciabella, sulle sabbie gialle del Pliocene. Vengono in seguito le lave ed i tufi terrosi, che si tro- vano indifferentemente sopra e sotto i tufi pomicei; e da ultimo i travertini che ricoprono qua e là le roccie vulcaniche ed in qualche punto alternano con esse. III. Sulla età del calcare appenninico di Capri ; nota del dottore G. Steinmann. (Traduzione dal tedesco con note di M. Canavari) Gli idrozoi del Titoniano di Stramberg che, or sono 10 anni, io feci conoscere coi nomi di Ellipsactinia e di Sphaer actinia, 1 furono poco dopo indicati dal Portis 2 * * nei calcari coralligeni, pur essi titoniani, della valle della Stura di Cuneo nelle Alpi Marittime. Più tardi altri scienziati italiani indicarono la presenza di consimili resti nell’Appen- nino e’ nella Tunisia. In verità sino adesso non è stata data alcuna descrizione accompagnata da figure di questi interessanti fossili, però da una comunicazione del Meneghini 5 si desume che quelli di Tunisia e d’Italia, corrispondono in tutti i punti essenziali agli idrozoi di Stram- ; : jC - 1 Palaeontographica , XXV, 1878. 2 Sui terreni stratificati di Argenterà f Mem. d. R. Accad. d. Se. di Torino, ser. II, t. 34, 1881). 5 Atti Soc. tose, di Sci nat., Proc. verb., voi. IV, p. 106-113 (Refer.: Jahrb. fùr Min. 1887, I, 164). berg. La probabilità per lo meno di una identità generica è ancora ac- cresciuta dalla corrispondenza cronologica dei depositi in questione. Il Canavari e il Cortese 1 notarono dapprima la presenza di idrozoi fossili al Monte Gargàno, ove furono trovati in associazione ad alcuni esa- coralli ( Stylina e Cyathophora ), a Nerinea e alla specie titoniana Diceras Escheri. L’età degli strati in questione potè quindi essere determinata come titoniana. Il Meneghini (l.c.) fece conoscere in seguito la scoperta fatta dal Zoppi di eguali coralli ed idrozoi in roccie simili di Gebel- Ersass in Tunisia. Colà i calcari cretacei a cefalopodi ricoprono con discordanza gli strati con idrozoi. Lo stesso autore potè osservare anche un calcare con idrozoi raccolto dal Baldacci nelle pendici di Monte Giano, posto a N.E di Roma nell’Abruzzo ulteriore. Ma colà esso si disse interposto tra il calcare con Terebratula Aspasia del Lias medio e il Lias inferiore. Successivamente però fu avvertito dal Canavari 2 che il calcare con idrozoi in parola non appartiene al Lias, ma al Titoniano, e si addusse come prova di ciò la presenza in quegli strati della Tere- bratula moravica Suess. Altri esemplari furono raccolti dal Signorini presso Rocca Calascio al Sud della catena del Gran Sasso e dal Bruno in Basilicata. L’età titoniana di queste due ultime località non è ancora determinata con certezza; il calcare a idrozoi di Basilicata è però sot- tostante a dolomiti, diaspri, calcari e scisti bituminosi complessivamente riferiti al Titoniano. Superiormente a questo insieme di strati succedono calcari con rudiste. Tutti questi fossili furono sottoposti all’esame del Meneghini. Seb- bene in alcuni esemplari egli abbia notato delle differenze, pure ritiene che tali differenze sono d’ importanza secondaria, e che essi fossili siano paragonabili soltanto ai due menzionati generi di Stramberg. A queste località fossilifere sono ora in grado di aggiungerne una altra. Nell’occasione di una visita all’isola di Capri fatta nel marzo 1888, sulla strada che dal paese di Capri conduce verso la Punta Tragara (a S.S.E dell’ abitato), tra le ultime case, nei calcari che sono adope- rati nei muri a secco che cingono i campi, io vidi numerose inclusioni Atti Soc. tose, ecc., Proc. verb., voi. IV, p. 24. Ibidem, voi. V, p. 67-68. 27 di fossili. Negli esemplari erosi si manifestano sezioni di bivalvi, brachio- podi e coralli; però non mi è avvenuto di estrarre oggetti determinabili. Invece richiamarono la mia attenzione sezioni appariscenti di corpi si- mili a Stromatopore , che erano visibili quasi sopra ogni frammento di roccia. L’esame dei pezzi erosi e lustrati, dimostrò una completa cor- rispondenza con quelli trovati dai geologi italiani. Ritorneremo poi sulle relazioni di tali esemplari con le Ellipsactiniae e le Sphaeractiniae di Stramberg; ma prima mi sia permesso di dilucidare l’importanza geo- logica di questi fossili. Dalle osservazioni che conosciamo sino ad ora, si può stabilire in modo assai probabile, che tanto i calcari con idrozoi dell’Appennino, quanto quelli di Moravia e di Tunisia appartengono al piano titoniano; sembra poi che questi calcari coralligeni con idrozoi costituiscano, nel cal- care appenninico ordinariamente povero di fossili e di difficile ripartizione, un orizzonte prezioso e caratteristico. Dopo che per lo meno in parec- chi punti è determinata l’età precretacea del calcare con EUipsaetima , si può ritenere che la presenza di esso calcare nell’Appennino, vi di- mostri la esistenza del Giurese. Non pertanto può recare qualche meraviglia che nel lavoro sopra la struttura del golfo di Napoli pubblicato nel 1886 dal Walther, 1 l’età del calcare appenninico che costituisce la penisola di Sorrento e l’ isola di Capri, sia in massima ritenuta cretacica, 2 sebbene gli esacoralli raccolti a Capri abbiano, secondo il parere del Pratz, un habitus giu- rassico. Quando lo stesso autore rappresenta schematicamente sulla carta tettonica del golfo di Napoli le dislocazioni postcretaciche, che egli chiama dislocazioni appenniniche , poste trasversali alla orienta- zione della penisola di Sorrento e dell’ isola di Capri, e cioè nella dire- zione di N.N.O, si trova in generale d’accordo coi dati molto più an- tichi e dettagliati del Puggaard; 3 però quest’ultimo autore fa menzione 1 J. Walther und P. Schirlitz, Studien zur Geologie des Gofes von Neapel (Zeitschr. d. D. Geol. Ges., Bd. 38, p. 235, 1886). — J. Walther, I vulcani sotterranei del Golfo di Napoli (Boll. R. Corri, geol. d’It-, voi. XVII, p. 360, 1886). 2 I resti di rudiste ( Sphaerulites , Radiolites ) si trovano in tutti i punti dell’isola di Capri (1. c, p. 364). 3 Puggaard, Descript, géolog . de la. pénins. de Sorrento (Bull. Soc. géol. de Fr , 2 sér., t. 14, p. 284, av. carte; 1856). — 28 — anche di grandi faglie nelle direzioni E.NE, N-S e E-O, che Walther non indica. Dalle indicazioni del Puggaard sopra la direzione e l’incli- nazione del calcare appenninico della penisola, si rileva inoltre che il profilo da Sorrento all’isola di Capri dato dal Walther, corrisponde più all’ idee dell’autore, che alle vere condizioni di stratificazione. Una dif- ferenza principale tra i resultati dei due geologi è relativa alP età di quelle faglie. Mentre secondo il Puggaard il macigno sarebbe stato in- teressato da queste dislocazioni — però non può negarsi completamente una debole discordanza tra il calcare appenninico e il macigno, — il Walther ritiene le dislocazioni appenniniche come preoligoceniche ed as- segna una età postoligocenica soltanto alle dislocazioni tirreniche, le quali sono tuttora rimaste problematiche nel loro esatto andamento perchè scorrenti quasi esclusivamente nel mare. Comunque sia, secondo le osservazioni del Puggaard resta accertato, che in molti punti della penisola, nei quali il Walthsr non indica alcuna rottura tirrenica, il ma- cigno fu incontrato in strati fortemente inclinati. La parte mediana e ristretta dell’isola di Capri secondo il Walther è una regione abbassata. Se l’isola fosse costituita esclusivamente di Cre- tacico, doveva aspettarsi che nella regione abbassata venissero a giorno gli strati superiori del calcare appenninico. Secondo il mio rinvenimento di Stromatoporidi titoniane precisamente presso il paese di Capri, e cioè entro l’area di depressione indicata dal Walther, si ha certamente il caso contrario. Nella considerazione di una stratificazione del calcare appenninico pressocchè orizzontale, l’isola è qui costituita sino ad una altezza di circa 150m sul livello del mare, di sedimenti precretacei. Fino a che non sia data la prova che le Stromatoporidi titoniane si rinvengono anche nei veri e propri strati cretacei del calcare appen- ninico, io credo di poter stabilire la precitata determinazione della età mercè i generi Ellipsactinia e Sjphaer actinia. La continuazione delle dislocazioni preoligoceniche, supposto che esse sussistano in valore considerevole, si dovrebbe facilmente ritrovare, qualora si prendessero in considerazione i calcari titoniani con idrozoi; questo orizzonte ci dà, come sembra, un mezzo molto pratico per separare le masse calcaree di difficile ripartizione, in una più antica giurassica e in una più re- cente cretacica. La roccia nella quale si trovarono i fossili ricordati presso il paese — 29 — di Capri, deve ragionevolmente essere caratterizzata come calcare co- ralligeno. Sulla superficie di tutti i pezzi raccolti sono evidenti le se- zioni erose di ambedue i generi Ellipsactinia e Sphaer actinia; e nelle fratture lustrate si può inoltre accertare che la massa principale del calcare è costituita dagli scheletri di essi. Le Ellipsactiniae si ricono- scono facilmente perchè le lamine spesse di questa Stromatoporide ap- presso l’erosione appaiono libere e staccate, inquantochè la massa calcarea di riempimento degli spazi intertabulari è più facilmente aspor- tabile. Io trovo confermata in tutti i caratteri essenziali la descrizione che diedi già su di un unico esemplare di Stramberg. Le differenze esistenti in quelli di Capri si limitano alla minore grandezza e ad un accrescimento un poco diverso. Invece il genere Sphaer actinia sembra trovarsi a Capri in esemplari relativamente grandi. I pezzi corrosi sono rimarchevoli inquantochè, all’opposto delle Ellipsactiniae , lo scheletro è il primo a disfarsi e si trova quale modello la massa di riempimento. Questa particolarità ha la sua spiegazione nella differente natura delle fibre dello scheletro, le quali nel genere Sphaeractinia sono relativa- mente sottili, mentre nel genere Ellipsactinia sono di notevole spes- sore. Gli esemplari di Capri di Sphaeractinia si distinguono a primo sguardo da quelli di Stramberg per il ricco sviluppo dei tubi radiali, che frequentemente si aggruppano in modo regolare ad astrorizi come nelle Stromatopore. Sarebbero da ricordare ancora altri resti: fossili simili a chaeteti, briozoi, esemplari non esattamente determinabili di esacoralli, nume- rosi resti di echinodermi, sezioni di bivalvi e di gasteropodi, non che foraminifere, tra le quali potei specialmente riconoscere le miliolidi. Il dott. Oppenheim, che aveva avuto notizia delle mie ricerche, mi comunicò con una lettera da Monaco, ch’egli aveva raccolto egualmente Sphaeractinia e altri fossili a Capri e propriamente verso la Punta Tragara sulla strada di Anacapri ad Est. Gli esemplari rinvenuti da esso, appartengono certamente allo stesso orizzonte geologico dei miei, inquantochè la natura della roccia ed i fossili sono evidentemente eguali. Il genere Ellipsactinia ha la preponderanza su tutte le altre forme ; il genere Sphaeractinia sembra mancare, invece non sono rari resti simili a chaeteti. Da ultimo rivolgo l’attenzione dei geologi italiani ancora sulla pre- — 30 — senza di resti simili a Diplopore , che appaiono su di un esemplare eroso raccolto dal dott. Oppenheim, e che ho pure osservati nelle se- zioni sottili del medesimo esemplare. Sono corpiccioli cilindrici dello spessore di 4mm con numerosi e profondi pori sulla superficie, con un ca- nale centrale più o meno ampio e con regolari sporgenze annulari nella parete interna. Tra ogni due di esse sbocca una serie di ca- nali perforati. Sussiste una rimarchevole somiglianza con quel genere del Cretacico conosciuto col nome di Triploporella , tuttavia sono neces- sarie ulteriori ricerche che diano esemplari migliori, prima di accer- tare la natura di questi interessanti fossili. Gli esemplari corrosi pos- sono certamente a tal riguardo dare i migliori schiarimenti. A questo interessante scritto del dott. Steinmann, e affine di com- pletare la distribuzione geografica degli idrozoi in questione, aggiun- giamo che l’ing. Baldacci, incaricato di una ricognizione minerario-geo- logica al Montenegro, rinvenne Ellipsactiniae nell’altipiano dei Drobniaki e precisamente nel gruppo del Dormitor. 1 Questi calcari con idrozoi, contenenti anche sezioni di gasteropodi simili a Nerinee, furono dal Baldacci riferiti al Titoniano anche per la loro posizione stratigrafica essendo immediatamente sottostanti ai calcari a rudiste. L’ ing. Mattirolo raccolse, fin dal 1884, alcuni campioni di roccie contenenti Ellipsaetìniae nelle pendici orientali del Gran Sasso. Nell’Italia meridionale sono state poi rinvenute altre due località fossilifere con idrozoi. L’una è quella di Monte Tiriolo in Calabria, ove gl’ idrozoi furono raccolti dall’ ing Aichino. Da una comunicazione che ebbi per mezzo dell’ ing. Cortese, 2 il calcare con idrozoi di Monte Ti- riolo è interposto tra il Cretacico rappresentato da calcari bianchi sub- cristallini con rudiste, e il Malm rappresentato da calcari rossi con cri- noidi. Nel calcare con idrozoi insieme a belli esemplari di Ellipsactiniae, furono raccolti anche numerosi coralìari, tra i quali si riconoscono Cyathopliorae , simili a quelle del Titoniano del Gargano. 1 Ricognizione geologico- mineraria del Montenegro (Boll. R. Com. geol. d’It., voi. XVII, p. 418, 1886). 2 Da una lettera dell’ ing. Cortese in data 28 maggio 1888. — 31 — Finalmente a Capri stesso l’ing. Baldacci riconobbe recentemente che il calcare a Ellipsaetiniae costituisce tutta P ossatura dell’ isola stessa e che sottosta direttamente a dei calcari a rudiste che formano dei lembi assai, limitati al Palazzo di Tiberio e sul Monte S. Antonio fra Capri e Anacapri. Queste ulteriori osservazioni aggiungono quindi nuovi argomenti in favore dell’età giurassica, sostenuta dal dott. Steinmann, dei calcari con idrozoi di Capri e di tutto il bacino mediterraneo. — 32 — ESTRATTI E RIVISTE C. Klein. — Analisi Orografica di una serie di roccie dei dintorni del lago di Bolsena ( ValNeues Jahrb.f. Min ., Geol. und Palaeontologie , VI B.-Band, I. H., 1888). I precedenti studi del vom Rath constatarono nei dintorni del lago di Bolsena le seguenti roccie: Sul limite settentrionale del lago le trachiti, che si estendono principalmente verso Est ed Ovest. Verso Sud la massa principale, oltre ai tufi, è costituita da una roccia leucitica di composizione va- riante, ch’egli ha caratterizzato complessivamente per leucitofìro. Pre- sentemente il suo nome normale sarebbe quello di tefrite leucitica, con modificazioni tendenti alla leucitite ed alla basanite leucitica. A Pro- ceno, a N.NO del lago, predomina una leucite tefritica che, contenendo della sanidina, costituisce un passaggio ai leucitofìri: il tipo di tale roccia si presenta a Gradoli, nella parte N.O del lago, mentre a Monte Rado, presso Bagnorea, trovasi un’andesite augitica che contiene ac- cessoriamente dell’olivina. Le recenti analisi petrografiche, eseguite dal prof. Ricciardi, si riferiscono alle classi seguenti di roccie e diedero i risultati qui sotto indicati: I. Roccie {rachitiche. 1. Trachiti con olivina. — Queste trachiti si trovano a Torre Alfìna (fosso verso Acquapendente) e a S. Lorenzo. L’analisi ha dato: Torre Alfìna S. Lorenzo Si02 .... 63, 22 . . . 63, 26 PA .... 1, 07 . . . 0, 51 AIA. . . . 16, 26 . . . 16, 05 Fe203 . . . 1, 41 . . . 1, 04 FeO .... 00 co 6, 13. MnO .... traccie , , . 0, 14 — 33 — CaO .... 4, 75 . 5, 50 MgO .... 1, 25 . 1, 29 KsO .... 4, 18 . 3, 18 Na.20 .... 2, 42 . 1, 62 Perdite . . . 1, 87 . 1, 57 100, 27 . . . 100, 29 Peso specifico 2, 481 . . . 2, 416 L’esame macroscopico rivela in amendue queste provenienze e dentro una massa di fondo rosso-bruna il feldspato vitreo, la biotite, l’augite e qualche prodotto di decomposizione bianco-giallognolo. Al microscopio si scorge struttura porfirica e dentro la massa di fondo cristalli principalmente di sanidina: subordinatamente vi si riscon- trano l’augite, la biotite, l’olivina, il plagioclasio e la magnetite. La sanidina si presenta allo stato tabulare, o in lamine, o in fru- stoli, è trasparente, con scarsi indizi di sfaldatura e con frequenti se- crezioni di cristalli oo P oo (100), è di geminazioni secondo la legge di Carlsbad: piccolissimo l’angolo assiale, di carattere negativo la doppia rifrazione. Il minerale è scarso d’inclusi costituito da massa di fondo, da bollicine e da aghi d’apatite. Rari vi sono i cristalli di plagioclasio, con geminazioni secondo la legge dell’albite, con indizio di struttura zonata e con angoli d’estin- zione non insignificanti, ciò che permette di ritenerlo per feldspato basico. I cristalli d’augite sono più frequenti che non la biotite : predomina il prisma fondamentale e le due basi terminali: sfaldatura secondo oo P. (110); colore verdognolo, pleocroismo debole, angoli d’estinzione sino a 42°. La biotite è di colore assai oscuro, con forte assorbimento ottico riferibilmente ai raggi paralleli o quasi paralleli alle faccie di sfaldatura. Inalterata iù parte, in parte decomposta, contiene inclusioni di magne- tite, specialmente sui margini. L’olivina si presenta a sezioni trasparenti aventi superficie scabrosa^ parallele o quasi alla faccia oo P oo (100) ed anche a OP (100), limi- tate da sezioni di 2 P oo (021), oo P oo (010), oo P oo (110), oo P oo (100) B — 34 — e più raramente da oo P oo (010). La direzione degli angoli d’estinzione è conforme al sistema rombico. In posizione illuminata le sezioni pre- sentano spiccate graduazioni di polarizzazione. Anche l’olivina è il più sovente alterata, massime sui margini delle sezioni e delle fessurazioni, nei quali punti si osserva una secrezione di minerali di ferro che v’impartisce una colorazione bruna, accompa- gnata da debole pleocroismo. La maggior parte della roccia è costituita della massa di fondo, composta di sostanza vitrea con abbondanti prodotti di devitrificazione. Il suo color bruno dipende precipuamente dalla concentrazione di pig- mento entro quest’ultimi. Essa contiene piccoli crislalli di sanidina e di feldspato con stria- ture di poligeminazione : oltre a ciò contiene della magnetite alterata sui margini e dell’apatite aghiforme. Queste inclusioni presentano talvolta la struttura tìuidale. 2. Trachitì andesitiche , con olivina. — Appartengono a questo gruppo le roccie di Sassara e di Mont’Alfìna, ad Ovest di S. Lorenzo. I risultati dell’analisi chimica sono i seguenti: Sassara Mont’Alfina Si02 .... 56, 76 . • t 56, 32 PA .... 0, 47 . • i 0, 34 A1203. . . . 16, 79 . • 18, 17 FeA. . • • 2, 07 . • • 2, 23 FeO .... 6, 95 . • • 6, 47 CaO .... 6, 01 . • 5, 33 MgO .... 1, 63 . • • 2, 84 K20 .... 4, 67 . 4, 18 Na20 .... 2, 43 . • i 1, 80 Perdite . . . 2, 44 . • • 2, 15 100, 22 . • t 99, 83 Peso specifico 2, 470 . • 2, 520 Si nota in confronto della precedente analisi una diminuzione del tenore in silice ed un incremento in quello delPallumina della calce e della soda, dal che si deduce una diminuzione di feldspato acido ed un 35 aumento del basico, come dal maggior tenore del FeO unitamente a quello di MgO e della diminuzione di Si02 si deduce l’aumento della olivina. All’esame macroscopico queste roccie si presentano di colore grigio- bruno a grigio-bruno-rossiccio, e con una massa di fondo ripiena di cavità, e meno scabrosa che non nel precedente gruppo di roccie. Fra i cristalli sparsi entro la massa si notano principalmente quelli di plagioclasio; poi quelli di sanidina e susseguentemente cristalli d’augite, d’olivina, di biotite di magnetite e d’apatite. Il plagioclasio ha struttura lamellare ben sviluppata secondo la faccia oo P oo (010), struttura zonata ed angoli d’estinzione più oltre a 30°, con inclusioni vitree. Nulla di speciale, a confronto delle roccie precedenti, offrono la sanidina, l’augite, l’olivina, la magnetite e la biotite. Rimarchevole è piuttosto l’agglomerazione locale di cristalli di plagioclasio, d’augite e d’olivina, che (indicano delle secrezioni avvenute in un anteriore periodo genetico delle roccie in parola. La massa di fondo si compone presso a poco degli stessi minerali costituenti i cristalli isolati: è di natura più cristallina che non nel precedente gruppo ed è meno ricca di base vitrea. In particolare è costituita da lamelle di plagioclasio secondo la geminazione di Carlsbad, di prismi verdi d'augite, di frustoli di biotite, di magnetite e d’ apa- tite. 3. Trachite di Bolsena. — All’aspetto rassomiglia ad una trachite di Transilvania, come la ebbe a giudicare anche il vom Rath. E co- stituita da una massa di fondo squamosa o granulare, di color grigio chiaro, con cristalli isolati di feldspato, di augite e con alquanta mica. La composizione chimica ne è la seguente: SiOs . . PA . . AIA • • FeA • • FeO. . . MnO . . CaO. . . Oi Or CO MgO . . f. — 36 — K20 5, 31 Na20 . . . . 1, 50 Perdite 1, 82 100, 13 Peso specifico 2, 451 Al microscopio scorgonsi entro la massa cristalli di sanidina, con inclusioni di magnetite, d’apatite, d’augite, di sostanza vitrea, oltre ad apatite aciculare. Oltre a ciò cristalli di plagioclasio, in quantità subordinata rispetto a quelli di sanidina, con struttura zonata e reticolata e gemi- nazioni secondo oo P oo (010). I cristalli di feldspato presentano a volta un nucleo trasparente, ben limitato ed in parte geminato, con faccie di estenzione a 26-32°; dal che si deduce la natura basica del mede- simo. Questo nucleo appare circondato da un involucro ripieno di in- clusioni vitree di magnetite e d’augite che lo rendono intorbidato. L’ involucro è talvolta semplice, talvolta geminato, secondo oo P oo (010) ed orientato giusta la direzione delle faccie di estinzione: in ogni modo accenna ad un feldspato acido. L’augite è verde e presenta identici caratteri che nelle roccie pre- cedenti, in quanto a pleocroismo, estinzione e sfaldatura. La biotite è bruna ed è rimarchevole pei fenomeni di riassorbimento che presenta. Nulla di speciale offrono la magnetite e l’apatite. La massa di fondo è quasi perfettamente cristallina e con poca sostanza vitrea. Consiste precipuamente di piccole sanidine a. cristalli semplici, a frustoli ed a geminazioni di Carlsbad. Il plagioclasio si presenta a verghette ed in gemini oo P oo (010), l’augite in prismi quasi incolori, la biotite in frustoli bruni, l’apatite è aghiforme, e la magnetite è pulverulenta. 4. Traehite di Monte San Magno (versante di Latera). — E una roccia di color grigio oscuro o grigio chiaro, con lucentezza un poco grassa, con cristalli di feldspato lamellare e d’augite. Somiglia alquanto alla fonolite. Dall’analisi chimica risulta composta di : SiO, 60, 03 PA . . . . • 0, 42 AIA 17, 05 — 37 — Fe,Oì FeO MnO CaO ... 6, 58 MgO ... 1, 12 k20 ... 5, 12 Na20 ... 2, 31 Perdite ... 1, 42 100, 12 Peso specifico . . . . ... 2, 543 Vista al microscopio, vi predominano i seguenti elementi cristallini sanidina prismatica e tabulare, a cristalli semplici e geminati secondo la legge di Carlsbad, e talvolta secondo quella di Baveno, con sezione quasi normale ad OP (001), e oo P oo (010), angolo assiale minimo e doppia rifrazione negativa. La sfaldatura ne è poco pronunciata; più evidenti ne sono le faccie di separazione secondo oo P oo (100) o all’ incirca. La sostanza della sanidina è freschissima e trasparente, ed include talvolta delle vescicule, dell’apatite, della magnetite e dell’augite. Il plagioclasio non è raro, a cristalli stipati e corti, geminati se- condo la legge dell’albite ed anche del periclino: faccie di estorzione tra 15° e 30°; natura basica. Rimarchevole è la presenza di gruppi e nidi di feldspato, combinati non di rado colPaugite. L’augite è verde, con caratteri non differenti che nelle precedenti roccie; al più meritano menzione le sue geminazioni secondo oo P oo (100), e la forma a clessidra de'suoi cristalli. Le sue inclusioni sono di so- stanza vitrea e di magnetite. La biotite e la magnetite nulla offrono di particolare, eccetto che la prima presenta il fenomeno del riassorbimento magmatico. La massa di fondo prevale sugli altri elementi e si risolve quasi totalmente in un aggregato cristallino di lamelle di feldspato monoclino e triclino, di prismetti verdastri giallognoli di augite, di squamette di biotite e di granellici di magnetite. Pronunciatissima vi è la struttura Guidale. Il tutto assieme caratterizza questa roccia per una trachite plagioclasica. — 38 — In tutte queste trachiti sopradescritte manca affatto Y orneblenda, sempre sostituita dall’augite. In particolare si distinguono per la pre- senza déll’olivina e del plagioclasio. La sostanza vitrea, come massa di fondo, vi è rappresentata in quantità variabile. 5. Tufo trachitico di Valle Vidone. — Lo si riscontra a Sud del lago di Bolsena, più in là della trachite di Torre Alfina. È di colore nerastro o grigio e si presenta stratificato e con frammenti inclusi di feldspato. Chimicamente consta di : SA. . AIA • FeO. , MnO . CaO. . KA . Na20 Perdite, 59, 36 27, 27 3, 16 0, 14 3, 99 1, 65 1, 11 3, 38 100, 06 È una roccia composta di una massa di fondo frammentizia, ri- piena di prodotti di decomposizione e di cristalli spezzati di sanidina, mica ed augite. Evidentemente si è formata con materiali provenienti dalla distruzione delle trachiti. Il relativo giacimento è più vicino alle trachiti dei Cimini che a quelle poste a Nord del lago di Bolsena. II. Itocele leucitiche. Nei dintorni del lago di Bolsena occorrono tefriti leucitiche, basaniti leucitiche e leueitofiri. Le tefriti leucitiche nelle immediate vicinanze del lago hanno aspetto basaltico o si approssimano in parte alle leucititi: più lungi a . Proceno, s’ incontra una tefrite leucitica che s’avvicina al tipo normale di Roccamonfina, ma che per il suo contenuto di sanidina propende piuttosto verso la serie fonolitica. Le basaniti leucitiche diversificano esteriormente dalle tefriti. Posseg- gono una massa di fondo grigio e porosa che dà loro un aspetto di doleriti. Si distinguono poi dalle tefriti per la composizione chimica e per contenere — 39 — dell’olivina. Per struttura e per composizione minerologica, astraendo dall’olivina, non esisterebbero diversità tra tefriti e basaniti: soltanto le condizioni naturali dei rispettivi giacimenti possono stabilire se ad essi compete un’assoluta, vicendevole indipendenza. Il leucitofiro si riscontra presso Gradoli a N.O del lago, sotto forma di blocchi erratici. 1. Tefrite leucitica e basanite leucitica. — Come si è già osser- vato la costituzione mineralogica di queste due roccie è identica, fatta eccezione per la presenza dell’olivina la quale del resto non influisce sulla complessiva struttura litologica. I minerali costituenti sono: Leucite. — Si presenta a grandi cristalli sparsi che agiscono sen- sibilmente sulla luce polarizzata ed in geminazioni secondo le faccie del dodecaedro. Contengono spesso delle inclusioni di scorie e d’augite, disposte nel centro o alla periferia loro. I cristalli più piccoli e tal- volta anche i grandi sono circondati da coroncine di scorie e di ma- gnetite granulari e non di rado vedesi aderire ad ogni globuletto di scoria ad ogni puntino di magnetite un prismetto d’augite. I regolari contorni dei cristalli d’augite componenti la massa di fondo svaniscono sempre maggiormente e la doppia rifrazione diviene sempre più debole finché si riduce ad un minimo: in questo caso le coroncine sopradette servono a determinare il minerale. Se anche queste mancano, giova ricorrere all’acido cloridrico per far risultare le leuciti che in allora perdono la loro superfìcie liscia. Augite. — Talvolta è a cristalli grandi della solita combinazione oo P (110), oo P .30 (100), oo P oo (010), P (111), con sfaldatura in due direzioni opposte di quasi 90°, con geminazioni secondo oo P oo (100), a struttnra zonata e con forme anche di clessidra. Le faccie d’estinzione in sezioni parallele a oo P oc (010) misurano da 35°-42° relativamente alla traccia dell’asse C. — È di color verde e talvolta forma nuclei più oscuri circondati da un involucro più chiaro: il pleocroismo è debole. I cristalli d’augite includono d’ordinario della magnetite e della sostanza vitrea, a file ben ordinate. Le augiti della massa di fondo si presentano a grandezze sempre più piccole, sotto forma di prismetti e di granellini di color chiaro e fortemente rinfrangenti. — 40 — Plagioclasio. — È in quantità alquanto subordinata a quella dei- fi augite e della leucite, *fnassima nelle roccie che contengono olivina. Si presenta a prismi allungati, geminati secondo la legge dell’albite, raramente a prismi tabulari. Giudicando dagli angoli d’estinzione (36°-32°) e dall’azione su di esso dell’acido cloridrico questo feldspato deve essere assai basico. La sanidina è di nessuna importanza per questo tipo di roccie: la si riscontra in cristalli semplici e geminati nella tefrite leucitica di Proceno. La magnetite è a grani ovvero a ramificazioni e talvolta si mostra decomposta sugli orli. L’apatite ha in tutte le roccie la forma aciculare allungata e tal- volta piatta ed è suddivisa trasversalmente. La biotite non è elemento costante : è di cok r bruno, a frustoli, fdeocroitica ed assorbente. L’olivina si riscontra soltanto in uno dei gruppi in cui suddividonsi le roccie leucitiche del lago, e specialmente a Montefìascone. E rico- noscibile dalla forma solita delle sue sezioni, da superfìcie non liscia e da doppia sfaldatura. L’estinzione avviene parallelamente o normalmente colle traccio di sfaldatura. È alterata sui margini e lungo le traccie di sfaldatura, e l’alterazione penetra da questi punti verso il centro dei cristalli che rimane chiaro e perciò senza pleocroismo: a nicoli incrociati però presenta il fenomeno della polarizzazione in alto grado. Affatto subor- dinata è la presenza di materia vitrea. L’ habitus delle roccie, ad eccezione di quella di Proceno, é ba- saltico o doleritico. Dal punto di vista semplicemente petrografìco esse si possono suddividere nei gruppi seguenti: A) Roccie leucitiche con habitus basaltico: a) — Tefriti leuci- tiche; principali elementi ne sono la leucite, il plagioclasio, Paugite e la magnetite: contengono il 52 % all’ incirca di silice, b) — Tefriti leuci- tiche passanti a leucititi: contengono leucite ed augite accompagnate da plagioclasio e da magnetite in quantità subordinate. Tenore in silice 48 a 49 %. B) Roccie leucitiche con habitus doleritico . — Distinte pel loro tenore in olivina e che perciò si possono classificare per leucito-tefriti — 41 — con olivina accessoria o per leucito-basaniti. Tenore in silice 47 ‘/a a 49 %, tenore in magnesia più elevato che nelle altre roccie. C) Roccie leucitiche con habitus tefritico. — Appartiene a tal gruppo la roccia di Proceno paragonabile a quella di Roccamonfina: il tipo ne è alquanto alterato dalla presenza della sanidina. D) Un altro tipo è costituito da una leucito-tefrite di Montalto a S.SO del lago: dovrebbe denominarsi andesite augitica con leucite accessoria. Tefriti leucitiche. — A questo gruppo appartengono le roccie di Santa Trinità presso Orvieto, a N.E del lago; quelle del Monte Bi- senzio a S.O; di Mezzano ad Ovest e di Toscanella a Sud. Segue la loro analisi chimica. S. Trinità M. Bisenzio Mezzano Toscanella Si02 . . 48, 28 . 52, 16 . . 52. 35 . . 51, 24 PA • • 1, 71 . . 1, 15 . 0, 85 . 0, 58 AIA - • 16, 51 . 15, 03 . . 15, 08 . . 15, 26 FeA • • 3, 07 . 3, 17 . tr. 3, 70 FeO . . 7, 62 8, 42 . 8, 38 . 8, 48 MnO . . 0, 16 . * 0, 24 . tr. 0, 12 CaO . . 12, 50 10, 07 . . 11, 12 . 7, 63 MgO . . 4, 03 4, 69 5, 41 . 4, 04 k20 . 1, 82 . 2, 47 . 4, 12 . 2, 85 Na20 . . 0, 86 . 2, 38 1, 28 . 1, 08 Perdite . 3, 51 • . 0, 72 • 1, 84 . 5, 29 100, 09 . . 100, 50 • . 100, 43 . . 100, 27 Peso spec, , 2, 769 . . 2, 749 ♦ . 2, 735 . La roccia di Santa Trinità è di color grigio-bruno cupo, finamente granulare e contiene dei prodotti bruni di decomposizione : nella massa di fondo prevale il plagioclasio, la magnetite è a ramificazioni, e sol- tanto l’augite presenta dei risultati di maggiore grandezza. La roccia contiene un poco di hauyna. La roccia di Monte Bisenzio è grigia, a grana fine, con molto pla- glioclasio nella sua massa: la leucite è subordinata ed i cristalli di augite hanno forma di clessidra e struttura zonata. — 42 — La roccia erratica di Mezzano é di un grigio verdognolo, decom- posta; le leuciti ne sono in parte caolinizzate : i cristalli d’augite sono ben definiti: la massa di fondo contiene augite, feldspato e magnetite. Anche la roccia di Toscanella è alterata. Leucito-tefriti passanti a leucititi. — Si trovano alla vetta del Monte San Magno, ad Ovest del lago, a Canonica presso Orvieto, a N.E; ai Sassi Lanciati di Bolsena, pure a N.E; a Montefiascone a S.E; a Monte Jugo pure a S.E ed a Fosso Pantacciano, al Sud. S. Magno Canonica Sassi Lanciati Montefia- scone Galleria di Monte- fiascone Monte Jugo Fosso Pantac" ciano SiO, . . . 50,19 . . 52,71 . . 48, 75- 49, 03 . . 49, 18 . . 48, 84 . . 48, 20 . . 48, 51 P,05 . . 1, 39 . . 1,47 . • 0, 31- 0, 27 . . 0, 41 . . 0, 27 . . 0, 47 . . 0, 95 AljOj . . 16,86 . . 14, 41 . . 16, 03- 16, 07 . . 16, 07 . . 15, 45 . . 15, 07 . . 14, 56 Fe403 . . 2, 12 . . 2, 22 CD !> T— 1 cò 00 1—1 . 1,17. . 2, 78 . . 1, 53 . . 3, 21 FeO . . . 7, 32 . • 8, 03 . • 10,12- 10,05 . . 8, 94 . . 9,62 . . 9, 18 . . 8,19 MaO. . . 0, 21 . . 0, 12 . . 0, 42- 0, 44 . . 0, 42 . . 0, 34 . . 0, 29 . . 0, 16 CaO. . . 11, 40 . . 11, 06 . . 11, 72- 12, 04 . . . 13, 26 . . 13, 29 . .13,95 . . 10, 69 MgO. . . 3,66 . . 5, 11 . . 4, 02- 3, 94 . . 5, 43 . . 5, 37 . . 7, 48 . . 4,12 K*0 . . . 3, 78 . . 2, 55 . . 2, 94- 3, 06 . . 2, 07 . . 1, 83 . . 1, 73 . . 4, 24 NazO . . 2, 11 . . 1, 34 . . 1. 89- 1, 73 . . 1, 25 . . 1, 24 . . 0, 94 . . 2,15 SO, . . • — — . . 0, 62- 0, 57 . . 0, 48 , . . 0,56 . — . . — Perdite . 1,17 . . 1, 01 . . 1, 39- 1, 38 . . 1, 62 . . 0,72 . . 1, 78 . . 2, 80 100, 21 . .100,03 . .100, 04-100, 34 . .100, 30 . .100, 26 . .100, 72 . . 99, 58 Peso sp . 2, 708 . . 2, 816 . . — — . — . . — . — . . 2, 726 Tutte queste provenienze, ad eccezione della roccia di Fosso Pan- tacciano che è un di mezzo tra questo ed il gruppo precedente, sono molto più povere di feldspato che non le roccie del gruppo precedente. Veduta al microscopio la massa di fondo risulta composta d’augite, ma- gnetite e plagiaclasio e di piccoli cristalli d’augite : essa circonda le augiti più voluminose, a guisa di tessuto entro le cui maglie stanno questi cristalli. Raramente (Moctefiascone), oltre a cristalli sparsi di augite si osservano quelli di leucite in eguale quantità e grandezza, talvolta (San Magno) predominana quelli di leucite. La roccia di San Magno è di color grigio nerastro, a struttura finamente cristallina; i singoli componenti formano attorno alle leuciti 43 — un distinto reticolato: quest’ultime contengono coroncine di scorie e di magnetite, con aderenti cristallini d’augite. La roccia di Canonica ha colore e struttura eguali alla precedente; la leucite è alquanto subordinata all’augite; contiene nefelina. Ai Sassi Lanciati, il colore è nero-grigio; contiene cristalli di leu- cite e d’augite, i primi colle solite coroncine di scorie; le scorie occu- pano anche il centro delle sezioni. I cristalli d’augite sono talvolta corrosi : presentano la forma di clessidra e sono spesso circondati da corone di magnetite, di scorie e di vescicule. Contiene anche hauyna. La roccia di Montefiascone è a grana grossolana grigio-nera, con cristalli di leucite geminata e di augite; le leuciti hanno soventi delle ac- cumulazioni centrali di scorie e di vescichette; le augiti sono verdi, con sfaldatura prismatica, grandi angoli di estinzione, poco pleocroismo e frequente struttura zonata. La masse di fondo è composta di molta augite e poi di leucite e di magnetite, mentre scarso è il plagioclasio. La roccia della galleria ferroviaria di Montefiascone ha invece una struttura fine; la sua augite porta le traccie di fusione e contiene in- clusioni di scorie sui margini. Le leuciti contengono coroncine ed agiscono rimarchevolmente sulla luce polarizzata. La massa di fondo non presenta singolarità: vi si nota un poco di hauyna. A Monte Jugo la roccia è nero-grigia con cristalli d’augite verde- oscura. Nel tessuto della massa di fondo predominano le leuciti e l’augite. A Fosso Pantacciano si ha una roccia bruno-grigia con cristalli a clessidra di augite; la massa oltre ad augite contiene del plagioclasio ed anche la leucite- ma in quantità minore di quest’ultimo. Roccie leucitiche con habitus doleritico. — L’aspetto loro è affatto diverso da quello delle roccie senza olivina. Si distinguono anche chi- micamente, in ispecie dalle tefriti, per un minor tenore in silice ed un maggiore in calce e magnesia. La presenza o meno dell’olivina non influisce sulla struttura mi- croscopica delle roccie. Questa classe di roccie si riscontra a Valentano, Fosso Pantacciano (erratiche), Toscanella, Madonna dell’Olivo, Montefiascone (erratica e in posto). Dalla topografica distribuzione di queste diverse provenienze risul- — 44 — terebbe che le leucito-tefriti con olivina si trovano essenzialmente dalla parte Sud del lago diBolsena: all’incontro predominano dal lato occi- dentale e di N.E le roccie senza olivina. Tali circostanze giustifiche- rebbero la distinzione delle roccie in parola in tefriti ed in basaniti. Un esatto studio delle colate locali è necessario per risolvere definitiva- mente questo problema: Valentano. Fosso Pantacciano. Toscanella e Montefìascone SiOa 48, 09 Madonna dell’ Olivo. 51, 94 49, 03 erratico 47, 61 e in posto. 49, 23 pa 0, 41 0, 62 0, 86 0, 61 0, 17 AIA 13, 60 14, 78 15, 18 17, 38 15, 04 FeA 2, 52 2, 94 2, 07 2, 03 1, 39 FeO 9, 36 9, 13 6, 32 7, 24 9, 03 MnO 0, 10 0, 17 0, 19 0, 21 0, 37 CaO 13, 05 8, 51 12, 58 15, 61 13, 58 MgO 6, 75 2, 63 6, 05 6, 21 8, 02 k2o 3, 07 5, 33 4, 07 1, 81 1, 54 Na,0 1, 41 2, 08 1, 49 0, ‘86 1, 07 Perdita 1, 62 2, 12 2, 09 0, 64 0, 93 99, 28 100, 25 99, 93 100, 21 100, 37 Peso specif. 2, 762 — 2, 743 2, 731 — La struttura di queste roccie è porfìrica, con cristalli d’augite, di oli- vina e di leucite ; il plagioclasio è subordinato. Nella massa di fondo, spe- cialmente nelle provenienze tipiche di Montefìascone, prevale l’augite. Valentano. — Roccia grigia, grana di media grossezza, piena di cavità entro le quali stanno delle piccole nefeline. Fra i cristalli sparsi predomina l’augite con struttura zonata ben sviluppata, poi l’olivina i cui margini sono decomposti e di color bruno. Oltre a ciò vi è magne- tite ed hauyna. Fosso Pantacciano (blocco erratico). — D’aspetto simile alla prece- dente roccia. Le nefeline delle cavità hanno le forma oo P (10l0), OP(OOOl). In cristalli isolati si presentano le leuciti, l’augite e l’olivina; le prime due visibili ad occhio nudo. La leucite presenta bellissime gemi- nazioni e delle concentrazioni di scorie e di bollicine: è abbondante, lo che spiega il tenore elevato di potassa nella roccia. Nella massa di fondo — 45 — il plagioclasio è scarso e talvolta accumulato; contiene inoltre augite, leucite, magnetite, epatite e biotite. Toscanella e Madonna dell’Olivo. — Roccia grigia, a grana media, con cavità contenenti nefelina. Rari i cristalli isolati di augite: questi conten- gono inclusioni vitree e sono corrosi; oltre a leucite occorrono individui di plagiclasio ma in quantità più limitata, di olivina, di hauyna e di nefelina. Montefiascone (blocco erratico). — Di color grigio-chiaro, grana media con cavità e cristalli isolati di olivina ed augite. L’olivina è verde, ovvero bruna se decomposta; l’augite è di color verde-cupo. La massa di fondo è cristallina e si compone quasi interamente di augite con poca quantità di leucite, di plagioclasio, di biotite e di magnetite e dentro la stessa stanno grandi individui di olivina- e più piccoli di augite. La roccia in posto di Montefiascone ha una massa di fondo simile alla precedente; in generale, è più ricca in cristalli d’ augite e molto più scarsa di olivina: nella massa stessa si nota relativamente un aumento di plagioclasio ed una diminuzione di augite. Roccie leuciticlie ad habitus tefritico. — Spetta a questo gruppo la roccia di Proceno. Entro una massa di fondo grigia e finamente cristallina appaiono delle cavità di varia grandezza, cristalli di leucite aventi sino ad 1 cent, e 1;2 di grossezza: anche l’augite e la sanidina sono visibili ad occhio nudo. L’ analisi chimica della roccia è la seguente : Si02 . . . p*05 . . . so. . . . .... 0, 64 CI ... . ai2o3 . . . .... 16, 22 Fe.2Oa • • . .... 1, 93 FeO . . . .... 8, 17 MnO . . . .... 0, 44 CaO . . . .... 4, 80 MgO . . . .... 2, 72 K20 . . . .... 3, 09 Na.O . . . .... 1, 03 Perdite . . .... 1, 54 100, 27 — 46 — I cristalli di sanidina non sono molto frequenti, d’ ordinario sono grandi e geminati secondo la legge di Carlsbad. Quelli di plagioclasio sono più piccoli ed in geminazione secondo oo P oo (010) ed anche secondo la legge del pendino. In generale gli angoli di estinzione sono grandi, da 18° a 35°; alcuni cristalli si pre- sentano curvati. Le loro inclusioni sono specialmente di scorie. La leucite si presenta a cristalli ancor più grandi, con perfette ge- minazioni dodecaedriclie e con forte polarizzazione. L’augite è in cristalli verdognoli un poco pleocroitici, con sfaldatura prismatica, grandi angoli di estinzione e con geminazioni secondo oo P oo (100). Talvolta i cri- stalli sono alterati. La mica è rara, molto pleocroitica ed assorbente: sovente è circon- data da magnetite. Quest’ ultima si presenta sotto forma di grosse accu- mulazioni, sovente colorata sotto gli orli in rosso bruno, spesso asso- ciata all’augite. Accessoriamente concorrono alla composizione della roccia P hauyna, la nefelina e l’apatite. La massa di fondo è costituita dagli stessi minerali osservati sotto forma di cristalli isolati e da poca sostanza vitrea. Essenzialmente si compone di prismi allungati di plagioclasio geminato, di sanidina e di leu- cite colle solite coroncine. Anche l’augite vi si presenta a prismetti forte- mente polarizzanti, con grandi angoli di estinzione e debole pleocroismo. Roccia leucitica di Montalto . — E un tipo affatto speciale la di cui analisi diede i risultati seguenti: ì 2 3 4 SiO, 55, 11 55, 08 56, 07 56, 32 p,o3 0, 75 1, 02 0, 92 0, 93 AIA 16, 07 17, 52 16, 31 17, 07 FeA 3, 04 2, 11 1, 64 3, 11 FeO 8, 46 6, 17 8, 39 6, 03 MnO — 0, 10 0, 14 0, 13 CaO 6, 46 6, 19 5, 94 6, 53 MgO 3, 10 2, 41 3. 02 2, 05 KaO 5, 07 4, 32 5, 27 4, 03 Na20 1, 58 1, 37 1, 22 2, 24 Perdita 0, 89 4, 03 1, 17 2, 04 100, 53 100, 32 100, 00 100, 48 Peso specifico 2, 546 2, 492 2, 552 2, 492 47 — Le prime tre analisi riguardano roccie finamente cristalline, piene di cavità allungate, di colore nerastro e d’ aspetto basaltico. Nelle ca- vità trovasi sovente la calcite in forma d’amigdale, altre sono vuote o colle pareti rivestite di materia bruno-giallognola. — Il n. 4 è una roccia bruniccia senza cavità. I nn. 1-3 osservati al microscopio hanno 1’ apparenza delle ande- siti augitiche, contenendo entro una massa di fondo innumerevoli la- melle di plagioclasio colle relative strie di geminazione, cristallini di augite e magnetite che formano una specie di tessuto le cui singole parti sono apparentemente cementate da particelle di materia vitrea piena di microliti. Esaminando però accuratamente molte di queste par- ticelle vitree, ricorrendo pure alle lamine di gesso, si riconoscono in parte per leuciti. Per conseguenza la massa di fondo, oltre a contenere feldspato, magnetite, augite e sostanza vitrea, è anche leucitica; la leucite ha proprietà ottiche un po’ deboli, a somiglianza di quella osservata in certe roccie dell’ Eifel e di Kaiserstuhls. La leucite non presenta cristalli isolati entro la massa, per cui bisogna convenire che si sia formata in un susseguente stadio di solidificazione della roccia. Invece si osservano cristalli isolati di augite, di plagioclasio, d’oli- vina, di biotite, di magnetite, d’apatite e di calcite. L’augite è in cristalli semplici, raramente è geminata: è verdo- gnola, con sfaldatura secondo °° P (110), non molto pleocroitica e con grandi angoli d’estinzione. Le sue inclusioni consistono sopratutto in scorie. II plagioclasio è molto geminato secondo la legge dell’albite ed è pure dotato di grandi angoli d’estinzione: possiede talvolta struttura zonata ed inclusioni di scorie. L’olivina è decomposta sui margini, la biotite è bruna e con inclu- sioni di magnetite: l’apatite e la magnetite presentano i soliti carat- teri distintivi. Lo spato calcare, di formazione secondaria, viene indi- cato dalle elevate gradazioni di polarizzazione e dal presentarsi, alla luce polarizzata parallela, della caratteristica croce d’ interferenza, in causa della sua struttura sferolitica. La struttura di questa roccia, la sua composizione chimica e mi- neralogica la farebbe caratterizzare per andesite augitica con olivina accessoria e con leucite. Preferendo invece la denominazione di tefrite — 48 — leucitica con olivina accessoria, non bisogna dimenticare che questa roccia si scosta dalle vere tefriti leucitiche, sia per la sua chimica composizione e peso specifico che per la struttura e qualità della massa di fondo. Nel campione n° 4 si osservano presso che gli stessi minerali isolati che nei tre precedenti, però in minor quantità: predomina in essa la massa di fondo nella quale oltre a molta materia vitrea si osservano delle lamelle di plagioclasio, molta magnetite e delle pic- cole augiti : vi mancano affatto le leuciti osservate in tutte le roccie di Montalto. 2. Leucitofiro. — Proviene questa roccia unicamente da un blocco erratico rinvenuto nei dintorni di Gradoli. È grigio verdognola, fina- mente cristallina, con lucentezza grassa. Col microscopio si osservano in essa allo stato isolato uno spe- ciale bisilicato verde, delle grandi leuciti e qualche sanidina. La forma di questo bisilicato è indeterminata e corrosa, il suo forte pleocroismo potrebbe farlo ritenere per orneblenda ma un’accurata analisi ottica lo rivela per augite pleocroitica con sfaldatura prismatica e grandi angoli d’estinzione. Gli altri minerali non presentano alcun che di particolare. La massa di fondo contiene: nefelina a masse rettangolari o esagonali o di forma incerta, essa serve di cemento degli altri com- ponenti: leucite, in cristallini, sanidina tabulare e prismatica, spesso geminata, e da ultimo biotite, magnetite ed apatite in quantità subor- dinata e qualche poco di hauyna decomposta. Tra le roccie leucitiche merita pure menzione un tufo di Gradoli di color rossiccio, talvolta verdognolo e poroso. Al microscopio la massa conserva il color bruno, mostrasi piena di cavità e sparsa di puntini di magnetite e di frammenti di cristalli d’augite. Qua e là scor- gesi qualche frammento anche di tefrite leucitica co’ suoi caratteristici minerali. L’analisi chimica ha dato: Si02 49, 34 P205 1, 31 Ala03 ... 18, 99 Fes03 . . • 3, 11 FeO 6, 07 — 49 — MnO 0, 26 CaO 7, 89 MgO . . 3, 51 K20 6, 03 Na20 » . 1, 89 Perdite 1, 98 100, 38 Peso specifico .... * 2, 562 III. Andesite augitica con olivina accessoria. Questa roccia trovasi a Monte Rado presso Bagnorea, dal lato N.E del lago. Ha colore nero-bruno ed aspetto compatto, contiene entro una massa di fondo cristalli isolati di augite e di plagioclasio. La chimica composizione ne è la seguente: Si02 56, 42 PA 1, 08 Al2Oa • • 16, 81 Fe,0, 3, 26 FeO 6, 92 MnO 0, 23 CaO 5, 64 MgO 3, 50 KsO 3, 07 Na,0 1, 21 Perdite 2, 25 100, 39 Peso specifico 2, 625 L’analisi petrografia vi ha constatato i seguenti elementi allo stato isolato. Plagioclasio geminato e poligeminato secondo la* legge del- l’albite, con grandi angoli d’estinzione, di 28° in media; anche la legge di Carlsbad vi è rappresentata. Molte volte questi cristalli di plagio- clasio hanno profili distinti e contengono inclusioni di scorie e d’augite, ma non molto abbondanti. Talvolta però anche questi feldspati come 4 quelli d’altre provenienze, si riscontrano circondati da zone di un’altra sostanza feldspatica più acida e più ricca d’inclusioni, specialmente di scorie. Avviene pure d’osservare attorno qualche cristallo di feldspato, della massa vitrea colla quale in alcuni punti la sostanza del feldspato sembra confondersi: in questo è evidente un principio di' fusione del feldspato basico da parte della massa di fondo più acida. Augite. — Cristalli di color verde-chiaro senza notevole pleocroi- smo, con sfaldatura definita, grande angolo d’estinzioue e con strut- tura zonata. Non mancano le geminazioni secondo oo P oò* (100). Talvolta forma anche dei nidi, assieme a cristalli di plagioclasio e d’olivina e talvolta delle accumulazioni. Biotite. — È bruna, pleocroitica, assorbente, e si presenta qualche volta in cristalli ben definiti e pieni di magnetite, anche geminati se- condo la legge di Tschermak. Olivina. — Si presenta in quantità variabili; d’ordinario non è scarsa e spesso trovasi in cristalli più grandi entro a nidi assieme al plagioclasio ed all’augite, come si è detto più sopra. Non differisce del resto ne’ suoi caratteri dall’olivina che si trova nelle roccie leucitiche. Apatite. — Generalmente è finamente aghiforme ma talvolta anche a prismi traversalmente suddivisi ed assorbenti. Spato calcare. — A bellissime sferoliti colla nota croce d’ inter- ferenza. La massa di fondo si compone di prismi allungati di plagioclasio colle strie di poligeminazione ed ordinati fluidalmente; oltre a ciò di piccole augiti e di prodotti di devitrificazione. Nè la leucite, nè la nefe- lina vi furono constatate, all’ incontro i fenomeni ottici presentati da alcuni cristalli semplici di feldspato non escluderebbero la presenza della sanidina. L’aspetto di questa roccia è basaltico ; a ciò concorre eziandio la presenza dell’olivina; ma avuto riguardo alla sua composizione chi- mica e specialmente al suo tenore in silice, e considerando pure che in essa l’augite non predomina come nei veri basalti, non si può rite- — 51 — nerla che per un andesite augitica con olivina. È rimarchevole però il fatto che questa roccia si trova in posto in prossimità alle roccie leucitiche senza contenere traccia di leucite: di quest’ ultima circo- stanza bisogna pur tener conto nel classificarla, per quanto pure si potesse ammettere che anche qui, ma con un processo diverso di so- lidificazione, si fossero avverati gli stessi fenomeni genetici che per le roccie leucitiche di Montalto. (G. B. C.) — 52 — NOTIZIE DIVERSE Osservazioni geologiche nelle Alpi. 1 — II prof. F. G. Bonney intraprese nella estate del 1887, in compagnia del Rev. E. Mill, due traversate nella regione cristallina delle Alpi allo scopo di accertare se la successione stratigrafica apparente fra gli gneiss e i scisti cri- stallini che esso aveva osservato nella regione più centrale delle Alpi, si manteneva pure nelle Alpi occidentali ed orientali. Nello stesso tempo furono accuratamente notate tutte le circostanze che sembra- vano gettare qualche luce sull’origine degli scisti. L’autore esaminò le roccie lungo due linee di sezione : la Presso la strada del Colle di Lautaret da Grenoble a Briangon e di lì per il Monte Genèvre ed il Colle di Sestrières a Pinerolo limite della pianura piemontese; 2a Da Lienz nel bacino superiore della Drava a Kitzbuhel : esami- nando oltre a ciò altre parti della catena centrale ad oriente del passo del Brennero. I campioni raccolti furono in seguito esaminati al microscopio. I risultati delle ricerche dell’autore possono essere brevemente riassunte come segue : 1° Mentre le roccie di origine ignea si incontrano a tutti gli oriz- zonti nella serie cristallina delle Alpi, le roccie cristalline vi possono sempre essere distinte; anche nel caso che gli scisti cristallini sieno unicamente roccie ignee modificate, esse sono allora associate con roccie ignee riconoscibili di data posteriore; 2° Vi sono, parlando in termini generali, tre grandi gruppi di roccie nelle Alpi che simulano in modo curioso, se non la indicano? una successione stratigrafìca. Il più basso e più antico rassomiglia allo gneiss della serie laurenziana; il seguente agli gneiss piuttosto friabili 1 Dai Proceedings of thè Geological Society of London, seduta del 5 dicem- bre 1888. — 53 — e agli scisti della serie di Montalbano, il terzo e più elevato é un gran gruppo di scisti generalmente piuttosto a grana fina, micacei, cloritici, epidotici, calcarei e quarzosi, che passano talora a calcari cristallini e (più raramente) a quarziti scistose; 3° Il gruppo delle pietre verdi, per quanto Fautore ha potuto ac- certare, consiste principalmente di roccie ignee modificate, di data in- determinabile od ha tutto al più un valore cronologico locale; 4° Dei tre gruppi di cui sopra, il più alto ha un immenso svi- luppo nelle Alpi italiane e nel Tirolo al Nord e al Sud della catena centrale. Può infatti essere tracciato chiaramente alla sommità della serie cristallina da un estremo all’altro della catena alpina; 5° Il gruppo mediano è non di rado imperfettamente sviluppato o anche mancante, sembrando quasi abraso per denudazione. Nella tra- versata delle Alpi franco-italiane non fu veduto, eccetto forse che nel lato orientale per una distanza comparativamente breve, essendo probabilmente nascosto dalle roccie paleozoiche e mesozoiche nel lato occidentale. Non è completamente sviluppato nel Tirolo orientale e sembra essere prevalente specialmente nelle Alpi Leponzie e nel fianco meridionale dello spartiacque ; 6° Il gruppo inferiore è chiaramente visibile tanto nelle Alpi fran- cesi che nel Tirolo centrale; 7° Come regola gli scisti del gruppo superiore ebbero un ori- gine sedimentare. Gli scisti e gli gneiss del gruppo mediano ebbero molto probabilmente almeno in parte una simile origine. Quanto al gruppo inferiore è difficile nello stato presente delle nostre cognizioni il venire ad alcuna conclusione; 8° Le ardesie ed altre roccie di origine clastica nelle Alpi, sia dell’epoca mesozoica che della paleozoica, benché alquanto modificate dalla pressione, sono totalmente distinte dai veri scisti sopramentovati, # ed è unicamente sotto circostanze assai eccezionali ed in casi affatto limitati che s’ incontra qualche difficoltà nel distinguerli fra di loro L’evidenza di materiali framentarii più grossolani in queste roccie paleo- zoiche e più recenti, indica che i gneiss e gli scisti cristallini delle Alpi sono assai più antichi che la più antica di esse; 9° Le osservazioni fatte dall’autore sino dal 1886 sulla esistenza di una scistosità di clivaggio dovuta alla pressione, ed una scistosità — 54 — dì stratificazione di data più recente, che apparentemente è il risultato di una originaria stratificazione, e quelle sull’ importanza di distinguere queste strutture (cosa in generale non difficile), sono state pienamente confermate. Egli è convinto che molti dei fatti contraddittorii asseriti e la molta confusione riguardo all’origine e al significato della scisto- sità dipendono dal non avere riconosciuto la distinzione di queste due strutture. In riguardo ad esse si può ammettere che talvolta gli estremi si toccano e che una roccia cristallina ridotta in polvere in situ è molto difficilmente distinguibile da un sedimento a fina grana fòrte- mente compresso; ma egli crede queste difficoltà affatto locali e proba- bilmente di solo carattere temporaneo. Le folgoriti del Monte Viso. 1 — Il dottor Fr. Rutley ha descritto alcuni campioni di folgoriti raccolti dal signor James Eccles presso la sommità del Monte Viso (3843 metri sul livello del mare). Sono fram- menti di uno scisto epidotico-glaucofanico, nel quale si trovano gra- nato, sfeno e talora diallagio. Il professor Judd considera questa roccia come alquanto simile agli scisti glaucofanici e alle eclogiti dell’isola di Groix in Bretagna. I frammenti sono limitati da piani di giacitura, o superficie di facile fessurazione, incrostati da minute pallottoline e sottili pellicole di vetro folgoritico formanti le pareti di tubi prodotti dal fulmine. Il vetro venne esaminato sotto il microscopio, avendo preso ogni cura di isolarlo per- fettamente dalla restante roccia, e fu trovato essere, come di regola^ notevolmente puro, ma vi si trovano in alcuni punti, non solo bollicine di gas ma anche globuliti , i quali talvolta formano longuliti e più rara- mente margariti : in alcune sezioni si osservano anche dei microliti . In una sezione si vede un grano arrotondato di scisto che contiene un frammento di cristallo fortemente depolarizzante, probabilmente epi- doto, che sembra sia stato involto nel vetro. Dove il vetro viene in contatto colla roccia, questa sembra non avere subita alterazione oltre lo sviluppo di una sottilissima striscia 1 Da uno studio del dottor Fr. Rutley presentato alla Geological Society of London nella seduta 5 dicembre 1888. — 55 — di materia bianca opaca che Y autore crede dovuta, non all’ azione della folgore, ma a segregazione preesistente di sfeno. La presenza dei globuliti , margariti , longuliti e microliti nel vetro sembrerebbe indicare un meno subitaneo raffreddarsi di quello che in simili casi si suppone esser solito di avvenire; poiché il vetro non pre- senta segni che caratterizzino una devitrifìcazione susseguente ed i corpi enumerati sembrano incontrastabilmente essere stati formati du- rante il raffreddamento della folgorite. n — 56 — NECROLOGIA. GIUSEPPE MENEGHINI « Il giorno 29 gennaio 1889 alle 10 antimeridiane moriva in Pisa, all’età di anni 77 1[2 il senatore Giuseppe Meneghini, professore di Geologia alla R. Università e presidente da molti anni del R. Comi- tato geologico. Il giorno 1° di febbraio ebbero luogo i funerali dell’estinto ed il suo trasporto al Campo Santo monumentale di quella città, dove ne rimarrà la salma accanto a quella di tanti scienziati che lo precedettero. Una necrologia illustrativa completa della vita di un uomo dottis- simo morto quasi ottantenne, la cui carriera comprende circa 54 anni continui d’insegnamento e produsse un rilevante numero di pubblicazioni in diversi rami affini delle scienze naturali, sarebbe un lavoro oltre il compito del Bollettino geologico, mentre non mancherà certo chi possa compierlo degnamente altrove. Qui sarà forza limitarsi a qualche cenno concernente più direttamente la sua carriera nel campo geologico, sul quale lavorò quasi esclusivamente a partire da una certa epoca della sua vita, e sul quale la finiva. Carriera scientifica. Nato a Padova il 30 luglio 1811. Nel 1834 laureato in medicina alla Università di quella città; nel- l’anno successivo nominato assistente alla cattedra di Botanica; e nel 1839 nominato professore ordinario di scienze preparatorie (Fisica, Chimica e Botanica) per i chirurgi. Nel 1848 cancellato dal ruolo della I. R. Università di Padova per ragioni politiche, andò a stabilirsi a Pisa, dove con decreto granducale 20 gennaio 1849 venne nominato professore di mineralogia e geologia e direttore del relativo museo della Università, in sostituzione di Leo- poldo Pilla morto a Curtatone. Nel 1851 gli fu pure affidata la cattedra di Geografia fisica. E tali funzioni gli venivano poi confermate nel 1859 con decreto del Governo della Toscana. — 57 — Sotto il Regno d’Italia veniva ancora nelle stesse funzioni confer- mato con R. decreto 15 gennaio 1863. Nel 1866 fu nominato membro del Consiglio delle Miniere, e poi con R. decreto 15 dicembre 1867 membro del Comitato incaricato della formazione della Carta geologica del Regno. Morto nel 1870 il prof. Paolo Savi, venne nominato direttore del R. Museo di Storia naturale di Pisa. Nel 1874, divisa la cattedra della mineralogia da quella di geolo- gia, il Meneghini serbò quest’ultima, passando la prima al professor e D’Achiardi. Con R. decreto 2 febbraio 1879 veniva riformato il Comitato geo- logico, ed il prof. Meneghini con R. decreto stessa data ne veniva nominato presidente, e come tale confermato poi d’anno in anno fino alla morte. Egli fu più volte rettore dell’ Università di Pisa e fu membro del Consiglio' superiore dell’istruzione pubblica. Nel giugno 1886 era nominato senatore, dignità pella quale gli davano titoli esuberanti la sua posizione, la qualità di membro delle più cospicue accademie e le sue dotte pubblicazioni. Dei quali meriti si farà breve accenno qui appresso. Pubblicazioni. Le pubblicazioni del prof. Meneghini, che datano dal 1834, cioè dal principio stesso della sua carriera di insegnante, e si seguirono senza interruzione sino alla sua morte, sono svariate e numerose, con- tandosi quasi 150 fra opere di lena, memorie e note diverse date alla stampa. Nei primi anni e sino al 1847 le sue pubblicazioni concernono soggetti di fisiologia, e di medicina, ma sovratutto di botanica; nel quale ramo di scienza era versatissimo specie, sulla algologia. Le prime sue note sono sulla struttura delle monocotiledoni, ma tosto pubblicò diverse memorie interessanti sulle algh<°, cominciando nel 1837 da quelle euganee, poi proseguendo nel 1840 sino al 1846 con quelle del Mediterraneo, non che sulle diatomee e su diversi argomenti di morfo- logia vegetale. Intanto egli imprendeva ad occuparsi di geologia, poiché già nel — 58 1845-46 pubblicava due note sul terreno antracitifero di Raveo nel Veneto. Ma quei suoi studi primi di medicina e specialmente di bota- nica, possono , bene considerarsi come un prezioso preambolo alla pa- leontologia geologica nella quale poi divenne così particolarmente distinto. Il suo trasloco a Pisa nel 1848-49, in quel centro di studi geolo- gici dove già si erano illustrati il Pilla, a cui succedette nell’ insegna- mento, ed il Savi che era direttore generale del ricco Museo di quella Università, decideva il suo intero passaggio nel campo geologico. Nel 1851 egli pubblicava una traduzione della memoria di Sir R. Murchison sulla struttura geologica delle Alpi, degli Appennini e dei Carpazi, cui fece seguito una nota importantissima scritta d’ accordo con Paolo Savi, intitolato: Considerazioni sulla geologia stratigrafica della Toscana. Nel 1853 egli pubblicava negli Annali delle Università toscane una memoria sui Nuovi fossili toscani, che fu la prima sua pubblicazione importante di paleontologia e venne poi seguita nel 1857 dalla pubbli- cazione di ben maggior lena che fa parte della classica opera: Voyage en Sardaigne, du generale A. De la Marmora, cioè Paleontologie de Vile de Sardaigne , 1 voi. in-8° di 586 pag., con 8 tav. in fol., Turin. Un supplemento a tale volume compariva poi ancora in Torino nel 1860. Da quest’epoca le memorie di geologia, di mineralogia e di scienze ed arti affini, ma sovratutto di paleontologia del prof. Meneghini, si seguono senza interruzione, pubblicate negli annali di società scienti- fiche od accademie sia italiane che estere, di cui era membro o socio corrispondente. Si possono citare a proposito i termini stessi del pro- fessore Dante Pantanelli dell’Università di Modena in una recente sua commemorazione pubblicata nel Bollettino della Società malacologica italiana di cui il Meneghini era presidente. « Tutti i rami della Paleontologia, mammiferi, pesci, crostacei, echinodermi, molluschi, corallarii e piante, formano soggetto dei suoi lavori. Dal 1867 al 1881 pubblicò nella Paleontologie Lombarde di Stoppani uno splendido lavoro intitolato: Monographie des fossiles appartenant au calcaire rouge ammonitique de Lombardie, et de VApen- nin de V Italie Centrale. Voi. in 4° di pag. 242 con tav. 31, più un’ap- pendice Fossiles du Medolo , pag. 56 con tav. 7. — Dal 1874 in poi i suoi — 59 — lavori sono nel maggior numero di paleontologia e si aggirano di prefe- renza sui fossili mesozoici e paleozoici, senza però che siano trascurati quelli dei terreni più recenti. Così dal 1874 a tutto il 1888, trovasi che su trentasette memorie di paleontologia, ventuna si riferiscono a fos- sili mesozoici, dodici a fossili paleozoici, e quattro a cenozoici: non mancano tuttavia anche in questo periodo dei lavori di pura geologia, tra i quali sono interessantissimi quelli pubblicati in forma di osserva- zioni alle diverse comunicazioni e memorie geologiche presentate alla Società toscana, dimostrando che i molti ed egregi che si occupavano di geologia intorno all’ illustre maestro, avevano in lui la principale guida delle loro ricerche. « Nel 1880 e negli anni successivi, essendo venute in luce, mercè l’of era degli ingegneri addetti al Comitato geologico, nuove serie di fossili paleozoici della Sardegna, egli potè aumentare il numero degli avanzi sconosciuti della fauna siluriana di quella regione e determinare, non senza opposizioni felicemente superate, la presenza di piani cambriani nelTIglesiente. Così l’ultimo suo lavoro, pubblicato sul finire del 1888 sulla fauna cambriana della Sardegna, compendio felice e splendido dei suoi ultimi studii di paleontologia, chiude la sua lunga serie di ricerche che, cominciate coll’esame degli avanzi paleozoici di Jano e della Sardegna, dovevano finire colla determinazione delle faune primordiali di quell’ isola, girando, fra l’un termine e l’altro, in tutta la scala dei terreni fossiliferi italiani. » Nel precedente periodo del prof. Pantanelli appare bene tratteggiata la serie generale di pubblicazioni del prof. Meneghini e solo gioverà di meglio precisarle con qualche particolare. Le dette pubblicazioni sulla paleontologia, geologia e materie affini, fatte dopo il suo arrivo in Pisa sommano a più di 100 tra cui, senza contare le sue Lezioni orali di geografia fisica del 1851, voi. in 8° di 658 pag., sono preminenti le prime due già sopra citate oltre ad una del 1865: Saggio sulla costi- tuzione geologica della -provincia di Grosseto (con carta geologica); ed altra del 1875 Sulla struttura degli aptici , in unione al dottore G. Bornemann, negli Atti della Società toscana di scienze naturali. Però la succennata ultima sua opera comparsa nel volume III parte 2a delle Memorie del Comitato geologico, 1888. — Paleontologia delVIgle- siente in Sardegna , fauna cambriana. — Triboliti; con 7 tavole, è la- — 60 — voro capitale che completa la succitata prima opera Paleontologie de V ile de Sardaigne , pubblicata fino dal 1857. Tale suo ultimo lavoro pubblicato contemporaneamente allo studio delle trilobiti del dott. Bornemann possessore di miniere in quella regione, forma una classica illustrazione della sua antichissima fauna. Di quella stessa regione iglesiente l’ Ufficio geologico pubblicava in pari tempo (1888), una carta geologica con memoria descrittiva geologico-mineraria ed atlante dell’ ing. G. Zoppi, uno degli ingegneri del Corpo delle miniere che lavorarono al suo rilevamento. E così il lavoro ultimo del Meneghini usciva a momento opportuno per comple- tare la illustrazione geologica di una regione importantissima per le sue miniere e per contenere il terreno fossilifero più antico d’Italia. Tra le numerose note pubblicate dal prof. Meneghini, la massima parte delle quali si riferiscono a geologia scientifica od alla paleon- tologia, ve ne ha pure un certo numero di argomento industriale, cioè cave di marmi e miniere metallifere, specialmente di rame, come quelle di Bisano nel Bolognese, di Libbiano, di Monte Rufoli in To- scana. Veramente le teorie sulla genesi dei minerali ammessa tanti anni or sono da reputati geologi esteri ed italiani capitanati allora dal Savi, teorie cioè dell’eruzione od emersione delle masse metallifere stesse, non è più consona alle idee moderne fondate su più esatte e diuturne osservazioni, e' che condussero alla teoria delle azioni idro- termali: ma conviene tener conto dei tempi e dei passi graduali che la scienza dovea fare dall’epoca di De Buch a quella dell’ultimo ven- tennio, che tante modificazioni introdusse nella geologia e specialmente nella genesi dei minerali. Titoli accademici e benemerenze. Numerosissimi furono i titoli accademici conferiti al prof. Mene- ghini durante sì lunga carriera, essendo egli stato nominato membro di parecchie delle principali accademie e membro o socio ordinario o corrispondente di associazioni scientifiche sia nazionali che estere, e in più d’una con qualità di presidente. Il quale fatto viene qui riferito non soltanto a titolo di merito ed onoranza sua, quanto perchè lo essere membro di tante associazioni scientifiche, dava a lui, attivo e diligente, l’occasione di molti nuovi lavori e di mantenere con i scien- ziati italiani ed esteri una corrispondenza preziosa e feconda. - 61 — Sono più di 80 le accademie, istituti, società e sodalizi scientifici di cui era membro ordinario, od onorario, o corrispondente e fra quelli 27 dell’estero. Se ne citeranno soltanto alcuni, come le Regie Accademie delle scienze di Torino e di Napoli, il R. Istituto di scienze, lettere ed arti di Venezia, la Società dei XL in Modena, la R. Accademia dei Lincei in Roma, le Società dei naturalisti di Berlino, Dresda e Lipsia (sino dal 1839), TI. R. Istituto geologico di Vienna ed Ungheria (dal 1855), la Società geologica di Londra (1863-84), l’Accademia di scienze naturali di Filadelfia (1878). Presidente della Società toscana di scienze naturali con sede a Pisa (fino dal 1874), idem della Società malacologica italiana, idem della Società geologica italiana, nel primo anno della sua fondazione nel 1881 in Bologna, ecc. Già venne soprariferita la sua nomina a pre- sidente del R. Comitato per l’alta direzione della Carta geologica d’Italia avvenuta nel 1879, posto nel quale fu poi sempre conservato, non che la sua nomina a Senatore nel 1886. Tra i titoli cavallereschi di cui era insignito basta citare i tre ultimi: grande ufficiale dell’ordine della Corona d’Italia (1876), consi- gliere dell’ordine del Merito Civile di Savoia in sostituzione del de- funto Q. Sella (1885), e R. Ordine di Prussia per scienze ed arti (1888). Nell’anno 1884, cinquantennario del suo ingresso nella carriera dell’insegnamento, gli venne coniata una medaglia d’oro per opera di soscrittori di tutte le nazioni. Ora il fatto che il prof. Meneghini era associato a tanti sodalizi scientifici in Italia ed all’estero, ebbe per effetto una grande attività sua anche nella continua e regolare corrispondenza che egli mantenne con persone dotte e scienziati di varie parti del mondo e di cui resta la testimonianza in un voluminoso fascio di lettere formante da se un ricco e prezioso monumento scientifico. Veramente vi sarebbe qui da osservare un fatto curioso, come cioè con tanto interessamento alle scienze naturali il prof. Meneghini non abbia eseguiti grandi viaggi o frequenti escursioni, ma siasi generalmente concentrato nei lavori di gabinetto. È però da osservare in compenso come egli fosse assiduo ed acuto indagatore di ogni novità negli an- nali scientifici degli istituti d’ogni paese di cui era ricca la biblioteca del suo museo e quella della Società toscana di scienze naturali ricettata nel museo stesso, e come delle notizie ivi assunte egli facesse sempre parte generosa ad altri, sovratutto agli allievi suoi ed agli operatori della Carta geologica che a lui ricorrevano o ne attendevano parere. Cenno sull’uomo e suo carattere. Di statura piuttosto alta; occhio intelligente e dolce, valetudine generale assai buona sino a tarda età. Quasi ogni anno nella state andava a fare breve soggiorno nel Veneto sua patria, ma tornava co- stantemente nell’inverno alla sua patria di adozione Pisa, dove infine, forse un po’ logoro dalla troppa applicazione e poi vinto dall’età e da una angina di petto, si spegneva sul principio del 1889. Quell’occhio intelligente e vivo, ma spirante dolcezza e suprema bontà, rivelava le doti principali della mente e dell’animo suo. La lucidità dell’ingegno versatile che traducevasi nella chiarezza della esposizione, facea sì che egli potè nella lunga carriera dell’in- segnamento, essere prezioso maestro ad una pleiade di allievi di cui non pochi divenuti poi a loro volta insegnanti altrui, come il Capel- lini, il Cocchi, il Bassani ed altri. Egli altrettanto attraeva con la sua svariata erudizione e la felice esposizione quanto con la bontà somma e la continua sollecitudine verso i giovani studenti, che in lui più che che un maestro ravvisavano un padre. Egli intanto, moderato e prudente, ma di mente elevata, non ri- fuggiva dal progresso, e quando ne fu il caso non si peritò di ab- bracciare le idee scientifiche più avanzate dei tempi moderni. Come presidente del R. Comitato geologico. In simile qualità il Meneghini dovrebbe avere nel Bollettino geo- logico una estesa commemorazione; ma lo esposto nei periodi prece- denti può dispensare in parte dal dilungarsi su tale argomento, onde si starà limitati a rammentare appena alcune delle cose speciali che lo concernono. L’organismo della nostra istituzione geologica e del R. Comitato direttivo, quale venne stabilito dal R. Decreto 15 giugno 1873 e rifor- mato dal successivo del 2 febbraio 1879, epoca nella quale egli ne venne nominato presidente, differisce alquanto da quello del primo Comitato istituito nel 1867 in Firenze. In ambedue i casi lo scopo in 63 — vista era la formazione della Carta geologica del Regno; ma nel Co- mitato del 1867 il presidente avea anche la direzione materiale del lavoro con facoltà esecutiva, mentre nella combinazione dei R. Decreti del 1873 e 1879, al Comitato era riservata l’alta direzione scientifica del lavoro, mentre l’esecuzione della Carta era specialmente affidata ad una sezione di ingegneri del R. Corpo Miniere addestrati nella geologia, costituente l’Ufficio geologico, e la direzione dei lavori ad un ispettore del corpo stesso. Tale organizzazione era quella già proposta dal Sella e sancita da Decreto Reale del 1861, ma poi sospesa per motivi di economia. La funzione di presidente del Comitato, resa essenzialmente di in- dole scientifica era in questo caso bene adatta al professore Meneghini, che le sue cognizioni ed i lavori specialmente di paleontologia aveano portato in sì eminente posizione. Egli poi, benché residente a Pisa e lontano dall’Ufficio geologico, disponendo di uno dei più ricchi musei avea mezzo più facile di giovare all’opera della Carta geologica con la determinazione dei fossili che gli operatori gli inviavano. In Pisa poi era tosto stato stabilito un’ufficio secondario o Sezione geologica, a cui furono addetti due ingegneri del Corpo, i signori Lotti e Zaccagna, oltre al dott. M. Canavari paleontologo del Comitato il quale, sotto la guida del professore stesso, lavorava nella paleontologia speciale per la Carta e compieva pure importanti studi e pubblicazioni. La residenza di Pisa d’ altronde era grandemente propizia, come centro geologico e geografico da cui facilmente si potevano raggiungere le regioni classiche, per così dire, della geologia italiana, quali sono 1 Isola d Elba, il Monte Pisano, le Alpi Apuane, la Montagnola Senese, la Catena metallifera della Maremma ed altre che infatti furono per le prime ed assai rapidamente rilevate. Nei diversi lavori del Comitato geologico egli portò più volte il tributo delle sue estese cognizioni, come anche nelle commissioni pre- paratorie dei congressi geologici internazionali, al quale proposito si può citare la sua relazione all’epoca di quello di Bologna nel 1881, intitolata: Sur l’uniformité de la nomenclature des grandes divisions de Ve cor ce terrestre; 2- rapport de la Commission italienne . Nelle sedute annuali del Comitato per l’esame dei lavori della Carta geologica, ed in quelle straordinarie tenutesi talvolta per scopi speciali, — 64 — segnatamente in quelle del 1882, in cui discutevasi l’organismo stesso della istituzione non senza qualche viva lotta con oppositori del vi- gente sistema, egli equanime conduceva quelle discussioni in modo con- ciliativo, in vista sempre dello scopo più pratico ed essenziale, quello cioè che i lavori della Carta geologica procedessero intanto esatti ed il più rapidamento possibile. Quei modi e quell’autorità morale e scien- tifica cui egli possedeva, fecero sì che V onorevole incarico di presi- dente gli venisse poi confermato per tutta la vita. Quanto all’ alta direzione scientifica speciale che i varii membri del Comitato possono esercitare sul lavoro nelle diverse regioni d’Italia che loro sono più o meno conosciute, il prof. Meneghini aveva assunto quello delle regioni toscane circostanti a Pisa sovra menzionate oltre poi a quella della Sardegna. Ed infatti, riguardo a quest’ ultima, i suoi lavori paleontologici lo rendevano particolarmente indicato, come ben si vide lorchè dietro le nuove scoperte e lavori degli ingegneri delle Miniere nell’isola divenne necessaria una più precisa classificazione dei vari piani del terreno paleozoico, onde emerse poi per la prima volta la constatazione del Cambriano dapprima confuso col Siluriano. In vero il prof. Meneghini non era uso, come già venne sopra os- servato, e sovratutto negli ultimi tempi, a condurre gli operatori geo- logici sul terreno; ma quanto ampiamente egli supplisse con 1’ opera sua instancabile, amorosa può dirsi, nel fornire loro le notizie e le de- terminazioni che potevano servire di aiuto e di guida scientifica agli operatori stessi, è superfluo qui il ripetere, dopo quanto ne venne sopra cennato parlando dei suoi lavori nel museo e delle ricerche nelle ricche biblioteche cui egli assiduamente frequentava. Al quale proposito merita venire rammentata la sua generosità verso il museo di cui era direttore, poiché alla biblioteca del medesimo egli sempre facea dono di tutte le opere che da varie parti del mondo a lui pervenivano, accrescendone sempre più la ricchezza. Tanti meriti morali e scientifici perdurati oltre mezzo secolo, aveano naturalmente creato un’aureola di pura luce ed un nodo di af- fetti intorno all’uomo ed al professore in tutta l’Italia e specialmente in Pisa sua patria adottiva. Il sentimento di stima e di affezione ben si rivelava nel giorno delle esequie che furono imponenti. — 65 — Il feretro, portato dagli studenti dell’ Università, era accompagnato dai rappresentanti di Padova sua prima patria e di Pisa sua patria nuova, da quella di varii Ministeri, Università, Accademie, Sodalizii di- versi ed anche di Associazioni popolari. Emblemi onorifici e corone diverse l’accompagnavano, tra cui una degli ingegneri del Corpo delle Miniere che aveano lavorato alla geo- logia dell’ Italia durante la sua presidenza del Comitato. La salma ceduta da Padova a Pisa fu portata prima a ricevere un saluto della Università, dove il defunto aveva per 40 anni professato, indi al Camposanto monumentale, dove fu solennemente deposta e dove per disposizione del Municipio di Pisa avrà riverita sede accanto alla statua ivi eretta al geologo Paolo Savi che di quasi quattro lustri lo avea preceduto. GIUSEPPE SEGUENZA Altra grave perdita fece la scienza geologica per la morte del prof. Giuseppe Seguenza avvenuta in Messina il giorno 3 febbraio 1889, perdita tanto più sentita quanto inaspettata. Nato in Messina nel 1833, egli avrebbe ancora potuto prestare lunghi servigi alla scienza, e la attività da esso dimostrata nella sua lunga carriera scientifica erane arra sicura, se una immatura fine non avesse posto termine ai suoi lavori. Le prime pubblicazioni del Seguenza datano dal 1856 e sono di mineralogia, ma poco dopo (nel 1859) incominciò ad occuparsi di stra- tigrafia e di paleontologia, portando di preferenza la sua attenzione sugli invertebrati terziarii, dei quali aveva vasto campo di studio nei dintorni di Messina stessa e nella vicina Calabria, illustrando sovra- tutto i molluschi, i brachiopodi, i cirripedi ed i rizopodi. Siffatti lavori, eseguiti sempre con la scorta delle osservazioni stratigrafiche, lo re- sero conosciutissimo specialmente all’estero e gli acquistarono un bel posto fra i paleontologi moderni. Ebbe poi il merito di portare pel primo 5 — 66 — l’attenzione degli scienziati sulle condizioni di profondità per il diverso sviluppo delle faune marine, la quale idea ebbe poi fecondissimi risul- tati per la geologia. Rivolse pure la sua attività allo studio delle for- mazioni secondarie e in particolare dei terreni cretacei di Calabria e dei giuresi nella provincia di Messina. Gran merito del Seguenza fu di essersi formato da sè e di avere, senza P aiuto di alcuno, col lungo studio e col grande amore per la scienza acquistato un onorevolissimo posto fra gli scienziati italiani. Le sue pubblicazioni sommano a quasi un centinaio, e fra queste citeremo come più importanti, in ordine di data, le seguenti: 186:2. — Sulla formazione miocenica della Sicilia . — Messina. 1862. — Descrizione dei foraminiferi monotalamici delle marne mio- ceniche del distretto di Messina. — Messina. 1862-66. — Paleontologia malacologica dei terreni terziarii del di- stretto di Messina ; Fissurellidi. — Napoli. 1865. — Paleontologia malacologica dei terreni terziarii del distretto di Messina; Brachiopodi . — Milano. 1866. — Sulle importanti relazioni paleontologiche di talune roccie cretacee della Calabria con alcuni terreni di Sicilia e dell' Africa settentrionale. — Milano. 1867. — Paleontologia malacologica dei terreni terziarii del distretto di Messina; Pteropodi ed Eteropodi. — Milano. 1867. — Sul cretaceo medio dell'Italia meridionale. — Milano. 1868. — La formation Zancleénne ou recherches sur une nouvelle for- mation tertiaire. — Paris. 1869. — Sull' antica distribuzione geografica di talune specie vi- venti. — Pisa. 1871. — Sull'età geologica delle roccie secondarie di Taormina . — Palermo. 1872. — I eirripedi terziarii dell'Italia meridionale. — Messina. 1873. — Studii paleontologici sui brachiopodi terziarii delVItalia me- ridionale. — Pisa. 1873. — La formazione pliocenica della provincia di Palermo. — Firenze. 1873-74. — Elenco dei molluschi e cirripedi della zona superiore del pliocene nella Sicilia , Calabria e Toscana. — Firenze-Roma. — 67 - 1873- 77. — ■ Studii stratigrafici sulla formazione pliocenica dell’Italia meridionale. — Firenze-Roma. 1874- 76. — Ricerche paleontologiche intorno ai cirripedi terziarii della provincia di Messina; Balanidi , Verrucidi e Lepadidi. — Napoli. 1875- 76. — Studii paleontologici sulla fauna malacologica dei sedi- menti pliocenici depositatisi a grandi profondità. — Pisa. 1876. _ Cenni intorno alle Verticordie fossili del pliocene italiano. — Napoli. 1877. __ Brevissimi cenni intorno le formazioni terziarie della pro- vincia di Reggio-Calabria. — Messina. 1877. «— Nueulidi terziarie rinvenute nelle provincie meridionali di Italia. — Roma. 1879-80. — * Le formazioni terziarie della provincia di Reggio-Cala- bria. — Roma. 1881. — Le Ringicule terziarie italiane. — Roma. 1882. — Studii geologici e paleontologici sul cretaceo medio del- l’Italia meridionale. — Roma. 1886. — Il lias inferiore nella provincia di Messina. — Napoli. 1886. — Il lias superiore nel territorio di Taormina. — Venezia. 1886. — Esame di una sezione naturale del giurassico presso Taor- mina. — Messina. 1887. — Studio sulla fauna toarsiana ehe distingue la zona di marne rosso-variegate nel lias superiore di Taormina. — Roma. 1887. — Gli strati a Posidonomya alpina Gras nella serie giurassica del taorminese. — Roma. 1887. — I calcari con Stephanoceras Brongniarti Sow. presso Taor- mina. — Roma. Ì887. — Gli strati con Rhgnehonella Berchta Oppel presso Taor- mina. — Roma. ed altre memorie, tutte relative allo stesso terreno delle vicinanze di Taormina, che fu quello di cui maggiormente si occupava negli ultimi suoi anni. — 68 - PUBBLICAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO PARTI PUBBLICATE (al 28 febbraio 1889) Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000 : Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00 » 248 (Trapani) . . . » 3 00 » 249 (Palermo) . . . » 4 00 » 250 (Bagheria) . . . » 3 00 » 251 (Cefalù) . . . . » 3 00 » 252 (Naso) . . . . » 4 00 » 253 (Castroreale) . . » 4 00 » 254 (Messina) . . . » 4 00 » 256 (Isole Egadi) . . « 3 00 » 257 (Castelvetrano) . » 4 00 » 258 (Corleone) . . . » 5 00 » 259 (Termini Imerese). » 5 00 » 260 (Nicosia) . . . » 5 00 » 261 (Bronte). . . . » 5 00 Foglio N. 262 (Monte Etna) . . L. 5 00 » 265 (Mazzara del Vallo)» 8 00 » 266 (Sciacca) . . . » 4 00 » 267 (Canicattì) . . . » 5 00 » 268 (Caltanissetta) . » 5 00 » 269 (Paterno) . . . » 5 00 » 270 (Catania) . . . » 3 00 » 271 (Girgenti) . . . » 3 00 » 272 (Terranova) . . » 4 00 » 273 (Caltagirone) ... » 5 00 » 274 (Siracusa) . . . » 4 00 » 275 (Scoglitti) . . . » 3 00 » 276 (Modica) . . . » 3 00 » 277 (Noto) . . . . » 3 00 Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. 4 00 » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 00 » » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 00 » » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) » 4 00 » » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) » 4 00 HT.B. — L'intiera Carta della Sicilia, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d'unione e copertina, è in vendita al prezzo di lire 100. Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500,000 (serve anche di foglio di unione della precedente) con sezioni prezzo L. 5 00 Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia, con una Carta geologica, tavole in zincotipia ed incisioni, dell’Ing. L. Baldacci prezzo L. 10 00 Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1/25,000 con sezioni annesse (in due fogli) prezzo L. 15 00 Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba con Carta annessa nella scala di 1/50,000, dellTng. B. Lotti prezzo L. 10 00 Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba, con un atlante di carte e sezioni geologiche, dellTng. A. Fabri . . . prezzo L. 20 00 Descrizione geologico-miner. dell’Iglesiente (Sardegna), con un atlante di XXX tavole e una Carta geologica, dell’ Ing. G-. Zoppi, prezzo L. 15 00 Carta geologico -mineraria dell’Iglesiente (Sardegna), nella scala di 1/50,000 (in un foglio) prezzo L. 5 00 Carta geologica della Campagna Romana e regioni limitrofe, nella scala di 1/100,000 (sei fogli e una tavola di sezioni) . prezzo L. 25 00 IN CORSO DI LAVORO Carta geologica dell’Italia, in due fogli, nella scala di 1/1,000,000 (seconda edizione, riveduta e migliorata, della Carta pubblicata nel 1881). Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio Geologico, ovvero alla Libreria E. Loescher, in Roma. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie IIa — Anno X° 1889 ATTI OFFICIALI. ... •• ■ • ~ ^ V ~ -.•• T — 3 — BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE E. Decreto 21 Febbraio 1889 col quale il prof. G. Capellini è nominato Presidente del E. Comitato geologico. UMBERTO I PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA. Visto il Nostro Decreto del 22 Febbraio 1885, N. 2979 ; Serie 3a ; Sulla proposta del Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio; Abbiamo decretato e decretiamo : Il commendatore Giovanni Capellini componente del R. Comitato geologico è nominato Presidente del Comitato medesimo per Y anno corrente. Il Ministro anzidetto è incaricato della esecuzione del presente Decreto che sarà registrato alla Corte dei conti. Dato a Roma, addì 21 Febbraio 1889. Firmato : UMBERTO. Controfirmato : Miceli. Registrato alla Corte dei conti addì 2 Marzo 1889. Registro 235 J Personale civile j f.156. Mazzucchelli. R . Decreto 28 Febbraio 1889 col quale il prof, Omboni è nominato mem- bro del R. Comitato geologico, UMBERTO I PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA. Sulla proposta del Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio; Abbiamo decretato e decretiamo: Il cavaliere Giovanni Omboni, professore di geologia nella R. Uni- versità di Padova, è nominato componente del R. Comitato geologico pel triennio 1889-9L Il Ministro anzidetto è incaricato della esecuzione del presente Decreto che sarà registrato alla Corte dei conti. Dato a Roma, addì 28 Febbraio 1889. Firmato : UMBERTO. Controfirmato : Miceli. Registrato alla Corte dei conti addì 9 Marzo 1889. Registro 235, Personale civile f.311. Mazzucchelli Pubblicazioni in vendita presso l’Ufficio Geologico Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia; Voi. I a XIX, dal 1870 — Prezzo di ciascun volume . . j Idem di un fascicolo bimensile separato » N.B. - Il prezzo di abbonamento annuo è di L. 8 per V interno e di L . IO per V estero. Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d .calia : Voi. I. Firenze, 1872 Voi. II. Firenze, 1873-74 » Voi. III. Parte la ; Firenze, 1876 » Voi. III. Parte 2a; Firenze, 1888 I. Cocchi. Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati geologici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia. Firenze, 1871 » P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta geologica in grande scala. Roma, 1875 . F. Giordano. — Esposizione in ordine cronologico delle principali disposi- zioni successivamente emanate relativamente alla Carta geologica d’Italia. Eoma, 1879 » F. Giordano. — Sopra un progetto di legge per il compimento della Carta geologica d’Italia. Eoma, 1880 > F. Giordano. — Cenni sull’organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici esistenti nei vari paesi. Eoma, 1881 » G. Capellini. — Relazione a S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Comm. sul Congresso geologico internazionale del 1881. Eoma, 1881 . . . . » C. W. C. Fuchs. — Carta geologica dell’Isola d’Ischia; scala di 1/25,000. Firenze, 1873 C. Doelter. — Carta geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone ; scala di 1/20,000. Eoma, 1876 » C. De Giorgi. — Abbozzo di Carta geologica della Basilicata; scala di 1/400,000. Eoma, 1879 . C. De Giorgi. — Carta geologica della provincia di Lecce; scala di 1/400,000. Eoma, 1880 G. Capellini. — Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Ma- rittima e di parte del Volterrano ; scala di 1/100,000. Eoma, 1881 . > G. Capellini. — Carta geologica della provincia di Bologna; scala di 1/100,000. Eoma, 1881 G. Capellini. — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di Magra inferiore; 2a edizione; scala di 1/50,000. Eoma, 1881 . . » T. Taramelli. — Carta geologica del Friuli, con testo descrittivo ; scala di 1/200,000. Udine, 1881 » Bibliographie géologique et paleontologique de l’Italie. Bologne, 1881. . » Bibliografia geologica e paleontologica della provincia di Roma. Eoma, 1886 » Bibliografia geologica italiana per l’anno 1886. Roma, 1887 » Idem idem per l’anno 1887. Roma, 1888 » al 1888 i. 10 — ► 2 — 35 — 30 — 10 — 15 — 1 50 1 — 1 — 1 s 1 50 1 — 2 — 2 — 2 — 2 — 3 — 4 — 3 — 7 — 10 — 2 — 1 60 1 50 Annunzi di pubblicazioni A. Scacchi. — Sulle ossa fossili trovate nel tufo dei vulcani fluoriferi della Campania. — Napoli, 1888; pag. 10, in-4°, con due tavole. L. Ricciardi. — Ricerche di chimica vulcanologica sulle roccie dei Vulcani Vulsinii. — Palermo, 1888; pag. 22 in-b°. E. Nicolis. — Sopra uno scheletro di teleosteo scoperto nell’eocene medio di Valle d’Avesa. — Veruna, 1888; pag. 8 m-8° con una tavola. Idem. — Breve illustrazione degli spaccati geologici delle prealpi setten- trionali.— Verona, 1888; pag. 36 in-8° con una tavola. Idem. — Contribuzione alla conoscenza degli strati acquosi del sottosuolo della bassa pianura del veronese e dintorni. — Verona, 1889; pag. 14 in-8°. L. Meschinelli. — Studio sulla flora fossile del monte Piano. — Padova, 1889; pag 82 in-b° con una tavola. E. Paglia. — Il Villafì anchiano nei dintorni del Lago di Garda. — Milano, 1889; pag. 6 in-8°. G. Mercalli. — Osservazioni petrografìco-geologiche sui Vulcani Cimini — Milano, 18o9; pag. 10 in-8°. G. Preda. — Sulle masse trachitiche rinvenute nei recenti trafori delle col- line di Napoli (Rendiconto deH’Acc. delle Scienze fìs. e mat., S. 2a, voi. EH, fase. 2°). — Napoli, 1889; pag. 8 in-4° E. Niccoli. — Relazione delle escursioni fatte dalla Società Geologica Ita- liana fra Rimini e San Marino (Boll. Soc. Geol. ltal., voi. VIE, fase. 3°.) — Roma, 1889; pag. 18 in-8°. F. Bassani. — Sopra una nuova specie di Ephippus scoperta nell’ eocene medio di Val Sordina presso Lonigo nel Veronese (Ibidem). — Roma, 18^9; pag. 4 in-8° con una tavola. E. Mariani. — Foraminiferi del calcare cretaceo del Costone di Gavarno in Val Seriana (Ibidem). — Roma, 1889; pag. 10 in-8° con una tavola. G. Antonelli. — Contributo alla flora fossile del suolo di Roma (Ibidem) — Roma. 18:9; pag. 24 in-8°. C. Fornasini. — Di alcune textularie plioceniche del Senese (Ibidem). — Roma, 1889; pag. 3 in-8° con una tavola. V. Rambotti e A. Nevi ani. — Cenni sulla costituzione geologica del lito- rale jonico da Cariati a Monasterace (Ibidem). — Roma, 1889 ; pag. 42 in-8° con 2 tavole. M. Malagoli. — Foraminiferi pliocenici di Cà di Roggio nello Scandia-' nese (Ibidem). — Roma 1889 ; pag. 30 in-8° con una tavola. G. Ristori. — Crostacei piemontesi del miocene inferiore (Ibidem). — Romi 1889; pag. 16 in-o0 con una tavola. E. Clerici. — Contribuzione alla flora dei tufi vulcanici della provine* di Roma (Ibidem). — Roma, 1839; pag. 4 in-8°. E. Cortese. — - Sulla origine del porto di Messina e sui movimenti da mare nello stretto (Ibidem). — Roma, 1889 ; pag, 8 in-8°. A. Scacchi. — Catalogo dei minerali e delle roccie vesuviane, per se: alla storia del Vesuvio ed al commercio dei suoi prodotti. — N poli, 1889; pag. 58, in-4°, con quattro tavole. m * N- 3 e 4 Voi. X della 2a Serie Amo 1889 i IX della Raccolta P'.v'* R . COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. 1889 Bollettino N.” 3 e 4 Marzo e Aprile C32>»> ROMA TIPOGRAFIA NAZI di Reggiani & soci 1889. 27. ELENCO del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico R. Comitato Geologico. Capellini Giovanni, prof, ili geologia nella R.U niversità di Bologna, Presici Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. j Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli ingegneri in Torino. De Zigno Achille, membro nel R. Istituto Veneto, a Padova. Gemmella.ro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Padova. Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napoli. Scarabellt Giuseppe, senatore del Regno, a Imola. . Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania. Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe- riore di Milano. ^ Struver Giovanni, prof, di mineralogia nella R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma. Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma. Personale addetto ai lavori della Carta Geologica. Direzione superiore : Ing. Giordano Felice, Direttore. Ing. Pellati Niccolò. Ufficio centrale (in Roma): Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Geologi operatori : Ing. Baldacci Luigi, Salerno. Ing. Lotti Bernardino, Pisa. Ing. Cortese Emilio, Catanzaro. Ing. Zaccagna Domenico, Pisa. Ing. Mattirolo Ettore, Torino. Ing. Viola Carlo, Salerno. Ing. Novarese Vittorio, Catanzaro Ing. Aichino Giovanni, Catanzaro. Ing. Sabatini Venturino, Salerno. Ing. Franchi Secondo, Torino. Ing. Mezzena Elvino, Salerno. Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa. Sig. Cassetti Michele, aiutante, Roma. Sig. Moderni Pompeo, aiutante, Roma. Personale distaccato : Dott. Canavari Mario, Pisa (paleontologo). La sede dell’ Ufficio geologico in Roma è nel Museo agrario-geologi via Santa Susanna, n. 1-A. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie IL Voi. X. Marzo e Aprile 1889. N. 3 e 4. SOMMARIO. Memorie originali. — I. Osservazioni sul pliocene e sul postpliocene di Sciacca, del Dott. G. Di-Stefano. — II. Contributo agli studi sulla genesi dei giacimenti di solfo, dell’Ing. R. Travaglia. — III. La frana di Casola Valsenio (Cir- condario di Faenza), dellTng. E. NiCCOLr (con una tavola). Notizie bibliografiche. — M. Bertrand et M. Kilian, Etudes sur les terrains secondaires et tertiaires dans les provinces de Grenada et de Malaga , Paris, 1889. Notizie diverse. — Trachite sodalitica recentemente scoperta a Napoli. — Le ultime trasformazioni del Vesuvio. Avviso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia. Tavole ed incisioni. — Sezioni geologiche nei dintorni di Sciacca, a pag. 72, 78, 82, 85 e 89. — Tav. II : La frana di CasolaValsenio, a pag. 126. MEMORIE ORIGINALI I. Il Pliocene ed il Postpliocene di Sciacca; ' osservazioni stratigrafiche del Dott. G. Di-Stefano. §. i° Il Philippi nel 1836 indicava nel primo Volume della sua « Enume- ratici molluscorum Sieiliae ecc. varie specie di molluschi fossili dei dintorni di Sciacca (Girgenti), probabilmente raccolte durante la sua gita in quella città fatta insieme con Hoffmann ed Escher von der Linth nel 1831; 1 e nel 1844, cioè nel secondo volume di quest’opera, pubblicava un catalogo definitivo di sessantacinque specie della stessa regione, il quale differisce un po’ dalla lista del 1836. L' Hoffmann nel 1839 2, dando alcuni brevi cenni geognostici sul territorio di Sciacca, riportò la prima nota di fossili del Philippi, senza per altro aggiungervi nessuna indi- cazione sui nomi dei luoghi che li fornirono. Il compianto prof. G. Se- 1 Hoffmann, Intorno al nuovo vulcano presso la città di Sciacca. Palermo, 1831 (lettera al duca di Serradifalco). 2 Hoffmann, Geognostische Beobachtungen ecc., 1829. — 70 - guenza nel 1873 1 comprese questa fauna nel Pliocene recente , e il prof. C. De Stefani nel 1876 2, ponendola nel Postpliocene, la collo- cava per allora accanto a quella di Monte Pellegrino e di Ficarazzi presS > Palermo. Il Philippi, indicando i fossili raccolti con la dizione « prope Sciac- cam » non distingue nè la loro posizione stratigrafìca, nè le località donde essi provengono; per questo ho voluto fare nelle mie frequenti escursioni a Sciacca uno studio speciale di quel Pliocene e di quel Postpliocene, con lo scopo di raccogliere abbondanti fossili e chiarire le relazioni degli strati che li contengono. Io non presumo di poter dare dei cataloghi di specie completi ; ma solo intendo di esporre qui i risul- tati ottenuti finora, perchè mi pare che permettano soprattutto una cono- scenza più estesa di quel Postpliocene, che importa di studiar meglio. Il territorio di Sciacca comprende una porzione litorale molto estesa, bassa, più o meno pianeggiante, e una interna, montuosa e piuttosto ristretta. Il monte San Calogero, l’antico Cronio, che ne costituisce la parte alpestre e sorge a N.O della città, è una diramazione del gruppo dei monti secondari di Caltabellotta e di Sambuca-Zabut, dai quali si distacca per mezzo di alcune basse colline e si dirige verso il Sud, elevandosi lentamente fino all’altezza di 386 metri. Una forte faglia, diretta da Est a Ovest, lo tronca nel lato meridionale, in modo che esso si mostra declive a Nord e strapiomba a picco nel lato opposto. Esso è es- senzialmente costnituito da spessi strati di calcare titonico con abbon- danti cefalopodi e Pi/gope dyphia , da marne bianche neocomiane, e da un insieme molto potente di calcari marnosi bianchi o tufacei di color giallastro con Nummulites Biarritzensis d’Arch., N. Guettardi d’Arch., iV. Ramondi Defr., ecc., Orbitoides dìspansa J. Sow., O. Priabonensìs Gùmb., O. aspera Gumb. ecc. del membro medio del nostro Eocene, ì quali si elevano fino alla cima del monte e lo ricoprono come un man- tello. A piedi della faglia si distende la porzione pianeggiante del ter- ritorio, che si spinge verso il Carbo e verso la Verdura, ed è limitata 1 Sequenza., Studi stratigrafici sulla formazione pliocenica dell’Italia meridionale (Boll. d. R. Comitato geol. d’Italia, 1872-1877). 2 De Stefani, Sedimenti marini dell’epoca postpliocenica in Italia (Boll. d. R. Comitato geolog. d’Italia, 1876). — 71 — dal litorale dell’ampio golfo. In essa affiorano in contrada Isabella e Trubi bianchi gli strati un po’ arcuati delle marne bianche del Neoco- miano, molto importanti per la distinta fauna di cefalopodi che vi si raccoglie, fra i quali cito per ora Belemnites dilatatus De Blainv., B. isoseells Duval, Aptychus angulieostatus Pictet et de Lor., Pliyllo- eeras Rouyanum d’Orb. sp. ecc. Su di esse poggia l’Eocene, che portato in i giù dallo spostamento, si distende con leggiere ondulazioni per le con- trade Molara, Luogo di Rocche, Mendolito, e va a congiungersi oltre ìa faglia, con gli altri strati eocenici che formano le falde settentrio- nali del monte. A gran parte dell’Eocene appoggiano per alcuni piccoli spostamenti il Pliocene e il Postpliocene, che formano la porzione -esterna e litorale della regione bassa, e si estendono in colline, ter- razze e altipiani poco elevati verso Mentì e S. Margherita da un lato, e verso Siculiana e Ribera dall’altro. Presso il nuovo camposanto di Sciacca essi oltrepassano la linea della faglia, sovrapponendosi diret- tamente sull’ Eocene e internandosi sulla porzione montagnosa della regione fino in contrada Purgatorio. Quivi raggiungono un’altezza di poco superiore ai 200 metri, e rappresentano il braccio più interno del mare pliocenico e postpliocenico, che cingeva a forma di mezzaluna la base del monte. In alto, sul ciglio del dirupo prodotto dalla grande frattura, si pre- senta la nota grotta vaporosa, mentre in basso, lungo il piede della faglia, scaturisce una serie molto importante di sorgenti termo-mine- rali, fra le quali la principale, detta ora dei Bagni, valse a quelle con- trade il nome di Terme selinuntina. I fenomeni eruttivi dell’Isola Giulia nel 1831 avvennero sulla direzione di questa faglia. I torrenti Carbo, Foggio di mezzo, Gran Salamone, dei Bagni, Carabollace, Bellapietra e il fiume Verdura solcano la regione stu- diata, versandosi nel mare africano, e intaccano profondamente gli strati terziari, in modo da permettere lo studio esatto della loro suc- cessione. II Pliocene e il Postpliocene dei dintorni di Sciacca presentano in generale strati poco disturbati. Il Pliocene mostra nella collina della città e in contrada Mendolito delle inflessioni molto leggiere dirette dal N.O al S.E; ma in generale i suoi strati, benché presso i bagni pendano al Sud, hanno una pendenza di 10° ad Ovest, con tendenza ad avvici- 72 — narsi al N.O. Lo spessore massimo di questo piano raggiunge circa i 125 metri. Il Postpliocene segue sul Pliocene in generale in strati orizzontali e perciò in discordanza; solo alla Torre del Tradimento si mostra inclinato di 33° a Ovest e leggermente flessuoso sulla costa di S. Giorgio. Esso riposa in taluni luoghi, come in contrada Mendolito e Marchesa, sul Neocomiano o sull’ Eocene; raggiunge la massima potenza di circa 70 metri e si mostra talora ridotto ad una leggiera crosta di tufi calcarei sabbiosi. Questi depositi, per opera della denudazione dei torrenti e delle onde del mare, offrono parecchie sezioni speciali fossilifere, che io de- scriverò qui appresso, perchè dal loro esame si traggono i caratteri dei membri che li formano. §• 2- Collina di Sciacca e altipiano di S. Sebastiano. La pittoresca collina sulla quale sorge la città di Sciacca si eleva di 90 metri sul livello del mare, ed è costituita essenzialmente da strati pliocenici leggermente flessuosi, ed in modo subordinato da quaternari orizzontali. La denudazione del torrente dei Bagni permette di rilevarvi la seguente successione di membri: Fig. 1. — Sezione della collina di Sciacca (Scala per le lunghezze 1 : 16000 ; per le altezze 1 : 6000) a = marne bianche del Neocomiano; d = argilla turchina del Pliocene; b == calcari dell’Eocene medio; e = calcare terroso del Postpliocene c — marne bianche del Pliocene; f = tufi calcarei del Postpliocene. — 73 1° Sotto il lato orientale della città, in fondo al torrente dei Bagni, si manifestano delle marne bianche (c) un po’ sabbiose, che presentano tra lo stabilimento balneare e la contrada Mendolito alcune leggiere pieghe dirette da N.O a S.E, suH’anticlinale di una delle quali scavò il suo corso il torrente. Nel risalire da quei luoghi verso il nuovo cam- posanto, le marne s’inflettono a forma di bacino e vanno ad urtare, per uno spostamento, alle marne bianchissime con Belemnites latus De Bl. del Neocomiano ( a ), che si manifesta in basso lungo la vecchia via che sale a San Calogero, ed ai calcari bianchi eocenici (b) con Num- mulites Biarritzensis d’Arch. e Orbitoides Priabonensìs Giimb., var. Sca- rantana, che costituiscono le colline di Cutrone. Di là, oltrepassando la grande faglia, girano pel lato Nord del monte sino alla torre di Sortino e alle contrade Siracusa e Purgatorio, dove raggiungono la massima elevazione e poggiano sul calcare tufaceo e sulle marne bian- castre dell’Eocene con Operculina complanata d’Orb., Orbitoides di- spansa J. Sow. ecc. Le marne descritte sono associate e legate da intimi passaggi con strati e grandi lenti di argilla turchina plastica {d\ che è usata per la fabbricazione delle note stoviglie di Sciacca e contiene i pochi fossili che qui noto: Nuotila piacentina Lmk. (E) 1 Lembulus pella Lin. sp. Limopsis minuta Phil. sp. » aurita Br. sp. Isocardia cor Lin. Entalina tetragona Br. sp. = D. quin quangulare Forb. Le marne sono abbondanti di esemplari della Gryphaea navicularis Br. sp. e contengono qualche raro esemplare della Scalaria lamellosa Br. sp.; però esse risultano essenzialmente dallo accumulo di gusci di foraminiferi, sopratutto di Orbulina e Globigerinaì che vi si presentano 1 Le specie estinte sono indicate con la lettera (E); quelle viventi in mari settentrionali e mancanti nel Mediterraneo con un asterisco (*). Dentalium Delesserti Chenu (E) Nassa semistriata Br. sp. Pseuiofus’is rostratus 01. sp. Drillia modiola Jan sp. Homotoma textilis Br. sp. \ — 74 — in enorme quantità. In un saggio, ottenuto con un pezzo di marna del nuovo camposanto di Sciacca, ho potuto determinare le seguenti specie rappresentate da esemplari molto piccoli: Nodosaria raphanistrum Lin. sp. » raphanus Lin. sp. » simplex Silv. (E). Cristellaria calcar Lin. sp. » cultrata Montf. sp. » cassis Ficht et Moli. sp. » echinata d’Orb. sp. U viger ina pygmaea d’Orb. Clavulina communi's Lin. Orbulina universa Lmk. Globigerina balloides d’Orb, Truncatulina lobatula^W^lk. et Jac. sp, » Ungeri d’Orb. sp. Pulvinulina Partschi d’Orb. sp. Rotalia Soldanii d’Orb. sp. Polystomella crispa Lin. sp. 2° Su questo insieme di marne e di argille si sovrappongono in intima connessione degli strati di un calcare (e) bianco, cetrino o gial- lastro, con struttura terrosa, talora concrezionato, spesso alternante con straterelli più marnosi, potente circa 30 metri. Esso contiene molti Litotannii in decomposizione, anzi si può dire che la sua parte infe- riore ne é essenzialmente formata, e sembra offrire delle prove per le idee recentemente sostenute dal Walther 1 sui calcari originati dalla decomposizione delle alghe calcaree. Esso contiene inoltre fram- menti di briozoari, di echinidi, chele di crostacei, rari brachiopodi e abbondanti valve di grossi lamellibranchi, i quali predominano negli strati superiori. Tale calcare che, là dove le lenti argillose si assotti- gliano e spariscono, come presso i Bagni, si sovrappone direttamente alle marne bianche, con le quali ha comune alla parte inferiore l’aspetto litologico e la Gri/pliaea navicularis Br. sp., segue poi immediatamente sulle argille plastiche sotto le mura della porzione superiore della città, ai Cappucini, alla Torre del Vento, in contrada Ferraro ecc. Lungo la spiaggia, tra la Rocca S. Elmo e lo sbocco del torrente dei Bagni, esso forma una parete alta e ripida, prodotta dalla denudazione del mare, che ne ha corroso e variamente spezzato gli strati. In essa si raccol- gono i seguenti fossili : 1 Walther, Die gesteinsbildenden Kalkalgen des Golfes con Neapel und die Entstehung structurloser Kalke (Zeitschs. d. deutsch. geol. Geselischaft, 1885). — 75 - Myriozoon truncatum Pallas sp. Lepralia sp. Rhynehonella bipartita Br. sp. (E) Megathyris decollata Chemn. sp. Terebratula ampulla Br. sp. (E) » minor Pii. • Anomia ephippium Lin. Ostrea lamellosa Br. » corrugata Br. (E) Gryphaea namcularis Br. sp. (E) Lima ( Radula ) squamosa Lmk. Spondylus crassicosta Lmk. (E) Hinnites crispus Bronn (E) Pecten latissimus Br. sp. (E) » Jacobaeus Lin. sp. » ( Chlamys ) fleoeuosus Poli sp. » » scabrellus Lmk. (E) » » opercularis Lin. sp. » » multistriatus Polisp. » » uarius Lin. sp. Scalaria lamellosa Br. sp. (E) Balanus spongicola Brown. Dalla Porta di Palermo verso contrada Ferraro il calcare è poco potente e ampiamente denudato, sicché si mostra in lembi isolati e ristretti sulle argille turchine. Nel lembo dei Cappuccini si raccolgono : Rhynehonella bipartita Br. sp. (E) Megathyris decollala Chemn. sp. Terebratula minor Ph. Terebratulina caput-serpentis Lin. sp. Pecten latissimus Br. sp. (E) Spondylus crassicosta Lmk. (E) » gaederopus Lin. Scalaria lamellosa Br. sp. (E) I pochi strati di calcare bianco che sostengono la Torre del Vento contengono un gran numero di valve di grossi lamellibranchi, che dif- ficilmente si estraggono intiere. Le specie determinabili che vi ho rac- colto sono le seguenti : Retepora cellulosa Lin. sp. Megathyris decollata Lin. sp. Ostrea lamellosa Br. Spondylus crassicosta Lmk. (E) Hinnites crispus Bronn sp. (E). Pecten latissimus Br. sp. » flabelli/ormis Br. sp. (E). » ( Chlamys ) scabrellus Lmk. (E) » » multistriatus Poli sp. 3° Sul calcare bianco, che nella collina pende di 10° a N.N.O , seguono dentro l’abitato di Sciacca degli strati orizzontali di argille turchiniccie sabbiose, alternanti spesso con strati di sabbione calcareo giallastro, conchiglifero, le quali si continuano nel lato occidentale della città per andare a costituire i fianchi del contiguo altipiano di S. Sebastiano, dove raggiungono lo spessore di circa 30 metri, passano — 76 — ad una sabbia argillosa e si mostrano sovrapposte all’argilla turchina plastica che sale con ristretta potenza dalla spiaggia. Il torrente Gran Salandone ha ampiamente denudato le argille e i sovrastanti tufi. A mezza costa del piccolo altipiano, dal lato del mare, ho potuto rac- cogliere nelle argille sabbiose le seguenti poche specie: Pecten ( Chlamys ) opercularis Lin. sp. » » varius Lin. Pectunculus glycimerìs Lin. sp. * Nucula piacentina Lmk. (E) » nucleus Lin. sp. Lembulus pella Lin. sp. Venericardia intermedia Lmk. (E) Cyprina islandica Lin. * Dentalium Delesserti Chenu (E) Cassidaria ecliinophora Lin. sp. Turritella vermicularis Br. sp. (E) » tornata Br. sp.. » communis Risso Pseudofusus rostratus 01. sp. 4° Finalmente terminano la serie dei tufi calcarei sabbiosi, gros- solani, passanti a breccie concbiglifere, in istrati orizzontali, alternanti con straterelli di argilla sabbiosa più o meno ocracea e di sabbia gialla. L’insieme di questi strati non supera la potenza di sei metri, ed è spesso ridotta appena ad un metro. Sotto la cava di pietra dei Gesuiti, dal lato del mare, i tufi e le loro intercalazioni offrono i se- guenti fossili: Retepora cellulosa Lin. sp. Ditrupa subulata Desh. sp. Anomia ephippium Lin. Spondylus gaederopus Lin. Pecten Jacobaeus Lin. sp. » ( Chlamys ) jlexuosu 's Poli sp. » » infl zeus Poli sp. » » opercularis Lin. sp. >> » multistriatus Poli sp. Mytilus galloprouincialis Lmk. Arca (Anadara) Polii Mayer » (Barbatid) barbata Lin. Pectunculus bimaculatus Poli sp. » glycimeris Lin. sp. * » pilosus Lin. sp. » violascens Lmk. Nucula piacentina Lmk. (E) Nucula nucleus Lin. sp. Lembulus pella Lin. sp. » commutatus Pii. sp. Astarte fusca Poli sp. Cardita aculeata Poli sp. Venericardia antiquata Lmk. sp. Chama grypliina Lmk. Diplodonta rotundata Mtg. sp. » apicalis Pii. Lucina borealis Lin. sp. » ( Myrtea ) spinifera Mtg. sp. Jagonia reticulata Poli sp. Cardium mucronatum Poli sp. = C. echinatum auct. non Lin. » papillosum Poli sp. Laemcardium norvegicum Spengi, sp. » oblongum Chemn. sp. — 77 Isoeardia cor Lin. sp. Venus fasciata Da Costa sp. » orata Penn. » multilamella Lmk. sp. Meretrice rudis Poli sp. Circe minima Mtg. sp. Donavo ( Capsella ) polita Poli sp. Dosinia exoleta Lin. sp. Psammobia Ferroensis Chemn. sp. Solecurtus strigilatus Lin. sp. Glycimeris Aldovrandi Mén. sp. vizMya glycimeris Born. Poromya granulata Nyst et West, sp- Corbula gibba 01. sp. Clavagella ( Stirpulina ) bacillaris Desìi* (E) Mactra subtruncata Da Costa Lutraria elliptica Lmk. Dentalium Delesserti Chenu (E) Patella coerulea Lin. Fissurella graeca Lin. sp. Bolma rugosa Lin. sp. Gibbuta magus Lin. sp. Trochococlea turbinata Born. sp. Scalaria communis Lmk. Turritella communis Risso » triplicata Br. sp. Natica (Noverila) Josephinia Risso sp. > (Nacca) millepunctata Lmk. » (Vaticina) fusca De Blainv. Cerithiopsis tubercularis Mtg. ,sp. Aporrhais pes-pelecani Lin. sp. Cypraea achatidea Gray Trivia europaea Risso sp. Erato laevis Don. sp. Triton nodiferum Lmk. Nassa limata Chemn. sp. » pusilla Pii. (E) » serrata Br. sp. » musiva Br. sp. (E) » semistriata Br. sp. Pago dula 1 carinata Biv. sp. = M. va - ginatus Crist. et Jan Mureoo ( Muricantlia ) trunculus Lin. Marginella(Gibberula) miliaria Lin. sp. » ( Gibberulina ) clandestina Ph. sp. Ringicula auriculata Mén. » loptocheila Brug. Bulla utriculus Br. I tufi calcarei sabbiosi (/) che costituiscono il sottosuolo della por- zione bassa e pianeggiante della città di Sciacca, formano una piccola terrazza elevata di 50 metri sul mare, della quale la porzione che so- stiene la piazza di S. Domenico si rimpicciolisce sempre più per le frane e gli abbassamenti dovuti alle acque di pioggia e di rifiuto, che, infiltrandosi fra le sottostanti argille, le rammolliscono e le trasportano via verso il mare. Questi tufi contengono spessi banchi di Pectunculus , specialmente nel piano della Madonna, dove sotto il viale del passeggio 1 Monterosato, Nomenclatura generica e specifica di alcune conchiglie mediterranee , 1884; pag. 116. i — 78 — e sotto la Croce di Fiorio, i banchi, estesi e potenti parecchi metri, sono composti di una enorme quantità di valve del Pectunculus vio- laseens Lmk., associato col P. pilosus Lin., col Cardium Lamarcki Reeve, col C. tuberculatum Lin. e con rare valve della Corbula gibba 01. Collina della Crocchiola. Nel lato orientale di Sciacca si estende per le contrade Baglio di Friscia, Mendolito, Isabella e Marchesa una crosta di tufi calcarei sabbiosi passanti a sabbia gialla e a ghiaiette, riposanti in istrati oriz- zontali sulle argille plioceniche, sull’Eocene e sul Neocomiano. Essi contengono rari fossili, e finora non mi hanno fornito che qualche esemplare del Peeten Jaeobaeus Lin. sp., della Glgcimeris Aldrovandi Mén. sp., della Rissoa ( Zippora ) auriscalpium Lin. sp. e della Nassa mu- siva Broc. sp. Nelle sabbie gialle del Mendolito si rinvengono taluni foraminiferi, cioè: Cristellaria cassis Ficht. et Moli. sp. Rotalia Beccarii Lin. sp. » echinata d’Orb. sp. Poli] stornella crispa Lin. sp. Rotalia Soldanii d’Orb. sp. Fig. 2a — Sezione fra Trabi bianchi e la Crocchiola (Scala per le lunghezze 1 : 26000 ; per le altezze 1 : 12000) a = calcare compatto del Titonio ; & ~ argilla turchina del Pliocene; b = marne bianche del Neocomiano; e = sabbie argillose (Postpliocene); c = calcari dell’Eocene medio ; f ~ tufi calcarei del Pòstpliocene. — 79 — Gli strati sovrainclicati continuano pel litorale verso S. Giorgio; ma in contrada Luogo di Rocche e Marchesa si arrestano dinanzi ad alcune basse pieghe dei calcari eocenici con Orbitoides dilatata Micht. e O. papyracea J. Sow. Queste pieghe dell’Eocene sono qui bruscamente interrotte da uno spostamento diretto da Est a Ovest lungo il quale scava il suo alveo il torrente Carabollace. Alla parete dei calcari eocenici urtano delle argille, che sono con- tinuamente denudate dal torrente, e s’innalzano a formare insieme con tufi calcarei il piccolo altipiano della Crocchiola (110 m.), così chiamato per 1’ abbondanza di resti fossili che mostra. 1 Dal fondo del Carabollace in su si distingono i seguenti membri: 1° Alla base della collina compare con apparente ristretta po- tenza un’argilla turchina plastica (cQ, che sorge dal litorale e, innal- zandosi lentamente, raggiunge un grande spessore verso contrada Sara- cena e verso S. Giorgio, dove è fossilifera, e sarà perciò meglio descritta nell’esame della sezione della Costa S. di Giorgio, che è la immediata continuazione di quella della Crocchiola. 2° Si sovrappone con leggiera discordanza su quest’argilla tur- china un’altra argilla sabbiosissima (e), che diventa spesso una vera sabbia argillosa turchiniccia, alternante con strati orizzontali di sab- bione calcareo giallo, incoerente, la quale forma la più gran parte dei fianchi dell’altipiano. Essa fornisce i seguenti fossili: Caryophyllia clamis Se. Ditrupa subulata Desh. sp. Ano mia ~ ephippium Lin. Plicatula mytilina Ph. (E) Pecten Jacobaeus Lin. sp. Pecten ( Chlamys ) flescuosus Poli sp. » » inflescus Poli sp. » » opercularis Lin. sp. » » multistria tus Poli sp. » » varius Lin. sp. Modiolaria sericea Bronn sp. (E) Pinna perniila Chemn. Arca tetragona Poli » ( Anadara ) Polii Mayer Pectunculus pilosus Lin. sp. » glycimeris Lin. sp. * Nucula piacentina Lmk. (E) » silicata Bronn » nucleus Lin sp. Lembulus pella Lin. sp. Crocchiola nel dialetto siciliano significa conchiglia. — 80 - Lembìtlus commutatus Ph. sp. Cardita aculeata Poli sp. Venericardia antiquata Lmk. sp. » rudista Lmk. sp. (E) » intermedia Lmk. sp. (E) Astarte fusca Poli sp Woodia exeentrica Desìi, sp. = T. di- gitaria Lin. Chama gryphoides Lin. » gryphina Lmk. Lueina boreali s Lin. sp. » ( Myrtea ) spinifera Mtg. sp. Loripes lacteus Lin. sp. Diplodonta rotundata Mtg. sp. Cardium aeuleatum Lin. sp. » mucronatum Poli = C. echi - natum auct. non Lin. » erinaceum Lin. » papillosum Poli sp. Lctevieardium oblongum Chemn. sp. » norvegicum Spengi, sp. Cyprina islandica Lin. sp. * Isocardia cor Lin. sp. Venus verrucosa Lin. sp. » gallina Lin. » ovata Penn. » fasciata Da Costa. » multilamella Lmk. sp. Meretrix Chione Lin. sp. » rudis Poli sp. Dosinia linda Pultn. sp. * » exoleta Lin. sp. Solecurtus scopula Turt. sp. = £. mul- tistriotus Se. Glycimeris Aldrovnndi Mén. sp. = Mya glycimeris Born. Lutraria elliptica Lmk. Corbula gibba 01. sp. Dentalium Delesserti Chenu (E) » dentalis Lin. » novem-costatum Lmk. » vulgure Da Costa == D. en- talis Ph. non Lin. » sexangulare Lmk. (E). Siphodentalis Lofotenns, M. Sars. sp. Fissurella graeea Lin. sp. Bolina rugosa Lin, sp. Gibbula magus Lin. sp.' Z izyphinus millegranus Ph. sp. » striatus Lin. sp. » conulus Lin. sp. » Laugìeri Payr. sp. Scalaria communis Brug. » subtreve7yana Brugn. (E) Turritella communis Risso » triplicata Br. sp. » vermicularis Br. sp. (E) » tornata Br. sp. (E) Vermetus ( Dofania ) semisurredus Biv. sp. Vermetus ( Tylacodes ) arenarius Lin. sp. Galerus chinensis Lin. sp. Capulus hungaricus Lin. sp. Crepidula unguiformis Lmk. Natica (Vacca) millepundata Lmk. » » Montacuti Forb. * » » tectula Bon. (E) 1 1 Concorda in tutti i suoi caratteri con gli esemplari della Natica tectula Bonelli (SlSMONDA, Synopsis methodiea animalium invertehratorum Pedemonti fossi- lium, 184.2) della collezione pliocenica dell’Astigiano e del Piacentino raccolta dal prof. Pietro Doderlein e comprata dal Museo geologico dell’ Università di Palermo. — 81 — Natica ( Naticina ) fusca De Blainv. » ( Neverita ) Josephinia Risso sp. Risspa ( Acinus ) cimese Lin sp. » (Acinopsis) cancellata Da Costa sp. Eulima ( Subularia ) subulata Don. sp. Niso eburnea Risso Cerithium vulgatum Brug. Cerithiolum lacteum Ph. sp. Cerithiopsis tubercularis Mtg. sp. Aporrhais pes-pelecani Lin. sp. » Serresianus Michel, sp. Cypraea achatidea Gray Trivia europaea Mtg. sp. Cassidaria echinopliora Lin. sp. » tyrrliena Chemn. sp. Nassa mutabilis Lin. sp. » serrata Br. sp. » incrassata Miill. sp. > subclathrata d’Orb. (E) » limata Chemn. sp. » musica Br. sp. Nassa semistriata Br. sp. Pseudofusus rostrata s 01. sp. Pagodula carinata Biv. sp. r= M. va- ginatus Crist. et Jan Trophonopsis muricatus Mtg. sp. Euthria cornea Lin. sp. Murene (Bolinusì brandaris Lin. » » torulctrius Lmk.(E) » ( Muricopsis ) cristatus Br. sp. » ( Pteronotus ) pseudophyllopte- rus d’Anc. = M. Jani Doderl. (E) » ( Muricantha ) trunculus Lin. » » conglobatus Mi- cht. (E) M tra cornicula Lin. Rapliitoma plicatella Lmk. (E) Leufroyia Leufroyi Micht. sp. Bellardiella emarginata Mén. sp. Ringicula auricolata Mén. Balanus tulipiformis Ellis 3° Alla sabbia argillosa con Cyprina islandìea succedono in intima connessione circa 14 metri di tufi calcarei sabbiosi (/) con lenti di argilla sabbiosa e straterelli di sabbia gialla. Essi coronano l’altipiano in istrati orizzontali, ma presso la via rotabile di Ribera sono, pei movimenti delle argille sottostanti, variamente fratturati e inclinati. I fossili che si raccolgono in questi tufi sono i seguenti: Ostrea edulis Lin. Pecten Jacobaeus Lin. sp. » ( Chlamys ) multistriatus Poli sp. Cardium tuberculatum Lmk. » Lamarehi Reeve GJycimeris Aldocrandi Mén .—Mya-gly- cimeris Born. Patella coerulea Lin. Cerithium vulgatum Brug. Cerithiolum lacteum Ph. sp. Nassa musiva Br. sp. (E) Conus mediterraneus Hwass. — 82 — Contrada 3. Giorgio. Le argille e i tufi della Crocchiola si continuano sempre con leg- - giere ondulazioni per la regione litorale verso la valle del fiume Ver- dura, in modo che lungo la strada rotabile Sciacca-Ribera s’ incontrano belle sezioni fossilifere. In contrada S. Giorgio le frane delle argille plioceniche, avvenute verso il mare, hanno travolto via gran parte degli strati postpliocenici, che presso la spiaggia si presentano in masse isolate e variamente inclinate; però sulla sinistra della strada, procedendo verso la Verdura, gli strati in posto sono sezionati in un pittoresco anfiteatro. La successione dei membri che s’incontra in esso è la seguente: Fig. 3.a — Sezione naturale della Costa dì S. Giorgio (Scala per le lunghezze 1 : 3C00 ; per le altezze 1 : 2500) a = marne bianche del Pliocene ; d = tufi calcarei (Postpliocene) ; b = argilla turchina del Pliocene; g = lent6 di argilla fossUifera nei c = sabbia argillosa con Cyprina (Postpliocene); 1° Al Cozzo Saracena si presentano, poggianti sull’Eocene, delle marne bianche ( a ) con Grypliaea naoieularis Br. sp. e un gran numero di foraminiferi identici a quelli delle marne già descritte della collina di Sciacca. 2° Queste marne passano per lenti gradi ad una massa di argilla turchina (b\ spessa circa 50 metri, che dalla proprietà Imbornone, sotto il Cozzo Saracena, scende, inflettendosi, verso la spiaggia e forma quella — 83 - arida costa denominata Inferno, seguenti: Nucula piacentina Lmk. (E) Limopsis minuta Ph. sp. » aurita Br. sp. Corbula gibba 01. sp. Neera crispata Se. sp. (E) I fossili che vi si raccolgono sono i Dentalium Delesserti Chenu (E) Turritella subangulata Br. sp. (E) Natica ( (Vaticina ) helicina Br. sp. Drillia modiola Jan sp. 3° Sull’argilla turchina si sovrappone in discordanza una sabbia molto argillosa (c), alternante con straterelli di sabbione calcareo gial- lastro non agglutinato, ma ben compatto, spesso circa 12 metri. Essa scende giù dal casamento Imbornone sino alla spiaggia e fornisce le seguenti specie: Anomia ephippiutn Lin. Lima ( Mantellum ) inflata Chemn. sp. Pecten Jacobaeus Lin. sp. » ( Chlamys ) rarius Lin. sp. » » multistriatus Poli sp. » » opercularis Lin. sp. Arca (A nadara) Polii Mayer Pectunculus pilosus Lin. sp. » glycimeris Lin. sp. * Nucula nucleus Lin. sp. » piacentina Lmk. (E) Lembulus pella Lin. sp. Venericardia antiquata Lmk. » intermedia Br. sp. (E) bardita aculeata Poli sp. Woodia excentrica Desh. sp. — T. digi- iaria Lin. lueina borealis Lin. sp. 1 ,oripes lacteus Lin. sp. Jardium mucronatum Poli sp. = C. echinatum auct. non Lin. nevicar dium norregicum Spengi, sp. > cblongum Chemn. sp. lyprina islandica Lin. sp. * Venus orata Penn. » fasciata Da Costa » multilamella Lmk. sp. Meretrix Chione Lin. sp. » rudis Lin. sp. Solecurtus antiquatus Pultn. sp. Lutraria elliptica Lmk. Corbula gibba 01. sp. Claragella ( Stirpulina ) bacillaris Desh. Dentalium Delesserti Chenu (E) » dentalis Lin. » novemeostatum Lmk. Bolma rugosa Lin. sp. Gibbuta magus Lin. sp. Zizyphinus conulus Lin. sp. » striatus Lin. sp. » suturalis Ph. sp. Turritella communis Risso Turritellu triplicata Br. sp. » vermicularis Br. sp. (E) » tornata Br. sp. (E) Natica ( Nacca ) millepunctata Lmk. » » tectula Br. (E) » ( Naticina ) tasca De Bìainv. — 84 — Natica ( Neverita ) Josephinia Risso Niso eburnea Risso Eulimella Scillae Se. sp. Cerithium cui gattini Brug. Aporrhais pes-pelecani Lin. sp. Cassidaria echinophora Lin sp. » tyrrhena Chemn. sp. Nassa mutabilis Lin sp. » serrata Br. sp. » limata Chemn. sp. Nassa musica Br. sp. (Ey » semistriata Br. sp. Pseudofusus rostratus 01. sp. Pseudofusus pulchellus Ph. sp. » ( Pagodula ) carinata Bisr. sp. = M. caginatus Crist. et Jan Euthria cornea Lin. sp. Murex ( Bolinus ) brandaris Lin. » » torularius Lmk. (E) » ( Muricopsis ) cristatus Br. sp. Mitra ebenus Lmk. sp. » cornicula Lin. Cancellarla cancellala Lin. sp. » hirta Br. sp. (E) » varicosa Br. sp. (È) » coronata Se. Drillia incrassata Duj. sp. (E) Mangilia angusta Jan sp. (E) Bellardiella emarginata Don. sp. Ringicula auriculata Mén. Bulla utriculus Br. 4° Terminano la serie circa 12 metri di tufi calcarei sabbiosi (d) con letti e lenti di sabbia gialla e di argilla sabbiosa fossilifera (e). Questi strati sono pure leggermente flessuosi, in modo che mentre al principio della contrada S. Giorgio si mostrano inclinati di 24° a N.N.O, al Castelluzzo, cioè all’estremità opposta, pendono a’S.S.E. Finora ho raccolto sia nei tufi che nelle lenti Ditrupa subulata Desh. sp. Ostrea edulis Lin. Pecten Jacobaeus Lin. » (Chlamys) flexuosus Poli sp. » » inflexus Poli sp. Modiolaria marmorata Forb. sp. » sericea Bronn sp. Pectunculus pilosus Lin. sp. » ‘ glycimeris Lin. sp. » violascens Lmk. Nucula piacentina Lmk. (E) Cardita aculeata Poli sp. » ( Rufìlicardia ) calyculata Lin. sp. Astarte fusca Poli argillose le seguenti specie: Cardium aculeatum Spengi. » mucronatum Poli == C. echi- natum auct. non Lin. Laevicardium norcegicum Spengi, sp. » oblongum Chemn. sp. Venus ovata Penn. » fasciata Da Costa Meretrix rudis Poli sp. Donax {Serrala') truneulus Lin. Glycimeris A Idovrandi Mén. — Mya-gly- cimeris Born. Dentalium Delesserti Chenu (E) Gibbuta magus Lin. sp. » Guttadauri Ph. sp. - 85 — Turritella communis Risso Nassa subclathrata d’Orb. (E) » musiva Br. sp. (E) » semistriata Br. sp. » triplicata Br. sp. Natica ( Nacca ) millepunctata Lmk. » ( Naticina ) fusca De Blainv. Mitrella scripta Lin. sp. Pseudofusus rostratus 01. sp. Euthria cornea Lin. sp. Cerithium vulgatum Brug. Triton nodiferum Lmk. Cassis saburon Lmk. sp. Nassa mutabilis Lin. sp. ■Marginella ( Gibberula ) miliaria Lin. sp. » ( Gibberulina ) clandestina Br. sp. » limata Chemn. sp. » serrata Br. sp. Scaphander lignarius Lin. sp. Vallone Bella Pietra. Il torrente Bella Pietra scava il suo burrone fra strati molto spess di argilla e di sabbione giallo calcareo. Sul lato destro del vallone predo- mina il sabbione compatto, ma non agglutinato, che dall’alveo del torrente si eleva fin sotto la proprietà Amato-Vetrano, e in contrada Tranchina passa ad una fina sabbia gialla mista con ciottoli, che è infine coperta dai soliti tufi calcarei. Sul lato sinistro si nota una più regolare alter- nanza di argilla e di sabbione; ma ivi la serie non è più terminata dai tufi, ma da un conglomerato stratificato, che forma una larga terrazza elevata di 1313 metri sul mare. 1° Nell’alveo del torrente compare, dirimpetto la proprietà Mulé, un’argilla (a) turchina plastica, che mostra un’ apparente ristretta potenza, e diviene poi molto spessa continuandosi sino alla torre di Mahàuda. Essa mi ha offerto sinora rari esemplari di una Biloeulina sp., della Limopsis minuta Ph. sp. e della Drillia modiola Jan sp.* 2° Seguono su quest’argilla in istrati orizzontali e in discordanza circa 18 metri di un’argilla sabbiosa (ò), che può dirsi spesso una sabbia argillosa, turchiniccia, associata con strati di sabbione calcareo giallo, conchigliféro, nella quale è frequente la Cyprina islandica Lin. sp. insieme con molti altri molluschi che saranno citati qui appresso. 3° Succedono poco più di 14 metri di argilla turchina (e) con Nassa semistriata Br. sp. e Dentalium Delesserti Chenu. 4° A quest’argilla si sovrappongono circa 4 metri di sabbiagialla (d) incoerente e fina, con Nodosaria raphanistrum Lin. sp., Cristellaria 7 — 86 — cassis Ficht. et Moli., Rotalia Beccarii Lin. sp., Polystomella cri- sma Lin. sp. 5° Questa sabbia passa ad un’altra grigia molto argillosa (e), alter- nante con strati di sabbione calcareo giallastro conchiglifero, che pren- de il predominio sulla sabbia argillosa nel lato destro del vallone. Questo insieme di strati può avere lo spessore di circa 16 metri, e contiene: Spliaerechinus granulari s Lmk. sp., Echinocyamus minutus Reeve, Cyprina islandica Lin. sp. e numerosi altri fossili identici a quelli del membro ( b ). 6° Seguono circa 4 metri di. argilla sabbiosa (/), zeppa di valve della Corbula gibba 01. sp. 7° Finalmente termina la serie un conglomerato (g) di ciottoli di vario colore e di varie dimensioni, grossi talora come la testa di un uomo, calcarei, dolomitici e silicei, saldati da una sabbia grigio-giallastra ed associati con straterelli di un’arenaria durissima dello stesso colore. Questo conglomerato ha lo spessore di circa 8 metri e contiene rari esemplari dell ’Ostrea edulis Lin. sp. e del Pectunculus violascens Lmk. La Costa del Porcospino ci presenta la seguente sezione: Fig. 4.a — Sezione naturale della Costa del Porcospino (Scala per le lunghezze 1 : 25000 ; per le altezze 1 :5000) . a = argilla turchina del Pliocene; b = sabbia argillosa con Cyprina (Postpliocene) ; c = argilla turchina con N. semi- striata (Id); d = sabbia gialla con Polystomella crispa, ecc. (Id); e = sabbia argillosa con Cyprina (Id) ; f = argilla sabbiosa con Corbula aib - ba (Id); g === conglom. con Ostrea edulis (Id). — 87 Come si vede, nel vallone Bella Pietra la sabbia argillosa con Cy- prina islandica si ripete due volte, e si osserva per la prima volta la sostituzione dei tufi calcarei" terminali per mezzo di un conglomerato di origine fluvio-marina, che da quel punto in poi si estende molto verso Ribera e Siculiana. I membri (b) ed ( e ) nei quali si presenta abbondante la Cyprina islandica, offrono una fauna identica, sicché io la cito complessivamente: Caryophyllia clavus Se. Sphaerechinus granularis Lmk. sp. Echinocyamus minutus Reeve Ditrupa subulata Desh. sp. Attornia ephippium Lin. Monia patelliformis Lin. sp. Platycula mytilina Ph. (E) Pecten Iacobaeus Lin. » ( Chlamys ) inflexus Poli sp. » /> fiexuosus Poli sp. » » multistriatus Poli sp. » » opercularis Lin. » » varius Lin. sp. Modiolaria sericea Bronn sp. (E) Pinna perniila Chemn. Arca tetragona Poli » ( Anadara ) Polii Mayer Pectunculus pilosus Lin. sp. » glycimeris Lin. sp. * Nucula nucleus Lmk. sp. » piacentina Lmk.. (Ej » sulcata Bronn Lembulus pella Lin. sp. » commutatus Ph. sp. Cardita aculeata Poli sp. V enericardia antiquata Lmk. sp. » rudista Lmk. sp. (E) » intermedia Lmk. sp. (E) Astarte Jusca Poli sp. » sulcata Da Costa sp. Woodia egocentrica Desh. sp. = T. di- gitaria Lin. Lucina borealis Lin. sp. » ( Myrtea ) spinifera Mtg. sp. Loripes lacteus Lin. sp. Diplodonta rotundata Mtg. sp. . Cardium aculeatum Lin. sp. » mucronatum Poli = C. echi- natum auct. non Lin. » eririaceum Lin. Laevicardium oblongum Chemn. sp. » norvegicum Spengi, sp. Cyprina islandica Lin. sp. * Isocardia cor Lin. Venus verrucosa Lin. » gallina Lin. » ovata Penn. » fasciata Da Costa » multilamella Lmk. sp. Meretrix Chione Lin. sp. » rudis Poli sp. Circe minima Mtg. sp. Dosinia exoleta Lin. sp. » lincta Pultn. sp. * Donax ( Serrala ) venustus Poli Psammobia costolata Turt. sp. Solecurtus scopula Turt. sp. == S. mul- tistriatus Se. » antiquatus Pultn. sp. Lutraria elliptica Lmk. Latuaria oblonga Chemn. sp. Corbula gibba 01. sp. Clavagella ( Stirpulina ) bacillaris Desh. (E) Dentalium Delesserti Chenu (E) » dentalis Lin. » novemcostatum Lmk. » bulgare Da Costa .=== D. en- talis Ph. non Lin. Fissurella graeca Lin. sp. Bolma rugosa Lin. sp. Gibbuta magus Lin. sp. Forskalia fanulum Gml. sp. Zisyphinus conulus Lin. sp. » millegranus Ph. sp. » cxasperatus Penn. sp. Scalarla communis Risso » subtrevelyana Brugn. Turritella communis Risso » triplicata Br. sp. » vermicularis Br. sp. (E) » tornata Br. sp. (E) Galerus chinensis Lin. sp. Capulus hungarìcus Lin. sp. Natica ( Nacea ) millepunctata Lmk. » Montacuti Forb. * » tectula Born. (E) » macilenta Ph. , » ( Naticina ) fusca De Blainv. » ( N emerita ) losephinia Risso sp# Phasianema costatum Br. sp. Xiso eburnea Risso Cerithium uulgatum Brug. Cerithiolum laeteum Ph. sp. Odostomia conoidea Br. sp. Turbonilla rufa Ph. sp. Aporrhais pes-pelecani Lin. Trivia europaea Mtg. sp. Erato laevis Don. sp. Cassidaria- echinophora Lin. sp. » tyrrliena Chemn. sp. Nassa mutabilis Lin. sp. » serrata Br. sp. » incrassata Miill. sp. » limata Chemn. » musiva Br. sp. (E) Nassa semistriata Br. sp. Pseudo/usus rostratus 01. sp. Pagodula carinata Br. sp. = M. vagina - tus. Crist. et Jan Trophonopsis muricatus Mtg. sp. Euthria cornea Lin. sp. Murex ( Bolinus ) brandaris Lin. » )> torularius Lmk. (E) » .( Muricopsis ) crist atus Br. sp. » (Pteronotus) pseudophyllopterus Micht. =M. Jani Dock (E) » ( Muricantlia ) conglobatus Micht. (E) Mitra ebenus Lmk. Cancellarla cancellata Lin. sp. » varicosa Br. sp. (E) » hirta Br. sp. (E) Mangilia angusta Jan sp. (E) » rugulosa Ph. sp. Bellardiella emarginata Don. sp. Ringicula auricalata Mén. » leptocheila Brugn. Actaeon tornatilis Lin. sp. — 89 — Terrazza della Torre di Mahàuda. Sotto il piano del Fossillo, che corona la Costa del Porcospino, si presenta sul litorale, tra il torrente Bella Pietra e il fiume Verdura, una piccola terrazza elevata di 68 metri sul mare, sul ciglio della quale sorge la Torre di Mahàuda. Le onde del mare, che scalzano in- cessantemente le argille turchine della base, hanno sezionato a picco la terrazza e spaccata in modo la torre che metà di essa sta ancora sull'orlo del dirupo e l’altra è scesa diritta giù verso la spiaggia. La sezione degli strati messa a nudo dal mare attirò di già l’attenzione del mio amico ing. L. Baldacci *, che ne fece un cenno; essa è importante per lo studio di quel Quaternario e merita di essere descritta qui appresso. Fig. 5a — Sezione naturale della terrazza di Mahàuda (Scala per le lunghezze 1 : 6000 ; per le altezze 1 :2000) a == argilla turchina del Pliocene; d — sabbione agglutinato con P. Ja- b = conglomerato con lenti di sabbie , , . » cobaeus (PostpboceneJ) : (Postpliocene). c = ghiaie e sab. con P. violascens (Id); e = terriccio vegetale. 1° La base della terrazza è formata da una massa molto spessa 1 Baldacci, Descrizione geologica dell’isola di Sicilia , 1886. — 90 — di argilla turchina (a), più o meno marnosa, che sorge dal litorale e contiene i seguenti fossili: Limopsis minuta Ph. sp. » aurita Br. sp. Nucula piacentina Lmk. (E) Isocardia cor Lin. sp. Corbula gibba 01. sp. Bentalium Delesserti Chenu (E) Turritella triplicata Br. sp. 2° Segue sull’argilla un conglomerato (è), spesso circa 8 metri, composto, come quello della costa del Porcospino, di ciottoli di varie dimensioni, calcarei, dolomitici, in qualche caso silicei, ora sciolti, ora agglutinati da una fanghiglia sabbiosa giallastra, associati con lenti e straterelli di sabbia gialla grossolana. 3° Sul conglomerato si sovrappongono circa 3 metri di piccole ghiaie (e) agglutinate da un’ abbondante sabbia grossolana giallastra. Questi strati contengono: Ostrea edulis Lin. Cardium Lamarcki Reeve Mytilus gallopromncialis Lmk. Gibbuta magus Lin. sp. Pectunculus uiolascens Lmk. Trocliocochlea turbinata Bronn sp. 4° La serie è terminata da circa 5 metri di sabbione giallastro ag- glutinato (d), in piccoli strati, con Pecten Jaeobaeus Lin. sp. Lato occidentale del territorio di Sciac ca. Dall’altura di S. Sebastiano verso il Carbo le argille e i tufi cal- carei si estendono in una serie di altipiani poco elevati, coperti di vigne e di oliveti. S’incontra in essi la stessa successione di strati che abbiamo notata nel lato orientale; però la esatta distinzione paleon- tologica dei vari membri riesce assai spesso difficile per la mancanza o la rarità dei fossili. Le argille turchine che sogliono apparire alla base di tali altipiani non forniscono fossili; ma per la loro posizione, inferiore ad altre crgille molto sabbiose e leggermente discordante con Turritella subangulata Br. sp. (E) Nassa semistriata Br. sp. Pseudofusus rostratus 01. sp. » pulchellus Ph. sp. Drillia sigmoidea Br. sp. (E) » modiola Jan sp. esse, si chiariscono come la continuazione delle argille turchine plastiche del lato orientale; le argille sabbiose che seguono su di esse sono identiche alle altre di questo lato orientale contenenti la Cyprina islàndica , e dippiù presso il Capo S. Marco mi hanno offerto queste specie: Pecten ( Chlamys ) opercularis Lin. Pectunculus glycimeris Lin. sp. Nucula piacentina Lmk. (E) Venericardia intermedia Br. sp. (E) Turritella communis Risso » triplicata Br. sp. Natica Montacuti Forb. * Nassa semistriata Br. sp. I tufi calcarei, che terminano con ristretto spessore tutti quegli altipiani litorali, sono alternanti alla parte inferiore con argilla sab- biosa, più o meno ocracea, in generale alterata in humus giallastro argilloso, che forma una crosta spiccante da lontano sulle argille. In con- trada Ragàna ho raccolto in tale crosta i seguenti molluschi: Anemia ephippium Lin. sp. Pecten Jacobaeus Lin. » ( Chlamys ) pes-felis Lin. » » rarius Lin. sp. » » multistriatus Poli sp. Pectunculus pilosus Lin sp. » glycimeris Lin. sp. * Nucula piacentina Lmk. (E) Lemhulus pella Lin. sp. Cardita aculeata Poli sp. » (Ruflicar dia) caly culata Brug. Astarte fusca Poli Lucina ( Myrtea ) spinifera Mtg. sp. Cardium mucronatum Poli = C. echi- natum auct. non Lin. ^ erinaceum Lin. » minimum Ph. Laevicardium oblongum Chemn. sp. » norvegicum Spengi, sp. Venus orata Penn. » multilamella Lmk. sp. Meretrice rudis Poli sp. Lutraria elliptica Lmk. Corbula gibba 01. sp. Fissurella graeca Lin. sp. Fissurella costaria Bast. Zizyphinus conulus Lin. sp. » exasperatus Penn. sp. » Laujieri Payr. sp. Turritella communis Risso » triplicata Br. sp. Vermetus ( Tylacodes ) arenarius Lin. sp. Natica ( Nacca ) millepunctata Lmk. » » macilenta Ph. » » Guillemini Payr. » ( Naticina ) fusca De Blainv. » ( Neuerita ) Josephinia Risso Rissoa rentrieosa Desm. » ( Acinus ) cimex Lin. sp. Cerithium vulgatum Brug. Aporrhais pes-pelecani Lin. sp. Typhis tetrapterus Bronn Naisa mutabilis Lin. sp. — 92 — Nassa subolathrata d’Orb. sp. (E) » serrata Br. sp. » limata Cliemn. sp. Nassa musiva Br. sp. (E) » semistriata Br. sp. Mitra ebenus Lmk. Nella contrada Torre del Tradimento il mare si frange contro circà 14 metri di un sabbione calcareo ben stratificato, pendente di 33° a Ovest, che sale dalla spiaggia, sovrapponendosi in concordanza ad un’argilla marnosa turchiniccia con straterelli di sabbia gialla. L’ar- gilla sabbiosa si continua molto pel litorale verso Mentì ed è assai scarsa di fossili ; finora mi ha offerto queste specie : Limopsis minuta Ph. Nucula piacentina Lmk. (E) Yenericardia intermedia Br. sp. (E) Turritella vermicularis Br. sp. (E) » triplicata Br. sp. Natica ( Nacca ) Montacuti Forb. * Nassa semistriata Br. sp. Cancellaria coronata, Se. Drillia modiola Jan sp. Bellardiella emarginata Don. sp. Il sabbione risulta dall’accumulo di un enorme numero di fram- menti di Litotanni agglutinati con granelli di sabbia. Esso è cavato per pietra da costruzione là dove i suoi elementi sono fini e ben ce- mentati. Benché sia ricco di fossili, ne fornisce ben di raro completi a causa delia loro fragilità, sicché ho potuto sinora determinare le seguenti specie : Arca tetragona Poli » ( Barbatia ) lactea Lin. Lucina borealis Lin. sp. Venus ovata Penn. » fasciata Da Cesta sp. Zizyphinus turgidulus Br, sp. = T. Montagui Wood. Danilia Tinei Cale. sp. = M. limbata Ph. Ristoa ( Acinopsis ) cancellata Da Costa » (Acinus) cimicoides Forb. » (Alvania) lineata Risso Cerithiolum reticulatum Da Costa sp., » » var. rudis Brugn. » lacteum Ph. sp. Triforis perversa Lin. sp. — 93 ■— §• 3.° Prima di discutere 1’ età degli strati studiati, credo utile di offrire qui appresso un quadro generale dei fossili che vi ho raccolto. In esso sono distinti coi nomi e con numeri i membri che li hanno forniti ed inoltre vi è indicato se le specie citate sono estinte o viventi. La 5a colonna serve solo a indicare le specie che vivono nel Mediterraneo, e la 6a quelle viventi in mari settentrionali e mancanti nel Mediterraneo. Le specie emigrate in mari tropicali sono indicate con una nota a piè di pagina. SPECIE marne bianche con ^ argille turchine w1 (2) o o 42 © o3 o © sabbia argillosa 'oo tufi calcarei e ^ conglomerati Mediterraneo | < Mari settentrionali l » (mane, nel Medit.) ) — Estinte Fora miniferi. Biloculina sp 4 No dosarla raphanistrum Lin. sp. 4 4 4 ? » raphanus Lin. sp + ^ 4 » simplex Silv 4 4 Cristellaria calcar Lin. sp 4 4 » cultrata Montf. sp + 4 » cassis Eicht. et Moli. sp. 4 4 4 » echinata d’ Orb. sp 4 4 4 Uvigerina pygmaea d’ Orb H- 4 Clavulina communis Lin 4 4 Orhulina universa Lmk 4 4 Globigerina bu'loides d’Orb 4 ' 4 Truncatulina ìobatula Walk. et Jac. sp. 4 4 » Ungevi d’ Orb. sp 4 4 Pulvinulina Partschi d’ Orb. sp 4 4 Rotalia Soldanii d* Orb. sp 4 4 4 — 94 — SPECIE marne bianche con ^ argille turchine calcare bianco ^to sabbia argillosa tufi calcarei e ^ congloi lerati ^ Mediterraneo ) •< / CD Mari settentrionali i = (mane, nel Medit.) ) ” Estinte Hot alia Beccarii Lin. sp. . 4 4 Poly stornella crispa Lin. sp 4 4 4 Zoontari. CaryopJiyllia clavus Se 4 4 Echinidi. Sphaerechinus granularis Link. sp. . . . 4 J_ ! Echino cyamus minutus Reeve 4 4 Anellidi. Ditrupa subulata Desìi, sp 4 4 Briozoari. Lepralia sp + Myriozoum truncaturnj?a\\a,s sp 4 4 Retepora cellulosa Lin. sp 4- 4 j_ Brachiopodi. Rhynchonella bipartita Br. sp. . . . . 4 4 Megathyris decollata Chemn. sp + 4 Terebratulina caput serpentis Lin. sp. . + 4 Terebratula ampulla Br. sp 4 4 » minor Ph _L 4 Lamellibranchi. Anomia ephippium Lin 4 4 4 4 Monia patelliformis Lin. sp 4 4 Ostrea lam eliosa Br 4- 4 » edulis Lin 4 4 » corrugata Br. ....... 4 4 Gryphaea navicularis Br. sp 4- 4 * 4 — 95 — SPECIE marne bianche con ✓--n argille turchine ^ calcare bianco 'to sabbia argillosa oo tufi calcarei e ^ conglomerati ^ Viventi Estinte Mediterraneo j Mari settentrionalij (mane, nel Medit.) Lima ( Mantellum ) infiata Chernn. sp. + + » ( Radula ) squamosa Lmk + 4- Plicatula mytilina Ph + + 4- Spondylus crassicosta Lmk + 4- » gaederopus Lin + 4- Hinnites crispus Bromi sp + 4- Pecten Jacobaeus Lin. sp f + + 4- » latissimus Br. sp + 4- » fiabelliformis Br. sp + 4- » (Chlamys) inflexus Poli sp. . + + + » » flexuosus Poli sp. . 4- » » varius Lin. sp + + 4- » » opercularis Lin. sp. . . + + •!- » » multi striatus Poli sp. . + + 4- » » scabrellus Lmk. + 4- » » pes-felis Lin + 4- Modiolaria sericea Bronn sp + + 4- Modiolaria marmorata Eorb. sp. 4- 4- Mytilus galloprovincialis Lmk + j_ Pinna pernula Chemn + 4- Arca tetragona Poli + 4- » ( Anadara ) Polii Mayer + + 4- » (. Barbatia ) barbata Lin H- 4- » » lactea Lin + 4 Pectunculus bimaculatus Poli sp. + 4- 4- » glycimeris Lin. sp l + 4- 4- » pilosus Lin. sp + 4- 4- » violascens Lmk 4- 4- Limopsis minuta sp 4~ 4- » aurita Br. sp + + Nucula nucleus Lin. sp 4- » piacentina Lmk ■ + 4- 4- -f- 1 — 96 — SPECIE marne bianche con ^ argille turchine ^ calcare bianco 'Io sabbia argillosa 'cB tufi calcarei e ^ conglomerati w Mediterraneo | < / CD Mari settentrionali! » (mane, nel Medit.) ) Nucula sulcata Bronn . . . . 4- 1 Lembulus pella Lin. sp 4 4 4 4 » commutatus Ph.fsp 4- 4 4 Cardita aculeata Poli sp 4 4 » {Rufilicardia) caly culata Lin. sp. . 4 4 Venericardia antiquata Link. sp. *. + 4 4 » rudista Link, sp + » intermedia Br. sp + . Astarte fusca Poli sp + 4 4 » sulcata Da Costa sp + * 4 Woodia excentrica Desìi, sp .=T. digitaria Lin. 4 4 Chama gryphina Link . 4 4 4 » gryphoides Lin. . 4 4 Lucina borealis Lin. sp 4 4 4 » ( Myrtea ) spinifera Mtg. sp. . 4 4 4 J agonia reticulata Poli sp 4 + Diplodonta rotundata Mtg. sp 4 4 4 » apicalis Ph. sp 4 4 Loripes lacteus Lin. sp 4 Cardium aculeatum Lin. sp 4 4 4 » mucronatum Poli == C. echinatum auct. non Lin. ... ... 4 4 4 Cardium erinaceum Lin. 4 4 j_ » tuberculatum Lin 4 4 » Lamarcki Ree ve 4 — L » minimum Pk + •4 » papillosum Poli sp 4 4 + Laevicardium oblongum Chemn. sp.. . . 4 4 4 » norvegicum Spengi, sp. . + 4 4 Cyprina islandica Lin. sp 4 •4 Isocardia cor Lin. sp. . 4 4 4 Venus verrucosa Lin. . . ..... 4 — 97 — SPECIE marne bianche con ✓—n argille turchine ^ calcare bianco Do sabbia argillosa "oo | tufi calcarei e ^ conglomerati VP o O £ "S /enti o -S 11 "o 00 ci ^ C 5 &M. ! Kslin te Venus gallina Lin . + 4- » fasciata Da Costa sp + 4- + » ovata Perni + + 4- » multilamella Lmk. sp + + + Meretrix rudis Poli sp. ..... + 4- + » Chione Lin. sp + 4- Circe minima Mtg. sp + + 4- Dosinia exoleta Lin. sp. 1 + + 4- » linda Pultn. sp. . * . . 4- + Donax ( Serrala ) venustus Poli .... + + » » trunculus Lin 4- 4- » ( Capsella ) politus Poli sp. ... 4- 4- Psammobia Ferroensis Ckemn. sp. . .4- 4- » costulata Turt. sp + + Ervilia castanea Mtg. sp + 4- Solecurtus scopula Turt. sp. = S, multi - striatus Se + 4- Solecurtus strigilatus Lin. sp + ‘+ » antiquatus Pultn. sp 4- + Glycimeris Aldovrandi Mén. sp. = Mya -glyci- meris Born. sp + 4- j_ Poromya granulata Nyst et West. sp. . + 4- Mactra subtruncata Da Costa sp. 4- 4- Lutraria elliptica Lmk • . + 4- 4- » oblonga Chemn. sp 4- 4- Corbtda gibba 01. sp + - + + 4- Neera crispata Se. sp. . > . . . + + Clavagella ( Stirpulina ) bacillaris Desk. . . 4- 4- 4- Scafopodi. Dentalium Delesserti Ckenu ..... + + + 4- » dentalis Lin 1 4- 4- — 98 - SPECIE marne bianche con argille turchine ^ calcare bianco 'to Sabbia argillosa 'co tufi calcarei e ^ conglomerati ^ Mediterraneo ì < i a* Mari settentrionali l = (mane. nelMedit.) ) "• lìslinle Dentalium novemcostatum Lmk 4 4 » vulgare Da Costa = D. entalis Ph. non Lin * . 4 4 » sexangulare Lmk 4- 4 Siphonentalis Lofotensis M. Sars. sp. + 4 Entalina tetragona Br. sp. = D. quinquan- gulare Torb + 4 Gasteropodi Patella coerulea Lin + 4 Fissurella graeca Lin. sp 4 “f- 4- » costarla Bast 4- 4 Bolma rugosa Lin. sp. . + + 4 Gibbuta magus Lin. sp 4 + + » Guttadauri Ph. sp + 4 Forskalia fanulum Gml. sp 4 4 Zizyphinus millegranus Ph. sp + 4 » striatus Lin. sp + 4 » conulus Lin. sp + 4 » suturalìs Ph. sp. . ... + 4- » ex asperatus Penn. sp. + + 4- » Laugieri Payr. sp. .... + 4 4 Trochocochlea turbinata Bom. sp. 4 4 Danilia Tinei Cale. == M. limbata Ph. . 4 4 Scalaria communis Bisso + 4- 4 » subtrevelyana Brugn + 4- » lamellosa Br. sp + + 4 Turrìtella communis Bisso + + 4 » triplicata Br. sp. . . . . + 4- 4 » vermicularis Br. sp + 4- » tornata Br. sp + 4 » subangulata Br. sp + 4- Vermetus ( Dofania ) semisurrectus Biv. sp.. + 4 — 99 — SPECIE marne bianche con argille turchine calcare bianco ho sabbia argillosa "co tufi calcarei e conglomerati 4 Mediterraneo ) < renli « .2 o G ^ -£ o * ó *5 % lìstinle Vermetus (Tylacodes)arenarius Lin. . 4 4 4 Galerus chinensìs Lin. sp 4 4 4 Crepidula ungiti fornite Lmk 4 4 Capulus hungaricus Lin. sp 4 4 Natica ( Nacca ) millepunctata Lmk. . + + + » » Montacutì Forb 4 4 » » macilenta Ph 4 4 » » Guillemini Payr 4 4 » » tectula Bon. ..... 4 4 » ( Naticina ) fusca De Blainv. . . 4 4 4 » » helicina Br. sp + 4 4 » {Nev evita) Josephinia Risso . 4 4- 4 Bissoa ventricosa Desm 4 4 » (Acinus) cimex Lin. sp 4 4 4 > » cimicoides Forb 4 i » ( Zippora ) auriscalpium Lin. sp. . 4 4 » (Alvania) lineata Risso 4 4 4 Phasianema costatimi Br. sp 4 Eulima ( Subularia ) subulata Don. sp. . 4 4 Niso eburnea Risso 1 4 Eulimella Scillae Se. sp 4 4 Odostomia conoidea Br. sp 4 4 Turbonilla rufa Ph. sp 4 4 Cerithium vulgatum Brug 4 4 4 Cerìthiolum lacteum Pb. sp 4 4 4 » reticulatum Da Costa e var. rudis Brugn 4 4 4 Cerithiopsis tubercularis Mtg. sp 4 4 4 Tri forte perversa Lin. sp 4 4 Aporrhais pes pelecani Lin. sp 4 4- -4 » Serresianus Michel, sp 4- 4 (1) La Niso eburnea vive presentemente nell’Oceano Indiano. — 100 — SPECIE marne bianche con argille turchine ^ calcare bianco 'lo sabbia argillosa 'oò tufi calcarei e conglomerati w Mediterraneo | <; Mari setténtrionalil 3 (mane. nelMedit.)) “• Estinte Cypraea achatidea Gray 4- ■ + 4 Trivio, europaea Mtg, sp 4- + I 4 Erato laevis Don. sp. + 4 Cassis saburon Lmk. sp + 4 Triton nodiferum Lmk + 4 » corrugatimi Lmk 4- 4 Cassidaria echinophora Lin. sp + 4 » tyrrhena Chemn. sp. . . . . 4 4 Nassa mutabilis Lin. sp 4- 4- 4 » serrata Br. sp + 4- 4 » incrassata Muli, sp + 4 » pusilla Ph + 4 » subclathrata d’ 04 4 4- 4 » limata Chemn. sp 4- + 4 » musiva Br. sp 4 4 4 » semistriata Br. sp ! ~r + + 4 Mitrella scripta Lin. sp . + 4 Pseudofusus rostratus 01. sp + - + 4 » pulchellus Ph + + 4 Fagodula carinata Biy. sp. = M. vagina- tus Cristf. et Jan 4 4- 4- Euhtvia cornea Lin. sp. . 4 4- ■ Murex ( Bolinus ) brandaris Lin 4- + 4 » » torularius Lmk. . 4- 4 » ( Muricantha ) trunculus Lin. . 4 4- 4 » » conglobatus Micht. . 4 4 » ( Muricopsis ) cristatus Br. sp. 4 4 » ( Pteronotus ) pseudophyllopterus i Micht — M, Jani Dod 4 4 1 Typhis tetrapterus Bronn ...... 4 4 TropTionopsis muricatus Mtg. sp. 4 4 Marginella ( Gibberula ) miliario Lin. sp. . J_ 4 » (Gibberulina) clandestina Br. sp. 4 4 — 101 - SPECIE marne bianche con ^ argille turchine w calcare bianco 'Eo sabbia argillosa "co tufi calcarei e ^ conglomerati Viventi o> "35 Mediterraneo j ! Mari settentrionali j (mane, nel Medit.) Mitra ebenus Lmk . . . + + » oornicula Lin. sp + -f Cancellarla cancellata Lin. sp + + » lì irta Br. sp + + » varicosa Br. sp + + » coronata Se + + + Drillia modiola Jan sp + + » sigmoidea Br. sp + + » incrassata Dnj. sp + + Baphitoma plicatella Lmk. sp. -h ,JL. Bellardiella emarginata Don. sp + + Mangilia angusta Jan sp + + » rugulosa Ph + + Leufroyia Leufroyi Micht. sp + + Homotoma iextilis Br. sp. ..... + 4- C onus mediterraneus Hwass + + Actaeon tornatilis Lin. sp, + + Ringicula auriculata Mén. sp + + + » leptocheila Brngn + + + Scaphander lignarius Lin. sp. » . . + + Bulla utriculus Br + + Cipripedi. Balanus spongicola Brown + -J- » tulipiformìs Ellis + + §. 4.° Dall’esame delle varie sezioni descritte si può trarre il seguente ordinamento cronologico degli strati studiati: 1° Marne bianche con foraminiferi, associate con argille turchine 8 102 plastiche con Lìmopsis, poggianti nel lato N.O di monte San Calogero in discordanza sull’ Eocene medio. 2° Calcare bianco o giallastro, terroso, con Lithothamnium , Ostrea, Pecten, Spondylus ecc., sovrapposto in concordanza sulle marne bianche e sulle argille turchine. 3° Sabbia molto argillosa, turchiniccia, alternante con strati di sabbione calcareo conchiglifero e di argilla più o meno plastica, ri- posante in discordanza sul calcare bianco o sulle argille turchine del membro l.° Contiene Cyprina islandica Lin. sp., Murex (Muricantha) conglobatus Micht. ecc. 4° Tufi calcarei sabbiosi, passanti a sabbioni o a ghiajette, as- sociati con lenti di argilla sabbiosa, contenenti una fauna quasi tutta vivente nel Mediterraneo, sostituiti nel lato orientale del territorio di Sciacca da conglomerati stratificati, con intercalazioni di arenarie e di sabbia gialla grossolana, i quali mostrano Ostrea edulis Lin., My- tilus galloprovincialis Lmk. ecc. Sull’ età del membro 1,° cioè delle marne bianche con Globigeri- nidae, c’è poco da discutere. Esse, formate dal solito grande accu- mulo di foraminiferi delle marne simili plioceniche, ed intimamente associate ad argilla con una piccola fauna (vedi pag. 73 e pag. 82), che nel suo insieme serve a ben distinguerle da altre marne mioce- niche Con foraminiferi, ci rappresentano quel sedimento di mare molto profondo del nostro Pliocene tanto noto nell’ Italia meridionale. Il calcare bianco o giallastro, che segue immediatamente e con la più stretta connessione stratigrafica sulle marne bianche e sulle ar- gille turchine, ha una fauna (vedi pag. 75) essenzialmente composta di grossi lamellibranchi, fra i quali sono abbondanti Y Ostrea lamel- losa Br., il Pecten latissimus Br. sp., il P. Jacobaeus Lin. sp., lo Spondylus crassicosta Bronn, lo S. gaederopus Lin. ecc. Benché molte delle specie che esso contiene provengano dal Miocene, nondimeno la sua sovrapposizione alle marne sicuramente plioceniche e l’ insieme di tutta la sua fauna, solita a trovarsi negli strati così detti Astiani , lo chiariscono per un deposito pliocenico litorale, nonostante la presenza di taluni brachiopodi, che se si presentano spesso in istrati di mare profondo, si trovano del resto anche in altri litorali, come sarebbero per esempio quelli con Amphistegina. Il calcare bianco della collina di — 103 — Sciacca, dei Cappuccini, della Torre del Vento, di contrada Ferraro, ecc. è da considerarsi dunque come un deposito litorale (intendendo per depositi litorali quelli formati dalla parte superiore della zona con Co- ralline e Nnllipore * sino a quella litorale nel senso ristretto) origina- tosi sulle marne e sulle argille per successivo riempimento di fondo. Le sabbie molto argillose del membro 3,° che seguono in discordanza sul calcare bianco o sulle argille turchine, contengono nel loro insie- me una fauna composta di 153 specie, delle quali solo 24 sono estinte. Fra quelle viventi sono notevoli la Cyprina islandiea Lin. sp., che fossile nel Crag di Norwich e di Suffolk, nel Pliocene belga, nei de- positi glaciali d’Inghilterra, della Prussia, della Danimarca, della Sve- zia, nei Postpliocene di Rodi, dei dintorni di Reggio, di M. Pellegrino e Ficarazzi presso Palermo, di M. Mario (Roma), di Vallebiaja (Pisa) e di Livorno, vive sulle coste della Norvegia, della Groenlandia, del- l'America boreale e nell’Atlantico fino al golfo di Guascogna; il Pectun- culus glycimeris Lin. sp. che fossile nel Pliocene, come p. es. a Siena, nel Postpliocene del Palermitano, della Calabria, di Livorno, di Rodi ecc., vive dalle Canarie alle coste occidentali della Scandinavia; la Dosinia lincia Pultn.1 2 sp., che, fossile nel nostro Pliocene, come per* esempio nel Piacentino, e nel Postpliocene di Palermo, della Calabria, di Rodi, abita ora nell’ Ovest e nel Nord dell’ Europa; la Natica Mon- tacuti Forb., che fossile nel nostro Pliocene, come ad Altavilla, nel Messinese 3 ecc., nel Postpliocene dei dintorni di Palermo, della Cala- bria, di Rodi ecc., vive nell’Atlantico settentrionale; e finalmente la Niso eburnea Risso, la quale si presenta fossile nel Miocene, nel Pliocene e nel Postpliocene (M. Mario, Vallebiaja, Rodi) ed è emigrata presentemente nell’ Oceano Indiano. Le specie estinte sono le seguenti : Ostrea corrugata Br., Plicatula mytilina Pb., Modiolaria sericea Bronn sp., Nucula Piacentina Lmk., 1 Fuchs, Welclie Ablagerungen haben wir als Tiefseebildungenzu betrachtenì (Neues Jahrbuch ecc., II B-Band, 1883, pag. 487). 2 L’ esistenza della Dosinia lincta Pultn. sp. e del Pectunculus glycimeris Lin. sp. nel Mediterraneo, non ostante che sia stata asserita, non è punto provata. 3 Seguenza, Sull’ antica distribuzione geografica di talune specie malaco- logiche viventi (Bull, malac. italiano, voi. Ili, 1870). 104 — Venericardìa rudista Lmk. sp.,V. intermedia Br. sp., Clavagella (Stirpu- lina) bacillaris Desh., Dentalium Delesserti Chenu1, D. sexangulare Lmk.r Scalaria subtrevelyana Brugn., Turritella vérmicularis Br. sp., T. tor- nata Br. sp., Natica (Nacea) tectuta Bon., Nassa subclathrata d’Grb.y N. musiva Br. sp., N. -pusilla Ph. 2, Murex (Bolinus) torularius Lmk.y AI. (Murieantha) conglobatus Micht., M. ( Pteronotus ) pseudophyl- lopterus Micht., Cancellarla hirta Br. sp., C. varicosa Br. sp., Alan - gilia angusta Jan sp., Drillia incrassata Duj. sp., Raphitoma pii - catella Lmk. sp. Queste 24 specie rappresentano sopra 153 il 15,68 per cento, la quale proporzione è molto minore di quella che si riscontra nei depositi del Pliocene tipico, nei quali varia fra il 25 e il 50 per cento. Inoltre le sabbie molto argillose di Sciacca presentano quegli altri caratteri che per strati contemporanei o alquanto più giovan£ sono stati notati dal Tournouér3 *, dal Fischer*, dal Seguenza 5 dal De Stefani6, cioè la mancanza di quell’ insieme di grandi Venus , Hinnites ,. grosse Pleurotoma , Atitra , Terebra , Ficula , Conus , ecc. così caratte- ristico del Pliocene tipico e la presenza di talune specie di mari set- tentrionali ora mancanti nel Mediterraneo. Tutti gli strati che si pre 1 La presenza del Dentalium Delesserti Chenu nelle grandi profondità del' l’Atlantico, vagamente indicata dal Fischer nel Journal de Conchiliologie ecc. 1882r 3 S., T. XXII, N. 1. (Diagnoses d’espéces noucelles de Mollusques recueillies dans le cours dés Expeditions scientifiques de V auiso le Travailleur), ha bisogno, a dir vero, di essere assodata. 2 Siccome non è bene accertato che la Nassa pusilla Ph. e la Drillia in- crassata Duj. sp. siano viventi, io continuo qui a considerarle come estinte. 3 Tournouér, Ètude sur les fossiles tertiaires de Vile de Cos recueillis par M. Gorceix en 1873 (Annales de 1’ École normale guperièure, 2 S., t. V, 1876). * Fischer, Paleontologie des terrains tertiares de Vile de Rhodes, 1877 (Mém. de la Soc. géol. de France, 3 S., T. 1). 5 Sequenza, Studi stratigrafici sulla formazione pliocenica dell ’ Italia Meridionale ecc. — Le formazioni terziarie della provincia di Reggio, 1880 (Atti della R. Acc. dei Lincei, voi. CCLXXVII). 6 De Stefani, Sedimenti marini delV epoca post pliocenica; 1876. — Della nomenclatura geologica , 1883 (lettera prima a Beyrich). — Escursione scienti- fica nella Calabria ecc., 1884 (Atti della R. Acc. dei Lincei, voi. XVIII). — 105 — sentano in queste condizioni formano nel Mediterraneo, cioè a Rodi, Cos, Cipro, Kalamaki, Taranto, nei dintorni di Reggio, a Naso, Rìzzolo, Ci- tali, Catira, Acicastello, Palermo, M. Mario, Vallebiaja, Livorno ecc., vari livelli di un piano ben determinato e di corta durata, che è stato compreso nel Newer Pliocene del Lyell (Pliocene recente del Seguenza), in parte del Pleistocene dello stesso Lyell, secondo la concezione del 1839, nel piano Siciliano del Doderlein con i livelli ricchi di specie glaciali, nel- ì’Astiano superiore del Tournouér, del Fuchs, del Fischer, e che ha dato il tipo della seconda fauna pliocenica del prof. Neumayr. Nel 1884 pare che il Mayer lo abbia compreso nel suo Arnusiano, il quale è però formato in parte con strati più antichi; il marchese De 'Gregorio nel 1886 lo ha denominato Frigidiano. Tali sedimenti sono stati però riguardati in generale come parte del Pliocene superiore; però il pro- fessore C. De Stefani ha sostenuto con larga discussione che essi debbono separarsi dal Pliocene classico e collocarsi nel Postplio- nene, ed infatti tutti i caratteri accennati, cioè la debole proporzione di specie estinte, la mancanza di quell’insieme di tipi propri del Plio- cene e la presenza di specie di mari boreali ed artici, rilegandoli più al tempo presente che al Pliocene e mostrando nello stesso tempo che importanti mutamenti sono avvenuti nel clima pliocenico, giustificano tale riferimento. Del resto essi sono così intimamente legati per piccoli passaggi ai depositi recenti e ad altri marini sicuramente postpliocenici, •come sarebbero per esempio gli -strati 1 con Hijaena brunnea Thumb. ed Elephas antiquus Falc. della porzione più elevata della parte su- periore dei tufi calcarei del bacino di Palermo, che non posso o asso- lutamente staccarsi dal Postpliocene : essi ci rappresentano, a dir vero, tutti i passaggi dal Pliocene al tempo presente. Considerando tali strati come appartenenti al Postpliocene, si può ri- guardarli come contemporanei almeno del principio dell’epoca glaciale sui continenti, la cui influenza sulla temperatura dei mari sarebbe sufficiente a spiegare la presenza delle molte specie boreali ed artiche. Fra le spiegazioni sinora proposte sulla causa dell’ esistenza nel Me- 1 Questri strati di tufo calcareo grossolano sono distinti dai cavatori di pietra del Palermitano col nome di Scurciuni (scorza grossolana). • 106 — diterraneo di tali specie, questa pare certamente la migliore ed è quella che è stata indicata da parecchi autori, come Lyell, Agassiz, d’Archiac De Stefani. Però non è da disconoscere che talune cognizioni rendono complessa la questione. Infatti è da por mente prima di tutto all’asso- ciazione di molluschi meridionali con molti altri nordici provata nell’Atlantico africano, specialmente dal Mac Andrew ' in acque pro- fonde delle coste del Marocco (Mogador), e dallo stesso e dal Jeffreys* sulle coste della Galizia e delle Asturie (Jeffreys nella baia di Vigo rinvenne alla profondità di £94 braccia 134 specie settentrionali so- pra 186). Inoltre debbono anche tenersi in conto i risultati delle recenti esplorazioni sottomarine francesi, i quali confermano che i molluschi delle grandi profondità della porzione dell’ Atlantico del nostro emis- fero rassomigliano a quelli litorali artici1 2 3 e che un importante gruppo di specie di tale regione mostra grande affinità con quelle dei depositi postpliocenici del Mediterraneo. Or le strette relazioni tra la fauna del Mediterraneo e quella *dell’Atlantico si provano sempre più, e molte specie che parevano esclusivamente settentrionali si son di già tro- vate nelle grandi profondità del nostro mare, il quale sembra popolato da colonie venute da quell’ Oceano. 4 Per queste ragioni nasce il dubbio che la presenza di specie di mari freddi negli strati del Postpliocene possa anche spiegarsi col fatto del concorso di determinate condizioni 1 Mac-Andkew, Report on thè marine testaceous niollusca of thè North-East atlantic and neighbouring seas (British assoc. for thè advancement of sciénce for 1856). 2 Report of deap sea researches cncvried on thè during thè montlis of Julyr August and September 1870 H. M. surveying-ship Porcupine by W. B. Carpenter and Gwyn Jeffreys ( Proceedings of thè Royal Society of London, 1870). Wywille Thomson, Les abimes de la mer, eco. 1875 (traduit par Lortet). 3 Fischer, Sur les espéces de mollusques orctiques trouvées dans les gran - des profondeurs de V Ocean Atlantique intertropicale (Comptes rendus de l’Aca- démie des Sciences, 1883). Perrier, Les explorations sous-marines, 1886. 4 Fischer, Sur la faune malacologique aby ssale de la Mediterranée, 188& (Comptes rendus de l’Académie des Sciences). — 107 — di profondità, come già osservò il prof. Doderlein, 1 e di una distribu- zione batimetrica di temperatura differente di quella dell’odierno Me- diterraneo, molto più se si nota la rarità delle specie boreali ed artiche in tali depositi (salvo che in quelli dei dintorni di Palermo, i quali offrono perciò un carattare locale e contengono a Ficarazzi queste specie riunite in una distinta zona di piccolo spessore). Le esplorazioni poco avanzate della parte orientale del Mediterraneo e del Mar Nero potreb- bero fornire altri elementi per lo studio del problema; però noi siamo presen- mente lungi dal poter dire l’ultima parola sulla questione cennata, diffìcile e complessa, che si connette con quella della formazione del Mediterraneo. Ad ogni modo le sabbie argillose con Cyprina islandica dei din- torni di Sciacca prendono il loro posto nel Postpliocene ; ma però non corrispondono agli strati molto elevati di esso, distinti, oltre che per una debole proporzione di specie estinte (e può calcolarsi non su- peri l'il per cento), pel carattere della presenza di parecchie specie glaciali, specialmente nei dintorni di Palermo. Le sole specie set- tentrionali che esse contengono sono il Pedunculus glycimeris Lin., che del resto giunge fino alle Canarie, la Dosinia linda Pultn. sp. e la Natica Montacuti Forb., che vissero nel nostro Pliocene, e la Cyprina islandica Lin. sp., la quale è 1’ unica specie veramente glaciale che vi si presenta. Per contrario si nota che la proporzione delle specie estinte che contengono (15,68 per cento) è molto più forte di quella che si nota nei depositi sopra citati, e che fra tali specie ve ne sono alcune di carattere pliocenico e che non sono state trovate in istrati elevati del Postpliocene ; tali sono 2 infatti la Natica ( Nacca ) tectula Bon., il Murex ( Muricantha ) conglobatus Micht. (gl’ individui di Sciaeca si avvicinano a dir vero al vivente M. trunculus Lin., senza che del resto si possano nettamente stac- care dal M. conglobatus ), il M. (Pteronotus) pseudophyllopterus Micht,, r 1 Doderlein. Note illustrative della carta geologica del Modenese e del Reggiano ; Memoria terza, pag. 94, 1870. 2 Non annovero tra questa specie il M. torularius Lmk., perchè si presenta ben distintadal M. brandaris Lin., con la quale è associata, nel Postpliocéne su periore del Palermitano. — 108 — la Cancellarla Iurta Br. sp. e la C. varicosa Br. sp. Esse indicano la vicinanza del mare caldo pliocenico, il che è anche confermato dalla presenza di un tipo tropicale vivente, cioè della Niso eburnea Risso. Per questo può ritenersi che le sabbie argillose con Cyprina di Sciacca, cioè quelle del Vallone Bella Pietra, della Costa di S. Giorgio, della collina della Crocchiola, dell’altipiano di S. Sebastiano ecc., ci rappre- sentano una porzione antica del Postpliocene e corrispondente al così detto piano con Cyprina islandica , al quale il De Stefani ha riferito le sabbie di M. Mario presso Roma, gli strati di Vallebiaja nel Pi- sano, e quelli inferiori postpliocenici della valle del Lamato e del M. Santa Maria in Calabria. Tali strati di Sciacca mi pare che pel loro tipo ricordino quelli di Rodi, i quali per la forte proporzione di specie estinte, sia del 21 per cento, secondo risulta dagli studi del Deshayes, dell’ Hoernes, del Weinkauff, del Jeffreys, dello Schwartz, del Fischer, o del 17 per cento, come più. esattamente la misura il Fischer, e per la scarsezza di specie di mari settentrionali possono ascriversi alla porzione più antica del Postpliocene, sebbene è da riconoscere che la fauna di Rodi non è improbabile provenga da vari livelli, e che non sempre è possibile stabilire sincronismi assoluti. I tufi calcarei del membro 4,° che seguono in istretta connessione sulle argille sabbiose, contengono 119 specie, fra le quali solo le 7 seguenti sono estinte: Plicatula mytilina Ph., Modiolaria sericea Bronn sp., Nudila piacentina Lmk., Clavagella ( Stirpulina ) bacillaris Desh., Dentalium Delesscrti Chènu, Nassa subclathrata d’Orb., Nassa musiva Br. sp. R resto, salvo il Pectunculus glycimeris Lin., vivono nel Me- diterraneo. Da tale debole proporzione di specie estinte (5,88 per cento) si trae che essi, stratigrafìcamente superiori del resto alle argille con Cyprina islandica., rappresentano una porzione elevata del Postpliocene marino. Però neanco questi strati offrono il tipo degli altri superiori del Postpliocene, notevoli per le varie specie di mari settentrionali *, come sono quelli del Palermitano, di Monasterace, delle Carrubbare, di Palmi, 1 Per quante ricerche abbia fatto, non mi è stato possibile sinora di trovare nel Postpliocene di Sciacca la Mactra solida Lin. e il Chrysodomus contrarius Lin. sp. indicate dal Philippi. — 109 S. Cristina, Filiceto ecc. in Calabria; essi ne sembrano più recenti e pos- sono paragonarsi a taluni dei depositi postpliocenici della Calabria che il De Stefani nota presso Rosano, presso S. Angelo e presso S. Cosantino Calabro (Escursione scientifica nella Calabria ecc.), alle sabbie di Mu- sala studiate dal prof. Seguenza, agli strati di Taranto, segnatamente studiati dal Philippi e dal Kobelt *, e alla porzione elevata della parte superiore dei tufi calcarei del Palermitano ( scurciuni ) di già cennata. Fra questi strati del livello elevato del Postpliocene di Sciacca, che son tutti litorali, sono da riguardare come formatisi a maggior profondità quelli del sabbione della Torre del Tradimento, che composto essen- zialmente di frammenti di litotanni, contiene specie che sono coralli- gene e nello stesso tempo litorali nel senso stretto della parola, in- sieme alla Danilia Tinei Cale, sp., che vive sempre a molta profondità. I conglomerati e le ghiajette della parte più alta della Costa del Porcospino e della Torre di Mahàuda, elevati nella regione studiata fino a 136 m. sul mare e contenenti delle specie marine tuttora vi- venti nel vicino litorale, sono dei depositi del Post-pliocene supe- riore un po’ piu recenti dei tufi dovuti ai materiali trasportati sul- T antica spiaggia dalle alluvioni del contiguo fiume Verdura e strap- pati durante quel tempo ai monti secondari di Cammarata e di Caltabel- lotta. Depositi simili si formano anche oggigiorno sulla larghissima foce di questo fiume. Tali conglomerati costituiscono due terrazze, una, che è quella della Torre di Mahàuda elevata di 68 m. sul mare che le bagna la base, e l’altra del Piano del Fossillo, più interna, alta 136 m. Esse indicano i graduali movimenti della regione verifi- catisi durante il Quaternario e quindi il successivo espandersi del fiume a livelli più bassi. Questi conglomerati con specie marine si continuano estesamente di là dal territorio studiato verso Rihera, Calamonaci e Siculiana, as- sociati con sabbie e sempre in sostituzione dei tufi calcarei. Presso Calamonaci si elevano sino a 305 m. e meritano per la loro impor- tanza uno studio speciale. 1 Kobelt, Verzeichniss der Don mir bei Tarònt gesammelten fossilen Con- chylien (Jahrb. der Deutscli. malakozool. Gesellschaft, 1874, n. 1). — 110 — Pertanto da quello che abbiamo esposto sinora possono trarsi le seguenti conclusioni : 1. Il Pliocene dei dintorni di Sciacca è formato : a) inferiormente da marne bianche con foraminiferiì associate con argille turchine plastiche , indicanti tutte un sedimento di mare profondo , e b) superior- mente da un calcare bianco o giallastro , terroso , con litotanni, rari brachiopodi e abbondanti lamellibr anelli, rappresentante un deposito litorale nella larga accettazione della parola. 2. Il Postpliocene della stessa regione é formato', a) da una por- zione più antica , costituita da sabbia argillosa grigia , che passa ad argilla sabbiosa , con strati di sabbione calcareo conchiglifero , tutti contenenti la Cyprina islandica Lin. sp., e b) da un ’ altra più recente che segue in istretta connessione , e risulta di tufi calcarei , con lenti argillose , sabbioni cementati e brecce conchigliari , con fauna per la massima parte vivente nel Mediterraneo , i quali sono sostituiti nel lato orientale del territorio di Sciacca da conglomerati e strati di sabbie con specie marine tuttora viventi , i quali ne rappresentano la parte piu recente e s}innalzano , in quei luoghi , di 136 m. ma nella loro immediata continuazione , cioè presso Calamonaci , fino a 305 m. IL Contributo agli studi sulla genesi dei giacimenti di solfo ; dell’ Ing. E. Travaglia. In un recente lavoro sulla 'coltivazione delle solfare in Sicilia ì9 destinato a divulgare, sotto forma popolare, alcune idee che mi parve potessero giovare al miglioramento delle condizioni economiche del- P importante industria delle miniere di solfo, in uno speciale capitolo, dedicato alla descrizione dei giacimenti di solfo, ho accennato alla 1 T (giacimenti di solfo in Sicilia e la loro lavorazione , appunti di R. Tra- vaglia. Padova, 1889. Ili — genesi di questi, esponendo alcune idee, specialmente dal punto di vista della ricerca di giacimenti nuovi, che mi sembrano di qualche interesse anche per gli studi geologici, e che qui riassumo. È indubitato che i giacimenti di minerale di solfo non sono che un accessorio, localizzato entro ristretti limiti, della formazione gessosa e che non si può studiare sotto nessun punto di vista la formazione del minerale di solfo, senza rendersi prima conto di quella molto più vasta, più regolare, più potente dei gessi, che è, per così dire, la formazione madre di quella solfifera. È noto che il Mottura, considerando come lacustri i bacini nei quali ebbe origine la formazione gessoso-solfifera, e non trovando in essi una ragione plausibile dell’esistenza di tanto solfato di calce e di altri minerali di diversa natura, tra i quali il solfo, ebbe ad ammettere che dalla riduzione di gessi, inclusi nelle formazioni inferiori, derivassero dei solfuri di calcio, i quali, pervenuti nei laghi solfiferi, in presenza di acido carbonico si ridussero a carbonato di calce con sviluppo di acido solfidrico, dal quale ha avuto origine il solfo, o riossidandosi, rigenerarono il gesso. Nelle sue classiche memorie il Mottura ha dato ampio sviluppo alle ipotesi delle reazioni avvenute tra i vari elementi, spiegando non solo la genesi del calcare, del solfo, del gesso, ma anche degli altri minerali accessori della formazione, reazioni confermate in parte da esperienze e nell’insieme così elegantemente ideate da produrre il convincimento della possibilità che ad esse siano di fatto dovute le varie roccie e i diversi minerali della formazione. L’ insieme delle ipotesi del Mottura non è ancora stato nè scosso, nè sostituito da altre, malgrado le varie obbiezioni che su di esse fu- rono sollevate; solo si può ammettere che le reazioni abbiano avuto forse altro ordine, se le formazioni siano avvenute in condizioni di- verse da quelle che il chiarissimo ingegnere aveva supposto. E sembrato in fatto generalmente poco ammissibile che in epoche diverse, e, per ciascuna di esse, sopra vaste estensioni, si dovessero verificare reazioni interne e quindi sorgenti saline e gazose affatto analoghe, tanto più che negli studi geologici va facendosi sempre più strada la tendenza ad escludere dalle cause delle formazioni, la cui spiegazione è maggiormente intricata, fenomeni endogeni indeterminati, la cui supposizione ha sempre servito di facile suppletivo a fenomeni più naturali e più superficiali, non ancora riconosciuti. Gli è per tale motivo che, quando l’ingegnere Baldacci, dapprima in un articolo sulla formazione solfifera del Cretaceo inferio e nel Caucaso, pubblicato in questo Bollettino nel n° 1-2 del 1883, e quindi nell’opera magistrale della descrizione geologica della Sicilia che ac- compagna la Carta di quell’ isola,' al cui rilevamento mi onoro di aver per quattro anni collaborato, espresse l’idea che il gesso sia deposi- tato dalle acque marine, entro lagune comunicanti col mare per vie strette e poco profonde, e nelle quali, per cagioni locali, l’acqua eva- porata sia in quantità maggiore di quella piovana caduta o colata dalle terre delle sponde, in modo che le acque delle lagune, col continuo afflusso di altre acque dal mare, si concentrino solo sino al punto suf- ficiente per far depositare il perossido di ferro, il carbonato e il sol- fato di calce, e non il cloruro di sodio ed altri sali, tale ipotesi fu accolta da tutti con favore, come quella che attribuiva ai gessi una origine "molto più logica, più naturale, di tutte quelle sino allora emesse. Senonchè, se è facile spiegare 1’ origine di una lunga distesa di lagune, dovuta a sollevamenti, od a correnti marine che abbiano costi- tuito dei cordoni di sabbie, come quelle che separano la laguna veneta dal mare, non è del pari facile comprendere come in tutte queste la- gune si presentassero le condizioni supposte per quanto riguarda il rapporto tra l’acqua immessa nelle lagune e quella evaporata. Nè l’esempio citato dal Baldacci dell’ insenatura di Kara-Boghaz nel Ca- spio può facilmente ripetersi su vasta estensione, se la poca acqua immessa nella laguna sia dovuta a speciale configurazione oragrafica delle sponde, che limiti all’ intorno in modo particolare il bacino im- brifero che in essa riversa le sue acque. Gli è per questo che fui condotto a portare il mio esame sul clima probabile nella regione e nell’epoca della formazione gessosa mio- pliocenica, così estesa, per non guardare che al nostro paese, da co- steggiare quella che è ora la valle padana ed i mari che ora sono l’Adriatico, il Jonio e l’Africano. In fatto, se, per cause che sarebbe qui fuori di luogo ricercare, si sia verificato in quella regione e in quell’epoca un periodo di grande, — 113 — e forse assoluta, siccità, tutte le lagune che si erano prodotte sul li- torale potevano, dovevano anzi, diventare gessifere. Ora, il periodo di siccità è luminosamente provato dall’assoluta mancanza di formazioni di sedimento che ripetano la loro origine da elementi provenienti dalle terre, cioè quelle dei delta dei fiumi e le litoranee. La stessa incer- tezza sulla determinazione cronologica della formazione gessosa mio- pliocenica è là per dimostrare che mancano del tutto da noi i terreni coevi di quella formazione, eccezione fatta pei depositi di mare pro- fondo, quali i calcari marini del Pizzo, di Ciminna e di Calatafìmi e forse i calcari di altre località. Oltre ai gessi, e oltre al calcare e al solfo che dai gessi devono ripetere, come si dirà, la loro origine, non abbiamo in fatto nei bacini gessiferi se non delle marne nere, spesso bituminose, in Sicilia dette tufi , in Romagna ghioli. Abbiamo inoltre in Sicilia una arenaria spe- ciale, detta arenazzolo, costituita da minuti granelli di quarzo e più o meno micacea. Ciò che dirò in seguito non farebbe ritenere che le marne nere debbano essere state originate da eruzioni di fango nell’ interno dei bacini, come dal Mottura e dal Baldacci venne ammesso. Ove si rifletta invece che le sponde dei bacini gessiferi erano costituite compieta- mente da argille e in qualche luogo da sabbie o conglomerati, tutti del Miocene, e ove si consideri che, anche colla grande o assoluta siccità, non sono da escludere i venti, il movimento delle onde e forse le maree in quei bacini, si può facilmente convincersi che le marne nere siano dovute a torbide generate dal moto delle acque sulle sponde e sui bassi fondi e che l’arenazzolo non risulti che dal lungo e con- tinuo lavorio sopra elementi tolti ai conglomerati miocenici intercalati nelle argille, i quali contengono ciottoli di quarzo, di granito, ecc. lavorìo che non ha lasciato che minuti granelli delle parti più resi- stenti di quei ciottoli. Marne o argille che non siano dovute a rimaneggiamento delle sponde, sabbie, arenarie, conglomerati proprii della formazione, man- cano in tutti i bacini gessiferi dell’epoca mio-pliocenica. E qui da ricordare che in Romagna si sono trovati nella forma- zione gessoso-solfìfera o nelle marne nere intercalate in essa dei ciot- toli di roccie appenniniche associati a radici e a tronchi d’albero e due — Ili — o tre ciottoli di roccie cristalline, i cui corrispondenti si riscontrano solo sulle Alpi. L’ ingegnare Niccoli ha supposto ingegnosamente che tali ciottoli siano stati portati, entro radici di tronchi natanti, nell’ in- terno dei bacini solfìferi. Se, come parmi, il clima di grande o assoluta siccità è da questi fatti comprovato, la possibilità dell’esistenza di lagune gessifere, quali quelle supposte dal Baldacci, non può essere impugnata, e, almeno per quanto riguarda il gesso, si ha quindi un punto di partenza molto sicuro. È qui il caso di ricordare che la presenza di alcune varietà di si- lice e di altri minerali nella formazione, porta ad ammettere una tempe- ratura non indifferente nelle acque di queste lagune, facilmente spiegabile per le condizioni di clima già esposte. Da altra parte, la mancanza ben nota della aragonite escluderebbe una temperatura troppo elevata, in guisa che anche la temperatura delle acque resta determinata, almeno tra limiti non molto incerti. Ammettendo ora, come ha già fatto il Baldacci e come molti fatti d’altra natura portano a supporre, che materie carburate, della cui origine dirò più avanti, abbiano ridotto il gesso che si trovava in so- luzione, in sospensione o in deposito nelle lagune gessifere, tutte le reazioni supposte dal Mottura possono con altro ordine e con effetti più diretti essere ammesse, riedificando pur nelle lagune la genesi del minerale di solfo e del calcare sterile, e degli altri minerali acces- sori. Sarebbe inutile ripetere su questo punto quanto da altri è stato detto. Ma l’origine delle materie carburate torna a mettere in questione tutta l’ipotesi. 11 Baldacci, non trovando nei terreni sottoposti depositi carboniosi, sufficienti a spiegare l’origine vegetale degli idrocarburi, accetta l’ ipotesi che possano essi provenire da reazioni endogene, ana- loghe a quelle alle quali alcuni autori riferiscono l’origine inorganica dei petrolii. Ma, poiché il solfo accompagna qua e là localmente tutte le for- mazioni gessose delle varie epoche e in tutta o quasi tutta la loro estensione, e sopratutto tutta la formazione vastissima mio-pliocenica, l’ammettere l’origine endogena degli idrocarburi in diverse epoche e su vaste estensioni vale quanto l’ammettere di nuovo le sorgenti di mono- — 115 — solfuro di calcio o di altre soluzioni saline, rare in natura. Inoltre l’origine inorganica degli idrocarburi in generale è esclusa per altre ragioni da molti autori e, parmi, con ragione. Bisogna quindi ricorrere ad altra origine, più probabile, più spiegabile, più naturale. Anzitutto, le emanazioni da grande profondità, fattesi strada da fenditure litoranee corrispondenti al limite dei sollevamenti, sono escluse dal fatto che, in Sicilia, il solfo manca generalmente lungo le sponde dei bacini gessiferi, almeno lungo quelle che restarono sino al dì d’oggi emerse, dopo la formazione e, in Romagna, le zone di minerale ricco non sono allineate in corrispondenza alla linea di sollevamento del- l’Appennino, ma oblique, se non normali ad essa. In secondo luogo le sorgenti di idrocarburi prov enienti da grand profondità devono necessariamente essere molto intense per vincere l’enorme resistenza che si presenta al loro efflusso, ed essere piuttosto rare. Ora tali sorgenti o emanazioni localizzate e molto intense, se danno luogo a reazioni, devono produrre dei depositi stretti, potenti, concrezionati, irregolari, non dei depositi vasti e poco potenti, uniformi, regolari, come sono i giacimenti solfiferi. Abbiamo in Sicilia come in Romagna strati che si estendono in direzione regolarmente per più chilometri, con spessore di uno a due metri, che non parmi possano essere attribuiti a reattivi provenienti da pochi punti e in gran copia. Finalmente, per quanto riguarda la Sicilia, l’allineamento lungo una linea che unisca l’Etna all’Isola Ferdinandea, citato dal Mottura e dal Baldacci, non è che accidentale, perchè l’Etna è tutto recente e il luogo di attività vulcanica, spostatosi dal periodo ippuritico ai nostri giorni, e dal Capo Passero sino all’ Etna (dovuto probabilmente allo sposta- mento per sollevamenti della linea di minor resistenza, da un punto interno comune alla superfìcie) si trovava nel tempo della formazione gessosa molto più a Sud, come la presenza di roccie plutoniche sotto e sopra i gessi a Licodia Eubea ed a Mineo dimostra chiaramente. Nè pare accettabile l’ ipotesi che le marne nere, tufi , che si alter- nano colle altre roccie della formazione gessoso-solfìfera, siano pro- venienti, come vorrebbe il Baldacci, da vulcanetti di fango e gas e siano quindi corrispondenti alle argille scagliose eoceniche, alle ar- gille rimaneggiate soprastanti ai gessi e ai prodotti delle attuali mac- calube, inquantochè tutte queste formazioni constano bensì di argilla - 116 — ma contengono in grande quantità frammenti di roccie diverse, e spe- cialmente di calcari secondari ed eocenici, dei quali non uno solo fu trovato in tutta la vasta e potente formazione dei tufi delle numero- sissime solfare coltivate. Inoltre, le argille rimaneggiate superiori alla formazione gessifera si trovano sempre là dove le argille mioceniche o quelle eoceniche con frammenti di calcare sono in vicinanza emerse e più elevate, e sembra che esse siano state trascinate pel violento ingresso delle acque marine dalle sponde entro ad alcune parti del hacino rimaste isolate e il cui livello, a secco o no, erasi fatto, col- Pabbassamento avvenuto nel periodo successivo al deposito dei gessi, più basso di quello delle acque marine. La regolarità, la molta estensione corrispondente a piccola potenza dei giacimenti inferiori ai gessi in Sicilia, e la piccola estensione ac- compagnata da maggior potenza e maggiore ricchezza nei giacimenti intercalati nei gessi o ad essi superiori, e la conferma che di tale distinzione fra i giacimenti di solfo siciliani danno quelli di altre lo- calità, come quello di Perticara in Romagna, della Luigiana in Ame- ne?, ecc., mi fecero costantemente supporre che gli idrocarburi, ai quali è dovutala .decomposizione del gesso e quindi l’origine del solfo e del calcare che lo accompagna, siano dovuti a cause che si trova- vano nel fondo delle lagune o poco sotto di esso. I più recenti studi sull’origine del petrolio, i quali hanno dimo- strato che esso, i bitumi e gli asfalti, appartenendo alla serie metanica degli idrocarburi non possono essere derivati che da depositi organici di origine animale, siano questi originati da minuscoli e innumerevoli organismi inferiori, come vogliono alcuni, o siano da attribuirsi alle deiezioni di animali maggiori, quali i pesci o i cetacei, come altri pretendono; la presenza di petrolio, di bitume, di asfalto in tutta la regione miocenica, inferiore alla formazione gessosa, dall’ Emilia al- l’Abruzzo, alla Sicilia; la presenza di denti ed altri avanzi di squalo e altri grossi pesci, e in grande abbondanza, nei depositi del miocene medio, e specialmente in tutte quelle regioni petrolifere, asfaltiche, ecc.; l’esistenza di emanazioni gazose attuali in quei terreni e la presenza di bitumi e di gas idrocarburi in tutte le roccie della formazione e specialmente nelle argille inferiori intercalate al solfo in Sicilia, e ne gessi, nei ghioli e nello stesso minerale in Romagna; la vasta e — 117 — potente formazione dei tripoli, racchiudenti innumerevoli spoglie ani- mali, e sottostanti direttamente alle roccie della formazione gessoso- solfifera in Sicilia, portano naturalmente all’ipotesi che gli idrocarburi che hanno originato il solfo siano stati di origine animale e dovuti a depositi organici, che esistevano nel fondo delle lagune gessifere, o poco sotto di esse. Tale ipotesi spiegherebbe come la formazione del minerale di solfo (calcare e solfo) e del calcare sterile si trovi alla base della formazione gessosa; come, formatasi la prima crosta solida (che a potenti emanazioni da località profonde non avrebbe fatto ostacolo, come a piccole e poco profonde) gli idrocarburi siano stati trat- tenuti e come quindi, verificandosi un fenditura, una faglia, o la creazione di un meato in genere, essi potessero farsi strada nuova- mente entro le lagune gessifere, ma più localmente e con maggiore intensità, dando luogo a quei depositi superiori, che sono appunto più rari, più irregolari, meno estesi, più potenti, più ricchi di solfo. E questa ipotesi, confermata dal fatto che le lenti superiori corri- spondono a faglie o fenditure, come lo provano gli esempi da me in- dicati nel precitato lavoro di Accia S. Giovannello in Sicilia, di Perti- cara in Romagna e alcuni altri, costituisce un dato prezioso, per Parte mineraria, essendo da consigliarsi ricerche nella regione del tetto ogni qual volta si presenti un accidente locale, specie se da studio accu- rato possa desumersi essere avvenuto o incominciato durante la for- mazione. Si comprende del pari come, se i depositi organici animali, che diedero luogo a sviluppo di idrocarburi, i quali, agendo sul gesso in soluzione o in sospensione, originarono il minerale di solfo, si trova- vano sul fondo delle lagune o poco sotto di esso, sia assai più facile lo studio della distribuzióne loro e quindi dei giacimenti che da essi fu- rono originati, che non. ammettendo che gli idrocarburi provenissero da rare e abbondanti sorgenti scaturite da notevole profondità, delle quali nessuna traccia sinora è stata scoperta nei lavori minerari. Sarà quindi possibile raccogliere nei lavori delle miniere più co- piosi elementi per determinare se, come sembra, le ristrette zone dei bacini gessiferi, entro le quali hanno agito le cause che determinarono la formazione del zolfo, corrispondessero alle depressioni del fondo 9 — 118 — delle lagune, come il fatto che molti giacimenti tendono ad aumentare in profondità, che il minerale corrisponde spesso ai bacini e non alle selle nei luoghi ove si presentano delle ondulazioni, che ove varii la potenza dell’intera formazione spesso il solfo si presenta solo ove essa è maggiore, ed altri fatti analoghi tenderebbero a provare. E riuscirà in seguito più agevole il determinare qualche legge della distribuzione delle zone di minerale rispetto alla maggiore formazione dei gessi, la quale serva di guida nella ricerca dei nuovi giacimenti del tutto oc- culti, potendosi dire che in generale non furono sinora in Sicilia, e non sono tuttora coltivati se non quelli che le erosioni hanno messo in vista e che quindi presentavano degli affioramenti di minerale alte- rato, detto con nome locale brìscale. Queste le poche idee sulla genesi della formazione gessosa e di quella solfi fera che l’accompagna che ho creduto potessero non essere senza interesse anche per i lettori di questo Bollettino. III. La frana di C asola Valsente (Circondario di Faenza); relazione dell’ Ing. E. Niccoli. (con una tavola) La Val di Senio, che dall’Appennino toscano scende all’agro ro- magnolo, attraversa in basso, come tutte le altre del medesimo ver- - sante, una larga zona di terreni marnosi e argillosi, i quali sono ben noti per la loro poca consistenza e quindi per le frane che spesso vi si generano. Però non tutti questi terreni si dissolvono allo stesso modo e nello stesso grado, come a prima giunta sembrerebbe guardando solo alla natura delle formazioni. Tra l’uno e l’altro deposito vi sono differenze sensibili a seconda della qualità degli elementi, della struttura litolo- gica e dell’assetto stratigrafico; cosicché il fenomeno della scomposi- — 119 — zione si presenta sotto vario aspetto nei diversi terreni che portano ugualmente l’impronta dell’instabilità. Ciò accade di osservare risalendo la Val di Senio da Castelbolognese, poiché mentre nel primo tratto, fino al dorso gessoso della stretta di Rivola, trovi depositi d’argilla col più spiccato carattere di una massa rilassata, nel secondo tratto, che segue alla stretta, incontri stratifica- zioni di marna o calcare marnoso di tale compattezza, da doverne escludere l’idea di uria roccia soggetta a rapido e completo sfacimento. Tale idea è appunto confermata dalla recente frana di Casola, la quale è avvenuta per semplice sconnessione e scorrimento di strati di marna, conservandosi in gran parte la forma primitiva della roccia. Il proctsso, in questo caso, è quello stesso delle frane di terreni assolutamente pietrosi, come i terreni di roccie calcari o di arenaria dura; ma trattandosi di marne che anche quando sono compatte per molti altri rispetti si trovano in stretta parentela colle comuni argille, l’esempio di Casola è tanto più interessante e, per la sua singolarità, tanto più degno di attenzione. Questa è la ragione della presente nota, la quale altrimenti non avrebbe avuto scopo perchè ormai l’argomento delle frane, per quanto -concerne i casi ordinari dei nostri terreni subappennini, è stato abba- stanza studiato e nulla si potrebbe aggiungere a quello che se n’è detto e pubblicato. Le suaccennate stratificazioni di marna continuano dopo la stretta di Rivola con molta uniformità, spingendosi fino oltre Casola ove cedono il posto alla formazione della molassa, che acquista poi grande svi- luppo verso l’alto della valle. Il paese di Casola giace sulla sinistra del Senio all’altitudine di -circa 180 metri sul livello del mare e alla distanza di 21 chilometri dalla via Emilia. Ivi il fiume si scavò un letto assai profondo, per cui il paese viene a trovarsi sopra una sponda piuttosto elevata e scoscesa. Ma siccome gli strati da questa parte cadono sotto il monte, la base dell’abitato può dirsi salda e l’abitato stesso, dove non rasenta la sponda, al sicuro. Dalla parte opposta invece gli strati declinano verso il fiume e un movimento può avvenire non appena, per una causa qualunque, si stac- -chi una data massa e la gravità vinca l’attrito, che solo, in mancanza del piede, la trattiene. — 120 — Un movimento, infatti, si manifestò sul piano sovrastante alla sponda destra, quasi dirimpetto al paese. Gl’indizi si ebbero fino dalla metà del decorso anno, in un lungo crepaccio apertosi sul medesimo piano che è messo a coltura. Il crepaccio si estendeva per circa 250 metri in senso obliquo, da un punto del rio dei Paverotti (vedi Tavola annessa) ad un punto della sponda al di sopra dell’antico ponte che mette in comunicazione quella parte col capoluogo del comune. Il terreno a valle che accennava a scoscendere, poteva occupare un’area di circa 2 ya ettari,, essendo io stesso terreno interrotto da un rialzo in corrispondenza al nominato rio. Pare tuttavia che non si avessero altri sintomi del movi- mento e che non si destassero timori, ad onta che il suddetto crepac- cio si riaprisse tutte le volte che il colono, nel lavorare coll’aratro, lo colmava. Forse non si dava importanza al fatto perchè la fenditura, negli strati di marna era sempre poco ampia; ma nondimeno la lunghezza della fenditura dimostrava 1’ esteso lavorio interno che avrebbeo prima o poi tratto in rovina tutta quanta la plaga, come pur troppo in breve tempo la trasse occasionando una tremenda cata- strofe. Il 21 di gennaio alle 4 di mattina un rombo, che fu udito sino a, qualche chilometro di distanza, annunciò la caduta della frana che si era prodotta sulla detta plaga. La caduta fu a così dire istantanea e la popolazione di Casola, presa di soprassalto, non seppe sul momento rendersi conto dell’avvenimento. Parve a molti una specie di terremoto, ma quelli che dimoravano nelle vicinanze e che furono i primi ad accor- rere sui teatro del disastro, ebbero subito a riconoscere, malgrado le tenebre fittissime, che una gran massa di terra si era rovesciata sulla sponda seppellendo tre case del ponte e travolgendo la casa rurale del podere sovrastante. Per miracolo la famiglia che abitava questa casa poderale fu salva; essa si trovò a vedere il cielo senza saper come e fu incontrata fug" gente per la campagna. Scamparono pure per prodigio due persone dalle case del ponte; ma in queste erano rimaste altre 20 persone fra cui donne e fanciulli, le quali tutte miseramente morirono. La frana investendo quelle povere dimore, le aveva totalmente divelte dalle fon- damenta e ridotte un mucchio di rovine; quindi nell’opera di sgombro eseguita per parecchie ore a causa dell’enorme lavoro di sterro, non si rinvennero che cadaveri schiacciati sotto una congerie di terra, sassi c travi frantumate. Il gruppo di case presso il ponte ne comprendeva altre due che la frana, apparentemente deviando dal suo corso, non toccò. Se non si fosse data questa fortuna, la catastrofe sarebbe stata tanto più grave per una maggiore estensione di rovine e per un maggior numero di vittime. Mai per certo frana di così piccola mole a paragone di molte altre degli stessi terreni o di terreni congeneri, fu causa di tanta devasta- zione e di tanta calamità. Queste funeste conseguenze sono onnina- mente dovute all’istantaneità della caduta, per cui una gran massa di terra irruppe con violenza scaricandosi repentinamente e tutta insieme su quelle povere case in cui tutti a quell’ora tranquillamente dormivano. Nelle frane ordinarie dei terreni in parola il movimento è sempre rela- tivamente lento, e gli abitanti delle case che vengono travolte hanno sempre tempo e agio di conoscere il pericolo e di pensare a salvarsi. Nella frana di Casola pare che il movimento non durasse più di 5 minuti e che vi fossero due distinte cadute, la prima nella parte bassa della sponda e la seconda nella parte alta del piano coltivato. La frana si staccò dalla linea del ricordato crepaccio, che par- tendo dal rio dei Paverotti procede verso il Senio nella direzione N. 80°O. Il corso del rio, alquanto divergente da quella linea, limita la frana verso N.E; perciò questa viene a prendere- la forma di un delta o trian- golo isoscele, con due lati di circa 250 metri e la base di soli 200 metri. Ma altra frana, per solo scoscendimento della riva, si produsse con- temporaneamente e di seguito dopo lo sbocco del rio; di man; ra che lungo il Senio si ha una zona franata di quasi 300 metri. Sulla Tavola, oltre la pianta, figurano due sezioni della frana, il taglio naturale della sponda e la sezione della crosta o falda staccata. Le linee AB, CD delle due sezioni principali si intersecano secondo un angolo di 60°, essendo la sezione longitudinale diretta N. 30° O. e la trasve: rale N. 30° E. Quest’ultima è nel senso della vera inclina- zione degli strati. Ora, così dalle sezioni come dal taglio naturale e dalla pianta si può vedere come una falda di terreno di 10 a 12 metri di spessore, partendo dall’apice del delta e scostandosi sempre più dalla linea del crepaccio che corre a vaile della casa Soglia, sia venuta — 122 — a scaricarsi sulla sponda del Senio, verso cui, sebbene obliquamente, pende la stratificazione. In alto è rimasto scoperto un piano di scorri- mento inclinato di 8° all’orizzonte; ma vi sono certamente altri piani di scorrimento più profondi nel basso, come si deduce dai livelli osser- vati nel fondo delle spaccature prossime al rio dei Paveroiti. La diffe- renza fra i due livelli apparisce sulla sezione longitudinale, ove la linea ps segna la corrispondenza del piano superiore rappresentato nella sezione trasversale. Ma si hanno pure dei risalti per porzioni di strati rimaste attaccate al piano principale di scorrimento; per cui si può ritenere che vari sono i piani dì distacco corrispondenti ai letti di stratificazione. Pertanto la massa sollecitata nel senso della mag- gior pendenza, doveva tendere piuttosto verso il rio che verso il fiume; e se infine essa si è soprattutto rovesciata da questa parte, ciò è da attribuirsi all’ostacolo incontrato nel rialzo del suolo al di là del rio» Dalle quote prese sulhalveo del Senio, del punto di stacco più alto della frana (48m) e del ciglio medio della sponda (34m), risulta una inclinazione della pendice minore di 4° (una scarpa di 14 per 1) e quindi una inclinazione lievissima, che corrisponde ali’ incirca a quella degli strati sulla sezione longitudinale. Da ciò, tenuto conto anche della maggior profondità del piano di scorrimento sotto il rio dei Paverotti, si può calcolare un volume di massa rotta e spostata di oltre 200 000 metri cubi. In tutto, colla fetta che di seguito si è staccata dalla riva, si ha un volume di circa 230000 metri cubi. Avuto riguardo ora alla natura essenzialmente marnosa del ter- reno, mentre solo alla superficie si trova un deposito di costituzione diversa, riesce quasi inconcepibile la possibilità di uno scorrimento. Di solito, un terreno simile si disgrega a poco a poco setto l’ influenza degli agenti atmosferici, e ne risulta una massa sciolta od una massa in cui, secondo la profondità, è più o meno obliterata la stra- tificazione. Qui però concorrono due circostanze a produrre il fenomeno dello scorrimento: primieramente la pendenza degli strati verso una parete libera quale è la riva scavata dalle acque del Senio; in secondo luogo la struttura della marna per la quale la roccia si comporta alla maniera di un calcare duro. È probabilmente per tale struttura e per essere gli strati generalmente sottili, che in luogo si distingue la roc- cia col nome di galestro, sebbene essa non abbia nulla di comune — 123 — col galestro dei Toscani d’origine più antica. Il deposito in questione va a terminare ad Ovest al rio di Pagnano e alla risvolta del fiume, ove sorge un promontorio di dura e tenace molassa, la quale cominciando già a valle del ponte ha impedito alla frana di propagarsi da quella parte. Riassumendo, la geologia della regione comprende le formazioni mioceniche dal piano medio al piano inferiore, con prevalenza dei depo- siti del Langhiano. Le marne biancastre proprie di questi depositi succe- dono però come si è detto immediatamente ai gessi di Riolo Rivola. Queste marne sono quindi un corrispondente del noto biscìaro delle Marche, che venne riconosciuto come miocene medio in gran parte, appartenendo nel resto all’oligocene. Probabilmente anche nella zona di Casola si troveranno quei fossili caratteristici che si scoprirono nel bisciaro; ma basta un esame superficiale della marna di Casola per ravvisarla identica a tutte le altre marne a foraminifere e radiolarie dello stesso orizzonte geologico, le quali pure in molti luoghi divenendo più calcarifere prendono la consistenza di una vera pietra. Gli stati di tutto il complesso di formazioni sono rialzati verso l’Appennino, e sono orientali secondo la direzione generale -N. 70° 0. Il rialzamento comincia dai potenti banchi di gesso di Riolo Rivola, che una volta dovevano chiudere la valle e che in seguito ad una faglia si squarciarono lasciando libero passaggio al fiume. Un’ occhiata alia carta topografica fa scorgere che questi gessi a grossi cristalli sono la continuazione della grande massa di Brisighella traversante il Lamone. Nel punto del Senio e precisamente a monte della stretta, gli stessi gessi rompendosi in grossi blocchi hanno originato una frana che ha seriamente compromesso la strada provinciale. Tal frana però è affatto superficiale e non interessa la stratificazione dellamarna, ab benché si esten- da alla pendice marnosa sovrastante alla strada sulla sinistra del fiume. Da questo punto in su, la valle torna ad allargarsi, ma il Senio scorre sempre in un letto incassato che evidentemente si è dovuto a poco a poco abbassar© coll’abbassarsi del livello alla stretta. Le prove di un simile abbassamento si hanno negli avanzi di relitto fluviale rimasti a diverse altezze sulle due sponde. Si può quindi ritenere che il Senio formava un tempo un lago con seni internantisi nelle convalli, nei quali pure deponeva il materiale trasportato nel suo corso. Ed intatti sul piano di fronte a Casola ove è avvenuta la frana, alla quota di 200 metri mentre la quota del fiume è ivi di 150 metri, si riscontra un deposito d’alluvione composto degli stessi ciottoli di roccie dell’ Appennino che tuttora sono trasportati dalla corrente in discorso. Passando frattanto ad esaminare più particolarmente la massa della falda franata, si trova la seguente composizione a partire dalla super- ficie: 1 a 2 m. di terra sciolta con poco terriccio; 2 a 3 m. di ghiaia calcare grossolana, mista a marna ferruginosa; 8 a 10 m. e più ancora nella parte bassa della frana, di strati di marna pura o sabbiosa. Tale composizione. è riconose-bile in principal modo nelle grandi spaccature sull’alto, dalle quali è tratta la sezione relativa riportata nella Tavola. La terra e lo strato ghiaioso giallo costituiscono una crosta assorbente, laddove gli strati di marna sottostanti sono relativamente impermeabili. Ma anche questi, per essere più o meno sabbiosi e naturalmente divisi da fenditure come le roccie solide, si lasciano attraversare e parzial- mente imbevere dalie acque. Solo non subiscono rammollimento come i sedimenti in cui predomina l’elemento argilloso. Si hanno dunque nell’as- sieme condizioni atte a favorire la circolazione interna delle acque, per la quale si compie un lento ma continuo lavoro di demolizione massime quando la separazione tra strato e strato può essere agevolata dal contatto tra una superfìcie di marna e una superficie sabbiosa. In tal caso la parte arenacea viene facilmente asportata e il distacco nei giunti della compagine si fa in modo più sollecito e più perfetto. Tuttavia colpisce nel caso in questione il fatto del movimento sopra un piano tan'o poco inclinato. L’Heim 1 nel trattare delle frane di ter- reni pietrosi (Fels bruche), cita lo spaventoso caso di Goldau in cui sì scoscese scorrendo una massa colossale di strati alternanti d’argilla, marna e arenaria (Nagelfìuhe), disposti con inclinazione variabile dal basso a l’alto da 20° a 30°. A Casola, come si è visto, l’inclinazione degli strati in tutto l’ambito di detta frana non è più di 8°. Ora, l’attrito è fortissimo nelle terre e tra le stesse pietre; e se si assume ad esem- pio il coefficiente relativo ai calcari compatti, si trova che il movimento non avrebbe potuto succedere che con una inclinazione di 33°. Ma poiché 91 1 Albert Heim, TJeber Bergsturze. Zùrich, 1882. 125 — il movimento è avvenuto, bisogna concludere che l’attrito si è ridotto ad 74 0 % dell’ordinario, ossia all’attrito che si sviluppa tra superficie levigatissime come possono essere le metalliche. Ciò si spiega difficil- mente col solo intervento delle acque percolanti, dell’alternarsi del secco e dell’umido, del gelo e disgelo e così via dicendo. Si può am- mettere la sconnessione di tutta una massa fino ad una certa profondità, con perfetto distacco da un piano di fondo e con produzione di un velo d’acqua generale su questo piano che ne spalmi e ne renda liscia la superficie; ma tutto questo non basta o per lo meno non appaga pie- namente. Per vero nella parte in cui è rimasto scoperto il piano di scorrimento, questo si presenta con superficie ben levigata, perfino un- tuosa al tatto e colle solite strie nel senso dello strisciamento: per altro le acque assorbite dallo strato di ghiaia superficiale e dai sotto- stanti strati rotti di marna, giungendo al medesimo piano non vi si potevano fermare lungamente perchè le condizioni della stratificazione sono tali da dar luogo ad una pronta evacuazione dal lato del fiume; quindi la massa rimaneva sempre asciutta nè poteva passare a quello stato melmoso in cui pur si riduce la marna quando sia permanente- mente impregnata d’umidità. Perchè dunque l’adesione fra strati solidi di marna possa diminuire sino al punto da permettere uno scorrimento, conviene supporre che l’attrito si sviluppi, non già direttamente fra gli stèssi solidi pietrosi, ma per l’intermezzo dell’acqua aderente che al momento può sovrabbondare per recente caduta di pioggia. Alla stessa guisa che un corpo immerso nell’acqua muovendosi si trascina seco un inviluppo di liquido e con questo scivola per entro alla massa liquida, così può avvenire che uno strato diroccia scorra sopra altro strato in virtù del contatto mediato prodotto dall’acqua. Per questo contatto meno intimo può determinarsi la spinta iniziale dovuta alla componente delia gravità, che diversamente, specie nel caso della marna in cui l’acqua serve piuttosto ad aumentare l’aderenza, non si determinerebbe. Tanto più facile sarebbe infine lo scivolamento se l’acqua contenesse notevole quantità di gas, poiché allora essa si comporterebbe ad un tempo come un vero lubrificante. Ma intorno a ciò nulla rivelasi della frana di Casola in cui non si manifestano sorgenti di sorta: una sola sorgente d’acqua mine- rale, l’acqua salina del Molino, esiste nella località, ma essa proviene dall’arenaria sottostante alla marna (vedi il taglio naturale sulla Tavola). — 126 — La frana si estende a due fondi coltivati a cereali, detti Amando- lina e Soglia. La proprietà Amandolina sulla quale trovasi la casa colonica rovinata, è quella che ha maggiormente sofferto essendo tutta compresa nella frana. La casa del fondo Soglia, posta a Sud in un punto più elevato, dista dalla frattura di stacco circa 190 metri e forse potrà essere risparmiata nel caso probabile di un nuovo scoscen- dimento a monte. Ciò dipenderà dal maggiore o minore prolun- garsi dal piano di scorrimento verso quella parte, e dallo stabi- lirsi o no di altri piani simili a maggior profondità. Per ora, nel cir- cuito della frana, si ha uno spostamento di suolo variabile da 30 a 50 metri; il massimo è naturalmente nel senso traversale, ossia della maggiore inclinazione degli strati. A questo massimo corrisponde molto bene il cammino percorso dalla casa Amandolina, come è indicato in m ed m! sulla pianta. Nel senso della pendice la discesa si desume più che altro dal trasporto di una quercia che era sull’alto, trasporto segnato con q e q nella sezione longitudinale. Il movimento però con- tinuò dopo la caduta della frana, segnatamente nella parte più bassa come già si osservava cinque giorni dopo in una spaccatura che da un metro si era allargata sino a 10 metri. Avverranno quindi indubbiamente dei nuovi cedimenti prima che tutta la massa abbia preso il suo definitivo assetto; ma è da credere che a meno di un ulteriore dilatarsi della frana verso la casa Soglia, non si abbiano a verificare altri danni rilevanti. E nondimeno prudente consiglio, in vista di una simile dilatazione, il mantenere l’abbandono delle due case rimaste in piedi al ponte, già saggiamente ordinato dall’autorità municipale; in quanto che tali case, per la posizione che occupano, sarebbero direttamente esposte all’in- vestimento di una nuova massa cadente dall’alto. Queste case essendo erette sui banchi d’arenaria, poggiano su terreno saldo come poggia- vano le altre andate in rovina; e si deve a questa circostanza se esse hanno potuto conservarsi, non già, come taluno opinò, alla deviazione della frana prodotta dall’ostacolo del ponte. La frana non interressò il terreno della molassa formante in quei punto la base del monte; non deviò dal suo corso naturale ma venne a rovesciarsi sulle tre case che malauguratamente, come apparisce dalia pianta, si trovarono nel raggio del movimento che nel caso speciale era determinato da varie forze agenti sulla massa. Boll del R Corti Geol d'Italia Anno 1889, Tav II . ( E . Niccoli) •A/ord, Casola Valsenio FRANA DI CASOLA VALSENIO Paverotti KE 100 ,nisul mare/ SO Scala di 1 625 Strado vagatale/ Ghiaia/ Molosso/ Terreno -franalo Pianta.. — Scolcu 1 ■ 5000 Sezione longitudinale AB — Scala du 1:2500 4°N. 30’ 0 jst.3o°o. 140 m' sul mare; Sezione della massa staccala S.30°E Linea di- Stacco ( ZOA m) Lit. Bi — 127 — Al fine di preservare per quanto è possibile quella zona da un peg- gioramento del male da cui è attaccata, dovrebbesi anzitutto impedire la formazione di nuovi piani di scorrimento più profondi procurando di ricoprire Fattuale piano scoperto; poscia si dovrebbero sistemare gli scoli della pendice colmando le maggiori fenditure e deviando gli sgrondi della parte a monte; per ultimo si potrebbero imboschire quei punti dove il terreno è più sconvolto, cioè quei punti periferici che in ogni modo rimarrebbero incolti seppure si tentasse di restituirli all’a- gricoltura. Altri rimedi per questo genere di frana non tornerebbero acconci nè sarebbero di pratica ed economica attuazione. Qui infatti non occorrono opere di prosciugamento, ma bastano provvedimenti diretti a sollecitare l’assetto e il consolidamento del terreno smosso e ad im- pedire una espansione della frana nelle plaghe adiacenti. Il pericolo di una espansione effettivamente sussiste nella parte a monte, in parti- colar modo verso la casa Soglia; là dunque varranno i mezzi preven- tivi che consistono soprattutto in un ben inteso incanalamento delle acque piovane, per rendere minime le infiltrazioni su tutta quella superfìcie che si trova ora scalzata. Con questo si agevolerà eziandio il risanamento della parte a valle in cui il podere Amandolina fu tanto danneggiato. L’abitato di Casola, come si avvertì in principio, ha il vantaggio di trovarsi in un punto ove gli strati hanno pendenza contraria a quella della sponda; se non fosse questa circostanza favorevole anche il paese sarebbe sotto la minaccia di uno scoscendimento. Ma tutta la regio- ne è più o meno minacciata dal flagello delle frane. Parecchi luoghi ne sono addirittura infestati e le frane sono di entità tanto maggiore in quanto si generano ordinariamente per processo di rammollimento, sia in causa della minor compattezza del terreno, sia in causa delle poco felici condizioni degli scoli naturali. A questa seconda causa, sorta in seguito ad un primo scoscendimento di gessi che fece deviare un torrentello, è da ascriversi la citata frana presso la stretta di Rivola che sposta di continuo la strada passante al di sotto a mezza costa. Pertanto, da quanto si vede percorrendo la regioue in discorso, si può dire che anche qui al malanno delle frane ha dovuto principalmente contribuire il generale dissodamento del suolo, avvenuto sullo scorcio del secolo passato e nei primordi del presente. Bologna, febbraio 1889. - 128 - NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE M. Bertrand et M. Kilian. — Etades sur les terrains secoiidaires et tertiaires dans les promnces de Qrenade et de Malaga. (Mém. de l’Acad. des Sciences de l’Institut de France). — Paris 1839; 4°, pag. 582, con tre carte geologiche e due eliografìe. Gli intimi rapporti che, come ha mostrato il Suess ( Antlitz der Erdé) collegano sotto il punto di vista orogenico la Catena Betica coll’ Ap- pennino, rendono oltremodo interessante per noi questo lavoro dei due valentissimi geologi francesi M. Bertrand, ingegnere delle miniere, e M. Kiìian, capo dei lavori pratici di geologia alla Faculté des seiences di Parigi. La regione studiata comprende l’Est della provincia di Malaga e : l’Ovest di quella di Granata, una delle più accidentate della penisola iberica. La Catena Betica costituisce la zona littoranea ed è formata da filladi e scisti argillosi fortemente piegati su cui riposano i terreni j triasici e giurassici, non che lembi d’Eocene e di Pliocene. Succede a Nord la Catena Subbetica costituita da varie zone parallele di roccie : secondarie pure dislocate e contorte. Un’area di depressione separa nei dintorni di Granata le due catene betica e subbetica. Gli autori incominciano la descrizione geologica dal Trias, riman- ; dando pei terreni piu antichi ai lavori di Michel-Lévy, Bergeron, Barrois e Offret. L q facies litologiche di questo terreno sono diverso; ; talvolta vi predominano le arenarie rosse, come quelle termiche, tal- volta calcari compatti e cristallini in alternanza con scisti lucenti di tipo alpino, nè vi manca la facies delle marne variegate del Nord di Europa. Il terreno giurassico si collega a quelli contemporanei della Sicilia e del continente italiano piuttostochè a quelli del resto della Spagna. — 129 — L’Infralias infatti è formato damarne, carniole, calcari grigi c dolomie; la parte inferiore del Lias consta di calcari nerastri con selce, di masse calcaree dolomitiche, calcari rossi con scisti interposti, calcari giallastri e bruni subcristallini e finalmente di calcari bianchi con selce, il tutto con specie fossili abituali nel Lias inferiore e medio dell’Italia; il Lias superiore è costituito prevalentemente da calcari grigi molto marnosi, marne grigie e calcari rossi con fauna analoga a quella che tali roccie racchiudono in Italia. Sopra gli strati precedenti riposa or- dinariamente un sistema di calcari ben stratificati, talora rossi marnosi con Posidonomya Alpina , talora bianchi marmorei, che vengono rife- riti al Dogger. Gli strati del Malm compresi fra i precedenti e quelli a Pygope diphya occupano in Andalusia una vasta superfìcie e son formati da calcari bianchi poveri di fossili, in cui però vi si potè ri- conoscere l’orizzonte ad Ammonite s acanthicus. Il Titoniano, a facies pelagica e fauna di passaggio, è pure molto sviluppato e consta di calcari compatti, brecciformi' e marmorei, spesso colorati in rosso, che ricordano esattamente gli strati sincroni dell’Algeria, della Sicilia e dell’Italia continentale. Il Neocomiano è rappresentato, come osservarono anche il Tara- melli e il Mercalli, da marne ad Apthychus e da calcari marnosi che formano lembi notevoli nella Catena Subbetica, non che da calcari con selce che possono in parte spettare a piani più giovani. Gli autori pertanto, appoggiandosi ai recenti lavori dei geologi italiani, concludono che dall’ Andalusia fino al Nord dell’Appennino, passando pel litorale africano, esiste una zona pressoché continua, dove i terreni giurassici e neocomiani si seguono colla stessa facies. I piani superiori della Creta, che pure il Taramelli ed il Mercalli vi avrebbero riconosciuto, sono dubbiosi, secondo gli autori, nelle pro- vincie di Granata e di Malaga. II terreno eocenico è composto di marne varicolori più o meno indur te, calcari marnosi, arenarie nummulitiche, arenarie silicee e conglomerati. Una notevole discontinuità separa, come presso di noi e specialmente nella Catena metallifera, l’Eocene dal Neocomiano; gli strati eocenici riposano indifferentemente su tutti i terreni più antichi precedentemente sollevati e dislocati. Alla sua volta il nummulitico, pure dislocato e contorto, è separato per una forte discordanza dai - 130 terreni terziari più recenti. Come in quasi tutta la regione littoranea della Toscana, manca nell’Andalusia la base del Miocene. Il Miocene medio è costituito essenzialmente da molasse marine e da marne ges- sifere, il superiore (Tortoniano) da ciottoli, come in Sicilia, in Toscana e in Liguria, e il Sarmatiano da strati gessiferi. 11 Messiniano è rap- presentato da strati salmastri e d’acqua dolce di cui i gessi, le marne e i calcari lacustri formano gli elementi principali. Il Pliocene non esiste che nel littorale delle provincie di Granata e di Malaga e si compone in basso di argille turchine, come quelle subappen- nine, e superiormente di sabbie e ciottoli, il tutto con fossili abbondanti. Le formazioni quaternarie, se si eccettuano alcune breccie superficiali e i travertini assai sviluppati, non offrono grande interesse in questa regione. Un posto importante è occupato nella Catena Subbetica dalle roccie eruttive. Esse appariscono generalmente in mezzo agli strati triasici in massa isolate ed in filoni che attraversano le roccie del Trias e del Lias e giungono in contatto col Neocomiano. Secondo il Michel- Lévy queste roccie sono in generale diabasi andesitiche a struttura ofìtica. Verosimilmente saranno contemporanee alle ofìoliti eoceniche dellTtalia, fra le quali predomina appunto la diabase. I tratti principali della tettonica di questa regione sono in gran parte mascherati dalle due grandi trasgressioni dell’Eocene e del Mio- cene. Il corrugamento si è continuato dopo il deposito del terreno eocenico che si presenta sconvolto quanto il giurassico e il cretaceo; le sue pieghe però, influenzate dal rilievo preesistente, sono irregolari nè mostrano più un generale orientamento degli anticlinali e dei sin- clinali in rapporto colla direzione generale dello sforzo orogenico. Allo scopo pertanto di coordinare fra loro i vari gruppi montuosi e le di- verse accidentalità della regione occorre fare astrazione tanto dai ricuoprimenti eocenici, quanto da quelli miocenici. Gli autori, sotto, il titolo di descrizione geologica della regione percorsa, riassumono a tal uopo le osservazioni fatte, raggruppandole catena per catena in modo da offrire un’idea almeno sommaria della struttura della regione. Tralasciamo per brevità la rassegna di questo importante capitolo e prendiamo tosto in esame le conclusioni che si traggono da questo studio sotto il punto di vista della storia della Catena Betica e delle sue dipendenze. — 131 — La regione andalusa, con quella del littorale africano, trovasi com- presa tra due grandi pianori di formazione antichissima, quello cen- trale della Spagna a Nord e quello africano a Sud, che un tempo pos- sono essere stati riuniti e staccati dipoi da uno sprofondamento, marcato ancora dalla faglia del Guadalquivir, verso la fine dell’epoca primaria. L’ Andalusia da quest’epoca formava la porta del mediterraneo secon- dario. In questa depressione si accumularono i sedimenti fino al ter- mine dell’Eocene e al tempo stesso gli sforzi di compressione laterale, mentre facevan muovere come un sol pezzo i massicci antichi, dise- gnavano i tratti principali della Catena Betica e dell’Atlante, alla stessa guisa che quelli dei Pirenei fra i due pianori delia Spagna e della Francia. Nel Trias la Catena Betica era ancora sommersa, ma la sua futura direzione era già tracciata dai limiti dei depositi a facies pelagica e a facies continentale, e nell’epoca giurassica zone di profondità e na- tura differente si manifestavano definitivamente nell’area da essa dipoi occupata. La grande analogia coi depositi sincroni della Sicilia e del continente italiano mostrano che questi primi tratti della storia della Catena Betica devono applicarsi pure a quella dell’ Appennino. Solo alla fine dell’epoca giurassica si trovano traccie di emersioni locali indicate da certi depositi detritici e sovratutto dalla trasgressione fra il Neo- comiano e i terreni sottostanti, trasgressione che si verifica pure nella nostra Catena metallifera. La discordanza fra i terreni eocenici e quelli secondari prova pure ad evidenza l’emersione anteriore della Catena Betica nonché la formazione di pieghe, e dalla natura degli strati eo- cenici nei due versanti è lecito concludere che l’asse della catena attuale formava già lo spartiacque fra i due bacini marini. Una analoga discordanza riscontrasi pure nella Catena metallifera ed in una gran parte dell’Appennino, se non che quivi la trasgressione sembra aver luogo fra il Cretaceo superiore e il Neocomiano; la divergenza però trova forse spiegazione nella dubbiezza dei riferimenti cronologici. Il corrugamento si è poi continuato durante e dopo l’Eocene. Al principio del periodo elveziano una nuova oscillazione dà accesso alle acque marine nella valle del Guadalquivir e i loro depositi emergono dipoi e sono largamente denudati. Il debole sviluppo delle alluvioni e l’assenza di terrazzi indicano finalmente che l’ulteriore progressiva elevazione sul livello del mare si è fatta senza notevoli oscillazioni. B. L. — 132 — NOTIZIE DIVERSE Trachite sodalitica recentemente scoperta a Napoli b — Questa trachite è traversata alquanto obliquamente dalia galleria della ferrovia cumana a 1890m dalla estremità E.N.E (verso Monte Santo), per 90m sulla parete meridionale e 110m sulla settentrionale. La galleria è quindi la corda d’un arco formato dalla trachite e rivolto a mezzogiorno, cioè verso la costa. I due contatti sono antiche scarpate, ed all’estremità O.S.O. si traversa un talus di frammenti di trachite ed altri materiali cui è sovrapposta una serie di pomici, ceneri» lapilli e terreno vegetale, rappresentanti parecchie eruzioni successive; gli ultimi si presentano pure sulla scarpata opposta formanti un angolo considerevole col resto. Sì vede quindi che questa massa fu certamente eruttata come una corrente di lava subaerea, probabilmente tagliata verticalmente in seguito dal mare o da altro agente e quindi ricoperta dai differenti tufi che costituiscono le colline. La roccia è divisa in blocchi assai grandi da fessure di raffred- damento, analogamente alla trachite del Monte Olibano alla quale essa somiglia molto nei caratteri generali. E d’un grigio chiaro, qualche volta sfumato di turchino, a frattura terrosa, rude al tatto, aderisce poco alla lingua, ed una goccia d’acqua fatta cadere sulla sua super- ficie è immediatamente assorbita. Questi ult’mi caratteri debbonsi pro- babilmente attribuire a spazi compresi fra i cristalli ed i microliti, mentre il colore sembra dovuto ad un miscuglio di feldispato vetroso con abbondanti e minute particelle scure. I cristalli di sanidina sono in generale molto sottili, tabulari e presentano delle sezioni lunghe quasi due centimetri, nelle quali si può vedere la geminazione di Carlsbad. Alcuni rari individui più grandi, d’uno spessore maggiore e prismatici, somigliano a quelli della trachite di Drachenfels. Al micro- 1 Da un rapporto del dott. J. Johnston Lavis alla Associazione Britannica (Geol. Mag., Dee. Ili, voi. VI, 1889, n. 2). — 133 — scopio si mostrano molto fratturati, fìssurati, puri, con poche cavità vitree, mentre in ciascun frammento fratturato- un anello di colori presso contorno svela una grande compressione interna. Il sanidmo è certamente il più importante costituente della roccia: dopo di esso, abbiamo l’antibolo che presenta due o tre varietà. Una di esse è abitualmente in cristalli maggiori di due o tre millimetri ed anche più, che si presentano d’ordinario come grani cristallini irre- golari a spigoli vivi come se fossero stati rotti poco prima il conso- lidamento per l’attrito interno della massa pastosa semisolidificata. Alcune sezioni presentano clivaggi tipici. Questa varietà è di colore giallo o verde bruno, e relativamente poco pleocroitica. I cristalli minori sono anche molto irregolari e . scendono alle dimensioni di grandi microliti. Anche quando si esamina una bacchetta relativamente ben formata, non si può ottenere alcuna estinzione, il tutto comportandosi come se si fosse prodotto qualche cangiamento molecolare, oppure se ciascun individuo fosse costituito da un’associazione di minuti grani. Le modificazioni che si presentano in cristalli molto maggiori per l’inclusione di masse estranee, mostrano che queste microliti e cristalli consistono realmente di un miscuglio di pirosseno ed antibolo. Un altro fatto si è che la massima oscurità s’ottiene in due punti per rotazione di 90° attraverso i nicols incrociati, corrispondenti all’ estinzione di queste due specie. L’altra varietà di antibolo è certamente di forma- zione più recente, ma sembra aver sofferto lo stesso cangiamento mo- lecolare, perchè è quasi impossibile ottenere un’estinzione ben definita. I cristalli sono ben formati e con cavità, e sono senza dubbio gli stessi che si proiettano come lunghe bacchette dalle vescicule della roccia. Sono di un verde azzurrognolo carico, debolmente pleocroitici ; ma a questo riguardo un’esatta misura è resa impossibile dalla loro opacità. La massa fondamentale consiste principalmente di microliti di sanidino, assai grandi, tanto che spesso può vedersi la geminazione di Carlsbad. Kra questi microliti e quelli di antibolo dianzi accennati si trovano numerosi grani di magnetite, i quali pare abbiano cristal- lizzato specialmente in ottaedri; la loro forma è in parte nascosta da ruggine. Raramente si hanno grani di carattere incerto, incolori, alta- mente rifrangenti, ed in qualche feldspato si hanno dei prismi erto- lo ; ■ * ■ ' - , J ' -134- rombici (?) a quattro faccie con cupole, di un minerale fibroso che in qualche sezione somiglia moltp per struttura ad un feldspato triclino; è impossibile però di isolarlo. Alcune parti di questa massa di trachite sono vesciculari, sebbene le cavità non siano molto prossime le une alle altre. Vi sono inoltre delle fessure formatesi prima del completo consolidamento della roccia. Queste vescicule e fessure sono coperte di numerosi minerali che costitui- scono la bellezza ed il carattere saliente di questa trachite. Dalle pareti di questi vani, si staccano talora dei lunghi prismi pseudo-esagonali, ora solidi ed ora tubulari: nel primo caso sono incolori e limpidi come cristallo: sono lunghi un centimetro ed anche più, e larghi da uno a quattro millimetri. Essi passano per gradi a bei cristalli dodecaedrici di sodalite, talora di color bianco o latteo. Associati a questi si hanno numerose bacchette di antibolo nero, d’ordinario spesse un mezzo mil- limetro e lunghe da mezzo centimetro ad un centimetro e mezzo. Molto più rari vi sono dei cristalli irregolari, d’ ordinario con lucentezza submetallica, di colore d’acciaio o di bronzo scuro: molti di questi cristalli sono imperfetti e spesso sano allineati. Per quanto si è potuto vedere, essi hanno la forma di un pirosseno con le faccie 110, 100, 112 e 111 bene sviluppate. Esaminati in lamina sottile al microscopio, essi presentarono un minerale giallo verdastro, cangiato alla superficie e lungo le rotture in una massa oscura, quasi opaca. Disgraziatamente non si poterono avere dei clivaggi caratteristici nè degli angoli di estinzione. Un grano polverizzato e fuso con carbonato di soda diede forte reazione di manganese. Questi fatti indicherebbero che si hanno dei cristalli di pirosseno i quali subirono un cangiamento, sia per la separazione di un ossido o di un ossido idrato di manganese, sia per l’introduzione di questo dall’esterno: sembra che la prima spiegazione sia la migliore, poiché le macchie brune si hanno solo in questi cristalli nella loro immediata prossimità, ed inoltre le bacchette di antibolo sono inalterate, eccetto là dove sono in contatto con questi cristalli di pirosseno. » In alcuni dei vacui si hanno nodi di cristalli capillari di color cioccolatte, i quali a primo aspetto sembrano breislackite. Esaminati sotto il microscopio si presentano come bacchette assolutamente opache, anche sotto spessore minimo. Benché facilmente si scorgano in grandi — 135 — ramificazioni, la quantità di materiale è molto piccola, tanto che non fu possibile ricalarne più di due o tre milligrammi. Trattato con gli acidi risultò molto leggermente solubile neiracido cloridrico e nel fluo- ridrico. Dalle reazioni ottenute poi si può conchiudere che si ha un com- posto contenente specialmente ferro e titanio; resta il quesito, se si tratti di ematite fibrosa contenente titanio (Scacchi dimostrò che il minerale fibroso del piperno è un ossido di ferro), o di un rutilo fibroso molto ricco in ferro, od infine di una breislackite contenente titanio. Molte delle cavità sono completamente tapezzate di piccoli cri- stalli di sanidino; ma, in qualcuna, su quei cristalli si hanno piccoli prismi allungati d’apparenza esagonale che^di rado hanno più di un mezzo millimetro di lunghezza per circa un sesto di larghezza. 1 Sotto al microscopio, essi sono più grandi al centro, apparendo fusi- formi, mentre le faccie del prisma sono striate longitudinalmente, sicché solo in rari casi possono ritenersi esagonali. Il prisma è qualche volta terminato da piani basali, ed altra volta da piramidi depresse. Da pa- recchie misure dell’angolo del prisma con la piramide si ottenne per lo più 116°, ma qualche volta persino 125°. Ad un forte ingrandimento si vedono, su tutta la superficie di questi cristalli, attaccati numerosi cubi ben formati di circa mm. 0, 02. Che cosa sieno questi due mine- rali è molto difficile a dire : il primo può riferirsi alla microsommite per l’aspetto ed il modo di presentarsi. In ultimo, ma molto rari, si hanno dei minuti cristalli aciculari colore giallo-arancio, che somigliano a prima vista a piccole titaniti (semelina). Però essi si sciolgono nell’acido cloridrico con grande ef- fervescenza, e la soluzione dà un precipitato abbondante con l’ossalato ammonico: sicché possono considerarsi come scalenoedri di calcite. L’ordine di cristallizzazione nelle cavità pare essere stato questo: 1. sanidina; 2 antibolo; 3 pirosseno; 4 rutilo?; 5 sodalite; 6 micro- sommite?; 7 calcite. Cosa assai strana, non si trovarono traccie di mica, nè nella matrice 1 Spesso sono delicatamente posati sulle bacchette d’anfìbolo, o sulle fibre del minerale testé descritto. — 136 — nè nelle vescicule. Ciò stupisce grandemente; tanto più che in qualche blocco di nna roccia affatto simile presso Pianura, nelle cavità con l’anfibolo si hanno grandi placche di mica bruna. I minerali sono senza dubbio sublimati, o più esattamente risultano dalla reazione di differenti vapori sotto speciali condizioni di tempe- ratura e pressione. Un’analisi di questa roccia fatta con speciali precauzioni nella scelta dei campioni ed evitando le plaghe contenenti vescicule, diede.: SiO . . 57, 909 TiO2 . . 0, 654 Al2Os . . 15, 786 Fe204 5 . . 6, 807 FeO . . 0, 010 MnO . . 0, 230 CaO . . 2, 986 MgO . . 1, 656 Na20 . . • • • • • • • 6, 013 K20 . . 7, 270 P2Os . . 0, 007 CI . . . 0, 606 H20 . 0, 336 100, 270 Peso specifico i 2, 516 Quest’analisi dà la composizione di una trachite alquanto simile a quella di Scarrupata nell’Isola d’ Ischia. Ciò che è particolare si è la grande quantità d’acido titanico. Le ultime trasformazioni del Vesuvio. 1 — Nel mese di Giugno del 1886 la sommità del Vesuvio era troncata da un piano grossolana* mente circolare, corrispondente al cratere del 1872 che la lava aveva / • 4 Da una nota del D.r Johnston-Lavis pubblicata nel Ball, de la Société belge de Gèol.y Paléont. et Hydrologie. Tome 3*me; 1889. — 137 — riempito lasciando solo scoperta una parte dell’ orlo a mezzogiorno. Nella parte orientale di quel piano, fra le eruzioni del Maggio 1885 e Giugno 1886, erasi formato un cono che Everso settentrione lasciava apparire qualche residuo dell’orlo del cratere del 1881-82. Sui primi del Maggio 1886 la lava aveva cominciato a sprigionarsi in tenue quantità da una piccola apertura ad oriente del piano anzi- detto, in posizione corrispondente alla fessura dalla quale avea fluito molto a lungo dopo l’eruzione 1881-82. Verso la metà di Giugno essa sgorgò d’un tratto più abbondante; il suo livello si abbassò di repente nel camino, e le pareti di questo, venendo lor meno quel sostegno, co- minciarono a rovinare all’interno per essere poi espulse allo stato di polvere o di frammenti arrotondati. Cessò allora la regolarità che nello stato d’attività ordinaria si osserva nella colonna di fumo sprigionatesi dal cratere: le materie cadendo dalle pareti nel camino ostruivanlo, talché durante un minuto o due il fumo usciva in quantità minore o mancava affatto: sino a che, acquistata sufficiente tensione, si elevava in uno sbuffo oscuro, carico delle parti più fine di quelle materie. Nel tempo stesso la bocca del camino gradatamente si aggrandiva, fino a formare un cratere assai ampio, lasciando solo ancora apparire a Nord un ^frammento dell’ orlo di quello del 1881-82 ed a Sud un piccolo segmento del cono del 1885-86: il suo fondo era diviso in due da uno spigolo sagliente, diretto da Sud a Nord. La lava, che prima arrivava solo alla Valle d’inferno, traversò allora il prolungamento dell’Atrio del Cavallo, ed alla fine della prima settimana di Luglio cominciò a scendere il fianco del Monte Somma. Il suo efflusso non tardò tuttavia a diminuire: contemporaneamente essa saliva nel camino; di guisa che il cratere ritornò allo stadio di cono in formazione per l’espulsione costante di piccole masse di lava fusa: questo nuovo cono però si formava lentamente continuando 1’ emis- sione della lava per la fessura orientale. Nella parte occidentale del piano del cratere del 1872 eransi for- mate delle fessure dirette da Est ad Ovest, e da Nord a Sud, le quali emettevano vapori acidi, mentre invece tre antiche aperture poste poco lungi non davano che aria e vapor d’acqua ad elevatissima tem- peratura. — 138 — Le cose continuarono in quésto stato per varii mesi: ora diminuen- do l’attività del cratere ed aumentando quella dell’ emissione laterale, ed ora aumentando la prima e diminuendo la seconda. Al principio di Maggio del 1887, a pochi metri a S.O della bocca principale, che aveva 5 metri di diametro, se n’ era aperta un’ altra di m. 1,30: questa fu^però bentosto coperta dalle dejezioni della mag- giore. Alla metà di Giugno 1888 il cono d’eruzione era giunto al livello dell’orlo del cratere del 1886. Verso il principio d’Agosto la colata di lava cessò, dopo aver continuato due anni e tre mesi. Al principio di Ottobre del]1888, eransi prodotti importanti cangia- menti; la bocca erasi trasportata ad occupare la posizione di quella secondaria del 1887, ed intorno ad essa si era formato un cono che si elevava di circa 10 metri sul livello esterno. Durante tutto il mese l’attività aumentò considerevolmente, tanto nella bocca che nelle fes- sure occidentali: il cono s’accrebbe rapidamente, in misura molto mag- giore verso Sud a motivo d’un forte vento di Nord che dominò sino alla fine dell’ anno. Il 1° Gennaio 1889, il cono, che doveva essere quasi totalmente pieno di lava, cedette verso settentrione dando passaggio ad una quan- tità assai considerevole di materia, che non giunse però ai fianchi del gran cono e cessò presto di fluire. L’attività del cratere continuò ad un grado notevole sino al 6 Gennaio ; quando la lava si aprì un varco nella parete meridionale del cono a 10 metri dal suo orlo e si riversò sui fianchi del gran cono; essa usciva da prima da una galleria, la volta della quale non tardò a rovinare. L’efflusso, cominciato verso le 3 pom. cessò la sera stessa; ed esso non diminuì che per qualche ora l’attività del cratere. Possiamo ora domandarci che cosa farà il vulcano in avvenire. Sono possibili due alternative; o il cono d’eruzione continuerà ad ac- crescersi e si avranno di tanto in tanto piccole eruzioni di lava sui fianchi; oppure, elevandosi il livello della lava per l’aumento del cono di eruzione, il gran cono sarà sottoposto ad una pressione interna trop- po grande e cederà producendo un’ eruzione più importante e dando luogo alla formazione d’un cratere alla parte superiore ed alla emis- sione di lava più o meno abbondante sui fianchi. Tutto fa supporre — 139 — che l’esplosione avrebbe nel secondo caso luogo nella regione delle fessure occidentali* che pare il punto più debole. Sarebbe temerario determinare la data di questa futura esplosione ; tuttavia anche se la prima alternativa ha luogo, la seconda si produr- rà certamente e forse in un tempo non molto remoto. PUBBLICAZIONI RECENTI DEL R, UFFICIO GEOLOGICO Carta geologica della Campagna Romana e regioni limitrofe, nella scala di 1 a 100 000 (sei fogli ed una tavola di sezioni, con copertina colorata) prezzo L. 25 00 I fogli si vendono . anche isolatamente ai seguenti prezzi: Civitavecchia ..... L. 4 00 Bracciano L. 5 00 Cerve teri . » 4 00 Roma .......... » 5 00 Palombara. 5 00 Cori . » 4 00 NB. — A detta Carta va unito un fascicolo di Brevi Cenni descrittivi della serie dei terreni. Carta geologica dell* Italia, nella scala di 1 a 100 000 in due fogli (seconda edizione riveduta della Carta pubblicata nel 1881) prezzo L. 10 00 La Direzione. PUBBLICAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO PARTI PUBBLICATE (al 30 aprile 1889) Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100 000 : Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00 » 248 (Trapani) . . . » 3 00 » 249 (Palermo) . . . » 4 00 » 250 (Bagheria) . . . » 3 00 » 251 (Cefalù) . . . . » 3 00 » 252 (Naso) . . . . » 4 00 » 253 (Castroreale) . . » 4 00 » 254 (Messina) . . . » 4 00 » 256 (Isole Egadi) . . « 3 00 » 257 (Castelvetrano) . » 4 00 » 258 (Corleone) . . . » 5 00 » 259 (Termini Imerese). » 5 00 » 260 (Nicosia) . . . » 5 00 » 261 (Bronte). . . . » 5 00 Tavola di » » » » Foglio N. 262 (Monte Etna) . . L. 5 00 » 265 (Mazzara del Vallo)» 3 00 » 266 (Sciacca) . . . » 4 00 » 267 (Canicattì) . . . » 5 00 » 268 (Caltanissetta) . » 5 00 » 269 (Paterno) . . . » 5 00 » 270 (Catania) . . . » 3 00 » 271 (Girgenti) . . . » 3 00 » 272 (Terranova) . . » 4 00 » 273 (Caltagirone) . . » 5 00 » 274 (Siracusa) . . . » 4 00 » 275 (Scoglitti) . . . » 3 00 » 276 (Modica) . . . » 3 00 » 277 (Noto) . . . . » 3 00 4 00 4 00 4 00 4 00 4 00 sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » » N. Ili (annessa ai’ fogli 25.3, 254 e 262) » » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) » » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) » J1T.B. — L’intiera Carta della Sicilia, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d'unione e copertina, è in vendita al prezzo di lire 100. Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500 000 (serve anche di foglio di unione della precedente) con sezioni prezzo L. 5 00 Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia, con una Carta geologica, tavole in zincotipia ed incisioni, dell’Ing. L. Baldacci prezzo L. 10 00 Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1/25 000 con sezioni annesse (in due fogli) prezzo L. 15 00 Descrizione geologica dell’Isola d’Elba con Carta annessa nella scala di 1/50 000, dellTng. B. Lotti prezzo L. 10 00 Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba, con un atlante di carte e sezioni geologiche, dellTng. A. Fabri . . . prezzo L. 20 00 Descrizione geologico-miner. dell’Iglesiente (Sardegna), con un atlante di XXX tavole e una Carta geologica, dell’ Ing. Gr. Zoppi, prezzo L. 15 00 Carta geologico-mineraria dell’Iglesiente (Sardegna), nella scala di 1/50 000 (in un foglio) prezzo L. 5 00 Carta geologica della Campagna Romana e regioni limitrofe, nella scala di 1/100 000 (sei fogli e una tavola di sezioni) . prezzo L. 25 00 Carta geologica dell’Italia, in due fogli, nella scala di 1/1 000 000 (seconda edizione, riveduta della Carta pubblicata nel 1881). . . prezzo L. 10 00 Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio Geologico, (Via S. Susanna, 1 ovvero alla Libreria E. Loescher, in Roma. Pubblicazioni in vendita presso l’Ufficio Geologico Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia; Voi. I a XIX, dal 1S70 a — Prezzo di ciascun volume L, Idem di un fascicolo bimensile separato » N.B. - Il prezzo di abbonamento annuo è di L. 8 per l’interno e di L. IO per V estero. Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Firenze, 1872 » Voi. IL Firenze, 1873-74 » Voi. III. Parte la; Firenze, 1876 » Voi. III. Parte 2a ; Firenze, 1888 » I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati geologici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia. Firenze, 1871 » P. Zezi. -t- Cenni intorno ai lavori per la Carta geologica in grande scala. Roma, 1875 » F. Giordano. — Esposizione in ordine cronologico delle principali disposi- zioni successivamente emanate relativamente alla Carta geologica d’Italia. Roma, 1879 » F. Giordano. — Sopra un progetto di legge per il compimento della Carta geologica d’Italia. Roma, 1830. » F. Giordano. — Cenni sull’organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici esistenti nei vari paesi. Roma, Ì881 » G. Capellini. — Relazione a S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Comm. sul Congresso geologico internazionale del 1881. Roma, 1881 .... » C. W. C. Fuchs» — Carta geologica dell’Isola d’ Ischia; scala di 1/25,000. Firenze, 1873 » C. Doelter. — Carta geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone; scala di 1/20,000. Roma, 1876 » C. De Giorgi. — Abbozzo di Carta geologica della Basilicata; scala di 1/400,000. Roma, 1879 » C. De Giorgi. — Carta geologica della provincia di Lecce; scala di 1/400,000. Roma, 1880 » G. Capellini. — Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Ma- rittima e di parte del Volterrano ; scala di 1/100,000. Roma, 1881 . » G. Capellini. — Carta geologica della provincia di Bologna ; scala di 1/100,000. Roma, 1881 » G. Capellini. — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di Magra inferiore; 2a edizione; scala di 1/50,000. Roma, 1881 . . » T. Taramelli. — Carta geologica del Friuli, con testo descrittivo ; scala di 1/200,000. Udine, 1881 . » Bibliographie géologique et paleontologique de l’Italie. Bologne, 1881 . . » Bibliografia geologica e paleontologica della provincia di Roma. Roma, 1886 » Bibliografia geologica italiana per l’anno 1886. Roma, 1887 ..... » ld:m idem per l’anno 1887. Roma, 1888 » 1888 10 — 2 — 35 — 30 — 10 — 15 — 1 50 1 — 1 — 1 50 1 50 1 — 2 — 2 — 2 — 2 — 3 — 4 — 3 — 7 — 10 — 2 — 1 50 1 50 Annunzi di pubblicazioni F. Bassani. — Sopra una nuova specie di Ephippus scoperta nell’ eocen medio di Val Sordina presso Lonigo nel Veronese (Boll. Soc. Geol.,VII , 3' — Roma, 18^9; pag. 4 in-8J con una tavola. G. A. Mariani. — Foraminiferi del calcare cretaceo del Costone di Gavarn in Val Seriana (Ibidem) — Roma, 1889; pag. 10 in-8° con una tavola. Antonelli. — Contributo alla flora fossile del suolo di Roma (Ibidem — Roma, 18 :9; pag. 24 in-S°. Fornasini. — Di alcune textularie plioceniche del Senese (Ibidem). Roma, 1889; pag. 3 in-8° con una tavola. Rambotti e A. JN evi ani. — Cenni sulla costituzione geologica del rale jonico da Cariati a Monasterace (Ibidem). — Roma, 1839; pag, in-8° con 2 tavole. Malagoli. — Foraminiferi pliocenici di Cà di Roggio nello Scandia nese (Ibidem). — Roma 1889; pag. 30 in-8° con una tavola. Ristori. — Crostacei piemontesi del miocene inferiore (Ibidem). — Rom 1889; pag. 16 in-'.0 con una tavola. Clerici. — Contribuzione alla flora dei tufi vulcanici della prò vinci di Roma (Ibidem). — Roma, 1839 ; pag. 4 in-8°. Cortese. — Sulla origine del porto di Messina e sui movimenti deL mare nello stretto (Ibidem). — Roma, lb89 ; pag, 8 in-8°. Scacchi. — Catalogo dei minerali e delle roccie vesuviane, per servire alla storia del Vesuvio ed al commercio dei suoi prodotti. — Na- poli, 1889; pag. 58, in 4% con quattro tavole. Simonelli. — Placunanomie del pliocene italiano (Boll, della Società malacologica italiana, voi. XIV). — Pisa, 1889 ; pag. 12 in-8° con una tavola- Mkschinelli. — Studio sulla flora fossile del Monte Piano (provine! di Vicenza) (Atti della Soc. Veneto-trentina di Se. Nat., voi. X, fase. 2' — Padova, 1889; pag. 24 in 8° con una tavola. B. Negri. — Studio cristallografico della cerusite di Auronzo (Rivis di mineralogia e cristallografìa italiana, voi. IV, fase. 4° a 6°). — Padovi 18 9; pag. 14 in-8°. Jervis. — I tesori sotterranei dell' Italia : Parte IV : Geologia econo- mica. — Torino 1889 ; un voi. in-8° di pag. 516, con figure intercalate. ^ Travaglia. — I giacimenti di solfo in Sicilia e la loro lavorazione. — Padova, 1889 ; un voi. in-8° di pag. 166, con una tavola. F. Parona. — Note paleontologiche sul Lias inferiore nelle prealp lombarde (Rendiconti del R. Istituto lombardo, voi. XIII, fase. 8°). — Milano 1889 ; pag, 13 in-8°. Amigiietti. — Osservazioni geologiche sul terreno glaciale dei dintom di Lovere (Atti della Soc. It. di Scienze naturali, voi. XXVI, fase. 3° e 4°’ 10 in-8°. terziario del Piemonte (Ibidem). — Milano, 1839 Milano, 18^9 : pag Sacco. — Il bacino pag. 110 in-8°. Bozzi. — Sulle fìlliti cretacee di Vernasso nel Friuli (Ibidem). — Mi lano, 1889 ; pag. 8 in-8". Mercalli. — L’ Isola Vulcano e lo Stromboli dal 1886 al 188 (Ibidem). — Milano, 1889; pag. 13 in-8°. Pantanelli. — Pleurotomidi del miocene superiore di Montegibio. (Boll, della Società malacologica italiana, voi. XIV). — Pisa, 1889 ; pag, in-8°. Ami ghetti. — Nuove ricerche sui terreni glaciali dei dintorni de lago d’ Iseo. — Lovere, 1889 ; pag. 164 in-8°. Bombicci. — Sul giacimento e sul tipo litologico della roccia oli clasite di Monte Cavaloro (Bolognese). — Bologna, 1889; pag. lo in-? li COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. 1889 Bollettino N.° 5 e 6 Maggio e Giugno ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE di Reggiani Se soci 1889. 05. ELENCO del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico R. Comitato Geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia nella R.Università di Bologna, Presici. ' Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli ingegneri in Torino. De Zigno Achille, membro del R. Istituto Veneto, a Padova. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo, j Omboni Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Padova. Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napoli. Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, a Imola. Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania. Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe- riore di Milano. Struver Giovanni, prof, di mineralogia nella R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma. Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma. Personale addetto ai lavori della Carta Geologica. Direzione superiore: Ing. Giordano Felice, Direttore. Ing. Pellati Niccolò. Ufficio centrale (in Roma): Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Geologi operatori: . j Ing. Baldacci Luigi, Salerno. Ing. Lotti Bernardino, Pisa. Ing. Cortese Emilio, Catanzaro. Ing. Zaccagna Domenico, Pisa. Ing. Mattirolo Ettore, Torino. Ing. Viola Carlo, Salerno. Ing. Novarese Vittorio, Catanzaro Ing. Aichino Giovanni, Catanzaro. Ing. Sabatini Ven, turino, Salerno. Ing. Franchi Secondo, Torino. Ing. Mezzena Elvino, Salerno. Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa. Sig. Cassetti Michele, aiutante, Roma. Sig. Moderni Pompeo, aiutante, Roma. Personale distaccato: :3; Dott. Canavari Mario, Pisa (paleontologo). La sede dell’Ufficio geologico via Santa Susanna, n. 1-A. in Roma è nel Museo agrario-geologico, ■ BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. Serie IL Voi. X. Maggio e Giugno 1889. N. 5 e 6. SOMMARIO. Memorie originali. — I. Nuove località fossilifere in Val di Susa, del prof. A. Portis. — IL Tufi serpentinosi eocenici nell’Emilia, del prof. D. Pantanelli. Notizie diverse. — Sulla origine del petrolio. Avviso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia. Tavole ed incisioni. — Quadro d’unione della Carta geologica d’Italia, nella scala di 1 a 3000000 (annesso agli Atti Ufficiali, relazione annuale dell’Isp. Giordano). Parte ufficiale. — Lettera con la quale il Presidente del Comitato trasmette al Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio i verbali delle sedute 12 e 13 giugno 1889. — Verbali delle adunanze 12 e 13 giugno 1889. — Relazione an- nuale del Direttore tl R. Comitato geologico sul lavoro della Carta geologica (1888-89). — Quadro dimostrante lo stato del rilevamento della Carta geolo- gica d’ Italia al 1° gennaio 1889. MEMORIE ORIGINALI I. Nuove località fossilifere in Val di Susa ; studio del Dott. Alessandro Portis. 1. Località carbonifere. Son più di ottantanni che il Brochant segnalava nelle Alpi Occiden- tali alcuni giacimenti antracitiferi a piante fossili 1 2 ; ma l'attenzione su di esse venne rivolta solo dopo il 1828 in seguito ad una nota del Beau- mont * sulla scoperta di vegetali fossili a Petit-Coeur, ad altra del Brongniart 3 sulla loro determinazione e ad una terza di nuovo del 1 A. J. M. BROCHANT, Sur des terrains de transition qui se rencontrent dans la Tarentaise et autres parties de la chatne des Alpes (Journal des mines, N. 137, Mai 1808. 8°, pag. 321-380) (a pag. 358-59). 2 L. Elie de Beaumont, Notice sur un gisewent de végétaux fossiles et de bélemnites situé à Petit-Coeur près Moutiers en Tarentaise (Annales des Se. naturelles, voi. 14me, 8°, pag. 113-127). — Paris, 1828. 3 A. BrONONIART, Obseruatioris sur les végétaux fossiles des terrains d’an - thracite des Alpes (ibid., pag. 127-130). — 142 — Beaumont, con nota e lista del Brongniart, sulla scoperta di vegetali fossili al Col du Chardonnet \ Nuove località a piante fossili, oltre le due indicate, vennero da questi autori aggiunte a quelle già fatte conoscere dal Brochant. Ed è nota la conclusione, a cui la conoscenza di questi fossili fece arrivare il Beaumont. È nota la lotta scientifica impegnatasi in seguito a que- sta conclusione, lotta di cui troviamo sovratutto le traccie nei resoconti delle riunioni della Società Geologica di Francia a Chambery* 2, a Saint- Jean de Maurienne 3 4 ed a Ginevra *, e nelle celebri ricerche del Gras 5. E generalmente noto come le prime determinazioni e deduzioni ri- sultanti dagli studi del Brongniart abbiano avuta piena conferma dagli studi fattisi in seguito sugli stessi vegetali fossili già raccolti e da lungo conservati nei musei di Torino, Parigi, Ginevra etc. ; per opera prima del Bunbury 6 e poi dell’ Heer 7, senza contare gli indici e le conclusioni * L. Elie de Beaumont, Sur un gisement de uégétaux fossiles et de gra- phite siiué au Col du Chardonnet ( Département des Hautes Alpes) (Ann. des Se. nat., voi. 15me, pag. 353-381., PI. 12me). — Paris, 1828. 2 Réunion extraordinaire de la Socióté Géologique de France à Chambery, du 12 au 27 aoùt 1844 ; 8Ò, pag. 1-259. — Paris, 1844. 3 Réunion extraordinaire de la Société Géologique de France à Saint-Jean de Maurienne, du 1 au 10 septembre 1861 ; 8°, pag. 1-134., pi. XV-XVòis, passim et partic. pag. 86, 95, 130 et pi. XV. 4 Réunion extraordinaire de la Société Géologique de France à Genève et à Chamounix du 29 aoùt au 7 septembre 1875; 8°, pag. 1-155., pi. XXV-XXVIII, pas- sim et partic. 152-154. * Se. Gras, Mémoire sur le terrain anthraxifère des Alpes de la France , et de la Savoie (Extraite des Annales des mines, tom. V, 1854, pag. 473 et suiv.) Un voi. in-8°, di pag. 137, con 2 carte e una tavola di sezioni geologiche. Vedi in seguito le memorie sullo stesso argomento od affini dello stesso Autore nei volumi 1° e 12° [serie 2a] del Bull, de la Soc. Géol. de France. — Paris, 1844 e 1855. 6 C. J. F. Bunbury, On fossil plants from thè antracite formation of thè Alps of Sacoy (Quart. Journ of thè Geol. Soc. of London, voi. V, pag. 130-142 8°, 1848-49). — London. 7 O. Heer, Flora fossilis Helvetiae. Erste Lieferung : Die Steinkohlenflora. 4°. Pag. 1-44 et suiv., Taf. 1-22. Zurich, 1876. — O. Heer, On thè anthrac. plants of thè Alps (Quart. Journ of thè Geol. Soc. of London, voi. XVII). — 1861. — 143 — del Grand-Eury1, e come niun fitopaleontologo moderno ponga più in dubbio la pertinenza di quelle piante fossili al carbonifero. Ma i numerosi giacimenti alpini a piante carbonifere che fornirono materiali nella controversia accennata son tutti geograficamente, ed ora anche politicamente, collocati fuori del territorio italiano. Recentemente però venne fatto all’ amico Ing. Mattirolo di scoprire anche nell’alta regione alpina geograficamente e politicamente italiana parecchi vege- tali fossili ricordanti per le loro condizioni di giacitura e di fossilizza- zione quelli di Petit-Coeur in Tarantasia. La massima parte delle montagne che formano il lato destro della alta Valle Stretta (parte superiore) di Melezet sopra Bardonnecchia ri- sulta, dalle osservazioni dell’ Ing. Mattirolo, costituita da arenarie car- bonifere con letti di schisti ardesiaci neri o grigiastri, inclinati, salve numerose accidentalità, verso 1’ esterno della valle ; sopportanti qua e là zolle di materiali triasici ed affioranti sovratutto al crinale in coin- cidenza col confine italo-francese. Là presso, ma ancora sul versante italiano, mostrano questi schisti qua e là, per lunga distesa, ma spe- cialmente al sommo e al colle della Gran Tempesta, traccie ed im- pronte di piante. L’ Ing. Mattirolo ne raccolse quante potè e me le ha gentilmente comunicate in istudio. Ed ecco quanto vi ho trovato : Felci. 1. — Sphenopteris Hoeninghausi Brongt. Non starò ad insistere sulle difficoltà che presentano alla deter- minazione le felci rinvenute nel terreno ad antraciti delle Alpi Occi- dentali per il fatto della loro pseudomorfosi in minerale talcoso e della conseguente totale, o quasi, perdita delle nervature, abbastanza aven- dovi su insistito ed il Brongniart ed il Bunbury e 1’ Heer. Da due località del vallone Serre vennero raccolte impronte di fronde trasformate nel minerale conosciuto a Petit-Coeur e che credo 1 C. Grand-Eury, Mémoire sur la fio re carboni/ère du département de la Loire et du centre de la France (Mem. prés. par div. Sav. à l’Acad. des Se. de l’ Inst. Nat. de France, tom. XXIV, n. 1. 4°, pag. 1-624; avec Carte géol., 34 pls., et 4 tableaux [à pag. 545 et suiv.]). 144 — appartenenti alla stessa specie di felce. Una di queste impronte lascia scorgere per 45 millim. il rachide principale largo circa 2 millim. : per quanto breve tratto si veda di questa fronda, tuttavia esso b abba- stanza caratteristico per il fatto che, a circa un centimetro dal suo li- mite inferiore di rottura, il rachide primario apparisce abbastanza di- stintamente forcato; uno dei rami si nasconde immediatamente sotto la roccia, 1* altro costituisce la quasi totalità della impronta con- servata portando due penne secondarie guernite di loro penne ter- ziarie e l’inserzione della base di altre tre o quattro penne secondarie. Le penne secondarie stesse siedono alternativamente ai due lati del rachide primario come pure le terziarie si alternano abbastanza rego- larmente sui lati del rachide secondario. Ciascuna penna terziaria, ses- sile Sci rachide secondario, è composta di un numero limitato di pin- nule (9-11) o foglioline, anch’esse apparentemente sessili sul rachide ter- ziario e che talor appaiono nettamente distinte fra loro, talora invece tendono a confluire assieme; esse siedono sul rachide terziario quasi alternativamente con quelle dell’altro lato; solo in alcuni casi tendono a divenire loro opposte. Il margine di ciascuna pinnula appare tonda- mente dentalo e vi ha traccia di nervatura che partendo dal rachide percorre in linea quasi retta la pinnula per raggiungerne il lobo me- diano o principale e di nervetti che si staccano da quella per internarsi nei lobi laterali. Le penne secondarie più belle son rotte oltre una lun- ghezza di 23 millimetri, le penne terziarie delicatissime non son più lunghe di 6, larghe alla base 2 millimetri o poco più, le pinnule più sviluppate raggiungono quindi appena un millimetro e lo studio di esse si deve fare colla lente. Non potei sulle rachidi riconoscer traccie nè di tricomi nè di ve- stigia di loro inserzione, e la iacerta scariosità che sulle rachidi stesse osservo, benché concordi con la diagnosi che vien data per esemplari dalla Sph. Hoeninghausi provenienti da altre località, tuttavia può nel caso presente non da altro provenire che da accidenti di pseudomorfosi. Fra le numerose specie di felci descritte nella ormai ricchissima bibliografia fitologico-carbonifera, trovo che il frammento d’ impronta fin qui considerato presenta somiglianze d’ aspetto abbastanza marcate colla Sph. Bronnii Gutb., descritta dal v. Roehl {Foss. Flora der Stein- kohlen-Formation Westphalens. Palaeontographica, Voi. XVIII. 1869, — 145 — pag. 57, tav. XVI, fìg. 5 A), colla Sph. Hoeninghausi Brongt. pure de- scritta dal v. Roehl (ibid., pag. 54, tav. XIV, fìg. 8, tav. XIII, fìg. 4), colla Sph. Hoeninghausi Brongt. data dal Renault (Cours de Bota- nique fossile , voi. Ili, Paris 1883, 8°, pag. 191, tav. XXXII, fìg. 2-3), colla maggior parte degli esemplari di Calymnotheea Hoeninghausi Brongt. sp. descritti e disegnati dallo Stur ( Die Carbonflora der Schatz- larer Schichten. Abh. d. kais koen. geol. Reichsanst., XI Bd. lt0 Abth., 4°, 1885, pag. 260 e seg., tav. XXX [fìg. 1-2: biforcazioni del rachide principale!], tav. XXVI, fìg. 1-3), colla Sph. Hoeninghausi Brongt. di- segnata dal Sauveur ( Vègétaux fossiles des terrains houillers de la Belgique, Acad. R. des Se., lett. et beaux-arts de Belgique, 1848, tav. XXII, fìg. 2), poco colla Sph. Hoeninghausi Brongt. descritta dal Gei- nitz (DieVer steiner ungen der Steinkohlenformation in Sachsen, fol., 1855, Leipzig, pag. 14, tav. 23, fìg. 5-6) e moltissimo colla Sph. Hoeninghausi Brongt. descritta in Andrae ( Vorweltliche Pflanzen aus den Steinkoh- lengeh. der Preuss. Rheinl. und Westphalens. 4°, 1865, Bonn, pag. 13-18, tav. V, non tav. IV), in molti dei frammenti della quale ho ritrovato le stesse particolarità osservate sul primo campione del vallone Serre. Qualche analogia potei osservare tra questo campione e quello dise- gnato sotto il nome di Sph. obtusiloba dall’ Andrae (loc. cit., tav. X, fìg. 4, pag. 32), molto minore ne potei trovare colla Sph. Hoeninghausi Brongt., disegnata dal Feistmantel (pag. 279, tav. 65, fìg. 2, Die Ver - steinerungen der Boehmischen Kolilenablagerungen , in Palaeontogra- phica, voi. 23, 4°, 1874). L’altro campione del vallone Serre, raccolto sulla destra del val- lone, si presenta col rachide principale sviluppato per quasi 7 centi- metri ; il rachide stesso non è più biforcato, e a destra e a sinistra di esso si vedono le inserzioni di 5 rachidi secondari fra loro alternanti e portanti ciascuno penne di terzo ordine guernite di pinnule; il rachide primario, dove è maggiormente scoperto, raggiunge fino 3 millimetri di larghezza, i secondari circa 1 e mezzo, i terziari sono sottilissimi, guerniti di pennule ancor più delicate che nell’ esemplare precedente ed offrenti minor numero di dettagli visibili di nervatura. Le pennule appaiono su ciascun rachide più accartocciate, in numero maggiore (in alcuni casi fino a 15) e la intiera penna terziaria ne risulta più lineare e ristrétta. Ho riscontrato somiglianza d’abito dell’esemplare in que- — 146 — stione colle parecchie parti di fronda della Calymnotheca Hoeninghausi Brongt. sp., date dallo Stur (loc. cit., tav. 31, fig. 1), colla Sphyropteris tomentosa Stur (loc. cit., pag. 21, tav. 39, fig. 2), colla Hapalopteris tomentosa Stur, data dallo Stur (loc. cit., pag. 37, tav. 44, fig. 6), colle Sph. Hoeninghausi Brongt., disegnate dallo Andrae (loc. cit., tav. V, fig. 2-3); meno colle Sphenopteris Laurentii Andrae disegnate dallo An- drae stesso (loc. cit., pag. 39, tav. XIII, fig. 1-2), moltissimo colla Sph. Hoeninghausi Brongt., data dallo Zeiller (Végét.foss. du terrain houiller , pag. 41, pi. 162, fig. 5. Explic. de la Carte Géol. de France, 4°, tom. 4m®, 1879, Paris) e coll’esemplare della stessa specie indicato dal Lesque- reux ( Goal flora of Pennsylvania, 8°, voi. I, pag. 288, pi. 55, fig. 5. Harrisbourg, 1880). Sul rovescio di questo stesso esemplare osservasi un grosso ra- chide di oltre un centimetro di larghezza che non avrei difficoltà a rite- nere abbia fatto parte della stessa fronda nella porzione esistente sulla poco lontana faccia opposta del campione schistoso; tanto più che esso dove è scoperto, mostra di esser, sovratutto a destra, contornato da leggerissime impronte di penne terziarie e pinnule che possono essere intravedute simili a quelle or ora descritte; e poi perchè il rachide stesso, deposto obliquamente alla grossezza dello schisto, ad un certo punto esce realmente dall’ altra faccia su cui è improntata la porzione di fronda fin qui studiata. Dopo quanto precede e sovratutto dai confronti fatti colle specie ; più sovra indicate, credo di aver acquistata sufficiente certezza per escludere tutte le specie affini e ritenere che i due (o tre) campioni descritti, appartengono a nessun’ altra specie che alla Sphenopteris Hoeninghausi Brongt. Il primo campione potrebbe appartenere ad una fronda atrofica, ad una fronda che per qualsiasi causa raggiunse di- mensioni inferiori a quelle, per la specie in questione, di media statura; e ciò benché presenti parecchi dei più essenziali caratteri della specie, fra i quali importantissimo il biforcamento del rachide primario. Il se- condo esemplare invece parrebbe appartenere, per la piccola parte co- nosciuta di fronda, alla sommità di una fronda di grandezza media e tripennata, od anche alla sommità di penna primaria di una fronda quadripennata. La porzione poi di rachide primario, ultima ricordata, \ appare provenire dalla porzione mediana di una fronda di medio sviluppo. — 147 — Ho insistito minutamente sugli esemplari di questa specie poiché nessuno degli autori che descrissero i vegetali carboniferi delle Alpi Occidentali ebbe a descrivere o semplicemente a sospettarvi la pre- senza di esemplari di questa specie, la quale apparisce ad un tratto oggidì dopo che i più classici dei giacimenti conosciuti e sovratutto Petit-Coeur hanno fornito, senza di questa specie, così numerose felci fossili e vi apparisce in modo che non è rischio lo sperare trovarne esem- plari più copiosi, più grandi e più belli. 2. — Dicksoniites Pluekenetii (Schloth. sp.) Brongt. sp. Dal crinale della Gran Tempesta a 2963 metri sul livello del mare, e quindi poco sotto la rocca dello stesso nome, proviene un piccolo frammento di fronda di felce il di cui rachide principale è scopribile per una lunghezza di oltre cinque centimetri e mostra aver oltre due millimetri di larghezza. Su questa porzione di rachide primario sono inserite sette penne secondarie in posizione quasi opposta le destre colle sinistre e fa- ci enti col rachide primario angolo un po’ minore del retto : le penne terziarie inserte sessilmente sui rachidi secondari fanno con queste ta- lora angolo un po’ minore dei retto, talora angolo perfettamente retto; hanno alla base, compresa l’estensione della lamina pinnulare, una lar- ghezza di circa quattro millimetri, per modo che le pinnule basali di due penne terziarie e consecutive dello stesso lato vanno a toccarsi; la loro lunghezza è variabile da 10 a 15 millimetri; i rachidi terziarii dei due lati opposti di una stessa penna secondaria nella maggior parte dei casi paiono alternare, talvolta invece son quasi opposti; essi sono esilissimi, per lo più si ripiegano ad arco verso l’esterno della fronda e portano pinnule in numero generalmente di nove ma che può salire fino a 13: le pinnule o si toccano o si sovrappongono o si con- fondono per la metà basale del loro lembo e pel loro margine libero appaiono intere e brevemente elittiche. Le nervature nell’ interno delle pinnule sono troppo poco discer- nibili per poterne parlare con sicurezza. A complemento della descrizione del presente esemplare dovrei ancora aggiungere che il suo rachide primario^ a meno di un centi- metro più su dal suo margine inferiore di rottura, ha 1’ apparenza di — 148 — biforcarsi, ma che un attento esame di questa supposta biforcazione (eveniente con un angolo di circa un terzo di retto) e della inserzione di pinne secondarie immediatamente al disotto del punto di biforca- zione mi hanno condotto a considerarla siccome falsa e dovuta ad una casuale sovrapposizione di un frammento di altro rachide privo di foglie al rachide dell’ esemplare fin qui studiato. 1 pochi caratteri riscontrati su questo esemplare mi avrebbero con- dotto a determinarlo siccome frammento di fronda di Pecopteris o me- glio DicJcsoniites Pluckenetii (Schloth. sp.) o Brongt. sp. secondo l’emen- damento Sterzel (Botan. Centralbl., Bd. XIII, 1883, pag. 282-87, 313-19, tav. VI e Zeitschft. d. Deutsch. Geol. Gesellschaft, Bd. XXXVIII, 1886, pag. 773-806). È nota la discussione insorta sovratutto fra lo Sterzel e lo Stur sopra la maggiore o minore autenticità di questa specie e sovra- tutto sovra la pertinenza alla antica specie come fu intesa dallo Schlot- heim e dal Brongniart dei numerosi esemplari di provenienze diversis- sime che in essa furono successivamente compresi; ciò rendeva molto più difficile ed irta di dubbi la mia determinazione la quale ho con- dotto solo dopo esame minuzioso delle descrizioni e figure delle specie affini, più o meno simili, contenute in una lunga sequela di opere spe- ciali. 1 II E ciò malgrado, sebbene io creda ora di aver dinanzi un fram- 1 Vedi: Filicites Pluckenetii Schloth., Flora der Vorwelt, 4 °., 1804, pag. 53, tav. X, fig. 19. Pecopteris Pluckenetii Schloth. sp., tab. XVI, pag. 41, in Germar, Versteine- rungen des Steinkohlengebirges von Wettin und Lòbejun im Saalkreise. Halle, folio, 1884. Sphenopteris rigida , pi. 24, fig. 2. — Sphenopteris sp., pi. 25, fig. 3, in SAUVEUB, Végstaux fossiles des terrains houillers de la Belgique (Acad. R. d. Se., lettr. et beaux-arts de Belgique. 1848, 4°). Alethopteris Pluckenetii Brongt. sp., in Geinitz, Verste-in. d. Steink. iti Sachsen. Leipzig, folio, 1855, pag. 30, taf. 33, fig. 4-5. Pecopteris pennaeformis Brongt., taf. 14, fig. 3, pag. 45, in Ettìngshausen, Die Steinkohlenflora von Padnitz in Bóhmen (Abh. d. k. k. Geol. Reichsanstalt, II Bd., 4.°, Wien, 1855). Aspidites Pluckenetii Gopp., pag. 22, in Gomes, Flora fossil do terreno car- bonifero das visinhangas do Porto, Serra do Bussaco etc. Lisboa, 1865, 4.° Aspidites Pluckenetii Goepp. ed Aspid. bifurcatus Goepp., pag. 358-59 in Goepp, — 149 — mento di fronda di Dicksoniites Pluckenetii tuttavia non posso che ammirare la riserva ed il fine acume del Bunbury il quale, studiando gli esemplari di questa specie raccolti nel museo di Torino e prove- Sy stema filicun fossilium (Suppl. voi. XVII, Nov. Act. Acad. Gaes, Leop. Garol. Nat. Cur., 4°, Breslau et Bonn) 1836. Sphenopteris irregularis Stf-rub., taf. Vili, fig. 1-4, taf. IX, fig. 1, pag. 24; Sphen. trif oliolata Artis sp., taf. IX, fig. 2-4, pag. 28 ; Sph. obtusiloba Brongt. taf. X, pag. 32; Sph. nummularia Gutb. taf. XI, pag. 35 ; Sph. rotundifolia Andr. taf. XII, pag. 37 ; Sphen. Laurenti Andr. taf. XIII, fig. 1-3, pag. 34 ; Sphen. Goldemhergii Andr., taf. XIV, pag. 43 ; Odontopteris Coemansii Andr., taf. XV, pag. 48. — in Andrae, Vorweltl. Pflanzen a. d. Steinkohlgeb. d. Preuss. Rheinlande und West- phalens, 2.ter und 3.t6rHeft, 4°, Bonn. 1866-69. Sphenopteris macilenta Lindi, et Hutt., taf. XX, fig. 9, pag. 60 e Alethopteris Pluckenetii Geinitz, pag. 80, in v. Roehl, Foss. Flora der Steinkohlen-Formation Westphalens (Palaeontographica, Bd. XVIII, Cassel, 4.°, 1868-69). Cyatheites Pluckenetii Schloth. sp. in E. Weiss, Fossile Flora der gangster Steinkohlen-Formation und des Rothliegenden, im Saar-Rhein Gebiete, pag. 67, taf. XII, fig. 4., Bonn, 4°, 1869-72. — Sphenopteris Decheni Weiss, ibidem, pag. 53, tav. Vili, fig. 2. — Cyatheites Bey richi, ibid. pag. 70, tav. Vili, fig. 1. Sphenopteris Hoeninghausi Brongt., tav. 65, fig. 2 pag. 279, in Feistmantel, Die Verstein. der Bohm Kohlenablag (Palaeontographica, Bd. 23, 1875-76, 4,°, Gassel.) - ed Alethopteris Pluckenetii Schloth. sp., ibid., pag. 295. Pecopteris Pluckenetii Schloth. sp., taf. X, fig. 6, taf* XIV, fig. 1-5; taf. XV fig. 4, pag. 34 ; e Sphenopteris nummularia Gutb., taf. I, fig, 8, taf. XIV, fig. 6, pag. 14, in Heer, Flora fossilis Helvetiae, l6te Lief. : Steinkohlen Flora. Ziirich, gr. 4°, 1876. Calymnotheca Stangeri Stur, taf. IX, (XXVI), Vili, (XXV), pag. 154; Calym- notheca Schlehani Stur, fig. 2 4, taf. XI, (XXVIII) pag. 175; Cai. Linkii Goepp. sp. taf. XII, (XXIX), fig. 2-4, pag. 163; Diplothmema dicksonioides Goepp. sp., fig, 1-5, taf. XVI, (XXXIII), pag. 142, in Stur; Die Culmflora der Ostrauer und Walden - burger Schichten (Abh. d. k. k. geol. Reiclisanstalt, Bd. Vili., 4°, 1877,. Wien). Pecopteris Pluckenetii Scblotb., pag. 61, in Grand-Eury : Mém. sur la flore carbonif. clu dep. de la Loire et du centre de la France. Paris, 4°, 1877). Pecopteris sp. ( Pecopteris abbreviata Hutton ms.), piate 18, pag. 37. — Sphe- nopteris latifolia Brongt. pag. 61, pi. 30, in Lebour ; lllustr. of fossil plants, prep. under thè supervis. of Linclley and Hutton. London 1877, 8°. Pecopteris Pluckenetii Schloth. sp. in Zeiller : Végétaux foss. du terrain houiller, op. cit. pag. 96, tav. 168, fig. 1-2. Paris, 1879. Pecopteris Pluckenetii Brongt., var. constricta e Pecopteris Pluckenetii Brongt. pag. 67, tav. 21, fig. 3-5, in Fontaine and White: The permian or upper carbo- — 150 — nienti dalla Tarantasia 1 e quelli del Col de Balme 2 seppe tanto ap- prezzare le lievi locali peculiarità degli esemplari studiati che non osò affermare recisamente la appartenenza loro ad una sola specie cono- sciuta, ma preferì una determinazione generica sospensiva, additando le specie conosciute a cui secondo le sue vedute maggiormente si ac- costavano gli esemplari che avea dinanzi, e fra queste prima la P. Pluckenetii. E che gli esemplari della specie in questione provenienti dalle località savoiarde abbiano alcunché di speciale nell’ abito loro, lo dimostrò indirettamentente lo stesso Heer coll’ attribuirne parecchi ad una nuova specie da lui appositamente creata in un genere di- verso (la Pecopteris Escheri) 3 specie che soltanto in base a nuove e più estese ricerche ebbe a ritirare. i niferous Flora of West Virginia and S. W. Pennsylvania (2 Geol. Surv. of Pennsyl- vania. Rep. of progress : PP., Harrisburg) 1880. Pecopteris ( sphenopteroides ) Pluckenetii Schoth. sp., pi. 21, fig. 6-9, pag, 124, in Renault : Cours de Botan. foss., 3me Année : Fougères. Paris, 8°, 1883. Neuropteris Smithsii Lesq., pag. 106, tav. XIII, fìg. 1. — Pseudopecopteris anceps Lesq. pag. 207, tavola 38, fig. 1-4. — Pecopteris Clarkii Lesqu. sp., pag. 261, tav. 41, fig. 10. — Pseudopecopteris Pluckenetii Schloth., pag. 199, tav. 34, fig. 7, e tav. 35, fig. 7. — Pseudopecopteris irregularis Stur, pag. 211, tav. 52, fig. 1-3, 8°, in Lesquereux: Coal flora of Pennsylvania (Second Geol. Survey of Pennsylvania, 8.°, Harrisburg, 1880, voi. I e II) - e Sphenopteris Gravenhorstii var. B., Brongt., pag. 763, tav. 101, fig. 1. — Pseudopecopteris nummularia Gutb., pag. 752, tav. 103, fig. 1-3, in Lesquereux, stessa opera voi. Ili, 1884. Diplothmema avoldense Stur, taf. XXIV, fìg. 6, pag. 345. — Diplothmema Schlo- theimi Brongt. sp., orig., taf. XXV, fig. 4, pag. 342. — Dipi. Richthofeni Stur, taf. XXV, fig. 5-7, pag. 344. — Dipi, obtusilobum Brongt. sp., taf. XXV, fìg. 8, pag. 358, taf. XXVI, fig. 1. — Dipi. BeyrichiStur, XXV, 6, fìg. 3-5. — Hapalopteris villosa Grep. sp.,tav.XLIII, fig. 4-6, pag. 40. — Hapalopteris rotundifolia Andr. sp., taf. XLIV, fig. 1-4. pag. 33. — Hapaloptheris Laurentii Andr. sp., taf. XLIV, fig. ir, pag. 37, in Stur : Die carbon. Flora der Schatzlarer Schichten (Abh. d. k. k. Geol. Reichsanst., XI Bd., lste Abth. Wien, 1885, 4°.) 1 Bunbury, On fossil plants etc. (Quart. journ, voi. V, 1849, pag. 140, n. 9. 2 Bunbury, ibid., pag, 142, n. 7. 3 Heer, On thè anthracitic plants of thè Alps (Quart. journ. of thè Geol. Soc. of London, voi. XVII, 1861.) (Mitth. der naturf. Ges., Zuricb, 2ter Band. 1857, pag. 145). i Heer, Flora fossilis Helvetiae, pag. 35. In tal modo noi vediamo comparire nel nuovo giacimento italiano una specie che oltre ad essere largamente diffusa e caratteristica nei giacimenti carboniferi superiori di tutta l’Europa occidentale e centrale e dell’ America settentrionale, non manca si può dire di contraddistin- guere alcuno dei numerosi giacimenti a piante carbonifere delle Alpi Occidentali. Selaginee — Lepidodendree. 3. — Lepidodendron Sternbergii Brongt. Una grossa piastra *di schisto grigio-nerastro raccolta alla Rocca della Gran Tempesta, oltre ad un grosso frammento di Calamites , mo- stra pure un tratto di impronta lepidodendroideà. È un ramo giovane della lunghezza di circa sei centimetri della quale però la sola parte superiore è studiabile con un po’ di sicurezza. Il ramo è spoglio delle foglie e visibilmente diviso per dicotomia, e ciascuno dei ramoscelli ri- sultanti non ha più di mezzo centimetro di larghezza ed anche meno. Son chiaramente visibili i cuscinetti lasciati a nudo dalle foglie cadute, ed hanno una forma rombica ad angoli arrotondati, ristretta ed allun- gata; sono molto sporgenti ed, a quanto mi è dato di poter osservare, la piccolissima cicatrice propria della foglia è collocata molto in alto del cuscinetto ed ha forma ro rbica allargata. I pochi caratteri che ho potuto verificare e l’ aspetto generale concordano assai colle descrizioni e colle figure date dai diversi au- tori 1 pel Lepidodendron Sternbergii Brongt,, comprendendovi come sinonimi il L . elegans Brongt., il L. Igcopodioides Sternb., il L, dicho - tomum Sternb., il L. gracile Lindi. Hutt. ed il L . crenatum Sternb. Qua e là sulla stessa faccia e sulla opposta della lastra di schisto 1 Feistmantel: Bòhm. kohl. Ablag., pag. 186-192, tav. 30-32. — Zeiller, op. cit., pag. 106-112, tav. 171-72. — Geinitz, op. cit., pag. 32-36, tav. 1-3, — Heer: Flora foss. Helv ., pag. 36-38, tav. 16 e 18. — Goeppert, op. cit., tav. 23 e 48. — Grand-Eury, op. cit., pag. 138-140. — Rohl, op. cit., pag. 125-131, tav. 7-8. — Ettingshausen, Radnitz , pag. 52-54., taf. 24-28 (passim). - Heer, Arktische Zone pag. 4, tavi 4-5 — Heer, Flora Spitzbergens , pag. 13-14, tav. 3-4. — Sauveur, op. cit. pi. 57. — Lesquereux, op. cit. pi. 62 et suiv. — Renault, op. cit., voi. 2m« pag. 8 et suiv. — 152 — reggente l’impronta paiono riconoscibili minori frammenti di ramoscelli della stessa specie con pochi e confusi cuscinetti fogliari; ma non è af- fatto prudente dare ad essi alcuna importanza. Un altro campioncino, sventuratamente troppo ridotto ma delica- tissimo, di questa specie venne raccolto poco sotto la Rocca Gran Tem- pesta : le scopersi, aprendo una lastra sulle di cui faccie opposte scor- gevansi frammenti di Calamites ; rappresenta l’estrema sommità o ger- moglio di un rametto munito di foglie; per la sua piccolezza e pel suo ancor troppo giovane stato non ci offre alcuna particolarità degna di osservazione. Una terza impronta di Lepidodendro scopersi sopra un campione di schisto raccolto sul crinale compreso tra il Colle Lavai e la Rocca Gran Tempesta ; esso mostra una striscia larga circa due centimetri e lunga sei, di superficie di fusto molto profondamente corrosa e lisciata e sulla quale, soltanto con adatto giuoco di luce, è dato di riconoscere ancor le traccie dei cuscinetti fogliari; non è possibile stabilirne preci- samente la forma ed i dettagli, impossibile quindi una determinazione specifica un po’ sicura. Per questa impronta son quindi in dubbio tra il L. Sternbergii Brongt. ed il L. Weltheimianum Sternb. Il Lepidodendron Sternbergii nei suoi numerosi sinonimi (dei quali non ho più sopra riportato che quelli che mi importavano pel presente studio) è già stato segnalato in alcune località della formazione an- tracitica delle Alpi Occidentali, sempre però abbastanza raro e in pic- coli frammenti; il Brongniart lo cita ( L . crenatum) al Col du Chardon- net, località abbastanza vicina a questa nostra, e Y Heer lo cita pure al Col du Chardonnet e in qualche altro punto; il Grand-Eury e lo Zeiller lo citano a La Mure. Il Bunbury non ebbe occasione di vederlo e intercalarlo nella sua lista. Se ritengo abbastanza accertata, e per il fossile presente e per quelli studiati dai citati autori, la presenza del L. Sternbergii nell’an- tracitifero delle Alpi Occidentali, non così posso dire del L. Welthei- mianum Sternb. che viene unicamente ricordato dal Brongniart(£. ornatis- simum Sternb.) 1 come trovato al Col du Chardonnet. L’Heer ricorda solo 1 Brongniart in E. db Beaumont (Ann. des Se. Nat., voi. 15, 1828, pag. 375; voi. 14, pag. 129). Paris, 1828. — 153 — per deferenza al Brongniart come presente al Col du Chardonnet il L. Weltheimianum Sternb. sotto il nome di L. ( Ulodendron ) elegantinsi- mum (Sternb.) ; esprime però dei dubbi in proposito e, soltanto in loca- lità assai lontane da quelle che ci interessano, ricorda senz’altro ap- pellativo specifico ma con (?) il Lepid. Weltheimianum Sternb. Il Bun- bury non ebbe a riferire di aver trovato nei materiali studiati alcuna specie di Lepidodendro. In complesso adunque pare che di specie di Lepidodendri ben ac- certate nell’antracitico o Carbonifero delle Alpi Occidentali svizzere e savoiarde non se ne sia trovata che una, il L. Sternbergii Brongt. e che questa goda relativamente di una grande estensione se non di una grande frequenza. L’altra pare invece più strettamente limitata al Carbonifero del Delfìnato che Grand-Eury e Zeiller ritengono dover sottostare im- mediatamente a quello della Tarantasia ed avere il suo estremo pro- lungamento meridionale al Col du Chardonnet. Ora la flora del crinale della Gran Tempesta che mi occupa pre- sentemente, per le specie già ricordate e per quelle che vengono in se- guito, si vede corrispondere più esattamente con quella della Tarantasia. Il crinale della Gran Tempesta, ricco di piante carbonifere, corre pa- rallelo, ad una distanza media da vertice a vertice di 8 km. e mezzo, e con direzione da N.O a S.E alla cresta Chardonnet-Buffère che costi- tuisce l’altro fianco dell’alto vallone della Clarèe e che, qua e là, porta i vegetali carboniferi del Delfìnato. Egli è quindi in questo vallone che noi abbiamo la probabilità di trovar la prova di quanto asserirono il Gras ed il Grand-Eury della presenza cioè di due piani sovrapposti di Carbonifero ad impronte comprendenti: l’uno assise superiori del Carbo- nifero medio, l’altro assise inferiori del Carbonifero superiore; svolto l’uno nel Delfìnato, l’altro nella Tarantasia e nel restante della Savoia. 4. - Lycopodium denticulatum (Gold.) Schimper, an. Lepidodendron Sternbergii Brongt? L’Ing. Mattirolo nel scendere dalla Gran Tempesta raccoglieva nel contrafforte che gli rimaneva verso Nord una piccola lastra di schisto grigio nerastro sopportante graziosissime impronte di un vegetale fo- gliato di aspetto brioide, che soltanto dopo lungo e minutissimo esame dei vegetali simili raffigurati e descritti nella assai ricca biblingrafìa carbonifera che mi trovo ad avere a disposizione, potei approssimati- vamente determinare. Tenendo la lastrella in modo che trasversalmente all’osservatore se ne trovi il maggior asse, osservasi su di essa, a partir dal margine sinistro e ad un centimetro e mezzo circa dal margine inferiore, un fustieello orizzontale munito di appendici fogliari fatte a squame allungate ed appuntite, interrotto alla sua estremità (verso la quale appunto sono dirette le punte delle foglie) dallo indicato margine sinistro e seguibile verso l’opposto per una lunghezza di soli quattro centimetri (dopo averne artificialmente messa a nudo una buona metà). Dopo si nasconde in direzione del proprio piede sotto le irregolarità della roccia schistosa, non prima però di aver dato, a circa metà del suo percorso, un ramoscello fogliato della lunghezza di circa centime- tri 4 1{2, visibile con più o meno chiarezza in tutto il suo percorso e faciente col ramo d’origine un angolo quasi retto. Un secondo ra- moscello osservasi nascere più verso l’apice del ramo orizzontale; an- ch’esso fa • col ramo d’origine un angolo minore del retto, ma, dopo breve tratto è rotto e mancante per incontro del margine sinistro della lastra. Qua e là sulla lastrella stessa osservansi altre impronte di estre- mità, coronate da ciuffetti di foglie, di simili giovanissimi ramoscelli. Non ho il minimo dubbio che questa impronta appartenga a pianta della famiglia delle Licopodiacee ; per contro sono stato lungo tempo in- certo se l'avessi a collocare fra le erbacee col genere Lycopodites o Lycopodium, o fra le arboree col genere Lepidodendron. La forma delle foglioline del ramo orizzontale, le dimensioni misurate nelle mi- gliori di esse in 10 mm. di lunghezza ed oltre 1 di larghezza alla base, la presenza in esse di una costolina longitudinale mediana e di traccie di ondulazioni marginali al lembo, il poco sviluppo trasversale visibile dell’asse orizzontale stesso che le sopporta, ed il modo di inserzione dei ramoscelli ascendenti mi avrebbero indotto a considerare l’intiero fossile come un Lycopodites ; mentre la forma delle foglioline più sottili, allungate ed aguzze del miglior ramo ascendente, lo sviluppo trasver- sale dell’asse di esso, raggiungente in certi punti fin tre millimetri, e certe parvenze qua e là travedute sul suo percorso, che possono venir interpretate quali impronte di foglie precedentemente cadute, (senza esclu- dere ezia- dio un’altra interpretazione che le farebbe somigliare a traccie — 155 di sporangi quali si osservano nel Lycopodium leptostachys Goliemberg) potrebbero portare a concludere trattarsi di estrei i e giovanissimi rami di un Lepido dendron. A questa ultima conclusione potrebbe ancora dare appoggio la com- parazione con numerosissime simili impronte figurate e descritte in clas- siche opere di fitopaleontologia carbonifera 1 e l’aver constatato che la 1 Vedi per la comparazione iconografica: Lycopodites denticulatus Goldemb. in Goldemberg, Fiora Saraep. foss ., 1885, pag. Il, tav. 1, fìg. 1. — Lycop. elongatus , primaevus, leptostachys e macrophyllus Goldbg., stessa opera, stessa pag. e seg. stessa tav. — Lycopodium denticulatum, primàevum, macrophyllum e leptostachys Gold, e L. Gutbieri, Goepp. in Schimper, Traité de Pai. veg., voi. II, pag. 8-10, tav. 57. — Lepidodendron SternberyiBrongt. a pag. 18, tav. 58 ; Lepidodendron Welthei- mianum Sternb., tav. 59, fig. 6, pag. 30, in Schimper, opera citata. — Lycopodites Mattewi Daws., in Da WSON, Thefossil plants of thè decori, and upp. silur. format, of Canada, 1871, pag. 35, tav. Vili, fig. 85-87. — Lycopodium primaeoum e macrophyl- lum etc. Goldembg. in Renault, Cours de Botan. foss. vol.2, p. 74-B, tav. 12, fig.9-10. — Selaginites Erdmanni Germ. in Germar, W ettin und Lóbejun pag. 60, tav. 26. — Lycopodites selaginoides e lycopodioides Sternb. e Lepidodendron dichotomum, in Feistm., Verstein. d. Bòhm. Kohlenablag. 1875, pag. 182-186, tav. 30-32. — Lepi- dodendron obovatum Sternb. tav. V, fig. 2; tav. VI, fìg. 1, pag. 129 ; Lycopodites selaginoides Sternb. tav. VI, fìg. 3, pag. 144; Lepidodendron dilatatum Lindi, e Hutt. tav. X, fig. 9, pag. 134. — Lepid. dichotomum Sternb. tav. XI, fig. 2, pag. 125, in v. Roehl, Foss. Flora Steink. Form.Westph., 1868. — Lepid. crassifolium Ett., taf. 21, fìg. 4-5, pag. 55; Lepid. Haidingeri Ett., tav 22-23, pag. 55; Lepid. brecifolium Ett. tav. 24, fig. 4-5, pag. 53, tav. 25, tav. 26, fig. 3 ; Lepid. Sternbergii Lindi, e Hutt. tav. 26, fig. 1-2, tav. 27 e tav. 28, pag. 54, in ETTINGSHAUSEN, Steinkohlen Flora con Radnitz , 1851. — Lepid. SternbergiiBrongt., p. 11, tav. 3, fig 1-20; Lepid. selaginoides Sternb., pag. 14, tav. 3, fig. 21 ; Lycopod. filformis Heer, pag. 11, tav. 3, fig. 23-25, in Heer ,Beitr. zurfoss. Flora Spitzbergens, 1877. — Lepid. weltheimianum Sternb., tav. 4, fig. 6 p. 4, in Heer, Beitr. zur Steinkohlenflora der arktischenZone. — Lepid. Stern- bergii Brongt. pag. 37, tav. 18, fig. 5, in Heer, Flora foss. Helcetiae, fase. 1, 1876. — Lepid. lycopodioides Sternb. pag. Ili, tav. 171, in Zeiller, Végét. foss. du terr. houiller 1879. — Lepidod. Weltheimianum Stur, pag. 271-282, tav. 19 (36) fig. 9-9a, in STUR, Culmflora d.Ostr.uWoldenburg. Schichten, 1877. — Sagenaria acuminata Goepp. pag. 185, tav. 43, fig. 3, tav. 43, fìg. 9-10 e tav. 23 fig. 4; Sagenaria Weltheimiana Presi., pag. 180, tav. 23, fig. 1-3; Sagenaria crassifolia Goepp., pag. 186, tav. 43, fig. 2-3; Lycopodites Stiehlerianus Goepp., pag. 170, tav. 25, fig. 1-5, in Goeppert, Foss. Flora derUebergangsgeb. 1852. — Lycopod. Gutbieri Goepp.; Lycop. selaginoides Sternb.; Selaginites Erdmannii Gei m., in Geinitz, Verstein. d. — 156 — maggior parte di quelle che prima vennero descritte e corsero sotto i nomi di Lycopodites e di Selaginites vennero in breve meglio riconosciute e comprese fra i lepidodendri e particolarmente nella specie Lepido - dendron Sternbergi già altrimenti riconosciuto nel giacimento che pre- sentemente mi occupa. Non tutte però le antiche specie di Licopodites e Selaginites hanno subita la sorte indicata; parecchie, anche dinanzi ai tempi e a studi più accurati ed esatti, hanno resistito e dimostrato appartenere indubbia- mente alle umili specie erbacee di Licopodiacee che ricordar, o quelle attualmente viventi. Anche il numero loro è andato in questi ultimi tempi lentamente ma gradatamente aumentandosi in modo particolare colle nuove specie americane. In conclusione, pur dovendo fare qualche debole riserva in favore delle Lepidodendree e delle specie di esse: L. Sternbergii Brongt., e L. Weltheimianum Sternb., io sono oggidì molto più propenso a riferire il fossile che presentemente mi occupa alle Licopodiacee erbacee. Fra le specie poi che già sono conosciute, escludendo quelle a foglie dimorfe, parmi che il fossile in questione si accosti, per le ra- gioni precedentemente dette, sovratutto alla specie dal Goldemberg de- scritta sotto il nome di Lycopodium dentieulatum alla quale per il momento la riferisco. Il Lycopodium dentieulatum è stato rinvenuto finora a Saarbruck soltanto, e delle altre specie conosciute di Licopodii gran parte proviene pure da quei giacimenti. Alcune si rinvennero nei giacimenti carboniferi della Sassonia e parecchie furono scoperte da pochi anni nella Pen- silvania. Nessuna era stata fin qui segnalata nei giacimenti a piante fossili della Savoia, del Delfìnato o di altra parte del giro delle Alpi Steink. Form.v.Sachsen, pag. 32-33, tav. I, fig. resp. 1, 2-4, 5-6, 1855. — Lycopodites Mee&u Lesq. tav. 62, fig. 1; Lycop, pendulus Lesqx.tav. 62, fig. 2; Lepido dendronWelt~ heimianum Sternb. tav. 62, fig. 8-8a, pag. resp. 357-363, 374-376, in LeSQUEREUX Coal fi. of Pennsylvania , 1880. — Lepid. Brittsii, lanceolatum, scutulatum Lesq. fig. 1-6, tav. t3, pag. 368-69, e Pachypteris gracillima tav. 75, fig. 10, pag. 308 in LE- SQUEREUX stessa opera. — Lycop. arborescens, simplex, Jìexifolius Lesq. tav. 106, pag. 778-779 nella stessa opera, voi. 3. 1884. -- Lycopod. Jalcifolius Heer, pag. 8, fig. 3. e Lepidod. Weltheimianum Sternb. pag. 7, fig. 2, in Heer, JJrwelt der Schweiz. Zùrich, 1865. — 157 — (se se ne eccettua la Lycop. faleifolius di Heer che i recenti autori vo- gliono piuttosto considerare come una Walchia) malgrado gli studi seguitisi per opera di numerosi ed eminenti autori dal 1807 al dì d’oggi, potendosi considerare come di ieri la lista data dall’Haug delle piante scoperte nel Carbonifero del dipartimento francese delle Basse Alpi b Egli è dunque relativamente abbastanza notevole il rinvenire nel nuovo giacimento italiano questa umile pianta che trova i suoi corrispondenti sovratutto nel bacino di Saarbruck e nella lontana Pensilvania. 5. — Lepìdophyllum irilineatum Heer. Fra i campioni raccolti assieme al precedente osservai una por- zione di circa 2 centimetri di lunghezza d’impronta di fogliolina allun- gata e lineare; riuscii a seguirla e scavarla di sotto lo schisto e ad averla visibile per oltre 50 mm. di lunghezza. Il materiale del fossile è in parte il solito minerale di Petis-Coeur che spicca colla sua tinta ar- gentina sul fondo cupo della roccia. Il fossile era una foglia cuoiosa considerevolmente lunga, larga un po’ più di 3 mm., colla estremità distale (quella che riescii a scoprire) brevemente ellittica; la foglia è percorsa nella sua lunghezza da una sentita carena mediana e da due leggerissime carene laterali più ravvicinate al margine che alla carena mediana. Questa fogliolina concorda tanto bene colla descrizione e fi- gure del L. irilineatum data dall’ Heer ( Flora fossilis Helvetiae, pag. 39, tav. 17, fig. 7-7-B), che non ho dubbio di riferirla a quella specie la quale, fìn’ora limitata ai dintorni di Chamounix, discenderebbe, colla prova di questo esemplare, fino a dar la mano ai giacimenti antraciti- feri del Delfinato, dove verrebbe sostituita dal C. lineare Brongt. 6. — Lepìdophyllum majus Brongt. Sul rovescio della stessa lasti ella mostrante la specie di cui sopra, trovai porzione di impronta di un Lepidofillo dilatato del tipo usuale dei giacimenti lontani dalle Alpi1 2. L’ impronta, benché assai spiccante 1 E. Haug, La géologie des chaines subalpi nes comprises elitre Gap et Digne. (Comptes rend. de l’Acad. des Se. de Paris, voi. 108, n. 11, pag. 485, Paris 1889). 2 L’unica località fossilifera dell’antracitico delle Alpi Occidentali che avesse 12 158 — pel suo colore, non presenta però sufficienti dettagli conservati ed osservabili per una sicura determinazione specifica quindi dopo aver cercato di compararla con parecchie delle specie già conosciute, * 1 ho dovuto limitarmi ad attribuirla dubitativamente al L. majus di Brongniart. Se la mia determinazione è esatta noi avremmo qui soltanto la seconda fra le parecchie località alpine a piante carbonifere che ci offrisse dei Le- pidofilli a lembo dilatato associati a quelli di lembo lineare, non potendosi ancora considerare il L. anceps Heer di Petit-Coeur come un Lepidofillo a lembo dilatato, tutto al più come un intermediario fra l’uno e l’altro tipo» 7. — Distrigophyllum bicarinatum (Lindi sp.) Heer? Sopra una lastrellina di schisto nerastro raccolta assieme alla precedente, e della quale avrò in seguito a parlare a proposito dei Calamocladus , ravvisai, frapposti ed intrecciati a molte foglioline di Asterophyllites o Calamocladus longifolius , anche due frammenti di fo- gboline larghe 2 mm., a bordi paralleli, per i 23 mm. di lunghezza che mostra il più conservato di essi, e segnate nel lembo da due nervature parallele fra loro ed ai bordi. Per la parte visibile queste due foglie paiono corrispondere abbastanza bene alla descrizione ed alle figure che dà l’Heer del Distri goph[/llum bicarinatum nella Flora fossilis Helvetiae , pag. 39, tav. 17, fìg. 10 ; confuti ooiò nemmeno vorrei esclu- dere il dubbio si trattasse di frammenti di foglie di Calamocladus uguali a quelli che con essi si intrecciano, ma meno ben conservati od alterati nei loro dettagli. finora conservati lepidofilli a lembo dilatato del tipo del L. majus Brgt. è quello del Piccolo S. Bernardo nella quale appunto la riconobbi dieci anni or sono. Vedi mia nota in: Baretti, Studi geologici sulle Alpi Graie settentrionali, ser. 3, voi. 3, delle Mem. d. Cl. d. Se. fis. mat. e nat. d. R. Acc. dei Lincei, 6 aprile 1879, a pag. 83-84 della Memoria. 1 Per le descrizioni e figure, vedi : Geinitz, Verstein. d. Steinkohl. Form, con Sachsen , pag. 32-37, tav. 2, fig. 1-9. — Lesquereux, Goal flora of Pennsylvania tav. 68, fig. 4-5, tav. 69, 'fig. 1-4.1, pag. 447- 451.— Heer, Flora foss. Helcetiaeì tav. 17 fig. 1-9, tav. 18, fig. 7, pag. 38-39.— Roehl, Foss. Flora der Steinkohl. Form.Westph. pag. 140-14 1-150, tav. 28, fig. 7. — FeistmAntel, Verstein. der Boehm. Kolilen- ablag ., tav. 49, fig. 2-3, pag. 215-219, tav. 42, fig. 1-7. — Corda, Floia Pro- t jgaeay 1867, pag. 17-20, tav. 4, fig. 1-2. — 159 — Calamariee — A) Fusti. 8. — Calamites Succoviì (Brongt. ex p.) Stur emend. Questa specie s’incontra nei nuovi giacimenti abbastanza frequente ed in frammenti assai vistosi. Ne ho dinanzi tre piccoli pezzetti rac- colti nello intaglio del colle Valmeinier; altro del colle Lavai, ove s’in- contra colla specie seguente; un grosso frammento della lunghezza di centimetri 29 raccolto alla Rocca della Gran Tempesta; un frammento lungo centimetri 14 rappresentante impronta ad internodii mólto rav- vicinati, e del diametro di circa 10 centimetri, fu raccolto scendendo da quella Rocca al vallone e lago Lavora o Lovera. Altro della stessa località, ad internodii più sviluppati in lunghezza, è conservato allo stato di impronta per 20 centimetri ; infine una porzione di fusto isolato e compresso, ancora di questa località, non ha che 9 centimetri di lun- ghezza mostrando due internodii. La maggior parte degli avanzi sopra ricordati è in istato di con- servazione tale da permettermi di distinguere con sufficiente agevolezza: lunghezza degli internodii oscillante nei diversi esemplari fra 3 e 7 centimetri, dimensione trasversale delle coste generalmente di 2 mm. o poco oltre, presenza dei tubercoli radicinali alla sommità di ciascuna e, in qualche punto, di tubercoli fogliari alla base delle costole stesse. La dimensione trasversale dei fusti non è considerevole. Il più sviluppato, quello raccolto erratico al Lago Lavora aveva, compresso, non più di 9 centimetri di diametro, mentre quello isolato della stessa località non ne misura che 7, ed altrettanti ne misura nella sua estre- mità prossimale, quello della Rocca Gran Tempesta. Dopo lo stupendo studio fatto sulle caiamiti dallo Stur 1 io non 1 Vedi Stur, Culmflora der Ostrauer und Waldenburger Schìchten, pag. 1-119, tav. I-VII. ; e Stur, Culmflora des Màhrisch-schlesischen Dackschiefers, pag. 2-18, tav. I-V, entrambe in Abh. d. k. k. geol. Reichsanst., Vili Bd., 1875-77. — Stur, Carbonflora der Schatzlarer Schichten. 2*e Abth.: Calamarieen ; nel voi. XI (2*e Heft.) dello stesso periodico, pag. 1-235, con zincotipie, tav. 1-26, Wien 1887. Vedi inoltre : Saporta, Flore carbonif. du dep. de la Loire,-p'àg. 11-53, tav. 1-6. Feistmantel, Verstein. d. Boehm. Kohlenablag., pag. 95-137, tav. I-XIX. Renault, Cours de Botan. foss., voi. 2, pag. 157-167, tav. 23-24, ecc. — 160 — posso più avere alcuna esitazione ad attribuire gli avanzi sovra ricor- dati alla C. Succovii ed a riconoscere di aver dinanzi un avanzo di una porzione sotterranea di fusto, (la più grossa impronta a internodii raccorciati trovata al Lago Lavora) e parecchi avanzi di fusto aereo, (tutti gli altri indicati). Tutti i frammenti di fusto aereo che ho dinanzi paion provenire da regione non contigua ai cicli di inserzione di rami; e molto proba- bilmente provengono tutti da periodi primi o basali del fusto stesso. A parte l’inserzione di rami o nuovi fusti, essi presentano la maggiore analogia coi frammenti disegnati dal Feistmantel (op. cit., tav. 2-3-4) e provenienti da Nùrschau, Schwadowitz, Hyskow e Waldenburg, sia nelle dimensioni del fusto, come nella lunghezza degli internodii, come nella forma e sviluppo delle coste e dei tubercoli radicinali e fogliari. La Calamites Succovii (fusti) è una delle più anticamente conosciute nei giacimenti antracitiferi alpini. La indicarono il Brongniart, il Gras e l’Heer al Puy Richard presso Briangon ed al Colle del Chardonnet; quindi in località vicinissime a quelle d’onde provengono questi nuovi esemplari e prospettanti ad esse dal versante opposto dell’alto vallone della Clarea o di Lavai ; niente di più naturale adunque che di trovare in tali nuove e vecchie località fossilifere, spettanti ad un unico giacimento, le stesse specie. I fusti della Calamites Succovii non vennero riscontrati finora cogli altri vegetali fossili del vallone Serre il quale ci ha fornito invece felci, come già vedemmo e, come vedremo, ramoscelli, foglie e spighe di cala- miti: ciò probabilmente dobbiamo attribuire al fatto che il complesso Heer, Flora fossìlis Helvetiae, pag. 44-53, tav. 18-21. — TJrwelt der Schweiz, pag. 8-10. Roehl, Foss. Flora der Steink. Form. Westhph., pag. 7-33, tav. I-IV. / Weiss, Foss. Flora d.jiingst. SteinJcohlform. im Saar-Rhein-Geb., pag. 103-140, tav. XII-XIV. Ettingshausen, Steinkohlenflora voti Stradonitz, pag. 5-8, tav. Y-YI. ETTJNGSHAUSEN, Steinkohlenflora von Radnitz, pag. 24-31, tav. I-XII. Feistmantel, Flora of thè Damuda and Panchet divisions, pag. 58-74, tav. 1-14, in Fossil flora of thè Gondwana System, PalaeontoJogia Indica, 8ez. II, XI, XII, voi. Ili, Calcutta, 1880. della flora dei vallone Serre, come anche del vallone Lavora, pare avvi- cinarsi più al complesso della flora della Tarantasia e quindi essere come già accennarono il Saporta, lo Zeiller, il Gras (quest’ ultimo in senso inverso) un tantino superiore alla flora del Delfìnato, rappresentata in Italia dalle località fossilifere deìi’alto del crinale, da poco sotto il Colle Valmeinier alla Rocca Gran Tempesta. 9. — Calamites Cistii Brongt. Altrettanto frequente della precedente trovasi nelle nuove località a fossili la Calamites Cistii. Ne ho dinanzi un piccolo frammento dal Co-Ile Valmeinier, una porzione lunga 6 centimetri di fusto isolabile e mo- strante un internodio dal Colle Lavai, altra porzione di due o tre centi- metri di piccolo fusto o ramo attraversante obliquamente una spessa lamina di schisto dalla Rocca della Gran Tempesta e tre porzioni di fusto, la più lunga delle quali di 8 centimetri di lunghezza, e ciascuna mostrante almeno due internodii sebbene incompleti, raccolte scendendo dalla Rocca Gran Tempesta alla direzione del Lago Lavora nel contrafforte di Nord. Il frammento più bello, fra quelli attribuiti a questa specie, che mi stia dinanzi misura, completamente schiacciato ed appiattito, 4 o 5 cen- timetri di diametro trasversale; quello isolabile doveva forse raggiungere i 5 centim. La distanza da una sutura o diaframma alla successiva è misurabile sull’unico esemplare che mostri più o men complete le traccie di tre internodii e la potei constatare di 57 mm.; le costolature son molto fini e salienti; ne contai 8 nella larghezza di un centimetro, alla base di ciascuna potei ravvisare ben distinte le traccie di inserzione fogliare. E per le dimensioni generali e parziali indicate, e per la natura e forma dei dettagli pure indicati, i frammenti in questione possono con sufficiente sicurezza venir attribuiti alla Calamites Cistii Brongt. È questa specie, per ciò che risulta dai lavori dello Stur *, propria e caratte- ristica dei giacimenti antraciferi delle Alpi Occidentali e della Pensil- vania, e l’Heer, il Brongniàrt, il Gras ed il Saporta la indicano tutti 1 Vedi l’opera citata dello Stur, Calamarieen der Carbonflora der Schatzla- rer Schichten, pag. 147 e 148, e Lesquereux, Coal flora of Pennsylvania , pag. 27, tav. 1, fig. 6, e gli altri lavori indicati per le caiamiti in generale come propria piuttosto del piano inferiore ad impronte delle Alpi stesse, quello che ha maggior sviluppo nel Delfinato e minore nella Tarantasia. Anche al Colle dii Chardonnet troviamo questa specie associata alla precedente, così come l’ho ora indicata al Colle Valmeinier. 10. — Calamites ramosus Artis. Nella discesa dalla Gran Tempesta al Lago Lavora V ingegnere Mattirolo raccoglieva, nel versante di Nord, un campione che, spaccato, lasciò isolare un frammento lungo dodici centimetri del quale ho dinanzi inoltre porzione delle due opposte impronte sulla roccia. Questo fram- mento è tutto compreso in un solo internodio che doveva avere assai maggior lunghezza non vedendc si su di esso traccia alcuna di suture. È marcato da costolature larghe e piatte ed a margini . molto marcati separate da solchi pur larghi e poco profondi. In due centimetri stanno sette costole ed altrettanti solchi intermedii. L’andamento delle costole non è più quasi esattamente rettilineo come pei campioni delle due specie precedenti, bensì finamente undulato. Non posso dare il diametro assoluto del fusto questo essendo smarginato e ridotto alla larghezza di sei centimetri, tuttavia non pare che il diametro stesso del fusto appiattito dovesse essere di molto più grande. Nessuna delle specie fin qui conosciute deU’antracifero alpino pre- senta i pochi caratteri che ho potuto verificare su questo frammento. Assai gr andi trovai invece le sue analogie colle caiamiti figurate sotto i nomi di C. Artisii e C. ramosus (a parte la mancanza di rami con- tigui, di cui parlerò in seguito) dal Sauveur 1 e con quelle descritte e figurate dallo Stur2; e per deformazioni avvenute sudi una faccia del fusto» non manca neppure l’illusione di traccia della inserzione di rami sul frammento che mi sta dinanzi. Col C. ramosus Artis quale è stato rico- strutto dallo Stur concorda l’esemplare in questione per tutti i dettagli che può presentare, quali: larghezza, forma e percorso delle costolature e dei solchi e grandezza del fusto. Il G. ramosus , frequente negli strati carboniferi di Schatzlar, non era, come già ho detto, finora stato trovato nei giacimenti delle Alpi Occi- 1 Sauveur, op. cit, tav. VII-X. 2 Stur, Schatzlar. Calainar. pag. 96-116, tav. XII-XIV, fig. test. 29-31. — 163 dentali: malgrado la diffidenza ispiratami da questa novità e dall’essere essa sfuggita a tanti arguti osservatori che mi precedettero, non ho tuttavia quasi dubbii in proposito, essendo stato in altra guisa condotto a sospettarne la presenza dal rinvenimento di traccie di rami. B) Rami, ramoscelli, foglie, spighe e radici. 11. — Colamocladus , Asierhophyllites , Wolkmannia , Bruckmannia , Pinnularia etc. Gli organi appendicolari del fusto delle Caiamiti si incontrano con sufficiente frequenza ed abbondanza nei varii punti fossiliferi che a proposito di altri esemplari son venuto fin qui menzionando. Così, una piastrella raccolta al Colle Lavai mostra un intreccio di foglie e radici acquatiche decomposte. Le grandi piastre fossilifere della Rocca Gran Tempesta ne mo- strano parecchie traccie più o meno chiare ed il crinale compreso tra il Colle e la Rocca or nominati ha fornita una porzione di ramo della lunghezza di 8 centimetri, avente diametro trasversale di 2 centimetri, mostrante coste ben definite, assai sottili e marcate, rettilinee, in numero di 8 nello spazio di un centimetro e che nonostante la lunghezza degli internodii (tutta la lunghezza del frammento essendo compresa in un solo internodio) può venire, con appoggio di esempi conosciuti, ritenuto come ramo di Calamites Cistii. Da quello stesso crinale a poca distanza dalla Rocca Gran Tempesta (altitudine 2963 metri) proviene una piastrella mostrante porzione pro- fondamente alterata di una Asterofillite (A. longifolius) lunga 8 centi- metri, il di cui stelo è circondato e mascherato da assai grandi e lunghe foglie spiccantisi con angolo acutissimo dallo stelo stesso. Sovra la stessa faccia la lastra presenta pure altre impronte ab- bastanza confuse di ramoscelli che, con molta attenzione e buona volontà potrebbero venir considerati come sfenofìlli o ramoscelli ete- romorfi; ma stimo, per la incertezza loro, dovuta al troppo avanzato de- terioramento, più opportuno il non darvi troppa importanza. Sovratutto nella discesa dalla Rocca Gran Tempesta al Lago Lavora si raccolsero (erratiche) sul contrafforte di Nord e sul margine del lago numerose porzioni più o meno considerevoli degli organi in questione. Una placca ha fornito due rami di lunghezza, diametro e altezza d’inserzione - 164 — sul fusto, diverse ; il più grande, rappresentato da impronta e contrimpronta con un diametro trasversale di 13 mm. è visibile per 10 cent, di lun- ghezza. Nella larghezza indicata si contano 9 coste relativamente piatte e ad andamento un pò sinuoso. Presenta una sola linea di sutura e quindi noi abbiam dinanzi porzione di due internodii contigui. Pei suoi caratteri concorda con il Calamites ramosus Artis di cui già ricordai il fusto e di cui rappresenta un primo ramo. Il minor ramo, ancor rappresen- tato da impronta e controimpronta, con un diametro trasversale (fusto completamente appiattito) di un centimetro appena, è visibile per 6 cen- tin^tri di lunghezza. Presenta 9 costole leggermente sinuose, assai sa- lienti, limitate da solchi di divisione finissime e marcate sul vertice di lòr carena da una linea (talor più) incavata, finissima. Tutta la lun- ghezza di questo frammento è compresa da un solo internodio senza traccia di suture intermedie. Anche questo deve esser stata porzione di ramo di Calamites ramosus , però o più vicino alla estremità del ramo stesso o spettante ad un più elevato ordine di ramoscelli. E ne- manco non si potrebbe assolutamente, per mancanza di dati ulteriori e per parziale somiglianza di forma ed ornamentazione delle costole, escludere la pertinenza sua al C. Cistii. Sopra la stessa piastra trovai numerose foglie di Caiamiti (Aste- rophyllites longifolius Brongt.) lineari, di larghezza variabile per le di- verse foglie fra 2 e 3 (talor 4 millimetri), a margini decisamente pa- ralleli e col lembo segnato per lo lungo da parecchi nervi paralleli di inegual forza. Una di queste foglie è visibile, senza terminazione nè distale nè prossimale, per oltre 6 centimetri. Uno stelo di Asterofillite sullo stesso esemplare, visibile per oltre 4 centimetri, del diametro di 5 millimetri, mostra 9 costoline calami- toidee delicatissime ed una (forse due) linee di sutura. Un’ altra maggior piastra di schisto raccolta nello stesso punto ha tutte le sue faccie e tutta la sua massa gremite ed attraversate da simili foglie, a cui si aggiungono parecchie traccie più o meno confuse che interpreto secondo lo Stur *, siccome radici acquee che dopo morte 1 Stur, Calamarien der Schatzlarer Schichten , pag. 1-3, tav. Ili, fig. 3 4 tav. VI e VII. 0 staccate abbiano a lungo soggiornato nell’acqua e vi si sieno profon- damente alterate. Altra piastrella dello stesso punto fossilifero, che già ricordai fra 1 campioni della Caìamites Cistii , mostra accanto allo esemplare una porzione basale di foglia di Asterofillite lunga almeno 8 centimetri e, sulla faccia opposta; accanto a frammenti di Distrigophyllum e di Bruek- mannia , un intreccio di altre numerosissime simili foglie e di radici acquatiche e sottili steli lungamente macerati le quali non offrono ulteriori dettagli dagli esemplari precedentemente enumerati Finalmente dal vallone Serre abbiamo di nuovo su due o tre la- strelle la stessa associazione: porzioni di foglie di Caìamites o spighe più o meno chiare di Bruckmannia (o Wolkmannia). Per dire poi due parole a proposito di questi ultimi organismi accennerò come io creda averne riconosciuti due o tre sopra il rove- scio di una placca ripetutamente menzionata, mostrante sul recto un frammento di Caìamites Cistii e foglia di Caìamites , e sul verso im- pronte di Distrigophyllum e di radici acquatiche e foglie di Caiamiti, raccolta nella discesa dalla Rocca Gran Tempesta al Lago Lavora. Altra spiga avrei trovato aprendo una seconda lastra raccolta nella stessa località della precedente e che mostra pure due fusti, di cui uno escoriato, di Caìamites Cistii ed un giovanissimo germoglio apicale di ramo di Lepidodendro. Traccie di altre quattro spighe di diversa mole trovai raggruppate su di una terza lastra raccolta assieme alle precedenti e già prima menzio- nata come quella che aperta mostrò due porzioni di rami di Caìamites ramosus. Anche sulla lastra precedentemente menzionata come raccolta sul clinale dal Colle Lavai alla Rocca Gran Tempesta e mostrante una grossa porzione di Asterofillite le di cui foglie nascondono lo stelo, parmi aver intraviste le traccie di due piccole spighe. Infine due lastrelle raccolte nel vallone Serre ne mostrano traccie; sudi una avremmo l’impronta, conservata per 7 centimetri di lunghezza, di una grossa spiga assai più lunga ed a diametro trasversale di oltre un centimetro; sulla seconda avremmo impronta e contro impronta di spica lunga 4 centimetri, benché non terminata alla estremità e del diametro di 6 millimetri o oltre a traccie più o meno confuse di altre. Malgrado ripetuti studii e confronti colla scorta della più adatta e nuova letteratura 1 non mi è stato possibile di stabilire in propositi a questi preziosissimi organi nulla di positivo, nemanco di accertarmi con sicurezza di aver piuttosto spighe del tipo Briickmannia o del tipo Wolkmannia, secondo la recente classificazione dello Stur ( Culmflora der Ostr. und Waldenb. Schichten , pag. 37 e seg.). In nna sola parrai intravvedere traccie degli sporangi o dei ricettacoli ed in quelle del vallone Serre che son le meglio conservate si scorgono le appendici fogliari ancor chiuse che ricoprono tutte le parti essenziali. Egli è quindi soltanto in modo grossolano che io trovo somiglianze fra i miei fossili e le spighe o pannocchie riportate dal Lesquereux : Coalflora of Pennsyl- vania, tav. 3, fìg. 18-19, e (a parte le dimensioni) fig. 17; dallo Stur: Calamarien v. Schatzlar», tav. VII, fig. 4; dal Saporta: Flore carbonif. du Dep. Loire , tav. vi, fig. 7-8, per non accennarne che alcune. La grande foresta carbonifera comprendente i punti abbastanza vicini fra loro da cui furono raccolti i fossili menzionati era abitata almeno da tre specie di caiamiti le quali hanno, oltreché dei loro fusti, lasciate traccie dei loro rami, delle lor foglie e delle loro spighe frutti- ficanti. È strano soltanto che mentre si riscontrano molto frequenti le traccie dei rami omomorfi aerei ( Asterophyllites ) mancano fin qui nei giacimenti al di qua della frontiera totalmente le traccie dei rami omomorfi acquatici (Annularia) e di rami eteromorfi (Sphenophyllum). In base a questa mancanza tutte le spighe fruttificanti ritrovate assieme ai rami dovrebbero venir ritenute come Bruckrnannie. I rami stessi riferirei quasi tutti al Calamites ramosus il quale con ciò deve venir considerato come il più frequente ed il più abbon- dante fra le tre specie carbonifere del nuovo giacimento italiano. A tale specie spetterebbero eziandio tutte le foglie e le radici acquatiche fin qui rinvenute, ad essa dovrebbero quindi con maggior probabilità venir riferite tutte le Bruckmannie segnalate. 1 Vedi le opere e memorie indicate a proposito delle Galamariee e particolar- mente : le tre di Stur ; i capitoli Spenophyllum, Asterophyllites, Annularia e Calamariee del voi. del Renault; l’opera del Saporta, e E. W. Rinney, Observations ofthe structure of fossil plants found in thè carbonif erous strafa. Parte I, Calamites and Calamoden - dron, pag. 1-32, tav. I-VI., London, Palaeontographical Society, 1868. - 167 — Il Calam.ites ramosus , da quanto abbiamo veduto, farebbe in questo i punto maggiore sfoggio di rami omomorfì aerei mentre nel Carbonifero ì degli strati di Schatzlar sarebbe stato più abbondantemente provveduto di rami omomorfì acquatici e di rami eteromorfi. Con ciò rimane però sempre poco spiegabile il fatto della presenza di questa specie nel nuovo giacimento fossilifero italiano, quando essa | non è stata ancor segnalata in nessuna delle località fossilifere dimo- , stranti il prolungamanto dello stesso giacimento fossilifero e nel Del- ; finato e nella Tarantasia. GlMNOSPERME. — CORDAITEE. 12. — Cordaites ( Eu-cordaites ) borassifolius Sternb. sp. Fra i campioni raccolti alla Rocca della Gran Tempesta havvi una I lastra di schisto nerastro dalla quale potei escavare un frammento di | impronta fogliare lungo 28 centimetri e della larghezza media di 30 milli- I metri. La porzione di foglia conservata ci mostra che essa era dotata di margini quasi rettilinei lentamente convergenti verso la sommità, tan- toché nella lunghezza del frammento da 35 mm. di larghezza verso la ! base si arriva verso la sommità ad una larghezza di soli 22 mm. La [superficie della foglia è distinta da una quantità di nervature parallele |(o quasi) fra loro ed ai margini esterni e, trasversalmente, da una unica riga o sutura (vera o falsa che sia) che ne interessa tutta la larghezza senza cagionarne alcuna diminuzione e che si ritrova a 10 centimetri dal margine basale di rottura e a 18 centimetri dallo apicale. Le nervature longitudinali sono diseguali per forza, altre son più salienti, altre più sottili; fra due nervature più salienti consecutive se ne contano in media quattro (talor 2 soltanto) sottili e in media, dalla metà di una nervatura saliente a metà larghezza della consecutiva, de- corrono da uno a due millimetri. Questa foglia non potrebbe, per i suoi or menzionati dettagli, venir altrimenti determinata che come una Cordaites (Eu-eordaites) borassifolius Sternb. sp. b 1 Vedi per le comparazioni : Heer, Flora foss . Help. pag. 54-57, tav. I, fig. 12-18, tav. XVII, fig. 12-21. Goeppert, Foss. Flora Uebergangsgeb.yag. 216-220, tav. 15-16, 4L — 168 — Il solo dubbio mi sarebbe stato cagionato da quella sutura o pseu- dosutura di cui ho fatta menzione più in alto e della quale trovo un altro esempio in una foglia dell’esemplare di Cordaìtes palmaeformis (Noeggerathiapalmaeformis) figurato dal Goeppert (op. cit. tav. XV). Però l’esame di un accidente di fossilizzazione che si osserva in una foglia di C.validus Lx. disegnata dal Lesquereux (op. cit., tav. 76, fig. 1) e che pro- duce, benché più irregolare e riconoscibile, una apparenza simile, m’in- duce a ritenere come dovuta ad accidente posteriore l’apparenza di sutura incontrata tanto sul fossile che ho dinanzi che sull’esemplare citato di Goeppert. Secondo l’Heer, il Cordaìtes borassifolius è frequentissimo in tutta la regione antracitifera alpina e viene segnalato in località vicinissime alla nostra, non però al Col du Chardonnet.. Collo averlo ritrovato alla GranTempesta vien tolta di mezzo anche questa apparenza di anomalia. 13. — Cordaìtes (Po a- cordaìtes) sp. \Poa~cordaites lìnearìs Grand-Eury?]. Un’altra lastra raccolta sulla stessa Rocca mostra un fusticello ci- lindrico di pochi centimetri di lunghezza e di circa 4 millimetri di dia- metro dalla cui sommità si diparte un ciuffo di foglie lineari che, dove non son ripiegate, hanno circa un centimetro di larghezza, mentre alcune posson venir seguite per circa venti centimetri di lunghezza, dopo di che paiono attenuarsi e finire in una semielissi appuntita. La su- perficie di queste foglie è generalmente lucida ; in alcuni tratti rico- Geinitz, Steinkohlenf. v. Sachsen, pag. 40-42, tav. 21, fig. 1-2, 17-18 ; tav. 22, fig. 7. Grand-Eury, Flore carbonif, Dép. Loire, pag. 208-221, tav. 18-22. Renault, Cours Botan.foss., tome I, pag. 81-93. LESQUEREUX, Coalflora of Pennsylwanìa ., tav. 76-80-87, pag. 527-544. Schimper, Traiti de Paléont. végét. voi. II, p. 192 ; voi. Ili, pag. 560-567 ; Atlas pi. 110. Schimper-Zittel, Handb. der Palaeontologie. — Palaeophytol ., pag. 241. Weiss, Flora jung. Steink. u. Rothl. pag. 198-202, tav. 18. Roehl, Foss. Flora Steinkohlen-Form. Westph pag. 149. Corda, Flora der Vorwelt , pag. 44-46, tav. 24. Germar, Wettìn L'óbejun , pag. 56, 57 tav. 23. Kidston, Catalogne of thè Palaeozoic plants in thè British Museunr, London 1886, pag. 205-208. — 169 — noscesi un po’ di zigrinatura per arricciamento della epidermide ; in altri par travedere un po’ di fina nervatura parallelinervia mancante nella superficie restante; qualcuna delle foglie è divisa pel lungo in por- zione della sua distesa, ma le lacinie non divengon perciò libere poiché appaiono ricongiunte verso la sommità. Tali lacerazioni son quindi do- vute piuttosto ad accidenti individuali anteriori o posteriori alla caduta del ramo sul suolo che non ad una regola fìssa valevole per la specie. Concedendo che la traccia delle nervature sia scomparsa per effetto della pressione e stiramento, subito durante e dopo il processo di fossi- lizzazione, io ravvicinerei questo esemplare alla Poa-cordaites linearis Gr. Enry = Cordaites microstachys Goldemb. 1 Anche questa specie sarebbè, secondo PHeer, qua e là diffusa nel dominio antracifero alpino e comparirebbe nel Delfinato ad Huez. Può quindi benissimo essersi estesa fino alla località corrispondente all’o- dierna Rocca Gran Tempesta. Forse si debbono a legni di Cordaites i nuclei o frammenti di nuclei petrosi di fusti i quali si incontrano con suffi- ciente frequenza nei diversi punti fossiliferi fin qui ricordati; uno assai bello e riconoscibile come indubbiamente cagionato da modellazione di un corpo organico proviene dal Colle Lavai e misura mm. 32 di lun- ghezza ed in media (essendo compresso) mm. 5 di diametro. Riassumendo e considerando come una sola località fossilifera quella che comprende tutti i punti isolatamente accennati, noi troviamo in que- sta nuova località alpina ed italiana le seguenti specie: 1. Sphenopteris Hoeninghausii Brongt. 2. Dicksonìites Pluekenetii (Schloth sp.) Brongt. sp. 3. Lepidodendron Sternbergii Brongt. 4. Lgcopodium dentieulatum (Gold.) Schimper. 5. Lepidophyllum trilineatum Heer. 1 Vedi Saporta, Flore carbonif. du Dep. Loire, pag. 225, ta^. 24, fig. 1-2. — Weiss, Foss. Fior, d.jiingst. Steinkohl. und Rothl. pag. 194, text fig. 1-3; pag. 195. — Heer, Flora foss . Helv. pag. 155, tav. XVII, fig. 12-13. — Zeiller, Végét. foss. terr. houiller d. I. France, page 146, tav. 175, fig. 1. 6. Lepidophyllum majus Brongt. 7. Distrigophyllum bicarinatum (Lindi, sp.) Heer? 8. Calamites Succovii (Brongt ex p.) Stur emend. 9. Calamites Cistii Brongt. 10. Calamites ramosus Artis. 11. Calamites sp. Calamocladus, Asterophyllites, Wolkmanniae aut Bruckmanniae etc. 12. Cordaites ( Eu-cordaites ) borassifolius Sternb. 13. Cordaites ( Poa-cordaites ) microstachys Goldemb. Delle dodici specie nominate, tre vengono per la prima volta segnalate per il Carbonifero delle Alpi Occidentali e sono: la Sphenopteris Hoening- , hausii , il Lycopodium denticulatum ed il Calamites ramosus. Quest’ultima però venne in questo stesso anno 1889 riconosciuta dall’Haug nel pro- lungamento dei depositi del Delfìnato a Barles. Delle 9 specie residue, cinque, la Dicksoniites Pluckenetii, il Le- pidodendron Sternbergii, il Calamites Succovii, il Cai. Cistii e il Cor- daites borassifolius , sono comuni in quasi tutti i punti fossiliferi della zona in questione, mentre una sesta, il Cordaites microstachys , non è ancor conosciuta in località savoiarde benché sia frequente in quelle svizzere e del Delfìnato; una settima, il Distrigophyllum bicarinatum, è ancora più limitata, essendo finora stata rinvenuta nelle sole località svizzere; ed altrettanto limitato è il Lepidophyllum trilineatum , che solo si è rinvenuto in località della Tarantasia, mentre un altro Le- pidophyllum , il majus , finora non stato da alcuno ritrovato in alcuno dei punti di tutta la zona, era stato da me segnalato unicamente al colle del Piccolo S. Bernardo. Gli elementi risultanti dalle precedenti determinazioni, per certo non sarebbero sufficienti a fornir nuovi dati per la questione accennata ed in parte risolta dal Gras, dall’Heer, dallo Stur e dal Saporta, sulla esistenza dei due livelli a piante carbonifere della Tarantasia e del Delfìnato e sulla esatta corrispondenza di ciascuno di essi con piani e loro divisioni risultanti dallo studio di altri giacimenti a vegetali pure carboniferi. Tuttavia di questa questione ho fatto in precedenza un accenno ed ora posso aggiungere essermi, dallo studio delle poche specie raccolte sul fianco destro dell’alta Valle Stretta, fatta l’idea che 171 — tanto il livello del Delfinato (inferiore), quanto quello della Tarantasia (superiore) sieno rappresentati con diversi punti fossiliferi nella località nuova italiana, spettando al primo i punti collocati oggidì, material- mente più in alto e lungo il clinale decorrente dalla roccia del Char- donnet, sino oltre la Rocca Gran Tempesta (quali il Colle Valmeinier, il Colle Lavai e la stessa Rocca Gran Tempesta), mentre i punti che pei loro fossili paiono piuttosto corrispondere al livello superiore, o della Taran- tasia, sono quelli che oggidì si trovano materialmente collocati più in basso e più verso il fondo della valle, quali i dintorni del Lago Lavora ed il vallone Serre. Ho pure già fatto cenno precedentemente di una maggiore esten- sione verso S.O dei Carbonifero del Delfinato, dimostrato recentemente da ricerche eseguite nel dipartimento delle Basse Alpi. L’Haug 1 ha raccolto a Barles una relativamente ricca flora carbonifera di cui cita le seguenti specie: Pecopleris cyathea , P. arguta , P. polymorpha, P. ar- borescens , Alethopteris Grandini , Callipteridium mirabile , Cyclopteris sp., Calamites ramosus , Annidar ia stellata , Asterophyllites sp., Cor - daites sp. In questa flora noi troviamo una sola delle specie (il Cala - mites ramosus ), trovate a Valle Stretta e possiamo ragionevolmente supporre che una seconda specie comune si possa trovare fra le Cor- daitee: ma dessa è per noi istruttiva sotto un altro punto di vista in quantochè essa pare corrispondere piuttosto alla flora dell’ antracifero alpino, livello superiore o della Tarantasia, che non a quello del livello inferiore o del Delfinato, del quale geograficamente rappresenta il prolungamento. I giacimenti antraciferi di Vai Maira, Valle d’ Arma e Vaile Stura di Cuneo non ci hanno finora fornito alcun avanzo vegetale. Invece già se ne trovarono in parecchi punti delle Alpi e successivo Appen- nino separante il Piemonte dalla Liguria. Lo Squinabol 2 descrisse e * E. Haug, Sur la géologie des chaines subalpines comprises entre Gap et Diyne (Gompt. reod. hebd. d. séances de l’Acad. d. Se. de Paris, t 'ine Vili, n. 11, pag* 584-87, Séance du 18 Mars 1889). - S. Squinabol, Nota preliminare su alcune impronte fossili nel Carbonifero superiore di Pietratagliata (Giornale di letture e convers. scientif. di Genova, fa- scicolo di giugno 1887, pag. 1-8, con tavola). figurò alcuni avanzi di Pietratagliata. Altri dallo stesso punto furono in seguito fatti conoscere, benché un po’ brevemente e preventivamente, dal De-Stefani. 1 Infine io ebbi ad occuparmi di troppo poche impronte di Viozène. 2 Finché non avremo l’elenco nominativo delle specie di Pietrata- gliata promesso dal De-Stefani non potremo fare affermazioni sicure ; tuttavia l’esame dei generi da lui riferiti mi indurrebbe a credere che noi abbiamo i due livelli carboniferi alpini extra-italiani rappresentati anche in questa più orientale espansione del giacimento; infatti io ri- terrei Pietratagliata quale rappresentante del livello caratterizzato dalla quasi generalità dei punti a vegetali del Delfìnato, mentre Viozène lo collocherei parallelo al livello superiore, quello che è rappresentato dalla maggior parte delle località fossilifere della Tarantasia. Tanto il versante orientale deH’alta Valle Stretta di Si:sa che Pie- tratagliata e Viozène, possono ancor dare, per lo avvenire impronte più conservate e più estese ed in maggior numero di specie ai musei di Italia, dalle quali speriamo di ricavare sempre maggior ricchezza e sicurezza di cognizioni sul Carbonifero del nostro suolo. II. Località triasiche. Le nuove località che hanno fornito fossili triasici riconoscibili sono due; l’una collocata a valle del piccolo cono di dejezione dei valloncini sboccanti sotto all’abitato del Gad d’Oulx, a pochi metri sul livello della Dora; l’altra collocata a 12 chilometri più ad occidente è il Colle des Acles, a quattro chilometri a Sud-Est. dallo abitato di Melle- zet. Cominciando dalla prima che ha fornito all’ Ing. Zaccagna mag- gior varietà di fossili, ne conosco finora, : due esemplari di Natica, due esemplari di Lima, un esemplare di Myophoria , e numerosi avanzi di Diplopora. 1 C. De Stefani, L’ Appennino fra il Colle dell" Altare e la Polcevera (Boll. d. Soc. geol. ital., voi. VI, pag. 225-263 e tav, VII; Roma, 1887 [specialmente le note a piè delle pagine 232 e 261]). 2 A. Portis, Sulla scoperta delle piante fossili carbonifere di Viozène nell* alta valle del Tanaro (Boll. d. R. Comit. geol., voi. Vili, della 2a serie, pag. 417 a 420, Roma 1887). — 173 — 1. — Natica, sp. aff. N. putta Goldf. Sopra un crostone, residuo della erosione prodotta dagliagenti meteo- rici e sovratutto della vegetazione di licheni crostosi, riconoscesi quasi tutto l’ultimo anfratto di un gasteropodo ventricoso di proporzioni ab- bastanza modeste, il suo maggior diametro non raggiungendo i tre millimetri. Gli anfratti anteriori, erosi in parte, sono appena riconosci- bili colla lente e la bocca è nascosta o mancante. Limitato quindi a dover tutto arguire dalla forma esterna della porzione conservata, os- servo che questa conchiglia potè appartenere ad un piccolo esemplare di Natica (quantunque alcuni piccoli Turbo triasici avrebbero potuto presentare una forma generale delle parti conservate assai simile) la quale per la sua forma esterna, bassa, convessa e per la sua sutura molto profonda ricorda abbastanza bene la Natica putta Goldfuss. 1 Questa specie però ha dimensioni parecchie volte maggiori e per conseguenza volendo tenere il ravvicinamento indicato per l’esemplare del Gad, dovremmo considerarlo siccome di un individuo ancora gio- vanissimo. Se vogliamo attribuire l’esemplare in questione alla N. putta , pos- siamo aggiungere che questa specie propria del Musehelkalk extra- alpino supera la fine del Musehelkalk stesso e seguita a vivere per qualche tempo nel mare keuperiano. Se poi la N. putta non ci ha da servire che come mostra per la forma generale, debbo osservare come tanto nel Musehelkalk alpino medio ( Cephalopodenkalk di Gumbel), quanto nel piano Keuperiano inferiore alpino ( Cassianer oder Wengener Schiehten secondo Gumbel), si trovano parecchie piccole forme di Natica , alcune delle quali stret- tamente legate e simili alla N. putta e che fra queste potrebbe il nostro esemplare, se conservato, trovare il suo posto. Osservo infine come io abbia già scorte migliaia di queste minu- scole natiche panciute nel calcare triasico del Chaberton, ma questi fossili se agevolmente riconoscibili genericamente alla sezione spiccante 1 Goldfuss, Petref. Germ 2*e Ausg., 3te Band, pag. 86, taf. 193, fig. 2, {Turbo helicites Miinst.). — Alberti, Ueberblìch ueber die Trias, pag. 168. 3 — 174 — in bianco tra i frammenti del calcare grigio chiaro, non poterono fin qui venir determinati specificamente poiché mai venne dato di poterne isolare un solo individuo in tale stato da lasciar scorgere i necessari caratteri. 2. — Natica sp. aff. N. exculpta Schaur. Da un altro frammento di crostone simile al precedente vedesi emergere una conchiglietta minutissima di gasteropodo. La parte spor- gente è forse la metà della intera conchiglia la quale mostra in alto gli anfratti giovanili e forse la faccia posteriore deirultimo anfratto e nasconde nella roccia, quasi tutto l’ultimo anfratto e la bocca: la parte visibile misura mm. 1 di altezza e poco più di altrettanto diametro tra- sversale. Ci presenta una conchiglia integra; nella parte conservata, di tre a quattro anfratti ; è turricolata; a quanto pare, oviforme con anfratti rigonfìi, distintamente degradanti, l’angolo della spira ne è assai aperto. La superficie apicale degli anfratti è marcata da una serie di solchi e cordoni longitudinali a mò di pieghe o varici consecutive visibilissime colla lente e che in parte debbono la loro evidenza ai fenomeni di ero- sione che han messo a nudo l’ intiera conchiglia. Venendo ai confronti, trovo che la conchiglia di Gad potrebbe be- nissimo venir compresa, per la forma generale e delle singole parti visibili, in una sola con quella specie di Natica che l’ Alberti ( TJeber - blick ueber die Trias , 1864) indica senza denominazione specifica a pag. 170 come proveniente da Gansingen nel cantone di Argovia e di- segna ingrandita (tav. VI, fìg. 8). E va d’accordo con quell’esemplare anche nel modo speciale di erosione che ho accennato precedentemente, come quello che ha in gran parte messo in luce le apparenti solcature e che già era stato precedentemente rimarcato tanto dal Schauroth che dallo Alberti, ed aveva fatto dare ad alcuni esemplari di N. Gail- lardoti il nuovo nome di N. exculpta. Le dimensioni dell’esemplare di Gad sono però (come risulta dalla precedente descrizione) assai minori di quelle dell’esemplare comparato, ma è questa una difficoltà, da un lato, comune a tutti i fossili di Gad, e che, dall’altro, si può risolvere ammettendo di aver a fare sia con in- dividui che vissero in condizioni difficili, sia con individui giovani. La conchiglia citata dallo Alberti proviene dalle assise superiori del Keu- per medio. — 175 — Trovo poi ancora somiglianza tra la conchiglia di Gad e le forme meno turricolate della N. gregaria Schloth. sp. 1 alle quali essa mag- giormente si accosta per le dimensioni. La N. gregaria tanto fuori che dentro la regione triasica alpina caratterizza il Muschelkalk ; però fuori della regione alpina pare più strettamente limitata al Muschel- kalk inferiore, mentre al di dentro essa accenna a caratterizzare piut- tosto il Muschelkalk medio e forse ad estendersi fino ai limiti supe- riori di questa formazione. 3. — Myophoria sp. aff. M . elegans Dunk. Sovra un terzo crostone di Gad scorgesi il frammento di valva destra di una conchiglia di lamelli.branchio di piccole dimensioni. La conchiglia è scoperta per 8 mm. di lunghezza e 6 rum. di altezza: ri- conoscesi a primo colpo d’occhio come una Myophoria alla sua forma ed al solco, interrompente l’ornamentazione esterna della conchiglia, partente dalla sommità e diretto in basso e fortemente all’ indietro. Questo solco originalmente assai stretto e molto profondo, a margini nettamente marcati e quasi taglienti, si allarga alquanto verso il bordo inferiore della valva e doveva limitare un’area posteriore assai ristretta, il cui piano era quasi normale a quello della restante parte della valva; l’area stessa però non è visibile. La superficie della valva non interessata da detto solco è ornata da una serie di linee o pieghe concentriche molto sentite delle quali riuscii a contarne 14 o 15 nella intera altezza conservata della con- chiglia. La Myophoria di Gad somiglia più che a tutte le altre, a quella specie che il Goldfuss 2 3 chiamò Myophoria (. Lyrodon ) curvirostris 3 e che venne invece riferita alla M. elegans Dunk. dallo Alberti 4, che 1 Goldf., op. cit., pag. 87, tav. 193, fig. 1-3, 3a. — Alberti, op. cit. pag. 168 2 Goldf., op. cit., voi. II, pag. 188, tav. 135, flg. 15 a-c. 3 E che non è la Myophria ( Trigonellites ) curvirostris Scbloth., la quale in parte appartiene alla M. vulgaris Scbloth. sp. ed in parte viene considerata dal Seebach come specie a sè (vedi Alberti op. cit., pag, 115). 4 Vedi Alberti, op., cit., pag. 110. — 176 — in questa specie comprende eziandio la M . posterà di Quenstedt e la M» intermedia Schaur. La nostra conchiglia presenta infatti (nel limite della porzione con- servata) corrispondenza di caratteri coll’esemplare riprodotto dal Gold- fuss, sia nella forma generale e nelle dimensioni, sia nella forma della benda o solco rivolto obliquamente allo indietro, sia nelle righe o pieghe di ornamentazione, sia nella maggior finezza delle strie di ornamenta- zione sulla porzione di superficie occupata dalla benda. La benda stessa soltanto (forse per illusione procurata dal modo di conservazione e parziale visibilità dello esemplare) pare alquanto più ricacciata allo in- dietro; da questa apparenza ne viene una lontana somiglianza del no- stro fossile colla M. lineata Munst. sp. 1 la quale però ne differisce per aver la benda rimpiazzata da una unica costa e per aver le linee di ornamentazione più delicate e più numerose. Simili affinità e diffe- renze corrono eziandio fra il nostro esemplare e quelli ben conservati di M. laemgata Zieten sp. Relazioni molto maggiori avrei riscontrate tra il fossile di Gad e la Myophoria posterà di Quenstedt; ma poiché, come accennavo più su, la M. posterà viene da alcuni unita alla M. elegans mentre altri, puf tenendola distinta, non ne possono negare la strettissima parentela, io non ho che ad attingere da questa somiglianza maggior sicurezza nello attribuire il mio esemplare alla M. elegans stessa. La M. elegans Dunk. (comprendendovi la M. curvirostris Goldf.) qualora venga tenuta separata dalla M. posterà Qu., è caratteristica di tutto il Trias inferiore o Buntersandstein e del Muschelkalk , spe- cialmente inferiore, benché sia ancora assai comune nel Muschelkalk medio e superiore e (dicono il Bronn, l’Alberti ed il Goldfuss) anche di tutto il Keuper. Nel Trias alpino la troviamo preferibilmente limitata al Muschelkalk inferiore e medio. Qualora poi la si ritenga identica colla M. posterà , essa si estende ancora (anche pel Trias alpino) sino al Keuper superiore. 1 E col suo sinonimo M. StruTcmannì. — 177 — 4. — Lima costata Munst. In due diverse porzioni delle croste di erosione meteorica accen- nate si riconoscono due esemplari assai maltrattati di conchiglie fina- mente ed elegantemente costate. Coi due esemplari si hanno porzioni delle due opposte valve di una stessa specie di lamellibranchi che non si ha alcuna difficoltà a riconoscere come la Lima costata Munst., sia alla forma e contorno in parte visibile della conchiglia, sia al modo di sua ornamentazione a coste radianti, marcate e con spigolo quasi ta- gliente, separate da spazi di estensione quasi doppia, sia al numero stesso deile coste (poco più di 12), sia alla orecchia anteriore sviluppata ed ancor riconoscibile malgrado rotture posteriormente sopravvenute. Le dimensioni assolute degli esemplari di Gad però stanno un po’ al disotto di quelle che possa raggiungere questa specie, poiché la valva più completa di Gad non ha più di due centimetri di altezza per poco più di un centimetro di lunghezza; ma noi abbiamo già veduto per tutte le altre conchiglie di Gad verificarsi lo stesso fatto e già ho cercato di darmene ragione. La Lima costata nel Trias extra-alpino è limitata al Muschelkalk , e ge- neralmente ai livelli superiori e medii del Muschelkalk stesso, godendo della stessa diffusione cronologica ma di minor estensione geografica ed eziandio di minor frequenza, ove la si incontra, della Lima striata Schloth. 5. — Diplopora paucif orata Giimb. Il maggior dei frammenti di calcare raccolti a Gad, perchè sop. portante il più ben conservato dei due esemplari or ricordati di Lima , lascia qua e là traveder nella propria massa traccie di Diplopore della famiglia delle annulatae. Vi ha appena di visibile quel tanto che basti per accertarsi della presenza di tali organismi, come essi abbiano in generale piccole dimensioni, accompagnino i fossili che furono già de- scritti precedentemente, e per poter con sufficiente fiducia determinar come Diplopora un tubetto che sporge normalmente da un più grosso esemplare di calcare raccolto nella stessa località e nel quale non è possibile per la posizione, il breve tratto visibile e lo stato di avanzata alterazione riconoscere la nota struttura delle Diplopore. Questo tubetto avrebbe (compreso due volte lo spessore della parete) due millimetri di diametro. Le Diplopore che non posso sufficientemente esaminare a Gad mi si fanno però incontro in molto maggiore abbondanza alla som- mità del Colle des Acles che dà il passaggio dal basso della Valle Stretta di Bardonnecchia alla Francia. Colle des Acles. 1. — Diplopora paucijorata Gùmb. I fossili raccolti dall’ingegnere Mattirolo al Colle des Acles sono unicamente Diplopore. In mezzo al calcare di color grigio apparente- mente omogeneo e solo interrotto da vene e concrezioni spatiche si incontrano concentrazioni di altro calcare più granoso, a tinta poco più oscura le quali nella roccia fresca non lasciano travedere alcuna strut- tura organica particolare ond’è che finora il loro contenuto sfuggì alle osservazioni ed alla ricerca di chi, per mezzo di fossili, voleva stabilire l’età del calcare stesso. 1 Quando però una stessa superficie diroccia trovisi per lungo tempo in condizione di subire l’effetto erodente degli agenti atmosferici, queste concentrazioni si rendono manifeste per una molto più perdurante resistenza agli agenti stessi; ond’è che mentre il 1 Simili concentrazioni quasi unicamente costituite di fossili o loro rottami in mezzo al calcare che ne è povero, avevo già segnalato al colle della Scaletta (Portis, Sui terreni stratificati di Argenterà , Mem. d. R. Acc. d Se. di Torino, Ser. 2, tomo 34, 1881, apag. 74 della memoria) indicando colà persino collo appellativo di brecciato il calcare che com- prende V Encrinus liliiformis. Ma alla Scalettai fossili essendo prevalentemente Entrochi, divenivano più agevolmente riconoscibili. Quindi ci vollero anni parecchi perchè sirico- noscesse in seguito come calcare fossilifero e appunto comprendente Diplopore il calcare dell’isola di Bergeggi presso Savona, il quale si presenta come quello di Gad e del Colle des Acles a fossili riuniti in concentrazioni comprese dentro un calcare a tinta più chiara e generalmente povero di fossili. Là, in una località più frequentata e dove l’opera di ero- sione per opera del mare e dell’aria salsa avveniva più rapida e più violenta, le masse di calcare superficiali non rimanevano a lungo le stesse; una stessa superficie non rimaneva quindi esposta per un tempo lunghissimo alla azione erodente di agenti atmosferici ad effetto men rapido, ma tranquillo e continuo, e non potevano quindi fornire i fossili così bene isolati e così evidenti come quelli della quasi obliata località in cui li seppe scoprire il Mattirolo. — 179 — calcare circostante si discioglie e disgrega affondandosi, di centimetri e centimetri, queste concentrazioni vengono a trovarsi liberate sotto forma di crostoni residui di un color nerigno come caligginoso e polverulento e presentanti superfìcie ruvide ed aspre, talor cavernose, sulle quali spiccano con vivi colori i licheni che, vegetandovi sopra ne liberano o ne corrodono ulteriormente il contorno. Queste concentrazioni sono quasi unicamente costituite da mate- riali calcarei una volta organizzati. A Gad esse sono costituite preva- lentemente da Diplopore e contengono inoltre i fossili che ho di già registrati; al Colle des Acles, fin qui non dimostrarono constar d’altro che di Diplopore. Gli agenti meteorici che manifestandosi di preferenza e con mag- gior energia sul meno resistente calcare che comprende le concentra- zioni, hanno per effetto l’emersione di queste sotto forma di crostoni, naturalmente hanno pure influenza sulle concentrazioni stesse e si fanno in esse sentire assai profondamente. Ma la loro influenza è, sarei per dire, benevola poiché essa in taluni casi si manifesta scio- gliendo il calcare che meccanicamente o per via di precipitazione po- steriore si è interposto fra organismo ed organismo o nello interno di ciascuno di essi lasciando quasi intatti gli organismi stessi. In altri casi essa si rivela consumando il materiale stesso dei fossili ma la- sciando intatto tutto il materiale involvente cosicché il fossile rimane egualmente conservato per lo studioso sebbene allo stato di modello delicatissimo. Avuto il materiale in questo stato è facile riconoscere la presenza dei fossili, è facile pure determinarli almeno fino al genere. Gli orga- nismi costituenti i crostoni del Colle des Acles sono agevolmente ricono- scibili come Diplopore . Si scoprono infatti i tubetti cilindrici, taluni diritti, taluni leggermente ricurvi, taluni lunghi talvolta ben oltre il centimetro e di diametro esterno non superiore ai due millime ri, quasi sempre assai minore. Tutti i tubetti riconoscibili con qualche chiarezza si mostrano come divisi, anche allo esterno, in tanti articoli successivi brevissimi, tanto che in meno di tre millimetri di lunghezza se ne con- tano oltre a cinque, ed ogni articolo è separato dai contigui da una strozzatura escavata profondamente nella parete per alcuni; e per altri, in cui la alterazione è più avanzata, la strozzatura si è tanto affondata 180 — da attraversare addirittura lo spessore (1[3 di mm. in media) della parete ed isolare materialmente l’un dall’altro gli articoli od anelli. È cosa difficilissima il trovar tubetti che mostrino ancora con sufficiente chia- rezza le traccie delle perforazioni; in quei pochi che mi fu dato di osservare, scorsi che ogni articolo è dotato di due giri di fori assai ampi e quindi assai radi e che le loro aperture si mostravano allo esterno in prossimità dei margini superiore ed inferiore di ciascun anello sovra una specie di rigonfiamento cordoniforme della parete, così che il profilo di un anello viene ad essere sporgente in alto e in basso ed a presentare una lieve gola a metà lunghezza, e le aperture solo si osservano sulle due sporgenze, la gola rimanendone affatto scevra. Dalla posizione delle loro aperture sì interne che esterne posso venir a conchiudere che le perforazioni attraversano normalmente lo spessore della parete. Condotto il mio esame in confronto colle Diplopore di Villanova trovai che quelle del Colle des Acles assai e costantemente ne diffe- riscono per le dimensioni generali e parziali, per la maggior individua- lizzazione dei singoli articoli, per il raccostamelo, le dimensioni e la direzione dei fori. Malgrado forse un eccessivo sminuzzamento in ispecie, è pur sempre la memoria del Gùmbel 1 quella che ci ha da guidare nello studio delle Giroporelle e sovratutto delle Diplopore . A quella ebbi ricorso nel presente studio e posso con questo confermare alcune delle con- clusioni di quella. Per intanto con l’aiuto di tale memoria potei deter- minare, in base ai dettagli che ora ho indicati, le Diplopore del Colle des Acles e di Gad-Oulx come spettanti alle specie Diplopora pauci- forata Giimb. sp. e fors’anco alla Diplopor a minutula Gumb. sp., mentre quelle di Villanova (Mondovì) si riferiscono alla D. annulata Schaftl. sp. 2. * C. W. Gùmbel, Die sogenannten Nulliporenund dire Betheilìgung an der Zusammensetzung der Kalkgesteine. Ziveiter Theil, Nulliporen des Thierreichs (Abh.d. k. Bayer. Akad der Wis?. Il Gl., XI Bd., I Abth., 4°,pag. 1 60(231-290), taf. D.I-D. IV. Mùnchen, 1872). 2 Gùmbel, mem. cit., pag. 44, 45, 39, tav. D.III fìg. 2.4, D. II fig. 1. r- 181 — Ora, malgrado che questi organismi sieno stati in seguito meglio collocati in sistema, ed anziché animali, riconosciuti per vegetali mal- grado che la loro conoscenza ed il numero delle loro specie triasiche abbia potuto venire in seguito modificata, 1 2 tuttavia il Giimbel non cessa di ritenere, fra le Diplopore , almeno quattro delle sue specie ed una almeno fra quelle di Giroporelle siccome caratteristiche di piani diversi del Trias alpino 3. Fra l’altre il Gùmbel cita (pag. 671-72) la Di- plopora paueiforata come caratteristica del Muschelkalk alpino inferiore (strati a brachiopodi o di Recoaro) e del superiore (strati di Reifling), e noi siamo pér mezzo della Myophoria e della Lima trovate a Gad venuti alla stessa conclusione: trattarsi cioè di fossili caratteristici del Muschelkalk inferiore e doversi per conseguenza, ed il calcare di Gad- Oulx e quello in cui è intagliato il Colle des Acles, ritenere siccome appartenenti al Muschelkalk inferiore e paralleli col Calcare a bra- chiopodi, o di Recoaro, delle Alpi lombarde e venete. Le due forme di Natica descritte più sopra da Gad, se non attiva- mente significanti in questo senso per la loro esigua determinabilità, non infirmano però, anzi alquanto confermano la conclusione a cui sono dovuto venire. Soltanto, i fossili animali che fin qui scopriamo in questo piano nelle Alpi Occidentali hanno maggior relazione col Trias extra-alpino, mentre sono accompagnati da fossili vegetali che da soli bastano a caratterizzare la facies triasica alpina. Se materialmente nel calcare delle due località che abbiamo stu- 1 Munier Chalmas, Observations sur les algues calcaires appartenant au groupe des Siphonées verlicillées ( Dasycladées Haw.) et confondues avec les foramìnifires (Comptes rend. hebdom des Séances de l’Acad. des Se. de Paris, tom. LXXXV, n. 18, (29 octobre 1877) pag. 814-817, 4, Paris 1877.) — Observations sur les algues calcaires confondues avec les foraminifères et appartenant au groupe des Siphonées dichotomes (Bull, de la Soc. géol. de Franco, 3m sér., tome VII, n. 10 pag. 661-670, 8°, Paris 1879). 2 E W. Benecke, LJeber die Vmgebungen von Esino in der Lombardei (Geol. palaeont. Beitr. herausgeg. von Benecke, 2.ter Bd., 3tes. Heft, pag. 257-317 (1-61), tav. 21-24 (1-4). 8°, Muncben, 1876). 3 W. C. Gumbel, Geologie von Bayern. Erster Theil : Grundziige der Geologie . 8°, Munchen 1888, pag. 386, 408, 671, 672, 674, 678, 679, 696, 699, 710. — 182 — diate sono scarsi i fossili animali (gasteropodi e brachiopodi), questi sono invece abbondantissimi in alcuni strati del calcare del Chaberton; soltanto, là abbiamo una pila di strati maggiore e quindi possiamo aver rappresentati parecchi dei livelli o zone riscontrati più ad oriente n-lle Alpi stesse, ma il fatto che finora i fossili del Chaberton non poterono venir isolati in istato riconoscibile, mi impedisce di dire fino a qual punto la serie del Chaberton si elevi al disopra del Muschelkalk inferiore. Nel Muschelkalk inferiore inscrivo infine ancora il Trias a Diplopore riconosciuto nel 1887 all’isoletta di Bergeggi *, appunto perchè contiene anch’esso la Diplopora pauciforata (ben diversa dalla annidata) che abbiamo segnalato al Colle des Acles ed a Gad. In questo piano inscrivo ancora il calcare della Scaletta e quel delle Balze sopra Argenterà che contengono YEncrinus liliiformis. Nel Muschelkalk inferiore piglieran parte parecchi lembi, ancora a circoscriversi con esattezza, dei calcari triasici del Monregalese, sovratutto quelli che con maggior abbondanza contengoro YEncrinus liliiformis ; ed in questo piano è probabilmente da inscriversi eziandio parte del calcare a Diplopore recentissimamente scoperto dall’ Haug nella regione subalpina del dipartimento delle Basse Alpi. 1 2 3 * Ma vi ha di più. In grazia delle Diplopore e Giroporelle che da parecchi anni si vanno man mano ritrovando anche nelle Alpi Occi- dentali, ci sarà dato ben presto di ulteriormente dividere quella massa enorme di calcare che fin’ora chiamammo Trias in blocco, aiutandoci talora a ciò soltanto con caratteri puramente litologici. 5 1 E forse in qualche altro punto della Riviera che la prospetta. 2 E. Haug, Sur la geologie des chaines subalpines comprises entre Gap et Vigne (Compì, rend. hebdom. des Séances de l’Acad. des Se. de Paris, tom. Vili, n. 11, p. 585. Sé an ce du 18 mars, 1889.) 3 Probabilmente è ancora da iscriversi in questo orizzonte il calcare a Diplopore raccolto a Monte-Croce presso Loano (Riviera di Ponente) dall’ ing. Zaccagna. Dico pro- babilmente, poiché esso ad un aspetto estremamente simile al calcare del Cha- berton unisce la presenza di una specie di Diplopora che fin qui non è ancora stata descritta. In questa nuova specie le perforazioni seguitano ad essere a rag- gruppamenti di due giri assai ravvicinati, separati da intervalli di parete non per- — 183 — Così io comincio dallo inscrivere nel Keuper medio (strati di Wetterstein, di Hallstadt, di Esino) il calcare di Villanova (Mondovi) il quale insieme a grossi gasteropodi ed a coralli, fin qui non ancora determinati, contiene in massa la DLplopora annulata ; vi inscrivo il calcare recentemente scoperto dallo Zaccagna presso il Lago Paroird sopra Maurin nella valle della Ubaye in Francia, i di cui campioni, che ho dinanzi mi mostrano la stessa Diplojpora che si riscontra a Villa- nova ed in eguali condizioni di giacimento, di conservazione e di abbon- danza; e vi inscrivo per le stesse ragioni il calcare a Diplopore di Monte Moro 1 scoperto nel 1887. Aggiungo che anche il Keuper superiore o Gruppo Carnico degli autori tedeschi (Dolomite principale e Calcare eli Dachstein) non lar- derà a venir riconosciuto ed esteso nelle Alpi Occidentali. Ed a prova di ciò segnalo la scoperta che ho testé fatta nel calcare del vallone Rivo Bianco di Sambuco (Valie Stura di Cuneo) della Gyroporella vesciculifera Giimb., fossile importantissimo per noi inquantochè succe- dendo cronologicamente alle Diplopore del gruppo delle annulatae serve di per sè solo (per unanime co isenso degli autori che lo ebbero ad incontrare 2) a caratterizzare piani superiori al notissimo orizzonte Raibliano. Eccoci così sulla strada non solo di un riconoscimento fondato del Trias nella regione montuosa occidentale d’Italia, ma eziandio di stabilire con certezza quali parti di esso vi sieno rappresentate. Roma , 1° maggio 1889. forata. Ma esse, partendo dallo interno, non riescono a traversare tutto le spessore della parete e ad escir dalla faccia esterna; esse si rigonfiano ad ampolla nello spessore della parete stessa e sono ia comunicazione colla sola cavità interna per mezzo di un collo ristretto. Di piu queste perforazioni sono (quelle di uno stesso piano o giro) ravvicinate due a due per la loro unica apertura o collo, verso la cavità interna. Forse lo studio ulteriore di altri fossili (piccoli gasteropodi) che le accompa- gnano servirà a stabilire nettamente il piano cui appartengono queste Diplopore di nuova specie ed a dar loro l’ importanza di fossili caratteristici per le nuove loca- lità in cui eventualmente possano ancora trovarsi. 1 A cui si dovranno in seguito aggiungere altri punti della Riviera savonese. 2 Vedi le opere citate di Giimbel e Beneeke. — 184 — li. Tufi ser peritinosi eocenici neU Emilia; nota del Prof. D. Pan- TANELLT. Fino dal 1883 accennai all’esistenza fra Quattro Castella e Bergon- zano (Reggio-Emilia) di un piccolo affioramento serpentinoso nelle ar- gille scagliose, accompagnato da un conglomerato serpentinoso incuneato nelle estese argille scagliose (Soc. dei Nat. di Modena, Rend. 1883, pag. 90. — Sezioni geol. nelVApp. modenese e reggiano; Bollet. Comit. Geol. 1883, 9-10). Avendo in questi ultimi anni percorso la stessa località, ho potuto accertare due nuovi fatti che la prima volta mi erano sfuggiti. Il con- glomerato serpentinoso nettamente stratificato è assai più esteso di quello che allora non giudicai e si ritrova anche sul fianco di una val- lata laterale in manifesta continuazione con quello prossimo all’ affio- ramento serpentinoso : inoltre, mentre nella località suddetta, per la sua verticalità, è difficile capire se sia sottoposto o sovrapposto al ser- pentino, in detta vallata, essendo inclinato a Sud, mentre si palesa a Nord del serpentino, a meno di non supporre un completo rovesciamento, devesi ritenere sottostante alla massa del serpentino stesso. La esistenza di un conglomerato serpentinoso eocenico discontinuo dal serpentino, separato dal medesimo da strati argillosi e inferiore al serpentino stesso, non è un fenomeno isolato. Una simile disposizione ho potuto accertare lungo la salita da Ciano Val d’Enza a Rossena, e il conglomerato si estende a tutta la vallata sulla sinistra della sa- lita stessa, dove il conglomerato è per lo meno altimetricamente infe- riore al masso ardito di roccie diabasiche, dove tuttora si erge inalte- rato il vecchio castello della Contessa Matilde. Egualmente evidente una simile circostanza si ripete attorno ai serpentini diallagici di Varana. Scendendo dalla Stella, località sulla strada Modena- Abetone sotto Serramazzone, il conglomerato serpenti- noso si trova sulla sponda della Fossa di Spezzano, sulla sinistra della quale è il giacimento serpentinoso di Varana. — 185 - Questo conglomerato è costituito da una arenaria grossolana com- patta ad elementi serpentinosi, come anche può facilmente riscontrarsi in lamelle trasparenti ; ha uno spessore di circa due metri, si estende a tutto il lato S.E del giacimento ed è inclinato a N.O, accen- nando così a scendere sotto il serpentino stesso; è separato dal ser- pentino da strati d’argille scagliose. Un’altra roccia affine si trova sa- lendo a Campo d’Olio sopra Varana ed è interposta tra i conglomerati precedenti e i serpentini; sono lenti ed ammassi di calcite con fitte diraminazioni d’elementi serpentinosi che, nonostante la apparente in- terposizione, è a ritenersi superiore ai serpentini stessi. Descritto il fatto passerò a ricercare se questo sia stato osservato anche da altri e come sia stato interpretato. Intanto si può dire che tutti coloro che si sono occupati dei ser- pentini hanno constatato la presenza di arenarie o conglomerati ser- pentinosi eocenici; limitandoci agli autori più recenti, ricorderò il De Ste- fani (j Le roccie serpentinose della Garfagnana; Boll. Comit. Geol. 1876, 1-2, pag. 10 estr.) ohe riporta una sezione nella valle di Vagli, dove i conglomerati serpentinosi si alternano con le roccie serpentinose stesse. Lo stesso autore {Conferenza sulle serpentine tenuta in Bologna 1881; Boll. Soc. Geol. I, 1882) è assai più esplicito, leggendosi a pag. 22 « In ogni luogo poi entro le masse e negli strati sedimentari coetanei, si trovano tufi 1 o conglomerati, grossolani o sottili, più o meno regolari, dei quali fan parte tutte le roccie indicate (diabasi porfiriche ed afa- nitiche, eufotidi, serpentine etc.) che per conseguenza erano allora già formate, tanto più che i cristalli delle diabasi porfiriche, delle eufotidi, dei graniti sono interrotti e spezzati alla superficie dei conglomerati ». Taramelli ha pure in diverse occasioni costatato la presenza di questi conglomerati e un primo esempio si ha nella fig. 16, tav. II, della memoria Sulla formazione serpentinosa dell1 Appennino Pavese (Lincei, CCLXXV, 1878), dove è figurato un profilo del serpentino di Collegio, sulla strada da Bobbio a Ponte Organasco. 1 Dairinsieme della memoria non appare che alla parola tufi abbia dato il significato adottato specialmente nelle lingue straniere, ma piuttosto quello vol- gare toscano, cioè di arenarie. — 186 — Simili osservazioni sonoriportate dallo stesso autore nel Sunto di alcune osservazioni stratigrafiche nell’ Appennino pi tentino (Boll.Comit. Geol. 1883, 11-12). In esso cita dei conglomerati superiori alle forma- zioni ofiolitiche a Cogno, Monte Crodolo, Groppaie, Barioni di Cerreto? Crogno e Monte Penna. In altri lavori, lo stesso ( Contribuzioni alla geologia dell" Appennino di Piacenza ; Ist. Lomb., Rend. 1884 e Osservazioni fatte sulV Appennino di Piacenza ; Boll. Soc. Geol., 1882) insiste sul fatto che le formazioni serpentinose sono quasi costantemente associate e ricoperte da con- glomerati dello stesso periodo. Issel e Lotti, tanto con le loro molte pubblicazioni su i serpentini che per comunicazione avute dai medesimi (sedici pubblicazioni per Issel? vedi Bibl. Scient. della Liguria , e undici per Lotti) convengono nella esistenza di conglomerati serpentinosi eocenici, interpretandoli diver- samente; per Issel sono dovuti alla azione meccanica esercitata sulle roccie ofiolitiche dalle acque, per Lotti sono analoghi ai Diabastuffe , Diabasbreccie ecc. della Sassonia. Sono pure ammessi dal Mazzuoli (Vedi Bibl. Scient. ecc.), dal Pellati ( Etudes sur les formations ophiolitiques de V Italie) e dal Capacci per il giacimento di Monteferrato (Boll. Comit. Geol., 1881). Non resta quindi alcun dubbio sulla generalità del fenomeno; dove il dettaglio è incerto è nella loro posizione relativa: per Taramelli e per Issel sono superiori, per De Stefani e Lotti sono interposti e su- periori. Dove io gli ho esaminati con cura sembrano inferiori, ma come dirò in seguito ciò ha poca importanza. Senza ora entrare in un lungo esame su tutto quello che è stato detto sulle roccie serpentinose, è accertato, o almeno sono attualmente fuori di discussione i seguenti fatti: 1. Le roccie serpentinose appenniniche (serpenti d, diabasi, eu- foditi ecc.) sono eoceniche. 2. Lo stato attuale lo hanno raggiunto sotto il livello dell’acqua, nè mai nella loro origine sono state roccie subaeree. Non è eguale l’accordo sulla successione e sulle relazioni che pas- sono tra i diversi tipi di roccie serpentinose; ma su questo, che nel mio caso non ha interesse, non mi fermerò a discutere. Così pure è tutt’altro che fuori di discussione il fatto delle altera- — 187 — zioni nelle roccie prossime e a contatto con i serpentini, e mentre in molti casi non possono riscontrarsi simili alterazioni, in altri sono evi- denti ; se in molte circostanze i serpentini sono nettamente interstra- tificati, le loro masse sempre amigdaloidi, alcune volte addirittura in- truse irregolarmente nelle roccie stratificate, mostrano che la causa che li ha prodotti ha avuto le sue ultime manifestazioni in modo di- scontinuo. Venendo finalmente alla origine loro, l’unica conclusione sulla quale sono tutti d’accordj è di escludere per le roccie serpentinose 1 ipotesi puramente chimico-sedimentaria, nel senso che possano essersi pro- dotte senza l’intervento di materiali fluidi di origine endogena. Oltre a questo il disaccordo è completo. Per alcuni sono semplicemente il ri- sultato di eruzioni sottomarine; per altri roccie eruttive, ma metamor- fosate in posto, oppure roccie d’origine sedimentaria metamorfosate per processi idrotermali, dei quali la manifestazione non sarebbe ancora cessata; scorgendo nella relazione abbastanza generale, dove i serpen- tini sono contenuti fra roccie compatte, tra le attuali sorgenti termali e i serpentini, un ultimo residuo delle manifestazioni endogene che hanno prodotto i serpentini stessi. Nelle diverse occasioni in cui ho dovuto parlare dei serpentini, ho sempre ritenuto che rappresentassero materiali eruttivi provenienti da eruzioni sottomarine, aggiungendo che il fatto del trovarsi spesso i me- desimi associati ed alternati con diaspri a radiolarie, poteva far rite- I nere che i serpentini fossero emersi dalla superficie solida nelle grandi profondità marine. Oggi non credo di modificare tale ipotesi sulla origine dei serpen- ! tini, salvochè nella parte relativa alla profondità del mare che rico- priva le plaghe della loro emersione. Uno studio più accurato delle radiolarie, specialmente del miocene medio, in confronto colle viventi, mi hà dimostrato che depositi di simile natura possono avvenire a tutte | le profondità, e che solo lo studio delle specie può servire a risolvere il problema insieme ai criteri forniti dalle roccie clastiche che s inter- calano a questi depositi. Ora le specie dell’eocene non sono che ma- J lamente confrontabili colle viventi; le roccie che accompagnano i dia- j spri e i serpentini possono essersi formate a profondità assai diverse; | quindi nulla autorizza a ritenere necessaria una grande profondità ma- 188 — rina come sede del fenomeno; i calcari a globigerine con radiolarie e diatomee, che prevalentemente sono di grande profondità, possono anche formarsi nelle profondità medie e relativamente piccole, purché al coperto dalle correnti terrestri, mentre fondi argillosi si possono raccogliere anche nelle massime profondità: così nei saggi di fondo del Pacifico, solo i pochi raccolti fra Callao e Hawai, contengono ra- diolarie e globigerine, mentre quelli raccolti fra Hawai e le Filippine, a profondità maggiori delle precedenti (fino a 5576 metri), non conte- nevano traccie di organismi, essendo costituiti completamente da fango di origine minerale: la prima plaga è sotto l’influenza della corrente equatoriale di ritorno, diretta da Ovest ad Est, fuori quindi o molto lontana dalla influenza di fiumi, mentre la seconda è nella regione della cor- rente del Nord, continuazione della corrente vera. Tornando quindi al caso speciale delle roccie eoceniche, occorre- rebbe, almeno a me pare, di lasciare troppo largo campo all* ipotesi per dedurre o supporre che gli strati relativi possano essersi formati a grandi profondità, dal momento che essi sono sempre compresi e circondati, a brevi distanze, dalle roccie di origine litorale; a questo si aggiunga che la estensione dei serpentini va crescendo avvicinan- dosi al crinale appenninico, ossia dove predominano le roccie di ori- gine litorale. Ritenendo adunque che i serpentini siano di origine eruttiva, ed esclusa la necessità che la loro eruzione sia avvenuta in grande pro- fondità marina, mi sembra ammissibile che i conglomerati e le arenarie serpentinose che accompagnano, sovrastando o sottostando, molti gia- cimenti serpentinosi, sieno il risultato della fase esplosiva dell’eruzione stessa e debbano addirittura chiamarsi tufi serpentinosi, intendendo la parola tufo nel senso, ormai accettato in tutte le lingue europee, di materiali frammentizi emessi nelle eruzioni e poscia stratificati, sia dalle acque, sia per la tendenza naturale a disporsi in strati che hanno tutti i materiali incoerenti e facilmente scorrevoli. Ho detto più sopra che la posizione relativa di questi tufi rispetto ai serpentini non interessava il problema. Stando nei limiti del proba- bile, le eruzioni serpentinose non devono avere avuto sempre la stessa intensità, nè è fuori di luogo supporre che si siano anche ripetute di- verse volte da uno stesso spiraglio. D’altra parte la posizione sotto- 189 — stante ai serpentini di alcuni di questi tufi non può essere che appa- rente, dovendo essi, se veramente la loro origine è quella che io sup- pongo, costituire una formazione limitata e discontinua attorno ai ser- pentini stessi. L’apparenza suddetta dimostra solo che non possono considerarsi come il prodotto del disfacimento dei serpentini in posto, ma che sono a questi contemporanei. Modena, 30 Giugno 1889. NOTIZIE DIVERSE Sulla 'origine del petrolio *. — È noto che si cercò di spiegare l’origine del petrolio con due diverse teorie: secondo l’una essa risiede nella decomposizione chimica di sostanze inorganLhe nell’interno della terra ad elevata temperatura; secondo l’altra, il petrolio è formato dalla decomposizione di materia animale o vegetale. In appoggio della pri- ma teoria (detta dell’emanazione) si fecero parecchie ipotesi: fra cui la più importante è quella di Mendelejeff, il quale crede che l’acqua, passando attraverso le fessure terrestri, venga in contatto di carburi di ferro e d’altri metalli ad elevatissima temperatura nella pirosfera, e formi degli ossidi metallici e degli idrocarburi gassosi, i quali ultimi si condensano sotto forma di petrolio nelle parti più fredde della crosta terrestre. Benché Mendelejeff, ed altri prima di lui, sieno riusciti ad ottenere miscele di idrocarburi simili al petrolio con reazioni analoghe alle supposte, pur tuttavia i dati geologici e paleontologici sono contrari ad un’origine inorganica del petrolio, ed indicano la vita animale ma- rina come sua probabile sorgente. Di recente i professori Kramer e Bòttger* 2 in uno studio sugli idro- 4 Da un articolo di E. Renouf inserito nell’ American Chemical Journal, 1889, N. 2. 2 Ber. d. Chem. Gesell., N. 20595. — 190 — carburi contenuti nel petrolio brutto, emisero l’opinione che alcuni di essi siensi formati per la distillazione di materia organica ad una tem- peratura relativamente bassa e ad alta pressione. Da ultimo il Prof. Engler di Carlsruhe diede una ulteriore prova dell’origine animale del petrolio. Egli ebbe occasione di potersi ser- vire d’un apparecchio industriale nel quale distillare una grande quan- tità di liquido sotto la pressione di due atmosfere. Indottovi dalle consi- derazioni di Kramer, egli distillò mille libre inglesi di olio di pesce ad una temperatura di 350°-400° Farenheit e sotto una pressione di 2 atmo- sfere: ed ottenne dei gas combustibili, dell’acqua e 600 libbre di un olio simile per apparenza e reazione al petrolio brutto. Il 26 0[0 di quest’olio bolle al di sotto di 150°, il 58 0[0 fra 150° e 300° ed il 16 0[0 al di sopra di 300°; ed in complesso pare identico a quella parte del petrolio brutto che bolle al disotto di 150°. Per spiegare poi il fatto che il petrolio briitto non contiene che traccie di azoto, Engler suppone che nella, decomposizione dei resti animali sotto pressione continuata a lungo, l’azoto si svolga allo stato di ammoniaca. Un obbiezione che si fece all’origine organica del petrolio, si è che esso non contiene carbonio libero. Engler mostrò che se tutto l’ossi- geno primitivo fosse co nbinato con parte dell’ idrogeno per formare acqua, resterebbero liberi 87 Q[0 di carbonio e 13 0[0 di idrogeno. Or- bene le analisi dei petrolj americani, europei e caucasici fatte da St. Clair Deville, Markowrikoff e Oglobin, provano che il petrolio brutto contiene in media 87 0[0 di carbonio e 13 0[0 di idrogeno; il che costi- tuisce certo una coincidenza assai rimarchevole. Pubblicazioni in vendita presso l’Ufficio Geologico ; (Dettino del R. Comitato Geologico d’Italia; Voi. I a XIX, dal 1870 al j : Prezzo di ciascun volume Ib- idem di un fascicolo bimensile separato » N.B. - Il prezzo di abbonamento annuo e di L. 8 per V interno . e di L . 10 per l’estero. emorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Firenze, 1872 . . » , -• Voi. II. Firenze, 1873-74 » Voi. III. Parte la; Firenze, 1876 » Voi. III. Parte 2a ; Firenze, 1888 » Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati geologici e sul R. Comitato Geologico d’Italia. Firenze, 1871. . . » Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta geologica in grande scala. Roma, 1875 » . Giordano. — Esposizione in ordine cronologico delle principali disposi- zioni successivamente emanate relativamente alla Carta geologica d’Italia. Roma, 1879 . . .... • • • » . Giordano. — Sopra un progetto di legge per il compimento della Carta geologica d’ Italia. Roma, 1880 » . Giordano. — Cenni sull’organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici esistenti nei vari paesi. Roma, 1881 » . Capellini. — Relazione a S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Comm. sul Congresso geologico internazionale del 1881. Roma, 1881 .... » . W. C. Fuchs. — Carta geologica dell’Isola d’ Ischia ; scala di 1/25,000. Firenze, 1878 » L Doelter. — Carta geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone; ' scala di 1/20,000. Roma, 1876 ............. » . De Giorgi. — Abbozzo di Carta geologica della Basilicata; scala di 7 1/400,000. Roma, 1879 ................ » . De Giorgi. — Carta geologica della provincia di Lecce; scala di 1/400,000. Roma, 1880 » . Capellini. — Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Ma- rittima e di parte del Volterrano; scala di 1/100,000. Roma, 1881 . » . Capellini. — Carta geologica della provincia di Bologna ; scala di 1/100,000. Roma, 1881 » -, Capellini. — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di Magra inferiore; 2a edizione; scala di 1/50,000. Roma, Ì881 . . » . Taramelli. — Carta geologica del Friuli, con testo descrittivo ; scala di 1/200,000. Udine, 1881 » ibliographie géologique et paleontologique de l’Italie. Bologne, 1881 . . » ibliografia geologica e paleontologica della provincia di Roma. Roma, 1886 » ibliografia geologica italiana per l’anno 1886. Roma, 1887 » Idem idem per l’anno 1887. Roma, 1888 . . ... » 18 10 2 35 30 10 15 1 1 1 1 1 1 2 2 2 2 3 4 3 7 10 2 1 1 Annunzi di pubblicazioni C. F. Parona. — Note paleontologiche sul Lias inferiore nelle prea lombarde (Rendiconti del R. Istituto lombardo, voi. XIII fase 80! Milano, 1881; pag, 13 in-8°. Amighetti. — Osservazioni geologiche sul terreno glaciale dei dinttìi di Lo vere (Atti della Soc. It. di Scienze naturali, voi. XXVI, fase. S° ei — Milano, 18^9; pag. 10 in-8°. Sacco. — Il bacino terziario del Piemonte (Ibidem). — Milano, 18^ pag. 110 in-8°. Bozzi. — Sulle fìlliti cretacee di Vernasso nel Friuli (Ibidem) — I lano, 1QQO- ° v m 1889 ; pag. 8 in-8u. 181 Mercalli. — L’ Isola Vulcano e lo Stromboli dal 1886 al (Ibidem). — Milano, 1889; pag. 18 in-8°. Pantane lli. — Pleurotomidi del miocene superiore di Montegibio. TBoll. della Società malacologica italiana, voi. XIV). — Pisa, 1889 : pag. in-8°. A. L. O. P. Amighetti. — Nuove ricerche sui terreni glaciali dei dintorni 4 lago d’ Iseo. — Lovere, 1889 , pag. 164 in-8°. Bombicci. — Sul giacimento e sul tipo litologico della rocc.a o clasite di Monte Cavaloro (Bolognese). — Bologna, 1889; pag. 16 i Silvestri. — Sopra due nuovi generi di rizopodi appartenenti al cene inferiore d’Italia. — Catania, 1839; pag. 10 in-8° con una tav Franco. — Quale fu la causa che demolì la parte meridionale cratere del Somma (Atti della Soc.lt. di Se. Nat., voi. XXXII, fase — Milano, 1889; pag. 30 im8°. Struever. — Dell’ aftalosio di Racalmuto in Sicilia (Rendiconti d< R. Acc. dei Lmcei, voi. V, fase. 2°). — Roma, 1889 ; pag. 4 in-4°. Sacco. — Il seno terziario di Moncalvo (Atti della R. Acc. delle S G. F. Torino, voi. XXIV, disp. 12). — Torino, 1839 ; pag. 14 in-8°, con una G. F. G. A. geologica. Toldo. — Mitridae del miocene superiore di Montegibio (Boll, d Soc. malacol. italiana, voi. XIV). — Pisa, 1839; pag. 6 in-8°, con una tai G. Gemmellaro. — La fauna dei calcari con Fusulina della valle fiume Sosio nella provincia di Palermo (fase. 2°). — Palermo, pag. 86 in-4° con 9 tavole. Sacco. — I cheioni astiani del Piemonte. — Torino, 1839; pag. 33 i con due tavole. Bassani. — Ricerche sui pesci fossili di Chiavon. — Napoli, 1889 ; gine 100 in-4° con 18 tavole. * Busattj. — Sulla lherzolite di Rocca di Sfilano e Rosignano. — lt89 ; pag. 12 in-8° con una tavola. Capellini. — Sul primo uovo di «Aepyornis maximus» arrivato in Ita — Bologna, 1889 ; pag. 22 in*4°. B. Negri. — Studio cristallografico della cerussite di Auronzo ( del R. Istituto veneto, S. VI, T. 7°, disp. 6a). — Venezia, 1889; pa; in-8° con una tavola. Terrenzi. — Il mare pliocenico nell’ interno della conca di Te (Rivista scientifico-industriale, n. 10-11), — Firenze, 1889 ; pag. 12 in- Sacco. — I colli moiiregalesi (Boll, della Soc. geol. italiana, voi. VII — Roma, 1889; pag. 36 in-8° con una carta geologica. Tuccimei. — Il villafranchiano nelle valli sabine e i suoi fossili ratteristici (Ibidem). — Roma, lb89 ; pag. 38 in-8’, con una tavola. Neviani. — Contribuzioni alla geologia del Catanzarese ; III (Ibi — Roma, 1889 ; pag. 26 in-8° con una tavola. 1889, ELENCO del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico R. Comitato Geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia nella R.Università di Bologna, Presi Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per g ingegneri in Torino. De Zigno Achille, membro del R. Istituto Veneto, a Padova. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palerm Omboni Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Padova. Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napo' Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno,' a Imola. Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania. Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supi riore di Milano. Struver Giovanni, prof, di mineralogia nella R. Università di Roma, Taramelli Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma. Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma. Personale addetto ai lavori della Carta Geologica. Direzione superiore: Ing. Giordano Felice, Direttore. Ing. Pellati Niccolò. Ufficio centrale (in Doma): Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi, Salerno. Ing. Lotti Bernardino, Pisa. Ing. Cortese Emilio, Catanzaro. Ing. Zaccagna Domenico, Pisa. Ing. Mattirolo Ettore, Torino. Ing. Viola Carlo, Salerno. Ing. Novarese Vittorio, Catanzaro Ing. Aichino Giovanni, Roma. Ing. Sabatini Venturino, Salerno. Ing. Franchi Secondo, Torino. Ing. Mezzena Elvino, Salerno. Dott. Canavari Mario, Róma (paleontologo). Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa. Sig. Cassetti Michele, aiutante, Roma. Sig. Moderni Pompeo, aiutante, Roma. La sede dell’Ufficio geologico in Roma è nel Museo agrario-geologico via Santa Susanna, n. 1-A. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IL Voi. X. Luglio e Agosto 1889. N. 7 e 8. SOMMARIO. Memorie originali. — I. Terreni e fossili dell’ Isola di Pianosa nel Mar Tirreno ; nota del dott. V. Simonelli (con cinque tavole). Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per 1’ anno 1888. Notizie diverse. — La zona a Congerie presso Catanzaro (E. Cortese). — Num- moliti della Repubblica dell’Equatore (A. Teliini). Avviso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia. Tavole ed incisioni. — Tav. Ili : Veduta presso la Marina del Marchese (Isola di Pianosa), e Tav. IV, V, VI e VII: Fossili dell’ Isola di Pianosa; a pag. 236. MEMORIE ORIGINALI I. Terreni e fossili deli Isola di Pianosa nel Mar Tirreno; nota del Dott. Y. Simonelli. (con cinque tavole). Notizie bibliografiche. — Povera in sommo grado è la letteratura geologica della Pianosa. Fu il primo Lorenzo Pareto 1 a descrivere risola de visu e la descrisse da geologo par suo. Il Targioni-Tozzetti 2, il Reynaud 3 4, il Repetti \ lo Zuccagni-Orlandini 5, il Giuli 6 ne avevano parlato prima di lui, ma sopra vaghe informazioni raccolte da bocca d’altri, oppure in lavori d’intento affatto diverso, che ammettevano solo come accessorio qualche cenno geognostico. 1 Sulla costituzione geologica . delle isole di Pianosa , Giglio , Giannutrì, Monte- cristo e Formiche di Grosseto (Ann. deli’Umv. di Pisa, t. I). — Pisa, 1845. 2 Lezione alVAccad. dei Georgofili. Firenze, 1817. 3 Mémoire sur la constitution géologigue de la Corse (Mém. de la Soc. Géol. de France, S. le, t. I, pag. 18). — Paris, 18,83. 4 Saggio statistico di Mineralogia utile della Toscana , pag. 174. Bologna, 1843. 5 Dizionario geografico, fìsico, storico della Toscana , voi. II, pag. 207. Fi- renze, 1835. 6 Topografìa fisico-storica dell3 isola di Pianosa nel Mar Toscano. Firenze, 1836. A quanto scriveva il Pareto più di mezzo secolo fa, ben poco fu aggiunto negli anni successivi. Cercatori appassionati e diligenti, come Raffaello Foresi 4 e il capitano Pisani, frugarono l’isola in tutti i sensi, formando ricche collezioni d’armi e di strumenti preistorici e di fossili d’ogni sorta. Paleontologi insigni, come il Costa 2, il Gastaldi 3, il Cocchi 4, il Seguenza 5, trassero da queste raccolte argomento di preziosi lavori. Un illustre archeologo, Gaetano Chierici 6, mentre attendeva a disseppellire nelle caverne rdi Pianosa gli avanzi degli antichi abitatori, ed a ricostruir col pensiero i monumenti fastosi che addolcirono l’esilio di Marno Agrippa, consacrava una parte del suo tempo ad osservazioni geologiche di qualche interesse. Con tutto questo rimane però ancora incerto il numero e più incerta l’età delle forma- zioni che costituiscono l’isola. Vuol taluno che sia tutta quaternaria, mentre altri la dicono pliocenica, altri miocenica in parte ed in parte quaternaria ; ma quasi tutte queste asserzioni sono fondate esclusiva- mente sull’esame di qualche campione di roccia e di pochi fossili veduti nei musei; non furono mai confermate da osservazioni sul terreno. Ho dunque ragione di credere che il modesto mio contributo alla geologia di Pianosa abbia, in mancanza d’altri pregi, quello almeno della opportunità; ora soprattutto, che recenti e brillantissime ricerche biologiche e geologiche hanno richiamata la generale attenzione sulla storia dell’arcipelago toscano. Cenni topografici e climatologici. — Fauna e flora. — Come una zattera colossale, ormeggiata fra l’Elba e la Corsica^ fra la Capraia e Montecristo, l’isola di Pianosa emerge di pochi metri e con superficie 4 S opra una collezione composta di oggetti antistorici trovati nelVisole dello Arcipelago Toscano. Lettera al prof. L. Simonia. Firenze, 1867. 2 Descrizione di alcuni fossili dell’isola di Pianosa presso quella délVElba (Atti del R. Istit. d’iocoragg. delle Se. Nat.). — Napoli, 1862. 5 Intorno ad alcuni fossili del Piemonte e della Toscana. Torino, 1866. 4 Monografìa dei Pharyngodopilidae. Firenze, 1864. 8 Intorno la posizione stratigrafica del « Clypeaster altus » Lk. (Atti della Soc. It. di Se. Nat., voi. XII, pag. 657). — Milano, 1869. 6 Antichi monumenti della Pianosa. Reggio, 1875. — Vedi anche Issel, Bra- disismi. pag. 199 e seg.. Genova, 1883. — 195 ~ uniformemente tabulare dalle acque del Tirreno *. Il suo contorno fu paragonato a quello di una scure col manico rivolto a settentrione, il taglio a ponente, a levante il mazzuolo e a mezzogiorno la testa. Nè io saprei trovar modo migliore per dare un’idea approssimativa della forma dell’isola, dal cui tronco press’ a poco quadrangolare, con la massima estensione da Est ad Ovest, si stacca a Nord un’appendice lunghissima e sottile, con direzione meridiana. Dall’estrema sporgenza di questa lingua di terra (Punta del Mar- chese) all’opposta apofìsi meridionale (Punta Brigantina) si contan circa sei chilometri di distanza. La maggior larghezza dell’ isola, mi- surata fra Punta Libeccio ad Ovest e il promontorio situato davanti al- l’isolotto della Scuola ad Est, può valutarsi a cinque chilometri. La cir- conferenza poi sarebbe, secondo lo Zuccagni-Orlandini, di 17 miglia toscane, pari a chilometri 28. Il litorale, quello specialmente di Sud e di Ovest, è pochissimo frasta- gliato. Solo a levante presenta qualche cala stretta e profonda, come sarebbero Cala dei Turchi, il Calone di Pietro, Cala [del Bruciato e poche altre; d'ordinario non ha che insenature leggerissime e larga- mente aperte verso il mare. Tagliate a picco per tratti lunghissimi le coste offrono rari e poco facili approdi: quelle di Est sono in generale meno ripide delle occidentali, ed anzi in una breve zona compresa fra i Bagni di Agrippa e il Fortino della Teglia, si può trovare anche una spiaggia sottile e sabbiosa. Ma nel rimanente si hanno quasi ovunque alte ripe o costiere, elevate talora di venti metri e più sopra il livello del mare. Notevoli sono le terrazze e le caverne che veggonsi scavate in certi punti del litorale, a Sud e ad Est principalmente, ad altezze che eccedono i limiti dell’azione ondosa attuale. L’interno dell’isola è tutto pianeggiante, anzi, un pò depresso, giacché le maggiori quote altimetriche s’incontrano alla periferia, nei così detti poggi del Belvedere, della Quercia, ecc. Ma anche questi poggi sono sporgenze appena sensibili, e che non tolgono niente alla orizzontalità cui l’isola deve il suo nome. E molto se alcuni giungono ai trenta metri sopra il livello del mare. 1 Planaria a specie dieta, aequalis freto , nav'giis fallax. (Plinio, Hist. nat., Lib. Ili, pag. 58). — 196 Quanto alla configurazione del fondo marino tutt’intorno all’isola,, possiamo notare che le zone di profondità non superiori ai 60 metri seguono per lunghi tratti l’andamento della costa, senza allontanarsene più di un chilometro o due; soltanto si protendono in una lunga apofìsi a S.S.E, e si allargano per quasi cinque chilometri ad Ovest del Mar- chese, formando un vasto basamento sottomarino a questa lingua di terra. Nel lato occidentale dell’isola, oltrepassate queste zone, il fondo continua ad abbassarsi con dolce declivio per altri quattro chilometri,, e poi s’inabissa rapidamente, fino a 669 metri, nella vallata che separa la Corsica dall’ arcipelago tirreno. Andando invece verso terràferma non s’incontrano profondità superiori ai 150m. e di soli lOlm. è la mas- sima indicata fra la Pianosa e l’Elba b I dati relativi al clima sarebbero complemento necessario di questi cenni sulle condizioni fìsiche della Pianosa; ma pur troppo ci mancano in proposito osservazioni esatte e continuate, sicché poco o nulla se ne può dire di preciso. Soltanto sappiamo che il clima è dolcissimo* anzi, caldo addirittura: tale insomma da giustificare l’appellativo di Sicilia della Toscana , che qualcuno ha voluto dare alla Pianosa. Ce 10 dicono a chiare note la fioritura precocissima delle piante spon- tanee e coltivate, e il prosperar che vi fanno le piantagioni del fico d’india e del sommacco. Il mandorlo fiorisce in gennaio, sbocciano in .# marzo il ciriegio, il gelso, il rosmarino. Sono abbondantissime le rugiade estive, ma non frequenti le brine. 11 gelo poi deve essere sconosciuto o quasi, a giudicare dalla perfetta, conservazione del materiale edilizio, che anche alle costruzioni del tempo romano venne fornito da un calcare nulliporico od arenacea facilissimo a disgregarsi. Le piogge sono più rare e meno abbondanti che nelle vicine isole- deli’ arcipelago, tutte montuose e perciò meglio adatte a funzionar da condensatori del vapor acqueo. Si vedono spesso le nubi addensarsi sul picco di Montecristo, sulle montagne dell’Elba e della Corsica,, mentre sopra Pianosa il cielo è limpido e sereno. La quasi assoluta 1 Vedi la Carte jparticuliere des Còtes d’ Italie, Gr. Duché de Toscane, partie occid. de Vile d’Elbe et He de Pianosa , 1854, e la Carta delV Arcipelago Toscano del R. ZJff. Idrografico, 1887. — 197 — orizzontalità della superfìcie, mossa appena da ondulazioni lievissime, non consente radunamento delle acque pluviali in un sistema idrografico qualunque. Il suolo beve in un attimo l’acqua delle piogge più forti, che filtra agevolmente traverso ai porosissimi strati del calcare plio- cenico, fino ad incontrare le impermeabili argille del miocene. Al con- tatto tra le due formazioni si stabilisce un velo acquifero, che i pozzi raggiungono alla profondità di una diecina di metri, e che alimenta an- che qualche meschino stillicidio nella costa occidentale dell’isola. Anche sulla flora e sulla fauna attuale, che forse ci somministre- rebbero preziose indicazioni per la storia geologica della Pianosa, non posso far altro che riassumere le poche osservazioni che io stesso ebbi campo di fare ]. Alla quasi assoluta uniformità di condizioni che regna nell’isola corrisponde naturalmente 1’ uniformità della flora. Sol- tanto l’angusta zona di litorale Sibbioso della Cala S. Giovanni costi- tuisce una stazione a sè, nella quale sono confinate le poche specie proprie delle arene marittime. Nel suo aspetto generale la flora della Pianosa è caratterizzata dal predominio delle piante suffruticose, che formano uua macchia bassa e fittissima nei luoghi tuttora vergini di coltura, dovunque un po’ di terra vegetale si stende sul tufo calcareo. L’olivo selvatico è il solo albero che s’incontri con una certa fre- quenza. Sopra 54 specie di piante raccolte da me, una sola è pecu- liare all’ arcipelago, la Lìnaria Capraria Moris et De Not.; tutte le altre sono comuni alla regione maremmana di terraferma. Quanto agli animali mi limiterò a ricordare la presenza del Phylla- dactylus europaeus Genè (uno dei rettili, secondo il Forsyth Major, carat- teristici della Tyrrhenis 1 2 3 *) e della Ferussacìa (PegeaJ carnea Risso 5, specie che è propria dell’Algeria, ma che si ritrova anche nei dintorni di Nizza, ove, secondo il Bourguignat, sarebbe stata portata daìl’uomo. 1 Simonelli, Notizie sulla flora e sulla fauna dell 'isola di Pianosa (Proc. verb. della Soc. Tose, di Se. Nat. Adunanza del 2 marzo 1884). 2 Bettili ed Anfìbi caratteristici della Tyrrhenis (Soc. Tose, di Se. Nat., Proc. verb., voi. IV., pag. 49. 1883-85). 3 Vedi Issel in E. d’Albertis, Crociera del Violante (Ann. Mus. di Genova, voi. XI, pag. 454, fi g, 8. 1878). — Vedi anche Paulucci, Conchiglie terrestri e d’acqua polce del Monte Argentario e delle isoF circostanti (Bull. Soc. Malac. It., voi XII, pag. 37. 1886). — 198 — Descrizione geologica. Se grande è la differenza tra l’aspetto esteriore della Pianosa e quello delle altre isole toscane, non meno grande è il contrasto che risulta dall’esame comparativo della costituzione geologica. Qui nessuna traccia di formazioni più antiche del neogene, nessun affioramento dì rocce cristalline; ma l’isola tutta ci si presenta come un gran banco di calcare prevalentemente fìtogenico (Pliocene) adagiato sopra strati di argilla o di marna argillosa (Miocene). Sopra il calcare trovansi piccoli lembi di conglomerati marini e terrestri, che, per la fauna, se non identica, almeno molto analoga all’attuale, debbono ascriversi al Quaternario. Anche meno antichi sembrano i depositi delle caverne, ove io non seppi trovar altri avanzi che quelli di specie tuttora viventi, com- misti a traccie dell’uomo e della sua industria. Son finalmente recentis- sime le sabbie marine della Cala S. Giovanni e le argille rossastre che si trovano presso la Fornace, e che son forse un prodotto d’alte- razione dei sottostanti calcari. Tale è, sommariamente considerata, la costituzione della Pianosa. Passiamo ora a studiarla nei particolari litologici, stratigrafìci e pa- leontologici delle varie formazioni. Caverne. — Le caverne, naturali della Pianosa si aprono nel calcare pliocenico lungo la costa, a pochi metri d’altezza sul livello del mare e ripetono evidentemente l’origine loro dall’erosione che il mare eser- citò durante l’epoca quaternaria. Tra le più note son quelle di Cala Giovanna e di Punta Secca nel lato orientale dell’isola e quella di San Marco nel lato meridionale. Frugando nel terriccio della caverna di Cala Giovanna il Foresi ed il Chierici 1 trovarono vestigia di focolari, vasi d’argilla nera, frecce, coltelli, punteroli e raschiatoi di selce non levigati ed ossami numerosi di mammiferi e di uccelli in parte bruciati. Anche a Punta Secca il Chierici trovò indizi molteplici della presenza dell’uomo: carboni 1 Antichi monumenti di Pianosa, peg. 7. — 199 — e ceneri, rozze stoviglie di pasta nera e rossiccia, una scheggia di diaspro, ossa umane e di altri animali. 1 In queste caverne nessuno ha mai trovato avanzi di mammiferi di specie estinte. Io cercai per più giorni con ogni diligenza anche nella Caverna di San Marco ed in quella di Cala dei Turchi, senza incon- trale altri oggetti che i seguenti: 1°. Ossa umane,* appartenenti a individui di varia età, scheggie di selce, frammenti di grossolane ceramiche. 2°. Ossa di mammiferi, quasi tutte spezzate, fra le quali possono riconoscersi il bove, la capra, il cervo, il Mus sylvaticus ed una specie di Mustèla che il Dr. Forsyth Major crede sia la' M. vulgaris Briss, o la M. Beccamela Bechst. 3°. Numerose ossa di uccelli, e segnatamente di Columba palumbus L., Turdus merula L., Tinnunculus alaudarìus Grey, Corvus , Vanellus , Falco , Anas. 2 4°. Gusci di grosse patelle e di qualche altro mollusco mange- reccio. Breccie ossifere e] calcari ad Helix. — Nella sua memoria intorno ad alcuni fossili del Piemonte e della Toscana il Gastaldi parlò di nu- merosi avanzi di mammiferi provenienti dalle breccie ossifere della Pianosa, che facevano parte della collezione Pisani acquistata dal Mi- nistro della Pubblica Istruzione nel 1861. Furono riferiti quelli avanzi alle specie seguenti: Ursus spelaeus , Vulpes sp., Mustela sp., Sus sp., Equus fossilis , Equus asinus fossilìs , Bos sp. aff. bubalus , B, inter me dius, Cervus sp., Antilopes sp., Aquila sp. Il Forsyth Major 3 ha però annunziato da qualche anno, dietro le dichiarazioni dello stesso Pisani, che le ossa fossili descritte dal Ga- staldi come provenienti dalla Pianosa, erano, in parte almeno, state raccolte all’isola d’Elba; mentre della Pianosa non si conoscevano con 1 Chierici, op. cit., pag. 7. 2 Determinazioni che debbo alla gentilezza del prof. Alessandro Portis del- l’Università di Roma. 3 Die TyrrJienis (Kosmos, Vili Jahrg., 1883, pag. 9). — E origine della fauna delle nostre isole (Proc. verb. Soc. Tose, di Se. Nat., Voi. Ili, p. 117. 1882). — 200 — certezza altro ch^ avanzi poco concludenti di Cervus e di Sus , con- servati nel Museo di Firenze. Posso aggiungere che qualche esemplare di breccia ossifera si vede anche nel Museo di Pisa, in una serie di fossili che sicuramente provengono dalla Pianosa, e che io stesso ne osservai qualche rimasuglio sopra la scogliera che chiude al Nord la piccola insenatura del Marzocco. Son però frantumi d'ossa indeterminabili tanto quelli conservati nel Museo di Pisa, quanto gli altri veduti in posto da me. Se non le breccie ossifere, sono frequenti alla Pianosa certi calcari biancastri o rossicci, facilissimi a disgregarsi, terrosi, che riempiono le spaccature dei calcari pliocenici. Se ne hanno esempi sotto al Forte della Teglia, a Punta del Segnale, presso la Cala della Ruta, verso il Porto Romano, ecc. Sono inclusi in questo calcare frantumi di nullipore e di altri organismi marini, che certo provengono da formazioni più antiche rimaneggiate, e numerosi gusci di molluschi terrestri, fra i quali notansi le specie seguenti: Helix (Tacheocampylaea) Raspaili Payr., var. elata. — (Tav. IV, fig. 1). — Conchiglia orbicolare, molto depressa, un pò rigonfia nella parte inferiore, convessa superiormente. Anfratti 4 1(2, convessi, separati da profonde suture. Accrescimento lento e regolare pei primi giri, più ra- pido per Pultimo, che equivale da solo a metà del diametro dell’intera conchiglia. Apertura obliqua, semilunare, con peristoma riflesso, . coi margini superiore ed inferiore riuniti da un callo rilevato. Ombilico perforato nei giovani individui e negli adulti completamente chiuso dall’espansione callosa del margine columellare. La superficie, ornata di fìtte e grosse strie obliquamente trasverse, ha conservato una certa lucentezza ed anche qualche traccia del primitivo colore. Certi esem- plari presentano infatti nella metà superiore dell’ultimo giro tre zone di un bel giallo ocraceo, che presto riduconsi a due e poi ad una sola nel penultimo giro. Dimensioni : i il in Diametro dell’ ultimo giro mm. 20 . . 30 . . 33. Altezza . 14 . . 20 . . 21. Quanto alle affinità di questa interessantissima specie ho la fortuna di poter citare il giudizio di una fra le più reputate autorità malaco- logiche, della marchesa Marianna Paulucci. Ecco quel che mi scriveva T illustre signora, dopo avere esaminato i miei esemplari di Taeheo- eampylaea: « Sono intermedii fra V Helix Raspaili Payr. 1 e VII. Carotii Paulucci 2, ma più si approssimano alla prima che alla seconda. Dalla prima differiscono per forma generale più elevata, per l’ultimo anfratto maggiormente rigonfio e più allargato, per apertura più scendente e più tonda; anche il bordo inferiore dell’apertura è assai diverso, più rigonfio che nella Raspaili. Dalla seconda differiscono per lo sviluppo generale degli anfratti, pei margini dell’apertura meno convergenti e più paralleli, e per la mancanza di rima umbilicale. » Ho potuto confrontare gli esemplari miei con V H. Raspaili dei de- positi quaternari di Corsica ed ho riscontrato le differenze medesime che la M.sa Paulucci aveva avvertite; ma non credendomi autorizzato a separare specificamente la Taeheocampylaea di Pianosa dalla Raspaili , mi son limitato a considerarla come varietà, certo assai ben distinta, della specie di Payraudeau. Località: Presso il Fortino della Teglia, sotto la Piazza d’Armi, alla Punta del Segnale, ai Bagni d’ Agrippa, in esemplari numerosi e ben conservati. Helix sp. — Un solo frammento, che per l’acuta carena dell’ultimo giro ricorda VH. (Delompbalus) lenticula Fer. ma che è troppo mal conservato per essere suscettibile di esatta determinazione. — Bagni d’Agrippa. Clausilia (MarpessaJ Kusteri Rossm. — I pochi esemplari raccolti presso i Bagni d’Agrippa sono identici in tutto a quelli viventi della Corsica e della Sardegna. Cyclostoma (Efieia)' elegans Muli. sp. — Comunissima ai Bagni d’Agrippa, presso il Fortino della Teglia, al Porto Romano, ecc. Panchina. — In vari punti situati lungo la cosia (Cala dei Turchi, Bagni d’Agrippa, Punta del Grottone, Punta del Marchese, Porto Ro- 1 Payraudeau, Catalogne des Annélides et des Mollusques de Vile de Corse , pag. 102, pi. Y, fig. 7-8. 1826. 2 Note malacologiche sulla fauna terrestre e fluviale delV isola di Sardegna , pag. 61, tav. Ili, fi g. 4. 1882. — 202 — mano, Cala di S. Marco, Cala del Bruciato, Calone di Pietro, Cala Gio- vanna) si trovano piccoli lembi di -panchina quaternaria, ordinariamente situati a non più di due o tre metri d’altezza sopra il livello del mare. Posson questi lembi considerarsi come gli avanzi di una ghirlanda che in altri tempi certo non era così discontinua e che in epoca non lon- tana scomparirà totalmente, esposta com’è all’azione demolitrice delle onde. Tal formazione è principalmente sviluppata presso la Cala dei Turchi, ove i suoi strati perfettamente orizzontali riposano sulle te- state di quelli pliocenici, che son quivi fortemente inclinati. Questa panchina è un coacervato di gusci di molluschi, di tuberi di nullipore, di minuti ciottoletti calcarei o quarzosi, con cemento cal- care in variabilissime proporzioni. I resti organici sono spesso ridotti in frantumi piu o meno grossolani e qualche volta anche in una fi- nissima polvere calcarea; ma se ne trovano anche intieri e ben con- servati, con tutta la freschezza degli originari colori. A questi fossili alludeva certamente il Pareto, quando parlava di grandi riunioni di pettuncoli , alcuni strombi e natiche , che si trovano non lungi dal porto in uno dei banchi framezzati alla calcaria. Ed alcuni ne rammentò anche il Costa, che però li confuse con quelli provenienti dal Pliocene. Ecco la lista delle specie da me raccolte in questa formazione: Conus mediterraneus L. — (Costa, Foss. di Pianosa , pag. 5. 1862). Conus sp. La mancanza di opportuni mezzi di confronto mi fa rimanere in- certo sulla determinazione di alcuni grandi Conus di Cala dei Turchi, che arrivano a dimensioni maggiori assai di quelle presentate dalle specie viventi nel Mediterraneo, e che ne diversificano sensibilmente anche per la forma (lungh. 73mm, diam. 42mm). Neppur corrispondono ad alcuna tra le specie fossili che mi son note. — Comunissimi alla Cala dei Turchi, al Bagno d’ A grippa, al Porto Romano ecc. Cancellaria cancellata L. sp. — - (Costa, Foss. di Pianosa , pag. 5. 1862). — Cala dei Turchi. C. 1 Murex ( Phyllonotus ) trunculus L. — Ibidem. C. Pisania maculosa Lam. sp. — Cala dei Turchi, Bagni d’ Agrippa. C. 1 Ho indicato con la Ietterà C le specie comuni, con Cc le comunissime, con R le rare, le molto rare con Rr. — 203 — Euthria cornea L. sp. — Cala dei Turchi. R. Columbella rustica L.sp. — Cala dei Turchi, Bagni d’Agrippa, ecc. Cc. Nassa incrassata Stròm. sp. — Cala dei Turchi. R. N. costulata Ren. sp. (N. Cuvieri Payr.) — Ibidem. R. Ct/clope neritea L. sp. — Ibidem. R. Triton cutaceus L. sp. — Ibidem. R. Trivia europaea Montagu. — Cala dei Turchi. Rr. Strombus mediterraneus Duclos. — ( Strornbus coronatus Costa, Foss. di Pianosa , pag. 5. 1862). — (Tav. IV, fìg. 2). — Fu più volte indicata la presenza di Strombus affini o identici al pliocenico Strom- bus coronatus Defr., nelle formazioni quaternarie che fanno ghirlanda intorno al bacino mediterraneo. Il Gaudry 1 citò lo Strombus co- ronatus tra i fossili di Larnaca e della Scala nell’isola di Cipro. Il Fischer 2 presentò nel 1878 alla Società geologica di Francia alcuni Strombus raccolti dal Pomel in un deposito quaternario dell’Algeria e ne parlò come di una forma intermedia fra lo Str. coronatus del Plio- cene e lo Str. bubonius Lk., che vive anche attualmente presso le isole del Capo Verde. Poco dopo THermite 3 * trovò nel Quaternario di Majorca uno Strombus che determinò come Str. mediterraneus Duclos, aggiungendo che questa specie è forse sinonimo di Str. coronatus Defr. Nella zona inferiore del Quaternario di Bovetto lo Str. coronatus fu in- dicato dal Seguenza i; ma, da qualche diversità che il Seguenza mede- simo osservava tra la forma del Pliocene ed i suoi esemplari del Qua- ternario, il De Stefani 5 fu indotto ad usare anche per questi il nome di Str. mediterraneus Duclos. Finalmente il M.se De Gregorio 6 ha rin- 1 Geologie eie Vile de Chypre (Mém. Soc. Géol. de France, 2e Sér., T. VII, Mém. n. 3, p. 283. 1859). 2 Sur des Strombes recueillis par M. Pomel en Algerie (Bull. Soc. géol. Fr., 3a Ser., T. VI, pag. 548. 1878). 3 Études g'ologiques sur les iles Baléares, pag. 289. Paris, 1879. * Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio (Atti della R. Accad. dei Lincei, Serie 3a, Voi. VI, pag. 354. 1880). 3 Escursione scientifica nella Calabria (Atti della R. Acc. dei Lincei, Serie 3a, Voi. XVIII, pag. 213. 1883). 6 Studi su talune conchiglie mediterranee viventi e fossili (Bull, della Soc. Ma- lacol. Ital., Voi. XI, pag. 83. 1885). — 204 — venuto nel Postpliocene del Palermitano ed ha descritto come specie nuova (Str. Sferracavallensis De Greg.) uno Strombus di grandi dimen- sioni, appartenente al tipo del coronatili , ma distinto da questo per « la spira più conoidea, gli anfratti non incartocciati l’uno sull’altro, le coste nodulose nel mezzo di essi, nell’ultimo meno sviluppati che nel coronatus. » Anche nel Quaternario di Pianosa, a Cala dei Turchi, io raccolsi parecchi esemplari di Strombus , quasi tutti ben conservati e di mole considerevole. Presentano infatti le dimensioni seguenti: I II in IV Lunghezza mm. 83.90. 101 . 122 Diametro dell’ ultimo giro, non compresi i tubercoli . . . » 56.60. 89. 88 Paragonati con esemplari pliocenici che offrono la forma tipica dello Str. coronatus , si vede che ne divergono sensibilmente. L’angolo spirale non è punto concavo, l’ultimo anfratto è generalmente più al- . lungato, e manca costantemente quella serie di tubercoli rotondeggianti- che nel coronatus suol vedersi presso la base, in corrispondenza della ; insenatura del labbro esterno. Questa serie di tubercoli è invece sostituita da un cercine continuo quando più quando meno rilevato; mentre quella altra serie che si trova a metà dell’ultimo giro, fra la carena e la insenatura del labbro, ha talvolta sviluppo normale, tal altra è ridotta a poche e leg- gere varici. Del resto, come nello Str. coronatus , i tubercoli della ca- rena presentano tutte le gradazioni di sviluppo. Le linee d’accresci- mento sono visibili in tutta la superfìcie: le linee spirali che in numero di due o tre accompagnano le suture, sono profondamente impresse in tutti gli esemplari che non hanno Subita corrosione. Varia entro certi limiti la forma del labbro, ora più ora meno espanso, più o meno in- grossato, ora protratto in alto come il padiglione di un orecchio, ora invece scendente con uniforme declivio fino dal punto d’inserzione. Certamente non sono numerose nè molto importanti le differenze . che abbiamo potuto notare fra i nostri esemplari ed il tipico Strombus coronatus. Ma siamo disposti ad attribuir loro un certo valore, osser- vando che identiche differenze vengono in luce quando si paragonano al coronatus gli Strombus quaternari di altre località. — 205 — Il Museo di Pisa ne possiede alcuni della panchina di Livorno, di Taranto, di S. Severina, e tutti hanno la forma precisa e l’ornamenta- zione di quelli di Pianosa, e possono a colpo d’occhio distinguersi dal coronatus tipico del Pliocene. Anche dalle descrizioni del Seguenza, come da quelle del De Gregorio, apparisce che tanto gli Strombus di Bovetto quanto quelli di Sferracavallo divergono dal coronatus press’a poco nel medesimo senso dei nostri. L’associazione di certi caratteri differenziali (forma allungata, an- golo spirale piano, cercine basale liscio in dieci esemplari su dodici) che si ritrova costante negli Strombus quaternari, mi sembra valido argomento a considerarli come appartenenti a specie diversa dal co- ronatus. E vero bensì che il coronatus terziario offre grande variabi- lità nelle dimensioni, nell’altezza della spira, nel numero e nel rilievo dei tubercoli ecc., e può quindi darsi benissimo che- qualcuna delle sue forme corrisponda a questa del Quaternario. Ma comunque ciò sia, questa varietà sopravvissuta alle sue contemporanee ed alla forma tipica dovrebbe, secondo il nostro debole parere, esser considerata come specie distinta, in analogia con quanto è stato fatto in simili occasioni da autorevolissimi maestri. 1 ‘ Quanto alle affinità morfologiche fra questa specie quaternaria ed il vivente Strombus bubonìus , possiamo notare che rimanendo pres- soché uguale la forma della spira, il numero e lo sviluppo delle linee perisuturali ecc., tornano nel bubonìus a mostrarsi grossi e numerosi i tubercoli della terza serie, quelli cioè vicini alla base. Non possiamo decidere se allo Strombus quaternario possa appli- carsi il nome di mediterraneus Duci., usato dal De Stefani e dall’Her- mite, o quello di Sferracavallensis proposto dal De Gregorio. La legge di priorità sarebbe certamente favorevole al nome del Duclos; ma d’altra parte ignoriamo se e dove quest’ultimo abbia pubblicato la diagnosi o la figura della specie. 2 1 Fontannes, Sur tuie cles causes de la variation dans le temjis des faunes malacologiques, à propos de la filiation des. a Pecten restitutensis et latissimus » (Bull, de la Soc. géol. de Fi\, Ser. 3e, T. XII, p. 357. 1887). 2 È inedita Y Iconografie du genre Strombe di P. L. Duclos, annunziata in uno dei cataloghi di Friedlaender. — 206 — Odostomia sp. — Cala dei Turchi. — Frammenti indetermina- bili. Cerithium vulgatum Brug. — Cala dei Turchi, Grottone, Porto Ro- mano, Bagni d’Agrìppa. Cc. C. rupestre Risso. — Un solo esemplare nel Museo di Pisa. C. ( Bittium ) reticulatum da Costa. — Cala dei Turchi, Bagni di Agrippa. Cc. Triforis perversus Lin. sp. — Ibidem. C. Natica millepunctata Lam. — Cala dei Turchi. R. Natica catena da Costa (N. helicina Broc. — Ibidem C. Natica macilenta Phil. — Ibidem. Cc. Siliquaria anguina Lam. • — Un magnifico esemplare del Museo di Pisa senza dubbio proviene dal Quaternario della Pianosa; ignorasi però la località precisa in cui fu raccolto. Vermetus ( Dofania ) triqueter Bivona. — Cala dei Turchi. R. Turritella triplicata Broc. sp. — Bagni d’ Agrippa. R. Trochus articolatus L. — Cala dei Turchi. C. T. ( T rodio co ehlea ) turbinatus Born. — Bagni d’Agrippa, Grot- tone., ecc. Cc. Clanculus corallinus. Gmel. sp. — Bagni d’Agrippa. R. Turbo (Bolina) rugosus L. (Costa, Foss. di Pianosa , pag. 5. 1862.) — Comunissimo in tutte le località. Haliotis lamellosa Lam. — Cala dei Turchi. Rr. Fissurella gibberula Lam. — Collezione del Museo di Pisa. Rr. Patella Lusitanica Gmel. (P. vulgata Costa, Foss. di Pianosa , p. 5- 1862). — Cala dei Turchi. Cc. P. tarentina Lam. — Punta del Grottone. C. Dentalium vulgare da Costa. — Cala dei Turchi. Rr. Cardium tuberculatum L. - — Ibidem. C. Lucina Leucona Turton. — Ibidem. R. Chama cfr. gryphoides L. — Ibidem. R. Candita caly culata L. sp. — Ibidem. R. Pectunculus insubricus Broc. sp. (P. glgcimeris Costa, Foss. di Pianosa , p. 4. 1862). — Comunissimo ovunque. P. bimaculatus Poli. — Cala dei Turchi. C. Arca Noae L. — Ibidem. Cc. — 207 — Arca barbata L. — Ibidem. C. Mytilus edulis L. — Ibidem. C. Lima squamosa Lam. — Ibidem. C. Spondylus gaederopus Lam. — Punta del Grottone. R. Ostrea edulis L. — Comune ovunque. O. cristata Born. Cala dei Turchi. R. Ditrupa subulata Desh. — Ibidem. R. Toxopneustes sp. (Radioli isolati). — Ibidem. C. Cladocora ccespitosa Ehb. — Punta del Grottone. C. C. multicaulis Mich. — Cala dei Turchi. Rr. Lithothamnium sp. Senza potere escludere che certi lembi della panchina di Pianosa (quelli segnatamente del Porto Romano, di Cala S. Marco, dei Bagni d’Agrippa) possano qualificarsi addirittura recenti, crediamo che gli strati di Cala dei Turchi, donde proviene la maggior parte dei fossili enumerati, debbano essere riferiti al Postpliocene. È vero che non abbiamo potuto indicare nessuna di quelle specie artiche che sogliono caratterizzare i più tipici sedimenti di questo periodo ; ma non è meno vero che in mezzo ad una fauna complessivamente uguale a quella del Mediterraneo attuale, compariscono nella panchina di Pianosa i rap- presentanti di qualche specie che si ritiene scomparsa dal nostro mare od estinta. Tali i Conus, tale lo Strombus medite^paneus , peculiare di formazioni non più moderne del Postpliocene. Depositi marini del Quaternario sono stati indicati in altre isole dell’arcipelago^ toscano, all’ Elba segnatamente, a Cerboli e al Gi- glio. Non abbiamo però modo di giudicare se questi siano vera- mente postpliocenici, come quello di Cala dei Turchi, o recenti. Più sicura è la corrispondenza con una parte della panchina livornese e con il Quaternario delle coste romane, della Calabria ( Sahariano del Se. guenza), della Sicilia, delle Baleari, di Cipro, delle coste settentrio- nali dell’Africa, ecc. Calcari pliocenici. — I calcari pliocenici che formano, come ab- biamo già detto, la maggior parte dell’isola, ci presentano una certa varietà di caratteri litologici. Non sono mai travertini , come fu da qual- — 208 — cuno inesattamente asserito 4; ma sempre invece sono di origine or- ganica. Talora sono costituiti quasi esclusivamente da tuberi di Lytho- thamnium più o meno alterati, e come gli altri calcari nulliporici di Toscana hanno colore bianco-giallognolo, offrono una certa resistenza al martellp, che li ammacca senza frantumarli e son facili a lavorarsi con la scure. Altre volte, invece che dalle alghe litogene, la roccia è costituita da colonie di briozoi o da gusci di molluschi ben conservati, specialmente lamellibranchi. Si hanno anche frequentemente dei calcari detritogeni, nei quali ai minutissimi frammenti di origine organica si associano pagliette di mica nera, granelli di quarzo e di feldspato, così abbondanti in qualche caso da impartire alla roccia l’aspetto di arcose. Spesso incoerenti e facili a sbriciolarsi con la mano, questi ultimi acqui- stano a volte solidità lapida e divengono suscettibili di pulimento. Lo spessore complessivo del banco calcareo è in media di una die- cina di metri; arriva a dodici nelle pareti del pozzo della Fornace. I calcari riposano sulle argille mioceniche, talora con evidente discor- danza, e ordinariamente ne son separati per l’interposizione di uno straterello di ghiaia grossolana, con ciottoli calcari o quarzosi, e, se- condo il Pareto \ anche granitici. Nei bellissimi tagli naturali che ci vengono offerti dalla costa occi- dentale dell’isola può agevolmente rilevarsi la particolar natura dei vari strati onde è composto il gran banco calcareo. Così nel Golfo della Botte, immediatam&hte sopra alle ghiaie, si veggono strati di calcare nulliporico per un’altezza di quasi due metri; vien poi uno strato di calcare detritico con qualche modello di Fernet Soldanii Desh. dello spessore di circa m. 1,30. Più in alto succede un calcare pieno zeppo di Modiola barbata L., per l’altezza di m. 1, 50. Superiormente infine abbiamo un banco formato quasi esclusivamente da grandi nuclei di Perna Soldanii , alto fino a due metri e mezzo. Una disposizione pres- s’a poco identica si ritrova nella Cala alla- Ruta, ma qui, sopra lo strato con Perna Soldanii , se ne vede un altro di calcare arenaceo. Predomina in questi strati l’orizzontalità, ma ciò non toglie che 1 E. d’Albertis, Crociera del Violante (Ann. delMus. Giv. di Genova, Voi. XI, 1877-78, pag. 29). 2 Costit. geolog . delle isole di Pianosa, Giglio , eco., psg. 4. — 209 — in vari punti si osservino inclinazioni di 10° e più ancora. Così è presso Cala dei Turchi, al Calone di Pietro, a Punta Brigantina, a Punta del Segnale e presso il Panificio, luoghi nei quali gli strati pliocenici s’im- mergono verso mezzogiorno. Però non può escludersi che, almeno in qualche caso, Tinclinazione sia l’effetto di locali scoscendimenti, che la facile erosione dell’imbasamento argilloso deve senza alcun dubbio produrre. Numerosi sono gli avanzi organici che si posson raccogliere in questi calcari, e spesso sono anche notevoli per la conservazione per- fetta. Tengono il primo posto gli echinidi, per la varietà delle forme e per la meravigliosa integrità degli esemplari. Vi sono riccamente rappresentati i briozoi, in colonie qualche volta gigantesche, avendosi celiepore dendroidi lunghe fin venti centimetri. 1 Per numero di indi- vidui sono abbondantissimi i pelecipodi, trovandosi, come ho già avver- tito, strati polenti costituiti per intiero da perne o damodiole. Dei gaste- ropodi abbiamo invece relativa penuria, trovandosene soltanto modelli interni difficilmente riconoscibili. Discretamente rappresentati son poi i brachiopodi e i pesci, soprattutto questi ultimi, taluni dei quali già noti per i lavori del Costa e del Cocchi. Segue l’elenco di questi fossili, desunto in parte dalle raccolte che feci io stesso, in parte dalie collezioni già esistenti nei musei univer - sitari di Pisa e di Torino e in quello dall’ Istituto superiore di Firenze. Halitherium sp. — Grosso frammento di una costa trovato presso il Golfo della Botte. 2 Chrysophrys Agassizi E. Sism. — Riservo questo nome ai denti piatti od ellittici che corrispondono alla descrizione ed alle figure del Sismonda, 3 senza occuparmi di cercare quali altri denti, fra quelli di 1 1 briozoi pliocenici e miocenici della Pianosa saranno presto fatti conoscere da un lavoro che il Dott. G. Gioii sta preparando. 2 Nel Museo di Firenze ho veduto un bel dente canino di pinnipede, deter- minato come Phoca Gaudini Guise., nella collezione di fossili della Pianosa che l’Istituto ebbe dal Pisani. Ometto nell’elenco questa specie, prima perchè non sono punto sicuro che provenga dal Pliocene dell’isola, e poi perchè non corrisponde alla descrizione del Guiscardi. 3 Descrizione dei pesci e dei crostacei fossili del Piemonte (Atti della R. Ac- cademia delle Scienze di Torino, serie II, tav. X, pag. 15, Tav. II, fig. 44-49. 1855). 14&& 210 — forma conica ed emisferica trovati nello stesso giacimento, possano venire attribuiti a questa medesima specie. Raccolsi buon numero di questi denti nel Golfo della Botte, presso la vecchia Lavanderia. Altri ne ho visti nelle collezioni dell’Istituto superiore di Firenze e nel Museo geologico della Università di Torino. Chrysophrys Lawley Gerv. — C. s. Sctrgus Iomnitanus Valenciennes. — ( Sargus Iomnitanus , Valen- ciennes, Description de quelques dents fossiles de poissons , negli Ann. d. Se. Nat., Ili sér Zoologie. T. I, p. 99, tav. I, fìg. la, 1844. — Antrodonta sp., Costa, Descriz. di alcuni foss. di Pianosa , pag. 16, ecc. tav. Il-b, fìg. 1-a, 1-b, 1862. — Capitodus subtruncatus (nonMunster) Lawley, Nuovi studi sopra i pesci , p. 55, tav. II, fìg. 13 e 15, 1876. — Sargus gigas (non Agassiz) sp. Cocchi, in sch. mus. fior.). — Il Costa ha descritto diffusamente i colossali denti di Sargus si- mili per la forma ad incisivi umani che in grande abbondanza si raccolgono alla Pianosa, ed ha anche riconosciuto la perfetta loro identità con quelli di S. Iomnitanus trovati a Staoueli in Algeria. Ma osservando la costante loro associazione con denti emisferici o conici (che, in parte almeno, son poi da riferirsi a Chrysophrys) ha creduto doverne fare un genere nuovo, Antliropodontus o Antrodonta , che avrebbe avuto i seguenti caratteri : « Incisivi, larghi e grossi, con radice quasi uguale alla corona in « larghezza ed altezza. Molari esterni conici o quasi conici. Molari « interni emisferici di svariata grandezza, ed anche di figura diversa. » I denti che possiamo riferire con una certa sicurezza al S. lomni- tanus , hanno una forma che richiama quella degli incisivi umani. La corona è alta press’ a poco quanto la radice, ma sensibilmente più larga, soprattutto al margine libero. La sua faccia esterna è leggermente convessa, mentre l’interna presenta una concavità che è appena sen- sibile presso la base, ma va lentamente crescendo fino al margine superiore, che diviene cosi molto sottile. I margini laterali fanno tra loro un angolo debolissimo e qualche volta sono addirittura paralleli. La radice, molto robusta, è sempre convessa nella faccia esterna, ma quasi piana o debolmente concava nell’interna. La sua superficie è percorsa da alcune grosse pieghe longitudinali, mentre la superficie della corona offre soltanto presso la base alcune strie minutissime e — 211 - brevi, che appena si vedono con la lente. La corona è di un bel giallo aranciato, come in quasi tutti gl’ ittiodontoliti della Pianosa. Le dimensioni sono : I. li. ili. Altezza della corona presa nella faccia esterna mm. 12 12 10 » » » » interna » 11 11 9 Altezza della radice presa nella faccia esterna » ? 9 9 » » » » interna » ? 10 9 Larghezza della corona al margine superiore . » 15 12 13 » » » alla base » 12 11 V2 12 72 Larghezza massima della radice ..... » 11 io V2 11 Spessore della radice » 8 8 5 72 Insieme a questi denti se ne trovano altri diversi assai per le dimensioni minori e per la corona stretta acuminata, a sezione trian- golare. Non so se queste particolarità debbano attribuirsi a differenza di specie, o piuttosto a differenza di posizione nelle mascelle. Forse anche taluni fra i numerosi denti emisferici trovati alla Pianosa deb- bono riferirsi al S. lomnitanus. Ma io non saprei davvero come rico- noscerli da quelli di Chrysophrys. I denti di Sargus lomnitanus , piuttosto comuni nel Pliocene della Toscana (a Parlaselo nella pietra lenticolareì ad Orciano e a S. Qui- rico nelle argille turchine) sono stati rammentati qualche volta col nome di Capitodus subtruneatus Mùnst. Ma l’oggetto figurato dal Mùnster ( Beschreibung einiger fossilen Fischzàhne , nelle Beitràge zur Petref.-Kunde , fase. Y, pag. 68, tav. VI, fig. 17 a b , 1842) sotto questo nome, altro non è probabilmente che un osso faringeo di ciprinide. Nummopalatus Soldanii Cocchi sp. — ( Pharyngodopylus Soldanii Cocchi, Monografia dei Pliaryngodopilidae , pag 82, tav. V, fig 6, ta- vola VI, fig. 6, 1864). — Una placca faringea superiore sinistra, rife- rita a questa specie dal prof. Igino Cocchi, fu donata dal Pisani al Museo di Firenze. II N. Soldanii é, secondo il Sauvage, 1 esclusivamente pliocenico : 1 Note sur le genre « Nummopalatus » et sur les especes de ce genre trouvées dans les terrains tertiaires de la France (Bull. d. la Soc. Géol. de France, 3e sér., t. Ili, pag. 614. 1875). 212 è stato trovato nelle argille turchine ad Orciano (Cocchi *) e a San Quirico (Simonelli 1 2). Nummopalatus pavimentatum P. Gervais, sp. ( Labrodon pam - mentatum , P. Gervais, Zool. et paléont. fr ., 2% ediz., pag. 512, 1859. — Plinthodus Pisani , 0. G. Costa, Descrizione di alcuni Jossili di Pia- nosa; Atti del R. Ist. d’incoragg. delle Se. nat. di Napoli, pag. 39, ta- vola Il-b, fig. 2, 1862. — Pharyngodopilus Alsinensis, Cocchi, Monog* dei Phargngodop., p. 74, tav. IV, fig 15 e 15-a, tav V, fìg. 3, 4, 9, 10; 1864. — Nummopalatus pavimentatus , Sauvage, Note sur le gen. Num- mopalatus, pag. 617, pi. XXIII, fìg. 3 et 3-a, 1875. — Nummopalatus Alsinensis , Lawley, Nuovi studi sopra i pesci, pag. 73, 1876). — Una placca faringea inferiore, raccolta anche questa del capitano Pisani, si conserva nel Museo di Firenze. Il prof. 0. G. Costa descrisse fino dal 1862 una placca dentaria superiore ed una inferiore di Nummopalatus , riferendola ad un genere nuovo che chiamò Plinthodus . La placca faringea inferiore è, secondo lui V apparato linguale o palatino, mentre la placca superiore è V armatura della parte laterale interna delle mandibole e degli in- ter mascellari. Di più i Plinthodus avrebbero avuto anche dei denti esterni conici, o quasi tali, sull* orlo delle mascelle. Ora nella placca in- feriore figurata dai Costa sotto il nome di P. Pisani mi sembra di riconoscere appunto il N. pavimentatus. Nel Museo di Pisa si conservano varie placche dentarie di questa specie, provenienti dal Pliocene di Montalcino, di Laiatico e di Orciano. L’esemplare descritto dal Gervais viene dalle sabbie marine di Montpellier, quello del Sauvage dal calcaire moellon dell’Hérault. La specie sarebbe dunque comune al Miocene ed al Pliocene. Nummopalatus superbus Cocchi sp. — ( Pharyngodopilus su- perbus, Cocchi, Monogr. dei Phargngodop., p. 72, tav. IV, fig. 16a-d, 1864. — Nummopalatus superbus , Lawley, Nuovi studi ecc. p. 74. 1876). — Placca faringea superiore sinistra, donata dal Pisani al Museo di Firenze nel 1868. 1 Loc. cit. 2 1 dintorni di S. Quirico cl'Orcia (Boll. d. R. Comit. geol., 1880, 3-4). — 213 — Il prof. Cocchi cita questa specie come proveniente dal Pliocene di Toscana^senza potere precisare la località ove fu trovata. Il Lawley l’ebbe da Orciano. Nummopalatus Séllae Cocchi sp. — (. Pliaryngodopilus Sellae , Cocchi, Monogr. dei Pharingodop pag. 81, tav. V, fig. 11, 1864. — Nummopalatus Sellae , Lawley, Nuovi studi ecc., pag. 74, 1876). — Il Museo di Firenze possiede non solo la bellissima placca inferiore che fu descritta e figurata dal Cocchi: ma anche due placche fa- ringee superiori, raccolte come quella a Pianosa dal Capitano Pisani. Queste ultime due portavano nella scheda l’osservazione seguente, di pugno del Cocchi: Placche faringee superiori; destra completa, sinistra incompleta. Questi due pezzi non sono figurati nella monografia dei Pharyngodopilidae ; anzi non vi sono descritte le placche superiori di questa specie. Vi riferisco queste' due perchè le trovo più ricche di pile dentarie, formate di piccoli denti, superando per il numero, data la stessa larghezza, le specie Alsinensis , Soldanii , ecc. Inoltre la faccia masticante è molto convessa, come è molto concava la masticante in- feriore di questa specie : e l’angolo delle duo faccie, laterale interna ed anteriore è assai aperto. Il N. Sellae oltre che a Pianosa è stato trovato ad Orciano dal Lawley, nelle argille turchine. Galeocerdo Capellina Lawley. — Collezione Pisani nel Museo di Firenze. Sphgrna sp. — Ibidem. Careharodon sulcidens Ag. — Un solo dente di questa specie si trova nel Museo di Pisa. Lamna sp. — Collezione Pisani nel Museo di Firenze. Notidanus gigas E. Sism. — Per la lieve differenza di grandezza tra il cono principale e i secondari, e per la finissima dentellatura del margine anteriore riferisco a questa specie un dente assai muti- lato che fa parte della Collezione Pisani. Sarebbe forse più prudente partito limitarsi alla citazione del genere; ma poiché fra i denti di Notidanus terziari, nessuno presenta gli accennati caratteri così spic- cati come sono nel gigas , credo anche la determinazione specifica ab- bastanza sicura. Crostaceo indet — Frammenti di corazza che appartengono, se- — 214 — condo il dott. Ristori ad uno xantino, furono da me raccolti nella Ma- rina del Marchese. Si trovano anche frequentemente i diti isolati di chele, indeterminabili. Balanus concavus Bronn. — Cala alla Ruta. Balanus stellaris Br. — Ibidem. Conus sp: — Modelli interni specificamente indeterminabili, come son quasi tutti i rari gasteropodi del Pliocene di Pianosa. — Cala alla Ruta* Fusus sp. — Collezione Pisani nel Museo di Firenze. Cassidaria ecliinophora L. — * Ibidem. Turritella sp. — Ibidem. Turbo rugosus L. — Cotone di Marulino. Haliotis lamellosa. — Golfo della Botte. Pholadomya thyrrena , nov. sp. — (Tav. IV, fìg. 3). — Meglio che una lunga descrizione varrà la figura a mettere in evidenza la stretta affinità della nostra specie con la Pholadomya alpina Math. La riteniamo ad ogni modo distinta per il suo maggiore sviluppo in lunghezza e per l’altezza proporzionatamente ridotta, per la mancanza del rigonfiamento che l’ alpina suol presentare verso il lato posteriore, nonché per il contorno del margine ventrale, che è quasi diritto, e di quello dorsale, che non è tanto concavo fra l’umbone ed il terzo po“ steriore come neWalpina. Ben più no'.evoli differenze si possono riscontrare fra la Pholado- mya di Pianosa e la Ph. hesterna Sow. del Coralline Crag o la Ph- candida Sow. vivente. L 'hesterna è più alta e meno inequilaterale, la candida è meno allungata, ha tutt’altro profilo nel lato buccale ed è ornata, da coste raggianti più grosse e più fìtte. Nelle collezioni paleontologiche del Museo di Pisa figura una Ph . Vaticani Van den Hecke proveniente dalle argille turchine di S. Quirico. Di questa specie, che non è da confondersi con la Ph. Vaticana del Ponzi, non fu mai, per quanto io sappia, data la diagnosi nè la figura dal Van den Hecke. Egli si limitò a dire che « on la distingue aisé- ment de ses congénères parce qu’elle est très courte et que sa valve ventrale (sic) ne se prolonge pas en rostre. » *. L’esemplare del Museo 1 Bull, de la Soc. géol. de France, Ser. II, T. XY, 1858. — 215 — di Pisa, per testimonianza dello stesso Van den Hecke identico a quelli delle marne vaticane, ha molti punti di somiglianza con la nostra specie. Ma è troppo in cattivo stato perchè possa concludere che Ph . Vaticani e Ph. thyrrena sono una cosa sola. — Sarebbe poi desiderabile il paragone della nostra specie con la Ph . Bronni Ddrln. (in litteris) .del Pliocene di Piacenza, che il Doderlein * dice essere affine alla Ph. arcuata A g.1 2. Ma non potendo fare il confronto con gli esemplari ori- ginali, dobbiamo astenerci da qualunque giudizio. L’unico esemplare della Ph. thyrrena mi fu donato gentilmente dal sig. cav. Torre, già direttore della Colonia penale di Pianosa. Dimensioni: . mm. 74 Diametro umbono-ventrale • . » antero-posteriore . Spessore » 42 » 31 Panopaea Faujasii Mén. — Presso la Fornace. Tellina lacunosa Gm. — Marina del Marchese e Fornace. Venus gigas Lm. - Presso il Panifìcio della Colonia penale. Lueina sp. — Presso Cala dei Turchi. Pectunculus pilosus L., var. polyoclontus. — Gólfo della Botte. Mocliola barbata L. — Cotone di Marulino e Lavanderia. Perna Soldanii Desh. — Cala alla Ruta, Punta Pulpito, ecc. Pecten latissimus Br. — Golfo della Botte. P. pes-felis L. — Ibidem. P. dubius Br. — Cotone di Marulino. P. varius L, — Marina del Marchese, presso il Porto, ecc. P. opereularis L. — Cotone di Marulino. P. pusio Sow. — Presso la Fornace. P. (Vola) Iacobaeus L. — Marina del Marchese, ecc. — Cc. P. (Vola) Planariae , nov. sp. — (Tav. V, fìg. 1). — La conchi- glia è di forma suborbicolare, alquanto allungata, inequivalve, equi. laterale. La valva destra molto convessa sporge notevolmente con 1 Lettera del prof. Doderlein al Prof. Meneghini, in data del 19 Maggio 1860. 2 Pii. arcuata Ag. è secondo il Moesch (. Monogr . cl. Pholadomyen ) sinonimo di Ph. alpina Math. — 216 — rumbone oltre la linea cardinale. Manca pur troppo quasi tutta l’orec- chietta posteriore, e dell’ anteriore è conservata soltanto la base, comprendente un ben distinto seno bissale. La superficie esterna porta quindici grosse coste raggianti, di mediocre rilievo, arrotondate, semplici, quasi del doppio più larghe che i solchi interposti, ed alcune pieghe concentriche d’accrescimento, inegualmente lontane fra loro,^ limitate alla regione palleale. Tutta la superfìcie medesima è poi rico- perta da sottili e fittissime strie concentriche rilevate, che s’inflettono leggermente verso l’umbone quando attraversano le coste. Nella super- fìcie interna i solchi sono rappresentati da rilievi a fianchi verticali un pò più larghi delle depressioni corrispondenti alle coste. La valva si- nistra, fortemente concava, ha quattordici' coste raggianti, delle quali le 7 mediane sono meno rilevate delle laterali; anche quest’ultime sono però poco sporgenti, e quasi svaniscono nella regione cardinale, ove sono accennate soltanto da coppie di finissime linee impresse. Queste coste son piane superiormente, quasi angolose ai margini, due o tre volte più larghe degli interstizi. Oscure tracce di più sottili costicine raggianti si vedono verso il. margine anale, mentre su tutta la superficie dovevano esistere finissime strie concentriche rilevate, in tutto corrispondenti a quelle della valva destra. Le orecchiette sono assai larghe, pressoché uguali fra loro, affatto sprovviste di raggi, e solo ornate dalle solite strie. Ad ambo i lati della fossetta legamentare si vedono tre grosse pieghe dentiformi, quasi parallele al margine della fossetta medesima, e due altre pieghe più sottili ed allungate, contigue al margine cardinale, e appena diver- genti da questo. Così le pieghe come i solchi interposti sono finamente striati per traverso. Dimensioni : v. s. v. d. Diametro antero-posteriore . . mm. 133 . . 144 » umbono-ventrale . . » 108 . . 120 Lunghezza del marg. card. . . » 77 . . ? Il Pecten Planariae si distingue facilmente dall’ Iacobaeus per le coste semplici poco sporgenti e nella valva destra arrotondate, nonché per le orecchiette prive di raggi. Dal P. maximum L. differisce per l’ornamentazione e per la maggior profondità del seno bissale. Il P. — 217 — grandis Sow. (sia o no una semplice varietà del maximum) diversifica pure dal P. Planariae non solo per le coste longitudinalmente solcate e per le orecchiette fornite di raggi, ma anche per il differente rap- porto del diametro umbo-ventrale con Tantero-posteriore e di quest’ul- timo con la lunghezza del margine cardinale. Hinnites bifrons , nov. sp. — (Tav. V, fig. 2). — Conchiglia sottile, a con- torno irregolare ma nell* insieme tondeggiante, più larga che alta. Valva destra debolmente concava nel! interno, esternamente quasi piana, affissa per la parte vicina al margine anteriore. Il disco apicale mostra solo oscurissime tracce di strie concentriche e di qualche costicina rag- giante, mentre il resto della superfìce esterna presenta numerose zone con- centriche di squame confluenti, senza alcun segno di coste raggianti. Il margine cardinale è assai lungo, equivalendo a ^ del diametro antero- posteriore. Fossetta ligamentare spostata alquanto in avanti, ampia ma poco profonda. Seno bissale pronunziatissimo, reso manifesto dal- F incurvarsi indentro che fanno i margini dei successivi strati cal- carei nel lato anteriore dell’ orecchietta boccale. Impressione mu- scolare grandissima, di larghezza uguale alla lunghezza, sensibil- bilmente avvicinata al margine posteriore. Valva sinistra un po’ più piccola della destra e meno sviluppata in lunghezza, sempre però più lunga che alta. Esternamente questa valva è nell’insieme più con- vessa, ma nel lato interno risulta invece meno concava della valva opposta. La sua ornamentazione consiste in numerose ma sottilis- sime costicine raggianti, flessuose, quasi equidistanti, che sono da 4 a 6 per ogni centimetro. I larghissimi spazi interposti sono in qualche punto occupati da più tenui costicine, e tanto queste come le maggiori si mostrano granulose, perchè son tagliate da finissime linee e da pieghe concentriche, di andamento molto irregolare. Le orec- chiette sono ineguali di grandezza, prevalendo di assai la posteriore e portano 6 o 7 raggi che divengono squamosi verso 1- estremità. Dimensioni : v. s. v. d. Diametro antero-posteriore . . mm. 114 . . 132 » umbono-ventrale . . » 110 . . Ili Lunghezza del marg. card. . . » 64 . . 71 — 218 — Può dubitarsi che il nostro Hinnites sia molto affine se non iden- tico all’ H. orbìcularis Guidotti (inedito) riferito dal Cocconi 1 come varietà all’ H. crispus. Ma dal crispus la forma di Pianosa è certa- mente diversa, per la sottigliezza del guscio, per la debole convessità della valva destra, per la prevalenza della lunghezza sull’ altezza, per il margine cardinale molto più allungato, e finalmente per le sottili coste raggianti non squamulose. Differenze non meno spiccate risul- tano dal paragone con H. Pusio L., Ercolanianus Cocc., laeviuseulus Phil., ecc., tanto che crediamo superfluo enumerarle partitamente. Spondylus crassieosta Lam. — Presso la Fornace. Anomìa ephippium L. — Marina del Marchese. Ostrea tamellosa Br. — Comunissima ovunque. Megerlea truncata Gmel., sp. — Arco. Terebratula ampulla Br. — Presso il Sembolello, Arco, ecc. T. Regnolii Mgh. — Arco. Terebratulina eaput-serpentis L. — Ibidem. Serpula (?) sp. — Frammenti analoghi a quelli figurati dal Broc- chi al n. 24 della tav. XV, e descritti a pag. 630 della Conchiologia. — Arco. Spatangus purpureus Muli. — {Spatangus purpureus Muller, Zool. Dan., pi. VI; Prod., 2850; 1776. — Spatangus meridionalis Risso, Eur. mérid.y V, p. 280; 1826 (non auct. angl.). -- Spatangus Reginae Gray, Ann. Mcig. N. H., VII, p. 130. — Spatangus purpureus Forbes, Monog. of tlie Eeliinod. of thè Brit. tert ., pag. 13, pi. II, fìg. 3 ; 1852. — Desor, Sgnops , pag. 418, tab. XLIV, fìg. 1 ; 1858. — Al. Agassiz, Revis ., pi. XIX C, f. 5, 6,,.... — Manzoni, Eeliinod. foss. plioe. [Atti Soc. Tose, di Se. Nat., voi. IV, fase. 2, pag. 333, 1880]). — Due buoni esemplari di questo spatango si trovano nella collezione del Museo di Pisa. In essi F apparato apiciale è situato al terzo anteriore, ed il vertice si trova un poco più indietro. I petali anteriori sono sensibil- mente più lunghi dei posteriori. Lo spazio interambulacrale posteriore è piuttosto rigonfio, ma non si può dir carenato. 1 Enumerazione sistematica dei molluschi miocenici e pliocenici di Parma e Piacenza. Bologna, 1873; pag. 341. — 219 — Dimensioni : i il Diametro antero-posteriore mm. » laterale .... » li 11. Ut» • • • v-fw » 56 ... 60 » 35 ... 35 63 ... 68 Altezza Lo Sp. purpureus, ohe vive anche attualmente nei mari di Europa, si trova fossile nella panchina di Livorno (Manzoni), nelle sabbie qua- ternarie della provincia di Reggio Calabria (Seguenza *), nel Pliocene delle colline di Pisa (Manzoni), nel Coralline Crag di Ramsholt (L or- bes) e, secondo l’Abate Mazzetti1 2, anche nel Miocene di Montese. Spatangus , sp. ind. — Neirunico esemplare, che nelle collezioni del Museo di Pisa portava il nome di Spatangus corsieus Des., la larghezza è alquanto superiore alla lunghezza, onde la forma risulta a prima giunta as, sai diversa da quella del corsieus. Benché nel Museo paleontologico di Mo- naco io abbia veduto uno Spatangus corsieus del Miocene di Bonifacio che aveva il contorno preciso di questo nostro di Pianosa, persisto nondi- meno a ritenerlo distinto per Purea interambulacrale impari, assai meno rigonfia, e per i grossi tubercoli molto più sviluppati. Neppure credo che il nostro esemplare possa venir riferito allo Spatangus delphinus Des., cui Desor 3 e de Loriol 4 associano lo Spatangus corsieus , perchè ha i petali anteriori meno divergenti, l’area interambulacrale posteriore pianeggiante, il lato anale troncato assai obliquamente e non « dans un pian presque vertical 5 »; di più gli ambulacri sono meno affilati e gli spazi interporiferi molto più larghi rispetto alle zone porifere. Anche dallo Spatangus Desmaresti Munst. mi pare si distingua facilmente per la lenta declività della faccia anteriore e per la molto minore diver- genza degli ambulacri pari anteriori. Quest ultimo carattere può valere anche a distinguerlo dallo Spatangus sieulus Ag. 1 Le formaz. terz. nella provincia di Regg'o Calabria , pag. 373. 1880. 2 Echinod. foss. di Montese, pag. 7, tav. 2, fig. 4, 1881. Mazzetti e Pan- t anelli, Cenno monogr . int. alla fauna foss. di Montese, pag. 9. 1885. 3 Synops., p. 419, 1858. 4 Descr. d. Échin. tert. de la Suisse (Mém. d. Soc. paléontol. suisse, voi. II, pag. 134, pi. XXIII, fig. 1, 1875). 8 De Loriol, loc cit. — 220 — Dimensioni: Diametro antero-posteriore .... mm. » trasversale ....... » Altezza » Spatangus macraulax , nov. sp. — (Tav. VII, fìg. 1). — Specie di notevole grandezza, di forma ovale, profondamente scavata nel mar- gine anteriore, in corrispondenza del solco ambulacrale, con tron- catura poco pronunziata nella estremità posteriore. Faccia superiore molto convessa, col vertice situato a poco meno di 1|2 della lunghezza (9]21). Ambulacri pari anteriori divergenti secondo un angolo di 110°, corti, con le zone porifere flessuose, specialmente nel lato anteriore. Ambulacri posteriori divergenti di soli 45°, un po’ più lunghi e meno ondulati degli anteriori. Zone porifere depresse, meno larghe che Ij3 dello spazio interporifero, formate da coppie di pori allungati, uniti da un largo e profondo solco trasversale. Solco ambulacrale anteriore debolissimo nel primo terzo della sua lunghezza, e poi nettamente limitato dai fianchi, che scendono con rapido declivio fino a quasi un centimetro di profondità. Aree interambulacrali mediocremente rigonfie. Grandi tubercoli crenulati e scrobiculati, fìtti nei fianchi del solco an- teriore, assai radi invece nella parte mediana dell’area interambulacrale impari, mancanti affatto nelle aree interambulacrali posteriori pari. Periprocto ampio, trasverso, situato nella parte superiore della faccia posteriore, obliquamente troncata. Faccia inferiore completamente di- strutta. Dimensioni : Diametro antero-posteriore .... mm. 105. » trasversale » 96. Altézza approssimativa » 52. Benché fondata sopra un esemplare unico ed incompleto la nostra specie ci sembra suffìcentemente caratterizzata. La profondità del solco anteriore, la mancanza di una vera carena nell’area interambulacrale impari e dei tubercoli nelle aree interambulacrali posteriori pari, la fanno a prima vista riconoscere dalle congeneri. Spatangus sp. — Un altro grosso spatango, da me raccolto nel Pliocene dell’Arco, per quanto mutilato, ricoperto da colonie di briozoi e da tenacis- — 221 — sima crosta rocciosa, pure offre certi caratteri che permettono di distin- guerlo dai congeneri descritti più sopra. È tanto largo che il diametro trasversale uguaglia press’a poco l’antero-posteriore, è molto schiacciato. (Lunghezza mm. 107 circa, larghezza mm. 103, altezza mm. 44). Il lato anale è troncato verticalmente, ciò che P avvicinerebbe allo Spatan- gus delphinus ; ma l’area interambulacrale posteriore è assai meno rigonfia di quello che sia in questa specie. Non potendo studiare la distribuzione dei tubercoli e la forma degli ambulacri, quasi compieta- mente mascherati dalPincrostazione, dobbiamo rinunciare ad ogni in- dagine ulteriore. Brìssus unicolor Klein.1 — Il confronto dei magnifici esemplari di Pianosa con alcuni individui viventi di B. unicolor del Golfo di Na- poli, comunicati a me dall’amico Dott. P. Oppenheim, rendono la deter. minazione abbastanza sicura. E ciò malgrado che vedendo citar dal Gastaldi 2 tra gli echinodermi di Pianosa il Brissus imbricatus Wright e non Yunicolor , possa sorgere il dubbio che anche i miei esemplari appartengano piuttosto a quella che a questa specie. Ma il Br. imbri- catus è troppo ben caratterizzato dagli ambulacri disposti a croce di S. Andrea, e dalla fasciola rettilinea negli interambulacri laterali, per- chè lo si possa confondere coi nostri Brissus di Pianosa che non presentano nulla di simile. Sotto il nome di Brissus Scillae Ag., il B. unicolor è indicato dagli autori tra i fossili del Miocene di Malta (Forbes 3) e del Pliocene d’ Inghilterra (Forbes 4). Si trova anche nella panchina di Livorno in- sieme col B. carinatus Lam. Abita attualmente nel Mediterraneo (Na- 1 Sinonimia data dall’Agassiz nella Révision : B. unicolor Klein, Echin., 1734. Echinus ovatus Gmelin, Lin. Si/st. Nat., 3199, 1788. Spatangus columbarìs Lamarck, A. s. v., p. 30, 1816. Brissus carinatus Risso, Prod. Eur. mer. V, p. 279. 1826. B. Scillae Agassiz, Prodr., p. 185, 1836 et C. R., Ann. Se. Nat., Vili, p. 13, pi. XVI, f. 9, 1847. B. placenta Philippi, Wiegm. Arck. I, p. 349. 1845. B. dimidiatus Agassiz, C. R., Ann. Se. Nat., Vili, p. 13. 2 Intorno ad alcuni foss. del Piem. e della Tose., p. 25. 1866. 3 Figures and descriptions illustrative of British organic remains (Mem. of thè Geol. Surv. of thè Unit. Kingdom, Dee. V, PI. X, pag. 1. 1856). 4 Ech. of thè brit. tert., pag. 15, pi. Il, fig. 4, 1852. — 222 — poli, Palermo, ecc.) e in varie plaghe dell’Atlantico (Tortugas, Hayti, Bermude, Giamaica, Cuba, Canarie, ecc.). Echinolampas Hoffmannì Desor. — Un bell’esemplare del diametro antero -posteriore di mm. 76 e del diametro trasversale di mm. 72; fa parte della Collezione Pisani. Un altro, di grandezza alquanto minore, ma non meno ben conservato, si trova nel Museo di Pisa con l’indica- zione seguente « Isola di Pianosa. Trovato nella Ripa del Calone del Bruciato, dalla parte di Levante, sopra il livello del mare B. 12. » Benché il Gastaldi 1 citi V Echinolampas hemisphaericus Lamk. tra i fossili raccolti dal Pisani, e ciò possa far dubitare che anche que- sti nostri esemplari debbano essere compresi sotto questa denomina- zione, pure persisto nel ritenere che piuttosto rappresentino VE. Hoff- manni Des. I petali arrivano fino a 4j5 della distanza compresa fra la sommità ambulacrale ed il margine, mentre nello hemisphaericus giungono soltanto fino a 2j3. Le zone porifere sono uguali a circa lj4 dello spazio interporifero, più strette quindi che nella specie di Lamarck. Finalmente il petalo anteriore non è sensibilmente più stretto dei petali pari. Debbo aggiungere che avendo potuto fare il confronto dei miei esemplari con altri di E. Hoffmanni deter- minati dallo stesso Desor, che fanno parte della Collezione Pec- chioli nel Museo di Firenze, misono dovuto convincere della iden- tità loro. VE. Hoffmanni è secondo il Desor 2 specie pliocenica. Egli lo cita dei dintorni di Palermo. Amblypygus Lorioli , nov. sp. — (Tav. VII, fig. 2). — Forma largamente ovoide, equivalendo il diametro trasversale a 9pL0 dei- fi antero-posteriore, molto depressa, con debole accenno di rostro posteriore. Faccia superiore convessa regolarmente, faccia inferiore pulvinata, concava intorno al peristoma, margine grossissimo, ton- deggiante. Sommità ambulacrale eccentrica in avanti. Zone porifere strettissime, equivalenti ad 1|5 o ad Ij6 dello spazio interporifero. Pori della serie esterna allungati trasversalmente, pori interni rotondi e più 1 Foss. del Fiem. e della Tose., pag. 25. — V. anche in Seguenza, Posiz. stratig. d. Clypeaster altus, pag. 658. 2 Synops., pag. LXVII e 307. — 223 — piccoli: nella faccia inferiore si hanno coppie di pori disposti molto obliquamente, visibili fin presso il peristoma. Il periprocto grandissimo, obovale, allungato, occupa i 3[5 dello spazio compreso fra il margine ed il peristoma, restando più vicino a quello che a questo. Il peristoma incompletamente conservato nel nostro esemplare, sembra pentagonale ed è largo press’a poco quanto il periprocto. Tubercoli piuttosto grandi, mammellonati, perforati, non crenulati, cinti da un largo scrobicolo e da un cerchio di granulazioni, più fitti verso il margine che nel resto della superfìcie. Nell’apparecchio apiciale sono ben visibili i quattro pori genitali, circondati da una corona di minutissimi granuli, i due pori anteriori sono più piccoli e più ravvicinati tra loro che non i due posteriori. Dimensioni : Diametro antero-posteriore . , . . mm. 50 » trasversale » 45 Altezza . , . . » 15 L , Ambi. Arnolcli Agass., del Pliocene della Val d’Era in Toscana, è forse la sola specie che possa ritenersi affine a questa nostra; ma le brevissime diagnosi date dall’Agassiz 1 e dal Desor 2, non consentono un giudizio definitivo sul valore dei rapporti. Certamente la specie di Pianosa è assai più vicina a quella ora citata che alle altre dell’Eocene, tutte provviste di zone porifere molto più larghe. L’opinione che si tratti di una forma non ancora descritta fu confermata dairautorevolissimo De Loriol. L’unico esemplare faceva parte della Collezione Pisani, e si con- serva nel Museo paleontologico di Firenze. Clr/peaster aegyptiacus Wright. L’esemplare differisce alquanto dal tipo figurato nella monografìa di Michelin 3, per la forma gene- rale un po’ più allungata e per la notevole depressione del margine. Quest’ultimo carattere sembrerebbe lo ravvicinasse al C. marginatus Lamk., dal quale però si distingue con facilità per le aree ambulacrali * Catal. rais., pag. 167. 2 Sinops., pag. 256. 3 Monograpliie des Clypéastres fossiles, pag. 121, pi. XXIV, fig. a à g. — 224 — notevolmente più lunghe ed aperte alla base. Del resto sono chiara- mente visibili le caratteristiche linee raggianti dal peristoma, che ac- compagnano solchi ambulacrali della faccia inferiore. Dimensioni: Diametro antero-posteriore .... mm. 166 » traversale » 143 Altezza » 63 circa. Molte analogie si riscontrano fra il nostro esemplare e la forma zancleana distinta da Seguenza col nome di Clyp. pliocenicus h Ciò varrebbe a confermare sempre di più quanto hanno scritto il Beyrich 2 3 * e Th. Fuchs * sulla probabile identità del C. pliocenicus Seg., e del C. aeggptiacus Wright. Il Michelin cita il C. aeggptiacus come proveniente solo da giaci- menti miocenici; ma le sabbie a clipeastri della valle del Nilo, che contengono questa specie in tanta abbondanza, son riferite dal Beyrich i al Pliocene. Clgpeaster altus Lamarck. — ( Clgpeaster altus Costa, Foss. di Pianosa , pag. 4, 1862). — Numerosi e ben conservati individui di questa specie, senza alcun dubbio provenienti dal calcare a nullipore della Pianosa, si ammirano nei musei di Torino, di Firenze e di Pisa. Alcuni ne raccolsi io stesso, a poca distanza dalla Lavanderia vecchia. La determinazione degli esemplari di Torino era già stata fatta dal Desor, quella degli esemplari di Pisa dal prof. Meneghini. Gli individui che ho sottocchio presentano fra loro notevoli diffe- renze. Taluni, veramente enormi di mole, riproducono [assai bene la forma tipica figurata dal Michelin. 5 L’altezza loro, la lunghezza e la sporgenza degli ambulacri, la conformazione del margine che non è 1 Le formaz. terz. nella prov. di Reggio , pag. 215, tav. XV, fig. 27, 27a, 27b; 1880. 2 Ueb. die geo gnostischen Beobachtungen von G. Schweinfurth in der Wiiste zwischen Cairo und Suez (Sitzungsber. der K. Ak. der Wiss. zu Berlin, pag. 163. 1882). 3 Beitrcige zur Kenntniss der Miocaenfauna Aegyptens und der Libysclien Wiiste (Nachtrag) in Zittel, Lyb. Wiiste. * Loc. cit. 5 Monog. des Clyp., pi. XXV, fig. a à g. — 225 — punto più largo, nè più appianato di quello dell ’altus, permettono di escludere con sicurezza che rappresentino il C. pliocenicus Seg. Le dimensioni del più grande fra questi esemplari sono le seguenti: Diametro antero-posteriore .... mm. 185 » trasversale » 160 Altezza . » 74 Si discosta alquanto dal tipo della specie un bell’esemplare della Collezione Pisani, che per la forma esattamente campanulata e per la grandissima altezza ricorda il Clyp. portentosus Des-Moul. Ma all’in- fuori del profilo non trovo caratteri differenziali valevoli a tenerlo separato dall ’altus, e vedo d’altra parte un echinologo autorevolissimo, il Cotteau *, riunire all ’altus, come semplici varietà, il C. portentosus ed il C. turritus. L’esemplare in parola offre le seguenti dimensioni: Diametro antero-posteriore .... mm. 130 » trasversale ...... » 115 Altezza » 69 Alcuni esemplari divergono dalla forma tipica in altri sensi, ma più leggermente, sia per l’altezza, sia per la lunghezza più o meno grande, sia per il contorno più o meno sinuoso. Il Clyp. altus fu considerato per lungo tempo come fossile caratte- ristico del Miocene, benché molti autori lo citassero anche di San Miniato (Toscana) ove ch’io sappia, nessuno ha mai veduto terreni neoge- nici più antichi del Pliocene. Nel 1869 il Seguenza 1 2 scrisse che il Clyp. ciltus si trovava nel Pliocene ancora; aveva veduto presso il Gastaldi gli esemplari della Pianosa, ed altri ne avea raccolti egli stesso nelle sabbie zancleane della Calabria. Ma nel suo grande lavoro sulle For- mazioni terziarie nella provincia di Reggio 3 il Seguenza ha annun- ciato che il Clypeaster del Pliocene calabrese era stato inesattamente riferito all 'altus, e ne ha fatto una specie nuova col nome di C. pliocenicus. 1 Descr. d. Éch. de la Corse, pag. 265. 2 Intorno la posizione stratigrafica del « Clypeaster altus » (Atti della Soc. It.. di Se. nat., voi. XII, pag. 657. 1869). 3 Atti della R. Acc. dei Lincei, Ser. IIL Memorie, voi. VI, pag. 8. 1880. — 226 Ora è certo, come già dissi in un’ altra occasione, 1 che i Clypea - ster della Pianosa da noi riferiti al C. altus, hanno tutti i caratteri di questa specie e nessuno di quelli che il Seguenza indica come distin- tivi del suo C. pliocenieus. Aggiungiamo ancora che in parecchie lo- calità della Toscana, come p. es. nei dintorni di Siena, a Montalcino, a Pienza, a S. Quirico d’Orcia, a Bossi, a Sterza, sono stati trovati numerosi individui di C. altus , in terreni senza alcun dubbio pliocenici. Il nome del Meneghini, che studiò parecchi di questi esemplari, è ga- ranzia sicura per l’esattezza della determinazione. Clypeaster gibbosus M. de Serres. — Dopo esitazioni non brevi ho riferito a questa specie un bell’ esemplare del Museo di Pisa, che dapprima avevo creduto rappresentasse una varietà del Clyp. altus. È di forma piuttosto allungata ed è arrotondato posteriormente. La faccia superiore, notevolmente elevata, ha forma quasi emisferica o di callotta, essendo leggera la concavità del profilo, sopratutto ai fianchi. Le aree interambulacrali ed ambulacrali sono assai prominenti, ma queste ul- time sono molto meno estese che nel C. altus ) la loro lunghezza infatti passa di poco la metà della distanza compresa fra l’apice e il margine- Dimensioni : Diametro antero-posteriore . . . mm. 156 y> trasversale » 131 Altezza » 67 Il C. gibbosus finora non è stato trovato che in terreni miocenici. E assai comune negli strati inferiori di S. Manza in Corsica (Cotteau), 11 Michelin lo cita anche dell’isola di Creta, del M. Tauro, di Montpel- lier, Nizza, Cordova, Kalksberg, Raubstallbrunn, Wallersdopf, Baden e dell’Armenia russa. Clypeaster Paretoi, nov. sp. — (Tav. VI, fig. 1 a 3). — ( Clypeaster rosaceus Costa, Foss. di Pianosa ; pag. 4. 1862. — Forma pentagonale, notevolmente allungata, equivalendo la maggior larghezza a circa ^ del diametro antero-posteriore. Contorno leggermente sinuoso, sopra- tutto in corrispondenza delle aree interambulacrali iaterali. Lato posteriore 1 Simonelli, Echinodermi di Pianosa. - — 227 — subtroncato. Margine grosso e tondeggiante nella regione anteriore e nelle laterali, notevolmente depresso e quasi cuneiforme sopra il peri- procto. Ambulacri sporgenti,stretti, digitiformi, largamente aperti in basso, estesi per circa 2[3 della distanza che corre fra l’apice e il margine. Zone porifere almeno il doppio più strette delle interporifere, e assai più depresse. Pori della serie esterna allungati, deir interna rotondi. Solchi di copulazione notevolmente larghi, alternanti con costicine che portano fino a sei tubercoli papillari. Aree interambulacrali alquanto convesse, più sporgenti delle zone porifere, ma assai meno delle in- terporifere. Faccia inferiore pianeggiante solo per brevissimo tratto, essendo occupata gran parte da un ampio imbuto peristomale, a pa- reti mediocremente declivi. Periprocto piccolo, allungato trasversalmente, distante cinque millimetri dal margine posteriore. Pori genitali un pò lontani dal corpo madreporico. Tubercoli papillari più piccoli nella fac- cia superiore che nella inferiore, più fìtti al margine, ma sempre tanto discosti fra loro che lo scrobicolo rimane completo. Dimensioni: Diametro antero-posteriore. . . . mm. 112 » laterale » 94 Altezza » 42 Mi pare che la nostra specie si distingua da tutte le congeneri del gruppo del Clyp. oltus , per la forma allungata, la grossezza e roton- dità del margine, la notevole ampiezza dell’imbuto buccale, la brevità degli ambulacri. Dovrebbe esser messa, a parer nostro, nel gruppo dei Clyp . rosaceus e crassicostatus , ossia nella seconda divisione del Mi- clielin, caratterizzata da « bord trés renfié et arrondi, excepté vers le périprocte , ambulacres trés proéminents 1 »; ma certamente non po- trebbe essere identificata con nessuna delle specie comprese in questo gruppo. Infatti il C. rosaceus ha la faccia inferiore più concava, il mar- gine più tumido anche posteriormente; il C. ambigenus ha gli ambulacri chiusi; il C. Seillae è più largo, più sinuoso nel contorno, ha gli am- bulacri più stretti in basso e la faccia inferiore più piana; il C. crassìco- 1 Michelin, Monogr. d. Clyp., pag. 104. status ha l’ imbuto boccale meno svasato, il margine più grosso, gli ambulacri più estesi. L’esemplare fa parte della Collezione Pisani ed è proprietà del Museo di Firenze. Dorocidaris p, apillata Leske. — ( Cidarites vulgaris Costa, Fos- sili di Pianosa , pag. 7, 1862). — Ho raccolto magnifici e grossi esem- plari di questa specie, con i radioli tuttora aderenti al guscio, nel calcare pliocenico dell’Arco. Paragonandoli con alcuni individui vi- venti del Mediterraneo, che mi vennero forniti dalla Stazione zoologica di Napoli, ho potuto assicurarmi che nessuna differenza importante esiste tra la forma fossile e l’attuale. Così vien confermato quanto aveva già detto il Manzoni ], fondandosi sull’esame di assule equatoriali e di ra- dioli staccati. A questa specie medesima può essere riferito anche un bell’esem- plare del Museo di Pisa, che porta il nome di Cidaris histrix Lk. (si- nonimo, per il Seguenza 1 2, di Doroeid. papillata ). Non è però certo che provenga dalla Pianosa. Echinocgamus pusillus Muli. — Arco presso Cala alla Ruta, ecc. Psammechinus Spadae Des. — Collezione del Museo di Pisa. P. homocgphus Des. — Presso il Porto. — La determinazione di questa specie è dovuta al sig. P. de Loriol. Cidaris tessurata Mgh. — Radioli comunissimi all’ Arco, a Cala Ruta, ecc. Flabellum sp. — Modello indeterminabile specificamente. — Cala alla Ruta. Isis melitensis Goldf. — Arco. Polystomella erispa Lam. Amphistegina Hauerina d’Orb. Rotalia Beccarii d’Orb. Orbulina universa d’Orb. Litoihamnium sp. I pochi autori che si seno occupati della geologia di Pianosa hanno 1 Echinocl. foss. plioc., pag. 329. 2 Formctz. terz. nella Prov. di Peggio , pag. 214. 1880. — 229 — dato giudizi differenti sull’età del gran banco calcareo da cui proven- gono i fossili descritti più sopra. Consultando essi autori per ordine di data troviamo che il Pareto 1 lo riteneva coevo della calcarea mediterranea di Sardegna e della panchina di Livorno, ossia postpliocenico. Invece il Coc- chi 2 sembra lo riputasse miocenico, ed anche il Gastaldi 3 si associava dapprima a questa opinione; ma sembra mutasse avviso più tardi, giacché il Seguenza 4 scrive d’essersi indotto a considerare i calcari della Pianosa come pliocenici, dopo una comunicazione verbale del Gastaldi medesimo. L’Hollande 5, in una sua Note sur les terrains tertiaires de la Corse , dice che Vile de Pianosa , située à l'est de la piaine d’ Aleria, est formée des mèmes terrains que celle-ci; c’ est dono un jalon entre les dépòts tertiaires de la Corse et ceux de Sicile . Egli vuol certamente alludere al nostro calcare nulliporico, e mostra di ritenerlo contemporaneo ai calcari con Clypeaster altus di Aleria, che ha riferiti al Miocene supe- riore. L’Issel 6 finalmente, riportando una sezione geologica del Chierici, mette nel Pliocene superiore le sabbie gialle conchiglifere e i banchi d'ostriche sovrastanti alle argille, e considera queste ultime come appar- tenenti al Pliocene inferiore. « A parer nostro non cade dubbio che la formazione calcarea di cui abbiamo parlato debba essere riferita al Pliocene. Può con sicurezza escludersi che sia più recente, troppo grande essendo la proporzione delle forme estinte in confronto delle viventi. E nemmeno può soste- nersi che sia più antica, mancando in essa formazione quel complesso di specie che suole caratterizzare i terreni miocenici d’ Italia. Invece qui noi vediamo i pesci appartenere senza eccezione a specie plio- ceniche; e pure ammettendo che non si debba dare soverchia im- portanza alle determinazioni fatte su denti isolati, non si potrà negarla ai Nummopalatus , rappresentati a Pianosa da tre specie che fuori del 1 Sulla costit. geol. delle is. di Pianosa, ecc., pag. 4. 1845. 2 Monogr. dei Pharyngodopilidae, pag. 76 e 82. 1864. 3 lnt. ad ale. foss. del Piem. e della Tose., pag. 25. 1866. 4 lnt. la posiz, stratigr. del « Clyp. altus » (Atti d. Soc. It. di Se. Nafi, voi. XII’ pag. 658. 1869). 5 Bull. Soc. Gèo!, de France, 8 ser., t. IY, 1876, pag. 37. 6 1 bradisismi, pag. 199 e seg., 1883. 230 — Pliocene non si trovarono mai (N. Saldami , superbus , Sellae ) e da una sola (N. pavimentati^) che sembra comune al Pliocene ed al Miocene. La piccola serie dei molluschi offre pure l’analogia più spiccata con quella del nostro Pliocene litorale. Il ragguardevole sviluppo dei Clgpeaster e la presenza di uno Spatangus , che un paleontologo sommo riferiva al coj'sicus, potrebbero somministrare argomento di gravi obbiezioni contro la determinazione cronologica che abbiamo adottata. Ma quanto allo Spatangus si deve però considerare, che dato anche si tratti veramente del corsicus , non è punto provato che questa specie sia esclusiva del Miocene; il Gaudry 1 l’ha indicata a Cipro nel Pliocene di Mavrospilios, e perfino nel Qua- ternario della Scala. Quanto poi ai Qlypeaster facciamo notare che due fra le specie raccolte a Pianosa, Yceggptiacus e Yaltus sono comuni certamente al Miocene ed al Pliocene. Il gibbosus non si è ancora trovato, è vero, fuori dei terreni miocenici; ma quando vediamo certe altre specie del medesimo genere, il C. rosaceus per esempio, passare immutate, almeno agli occhtdel paleontologo, dal Miocene medio all’attua- lità, possiamo domandarci se questi fossili debbano proprio esser con- siderati come infallibili documenti cronologici. Fu asserito dal Manzoni che la fauna echinologica del Pliocene italiano ha per caratteristica una grande rassomiglianza con quella attuale del Mediterraneo, e questo sarà vero per certe località. Ma in molte altre, e in Toscana segna- tamente, appariscono, come a Pianosa, generi e specie che sembrano scomparsi dal nostro mare, e le forme viventi sono in esigua minoranza. lo mi asterrò dal ricercare a qual piano (fra i tanti che gli autori distinguono nel Pliocene) dovrebbero riferirsi questi calcari della Pia- nosa, giacché la mancanza di criteri determinati e costanti per tale suddivisione è messa in chiaro da valentissimi conoscitori dei nostri terreni neogenici. Le differenze che a molti parvero dipendenti dal tempo, hanno invece, generalmente parlando, l’origine loro nelle diffe- renti condizioni di deposito. Quanto agli strati della Pianosa, i fossili attestano che si dovettero formare in una zona di profondità non su- 1 Geologie de Vile de Chypre (Mém. de la Soc. géol. de Fra nce, 2 serie, tom. VII, p. 301. 1859). — 231 — periore ad una settantina di metri, nella zona cioè delle Nullipore e delle Coralline. Nelle secche del Golfo di Napoli descritte dal Walther, 1 con la ricchissima fauna di briozoi, di molluschi, di echinodermi, pul- lulanti fra la rigogliosa vegetazione di Litothamnium e di Litophyllum , possiamo oggi vedere riprodotte le condizioni medesime che presiedet- tero alla formazione del banco pliocenico della Pianosa. Miocene. — Nella sezione geologica del Golfo della Botte riportata dal Pareto 2 si vedono indicati sotto al calcare nulliporico ed alle ghiaie plioceniche alcuni strati di marna e di argilla marnosa e bituminosa, che nell’altra sezione, più volte citata, del Chierici 3, vengono attribuiti al Pliocene inferiore. Ed appunto come le descriveva il Pareto, cioè più o meno marnose, più o meno sabbiose, di color bigio o giallognolo, senza traccia di fossili, apparentemente orizzontali come gli strati so- vraincombenti, queste argille ci compariscono nella parte più bassa delle costiere, da Punta Pulpito alla Marina del Marchese. Ma nel primo tratto del litorale segnato nelle carte con quest’ultimo nome, la formazione argillosa ci mostra evidente la discordanza con la sovrap- posta calcarea (Vedi Tav. III). Sotto al banco nulliporico perfetta- mente orizzontale, dello spessore di circa 10 m., una serie di strati ar- gillosi, con intercalazioni di sottili letti di ghiaia e di calcari sabbiosi, pende uniformemente di 15° verso Ovest. Qui troviamo fortunatamente un discreto numero di fossili, e segnatamente di foraminifere, di echino- dermi, di briozoi, con qualche mollusco poco ben conservato. A mezzo- giorno dell’isola, nella Cala alla Ruta, comparisce egualmente la for- mazione argillosa sotto ai calcari ed alle ghiaie plioceniche; ma in quest'ultima località è assai più povera di fossili, offrendo soltanto cattivi modelli di un piccolo Carclium e qualche foraminifera. Tra i fossili raccolti alla Marina del Marchese ho potuto ricono- scere i seguenti: 4 1 Zeitschrift d. deut. geol. Gesellschaft , Jahrgang 1885. 2 Costit. geol. delle isole di Pianosa, Giglio, ecc. Tav. I, 1845. 3 Issel, I bradisismi, pag. 199. 1883. 4 Ho escluso da quest’elenco le foraminifere, spedite per lo studio al signor dotb G. Schwager, ed i briozoi, che verranno illustrati dal doti. G. Gioii. — 232 — Chrysophrys cincta Ag. sp. Lamna sp. Cardium sp. Pecten restitutensis Fontannes. — L’unico esemplare, benché assai mutilato, mostra distintamente i caratteri che indussero Fontannes 1 a tener separato il P. restitutensis dal P. latissimus Br.; cioè le orec- chiette sviluppatissime, le costicine obsolete, le nodosità apiciali molto accentuate. Nulla possiamo dire delle dimensioni, nè del grado di con- vessità e di obliquità della conchiglia, essendo 1’ esemplare di Pia- nosa troppo incompleto per la valutazione di tali caratteri. Pecten dubius L. Pecten Bonifaciensis Loc. Ostrea sp. Terebratula minor Phil. Echinolampas angulatus Mer. — Trovando qualche leggera diffe- renza fra l’unico individuo da me raccolto e quelli del Miocene medio camerinese, 2 chiesi in proposito l’opinione del chiarissimo De Loriol. Egli confermò la determinazione, scrivendo: « Je crois tout à fait que c’est bien V Echinolampas angulatus. L’ exemplaire est mauvais, mais tous les caractères sont ceux de YEcli. angulatus , qui presente des va- riations de forme considérables. » Clypeaster sp. — Frammenti indeterminabili. Echinocyamus sp. Psammechinus monilis Des. Cyclaris Hollandei Cotteau. — (C. Hollandei Cotteau, Descr. d . Echinod ., in Locard, Faune d. ierr . tert. moyens de le Corse , p. 228, pi. Vili, fig. 1-2, 1877). — Riferisco a questa specie, ma non con piena certezza, un frammento che comprende soltanto parte di un’area interam- bulacrale e di due zone porifere. La forma, per quanto si può 'arguire da così piccola porzione del guscio, è alquanto più depressa che nel- 1 Sur une des causes de la variation dans le temps des faunes malacologiques à propos de la filiation des « Pecten restitutensis » et « latissimus » in (Bull. Soc. Géol. de France, 3. Sér.,T. XII, p. 357. 1887.) 2 Loriol, Descr. des Echinides des environs de Camerino, pag. 13, pi. II et pi. III, fig. 1, 2. Génève, 1882. — 233 — l’esemplare descritto dal Cotteau, e le dimensioni sono minori d’assai; ma gli altri caratteri corrispondono sufficentemente. Deploro di non poter consultare il lavoro di Wright sugli echinidi fossili di Malta, per istituire il paragone anche con la C. Melitensis Forbes, che ha qualche affinità con la C. Hollandei. C. Mùnsteri E. Sism. — ( Cidarites marginata E. Sismonda, Mo- no gr. degli Echin . foss. d. Piem., pag. 49, tav. Ili, fig. 8. . non Goldf. — Cidarites Mùnsteri E. Sismonda, App . ecc., in Mem. R. Acc. delle Se. di Torino, t. IV, p. 392. 1842. — Cidaris Sismondae d’ Orbigny, Prodr. Ili, p. 142. 1850. — Cidaris Mùnsteri Agassiz et Desor, Cai . rais., in Ann. d. Se. Natur , VI, pag. 336. — Desor, Sgnops., p. 38, pi. VII, fig. 4. 1858. — Meneghini, Eehinod. neogenici d. Tose., p. 21, tav. II, fig. 8, 9 e 10. — Cidaris Peroni Cotteau, Descript, des E eh., in Locard, Faune d, terr. tert. moyens de la Corse, pag. 231, pi. Vili, fig. 8-12. 1877). — Frammenti di radioli cilindrici o cilindrico-depressi, ornati di costicine longitudinali equidistanti, talora lisce, talora spine- scenti. In nessuno degli esemplari è conservata la faccetta articolare. Descrivendo la sua Cidaris Peroni del Miocene di Candelabra in Corsica, il Cotteau dice di non conoscere alcun radiolo di cidarite ter^ ziaria che possa confondersi con quelli di detta specie. Rammenta anzi una specie giurassica (C. Blumenbachi) ed altre cretacee- ( C . subvesi - culosa, serrata e Faujasi) come le sole che presentino conformazione di radioli un pò somigliante. Ci sembra, a dir vero, che la Cidaris Mùn- steri dei terreni miocenici e pliocenici d’Italia, abbia con la C. Peroni affinità più ragguardevoli ancora. Fra gli esemplari di C. Mùnsteri descritti dal Meneghini e conservati nel Museo di Pisa ne ho visti al- cuni che corrispondono in tutto e per tutto alla descrizione ed alle fi- gure che ci da il Cotteau per la sua specie. Hanno proprio la forme grèle, allongée, cylindrique e la tige fecouverte des cótes longitudi- nales, lisses ou épineuses , toujours régulièremeni espacées, qui ca- racterisent d' une manière positive le Cid. Peroni. — E per questo che noi domandiamo se la specie dei Cotteau possa entrare nella sinonimia della C. Mùnsteri Sism. C. avenionensis Des Moul. — ( Cidaris avenionensis Des Moulins, Etudes s. les Echin., pag. 336, n. 30. 1837. — Cidaris stemmacantha Agassiz, Catal. syst . Eetyp. Mus. neoc ., p. 10. 1840 e Descr. d. Ech. — 234 — foss. de la Suisse, II. p. 13, pi. 21 a, fìg. 4. 1840. — Cidaris avenio - nensis Agassiz et Desor, Cat. rais., pag, 31. 1847). — Numerosi frammenti di grossi radioli (fino a 6 mm. di diametro) cilindraceo- ellittici, talvolta, ma raramente, a sezione semicircolare. La faccia articolare scavata ad emisfero, di 3,5 mm. di diametro, senza cre- nature visibili nel margine, presenta nel mezzo un foro di circa 1 mm. Il capo ha da 2 a 3 mm. d’altezza, e si allarga rapidamente come tronco di cono regolare, fino all’anello; anche il collare ha la forma di un tronco di. cono opposto per la base al capo, ed è alto 4 mm. Un poco al disopra del collare incominciano a mostrarsi dei tu- bercoletti arrotondati o spinescenti, più o meno completamente alli- neati in serie longitudinali. Gli intervalli fra le serie dei tubercoli sono coperti di granulazioni fitte e minutissime. La disposizione dei tuber- coli e le loro dimensioni non sono uguali su tutti i lati del radiolo; specialmente in alcuni di quelli a sezione semicircolare si nota che la faccia convessa porta tubercoli grandi e radi, mentre quella piana li ha minuti, fittissimi e qualche volta riuniti in modo da formare costi- cine longitudinali. Alcuni frammenti di radioli portano ancora l’espan- sione terminale ciatiforme, ornata esteriormente di costicine carenate e profondamente dentellata nel margine, che è caratteristica della specie. Phyllacantus tirsiger , nov. sp. — (Tav. VII, fìg. 4). — Phyllacan- thus sp. n., Simonelli, Echinodermi foss. di Pianosa , in Proc. verb. della Società toscana di Scienze Naturali, voi. V, pag. 163. 1886). — Questa specie è rappresentata soltanto da un certo numero di radioli che offrono grandi varietà nella forma. Uno fra i più completi, rappresentato nella tav. VII dalla fig. 4-a, ha la lunghezza di circa 18 mm. È assai corroso verso l’estremo inferiore, sicché non possono rilevarsi i caratteri della faccia articolare, il capo è assai breve (0,6 mm), sottile e poco sporgente l’anello. Per circa 9mm il corpo si mantiene cilindrico, o per dir meglio, appena appena fusiforme, acquistando al massimo il diametro di 2,8 mm. Poi si dilata ad un tratto in una specie di cercine alto lmm, il cui massimo diametro eccede di 2,2 mm quello del corpo. Questo cercine non è continuo; lascia libera una delle faccie del radiolo e ai lati di questa i suoi due estremi si volgono in alto, tendendo a disporsi parallelamente all’asse maggiore del corpo. Alcuni grossi tu- bercoli rotondeggianti; vicinissimi fra loro e qualche volta confluenti — 235 — collocati al di sopra del cercine, vengono ad aumentarne ^altezza, che giunge così a quasi 4mm. Al di sopra della protuberanza formata dal cercine e dai tubercoli il radiolo si ristringe fino al diametro di 2 mm. per il breve tratto di circa 1,5 mm; ma torna nuovamente a dilatarsi nelFultimo quarto superiore, che è ornato di grossi tubercoli disposti in modo da formare una specie di grappolo, largo alla base 3,4 mm I tubercoli non sono uguali nè ugualmente distribuiti sulle due faccie; rotondeggianti e numerosi in quella che è provvista di cercine, sono invece rari e spinescenti nella opposta. Tutta la superficie del radiolo è ornata di granulazioni obsolete. Talvolta i radioli prendono anche più bizzarra apparenza, per la espansione larga e depressa sostenuta da un corpo relativamente esi- lissimo, e munita in un solo lato di profonde digitazioni. Altre volte invece la forma si semplicizza d’assai, giacché si hanno radioli dila- tati a clava soltanto verso l’estremità, e coi tubercoli allineati in serie longitudinali. In una comunicazione preventiva fatta alla Società Toscana di Scienze Naturali 1 dissi che tali singolarissime conformazioni mi sem- brava non avessero riscontro in alcuna delle specie fossili conosciute. Soltanto in qualche Phyllacantlius vivente, per esempio nel Ph. verti- cillata Lam. sp. dei mari d’Australia e delle Indie Orientali, mi pareva si trovasse qualche cosa di somigliante. Venutomi recentemente a mano il Cenno monografico intorno alla fauna fossile di Montese dei signori ab. G. Mazzetti e prof. D. Pantanelli 2, ho trovato che anche i radioli della Cidaris verticillum Mazz. dell’Elveziano di Jola, hanno molta somiglianza con questi di Pianosa. Rilevo però da una lettera del prof. Pantanelli che i radioli della C. verticillum sono molto più regolari, non così stranamente bitorzoluti come quelli del Ph. tirsiger. Sembra dunque che le due specie possano rimanere distinte. Goniaster sp. — A questo genere di stelleridi credo possa riferirsi uno scudetto che a un dipresso ha la forma del segmento che si otter- rebbe da un disco, tagliandolo secondo due corde ortogonali e ine- gualmente distanti dal centro. Le faccie triangolari laterali si pre- 1 Adunanza del 14 novembre 1886 (Proc. verb., voi. V, pag. 163). 2 Parte I, pag. 5. 1885. — 236 — sentano alquanto scavate per la sporgenza del margine. Delle altre faccie, molto corrose, non si possono apprezzare i particolari. Lo spes- sore dello scudetto è di tre millimetri e mezzo, di cinque millimetri la lunghezza del lato maggiore. Pentacrinus Gastaldii Mich. — Un solo articolo, ma ben conser- vato, avente 5mm. di diametro ed un millimetro appena di altezza. Litothamnium sp. Conclusioni. — La piccola serie dei fossili raccolti alla Marina del Marchese è più che sufficiente per farci escludere che le argille della Pianosa appartengano al Pliocene. Possiamo con sicurezza riferirle al Miocene medio, per la presenza di alcune specie abbastanza caratteri- stiche, come il Pecten restitutensis Font., il P. Bonifaciensis Loc., YEchi- nolampas angulatus Mér., la Cidaris avenionensis Desm., il Pentacrinus Gastaldii Mich. Fra i depositi eteropici del Miocene medio quelli con facies elveziana sembrano assai meglio degli altri corrispondere al nostro; ma sono troppo scarsi finora i documenti paleontologici perchè ci sia consentito di stabilire con piena certezza essa corrispondenza. I sedimenti del Miocene medio, formati in acque di non grande profondità, dovettero emergere nell’ ultima fase del periodo per esser poi ricondotti sotto il livello del mare durante il Pliocene. Servirono allora di base agli organismi litogeni (alghe, briozoi, ecc.) che costrus- sero l’esteso banco calcare da noi riferito al Subappennino. Alla emer- sione di questo banco, avvenuta nel finire del Pliocene o nei primordi del Postpliocene, tenne dietro un altro spostamento positivo della linea littorale, che permise la deposizione della panchina, adagiata, come vedemmo, con discontinuità sugli strati pliocenici. Questo spostamento non ebbe però alla Pianosa l’estensione che si ritiene avesse in gran parte dell’area tirrenica; la posizione occupata dai lembi di Quaternario marino farebbe anzi credere che lo spostamento avesse interessato soltanto la parte marginale dall’isola. Bastò in ogni modo a tagliare le vie d’immigrazione che i mammiferi delle breccie ossifere fanno credere stabilite in precedenza. Un ultimo spostamento, e questa volta negativo, lo stesso che agì sulle altre isole dell’arcipelago e sulle spiagge di Toscana,, dette luogo all’emersione dei sedimenti postplio- cenici, e, continuandosi per lungo tratto di tempo, a quella anche di più recenti formazioni littorali. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tav. III. — Taglio naturale presso la Marina del Marchese (lato Ovest dell’ Isola). Tav. IV. — Fig. 1 : Helix Raspaìli Payr. — Fig. 2 : Strombus medi- terraneus Duclos. — Fig. 3 : Pholodomya thyrrena , nov. sp. Tav. V. — Fig. 1: Pecten (Vola) Planariae , nov. sp. — Fig. 2: Hin- nites bifrons, nov. sp. Tav. VI. — - Fig. 1, 2 e 3 : Clypeaster Paretoi nov. sp. Tav. VII. — Fig. 1: Spatangus macraulax , nov. sp. — Fig. 2: Ambly- pygus Loriolì , nov. sp. — Fig. 4: Radioli di Phyllacantus tirsiger , nov. sp. NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER L’ANNO 1888 R. Ufficio Geologico. — Descrizione geologico-mineraria delVIgle- siente {Sardegna) dell' Ing . G. Zoppi. — Roma, 1888. Mancando per lo Iglesiente, regione di sì grande importanza scientifica ed industriale, una carta topografica che potesse servire di base allo studio geologico particolareggiato, gli ingegneri del Corpo Reale delle Miniere, per non ritardare soverchiamente questo, dovettero rilevarla essi stessi, e lo fecero alla scala di 1/10000: in questa stessa scala si compiè il rilevamento geologico. La carta pub- blicata, e che, per 1’ attenzione in essa concessa alla parte mineraria, s’ intitola geologico-mineraria , venne ridotta alla scala di 1/50000. Accompagna la carta un atlante di 29 tavole (sezioni geologiche, spaccati di giacimenti metalliferi, ecc.) ed un volume descrittivo dell’ingegnere G. Zoppi. Que- sto forma il quarto volume delle Memorie descrittive della Carta geologica di Italia e comprende due parti. Nella prima sono descritte le formazioni rappre: sentate nella regione considerata, e discussi i vari problemi che ad esse si rap- portano ; nella seconda si studiano i giacimenti metalliferi e se ne scruta la genesi, la conoscenza della quale può esser guida nella loro ricerca; in ultimo si esa- mina il regime delle acque sotterranee. Sono annessi alla descrizione i risultati degli studi chimici e petrografici, che sulle roccie dello Iglesiente fecero il prof. A. Cossa, l’ ing. E. Mattirolo ed il dott. L. Bucca. R. Ufficio Geologico. — Carta geologica della Campagna Romana e regioni limitrofe. — Roma, 1888. Il rilevamento di questa regione eseguito dagli ingegneri del R. Corpo delle Mi- niere nella scala in gran parte al 25 000 e pel resto al 50 000, viene ora pubbli- tali, del R. Corri. Geol. cT Italia Armo 1889. Tav. Ili (V. SitiwnMv) J S •; delR. Corri, geol d'Italia Anno 1089 Tav. IV. (Simonelli) tofani dis.s iit . nt . Mi , Paris -Firenze fioll.delH.CDin. geo! d 7 Italia Anno 1889 Tav.Y(Simonelli) Ci Enstofam dis. 0 Hi. ,it . Ach. Pan s- Firenze il gli dei h.Lam. udì ri- òimonelli BIS &M?iérè v./, : ;#:V, 'S.v./i I ; \A mfM £|f| iiSSi Lristof ani dis.eiit. Lit . Ach-, Paris-Firenze delR. Cotti, g eoi. d’Italia Anno 1B89 lav.Vl (r .V-ar; ..-V, ' V: Ì - *. k . r£7C^&§S 1 ■"c- - ' ■ \ ';: - r ' ‘s; ''T-.! At US» — 239 — cato nella scala di 1 a 100 000 che è quella adottata per la pubblicazione della Carta generale d’Italia. La base topografica è quella della carta del R. Istituto geografico militare, ottenuta da trasporti su pietra. La zona pubblicata comprende 6 fogli di detta carta, cioè: n. 142 (Civitavec- chia), 143 (Bracciano), 144 (Palombara Sabina), 149 (Cerveteri), 150 (Roma), 158 (Cori). Essa comprende quindi, oltre la Campagna Romana propriamente detta, la Sabina meridionale, i dintorni di Tivoli coi monti Lucani e Tiburtini, il lago di Bracciano con parte dei vulcani Cimini, i monti della Tolfa, i vulcani Laziali, parte dei monti Prénestini e Lepini, nonché la zona litorale da Montalto sino a Nettuno. A questi 6 fogli va unita una tavola di sezioni alla scala di 1 a 50 000 ed un opuscolo di Brevi cenni spiegativi, con un elenco dei terreni e delle suddivisioni adottate. Artini E. — Sulla così detta savite di Montecatini. (Rend. Acc. Lin- cei, S. IV, Voi. IV, fase 1°). — Roma. L’autore comincia col ricordare come il Sella inclinasse a considerare la sa- vite come una varietà di mesotipo, pur non escludendo la possibilità che si trat- tasse di una varietà di mesolite o scolecite; e come il D’Achiardi la ritenga un mesotipo magnesiaco. I cristalli studiati dall’autore, per l’aspetto generale, ricordano quelli di Mon- tecchio Maggiore; essi presentano la combinazione (010) (100) (110) (111), le faccie hanno gli stessi caratteri che nella natrolite e gli angoli corrispondono a quelli di questo minerale. L’esame delle proprietà ottiche mostrò all’autore l’identità della savite con la natrolite; così, nessun prisma presenta deviazione della direzione di estinzione dallo spigolo (HO, 110), nè due lamine, normali alle due bissettrici, alcuna traccia di geminazione. Sicché l’autore, pur non avendo potuto far l’analisi del minerale, conclude che non può mantenersi il nome di savite, nemmeno ad indicare una varietà. Artini E. — Alcune nuove osservazioni sulle zeoliti di Monteccliio Maggiore. (Rend. Ace. Lincei, S. IV, Voi. IV, fase. 9). — Roma. L’autore si occupa dapprima di due zeoliti (heulandite e stilbite) trovate di recente a Montecchio Maggiore e non ancora descritte per questa località. La stilbite, piuttosto rara, è in eleganti fiocchetti bianchissimi, con perfetta e facilissima sfaldatura, e viva lucentezza madreperlacea: non vi sono riconosci- bili forme cristalline. La heulandite, assai più frequente, è sempre in cristalli in cui l’autore osservò le forme (001), (010), (101), (101), (HO), (Oli), (112), e per le proprietà cristallogra- fiche è simile ad altre già note. Non così per le proprietà ottiche. Infatti: il piano degli assi ottici non è nè parallelo nè normale alla base (soli casi fin qui registrati), non si oss'erva una fortissima oscillazione del valore dell’angolo degli assi ottici nei diversi punti di una stessa lamina, e tale valore è maggiore del comune nella heulandite. Per le variazioni prodotte nelle proprietà ottiche dal riscaldamento, questa heulandite s’allontana maggiormente dalle altre. L’autore scaldando tre lamine fin verso i 150°, osservò che l’angolo degli assi ottici, anziché diminuire, aumentava e l’aumento persisteva dopo il raffreddamento. Insieme alla stilbite e alla heulandite trovansi brillanti cristallini di calcite e numerosi cristalli di analcime e di apofìllite. L’autore si trattiene alquanto su quest’ultima e ne disegna due forme. Barbier P. V. — Etude sur les marbres et les pìerres d’ornementdu Royaume Italien. — Aix-les-bains, 1888. È un breve studio d’indole essenzialmente industriale, fondato sulle osserva- zioni fatte dall’autore durante un suo soggiorno in Italia, e completato con notizie estratte dai rapporti dei giurati italiani alle esposizioni universali di Vienna (1873) e di Parigi (1878), e da altre pubblicazioni ufficiali. Basile G. — Le bombe vulcaniche dell3 Etna. (Att. Acc. Gioenia Se. Nat, S. Ili, Tomo XX). — Catania. L’autore lungamente descrive i differenti caratteri delle bombe vulcaniche, ri- cercandone la ragione: discorre dell’origine loro e dell’importanza che hanno per il geologo e per il vulcanologo. In un’appendice all’estesa sua memoria, descrive pure alcune forme globulari di lave e basalti, confuse talora con le bombe. Bassani F. — Ricerche sui pesci fossili di Chiavon ( Vicentino ). — Sunto dell3 autore. (Rend. Acc. Se. Napoli, S. II, Voi. 2°, 7). — Napoli. È un sunto fatto dall’autore stesso di una sua memoria che sarà pubblicata negli Atti dell’Accademia di Napoli. Il deposito di pesci e piante di Chiavon, scoperto nel 1852 da De Zigno, fu oggetto di studi di vari dotti, che l’autore brevemente enumera; e fu ascritto al liguriano, al tongriano ed all’aquitaniano. La fauna comprende vari crostacei mal — 241 — conservati, pochi insetti, molti bellissimi pesci, due ossa di uccello 'e alcuni anfìbi. Heckel, Kner, Steindachner e De Zigno, studiarono gli ittioliti e determinarono 17 specie. L’autore ha portato il numero delle forme a 58; ne dà un catalogo si- stematico e le descrive notandone i principali rapporti. Questa ittiofauna manca di Ganoidei ed è costituita da Chondropterygii e da Teleostei. I primi sono rappresentati da due famiglie, Galaeidae e Myliobates ; i secondi comprendono gli Arthropteri (2 famiglie) e gli Anarthropteri (Il famiglie). L’autore conclude che le marne a pesci di Chiavon corrispondono agli strati , di Sotzka ed appartengono all’aquitaniano, che egli considera come la base del Miocene inferiore. Bassani F. — Sopra un nuovo genere di Fisostomi, scoperto nell’Eo- ceno medio del Friuliì in provincia di Udine. (Atti. Acc. Napoli S. II. Voi. 3°, 4). — Napoli. Il fisostomo, descritto e figurato in questa memoria, fu scoperto nella marna del Colle di Rosazzo, corrispondente al piano di S. Giovanni barione (parigino in- feriore o bruxelliano) : esso forma un genere nuovo ( Omiodon Bass.) della fami- glia delle Characinidae, e la specie è dedicata al ritrovatore ingegnere Cabassi. Eccettuato qualche dente di squalo, è questo il solo vertebrato scoperto nel- l’Eocene friulano. Bassani F. — Colonna vertebrale di Oxyrhina Mantelli Agassiz, sco- perta nel calcare senoniano di Castellavazzo nel Bellunese. (Me- morie Società It. delle scienze, detta dei XL, S. Ili, V. Vii, 1). — Napoli. L’ Oxyrhina Mantelli Agassiz, uno degli squali più comuni nel Cretaceo, non •era sino ad ora conosciuta che per i denti: solo con dubbio le si riferiva qualche vertebra isolata. La colonna vertebrale descritta in questa memoria fu trovata nel calcare rosso senoniano di Castellavazzo nel Bellunese nel 1878, insieme a molti 'denti. E lunga 4m,60 e si compone di 122 vertebre; l’autore ritiene che la lunghezza ùovea essere di 5m e le vertebre non meno di 170. Tre tavole accompagnano la memoria. Bellardi L. — I molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria . Parte 5a. Mitridae. (Mem. Acc. Se. Torino. S. II, Tomo XXXVIII -XXXIX). — Torino. Continuando lo studio dei molluschi terziari del Piemonte e della Liguria, 16 J l’autore descrive, in questa quinta parte, la famiglia dei Mitridae : che egli suddi- vide in tre sottofamiglie, le quali comprendono 7 generi e 256 specie. L’opera è accompagnata da sei tavole. Bombicci L. — Il Gabinetto di mineralogia in Bologna XXVII anni dopo la sua fondazione. Relazione terza. — Bologna, 1888. È l’enumerazione del ricco materiale scientifico di quel Gabinetto, con la de- scrizione del suo ordinamento. Bonney T. G. — Notes on two traverses of tlie cristalline roeks of thè Alps. (Proceed. Geol. Soc. of London, n. 529). — London. Allo scopo di verificare se l’apparente successione stratigrafica degli gneiss e degli scisti cristallini da lui osservata nelle Alpi centrali esisteva pure nelle Alpi occidentali ed orientali, l’autore studiò nel 1887 due sezioni: 1’ una sulla strada del Col du Lautaret fra Grenoble e Briangon, e quindi per il Mont Genèvre e il Col de Sestrières a Pinerolo ; l’altra da Lienz a Kitzbuhel, esaminando altri tratti ad oriente del Brennero. Egli fu così condotto a concludere che: 1. Se roccie d’ origine ignea possono trovarsi in ogni orizzonte nella serie cristallina delle Alpi, esse sono però riconoscibili. 2. Nelle Alpi si hanno tre grandi gruppi di roccie che simulano, se pur non formano, una successione stratigrafica; e sono: l’inferiore, analogo agli gneiss lau- renziani, il medio di gneiss e scisti della serie montalbana di Sterry Hunt, ed il superiore costituito da gneiss, generalmente piuttosto a grana fine, micacei, cloritici, epidotici, calcarei e quarzosi, passanti occasionalmente a calcari cristal- lini e più di rado a quarziti scistose. 3. Il gruppo della pietra verde di Sterry Hunt consiste essenzialmente di roccie ignee modificate, di data indeterminabile. 4. Dei tre gruppi il superiore ha immenso sviluppo nelle Alpi italiane e del Tirolo ; il secondo è spesso imperfettamente sviluppato, od assente, e sembra pre- valere specialmente nelle Alpi Lepontine ; il gruppo inferiore è invece benissimo sviluppato nelle sezioni studiate dall’autore. 5. Di regola, gli scisti del gruppo superiore hanno origine sedimentaria; gli scisti e gneis del medio, in parte almeno, hanno probabilmente uguale origine ; per il gruppo inferiore è impossibile venire ad una conclusione. 6. Le ardesie ed altre roccie clastiche alpine, tanto paleozoiche quanto me- sozoiche, sono complttamente distinte dai veri scisti di cui sopra. — 243 — Bonney T. G. — The sculpture of alpine passes and peaks . (Geol. Magazine, Decade III, Voi. V, n. XII). — London. L’autore ricerca la spiegazione di alcune particolari forme di passaggi e punte alpine; quali sono, a cagion d’esempio, presentate dal passo del Maloja che si continua verso la vallata dello Inn con dolce pendìo, mentre verso 1* Italia brusca- mente precipita, senza che si veda donde poterono trarre origine i ghiacciai e le acque che aprirono quella valle ; e quali si riscontrano in certi picchi a sud del Piccolo S. Bernardo, che si avanzano dalla linea di displuvio come contrafforti da un muro. L’autore dà ragione di ciò, ricorrendo ad uno spostamento della linea di displuvio prodotta dalle acque stesse. Bozzi L. — Sopra una specie pliocenica di pino trovata a Castelsardo in Sardegna . (Atti Soc. It. Se. Nat., Voi. XXX, 4). — Milano. L’autore ebbe dal prof. Lovisato buon numero di frammenti di roccie terziarie con impronte di fìlliti da lui raccolte in Sardegna a Perfugas, ed alcuni strobili di conifere fossili trovati a Castelsardo. Dalle prime poco potè concludere a causa del loro stato di conservazione. Invece potè determinare il Pinus Slrozzii, e ne dà la descrizione dello strobilo : questo fu trovato nei depositi di Castelsardo che, secondo il Lovisato, apparterrebbero ad un piano miocenico antico, probabilmente all’aquitaniano, e, secondo il Parona, al langhiano. Il Pinus Strozzii fu per la prima volta rinvenuto dal marchese Strozzi nelle sabbie plioceniche di Montalceto in Val d’Arno. Bbauns D. — Das Problem des Serapeums von Pozzuoli. (Leopoldina, amtliches OrganderK. leopoldino-carolinischen deutschen Akademie der Naturforscher, 24 H). — Halle. L’autore ha fatto oggetto di minuzioso esame critico il noto problema del tempio di Serapide, presso Pozzuoli, e le -soluzioni date al medesimo da osserva- tori e da geologi sino dal xvi secolo a questa parte. Avendo egli soggiornato a lungo sul posto ha potuto studiare non solo le condizioni particolari dei ruderi in parola, ma quelle altresì geologiche del suolo circostante, e convincersi che le opinioni emesse sono in contraddizione colle teorie geologiche e coi fatti che si osservano. Ammette con altri autori, tra cui il Goethe ed il Belloch, che l’edifìcio rovinato non fosse un tempio, e dietro criteri architettonici conclude per ritenerlo per una delle frequenti piscine romane per conservazione di pesci e di molluschi marini. Per tale scopo anche il fondo di quest’acquario dovea essere ad un certo — 244 — livello sotto il pelo delle acque marine e tal livello corrisponderebbe alla quota dì sei o sette metri segnata dalla zona dei fori praticati dai litodami sui fusti delle colonne delPedificio. Di modo che in definitiva questo antico problema, anziché una soluzione geo- logica, ne riceverebbe una puramente archeologica; essendo cosa naturale che in quell’artifìciale bacino d’acqua di mare prosperassero assieme ai pesci, alle ostri- che, ecc., altri molluschi, tra cui le così dette foladi e precisamente Lithodomus lithophagus, che perforarono le colonne. Brasa G. — Note illustrative su Monte S. Giovanni e le sue settarie geodiche. — Bologna, 1888. Sono brevi note intese ad illustrare gli esemplari di septarie geodiche dall’au- tore raccolte ed esposte all’Esposizione emiliana del 1888, nonché a dare un’idea della geologia di Monte S. Giovanni (Bologna) ove si rinvengono. Brugnatelli L. — Ueber flàchenreiche Magnetitkry stalle aus den Alpen. (Groth, Zeitschrift fiir KrystalL, 14B., 2-3 II.). — _ Leipzig. In questa illustrazione di alcuni tipi alpini di cristalli di magnetite, ricchi di faccie, interessa l’Italia direttamente quanto si riferisce a campioni derivati da. Traversella in Piemonte e dalla Val di Fassa nel Trentino. I cristalli di Traversella, quali si trovano nella collezione del R. Museo dì Monaco, presentano in parte le combinazioni già descritte dallo Struver nel 1875, negli Atti della R, Accademia di Scienze di Torino, vale a dire dodecaedri rom- boidali e combinazioni di (110) con (321), ed in parte le combinazioni (110) (111)» L’autore annette speciale importanza alle condizioni fisiche delle faccie di cri- stallizzazione, che descrive e che trova in diretto rapporto colla genesi delle forme, Nei cristalli di Val di Fassa, provenienti da Monte Mulatto e da Scalotta, pre- vale l’abito dodecaedrico ; furono già descritti da vari autori, quali il Doelter, lo Zepharowich, il Cathrein, ecc. Alla nota è aggiunta una tabella, desunta da un lavoro del Jerofejew sulla magnetite di Blagodat e completata-, la quale riporta tutte le forme (31) di magne- tite osservate. Le forme descritte sono rappresentate in una tavola di disegni annessa al testo. Bruno C. — La caverne ossifere de Bossea pr'es de Frabosa ( Mondovì ). — Mondovì, 1888. È questa la ristampa d’uno scritto pubblicato nel giornale « Le Touriste » di — 245 — Firenze nel 1874, e contiene la relazione delle ricerche fatte nella caverna di Bossea dal prof. Bruno, che primo la visitò con intendimenti scientifici. Si rinvennero in questa caverna resti abbondanti di Ursus spelaeus , studiati dal prof. Gastaldi. Bucca L. — Contribuzione allo studio petrografico dei vulcani viter- besi. (Boll. Com. Geol., 1-2). — Roma. L’autore raggruppa le roccie da lui studiate e descritte in roccie trachitiche , roecie trachitiche con leucite e roccie leucitiche con feldspato. Egli conclude che in questa regione bisogna distinguere due tipi completamente differenti: uno es- senzialmente trachitico e l’altro puramente leucitico, i quali ora compaiono isolati e nettamente distinti, ed ora invece tra di loro mescolati. In questo secondo caso la roccia può conservare l’aspetto trachitico e la leucite comparirvi in pochi cri- stalli isolati, oppure la leucite può essere tanto abbondante da indurre ad adot- tare le denominazioni di leucitofiro e tefrite leucitica. L’autore ne deduce che la trachite è di formazione posteriore. Canavari M. — Contribuzione alla fauna del Lias inferiore di Spezia . (Meno. Com. Geol., Voi. Ili, P. 2a). — Firenze. Sotto questo titolo già venne dall’autore pubblicata una monografìa nella Pa - laeontographica di Cassel nel 1882. In seguito ad ulteriori studi che egli ebbe agio di compiere a Monaco, colla scorta di nuovo materiale esistente nel Museo di Pisa ovvero comunicatogli dai. prof. Issel e Pantanelli, e dopo ripetute escursioni fatte nelle località fossilifere della Spezia, potè compiere una revisione di tutte le specie già studiate, che vengono ora in questa memoria descritte ed illustrate. Alla dettagliata ed accurata descrizione delle specie, fanno seguito alcune considerazioni stratigrafìche che spiegano la tettonica del promontorio occidentale del Golfo della Spezia, corredandole di due sezioni rilevate dall’ing. Zaccagna. Per tali considerazioni viene a stabilire la posizione delia fauna descritta che è inter- posta fra il Retico ed i calcari rossi ammonitiferi della parte superiore del Lias inferiore. Infine, dopo alcune osservazioni sul modo di rinvenirsi e sullo stato di con- servazione dei fossili, viene a maggiori dettagli sull’età e sulla corrispondenza di questa fauna con quelle basiche alpine ed extralpine, presentandone da ultimo a titolo di riassunto un quadro comparativo. La memoria è corredata di nove tavole litografate, delle quali le prime otto già figuravano nell’edizione di Cassel. — 246 — » Capellini G. — Ours de Cassano, dans la Ligurie orientale. (Bull. Soc. Geol. Fr., 3. S„ T. XVI, n. 1). — Paris. L’autore in una sua lettera ad Albert Gaudry (autore di una notizia pubblicata nel Bollettino della Società geologica di Francia intorno ad uno scheletro di pic- colo Ursus spelaeus trovato a Gargas), ricorda una propria nota pubblicata nella Liguria medica del 1859: in essa annunziava di avere, l’anno 1858, trovato nella Caverna di Cassana abbondanti resti d’orso, e di avere riconosciuto non solo il vero Ursus spelaeus di statura ordinaria, ma anche un altro di statura molto minore ; il nutrimento di questo secondo appariva, dallo stato di conservazione dei denti, dover essere molto più vegetale di quello del primo. Questa osservazione s’accorda con quelle del Gaudry per stabilire 1’esistenza di due Ursus spelaeus di statura molto differente. Capellini G. — Denti di Scaroide nel Miocene di Catanzaro. (Boll. Soc. Geol., VII, 1°). — Roma. Questi denti, comunicati al prof. Capellini dal prof. Neviani, provengono dal Miocene delle Baracche di Catanzaro: essi corrispondono a quello trovato a Ca- rovizzo in Calabria, figurato e descritto nel 1853 da O. G. Costa, che lo riferL dubitativamente al genere Scarus. Il prof. Capellini ritiene che i denti in esame spettino ad uno scaroide, ma non al vero genere Scarus ; e provvisoriamente li ascrive al Capitodus ; se ulteriori studi dimostrassero questa attribuzione non esatta, si dovrebbe creare un nuovo genere di scaroidi aventi rapporti con i generi Capitodus, Hoplogn'ttus e Scarus. Capellini G. — Resti di Dioplodon nelle sabbie marnose grigie della Farnesina sotto Monte Mario. (Boli. Soc. Geol., VII, 1°). — Roma. Il rostro di Dioplodon , di cui si occupa l’autore, proviene da un vero Crag grigio ricchissimo di fossili, alla base delle sabbie gialle e superiormente all’ar- gilla turchina, ed è il più bello e completo rostro di zifìoide finora scoperto in Italia. Riservandosi di descriverlo e disegnarlo, l’autore nota intanto che esso offre stretti rapporti con il Dioplodon gibbus, da cui però si differenzia per alcune par- ticolarità. - 247 — Capellini G. — Sui resti di Mastodon arvernensis recentemente sco- perti a Spoleto , Pontremoli e Castrocaro. (Mem. Acc. Se. Ist. Bo- logna, S. IV, T. IX). — Bologna. Ricordati i giacimenti di mastodonti sino a poco tempo addietro noti in Italia, l’autore discorre degli avanzi trovati nelle ligniti di Spoleto, i quali sono da at- tribuirsi al Mastodon arvernensis : minutamente descrive i resti rinvenuti presso Pontremoli; e dà in ultimo conto del ritrovamento di un molare, pure di M. ar- vernensis, a Castrocaro in Romagna. Casoria E. — Sulla presenza del calcare nei terreni vesuviani. (Boll. Soc. Naturalisti, Voi. II, fase. 2°). — Napoli. L’autore avendo analizzato il terreno superficiale in vari punti, stabilisce che, contrariamente a quanto ritiensi dagli agronomi, i terreni vesuviani non sono privi di calcare ; ed in questa sua nota registra i risultati ottenuti. Casoria E. — Composizione chimica di alcuni calcari magnesiferi del Monte Somma. (Boll. Soc. Natur., Voi. II, fase. 2°). — Napoli. L’autore dà i risultati dell’analisi da lui eseguita di tre calcari magnesiferi del Monte Somma. Ciofalo F. e Battaglia A. — SulV Hippopotamus Pentlandi delle con- trade dimera. — Termini-Imerese, 1888. I primi resti di questo Hippopotamus furono rinvenuti nell’aprile del 1883; e della scoperta gli autori dettero annunzio al prof. Gemmellaro con lettera pubbli- cata nel Boll, del R. Comitato Geologico di quell’anno. Le ricerche furono riprese nel successivo anno, ed in questa memoria gli autori danno una completa descri- zione del materiale raccolto; il quale risulta appartenere ad individui di varia età dello Hippopotamus Pentlandi. II giacimento ossifero trovasi nel Quaternario. Clerici E. — Sopra una sezione geologica presso Roma. (Boll. Soc. Geo!., VII, 1°). — Roma. La sezione descritta in questa nota ha la lunghezza di oltre un chilometro, e si presenta alla sinistra del fosso di Pozzo Pantaleo ed è ad esso parallela. — 248 — Le marne del Pliocene inferiore, eguali in tutto a quelle del Vaticano, sono ricoperte da sabbie gialle del Pliocene superiore, che alla parte superiore sono miste a ghiaie. Seguono delle ghiaie con pezzi di piromaca e prive di materie vulcaniche ; rappresentano la fine del Pliocene ed il principio del Quaternario. Queste ghiaie sono ricoperte da materiali vulcanici incoerenti. Addossate alle marne e sabbie plioceniche vi sono marne fluviali, biancastre alla base e brune in alto, con elementi vulcanici. Si hanno in seguito tre varietà di tufo : 1* inferiore è litoide, rossastro, com- patto ; il successivo è rossastro, pure molto compatto, ma granulare e molto ricco in leucite, separato dai precedenti da uno straterello di sabbia a grossi elementi ; segue un tufo omogeneo, marrone, nettamente stratificato. Si ha quindi una sabbia argillosa giallastra : un calcare argilloso, sostituito talvolta da marne cenerognole, o da marne argillose grigie : ghiaie siliceo-calcari con molti elementi vulcanici : ed infine sabbie vulcaniche e pomici più o meno decomposte. Clerici E. — Sulla Corbicula ftuminalis del dintorni di Roma e sui fossili che V accompagnano. (Boll. Soc. Geol., VII, 2°). — Roma. Le località presso Roma, nelle quali si trovò la Corbicula fiuminalis .Muli, sono tre: Acquatraversa (a sinistra della via Cassia a 5 Cm. dalla città), Sedia del Diavolo (a sinistra della via Nomentana, a 3 Cm. della città) e Monte Verde (presso la stazione di S. Paolo). Per ciascuna di esse 1’ autore descrive il giaci- mento della Corbicula fiuminalis e dà l’elenco dei fossili che 1’ accompagnano. Dà inoltre la descrizione di tre nuove specie di molluschi da lui determinate : Hydrobia, Melii, Emmericia Pigorinii e Neritina Isseli. Soffermandosi in particolar modo sulla C. fiuminalis l’aùtore accenna alla distribuzione della specie tanto fossile che vivente, e dà in uno specchio le dimen- sioni del tipo e di alcune varietà delle diverse località. Risulta in sostanza, che in tutta 1’ Europa occidentale e meridionale e sulla costa settentrionale d’ Africa si sono trovati depositi quaternari di ghiaie a Cor- bicula fiuminalis , sollevati di almeno 12 m. sul livello attuale dei fiumi; questi depositi hanno in comune la maggior parte dei molluschi fluviali e lacustri, i quali, con poche modificazioni, sono giunti fino a noi ; all’ epoca della loro formazione vivevano abbondanti e con la stessa grande distribuzione geografica, grandi mam- miferi come il Bos primigenius Boi., Hippopotamus major Cuv., Elephas antiquus Fai. ecc. Molte delle specie enumerate nella memoria sono rappresentate in due tavole. — 249 — Clerici E. — Escursione della Società Geologica da Pennabilli a San Marino. (Boll. Soc. Geol., VII, 3°). — Roma. L’autore dà una breve relazione di questa escursione fatta in occasione del- l’adunanza generale della Società Geologica italiana a Rimini. Avendo studiato le sezioni sottili di campioni raccolti all’affioramento di roccie ofiolitiche alla località di Poggiale, l’autore verificò l’esistenza d’ una diabase e di una serpentina ; ed osserva come la serpentina non possa ritenersi derivata dalla diabase perchè questa non contiene olivina, mentre la serpentina risulta da tale minerale alterato. Clerici E. — Sopra alcune specie di felini della Caverna al Monte delle Gioje presso Roma. (Boll. Com. Geol. 5-6). — Roma. L’autore descrive dapprima brevemente la caverna, la quale si trova in una collina sulla destra dell’Aniene presso il Ponte Salario. Il Pére Indés, che scoprì la caverna e ne estrasse il miglior materiale, credette rinvenirvi due specie nuove, che denominò Hyper felis Verneuili e Felis minimus. L’autore, avendo avuto comunicazione dei resti che avevano servito a tale deter- minazione, ne dà una distesa descrizione ed il disegno ; e dallo studio fatto conclude che le due specie nuove non hanno ragione di esistere. La prima altro non è che un giovane individuo di Felis leo Lin. ( spelaea Goldf.) e l’altra un giovane individuo di Felis catus Lin. L’autore aggiunge qualche considerazione generale su queste due specie. _• ’ / . •. -, - r . Clerici E. e Squinabol S. — La duna quaternaria al Capo delle Mele in Liguria. (B: 11. Soc. Geol., VII, 3°). — Roma. Al calcare eocenico del Capo delle Mele, presso Savona, è addossata una formazione potente di più che 130m, costituita di sabbie prevalentemente quarzose, ora cementate ed ora incoerenti, di color vario dal giallognolo al rossiccio. Queste sabbie, che gli autori, come i professori Taranrelli ed Issel, considerano formare una duna, contengono molluschi terrestri abbastanza ben conservati, insieme a molti minutissimi frammenti, per lo più non classificabili, di molluschi marini, di radioli di Echinus, ecc. In questa nota gli autori danno la lista delle specie da essi determinate. Fra queste, una (Helix melensis) è nuova; ed oltre ad essere descritta è pure figurata. Cortese E. — Il terremoto di Bisignano del 3 Dicembre 1887. (Annali della Meteorologia Italiana, P. IV). — Roma. L’autore comincia con l’ indicare la natura geologica della regione funestata — 250 — dal terremoto, e ricorda come già altra volta segnalò 1’ esistenza di una faglia che chiamò del Crati ; questa, dislocando i terreni antichi, aprì fra di essi una de- pressione,rin cui i mari terziari, e in ispecie il pliocenico, deposero i loro sedimenti. Discorre in seguito dello andamento della scossa (ch’egli ritiene ondulatoria), e dei danni subiti dalle costruzioni e dalla linea ferroviaria, e conclude che : 1° Il terremoto colpì una striscia diretta normalmente alla faglia surricordata. 2° Il movimento si trasmise normalmente a questa faglia, nelle due dire- zioni verso i monti. 3° I danni riconosciuti interessarono solo i terreni pliocenici e non il cri- stallino. Cortese E. — L’eruzione dell’Isola Vulcano ceduta nel Settembre 1888. (Boll. Com. Geol., 7-8). — Roma. Alla relazione dei fenomeni da lui osservati nei giorni 5 e 6 del Settembre dello scorso anno, durante l’eruzione, l’autore fa precedere alcuni cenni intorno alla costituzione geologica dell’isola, ed allo stato del vulcano negli anni 1881 e 82, quando egli ebbe a farne il rilevamento geologico. Descrive quindi le sue due ascensioni, e nota le eruzioni da lui presenziate. Conchiude: che le eruzioni avevano luogo, in quei due giorni, ad intervalli quasi assolutamente regolari di 5 minuti, ogni 7 essendovene una più forte; i massi get- tati erano di lava trachitica, analoga a quella delle antiche eruzioni, ma più scg- riacea; le ceneri erano identiche a quelle che colmarono la zona fra Vulcano e Vulcanello ; il cratere non era deformato, solo il fondo ne era sprofondato; la caduta dei massi era limitata alla cerchia del vecchio e grande cratere, e nessun fenomeno avvertivasi nelle cisterne. Cossa A. — Sulla così detta savite di Montecatini. (Rend. Acc. Lincei, S. 4a, Voi. 4°, fase. 3°). — Roma. A complemento della nota del sig. E. Artini sulla così detta saette di Mon- catini, l’autore ricorda che l’identità di tale minerale con la natrolite fu già sta- bilita per la composizione chimica dall’ing. Mattirolo, il quale trovò nel 1886 che, quando il minerale in questione è ben scelto, non contiene traccie di magnesia e presenta una composizione centesimale, che soddisfa a quella corrispondente alla formola della natrolite. (Continua). — 251 — NOTIZIE DIVERSE La Zona a Congerie presso Catanzaro. — La formazione gessoso- solfifera mi è occorsa nei miei lavori geologici in molte località diverse, dal centro di Sicilia, al Peloro e alla Calabria. Mai però aveva potuto vedere i veri strati a congerie, quantunque tale formazione esista in altre parti della Sicilia,, come nei dintorni di Vizzini, dove fu veduta dall’in- gegnere Travaglia e studiata dal bar. I. Calici. Sperai trovare le congerie a Bada e al Gesso, in provincia di Mes- sina, o a Benestare ed in altre località gessifere della Calabria Ulte- riore Ia (Reggio): ma non solamente non fu mai dato a me di trovare quella zona fossilifera, ma neanche il prof. Seguenza, minuzioso ricer- catore di fossili, l’aveva riscontrata in quelle località. Nella Calabria Ulteriore Ha (Catanzaro) invece, benché casualmente, fui più fortunato. Nella formazione di gessi con argille e calcari, che costituisce la zona gessoso-solfifera della Calabria e del Peloro, ho trovato, presso Marcellinara, a 20 chilometri da Catanzaro, uno strato di argille ges- sose a congerie. La serie è, dall’alto al basso, costituita come segue: 1) Conglomerati a pasta più o meno sabbiosa e argillosa con noduli di gesso; 2) a) Argille sabbiose con strati di sabbia ; b) gessi alabastrini ; e) gessi cristallizzati ; d) argille con venature rosse, compatte ; e) gessi cristallizzati e amorfi ; /) argille più o meno sabbiose; g ) gessi varii assai potenti ; h) argille con venature rosse; i) gessi cristallizzati ; l) argille e gessi. 3) Calcare concrezionato. — 252 — Presso rimbocco orientale della galleria di Marcellinara, nella zona / si ha uno strato, posato sopra ai gessi, dello spessore di0m,60 circa, nel quale si trovano abbondanti le congerie insieme a dei Pi- sidium. Specialmente la parte inferiore di questo strato, o meglio lo straterello che forma la base di questa pila di straterelli, è pieno di questi fossili insieme ad altri resti organici, specialmente di fusti vegetali. Dovendo in seguito illustrare più ampiamente la geologia cala- brese, non ho potuto per ora darmi a determinare tutti i generi e le specie di fossili contenuti in quelle argille. Certo è, che alla superfìcie dei pezzi raccolti sono abbondanti i generi Congeria e Pisidium. Credo utile intanto porre qui questi cenni, come notizia del fatto. E. Cortese. Nummoliti della Bepuhblica delPEquatore. - — In una appendice al volume I del Viaggio di Circumnavigazione della R. Corvetta Ca- racciolo, comandante C. de Amezaga, sono descritte brevemente alcune roccie raccolte nei varii punti toccati, ed a pagina 280 trovo scritto: « Un saggio di calcare nummolitico dell’Equatore; il campione è impor- tante per il confronto colle calcarie nummolitiche del vecchio conti- nente ». Conservandosi questo esemplare, insieme agli altri della colle- zione Amezaga, nel Museo Geologico della Università di Roma, grazie alla cortesia del Direttore del medesimo, prof. A. Portis, ho potuto studiare le specie di nummoliti, di cui è zeppo (poiché questi organismi costitui- scono circa i nove decimi della roccia), ed ora mi accingo a darne breve- mente notizia. Il saggio è stato probabilmente raccolto in posto, essendo ango- loso e di forma affatto irregolare, e deve aver subito lungamente l’a- zione degradatrice degli agenti atmosferici, poiché i fossili, che consi- stono in sole nummoliti, sporgono in parte dalla massa e si osserva inoltre ohe le loro faccie esterne sono lisciate in quella guisa caratteristica dovuta all’azione delle sabbie quarzose trasportate dai venti, special- mente nelle pianure prive di vegetazione. Campioni affatto simili per questo, aspetto e, quello che è più strano, per le specie nummolitiche identiche che contengono, provengono dall'Egitto (Piramidi) e dal De- — 253 — r serto Libico. Questa roccia differisce invece perchè il cemento è ocra- ceo ed i fossili hanno assunto un colore rosso-giallastro, mentre quelli che finora ho veduto delle località africane hanno tinta grigia o bian- castra. Le specie che vi ho ritrovato, e che sono facilmente isolabili dalla roccia, sono le seguenti: 1. ° — Nummulites gizehensis Ehrenb., tipo ossia N. Ehrenbergi de La H. (vedi de La Harpe, Monograph. der in Aegypt. und der , libys. Wùste vork. Num ., p. 190). Forma comune e che corrisponde alle fi- gure, alla descrizione ed ai campioni di altre provenienze per quanto si può aspettare in questi organismi. 2. ° — Nummulites curvispira Meneghini, var. granulata de La H. Ha forma lenticolare depressa, è coperta da strie sinuose al centro e radiali alla parte periferica. Sulla maggior porzione delle faccie, fuorché verso l’orlo, si trovano delle granulazioni marcate che stanno lungo le strie, ma che non sono disposte a spira come si osserva in alcune figure dell’opera sopra citata (Tav. XXXIV). Per 1’ aspetto esterno non combina con alcuna delle figure date dal de La Harpe, mentre la spira è quella delle figure 65 e 66 della tavola citata. — La diversità dell’ aspetto esterno dalle figure del de La Harpe è dovuta alla grande variabilità di questa specie. Anche nella sezione trasversale si scorgono bene le co- lonne, e siccome questa stessa specie (come altre, in minor grado) è alcune volte granulosa, altre liscia, bisogna concludere che la presenza di colonne non ha sempre un grande valore e forse rigorosamente non potrà ancora a lungo essere un carattere primario per dividere in gruppi le nummoliti. — Anche la N. gizehensis , che è sempre la compagna della N. curvispira , offre talora delle traccie di colonne, per cui le forme accoppiate conservano parallelismo in tutte le accidentalità di struttura. La N. curvispira è rappresentata da moltissimi individui e tutti della stessa forma, 3. ° — Nummulites discorbina Schloth. (op. citata, Tav. XXXII, fìg. 1-7), piuttosto rara. 4. ° — Nummulites subdiscorbina de La H. (op. citata, Tav. XXXII, fìg. 8-15), in numerosi esemplari. In questa roccia si trovano quindi due coppie di nummoliti appar- tenenti al gruppo delle Nummoliti raggiate non granulose , ovvero ai — 254 — sottogruppi della N. gizeliensis e delle N, biarritzensis e discorbìna , sempre secondo le vedute del nummolitologo di Losanna. Tutte queste quattro specie trovansi associate nelle seguenti lo- calità d’Egitto: Mokattan, Gizeh, Minieh, Beni Hassan e Deserto Li- bico, e tutti i giacimenti appartengono al così detto piano di Mokattan, che corrisponde alla parte più elevata del Parisiano, od alla base del Bartoniano. Alcune di queste forme trovansi anche nella Scindia ed in varie località italiane cioè ad Arzolo, al Monte Berico, a Brendola (Vicentino), al Monte Zengole (Veronese) e la N. discorbìna è citata pure della Majella e dei lembi eocenici del Monte Gargano. Siccome le nummoliti di questé località non furono finora oggetto di studio di alcun specialista, non conosciamo la posizione stratigra- fica precisa di queste coppie e d’altronde ancora non furono interca- late nella scala delle nummoliti di Hantken e di de La Harpe. Pare ;che in qualche sito queste forme trovinsi assieme alla N. perfo- rata, quindi apparterrebbero alla parte superiore del Parisiano, mentre altrove sarebbero associate con ispecie prevalentemente bartoniane. Seguendo la vecchia nomenclatura, alquanto meno precisa, si può affer- mare senza tema di compromettersi che trattasi di un piano che in Europa corrisponderebbe all’Eocene medie. In America finora furono trovate nummoliti solo nella Florida e nelle isole di Giamaica e della Trinità, e tutte alquanto diverse da quelle che si trovano in questa roccia. Fino dal 1863 Rupert Jones in una nota rife- risce di aver trovato alla Giamaica delle nummoliti analoghe alle N, Roualti e perforata e nel 1863 alla Trinità avrebbe trovato delle nummo- liti simili alla N. Ramondi ed orbitoidi uguali o prossime a quelle del Bartoniano d’Europa. In questi ultimi anni vide la luce sulle nummo- liti d’America qualche nota ben più attendibile, perchè accompagnata da figure, di Angelo Heilprin e di Max von Hantken.1 11 primo ha sco- perto alla Florida due nuove specie, cioè la N, Villcoxi , la N. flo- ridensis mentre il secondo, in un lavoro del 1886, cita della stessa pro- venienza la N. Villcoxi e descrive una nuova forma, cioè la N. Heil- 1 Vedi la ottima bibliografia dei foraminiferi di Charles Davies Sherborn : A. Bibl. of thè foraminifera recent and fossil, from 1565-1888. London, 1888. — 255 — prini e fa un confronto tra queste specie e le forme affini del vecchio continente, cioè la N. elegans e la N. Tournouèri. Queste forme della Florida appartengono, secondo un recente la- voro di Heilprin, al piano chiamato orbitoidico corrispondente al nostro Oligocene. Le specie quindi prima d’ora trovate in America non hanno alcuna analogia di struttura e di età colle specie, principalmente svi- luppate neH’Egitto e nella regione circummediterranea, che si trovano pure nella roccia che ho sottocchio, la quale, se proviene veramente dall’Equatore, offre non poco interesse. A. Tellini. PUBBLICAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO PARTI PUBBLICATE (a! 31 Agosto 1889) Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100 000: Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00 Foglio N. 262 (Monte Etna) . . L. 5 00 » 248 (Trapani) . . . » 3 00 » 265 (Mazzara del Vallo)» 3 00 » 249 (Palermo) . . . » 4 00 » 266 (Sciacca) . . . » 4 00 » 250 (Bagheria) . . . » 3 00 » 267 (Canicattì) . . . » 5 00 » 251 (Cefalù). . . . » 3 00 » 268 (Caltanissetta) . » 5 00 » 252 (Naso) .... » 4 00 » 269 (Paterno) . . . » 5 00 » 253 (Castroreale) . . » 4 00 » 270 (Catania) . . . » 3 00 » 254 (Messina) . . . » 4 00 » 271 (Girgenti) . . . » 3 00 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 00 » 272 (Terranova) . . » 4 00 » 257 (Castelvetrano) . » 4 00 » 273 (Caltagirone) . . » 5 00 » 258 (Corleone) . . . » 5 00 » 274 (Siracusa) . . » 4 00 » 259 (Termini Imerese). » 5 00 » 275 (Scoglitti) . . . » 3 00 » 260 (Nicosia) . . . » 5 00 . » 276 (Modica) . . . » 3 00 » 261 (Bronte), . . . » 5 00 » 277 (Noto) . . . . » 3 00 Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. 4 00 » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 00 » » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 00 » » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) » 4 00 » » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) » 4 00 — L'intiera Carta della Sicilia, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d'unione e copertina, è in vendita al prezzo di lire 100. Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500 000 (serve anche di foglio di unione della precedente) con sezioni prezzo L. 5 00 Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia, con una Carta geologica, tavole in zincotipia ed incisioni, deU’Ing. L. Baldacci prezzo L. 10 00 Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1/25 000 con sezioni annesse (in due fogli) . . . prezzo L. 15 00 Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba, con Carta annessa nella scala di 1/50 000, dell’Ing. B. Lotti prezzo L. 10 00 Relazione sulle miniere di ferro dellTsola d’Elba, con un atlante di carte e sezioni geologiche, dellTng. A. Fabri ... prezzo L. 20 00 Carta geologico-mineraria dellTglesiente (Sardegna), nella scala di 1/50 000 (in un foglio) prezzo L. 5 00 Descrizione geologico-mineraria dellTglesiente, con un atlante di XXX tavole e una Carta geologica, dell’ Ing. Gr. Zoppi. . . . prezzo L. 15 00 Carta geologica della Campagna Romana e regioni limitrofe, nella scala di 1/100 000 (sei fògli e una tavola di sezioni) . prezzo L. 25 00 Carta geologica dell’Italia, in due fogli, nella scala di 1/1 000 000 (seconda edizione riveduta della Carta pubblicata nel 1881). . . prezzo L. 10 00 Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio-' Geologico (Via S. Susanna, 1) ovvero alla Libreria E. Loescher, in Roma. Pubblicazioni in vendita presso l’Ufficio Geologico : lettino del R. Comitato Geologico d’Italia; Voi. I a XIX, dal 1870 al 1888 — Prezzo di ciascun volume L. 10 Idem di un fascicolo bimensile separato. . . ' » 2 N.B. - Il prezzo di abbonamento annuo è di L. 8 per Vintemo e di L. 10 per V estero. i morie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Firenze, 1872 » 35 __ Voi. IL Firenze, 1873-74 » 30 — Voi. III. Parte la; Firenze, 1876 » 10 > Voi. III. Parte 2a; Firenze, 1888 ...»15 Bocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati geologici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia. Firenze, 1871. . » 1 50 Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta geologica in grande scala. Roma, 1875 » 1 Giordano. — Esposizione in ordine cronologico delle principali disposi- zioni successivamente emanate relativamente alla Carta geologica d’Italia. Roma, 1879 . , » j Giordano. — Sopra un progetto di legge per il compimento della Carta geologica d’Italia. Roma, 1880 » 150 Giordano. — Cenni sull’organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici esistenti nei vari paesi. Roma, 1881 » 1 50 Capellini. — Relazione a S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Comm. sul Congresso geologico internazionale del 1881. Roma, 1881 .... » 1 — W. C. Fuchs. — Carta geologica dell’ Isola d’ Ischia; scaladi 1/25,000. Firenze, 1878. t » 2 Doelter. — Carta geologica delle ìsole Ponza, Palmarola e Zannone ; scala di 1/20,000. Roma, 1876 » 2 De Giorgi. — Abbozzo di Carta geologica della Basilicata; scala di 1/400,000. Roma, 1879 » 2 )e Giorgi. — Carta geologica della provincia di Lecce; scala di 1/400,000. Roma, 1880 » 2 Capellini. — Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Ma- rittima e di parte del Volterrano ; scala di 1/100,000. Roma, 1881 . » 3 — Capellini. — Carta geologica della provincia di Bologna ; scala di 1/100,000. Roma, 1881 . » 4 Capellini. — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di Magra inferiore; 2a edizione; scala di 1/50,000. Rpma, 1881 . . » 3 Taramelli. — Carta geologica del Friuli, con testo descrittivo ; scala di 1/200,000. Udine,' 1881 » 7 _ iographie géologique et paleontologique de l’Italie. Bologne, 1881 . . » 10 — liografia geologica e paleontologica della provincia di Roma. Roma, 1886 » 2 iografia geologica italiana per l’anno 1886. Roma, 1887 » 1 Idem idem per l’anno 1887. Roma, 1888 ..... » 1 ss 1 Annunzi di pubblicazioni L Bombicci. — Sul giacimento e sul tipo litologico della rocc.a clasite di Monte Cavaloro (Bolognese). — Bologna, 1889; pag. lei O Silvestri. — Sopra due nuovi generi di rizopodi appartenenti al cene inferiore d’Italia. — Catania, 1839; pag. 10 in-8° con una ta^ P. Franco. — Quale fu la causa che demoli la parte meridionale cratere del Somma (Atti della Soc. It. di Se. Nat., voi. XXXH, — Milano, 1889; pag. 30 im8°. . G. Struever. — Dell’ aftalosio di Racalmuto m Sicilia (Rendiconti R. Acc. dei Lincei, voi. Y, fase. 2°). — Roma, 1889 ; pag. 4 in-4°. F. Sacco. — Il seno terziario di Moncalvo (Atti della R. Acc. delle Se. Torino, voi. XXIY, disp. 12). — Torino, 1889 ; pag. 14 in-8°, comma G Toldo^' — - Mitridae del miocene superiore di Montegibio (Boll. Soc. mala col. italiana, voi. X1Y). — Pisa, 1839; pag. 6 in-8°, con una G. G. Gemmellaro. — La fauna dei calcari con Fusulina della valle fiume Sosio nella provincia di Palermo (fase. 2°). — Palermo, pag. 86 in-4° con 9 tavole. . Jffl F. Sacco. — I cheioni astiani del Piemonte. — Turino, 1889; pag. 33 in-4 con due tavole. . F. Bassani. — Ricerche sui pesci fossili di Chiav on. — Napoli, 1889 ; p* gine 100 in-4° con 18 tavole. L. Busattj. — Sulla lherzolite di Rocca di Sillano e Rosignano. — Pia 1889 ; pag. 12 in-8° con una tavola. . . , . - G. Capellini. — Sul primo uovo di «Aepyornis maximus» arrivato m Itali* — Bologna, 1889; pag. 22 in-4°. . A G B Negri. — Studio cristallografico della cerussite di Auronzo (Att del R- Istituto veneto, S. VI, T. 7°, disp. 6a). — Venezia, 1889; pag. 2 in-S° con una tavola. • - G. Terrenzi. — Il mare pliocenico nell’ interno della conca di (Rivista scientifico-industriale, n. 10-11), — Firenze, 1889 ; pag. 12 li F Sacco. — I colli monregalesi (Boll, della Soc. geol. italiana, voi. VI — Roma, 1889; pag. 36 in-8° con una carta geologica. G. Tuccimei. — Il villafranchiano nelle valli sabine e i suoi foss ratteristici (Ibidem). — Roma, 1889 ; pag. 38 in-8°, con una tavola. A. Neviani. — Contribuzioni alla geologia del Catanzarese ; III (Ibidem - Roma, 1889; pag. 26 in-8° con una tavola. _ G. B. Cacciamali. — Petroli e bitumi di Valle Latma (Rivista italiana Scienze naturali, Anno IX, fase. 6-10). — Siena, 1889 ; pag. 10 in-4^_ H. J. Johnston-Lavis. — Il pozzo artesiano di Ponticelli (Napoli) conto dell’ Acc. di Se. fìsiche e mat., S. 2a, voi. Ili, fase. 6°). — Napoli, pag. 6 in-4°. . . C. F. Parona. — Studio monografico della fauna raibliana di Lom — Pavia, 1889; pag. 160 in-8°, con 13 tavole. A. Verri. — Geologia e topografia (Boll. Soc. Geol. It., voi. Vili Roma, 1889 ; pag. 16 in-8°. . C. De Stefani. — Le rocce eruttive dell eocene superiore nell Ape (Ibidem). — Roma, 1889 ; pag. 83 in-8°. , L. Foresti. — Del genere «Pyxis Meneghini» e di una varietà di« pyxidata Br. » (Ibidem). — Roma, 1889 ; pag. 6 in-8°. - H f. Johnston-Lavis. — Su di una roccia contenente leucite trova sull’Etna (Boll. Società It. dei Microscopisti, voi. I, fase. 1-2). — A reale 1889; pag. 4in-8° con una tavola. „ . 1Q, A. Tommasi. — Sul lembo cretaceo di Vernasso nel Friuli. Udine, io pag. 10 in-8°. ££iej>ttxa_ motr li. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA Bollettino N.° 9 e IO Settembre e Ottobre m. ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1889. .37. ELENCO del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico R. Comitato Geologico. | Capellini Giotanni, prof, di geologia nella R.Università di Bologna, Presid. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. * Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli ingegneri in Torino. De Zigno Achille, membro del R. Istituto Veneto, a Padova. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia* R. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Padova. Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napoli. Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, a Imola. ^ Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania. Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe- riore di Milano. . ... ,. ^ Struver Giovanni; prof, di mineralogia nella R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma. Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma. Personale addetto ai lavori della Carta Geologica. Direzione superiore : Ing. Giordano Felice, Direttore. Ing. Pellati Niccolò. Ufficio centrale (in Roma): Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Ing. Aichino Giovanni. Geologi operatori : Ing. Baldacci Luigi, Salerno. Ing. Lotti Bernardino, Pisa. Ing. Cortese Emilio, Catanzaro. Ing. Zaccagna Domenico, Pisa. Ing. Mattirolo Ettore, Torino. Ing. Viola Carlo, Salerno. Ing. Novarese Vittorio, Catanzaro. Ing. Sabatini Venturino, Salerno. Ing. Franchi Secondo, Torino. Ing. Mezzena Elvino, Salerno. Dott. Canavari Mario, Róma (paleontologo). Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa. Sig. Cassetti Michele, aiutante, Roma. Sig. Moderni Pompeo, aiutante, Roma. La sede dell’Ufficio geologico in via Santa Susanna, n. 1-A. Roma è nel Museo agrario-geologico BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO W ITALIA. Serie IL Voi. X. Settembre e Ottobre 1889. N. 9 e 10. SOMMARIO. Memorie originali. — I. La conca terziaria di Varzi-S. Sebastiano ; studio geo- logico del dott. F. SACCO (con una Carta geologica). — II. Il lago pliocenico e le ligniti di Barga nella valle del Serchio ; rapporto del prof. C. De Stefani (con una tavola di sezioni). — III. La sorgente termo-solforosa di Sermione sul lago di Garda ; lettera del prof. A. Piatti al! ing. P. Zezi. Notizie bibliografiche. — Bibliografìa geologica italiana per 1’ anno 1888 {con- tinuazione). Notizie diverse. — Il pozzo artesiano di Ponticelli presso Napoli. ÀYYiso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia. Tavole ed incisioni. — Tav. Vili : Carta geologica della conca terziaria di Varzi- S. Sebastiano, a pag. 278. MEMORIE ORIGINALI I. La conca terziaria di Varzi-S. Sebastiano ; studio geologico del Dottor Federico Sacco. (con una Carta geologica). Nell’eseguire il rilevamento geologico del tipico bacino terziario del Piemonte avevo già osservato, anni sono, come la stupenda ed amplis- sima concache formano i terreni tei ziari nel tortonese presentava nelle vicinanze di S. Sebastiano Curone alcune ii regolarità stratigrafiche, per cui la suddetta conca non si chiude quivi ad arco regolare ma presenta delle diramazioni verso l’Est, nel vogherese. Avendo quest’anno tenuto dietro allo svolgimento delle formazioni mio-oligoceniche ad oriente di S. Sebastiano Curone, potei constatare come esse costituiscano una bellissima conca regolare, che corrisponde molto bene per i suoi caratteri a quella del tortonese e che, por essere assai bene individualizzata e tipica, credo meriti una descrizione particolare, tanto più che nel complesso essa ricorda assai, in piccola scala, la grande conca terziaria del Piemonte, come vedremo in seguito. 17 — 258 — Se si considera nell’assieme l’ampio seno terziario del tortonese, dove sono rappresentati tutti i piani del cenozoico dal Parisiano (a facies liguriana) sino all’ Astiano superiore (a facies villafranchiana ), si nota tosto come i diversi orizzonti geologici dopo aver costituito, colla loro zona di affioramento, un arco regolare colla convessità a Sud-Est, di tratto si arrestano, direi, verso Nord, si inflettono rapidamente ad Ovest, si assottigliano ed in breve scompaiono affatto. Questo fenomeno è causato dalla presenza di una ruga eocenica, diretta da Est ad Ovest tra Brignano e Spineto, contro la quale vanno ad appoggiarsi successivamente tutte le formazioni terziarie più giovani che sono così deviate dalla loro primitiva e regolare disposizione a conche concentriche. Però seguendo lo sviluppo della formazione tongriana si vede come essa segue bensì la regola stratigrafica generale dianzi accennata, cioè della rapida curva ad Ovest, nella qual direzione va tosto a perdersi completamente ; ma si nota inoltre come la zona tongriana continua anche a svilupparsi, ed assai notevolmente, verso Est. Di questo insolito fatto possiamo renderci conto mediante l’esame della tettonica; vediamo infatti che nella Val Curone i banchi tongriani invece di inclinare regolarmente verso occidente, inflettendosi poco a poco a Sud di S. Sebastiano assumono un’inclinazione verso Nord e poscia verso Nord-Est circa, per modo che riesce facile il comprendere come si sviluppi tanto verso oriente la formazione tongriana. Invece a Nord di S. Sebastiano i banchi tongriani si inflettono rapidamente in modo da inclinare a Sud o Sud-Est, e quindi anche in questo caso sviluppansi notevolmente verso oriente. Da tutto ciò consegue che l’interessantissima regione di S. Seba- stiano Curone si trova situala tettonicamente tra due archi, rivolti l’uno ad Est e l’altro ad Ovest, e costituisce così un magnifico anello di congiunzione tra il bacino terziario del Piemonte e le formazioni ana- loghe dell’Appennino vogherese e piacentino. Indicati questi principali rapporti tettonici delle formazioni oligo- ceniche dei dintorni di S. Sebastiano, passiamo all’ esame particolare dei vari orizzonti geologici costituenti la regolare conca che si estende da S. Sebastiano sin oltre Varzi. — 259 — Liguri ano. In p recedenti lavori e specialmente in una nota speciale : Le Li- gurien (Bull. Soc. Géol. de Franco, 3me serie, tom. XVII, 1888), ebbi già ad osservare che secondo il mio modo di vedere le formazioni liguriane non rappresentano già l’eocene superiore, come generalmente venne accettato, ma invece costituiscono l’eocene medio e spesso anche l’eo- cene inferiore, come appunto si verifica nella regione in esame e neH’Appennino in generale. Questa mia opinione è anche confermata assai validamente dal- l’esame geologico della regione terziaria in questione, giacché quivi osservansi in alcuni punti le formazioni liguriane presentare superior- mente una graduale transizione agli orizzonti marnosi che rappresentano l’eocene superiore, coperto alla sua volta regolarissimamente e senza hgatus dalle formazioni oligoceniche. Le formazioni liguriane sono costituite, come di solito, nell’ Appen- nino, da un’alternanza più volte ripetuta di argille scagliose, di galestri, di marne, di calcari alberesi e di arenerie; a ciò si aggiungono locali formazioni conglomeratiche di cui ebbi già in parte a trattare in ap- posita nota : Les conglomerats du Flyseh (Bull. Soc. belge de Geo- logie, etc., tom. Ili, 1889). Nella parte meridionale del seno terziario in esame vediamo che nelle colline di Bregni predominano le marne argillose brunastre o viola- cescentitracui si intercalano ripetutamente straterelli calcarei o calcareo- arenacei biancastri, giallastri o grigi. In causa delle potenti compres- sioni a cui andarono soggette queste formazioni liguriane , e delle ripetute curve che esse dovettero quindi spr sso costituire, i suddetti strati sono ora in parte infranti per modo che i calcari presentansi sovente in frammenti irregolari frammezzo alle marne grigio-nericcie. Ne risulta che spesso in regioni poco distanti osservansi gli strati liguriani presentare inclinazioni molto differenti. Però verso Nord, cioè là dove avviene la sovrapposizione diretta od indiretta dell’oligocene sul Liguriano , gli strati di questa formazione assumono generalmente un’ inclinazione assai regolare verso il Nord all’incirca, per modo che si verifica sovente un passaggio assai graduale tra il Liguriano e gli orizzonti superiori. — 260 — In questa zona di passaggio appaiono talora alcuni strati marnosi di color rosso vino, come ad esempio in Valle Pra d’Arzola, specialmente presso Fontanelle. Questo fatto ebbi già a constatarlo in diversi punti delle colline Torino-Casale, precisamente alla sommità della pila liguriana; quindi credo che esso sia di una certa importanza sotto diversi punti di vista, sia per il geologo rilevatore, sia rispetto alla = ausa che. ad un dato momento geologico, diede origine alla tinta rossastra della marna. Procedendo nel nostro esame verso Est, vediamo apparire a Mon- tacuto una potentissima lente conglomeratiea, costituita di diversi banchi, i quali pendono assai regolarmente di 30° a 40° verso il Nord circa, e sono coperti dalle solite argille scagliose brune con calcare alberese, ecc. Alla loro volta i banchi conglomeratici si appoggiano ad una pila regolare di strati marnosi, arenacei e calcarei, spesso fogliettati, incli- nati da 30° a 60° verso il Nord all’incirca. Questi fatti si osservano bene specialmente percorrendo il Vallone Museglia a monte di C. Mazzacani, quivi esistendo numerosi ed amplis- simi spaccati naturali che mettono a nudo la costituzione interna della regione. I ciottoli di questi conglomerati, sono specialmente di calcare e di macigno liguriano ; alcuni sono del diametro di oltre mezzo metro, ma per 10 più essi sono solo grossi come un pugno; taluni presentansi trafo- rati dai litodomi, moltissimi sono improntati. Lenti conglomeratiche riappaiono anche ad Est di N.3 S.a dei Campi, sviluppandosi per oltre un chilometro, con notevole potenza, sin sotto la borgata Costa, sempre essendo chiaramente interstratificati alle marne argillose brune con calcari alberesi, ecc., del Liguriano. Tale netto rapporto stratigrafico toglie ogni dubbio sull’età veramente liguriana di questa speciale for- mazione ciottolosa, che, a primo tratto per la sua costituzione, per la vicinanza dell’orizzonte tongriano , e per costituire rilievi sulla regione circostante, parrebbe doversi già riferire al tongriano. I suddetti banchi conglomeratici sono variamente inclinati; per lo più la loro direzione è da Est ad Ovest, talora quasi verticali. Dopo una lunga interruzione vediamQ ricomparire grosse lenti con- glomeratiche a Nord del Bricco di S. Bernardo sulla destra del Rio Viana; quivi i banchi inclinano assai regolarmente di circa 35° verso 11 Nord-Est, appoggiandosi sulle marne argillose brunastre alternate con — 261 - marne calcaree dure, grigiastre, scagliose e con potenti banchi di calcare alberese, inclinati pure di una quarantina di gradi verso il Nord-Est. Infine possiamo ancora notare la comparsa di lenti ciottolose e ghiaiose frammezzo ai calcari arenacei e marnosi del Liguriano nelle vicinanze della borgata Castellaro, verso oriente. Riguardo alla tettonica della formazione liguriana è ad osservarsi che per estese regioni essa presenta i suoi strati pochissimo inclipati, ciò che è specialmente osservabile in Val Cerone; quivi infatti si nota che mentre i banchi calcareo-marnosi che costituiscono la cresta mon- tuosa dalla borgata Serra a Bric Piè di Zuccaro, pendono alquanto verso il Sud circa, ad Est invece i banchi liguriani pendono di 20° a 30° verso Nord tra le borgate Serra e Rameneglia, ma poco a poco verso monte assumono un’ inclinazione sempre più dolce, finché nei dintorni della borgata Frinti, essi si presentano quasi orizzontali. Ne consegue che per la diversa erosione degli alternantisi banchi marnosi e calcarei i fianchi di Val Curone, specialmente dal lato destro, si presentano quivi foggiati ad ampie gradinate abbastanza regolari. Probabilmente esiste in queste regioni un’anticlinale nella formazione liguriana. Nella valle Staffora tra Cella di Bobbio e Monte Martino, si svi- luppano assai le marne argillose rossastre o verdiccie, come vediamo ad esempio presso i casali Bersanino, tra le borgate di Sala e di Costa Monte Martino, presso Cascina dei Belli, ecc. Dovunque esse spiccano assai bene, oltre che per la loro tinta speciale, per gli smottamenti, gli scoli in grande scala a cui danno origine in causa della loro natura argillosa riescendo così di grave ostacolo all’agricoltura. In Val Staffora a Nord di Cella di Bobbio, si può osservare la curva regolare che formano i terreni liguriani , specialmente i banchi superiori, costituendosi in arco aperto ad Est, per modo da chiudere regolarmente la conca terziaria in esame. Infatti tali banchi tra la borgata Castellaro e la Staffora, pendono verso il Nord-Est; di fronte alla borgata Bosnengo, inclinano generalmente verso Est, ma si presentano quivi notevolmente sollevati, talora di 40° o 50°, talora anche ripieghettati per la forte compressione subita; quivi questi fenomeni stratigrafici sono net- tissimamente osservabili in causa della presenza di ripetuti banchi arenacei di varia potenza, i quali assieme alle solite marne brunastre — 262 costituiscono il Liguriano superiore. È questa una delle regioni più tipiche per Tesarne del passaggio graduatissimo dell’ eocene appenni- nico all’oligocene, che collegasi poi più in alto col miocene; infatti si può osservare la seguente sezione naturale tra le borgate Carro e Bosnengo : Arenarie straterellate, alternate con marne ] ™ . ... . I Iongriano e sabbie gngio-gialliccie. f Marne friabili grigiastre. ( Potenti banchi arenacei. ) ESTIAN0- Marne friabili grigio-verdiccie. ] Marne friabili grigio-violacescenti, alter- f „ . „ } Bartoniano. nate con arenane straterellate che pre- 1 valgono verso la base. ] Marne grigio- brunastre con strati e banchi di arenarie (macigno), argilloschisti, cal- J ceschisti. f Liguriano Marne argillose di vario colore, special- > mente brune, rossiccie, grigie, ecc. I (Parisiano). Banchi di arenarie e di calcare alberese 1 con strati marnosi. j In complesso cioè si vede che tra il Tongriano tipico sabbioso- arenaceo ed il Liguriano tipico ad argille scagliose con calcare alberese vi è una potente zona di marne grigio-bluastre violacescenti che alter- nandosi in alto con banchi sabbiosi ed in basso con strati arenaceo- calcarei, compiono gradualmente il passaggio dall’oligocene alTeocene. Nelle vicinanze della borgata Carro, come anche verso Varzi, i banchi del Liguriano superiore inclinano già verso S.O, almeno in generale, giacché per le ripetute ripiegature spesso osservansi pure pendenze assai diverse, per esempio a N.O, come in parte di Val Reganza, dove oltre alle solite formazioni litologiche del Liguriano assumono un grande sviluppo certe marne calcaree grigiastre, dure, scagliose, assai caratteristiche. Ad Ovest di Varzi il Liguriano affiora solo in fondo alla Valle Staffora dove è specialmente rappresentato da marne argillose, brune o violacescenti inglobami strati, per lo più frammentari, di calcare alberese e di macigno. Poco a valle del paese dì Bagnarla la formazione liguriana scom- pare per un certo tratto sotto alle formazioni bartoniane ; invece svi- luppasi notevolmente ad Ovest di Bagnarla, costituendo le colline di Moglie, Coriola,*ecc., per modo da spingersi oltre Momigliano, sino in Val Curone; questa striscia liguriana è rappresentata dalla parte superiore affatto dell’orizzonte in esame, costituito di marne argillose bruniccie, violacee, rossastre, ecc., con uno sfasciume di frammenti di calcare, macigno, arenarie schistose, ecc. Quantunque lungo questa zona liguriana , per la sua strettezza e per la sua natura, non sia facile fare osservazioni stratigrafiche, tuttavia pare che nel complesso i suoi banchi siano allineati da Est ad Ovest, assai fortemente sollevati, cioè di 40° a 60°, ed inclinati verso il Nord all’incirca. Questa pendenza, contraria a quella poc’ anzi accennata per la Valle Staffora, ci serve a spiegare la comparsa della stupenda placca elveziana di Monte Peola e di Monte Vaìlassa. D’altronde in queste re- gioni i terreni liguriani presentano grandissime varianti stratigrafiche, poiché in seguito alle potenti pressioni laterali essi si corrugarono note- volmente ed irregolarmente; è precisamente nella sinclinale di una di queste rughe liguriane che si deposero i terreni mio-oligocenici della conca di S. Sebastiano-Varzi. Notiamo ancora come la natura prevalentemente argillosa del Li - guriano superiore influisce assai sulla configurazione esterna della regione; basti perciò indicare che è appunto in questo piano che è sca- vata la Valle Staffora da Cella di Bobbio sin oltre Bagnarla. Bartoniano (Gassiniano). Prima di intraprendere la descrizione di questo orizzonte geologico debbo premettere alcune parole sul significato che credo gli si debba dare, avendo in proposito idee particolari. Infatti mentre si ritiene generalmente che l’orizzonte bartoniano soggiace a quello liguriano, considerazioni stratigrafìche e paleonto- logiche esposte in lavori precedenti: Il bacino terziario del Piemonte e Le Ligurienì mi inducono invece a credere che la formazione ligu- rianaì quale venne originariamente istituita dal Mayer, stia sotto al piano di Barton o Bartoniano. — 264 — La regione che in Piemonte si presenta più tipica dal lato paleonto- logico per la dilucidazione di questo fatto è la collina di Gassino tra Torino e Casale. Quindi nel dubbio di errare, facendo paragoni un po’ minuti tra punti tanto lontani come 1’ Inghilterra ed il Piemonte, diedi provvisoriamente il nome di Gassiniano all* orizzonte eocenico che in Piemonte si sviluppa sopra il Liguriano , soggiace all’ oligocene ed ingloba la fauna che ritiensi tipica del Bartoniano . Però onde non fare complicazione di nomi parallelizzando, fino a prova contraria, il Gas - siniano al Bartoniano credo più opportuno di usare solo quest’ ultimo nome già conosciuto. L’esame della regione in studio mi confermò pienamente nelle con- clusioni sovraccennate, solo che quivi mancano quasi completamente i dati paleontologici a sussidio della tesi enunciata. Generalmente nell’Appennino si osserva che la formazione ton- griana si appoggia direttamente e con forte hgatus su quella liguriana; ma nella Val Borbera a Nord di Cantalupo Ligure, come ebbi già ad esaminare in un lavoro speciale : Passaggio tra il Liguriano ed il Ton- griano (Boll. Soc. Geol. It., 1886), tale lacuna si va gradatamente col- mando per l’ apparizione di un orizzonte prevalentemente marnoso, d’ aspetto farinoso, grigio, grigio-verdastro o violacescente che rife- risco al Bartoniano. In valle Pra d’Arzola tra il Tongriano inferiore o Sestiano ed il Liguriano superiore appare una piccola striscia di marne bartoniane^ che serve di passaggio fra i due orizzonti; d’altronde la gradualità di tale passaggio ci è anche provata dalle marne rosse della borgata Fontanelle che segnano appunto i banchi superiori del Liguriano. Da Rostegazzo a Magroforte non osservasi alcun notevole affiora- mento bartoniano; ma, a cominciare dalla borgata Pradaglia, questo oriz- zonte appare assai nettamente e si sviluppa poi molto verso oriente; esso è costituito essenzialmente di marne grigie violacescenti che pas- sano poco a poco inferiormente alle marne brunastre del Liguriano e superiormente alle marne grigie, spesso alternate con strati sabbiosi ed arenacei, del Tongriano basale o Sestiano. Però alle suddette marne bartoniane si alternano pure assai so- vente straterelli arenacei che ci mostrano chiara la pendenza degli strati di 40° a 50° verso il Nord in media. La poca resistenza della formazione bartoniana ci spiega come essa si trovi lungo l’asse delle valli, come in Val Braja, in un tratto di Val Leila, ecc., o formi bassi colli come a Cella di Bobbio, a Ca- stellare, ecc. Nelle profonde sezioni che esistono in Val Braja, si può osservare la seguente serie stratigrafìca, in cui però sono affatto arbitrarie le nette delimitazioni: Banchi arenacei e marnosi. \ Arenarie stratereìlate, alternate con marne f che prevalgono verso il basso diven- ì ^0NGRIAN0' tando bruno-violacescenti. Strati arenacei e marnosi grigio-gialli. Banco arenaceo grigio. Marne friabili grigio-violacee alternate con straterelli arenacei. Sestiano. Bartoniano. Marne bruno-violacee con strati e fram- ì menti arenacei, calcarei, ecc. i Liguriano. Dove più ampio si mostra lo sviluppo del Bartoniano si è nei dintorni di Bosmenso superiore, dove grandi e profondissimi spaccati naturali mostrano quanto sia insensibile il passaggio del Bartoniano sia al Liguriano che all’oligocene; per modo che anche in questo caso risulta evidente come eziandio per questo orizzonte geologico non esista alcuna netta linea di delimitazione, ma come esso rappresenti solo una fase della regolarissima deposizione della serie terziaria nell’Alta Italia. Il Bartoniano di Bosmenso è specialmente marnoso, di color grigio-bluastro alquanto violacescente, di aspetto farinoso nel com- plesso, però con numerosi straterelli arenacei che segnano nettamente l’inclinazione di 30° a 40° verso N.O. Verso Nord la formazione bartoniana continua a svilupparsi, co- stituendo parte delle falde orientali del M. Scabiassa; poscia ripiega ad Ovest seguendo la curva già indicata pel Liguriano, per modo che i suoi strati assumono una direzione ad un dipresso Est-Ovest, con forte pendenza a Sud. Le marne grigie, farinose del Bartoniano , coperte dalle arenarie num- mulitifere dell’ oligocene, si possono molto bene osservare allo sbocco del Rio di Monforte. Verso Varzi continuano a svilupparsi, colla solita facies farinosa, le marne bartoniane che costituiscono talora piccole collinette scoscese di aspetto caratteristico, in rapporto appunto colla facile erosione di questo terreno; se ne vedono gli esempi migliori presso C. Cagnon, e presso C. Bertelli. Nelle vicinanze della borgata Bagnarla per rabbassarsi della forma- zione liguriana verso Nord, compaiono i terreni bartoniani anche sulla destra di Vai Staffora colla solita forma di : marne friabili grigio- violacee che nella zona di passaggio al Liguriano assumono tinte va- neggiate, specialmente rossastre, verdiccie, ecc. Seguendo d’ambo i lati la zona liguriana indicata nel precedente capitolo, i terreni bartoniani si sviluppano notevolmente ad Ovest di Bagnaria, sino a scomparire sotto la placca elveziana del M. Vallassa, e sotto le formazioni oligoceniche di Stemigliano-Musigliano, ricompa- rendo più ad Ovest in Val Curone e quivi sviluppandosi ampiamente. In tutta quest’area collinosa, riesce difficilissimo il separare con qualche precisione il Liguriano dal Bartoniano , col legandosi essi fra di loro in modo affatto insensibile, e solo distinguendosi la formazione liguriana per le tinte talora rossastre e per la comparsa di banchi calcarei ed arenacei per lo più ridotti ora in uno sfasciume irregolare. Però in Val Curone, ad Ovest della borgata Serra, tra il Liguriano tipico a marne argillose brune con calcare alberese, ecc., e le marne grigio-violacescenti, talora con straterelli arenacei e marnosi grigiastri (come presso Brignano Curone) del Bartoniano che presenta un’incli- nazione generale abbastanza netta verso Sud, è assai spiccata la linea di separazione segnata da alcuni banchi grigio-giallastri calcareo-arena- cei che ricordano già moltissimo il macigno liguriano , ed inclinano di circa 40° verso Sud o S.S.E. Nella regione esaminata, come d’altronde in generale nel Piemonte, la potenza del Bartoniano non è mai molto grande, giacché raramente oltrepassa i 50 metri. Sestiano. Questo orizzonte geologico, di poca importanza, almeno in Piemonte, non rappresenta altro che una zona di passaggio tra il Bartoniano ed il TongrianOj collegandosi più specialmente all’oligocene sia pei ca- T- — 267 — ratterì litologici che per quelli paleontologici; quindi esso è general- mente poco individualizzato e quasi sempre è imr ossibile separarlo razio- nalmente dal Tongriano, come appunto si verifica nella regione in esame. In Val Borbera il piano sestiano racchiude alcuni caratteristici strati calcarei costituiti da un impasto di Lithothamnium , di Nummu- lites Boucheri , N. vasca , ecc. Più ad Est nella conca di S. Sebastiano la formazione sestiana è meno spiccata, tuttavia credo che le si debbano riferire certi banchi arenacei grigio-biancastri che si sviluppano variamente alla base del TongrianOy tra la valle di Prà d’Arzola e la Val Curone. Tali banchi si possono esaminare assai bene specialmente presso le borgate di Fontanelle, di Solarolo, presso C. Mazzacani, presso la borgata di Ma- groforte, ecc. Quanto a fossili essi non sono molto abbondanti, in generale, fra queste arenarie; però raccolsi qua e là numerosi molluschi, come pure abbondantissime Nummulites vasca , N. Boucheriy N. Ficliteliy spe- cialmente fra alcuni banchi arenaceo-marnosi, giallastri, in Val Mu- seglia poco a Sud della borgata Giara, nonché altrove inbanchi simili. Ma ad Est della borgata Pradaglia ed in tutta la restante parte della regione in esame non osservansi più caratteri tali da segnalare la formazione sestiana che quindi o manca o devesi inglobare nel Tongriano inferiore a cui strettissimamente si collega. Tongriano. E questo l’orizzonte geologico più interessante della conca terziaria in esame, in causa della potenza, dei fossili e dei diversi fatti che presenta e che accenneremo ora in breve. Come si è già indicato sul principio del lavoro la formazione tongriana che fa parte del grande seno terziario del tortonese, nella parte più orientale, cioè in Val Curone, modifica notevolmente la sua tettonica e la sua costituzione, assumendo la facies che presenta poi generalmente nell’ Appennino. Tra il M. Grattoia ed il vallone della Madonnina, sulla sinistra di Val Curone, si può osservare che i banchi tongriani, specialmente ; sabbioso-arenacei, assumono poco a poco un’inclinazione ad Est, però ! con frequentissimi disturbi e varianti stratigrafiche locali. ' ' ! — 268 - Molti banchi tongriani assumono sovente un aspetto tale da ri- cordare le vicine formazioni aquitaniane , sabbioso-arenacee, giallastre, spesso inglobanti concentrazioni calcareo-arenacee discoidali. Sulla destra di Val Curone continua a svilupparsi ampiamente questa speciale formazione di grossi banchi arenacei e sabbiosi gial- lastri che si possono benissimo osservare lungo la Cresta Sternai, dove essi pendono generalmente verso il S.E. Verso il rio di Frascata, dove il Tongriano va ad appoggiarsi sul Bartoniano , i suoi strati marnosi e sabbiosi assumono una pendenza sempre più forte, talora di oltre 60°, sempre verso il Sud all’incirca. In alcuni punti, come nella valletta Scabione appaiono anche lenti con- glomeratiche, drizzate quasi alla verticale oppure fortemente inclinate a S.O. Anche lungo la costa collinosa che si stende da borgata Musi- gliano verso la borgata Solaro, appaiono fra le marne sabbiose e le are- narie grigio-giallastre, potenti banchi conglomeratici inclinati a S.E. In ambedue i casi gli elementi ciottolosi offrono dimensioni diversissime, talora raggiungendo persino un metro di diametro; ma ciò che spe- cialmente deve notarsi è che l’aspetto di questi conglomerati è molto diverso da quello che presentano i depositi consimili del Tongriano nella parte meridionale del bacino terziario piemontese dai colli mon- regalesi a quelli tortonesi; cioè invece di avere una tinta complessiva bruno verdastra o violacea, questi conglomerati sono di color giallastro in generale. Questo fatto credo dipenda sia dalla natura degli elementi rocciosi che costituiscono i conglomerati, sia da una più profonda al- terazione chimica per un trasporto più prolungato.- Nelle colline di S. Sebastiano, sulla sinistra di Val Curone, si mostrano frequentissimi i grossi banchi arenacei grigio-giallastri (talora assai potenti, talora inglobanti strati ed anche solo lenti ghiaioso-con- glomeratiche) molto duri, inclinati generalmente a S.E. Tale inclinazione talora è molto debole, come presso S. Sebastiano, talvolta invece è fortissima, cioè di 50° o 60°, come ad esempio nelle colline di Codevico. In quest’ultima regione è a notarsi che la parte superiore del Ton- griano è costituita prevalentemente da un’alternanza ripetuta ed assai costante di strati marnosi ed arenacei regolari, grigio-giallastri, talora alquanto ondulati nel loro percorso ed affatto simili a quelli che osser- — 269 — vansi tra Brusasco e Lauriano nei colli Torino-Casale, tanto più che talora essi racchiudono anche potenti zone di marne grigiastre friabili. In Val Prà di Arzola, dove l’oligocene posa sulheocene, i banchi essenzialmente arenacei, grigiastri del primo si presentano fortemente arcuati colla convessità a Nord, basandosi però abbastanza regolarmente sulle marne friabili del Bartoniano , ed essendo ricoperti da altre zone marnose grigio- violacescenti del Tongriano inferiore. Nella Valle Museglia si possono osservare nei loro più minuti particolari i banchi conglomeratici inclinati di 15° a 50° verso N.O. Ma la massima potenza della formazione conglomeratica osservasi sulla sinistra del vallone Museglia dove essa, per la sua compattezza, costituisce le rilevate creste Banella e Trebbia, a fianchi ripidissimi verso Sud. Questa potentissima lente conglomeratica presenta ancora i caratteri delle zone ciottolose contemporanee dell’ Appennino piemon- tese. Talora i ciottoli del Tongriano si presentano traforati dai lito- domi. Oltre a queste formazioni vengono talora anche a costituire il Tongriano certe zone di marne friabili, di color grigio o bruno-viola- cescente od anche leggermente verdastre, che, più o meno potenti, si intercalano frammezzo alle zone sabbioso-arenacee. Di ciò vediamo esempi bellissimi nei valloni che discendono da Dernice, nella Valle Prà d’Arzola, specialmente tra il Rio Ronchetti e la cresta di Fon- tanelle. Questa speciale costituzione litologica del Tongriano è assai svi- luppata nell’Appennino vogherese e pavese; anzi non riesce sempre facile il distinguerla da quella bartoniana che talora le rassomiglia alquanto. Ad Est di Val Museglia la zona tongriana si restringe notevol- mente non tanto per reale assottigliarsi della formazione, quanto perchè i suoi banchi assumono quasi tutti una forte pendenza, cioè di 50° o 60° verso il Nord; colle arenarie e colle marne sabbiose si intercalano sovente straterelli ghiaiosi e ciottolosi, come ad esempio si può facil- mente osservare percorrendo la cresta collinosa tra Magroforte e M. Pirella. Sulla destra del Rio di Pradaglia le formazioni conglomeratiche — 270 — divengono ancora più sviluppate, costituendo una notevole parte della Cresta Basego. Ad oriente della Val Curone la formazione tongriana assume ra- pidamente un grande sviluppo, non solo riguardo all’ampiezza del- l’area occupata ma eziandio in potenza reale. Infatti dalla Val Curone alla Val Stafferà costituendosi a conca tutto l’oligocene, la stratifica- zione si presenta regolare, vengono a giorno tutti gli strati che pen- dono più o meno fortemente ad occidente, anzi talvolta i banchi sono appena inclinati; talora però la loro prndenza è di 50°, come ad esempio presso Cellamonte; altre volte essi presentano ondulazioni nel loro andamento come presso C. Bernini. Ad ogni modo la zona tongriana assume per un certo tratto l’am- piezza di circa tre chilometri e la potenza di oltre mille o millecin- quecento metri. Nella parte basale del Tongriano le arenarie sono piuttosto strate- rellate ed alternate con marne in modo da passare gradatamente al Bar- toniano : verso Bosmenso superiore si veggono assai sviluppate le marne grigio-bluastre o violacescenti. È a notarsi in queste regioni la grande elevazione a cui sono spinte le formazioni tongriane le quali si sollevano sin verso gli 800 metri, così al Bric dei Monti (790 m.), al M. Scabiassa (800 m .), ecc.; è però a ricordarsi che nell’ Appennino piemontese vedesi talora il Tongriano sollevato ai 1000 metri. Poco a poco curvandosi ad arco, aperto ad Ovest, le formazioni tongriane assumono verso Varzi un’inclinazione a Sud; tale pendenza è sovente molto forte, tanto che talvolta i banchi marnosi ed arenacei appaiono quasi verticali o persino rovesciati; questi fenomeni si pos- sono esaminare bene specialmente nelle colline e nel vallone Di Mon- forte e nella parte bassa della Valle Leila. Devesi per tanto osservare che nella maggior parte della indicata conca tongriana di Cella-Bosmenso-Varzi, i banchi pendono a Nord o N.O, mentre è quaM solo sul margine della porzione settentrionale di detta conca che, cangiandosi rapidamente la tettonica, gli strati inclinano a Sud, ma molto più fortemente di prima, cioè di 70°, 80° e più. Verso lo sbocco di Val Monforte, alla base del Tongriano appare — 271 — un bellissimo banco conglomeratico sollevato quasi alla verticale, a cui soggiacciono strati arenaceo-sabbiosi ricchi in Nummulites Fiditeli, il tutto appoggiandosi direttamente e chiaramente sulle marne grigia- stre del Bartoniano ; è questo uno dei punti migliori per la raccolta di fossili e per Tesarne del Tongriano inferiore. Oltre alle arenarie ed alle sabbie sono anche assai sviluppate le marne talora violacee, come àd esempio osservasi nel vallone a Nord della borgata Castello. Da quanto si è detto sopra, cioè che nella conca tongriana di Varzi- Cella ha stratigraficamente la massima importanza la gamba meri- dionale, si comprende che la gamba settentrionale già molto ridotta si vada rapidamente restringendo verso Ovest, dove trovansi sviluppate le formazioni mioceniche, sotto cui il Tongriano va ad occultarsi, con evidente trasgressione stratigrafìca, giacché gli strati tongriani sono quasi verticali, mentre quelli aquitaniani sovrastanti pendono solo di una trentina di gradi a Sud. Da quanto si è detto sopra risulta chiaro che nella regione in esame, la formazione tongriana potente, tipica, costituisce una conca elissoidale, col massimo asse diretto da Est ad Ovest, colla gamba meridionale ampiamente e regolarmente sviluppata, mentre invece la gamba settentrionale stretta, schiacciata, è ridotta a poca potenza; quindi nelle linee generali la conca esaminata si può paragonare alla grande conca terziaria del Piemonte, tranquilla (direi) a Sud, irregolare a Nord. Stampiano. La formazione stampiana, che corrisponde al Tongriano superiore di alcuni autori, assume un notevole sviluppo nella regione in esame, mentre generalmente invece essa è ben poco importante; ciò si spiega colla regolarità della conca in istudio, che permise la deposizione e T affiora mento dei banchi stampiani. Nella descrizione del bacino terziario del Piemonte ebbi già ad indicare come la zona stampiana , tanto ampia nel seno tortonese, si vada restringendo verso la Val Curone, scomparendo poi rapidamente al M. Cucco. Ma per i fenomeni stratigrafici accennati nel capitolo precedente troviamo che risalendo da Val Curone a monte di S. Sebastiano, poco ' . - / — 272 — dopo la borgata Ronco, alle sabbie ed alle arenarie più o meno ghiaiose del Tongriano si sovrappone una potente serie di marne, ta- lora alquanto sabbiose ed alternate con strati arenacei, ma che nel complesso per la tinta grigio-chiara, per l’aspetto farinoso, per la quasi assoluta mancanza di lenti ciottolose e per la posizione stratigrafìca sono certamente attribuibili al piano Stampiano. Tra Ronco e Gremiasco i banchi stampiani pendono di 30° a 45° circa verso l’Est in media; verso settentrione si vanno ad appoggiare discordantemente sui terreni eocenici; ma lungo tale linea di contatto essi si sollevano per lo più assai fortemente (cioè di 50°, 60° ed anche 70°) verso il S.E all’ incirca, come si può ad esempio verificare nei valloni della borgata Stemigliano. Riguardo alla grande potenza che presenta la zona stampiana nei din- torni di Gremiasco, bisogna però notare che nella sua metà superiore si sviluppa per un tratto molto considerevole un complesso di banchi sab- bioso-arenacei che parrebbero già iniziare la formazione aquitaniana. Questi banchi per la loro esistenza costituiscono la cresta di Ste- migliano, l’ erta collina a Nord di Gremiasco, cagionano il restringi- mento di Val Curone a Gremiasco, formano il M. Casso e gli spic- cati rilievi che stanno alla base settentrionale del M. Pirella; tali banchi vanno man mano perdendo della loro forte pendenza da Nord a Sud, poiché inclinano di circa 60° presso Stemigliano, di circa 40° a Gremiasco e di quasi solo più 30° al M. Casso. Malgrado la loro facies aquitaniana credetti opportuno di includere ancora tali banchi nella zona stampiana , perchè ad essi sovrapponesi una potente pila di marne grigie, friabili, affatto di aspetto stampiano (bellissimo esempio ne esiste nell’alta Val Riarasso) che vengono poi coperte dalle tipiche formazioni aquitaniane. In fondo però la questione non è di grande importanza, quando si ammette l’arbitrarietà relativa della distinzione regionale dei vari piani geologici. A Fabbrica Curone le marne stampiane lasciando la Val Curone si dirigono verso Est, poi verso N.E, quindi a Nord, infine a N.O dopo la borgata Nivione, costituendo così anch’esse un regolare arco convesso ad oriente. Dovunque questa formazione è facilmente riconoscibile anche solo dall’aspetto orografico della regione, in causa dei profondi e franosi burroni a cui danno origine le sue marne friabili. — 273 Però colle marne alternansi eziandio straterelli arenacei ed anzi è quasi solo per una maggior frequenza di questi ultimi che si può se- parare l’orizzonte in esame dal soggiacente Tongrio.no; tale separazione naturalmente riesce in generale assai arbitraria, dove non appaiono potenti banchi arenacei alla sommità del Tongriano , come osservasi ad esempio alla borgata Castello, presso la borgata Nivione, ecc., mentre invece è quasi sempre abbastanza nettala delimitazione fra lo $tam- piano ed i compatti banchi aquitaniani che per la loro resistenza co- stituiscono sovente sul primo una specie di ripido rialzo. Questo fatto si può appunto osservare assai nettamente nella parte alta del vallone della borgata Castello, dove la zona stampiana rapida- mente rialzandosi e dirigendosi verso Ovest, viene a scomparire sotto la formazione aquitaniana , riapparendo solo molto più ad Ovest, cioè presso Stemigliano, come si è già visto sopra. Risulta chiaro ad ogni modo che anche la formazione stampiana , se liberata dai terreni sovraincombenti, costituirebbe una conca elis- soidale col lembo settentrionale molto stretto e rialzatissimo. Aquitaniano. Grandissimo è lo sviluppo di questa formazione nel seno terziario del tortonese; però essa scompare quasi del tutto contro la ruga eoce- nica di Brignano-Spinetto, modificando assai la sua costituzione litolo- gica dapprima essenzialmente sabbiosa e poscia in gran parte marnosa; il lembo più orientale di questo seno aquitaniano si spinge sino al Monte Cucco sulla sinistra di Val Curone, scomparendo poi compieta- mente verso Est. Ma se si risale la Val Curone, si vede che sulla formazione stam- piana sopra descritta si estende una potente serie di banchi essenzial- mente arenacei, regolari, grigio-giallastri, alternati con banchi marnosi e marnoso-sabbiosi di tinta grigiastra, il tutto colla stessa facies con cui si presenta V Aquitaniano nella parte meridionale del bacino pie- montese. E molto notevole il fatto che mentre la formazione aquitaniana ha quivi una potenza assai grande, essa costituisce invece solo una piccola elissoide incavata a forma di fondo di battello. Infatti se verso Gremiasco gli strati aquitaniani pendono di 30°, 40° a N.E, presso 18 - 274 — Fabbrica Curone inclinano colla stessa forza a Nord; quindi poco a poco cangiando di direzione inclinano ad Ovest, nelle colline delle bor- gate Fontana, Castello, ecc. ; incurvansi poscia a S.O, finché sulla sinistra di Val Staffora, pendono direttamente a Sud di circa 30°; l’inclinazione diminuisce alquanto di forza nella parte centrale della conca, per esempio essendo solo più di 15° o 20° presso la borgata Castagnola. Quantunque in complesso sia abbastanza netta la distinzione tra r Aquitaniano ed il soggiacente Stampiano , tuttavia nella zona di pas- saggio fra questi due orizzonti geologici non si può fare una netta delimitazione perchè esiste sempre una transizione litologica assai regolare fra di essi; questo fatto si può osservare ad esempio, nel modo più comodo, salendo da Fabbrica Curone, dove i banchi sestioni seno fortemente sollevati, alle colline di Castagnola. Come si è indicato per i terreni più antichi, anche per la conca aquitanìana in esame si verifica che la sua parte meridionale è molto più sviluppata di quella settentrionale, tanto che al Monte Segnale, sotto la C. Dego, alla Costa Martini, sul fianco destro del vallone Dorbida, ecc., troviamo ancora che l’inclinazione degli strati è netta- mente a Nord solo modificandosi nel senso contrario presso il margine settentrionale della conca in esame. Per quanto sia poco estesa questa formazione aquitanìana , essa tuttavia presenta una notevole potenza e si spinge sin oltre i 700 metri di elevazione come a Costa Castagnola, a Bric Bosco Grande, a Bric Segnale (736 m.), a Cresta Rossella, ecc. Sulla destra della Staffora, devesi forse attribuire all’ Aquitaniano parte delle marne grigiastre che soggiaciono ai compatti strati lan - gliiani , ma ne riesce difficile la determinazione a causa della mancanza di caratteri litologici e paleontologici un po’ sicuri. Ad ogni modo è certamente degna di nota la placca aquitanìana di Castagnola, isolata fra la Val Curone e la Val Staffora, ultima pro- paggine, direi, della grande formazione aquitanìana piemontese. LanghianO' A completare la serie degli orizzonti geologici costituenti la conca terziaria di Varzi-S. Sebastiano sta ancora una curiosa placca di Lan- ghiano , stretta, allungata da Est ad Ovest, irregolare, che si estende — 275 — da Costa Martini sino al Pian del lago, nella parte medio-centrale, straiigraficamente parlando, della conca aquìtaniana. Come di solito questa formazione langhiana è caratterizzata da marne grigio-biancastre, più o meno compatte, a frattura scagliosa o concoidale, spesso racchiudenti resti fossili, fra cui più comuni sono le lueine, spesso assai voluminose e colle due valve riunite, ma per lo più alquanto schiacciate. Malgrado la sua strettezza il Langhiano in esame si presenta disposto a piccola conca elissoidale, poiché da ogni parte del margine di questa placca gli strati pendono verso il suo centro, ma per lo più solo di una ventina di gradi. La potenza di questa zona langhiana è poco considerevole, cioè ad un dipresso di una quarantina di metri; la sua massima elevazione è di quasi 640 metri. L’isolamento completo in cui si tro' a l’esaminata placca langhiana ci prova quanto siano state potenti le dislocazioni tettoniche e pro- fonde le erosioni acquee; infatti è certo che in origine detta placca si collegava, se non direttamente colla grande zona langhiana del torto- nese, da cui dista ora una diecina di chilometri certamente però colle formazioni langhiane che trovansi poco lunghi a Nord, quantunque ridotte anche esse attualmente a residui sparsi". Riguardo a questi lembi residui langliiani possiamo accennare come per ora più interessanti, sulla destra di Val Staffora, quello sopra Ba- gnarla, e sulla sinistra quello della parte alta di Val Semola. Ambidue debbono la loro conservazione alle potenti placche elveziane che li proteggono; sono costituiti di banchi marnosi ed arenacei di tinta com- plessivamente grigiastra; superiormente passano gradatissimamente all’ Elveziano senza che ne sia possibile una netta delimitazione. Elveziàno. Se la conca Varzi-S. Sebastiano, strettamente intesa, si chiude colla formazione langhiana compaiano però poco lungi da essa zone elveziane abbastanza sviluppate e tipiche che riesce interessante osser- vare per la posizione e per i fossili loro. Sulla destra di Val Staffora, a valle di Varzi esiste sull’alto delle colline una enorme placca elveziana , essenzialmente arenacea, potente, — 276 — sollevata in alcuni punti sino ad 870 m., come presso Cresta Gavina, ma che però non è compresa nella carta geologica annessa al presente lavoro. Invece sulla sinistra di Val Staffora tra questa valle e Val Curone si trova una placca elveziana assai piccola, irregolare, che possiamo esaminare più particolarmente; essa costituisce le alture del Monte Peola e del Monte Vallassa; presenta allasua periferia pareti molto ripide e bellis- sime monoliti destinate col tempo a rovinare, specialmente perchè scal- zate alla base per la più facile erosione dei terreni eocenici, a cui per lo più direttamente si appoggiano con fortissima discordanza stratigrafica. La placca elveziana in esame, è rappresentata da banchi are- nacei, giallastri, inclinati di 20° a 30° verso N.O al Monte Vallassa, verso N.E al Monte Peola, verso Est circa sopra le borgate Burrone, ed alquanto verso Sud, sopra Ca di Cariuccio. Nel complesso cioè detta placca, che raggiunge in alcuni punti 750 metri di elevazione, rappre- senta una piccola ed irregolare conca che però originariamente doveva essere unita alle formazioni contemporanee di cui veggonsi i residui verso settentrione; nè sarebbe impossibile che essa sia stata collegata anche colla zona elveziana della grande conca terziaria del tortonese, dalla quale però dista ora di oltre sette chilometri. E poi molto notevole la quantità straordinariamente grande di fossili che riempieno e quasi costituiscono la suddetta formazione elveziana , talora in modo che essa si presenta come una vera pasta fossilifera in cui abbondano specialmente le forme littoranee di foraminiferi, briozoi, molluscoidi, molluschi, ecc. Quindi la placca elveziana di Mi nte Peola è fra le più impor- tanti, sotto il punto di vista paleontologico, e per quanto siasene già occupato il Mariani: Descrizione dei terreni miocenici fra la Scrivia eia Staffora (Boll. Soc. Geol.lt., 1886); molto ancora rimane a fare in proposito. Dal lato pratico è a notarsi che alla base delle suddette placche elveziane esistono quasi sempre sorgenti acquee, però generalmente solo dal lato verso cui pendono gli strati. Quaternario. Pochissimo è a dirsi riguardo alle formazioni quaternarie giacché, mancando i depositi sahariani , esse sono quasi solo rappresentate dai terreni alluvionali che coprono il fondo delle vallate con estensione però — 277 — abbastanza grande sia in Val Curone, sia specialmente in Val Staff ora. Sul fondo di queste valli un po’ ampie osservansi talora terrazze abba- stanza spiccate ma per lo più soltanto di breve sviluppo a causa dell’indole torrenziale delle correnti acquee. Sul fianco di Val Staffora, e, più raramente, di Val Curone esi- stono altipiani terrazzati abbastanza elevati che però non è sempre facile conoscere se sono dovuti all’erosione fatta dalle correnti acquee in epoca antica, oppure se si formarono solo per speciale e locale co- stituzione litologica o stratigrafica dei terreni terziari. Notisi ancora che sui fianchi collinosi esistono qua e là sottili lembi di loess che credo attribuibili specialmente alla seconda metà dell’era quaternaria, cioè al Terrazzìano. Conclusione. Dall'esame geologico fatto nelle pagine precedenti possiamo trarre le seguenti conclusioni : 1° La regione terziaria compresa tra S. Sebastiano Curone eVarzi, tra il Curone e la Staffora, è foggiata a conca, allungata da Est ad Ovest, ampia e regolare a Sud, schiacciata e fortemente rialzata a Nord. Strati- graficamente essa rappresenta in piccola scala il bacino terziario piemon- tese, di cui si può considerare quasi come una semplice appendice orien- tale; ai corrugamenti che costituiscono le colline Torino- Valenza corri- spondono assai bene, nella regione esaminata, i corrugamenti ripetuti che esistono a Nord della conca in questione. Anche litologicamente e pa- leontologicamente la comparazione accennata è giusta specialmente se è fatta colla parte meridionale della grande conca piemontese. 2° L’isolamento quasi completo in cui si trova ora la conca ter- ziaria esaminata, ci prova che furono potentissime le erosioni acquee e poderosissimi i movimenti tettonici, specialmente i corrugamenti, veri- ficatisi particolarmente verso la fine del periodo Elvezianoì in modo che la regione esaminata venne chiusa, direi, del tutto alla deposizione dei terreni miocenici superiori e pliocenici. Tali corrugamenti sono allineati specialmente da Est ad Ovest, per cui si può presumere che le pressioni laterali che li originarono, si esercitarono particolarmente in direzione Nord-Sud, probabilmente in seguito a grandiosi corruga- menti dei rilievi alpini ed appenninici. 3° La costituzione geologica della conca terziaria di Varzi-San Sebastiano è la seguente: Arenarie e sabbie giallastre fossilifere, al- ternate con marne più o meno sabbiose giallognole. Marne compatte grigio-chiare. Strati arenacei e marnoso-sabbiosi, assai regolarmente alternati. Marne friabili grigiastre, inglobanti strati arenacei. Alternanza di marne, sabbie ed arenarie, con lenti ciottolose. Marne sabbiose ed arenacee con banchi conglomeratici. Marne friabili grigio-verdiccie o bluastre, arenarie, sabbie e conglomerati nummu- litiferi. Arenarie giallastre nummulitifere. Arenarie biancastre. | Elveziano. | Langhiano. J Aquitaniano. | Stampiano. | Tongriano. I Sestiano. Marne friabili violacescenti. j Marne argillose bruniccie, lenti conglome- ì ratiche, calcari alberesi, argilloschisti > ed arenarie (macigno). ) Bartoniano (Gàssiniano). Liguriano (Parisiano). IL 11 lago pliocenico e le ligniti di Bargct nella valle del Serchio ; rapporto del prof. C. De Stefani al Ministero di Agri- coltura, Industria e Commercio. (con una tavola di sezioni). I. Comunicazioni fra la conca di Castelnuovo e quella di Barga. Ho già chiarito in altro rapporto ], come l’ampia conca di Castel- nuovo di Garfagnana nella parte alta della valle del Serchio, fosse, du- 1 C. De Stefani, Le ligniti del bacino di Castelnuovo di Garfagnana (Boll. Com. Geol*, 7-8, 1887). Boll, del R .Corri. C 0 CARTA GEOLOGICA DELLA CONCA TERZIARIA DI VARZI - S SEBASTIANO RILEVATA DAL D OTT E FEDERICO SACCO Liguriano Bartoniano Tongpiano Stampiano Aquitaniano Langhiano Elveziano ran mm mm mm Scala cMoiiielrica di 1 a 25.000 Equidistanza fra le curve metri 5 Anno 1889. Tav.VM. (F. Sasci 5? 13'. 44? eoi — m - rante il Pliocene, occupata da un lago avente direzione quasi perpendico- lare a quella della vallata, della superficie di più che 14 000 ettari, lungo 9a 10 chilometri, largo 2 a 3, profondo circa 450 metri. Esso fu riempito principalmente da materie provenienti dalle Alpi Apuane, cioè dalla valle della Torrite : . superiormente sono altissimi conglomerati, cui sottostanno sabbie, poi argille turchine con banchi discretamente rag- guardevoli di lignite nella quantità di poco più che 3 200000 tonnellate. Il punto più basso del fondo roccioso lungo l’alveo del Serchio presso Castelnuovo è ad altezza di poco meno che 270 metri sopra il livello odierno del mare. Traversata la detta conca il Serchio scende verso la pianura luc- chese e verso il Tirreno, solcando il Monte Perpoli per un tratto che è dei più tortuosi, stretti e profondi della sua vallata, fino a che, dopo 7 300 metri di cammino e 80 metri, cioè quasi 1 per 100, di discesa, al Ponte di Campia entra nella conca di Barga, dove, durante il Pliocene si ripeterono le circostanze della conca di Castelnuovo. Che il Serchio durante il Pliocene scendesse colla medesima dire- zione è fuori di dubbio; infatti dove è oggi la pianura lucchese era il mare. Si potrebbe ricercare se scendesse per la medesima strada. Certamente la vallata che solca il Monte Perpoli si approfonda di continuo. Rimontando nel tempo verso il Pliocene, la troveremmo sempre più superficiale e ne potremmo sorprendere i diversi stadi esaminando i terrazzi che la costeggiano, alcuni dei quali, specialmente i più bassi e più recenti, sono alquanto conservati. Sono però ben poco estesi e per niente paragonabili a quelli assai ampi che si vedono sui terreni pliocenici delle conche di Castelnuovo e di Barga: del resto è regola che i terrazzi, specialmente d’origine fluviale, siano assai più palesi nei terreni più recenti e meno compatti ed in quelli nei quali gli strati orizzontali o quasi danno già pronta la spianata ai successivi gradini. Inoltre lungo il Serchio, i terrazzi, salvo i più bassi, a formare i quali hanno contribuito anche i torrenti che scendono dall’ Appennino, come il Silico e la Ceserana, sono palesi maggiormente e più in alto sulla sponda destra che sulla sinistra. Ciò dipende dalla disposizione degli strati, i quali con pendenza quasi uniforme di appena 20° a N.O chiu- dono la conca sinclinale di Castelnuovo, separandola da quella di Barga e presentano quasi sempre sulla sinistra del Serchio le testate, — 280 — sulla destra il dorso più dolcemente declive e più facile a spia- narsi. All’entrata del Serchio nelle strette di Monte Perpoli, sulla sinistra, ai Cappuccini presso Castelnuovo, si vedono almeno tre gradinate, meglio conservate che più a valle, perchè rispondenti in parte agli estesi ter- razzi i quali si trovano sul Pliocene poco più a settentrione. Il piccolo piano più basso è fra 275 e 280 metri, appena a 5 metri sul fiume; più in alto, di fianco ai Cappuccini, ne è uno fra 325 e 340 metri che risponde all’esteso piano di Pieve Fosciana; più su ne è uno che sale da 375 a 400 metri. Sulla stessa parte del fiume, più a valle, si ritrova qualche traccia di terrazzi, presso a poco rispondenti al più basso di quelli accennati, al Pretale sotto Ceserana fra 250 e 275 metri, sotto Riana e ai Fondoni. Sarebbe difficile rintracciare in quei tratti resi- stenza di terrazzi più alti. Sulla destra le tracce sono meno incerte. Ne appariscono verosimil- mente, uno sotto il cimitero di Castelnuovo, altri sotto il Palleroso a Nord e ad Est. Gli stessi paesi di Palleroso (480-510 metri), Perpoli (570-580 metri), Fiattone (375-425 metri) furono costruiti ad arte, come tante guardie avanzate, sui piccoli ripiani che gli antichi abitatori tro- varono qua e là sopra il fiume e che probabilmente sono rimasugli di antichissimi letti di questo. In tutta la sponda destra del Serchio il settosuolo arenaceo è coperto da grandiosi massi franati che sovente mettono a repentaglio la strada nazionale e da ghiaie, cementate quando posano sopra calcari, evidentemente abbandonate in antico dal fiume. Quella legge che il Dutton ha compendiato con la qualifica di persistenza delle correnti *, di cui si dovrebbe tenere molto più conto nello studio dei fatti geologici, condurrebbe a ritenere che fin dagli ultimi tempi pliocenici, durante e dopo il riempimento della conca di Castelnuovo, il Serchio avesse tenuto la strada d’oggi, salvo i meandri che avrà cambiato via via secondo la resistenza degli strati. Ho detto parlando delle ligniti di Garfagnana, che il deposito plio- cenico della conca di Castelnuovo, da Monte Frin, anzi dal Castellacelo fino a S. Francesco, dalla quota di 585 a quella di 480 metri, forma 1 C. E. Dutton, The phgsical geology of thè Grand Canon district (Se- cond ann. Rep. of thè U. S. geol. Survey, 1882), p. 60. \ — 281 — la cresta del poggio che separa la sinistra del torrente di Castiglione, uno fra i principali della conca di Castelnuovo, dalla destra del Silico che entra nel Serchio lungo le strette di Monte Perpoli, più verso la conca di Barga (§ IV). Però la sinistra della vali e del Silico è molto elevata e doveva certo impedire una comunicazione da quella parte fra le due conche plioceniche. Parimente sulla sponda opposta del Serchio, la cresta del Monte Perpoli, che fa da spartiacque fra la conca di Castel- nuovo e quella di Barga, fra il Monte e le Forche, da 616 a 575 metri, è formata da terreno pliocenico; ma questo è molto superficiale e su- bito sotto s’incontra il solido terreno eocenico totalmente scoperto dalla parte del barghigiano, mentrè verso Castelnuovo comparisce sotto la veste pliocenica solo nel fondo dei fossetti e lungo il Serchio. Unica- mente fra le case di Monte Perpoli e le Forche il Pliocene (1. c. § II e IV) passa direttamente da una conca all’altra, quantunque nemmeno colà sia molto alto. Il punto più basso traversato dall’antica strada rotabile all’osteria di M. Perpoli è a 491 metri sul mare, e non più di 40 metri può essere alto ivi il Pliocene. In quel tratto la soglia eocenica si al- zava per lo meno 180 metri sopra il maggior fondo del lago di Castel- nuovo: però in certi tempi le acque del lago sembrano essere arrivate a 680 metri (1. c. § II), quindi circa 230 metri più alte di quella soglia. Un poco più a mezzogiorno, oltre il paese di Monte Altissimo, la vetta dello spartiacque fra il canale della Grignetola che va alla conca di Castelnuovo e i Tre Canali che vanno a quella di Barga, alla quota di 595 metri, è occupata da bassissima veste di sabbia pliocenica rico- prente un’arenaria eocenica, la quale comprova la sommersione sotto il livello del lago. È certo dunque che almeno in certi tempi' la conca di Castelnuovo comunicò con quella di Barga pei dintorni di M. Altis- simo, di Monte Rotondo e di Monte Perpoli, quantunque cotale strada sia poi stata abbandonata dal Serchio. Ma un poco più a settentrione, lungo il corso odierno del Serchio, vediamo i terreni pliocenici scendere ad altezze molto minori che non a Monte Perpoli, lungo una linea che, se non ora, verosimilmente formò lo spartiacque tra le due conche nei tempi pliocenici. Infatti presso le Pianelle, a N.O del monte, quei terreni scendono a 380 e 375 metri, cioè appena a circa 105 metri sul fondo del lago. Medesimamente sotto Ceserana, nel bel mezzo delle strette di Monte Perpoli, le ghiaie d’arenaria pliocenica scendono alquanto — 282 — sotto al livello di 375 metri, vale a dire a poca altezza sopra il corso odierno del Serchio. Cotali fatti attestano che lungo il corso odierno del fiume era già una depressione maggiore d’altrove; che mentre riempivasi la conca di Castelnuovo fu chiusa la comunicazione più alta di Monte Rotondo e Monte Perpoli ed il Serchio pliocenico si attenne alla comunicazione più bassa tuttora esistente, fra le Pianelle e S. Fran- cesco, fra Ceserana e Palleroso, la incise e vi si approfondò man mano che il sollevamento dei monti circostanti aumentava la velocità e la forza di richiamo delle acque dolci al mare. Così poco per volta venne approfondata la stretta valle odierna; e la forte denudazione prodotta lungo la medesima, per la legge del Powel della retrocessione delle -pendici, fece probabilmente sparire le tracce dei terreni pliocenici preesistenti che una volta vi si doveano trovare molto più estesi. II. Anticlinali circostanti alla conca di Bargia. Come è noto, Y Appennino non è costituito da anticlinale unico, continuo ed avente direzione uniforme; bensì da parecchie pieghe, talora parallele, talora no, aventi direzioni variabili e non continue, ma in- terrotte e spesso successive a mò’ di catena o di rosario. Una di con- simili pieghe ha appunto il suo termine settentrionale nel Monte Perpoli e traversata dal Serchio, come dissi, mediante una valle d'erosione, chiude a Sud la conca sinclinale di Castelnuovo separandola da quella di Barga. La detta piega ha dapprima il nucleo formato molto ampiamente da calcari nummulitici, poi, nella valle del Segone, da calcari cretacei indi a traverso la valle della Lima, principale affluente del Serchio, da arenarie eoceniche ; diretta a principio lungo la sinistra della valle del Serchio da N.O a S.E, devia da Ovest ad Est lungo la Val di Lima, poi di nuovo da N.O a S.E, e va a finire verso la pianura pistoiese. Per la parte che ci riguarda, lungo la Val di Serchio, l’anticlinale nel suo lato orientale è separato, mediante l’arenaria dell’Eocene medio, da altra piega anticlinale che giunge fino alla cima dell’Appennino : questa è formata dall’arenaria geologicamente più recente del calcare num- mulitico, ma strati graficamente spesso sottoposta, ed è poco distante - 283 — dal sinclinale di roccie dell’Eocene superiore che separa la detta piega da altre più orientali situate verso la pianura padana, strettamente addossate alla medesima e formanti insieme lo spartiacque appenni- nico. Nel lato settentrionale, lungo la valle del Silico ed il Monte Per- poli, l’anticlinale termina con strati d’ arenaria pendenti in generale 15° o 20° a N.O, Nord o N.N.O i quali lo separano dall’ altro anticli- nale che in parte chiude ad oriente la conca di Castelnuovo e cui appartengono le roccie antiche di Corfino, di Soraggio e della Luni- giana. Nel Monte Perpoli, a N.O, fra le due conche di Castelnuovo e di Barga, è molto probabile esista un sinclinale fra il nucleo anticlinale dei calcari nummulitici del barghigiano ed i calcari nummulitici di Gallicano, Molazzana e Sassi, ricoprenti le pieghe delle Alpi Apuane, le quali chiudono a S.O la conca di Castelnuovo. Infatti nel M. Perpoli gli uni calcari nummulitici sono separati dagli altri mediante discreto tratto di arenaria eocenica, nella quale però la disposizione a sinclinale non è punto evidente. In parte ciò può dipendere dalla spessa veste di terreno pliocenico che nasconde l’arenaria; ma anche dall’essere gli strati addossati e pigiati con direzioni e pendenze uniformi: forse il sinclinale risponde al tratto fra le case di Monte Perpoli e le Forche, e forse anche a parte di esso rispondono i terreni dell’ Eocene supe- riore che appaiono pochi passi più a Sud a Campo e al Cascio. Passato però questo tratto settentrionale, ben tosto, circa al Ponte di Campia, si manifesta chiara la divisione fra i due anticlinali e le due regioni appenninica ed apuana e si apre tra esse, a forma di mandorla, l’ampia conca di Barga, estesa fra il Ponte di Campia ed il Ponte a Calavorno e riempita da terreno pliocenico lacustre. La piega appenninica prende a costeggiare la sinistra del Serchio e la leggera curva eh’ essa fa passando dalla direzione di S.E a quella verso Est, è pure corrispon- dente all’andamento della valle. Il lato opposto, cioè destro della conca e della valle, è chiuso da roccie eoceniche e cretacee addossate alle pieghe complicate e nume- rose che formano le Alpi Apuane e che hanno per nucleo terreni liassici ed infraliassici. Tali pieghe appaiono evidenti nell’interno delle valli che dalle Alpi Apuane scendono alla conca di Barga: le esteriori sono sotto Verni e Calòmini, lungo la Torrite di Gallicano, fra il Cardoso e le Fabbriche, lungo la Torrite Cava; non si può affermare però che — 284 — l’ultima piega della Torrite Cava, sia continuazione diretta di quella della Torrite di Gallicano ; ma per noi ciò poco monta, bastando notare che i terreni cretacei ed eocenici le coprono ambedue con uniformità e regolarità. Certamente dell’esteriore piega delle Alpi Apuane lungo la Torrite Cava è visibile la continuazione meridionale: essa seguita con direzione da N.N.O a S.S.E, avendo per nucleo terreni cretacei e giuresi, fino sul Serchio, e devia poi verso Est, parallelamente alla piega appenninica descritta a principio. Le dette pieghe apuana ed appenninica, all’ estremità meridionale della conca di Barga, al Ponte a Calavorno, diventano di nuovo super- ficialmente contigue, e nel sinclinale d’arenaria eocenica che le separa gli strati tornano reciprocamente addossati, per modo da non potersi segnare con assoluta esattezza l’asse del sinclinale stesso. La deviazione ad oriente della piega apuana obbliga ivi il Serchio a traversare gli strati, non più secondo la loro direzione, ma per- pendicolarmente, in una valle prettamente d’erosione come quella del Monte Perpoli, fatta però, a valle del Borgo a Mozzano, discretamente larga pella diminuità velocità e pella poca pendenza della corrente acquea. III. Circostanze della conca di Barga. La conca di Barga, dunque, come quella di Castelnuovo e soggiun- gerò come parecchie altre conche dell’Appennino, deve la sua origine ad un ampio sinclinale fra l’Appennino e le Alpi Apuane. La disposi- zione sinclinale della conca di Castelnuovo era già stata riconosciuta dal Pareto *. La conca di Barga, invece di avere direzione obliqua sull’ anda- mento del Serchio, come quella di Castelnuovo, lo seconda e ne è tra- versata nella sua maggiore lunghezza. Essa inoltre è forse meno ampia ed ha perimetro meno irregolare dell’altra, ma è più lunga ed irrego- 1 L. Pareto, Nota sopra due spaccati dell' Appennino da Livorno a Forlì , e da Modena a Massa di Carrara (Atti della Sett. riunione degli seenziati ita- liani ; Napoli, 1846, p. 1194). larmente ellissoidale od ovale, convessa a S.O, quasi concava a N.E, secon- dando in tutto l’andamento della piega appenninica che la serra ad oriente. Dalla parte dell’Appennino i terreni pliocenici della conca vengono a contatto coi calcari nummulitici dell’Eocene, salvo nell’estremità set- tentrionale nel Monte S. Quirico, ed in quella meridionale a Sud dell’Ania, dove vengono a contatto coll’arenaria sovrastante ai calcari predetti. Questa continua certamente nel tratto intermedio ma non si vede allo scoperto. Dalla parte delle Alpi Apuane, a settentrione, parecchi lembi pliocenici isolati e interrotti, stanno sull’Eocene superiore, sull’arenaria o sul calcare nummulitico dell’Eocene medio, sulla Creta e nell’interno della valle di Gallicano anche sull’Infralias. Per gran tratto però il confine di quei terreni è formato dal Serchio: in un solo tratto di circa mezzo chilometro a Casa Bugli presso le Fornaci, si vede la ripa sini- stra del fiume formata dall’ arenaria appartenente alle pieghe apuane. Nella conca di Castelnuovo il sollevamento e la denu lazione hanno messo quasi per tutto allo scoperto il primitivo fondo del lago plioce- nico formato da strati eocenici presso che orizzontali e si può con sicurezza riconoscere quali fossero i punti di massima profondità del lago stesso. Nella conca di Barga invece gli strati pliocenici, non meno alti, scompaiono sotto il suolo della vallata ed il fondo primitivo non apparisce allo scoperto se non presso al litorale apuano, parendo così che la maggiore profondità fosse verso l’Appennino. Gli strati arenacei costituenti in parte il fondo del lago presso Casa Bugli non hanno le pendenze molto forti, però nel litorale circostante apuano ed appenni- nico queste sono più ripide che nella conca di Castelnuovo, anzi dalla parte apuana vi sono parziali rovesciamenti ; talché si potrebbe in- durre che il sinclinale debba essere più profondo e che gli strati del sottosuolo non siano orizzontali come in quella. La massa dei terreni pliocenici, salvo pochi e piccoli lembi isolati, è senza paragone meno frastagliata che nella conca di Castelnuovo. La superficie maggiore e più unita da essi occupata, da Monte Perpoli al Ponte a Calavorno, è quindi maggiore della conca di Castelnuovo, ed appartiene ai comuni di Molazzana e Gallicano nella provincia di Massa, Barga e Coreglia in quella di Lucca: le ligniti si trovano però sol- tanto nei due ultimi comuni. La maggior lunghezza fra lo spartiacque di Monte Perpoli e le Capanne di Vitiana è di circa 12 chilometri : la mag- 286 — giore larghezza, fra i dintorni di Monte Altissimo e le ripe della Corsonna, di circa 7 chilometri. La maggiore altezza cui si trovino tracce di terreni pliocenici dalla parte dell’ Appennino è sopra Barga e Bugliano a circa 41:0 m. ; dal lato delle Alpi Apuane a Nord si trovano molto piùalte sullo spartiacque del M. Perpoli, a 616 m. sulla cresta del monte, ma per verità dalla parte di Castelnuovo più che di Barga, ed a 595 m. a S.O del paesello di Monte Altissimo. La quota più bassa alla quale si vedono scoperti è a 116 m. presso le Capanne di Vitiana, dove, come nel resto, fuor che a Casa Bugli, si immergono sotto l’alveo del Serchio: ma non si errerà affermando che in vari punti arrivino a profondità maggiore di oltre 50 m. Possiamo dunque affermare che il lago era profondo per grandissimo tratto più di 500 m. ed in certi punti probabilmente 600, perciò più del lago di Castelnuovo, la cui media profondità valutammo a 410 m. Il maggior fondo del lago di Castelnuovo dissi scendere ben poco più giù di 270 m. sopra il livello del mare odierno (§. II): se quello del lago di Barga scende almeno una cinquantina di metri sotto la quota di 116 m., vuol dire che quest’ultimo avea il fondo di 154 a 200 m. almeno più basso del primo; dalle quali cose insieme combinate si arguirebbe, quando pure altre non lo dimostrassero, che le acque scendevano dal primo lago verso il secondo. Per conoscere anche meglio le circostanze dei detti laghi conver- rebbe conoscere i loro rapporti col contiguo mare pliocenico; ma occor- rerebbe lunga esposizione di altri fatti. Basti dire che il mare pliocenico era situato al termine della valle del Serchio dove è ora la pianura lucchese, che il fondo del lago di Castelnuovo arrivava circa al livello del mare, mentre il fondo del lago di Barga scendeva qualche centi- naio di metri al di sotto. Questi laghi aveano dunque il carattere di parecchi odierni laghi alpini; il primo era più montano dell’altro : niuno dei due ebbe mai comunicazione diretta e promiscuità d’acque col mare. IV. Vallate che traversano il bacino. Il Serchio, lasciata l’arenaria, penetra nel terreno pliocenico, poco a valle del Ponte di Campia, alla quota di 177 m . Esso si mantiene costantemente dalla parie delle Alpi Apuane, perchè i torrenti appen- ninici, brevi di corso, ma assai numerosi e precipitosi, scendendo diret- tamente da creste alte 1700 o 1900 m. recano molte materie e verosi- milmente fino da principio respinsero l’alveo del fiume principale in cui entrano. Dalle Alpi Apuane scendono due torrenti più ragguardevoli, la Torrite di Gallicano e la Torrite Cava, senza contare il breve e pre- cipitoso, ma poco franoso, Rio Forcone, che traversa terreni calcarei solidi e resistenti: però i due detti torrenti scendono da montagne meno alte, giacché solo il primo ha da un lato la Pania (1849 m.) e sono in ciò differenti dalla Torrite Secca tributaria della conca di Castelnuovo, che proviene dalla regione più elevata delle Alpi Apuane. Essi inoltre traversano roccie assai meno franose di quelle appenniniche ed hanno corso più lungo, quindi più lento, sicché le loro acque escono più pure e meno rovinose, nè come i torrenti appenninici respingono l’alveo del Ser- chio. Le medesime circostanze si dovevano verificare durante il Pliocene. Dal Ponte di Campia fino al Colle alla Rena a Sud di Galli- cano, il Serchio separa dagli altri i lembi pliocenici di Monte Perpoli e di Gallicano che stanno sulla sua destra. A S.E del Colle alla Rena il fiume seguita separando nettamente i terreni apuani antichi che riman- gono sulla destra da quelli pliocenici di sinistra dalla parte dell’Ap- pennino. Il Serchio abbandona il bacino e il terreno pliocenico a circa 116 m. poco a monte del Ponte a Calavorno; nel percorrere il Plio- cene esso scende per conseguenza di circa 60 m . Nel tratto predetto il suo alveo è sempre piuttosto ampio per la facilità con cui vengono corrosi e trasportati i terreni sciolti che lo racchiudono. La Torrite di Gallicano entra nella massa principale del terreno pliocenico, abbandonando il calcare cretaceo, in Gallicano a circa 185 m.; gli altri torrenti apuani non toccano il Pliocene. Dalla parte dell’Appennino, cominciando a settentrione, scendono la Corsonna che entra nel Pliocene poco sotto al Ponte di Catagnana a circa 325 m. ed entra nel Serchio a circa 180 m., traversando così il Pliocene per l’altezza di più che 140 m.. Succedono la Loppora, l’Ania, il Riosecco, il Segone, la Dezza e la Suricchiana, che traversano da 80 a 120 m. di terreno pliocenico. Parecchi torrentelli secondari, come il Rio Fontana-Maggio, il Rio Zanesi, la Sartoiana, il Rio Latriani, hanno origine direttamente nel terreno pliocenico. {Continua). — 288 — III. La sorgente termo-solforosa di Sermione sul lago di Garda , lettera del prof. Angelo Piatti all’ing. P. Zezi. Il 5 giugno 1887 io Le mandava un cenno sulla sorgente termo- solforosa di Sermione, detta la Bojola, eh’ Ella si compiacque di pub- blicare nel numero successivo del Bollettino del R. Comitato geologico. 1 In quel numero m’era occorso un errore di trascrizione; onde fu stam- pato che la distanza di essa dalla spiaggia è di 170 metri, mentre è di 270 all’ incirca e varia secondo il livello del lago. Dopo quel tempo andai parecchie volte ad esplorarla, con più o men buoni risultati. Lasciato poi il mio scandaglio ai bravi pescatori cugini Salvelli, questi, in una delle molte esplorazioni fatte, riuscirono a trarre dal fondo dell’acqua che segnava una temperatura di 55°. L’aspettazione già sorta nei sermionesi pei precedenti risultati, attesa V importanza che potrebbe avere la sorgente, qualora potesse usarsi a scopo terapeutico, allora crebbe e mosse anche il sig. Bocchio sindaco di Sermione a parlarne con persone dell’arte per tentare di im- padronirsene. E i tentativi ebbero, specialmente nel 24 agosto 1889, ottimo risultato. Già fino dal p.p. anno il sig. Eccheri di Milano si recò più volte a Sermione con istrumenti diversi e tubi artesiani. E una volta calata sul fondo una campana di ferro, cui avea innestato di siffatti tubi, ne trasse colla pompa dell’acqua che raggiunse e si mantenne per oltre un’ora alla temperatura di 38°. La pompa traeva senza dubbio anche acqua del lago; anzi il sig. Eccheri venne in pensiero che l’acqua fosse appunto tutta del lago e la sorgente non fosse che emanazione gassosa. Non smise per questo, ma tornò altra volta alla prova, proponendosi di introdurre le canne artesiane nel punto di scaturigine, illuminando il fondo colla luce elet- trica. Senonchè il lago troppo agitato gli impedì l’esperimento. 1 Vedasi Bollettino 1887, n. 5-6, pag. 191. — 289 - Stava poi il sig. Eccheri facendo costruire altri istrumenti, quando vi si recò pure il cav. Piana, imprenditore di pozzi artesiani e altre opere idrauliche di Badia di Polesine. Ma i tentativi da esso fatti nella prima metà di aprile di quest’anno colle solite canne artesiane non ebbero alcun buon risultato a causa della profondità. In seguito, secondando il pensiero del sindaco di Sermione, egli fece le opportune pratiche per ottenere un palombaro dalla marina di Venezia. Ottenutolo, lo condusse a Sermione, e quivi appunto il 24 di agosto fece in modo che esso, calato a fondo, collocasse la estremità della canna sul punto nel quale scaturisce la sorgente. 11 palombaro vide il foro piut- tosto ampio della sorgente, in mezzo ad una depressione di oltre un metro di diametro e non senza difficoltà riuscì a far calare in esso la canna, che poi venne affondata di circa due metri. L’effetto non si fece aspettare. Secondo quanto mi fu detto, non avendo io potuto essere testimonio, se ne ebbe quasi subito un getto di circa due metri sopra il livello del lago, di acqua che raggiunse presto la temperatura di 58°. Io mi recai sul luogo il 27. Le canne artesiane formavano un tubo di circa 23 metri di lunghezza, dei quali circa 3 metri penetravano nel suolo e ne sporgevano dall’acqua metri 1, 25. Dalla bocca del tubo sgorgava un getto continuo di acqua di circa 8 centimetri di diametro che si alzava da esso di circa 15 centimetri. L’agitazione del lago non mi permise di tenere un termometro in questo getto che per pochi istanti, che pure bastarono a farlo salire per tre volte a 50°, Mi si as- sicura però che il termometro dello scandaglio avea segnato quasi 60°; ed è notevole che il palombaro il quale avea diretto l’immissione del tubo, pel calore provato sul fondo avea esclamato all’uscirne, che laggiù non v'era sola acqua ma fuoco. Mi vi recai pure il 6 corrente assieme ai conte Eugenio Piatti per ulteriori studi. Quanto alla temperatura, potei tenere nel getto dell’acqua termale un termometro per parecchi minuti, più volte e sempre lo vidi ascen- dere a 59°, 5 circa. Non ho verificato ancora la correzione dell’istru- mento ad alta temperatura, che suppongo di, circa 1° e però l’acqua non avrebbe meno di 58°. Ho raccolto poi dell’acqua in una bottiglia di vetro giallo a turac- ciolo smerigliato che il conte Piatti affidò al sig. Fontana farmacista 19 — 290 — di Lazise. Questi, assistito dal dott. Luigi Biasi, ne fece un’analisi qualitativa e assicura di avere trovato: Acido solfidrico molto abbondante, Acido carbonico libero, Traccie di carbonati, Traccie di solfati, Solfato di magnesia, Solfato di soda, Solfato di ferro, Traccie di joduri, Traccie di tannino (?). Non vi sarebbe dubbio pertanto della analogia di questa sorgente con tante altre usate nella cura di speciali malattie. Quanto allo studio della profondità premetto che, sebbene il getto dell’acqua sia tanto abbondante e l’acqua sia ricca di gas, pure le polle che si innalzano dal fondo non sono apparentemente diminuite, ma vengono a galla ancora nei medesimi luoghi e presso a poco nella stessa copia. Soltanto la polla più vicina alla maggiore, che ne dista 5 metri, soffre un po’ di intermittenza limitata a pochi secondi e forse in relazione colle minime variazioni del getto. La profondità di questa, che sta verso la spiaggia rispetto alla principale, ho trovato di metri 14,75, mentre quella è profonda 17,40. Alla piccola distanza pertanto di 5 metri vi sarebbe la differenza di livello di metri 2,60. Nelle altre polle minori che sono: una a Nord della principale, pure a 5 metri da essa, una a N.E e a 10 metri, l’altra a Sud e pure a 10 metri, la profondità è rispettivamente di metri 15,85 — 18,70 — 16,30. Feci pure i rilievi sulla linea E-0 che congiunge la spiaggia alla sorgente ed ottenni i seguenti risultati: Distanza Profondità Distanza Profondità a 20 m. . . m. 0, 80 a 140 m. . . m. 4,30 40 » . . » 1,00 160 » . . » 3, 60 60 » . . » 1, 30 180 » . , » 5, 30 80 » . . » 2, 00 200 » . . » 6, 30 100 » . . » 4,00 220 » . . » 8,00 120 » . . » 4,50 240 » . . » 10,00 — 291 — Distanza Profondità Distanza Profondità a 250 m. 260 » . . m. 10, 90 . . » 11,75 a 285 m. (sorg. princ.) m 17, 40 270 » . . » 12,60 20 » al di là » 14, 20 io 00 o . . » 14, 75 40 » » » 14, 90 Queste profondità vanno riferite ad un metro sopra lo zero del- l’idrometro del porto di Desenzano, che tale era il livello del lago in quel giorno. Parmi che da esse si possa argomentare l’andamento subacqueo dei banchi di calcare marnoso cretaceo che formano il monte di Ser- mione e che si protendono nel lago, visibili a grande distanza dalla spiaggia stessa, con leggera inclinazione verso N.O. Mi sembra pertanto che nella profondità stata indicata dall’ ing. Bagatta nel 1828, da me riferita nell’altra mia nota, in metri 30, vi debba essere uno sbaglio nell’unità della misura, essendo improbabile, per non dire impossibile, una variazione nel livello del fondo di 13 metri. Probabilmente si trat- tava di braccia. Gli studi e i risultati che ho riferito destarono com’è naturale del rumore e delle speranze, specialmente a Sermione e nei luoghi vicini e, comunque siano per risultare le cose, ora pare assicurato un bell’av- venire a questa gemma delle penisole, che il poeta Carducci vide ca- lata dagli Dei in quella tazza d'argento che è il più ampio e forse anche il piu bel lago d’Italia. Desenzano-sul-lago, 18 settembre 1889. — 292 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER L’ANNO 1883 ( Continuazione , v. fase. 7-8) Deecke W. — Il cratere di Fossa Lupara nei Campi Flegrei presso Napoli. (Boll. Com.Geol., 7-8). — Roma, e (Zeitschrift der deuts. geol. Gesellschaft, XL Band, I Heft). — Berlin. Questo studio comprende una descrizione topografica e geologica, ed una espo- sizione dei caratteri delle principali roccie. Il centro di eruzione studiato presenta tre parti: una cinta esterna ellittica ed una interna circolare, che a sua volta racchiude un cono, sulla cima del quale si apre il cratere che è la Fossa Lupara propriamente detta ; e tali parti si succedettero nell’ordine in cui sono enunciate. Quest’insieme risulta di scorie e ceneri ad habitus trachitico, caratterizzato da molti e grandi cristalli tabulari di sanidino incastonati in una massa vitrea. I proietti presentano in generale disposizione caotica, e solo nei tagli inferiori e più profondi si ha una stratificazione con leggera pendenza all’esterno. Mancano, a differenza degli altri crateri dei Campi Flegrei, le pomici chiare, incoerenti; ma ad esse si avvicinano alcune scorie leggiere e porose. Si hanno masse d’ossidiana assai lucente e ricca di cristalli di feldspato. Come gli altri dei Campi Flegrei, questo vulcano non abbandonò il primo centro di eruzione, e la spaccatura originaria fu breve sì da non poter dar luogo a più coni d’eruzione allineati: esso però ne differisce per la natura dei prodotti e per la maggior durata di sua attività attestata dai tre coni concentrici. L’eruzione pare essere stata subaerea, e, benché recente, preistorica, od almeno anteriore all’immigrazione dei Greci. Delle roccie principali (trachite augitica con biotite, tracliite augitica ricca di sostanza vitrea, ossidiana trachitico-augitica, e scorie trachitico-augitiche simili a pomici) l’autore discorre particolareggiatamente. De Kroustchoff K. — Notiee sur la granulite variolitique de Formi près de Ghistorrai ( Sardaigne ). (Bull. Soc. frane. Minéralogie, T. XI, n. 4). — Paris. L’autore di questa memoria attirò in precedente lavoro l’attenzione sull’impor- tanza che hanno le inclusioni in generale abbondanti nello zircone della maggior parte delle roccie cristalline, per la genesi delle roccie ; e pervenne a stabilire i sette grandi gruppi seguenti di roccie, aventi ciascuno il proprio tipo particolore di zircone : I. Roccie granitiche (senza orneblenda) propriamente dette ; II. a. Roccie gneissiche, nettamente stratificate:; b. scisti cristallini; III. a. Roccie sienitiche ; b. dioritiche ; IV. Roccie porfiriche acide antiche, a pasta omogenea bene sviluppata ; V. Roccie trappiche antiche ; VI. Roccie trachitiche ; VII. Roccie basaltiche, doleritiche. Ora studiando la granulite di Fonni, l’autore trovò che essa contiene tre tipi di zircone nettamente distinti, dei quali egli dà la descrizione. Di essi uno è quello delle roccie granitiche, il secondo è quello delle gneissiche, ed il terzo è evidente- mente proprio alla granulite in esame. L’ autore trovò inoltre nella granulite un minerale interessantissimo. Si pre-. senta in cristalli incolori o leggermente giallastri, ottaedrici, non appartenenti al sistema cubico; il loro indice è prossimo a quello dello zircone. Trattando durante 24 ore il residuo di lavaggio della roccia con acido cloridrico ed acido fluoridrico, quei cristalli ottaedrici sono fortemente attaccati ; dopo due o tre giorni di attacco non si trova, oltre allo zircone, che pare fortemente attaccato, che qualche particella arrotondata; e nella parte decomposta si ha : Al, Fe, Ca, Mg, Si, Cl, Ti, Nb, Y, Th, Zr. Del Prato A. — Sopra alcune perforazioni della pianura parmense . (Boll. Soc Geol., VII, 1°). — Roma. L’autore esamina i dati forniti da perforazioni eseguite dal 1884 al 1887 in alcuni tratti della pianura parmense, specie per la ricerca di acque salienti. Il territorio fìn’ora a questo scopo bene sperimentato è compreso fra 1’ Enza e la Parma ; ed in esso le acque salienti sono limitate a monte da una linea segnata assai bene dalla ferrovia centrale, ed a valle da una linea irregolare pas- sante per Ramoscello, Lavadese, Pizzolese, S. Polo. In questa zona, sotto il ter- 294 — reno coltivabile, si hanno sedimenti argilloso-calcarei, argilla ricca in avanzi vegetali, altra argilla spesso abbondantemente e finamente sabbiosa, ed in ultimo ghiaie . talvolta commiste a poca sabbia. Analizzando le profondità alle quali queste for- mazioni s’incontrano nei varii pozzi, e corroborando il proprio esame con dati di perforazioni eseguite dal limite inferiore delle acque salienti al Po, 1’ autore con- clude che, la pianura parmense, nel tratto delle acque salienti più sopra definito, presenta per la maggior parte nel suo interno un deposito di ghiaie di provenienza appenninica, con pendenza verso il Po, forse alquanto maggiore di quella della superficie ; questo deposito presenta la configurazione di una serie di alvei torren- ziali, e da esso dipende la falda acquea che alimenta i pozzi salienti. All’autore pare probabile che il deposito delle formazioni superiori alla ghiaia sia stato accompagnato da un lento abbassarsi della valle del Po. De Stefani C. — Andeutungen einer palàozoischer Flora in den Alpi Marittime. (Verhandl. k.k. geol. Reichs., 3). — Wien. Il dott. Stur presenta un brano di lettera del De Stefani, colla quale gli parte- cipa d’aver scoperto nella valle della Bormida di Mallare presso Pietratagliata una flora paleozoica e precisamente negli scisti clorito-micacei della formazione antracitica, e fa alcune osservazioni in proposito. Lo Stur, da un primo esame del relativo materiale inviatogli, ha riscontrato negli scisti in parola una grande rassomiglianza a quelli di Tergove in Croazia ed agli scisti carboniferi della Svizzera. La flora per quanto mal conservata è riconosciuta per paleozoica, avvicinan- dosi le specie osservate al Lepido dendr on Haidingeri ed al L. Veltheimianum. Ritiene in conclusione lo Stur che questi scisti delle Alpi Marittime appartengano al Carbonifero superiore, come quelli della Tarantasia. De Stefani C. — Il Calcare nummulitico nel promontorio orientale della Spezia. (Proc. verb. Soc. tose. Se. Nat., voi. VI). — Pisa. Questo calcare, alto varie diecine di metri, è formato da frammenti di materie diverse prevalentemente calcaree ma anche silicee, per modo da formare una brec- ciola silicea; i frantumi sono talora grossolani, talora piccolissimi, formando cosi nell’un caso un calcare screziato e nell’altro un’arenaria calcarifera compatta. Vi sono frammenti di Orbitoides, di rarissime Nummulites e svariate altre foraminifere. La posizione del calcare è invertita per l’ampio rovesciamento quivi esistente; esso sta sulle arenarie e argille dell’Eocene medio, e sotto le arenarie, calcari marnosi e scisti della Creta media e superiore. L’autore pur non avendone studiato i fossili, colloca questo calcare nella parte inferiore dell’Eocene medio. De Stefani C. — Gli schisti a Posidonomya dell’ Appennino setten- trionale. (Proc. verb. Soc. tose. Se. Nat., VI). — Pisa. Secondo l’autore la Posidonomya di questi scisti non è certo la P. Bronni, ma più probabilmente la P. ornati Quenst. ; e gli scisti (anche per altri fossili) anziché del Lias superiore, come altri ritiene, sarebbero da attribuirsi al Giura medio e probabilmente all’oxfordiano. Le differenze litologiche della presente zona dal Lias superiore dell’Appennino centrale e delle Alpi, e la sua stretta concordanza con le zone giuresi e cretacee, conforterebbero l’avviso dell’autore. De Stefani C. — Iconografia dei nuovi molluschi pliocenici dintorno Siena. (Boll. Soc. Mal. It., Voi. XIII). — Pisa. L’autore pubblicò nel 1880, assieme al Pantanelli, i Molluschi pliocenici dei dintorni di Siena. Nella presente memoria riporta il nome di tutte le specie, aggiungendone qualche nuova, che descrive e figura, rettificando qualche denomi- nazione e registrando qualche nuova località. De Stefani C. — Excursion dans les Alpes Maritimes prés de Savone. (Bull. Soc. Géol. Fr., 3 S., T. 16e, n. 2). — Paris. L’autore enuncia in questa nota il proprio avviso su alquanti punti controversi della geologia di quelle regioni. La serie degli scisti cristallini di Savona, è la seguente: 1. Micascisti, con un po’ di gneiss e granito e qualche strato subordinato di diorite ed amfìbolite. 2. Amfìbolite, dioriti, qualche volta quarzose e porfiroidi. 3. Grauvacche, anageniti, e appenniniti, o granito a plagioclase di Gastaldi. Si ha rovesciamento generale con inclinazione a mare, e direzione quasi E-O. Volendo escludere il rovesciamento, si dovrebbe collocare la serie precedente, non già nel Permiano, come si fece da qualche autore, ma almeno nel Trias su- periore. Il De Stefani la ritiene arcaica. I calcari azzurrognoli cristallini, gli scisti e gli gneiss, collocati da altri nel Trias inferiore paiono all’autore molto più antichi. La zona potente ed uniforme di lerzolite o peridotite serpentinizzata, con eu- fotide, nella quale predominano le dioriti, amfìboliti e ovarditi, è al piu paleozoica. Nella valle della Bormida di Mallare l’autore ha riconosciuto una flora realmente carbonifera, e probabilmente del Carbonifero inferiore. Presso Bergeggi si ha, sempre rovesciata, una bella serie triasica, in cui l’au- tore trovò numerosi fossili, e la quale riproduce le sezioni più classiche del Trias delle Alpi Apuane. Egli ne descrive i varii membri, notandone le corrispondenze con queste ultime. Conferma quindi la attribuzione dei grezzoni al Trias superiore, senza escludere la possibilità che la loro metà inferiore appartenga al Trias medio. De Stefani C. — Precedenza del Peeten Angelonii Mgh. al Pecten histrix Dod. (Boll. Soc. Geol., VII, 2). — Roma. Questa nota è intesa a dimostrare che il nome di Pecten Angelonii Mgh., prima inedito, e dato nel 1878 dall’autore e dal Pantanelli, deve avere la prece- denza su quello di P. histrix Dod., solo pubblicato sei anni dopo, come pure su quello di P. subspinulosus Seg. dato nel 1880. L’autore trovò a Malamerenda frammenti di questo Pecten, il quale è una delle specie più distintive dei depositi di mare profondo. De Stefani C. — Origine del porto di Messina e di alcuni interri- menti lungo lo stretto. (Boll. Soc. Geol., VII, 2). — Roma. Richiamandosi ai principii regolatori delle correnti, quali furono stabiliti da Montanari, Cialdi, E. de Beaumont, Keller, Mitchell, Gilbert e Cornaglia, ed appli- candoli allo stretto ed al porto di Messina, l’autore ritiene che : 1. La marea non può produrre nello stretto correnti importanti, e non ha azione sulla distribuzione delle materie lungo i litorali se non concorrendo con cause piu potenti. 2. Tutte le coste del Mediterraneo sono lambite da una corrente littorale o radente, che va dalla sinistra alla destra dfchi guardi il mare dalla spiaggia; essa, non percorrendo in media più d’un mezzo miglio marittimo all’ora, ha poca azione sulla distribuzione delle materie lungo il litorale. Nello stretto, va da Sud a Nord. 3. Il trasporto e la distribuzione delle materie lungo i litorali sono dovuti al moto ondoso del mare ed alle correnti locali che ne derivano, od flutto cor- rente prodotto dai venti dominanti. I venti predominanti sulla costa siciliana dello stretto sono quelli di S.E o scirocco e sono anche i più forti. Sulla costa cala- brese i venti regnanti sono quelli di Nord, ma sono bassi, locali, e di poca forza sul mare; il vento più forte è il S.O o libeccio. Dunque le materie nello stretto sono distribuite secondo il flutto corrente da Sud a Nord. — 297 - 4. Alla punta del Faro si ha deposizione perchè vi confluiscono due flutti correnti : quello dello stretto che va da Sud a Nord e quello che costeggia da Ovest ad Est, il settentrione dell’isola. La deviazione della spiaggia verso Sud e la corrente dello stretto diretta verso Nord spiegano l’ansa subacquea del Pezzo. La mezza luna che chiude il porto di Messina, può spiegarsi supponendo: o che la corrente deviò per le notevoli variazioni di profondità del fondo, o che si abbia ivi un netto confine fra venti notevolmente diversi, e quindi correnti contra- stanti la principale di Sud. De Stefani C. — Appunti sopra roccie vulcaniche della Toscana stu- diate dal Rosenbusch. (Boll. Coni. Geol., 7-8). — Roma. È un sunto delle osservazioni del prof. Rosenbusch, in parte pubblicate nella sua Mikroskopisclie Physiographie der Mineralien und Gesteine, ed in parte ine- dite e comunicate al prof. De Stefani, il quale aggiunge qualche sua considerazione. De Stefani C. — Il calcare di Bismantova nel Reggiano. (Proc. verb. Soc. tose. Se. Nat. voi. VI). — Pisa. Contrariamente ad altri autori, il De Stefani ascrive questo calcare al Mio- cene medio e non all’inferiore. Esso è identico al calcare a briozoi e coralli dei monti livornesi, della Romagna e delle Marche, e più ancora al calcare a briozoi, e crinoidi delle valli dell* Arno, del Tevere e della Pescia fiorentina in Maremma. Vi abbondano denti di pesci, echinidi, frammenti di molluschi, briozoi, crinoidi, dactyloporidae, foraminifere. L’autore vi trovò Cidaris caryophilla Sim., Cellepora sp. n. cfr. globulosa Reuss, e Conocrinus sp. De Zigno A. — Nuove aggiunte alla ittiofauna dell' epoca eocena. (Mem. Ist. Veneto, voi. XXIII). — Venezia. L’autore descrive e figura alcune nuove specie trovate nella pesciaja di Monte Bolca, nel Veronese; esse sono: 1. Awphistium longipenne, Zigno. 2. Acanthurus Gaudryi, Z. 3. Crenilabrus Szajnochae, Z. 4. Aulorhamphus Bolcensis ( Stein i .), Z. 5. Aulorhamphus Capellina , Z. 6. Syngnathus Bolcensis, Z. 7. Blochius macropterus, Z. 8. Tetrodon pygmaeum, Z. 9. Histiocephalus Bassani, Z. Il n. 4 fu descritto da Steindachner sotto il nome di Calamostóma Bolcensis; tale nome non gli conviene, e l’autore creò per questa specie e la successiva (n. 5) un genere nuovo. Parimenti, per il n. 9, l’autore creò un nuovo genere. I generi Crenilabrus e Tetrodon , figurano per la prima volta a Monte Bolca. De Zigno A. — Antracoterio di Monteviale. (Mem. Ist. Veneto, voi. XXIII). — Venezia. Ricordate le varie scoperte di resti di Antracoterio fatte in Italia, l’autore de- scrive e disegna una mascella superiore trovata nelle ligniti di Monteviale nel Lu- glio 1886 la quale egli, dòpo accurati confronti con le specie più affini, è portato ad ascrivere ad una specie nuova, Anthracotherium Monsvialense Z. L’autore sta- bilisce quindi che le ligniti di Zovencedo e Monteviale (le sole che abbiano sino ad ora forniti resti di Antracoterio nel Veneto) sono aquitaniane. De Zigno A. — Cenni sulle condizioni geologiche ed idrografiche del bacino acquifero di Due Ville (in provincia di Vicenza). — Pa- dova, 1888. Recenti perforazioni a S. Ambrogio nel Trevigiano e a Due Ville nel Vi- centino, misero in evidenza due importanti bacini acquiferi alla sinistra ed alla destra del Brenta quello di S. Ambrogio fornì con 18 tubi, 17 litri al secondo, e quello di Due Ville, da 326 a 350 litri con 131 tubi. L’ esposizione che l’autore fa delle condizioni dei due bacini, dimostra che quello di Due Ville è sotto ogni aspetto più favorevolmente collocato. In due tavole, è dato una carta corografica dei due bacini, la successione dei terreni traversati nelle perforazioni, e tre spaccati. Di Poggio E. — Cenni di geologia sopra Matera in Basilicata. (Mem. Soc. tose. Se. Nat., voi. IX). — Pisa. L’ autore premette alcuni cenni topografici intorno a Matera, la quale sorge sulla sponda destra del torrente Gravina, che, profondamente incassato, offre belle sezioni naturali. Fra le formazioni del materano, abbonda il calcare, ora compatto ed ora in sottili straterelli, talora a struttura tendente alla cristallina, variamente colorato — 299 — da ìdrossidì di ferro. Ha pure molto sviluppo una puddinga a ciottoli prevalen- temente calcarei, e di volume decrescente verso l’alto. Sviluppatissimo è il tufo , impasto di sabbie, calcaree, conchiglie, a debole cemento calcareo ; vi si trovano frammenti del calcare precedente. Si ha infine : argille con gesso cristallizzato, lembi di calcare arenaceo ed arenaria, sabbie gialle, ed un deposito di poco più di un metro di ciottoli di varia natura. L’autore aggiunge alcune osservazioni stratigrafiche (completate da una se- zione) e paleontologiche. Egli non trovò nel calcare che un modello interno di Glaucoma. 11 tufo presenta numerosi esemplari di Terebratula ampulla Br., di Pec- ten ed Ostree e scarse Pinne, oltre a molti altri fossili che 1’ autore enumera, i quali appartengono a specie plioceniche, e ad alcune mioceniche continuatesi nel Pliocene. L’ autore ritiene cretaceo il calcare, e, probabilmente, appartenente al turo- niano di D’Orbigny. I lembi di roccie arenacee rappresentano il Miocene. Il tufo è mio-pliocenico, le argille e le sabbie gialle sono caratteristiche del Pliocene, ed il deposito superiore di ciottoli è quaternario. Nel calcare cretaceo e nel tufo si hanno caverne, in cui si rinvennero avanzi dell’industria dell’uomo preistorico. L’autore cerca in ultimo l’ origine della valle della Gravina; e conclude che si formò all’aurora del Pliocene, per rottura degli strati prodotta da pressioni laterali. Di Poggio E. — Di alcuni resti umani nel tufo di Muterà in Basi- licata. (Proc. verb. Soc. tose. Se. Nat., voi. VI). — Pisa. Riordinando il Museo di antichità preistoriche del dott. D. Ridola, in Matera l’autore rinvenne alcuni frammenti di ossa umane che attirarono la sua attenzione, perchè incrostate dal tufo, da esso descritto nella precedente memoria. Questo tufo è indubbiamente mio-pliocenico : naturale quindi che la scoperta dovesse me- ravigliare l’autore, il quale, in questa sua nota descrive quei resti, e si domanda se essi trovansi nel tufo dall’epoca della sua formazione, oppure furonvi imprigio- nati molto posteriormente ; e, senza nascondersi la gravità della conclusione, si attiene al primo partito. Di Stefano G. — Studi stratigrafici e -paleontologici sul sistema cre- taceo della Sicilia : Gli strati a Caprotina di Termini I mere se — Palermo, 1888. L’autore dà la sezione naturale della Rupe del Castello di Termini Imerese, la quale presenta, in ordine ascendente, i termini seguenti: 1. Dolomia del Carnico ; — 300 - 2. Calcari con crìnoidi del Lias medio ; 3. Schisti silicei del Lias superiore ; 4. Calcari titonici; 5. Calcari cretacei con Requienia ; 6. Calcari cretacei con Polyconites Verneuilli ; 7. Calcari cretacei con Caprotina ; 8. Calcari cretacei con Rad. Sauvagesi ; 9. Argilla scagliosa dell’Eocene medio ; 10. Scisti marnosi dell’Eocene superiore; 11. Conglomerato quaternario. Discussa l’età dei vari membri del Cretaceo, l’autore descrive la fauna dei calcari con Caprotina ad esclusione del genere Polyconites, che si riserva stu- diare in altro lavoro. Fodera 0. e Toso P. — Condizioni, stratigrafiche del banco salifero nella miniera di Lungro. (Rivista Servizio minerario nel 1886). — Roma, 1888. Chiamati a giudicare dell’opportunità di nuovi lavori proposti per la miniera di Lungro, gli autori cominciano il loro rapporto esaminando le condizioni strati- grafiche del giacimento, senza entrare in discussione geologica intorno all’età dei terreni. Solo osservano che le argille che separano il banco salifero dal calcare secondario hanno in alcuni punti il carattere delle argille variegate eoceniche, ma in prossimità del banco salifero sono forse invece mioceniche ; le argille che stanno sul banco, sono certamente mioceniche. Il giacimento salifero si estende molto, secondo gli autori, in direzione N.E. Foresti L. — Di una varietà di « Strombus coronatus » Defr . e di un'altra di « Murex torularius » Lk. del pliocene di Castel-Vi - scardo {Umbria). (Boll. Soc. Geol., VII, 1°). — Roma. L’autore dà la descrizione ed il disegno di due varietà da lui determinate; cioè di una di Strombus coronatus Defr., ch’egli chiama Dar. de Gregorii, ed una di Murex torularius Lk. da lui denominata Dar. umbra, rinvenuta nel Pliocene di Castel Viscardo nell’Umbria. Fornasini C. — Tavola paleo-protistograjìca. (Boll. Soc. Geol., VII, 1°). — Roma. In un precedente lavoro 1* autore distinse nella zona inferiore del Pliocene bolognese, specialmente sviluppata presso il ponticello di Savena : 1° gli strati sottostanti alla lente glauconitifera, costituiti di argilla più o meno plastica ; 2° gli strati glauconitiferi ; 3° gli strati superiori più ricchi in fossili dei precedenti. I fossili figurati nella tavola annessa alla presente nota, provengono dagli strati superiori, ed appartengono ai generi Textularia , Lagena, No do saria e Udì- gerina. Per ciascuna forma l’autore indica le analogie. Forni L. — Osservazioni stratigrafiehe sul Monte Misma . — Pavia, 1888. Dall’ analisi che l’autore ne dà con sussidio di sezioni, appare che la strati- grafia del Monte Misma (provincia di Bergamo) è assai complicata, presentando più sinclinali ed anticlinali variamente dirette. Riscontransi quivi formazioni creta, ciche, giurassiche, liassiche ed infraliassiche. Le determinazioni dell’autore si scostano in varii punti da quelle che appari- scono nella Carta geologica della provincia di Bergamo del prof. Varisco. Franco P. — Sull' origine dei noduli di fosforite del Capo di Leuea. (Rend. Acc. S<\ fis. e mat., S. II, Voi. 2°, fase. 7°). — Napoli. L’autore di questa nota ricerca l’origine dei noduli di fosforite contenuti nel calcare del Capo di Leuca. Avendoli esaminati al microscopio, li trovò costituiti di calcare incolore o gialliccio, e di fosfato calcico giallo-bruno o giallo-verdiccio. Nelle parti colorate si osservano perischeletri di foraminifere, in massima parte globigerinidi (prin- cipalmente dei generi Globigerina d’Orb. e Pullenia Parker e Johnes) ; si hanno pure miliolidi e nummulinidi. I perischeletri sono incolori e le concamerazioni per lo più sono riempite della sostanza bruna, raramente della incolora o delle due riunite ; in certi casi si nota piccola quantità di sostanza verdiccia. L’ autore ricorda come trovaronsi noduli di fosforite in varie formazioni, e come i geologi ne spiegarono in vario modo T origine. Per questi del Capo di Leuca, egli, esclusa l’idea che si tratti di spongiari (perchè il fosfato calcico riem- piendo le cavità dei politalamaci si formò evidentemente in rapporto ad essi), os- serva che le Glob gerine, che più abbondano nei noduli, nutronsi di alghe, le quali contengono in media 1,09 °/0 di fosfato calcico : quindi dove esse vivono debbono le alghe essere in quantità, se non grande, sufficiente. Disfacendosi le alghe, il fosfato calcico è disciolto dall’acqua marina, ma è precipitato dall’ammoniaca che si sviluppa dalla putrefazione del sarcode delle foraminifere, e si deposita nelle camere del perischeletro di queste. — 302 — Franco P. — Ricerche micrometro grafiche intorno ad una pirossenan- desite trovata nella regione vesuviana. (Rend. Acc. Se. fìs. e mat., S. II, Voi. 2°, fase. 11°). — Napoli. La roccia che forma oggetto della presente memoria fu trovata in un muro a secco alle falde del Vesuvio. L’autore ne dà lo studio microscopico, dal quale egli conchiude essere la roccia una pirossene-andesite biotitica con sanidina. Freck F. — Ueber Bau und Enstehung der Karnischen Alpen, (Zeitschr. d. deut. geol. Gesell., B. 39, H. 4°). — Berlin. Il tratto di Alpi carniche, studiato dall’ autore estendesi da Seekopf ossia Monte Canale al Pizzo di Fimau ed abbraccia con ciò una zona pressoché intera- mente- collocata entro i confini delle Alpi venete orientali. La memoria, che è un preistudio al rilevamento geologico della menzionata regione e dei limitrofi ter- reni austriaci, descrive circostanziatamente le condizioni oro-tettoniche della me- desima e delle regioni circostanti, ed in base ad esse ed alla geologica sua co- stituzione viene a spiegare il modo e l’epoca di formazione delle Alpi carniche. A tale proposito distingue due estrinsecazioni essenzialmente diverse di energia oro-genetica, 1’ una di frattura accompagnata da depressioni del suolo, 1’ altra di corrugamento con sollevamento e sovraddossamento degli strati : il periodo di frattura è terziario e più recente di quello di corrugamento. L’età di quest’ultimo risulta dallo studio delle condizioni di giacitura dei terreni triassici che circondano la zona illustrata, costituita da terreni paleozoici ; tale studio permette di conclu- dere che il sistema alpino della Carnia si è formato nella prima metà dell’epoca permiana in seguito ed energico corrugamento per scinta laterale che ha agito da nord a sud. La memoria è corredata da profili e vedute inserite nel testo e da una car- tina geologica in scala di 1 a 75,000. Freda G. — Sulla composizione del piperno trovato nella collina del Vomero e sull’ origine probabile di questa roccia . (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. II, Voi. II, fase. 6°). — Napoli. L’ autore osserva che le opinioni intorno all’origine del piperno sono tuttora discordi : considerandolo taluni come prodotto di metamorfismo d’un conglome- rato vulcanico, altri come un impasto del tufo dei Campi Flegrei colle scorie e con i frammenti di lava, ed altri infine come una roccia nettamente vulcanica. Egli prese in esame i massi di piperno trovati sul fianco della collina del Vomero ; — 303 — analizzando separatamente le due parti, di cui la roccia è composta, una cioè grigia terrosa, e l’altra bruna, d’aspetto litoideo, più compatta e tenace, trovò che esse hanno sensibilmente la stessa composizione, la quale è pur quella trovata dallo Abich per il piperno di Pianura ; e tale composizione è tanto diversa da quella dei -tufi adiacenti e dei Campi Flegrei, che è diffìcile il ripetere da questi l’origine del piperno. Nota pure P autore che la sostanza bruna, litoide è sparsa nella terrosa in modo da rappresentare quasi microscopicamente le trainées fluidales, che il mi- croscopio mostra in certe roccie eruttive. Queste ed altre considerazioni fanno all’ autore rigettare l’ idea di metamor- fismo del tufo o di -un impasto di tufo e frammenti lavici insieme proiettati, ed accettare invece quella di un magma lavico come origine del piperno. Gemmellaro G. G. — La fauna dei calcari con Fusulina della valle del fiume Sosio (prov. di Palermo). Appendice. — Palermo, 1888. In questa appendice al primo fascicolo deli’ opera suindicata, di cui si rese conto nella bibliografìa del 1887, il professore Gemmellaro descrive e rappre- senta parecchie specie di Ammonoidea; talune delle quali nuove, ed altre impor tanti come quelle che aumentano la conoscenza di generi e specie già note. Nei calcari con Fusulina di cui si tratta, trovaronsi sino ad ora’68 specie di Ammonoidea: di esse 21 sono comuni al calcare compatto ed al grossolano, 56 sono proprie del primo ed 1 del secondo. Giglioli I. — Sulla fosforite del Capo di Leuca. (Le stazioni sperim. agrarie ita!.. Voi. XIV, fase. 1°). — Roma. La fosforite trovasi nel calcare (pliocenico secondo l’autore) del Capo di Leuca, in frammenti e noduli irregolari, di non grande volume. L’autore potè facilmente separare questi noduli dal calcare, fortemente riscaldando la roccia e poi gettan- dola in acqua fredda. Egli trovò nella fosforite liberata dalla ganga, il 39,22 °/0 di fosfato calcico. Hoefer H. — Minerale orkommen am Capo Bianco , Elba (Miner. und petrog Mittb., 10 B., II H.). — Wien. Indicata la costituzione geologica del Capo Bianco, situato a nord-est di Porto Longone, l’autore descrive i seguenti minerali ch’egli ha raccolti dalle testate del locale giacimento ferrifero; e cioè: limonite compatta, con piccole druse con- — 304 - tenenti dei cristalli di limonite romboidale; farmacosiderite cristallizzata in cubi talvolta combinati col tetraedro; scorodite cristallizzata a gruppi di forma radiale, che ricopre la farmacosiderite; limonite ocracea nelle druse della compatta; psi- lomelano, ed aggregazioni globuliformi incrostanti la limonite. Tutti questi minerali, secondo le osservazioni fatte dall’autore, risultano di ori- gine secondaria; i giacimenti primitivi, dalla decomposizione dei quali derivarono, consistevano in siderite manganesifera e subordinatamente in minerale d’arsenico, forse collingite. La provenienza della limonite dalla siderite essendo provata dalle pseudomor- fosi rinvenutevi, esclude l’origine eruttiva del giacimento metallifero di Capo Bianco, il quale perciò non può essersi formato che per via di precipitazione da soluzioni acquee. Issel A. — Il terremoto del 1887 in Liguria. (Boll. Com. Geol., suppl. al voi. XVIII). — Roma. È questo uno studio assai esteso del terremoto del 1887 in Liguria. Alla descrizione particolareggiata delle diverse manifestazioni del fenomeno, l’autore fa precedere l’esame di quelle circostanze e condizioni che hanno, o po- trebbe supporsi avessero, un legame con esso. Comincia perciò la sua memoria descrivendo la natura geologica della regione, intrattenendosi specialmente sulle formazioni plioceniche e quaternarie. Ricerca in seguito quali traccie si hanno in Liguria dell’azione di forze endogene; e si intrat- tiene a lungo a parlare dei bradisismi antichi e recenti, dell’ importanza dei quali fan fede : la configurazione montuosa della Liguria, le pieghe e contorsioni delle formazioni più antiche del Miocene, l’altitudine cui giungono l’Eocene superiore ed il Pliocene, le valli che, continuazione delle attuali, sono ora sommerse a non meno di 900m e che, formatesi durante il Messiniano, furono sommerse al principio del Pliocene e rappresentano uno sprofondamento di 1450m, le linee di litorali indub- biamente quaternari, indicati da fori di litofagi a varie altezze sul livello del mare; ed altre recenti variazioni nei rapporti di altezza del mare e della terra, che si osservano in vari punti della Liguria. Un prospetto cronologico delle oscillazioni subite dal suolo ligure durante le ere terziaria e quaternaria, correda questa parte della memoria. Dopo ciò e dopo l’analisi del terremoto, l’autore, aggiunta qualche osserva- zione intorno a circostanze naturali e di costruzione che ebbero influenza sopra i suoi effetti, e dalle quali possono dedursi norme "pratiche, passa alla interpreta- zione del fenomeno. Egli non ammette che si tratti d’un terremoto vulcanico pro- priamente detto, nè di un perimetrico ; nè che esso risulti o da contingenze astro- — 305 — nomiche, o dalla tensione di gas e vapori nelle viscere terrestri, o da azione dissolvente delle acque sotterranee, od infine da tempesta elettro-magnetica; ed accetta invece l’ipotesi tectonica. Dall’ insieme dei fatti risulta che la forza impellente si propagò, non da un centro, ma da due assi verosimilmente rettilinei. 11 primo di essi risulta orientato da S.O a N.E e situato ad una certa distanza dalla costa, tutto nel mare; l’altro è diretto da N.NO a S.SE e passa per Mentone e Bollène. Questi due assi indicano due fratture, o meglio due sistemi di fratture, formatesi simultaneamente nella parte profonda della corteccia terrestre. Issel A. — La caverna della Giacheira presso Pigna. (Mem. Soc. tose. Se. Nat., voi. IX). — Pisa. Di questa caverna da lui visitata e dei resti trovativi, il prof. Issel dà la de- scrizione, discutendone le particolarità. Egli rinvenne due mascellari ed un cranio umani, oltre ad abbondanti avanzi di orso (Ursus ligusticus) e di lupo, due mandibole e un femore destro di gatto comune, e una mandibola destra incompleta di piccolo cervo. Osservò pure orme fossili di parecchi animali di mole diversa e difficili a determinarsi. La memoria è corredata d’una tavola in cui sono rappresentati alcuni dei resti. Johnston-Lavis H. J. — The ejected hlocks of Monle Somma. Part I. Stratified limestone. (Quart. Journ. of thè Geol. Soc., Voi. XLIV, part 4). — London. La collezione-posseduta dall’autore in Napoli, ricca di 600 esemplari, mostra nei massi proiettati dal vulcano una graduale successione dai calcari inalterati e numerose varietà di vere roccie metamorfiche, le quali a lor volta passano a roccie ignee di più in più prossime alle varie 'modalità del normale magma raffreddato. In questa prima parte del suo lavoro l’autore si occupa dei calcari stratificati. I calcari che giacciono sotto la piattaforma del Vesuvio possono studiarsi nella pe- nisola sorrentina; in essi la magnesia varia da 1 a 22 °/0; la silice supera rara- mente 2 a 3 %, ed in generale manca; le materie bituminose giungono talora al 3 °/0. L’azione del magma igneo sopra gli elementi di questi calcari, probabilmente estrinsecantesi per reazione di vapori e gas, diede origine alla numerosa serie dei silicati vesuviani. I primi mutamenti che si producono in un calcare impuro sono il cangiamento delle materie bituminose in grafite e la produzione d’una struttura prossima alla saccaroide pur conservandosi la stratificazione. Appaiono in seguito 20 — 306 — alcuni grani di peridoto, specie come inclusioni nei cristalli di calcite; e la prò. duzione degli altri minerali si fa nell’ordine seguente: 1. peridoto, periclase, humite; 2. spinello, mica, fluorite, galena, pirite, wollastonite ^ 3. granato, idocrase, nefelina, sodalite, felspato. L’autore descrive quindi la struttura microscopica dei calcari e loro derivati. » Johnston-Lavis H. J. — Further observations on ihe form of Vesuvius and Monte Somma. 0,700 » magnesio » 0,030 » calcio » 0,490 Solfato di sodio » 1.709 *■ calcio » 0,102 » magnesio » 0,050 Bicarbonato di sodio » 0,027 » calcio » 0,076 » magnesio ...» 0,030 Fosfati alcalini » 0,016 Ferro, alluminio e manganese. . » 0,020 Iodio » 0,042 Bromo » 0,008 Arsenico » traccie Silice » 0,040 Perdite » 0,220 Acqua . . » 982,120 Gr. 1.000,000 — 323 — Piolti G. — Sulla cossaite del colle di Bousson nelValta valle di Susa. (Atti R. Acc. Se. di Torino, voi. XXIII, 6°). • — Torino. Il minerale, oggetto di questa nota, fu trovato nei calcescisti che si incon- trano salendo dal Lago Nero (presso Cesana Torinese) verso il colle di Bousson. L’autore ne descrive i caratteri e ne dà un’analisi chimica. I minerali che più s’avvicinano a questo per i caratteri fisici e chimici sono due esemplari trovati da Gastaldi, uno a Borgofranco (presso Ivrea) e l’altro al colle Blaisier, ed analizzati nel 1874 dal prof. Cossa: il quale li considera appar- tenenti al gruppo delle miche e avvicinantisi più specialmente alla eufìllite. Il Ga- staldi invece li ritenne varietà di onkosina sodica e diede loro il nome di cossaite. L’autore chiama cossaite il minerale del colle di Bousson, intendendo però sotto questo nome una varietà di mica. Pohlig H. — Ueber sicilische Elephantemolaren. (Verhand. naturh. Ver. d. preuss. Rheinl. und Westph., 5° Folge, 44 Jahrg.). — Bonn. Nella conferenza tenuta il 7 maggio 1888 dalla Niederrheinische Gesellscha/t , l’autore ha presentato dei bellissimi modelli di molari d’elefanti, provenienti dal l’isola di Sicilia. Egli ha fatto rilevare l’eccezionale importanza di quanto ha potuto, a questo proposito, constatare nell’isola. Gli è risultato, cioè, che in quest’ultima trovasi rappresentata anche la forma diminutiva mediterranea de\Y Elephas antiquus, come a Malta, assieme alla forma sviluppata del medesimo; oltre a ciò, quelle di E. me- ridionalis ed una diminutiva di E. priscus che è specie più affine al moderno ele- fante africano che non VE. antiquus. Tale scoperia lo induce a ritenere quasi per indubitato che anche nell’isola di Malta, oltre alla forma diminutiva predominante di E. antiquus, sia pure esistita quella diminutiva di E. priscus come in Sicilia. Per questa seconda razza diminutiva mediterranea di elefanti, l’autore propone la denominazione di Elephas (priscus) Falconeri, Pohl. Portis A. — Sui terreni attraversati dal confine franco-italiano nelle Alpi marittime. (Boll. Com. Geol., 1-2). — Roma. Nel volume XV del Bollettino della Società geologica francese, il signor Goret pubblicò una memoria intitolata « Géologie du Bassin de l’Ubaye»; la regione studiata, e della quale dà pure una carta, comprende un tratto del confine italiano, lungo il quale, e dalla parte opposta, lavorò precedentemente il prof. Portis. Questi, nella presente memoria, mette in evidenza il disaccordo grave che esiste fra il suo lavoro e quello del Goret nel tratto in cui si toccano, per il quale riesce asso- lutamente impossibile collegare i due rilevamenti. Portis A. — Sul modo di conformazione dei conglomerati miocenici nella collina di Torino. (Boll. Com. Geo)., 3-4). — Roma. L’ ingegnere Mazzuoli accennò in una sua memoria (vedi sopra) alla proba- bilità che i conglomerati della collina di Torino siensi formati in modo analogo a quello da lui supposto per i conglomerati miocenici dell’ Appennino. Il prof. Portis enumera nella presente nota alcune ragioni che gli impediscono di accettare tali ipotesi. Insiste in particolar modo sul fatto che, mentre gli elementi serpentinosi sono tanto abbondanti nel conglomerato in discussione, non si trova in. nessun punto alcun residuo delle scogliere od isole che, secondo il Mazzuoli, avrebbero dovuto fornirli. Nota pure che, seguendo i conglomerati da occidente ad oriente, si vede che molte delle roccie che accompagnano il materiale serpentinoso sono localizzate; sicché egli ritiene che esse debbano provenire da particolari località delle Alpi che guardano la collina torinese dalla parte di settentrione. Secondo l’autore, nè la teoria di Gastaldi, nè quella di Mazzuoli sono suffi- cienti a risolvere il problema. Primat M. — Note sur les gites de mercure du Monte Amiata (To- scana). (Annales des mines, T. XIV, livr. 4). — Paris. L’autore dà la descrizione sommaria della geologia della regione, distendendosi alquanto sulle trachiti. Conchiude che il Monte Amiata fu un vulcano analogo a quelli del centro della Francia, cioè ad eruzione relativamente tranquilla. Molti caratteri rendono simili le due regioni; la domite è assai analoga alla trachite dell’Amiata, da cui differisce però per l’assenza di inclusioni. Il minerale di mercurio si presenta in filoni molto irregolari ed in ammassi. In questi ultimi esso impregna generalmente delle argille che riempiono cavità irregolari nel calcare marnoso ; non è raro però di trovare dei blocchi di cinabro puro di più di un metro cubo. Le cavità che contengono le argille cinabrifere hanno forme arrotondate, senza angoli vivi; esse comunicano tutte tra di loro; talvolta, sopratutto nelle cavità maggiori, si ha una breccia formata di calcare intatto ed argilla ; in certe parti dell’argilla si vede nettamente una rete di piccole fessure riempite di cinabro. Oltre al cinabro, si hanno, in certi punti della miniera del Siele, sotto solfuri di mercurio rappresentabili dalla formola Hg2S, detti localmente neri. La pirite di ferro è associata al cinabro nelle argille, e manca generalmente nei filoni. La sua presenza sembra dar ragiorle di quella del gesso, il quale si trova sopratutto dove abbonda la prima; è pure possibile però che il gesso ri- sulti dall’attacco diretto del calcare e della marna dalle acque sulfuree. Un fatto degno di nota è l’associazione della stibina col cinabro, e il lor modo analogo di giacimento. L’autore applica i fatti enumerati alla determinazione dell’età e origine dei giacimenti. Le argille provengono dall’attacco in posto della roccia incassante da acque acide; quale fosse la natura di queste sarebbe difficile dire; ma si può af- fermare che il loro arrivo ha accompagnato od anche preceduto quello del cinabro. L’epoca dell’arrivo di qusto è molto recente essendosene trovato nella trachite postpliocenica dell’Abbadia S. Salvatore. Pur ammettendo che in questo punto il cinabro sia dovuto ad una dissoluzione secondaria, è certo che il minerale è tutt’al più d’età terziaria. L’autore s’occupa inoltre della coltivazione della niiniera e del trattamento del minerale. (< Continua \ NOTIZIE DIVERSE Il pozzo artesiano di Ponticelli presso Napoli {. — Un pozzo fo- rato nel 1886 presso Ponticelli, paese tra Napoli ed il Vesuvio, sino alla prof mdità d’intorno 178m, ha fornito al dott. Johnston-Lavis ma- teria per lo studio di quei vulcani. Le formazioni attraversate sono le seguenti: a) Dalla bocca del pozzo, avente la quota di 25m, sino alla pro- fondità di 59m,90, depositi alluvionali di pozzolana e di altri materiali sovrapposti ad arena marina. Questa prima zona non fu studiata per esserne stati dispersi i materiali. 1 Da una nota del dott. H. J. Johnston-Lavis, pubblicata nei Rend. Acc. Se. Napoli, S. II, voi. Ili, 6. — 326 — b) Da 59n\90 a 105™ ,44, lava compatta basica. c) Da 105m,44 a 107m,50, letto di ciottoli perfettamente arroton- dati, di trachite e basalto, con frammenti pure arrotondati di sanidina, pomice, ecc. d) Da 107m,50 a 145m,25, sabbia grigia, finissima, composta principalmente di augite, sanidina ed olivina con qualche frammento d’un feldispato triclino. e) Da 145m,25 a 149m,75, una sabbia simile alla precedente, ma ad elementi maggiori, con ciottolini di basalto, lapilli di una pomice abbastanza basica e pagliette di mica. /) Da 149m,75 a 164m, un tufo, o meglio una pozzolana com- patta, contenente molte conchiglie di tipo recente, e composta sopra- tutto di minuti frammenti di pomice e sanidina, con alcuni granuli maggiori di pirosseno e numerose spicule silicee di spugne. g) Da 164m a 168m,56, tufo grossolano compatto, o più esatta- mente, breccia compatta, contenente pezzi, grandi come nocciuole, di scoria pomicea assai analoga a quella dell’ eruzione vesuviana della fase III, periodo 2°. 1 li) Da 168m,56 a 176m, pozzolana farinosa con molti frammenti di pomice. i) Da 176m a 177m, 25, lapilli di pomice piuttosto leggera, ana- loghi ai precedenti, ma privi dei microliti che si osservano invece in quelli. Volendo ora interpretare questa successione di strati qui somma- riamente enumerati, vediamo innanzi tutto che, in epoca non molto remota, un seno di mare considerevolmente profondo occupava la pia- nura che si stende lungo il piede occidentale dell’antico Vesuvio, sepa- randolo dai Campi Flegrei: e, tenendo conto dell’attuale inclinazione del fondo marino in corrispondenza di Ponticelli e supponendo che essa fosse la stessa quando deponevasi l’ultimo strato i, vediamo che la 1 In un importante studio sulla geologia del Monte Somma e del Vesuvio ( Quart . Journal of thè Geol. Soc., voi. XL) il dott. Johnston-Lavis distinse nell’at- tività di quel centro eruttivo otto fasi ; tanto la III quanto la VI, alle quali si accenna nella presente nota, sono anteriori alla famosa eruzione di Plinio. \. 327 — r spiaggia doveva trovarsi presso Pomigliano d’Arco. Già Breislack aveva dimostrato che ai villaggi di S. Elmo, Sirico e Saviano si hanno lave leucitiche sotto il livello del mare, od almeno a quel livello-: lo stesso verificossi alla Madonna dell’Arco: il nuovo pozzo conferma dunque che il Vesuvio sorse come isola, supponendo, ben inteso, che non si abbia invece avuto un abbassamento del suolo. Il deposito i pare essere il prodotto dell'eruzione esplosiva d’un magma piuttosto basico. Non può dirsi se provenga dal Somma, benché la pomice in esso contenuta abbia spiccata somiglianza con quella della fase VI, periodo 2°, ed anche un po’ con quella della fase III, periodo 1°. Il deposito h appartiene probabilmente alla stessa eruzione. I frammenti, che costituiscono il tufo g , hanno grande somiglianza colla pomice scoriacea della fase III/ periodo 2°, e paiono dimostrare una serie di fenomeni identici a quelli dei primi due periodi di quella fase del Somma. L’essersi potuto formare il deposito / con gusci di molti’ mollu- schi, dimostra che per lungo tempo non ebbero luogo eruzioni paros- sismiche ed esplosive. La costa avanzando, si formò un deposito più sabbioso (e, d) e meno atto alla vita ed alla preservazione dei mol- luschi; più tardi si deposero le ghiaie dello strato c. I ciottoli di basalto e trachite di questo strato sono sì abbondanti, che debbono essere derivati da una regione assai vicina, e, probabil- mente, dal Somma. Quantunque manchino prove assolute per asserirlo, pare possa rite- nersi che la lava b provenga pure dal Somma. II seno di mare, già considerevolmente diminuito di profondità per i depositi precedenti, fu infine colmato (strato a) da materiale portatovi da correnti fluviali o dallo stesso mare. Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500 000 (serve anche di foglio di unione della precedente) con sezioni prezzo L. 5 00 Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia, con una Carta geologica, tavole in zincotipia ed incisioni, dell’Ing. L. Baldacci prezzo L. 10 00 Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1/25 000 con sezioni annesse (in due fogli) prezzo L. 15 00 Descrizione geologica dell’ Isola d’Elba, con Carta annessa nella scala di 1/50 000, dell’Ing. B. Lotti prezzo L. 10 00 Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba, con un atlante di carte e sezioni geologiche, dell’Ing. A. Fabri . . . prezzo L. 20 00 Carta geologico-mineraria dell’Iglesiente (Sardegna), nella scala di 1/50 000 (in un foglio) prezzo L. 5 00 Descrizione geologico-mineraria dell’Iglesiente, con un atlante di XXX tavole e una Carta geologica, dell’ Ing. Gr. Zoppi. . . . prezzo L. 15 00 Carta geologica della Campagna Romana e regioni limitrofe, nella scala di 1/100 000 (sei fogli e una tavola di sezioni) . prezzo L. 25 00 IV. B. — Sono pure in vendita i fogli separati ai prezzi seguenti : Civitavecchia ( L . 4) ; Bracciano ( L . 5); Palorribara {L. 5); Cerveteri (L. 4); Roma (L. 5); Cori ( L . 4). Carta geologica dell'Italia, in due fogli, nella scala di 1/1 000 000 (seconda edizione riveduta della Carta pubblicata nel 1881). . . prezzo L. 10 00 Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio Geologico (Via S. Susanna, 1) ovvero alla Libreria E. Lòescher, in Roma. Pubblicazioni in vendita presso l’Ufficio Geologico Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia; Yol. I a XIX, dal 1870 al 1888 — Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem di un fascicolo bimensile separato » 2 — N.B. - Il prezzo di abbonamento annuo e di L. 8 per l’interno e di L . 10 per V estero. Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia: Yol. I. Firenze, 1872 » 35 — Yol. II. Firenze, 1873-74 » 80 — Yol. III. Parte la; Firenze, 1876 . » 10 — Yol. III. Parte 2a; Firenze, 1888 » 15 — I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati geologici e sul R. Comitato Geologico, d’ Italia. Firenze, 1871. . » 1 50 P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta geologica in grande scala. Roma, 1875 » 1 — F. Giordano. — Esposizione in ordine cronologico delle principali disposi- zioni successivamente emanate relativamente alla Carta geologica d’Italia. Roma, 1879 » 1 — F. Giordano. — Sopra un progetto di legge per il compimento della Carta geologica d’ Italia. Roma, 1880 » 1 50 F. Giordano. — Cenni sull’organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici esistenti nei vari paesi. Roma, 1881 » 1 50 G. Capellini. — Relazione a S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Comm. sul Congresso geologico internazionale del 1881. Roma, 1881 .... » 1 — C. W. C. Fuchs. — Carta geologica dell’Isola d’ Ischia; scaladi 1/25,000. Firenze, 1873. . » 2 — C. Doelter. — Carta geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone; scala di 1/20,000. Roma, 1876 . » 2 — C. De Giorgi. — Abbozzo di Carta geologica della Basilicata; scala di 1/400,000. Roma, 1879 » 2 — C. De Giorgi. — Carta geologica della provincia di Lecce; scala di 1/400,000. Roma, 1880 » 2 — G. Capellini. — Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Ma- rittima e di parte del Volterrano; scala di 1/100,000. Roma, 1881 . » 3 — G. Capellini. — Carta geologica della provincia di Bologna ; scala di 1/100,000. Roma, 1881 » 4 — G. Capellini. — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di Magra inferiore; 2a edizione; scala di 1/50,000. Roma, 1881 . . » 3 — T. Tàramelli. — Carta geologica del Friuli, con testo descrittivo ; scala di 1/200,000. Udine, 1881 ............... » 7 — Bibliographie géologique et paleontologique de l’Italie. Bologne, 1881 . . » 10 — Bibliografia geologica e paleontologica della provincia di Roma. Roma, 1886 » 2 Bibliografia geologica italiana per l’anno 1886. Roma, 1887 » 1 Idem idem per l’anno 1887. Roma, 1888 » 1 SS I Annunzi di pubblicazioni G. G. G. F. G. A. G. H. C. A. C. L. H. A. A. S. G. F. M. Capellini. — Sul primo uovo di «Aepyornis maximus» arrivato in Italia. — Bologna, 1889; pag. 22 in-4°. B. Negri. — Studio cristallografico della cerussite di Auronzo (Atti del R. Istituto Veneto, S. VI, T. 7°, disp. 6a). — Venezia, 1889; pag. 24 in-S° con una tavola. Terrenzi. — Il mare pliocenico nell’ interno della conca di Terni (Rivista scientifico-industriale, , n. 10-11), — Firenze, 1889; pag. 12 in-8°. Sacco. — I colli monregalesi (Boll, della Soc. geol. italiana, voi. Vili, 1°). — Roma, 1889; pag. 36 in-8° con una carta geologica. Tucoimei. — Il viliafranchiano nelle valli sabine e i suoi fossili ca- ratteristici (Ibidem). — Roma, lb89 ; pag. 38 in-8°, con una tavola. Neviani. — Contribuzioni alla geologia del Catanzarese ; III (Ibidem). — Roma, 1889 ; pag. 26 in-8° con una tavola. B. Cacciamali. — Petroli e bitumi di Valle Latina (Rivista italiana di Scienze naturali, Anno IX, fase. 6-10). — Siena, 1889 ; pag. 10 in-4°. J. Johnston-Lavis. — Il pozzo artesiano di Ponticelli (Napoli) (Rendi- conto dell’Acc. di Se. fìsiche e mat., S. 2a, voi. Ili, fase. 6°). — Napoli, 1889; pag. 6 in- 4°. F. Parona. — Studio monografico della fauna raibliana di Lombardia. — Pavia, 1889; pag. 160 in-8°, con 13 tavole. Verri. — Geologia e topografia (Boll. Soc. geol. it., voi. Vili, 2°). — Roma, 1889 ; pag. 16 in-8°. De Stefani. — Le rocce eruttive dell’ eocene superiore nell’ Appennino (Ibidem). — Roma, 1889 ; pag. 8 3 in-8°. Foresti. — Del genere «Pyxis Meneghini» e di una varietà di«Pyxis pyxidata Br. » (Ibidem). — Roma, 1889 ; pag. 6 in-8°. J. Johnston-Lavis. — Su di una roccia contenente leucite trovata sull’Etna (Boll. Società it. dei Microscopisti, voi. I, fase. 1-2). — Aci- reale 1889 ; pag. 4 in-8° con una tavola. Tommasi. — Sul lembo cretaceo di Vernasso nel Friuli. — Udine, 1889; pag. 10 in-8°. Scacchi. — Il vulcanetto di Puccianello (Atti della R. Acc. delle Scienze fis. e mat., S. 2a, voi. Ili, fase. 7). — Napoli, 1889; pag. 14 in- 4°. Squinabol. — Contribuzioni alla flora fossile dei terreni terziarii della Liguria, « Caracee - Felci. » — Genova, 1889; pag. 70 in-4° con 12 tavole. Piolti. — Gneiss tormalinifero di Villar Focchiardo (Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, voi. XXIV, disp. 13). — Torino, 1889; pag. 10 in 8° con una tavola. Sacco. — Il bacino terziario del Piemonte; (Parte seconda). (Atti della Soc. it. di Scienze naturali, voi. XXXII, fase0. 2° e 3°). — Milano, 1889; iag. 143 in-8°. Li anzi. — Le diatomee fossili della Via Aurelia. in -4°. Roma, 1889 pag. G. Terrigi. — Il calcare (Macco) di Palo e sua fauna microscopica. — Roma, 1889 ; pag. 60 in-4° con 10 tavole. L. Bombicci. — Sulla lucentezza e striatura liscia delle superficie nelle salbande dei filoni metalliferi e nelle roccie scagliose (Memoria della R. Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, S. IV, T. IX). — Bo- logna, 1889 ; pag. 10 in-4°. Idem. — Sul giacimento e sul tipo litologico della roccia oligoclasite di Monte Cavaloro (Ibidem). — Bologna, 1889 ; pag. 14 in-4° con due tavole. WPW» «PPM ». 11 e 12 Voi. X della 2a Serie R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA. 1889 Bollettino N.° 11 e 12 Novembre e Dicembre --oSSx» ROMA TIPOGRAFIA NAZIONALE 1889. ELENCO del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico R. Comitato Geologico. Capellini Giovanni, prof, di geologia nella R.Università di Bologna, Presiti. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli ingegneri in Torino. De Zigno Achille, membro del R. Istituto Veneto, a Padova. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Padova. Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napoli. Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, a Imola. Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania. Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe- riore di Milano. Stri) ver Giovanni, prof, di mineralogia nella R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma. Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma. Personale addetto ai lavori della Carta Geologica. Direzione superiore : Ing. Giordano Felice, Direttore. Ing. Pellati Niccolò. Ufficio Geologico : Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato. Ing. Sormani Claudio. Ing. Aichino Giovanni. Sig. Lusvergh Cesare, aiutante. Geologi operatori : Ing. Baldacci Luigi. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Cortese Emilio. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio. Ing. Sabatini Venturino. Ing. Franchi Secondo. Ing. Mezzena Elvino. Sig. Fossen Pietro, aiutante. Sig. Cassetti Michele, aiutante. Sig. Moderni Pompeo, aiutante. La sede deirUffieio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico , via Santa Susanna, n. 1-A. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO D’ ITALIA. Serie IL Voi. X. Novembre e Dicembre 1889. N. 11 e 12. SOMMARIO. Memorie originali. — I. Il lago pliocenico e le ligniti di Barga nella valle del Serchio ; rapporto del prof. C. Dio Stefani (con una tavola di sezioni) ( conti- nuazione e fine). — II. Di alcuni Gimnodonti fossili italiani; studio del dott. Alessandro Portis (con una- tavola). Notizie bibliografiche. — Bibliografia geologica italiana per 1* anno 1888 {con- tinuazione e fine). Avviso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia. Tavole ed incisioni. — Tav. IX : Sezioni nel bacino lignitifero di Barga (valle del Serchio), a pag. 350 ; Tav. X : Placche dentali di Gimnodonti fossili italiani, a pag. 380. Elenco del personale del Comitato ed Ufficio geologico alla fine del 1889. Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1889. Parte ufficiale. — Lettera con la quale il Presidente del Comitato trasmette al Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio i verbali delle sedute 9 e 10 dicembre 1889. — Verbali delle adunanze 9 e 10 dicembre 1889. MEMORIE ORIGINALI I. Il lago pliocenico e le ligniti di Barga nella valle del Serchio; rapporto del prof. C. De Stefani al Ministero di Agri- coltura, Industria e Commercio. (con una tavola di sezioni). {Continuazione e fne, u. fase. 9-10). V. Natura dei terreni pliocenici lignitiferi. Nel tratto della conca più a monte, lungo il Serchio, fra il Ponte di Campia ed il Rio Val di Lago, sono così alte le alluvioni coprenti il Pliocene, che questo si vede solo in certi punti in fondo ai torrenti sulla Corsonna, o verso il Serchio (vedi Tav. IX, fig. 5), sotto S. Piero in Campo, sotto la Bellacucca, oppure in alto come tenue veste delle rocce formanti l’antico litorale. La grande altezza delle alluvioni è do- vuta all’entrata del Serchio, che ivi cumulò i suoi rigetti. Più a Sud, 22 — 330 — invece il terreno pliocenico apparisce più alto, sebbene ancora superfi- cialmente coperto dalle alluvioni all’infuori delle pendici dei torrenti secondari e sebbene non si abbiano colline isolate come nella conca di Castelnuovo, ma le colline plioceniche si presentino quale ultimo termine di quelle eoceniche dell’Appennino. Fra il Rio Val di Lago e la Loppora, gli strati pliocenici partendo dal Serchio e salendo a Barga e sopra Bugliano, raggiungono l’altezza di circa 280 m.; più a Sud fra il Rio e il Ponte a Calavorno appaiono gli strati più profondi, dacché infatti ci troviamo circa 60 m. più bassi del Ponte di Campia; ma l’al- tezza totale del Pliocene non aumenta, e, salendo dal Serchio a Coreglia, Gromignana e Lucignana, s’incontrano gli strati più alti disposti come lunghe striscie sul vertice delle colline eoceniche. I terreni hanno la medesima natura nella conca di Barga come in quella di Castelnuovo: inferiormente, per assai maggiore estensione che nel territorio di Castelnuovo, sono argille azzurre buone da laterizi, superiormente sono sabbie e ghiaie; queste ultime cingono pure tutto intorno la conca, abbandonate da frane scese dalle pendici. La natura delle ghiaie, al solito, è molto differente, secondo che derivarono dal- l’Appennino, da una o l’altra delle valli, o dalle Alpi Apuane. Le rocce dell’Appennino sono arenarie, calcari screziati e nummulitici, -diaspro, selce nera, grigia o bianca e nella valle del Segone qualche poco di calcare cretaceo, chiaro, compatto. Queste rocce sono più scarse nella valle della Torrite Cava nelle Alpi Apuane e mancano quasi nella Torrite di Gallicano dove si trovano solo all’ esterno. In queste due vallate sono invece rocce cretacee, giuresi, liassiche ed infraliassiche ; le due ultime specie abbondano particolarmente nella Torrite di Gallicano dove si trovano pure scisti triassici. Le ghiaie provenienti dall’ Ap- pennino sono prevalentemente arenacee, quelle delle Alpi Apuane cal- caree, e queste, quando non sono commiste a molta arenaria, formano tenaci conglomerati ordinariamente improntati, come nei dintorni di Gallicano, di Barga e al Frascone sul Serchio. Alternano sovente sabbie più o meno sottili, con ghiaie più o meno grossolane, ora prevalente- mente arenacee, ora prevalentemente formate da calcari nummulitici, siliciferi o diasprini, dell’Appennino e con ghiaie d’origine apuana (vedi Tav. IX, fig. 4). Nella conca di Castelnuovo la maggior parte delle materie che — 331 — riempirono il lago omonimo provenne dalle Alpi Apuane, dalla valle della Torrite Secca: così nella conca di Barga esse vennero in massima parte dalla Torrite di Gallicano, la più lunga fra le valli che vi scendono dalle Alpi Apuane e quella che è cinta in parte dalle più alte mon- tagne, dal cui opposto versante scende la Torrite Secca. Le materie portate da quel fiume si cominciano a trovare sulla destra tra Verni ed il Rio Usceto ed a S. Lucia: sono ghiaie piuttosto grandi, ovali od ellissoidali ma poco schiacciate, cementate in un compatto conglome- rato, di quarziti e idromicaschisti triassici, di quarzo grasso perfino con galena e solfoantimoniuri di piombo, quali si trovano in posto nella valle sopra il Forno verso il Piscero nel Canale del Santi, di calcari grigio-scuri compatti o cavernosi infraliassici, di calcari liassici e cretacei, di calcare nummulitico, d’arenaria eocenica. Sono stratificate a diagonale, con pendenza verso resterno della valle, a modo dei cumuli di rigetti subacquei. A S. Lucia però le ghiaie dei banchi più alti sono in gran parte d’arenaria derivante dalle contigue pendici di Molazzana; vi mancano sabbie e argille. La massa molto uniforme degli strati ha in Gallicano altezza verticale solo d’una cinquantina di metri; ma un tempo era certo assai più considerevole. Il torrente ha scavato nelle ghiaie calcaree un solco strettissimo, alto in certi punti 23 m., pittoresco quanto mai, specialmente quando lo si riguardi all’estremità occidentale e più a monte del paese; in Gal- licano esso ha intaccato anco le rocce cretacee del sottosuolo. È no- tevole un poggetto formato dal conglomerato, spianato in cima, in rispon- denza a qualche antico terrazzo, alto circa 21 m. sul piano di Gallicano e completamente isolato in mezzo a questo fra il paese ed il Serchio. Lo avevo preso prima pel rimasuglio di una morena frontale alla vai di Torrite; ma in realtà non è in quei depositi alcun carattere glaciale. E a credere che la Torrite in tempi recenti andasse al Serchio passando a settentrione del colletto e spianato quivi un tratto del paese, pas- sasse poi a mezzogiorno, dove, approfondatasi, come tuttora, restò iso- lato il colle. Gli ultimi limiti del cumulo de’ rigetti grossolani alla foce della Torrite arrivano sulla sinistra del Serchio presso la foce del Rio Val di Lago, tra la Colombaia e il Frascone, dove formano una specie di promontorio che si avanza molto quasi rimpetto a Gallicano ed alla Torrite. Anche qui il conglomerato calcareo compatto con ghiaie iden- — 332 — tiche a quelle di Gallicano e con qualche ghiaia d’arenaria, ha gli strati a diagonale pendenti circa verso N.E. Le ghiaie sperse dalle cor- renti più forti si inoltrarono per molto tratto intorno nel bacino, le più grosse più vicine' alla foce, le più piccole più lontane. Rasente alle pendici che chiudono la foce della Torrite, sulla destra del Serchio, quindi a riparo dalla corrente, le ghiaie, come è naturale, si estesero- assai poco. Tuttavia, a piedi dell’antica strada di Monte Perpoìi, sono banchi di ghiaiette ellissoidali, schiacciate, di arenaria, di quarzo, di scisti triassici, di calcari grigio-cupi infraliassici, di calcari bianchi ceroidi della Pania. Più in alto pure, in certi punti sulla strada di Campo,, nelle sabbie argillose, giallastre, insieme a ghiaie di macigno di origine locale sono ghiaiette di diaspro rosso, di selce bianca e di quarzo grasso che mostra la provenienza dalla Torrite di Gallicano, le cui piccole di- mensioni e la cui materia solo silicea attestano un lungo e lento cam- mino in mezzo alle acque. Le stesse ghiaie, per lo più di piccole dimen- sioni, le troviamo poi sperse per tutto sulla sinistra del Serchio, in mezzo agli strati argillosi più antichi, con grandissima frequenza, ma quasi mai con tale abbondanza da formare grossi conglomerati come nei casi accennati presso la foce della Torrite, se non forse talora piccolissimi e limitati banchi; rare poi vi sono le ghiaie delle dimen- sioni d’un grosso citriolo. Fra il Ponte di Campia e la foce della Corsonna lungo la sinistra del Serchio, raccolsi ghiaie d’arenaria eocenica, di calcare nummulitico, di schisti rossi, calcare con selce, calcare rosso, calcare grigio del- l’Infralias, calcare bianco cristallino del Lias inferiore della Pania. Siffatte ghiaie si ripetono, con forma di conglomerato, sotto alle argille più antiche sulla Corsonna, a valle deU’edifizio del Carrara, per pochi decimetri sopra il livello del torrente; sono di diaspro rosso, calcare ceroide bianco, calcare rosso, con arenaria fatta verde da alterazione dell’ossido di ferro; tornano ad un mulino, mezzo miglio più sotto ghiaie di diaspro rosso, calcare nummulitico, calcare compatto cretaceo e bianco liassico e, come in parecchi altri punti, vi sono mescolate le ghiaie della Torrite, prevalenti, con quelle di origine appenninica. Le ritroviamo poi ancora con caratteri non dubbi più a mezzogiorno sul Rio Fontana Maggio, sul Rio Torbo sotto il Pian di Gragno, con sabbie turchine a Catarozzo, sul Rio Zanesi e presso le Fornaci, con argille lungo tutta — 333 — la Loppora, lungo l’Ania e sul Rio Secco, poi nella parte inferiore del Segone e della Dezza, per quanto dura il terreno pliocenico. La pre- senza delle ghiaiette di schisti triassici damouritici e di calcari bianchi cristallini della Pania, talora piuttosto grossi, non lasciano il più pic- colo dubbio sulla loro origine dalla Torrite di Gallicano. Vi abbondano insieme ghiaiette di calcare rosso, di calcari compatti, chiari, con selce, di selci cretacee d’ogni fatta, di diaspro rosso e talora di calcari scre- ziati e nummulitici; queste ultime rocce potrebbero anche essere de- rivate dalla Torrite Cava insieme a certi schisti cretacei e ad altri .giurassici del piano a Posidonomya che ho trovato sul Segone; mala compagnia delle altre rocce della Pania, in ghiaie anco assai grosse, mi rende molto incerto; mentre la mancanza delle ghiaie stesse più dappresso alle pendici appenniniche mi vietano di credere che in parte possano esser derivate di qui, sebbene vi si trovino in posto lungo il Segone alcune delle rocce cretacee ed eoceniche. Anco nella conca di Barga, come in quella di Castelnuovo, troviamo le argille., cioè la roccia più antica, accompagnate sempre da ghiaie provenienti dalle Alpi Apuane, dalle montagne più alte ed insieme più scabrose e precisamente dalla Torrite di Gallicano. Ciò vuol dire che in quel primo periodo del lago gli altri monti e le altre valli a più dolce pendìo erano tutte coperte di vegetazione e che le acque trasci- navano materie solo dalla montagna della Pania e dalle sue pendici come nella conca di Castelnuovo le trascinavano dalla parte più alta, di Val d’Arni. Nella conca di Castelnuovo, superiormente alle argille, abbondano pure, in molti punti esclusivamente, ghiaie provenienti da tutta la valle della Torrite Secca e non quasi solo dalla sua parte più alta, senza commistione d’altre materie sabbiose od argillose. Medesimamente nella conca di Barga, nella parte superiore, si trovano conglomerati saldis- simi, senza sabbie nè argille, formati quasi solo da ghiaie provenienti da tutte le parti della Torrite di Gallicano. Costituiscono questi le col- line di Barga, di Bugliano e di Giuncheto a ridosso delPAppennino nella parte che è di faccia alla Torrite suddetta. Vi ho ritrovato le solite ghiaiette di arenaria eocenica, calcare a selce cretaceo, calcare rosso ìiassico, calcare bianco cristallino della Pania, quarzo, fìlladi rosse e Verdi, quarziti, idromicaschisti triassici; alternano con ghiaie d’are- — 334 < — n aria d’origine appenninica. In proporzione alle altre ghiaie delle regioni inferiori della Torrite, quelle del calcare bianco, tanto esteso nella Pania, sono meno abbondanti che negli strati argillosi sottostanti: questo fatto,, che si verificò pure nella conca di Castelnuovo, prova che negli ul- timi periodi del lago, venuta meno la vegetazione che ammantava le pendici, queste si fecero ovunque nude e più scabrose, sicché da ogni parte le acque trascinavano materie rocciose. Nello stesso tempo ab- bondano maggiormente ne’ conglomorati che nelle argille ghiaie di schisti triassici : probabilmente ciò si deve al fatto che durante gli ultimi tempi la valle si era molto più affondata. Gli schisti triassici s’ incontrano lungo la Torrite, fra il Trombacco e Petrosciana, solo nel fondo della valle, fino ad altezza di poco più di 700 m. al Trimpello. Tenuto conto che 1 terrazzi ed i profondi solchi sotto Vergemoli e a valle, da 400 nu in giù, vennero formati dopo il vuotamento del lago durante il quater- nario, come vedremo ; tenuto pure conto dell’altezza di poco più che 400 m. cui si trovano i conglomerati d’origine subacquea di Barga e Bugliano, ne risalta che gli schisti triassici non erano certo scoperti per più di 300 m. sul fondo della valle; che non pertanto questa valle era già profonda assai, forse appena 400 metri meno, e certo non meno di tanto, appetto ad oggi ; che la sua pendenza era minore di quella d’oggi ; che era nuda e spoglia forse più di oggi, certo non meno e molto più che nei primi periodi del Pliocene; che finalmente le acque erano probabilmente più abbondanti e più impetuose di oggi. La circo- stanza dell’essere i colli di Barga e Bugliano rimpetto alla Torrite e formati dai cumuli subacquei di questa fa sì ch’essi siano i più alti fra tutti gli strati pliocenici subacquei della conca. Meno chiare sono, come dissi, le traccie delle materie portate dalle altre vallate. Il fiume più ragguardevole, il Serchio, che tante alluvioni apportò dopo il riempimento e la scomparsa del lago, non ha lasciato,, durante il Pliocene, veruna materia grossolana: ciò si comprende perché a monte esso abbandonava ogni cosa nel lago di Castelnuovo; d’altra parte la grande abbondanza di argille inferiori che è nella conca di Barga può spiegarsi coll’intervento delle torbe che il Serchio, grossa fiume, doveva immettere di frequente. La valle della Torrite Cava, come dissi, era assai lunga, quanto la Torrite di Gallicano, ma traversava .monti parecchie centinaia di metri più bassi, più uniformi e quasi tutti 335 — formati da arenaria eocenica, salvo i tratti più fondi, lungo il fiume, che durante il Pliocene doveano essere molto meno scoperti d’ora. Questa valle non apportò certamente le abbondanti materie della Torrite di Gallicano; pure la maggior quantità di ghiaie calcaree o silicee della Creta che si trova a valle dell’influenza della Loppora e dintorno alla foce della Torrite Cava, provano che talune materie provenienti da questa si aggiunsero colà forse in eguale misura a quelle sicuramente provenienti dalla Torrite di Gallicano. Le valli appenniniche traversano quasi solo l’arenaria, che dovea avere pendici anche più dolci d’oggi, e poca estensione di calcari eocenici e, sul Segone, cretacei; le ghiaie, quasi solo arenacee, provenienti da quelle valli, si riconoscono per tutto e sono poco abbondanti in paragone alle altre. Tutto intorno poi alle pendici appenniniche formate d’arenaria, che scendono molto dolcemente sotto i depositi pliocenici, questi sono formati da ghiaie e da frane locali; mentre tal fatto non si ripete attorno alle pendici calcaree apuane che scendono sotto il Pliocene molto precipitose. Le stratificazioni sono talora embriciate ed inclinate, preferibilmente a ridosso delle Alpi Apuane, come nei citati casi del cumulo dei rigetti della Torrite di Gallicano a Gallicano ed al Frascone; talora pendono anche sull’Appennino : però, a differenza della conca di Castelnuovo, in grandissima parte sono quasi affatto orizzontali, donde avviene che gli strati più antichi, argillosi come si disse, si trovano sempre nel fondo dei torrenti e specialmente vicino al Serchio presso alla sua uscita dalla conca. Cotali strati più antichi contengono i pochi banchi ligni- tiferi. Le argille più antiche principiano ad apparire sulla destra del Serchio, fino a 5 o 10 metri sull’alveo, tra il Broglio e la Barca: vi succedono sabbie giallastre con ghiaiette della Torrite di Gallicano. Sulla sinistra compariscono lungo il fiume e lungo tutti i torrenti fra la Corsonna e la Dezza; salvo s’intende più dappresso alle pendici dove sono sostituite da materie più grossolane; così lungo il Serchio, verso il Ponte di Campia, rimpetto alle argille descritte poco fa, spun- tano sabbie gialle con poche ghiaie d’arenaria. Anche sotto S. Piero in Campo, sul Serchio, son solo ghiaie d’arenaria, e tali ghiaie entro sabbie sono sotto la Bellacucca rimpetto Gallicano. Medesimamente i rigetti della Torrite di Gallicano che si trovano lungo il Serchio a — 336 — Gallicano ed al Frascone rispondono certamente alla parte inferiore agli strati argillosi più lontani. Gli strati più antichi lungo l’alveo del Serchio fra il piano di Catarozzo e l’Ania pendono a ridosso delle Alpi Apuane, cioè di 18° circa verso N.E e sono formati da ghiaie d’arenaria grosse come una mela od una zucca, ora strette e accumulate, più di frequente un poco sperse e isolate nella sabbia o nell’argilla, alternanti, quasi in uguali proporzioni, con sabbie piut- tosto grossolane, gialle, talora turchiniccie e passanti ad argilla tur- chiniccia. In mezzo a codesti strati presso la foce della Loppora nel Serchio, non lungi dalle Fornaci, sono dei filari di lignite assai poco meritevoli di nota (v. Tav. IX, fig. 1 e 3). Le predette ghiaie d’arenaria lungo il Serchio derivano probabilmente dalle contigue pendici delle Alpi Apuane formate d’arenaria, dalle quali solo l’alveo del Serchio le separa. Allontanandosi da quei punti periferici verso ogni direzione s’in- contra l’argilla. Lungo l’alveo della Corsonna s’incontra presso l’edi- ficio del Carrara e più a valle in strati quasi orizzontali o leggermente pendenti a levante. La superficie degli strati è irregolare, come per denudazioni subacquee sopravvenute; alterna con sabbie e con alcuni banchi di ghiaie, e contiene pure dispersi ciottoli d’arenaria divenuta verdastra e di roccie della Torrite di Gallicano. S’incontrano ancora gli strati orizzontali delfargilla colle solite ghiaiette d’arenaria e di rocce delle Alpi Apuane in fondo a tutti i torrenti, al Rio di Fontana Maggio, di Val di Lago, al Rio Zanesi, alla Sartoiana, al Rio Latriani, alla Loppora. Negli strati più bassi, alle Fornaci, poco sopra alle ghiaie arenacee ed alle traccie di lignite della foce della Loppora, fu trovata anni sono e fu portata ai proprietari degli scavi della lignite suddetta, nei primi anni che vi lavoravano, parte d’un cranio di Rhinoceros etruseus. Tale specie, non trovata nella conca di Castelnuovo, attissima a far ricono- scere l’età del terreno come pliocenica, si trova ora nel Museo di Pisa. A valle della influenza della Loppora nel Serchio l’altezza delle argille è tale da occupare tutte o quasi tutte le ripe dei torrenti, salvo le parti più alte occupate in proporzioni ragguardevoli dall’alto mantello di al- luvioni recenti. Sull’Ania le argille sono alte fino una cinquantina di metri: tutto l’alveo del Rio Secco e de’suoi piccoli affluenti è formato da esse, accompagnato da molti strati di ghiaie delle rocce apuane — 337 — già descritte in istrati affatto orizzontali o quasi. Cosi le ripe del Ser- chio fra l’Ania ed il Rio Secco ne sono conformate per altezza di 5 a 15 o 20 metri sul fiume, sotto alle alluvioni che formano la parte superiore, le cui materie scendendo lungo le pendici occultano quasi completamente il Pliocene: nondimeno in più punti interrottamente ap- paiono a nudo le argille con piccolissime ghiaiette delle solite : il con- fine poi tra le argille e le alluvioni, colà come in ogni altro consimile tratto è segnato indubbiamente dalle sorgenti le quali con abbondanza straordinaria qua e là si manifestano. Nella regione fin qui ricordata, in ogni solco o vailetta s’ incontrano pezzetti piccolissimi o talora grossi tronchi di legno carbonizzato, però affatto isolati; tracce poco più fìtte appaiono in Val di Lago e più a Giuncheto presso Barga; ed in moltissimi punti altresì quei tronchi furono scavati dai paesani per uso domestico; ma in nessun luogo vi ha indizio di accumulazioni meritevoli di lavoro ed è cosa veramente da stupire il vedere come in certi punti, i più sterili fra gli sterili, si abbia avuto l’animo, per non dire altro, d’intra- prendere costosi lavori di ricerca. Sul Segone e sulla Dezza, dove l’ampiezza della conca moltissimo diminuisce, seguitano le argille a formare il Pliocene peli’ intero, salvo accosto alle pendici appenniniche e vi compaiono gli strati più antichi, ben forniti di lignite lungo il Segone, nascosti però anco più che altrove dalle alluvioni che scen- dono lungo le pendici. Ivi gli strati sono debolmente inclinati a ridosso dell’ Appennino, cioè di 10° verso S.O; però allontanandosi dall’Appen- nino verso il Serchio si fanno rapidamente quasi orizzontali (v. Tav. IX, fig. 2). Il bacino lignitifero, come si vedrà, è molto circoscritto. Nella lignite, quindi in strati più antichi dei Rhinoeeros delle Fornaci, il Carina trovò ed il Meneghini determinò i seguenti vertebrati, esistenti, credo, nel Museo di Pisa L Histrix sp., non trovata nella conca di Castelnuovo. Tapirus sp., simile a quello degli strati più antichi di Garfagnana. Nelle argille contigue alle ligniti ho visto pure abbondanti foglie, ma in cattivo stato: alcuni straterelli sono costituiti pell’intero da ramoscelli 1 Meneghini G., Resti di Tapiro e d’istrice nella lignite di Ghiviszano. 3 metri ed orizzontale sul piano terrazzato. Una quindicina d’anni sono una società di Castelnuovo di Garfa- gnana, sotto la direzione del maggiore Paolo Stella, tentò fare alcuni scavi consistenti in due buche appena principiate nello straterello n. 2, in altre due buche alla ricerca dei frustoli legnosi del banco n. 3 ed in un breve pozzo nello stesso banco, cui presso fu costruito un casotto^ Non trovando nulla, come era naturale, ed una alluvione della Loppora avendo per di più rovinati i lavori, questi smisero ben presto. È da meravigliarsi che dei lavori siano stati fatti; non è da credere che vi siano strati più ricchi di lignite inferiormente perchè non se ne vede traccia nelle testate che presentano nel breve tratto verso il Serchio e perchè quasi subito sotto vengono i terreni apuani più antichi. Così pure è da credere che internandosi gli strati già trovati non aumentino od aumentino di ben poco, poiché nella loro breve continuazione laterale non è traccia di tali aumenti. Il maggiore Stella affermava che nel- l’interno lo straterello n. 2 aumentava a circa 80 centimetri ma, quasi certamente, compresa anche la parte argillosa. Più ragguardevole è lo strato del Segone (v. Tav. IX, fig. 2). Già nel paese di Ghivizzano, presso la Porta Nuova, nella cantina del con- tadino del Raffaelli, si vede scoperto per alcuni centimetri un banco di lignite nell’ argilla. Non ne comparisce traccia più a levante perchà si dirige verso il Serchio dove sicuramente cessa ed è coperto dal- l’alluvione altissima della pendice di Ghivizzano. Seguita invece a ponente. Scendendo da Ghivizzano ai Molini lo si ritrova nella can- tina del mugnaio Michele Puccini, nelle case più alte dei Mulini stessi, dove apparisce la parte superiore alta pure alcuni centimetri, sotto le argille. Scendendo riappare poco di poi sotto la gora al Mulino d’Olinto, entro argille; l’altezza del banco, unito e compatto che pella , prima volta, con leggero scasso, si può vedere quasi intero, è almeno di 87 centimetri; esso pende 10° circa ad 0. 40° S. Qualche traccia allo scoperto è anche sul viottolo che pende ivi presso dalla prima svoltata della strada comunale. Lo stesso banco si palesa poi poco più giù dentro il mulino di Michele Puccini, che è l’inferiore; non se ne vede però che la parte inferiore per altezza di almeno 80 centimetri : esso pende di 11° ad O. 40° S. ; vi sono anche grossi tron- — 349 — di lignite/. Rg.5 . Sotto lo strada rotabile di Sorga presso Casteloccckio ed IL ponte di Compia. . — 351 : diecina di metri del vero, poiché a quella profondità debbono apparire le prossime antiche rocce del sottosuolo. Fondandoci sopra tutte le pre- dette circostanze e stabilendo i limiti approssimativi del piccolo bacino a S.E ed a S.O 'nell’alveo dèi Serchio, a N.O nel Rio Secco, oltre a quello degli indicati affioramenti a N.E si verrebbe a dare al medesimo un’ampiezza massima di circa 46,025 m.q. Supponendo l’altezza del banco utile costantemente di un metro si verrebbero ad avere 46,025 m. cubi da scavarsi, o 61,366 tonnellate, da cui dovrebbero detrarsi forse 3 0 400 tonnellate già scavate. Il bacino é perciò molto meno ricco di quello di Garfagnana, ed inoltre, per escavarlo, converrebbe lavorare quasi costantemente a notevole profondità e sotto l’alveo di tutti! tor- renti con probabilità di incontrare molta acqua in ispecie d’inverno. Le spese di scavo sarebbero perciò più alte che nel bacino di Castel- nuovo e richiederebbero l’impiego di maggiori capitali. Per lavorare maggior tempo in luogo più alto, indi più favorevole, o per lo meno per ben dirigere un lavoro di ricerca, crederei opportuno fare una tri- vellazione od un pozzo sopra il luogo detto il Frate, poco a N;E del viottolo che di qui porta a Ghivizzano. Ciò varrebbe a meglio precisare 1 limiti dei bacino. La lignite, detta pure nel barghigiano apilegno, ha aspetto in tutto identico a quella, coetanea, di Garfagnana (1. c., § Vili). Sfogliosa e terrosa, nera quando è costituita prevalentemente da foglie e da pie- noli rami, nelle migliori qualità è compatta, con apparenza quasi le- gnosa, di color tabacco, o talora anche più compatta, nera e lucente. Brucia con odore bituminoso rigonfiando talora leggermente; la polvere è di color tabacco scuro o bruno nero; oltremodo scarsa e mancante, a quanto vidi, è la pirite di ferro, ciò che compensa in qualche modo la relativa abbondanza delle ceneri. Non fu provato il potere calorifero, ma certo è il medesimo delle migliori qualità di Garfagnana, cioè nel rapporto medio di 3 a 2 con quello del litantrace. La contiguità alla via nazionale, e quando sarà fatta la ferrovia, ad una stazione, è vantaggio grandissimo atto a compensare le maggiori spese necessarie per lo scavo. Ignoro quanto costasse ogni tonnellata sul luogo dello scavo, ritengo che sul posto non verrebbe a costare più di lire 7 a 7,50. Per ora, mancando la ferrovia, non potrebbe trarsene partito che per usi locali quando si avesse un opificio od officina che — 352 — ne assicurasse il consumo continuo ; il trasporto a Lucca, che è la sta- zione più vicina, costerebbe troppo, anche dopo avere disseccata la lignite. Fatta la ferrovia, il trasporto a Lucca, lontana circa 20 chilo- metri, costerebbe presso a poco lire 1,10 la tonnellata, con aumento di lire 1,20 fino a Livorno, quindi supposto che a Ghivizzano costasse pure 8 lire la tonnellata, la si potrebbe portare a Livorno al prezzo di lire 10,30 con speranza di qualche profitto pella vicinanza appunto ad un porto di mare ragguardevole. Bisogna convenire però che il bacino, utile in caso di bisogno, colla sua quantità massima di 61 mila tonnellate non atte a scavarsi senza qualche costoso lavoro, non è tale da dare speranze di giova- mento alT Italia. Fra esso ed il bacino di Garfagnana, si può ritenere che tutta la valle del Serchio contenga ancora 3,277 mila tonnellate di lignite da scavarsi, corrispondente, per potere calorifero, alla quantità di carbon fossile che viene scavata in poche settimane nei bacini d’In- ghilterra. Fuori dei dintorni di Ghivizzano, credo inutile ogni ricerca frut- tuosa nella conca di Barga. IL Di alcuni Gimnodonti fossili italiani; studio del Dottor Alessandro Portis. (con una tavola,). Nel passato marzo il Dott. Achille Teliini, di ritorno da una escur. sione, mi consegnava un prezioso avanzo di pesce raccolto nell’Eocene delle vicinanze di Castel Madama presso Tivoli nel quale non tardai a riconoscere una quasi intatta ed enorme placca dentale di un Diodontide. La sin qui ammessa rarità di simili avanzi nei terreni terziarii italiani, la mole del nuovo esemplare rinvenuto e più ancora l’avervi riconosciute alcune particolarità per le quali pareva distaccarsi, almeno specificamente, da tutte le specie di Diodontidi fossili fin qui conosciute e descritte, mi invogliarono a farlo conoscere ed a studiarlo in confronto dei Diodonti viventi e fossili. — 353 — Ma il mio studio dapprima limitato a questo unico esemplare mi portò a ricercare se altri campioni di simile genere non fossero dap- prima stati rinvenuti in Italia e non giacessero ignorati ed innominati nelle raccolte. Egli è così che trovai nella collezione Michelotti, fin dal 1881 donata al Museo Geologico della Università di Roma, tre nuovi esemplari importantissimi pel mio lavoro e raccolti in punti e piani di- versi dei terreni terziarii dell’Alta Italia. Egli è così che ottenni in co- municazione dal sempre gentilissimo Cav. Luigi di Roasenda, campioni altrettanto importanti di sua proprietà e da lui raccolti nel Bartoniano di Gassino; e così infine ottenni dalla gentilezza del prof. Bassani la comunicazione di due originali descritti da 0. G. Costa e dal Gui- scardi e conservati nel Museo dell’Università di Napoli. Le mie vivis- sime grazie ai signori or nominati, che mi resero possibile il compire e l’estendere il presente studio. La storia dei Gimnodonti fossili è alquanto complicata pel fatto che non tutti gli scrittori dell’argomento che mi precedettero ebbero agio di aver dinanzi in un sol tempo tutti gli scritti a loro anteriori e sufficiente materiale vivente di confronto. Alcuni dei generi stabi- liti molto probabilmente non sarebbero stati messi fuori, se si fosse an- teriormente ben conosciuta la struttura degli apparati dentali delle varie specie di Diodon e Tetrodon. Escludendo dal mio studio il genere Trigonodon E. Sismonda *, stabilito per denti che più tardi vennero riconosciuti come di Sargus 1 2 ricorderò avere il Volta fin dall’ anno 1796 descritti e figurati 3 come Tetrodonti due esemplari del Monte Bolca, che più tardi l’Agassiz riunì in una sola specie di Diodonti a cui diede il nome di D. te- 1 E. Sismonda, Descrizione dei Pesci e Crostacei fossili del Piemonte (Mem. della R. Ace. d. Se. di Torino, Sez. IT, tom. X) pag. 25, tav. I, fìg. 14-16. 2 0. G. Costa, Paleontologia del Regno di Napoli (Parte I, 1848, pag. 329, tav. I, fìg. 5-8, pag. 367 ( Helodus ) ; Parte II, 1850, pag. 359, tav. V, fìg. 17-22 ; Parte III, 1853, pag. 124-132 ( Scarus , Sargus) ; negli Atti delFAcc. Pontan., Voi. V, VII, Vili. Napoli, 4°). — Costa, Descrizione di alcuni fossili dell’ Isola Pianosa presso quella dell’Elba (pag. 37-40, tav. I, fìg. 1 a_b ( Plinthodus ). — ZiTTEL, Handb. der Palaeontologie (lte Abth., 3ter Bd., S. 298 (Sargus). 3 G. S. Volta, Ittìolitologia veronese (folio, Verona, 1796) pag. 33-37, tav. Vili, fìg. 2-3. 354 — nu ispiri us * specie della quale disegnò come tipo un terzo esemplare 1 2 ricordandone altri della stessa provenienza qua e là esistenti. Muno di essi però si è reso noto per il suo sistema dentario, nè maggiori conoscenze abbiamo sul sistema dentale del D. erinaeeus Ag. 3. Per non parlare del Diodon o Teratichthys o Theralichtis antiqui - tatis Koenig, 4 * del quale non è ben stabilita la provenienza, dirò che una terza specie nominalmente stabilita dall’Agassiz è il D. Scillae 8 pella quale l’autore afferma resistenza di numerose placche dentali provenienti dalla parte meridionale d’Italia, placche che descrive som- mariamente, ma che non figura. In seguito due di queste placche dentali, trovate nella calcarea tenera di Leece (- Schlier ) vengono descritte da 0. G. Costa, il quale vi vede avanzi di crostacei e le descrive e figura denominandole Megalu- rites nitidum. 6 Le specie di Gimnodonti, che in seguito vengono man mano in- contrandosi allo stato fossile o mostrano o vengono fondate unicamente sulla presenza e caratteri di questi apparati masticatori. Così nel 1853 1’ Heckel descrive un nuovo Diodontide del Monte Postale e lo deno- mina Enneodon echinus 7, nome che viene in seguito mutato in quello di Heptadiodon echinus dal Bronn 8 e che, come vedremo in seguito, converrà ancor una volta mutare. Questi due nomi del pesce descritto 1 L. Agassiz, Recherches sur les poissons fossiles, tome II (4°, 1833-45,, Neuchàtel), pag. 273. 2 Op. cit., atlas, voi. 2°, tav. 74, fìg. 2-3. 3 Op. cit., testo, pag. 274. 4 Koenig, Icones fossilium sectiles, 1874, (n. 79, fìg. 79). — Bronn und Roemer, Lethaea geognostica, tomo 3, pag. 676. — Agassiz, Op. cit., tomo 2, pag. 273. 8 Op. cit., testo, pag. 274. - 6 0. G. Costa, Paleontol. del Regno di Napoli (Parte I, 1848; pag. 370, (140 dell’estr.), tav. X, fìg. 1-4; Parte III, 1853, pag. 155). 7 J. Heckel, Bericht ueber die uom Herrn Cavaliere Achille De-Zigno, hier angelangte Sammlung fossiler Fische (Sitztber. der Kais. Akad. der Wiss.; Math- naturwiss. Classe, XI Bd., 1853, Seite 128-138). 8 Bronn und Roemer, Lethaea geognostica , 3te Aufl., 3iter Bd., 8°, 1853-56. Stuttgart (pag. 677). — 355 — T* dall’Heckel, ma non figurato in seguito 1 2 siccome era da attendersi, riposano entrambi sui caratteri offerti dall’apparato dentario. Ancora sui caratteri offerti dall’apparato dentario, riposa la deter- minazione di una specie americana (non stata però disegnata che molti anni dopo) ritrovata nei giacimenti a fosforite di Ashley nella Carolina del Nord e chiamata dal Leidy Diodon vetus *. Un nuovo avanzo di Diodontide venne menzionato nel 1861 dal Michelotti sotto il nome di Phyllodus incertus 3, ma non venne figurato. Ne fece pure menzione (ritenendolo ancora erroneamente un Phyllodus) il Cocchi 4 * * *, che neppure ne dette figura, cosicché la conoscenza di questo prezioso fossile già da moltissimi anni addietro scoperto a Gas- sino, sfuggì in seguito, e passò al tutto inosservata, cosicché fino ad oggi si ignora o si trascura la scoperta di Diodontidi nei terreni ter- ziarii del Piemonte 8. 1 L’Heckel, nel lavoro citato, a pag. 138, prometteva dare nella seconda parte dei suoi Beitrdge ueher die Kenntniss der fossilen Fische Oesterreicks una illustrazione più accurata accompagnata da figure a complemento delle specie nella notizia stessa sommariamente descritte. Però in questa parte uscita nel voi. XI, dei Denkschriften der K. Akad. der Wissensch., Mathem-naturwiss. Cl . a Vienna nel 1855-56, 4°, con 15 tav. fol., non vien più fatta menzione, nè data figura alcuna del Diodontide che ci interessa ; per cui è forza limitarmi alla nuda descrizione precedentemente ricordata _ed alle cognizioni che quella fornisce. 2 J. Leidy, Indication of twelve species of fossil fishes (Proceed. of thè Acad. of Nat. Se. in Philadelphia, 1855-56, voi. VII, pag. 397 e seg.) — Una nuova descrizione con buone figure \enne data dallo stesso nella Déscription of verte - brate rémains chiefly from thè pkosphate-bedsof South Carolina (Journal of thè Acad. of Naturai Sciences, voi. Vili, Philadelphia, 1877, pag. 210-261, pi. 30-34, 4°) pag. 255, pi. 34, fìg. 15-18. 3 J. Michelotti, Déscription de quelques nouveaux fossiles du terrain miocène de la colline de Turin( Extr. de la Revue et Magazin de Zoologie). Paris, Aoùt 1861 ; (a pag. 3). i I. Cocchi, Monografìa dei Pharyngodopilidae, nuova famiglia di pesci dabroidi. Firenze, 4°, 1864, pag. 57. 8 II pezzo in questione, di cui parlarono il Michelotti ed il Costa, non era che il frammento anteriore di quel maggiore esemplare di cui segue la descrizione sotto il nome di Diodon Rocasendae , e la di cui conoscènza ulteriore ed esatta classificazione si potè ottenere, solo dopo che due altri importantissimi e maggiori — 35G — Nel 1872, il Delfortrie ci fa conoscere una ricca messe di Diodontidi fossili raccolte nel terziario dell’Aquitania, i quali tutti (illuso dalla speciale apparenza che può assumere la porzione anteriore delle ma- scelle dei Gimnodonti, per il fatto che la sua interna struttura è messa particolarmente in evidenza dai processi di erosione e fossiliz- zazione subiti, e credutala particolare a questi fossili da lui studiati) raccoglie in un genere appositamente creato, e nomina Gymnodus diodon , G. heterodon, G. monsegurensis L Egli è ancora nel 1872, che per opera del Guiscardi le placche dentali di Diodontidi raccolte negli anni anteriori nel calcare tenero di Lecce alle Casevecchie, vennero tolte di mezzo ai crostacei dove le aveva collocate il Costa ed, esattamente riconosciute, vennero de- scritte e figurate sotto il nome di Diodon Scillae Ag. * 1 2 Altro bene- fico effetto del lavoro del Guiscardi fu quindi lo stabilimento per l’av- venire di un esemplare tipo, a cui riferire la dapprima molto in- stabile specie agassiziana, essendosi dagli autori successivi general- mente ammesso che essa venisse rappresentata dai due esemplari fatti conoscere dal Costa e poi emendati nella interpretazione e descrizione, e nuovamente disegnati dal Guiscardi. 11 lavoro del Guiscardi non giunse però a tempo ad essere cono- sciuto al Sauvage, allorché egli descrisse una nuova specie di Diodon scoperta a Licata in Sicilia, sotto il nome di D. acanthodes 3. frammenti stati rinvenuti insieme al primo, ma di cui non era stata riconosciuta la appartenenza, vennero per opera dell’inventore ed attuale possessore, Cav. L.di Roasenda, aggiunti a complemento di quello. 1 E. Delfortrie, Les Broyeurs du Tertiaire aquitanien (extr. des Act. de la Soc. linnéenne de Bordeaux, tome XXVIII, 2me livr., Bordeaux 1871, tav. XII, fig. 54, pag. 64, dell’estr. 24-27). 2 G. Guiscardi, Annotazioni paleontologiche (Atti d. R. Acc. d. Se. fìs. e matem. di Napoli, voi. V, n. 16, Adun. del 1° giugno 1872) pag. (dell’estr.) 3-5, fig. 2-6. 3 H. E. Sauvage, Mémoire sur la Faune ichthyologique de la période ter- tiaire et plus spécialement sur les Poissons fossiles d’Oran et sur ceux dé- coucerts par M. Alby à Licata en Sicile (Ann. des Se. Géol., voi. IV, 1873, Paris, 8°, pag. 1-272, pi. 1-18, pag. 85-91-92, pi. 22, fìg. 70-72). — H. E. SAUVAGE, Synopsis des poissons tertiaires de Licata en Sicile (Ann. des Se. nat., voi. I, n. 7, pag. 4, Paris, 1870). — 357 — Le descrizioni di nuovi Diodontidi fossili si succedono rapidamente; una nuova specie viene scoperta a Bonifacio in Corsica dal Peron e descritta dal Locard sotto il nome di Phyllodus corsicanus 1 e questa risulta molto affine al Diodon Scillae A g., il quale viene ritrovato in quantità relativamente notevole nell’isola di Malta e segnalato spe- cialmente dal Leith-Adams nel 1879 1 2 3; e nell’anno successivo ilLydekker dà una prima notizia di altra specie ancor molto affine al Diodon Scillae , il Diodon Foleyi 3 trovata nell’Eocene dell’isola di Ràmri che descrive e figura in seguito nel 1886 4; mentre nel 1883 sopra un esem- plare raccolto dallo Schweinfurth nell’isola di Birket-el-Qurun (Egitto), il Dames fonda un nuovo genere di Gimnodontidi fossili coll’unica specie fin qui conosciuta Progymnodon Hilgendorji Dames 5 * * 8, distinta da un carattere che avremo a riscontrare su uno degli esemplari di cui do la descrizione appresso. Risulta da quanto sono venuto esponendo che gli è sovratutto nella regione italiana (comprendendovi Malta e la Corsica) che venne trovata la grande maggioranza di Diodontidi fossili. Fuori di questa, la regione aquitanica vien seconda per abbondanza di Diodontidi fos- sili alla italica, e poi abbiamo sinora soli tre punti isolati di scoperta di simili avanzi: uno nella Carolina del Nord, uno in Egitto ed uno nell’ India. Risulta eziandio che in quasi tutti i piani dei terreni terziari, se ne 1 A. Locard, Description de la faune des terrains tertiaires moyens de la Corse , Paris, gr. 8°, 1877, pag. 11, tav. I, fig. 1-2. 2 Leith Adams, Quat. Journal of thè Géol. Soc. London, voi. XXXV, pag. 529, London, 1879. 3 R. Lydekker, Teeth offossil fìshes from Rdmri Island and thè Punjab . (Records of thè Geol. Survey of India, voi. XIII, pag. 59-61, Calcutta, 1880, 8°). 4 R. Lydekker, Indiati tertiary and post tertiary Vertebrata : Siwalih Cro - codilia, Lacertilia and Ophidia, and tertiary Fisìies (Memoirs of thè Geol. Survey of India - Palaeontologia indica, voi. Ili, n. 7-8, Ser. X, 4°, pag. 209-258, plates XXVIII-XXXVII. Calcutta, 4°, 1886) a pag. 256-57, tav. XXXV, fig. 10-10-a. 8 W. Dames, Ueber eine tertiaere Wirbelthier — - Fauna von der Wéstlichen Insel des Birket-el-Qurun im Fajum, Aegypten (Sitzungsb. d. K. preuss. Akad. d. Wiss. zu Berlin, Sitz. d. phys. mathem. Classe, vom;8 Februar 1883, VI) pag. 1-25, (129-153) tav. Ili, (a pag. 20-24, fig. 13-a-c, fig. 14). — 358"— - possono incontrare, ma che essi principalmente abbondano nei piani eocenici ed oligocenici. Venendo ora alla descrizione, colla scorta della sovra indicata let- teratura, dei Diodontidi rinvenuti sul suolo italiano, ma fin qui non conosciuti, dirò di averli raggruppati in cinque specie, rappresentate in complesso dai nove esemplari o parti di esemplari, cinque dei quali raccolti nel Bartoniano di Gassino in Piemonte, uno raccolto nel Bar- toniano di Castel Madama, uno raccolto nel Tongriano di Mornese in Piemonte ed un altro pure piemontese e probabilmente tongriano trovato a Santa Trinità; un ultimo proviene o dal Liguriano o dal Tongriano della Collina di Torino. N. 1. — Diodon gigantodus , nov. sp. — (Tav. X, fig. 1-2). L’esemplare tipo di questa specie è; quello che è stato rinvenuto nel Bartoniano di Castel Madama. Se ne conosce una placca dentale composta di due pile di foglietti aderenti l’una all’altra colla sutura o ju- staposizione mediana. I foglietti, o loro residui, che si contano nelle pile sono in numero di dieci per l’una, e di nove per l’altra, sono alquanto convessi nella loro parte mediana verso la faccia masticante e, in corrispondenza del loro margine, ripiegati verso il fondo della mascella, con ciò lo spessore della pila in corrispondenza del margine stesso viene apparentemente aumentato. Lo spessore medio di ogni singolo foglietto è di millimetri 1,4 ; notando che in questo è compresa la parte (oltre 6/7) spettante allo smalto e la lor parte quasi nulla spettante al cemento che costituisce la faccia inferiore di ciascuna foglio-lamina. L’intiera piastra (composta delle due pile di fogli) misura dallo avanti allo indietro circa 32 mm., trasversalmente oltre 40 mm., il fondo della pila o placca era collocata nel fondo della bocca paral- lelamente al piano di masticaziene e la faccia esposta era costituita ' da un solo foglietto per ciascuna pila, foglietto il quale doveva venir consumato e poi sfondato nella sua parte centrale per lasciar scorgere e poi entrare in funzione il sottostante; così in questa specie a differenza di tutti i Diodonti fin qui conosciuti, le lamine si consumano non già dal loro margine posteriore verso l’anteriore, ma dal centro verso i mar- gini: così, invece di veder successivamente porzioni di parecchie fogli coo- peranti alla maciullazione degli alimenti, noi vediamo soltanto i residui — 359 • — periferici del foglio più elevato quasi totalmente consumato, ed un se- condo che lo ha quasi totalmente rimpiazzato avendo però già comin- ciato a sfondarsi esso stesso verso il centro ed a lasciar trasparire piccola porzione del terzo foglio. I lati della placca, costituiti dallo affioramento dei singoli fogli, lasciano scorgere una lobatura determinata da tante linee quasi ver- ticalmente discendenti lungo la pila, per modo che il contorno dei fogli successivi rimane sempre costante in tutti i suoi dettagli e le dimen- sioni del foglio più profondo sono di insignificante quantità maggiori di quelle del più superficiale. Sulla faccia concava dell’ultimo foglio della placca riuscii a scor- gere, traverso la roccia che tuttavia vi aderisce in parte, piccola por- zione dell’osso che lo reggeva, cosicché ho potuto in tal modo assicu- rarmi di aver dinanzi l’intiera serie di fogli quale si trovava nella bocca dello animale. Nessuna delle placche di Diodonti fossili, fin ora conosciute, rag- giunge le dimensioni di questa di Castel Madama *; (un Diodon Atinga che ho dinanzi, e che misura 49 centimetri di lunghezza dalla estre- mità del muso a quella della coda, ha placche dentali di soli due cen- timetri di diametro trasversale). Anche la posizione nuova ed inaspettata delle placche per riguardo alle ossa che lo reggono ed alla cavità boccale, la conseguente guisa di sostituzione delle lamine e la robu- stezza loro, la forma ed il contorno della intiera pila di lamine sono caratteri nuovi sui quali mi fondo per istituire una nuova specie alla quale do il nome, per la sua straordinaria mole, di Diodon gigantodus. Essa differisce dal Diodon Scillae Ag., per minor numero e maggior robustezza dei foglietti componenti la placca, per relativa maggior estensione dei medesimi, cosicché, la superficie masticante si protrae più verso il fondo della bocca, per avere tutti i suoi lati im- prigionati nel cemento, mentre nel Diodon Scillae , nel Diodon Foleyi , " 1 Questa gigantesca specie di Diodonti non pare destinata a rimaner lunga- mente rappresentata da un solo esemplare, ed infatti in una escursione fatta- a Cineto, sopra Tivoli, nell’aprile riuscii a scorgere sopra un masso di roccia rium- mulitifera l’impronta della faccia inferiore di una placca dentale simile e presso a poco raggiungente le dimensioni di quella disegnata nelle fìg. 1 e 2. — 360 — nel Diodon corsicanus , in quelli che Delfortrie chiamò Gymnodus diodon e Gymnodus heterodon , il bordo posteriore è libero e tende a confondersi colla faccia masticante. Il Delfortrie ha chiamato Gymnodus monsegurensis un Diodon il quale, nel contorno delle sue placche dentali e nella posizione loro per rispetto alla cavità boccale, ricorda simili caratteri del Diodon di Castel Madama. Oltre al tipo da lui chiamato con tal nome e de- scritto e rappresentato alla fig. 64 del suo lavoro, i pezzi rappresen- tati nelle figure 55, 56, ‘58, 63, paiono tutti presentare le stesse analogie e tutti dover venir raccolti nella stessa specie. E qui parmi il luogo opportuno di aggiungere che, come osserva] nella rivista dei lavori precedenti, parmi il genere Gymnodus di Delfortrie debba venire soppresso, poiché riposa in parte sulla osservazione di un carattere comune a tutti i Diodonti e che per alcuni, quelli fossili del- l’Aquitania, è stato messo particolarmente in evidenza da agenti estranei. Infatti già l’Owen nella sua classica opera sui denti dei vertebrati ci descrive con molta precisione la costituzione del margine o labbra dure della bocca dei Diodonti fatta di tante lamine dentali svolgentisi e sovrapponentisi in pile di fogli precisamente come i denti posteriori fin qui considerati. 1 L’Owen ci dice che i margini della bocca sono costituiti da tante pile di minuti fogli poco estesi, collocate di fianco Luna all’altra secondo il contorno del margine boccale e costituenti un complesso o serie che viene poi ad assumere una apparenza uni- forme dall’essere tutto rivestito tanto verso il lato boccale che verso l’esterno da un altissimo strato di cemento che si insinua inoltre tra pila e pila della serie, tra foglio e foglio di ciascuna pila. Lo stesso fatto ha riscontrato il Dames sezionando una mandibola di Diodon ; ma, estendendo lo studio alle labbra dure o ai quattro denti dei Tetrodon , si osserva, come potei constatare nelle numerose specie conservate nel Museo Zoologico dell’Università di Roma 2 che ciascuno * R. OwEN, Odonlography , London 1840-45, 8°, with Atlas. Pag. 81, tav. 88, fig. 2. 2 È mio dovere rivolgere al prof. A. Carniccio, Direttore del Museo Zoo- logico universitario di Roma i miei più vivi ringraziamenti per la somma libera- lità con cui pose a mia disposizione il veramente ricco e copioso materiale — 361 — dei cosidetti denti è formato soltanto da poche pile di fogli, anch’esse collocate tanto strettamente Funa accosto all’ altra che i loro singoli elementi si intrecciano e parzialmente si interpongono. La matrice comune di questa poco numerosa serie di pile segue la curva della base od origine del dente, ed in essa essudandosi sempre nuovi fogli, vengono i più vecchi respinti allo esterno e consumati poi per il con- trasto con quelli dell’ organo opposto nell’ atto della masticazione e della prensione. I quattro denti dei Tetrodon adunque solo in parte rappresentano le quattro pile (due a due raggruppate e costituenti le due placche interne superiore ed inferiore) di fogli del Diodon e dico in parte soltanto poiché anche 1’ Owen ricorda in alcune specie di Tetrodon, ed io ho ritrovate nella cavità boccale del Tetrodon lu- naria Schn. e del Tetrodon immaculatus, alla mascella superiore, la presenza di piccoli denti posteriori ai quattro enormi che danno il nome al genere. Tanto nei Diodontidi adunque quanto nei Tetrodontidi abbiamo a considerare un apparato dentale costituito da regione orale interna e da regione labiale o marginale le quali possono nei due ge- neri e nelle lor diverse specie assumere sempre maggior sviluppo; così possiamo aver tipi come il Diodon giganteum in cui la regione orale è molto prolungata ed allora avremo bisogno di masse dentali interne molto estese e coadiuvate da masse dentali marginali pure molto sviluppate e sporgenti allo avanti; possiamo averne altri dove la regione masticante è meno protratta e di questi troviamo esempi passando perii Diodon Atinga, il Diodon Scillae , D. corsicanus , D.Foleyi e D. heterodon in cui le masse dentali interne si van sempre più rac- corciando nella lor faccia masticante; e quando la regione masticante vien tanto più ridotta, noi passiamo dapprima ai Diodonti con placche orali raccorciate come il Diodon vetus Leidy e quello che mi accingo a descrivere sotto il nome di Diodon platgodus e successivamente ai Tetrodon con denti posteriori e poi a quei che ne son privi. Ma la porzione dentale o labiale anteriore persiste sempre e sempre con la vivente di Gimnodonti raccolti nelle ultime spedizioni (specialmente De Amezaga) e conservato, sia in preparazioni secche, sia in alcool in quel Museo. Egli è sovratutto in grazia di tal materiale se potei arrivare con sicurezza a qualche risultato nel presente studio. 24 stessa struttura e composizione, sempre mascherata e ravvolta verso la base in alto strato di cemento dal quale non sporgono sotto forma di dentellatura che i foglietti apicali destinati a cadere ed essere rim- piazzati man mano. Naturalmente le dentellature marginali saranno presso a poco in relazione col numero delle pile che costituiscono le labbra e quindi potranno, dipendentemente dalla maggiore esiguità e frequenza di quelle o dalla lor maggior estensione e scarsezza, essere tanto più fini ed intrecciate o tanto più grossolane, isolati ed a posizione e numero costanti. Il caso di apparati dentali marginali a pile fitte e moltiplicate pare il più frequente ed in esso possono venir contemplati e il Diodon Atinga e il Diodon antennatus e la maggior parte delle specie attual- mente viventi e tra i fossili quelli che Delfortrie chiamò Gymnodus heterodon e Gymnodus diodon. A quella sezione invece di Diodontidi in cui le pile della denti- zione anteriore o marginale si son fatte più rare, più estese e costanti in numero, spettano per lo più le specie fossili: cosi il Diodon vetus Leidy in cui il numero delle pile si ravvisa esser di 12 a 14 pel ma- scellare superiore e di 20 per Y inferiore \ il Diodon acanthodes Sau- vage in cui il numero delle pile è ridotto per ciascun labbro a sedici, il così detto Gymnodus monsegurensis in cui nel labbro superiore non ne abbiamo più che dieci, il cosidetto Enneodon od Heptadiodon di Heckel e Bronn in cui non ne abbiamo più che sette (caso di estrema riduzione sarebbe stato rappresentato dal cosidetto Trigonodon Oweni se la struttura dei denti di questo tipo, affatto in disaccordo con quella dei Gimnodonti, non avesse obbligato gli autori a meglio collocarlo in sistema fra gli Sparoidei nel genere Sargus); ma per i Diodontidi fin qui contemplati sia viventi che fossili, noi abbiamo solo studiato il caso nella sua più semplice guisa di presentarsi, quella cioè in cui 1 Forse si riscontra un primo accenno a questo fatto nel pezzo che il Dames descrisse qual tipo di genere particolare chiamandolo Progymnodon Hilgendorjì : pare che esso si accentui maggiormente nello esemplare disegnato alla fig. 63 del lavoro citato di Delfortrie e che si affermi e si renda deciso ed evidente in un esemplare di Gassino di cui segue in questo lavoro la descrizione e la figura sotto il nome di Diodon Rovasendae . tutte le più o meno numerose pile di foglietti costituenti il labbro od apparato dentale marginale, sono tuttavia collocate in una sola fila o ghirlanda; talvolta però il caso si complica, trovando noi specie che possiedono tale apparato dentale marginale costituito da più serie o ghirlande di pile collocate Tuna esternamente all’altra per modo che la ghirlanda posteriore od interna viene a toccare direttamente la grande placca posteriore invadendo così lo spazio soventi occupato dal forte strato di cemento che serve di letto e sovratutto d’invoglio ad entrambi i sistemi dentali, accumulato sovratutto fra l’uno e l’altro sistema e reso evidente in alcune specie dalla forte depressione che in esso come in materia più tenera, si scava per effetto della triturazione degli alimenti. Da questa discussione nasce la conseguenza che tutti i generi di Diodontidi fossili fondati sulla apparente presenza e sul numero delle pile di lamine nello apparato dentale anteriore, riposano sopra un ca- rattere già necessario e costante nel genere Diodon e soggetto sol- tanto a variabilità dentro a limiti tanto ristretti che bastano tutto al più a contraddistinguere le specie; ne viene di conseguenza che i generi Heptadiodon , Gymnodus , Progymnodon devono tutti rientrare nell’unico genere Diodon ; e quindi che le due specie di Delfortrie Gymnodus diodon e Gymnodus heterodon cadono in una sola \ alla quale per non conservare il nome specifico che risulterebbe eguale al generico della prima sua specie componente, sarà meglio conser- vare il nome specifico della seconda, rappresentato da esemplari ap- partenenti ad individui più voluminosi e probabilmente affatto adulti chiamandola Diodon heterodon Delfortrie sp. Alla specie chiamata dal Delfortrie Gymnodus monsegurensis spettano caratteri sufficienti a poterla distinguere dalla precedente, e quindi essa può venir mante- nuta sotto il nome di Diodon monsegurensis Delf. sp. 1 Infatti da quanto procede risulterebbe che unico carattere differenziale fra queste due specie sarebbe la conservazione o meno del cemento involgente ester- namente il sistema dentale marginale, conservatosi nei più piccoli e giovani indi- vidui stati qualificati Gymnodus diodon, distaccatosi dopo la morte dei più vecchi individui qualificati G. heterodon ; e dovrebbe venir qui riferito eziandio il così- detto Progymnodon Hilgendorjì in cui il numero delle pile di foglietti (pel ma- scellare superiore) non è più che di dodici. 364 — Alla stessa guisa può al V Heptadiodon echinus di Monte Postale venir modificato il nome in Diodon heptadiodon , Bronn sp., per non arrischiare un doppio impiego con specie viventi nel conservare 1’ ag- gettivo proposto dall’Heckel di echinus ; ed al Progymnodon Hilgendorfi può molto bene modificarsi il nome in Diodon Hilgendorfi Dames sp. Ma dopo le demolizioni, un po’ di riedificazione. Nei limiti del genere Diodon , sorto sulle rovine dei generi Gymno- dus , Heptadiodon , Progymnodon , Diodon preesistenti, si riscontra un organo il quale colla sua variabilità può offrirci materia e base ad una razionale divisione del genere in sezioni : l’organo in questione è la placca dentale interna (superiore od inferiore) la quale può essere costituita or da fogli altissimi, scarsi in numero e consumantisi paral- lelamente alla lor faccia libera o che diverrà libera ; e noi potremo sulla scorta di questa speciale posizione ed organizzazione della placca dentale interna stabilire una prima sezione di diodonti che chiame- remo dei Cheimediodonti. Dalla costituzione della doppia placca den- tale interna di un numero ancora assai limitato di fogli, questi ancora relativamente spessi ma collocati nella bocca in modo che la lor faccia superiore faccia un angolo molto aperto col piano di masticazione e il foglio superiore debba venir ampiamente corroso a partir dal suo margine posteriore prima di lasciar scorgere ed entrare in funzione il sottostante così che non si abbia in generale che un numero esiguo di (5-6) lamine o fogli concorrenti a formar la superficie masticante noi possiamo trarre motivo per la costituzione di una seconda sezione che* chiameremo dei Clinodiodonti : questa seconda sezione si potrebbe an- cora smembrare in due sottosezioni, alla prima delle quali si conser- verebbe il nome della sezione intiera o di Clinodiodonti veri od Elicli- nodiodonti e comprenderebbe quelle specie in cui le grandi placche dentali interne son circondate da una sola corona di denti o pile di fogli dell’apparato marginale, mentre la seconda che potrebbe assumere come distintivo il nome generico proposto dal Dames di Progimnodonti, comprenderebbe quei Clinodiodonti che come il Progymnodon Hil- gendorfi hanno le grandi placche dentali interne urtanti direttamente contro un sistema marginale costituito da pile di denticoli o di foglietti •disposti in serie multipla ed in più corone consecutive e concentriche. Ed infine, in una terza sezione che chiameremo degli Ortodiodonti, — 365 — noi potremo collocare quelli che hanno le pile dentali costituite da un numero grandissimo di fogli, questi sottilissimi, strettamente schiacciati ed aderenti l’uno all’altro; il loro piano nei successivi sollevamenti ca- gionati dallo essudarsi di sempre nuove lamine al di sotto viene {girando sul lato od estremità anteriore) ad assumere una forte incli- nazione rispetto all’asse della bocca. In conseguenza essi vengono in gran numero (10 ed oltre) a concorrere al piano di masticazione che incontrano sotto un angolo molto vicino al retto. Abbiamo rappresentanti fossili (come vedremo in seguito) di ciascuna delle indicate sezioni ; fra le specie viventi noi non troviamo invece che rappresentanti delle due ultime proposte. La specie che ho descritto sopra, Diodon gigantodus , e che mi ha condotto a tutta questa digressione, potrebbe venir presa come il rap- presentante tipo della prima sezione o dei Cheimediodontidi, la quale può eziandio comprendere la seguente specie del Bartoniano di Gassino. N. 2. — Diodon meristodus , nov. sp. — (Tav. X, fig. 3-4). Fra il materiale di Diodonti raccolto a Gassino dal cav. L. di Roa- senda e da lui conservato nella sua collezione riscontravasi un fram- mento tutto ancora rinchiuso nella roccia dalla quale non traspariva che per un fianco. Riuscito ad isolarlo completamente siccome lo pre- sentano le figure 3 e 4, riconobbi in esso una semiplacca dello interno della bocca di un Diodon. Essa deve venir completata con una porzione simmetrica alla quale avrebbe dovuto venir unita con una sutura dentata, simile a quella che percorre dallo avanti allo indietro la placca della specie precedente. Sui dati forniti da questa unica pila di fogli possiamo agevolmente conchiudere alle dimensioni della doppia pila costituente l’intera placca in 20 mm. di diametro antero-posteriore lungo la sutura e 30 mm. di maggior diametro trasversale, ed a tutti gli altri dettagli che ci potrebbe fornir la placca completa.' La pila di fogli consta di sei elementi ed avendo uno spessore complessivo di oltre 7 millimetri ne viene che ciascuno in media è alto 1,2 milimetri, di questo spessore circa un terzo è preso dal cemento gli altri due terzi dallo smalto (tutto punteggiato alla superficie siccome nelle altre specie di Diodon). — 366 — Però è notevole in questa specie il fatto di un solco (ben visibile nella figura) che attraversa dallo avanti allo indietro la faccia libera del foglietto superiore conservandosi quasi parallelo ed esterno alla sutura mediana da cui dista di circa cinque millimetri, tale solco si affonda verticalmente attraverso tutto lo spessore della lamina e delle sottostanti e noi lo incontriamo sotto forma di stretta fessura anche sulla faccia inferiore del foglio più basso, come ne scopriamo traccia, sul lato posteriore perfettamente scoperto della pila. A rendere tanto più evidente la esistenza di tale fatto durante la vita dello animale giova notare, che questa stretta fessura è piena parzialmente di cemento e che la faccia superiore di ciascuna lamina si inclina in giù in cor- rispondenza di tale solco o fessura che nella sua parte anteriore è molto ampia ed invece si perde quasi totalmente allo indietro. Del resto la faccia libera delle singole lamine in questa specie, non è pianeggiante'od ampiamente ondulata con curve costanti per tutte le lamine come nelle altre specie fin qui conosciute di Diodonti; ben più essa mostra delle depressioni e dei rilievi o tubercoli irregolari, che ne interrompono la omogeneità, e potevano concorrere a dare colla loro presenza maggior efficacia e ruvidità alla faccia masticante costi- tuita in questa specie come nella precedente, da un solo foglio per volta, il quale doveva venir consumato e sfondato totalmente prima di lasciar trasparire ed entrare in funzione il sottostante. A completare la descrizione di questo interessante esemplare, dirò che al suo lato anteriore, aderiscono ancora pochi residui delTosso ma- scellare e come io sia indotto a ritenere che esso appartenesse alla mascella superiore e che la pila che ho dinanzi non sia completa quale si trovava al punto della morte dello animale ma che se ne sieno sfo- gliate e staccate una o due lamine superiori; quelle che nell’ ultimo periodo della vita erano direttamente affette alla triturazione delle prede- Mi mancano così tutti gli elementi per giungere a cognizione dei sistema dentale marginale. Il fatto però di aver il sistema dentale interno modificato in guisa che ogni placca accenni ad esser costituita di quattro pile di fogli anzi- ché di due e l’altro di aver le superficie dei fogli irregolari è abbastanza notevole ; esso può venir interpretato come uno degli ultimi stadii di riduzione nel cammino, da un tipo di pesci munito di apparati dentali — 367 — W ■ (faringei o vomerali) ad elementi multipli, verso il tipo dei pesci dio- donti dove questi elementi non sono più che due (uno per ogni ramo della mascella o della mandibola); come uno stadio in cui gli elementi, per continua mutua fusione o saldatura, siano già ridotti a due soli per ramo e questi due abbiano già, continuando sempre nella tendenza a confondersi mutualmente, perduta troppa della loro individualità e, quasi interamente saldatisi verso il margine posteriore, sieno ancor separati dal solco ripieno di cemento verso la loro estremità anteriore. Ho preso dal fatto della parziale divisione delle singole pile in due porzioni verticali l’aggettivo per distinguere questa nuova specie di Diodonti chiamandola D. meristodus. N. 3. — Diodon platgodus, nov. sp. — (Tav. X, fìg. 5, 6, 7, 8). Da lungo tempo facevano parte, siccome materiale ancora da determi- narsi, della collezione Michelotti, donata nel 1881 al Museo Geologico Uni- versitario di Roma, due placche diodontine raccolte dal Michelotti stesso, runa nel Tongriano di Mornese (Appennino ligure), l’altra pure nel Tongriano di Santa Trinità. Pigliando occasione dallo studio del Dio- donte di Castel Madama le rinvenni e trovai opportuno studiarle e farle conoscere. Per quanto in distinte località, per quanto appaiano a primo colpo d’occhio alquanto diverse per colorazione, dimensione e andamento del contorno, reputo tuttavia probabile spettino ad una stessa ed identica specie di cui un esemplare, quello della figura 5-6, ci rappresenterebbe l’intiera placca composta delle due solite pile di fogli, compresa fra i due rami della mascella, mentre l’altro, quello di Mornese disegnato nelle figure 7 e 8, ci rappresenterebbe metà della placca (una sola delle due pile di fogli) compresa nell’arco mandibolare. L’esemplare più completo, quello di Santa Trinità, misura dallo avanti allo indietro lungo la sutura mediana 22 millimetri ; il suo mas- simo diametro trasversale (sulla faccia inferiore e circa a metà lun- ghezza del fossile) è di 36 millimetri ; ha quindi il contorno di una ellissi un po’ irregolare allungata ed appuntita trasversalmente e della quale l’arco anteriore abbia raggio un po’ minore dell’arco posteriore. Il fossile consta di dieci fogli o lamine dentali per ogni pila, ogni foglio, ha la potenza di 9/10 di millimetro, per un terzo spettanti al ce- — 368 — c mento sottostante, per due allo smalto, punteggiato come di consueto; cinque dei fogli superiori sono affetti e corrosi dalla triturazione degli alimenti e sono quindi tanto più ridotti nella loro estensione quanto più sono elevati nella serie: non essendo i singoli fogli dell'una pila assolutamente allo stesso livello con quelli dell’altra, le linee di cor- rosione delle lamine non si incontrano mutuamente sulla linea mediana, anzi, pei fogli più elevati, si alternano abbastanza regolarmente. La in- tiera faccia triturante è fatta ad ampia e poco profonda grondaia, rialzata leggermente dagli angoli laterali e pendente verso il margine posteriore della placca. Può darsi benissimo che a questo fossile manchi qualcuno dei fogli inferiori ultimamente formatisi e che se ne sia staccato per non rag- giunta sufficiente aderenza del cemento: ciò non toglie che noi possiamo considerarlo come completo ed osservare come le lamine inferiori 1 più giovani andavano man mano crescendo di ampiezza, cosicché i fianchi della placca, sovratutto i laterali e posteriori, andavano verso il basso costantemente estendendosi e dando alla placca, vista di profilo, quel- l’apparenza di tronco di cono che, persino un po’ esagerata, risulta dalla figura 6. Il fossile di Mornese, che, come dissi, considero quale metà della placca compresa fra i due rami della mandibola, consta di una pila di sei fogli che con tutta certezza non rappresenta chela parte superiore di una pila più complessa; i fogli hanno di nuovo lo spessore di 0,9 millimetri per due terzi spettante allo smalto e per un terzo al cemento ed, a giudicar dalla porzione che mi sta davanti, 1* intiera placca do- veva avere 14 millimetri di diametro antero-posteriore e 26 mm. di massimo diametro trasversale (a due terzi di lunghezza dal margine anteriore). Il suo contorno si potrebbe definire uno stretto arco di cerchio anteriormente, i due fianchi rappresentati da ancor più stretti archi che incontrano ad angolo l’arco anteriore e che si perdono nel mar- gine posteriore : questo da altro arco di molto maggior raggio, oppure 4 Dovrei piuttosto dire, trattandosi della placca superiore, le lamine supe- riori; ma dovendo studiare il fossile rovesciato ne viene questa piccola inesattezza inevitabile e che d’altronde non cagiona errori ed è facilmente rettificabile. — 369 — quasi rettilineo. Tutti i fogli presenti in questo fossile concorrevano ed erano corrosi dalla faccia di triturazione. Il foglio supremo è quasi total- mente scomparso, gli altri compaiono, siccome ampie striscie che fanno un ansa appuntita verso 1’ indietro in corrispondenza della sutura me- diana ed altra curva più dolce in corrispondenza deli’ angolo esterno della placca. La faccia triturante stessa, pendente dallo avanti allo indietro, si presenta quasi convessa secondo la linea mediana per rispetto ai margini. Come ho ora accennato, ritengo questa placca come appartenente alla mandibola della stessa specie che al palato portava placche simili a quella trovata a Santa Trinità, e mi sono indotto a questa identifi- cazione dalla osservazione dei rapporti correnti tanto per Puna quanto per l’altra fra il diametro antero-posteriore ed il trasversale, dalla os- servazione della forma, spessore, costituzione, inclinazione, sviluppo, modo di consumazione dei fogli costituenti le due forme di pile, e dalla costanza del numero di fogli affetti in entrambe le placche alla faccia triturante ; e ciò quantunque la differenza di forma della superficie, dipen- dente dalla differenza di posizione nella bocca, non possa dar luogo ad assolute identità. Pigliando per questa specie l’aggettivo dallo enorme sviluppo del- l’asse trasverso di queste placche in confronto dell’asse antero-poste- riore, propongo di chiamarla col nome di Diodon platyodus . Ora, a parte lo sviluppo trasversale considerato quale carattere specifico, io trovo grande relazione fra il Diodon platyodus e il Diodon antennatus vivente, il quale presenta inoltre Papparato dentale mandi- bolare interno molto ravvicinato ed internato nell’ arco al corrispon- dente apparato marginale o labiale, cosichè il solco compreso fra questo e quello, è di poco maggiore dei solchi determinati dalla interruzione delle singole lamine costituenti la faccia triturante di quello. Ed insisto su questa osservazione, poiché essa viene in parte a contraddire 1’ osservazione del Dames in proposito. Egli, in base alla sezione antero-posteriore di un’ unica mascella di un Diodon di cui non è indicata la specie, afferma, constatando l’esistenza tra le placche den- tali posteriori e le laminette anteriori dei becco di un intervallo piut- tosto considerevole, ripieno di cemento, afferma che per la minor durezza — 370 — del cemento stesso debba esistere durante la vita e per la persistente masticazione un affondamento che interrompe la continuità dal becco alla placca principale. L’osservazione del Dames è giustissima per tutte le specie di Diodonti, se noi la trasportiamo dal mascellare inferiore al superiore, chè là l’apparato boccale sporge e si isola realmente in modo decisamente visibile, ma per il mascellare inferiore la osserva- zione del Dames non regge che per quei Dìodontidi i quali hanno le masse dentali costituite da un grandissimo numero di fogli e questi obbligati a girare alquanto sul loro asse trasverso nell’ atto che ven- gono portate allo insù (mia sezione degli Ortodiodonti) essendo in quelle specie le placche dentali collocate alquanto più allo indietro nella bocca ed avviluppate da un alto strato di cemento; non regge invece per le specie che hanno le placche costituite da pochi fogli e poco raddriz- zati, poiché tali placche si raccostano invece e si frappongano diret- tamente nell’arco della mandibola sulla quale si modellano, la lor faccia triturante viene quindi quasi direttamente a continuarsi col labbro den- ticolato in un sol piano. E ciò tanto bene si osserva nel Diodon an - tennatus vivente, quanto nel Diodon acanthodes Sauvage, di Licata. Ne viene di conseguenza che il carattere su cui si è fondato so- vratutto il Dames per la costituzione del genere Progymnodon, la man- canza, cioè, di un interruzione che separi il labbro duro dalla conse- cutiva placca a doppia pila di fogli, non esiste più nel Progymnodon Hilgendorfi di quel che esista in altre specie di Diodonti e cade per conseguenza la ragione per tenere la specie del Damés in un genero particolare. Anche le pile di foglietti costituenti l’apparato anteriore o labbro duro del Diodon o Progymnodon Hilgendorfi trovano la loro spie- gazione dopo quanto ho detto nella discussione del genere Gymnodus di Delfortrie. Dopo ciò debbo aggiungere che il Diodon platyodus presenta bensì, nella posizione delle lamine e conseguentemente nel modo di lor con- sumazione, una certa lontana analogia colla specie del Dames (che troveremo maggiore tra la specie del Dames stesso e la specie D. Ro- vasendae ), ma che i caratteri per cui a quella maggiormente si avvicina sono: 1° lo sviluppo considerevole del diametro trasverso della placca in confronto collo antero-postèriore, e, 2° il raccostamelo, rinclusione — 371 — quasi diretta della placca nell’arco mandibolare; caratteri che entrambi sembrano comuni tanto al Diodon Hilgendorfi quanto al Diodon platyodus . 1 Sono infine in dovere di aggiungere che finora non sono riuscito a constatare alcun rapporto, nemmeno per le specie viventi, fra il ca- rattere tratto dal numero e posizione delle làmine nelle placche den- tali e quello tratto dal numero delle radici degli aculei tegumentali che serve come base di una prima divisione dei Diodonti contemporanei, per modo che non si può ancora sperare di sostituire l’uno all’altro questi due caratteri adoperando l’uno dove non sia possibile scoprire i det- tagli su cui l’altro si fonda. N. 4. — Diodon Rovasendae , nov. sp. — (Tav. X, fig. 9, 10, 11, 12, 13) sin. Phyllodus incertus , Michelotti. L’esemplare tipo di questa specie fu trovato dal eav. L. Di Roa- senda nel calcare di Gassino. Nello estrarlo dalla roccia esso si spezzò ed i frammenti vennero per lunghi anni conservati disgiunti. Ciascun frammento, esaminato a sè, offriva un’ apparenza ben distinta dall’altra e in tale stato vennero esaminati e studiati dal Michelotti e dal Cocchi, i quali, sovratutto in considerazione del frammento anteriore, si accorda- rono a ritener l’esemplare come appartenente ad un Phyllodus. Ma nel 1864 il cav. di Roasenda pensò di accostare i pezzi ; ed essi si ria- dattarono mutuamente in modo così perfetto da ottenere la completa restaurazione dello esemplare come vien rappresentato dalla indicata figura. La restaurazione essendo però posteriore alla pubblicazione dello studio del Cocchi sui F aringo dopili dì , egli non ebbe più agio di ri- studiare l’esemplare completo e di toglier per conseguenza la relativa menzione fatta in mezzo alle specie di Phyllodus. Il prezioso fossile è 1 Dopo esaminati i caratteri offerti dal Diodon platyodus , potei infine procu- rarmi il lavoro del Leidy, che contiene le figure del Diodon vetus e potei accer- tarmi che in quella specie il carattere platyodonte è ancora più esagerato e marcato che non nella nostra. L’esame del sistema dentale del Diodon vetus mi conferma tanto più su quanto dissi a proposito dal Diodon Hilgendorfi, col quale (specialmente l’esemplare della fig. 15 a e b, 17 e 18 di Leidy) presenta straor- dinarie somiglianze. — 372 — quindi seguitato a rimaner indeterminato nelle mani del cav. di Roa- senda che consentì gentilmente ad inviarmelo in istudio quando, facen- dogli vedere il fossile di Castel Madama, lo pregai a volermi comunicare tutto il materiale dello stesso genere che egli possedesse. Appartengono eziandio alla collezione Roasenda i tre pezzi rinve- nuti nel calcare di Gassino che ho fatti disegnare, fìg. 10-11, fig. 12 e fìg. 13, esemplari meno perfetti che riferisco alla medesima specie. Il fossile più perfetto consta di due parti : la parte posteriore, la solita grande placca costituita di due pile di fogli unite sulla linea me- diana da una evidente sutura longitudinale; la parte anteriore costi- tuita da una ghirlanda semplice ai fianchi, doppia nel mezzo, di minori pile di fogli e che circonda il margine anteriore della nominata placca. L/ intero fossile misura dallo avanti allo indietro, sulla linea me- diana, 22 mm. e trasversalmente, sul suo maggior diametro (collocato molto allo indietro e ben presso il margine posteriore), 20 mm. La placca posteriore è lunga a sè sola 16 mm. ; essa consta di sei fogli per cia- scuna pila e lo spessore medio di ciascun foglio è di mm. 0,9, spessore per tre quarti circa occupato dallo smalto e per il quarto restante dal cemento. È notevole la forma ed il contorno della placca; è circoscritta allo avanti ed ai fianchi da una stessa stretta semielisse che si incontra con un angolo maggiore del retto in un arco pochissimo ricurvo che costituisce il lato posteriore; quindi, come accennavo alle dimensioni» essa è aperta a ventaglio allo indietro ed il suo maggior diametro trasversale, mentre unisce i due angoli posteriori, corre a breve distanza davanti il margine posteriore stesso. Ancora assai particolare è il modo seguito nello entrare in fun- zione delle singole lamine o fogli delle pile; esse si devono trovare nella bocca assai inclinate per rispetto all'asse della cavità boccale, e la superfìcie di masticazione della intiera placca deve necessariamente essere stata divisa in due con pendenze opposte, cioè, Tuna posteriore con pendenza allo indietro, l’altra anteriore con pendenza anteriore. Egli è solo in questo modo spiegabile il numero e il modo di entrata in funzione ed in distruzione dei singoli fogli, poiché noi ne vediamo quattro che sono in funzione, sotto un angolo acuto, per la loro sezione > mentre il foglio il più elevato della serie e sovrastante ai quattro or considerati, si consumava presso a poco nello stesso senso, ma anche un poco per superficie, e quindi molto più rapidamente; come si vede nella pila sinistra di questo esemplare e nelle pile isolate disegnate, fig. 12 e 13, il foglio più elevato è ad un tratto ridotto a meno della metà del foglio secondo, mentre questo presenta relativamente poco sensibile diminuzione di estensione dal foglio che gli sta immediata- mente al disotto. Con questa specie abbiamo quindi ben graduato il passaggio dalla sezione dei Clinodiodonti a quella degli Ortodiodonti. Passando poi allo apparato dentale marginale, esso è costituito da una spessa ghirlanda di meno estese pile di fogli che abbraccia la porzione mediana e più acuta di quella semielisse che ho detto costituire inter- rottamente e il lato anteriore ed i laterali della gran placca; i fogli che costituiscono le minori pile sono a contorni irregolarmente tondeg- gianti, talora anche poligonali per incontro con pile vicine; sono for- temente convessi alla lor regione centrale eripiegati ai margini. Le pile si trovano in serie unica solo ai due capi della ghirlanda; nella mag- gior parte della sua lunghezza invece, noi le troviamo in serie doppia così che gli elementi della anteriore si alternano e si inseriscono a cuneo fra quelli della posteriore; il tutto poi è compreso nella pasta uni- forme del cemento che si frappone fra l’uno e l’altro elemento e tutti li involge allo avanti. La roccia ancor aderente mi impedisce di vedere e stabilire di quanti fogli constino in media le pile marginali, ma non ritengo aver questo dettaglio straordinaria importanza per la esatta conoscenza della specie; piuttosto ricorderò come la ghirlanda di minori elementi non abbia la sua sommità libera allo stesso livello della faccia masticante della gran placca posteriore; e presso al suo margine anteriore questa è visibilmente più bassa'di quella e ne rimane fra l’uno e 1’ altro sistema una depressione o solco trasversale curvo che negli inizii della vita attiva doveva venir mascherata dal cemento, e solo in seguito, col con- sumarsi di questo, si rendeva sempre più profondo e manifesto. È mia opinione, dietro esame della sua forma e dietro compara- zione col vivente, che questo sistema dovesse appartenere alla metà inferiore della bocca. Ritengo spetti ancora alla stessa specie ed alla metà inferiore della bocca la porzione di semipila rappresentata alla fig. 13; la forma del — 374 — suo contorno ed il suo modo di consumarsi per l’uso sono identici a quelli del fossile principale e le dimensioni si accorderebbero abba- stanza bene. Il colore di questo fossile è di un bel nero per lo smalto e bianco pel cemento (mentre nel fossile principale le lamine superiori erano marrone chiaro e le più profonde sempre più oscure ed accennanti al nero). La semiplacca o pila isolata consta dei tre fogli immediatamente sottoposti al più elevato e ridotto dall’uso, questo che era stato ridotto a una metà circa della sua estensione, si è staccato dopo la morte dell’animale ed ha lasciata la propria traccia sul foglio oggidì il più elevato, traccia che è ancora ben evidente nella figura. Anche dal di- sotto si scorge la traccia di mancanza di fogli più giovani. Ancora allo apparato mandibolare della stessa specie ascrivo la semiplacca o pila isolata rappresentata nella fig. 12; qui però il modo di consumarsi dei fogli è, forse per malattia o difetto di forma dell'ap- parato mandibolare che lo reggeva, alquanto anormale; esso avveniva tanto dal lato posteriore che dal margine esterno (destro). Di questa pila non ci restano che i quattro fogli superiori, il più elevato dei quali occupa uno spazio minore della metà di quello che lo sopporta. Il co- lore è qui bruno nerastro per lo smalto e, come di consueto bianco pei sottili strati di cemento interposti. Riferisco poi alla metà superiore della bocca la semiplacca o pila isolata riprodotta nelle fig. 10 e 11 ; consta ancora di quattro fogli di coloi*’ bruno nerastro, ma il più elevato di oggi doveva in vita dello animale sopportarne ancora qualcuno, essendo egli solo leggermente corroso al suo margine posteriore, ciò che mi indica esser stato il più giovane fra quelìi che si trovavano in esercizio al momento della morte dello animale. Al disotto del foglio più profondo mancano pure altri foglietti di riserva. Il contorno di questa semiplacca è un po’ diverso da quello che contraddistingueva il fossile principale ed i due frammenti di cui parlai or ora. Qui abbiamo un margine anteriore trasversale parallelo al mar- gine posteriore ed il margine laterale esterno arrotondato ad arco di cerchio. L’ intiera placca avrebbe misurato, sulla sua faccia superiore, 9,5 mm. di lunghezza lungo la sutura mediana, e 16 mm. di massima larghezza (esattamente a metà della sua lunghezza). w- ~r 375 — Questo esemplare è reso notevole dalla relazione di immediato con- tatto con un dentino molto convesso a superficie piriforme, che sta sor- retto ed in parte mascherato dallo stesso calcare reggente la semi- placca; la sua faccia libera è però rivolta in senso diametralmente opposto alla direzione della faccia libera della placca. Evidentemente questo dentino doveva far parte di un sistema di altri a lui simili coi quali si trovava strettamente legato, donde la sua forma parzialmente compressa; poteva forse far parte di un apparecchio dentale labiale di un Diodontide, non opponendosi la sua convessità e la sua forma ad accettar la supposizione, poiché forma esterna simile si osserva in alcuni degli elementi della ghirlanda marginale descritta pel fossile principale; ma tanto meglio poteva essere un elemento della dentatura di un qualche Labroide e solo casualmente essere stato portato ed in seguito fissato in prossimità ad immediato contatto con un avanzo di Diodontide. Nelle figure 10 e 11 questo dentino è stato disegnato nella sua pre- sente posizione. I’caratteri dimostrati dallo apparato dentale del Diodon Rovasendae , caratteri che si dimostrano costanti tanto nella placca completa quanto nei minori frammenti, non si riscontrano in alcuna delle specie fin qui segnalate allo stato fossile, e nemmeno, eh’ io mi sappia, in alcuna specie vivente. Anche il Diodon ( Progymnodon ) Hilgendorjì di Dames si mostra ben diverso da questo nostro, sia per aver il sistema dentale esteso trasversalmente e molto breve, sia per il modo di consumarsi e di entrare in esercizio dei successivi fogli, sia per la continuità di- retta della faccia triturante della placca posteriore con quelle dello apparato labiale, sia per la costituzione dello apparato labiale o mar- ginale, caratteri tutti che troviamo ben diversamente modificati nel Diodon Rovasendae, Per me il Diodon Rovasendae rappresenterebbe un passaggio inter- medio fra la sezione dei Clinodiodontidi e quella degli Ortodiodontidi avendo, della prima, lo scarso numero e la spessezza dei fogli ; della seconda, la posizione dei fogli stessi per rispetto alla faccia comples- siva di masticazione ed il conseguente lor modo di consumarsi. — 376 = N. 5. — Diodon stenodus, nov. sp. — (Tav. X, fìg. 14, 15). Insieme ai due esemplari di cui ho parlato sotto l’articolo Diodon platyodus rinvenni nella collezione Michelotti l’esemplare che ho fatto riprodurre sotto la fig. 14 per la faccia triturante e la 15 per le faccie esterna e posteriore. Trattasi anche qui di una semiplacca o pila isolata di foglietti, la quale si distingue a primo colpo d’occhio dalle congeneri precedente- mente descritte per la forma e ristrettezza sua, e per la estrema esi- guità dei foglietti che la compongono. Supponendo, com’è molto agevole, completata questa semiplacca colla pila sua simmetrica, noi avremmo un apparato dentale orale mi- surante dallo avanti allo indietro, lungo la sutura mediana, 12 mm. e trasversalmente, secondo il maggior diametro (a due terzi circa della lunghezza partendo dal margine anteriore), mm. 16. Non ha quasi mar- gine anteriore, verso il quale termina a cuneo; ha invece un molto esteso e quasi retto fianco antero-laterale il quale si incontra ad an- golo ottuso col lato postero-laterale. Così il lato posteriore era costi- tuito da due metà incontrantesi ad angolo molto aperto in coincidenza della sutura mediana. La pila unica che ci rimane consta di non meno di 16 foglietti alti in media 0,05 millimetri caduno, nel quale spessore è compreso anche quello del velo di cemento frapposto tra foglio e foglio ; dal fondo della pila mancano probabilmente foglietti dei quali non posso apprezzare il numero; dalla sommità ne mancano pure i residui dei foglietti superiori, in parte consumati, il cui numero, dato l’angolo che faceva il piano della faccia triturante coll’asse normale della pila, doveva elevarsi a non più di 9, a non meno di 8. Oltre a questi la faccia triturante si estende ancora sui primi cinque dei foglietti conservatici; essa doveva per conse- guenza interessarne da 13 a 14, numero presso a poco eguale a quello dei fogli in pari condizione negli originali Costa-Guiscardi del Diodon Scillae . L’angolo fatto dalla faccia triturante col piano di ciascun foglietto è di circa 45 gradi, siccome si ravvisa nel Diodon Scillae , nel Diodon Foleyi di Lydekker, nel Phyllodus ( Diodon ) corsicanus di Locard ed in quelli che il Delfortrie chiama Gymnodus diodon e G. lieterodon. — 377 — In tutte queste specie noi abbiamo infatti una ghiandola o matrice dentigera collocata in fondo ma molto allo avanti della cavità boccale e quasi verticalmente sovrapposto o sottoposto al margine boccale; le lamine essudate da questa matrice, inclinate dapprima dall’alto ed avanti all’ in basso e indietro (per la mascella inferiore) compiono, col portarsi al livello da poter venir adoprate, un tragitto verticale assai lungo ed un movimento giratorio sull’asse passante pel bordo anteriore; per effetto di tale movimento il margine posteriore descrive un arco eguale presso a poco ad un ottavo di circolo. Effetto di questo cambiamento di piano si è appunto il presentare in seguito le lamine con un angolo molto sentito in confronto della direzione dell’asse della bocca e del piano di triturazione, quindi Tesserne i fogli intaccati per costa ed in grande numero, come si scorge, sebbene in grado non così elevato, nel Diodon Atinga , vivente e adulto, dove i fogli intaccati sono non meno di 16 tanto per la mascella superiore che per la mandibola. Non debbo tacere che l’originale che sto descrivendo mostra, là dove si può avere a nudo la faccia superiore dei fogli, una rugosità molto accentuata, rugosità che altrettanto marcata osservai sui fogli del Diodon Scillae , e che sebbene non ne parlino il Lydekker ed il Locard, parmi veder parzialmente riprodotti nei disegni del Diodon Foleyi e del Phyl - lodus {Diodon) corsicanus. Tale rugosità è un ulteriore avanzamento dello stadio di ornamentazione delle stesse superfìci fatto a tanti forel- lini come fitte punture di spillo che descrivono gli autori per altre specie di Diodonti fossili. Nei minutissimi rilievi lasciati tra le fìtte rughe della faccia superiore di un foglio si alloga, mentre ancora gli sovrastano altri fogli, il cemento il quale non ha, si può dire, in questa specie a fogli esili altro sviluppo. Le rugosità traspaiono poi successivamente colla corrosione operata dall’atto del masticare, e servono così a dare quasi insensibile ruvidità od una leggiadrissima e minutissima frasta- gliatura ai margini dei singoli fogli e conseguentemente alla intiera faccia di triturazione la quale altrimenti sarebbe perfettamente lisciai ed omogenea. Una ulteriore esagerazione di questo carattere ci potrebbe » poi portare a quel po’ di pieghettatura (che ricorda da lontano la più grossolana pieghettatura nelle faccie parallele esterne delle singole la- mine nei denti complessi degli elefanti) che incontriamo, discernibile agevolmente, sulla faccia superiore dei fogli componenti le placche del 25 Diodon Atinga, e che danno alla faccia triturante della placca l’appa- renza ed il modo di funzionare di una raspa. Dalla descrizione che precede rileviamo adunque che il fossile in questione, se presenta incontrastabile analogia con alcune delle specie fossili conosciute di Diodon , si stacca però da tutte per la forma spe- ciale della placca dentale (unico pezzo che noi conosciamo), forma spe- ciale che si traduce nella ristrettezza ed acuminatezza del lato ante- riore e nella ristrettezza dello intiero pezzo e conseguentemente nella esigua prevalenza del diametro trasversale sull’antero--posteriore. Da questa ristrettezza ho preso il qualificativo per la nuova specie che propongo di farne, chiamandola Diodon stenodus. L’unico pezzo conosciuto di Diodon stenodus è questo, conservato nella collezione Michelotti al Museo Geologico della Università di Roma e rinvenuto nelle sabbie serpentinose (Langhiano od Elveziano?) della Collina di Torino. Da quanto venni fin qui esponendo risulta: 1° Che invece di proporre la creazione di un nuovo genere per il Diodon Scillae ed il Diodon corsicanus (e conseguentemente il Diodon Foleyi)> come opina il Dames, opera cit., pag. 151, è cosa più prudente il proporre la soppressione di tutti i generi fin qui stabiliti per Gi- mnodonti fossili, quali: Heptadiodon , Gymnodus e Progymnodon , e raggruppar tutte le specie che essi contengono assieme a quelle già portate nel genere Diodon ; 2° Che questo genere di pesci, i di cui presenti limiti di distri- buzione geografica sono abbastanza ristretti, era rappresentato con suf- ficiente frequenza di specie e di individui nelle regioni circummediter- ranee nei tempi che trascorsero dalla formazione dei depositi suesso - niani a quelli in cui si formarono i depositi messiniani ; era rap- presentato pure isolatamente tanto nelTIndia e nell’Egitto che nella Carolina al finir dell’Eocene; 3° Che le specie di Diodonti fossili fin qui conosciute sommano a sedici, cioè: V Diodon Foleyi Lydekker. — Eocene indet. 2° Diodon vetus Leidy. — Eocene indet. 3° Diodon Hilgendorfi Dames, sp. (= Progymnodon Hilgen - dorfi Dames). — Eocene sup. od Oligocene. 4° Diodon heptadiodon Bronn, sp. (= Heptadiodon echinus Bronn). — Suessoniano. 5° Diodon erinaeeus Agassiz. — Suessoniano. 6® Diodon tenuispinis Agassiz. — Suessoniano. 7° Diodon gigantodus Portis. — Bartoniano. 8° Diodon meristodus Portis. — Bartoniano. 9° Diodon Rovasendae Portis. — (. Phgllodus incertus Michelotti e Costa). — Bartoniano. 10° Diodon platyodus Portis. — Tongriano. 11° Diodon heterodon Delf., sp. (= Gymnodus diodon 4* G. he- terodon Delfortrie). — Aquitaniano. 12° Diodon monsegurensis Delf., sp. (= Gymnodus monsegu- rensis Delfortrie). — Aquitaniano. 13° Diodon Scillae Agassiz. — Langhiano. 14° Diodon stenodus Portis. - Langhiano od Elveziano. 15° Diodon corsicanus Locard, sp. (= Phyllodus corsicanus Locard), — Elveziano o Tortoniano. 16° Diodon acanthodes Sauvage. — Messiniano. 4° Che di sedici specie di Diodontidi fossili conosciute, non meno di undici appartengono geograficamente all’ Italia e si incontrano dis- seminate nei vari piani dei suoi terreni terziarii, prevalentemente però nei piani eocenici superiori; 5° Che volendo raggruppare tutte le specie di Diodontidi fossili nelle tre sezioni da me proposte nelle pagine precedenti, noi le trove- remmo distribuite nel modo seguente: 1* Sezione. — Cheimediodonti o Diodonti cheimefilli. 1° Diodon gigantodus Portis? 2° Diodon meristodus Portis ? 3° Diodon monsegurensis Delf., sp. _2a Sezione. — Clinodiodonti o Diodonti clinofilli. 1° Diodon erinaeeus Agass.? 2° Diodon tenuispinis Agass.? — 380 — 3° Diodon vetus Leidy. 4° Diodon plaigodus Portis. o° Diodon heptadiodon Bronn, sp. 6° Diodon acanthodes Sauvg. 7° Diodon Hilgendorfi Dames. 8° Diodon Rovasendae Portis. 3a Sezione. — Ortodiodonti o Diodonti ortofilli. 1° Diodon heterodon Delf., sp. 2° Diodon corsieanus Locard, sp. 3° Diodon Foleyi Lydekk. 4° Diodon Scillae Agass. 5° Diodon stenodus Portis. Dove si vede che la sezione più antica pare momentaneamente quella dei Cheimefilli e che le due sezioni dei Clinofilli e degli Orto- filli, comparse e sviluppatesi quasi contemporaneamente, si sono en- trambe continuate fino ai nostri dì, entrambe contando numerose specie fra i Diodonti viventi. oli. del R. Com. Geol. d’Italia Anno 1889 Tav. X (A. Portis) PLACCHE DENTALI DI GIMNODONTI FOSSILI ITALIANI 8 ’ilsss- — 381 — NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER L’ANNO 1888 {Continuazione, e fine; v. fase. 9-10). Ricciardi L. — Sull* azione dell'acqua del mare nei vulcani. (Atti Soc. It. Se. Nat., XXXI, 2°). — Milano. Il Dana, avendo recentemente visitati i vulcani delle Isole Hawai, notò tra i fatti più importanti questo, che le eruzioni non* vi danno indizio alcuno dell* inter- vento dell’acqua salina. Da ciò l’autore trae argomento per insistere nella ipotesi, oramai general- mente accettata, dell’intervento dell’acqua marina nelle eruzioni; chè altrimenti non si potrebbe spiegare l’enorme quantità d’acqua emessa in più occasioni dai vulcani, nè l’abbondanza dell’acido cloridrico fra i prodotti vulcanici; e cadrebbero le conclusioni alle quali egli, basandosi su dati di fatto, pervenne intorno al gra- duale passaggio delle roccie acide a basiche. Ricciardi L. — Confronti fra le roccie degli Euganei , del Monte Amiata e della Pantelleria. (Atti Soc. It. Se. Nat., XXXI, 2°). — Milano. Proseguendo le sue ricerche di chimica vulcanologica, l’autore sottopone ad esame comparativo le roccie degli Euganei, del Monte Amiata e della Pantelleria dandone parecchie analisi, sue e di altri: e mette in evidenza la conferma che da tale esame ricevono le idee da lui precedentemente esposte intorno alla succes- sione delle roccie ed aH’allineamento dei vulcani italiani. Ricciardi L. — Sulle roccie vulcaniche di Rossena nell' Emilia. (Atti Soc. It. Se. Nat., XXXI, 2°). — Milano. L’autore descrive la diabase di Rossena ed i suoi rapporti con le formazioni con le quali è in contatto, e ne dà la composizione chimica comparandola con altre diabasi italiane. Dà pure i risultati dell’analisi chimica d’una serpentina dial- agica della stessa località. — 382 — T Ricciardi L. — Ricerche di chimica vulcanologica sulle roccie dei Vulcani Vulsinii. (Gazzetta chimica italiana, T. XVIII). — Palermo. Di queste roccie Fautore, oltre all’analisi chimica da lui eseguita, dà le prò prietà macroscopiche e microscopiche riassumendole da un lavoro del prof. Klein. Ristori G. — Alcuni crostacei del miocene medio italiano. (Mem. Soc. tose. Se. Nat., IX). — Pisa. Le specie dall’autore esaminate in questa nota sono : Xantho? Manzoni nov. sp. ; Eriphia sp. ind. ; Neptunus granulatus M. Edw.; Callianassa Desma- restiana M. Edw.; gli esemplari che gli servirono per lo studio provengono in parte dalla Sardegna. La memoria è accompagnata da una tavola. Rota G. — Ricerche chimico-mineralogiche su alcuni minerali poco noti di Val Lanterna ( Valtellina ) eseguite nel laboratorio chimico della R. Università di Torino. — Sondrio, 1888. In questa nota l’autore enumera ed illustra alcune importanti specie minerali da lui riconosciute in Val Lanterna. Fra queste ha in modo speciale studiato chi- micamente e cristallograficamente la breunnerite ; ed un altro minerale, del quale non potè avere materiale conveniente per uno studio definitivo, ed è un idro-silicato di allumina, cromo e calcio probabilmente derivato da una mica verde o forse da clorite.’ La clorite è colà rappresentata dalla ripidolite e dal clinocloro; l’ antibolo vi è largamente rappresentato (tremolite, attinoto, asbesto, amianto, orneblenda). Tro* vasi pure un granato verde (melanite) già studiato dal prof. Cossa, ed una gros- sularia; ed infine il rutilo, la titanite e la perowskite, ecc. L’autore dà pure alcune sommarie nozioni della stratigrafia della regione. Rovello A. — Coltivazioni delle sabbie aurifere dell' Orco e del Ma- Ione. (Rivista Servizio minerario pel 1886). — Roma, 1888. Le ricerche eseguite in presenza dell’autore ebbero luogo nelle colline di Ca- stellamonte e Rivara e nelle alluvioni di S. Benigno. L’oro è in pagliette visibili all’occhio nudo: la sua esistenza nelle due località può spiegarsi osservando che le colline di Castellamonte e Rivara sono il residuo dell’antico cono di deiezione del torrente Orco, e la pianura è formata dalle alluvioni provenienti dallo sfacelo di quel cono e dalia erosione attuale. L’oro proveniente dai filoni auriferi delle roccie cristalline delle Alpi, avrebbe subita una prima lavatura nella formazione del cono ed una seconda nella sua distruzione. Il tenore in oro è molto vario ; mancano però dati certi. Sacco F. — Sur V origine du loess en Piémont. (Bull. Soc. Géol. Fr., 3me Sèrie, XVI, 3). — Paris. Per facilità di studio, più che per naturale e netta separazione, l’autore divide questo terreno nel Piemonte in loess della pianura, loess delle colline e loess delle montagne, e ne discorre paratamente suddividendolo in ordine d’età in sahariano, terrazziano e recente. Egli conclude: che il loess, depositatosi specialmente alla fine dell’epoca glaciale o sahariana, continua a formarsi dei nostri giorni: che quello della pianura fu depositato dai grandi corsi d’acqua che andarono restrin- gendosi sino ai loro letti attuali: che quello delle colline si formò sopratutto, al- meno il sahariano, per azione delle acque piovane discendenti lungo i fianchi delle colline stesse; e che infine il loess delle montagne si formò nell’epoca sahariana in istretto rapporto con i fenomeni glaciali, ma esso raramente rappresenta vero fango glaciale, e in generale è il deposito d’ importanti corsi d’acqua molto torbidi, alimentati in parte dalla fusione dei ghiacciai, ovvero si formò in bacini lacustri od anche come quello delle colline. Sacco F. — Studio geologico dei dintorni di Guarene d* Alba. (Atti R. Acc. Se. Torino, XXIII, 3°). — Torino. È la descrizione dei terreni riconosciuti nei dintorni di Guarene d’Alba, corre- data da una Carta geologica al 1/25 000. Osserva poi l’autore che, sebbene le località finora studiate nel bacino terziario del Piemonte per i loro fossili vegetali si riducano a tre (fra cui quella qui indicata), egli riscontrò in moltissimi punti ed in quasi tutti gli orizzonti geologici quantità più o meno grandi di tali fossili. Sacco F. — Aggiunte alla fauna malacologica estramarina fossile del Piemonte e della Liguria. (Mem. Acc. Se. Torino, S. II, voi. XXXIX). — Torino. L’autore, che da quattro anni si occupa della fauna malacologica estramarina fossile del Piemonte e della Liguria, ha portato il numero delle forme da 20 ad oltre 400, delle quali più della metà nuove. Dei risultati dei suoi studii diede conto già in precedenti lavori, che completa con la presente memoria, nella quale de- scrive molte specie dandone la sinonimia e rappresentando le nuove in due tavole. — 384 — Sacco F. — Sopra alcuni Potamides del bacino terziario del Piemonte . (Boll. Soc. mal. it., XIII). — Pisa. Per questo studio l’autore si servì, oltre che del proprio materiale, di quello esistente nelle collezioni Gastaldi (Museo geol. di Torino), Roasenda, Perrando (Museo geol. di Genova) e Michelotti (Museo geol. di Roma). Dopo di avere descritte le forme, l’autore dà in due tabelle un tentativo di raggruppamento di alcune di esse. Accompagnano la nota quattro tavole. Sacco F. — Note di Paleoicnologia italiana. — Torino, 1888. — Idem. (Atti Soc. It. Se. Nat., XXXI, 2#). — Milano. L'origine delle impronte fossili di cui l’autore s’occupa è ancora molto dubbia : taluni le considerano come alghe, ed altri le fanno derivare da fenomeni inorganici o dal passaggio di asteridi, vermi, crostacei, ecc. In questa nota sono descritte e rappresentate molte forme, di cui varie costi- tuiscono specie, ed anche generi nuovi, e che in gran parte furono dall’autore raccolte nel bacino terziario del Piemonte. Sacco F. — Il cono di dejezione della Stura di Lanzo . (Boll. Soc. Geol., VII, 2°). — Roma. È uno studio molto particolareggiato e corredato da una Carta geologica alla scala di 1/100 000. L’autore lo riassume in ultimo così: i° La regione studiata consta della seguente serie di terreni: (Quaternario): Alluvium, Terrazziano, Morenico e Diluvium. (Terziario): Villafranchiano, Fossaniano, Astiano, Piacentino. 2° Il Piacentino, che trovasi probabilmente quasi ovunque a profondità non molto grande sotto il cono di dejezione, compare solo per breve tratto con i suoi banchi superiori presso le falde alpine ad Est del cono. 3° L’Astiano ed il Fossaniano (confusi finora col Quaternario) bene svilup- pati presso le falde alpine ad Est del cono, sono sostituiti verso Sud ed Ovest dai depositi fluvio-lacustri e lignitiferi (anch’essi finora ritenuti quaternari) del Vil- lafranchiano che forma il basamento diretto del cono diluviale sahariano, e che si spinge a Nord sino entro la regione subalpina ed a Sud sin contro le falde delle colline Torino-Valenza. 4° L’elevarsi il Villafranchiano subalpino oltre 600m e Tesser stato eroso lateralmente dalle correnti acque del Sahariano indicano che il sollevamento della regione alpina alla fine del periodo pliocenico fu potentissimo. — 385 — 5° Il cono di dejezione sahariano si va assottigliando da monte a valle. Il ghiacciaio dell’Orco giunse sino allo sbocco della valle, invece quello di Val Stura si arrestò a circa 3 km. di distanza da detto sbocco ; a monte le correnti acquee cominciarono a terrazzare durante la seconda metà del Sahariano, cioè durante il cosidetto periodo degli anfiteatri morenici. 6° Le grandiose correnti della Stura durante il Terrazziano, pur continuando ad espandersi a ventaglio come nel Sahariano, poterono erodere il cono di dejezione intaccando persino il deposito villafranchiano, e terrazzando regolarmente. Sacco F. — Studio geologico delle colline di Cherasco e della Morra in Piemonte. (Boll. Com. Geo!., 3-4). — Roma. In questa nota, accompagnata da una Carta geologica alla scala 1/25 000, l’autore descrive la costituzione geologica di quelle colline. L’Elveziano vi è poco sviluppato, ed è rappresentato da un’alternanza di banchi marnosi e sabbiosi-grigiastri, e da potenti banchi arenacei grigio-giallastri, spesso cicchi in fossili per lo più littoranei. 11 Tortoniano, a facies essenzialmente marnoso, rinchiude potenti banchi arenacei. Il Messiniano è la formazione più interessante della regione; in esso possono distinguersi due orizzonti principali; uno inferiore, potente, rappresentato da banchi sabbiosi-arenacei ed anche ciottolosi, e da grandiose lenti gessifere frammiste a strati marnosi; e uno superiore, generalmente più sottile, marnoso-argilloso. L’esame di questi due orizzonti e del loro vario sviluppo locale, mette in evidenza il modo irregolare di deposizione, in rapporto con la natura littoranea, deltoide, marem- mana del Messiniano. Il Pliocene vi è rappresentato dal Piacentino, con le solite marne grigio-bluastre, le quali comprendono talora strati sabbiosi e ghiaiosi. In Val Crosio le marne sono in qualche punto impregnate di petrolio, però senza importanza industriale. Infine il Terrazziano antico, di due età differenti, è rappresentato dalle allu- vioni ciottolose-sabbiose, spesso con un velo di loess dell’altipiano di Narzole e Cherasco. Sacco F. — Il pliocene entroalpino di Valsesia. (Boll. Com. Geol., 9-1ÓJ. — Roma. Questo studio è accompagnato da una Carta al 1/25 000, nella quale sono rappresentate le formazioni plioceniche e postplioceniche di quella regione. Dopo — 386 — avere descritti i differenti terreni, l’autore dà il seguente riassunto dei fatti esposti : 1° Durante l’epoca pliocenica il mare penetrò per molti chilometri a guisa di fjord tripartito entro la Valsesia, sino a Pray, Isolella e Valduggia. 2° Il Pliocene di Valsesia è di carattere unicamente marino ed è rappresen- tato da tutti i suoi tipici orizzonti, cioè Piacentino, Astiano e Fossaniano. 3° Il Piacentino, quasi sempre riccamente fossilifero, sollevato talora ad oltre 400 m, è per lo più costituito dalle tipiche marne e sabbie azzurre, talora interrotte da strati giallastri e lenti ghiaiose e ciottolose. 4° L’Astiano è quasi sempre rappresentato da sabbie gialle, talora alquanto- ghiaiose, spesso a straterelli e ricchissime di belle filliti: si solleva in alcuni punti oltre i 500 m. 5° Il Fossaniano, costituito da un’alternanza di banchi ghiaiosi e ciottolosi* con banchi sabbioso-marnosi, spinti talvolta oltre i 500 m, rappresenta un deposito- deltoide-littoraneo solo sviluppato in alcuni punti di Valsesia. 6° Il sollevamento postpliocenico fu più intenso verso l’ interno che alla periferia della regione alpina; esso cagionò notevoli cangiamenti nella oro-idro- grafia alpina. 7° Il diluvium sahariano, piuttosto sottile entro la Valsesia, è potentissimo allo sbocco della vallata alpina. 8° Il ghiacciaio di Valsesia si spinse ad 1 km. a monte di Borgosesia co- struendo la morena di Castiglia sul diluvium poco prima deposto. 9° L’erosione verificatasi nella bassa Valsesia durante il Terrazziano per opera delle correnti acquee sui terreni sahariani, pliocenici e primari fu di circa 100 m verso monte e di 50 m verso valle. 10° Nella bassa Valsesia solo nella seconda fase del Terrazziano si comin- ciarono a deporre alluvioni e si poterono costituire i piani terrazzati che continua- rono a formarsi più o meno regolarmente sino al giorno d’oggi. Sacco F. — I terreni terziarii e quaternarii del Biellese. — Torino, 1888. In questo lavoro, pubblicato per cura della Sezione Biellese del C. A. I., l’au- tore, enumerati succintamente i terreni preterziarii della regione, si stende a de- scrivere il Pliocene, solo terreno della serie terziaria che ivi apparisca nelle inci- sioni profonde delle valli e nelle falde alpine, essendo generalmente coperto dai terreni quaternarii. Nella formazione pliocenica si distinguono due orizzonti, uno inferiore, Piacentino , e l’altro superiore che a seconda della sua facies prende il nome di Astiano o di Fossaniano. L’autore passa in rassegna le varie località ove tali orizzonti si presentano, descrivendone la natura ed i loro caratteri distin- tivi. Prende poscia a descrivere i terreni quaternarii, Sahariano e Terrazzano : distinti il primo, in Diluvium e Terreno morenico; l’altro, in Terrazzano primo o antico, in Terrazziano secondo ed in Alluvium. Conclude riandando la successione dei fenomeni geologici che si verificarono in quella regione e tracciandone brevemente la storia. Un elenco bibliografico ed una Carta geologica corredano questo lavoro. Sacco F. — I colli braidesi. (Annali R. Accad. Agric. di Torino, voi. XXXI). — Torino. I terreni rappresentati in questa regione del Piemonte sono; Tortoniano : costituito da marne con lenti arenacee. Messiniano : risultante di marne più o meno argillose con lenti e banchi gessiferi; vi si trovano numerose filliti e resti di insetti e di pesci di acqua sal- mastra; alla base, un sottile strato sabbioso-arenaceo è ricchissimo in fossili marini; nei banchi di gesso trovansi talora sottili lenti di solfo. Piacentino: è costituito in gran parte di argille marnose azzurrognole: ed è per lo più ricoperto da terreni pliocenici più recenti o dal quaternario: è ricco di fossili, talora rarissimi. Astiano: la distinzione di questo orizzonte dal precedente riesce difficilissima a farsi nettamente, la base dell’ Astiano presentando un’alternanza di strati mar- nosi e sabbiosi talora affatto simili litologicamente e paleontologicamente ai sotto- stanti del Piacentino ; la parte media dell’Astiano è specialmente rappresentata da sabbie grigiastre; la superiore è costituita da un potente complesso di sabbie giallastre, più o meno fine, con le quali si alternano talora durissimi straterelli arenacei e sottili lenti di ghiaia. Fossaniano : questo piano, bene sviluppato, è costituito da banchi ghiaioso- ciottolosi: diffìcilmente può delimitarsi dal precedente presentando esso strati marnoso-sabbiosi giallastri a facies astiano : nella parte media si hanno spesso banchi di marne argillose, giallastre, verdastre e talora leggermente azzurrognole. Villafranchiano: risulta di banchi marnoso-argillosi e ciottolosi di colore in genere giallastro, ma, per alterazione superficiale, spesso rossastro. Vi fanno seguito il Sahariano, il Terrazziano e V Alluvium. La memoria è accompagnata da una Carta geologica alla scala di 1/25 000. Sacco F. — Observations sur le tertiaire de la Suisse. (Mem. Soc. Belge de Géologie, Tome II). — Bruxelles. In questa nota, intesa ad esporre una nuova interpretazione stratigrafica di alcune formazioni terziarie della Svizzera, l’autore fa frequenti richiami alla geo- — 388 — elogia del Piemonte, enunciando fatti ed opinioni che formarono o formeranno presto oggetto di sue memorie. Importante a notarsi, fra altro, ch’egli ritiene essere l’orizzonte, che in Piemonte si riferisce al Bartoniano, superiore al Liguriano ; e ohe le ligniti a Anthracoterium del terziario piemontese (specialmente di Cadibona) appartengono al Tongriano inferiore e non già all’Aquitaniano. Sacco F. — Classijication des terrains conforme à leur facies . (Bull, de la Soc. belge de Géol., de Paléont. et d’Hydr. : Mémoires, T. lr). — Bruxelles. Basandosi sullo studio del bacino terziario del Piemonte, del quale egli som- mariamente esamina i termini a partire dal Bartoniano, l’ autore conclude : che nella serie terziaria si ha sovente un’ alternanza regolare di depositi a facies di mare assai profondo e di depositi a facies littorale o di mare poco profondo, e che l’insieme dei depositi corrispondenti ad uno di tali facies costituisce un orizzonte geologico sensibilmente costante. Questa è la base sulla quale l’ autore vorrebbe fondata la classificazione dei terreni terziari* Le faune conformano il loro facies a quello dei terreni che le rinchiudono. Ciascun piano geologico è localmente suddivisibile in sotto-piani. L’autore così spiegherebbe l’indicata alternanza : i bacini che si trovano fra due regioni costituite da grandi pieghe anticlinali, come ad esempio il bacino pie- montese tra le Alpi e gli Appennini, dovettero subire, durante i periodi nei quali le pieghe si accentuarono più fortemente, un restringimento accompagnato da un abbassamento del fondo, il quale dette luogo ad un regime di mare assai profondo: cessato l’abbassamento del fondo e continuando la sedimentazione, fermo restando il livello del mare, succedette un regime d’acque poco profonde : un nuovo periodo di compressione della regione provocò un nuovo abbassamento del fondo ; sino a che il bacino essendo completamente riempito dai sedimenti succedette un regime con- tinentale definitivo. Sansoni F. — Note di mineralogia italiana : datolite e calcite di Monteca- tini ( Val di Cecina). (Atti R. Acc. d. Se. di Torino, voi. XXIII). — Torino. In questa nota l’autore studia cristallograficamente la datolite e la calcite che si trovano nel gabbro a Montecatini in Val di Cecina. Di essa è fatta una estesa recensione (quasi riproduzione) nella Rivista di Mineralogia e Cristallografia italiana (Voi. 2°, fase. 6°); nella quale furono corretti, dietro comunicazione dell’autore, errori di stampa incorsi nella memoria originale -nei valori angolari. 389 — Scacchi A. — Katalog der vesuvìschen Mineralien mit Angabe ihrer. Zusammensetzung und ihres Vorkommens. (Neues Jahrbuch, etc., II B., 2e H.). — Stuttgart. E questa la traduzione della memoria dello stesso titolo pubblicato nello Spet- tatore del Vesucio (Nuova serie, voi. I, Napoli). Scacchi A. — Seconda appendice alla memoria intitolata : La regione vulcanica Jluorifera della Campania. (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 2a, voi. II, 4-5). — Napoli. In questa memoria l’autore tratta di una geode del tufo di Sorrento, e di tre del tufo di Monte Grande presso Caiazzo. La prima è al tutto simile a quelle del tufo di Salerno, di cui l’autore s’occupò nella memoria sulla regione fluorifera della Campania: solo ne differisce per essersi trovata isolata anziché in mucchio come quelle. Essa contiene un nocciolo libero di fluorite granelloso-cristallina di 12 mm. di diametro; la buccia terrosa, ha spessore variabile da 2 a 3 mm. e diametro, esterno di 26 mm.. e diede distinta reazione di fluoro, mentre le buccie delle geodi salernitane la danno debole o nulla. L’origine di queste geodi resta sempre dubbia. Le geodi di Monte Grande son formate di buccie terrose, bianchiccie, tenere, internamente vuote. La più grande è bislunga, il suo diametro maggiore è di 144 mm. e lo spessore delle pareti varia da 2 a 6 mm. Non contengono fluoro. Scacchi A. — Il vulcanetto di Puccianello . (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 2a, voi. II, 12°). — Napoli. È il sunto fatto dall’autore, di una memoria da pubblicarsi negli atti dell’Ac- cademia stessa. Questo nuovo centro eruttivo può paragonarsi a quelli famosi di Fiano (No- cera) e Fossa Lupara (Sarno). Uno scavo ha messo in evidenza sotto a 12 m. di tufo, uno strato di materie incoerenti di potenza media di 3 m., il quale riposa su calcare. Questo strato è distinto in due parti di altezza quasi uguale, molto differenti per il colore; la superiore, di color bruno, è formata di una massa te- nera contenente poche pomici ; la inferiore è formata di piccole pomici bianchiccie incoerenti, e pezzetti di roccia nera, dura. — 390 — Scacchi A. — Sulle ossa fossili trovate nel tufo dei vulcani fluoriferi della Campania. (Atti R. Acc. Se. fis. e mat., S. 2a, voi. Ili, 3°). — Napoli. L’autore si occupa di alcune ossa rinvenute recentemente nel tufo di Fiano: esse sono importanti sotto un doppio rispetto: perchè cioè, appartenendo ad ani- mali terrestri, confermano l’origine subaerea del tufo stesso, e perchè offrono modo di studiare i cangiamenti in esse prodottisi. Su questo ultimo punto l’autore si diffonde maggiormente, ricordando anche le ossa precedentemente trovate nelle tufare di Fossa Lupara. Il resto più importante è un frammento di tibia, probabilmente di cervo. Esso ha assunto struttura cristallina : il suo acido fosforico non ha subito variazioni, il carbonato di calcio si è trasformato in fluoruro, e delle sostanze organiche vi sono rimaste inalterate : mentre le altre ossa hanno presentato del fluoruro di calcio, ma non delle materie organiche. Sulla superficie della tibia sono impiantati cristalli d’anfibolo, e di ematite, ed altri cristalli minutissimi giallo-brunicci, non determinabili. Scacchi E. — Contribuzioni mineralogiche : Memoria quarta. (Rend. Acc. Se. fis. e mat., S. 2a voi. II, 12°). — Napoli. Nella prima parte di questa memoria l’autore descrive una nuova specie mi- nerale proveniente dal Monte Somma e da lui chiamata facellite. Cristallizza nel sistema esagonale, si presenta in fascetti, ha durezza quasi eguale a quella del- l’ortoclase, e densità 2, 4926. La sua formola è: K9 Al2 Si2 O8 = K20, A1203, 2Si02 Nella seconda parte l’autore rende conto della scoperta nella lava vesuviana del 1859 di due specie nuove per il Vesuvio : la termonatrite ed il natron. Nell’ultima parte della memoria, si occupa delle zeoliti dei conglomerati del M. Somma, e dà i risultati delle fatte analisi. Non è facile determinare a quale specie esse appartengono non presentando che molto raramente qualche forma cri- stallina distinta : pure vi si riconosce la comptonite. Schopen L. F. — Sopra una nuòva Waagenia del Titonio inferiore di Sicilia. (Atti Acc. Gioenia, S. Ili, T. XX). — Catania. In questa nota l’autore descrive una nuova specie di Waagenia (W. Kamicen- — 391 — sis), trovata in un masso di calcare non in sito e proveniente probabilmente dalle formazioni titoniche delle parti superiori dei monti S. Stefano-Cammarata in pro- vincia di Girgenti. Dà pure l’elenco di altre specie provenienti dallo stesso masso ■e da lui determinate. Una tavola in cui è rappresentato il fossile descritto è unita alla memoria. Schuster M. -- Ueber Findlinge aus dem vicentinisehen Basalttuffe, (Sitzungb. d. kais. Ak. des Wiss., mathem. - naturw. Classe, XCVII B., H. I a V). — Wien. Contiene l’analisi microscopica di due trovanti, ch’erano inclusi nei tufi ba- saltici del Vicentino. L’uno di essi, proveniente dalla zona di Monte Faldo, risultò essere un granito molto alterato, con habitus di sienite dei Monzoni e che per gli elementi che lo compongono appare in stretta relazione con la sienite augitica sottostante ai calcari di Cingolina a Sud-Est ^del Monte Venda, negli Euganei. L’altro trovante, proveniente dai tufi di Fontana delle Soghe nei Colli Berici, è un ciottolo di calcare a superfìcie striata come i ciottoli de’ ghiacciai, ed alterata : il nucleo interno è fresco e composto di calcite sparsa di mica. Probabilmente è un ciottolo di flogopite alterata. Secco A. — Il piano ad Aspidoceras acanthicum Op. in Collalto di Solagna. (Boll. Soc. Geol, VII, 2). — Roma. L’autore rende conto della scoperta da lui fatta in Collalto di Solagna di una zona ad Aspidoceras acanthicum , piano di Kimmeridge; e dà l’elenco dei fos- sili rinvenutivi. In una tavola è figurato il Phylloceras polyolcum Benk. rappresentato in quella zona da belli esemplari. Silvestri O. — L'eruzione dell Isola di Vulcano . (Boll. Oss. R. Coll. Carlo Alberto, S. II, voi. Vili, n. 10). — Torino. L’autore studiò l’eruzione di Vulcano nel mese di Agosto 1888. Era una di quelle cui egli dette nome di atticità o fase eruttiva vulcaniana; compiendosi ■con apparenza grandiosa, ma in modo e con meccanismo dei più semplici, senza lava fluente. La cenere si alzava in colonna di 1500 a 2000 m. d’altezza; profonde detonazioni si succedevano ad intervalli da 20" a 30", una serie di detonazioni alter- nando con periodi di sosta più o meno lunghi: si avevano scariche elettriche lam- — 392 — peggianti a traverso le ceneri : massi voluminosi erano rigettati con materiale frammentario infuocato. Le pareti del cratere erano franate, il fondo scomparso. Silvestri 0. — Etna e Sicilia nel 1887 sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici. (Annuario met. it., Anno III). — Torino. Sono enumerati i fenomeni presentati nel 1887 dall’Etna, ed in un quadro sono riuniti i terremoti registrati nello stesso anno dai diversi osservatorii di Sicilia. Silvestri 0. — Le maggiori profondità del Mediterraneo ed analisi geologica dei relativi sedimenti marini. (Atti Acc. Gioenia di se. nat., Serie IV, voi. I). — Catania. Gli scandagli eseguiti nel 1887 dall’Istituto idrografico italiano nel Mar Jonio, hanno dato origine e fornito il materiale a questa nota. In essa l’autore, premesse alcune idee intorno alla formazione del bacino del Mediterraneo quale viene in- dicata dai dati geologici e paleontologici, espone il risultato dell’esame di alcuni saggi di sedimento raccolti a profondità da 4067m (la massima misurata) a 3835m. Questi sedimenti sono formati di elementi tenuissimi ; le particelle più tenui com- prendono silicati, prevalentemente di allumina, e carbonati sopratutto di calce: le particelle più grosse e quelle tanto tenui da galleggiar nell’acqua sono formate di sabbie o pagliuzze di mica, con minuti organismi, molluschi microscopici e rizo- podi. Tutte le specie di questa fauna erano già note nel Mediterraneo e quasi tutte anche nell’Adriatico; e la parte maggiore, se non tutte, son comuni al Medi- terraneo ed all’Atlantico. Simonelli V. — Pesci fossili della Val d'Arno. (Proc. verb. Soc. to- scana, vói. VI). — Pisa. Riservandosi di dare in altra pubblicazione la descrizione particolareggiata ed il disegno dei fossili studiati, 1’ autore annuncia aver determinati i seguenti generi : Salmo , Anguilla, Leuciscus, Chrysoprys . Spica P. — Nuova analisi dell'acqua minerale di Roncegno. (Atti Ist. Veneto di Se., lettere ed arti, S. VI, T. VI, disp. 10). — Venezia. L’acqua analizzata fu raccolta direttamente alla sorgente. Descritto il processo di analisi seguito, l’autore dà i risultati ottenuti, i quali sono i seguenti: — 393 — 1000 cm.3 d’acqua a 22° cent., dettero : Residuo fisso disseccato a 110° gr. 8. 4760 » » » a 180° » 7. 7900 Ossido di rame . . . . (CuO) gr. 0. 0144 » » ferro .... (FeO) .... » 0. 0405 » » » .... (Fe203) . . . » 1. 3706 » » alluminio . . (A PO3) . . . » 0. 4145 » » manganese. (MnO) . . . . » 0. 1024 » » nichelio. . . (NiO) .... » 0. 0229 » » cobalto. . . (CoO) .... » 0. 0121 » » calcio. . . . (GaO) .... » 0. 7600 » » magnesio. . (MgO) » 0. 1569 » » potassio , . (K20) .... » 0. 0294 » » sodio . . . , . (Na20) . . . » 0. 0826 r.lnrn _ » o. 0022 Anidride silicica . . . (SiO2) .... » 0. 1255 » fosforica . . (Ph2Os) . . . » 0. 0183 » arsenica. . . (As205) . . . » 0. 1765 » solforica . . . (SO3) .... » 4. 3407 Sostanze organiche . » 0. 2095 Totale . . . gr, , 7. 8790 Il peso specifico dell’acqua a 23°5 è 1,0052, e 1000 cm.3 di essa misurati a 21° contengono disciolti cm.3 18,10 di gas: cioè; Azoto cm.3 10. 75 Ossigeno » 6. 40 Anidride carbonica . » 0. 95 * Squinabol S. - — Il travertino fra Aosta e il Piccolo San Bernardo. — Genova, 1888. Il primo ammasso di travertino segnalato dall’autore trovasi a Nord di Aosta nella località chiamata Bibbiana ; in esso egli rinvenne i fossili seguenti : Hyalinia (Conulus) fulva, Muli.; H elite (Vallonia) pulchella, Muli.; H. ( Vallonia ) costata , Muli.; H. (Pattila) rotundata , Muli.; Pupa%\ oltre a contro impronte di rami di graminacee ed ombrellifere, e di foglie di dicotiledoni non determinabili. 26 — 394 — Le conchiglie anzidette si trovano tuttora viventi nel luogo ove si raccolsero fossili, e si rinvennero nel Quaternario in località varie che l’ autore enumera Il travertino va quindi collocato nel Quaternario più recente. Analogo travertino l’autore riscontra in altri punti procedendo dalla Thuile verso il Piccolo S. Bernardo. Strobel P. — Barboi del Parmigiano. — Parma, 1888. L’autore riporta da principio ciò che Gerolamo Zunti scrisse nel 1615 intorno ai barboi o salse, di Berzora di Torre (Traversetolo) e del Salso di Rivalta (Lesi- gnano de’ Bagni); e quindi descrive il recente incremento di loro attività. Esse sono in rapporto con le fontane ardenti e con le sorgenti salate e di petrolio ; e l’autore manifesta il dubbio che un rapporto esista pure fra questi fenomeni ed i terremoti del parmense. Struever G. — Ulteriori osservazioni sui giacimenti minerali di Val d'Aia in Piemonte. II: L'idoerasio del banco d' idocrasio nel ser- pentino della Testa Ciarva al Piano della Mussa . (Mem. R. Acc. Lincei, S. IV, voi. V). — Roma. Avendo intrapreso lo studio particolareggiato dei giacimenti minerali di Val d’Aia, l’autore in precedente lavoro si occupò dell’ idocrasio del banco di gra- nato della Testa Ciarva ; e nel presente, che ne è la continuazione, descrive l’ido- crasio verde del banco d’idocrasio della località stessa. Tredici gruppi ed ottan- tacinque cristalli isolati esistenti nel Museo dell’Università romana costituiscono il materiale su cui egli operò. Dalle misure eseguite sugli individui isolati risulta che comunque si raggruppino per dedurne un valor medio, la lunghezza media comparata alla media larghezza, è molto minore in questo giacimento di quello che non sia in quello precedentemente esaminato : e il rapporto fra quelle due dimensioni non varia notevolmente, e sembra quindi caratteristico dell’intero gia- cimento. Delle 28 forme semplici date da Zepharovich per i cristalli verdi della Mussai l’autore trovò in prima linea importanti le seguenti : (001), (HO), (100), (111), (331), 221), (101), (211), (311), (312). Egli richiama infine l’ attenzione sul fatto che nei cristalli descritti non si mostra tendenza alcuna delle forme prismatiche a diventare piramidi assai allun- gate, cioè tendenza dei cristalli ad assottigliarsi verso l’estremità. Tendenza questa che l’autore non ammette neppure dimostrata dalle misure del Sansoni sulla ba- ritina di Vernasca, nè da quelle di altri su altri minerali. Una tavola è unita alla memoria. Struever G. — Sulle leggi di geminazione e le superficie di scorri- mento nella ematite dell’Elba. (Rend. Acc. Lincei, S. IV, voi. IV, fase. 11°). — Roma. Rettificando quanto da altri e da egli stesso si ritenne, l’autore nota che i gemelli dell’ematite ad asse [ili] erano noti a Mohs nel 1824 ; e che a Haidinger (1825) probabilmente si deve la scoperta dei gemelli ad asse [ili] ed a giustapo- sizione, ovvero ad asse normale ad una faccia [di [101], come anche quella dei .gemelli ad asse normale ad una faccia di [100] e precisamente sotto la forma di quelle sottili lamelle che assai più tardi richiamarono l’attenzione di Bauer, Sade- beck, Groth, Mùgge, ecc. : tali lamelle furono viste nel 1804 dal Mohs che non le riconobbe però come lamelle gemine. Aggiunge poi brevi considerazioni d’indole generale intorno alla trasformazione che subiscono i simboli delle faccie per lo spostamento semplice lungo una super- fìcie di scorrimento ; mettendo in evidenza il vantaggio della notazione romboedrica del Miller. Taramelli T. — Lo scoscendimento di Bracca in Val Serina. (Riv. Club alpino, VII, n. 11). — Torino. Lo scoscendimento si manifestò nella notte dal 13 al 14 settembre 1888 sopra sun lembo di terrazzo ondulato sul quale sono due contrade, Truchel e Bruga ; di esse una fu quasi totalmente distrutta, e l’altra gravemente danneggiata. Il terrazzo è scolpito nell’infralias, prevalentemente costituito di scisti, calcari .marnosi e calcari neri più compatti: il terreno infraliasico forma un lembo com- preso nella dolomia triasica. Gli strati sono quasi verticali. Lo scoscendimento avvenne negli scisti neri, circoscritti a monte ed a levante dalle dolomie triasiche, ••a ponente dal calcare infraliasico: acquistato nella loro parte superficiale plasticità quasi d’ impasto fangoso, discesero verso il fiume. Il disastro era preparato da lunga mano dall’infiltrazione delle acque piovane e da quelle d’una vallecola che si perdono sul terrazzo ; fu probabilmente determinato dalle pioggie abbondanti che lo precedettero e da quelle primaverili, come pure dal disgelo. Taramelli T. e Mercalli G. — Il terremoto ligure del 23 febbraio 1887 • (Annali Uff. Centr. di meteor. e geod., voi. Vili, p. 4a). — Roma. La storia particolareggiata del terremoto e dei suoi effetti è accompagnata da un diffuso riassunto della costituzione geologica della Liguria occidentale e — 396 — del Nizzardo e dalla ricerca della variazione di direzione ed intensità della scossa nei vari punti dell’area sismica, e della posizione, profondità e natura del centra di scuotimento. Risulta che il centro superficiale del terremoto fu nel mare fra Oneglia e S. Remo, a distanza da 15 a 25 chilometri dalla spiaggia : e la pro- fondità del centro può ritenersi di intorno a 18 chilometri. Un po’ minore è la profondità del centro secondario esistente probabilmente nel mare di Nizza. Viene pure esaminato il rapporto fra la natura del suolo e delle costruzioni,, con l’entità dei danni prodotti dal terremoto. La memoria è accompagnata da una Carta geologica e da altra sismica, oltre che da due tavole illustranti il modo con che si produssero i guasti. Taramelli T. e Mercalli G. — Alcuni risultati di uno studio sul ter - remoto ligure del 23 febbraio 1887. (Rend. Acc. Lincei, S. IV, voi. IV, fase. 1°). — Roma. In questa nota sono riassunte le principali conclusioni della precedente memoria- Tellini A. — Le nummulitidee terziarie dell’Alta Italia occidentale - (Boll. Soc. Geol., VII, 2). — Roma. Questo studio comprende il Piemonte, la Liguria ed il Nizzardo. Premesse alcune considerazioni d’indole generale, l’autore descrive le specie, di cui alcune nuove, dando per ciascuna la bibliografia, la località e l’orizzonte. È unita una tavola in cui sono rappresentate le specie nuove. Terrenzi G. — Il Castor fiber Lin. trovato fossile al Colle dell Oro presso Terni . (Rivista scient.-ind., n. 20-21). — Firenze. L’autore annuncia la scoperta di resti di Castor f ber Lin. nelle ligniti plio- ceniche del Colle dell’Oro presso Terni; enumera le varie località d’Italia in cui si trovò il castoro fossile; e dà l’elenco dei fossili del pliocene di quel colle, de- ducendola dai lavori del Verri. Tommasi A. — I terremoti nel Friuli dal 1116 al 1887. (Ann. Uff. Cent- di meteor. e geod., voi. Vili, parte 4a). — Roma. L’autore dà l’elenco di 190 terremoti osservati nel Friuli in detto periodo e ad esso fa precedere qualche considerazione che così conchiude: 1° Il Friuli fu ed è regione frequentemente battuta dai terremoti; — 397 — 2o Di questi la maggior parte non si propagarono oltre i limiti della regione ; come per converso, nelle provincie finitime accaddero non pochi terremoti di cui non si risentì il Friuli; 3° È ammissibile che esista un nesso tra i terremoti locali da una parte e l’idrografia sotterranea, la natura litologica e la tettonica dei terreni scossi dal- l’altra ; 4° Dalle cause dei terremoti locali va assolutamente esclusa la vulcanicità; essi vanno considerati come fenomeni di pura dinamica terrestre. Toni F. — Della collezione geologica , -paleontologica e paleoetnologica da lui raccolta. (Accademia spoletina, anno 1888). — Spoleto. L’autore rende dapprima conto dell’origine e formazione della sua raccolta ; quindi ne illustra gli elementi più importanti. Segue un catalogo dei fossili conte- nutivi, sino a tutto il secondario ; buon numero . di essi provengono dai dintorni 4i Spoleto, gli altri da altre parti d’Italia e dall’estero. Toso P. — Miniera di Valle Imperina presso A g or do. (Rivista Serv. minerario pel 1886). — Roma, 1888. Oltre la parte tecnica questa Memoria contiene qualche notizia sulla natura del giacimento. L’ammasso metallifero è intercalato nello scisto argilloso, nero, leggermente micaceo, quarzoso ed in alcuni punti carbonioso, contemporaneo alla zona di roccie precarbonifere che si trovano presso Primiero, Gosaldo e Vallalta. I calcari se- condari che stanno al tetto del giacimento metallifero sono separati dagli scisti da un piccolo strato di arenaria rossa che a volte si restringe o scompare affatto. Il torrente Imperina divide i calcari dagli scisti : quelli stanno sulla sua destra ; questi sulla sinistra. 11 minerale è calcopirite minutamente disseminata in matrice di pirite di ferro compatta. Il masso piritoso è involto da una salbanda di scisto talcoso : la sua lunghezza è di circa 550m, lo spessore medio 35m, e la profondità 200m. Trabucco G. — Fossili del bacino pliocenico del Rio Orsecco (Carpe- ndo). — Como, 1888. Il giacimento al quale appartengono le 95 specie (foraminiferi, echinidi, mol- luschi e vertebrati) descritti in questa nota, risulta di marne azzurre, sabbiose alla parte superiore, con interposto o sovrapposto uno strato di sabbia rosso- gialla; e deve, secondo l’autore, ascriversi al piacentino. — 398 — Vi si rinvennero abbondanti filliti, ed ultimanente anche uno strobilo di Pinus Massalongii E. Sism, Trabucco G. — Quadro dei terreni ed elenco delle roccie della pro- vincia di Gir genti. — Como, 1888. Come lo indica il titolo, in questa nota viene esposta la serie dei terreni e- delle roccie della provincia di Girgenti. In essa lo zancleano figura nel Miocene e le ragioni addotte dall’autore sono particolarmente il passaggio da lui osser- vato in vari punti dal gessino ad un’arenaria gessifera contenente le foraminifere stesse dei trubi, la concordanza dei trubi con le formazioni inferiori e la loro discordanza con le marne azzurre (Rupe Atenea ed altrove). Traube H. — Bleiglanz von Bottino in Toscana . (Neues Jahrb. U Min., etc., II B.,|3 H.). — Stuttgart. Dalle misure cristallografiche praticate dall’autore su di un campione di ga- lena del Bottino conservato nel museo di Kiel, risultò la scoperta di nuove forme di questo minerale. In uno dei cristalli in cui predomina l’ottaedro si constatarono oltre alle faccie del cubo quelle di due triacisottaedri ed in un altro cristallo anche quelle di due icositetraedri e di un tetracisesaedro. Trautschold H. — Einige Beobachtungen uber die Folgen des Erdbe- bens vom 23 Febr. 1887. (Bull, de la Société imp. des Naturalistes de Moscou, 1888, n. 1) — Moscou. L’autore, che ha visitato le località della Liguria maggiormente colpite dal terremoto del 1887, descrive i disastrosi effetti del medesimo ed indica come causa principale della rilevanza loro il modo di costruzione degli edifizi colpiti ed i materiali impiegativi. Egli considera il terremoto ligure come essenzialmente littorale, al pari di quelli tanto frequenti nell’Italia meridionale, nel Portogallo e sulle coste occidentali dell’America meridionale ; e lo attribuisce a fenomeni endogeni provocati dall’infiltrazione delle acque del mare entro gli strati del sottosuolo. Tuccimei G. — Bradisismi pliocenici della regióne sabina . (Mem. Acc. pont. Nuovi Lincei, IV). — Roma. Prendendo le mosse dalla differente altitudine della zona dei litofagi nei cal- cari basici da lui osservata in tre punti, e basandosi sulla inclinazione opposta — 399 — che gli strati astiani hanno sui due lati del fiume Farfa, l’autore conclude che un sollevamento, coll’asse lungo l’attuale valle di questo fiume, ebbe luogo alla fine del periodo astiano. E da varie considerazioni è portato a ritenere che esso fu di lunga durata, continuo e non minore di 154m. Ad esso seguì una grande oscillazione discendente, di . non meno di 265m, della quale tutto il Yillafranchiano ha traccie non dubbie. Vi tenne dietro da ul- . timo un movimento ascendente generale. Verri A. — Osservazioni geologiche sui crateri vulsinii . (Boll. Soc* Geol., VII, 1°). — Roma. L’autore dà innanzi tutto un cenno sommario della struttura della penisola in corrispondenza ai vulcani tirreni esaminando con estensione maggiore la zona di questi. Descrive quindi il distretto vulcanico di Bolsena e dice che la cronologia delle eruzioni, difficilissima a stabilire, pare la stessa di quella da lui stabilita per i Vulcani Cimini ; enumera i centri di attività, aggiungendo a quelli già da altri indicati (cra- teri trachitici a nord; Monte Rado, Montefiascone e Mezzano, leucitici) un quinto, leucitico, tra Montefiascone e Mezzano, e particolareggiatamente illustrandone i prodotti ; ricerca la genesi del lago di Bolsena, e consacra infine alcune parole alla lava di Montalto. In appendice dà un sunto delle analisi chimiche e petrografiche delle lave fatte su materiale da lui raccolto, le prime dal prof. Ricciardi e le seconde dal prof. Klein. Viola C. — Oligoclasite del Monte Cavaloro presso Riola nel Bolo- gnese. (Mera. Acc. Se. Ist. Bologna, S. IV, Tom. IX). — Bologna. L’oligoclasite fu scoperta e descritta dal prof. Bombicci nel 1868. Benché l’ingegnere Viola non abbia fatto oggetto di particolare esame la natura del gia- cimento, pure egli ritiene erratico il masso di oligoclasite. Dallo studio microsco- pico, di cui rende minuto conto nella presente memoria, l’autore conclude: che i componenti principali della roccia sono il clinoclasio, l’ortopirosseno (special- mente del tipo ipersteno-bronzite, meno l’enstatite) e l’olivina. I minerali acces- sori e di prima cristallizzazione sono : la^magnetite, l’ematite, la cromite, l’apatite e qualche traccia di zirconio. Quali prodotti di decomposizione tvisi osservano l’anfibolo, la calcite, la clorite, il quarzo, il serpentino, il sesquiossido di ferro e la bastite* L’autore ritiene la oligoclasite appartenere alla specie norite-olivinica, ed al genere gabbro : nel qual genere egli, oltre alle roccie inclusevi del Rosenbusch, comprende la peridotite, olivinite, serpentina, ofite, ecc. 400 — Weiss E. — Ueber Fucoiden aus dem Flysch von San Remo. ( Zeitsch. deut. geol. Gesell., 40 B., H. 2). — Berlin. L’autore dà alcune preliminari informazioni sulle numerose fucoidi eh’ egli raccolse nel 1886-1887 dal flysch di San Remo in Liguria e specialmente su quelle incluse entro una roccia marnosa. Egli ha riscontrato che sono vere alghe mono- cellulari ; e lo studio delle medesime, che l’autore si riserba di pubblicare, ebbe per scopo principale di riabilitare la natura algosa di questi corpi' non ammessa da Fuchs e da Nathorst e sostenuta invece ultimamente da Maillard. Weithofer K. A. — Die fossilen Hjànen des Arnothales in Toskana. (Sitzungb. kais. Akad. der Wiss., N. XXI). — Wien. Le jene fossili di Valdarno, di cui tratta la memoria del Weithofer, appar- tengono a tre specie: 1. tìyaena Topariensis Major, a quanto pare molto affine alla H. Perrieri Croiz, e Job. 2. Hyaena robusta n. sp., che appartiene come la precedente al tipo crocuta. Queste due specie plioceniche sono membri della fauna di Valdarno. 3. Hyaena crocuta Erel. ( speloea ), proveniente dai depositi diluviali dei dintorni d’Arezzo, in Valdarno superiore. La specie è diffusa dalla Spagna sino alle Indie e dall’ Inghilterra sino al Capo di Buona Speranza. Weithofer K. A. — Alcune osservazioni sulla fauna delle ligniti di Casteani e di Montebamboli {Toscana). (Boll. Com. Geol., 11-12). — Roma. Col materiale del museo del R. Istituto di studi superiori in Firenze, prove- niente dalle ligniti di Casteani (provincia di Grosseto) l’autore determinò le specie seguenti: Enhydriodon Campami Menegh. ; Antilope Haupti Major; Antilope ( Palaeoryx\ ) sp. ; Sus choeroides Pom.; Emys sp. ; Crocodilus sp. Delle prime tre, l’autore tratta in particolare. La fauna di Montebamboli comprende: Oreopithecus Bambolii Gerv. ; Enhy - driodon Campami Menegh. ; Mustela Majori Weith. ; Hyoenarctos antrhacitis , Weith.; Antilope gracillima Weith.; Sus choeroides Pom.; Anas lignitiphila Salvad.; Trionyx sp. (2 sp.?); un Sauriano. La Mustela Majori e V Antilope gracile lima sono specie nuove ora aggiunte dall’autore. — 401 — L’autore ricerca da ultimo in quali condizioni alcuni di questi fossili furono trovati in altre località. Wolf G. — Das Erdbeben an der Riviera ara 23 Februar 1887. — Siegen, 1888. L’autore, trovatosi di presenza sul posto colpito dal terremoto, ne descrive le fasi e le conseguenze disastrose ed espone in appresso le condizioni topografiche della Riviera. In base a tali condizioni ed ai fenomeni verificati, egli esclude qualsiasi dipendenza dell’avvenimento da vulcanismo interno od esterno, da ina- bissamento di acque marine, da scoscendimenti endogeni, da influenze lunari o solari. Il terremoto ligure fu di sua natura essenzialmente littoraneo e conseguenza del persistente raffreddamento della crosta terrestre, accompagnato da intume- scenze e dislocamenti, massime degli strati superiori e più recenti, i quali origi- narono scosse più o meno sensibili. Appoggiano le sue argomentazioni il carat- tere generale del terremoto, la sua espansione in direzione dell’andamento strati- grafico dei terreni, e la orizzontalità delle scosse. Zezi P. — Ricerca di fosfati in Italia. (Boll. Com. Geol., 5-6). — Roma. Le ricerche fatte dagli ingegneri del R. Corpo delle Miniere di fosfati utiliz- zabili per l’agricoltura, diedero finora risultati negativi. Roccie del Tavoliere di Puglia, dei dintorni di Cerignola, Canosa e d’altre località segnalate da taluni come ricche in fosfato di calce, furono trovate con- tenerne in media non più di 1/100. Al Capo di Leuca esiste una roccia calcari- fera di cui alcune parti contengono anche oltre il 15 e 18 per 100 di anidride fosforica; ma in media essa contiene meno del 9 per 100: quantità ancora insuf- ficiente. In ultimo luogo si esaminarono parecchi campioni provenienti da Canosa Bari, Gravina e Fasano: l’analisi fatta dall’ ingegnere Mattirolo ed annessa a questa nota, dimostrò che in essi non contenevasi in media neppure 1/10 per 100 di ani- dride fosforica. (Segue Appendice). — 402 — Artini E. — Quarzo di Val Malenco. (Mem. R. Acc. d. Lincei, S. IV,. Voi. V). — Roma. I cristalli studiati dall’autore provengono dai filoni di quarzo che si trovano entro- al gneis talcoso che in vai Malenco e in Val Brutta (Valtellina) riveste i serpentini. Oltre a quelli terminati ad una sola estremità, sono assai abbondanti altri terminati da ogni parte da superficie cristalline. In tal caso essi sono generalmente ricoperti in parte da una fine argilla bianca steatitosa proveniente dal gneis; e pare si sieno sviluppati su tale argilla ; infatti mentre una loro estremità è perfetta* nell’altra, la pseudopiramide esagonale, si scinde in più punte cristalline a sei faccie, curve, distorte, spezzate, in modo da mostrare che l’accrescimento di tale estre- mità avvenne in seno all’argilla. Fra le numerose forme determinate dall’autore sarebbero indicati per la prima volta nove emiscalenoedri tanto destrorsi; che sinistrorsi, oltre ad un emiscalenoe- dro sinistrorso il simbolo del quale è però dato dall’autore come incerto. Artini E. — Studio cristallografico della cerussite di Sardegna. (Mem* R. Acc. d. Lincei, S. IV, Voi. V). — Roma. II materiale studiato dall’autore appartiene al Museo mineralogico di Bologna, e proviene dalle geodi della galena di Monteponi e di Montevecchio, in Sardegna* Delle 29 forme semplici determinate dall’ autore, quattro sono nuove per il minerale in genere ed altre quindici per la località. I cristalli semplici sono assai meno frequenti dei geminati, i quali presentano una grandissima varietà di aspetto; sì degli uni che degli altri è data nella me- moria la descrizione, completata da tre tavole. Le numerose ed esatte misure d’ angoli che l’autora potè fare, gli permisero- di determinare le costanti cristallografiche di questo minerale. La Valle G. — Sul diopside delle « Borne de'Brous » presso Ala in Val d'Aia (Piemonte). (Mem. R. Acc. d. Line., S. IV, Voi. V). — Roma* I cristalli, sopra i quali questo studio è fatto, provengono da massi erratici di granito compatto della regione detta Borne de’ Brous dietro il Becco della. Corbassera sul territorio del comune d’ Ala (Piemonte). Dieci soltanto offrirono possibilità di misure. L’ autore in questa nota descrive le forme semplici e le combinazioni osser- vate in un coll’ aspetto fisico delle faccie, e registra i risultati delle sue misure. Alla nota è unita una tavola. 403 — Mayer-Eymer C. — Douze espèces nouvelles du londinien inférieur de Monte Postale (Vieentin). (Bull. tSoc. belge de Géol., de Pai., et d’ Hydr.: Mèmoires, Tome II). — Bruxelles. Id. — (Vierteljarhrschriftder Naturf. Gesell. in Zurich, Jhg. XXXIII, 2). — Zurich. Le dodici specie descritte in questa memoria ed accuratamente disegnate in una tavola sono dall’ autore denominate come segue: Lucina subalpina, Turri- tella ( Mesalia ) cisalpina, Trochus Rajf aelei, Natica ( Ampullina ) babylonica , Natica Rouaulti, Cerithium antecurrens, C. ( Potamides ) familiare , C. Pai - ladioi, Turbinella Leymeriei, Conus bimarginatus, Rostellaria mutabilis, R . Tal - lavignesi . Di questa specie una sola, la Natica {Ampullina) babylonica May.-Eym., è assai comune al Monte Postale; dell’ultima, Rostellarina Tallavignesi May.-Eym.), T autore ha sei esemplari : le altre sono stabilite su esemplare unico o su po- chissimi esemplari. — 404 PUBBLICAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO PARTI PUBBLICATE (al 31 dicembre 1889) Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100 000 : Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00 » 248 (Trapani) . . . » 3 00 » 249 (Palermo) . . . » 4 00 » 250 (Bagheria) . . . » 3 00 » 251 (Cefalu) . « . . » 3 00 w 252 (Naso) . . . . » 4 00 » 253 (Castroreale) . . » 4 00 » 254 (Messina) . . . » 4 00 » 256 (Isole Egadi) . . » 3 00 » 257 (Castelvetrano) . » 4 00 » 258 (Corleone) . . . » 5 00 » 259 (Termini Imerese). » 5 00 » 260 (Nicosia) . . . » 5 00 >» 261 (Bronte). . . . » 5 00 Foglio N. 262 (Monte Etna) . . L. 5 00 » 265 (Mazzara del Vallo)» 3 00 » 266 (Sciacca) . . . » 4 00 » 267 (Canicattì) . . . » 5 00 » 268 (Caltanissetta) . » 5 00 » 269 (Paterno) . . . » 5 00 » 270 (Catania) . . . » 3 00 » 271 (Girgenti) . . . » 3 00 » 272 (Terranova) . . » 4 00 » 273 (Caltagirone) . . » 5 00 » 274 (Siracusa) . . . » 4 00 » 275 (Scoglitti) . . . » 3 00 » 276 (Modica) . . . » 3 00 » 277 (Noto) . . . . » 3 00 4 00 4 00 4 00 4 00 4 00 Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. » » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » » » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » » » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) » » » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) » H.B. — L'intiera Carta della Sicilia , in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d'unione e copertina , è in vendita al prezzo di lire 100. Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500 000 (serve anche di foglio di unione della precedente) con sezioni prezzo L. 5 00 Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia, con una Carta geologica, tavole in zincotipia ed incisioni, dell* Ing. L. Baldacci prezzo L. 10 00 Carta geologica dell* Isola d' Elba, nella scala di 1/25 000 con sezioni annesse (in due fogli) prezzo L. 15 00 Descrizione geologica dell' Isola d' Elba, con Carta annessa nella scala di 1/50 000, dell’Ing. B. Lotti ....... prezzo L. 10 00 Relazione sulle miniere di ferro dell'Isola d'Elba, con un atlante di carte e sezioni geologiche, dellTng. A. Fabri . . . prezzo L. 20 00 Carta geologico-mineraria dell’Iglesiente (Sardegna), nella scala di 1/50 000, (in un foglio) . prezzo L. 5 00 Descrizione geologico-mineraria dellTglesiente, con un atlante di XXX tavole e una Carta geologica, dell’ Ing. G. Zoppi. . . . prezzo L. 15 00 Carta geologica della Campagna Romana e regioni limitrofe, nella scala di 1/100 000 (sei fogli e una tavola di sezioni) . prezzo L. 25 00 UT. B. — Sono pure in vendita i fogli separati ai prezzi seguenti: Civitavecchia (L. 4); Bracciano ( L . 5); Palombara (L. 5); Cerveteri (L. 4); Roma (L. 5); Cori ( L . 4). Carta geologica dell’Italia, in due fogli, nella scala di 1/1 000 000 (seconda edizione riveduta della Carta pubblicata nel 1881). . . prezzo L. 10 00 Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio Geologico (Via S. Susanna, 1) ovvero alla Libreria E. Lòescher, in Roma. ELENCO del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico R. Comitato Geologico. Capellini Giovanni, prof, (li geologia nella R.Università di Bologna, Presici. Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze. Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli ingegneri in Torino. De Zigno Achille, membro del R. Istituto Veneto, a Padova. Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo. Omboni Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Padova. Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napoli. Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, a Imola. Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania. Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe- riore di Milano. Struver Giovanni, prof, di mineralogia, nella R. Università di Roma. Taramelli Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia. Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze. Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma. Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma. Personale addetto ai lavori della Carta Geologica. Direzione superiore : Ing. Giordano Felice, Direttore. Ing. Pellati Niccolò. Ufficio Geologico : Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario ‘del Comitato. Ing. S orm ani Claudio. Ing. Aichino Giovanni. Sig, Lusvergh Cesare, aiutante. Geologi operatori: Ing. Baldacci Luigi. Ing. Lotti Bernardino. Ing. Cortese Emilio. Ing. Zaccagna Domenico. Ing. Mattirolo Ettore. Ing. Viola Carlo. Ing. Novarese Vittorio Ing. Sabatini Venturino. Ing. Franchi Secondo. Ing. Mezzena Elvino. Sig. Fossen Pietro, aiutante. Sig. Cassetti Michele, aiutante. Sig. Moderni Pompeo, aiutante. La sede deirUfficio geologico è in Roma nel Museo agrario-geologico, via Santa Susanna, n. 1-A. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1889. (Volume ventesimo o decimo della 2a serie) Introduzione Pag. l MEMORIE ORIGINALI. V. Simonelli. — Appunti geologici sull’ isola di Giannutri (Arcipelago to- scano) » 10 P» Moderni. — La trachite e il tufo di Rispampani presso Toscanella (con una tavola) - » 19 G. Steinmann. — Sulla età del calcare appenninico di Capri (traduzione dal tedesco con note di M. Canavari) » 25 G. Di Stefano . — Il Pliocene ed il Postpliocene di Sciacca; osservazioni stratigrafiche 69 IL Travaglia . — Contributo agli studi sulla genesi dei giacimenti di solfo » 110 E . Niccoli. — La frana di Casola Yalsenio nel circondario di Faenza (con una tavola) .... e ...» 118 A. Portis. — Nuove località fossilifere in Val di Susa » 141 D. Pantanelli. — Tufi serpentinosi eocenici nell’Emilia » 184 V. Simonelli . — Terreni e fossili dell’ isola di Pianosa nel Mar Tirreno (con cinque tavole) ...» 193 F, Sacco. — La conca terziaria di Varzi-S. Sebastiano (con una Carta geologica) 257 C. De-Stefani. — Il lago pliocenico e le ligniti di Barga nella valle del Ser- chio ; rapporto al Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio (con una tavola di sezioni) » 278 A. Piatti. — La sorgente termo-solforosa di Sermione sul lago di Garda; lettera all’ ing. P. Zezi. » 288 C . De Stefani. — - 11 lago pliocenico te le ligniti di Barga nella valle del Serchio ; rapporto al Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio ( continuazione e fine) » 329 A. Portis. — Studio sopra alcuni Gimnodonti fossili italiani (con una tavola) » 352 — 407 — ESTRATTI E RIVISTE. C. Klein . — Analisi petrografia di una serie di roccie dei dintorni del lago di Bolsena (Dal Neues Jarhb.f. Hin„Geol, und Pai., VI B.-Band, I. H., 1888). Pag. 32 NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE. M . Bertrand et M. Kilian. — Ètudes sur les terrains secondaires et tertiaires dans fcles provinces de Grénade et de Malaga ( Mém . de V Acad. des Sciences de VInstitut de Francé). — Paris, 1889 > 128 Bibliografìa geologica italiana per 1’ anno 1888 » 238 Id. id. ( continuazione ) » 292 Id. id. ( continuazione e fine) > 381 NOTIZIE DIVERSE. Osservazioni geologiche nelle Alpi » 52 Le folgoriti del Monte Viso. . ^. » 54 Trachite sodalitica recentemente scoperta a Napoli » 132 Le ultime trasformazioni del Vesuvio » 136 -Sulla origine del petrolio ... * » 189 La zona a Congerie presso Catanzaro (E. Cortese) . » 251 Nummoliti della Repubblica dell’ Equatore (A. Teliini) » 252 Il pozzo artesiano di Ponticelli presso Napoli 325 Necrologia: Giuseppe Meneghini » 56 Giuseppe Seguenza . . . » 65 TAVOLE ED INCISIONI. Sezione geologica presso Toscanella » 24 Veduta del tufo trachitico (nenfro) presso Rocca Rispampani (Tav. I). . » 25 Sezioni geologiche nei dintorni di Sciacca pag. 72, 78, 82, 86, 89 La frana di Casola Valsenio (Tav. II) . » 126 Taglio naturale presso la Marina del Marchese (Isola di Pianosa) (Tav. Ili) » 236 Fossili dell’Isola di Pianosa (Tav. IV, V, VI, VII) » 236 Carta geologica delia conca terziaria di Varzi — S. Sebastiano (Tav. Vili) » 278 Sezioni nel bacino lignitifero di Barga nella valle del Serchio (Tav. IX) . » 350 Placche dentali di Gimnodonti fossili italiani (Tav. X). ....... 380 — 408 — PARTE UFFICIALE. R. Decreto 21 febbraio 1889 col quale il prof. G. Capellini è nominato presi- dente del R. Comitato geologico Pag. 3 R. Decreto 28 febbraio 1889 col quale il prof. Omboni è nominato membro del R. Comitato geologico. » 4 Lettera con la quale il Presidente del Comitato trasmette al Ministero di Agri- coltura, Industria e Commercio, il verbale delle sedute 12 e 13 giugno » 5 Verbali delle adunanze 12 e 13 giugno 1889 . » 7 Relazione annuale dell’ Ispettore-Capo al R. Comitato geologico sul lavoro della Carta geologica (1888-89) » 14 Quadro d’ unione della Carta geologica d’ Italia, nella scala di 1 a 3 000 000, dimostrante lo stato del rilevamento al 1 gennaio 1889 (annesso alla re- lazione annuale dell’ Ispettore-Capo) » 100 Lettera con la quale il Presidente del Comitato trasmette al Ministro di Agri- coltura, Industria e Commercio, i verbali delle sedute 9 e 10 dicembre » 101 Verbali delle adunanze 9 e 10 dicembre 1889 103 Elenco del personale del Comitato ed Ufficio Geologico alla fine del 1889 » 405 Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1889 406 INDICE DEI FASCICOLI. Gennaio e Febbraio (1 e 2) Marzo e Aprile (3 e 4) Maggio e Giugno (5 e 6) • . • • . . . . . Luglio e Agosto (7 e 8) Settembre e Ottobre (9 e 10) . Novembre e Dicembre (11 e 12) da pag. 1 a Pag . 68 » 69 a » 140 » 141 a » 192 » 193 a > 256 » 257 a » 328 » 329 a » 408 BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO. Serie II.8, — Anno X.° 1889 ATTI UFFICIALI BOLLETTINO BEL II. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE Lettera con la quale il Presidente del Comitato trasmette al Mini- stero di Agricoltura , Industria e Commercio il verbale delle se- dute 12 e 13 giugno . Bologna , 17 giugno 1889. A S. E. il Ministro di agricoltura, industria e commercio. — Roma. Ho l’onore di rimettere all’E. V. i verbali delle adunanze tenute dal R. Co- mitato geologico nei giorni 12 e 13 del corrente mese: da essi TE. V. rileverà come sieno stati svolti gli argomenti della relazione annuale del Direttore dei lavori e le proposte del Comitato. Nello scorso anno a Londra ognuno ha potuto convincersi che l’ Italia oggi, in fatto di studi geologici, occupa un posto di prim’otdine e, poiché ciò in gran parte è dovuto al valido aiuto del Ministero dell’Agricoltura, così sento il dovere di raccomandare all’E. V. che non abbiano a mancare i mezzi per proseguire at- tivamente e valorosamente l’opera così bene avviata. Il Comitato ha inteso con vera soddisfazione che la Direzione della Carta geologica di Francia ha riconosciuto la opportunità di recarsi sul terreno insieme ai nostri geologi per definire alcune difficili quistioni che riguardano le Alpi e sono certo che i nostri geologi, anche in tale circostanza, si faranno onore. Si è poi raccomandato di sollecitare il completamento degli studi intorno a Napoli, ove accorrono tanti studiosi scienziati stranieri e vi ha ancora molto da fare. Ed anche per la Sardegna il Comitato pensa che si debba incomincinre un serio rilevamento geologico come fu fatto per la Sicilia, l’Elba e le altre isole minori. Da uno studio accurato e particolareggiato della Sardegna possiamo ri- prometterci delle rivelazioni scientifiche importanti, come ne abbiamo avuto e con- tinuiamo ad averne in Sicilia. Prego l’E. V. di accogliere favorevolmente tutte le proposte del Comitato, assicurandola che il medesimo raddoppierà la sua attività per secondare i nobili sforzi del Ministero perchè il lavoro della Carta geologica d’ Italia progredisca rapidamente e riesca degno della aspettativa di tutti. Coi sensi della più distinta osservanza II Presidente del Comitato geologico G. CAPELLINI. Verbale dell’adunanza 12 Giugno 1889. Seduta antimeridiana. La seduta è aperta alle ore 9,40 antimeridiane. Sono presenti i membri: Cocchi, De-Zigno, Gemmellaro, Giordano, Omboni, Scacchi, Scarabelli, Silvestri, Struever, Taramélli e il presidente Capellini. Il Prof. Cossa ha scritto scusandosi di non potere intervenire e ring. Pellati pure perchè impedito da altre occupazioni. Il Presidente apre la seduta ricordando la dolorosa perdita fatta in seguito alla morte del compianto Meneghini, il quale ebbe per molti anni a presiedere con tanto senno e con tanta attività i lavori del Comitato, ed esprime la fiducia che i colleghi gli faciliteranno il compito che venne a lui affidato dal Ministero. Dà quindi la parola al direttore dei lavori, Ispettore Giordano, perchè esponga quanto fu fatto nell’anno decorso e quanto propone per il presente. L’Ispettore Giordano presenta la sua relazione annuale (mancante ancora di un’ultima parte relativa al Congresso internazionale di Londra, che sarà aggiunta in seguito) e presenta pure due diagrammi dimostranti lo stato di avanzamento della Carta geologica e della Carta topografica, nonché le due carte pubblicate di recente dall’Ufficio, quella cioè della Campagna Romana come continuazione di quella in grande scala iniziata in Sicilia, e la Carta generale d’ Italia al ifl 000 000 come edizione migliorata di quella pubblicata nel 1881. Egli non si arresterà nuovamente a descrivere tutte le particolarità, che del resto sono esposte nella Relazione in bozza che i membri ricevettero. Fa però cenno dei rilevamenti eseguiti nel 1888 nelle 5 regioni nelle quali è ripartito il lavoro e dei principali risultati ottenuti, citando dapprima quelli relativi alle roc- cie cristalline della Calabria (in proposito alle quali ricorda la opportunità d Ila prossima riunione della Società geologica a Catanzaro) e ai terreni terz'arii e secondarii del Salernitano, pei quali accenna alla difficoltà che si ebbe dapprima di dividere i varii piani del Cretacico e di separare questi dall’Eocene, in causa della presenza di una estesa serie di strati a frammenti di rudiste, intercalati ta- lora con altri a nummuliti, e quindi di dubbia determinazione. Nella sezione di Roma, vista la mancanza di carte topografiche verso Nord, si è dovuto piuttosto spingere il rilevamento verso l’Adriatico da una parte, dall'altra alla Toscana marittima onde attaccarsi ai lavori della sezione di Pisa. Quest’ultima, oltre al — 8 — rilevamento regolare, ebbe ad occuparsi molto di ricognizioni e verificazioni nel- l’Appennino tosco-romagnolo, dove eranvi parecchi dubbi da risolvere. Fanno se- guito a questi lavori le verificazioni fatte nella Liguria occidentale circa ia clas- sificazione cronologica di quelle formazioni, sulla quale erano sorti alcuni dubbi in seguito a nuove osservazioni; ed infine i rilevamenti nelle Alpi Marittime e Graje, dove fu fatto molto lavoro per stabilire nettamente quella serie dei terreni. Tali lavori nelle Alpi Occidentali sono tanto più importanti in quauto i risultati contrastano con le opinioni che sui medesimi si avevano precedentemente e, in particolare, dai geologi francesi. Parla quindi del rilevamento geognostico-idro- graflco della vallata del Po, che si va eseguendo sotto la direzione del prof. Ta- ramela, lavoro già molto avanzato nell’anno e in particolare per ciò che riguarda 10 studio del delta, del quale studio veniva incaricato l’ing. Stella che ne presentò già una estesa relazione. È parere del relatore che detto studio si debba prose- guire nella pianura veneta sino all’ Isonzo, per modo che in poco tempo e senza grande spesa si possa completare, osservando che il fondo per ciò preventivato non fu esaurito e quanto resta è sufficiente alla scopo. Fa cenno da ultimo della grande Carta marmifera del Carrarese, della quale fu ultimato il rilevamento to- pografico, e rimane ora a farsi la parte geognostica, oltre alla raccolta di dati statistici. Questa Carta è qui esposta, e si può vedere la sua estensione e l’entità dei lavoro, che necessitò specialmente all’ aiutante sig. Fossen il suo compimento in località così difficili. Taramelli dà ulteriori ragguagli sul lavoro della valle del Po, già tanto avan- zato sia per le conoidi glaciali, sia per la parte alluvionale, e compiuto per quanto riguarda il basso corso del fiume, per il quale si ottennero dei risultati alquanto diversi dalle idee che si avevano in proposito alla formazione del delta, al suo protendimento in mare ed alla formazione delle lagune. Raccomanda egli pure la continuazione del lavoro per la pianura veneta e fa domanda che vengano riprese le analisi chimico-meccaniche delle terre, eseguite sinora per il solo agro pavese (pel quale furono fatte oltre a :.00 analisi), limitandole però a un ristretto numero di campioni scelti in località opportune, in base alla esperienza già fatta. Propone poi che sia emesso un voto di ringraziamento del Comitato al chimico prof. Ze- noni che prestò finora gratuitamente l’opera sua per l’analisi delle terre pavesi. 11 Comitato approva all’unanimità. Lo stesso Taramelli, in ordine agli studi da eseguirsi in Liguria, raccomanda di portare specialmente l’attenzione degli operatori su quei talcoscisti, dei quali non è ancora bene definita l’età. Ha quindi la parola il Prof. Gemmellaro, il quale riferendosi all’accennata difficoltà di delimitare i terreni cretacei dagli -eocenici a causa dei frammenti di rudiste inclusi negli strati calcarei, osserva che anche in Sicilia è comunissimo — 9 tale fatto, ma che in gran parte quegli strati p^r caratteri stratigrafici e litologici vanno attribuiti al Cretacico, dovendosi ritenere eocenici quelli soli che contengono anche nummuliti. In seguito ad invito del Presidente il Prof'. Scacchi prende la parola per ri- cordare la proposta fatta ed accettata l’anno scorso della ripubblicazione del suo lavoro sui vulcani fluoriferi della Campania, nello scopo di completarlo, renden- dolo nello stem tempo più compendioso, e di migliorare la Carta annessa alla prima edizione, che era riuscita alquanto confusa. Presenta quindi detta Carta cor- retta e una parte del manoscritto per la stampa, osservando che ora la memoria fu rifatta a nuovo e spogliata dei particolari che erano meno necessarii. L’Ispettore Giordano riprende la sua esposizione e parla del laboratorio chi- mico-petrografico annesso aH’Ufficio, per cui cessa la necessità di rivolgersi, come si è fatto finora, a Torino per le analisi e lo studio delle roccie: resta ora a provvedere per il personale di tale laboratorio, che si potrà reclutare nello stesso corpo degii ingegneri-geologi, oltre ad uno speciale inserviente-preparatore per i lavori materiali (fra i quali havvi pure la preparazione delle lastre sottili), da scegliersi in seguito a proposta della direzione. In quanto alle pubblicazioni da farsi nell’anno, oltre al volume nel quale sarà inserita la memoria Scacchi, si dovrà incominciare quella della Carta delle Alpi Apuane, di cui si potrebbe stampare in scala del 25™ la parte centrale, la più importante per i giacimenti marmiferi, oltre ad una cartina d’insieme al 50.m Fa poi cenno di un lavoro incominciato dall’Ing. Sabatini sulle Isole Eolie, di ac- cordo col Prof. Fouqué, per completare il quale occorrerà una visita dello stesso ingegnere a quelle isole. A tale proposito il Prof. Taramelli raccomanda di prendere in esame anche i materiali ultimamente eruttati da Vulcano, onde dare al lavoro un carattere di maggiore opportunità; e, a proposta del Prof. Scacchi, sarebbe anche bene che lo stesso Sabatini, visitasse prima di andane alle Eolie la bella collezione di roccie di quelle isole posseduta dal dott. Johnston-Lavis in Napoli. Sullo stesso argomento il Prof. Silvestri accenna ad una commissione, della quale è presidente, incaricata di studiare i materiali eruttati da Vulcano, e qu'ndi alla necessità di coordinare tutte queste osservazioni, invitando ring. Sabatini a mettersi d’accordo col Prof. Silvestri su quanto riguarda quell’ isola. Il Comitato, dopo breve discussione, approva. L’Ispettore Giordano riprende la parola sul personale addetto allo studio dei fossili, composto ora dal solo Dott. Canavari, il quale col 1° del p. v. Luglio sarà collocato in pianta stabile e dovrà venire a Roma presso l’Ufficio. Per il labora- torio petrografico" si avrà l’opera deli’ Ing. Mattirolo; ma siccome questi deve per qualche tempo, e nell’estate almeno, lavorare in campagna, potrebbesi, come già — 10 - si fece più volte, valersi all’uopo dell’ opera che il Dott. Bucca presta da molto tempo per tenuissimi compensi. In seguito ad osservazioni del Prof. Struever, il Comitato approva di valersi dell’opera del Bucca come si è fatto finora. Si da infine comunicazione di una lettera del Prof. Cossa con la quale, os- servando che l’opera sua più non occorre, dopo la istituzione di un laboratorio nell’Ufficio dove si avrà l’Ing. Mattirolo ora molto abile in tali lavori, rinunzie - rebbe al posto di membro del Comitato. Però il Comitato, dietro proposta del Presidente, ad unanimità chiede di ringraziarlo vivamente per quanto ha operato sin qui e di pregarlo a rimanere e di scrivergli in proposito onde non venga pri- vata la istituzione dell’opera sua. Dopo ciò la seduta è sospesa ad ore 11 ll2 ant. Seduta pomeridiana. La seduta è ripresa alle ore 3 e 1J2 pom. Sono presenti gli stessi membri del mattino. L’Ispettore Giordano, riprendendo la sua esposizione, parla della necessità di avere per la pubblicazione della Carta geologica una edizione senza tratteggi dei fogli dell’Italia Meridionale, dovendosi perciò concorrere nella relativa spesa col Ministero dei Lavori Pubblici e coll’Istituto Geografico Militare; e così pure con- correre nella spesa pel rilevamento di una Carta a curve al 1[2000 dell’Isola d’ Ischia, di accordo con la Giunta del Catasto, che altrimenti ne farebbe solo la planimetria; di tali proposte era già stato fatto cenno nella riunione dell’anno passato, dolente che per l’assenza del generale Ferrerò non si possa entrare maggiormente nelhargomento. In quanto a’ lavori di rilevamento dell’anno corrente non si avrà che ad estendere maggiormente gli attuali, in Calabria verso il Nord e da Salerno verso il Sud per modo da incontrarsi con la sezione di Calabria, ciò che avverrà presso il gruppo del Monte Pollino. Da Roma si procederebbe verso l’Adriatico da una parte e la Toscana dall’altra; lo stesso per la sezione di Pisa verso Roma, oltre ad una nuova ricognizione dettagliata nell’Appennino tosco-romagnolo, per la quale si ricorrerà al consiglio ed all’opera del senatore Scarabelli; quella di Torino da ultimo continuerà il lavoro nelle Alpi Occidentali sino al Monte Bianco, lavoro che spero si potrà presto pubblicare, avendosi colà la carta a sole curve orizzon- tali. A proposito dei lavori delle Alpi Occidentali, essi saranno iniziati con una visita lungo la frontiera colla Francia, che sarà fatta dai nostri geologi rilevatori con dei geologi e col Direttore della Carta geologica di Francia, per sciogliere — 11 insieme alcune difficoltà. Questa visita venne combinata all’occasione del Congresso di Londra. A proposito di lavori di campagna il presidente Capellini accenna allo Sar- degna, dove ancora v’è tanto da fare e dove in mancanza della Carta topografica non si può fare nulla e bisognerebbe insistere perchè questa venisse sollecitata. Il prof. Struever crede che, anche senza Carta dettagliata, si potrebbero fare lavori interessanti in quell’isola, e cita ad es. uno studio sui terreni trachitici, intorno ai quali non pochi dubbi rimasero dopo il lavoro del Lamarmora. Anche il pro- fessore Gemmellaro è dello stesso parere circa i terreni secondari della Sardegna, e crede che, pur sempre sollecitando la Carta topografica, si possa intanto man- dare alcuno a studiare questi problemi rimasti insoluti. In seguito a breve discus- sione il Comitato approva in massima questa idea. Il presidente Capellini raccomanda pure di continuare i lavori di rilevamento nei dintorni di Napoli, specialmente in quelle parti che non furono rivedute, e mostra la opportunità di valersi all’uopo, per la parte paleontologica, dell’opera del pro- fessore Bassani. Così pure per lo studio dei fossili, oltre al paleontologo risie- dente in ufficio, si ammette che converrà rivolgersi in determinati casi a degli specialisti ed a persone che abbiano dato buone prove in rami speciali della paleontologia. Lo stesso presidente, ritornando sulla grave perdita fatta nella persona del prof. Meneghini e ricordando i molti servigi da esso resi al Comitato, rileva la opportunità di collocarne un ricordo (busto o medaglione) in una delle sale del- l’ufficio, come già fu fatto per il Sella, lasciandone la scelta all’Ispettore Giordano. Fa quindi un’altra proposta a nome della Commissione per il monumento da eri- gersi allo stesso Meneghini nel Camposanto di Pisa, ed è che il Comitato facesse preghiera al Ministero per un concorso alle spese di detto monumento. Crede non dovrebbe essere difficile tale sussidio, se non tutto su di un bilancio, diviso anche su diversi. Ritiene che con tale ajuto l’opera della Copimissione di Pisa verrebbe anche moralmente ad avvantaggiarsi moltissimo per l’impulso che ne deriverebbe, per modo da potere raggiungere in breve tempo la intiera somma necessaria pel monumento. Il Comitato appoggia alla unanimità la proposta. Lo stesso prof. Capellini, come presidente della Società geologica, fa domanda che il Comitato continui a dare ospitalità alla medesima, in vista anche dell’utile reciproco che ne deriva, facendo nello stesso tempo voto al Ministero perchè in avvenire procuri possibilmente di accrescere il locale attualmente occupato dal- l’ufficio e museo geologico, il quale trovasi già alio stretto e lo sarà ancor più in avvenire col progredire dei lavori a, causa del continuo aumento del materiale, parte del quale è tuttora accumulato nelle sezioni. L’Ispettore Giordano osserva che oggidì si è già in parte provveduto alla migliore sistemazione delle collezioni, — 12 — sieno scientifiche che industriali; colle economie realizzate si è costrutta una nuova galleria e si è preparato ua progetto Ji sistemazione di tutti i locali ancora disponibili, arredandoli di vetrine di forma conveniente ai diversi materiali. In qual- che mese tutto potrebbe essere debitamente sistemato, e con una spesa da non compromettere il bilancio. Il Comitato approva tale proposta ed appoggia la raccomandazione onde il museo e il laboratorio, già quasi finito, siano al più presto sistemati. Il prof. Gemmellaro prende quindi la parola per fare risaltare la necessità di stabilire nettamente i rapporti fra l’Ufficio ed il Comitato, onde i membri di questo non abbiano ad assumersi responsabilità sui lavori che si vanno pubblicando senza che sieno stati sottoposti al loro esame. Osserva anche che la responsabilità deve essere estesa a tutto il Comitato e non limitata ai singoli membri che si occupano di una data regione. Il Comitato approva e stabilisce che un membro per ciascuna regione, a se- conda dei lavori deliberati per l’anno successivo, verrà nominato per la sorve- glianza e ne riferirà in seno al Comitato; e che per casi di urgenza Tuffic'o si accordi con la presidenza per la delegazione. In tesi generale poi si dovranno radunare tutti i casi dubbi per discuterli nelle adunanze del Comitato, nella qual circostanza sarà necessaria anche la presenza dei singoli operatori. A questo proposito alcuni membri del Comitato osservano che sarebbe opportuno riunirsi almeno due volte per ciascun anno, possibilmente nei mesi di m ìggio e di novembre, e ciò anche per l’immediata applicazione delle norme che verranno stabilite. Lo stesso presidente propone pure sieno formulate delle istruzioni tecniche per il personale incaricato del rilevamento: già esistono diverse istruzioni in propo- sito, anche sparse in antiche circolari, e nel decorso anno furono in buona p irte raccolte in un fascicolo di norme stampate a cura della direzione dei lavori. Sarebbe però bene che in queste norme fosse separata la parte puramente ammi- nistrativa, dove il Comitato non può avere azione, da quella scientifica, la quale costituisce la vera attribuzione del Comitato stesso. Si potrebbe quindi nominare una Commissione che le raccolga, le coordini e ne faccia un corpo di istruzioni da pubblicarsi. Il Comitato approva. Il prof. Taramelli esprime il desiderio che i rilevatori che hanno pratica dei terreni delle Alpi Occidentali abbiano da estendere le loro osservazioni in Lorbardia nell’alta Valtellina, dove si presentano terreni analoghi e dove sono ancora molti problemi a risolvere; tali osservazioni servirebbero anche di punto di partenza per il successivo rilevamento delle Alpi in Lombardia. L’Ispettore Giordano accetta l’idea e dichiara che si farà il possibile di mandarvi alcuno nel corso dell’estate. Il presidente Capellini presenta infine una lettera del prof. De-Stefani, con la - 13 - quale domanda un sussidio per un giovane che sta facendo lo studio dei felini pliocenici esistenti nel Museo di Firenze e che potrà essere presto ultimato e pubblicato. Dopo breve discussione il Comitato riconosce come esso non possa mettersi in questa via dei sussidi, e che nel caso attuale per la pubblicazione il De-Stefani potrebbe rivolgersi alle accademie scientifiche, mentre il Comitato non deve scostarsi dai lavori che hanno rapporto diretto con la Carta geologica, vista anche la scarsità dei fondi disponibili per pubblicazioni dopo le riduzioni fatte nel bilancio. La seduta è levata ad ore 5 pom. Adunanza del 13 Giugno 1889. Si apre la seduta alle ore 10 ant. essendo presenti gli stessi membri del giorno precedente. Viene data lettura del verbale delle sedute precedenti, il quale, dopo brevi osservazioni, rimane approvato. Dopo di ciò la seduta è sciolta. Il Segretario P. Zezi. Il Presidente G. Capellini. Relazione annuale dell'Ispettore-Capo al R. Comitato geologico SUL LAVORO DELLA CARTA GEOLOGICA (1888-89). Presento al R. Comitato l’annuale Relazione sul lavoro della Carta geologica pel decorso anno 1888 e sul da farsi nel seguente. Per le stesse ragioni già più volte esposte nelle relazioni di parecchi fra gli ultimi anni, l’esposizione delle materie verrà fatta nell’ordine stesso già stato in essi anni seguito e seguendo la norma stessa, cioè di riferire sui lavori non se- guendo l’anno finanziario luglio-giugno adottato pei bilanci dal 1884 in qua, ma seguendo l’anno solare che è più naturale. Molte poi delle considerazioni relative alla natura ed all’ordine dei lavori geologici stati eseguiti, le quali furono esposte e ripetute nelle precedenti relazioni sarebbero ugualmente opportune in questa; ma sarebbe ormai troppo lungo e mono- tono il ripeterle ancora per intero, onde si potrà procedere alquanto più brevemente. Si può d’altronde rammentare come il piano generale dei lavori che ora si vanno d’anno in anno eseguendo è sempre quello già stato a suo tempo discusso ed approvato dal R. Comitato, e soltanto con le lievi variazioni portate dai risul- tati scientifici del rilevamento stesso ovvero da circostanze del bilancio; perciò sa- rebbe superfluo lo estendersi ancora di molto a generiche considerazioni per giustificare l’operato. Basta quindi il riferire sui lavori speciali effettivamente eseguiti, sia per quelli di nuovo rilevamento regolare in grande scala, sia per le preliminari ricognizioni che lo devono precedere, quanto infine per le revisioni e correzioni dei rilevamenti già eseguiti prima di pubblicarli. Sul Congresso internazionale tenutosi nell’autunno del 1888 in Londra, viene reso conto in speciale capitolo. Come allegati utili all’esposizione si aggiungono i soliti due diagrammi, cioè dello stato di avanzamento del lavoro geologico (V. Quadro annesso) e di quello della carta topografica rilevata e pubblicata dal- l’Istituto geografico militare, dal cui avanzamento dipende in buona parte quello del lavoro geologico. Nella enumerazione dei lavori si seguirà la solita divisione loro secondo le diverse regioni o centri di rilevamento già stabiliti e dei quali è resa ragione nelle precedenti relazioni. Italia centrale . — - La zona del rilevamento in grande scala avente per centro la capitale, misurava al fine del 1887 la superficie di circa km.2 23 000. 15 — La estensione rilevata nel 1888 fu di km.2 4 405, portando cosi la totalità a circa 27 400 km.2 Questi rilevamenti vennero principalmente eseguiti aH’cstremo Sud della zona, cioè nelle provincie di Avellino, Benevento, Campobasso, non che nella parte meridionale delle provincie .di Aquila e di Chieti. — Un’ altra parte del rilevamento ebbe luogo all’estremo opposto della zona stessa, all’Ovest cioè del lago di Bolsena. — Gli operatori furono quelli della squadra di Roma, com- posta tuttora dell’ing. Zezi e degli aiutanti Cassetti e Moderni. Il primo di questi lavorò principalmente nelle succennate provincie meridionali, su terreni sedimentari di età varia dalla cretacica media alla terziaria superiore, mentre il secondo la- vorò in estate nelle analoghe formazioni dell’Abruzzo e pel rimanente dell’anno nella regione vulcanica vulsiniense. La carta rilevata è alla scala dell’ 1/50 000 non essendovi più per quelle re- gioni la carta all’ 1/25 000 che cessa ad una distanza di 35 km. circa da Roma. La suddetta area di 4 405 km.2 venne rilevata in 356 giornate di campagna e con un percorso su di strade ordinarie e sentieri di 10 525 km.; ciò che risponde in media generale a km. 2,40 circa pér km.2 rilevato. Queste cifre di percorsi dedotte dagli itinerari giornalmente registrate dai singoli operatori, conducono talvolta ad utili ed interessanti paragoni in relazióne alla natura geologica del territorio rilevato. E così per esempio, mentre nella regione di terreni sedimentari per ogni km. quadrato bastarono poco più di 2 km. di percorso, invece nella regione vulcanica ne occorsero quasi 4 1/2, onde un tempo ed una spesa assai maggiore. Concorda con questa osservazione l’altra analoga, che cioè mentre nella regione di terreni sedimentari a vasti contorni geologici può bastare a rigore la mappa all’ 1/50 000, questa è invece insufficiente nella regione vulcanica dove la frequenza di roccie laviche poco estese ma svariate esige molto maggior quantità di particolari, onde é che gioverebbe usare ivi una mappa ingrandita a scala doppia come più volte si è praticato. Non posso dilungarmi ad esporre i diversi particolari geologici del rilevamento, risultanti dallo studio e dalle relazioni dei singoli operatori, perchè porterebbero a troppa prolissità, e d’altronde verranno a suo tempo riferiti nelle memorie illustrative della Carta geologica di questa regione quando la medesima verrà pubblicata. Un solo fatto citerò per la relativa sua importanza, ed è che nella regione % dell’ Appennino tra l’Abruzzo e la Terra di Lavoro, regione generalmente costituita di calcari eocenici a nummuliti, i primi rilevatori aveano notati dei banchi cal- carei ricchi di resti di ippuriti, onde da prima quei calcari erano stati classificati nel Cretacico. Simili banchi però essendo in stratificazione concordante con quella dell’Eocene la quale vi sta sottoposta, s’avea un curioso fenomeno da decifrare. Ma ora più minute osservazioni mostrarono che gli avanzi di rudiste trovati in — 16 — quei calcari, erano rimaneggiati, onde spariva la difficoltà, ed anche questi cal- cari ricadevano nella formazione eocenica. Un simile fatto si ripete in diverse altre località dell’ Appennino meridionale onde la necessità di altre simili corre- zioni da farsi colla massima cura e cautela. Oltre al nuovo rilevamento sovra indicato delle provincie di Benevento, Avel- lino, Campobasso ed altre vicine, vennero praticate dall’Ing. Zezi delle speciali revisioni nei fogli della Carta circostante a Roma i quali, essendo stati rilevati diversi anni addietro, aveano oggidì bisogno di qualche modificazione. A simile revisione, specialmente a quella della regione della Sabina al N.E di Roma dove regnano calcari di epoca assai antica (giurassici e basici), prendeva anche parte alcun’altro operatore e specialmente l’Ing. Baldacci, il quale nel rilevamento tempo fa eseguito delle provincie di Sicilia avea avuto occasione d’impratichirsene. Ora intanto il rilevamento di questa zona centrale d’Italia, che si irradia da Roma, si estende già lungo il Tirreno dal confine toscano sino oltre a Napoli, e con profondità varie nell’interno della penisola, limitata però in quella direzione della mancanza della carta topografica nel viterbese e nella provincia umbra, le quali regioni come già più volte si notò, non sono ancora rilevate topograficamente. Regione meridionale (Salerno - Rotenza). — In questo anno 1888 dovendosi estendere il rilevamento al Sud di Napoli verso la Calabria, venne formata una apposita squadra coi due ingegneri Viola e Sabatini sotto la di- rezione dell’Ing. Baldacci. Come sede temporaria della medesima venne scelta Salerno, non incontrandosi in quella zona altro paese che si prestasse egualmente alle varie esigenze del lavoro da eseguire. Del resto la scelta venne abbastanza discussa nello scorso anno prima. di venire fissata. Le formazioni regnanti in questa vasta zona, ad eccezione del piccolo gruppo vulcanico del Vulture sul suo lembo settentrionale, sono tutte sedimentari, gene- ralmente dell’epoche terziaria e cretacica con qualche lembo giurassico. Il territorio da rilevare venne ripartito fra i suddetti operatori assegnando per ora al Viola la regione a N.O che comprende le tavolette di Polla, Laurino e Sala Consilina, al Sabatini quella più meridionale lungo il Tirreno con le tavo- lette di Vallo, Castellabate e Pisciotta e restando al Baldacci la regione da Sa- lerno lungo il mare, oltre alla generale direzione della squadra, h 1 Si rammenta per comodità che la Carta topografica d’Italia dell’Istituto geografico militare e che si pubblica dal rame al 1/100 000, sarà composta di 277 fogli della dimensione di G“,37 d’altezza su 0m,42 in media di lunghezza, comprendenti ciascuno circa 1555 km. quadrali. La levata normale però del terreno si fa al 1/50 000, ed il foglio a simile scala si compone di 4 quadranti delti tavolette. Per certe regioni importanti la levala si fa al 1/25 G00 ed il foglio allora si compone di 16 tavolette, che hanno pur sempre la suddetta dimensione di 0,37 x 0,42. — 17 — Non fu possibile per diverse cause andare sul terreno prima del maggio, e come naturale, un certo tempo fu speso per la generale ricognizione dei territori da rilevare, onde l’area definitivamente rilevata, tenendo conto eziandio delle in- terruzioni dovute a cause diverse, non potè per quest’anno essere molto grande. La scala del rilevamento anche per queste regioni fu quella della carta generale 1/50 000 non essendovene altra a scala maggiore. L’area totale fu di 3610 km2 rilevata in circa 380 giorni di campagna, com- prese le preliminari ricognizioni, e mediante il percorso su vie ordinarie e sentieri di km. 8580, ciò che in media generale risponde ancora a km. 2, 35 per km2. Del rilevamento totale suddetto quasi la metà spetta al capo della squadra. Intanto dagli studi già fatti in quella regione, risultò che la sua geologica costituzione comprende le diverse formazioni sedimentarie partendo dalle più re- centi sino al Giurassico (Titonico), con predominio dell’Eocene e del Cretacico medio ed inferiore. Il Titonico, che sarebbe sin’ ora il più antico, non occuperebbe che due lembi di mediocre estensione lungo il golfo di Policastro e presso La- gonegro; ma comparirebbe poi ancora all’Isola di Capri ed in qualche altro punto allo stato di calcare grigio cristallino a crinoidi ed ellipsactinie. Nel Cretacico inferiore si notano potenti strati calcarei a sphaerulites e ra- diolìtes, e nel medio regnano delle dolomie senza fossili, scheggiose e friabili e degli scisti argillo-calcarei con pesci e ligniti. L’Eocene inferiore presenta calcari bianchi cristallini con la nummulite perforata caratteristica ed il medio è ricco di argille scagliose variegate con porzioni di strati di alberese, di arenarie ed altre roccie loro associate. Per brevità non . si diranno altre particolarità geologiche ; però, giova notare anche qui per l’elevato gruppo dei monti che racchiudono il Tanagro, il fatto sovra citato per la regione abbruzzese e di Terra di Lavoro, cioè che entro banchi di calcari ricchi di rudiste e perciò ritenuti dapprima appartenere ai Cretacico, si riconobbe ora starvi quei fossili allo stato frammentario o rotolati, mentre con- tengono la Ntimmulites perforata, N. curoispira ed altri caratteristici dell’Eocene inferiore. Questi banchi evidentemente originati dal disfacimento prodottosi nella epoca eocenica delle scogliere cretaciche, contengono come fu detto, le rudiste in frammenti di gusci distribuiti a straterelli, mentre nei banchi del Cretacico esse si trovano intere in posto, a gruppi e generalmente coll’apice in basso come si originarono. E similmente la presenza di rudiste e altri fossili cretacei erratici entro le argille scagliose di altre regioni dell’Appennino visitate dall’ing. Baldacci, avea indotto dapprima l’idea che dette argille fossero di epoca cretacica, mentre lo studio dettagliato del loro giacimento portava dipoi a riconoscerle come terziarie. — 18 — Calabria . — Come nella relazione del decorso anno è riferito, veniva for- mata pel proseguimento della Carta in questa regione una squadra composta degli ingegneri Aichino e Novarese, sotto la direzione dell’ingegnere Cortese. Però l’in- gegnere Novarese vi era solo stato applicato assai tardi, e l’ing. Cortese dovette staccarsi per molti mesi dal lavoro per una missione all’isola di Madagascar, durante il quale tempo venne in quanto alla direzione sostituito dall’ing. Baldacci La sede della sezione, dapprima in Reggio fu poi trasportata a Catanzaro. Il rilevamento fu anche qui eseguito alla scala dell’ 1/50 000 che è quella della Carta topografica ; però la tavoletta di Catanzaro, comprendente un raggio di circa 10 km. intorno alla città, venne rilevata sopra un’ingrandimento al 1/10 000 e ciò stante la varietà e l’interesse delle formazioni che presenta, potendo così tale Carta servire anche di tipo geognostico pel rimanente della regione. Il lavoro in quest’anno si estese principalmente nei fogli della Calabria media, in provincia di Catanzaro, da Mileto e Serra San Bruno a Cotrone e Rossano. L’area totale ri- levata nell’anno fu di km.2 4307, in 359 giornate di escursioni e con il percorso di 10,805 km., ciò che in media generale torna ancora a km. 2,35 per km*. Tale lavoro regolare non fu invero molto esteso, e ciò stante il poco tempo che come sopra fu detto, gli operatori poterono dedicarvi, cioè quasi soltanto la se- conda metà dell’anno, e stante eziandio il minuto studio che richiedevasi nella zona delle roccie cristalline per buona parte affidata all’ingegnere Novarese; ma per contro le diverse gite di ricognizione e le molte escursioni per scopi fer- roviari ed altri che l’ing. Cortese capo della squadra già aveva fatte in quella regione, agevolarono di molto il definitivo rilevamento. Il totale compiuto sin’ora in Calabria ammonta a 7930 ovvero, in cifra tonda, 8000 km.2. Fatti geologici di qualche importanza non mancarono di venire osservati in questa campagna, tanto nelle grandi masse di terreni cristallini formanti l’ossa- tura centrale della Calabria, quanto nei terreni mesozoici i quali vi formano in varie parti cintura. In questi per esempio venne definita la serie dei calcari del Monte di Tiriolo e individuata quella cerchia che essi formano intorno alle propaggini meridionali della Sila, attualmente solo più rappresentata da pochi lembi staccati. Nei terreni terziari si fecero numerose raccolte di clipeastri ed altri fossili del Miocene, e ri si fece inoltre l’importante scoperta delle congerie nelle argille del gesso. Quanto ai terreni cristallini, gli studi eseguiti sin’ora e principalmente le os- servazioni ultime dell’ing. Cortese, fisserebbero meglio le idee sulla posizione, ossia sul vero livello geologico dei diversi scisti cristallini, specialmente sulle filladi che si presentano in sì vaste zone in tutta la Calabria, come pure nel- l’angolo N.O della Sicilia. Simile formazione si osserva dove sovrapposta e dove — 19 - invece sottoposta alle varie roccie granitoidi o di scisti cristallini diversi (granito, diorite, gneiss tonalitico, chinzigite più o meno ricca di granati; ecc.) formanti in ge- nere l’ossatura delle Calabrie, onde possono nascere diverse ipotesi non tuttavia concordanti, sulla vera loro posizione ed età. Però la circostanza di essere tali scisti generalmente azoici, li farebbe ritenere antichissimi e quanto meno precar- boniferi. Perciò in attesa di ulteriori studi e rilievi da farsi ancora, specialmente sull’orlo N.E della Sila dove il problema si potrà forse vedere risoluto, si è cre- duto bene nella cartina generale d’Italia al 1/1 000 000 di non più figurarli con la tinta dapprima adottata pel terreno cambro-silurico della Sardegna (che solo sin’ora è bene determinato da fossili), ma bensì con la tinta rosea degli scisti cristallini, come si fece per i molti delle Alpi e di Corsica, di età antichissima ma tuttavia indeterminata. Di altri fatti meglio osservati e constatati in Calabria si citeranno soltanto la faglia del Mesima, continuazione di quella dello stretto di Messina, e l’altra attraverso la depressione di Catanzaro; quali faglie sarebbero ora state dal Cor- tese meglio individuate. Finalmente una ricca raccolta venne fatta di campioni di roccie e furono presi appunti su diversi materiali -utili di cui si potrebbe a suo tempo intraprendere o riattivare la escavazione. Regione toscana. — Questa regione comprende le località più interessanti della media Italia le quali possono dirsi classiche al punto di vista geologico, come sono le Alpi Apuane ed i Monti pisani e livornesi, 1* isola d’Elba, la così detta Catena metallifera in Maremma, centro di tanti studi dei nostri, primari geologi nei pas- sati tempi e nei moderni. La regione medesima formò da più anni la Sezione geo- logica avente la sede in Pisa ove lo studio é agevolato dal ricco museo della Università e da buone biblioteche, tra cui assai ricca quella della Società Toscana di scienze naturali, sempre state à disposizione dei nostri geologi operatori. Que- sti operatori sono ancora gli ingegneri Lotti e Zaccagna ed il dottore paleonto- logo Canavari, che vi lavorarono sotto la direzione scientifica del professore Me- neghini presidente del Comitato geologico. In proseguimento dei molti lavori che le favorevoli circostanze di questa Se- zione permettevano di eseguire, venne anche nel 1888 compiuta una certa quantità di nuovo rilevamento nella parte montuosa più difficile dietro i monti Apuani verso l’alto Appennino ; ma sovratutto molto lavoro di speciali revisioni dovette dedi- carsi in quest’anno nelle regioni circostanti, in vista della cartina generale d’ Italia da pubblicare, non che per la revisione dei rilevamenti in grande scala stati fatti alcuni anni addietro e che ora si trattava di preparare definitivamente per la prossima pubblicazione della Carta delle Alpi Apuane a scala del 1/25,000. 2 - 20 — L’ ingegnere Zaccagna, che per incomodi di salute avea da qualche tempo rallentati i suoi lavori, ora alquanto rimesso, li potè riprendere, proseguendo il rilevamento al nord della catena Apuana, cioè nell’Appennino Fivizzanese e Gar- fagnino (ove ne eseguiva in brevi giorni 19 km. 5), non che facendo speciali veri- ficazioni della difficile tettonica di quei monti sul versante nord del culminante Pisanino. Tra i fatti di qualche interesse ivi rilevati, si può notare la scoperta di aptici neocomiani nei calcari di Costa Cerona presso Casola in Lunigiana, la quale legittimerebbe ora la divisione già prima fatta dallo stesso Zaccagna dei calcari e diaspri in neocomiani e titoniani prendendo per linea di separazione la zona diasprina che è intermediaria, mentre le facies dei calcari inferiori e superiori poco differiscono. Resterebbe poi un fatto già altra volta menzionato e che ora lo Zaccagna riterrebbe ben constatato, cioè 1’esistenza di un calcare nummulitico nelle località di Costa dei Cerri presso Ugliancaldo e nelle vicinanze di Corfigliano in Garfagnana, il quale sarebbe talmente interposto agli scisti del trias da parere di tal formazione. La vera classificazione però di questo calcare diede luogo a piuttosto gravi dubbiezze, in quanto che mentre la tettonica dallo Zaccagna descritta porterebbe a ritenerlo incluso negli scisti triasici, invece le sue nummuliti studiate a Monaco dal Cana- vari in confronto ad altre uguali di terreni realmente eocenici studiate dallo Schwager, condurrebbero a ritenerle eoceniche. Esse sono inoltre associate a vere orbitoidi. Si sarebbe quindi in presenza di uno di quei problemi in cui la stratigrafia sembra in lotta con le leggi di successione degli esseri organici dai paleontologi ammesse come generali. Ulteriori osservazioni potranno forse portare maggior luce, come già accadeva per la lunga questione del terreno carbonifero di Petit-Coeur in Savoia. Lo Zaccagna eseguiva poi nell’autunno diverse ed assai laboriose gite nella catena apuana, insieme al reputalo fotografo di paesaggi alpini V. Besso per far prendere le vedute e grandi panorami, che, come è ora l’uso generale, do- vranno illustrare la memoria geologica descrittiva di quella interessantissima regione. Lo stato però dell’atmosfera contrariò ben sovente questo lavoro, e si ebbe inoltre il curioso risultato, che mentre le vedute prese dal versante nordico riuscirono discretamente nitide, quelle prese dal versante meridionale mancarono, onde si dovranno ritentare, con un certo aumento di spesa, in più convenienti con- dizioni atmosferiche. L’ ingegnere Lotti a sua volta, oltre alle estese ricognizioni e lavori diversi in varie località della Sezione, eseguiva una certa quantità di nuovo rilevamento in grande scala (1/25,000) nella stessa regione settentrionale, cioè le 6 tavolette di Vagli, Castelnuovo, Fosciandora con tre del Fiorentino, ed oltre ciò parzial- — 21 — mente altre 16 tavolette nell’alta Garfagnana, nel Fiorentino (col Canavari) e nel Senese. In tutto venivano rilevati al 1/25 000 km. 2 880 in 145 giorni di escursione. Oltre ciò il Lotti faceva nelle stesse località un certo lavoro di revisione, per mettere i suoi rilievi e suddivisioni d’accordo con quelle del collega Zaccagna Egli poi fece anche escursioni per raccogliere campioni di roccie metamorfiche delle Alpi Apuane da inviare alla mostra del Congresso geologico internazionale di Londra, per lo scopo che verrà cennato trattando di quel Congresso. Tra i fatti da lui osseivati di qualche interesse, si può citare quello fra Massa e Pietrasanta specialmente visibile nel Monte Tecchiaro, cioó la trasformazione per compressione di una puddinga quarzoso-micacea della formazione triasica in micascisto, dove il passaggio può venire gradualmente seguito. Il paleontologo Canavari partecipava, sia alle ricognizioni generali sull’ Appennino tosco-roma- gnolo, sia alle parziali, come quella alla località di Ugliancaldo per la questione delle nummuliti di tipo eocenico incluse nel Trias. Egli inoltre cooperò con il Lotti al rilevamento regolare di due tavolelte della Carta nei dintorni di Firenze. Oggidì il rilevamento totale della Sezione di Pisa eseguito dai tre geologi ingegneri Lotti, Zaccagna e dottor Canavari, ammonta a più di 8300 km. *, cioè alla scala di 1/25 000 km. 2 6 570, a quella di 1/50 000 km2 1 800. La zona così rilevata irradiando da Pisa in tutte le direzioni, è limitata come segue : a Nord e Nord-Est dal crinale dell’Appennino Modenese, Lucchese e Pi- stoiese ; ad Est dai monti e colli di Firenze; a Sud-Est dai dintorni di Siena; a Sud dal fiume Cecina. Già poi venne cennato nella relazione dello scorso anno che il dottor Cana- vari si occupava del monte di Cetona, il quale forma un’isola giurassica prominente di mezzo ai terreni tèrziari della Toscana meridionale. Egli in quest’anno vi rile- vava circa km2. 100 e vi determinava numerosi fossili che spetterebbero all’ oriz- zonte del Lias inferiore, oltre poi ad una zona pliocenica al piede Nord-Est della montagna. Carta speciale del Carrarese, — Di questa carta in grande scala (1/2000) del territorio marmifero Carrarese, venne più volte nelle precedenti relazioni spiegato lo scopo molteplice, cioè oltre al geologico, quello tecnico e industriale dovendo la medesima presentare la relativa posizione delle numerose cave di marmi e in fine i dati statistici relativi alla loro escavazione attuale ed alla futura attendibile Questo ricco ramo della produzione nazionale, con quello dei vicini gruppi di Massa e Seràvezza ammonta, come sappiamo, ad un valore annuo di più che 20 milioni dando pane a più di 8 000 operai nel paese, oltre ai benefizi no- tevoli di proprietari industriali ed artisti diversi, i quali in pari tempo acquistano all’ estero ricchezza e reputazione. — 22 — Simile carta inoltre deve servire col tempo a meglio regolare quelle vaste escavazioni anche per antivenirne i pericoli. La carta venne intrapresa al fine del 1885 dietro V avviso dell’ ing. geologo Zaccagna sotto la direzione dell’ ufficio minerario di Firenze. Vi si dedicava poi spe- cialmente l’ing De Ferrari con l’opera sul terreno dell’aiutante ing. Fossen che veniva per ciò delegato a Carrara, coadiuvato dall’ aiutante ing. Tissi dell’ ufficio medesimo. Il rilevamento veniva fatto col teodolite, calcolando poi i triangoli e ripor- tandoli sulla carta con le particolarità delle cave e loro limiti. Vista la grandezza del lavoro erasi dapprima per economia pensato ad una carta in scala soltanto di 1/5000, ma poi si riconobbe conveniente adottare una scala molto maggiore e simile alle catastali, cioè del 1/2000 con curve orizzon- tali a equi-distanza di 2,50. Così sestuplicavasi almeno 1’ estensione della carta, e ne dovea crescere notevolmente il tempo e la spesa ; ma tuttavia calcolavasi che in tre anni al più, cioè nel 1888, sarebbesi potuto terminare il rilevamento. Quanto alla spesa erasi ottenuto dalla comunità e Camera di Commercio un concorso rateato di circa L. 12.000. Ora appunto nel decorso anno 1888 tale grande lavoro, che comprende circa ettari 2200 di levata all’ anzidetta scala, venne compiuto e fu disegnata dal Fossen la relativa mappa tipo la quale ha circa 2.m ,50 di lato. 1 Di tale mappa devesi ora fare una bella copia alquanto semplificata dalle molte indicazioni geodetiche che contiene, mappa che potrà poi riprodursi eco- nomicamente ad uso dell’ amministrazione e del pubblico. Tale copia venne ora affidata all’ aiut. sig. Manara dell’Ufficio geologico. Simile carta speciale del Carrarese, quando venga corredata dei necessari dati geognostici e statistici, potrà formare la base di una monografìa tecnico-in- dustriale di molto interesse, come già venne detto più volte, e che potrebbe esten- dersi sul modello medesimo alle vicine zone marmifere di Massa e Seravezza, nella provincia stessa, ad illustrazione di questo territorio marmifero che oggidì forma il secondo centro industriale dello Stato. Speriamo che 1’ esempio così pre- sentato del Carrarese, che ne è la zona più ricca, possa venire seguito, è che i mezzi all’ esecuzione non mancheranno. Si presenta qui intanto, perchè si abbia un’ idea del lavoro fatto, la Carta originale con un campione della sua copia semplificata. A proposito di questa regione marmifera del Carrarese giova ancora citare un fatto interessante. La Commissione pel monumento nazionale a Vittorio Ema- nuele in Roma aveva chiesto all’ ispettorato delle miniere un rapporto sulle prin- cipali cave di materiale edilizio nobile, sia marmo, sia granito che potessero for- nire la quantità sufficiente a quel grandioso monumento per cui si calcola ne oc- 1 Per formare una mappa ben riquadrata si potrebbe aggiungervi la città stessa di Carrara e qualche altra zona dei dintorni. — 23 — correrà, soltanto nelle parti decorative, per più di 20.000 in.5 Quel rapporto basato sulle numerose informazioni che si possiedono nelle varie parti d’ Italia assegnava naturalmente un posto cospicuo alle cave del Carrarese e fra queste al gruppo di cave dette del Canal-grande, dalle quali già i Romani estraevano il materiale che serviva in Roma ed altrove. Si aggiungeva la favorevole circostanza che la ferrovia marmifera destinata al servizio di quelle estese escavazioni, viene ora prolungata fino a raggiungere 1’ anzi indicato gruppo, talché un masso caricato ivi al piede stesso delle cave, potrà giungere senza trabalzo fino a Roma. Nello visite praticate sul sito cogli ingegneri Zaccagna e Lotti si videro stac- cati dei massi sani di oltre 1000 m3 dai quali si possono tagliare colonne mono- litiche anche di 20 metri di lunghezza. La Commissione del monumento, che poi inviò sul sito alcuni dei suoi membri per assicurarsi delle cose avrebbe infatti concluso per la preferenza a queste cave. Alpi Occidentali . — I lavori di questa Sezione che sta rilevando la re- gione alpina lungo la frontiera fra l’ Italia ed i territori francese e svizzero, erano di essenziale importanza in causa non solo della difficoltà intrinseca dei problemi geologici da risolvere, ma anche perchè si è qui in concorso e sovente in lotta coi geologi esteri i cui lavori vengono a contatto coi nostri. E già nelle relazioni antecedenti, sovratutto dello scorso anno, venne fatto spiccare quale fosse 1’ im- portanza dei risultati da noi già ottenuti, onde la necessità di procedere nella via intrapresa con tanta maggiore alacrità in quanto questi nostri lavori sulla frontiera di altre nazioni dovevano fra breve, e per esempio nel prossimo con- gresso internazionale, venire a confronto con quelli degli esteri. La squadra operatrice di questa sezione alpina avente sede temporaria a Torino, era composta degli ingegneri Zaccagna, Mattirolo e Franchi, quest’ ul- timo però giunto da poco dagli studi all’estero. L’ingegnere Zaccagna che tanto aveva operato negli ultimi anni a stabilire le basi della tettonica di quella ca- tena, dalle Alpi Marittime fino al Monte Bianco, essendo stato in quest’ anno im- pedito dalla salute, non potè recarsi nelle regioni più elevate, ma lavorò tuttavia utilmente, in una zona più bassa ed importantissima del Biellese ove già Gastaldi e Sella avevano progettato anni sono un dettagliato rilevamento. Gli ingegneri Mattirolo e Franchi intrapresero intanto il regolare rilevamento della catena partendo dalla valle della Dora Riparia ad ovest di Torino, cioè dalla regione del Moncenisio non che dalla vicina vailetta del Sangone, località di già per precedenti studi riconosciute, e dove affiorano le formazioni cristalline più antiche. Diverse interruzioni però sopravvennero all’ ing. Mattirolo per altri lavori ai quali dovette attendere in relazione al congresso di Londra. Del resto la stagione atta ai lavori alpini, in genere assai breve, fu in quest’ anno di soli — 24 — settantacinque giorni pel Mattirolo e 112 pel Franchi. In simile spazio di tempo essi, col percorso di 3790 km., rilevarono undici tavolette al 1/25.000 e quattro al 1/50.000 dell’ area di km.3 510. Le tavolette rilevate dal primo sono quelle di Bardonnecchia, Oulx e Cesana, dal secondo quelle della vallata verso Condove. Fra i fatti geologici di qualche importanza osservati vi è anzitutto da notare la scoperta fatta dall’ ing. Mattirolo di una ricca flora carbonifera in due diverse località, 1’ una in alto del vallone Serre, 1’ altra proprio sul crinale alpino per ben sei chilometri fra il colle di Chardonnet e la Rocca Bianca. Egli ritrovò an- che dei fossili dell’ epoca triasica al Colle di Acles ad altitudine di 2400 m. che unitamente a quelli trovati lo scorso anno dallo Zaccagna nella Valle della Dora presso Oulx, ben precisano simile formazione, la quale forma qua e là, in quella regione, diversi lembi di un mantello che vi ricopriva l’Arcaico. Dei suddetti fossili carboniferi e triasici una raccolta venne rilasciata al pro- fessor Portis, che già altre volte si occupò di simili formazioni delle Alpi Occi- dentali onde ne facesse 1’ esame. Si accennerà ancora una osservazione relativa alle cave di talco delle valli del Sangone e del Chiusone, che cioè le medesime invece di trovarsi entro nuclei sparsi comunque nella massa dello gneiss centrale paiono trovarsi allineate in una lunga zona continua di roccia calcarea interstra- tificata al detto gneiss. Intanto le osservazioni fatte in questo e negli anni antecedenti meglio for- marono le idee dei nostri geologi sulla reale successione delle grandi formazioni geologiche di queste Alpi e sui rapporti intimi fra le varie roccie della famosa zona detta delle pietre-verdi (Gastaldi) cioè fra serpentine, roccie anfiboliche e diallagiche, calcescisti e micascisti, che formano la parte superiore dell’Arcaico alpino. Simili conoscenze portate ad una certa precisione molto giovarono, come si vedrà anche a proposito del congresso internazionale, a stabilire una prece- denza e superiorità in vantaggio dei nostri rilevamenti. Nella regione biellese e nella Valsesia l’ ing. Mattirolo avea fatto nello scorso anno diverse osservazioni litologiche, segnatamente sulla grande zona dioritica che si estende sino al Lago Maggiore. La regione, come già cennavasi, è di eccezionale interesse come giacimento di svariate roccie granitoidi delle quali una parte largamente escavata per 1’ in- dustria, e per i dicchi porfiroidi che furono soggetto già di studi e di discussioni fra Gastaldi, Sella e altri dotti, per le sieniti, per quella lunga zona dioritica anzi cennata sulla cui origine non si è ancora bene intesi, e per altri problemi diversi di cui pare vi sia qui la chiave ; ed era perciò ben degna che vi si facesse un secondo centro di osservazioni e di rilevamento. Ciò fece lo Zaccagna in quest’anno, benché da varie cause impedito di estendere per ora notevolmente il lavoro Dopo avervi praticate le necessarie ricognizioni in vario senso dalle alture di Andorno — 25 — sino alla parte bassa del territorio, potè anche eseguirvi una certa quantità di rilevamenti (14 ettari circa) nel foglio stesso di Andorno e fare addentellati pel proseguimento del lavoro in altre campagne. La raccolta intanto delle roccie alpine fatta in quest’ anno accrebbe di molto quel capitale di campioni che già veniva nei decorsi anni accumulandosi in questa Sezione di Torino. Ora simili campioni, che finora eransi dovuti tenere sparsi in diversi locali, vennero dal Mattirolo riuniti nel locale che il Demanio forniva gra- tuitamente ad uso di essa Sezione. A misura che si potranno esaminare questi campioni, la parte scelta e classificata potrà venire spedita al museo centrale di Roma, avvertendo però che non abbondando ivi il locale, converrà limitarsi nell’invio ai campioni veramente essenziali. 11 rimanente potrà tenersi in riserva, ed anche per una raccolta locale a comodità dei geologi italiani od esteri che avessero a fare escursioni e studi in questa regione. In modo analogo si è pen- sato di lasciare una raccolta in doppio in Sicilia, Calabria ed altre regioni di cui siasi fatta la carta geologica, appunto per rendere possibile lo studio del paese a chi si rechi a visitarlo con scopi scientifici o industriali. Simili raccolte regio- nali possono del resto collocarsi anche presso qnalche istituto o scuola locale, quando non si abbia un apposito locale gratuito come questo di Torino. Carta geognostico-idrografica della vallata del Po, — Questa carta speciale, che pure può essere considerata come parte della carta geologica ge- nerale, ma con speciali indicazioni, viene rilevata come sappiamo da speciali ope- ratori con la cooperazione dell’Ufficio geologico sotto la direzione del prof. Tara- melli membro del Comitato, e secondo il programma approvato nella seduta 30 mag- gio 1887. Nel decorso anno gli operatori furono principalmente Luigi Bruno geometra in Ivrea, Federico Sacco prof, all’ università di Torino, Dante Pantanelli prof, al l’università di Modena, ed ing. Augusto Stella di Milano, lavorando ciascuno al compito speciale assegnatogli come segue. Il geometra Bruno nella regione piemontese al nord di Torino sulla sinistra del Po fino al Ticino. Egli già nel 1887 aveva rilevate in tale regione 33 tavolette all’ 1/25 000 dei fogli 42, 43, 44, 56, 57, 58 della Carta generale d’ Italia dell’ area di circa 3000 km.4 Nel 1888 aggiunse altre 27 tavolette più o meno complete, dell’ area di 2363 km*, onde ora in tutto si avrebbero di lui circa 60 tavolette dell’ area di 5360 km.5 A corredo del suo rilevamento, oltre alle carte, egli diede due fascicoli di descrizioni contenenti molti dati idrografici. Al detto ri- levatore resterebbe ora di completare le tavolette dei fogli 31, 44 e 58 oltre a fare lo studio dettagliato di qualche importante apparato morenico postglaciale, come per esempio nella valle di Bardonnecchia o della Tournanche od altrove, per riconoscere come in rapporto alle varie condizioni locali e di clima siano andate variando e in generale scomparendo le antiche masse glaciali. Il dott. Sacco avea per campo d’ azione la regione piemontese al sud di To- rino. Egli rilevava già nel 1887 16 tavolette al 1/25 000 dell’ area di 1384 km2 e nel 1888 24 tavolette dell’ area di 2220 km\, in tutto 40 tavolette al 1/25 000 nei fogli 56, 68, 80 dell’ area di 3604 km.5 I terreni che cadono in simili fogli sono quasi tutti del Quaternario. Con simili rilevamenti il lavoro del dott. Sacco sarebbe ora terminato, e solo attendevasi da lui una relazione descrittiva delle regioni ri- levate. Il rilevamento del prof. Pantanelli principalmente eseguito nel 1887, forma una striscia lunghesso le colline subappennine dell’ Emilia contenuta nei fogli 72, 73, 74, 86, 87 e. comprende una quarantina di tavolette al 1/25 000 di cui 22 complete dell’ area totale di 2700 km.2 Questo rilevamento è assai importante poiché in molti siti alle delimitazioni delle alluvioni plioceniche e quaternarie vennero dall’ autore aggiunte anche quelle dei terreni marini miocenici e pliocenici, ciò che costituisce elemento utile per i futuri rilevamenti verso monte. Egli raccolse inoltre molti dati relativi alla idrografìa sotterranea, fra i quali sono importanti quelli dei pozzi pro- fondi stati eseguiti presso il corso del Po. Il prof. Taramelli oltre al tenere la direzione generale del lavoro si occupò personalmente di rilevamenti di dettaglio dell’anfiteatro morenico del lago di Iseo, compreso in 4 tavolette al 1/25 000 dell’area di circa 400 km.2. Egli studiava poi nell’alto bacino dell’Adda presso Sondrio e Morbegno gii apparati morenici di alcune valli confluenti di sinistra coordinandoli con gli studi già da lui fatti anni sono su quelle di destra, e con i molti studi dei geologi svizzeri. Esaminò pure la regione orientale dell’anfiteatro morenico del lago di Garda, compresa la co- noide quaternaria del Mincio, per modo da allacciarsi coi lavori del Nicolis nel Veronese. Percorse infine le valli del Brembo e del Serio e le collaterali, meglio delimitando quelle formazioni glaciali sino ad ambe le sponde del lago d’ Iseo. L’area totale della vallata del Po, rilevata nell’anno ammonta intanto a 7620 km.2 e con la precedentemente eseguita sarebbe ora in totalità di circa 12 000 km.2. L’ingegnere Stella ebbe, come già cennavasi nella relazione dello scorso anno, un compito speciale ma interessantissimo, cioè lo studio delle variazioni dell’alveo del Po nei decorsi tempi e l’avanzamento delle sue foci nell’Adriatico. Egli do- vette anzitutto compulsare dei libri come quelli di Lombardini ed altri, e fare una escursione nelle provincie di Ferrara, Ravenna e Venezia, delia quale presentò assai particolareggiata relazione, e sta preparando le relative carte al 75/m con tutti gli altri dati relativi all’argomento. Riguardo intanto all’avanzamento delle foci il concetto cui egli sarebbe giunto sensibilmente differisce da quello di un — 27 semplice avanzamento del delta in epoca storica, quale fu esposto dal Lornbardini. Sembra infatti che l’apparato litoraneo antico siasi formato nel.’.’ area di un pre- cedente delta postglaciale, e che il delta attuale fesse in costruzione assai prima della famosa rotta di Ficarolo. Le prove dell’accennata sommersione si avrebbero dai saggi di pozzi artesiani eseguiti in parecchie località da Venezia fino a Cervia. Molte altre notizie ed importanti apprezzamenti si possono attendere da questo lavoro dell’ ing. ' Stella. Infine nel laboratorio dell’ Istituto tecnico di Pavia venne proseguita l’analisi delle terre ed acque del circondario pavese pei comuni di Landriano e Bescapé, col tenue contributo di lire 333, 33 dell’Ufficio geologico. Tali analisi raccolte in tre tavole riassuntive sono eziandio accompagnate da una relazione geologica del prof. Taramelli A proposito di questa carta geognostico-idrografìca della valle padana già venne altrove cennato come i relativi studi sieno stati presi utilmente in esame dall’ ing. delle miniere Camerana stato delegato a coadiuvare gli studi del Canale Emiliano. Così dal complesso degli studi e lavori in corso per questa carta geognostico- idrografìca, si ha ragione di sperare a suo tempo, oltre al compimento della parte geologica, una messe di dati non solo scientifici ma di pratica utilità per l’agri- coltura. Lavori speciali di ricognizione e revisione . — Anche in quest’anno, contemporaneamente ai rilevamenti regolari si eseguivano delle ricognizioni più o meno estese in diverse regioni, sia per risolvere certi dubbi di classificazione -in- sorti dietro scoperte di nuovi fossili, sia per meglio delineare la geologia generale da indicare nella Carta d’ Italia in piccola scala in via di pubblicazione. E già fu cennato a tale proposito delle estese ricognizioni operate in addietro dall’ ing. Lotti col dott. Canavari in diverse località di Toscana e Romagna, le quali indussero a notevoli cambiamenti, portando nel Miocene diverse zone prima ritenute eoceniche, e viceversa altre di queste nel Cretacico. Lo stesso Lotti fece escursioni a vedere i graniti dell’Eocene a Berceto nel Pontremolese, indi in Val Staffora col prof. Taramelli, ed al Monte di Canino tra la Toscana ed il Lazio, coll’ ing. Zezi, ove per esempio invece dei terreni prima ritenuti del Cretacico e dell’Eocene venne riconosciuta esistere tutta una serie liasica. Anche l’ing. Cortese fece diverse ricognizioni tra cui una coll’ ing. Baldacci nelle Alpi marittime al Colle di Tenda per definire l’età di certi calcari da alcuni ritenuti triasici, da altri cretacei od anche più recenti. L’ingegnere Baldacci poi fece diverse ricognizioni nell’Appennino centrale e meridionale, sovratutto per la distinzione dei calcari di varie formazioni che ivi 28 — erano sin’ora assieme confusi, perfezionando così le Carte da pubblicare. Ne eseguiva pure altre molto importanti nel Salernitano, non che all’ isola di Capri coll’aiutante Cassetti che l’aveva prima rilevata. Ivi le copiose ellipsactinie ritrovate, in accordo anche alle osservazioni dello Steinmann, inducevano ad ammettere 1’esistenza del calcare titonico sottostante al calcare cretacico al quale si era dapprima asse- gnata troppa estensione. Dell’ ingegnere Baldacci si deve ancora notare una importante escursione fatta in Tunisia a scopo parte minerario, parte geologico, dalla quale egli riportò diversi dati importanti che, unitamente ad altri avuti dall’ ing. Zoppi, il quale pure tempo fa visitava quella regione, contribuivano a tracciarne la geologia che dovea figurare sulla cartina d’Italia al 1/1 000 000. Infatti la Carta d’Italia a quella scala comprende nel suo lembo inferiore una lunga zona della costa africana dal Capo Bon in Tunisia sino oltre Bona in Algeria. Dalle carte francesi esistenti erasi potuto avere quanto concerne l’Algeria, ma nulla si aveva della Tunisia, e soltanto assai tardi si potè poi avere dal direttore della carta geologica di Francia la co- municazione di un rilevamento piuttosto sommario fatto da una commissione scientifica francese e la quale venne debitamente utilizzata. In questo però si no- tava l’assenza del terreno giurassico, mentre i suddetti nostri ingegneri ne aveano osservato in varie località come a Gebel-Ersaz, a Zahuan ed a Hamman-Lif stesso, non lungi da Tunisi, dei lembi assai vasti con fossili caratteristici. Me- diante le ricognizioni fatte dai nostri geologi si potè quindi perfezionare alquanto la geologia di quella regione africana che sta di fronte alla Sicilia e ne pre- senta in parte gli stessi terreni. ^ Un’ultima ricognizione da menzionare per la sua importanza fu quella eseguita verso il fine dell’anno in Liguria da Voltri per Arenzano sin oltre Savona, onde decidervi la questione dell’esistenza ed estenzione dell’Arcaico sostituendolo al Trias che dietro certi studi eseguiti negli ultimi anni dagli autori della carta della Liguria pubblicata dal Club Alpino di Genova, sarebbe stato ivi rappresentato da calcescisti non che dalle grandi masse di roccie verdi serpentinose che regnano nella riviera da Sestri Ponente fino ad Albissola e vi formano la vetta dell’Ap- pennino. Nelle escursioni fatte nell’autunno dell’anno precedente dai membri della Società geologica riunitasi a Savona, stante il poco tempo dedicatovi, la questione rimaneva tuttavia indecisa e ciò anche per l’assenza dell’ ing. Zaccagna allora impedito, essendo egli uno dei più competenti per i profondi studi già eseguiti nelle Alpi occidentali. La difficoltà di distinguere il terreno Arcaico dal Paleozoico è grandissima in quelle regioni perchè tutto vi è talvolta egualmente cristallino, come ad esempio le roccie dette, besimauditi. che hanno la struttura gneissica la più pronunciata, mentre appartengono soltanto all'epoca permiana. Venne quindi provocata una visita speciale appena la medesima fu possibile, di questo ingegnere — 29 — in unione all’ ingegnere Mazzuoli e al prof. Issel, principali autori della succennata carta della Liguria, ed allora bene esaminate le roccie e la tettonica, lo Zac- cagna, riconobbe tanto nella natura delle roccie stesse che nella loro associazione la perfetta ripetizione di quanto egli aveva osservato nella zona superiore delle roccie verdi delle Alpi, specialmente delle Cozie all’Ovest del Monte Viso. Si venne quindi a concludere che la loro età fosse assai più antica cioè arcaica, come del resto già oltre allo Zaccagna, altri geologi opinavano. Pertanto una larga zona di simile terreno con tinta rosea venne ristabilita in quella regione ligure tra Sestri e Savona. Simile zona di terreno antichissimo formerebbe una propaggine sotter- ranea delle Alpi marittime la quale viene ivi ad affiorare, palesando anche con la direzione delle sue ripiegature e scistosità la parentela con la suddetta ca- tena alpina. Senza estendersi ad altri esempi bene appare, dal suesposto, quanto le cen- nate ricognizioni sieno state utili, e lo possano essere ancora in altre località alle quali tuttora non giunse il regolare rilevamento della Carta in grande scala, allo scopo di perfezionare intanto la Carta in piccola scala che si andava a pubblicare. Infine è il caso di cennare come nella relazione dello scorso anno fosse pro- posto 1’ invio di uno dei nostri geologi (Baldacci) per una ricognizione dei dintorni di Massaua, specialmente intesa allo scopo pratico della ricerca di acque sotter- ranee e di materiali da costruzione, e ciò dietro ripetute domande già dalle auto- torità militari dirette all’ Ufficio geologico. L’ ing. Baldacci vi si prestava volon- teroso ed il viaggio, stante molte agevolezze, volevasi compiere con spesa minima, ma il Ministero d’agricoltura, industria e commercio non vi assentiva. Paleontologia . — Le due memorie, una del prof. Meneghini sulla fauna cambriana di Sardegna con sette tavole, l’altra del dott. Canavari sulla fauna del Lias inferiore della Spezia con nove tavole, state pubblicate nella 2a parte del voi. Ili delle Memorie del Comitato geologico in gran formato, sono opere di lena che basterebbero da sole a mostrare la capacità ed attività degli autori. Essi' però ebbero sempre ancora ad occuparsi dei molti altri lavori per la determinazione dei fossili che gli operatori della Carta geologica inviavano rego- larmente al museo di Pisa. E siccome la salute del prof. Meneghini, già assai avanzato in età fu sovente molto depressa, così lo suppliva il Canavari, persino in certi rami dell’insegnamento. In fatto poi di studii speciali questi si occupò : a) dei fossili del Monte di Cetona di fauna basica consistente in piccoli gaste ropodi simili a quelli del Monte Pisano e di Campiglia marittima. — 30 — b) della fauna dei dintorni di Pergola, le cui marne, identiche a quelle di Hoering nel Tirolo meridionale, sarebbero perciò da riferirsi allo Schlier o Mio- cene medio. c) di vari fossili della Montagnola Senese raccolti dall’ing. Lotti, dall’esame dei quali risulterebbero prossimi ad encriniti di specie triasica. d) delle mummuliti trovate dall’ing. Zaccagna nelle Apuane alla Costa dei Cerri presso il Pisanino ed in Garfagnana, le quali, secondo il rilevamento del detto ingegnere sarebbero in formazione triasica, mentre le specie rammentano molto da vicino quelle eoceniche. Per studiare più a fondo questa ed alcune altre questioni relative ad altri fossili nostri, egli faceva nella primavera, coll’assenso del Ministero, apposita vi- sita ai musei di Monaco e di Vienna, dove, col benevolo aiuto dei rispettivi diret- tori di quei musei potè procurarsi più positive nozioni sui diversi argomenti. Circa a quelle nummuliti però rimane ancora la stessa difficoltà con le osservazioni di tettonica dello Zaccagna, le specie di quei foraminiferi apparendo realmente di tipo eocenico quale si possiede in quei musei, onde la questione andrebbe ancora al- quanto studiata. Quanto al calcare triasico di Vinca nelle stesse Alpi Apuane, dove lo Zaccagna trovava una fauna di piccoli gasteropodi, il Canavari osservò nel museo di Monaco grande analogia col calcare di Wetterstein delle Alpi bavaresi: però l’analogia dei gasteropodi non avrebbe grande corrispondenza in riguardo alla Spezia, ad eccezione degli articoli di Eacrinus liliiformis e di qualche giro- porella. Egli osservò egualmente a Monaco la fauna della Marmolata a facies di pic- coli ammoniti, di gasteropidi ed altri organismi, la quale avrebbe apparente rasso- miglianza con quella dei marmi di Vinca, ma che in fatto poi ne è differente. Infine a Monaco egli ebbe campo di esaminare gli originali dei generi Ellipsa- ctinia o Spheractinia dello Steinmann, ed accertarne l’identità con forme simili trovate in Italia, già ricordate dal Meneghini, e racgolte da lui e dal Cortese nel Gargano, dall’ing Aichino al Monte Tiriolo in Calabria, dall’ingegnere Baldacci al Montenegro, ecc.; conoscenza questa che giovava poi alla determinazione più pre- cisa di certi calcari, come per esempio di quelli di Capri prima ritenuti del Cre- tacico, e che invece poteano ascriversi al Titonico. Per completare gli esempi dell’utilità di simili visite a reputati musei paleon- tologici esteri, si può ancora rammentare come neH’Hof-Museum di Vienna il Ca- navari potè esaminare la raccolta degli ammoniti del Lias inferiore delle Alpi orien- tali, e quivi risolvere parecchie difficoltà concernenti i nostri fossili della Spezia, ciò che gli permise poi di portare a compimento la succennata memoria stata pubblicata (Voi. Ili, parte seconda), la quale riuscì molto apprezzata dal Neumavr, Wàhner, Zittel ed altri reputati paleontologi esteri. Nelle collezioni poi dell’Istituto geologico imperiale di Vienna egli potè stu- diare la rinomata collezione originale dei fossili di S. Cassiano descritti dal Laube e riconoscere che nessuna analogia di specie presenterebbe con la fauna dei pic- coli gasteropodi di Vinca. Vi potè anche vedere la collezione originale degli am- moniti di S. Vigilio, e quella delle roecie e fossili di Haering nel Tirolo meridio- nale, di cui constatava l’analogia con la formazione del Pergolese, come già venne sopra riferito. Del resto la esistenza di ricche collezioni di fossili del suolo italiano in musei esteri, dove le medesime furone oggetto di profondi studii di dotti geologi, fece si che questi presero molto interesse ai nostri lavori e molto aiutarono il progresso e perfezionamento dei medesimi. Simile riflesso influiva a ricevere talvolta nelle nostre pubblicazioni il contributo di qualche geologo estero, come per esempio, un lavoro del dott. A. Weithofer già assistente del Neumayr di Vienna su resti di elefanti fos- sili di Valdarno esistenti nel museo geologico di Firenze e che dal direttore De Stefani gli vennero per lo studio affidati onde farne una memoria per le nostre pubblicazioni. Molti lavori si potrebbero poi menzionare di paleontologi italiani addetti a pubblici istituti od università che sono aiuti di professori membri del Comitato geologico, come quelli del Di Stefano dell’Università di Palérmo, del Fornasini e Foresti di Bologna, ed altri assai, in quantochè simili lavori non hanno attinenza diretta all’Uffieio geologico ed il solo farne menzione sarebbe opera troppo lunga ; ma il Bollettino geologico talvolta ne pubblica alcuno ed ora ne fa rassegna nel suo capitolo della Bibliografia geologica annuale. Studio di roccAe. — - Nel decorso anno avendo l’ ing. Mattirolo, che più spe- cialmente si occupava delle analisi chimiche e petrografìohe, dovuto dedicarsi nella state ai rilevamenti alp'ni, ed essendosi inoltre verso il fine dell’ anno trasferito a Roma per attendervi all’impianto di un laboratorio nello stesso Ufficio geologico, non potè più consacrare molto tempo alle analisi nel laboratorio di Torino. Tuttavia vi eseguì ancora diversi lavori tra cui l’analisi dei fosfati o creduti tali, delle Pu- glie, dei quali erano stati raccolti appositamente dall’ ing. Zezi numerosi campioni, specialmente nel territorio di Gravina, onde risolvere una volta la questione. Le analisi ne vennero fatte contemporaneamente nei laboratorii di Torino, di Pisa ed in uno privato di Milano. Per troppo tutte combinarono nel confermare la troppo poca ricchezza di quei terreni in fosfato utile. Un’articolo pubblicato nel 3° fascicolo del Bollettino geologico rende conto dettagliato delle analisi accuratissime fatte dall’ing. Mattirolo. Questi fece pure l’analisi di terre gialle del Veronese mandate dal geologo Nìcolis, le quali compariranno in un lavoro su quella regione, e fece ancora 1* esame di roccie alpine diverse tra cui quelle della grande massa dioritica di Varallo. - 32 — Intanto diversi fra gli ingegneri operatori addetti alla Carta geologica, che nei loro studii all’estero s’erano occupati di petrografìa coi moderni' processi, de- dicarono parte del tempo in cui non stavano in campagna allo studio microsco- pico delle roccie da loro raccolte. Così fece il Novarese per quelle della parte set- tentrionale della Calabria, oltre qualche studio sugli gneiss del Monte Besimauda in Piemonte che sono un vero tipo del permiano profondamente metamorfo- sato. Gli ingegneri Sabatini e Franchi, che nel principio dell’ anno tornarono dalla Scuola delle miniere di Parigi, portarono seco due buoni microscopii del Nachet acquistati per conto deH’Ufficio geologico, e si valsero poi dei medesimi per studiare ad intervalli le roccie incontrate nei loro rilevamenti. Intanto mentre ancora questi due ingegneri erano agli studii a Parigi, intra- presero per esercizio e con il consiglio dei due professori petrografi Fouquè del College de France e Michel Levy, direttore della Carta geologica di Francia, lo studio di roccie italiane. Il Sabatini studiava una collezione delle roccie vulcaniche delle Eolie ed il Franchi una collezione di serpentine ed altre roccie antiche del- l’arcipelago toscano. Simili lavori vennero poi interrotti e ritardati al ritorno degli ingegneri in Italia dove dovettero occuparsi dei lavori di campagna loro affidati; ma ove fossero completati, potrebbero dare luogo ad una interessante pubblica- zione. L’ ìng. Viola per parte sua fece diversi studi petrografìe! sia delle roccie in- contrate nei suoi lavori, sia di parecchi minerali della collezione del prof. Bom- bicci in occasione della esposizione regionale di Bologna, e di alcuni dei quali egli fece la pubblicazione. In questa rapida recensione degli studi petrografìci si possono ancora citare quelli del dott.Bucca che eseguì più volte degli studi per 1’ Ufficio geologico, e che pubblicò nel nostro Bollettino gli ultimi suoi lavori sulle roccie . dei vulcani viterbesi. Nel Bollettino stesso poi del 1888 comparvero gli importanti studi del prof. O. Silvestri, membro del Comitato geologico, su di alcune lave antiche e moderne del vulcano di Kilauea nelle isole Sandwich. A proposito cella petrografìa con largo uso del microscopio, studio che oggi- giorno acquistò malta importanza, fu certo il medesimo un progresso e da tenersi in debita considerazione nei moderni lavori e rilevamenti, onde è bene che gli operatori della Carta geologica vi sieno almeno iniziati. Deve però notarsi come i geologi operatori, quando nei loro studi si dedicano a questo ramo, sovente vi prendono tale attaccamento che li trae poi a preferire il gabinetto alla campagna e ciò con svantaggio dell’ avanzamento della Carta geologica. Nel caso nostro, in cui per essersi incominciata tardi la Carta tanto ancora resta da rilevare, mentre il clima nel più delle nostre regioni permette di lavorare la più gran parte del- 1’ anno, il troppo uso della petrografia di gabinetto produrrebbe ritardo nel rile- vamento, onde si dovrà contemperare a quel più essenziale bisogno del servizio geologico che è il rilevamento. Studi geologici in connessione ad opere di pubblica utilità . — Il tracciato delle ferrovie nei terreni difficili, le frane che frequenti accadono lungo le medesime e le ricerche di materiali da costruzione, richiesero anche in quest’ anno molte visite per parte di alcuni dai nostri ingegneri geologi, visite nel più dei casi richieste dall’ Ispettorato generale delle ferrovie. L’ ing. Baldacci ebbe perciò ad esaminare il tracciato della linea Messina- Cerda in Sicilia, specialmente nella tratta presso Cefalù. Poscia nella regione medesima la grande galleria Peloritana presso Mes- sina per indagare le cause dell’avvenuta asfissia degli operai. Questa stessà galleria veniva anche studiata dall’ ing. del distretto Conti, per rilevarne il profilo geologico. La linea dell’ Appennino Pistoia-Porretta attraverso il colle di Pracchia, ve- niva esaminata dallo stesso Baldacci in unione all’ ispettore Giordano, allo scopo di antivenire il pericolo delle frane che la minacciavano, specialmente al punto di Frassignoni dove venne ordinata all’ uopo una deviazione in galleria. In seguito poi al grave disastro cagionato dalla frana di Grassano in Basi- licata, lo stesso ing. Baldacci, in unione ad apposita Commissione visitava tutta la linea Salerno-Metaponto con le gallerie di Cutro ed altre, onde constatarne lo stato di sicurezza e proporre gli opportuni rimedi. Qualche altro studio analogo venne ancora dal medesimo eseguito in varie località, come per la linea allo studio Cuneo-Ventimiglia in unione all’ ing. Cortese e lungo la linea Macerata-Al- bacina. L’ ing. Cortese ebbe a fare in Calabria, dove è addetto al rilevamento della Carta geologica, diverse vi site per dar parere sui tracciati delle ferrovie e sui rimedi da adottare in varie località ove si avvertivano pericoli ai lavori già ese- guiti. E si può ora asserire che laddove la tema di spese od altre cause non per- misero di seguitarne il consiglio si ebbero poscia dei danni, ed altri ora se ne temono. Da ultimo egli visitava ripetutamente la galleria Marcellinara sulla tra- versale Catanzaro-Stretto Yeraldi per constatazione della qualità della roccia nelle questioni con le imprese. Lo stesso ingegnere ebbe a visitare nell’ Appennino toscano la maggiore gal- leria detta degli Allocchi sulla linea Firenze-Faenza, per studiare provvedimenti contro 1’ emanazione di gaz infiammabili che ostacolava i lavori. Prese parte attiva al lavoro della Commissione di cui facea pur parte, insieme ad ispettori del Genio Civile, l’ ispettore delle miniere Giordano, per 1’ esame della — 34 — linea Parma-Spezia nel tronco Ghiare-Borgotaro e studiarvi le variazioni al pro- getto governativo proposto dalla Società, ora esecutrice, della Rete Mediterranea. Egli anche collaborò poi come geologo nella Commissione per l’esame delle linee Udine-Pontebba e di quella Monza-Calolzio nei punti in cui le medesime ri- chiedevano studi per antivenire guasti e scoscendimenti. L’ Ufficio geologico intanto proseguiva a raccogliere dati per disegnare il pro- filo geologico delle grandi gallerie di ferrovie attraverso l’Appennino e le Alpi, e ciò col mezzo di alcuni ingegneri che ne furono incaricati, cioè il Mazzuoli per l’Appennino settentrionale, Zezi pel centrale e meridionale, Conti perla Sicilia, ed altri per altre località. Questi profili, come già fu detto, quando siano bene completati ed illustrati, potrebbero fare oggetto a suo tempo di una interessante pubblicazionei Gli ingegneri Baldacci e Cortese ebbero anche ad occuparsi di cave di pietre per opere pubbliche ; l’ ing. Baldacci delle cave per le scogliere del porto di Amalfi, e l’ ingegnere Cortese delle cave di Torre Melissa pei lavori del porto di Co- trone. L’ ispettore Giordano e l’ ing. Lotti ebbero ad occuparsi di eguale soggetto per la fornitura delle pietre occorrenti alla costruzione della nuova diga frangi- flutti della Vegliaja al porto di Livorno. Infine si possono menzionare ancora le ricerche e gli studi fatti per il materiale occorrente al grandioso monumento nazionale a Vittorio Emanuele in Roma, di che si occuparono specialmente 1’ ispettore Giordano, gli ingegneri Zaccagna, Toso ed altri. Dietro tali studi, potevasi concludere per l’adozione delle grandiose cave carraresi, come già venne cennato a proposito della carta della regione marmi- fera testé rilevata. Osservazioni sulla costruzione delle nostre ferrovie. — L’appello frequente che si fa oggidì dall’ Ispettorato generale delle ferrovie agli ingegneri geologi per le difficoltà di costruzione e per il rimedio alle frane e altri guasti sulle nostre linee, dimostra pur troppo quanto il territorio italiano sia difficile ed infido per le grandi costruzioni ferroviarie. E se simile appello non fu fatto nei primi anni in cui simili costruzioni corhinciavano a svilupparsi, fu grave disgrazia per l’erario pubblico, sovrattutto in riguardo a certe ferrovie state allora costrutte in circostanze infelicissime. Diverse linee in Sicilia, per esempio, altre in Calabria ed in qualche tratto dell’Appennino, già costarono immensamente e malgrado colossali lavori di consolidamento pur non sono ancora ferme. Con un accurato studio geologico preliminare e non cedendo ad influenze locali, sarebbersi avuti assai migliori tracciati, e risparmiati veri tesori. Diverse linee votate senza serii studi geologici nel 1879, già aveano molto aggravato l’erario quando sopravvenne la legge ul- tima del 20 luglio 1888 che sanciva d’ un tratto l’esecuzione in pochi anni di oltre 1500 chilometri del costo di ben oltre un miliardo, di ferrovie quasi per metà — 35 — attraverso monti e valli di formazione più o meno argillosa ed instabile, linee che importeranno inoltre una costosa manutenzione. Attraversando poi le medesime quasi ovunque paesi diffìcilissimi e nemmeno suscettivi di maggior produzione agricola o industriale, non solo importeranno la perdita completa del capitale, ma non ripagheranno nemmeno le spese ordinarie della manutenzione e dell’ eser- cizio. Il problema ferroviario nostro al punto di vista delle difficoltà del terreno cioè topografiche e geognostiche, è dunque gravissimo e niuno meglio dei geologi lo può misurare. Sono generalmente i terreni terziarii ossia dell’ Eocene, Miocene e Pliocene, coi loro strati di galestri ed argille scagliose, di marne più o meno argillose, ed argille più o meno sabbiose, che si debbono attraversare, tutte ma- terie sfacelanti alle meteore acquose e fonte di gravi difficoltà. Vi sono poi certi scisti durissimi al lavoro, ma in cui abbonda l’elemento argilloso, il quale all’espo- sizione di qualche settimana all’aria umida rivela la sua infida natura con terri- bili rigonfiamenti e sfaceli. Ora la Carta geologica ben mostra allo sguardo quanto estese sieno tali for- mazioni, sovratutto nell’ Appennino cui le ferrovie nostre debbono così di frequente attraversare con alte trincee e gallerie. Anche certe roccie antiche, quantunque di tessitura cristallina, come le filladi tanto estese in Calabria, sono per la loro facilità nel fendersi e franare, perfidissime. Cosicché insomma una buona parte del nostro territorio, pur non contando le basse pianure paludose, presenta alla costruzione delle ferrovie, grave difficoltà con spesa fortissima di costruzione come pure di annua manutenzione. In simili terreni montuosi a base di roccie argillifere, un chilometro di ferrovia, con le opere indispensabili di rinforzo e consolidamento, ben sovente non costa meno di lire 500 a 600 mila od anche assai più ; e talora poi dopo anni ed anni di continui costosi restauri devono rifarsi mettendosi in galleria. E le gallerie sono pur sovente di un costo enorme, cioè ad opera finita fino a lire 4000 o 5000 -al metro, e più ancora nelle tratte in cui si lasciò campo alle roccie argillose di subire l’effetto dell’umidità, come ultimamente nella parte Sud della galleria succursale dei Giovi. Perciò in pochi paesi lo studio geologico relativo alle ferrovie è così essen- ziale per l’economia nazionale come in Italia. Da un quadro sommario dei pro- fili geologici delle ferrovie negli ultimi anni votate appare come per centinaia di chilometri delle medesime, oltre alle difficoltà topografiche predominano quelle derivanti dalla instabilità dei terreni. Si possono in proposito citare: la lunga linea Fabriano-Urbino-Sant’Arcangelo (135 km) la quale inoltre prende in traverso 8 contrafforti dell’Appennino, quella Avellino-Ponte Santa Venere lunghissima pure (120 km.), quasi tutta sovra argille eoceniche franose, la Aulla-Lucca (80 km.), la Grenova-Acqui-Asti in parte nelle sabbie e marne plioceniche oltre ad un diffi- 3 — 36 — cile valico deirAppennino, parte della Ventimiglia-Tenda, parte della Sulmona- Isernia-Campobasso, la tratta tirrena della Cosenza-Nocera Calabrese più che sca- brosa, ecc. — In complesso, e senza citare le linee minori complementari si può ritenere d’avere innanzi a sé ben 500 chilometri di simili ferrovie, la costruzione e manutenzione delle quali costerà tesori improduttivi. Ciò basta a dare agli studi geologici l’importanza che meritano riguardo aH’economia nazionale. Acque. — In quest’ anno, a differenza dei due anni antecedenti, pochi furono gli studi eseguiti dai nostri geologi per provvista di acque a nuove regioni che ne abbisognano, essendo già stati compiuti i progetti dei serbatoi o laghi artifi- ciali in varie parti d’ Italia, come venne lungamente riferito nella relazione al Co- mitato dello scorso anno. E di tali stùdi leggeva un generale riassunto l’ ispettore Giordano alla Commissione idraulica che radunavasi il 20 giugno presso il Mini- stero di Agricoltura, Industria e Commercio. Si può tuttavia cennare 1’ opera, già pure nella relazione dello scorso anno menzionata, di approfondamento del pozzo della stazione ferroviaria di Lecce, aperto nel terreno miocenico (pietra leccese), alla cui spesa concorrono il Mini- stero di Agricoltura, Industria, e Commercio e quel municipio. Dietro gli studi degli ingegneri Baldacci e Zoppi, simile approfondamento dovea produrre un sensibile aumento nella portata del pozzo, sovratutto se si andasse ad attingere la forma- zione cretacica che deve trovarsi ad una certa profondità. Ora 1’ approfondamento di circa 15 metri, già eseguito nel decorso anno, benché ancora non abbia attinta quella formazione, ebbe però già per effetto- di accrescere di più volte la portata primitiva, che era soltanto di 10 m3 circa al giorno, ed ora già sorpassò i 200. Ora si provvederà perchè 1’ esperimento venga debitamente proseguito. L’ ingegnere Baldacci si occupava della possibilità del prosciugamento del laghetto del Dragone in provincia di Avellino col mezzo di pozzi assorbenti se- condo un progetto dell’ufficio tecnico della provincia stessa; ma l’esame geolo- gico condusse a conclusione negativa. L’ ingegnere Camerana, prima addetto al servizio ordinario in Sardegna, venne ultimamente applicato allo studio speciale del progettato Canale Emiliano per quanto specialmente concerne la idrografia sotterranea delle pianure alluviali su di cui deve correre, argomento che si collega ancora allo studio generale geo- gnostico-idrografìco della vallata del Po ora in corso di esecuzione come viene a suo luogo riferito. Commissione per la regolazione dei torrenti. — In fatto di studi re- lativi alle acque possono venire citati ancora quelli per la regolazione dei torrenti, pei quali venne istituita nel dicembre 1886 d’accordo fra i due ministeri di Agri- coltura, Industria e Commercio e dei Lavori Pubblici una speciale Commissione — 37 — di cui fan parte un’ Ispettore delle miniere ed uno forestale. Nel decorso anno l’ ispettore Giordano prendeva parte speciale alla visita della Valle della Setta confitente del Reno sovra Bologna, ed a quella del Piave nelle Alpi Venete, per avvisare al rimedio dei gravi franamenti, rimedio da operarsi in gran parte col mezzo di briglie atte ad arrestare le grandi congerie di materiali provenienti dallo sfacelo dei fianchi dei monti e fermare le basi di questi. Studi simili si fanno ora in varie località di Calabria ove la natura litologica dei monti è più infelice. Pur- troppo i mezzi necessari annualmente forniti a simili lavori sono limitatissimi ri- spetto alla vastità dei danni che sono annualmente inflitti e minacciati a tante parti del nostro territorio. Stridii sui combustibili fossili . — Nei decorsi ultimi anni, dietro una interpellanza fatta nel 1881 dal Ministero al Comitato geologico sulla possibi- lità dell’esistenza nel territorio italiano di depositi di carbon fossile da escavarsi utilmente, erasi avuto per risposta, non esservi speranza di vero litantrace del- l’epoca carbonifera salvo mediocri depositi allo stato di antracite in varie località delle Alpi, ma piuttosto esservi in certe regioni, specialmente in Toscana, diversi bacini lignitiferi, e che convenisse rivolgere a questi 1’ attenzione per riconoscerne vieppiù la reale importanza, la quale per certe località era ancora poco nota, mentre per altre era stata assai esagerata. Il Ministero stesso nel 1884 offeriva un premio, invero non molto rilevante, di lire 10,000 a chi avesse fatta in proposito qualche scoperta; ma dai ricercatori, come erasi pronosticato e riferivasi poi nella relazione del 1886, niun risultato a tale proposito veniva conseguito. Ora abbenchè di tale argomento dei combustibili fossili non abbia ad occuparsi pel momento il Comitato, tuttavia non sarà fuor di proposito seguitare a darne qui breve cenno, almeno per tener d’occhio l’ interessante questione una volta al Co- mitato medesimo dal Ministero indicata, tanto più che della medesima dovettero intanto occuparsene alcuni dei nostri geologi, come Mazzuoli e Toso. Dopo il 1886 adunque nulla più venne detto riguardo a tale questione, e solo accennavasi a delle ricerche ed esperimenti che l’ ingegnere Breda fondatore dello stabilimento siderurgico di Terni intendeva eseguire per utilizzare le nostre ligniti alla preparazione di un carbone solido o coke da impiegare possibilmente alla fusione dei minerali di ferro dell’ Elba onde tutta la fabbricazione fosse nazionale. Tali esperimenti vennero eseguiti infatti nei due ultimi anni con il concorso pe- cuniario di lire 25 000 per caduno dei Ministeri più interessati all’ industria side- rurgica, e gli esperimenti furono eseguiti, sia al Creuzot in Francia, sia e so- vratutto in certe officine di Westfalia dall’ ingegnere Sagramoso addetto allo stabilimento di Terni, e d’accordo coll’ ing. Toso del Corpo delle miniere che il Mini- 38 — stero avea autorizzato ad occuparsene. In pari tempo però si esploravano diversi affioramenti di lignite nell’Umbria, segnatamente nel territorio di Spoleto, coll’idea di utilizzarli allo stabilimento di Terni. Quanto agli esperimenti per il coke, i mede- simi non condussero a risultato molto lusinghiero, poiché non si ebbe un coke abbastanza solido senza mescolare alle migliori nostre ligniti (quelle di Monte Massi e Tatti) circa 50 per cento di litantrace estero molto grasso. Quanto invece alle suddette esplorazioni nel territorio di Spoleto, che furono eseguite per conto di società industriali, le medesime condussero alla constatazione di un’ assai esteso banco di lignite dell’epoca pliocenica più recente, banco di 8 metri almeno di po- tenza ed assai inclinato il quale conterrebbe qualche milione di tonnellate di com- bustibile. Questa non è vera lignite nera, ma solo di lignite xiloide o legno fossile come quella di Valdarno. Viene ora utilizzato a Terni in diverse operazioni side- rurgiche mediante però conversione in gaz in appositi gassogeni. Sempre in riguardo alla questione del combustibile si può ancora citare la missione ultimamente data all’ing. Mazzuoli di studiare i giacimenti, le varie qualità ed i prezzi dei carboni fossili più usati nelle diverse industrie in Italia per farne un repertorio ad uso dei nostri consumatori. Tale incarico esigeva un viaggio al- l’estero, Francia, Germania ed Inghilterra distraendo così per alquanto tempo quel- T ingegnere dai lavori geologici di non lieve interesse che ancora gli restavano a fare in Liguria. Nota sul Servizio geodinamico. — Nella relazione dello scorso anno venne riferito come il servizio geodinamico venisse definitivamente organizzato, riunen- dolo per economia al meteorologico, sotto la generale direzione dell’ ufficio detto ora meteorologico e geodinamico, stabilito presso l’osservatorio centrale di Roma. Un Consiglio superiore direttivo di 12 membri dipendente dallo stesso Mini- stero di Agricoltura, Industria e Commercio e di cui fa parte, oltre a due membri del Comitato geologico, un Ispettore delle miniere, esercita l’alta sorveglianza e direzione sul servizio. Tale Consiglio che già nel precedente anno avea esaminato e discusso il progetto di estensione del servizio geodinamico a tutta l’ Italia, prin- cipalmente secondo un progetto del prof. Tàramelli, riunivasi nel giugno pel pro- seguimento del suo mandato. Si ometterà di trattare di questo servizio stato così separato dalla geologia, e soltanto si cennerà a qualche contribuzione cui l’Ufficio geologico dovette tut; tavia prestarvi. Ed anzitutto in quanto concerne i locali, trovasi ancora nell’ edi- fìcio della Vittoria l’osservatorio geodinamico di Roma diretto dal prof. M. S. De- Rossi che pure dirige quello maggiore di Rocca di Papa, e nello stesso edificio si dà ricetto all’archivio centrale geodinamico diretto dal professore stesso. Quanto ai lavori e pubblicazioni si può menzionare come non essendosi po- — 39 — tuto per speciali ragioni pubblicare nell’annuario dell’osservatorio la relazionò fatta dal prof. A. Issel con il consenso del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio sul terremoto della Liguria, la medesima venne pubblicata insieme ad una grande Carta della Liguria in un volume facente appendice al Bollettino geologico. Essendosi poi deciso dal Consiglio superiore dei lavori geodetici dello Stato di rilevare e pubblicare una Carta in grande scala con curve dell’Isola d’ Ischia, venne invitato l’ufficio geologico a concorvi con una data somma (di circa 2000 lire), e a dare le istruzioni perchè tale Carta potesse venire rilevata con speciali riguardi ai fenomeni sismici. E ciò venne consentito. Al principio del 1888 una petizione degli abitanti di Casamicciola richiedeva al Ministero il permesso di derogare alquanto dalle rigorose prescrizioni del regolamento edilizio emanato in seguito al grande terremoto del 1883, ma il Mi- stero esigeva che i;àle permesso fosse subordinato alle cautele cui 1’ Ispettore delle miniere già presidente della Commissione che formulava quel regolamento, credette prudente di suggerire. Avvenuta poi la eruzione del settembre e successive dell’isola di Vulcano nelle Eolie, l’ ingegnere Cortese visitava la località riferendo sulle alterazioni avvenute nel territorio dell’ isola stessa con un articolo che venne pubblicato nel Bollettino geologico. Consiglio superiore dei lavori geodetici dello Stato. — Già nella relazione dello scorso anno venne detto come questo Consiglio interministeriale, la cui istituzione, promossa principalmente dal Ministerq di Agricoltura, Industria e Commercio dietro proposta del Comitato geologico, era stato . stabilito con regio decreto del 7 dicembre 1886, non avea potuto immediatamente organizzarsi e funzionare. Radunatosi il Consiglio la prima volta nell’aprile 1888, occupavasi di vari ar- gomenti preliminari tra cui di compilare un proprio regolamento, il quale venne poi approvato con regio decreto 19 luglio. A presidente del Comitato stesso era intanto stato nominato il generale Ferrerò direttore dell’ Istituto geografico militare. I diversi Ministeri in esso Consiglio rappresentati sono quelli della Guerra, Marina, Lavori Pubblici, Finanze, Istruzione Pubblica ed Agricoltura, Industria e Commercio: a rappresentare poi quest’ultimo era nominato l’Ispettore delle mi- niere Giordano. Primo compito dei singoli commissari era quello di esporre le occorrenze speciali del proprio Ministero, e già pure venne menzionato nella relazione dello scorso anno quali erano quelle dell’Ufficio geologico, cioè anzitutto una buona 40 Carta generale d’Italia al 1/500 000 oltre quella a metà scala e poi la edizione piana della Carta d’Italia al 1/100 000, cioè senza tratteggio, specialmente quella delle provincie meridionali che ancora ci manca. Non si potè tuttavia durante il 1888 riunire nuovamente il Consiglio, ma il medesimo dovea convocarsi nei primi del 1889 ed allora si doveano trattare gli indicati argomenti che tanto interessano la pubblicazione delle nostre Carte geo- logiche. Riunione della Società geologica . — In quanto i lavori della Società geologica italiana, di cui fan parte molti membri del Comitato e geologi deH’Uffìcio, molto interessano i progressi della geologia nostra, rUfficio stesso suole darle una sosrvenzione annua che ora è di lire 1200 per aiutarne le pubblicazioni. Giova intanto fare di tempo in tempo breve cenno del suo operato, e specialmente delle sue annuali riunioni nelle quali, e nelle escursioni che le accompagnano, si trattano talvolta questioni assai importanti. Così per esempio nella riunione di Savona del 1887 e nelle relative escursioni fatt'e lungo la Riviera di ponente e nell’Ap- pennino di Altare, si fissò l’attenzione sui terreni cristallini e paleozoici che ivi affiorano, e se allora nulla potettesi decidere di pronto sul sito, venivano tuttavia provocati dei successivi studi i quali non mancarono di dare poi un risultato assai concludente sulla relativa età di quelle formazioni come venne a suo luogo riferito. Nella riunione estiva del 1888 che si tenne a Rimini sotto la presidenza del senatore Scarabelli e nelle escursioni che ebbero luogo a Sogliano, Perticara, Pennabilli, San Marino ecc. vennero osservate le argille scagliose a Cadipanico, l’affioramento serpentinoso di Secchiano ed altre particolarità, verificando in genere l’esattezza della carta geologica di quelle regioni dello stesso presidente Scarabelli. Nell’ anno 1889 la Società terrebbe la sua riunione autunnale a Catanzaro in Calabria secondo un programma degli ingegneri Cortesi e Neviani. Pubblicazioni di carte e memorie, — In fatto di carte geologiche nel corso del passato anno vennero pubblicate col mezzo del solito stabilimento C. Virano in Roma quattro lavori di una certa importanza. a) Una Carta generale d’ Italia in piccola scala 1/1 000 000 in due fogli. b) Una parte della Carta al 1/100 000 dell’Italia centrale intorno alla ca- pitale che comprende i sei fogli di Roma, Cerveteri, Cori, Palombara, Bracciano e Civitavecchia con una tavola di sezioni e) La Carta a scala di 1/50 000 della regione dell’ Iglesiente in Sardegna, con un atlante di sezioni e vedute ed un volume contenente una memoria descrit- tiva dell’ingegnere Zoppi. — 41 — d) Un volume delle memorie del Comitato geologico in gran formato (2a parte del 3° voi.) che comprende una memoria del prof. Meneghini sui fossili cambriani della Sardegna ed altra del dott. Canavari sui fossili del Uias inferiore della Spezia. Simili carte^ e pubblicazioni sono qui poste sotto gli occhi del Comitato in- sieme all’originale della Carta in grande scala del Carrarese che a suo tempo si tratterà di riprodurre. Dopo quanto già veniva in antecedenti relazioni riferito riguardo a queste pubblicazioni non è il caso di estendersi a dire qui della loro importanza e di loro varie particolarità e solo si farà qualche brevissimo cenno. La Carta generale d’Italia al 1/1 000 000, che sostituisce ora quella del 1881, segna rispetto a quella un notevolissimo miglioramento, benché non ancora in ogni parte perfetta. Questa imperfezione è cosa naturale del resto, il regolare rileva- mento geologico non essendo ancora esteso che ad una parte del territorio ed il rimanente soltanto abbozzato da antichi lavori di autori diversi e più o meno confermati con speciali ricognizioni. La Carta intanto veniva effettivamente tirata in colori per essere presentata in tempo al congresso del settembre in Londra; ma nella premura di tale occa- sione si verificarono diversi difetti, per rimediare ai quali occorreva poi ritardare alquanto la definitiva tiratura delle numerose copie che si è determinato di farne onde supplire alle molte domande. Simile ritardo tuttavia ebbe un grande van- taggio, permettendo introdurvi diverse correzioni che nel frattempo e dietro gli ultimi lavori eransi riconosciute molto opportune. La spesa di questa Carta da pagarsi allo stabilimento Virano diede luogo ad assai lunga discussione, che ebbe luogo coll’intervento dell’ Economato. Detto stabilimento la valutava, per n. 3000 copie quanto si credeva prudente ordinarne, in circa lire 29 000, mentre F Economato riteneva bastevoli lire 20 000. La ver- tenza non era facile a definirsi trattandosi invero di un lavoro di molta lena, minutissimo ed in parte nuovo. Oltreché, come in simili casi sempre avviene, du- rante l’esecuzione che durava più mesi occorse l’opportunità di fare diversi cam- biamenti nei limiti di certi terreni senza contare non poche aggiunte o correzioni alla stessa topografìa, ciò che naturalmente esige assai costosi compensi. La Carta al 1/100 000 in 6 fogli del territorio intorno a Roma forma una assai bel complesso, ma sarebbe stato meglio assai se si fosse potuta pub- blicare sulla mappa senza tratteggio, come già ne venne più volte dimostrata la convenienza. E ben fu detto come ora il Consiglio superiore dei lavori geodetici si occuperà di procurare tale edizione chiara, tuttavia mancante di tutta la peni- sola meridionale 'della Calabi ia sino a Roma. Ma diversi anni purtroppo avranno — 42 forse a passare prima di averla, mentre per altra parte urgeva assai di pos- sedere al più presto la carta geologica di questa regione intorno alla capitale ove ora si eseguono tante opere pubbliche e tra altre la bonifica idraulica ed agraria. A suo tempo si potrebbe poi farne una seconda edizione su tale mappa senza tratteggio per armonizzare col rimanente. Erasi divisato di pubblicare eziandio una Carta a scala maggiore (1/25 000 con sezioni) dei dintorni della capitale, e gli elementi ne furono in gran parte rilevati, con l’aiuto anche delle tante opere edilizie ora in corso; ma si trovò mancante tuttavia una carta topografica con tutte le variazioni avvenute negli ultimi tempi, onde converrà attendere che sia fatta, ovvero se troppo tardasse procurare che nell’ istesso Ufficio geologico sia preparata. A tale Carta del territorio romano occorrerebbe una memoria descrittiva, sul genere di quelle fatte per la Sicilia, l’ Elba e l’ Iglesiente in Sardegna; ma siccome il territorio rappresentato nei fogli pubblicati è solo parte non grande di una regione geologica molto più estesa, così si potrà attendere per tale memoria che si possano pubblicare, assai altri fogli del territorio circostante per un raggio un po esteso. Per ora vi si supplisce con un piccolo fascicolo contenente brevi cenni sulla sua geologia, come del resto si era pure fatto per la Sicilia e per l’Elba. L’opera sulla regione dell’ Iglesiente in Sardegna compilata dall’ing. Zoppi è ad un tempo scientifica e industriale descrivendo dettagliatamente i terreni di quell’angolo della Sardegna che sono i veri paleozoici antichi unici quasi in Italia, cioè il Cambrico e Silurico bene determinati da trilobiti ed altri fossili caratteri- stici rinvenuti copiosi in questi ultimi anni : e poi i giacimenti metalliferi ricchi sovratutto di piombo e zinco che ne fanno uno dei distretti industriali di maggiore importanza. La carta geologica, di questa regione era stata rilevata dagli ingegneri delle miniere addetti al servizio dell’isola, al 1/10 000, ma fu per comodità ridotta al quinto. L’atlante di 30 tavole che l’accompagna presenta tutte le particolarità della tettonica e dei giacimenti minerali, molti dei quali trovansi concentrati in una potente formazione calcare. Esistono a vero dire tuttavia alcune discrepanze d’opi- nione sulla posizione di questo calcare metallifero che è azoico, rispetto agli scisti silurici; ma le varie ipotesi sono debitamente trattate nella memoria descrittiva la quale porge ad ogni modo una precisa esposizione dei fatti. Nel volume di paleontologia in gran formato edito coi tipi Barbera in Fi- renze, la prima memoria del prof. Meneghini sui fossili del Cambriano di Sar- degna, forma un opportunissimo complemento alla suddetta Calta e descrizione dell’ Iglesiente di dove quei fossili provennero. Oltre ai trilobiti del Cambrico, vennero raccolti assai altri fossili di questo terreno e del Silurico, cui il detto professore doveva ancora studiare e pubblicare, quando la morte lo fermò nel 43 — decorso gennaio in Pisa. Le sette tavole di fossili vennero eseguite nella litogra- fia Paris di Firenze. La memoria del Canavari sui fossili del Lias inferiore di Spezia con nove tavole, formerebbe la prima parte di una pubblicazione importantissima por la pa- leontologia dei terreni dell’ Italia, e la quale potrà venire proseguita con la pub- blicazione dei numerosi fossili della stessa località ed altre analoghe esistenti nei nostri musei e specialmente di quelle già raccolte dal prof. Capellini. È il caso di cennare come lo studio di una parte dei fossili in questa memoria de- scritti, fosse dall’ autore eseguito in confronto a quelli esistenti nel museo di Mo- naco di Baviera, e come di essi già quegli pubblicava la descrizione in tedesco nella Paleontographica di Cassel : tanto che si potè profittare di quella circostanza per utilizzare con sensibile economia nostra le pietre di sette delle tavole che accom- pagnano il testo. Dovea anche farsi la riproduzione della Carta dei vulcani fluoriferi della Campania del prof. Scacchi; ma diverse difficoltà., tra cui quella di procurarsi una migliore Carta topografica, ritardarono il lavoro. Quanto alla Carta delle Alpi Apuane in grande scala con le necessarie sue illustrazioni, essendo opera di una certa entità, se ne erano bensì avviati nello Ufficio geologico i disegni, ma la pubblicazione sarebbesi soltanto eseguita nel- l’esercizio prossimo. Intanto fra le pubblicazioni di scritti di qualche importanza e che comparvero nel Bollettino, si può menzionare la descrizione, sotto il nome di Appunti geologici, di parte dell’ isola di Madagascar dell’ ing. Cortese con piccola Carta, risultato del suo viaggio di oltre sei mesi in quell’ isola, mentre una sua relazione più estesa e che considera le altre condizioni, compresa quella per le ferrovie e la colonizzazione, veniva pubblicata a cura della Società Geografica, ciò lo onorava della nomina a socio corrispondente. Si citerà pure la relazione del prof. Issel sul terremoto del 1887 in Liguria corredata di carte e varie tavole, pubblicate in separato volume come appendice al Bollettino stesso. Ora non si può chiudere questa esposizione delle nostre pubblicazioni e segna- tamente di quelle delle carte geologiche, senza far menzione con molta lode dell’ ing. Sormani addetto all’ufficio centrale, il quale incaricato di dirigere e sorvegliare questa partita assai delicata, non risparmiò cure e visite continue agli stabilimenti cartografici incaricati, onde è che le nostre pubblicazioni geologiche, benché eseguite da tali stabilimenti ancora alquanto nuovi in tal genere, riusci- rono bene e da non temere il confronto con quelle dell’estero. Personale addetto alla geologia. — Organizzamento in Sezioni. Alcuni cambiamenti, benché non di grande entità ebbero luogo nel personale addetto ai lavori geologici nel corso del 1888. Tre ingegneri agli studi all’estero fecero ritorno per venire addetti al servizio geologico cioè V. Sabatini, S. Franchi ed E. Mezzena che erano stati alla Scuola superiore delle miniere di Parigi. I primi due terminati i loro corsi ordinari praticarono esercitazioni di geologia in Francia sotto la guida dei professori della Scuola delle miniere, ed oltre ciò dedicarono assai tempo allo studio petrografie© delle roccie, sotto la guida e nel laboratorio del prof. Fouquè, non che dell’ ing. prof. Michel Levy ora succeduto all’ ispettore Jacquot nella direzione della Carta geologica della Francia. Essi fecero anch« l’acquisto per conto dell’ ufficio geologico di due dei più perfezionati microscopj del fabbricante Nachet, che ora formano dotazione del laboratorio di detto ufficio. Tornati in paese nel principio del marzo, ebbero poco dopo la loro destinazione ; il Franchi alla sezione di Torino pel rilevamento delle Alpi cogli ingegneri Zac- cagna e Mattirolo, il Sabatini alla sezione di Salerno coll’ ing Baldacci. L’ ing. Mezzena era stato autorizzato ad un viaggio geologico in Inghilterra, cui egli compieva dietro un programma d’itinerario compilato d’accordo colla dire- zione del Geological Survey, programma che comprendeva la serie delle princi- pali formazioni sedimentarie ed eruttive di quella regione. Quella escursione che durò più mesi era da lui compiuta al fine della state, onde avrebbe potuto fare ritorno in Italia. Ma allora occorse di dargli diversi incarichi in Londra, tra cui la cura della esposizione italiana colà fatta d’ ordine del ministero, di marmi e minerali, e quella poi di assistere al congresso geolo- gico internazionale di Londra avvenuto nel settembre, e dove la sua conoscenza della lingua e delle cose locali fu di molto giovamento. Le quali occupazioni gli impedirono di fare ritorno in Italia prima della metà di novembre. Egli venne di poi destinato al rilevamento delle provincie meridionali nella squadra dell’ inge- gnere Baldacci. In fatto di allievi tornati dagli studi all’ estero va ancora menzionato il Mo- naco che aveva fatto il suo tirocinio geologico col Novarese nell’Istituto di Ber- lino ; ma sgraziatamente, benché di robusta apparenza, egli nelle escursioni pedestri ebbe tali segni di disagio che dovette lasciare il servizio. Il dott. Canavari, paleontologo del Comitato da circa 10 anni proseguì l’opera sua risiedendo a Pisa, a lato del prof. Meneghini presidente del Comitato al quale serviva di valido aiuto per la determinazione dei fossili che dai diversi operatori gli venivano di tempo in tempo inviati. La posizione però di semplice straordina- rio che tuttavia tiene il dottor Canavari nel personale dell’ Ufficio geologico, riu- scirebbe al medesimo di grave svantaggio qualora avesse tuttavia' a durare, onde — 45 non si mancò di raccomandare vivandante al ministero di trovare modo di ren- dere stabile la sua posizione, ed il ministero ne avanzò da qualche tempo proposta in occasione del bilancio annuale. Altri mutamenti relativi al personale non ebbero luogo nel 1888, salvo del- F aiutante ing. Manara addetto da più anni all’ Ufficio geologico, il quale nel luglio decorso venne temporariamente destinato a Carrara, allo scopo princi- palmente di eseguire una copia in bello della carta della regione marmifera al 1/2 000 recentemente rilevata e la quale possa poi servire alla futura sua ripro- duzione ad uso dei diversi servizi cui è destinata. Egli però dovette anzitutto oc- cuparsi del disegno di alcune carte relative alla pubblicazione della Garta geo- logica delle Apuane preparate dall’ ing. Zaccagna, o*nde 1’ anzidetta copia della carta del Carrarese ne veniva alquanto ritardata : ciò però senza grave inconve- niente a quell’ opera la cui parte essenziale, che era il rilevamento sul terreno, è ora compiuta. Ora un cenno sull’ organizzamento delle Sezioni di rilevamento della .Crata Nulla di radicalmente nuovo veramente si fece a tal proposito, soltanto collo accre- scersi del personale addetto al rilevamento si potè fare qualche passo verso il completamento delle Sezioni destinate a tale opera nelle diverse regioni, le quali sezioùi, come venne ampiamente esposto nella relazione dello scorso anno e come viene nella presente ripetuto, sono ora in numero di quattro senza contare la cen- trale di Roma, aventi per sede temporaria Pisa, Torino, Salerno, Catanzaro. Natu- ralmente queste sedi col progredire del rilevamento saranno più o meno soggette a mutare: quelle di Catanzaro e Salerno in causa della conformazione del terri- torio, e la mancanza di mezzi locali di studio, sono naturalmente le più soggette mentre invece le altre due situate in un campo d’azione molto vasto e ricche di musei, biblioteche, e laboratorii, aveano elementi per servire più lungamente di residenza realizzando in pari tempo notevole economia nelle spese di trasferta. Riconoscendosi intanto opportuno di limitare l’isolamento in cui si lasciavano gli operatori delle varie Sezioni in provincia, venne adottato il sistema di convocarli in certi tempi all’Ufficio centrale di Roma, principalmente nella stagione meno pro- pizia ai lavori, e di accordare loro perciò il diritto all’indennità di domicilio nella capitale che la legge concede agli impiegati residenti in Roma. È un compenso di non grande entità ma che aiuta e rende meno grave l’onere delle due residenze. di sistema venne prima applicato alle due sedi più variabili, cioè di Catanzaro e Salerno, e più tardi quando venne deciso di costruire un laboratorio presso l’Uffi- cio geologico in Roma, non essendo più necessario quello sin’ ora utilizzato del prof. Cossa in Torino, anche per tale sezione venne presa la stessa misura, come dovrà venire presa quanto prima per quella di Pisa. In tale occasione dell’ordinamento delle Sezioni secondo il suindicato sistema — 46 — che tende ad accentrare il personale nella capitale, vennero anche stampate alcune Norme pel servizio geologico, norme che in parte già erano usate in forza di successive istruzioni emanate in diverse occasioni nei decorsi anni, ma che ora vennero meglio ed in modo uniforme concretate. Pur troppo non tutto si potè tuttavia ottenere di quanto occorrerebbe sia in personale che in materiale per un perfetto ordinamento ed un rapido progredire dei lavori ; e così per esempio si è un po’ a corto per gli studi paleontologici come più volte venne esposto, e sin’ora si mancava di un proprio laboratorio chimico, petrografico e per 'lo studio e disegno dei fossili, ma a quest’ultimo bisogno sarà presto e sufficientemente provveduto. Adunanza del Comitato geologico. — Il Comitato tenne la sua annuale adunanza nel maggio in due successive sedute del 28 e 29. Impedito dalla sa- lute il Presidente Prof. Meneghini e trattenuto da occupazioni urgenti in Bologna il Prof. Capellini che già avea tenuta la presidenza in assenza del primo, venne dal Comitato stesso eletto il Prof. Scacchi. Nei verbali delle sedute pubblicate nel fascicolo del Bollettino sta esposto quanto venne detto e deciso sulle diverse materie. Oltre al solito argomento dei lavori eseguiti nel decorso anno e di quelli' da fare nel seguente, venne trattata assai specialmente la questione posta sin dall’anno prima dal Ministero cioè del personale dell’Uffieio geologico e sua divisione in Sezioni nelle provincie pel rileva- mento del territorio. Il Comitato approvava le disposizioni da tempo prima proposte, e già del resto in gran parte in via d’ effettuazione, circa alle varie Sezioni e loro sedi più o meno temporarie, ammettendo "che il personale delle medesime potesse venire a momenti opportuni chiamato all’Ufficio centrale. Circa al numero degli operatori delle squadre in cui venne diviso e dalla orga- nizzazione di queste, si riconosceva che conveniva anzitutto adattarsi alla quantità di persone e danaro praticamente disponibili, che l’esenziale era di far procedere alacremente e bene i lavori, scopo al quale del resto sempre erasi arrivato in mezzo alle strettezze e difficoltà del passato. A proposito poi dell’Ufficio centrale il Comitato ripeteva il voto già fatto altre volte, che cioè permettendolo i mezzi, esso ufficio oltre al venire dotato delle neces- sarie collezioni, venisse al più presto corredato, di un conveniente laboratorio~chi- mico petrografico per lo studio dei minerali, roccie e fossili, nel quale divenisse pos- sibile ornai il compiere quegli studi che fin ad ora doveansi eseguire qua e là nei laboratori e musei di Torino, Pisa ed in altre località distaccate-. Quanto al suddetto personale addetto ai lavori e sua divisione in squadre, erano state dall’Ispezione proposte alcune agevolezze ed alcune distinzioni ai capi-squadra onde animarli al loro non facile compito, ma il Ministero non cre- dette di poter aderire a simile proposta. Riguardo ai lavori paleontologici, cioè alla determinazione dei fossili che in gran numero occorrono nel rilevamento della carta geologica e che sin’ora si mandavano a Pisa, osservava il Comitato che insufficiente fosse un solo pa- leontologo e convenisse averne un altro a cui poter vantaggiosamente affidare anche certi studi speciali divenuti necessari, per es., per la classificazione dei nostri terreni secondari. Ma il Ministero non credette potere accedere a simile domanda anche in vista della difficoltà già sin’ora incontrata per conseguire la sistemazione di un solo paleontologo. Come nemmeno ammise la raccomandatagli pubblicazione di alcuni lavori di geologi non membri del Comitato la quale non presentava alcun carattere di urgenza. Il Ministero accettava invece quanto concerne il completamento dei mezzi d’azione deH’Uffìcio e Museo geologico, sia per collezioni scientifiche e industriali, sia per la creazione del laboratorio divenuto di prima necessità. 3Iuseo geologico e collezioni . — Nella seconda parte della Relazione dello scorso anno veniva assai particolareggiatamente esposto quanto sarebbe occorso di fare neH’edifìzio della Vittoria, dove stanno l’Ufficio e Museo geologico per provvedere maggiori locali alle collezioni, completare queste e apprestare in fine un laboratorio chimico petrografìco confaciente alla istituzione. Ora nel decorso anno venne eseguito quanto erasi proposto, o se tutto non poteva tuttavia venire compiuto, poco mancava ad esserlo ed in breve tempo. In quanto ai locali ossia agli ambienti del museo avvenne che dietro dispo- sizione del Ministero, il quale è costretto a dare posto in quell’edifizio medesimo a diversi e crescenti servizi, si dovettero cedere alcune camere del primo piano verso l’orto per un nuovo laboratorio o stazione patologica vegetale, non che per l’archivio geodinamico, sicché ora non rimane ivi all’Ufficio che la sala delle riu- nioni del Comitato ove siavi spazio da esporre qualche carta geologica. Intanto il deposito delle carte pubblicate che era pure in dette sale dovette venire rimosso e preparato altrove. Si suppliva in parte al perduto locale costruendo sul terrazzo del 2° piano dal lato della via Santa Susanna una galleria di 20 metri di lunghezza su 3 circa di larghezza, che riunisce le estremità dei due bracci esistenti a quel piano. Simile galleria che importava una spesa di circa lire 10 000 procurava così uno sviluppo di circa 40 metri lineari di pareti che si potranno ora coprire di vetrine per col- lezioni. In quanto poi a queste collezioni, oltre al continuo aumento di campioni di roccie che accompagnano il rilevamento della Qarta geologica, si provvide all’arricchimento di quella dei materiali edilizi acquistando a condizioni assai convenienti e con la comodità di pagamento a rate la bellissima raccolta dei marmi e graniti spe- cialmente di quelli usati dagli antichi, del fu generale Pescetto, e che da assai tempo si teneva ospitata nel museo stesso. Questo divenne perciò in tal genere l’uno dei più ricchi ed interessanti. Ora resterebbe soltanto a meglio disporre simili materiali nella grande sala agli stessi destinata onde meglio figurino all’occhio' dei visitatori del Museo; ciò che potrebbe facilmente ottenersi. Intanto è da menzionare come in occasione della Esposizione di prodotti ita- liani che ebbe luogo in quest’anno a Londra, si realizzò quanto erasi nella prece- dente relazione progettato in vista delle frequenti esposizioni dei- nostri marmi che siamo costretti a fare or qua or là. Per questa di Londra erasi dovuto pensare a ** procurare una apposita collezione d> blocchetti e di lastre, mediante l’opera solerte dell’ ing. Zaccagna che curò la scelta dei pezzi e dell’ ing. Mazzuoli che durante un suo viaggio in Inghilterra, la ordinava sul sito con 1’ aiuto dell’ ing. Mezzena che colà trovavasi agli studii. La comunità di Carrara avea concorso nella spesa, ma dopo chiusa l’Esposizione e tornata la collezione in Italia, l’ Ufficio geologico disinteressando a buone condizioni la suddetta comunità (con L. 500) ne divenne proprietario, ed ora la tiene a propria disposizione per altra simile evenienza. Infine è ancora il caso di menzionare la raccolta speciale di roccie cristalline metamorfiche delle Alpi Occidentali e delle Apuane stata fatta dagli ingegneri Zac- cagna. Mattinolo e Lotti per il congresso internazionale, di Londra dove figurò util- mente insieme alle nostre carte a corredo degli interessanti studii geologici dei nostri ingegneri in quelle regioni, come meglio verrà esposto trattando di quel congresso. Un’ultima osservazione sulle nostre collezioni, e questa riguardo ai campioni di roccie e fossili che accompagnano il rilevamento della Carta geologica, ed è che mentre la quantità di tali campioni cresce giornalmente in modo notevole, lo spazio che loro si potrà destinare nell’edifizio della- Vittoria è assai limitato. Lo impianto testé avvenuto di un laboratorio al quale si dovettero destinare diversi ambienti, l’organizzazione ora data al personale operatore che a certe epoche dell’anno deve quasi tutto ritrovarsi all’Ufficio centrale ed ivi avere camere da lavo- rare, riducono ancora lo spazio disponibile per collezioni, modelli ed altri accessori. Ora dunque l’ambiente disponibile per le suddette collezioni di roccie e fossili dei terreni che si van rilevando, si ridurrebbe alla nuova anzicitata galleria sul terrazzo ed a qualche tratto di corridoio nel piano ultimo dove ora si costruisce il laborato- rio. Ove non avvenga di poter destinare alla geologia qualche altra parte dell’edi- fizio ora data ai prodotti agrarii, si avrà dell’imbarazzo, onde converrebbe limitare molto per ora i materiali da mandarsi al museo centrale, e perciò trattenere nelle Sezioni delle provincie quanto non è strettamente necessario alla illustrazione — 49 della Carta, lasciando in dette Sezioni, come già venne più sovra cennato, come un piccolo museo che servirebbe egregiamente a chi avesse da studiare la geolo- gia di quelle regioni. E ciò non è difficile a fare e quasi senza spesa, potendosi profittare di locali gratuitamente ottenuti come ora se ne possiede nella sezione di Torino, o di Scuole od Istituti esistenti come la Scuola mineraria di Caltanissetta per la Sicilia, il Museo di storia naturale di Pisa, Istituto locale in Calabria, e via dicendo. Laboratorio. — L’impianto del laboratorio non potè venire cominciato che un po’ tardi, cioè dopo il ritorno da Londra dell’ing. Mattirolo che ne aveva avuto l’incarico; però venne di poi assai attivamente proseguito, e fra non molto, si spera potrà venire compiuto. Fra le due soluzioni che presentavansi circa al locale in cui stabilirlo, secondo quanto esponevasi nella relazione deUo scorso anno, si dovette scegliere quella di porlo all’ultimo piano dell’edifìzio stesso della Vittoria sotto al terrazzo superiore ehe lo corona malgrado l’altezza a cui viene a trovarsi, cioè di met. 21,50 sul vestibolo d’ingresso e met. 23 sulla via S. Susanna. Ivi almeno il medesimo può stare senza dare e senza soffrire alcun grave in- comodo. Intanto per darvi sito si rimossero da quel piano i disegnatori situandoli altrove nei piani inferiori, e la grande sala in cui alcuni di essi stavano riuniti venne suddivisa da tramezzi. Così si avrebbero a disposizione cinque discrete ca- mere oltre ad un gabinetto per le bilancie. Nelle suddette camere, lungo le quali corre un largo corridoio si può avere un discreto laboratorio chimico, petrografico e paleontologico. Quanto ai fornelli ed apparecchi a fuoco si adottarono i più moderni e portatili scaldati a gas, e dei quali l’ing. Mattirolo facea acquisto a Londra, semplificandosi così di molto gli im- pianti e le costruzioni. Per avervi l’acqua convenientemente distribuita, siccome la preesistente diramazione la forniva troppo bassa, convenne procurarsi quella a maggiore pressione e che raggiunge perciò maggiore altezza, e così si potè creàre sul terrazzo superiore ed alimentare un serbatoio assai utile per ogni occorrenza, compresa quella di fare agire all’uopò un’elevatore meccanico che per quell’ alto sito sarebbe molto opportuno. Quel serbatoio, della capacità per ora di 4m3, ma che può accrescersi a pia- cimento sovratutto, pel caso d’impianto di un’elevatore, venne costruito non in ferro, ma in legno foderato di piombo onde l’acqua sia scevra di elemento ferru- ginoso nociva per un laborotorio. I truogoli, pareti di camere di evaporazione ed altri vasi in cui si possano spandere acque od emanazioni .corrosive, vennero fatti o rivestiti di una certa pietra verdastra inattaccabile, presa in cave sotto Tenda nella valle della Roja. E una roccia scisto-gneissica per noi preziosa, come testi- — 50 — monianza degli studi degli ingegneri Zaccagna e Mattirolo nelle Alpi occidentali i quali dimostrarono che la formazione in cui giace, la quale prima ritenevasi di epoca prepaleozoica apparteneva invece al Permiano modificato dal metamorfismo. Quanto agli apparecchi, strumenti ed utensilerie se ne fece provvista dalle migliori fabbriche e più capaci fornitori. Un’alambicco di nuovo modello venne preso dalla fabbrica Murrle in Pforzheim. Le bilancie di precisione sono del costrut- tore Sartorius di Gottinga. Di microscopii, oltre ad uno di fabbrica germanica, si hanno i due ultimamente acquistati presso il Nachet di Parigi di assai perfezio- nata costruzione. V '■ Carta geologica (V Europa, — Questa opera altamente pratica di unifi- cazione geologica stata decisa nel congresso del 1881 in Bologna, e che si fa a spese delle varie nazioni europee, veniva affidata per l’esecuzióne ai direttori Beyrich ed Hauchecorne dell’ Istituto geologico di Berlino i quali ne commisero la stampa ad uno stabilimento litografico di quella città. Tale Carta alla scala di 1/1 500 000, divisa in 49 fogli, è molto chiara, inquantochè non contiene figurazione di monti a tratteggio, ed i nomi delle località vi sono indicati dalle sole iniziali. La spesa presunta era di lire 100 per copia, e tale venne guarentita dalle varie nazioni d’Europa, tra cui tutte le principali ne assunsero 100 copie caduna al prezzo totale pertanto di lire 10 000 ossia marchi ottomila. Un comitato di rappresentanti di quelle nazioni dovea sorvegliare il lavoro. Quanto alla classificazione dei terreni, la medesima era studiata da una Commissione internazionale di unifica- zione la quale teneva diverse sedute a Foix in Francia, a Zurigo, a Berlino durante il Consiglio del 1885, a Ginevra, a Manchester ed a Londra, dove in occasione del Congresso del 1888 venne rinnovata, riescendo rieletto a scrutinio segreto a suo presidente il jDrof. Capellini. Per la distinzione delle varie formazioni geologiche con colori e simboli, veniva adottata una gamma stata decisa in parte nel Congresso di Bologna, in buona parte in quello successivo di Berlino, e per molti particolari lasciato alla scelta dei sunnominati direttori. Ora negli anni decorsi dopo il Congresso di Bologna, la ' Carta venne inco- minciata a Berlino ed assai avanzata, e si dovea presentarne il saggio di qualche foglio stampato al Congresso di Londra. E di fatti il direttore Hauchecorne, il quale durante il Congresso medesimo riferiva sullo stato del lavoro, esibiva anche un foglio stampato di prova, quello segnato C-IV il quale contiene le provincie renane poste quasi nel centro dell’Europa. Nulla si dirà qui sulla classificazione adottata in simile carta se non che la medesima va tenuta in gran conto come il risultato degli studi della Commissione internazionale di unificazione non che delle decisioni prese nei precedenti Con- gressi o che potranno ancora precedersi nei futuri. Non tutte forse tali decisioni — 51 — potranno convenire al nostro territorio, ma ad ogni modo vanno tenute in conto per adottarle dove e in quanto sieno per noi applicabili. Quanto alla gamma dei colori stata adottata é il caso, credo, di fare qualche riserva, in quanto alla sua applicazione alle comuni carte geologiche dei diversi paesi ed in specie alle nostre. Simile gamma del resto, la quale in diversi parti- colari assai si scosta da quelle sin’ora adottate nelle Carte delle principali nazioni (Francia, Svizzera, Inghilterra, Spagna, America non che dell’ Italia) era inteso dapprima che dovesse soltanto considerarsi come una prova o saggio da accettarsi 0 modificarsi poi secondo le occorrenze. La medesima intanto non sarebbe scevra da qualche inconveniente, ed in ogni caso, per quanto riguarda la nostra Carta, vi è preferibile quella attualmente usata dal nostro Ufficio geologico, gamma stata scelta or fa qualche anno dopo non pochi studi e prove, e che infatti risponde assai bene alle esigenze. Nella scelta della nuova gamma adottata dalla direzione di Berlino si ebbe bensì per guida il parere di varie persone, ma non pare siensi fatti esperimenti propri, i quali avreb- bero dovuto essere numerosi e su mappe di paesi svariati di topografìa, a varie scale e con più o meno tratteggio quali sono molte delle mappe in uso. L’esperimento che si fa attualmente dalla Direzione di Berlino sulla Carta geologica di Europa in scala del 1/1 500 000 è in condizioni speciali, poiché tale Carta si fa senza tratteggio e senza scritturazione, quindi chiarissima, dimodoché qualunque serie di colori vi può spiccare molto bene, ciò che non è il caso delle mappe comuni sovratutto se aventi un’ombreggiatura. Quanto poi a colori per le formazioni sedimentarie posteriori al Trias cioè Giurassico, Cretacico e Terziario, vennero conservati, e molto opportunamente, i tre colori fondamentali turchino, verde, e giallo usati con vantaggio nelle antiche carte, ma dal Trias in giù si vol- lero fare cambiamenti che non tutti paiono felici. Così per questo Trias, invece del giallo forte o rancione pfrima usato che tanto bene spiccava coronando il terreno Paleozoico, come il giallo chiaro del Pliocene corona il Terziario, si volle seguire la regola teorica di usare colori tanto più scuri quanto più si scende a terreni più antichi, onde venne adottato il violetto prima da molti usato per roccie emersone antiche. Ciò costringeva intanto a cercare per i terreni inferiori al Trias cioè pei diversi piani paleozoici, delle tinte di più in più scure, tinte che non esistono poi bene distinguibili fra loro nella scala cromatica, onde si dovette poi anche scar- tarne ed irregolarmente onde evitare la troppa facile confusione. Così per esempio pel Cambriano e Siluriano si adottarono tinte verde-scure prima usate per le roccie serpentinose, e per queste invece, come per tutte le roccie ritenute emersorie, quali 1 graniti, dioriti, porfidi, trachiti, melafiri, serpentine, basalti e lave, venne adottato, seguendo anche in ciò una idea teorica, un solo colore, il rosso, differenziato soltanto per le suddette roccie con varie gradazioni di tinta. Certo però che ta- 4 — 52 — luna di queste tinte, come la rosso-bruna adottata per le roccie diabasiche e me- taforiche, molto si avvicina al bruno del devoniano, e quella rossa violacea al vio- lato del Trias, e via dicendo, non senza pericolo di confusione; sovratutto poi quando si deve far uso di mappe con tratteggio già naturalmente assai cupe. A Londra vedevasi esposta dai francesi signori Vasseur e Carez una Carta geologica della Francia al ll500 000 nella quale eransi adottati, in parte almeno, i colori della suddetta gamma, ma per quanto concerne i terreni antichi, la Carta non era ancora completa e non potevasi farne completo giudizio. Di fronte ai succitati inconvenienti dei quali una parte si potea prevedere sin dal momento che venne adottato pel Trias un colore piuttosto oscuro come il vio- letto, non erasi mancato per parte mia da fare osservazioni nelle riunioni preparatorie del Comitato internazionale segnatamente in occasione del congresso di Berlino ; ma venne risposto che alcuno dei colori, come quello appunto del Trias erano già stati accettati nel congresso di Bologna, e che ormai non conveniva tornare su deliberazioni già prese, premendo invece di accelerare il lavoro onde essere in tempo a presentarne un saggio al congresso di Londra. Fatto è che ora la Direzione di Berlino compirà poco a poco la carta d’Eu- ropa facendo uso della sovradescritta gamma. Le osservazioni qui sbpra esposte sovra gli inconvenienti che possono verifi- carsi nella applicazione della medesima, parmi che rendano necessaria per ora una riserva in applicarla troppo presto alle ordinarie carte geologiche. Del resto ciò è impossibile oggidì, tanto per noi quanto per molte altre nazioni le quali hanno incominciata la pubblicazione della loro Carta con 1’ antica gamma e pertanto con la stessa debbono compierla. Si vedrà meglio col tempo e dietro ulteriore esperienza ciò che si possa fare in proposito, se non altro per certe carte d’ in- sieme e di carattere internazionale. Resterebbe a dire del nostro contributo pecuniario a simile opera; ma nulla sopravvenne di nuovo a tale proposito dallo scorso anno in qua, onde sta tut- tavia quanto se ne riferiva nella relazione di detto anno. Il contributo obbligatorio dell’ Italia per 1’ acquisto di 100 copie ammonta come sappiamo a L. 10 000 che si possono anche pagare anticipatamente. Su tale somma, il nostro governo già pagò diverse rate, che ammontano a L. 7 500. Di queste L. 7 500 poi ne furono pagate dal Ministero nostro L. 4 175, e da quello dell’ Istruzione Pubblica L. 3 325. Era cennato nella relazione dello scorso anno alla possibilità che convenisse pagare altro acconto ovvero saldare tutta la partita in L. 2 500 nell’ occasione del con- gresso di Londra; ma non essendosi in questo trattato della partita finanziaria, le cose rimasero allo statu quo, e l’Ufficio geologico rimane debitore della sud- detta somma da pagare in altra occasione. Il ministero d’istruzione Pubblica si impegnò pure per altro cospicuo numero di copie : ma queste sarebbero solo pa- gabili ad opera finita. Intanto si può cennare come nell’ ultimo congresso di Londra gli Stati-Uniti del Nord-America, chiesero di inscriversi come i grandi Stati di Europa per le 100 copie pagando a suo tempo L. 10 000; e tale domanda venne accettata. Resoconto delle spese dell’anno 1888. Sempre seguitando per le ragioni già più volte esposte nelle relazioni degli ultimi anni, il sistema di suddividere lo spese secondo l’anno solare o civile e non secondo l’anno finanziario (da luglio a giugno) si riferisce qui sotto il resoconto di quelle occorse nel passato anno 1888. Per quest’anno la somma disponibile trovavasi ridotta da lire 160,800 quale era prima, a lire 140 400 stante la riduzione di lire 40 000 fatta dalla Commissione par- lamentare sull’esercizio 1888-89 limitando cioè l’assegno annuo a lire 120,000 in- vece delle primitive lire 160,800. E così avveniva che per l’anno 1888 si avessero disponibili sul 1° semestre L. 80 400 sul 2° id » 60 000 Totale per l’anno . . . L. 140 400 oltre ad alcuni residui dei bilanci precedenti. In tali somme vennero quindi limitate le spese riferibili all’annata 1888, le quali sono riassunte, divise nelle solite categorie, nel seguente prospetto: I. Assegni ai personale: Un paleontologo (pareggiato ad ingegnere di 2‘ classe) L. 3500 — Sei ingegneri geologi di 3* classe a L. 3000. » 18000 — . Due disegnatori (uno dei quali per soli 8 mesi) a L. 150 » 3000 — Uno scrivano (a L. 100 nel 1* e a L 120 nel 2° semestre) 4 .' - . » 1320 — Due inservienti a L. 100 e a L. 75 e L. 80 (1* e 2* semestre) ... » 2130 — Totale . . L. 27950 — L. 27950 — II. Indennità di campagna e trasferte diverse: Rilevamento della Garta geologica normale nelle varie regioni Sezione di Torino . Id. di Pisa . . Id. di Roma . Id. di Salerno Id. di Catanzaro L. 4798 29 » 4570,89 >> 7782, 18 » 9107, 19 » 7251, 91 L. 30510, 46 Carta della vallata del Po Carta della regione marmifera Carrarese . . . . . . . . . . Trasferte membri del Comitato per le adunanze Viaggio di due membri del Comitato a Londra per il Congresso \ L 2133,65. I Viaggio dell’ Ingegnere Mattirolo a Londra e Germania per ac- j quisti L. 1037. / Viaggio del dott. Canavari a Monaco e Vienna Studio sul terremoto di Liguria (Prof. Issel) » 30510,46 * 3478,59 * 1522,73 » 804 10 » 3170,65 » 616 — » 441,85 Totale. . . L. 40544,38 » 40544,38 — 54 - Riportami. . . III. Spese d’ufficio, biblioteca e «strumenti : Spese ordinarie di pesta, trasporti ( Ufficio centrale » 3106,42 ferroviari e cancelleria. t Uffici delle sez. (eccetto Roma) » 1258,98 Provvista di carte topografiche » 398,30 Biblioteca ed archivio » 1199,85 Provvista di istrumenti (compresi due microscopi per L. 2600). . » 2881,75 Provvista di oggetti per lavori di chimica » 569,17 IV. Pubblicazioni diverse: Bollettino annuale .... Relazione del prof. Issel sul terremoto di Liguria. Memorie paleontologiche, voi. III,P. 2* Voi. IV Memorie descrittive (Zoppi) sull’ Iglesiente (Sardegna). L. 9414,47 j Testo . . . . L. 2213 — Tavole . . » 1377,50 Estratti . . » 265, 60 3856, 10 » 3856,10 Testo . . . . L. 982 — Tavole . . . > 1156 — 2138 — » 21S8 — Testo. . . . L. 1904,75 Tavole . . » 168 — Estratti . . . » 281,75 2354,50 » 2354,50 Testo . . . . » 1680 — Tavole . . » 181 — Atlante . . m 5466,30 7327,30 » Carta geologica dell’ Iglesiente annessa al voi. IV » Carta geologica della Campagna Romana in 6 fogli al ,10q1qqq ed uno di sezioni a copie 600 » Brevi cenni relativi alla medesima » 7327, 30 4810,66 20860,60 150 — 41497, 16 V. Concorso alla Carta geologica dell’ Europa : (In quest’anno non si pagò alcuna rata) Circolare del prof. Capellini per la riunione di Manchester . . . VI. Impianto e materiale per l’Ufficio ed il Museo : Provvista di mobilio nuovo e riparazioni al vecchio (ufficio centrale) Mobili per gli uffici di sezione . Costruzione di armadi per deposito stampati alPufficio centrale. . Riparazioni al tetto dell’edificio Impianto del portavoce Acquisto della collezione Pescetto (sono oltre 1000 campioni in assai gran formato dei più belli materiali decorativi) (1* rata di lire 6000 e 2* di lire 5000) Rilievo dell’Italia a superficie curva del Pomba Vii. Spese diverse: Sussidio alla Società geologica Indennità di viaggio per l’ ingegnere Mezzena all’estero .... Indennità allo stesso di lire 72 mensili per mesi 11 Compensi straordinari al personale 42,50 » 919 — » 298,80 » 438,25 » 810,38 » 70 — * 11000 — » 310 — 13846,43 » 1200 — » 2500 — » 792 — » 3300 — i. 68494, 38 » 9414,47 41497, 16 » 42, 50 » 13846,43 « 133294.94 — 55 Riportami . . L. 133294,94 Compensi al dott. Bucca pei lavori speciali di petrografia ...» 350 — Formazione e spedizione a Londra di una collezione di roccie in oc- casione del congresso di Londra ... » 468,50 Spese diverse per guide e trasporto campioni » 314,30 Assicurazione al fabbricato dell’ufficio » 466,40 9391,20 » 9391,20 Somme inscritte 1* semestre. . . ’ Id. id. 2* Semestre . . Totale. . . L. . . . I,. 80,400 — . » 60,000 — Prelevate dai residui precedenti. Totale. . . L. 140400 - . » 2286,14 Ritornano. . . L. 142686,14 . . . . . » 142686. 14 Si osserverà ancora che airUffìcio geologico la registrazione delle spese è fatta semestre per semestre ond’è che volendo potrebbesi all’occasione presentare anche i resoconti per l’anno finanziario (luglio-giugno), anziché per l’anno civile le cui cifre, se possono talvolta alquanto differire, si pareggiano però nella media gene- rale di parecchi anni Da FARSI NBL 1889. Si può ripetere a riguardo dei lavori di rilevamento della Carta geologica da eseguirsi nel prossimo anno 1889, ciò che già in anni precedenti dicevasi, che cioè tali lavori stati coordinati secondo un piano razionale, che non vi è ora ra- gione di mutare perchè tuttavia ben confaciente alle circostanze, così non rimane che proseguirli secondo tale piano. Ben poco vi sarebbe dunque a dire in proposito, e tutto al più si potrà per comodità di chi legge ripetere alcune delle osservazioni già fatte nella relazione dello scorso anno, dove esponevasi alquanto parti- colarmente la questione del personale e sua distribuzione nelle varie sezioni del territorio da rilevare; questione della quale già pure alquanto toccavasi nelle pagine precedenti trattando del personale. Si rammenterà anzitutto che in vista delle condizioni del bilancio e della attuale pianta organica del Corpo delie miniere, tutto il personale ora addetto alla geologia, sia in campagna, sia in ufficio, comprende soltanto una dozzina di ingegneri con tre aiutanti; che poi il compito loro richiede molta istruzione e robustezza onde nel distribuire i lavori conviene aver riguardo alle condizioni in- tellettuali e fìsiche dei singoli individui, cui è molto difficile rimpiazzare quando alcuno ne manchi, che inoltre la svariata costituzione geologica delle varie regioni del nostro territorio esige che il rilevamento delle medesime venga eseguito, se- condo un piano scientifico e razionale: tutto ciò considerato veniva quel personale suddiviso in quattro sezioni del territorio con altrettante squadre di rilevatori, le quali poi furono nello scorso anno portate a cinque. Di tali sezioni quali sono oggidì costituite, si dà qui il riassunto, cominciando dal Sud e procedendo al Nord. Calabria — (centro per ora Catanzaro). — Personale E. Cortese, funzionante da capo squadra, ingegneri Aichino e Novarese. Provincie meridionali intermedie — (centro per ora Salerno). — Personale, L. Baldacci funzionante da capo squadra; ingegneri Viola, Sabatini e Mezzena. Italia centrale (centro Roma). — Personale, ing. P. Zezi e aiutanti-inge- gneri Cassetti e Moderni. Regione Toscana — (centro per ora Pisa). — Personale, ingegneri B. Lotti, D. Zaccagna, paleontologo dott Canavari. Alpi occidentali — (centro per ora Torino). — Vi si può solo lavorare nella stagione estiva. Personale, ingegneri Zaccagna, Mattirolo e Franchi. Riguardo ai geologi operatori la cui distribuzione in squadre alle varie parti del territorio è qui sopra indicata, si avvertirà che la loro destinazione può cam- biarsi di tempo in tempo, secondo le occorrenze del servizio e secondo il loro stato di valitudine, a confronto della difficoltà del paese da rilevare. E così può eziandio convenire in dati casi di affidare ad alcuno di essi anche isolato una determinata zona da studiare, salvo poi apposita verificazione. Quanto alle nostre due grandi isole, la Sicilia, che costituisce una importante sezione, già era per intero rilevata nel 1882, mentre in Sardegna, salvo per ITglé- siente, non potè ancora cominciarsi il rilevamento, perchè ne manca tuttavia la carta topografica. La costituzione delle predette squadre, il loro luogo più o meno instabile di resi- denza, ed il modo di funzionare, furono oggetto di accurato studio e infine certe norme uniformi vennero stabilite appena ciò fu possibile e raccolte in una istruzione stampata. Una delle nuove norme concerneva la residenza del personale delle se- zioni. Dapprima, cioè sino a due anni or sono, l’operatore addetto ad una data Sezione avea la sua residenza in una città per quanto possibile centrale della re- gione da rilevare, come sono Torino per le Alpi occidentali, Pisa per la regione toscana. Per la Calabria, procedendo il rilevamento dal Sud al Nord fu dapprima Reggio la sede della Sezione, poi fu portata a Catanzaro, e col tempo converrà trasferirla a qualche altra parte più settentrionale Quanto alla Sezione di Salerno, tale città diverrà fra qualche tempo troppo eccentrica per i lavori e converrebbe potersi trasferire più a levante. A tal riguardo però occorre tenere in vista anche altre circostanze, tra cui quella che in tal direzione non si trovano città più convenienti, e che si accresce la distanza dall’uffìeio centrale, onde con- verrà ponderare a suo tempo ciò che convenga di fare. Quanto a Pisa e Torino veramente per l’importanza geologica delle regioni a loro circostanti ed il maggior tempo che per ciò vi esigeva il rilevamento, esse — 57 poterono servire bene per più anni ed ancora il potrebbero con molto vantaggio del servizio, anche tenuto conto che simili città possiedono musei, biblioteche ed altri mezzi di studio pei geologi, che mancano nelle anzi accennate città me- ridionali. Tuttavia fra qualche tempo diverranno esse pure alquanto eccentriche, onde la convenienza di trasferirle altrove cioè più ad Est e .N.E. Si aggiunge qui intanto una considerazione di certa importanza, che cioè vi- vendo gli operatori troppo tempo nelle Sezioni e lungi perciò dairUffìcio geologico centrale, difficilmante si stabilisce tra i loro studi quell’unità di vedute e di me- todo che negli stessi dovrebbe regnare per produrre un’opera armonizzata nelle varie sue parti. Onde la convenienza che gli operatori vengano di tempo in tempo all’ufficio centrale a. coordinarvi i loro lavori sotto gli occhi della direzione, stu- diarvi le roccie raccolte, redigere le loro memorie e prendere istruzioni per l’av- venire. Simile sóggiorno all’ufficio centrale è tanto più opportuno per gli operatori destinati a regioni settentrionali dove il clima non permette il lavoro in campagna che pochi mesi. Infatti nei paesi nordici esteri in generale i geologi non rilevano che pochi mesi dell’anno, passando gli altri neH’uffieio centrale, dove sono con- centrati i mezzi di studio, come collezioni, biblioteche e laboratori. Negli ultimi anni in cui il lavoro della Carta geologica, in grazia di maggiore assegno in bilancio e di più completo personale, venivasi regolarizzando, fu rico- nosciuta la convenienza di adottare tale sistema dal ministero preferito, e comin- ciavasi dalle due Sezioni più lontane e di sede instabile, che erano quelle di Ca- tanzaro e di Salerno. Siccome con tale combinazione, gli operatori sono soggetti ad avere l’onere di due domicili l’uno nella sezione che è assai variabile, l’altro in Roma, così per dare loro un certo compenso veniva loro accordata l’ indennità di residenza nella capitale quale è portata per gli impiegati in genere dalla rela- tiva legge, lasciando poi che provvedessero a se e famiglia come meglio intende- vano. In ogni residenza di Sezione devesi tenere un piccolo ufficio per riunirvi provvisoriamente le raccolte, disegnarvi le Carte, e farvi altri lavori. Dopo le due Sezioni di Catanzaro e Salerno veniva sistemata in egual modo quella di Torino (nel gennaio), e infine dovea fra poco sistemarsi pure così quella di Pisa. Intanto verso il fine dell’anno 1888 l’ing. Mattirolo incaricato di impiantare un laboratorio chimico-petrografico nell’ ufficio centrale di Roma, vi si dedicava spingendone i lavori assai alacremente, come già venne detto a suo luogo, e simile laboratorio destinato a supplire quello che il professore Cossa membro del Comi- tato avea finora concesso in Torino, sperasi sarà presto pronto ad essere utiliz- zato. In complesso il servizio geologico, per quanto concerne il personale addetto al rilevamento del territorio . era bene avviato alla prestabilita organizzazione. Quanto all’ufficio centrale la sua razionale organizzazione esigerebbe, oltre al — 58 — personale ora esistente di un’ingegnere capo ed uno ordinario (ing. Zezi e Sormani) e qualche disegnatore, anche un paleontologo almeno regolarmente stabilito, un conservatore delle collezioni, un ingegnere addetto al laboratorio con un as- sistente ed un uomo di servizio che potrebbe anche applicarsi al taglio delle prepa- razioni nicrospiche. A simile personale potrà provvedersi sènza troppa difficoltà de ■ stillando all’ufficio centrale qualche operatore che per speciali circostanze si debba 0 si possa togliere senza danno dal lavoro di campagna. Ma per il paleontologo, il quale dovrebbe essere persona" molto versata nella specialità, non è così facile riuscire. È noto come da circa 10 anni si ebbe addetto a tale servizio il dott. Ca- navari, il quale però sempre vi rimase come straordinario e non in pianta stabile. Egli poi stante la mancanza in Roma di un museo e laboratorio era rimasto ad- detto alla sezione di Pisa,, residenza del prof. Meneghini presidente del Comitato nel cui gabinetto egli lavorava. Ora volendo concentrare gli studi sia petrografici che paleontologici presso l’ufficio centrale, converrebbe che anche il paleontologo prima residente in Pisa, venisse stabilmente in Roma, e che intanto la sua posi- zione fosse sistemata. Cennato così alla attuale organizzazione del personale, e del lavoro, al quale è destinato, si deve tuttavia osservare come tale organizzazione, quella spe- cialmente delle squadre per le varie regioni, sia naturalmente soggetta a subire di tempo in tempo qualche modificazione, sia per temporaria mancanza od infermità di personale, sia per incarichi straordinari ed urgenti, sia per altri motivi diversi. Una organizzazione perfetta e costante di squadre esigerebbe un personale molto più numeroso di quello che l’assegno in bilancio e la grande difficoltà del re- clutamento ci permettono, onde converrà per tale riguardo fare come meglio si può badando cioè all’essenziale, che cioè i rilevatori di ogni squadra, o molti o pochi, siano adatti al lavoro speciale cui vengono destinati, e quello riesca ben fatto. Così si fa pure negli altri paesi anche i meglio organizzati, p così del resto si cercò sempre di fare da noi in mezzo alle deficienze e difficoltà dei decorsi tempi, talché i lavori compiuti furono assai bene apprezzati dagli intelligenti in paese ed all’estero. Del resto di simile argomento venne già trattato ampiamente nella relazione al Comitato dello scorso anno, nonché in diverse corrispondenze poi avute col Mini- stero e non è il caso per ora di oltre trattenervi. Ora quindi riprendendo il filo della relazione, basterà indicare o rammentare per cenni i rilevamenti degli operatori in campagna e le pubblicazioni che l’Ufficio geologico dovrà eseguire nel corso dell’anno. Nella regione calabrese, — Resta a proseguire l’ iniziato rilevamento procedendo dal Sud al Nord, e passando così dalla provincia di Catanzaro a — 59 — quella di Cosenza, città nella quale converrà forse fra non molto trasferire la sede della sezione. Ciò che vi è di più interessante da rilevare al presente è la parte settentrionale dell’alta regione della Sila dove si- potrà forse meglio vedere la posizione degli scisti fìlladici rispetto alle masse granitoidi, alcune delle quali apparendovi talvolta intercalate generarono qualche dubbio e difficoltà. La direzione del rilevamento rimarrebbe, sempre affidata all’ing. Cortese il quale avrebbe per collaboratori gli ingegneri Aichino e Novarese. Questo personale in parte nuovo subiva da ultimo qualche disturbo per salute ed altre cause : ove queste persistano, il lavoro potrebbe riuscire alquanto limitato o rallentato. Una avvertenza di una certa importanza resta da fare a proposito del rileva- mento della Calabria, ed è la molta analogia della sua geologica costituzione, in gran parte di roccie cristalline (graniti, gneiss, scisti cristallini diversi) con alcun altra regione d’Italia come ad esempio, con le Alpi e con certe parti della Sar- degna. Non conviene concludere sulla costituzione e classificazione delle forma- zioni di una di queste regioni senza che il geologo che l’ha studiata abbia presa cognizione di quella delle regioni analoghe : onde la somma convenienza per esem- pio che l’ing. Cortese od altri addetto alla Calabria visiti talvolta certe parti delle Alpi Occidentali che ora si trovano pure in lavoro, o certe zone della Sardegna; e viceversa che i geologi ora addetti alle Alpi facessero almeno una breve visita a certe zone cristalline della Calabria. Sarà quindi il caso di far sì che in qualche opportuno momento simili visite reciproche possano avere luogo a sommo van- taggio della esattezza ed unità dei nostri studii. — Emerge intanto l’opportunità della progettata riunione autunnale della Società geologica in Calabria. Circa alla futura pubblicazione della Carta della Calabria, già venne più volte osservato che la medesima non si possa fare convenientemente fino a che non si possieda una edizione della mappa al 1/100 000 chiara, cioè priva del fosco trat- teggio che pur troppo la rende quasi inservibile, onde di tale edizione sarà il caso di occuparsi seriamente per ottenerlo al più presto: ciò di che sarà trattato poco sotto. Regioni meridionali intermedie (Salerno, ecc.). — Per questa regione fra Napoli, la Calabria e l’Adriatico, il cui ufficio succursale sta per ora a Sa- lerno, proseguirà il personale che vi era destinato, cioè l’ ing. Baldacci come capo- squadra con i due ingegneri Viola e Sabatini ciascuno nel campo loro as- segnato e che potrà poi anche variare a misura dell’avanzamento. A tale squadra deve essere aggiunto l’ing. Mezzena, l’ultimo tornato dagli studii all’estero. Egli essendosi alquanto più particolarmente occupato nel suo lungo viaggio in Inghil- terra delle formazioni sedimentarie delle varie epoche potrà venire molto utilmente destinato allo studio delle giogaje montuose che si estendono dal Salernitano alla Calabria. - 60 Del resto non è il caso di precisare qui quanto spetterà poi ai capi-squadra di decidere a momento opportuno secondo le circostanze, e solo si può qui ag- giungere che a più d’uno dei nuovi rilevamenti vi sarà forse da rivedere alcune parti già antecedentemente studiate per ulteriore ricerca di fossili, la cui esistenza può condurre a qualche modificazione nella classificazione, come fu il caso con le ellipsactinie di Capri che vi rilevarono il Titonico sotto all’ Ippuritico col quale prima andava confuso. Italia centrale. — Centro Roma : col personale dell’ ing. Zezi e i due aju- tanti-ingegneri Cassetti e Moderni. Questa Sezione dovette estendersi co’ suoi la- vori principalmente verso Sud non potendo farlo verso Nord, come già più volte si dovè lamentare, essendo impedita in quella direzione dalla mancanza della mappa dell’ Istituto geografico, la quale non giunge ancora nemmeno a Viterbo, Terni ed Orvieto. Simile lacuna della carta topografica è assai pregiudizievole alla razionale prosecuzione del lavoro geologico dell’Appennino centrale, e pur- troppo non sarà colmata che fra qualche anno. Nel frattempo la Sezione geolo- gica di Roma potrà spingersi da un lato al Nord-Est e cioè verso l’Adriatico, compiendo nella stagione estiva gli Abruzzi e nell’ inverno le provincie adriatiche sino al limite d’ incontro con la sezione di Salerno; e dall’ altro lato verso Nord- Ovest oltre il Lazio con la Sezione della regione Toscana. Anche in questà sezione potranno eseguirsi delle accurate verificazioni nelle parti già più anticamente rilevate e preparare così nuovi fogli per la stampa in aggiunta ai primi 6 dei dintorni di Roma ultimamente pubblicati. Hegione toscana, — La comodità della posizione topografica ed i la- vori geologici di vario genere che ancora restano a completare nelle circostanti regioni, dei quali sarà fatto cenno più sotto, rendono ancora per qualche tempo opportuna la città di Pisa almeno come sede di Sezione. E ciò anche al punto di vista della economia delle spese di trasferta, economia che fu infatti rilevantissima nel decorso decennio di sua esistenza potendo valutarsi a circa L. 20,000 fra i di- versi operatori che vi furono addetti. Intanto la parificazione di questa sezione alle altre, permettendo agli opera- tori suddetti la residenza di Roma in certe epoche dell’ anno, insieme alla crea- zione qui di un laboratorio petrografico e paleontologico, produrranno T unifica- zione del servizio nel modo che fu a suo luogo indicato. Ora quanto ai lavori da eseguire, vi sono anzitutto certe revisioni ancora da farsi o da ripetere in qualche parte dell’ Appennino toscano, emiliano e roma- gnolo, per il generale coordinamento delle sue formazioni, specialmente delle ter- ziarie inferiori. Come campo di ulteriori nuovi rilevamenti può cennarsi la zona che si — 61 — estende a Sud del Senese e del fiume Cecina pel Grossetano sino alle regioni vul- caniche già rilevate movendo da Roma. Vi è qui ancora un campo assai vasto e svariato che comprende la così detta Catena metallifera dei geologi toscani, ed altre regioni molto interessanti, come per esempio quella del Monte A- miata. Nelle Alpi Apuane è terminato il rilevamento per opera degli ingegneri Zac- cagna e Lotti, ma ora che si tratta della pubblicazione della grande Carta di quella catena e suoi dintorni al 1/25 000 con sezioni geologiche ed illustrazioni diverse, può tuttavia occorrere una certa quantità di lavoro per parte di quei geologi e specialmente dell’ ing. Zaccagna, per certe verificazioni pel rilevamento di una parte dei profili geologici, sezioni, per la presa di vedute panoramiche e simili che devono fare necessario corredo alla pubblicazione. Ed eguale lavoro può tuttavia occorrere per l’ illustrazione geognostica, e statistica della Carta dettagliata al 1/2 000 della regione marmifera del Carrarese rilevata dal Fossen. All’ estremo occidentale della sezione di Pisa, vi sarebbe ora da mettere in lavoro la regione ligure a partire dal golfo di Spezia già studiato andando verso Chiavari. Tale regione potrebbe venire assunta dall’ ing. Zaccagna con qualche aiuto durante la stagione invernale, procedendo fino ad incontrare i lavori dell’ inge- gnere Mazzuoli che unitamente al prof. Issel molta parte già studiava delle due riviere del golfo di Genova ed ultimamente anzi vi faceva in unione allo Zaccagna stesso importanti revisioni a suo luogo menzionate. Lo stesso Mazzuoli potrebbe ora, se provvisto di qualche aiuto, proseguire il particolareggiato rilevamento in grande scala della zona ligure all’ Ovest di Ge- nova, nei dintorni di Sestri, sino oltre Savona, dove come sopra fu esposto, ve- niva constatata la presenza dell’ arcaico in prosecuzione delle formazioni alpine : e così potrebbe da quel lato riunirsi al rilevamento delle Alpi Marittime già in- trapreso dall’ ingegnere Zaccagna nei decorsi anni e che ora egli deve com- pletare. i Alpi Occidentali . — Il primitivo piano d* avanzamento dei lavori in quésta regione era quello di cominciare dalle prime Alpi che sono le Marittime,' per pro- cedere gradatamente al Nord e Nord-Est lungo le Cozie, Graie, Pennine ecc. Infatti nelle Marittime avea 1’ ing. Zaccagna incominciato ed assai avanzato il ri- levamento, quando or sono circa tre anni per incomodi di salute dovette sospen- derlo e limitarsi a. studi più generici, del resto importantissimi nel resto della catena, sovratutto in Valle d’Aosta e in Savoia. Questi ebbero infatti il vantaggio di stabilire le fondamenta della tettonica di quella difficile regione alpina, campo di tanti pro- blemi ora felicemente risolti. In quei lavori egli ebbe sovente a compagno l’in- gegnere Mattirolo, e questi che nel decorso anno lavorò al rilevamento delle 62 - Cozie ebbe seco l’ ing. Franchi, il quale a sua volta potè così acquistare una certa pratica di quelle formazioni. Ora parendo l’ ing. Zaccagna rimesso in salute, si potrà riprendere il primi- tivo piano di lavori, ed egli terminare le Alpi Marittime e parte delle Cozie che già avea intraprese, sino per esempio alla valle della Dor^-ftiparia. Da questa verso Nord per la valle d’Aosta sino al Monte Bianco ed al Rosa sarebbe il la- voro affidato all’ ing. Mattirolo. L’ ing. Franchi avrebbe a lavorare coi suddetti due operatori a seconda delle occorrenze. L’ anno scorso l’ ing. Zaccagna mentre frequentava le acque di Andorno nel Biellese, potè ivi eseguire diverse escursioni preliminari le quali aggiunte ad altre per studi petrografie! fatti nella stessa regione verso Est dall’ ing. Mattirolo, ini- ziarono un nuovo centro di rilevamento in questa parte più orientale delle Alpi piemontesi. Questo centro, oltre all’ èssere importantissimo per la varietà delle roccie tipiche che vi appajono è pure interessante per un riguardo dovuto alla memoria dei geologi Gastaldi, e sovratutto del compianto Q. Sella, che insieme all’ ing. Berruti avea una volta iniziato tale lavoro ed anzi avea perciò ottenuto dall’Istituto geografico che levasse la carta del circondario Biellese al 1/25 000. Quel lavoro rimase troncato dalla morte di Q. Sella, ma oggidì la Sezione del Club Alpino di Biella, al quale appartiene il figlio Alfonso Sella che studiò mi- neralogia a Gottinga, insiste pel suo compimento Ora come fu tostè accennato tanto 10 Zaccagna quanto il Mattirolo avevano già intrapresi degli studi preliminari in questa regione e così fra un certo tempo si potrebbe procedere al suo regolare rile- vamento ; ma prima conviene pensare a compiere le Alpi occidentali, ciò che essi farebbero prossimamente come venne poco sopra riferito. Carta geognostico-idrograftca della vallata del Po. — Questo lavoro oggidì assai avanzato verso l’Adriatico potrà venire proseguito dal personale me- desimo, ed essere in breve compiuto sino all’Adige, cioè per tutta la conca del nostro grande fiume, completandosi con lo studio sovra indicato dall’ ingegnere Stella sulle sue foci. Resterebbe ad arrichirlo alquanto con lo studio dei terreni diversi che coprono 11 foado e in parte i fianchi delle valli confluenti principali, non che diversi contraf- forti che più si avanzano verso la pianura , ma ciò potrà farsi anche dopo, mentre già si entrerebbe nelle carte geologiche ordinarie delle due catene che costitui- scono i due grandi versanti. Piuttosto sarebbe ora da pensare al proseguimento del lavoro oltre la conca del Po, cioè oltre l’Adige verso le vaste regioni alluviali del Veneto che, degradando con terrazzi dal piede delle prealpi, vanno a morire sull’orlo dell’Adriatico entro una bassa zona intercisa di lagune. Questa ultima zona è per se interessantissima a studiare, come avanguardia di un progressivo avanzarsi della nostra terra sul mare Adriatico, la cui parte settentrionale così poco profonda è destinata a non remoto riempimento, a meno che dei movimenti geologici di abbassamento non vengano a compensare l’effetto dell’apporto continuo delle nostre fiumane. Ora simile studio della bassa regione veneta, proseguimento naturale di quello della valle Padana, potrebbe condursi avanti con una relativa facilità da alcuna delle persone medesime che eseguirono quella prima parte. Il prof. Taramelli che tanto tempo risiedette nei Friuli e tanto pubblicò su quella regione, già possiede mol- tissimi elementi e conósce come gli altri si possono ritrovare. Anche il prof. Om- boni, ora membro del Comitato geologico residente in Padova, il dott. Negri ed altri che già fecero importanti pubblicazioni o in qualche modo coadiuvarono all’opera, potranno prestare molto utile ufficio al compimento del lavoro, che così in meno forse di un biennio e con minima spesa potrebbe venire compiuto. Occorre però che almeno un’attivo operatore sia a disposizione del direttore prof Taramelli per le visite e verificazioni principali sul terreno e per la sicura e metodica rac- colta dei dati geognostici e idrografici ; al quale ufficio sarebbe indicatissimo il medesimo ingegnere Stella, il quale già faceva lo studio dalle foci del Po al Sud sino a Rimini, e potrebbe ora estenderlo al Nord fino a Monfalcone, al termine del grande arco alluviale adriatico. Così verrebbe presto ultimata anche questa parte della Carta geologica delle basse regioni italiane, salvo poi a provvedere copie per le altre alla sua pubbli- cazione in conveniente scala. Ricognizioni e verificazioni • — Contemporaneamente però al rilevamento regolare della Carta geologica nelle varie suindicate regioni, sempre occorrerà eseguire delle generali ricognizioni e verifiche in diverse parti del territorio per il razionale collegamento e la generale classificazione di certi terreni, ben sapendo che sovente un problema riscontrato in una data località si può risolvere benis- simo visitando un’altra località anche assai lontana, ma dove la stessa formazione geologica si presenta con caratteri più facili a decifrale. Ciò può accadere ad esempio per le formazioni antiche cristalline delle Alpi, della Calabria, non che di certe parti della Sardegna; come anche in riguardo ai terreni terziari, fra le di- verse regioni dell’ Appennino toscano e quelle dell’ Appennino romagnolo, ecc. Con- verrà dunque assai che un geologo il quale studiò una di tali regioni visiti ancora l’altra regione in cui quei dati terreni si ripetono. È ciò che già venne fatto più volte, ma che converrà ancora di fare in più casi per portare a miglior per- fezionamento la classificazione dei nostri terreni geologici. Rubblicazioni. — Dall’esposto circa alle pubblicazioni compiutesi nel de- corso anno già risulta quanto si debba e si possa fare in proposito nel prossimo. — 64 — Vi sarà 'la sovraccennata Carta dei Vulcani fluoriferi della Campania del prof. Scacchi, accompagnata da alcune tavole d’illustrazione e da una memoria rias- suntiva cui detto professore deve presto inviare. Siccome poi di quelle parti delle provincie meridionali di cui è fatto già il ri- levamento non si possiede ancora la carta topografica senza tratteggio, così, come altrove venne spiegato, ancora non se ne può stampare la Carta geologica, e tutto al più se ne potrebbe stampare qualche zona alla scala del 1/500 000. In fatto di pubblicazioni importanti pronte a pubblicarsi havvi ora soltanto quella relativa alla catena delle Alpi Apuane, la quale può anche servire di prima base a futuri lavori scientifico-tecnici e industriali. Comprenderebbe essenzialmente la Carta geologica in grande scala, simile a quella già pubblicata dell’Elba, cioè al 1/25 000, scala originaria della mappa appositamente levata dall’ istituto geogra- fico. Simile carta è costituita da Circa 11 fogli o tavolette, le quali possono a ri- gore stamparsi a più riprese onde non aver tutt’ intera la spesa in un anno solo, la quale per tutte 11 potrebbe anche salire a L. 25 000. Si stamperebbero prima le ta- volette centrali della, catena che contengono le zone marmifere, come quelle di M. Sa- gro, Vagli-Sotto, M. Altissimo, Massa, Pietrasanta, ecc. — Tale Carta venne corre- data dagli autori, Zaccagna e Lotti, specialmente dal primo che ne rilevò la parte più scabra, delle necessarie illustrazioni, come sezioni geognostiehe, panorami estesis- simi, rilevati con la fotografia, vedute di stratificazioni e roccie, fossili rari, ecc Ma veramente importanti sono diverse grandi sezioni geognostiche faticosamente rilevate dallo ing. Zaccagna nella parte alta della catena e che mostra» o i più curiosi ripiegamenti di strati in quella parte dell’ Appennino. Tali sezioni non pos- sono pubblicarsi a scala minore del 1/25 000. Intanto per la intelligenza della geologia generale della catena, visto sovratutto che la Carta grande in più fogli potrà solo venir pubblicata poco a poco, occorre una Carta d’ insieme a scala minore in un sol foglio. Questa scala sarebbe il 1/50 000 e non meno, altrimenti non riesce possibile indicarvi tutte le diverse formazioni costituenti la catena cui interessa conoscere. Di simile foglio, che riescirebbe solo di 0, 50 circa di lato, venne in parte preparato nellTJfficio il disegno con la traccia delle sezioni. La spesa di stampa ne sarebbe di poche migliaia di lire, inferiore d’assai alla Carta analoga pure al 1/50 000 «he, oltre a quella più grande, si stampò assai utilmente per l’Elba. Si era bensì fatta la prova se per tale Carta d’insieme non bastasse la scala del 1/100 000 che è quella della pubblicazione generale e che se non ora, converrà poi anche fare un giorno per tutta questa parte d’ Italia ; ma oltre alla già cennata insufficienza di simile scala per far risaltare diverse im- portanti stratificazioni e loro fenomeni, havvi il fatto che una Carta all/100 000 quale potrebbe comporsi oggidì per le Apuane, potrebbe riuscire sensibilmente diversa, sovratutto nella scala delle stratificazioni e nella leggenda, da quella che risulterà a suo tempo dopo i rilevamenti ancora da fare in tutto il cir- costante Appennino; onde il lavoro sarebbe ora inutile e prematuro. Piuttosto, es- sendo utile di mostrare almeno la generale relazione della catena apuana con esso Appennino, potrebbe unirsi un abbozzo o cartina, anche solo al 1 500 000, di tutta la regione. Questo abbozzo, che avrebbe pochi centimetri in quadratura e di minima spesa, potrebbe volendo inserirsi in mezza pagina nella relazione che converrà poi di pubblicare come voi. Y delle memorie descrittive. Questa pubblicazione, che come valore intrinseco non sarebbe inferiore ad al- cuna delle già fatte, potrebbe importare in complesso fra carte, atlante di illustra- zione e memoria, una totale spesa di forse L. 40 000, di cui oltre la metà per la Carta a grande scala in 1 1 fogli. Ora anche nello stato attuale del bilancio, visto che non si possono fare pel momento altre importanti pubblicazioni, tale spesa non porterebbe, alcun imbarazzo, tanto più potendosi, come si disse, suddividere in due o più anni. Tale pubblicazione, come già fu pure cennato, è di indole scientifica, ma sa- rebbe pure anche la prima base di future possibili pubblicazioni di indole industriale sulla catena stessa e per le quali molto lavoro venne in questi ultimi anni pre- parato sia in carte a grande scala, sia in dati tecnici e statistici di vario genere. Ma di simili pubblicazioni non è ora il caso di qui trattare. Ora è prezzo dell’opera il menzionare almeno quanta fatica ed impegno ab- biano costato, non solo il rilevamento sul terreno e la interpretazione delle intri- cate sezioni geologiche che accompagnano la carta, ma la composizione di una leggenda e della gamma dei colori per la distribuzione delle varie formazioni e delle roccie per simile carta a grande scala, analoga a quella dell’Elba, ma che deve potersi poi adattare anche alle future carte delle grandi Alpi e di altre re- gioni italiane di complicata costituzione geognostica e petrografia. Simile gamma, che in gran parte veniva combinata dall’ in g. Zaccagna, costava molto e paziente lavoro con prove e riprove, come era naturale; ma debitamente controllata po- trebbe servire di tipo applicabile, come fu detto, alle future carte di altre regioni italiane analoghe da pubblicare più tardi. In fatto di scientifiche pubblicazioni vi sarebbero poi quelle di paleontologia da inserirsi in successivi volumi delle Memorie in grande formato e di cui esciva ultimamente la seconda parte del voi. III. Invero sarebbe desiderevole che le pubblicazióni paleontologiche si potessero fare metodicamente., secondo le diverse regioni delle quali si pubblica la carta geologica. Ma per poter ciò fare regolarmente occorrerebbe possedere un perso- nale di paleontologi sufficiente a condurre di fronte simile lavoro insieme a tutti quelli altri che giornalmente occorrono peì servizio. Ora nello stato delle cose e regolamenti in vigore simile personale non è facile procurarselo in via normale. — 66 — Rispondeva tuttavia a quell’ idea l’ultima memoria or pubblicata del prof. Me- neghini sulle trilobiti dell’Iglesiente di Sardegna, contemporaneamente alla Carta medesima e relativa memoria descrittiva dell’Ing. Zoppi. I lavori del paleontologo del Comitato, dott. Canavari, che potrebbero presto pubblicarsi, sarebbero due per ora. Uno sarebbe il seguito dello studio ultima- mente pubblicato, insieme alla memoria del Meneghini, sui fossili del Lias inferiore di Spezia e dintorni, raccolti principalmente dal prof. Capellini, e che in certo tempo il dott. Canavari potrebbe dare finito come illustrazioni di quella interessante regione ligure-tirrena. L’altro lavoro sarebbe lo studio assai vasto sulle ellipsactinie di varie regioni italiane ed anche estere. Questo fossile che alcuni vorrebbero caratteristico del terreno titonico, si va ora ritrovando in molti calcari delle provincie meridionali che per trovarsi strettamente associati a calcari ippuritici erano stati classificati nel cretacico. Il dott. Canavari nei decorsi -anni fece raccolta di simili fossili che in parte gli vennero inviati dai rilevatori della Carta geologica, cioè dal Gargano, dall’isola di Capri ed altri siti, non chè dalla Tunisia. Egli ebbe pure occasione di farne studi comparativi nel museo di Monaco di Baviera, onde infine oggidì trovasi in possesso di una quantità di interessanti fatti relativi a questi fossili, parte dei quali già furono disegnati e pronti ad una pubblicazione. Ora poiché tale studio fatto dal paleontologo del Comitato è direttamente utile per la classifi- cazione dei nostri terreni, è naturale e conveniente che non si lasci perdere, ma venga al più presto pubblicato. Perciò con il consenso del Comitato, 1* Ufficio po- trebbe tosto preparare simile pubblicazione, la quale d’altronde non recherebbe grande spesa. Consiglio superiore dei lavori geodetici dello Stato, — Come venne detto superiormente, questo Consiglio geodetico non erasi potuto riunire nel corso del 1888, ma ciò fece poi bentosto al principio del presente 1889. nei giorni 10, 11 e 12 gennaio ed in quelle sedute si trattò di diversi àffari e questioni. Due delle medesime interessano la Carta geologica, una specialmente; ed ora su questa il Ministero desidera l’avviso del Comitato geologico. La questione è quella già bene antica, del modo di ottenere il più pronta- mente e con minore spesa l’edizione piana ossia senza tratteggio della carta to- pografica al 1/100 000 delle provincie meridionali continentali edizione che tuttora manca e per avere la quale si esige un gran lavoro essendoché non si conser- varono dall’ Istituto geografico le pietre da cui simile edizione poteva prontamente ottenersi. Ora conviene far uso di assai lungo processo per ottenere o su pietra o su zinco i fogli di simile carta, i quali per le suddette provincie sono in numero di 60 circa. — 67 — Il direttore dell’Istituto geografico militare che avea studiato il modo pra- tico di ottenere quella Carta, osservò anzitutto che ora l’Istituto sia j er mancanza di fondi, che per scarsità di incisori non poteva incaricarsi direttamente del lavoro più lungo e costoso, quello delle pietre, onde per questo conveniva ora rivolgersi a qualche privato stabilimento. E proponeva per tale l’Istituto cartografico ita- liano da poco fondatosi in Roma, che già avea dato bei saggi di carte. L’Istituto geografico militare si incaricherebbe tuttavia della direzione e sorveglianza del lavoro, non che della tiratura delle carte, ricevendo perciò in sua proprietà le pietre incise dall’Istituto privato, il quale glie le cederebbe ad un prezzo da convenire. In- tanto per aiutare a coprire la spesa delle suddette pietre, spesa che non è indifferente, erasi avuta l’offerta del commissario del Ministero dei Lavori pubblici, il quale potrebbe concorrere con quello di Agricoltura, industria e commercio e con l’Isti- tuto geografico militare stesso, onde formare assieme la somma occorrente. Era questo precisamente il primo caso di un concorso di vari ministeri per un’opera di utilità comune, poiché anche gli ingegneri del Genio civile avrebbero vantaggio pei loro diversi rami di servizio a possedere una Carta meno oscura di quella a forte tratteggio e con luce zenitale finora pubblicata. Si trattò anche nel Consi- glio il riparto della spesa, e sarebbesi combinato che questa avesse a sopportarsi dal Ministero di Agricoltura, industria e commercio per 2/5 ; da quello dei lavori pubblici per altri 2/5 e dall’Istituto geografico per l’altro 1/5 oltre a quella della tiratura delle carte come sopra fu detto. Quale fosse la spesa da sopportare per la, stampa di quella sessantina di fogli in apposita edizione, non potevasi esattamente conoscere senza farne almeno una prova. Il processo da seguire è assai costoso, comunque si utilizzi la Carta esistente. Infatti devesi perciò tirare di ciascun foglio una copia in colore turchino il quale ha la proprietà di non riprodursi con la fotografia. Un disegnatore vi traccia sopra in nero tutto ciò che si deve conservare, cioè l’intera topografìa e la scrit- turazione, tutta insomma la Carta meno il tratteggio. Il foglio così modificato si foto- grafa e ne esce una Carta senza il tratteggio, la quale è appunto quella che si desidera. Questa viene poi convenientemente riportata su pietra per la sua tira- tura a quel numero di copie che si desidera. Si capisce che quel lavoro manuale da eseguirsi sul turchino di cadun foglio importa un tempo di più mesi, tempo minore pei fogli contenenti molto mare e poca terra, massimo nei fogli intera- mente terrestri. In un calcolo grossolano si potrebbe ritenere che a lavoro finito quei sessanta fogli della penisola meridionale non costerebbero forse meno di lire 1800 caduno. Ciò forma pel totale una somma assai ingente, cioè forse di oltre lire 100 000 e i 2/5 della medesima lire 40 000. Abbenchè simile spesa possa come è naturale suddividersi in più anni, per esempio in 12 anni, sempre sareb- bero più di lire 3000 da erogare soltanto per avere questa carta topografica. 5 — 68 — ? Intanto però il Consiglio dei lavori geodetici, onde poter meglio precisare il tèmpo e la spesa occorrenti, anche a fine di avere una base in caso di stipula- zione di un contratto con la casa esecutrice, decideva si avesse a fare subito una prova, componendo e stampando alcuni fogli che rappresentassero in certo modo la media generale del territorio della penisola meridionale. Vennero scelti perciò quattro fogli contigui della Calabria intorno a Catanzaro, per i quali si calcolò che la spesa di esecuzione fatta dal suddetto stabilimento cartografico potesse essere di lire 5000 circa ; onde per tale esperimento spetterebbe a pagarsi dall’ ufficio geologico la somma di lire 2000. La scelta fatta dei dintorni di Catan- zaro è molto conveniente per noi, inquantochè quei quattro fogli di una regione, della quale si dovrebbe appunto stampare quanto prima la Carta geologica, si avrebbero così al più presto e con spesa relativamente piccolissima. In tal modo sarebbe iniziato questo lavoro, per noi indispensabile della mappa delle provinole meridionali senza tratteggio. Però il Ministero preoccupato della spesa sovraspecifìcata che importerebbe la Carta completa, espresse il desiderio ne fosse riferito al Comitato. Veramente dopo tanti reclami già fatti nei decorsi anni dall’Ufficio geologico e dal Comitato perchè venisse eseguita questa Carta senza tratteggio, il parere del Comitato stesso su tale argomento non può essere dubbio, e resta solo la questione della somma annuale da potervi destinare. Questa somma non è facile ora precisarla, dipendendo anche da quella del totale annuo assegno per la Carta geologica ; il quale purtroppo non è assicurato potendo forse subire ancora qualche riduzione. Nello stato delle cose, tuttavia non sarebbe im- possibile una spesa annua per tale oggetto di un lire 3000 circa, onde tenuto conto della necessità di tale edizione chiara della Carta topografica, parmi che il Co- mitato non possa fare a meno di approvarne in massima la esecuzione più pronta possibile, lasciando al Ministero la cura di commisurarla con lo stato del bilancio. Un secondo lavoro, non però di pari importanza, che venne proposto in seno al Consiglio superiore dei lavori geodetici è una Carta dell’ isola d’ Ischia in grande scala, da eseguirsi dalla direzione compartimentale del catasto di Napoli, scala elle sarebbe la solita delle sue mappe, cioè di 1/2000. La suddetta direzione non fa d’ordinario che la planimetria sufficiente ai suoi scopi, ma sarebbe vero male se di un’ isola così interessante per la geodinamica, e ricca di un o;sservatorio di prim’ ordine, non si avesse che una mappa pianimetrica in simile scala, senza rilievo del terreno, mentre meriterebbe di avere rappresentate esattamente le curve orizzontali onde servirsene all’uopo anche per constatare i cambiamenti di livello dovuti a fenomeni geodinamici di cui la medesima può essere il teatro. La direzione compartimen- tale di Napoli avea chiesto un tenue concorso dell’ Ufficio geologico nella spesa di questa Carta, cioè di lire 2000 se fatta senza curve, e tale concorso già venne — 69 — consentito, anche allo scopo di iniziare concordemente i lavori del suddetto su- periore Consiglio. Qualora poi la Carta dovesse farsi con le curve, la tangente a pagarsi sarebbe alquanto maggiore. La Carta poi si stamperebbe alla scala di 1/10 000 con curve di 10 in 10 metri, e sulla medesima sarebbero inoltre deter- minati in altitudine un certo numero di punti capi-saldi utili alla geodinamica stati appositamente scelti dal signor Grablovitz direttore del suddetto osservatorio. Per avere questa Carta con le curve e capi-saldi la tangente potrebbe crescere alquanto sull’antica prevista di lire 2000, però forse a non più di lire 3000. Parmi che per un sì piccolo aumento di spesa non possa essere dubbio l’assenso del Comitato. Si può infine cennare come avendo la direzione dell’ Istituto geografico mili- tare presentata copia della sua nuova Carta d’ Italia al 1/500 000 ora in via di pubblicazione, di cui una edizione con ombreggiatura pei monti e l’altra senza, chiedeva l’avviso sulla medesima anche dell’ufficio geologico, e questo forniva in- dicazione di parecchie aggiunte sovratutto di località interessanti per la geologia e le scienze naturali in genere. Intanto il Consiglio nella sua adunanza 10 gennaio decideva che vertendo riscontrati errori o di topografìa o di nomenclatura nelle Carte dell’Istituto geo- grafico dagli ingegneri o funzionari dipendenti da uno dei Ministeri rappresentati in esso Consiglio, tali errori venissero debitamente indicati alla Presidenza dal rispettivo commissario. Al quale proposito si noterà che già da assai tempo, quando i geologi operatori che percorrono tanto minutamente il terreno, riscon- travano di simili errori non si mancò dallo ispettorato delle miniere di dare de medesimi errori memoria all’Istituto geografico onde ne tenesse conto per le cor- rezioni da fare nelle successive e dizioni. Ora poi venne loro impartita a tale scopo speciale istruzione per proseguire e con regolarità simile utilissima pratica. Da quanto venne qui sopra esposto si vede quanto utilmente questo Consiglio superiore dei lavori geodetici, alla istituzione del quale cotanto contribuiva fin dal 1883 il Comitato geologico, abbia ora iniziati i suoi lavori. Personale del Comitato e dell9 Ufficio geologico. — Se nel corso del 1888 non ebbero luogo mutamenti di personale salvo il ritorno di qualche allievo dagli studi all’estero, diversa fu la cosa nel volgente 1889. Il 29 gennaio moriva in Pisa il prof. Giuseppe Meneghini dell’Università di Pisa, che era stato presi- dente del Comitato sino dall’ ultima sua riforma che data dal 1879. Le doti e meriti del defunto, abbastanza note ai colleghi, vennero ornai degnamente ram- mentate in diverse necrologie, onde non sarebbe il caso di riparlarne in questa re- lazione. Il Comitato potrà decidere quale onoranza speciale possa tributarsi alla sua memoria. 70 — Intanto il Ministero provvedeva al suo successore, che con R. Decreto del 20 febbraio venne nominato nella persona del professore di geologia aH’Università di Bologna, membro del Comitato Giovanni Capellini. Ai di lui meriti pei diversi lavori compiuti in Italia, si aggiungeva potente quello della riputazione conquistata all’estero specialmente per l’opera sua nei congressi internazionali, dove fu sempre eletto alla presidenza effettiva, non che della Commissione internazionale per la unificazione geologica. A supplire il membro deceduto del Comitato, veniva con R. Decreto del 28 febbraio nominato Giovanni Omboni professore di geologia all’Università di Padova. Esso Ministero poi, in base ai giusti reclami altrove menzionati, proponeva pel nuovo esercizio 1889-90 la posizione in pianta stabile del paleontologo che da tanti anni serviva come straordinario, ed è sperabile che ornai niun ostacolo venga a ritardare questa misura. E già veniva sovrariferito come la proposta di un se- condo paleontologo per supplire al molto lavoro, stata avanzata lo scorso anno dal Comitato, non venisse poi dal Ministero accettata di fronte anche alle difficoltà sin’ora incontrate di collocarne uno solo. Qualche altro provvedimento a vero dire vi sarebbe stato da proporre circa al personale, sia per alcune nuove occorrenze, sia per migliorare possibilmente la posizione dei meno provveduti ; ma la situazione tanto precaria del bilancio in questo momento, e per altro lato le molteplici difficoltà regolamentari non per- mettono di occuparsene con speranza di successo. Tuttavia è da osservare che converrebbe ornai provvedere all’invio di qualche nuovo allievo all’estero per rifornire all’uopo il Corpo degli operatori di campagna il quale non è già numeroso e si va di fatto assottigliando. Le non lievi fatiche e le dure privazioni alle quali si va soggetti in certe nostre regioni, sono meno sopportabili a chi non è molto giovane od è di non robustissima costituzione. E già nella relazione dello scorso anno erasi fatto presente quali delusioni si fossero sofferte in proposito al giovane personale destinato al servizio geologico. Senza estendermi ora ulteriormente su tale soggetto, credo necessario proporre l’invio all’estero nel prossimo autunno almeno di due nuovi allievi. Benché non vi siano sul momento dei posti vuoti in pianta, si può osservare che inviando allievi al- l’estero, prima di averli di ritorno e capaci di effettivo servizio, decorrono gene- ralmente quattr’anni, intervallo di tempo in capo al quale è probabile che siensi per diversi motivi prodotti nel corpo dei vuoti da ricolmare. Per finire col personale osservo che, esistendo oggidì un laboratorio di chimica, di petrografia e paleontologia non si può fare a meno di destinarvi, pei bassi servizi di manutenzione ed altro, un apposito inserviente che mai lo abbandoni. Questo individuo potrà per economia farsi attendere eziandio alla preparazione delle lastre sottili delle roccie e fossili, lavoro questo che come si 71 — sa divenne nei moderni laboratori di non lieve importanza e suole affidarsi a spe- ciali individui. Museo geologico e collezioni. — Da quanto venne sopra riferito riguardo al museo geologico si vede che il medesimo venne alquanto ampliato di locale mediante la costruzione di una galleria di 20 metri di lunghezza sul terrazzo del secondo piano. In questa galleria ed anche in quella del piano superiore lungo le camere del laboratorio si potrebbe collocare su 25 metri di parete una discreta quantità di vetrine, cioè in tutto per oltre 65 metri lineari, capaci quindi di dare ricetto anzitutto alle collezióni ritirate dalle sezioni di Torino e di Pisa, e quindi per un certo tempo ai campioni inviati dai rilevatori a corredo della Carta geologica. Ora si tratta appunto di arredare quelle nuove pareti disponibili delle occor- renti scaffalature o vetrine. 11 modello di queste già venne abbastanza studiato e provato. ^Le medesime sarebbero della costruzione più semplice ed economica in legno resinoso bianco, con piani inclinati nella parte superiore e numerosi tiretti chiusi nella inferiore per i doppi e le riserve. Il costo non sarebbe superiore in media a L. 130 al metro lineare. Se ne potrebbe quindi far preparare gradatamente la quantità necessaria secondo le occorenze, senza tema di sbilancio. La sala del primo piano destinata alle collezioni di materiali edilizi veniva testé arricchita, come già fu detto, della collezione del fu generale Pescetto di oltre 1000 bei pezzi. Questa sala però, che contiene, oltre ciò alcuni modelli inte- ressanti come il piano in rilievo di Roma e la carta in rilievo d’Italia sovra su- perfìcie curva, oltre ad un bel busto in bronzo di Q. Sella, essendo quella che sarà più visitata dal pubblico meriterebbe di venire sistemata in modo tale che vi figu- rino meglio i bei materiali esposti. Simili musei di materiali edilizi in altri paesi come quello del Geological Survey di Londra, quelli di Vienna, Berlino e molte altre città sono vere splendidezze artistiche. Noi in sì ristretto e modesto locale non possiamo aspirare ad imitarli; però qualche migliore disposizione potrebbe adottarsi. Per esempio si potrebbero collocare nel mezzo della sala invece che lungo le pareti, i suddetti bei campioni di marmi e graniti unitamente agli altri già prima acquistati, tutti bene disposti in vetrine poligonali che non tolgano come le attuali, la visuale della sala, collocando invece lungo le pareti medesime i cam- pioni ordinari di materiali diversi dove potrebbero così starvi in maggior quantità. Con spesa non grave, in complesso forse un 2500 lire, si potrebbe in tal modo sistemare assai bene questa sala facendo anche meglio spiccare i più bei mate- riali che si possiedono. Vi sarebbe poi da pensare ancora a procurarsi una collezione didattica sia di roccie che di minerali non che di fossili caratteristici; ma questa si potrà prov- vedere man mano, forse con moderata spesa in opportuno momento. Come anche — 72 — si avrà da procurarsi una conveniente raccolta di quelle lastre sottili state pre- parate per lo studio delle roccie italiane, principalmente in Torino nel laboratorio del prof. Cossa, e delle quali tanto bella mostra già si vedeva al congresso geo- logico internazionale di Bologna. Così verrebbe con poco dispendio completato e corredato il museo geologico delle più essenziali raccolte illustrative sia degli studi fatti che di aiuto a quelli ancora da compiere. Laboratorio. — Come venne sopra riferito, i lavori d’impianto del labora- torio avviati dal principio di quest’anno 1889, si spera saranno finiti prima del- l’estate, malgrado il ritardo dell’arrivo di diversi apparecchi e materiali che con- venne far venire da altri paesi. Si poterono destinare a questo laboratorio tutte le camere del quarto piano che sono in numero di cinque, più un gabinetto che servirebbe per le bilancie. Vi si potrà lavorare di chimica, petrografìa e paleontologia. Nel lungo corridoio che da accesso indipendente alle varie camere, si possono collocare ancora, come fu detto, armadi e vetrine per collezioni. Occorrendo poi ancora provvedere tosto o tardi ad una segheria meccanica per le lastre sottili, ed un piccolo gabinetto di fotografia ed altre occorrenze dei moderni laboratori, ed avere infine un qualche sito per depo- siti di materiali ed ingombri diversi, non sarà certamente di troppo tutto lo spazio disponibile a quel piano superiore, e converrà quindi che l’Ufficio geologico lo pos- sieda intero coi sottotetti e perchè non venga poi sturbato, lo possa chiudere alla occorrenza con un cancello. In tal modo si avrebbe finalmente un laboratorio non grandissimo, ma quale lo richiedono i bisogni del nostro servizio geologico. Resta l’incomodo della forzata ascensione delle persone e dei materiali al quarto piano alto più di m. 21,50 sul vestibolo d’ingresso e circa 23 metri sulla via. A questo si può provvedere mediante un semplice ascensore idraulico dell’or- dinario sistema a funi metalliche già molto in uso a Roma, ed al cui collocamento si presta benissimo l’interna gabbia della scala che va libera da fondo a cima dell’edifìcio. Oltre ciò il serbatoio di acqua marcia ultimamente costrutto sul ter- razzo fornirebbe la potenza motrice e soltanto converrebbe accrescerne alquanto la capacità che è di quattro metri cubi, portandola a otto o dieci, ciò che sa- rebbe subito fatto con l’aggiunta di altri due cassoni. La spesa occorrente per tale ascensore può valutarsi tra meccanismi ed acconcimi diversi a circa lire 10 000. Se non fosse stato fatto il noto diffalco di lire 40 000 allo assegno della Carta geologica, niuna difficoltà vi sarebbe stata a costruirlo subito: ma con quel dif- falco converrà forse sospendere tale spesa fino a momento opportuno, in cui sia sicuro che lo stato del bilancio consenta di erogarla senza danno ad altri lavori. Quanto alle spese d’impianto del laboratorio stesso, nella relazione dello - 73 — scorso anno, erasi previsto all- ingrosso, fra lavori di impianto e di prime prov- viste di materiali e reattivi, in circa lire 12 000. Questa somma, a quanto si pre- vede, non sarà sorpassata. Ora in fine che il laboratorio dell’Ufficio geologico esiste in Roma e che ormai i geologi del medesimo, come l’ing. Mattirolo ed altri, potranno ivi lavorare, a vece che nel laboratorio diretto dal prof. Oossa in Torino, è debito di esprimere i sensi della più viva riconoscenza a questo professore che per tanti anni di quel labora- torio da lui dipendente procurava l’uso gratuito ai nostri ingegneri per i lavori di analisi chimica petrografia, dei quali bene profittava l’opera della Carta geologica, "come si spera ne otterrà buon frutto per l’avvenire. Cenno sull' asségno annuo in bilancio per la Carta geologica. — Per l’anno -finanziario 1888-89 l’assegno, come sappiamo era stato ridotto dalla Commissione finanziaria da lire 160 800 a lire 120 000 cioè di lire 40 800. Speravasi la riduzione limitata a quell’anno, dicendosi allora che nel prossimo esercizio 1889-90 la primitiva somma sarebbe stata ripristinata; ma non solo svaniva quella speranza, ma sj ebbe a temere ulteriore riduzione. Questo stato di cose merita qualche osservazione per parte della Direzione dell’opera della Carta geologica, onde rimuovere a priori la critica che eventual- mente insorgesse per certi inconvenienti i quali potranno verificarsi. Infatti degli inconvenienti possono avvenire sia in causa della quantità di lavoro da potersi annualmente eseguire, che può essere minore di quella già preventivata, ma anche più per lo stato di incertezza in cui si deve stare riguardo ai lavori ed al perso- nale e che non permette di fare giuste previsioni. L’esecuzione dei lavori geologici esige lunghe preparazioni, sovratutto per avere un personale capace, a creare il quale occorrono diversi anni, mentre a ciò non può pensarsi quando vi sia il dubbio che poi questo personale non venga impiegato, come pure non giova studiare una organizzazione del medesimo quando si abbia a dubitare sulla sua durata. Naturalmente il tempo per il compimento dell’opera della Carta geologica, che si sarebbe potuto stabilire entro meno di un quindicennio, o contemporaneo per es. a quello della carta topografica del Regno, potrà riuscire più o meno aumentato. Ma di più sorge nel personale l’incertezza sulla sorte sua e de’ suoi lavori e quindi tutti gli inconvenienti materiali e morali della sfiducia. Ed intanto già vedemmo l’effetto della soppressione delle lire 40 800, nell’im- barazzo in cui ora ci troviamo per procurarci la edizione della mappa senza tratteggio delle provincie meridionali e senza la quale non se ne può stampare la Carta geologica, come anche nella difficoltà di procurarci diverse altre mappe che sarebbero necessarie al migliore progredimento delle nostre pubblicazioni. Ora dietro i fatti e le cifre riferite nelle prima parte di questa relazione a f — 74 — proposito delle spese ingentissime anche ultimamente sancite per nuove ferrovie, ci sarà permesso senza pur varcare il campo della propria competenza, il pre- sentare un’osservazione che nasce dal paragone di quelle spese con il diffalco di lire 40 800 che venne fatta nei giorni stessi all’assegno per la Carta geologica. Tale diffalco fatto per economia, se anche prolungato per un quindicennio, cioè per il tempo incirca occorrente al compimento di essa Carta, ammonterebbe a lire 600 000 ; meno cioè del costo di un solo chilometro di quelle ferrovie, gran parte in cattivi terreni e di esercizio passivo, delle quali si avrebbero ora a co- strurre in breve tempo centinaia di chilometri per il costo di oltre un miliardo. Quella economia relativamente grave per gli studi geologici, i quali pur sono ca- paci di risparmiare nelle stesse ferrovie grande jattura di danaro, verrebbe così assorbita come goccia d’acqua in un gran vortice. Già lo scorso anno il Comitato avea espresso caldo voto al Ministero per il possibile ripristino della defalcata somma e pare che quello se ne interessasse, benché poi senza successo essendovi anzi pericolo di altre riduzioni, come in genere ad altri servizi utilissimi (meteoro- logia, ecc.) da quel Ministero dipendenti. Ora non sarà inopportuno ne indiscreto di fronte al paragone sovra riferito, lo insistere nel voto istesso onde incoraggiare il Mi- nistero a resistere all’occorrenza a che gli vengano assotigliati quei mezzi già assai modesti con cui provvede a servizi i più direttamente utili alla produttività e vita economica del paese. CONGRESSO GEOLOGICO INTERNAZIONALE DI LONDRA Nella seconda/ metà del settembre 1888, dal 17 al 22, avea luogo in Londra la quarta Sessione del Congresso geologico internazionale, susseguita da alcune escursioni in varie parti dell’ Inghilterra. Questi congressi internazionali il di cui scopo è P unificazione della classificazione e della nomenclatura geologica, ave- 1 vano avuta la prima mossa da una proposta stata fatta a Buffalo, Stati Uniti del Nord-America, nel 1876 in una riunione dell’Associazione americana per l’avan- zamento delle scienze in occasione del primo centenario dell’ Indipendenza ame- ricana. La proposta veniva poi concretata in un primo congresso geologico in- ternazionale tenutosi nel 1878 a Parigi. In questa prima sessione del Congresso erasi stabilito che riunioni simili venissero tenute ogni tre anni, e così aveasi la seconda sessione del 1881 in Bologna, poi la terza (ritardata di un anno per l’epi- demia colerica) nel 1885 in Berlino, ed ora la quarta nel 1888 in Londra. Si rammenterà qui come per preparare materia e programmi alle delibera- — 75 — zioni de) Congresso veniva nominata una Commissione internazionale di unifica- zione, e che a partire dal Congresso di Bologna erano stati nominati: presidente di tal Commissione il prof. Capellini e segretario il prof, belga Dewalque. Nel suddetto congresso di Bologna poi, allo scopo di dar corpo all’ idea dell’ unifica- zione geologica, veniva decisa la compilazione e pubblicazione a cura e spesa comune delle varie nazioni interessate d’ una carta geologica dell’ Europa, inca- ricando della esecuzione del lavoro la Direzione dell’ Istituto geologico di Berlino sotto la sorveglianza di un Comitato internazionale. Al fine di esporre con qualche ordine ,1’ operato del Congresso, si dividerà 1’ argomento in tre parti: 1. Preparativi e programma del Congresso ; 2. Sedute, discussioni e deliberazioni prese ; 3. Escursioni. Preparativi e programma del Congresso. Stando ai precedenti ed a quanto erasi convenuto nel Congresso di Berlino, un programma di questioni doveva essere formulato per quello di Londra, dietro le pro- poste della Commissione internazionale di unificazione che aveva nel frattempo tenute due riunioni, 1’ una nel 1886 a Ginevra, 1’ altra nel 1887 a Manchester. In queste riunioni eransi effettivamente fatte alcune proposte che sono indicate nei resoconti del presidente Capellini, stati a suo tempo pubblicati. Un rapporto-programma compilato dal segretario di essa Commissione, Dewalque, era stato poi stampato poco prima del Congresso di Londra. In pari tempo diversi comitati delle varie nazioni avevano formulati e stampati i loro pareri e proposte sulle varie questioni da trattare In Inghilterra erasi frattanto proceduto alla nomina di un Comitato di orga- nizzazione del Congresso, di cui faceano parte numerosi personaggi in alta posi- zione sia scientifica che amministrativa, sotto la presidenza di J. Prestwich professore anziano dell’Università di Oxford. Erano vice-presidenti Me. Kenny-Hughes profes- sore all’ Università di Cambridge, il direttore generale della geol. Survey (Geikie) ed il presidente della Società geologica (Blanford), segretari generali F. W. Hulke e W. Topley, tesoriere Rudler. A cura di questo Comitato eransi prese per tempo le disposizioni per assi- curare 1’ esito del Congresso, nulla attendendosi dal Governo inglese che in simili casi non usa dare sovvenzioni. Tutto si attendeva dalla sottoscrizione dei membri aderenti al Congresso stesso, la quale venne stabilita in 10 scellini, e da qual- che agevolezza che avrebbero forse accordato alcuni alberghi ed alcune Società di ferrovie per , le escursioni. Per sede della riunione del Congresso si ottenne l’uso gratuito dei locali dell’Università, edificio situato in un quartiere centrale e sito opportunissimo fra la via Picadilly ed i Burlington gardens, in vicinanza del museo della Geolo- gical Survey e della sede della Società geologica. In quell’ edilìzio dell’ Univer- sità erano locali adatti a tutte le occorrenze del Congresso, cioè anfiteatro per le adunanze, grande sala della biblioteca che serviva per l’ esposizione delle carte geologiche e delle roccie, sale per le adunanze preparatorie del Consiglio, ed infine anche per caffè e ristoratore, annesso indispensabile delle riunioni scien- tifiche nei paesi nordici. Fatto è che simile locale era convenientissimo, e per la prima volta si ebbe tutto riunito in un medesimo edificio, quanto occorreva per le adunanze, per gli studi dei congressisti e per le loro personali comodità. Il Comitato ordinatore intanto avea preparto ai congressisti molte comodità e mezzi di studio nella città e vicinanze, come la libertà di visitare ricchi musei di ogni genere, alcuno anche in domenica, i giardini botanici ed altri stabilimenti di cui è ricca quélla metropoli. 11 medesimo avea anche fatta stampare varie guide per le escursioni geolo- giche, e come preparativi delle discussioni del Congresso le già cennate relazioni e proposte delle sotto-commissioni di diversi paesi. Fra queste relazioni si pos- sono citare quelle del Comitato inglese formanti un discreto volume composto di tanti capitoli dedicati ai singoli piani della serie stratrigrafica : e lo stesso per quella del Comitato del Nord-America, formante pure un bel volume stampato à Filadelfia. Altra opera notevole di preparazione stampata a cura del Comitato ordinatore inglese era un volume contenente rapporti di vari autori (inglesi, te- deschi, francesi, ma sovratutto americani) sugli scisti cristallini, argomento eli cui dovea specialmente occuparsi questa sessione del Congresso. Veniva anche stam- pato poco prima 'delle sedute il catalogo delle carte e delle collezioni esposte, non che l’elenco dei membri inscritti al Congresso, il quale naturalmente veniva poi completato durante il Congresso medesimo. Ecco qui riassunto questo elenco: I membri inscritti furono in totalità 835, di cui presenti a Londra 380. Essi membri erano di 26 paesi diversi cioè : Isole britanniche. 496 Altri paesi 339 tra cui del continente europeo 258, del continente americana 75 e fra questi 62 erano degli Stati Uniti del Nord. Di altri continenti (Australia 2, Nuova Zelanda 2, India 2) 6. Fra i 258 inscritti non inglesi si contavano di Germania 67, di Francia 47, d’ Itaha 36, di Russia 18, Austria 17, Scandinavia 11, ecc. Fra i 380 presenti poi erano inglesi 241 e 139 estranei alle Isole britanniche ; e fra questi erano di Germania 28, dògli Stati Uniti d’America 17, altrettanti di Francia, del Belgio 14, di Russia 13, d’ Italia 11 \ dell’Austria-Ungheria 10 ecc. Al Congresso di Berlino nel 1885 erano soltanto inscritti circa membri 400 di cui presenti 260. Il numero assai notevole di stranieri, e tra questi di Nord-americani, dava a questa sessione del Congresso un carattere alquanto speciale, tanto più che fra i detti americani vi erano dei membri assai attivi come lo Sterry-Hunt, il Persifor- Fraser segretario del suo Comitato. Walcott, Gilbert ed altri. Ciò prova l’inte- resse che quel paese attivissimo in ogni ramo avea preso alle questioni . geo- logiche, quasi preludendo così alla decisione stata poi presa nel seguito della sessione medesima, cioè di tenere la prossima riunione in America Quanto ai preparativi pel Congresso giova aggiungere un cenno sulla Espo- sizione di carte e collezioni stata preparata nella sala della biblioteca. In fatto di carte, le principali nazioni avevano inviato un saggio delle carte più recenti dei loro Istituti. Tra esse distinguevasi l’Inghilterra con alcuna delle sue colonie, per la quantità e varietà delle medesime. Della Francia era esposta una carta all’ 1/500 000, ma era pubblicazione privata dei prof. Vasseur e Carez colorata approssimativamente secondo la nuova gamma adottata a Berlino per la Carta d’Europa. Di altre nazioni eranvi varie carte sia ufficiali che private. Fra queste nota- vasi una Carta generale degli Stati Uniti del Nord alla scala di 1/3 000 000, colo- rata a mano, del noto geologo Marcou di nascita francese ma da lungo tempo stabilito presso Boston. Eravi poi anche una gran quantità di sezioni geologiche, diagrammi ed altri disegni per illustrare i diversi fenomeni geologici, specialmente quelli relativi alle faglie, ed alla alterazione delle roccie e dei fossili dovuta alla gran pressione ed attrito nei movimenti della crosta terrestre ossia al cosidetto metamorfismo dinamico. Questi ultimi fenomeni poi dell’alterazione delle roccie per metamorfismo, sia dinamico che chimico, erano riccamente illustrati da speciali collezioni tra cui spiccarono quelle del dott. Heim per le Alpi Svizzere, della Svezia di Otto Torell, altre di Scozia e Paese di Galles, e non male figuravano quelle delle Alpi 1 Fra gli italiani oltre al prof. Capellini ed ing. Giordano delegati dal Ministero, era interve- nuto l’ing. Mattirolo dell’Ufficio geologico con incarichi speciali, l’ ing. Sabatini dell'Ufficio stesso andato per conto suo, e l’ ing. Mezzena che trova vasi in Inghilterra agli studi e molto coadiuvò ai preparativi. Eranvi poi il prof. Issel che fu nominato consigliere, il dottor Fornasini di Bologna che fu nominato fra i segretari, 1’ mg. Meli di Roma, il dottor Botti ed il dottor Sacco di Torino. 78 occidentali e delle Apuane inviate dall’ Italia insieme alle diverse carte presentate dal nostro ufficio geologico. Era interessante vedere i geologi specialisti dei di- versi paesi visitare minuziosamente le collezioni dei colleghi nella sala della Bi- blioteca, e intavolare paragoni e discussioni utilissime. Riguardo a quanto venne da noi inviato è naturale che se ne faccia qui speciale enumerazione. In fatto di carte vennero presentate, oltre a quelle già da tempo stampate cioè della Sicilia e dell’Elba a varie scale, con il testo che le accompagna, quelle delle ultime pubblicazioni in corso, cioè carta dell’Iglesiente (Sardegna) al 1/50 000 con atlante e relazione descrittiva dell’ing. Zoppi, Carta generale d’Italia in pic- cola scala al 1/1 000 000 in due fogli; ed i primi fogli della carta in grande scala 1/100 000 dell’Italia centrale, cioè n. 6 fogli con uno di sezioni della campagna romàna e territori limitrofi. Venne anche esposta la Carta generale d’Italia alla scala di 1/500 000, che è la scala stabilita per le carte d’insieme delle varie nazioni, e sulla quale eransi riportati tutti i rilevamenti sin’ora eseguiti dall’Ufficio geologico in diverse parti del territorio. Questa carta, formata valendosi dell’edizione piana della mappa recentemente eseguita dall’Istituto geografico militare, era soltanto colorata a mano, non essendo tuttavia il caso di darla alla stampa, per la quale devesi attendere che sia più completata da ulteriori studi. Quanto alla sovra citata carta al 1/1 000 000 che doveva rimpiazzare quella pubblicata or son sette anni circa, non erasi esposta a Londra che una copia di prova, non essendosi fatto in tempo per la tiratura accurata di numerose copie da distribuire nel Congresso ; ma questa tiratura si sta ora facendo dopo avere corretto diversi piccoli difetti occorsi nella fretta del primo lavoro. È lecito osservare che queste nuove carte nostre attrassero molto favorevolmente l’attenzione degli intelligenti e si ebbero, sovrattutto dai geologi ed istituti esteri numerose domande, che verranno man mano soddisfatte a misura che si avranno disponibili delle copie debitamente eseguite. In genere poi la nostra esposizione, comunque stata dapprima alquanto ritar- data da inusitato ritardo nell’arrivo delle nostre casse dall’Italia, potea dirsi assai bene riuscita in quella mostra delle varie nazioni. Nè meno pregiata fu la collezione di roccie cristalline da noi colà esposte dietro invito speciale che ce ne era stato fatto dal Comitato inglese il quale ci avea richiesto di presentare delle roccie metamorfiche la cui età geologica fosse preci- samente determinata. Non essendo stato possibile occuparsi in tempo di tale collezione e dovendosi la medesima eseguire appositamente ed in poco tempo, si dovette limitare a pochi casi ben scelti. Dietro il consiglio dell’ing. Zaccagna che avea pratica speciale - 79 - deirargomento, i casi prescelti furono due, cioè del terreno permiano e del tria- sico poiché sia nelle Alpi Apuane, che nelle Occidentali, questi due terreni, la cui età in quelle regioni era stata dai recenti nostri studi bene definita presentavano degli esempi notevolissimi di trasformazione per metamorfismo in scisti cristal- lini e in rocce gneissiche. Circa 150 campioni, metà delle Alpi Apuane raccolti dagli ingegneri Zaccagna e Lotti e metà delle Alpi Occidentali e Marittime rac- colti dalPing. Mattirolo, figuravano a quella esposizione, accompagnati dai profili che ne indicavano, il livello geologico. Ben caratteristico era sovratutto il caso del terreno permiano trasformato in scisto gneissico, sia nell’alta valle d’Aosta presso Courmayeur, sia nel gruppo del monte Besimauda presso Cuneo, dove è svilup- patissimo, onde si credette opportuno designare tale roccia col nome di Besimaudite. L’ing. Mattirolo, andato a Londra con diversi incarichi, tra cui quello di fare ivi provvista di apparecchi per il laboratorio da montare presso l’Ufficio geologico in Roma, coordinò i succennati campioni per la loro esposizione, e nella seduta del Congresso del giorno 19, destinata specialmente alle roccie metamorfiche fa- ceva sui medesimi una succinta comunicazione che destò un meritato interesse. « La nostra carta geologica, in quella zona che comprende le Alpi Occidentali, limite fra l’Italia, la Francia e la Svizzera, differiva notevolmente da quelle sin’ora esistenti e da quella stessa che ultimamente i geologi francesi presentavano. Si è che quei geologi non avevano ancora praticate le lunghe e precise indagini che i nostri, come Zaccagna e Mattirolo, ed altri avevano in questi ultimi tempi colà con ottimi risultati compiute, come venne esposto nelle relazioni annuali al Comitato geologico. La differenza spiccava principalmente appunto nella relativa estensione dei succitati terreni permiano e triasreo di cui si erano esposte le roccie e nei limiti fra essi e l’Arcaico. La Direzione dell’Istituto geologico di Berlino, incaricata della Carta geologica d’Europa, trovatasi per ciò nel dubbio di quale fra le ver- sioni accettare per la zona alpina da segnarsi in simile carta internazionale; ma le discussioni avute con I’ing. Mattirolo, il quale poteva esibire i rilievi e profili dettagliati presi da Zaccagna e da lui sul terreno anche in Savoia, fecero deci- dere per la nostra. E tale conclusione veniva poi anche accettata dagli altri geo- logi esteri che avevano più recentemente seguita l’intricata questione. Per noi adunque, indipendentemente dalle altre considerazioni, questo Congresso di Londra riusciva fecondo ed onorevole campo di cooperazione scientifica e sprone a futuri studi nei quali la riputazione nostra potrà mantenersi elevata. Ora un cenno sul Programma delle discussioni che avrebbero dovuto aver luogo nella Sessione di Londra. Le questioni da tràttare erano state proposte, come sopra cennavasi, dalla Commissione internazionale dell’unificazione geologica, in seguito alle riunioni dalla — 80 — medesima tenute nel 1886 a Ginevra e nel 1887 a Manchester. E tali proposte, che in buona parte erano conseguenze di quanto erasi intrapreso nelle precedenti sessioni di Bologna e Berlino, venivano concretate nel succennato rapporto del segretario Dewalque. Giova darne qui un sunto. a ) Stabilire i principii sui quali deve fondarsi la suddivisione stratigrafica e definire il valore ed il nome da attribuirsi alle grandi divisioni della scorza terrestre, cioè ai così detti gruppi, sistemi, serie, piani ecc., ed a tale proposito si proponeva pure di ritornare su qualche nome adottato nelle precedenti sessioni. b) Stabilire il principio .delle desinenze omofone, come quelle in aiue, ique, ien, ecc. (francesi), per le divisioni dello stesso ordine. c) Esame speciale delle formazioni dell’Arcaico e dei scisti cristallini. d) Suddivisioni della formazione cambro-silurica, questione espressamente riservata alla sessione di Londra in quanto ritenevasi che i molti studi dei geo- logi inglesi sulla medesima avrebbero potuto condurre ad un risultato soddi- sfacente. e) Lo stesso per la formazione permo-carbonifera. J) Questione della distinzione fra il Terziario e il Quaternario. Ciò quanto alle principali questioni da trattare nelle sedute. Eravi poi da occuparsi della Carta d’Europa. Il Comitato internazionale che dovea sopravedere il lavoro eseguito dalla Di- rezione dell’ Istituto geologico di Berlino non era più stato convocato nel trascorso triennio, e ciò per diversi impedimenti occorsi: ma il direttore dell’Istituto Hau- checorne avea annunciato che in questa Sessione di Londra avrebbe presentato un preciso rendiconto sullo stato del lavoro, insieme ad un foglio almeno della Carta stessa debitamente tirato in colori secondo la gamma stabilita nel 1885 a Berlino. Sedute, discussioni e deliberazioni prese. L’apertura del Congresso ebbe luogo il giorno 17 alle 7 1/2 di sera. Per le materie trattate e decisioni prese in questa Sessione del Congresso potrebbe rimandarsi alla relazione che ne inviò il prof. Capellini al Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio in data 10 novembre, e che fu pubblicata nel fascicolo 9-10 del Bollettino geologico del 1888. Però dovendosi tuttavia dar conto della Sessione me lesima in questa annuale relazione al Comitato geologico, si riassumeranno qui le cose principali, sia di ordine amministrativo che scientifico di cui conviene ad ogni modo sia tenuta memoria. Come sopra dicevasi, il programma dei lavori della Sessione, risultante dagli studi e dalle riunioni preparatorie dei sotto comitati delle varie nazioni e della Commissione internazionale d’unificazione, era stato preparato, dal Segretario ge- — 81 - nerale di questa, prof. Dewalque. Però in una seduta preliminare da questa tenuta nel pomeriggio dello stesso giorno 17, alla quale erano presenti una dozzina di membri, ma mancava per motivi particolari il prof. Me. K. Hughes di Cambridge, anima già dei preparativi di questo Congresso, tale programma venne notevol- mente modificato. Vista l’affluenza di tanti geologi di varie nazioni e la quantità di studi da loro preparati sulla classificazione dei terreni antichi e sugli scisti cristallini, si credette di lasciare indietro per ora le diverse questioni di nomen- clatura e limitarsi a trattare i seguenti soggetti: a) Classificazione del sistema cambro-silurico. b ) Scisti cristallini, loro relazione con l’Arcaico. e) Terreno quaternario, suaposizione nella serie dei terreni rispetto al Terziario. Nel giorno stesso riunivansi per prendere le preliminari intelligenze, il Comitato per la Carta geologica d’Europa, ed il Comitato per preparare le nomine del Consiglio. L’apertura del Congresso ebbe effettivamente luogo, come sovra è cennato, la sera del giorno stesso 17 alle 7 \\2 pomeridiane. A presidente effettivo era stato scelto il prof. I. Prestwich deH’Università di Oxford, nestore dei geologi inglesi, noto sovratutto pe’ suoi lavori sui terreni ter- ziari, il quale avea preparato per questa seduta inaugurale un discorso stam- pato che vi lesse. La seduta fu però aperta secondo l’uso dal presidente del précedente Congresso di Berlino prof. Beyrich. Uno dei segretari generali Hulke lesse una lettera del prof. Huxley presidente onorario che scusava per motivi di salute la sua astenza* A nome del Comitato organizzatore Sir Douglas Galton fece, in inglese, un di- scorso felicitando il concorso a questo Congresso di tanti dotti stranieri. A sua volta il prof. Capellini ringraziò a nome di questi; e di poi letta la nota proposta per la nomina dei membri dell’ufficio del Congresso, questo venne per acclama- zione approvata. Vi erano nominati 20 vicepresidenti ed un Consiglio di 30 scelti fra le varie nazioni. Fra i vice-presidenti eravi l’ing. Giordano per l’Italia, e fra i consiglieri il prof. Issel, mentre fra i segretari veniva nominato,, come già a Bologna e Berlino, il dott. Fornasini. Il discorso del prof. Prestwich, stampato e letto in francese, riassumeva l’ope- rato nelle precedenti Sessioni e tracciava il programma di quanto eravi ora da fare* facendo però assennata raccomandazione ai congressisti di non voler imporre alla scienza dei limiti troppo rigidi ed assoluti, ma darvi una certa elasticità onde evitare il pericolo di ritardarne invece che di agevolarne il progresso. Esaurite le solite formalità dei riiigraziamentise la duta è tolta. — La medesima venne seguita da un ricevimento generale dei membri presentati al presidente Prestwich e sua signora nella sala stessa della Biblioteca. Seduta del giorno 18. Fu la vera prima seduta del Congresso, e nella medesima il prof. Prestwich . cedeva la presidenza al prof. Capellini che la pratica nel guidare le discussioni, rendeva molto atto a simile ufficio. L’argomento era il primo dello stabilito programma, cioè la classificazione del Paleozoico inferiore ossia del sistema cambro-silurico. Prima però di entrare in argomenti scientifici, si dovea risolvere una que- stione insorta già da tempo relativamente al vizio esistente nel sistema di vota- zione delle decisioni del Congresso stato in uso a Bologna ed a Berlino, che consisteva nel dare il voto indistintamente a tutti i membri presenti chiunque fos- sero. Fra questi infatti molti non sono punto profondi in scienza, ed oltracciò in un dato paese sempre trovansi in grande maggioranza i membri appartenenti al paese medesimo ove si tiene la sessione del Congresso, Era sentito il bisogno di porre un rimedio a simile grave inconveniente, e perciò in una seduta del Consi- glio, giorno stesso 18, venne nominata una Commissione di 7 membri per studiare conveniente proposta da sottoporre al Congresso. Quei membri furono Blanford, Sterry-Hunt, Zittel, Neumayr, Inostranzeff, Lapparent e Capellini presidente. Tale Commissione doveva riferire fra breve e riferiva poi infatti nella seduta del giorno 21. Intanto nelle sedute che intervennero, se la soluzione delle varie que- stioni fu discussa in modo da far prevedere il risultato di una votazione, questa poi non venne realmente fatta. Veniamo alla seduta. Intavolata la discussione sull’argomento del Cambro-Silurico, parlarono suc- cessivamente 17 geologi di varie nazioni: Hicks, Marr segretario della Commis- sione inglese, Lapworth, Sterry-Hunt, Walcott, Gilbert (questi tre americani), Torell, Gosselet, Dewalque, Kayser, Geikie, Blake, Lapparent, Delgado, Hull, Barrois. In questa seduta si dovette intanto cominciare a scostarsi assai frequente- mente dalla regola adottata nelle precedenti sessioni, che cioè fosse usata la lingua francese, poiché molti fra gli anglo-sassoni convenuti, poco la conosce- vano o per lo meno molto stentavano a parlarla. Venne quindi permesso ad Hicks, che primo parlò e poi ad altri, di fare i loro discorsi in inglese. Però il segretario Barrois, pregato a ciò, gentilmente sopperiva di poi con ripeterne un sunto in francese. « Benché il periodo degli oratori in questa seduta non durasse più di due — 83 — ore, tuttavia si udirono dai medesimi esposti sistemi assai diversi di suddi- visione del Paleozoico inferiore, secondo le idee delle djverse scuole e anche delle diverse regioni del globo nelle quali era stato studiato. Lungo assai riusci- rebbe il riferire partitamente quanto venne detto, onde gioverà per la migliore intelligenza il far prima cenno di dette scuole primeggianti nel mondo dei geologi sovratutto dell’ Inghilterra e del Nord-America, regioni nelle quali il terreno pa- leozoico occupa immense zone e già venne assai seriamente esaminato. In Inghilterra i primi geologi che lo studiarono or fa circa mezzo secolo, si divisero in due scuole principali, l’una denominata dal prof. Sedgvvich di Cam- bridge, e l’altra del Murchison di Londra, direttore del Geologica! Survey d’In- ghilterra. La divergenza versava sulla diversa estensione data dai rpedesimi al terreno detto Cambriano ed al sovrastante detto Siluriano, divergenza originata dal fatto che essi studiarono formazioni in parte equivalenti per l’età ma in regioni diverse. Tale divergenza si perpetuò, poi per l’ostinazione dei loro seguaci nel proseguire ad impiegare oggidì quei due nomi con il primitivo loro significato. Murchison divideva il Paleozoico inferiore come segue in ordine ascendente: Cambriano, Siluriano primordiale, Siluriano inferiore e Siluriano superiore. I geologi della Survey poi conservando tali denominazioni, riunirono i due Siluriani inferiori in un solo, detto, Siluriano inferiore, e così secondo essi il Paleozoico sarebbe di- viso in 3: Cambriano, Siluriano inferiore e Siluriano superiore. Sedgwick invece adottava per la medesima massa di terreni la nomenclatura di Cambriano inferiore, Cambriano medio, Cambriano superiore e Siluriano. Così mentre il Murchison abbassava d’assai il suo Siluriano giù nella serie stratigrafìca, il Sedgwich includeva nel suo Cambriano degli strali dall’altro ritenuti siluriani, ossia il Siluriano inferiore del Murchison corrispondeva al Cambriano superiore del Sedgwich. L’autore Lyell, pur mantenendo le tre divisioni di Cambriano, Siluriano infe- riore e Siluriano superiore, avea fatto corrispondere il Siluriano igfpriore di Murchison al Cambriano superiore di Sedgwick ed il Siluriano superiore del primo al Siluriano del secondo. In tale modo di classificazione concordava fure l’inglese Hicks. E parecchi anni dopo il rinomato Barrando francese, nel suo studio dei terreni antichi della Boemia contenenti gli stessi fossili, era condotto ancora alla suddi- visione in 3 piani caratterizzati dalle sue 3 faune, cioè l’inferiore o Cambriano cor- rispondente alla §ua fauna prima o primordiale, il Siluriano inferiore corrispondente alla fauna seconda, ed il Siluriano superiore alla fauna terza. In questa seduta il prof. Lapworth (inglese) accettando la classificazione di Lyjdl, proponeva, e ciò come termine di conciliazione, la suddivisione in Cambriano, Ordovicia n0 e S^ur‘ano5 nella quale l’Ordoviciano corrisponderebbe alla divisione 6 media o fauna seconda. Il termine Orcio viciano proviene da Orcio vicia antico nome del paese di Galles. Il Renevier manifestavasi interamente favorevole all’ Ordovi- ciano. Il Lapworth poi denominerebbe il complesso di queste tre formazioni o faune : Era protozoica. Il segretario generale della Commissione d’ unificazione' Dewalque, avea nel suo programma proposte le stesse tre divisioni del Lyell, ma per un riguardo ai geologi del Nord-America avrebbe denominato Taconico il Cambriano inferiore che comprende la fauna primordiale. Il nome Taconico è indiano, ossia indigeno di una catena montuosa del Nord-America costituita da simile terreno dapprima studiato nel 1842 dal geologo americano Emmons (Ebenezer) che ne fece il Taconic System. Però conviene qui osservare come il Taconico scendendo molto basso nella serie stratigrafica, esce oltre i limiti assegnati dai primi autori al sistema Silurico comprendendo parte dell’Arcaico e generando così una certa confu- sione. La proposta perciò, detto ciò di passaggio, non veniva nel Congresso appoggiata. Ora per concretare le idee diverse esistenti circa alla suddivisione del Pa- leozoico antico, si riferiscono qui riunite in un quadro. Seilgwieh Murchisou Geological Snrwey Lyell e Hicks Lapwortli Proposta del Segretario Dewalque Siluriano Siluriano superiore Siluriano superiore Siluriano superiore Siluriano Siluriano Fauna 3a di Barrande Cambriano superiore Siluriano inferiore Siluriano inferiore ! Siluriano inferiore Ordoviciano | ^ Cambriano Fauna 2a Cambriano medio Siluriano ) primordiale 1 i > Cambriano 1 ! 1 ) Cambriano 1 Cambriano inferiore Cambriano Cambriano Taconico Fauna 1* 85 I precedenti particolari, sono utili ad agevolare l’intelligenza della discussione nella seduta del 18. Dovendosi poi nella prossima sessione del Congresso da tenersi nel Nord-America, trattare ancora questa questione della classificazione del Paleo- zoico inferiore, anche là sarà utile conoscere i precedenti. E pel riguardo medesimo potendo nascere in quella sessione delle discussioni su altri punti di classificazione dei terreni antichi nei quali avanzino le loro opi- nioni dei geologi americani, si riferisce qui la parte della leggenda annessa alla Carta generale degli Stati Uniti al 1/3 000 000 esposta nella biblioteca dal geologo Marcou, dalla quale si vede quali siano colà le idee di alcuni di essi per i terréni sottostanti al Carbonifero. Dyas Taconic Azoic or . Granite / Permian (Murchison) ! Penean (Omalius d’Halloy) \ Permo-carboniferous. i Primordial Faune — System of Barrande ] (Cambrian and LowerCambrian) j Potsdam-Sands and Paradoxides- Argillit | Braintree Massachusetts | Infra Taconic-rocks generally metamorphic (Cristalline schists of diff. kind, talcose, calcareous, with quartzites, ecc.) | Granitic rocks. Dopo ciò ecco un breve sunto di quanto fu fatto nella seduta del 18. Hicks, Marr e Lapworth, furono d’accordo nel riconoscere la divisione nei tre piani, Cambriano, Ordoviciano e Siluriano, corrispondenti in genere alla divi- sione fatta dal Barrande nel terreno di Boemia in tre faune; primordiale, seconda e terza. Giova però ripetere che mentre il Murchison poneva la fauna seconda nel Cambriano, Sedgwick la poneva nel Siluriano. L’americano Sterry-Hunt appoggiò la proposta del Lapworth con l’Ordoviciano, e cosi pure fecero il Renevier (svizzero) ed il Kayser (tedesco). Invece Otto Torell di Svezia, partigiano della classificazione del Murehison, non ammette il termine Ordoviciano, proponendo però di dare qualche ncme ai piani inferiori. E così pure opinarono Hull della Survey d’ Irlanda ed il Barrois- francese, mentre poi il Geikie direttore della Survey affermò vieppiù la nomenclatura del Murchison con la sua corrispondenza alle tre faune del Barrande. Alcune osserva- zioni provennero ancora dai membri Delgado del Portogallo e Walcott dell’Ame- rica del Nord il quale fa rilevare come dietro i suoi studi l’ordine dell’apparizione degli esseri sul globo in quelle remote epoche fosse lo stesso in Europa ed in America. Già fu sovra accennato come il Taconico accettato dal segretario Devalque non fosse punto patrocinato dai geologi americani presenti. — • Dietro pareri cosi diversi sulla definitiva suddivisione del Paleozoico inferiore, non parve conveniente il procedere ad una votazione, sulla cui modalità d’altronde si attendeva ancóra di sapere come regolarsi. Il presidente Capellini riassumendo le esposizioni fatte constatò tuttavia che in massima la divisione in tre gran piani, pareva raccogliere per ora il maggior numero di adesioni. E così la suddivisione definitiva del Paleozoico inferiore venne di fatto ag- giornata; e ciò non fu male, poiché, come osservò il prof. Gilbert di Washington, prima di decidere su tale questione era necessaiio ancora il conoscere la serie stratigrafica in altre parti del globo. Alla fine della seduta il presidente Capellini, dopo aver rammentata la perdita nel frattempo avvenuta del geologo francese Fontannes che fu segretario nelle precedenti sessioni, annunziò che il giorno 20 prossimo dovea inaugurarsi a Bièlla patria di Quintino Sella, morto nel 1884, un monumento alla sua memoria con intervento di Istituti scientifici e del Re stesso; e rammentando i servigi da lui resi alla geologia, propose l’invio di un telegramma che fu tosto spedito al sin- daco di quella città a nome di 500 geologi di ogni nazione convenuti a Londra. Seduta del giorno 19. Prestwich ne cede la presidenza al Geikie. Questa seduta fu interamente destinata all’argomento degli Scisti cristallini; argomento che non venne tuttavia nella medesima interamente esaurito, onde vi fu poi dedicata ancora buona parte di quella del giorno 21, tenendovi la presi- denza il Lapparent. Sul medesimo argomento avea il Comitato organizzatore raccolto e stampate in un volume di oltre 125 pagine otto memorie di autori vari ameiicnm, tedeschi francesi e svizzeri : cioè Sterry-Hunt, Lawson, Becker, Dutton e Irving nord-ame- ricani; Lehemann, Lossen, Heim tedesco-svizzeri; Lory e Michel-Levy frane si. Du- rante le sedute ne furono ancora presentate altre due, 1’ una di Kilroe della Survey irlandese, l’altra di Kinahan. Leggendo queste memorie già si può avere una prima idea della varietà di opinioni diverse tuttavia regnanti fra i geologi circa alla ge- nesi di queste roccie. Parlarono intanto successivamente o lessero appunti, sia in questa, sia nella seduta del 21 più di 20 geologi ; alcuni molto diffusamente. Il rendere conto di quanto dissero prenderebbe un volume: tuttavia almeno un cenno può essere utile, riferendo qui pure per comodità quanto fu detto nella seduta del 21. Lory che ebbe primo la parola descrive la formazione cristallina delle Alpi - 87 — occidentali, cui egli avea particolarmente studiata. La divide in due grandi piani, l’inferiore caratterizzato da gneiss più o meno granitoide con talora intercalati calcari cristallini, ed il superiore costituito da roccie scistose e prevalentemente da scisti micacei, anfìboìici, cloritici e calcarei, che formano la serie delle pietre verdi dei geologi italiani (Gastaldi). Vi è stratificazione generale e scistosità parallela alla medesima. La struttura cristallina non sarebbe secondo l’autore dovuta a metamorfismo, ma al modo di deposizione chimica dal seno di acque più o meno calde ossia ad azione idrotermale. — Il prof. Issel consente nelle stesse idee che conferma con esempi tratti dalle Alpi marittime. U ing. Mattirolo che avea presentata una assai ricca collezione di roccie cristall ne, cioè scisti gneissici e veri gneiss a bei cristalli di feldspato delle Alpi occidentali e delle Apuane, spiega come quelle roccie così bène'cristallizzate ap- partengono tuttavia ad epoche georgiche non tanto antiche e ossia al Trias ed al Perorano precisamente determinati. Il Macfarlane si dichiara deciso plutonista, e svolge le sue idèe in proposito. Il prof. Heim di Zurigo, che avea esposti molti canaponi di roccie alterate delle Alpi, fra cui alcune contenenti dei fossili deformati, si dichiara non parteggiante per l’ origine idro-termale. Secondo lui le dislocazioni frequenti nelle stratificazioni delle montagne indicano notevoli e ripetuti movimenti con attriti e rotture, e si può ravvisare in questo dinamismo, che talvolta può generare calore, una causa potente capace di trasformare degli strati d’origine sedimentare, come per esem- pio, dei calcari e scisti fossiliferi, in roccie più o meno cristalline. Queste roccie così tormentate contengono sovente dei minerali concomitanti come granati, staurotide, mica ecc., i quali sono di formazione posteriore e dovuta alle stesse cause. 11 Grosselet osserva che talora, come negli scisti delle Ardenne, comunque la stratificazione vi sia in certi punti molto tormentata, cionondimeno sia ivi meno sviluppata la cristallizzazione, mentre poi questa è più sviluppata in siti dove la stratificazione è meno disturbata e quasi orizzontale. Ciò secondo il Gosselet po- trebbe spiegarsi così : che nel primo caso la pressione, che è la forza motrice, abbia prodotto lavoro meccanico, mentre nel secondo questo lavoro meccanico trasformossi in calorico, ed allora con l’aiuto dell’acqua contenuta nella roccia vi si formarono i minerali cristallizzati indicanti 1’ avvenuto metamorfismo. Blake osserva esservi differenza fra gli effetti della pressione: la pressione statica produrrebbe la scistosità e quella dinamica produrrebbe la falsa scistosità o clivaggio ; e sovente ambedue si manifestano nel punto stesso. Hull della carta geologica d’ Irlanda, presentò una memoria del Kilroe sugli scisti del Donegal in cui è notevole la doppia scistosità, con lamelle di mica orientate in due diverse direzioni corrispondenti a due periodi distinti di meta- — 88 — morfismo. Egli crede che i movimenti meccanici abbiano potuto facilitare le nuove combinazioni minerali formatesi per via idrotermale, ma non generarle per sé. Sterry Hunt spiegherebbe la formazione delle masse di roccie cristalline con la precipitazione da un magma-acquoso o protoplasma, stato a cui trovavasi ad un certo periodo la superfìcie del globo in graduale raffred lamento, e ciò analoga - mente alla teoria nettuniana del Werner. Tutte le roccie cristalline dal granito fino -agli scisti, sarebbersi così formate per precipitazione e sarebbero in tal senso veramente primarie. E si spiegherebbe anche così la disposizione generalmente stratificata di queste roccie, le quali poi presenterebbero diverse varietà in rela- zione alle diverse con lizioni chimiche e termali in cui si trovarono; notando poi che durante quell’immenso periodo comparvero anche e ripetutamente delle masse di roccie eruttive. Egli classifica i terreni ant'chi precambriani del Nord -America nei seguenti piani in ordine ascendente : Laurenziano, generalmente allo stato di gneiss granitoide, con intercalazioni di quarziti, calcari cristallini e serpen- tine in cui fu trovato il famoso eozoon, che ora da pochi è ritenuto d’ origine organica; Noriano ed Orvoniano, due terreni di natura assai analoga al primo; Huroniano formato di scisti, quarzosi, cloritici, epidotici, con masse di eupotide e lherzolite, di calcare cristallino, ecc.; Montalbano e Taconico. Quest'ultimo, costi- tuito da scisti svariati anche anfibolici, sarebbe in discordanza sul precedente. Renevier osserva che non tutte le roccie cristalline sono di età arcaica o molto antica, essendovene nelle Alpi svizzere di età relativamente recente. E ciò poi conferma pure Sterry-Hunt il quale attribuisce molta efficacia alle azioni idrotermali e poco o nulla alla pressione, la quale secondo le esperienze di Spring non produrrebbe che effetti calorifici insignificanti. Quanto alla genesi delle serpentine antiche lo Sterry espose più volte ne’ suoi scritti e conferenze le sue idee di una chimica precipitazione da acque magnesiache. Si fanno citazioni diverse dal Lappareni, Heim ed altri onde risulta che talvolta il medesimo strato assai alterato e contenente minerali di formazione posteriore, cont'ene ancora fossili riconoscibili come trilobiti (Bretagna e Porto- gallo) o belemniti (Alpi svizzere). Macpberson che fece studio della serie arcaica in Spagna, dove la medesima appare in regioni diverse, osserva che la stessa presenta in genere questa suddivi- sione procedendo in serie ascendente: l.° granito, gneiss granitoide e ghiandone; 2.° granito micaceo scistoso passante poi a scisti anfibolici e diversi, calcare cri- stallino ecc. con minerali sparsi ; 3.° micacite e talcite che termina con potente formazione di fìllade. Hicks parlando del precambriano del paese di Galles lo dice così co- stituito : l.° gneiss granitoidi, che egli considera come roccie eruttive modificate; 2.° quarzo- felsiti con minerali secondari pure consi ’erate come roccie ignee - 89 - modificate; 3° scisti micacei, cloritici, cui egli considera cóme fanghi vulcanici matamorfosati. Astraendo dalle opinioni dei diversi autori sulla genesi del terreno arcaico di Spagna, Inghilterra e Nord-America, si può notare P analogia in genere del medesimo con quello delle nostre Alpi descritte dal Lory e dai nostri geologi che lo studiarono. Torell di Svezia espone esservi colà due graniti l’uno eruttivo l’altro an- tico passante a gneiss. Quest’ ultimo presenta presso Stoccolma un curiosa strut- tura globulare che fu prima ritenuta come dovuta alla separazione da un magma fuso, ma che poi si riconobbe essere soltanto una breccia rimpastata. Il Lapparent, che ora presiedeva, riassunse le diverse opinioni, comprese quelle esposte nelle diverse memorie sui scisti cristallini state stampate dal Co- mitato organizzatore, ed espose poi anche la sua. Riguardo alle dette memorie cita quelle di Lehemann, Michel-Levy, Lossen, Lawson, William, Beker ecc. Leheman, che studiò principalmente la Sassonia, ritiene le roccie cristalline scistose essere d’origine in parte eruttiva in parte sedimentare, modificate poi da varie azioni; che però quali or si vedono non sono forse le primitive ma già più o meno modificate dalla pressione o da agenti diversi. Il Lossen osserva che prima di poter tirar conclusioni, occorre tuttavia molto studio e procedendo dal noto all’ ignoto. Michel-Levy scrive che la gran massa del terreno primitivo è uniforme su tutto il globo ; cioè in basso di gneiss più o meno granitoide, e in alto di roccie più o meno scistoidi cioè scisti anfibolie), cloritici, calcarei ecc. Egli rigetta P idea di formazione per cristallizzione immediata, ma essere piuttosto dovuta a successive trasformazioni. Lawson della Geological Survey del Canadà divide TArcaico canadense in due grandi piani ; l’ inferiore stratificato in certo modo tranquillamente e il supe- riore contenente dei conglomerati e quindi con segni di acque in movimen'o. Il Laurenziano poi avrebbe, secondo lui subita una parziale fusione, ed anzi diverse cause sarebbero intervenute ad epoche diverse ad alterarne le roccie già formate, talché in realtà quelle più profonde, petrograficamente considerate, sarebbero le più recenti di formazione, avendo subite più numerose e più recenti trasformazioni per la maggior vicinanza al centro attivo. Nella memoria del Williams trovansi esposte diverse e svariate considera- zioni sulle successive trasformazioni delle roccie in masse scistose per forza di pressione ed altre cause. Il Becker mostra che la catena della costa marittima di California (Coast- iange) lungo il Pacifico, costituita di scisti cristallini, non è che terreno cretacico ‘ — 90 — metamorfosato in parte per azione di acque magnesiache; e tale opinione è di- visa da diversi geologi americani. Intanto esso presidente Lapparent rassumendo l’opinione propria sulla seria arcaica o primitiva, come la chiama, dice che la medesima sarebbe il prodotto del raffreddamento della primitiva zona superficiale del globo, la quale era tut- tavia soggetta ai emanazioni calorifiche e chimiche, nonché ad azioni meccaniche provenienti dal sottostante magma; ed è perciò che tale serie primitiva è secondo lui in relazione soltanto coll’interno del globo e indipendente dalla serie strati- ficata, la quale dipoi la ricoperse. La seduta chiudevasi senza alcuna deliberazione, ridotta quindi ad una lunga esposizione di fatti ed opinioni dei diversi oratori sulla formazione delle masse di roccie cristalline specialmente delle scistose. Tale formazione, secondo quanto venne esposto, potrebbe avere avuto luogo in tre modi principalmente; solidifica- zione semplice per raffreddamento; precipitazione chimica; sedimentazione ordi- aria susseguita da metamorfismo, sia chimico sia dinamico, del quale però non dovrebbe venire esagerata l’entità. Intanto però sarebbe per consenso universale ammissibile 1’esistenza di una gran serie cristallina distinta, formante la base generale dei terreni sedimentari, senza che sia esclusa l’apparizione di qualche zona consimile anche a livelli superiori. Nella parte inferióre della serie predo- minano i gneiss*' più o meno collegati al granito, mentre la natura e disposizione delle roccie sovrastanti indicano poi generalmente un graduale passaggio ai ter- reni paleozoici. La precedente assai prolissa esposizione senza conclusione alcuna, mostra se non altro che la questione della genesi delle roccie cristalline sarebbe tuttavia nel periodo di studio. Nello stato delle cose intanto apparirebbe che alla genesi di tali roccie abbiano potuto concorrere in grado vario non una sjla, ma diverse fra le azioni sia chimiche sia fisiche sopra menzionate. E soltanto qualche nuovo fatto, o complesso di fatti, emergente da ulteriori studi, cui non sarà inutile il proseguire, ed in varie parti del globo, potrebbe dare all’ una di esse assoluta preferenza. Nella sera di questo giorno 19 ebbe luogo un rice imento del prof. Geikie nel museo stesso della Geolugical Survey. Seduta del giorno 20. Questa era stata destinata alla questione del limite fra il terreno terziario ed il quaternario e del valore di quest’ ultimo come divisione strat:grafica o crono- logica. — 91 — Cominciò il Renevier combattendo la distinzione troppo marcata che si vor- rebbe fare da certi geologi tra i. terreni terziari e li così detti quaternari. Al punto di vista paleontologico il così detto Quaternario non è che una dipendenza del Terziario, ovvero sia del Pliocene, verun nuovo essere di qualche importanza essendo comparso a caratterizzarlo, eccetto l’uomo ; il quale però potrebbe essere di epoca anteriore. E lo stesso dicasi del fenomeno glaciale che sembra avere avuto inizio anteriormente al Pliocene stesso. Perciò egli considera il Quaternario come una semplice suddivisione del Terziario, e lo indicherebbe col Dome di Pii- stocene. I due geologi francesi Lapparent e Gaudry manifestano opinione diversa ci- tando fatti geologici e paleontologici che distinguono abbastanza l’epoca quaternaria dalla precedente, ed attribuendo inoltre grande ed intrinseca importanza alla presenza dell’uomo. Il dott. Sacco di Torino osserva che il peiiodo quaternario si distingue anche per moti sismici di non lieve importanza in Europa che posero fine all’epoca terziaria inducendo anche un mutamento di clima; ed il professore Gosselet vede in modo analogo pel grande sviluppo delle Correnti fluviali. II Bhnford invece che studiò l’India, converrebbe col Renevier per rigettare il term ne di Quaternario. In quella regione asiatica i terreni terziari si possano dividere in due grandi serie; l’inferiore marina della potenza di un 2500 piedi che si estende dal Paleocene al Miocene inclusive, e la superiore terrestre o flu- viale di circa 10 000 piedi che viene dal Pliocene sino all’epoca attuale. Il professor Pilar di Agrarn, opinando che nella scelta delle divisioni geolo- giche debba essere molto considerato il lato pratico ed utile, ritiene molto con- veniente il mantenere distinta un’ epoca come la quaternaria che può dirsi antro- pozoica, nella quale spicca ciò che può dirsi il regno umano. E di parere consimile si manifesta Evans. Il Prestwich così competente nella specialità cede la presidenza al professore Capellini per poter parlare sull’argomento. Egli nota che la difficoltà di bene distinguere il Terziario dal Quaternario si riscontra egualmente fra altri terreni, ma ciò che importa non perdere di vista si è che durante l’epoca quaternaria ebbe, suo sviluppo l’uomo con tutta la fauna attuale, oltreché si manifestarono fenomeni cosmici speciali con mutamento di clima, il quale venne poi a sistemarsi quale ora è in Europa e nei due emisferi. Egli ritiene che convenga adottare pel gruppo di quest’epoca il termine speciale Plistocene , il quale mentre mantiene una distinzione, indica in certo modo la sua successione al Terziario più recente. Simile proposta non fu votata, come nulla del resto fu votato in questa Ses- sione, ma l’indomani il Comitato della Carta d’Europa decideva di sopprimere il nome di Quaternario nella leggenda della medesima, sostituendovi quello di Plistocene. \ Seduta del giorno 21. Presidenza del Prestwich ceduta di poi al professore Capellini e poscia al Lapparent. La seduta venne in gran parte dedicata, come già sopra esponevasi, al se- guito della discussione sui scisti cristallini incominciata nella seduta del giorno 19. Però prima di ciò si udirono due comunicazioni, Luna sulla , sede della prossima Sessione del Congresso, l’altra sulla Carta geologica d’Europa. Siccome quanto concerne i scisti cristallini già venne per comodità riferito in aggiunta alla seduta del giorno 19, così sarà il caso di toccare qui soltanto delle due succennate comunicazioni. Il presidente Prestwich comun ca all’ Assemblea un invito pervenuto dagli Stati Uniti del Nord-America onde sia colà tenuta la prossima Sessione del Con- gresso che deve aver luogo nel 1891. Già l’idea di simile invito era stata espressa in una seduta del Consiglio tenuta il giorno 19 dal Persifor-Frazer segretario del Comitato nord-americano a nome anche di molte società scientifiche ed istituti superiori d’ istruzione di quel paese. Domande delle città di New-York e di Fila- delfia sollecitavano intanto che le città stesse ne fossero scelte per sede, mentre poco dopo il maggiore Powell direttore del Geogical-Survey sollecitava per Washington. In quella seduta veniva nominata una Commissione per decidere la scelta, composta dei membri americani presenti Persifor-Frazer, Gilbert, Marsh, Newberrv, Sterry-Hunt e Walcoit, con V aggiunta di due altri non presenti James Hall e Dana. Questa Commissione avea nel frattempo fatta la sua scelta che venne annunciata in questo g orno 21, e fu ad unanimità Filadelfia. La pro- posta venne accettata per acclamazione ed inviato subito un telegramma di gradi- mento al mayor di quella città. Intanto Stur, direttore dell’Istituto geologico imperiale di Vienna, appoggiato dal prof. Neumayr a nome dei geologi di Austria ed Ungheria, esprimeva il de- siderio che almeno la susseguente Sessione, cioè del 1894, si tenesse a Vienna. Desiderio che venne accolto tanto più favorevolmente che già analoga domanda per tenere una Sessione a Vienna era stata avanzata nell’occasione del Congresso di Berlino del 1885; e soltanto davasi ora la precedenza al Nord-America in vista della importanza per cosi dire mondiale che ciò impartiva al Congresso, onde era il caso di non ritardare l’evento. Diverse ragioni poi consigliarono la preferenza data a Filadelfia sulle altre città dell’Unione. La prima è di ordine storico; poiché fu a Filadelfia che in occasione del centenario dell' iniipendenza e dell’esposizione internazionale del 1876, costituivasi la Commissione da cui sorgeva l’idea prima di Congressi geologici internazionali. Le altre ragioni sono di convenienza morale e materiale in pari tempo. L’Università di Filadelfia è una delle principali dell Unione, e la medesima avendo deciso di celebrare appunto nel 1891 il suo centenario, desti- nava somma ingentissima (3 milioni di dollari) a mighorie ed ampliamenti, ed avrebbe anche offerto per la sede del Congresso tutte le comodità. La domanda poi fatta da Filadelfia onde il Congresso geologico passasse l’oceano era stata ap- poggiata non solo da scienziati di varie categorie, ma da autorità municipali e governative, da presidenti delle benché e delle grandi linee di ferrovie, e si fece sentire (come del resto accertarono anche i prof. Frazer e Sterry-Hunt), che oltre a forti riduzioni per visitare le regioni dell’Ovest, le stesse avrebbersi eziandio per . la traversata dell’Atlantico; di modo che il concorso alle feste del Centenario della Università di Filadelfia e del Congresso geologico che avran luogo nel settem- bre 1891 non importerebbe che una spesa per nulla straordinaria. Intanto di già erasi formato colà un Comitato provvisorio che lavorava per la costituzione di un definitivo Comitato organizzatore. Dopo la scelta della sede della prossima Sessione del Congresso viene esposto dal prof. Hauchecorne, direttore dell’ Istituto geologico di Berlino, lo stato del la- voro della Carta geologica di Europa. Il Comitato direttivo di detta Carta, impedito da cause diverse non erasi più r. unito dopo il Congresso di Berlino, ma il suddetta direttóre, che nel frattempo avea spinto assai alacremente i lavori, presentava ora al Congresso un foglio di prova stampato a colori, quello segnato C-IV che comprendeva una gran zona del N.O dell’Europa, dalla regione renana fino alla Sassonia, con parte della Scandinavia. Come è noto questa Carta a scala di 1/1 500 000 deve essere formata di quarantanove fogli: ma quello presentato era uno dei più interessanti compren- dendo quasi tutte le formazioni geologiche dalle più antiche alle più moderne oltre a numerose roccie emersorie e cristalline. La sua esecuzione al punto di vista litografico apparve perfetta. Quanto alla gamma dei colori adottata con relativa leggenda, era quella già in parte approvata nel Congresso di Bologna e pel rimanente in quello di Berlino, mentre poi diversi particolari eransi lasciati alla decisione della direzione stessa di Berlino che curava l’ esecuzione della Carta nello stabilimento Dietrich-Reimer. Il direttore Hauchecorne rese conto ampiamente delle numerose difficoltà do- vute superare e dello stato del lavoro. Avendo egli ricevuto ora a Londra stessa di- verso materiale che tuttavia mancava, è probabile che in poco tempo si possa compiere la stampa dei fogli almeno di tutta l’Europa occidentale e centrale. Ora, a proposito di questa Carta d’Europa, vi sarebbero a fare alcune osser- vazioni, sovratutto cir.a la gamma o scala di colori per la medesima adottata; — 04 — ma si ridurranno le medesime a pochi cenni inseriti poco sotto. Si riferisce in- tanto che durante il Congresso medesimo essendo presenti diversi membri del Comitato di essa carta del quale erano presidenti i prof. Beyrich ed Hau^hecorne e segretario il Renevier, il medesimo ebbe occasione di tenere parecchie sedute nelle quali vernerò introdotte piccole modificazioni alla leggenda ed alla scala dei colori e dei segni. Così, p. es., riguardo al termine Quaternario si decideva di rimpiaz- zarlo con quello di Plistocenn, aggiungendovi tra parentesi il sinonimo tedesco (quartàr) ; e riguardo al suo colore approvò le due tinte bigie di diverso grado adottate pei terreni più antichi e pei moderni. Nelle roccie vulcaniche moderne vennero distinti i tufi vulcanici stratificati segnandoli con rigatura verticale, e le scorie e ceneri segnandole con punteggiatura : e ciò analogamente a quanto già erasi adot- tato nella nostra Carta d’Italia. I geologi russi avendo osservato che negli Ura'i gli scisti cristallini non erano arcaici ma interstraficati a dei marmi con ricca fauna erciniana, si decise di rap presentarli con il colore del Permiano, ma distinto con speciale rigatura indicante il loro st .to metamorfico; e si convenne che un simile ripiego venisse adottato in ogni caso analogo. Si raccomandavano poi alla Direzione del lavoro alcuni migliorament', tra cui quello di usare pei terreni antichi delle tinte alquanto meno scure. Questo difetto delle tinte troppo cupe pei terreni antichi che genera una certa confusione, era fra quelli prevedibili nella nuova gamma di Berlino dove veniva forse troppo assolu- tamente applicato il principio di usare pei diversi terreni stratificati dei colori tanto più scuri quanto più quelli sono bassi nella serie. Nelle carte geologiche delle principali nazioni (Francia, Inghilterra, Italia, Svizzera, Spagna, N. America, ecc.) erasi opportunamente rimediato a s'mile inconveniente, adottando per il Trias che ricopre terreni paleozo'ci, una tinta non troppo scura e piuttosto spiccante come il ràncione o rosso di Venezia; ma nella gamma in discorso veniva invece adottato il violetto, colore già assai cupo, e nelle antiche carte usato pei terreni paleozoici, onde venne naturalmente la necessità di adottare per questi delle tinte di più in più cupe. Venne poi rimediato in parte all’inconveniente adottando pel sistema Cambro-Silurico il color verde con diverse sue gradazioni, ma questo rimedio non manca di inconvenienti, poiché nelle carte esistenti il verde era già usato nel Cretacico e se cupo per le roccie ofiolitiche. Altri inconvenienti si possono attendere dal sistema adottato per le roccie emer- sor'e quelle cioè del solo colore rosso, benché a varie gradazioni. Non è però il caso di estendersi qui a trattare a lungo di tutto ciò. Soltanto giova inferire dall’esposto circa alla nuova gamma di colori (la quale al postutto si presenta per ora soltanto come un esperimento) che non convenga affrettarsi troppo ad adottarla nelle carte geologiche ordinarie. La cosa del resto non è nemmeno — 95 — per ora possibile, trattandosi di carte già in cjrso di pubblicazione, le quali, fu- rono cominciate con le antiche gamme beneadattate per lo più alle locali condi- zioni, e che con le medesime si devono compiere. Quanto alle spese per l’esecuzione della Carta non se ne trattò punto in questa occasione, 6 nessuna nuova domanda di fondi venne fàtta alle varie nazioni che soscrissero per tale opera. Il Governo italiano, quotato come le altre maggiori nazioni per i cento esemplari obbligatorii al prezzo di lire 10 000, già versava in anticipo nei decorsi anni lire 7500, ossia i tre quarti della somma, e rimane sol- tanto debitore dell’ultimo quarto che si verserebbe quando fosse richiesto. Intanto però il Comitato del Nord-America avea fatto domanda di entrare come soscrittore per i cento esemplari, come già lo erano le nazioni di Etìropa, e tale domanda venne tosto accettata. Il presidente Prestvvich a nome del Congresso ringrazia il prof. Hauchècòrne dell’opera notevole della Carta d’Europa così bene avanzata e di cui presentò un così bel saggio. Per finire ora quanto concerne la Carta geologica d’Europa e la parte che vi prese l’Italia si può rammentare quanto venne sopra riferito trattando della esposizione di carte geologiche, come cioè la nostra Carta generale, in quella zona che comprende le Alpi occidentali, limite fra l’Italia, la Francia e la Svizzera, dif- ferisse notevolmente da quelle sin’ ora esistenti, e da quella che ancora da ultimo diversi geologi, tra cui il Lory dell’ufficio geologico francese, presentarono. La dif- ferenza spiccava principalmente nella diversa estensione data all’Arcaico, nonché ai su citati terreni permiano e triasico di cui si erano esposte le roccie metamor- fosate. Le discussioni in proposito avvenute ed i fatti dai nostri geologi esposti dimostrarono la prevalenza dei loro rilevamenti. Nella sera di questo giorno 21 ebbe luogo un ricevimento del presidente della Società geologica inglese Blanford nei locali della Società medesima. Seduta del giorno 22 ( Chiusura). In principio della seduta presentavasi la questione del modo di votazione, riguardo al quale nella riunione del Consiglio del giorno 18 era stata nominata, per riferire, una Commissione di sette membri. Tal Commissione avea presentato il seguente voto : « Onde evitare gl’ inconvenienti che in certi casi possono nascere della grande superiorità numerica dei membri del Congresso appertenenti al paese dove questo si tiene, da ora innanzi la votazione sulle questioni trattate si farà nel seguente modo: I geologi nazionali ed i geologi esteri voteranno separatamente ed a mag- — 96 — gioranza relativa. Se i voti dei due gruppi saranno concordanti il risultato sarà ac- cettato; se invece si avrà discordanza, la questione sarà considerata come tuttavia immatura e riservata per l’avvenire. « Le materie poi di ordine puramente teorico potranno bensì essere discusse nelle sedute, ma non dovranno venire sottoposte a votazione mentre le delibera- zioni del Congresso dovranno venire applicate soltanto a delle questioni la cui soluzione sia indispensabile ad agevolare le relazioni fra i geologi delle diverse nazioni ». Ed era appunto in attesa di simile risoluzione, già prevedibile, che nel tratta- mento dei tre suindicati argomenti geologici non veniva fatta alcuna votazione. Da ult'mo il Congresso procedette al rinnovamento della Commissione inter- nazionale d’unifìcazian > della nomenclatura geologica. Tale rinnovamento era stato esaminato nell’ultima riunione del Consiglio, dove eransi espresse varie opinioni sulla convenienza o meno di conservare tale Commissione, come anche di modi- ficarne più o meno le attribuz:oni. Prevalse infine l’ idea di conservarla, solo con poche variazioni, e venne preparata una lista dei membri da sottoporre ail’aopro- vazione del Congresso. Nel giorno 22 pertanto venne fatta la relativa proposta e questa venne al- l’unanimità approvata. Alla Commissione rinnovata si variarono pure alquanto le attribuzioni, affidandole non soltanto la continuazione degli studii relativi alle que- stioni di nomenclatura, ma eziandio l’esame di altre questioni che potrebbero es- serle dal futuro Congresso pr sentate. La Commissione così rinnovata riuscì composta di ventitré geologi rappresen- tanti altrettante nazioni diverse, ove si costituiranno altrettante Sotto-commissioni. Intanto messa a votazione per schede la scelta del suo presidente e del se- gretario, risultarono ancora rispettivamente eletti i professori Capellini e Dewalque. E data qui sotto in una nota la lista dei ventitré membri della Commissione rinnovata L 1 Australia. — A. Liversidge, professore all'Università di Sydeny. Austria. — M. Neumayr, professore all’Università di Vienna. Belgio. — GL Dewalque, professore all’Università di Liegi. Bulgaria. — G. H. Zlatarski, geologo del Principato a Sofia. Canada. — R..Bell, membro del Geological-Survey a Ottawa. Danimarca. — J. Johnstrupp, professore all’Università di Copenhagen. Francia. — A. De Lapparent, professore dellTstitiito cattolico di Parigi. Germania. — Ch. von Zittel, professore all'Università di Monaco. Gran Brettagna. — T. Me. Kenny Hughes, professore all’Università di Cambridge. India. — W. Blanford, a Londra. Il presidente Prestwich fece adora un conciso riassunto d. 1 lavoro del presente Congresso. Malgrado che non si fossero fatte votazioni, tuttavia le tenute discussioni, presentavano il massimo interesse, esprimendo esse le idee scientifiche predomi- nanti fra i più em'nenti geologi del globo- Or poi, grazia al nuovo sistema di votazione, è sperabile che si abb ano ad attenere nel prossimo Congresso notevoli e migliori risultati. Egli lamentò che un lavoro dal Congresso patrocinato a Ber- lino, il grande Nomenclator paleontolojicus proposto dal prof. Nemmayr pur troppo non potrà forse riuscire, avendo questo professore asserito non avere tro- vato alcun editore che volesse assumersi l’esecuzione di un’ opera di tale entità. Per contro vi è da felicitarsi per la riusc ta della Carta geologica d’Europa. Ebbero quindi luogo le solite votazioni per ringraziamenti a quanti prestarono aiuto al Congresso, sieno autorità, enti pubblici e privati, ed infine il presidente Pr( stwich dichiarò chiusa la IV Sessione del Congresso. Terminate le sedute cominciarono le escursioni organizzate per varie paiti dell’Inghilterra. Prima però di toccare di queste convien rammentare come du- rante il congresso medesimo i membri aveano avuto comodità di utili ed inte- ressanti visite in Londra istessa e dintorni, come al Museo artistico industriale di Kensington, al Museo Britannico d’antichità di Bloomsbury, ai giardini botanici di Kew, al Castello di Windsor, ad Eryth e Crayford. Del resto già veniva cen- nato come questa Sessione del Cong esso di Londra si passasse molto semplice- mente senza feste nè banchetti generali dei membri. Devonsi però ricordare le già sovra cennate tre serate di ricevimento; la prima nella sera dell’apertura e nel locale Italia. — G-. Capellini, professore alfUniversità di Bologna. Messico. — A. del Castillo. Norvegia. — P. Kjerulf, professore all’Università di Christiania b Olanda. — F. J. P. van Calker, professore all’Università di Groninga. Portogalli?. — J. F. N. Delgado, direttore del servizio geologico a Lisbona. Repubblica Argentina. — L. Brackebusch, membro deH’Accademia nazionale Ar-, gentina a Cordova. Romania. — G. Stefanescu, professore all’Università di Bucarest. Russia. — A. Inostranzeff, professore all’Università di Pietroburgo. Spagna. — J. Vilanova, professore all’Università di Madrid. Stati Uniti. — J. Hall, direttore del Museo di St. Nat. a Albany. Spezia. — 0. Torell, direttore del servizio geologico a Stoccolma. Svizzera. — E. Renevier, professore all’Accademia di Losanna. Ungheria. — J. Szabò, professore alfUniversità di Budapest. ’ Morto poco d'.po il Congresso. — 98 — stesso della Biblioteca dell’Università fatta dal presidente Prestwich: la sec nda il 19 dal Geikie Direttore del Geological Survey nel Museo di geologia della Sur- vey stessa; e là terza il 21 dal Blanford presidente della Società geologica inglese nelle sale di questa. — Simili serate, benché frequentate da numerose signore, non mancarono punto del carattere scientifico, essendo quei locali di ricevi- mento o veri musei riccamente forniti di vedute, fotografìe ed oggetti di stulio geologico interessantissimi, óome quello della Survey, ovvero così corredati per la circostanza. Escursioni. Cominciarono il lunedì 24 settembre. Cinque escursioni con itenerari diversi erano state preparate per le diverse esigenze di tanti geologi, ciascuna delle escursioni avente per guida almeno uno dei geologi della Survey. Esse cinque escursioni avean per campo rispettivamente: a) L’Isola di Wigth (terreno cretacico, Oligocene, Eocene, etc.). b) Nord del Paese di Galles (North-Wales), (formazioni precambriane di Bangor, cave di ardesie de’ Penrhyri; roccie paleozoiche di Anglesea, di Dolgelly, depositi di Harlech e Lingula-flags; escursione al monte Snowdon, con la serie vulcanica di Baia; carbonifero al Nord di Llangollen, etc.). e) Est dello Yorkshire. — Serie delle formazioni giura-cretaciche. d) Contea del Norfolk e Suffolk (Coralline-crag, Forest-béd, etc.). e) Ovest dello Yorkshire (formazioni siluriane, carbonifere e glaciali). Eranvi anche preparate altre escursioni ad altri Siti per chi le avesse richieste. Delle memorie stampate con carte, erano state preparate dal Comitato orga- nizzatore come guida alle escursioni. Fra i nostri geologi si iscrissero il prof. Capellini, e l’ingegnere Mattiro'o per l’escursione al Nord del paese di Galles, la più interessante per le roccie an- tiche e pei confronti possibili con le antiche formazioni dell’Italia, e cr sì pote- rono essi trovarsi per più giorni in compagnia di alcuni dei più valenti geologi e litologi europei ed americani. Il Capellini così fa cenno delle escursioni eseguite : « Dopo avere speso la domenica in una seconda visita all’insuperabile privata collezione preistorica del dott. F. Evans a Nash-Mills, partii da Londra la mat- tina del lunedì 24 settembre con circa 50 colleghi di diverse nazionalità. Ci di- rigemmo a Chester ove fummo ricevuti dalla rappresentanza cittadina e dalla So- cietà dei naturalisti, assistendo la sera stessa alla distribuz'one dei premi e ad una conversazione scientifica. In una sala ammiravasi una esposizione di ogni sorta di interessanti preparazioni con circa 150 microscopi. — 99 — La matt'na seguente partimmo per Bangor e nel pomeriggio si fece una prima es ursione alle celebri cave di ardesie di Lord Penrhyn nella contea di Carnarvon, per esaminare la serie delle roccie scistose cambriane, dopo avere studiato i conglomerati precambriani alla base delle medesime. — Il 26 da Ban- gor ci recammo ad Anglesea e dopo avere esaminato scisti nodulc si antichis- simi analoghi alla penninite o besimaudite di alcuni geologi italiani, studiammo scisti cloritici e vere dioriti nelle vicinanze del monumento del marchese d’An- glesea e ci dirigemmo al capo Holyhead ove trovammo belli esempi di pieghe negli scisti cloritici e nelle quarziti. Altre escursioni si fecero al monte Snowdon, a Llamberis ove sono pure impor- tantissime cave di ardesie le quali producono annualmente per oltre un milione e cinquecento mila lire di rendita netta, e finalmente alle miniere d’oro che trovansi presso Dolgelly e per le quali di recente si sono concepite le più lieto speranze» Lasciando il paese di Galles, mi recai per un giorno a Windermeere e di là a Edimburgo per visitare rapidamente i musa e rendermi conto di quanto vi era da imparare. A Edimburgo fu pure l’ingegnere Mattirolo ; a me la cattiva stagione non permise di approffittare di quella gita quanto avrei desiderato. » In fatto di visite conviene ancora cennare quelle fatte dall’ing. Mattirolo in- s:eme all’ing. Mezzena a diversi laboratori come per es. quello della School of Mines, ed ai provveditori dei relativi apparecchi al fine di acquistarne all’occor- renza pel laboratorio chimico-petrografico che si stava montando presso Y Ufficio geologico in Roma; ciò che del resto venne fatto ed assai utilmente. Con la prece lente descriz'one della IV Sessione del Congresso geologico te- nutosi nel decorso 1888 in Londra, descrizione in certe parti alquanto prolissa, credesi avere dato un resoconto abbastanza completo di quanto venne fatto in così interessante circostanza ed in pari tempo di qu'nto venne rimandato all’av- venire. Il caratteristico infatti di simile Sessione si è lo avere quasi nulla de- ciso riguardo a questioni scientifiche riservandole ad altra futura. Simile ri- serva era assai naturale, sovratutto in quanto riguarda la classificazione dei ter • reni più antichi e della genesi dei scisti cristallini, poiché una grandissima esten- sione di simili terreni trovasi nel Nord-Amerlca dove furono da valentissimi pro- fessori studiati e si van tuttavia studiando dai geologi stessi di cui un grande numero erasi soscritto od era presente al congresso di Londra. — Tale circostanza consigliava quindi un tempo di aspetto per meglio conoscere i risultati degli studi eseguiti e da eseguirsi ancora nel Nord-America prima della riunione del 1891 a Filadelfia. È sperabile si avranno da simili studi, non che da quelli in altre e men note regoni del globo (come Asia ed Australia), molto opportune contribu- — 100 — zioni. — Con ciò si vede iniziata una era nuova e più feconda pei Congressi geo- logici internazionali e loro lavori, i quali poteano dapprima considerarsi come li- mitati alla geologia dell’Europa, mentre da ora innanzi abbraccieranno quella pi assai altri paesi. E ciò fortunatamente per la classificazione geologica considerata in sè, la quale non deve essere limitata ad una sola (-arte del globo, col rischio di rimanere poi incompleta od anche erronea, ma dovrebbe estendersi al globo intero. Circa all’utilità dei congressi internazionali, che alcuno potrebbe mettere in dubbio, ed a quello di Londra in specie nel quale non venne presa alcuna deli- berazione scientifica, non deve giudicarsene in modo prematuro e leggiero. — Come da tutti i dotti venne giustamente osservato, se non vennero prese questa volta molte decisioni, tuttavia le lunghe esposizioni di fatti e discussioni per parte di autorevoli persone di cui si fe’ cenno nel resoconto delle sedute, costituiscono un materiale preparatorio prezioso e fecondo; e poi l’affiatamento avvenuto di tanti scienziati innanzi a ricche collezioni di carte e roccie di varie parti del globo porteranno col tenrqo il loro frutto. Quanto al nostro paese in particolare, si vide come abbia in più modi lu- crato in questo mondiale convegno. Esso si accrebbe ora la riputazione già acqui- stata nel 1881 pel merito dei lavori esposti ed il contributo prestato alla Carta geologica d’ Europa, ed intanto acquistò nuovi elementi di successo per gli arringhi che si apriranno nell’avvenire. BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO PARTE UFFICIALE Lettera con la quale il Presidente del Comitato trasmette al Mini- stero di Agricoltura , Industria e Commercio il verbale delle sedute 9 e 10 dicembre. Bologna , 20 dicembre 1889. A S. E. il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio. — Roma. Ho l’onore d’ inviare all’ E. Y. i verbali delle adunanze tenute in Roma dal R. Comitato geologico nei giorni 9 e 10 del corrente mese, in conformità di quanto era stato deliberato nelle adunanze dello scorso giugno. Essendosi presentate alcune difficoltà nelle Alpi Apuane per la interpretazione di osservazioni, le quali avrebbero potuto lasciar credere che la stratigrafia fosse in disaccordo colla paleontologia, in seguito a quanto era stato deliberato nella adunanza primaverile, ritenni necessario di recarmi sul posto insieme al geologo rilevatore di quella regione, al prof. Cocchi membro del Comitato e al paleontologo Canavari, allora ancora in servizio. I risultati soddisfacentissimi già ottenuti da quella breve visita, hanno convinto il Comitato della bontà ed efficacia della mi- sura adottata, e nella primavera ventura, risolto definitivamente ogni dubbio, si potrà procedere senz’altro con la pubblicazione della Carta geologica delle Alpi Apuane nella scala di 1 a 25 000. Quanto ad altre pubblicazioni relative alla stessa regione, spero che la E. V. approverà le deliberazioni prese dal Comitato, al quale non mancai di sottoporre le considerazioni contenute nel dispaccio ministeriale in data 30 novembre. Per le future pubblicazioni, il generale Ferrerò propose di dare la preferenza alla scala di 1 a 75 000 su quella dall’ 1 a 100 000, e qualora la Commissione in- caricata di esaminare il progetto riconoscesse la convenienza di abbandonare questa ultima scala, si potrebbe tralasciare anche quella pure vicina di 1 a 50 000; in ogni caso, nella ventura adunanza, il Comitato procurerà di ottemperare, per quanto sarà possibile, ai bisogni della scienza e alle esigenze economiche. — 102 — Dopo la visita fatta dai nostri geologi rilevatori nelle Alpi per definire alcune difficili quistioni, insieme con i geologi francesi incaricati pure della Carta geologica, la direzione francese scrisse lettere molto lusinghiere pei nostri geologi rilevatori, in particolare per Zaccagna che, con tanto vantaggio, applicò alle Alpi il lungo studio fatto nelle montagne di Carrara. Il Comitato, riconoscendo la necessità di un paleontologo, che lavori assidua- mente in Roma per l’ordinamento delle collezioni già esistenti presso l’Ufficio geologico e per lo studio dei fossili, che a mano a mano vengono raccolti a cor- redo della Carta geologica, è lieto di poter proporre per quel posto rimasto va- cante, il dott. Giovanni Di Stefano, di cui unanimemente si riconobbero la grande valentìa e le ottime qualità per l’ufficiò da conferirgli e pel quale mi permetto di fare le più vive istanze. La proposta di mandare uno dei geologi rilevatori a Massaua, approfittando di speciali facilitazioni e sussidi, che si possono avere dal Ministero della guerra, fu appoggiata dal Comitato, designando per questa missione l’ ing. Baldacci. Dopo alcune informazioni relative all’accurata esecuzione del rilevamento geo- logico della importante regione calabrese, in parte visitata anche di recente da parecchi membri dei' R. Comitato geologico, nella circostanza della adunanza estiva della Società geologica italiana, si raccomandò di pensare alla pubblica- zione della relativa Carta, Gli ingegneri Cortese e Mattirolo, vennero indicati per esaurire in Sardegna lo studio generale dei terreni antichi e delle roccie vulcaniche in rapporto con i terreni terziari. E finalmente, ricordando una deliberazione presa nella adunanza precedente, fu nominata una Commissione per formulare istruzioni da darsi dal Comitato ai geologi rilevatori, sovratutto per meglio organizzare i rapporti tra questi e quello anche durante la esecuzione dei lavori. R,accomando vivamente all’ E. V. le varie deliberazioni sopraccennate, af- finchè senza indugio si possano avviare al loro compimento; il Comitato intanto nutre fiducia che la Carta geologica d’ Italia riescirà un monumento degno della nostra Nazione e che corrisponderà largamente alle premure di quanti se ne interessano e alla intelligente sollecitudine del Ministero che provvede i mezzi indispensabili. Il Presidente del R. Comitato geologico. Prof. G. Capellini. — 103 — Verbale dell’adunanza 9 Dicembre 1889. Seduta antimeridiana , La seduta è aperta alle ore 10 ant. Sono presenti, oltre al Presidente Capellini, i membri Cocchi, De Zigno, Fer- rerò, Gemmellaro, Giordano, Omboni, Pellati, Scarabelli, Struever e Taramelli. I professori Scacchi e Silvestri si scusano con lettera di non potere inter- venire : il Prof. Cossa, pure con lettera, ringrazia della cortese insistenza del Co- mitato nel non volere accettare le sue dimissioni e, dichiarando di desistere dalle medesime, si scusa della sua assenza. In seguito ad invito del Presidente, l’ispettore Giordano riassume le principali decisioni prese nell’ adunanza di primavera ; e segnatamente quelle che si riferi- scono : 1° all’intervento dei membri del Comitato nel decidere le questioni relative al rilevamento, recandosi anche all’occorrenza sul terreno con i rilevatori ; 2° ad alcuni studi da farsi in Sardegna, in particolare sui terreni secondarii e sui rap- porti fra i terziarii ed i vulcanici ; 3° alla raccomandazione di occuparsi special- mente dello studio dei fossili eocenici e cretacei, onde risolvere alcune questioni sorte circa le divisioni di tali terreni. — Lo stesso fa inoltre notare che, in occa- sione di questa riunione del Comitato e secondo il desiderio dal medesimo mani- festato nell’ ultima seduta, si fecero trovare presenti gli ingegneri rilevatori sui lavori dei quali poteva esservi discussione o che potevano fornire utili indicazioni. II Presidente dà quindi notizia della visita da lui fatta nelle Alpi Apuane in- sieme coi membri Cocchi e Giordano, per esaminare varie questioni sorte sia sulla geologia del gruppo, sia sulle pubblicazioni relative; e parla della escursione ese- guitavi insieme coi suddetti, coll’Ing. Zaccagna e col Dott. Canavari, per visitarvi una località nella quale erano sorti dei dubbi per la presenza di lembi nummu- litici entro terreni antichi : a tale visita si era creduto opportuno di invitare anche il Prof. De Stefani per la molta sua conoscenza della regione, ma questi, recatosi a Carrara, dichiarò che per ragioni di ufficio non avrebbe potuto trattenersi il tempo necessario alle escursioni progettate. — La quistione da risolversi riferivasi alla presenza di strati con nummuliti interclusi entro terreni triasici e retici ; ma dall’ accurato esame fattone parrebbe accertato trattarsi semplicemente di un de- posito di calcari eocenici effettuatosi entro una spaccatura preesistente nei terreni — 104 triasici, deposito susseguito da movimento, pressioni laterali e conseguente me- tamorfismo nelle roccie, le quali si sono modificate in modo da rassomigliarsi. Il Prof. Cocchi aggiunge alcune osservazioni in appoggio alla spiegazione data, rimarcando che le differenze litologiche sono abbastanza sensibili e saranno rese anche più manifeste dall’analisi microscopica. Inoltre il calcare nummulitico, identico a quello litologicamente e con la stessa sua fauna, è perfettamente in posto a poca distanza di là. Qualche dubbio rimane tuttora sulla questione della tectonica, per risolvere il quale basteranno alcune sezioni dettagliate; lo stesso va detto per altre località dove fenomeni consimili si manifestassero. I professori Taramelli e Gemmella'ro parlano di casi analoghi occorsi nel Friuli ed in Sicilia, e ne danno la medesima spiegazione. II Presidente aggiunge ancora che il risultato della visita fu molto onorevole per l’ Ing. Zaccagna autore del rilevamento, il quale ha eseguito quei lavori con una diligenza ed una accuratezza veramente lodevoli. Osserva poi che l’escursione si dovette interrompere a causa della stagione poco favorevole e che si dovrà ri- prendere in primavera. — Parla quindi della località di Poggio Troncone nelle stesse Alpi Apuane, dove i marmi si presentano assai ricchi di fossili, ma in cattivo stato di conservazione e che da un primo esame fattone dal Canavari sembrano in parte preludere a forme basiche, mentre stratigraficamente quel piano va riferito al trias e presenta anche fossili che si ritengono forme caratteristiche. Lo stesso Presidente aggiunge che la Carta delle Alpi Apuane, a parte queste piccole difficoltà ed alcuni accessorii di ordine secondario, è oramai completa e pronta per la pubblicazione. Ricorda la decisione relativa presa nell’ ultima adu- nanza e la proposta fatta dalla Direzione dei lavori al Ministero per la pubbli- zione di detta Carta. Ora il Ministero, ritenendo che la proposta comprendesse la stampa della Carta a più scale diverse, e cioè al 25m al 50m ed al 500 m, oltre quella normale del 100 m, chiede se la spesa non sarebbe eccessiva e deferisce la cosa al Comitato. — Accenna poi alla opportunità di pubblicare la Carta al 2000 della zona marmifera carrarese, tanto importante per l’ industria dei marmi ; tale pubblicazione è vivamente desiderata dagli interessati che hanno largamente con- tribuito alle spese del rilevamento, ed in ogni caso si potrebbe incominciare con la stampa dei 4 fogli che ne comprendono la parte più importante. L’ispettore Giordano dà allora spiegazioni sulla anzidetta molteplicità delle scale, essendo il 25m la scala normale della pubblicazione per una Carta così det- tagliata, l'altra al 50m , in ogni caso limitata alla parte centrale e più importante del gruppo, necessaria per fare comprendere certi fenomeni generali interessan- tissimi, e infine quella al 100 m per la Carta generale d’Italia, alla quale si pen- serà a suo tempo ; quanto alla cartina al 500m, non è che un abbozzo da unire al volume descrittivo e di spesa insignificante. Tutto ciò per le Alpi Apuane, regione — - 105 — di eccezionale importanza scientifica e industriale, è meno di quanto fu fatto per l’Elba e. per la Sicilia. Circa alla spesa, stata indicata in lire 40,000, era inteso si potrebbe ripartire in vari esercizi in modo da renderla meno sensibile e da non compromettere affatto la pubblicazione delle altre regioni. — Conviene poi sulla grande utilità di pubblicare la Carta al 2000. 11 generale Ferrerò, a proposito di tali pubblicazioni al 50m e al 100 m, fa cenno di una carta al 75 m che si potrebbe presto avere per la regione apuana e quindi estendersi a tutta Italia ; détta carta si adatterebbe forse meglio alla pubblicazione geologica; ed esprime l’ idea se non convenisse adottare definiti- vamente questa scala per la pubblicazione in luogo di quella al 100m, essendo con la medesima le carte più chiare e meglio appropriate a pubblicazioni di tal genere. Il Presidente riconosce la opportunità di porre la questione e di riservare la decisione alla riunione primaverile dopo avere bene studiato 1’ argomento. — Il Co- mitato approva e propone di sospendere pel momento ogni decisione circa le due Carte al 50m e al 100m delle Alpi Apuane, limitando per ora la pubblicazione alle 12 tavolette al 25m che furono richieste, con annesse tavole di sezioni. Viene riconosciuta anche la grande opportunità di una Carta d’ insieme da annettersi al testo, per la quale si raccomanda la scala del 200m, poiché per essa esistono tali elementi da poter fare la pubblicazione con spesa assai limitata. In quanto alla Carta della zona marmifera al 2000, lo stesso generale Fer- rerò osserva che la sua riproduzione porterebbe una spesa assai piccola (circa lire 40 per foglio, oltre la- spesa di tiratura) in modo da potersi dare al pubblico a basso prezzo. — Per il che il Presidente, ricordando come si tratti di un lavoro che altamente interessa la industria marmifera e meritevole sotto ogni rapporto di pubblicazione, fa proposta al Comitato che frattanto si pubblichino, i 4 fogli più importanti come è detto sopra. — Il Comitato approva ed appoggia la proposta. L’ispettore Giordano prende la parola per esporre quanto fu fatto dopò l’ul- tima adunanza, insistendo in particolare sulla visita alle Alpi Occidentali fatta in comune fra geologi italiani e francesi, il risultato della quale fu intieramente favorevole ai nostri operatori, avendo i francesi riconosciuta la necessità di met- tersi in accordo con questi ultimi per lo studio di dettaglio di quella regione ; e legge in proposito una lettera del signor Michel-Levy, direttore del servizio geo- logico in Francia, molto onorevole per i nostri rilevatori ingegneri Zaccagna e Mattirolo. Parlando quindi del personale osserva che oramai trovasi tutto concentrato in Roma, e che ora non resta che a provvedere per una indennità ai capi-squadra, cosa del resto già ammessa dal Ministero. 106 — Il Presidente apre poscia la discussione sulla necessità di presto provvedere alla nomina di un paleontologo per occupare il posto rimasto vacante dopo la rinunzia del Dott. Canavari, nominato professore all’ Università di Pisa. Egli fa presente la urgenza di nominare a tale posto una persona la quale, oltre alla capacità, possa dedicare intieramente il suo tempo all’ Ufficio, dove tanto è da fare in tale argomento, mantenendo tuttavia la riserva già fatta di rivolgersi a qualche specialista quando ne fosse il caso. Gemmellaro ricorda a tale proposito che due anni addietro si era già parlato della necessità di un paleontologo aggiunto a quello che avevasi allora e propo- neva fin da quell’epoca a questo ufficio il Dott Giovanni Di Stefano di Palermo, il quale, oltre ad avere fatte importanti pubblicazioni paleontologiche, ottenne onorevoli risultati nel recente concorso alla cattedra di geologia in Pisa, e sa- rebbe certamente un ottimo acquisto per 1’ Ufficio. Fa quindi una proposta in questo senso. Il Presidente conferma le ottime informazioni sul Dott. Di Stefano ed appoggia validamente la proposta. L’ispettore Pellati si compiace che vi sia la persona adatta sotto ogni rap- porto al posto di paleontologo per l’ Ufficio; domanda però se, per misura di precauzione, non sia il caso, di fargli prendere impegno di stare almeno 5 anni a servizio del Comitato, come già si usa fare per gli allievi-ingegneri che vengono inviati per gli studi all’estero. — Però, in seguito a breve discussione, e osservan- dosi che il caso del Di Stefano è diverso, il Comitato non crede necessaria tale dichiarazione. Il Presidente quindi pone ai voti la urgenza di provvedere l’Ufficio di un pa- leontologo e la proposta che tal posto sia coperto dal Dott. Giovanni Di Stefano di Palermo. Entrambe sono ammesse alla unanimità, e la proposta viene appoggiata con deliberazione di trasmettere al Ministero i lavori del Di Stefano. La seduta è levata ad ore 11 3/4 ant. Seduta pomeridiana. La seduta è aperta alle ore 2 1/2 pom. Sono presenti gli stessi membri del mattino ad eccezione del generale Fer- rerò e dell’ ispettore Pellati. L’ ispettore Giordano, continuando la esposizione di' quanto fu fatto dopo 1’ ultima riunione, accenna all’adunanza della Società geologica a Catanzaro, nella quale occasione si ebbe una prova dell’ interessamento di quelle popolazioni alle ricerche geologiche e si è riconosciuta la bontà di quei rilevamenti, che sarebbe inte- — 107 — restante di pubblicare : vi ha però la nota difficoltà delle carte a tratti troppo oscuri, e quindi il bisogno di una edizione più chiara, la quale si sta ora facendo per alcuni fogli a titolo di saggio, salvo a sospendere tale lavoro per provvedere più tardi con la carta al 75m di cui nella seduta precedente. — Il Comitato rimanda a questo riguardo, ogni decisione in proposito alla riunione di primavera. Lo stesso accenna quindi alla memoria dei prof. Scacchi sui vulcani (luoriferi della Campania, ed annuncia che essa è in corso di stampa tanto per il testo che per la Carta e che presto si potrà pubblicare in estratto, non essendo ancora pronte le altre memorie che devono far parte dello stesso volume. — Il Presidente propone che sia comunicata al Prof. Scacchi tale deliberazione. L’ispettore Giordano passa quindi a parlare di una studio geologico nella nostra colonia di Massaua, dove fu già votato di mandare uno degli ingegneri dell’Ufficio, per il quale incarico si sarebbe scelto il Baldacci. Ora, in seguito a nuove richieste dell’autorità militare sarebbe il momento di concretare la cosa e domanda se qualche membro del Comitato ha raccomandazioni speciali da fare. — Il Comitato appoggia tale invio a Massaua e la scelta del Baldacci, nella fiducia che il Ministero di Agricoltura si accorderà con quello della Guerra perchè la mis- sione sia resa possibile. Il Prof. Taramelli dice che si è occupato alquanto della geologia dell’Africa e che anche ultimamente ebbe nuovi materiali di là, dai quali risulta 1’ esistenza di una serie di centri vulcanici recenti, che fanno credere a linee di frattura pa- rallele alla costa, negate in pubblicazioni recenti e che sarebbe bene di verificare. Raccomanda quindi che siano fatte osservazioni in proposito. 11 Giordano parla poi delle nuove scoperte paleontologiche fatte a Taormina entro calcari del Lias dapprima ritenuti triasici, e della necessità di modificare le carte in quel punto: domanda perciò la facoltà di fare nuovfistudi in quella regione. — Gli viene accordata. In seguito poi al voto emesso dal Comitato nelle ultime adunanze, lo stesso Giordano aveva intenzione di incaricare gli ingegneri Baldacci e Cortese di fare uno studio generale dei terreni antichi di Sardegna ; ora però, stante l’andata del Baldacci in Africa, resterebbe il solo Cortese, al quale si potrebbe aggiungere l’Ing. Mattirolo per i terreni vulcanici, non appena si potrà disporre di questi due operatori. — La proposta viene accettata. Il Presidente accenna anche ai terreni terziarii della Sardegna, assai ricchi di fossili, dei quali sta facendo importanti raccolte il Prof. Lovisato della Univer- sità di Cagliari. Di questi terreni potrà occuparsi anche il Cortese che ebbe oc- casione di farne ampia conoscenza in Sicilia ed in Calabria. L’ispettore Giordano parla poi della gita fatta dall’ Ing. Sabatini alle Isole Eolie ed al lavoro cbe egli sta preparando sulle roccie di quelle isole, e domanda — 108 — se non è il caso di farne per la pubblicazione un lavoro più completo, aggiun- gendovi la parte geologica già studiata dal Cortese. — Il Comitato in genere ap> prova tale pubblicazione, con riserva di meglio decidere in altra seduta quando il lavoro sia pronto. Ricordata da ultimo la decisione presa nella passata adunanza di nominare una Commissione per formulare delle istruzioni e delle norme per i rilevatori della Carta, vengono scelti a comporla il Presidente ed i membri Cocchi, Cemmellaro e Giordano. La seduta è levata ad ore 4 1/4 pom. Verbale dell’adunanza 10 Dicembre 1889. La seduta è aperta alle ore 9 ant. Sono presenti, oltre al Presidente, i membri Cocchi, De Zigno, Gemmellaro, Giordano, Omboni, Scarabelli, Struever e Taramelli. Viene data lettura dei verbali delle due sedute del giorno precedente, i quali vengono approvati. Il Prof. Taramelli raccomanda alla Commissione incaricata di formulare le istruzioni per i rilevatori della Carta, di organizzare un lavoro continuo e ordinato per modo che i rilevamenti si alternino con lo studio delle questioni che mano mano si presentano, e che il personale operante si mantenga pure in continui rapporti col Comitato : così anche raccomanda la progressiva e ordinata conti- nuazione delle pubblicazioni, non appena sia risolta la questione relativa alle scale della Carta generale. Si dà lettura di questa aggiunta al processo verbale che viene approvata all’ unanimità. La seduta è levata alle ore 10 1 2 ant. Il Segretario P. Zezi. Il Presidente G. Capellini. /CìtlrN Pubblicazioni in vendita presso l’Ufficio Geologico Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia; Voi. I a XIX, dal 1870 al 1888 — Prezzo di ciascun volume L. 10 — Idem di un fascicolo bimensile separato » 2 — N.B. - II prezzo di abbonamento annuo è di L. 8 per l’interno e di L. 10 per desterò. Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia: Voi. I. Firenze, 1872 » 35 — Voi. IL Firenze, 1873-74 . . » 30 — Voi. III. Parte la; Firenze, 1876 » 10 — Voi. III. Parte 2a; Firenze, 1838. >15 — I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati geologici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia. Firenze, 1871 » 1 50 P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta geologica in grande scala. Roma, 1875 » 1 — F. Giordano. — Esposizione in ordine cronologico delle principali disposi- zioni successivamente emanate relativamente alla Carta geologica d’Italia. Roma, 1879 » 1 — F. Giordano. — Sopra un progetto di legge per il compimento della Carta geologica d’ Italia. Roma, 1880 » 1 50 F. Giordano. — Cenni sull’organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici esistenti nei vari paesi. Roma, 1881 » 1 50 G. Capellini. — Relazione a S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Comm. sul Congresso geologico internazionale del 1881. Roma, 1881 .... » 1 — C. W. C. Fuchs. — Carta geologica dell’Isola d’ Ischia; scala di 1/25,000. Firenze, 1878. . . > 2 — C. Doelter. — Carta geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone; scala di 1/20,000. Roma, 1876 » 2 — C. De Giorgi. — Abbozzo di Carta geologica della Basilicata; scala di 1/400,000. Roma, 1879 » 2 — C. De Giorgi. — Carta geologica della provincia di Lecce; scala di 1/400,000. Roma, 1880 » 2 — G. Capellini. — Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Ma- rittima e di parte del Volterrano ; scala di 1/100,000. Roma, 1881 . » 3 — G. Capellini. — Carta geologica della provincia di Bologna ; scala di 1/100,000. Roma, 1881 » 4 — G. Capellini. — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di Magra inferiore; 2a edizione; scala di 1/50,000. Roma, 1881 . . » 3 — T. Taramelli. — Carta geologica del Friuli, con testo descrittivo ; scala di 1/200,000. Udine, 1881 » 7 — Bibliographie géologique et paleontologique de l’Italie. Bologne, 1881 . . » 10 — Bibliografia geologica e paleontologica della provincia di Roma. Roma, 1886 » 2 — Bibliografia geologica italiana per l’anno 1886. Roma, 1887 ...... 1 50 Idem idem per l’anno 1887. Roma, 1888 » 1 50 Annunzi di pubblicazioni A. Scacchi. — Il vulcanetto di Puccianello (Atti della R. Acc. delle Scienze fis. e mat., S. 2a, Voi. Ili, fase. 7). — Napoli, 1889; pag. 14 in- 4°. > S. Squinabol. — Contribuzioni alla flora fossile dei terreni terziarii della Liguria, « Caracee - Felci. » — Genova, 1889; pag. 70 in-4° con 12 tavole. G. Piolti. — Gneiss tormalinifero di Villar Focchiardo (Atti della R. Acci delle Scienze di Torino, Voi. XXIV, disp. 18). — Torino, 1889; pag. 10 in 8° con una tavola. F. Sacco. — Il bacino terziario del Piemonte; (Parte seconda). (Atti della Soc. it. di Scienze naturali, Voi. XXXII, fase. 2° e 3°). — Milano, 1889; pag. 148 in-8°. M. Lanzi. — Le diatomee fossili della Via Aurelia. — Roma, 1889 ; pag. 6 in-4°. G. Terrigi. — Il calcare (Macco) di Palo e sua fauna microscopica. — Roma, 1889 ; pag. 60 in-4° con 10 tavole. L. Bombicci. — Sulla lucentezza e striatura liscia delle superfìcie nelle: salbande dei filoni metalliferi e nelle roccie scagliose (Memorie della| R. Accademia delle Scienze del L’ Istituto di Bologna, S. IV, T. IX). — Bo- logna, 1889 ; pag. 10 in-4°. Idem. — Sul giacimento e sul tipo litologico della roccia oligoclasite di Monte Cavaloro (Ibidem). — Bologna, 1889 ; pag. 14 in-4° con due tavole. A. Scacchi. — I proietti agglutinanti dell’ incendio vesuviano del 1631 (Rendi-, conto dell’Acc. delle Scienze fisiche e matem., S. 2a, Voi. Ili, fase. 10°). — Napoli 1889 ; pag. 6 in-4°. O. Silvestri. — Etna, Sicilia ed isole vulcaniche adiacenti sotto il punto di vista dei fenomeni eruttivi e geodinamici avvenuti du- rante Tanno 1888. — Catania, 1889; pag. 42 in-4°. Idem. — Sulla attuale eruzione di Vulcano nelle Isole Eolie incominciata il 3 agosto 1888. — Roma, 1889; pag. 14 in-4°. A. Issel. — Cenni sulla giacitura dello scheletro umano recentemente scoperto nel pliocene di Castenedolo presso Brescia. — Parma 1889 $ pag. 22 in -8°. Idem. — Di una Sepia del pliocene piacentino. — Modena 1839 ; pag. 6 in-8°J L. Ricciardi. — Genesi e composizione chimica dei terreni vulcanici ita- liani. — Firenze 1889; pag. 156 in-8°. G. Capellini. — Sulla scoperta di una caverna ossifera a Monte Cucco. — Roma, 1889; pag. 8 in 8°. S. Ciofalo. — L’oligocene dei dintorni di Termini-Imerese. — Catania 1889; pag. 14 in -4° con ima tavola. G. Trabucco. — Le frane dell’alto Piacentino. - Piacenza, 1889; pag. 16 in-8°. G. Struever. — Contribuzioni alla mineralogia della Valle Vigezzo (Rendi-: conto della R. Accademia dei Lincei, voi. V, fase. 9°). — Roma, 1889 a pag. 3 in-4°. G. Capellini. - Gli antichi confini del Golfo di Spezia (Ibidem). - Roma, 1889 1| pag. 5 in -4°. G. Omboni. — Rocce e fossili ; sunto di alcune lezioni di geologia. — Pa- dova 1889 ; pag. 262 in-8°. G. B. Cacciamali. — Il fenomeno del Carso a Fontana Liri. — Siena, 1889; pag. 4 in 4°. M. Malagoli. — Foraminiferi tratti dal fango eruttato dalle salse di Ni- rano (Atti della Società dei Naturalisti di Medena, Serie III, Voi. VIIIJ fase. 2°). — Modena 1889; pag. 10 in-8'\